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SUONO n° 539

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N. XXX<br />

Editoriale<br />

di Paolo Corciulo<br />

Spiacente di deludervi,<br />

ma la notizia della nostra morte<br />

è un tantino esagerata...<br />

In occasione del recente Milano Hi-End ho incontrato persone<br />

molto comprensive e consce del momento particolare che attraversa<br />

la stampa, motivate forse anche in seguito al richiamo che<br />

il Presidente della Repubblica ha recentemente fatto in merito.<br />

La maggior parte dei lettori di <strong>SUONO</strong> ci seguono da quel dì, altri<br />

sono giunti in seguito: avremmo voluto che questi ultimi fossero di<br />

più, per il nostro bene ma anche per quello in generale del settore<br />

che, non l’ho mai nascosto a rischio di risultare menagramo, non<br />

versa in buono stato di salute. Da anni ritengo che il ricambio e<br />

l’apertura verso un nuovo pubblico rappresentino le chiavi per<br />

ridare smalto al mercato che, per contro, si è sempre chiuso a<br />

riccio a difesa dei valori già esistenti, tutt’al più convenendo,<br />

per forma, sull’argomento. Un po’ quello che è accaduto finora<br />

nell’ambito del clima, con atteggiamenti definiti green washing<br />

o, più in generale, che partono dalla convinzione che tanto alla<br />

fine “ci si mette una pezza”…<br />

Se non è più tempo di rivoluzioni, letti in un arco di tempo più<br />

ampio di quelli determinati<br />

dal binomio “fretta<br />

& velocità” caratteristico<br />

dei tempi attuali gli<br />

eventi disegnano a volte<br />

fenomeni evolutivi ben<br />

definibili sulla lunga<br />

distanza. Quando frequentavo<br />

il primo anno<br />

all’Università venne<br />

chiesto ad alcuni di noi<br />

studenti del collettivo di<br />

medicina di realizzare un pamphlet per divulgare e spiegare un<br />

termine allora sconosciuto sebbene fondativo di un movimento<br />

di pensiero che cominciava a farsi strada, fortemente sostenuto<br />

dal biologo Barry Commoner: ecologia. Fa ridere che a quel<br />

tempo fosse lecito chiedersi cosa significasse mentre oggi è una<br />

parola di senso comune. II percorso di consapevolezza culturale<br />

effettuato da allora ad oggi è il segno di una evoluzione che non<br />

è una rivoluzione ma quasi! E nonostante questo Greta Thunberg<br />

e l’enorme impatto delle problematiche ecologiche soprattutto<br />

sui giovani ci hanno per certi versi tramortiti al punto tale da<br />

spazzare via molti pregiudizi sulla loro inconsapevolezza fino al<br />

punto da ipotizzare che la soglia della maturità si trovi ai 16 anni!<br />

Volando assai più basso, proviamo a ripercorrere invece il cammino<br />

dell’editoria specializzata in generale e in particolare di questo<br />

giornale: anni ’70 nascita e meraviglia; anni ’80 la consacrazione;<br />

anni ’90 la turbolenza; anni 2000 il declino. E gli anni post millennial?<br />

È possibile invertire la rotta di un declino annunciato? La<br />

vulgata (e anche certi movimenti politici) dicono di no in favore<br />

della democrazia digitale della rete; la splendida polifonia di voci,<br />

opinioni, anche semplici esternazioni e/o dubbi che rappresenta il<br />

panorama emerso in superficie grazie ad essa, è tuttavia disturbata<br />

da un costante, enorme, rumore di fondo, spesso creato ad arte, a<br />

volte elemento di disturbo suo malgrado, che sembra l’inevitabile<br />

contrappasso di quella smisurata libertà di espressione che dobbiamo<br />

ad internet. Quella che Umberto Eco definì “l’invasione degli<br />

imbecilli” o che più prosaicamente potremmo identificare come<br />

“marmellata digitale” è il contrappasso inevitabile, in alcuni casi<br />

gravissimo a questa ampia libertà: nel momento in cui scrivo sui<br />

social network si stanno diffondendo liste di farmaci fatti passare<br />

come medicinali contenenti il principio attivo ranitidina, messo<br />

al bando dall’Agenzia europea dei medicinali (Ema), con il rischio<br />

che farmaci che non hanno nulla a che vedere con quelli oggetto<br />

dei provvedimenti restrittivi vengano ingiustamente boicottati<br />

con grave rischio per chi ne ha bisogno. Fake news, ignoranza<br />

digitale, nuovi canoni (e argomenti) di comunicazione: tenendo<br />

conto di questo trittico lavoriamo<br />

costantemente per<br />

migliorare questo giornale<br />

partendo da una semplice<br />

constatazione visto che, in<br />

fondo, ci atteniamo a una<br />

massima per cui “Ogni mattina<br />

al sorgere del sole non<br />

importa che tu sia leone o<br />

gazzella...”. Tenendone conto<br />

ci colpisce ma anche ci<br />

stimola l’idea che la prima<br />

reazione alla disponibilità dei brani di Battisti in streaming sia<br />

stata per alcuni quella di trovarsi di fronte a brani “datati, banali,<br />

ripetitivi e noiosi”. E ci conforta, per contro, la decisione del duo<br />

di stilisti Dolce & Gabbana di concentrare sulla carta stampata<br />

la propria comunicazione. “Mentre tutti sono sullo smartphone,<br />

comprare la carta stampata potrebbe sembrare un lusso. In<br />

realtà se ne ricava un punto di vista unico, preparato con cura<br />

e tempo. Per me è il momento del grande ritorno delle riviste:<br />

potere alla stampa!”. Lo ha detto Stefano Gabbana e non saprei<br />

come dirlo meglio!<br />

Mi sembra così che da uno scoppiettante crogiuolo ricco di segnali,<br />

di modernità ma anche di conoscenza e cultura (del passato, del<br />

presente e per la formazione del futuro) nasce ogni mattina (dopo<br />

aver scoperto se si è leoni o gazzella) il <strong>SUONO</strong> che verrà. Quale<br />

sia perfettamente non so ma posso garantire che è e sarà privo<br />

di preconcetti e tesi preconfezionate. Una marcia in più che dà<br />

origine a pensieri e opinioni di cui sono orgoglioso, che le leggiate<br />

sulla bella carta stampata o in rete che sia.<br />

Parafrasando il telegramma con cui Mark Twain<br />

risponde con sferzante ironia alla infondata notizia<br />

della sua dipartita, vorrei tranquillizzare quei lettori<br />

che si preoccupano (a fronte della vulgata che vuole<br />

la carta stampata obsoleta) della sorte di testate<br />

come la nostra che rappresentano il compagno di<br />

viaggio di lunga data per molte persone.<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 3


Sommario<br />

N. XXX<br />

EDITORIALE ............................................................................3<br />

ANTENNA ...............................................................................6<br />

INSIDE DENTRO LA MUSICA<br />

SCOUTING CAP.1 Il Capo di Paolo Corciulo ...............................................................20<br />

N. <strong>539</strong><br />

OTT/NOV 2019<br />

ABBEY ROAD 50 anni dopo il canto del cigno dei Beatles di Massimo Bargna ........................24<br />

GIUSEPPINA TORRE Finché c’è arte c’è speranza di Francesco Bonerba ..........................28<br />

GABRIELE DI FRANCO Mi scappa di farlo di Daniele Camerlengo ..............................30<br />

ARTHUR RADFORD Non solo amplificatori di Pier Paolo Ferrari ................................34<br />

SELECTOR TUTTO IL MEGLIO IN ARRIVO SUL MERCATO<br />

CUFFIA TX Media TX-172 Concerto a cura della redazione .......................................38<br />

ACCESSORI Omicron Magic Dream di Nicola Candelli ........................................42<br />

UNITÀ PHONO STEP-UP Ortofon ST-7 a cura della redazione .................................44<br />

CONVERTITORE MSB Premier DAC a cura della redazione ....................................48<br />

AMPLIFICATORE INTEGRATO Synthesis Roma 510 AC di Nicola Candelli ......................54<br />

PRE + FINALE Yamaha C-5000 e M-5000 a cura della redazione ...............................58<br />

DIFFUSORI Marten Design Django XL di Paolo Corciulo .......................................66<br />

DIFFUSORI Sonus faber Minima Amator II a cura della redazione ..............................70<br />

AMATO MIO LP di Vittorio Pio ............................................................74<br />

RECENSIONI A.A.V.V. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76<br />

CUT ‘N’ MIX CONCERTI | CINEMA | LIBRI | SOCIETÀ | ARTE ........................ 92


ANTENNA<br />

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Olympica<br />

refresh<br />

In occasione della<br />

16ma edizione<br />

della fiera Rocky<br />

Mountain Audio Fest<br />

(RMAF: 6 - 9 Settembre<br />

2019) Sonus faber<br />

ha introdotti gli<br />

Olympica Nova, una<br />

rivisitazione della serie<br />

Olympica (introdotta<br />

nel 2013) che è più di<br />

un restyling: nuovi driver,<br />

nuovo crossover,<br />

nuova struttura del<br />

cabinet e nuovo caricamento<br />

dei volumi<br />

interni per la versione<br />

che per la fine dell’anno<br />

sarà nei negozi italiani.<br />

Dei sette modelli<br />

che compongono ora<br />

la collezione Olympica<br />

Nova, tre sono completamente<br />

nuovi: il top di<br />

gamma a tre vie, un secondo<br />

canale centrale<br />

LA GAMMA OLYMPICA NOVA<br />

Modello: Nova I Nova II Nova III Nova V<br />

Tipo: da supporto da pavimento<br />

Caricamento:<br />

bass reflex<br />

N. vie: 2 3<br />

Potenza (W): 35 – 250 50 – 250 50 – 300 60 - 400<br />

Impedenza (Ohm): 4<br />

Frequenze Crossover (Hz): 2500 250/2.500<br />

Risp. in freq (Hz): 45 – 35.000 40 – 35.000 35 - 35.000<br />

Sensibilità (dB): 87 88 90<br />

Tweeter: 28 mm a cupola in seta H28 XTR3<br />

Midrange: - 15 cm<br />

Woofer (cm): 1 x 15 1 x 18 2 x 15 3 x 18<br />

Dimensioni in cm (lxaxp): 19,95 x 35,5 x 39,5<br />

36 x 103,65 x<br />

42,25<br />

37,6 x 110,45 x 46 42,4 x 117,4 x 53<br />

Peso (Kg): 10,5 30,7 35 44<br />

Prezzo (€): € 6.000,00 9.000,00 12.000,00 15.000,00<br />

6 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019


e un modello on-wall. Originariamente, infatti,<br />

la linea, un omaggio al Teatro Olimpico<br />

di Vicenza, era composta da tre modelli<br />

(due torri e uno da stand) con cabinet in<br />

legno di noce naturale, con top (rivestito<br />

in pelle) e bottom in noce massello e baffle<br />

frontale e retro anch’essi rivestiti in<br />

pelle con assenza di viti a vista. La forma<br />

rimane la stessa, in pianta a forma di liuto,<br />

mentre i fianchi del cabinet vengono ora<br />

realizzati con otto strati di legno curvato<br />

e nel top e nel baffle la pelle lascia il posto<br />

al legno naturale (noce o wengé le due<br />

finiture disponibili) incastonato in una<br />

lastra realizzata in alluminio fresato, come<br />

accade nella collezione Homage Tradition.<br />

Il caricamento è lo stesso (Stealth Reflex)<br />

con l’uscita laterale del flusso, mutuata dai<br />

modelli Homage Tradition e realizzata con<br />

un pezzo di alluminio estruso. Cambiano<br />

gli altoparlanti utilizzati anche se, ovviamente,<br />

in molti casi si tratta di evoluzioni<br />

di quelli utilizzati nella prima serie. Il tweeter<br />

a cupola in seta (ora da 28 mm, prima<br />

da 29) e magnete al neodimio, utilizza la<br />

soluzione proprietaria DAD (Damped Apex<br />

Dome) con archetto e anello, in alluminio<br />

pressofuso, ridisegnati. Il midrange da 15<br />

cm utilizza un cono realizzato secondo<br />

l’abituale miscela di polpa di cellulosa e<br />

fibre naturali (Kapok e Kenaf) con cestello<br />

in alluminio, bobina mobile in lega di<br />

rame (CCAW - Copper Clad Aluminum<br />

Winding) e una differente ogiva rispetto<br />

a quella utilizzata nei modelli precedenti,<br />

in alluminio con anello in rame. Il woofer<br />

(da 15 e 18 cm) è ancora una volta dotato di<br />

cono con struttura a sandwich costituita da<br />

due strati in polpa di cellulosa accoppiati<br />

tramite uno strato di schiuma sintattica.<br />

Anche il crossover, che utilizza condensatori<br />

Clarity Cap, continua il cammino<br />

intrapreso elaborando le idee di Onken e<br />

Jensen prima con il sistema Stealth Reflex,<br />

ora con la modalità costruttiva denominata<br />

Paracross Topology. Infine anche i<br />

supporti di Olympica Nova (le basi e gli<br />

stand) sono stati riprogettati.<br />

In termini di prezzo di listinio l’aumento<br />

medio per i vari modelli è nell’ordine del<br />

10% rispetto alla serie precedente.<br />

Paolo Corciulo<br />

Per info: MPI ELECTRONIC - www.<br />

mpielectronic.com<br />

Cablaggio in aria,<br />

valvole di alta qualità,<br />

componenti selezionati.<br />

Pura musica.<br />

Pre, finali e integrati costruiti a mano in Italia, cablati in aria,<br />

con valvole e componenti selezionati e NOS, cabinet in legni pregiati<br />

e la sicurezza delle certificazioni CE, RoHs e RAEE.<br />

Tutto questo perché, in fatto di amplificazioni, tutto è già stato<br />

inventato dai tempi delle valvole: si deve solo fare al meglio.<br />

E con Tektron ritorni al futuro.<br />

7<br />

TEL 335 6693597 - EMAIL info@tektron-italia.com - WEB www.tektron-italia.com


ANTENNA<br />

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FOCAL PER TUTTI<br />

Rendere l’alta fedeltà accessibile al maggior numero di persone possibile.<br />

Quasi un refrain per Focal che accanto ai diffusori monstre ha<br />

sempre sviluppato parallelamente gamme di prodotto economiche<br />

ma di qualità, ispirandosi al concetto di microlusso. In questo ambito è<br />

la volta di Chora, una gamma di tre diffusori (uno da piedistallo e due<br />

torri) che sostituisce la linea Chorus, per definizione la gamma d’attacco<br />

della casa francese, con prezzi tra i 600 euro e poco più del doppio<br />

(quindi nello stesso range dei predecessori) e, altro elemento costante<br />

nello sviluppo dei prodotti nella casa francese, aspetti di innovazione<br />

tecnologica. È il caso, ad esempio, del nuovo materiale proprietario<br />

utilizzato per il cono di midrange e woofer, realizzato in fibra di ardesia<br />

(Slatefiber), ottenuta dall’unione di un polimero termoplastico con<br />

fibre di carbonio riciclate e non tessute, soluzione perseguita per il<br />

miglioramento dello smorzamento, della rigidità e della leggerezza del<br />

componente, vero chiodo fisso per Focal che durante i suoi 40 anni di<br />

storia ha proposto via via soluzioni sempre più performanti da questo<br />

punto di vista. Da notare che rispetto alla gamma precedente Chorus<br />

sono scomparsi centrale e surround (sebbene la torre di mezzo vanga<br />

definita adatta all’home theater): un’abiura nel confronti dell’home<br />

theater o un nuovo modo di concepirlo?<br />

Il Tremila<br />

Distributore: Tecnofuturo - www.tecnofuturo.it<br />

LA GAMMA CHORA<br />

Modello Chora 806 Chora 816 Chora 826<br />

Tipo: da supporto da pavimento da pavimento<br />

Caricamento:<br />

bass reflex<br />

N. vie: 2 3 3<br />

Potenza (W): 25-120 40-200 40-250<br />

Impedenza (Ohm): 8<br />

Frequenze di crossover (Hz): 3000 270 – 2700 270 - 2.700<br />

Risp. in freq (Hz): 58 – 28.000 50 – 28.000 48 - 28.000<br />

Sensibilità (dB): 89 89,5 91<br />

Tweeter:<br />

1 TNF (Aluminium/Magnesium)<br />

Midrange: - 1 da 16,5 cm<br />

Woofer: 1 Wf da 16,5 cm 1 da 16,5 cm 2 da 16,5 cm<br />

Dimensioni in cm (lxaxp): 59 x 39 x 53 110 x 34 x 48 30.3 x 38.8 x 105.3<br />

Peso(Kg): 18 20,5 24<br />

Prezzo (€): 598,00 1.198,00 1.398,00<br />

8 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019


ANTENNA<br />

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Solo per intenditori<br />

Leader del settore nella metà degli anni ’70 grazie all’adozione nei suoi diffusori del tweeter<br />

