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N. XXX<br />
Editoriale<br />
di Paolo Corciulo<br />
Spiacente di deludervi,<br />
ma la notizia della nostra morte<br />
è un tantino esagerata...<br />
In occasione del recente Milano Hi-End ho incontrato persone<br />
molto comprensive e consce del momento particolare che attraversa<br />
la stampa, motivate forse anche in seguito al richiamo che<br />
il Presidente della Repubblica ha recentemente fatto in merito.<br />
La maggior parte dei lettori di <strong>SUONO</strong> ci seguono da quel dì, altri<br />
sono giunti in seguito: avremmo voluto che questi ultimi fossero di<br />
più, per il nostro bene ma anche per quello in generale del settore<br />
che, non l’ho mai nascosto a rischio di risultare menagramo, non<br />
versa in buono stato di salute. Da anni ritengo che il ricambio e<br />
l’apertura verso un nuovo pubblico rappresentino le chiavi per<br />
ridare smalto al mercato che, per contro, si è sempre chiuso a<br />
riccio a difesa dei valori già esistenti, tutt’al più convenendo,<br />
per forma, sull’argomento. Un po’ quello che è accaduto finora<br />
nell’ambito del clima, con atteggiamenti definiti green washing<br />
o, più in generale, che partono dalla convinzione che tanto alla<br />
fine “ci si mette una pezza”…<br />
Se non è più tempo di rivoluzioni, letti in un arco di tempo più<br />
ampio di quelli determinati<br />
dal binomio “fretta<br />
& velocità” caratteristico<br />
dei tempi attuali gli<br />
eventi disegnano a volte<br />
fenomeni evolutivi ben<br />
definibili sulla lunga<br />
distanza. Quando frequentavo<br />
il primo anno<br />
all’Università venne<br />
chiesto ad alcuni di noi<br />
studenti del collettivo di<br />
medicina di realizzare un pamphlet per divulgare e spiegare un<br />
termine allora sconosciuto sebbene fondativo di un movimento<br />
di pensiero che cominciava a farsi strada, fortemente sostenuto<br />
dal biologo Barry Commoner: ecologia. Fa ridere che a quel<br />
tempo fosse lecito chiedersi cosa significasse mentre oggi è una<br />
parola di senso comune. II percorso di consapevolezza culturale<br />
effettuato da allora ad oggi è il segno di una evoluzione che non<br />
è una rivoluzione ma quasi! E nonostante questo Greta Thunberg<br />
e l’enorme impatto delle problematiche ecologiche soprattutto<br />
sui giovani ci hanno per certi versi tramortiti al punto tale da<br />
spazzare via molti pregiudizi sulla loro inconsapevolezza fino al<br />
punto da ipotizzare che la soglia della maturità si trovi ai 16 anni!<br />
Volando assai più basso, proviamo a ripercorrere invece il cammino<br />
dell’editoria specializzata in generale e in particolare di questo<br />
giornale: anni ’70 nascita e meraviglia; anni ’80 la consacrazione;<br />
anni ’90 la turbolenza; anni 2000 il declino. E gli anni post millennial?<br />
È possibile invertire la rotta di un declino annunciato? La<br />
vulgata (e anche certi movimenti politici) dicono di no in favore<br />
della democrazia digitale della rete; la splendida polifonia di voci,<br />
opinioni, anche semplici esternazioni e/o dubbi che rappresenta il<br />
panorama emerso in superficie grazie ad essa, è tuttavia disturbata<br />
da un costante, enorme, rumore di fondo, spesso creato ad arte, a<br />
volte elemento di disturbo suo malgrado, che sembra l’inevitabile<br />
contrappasso di quella smisurata libertà di espressione che dobbiamo<br />
ad internet. Quella che Umberto Eco definì “l’invasione degli<br />
imbecilli” o che più prosaicamente potremmo identificare come<br />
“marmellata digitale” è il contrappasso inevitabile, in alcuni casi<br />
gravissimo a questa ampia libertà: nel momento in cui scrivo sui<br />
social network si stanno diffondendo liste di farmaci fatti passare<br />
come medicinali contenenti il principio attivo ranitidina, messo<br />
al bando dall’Agenzia europea dei medicinali (Ema), con il rischio<br />
che farmaci che non hanno nulla a che vedere con quelli oggetto<br />
dei provvedimenti restrittivi vengano ingiustamente boicottati<br />
con grave rischio per chi ne ha bisogno. Fake news, ignoranza<br />
digitale, nuovi canoni (e argomenti) di comunicazione: tenendo<br />
conto di questo trittico lavoriamo<br />
costantemente per<br />
migliorare questo giornale<br />
partendo da una semplice<br />
constatazione visto che, in<br />
fondo, ci atteniamo a una<br />
massima per cui “Ogni mattina<br />
al sorgere del sole non<br />
importa che tu sia leone o<br />
gazzella...”. Tenendone conto<br />
ci colpisce ma anche ci<br />
stimola l’idea che la prima<br />
reazione alla disponibilità dei brani di Battisti in streaming sia<br />
stata per alcuni quella di trovarsi di fronte a brani “datati, banali,<br />
ripetitivi e noiosi”. E ci conforta, per contro, la decisione del duo<br />
di stilisti Dolce & Gabbana di concentrare sulla carta stampata<br />
la propria comunicazione. “Mentre tutti sono sullo smartphone,<br />
comprare la carta stampata potrebbe sembrare un lusso. In<br />
realtà se ne ricava un punto di vista unico, preparato con cura<br />
e tempo. Per me è il momento del grande ritorno delle riviste:<br />
potere alla stampa!”. Lo ha detto Stefano Gabbana e non saprei<br />
come dirlo meglio!<br />
Mi sembra così che da uno scoppiettante crogiuolo ricco di segnali,<br />
di modernità ma anche di conoscenza e cultura (del passato, del<br />
presente e per la formazione del futuro) nasce ogni mattina (dopo<br />
aver scoperto se si è leoni o gazzella) il <strong>SUONO</strong> che verrà. Quale<br />
sia perfettamente non so ma posso garantire che è e sarà privo<br />
di preconcetti e tesi preconfezionate. Una marcia in più che dà<br />
origine a pensieri e opinioni di cui sono orgoglioso, che le leggiate<br />
sulla bella carta stampata o in rete che sia.<br />
Parafrasando il telegramma con cui Mark Twain<br />
risponde con sferzante ironia alla infondata notizia<br />
della sua dipartita, vorrei tranquillizzare quei lettori<br />
che si preoccupano (a fronte della vulgata che vuole<br />
la carta stampata obsoleta) della sorte di testate<br />
come la nostra che rappresentano il compagno di<br />
viaggio di lunga data per molte persone.<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 3
Sommario<br />
N. XXX<br />
EDITORIALE ............................................................................3<br />
ANTENNA ...............................................................................6<br />
INSIDE DENTRO LA MUSICA<br />
SCOUTING CAP.1 Il Capo di Paolo Corciulo ...............................................................20<br />
N. <strong>539</strong><br />
OTT/NOV 2019<br />
ABBEY ROAD 50 anni dopo il canto del cigno dei Beatles di Massimo Bargna ........................24<br />
GIUSEPPINA TORRE Finché c’è arte c’è speranza di Francesco Bonerba ..........................28<br />
GABRIELE DI FRANCO Mi scappa di farlo di Daniele Camerlengo ..............................30<br />
ARTHUR RADFORD Non solo amplificatori di Pier Paolo Ferrari ................................34<br />
SELECTOR TUTTO IL MEGLIO IN ARRIVO SUL MERCATO<br />
CUFFIA TX Media TX-172 Concerto a cura della redazione .......................................38<br />
ACCESSORI Omicron Magic Dream di Nicola Candelli ........................................42<br />
UNITÀ PHONO STEP-UP Ortofon ST-7 a cura della redazione .................................44<br />
CONVERTITORE MSB Premier DAC a cura della redazione ....................................48<br />
AMPLIFICATORE INTEGRATO Synthesis Roma 510 AC di Nicola Candelli ......................54<br />
PRE + FINALE Yamaha C-5000 e M-5000 a cura della redazione ...............................58<br />
DIFFUSORI Marten Design Django XL di Paolo Corciulo .......................................66<br />
DIFFUSORI Sonus faber Minima Amator II a cura della redazione ..............................70<br />
AMATO MIO LP di Vittorio Pio ............................................................74<br />
RECENSIONI A.A.V.V. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76<br />
CUT ‘N’ MIX CONCERTI | CINEMA | LIBRI | SOCIETÀ | ARTE ........................ 92
ANTENNA<br />
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Olympica<br />
refresh<br />
In occasione della<br />
16ma edizione<br />
della fiera Rocky<br />
Mountain Audio Fest<br />
(RMAF: 6 - 9 Settembre<br />
2019) Sonus faber<br />
ha introdotti gli<br />
Olympica Nova, una<br />
rivisitazione della serie<br />
Olympica (introdotta<br />
nel 2013) che è più di<br />
un restyling: nuovi driver,<br />
nuovo crossover,<br />
nuova struttura del<br />
cabinet e nuovo caricamento<br />
dei volumi<br />
interni per la versione<br />
che per la fine dell’anno<br />
sarà nei negozi italiani.<br />
Dei sette modelli<br />
che compongono ora<br />
la collezione Olympica<br />
Nova, tre sono completamente<br />
nuovi: il top di<br />
gamma a tre vie, un secondo<br />
canale centrale<br />
LA GAMMA OLYMPICA NOVA<br />
Modello: Nova I Nova II Nova III Nova V<br />
Tipo: da supporto da pavimento<br />
Caricamento:<br />
bass reflex<br />
N. vie: 2 3<br />
Potenza (W): 35 – 250 50 – 250 50 – 300 60 - 400<br />
Impedenza (Ohm): 4<br />
Frequenze Crossover (Hz): 2500 250/2.500<br />
Risp. in freq (Hz): 45 – 35.000 40 – 35.000 35 - 35.000<br />
Sensibilità (dB): 87 88 90<br />
Tweeter: 28 mm a cupola in seta H28 XTR3<br />
Midrange: - 15 cm<br />
Woofer (cm): 1 x 15 1 x 18 2 x 15 3 x 18<br />
Dimensioni in cm (lxaxp): 19,95 x 35,5 x 39,5<br />
36 x 103,65 x<br />
42,25<br />
37,6 x 110,45 x 46 42,4 x 117,4 x 53<br />
Peso (Kg): 10,5 30,7 35 44<br />
Prezzo (€): € 6.000,00 9.000,00 12.000,00 15.000,00<br />
6 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019
e un modello on-wall. Originariamente, infatti,<br />
la linea, un omaggio al Teatro Olimpico<br />
di Vicenza, era composta da tre modelli<br />
(due torri e uno da stand) con cabinet in<br />
legno di noce naturale, con top (rivestito<br />
in pelle) e bottom in noce massello e baffle<br />
frontale e retro anch’essi rivestiti in<br />
pelle con assenza di viti a vista. La forma<br />
rimane la stessa, in pianta a forma di liuto,<br />
mentre i fianchi del cabinet vengono ora<br />
realizzati con otto strati di legno curvato<br />
e nel top e nel baffle la pelle lascia il posto<br />
al legno naturale (noce o wengé le due<br />
finiture disponibili) incastonato in una<br />
lastra realizzata in alluminio fresato, come<br />
accade nella collezione Homage Tradition.<br />
Il caricamento è lo stesso (Stealth Reflex)<br />
con l’uscita laterale del flusso, mutuata dai<br />
modelli Homage Tradition e realizzata con<br />
un pezzo di alluminio estruso. Cambiano<br />
gli altoparlanti utilizzati anche se, ovviamente,<br />
in molti casi si tratta di evoluzioni<br />
di quelli utilizzati nella prima serie. Il tweeter<br />
a cupola in seta (ora da 28 mm, prima<br />
da 29) e magnete al neodimio, utilizza la<br />
soluzione proprietaria DAD (Damped Apex<br />
Dome) con archetto e anello, in alluminio<br />
pressofuso, ridisegnati. Il midrange da 15<br />
cm utilizza un cono realizzato secondo<br />
l’abituale miscela di polpa di cellulosa e<br />
fibre naturali (Kapok e Kenaf) con cestello<br />
in alluminio, bobina mobile in lega di<br />
rame (CCAW - Copper Clad Aluminum<br />
Winding) e una differente ogiva rispetto<br />
a quella utilizzata nei modelli precedenti,<br />
in alluminio con anello in rame. Il woofer<br />
(da 15 e 18 cm) è ancora una volta dotato di<br />
cono con struttura a sandwich costituita da<br />
due strati in polpa di cellulosa accoppiati<br />
tramite uno strato di schiuma sintattica.<br />
Anche il crossover, che utilizza condensatori<br />
Clarity Cap, continua il cammino<br />
intrapreso elaborando le idee di Onken e<br />
Jensen prima con il sistema Stealth Reflex,<br />
ora con la modalità costruttiva denominata<br />
Paracross Topology. Infine anche i<br />
supporti di Olympica Nova (le basi e gli<br />
stand) sono stati riprogettati.<br />
In termini di prezzo di listinio l’aumento<br />
medio per i vari modelli è nell’ordine del<br />
10% rispetto alla serie precedente.<br />
Paolo Corciulo<br />
Per info: MPI ELECTRONIC - www.<br />
mpielectronic.com<br />
Cablaggio in aria,<br />
valvole di alta qualità,<br />
componenti selezionati.<br />
Pura musica.<br />
Pre, finali e integrati costruiti a mano in Italia, cablati in aria,<br />
con valvole e componenti selezionati e NOS, cabinet in legni pregiati<br />
e la sicurezza delle certificazioni CE, RoHs e RAEE.<br />
Tutto questo perché, in fatto di amplificazioni, tutto è già stato<br />
inventato dai tempi delle valvole: si deve solo fare al meglio.<br />
E con Tektron ritorni al futuro.<br />
7<br />
TEL 335 6693597 - EMAIL info@tektron-italia.com - WEB www.tektron-italia.com
ANTENNA<br />
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FOCAL PER TUTTI<br />
Rendere l’alta fedeltà accessibile al maggior numero di persone possibile.<br />
Quasi un refrain per Focal che accanto ai diffusori monstre ha<br />
sempre sviluppato parallelamente gamme di prodotto economiche<br />
ma di qualità, ispirandosi al concetto di microlusso. In questo ambito è<br />
la volta di Chora, una gamma di tre diffusori (uno da piedistallo e due<br />
torri) che sostituisce la linea Chorus, per definizione la gamma d’attacco<br />
della casa francese, con prezzi tra i 600 euro e poco più del doppio<br />
(quindi nello stesso range dei predecessori) e, altro elemento costante<br />
nello sviluppo dei prodotti nella casa francese, aspetti di innovazione<br />
tecnologica. È il caso, ad esempio, del nuovo materiale proprietario<br />
utilizzato per il cono di midrange e woofer, realizzato in fibra di ardesia<br />
(Slatefiber), ottenuta dall’unione di un polimero termoplastico con<br />
fibre di carbonio riciclate e non tessute, soluzione perseguita per il<br />
miglioramento dello smorzamento, della rigidità e della leggerezza del<br />
componente, vero chiodo fisso per Focal che durante i suoi 40 anni di<br />
storia ha proposto via via soluzioni sempre più performanti da questo<br />
punto di vista. Da notare che rispetto alla gamma precedente Chorus<br />
sono scomparsi centrale e surround (sebbene la torre di mezzo vanga<br />
definita adatta all’home theater): un’abiura nel confronti dell’home<br />
theater o un nuovo modo di concepirlo?<br />
Il Tremila<br />
Distributore: Tecnofuturo - www.tecnofuturo.it<br />
LA GAMMA CHORA<br />
Modello Chora 806 Chora 816 Chora 826<br />
Tipo: da supporto da pavimento da pavimento<br />
Caricamento:<br />
bass reflex<br />
N. vie: 2 3 3<br />
Potenza (W): 25-120 40-200 40-250<br />
Impedenza (Ohm): 8<br />
Frequenze di crossover (Hz): 3000 270 – 2700 270 - 2.700<br />
Risp. in freq (Hz): 58 – 28.000 50 – 28.000 48 - 28.000<br />
Sensibilità (dB): 89 89,5 91<br />
Tweeter:<br />
1 TNF (Aluminium/Magnesium)<br />
Midrange: - 1 da 16,5 cm<br />
Woofer: 1 Wf da 16,5 cm 1 da 16,5 cm 2 da 16,5 cm<br />
Dimensioni in cm (lxaxp): 59 x 39 x 53 110 x 34 x 48 30.3 x 38.8 x 105.3<br />
Peso(Kg): 18 20,5 24<br />
Prezzo (€): 598,00 1.198,00 1.398,00<br />
8 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019
ANTENNA<br />
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Solo per intenditori<br />
Leader del settore nella metà degli anni ’70 grazie all’adozione nei suoi diffusori del tweeter<br />
AMT (Air Motion Transformer), realizzato su licenza esclusiva concessa dal fisico tedesco<br />
Oskar Heil che lo ha creato, ESS è un marchio tutt’ora apprezzato dai veri intenditori di<br />
Hi-Fi che si dilettano a mettere nelle migliori condizioni di utilizzo i diffusori che utilizzano<br />
questo componente. Gli AMT Limited Edition 6 sono una versione di dimensioni ridotte delle<br />
leggendarie AMT dell’epoca, quindi dedicate ad ambienti di piccole e medie dimensioni dove<br />
efficienza, emissione alle basse frequenze (grazie ad un secondo woofer che emette verso il<br />
basso) e regolazione dell’emissione alle alte frequenze favoriscono un facile interfacciamento<br />
con l’ambiente e con i partner sonori.<br />
Agostino Bistarelli<br />
Diffusori ESS AMT LE 6<br />
Prezzo: € 1.399,00<br />
Dimensioni: 20 x 47 x 20 cm (lxaxp)<br />
Peso: 14 Kg<br />
Distributore: Openitem - www.openitem.it<br />
Tipo: da pavimento Caricamento: sospensione<br />
pneumatica N. vie: 2 Potenza (W): 60-100<br />
Impedenza (Ohm): 6 Risp. in freq (Hz):<br />
40 - 28.000 Sensibilità (dB): 96 Altoparlanti:<br />
1 tw di Heil, 2 wf con cono in carta da<br />
16 cm Rifinitura: nero e noce Note: 1 woofer<br />
posizionato con emissione verso il basso.<br />
LA SERIE STELLAR CRESCE<br />
A cavallo tra il 1973 e il 1975 la PS Audio faceva il suo fragoroso<br />
ingresso nel mondo audio con un preamplificatore fono che ottenne<br />
larghi consensi. Sebbene l’attività principale si sia spostata<br />
poi principalmente su filtri di rete prima e convertitori D/A poi,<br />
niente di meglio per festeggiare i 40 anni di attività se non riproporne<br />
un altro, ovviamente nella versione aggiornata e all’interno<br />
della serie Stellar, quella up to date del costruttore americano.<br />
L’apparecchio è basato su una architettura originale a FET in<br />
configurazione completamente discreta ed è stato sviluppato<br />
dall’ingegnere Darren Myers. Lo Stellar Phono dispone di doppi<br />
ingressi e possibilità di regolare carico e guadagno della testina<br />
utilizzata in maniera facile e immediata, anche da telecomando.<br />
Agostino Bistarelli<br />
Per info: MPI ELECTRONIC - www.mpielectronic.com<br />
Unità phono PS Audio Stellar Phono<br />
Prezzo: non comunicato<br />
Dimensioni: 43 x 8,2 x 33 cm (lxaxp)<br />
Peso: 9,8 Kg<br />
Tipo: MM/MC Tecnologia: stato solido a MOSFET Risp. in freq. (Hz): 20Hz<br />
- 20KHz +/- 0.25dB Impedenza MM (kOhm): 47. Impedenza MC (Ohm): 60<br />
- 1-1k S/N (dB): 82 Note: 1 ingresso RCA e 1 XLR. Telecomando con selezione<br />
dell’ingresso e dei carichi MC.<br />
A Padova Quattro Note d’Autunno<br />
Nei giorni 1, 2 e 3 Novembre p.v., dalle 10 alle 19, si terrà la 4a edizione di Quattro Note d’Autunno, l’appuntamento con la musica e la<br />
passione organizzato da Peter& Son Audio Laboratory, che prevede una sezione storica con la 3a edizione del Vintage Classic Hi-Fi, una<br />
selezione di importanti apparecchiature che hanno fatto la storia della vera Alta Fedeltà, per poi continuare nella sezione rivolta all’attualità<br />
dove esordisce anche la prima U.C.H. (Upgrade Challenge HiFi), un’inedita opportunità atta a scoprire come e quanto si può migliorare<br />
la riproduzione sonora di un diffusore (sia nuovo che da collezione) rivisitandone competentemente il cross-over e le cablature interne.<br />
L’edizione di quest’anno, inoltre, prevede per ognuno dei tre giorni (venerdì e sabato dalle ore 18 e domenica dalle ore 17) un concerto<br />
live con la partecipazione degli artisti dell’etichetta discografica Velut-Luna. La manifestazione si svolge come d’abitudine all’ Hotel F. P.<br />
by Sherton di Padova-Est (contiguo all’omonimo Casello Autostradale della A-4) dove è prevista l’agevolazione sulla tariffa di parcheggio<br />
all’interno della struttura a €.2,00 per l’intera giornata.<br />
Per info: Peter & Son Sas Audio Laboratory - www.peter-son.it<br />
10 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019
ANTENNA<br />
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Luxman insiste<br />
sull’analogico<br />
All’unico giradischi Luxman attualmente in catalogo sta per aggiungersi<br />
un nuovo modello che prende le mosse dal precedente (PD-171A), introdotto<br />
nel 2014. Il nuovo PD-151 utilizza un nuovo motore proprietario<br />
senza spazzole, ad alta coppia di rotazione, e un piatto ad alta massa<br />
(4 kg) che ha richiesto lo sviluppo di cuscinetti in grado di sopportare<br />
pressioni estremamente elevate. A tale scopo è stato sviluppato il nuovo<br />
reggispinta in polietere chetone (PEEK) e un cuscinetto radiale in ottone<br />
riempito con olio di molibdeno organico per favorire una rotazione<br />
fluida e una maggiore durata nel tempo. Per il cabinet, inoltre, è stata<br />
realizzata una struttura sospesa, con componenti montati sotto il telaio<br />
superiore in alluminio di 10 mm di spessore, separato dal trasformatore<br />
di alimentazione con supporti di smorzamento in gomma. La regolazione<br />
della velocità viene effettuata con comandi separati per 33-1/3, 45 e 78<br />
rpm e il cablaggio è interamente in rame OFC.<br />
Il Tremila<br />
Per info: Tecnofuturo - www.tecnofuturo.it<br />
Giradischi Luxman PD-151<br />
Prezzo: non comunicato<br />
Dimensioni: 46,5 x 13,3 x 39,3 cm (lxaxp)<br />
Peso: 15,7 Kg<br />
Tipo: con braccio Telaio: a sospensione con top in alluminio Trasmissione:<br />
a cinghia Piatto: in alluminio da 4 kg Braccio: a S<br />
con attacco universale, lunghezza 22,9 cm, overhang 15 mm, per<br />
testine da 4 a 12 gr. Alzabraccio: si Wow & Flutter (%): 0.04%.<br />
SE HAI L’USCITA BASSA<br />
Il trasformatore step-up Ortofon ST-70 si affianca all’ST-7 (in prova<br />
in questo numero di <strong>SUONO</strong>) ed è stato progettato e ottimizzato<br />
per Moving Coil (MC) con uscita molto bassa, facilitando così il<br />
lavoro dallo stadio phono. A partire dai trasformatori Lundahl di<br />
alta qualità, circondati da una schermatura specializzata in mumetal,<br />
l’ST-70 è un disegno nato da zero. All’interno della chassis,<br />
il design dual-mono a discreti per ogni canale riduce la diafonia<br />
e le distorsioni. La scheda PCB è di elevata qualità e i jack RCA<br />
d’ingresso e d’uscita sono placcati in oro con isolamento in Teflon<br />
per la migliore conduttività. L’ST-70 è compatibile con una vasta<br />
gamma di fonorilevatori Moving Coil di fascia più alta grazie alle<br />
sue due opzioni Gain / Impedance, impostate tramite ponticelli<br />
interni. Un abbinamento ideale è con i modelli MC della serie<br />
Cadenza della casa danese.<br />
Carlo D’Ottavi<br />
Per info: Audiogamma - www.audiogamma.it<br />
Unità phono Ortofon ST-70<br />
Prezzo: € 1.145,00<br />
Dimensioni: 15 x 5,8 x 13,5 cm (lxaxp)<br />
Peso: 1,23 Kg<br />
Tipo: MC Tecnologia: Trasformatore di Step Up per testine a bobina<br />
mobile Risp. in freq. (Hz): 10-100.000 +/- 1 dB (conf.A) e 10-80.000 +/-<br />
1 dB (conf.B) Impedenza MC (Ohm): raccomandata 5-50 (conf.A) e <<br />
10 (conf.B) Note: Costruzione Dual-Mono. Doppi trasformatori Lundahl<br />
con schermatura mu-metal dedicata. Ponticelli interni per selezionare<br />
tra due configurazioni di guadagno/impedenza. Connettori RCA dorati<br />
con isolamento in Teflon.<br />
12 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019
ANTENNA<br />
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Unità phono Blue Aura PH1<br />
Prezzo: € 199,00<br />
Dimensioni: 15,2x 4,9 x 18 cm (lxaxp)<br />
Peso: 0,85 Kg<br />
Tipo: MM/MC Impedenza MM (kOhm): 45~56<br />
Impedenza MC (Ohm): 80~120 S/N (dB): 82.8<br />
MM -
ANTENNA<br />
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Uno sguardo al futuro...<br />
e uno al passato<br />
Con la serie Artera Quad ha voluto occupare un segmento di<br />
mercato lontano da quello più strettamente correlato alla sua<br />
immagine e alla su storia, analizzando i cambiamenti avvenuti<br />
nella fruizione musicale e, di conseguenza, nelle categorizzazioni<br />
dei prodotti, oggi più mutevole e incerta che in passato. Oltre a un<br />
tutto in uno di fascia alta (Solus) la linea Artera è infatti composta<br />
da due soli ulteriori componenti: un tradizionale finale di potenza<br />
(Stereo) e un lettore + pre e hub digitale (Play +). A rendere ora un<br />
po’ meno radicali le scelte arriva un pre di natura più tradiionale<br />
che si riallaccia a tecnologie del passato del marchio come il Tilt<br />
Control, raffinato controllo di toni, sviluppato addirittura nel 1982<br />
per il pre Quad 34. Non c’è più Peter Walker alla guida della ricerca<br />
ma comunque un rispettato progettista come Jan Ertner, responsabile<br />
del progetto Atera, che ha seguito lo sviluppo dei prodotti Quad<br />
negli ultimi 20 anni e più.<br />
L’Artera pre è completamente bilanciato e consente la regolazione<br />
del livello individualmente su ognuno degli ingressi e uscite fisse<br />
e variabili per facilitare il bi-ampling. Grande attenzione anche<br />
all’alimentazione, con un capiente toroidale e ben 11 rami differenziati,<br />
all’ascolto in cuffia con uno stadio di amplificazione separato<br />
in Classe A e per il vinile con la presenza di un pre fono MM e MC.<br />
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18 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019
INSIDE DENTRO LA MUSICA<br />
di Paolo Corciulo<br />
SCOUTING: IL MERCATO HA<br />
BISOGNO DI SCELTE GIUSTE<br />
CAP. 1: il Capo<br />
Comincia qui un percorso (tra memoria e consapevolezza) di esperienze da condividere con il lettore. Siamo<br />
andati alla ricerca di quei personaggi che grazie alle loro conoscenze hanno indirizzato e plasmato il mercato.<br />
Perché certe scelte sono maggiormente impattanti di altre.<br />
Come molti lettori di questa rivista, sono un cittadino del secolo<br />
scorso del quale ho introiettato (a volte mio malgrado) i valori,<br />
i pregi e i limiti, anche se alcuni di essi ho tentato di superarli<br />
per non perdere il passo con cambiamenti determinati dal tempo che<br />
corre e dalle spiccate attitudini messe in<br />
Il fiuto per gli affari<br />
Di lui tutti ricordano il fiuto magistrale nello<br />
scovare nuovi prodotti di cui avrebbe<br />
curato la distribuzione, sempre attento al<br />
futuro e mai fermo su rendite di posizione.<br />
Vero imprenditore di razza. Il mio ricordo<br />
di Giovanni? Solo quello di un campione<br />
di umanità e saggezza.<br />
luce dai cosiddetti millennial con il loro<br />
modo di fruire della musica.<br />
Senza sfoderare capacità sociologiche<br />
che non ho, se dovessi sintetizzare le<br />
caratteristiche che distinguono lo scorso<br />
secolo da quello attuale, perlomeno<br />
nello specifico agone dell’alta fedeltà<br />
ma non solo, mi soffermerei principalmente<br />
sulla velocità, sull’accelerazione<br />
che viene richiesta ai processi cognitivi<br />
e non; velocità e accelerazione hanno<br />
determinato un accorciamento delle<br />
distanze (fisiche e culturali) tra le varie<br />
parti del mondo e anche la supponenza<br />
(ma questo è un altro argomento, sicuramente degno di un discorso a<br />
parte) che velocità e accelerazione si possano applicare indistintamente<br />
anche a categorie come l’esperienza e la professionalità, intese nell’accezione<br />
più vasta possibile. Velocità e accelerazione per contro hanno<br />
determinato una maggiore capacità, sia geografica che culturale, di farci<br />
sentire cittadini del mondo: oggi in poche ore e con una spesa relativa<br />
possiamo raggiungere qualsiasi parte del globo (mia nipote è in Cile in<br />
vacanza, io ancora ricordo le interminabili<br />
ore di macchina per raggiungere attraverso<br />
il temibile Vallo della Lucania la<br />
Puglia, terra natia di mio padre). In pochi<br />
secondi possiamo telefonare, chattare,<br />
contattare via e-mail chiunque in<br />
qualsiasi parte del mondo immaginando<br />
con buona dose di approssimazione<br />
come sarebbe andarlo a trovare, quali<br />
strade e che panorama dovremmo affrontare.<br />
Mentre lo penso e lo scrivo, mi<br />
vengono in mente due spauracchi e due<br />
limiti asfissianti che hanno caratterizzato<br />
la mia gioventù: le telefonate internazionali<br />
e i voli “transoceanici” (come se<br />
l’oceano fosse ancora, per il navigante, un colossale ostacolo). Entrambi<br />
assolutamente da evitare per costi, pericolo, arditezza dell’impresa…<br />
Dico questo certamente non per nostalgia: si vive mediamente meglio<br />
Maurizio Massarotti<br />
20 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019
SCOUTING: IL MERCATO HA BISOGNO DI SCELTE GIUSTE<br />
PADRE E PATRIARCA<br />
Per tutti Giovanni è il padre dell’alta fedeltà italiana, una figura di riferimento in<br />
campo internazionale. Per me è un padre nella più pura accezione del termine.<br />
Un uomo onesto, probo, buono, semplice e generoso, un entusiasta, un coraggioso,<br />
un istrionico, un lungimirante, un illuminato, un edonista, una persona sempre<br />
in prima linea negli oneri, mai negli onori. Il Capo è un visionario. Il Capo ama la<br />
sua famiglia, il suo lavoro e la sua MPI, frutto di rischi infiniti e tanti sacrifici. Ama<br />
i suoi colleghi (come chiama i propri collaboratori e dipendenti) e i suoi amici.<br />
Il Capo ha conquistato l’America e gli americani (non a caso è figlio di Amerigo);<br />
ha girato il mondo ma porta sempre con sé la sua amata Umbria. Da una parte<br />
New York dall’altra Foligno. Da un lato il Consumer Electronic Show di Las Vegas<br />
dall’altro la festa di Colle San Lorenzo e la Quintana. Da un lato filet mignon e<br />
french fries, dall’altro pajata e porchetta. Il Capo è una persona di cultura, legge<br />
tanto, gli piacciono le biografie dei grandi della terra, ama la storia, la politica, la<br />
finanza e le dinamiche per cui tutto prende una forma. Ama il Milan, quel Milan<br />
che non sbaglia mai e che quando perde è sempre colpa degli arbitri. Conosce<br />
le ragioni, quelle della testa e quelle del cuore, ha sempre una parola per tutti,<br />
una spiegazione a tutto. È una persona riconoscente, sa amare e la gente lo ama.<br />
Ci sentiamo spesso, capita anche di incontrarsi, soprattutto di notte. Parliamo,<br />
faccio domande e chiedo consigli che seguo alla lettera. È una guida preziosa.<br />
Insostituibile.<br />
Marco Mazzi<br />
che in passato e la ricchezza della polifonia di voci e culture a cui oggi<br />
attingiamo è straordinaria! Ma la velocità e l’accelerazione rendono<br />
mutevole la realtà che ci circonda a tal punto da far correre il rischio che<br />
nulla si sedimenti, nulla accresca e conclami quell’aspetto di concretezza<br />
(delle scelte, delle cose) delle nostra vita e questo per un music lover<br />
(termine che preferisco di gran lunga alla parola audiofilo) rappresenta<br />
un problema: che cosa farsene delle amate e materiali collezioni di dischi<br />
che oltre ad affollare il salotto ne definiscono almeno in parte l’identità?<br />
Come contenere quel sentimento che ci porta alla ricerca di valori<br />
duraturi nei prodotti di cui amiamo circondarci e che, come effetto di<br />
risulta paradossale quanto si vuole ma ben presente nell’animo del music<br />
lover, si trasforma nell’eterna attesa del prodotto perfetto (prestazionale,<br />
affidabile, eterno) in un’epoca di usa e getta?<br />
Che ci sia del buono in questi “vecchi” sentimenti non ho dubbio alcuno,<br />
basti pensare, in negativo, a quello che è successo in Hi-Fi travisando,<br />
dimenticando, negando scientemente quelle regole, quelle intuizioni che<br />
resero i padri fondatori del settore tali e che, scopriamo oggi, sarebbero<br />
in gran parte ancora valide se applicate anche solo pedissequamente. È<br />
la mancanza di memoria storica ad averci fatto dirazzare ma tale patrimonio<br />
sembra più un fardello che altro per molte aziende: abbiamo più<br />
volte su <strong>SUONO</strong> affrontato il tema, per quelle aziende che ne sono dotate,<br />
di come e se preservare la propria tradizione pur evolvendo… In un mondo<br />
ad alto tasso di mutazione forse la tradizione è solo un limite tant’è<br />
che, con mio grande raccapriccio, talune aziende preferiscono eludere<br />
la propria storia piuttosto che esaltarla. Ma, ritornando all’argomento<br />
originale, sono anche convito che se non si può (e non si deve) arginare<br />
il progresso, le mutate condizioni del panorama che ci circonda (anche e<br />
a maggior ragione nello specifico settore della riproduzione sonora) non<br />
prefigurano necessariamente che alcuni valori del passato siano ancora<br />
validi. Uno di quelli invece ancora necessari è, almeno a mio parere, la<br />
capacità di discernere in merito alla qualità dell’offerta che, detta così,<br />
sembra una cosa facile ma presuppone intelligenza, conoscenza della<br />
materia sia tecnica che storica non sempre comuni.<br />
Tra gli elementi di maggior spicco di quel periodo fervido che viene definito<br />
Golden Era dell’Hi-Fi c’è stata proprio quell’attività di scouting (la<br />
ricerca di nuovi e validi protagonisti su un mercato) effettuata da parte di<br />
alcuni benemeriti. Scouting, va ricordato, che veniva praticato in condizioni<br />
di mobilità e possibilità di comunicazione ben differenti da quelle<br />
odierne dove, tutto sommato, basta digitare qualche parola in rete per<br />
avere risposte magari superficiali ma pur sempre sufficienti a conoscere<br />
quel che precedentemente si ignorava del tutto. La mia ammirazione va<br />
alle persone che cominciarono a farlo tra mille difficoltà (per dirne una,<br />
la prima volta che sono andato in Giappone nessuno parlava inglese e,<br />
allora come negli anni seguenti, spesso non lo parlavano nemmeno i<br />
grandi manager delle aziende); era un mondo più piccolo (quello conosciuto<br />
e al tempo stesso fin troppo grande, soprattutto la parte che non si<br />
conosceva), da affrontare con circospezione e con lunghe e impegnative<br />
avventure con i “viaggi intercontinentali”.<br />
La conoscenza globale di superficie che oggi ci è concessa complica valutazioni<br />
e scelte (quasi tutti sono capaci di creare un sito attraente!) e<br />
rende ancor più opportuno e interessante il lavoro di scouting. Nel nostro<br />
mercato, però, quasi tutti hanno perso questa attitudine, più semplice<br />
un approccio urbi et orbi: l’utente finale che modella i suoi gusti sulla<br />
base delle sue fascinazioni, il negoziante che non crea più una griglia di<br />
prodotto che tenga conto delle sue convinzioni, dell’area in cui opera,<br />
della caratterizzazione della sua clientela, l’importatore nella scelta di<br />
prodotti duraturi e strutturati per offrire servizio post vendita (quello<br />
che abbiamo definito indice di concretezza), le riviste che, in ultima<br />
analisi, non esercitano appieno il loro ruolo di critica basata su criteri<br />
di analisi profondi e veritieri (molto più semplice rifugiarsi nell’enorme<br />
ego dei recensori che attraverso un IO cubitale sopperiscono a queste<br />
doti di analisi).<br />
Per queste ragioni, invece, chi ancora fa esercizio di scouting ha un ruolo<br />
fondamentale in un settore come l’alta fedeltà che, per quanto si voglia,<br />
non potrà mai diventare usa e getta e fonda sulla qualità il suo principale<br />
criterio ispiratore. E i Cahiers du son odierni meritano tutto il<br />
nostro rispetto per il contributo nel tracciare una strada, un orizzonte<br />
il più sano possibile, indipendentemente lo si voglia seguire o meno. A<br />
riscoprirli penserà questo spazio, nato per condividere con il lettore la<br />
Giovanni Faccendini con Marco Mazzi responsabile del settore Dj.<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019 21
INSIDE<br />
Da sinistra a destra: Pino Fasulo, Giovanni Faccendini e Alessandro Faccendini al The<br />
S.H.O.W. molti anni fa.<br />
fiducia nel loro operato e le indicazioni che ci offrono. Per inauguralo,<br />
non essendo abbastanza vecchio del settore da conoscere bene i vari<br />
Gilberto Gaudi, Emilio Baruffi con Sony e l’ing. Giorgio Bertazzoni - che<br />
ebbero il merito di introdurre i prodotti<br />
giapponesi sul mercato italiano e che a<br />
tutti gli effetti possono essere considerati<br />
i padri fondatori dell’Hi-Fi italiana -<br />
non ho avuto dubbio alcuno su chi, della<br />
generazione successiva, che invece ho<br />
conosciuto bene, potesse meritatamente<br />
aprire questa galleria di ritratti...<br />
“Gìììoooovaaani”; un urlo, una sirena<br />
rassicurante in terra straniera sebbene<br />
il nome venga storpiato in mille modi<br />
con quella doppia enne che gli stranieri<br />
non riescono mai a pronunciare: non di<br />
rado capitava di distinguere nettamente<br />
il richiamo tra l’assordante confusione<br />
di un CES al suo apice per la partecipazione<br />
dei produttori Hi-Fi. Era rivolto<br />
a un piccolo grande uomo conosciuto e stimato da tutti che viaggiava<br />
“aprendo le acque tra il popolo dell’Hi-Fi” accalcato nei vari stand, in<br />
simbiosi della sua fida assistente, “la Mara”. Perché lui non sapeva l’inglese<br />
e lei si ma guai a sottovalutarlo per questo: per quel che ne so ha<br />
sempre concluso affari a suo vantaggio senza essere mai abbindolato ma<br />
anche senza mai abbindolare qualcuno.<br />
Giovanni Faccendini aveva iniziato in Siemens come brand manager di<br />
marchi quali Thorens e Stanton: con Frank Conlon, da poco scomparso,<br />
che di Stanton era la colonna portante, avrebbe mantenuto a lungo una<br />
sincera amicizia anche quando Conlon si ritirò dal mondo del business e<br />
rimasero in contatto. Siemens era una sorta di incubatore di qualcosa che<br />
non capiva, orientata com’era verso altri main business. Da lì Faccendini<br />
ne uscì fondando con un altro ex Siemens, Manrico Casagrande, una<br />
società per la distribuzione dell’Hi-Fi, prima di dividersi prendendo<br />
ognuno strade diverse e autonome.<br />
Poi nel 1984 l’acquisizione della MPI di Italo Pagani (un altro dei padri<br />
fondatori dell’Hi-Fi italiana, spesso sottovalutato): il figlio, un ingegnere<br />
“testacchione”, mal si adattava alle nascenti regole dell’Hi-end (ritornò,<br />
se non ricordo male, a lavorare per la HP…). MPI e McIntosh vivevano<br />
anch’essi della simbiosi tra i patron italiano Pagani e quello americano<br />
Un piccolo grande uomo<br />
Forse ufficialmente non fu mai riconosciuto<br />
appieno: un grande personaggio<br />
e soprattutto un grande uomo, senza se<br />
e senza ma. E non lo dice solo un amico<br />
ma uno che con lui ha lavorato fianco a<br />
fianco per trent’anni, con enorme piacere<br />
e soddisfazione, e che certe situazioni<br />
le ha vissute e le può tranquillamente<br />
testimoniare.<br />
Pino Fasulo<br />
Gordon Gow che fece nascere tanti aneddoti (dalla passione di Gow per le<br />
belle donne ai rientri dagli States di Pagani con valige di ricambi “perché<br />
la logistica di allora...”) ma anche un’attività commerciale di successo.<br />
Con la MPI Giovanni Faccendini allargò a dismisura il portfolio della<br />
sua offerta visto che in un non chiarito rapporto di causa-effetto lui era<br />
famoso all’estero per i tanti marchi distribuiti e tanti marchi lo cercavano<br />
perché era famoso… Eppure non aveva nemmeno un grande orecchio<br />
e poco a che vedere con quel fuoco sacro di molti ex audiofili diventati<br />
operatori di settore. Nonostante prendesse sempre decisioni in piena autonomia,<br />
ascoltava attentamente i consigli dei suoi collaboratori, specie<br />
in ambito d’ascolto musicale. E poi chapeau, aveva un gran fiuto: era un<br />
“animale” commerciale; non riesco a immaginare nulla di più lontano<br />
tra quest’uomo dall’aspetto campagnolo (la grande pancia e i baffoni<br />
tradivano la provenienza dalla campagna umbra) e la DJ culture, eppure<br />
ebbe lui questa intuizione, come racconta il suo stretto collaboratore<br />
Marco Mazzi: “Il Capo è stato la persona che trent’anni fa, prima di<br />
tutti, importò in Italia la Bedroom Dj Culture e solo grazie alla sua lungimiranza...<br />
Allora io ero un ventenne<br />
entusiasta e squattrinato, lui un nome<br />
di spicco dell’alta fedeltà internazionale,<br />
e non ebbe dubbi quando si trattò di<br />
investire nel mondo dei Dj”.<br />
Già: il “Capo”. Mi ha fatto sempre sorridere<br />
il fatto che negli uffici e nelle occasioni<br />
pubbliche tutti, inclusi i suoi figli,<br />
lo chiamassimo così: “Il Capo”. Forse,<br />
inconsciamente, era un distinguo da<br />
un altro termine, “padre”, esercitato a<br />
pieno titolo con i figli ma esteso a una<br />
moltitudine di figli non anagrafici con<br />
cui nel rapporto professionale prendeva<br />
la ribalta l’aspetto umano. Patriarca di<br />
una famiglia allargata ben percepibile<br />
ogni qual volta mi è capitato di andare<br />
in visita alla villetta a Cornaredo (nella provincia e non nella centralissima<br />
Milano) dove ha sede la MPI.<br />
Via via il successo raggiunto ha portato con sé i malumori e le invidie<br />
Giovanni Faccendini con il nipote Massimo.<br />
22 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019
INTERVISTA RICCARDO RUSSINO<br />
Faccendini, Pessina, Mazzi: lontano nel tempo, negli USA.<br />