AMT (Air Motion Transformer), realizzato su licenza esclusiva concessa dal fisico tedesco<br />

Oskar Heil che lo ha creato, ESS è un marchio tutt’ora apprezzato dai veri intenditori di<br />

Hi-Fi che si dilettano a mettere nelle migliori condizioni di utilizzo i diffusori che utilizzano<br />

questo componente. Gli AMT Limited Edition 6 sono una versione di dimensioni ridotte delle<br />

leggendarie AMT dell’epoca, quindi dedicate ad ambienti di piccole e medie dimensioni dove<br />

efficienza, emissione alle basse frequenze (grazie ad un secondo woofer che emette verso il<br />

basso) e regolazione dell’emissione alle alte frequenze favoriscono un facile interfacciamento<br />

con l’ambiente e con i partner sonori.<br />

Agostino Bistarelli<br />

Diffusori ESS AMT LE 6<br />

Prezzo: € 1.399,00<br />

Dimensioni: 20 x 47 x 20 cm (lxaxp)<br />

Peso: 14 Kg<br />

Distributore: Openitem - www.openitem.it<br />

Tipo: da pavimento Caricamento: sospensione<br />

pneumatica N. vie: 2 Potenza (W): 60-100<br />

Impedenza (Ohm): 6 Risp. in freq (Hz):<br />

40 - 28.000 Sensibilità (dB): 96 Altoparlanti:<br />

1 tw di Heil, 2 wf con cono in carta da<br />

16 cm Rifinitura: nero e noce Note: 1 woofer<br />

posizionato con emissione verso il basso.<br />

LA SERIE STELLAR CRESCE<br />

A cavallo tra il 1973 e il 1975 la PS Audio faceva il suo fragoroso<br />

ingresso nel mondo audio con un preamplificatore fono che ottenne<br />

larghi consensi. Sebbene l’attività principale si sia spostata<br />

poi principalmente su filtri di rete prima e convertitori D/A poi,<br />

niente di meglio per festeggiare i 40 anni di attività se non riproporne<br />

un altro, ovviamente nella versione aggiornata e all’interno<br />

della serie Stellar, quella up to date del costruttore americano.<br />

L’apparecchio è basato su una architettura originale a FET in<br />

configurazione completamente discreta ed è stato sviluppato<br />

dall’ingegnere Darren Myers. Lo Stellar Phono dispone di doppi<br />

ingressi e possibilità di regolare carico e guadagno della testina<br />

utilizzata in maniera facile e immediata, anche da telecomando.<br />

Agostino Bistarelli<br />

Per info: MPI ELECTRONIC - www.mpielectronic.com<br />

Unità phono PS Audio Stellar Phono<br />

Prezzo: non comunicato<br />

Dimensioni: 43 x 8,2 x 33 cm (lxaxp)<br />

Peso: 9,8 Kg<br />

Tipo: MM/MC Tecnologia: stato solido a MOSFET Risp. in freq. (Hz): 20Hz<br />

- 20KHz +/- 0.25dB Impedenza MM (kOhm): 47. Impedenza MC (Ohm): 60<br />

- 1-1k S/N (dB): 82 Note: 1 ingresso RCA e 1 XLR. Telecomando con selezione<br />

dell’ingresso e dei carichi MC.<br />

A Padova Quattro Note d’Autunno<br />

Nei giorni 1, 2 e 3 Novembre p.v., dalle 10 alle 19, si terrà la 4a edizione di Quattro Note d’Autunno, l’appuntamento con la musica e la<br />

passione organizzato da Peter& Son Audio Laboratory, che prevede una sezione storica con la 3a edizione del Vintage Classic Hi-Fi, una<br />

selezione di importanti apparecchiature che hanno fatto la storia della vera Alta Fedeltà, per poi continuare nella sezione rivolta all’attualità<br />

dove esordisce anche la prima U.C.H. (Upgrade Challenge HiFi), un’inedita opportunità atta a scoprire come e quanto si può migliorare<br />

la riproduzione sonora di un diffusore (sia nuovo che da collezione) rivisitandone competentemente il cross-over e le cablature interne.<br />

L’edizione di quest’anno, inoltre, prevede per ognuno dei tre giorni (venerdì e sabato dalle ore 18 e domenica dalle ore 17) un concerto<br />

live con la partecipazione degli artisti dell’etichetta discografica Velut-Luna. La manifestazione si svolge come d’abitudine all’ Hotel F. P.<br />

by Sherton di Padova-Est (contiguo all’omonimo Casello Autostradale della A-4) dove è prevista l’agevolazione sulla tariffa di parcheggio<br />

all’interno della struttura a €.2,00 per l’intera giornata.<br />

Per info: Peter & Son Sas Audio Laboratory - www.peter-son.it<br />

10 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019


ANTENNA<br />

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Luxman insiste<br />

sull’analogico<br />

All’unico giradischi Luxman attualmente in catalogo sta per aggiungersi<br />

un nuovo modello che prende le mosse dal precedente (PD-171A), introdotto<br />

nel 2014. Il nuovo PD-151 utilizza un nuovo motore proprietario<br />

senza spazzole, ad alta coppia di rotazione, e un piatto ad alta massa<br />

(4 kg) che ha richiesto lo sviluppo di cuscinetti in grado di sopportare<br />

pressioni estremamente elevate. A tale scopo è stato sviluppato il nuovo<br />

reggispinta in polietere chetone (PEEK) e un cuscinetto radiale in ottone<br />

riempito con olio di molibdeno organico per favorire una rotazione<br />

fluida e una maggiore durata nel tempo. Per il cabinet, inoltre, è stata<br />

realizzata una struttura sospesa, con componenti montati sotto il telaio<br />

superiore in alluminio di 10 mm di spessore, separato dal trasformatore<br />

di alimentazione con supporti di smorzamento in gomma. La regolazione<br />

della velocità viene effettuata con comandi separati per 33-1/3, 45 e 78<br />

rpm e il cablaggio è interamente in rame OFC.<br />

Il Tremila<br />

Per info: Tecnofuturo - www.tecnofuturo.it<br />

Giradischi Luxman PD-151<br />

Prezzo: non comunicato<br />

Dimensioni: 46,5 x 13,3 x 39,3 cm (lxaxp)<br />

Peso: 15,7 Kg<br />

Tipo: con braccio Telaio: a sospensione con top in alluminio Trasmissione:<br />

a cinghia Piatto: in alluminio da 4 kg Braccio: a S<br />

con attacco universale, lunghezza 22,9 cm, overhang 15 mm, per<br />

testine da 4 a 12 gr. Alzabraccio: si Wow & Flutter (%): 0.04%.<br />

SE HAI L’USCITA BASSA<br />

Il trasformatore step-up Ortofon ST-70 si affianca all’ST-7 (in prova<br />

in questo numero di <strong>SUONO</strong>) ed è stato progettato e ottimizzato<br />

per Moving Coil (MC) con uscita molto bassa, facilitando così il<br />

lavoro dallo stadio phono. A partire dai trasformatori Lundahl di<br />

alta qualità, circondati da una schermatura specializzata in mumetal,<br />

l’ST-70 è un disegno nato da zero. All’interno della chassis,<br />

il design dual-mono a discreti per ogni canale riduce la diafonia<br />

e le distorsioni. La scheda PCB è di elevata qualità e i jack RCA<br />

d’ingresso e d’uscita sono placcati in oro con isolamento in Teflon<br />

per la migliore conduttività. L’ST-70 è compatibile con una vasta<br />

gamma di fonorilevatori Moving Coil di fascia più alta grazie alle<br />

sue due opzioni Gain / Impedance, impostate tramite ponticelli<br />

interni. Un abbinamento ideale è con i modelli MC della serie<br />

Cadenza della casa danese.<br />

Carlo D’Ottavi<br />

Per info: Audiogamma - www.audiogamma.it<br />

Unità phono Ortofon ST-70<br />

Prezzo: € 1.145,00<br />

Dimensioni: 15 x 5,8 x 13,5 cm (lxaxp)<br />

Peso: 1,23 Kg<br />

Tipo: MC Tecnologia: Trasformatore di Step Up per testine a bobina<br />

mobile Risp. in freq. (Hz): 10-100.000 +/- 1 dB (conf.A) e 10-80.000 +/-<br />

1 dB (conf.B) Impedenza MC (Ohm): raccomandata 5-50 (conf.A) e <<br />

10 (conf.B) Note: Costruzione Dual-Mono. Doppi trasformatori Lundahl<br />

con schermatura mu-metal dedicata. Ponticelli interni per selezionare<br />

tra due configurazioni di guadagno/impedenza. Connettori RCA dorati<br />

con isolamento in Teflon.<br />

12 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019


ANTENNA<br />

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Unità phono Blue Aura PH1<br />

Prezzo: € 199,00<br />

Dimensioni: 15,2x 4,9 x 18 cm (lxaxp)<br />

Peso: 0,85 Kg<br />

Tipo: MM/MC Impedenza MM (kOhm): 45~56<br />

Impedenza MC (Ohm): 80~120 S/N (dB): 82.8<br />

MM -


ANTENNA<br />

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Uno sguardo al futuro...<br />

e uno al passato<br />

Con la serie Artera Quad ha voluto occupare un segmento di<br />

mercato lontano da quello più strettamente correlato alla sua<br />

immagine e alla su storia, analizzando i cambiamenti avvenuti<br />

nella fruizione musicale e, di conseguenza, nelle categorizzazioni<br />

dei prodotti, oggi più mutevole e incerta che in passato. Oltre a un<br />

tutto in uno di fascia alta (Solus) la linea Artera è infatti composta<br />

da due soli ulteriori componenti: un tradizionale finale di potenza<br />

(Stereo) e un lettore + pre e hub digitale (Play +). A rendere ora un<br />

po’ meno radicali le scelte arriva un pre di natura più tradiionale<br />

che si riallaccia a tecnologie del passato del marchio come il Tilt<br />

Control, raffinato controllo di toni, sviluppato addirittura nel 1982<br />

per il pre Quad 34. Non c’è più Peter Walker alla guida della ricerca<br />

ma comunque un rispettato progettista come Jan Ertner, responsabile<br />

del progetto Atera, che ha seguito lo sviluppo dei prodotti Quad<br />

negli ultimi 20 anni e più.<br />

L’Artera pre è completamente bilanciato e consente la regolazione<br />

del livello individualmente su ognuno degli ingressi e uscite fisse<br />

e variabili per facilitare il bi-ampling. Grande attenzione anche<br />

all’alimentazione, con un capiente toroidale e ben 11 rami differenziati,<br />

all’ascolto in cuffia con uno stadio di amplificazione separato<br />

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18 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019


INSIDE DENTRO LA MUSICA<br />

di Paolo Corciulo<br />

SCOUTING: IL MERCATO HA<br />

BISOGNO DI SCELTE GIUSTE<br />

CAP. 1: il Capo<br />

Comincia qui un percorso (tra memoria e consapevolezza) di esperienze da condividere con il lettore. Siamo<br />

andati alla ricerca di quei personaggi che grazie alle loro conoscenze hanno indirizzato e plasmato il mercato.<br />

Perché certe scelte sono maggiormente impattanti di altre.<br />

Come molti lettori di questa rivista, sono un cittadino del secolo<br />

scorso del quale ho introiettato (a volte mio malgrado) i valori,<br />

i pregi e i limiti, anche se alcuni di essi ho tentato di superarli<br />

per non perdere il passo con cambiamenti determinati dal tempo che<br />

corre e dalle spiccate attitudini messe in<br />

Il fiuto per gli affari<br />

Di lui tutti ricordano il fiuto magistrale nello<br />

scovare nuovi prodotti di cui avrebbe<br />

curato la distribuzione, sempre attento al<br />

futuro e mai fermo su rendite di posizione.<br />

Vero imprenditore di razza. Il mio ricordo<br />

di Giovanni? Solo quello di un campione<br />

di umanità e saggezza.<br />

luce dai cosiddetti millennial con il loro<br />

modo di fruire della musica.<br />

Senza sfoderare capacità sociologiche<br />

che non ho, se dovessi sintetizzare le<br />

caratteristiche che distinguono lo scorso<br />

secolo da quello attuale, perlomeno<br />

nello specifico agone dell’alta fedeltà<br />

ma non solo, mi soffermerei principalmente<br />

sulla velocità, sull’accelerazione<br />

che viene richiesta ai processi cognitivi<br />

e non; velocità e accelerazione hanno<br />

determinato un accorciamento delle<br />

distanze (fisiche e culturali) tra le varie<br />

parti del mondo e anche la supponenza<br />

(ma questo è un altro argomento, sicuramente degno di un discorso a<br />

parte) che velocità e accelerazione si possano applicare indistintamente<br />

anche a categorie come l’esperienza e la professionalità, intese nell’accezione<br />

più vasta possibile. Velocità e accelerazione per contro hanno<br />

determinato una maggiore capacità, sia geografica che culturale, di farci<br />

sentire cittadini del mondo: oggi in poche ore e con una spesa relativa<br />

possiamo raggiungere qualsiasi parte del globo (mia nipote è in Cile in<br />

vacanza, io ancora ricordo le interminabili<br />

ore di macchina per raggiungere attraverso<br />

il temibile Vallo della Lucania la<br />

Puglia, terra natia di mio padre). In pochi<br />

secondi possiamo telefonare, chattare,<br />

contattare via e-mail chiunque in<br />

qualsiasi parte del mondo immaginando<br />

con buona dose di approssimazione<br />

come sarebbe andarlo a trovare, quali<br />

strade e che panorama dovremmo affrontare.<br />

Mentre lo penso e lo scrivo, mi<br />

vengono in mente due spauracchi e due<br />

limiti asfissianti che hanno caratterizzato<br />

la mia gioventù: le telefonate internazionali<br />

e i voli “transoceanici” (come se<br />

l’oceano fosse ancora, per il navigante, un colossale ostacolo). Entrambi<br />

assolutamente da evitare per costi, pericolo, arditezza dell’impresa…<br />

Dico questo certamente non per nostalgia: si vive mediamente meglio<br />

Maurizio Massarotti<br />

20 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019


SCOUTING: IL MERCATO HA BISOGNO DI SCELTE GIUSTE<br />

PADRE E PATRIARCA<br />

Per tutti Giovanni è il padre dell’alta fedeltà italiana, una figura di riferimento in<br />

campo internazionale. Per me è un padre nella più pura accezione del termine.<br />

Un uomo onesto, probo, buono, semplice e generoso, un entusiasta, un coraggioso,<br />

un istrionico, un lungimirante, un illuminato, un edonista, una persona sempre<br />

in prima linea negli oneri, mai negli onori. Il Capo è un visionario. Il Capo ama la<br />

sua famiglia, il suo lavoro e la sua MPI, frutto di rischi infiniti e tanti sacrifici. Ama<br />

i suoi colleghi (come chiama i propri collaboratori e dipendenti) e i suoi amici.<br />

Il Capo ha conquistato l’America e gli americani (non a caso è figlio di Amerigo);<br />

ha girato il mondo ma porta sempre con sé la sua amata Umbria. Da una parte<br />

New York dall’altra Foligno. Da un lato il Consumer Electronic Show di Las Vegas<br />

dall’altro la festa di Colle San Lorenzo e la Quintana. Da un lato filet mignon e<br />

french fries, dall’altro pajata e porchetta. Il Capo è una persona di cultura, legge<br />

tanto, gli piacciono le biografie dei grandi della terra, ama la storia, la politica, la<br />

finanza e le dinamiche per cui tutto prende una forma. Ama il Milan, quel Milan<br />

che non sbaglia mai e che quando perde è sempre colpa degli arbitri. Conosce<br />

le ragioni, quelle della testa e quelle del cuore, ha sempre una parola per tutti,<br />

una spiegazione a tutto. È una persona riconoscente, sa amare e la gente lo ama.<br />

Ci sentiamo spesso, capita anche di incontrarsi, soprattutto di notte. Parliamo,<br />

faccio domande e chiedo consigli che seguo alla lettera. È una guida preziosa.<br />

Insostituibile.<br />

Marco Mazzi<br />

che in passato e la ricchezza della polifonia di voci e culture a cui oggi<br />

attingiamo è straordinaria! Ma la velocità e l’accelerazione rendono<br />

mutevole la realtà che ci circonda a tal punto da far correre il rischio che<br />

nulla si sedimenti, nulla accresca e conclami quell’aspetto di concretezza<br />

(delle scelte, delle cose) delle nostra vita e questo per un music lover<br />

(termine che preferisco di gran lunga alla parola audiofilo) rappresenta<br />

un problema: che cosa farsene delle amate e materiali collezioni di dischi<br />

che oltre ad affollare il salotto ne definiscono almeno in parte l’identità?<br />

Come contenere quel sentimento che ci porta alla ricerca di valori<br />

duraturi nei prodotti di cui amiamo circondarci e che, come effetto di<br />

risulta paradossale quanto si vuole ma ben presente nell’animo del music<br />

lover, si trasforma nell’eterna attesa del prodotto perfetto (prestazionale,<br />

affidabile, eterno) in un’epoca di usa e getta?<br />

Che ci sia del buono in questi “vecchi” sentimenti non ho dubbio alcuno,<br />

basti pensare, in negativo, a quello che è successo in Hi-Fi travisando,<br />

dimenticando, negando scientemente quelle regole, quelle intuizioni che<br />

resero i padri fondatori del settore tali e che, scopriamo oggi, sarebbero<br />

in gran parte ancora valide se applicate anche solo pedissequamente. È<br />

la mancanza di memoria storica ad averci fatto dirazzare ma tale patrimonio<br />

sembra più un fardello che altro per molte aziende: abbiamo più<br />

volte su <strong>SUONO</strong> affrontato il tema, per quelle aziende che ne sono dotate,<br />

di come e se preservare la propria tradizione pur evolvendo… In un mondo<br />

ad alto tasso di mutazione forse la tradizione è solo un limite tant’è<br />

che, con mio grande raccapriccio, talune aziende preferiscono eludere<br />

la propria storia piuttosto che esaltarla. Ma, ritornando all’argomento<br />

originale, sono anche convito che se non si può (e non si deve) arginare<br />

il progresso, le mutate condizioni del panorama che ci circonda (anche e<br />

a maggior ragione nello specifico settore della riproduzione sonora) non<br />

prefigurano necessariamente che alcuni valori del passato siano ancora<br />

validi. Uno di quelli invece ancora necessari è, almeno a mio parere, la<br />

capacità di discernere in merito alla qualità dell’offerta che, detta così,<br />

sembra una cosa facile ma presuppone intelligenza, conoscenza della<br />

materia sia tecnica che storica non sempre comuni.<br />

Tra gli elementi di maggior spicco di quel periodo fervido che viene definito<br />

Golden Era dell’Hi-Fi c’è stata proprio quell’attività di scouting (la<br />

ricerca di nuovi e validi protagonisti su un mercato) effettuata da parte di<br />

alcuni benemeriti. Scouting, va ricordato, che veniva praticato in condizioni<br />

di mobilità e possibilità di comunicazione ben differenti da quelle<br />

odierne dove, tutto sommato, basta digitare qualche parola in rete per<br />

avere risposte magari superficiali ma pur sempre sufficienti a conoscere<br />

quel che precedentemente si ignorava del tutto. La mia ammirazione va<br />

alle persone che cominciarono a farlo tra mille difficoltà (per dirne una,<br />

la prima volta che sono andato in Giappone nessuno parlava inglese e,<br />

allora come negli anni seguenti, spesso non lo parlavano nemmeno i<br />

grandi manager delle aziende); era un mondo più piccolo (quello conosciuto<br />

e al tempo stesso fin troppo grande, soprattutto la parte che non si<br />

conosceva), da affrontare con circospezione e con lunghe e impegnative<br />

avventure con i “viaggi intercontinentali”.<br />

La conoscenza globale di superficie che oggi ci è concessa complica valutazioni<br />

e scelte (quasi tutti sono capaci di creare un sito attraente!) e<br />

rende ancor più opportuno e interessante il lavoro di scouting. Nel nostro<br />

mercato, però, quasi tutti hanno perso questa attitudine, più semplice<br />

un approccio urbi et orbi: l’utente finale che modella i suoi gusti sulla<br />

base delle sue fascinazioni, il negoziante che non crea più una griglia di<br />

prodotto che tenga conto delle sue convinzioni, dell’area in cui opera,<br />

della caratterizzazione della sua clientela, l’importatore nella scelta di<br />

prodotti duraturi e strutturati per offrire servizio post vendita (quello<br />

che abbiamo definito indice di concretezza), le riviste che, in ultima<br />

analisi, non esercitano appieno il loro ruolo di critica basata su criteri<br />

di analisi profondi e veritieri (molto più semplice rifugiarsi nell’enorme<br />

ego dei recensori che attraverso un IO cubitale sopperiscono a queste<br />

doti di analisi).<br />

Per queste ragioni, invece, chi ancora fa esercizio di scouting ha un ruolo<br />

fondamentale in un settore come l’alta fedeltà che, per quanto si voglia,<br />

non potrà mai diventare usa e getta e fonda sulla qualità il suo principale<br />

criterio ispiratore. E i Cahiers du son odierni meritano tutto il<br />

nostro rispetto per il contributo nel tracciare una strada, un orizzonte<br />

il più sano possibile, indipendentemente lo si voglia seguire o meno. A<br />

riscoprirli penserà questo spazio, nato per condividere con il lettore la<br />

Giovanni Faccendini con Marco Mazzi responsabile del settore Dj.<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019 21


INSIDE<br />

Da sinistra a destra: Pino Fasulo, Giovanni Faccendini e Alessandro Faccendini al The<br />

S.H.O.W. molti anni fa.<br />

fiducia nel loro operato e le indicazioni che ci offrono. Per inauguralo,<br />

non essendo abbastanza vecchio del settore da conoscere bene i vari<br />

Gilberto Gaudi, Emilio Baruffi con Sony e l’ing. Giorgio Bertazzoni - che<br />

ebbero il merito di introdurre i prodotti<br />

giapponesi sul mercato italiano e che a<br />

tutti gli effetti possono essere considerati<br />

i padri fondatori dell’Hi-Fi italiana -<br />

non ho avuto dubbio alcuno su chi, della<br />

generazione successiva, che invece ho<br />

conosciuto bene, potesse meritatamente<br />

aprire questa galleria di ritratti...<br />

“Gìììoooovaaani”; un urlo, una sirena<br />

rassicurante in terra straniera sebbene<br />

il nome venga storpiato in mille modi<br />

con quella doppia enne che gli stranieri<br />

non riescono mai a pronunciare: non di<br />

rado capitava di distinguere nettamente<br />

il richiamo tra l’assordante confusione<br />

di un CES al suo apice per la partecipazione<br />

dei produttori Hi-Fi. Era rivolto<br />

a un piccolo grande uomo conosciuto e stimato da tutti che viaggiava<br />

“aprendo le acque tra il popolo dell’Hi-Fi” accalcato nei vari stand, in<br />

simbiosi della sua fida assistente, “la Mara”. Perché lui non sapeva l’inglese<br />

e lei si ma guai a sottovalutarlo per questo: per quel che ne so ha<br />

sempre concluso affari a suo vantaggio senza essere mai abbindolato ma<br />

anche senza mai abbindolare qualcuno.<br />

Giovanni Faccendini aveva iniziato in Siemens come brand manager di<br />

marchi quali Thorens e Stanton: con Frank Conlon, da poco scomparso,<br />

che di Stanton era la colonna portante, avrebbe mantenuto a lungo una<br />

sincera amicizia anche quando Conlon si ritirò dal mondo del business e<br />

rimasero in contatto. Siemens era una sorta di incubatore di qualcosa che<br />

non capiva, orientata com’era verso altri main business. Da lì Faccendini<br />

ne uscì fondando con un altro ex Siemens, Manrico Casagrande, una<br />

società per la distribuzione dell’Hi-Fi, prima di dividersi prendendo<br />

ognuno strade diverse e autonome.<br />

Poi nel 1984 l’acquisizione della MPI di Italo Pagani (un altro dei padri<br />

fondatori dell’Hi-Fi italiana, spesso sottovalutato): il figlio, un ingegnere<br />

“testacchione”, mal si adattava alle nascenti regole dell’Hi-end (ritornò,<br />

se non ricordo male, a lavorare per la HP…). MPI e McIntosh vivevano<br />

anch’essi della simbiosi tra i patron italiano Pagani e quello americano<br />

Un piccolo grande uomo<br />

Forse ufficialmente non fu mai riconosciuto<br />

appieno: un grande personaggio<br />

e soprattutto un grande uomo, senza se<br />

e senza ma. E non lo dice solo un amico<br />

ma uno che con lui ha lavorato fianco a<br />

fianco per trent’anni, con enorme piacere<br />

e soddisfazione, e che certe situazioni<br />

le ha vissute e le può tranquillamente<br />

testimoniare.<br />

Pino Fasulo<br />

Gordon Gow che fece nascere tanti aneddoti (dalla passione di Gow per le<br />

belle donne ai rientri dagli States di Pagani con valige di ricambi “perché<br />

la logistica di allora...”) ma anche un’attività commerciale di successo.<br />

Con la MPI Giovanni Faccendini allargò a dismisura il portfolio della<br />

sua offerta visto che in un non chiarito rapporto di causa-effetto lui era<br />

famoso all’estero per i tanti marchi distribuiti e tanti marchi lo cercavano<br />

perché era famoso… Eppure non aveva nemmeno un grande orecchio<br />

e poco a che vedere con quel fuoco sacro di molti ex audiofili diventati<br />

operatori di settore. Nonostante prendesse sempre decisioni in piena autonomia,<br />

ascoltava attentamente i consigli dei suoi collaboratori, specie<br />

in ambito d’ascolto musicale. E poi chapeau, aveva un gran fiuto: era un<br />

“animale” commerciale; non riesco a immaginare nulla di più lontano<br />

tra quest’uomo dall’aspetto campagnolo (la grande pancia e i baffoni<br />

tradivano la provenienza dalla campagna umbra) e la DJ culture, eppure<br />

ebbe lui questa intuizione, come racconta il suo stretto collaboratore<br />

Marco Mazzi: “Il Capo è stato la persona che trent’anni fa, prima di<br />

tutti, importò in Italia la Bedroom Dj Culture e solo grazie alla sua lungimiranza...<br />

Allora io ero un ventenne<br />

entusiasta e squattrinato, lui un nome<br />

di spicco dell’alta fedeltà internazionale,<br />

e non ebbe dubbi quando si trattò di<br />

investire nel mondo dei Dj”.<br />

Già: il “Capo”. Mi ha fatto sempre sorridere<br />

il fatto che negli uffici e nelle occasioni<br />

pubbliche tutti, inclusi i suoi figli,<br />

lo chiamassimo così: “Il Capo”. Forse,<br />

inconsciamente, era un distinguo da<br />

un altro termine, “padre”, esercitato a<br />

pieno titolo con i figli ma esteso a una<br />

moltitudine di figli non anagrafici con<br />

cui nel rapporto professionale prendeva<br />

la ribalta l’aspetto umano. Patriarca di<br />

una famiglia allargata ben percepibile<br />

ogni qual volta mi è capitato di andare<br />

in visita alla villetta a Cornaredo (nella provincia e non nella centralissima<br />

Milano) dove ha sede la MPI.<br />

Via via il successo raggiunto ha portato con sé i malumori e le invidie<br />

Giovanni Faccendini con il nipote Massimo.<br />

22 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019


INTERVISTA RICCARDO RUSSINO<br />

Faccendini, Pessina, Mazzi: lontano nel tempo, negli USA.<br />

degli altri che gli sono valsi perlomeno la nomea di “burbero”: quando<br />

un marchio era privo di distribuzione e concludeva l’affare strappandolo<br />

alla concorrenza immediatamente era il cattivo di turno. Cattivo non lo<br />

era davvero; tra i tanti ricordi ne basta uno. A un certo punto gli venne<br />

proposto l’unico marchio che veniva distribuito da un piacentino educato<br />

e gentile come Adriano Cighetti che, per giunta, in quel periodo era affetto<br />

da una grave malattia. Giovanni rifiutò perché era la sua ultima e unica<br />

fonte di sostentamento. Ogni marchio prima o poi nel tempo gli è stato<br />

offerto, molti li ha presi molti li ha rifiutati anche per aiutare (e a volte<br />

togliere dai problemi economici) i “colleghi” con i quali la competizione<br />

era dura ma di cui riconosceva una appartenenza, labile o meno, alla<br />

stessa “famiglia”. Ho assistito ripetutamente a episodi di questo genere<br />

e alcuni mi riguardano direttamente...<br />

Una volta gli proposi un’iniziativa commerciale e mi fece capire che come<br />

socio sarebbe stato implacabile e i piedi in testa non se li sarebbe mai<br />

fatti mettere da nessuno. Forse meglio rinunciare? In un’altra eravamo a<br />

Perugia per una mostra di settore che si teneva allora, e non seppe trattenere<br />

la sua rabbia per la nostra poca propensione commerciale (eravamo<br />

io e Mario Berlinguer), aggredendoci con un “Ma voi volete fare sempre<br />

come c***o vi pare?”. Serbo quel ricordo come una medaglia al merito,<br />

convinto che lo dicesse per affetto e con lo spirito del buon padre di famiglia<br />

che più volte mi ha “rampognato” ma sempre tradendo un sorriso<br />

furbetto che inevitabilmente appariva sulla sua faccia. Quindi burbero<br />

no, ruvido magari si, caratteristica che mitigava con ironia consapevole<br />

e, a volte, involontaria, comunque da persona spiritosa: leggendarie,<br />

nella perenne lotta con il peso (che entrambi abbiamo perso…), certe tesi<br />

autoconsolatorie come le abboffate di dolci americani che “…tanto sono<br />

sugar free!” . O le zingarate: dal giorno alla notte era capace di invitarti<br />

a seguirlo in un viaggio, in una fuga nei parchi di Disney alla fine di una<br />

giornata al NAMM a sperimentare tutti i giochi possibili e immaginabili.<br />

Una generosità e una gioia per la vita da conquistare pezzo per pezzo<br />

che lo riportavano in Italia carico come un cammello dalle “pazziate”<br />

nei negozietti ai dock di Manhattan: Ray-Ban e Samsonite per tutti,<br />

parenti e amici! Ironico e spiritoso, talvolta anche negli affari, dove non<br />

tradiva nessuno, e questo agli “stranieri” faceva piacere!<br />

Giovani Faccendini è stato presidente dell’APAF dove è riuscito a tenere<br />

insieme personalità e aziende le più variegate per carattere, dimensioni,<br />

prospettive. Poi, cinque anni fa tra pochi giorni, ci ha lasciato per altri<br />

pascoli e forse non è un caso che dopo di lui ogni forma associativa sia<br />

implosa. Un vuoto grande al punto tale che alcuni sentono la necessità<br />

di parlarne ancora al presente, per esorcizzare il passato. Un’assenza che<br />

coincide se non con la scomparsa con un cambiamento delle logiche del<br />

mercato Hi-Fi che non è solo generazionale: per decine d’anni Faccendini<br />

ha concluso affari semplicemente con una stretta di mano, rispettandola,<br />

come possono testimoniare Saito San di Accuphase piuttosto che i vari<br />

Presidenti di McIntosh (dal Fondatore a Ron Fone e non da ultimo<br />

all’ormai più che longevo, nella carica, Charlie Randall) e che oggi, per<br />

dirla con ironia, risulterebbe un metodo “ampiamente sopravvalutato”!<br />

Si ringraziano Pino Fasulo, Maurizio Massarotti e Marco Mazzi che, al<br />

di là dei contributi, hanno fornito le testimonianze che hanno arricchito<br />

questo articolo.<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019 23


INSIDE<br />

di Massimo Bargna<br />

Il canto del cigno<br />

dei Beatles<br />

© Gaber<br />

A distanza di mezzo secolo viene pubblicata la riedizione speciale di Abbey Road, ultimo disco registrato<br />

dal quartetto di Liverpool e pietra miliare della storia della musica rock. Ma sarà proprio vero che è oro tutto<br />