degli altri che gli sono valsi perlomeno la nomea di “burbero”: quando<br />
un marchio era privo di distribuzione e concludeva l’affare strappandolo<br />
alla concorrenza immediatamente era il cattivo di turno. Cattivo non lo<br />
era davvero; tra i tanti ricordi ne basta uno. A un certo punto gli venne<br />
proposto l’unico marchio che veniva distribuito da un piacentino educato<br />
e gentile come Adriano Cighetti che, per giunta, in quel periodo era affetto<br />
da una grave malattia. Giovanni rifiutò perché era la sua ultima e unica<br />
fonte di sostentamento. Ogni marchio prima o poi nel tempo gli è stato<br />
offerto, molti li ha presi molti li ha rifiutati anche per aiutare (e a volte<br />
togliere dai problemi economici) i “colleghi” con i quali la competizione<br />
era dura ma di cui riconosceva una appartenenza, labile o meno, alla<br />
stessa “famiglia”. Ho assistito ripetutamente a episodi di questo genere<br />
e alcuni mi riguardano direttamente...<br />
Una volta gli proposi un’iniziativa commerciale e mi fece capire che come<br />
socio sarebbe stato implacabile e i piedi in testa non se li sarebbe mai<br />
fatti mettere da nessuno. Forse meglio rinunciare? In un’altra eravamo a<br />
Perugia per una mostra di settore che si teneva allora, e non seppe trattenere<br />
la sua rabbia per la nostra poca propensione commerciale (eravamo<br />
io e Mario Berlinguer), aggredendoci con un “Ma voi volete fare sempre<br />
come c***o vi pare?”. Serbo quel ricordo come una medaglia al merito,<br />
convinto che lo dicesse per affetto e con lo spirito del buon padre di famiglia<br />
che più volte mi ha “rampognato” ma sempre tradendo un sorriso<br />
furbetto che inevitabilmente appariva sulla sua faccia. Quindi burbero<br />
no, ruvido magari si, caratteristica che mitigava con ironia consapevole<br />
e, a volte, involontaria, comunque da persona spiritosa: leggendarie,<br />
nella perenne lotta con il peso (che entrambi abbiamo perso…), certe tesi<br />
autoconsolatorie come le abboffate di dolci americani che “…tanto sono<br />
sugar free!” . O le zingarate: dal giorno alla notte era capace di invitarti<br />
a seguirlo in un viaggio, in una fuga nei parchi di Disney alla fine di una<br />
giornata al NAMM a sperimentare tutti i giochi possibili e immaginabili.<br />
Una generosità e una gioia per la vita da conquistare pezzo per pezzo<br />
che lo riportavano in Italia carico come un cammello dalle “pazziate”<br />
nei negozietti ai dock di Manhattan: Ray-Ban e Samsonite per tutti,<br />
parenti e amici! Ironico e spiritoso, talvolta anche negli affari, dove non<br />
tradiva nessuno, e questo agli “stranieri” faceva piacere!<br />
Giovani Faccendini è stato presidente dell’APAF dove è riuscito a tenere<br />
insieme personalità e aziende le più variegate per carattere, dimensioni,<br />
prospettive. Poi, cinque anni fa tra pochi giorni, ci ha lasciato per altri<br />
pascoli e forse non è un caso che dopo di lui ogni forma associativa sia<br />
implosa. Un vuoto grande al punto tale che alcuni sentono la necessità<br />
di parlarne ancora al presente, per esorcizzare il passato. Un’assenza che<br />
coincide se non con la scomparsa con un cambiamento delle logiche del<br />
mercato Hi-Fi che non è solo generazionale: per decine d’anni Faccendini<br />
ha concluso affari semplicemente con una stretta di mano, rispettandola,<br />
come possono testimoniare Saito San di Accuphase piuttosto che i vari<br />
Presidenti di McIntosh (dal Fondatore a Ron Fone e non da ultimo<br />
all’ormai più che longevo, nella carica, Charlie Randall) e che oggi, per<br />
dirla con ironia, risulterebbe un metodo “ampiamente sopravvalutato”!<br />
Si ringraziano Pino Fasulo, Maurizio Massarotti e Marco Mazzi che, al<br />
di là dei contributi, hanno fornito le testimonianze che hanno arricchito<br />
questo articolo.<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019 23
INSIDE<br />
di Massimo Bargna<br />
Il canto del cigno<br />
dei Beatles<br />
© Gaber<br />
A distanza di mezzo secolo viene pubblicata la riedizione speciale di Abbey Road, ultimo disco registrato<br />
dal quartetto di Liverpool e pietra miliare della storia della musica rock. Ma sarà proprio vero che è oro tutto<br />
ciò che luccica? Quando si tratta dei Beatles, sembra proprio di sì.<br />
Alla fine degli anni Sessanta era evidente, per quanto doloroso<br />
per i fan, che i Beatles avevano iniziato la loro parabola<br />
discendente. Definitivamente archiviato il periodo<br />
della Beatlesmania, dei capelli a caschetto e delle hit da classifica<br />
che avevano segnato un’epoca come Yesterday, Help e Michelle,<br />
i Beatles erano diventati l’ombra di se stessi. Sembrava proprio<br />
che dopo Sgt. Pepper e il White Album, capolavori su vinile che<br />
avevano ridefinito gli standard del genere rock ampliandone a<br />
dismisura i confini, Paul, John, George e Ringo fossero rimasti<br />
vittime della loro stessa genialità. Cosa potevano fare di più in<br />
campo musicale, dopo una così generosa profusione di inventiva?<br />
Nel frattempo il mondo del rock era in fermento. Nuove<br />
band molto più “cattive” e in sintonia con i tempi erano pronte<br />
a contendere al quartetto di Liverpool lo scettro di sovrani della<br />
musica giovanile, se non sul piano delle vendite su quello artistico<br />
e del costume. Si trattava dei gruppi precursori del punk: i Velvet<br />
Undergorund di Lou Reed, i Doors di Jim Morrison e gli Stooges<br />
di Iggy Pop. Impossibile per i Beatles reggere alla lunga una tale<br />
concorrenza e di questo se ne erano resi conto anche loro. All’alba<br />
del ’69, dopo il naufragio delle registrazioni del progetto Get<br />
Back (il cui materiale fui poi ripescato per il disco Let it Be), i Fab<br />
Four passavano il tempo a litigare e pianificare le loro carriere<br />
soliste, rischiando di fare la fine di artisti come Frank Sinatra, che<br />
continuavano a vendere dischi ma erano ormai identificati con il<br />
passato. Lo scioglimento della band era solo questione di tempo.<br />
Tuttavia, proprio quando venivano dati per spacciati, ecco che<br />
i Beatles spiazzarono tutti tirando fuori dal cilindro quello che,<br />
secondo alcuni, è addirittura il loro LP più bello: Abbey Road. Per<br />
celebrarne il cinquantesimo, la Universal ha messo sul mercato lo<br />
scorso settembre nuove edizioni deluxe del disco con non poche<br />
sorprese. Ne parliamo con Riccardo Russino, 47 anni, giornalista,<br />
co-autore dei libri Paul McCartney 1970-2003. Dischi e misteri<br />
dopo i Beatles (Editori Riuniti, 2003) e John Lennon. You May<br />
Say I’m A Dreamer. Testi commentati (Arcana, 2014). Russino<br />
è anche autore e protagonista del reading “6 indizi fanno una<br />
prova - Abbey Road è il capolavoro dei Beatles”.<br />
Abbey Road è uno degli album più riusciti dei Beatles,<br />
nonché il più venduto in Italia. Qual è la ragione del<br />
suo fascino?<br />
I fan sono soliti dire che tutti i dischi dei Beatles sono dei capolavori<br />
e che non ce n’è uno più bello dell’altro. Dalla prospettiva di<br />
un critico musicale o di un appassionato di musica Abbey Road è<br />
però realmente il disco più godibile e coerente del quartetto di<br />
24 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019
INTERVISTA RICCARDO RUSSINO<br />
LE TRE GEMME DI ABBEY ROAD<br />
Come together: è una canzone che Lennon aveva scritto per Timothy Leary, guru<br />
controverso della cultura psichedelica anni Sessanta. Nel ’68 Leary decise di candidarsi<br />
alle elezioni per il governatore della California e chiese a Lennon, incontrato<br />
al Bed-In di Montreal, se potesse scrivere una canzone per la sua campagna elettorale.<br />
John accettò. Il tema che iniziò a scrivere era Come together che alludeva alla<br />
necessità di unirsi per cambiare le cose. Quando Leary rinunciò alla candidatura,<br />
Lennon volle comunque finire la canzone. Divenne il pezzo di preapertura del<br />
disco il cui testo, privo di riferimenti politici, è basato su giochi di parole al limite<br />
dell’intraducibile. L’arrangiamento è indimenticabile con Ringo che tiene un ritmo<br />
incalzante alla batteria, Paul che traccia delle linee melodiche di basso che<br />
sembrano assoli e George che offre una splendida parte di chitarra dimostrando<br />
le sue capacità di strumentista.<br />
Something: Frank Sinatra, che ne fece una bella cover, con un certa enfasi disse che<br />
la considerava la più bella canzone d’amore degli ultimi cinquant’anni. Harrison la<br />
scrisse quando i Beatles stavano per finire le registrazioni del White album. Mentre<br />
Paul era impegnato nelle sovraincisioni George, per ingannare il tempo, si sedette<br />
a un pianoforte e si appuntò la melodia. Poi scrisse le parole e fece ascoltare la<br />
canzone a un collaboratore che gli propose di inserirla nel White album. Ma non<br />
si poteva perché il disco era ormai finito. Il pezzo venne riproposto per Let it be e<br />
anche stavolta nessuno se lo filò. Infastidito George passò il pezzo a Joe cocker<br />
(che l’anno prima aveva reinterpretato alla grande With a little help from my friends)<br />
il quale la incise prima dei Beatles. Something verrà infine inserita in Abbey<br />
road e scelta come primo singolo. Diventerà la canzone più coverizzata dei Beatles<br />
dopo Yesterday e una sicura fonte di reddito per George grazie ai diritti di autore.<br />
Here comes the sun: un altro capolavoro di Harrison scritto mentre si trovava<br />
nella casa di campagna di Eric Clapton. Quest’ultimo era legato a George da<br />
uno stretto rapporto di amicizia, soprattutto dopo che aveva suonato la chitarra<br />
in While my guitar gently weeps, altro celebre pezzo di Harrison, nel White album.<br />
Quando George scrisse Here comes the sun Clapton era lì e non poteva credere di<br />
veder nascere sotto i propri occhi un simile capolavoro di delicatezza cristallina<br />
e apparente semplicità.<br />
Riccardo Russino<br />
band e volevano fare un ultimo grande disco per salutare i fan e<br />
chiudere in bellezza. Ma facciamo un passo indietro. Nel gennaio<br />
del ’69 il quartetto aveva registrato del materiale che sarebbe<br />
confluito nel disco Let it be, che uscì solo l’anno dopo ed è quindi,<br />
cronologicamente, l’ultimo album dei Beatles. Durante le registrazioni<br />
i quattro litigano spesso, sono svogliati e suonano in<br />
un modo che non è non all’altezza delle loro capacità. Alla fine,<br />
insoddisfatti, abbandonano il progetto e iniziano a lavorare su<br />
qualche altra canzone ma senza un’idea chiara di cosa farne.<br />
È Paul a proporre per primo di fare un altro disco e gli altri ci<br />
stanno. Un gruppo come il loro non poteva certo uscire di scena<br />
con Let it be. Ma c’è di più. All’epoca stava nascendo l’hard<br />
rock ed erano usciti i primi dischi di progressive. Coscienti che<br />
stava nascendo una nuova scena musicale, i quattro raccolgono<br />
la sfida con la seconda facciata di Abbey Road, in cui è evidente<br />
la voglia, soprattutto di Paul, di sperimentare nuove sonorità e<br />
forzare i limiti formali della canzone. L’obiettivo è dimostrare che<br />
come musicisti possono fare qualsiasi cosa e meglio degli altri.<br />
E tuttavia Lennon, anni dopo, criticò la lunga e ambiziosa<br />
composizione del lato B di McCartney, la cosiddetta<br />
“The Long One”, in quanto più che di un’opera rock, secondo<br />
lui, era un semplice collage di canzoni non finite<br />
che erano state riciclate da session precedenti. Arrivò a<br />
definirla “spazzatura”. Questo dimostrerebbe che i Beatles<br />
fallirono nel loro tentativo di appropriarsi di formule<br />
musicali complesse con cui non avevano dimestichezza...<br />
Ciò che dice Lennon da una parte è vero. The Long One non è<br />
Riccardo Russino ad Abbey Road<br />
Liverpool. A differenza del White Album (che contiene capolavori<br />
come While my guitar gently weeps e Blackbird e brani più<br />
deboli come Don’t pass me by), l’ultimo disco registrato dai Beatles<br />
ha meno alti e bassi. È un LP molto variegato a livello di<br />
arrangiamenti e melodie e privo di pezzi che l’ascoltatore ha<br />
voglia di “saltare”. Anche Ringo Starr, l’autore più debole dei<br />
Beatles, offre una canzone godibile, l’allegra e spumeggiante Octupus’s<br />
Garden. Il disco contiene tre classici dei Beatles: Something,<br />
Come together e Here comes the sun. Poi c’è un pezzo al<br />
limite dell’hard rock, I want you, il cui testo è formato da una sola<br />
frase che viene ripetuta per sette minuti e mezzo in un crescendo<br />
musicale che diventa imponente e quasi claustrofobico ma comunque<br />
piacevole. Il lato B, invece, è un unico lungo medley con<br />
un continuo cambio di melodie e arrangiamenti che può piacere<br />
a chi ama il progressive, un genere musicale che all’epoca stava<br />
compiendo i primi passi.<br />
Qual è stata la genesi del disco e in che momento della<br />
storia della band va contestualizzata la sua realizzazione?<br />
È l’ultimo disco registrato dai Beatles anche se il penultimo a<br />
essere pubblicato. La genesi di Abbey Road è stata ricostruita<br />
attraverso le interviste. John, Paul, George e Ringo erano ormai<br />
consapevoli di essere arrivati alla fine della loro carriera come<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019 25
INSIDE<br />
ABBEY ROAD 50 ANNI DOPO<br />
Questa è la prima volta che Abbey Road viene remixato e pubblicato con l’aggiunta<br />
di sessioni di registrazioni e demo. Per creare il nuovo mix stereo, il 5.1 surround<br />
e il Dolby Atmos, il produttore Giles Martin e il mix engineer Sam Okell hanno<br />
lavorato con un team di ingegneri e specialisti del restauro del suono agli Abbey<br />
Road Studios. Tutti i nuovi formati di Abbey Road contengono il nuovo stereo<br />
mix, realizzato direttamente partendo dalle otto tracce dei nastri originali. Nella<br />
produzione del nuovo mix, Giles è stato guidato dal mix stereo originale supervisionato<br />
dal padre George Martin.<br />
Il Box Super Deluxe di Abbey Road contiene 40 tracce, compreso un Trial Edit &<br />
Mix del leggendario “The Long One”, il medley che occupa gran parte del Lato B<br />
dell’album, su tre CD (stereo) e un Blu-Ray (in Dolby Atmos, 96 kHz / 24 bit High<br />
Resolution stereo, 96 kHz / 24 bit DTS-HD Master Audio 5.1). Oltre ai quattro dischi<br />
è presente un book con copertina rigida da 100 pagine, con prefazione di Paul<br />
McCartney. La versione Deluxe Vinyl Box in edizione limitata contiene le 40 tracce<br />
in tre vinili da 180 g. Il disco con il nuovo mix dell’album è contenuto in una busta<br />
che riproduce fedelmente l’artwork originale mentre i due LP con le session sono<br />
racchiusi in un’altra busta, il tutto in un box apribile con un inserto di quattro<br />
pagine. L’edizione Deluxe 2 CD contiene le versioni nel nuovo stereo mix, quelle<br />
dalle sessioni di registrazioni e i demo dei 17 brani, che seguono l’ordine della<br />
scaletta dell’album. I due dischi sono contenuti in un digipack con un booklet<br />
di 40 pagine, che riprende in forma ridotta i contenuti di quello dell’edizione<br />
Super Deluxe. Il nuovo stereo mix dell’album è disponibile anche in versione 1<br />
CD e 1 LP in vinile da 180 g, in digital download con audio standard e MFiT. Sarà<br />
disponibile inoltre un’edizione limitata da 1 LP Picture Disc raffigurante sui due<br />
lati del vinile il fronte e il retro della storica cover di Abbey Road. Le versioni Super<br />
Deluxe e Deluxe Vinyl Box contengono le 23 tracce dalle sessioni di registrazione<br />
e i demo presentati in ordine cronologico per data di registrazione.<br />
un’opera concepita unitariamente bensì un collage di canzoni<br />
che i Beatles non erano riusciti a sviluppare. Ma io credo che<br />
per metterle insieme e trasformarle in un grandioso medley,<br />
beh, anche per questo ci vuole talento. Il risultato, in effetti, è<br />
inaudito. È come se tutto ciò che quei quattro ragazzi toccavano si<br />
trasformasse in oro. You never give me your money, ad esempio,<br />
contiene tre melodie diverse e quindi è un medley nel medley.<br />
Guardiamo anche il caso di I Want you, sul lato A, che si arresta<br />
all’improvviso perché Lennon non sapendo come concluderla<br />
decide di troncare il caos con il silenzio. Quando il master della<br />
registrazione viene mandato alla Emi Italia e si deve stampare il<br />
disco la prima edizione esce con il finale sfumato perché i tecnici<br />
pensarono a un errore in fase di mixaggio. Una svista clamorosa.<br />
Una volta compreso l’equivoco l’edizione italiana verrà uniformata<br />
a quella inglese.<br />
Paul viene considerato il regista di questo disco e anche<br />
il componente della band più motivato nei confronti<br />
del progetto. Eppure le tre hit più famose del disco<br />
appartengono agli altri tre...<br />
Che Paul fosse il regista di Abbey Road è certo. Ma per una<br />
volta le hit del disco non sono sue. Avrebbe voluto pubblicare<br />
come singolo la sua Maxwell’s silver hammer ma si rende conto<br />
che Somenthing è molto più bella e cede elegantemente il passo.<br />
Si concentra sullo sperimentale lato B ed è lì che dà il meglio<br />
di sé. Si tende a pensare che Lennon fosse un compositore più<br />
innovativo di McCartney ma spesso è vero il contrario. John<br />
voleva che Abbey Road fosse un disco dei Beatles in senso classico<br />
mentre Paul cercò di azzardare qualcosa di più. Era lui,<br />
in effetti, il più attento ai fermenti e alle sperimentazioni della<br />
scena underground londinese. E questo anche per una questione<br />
di carattere contingente: Paul, diversamente dagli altri tre componenti,<br />
viveva nella capitale inglese e, non essendo sposato,<br />
trascorreva le nottate nei club dove si faceva musica dal vivo. Era<br />
presente anche al primo concerto londinese di Jimi Hendrix. In<br />
questo modo assimilava tutti gli stimoli più innovativi e li faceva<br />
propri, integrandoli nello stile dei Beatles senza stravolgerlo. Al<br />
contrario Lennon, quando virava verso la sperimentazione, come<br />
nel pezzo Revolution n. 9, un collage di suoni, urla e rumori al<br />
limite dell’inascoltabile, si allontanava completamente dai canoni<br />
musicali dei Beatles.<br />
Abbey Road è l’ultimo album dei Beatles a essere<br />
stato registrato. La band, però, dopo lo scioglimento<br />
ebbe una sorta di vita post mortem con Let it be, che<br />
uscì dopo Abbey Road e conteneva dei grandi classici<br />
come Get back, Let it Be, Across the universe, The long<br />
and winding roade I’ve got a feeling. Che legame esiste<br />
fra i due album?<br />
I Beatles hanno due ultimi dischi, l’ultimo registrato che è Abbey<br />
Road e l’ultimo pubblicato, Let it be, che fu comunque un<br />
grande disco. Il primo a mettere le mani sul materiale di Let it<br />
be fu l’ingegnere del suono e produttore Glyn Johns che cercò<br />
disperatamente di trasformarlo in un disco, mentre la band stava<br />
26 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019
INTERVISTA RICCARDO RUSSINO<br />
LE ZEBRE PIÙ FAMOSE DELLA STORIA DEL ROCK<br />
Ci sono delle copertine di dischi che hanno fatto epoca e Abbey Road è senz’altro<br />
una di queste. La foto dei Beatles che attraversano le strisce pedonali di fronte<br />
agli Emi Studios di Londra, dove stavano registrando il loro ultimo album, è<br />
entrata a far parte dell’immaginario collettivo del rock. Tanto che la troviamo<br />
riprodotta su magliette, poster, tazzine e ogni genere di gadget. “La copertina<br />
è particolare a partire dal fatto che da nessuna parte compare il nome della<br />
band”, dice Russino, “All’epoca i Fab Four erano talmente famosi che per essere<br />
riconoscibili dal pubblico bastava che ci fosse la loro immagine. Il disco doveva<br />
chiamarsi Everest dal nome delle sigarette che fumava il tecnico del suono. Ne<br />
fumava così tante che la sala registrazione era cosparsa di pacchetti di queste<br />
sigarette. I Beatles avevano addirittura programmato di andare a fare una foto<br />
in Nepal, sullo sfondo della vetta più alta del mondo, ma nessuno aveva voglia<br />
di affrontare un viaggio così lungo. Ringo risolse la situazione: propose quasi per<br />
scherzo di fare la foto per strada davanti agli studi Abbey Road e di chiamare<br />
il disco Abbey Road. Una trovata che piacque subito a tutti. L’idea di immortalare<br />
i quattro musicisti sulle zebre davanti allo studio di registrazione fu però di Paul.<br />
A scattare l’immagine fu il fotografo Iain Macmillan da una scaletta in mezzo<br />
alla strada, con un vigile che bloccava il traffico.”<br />
Russino prova a spiegare le cause per cui la copertina di Abbey Road è diventata<br />
una delle più famose della storia musicale: “La ragione principale del successo è<br />
sicuramente il grande carisma di John, Paul, George e Ringo. Ma a fare buon gioco<br />
è stata anche la facilità con cui la scena della copertina poteva essere riprodotta<br />
da altri. Parlo dei tanti colleghi musicisti che l’hanno citata sulle cover dei propri<br />
dischi e delle schiere di turisti che ogni giorno si fanno fotografare mentre attraversano<br />
le strisce di Abbey Road come i Beatles”. La copertina di Abbey Road non<br />
è soltanto straordinariamente popolare, è anche leggenda: “La questione Paul<br />
is dead, cioè della presunta morte di McCartney nel ’66, venne alimentata dalle<br />
fantasiose interpretazioni che la stampa e i fan dettero della copertina. Si volle<br />
trovare un’infinità di pseudo indizi per suffragare l’ipotesi che Paul fosse morto<br />
per un incidente stradale e sostituito da un sosia. La scena ritratta da MacMillan<br />
sarebbe così il funerale di Paul, con John vestito da sacerdote, Ringo da impresario<br />
delle pompe funebri e George da becchino. McCartney sarebbe senza scarpe<br />
perché a quel tempo i morti si seppellivano scalzi. Nella targa del maggiolino<br />
parcheggiato lungo la strada compare il numero 28 che si riferirebbe all’età che<br />
avrebbe avuto Paul se fosse stato ancora vivo, anche se allora di anni ne aveva<br />
27. Tutte queste teorie complottiste vennero spazzate via dal diretto interessato<br />
che, interpellato in proposito dai giornalisti, rispose ironicamente: “Sono morto...<br />
possibile che sappia sempre per ultimo le notizie che mi riguardano?”.<br />
già registrando l’LP successivo. Il compito di Johns non era facile<br />
e, infatti, venne bocciato dai Beatles che decisero così di congelare<br />
Let it be e far uscire prima Abbey Road che era già pronto.<br />
Il disco incompiuto venne completato dal grande produttore<br />
discografico Phil Spector che ne fece un altro capolavoro. Parte<br />
del materiale scritto per Let it be, come Something, Maxwell’s<br />
silver hammer e Octopus’s Garden confluì poi in Abbey Road.<br />
Abbey Road doveva chiamarsi “Everest”, titolo che<br />
ovviamente può essere interpretato come una metafora<br />
del picco artistico raggiunto dai Beatles a quel punto<br />
della loro carriera artistica. In realtà, sembra che nel<br />
1969 i Beatles tentassero affannosamente di recuperare il<br />
terreno perduto rispetto ad altre band che si erano spinte<br />
più avanti e in cui il pubblico giovanile si identificava<br />
maggiormente. L’esaltazione di un album come Abbey<br />
Road non fa forse parte dell’apologetica post Beatles<br />
che, nel corso degli anni, ha mitizzato tutte le opere del<br />
quartetto di Liverpool, anche quelle meno ispirate?<br />
La scena musicale stava senza dubbio cambiando rapidamente.<br />
I Beatles avevano vissuto un paio di anni, il 1966 e il 1967, in cui<br />
praticamente non avevano concorrenza. Perfino i Rolling Stones,<br />
la cui rivalità era stata creata dal loro manager come espediente<br />
promozionale, non rappresentavano una seria minaccia per la<br />
supremazia dei Beatles. Mick Jagger e compagni avevano scritto<br />
grandi canzoni come Satisfaction e Simpathy for the devil ma i<br />
dischi migliori li avrebbero fatti all’inizio degli anni Settanta. I veri<br />
rivali, semmai, erano Bob Dylan, che nel ’66 pubblicò Blonde on<br />
blonde, e i Beach Boys che, però, nel ’67 ebbero una crisi: il leader<br />
della band californiana Brian Wilson, impegnato nella scrittura<br />
del nuovo disco, quando sentì Sgt. Pepper disse di avere avuto un<br />
esaurimento nervoso. Insomma, i Beatles avevano fatto un incredibile<br />
salto in avanti e non ce n’era per nessuno. Nel ’69, però, esce<br />
il primo disco dei Led Zeppelin. E poi c’erano i Genesis, i Cream di<br />
Eric Clapton, Jimi Hendrix che nel ’68 aveva fatto uscire Electric<br />
lady land e gli Who che con l’album doppio Tommy danno alla<br />
luce una grande Opera rock. A quel punto i Beatles cominciano a<br />
sentire il fiato sul collo. Non sappiamo se, alla lunga, John, Paul,<br />
George e Ringo avrebbero retto la sempre più agguerrita concorrenza.<br />
Quel che è certo è che chiusero la loro carriera in bellezza<br />
con un disco formidabile. Abbey Road rappresenta la fine dei<br />
Beatles ma anche l’inizio del loro mito.<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019 27
INSIDE<br />
di Francesco Bonerba<br />
Finché c’è arte,<br />
c’è speranza<br />
Giuseppina Torre, che lo scorso maggio ha incantato<br />
il pubblico milanese esibendosi in un concerto nel<br />
Cortile della Rocchetta del Castello Sforzesco, torna<br />
con un album toccante e autobiografico, raccontando<br />
attraverso le note una storia universale di coraggio<br />
e rinascita.<br />
Book rappresenta per me l’inizio di un nuovo percorso<br />
di vita, un inno al coraggio, alla forza e alla determinazione<br />
di riuscire a voltare le spalle al passato<br />
“Life<br />
e godere delle meravigliose sorprese che la vita ti riserva quando<br />
meno te lo aspetti”. Il nuovo lavoro della pianista siciliana, prodotto<br />
da Davide Ferrario, pubblicato su etichetta DECCA e distribuito da<br />
Universal Music Italia, conclude un capitolo, personale e artistico,<br />
del percorso di Giuseppina Torre, inaugurandone uno nuovo segnato<br />
da una rinascita tanto inaspettata quanto a lungo desiderata; dieci<br />
composizioni, ciascuna autoconclusiva, che raccontano sensazioni e<br />
frammenti di una vita così intensamente vissuta da diventare fiamma<br />
universale in grado di riscaldare quanti saranno in grado di accoglierla.<br />
Con una speranza: che l’arte possa contagiare gli animi e spingerli<br />
a muoversi verso una bellezza che va sempre più affievolendosi.<br />
Qual è stato il principio della tua musica? Da cosa è nata<br />
la scintilla che ti ha portata sui tasti del pianoforte e non<br />
verso un altro strumento?<br />
L’incontro con il pianoforte è avvenuto per caso: uno zio mi regalò<br />
un pianoforte giocattolo con il quale, con enorme sorpresa dei miei<br />
genitori, riuscivo, con la radiolina accanto, a riprodurre qualsiasi<br />
motivo. Da quel momento in poi, avevo quattro anni, il pianoforte<br />
è diventato il mio amico di giochi: non esisteva nient’altro per me.<br />
Intorno ai sei anni mio padre mi portò a un concerto del maestro Aldo<br />
Ciccolini e io rimasi incantata da questo pianista, dai suoi movimenti<br />
al pianoforte, dalla sua imperturbabilità, dal suono che riusciva ad<br />
emettere. In quel momento decisi che da grande avrei voluto fare la<br />
pianista. Bombardai i miei genitori affinché mi mandassero da un<br />
insegnate di pianoforte, cosa che poi accadde all’età di sette anni,<br />
quando capirono che non si trattava di un capriccio ma di reale<br />
motivazione…<br />
Il caso vuole che, a distanza di molto tempo, in un concerto che feci a<br />
Nola, al teatro Umberto, ci fosse un pianoforte, uno Steinway & Sons.,<br />
con dentro l’autografo di Ciccolini… L’ho letto come un segnale, una<br />
coincidenza che mi è piaciuta tanto.<br />
Da dove nasce l’ispirazione per la tua musica? Come funziona<br />
il tuo processo creativo?<br />
Tutte le mie composizioni traggono ispirazione dal mio vissuto,<br />
dai momenti più o meno felici che vivo. Dopodiché mi siedo<br />
al pianoforte e cominciano a fluire quelli che io chiamo “flash<br />
emozionali”. Da lì costruisco la mia storia in musica; ogni mia<br />
composizione racconta una storia personale nella quale, però,<br />
molti riescono a immedesimarsi perché magari hanno vissuto<br />
emozioni o situazioni simili. Ogni mia musica ha una costruzione<br />
circolare: inizia e si conclude.<br />
Nel corso degli anni hai realizzato le musiche per diversi<br />
documentari (L’ amore dopo la tempesta, Montecassino<br />
perché, Papaveri rossi e Come manna dal cielo) fino al lavoro<br />
più importante, Papa Francesco - La mia Idea di Arte.<br />
Come ti sei approcciata a questo tipo di lavori e quali sono i<br />
28 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019
INTERVISTA MARIO CACCIA<br />
compositori per il cinema che ammiri o a cui ti sei ispirata?<br />
La mia musica si presta tantissimo alla sincronizzazione. A proposito<br />
dell’ultimo documentario che hai citato, mi ci sono approcciata<br />
leggendo il libro di Papa Francesco e lasciandomi ispirare dalle sue<br />
parole e, in particolare, da due suoi messaggi fondamentali: il primo<br />
afferma che l’arte deve essere uno strumento di evangelizzazione,<br />
attraverso l’arte cioè l’uomo può avvicinarsi a Dio. Quando ho iniziato<br />
a scrivere queste musiche mi ero allontanata da Dio a causa<br />
delle mie personali avversità, lo sentivo molto distante e anche ingiusto<br />
nei miei confronti. Il secondo messaggio, invece, oggi attuale<br />
più che mai, dice che così come Dio non ha mai scartato nessuno,<br />
neanche l’uomo ha il diritto di scartare altri suoi simili. Invece di<br />
questo leggiamo spessissimo nelle cronache giornaliere, popolate dai<br />
drammi dei clandestini. Anch’io, nel mio periodo buio, mi sentivo<br />
uno scarto, come donna, come madre, come artista. Mi sono quindi<br />
immedesimata moltissimo in questo lavoro, piaciuto a tal punto che,<br />
dopo l’uscita del DVD, ne è stata realizzata una seconda edizione<br />
contenente anche le musiche del documentario.<br />
Possiamo dire che la musica sia stata per te una sorta di<br />
“terapia” verso la rinascita? Un modo per elaborare le esperienze<br />
meravigliose e terribili della tua vita?<br />
La musica è sempre stata la mia isola felice dove trovare rifugio<br />
sia nei momenti belli che brutti; durante la lavorazione di Papa<br />
Francesco - La mia Idea di Arte è stata una vera e propria ancora<br />
di salvataggio.<br />
Life book: un toccante album sospeso tra dolori passati e<br />
speranze future che racchiude le esperienze dei tuoi ultimi<br />
anni. Come hai concepito questo lavoro e in cosa si differenza<br />
dal precedente Il silenzio delle stelle?<br />
Life book è un sunto di ciò che ho vissuto in questi anni difficili.<br />
È un inno alla vita, al coraggio, alla determinazione nel rialzarsi e<br />
risanare le proprie ferite. Le avversità sono così diventate opportunità,<br />
attraverso le mie ferite ho scoperto una nuova Giuseppina<br />
Torre, ho scoperto di avere una forza che prima non immaginavo.<br />
Rispetto a Il silenzio delle stelle in Life book manca il tormento che<br />
aveva caratterizzato quell’album: adesso è cambiato il mio modo di<br />
vedere la vita, ho chiuso con il passato e ho tolto i sassi che appesantivano<br />
il mio cuore. I miei respiri e i miei passi sono ora più leggeri.<br />
In Un mare di mani racconti l’orrore dell’indifferenza che<br />
oggi spesso contraddistingue tragici fatti di cronaca, come<br />
accennavi poco fa. Il cambiamento può passare anche dalla<br />
musica?<br />
Si, bisognerebbe sensibilizzare gli animi, partendo dai bambini, destinati<br />
a essere gli adulti del futuro. Quando aspettavo mio figlio,<br />
gli ho fatto ascoltare moltissima musica classica, musica distensiva<br />
che in qualche modo lo portasse inconsciamente a formarsi una sua<br />
sensibilità e un suo gusto. Sin da tenera età bisognerebbe coltivare<br />
gli animi delle persone attraverso l’arte in generale, educare al gusto<br />
del bello. L’arte, come dice Papa Francesco, eleva l’uomo. E in questo<br />
periodo storico, gli animi vanno impoverendosi, come dimostrano i<br />
fatti di cronaca quotidiana.<br />
Quali sono i brani o gli autori dei quali non potresti fare<br />
a meno?<br />
Amo da sempre Bach, lo considero un genio, colui che ha rivoluzionato<br />
il sistema “stemperandolo”. Lo adoro per la sua capacità<br />
di realizzare complesse costruzioni armoniche; il suo essere molto<br />
celebrale mi ha affascinato sin da quando ho cominciato a studiare<br />
pianoforte. Non potrei fare a meno di Mozart e, pensando invece ad<br />
artisti contemporanei, Morricone o Nyman… Inoltre i miei ascolti<br />
non sono confinati esclusivamente alla musica classica ma spaziano<br />
parecchio, guai ad avere paraocchi o a precludersi qualcosa!<br />
Hai ricevuto moltissimi premi all’estero, prima ancora di<br />
essere notata in Italia. I Los Angeles Music Awards ti hanno<br />
scoperta grazie a un brano caricato su iTunes. Come vivi<br />
lo scenario musicale contemporaneo? Trovi che siano più<br />
le difficoltà o le opportunità?<br />
Penso che lo scenario attuale sia più ricco di opportunità; le esperienze<br />
che ho vissuto all’estero mi hanno fatto riflettere, in America<br />
c’è una grande attenzione e rispetto per l’artista, soprattutto<br />
se proveniente dal nostro Paese. Da noi è diverso, in Italia hanno<br />
cominciato a interessarsi alla mia musica solo dopo che ho ricevuto<br />
questi riconoscimenti. Ed è un atteggiamento che vale per tutti i<br />
settori, non solo per quello musicale.<br />
Adesso ti attende la promozione di Life book ma, spingendoci<br />
ancora più in là, quali sono i sogni nel cassetto di<br />
Giuseppina Torre?<br />
Penso di averne realizzati già molti! Ma visto che i sogni non devono mai<br />
mancare nelle nostre vite, mi piacerebbe moltissimo scrivere la colonna<br />
sonora per uno dei registi che più amo, Ferzan Özpetek.<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019 29
INSIDE<br />
di Daniele Camerlengo<br />
Mi scappa<br />
di farlo...<br />
Da che mi ricordi ho sempre composto<br />
musica, sin dagli inizi dei miei studi<br />
musicali. Comporre e suonare è per me un<br />
po’ come fare la pipì, un’esigenza fisiologica.<br />
Mi scappa di farlo, non posso trattenermi.<br />
Così Gabriele di Franco, compositore, arrangiatore, chitarrista<br />
e uno dei pochi direttori d’orchestra Jazz. Originale e poliedrico,<br />
ha raccontato a <strong>SUONO</strong> il suo percorso professionale.<br />
Quando hai capito che potevi cimentarti con la Direzione<br />
d’Orchestra?<br />
L’interesse per la direzione d’orchestra è nato dall’esigenza di far<br />
eseguire la mia musica e di poterla “condurre” nella giusta direzione.<br />
Nel Jazz il direttore d’orchestra è un ruolo non molto diffuso e<br />
spesso coincide con il compositore stesso, perciò in generale sono<br />
veramente pochi coloro che possono definirsi Direttori d’Orchestra.<br />
Nel mio percorso di studi ho avuto l’onore di approfondire le tecniche<br />
di conducting con Yves Serges (Brussels Philharmonic, The National<br />
Orchestra of Belgium e molte altre), e questo è stato fondamentale<br />
per me nell’aprire la porta della Direzione d’Orchestra che, per mia<br />
fortuna, nel jazz richiede molte meno energie che nella musica classica.<br />
Raccontaci il tuo percorso di studi musicali.<br />
Non provengo da una famiglia d’arte, anche se ho sempre considerato<br />
mio padre un artista, posso certamente definirmi il primo musicista in<br />
senso stretto. Quasi come un segno, mio padre comprò una stratocaster<br />
proprio l’anno in cui nacqui. Non è stata suonata per lungo tempo e poi,<br />
mentre tutti i miei amici giocavano a pallone, io annoiato iniziai a suonare.<br />
Da qui in poi, molti anni da autodidatta. Dopo alcuni anni di studi in<br />
legge e una brevissima parentesi come contrabbassista classico, nel 2013<br />
intraprendo finalmente gli studi di chitarra Jazz presso il Conservatorio<br />
Nino Rota di Monopoli, al termine del quale ho avuto l’opportunità di<br />
studiare per un anno presso il MUK di Vienna. L’esperienza austriaca è<br />
stata decisiva nella definizione del mio percorso personale, tanto che fu<br />
a Vienna che decisi di intraprendere il percorso di studi di composizione.<br />
Qui ebbi l’onore di studiare armonia e composizione con il sassofonista<br />
americano Andy Middelton, e instaurai collaborazioni che durano ancora<br />
oggi. La mia ultima produzione come leader e chitarrista, rilasciata giusto<br />
a febbraio di questo anno, è infatti in collaborazione con il sassofonista<br />
austriaco Stefan Gottfried (So Far – Gottfried di Franco 5et).<br />
Nel 2016 mi trasferii a Bruxelles per iniziare gli studi di Composizione<br />
e Arrangiamento Jazz presso il Koninklijk Conservatorium<br />
Brussel, dove sono stato seguito da quello che oggi considero il miglior<br />
insegnate e mentore che abbia mai avuto: il compositore belga<br />
Kris Defoort. Kris è un compositore e musicista a tutto tondo, sta<br />
concludendo la produzione della sua terza opera di musica classica,<br />
è un pianista jazz attivamente impegnato, spazia dalla musica improvvisata<br />
al jazz più tradizionale, ha scritto e arrangiato per alcune<br />
fra le più famose band jazz ma qualsiasi cosa approcci la metodologia<br />
è sempre la stessa. Kris e la sua visione mi hanno definitivamente<br />
fatto innamorare del mondo della composizione. I miei studi si sono<br />
conclusi a giugno del 2018 ottenendo il Master in Composizione e<br />
Arrangiamento Jazz cum laude.<br />
L’Eroe o un periodo musicale che ti ha accompagnato durante<br />
la tua formazione?<br />
Difficile dare una sola risposta, gli eroi e i periodi si accavallano e sono<br />
in continuo cambiamento e aggiornamento. Appena iniziato avrei<br />
detto Pino Daniele, Pink Floyd… Nel mezzo del mio percorso musicale<br />
avrei detto Kenny Wheeler, Maria Schneider, T. Monk, oggi potrei<br />
aggiungere Maurice Ravel, C. Debussy, Duke Ellington.<br />
Cosa vuol dire oggi essere il Direttore di una orchestra jazz?<br />
Dare molti cue, gestire dinamiche e balance e, durante gli assoli, godersi<br />
il suono dell’orchestra.<br />
30 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019
INTERVISTA MARIO CACCIA<br />
Come nasce l’esperienza della Bud Powell Jazz Orchestra?<br />
La BPJO nasce dal sogno utopistico dell’Associazione Bud Powell di<br />
Maglie e di tutti i suoi soci. Circa due anni fa il direttore artistico Francesco<br />
Negro e il presidente Marco Cariddi mi proposero di prendere le<br />
redini di questo progetto ambizioso che già provavano a realizzare da<br />
un paio di anni, e io ne fui da subito entusiasta. Vivendo a Bruxelles,<br />
per me ha rappresentato un’occasione bellissima per “portare” nella<br />
mia terra un po’ della mia musica e della mia passione, ma soprattutto<br />
mi ha dato la possibilità di sostenere con il mio lavoro quella che<br />
secondo me è una delle realtà associazionistiche di jazz più belle che<br />
abbiamo in Italia.<br />
Immaginare il gesto espressivo, sognarne la sua mistica<br />
transizione sonora e renderlo partitura. Come nasce Dedalo,<br />
il viaggio discografico tuo e della BPJO?<br />
Dedalo è il nostro modo di portare un po’ di luce nel labirinto in cui<br />
viviamo, è il nostro modo per prendere in mano quel filo invisibile e<br />
tirarlo a noi, non per cercare l’uscita, perché in fondo dentro al labirinto<br />
si sta benissimo, ma solo per assumere il controllo del nostro<br />
vagare incerto almeno per i minuti che servono per ascoltare il disco.<br />
Come prendono vita le tue composizioni?<br />
Nella mia personale visione della composizione ci sono due qualità<br />
necessarie per comporre. La prima, che spesso viene definita come<br />
ispirazione, ma che io definirei meglio come immaginazione, ovvero<br />
la capacità di visualizzare suoni, combinazioni timbriche, melodie.<br />
La seconda qualità è una profonda conoscenza degli strumenti a disposizione,<br />
delle possibilità di modellazione del materiale sonoro,<br />
in una parola: la tecnica. Per la prima non ci sono metodi o libri che<br />
ti insegnano come usare la tua immaginazione, ma è qualcosa che<br />
cresce con te e che è estremamente personale; per la seconda, invece,<br />
c’è possibilità di controllo. Credo infatti che qualsiasi idea, anche la<br />