ciò che luccica? Quando si tratta dei Beatles, sembra proprio di sì.<br />

Alla fine degli anni Sessanta era evidente, per quanto doloroso<br />

per i fan, che i Beatles avevano iniziato la loro parabola<br />

discendente. Definitivamente archiviato il periodo<br />

della Beatlesmania, dei capelli a caschetto e delle hit da classifica<br />

che avevano segnato un’epoca come Yesterday, Help e Michelle,<br />

i Beatles erano diventati l’ombra di se stessi. Sembrava proprio<br />

che dopo Sgt. Pepper e il White Album, capolavori su vinile che<br />

avevano ridefinito gli standard del genere rock ampliandone a<br />

dismisura i confini, Paul, John, George e Ringo fossero rimasti<br />

vittime della loro stessa genialità. Cosa potevano fare di più in<br />

campo musicale, dopo una così generosa profusione di inventiva?<br />

Nel frattempo il mondo del rock era in fermento. Nuove<br />

band molto più “cattive” e in sintonia con i tempi erano pronte<br />

a contendere al quartetto di Liverpool lo scettro di sovrani della<br />

musica giovanile, se non sul piano delle vendite su quello artistico<br />

e del costume. Si trattava dei gruppi precursori del punk: i Velvet<br />

Undergorund di Lou Reed, i Doors di Jim Morrison e gli Stooges<br />

di Iggy Pop. Impossibile per i Beatles reggere alla lunga una tale<br />

concorrenza e di questo se ne erano resi conto anche loro. All’alba<br />

del ’69, dopo il naufragio delle registrazioni del progetto Get<br />

Back (il cui materiale fui poi ripescato per il disco Let it Be), i Fab<br />

Four passavano il tempo a litigare e pianificare le loro carriere<br />

soliste, rischiando di fare la fine di artisti come Frank Sinatra, che<br />

continuavano a vendere dischi ma erano ormai identificati con il<br />

passato. Lo scioglimento della band era solo questione di tempo.<br />

Tuttavia, proprio quando venivano dati per spacciati, ecco che<br />

i Beatles spiazzarono tutti tirando fuori dal cilindro quello che,<br />

secondo alcuni, è addirittura il loro LP più bello: Abbey Road. Per<br />

celebrarne il cinquantesimo, la Universal ha messo sul mercato lo<br />

scorso settembre nuove edizioni deluxe del disco con non poche<br />

sorprese. Ne parliamo con Riccardo Russino, 47 anni, giornalista,<br />

co-autore dei libri Paul McCartney 1970-2003. Dischi e misteri<br />

dopo i Beatles (Editori Riuniti, 2003) e John Lennon. You May<br />

Say I’m A Dreamer. Testi commentati (Arcana, 2014). Russino<br />

è anche autore e protagonista del reading “6 indizi fanno una<br />

prova - Abbey Road è il capolavoro dei Beatles”.<br />

Abbey Road è uno degli album più riusciti dei Beatles,<br />

nonché il più venduto in Italia. Qual è la ragione del<br />

suo fascino?<br />

I fan sono soliti dire che tutti i dischi dei Beatles sono dei capolavori<br />

e che non ce n’è uno più bello dell’altro. Dalla prospettiva di<br />

un critico musicale o di un appassionato di musica Abbey Road è<br />

però realmente il disco più godibile e coerente del quartetto di<br />

24 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019


INTERVISTA RICCARDO RUSSINO<br />

LE TRE GEMME DI ABBEY ROAD<br />

Come together: è una canzone che Lennon aveva scritto per Timothy Leary, guru<br />

controverso della cultura psichedelica anni Sessanta. Nel ’68 Leary decise di candidarsi<br />

alle elezioni per il governatore della California e chiese a Lennon, incontrato<br />

al Bed-In di Montreal, se potesse scrivere una canzone per la sua campagna elettorale.<br />

John accettò. Il tema che iniziò a scrivere era Come together che alludeva alla<br />

necessità di unirsi per cambiare le cose. Quando Leary rinunciò alla candidatura,<br />

Lennon volle comunque finire la canzone. Divenne il pezzo di preapertura del<br />

disco il cui testo, privo di riferimenti politici, è basato su giochi di parole al limite<br />

dell’intraducibile. L’arrangiamento è indimenticabile con Ringo che tiene un ritmo<br />

incalzante alla batteria, Paul che traccia delle linee melodiche di basso che<br />

sembrano assoli e George che offre una splendida parte di chitarra dimostrando<br />

le sue capacità di strumentista.<br />

Something: Frank Sinatra, che ne fece una bella cover, con un certa enfasi disse che<br />

la considerava la più bella canzone d’amore degli ultimi cinquant’anni. Harrison la<br />

scrisse quando i Beatles stavano per finire le registrazioni del White album. Mentre<br />

Paul era impegnato nelle sovraincisioni George, per ingannare il tempo, si sedette<br />

a un pianoforte e si appuntò la melodia. Poi scrisse le parole e fece ascoltare la<br />

canzone a un collaboratore che gli propose di inserirla nel White album. Ma non<br />

si poteva perché il disco era ormai finito. Il pezzo venne riproposto per Let it be e<br />

anche stavolta nessuno se lo filò. Infastidito George passò il pezzo a Joe cocker<br />

(che l’anno prima aveva reinterpretato alla grande With a little help from my friends)<br />

il quale la incise prima dei Beatles. Something verrà infine inserita in Abbey<br />

road e scelta come primo singolo. Diventerà la canzone più coverizzata dei Beatles<br />

dopo Yesterday e una sicura fonte di reddito per George grazie ai diritti di autore.<br />

Here comes the sun: un altro capolavoro di Harrison scritto mentre si trovava<br />

nella casa di campagna di Eric Clapton. Quest’ultimo era legato a George da<br />

uno stretto rapporto di amicizia, soprattutto dopo che aveva suonato la chitarra<br />

in While my guitar gently weeps, altro celebre pezzo di Harrison, nel White album.<br />

Quando George scrisse Here comes the sun Clapton era lì e non poteva credere di<br />

veder nascere sotto i propri occhi un simile capolavoro di delicatezza cristallina<br />

e apparente semplicità.<br />

Riccardo Russino<br />

band e volevano fare un ultimo grande disco per salutare i fan e<br />

chiudere in bellezza. Ma facciamo un passo indietro. Nel gennaio<br />

del ’69 il quartetto aveva registrato del materiale che sarebbe<br />

confluito nel disco Let it be, che uscì solo l’anno dopo ed è quindi,<br />

cronologicamente, l’ultimo album dei Beatles. Durante le registrazioni<br />

i quattro litigano spesso, sono svogliati e suonano in<br />

un modo che non è non all’altezza delle loro capacità. Alla fine,<br />

insoddisfatti, abbandonano il progetto e iniziano a lavorare su<br />

qualche altra canzone ma senza un’idea chiara di cosa farne.<br />

È Paul a proporre per primo di fare un altro disco e gli altri ci<br />

stanno. Un gruppo come il loro non poteva certo uscire di scena<br />

con Let it be. Ma c’è di più. All’epoca stava nascendo l’hard<br />

rock ed erano usciti i primi dischi di progressive. Coscienti che<br />

stava nascendo una nuova scena musicale, i quattro raccolgono<br />

la sfida con la seconda facciata di Abbey Road, in cui è evidente<br />

la voglia, soprattutto di Paul, di sperimentare nuove sonorità e<br />

forzare i limiti formali della canzone. L’obiettivo è dimostrare che<br />

come musicisti possono fare qualsiasi cosa e meglio degli altri.<br />

E tuttavia Lennon, anni dopo, criticò la lunga e ambiziosa<br />

composizione del lato B di McCartney, la cosiddetta<br />

“The Long One”, in quanto più che di un’opera rock, secondo<br />

lui, era un semplice collage di canzoni non finite<br />

che erano state riciclate da session precedenti. Arrivò a<br />

definirla “spazzatura”. Questo dimostrerebbe che i Beatles<br />

fallirono nel loro tentativo di appropriarsi di formule<br />

musicali complesse con cui non avevano dimestichezza...<br />

Ciò che dice Lennon da una parte è vero. The Long One non è<br />

Riccardo Russino ad Abbey Road<br />

Liverpool. A differenza del White Album (che contiene capolavori<br />

come While my guitar gently weeps e Blackbird e brani più<br />

deboli come Don’t pass me by), l’ultimo disco registrato dai Beatles<br />

ha meno alti e bassi. È un LP molto variegato a livello di<br />

arrangiamenti e melodie e privo di pezzi che l’ascoltatore ha<br />

voglia di “saltare”. Anche Ringo Starr, l’autore più debole dei<br />

Beatles, offre una canzone godibile, l’allegra e spumeggiante Octupus’s<br />

Garden. Il disco contiene tre classici dei Beatles: Something,<br />

Come together e Here comes the sun. Poi c’è un pezzo al<br />

limite dell’hard rock, I want you, il cui testo è formato da una sola<br />

frase che viene ripetuta per sette minuti e mezzo in un crescendo<br />

musicale che diventa imponente e quasi claustrofobico ma comunque<br />

piacevole. Il lato B, invece, è un unico lungo medley con<br />

un continuo cambio di melodie e arrangiamenti che può piacere<br />

a chi ama il progressive, un genere musicale che all’epoca stava<br />

compiendo i primi passi.<br />

Qual è stata la genesi del disco e in che momento della<br />

storia della band va contestualizzata la sua realizzazione?<br />

È l’ultimo disco registrato dai Beatles anche se il penultimo a<br />

essere pubblicato. La genesi di Abbey Road è stata ricostruita<br />

attraverso le interviste. John, Paul, George e Ringo erano ormai<br />

consapevoli di essere arrivati alla fine della loro carriera come<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019 25


INSIDE<br />

ABBEY ROAD 50 ANNI DOPO<br />

Questa è la prima volta che Abbey Road viene remixato e pubblicato con l’aggiunta<br />

di sessioni di registrazioni e demo. Per creare il nuovo mix stereo, il 5.1 surround<br />

e il Dolby Atmos, il produttore Giles Martin e il mix engineer Sam Okell hanno<br />

lavorato con un team di ingegneri e specialisti del restauro del suono agli Abbey<br />

Road Studios. Tutti i nuovi formati di Abbey Road contengono il nuovo stereo<br />

mix, realizzato direttamente partendo dalle otto tracce dei nastri originali. Nella<br />

produzione del nuovo mix, Giles è stato guidato dal mix stereo originale supervisionato<br />

dal padre George Martin.<br />

Il Box Super Deluxe di Abbey Road contiene 40 tracce, compreso un Trial Edit &<br />

Mix del leggendario “The Long One”, il medley che occupa gran parte del Lato B<br />

dell’album, su tre CD (stereo) e un Blu-Ray (in Dolby Atmos, 96 kHz / 24 bit High<br />

Resolution stereo, 96 kHz / 24 bit DTS-HD Master Audio 5.1). Oltre ai quattro dischi<br />

è presente un book con copertina rigida da 100 pagine, con prefazione di Paul<br />

McCartney. La versione Deluxe Vinyl Box in edizione limitata contiene le 40 tracce<br />

in tre vinili da 180 g. Il disco con il nuovo mix dell’album è contenuto in una busta<br />

che riproduce fedelmente l’artwork originale mentre i due LP con le session sono<br />

racchiusi in un’altra busta, il tutto in un box apribile con un inserto di quattro<br />

pagine. L’edizione Deluxe 2 CD contiene le versioni nel nuovo stereo mix, quelle<br />

dalle sessioni di registrazioni e i demo dei 17 brani, che seguono l’ordine della<br />

scaletta dell’album. I due dischi sono contenuti in un digipack con un booklet<br />

di 40 pagine, che riprende in forma ridotta i contenuti di quello dell’edizione<br />

Super Deluxe. Il nuovo stereo mix dell’album è disponibile anche in versione 1<br />

CD e 1 LP in vinile da 180 g, in digital download con audio standard e MFiT. Sarà<br />

disponibile inoltre un’edizione limitata da 1 LP Picture Disc raffigurante sui due<br />

lati del vinile il fronte e il retro della storica cover di Abbey Road. Le versioni Super<br />

Deluxe e Deluxe Vinyl Box contengono le 23 tracce dalle sessioni di registrazione<br />

e i demo presentati in ordine cronologico per data di registrazione.<br />

un’opera concepita unitariamente bensì un collage di canzoni<br />

che i Beatles non erano riusciti a sviluppare. Ma io credo che<br />

per metterle insieme e trasformarle in un grandioso medley,<br />

beh, anche per questo ci vuole talento. Il risultato, in effetti, è<br />

inaudito. È come se tutto ciò che quei quattro ragazzi toccavano si<br />

trasformasse in oro. You never give me your money, ad esempio,<br />

contiene tre melodie diverse e quindi è un medley nel medley.<br />

Guardiamo anche il caso di I Want you, sul lato A, che si arresta<br />

all’improvviso perché Lennon non sapendo come concluderla<br />

decide di troncare il caos con il silenzio. Quando il master della<br />

registrazione viene mandato alla Emi Italia e si deve stampare il<br />

disco la prima edizione esce con il finale sfumato perché i tecnici<br />

pensarono a un errore in fase di mixaggio. Una svista clamorosa.<br />

Una volta compreso l’equivoco l’edizione italiana verrà uniformata<br />

a quella inglese.<br />

Paul viene considerato il regista di questo disco e anche<br />

il componente della band più motivato nei confronti<br />

del progetto. Eppure le tre hit più famose del disco<br />

appartengono agli altri tre...<br />

Che Paul fosse il regista di Abbey Road è certo. Ma per una<br />

volta le hit del disco non sono sue. Avrebbe voluto pubblicare<br />

come singolo la sua Maxwell’s silver hammer ma si rende conto<br />

che Somenthing è molto più bella e cede elegantemente il passo.<br />

Si concentra sullo sperimentale lato B ed è lì che dà il meglio<br />

di sé. Si tende a pensare che Lennon fosse un compositore più<br />

innovativo di McCartney ma spesso è vero il contrario. John<br />

voleva che Abbey Road fosse un disco dei Beatles in senso classico<br />

mentre Paul cercò di azzardare qualcosa di più. Era lui,<br />

in effetti, il più attento ai fermenti e alle sperimentazioni della<br />

scena underground londinese. E questo anche per una questione<br />

di carattere contingente: Paul, diversamente dagli altri tre componenti,<br />

viveva nella capitale inglese e, non essendo sposato,<br />

trascorreva le nottate nei club dove si faceva musica dal vivo. Era<br />

presente anche al primo concerto londinese di Jimi Hendrix. In<br />

questo modo assimilava tutti gli stimoli più innovativi e li faceva<br />

propri, integrandoli nello stile dei Beatles senza stravolgerlo. Al<br />

contrario Lennon, quando virava verso la sperimentazione, come<br />

nel pezzo Revolution n. 9, un collage di suoni, urla e rumori al<br />

limite dell’inascoltabile, si allontanava completamente dai canoni<br />

musicali dei Beatles.<br />

Abbey Road è l’ultimo album dei Beatles a essere<br />

stato registrato. La band, però, dopo lo scioglimento<br />

ebbe una sorta di vita post mortem con Let it be, che<br />

uscì dopo Abbey Road e conteneva dei grandi classici<br />

come Get back, Let it Be, Across the universe, The long<br />

and winding roade I’ve got a feeling. Che legame esiste<br />

fra i due album?<br />

I Beatles hanno due ultimi dischi, l’ultimo registrato che è Abbey<br />

Road e l’ultimo pubblicato, Let it be, che fu comunque un<br />

grande disco. Il primo a mettere le mani sul materiale di Let it<br />

be fu l’ingegnere del suono e produttore Glyn Johns che cercò<br />

disperatamente di trasformarlo in un disco, mentre la band stava<br />

26 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019


INTERVISTA RICCARDO RUSSINO<br />

LE ZEBRE PIÙ FAMOSE DELLA STORIA DEL ROCK<br />

Ci sono delle copertine di dischi che hanno fatto epoca e Abbey Road è senz’altro<br />

una di queste. La foto dei Beatles che attraversano le strisce pedonali di fronte<br />

agli Emi Studios di Londra, dove stavano registrando il loro ultimo album, è<br />

entrata a far parte dell’immaginario collettivo del rock. Tanto che la troviamo<br />

riprodotta su magliette, poster, tazzine e ogni genere di gadget. “La copertina<br />

è particolare a partire dal fatto che da nessuna parte compare il nome della<br />

band”, dice Russino, “All’epoca i Fab Four erano talmente famosi che per essere<br />

riconoscibili dal pubblico bastava che ci fosse la loro immagine. Il disco doveva<br />

chiamarsi Everest dal nome delle sigarette che fumava il tecnico del suono. Ne<br />

fumava così tante che la sala registrazione era cosparsa di pacchetti di queste<br />

sigarette. I Beatles avevano addirittura programmato di andare a fare una foto<br />

in Nepal, sullo sfondo della vetta più alta del mondo, ma nessuno aveva voglia<br />

di affrontare un viaggio così lungo. Ringo risolse la situazione: propose quasi per<br />

scherzo di fare la foto per strada davanti agli studi Abbey Road e di chiamare<br />

il disco Abbey Road. Una trovata che piacque subito a tutti. L’idea di immortalare<br />

i quattro musicisti sulle zebre davanti allo studio di registrazione fu però di Paul.<br />

A scattare l’immagine fu il fotografo Iain Macmillan da una scaletta in mezzo<br />

alla strada, con un vigile che bloccava il traffico.”<br />

Russino prova a spiegare le cause per cui la copertina di Abbey Road è diventata<br />

una delle più famose della storia musicale: “La ragione principale del successo è<br />

sicuramente il grande carisma di John, Paul, George e Ringo. Ma a fare buon gioco<br />

è stata anche la facilità con cui la scena della copertina poteva essere riprodotta<br />

da altri. Parlo dei tanti colleghi musicisti che l’hanno citata sulle cover dei propri<br />

dischi e delle schiere di turisti che ogni giorno si fanno fotografare mentre attraversano<br />

le strisce di Abbey Road come i Beatles”. La copertina di Abbey Road non<br />

è soltanto straordinariamente popolare, è anche leggenda: “La questione Paul<br />

is dead, cioè della presunta morte di McCartney nel ’66, venne alimentata dalle<br />

fantasiose interpretazioni che la stampa e i fan dettero della copertina. Si volle<br />

trovare un’infinità di pseudo indizi per suffragare l’ipotesi che Paul fosse morto<br />

per un incidente stradale e sostituito da un sosia. La scena ritratta da MacMillan<br />

sarebbe così il funerale di Paul, con John vestito da sacerdote, Ringo da impresario<br />

delle pompe funebri e George da becchino. McCartney sarebbe senza scarpe<br />

perché a quel tempo i morti si seppellivano scalzi. Nella targa del maggiolino<br />

parcheggiato lungo la strada compare il numero 28 che si riferirebbe all’età che<br />

avrebbe avuto Paul se fosse stato ancora vivo, anche se allora di anni ne aveva<br />

27. Tutte queste teorie complottiste vennero spazzate via dal diretto interessato<br />

che, interpellato in proposito dai giornalisti, rispose ironicamente: “Sono morto...<br />

possibile che sappia sempre per ultimo le notizie che mi riguardano?”.<br />

già registrando l’LP successivo. Il compito di Johns non era facile<br />

e, infatti, venne bocciato dai Beatles che decisero così di congelare<br />

Let it be e far uscire prima Abbey Road che era già pronto.<br />

Il disco incompiuto venne completato dal grande produttore<br />

discografico Phil Spector che ne fece un altro capolavoro. Parte<br />

del materiale scritto per Let it be, come Something, Maxwell’s<br />

silver hammer e Octopus’s Garden confluì poi in Abbey Road.<br />

Abbey Road doveva chiamarsi “Everest”, titolo che<br />

ovviamente può essere interpretato come una metafora<br />

del picco artistico raggiunto dai Beatles a quel punto<br />

della loro carriera artistica. In realtà, sembra che nel<br />

1969 i Beatles tentassero affannosamente di recuperare il<br />

terreno perduto rispetto ad altre band che si erano spinte<br />

più avanti e in cui il pubblico giovanile si identificava<br />

maggiormente. L’esaltazione di un album come Abbey<br />

Road non fa forse parte dell’apologetica post Beatles<br />

che, nel corso degli anni, ha mitizzato tutte le opere del<br />

quartetto di Liverpool, anche quelle meno ispirate?<br />

La scena musicale stava senza dubbio cambiando rapidamente.<br />

I Beatles avevano vissuto un paio di anni, il 1966 e il 1967, in cui<br />

praticamente non avevano concorrenza. Perfino i Rolling Stones,<br />

la cui rivalità era stata creata dal loro manager come espediente<br />

promozionale, non rappresentavano una seria minaccia per la<br />

supremazia dei Beatles. Mick Jagger e compagni avevano scritto<br />

grandi canzoni come Satisfaction e Simpathy for the devil ma i<br />

dischi migliori li avrebbero fatti all’inizio degli anni Settanta. I veri<br />

rivali, semmai, erano Bob Dylan, che nel ’66 pubblicò Blonde on<br />

blonde, e i Beach Boys che, però, nel ’67 ebbero una crisi: il leader<br />

della band californiana Brian Wilson, impegnato nella scrittura<br />

del nuovo disco, quando sentì Sgt. Pepper disse di avere avuto un<br />

esaurimento nervoso. Insomma, i Beatles avevano fatto un incredibile<br />

salto in avanti e non ce n’era per nessuno. Nel ’69, però, esce<br />

il primo disco dei Led Zeppelin. E poi c’erano i Genesis, i Cream di<br />

Eric Clapton, Jimi Hendrix che nel ’68 aveva fatto uscire Electric<br />

lady land e gli Who che con l’album doppio Tommy danno alla<br />

luce una grande Opera rock. A quel punto i Beatles cominciano a<br />

sentire il fiato sul collo. Non sappiamo se, alla lunga, John, Paul,<br />

George e Ringo avrebbero retto la sempre più agguerrita concorrenza.<br />

Quel che è certo è che chiusero la loro carriera in bellezza<br />

con un disco formidabile. Abbey Road rappresenta la fine dei<br />

Beatles ma anche l’inizio del loro mito.<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019 27


INSIDE<br />

di Francesco Bonerba<br />

Finché c’è arte,<br />

c’è speranza<br />

Giuseppina Torre, che lo scorso maggio ha incantato<br />

il pubblico milanese esibendosi in un concerto nel<br />

Cortile della Rocchetta del Castello Sforzesco, torna<br />

con un album toccante e autobiografico, raccontando<br />

attraverso le note una storia universale di coraggio<br />

e rinascita.<br />

Book rappresenta per me l’inizio di un nuovo percorso<br />

di vita, un inno al coraggio, alla forza e alla determinazione<br />

di riuscire a voltare le spalle al passato<br />

“Life<br />

e godere delle meravigliose sorprese che la vita ti riserva quando<br />

meno te lo aspetti”. Il nuovo lavoro della pianista siciliana, prodotto<br />

da Davide Ferrario, pubblicato su etichetta DECCA e distribuito da<br />

Universal Music Italia, conclude un capitolo, personale e artistico,<br />

del percorso di Giuseppina Torre, inaugurandone uno nuovo segnato<br />

da una rinascita tanto inaspettata quanto a lungo desiderata; dieci<br />

composizioni, ciascuna autoconclusiva, che raccontano sensazioni e<br />

frammenti di una vita così intensamente vissuta da diventare fiamma<br />

universale in grado di riscaldare quanti saranno in grado di accoglierla.<br />

Con una speranza: che l’arte possa contagiare gli animi e spingerli<br />

a muoversi verso una bellezza che va sempre più affievolendosi.<br />

Qual è stato il principio della tua musica? Da cosa è nata<br />

la scintilla che ti ha portata sui tasti del pianoforte e non<br />

verso un altro strumento?<br />

L’incontro con il pianoforte è avvenuto per caso: uno zio mi regalò<br />

un pianoforte giocattolo con il quale, con enorme sorpresa dei miei<br />

genitori, riuscivo, con la radiolina accanto, a riprodurre qualsiasi<br />

motivo. Da quel momento in poi, avevo quattro anni, il pianoforte<br />

è diventato il mio amico di giochi: non esisteva nient’altro per me.<br />

Intorno ai sei anni mio padre mi portò a un concerto del maestro Aldo<br />

Ciccolini e io rimasi incantata da questo pianista, dai suoi movimenti<br />

al pianoforte, dalla sua imperturbabilità, dal suono che riusciva ad<br />

emettere. In quel momento decisi che da grande avrei voluto fare la<br />

pianista. Bombardai i miei genitori affinché mi mandassero da un<br />

insegnate di pianoforte, cosa che poi accadde all’età di sette anni,<br />

quando capirono che non si trattava di un capriccio ma di reale<br />

motivazione…<br />

Il caso vuole che, a distanza di molto tempo, in un concerto che feci a<br />

Nola, al teatro Umberto, ci fosse un pianoforte, uno Steinway & Sons.,<br />

con dentro l’autografo di Ciccolini… L’ho letto come un segnale, una<br />

coincidenza che mi è piaciuta tanto.<br />

Da dove nasce l’ispirazione per la tua musica? Come funziona<br />

il tuo processo creativo?<br />

Tutte le mie composizioni traggono ispirazione dal mio vissuto,<br />

dai momenti più o meno felici che vivo. Dopodiché mi siedo<br />

al pianoforte e cominciano a fluire quelli che io chiamo “flash<br />

emozionali”. Da lì costruisco la mia storia in musica; ogni mia<br />

composizione racconta una storia personale nella quale, però,<br />

molti riescono a immedesimarsi perché magari hanno vissuto<br />

emozioni o situazioni simili. Ogni mia musica ha una costruzione<br />

circolare: inizia e si conclude.<br />

Nel corso degli anni hai realizzato le musiche per diversi<br />

documentari (L’ amore dopo la tempesta, Montecassino<br />

perché, Papaveri rossi e Come manna dal cielo) fino al lavoro<br />

più importante, Papa Francesco - La mia Idea di Arte.<br />

Come ti sei approcciata a questo tipo di lavori e quali sono i<br />

28 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019


INTERVISTA MARIO CACCIA<br />

compositori per il cinema che ammiri o a cui ti sei ispirata?<br />

La mia musica si presta tantissimo alla sincronizzazione. A proposito<br />

dell’ultimo documentario che hai citato, mi ci sono approcciata<br />

leggendo il libro di Papa Francesco e lasciandomi ispirare dalle sue<br />

parole e, in particolare, da due suoi messaggi fondamentali: il primo<br />

afferma che l’arte deve essere uno strumento di evangelizzazione,<br />

attraverso l’arte cioè l’uomo può avvicinarsi a Dio. Quando ho iniziato<br />

a scrivere queste musiche mi ero allontanata da Dio a causa<br />

delle mie personali avversità, lo sentivo molto distante e anche ingiusto<br />

nei miei confronti. Il secondo messaggio, invece, oggi attuale<br />

più che mai, dice che così come Dio non ha mai scartato nessuno,<br />

neanche l’uomo ha il diritto di scartare altri suoi simili. Invece di<br />

questo leggiamo spessissimo nelle cronache giornaliere, popolate dai<br />

drammi dei clandestini. Anch’io, nel mio periodo buio, mi sentivo<br />

uno scarto, come donna, come madre, come artista. Mi sono quindi<br />

immedesimata moltissimo in questo lavoro, piaciuto a tal punto che,<br />

dopo l’uscita del DVD, ne è stata realizzata una seconda edizione<br />

contenente anche le musiche del documentario.<br />

Possiamo dire che la musica sia stata per te una sorta di<br />

“terapia” verso la rinascita? Un modo per elaborare le esperienze<br />

meravigliose e terribili della tua vita?<br />

La musica è sempre stata la mia isola felice dove trovare rifugio<br />

sia nei momenti belli che brutti; durante la lavorazione di Papa<br />

Francesco - La mia Idea di Arte è stata una vera e propria ancora<br />

di salvataggio.<br />

Life book: un toccante album sospeso tra dolori passati e<br />

speranze future che racchiude le esperienze dei tuoi ultimi<br />

anni. Come hai concepito questo lavoro e in cosa si differenza<br />

dal precedente Il silenzio delle stelle?<br />

Life book è un sunto di ciò che ho vissuto in questi anni difficili.<br />

È un inno alla vita, al coraggio, alla determinazione nel rialzarsi e<br />

risanare le proprie ferite. Le avversità sono così diventate opportunità,<br />

attraverso le mie ferite ho scoperto una nuova Giuseppina<br />

Torre, ho scoperto di avere una forza che prima non immaginavo.<br />

Rispetto a Il silenzio delle stelle in Life book manca il tormento che<br />

aveva caratterizzato quell’album: adesso è cambiato il mio modo di<br />

vedere la vita, ho chiuso con il passato e ho tolto i sassi che appesantivano<br />

il mio cuore. I miei respiri e i miei passi sono ora più leggeri.<br />

In Un mare di mani racconti l’orrore dell’indifferenza che<br />

oggi spesso contraddistingue tragici fatti di cronaca, come<br />

accennavi poco fa. Il cambiamento può passare anche dalla<br />

musica?<br />

Si, bisognerebbe sensibilizzare gli animi, partendo dai bambini, destinati<br />

a essere gli adulti del futuro. Quando aspettavo mio figlio,<br />

gli ho fatto ascoltare moltissima musica classica, musica distensiva<br />

che in qualche modo lo portasse inconsciamente a formarsi una sua<br />

sensibilità e un suo gusto. Sin da tenera età bisognerebbe coltivare<br />

gli animi delle persone attraverso l’arte in generale, educare al gusto<br />

del bello. L’arte, come dice Papa Francesco, eleva l’uomo. E in questo<br />

periodo storico, gli animi vanno impoverendosi, come dimostrano i<br />

fatti di cronaca quotidiana.<br />

Quali sono i brani o gli autori dei quali non potresti fare<br />

a meno?<br />

Amo da sempre Bach, lo considero un genio, colui che ha rivoluzionato<br />

il sistema “stemperandolo”. Lo adoro per la sua capacità<br />

di realizzare complesse costruzioni armoniche; il suo essere molto<br />

celebrale mi ha affascinato sin da quando ho cominciato a studiare<br />

pianoforte. Non potrei fare a meno di Mozart e, pensando invece ad<br />

artisti contemporanei, Morricone o Nyman… Inoltre i miei ascolti<br />

non sono confinati esclusivamente alla musica classica ma spaziano<br />

parecchio, guai ad avere paraocchi o a precludersi qualcosa!<br />

Hai ricevuto moltissimi premi all’estero, prima ancora di<br />

essere notata in Italia. I Los Angeles Music Awards ti hanno<br />

scoperta grazie a un brano caricato su iTunes. Come vivi<br />

lo scenario musicale contemporaneo? Trovi che siano più<br />

le difficoltà o le opportunità?<br />

Penso che lo scenario attuale sia più ricco di opportunità; le esperienze<br />

che ho vissuto all’estero mi hanno fatto riflettere, in America<br />

c’è una grande attenzione e rispetto per l’artista, soprattutto<br />

se proveniente dal nostro Paese. Da noi è diverso, in Italia hanno<br />

cominciato a interessarsi alla mia musica solo dopo che ho ricevuto<br />

questi riconoscimenti. Ed è un atteggiamento che vale per tutti i<br />

settori, non solo per quello musicale.<br />

Adesso ti attende la promozione di Life book ma, spingendoci<br />

ancora più in là, quali sono i sogni nel cassetto di<br />

Giuseppina Torre?<br />

Penso di averne realizzati già molti! Ma visto che i sogni non devono mai<br />

mancare nelle nostre vite, mi piacerebbe moltissimo scrivere la colonna<br />

sonora per uno dei registi che più amo, Ferzan Özpetek.<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019 29


INSIDE<br />

di Daniele Camerlengo<br />

Mi scappa<br />

di farlo...<br />

Da che mi ricordi ho sempre composto<br />

musica, sin dagli inizi dei miei studi<br />

musicali. Comporre e suonare è per me un<br />

po’ come fare la pipì, un’esigenza fisiologica.<br />

Mi scappa di farlo, non posso trattenermi.<br />

Così Gabriele di Franco, compositore, arrangiatore, chitarrista<br />

e uno dei pochi direttori d’orchestra Jazz. Originale e poliedrico,<br />

ha raccontato a <strong>SUONO</strong> il suo percorso professionale.<br />

Quando hai capito che potevi cimentarti con la Direzione<br />

d’Orchestra?<br />

L’interesse per la direzione d’orchestra è nato dall’esigenza di far<br />

eseguire la mia musica e di poterla “condurre” nella giusta direzione.<br />

Nel Jazz il direttore d’orchestra è un ruolo non molto diffuso e<br />

spesso coincide con il compositore stesso, perciò in generale sono<br />

veramente pochi coloro che possono definirsi Direttori d’Orchestra.<br />

Nel mio percorso di studi ho avuto l’onore di approfondire le tecniche<br />

di conducting con Yves Serges (Brussels Philharmonic, The National<br />

Orchestra of Belgium e molte altre), e questo è stato fondamentale<br />

per me nell’aprire la porta della Direzione d’Orchestra che, per mia<br />

fortuna, nel jazz richiede molte meno energie che nella musica classica.<br />

Raccontaci il tuo percorso di studi musicali.<br />

Non provengo da una famiglia d’arte, anche se ho sempre considerato<br />

mio padre un artista, posso certamente definirmi il primo musicista in<br />

senso stretto. Quasi come un segno, mio padre comprò una stratocaster<br />

proprio l’anno in cui nacqui. Non è stata suonata per lungo tempo e poi,<br />

mentre tutti i miei amici giocavano a pallone, io annoiato iniziai a suonare.<br />