più semplice, se supportata dalla necessaria conoscenza tecnica possa<br />
evolvere in qualcosa di bellissimo.<br />
Che rapporto hai con l’improvvisazione?<br />
Come diceva Steve Lacy, improvvisazione e composizione sono<br />
attività gemelle, l’unica differenza è nella quantità di tempo a disposizione<br />
per espletarle. E io condivido appieno questa visione.<br />
Improvvisazione non è altro che composizione istantanea. In generale<br />
l’improvvisazione è una delle possibilità compositive possibili: nel disco<br />
ci sono diversi spot, oltre ai tradizionali soli su strutture armoniche,<br />
dove lascio totale libertà ai musicisti o a intere sezioni per improvvisare<br />
in maniera completamente libera. Come il solo di Marcello Allulli e<br />
Francesco Pellizzari su Ninja, dove si apre una parentesi di free improvisation<br />
prima di lanciare il solo di chitarra, oppure su Blues For<br />
F dove, dopo il solo di piano, c’è un’improvvisazione collettiva del<br />
primo trombone (Lorenzo Lorenzoni) e di parte della sezione trombe<br />
(Simone Stefanizzi, Gianluca Stigliano). Oppure, verso la fine, come<br />
all’inizio di Yo Bald, dove c’è una schizofrenica introduzione di batteria<br />
in cui Pellizzari scopre di esser diventato, per l’appunto, pelato.<br />
Descrivici un momento di questa esperienza emozionale<br />
che reputi importante.<br />
Di certo un momento per me importante ed emozionante è stato il<br />
primo concerto di presentazione di Dedalo, 11 maggio 2018: in quel<br />
momento ho percepito che la BPJO era, ed è, qualcosa di più di un’orchestra<br />
Jazz, qualcosa di più di 23 musicisti e di un repertorio inedito.<br />
È una sinergia di forze che cercano di affermare un modo di intendere<br />
e amare la musica ma, soprattutto, un modo di fare cultura. Tutto ciò<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019 31
INSIDE<br />
è ed è stato possibile solo grazie all’Associazione Bud Powell di Maglie<br />
e al suo Direttivo che, nonostante le difficoltà, dimostrano ogni giorno<br />
lungimiranza e amore per il jazz.<br />
Quale aspetto della pedagogia musicale ritieni primario?<br />
Senz’altro la cura della profondità. Ci sono molti metodi e vie per<br />
apprendere, e spesso ognuno di noi ha il proprio percorso. Credo però<br />
sia imprescindibile imparare a fare le cose profondamente, con cura,<br />
con serietà. La musica è una cosa seria e deve essere presa seriamente,<br />
anche quando ci fa ridere o sorridere, dovremmo seriamente riderci su.<br />
In una tua playlist quali brani o compositori non mancherebbero<br />
mai?<br />
M. Ravel, Kris Defoort, Duke Ellington, T. Monk, Maria Schneider,<br />
Bill Evans, Debussy, W. Shorter.<br />
Quale musica preferisci ascoltare e che rapporto hai con la<br />
musica liquida che sta prendendo sempre più piede?<br />
Ascolto di tutto, dalla musica classica al jazz moderno, dalla musica<br />
elettronica sino a dischi di musica totalmente improvvisata. La musica<br />
è liquida e perciò è complicato separarla una volta aperto il rubinetto, è<br />
lì tutta insieme, parte dello stesso liquido. Avete mai provato a separare<br />
l’acqua dall’acqua? Difficilissimo!<br />
Nella tua collezione di vinili quale reputi fondamentale per<br />
la tua crescita e perché?<br />
Purtroppo non ho una collezione di vinili qui a Bruxelles, devo ancora<br />
trovare il modo per far migrare tutti i miei dischi rimasti in<br />
Italia. Ma se dovessi citare i dischi a cui tengo maggiormente: Native<br />
Dancer e Speak no Evil di Shorter, Music for large and small<br />
ensemble ed Angel songs di Wheeler, la suite Miroirs di Ravel (per<br />
non parlare dei suoi lavori orchestrali ma non saprei scegliere), Thompson<br />
Fields di M. Schneider, Eternal Interlude di John Hollenbeck.<br />
Shorter e Wheeler sono stati importanti nella mia formazione per<br />
la loro visione della musica funzionale e modale. M. Ravel, Maria<br />
Schneider e Hollenbeck per quanto riguarda la visione degli spazi,<br />
dei timbri e delle tecniche di sviluppo delle idee.<br />
C’è un aneddoto della tua carriera che ricordi con molto<br />
piacere?<br />
Ci sono un paio di conquiste che ricordo con estremo piacere ma,<br />
dovendone scegliere uno, direi la vittoria del Graz Jazz Comp 2017<br />
(concorso triennale di composizione per Orchestra Jazz organizzato<br />
dal conservatorio di Graz, ndr.) dove oltre alla soddisfazione del riconoscimento<br />
ho avuto il piacere di confrontarmi con quelli che sono fra<br />
i più grandi autori e compositori per l’Orchestra Jazz contemporanea<br />
(Michael Abene, John Hollenbeck, Jörg Achim Keller, Ed Partyka). Di<br />
certo ha rappresentato una conferma recente e importante.<br />
Descrivici il tuo rapporto con le arti.<br />
Le arti mi piacciono tutte, soprattutto quelle visive. Amo la letteratura<br />
ma non leggo quanto vorrei. Spesso mi capita di prendere<br />
ispirazione da concetti extra musicali. A tal proposito mi fa piacere<br />
citare l’ultimo progetto a cui sto lavorando, Lulela, un’opera contemporanea<br />
interattiva con multiple possibilità evolutive. In questo<br />
caso tutte le composizioni e le idee musicali vengono dal libretto e<br />
quindi dalla storia, o meglio dalle storie che vengono raccontate<br />
in Lulela. È incredibile quanta freschezza possa dare l’ispirarsi a<br />
contesti extra musicali.<br />
Concerti, showcase… insomma, cosa accadrà nel futuro<br />
della Bud Powell Jazz Orchestra?<br />
Per la BPJO, come per molte Big Band di orchestre, le possibilità per<br />
suonare sono purtroppo rare ma nonostante ciò la BPJO continuerà<br />
la sua attività live e di affiancamento a sostegno di tutte le attività<br />
dell’Associazione Bud Powell di Maglie. Un appuntamento certo sarà<br />
il concerto di apertura del Maglie Jazz Summer Festival 2019 e altri<br />
appuntamenti saranno annunciati nei prossimi mesi.<br />
32 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019
INSIDE<br />
di Pier Paolo Ferrari<br />
Non solo<br />
amplificatori<br />
I racconti da parte del diretto interessato (e qualche aneddoto interessante) testimoniano come<br />
Arthur Radford fosse un perfezionista instancabile, una virtù estesa non solo alla progettazione<br />
delle elettroniche ma anche a quella delle elettroacustiche. Proprio in merito a queste ultime<br />
ritorniamo, dopo averne parlato nel numero 537 di <strong>SUONO</strong>, sull’operato di Arthur Radford.<br />
Arthur Radford ha avuto da sempre una passione personale<br />
per gli amplificatori audio di alta qualità; così il grande<br />
successo di ditte come Quad, Leak e Rogers nella vendita<br />
dei loro apparecchi lo aveva spinto verso obiettivi ancora più<br />
ambiziosi e a contrastare sul piano della qualità questi eccellenti<br />
concorrenti, che erano all’epoca davvero “padroni” del mercato<br />
audio. L’esempio eclatante che Arthur rivela in una intervista è<br />
quello relativo a un mostro sacro dell’amplificazione di tutti i<br />
tempi, che all’epoca aveva riscosso enorme fama internazionale,<br />
il Leak TL12 Point-One. Alla fine degli anni Quaranta, il famoso<br />
amplificatore Point-One aveva impressionato gli addetti ai lavori<br />
perché Harold J. Leak con questo finale di potenza era stato in<br />
grado di abbassare in modo drastico la distorsione armonica arrivando<br />
a una soglia inferiore dello 0,1%. Tale distorsione armonica<br />
era fantastica per quei tempi e pochi costruttori potevano vantare<br />
risultati così straordinari. Radford negli anni Cinquanta stava<br />
studiando la progettazione di amplificatori con caratteristiche<br />
superiori agli altri in commercio e l’idea di “battere” in fatto di<br />
34 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019
ARTHUR RADFORD ATTO SECONDO<br />
prestazioni amplificatori come il Leak oppure il Quad lo stimolava<br />
non poco - racconta come iI Leak Point-One potesse essere<br />
superato di un fattore di 10 utilizzando i suoi trasformatori di<br />
uscita. Quelli erano la chiave per ottenere prestazioni superiori<br />
anche se le difficoltà consistevano anche nell’impiegare strumenti<br />
da laboratorio per misurare efficacemente la distorsione<br />
armonica e quella di intermodulazione (THD) degli amplificatori<br />
audio, e a quei tempi non era facile averli. Così nella sua fabbrica<br />
a Bristol Radford progettò e commercializzò modelli unici di<br />
oscillatori a bassa distorsione e set di apparecchi per i test e le<br />
misurazioni delle distorsioni armoniche! La voglia di guardare<br />
sempre in avanti, forse un po’ troppo precipitosa, si è trasformata<br />
anche nella costruzione di amplificatori a transistor che<br />
però si sono dimostrati meno affidabili e di qualità inferiore ai<br />
precedenti apparecchi a tubi. Si trattò una battuta d’arresto da<br />
superare al più presto...<br />
Altra grande passione, non comunque così intensa come quella<br />
per gli amplificatori audio, è stata la progettazione di diffusori<br />
acustici; il “mondo” degli altoparlanti ha occupato la sua mente<br />
per molti anni e lo ha affascinato fino ai suoi ultimi giorni di<br />
vita. Radford è stato abile nel persuadere i produttori dell’epoca<br />
di unità driver di trasmissione a modificare i loro prodotti per<br />
produrre uno “speciale” diffusore proveniente dai suoi progetti;<br />
l’acquisizione di un fabbricato che fungesse da ufficio-fabbricamagazzino<br />
nella zona industriale di Ashton Vale, Bristol, gli ha<br />
dato la possibilità di ampliare questo settore della sua attività e<br />
produrre alcuni modelli di diffusori Transmission-Line di dimensioni<br />
molto grandi. Nota curiosa rivelata da Radford parlando<br />
dell’acustica del suo magazzino, pieno di altoparlanti e materiali<br />
da imballaggio, era costituita dal fatto che tale acustica era talmente<br />
buona che fece prove su prove con apparecchi registratori<br />
con il risultato di occuparsi anche di registrazione audio (questo,<br />
però, è rimasto un hobby mentre la sua attenzione è stata rivolta<br />
alla progettazione di mixer professionali e di altri prodotti audio<br />
specializzati)! Dopo anni di lavoro sulle problematiche degli<br />
altoparlanti e del carico posteriore, Arthur Radford e il Dr. A.<br />
R. Bailey ottennero un brevetto per il primo diffusore a linea di<br />
trasmissione - Transmission Line. Questo studio approfondito era<br />
stato, in precedenza, oggetto di un articolo pubblicato sulla rivista<br />
inglese “Wireless World” (ottobre 1965) - dal titolo “A Non-<br />
Resonant Loudspeaker Enclosure”. I primi progetti commerciali<br />
di questi diffusori erano stati descritti in una serie di documenti/<br />
test report di Radford/Bailey e comprendevano una gamma di<br />
diffusori.<br />
Uno dei primi diffusori commerciati all’inizio degli anni Sessanta<br />
progettato dalla Radford è stato il Radford Bookshelf Loudspeaker<br />
- B.L.S (1963). Il diffusore, con posiziåonamento a bookshelf,<br />
impiegava due altoparlanti drivers: il K.E.F. Type B.139 come<br />
woofer per le frequenze basse e il Celestion HF-1300 come tweeter<br />
per quelle alte. Si trattava di due unità driver della massima<br />
qualità dell’epoca. Successivamente la Radford si è avvalsa<br />
sempre di altoparlanti eccellenti dei brand più famosi da inserire<br />
nei suoi diffusori: oltre a K.E.F. e Celestion, venivano utilizzati<br />
sia per i woofer che per i midrange e i tweeter anche unità della<br />
Goodmans, Peerless, Whatfedale, Philips. L’evoluzione dei diffusori<br />
Radford si ebbe dalla metà degli anni Settanta fino alla fine<br />
degli anni Ottanta: accanto ai modelli Acoustic Transmission-<br />
Line, un progetto iniziato nel 1964 e portato avanti nel tempo<br />
riscuotendo un ottimo successo commerciale, Arthur Radford affiancò<br />
quelli di nuova concezione che si avvalevano di tecniche<br />
innovative e del tutto originali. Radford si affidò a unità driver<br />
progettate per ottimizzare e rendere trascurabili le distorsioni<br />
ai transienti e abbassare il più possibile le “colorazioni” nel suono<br />
riprodotto. I miglioramenti ricavati in termini di realismo acustico<br />
diventarono notevoli rispetto ai driver convenzionali. Tuttavia,<br />
non contento dei risultati raggiunti, il tecnico inglese studiò e<br />
investigò al fine di ottenere risposte definitive sulla nociva colorazione<br />
del suono - transient colouration distortion. Questa<br />
distorsione acustica è introdotta, infatti, da un ristretto angolo<br />
di radiazione del posizionamento degli altoparlanti nel mobile<br />
diffusore. Una cassa acustica caricata a tromba, per esempio,<br />
soffre appunto di questo problema dovuto al ristretto angolo di<br />
radiazione dei suoi driver. Radford introdusse una nuova serie<br />
di sistemi di diffusori impiegando un ampio angolo di radiazione<br />
- wide angle radiation - incrementando il numero di altoparlanti<br />
dei medi e degli alti - middle and tweeter. La nuova serie era<br />
formata da quattro diffusori e comprendeva, quindi, driver sistemati<br />
all’interno del mobile per offrire angoli di radiazione di<br />
90°, 180°, 270° e 360° in un piano orizzontale. Già con le casse<br />
acustiche con angolazioni di driver a 90° e 180° si potevano ottenere<br />
risultati e miglioramenti veramente significativi e molto<br />
performanti in fatto di realismo sonico arrivando a una perfezione<br />
assoluta con i sistemi a 270° e 360°. Un altro vantaggio<br />
con il sistema wide angle direct radiation a tutte le frequenze era<br />
quello di avere un fantastico e reale effetto stereofonico, molto<br />
avvolgente e spaziale. Veniva eliminato in tal modo il particolare<br />
effetto stereofonico “classico” prodotto dalle due casse acustiche<br />
con altoparlanti rivolti solamente in avanti. Alla fine degli<br />
anni Settanta la gamma di diffusori Radford Studio Monitor<br />
era multi-direzionale e affiancava i modelli precedenti. Le sigle<br />
di ogni modello indicavano i gradi di radiazione sonora e la serie<br />
era formata dai diffusori TRI-Star 90/50 (5 driver), Monitor<br />
180/50 (5 driver), Studio 270/50 (7 driver) e Studio 360/100 (10<br />
driver) dove i numeri /50 e /100 indicano la potenza sopportata.<br />
Poi, come il resto della produzione, tutto questo fu destinato<br />
all’oblio: purtroppo Arthur Radford non aveva nessuna persona<br />
di fiducia che potesse portare avanti una tale varietà di progetti<br />
e di idee illuminanti e così, mentre il tempo della pensione per<br />
lui si avvicinava, la ditta fu messa in liquidazione e smembrata<br />
in vari settori. Nonostante ciò il marchio, anche alla luce di<br />
un esame attuale, ha svolto un ruolo preminente nella storia<br />
dell’Hi-Fi: quella di Arthur Radford è stata una vita dedicata alle<br />
sue passioni che si sono in gran parte tradotte in pratica (come<br />
abbiamo visto in questo articolo e nel precedente - pubblicato<br />
su <strong>SUONO</strong> 537), in una ditta famosa e rispettata ovunque nel<br />
mondo. E Radford ci ha lasciato un patrimonio inestimabile di<br />
cultura e apparecchi ancora oggi desiderati nel mondo anche per<br />
la loro grande qualità progettuale!<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019 35
INSIDE<br />
I PRIMI DIFFUSORI RADFORD<br />
Monitor: destinato al montaggio a pavimento preferibilmente su un supporto<br />
idoneo. Utilizzava tre driver: il BD25/1, l’MD9/1 e il TD3/1. Il driver<br />
mid-range era del tipo open-back e funzionava in un mobile separato dal<br />
driver del basso. Il driver MD9/1 fu sviluppato da informazioni ottenute<br />
da uno studio intensivo, durato circa tre anni, per eliminare la colorazione<br />
di distorsione transitoria. Il Monitor era un diffusore a gamma completa<br />
notevolmente privo di colorazione con dimensioni ridotte. Ecco alcune<br />
specifiche: gamma di frequenza 55 Hz - 25 KHz; potenza 50 watts; dimensioni<br />
76 x 30,5 x 25,5 cm; peso 19,5 kg.<br />
Studio: un diffusore per il montaggio a pavimento di altezza adeguata<br />
senza supporto; utilizzava le stesse unità dei diffusori Monitor e Auditorium.<br />
Il driver del basso era caricato con raccordo posteriore con una linea di<br />
trasmissione acustica aperta che estendeva una risposta piatta fino a 30<br />
Hz. A causa della radiazione in fase inferiore a 50 Hz il fronte d’onda tendeva<br />
a configurare il piano dando una sensazione soggettiva superiore a un’onda<br />
di velocità della sorgente puntiforme virtuale (dovuta solo al diaframma) a<br />
queste frequenze. Un diffusore acustico con le massime prestazioni possibili<br />
per ambienti medio-grandi. Forniva una risposta lineare sull’intera banda di<br />
frequenza audio dalle frequenze più basse fino a quelle più alte. L’intervallo<br />
di frequenza si attestava da 30 Hz a 25 kHz. La potenza sopportata era<br />
di 50 watt. Le dimensioni: 115 x 43 x 38 cm, il peso: 44,5 kg.<br />
Auditorium: un diffusore per il montaggio a pavimento (preferibilmente<br />
su un supporto idoneo) che utilizzava le stesse unità e reti del Monitor ma<br />
con un mobile-enclosure più grande per le unità sia basse che medie. Per<br />
le stanze di medie e grandi dimensioni con abbastanza spazio questo diffusore<br />
era in grado di fornire una risposta sostanziale alle basse frequenze<br />
oltre alle medie e alte frequenze lineari e trasparenti, senza colorazioni di<br />
sorta. L’intervallo di frequenza si estendeva da 40 Hz a 25 kHz. La capacità<br />
di gestione della potenza era di 50 watt. Le dimensioni 91 x 40,5 x 33 cm e<br />
il peso 32 kg.<br />
Tri-Star 50: di dimensioni identiche al diffusore Bookshelf, utilizzava tre<br />
unità driver: per il woofer-basso un BD25/1, il midrange MD9/2 e il tweeter<br />
TD3/1. Il cabinet era di tipo chiuso posteriormente che consentiva di operare<br />
nello stesso contenitore del driver dei bassi e funzionava su un intervallo<br />
di 500 Hz - 5 kHz. Questo diffusore fu progettato per soddisfare l’esigenza<br />
di una prestazione ad alta fedeltà con una colorazione molto bassa in una<br />
dimensione del mobile relativamente piccola. La gamma di frequenza si<br />
estendeva da 55 Hz a 25 kHz. La potenza sopportata era di 50 watt. Le dimensioni<br />
53 x 32 x 23 cm, il peso 15 kg.<br />
36 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019
SELECTOR<br />
a cura della redazione<br />
CUFFIA<br />
TX Media TX-172 Concerto<br />
Va dato merito a TX<br />
Media di aver avuto fiuto<br />
in passato. Ricordate<br />
Traxdata, ovvero i primi<br />
masterizzatori (quanto<br />
risulta obsoleta la parola<br />
oggi!)? TX Media ne curò<br />
la distribuzione, avendo<br />
il merito di una capacità<br />
scouting che continua<br />
tutt’oggi nella costante<br />
ricerca di realtà produttive<br />
alle quali sottoporre la<br />
propria vision per trasformarla<br />
in prodotto.<br />
La formula “inventiva occidentale<br />
e produzione orientale” è abbastanza<br />
usuale nel mercato della riproduzione<br />
musicale, soprattutto<br />
laddove si vogliano aggredire le<br />
fasce di mercato più consumer e/o<br />
offrire un prodotto value for price,<br />
un tempo prerogativa dei prodotti<br />
inglesi, più per la capacità creativa<br />
che per quella produttiva, come<br />
ha dimostrato la storia. Si tratta<br />
di una formula che ha dato i frutti<br />
più vari: inqualificabili, così-così o<br />
rimarchevoli ed è sempre buona<br />
norma affrontare un prodotto di<br />
questo genere con la mente scevra<br />
di preconcetti e degli archetipi<br />
così cari ai tradizionali audiofili.<br />
Solo in questa ottica quei frutti<br />
risulteranno interessanti, a volte<br />
persino imperdibili. Potrebbe essere<br />
il caso<br />
della Concerto, uno dei primi<br />
prodotti con cui TX Media ha deciso<br />
di mettere a fuoco il mercato<br />
della riproduzione sonora aperto<br />
al grande pubblico. Per certo già<br />
sulla carta questo modello gode<br />
di alcune caratteristiche interessanti<br />
se non esclusive: esclusivo,<br />
ad esempio, è il fatto che questa è<br />
una cuffia che è al tempo un sistema<br />
autosufficiente: la indossi non<br />
prima di avervi caricato la propria<br />
playlist tramite una schedina SD,<br />
ascolti la musica e se arriva una<br />
telefonata nessun problema; è<br />
possibile gestire anche quella.<br />
L’autonomia, poi, è potenzialmente<br />
notevole: la Concerto utilizza<br />
il Bluetooth 5.0 che aumenta<br />
la durata a 36 ore rispetto alle 24<br />
della versione 4.2 utilizzata da<br />
gran parte della concorrenza. Insomma<br />
caratteristiche di vertice<br />
in una fascia di mercato<br />
quasi entry level...<br />
Facile a dirsi,<br />
più difficile<br />
da realizzare,<br />
perlomeno<br />
se<br />
si aggiunge<br />
l’avverbio<br />
“bene”.<br />
Ancor più<br />
complesso se<br />
l’obiettivo è farlo<br />
anche a un<br />
costo non solo<br />
ragionevole, il<br />
che la colloca fuori dell’agone Hi-<br />
Fi tradizionale, ma particolarmente<br />
competitivo, obiettivo che<br />
è anche la “mission” aziendale: offrire<br />
al pubblico un prodotto che<br />
vale sempre un po’ di più di quello<br />
che costa, almeno in relazione alla<br />
concorrenza. Quasi un inno alla<br />
gamma media, un segmento che<br />
per lungo tempo è stato abbandonato<br />
e ignorato dal nostro settore<br />
e ancor più quello dell’elettronica<br />
di consumo. Eppure, sono sempre<br />
più frequenti quei rari esempi in<br />
cui economico non è sinonimo<br />
di “materiale” di consumo, di un<br />
vuoto a perdere, anzi, sembra che<br />
finalmente la maturità di certe<br />
realtà orientali coadiuvate dalla<br />
sensibilità dei committenti occidentali<br />
porti a un livello di qualità<br />
impensabile fin a poco tempo fa.<br />
La Concerto riassume molti di<br />
questi aspetti anche in funzione<br />
di alcune caratteristiche che sono<br />
risultati imbattibili, molto al di<br />
sopra della fascia di appartenenza<br />
e che soddisfano gran parte<br />
delle esigenza di un utente assiduo<br />
e continuativo dell’ascolto in<br />
cuffia. Spesso ci soffermiamo su<br />
aspetti marginali del tipo il look<br />
oppure l’apparenza di alcuni<br />
dettagli quando invece il peso,<br />
l’indossabilità e la sensazione<br />
di non oppressione sono aspetti<br />
fondamentali che, probabilmente,<br />
dovrebbero essere i requisiti<br />
minimi di ogni cuffia che si ri-<br />
Prezzo: € 59,99<br />
Peso: 137 g<br />
Distributore: TX Media S.r.l.<br />
via degli Arcimboldi, 2 - 20123 Milano (MI)<br />
Tel. 039 9276038<br />
www.txmedia.it<br />
CUFFIA TX MEDIA TX-172 CONCERTO<br />
Tipo: chiusa Trasduttori: dinamici Impedenza (Ohm): 24 Risp. in freq.<br />
(Hz): 20 - 20.000 Auricolari: trasduttore da 40 mm di diametro con magnete<br />
in neodimio Note: Collegamento Bluetooth 5.0; supporta protocolli<br />
HSP, HFP, OPP, A2DP, AVRCP, PBAP; autonomia di 36 ore; carica rapida; lettore<br />
per SD card fino a 64 GB per la riproduzione locale; supporto voice<br />
assistant Siri e Google.<br />
38 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019
TEST<br />
I cuscinetti sono molto morbidi e si<br />
adagiano con ampia superficie di<br />
appoggio distribuendo la pressione senza<br />
premere né sui padiglioni auricolari né<br />
sulla testa.<br />
I pulsanti di accensione, di selezione<br />
della modalità di connessione e<br />
di regolazione del volume sono<br />
collocati al lato del padiglione,<br />
in posizione facilmente<br />
raggiungibile. Anche la scheda<br />
micro SD è facilmente inseribile<br />
nell’alloggiamento.<br />
Al centro del PCB è presente il<br />
SoC della Benken BK3266, un<br />
chip monolitico Blueottoh 5.0<br />
particolarmente versatile<br />
e con un consumo<br />
ottimizzato soprattutto<br />
con il collegamento<br />
wireless. L’altoparlante<br />
ha un diametro di<br />
40 mm e la bobina<br />
mobile da circa 11<br />
mm. La batteria è posta<br />
nel padiglione opposto<br />
a quello in cui è presente<br />
l’elettronica.<br />
Il meccanismo di chiusura<br />
e quello telescopico<br />
di regolazione della<br />
distanza dei padiglioni,<br />
pur essendo in<br />
plastica, è molto<br />
robusto e funzionale,<br />
come peraltro<br />
quello basculante dei<br />
padiglioni che aderiscono<br />
perfettamente all’orecchio con<br />
una pressione minima.<br />
spetti e invece non è così, anzi.<br />
Il peso complessivo di 170 grammi<br />
ma ancor di più la tensione non<br />
eccessiva dei padiglioni sulle orecchie<br />
rende la Concerto una cuffia<br />
particolarmente confortevole per<br />
ascolti anche molto prolungati nel<br />
tempo e soprattutto anche in condizioni<br />
di movimento sostenuto:<br />
la massa contenuta, soprattutto<br />
quella periferica, mantiene in<br />
posizione anche l’archetto superiore<br />
senza spostamenti o cadute.<br />
L’archetto superiore è imbottito e<br />
la superficie di appoggio è ampia<br />
e ben distribuita tanto che non si<br />
avverte la presenza in alto e quasi<br />
non si percepisce la pressione di<br />
appoggio. Il grado di isolamento<br />
passivo con l’esterno è molto<br />
elevato anche se non assoluto e<br />
si percepisce la realtà circostante<br />
soprattutto in ambienti esterni e<br />
molto rumorosi, il che tende a non<br />
isolare l’utente ma comunque offre<br />
un ottimo livello di riduzione<br />
dei rumori esterni. Il pairing con<br />
Bluetooth avviene molto rapidamente<br />
mantenendo in memoria<br />
molti dispositivi a cui le cuffie<br />
sono state abbinate. All’accensione<br />
una voce in inglese dichiara lo<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 39
SELECTOR<br />
stato di attivazione e di connessione<br />
e quello della batteria, oltre a<br />
leggere il livello nelle indicazioni<br />
fornite dallo smartphone. La ricezione<br />
è ottima come peraltro le<br />
conversazioni telefoniche con una<br />
voce intellegibile anche a volume<br />
sostenuto e una buona riduzione<br />
del rumore da parte del microfono<br />
esterno che capta il parlato e<br />
riduce i disturbi di sottofondo.<br />
La timbrica, in senso generale<br />
(anche se si percepisce una variazione<br />
fra la riproduzione nella<br />
modalità attiva e in quella passiva<br />
attraverso il collegamento con il<br />
cavo mini-jack stereo) è molto<br />
estesa, calda ma non priva di<br />
dettagli e ritmo, con una gamma<br />
bassa profonda ma senza effetto<br />
loudness e una gamma media<br />
I due padiglioni si possono richiudere<br />
su se stessi in modo da collocare la<br />
cuffia più agevolmente in una borsa<br />
o zainetto. A rendere più funzionale e<br />
conservativo il trasporto non è tanto<br />
la riduzione dello spazio occupato,<br />
comunque poco, ma la posizione dei<br />
due padiglioni.<br />
energica ma non in evidenza. La<br />
gamma acuta sa essere dettagliata<br />
e incisiva senza mai indurirsi anche<br />
nella riproduzione di musica<br />
compressa che in genere è particolarmente<br />
critica.<br />
Il livello del volume è abbastanza<br />
elevato sia nella modalità Bluetooth<br />
che nella riproduzione della<br />
musica nella micro SD ma tramite<br />
il collegamento passivo via cavo<br />
si possono raggiungere pressioni<br />
molto più elevate e con una impostazione<br />
timbrica ancora più naturale<br />
e gradevole, anche a livelli<br />
molto sostenuti. In modalità passiva<br />
l’abbinamento è molto ampio<br />
anche grazie al modulo dell’impedenza<br />
abbastanza costante che<br />
si colloca al di sopra dei 25 Ohm.<br />
La presenza della scheda micro<br />
SD da un certo punto di vista si<br />
può considerare un plus valore e<br />
in parte si tratta di una opzione<br />
per nulla da sottovalutare soprattutto<br />
in condizioni di utilizzo<br />
in cui si opta per l’ascolto di una<br />
lunga sequenza musicale, un po’<br />
quel che accadeva con le vetuste<br />
musicassette. La fruizione<br />
dei contenuti<br />
all’interno<br />
di una<br />
micro SD,<br />
tuttavia,<br />
è piuttosto<br />
complessa in<br />
quanto non è<br />
possibile la<br />
navigazione<br />
nei contenuti<br />
ma solo<br />
l’avvio e la<br />
messa in<br />
pausa del contenuto. Se si ha una<br />
playlist specifica e idonea alla situazione<br />
basta fare play, altrimenti<br />
l’accessibilità diventa complicata<br />
e limita la fruizione. La qualità<br />
di riproduzione si colloca a cavallo<br />
di quella in Bluetooth e quella via<br />
cavo e sarebbe una opportunità<br />
da non sottovalutare soprattutto<br />
nelle occasioni in cui non si vuole<br />
utilizzare un altro dispositivo per<br />
l’ascolto della musica ed è in grado<br />
soprattutto di ridurre il consumo<br />
della batteria spegnendo la trasmissione<br />
wireless.<br />
Nel complesso i capisaldi in cima<br />
alle specifiche del progetto, come<br />
ad esempio l’autonomia Bluetooth<br />
e la connettività, risultano<br />
soddisfatti con una certa cura,<br />
determinando una versatilità (che<br />
in questo segmento di mercato è<br />
caratteristica primaria) invidiabile.<br />
Anche la qualità audio, nello<br />
specifico, rientra in un livello dagli<br />
ottimi risultati considerando<br />
anche l’estrazione economica del<br />
prodotto: anche a volume sostenuto,<br />
la distorsione e le risonanze<br />
sono molto contenute e non danno<br />
sensazioni di “disagio” all’utente<br />
(in genere frequenti in prodotti<br />
di fascia bassa in cui la gamma<br />
bassa tende a saturare e si avvertono<br />
soffi e vibrazioni in genere).<br />
Considerazioni simili valgono anche<br />
per la costruzione della cuffia:<br />
i meccanismi, seppur in plastica,<br />
sono molto precisi, robusti e sicuri,<br />
i comandi e l’altoparlante si collocano<br />
in una zona “confortevole”;<br />
nulla di eccezionale ma al contempo<br />
senza problemi evidenti<br />
o strane risonanze: da notare che<br />
PRO & CONTRO<br />
I materiali e le soluzioni tecnologiche appaiono<br />
orientate al contenimento dei costi di produzione<br />
ma con un approccio che mantiene la qualità<br />
del prodotto molto oltre la fascia di appartenenza:<br />
la Concerto sembra essere una mosca bianca<br />
nell’ambito delle cuffie wireless Bluetooth!<br />
Nel progetto permane una certa matrice “cinese”,<br />
con alcuni aspetti che potrebbero essere più<br />
curati ma comunque, o per caso o per scelta del<br />
fornitore, il prodotto ha un suo senso e una sua<br />
dignità. La micro SD poteva essere un grande<br />
plusvalore e invece appare come una possibilità<br />
mancata. Comunque c’è, funziona, non costituisce<br />
né un danno né un limite e se non c’era<br />
sarebbe stato peggio! Il Bluetooth è ottimo e il<br />
collegamento elettrico non male...<br />
la costruzione “leggera” beneficia<br />
in modo impressionante sulla indossabilità<br />
che risulta eccellente:<br />
leggera, calzante, isolante senza<br />
essere oppressiva sia sui padiglioni<br />
che sul punto di appoggio<br />
dell’archetto.<br />
Un aspetto interessante che prescinde<br />
la qualità del prodotto è<br />
costituito infine dalla convinzione<br />
maturata sul campo dagli uomini<br />
di TX Media che quando nel<br />
2015 si trovarono ad affrontare il<br />
mercato della riproduzione musicale<br />
si resero conto che i bisogni<br />
dei consumatori di fascia media<br />
dell’audio spiccano alla voce<br />
“qualità”rispetto a quelli dell’informatica<br />
(dove per mouse tastiere<br />
e chiavette prevale il prezzo a<br />
prescindere da qualità assoluta<br />
visto che tali oggetti vengono considerati<br />
prodotti a perdere). Una<br />
convinzione che può rappresentare<br />
una spinta nelle scelte progettuali<br />
e che potrebbe contribuire ad<br />
ampliare gli orizzonti della musica<br />
riprodotta. Chissà…<br />
40 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019
SELECTOR<br />
di Nicola Candelli<br />
Una vita<br />
contro<br />
le vibrazioni<br />
Omicron è una realtà presente nel campo dell’alta fedeltà sin dal lontano 2004 quando il suo patron<br />
e progettista Mauro Mauri brevettò una serie di rivoluzionari accessori denominati Magic Dream.<br />
IMagic Dream di “magico”<br />
non avevano niente se non<br />
un’azzeccata invocazione al<br />
compito svolto: collocati al di sotto<br />
delle varie elettroniche, hanno il<br />
compito di dissipare le vibrazioni<br />
tramesse dagli stessi trasformando<br />
l’energia in movimento rotatorio.<br />
L’obiettivo è quello di migliorare<br />
la riproduzione sonora cercando<br />
di eliminare il più possibile quanto<br />
non attiene al messaggio musicale.<br />
E in quell’anno <strong>SUONO</strong> dedicò un<br />
articolo (Ottobre 2004 - Titolo “Ali<br />
di pipistrello, coda di rospo…”)<br />
relativo a questi interessanti componenti<br />
e, a seguire, il progettista<br />
ricevette diversi riconoscimenti<br />
per le sue idee innovative. Nonostante<br />
esporti buona parte della<br />
sua produzione verso diversi Paesi<br />
(Europa, USA, Turchia, Hong<br />
Kong, Singapore), nel nostro paese<br />
Mauri viene identificato quasi<br />
esclusivamente come l’ideatore<br />
e il costruttore dei piedini Magic<br />
Dream mentre la sua produzione<br />
va ben oltre questo accessorio - il<br />
catalogo Omicron è infatti molto<br />
vasto e presenta diverse tipologie<br />
di prodotti: i piedini da posizionare<br />
sotto le elettroniche, i tavolini<br />
porta elettroniche, le ciabatte di<br />
corrente, gli alimentatori di corrente,<br />
etc… Poi ci sono gli stabilizzatori<br />
di vibrazioni (vedi la foto<br />
di apertura): sopra le elettroniche,<br />
sopra gli alimentatori di corrente,<br />
sopra i trasformatori di corrente, al<br />
di sotto delle casse acustiche, sen-<br />
ACCESSORI<br />
Omicron Magic Dream<br />
SUL CAMPO<br />
Prezzo: da 85,00 a 210,00€<br />
Distributore: Omicron<br />
P.zza Giacomo Leopardi 3 - 61013 Sassofeltrio (PU)<br />
tel 3318012568 - www.omicrongroup.net<br />
Tipo: accessori vari Materiale: Delrin Note: vasta gamma di<br />
prodotti per il contenimento delle vibrazioni: clamp per giradischi,<br />
piedini per elettroniche e diffusori, stabilizzatori per cavi<br />
42 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019
TEST<br />
I clamp sono utilizzabili in una miriade di soluzioni: qui con il giradischi (sinistra) e sotto i diffusori (destra).<br />
za dimenticare gli stabilizzatori<br />
per cavi (cavi di alimentazione<br />
di corrente, cavi di segnale e cavi<br />
di collegamento casse acustiche)!<br />
Tutti utilizzano lo stesso principio<br />
con l’obiettivo di eliminare le<br />
vibrazioni indotte dai vari apparecchi<br />
con risultati che durante<br />
l’uso ho trovato apprezzabili. Partendo<br />
dagli originari Magic Dream<br />
Classic ancora in produzione<br />
salvo qualche piccolo perfezionamento<br />
apportato nel tempo, nel<br />
catalogo 2019 sono stati inseriti<br />
i nuovi Magic Dream Energy che<br />
rispetto ai Classic si presentano<br />
con una base di maggiore<br />
dimensione mentre la sfera<br />
inserita tra i due gusci passa da<br />
un diametro di 10 mm a 16 mm,<br />
aumentando di fatto la capacità di<br />
dissipare energia. Il risultato non<br />
Anche gli stabilizzatori possono trovare un utilizzo in differenti condizioni: per i cavi<br />
(in alto) o sotto i diffusori (in basso) nei test effettuati.<br />
lascia dubbi: dopo averli provati<br />
sono nettamente a favore degli<br />
Energy! Il loro inserimento al di<br />
sotto delle elettroniche porta a un<br />
tangibile miglioramento sonico<br />
migliorando scena e pulizia generale<br />
della riproduzione. Ancora<br />
più interessanti sono gli stabilizzatori<br />
di vibrazione che ho provato<br />
in tutti i loro molteplici utilizzi.<br />
Innanzitutto questi accessori (Stabilizer<br />
classic – Harmonic stabilizer<br />
e Clamp) sono dotati, a differenza<br />
dei piedini, di tre sfere che<br />
oltre a sopportare maggior peso<br />
consentono di ottenere una più<br />
efficace dissipazione di energia.<br />
Il Clamp, ad esempio, inserito<br />
su di un qualsiasi giradischi ha<br />
restituito un risultato molto lusinghiero<br />
e in tutta sincerità dopo<br />
aver provato a sostituire quelli<br />
di serie di alcuni lettori che ne<br />
erano già dotati l’effetto ottenuto<br />
dall’Omicron è stato sicuramente<br />
più performante. Questi Clamp<br />
possiedono caratteristiche e comportamento<br />
simili agli altri due<br />
stabilizzatori in catalogo, motivo<br />
per cui li ho posizionati anche sotto<br />
i diffusori, con risultati molto<br />
interessanti - qui ovviamente entra<br />
in gioco il gusto personale nella<br />
scelta dell’uno o dell’altro modello.<br />
Per quanto riguarda invece gli<br />
stabilizzatori per cavi, utilizzando<br />
come base gli stabilizzatori di vibrazioni<br />
basta avvitare su una di<br />
queste basi i Cable Stabilizer e far<br />
passare nell’interno dell’apposita<br />
gola i cavi siano essi di potenza,<br />
di alimentazione o di segnale, tenendo<br />
presente che per ottenere<br />
l’effetto per i quali sono stati creati<br />
la base deve essere libera di oscillare.<br />
Questo vale per tutti i prodotti<br />
Omicron: per poter esercitare il<br />
loro effetto le sfere devono essere<br />
libere nelle loro sedi, quindi attenzione<br />
al posizionamento! Anche in<br />
questo caso gli effetti sono udibili<br />
e in unione agli altri componenti<br />
il risultato finale consiste in piccoli<br />
ma significativi miglioramenti<br />
restituendo alla riproduzione<br />
un maggior piacere di ascolto.<br />
Il materiale utilizzato per questi<br />
prodotti è il Delrin prodotto dalla<br />
Dupont ma il costruttore produce<br />
anche piedini realizzati in ottone<br />
placcato in argento, oro o nichel,<br />
con risultati a suo dire ancora migliori<br />
ma dal prezzo decisamente<br />
superiore. Nella serie da me provata<br />
ho riscontrato buone prestazioni<br />
e un ottimo rapporto qualitàprezzo<br />
quindi bisognerebbe valutare,<br />
non avendo avuto occasione<br />
di provarli, se il maggior esborso<br />
richiesto da questi ulteriori dispositivi<br />
corrisponda a prestazioni superiori.<br />
Basta comunque visitare<br />
il sito Omicron, visionare la ricca<br />
produzione attuale e valutare<br />
quale di questi accessori possono<br />
soddisfare le proprie esigenze.<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 43
SELECTOR<br />
a cura della redazione<br />
UNITÀ PHONO<br />
Ortofon ST-7<br />
Quando si ha a che fare<br />
con fonorilevatori a bobina<br />
mobile a bassa tensione<br />
d’uscita, ovvero per la<br />
maggior parte delle volte,<br />
la soluzione più semplice<br />
è quella di utilizzare un<br />
stadio fono attivo e alto<br />
guadagno. Fino a molti<br />
anni fa, quando gli amplificatori<br />
a valvole erano un<br />
must, non c’era altro modo<br />
per intensificare il segnale<br />
in uscita da una MC che<br />
ricorrere a un trasformatore<br />
o step-up per elevare<br />
il segnale in modo da essere<br />
compatibile con gli<br />
stadi fono degli integrati<br />
o esterni, a valvole.<br />
Oggi si sono fatti molti progressi<br />
e transistor e amplificatori<br />
operazionali<br />
raggiungono prestazioni molto<br />
buone, in particolare nel rapporto<br />
segnale/rumore. Alcuni, però,<br />
sostengono che la soluzione migliore<br />
continui a essere quella che<br />
prevede uno step-up a precedere<br />
lo stadio fono MM, a valvole o a<br />
stadio solido che sia. Il parere non<br />
è univoco in quanto questa soluzione<br />
presenta alcuni svantaggi.<br />
Innanzitutto nella maggior parte<br />
dei casi ci si trova che fare con<br />
oggetti tecnologicamente non attuali,<br />
visto che questi oggetti sono<br />
stati principalmente sviluppati<br />
nell’era precedente all’avvento del<br />
CD. Per il loro collegamento<br />
è inoltre necessario un cavo di segnale<br />
ulteriore, che può, in qualche<br />
caso, creare problemi. Infine<br />
non si tratta di oggetti universali,<br />
ossia qualsiasi trasformatore non<br />
è l’oggetto giusto per qualsiasi<br />
testina MC e, anzi, all’atto pratico<br />
gli step-up si rivelano piuttosto<br />
idiosincratici e selettivi negli<br />
accoppiamenti e negli interfacciamenti.<br />
Per contro, sempre in<br />
linea generale, con il loro utilizzo<br />
si assiste a un aumento notevole<br />
della dinamica del sistema: i forti<br />
e i fortissimi, i piani e i pianissimi<br />
diventano più reali così come dei<br />
silenzi della musica: emergono i<br />
vuoti, gli stacchi tra le note e aumenta<br />
in modo spropositato la<br />
nettezza dello strumento e la sua<br />
ascoltabilità rispetto agli<br />
altri strumenti del<br />
contesto;<br />
anche<br />
la microdinamica, le sfumature<br />
intermedie tra un colore di<br />
una nota e le sue armoniche di<br />
risonanza, si manifestano con<br />
smagliante evidenza. Un buon<br />
trasformatore, come una lente<br />
tersa, permette di cogliere con<br />
maggior facilità le singole componenti<br />
dell’orchestra, della band,<br />
del quartetto o di quant’altro sta<br />
suonando. Uno step-up di qualità<br />
offre all’ingresso fono MM un segnale<br />
molto più gestibile e dominabile<br />
e l’immagine olografica che<br />
ne esce dà l’impressione di essere<br />
dilatata (a volte di molto) nelle<br />
tre dimensioni e fa scomparire le<br />
mura domestiche. Una ulteriore<br />
motivazione consisterebbe nel fatto<br />
che la distorsione prodotta nei<br />
trasformatori è alta alle basse frequenze,<br />
calando poi rapidamente<br />
verso le alte frequenze. L’esatto<br />
opposto accadrebbe negli amplificatori<br />
a transistor che aggiungono<br />
anche una maggiore distorsione<br />
d’intermodulazione.<br />
E proprio questa<br />
tesi sarebbe abbracciata<br />
da Ortofon, come si evince<br />
anche dal manuale del<br />
suo step-up ST-7 (e dal<br />
fatto che sono ben tre i<br />
modelli di step-up in catalogo<br />
per pilotare correttamente<br />
l’ampia gamma di testine<br />
MC della casa). Come per tutti gli<br />
altri componenti audio, per orientare<br />
la scelta sul prodotto giusto<br />
Prezzo: € 599,00<br />
Dimensioni: 43,5 x 10,2 x 12,2 cm (lxaxp)<br />
Peso: 0,79 Kg<br />
Distributore: Audiogamma S.p.A.<br />
Via Pietro Calvi, 16 - 20129 Milano (MI)<br />
Tel. 02 55181610 - Fax 02 55181961<br />
www.audiogamma.it<br />
UNITÀ PHONO ORTOFON ST-7<br />
Tipo: vedi note Risp. in freq. (Hz): 15 - 45.000 +0/-2,5 dB Impedenza MM<br />
(kOhm): 47 e capacità 200 pF Impedenza MC (Ohm): 2-60 Note: trasformatore<br />
elevatore per fonorilevatori MC. Guadagno 24 dB.<br />
44 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019
TEST<br />
occorre tenere conto del fatto che<br />
il livello della componentistica ha<br />
una grande influenza sul risultato<br />
sonoro finale e, anzi, sembra che<br />
per i trasformatori valga ancora<br />
di più. Ci si può spingere fino a oltre<br />
10.000 euro per uno step-up<br />
pregiatissimo e con prestazioni<br />
di distorsioni da record. Fortunatamente<br />
oggi il mercato offre<br />
prodotti assi meno costosi ma<br />
comunque prestazionali, proprio<br />
come l’Ortofon in prova, mentre<br />
gli altri modelli della casa declinano<br />
l’argomento in versioni più costose<br />
ma ancora ragionevolmente<br />
abbordabili.<br />
Essenzialmente un trasformatore<br />
comprende due bobine di rame,<br />
non connesse fra loro ma collegate<br />
da un semplice circuito magnetico,<br />
con un nucleo ferromagnetico<br />
centrale che induce gli effetti del<br />
flusso di corrente di una bobina<br />
nell’altra. Le due bobine non<br />
hanno lo stesso numero di spire<br />
(avvolgimenti) in quanto è proprio<br />
il rapporto fra il numero di spire<br />
delle due bobine a determinare la<br />
variazione della tensione fra i due<br />
avvolgimenti: il segnale in ingresso<br />
scorre nel primo avvolgimento,<br />
detto primario, per ritrovarlo poi<br />
“trasformato” nell’avvolgimento<br />
secondario in uscita. Se il secondario<br />
ha un numero maggiore di<br />
spire, la tensione di uscita sarà<br />
maggiore. Dunque lo scopo del<br />
trasformatore, nel caso specifico<br />
di uno step-up per fonorilevatori,<br />
è quello di prendere un segnale<br />
in ingresso a bassa impedenza e<br />
bassa tensione, tipici di molte MC<br />
anche di medio livello, e aumentarlo<br />
fino a valori “trattabili” da un<br />
pre-amp con uno stadio fono con<br />
sensibilità e guadagno non troppo<br />
spinti. Si tratta di una problematica<br />
frequente anche nell’ambito<br />
delle registrazioni in quanto molti<br />
dei microfoni dinamici hanno un<br />
principio di funzionamento molto<br />
simile a quello di una testina MC,<br />
pertanto hanno bisogno di un trasformatore<br />
elevatore di tensione<br />
per adattare il segnale in uscita<br />
molto debole alla sensibilità di ingresso<br />
dei mixer o dei registratori.<br />
Le differenze sono nel guadagno<br />
del trasformatore e nelle caratteristiche<br />
di impedenza interne ma<br />
anche nel fatto che nel caso del<br />
microfono non è necessario applicare<br />
una equalizzazione RIAA<br />
presente invece nel solco inciso<br />
sul disco. Ed è per questo motivo<br />
che uno step-up oltre a innalzare<br />
il livello molto basso del segnale<br />
proveniente dalla testina deve<br />
anche tener conto dell’attenuazione<br />
della equalizzazione RIAA<br />
che attenua drasticamente la parte<br />
bassa del segnale. In ogni caso il<br />
segnale, una volta innalzato, dovrà<br />
essere ulteriormente amplificato<br />
e linearizzato con la curva RIAA<br />
inversa, presente nello stadio fono<br />
MM. C’è da considerare però che<br />
una opzione oggi potrebbe essere<br />
quella di utilizzare uno step-up<br />
per la digitalizzazione dei vinili per<br />
innalzare il più possibile il segnale<br />
e poi, una volta digitalizzato, applicare<br />
la curva di equalizzazione<br />
RIAA nel dominio digitale. Si tratta<br />
di una opportunità che esula un<br />
po’ dalle abitudini del “vinilista”<br />
convinto ma che offre opportunità<br />
molto interessanti soprattutto se<br />
si trovano gli abbinamenti giusti<br />
fra testina, step-up e stadio linea<br />
del convertitore analogico digitale.<br />
Le più moderne cartucce MC hanno<br />
una impedenza interna intorno<br />
ai 10 Ohm e tensione d’uscita<br />
oscillante tra gli 0,1 e 0,5 mV. Un<br />
buon trasformatore step-up deve<br />
essere in grado di poter maneggiare<br />
questi valori e presentarne di<br />
idonei per uno stadio fono di tipo<br />
MM. Solitamente questi ultimi<br />
gradiscono un carico in ingresso<br />
di 47 kOhm / 200-300 pF con un<br />
segnale amplificato di almeno 20<br />
dB. È questo il caso del Ortofon<br />
ST-7 che accetta MC da 2-60 Ohm<br />
di carico, per un guadagno di 24<br />
dB e un carico del pre-fono di 47<br />
kOhm / 200 pF. Sono valori molto<br />
comuni, sia per quanto riguarda<br />
le cartucce a bobina mobile che<br />
per gli stadi fono MM, rendendo<br />
l’ST-7 utilizzabile in moltissimi<br />
casi. Questa versatilità viene confermata<br />
dal fatto che la Ortofon<br />
lo consiglia per la sua linea MC<br />
Quintet e per quella delle storiche<br />
PRO & CONTRO<br />
L’Ortofon ST-7 manifesta una elevata qualità<br />
costruttiva sebbene sia il più economico del<br />
costruttore, modello mono a parte, e si rivela<br />
molto utile e consigliabile in moltissimi casi.<br />
Tanti i suoi punti a favore, dal nome che c’è<br />
dietro alla validità musicale e a una notevole<br />
compatibilità. L’ST-7 aggiunge positivamente<br />
aspetti musicali che non vanno a stravolgere<br />
però le caratteristiche sonore dei pre-phono<br />
abbinati. Ognuno di loro mantiene le proprie<br />
caratteristiche timbriche di base ma si potrebbe<br />
dire che con l’ST-7 subiscano un upgrade e<br />
facciano lavorare il pre/ampli in ingresso in una<br />
“comfort zone” che ne facilita il lavoro.<br />
Probabilmente solo nei casi di abbinamento con<br />
pre phono molto sofisticati e particolari si deve<br />
pensare di cercare qualcos’altro di altrettanto<br />
più elevato e magari è possibile trovarlo sempre<br />
in casa Ortofon con i modelli ST-70 e ST-80 SE,<br />
dual mono e con trasformatori Lundhal.<br />
SPU Classic, cioè quanto di più<br />
lontano dalle prime per peso, cedevolezza,<br />
peso di lettura – però<br />
sono simili per tensione d’uscita<br />
e impedenza di carico entrambi<br />
molto basse.<br />
In merito all’ST-7 per prima cosa<br />
bisogna dire che, pur essendo di<br />
piccole dimensioni, l’apparecchio<br />
è sufficientemente pesante da non<br />
cappottarsi una volta collegato ai<br />
cavi di segnali, anche quelli grandi<br />
e un po’ rigidi, merito del mobile<br />
realizzato in lamiera ferrosa molto<br />
spessa che offre anche un valido<br />
contributo alla schermatura elettromagnetica<br />
oltre a quello della<br />
stabilità. Anche i morsetti RCA<br />
del pannello posteriore esibiscono<br />
doti meccaniche eccellenti tramite<br />
un contatto saldo e preciso.<br />
Le connessioni, compresa quella<br />
L’impostazione completamente<br />
dual mono si evince anche dalla<br />
disposizione delle connessioni sul<br />
pannello posteriore in quanto gli<br />
ingressi e le uscite per ogni canale sono<br />
raggruppate ai lati dell’apparecchio.<br />
La disposizione risulta molto pratica<br />
quando anche i cavi di connessione<br />
sono separati e indipendenti, meno<br />
quando i cavi, sopratutto quelli che<br />
provengono dal braccio, sono uniti fra<br />
loro. Al centro è collocato il morsetto<br />
della presa di terra, particolarmente<br />
grande e in grado di accettare<br />
qualunque cavo di questo tipo del<br />
giradischi, anche più d’uno.<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 45
SELECTOR<br />
Lo chassis è realizzato in lamiera ferrosa ad alto spessore<br />
ripiegata ai lati con il coperchio avvitato. I connettori<br />
sono avvitati sul pannello posteriore e isolati con<br />
anelli in teflon. Ne consegue una struttura molto<br />
robusta e anche con una massa notevole<br />
nonostante le dimensioni contenute.<br />
I piedini di appoggio sono in<br />
alluminio tornito con un<br />
inserto in gomma che<br />
aumenta il grip e<br />
l’isolamento dalle<br />
vibrazioni.<br />
Il trasformatore, uno per<br />
ogni canale, è inserito<br />
in un involucro in mu<br />
metal, una lega metallica<br />
particolarmente efficiente<br />
nella schermatura<br />
dai disturbi<br />
elettromagnetici<br />
che potrebbero<br />
interagire con il<br />
circuito magnetico del<br />
trasformatore molto<br />
sensibile. L’involucro è<br />
fissato allo chassis con<br />
un materiale viscoelastico<br />
smorzante.<br />
I resistori AMRG da 15k Ohm collegati<br />
parallelo all’uscita sono realizzati<br />
dalla AMTRANS che produce<br />
oggi resistori al carbone che<br />
coniugano le doti musicali<br />
dei mitici resistori Riken<br />
con le più attuali tecniche<br />
di produzione: base<br />
in porcellana su cui è<br />
depositato un film in<br />
carbone ricoperto da una<br />
resina conduttiva, il tutto<br />
inglobato da un involucro in<br />
allumino anodizzato.<br />
I reofori sono in rame OFC.<br />
in<br />
per il filo di massa, sono tutte su<br />
una stessa linea e ben distanziate.<br />
In questo modo è possibile<br />
collegare cavi di segnali dotati<br />
di spinotti RCA di qualità e ben<br />
dimensionati, senza problemi.<br />
Per l’ascolto abbiamo utilizzato<br />
tre cartucce MC a bassa tensione<br />
d’uscita come la Ortofon Quintet<br />
Bronze da 0,3 mV, la Lyra Helicon<br />
da 0,22 mV e la Sumiko Blackbird<br />
L da 0,7 mV, con una impedenza<br />
consigliata di almeno 100 Ohm<br />
per tutte. L’uscita dello step-up<br />
è stata collegata all’ingresso fono<br />
MM di alcuni fono, principalmente<br />
il Moth Pre RIAA e il Lindemann<br />
Limetree Phono. Le prime<br />
impressioni generali, comuni un<br />
po’ in tutte le combinazioni provate,<br />
hanno riguardato la capacità<br />
di gestire tutti e tre i fonorilevatori<br />
senza problemi. L’ST-7 rende la<br />
voce più aperta, il suono del basso<br />
sia acustico che elettrico risulta<br />
più convincente e coerente, con<br />
un ottimo senso del ritmo e della<br />
dinamica. In particolare la combinazione<br />
ST-7 e Limetree Phono<br />
(ma anche con il vecchio Moth<br />
i risultati sono vicini) convince<br />
ottenendo un suono naturale e<br />
articolato, le linee di basso sono<br />
più pulite e dinamiche seppur non<br />
profondissime. Più dettaglio e una<br />
eccellente stratificazione di dettagli,<br />
sfumature e piani sonori. ST-7<br />
e Limetree insieme ricordano<br />
l’eccellente, almeno secondo noi,<br />
pre-fono Nagra BPS alimentato a<br />
batteria. Trasparenza, fluidità e<br />
un timbro felicemente tendente al<br />
limpido e chiaro. Se consideriamo<br />
la somma dei prezzi del sistema<br />
Ortofon/Limetree, compreso un<br />
cavo di segnale decente, tra loro<br />
con il Nagra ci sarebbe un bel risparmio<br />
(circa il 40%)! Certo il<br />
BPS Nagra si fa notare per filigrana<br />
e una tessitura più fine e delicata<br />
ma non siamo tanto distanti.<br />
L’abbinata ST-7/Moth RIAA è più<br />
46 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019
calda e un poco scura ma è innegabile<br />
che l’incremento di livello,<br />
dinamica e migliore rapporto<br />
segnale/rumore, almeno quello<br />
percepito, rendono interessante<br />
tale soluzione con questi modelli<br />
di MC a bassa uscita.<br />
Più controversa, invece, l’abbinata<br />
dello step-up Ortofon con altri<br />
pre fono, in particolare citiamo<br />
quanto accaduto con un modello<br />
dove collegando lo step-up non<br />
si utilizza lo stadio di guadagno<br />
ulteriore studiato per le MC ma<br />
direttamente il primo stadio disegnato<br />
per le MM. Il suono è diverso,<br />
certo più dinamico, forse<br />
rischiarato, ma anche più duro e<br />
un po’ grezzo. Al contrario collegando<br />
una cartuccia MC a bassa<br />
uscita direttamente all’apparecchio<br />
e sfruttando quindi anche<br />
il secondo stadio di guadagno<br />
si ascolta un suono meno forte<br />
e chiaro ma decisamente più<br />
piacevole e affascinante. In funzione<br />
della qualità dello stadio<br />
fono dell’apparecchio utilizzato<br />
si rischia dunque il paradosso<br />
per cui sia meglio non utilizzare<br />
del tutto lo step-up, a patto che<br />
il guadagno sia almeno decente.<br />
In assoluto occorre dunque<br />
fare attenzione che il pre di linea<br />
sia dotato di una sufficiente<br />
sensibilità e che lo stadio fono<br />
sia realizzato secondo criteri di<br />
qualità, elemento non scontato<br />
negli amplificatori entry level o<br />
giù di lì che si suppone possono<br />
essere “la base” su cui imperniare<br />
l’upgrading costituito da<br />
uno step-up di fascia economica.<br />
Una piccola contraddizione<br />
che nello specifico nulla toglie<br />
al valore dell’apparecchio, dove<br />
soprattutto nel caso di abbinamento<br />
testina e step-up Ortofon<br />
a monte dell’amplificatore si<br />
sfruttano al meglio le potenzialità<br />
di questa soluzione e occorre<br />
soltanto assicurarsi che l’ingresso<br />
MM dell’ampli sia di qualità<br />
almeno adeguata.<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 47
SELECTOR<br />
a cura della redazione<br />
CONVERTITORE<br />
MSB Premier DAC<br />
Anni ’80, seconda<br />
metà: siamo nel pieno della<br />
prima rivoluzione digitale,<br />
quella ancora legata<br />
al CD ma anche dell’ascesa<br />
dell’audio high-end in<br />
generale, mentre cresce<br />
la bolla tecnologica della<br />
Silicon Valley. Ma la Bay<br />
Area viene scossa anche<br />
da un giovane nerd... Quel<br />
giovane si chiama Mark<br />
Brassfield e, modificando<br />
un lettore CD della Philips<br />
(che si chiama Magnavox),<br />
realizza un apparecchio di<br />
cui si dicono meraviglie,<br />
al punto tale che alcuni<br />
negozi lo utilizzano come<br />
riferimento per giudicare<br />
la qualità della musica<br />
proposta, pur essendo<br />
Brassfield partito da un<br />
prodotto base da pochi<br />
dollari...<br />
La M.S. Brassfield Audio<br />
avrà vita breve perché il<br />
talento di quel giovane<br />
progettista viene notato da Larry<br />
Gullman, un altro cervellone<br />
dell’epoca. Insieme danno vita<br />
(1986) alla MSB, acronimo del<br />
termine “Most Significant Bit” ma<br />
anche curiosamente (o forse no)<br />
identico alle iniziali di Brassfield.<br />
Sebbene infatti qualche anno più<br />
tardi (1989) Larry Gullman acquisti<br />
la quota della società di Mark<br />
Brassfield (e quindi le iniziali<br />
non avevano più alcun significato<br />
in questo contesto ed è forse<br />
li che nasce l’accenno al bit più<br />
significativo), Mark continuerà<br />
a collaborare fino alla metà del<br />
successivo decennio mentre Larry<br />
non mancherà mai di sottolineare<br />
come sia le basi della metodologia<br />
di ricerca che la filosofia aziendale<br />
fossero state progettate e realizzate<br />
da Mark, “padre” di tutti i<br />
prodotti lanciati<br />
successivamente.<br />
D’altronde<br />
i due<br />
sono molto simili:<br />
entrambi ingegneri<br />
ed entrambi profondi amanti della<br />
musica, sviluppano un approccio<br />
al tempo stesso ingegneristico e<br />
umanistico (una cosa rara al tempo)<br />
dove le sessioni d’ascolto hanno<br />
la stessa dignità delle misure<br />
di laboratorio: viene utilizzata la<br />
chiesa di Reedwoods City (che si<br />
trova nell’area tra San Mateo e<br />
Palo Alto) dove si suona e si ascolta<br />
il risultato delle registrazioni. Si<br />
aggiunga a questo quella miscela<br />
di tecnologia e autarchia tipica<br />
della Silicon Valley e diventa facile<br />
identificare la filosofia di MSB per<br />
come viene declinata nel tempo.<br />
In un primo tempo il marchio si<br />
concentra su soluzioni professionali<br />
legate all’uscita A-3 dei lettori<br />
di LaserDisc; poi, nel 1998, il primo<br />
DAC separato,<br />
frutto<br />
della<br />
convinzione, sin dai<br />
tempi dell’infanzia del CD, che<br />
gli apparecchi commerciali siano<br />
equipaggiati con convertitori<br />
D/A di bassa qualità<br />
o/e pessimi filtri digitali e che<br />
si possa far meglio...<br />
Il Link DAC (già con campionamento<br />
a 24 bit, 96 kHz) rappresenta<br />
pertanto la pietra miliare<br />
della MSB che conosciamo noi<br />
(che nel frattempo ha assunto un<br />
manipolo di giovani e promettenti<br />
ingegneri tra cui alcuni anche<br />
musicisti) e che, se invece di allora<br />
fossimo stati nella successiva era<br />
dei millennial, avremmo definito<br />
una start up. Sono comunque realizzazioni<br />
dirompenti quelle che<br />
poi si troveranno di fronte i nostri<br />
inviati al CES negli anni successivi<br />
nelle prime esibizioni ufficiali<br />
nel mondo dell’Hi-Fi. Se rimane<br />
nella memoria il Platinum DAC<br />
(2000), uno dei primi 384 kHz,<br />
a “spaccare” è soprattutto l’iLink,<br />
quello strano coacervo generato<br />
dall’unione con l’iPod in una versione<br />
“per audiofili” dove il lettore<br />
di Steve Jobs veniva modificato<br />
da MSB che ne prelevava il segnale<br />
digitale direttamente<br />
dall’uscita interna e tramite<br />
l’iLink garantiva un<br />
upsampling a 176.4 kHz!<br />
Va dato atto che l’azienda<br />
californiana è stata<br />
la prima a indagare sulle<br />
potenzialità assolute dell’iPod!<br />
Lungo il percorso successivo l’azienda<br />
si sposterà da questo target<br />
(micro lusso?) sempre più verso<br />
quello del lusso vero e proprio,<br />
Prezzo: € 25.350,00<br />
Dimensioni: 43,2 x 30,5 x 6,8 cm (lxaxp)<br />
Peso: 8,2 Kg<br />
Distributore: MondoAudio<br />
via Provinciale, 59/J - 24060 Cenate Sopra (BG)<br />
Tel. 035 561554<br />
www.mondoaudio.it<br />
CONVERTITORE MSB PREMIER<br />
Sistema di conversione: R2R Ladder 4x Prime modules Frequenza di campionamento<br />
(kHz): DSD 8x, PCM 32bit-3.072KHz Ingressi digitali: Spdif Rca<br />
e toslink Uscite analogiche: XLR o Rca Note: Configurabile con altri 3 ingressi<br />
digitali: Quad Rate DSD MQA USB, Renderer II ethernet, AES/EBU XLR Alimentatore<br />
Discrete Power supply, opzionalmente un secondo alimentatore. Clock<br />
Femto93 opzionale.<br />
48 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019
TEST<br />
scelta ancor più radicata dopo<br />
l’ingresso dei figli di Gullman<br />
(2016), Daniel e Jonathan (il primo<br />
un ingegnere meccanico, ingegnere<br />
elettronico il secondo) che<br />
esaltano le tendenze già in atto in<br />
azienda: l’attenzione al design, ad<br />
esempio, diventa quasi ossessiva,<br />
culminando nella scelta di produrre<br />
in proprio e dal pieno i mobili<br />
grazie all’acquisto di varie macchine<br />
CNC. Molte risorse sono state<br />
investite in questo settore e ancor<br />
più se ne stanno investendo oggi,<br />
tanto che nella pagina Facebook<br />
dell’azienda trapela l’orgoglio nello<br />
sfoggiare macchine a controllo<br />
numerico e robot di automazione<br />
made in USA per la produzione in<br />
loco di ogni parte meccanica ed<br />
elettronica degli attuali prodotti.<br />
Le scelte dal punto di vista estetico<br />
possono essere definite altalenanti<br />
nel tempo e hanno riscosso pareri<br />
non unanimi: lo chassis del Premier<br />
DAC III (2009 - provato su<br />
<strong>SUONO</strong> N° 437) era veramente<br />
spartano, di certo non eccessivamente<br />
accattivane alla vista, anche<br />
se le lavorazioni meccaniche delle<br />
lamiere in spesso alluminio erano<br />
molto accurate e di ottimo livello<br />
esecutivo. L’apparecchio aveva<br />
un form factor molto curioso in<br />
quanto l’interno era suddiviso in<br />
due unità rack 1U sovrapposte in<br />
cui erano contenuti distintamente<br />
la sezione di alimentazione in<br />
basso e quella dell’elettronica in<br />
alto, come se il prodotto avesse<br />
una natura modulare da rack tipicamente<br />
caratterizzata dal settore<br />
professionale (non di stampo<br />
audiofilo, più di quello di network<br />
è informatico). La stessa impostazione<br />
si riscontrava nel DAC IV<br />
(2010 - provato su <strong>SUONO</strong> 465)<br />
in quanto i moduli, ora finalmente<br />
separati fra loro, avevano lo stesso<br />
spazio interno a disposizione di<br />
una unità 1U, come se si trattasse<br />
una condizione di appartenenza<br />
a uno standard necessario. Tale<br />
scelta della 1U si è protratta anche<br />
Il primo step per l’alimentazione prevede l’utilizzo di un alimentatore lineare collegato<br />
tramite uno sdoppiatore ai due ingressi distinti sull’apparecchio a fianco delle uscite di<br />
segnale XLR. L’involucro dell’alimentatore utilizza una soluzione molto simile a quella<br />
del DAC, sfruttando un guscio/contenitore in alluminio scavato dal pieno e una piastra<br />
inferiore di sostegno all’elettronica. Il trasformatore toroidale è contenuto in una sede<br />
che applica anche una schermatura. Il guscio esterno dissipa e mantiene la temperatura<br />
di esercizio costante a un livello molto più alto di quello del DAC. Il passo successivo è<br />
quello di utilizzare in parallelo un altro modulo di alimentazione rimuovendo lo sdoppiatore<br />
e collegando la seconda unità direttamente all’ingresso del DAC. È disponibile<br />
anche una Power base dedicata alla serie Premier progettata con le linee differenziate<br />
per il due circuiti.<br />
nei DAC V (2015) e nelle unità di<br />
lettura. La propensione di MSB<br />
verso la modularità e la possibilità<br />
di upgrade il sistema è stata<br />
comunque ben chiara sin dai primi<br />
prodotti che testimoniano una<br />
competenza nella progettazione<br />
e una vision molto rara in senso<br />
generale e soprattutto unica nel<br />
settore Hi-Fi.<br />
Una competenza che ha aiutato<br />
fortemente l’azienda a crescere<br />
e individuare le scelte a maggior<br />
impatto sulle prestazioni rivelando<br />
un know how nelle scelte delle<br />
componenti elettronici che a distanza<br />
di anni potremmo considerare<br />
unico nel suo genere! Va considerato<br />
in tal senso il gran lavoro<br />
sviluppato sulla sezione dedicata<br />
al post processing del segnale che<br />
va di pari passo con lo sviluppo del<br />
DAC ladder proprietario: MSB è<br />
fra i primi ad aver investito sui<br />
procedimenti di upsampling e<br />
sugli algoritmi di trasformazione<br />
tanto<br />
che,<br />
per un certo periodo, forniva aggiornamenti<br />
costanti tramite il<br />
sito relativi ai filtri (gratuiti o a<br />
pagamento se molto sofisticati).<br />
Via via nel tempo la produzione<br />
ha abbracciato totalmente l’approccio<br />
modulare, che avrebbe<br />
dovuto ridurre l’offerta di prodotti<br />
(una “base” comune in cui inserire<br />
moduli aggiuntivi oppure migliorati<br />
o aggiornati); al contrario, ci<br />
troviamo di fronte a una griglia di<br />
prodotti non troppo intercambiabili<br />
che appartengono a fasce economicamente<br />
molto distanti fra<br />
loro. Da un lato è evidente che più<br />
si punta all’eccellenza e più le cose<br />
si complicano ma è anche vero che<br />
quando si punta oltre l’eccellenza<br />
la modularità e il concetto di<br />
upgrading perdono di significato!<br />
Questa corsa verso l’alto culmina<br />
in una gamma di 4 DAC che parte<br />
già da una fascia alta: il sistema<br />
più piccolo, il Discrete DAC, con<br />
prezzo base di circa 13.000 euro,<br />
è una versione molto semplificata<br />
del concetto di modularità e versatilità<br />
e rappresenta il primo<br />
passo verso l’universo MSB.<br />
Analizzando i costi di alcuni<br />
upgrade disponibili notiamo<br />
che il secondo alimentatore<br />
supplementare<br />
costa circa 1.900 euro<br />
e la Premier Powerbase,<br />
disponibile per la serie<br />
superiore, 11.600 euro, che<br />
andrebbero a sovrapporsi al<br />
Premier, il cui prezzo di ingresso<br />
è di 25.000 euro. Nella versione<br />
base il Premier è invece il secondo<br />
modello dal basso, anche se il<br />
gioco degli upgrade lo porta nella<br />
sua massima espansione a superare<br />
sulla carta alcuni dei dati di<br />
targa del successivo Reference<br />
(che a sua volta nella versione<br />
espansa utilizza un clock migliore<br />
di quello base del Select, il top<br />
assoluto, con prezzi a partire da<br />
oltre 80.000 dollari che ne fanno<br />
verosimilmente il più costoso DAC<br />
al mondo...).<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 49
SELECTOR<br />
La struttura superiore in alluminio fresato<br />
dal pieno ha la funzione di coperchio e di<br />
volano termico per il mantenimento della<br />
temperatura costante in tutto l’apparecchio.<br />
Il PCB su cui sono implementati il display<br />
e i comandi è tenuto in posizione da una<br />
serie di bulloni che lo spingono verso<br />
il pannello frontale con una pressione<br />
distribuita su tutta la superficie. La piastra in<br />
basso costituisce il piano di riscontro su cui<br />
scorrono i moduli a slitta che si innestano<br />
sui connettori multipolari presenti sul PCB<br />
principale nel quale sono presenti anche i<br />
moduli di gestione e controllo e il gruppo di<br />
conversione R2R proprietario.<br />
Nel PCB sono presenti un FPGA Actel Pro ASIC<br />
3, un DSP Analog Devices ADSP 21489 e un<br />
Microcontrollore EFM 32 G222F128G Gecko a 32-<br />
bit necessari per la gestione delle varie funzioni<br />
dell’apparecchio e per l’applicazione dei filtri e<br />
degli algoritmi proprietari per l’upsampling e per<br />
l’ottimizzazione del DAC ladder proprietario. Anche<br />
la gestione dei clock e delle tensioni di riferimento<br />
dell’apparecchio sono monitorate e tenute sotto controllo.<br />
Il DAC, di tipo<br />
ladder R2R, utilizza i moduli<br />
realizzati direttamente da MSB<br />
in casa con tecniche costruttive<br />
che utilizzano il laser per la<br />
realizzazione di reti resistive ad<br />
altissima precisione e per ridurre<br />
l’errore di conversione ai bassi<br />
livelli. I moduli utilizzati nella serie<br />
Premier sono la versione Prime,<br />
più semplificata rispetto a quella<br />
utilizzata nella serie Reference e<br />
Select. I moduli sono accoppiati<br />
termicamente al guscio esterno.<br />
La linea Premier si distingue dalle<br />
altre due più in alto nel catalogo<br />
per la scelta di non supportare<br />
l’universo analogico in ingresso e<br />
una semplificazione nel processo<br />
produttivo dei moduli R2R della<br />
sezione di conversione. Una specie<br />
di versione semplifica delle due<br />
corazzate più costose che mantiene<br />
comunque ampia versatilità<br />
nelle scelte dell’equipaggiamento<br />
base e negli eventuali upgrade – il<br />
modello base rappresentato dal<br />
Discrete offre meno opportunità<br />
in fatto di aggiornamento e supporto<br />
ai moduli opzionali e non<br />
consente la sostituzione del clock.<br />
In effetti uno dei cavalli di battaglia<br />
di MSB, oltre alla devozione<br />
all’R2R, è quello del clock, tanto<br />
che fu fra i primi costruttori a fornire<br />
come upgrade un clock con<br />
precisione all’interno del “femto”,<br />
ovvero in un range molto, molto<br />
basso. Una scelta che oltre a suscitare<br />
interesse tende a fornire una<br />
visone più concreta di un componente<br />
che viene in genere sottovalutato<br />
o per lo meno considerato<br />
con minor attenzione. C’è anche<br />
da dire che i fornitori di componenti<br />
dedicati ai clock non sono<br />
tantissimi e, anche in questo, MSB<br />
ha fatto una scelta decisamente<br />
controcorrente tanto da commissionare<br />
soluzioni customizzate<br />
direttamente dal produttore, Bliley<br />
Techonologies Inc., azienda<br />
specializzata nell’ambito della<br />
produzione di oscillatori quarzi e<br />
clock destinati a impieghi critici<br />
come i satelliti ad orbita bassa per<br />
telecomunicazioni, telemetrie e<br />
GPS. Tutti casi in cui stabilità e<br />
precisione non sono assolutamente<br />
messi in discussione. MSB<br />
ha quindi scelto per gli upgrade<br />
di classe “femto” i clock Bliley<br />
50 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019
TEST MSB PREMIER DAC<br />
OCXO adattati per l’utilizzo in<br />
ambito audio tramite circuito di<br />
regolazione della temperatura e<br />
di sistemi di ulteriore isolamento<br />
dai disturbi elettromagnetici. Bliley<br />
fornisce anche altri costruttori<br />
in ambito audio ma, oltre al riserbo<br />
dell’azienda nel non divulgare<br />
informazioni sensibili sui propri<br />
clienti, sono veramente pochi i costruttori<br />
che optano per soluzioni<br />
comunque molto costose in termini<br />
di risorse e di materiali. Non a<br />
caso i moduli di upgrading clock<br />
hanno costi al limite del proibitivo<br />
(l’upgrade femto 93 del Premier<br />
costa 6.450 euro mentre il femto<br />
33 del Reference si piazza a 19.350<br />
euro ma con il ritiro del femto 140<br />
di serie). Una svolta radicale per<br />
MSB che in passato aveva una<br />
distinzione netta fra i vari moduli<br />
R2R in funzione della precisione<br />
di produzione che oggi sembra<br />
esser stata aggirata: non sono più<br />
disponibili, infatti, gli upgrade dei<br />
moduli ladder R2R il cui posto,<br />
però, è stato preso dai clock, che<br />
hanno una escalation ancor più<br />
alta di quella dei ladder Diamond<br />
dei DAC IV e V.<br />
L’impostazione del Premier mostra<br />
un approccio nella ingegnerizzazione<br />
che esalata ancor più<br />
che in passato la modularità e<br />
l’accesso alle sezioni “critiche” del<br />
circuito: il PCB principale ospita a<br />
bordo i moduli R2R della sezione<br />
DAC e la sezione di elaborazione<br />
del segnale, anch’essa soggetta<br />
a upgrade ma prevalentemente<br />
software, mentre tutte le altre sezioni<br />
trovano posto nei moduli a<br />
innesto rapido che si ineriscono<br />
nei connettori a pettine posti al<br />
lato del PCB principale. Tutti i<br />
componenti poggiano sulla base<br />
piana di alluminio e il guscio superiore,<br />
molto spesso ricavato<br />
da un blocco unico in alluminio<br />
scavato con macchine a controllo<br />
numerico in cui sono ricavate le<br />
sedi dei vari componenti, ha la<br />
funzione di coperchio. L’alimentazione<br />
fa il suo ingresso attraverso<br />
il modulo di uscita analogico<br />
nel quale sono presenti due linee<br />
distinte con le filtrature dedicate<br />
per l’alimentazione della sezione<br />
di conversione e quelle di servizio<br />
che vengono poi distribuite sui<br />
connettori a pettine per gli altri<br />
moduli opzionali.<br />
La dotazione degli ingressi e delle<br />
possibilità è veramente ampia ma,<br />
come spesso accade nei casi in cui<br />
si presenta una eccessiva offerta,<br />
alla fine le soluzioni non sono poi<br />
così tante, anche in considerazione<br />
della modalità di utilizzo in cui<br />
si vuole collocare l’apparecchio.<br />
Tralasciando la condizione in cui<br />
si opta per l’abbinamento con la<br />
meccanica MSB, la Reference<br />
Transport, che sposta eccessivamente<br />
in alto il costo totale del<br />
sistema (praticamente<br />
raddoppia), le soluzioni<br />
non sono poi<br />
così tante e devono<br />
in ogni caso tener<br />
conto della sorgente<br />
che si vuole<br />
utilizzare. Sembra<br />
quasi scontato che<br />
per godere dei formati<br />
nativi ad alta risoluzione si<br />
debba per forza usare un computer<br />
(attraverso il collegamento<br />
USB) o la trasmissione tramite la<br />
Il sistema di collegamento ottico<br />
fra il modulo esterno USB Pro ISL<br />
e quello interno I2S Pro utilizza<br />
in trasmissione e ricezione due<br />
transceiver a doppia connessione in<br />
fibra da 1Gbps tipicamente utilizzati<br />
come modulo di trasmssione fra<br />
switch di rete. Il modulo Usb viene<br />
alimentato direttamente dalla<br />
connessione USB e supporta in<br />
ingresso i formati ad alta risoluzione<br />
PCM fino a 768 kHz e DSD 8x. Il<br />
sistema offre un isolamento elettrico<br />
totale fra il DAC e le sorgenti a cui<br />
si collega il Pro, che possono essere<br />
mini computer, server oppure<br />
streaming di rete con connessione<br />
USB.<br />
rete attraverso sistemi più o meno<br />
articolarti per la riproduzione in<br />
streaming. Quindi le soluzioni offerte<br />
oggi da MSB da tre si riducono<br />
a due, nel senso che il modulo<br />
Quad DSD USB MQA, ormai in<br />
pista dal 2016, è stato spazzato<br />
via dall’ultima proposta MSB presentata<br />
in primavera 2019, il Pro<br />
I2S, una unità USB esterna che<br />
si collega tramite il doppio cavo<br />
ottico al ricevitore Pro ISL a bordo<br />
del DAC. Le funzionalità sono<br />
sovrapponibili a quelle del Quad<br />
USB ma si presenta una ulteriore<br />
opportunità di collegamento a un<br />
computer esterno, annullando la<br />
propagazione di disturbi elettrici<br />
in merito al collegamento ottico<br />
fra il ricevitore<br />
USB e il DAC. C’è<br />
inoltre<br />
un’altra opportunità che è conseguenza<br />
della connessione ottica,<br />
ovvero quella di poter estendere<br />
senza limiti la distanza della connessione<br />
ottica senza perdite e<br />
senza disturbi, in sostanza il sogno<br />
di ogni audiofilo: sistemare il<br />
computer o quel che lo sostituisce<br />
lontano dal totem dell’impianto.<br />
Da non sottovalutare poi il fatto<br />
Il modulo clock standard implementa a bordo due linee<br />
dedicate ai formati che sono multipli di Fs a 44.1 kHz<br />
e 48 kHz con oscillatori di precisione TXCO da 24.576<br />
MHz e 22.5792 MHz. Il modulo Femto93, invece, utilizza<br />
due oscillatori OCXO realizzati dalla Bliley su specifiche,<br />
abbinati a una grande massa in alluminio per raggiungere una<br />
temperatura costante e controllata e mantenere le variazione del<br />
clock entro valori molto contenuti. Il modulo ospita a bordo anche il circuito<br />
di alimentazione dedicata e per il controllo del riscaldamento dell’involucro<br />
e il mantenimento della temperatura costante.<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 51
SELECTOR<br />
che un cavo USB per uso audio<br />
può raggiungere costi esorbitanti<br />
e comunque non si può estendere<br />
più di tanto. Di fatto questa soluzione,<br />
seppur più costosa in partenza,<br />
3.200 euro per il pacchetto<br />
Pro USB contro i 2.550 per la<br />
Quad USB, consente di utilizzare<br />
un cavo USB di qualità “standard”<br />
e per giunta corto, il che giova anche<br />
dal punto di vista dell’assorbimento<br />
elettrico visto che dovrà<br />
alimentare la sezione USB, e di<br />
posizionare il DAC lontano: un<br />
plus valor molto superiore alla<br />
differenza di 650 euro delle due<br />
modalità. L’altra opzione è quella<br />
del Renderer, che si rivela un’ottima<br />
alternativa alla connessione<br />
USB: la sensazione che con un<br />
computer o uno streamer di rete<br />
ad hoc collegato in USB al DAC<br />
si abbiano maggiori possibilità<br />
e opportunità si scontra poi con<br />
l’usabilità in quanto c’è comunque<br />
bisogno di tanta manutenzione da<br />
parte dell’utente per mantenere il<br />
sistema aggiornato ed efficiente<br />
in ogni suo componente. Cosa<br />
che invece con il modulo di rete<br />
non è così necessaria, soprattutto<br />
se si usano sistemi per la gestione<br />
dei contenuti come Jriver o Roon,<br />
due fra le piattaforme più avanti<br />
e robuste, supportate in toto dal<br />
modulo di rete MSB. I due oggetti<br />
sono ovviamente installabili<br />
anche insieme all’interno dell’apparecchio<br />
e in momenti diversi,<br />
il che aggiunge una flessibilità di<br />
utilizzo ma anche di valutazione<br />
da parte dell’utente sulla efficacia<br />
delle scelte in funzione dei propri<br />
bisogni: si tratta di una specie di<br />
evoluzione del concetto di tuning<br />
non tanto nei componenti di contorno<br />
ma nelle parti più profonde<br />
del sistema (leggi Clock, streaming<br />
Vs riproduzione locale, alimentazione).<br />
D’altronde anche<br />
il CEO di MSB ha manifestato in<br />
più occasioni alcune perplessità<br />
su certi approcci di tuning tramite<br />
cavi eorpelli, suscitando in noi<br />
la stessa perplessità in quanto<br />
prodotti “costosi” e al limite della<br />
perfezione non dovrebbero “migliorare”<br />
così tanto da step a step!<br />
Ribadiamo comunque anche dopo<br />
questo pensiero che il Premier,<br />
nella configurazione di prova, ha<br />
esibito un suono inatteso e che, in<br />
parte, dice qualcosa di nuovo nel<br />
settore! Per concludere il carosello<br />
delle opportunità, la riproduzione<br />
con il Renderer si è rivelata fra le<br />
più godibili sia dal punto di vista<br />
sonoro che di fruibilità, soprattutto<br />
in abbinamento a Roon con file<br />
ad alta risoluzione eDSD.<br />
L’accensione dell’apparecchio<br />
impiega un tempo non eccessivamente<br />
lungo per lo start-up e<br />
un tempo leggermente superiore<br />
Sul PCB di base sono implementati le alimentazioni, i filtri e i disacoppiatori,<br />
mentre nel modulo inserito su due connettori a pettine è realizzato il cuore<br />
del sistema di comunicazione che utilizza un processore Atmel con un core<br />
Cortex A5, una RAM e un lettore di schede micro SD per il sistema operativo<br />
basato su una distribuzione Linux ottimizzata da MSB che supporta Roon<br />
e la riproduzione gapless anche su DLNA.<br />
A fianco dello stadio di uscita bilanciato, inglobato in un involucro di resina,<br />
è presente la doppia linea di alimentazione che, prima di essere inoltrata<br />
all’interno del circuito di distribuzione dei connettori a pettine e nel PCB<br />
principale, viene ulteriormente filtrata e trattata con filtri e forodisaccoppiatori<br />
per ridurre l’immissione di disturbi all’interno del DAC.<br />
per la stabilità termica dell’apparecchio<br />
e, soprattutto, per quella<br />
degli alimentatori, raggiungendo<br />
temperature decisamente alte e<br />
ben distribuite sul guscio esterno,<br />
anch’esso ricavato dal pieno. L’utilizzo<br />
di un sarcofago di alluminio<br />
oltre a fornire un isolamento rivela<br />
un ottimo volano termico che<br />
mantiene la temperatura stabile<br />
e costante su tutto l’apparecchio.<br />
Rispetto alle precedenti versioni<br />
il display è finalmente godibile e<br />
visibile da molto lontano anche<br />
se, con la trasformazione che<br />
sta avvenendo nel settore della<br />
fruizione della musica digitale, è<br />
sempre meno necessario avere<br />
informazioni dall’apparecchio in<br />
riproduzione: oggi, infatti, non si<br />
possono scegliere i filtri in uscita<br />
e se si usa il modulo di rete le<br />
informazioni transitano direttamente<br />
sull’interfaccia di controllo<br />
o addirittura sull’applicazione di<br />
Roon se si usa Roon. Certamente<br />
è utile e godibile anche perché è<br />
possibile visualizzare immediatamente<br />
lo stato in funzione, ad<br />
esempio dell’inversione di fase o<br />