Da qui in poi, molti anni da autodidatta. Dopo alcuni anni di studi in<br />

legge e una brevissima parentesi come contrabbassista classico, nel 2013<br />

intraprendo finalmente gli studi di chitarra Jazz presso il Conservatorio<br />

Nino Rota di Monopoli, al termine del quale ho avuto l’opportunità di<br />

studiare per un anno presso il MUK di Vienna. L’esperienza austriaca è<br />

stata decisiva nella definizione del mio percorso personale, tanto che fu<br />

a Vienna che decisi di intraprendere il percorso di studi di composizione.<br />

Qui ebbi l’onore di studiare armonia e composizione con il sassofonista<br />

americano Andy Middelton, e instaurai collaborazioni che durano ancora<br />

oggi. La mia ultima produzione come leader e chitarrista, rilasciata giusto<br />

a febbraio di questo anno, è infatti in collaborazione con il sassofonista<br />

austriaco Stefan Gottfried (So Far – Gottfried di Franco 5et).<br />

Nel 2016 mi trasferii a Bruxelles per iniziare gli studi di Composizione<br />

e Arrangiamento Jazz presso il Koninklijk Conservatorium<br />

Brussel, dove sono stato seguito da quello che oggi considero il miglior<br />

insegnate e mentore che abbia mai avuto: il compositore belga<br />

Kris Defoort. Kris è un compositore e musicista a tutto tondo, sta<br />

concludendo la produzione della sua terza opera di musica classica,<br />

è un pianista jazz attivamente impegnato, spazia dalla musica improvvisata<br />

al jazz più tradizionale, ha scritto e arrangiato per alcune<br />

fra le più famose band jazz ma qualsiasi cosa approcci la metodologia<br />

è sempre la stessa. Kris e la sua visione mi hanno definitivamente<br />

fatto innamorare del mondo della composizione. I miei studi si sono<br />

conclusi a giugno del 2018 ottenendo il Master in Composizione e<br />

Arrangiamento Jazz cum laude.<br />

L’Eroe o un periodo musicale che ti ha accompagnato durante<br />

la tua formazione?<br />

Difficile dare una sola risposta, gli eroi e i periodi si accavallano e sono<br />

in continuo cambiamento e aggiornamento. Appena iniziato avrei<br />

detto Pino Daniele, Pink Floyd… Nel mezzo del mio percorso musicale<br />

avrei detto Kenny Wheeler, Maria Schneider, T. Monk, oggi potrei<br />

aggiungere Maurice Ravel, C. Debussy, Duke Ellington.<br />

Cosa vuol dire oggi essere il Direttore di una orchestra jazz?<br />

Dare molti cue, gestire dinamiche e balance e, durante gli assoli, godersi<br />

il suono dell’orchestra.<br />

30 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019


INTERVISTA MARIO CACCIA<br />

Come nasce l’esperienza della Bud Powell Jazz Orchestra?<br />

La BPJO nasce dal sogno utopistico dell’Associazione Bud Powell di<br />

Maglie e di tutti i suoi soci. Circa due anni fa il direttore artistico Francesco<br />

Negro e il presidente Marco Cariddi mi proposero di prendere le<br />

redini di questo progetto ambizioso che già provavano a realizzare da<br />

un paio di anni, e io ne fui da subito entusiasta. Vivendo a Bruxelles,<br />

per me ha rappresentato un’occasione bellissima per “portare” nella<br />

mia terra un po’ della mia musica e della mia passione, ma soprattutto<br />

mi ha dato la possibilità di sostenere con il mio lavoro quella che<br />

secondo me è una delle realtà associazionistiche di jazz più belle che<br />

abbiamo in Italia.<br />

Immaginare il gesto espressivo, sognarne la sua mistica<br />

transizione sonora e renderlo partitura. Come nasce Dedalo,<br />

il viaggio discografico tuo e della BPJO?<br />

Dedalo è il nostro modo di portare un po’ di luce nel labirinto in cui<br />

viviamo, è il nostro modo per prendere in mano quel filo invisibile e<br />

tirarlo a noi, non per cercare l’uscita, perché in fondo dentro al labirinto<br />

si sta benissimo, ma solo per assumere il controllo del nostro<br />

vagare incerto almeno per i minuti che servono per ascoltare il disco.<br />

Come prendono vita le tue composizioni?<br />

Nella mia personale visione della composizione ci sono due qualità<br />

necessarie per comporre. La prima, che spesso viene definita come<br />

ispirazione, ma che io definirei meglio come immaginazione, ovvero<br />

la capacità di visualizzare suoni, combinazioni timbriche, melodie.<br />

La seconda qualità è una profonda conoscenza degli strumenti a disposizione,<br />

delle possibilità di modellazione del materiale sonoro,<br />

in una parola: la tecnica. Per la prima non ci sono metodi o libri che<br />

ti insegnano come usare la tua immaginazione, ma è qualcosa che<br />

cresce con te e che è estremamente personale; per la seconda, invece,<br />

c’è possibilità di controllo. Credo infatti che qualsiasi idea, anche la<br />

più semplice, se supportata dalla necessaria conoscenza tecnica possa<br />

evolvere in qualcosa di bellissimo.<br />

Che rapporto hai con l’improvvisazione?<br />

Come diceva Steve Lacy, improvvisazione e composizione sono<br />

attività gemelle, l’unica differenza è nella quantità di tempo a disposizione<br />

per espletarle. E io condivido appieno questa visione.<br />

Improvvisazione non è altro che composizione istantanea. In generale<br />

l’improvvisazione è una delle possibilità compositive possibili: nel disco<br />

ci sono diversi spot, oltre ai tradizionali soli su strutture armoniche,<br />

dove lascio totale libertà ai musicisti o a intere sezioni per improvvisare<br />

in maniera completamente libera. Come il solo di Marcello Allulli e<br />

Francesco Pellizzari su Ninja, dove si apre una parentesi di free improvisation<br />

prima di lanciare il solo di chitarra, oppure su Blues For<br />

F dove, dopo il solo di piano, c’è un’improvvisazione collettiva del<br />

primo trombone (Lorenzo Lorenzoni) e di parte della sezione trombe<br />

(Simone Stefanizzi, Gianluca Stigliano). Oppure, verso la fine, come<br />

all’inizio di Yo Bald, dove c’è una schizofrenica introduzione di batteria<br />

in cui Pellizzari scopre di esser diventato, per l’appunto, pelato.<br />

Descrivici un momento di questa esperienza emozionale<br />

che reputi importante.<br />

Di certo un momento per me importante ed emozionante è stato il<br />

primo concerto di presentazione di Dedalo, 11 maggio 2018: in quel<br />

momento ho percepito che la BPJO era, ed è, qualcosa di più di un’orchestra<br />

Jazz, qualcosa di più di 23 musicisti e di un repertorio inedito.<br />

È una sinergia di forze che cercano di affermare un modo di intendere<br />

e amare la musica ma, soprattutto, un modo di fare cultura. Tutto ciò<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019 31


INSIDE<br />

è ed è stato possibile solo grazie all’Associazione Bud Powell di Maglie<br />

e al suo Direttivo che, nonostante le difficoltà, dimostrano ogni giorno<br />

lungimiranza e amore per il jazz.<br />

Quale aspetto della pedagogia musicale ritieni primario?<br />

Senz’altro la cura della profondità. Ci sono molti metodi e vie per<br />

apprendere, e spesso ognuno di noi ha il proprio percorso. Credo però<br />

sia imprescindibile imparare a fare le cose profondamente, con cura,<br />

con serietà. La musica è una cosa seria e deve essere presa seriamente,<br />

anche quando ci fa ridere o sorridere, dovremmo seriamente riderci su.<br />

In una tua playlist quali brani o compositori non mancherebbero<br />

mai?<br />

M. Ravel, Kris Defoort, Duke Ellington, T. Monk, Maria Schneider,<br />

Bill Evans, Debussy, W. Shorter.<br />

Quale musica preferisci ascoltare e che rapporto hai con la<br />

musica liquida che sta prendendo sempre più piede?<br />

Ascolto di tutto, dalla musica classica al jazz moderno, dalla musica<br />

elettronica sino a dischi di musica totalmente improvvisata. La musica<br />

è liquida e perciò è complicato separarla una volta aperto il rubinetto, è<br />

lì tutta insieme, parte dello stesso liquido. Avete mai provato a separare<br />

l’acqua dall’acqua? Difficilissimo!<br />

Nella tua collezione di vinili quale reputi fondamentale per<br />

la tua crescita e perché?<br />

Purtroppo non ho una collezione di vinili qui a Bruxelles, devo ancora<br />

trovare il modo per far migrare tutti i miei dischi rimasti in<br />

Italia. Ma se dovessi citare i dischi a cui tengo maggiormente: Native<br />

Dancer e Speak no Evil di Shorter, Music for large and small<br />

ensemble ed Angel songs di Wheeler, la suite Miroirs di Ravel (per<br />

non parlare dei suoi lavori orchestrali ma non saprei scegliere), Thompson<br />

Fields di M. Schneider, Eternal Interlude di John Hollenbeck.<br />

Shorter e Wheeler sono stati importanti nella mia formazione per<br />

la loro visione della musica funzionale e modale. M. Ravel, Maria<br />

Schneider e Hollenbeck per quanto riguarda la visione degli spazi,<br />

dei timbri e delle tecniche di sviluppo delle idee.<br />

C’è un aneddoto della tua carriera che ricordi con molto<br />

piacere?<br />

Ci sono un paio di conquiste che ricordo con estremo piacere ma,<br />

dovendone scegliere uno, direi la vittoria del Graz Jazz Comp 2017<br />

(concorso triennale di composizione per Orchestra Jazz organizzato<br />

dal conservatorio di Graz, ndr.) dove oltre alla soddisfazione del riconoscimento<br />

ho avuto il piacere di confrontarmi con quelli che sono fra<br />

i più grandi autori e compositori per l’Orchestra Jazz contemporanea<br />

(Michael Abene, John Hollenbeck, Jörg Achim Keller, Ed Partyka). Di<br />

certo ha rappresentato una conferma recente e importante.<br />

Descrivici il tuo rapporto con le arti.<br />

Le arti mi piacciono tutte, soprattutto quelle visive. Amo la letteratura<br />

ma non leggo quanto vorrei. Spesso mi capita di prendere<br />

ispirazione da concetti extra musicali. A tal proposito mi fa piacere<br />

citare l’ultimo progetto a cui sto lavorando, Lulela, un’opera contemporanea<br />

interattiva con multiple possibilità evolutive. In questo<br />

caso tutte le composizioni e le idee musicali vengono dal libretto e<br />

quindi dalla storia, o meglio dalle storie che vengono raccontate<br />

in Lulela. È incredibile quanta freschezza possa dare l’ispirarsi a<br />

contesti extra musicali.<br />

Concerti, showcase… insomma, cosa accadrà nel futuro<br />

della Bud Powell Jazz Orchestra?<br />

Per la BPJO, come per molte Big Band di orchestre, le possibilità per<br />

suonare sono purtroppo rare ma nonostante ciò la BPJO continuerà<br />

la sua attività live e di affiancamento a sostegno di tutte le attività<br />

dell’Associazione Bud Powell di Maglie. Un appuntamento certo sarà<br />

il concerto di apertura del Maglie Jazz Summer Festival 2019 e altri<br />

appuntamenti saranno annunciati nei prossimi mesi.<br />

32 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019


INSIDE<br />

di Pier Paolo Ferrari<br />

Non solo<br />

amplificatori<br />

I racconti da parte del diretto interessato (e qualche aneddoto interessante) testimoniano come<br />

Arthur Radford fosse un perfezionista instancabile, una virtù estesa non solo alla progettazione<br />

delle elettroniche ma anche a quella delle elettroacustiche. Proprio in merito a queste ultime<br />

ritorniamo, dopo averne parlato nel numero 537 di <strong>SUONO</strong>, sull’operato di Arthur Radford.<br />