della modalità video, due scelte<br />
di cui è utile conoscere lo stato.<br />
È possibile anche scegliere di abilitare<br />
o disabilitare la regolazione<br />
del volume, altra funzione che<br />
beneficia in particolar modo di<br />
un display visibile soprattutto da<br />
molto lontano.<br />
A differenza di quanto veniva<br />
proposto in passato ora non è più<br />
possibile scegliere il tipo di filtro di<br />
upsampling o altre cose inerenti la<br />
trasformazione del segnale ingresso;<br />
l’esperienza d’uso del prodotto,<br />
quindi, da un certo punto di vista<br />
percorre una strada molto semplice<br />
e per giunta veramente godibile<br />
in quanto il carosello della<br />
scelta dei filtri non è sempre così<br />
soddisfacente, soprattutto quando<br />
si raggiunge un livello in cui<br />
si preferiscono alcuni settaggi in<br />
funzioni del tipo di musica ascoltato:<br />
il Giano bifronte del fine tuning<br />
o della perenne ricerca di una<br />
“pezza” a un sistema squilibrato!<br />
Ebbene ora MSB ci ha stupito in<br />
quanto, a prescindere da quanto<br />
propugnato dai progettisti, la<br />
scelta “unica” ha il suo perché e<br />
lascia probabilmente più spazio<br />
alla godibilità della musica.<br />
L’apparecchio supporta anche il<br />
formato DSD nativo con risultati<br />
non del tutto scontati in quanto<br />
spesso gli apparecchi molto spinti<br />
per quel che riguarda il post processing<br />
del segnale o un modello<br />
di conversione prioritario non<br />
esibiscono risultati altrettanto<br />
validi sia nell’ambito PCM che in<br />
quello DSD. In questo caso, invece,<br />
riscontriamo una prestazione<br />
con lo stesso imprinting (ma con<br />
le differenti caratteristiche dei<br />
due formati che in origine hanno<br />
comunque comportamenti sonori<br />
abbastanza differenti fra loro).<br />
52
TEST MSB PREMIER DAC<br />
al banco di misura<br />
PRO & CONTRO<br />
La realizzazione è di altissimo livello caratterizzata<br />
da scelte a volte contraddittorie su<br />
strategie e proposte ma che non mettono in<br />
discussione la “propensione” verso la classe<br />
elevatissima di prezzo. Molti aspetti autarchici<br />
riguardo alla produzione in casa rafforzano la<br />
tesi che colloca il prodotto in un segmento unico<br />
nel suo genere. I vari team di sviluppo (software,<br />
hardware e di implementazione) hanno<br />
dimostrato di aver ben chiari gli obiettivi da raggiungere<br />
da un punto di vista tecnologico e di<br />
produzione, tanto che le connessioni USB hanno<br />
da subito funzionato con il massimo supporto a<br />
differenza dei competitor, e la stessa cosa si può<br />
affermare oggi per il renderer che supporta tutto,<br />
risponde molto bene alle richieste e sollecitazioni,<br />
non si incastra, è gapless e rappresenta<br />
quel che dovrebbe essere lo standard comune,<br />
mentre invece gli altri sono ancora ben lungi<br />
dall’esserlo. L’unica pecca in passato era quella<br />
relativa all’estetica e alla realizzazione della<br />
carpenteria, argomento che ora sembra essere<br />
stato egregiamente risolto.<br />
MSB ha tenuto da sempre lo stretto riserbo sulle modalità di<br />
upsampling e i filtri utilizzati e già in passato avevamo avuto<br />
modo di incontrare un fatto abbastanza curioso: l’upsampling<br />
massimo disponibile riduceva sensibilmente la banda passante<br />
complessiva. Oggi, invece, è disponibile un solo tipo<br />
di filtro e upsampling che si comporta nelle stesso modo<br />
dei precedenti, con una banda passante compresa fra i 20<br />
kHz e i 30kHz a seconda del formato in ingresso. La risposta<br />
arriva senza alcuna attenuazione fino al punto limite fissato,<br />
Colpisce anche un DNA di base<br />
molto marcato perfettamente<br />
identificabile nel nostro DAC<br />
IV di riferimento ma (e questa<br />
affermazione non avremmo mai<br />
pensato di poterla nemmeno formulare!)<br />
il Premier esalta tutti gli<br />
aspetti che hanno sempre distino<br />
le performance del DAC IV e<br />
aggiunge, con garbo, un bouquet<br />
di sensazioni “nuove” che, peraltro,<br />
non sono nemmeno così<br />
prorompenti in prima analisi.<br />
Una prestazione clamorosamente<br />
migliore che in realtà non solleva<br />
clamore ma pian piano si fa strada,<br />
modellando un nuovo livello<br />
di valutazione che invece si palesa<br />
drammaticamente al momento di<br />
tornare indietro al glorioso DAC<br />
IV: nonostante rimangano da<br />
primato alcune caratteristiche<br />
tipo PrAT e ricchezza armonica,<br />
ci troviamo di fronte a un suono<br />
più confuso, meno a fuoco e soprattutto<br />
meno coinvolgente! Se<br />
da un punto di vista il suono del<br />
DAC IV è ancora molto attuale<br />
nonostante gli anni sulle spalle<br />
(che aumentano in modo esponenziale<br />
nel caso di un DAC),<br />
quello del Premier è un balzo in<br />
avanti che non si sarebbe potuto<br />
ipotizzare se non sul campo.<br />
L’apparecchio, in linea anche con<br />
quanto dichiarato dall’azienda,<br />
offre i migliori risultati dandogli<br />
in pasto i file in formato nativo<br />
oltre il quale il segnale crolla con un andamento a gradino.<br />
Non sono presenti alias fuori banda e il tappeto di rumore<br />
è estremamente basso, a riprova di un ottimo impianto di<br />
filtraggio e alimentazione. Sono visibili molte spurie anche<br />
se di bassa entità che, considerato il sistema adottato di<br />
conversione, rappresentano un eccellente risultato. I segnali<br />
DSD sono trattati in modo nativo anche se con una marcata<br />
attenuazione in uscita rispetto al formato PCM che a parità<br />
di condizioni esce con livello maggiore.<br />
e lasciando fare all’upsampling<br />
interno. Ed è anche per questo<br />
motivo che, mettendo nelle stesse<br />
condizioni operative un render o<br />
un computer in modalità player<br />
semplice, il risultato più apprezzabile<br />
è stato riscontrato con<br />
la riproduzione dallo streamer<br />
interno e con Roon, trattando<br />
tutti i formati ad alta risoluzione<br />
e con una fruibilità veramente<br />
invidiabile.<br />
Nel complesso appare evidente<br />
la competenza di MSB nel padroneggiare<br />
i processi produttivi, gli<br />
obiettivi e anche una certa ripartizione<br />
delle scelte cruciali e di effetto<br />
nel risultato finale per quello<br />
che riguarda le prestazioni, tant’è<br />
che comunque uno dei nostri sistemi<br />
di riferimento rimane proprio<br />
il DAC IV con Powerbase !<br />
Qualche perplessità, più per dovere<br />
di cronaca che per altro, la<br />
solleva il concetto di modularità<br />
inteso nella sua accezione più ampia,<br />
visto che alla fine c’è sempre<br />
una soluzione che prevale su tutte<br />
le altre e che l’eccessiva offerta<br />
potrebbe tendere a disorientare<br />
l’utente Hi-Fi tradizionalmente<br />
affetto da insicurezza patologica.<br />
Per contro il grade gioco costituito<br />
dall’assemblare il proprio<br />
sistema Hi-Fi trova qui la sua<br />
massima (e persino ridondante)<br />
espressione. A mettere infine tutti<br />
d’accordo sono le prestazioni sonore,<br />
che non nascono da un’intuizione<br />
o da un caso fortuito di<br />
abbinamento ma da un obiettivo<br />
molto ben definito in azienda,<br />
strenuamente sostenuto fin dagli<br />
inizi e che continua imperterrito<br />
a essere perseguito lungo il cammino.<br />
Detta così sembra il solito<br />
strillo promozionale presente in<br />
ogni brochure che si rispetti ma<br />
nella realtà e soprattutto nell’esperienza<br />
di chi maneggia certi<br />
apparecchi è evidente la consapevolezza<br />
di aver toccato con mano<br />
qualità assolute.<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 53
SELECTOR<br />
di Nicola Candelli<br />
Lo scorso novembre ho avuto tra le mani l’ultimo apparecchio costruito dalla Synthesis, il Soprano,<br />
recensito in maniera molto positiva da <strong>SUONO</strong>, un delizioso apparecchio da 12 watt in classe A dal<br />
costo leggermente superiore ai mille euro. Poiché in Hi-Fi come per le ciliege l’appetito vien mangiando,<br />
non ho resistito a trovare una risposta alla domanda su come (e se) l’azienda sapesse declinare anche<br />
in una fascia superiore il suo “equilibrio aurico”…<br />
Confrontato a varie riprese<br />
con apparecchi<br />
più importanti il Soprano<br />
fece capire a me e ai<br />
vari ascoltatori alternati nelle<br />
varie sessioni di ascolto che per<br />
avere non molto in più bisogna<br />
sborsare tanto ma tanto di più.<br />
Nel confronto con queste grosse<br />
macchine l’apparecchio si<br />
difese alla grande sfoderando<br />
un suono di grande piacevolezza<br />
che perdeva rispetto ai concorrenti<br />
solo in qualche piccolo<br />
dettaglio, soprattutto in relazione<br />
a una modesta potenza<br />
che in ogni caso è risultata<br />
essere più che sufficiente con<br />
diffusori di medio-alto livello<br />
di efficienza. La curiosità mi ha<br />
portato inevitabilmente a interrogarmi<br />
se e come l’azienda<br />
sapesse declinare le sue buone<br />
intenzioni anche in una fascia<br />
di mercato superiore (e quale<br />
fascia potesse essere quella che<br />
avrebbe offerto quel “qualcosa<br />
di più” significativo) ed ecco<br />
AMPLIFICATORE INTEGRATO<br />
Synthesis Roma 510 AC<br />
SUL CAMPO<br />
Prezzo: € 3.450,00<br />
Dimensioni: 41 x 26 x 33 cm (lxaxp)<br />
Peso: 20 Kg<br />
Distributore: MPI ELECTRONIC<br />
www.mpielectronic.com<br />
Tipo: stereo Tecnologia: a valvole Potenza: 2 x 80 W su 6 Ohm in classe<br />
AB push pull Accessori e funzionalità aggiuntive: Telecomando<br />
Risp. in freq. (Hz): 20 - 20.000 +/- 0,5 db THD (%): 1 Max pow S/N<br />
(dB): >90 Ingressi analogici: 5 RCA Uscite analogiche: 1 RCA Note:<br />
Amplificatore integrato a valvole, stadio finale valvole 2xKT88 Push-<br />
Pull. ECC83 input e 12BH7 phase splitter. Finitura wood, black white.<br />
54 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019
TEST<br />
Cinque gli ingressi linea ed è presente anche un Line Out. I connettori collegati all’uscita sono dorati e “escono a 6 ohm mentre<br />
le connessioni di potenza accettano bannane, forcelle e filo spellato da 4 mm.<br />
che al momento mi ritrovo invece<br />
ad ascoltare il Roma 510<br />
AC, apparecchio da diverso<br />
tempo sul mercato, dalla potenza<br />
di ben 80 watt per canale<br />
e dal prezzo che supera i tremila<br />
euro. Di più certamente ma<br />
anche troppo? Assolutamente<br />
no, a cominciare dal fatto che<br />
se cerchiamo nel panorama<br />
audio un buon integrato da 80<br />
watt a valvole, con costruzione<br />
di ottimo livello e ben suonante,<br />
ci accorgeremo che il prezzo<br />
di questo Synthesis, se l’apparecchio<br />
ottempera le richieste<br />
elencate, è decisamente più<br />
basso di quello che si crede.<br />
Il vanto del costruttore è la<br />
qualità dei trasformatori di<br />
alimentazione e di uscita che<br />
sono gli elementi chiave per<br />
un sistema a valvole; li costruisce<br />
lui stesso semplicemente<br />
perché questa azienda in precedenza<br />
era gestita dal padre<br />
con il nome di Fasel sin dagli<br />
anni ’60, un punto di riferimento<br />
per la costruzione e la<br />
vendita di ottimi trasformatori<br />
e induttanze per amplificatori<br />
a valvole.<br />
Oltre la costante tecnica va<br />
segnalata quella estetica: l’apparecchio<br />
si presenta in una<br />
veste davvero raffinata, italianissimo<br />
di gusto (il frontalino<br />
di quello in mio possesso è di<br />
un bel rosso) e con una grande<br />
qualità sia della struttura<br />
meccanica che dei componenti<br />
esterni e interni. Quattro KT<br />
88 come finali, cinque ingressi<br />
solo linea, una uscita pre-out<br />
e tante altre buone caratteristiche<br />
lo caratterizzano. Molto<br />
bello e massiccio il nuovo telecomando<br />
in alluminio che ho<br />
trovato nella confezione: non<br />
è quello in dotazione ma un<br />
extra anche se, in ogni caso,<br />
va altrettanto bene quello di<br />
plastica in dotazione standard.<br />
Peccato invece per l’assenza di<br />
un ingresso cuffia, sempre utile<br />
e certamente gradito.<br />
Fina dalle prime impressioni il<br />
suono risulta ottimo, pieno e<br />
soprattutto ben equilibrato.<br />
Molto bene il basso, veloce<br />
e netto come un transistor<br />
ma bello rotondo e corposo<br />
come i valvolari sanno fare,<br />
senza essere gonfio o peggio<br />
allungato. La porzione delle<br />
medie rappresenta il pezzo<br />
forte dell’apparecchio, materico,<br />
presente e accattivante e<br />
le note positive si “estendono”<br />
anche alla porzione degli acuti,<br />
ben definiti con vocazione<br />
alla naturale dolcezza dei valvolari.<br />
Con la superba registrazione<br />
audiophile Temptation<br />
di Holly Cole, nel brano<br />
Tango Til They’re Sore la<br />
grande presenza e profondità<br />
del basso, le percussioni, la<br />
voce sensuale, prima piena e<br />
a seguire appena sussurrata,<br />
la grandezza e la nitidezza del<br />
pianoforte mettono alla prova<br />
le capacità di interpretazione<br />
dell’amplificatore. E il Roma<br />
510 AC si destreggia in maniera<br />
egregia. Basso potente<br />
di giusta intensità e perfettamente<br />
frenato; chi conosce<br />
questo disco sa della presenza<br />
pressante e voluminosa della<br />
sezione bassa che a volte può<br />
risultare invece ridondante.<br />
Bellissime, poi, le variazioni<br />
della incredibile voce, trasmesse<br />
ai diffusori con una<br />
straordinaria naturalezza<br />
facendoci gustare al meglio<br />
questo brano che la Cole interpreta<br />
in maniera straordinaria.<br />
In un altro brano (Jersey<br />
Girl) la presenza di un piccolo<br />
coro collocato lateralmente ma<br />
leggermente arretrato mette<br />
in evidenza le buone capacità<br />
di ricostruzione di un palcoscenico<br />
abbastanza ampio e<br />
profondo. È la volta di Don’t<br />
Explain con Caroline Hander-<br />
La versione Deluxe del telecomando è un extra. Il modello standard svolge comunque egregiamente il suo compito.<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 55
SELECTOR<br />
son che con la sua voce particolare<br />
un po’ roca restituisce<br />
una bella interpretazione proprio<br />
al brano che dà il titolo<br />
all’album. Di pari passo l’amplificatore<br />
riesce a restituire il<br />
giusto spessore alla musica e<br />
la sua capacità di essere molto<br />
silenzioso, pur essendo un<br />
La bobinatrice degli anni ‘60, eredità della Fasel.<br />
CHI È SYNTHESIS ART OF MUSIC<br />
L’azienda è stata fondata nel 1992 da Luigi Lorenzon, un ottimo conoscitore<br />
del mondo delle valvole, grande appassionato di design e musica; il marchio si<br />
è da subito guadagnato un’ottima reputazione sia per la qualità che per il<br />
design molto personale, riconoscibile dall’utilizzo di frontali in legno laccato<br />
disponibile in diverse colorazioni. Sempre attento alla costante ricerca tecnologica<br />
è riuscito nel tempo a farsi apprezzare in tutto il mondo dove esporta<br />
buona parte dei suoi prodotti.<br />
valvolare, sottolinea al meglio<br />
anche le più piccole sfumature<br />
che accompagnano questo<br />
brano. Cambiamo genere per<br />
testare le capacità dinamiche<br />
del nostro apparecchio (Empire<br />
Brass Quintet – Passage 138<br />
B.C. - A.D. 1611): si tratta di un<br />
disco della Telarc dove, soprattutto<br />
nel brano Opper Dance,<br />
il quintetto di ottoni, le percussioni<br />
e la presenza massiccia<br />
del tamburo mettono a dura<br />
prova le capacità del sistema.<br />
Questo è un disco che uso di<br />
rado ma quando lo inserisco<br />
nel lettore fatalmente spingo<br />
il volume a livelli elevati, cosa<br />
che altrimenti mi capita raramente.<br />
In ogni caso l’apparecchio<br />
si comporta in un modo<br />
egregio consegnando tutta l’energia<br />
che questo brano necessita:<br />
quando gli viene richiesta<br />
potenza la rilascia senza sforzo,<br />
dimostrando di averne a<br />
disposizione. Non noto alcun<br />
accenno a compressione e il<br />
suono intenso e maestoso che<br />
accompagna tutto il brano lascia<br />
una sensazione di grande<br />
compiacimento che appaga a<br />
pieno l’ascoltatore.<br />
In sintesi il Roma 510 AC è un<br />
valvolare di una potenza elevata,<br />
abbinabile alla maggior parte<br />
dei diffusori in commercio<br />
con una ottima resa in grado di<br />
restituire grandi soddisfazioni<br />
per le sue capacità di estrarre<br />
al meglio il messaggio musicale<br />
che gli viene inviato. Lo si<br />
acquista a poco più di tremila<br />
euro ed è consigliato ai veri appassionati<br />
di musica che esigono<br />
il massimo delle prestazioni<br />
senza badare a fronzoli.<br />
56 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019
SELECTOR<br />
a cura della redazione<br />
PREAMPLIFICATORE E AMPLIFICATORE FINALE<br />
Yamaha C-5000 & M-5000<br />
5000 o dell’eccellenza,<br />
secondo il codice utilizzato<br />
per le sigle degli apparecchi<br />
dalla casa giapponese.<br />
E nel caso della attuale<br />
serie 5000 di Yamaha la<br />
tendenza e le scelte sono<br />
chiare, soprattutto se se ne<br />
legge l’evoluzione nel tempo.<br />
Giradischi, pre e finale<br />
stereo, diffusori: la catena<br />
audio si realizza così!<br />
Si è composta nel tempo<br />
la linea di eccellenza<br />
della casa giapponese<br />
ma nel tempo il focus è anche<br />
cambiato se si considera che il<br />
primo passo di questo percorso,<br />
in occasione del 125mo anniversario<br />
della nascita (2013)<br />
che si tenne ad Amburgo nel<br />
maggio di quell’anno, vedeva<br />
l’esordio della linea costituita<br />
da un pre (CXA 5000) e un<br />
finale (MXA 5000) dedicati<br />
all’home theater. “Declassato”<br />
nella sigla a un livello inferiore<br />
era l’A-S3000 (provato<br />
DISTRIBUTORE: Yamaha Music Europe GmbH - Branch Italy<br />
Via Tinelli, 67/69 - 20855 Gerno di Lesmo (MB)<br />
Tel.02.935771 - Fax 02.9370956<br />
www.yamaha.it<br />
su <strong>SUONO</strong> 480 - ottobre<br />
2013) un integrato che<br />
in coppia con il lettore<br />
CD-S3000<br />
costituiva<br />
comunque<br />
un<br />
ritorno<br />
del marchio<br />
del diapason<br />
all’Hi-Fi di livello, dopo<br />
che per molti anni aveva primeggiato<br />
l’attenzione all’HT.<br />
L’A-S300, peraltro, ereditava<br />
in gran parte la sezione di potenza<br />
dal finale multicanale<br />
MXA 5000; elemento<br />
curioso (segno<br />
di una inquietudine progettuale)<br />
era il fatto che paradossalmente<br />
alcuni aspetti di questo<br />
apparecchio (il fatto che<br />
accettasse connessioni bilanciate,<br />
la predisposizione per<br />
la biamplificazione passiva)<br />
apparissero<br />
più<br />
audiophile che<br />
dedicate all’HT,<br />
tanto che <strong>SUONO</strong> effettuò<br />
la prova dell’apparecchio<br />
esaminandolo<br />
in questa luce. Insomma: una<br />
tentazione al ritorno al due canali<br />
puro che poi si è concretizzata<br />
negli anni a venire se oggi<br />
la linea 5000 si rivela assolutamente<br />
tagliata sulle esigenze<br />
dell’appassionato di Hi-Fi: un<br />
giradischi (GT-5000) come<br />
unica fonte, un pre e finale a<br />
due canali (quelli oggetto della<br />
nostra prova) e una coppia<br />
di diffusori, i NS-5000,<br />
che sempre su <strong>SUONO</strong><br />
hanno ottenuto al tempo<br />
ottimi responsi! L’intera<br />
catena è stata svelata per<br />
la prima volta al Munich<br />
Hi-End 2019...<br />
Appurato che il campione<br />
dell’home theater propone<br />
ora come massima rappresentanza<br />
della sua eccellenza<br />
un sistema a due<br />
canali - cosa che colpisce<br />
in termini storici ma che<br />
deve tener conto del fatto<br />
che le linee audiophile<br />
i giapponesi le hanno<br />
sempre continuate a fare,<br />
magari relegandole solo al<br />
mercato orientale - il lettore<br />
potrà trarre ulteriore<br />
giovamento alla luce di alcuni<br />
dei pochi postulati di cui, graniticamente,<br />
siamo convinti e<br />
che qui lasciamo riaffiorare:<br />
1) solo le grandi aziende possono<br />
costruire prodotti Hiend,<br />
intendendo per Hi-end<br />
un dispiego di mezzi, ricerca,<br />
soluzioni ed economie di<br />
58 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019
TEST<br />
scala (fatte anche di ricaduta<br />
tecnologica) necessari alla realizzazione<br />
di prodotti di qualità<br />
superiore alla media 2) In<br />
Hi-Fi il prezzo di un prodotto,<br />
in special modo nel segmento<br />
di mercato definito “dell’eccellenza”,<br />
è un’astrazione, nel<br />
senso che non è direttamente<br />
o costantemente collegato alla<br />
qualità e alla quantità del contenuto<br />
offerto.<br />
Da entrambi i punti di vista<br />
va immediatamente segnalato<br />
che la coppia C-5000 e<br />
M-5000 è uno spettacolo pirotecnico<br />
dove i fuochi di artificio<br />
sono<br />
un<br />
dispendio di mezzi, energie e<br />
sostanza che esondano in senso<br />
positivo il punto 2, ovviamente<br />
in relazione a quello che<br />
in alternativa offre il mercato.<br />
A questo va aggiunta, ma non<br />
da oggi, la scelta indovinata<br />
del design che unisce aspetti<br />
retrò e di permanente modernità,<br />
scelta indovinata già<br />
al tempo dei padri fondatori<br />
del settore dalla quale non ci<br />
si distacca! Semmai colpisce il<br />
posizionamento di mercato in<br />
un’area di prezzo precedentemente<br />
mai presidiata se non<br />
per un’unica eccezione (DSP-<br />
Z11 – 6.500 euro oltre 10 anni<br />
fa)... Può sembrare una questione<br />
di lana caprina ma è ben<br />
più fondante perché delle due<br />
l’una: o Yamaha è convinta<br />
che il suo pubblico d’élite<br />
ha cambiato interessi spostandosi<br />
dall’HT all’Hi-Fi<br />
o il marchio giapponese<br />
troverà qualche difficoltà,<br />
principalmente derivante<br />
dai profondi preconcetti<br />
che animano un segmento<br />
di mercato legato a specifici<br />
stilemi.<br />
Al netto di tutto, come detto la<br />
coppa pre e finale in questione<br />
è uno spettacolo da vedere (su<br />
tutto i tasti a sviluppo rettangolare<br />
del pre e i VU-meter ad<br />
ago su fondo retroilluminato<br />
per il finale) e per funzioni<br />
offerte dove, non stupirà per<br />
quanto detto, prevale su tutto<br />
l’attenzione dedicata all’analogico<br />
(anche perché non vi<br />
è traccia di facilitazioni per i<br />
sistemi digitali): dato che sia<br />
il pre che il finale hanno la<br />
struttura completamente in bilanciato,<br />
per il fono MM e MC<br />
è previsto un doppio ingresso<br />
RCA e XLR visto che anche il<br />
giradischi GT-5000 ha le uscite<br />
in bilanciato. La sezione<br />
fono consente la regolazione<br />
del carico, doppio circuito separato<br />
e distinto per i due canali,<br />
mentre è doppio anche il<br />
trasformatore di alimentazione,<br />
ognuno dedicato a un canale<br />
specifico. Sia i trasformatori<br />
che altre sezioni del C-5000<br />
hanno la schermatura in rame,<br />
con l’obiettivo di ridurre gli<br />
effetti negativi dei flussi magnetici.<br />
La stessa cosa, con i<br />
canali completamente separati<br />
e distinti, per percorso di<br />
segnale e alimentazione, avviene<br />
anche per il finale M-5000.<br />
L’alimentazione è connessa<br />
direttamente a ogni lato positivo<br />
e negativo dello stadio di<br />
uscita. Anche nel finale alcuni<br />
elementi sono protetti con uno<br />
schermo in lamiera ramata; la<br />
struttura, inoltre, è stata progettata<br />
con particolare attenzione<br />
alle forze meccaniche per<br />
cui il trasformatore, il blocco<br />
dei condensatori e i dissipatori<br />
sono imbullonati direttamente<br />
al telaio principale. Anche i<br />
cavi dell’alimentazione hanno<br />
subìto un processo di sovradimensionamento<br />
e di rinforzo<br />
nella loro struttura: vengono<br />
bloccati con viti e connettori<br />
in ottone invece che con le più<br />
tradizionali saldature. Insomma,<br />
un dispiegamento di forze<br />
che stabilisce, di nuovo, che<br />
la genesi del mercato Hi-end<br />
(ovvero di quello no compromise)<br />
sui processi produttivi<br />
e sulle risorse dedicate all’Hi-<br />
Fi è appannaggio di ben pochi<br />
costruttori! Un Hi-end però<br />
La dotazione degli ingressi è molto<br />
ampia, forse molto di più del numero<br />
di sorgenti con uscita analogica oggi<br />
disponibili! Tuttavia è molto utile la<br />
presenza di due ingressi e sue uscite in<br />
modalità bilanciata e quattro ingressi<br />
linea e due uscite pre in single ended,<br />
oltre a una uscita fissa utile in passato<br />
per il collegamento di un registratore<br />
esterno. È presente, inoltre, un ingresso<br />
fono con due modalità, single ended<br />
prevalentemente per testine MM e<br />
anche in bilanciato per i fonorilevatori<br />
MC. Una opzione molto comoda per<br />
gli ingressi XLR è la possibilità di<br />
selezionare per ogni ingresso la fase<br />
in modo da ottimizzare gli ingressi in<br />
funzione delle caratteristiche delle<br />
sorgenti collegate. Il finale dispone<br />
di due coppie di morsetti molto<br />
grandi che consentono il serraggio di<br />
cavi anche di grandi dimensioni e in<br />
modalità bi-wiring.<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 59
SELECTOR<br />
L’apparecchio ha una impostazione<br />
completamente dual mono con ogni sezione<br />
duplicata e isolata dall’altra sia fisicamente<br />
che elettricamente. È comune il circuito di<br />
alimentazione di stand by e di servizio.<br />
La regolazione del livello è<br />
affidata a tre chip JRC<br />
NJU2321 gestiti da<br />
un meccanismi di<br />
servocontrollo<br />
azionato sia in<br />
modo meccanico<br />
che manuale. La<br />
commutazione<br />
degli ingressi<br />
avviene tramite<br />
l’attivazione dei relè<br />
azionati e gestiti da<br />
microcontrollore.<br />
Gli stadi di premplificazione e di commutazione del<br />
segnale sono sviluppati su due grandi PCB simmetrici e<br />
indipendenti posti uno su l’altro. Anche il posizionamento<br />
dei connettori adotta una simmetria che favorisce il<br />
collegamento delle sorgenti e delle amplificazioni.<br />
Prezzo: € 6.999,00<br />
Dimensioni: 43,5 x 14,2 x 45,1 cm (lxaxp)<br />
Peso: 19,1 Kg<br />
PREAMPLIFICATORE YAMAHA C-5000<br />
Tecnologia: a stato solido Ingressi: Phono MM/MC, 5x linea, trigger, remote<br />
Uscite: 3x RCA, XLR, trigger, remote Risp. in freq. (Hz): 10 - 100.000 THD (%): 0,01<br />
S/N (dB): 110 Controlli: Bass, Treble, Guadagno, Phono; Subsonic, Mute Livello<br />
uscita max (V): 6 Bal. - 3 V Sbil. Note: Completamente bilanciato. Controlli toni:<br />
bass 350 Hz +/- 9 dB; treble 3500 Hz +/- 9 dB. Filtro subsonico: 15 Hz - 3 dB.<br />
60 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019
al banco di misura<br />
PER<br />
TUTTI<br />
I GUSTI<br />
VELOCE COME UN<br />
CLICK, PIACEVOLE<br />
COME IL FRUSCIO<br />
DELLA CARTA<br />
La risposta in frequenza è molto ampia, lineare e non affetta<br />
da variazioni dovute al livello di regolazione del livello in<br />
uscita. Il rumore di fondo è estremamente basso e non<br />
affetto da disturbi o alterazioni in banda e fuori banda, a<br />
riprova di un eccellente stadio di alimentazione. La distorsione<br />
armonica è estremamente contenuta anche se sono<br />
visibili alcune componenti in seguito alle scelte dello schema<br />
dello stadio di amplificazione. L’accettazione in ingresso<br />
è inferiore a 3Vrms ma le prime componenti armoniche<br />
iniziano a sollevarsi dal fondo già poco oltre 1 V di ingresso<br />
per raggiungere la saturazione intorno ai 2.8 Vrms.<br />
di fascia consumer, abbordabile<br />
e comunque che fa i conti<br />
con la necessità di orientarsi<br />
a un pubblico non di iniziati<br />
ma di appassionati con elevate<br />
aspettative. Una sorta di altra<br />
faccia della medaglia rispetto<br />
al modo in cui il concetto viene<br />
declinato in questo stesso<br />
numero dal costruttore californiano<br />
MSB...<br />
Quando si passa all’utilizzo,<br />
ancor di più all’apertura<br />
degli imballi, si “esordisce”<br />
con quella sensazione, quel<br />
profumo di Hi-Fi di una volta<br />
che per gli appassionati di<br />
vecchia data è stampato nel<br />
DNA ed evoca una lunga serie<br />
di sensazioni, sopite ma ancor<br />
vive. Sensazioni che, oltre al tipico<br />
odore, riportano alla memoria<br />
la tattilità e le reazioni<br />
degli apparecchi dell’epoca.<br />
Sembra quasi una oscenità<br />
ma la rotazione della manopola<br />
del volume e l’azionamento<br />
delle levette di commutazione<br />
è cosa di altri tempi anche se<br />
oggi, in ogni caso, l’azionamento<br />
meccanico non agisce<br />
più su un selettore anch’esso<br />
meccanico ma su un sistema<br />
servo assistito. In questo ambito<br />
la regolazione del volume<br />
ma ancor di più l’attivazione<br />
del mute è il simbolo di tale<br />
approccio: agendo sulla levetta<br />
del mute si attiva un circuito di<br />
12 MESI<br />
€ 60,00<br />
6 MESI<br />
€ 30,00<br />
Il potenziometro motorizzato per<br />
il controllo del volume è installato<br />
su un castello di sostegno molto<br />
robusto in grado di sostenere la<br />
massiccia manopola esterna di<br />
azionamento e tutto il sistema<br />
di trascinamento. Il movimento<br />
è moto fluido e frizionato e la<br />
regolazione invia un segnale di<br />
riferimento al chip del volume che<br />
attua l’attenuazione selezionata.<br />
3 MESI<br />
€ 20,00<br />
Formule e offerte su:<br />
http://www.suono.it/E-Shop/<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre ALL-YOU-CAN-EAT-COME-<br />
- novembre 2019 61<br />
ABBONARSI
SELECTOR<br />
La struttura è a telaio portante su cui sono installati i vari componenti e<br />
che, inoltre, entrano a far parte della struttura. Nonostante la struttura<br />
sia realizzata con pannelli in lamiera ferrosa ramata e ripiegata, fissati<br />
fra loro con viti autefiletanti, l’ingegnierizzazione è molto ordinata e<br />
con cablatura aerea ridotta.<br />
Nella parte inferiore è presente la complessa distribuzione dei quattro<br />
alimentatori ad alta corrente specifici per lo schema di funzionamento<br />
Circlotron dello stadio finale. Ognuno dei quattro condensatori<br />
da 33.000uF da 63V è connesso a un ponte a diodi e fa parte di un<br />
alimentatore di potenza flottante. È presente anche un doppio circuito<br />
indipendente per i due canali dello stadio pilota.<br />
Il circuito di amplificazione è realmente simmetrico e l’ingresso elettivo<br />
è quello di tipo XLR oppure quello single ended che attraversa uno<br />
stadio che lo converte in simmetrico. Anche lo stadio di potenza utilizza<br />
Mosfet uguali fra loro e non di tipo complementare grazie allo schema<br />
di ingresso e di potenza.<br />
Prezzo: € 6.999,00<br />
Dimensioni: 43,5 x 18 x 46,4 cm (lxaxp)<br />
Peso: 26,9 Kg<br />
AMPLIFICATORE FINALE YAMAHA M-5000<br />
Tipo: stereo Tecnologia: stato solido bilanciato Potenza (W): 2x 100/200 @ 8/4<br />
Risp. in freq. (Hz): 5-100.000 Sens./imp. (V/kOhm): 2/47 Bilanciato - 1/47 Sbilanciato<br />
S/N (dB): 110 THD (%): 0,035 Fattore di smorzamento: 300 Ingressi:<br />
RCA, XLR, trigger Note: Possibilità di utilizzo in mono (400 watt). Circuito di<br />
alimentazione totalmente flottante.<br />
62 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019
TEST YAMAHA C-5000 & M-5000<br />
al banco di misura<br />
PRO & CONTRO<br />
servocontrollo che sposta fisicamente<br />
il potenziometro del<br />
volume per una rotazione tale<br />
da effettuar un’attenuazione<br />
fissa rispetto alla posizione del<br />
volume in cui si trovava al momento<br />
dell’attivazione. L’effetto<br />
è decisamente scenografico,<br />
anche utile e comunque piacevole,<br />
considerata la riduzione<br />
graduale del livello e non l’attivazione<br />
istantanea del mute;<br />
colpisce, tuttavia, il fatto che<br />
per la manopola del volume,<br />
nonostante sia di tipo motorizzato<br />
con potenziometro analogico,<br />
il controllo in realtà non<br />
interviene direttamente sul segnale<br />
ma su un chip integrato<br />
per la regolazione del livello<br />
che, tramite il valore resistivo<br />
fornito dal potenziometro,<br />
regola di conseguenza l’attenuazione<br />
sul segnale in modo<br />
comunque analogico. Sicuramente<br />
un giro interessante,<br />
per certi versi farraginoso,<br />
ma che in ogni caso consacra<br />
la riduzione del percorso del<br />
segnale e della gestione il più<br />
possibile esente da disturbi o<br />
alterazione. La regolazione del<br />
livello tramite telecomando o<br />
tramite il tasto mute potrebbe<br />
senza dubbio intervenire direttamente<br />
sul chip e non su<br />
tutto il “giro” anomalo” con il<br />
rischio, però, di perdere quel<br />
plus valore che fa la differenza<br />
per quel che riguarda il rapporto<br />
tattile con l’oggetto. Un<br />
rapporto in cui i Vu-Meter del<br />
finale, con la loro assoluta inutilità<br />
pratica, il vetro ad alto<br />
La risposta in frequenza non è affetta da variazioni in funzione<br />
del carico e mostra una estensione notevole con<br />
una lieve attenuazione agli estremi banda. Il tappeto di<br />
rumore evidenza un livello di accuratezza molto elevato<br />
dello stadio di alimentazione e della filtratura che attenua<br />
efficacemente i residui di rete. La potenza rilevata è conforme<br />
a quella dichiarata mostrando un tasso di distorsione<br />
armonica molto contenuto in tutto il range utile fino al<br />
raggiungimento del clipping che avviene in modo molto<br />
repentino con la saturazione immediata anche se la riserva<br />
di energia dello stadio di alimentazione ancora non mostra<br />
flessioni nella tensione di alimentazione.<br />
spessore e la regolazione del livello<br />
di illuminazione continuo<br />
della finestra, contribuiscono a<br />
creare un alone di esclusività<br />
che molti prodotti oggi, nonostante<br />
l’evoluzione del design<br />
industriale, stentano a esibire.<br />
Per concludere, i fianchetti in<br />
legno, in vero legno massello<br />
laccati a specchio con una finitura<br />
tipica delle laccature dei<br />
pianoforti (guarda caso Yamaha!)<br />
dà il suo tocco finale, anche<br />
se della presenza del legno<br />
se ne percepisce ben poca! Visto<br />
il tipo di finitura avrebbero<br />
potuto farli di resina? No! Effettivamente,<br />
non sarebbe stato<br />
lo stesso, anche se rispetto<br />
al pianoforte non c’è nessuna<br />
ragione pratica per emulare<br />
tale scelta. Osservandoli uno<br />
L’implementazione circuitale e altri aspetti<br />
costruttivi e di progettazione collocano il<br />
prodotto in una fascia “estranea” a quella<br />
di appartenenza, significativamente più<br />
elevata. Dal punto di vista della versatilità<br />
va segnalato come manchi la connessione<br />
USB, secondo una tendenza sempre più in<br />
voga e che ha la sua ragione in termini di<br />
costi/benefici. In compenso c’è una sezione<br />
fono di tutto rispetto, anzi, ben oltre le<br />
aspettative, e anche il Bluetooth tra l’altro<br />
di qualità e una ampia dotazione di ingressi<br />
spdif che soddisfano la quasi totalità<br />
delle esigenze. In termini sonori ci troviamo<br />
di fronte a qualcosa di diverso, dove i<br />
dettagli emergono, il ritmo pure, incalzante<br />
quando serve e dettagliato ma mai<br />
predominante nel resto. Un timbro vivo<br />
in tutta la gamma utile del sistema che a<br />
dispetto della potenza dichiarata suona,<br />
sembra suonare, molto più forte dei dati di<br />
targa. Solo quando si raggiungono i limiti,<br />
in modo non eccessivamente repentino si<br />
avvertono i limiti in potenza del sistema,<br />
con un clipping comunque morbido ma<br />
tipico di uno stadio solido prossimo alla<br />
saturazione. Si apprezza inoltre la buona<br />
insensibilità al carico e la capacita di mantenere<br />
un timbro costante anche in presenza<br />
di diffusori molto critici.<br />
accanto all’altro, il pre e il finale<br />
lasciano un po’ perplessi<br />
sulla collocabilità in ambiente,<br />
in quanto uno sopra l’altro non<br />
stanno bene (anzi, non si possono<br />
poggiare con semplicità<br />
per i piedini e le feritoie) ma<br />
nemmeno uno di fianco l’altro,<br />
in quanto le altezze differenti<br />
di due prodotti non danno<br />
luogo a uno skyline gradevole.<br />
Peccato, perché poggiati su un<br />
mobile basso o su una consolle<br />
avrebbero avuto una maggior<br />
visibilità che all’interno di un<br />
“mobile” Hi-Fi di tipo tradizionale<br />
e che spesso tenta di<br />
rubare la scena al prodotto.<br />
L’utilizzo stabilisce un rapporto<br />
con l’oggetto tipico di<br />
altri tempi; anche i controlli<br />
di tono, sovente disprezzati<br />
in ambito audio, assumono<br />
una dignità. Questo evidenzia<br />
la propensione di Yamaha<br />
nelle opzioni di tuning della<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 63
SELECTOR<br />
catena, soprattutto nella scelta<br />
del carico della testina MC,<br />
che spazia fra quattro valori di<br />
carico da 300 Ohm a 10 Ohm,<br />
nella regolazione del guadagno<br />
dello stadio di potenza per la<br />
cuffia e, dulcis in fundo, nella<br />
scelta di fase per le connessioni<br />
bilanciate, una per ogni<br />
ingresso, due linea e una fono<br />
Mc per ottimizzare l’uscita in<br />
funzione delle vaie sorgenti<br />
collegate.<br />
Il suono dell’accoppiata, anche<br />
perché di accoppiata bisogna<br />
parlare e non ha senso<br />
pensare i due prodotti come<br />
indipendenti l’uno dall’altro,<br />
evoca un imprinting molto<br />
“Yamaha” ma come abbiamo<br />
potuto constatare in occasione<br />
del test dell’A-S2100,<br />
con una marcata caratterizzazione<br />
del timbro che prende<br />
le distanze dalle precedenti<br />
versioni e varianti. In<br />
I coperchi dei due apparecchi sono ricavati da una lastra spessa in alluminio rettificata e con le aperture superiori per la<br />
ventilazione fresate. Per evitare l’intrusione di corpi estranei all’interno dell’apparecchio sono state poste delle griglie di<br />
protezione metalliche con una trama ad esagoni, fissate dall’interno tramite un numero impressionante di viti a passo metrico<br />
molto corte all’interno di fori filettati. Un dispiegamento di forze di grande impatto estetico.<br />
senso assolutamente generale<br />
si potrebbe classificare come<br />
la fusione delle interpretazioni<br />
molto positive dell’A-S3000 e<br />
della verve dell’A-S2100 senza<br />
i compromessi della serie 5000<br />
che li precedette. Grande precisione,<br />
a volte debordante in un<br />
accenno di iperdettaglio e grande<br />
punch... Il sistema, inoltre,<br />
si è interfacciato molto bene<br />
con diffusori ostici anche se si<br />
è trovato molto più a suo agio<br />
con quelli ad alta impedenza e<br />
di facile pilotaggio. Ci sarebbe<br />
piaciuto ascoltare la coppia con<br />
i suoi partner elettivi Yamaha:<br />
a prescindere dal fallace aspetto<br />
del family sound, quei diffusori<br />
ci piacquero davvero tanto<br />
(<strong>SUONO</strong> 511) e, per come erano<br />
costruiti e pensati (e soprattutto<br />
La stabilità al piano di appoggio sembra<br />
essere un argomento particolarmente<br />
a cuore del mercato Hi-end giapponese<br />
tanto che molti costruttori adottano<br />
soluzioni molto simili fra loro ma che<br />
privilegiano anche l’utilizzabilità da parte<br />
dell’utente. Ad esempio, marchi come<br />
Esoteric, Accuphase e anche Yamaha<br />
prevedono un appoggio a terra tramite<br />
una punta conica ma rendono parte del<br />
sistema anche il piattello di appoggio<br />
come parte integrante. Nella serie 5000<br />
il piede è realizzato in tre pezzi, uno<br />
avvitato all’apparecchio dotato di punta<br />
conica, la ghiera esterna che si avvita<br />
all’elemento principale e che ha l’unica<br />
funzione di mantenere in posizione il<br />
piattello di appoggio della punta conica al<br />
piano, terzo elemento.<br />
per il loro sound...), pensiamo<br />
che sarebbe potuta essere veramente<br />
una bella esperienza. Se si<br />
considera, inoltre, all’altro capo<br />
della catena, la possibilità di<br />
collegamento tramite il giradischi<br />
del vinile in bilanciato (soluzione<br />
vituperata da alcuni ma<br />
qualitativamente ineccepibile<br />
secondo noi), che sembra elettivo<br />
nelle scelte dei progettisti che<br />
sullo stadio fono hanno lavorato<br />
con dispendio di mezzi, tutto<br />
ciò porta la fantasia verso una<br />
strada che forse non soddisfa<br />
quel pensiero tradizionalmente<br />
audiofilo che privilegia la supremazia<br />
dei componenti separati.<br />
Il caso della serie 5000, invece,<br />
sembra oggi un esempio di come<br />
un’esperienza coinvolgente può<br />
e deve completarsi attraverso<br />
un percorso che tenga conto di<br />
un valore estetico a tutto tondo,<br />
come quello che Yamaha è riuscita<br />
a centrare.<br />
64 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019
SELECTOR<br />
di Nicola Candelli<br />
Per insondabili ragioni e dopo anni di incontri ravvicinati ma non troppo mi è rimasta la curiosità di<br />
meglio valutare un marchio i cui prodotti, in tutte le occasioni in cui li ho sentiti suonare, non hanno<br />
mai mancato di generare la loro quota di benessere musicale.<br />
In previsione di un incontro<br />
più “intimo” del solito con il<br />
marchio in questione, come<br />
d’abitudine “ho fatto i compiti” e<br />
scoperto che le sensazioni provate<br />
nei fugaci incontri di questi<br />
anni sono condivise anche da altri;<br />
ecco che cosa scrive in merito,<br />
con buona sintesi delle emozioni<br />
che portavo in memoria, Erick<br />
Lichte di “Stereophile”: “If it’s<br />
rare to go to an audio show and<br />
hear most of a company’s products<br />
set up properly in multiple<br />
rooms, it’s rarer still to hear those<br />
products also sounding terrific<br />
in each and every room. In<br />
each of the systems in which the<br />
Swedish company’s speakers<br />
(Marten) were set up, and no<br />
matter what gear was upstream<br />
of them, I heard distinctly neutral,<br />
open, musical sound”. Quoto<br />
al 100% ed è un dato di fatto<br />
DIFFUSORI<br />
Marten Design Django XL<br />
SUL CAMPO<br />
Prezzo: € 13.300,00<br />
Dimensioni: 27 x 125 x 50 cm (lxaxp)<br />
Peso: 47 Kg<br />
Distributore: Audioplusvia F.Crispi 77 - 63074 San Benedetto del<br />
Tronto (AP)<br />
Tel. 0735 593969<br />
www.audioplushiend.it<br />
Tipo: da pavimento Caricamento: bass reflex N. vie: 3 Potenza<br />
(W): 250 Impedenza (Ohm): 6 Frequenze di crossover (Hz): 250<br />
- 3000 Risp. in freq (Hz): 26-30 000 Hz ±3 Sensibilità (dB): 89 Altoparlanti:<br />
tw sa 1’’, mid da 6’’ in ceramica, 3x wf da 8’’ in alluminio<br />
Rifinitura: Piano Black, Silver Grey Note: terminali Single-wiring<br />
WBT, cablaggio interno Jorma Design. Color Silver €14.300,00.<br />
66 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019
TEST<br />
non da poco perché che si sia<br />
appassionati o professionisti del<br />
settore, la “molla” che ci anima<br />
tutti è la ricerca di una risposta<br />
alla domanda delle domande,<br />
“Come suona...?”, dove ai puntini<br />
puoi sostituire di tutto: come<br />
suona quel brano, come suona la<br />
musica che mi piace, come suona<br />
un dato prodotto qui o lì, come<br />
suona con questo e con quello…<br />
Le bricioline di pane raccolte in<br />
questi anni dal novello pollicino<br />
che vi scrive (e, obiettivamente,<br />
il notevole costo di quasi tutti i<br />
diffusori della casa che ne rendono<br />
difficile logisticamente e<br />
per impegno finanziario un test<br />
tradizionale), mi hanno portato a<br />
S. Benedetto del Tronto dove ha<br />
sede l’importatore di Marten, il<br />
marchio svedese creato da Leif<br />
Martin Alderson che è l’oggetto<br />
di queste attenzioni. Quella<br />
di Marten è tutt’ora una realtà<br />
a conduzione familiare, visto<br />
che via via nel tempo è avvenuto<br />
l’ingresso in azienda anche<br />
dei più vicini parenti: il fratello<br />
maggiore Jörgen che è il CEO<br />
dell’azienda e il figlio Lars con<br />
la funzione di Art Director. Una<br />
realtà le cui origini sono quelle<br />
classiche del percorso audiofilo<br />
di più della metà dei costruttori<br />
attuali e del passato ma che ha<br />
saputo evolversi stabilendo quel<br />
connubio equilibrato tra artigianato<br />
e industria che per mia<br />
esperienza è la perfetta alchimia<br />
per proporre le migliori soluzioni<br />
in Hi-Fi. Come molti altri Leif<br />
Martin Alderson da giovane progetta<br />
diffusori nel garage della<br />
casa di famiglia; poi il successo<br />
ma anche l’innamoramento e la<br />
conseguente sbandata per una<br />
delle classiche sfide in Hi-Fi:<br />
far suonare bene quel che per<br />
la maggior parte degli altri costruttori<br />
rappresenta in alterna<br />
misura un misto di gioie e dolori.<br />
Si tratta dei tweeter Accuton il<br />
cui suono (grazie ai coni in ceramica)<br />
è straordinario per trasparenza,<br />
precisione e velocità;<br />
quella stessa ceramica in molti<br />
casi dà luogo a una certa iper<br />
analicità e, per l’estrema velocità<br />
dell’equipaggio mobile, mal<br />
si abbina con le caratteristiche<br />
degli altoparlanti per l’emissione<br />
in banda grave. Martin Alderson<br />
prova l’abbinamento con vari<br />
componenti, lavora sul crossover<br />
e sulla forma del diffusore<br />
ma trova la quadra solo quando<br />
utilizza anche per il woofer una<br />
soluzione con cono in ceramica<br />
che darà vita nel 1998 a Mingus,<br />
un due vie che è il primo diffusore<br />
offerto sul mercato dalla neonata<br />
Marten; poco dopo nasce<br />
Miles, tutt’ora disponibile nella<br />
sua versione aggiornata, un 2,5<br />
vie più grande. Mingus & Miles:<br />
è chiaro l’amore e la dedizione<br />
per la musica di Martin Alderson<br />
(il nonno costruiva violini)…<br />
Con il passo del buon padre di<br />
famiglia, Marten espande la sua<br />
gamma fino a oggi con un’offerta<br />
articolata in cinque differenti<br />
serie dove il ricambio dei prodotti<br />
è moderato, a favore eventualmente<br />
degli aggiornamenti<br />
degli stessi, a cui si affianca un<br />
impegno “dall’altra parte della<br />
barricata”, visto che l’azienda<br />
dispone di un proprio studio di<br />
registrazione le cui realizzazioni<br />
vengono affidate a una propria<br />
etichetta musicale. Un impegno<br />
che trova il suo fil rouge nella<br />
eccezionale sala d’ascolto realizzata<br />
ad hoc da Leif Martin<br />
Alderson per ospitare le prove<br />
di ascolto degli apparecchi ma<br />
anche per le registrazioni dell’etichetta<br />
Marten Recordings. Non<br />
solo amore per la musica, non<br />
solo differenziazione ma anche<br />
un ottimo modo per creare dei<br />
riferimenti nella realtà (qualunque<br />
cosa questa parola significhi)<br />
con cui paragonare i propri<br />
prodotti Hi-Fi. Anche nel nostro<br />
personale processo di consape-<br />
I morsetti sono WBT di ottima fattura e con una capacità di serraggio notevole, quale<br />
che siano le terminazioni scelte, mentre tutto il cablaggio interno è realizzato da<br />
Jorma Design, un’azienda considerata “la Rolls Royce dei cavi” (il suo fondatore,<br />
Jorma Koski, sulla base di una amicizia di lunga data l’ha consegnata nelle mani dei<br />
fratelli Olofsson, che hanno rilevato la società qualche anno fa per continuarne i fasti).<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 67
SELECTOR<br />
Nei Djiango per la prima volta la casa utilizza dei woofer (tre) con cono in alluminio<br />
prodotti dalla Seas e non sono in ceramica.<br />
volezza quanto realizzato con<br />
<strong>SUONO</strong>Records è stato fondamentale!<br />
Nella sala d’ascolto di Audioplus<br />
sono in attesa i Django XL,<br />
ennesimo omaggio (in questo<br />
caso a Django Reinhardt) a un<br />
musicista così definito: “L’acqua<br />
è l’elemento del pesce, l’aria<br />
degli uccelli. La musica è l’elemento<br />
di Django” (copyright di<br />
Charles Delaunay, amico e manager<br />
del chitarrista belga). La<br />
musica è naturalmente anche<br />
l’elemento dei Django XL, un<br />
diffusore sviluppato nel 2012<br />
contemporaneamente ad altri<br />
modelli di maggiore caratura,<br />
cosa che ha consentito, visto il<br />
posizionamento merceologico<br />
desiderato, di adottare soluzioni<br />
scelte nell’ottica del miglior<br />
compromesso: il tweeter in<br />
ceramica della Acuton è stato<br />
scelto per le caratteristiche<br />
che, si dice, sono molto simili a<br />
quelle del tweeter in diamante<br />
utilizzato per i modelli superiori;<br />
il midrange, sempre in<br />
ceramica della Acuton, viene<br />
introdotto per la prima volta in<br />
questo modello; i woofer (tre)<br />
non sono in ceramica ma con<br />
cono in alluminio, prodotti dalla<br />
Seas. Riuscirà questo coacervo<br />
di soluzioni a mantenere il<br />
sound Marten o perlomeno le<br />
mie aspettative in merito? Per<br />
certo queste soluzioni consentono<br />
ai Django XL di rientrare<br />
in termini di costi se non<br />
nell’ambito più ampio del genere<br />
umano almeno in quello<br />
dei sogni perseguibili. Quanto<br />
detto (e la sala demo di Audioplus,<br />
a mia disposizione per una<br />
piena giornata di ascolti) rende<br />
la marcia di avvicinamento<br />
Roma - S. Benedetto una sorta<br />
di sinfonia dell’intero registro<br />
di quelle emozioni generate<br />
dai sogni audiofili: l’emozione<br />
della prima volta, che per tutti<br />
gli audiofili significa in qualche<br />
modo tornare giovinetti, il<br />
prepararsi al bello e al piacere<br />
che ne deriva, che è invece una<br />
sensazione percepibile appieno<br />
nell’era della maturità...<br />
Al contatto visivo con i Django<br />
XL la percezione è di trovarsi di<br />
fronte a un diffusore all’aspetto<br />
maggiormente filante rispetto al<br />
tipico format dei prodotti Marten;<br />
probabilmente le stondature<br />
del mobile (non solo laterali ma<br />
anche sul pannello superiore)<br />
determinano questo effetto visivo,<br />
visto che poi l’altezza del<br />
diffusore rientra nella media dei<br />
prodotti Marten. Al tempo stesso<br />
nel diffusore coabitano aspetti<br />
estetici differenti: i Django XL<br />
sono ancora più essenziali nel<br />
design, con un legame rispetto al<br />
resto dei diffusori Marten costituito<br />
dalla presenza dei caratteristici<br />
coni in ceramica, anche se<br />
qui non viene utilizzata la soluzione<br />
denominata CELL studiata<br />
a partire dal 2012 e impiegata<br />
dal 2014 con i Coltrane Supreme<br />
2 dove, grazie a un crossover di<br />
primo ordine e al fatto che i driver<br />
hanno tutti gli stessi centri<br />
acustici, si è ricercata la massima<br />
coerenza temporale e di fase.<br />
I Django XL hanno una ricerca<br />
meno marcata in tal senso (il<br />
frontale è comunque inclinato<br />
verso il retro dal basso verso l’alto<br />
ma gli altoparlanti non sono<br />
allineati nel tempo) e, soprattutto,<br />
il woofer, come accennato, è<br />
differente, nonostante venga<br />
mantenuta una certa coerenza<br />
ottica grazie alla griglie protettive<br />
in stile Marten. L’efficienza<br />
abbastanza elevata del diffusore<br />
e la scelta di posizionare le porte<br />
del bass reflex sul fondo inferiore<br />
del diffusore facilitano l’abbinamento<br />
tanto con l’ambiente che<br />
con i partner elettronici anche se<br />
l’eventuale orientamento dei diffusori<br />
determina una non marcata<br />
ma avvertibile differenza<br />
nella ricostruzione della scena<br />
sonora. Ulteriore elemento che<br />
favorisce l’interfacciamento con<br />
l’ambiente è la possibilità di regolare<br />
l’intensità dell’emissione<br />
in basso di 2 db con un selettore<br />
a tre posizioni.<br />
Nella sala d’ascolto i Django XL<br />
sono stati collegati con un amplificatore<br />
integrato ibrido (2x<br />
12AU7 / ECC82 or E80CC per<br />
lo stadio pre) Absolare Passion,<br />
comunque della ragguardevole<br />
potenza di 150 watt per canale su<br />
8 Ohm e con un non recente ma<br />
sempre valido lettore CD MLabs.<br />
A disposizione anche uno streamer<br />
nel quale non è stato difficile<br />
trovare brani conosciuti<br />
(quelli tradizionalmente più<br />
gettonati nelle manifestazioni e<br />
nei test audiofili); non è molto<br />
importante, però, citare questo<br />
o quel brano perché, come non<br />
sempre accade, i Django XL sono<br />
diffusori che rappresentano un<br />
completo invito all’ascolto della<br />
musica. La principale emozione<br />
d’ascolto che determinano, infatti,<br />
è quella di uno straordinario<br />
equilibrio dell’emissione intesa<br />
non solo come estensione lungo<br />
l’arco delle frequenze ma soprattutto<br />
per il modo in cui le varie<br />
frequenze vengono riproposte.<br />
Tanto in basso che agli estremi<br />
acuti l’articolazione è estrema<br />
ma non scade mai in iper analicità<br />
nella porzione alta (caratteristica<br />
a volte riscontrata nei<br />
tweeter con cono in ceramica)<br />
68 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019
TEST MARTEN DESIGN DJANGO XL<br />
né in quella sorta di gonfiore (o accenni<br />
di...) nella parte più grave dello spettro.<br />
Il suono, invece, mantiene una intellegibilità<br />
massima ma anche un calore e una<br />
rotondità graditi, che contribuiscono alla<br />
piacevolezza della riproduzione, all’interno<br />
di una scatola sonora che è ampia<br />
senza gigantismi, profonda il giusto e,<br />
soprattutto, con i vari piani sonori ben<br />
scanditi l’uno dall’altro. I vari strumenti<br />
sono credibili senza preferenza per l’uno<br />
o per l’altro se si eccettua il pianoforte,<br />
davvero notevole. Alla credibilità<br />
di questa scena sonora contribuisce una<br />
capacità dinamica che senza raggiungere<br />
vette esplicite è sempre presente,<br />
a testimonianza del felice abbinamento<br />
con l’amplificazione della serie “muscoli<br />
e carezze” degna delle massime aspettative<br />
dell’ascoltatore. Praticamente ogni<br />
brano ascoltato è risultato estremamente<br />
piacevole nella misura dei pregi e dei<br />
difetti che lo caratterizza: i Django non<br />
sono particolarmente radiografanti in tal<br />
senso ma sottolineano eventuali carenze<br />
della registrazione offrendola comunque<br />
all’ascolto, quando di più non si può, alla<br />
meno peggio...<br />
Appaganti. Se dovessi ridurre in sintesi<br />
l’impressione d’ascolto rilevata, questo<br />
sarebbe, con l’aggiunta di una piccola ulteriore<br />
domanda (si sa, il dubbio è il tarlo<br />
dell’audiofilo): come si comporteranno i<br />
Django L, versione in piccolo degli XL,<br />
creata per contenere entro i 10.000 euro<br />
il costo del prodotto? Questa concessione<br />
“commerciale” a un allargamento del potenziale<br />
mercato (che ha aperto la strada<br />
alla nuova linea Oscar) non induca a false<br />
considerazioni: in un decennio caratterizzato<br />
dal raggruppamento e dalle acquisizioni<br />
di marchi da parte dei poteri<br />
forti, Marten come pochi altri ha saputo<br />
mantenere intatto il suo concetto di<br />
qualità e la coerenza con le idee fondanti<br />
del marchio, declinate a distanza di venti<br />
anni e oltre dalla nascita con lo stesso<br />
fervore e intensità. È questo aspetto,<br />
questa scelta negli ingredienti della miscela<br />
artigianato & industrializzazione,<br />
che mantiene vivi i prodotti Marten così<br />
come la possibilità, ascoltandone uno,<br />
di poterne acquistare un altro con tutta<br />
tranquillità!<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 69
SELECTOR<br />
a cura della redazione<br />
DIFFUSORI<br />
Sonus Faber Minima Amator II<br />
I piccoli diffusori da<br />
scaffale in prova appartengono,<br />
insieme agli Electa<br />
Amator III, a una serie<br />
particolare di Sonus faber,<br />
la Heritage. Heritage sta<br />
per eredità e patrimonio<br />
storico e tecnologico di<br />
questa celebre azienda,<br />
creata da Franco Serblin<br />
all’alba degli anni Ottanta<br />
del secolo scorso.<br />
IMinima furono il terzo prodotto<br />
disegnato da Serblin,<br />
preceduti dalla “provocazione”<br />
del sistema Snail seguito dai<br />
più concreti Parva, un più classico<br />
due vie bass reflex da piedistallo.<br />
Furono proprio i Minima, però,<br />
a rappresentare il primo grande<br />
successo di critica e di pubblico:<br />
presentati nel 1984 hanno attraversato<br />
tutto questo tempo tra<br />
nuove versioni, periodi di uscita<br />
dal catalogo (pur rimanendo sempre<br />
molto ricercati nel mercato<br />
dell’usato) e rinascite, per poi arrivare<br />
a quest’ultima versione.<br />
Era invece il 1992 quando SUO-<br />
NO (luglio – agosto, N° 230) annunciava<br />
l’anteprima mondiale<br />
in esclusiva dei Sonus faber Minima<br />
Amator, definiti “il gigante<br />
dei mini”. Un frutto, raccontava<br />
Bebo Moroni, al tempo direttore<br />
della rivista, di quattro anni di<br />
lavoro di Franco Serblin con l’obiettivo<br />
di “racchiudere in sé un<br />
arduo condensato del meglio di<br />
due oggetti tanto amati”. I due<br />
erano i Minima (“ha rappresentato<br />
forse l’oggetto in cui Serblin<br />
ha creduto di più...”) e la Electa<br />
Amator, “talmente bella e buona<br />
che non la si può non amare”...<br />
I Minima Amator ereditavano<br />
parte del nome dall’uno e dall’altro<br />
e dunque la tesi che ne volessero<br />
rappresentare una sintesi è<br />
plausibile!<br />
La portata del fenomeno Minima<br />
va però inquadrato nel tempo e<br />
se da un lato sembra ieri quando<br />
la BBC stravolse un mondo che,<br />
seppur ancora non ben definito,<br />
vide le cose da una prospettiva<br />
molto differente, comunque il<br />
tempo è passato mutando i punti<br />
di vista. Con la sua “scatola da<br />
scarpe” BBC gettò le basi per<br />
sostenere la “nuova visone”<br />
senza peraltro andare troppo<br />
oltre al proprio “naso”<br />
con un risvolto nella genesi<br />
dei BBC LS3/5a di natura<br />
ironica: nati come monitor<br />
voce per studi mobili di<br />
piccole dimensioni, rappresentavano<br />
un ambito<br />
totalmente opposto alle<br />
esigenze dell’utente domestico<br />
ma seppero cogliere<br />
alcuni dettagli nella<br />
riproduzione all’epoca<br />
sconosciuti! Con una tale<br />
premessa si assistette a un<br />
fenomeno veramente curioso<br />
in grado di innescare<br />
una produzione quasi di<br />
larga scala (almeno per la<br />
fine degli anni Settanta)<br />
di mini diffusori basati sul<br />
progetto BBC e caratterizzati<br />
Prezzo: € 4.000,00<br />
Dimensioni: 20 x 32,5 x 27,4 cm (lxaxp)<br />
Peso: 7,1 Kg<br />
Distributore: MPI Electronic - www.mpielectronic.com<br />
DIFFUSORI SONUS FABER MINIMA AMATOR II<br />
Tipo: da supporto Caricamento: bass reflex N. vie: 2 Potenza<br />
(W): 35-150 Frequenze di crossover (Hz): 2500 Risp. in freq<br />
(Hz): 50 - 35.000 Sensibilità (dB): 87 Altoparlanti: 1 TW H28<br />
XTR2-04 con cupola in seta da 28 mm, 1 WF MW15 XT 04 con<br />
cono in polpa di cellulosa da 15 cm<br />
70 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019
TEST<br />
da innumerevoli varianti sia nella<br />
scelta dei materiali che nelle<br />
forme. Un fenomeno che si contrappose<br />
anche al fatto che i vari<br />
produttori abbiano fatto tesoro di<br />
un approccio decisamente innovativo<br />
per l’epoca e sperimentato<br />
molte varianti, quelle all’interno di<br />
una produzione su licenza e quelle<br />
che poi ampliavano un orizzonte<br />
in evoluzione.<br />
Gli obiettivi della BBC erano<br />
chiari, come peraltro una certa<br />
predisposizione verso il prodotto<br />
“inglese” made in Gran Bretagna<br />
a tutto tondo, probabilmente anche<br />
in considerazione del fatto<br />
che all’epoca KEF, che produceva<br />
gli altoparlanti degli LS3/5°, era<br />
un partner ideale e all’apice dello<br />
sviluppo. Tuttavia altre realtà si<br />
fecero strada, proponendo forse<br />
anche con un piglio più dinamico<br />
soluzioni interessanti: SEAS, Scan<br />
Speak, senza dimenticare Audax e<br />
Peerless... Ciò ha probabilmente<br />
dato vita alla successiva evoluzione<br />
della “scatola di scarpe” magari<br />
ancora made in UK ma con<br />
tecnologia non più “full made in<br />
UK”! Un esempio “dirompente”<br />
furono i Tablette e il punto chiave<br />
della trasformazione rispetto agli<br />
LS3/5a era l’adozione di un carico<br />
reflex al posto di quello pneumatico<br />
e di un woofer SEAS e non il<br />
classico KEF, con un’efficienza e<br />
tenuta in potenza molto più elevate.<br />
In abbinamento al woofer<br />
SEAS veniva utilizzato il tweeter<br />
Scan Speak che ha contribuito alla<br />
diffusione del marchio come alternativa<br />
“all’attufatissimo” tweeter<br />
KEF T27 degli LS3/5a.<br />
In questo scenario, e in un momento<br />
di gran fervore e investimenti,<br />
Franco Serblin propose<br />
una soluzione “trasgressiva” per<br />
l’epoca, proprio grazie alla presenza<br />
del tweeter Dynaudio D28 che<br />
fu fra i primi tweeter a esibire una<br />
tenuta in potenza e una escursione<br />
in frequenza impensabili per<br />
l’epoca e soprattutto sconosciuta<br />
ai tweeter utilizzati<br />
nei mini<br />
diffusori del<br />
momento. Le<br />
differenze dai<br />
competitor<br />
dell’epoca erano<br />
evidenti anche<br />
in funzione<br />
dei materiali utilizzati<br />
e delle dimensioni<br />
del prodotto: non più una<br />
“scatola di scarpe” (peraltro brutta<br />
e sgraziata come una scatola di<br />
scarpe) ma un mobile robusto,<br />
bello e ben fatto con effetti anche<br />
importanti sulla qualità della riproduzione.<br />
Il mobile e i materiali,<br />
di fatto, rendevano il sistema più<br />
“inerte” di quello dei BBC o dei<br />
Tablette. Da notare che anche<br />
Jim Rogers propose i suoi “cilindroni”<br />
(i Rogers JR149 con forma<br />
cilindrica in alluminio) che esprimevano<br />
la necessità di evoluzione<br />
e di distacco dai canoni estetici e<br />
funzionali iniziali.<br />
Certo quelle condizioni (di fermento<br />
culturale, di necessità di<br />
rompere con un passato declinato<br />
a partire da diffusori di enormi dimensioni<br />
mutuati inizialmente da<br />
quelli delle sale cinematografiche<br />
ma anche in seguito soggetti all’equazione<br />
“grande è bello”... anche<br />
quando non è possibile!) oggi non<br />
sono replicabili; la rivoluzione,<br />
semmai, vola sulle ali delle nuove<br />
forme di fruizione della musica e,<br />
semmai, un diffusore “di rottura”<br />
sarebbe (o “è”, visto che ne sono<br />
comparsi alcuni) un sistema biamplificato<br />
controllato da DSP,<br />
anche se poco accetto dai canoni<br />
Hi-Fi. Né lo “sbuffo” utilizzato da<br />
Serblin sulle pareti laterali del mobile<br />
per contenere il woofer Seas<br />
da 14 cm (e che sarebbe diventato<br />
un marchio di fabbrica) potrebbe<br />
avere oggi particolare impatto dal<br />
punto di vista estetico mentre da<br />
quello tecnico esistono altoparlanti<br />
che non necessitano di tali<br />
servitù.<br />
Il condotto reflex è<br />
collocato in asse al pannello<br />
posteriore verso l’alto<br />
quasi filo con una ampia<br />
svasatura che si raccorda al<br />
rivestimento in simil pelle e<br />
un sottile strato di materiale<br />
poroso fonoassorbente<br />
posto all’altra estremità<br />
all’interno del mobile, che<br />
riduce soffi e turbolenze nel<br />
condotto. I morsetti sono<br />
avvitati al filo del pannello<br />
abbastanza distanziati e a<br />
filo del pannello rendendo<br />
possibile il collegamento in<br />
bi-wiring anche con cavi di<br />
gradi dimensioni.<br />
Che cosa sono allora gli attuali<br />
Minima Amator II? Si tratta<br />
di una versione strettamente<br />
fedele all’originale nel volume e<br />
nelle dimensioni che utilizza ancora<br />
come materiale del cabinet il<br />
noce massello (fronte e retro sono<br />
in MDF rivestiti in similpelle), se<br />
si eccettua la sottile lamina in ottone<br />
inserita ad altezza della base<br />
che si raccorda con la morsettiera<br />
in ottone posta sul retro del diffusore.<br />
Eccellenti le lavorazioni<br />
di ebanisteria anche se si perde<br />
molto di quella che era una esecuzione<br />
che la vulgata voleva realizzata<br />
a mano e che ora è quella<br />
di un prodotto industriale, seppur<br />
di classe, ma più ordinario. Differenti<br />
sono ovviamente gli altoparlanti,<br />
comunque di ottima fattura:<br />
il tweeter, a differenza di altre serie,<br />
sembra “rispondere” pienamente<br />
alla denominazione DAD<br />
Damped Apex Dome in quanto<br />
l’ogiva tocca la membrana anche<br />
se direttamente, senza l’adozione<br />
di materiale smorzante (il che<br />
mette in discussione il termine<br />
Damped ma molto meno rispetto<br />
ai modelli in cui l’ogiva non<br />
toccava la membrana). Il woofer,<br />
anch’esso proprietario, utilizza un<br />
cono in polpa di cellulosa e fibre<br />
naturali con cestello in alluminio<br />
pressofuso. Il corssover, invece,<br />
ricalca un’impostazione con un<br />
andamento a bassa pendenza<br />
intorno alle frequenze di incrocio<br />
per attuare successivamente un<br />
taglio con pendenza più elevata,<br />
una tecnica sviluppata negli ultimi<br />
anni. Si nota anche l’adozione di<br />
componenti di elevata qualità e<br />
cavi semirigidi saldati ai morsetti<br />
degli altoparlanti. Sul fondo dei<br />
diffusori ci sono quattro piccoli<br />
piedini che consentono di appoggiarli<br />
sul ripiano del piedistallo<br />
senza rischi di graffi; se si scelgono<br />
gli stand della casa potrete fissarli<br />
tramite due opportune viti, permettendo<br />
così un’installazione più<br />
sicura. Va comunque tenuto conto<br />
del costo di tali stand (1.500 euro),<br />
composti da colonne di alluminio<br />
anodizzato riempito di materiale<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 71
SELECTOR<br />
Il tweeter ha il gruppo magnetico in neodimio<br />
al cui interno è presente una camera di<br />
risonanza. L’altoparlante è incollato su una<br />
piccola flangia che sostiene il supporto a tre<br />
razze con l’ogiva al vertice che tocca al centro<br />
della membrana a cupola, variando così le<br />
caratteristiche di emissione e dispersione<br />
all’estremo superiore.<br />
I componenti sono saldati su un PCB molto<br />
ampio avvitato sulla parete laterale del mobile.<br />
Lo schema è a multi-pendenza, blanda in<br />
prossimità dell’incrocio e alta successivamente.<br />
I condensatori sono ClarityCap marchiati Sonus<br />
faber e sul tweeter sono installati sia in serie<br />
al cavo positivo che in serie a quello di massa.<br />
Il woofer ha un cestello in<br />
alluminio pressofuso a tre<br />
doppie razze con una<br />
flangia di ancoraggio<br />
ridotta su cui si fissa una<br />
ghiera in alluminio<br />
di raccordo con il<br />
pannello anteriore.<br />
L’equipaggio mobile<br />
a vista è di tipo a<br />
corsa lunga con<br />
diametro contenuto.<br />
smorzante e una base di marmo di<br />
Carrara, adatti per tutta l’attuale<br />
collezione heritage. Sul posizionamento<br />
si sono letti pareri tra i più<br />
vari: da chi consiglia distanze siderali<br />
(anche fino a due metri dalla<br />
parete di fondo) a chi al contrario<br />
propone 20/30 cm tra pannello<br />
posteriore e parete per cercare di<br />
rinforzare la gamma bassa e rendere<br />
il suono più esteso ed equilibrato.<br />
Noi abbiamo optato per una<br />
via di mezzo, assai vicina a quella<br />
canonica utilizzata con altri diffusori<br />
di piccole dimensioni.<br />
La session di ascolto è cominciata<br />
con il Messiah di Haendel (versione<br />
Hogwood Oiseau Lyre/Decca)<br />
che mette in luce la riproposizione<br />
di voci soliste ben stabili al centro<br />
della scena e l’orchestra distribuita<br />
a semicerchio in un eccellente<br />
equilibrio di livello di volume, proporzioni<br />
e distribuzione dei diversi<br />
piani sonori; un’ottima scena tridimensionale.<br />
Le evoluzioni delle<br />
voci femminili e maschili sono<br />
riprodotte con ricchezza di dettagli,<br />
senza che lo spettacolo sonoro<br />
perda di controllo o si presentino<br />
indurimenti nei momenti più sostenuti.<br />
I diffusori mostrano una<br />
discreta capacità nell’evidenziare<br />
le differenti caratteristiche delle<br />
registrazioni ascoltate: in A Distortion<br />
of Love di Patricia Barber<br />
(MFSL - vinile) l’atmosfera è volutamente<br />
cupa e la voce molto lontana<br />
e acuta. Tutt’altra atmosfera,<br />
calda e avvolgente, viene proposta<br />
con una voce femminile differente<br />
in New Moon Daughter (Cassandra<br />
Wilson - Blue Note vinile). Si<br />
ha però l’impressione che manchi<br />
un po’ di ariosità, come se il<br />
patrimonio armonico non appaia<br />
completo. È pur vero, però, che il<br />
diffusore è abbastanza sensibile<br />
dell’abbinamento: nel confronto<br />
tra amplificazioni a stato solido<br />
e valvolare i Minima preferiscono<br />
queste ultime; con il Conrad<br />
72 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019
TEST SONUS FABER MINIMA AMATOR II<br />
al banco di misura<br />
PRO & CONTRO<br />
Impeccabili l’esecuzione e la scelta dei<br />
componenti. Discutibile l’inserto in ottone<br />
che richiama gli Electa ma che nel loro<br />
caso aveva lo scopo funzionale di separare<br />
il marmo del legno; qui non ha alcun senso<br />
funzionale e al più potrebbe “indebolire”<br />
la struttura. Eccellenti le lavorazioni<br />
di ebanisteria anche se, nonostante sia<br />
stato utilizzato legno massello, si perde<br />
molto di quella che era una esecuzione<br />
smaccatamente artigianale virando su un<br />
prodotto semi-industriale, di classe ma<br />
con minor appeal.<br />
Johnson MV50, ad esempio, grazie<br />
anche alla sua calda luminosità,<br />
il suono dei Minima Amator<br />
II diviene più affascinante e ricco,<br />
per timbro e contenuto armonico.<br />
Buona la luminosità della scena<br />
sonora, con un basso rotondo e discretamente<br />
profondo, nell’ascolto<br />
a volume moderato; se si passa<br />
a volumi sostenuti, invece, cominciano<br />
a venire fuori i limiti della<br />
categoria e del prodotto: il suono<br />
perde di precisione, si indurisce<br />
e risulta più compresso e con un<br />
punch limitato rispetto a diffusori<br />
con volumi interni maggiori sebbene<br />
in un range di prezzo simile.<br />
In alcuni abbinamenti abbiamo<br />
notato delle vere idiosincrasie,<br />
soprattutto con partner non di<br />
alto rango, mentre le performance<br />
migliori si ottengono con amplificazioni<br />
almeno di pari rango.<br />
Nel complesso, dal punto di vista<br />
sonoro, sebbene il paragone con<br />
le precedenti versioni vada fatto<br />
a memoria o attraverso le molte<br />
vecchie recensioni, si potrebbe affermare<br />
che i Minima originali e<br />
quelli attuali riflettano due scuole<br />
di pensiero differenti. In tal senso<br />
ma anche oltre, come vedremo<br />
a breve, il termine Heritage (patrimonio)<br />
va inteso più che come<br />
La risposta è abbastanza lineare ed estesa con una dispersione<br />
fuori asse tipica dei trasduttori con cupola di<br />
grande diametro. L’impedenza, seppur intorno ai 4 Ohm,<br />
non scende mai sotto tale valore e si presenta come<br />
un carico facilmente abbinabile anche con diffusori di<br />
bassa potenza, sebbene la sensibilità non altissima e<br />
una bona tenuta in potenza del sistema suggeriscono<br />
l’utilizzo con finali ad alta corrente. La frequenza di<br />
incrocio elettrica si attesta sopra i 2.5 kHz e può essere<br />
un’opportunità per l’adozione di un bi-wiring o la<br />
biamplificazione passiva.<br />
un’eredità da tramandare come<br />
un coacervo di elementi che sono<br />
la base e lo stimolo per una evoluzione.<br />
Non si può, infatti, non<br />
tenere conto dei differenti periodi<br />
storici di riferimento in cui le due<br />
versioni sono state ideate sebbene<br />
la prima stabilisca le linee guida<br />
per la seconda. Allo stesso tempo<br />
va letta in una prospettiva dinamica<br />
l’affermazione presente sul<br />
comunicato stampa di presentazione<br />
della versione odierna: “Non<br />
c’è futuro senza passato”. Essa va<br />
intesa, appunto, come la fotografia<br />
di un costante work in progress,<br />
una evoluzione naturale e non<br />
un déjà vu, gentile concessione ai<br />
nostalgici...<br />
Premesso che già in origine i Minima<br />
Amator erano molto differenti<br />
dai Minima, il senso del progetto è<br />
comunque mutato in larga misura<br />
visto che il crossover è diverso<br />
così come i punti di lavoro degli<br />
altoparlanti. In senso assoluto ciò<br />
non costituisce un limite, anzi:<br />
ben vengano le “rielaborazioni”<br />
stimolate dallo spirito iniziale.<br />
Se proprio, verrebbe da chiedersi<br />
quanto sia rimasto di quello spirito,<br />
in particolar modo oggi che si<br />
dispone di una tecnologia e di un<br />
processo produttivo molto più efficace<br />
che in passato – interrogativo<br />
che porterebbe ad altri dubbi:<br />
quello spirito è stato tradito? Se<br />
si, in cosa? L’averlo soverchiato<br />
può essere considerato un atto di<br />
coraggio?<br />
Al netto delle emozioni (al potenziale<br />
utente il compito di<br />
decidere se attingervi o meno) i<br />
Sonus faber Minima Amator II si<br />
inseriscono nel segmento dei mini<br />
diffusori di lusso in un parterre<br />
di concorrenti con prestazioni<br />
che risultano perlomeno in linea<br />
e dove, per paradosso, rispetto<br />
ai discorsi precedentemente accennati<br />
il valore in più è proprio<br />
nel maggior spessore della storia<br />
che c’è dietro e nel fatto, sempre<br />
in prospettiva storica, che a distanza<br />
di 27 anni dall’originale<br />
(1.870.000 lire) il prezzo richiesto<br />
non appare eccessivo per un prodotto<br />
“fatto artigianalmente secondo<br />
il saper fare italiano”.<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 73
SELECTOR<br />
di Vittorio Pio<br />
Solo per (i tuoi) occhi jazz<br />
Passione, amore e bellezza sono coniugati nella filosofia della Newvelle Records, ambiziosa label francese<br />
che nel giro di soli quattro anni ha istituito un nuovo standard di eccellenza, grazie alle sue pubblicazioni in<br />
edizione limitata ed esclusive per foggia e contenuto, che possono essere ordinate solo per corrispondenza.<br />
Sei album l’anno di composizioni<br />
rigorosamente<br />
originali per filosofia<br />
aziendale; la tiratura è di 1.000<br />
copie per ciascuno e i clienti<br />
arrivano logicamente da tutto<br />
il mondo. Quella in atto è la<br />
quarta stagione e l’abbonamento<br />
risulta alquanto impegnativo:<br />
400 dollari senza scelta, o<br />
si compra tutta la produzione<br />
senza possibilità di pre-ascolto<br />
o si è fuori. Ma ogni album è<br />
confezionato con una cura che<br />
Il “guru” del suono Marc Urselli.<br />
rasenta la maniacalità, utilizzando<br />
i migliori materiali di<br />
stampa, grammatura pesante,<br />
vinili sensualmente chiari e una<br />
grafica coerente per pulizia e<br />
suggestione al linguaggio jazz.<br />
Il tutto al servizio di una dinamica<br />
calda e avvolgente, che si<br />
avvale delle migliori strumentazioni<br />
analogiche messe a punto<br />
dal “guru” del suono Marc<br />
Urselli. Un’esperienza anche<br />
tattile che difficilmente può essere<br />
dimenticata, riassunta qui<br />
da Elan Mehler, il co-fondatore<br />
dell’etichetta, anch’egli musicista<br />
di jazz. Dopo un periodo<br />
molto intenso a New York nel<br />
2010 si è trasferito a Parigi per<br />
iniziare questa nuova e avvincente<br />
sfida: “Abbiamo fondato<br />
l’etichetta nel 2015, anni belli<br />
e vorticosi che sono passati in<br />
un battibaleno. Ho incontrato il<br />
mio futuro socio Jean Cristophe<br />
Morriseau giusto qualche tempo<br />
prima, l’occasione era quella<br />
di fargli delle lezioni di piano.<br />
Dopo aver fantasticato un po’<br />
siamo scesi nei dettagli, riuscendo<br />
a individuare e pubblicare<br />
il nostro primo disco con<br />
Frank Kimbrough. L’idea nasce<br />
dall’offrire ai musicisti coinvolti<br />
la piena proprietà dei master<br />
registrati; in cambio chiediamo<br />
di pazientare almeno due anni<br />
prima di ristampare quella<br />
stessa musica in qualunque altro<br />
formato dal momento che il<br />
lavoro in questione farà parte<br />
della nostra serie limitata in vinile,<br />
che si può acquistare solo<br />
attraverso il nostro sito. Abbiamo<br />
una grande considerazione<br />
della musica e dell’arte in cui<br />
confluisce. In questa maniera<br />
i musicisti coinvolti vengono<br />
pagati in anticipo e in più<br />
mantengono anche la loro opera<br />
d’ingegno”. L’interesse della<br />
comunità jazzistica è stato notevole<br />
e molti musicisti hanno<br />
manifestato l’intenzione di registrare<br />
con Newvelle. Tutto si<br />
sta sviluppando rapidamente e<br />
nella prossima stagione faranno<br />
parte dell’avventura la stella<br />
nascente Sullivan Fortner, Dave<br />
Douglas, Anat Cohen, Jenny<br />
Scheinman, Chris Cheek e Kurt<br />
Elling fra molti altri.<br />
74 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019
Amato mio LP<br />
Elan Mehler, il co-fondatore di Newvelle Records.<br />
Qualcuno ha detto che per<br />
essere un buon produttore,<br />
occorre giocare di squadra,<br />
anche se ognuno possiede<br />
una diversa interpretazione<br />
di ciò che dovrebbe essere<br />
o fare con il suo ruolo. Tu<br />
oltre a farlo, suoni anche:<br />
è più importante essere un<br />
grande ascoltatore o un<br />
buon musicista?<br />
Scelgo senza ombra di dubbio la<br />
prima ipotesi. Quando suoni sei<br />
troppo coinvolto emotivamente:<br />
se fai un passo indietro resti<br />
certamente più lucido. Il mio<br />
ruolo è essenzialmente quello<br />
di chi lima i dettagli e cura i<br />
particolari.<br />
Newvelle è una label ancora<br />
molto giovane che ha avuto<br />
a che fare con artisti già<br />
molto affermati come Bill<br />
Frisell, Jack DeJohnette,<br />
Kenny Werner, Dave<br />
Douglas, Tim Berne, Dave<br />
Liebman: in questo caso<br />
pensi sia utile mostrare la<br />
tua personalità o è meglio<br />
restare quasi invisibili<br />
lasciando che la creatività<br />
fluisca?<br />
Newvelle per me ha imposto<br />
una nuova filosofia, mettendo<br />
a disposizione per quel profilo<br />
ideale di artista capace di<br />
esprimere veramente se stesso<br />
delle tele preziose e tutte da affrescare.<br />
Ogni anno si possono<br />
profilare uno o due progetti che<br />
potrei assemblare direttamente<br />
o su cui potrei dire una parola<br />
in più ma per la maggior parte<br />
del tempo cerco di stare fuori<br />
dalla mischia e di essere certo<br />
che i musicisti siano alimentati<br />
da buone energie.<br />
Come avete messo a punto<br />
e calibrato il vostro suono<br />
e come si innesca un nuovo<br />
progetto in Newvelle?<br />
Il suono è una delle nostre peculiarità<br />
principali ed è nient’altro<br />
che il risultato delle scelte e della<br />
maestria del nostro insostituibile<br />
ingegnere del suono Marc<br />
Urselli, e di ciò che di sensazionale<br />
riesce a ottenere presso<br />
l’East Side Sound di New York,<br />
dove ogni nostro disco viene registrato<br />
e mixato con una catena<br />
in cui il segnale si diffonde in<br />
maniera estremamente chiara<br />
e corta. Le scelte dei musicisti<br />
sono assolutamente personali:<br />
adesso che siamo abbastanza<br />
conosciuti, ho veramente l’imbarazzo<br />
della scelta. Ci sono<br />
davvero tanti fantastici musicisti<br />
che ambirebbero a lavorare<br />
con noi. Ho una tendenza personale<br />
verso musica più melodica<br />
o lirica ma queste sono parole<br />
dalle sfumature così estese che<br />
temo di non riuscire a evidenziare<br />
il significato più consono.<br />
Penso che la coerenza con i miei<br />
gusti musicali e scelte personali<br />
aiuterà Newvelle a mantenere la<br />
sua identità e tutto ciò che oggi<br />
la rende già così originale.<br />
A proposito, cosa pensi della<br />
scena contemporanea?<br />
Penso che ci sia molta musica<br />
creativa e brillante in giro: dovremmo<br />
essere tutti là fuori ad<br />
ascoltare e a intercettare talenti.<br />
Si può ipotizzare un<br />
recupero dei bei tempi<br />
andati in cui le etichette<br />
più note potranno essere<br />
nuovamente protagoniste<br />
nello scoprire e valorizzare<br />
giovani talenti?<br />
È molto difficile ipotizzare<br />
qualcosa per il futuro, almeno<br />
adesso. Chi può dire quale sarà<br />
il prossimo modello per l’industria<br />
discografica? Abbiamo<br />
visto come internet nelle sue<br />
applicazioni o effetti inerenti la<br />
musica abbia avuto lo stesso effetto<br />
di una gigantesca meteora<br />
abbattutasi sulla terra. Al momento<br />