Arthur Radford ha avuto da sempre una passione personale<br />

per gli amplificatori audio di alta qualità; così il grande<br />

successo di ditte come Quad, Leak e Rogers nella vendita<br />

dei loro apparecchi lo aveva spinto verso obiettivi ancora più<br />

ambiziosi e a contrastare sul piano della qualità questi eccellenti<br />

concorrenti, che erano all’epoca davvero “padroni” del mercato<br />

audio. L’esempio eclatante che Arthur rivela in una intervista è<br />

quello relativo a un mostro sacro dell’amplificazione di tutti i<br />

tempi, che all’epoca aveva riscosso enorme fama internazionale,<br />

il Leak TL12 Point-One. Alla fine degli anni Quaranta, il famoso<br />

amplificatore Point-One aveva impressionato gli addetti ai lavori<br />

perché Harold J. Leak con questo finale di potenza era stato in<br />

grado di abbassare in modo drastico la distorsione armonica arrivando<br />

a una soglia inferiore dello 0,1%. Tale distorsione armonica<br />

era fantastica per quei tempi e pochi costruttori potevano vantare<br />

risultati così straordinari. Radford negli anni Cinquanta stava<br />

studiando la progettazione di amplificatori con caratteristiche<br />

superiori agli altri in commercio e l’idea di “battere” in fatto di<br />

34 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019


ARTHUR RADFORD ATTO SECONDO<br />

prestazioni amplificatori come il Leak oppure il Quad lo stimolava<br />

non poco - racconta come iI Leak Point-One potesse essere<br />

superato di un fattore di 10 utilizzando i suoi trasformatori di<br />

uscita. Quelli erano la chiave per ottenere prestazioni superiori<br />

anche se le difficoltà consistevano anche nell’impiegare strumenti<br />

da laboratorio per misurare efficacemente la distorsione<br />

armonica e quella di intermodulazione (THD) degli amplificatori<br />

audio, e a quei tempi non era facile averli. Così nella sua fabbrica<br />

a Bristol Radford progettò e commercializzò modelli unici di<br />

oscillatori a bassa distorsione e set di apparecchi per i test e le<br />

misurazioni delle distorsioni armoniche! La voglia di guardare<br />

sempre in avanti, forse un po’ troppo precipitosa, si è trasformata<br />

anche nella costruzione di amplificatori a transistor che<br />

però si sono dimostrati meno affidabili e di qualità inferiore ai<br />

precedenti apparecchi a tubi. Si trattò una battuta d’arresto da<br />

superare al più presto...<br />

Altra grande passione, non comunque così intensa come quella<br />

per gli amplificatori audio, è stata la progettazione di diffusori<br />

acustici; il “mondo” degli altoparlanti ha occupato la sua mente<br />

per molti anni e lo ha affascinato fino ai suoi ultimi giorni di<br />

vita. Radford è stato abile nel persuadere i produttori dell’epoca<br />

di unità driver di trasmissione a modificare i loro prodotti per<br />

produrre uno “speciale” diffusore proveniente dai suoi progetti;<br />

l’acquisizione di un fabbricato che fungesse da ufficio-fabbricamagazzino<br />

nella zona industriale di Ashton Vale, Bristol, gli ha<br />

dato la possibilità di ampliare questo settore della sua attività e<br />

produrre alcuni modelli di diffusori Transmission-Line di dimensioni<br />

molto grandi. Nota curiosa rivelata da Radford parlando<br />

dell’acustica del suo magazzino, pieno di altoparlanti e materiali<br />

da imballaggio, era costituita dal fatto che tale acustica era talmente<br />

buona che fece prove su prove con apparecchi registratori<br />

con il risultato di occuparsi anche di registrazione audio (questo,<br />

però, è rimasto un hobby mentre la sua attenzione è stata rivolta<br />

alla progettazione di mixer professionali e di altri prodotti audio<br />

specializzati)! Dopo anni di lavoro sulle problematiche degli<br />

altoparlanti e del carico posteriore, Arthur Radford e il Dr. A.<br />

R. Bailey ottennero un brevetto per il primo diffusore a linea di<br />

trasmissione - Transmission Line. Questo studio approfondito era<br />

stato, in precedenza, oggetto di un articolo pubblicato sulla rivista<br />

inglese “Wireless World” (ottobre 1965) - dal titolo “A Non-<br />

Resonant Loudspeaker Enclosure”. I primi progetti commerciali<br />

di questi diffusori erano stati descritti in una serie di documenti/<br />

test report di Radford/Bailey e comprendevano una gamma di<br />

diffusori.<br />

Uno dei primi diffusori commerciati all’inizio degli anni Sessanta<br />

progettato dalla Radford è stato il Radford Bookshelf Loudspeaker<br />

- B.L.S (1963). Il diffusore, con posiziåonamento a bookshelf,<br />

impiegava due altoparlanti drivers: il K.E.F. Type B.139 come<br />

woofer per le frequenze basse e il Celestion HF-1300 come tweeter<br />

per quelle alte. Si trattava di due unità driver della massima<br />

qualità dell’epoca. Successivamente la Radford si è avvalsa<br />

sempre di altoparlanti eccellenti dei brand più famosi da inserire<br />

nei suoi diffusori: oltre a K.E.F. e Celestion, venivano utilizzati<br />

sia per i woofer che per i midrange e i tweeter anche unità della<br />

Goodmans, Peerless, Whatfedale, Philips. L’evoluzione dei diffusori<br />

Radford si ebbe dalla metà degli anni Settanta fino alla fine<br />

degli anni Ottanta: accanto ai modelli Acoustic Transmission-<br />

Line, un progetto iniziato nel 1964 e portato avanti nel tempo<br />

riscuotendo un ottimo successo commerciale, Arthur Radford affiancò<br />

quelli di nuova concezione che si avvalevano di tecniche<br />

innovative e del tutto originali. Radford si affidò a unità driver<br />

progettate per ottimizzare e rendere trascurabili le distorsioni<br />

ai transienti e abbassare il più possibile le “colorazioni” nel suono<br />

riprodotto. I miglioramenti ricavati in termini di realismo acustico<br />

diventarono notevoli rispetto ai driver convenzionali. Tuttavia,<br />

non contento dei risultati raggiunti, il tecnico inglese studiò e<br />

investigò al fine di ottenere risposte definitive sulla nociva colorazione<br />

del suono - transient colouration distortion. Questa<br />

distorsione acustica è introdotta, infatti, da un ristretto angolo<br />

di radiazione del posizionamento degli altoparlanti nel mobile<br />

diffusore. Una cassa acustica caricata a tromba, per esempio,<br />

soffre appunto di questo problema dovuto al ristretto angolo di<br />

radiazione dei suoi driver. Radford introdusse una nuova serie<br />

di sistemi di diffusori impiegando un ampio angolo di radiazione<br />

- wide angle radiation - incrementando il numero di altoparlanti<br />

dei medi e degli alti - middle and tweeter. La nuova serie era<br />

formata da quattro diffusori e comprendeva, quindi, driver sistemati<br />

all’interno del mobile per offrire angoli di radiazione di<br />

90°, 180°, 270° e 360° in un piano orizzontale. Già con le casse<br />

acustiche con angolazioni di driver a 90° e 180° si potevano ottenere<br />

risultati e miglioramenti veramente significativi e molto<br />

performanti in fatto di realismo sonico arrivando a una perfezione<br />

assoluta con i sistemi a 270° e 360°. Un altro vantaggio<br />

con il sistema wide angle direct radiation a tutte le frequenze era<br />

quello di avere un fantastico e reale effetto stereofonico, molto<br />

avvolgente e spaziale. Veniva eliminato in tal modo il particolare<br />

effetto stereofonico “classico” prodotto dalle due casse acustiche<br />

con altoparlanti rivolti solamente in avanti. Alla fine degli<br />

anni Settanta la gamma di diffusori Radford Studio Monitor<br />

era multi-direzionale e affiancava i modelli precedenti. Le sigle<br />

di ogni modello indicavano i gradi di radiazione sonora e la serie<br />

era formata dai diffusori TRI-Star 90/50 (5 driver), Monitor<br />

180/50 (5 driver), Studio 270/50 (7 driver) e Studio 360/100 (10<br />

driver) dove i numeri /50 e /100 indicano la potenza sopportata.<br />

Poi, come il resto della produzione, tutto questo fu destinato<br />

all’oblio: purtroppo Arthur Radford non aveva nessuna persona<br />

di fiducia che potesse portare avanti una tale varietà di progetti<br />

e di idee illuminanti e così, mentre il tempo della pensione per<br />

lui si avvicinava, la ditta fu messa in liquidazione e smembrata<br />

in vari settori. Nonostante ciò il marchio, anche alla luce di<br />

un esame attuale, ha svolto un ruolo preminente nella storia<br />

dell’Hi-Fi: quella di Arthur Radford è stata una vita dedicata alle<br />

sue passioni che si sono in gran parte tradotte in pratica (come<br />

abbiamo visto in questo articolo e nel precedente - pubblicato<br />

su <strong>SUONO</strong> 537), in una ditta famosa e rispettata ovunque nel<br />

mondo. E Radford ci ha lasciato un patrimonio inestimabile di<br />

cultura e apparecchi ancora oggi desiderati nel mondo anche per<br />

la loro grande qualità progettuale!<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019 35


INSIDE<br />

I PRIMI DIFFUSORI RADFORD<br />

Monitor: destinato al montaggio a pavimento preferibilmente su un supporto<br />

idoneo. Utilizzava tre driver: il BD25/1, l’MD9/1 e il TD3/1. Il driver<br />

mid-range era del tipo open-back e funzionava in un mobile separato dal<br />

driver del basso. Il driver MD9/1 fu sviluppato da informazioni ottenute<br />

da uno studio intensivo, durato circa tre anni, per eliminare la colorazione<br />

di distorsione transitoria. Il Monitor era un diffusore a gamma completa<br />

notevolmente privo di colorazione con dimensioni ridotte. Ecco alcune<br />

specifiche: gamma di frequenza 55 Hz - 25 KHz; potenza 50 watts; dimensioni<br />

76 x 30,5 x 25,5 cm; peso 19,5 kg.<br />

Studio: un diffusore per il montaggio a pavimento di altezza adeguata<br />

senza supporto; utilizzava le stesse unità dei diffusori Monitor e Auditorium.<br />

Il driver del basso era caricato con raccordo posteriore con una linea di<br />

trasmissione acustica aperta che estendeva una risposta piatta fino a 30<br />

Hz. A causa della radiazione in fase inferiore a 50 Hz il fronte d’onda tendeva<br />

a configurare il piano dando una sensazione soggettiva superiore a un’onda<br />

di velocità della sorgente puntiforme virtuale (dovuta solo al diaframma) a<br />

queste frequenze. Un diffusore acustico con le massime prestazioni possibili<br />

per ambienti medio-grandi. Forniva una risposta lineare sull’intera banda di<br />

frequenza audio dalle frequenze più basse fino a quelle più alte. L’intervallo<br />

di frequenza si attestava da 30 Hz a 25 kHz. La potenza sopportata era<br />

di 50 watt. Le dimensioni: 115 x 43 x 38 cm, il peso: 44,5 kg.<br />

Auditorium: un diffusore per il montaggio a pavimento (preferibilmente<br />

su un supporto idoneo) che utilizzava le stesse unità e reti del Monitor ma<br />

con un mobile-enclosure più grande per le unità sia basse che medie. Per<br />

le stanze di medie e grandi dimensioni con abbastanza spazio questo diffusore<br />

era in grado di fornire una risposta sostanziale alle basse frequenze<br />

oltre alle medie e alte frequenze lineari e trasparenti, senza colorazioni di<br />

sorta. L’intervallo di frequenza si estendeva da 40 Hz a 25 kHz. La capacità<br />

di gestione della potenza era di 50 watt. Le dimensioni 91 x 40,5 x 33 cm e<br />

il peso 32 kg.<br />

Tri-Star 50: di dimensioni identiche al diffusore Bookshelf, utilizzava tre<br />

unità driver: per il woofer-basso un BD25/1, il midrange MD9/2 e il tweeter<br />

TD3/1. Il cabinet era di tipo chiuso posteriormente che consentiva di operare<br />

nello stesso contenitore del driver dei bassi e funzionava su un intervallo<br />

di 500 Hz - 5 kHz. Questo diffusore fu progettato per soddisfare l’esigenza<br />

di una prestazione ad alta fedeltà con una colorazione molto bassa in una<br />

dimensione del mobile relativamente piccola. La gamma di frequenza si<br />

estendeva da 55 Hz a 25 kHz. La potenza sopportata era di 50 watt. Le dimensioni<br />

53 x 32 x 23 cm, il peso 15 kg.<br />

36 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019


SELECTOR<br />

a cura della redazione<br />

CUFFIA<br />

TX Media TX-172 Concerto<br />

Va dato merito a TX<br />

Media di aver avuto fiuto<br />

in passato. Ricordate<br />

Traxdata, ovvero i primi<br />

masterizzatori (quanto<br />

risulta obsoleta la parola<br />

oggi!)? TX Media ne curò<br />

la distribuzione, avendo<br />

il merito di una capacità<br />

scouting che continua<br />

tutt’oggi nella costante<br />

ricerca di realtà produttive<br />

alle quali sottoporre la<br />

propria vision per trasformarla<br />

in prodotto.<br />

La formula “inventiva occidentale<br />

e produzione orientale” è abbastanza<br />

usuale nel mercato della riproduzione<br />

musicale, soprattutto<br />

laddove si vogliano aggredire le<br />

fasce di mercato più consumer e/o<br />

offrire un prodotto value for price,<br />

un tempo prerogativa dei prodotti<br />

inglesi, più per la capacità creativa<br />

che per quella produttiva, come<br />

ha dimostrato la storia. Si tratta<br />

di una formula che ha dato i frutti<br />

più vari: inqualificabili, così-così o<br />

rimarchevoli ed è sempre buona<br />

norma affrontare un prodotto di<br />

questo genere con la mente scevra<br />

di preconcetti e degli archetipi<br />

così cari ai tradizionali audiofili.<br />

Solo in questa ottica quei frutti<br />

risulteranno interessanti, a volte<br />

persino imperdibili. Potrebbe essere<br />

il caso<br />

della Concerto, uno dei primi<br />

prodotti con cui TX Media ha deciso<br />

di mettere a fuoco il mercato<br />

della riproduzione sonora aperto<br />

al grande pubblico. Per certo già<br />

sulla carta questo modello gode<br />

di alcune caratteristiche interessanti<br />

se non esclusive: esclusivo,<br />

ad esempio, è il fatto che questa è<br />

una cuffia che è al tempo un sistema<br />

autosufficiente: la indossi non<br />

prima di avervi caricato la propria<br />

playlist tramite una schedina SD,<br />

ascolti la musica e se arriva una<br />

telefonata nessun problema; è<br />

possibile gestire anche quella.<br />

L’autonomia, poi, è potenzialmente<br />

notevole: la Concerto utilizza<br />

il Bluetooth 5.0 che aumenta<br />

la durata a 36 ore rispetto alle 24<br />

della versione 4.2 utilizzata da<br />

gran parte della concorrenza. Insomma<br />

caratteristiche di vertice<br />

in una fascia di mercato<br />

quasi entry level...<br />

Facile a dirsi,<br />

più difficile<br />

da realizzare,<br />

perlomeno<br />

se<br />

si aggiunge<br />

l’avverbio<br />

“bene”.<br />

Ancor più<br />

complesso se<br />

l’obiettivo è farlo<br />

anche a un<br />

costo non solo<br />

ragionevole, il<br />

che la colloca fuori dell’agone Hi-<br />

Fi tradizionale, ma particolarmente<br />

competitivo, obiettivo che<br />

è anche la “mission” aziendale: offrire<br />

al pubblico un prodotto che<br />

vale sempre un po’ di più di quello<br />

che costa, almeno in relazione alla<br />

concorrenza. Quasi un inno alla<br />

gamma media, un segmento che<br />

per lungo tempo è stato abbandonato<br />

e ignorato dal nostro settore<br />

e ancor più quello dell’elettronica<br />

di consumo. Eppure, sono sempre<br />

più frequenti quei rari esempi in<br />

cui economico non è sinonimo<br />

di “materiale” di consumo, di un<br />

vuoto a perdere, anzi, sembra che<br />

finalmente la maturità di certe<br />

realtà orientali coadiuvate dalla<br />

sensibilità dei committenti occidentali<br />

porti a un livello di qualità<br />

impensabile fin a poco tempo fa.<br />

La Concerto riassume molti di<br />

questi aspetti anche in funzione<br />

di alcune caratteristiche che sono<br />

risultati imbattibili, molto al di<br />

sopra della fascia di appartenenza<br />

e che soddisfano gran parte<br />

delle esigenza di un utente assiduo<br />

e continuativo dell’ascolto in<br />

cuffia. Spesso ci soffermiamo su<br />

aspetti marginali del tipo il look<br />

oppure l’apparenza di alcuni<br />

dettagli quando invece il peso,<br />

l’indossabilità e la sensazione<br />

di non oppressione sono aspetti<br />

fondamentali che, probabilmente,<br />

dovrebbero essere i requisiti<br />

minimi di ogni cuffia che si ri-<br />

Prezzo: € 59,99<br />

Peso: 137 g<br />

Distributore: TX Media S.r.l.<br />

via degli Arcimboldi, 2 - 20123 Milano (MI)<br />

Tel. 039 9276038<br />

www.txmedia.it<br />

CUFFIA TX MEDIA TX-172 CONCERTO<br />

Tipo: chiusa Trasduttori: dinamici Impedenza (Ohm): 24 Risp. in freq.<br />

(Hz): 20 - 20.000 Auricolari: trasduttore da 40 mm di diametro con magnete<br />

in neodimio Note: Collegamento Bluetooth 5.0; supporta protocolli<br />

HSP, HFP, OPP, A2DP, AVRCP, PBAP; autonomia di 36 ore; carica rapida; lettore<br />

per SD card fino a 64 GB per la riproduzione locale; supporto voice<br />

assistant Siri e Google.<br />

38 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019


TEST<br />

I cuscinetti sono molto morbidi e si<br />

adagiano con ampia superficie di<br />

appoggio distribuendo la pressione senza<br />

premere né sui padiglioni auricolari né<br />

sulla testa.<br />

I pulsanti di accensione, di selezione<br />

della modalità di connessione e<br />

di regolazione del volume sono<br />

collocati al lato del padiglione,<br />

in posizione facilmente<br />

raggiungibile. Anche la scheda<br />

micro SD è facilmente inseribile<br />

nell’alloggiamento.<br />

Al centro del PCB è presente il<br />

SoC della Benken BK3266, un<br />

chip monolitico Blueottoh 5.0<br />

particolarmente versatile<br />

e con un consumo<br />

ottimizzato soprattutto<br />

con il collegamento<br />

wireless. L’altoparlante<br />

ha un diametro di<br />

40 mm e la bobina<br />

mobile da circa 11<br />

mm. La batteria è posta<br />

nel padiglione opposto<br />

a quello in cui è presente<br />

l’elettronica.<br />

Il meccanismo di chiusura<br />

e quello telescopico<br />

di regolazione della<br />

distanza dei padiglioni,<br />

pur essendo in<br />

plastica, è molto<br />

robusto e funzionale,<br />

come peraltro<br />

quello basculante dei<br />

padiglioni che aderiscono<br />

perfettamente all’orecchio con<br />

una pressione minima.<br />

spetti e invece non è così, anzi.<br />

Il peso complessivo di 170 grammi<br />

ma ancor di più la tensione non<br />

eccessiva dei padiglioni sulle orecchie<br />

rende la Concerto una cuffia<br />

particolarmente confortevole per<br />

ascolti anche molto prolungati nel<br />

tempo e soprattutto anche in condizioni<br />

di movimento sostenuto:<br />

la massa contenuta, soprattutto<br />

quella periferica, mantiene in<br />

posizione anche l’archetto superiore<br />

senza spostamenti o cadute.<br />

L’archetto superiore è imbottito e<br />

la superficie di appoggio è ampia<br />

e ben distribuita tanto che non si<br />

avverte la presenza in alto e quasi<br />

non si percepisce la pressione di<br />

appoggio. Il grado di isolamento<br />

passivo con l’esterno è molto<br />

elevato anche se non assoluto e<br />

si percepisce la realtà circostante<br />

soprattutto in ambienti esterni e<br />

molto rumorosi, il che tende a non<br />

isolare l’utente ma comunque offre<br />

un ottimo livello di riduzione<br />

dei rumori esterni. Il pairing con<br />

Bluetooth avviene molto rapidamente<br />

mantenendo in memoria<br />

molti dispositivi a cui le cuffie<br />

sono state abbinate. All’accensione<br />

una voce in inglese dichiara lo<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 39