c’è ancora così polvere<br />
in aria che nessuno è capace<br />
di scorgere il nuovo profilo del<br />
territorio che si vedrà una volta<br />
che si saranno diradati gli ultimi<br />
granelli. Nel frattempo c’è sempre<br />
bisogno di nuovi modelli e<br />
alternative, in modo da registrare<br />
e immettere sul mercato la<br />
migliore musica possibile.<br />
In tutta questa euforia si<br />
può immaginare quale<br />
potrebbe essere un disco<br />
che già sogni di poter<br />
produrre e pubblicare o sei<br />
già soddisfatto così?<br />
Mi ritengo già un privilegiato<br />
per aver avuto la chance di lavorare<br />
con molti dei miei eroi, fra<br />
cui Bill, Jack, Frank, Dave, Kenny,<br />
Tim ma anche John Patitucci,<br />
Kevin Hays, Lionel Loueke e<br />
ancora troppi altri da dover nominare,<br />
per cui non mi sentirei<br />
troppo a mio agio nel desiderare<br />
a occhi aperti. Là fuori ci sono<br />
tanti ottimi musicisti che conosco<br />
da anni ma che ancora non<br />
hanno ricevuto la giusta considerazione<br />
e che meritano una<br />
buona chance con noi: il fatto<br />
di riuscirgli a confezionare l’ideale<br />
cornice espressiva anche<br />
dal punto di vista etico mi rende<br />
parecchio euforico.<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019 75
SELECTOR<br />
a cura di Carlo D’Ottavi<br />
GEORG FRIEDRICH HAENDEL:<br />
BROKES-PASSION<br />
Richard Egarr dir. Orchestra e<br />
Coro Academy of Ancient Music<br />
Solisti vari<br />
AAM records AAM007<br />
Questa uscita, nel formato<br />
CD (3) o Hi-Res<br />
FLAC 96/24, celebra il<br />
300° anniversario della grande<br />
passione di Brockes musicata,<br />
in forma di Oratorio, da<br />
G.F.Handel: un capolavoro<br />
a lungo trascurato di questo<br />
geniale compositore. Richard<br />
Egarr e l’Accademy of Ancient<br />
Music sono affiancati da<br />
un notevole cast di solisti tra i<br />
quali spiccano i tenori Robert<br />
Murray, Gwilym Bowen e Nicky<br />
Spence, il baritono Cody<br />
Quattlebaum, le soprano Elizabeth<br />
Watts e Ruby Hughes<br />
e il contro-tenore Tim Mead.<br />
L’originale di Handel è da tempo<br />
perduto e le varie pubblicazioni<br />
in CD, anche recenti, non<br />
sono mai state il risultato di<br />
una ricostruzione così attenta<br />
e metodica come è stato fatto<br />
in questo caso. Per dire del<br />
successo del lavoro di Brockes:<br />
il testo fu messo in musica non<br />
solo da Haendel nel 1719 ma<br />
anche da Reinhard Keiser, Johann<br />
Matheson, Georg Philipp<br />
Telemann e persino da Johan<br />
Sebastian Bach che ne utilizzò<br />
diversi numeri per la sua Johannes<br />
Passion, spingendosi<br />
a utilizzare direttamente alcuni<br />
pezzi musicati da Haendel<br />
nel “pastiche” della Passione<br />
secondo Marco, peraltro andata<br />
persa.<br />
Per creare questa nuova edizione<br />
l’Accademy of Ancient Music<br />
si è avvalsa di un team di<br />
studiosi e musicologi delle Università<br />
di Oxford, Cambridge,<br />
del King’s College di Londra e<br />
altri studiosi, che hanno affiancato<br />
nelle ricerche il direttore<br />
musicale Richard Egarr e il redattore<br />
Leo Duarte. Consultando<br />
15 fonti di manoscritti<br />
provenienti da 11 collezioni in<br />
5 paesi, hanno prodotto l’edizione<br />
più sostanziale di questo<br />
lavoro, incluse appendici movimenti<br />
extra; Charles Jennens si<br />
è invece dedicato a una parziale<br />
traduzione inglese nelle<br />
loro registrazioni in anteprima<br />
mondiale. Un opuscolo deluxe<br />
di 220 pagine accompagna<br />
questa pubblicazione, con note<br />
complete, la prima versione<br />
contemporanea del testo originale<br />
nello stile antico gotico<br />
detto Kurrentschrift accanto al<br />
moderno libretto tedesco, una<br />
nuovissima traduzione inglese<br />
e molto altro.<br />
Questo album è forse quello che<br />
maggiormente si avvicina allo<br />
spirito di questo testo. L’opera,<br />
che comprende 117 numeri è un<br />
susseguirsi incalzante di arie,<br />
cori, corali, ariosi e recitativi,<br />
caratterizzata da una marcata<br />
teatralità, libera da lentezze e<br />
tempi morti. In particolare,<br />
spicca la varietà melodica delle<br />
arie, sostenute da magnifici<br />
accompagnamenti strumentali.<br />
La soprano Elizabeth Watts<br />
prende le luci della ribalta<br />
nei panni della Figlia di Sion,<br />
con il tenore Robert Murray e<br />
il baritono basso Cody Quattlebaum<br />
che interpretano rispettivamente<br />
l’Evangelista e<br />
Cristo, tra gli altri. L’Orchestra<br />
e il coro di AAM hanno<br />
registrato questa nuova uscita<br />
in occasione dell’anniversario,<br />
il Venerdì Santo alla Barbican<br />
Hall di Londra. L’esplorazione<br />
e la riscoperta della Brockes-<br />
Passion di Handel è stato un<br />
affascinante viaggio di scoperta<br />
che è solo l’inizio, nell’era moderna,<br />
di questa grande opera<br />
di Handel. Un’opera per certi<br />
versi spiazzante, musicalmente<br />
e testualmente, che spezza un<br />
po’ il monopolio nel genere del<br />
grande contemporaneo J. S.<br />
Bach. L’etichetta AAM Records<br />
altro non è che una costola di<br />
quella Oyseau Lyre dedita, soprattutto,<br />
alla musica barocca<br />
del Sei-Settecento, entrata a far<br />
part negli anni Ottanta del secolo<br />
scorso della famiglia Decca, e<br />
si caratterizza per una costante<br />
e assidua ricerca filologica alla<br />
ricerca di spartiti originali, nella<br />
prassi esecutiva, avvalendosi<br />
dei migliori ingegneri e tecnici<br />
del suono che hanno reso famosa<br />
in tutto il mondo la grande<br />
casa londinese. La AAM Records<br />
si sta muovendo sulla scia di altre<br />
orchestre famose come quella<br />
dei Berliner Symphoniker o della<br />
Los Angeles Orchestra, alla ricerca<br />
di una maggiore indipendenza<br />
artistica e creativa, allentando gli<br />
stretti legami e ritmi imposti delle<br />
major discografiche.<br />
Su www.prestomusic.com/classical<br />
a 48 euro.<br />
76 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019
Secondo noi la classica<br />
DMITRI SHOSTAKOVIC<br />
SINFONIA N°4<br />
Gianandrea Noseda Dir.<br />
London Symphony Orchestra<br />
LSO Live - LSO0832<br />
Quest’opera, disponibile<br />
in CD e file Hi-<br />
Res 24/96, è il punto<br />
d’arrivo della prima fase<br />
creativa di Shostakovic come<br />
compositore: un inizio sfolgorante,<br />
contrassegnato da una<br />
formazione artistica e intellettuale<br />
che si era grandemente<br />
arricchita a stretto contatto<br />
con le tendenze musicali più<br />
avanzate che avevano animato<br />
gli anni Venti. Dopo aver<br />
esordito brillantemente come<br />
pianista nel 1925, Shostakovic<br />
abbandonò l’attività concertistica<br />
per privilegiare la composizione<br />
e già il 12 maggio 1926<br />
trionfò a Leningrado con la<br />
sua Sinfonia n. 1. Una sinfonia<br />
ricca di idee, dalla geniale<br />
estrosità del linguaggio alla<br />
freschezza e spontaneità d’invenzione<br />
ai moduli stilistici vivaci<br />
ed aggressivi, sottolineati<br />
da armonie dissonanti, da sonorità<br />
asciutte e incisive, nonché<br />
da una ritmica angolosa e<br />
aspra, che pose Shostakovic<br />
tra i compositori più in vista<br />
della nascente musica sovietica<br />
accanto a Prokofiev, tanto<br />
per dirne il livello. Fu l’inizio<br />
di una vulcanica produzione in<br />
cui il compositore mostrò uno<br />
spiccato interesse per le esperienze<br />
multiformi dell’avanguardia<br />
europea dal futurismo<br />
all’espressionismo, pur risultando<br />
altrettanto palese il suo<br />
impegno per un’arte “antiborghese<br />
e rivoluzionaria” sia nei<br />
contenuti che nelle forme. Tra<br />
queste l’opera Lady Macbeth<br />
del distretto di M’censk la cui<br />
prima fu eseguita in contemporanea<br />
a Leningrado e Mosca<br />
il 22 gennaio 1934 - un vistoso<br />
successo al quale seguirono un<br />
centinaio di repliche non solo<br />
nella madrepatria ma anche<br />
nel resto d’Europa e negli USA.<br />
Passano solo due anni e il clima<br />
nell’URSS cambia drasticamente:<br />
la Pravda bolla l’opera<br />
come “Confusione invece di<br />
musica”. L’articolo, non firmato<br />
ma probabilmente suggerito<br />
da Stalin, accusa l’opera di formalismo,<br />
in sostanza di essere<br />
un’espressione dell’ideologia<br />
borghese. Altri lavori furono<br />
analogamente accusati di mancanza<br />
di melodia e passione.<br />
Questi attacchi improvvisi e<br />
violenti sconvolsero Shostakovic,<br />
definito un artista nemico<br />
del popolo, al punto di temere<br />
per la propria vita. Le sue opere<br />
uscirono dai cartelloni dei teatri<br />
russi e Shostakovic decise<br />
di ritirare anche la sua Quarta<br />
Sinfonia completata<br />
nel 1936. La conseguenza<br />
ineluttabile dell’ostracismo<br />
inflitto a Shostakovic nel<br />
1936 fu, per il compositore,<br />
l’abbandono di qualunque<br />
iniziativa creativa nell’ambito<br />
della grande forma teatrale.<br />
La vicenda occorsa alla Quarta<br />
Sinfonia fu il punto di<br />
rottura con le ambizioni della<br />
giovinezza. Furono necessari<br />
più di venticinque anni prima<br />
che si creasse una situazione<br />
favorevole a una esecuzione<br />
pubblica. La Sinfonia fu<br />
tuttavia eseguita per la prima<br />
volta soltanto il 30 dicembre<br />
1961, nella Sala Grande<br />
del Conservatorio di Mosca<br />
dall’Orchestra Filarmonica<br />
di questa città diretta da Kiril<br />
Kondrasin. La Sinfonia è<br />
formata da tre soli movimenti.<br />
Il primo, Allegretto poco<br />
moderato, è un brano<br />
d’andamento rapsodico in<br />
cui compaiono ampie sezioni<br />
solistiche per gli ottoni, di<br />
carattere continuamente<br />
mutevole, ora magniloquente,<br />
ora ironico, ora lirico. Il<br />
secondo tempo, Moderato<br />
con moto, è il più breve e ha il<br />
carattere di uno scherzo. Il terzo<br />
e ultimo movimento, Largo,<br />
Allegretto, si articola in cinque<br />
sezioni; la prima è una marcia<br />
di tono lugubre e grottesco;<br />
la seconda è basata sulla ripetizione<br />
di un breve inciso<br />
ostinato; la terza è una sorta<br />
di valzer viennese deformato;<br />
la quarta si affida a sonorità<br />
clownesche dei fiati; la quinta<br />
è invece di tono più sereno, e si<br />
apre con un corale culminante<br />
in una grande perorazione<br />
a piena orchestra. Una lunga<br />
Coda ripropone, ancora una<br />
volta, la reminiscenza dell’idea<br />
primigenia con gli accenti solistici<br />
della tromba e i reiterati<br />
arpeggi della celesta, la Quarta<br />
Sinfonia esaurisce tutta la<br />
sua carica espressiva nella<br />
dissolvenza del “morendo” di<br />
rara emozione e magnificenza.<br />
Questa è la terza registrazione<br />
nel progetto del ciclo di<br />
Shostakovich dell’LSO con il<br />
loro principale direttore ospite<br />
Noseda e fa seguito all’interpretazione<br />
della ottava sinfonia<br />
elogiata per l’intensità e<br />
profondità dell’esecuzione. In<br />
questo capitolo, eseguito nel<br />
novembre 2018 nella sala del<br />
Barbicane a Londra, appare<br />
evidente come ogni nota è stata<br />
resa palpitante e raffinata,<br />
non mancando di sottolineare i<br />
climax con dinamiche e volumi<br />
impressionanti.<br />
Su: https://lsolive.lso.co.uk/<br />
collections/flac/products/<br />
shostakovich-symphony-no-<br />
4-download<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019 77
SELECTOR<br />
di Marco Fullone<br />
Battisti come non l’avete mai ascoltato...<br />
per davvero!<br />
Quando ascoltai per la prima volta le stampe di prova in vinile di “Masters Vol. 1” di Lucio Battisti rimasi<br />
seriamente impressionato, forse mi aspettavo il solito remaster farlocco a cui spesso ci ha abituato la<br />
discografia ma in questo caso - davvero - mi resi conto che Battisti così non lo avevo mai ascoltato. Poi è<br />
arrivato Masters Vol. 2.<br />
In quel periodo la Sony stava<br />
alacremente lavorando<br />
sul progetto denominato<br />
“Archivio del Suono” improntato<br />
al recupero e restauro del<br />
mitico catalogo della RCA, Numero<br />
Uno, Ricordi, una sfida<br />
non da poco considerando che<br />
alcuni dei nomi più importanti<br />
della storia musicale italiana<br />
(Battisti, De Andrè, Dalla,<br />
PFM, Banco, Baglioni, etc.)<br />
erano parte integrante di questo<br />
imponente lavoro di studio.<br />
Finalmente il prezioso archivio<br />
dei nastri (trasferito in Germania<br />
quando la BMG comprò la<br />
RCA e le etichette correlate)<br />
fu oggetto di un vero lavoro di<br />
remastering digitale partendo<br />
proprio dai master originali<br />
registrati da Battisti. Di fatto<br />
era la prima volta che si operava<br />
sui nastri multi-traccia<br />
probabilmente dei tempi in<br />
cui vennero registrati dall’artista,<br />
anche perché nel periodo<br />
delle prime stampe su CD vennero<br />
utilizzati i master stereo<br />
già mixati. Quello che emerse<br />
con “Masters” era chiaro più<br />
che mai: Battisti non era solo<br />
78 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019
Amato mio LP<br />
uno straordinario autore di<br />
canzoni ma anche un musicista<br />
raffinato e un produttore,<br />
arrangiatore sempre alla<br />
ricerca di qualcosa di nuovo e<br />
originale.<br />
Una piccola grande conquista<br />
è stata comunque l’apparizione<br />
del catalogo (a esclusione<br />
degli ultimi album con Panella<br />
– quelli con la copertina bianca<br />
per capirci) sulle principali<br />
piattaforme di streaming e<br />
vendita online come iTunes,<br />
Apple Music, Spotify, Qobuz,<br />
in una data fatidica, il 29 settembre.<br />
Una conquista per la<br />
cultura musicale italiana e per<br />
il pubblico (soprattutto per i<br />
più giovani) che finalmente<br />
possono ascoltare Battisti anche<br />
con i nuovi e ormai sempre<br />
più diffusi dispositivi elettronici.<br />
La battaglia legale portata<br />
avanti da Mogol ha dato i suoi<br />
frutti e liberato il repertorio<br />
di Battisti una volta per tutte<br />
dopo tanti anni di attesa. Una<br />
scelta incomprensibile da parti<br />
degli eredi che non solo ha privato<br />
il grande pubblico della<br />
possibilità di ascoltare le<br />
canzoni di Battisti attraverso<br />
i nuovi canali della musica liquida<br />
ma ha portato sull’orlo<br />
del fallimento le edizioni Acqua<br />
Azzurra.<br />
Il secondo appuntamento<br />
con “Masters”, pubblicato in<br />
un bel box con 4 CD oppure<br />
su triplo LP, offre qualche<br />
spunto alternativo al box<br />
precedente che conteneva<br />
un concentrato di gran<br />
parte dei pezzi più famosi<br />
e amati. Si tratta quindi di<br />
una selezione “alternativa”<br />
con scelte sicuramente molto<br />
belle tra le album track del<br />
repertorio. Stano, però, che<br />
in questo caso si sia deciso<br />
di selezionare ulteriormente<br />
per la versione vinile solo<br />
28 brani contro i 48 del box<br />
CD. Probabilmente si tratta<br />
di una prima versione ridotta<br />
(anche di Masters 1 era stata<br />
pubblicata una versione a 3 LP<br />
in alternativa al box di 8) a cui<br />
seguirà una versione completa<br />
di 6 o 7 LP in boxset (vedremo<br />
se in vinile colorato). Magari<br />
a Natale!<br />
La qualità del suono è sorprendente,<br />
merito del lavoro fatto<br />
per riversare i nastri originali<br />
in digitale come già raccontato<br />
in passato, una tecnica utilizzata<br />
anche per le ristampe recenti<br />
di altri artisti Sony come<br />
Lucio Dalla, PFM, Banco, De<br />
Andrè, etc. Spiace, però, che<br />
sul piano dello streaming tutti<br />
questi lavori vengano proposti<br />
in definizione standard.<br />
Tralasciando Spotify o Apple<br />
Music che offrono un flusso<br />
simil mp3, gli album di Lucio<br />
Battisti su Qobuz sono offerti<br />
in vendita o in streaming in<br />
qualità CD, 16 bit / 44 kHz.<br />
Considerando che il remaster<br />
è stato fatto in alta definizione<br />
a 24 bit / 192 kHz gli appassionati<br />
si perdono una grande<br />
occasione di ascolto. Speriamo<br />
che in futuro la Sony decida di<br />
cambiare la propria politica<br />
commerciale e di marketing<br />
offrendo Battisti con audio<br />
realmente in alta definizione<br />
sebbene l’investimento in questo<br />
senso abbia portato fortuna<br />
alla serie di capolavori di<br />
casa RCA ristampati su vinile<br />
proprio utilizzando i master in<br />
HD. Anche in CD, comunque,<br />
l’upgrade è notevole rispetto al<br />
passato digitale di Battisti, merito<br />
dell’ingegnere del suono<br />
che ha processato le preziose<br />
bobine.<br />
Avere la possibilità, oggi, di<br />
riascoltare questo meticoloso<br />
lavoro di studio con una qualità<br />
e una trasparenza assolutamente<br />
inedite nella storia<br />
dell’artista è un’esperienza<br />
che mostra, una volta per tutte,<br />
la genialità e la ricchezza<br />
delle sue canzoni. Il paragone<br />
più banale lo si fa spesso<br />
pensando ai capolavori della<br />
pittura sui quali il tempo ha<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019 79
SELECTOR<br />
posato una patina che ha tolto<br />
vivacità ai colori, spento i<br />
dettagli e la raffinatezza dell’esecuzione.<br />
Il restauro, se ben<br />
eseguito, riporta all’originale<br />
splendore tali capolavori, un<br />
concetto applicabile senza<br />
tema di smentita anche al repertorio<br />
immortale di Battisti.<br />
E di questo ne ho parlato<br />
con Gaetano Ria, ingegnere<br />
del suono (all’epoca definito<br />
più semplicemente fonico) di<br />
alcuni degli album più belli tra<br />
il 1971 e il 1976, e con Alberto<br />
Radius, chitarrista e amico<br />
di sempre. Entrambi sono<br />
stati con Battisti in un periodo<br />
creativamente straordinario<br />
e, da quello che raccontano,<br />
Lucio passava molto tempo in<br />
studio. Alla luce di queste ultime<br />
importanti pubblicazioni<br />
del suo catalogo rimasterizzato<br />
molti fan dell’artista si chiedono<br />
ancora come mai non siano<br />
mai stati pubblicati brani<br />
inediti, versioni alternative, o<br />
magari qualcuna delle ormai<br />
leggendarie canzoni cantate in<br />
finto inglese. Così mi è sembrato<br />
logico chiedere a Ria e<br />
Radius come sia possibile che<br />
in questi nastri non sia stato<br />
trovato nulla di nulla. “Mah, io<br />
non ho mai sentito nulla”, sostiene<br />
Radius, “non penso esistano<br />
sui nastri della Ricordi<br />
o Numero1”. Anche Ria sembra<br />
cadere dalle nuvole. “Poi<br />
non so se la moglie di Lucio”,<br />
continua Radius, “conservi<br />
nastri con i provini o altro.<br />
Lucio amava molto provare<br />
nel suo studio di casa, molti<br />
dei suoi capolavori sono nati<br />
così! Poi lei era una che non si<br />
occupava assolutamente della<br />
parte artistica ma era molto<br />
presente in tutte le cose pratiche<br />
del marito”.<br />
Considerando l’ostracismo<br />
della famiglia Battisti nei<br />
confronti dell’avvento della<br />
musica digitale ma anche per<br />
qualsiasi iniziativa riguardi<br />
l’artista – tranne la pubblicazione<br />
di LP e CD che evidentemente<br />
era scritta nei contratti<br />
artistici – è facile immaginare<br />
che se mai esistano nastri con<br />
tali meraviglie probabilmente<br />
non li ascolteremo mai. Un<br />
vero peccato per la storia di<br />
Battisti, soprattutto se pensiamo<br />
a quanto si è fatto, scoperto<br />
e pubblicato in questi anni di<br />
artisti leggendari come Beatles,<br />
Dylan, Bowie, ecc. Chiaramente<br />
saccheggiare l’intimo di<br />
un artista non piace a nessuno<br />
ma esplorare e soprattutto<br />
magari conoscere la genesi di<br />
tanti suoi capolavori sarebbe<br />
un regalo enorme per i fan. Ho<br />
provato a farlo con le mie domande<br />
a queste due persone,<br />
bene introdotte nell’universo<br />
Battisti...<br />
Mi raccontate che metodo<br />
usava Battisti per le<br />
session in studio? Era<br />
davvero così meticoloso?<br />
GR Lucio era un perfezionista,<br />
arrivava in studio con in testa<br />
esattamente quello che voleva<br />
ottenere dai suoi musicisti,<br />
non amava improvvisare perché<br />
si preparava tutto nel suo<br />
studio di casa. Poi aveva un<br />
metodo tutto suo di suonare le<br />
varie parti ed esigeva che tutti<br />
i musicisti potessero vedersi in<br />
faccia e controllassero la sua<br />
mimica. Era un linguaggio in<br />
tempo reale in cui un cenno<br />
o una particolare espressione<br />
serviva a dare uno spunto a<br />
uno strumentista, a modificare<br />
un accordo o seguire un certo<br />
ritmo. Io stesso come fonico<br />
dovevo fare attenzione a che<br />
tutti potessero essere ben visibili<br />
organizzando di conseguenza<br />
lo studio.<br />
Che tipo di rapporto si<br />
instaurava sul piano<br />
tecnico della ripresa del<br />
suono?<br />
GR Beh Lucio all’inizio mi ha<br />
corteggiato per un po’ perché<br />
adorava il suono degli album<br />
di progressive che avevo già<br />
curato prima di lavorare con<br />
lui, ad esempio con la PFM.<br />
Era molto curioso e sempre attento<br />
alle innovazioni, amava<br />
anche sperimentare. Però era<br />
abbastanza chiuso sul piano<br />
della produzione artistica e<br />
non voleva intromissioni. Una<br />
volta mi permisi di suggerire<br />
80 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019
SELECTOR<br />
IL PIÙ ORIGINALE POSSIBILE<br />
Abbiamo chiesto a Bashar Shammout, sound engineer<br />
della dc1 GmbH – media & object digitisation<br />
(lo studio che sta digitalizzando il repertorio Sony<br />
Music proveniente dagli archivi RCA) qualche informazione<br />
sui metodi utilizzati per il remaster<br />
della discografia di Lucio Battisti.<br />
Puoi dirci esattamente come avviene il processo<br />
di trasferimento dei nastri dell’archivio<br />
originale della RCA?<br />
I nastri provengono principalmente da fonti analogiche<br />
e questi devono essere gestiti con cura speciale e<br />
correttamente. A seconda del tipo di nastro, è necessario<br />
un trattamento speciale come ripristino fisico<br />
o disidratazione. Dopo questo importante lavoro di<br />
restauro dei nastri, inizia il processo di digitalizzazione:<br />
in primis la corretta e assoluta regolazione<br />
del percorso di riproduzione, compresa la riduzione<br />
del rumore Dolby, se presente, e termina con la<br />
conversione analogica-digitale con un convertitore<br />
high-end. Infine, iniziano i processi di trattamento<br />
del suono, correzione e mastering e il master finale<br />
sarà controllato e poi rilasciato per la produzione.<br />
Che tipo di macchine utilizzate?<br />
Per la digitalizzazione utilizziamo diverse macchine<br />
di fascia alta, come Studer A827 24 tracce da<br />
un pollice, Studer A820 per 2 tracce e mezzo pollice,<br />
3M 32 tracce e 4 tracce da digitale a digitale,<br />
Mitsubishi X86. La conversione A/D viene eseguita<br />
con Yamaha Systems, convertitori “Kuhnle 8192”<br />
o “Weiss” dalla Svizzera. Il re-mastering viene eseguito<br />
con i componenti audio di fascia alta di Pro<br />
Tools, WaveLab, Sadie e altri sistemi di Steinberg.<br />
Se disponibili, immagino che usiate i nastri<br />
multi-traccia. In caso contrario rimasterizzate<br />
il nastro che contiene la traccia del mix stereo<br />
dell’epoca?<br />
Dall’esperienza di ascolto abbiamo notato che i lavori<br />
di rimasterizzazione più spettacolari si ottengono<br />
lavorando proprio sui multi-traccia e su un<br />
nuovo missaggio stereo o 5.1 (vedi King Crimson,<br />
Beatles, etc.) Sì, questo è spesso il caso, ma dipende<br />
ovviamente dalla disponibilità e dallo stato dei<br />
nastri. Purtroppo molti nastri multi-traccia si stanno<br />
deteriorando e richiedono un restauro speciale,<br />
anche perché non sempre vengono conservati in<br />
modo corretto in atmosfera controllata.<br />
Come vengono massimizzate le tracce? Per<br />
rispettare le dinamiche originali immagino che<br />
evitiate gli errori commessi in passato usando<br />
una compressione forzata o altri artifici.<br />
Sì, proviamo a rendere il suono “moderno” ma<br />
mantenendo il suono originale il più “originale”<br />
possibile. Questa è davvero una sfida per trovare<br />
il giusto equilibrio tra “originale” e “modernità”.<br />
L’anno scorso si è verificato un sensazionale caso<br />
di errore nel trasferimento da nastro analogico<br />
a digitale (parliamo del brano Heroes di David<br />
Bowie) ed è stato rilasciato il pezzo più iconico<br />
di un artista con un fastidioso cambio di<br />
volume e dinamica. Quando lavori su questi<br />
pezzi storici, non hai paura di fare degli errori?<br />
Fondamentalmente è come un restauro di un<br />
quadro di un pittore famoso.<br />
No, non temiamo questo genere di errori: abbiamo<br />
decenni di esperienza sul campo e stiamo lavorando<br />
con molta attenzione e con grande rispetto per<br />
il contenuto musicale. Heroes non è stato realizzato<br />
da noi, quindi non posso commentarlo.<br />
un cambio di tonalità su un arrangiamento<br />
di piano che non<br />
girava bene e lui mi disse che dovevo<br />
curarmi solo del suono, che<br />
il produttore e l’artista era lui. Poi<br />
in realtà seguì il mio consiglio.<br />
Che tipo di musicista era<br />
Lucio?<br />
AR Beh Lucio era un creativo<br />
ma spesso faceva fatica a<br />
mettere in pratica le sue idee<br />
in fatto di suoni o assoli. Si<br />
affidava a me magari strimpellando<br />
qualcosa (Radius lo<br />
imita canticchiando qualcosa<br />
e mimando con la chitarra una<br />
melodia improbabile e sbilenca)<br />
fino a quando io non intuivo<br />
cosa davvero aveva in mente.<br />
Sono nati così tanti pezzi<br />
di Lucio, a lui piaceva questa<br />
sinergia tra noi e io riuscivo a<br />
portare quel tiro rock che lui<br />
desiderava per le sue canzoni.<br />
Battisti è sempre apparso<br />
al pubblico timido e<br />
distaccato. Voi che ci<br />
passavate giornate intere<br />
assieme che ricordo avete?<br />
AR Era un simpaticone! Raccontava<br />
barzellette e amava<br />
scherzare. Con lui non ti annoiavi<br />
mai. Certo aveva un<br />
rapporto col pubblico un po’<br />
controverso e non amava essere<br />
importunato. All’apice<br />
della sua popolarità era difficile<br />
per lui andare in giro<br />
senza che qualcuno cercasse<br />
di parlargli o di farsi fare un<br />
autografo. Una volta – non ricordo<br />
se eravamo a Rimini – si<br />
era creata una piccola folla di<br />
fronte al ristorante dove stavamo<br />
cenando. Tutti spingevano<br />
per vedere Lucio, spingevano a<br />
tal punto che la vetrina cadde<br />
finendo in mille pezzi. Per un<br />
pelo non ci colpì!<br />
82 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019
SELECTOR<br />
di Vittorio Pio<br />
Lucio Dalla<br />
LUCIO DALLA<br />
Sony/Legacy Edition<br />
Definitiva<br />
versione<br />
per uno dei<br />
dischi più<br />
importanti<br />
nella storia<br />
più nobile del nostro cantautorato:<br />
quel colpo d’ala capace di<br />
massimizzare la popolarità del<br />
cantautore bolognese che già con<br />
Roberto Roversi aveva evidenziato<br />
un talento capace di fare categoria<br />
a sé e successivamente fatto<br />
gridare al capolavoro in Com’è<br />
profondo il mare, il primo album<br />
scritto interamente da solo, decretando<br />
di fatto il suo ingresso<br />
permanente nell’olimpo assoluto<br />
della “cosiddetta” musica leggera.<br />
Fiumi d’inchiostro sono già stati<br />
versati per magnificare quello che<br />
sarebbe stato l’album più venduto<br />
dell’anno di grazia 1979, certificato<br />
disco d’oro con 500.000 copie<br />
vendute, sull’oltre milione totale<br />
che continua a totalizzare. Guarda<br />
caso il numero due di quella stessa<br />
classifica di vendita sarebbe stato<br />
l’altrettanto epocale Banana<br />
Republic, il live condiviso con<br />
Francesco De Gregori e Ron, resoconto<br />
fedele di un’altra Italia.<br />
Metà dei brani di Lucio Dalla,<br />
pur non essendo mai ufficialmente<br />
stampati a 45 giri, passarono a<br />
furor di popolo come singoli in radio:<br />
L’ultima luna, Stella di mare,<br />
Anna e Marco, Cosa sarà, sono<br />
brani per i quali si stentano a<br />
trovare adeguati superlativi più<br />
che semplici aggettivi, per come<br />
suonano moderni ed attualissimi<br />
quarant’anni dopo. Sarebbe<br />
stato difficile se non impossibile<br />
per chiunque altro chiudere un<br />
album così, certamente non per<br />
Lucio, capace dell’immaginifica e<br />
straordinaria L’anno che verrà,<br />
un sigillo non solo a questo magnifico<br />
LP in cui venne inserita ma<br />
anche ai dolenti anni di piombo,<br />
con quel 1978 che registrò l’eccidio<br />
di Aldo Moro e l’espansione<br />
del terrorismo ideologico, la morte<br />
naturale di Paolo VI e quella fulminea<br />
per quanto misteriosa del<br />
suo successore, Giovanni Paolo I.<br />
Una lettera di dolore, sofferenza<br />
e speranza, capace di divenire un<br />
classico istantaneo, perché capace<br />
di accomunare un intero paese<br />
nell’utopia del “riflusso”, ovvero la<br />
voglia di uscire dalle ristrettezze e<br />
dal timore (“Si esce poco la sera<br />
compreso quando è festa / e c’è<br />
chi ha messo dei sacchi di sabbia<br />
vicino alla finestra”), guardando<br />
verso se stessi per aprirsi a un futuro<br />
pieno di speranza e libertà, che<br />
si riaffaccia prepotentemente ai<br />
giorni nostri, anche se il paradiso<br />
in terra resta quanto mai lontano.<br />
Nel consueto formato a libretto rigido<br />
che caratterizza ormai queste<br />
ristampe, oltre all’album originale<br />
con remaster a 24 bit/192 hertz ci<br />
sono tre aggiunte che è esagerato<br />
definire inediti, in quanto<br />
della loro esistenza si è spesso<br />
parlato. C’è Angeli finalmente,<br />
misteriosamente scartata nel<br />
mix finale, sebbene fosse stata<br />
presentata anche nei concerti<br />
ufficiali in Svizzera di quel periodo<br />
e poi interpretata in studio da<br />
Bruno Lauzi con lo stesso Lucio<br />
ai cori nel 1981. È presente una<br />
versione di Stella di mare in un<br />
curioso inglese e poi c’è una superba<br />
prova in studio di Ma come<br />
fanno i marinai, l’altro inno cantato<br />
assieme a De Gregori che il<br />
cantautore romano ebbe a ricordare<br />
così: “Quando un giorno<br />
Dalla venne a pranzo a casa mia<br />
insieme a Ron, cosa che avveniva<br />
abbastanza di frequente, mi feci<br />
trovare intento a scrivere questa<br />
canzone. Forse già mentre la<br />
pensavo ipotizzavo che, assieme<br />
a Lucio, sarebbe potuta diventare<br />
una cosa forte, importante<br />
e divertente. E lui la sentì, se ne<br />
innamorò, ci mise subito un bel<br />
riff di clarinetto all’inizio, aggiunse,<br />
cambiò, migliorò, la rese decisamente<br />
più “commestibile”, più<br />
adatta alle nostre due vocalità”.<br />
Oltre a un saggio commemorativo<br />
di John Vignola, anche le testimonianze<br />
di Dente, Colapesce<br />
e Di Martino: le (pen)ultime generazioni<br />
fortemente influenzate<br />
da queste canzoni, che hanno una<br />
dedica speciale anche da parte di<br />
Alessandro Colombini, produttore<br />
discografico del suo luccicante<br />
esordio in solo e Maurizio Biancani,<br />
il sound engineer garanzia<br />
di qualità, che ovviamente era in<br />
studio con Lucio anche in quell’occasione.<br />
In più ci sono le illustrazioni<br />
originali di Alessandro Baronciani<br />
che sottolinea con affetto<br />
la circostanza: “Ho scoperto Dalla<br />
tramite mio fratello più grande.<br />
Gli chiesi di registrarmi una cassetta<br />
e lui mi portò una Tdk da<br />
46 con il disco del 1979. Penso sia<br />
stato veramente il primo disco<br />
che ho ascoltato dall’inizio alla<br />
fine. Non ho altri ricordi di dischi<br />
prima. Di questo album ricordo<br />
tutti i testi a memoria e ogni volta<br />
che lo ascolto ho sempre la stessa<br />
sensazione di stupore surreale. E<br />
non so cosa pensiate della vita e<br />
dei cerchi ma sono stato chiamato<br />
— in questa speciale occasione del<br />
suo quarantennale — a chiudere<br />
un bellissimo cerchio: ridisegnare<br />
la copertina di Dalla 1979 e quindi<br />
di creare un booklet gigante con<br />
nove illustrazioni, una per canzone”.<br />
Nel cofanetto in vinile c’è<br />
anche lo stesso CD con i tre brani<br />
aggiunti, un libretto da 12 pagine<br />
e infine la stampa di una illustrazione<br />
di Baronciani in carta speciale<br />
30×30, numerata a mano.<br />
Acquisto obbligato per ricordare<br />
con gioia e tramandare, entusiasmandosi<br />
già alle prime note.<br />
84
Rock<br />
Vasco Rossi<br />
NON SIAMO<br />
MICA GLI<br />
AMERICANI!<br />
Sony/Legacy Edition<br />
Secondo appuntamento<br />
per la serie<br />
R>PLAY dedicata<br />
ai 40esimi<br />
anniversari<br />
dalle pubblicazioni<br />
degli album in studio di<br />
Vasco, con le note agiografiche<br />
che fanno partire qui un bivio<br />
fondamentale di una carriera ancora<br />
tutta da costruire ma dove,<br />
per la prima volta, si rivela quella<br />
vena irriverente e originale di<br />
rocker ruspante e sincero. Uscito<br />
il 30 aprile 1979 per l’etichetta<br />
indipendente Lotus, Non siamo<br />
mica gli Americani! tratta di<br />
emarginazione e pregiudizio, solitudine<br />
e ribellione; da quel momento<br />
in poi, malgrado le basse<br />
vendite commerciali, un ristretto<br />
pubblico di affezionati lo seguirà<br />
con un tifo quasi da stadio.<br />
Seppur ancora lontanissimi dai<br />
raduni oceanici che caratterizzeranno<br />
gli ultimi, ruggenti anni,<br />
Blasco inizia anche l’attività live:<br />
dopo il primo concerto in Piazza<br />
Maggiore a Bologna (“Avevo<br />
convocato tutti gli amici per quel<br />
concerto” ricorda lui oggi “eravamo<br />
più noi sul palco che la gente<br />
sotto...”) batte palmo a palmo<br />
quasi tutta l’Emilia Romagna e<br />
ogni sera sarà un trionfo. È anche<br />
il momento del suo battesimo<br />
televisivo, perché Renzo Arbore<br />
lo convoca al suo programma<br />
cult L’altra domenica dopo averlo<br />
visto esibirsi in (Per quello che<br />
ho da fare) faccio il militare, la<br />
canzone che irride la durezza della<br />
naja, ispirando il titolo di un<br />
disco rinnovato nel vestito (nelle<br />
versioni disponibili c’è un box<br />
di otto vinili ed esaustivo book<br />
fotografico), come nel sound,<br />
rimodellato dagli interventi del<br />
sapiente Maurizio Biancani, che<br />
poi gli produsse anche Bollicine,<br />
partendo dai nastri master analogici<br />
di studio tramite trattamento<br />
termico, restauro e acquisizione<br />
in digitale, presso gli studi Fonoprint<br />
di Bologna. A riascoltarlo<br />
ancora adesso questo disco colpisce<br />
per freschezza e sfrontatezza:<br />
prendete Fegato, fegato<br />
spappolato ad esempio, dove<br />
Vasco sintetizza il suo pensiero<br />
con argomenti talmente avanguardistici<br />
da risultare (più che<br />
mai) un caposcuola.<br />
Vittorio Pio<br />
Emma Frank<br />
COME BACK<br />
Justin Time Records - 2019<br />
Esistono girotondi<br />
intimi<br />
nelle<br />
profondità<br />
di ogni essere<br />
umano,<br />
quei momenti di solitudine<br />
acclamata nei quali si realizza<br />
una riscoperta di alcune<br />
bellezze che ci appartengono,<br />
che sono nostre ma restano lì<br />
nel silenzio grondante sentimento.<br />
Quegli spazi di apparente<br />
calma sono cibo per la<br />
creatività di Emma Frank e<br />
rappresentano il filo narrante<br />
di Come Back, l’ultimo lavoro<br />
discografico licenziato dall’etichetta<br />
Justin Time Records.<br />
La sua voce morbida e sinuosa<br />
esplora i temi dell’amore, del<br />
ludibrio, dell’insicurezza e di<br />
tutte le ombre emozionali che<br />
legano la sua esperienza interiore<br />
a quelle degli ascoltatori.<br />
Le composizioni evidenziano<br />
la duplice veste di vocalist e di<br />
cantautrice: le liriche forti, avvolte<br />
e mitigate dalle calde fioriture<br />
della sua voce. Le canzoni<br />
originali mettono in risalto<br />
l’intesa e il legame musicale<br />
con il pianista Aaron Parks,<br />
nati solo lo scorso anno ma già<br />
maturi. Evidenti sono i piaceri<br />
musicali di Emma che intrecciando<br />
folk, jazz e persino r&b<br />
generano una mutevolezza<br />
ritmica accattivante. Interessante<br />
la personale versione<br />
di Either Way dei Wilco. Finalmente<br />
una visione originale,<br />
un passo avanti, dello strumento<br />
voce all’interno della<br />
musica creativa mondiale.<br />
Daniele Camerlengo<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019 85
SELECTOR<br />
di Vittorio Pio<br />
AA.VV.<br />
JAZZ<br />
IMAGES<br />
Egea<br />
Jazz Images in CD e vinile<br />
nella copiosa serie<br />
che omaggia il grande<br />
fotografo Francis Wolff.<br />
Per tutti coloro che hanno<br />
superato i 50 anni<br />
questa serie, molto ben<br />
curata da un punto di<br />
vista grafico e distribuita in Italia da Egea,<br />
rappresenta un’occasione per riconciliarsi<br />
con una stagione ruggente e probabilmente<br />
irripetibile del jazz più ammaliante.<br />
Una sessantina di titoli in tutto (i vinili,<br />
56, sono in schiacciante maggioranza),<br />
di album passati alla storia della Blue Note<br />
e Prestige degli anni ’50 e ’60, anche grazie<br />
al contributo del fotografo berlinese Francis<br />
Wolff, un incrocio obbligato insieme a quello<br />
di Alfred Lion per capire lo spirito intimistico<br />
non solo del momento che riusciva a cogliere<br />
con le sue portentose capacità ma anche di<br />
un’epoca fascinosissima. Per Wolff la passione<br />
per il jazz e la fotografia in bianco e nero<br />
iniziano da adolescente. Riesce a scappare<br />
dalla natia Berlino, prima della disfatta della<br />
Germania nazista con l’ultima nave diretta<br />
oltre-oceano: sarà una mossa che quasi certamente<br />
gli salvò la vita, cambiandogliela<br />
drasticamente. Giunto nella grande mela, il<br />
nostro uomo di giorno lavora in uno studio<br />
fotografico mentre di notte frequenta la casa<br />
discografica fondata dal suo amico di infanzia<br />
Alfred Lion: quella Blue Note che si prepara a<br />
diventare un concetto iconico, come del resto<br />
le sue stesse foto. Dagli anni ’50 gli scatti iniziano<br />
a far parte integrante degli LP, quindi<br />
inizia a pubblicarle creando una filosofia estetica,<br />
in formato adattato sulle copertine dei<br />
dischi, costruendo un archivio di grande valore<br />
artistico e una documentazione visiva della<br />
storia del jazz che teme pochi confronti. La<br />
sua capacità di illuminare, inquadrare e catturare<br />
in uno scatto qualcuno dei grandi del<br />
jazz era sorprendente. E spesso quello scatto<br />
era il primo in un’epoca in cui, si badi bene,<br />
le fotografie nascevano in camera oscura con<br />
tutte le incognite ma anche l’eccitazione del<br />
caso. Ben presto Wolff fu completamente immerso<br />
dalla gestione dell’etichetta, ed è facile<br />
immaginarselo mentre si aggira candidamente<br />
nello studio del mitico ingegnere del suono<br />
Rudy Van Gelder per riprendere Miles, Chet,<br />
Thelonious, Herbie, Wayne, Ornette, Sonny,<br />
ovvero qualcuno dei suoi migliori amici che<br />
poi sarebbero diventati fisionomie familiari<br />
per tutti i veri appassionati di questa musica,<br />
anche nel ricordo personale di RVG, che era<br />
un avido fotografo: “La maggior parte delle<br />
foto scattate da Francis erano fatte con la<br />
Rolleiflex e un flash a mano, tenuto a braccio.<br />
Teneva la macchina fotografica con la<br />
mano sinistra e teneva il flash con la mano<br />
destra - stile statua della libertà - cercando<br />
di portare la sorgente luminosa nella posizione<br />
corretta. Alle sessioni di Blue Note, Art<br />
Blakey era il tuono e Francis il fulmine”. Che<br />
meraviglia. L’indice completo è su www.jazzimagesrecords.com<br />
e l’attimo di disorientamento<br />
che potreste avvertire rispetto a ciò che<br />
troverete è giustificato dal fatto che nonostante<br />
la familiarità dei titoli (The shape of jazz<br />
to come, Relaxin, Saxophone Colossus, Mo-<br />
86 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019
Director’s cut<br />
Alfred Lion fondò la Blue Note nel 1939,<br />
un anno dopo essere arrivato a New<br />
York. Quasi subito invitò a farne parte<br />
l’amico d’infanzia Francis Wolff. Mentre<br />
Lion delineò per sé il ruolo di produttore<br />
a tutto tondo, Wolff si ritagliò il ruolo di<br />
fotografo onnipresente dell’etichetta.<br />
L’alchimia funzionò perfettamente.<br />
anin’, Giant Steps fra molti altri),<br />
le fotografie utilizzate non erano<br />
apparse precedentemente su<br />
alcuna riedizione di questi<br />
capolavori, di cui non ci si<br />
stancherà mai di ascoltare<br />
la luminosa caparbietà dei<br />
magnifici protagonisti alle<br />
prese con alcune delle loro pietre<br />
miliari. Come prassi ormai<br />
nota il tutto è stato qui rieditato<br />
con note di libretto originale,<br />
remaster aggiornato alle<br />
ultime possibilità della tecnologia<br />
digitale odierna, qualche<br />
bonus track, spesso realmente<br />
difficile da ascoltare altrove e<br />
una solida confezione gatefold<br />
per quanto riguarda i vinili da<br />
180 grammi, dove ogni dettaglio<br />
aumenta sensibilmente il<br />
suo fascino.<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019 87
SELECTOR<br />
di Vittorio Pio<br />
Maria Chiara Argirò<br />
HIDDEN SEAS<br />
Cavalo Records/Pias<br />
Segnatevi il nome<br />
di Maria Chiara<br />
Argirò perché<br />
potrebbe diventare<br />
presto una<br />
delle più ricercate<br />
selezioni della vostra playlist.<br />
È cresciuta ascoltando e assorbendo<br />
moltissima musica classica<br />
(la madre, Francesca Falcone,<br />
ha insegnato teoria della danza<br />
all’Accademia Nazionale di Danza)<br />
ma ha seguito ben presto<br />
un proprio percorso, prima con<br />
la classica, poi con il jazz. Intorno<br />
ai 16/17 anni inizia a comprare<br />
moltissimi dischi: da Miles Davis,<br />
Thelonious Monk, Keith Jarrett<br />
passando per i Beatles, i Pink<br />
Floyd e De Andrè. Intorno ai 19<br />
anni decide di fare la musicista<br />
e raccontare il suo mondo attraverso<br />
il pianoforte e le sue composizioni.<br />
Orgogliosamente<br />
italiana ma di stanza a Londra,<br />
Maria Chiara ha appena pubblicato<br />
un disco che ha già raccolto<br />
delle recensioni entusiastiche<br />
anche in un mercato affollato<br />
e difficile come quello americano.<br />
Ispirato dai Sea Pieces di<br />
Edward MacDowell, un ciclo di<br />
otto composizioni per pianoforte<br />
pubblicato nel 1898, ma con uno<br />
sguardo ben posizionato nella<br />
contemporaneità, la Argirò ha<br />
sigillato un album sofisticato e<br />
diretto, dalla immediata forza<br />
comunicativa, mantenendosi al<br />
contempo coerente con un’idea<br />
d’arte anticommerciale nelle sue<br />
smerigliate composizioni originali.<br />
Quelle della pianista sono<br />
note prismatiche e guizzanti, di<br />
una ricchezza cromatica piena,<br />
che possiedono un’inclinazione<br />
naturale ad articolarsi nella totale<br />
sintonia intellettuale del collettivo<br />
chiamato a raccolta, in cui<br />
spiccano i brillanti vocalizzi della<br />
francese Leila Martial. Un’opera<br />
seconda che consegna Maria<br />
Chiara alla sua consacrazione e di<br />
cui ci parla con il giusto entusiasmo:<br />
“L’idea alla base di Hidden<br />
Seas”, ribadisce, “è nata da un<br />
antefatto molto particolare. Mi<br />
trovavo al mercato di Camden<br />
Town quando mi è letteralmente<br />
caduta sui piedi questa raccolta<br />
di spartiti di MacDowell: ne<br />
sono rimasta folgorata e l’ho<br />
comprato immediatamente.<br />
Inizialmente ho pensato di ri-<br />
-arrangiare i brani ma poi ho<br />
deciso di voler dare un’impronta<br />
tutta mia.”<br />
Il mare, certo, è un concetto inseparabile<br />
per chi è nato in Italia,<br />
specie se si vive all’estero… “Per<br />
me rappresenta l’elemento naturale<br />
di riferimento, anzi, è<br />
una sorta di ossessione. Ha fatto<br />
costantemente parte della mia<br />
vita ed è l’unico posto in cui riesco<br />
a sentirmi completamente<br />
a casa. Ne sono sempre rimasta<br />
affascinata dal punto di vista sonoro.<br />
In quest’album ho cercato<br />
di riprodurne i suoni a modo<br />
mio, con tutta l’immaginazione<br />
possibile: spesso vediamo solo<br />
l’aspetto superficiale delle persone,<br />
volevo raccontare quello che<br />
accade quando scopri cosa c’è<br />
dall’altra parte, cosa si nasconde<br />
dietro i misteri celati”. Difficile<br />
etichettare la sua musica, lo<br />
ammette la stessa Maria Chiara<br />
che definisce così il suo lavoro:<br />
“Hidden Seas è stato creato<br />
pensando a un equilibrio tra<br />
composizione e improvvisazione,<br />
dove la ricerca accurata di<br />
ogni singolo suono viene prima<br />
di ogni altra cosa. Dentro questo<br />
disco c’è il jazz, la musica<br />
elettronica, la forma classica e<br />
forma-canzone. L’idea compositiva<br />
di fondo era di apertura<br />
all’immaginazione, proprio<br />
come il mare suggerisce”.<br />
Su www.suono.it un’ampia intervista<br />
all’artista…<br />
88 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019
SELECTOR<br />
Harmony<br />
BILL FRISELL<br />
Blue Note Records – 2019<br />
Una nenia<br />
costante<br />
che volteggia<br />
nel suo<br />
intorno e<br />
persevera<br />
nel cantilenare il vecchio ardore<br />
verso la tradizione musicale<br />
americana e la conseguente severa<br />
abnegazione nei confronti<br />
di un sentore che racconta, per<br />
intero, il suo lungo percorso personale.<br />
Il florilegio delle canzoni<br />
che ha sempre amato e nonostante<br />
la loro diversa genesi stilistica<br />
e strumentale si cercano e<br />
tentano di fondere indissolubilmente,<br />
forti della loro bellezza,<br />
quel legame senza tempo che<br />
emoziona il suo animo vissuto.<br />
La poderosa forza di questa<br />
spinta emozionale ha permesso<br />
la realizzazione di Harmony, la<br />
nuova fatica discografica di Bill<br />
Frisell che sancisce il debutto<br />
con la prestigiosa Blue Note Records.<br />
Questa nuova compagine,<br />
priva della batteria, era da tempo<br />
nei pensieri del chitarrista di<br />
Baltimora, un costrutto ibrido<br />
che ricorda l’ensemble da camera<br />
ma ha nel suo interno le peculiarità<br />
di una piccola formazione<br />
jazz e quelle del classico gruppo<br />
della tradizione musicale americana.<br />
Ciò che abbaglia è l’intesa<br />
creativa che lega Frisell alla voce<br />
sublime e onirica di Petra Haden:<br />
una danza che avvolge ogni<br />
essenza melodica e straripa nel<br />
bagno libero e audace dell’improvvisazione.<br />
La formazione<br />
è completata da Hank Roberts<br />
al violoncello e voce e al nuovo<br />
arrivato Luke Bergman alla chitarra<br />
acustica, chitarra baritona,<br />
basso e voce.<br />
Daniele Camerlengo<br />
John Coltrane<br />
BLUE WORLD<br />
Impulse! Universal<br />
Se il precedente<br />
Both Directions<br />
at<br />
Once aveva<br />
destato più di<br />
una perplessità<br />
(il materiale era stato in origine<br />
scartato da Coltrane) questo<br />
nuovo, parziale capitolo inedito<br />
è invece molto più soddisfacente.<br />
Intanto siamo nel 1964, ovvero<br />
nell’anno in cui il leggendario<br />
sassofonista stava chiudendo<br />
le registrazioni di Crescent e A<br />
Love Supreme, ovvero i capolavori<br />
della sua deriva spirituale,<br />
con il suo formidabile quartetto<br />
che annoverava Elvin Jones,<br />
McCoy Tyner e Jimmy Garrison.<br />
Quest’ultimo era buon amico di<br />
un misconosciuto regista canadese<br />
di nome Gilles Groulx, che<br />
amava il jazz da ardente fan di<br />
Coltrane, al punto di chiedergli<br />
di realizzare la colonna sonora<br />
del suo Le Chat dans le sac,<br />
un film romantico, malgrado il<br />
bizzarro titolo, la cui traduzione<br />
venne poi ampiamente riportata<br />
nella letteratura calcistica di<br />
satira. Così, poco prima dell’estate,<br />
il favoloso quartetto venne<br />
convocato nello studio del mitico<br />
ingegnere del suono Rudy Van<br />
Gelder, per riprendere alcuni<br />
brani del suo periodo precedente,<br />
quello appannaggio dell’etichetta<br />
Atlantic, scelti essenzialmente<br />
per la loro breve durata,<br />
in contrasto con le magmatiche<br />
improvvisazioni dal vivo che già<br />
stavano innalzando la formazione<br />
verso un nuovo standard di<br />
eccellenza. Qui invece l’eloquio<br />
è levigato, quasi sommesso per<br />
il peculiare coinvolgimento emotivo<br />
alla base della seduta in cui<br />
anche Groulx era presente, anche<br />
se alla fine furono selezionati solo<br />
dieci minuti dei trentasette complessivi<br />
in cui sfilano, con delle<br />
variazioni più o meno evidenti,<br />
capolavori assoluti come la celestiale<br />
Naima, Like Sonny, Traneing<br />
In, Village Blues e la title<br />
track, ripresa da una scheggia<br />
melodica di Out of this world, del<br />
compositore noto a Broadway<br />
Harold Arlen. Per quanto ampiamente<br />
conosciuta, siamo di<br />
fronte a grande musica: in questa<br />
occasione lo spot principale è<br />
per il contrabbasso di Garrison,<br />
la cui cavata è sempre in primo<br />
piano nell’impressionante, istantaneo<br />
affiatamento del quartetto<br />
in cui le intuizioni e le soluzioni<br />
dei singoli venivano immediatamente<br />
metabolizzate dal piccolo<br />
ensemble. In sintesi ci troviamo<br />
al cospetto di una magnifica incursione<br />
in quello spazio interno<br />
creativo che solo Coltrane e pochissimi<br />
altri sapevano osare. Vinile<br />
silenzioso e ben equilibrato.<br />
Vittorio Pio<br />
90 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019
Jazz<br />
Wallace Roney<br />
BLUE DAWN -<br />
BLUE NIGHTS<br />
Highnote Records – 2019<br />
Una voce<br />
solitaria<br />
e audace<br />
del jazz<br />
mainstream<br />
che riflette oro sonante. Il generoso<br />
rispetto per l’eleganza e<br />
quella vorticosa voracità vittima<br />
del piacere emozionale ne tratteggiano<br />
la figura nobile e creativa.<br />
La straordinaria carriera musicale<br />
di Wallace Roney viene ulteriormente<br />
avvalorata dalla sua<br />
ventiduesima fatica discografica:<br />
Blue Dawn - Blue Nights, il<br />
nuovo album del trombettista e<br />
bandleader di Philadelphia. Al<br />
suo fianco una band composta<br />
dalla nuova generazione di innovatori:<br />
il sassofonista Emilio<br />
Modeste, il pianista Oscar Williams<br />
II, il bassista Paul Cuffari<br />
e suo nipote quindicenne, batterista<br />
Kojo Odu Roney. Insieme<br />
a questa schiera di giovani leoni<br />
due leggende: il chitarrista Philly<br />
Quintin Zoto e il leggendario<br />
batterista Lenny White.<br />
La cura del suono che strabilierà<br />
le orecchie più difficili è frutto<br />
dell’intenso lavoro dell’ingegnere<br />
Maureen Sickler alla guida<br />
del leggendario studio del New<br />
Jersey di Rudy Van Gelder. La<br />
tromba di Roney ama discorrere<br />
con chi evade dalle abitudinarie<br />
dinamiche performative,<br />
cerca di stimolare l’intelligenza<br />
creativa insita nei suoi compagni,<br />
lodando chi riesce ad avere<br />
padronanza delle dinamiche<br />
d’improvvisazione che si generano<br />
durante il flusso compositivo.<br />
Le atmosfere esalate dal<br />
profondo interplay assumono<br />
le più diverse sfumature timbriche<br />
ed emotive, sorvolando<br />
e catturando indissolubilmente<br />
la tensione di chi ha la fortuna<br />
di ascoltare questa meraviglia<br />
aurale. L’apertura del disco dal<br />
ritmo dinoccolante e brioso è<br />
l’unica composizione che porta<br />
la sua firma, un canto sublime<br />
ed energico che mette in risalto<br />
le preziosità del suo animo logoro<br />
di bellezze e storie di suoni da<br />
tramandare. La solidità ritmica<br />
porta ognuno dei componenti<br />
della formazione a esprimere<br />
tutto il potenziale espressivo enfatizzando,<br />
nell’estemporaneità<br />
del gesto, i devastanti ritrovati<br />
di tecnica strumentale.<br />
Daniele Camerlengo<br />
Fabrizio D’Alisera<br />
TRISONIC<br />
Filibusta Records - 2019<br />
Modellare<br />
la propria<br />
immaginazione<br />
per<br />
renderla<br />
prosa di suoni, un racconto di<br />
elementi inanimati che nasce<br />
dalla voluttà di una coscienza<br />
creativa generosa e loquace.<br />
La purezza emanata dalla nudità<br />
del suono che cerca l’appiglio<br />
giusto per comunicarsi e gioire<br />
della ricchezza emozionale e di<br />
senso che scaturisce dai processi<br />
improvvisativi: questa è<br />
l’ingombrante ricchezza concettuale<br />
contenuta in Trisonic,<br />
il nuovo album, terzo da leader,<br />
del neo-baritonista Fabrizio<br />
D’Alisera, licenziato dalla lodevole<br />
etichetta Filibusta Records.<br />
Un disco che ammicca e tenta di<br />
fornire la personale visione del<br />
BeBop, vista anche la voluta assenza<br />
di uno strumento armonico.<br />
La formazione, oltre all’esordio<br />
del baritono del sassofonista<br />
romano (Fabrizio D’Alisera nei<br />
due album precedenti suonava<br />
il tenore e il soprano) annovera<br />
Pietro Ciancaglini al Contrabbasso<br />
e Andrea Nunzi alla batteria.<br />
Nelle otto tracce originali<br />
la nona è la rivisitazione di Ask<br />
Me Now di Monk, si percepisce<br />
l’estrema sensibilità delle voci<br />
che nel loro dialogo musicale,<br />
fluido ed equilibrato, mettono<br />
in luce un’intesa brillante. Nel<br />
finale appare la bella sorpresa<br />
del vibrafono di Andrea Biondi<br />
che irradia il soffio del baritono<br />
arricchendone l’evasiva attitudine<br />
alla costruzione di paesaggi<br />
sognanti.<br />
Daniele Camerlengo<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019 91
CUT ‘N’ MIX CONCERTI | CINEMA | LIBRI | SOCIETÀ | ARTE<br />
Patti Smith<br />
ritrovata<br />
di<br />
Antonio Gaudino<br />
Nel 2010 l’autore di questo articolo incontra Patti Smith (che si accingeva<br />
a un Tour europeo importante e con un libro appena sfornato per<br />
Feltrinelli) e lei gli rilascia un’intervista esclusiva che, per i casi della vita,<br />
non viene pubblicata. Qualche giorno fa viene ritrovata nel “cassetto” ed è<br />
un’intervista ricca, importante, sicuramente da condividere…<br />
Tutto ebbe inizio grazie a Just Kids, il nuovo libro autobiografico<br />
dedicato alla storia di Patty Smith con il fotografo Robert Mapplethorpe,<br />
e al tour “We Shall Live Again” con la Patti Smith Acoustic<br />
Band che avrebbe toccato anche l’Italia. Sullo sfondo dell’intervista Vigo,<br />
un luogo estremo della Spagna al confine col Portogallo, dove la poetessa<br />
del rock scelse di raccontare qualcosa di sé...<br />
Nonostante il suo ruolo di rockstar, lei è sempre stata discreta<br />
nella sua vita privata. Cosa l’ha spinta dopo 40 anni a scrivere<br />
un libro rendendo pubblica una storia d’amore e amicizia così<br />
importante fatta di gioia, dolore e momenti intensi?<br />
Ho scritto il libro perché il giorno prima che morisse ho promesso a Robert<br />
Mapplethorpe che l’avrei fatto. È morto giovane, aveva solo 42 anni<br />
e voleva che la gente sapesse di quando lui era giovane. Io conoscevo la<br />
sua storia molto bene, lui mi ha chiesto di scriverla e io gli ho promesso<br />
che l’avrei fatto. Ci è voluto molto tempo, perché lui era… come dire...<br />
“tanto”, con una vita molto intensa, ricca, piena di eventi.<br />
Dopo la perdita di suo marito Fred Sonic, si ha come<br />
l’impressione che lei sia in una fase di attenta veglia sui ricordi<br />
del passato: gli amici, gli artisti, le storie d’amore. È solo la<br />
mia impressione o sente il bisogno di raccontare alla gente le<br />
cose non per come le immaginiamo ma per come andarono<br />
realmente?<br />
A volte lo faccio perché alcune persone hanno scritto le loro impressioni<br />
su questi artisti e amici ma non sempre corrispondono alla verità.<br />
Io voglio che la gente sappia come sono veramente e vorrei anche che la<br />
gente si ricordasse di questi amici che sono morti, brave persone e artisti<br />
interessanti che meritano di essere omaggiati... faccio tutto questo per<br />
dire la verità e per condividere ciò che so.<br />
Leggendo Just Kids ci sono citazioni e riferimenti che<br />
attraversano la migliore musica degli anni ’60 e ’70: Bob<br />
Dylan, Brian Jones, Rolling Stones, The Doors, Byrds, Tim<br />
Buckley e molti altri... Chi è stato il più influente sul suo modo<br />
di pensare e comporre musica?<br />
Probabilmente Bob Dylan. Ma in ogni caso il mio campo musicale è<br />
vasto. Io ho studiato la voce di Maria Callas in termini di performance e<br />
mi piace molto l’opera, quindi si impara da cose molto diverse.<br />
Un grande artista che ha collaborato con lei e purtroppo non<br />
è più con noi è Jeff Buckley. Che ricordi o aneddoti ha di Jeff<br />
e della sua musica?<br />
Jeff era un perfezionista. Era molto bello, molto solidale come persona.<br />
Lavorare con lui in studio è stato un dono. E devo dire che quando lui<br />
ha lavorato e cantato Beneath the Southern Cross la registrazione era<br />
bellissima ma in seguito l’ho scoperto in una stanza a piangere da solo e<br />
gli ho chiesto: “perché piangi?”, lui mi rispose: “pensavo di fare meglio,<br />
volevo cantare meglio per il tuo disco” e io: “tu hai la voce di un angelo,<br />
come potrebbe mai essere meglio!”. Così era Jeff, e questo fa di lui il<br />
perfezionista che è stato.<br />
Che cosa pensava e pensa oggi della sua musica?<br />
Suo padre Tim Buckley è stato un grande artista, un produttore, un<br />
grande cantante e innovatore, la sua scomparsa ci ha rattristato molto;<br />
Jeff era dotato come suo padre, un cantante bello, forse anche più bello,<br />
una grande promessa come songwriter, come interprete e, mi ripeto,<br />
aveva una voce di un angelo.<br />
92 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019
Tornando a Just Kids, perché la perseguitava il verso della<br />
poesia Bahnhofstrasse di Joyce “I segni che mi irridono se<br />
vado”?<br />
Io e Robert sentivamo che stavamo facendo le nostre scelte in maniera<br />
autonoma ma qualche volta il destino aveva il sopravvento e più volte ci<br />
dava segnali di come sarebbero andate le cose che noi ignoravamo; se<br />
fossimo stati più attenti, avremmo capito cosa stava accadendo. Perché<br />
dico che ci prendeva in giro? Perché quando si è giovani e ribelli non<br />
si vuole ascoltare nessuno e si ignorano i segnali. Quindi, è bene stare<br />
molto attenti.<br />
Lei nel libro afferma che Jim Morrison le ha insegnato a<br />
unire rock’n’roll e poesia. A parer suo le due cose a volte non<br />
camminino di pari passo? Secondo lei, è possibile produrre<br />
grande rock senza testi adeguati?<br />
Beh voglio dire il rock’n’roll è un’arte delle radici. Il rock’n’roll comunica<br />
politica, spiritualità, sesso, fisicità, racchiude ogni tipo di energia.<br />
I testi sono importanti ma il cuore è nella musica, la fisicità musicale nel<br />
rock’n’roll è molto importante. Il rock’n’roll può sopravvivere senza la<br />
poesia ma Jim Morrison era molto interessato a fondere la poesia con il<br />
rock’n’roll, come anche Jimi Hendrix e Bob Dylan. Morrison, però, è stato<br />
un poeta superiore a tutti gli altri. Ritengo sia assolutamente possibile fare<br />
poesia fusa con il rock’n’roll. Michael Stipe (R.E.M., ndr.) lo fa con i suoi<br />
testi. Tuttavia il rock’n’roll può sopravvivere senza poesia, ne sono certa.<br />
Leggendo il quadretto fra lei e Johnny Winter, colto dal panico<br />
dopo aver suonato al funerale di Jimi Hendrix, riemerge la<br />
vecchia storia della maledizione delle J, visto che molte star<br />
sono morte negli anni ’60 e ’70 e tutti avevano le iniziali del<br />
nome o del cognome con la J (Brian Jones, Jimi Hendrix,<br />
Janis Joplin, Jim Morrison). Crede ci fosse davvero una sorta<br />
di maledizione sulla lettera J o era solo una coincidenza, una<br />
diceria?<br />
Loro avevano 27 anni. Tutta questa gente aveva 27 anni e non so cosa<br />
aggiungere a riguardo. È solo di nuovo uno di quei segni che ci ha fatto<br />
un brutto scherzo mentre andavamo per la nostra strada. Non so cosa<br />
significhi, so solo ciò che è accaduto.<br />
Può dirci qualche parola sul suo rapporto con il genio di Robert<br />
Mapplethorpe: amore, amicizia, unione, quotidianità…<br />
Ho incontrato Robert quando eravamo entrambi molto giovani. Avevamo<br />
20 anni, eravamo poveri ma determinati a diventare artisti, e la lotta per<br />
raggiungere i nostri scopi insieme a Robert è stata bellissima, non mi è<br />
dispiaciuta neanche un po’. Qualche volta non avevamo soldi sufficienti<br />
per mangiare ma ero molto felice. Lui era a modo, mi supportava, e ci<br />
siamo evoluti insieme come artisti. Vedi… qualche volta sento che lui è<br />
ancora con me.<br />
La stampa internazionale ha sempre visto nei suoi album<br />
una continua evoluzione della musica e della poesia, senza<br />
nominare un album favorito in particolare. Per lei, invece,<br />
qual è l’album più significativo, che ascolta di più e che ancora<br />
oggi considera essere stato importante per la storia del rock?<br />
Normalmente non ascolto le mie incisioni, è molto difficile per me. Le<br />
canzoni che hanno più significato per me sono quelle che ho fatto in collaborazione<br />
con lo Studio come Radio Baghdad, Birdland o Radio Ethiopia.<br />
Mi piacciono le canzoni che mi sono state proposte come sfida dallo Studio,<br />
il doverle farle sul momento, senza scrivere le parole. Radio Baghdad è<br />
una canzone molto importante dell’album Trampin’ ma ognuna di queste<br />
ha un diverso significato. People of the Power è importante perché l’ho<br />
scritta con mio marito, parla di filosofia. E siccome Horses è stato il mio<br />
primo album, ha un significato speciale per me.<br />
Qual è stata l’ispirazione per Because the Night e come è nata<br />
la collaborazione con Bruce Springsteen per creare questa<br />
canzone senza tempo?<br />
Bruce Springsteen ha cominciato a scrivere la canzone ma ha avuto qualche<br />
problema a finirla, e io ero innamorata di Fred, che poi è diventato<br />
mio marito. Bruce mi diede la musica ed è stato facile scrivere il testo<br />
perché pensavo a mio marito. Tutto parla di Fred. Aspettavo di essere<br />
chiamata da Fred per telefono, e aspettavo perché la canzone esprimeva<br />
tutto il mio amore per lui.<br />
Quanto è importante per lei la poesia al giorno d’oggi? Ha un<br />
poeta preferito?<br />
La poesia è importante, sono sempre al lavoro e ho diversi poeti che mi<br />
piacciono particolarmente: i francesi, le rime di Michelangelo Buonarroti,<br />
gli spagnoli, Lorca, e poi Walt Whitman, Ginsberg… ce ne sono così tanti,<br />
non ne ho uno in particolare anche se Arthur Rimbaud probabilmente<br />
è il più vicino ai miei gusti.<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 93
CUT ‘N’ MIX<br />
air che ha coinciso con il tour di<br />
addio di Elton John”.<br />
Montreux luogo dei sogni<br />
di Vittorio Pio<br />
Non sono molte le rassegne che possono vantare il fascinoso appeal che ha<br />
sempre avuto il Montreux Jazz Festival nei confronti di cultori, musicisti e addetti<br />
ai lavori. Ne abbiamo parlato con Mathieu Jaton, direttore generale del festival.<br />
Nell’incantevole cornice<br />
del lago di Lemano, a<br />
pochi chilometri da Ginevra,<br />
il festival venne battezzato<br />
nel 1967 presso il locale Casinò con<br />
un parterre di ospiti che comprendeva<br />
Bill Evans, Weather Report,<br />
Soft Machine, Keith Jarrett ed<br />
Ella Fitzgerald fra molti altri. È<br />
bene ricordare che quel luogo fu<br />
distrutto da un incendio durante<br />
un concerto di Frank Zappa e che<br />
quella drammatica circostanza<br />
venne fissata dai Deep Purple<br />
nell’epocale Smoke on the water.<br />
Ricostruito nel 1975, il Montreux<br />
Jazz Festival si è poi espanso<br />
negli anni sotto la guida del suo<br />
deus ex machina Claude Nobs,<br />
che aveva una predilezione per il<br />
genere afro-americano come per<br />
il Brasile, ospitando centinaia di<br />
esibizioni memorabili con delle<br />
vere e proprie icone come Miles<br />
Davis, Elis Regina, Chuck Berry,<br />
Oscar Peterson, Charles Mingus<br />
e diventando nel tempo un festival<br />
di musica globale capace<br />
di richiamare folle di spettatori<br />
anche grazie al ruolo di testimonial<br />
e co-produttore esercitato dal<br />
leggendario produttore Quincy Jones,<br />
che ancora oggi mantiene un<br />
ruolo attivo nell’organizzazione.<br />
Dopo la prematura scomparsa di<br />
Nobs nel 2013, le redini sono passate<br />
saldamente a Mathieu Jaton,<br />
giovane, appassionato, formatosi<br />
con slancio e dedizione proprio accanto<br />
a Nobs. Quella che si è chiusa<br />
a Luglio è stata l’edizione numero<br />
53 di una manifestazione che<br />
continua a crescere (circa 250.000<br />
spettatori per 400 concerti in 2<br />
settimane su 9 palchi con un miglioramento<br />
costante anche nella<br />
sezione gratuita), mantenendo i<br />
conti in ordine in un programma<br />
trasversale che del jazz incarna lo<br />
spirito di condivisione e la libertà.<br />
“Una musica ancora viva e palpitante,<br />
uno stato della mente, con<br />
un futuro più che mai brillante”,<br />
ribadisce lui in questa intervista<br />
esclusiva che si riflette nella sua direzione<br />
artistica che oggi si muove<br />
secondo quali criteri?<br />
“Se si parla di arte allora non si<br />
potrà mai ragionare al pari di una<br />
scienza esatta. Sono diversi i fattori<br />
da prendere in considerazione:<br />
i gusti del pubblico come la nostra<br />
lunga storia e altri fattori legati<br />
alla logistica e all’andamento del<br />
mercato globale. Per cui i criteri<br />
sono diversi ma il mio compito<br />
è sempre quello di preservare lo<br />
spirito e il DNA del festival con<br />
un programma che deve essere<br />
audace e possibilmente esclusivo.<br />
Quest’anno abbiamo presentato<br />
alcuni spettacoli cui tenevo in<br />
maniera particolare come Janet<br />
Jackson, Anita Baker, Bon Iver,<br />
Thom Yorke e altri amici del festival<br />
come Chick Corea, Ivan Lins,<br />
Terence Blanchard, per finire con<br />
la grande passerella commissionata<br />
a Quincy Jones. Qui a Montreux<br />
c’è una vicinanza e un tipo<br />
di predisposizione per il pubblico<br />
da parte degli artisti coinvolti che<br />
è difficile trovare altrove: anche<br />
quest’anno abbiamo assistito a<br />
delle jam after-show straordinarie.<br />
Siamo molto affezionati a<br />
quegli artisti capaci di ricreare<br />
quella bolla di libertà creativa<br />
dopo il loro concerto ufficiale, che<br />
si è realizzata quasi tutte le sere.<br />
Ma è stata un edizione storica da<br />
diversi punti di vista, a partire<br />
dal nostro primo concerto open<br />
Mi ha molto incuriosito lo<br />
spazio che avete concesso<br />
a Mahmood: dal punto di<br />
vista curriculare la sua<br />
partecipazione al festival<br />
varrà molto di più della sua<br />
vittoria a Sanremo, fra l’altro<br />
non era neanche in tour la<br />
scorsa estate...<br />
Lo abbiamo voluto fermamente<br />
e ha realizzato anche un concerto<br />
travolgente, che è stato apprezzato<br />
da tutti. Felici di questo suo<br />
debutto internazionale che si inserisce<br />
appieno nel mio ruolo, che<br />
paragonerei quasi a quello di un<br />
moderno direttore d’orchestra che<br />
deve essere capace di assecondare<br />
il suo intuito calandosi nel presente<br />
e nel futuro della musica, con i<br />
suoi nuovi protagonisti e linguaggi.<br />
Lo stesso Claude amava dire: è un<br />
po’ come aggiungere sale e pepe<br />
quanto basta per essere certi di<br />
realizzare una situazione all’altezza<br />
del Montreux Jazz Festival e della<br />
sua autenticità.<br />
Come ti sei formato e cosa hai<br />
imparato da Claude? Immagino<br />
quanto possa essere stato<br />
straordinario per un giovane<br />
amante del jazz stare accanto<br />
a lui...<br />
Ho studiato in una scuola alberghiera<br />
viste le caratteristiche del<br />
nostro territorio a vocazione turistica;<br />
poi ho iniziato al festival<br />
aiutando per gli eventi da semplice<br />
volontario. Dopo ho avuto un incarico<br />
nel settore marketing. Claude<br />
mi ha insegnato che il tempo è la<br />
nostra ricchezza più consistente,<br />
che niente è impossibile e che<br />
conoscere l’arte dell’accoglienza<br />
rappresenta la qualità essenziale<br />
per lavorare su grandi progetti.<br />
Il Jazz invece, come è entrato<br />
nella tua vita? Hai avuto un<br />
interesse spontaneo, hai<br />
94 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019
XXX XXX<br />
assistito a un concerto o<br />
ascoltato un disco che ti ha<br />
cambiato la vita ?<br />
Ho iniziato ad ascoltare jazz con<br />
John Hiseman e i Colosseum ma<br />
anche John McLaughlin e la fantastica<br />
Mahavisnu Orchestra. In<br />
realtà sono stato più incline alla<br />
fusion, perché in gioventù cantavo<br />
e suonavo la chitarra in una rock<br />
band.<br />
Hai avuto il privilegio di<br />
assistere a tanti momenti<br />
di gloria a Montreux,<br />
quali ricordi con maggiore<br />
piacere e cosa ritieni sia stato<br />
veramente memorabile ed<br />
unico?<br />
Sono state tante le occasioni memorabili<br />
con Prince, Santana, Van<br />
Morrison, George Clinton con<br />
champagne fino alle 5 di mattina,<br />
i Muse che hanno accettato di<br />
suonare in una sala da “soli” 4mila<br />
posti, rispetto agli stadi che riempiono<br />
sempre, ma forse il flash che<br />
ho più in mente è stata l’esecuzione<br />
integrale di Low, venticinque anni<br />
dopo la sua registrazione a Berlino<br />
da parte di David Bowie, nella seconda<br />
parte del suo concerto qui<br />
a Montreux del 2002. Un emozione<br />
pressoché unica, e non solo<br />
perché è stata l’ultima volta delle<br />
pochissime in cui venne eseguito<br />
l’integrale in quel tour a seguito<br />
dell’uscita di Heathen, un disco<br />
quasi all’opposto di quello concepito<br />
insieme al geniale produttore<br />
Brian Eno. Il filmato è presente<br />
nei nostri archivi in alta qualità sia<br />
audio che video ma ancora non è<br />
prevista una sua uscita ufficiale.<br />
Qual è invece l’artista che<br />
è sempre sfuggito al MJF o<br />
quello che adesso sogni di<br />
portare?<br />
Sicuramente Tom Waits, anche se<br />
purtroppo non partecipa ad alcun<br />
tipo di festival. Sogno anche una<br />
performance di solo piano e voce<br />
da parte di Paul McCartney…<br />
Quando gli alberi cantano…<br />
e suonano de Il Tremila<br />
Forse non lo sapete ma il disastro<br />
ambientale nei boschi trentini del<br />
2018 ha a che fare con la musica. La<br />
strage di abeti rossi documentata<br />
dai molti filmati dell’epoca ha infatti<br />
depauperato quella che viene<br />
definita “la foresta dei violini”. E per<br />
sensibilizzare l’opinione pubblica<br />
sull’importanza della natura, accanto<br />
a Greta scende in campo la musica…<br />
È in Val di Fiemme, nella foresta di Paneveggio, che<br />
crescono gli abeti rossi, alberi plurisecolari il cui legno<br />
gode di una particolare capacità di risonanza. Ed è<br />
qui che fin dai tempi di Stradivari i grandi liutai si<br />
avventuravano alla ricerca della materia prima ideale<br />
per la costruzione delle casse armoniche di strumenti<br />
musicali come i violini. Una ricerca ecocompatibile,<br />
visto che gli esperti boscaioli che se ne occupano<br />
sono, secondo la vulgata, in grado di capire osservando<br />
la natura dell’albero (la chioma, la corteccia, il<br />
tronco e perfino la posizione) se il legno suona senza<br />
doverlo prima abbatterlo, tant’è che negli ultimi<br />
secoli l’estensione della foresta si è triplicata prima<br />
dell’incredibile tempesta di vento del 29 ottobre 2018<br />
che ha sradicato oltre un milione e mezzo di metri<br />
cubi di legname! Per sensibilizzare la popolazione<br />
sui temi dell’ambiente e sulla ripopolazione della<br />
foresta dei violini (dove hanno suonato negli anni<br />
alcuni dei più grandi violinisti, da Salvatore Accardo<br />
a Uto Ughi, ai Solisti Veneti e al violoncellista Mario<br />
Brunello) il bosco che suona ha deciso di scendere<br />
dalle montagne per approdare a Cremona (e dove<br />
sennò?) vicino al luogo dove ha trovato sepoltura<br />
Antonio Stradivari, in occasione del Cremona<br />
Musica International Exhibitions and Festival con<br />
l’esposizione di parti degli abeti rossi distrutti dalla<br />
tempesta e la mostra fotografica “Rinascita con la<br />
musica” che ha permesso ai visitatori di ripercorrere<br />
e vedere le immagini del disastroso evento naturale.<br />
Nello stesso periodo a Roma, in occasione del Creative<br />
Contest 2019, è stato presentato in anteprima<br />
assoluta Platani di Davide Santocchi, un corto che<br />
ha come protagonisti due platani, uno più giovane e<br />
uno più adulto, che conversano tra di loro toccando<br />
con modi ironici e sarcastici temi ambientalistici.<br />
Al contrario dell’abete rosso il platano non “suona”<br />
ma colora l’arredo urbano delle città perché è<br />
molto resistente allo smog e cattura molta anidride<br />
carbonica. Non è dello stesso parere Yourban2030,<br />
un’organizzazione no profit che ha scelto il linguaggio<br />
artistico per veicolare il suo messaggio sui temi<br />
dell’ambiente, immaginando nuove prospettive del<br />
futuro sostenibile. Plants Play è una “performance<br />
arborea” resa possibile dallo sviluppo di un dispositivo<br />
che permette di convertire le variazioni di<br />
impedenza elettrica delle piante in musica. I segnali<br />
elettrici vengono captati tramite due sensori<br />
posizionati sulle foglie delle piante che li trasforma<br />
in note musicali attraverso un algoritmo di generazione<br />
statistica creato da Edoardo Taori e Federica<br />
Zizzari di Yourban2030. Le note vengono poi inviate<br />
tramite Bluetooth a uno smartphone o tramite Midi<br />
a un computer. “Avremmo potuto raccontarvi che<br />
le piante sono in grado di comunicare?” chiosa la<br />
Presidente di Yourban2030 Veronica De Angelis<br />
“Magari si, ma non sarebbe stato così convincente<br />
come sentirle parlare”.<br />
Come darle torto?<br />
<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 95
CUT ‘N’ MIX<br />
Rogers si, ma, però<br />
Fuor di metafora (e a rischio di metaforico linciaggio) Rogers Waters ha sfinito i cabbasisi con il suo eterno<br />
rimestare in un patrimonio musicale leggendario ma ormai archiviato nel passato con pochi sprazzi di presente.<br />
Eppure le sue produzioni monumentali e d’avanguardia, il tentativo di raggiungere nuove esperienze<br />
sensoriali, rimane meritevole di attenzione come un certo fiuto su fenomeni sociologici ipotizzati 40 anni fa<br />
e oggi, purtroppo, “solide realtà”. Così US + THEM che i più fortunati hanno potuto gustare in 4K al cinema<br />
(7-9 ottobre in 60 cinema del mondo) con adeguata colonna sonora, più che un inno al trittico “diritti umani<br />
- libertà - amore” dove persino Ferragnez può avere maggiore appeal (a dispetto di uno spessore umano<br />
certamente minore) è l’apoteosi di un modo di fare musica che combina le note e la tecnologia.<br />
Nell’omonimo spettacolo dal vivo un palco largo 26,6 metri e uno schermo LED di 28,5 metri di larghezza e 12<br />
metri di altezza giganteggiano e coadiuvano la musica in una esperienza sensoriale a tutto tondo che all’inizio<br />
del secondo tempo, tra sirene e luci lampeggianti, vede la sala divisa al centro da una gigantesca rete metallica<br />
che cala dal tetto e da cui si alzavano grandi camini alti cinque metri. Contemporaneamente appaiono 16 schermi<br />
in movimento che rivelano la riproduzione macroscopica della famosa Centrale Elettrica di Battersea, l’edificio<br />
reso iconico dalla copertina di Animals<br />
(1977), progettata da Roger Waters.<br />
Si continua così tra effetti laser e le icone<br />
del Waters pensiero (un maiale gonfiabile<br />
ad aria fredda lungo 2.750 mm, alto 1.380<br />
mm e largo 1.050 mm, la nave spaziale a<br />
forma di maiale, gonfiata ad elio – e quella<br />
Orb cromata e gonfiata ad elio con una<br />
telecamera a bordo) con risultati emozionanti<br />
anche nelle due dimensioni del<br />
grande schermo che ripagano del grande<br />
sforzo logistico: 30 camion per le attrezzature<br />
della produzione, oltre 10 ore per<br />
il montaggio del tutto…<br />
Il Tremila<br />
HYDE PARK<br />
CORNER<br />
PILLOLE DA 3000 MCG<br />
UNA INCUDINE IN VOLO<br />
Come fussi picciridda, brano contenuto nell’album<br />
Tarakè di Francesca Incudine e già premiato<br />
con la Targa Tenco come miglior album in dialetto,<br />
è tra i brani che, fino a novembre, andranno in<br />
rotazione, prima del decollo e dopo l’atterraggio,<br />
sui voli nazionali e internazionali di Alitalia. La<br />
cantautrice siciliana è infatti tra i vincitori del<br />
contest “Fai volare la tua musica” bandito da SIAE, Alitalia e Rockol.<br />
Niente airport music… finalmente!<br />
LIQUIDAMENTE CONCRETA<br />
La musica approda, attraverso la piattaforma di<br />
Tidal, nei negozi Bershka dove una zona relax è<br />
stata equipaggiata con diversi iPad e cuffie affinché<br />
i clienti possano ascoltare playlist esclusive<br />
oltre tutti i contenuti normalmente offerti da<br />
TIDAL. Inoltre i clienti riceveranno una prova<br />
gratuita di tre mesi di TIDAL e avranno la<br />
possibilità di partecipare a eventi esclusivi di TIDAL X. Vi chiederete:<br />
ma che cavolo è Bershka? Secondo il comunicato stampa si tratta di<br />
un marchio si rivolge “agli estroversi e ai fashion conscious”. Il marchio<br />
(che appartiene al Gruppo Inditex, uno dei più grandi rivenditori di moda<br />
del mondo) contrassegna una catena di negozi con più di 7.300 store in<br />
92 mercati in tutti e cinque i continenti dove noi verosimilmente non<br />
troveremo mai abiti per noi. Per i nostri figli, forse…<br />
INTEGRAZIONE E INCLUSIONE<br />
ll 14 ottobre al Museo d’Arte Cinese ed Etnografico di Parma (viale San<br />
Martino, 8) si terrà la prima edizione di AHYMÉ, il festival interculturale<br />
dell’integrazione ideato e diretto dall’artista, musicista, compositore e<br />
autore Bessou Gnaly Woh, Presidente dell’Associazione “Colori d’Africa<br />
– APS”. Il festival si articola in tre giornate dedicate alla cultura e alla<br />
musica africana con artisti che hanno segnato la storia della world music:<br />
dal celebre volto di Ray Lema, simbolo portante della musica africana,<br />
alla nuova promessa afropop Gasandji; dal gruppo musicale Mokoomba<br />
al cantante ivoriano Boni Gnahoré, padre e mentore della prima vincitrice<br />
ivoriano di un Grammy Awards. Il cantante camerunese Daniel Kollé e il<br />
produttore e compositore world music Giovanni Amighetti eseguiranno<br />
in anteprima il brano The Hunters in the Snow, ispirato all’omonimo<br />
quadro di Pieter Bruegel.<br />
Per info: https://museocineseparma.org/it<br />
96 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019
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Nicola Candelli, Carlo D’Ottavi, Pier Paolo Ferrari, Marco Fullone, Antonio Gaudino, Marco Mazzi,<br />
Vittorio Pio, Riccardo Russino, Il Tremila.<br />
Abbonamenti: annuale Italia € 60,00 (all inclusive).<br />
Pagamenti: c/c postale n. 62394648 o bonifico (IBAN: IT04W0760103200000062394648)<br />
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Suono è un periodico che ha percepito (già legge 7 agosto 1990 n. 250) e percepisce i contributi<br />
pubblici all’editoria ( legge 26 ottobre 2016 n. 198, d.lvo 15 maggio 2017 n. 70).<br />
Il presente numero di <strong>SUONO</strong> è stato finito di stampare nel mese di ottobre 2019.<br />
INDICE INSERZIONISTI<br />
Audio Reference<br />
II Cop.<br />
Mpi Electronic - McIntosh 5<br />
Cooperativa Giornalistica Mondo Nuovo<br />
Direttore editoriale<br />
Paolo Corciulo<br />
Distributore per l’Italia<br />
Press-di Distribuzione Stampa e Multimedia S.r.l.<br />
20134 Milano<br />
Stampa<br />
Tiber S.p.A.<br />
Via Della Volta 179 - 25124 Brescia (BS)<br />
(t) 030.35.43.439<br />
(f) 030.34.98.05<br />
Audiogamma 9, 97<br />
Audiogamma - Musical Fidelity 19<br />
Audioplus 29<br />
Dp Trade 40<br />
Gammalta Group - Pmc 33<br />
Gammalta Group 16, 18<br />
High Fidelity Italia - Accuphase 37<br />
Il Centro Della Musica 15<br />
Laboratorium 65<br />
Lp Audio - Moon<br />
III Cop.<br />
Mpi Electronic - PS Audio 17<br />
Mpi Electronic - Klipsch 81<br />
Mpi Electronic - Sonus Faber<br />
IV Cop.<br />
Music Tools - VTL 11<br />
Openitem - Carot One 47<br />
Stereo Box 69<br />
Tecnofuturo - Gold Note 13<br />
Tecnofuturo 57<br />
Tecnofuturo - Luxman 83<br />
Tektron 7<br />
98 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019