SELECTOR<br />

stato di attivazione e di connessione<br />

e quello della batteria, oltre a<br />

leggere il livello nelle indicazioni<br />

fornite dallo smartphone. La ricezione<br />

è ottima come peraltro le<br />

conversazioni telefoniche con una<br />

voce intellegibile anche a volume<br />

sostenuto e una buona riduzione<br />

del rumore da parte del microfono<br />

esterno che capta il parlato e<br />

riduce i disturbi di sottofondo.<br />

La timbrica, in senso generale<br />

(anche se si percepisce una variazione<br />

fra la riproduzione nella<br />

modalità attiva e in quella passiva<br />

attraverso il collegamento con il<br />

cavo mini-jack stereo) è molto<br />

estesa, calda ma non priva di<br />

dettagli e ritmo, con una gamma<br />

bassa profonda ma senza effetto<br />

loudness e una gamma media<br />

I due padiglioni si possono richiudere<br />

su se stessi in modo da collocare la<br />

cuffia più agevolmente in una borsa<br />

o zainetto. A rendere più funzionale e<br />

conservativo il trasporto non è tanto<br />

la riduzione dello spazio occupato,<br />

comunque poco, ma la posizione dei<br />

due padiglioni.<br />

energica ma non in evidenza. La<br />

gamma acuta sa essere dettagliata<br />

e incisiva senza mai indurirsi anche<br />

nella riproduzione di musica<br />

compressa che in genere è particolarmente<br />

critica.<br />

Il livello del volume è abbastanza<br />

elevato sia nella modalità Bluetooth<br />

che nella riproduzione della<br />

musica nella micro SD ma tramite<br />

il collegamento passivo via cavo<br />

si possono raggiungere pressioni<br />

molto più elevate e con una impostazione<br />

timbrica ancora più naturale<br />

e gradevole, anche a livelli<br />

molto sostenuti. In modalità passiva<br />

l’abbinamento è molto ampio<br />

anche grazie al modulo dell’impedenza<br />

abbastanza costante che<br />

si colloca al di sopra dei 25 Ohm.<br />

La presenza della scheda micro<br />

SD da un certo punto di vista si<br />

può considerare un plus valore e<br />

in parte si tratta di una opzione<br />

per nulla da sottovalutare soprattutto<br />

in condizioni di utilizzo<br />

in cui si opta per l’ascolto di una<br />

lunga sequenza musicale, un po’<br />

quel che accadeva con le vetuste<br />

musicassette. La fruizione<br />

dei contenuti<br />

all’interno<br />

di una<br />

micro SD,<br />

tuttavia,<br />

è piuttosto<br />

complessa in<br />

quanto non è<br />

possibile la<br />

navigazione<br />

nei contenuti<br />

ma solo<br />

l’avvio e la<br />

messa in<br />

pausa del contenuto. Se si ha una<br />

playlist specifica e idonea alla situazione<br />

basta fare play, altrimenti<br />

l’accessibilità diventa complicata<br />

e limita la fruizione. La qualità<br />

di riproduzione si colloca a cavallo<br />

di quella in Bluetooth e quella via<br />

cavo e sarebbe una opportunità<br />

da non sottovalutare soprattutto<br />

nelle occasioni in cui non si vuole<br />

utilizzare un altro dispositivo per<br />

l’ascolto della musica ed è in grado<br />

soprattutto di ridurre il consumo<br />

della batteria spegnendo la trasmissione<br />

wireless.<br />

Nel complesso i capisaldi in cima<br />

alle specifiche del progetto, come<br />

ad esempio l’autonomia Bluetooth<br />

e la connettività, risultano<br />

soddisfatti con una certa cura,<br />

determinando una versatilità (che<br />

in questo segmento di mercato è<br />

caratteristica primaria) invidiabile.<br />

Anche la qualità audio, nello<br />

specifico, rientra in un livello dagli<br />

ottimi risultati considerando<br />

anche l’estrazione economica del<br />

prodotto: anche a volume sostenuto,<br />

la distorsione e le risonanze<br />

sono molto contenute e non danno<br />

sensazioni di “disagio” all’utente<br />

(in genere frequenti in prodotti<br />

di fascia bassa in cui la gamma<br />

bassa tende a saturare e si avvertono<br />

soffi e vibrazioni in genere).<br />

Considerazioni simili valgono anche<br />

per la costruzione della cuffia:<br />

i meccanismi, seppur in plastica,<br />

sono molto precisi, robusti e sicuri,<br />

i comandi e l’altoparlante si collocano<br />

in una zona “confortevole”;<br />

nulla di eccezionale ma al contempo<br />

senza problemi evidenti<br />

o strane risonanze: da notare che<br />

PRO & CONTRO<br />

I materiali e le soluzioni tecnologiche appaiono<br />

orientate al contenimento dei costi di produzione<br />

ma con un approccio che mantiene la qualità<br />

del prodotto molto oltre la fascia di appartenenza:<br />

la Concerto sembra essere una mosca bianca<br />

nell’ambito delle cuffie wireless Bluetooth!<br />

Nel progetto permane una certa matrice “cinese”,<br />

con alcuni aspetti che potrebbero essere più<br />

curati ma comunque, o per caso o per scelta del<br />

fornitore, il prodotto ha un suo senso e una sua<br />

dignità. La micro SD poteva essere un grande<br />

plusvalore e invece appare come una possibilità<br />

mancata. Comunque c’è, funziona, non costituisce<br />

né un danno né un limite e se non c’era<br />

sarebbe stato peggio! Il Bluetooth è ottimo e il<br />

collegamento elettrico non male...<br />

la costruzione “leggera” beneficia<br />

in modo impressionante sulla indossabilità<br />

che risulta eccellente:<br />

leggera, calzante, isolante senza<br />

essere oppressiva sia sui padiglioni<br />

che sul punto di appoggio<br />

dell’archetto.<br />

Un aspetto interessante che prescinde<br />

la qualità del prodotto è<br />

costituito infine dalla convinzione<br />

maturata sul campo dagli uomini<br />

di TX Media che quando nel<br />

2015 si trovarono ad affrontare il<br />

mercato della riproduzione musicale<br />

si resero conto che i bisogni<br />

dei consumatori di fascia media<br />

dell’audio spiccano alla voce<br />

“qualità”rispetto a quelli dell’informatica<br />

(dove per mouse tastiere<br />

e chiavette prevale il prezzo a<br />

prescindere da qualità assoluta<br />

visto che tali oggetti vengono considerati<br />

prodotti a perdere). Una<br />

convinzione che può rappresentare<br />

una spinta nelle scelte progettuali<br />

e che potrebbe contribuire ad<br />

ampliare gli orizzonti della musica<br />

riprodotta. Chissà…<br />

40 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019


SELECTOR<br />

di Nicola Candelli<br />

Una vita<br />

contro<br />

le vibrazioni<br />

Omicron è una realtà presente nel campo dell’alta fedeltà sin dal lontano 2004 quando il suo patron<br />

e progettista Mauro Mauri brevettò una serie di rivoluzionari accessori denominati Magic Dream.<br />

IMagic Dream di “magico”<br />

non avevano niente se non<br />

un’azzeccata invocazione al<br />

compito svolto: collocati al di sotto<br />

delle varie elettroniche, hanno il<br />

compito di dissipare le vibrazioni<br />

tramesse dagli stessi trasformando<br />

l’energia in movimento rotatorio.<br />

L’obiettivo è quello di migliorare<br />

la riproduzione sonora cercando<br />

di eliminare il più possibile quanto<br />

non attiene al messaggio musicale.<br />

E in quell’anno <strong>SUONO</strong> dedicò un<br />

articolo (Ottobre 2004 - Titolo “Ali<br />

di pipistrello, coda di rospo…”)<br />

relativo a questi interessanti componenti<br />

e, a seguire, il progettista<br />

ricevette diversi riconoscimenti<br />

per le sue idee innovative. Nonostante<br />

esporti buona parte della<br />

sua produzione verso diversi Paesi<br />

(Europa, USA, Turchia, Hong<br />

Kong, Singapore), nel nostro paese<br />

Mauri viene identificato quasi<br />

esclusivamente come l’ideatore<br />

e il costruttore dei piedini Magic<br />

Dream mentre la sua produzione<br />

va ben oltre questo accessorio - il<br />

catalogo Omicron è infatti molto<br />

vasto e presenta diverse tipologie<br />

di prodotti: i piedini da posizionare<br />

sotto le elettroniche, i tavolini<br />

porta elettroniche, le ciabatte di<br />

corrente, gli alimentatori di corrente,<br />

etc… Poi ci sono gli stabilizzatori<br />

di vibrazioni (vedi la foto<br />

di apertura): sopra le elettroniche,<br />

sopra gli alimentatori di corrente,<br />

sopra i trasformatori di corrente, al<br />

di sotto delle casse acustiche, sen-<br />

ACCESSORI<br />

Omicron Magic Dream<br />

SUL CAMPO<br />

Prezzo: da 85,00 a 210,00€<br />

Distributore: Omicron<br />

P.zza Giacomo Leopardi 3 - 61013 Sassofeltrio (PU)<br />

tel 3318012568 - www.omicrongroup.net<br />

Tipo: accessori vari Materiale: Delrin Note: vasta gamma di<br />

prodotti per il contenimento delle vibrazioni: clamp per giradischi,<br />

piedini per elettroniche e diffusori, stabilizzatori per cavi<br />

42 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019


TEST<br />

I clamp sono utilizzabili in una miriade di soluzioni: qui con il giradischi (sinistra) e sotto i diffusori (destra).<br />

za dimenticare gli stabilizzatori<br />

per cavi (cavi di alimentazione<br />

di corrente, cavi di segnale e cavi<br />

di collegamento casse acustiche)!<br />

Tutti utilizzano lo stesso principio<br />

con l’obiettivo di eliminare le<br />

vibrazioni indotte dai vari apparecchi<br />

con risultati che durante<br />

l’uso ho trovato apprezzabili. Partendo<br />

dagli originari Magic Dream<br />

Classic ancora in produzione<br />

salvo qualche piccolo perfezionamento<br />

apportato nel tempo, nel<br />

catalogo 2019 sono stati inseriti<br />

i nuovi Magic Dream Energy che<br />

rispetto ai Classic si presentano<br />

con una base di maggiore<br />

dimensione mentre la sfera<br />

inserita tra i due gusci passa da<br />

un diametro di 10 mm a 16 mm,<br />

aumentando di fatto la capacità di<br />

dissipare energia. Il risultato non<br />

Anche gli stabilizzatori possono trovare un utilizzo in differenti condizioni: per i cavi<br />

(in alto) o sotto i diffusori (in basso) nei test effettuati.<br />

lascia dubbi: dopo averli provati<br />

sono nettamente a favore degli<br />

Energy! Il loro inserimento al di<br />

sotto delle elettroniche porta a un<br />

tangibile miglioramento sonico<br />

migliorando scena e pulizia generale<br />

della riproduzione. Ancora<br />

più interessanti sono gli stabilizzatori<br />

di vibrazione che ho provato<br />

in tutti i loro molteplici utilizzi.<br />

Innanzitutto questi accessori (Stabilizer<br />

classic – Harmonic stabilizer<br />

e Clamp) sono dotati, a differenza<br />

dei piedini, di tre sfere che<br />

oltre a sopportare maggior peso<br />

consentono di ottenere una più<br />

efficace dissipazione di energia.<br />

Il Clamp, ad esempio, inserito<br />

su di un qualsiasi giradischi ha<br />

restituito un risultato molto lusinghiero<br />

e in tutta sincerità dopo<br />

aver provato a sostituire quelli<br />

di serie di alcuni lettori che ne<br />

erano già dotati l’effetto ottenuto<br />

dall’Omicron è stato sicuramente<br />

più performante. Questi Clamp<br />

possiedono caratteristiche e comportamento<br />

simili agli altri due<br />

stabilizzatori in catalogo, motivo<br />

per cui li ho posizionati anche sotto<br />

i diffusori, con risultati molto<br />

interessanti - qui ovviamente entra<br />

in gioco il gusto personale nella<br />

scelta dell’uno o dell’altro modello.<br />

Per quanto riguarda invece gli<br />

stabilizzatori per cavi, utilizzando<br />

come base gli stabilizzatori di vibrazioni<br />

basta avvitare su una di<br />

queste basi i Cable Stabilizer e far<br />

passare nell’interno dell’apposita<br />

gola i cavi siano essi di potenza,<br />

di alimentazione o di segnale, tenendo<br />

presente che per ottenere<br />

l’effetto per i quali sono stati creati<br />

la base deve essere libera di oscillare.<br />

Questo vale per tutti i prodotti<br />

Omicron: per poter esercitare il<br />

loro effetto le sfere devono essere<br />

libere nelle loro sedi, quindi attenzione<br />

al posizionamento! Anche in<br />

questo caso gli effetti sono udibili<br />

e in unione agli altri componenti<br />

il risultato finale consiste in piccoli<br />

ma significativi miglioramenti<br />

restituendo alla riproduzione<br />

un maggior piacere di ascolto.<br />

Il materiale utilizzato per questi<br />

prodotti è il Delrin prodotto dalla<br />

Dupont ma il costruttore produce<br />

anche piedini realizzati in ottone<br />

placcato in argento, oro o nichel,<br />

con risultati a suo dire ancora migliori<br />

ma dal prezzo decisamente<br />

superiore. Nella serie da me provata<br />

ho riscontrato buone prestazioni<br />

e un ottimo rapporto qualitàprezzo<br />

quindi bisognerebbe valutare,<br />

non avendo avuto occasione<br />

di provarli, se il maggior esborso<br />

richiesto da questi ulteriori dispositivi<br />

corrisponda a prestazioni superiori.<br />

Basta comunque visitare<br />

il sito Omicron, visionare la ricca<br />

produzione attuale e valutare<br />

quale di questi accessori possono<br />

soddisfare le proprie esigenze.<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 43


SELECTOR<br />

a cura della redazione<br />

UNITÀ PHONO<br />

Ortofon ST-7<br />

Quando si ha a che fare<br />

con fonorilevatori a bobina<br />

mobile a bassa tensione<br />

d’uscita, ovvero per la<br />

maggior parte delle volte,<br />

la soluzione più semplice<br />

è quella di utilizzare un<br />

stadio fono attivo e alto<br />

guadagno. Fino a molti<br />

anni fa, quando gli amplificatori<br />

a valvole erano un<br />

must, non c’era altro modo<br />

per intensificare il segnale<br />

in uscita da una MC che<br />

ricorrere a un trasformatore<br />

o step-up per elevare<br />

il segnale in modo da essere<br />

compatibile con gli<br />

stadi fono degli integrati<br />

o esterni, a valvole.<br />

Oggi si sono fatti molti progressi<br />

e transistor e amplificatori<br />

operazionali<br />

raggiungono prestazioni molto<br />

buone, in particolare nel rapporto<br />

segnale/rumore. Alcuni, però,<br />

sostengono che la soluzione migliore<br />

continui a essere quella che<br />

prevede uno step-up a precedere<br />

lo stadio fono MM, a valvole o a<br />

stadio solido che sia. Il parere non<br />

è univoco in quanto questa soluzione<br />

presenta alcuni svantaggi.<br />

Innanzitutto nella maggior parte<br />

dei casi ci si trova che fare con<br />

oggetti tecnologicamente non attuali,<br />

visto che questi oggetti sono<br />

stati principalmente sviluppati<br />

nell’era precedente all’avvento del<br />

CD. Per il loro collegamento<br />

è inoltre necessario un cavo di segnale<br />

ulteriore, che può, in qualche<br />

caso, creare problemi. Infine<br />

non si tratta di oggetti universali,<br />

ossia qualsiasi trasformatore non<br />

è l’oggetto giusto per qualsiasi<br />

testina MC e, anzi, all’atto pratico<br />

gli step-up si rivelano piuttosto<br />

idiosincratici e selettivi negli<br />

accoppiamenti e negli interfacciamenti.<br />

Per contro, sempre in<br />

linea generale, con il loro utilizzo<br />

si assiste a un aumento notevole<br />

della dinamica del sistema: i forti<br />

e i fortissimi, i piani e i pianissimi<br />

diventano più reali così come dei<br />

silenzi della musica: emergono i<br />

vuoti, gli stacchi tra le note e aumenta<br />

in modo spropositato la<br />

nettezza dello strumento e la sua<br />

ascoltabilità rispetto agli<br />

altri strumenti del<br />

contesto;<br />

anche<br />

la microdinamica, le sfumature<br />

intermedie tra un colore di<br />

una nota e le sue armoniche di<br />

risonanza, si manifestano con<br />

smagliante evidenza. Un buon<br />

trasformatore, come una lente<br />

tersa, permette di cogliere con<br />

maggior facilità le singole componenti<br />

dell’orchestra, della band,<br />

del quartetto o di quant’altro sta<br />

suonando. Uno step-up di qualità<br />

offre all’ingresso fono MM un segnale<br />

molto più gestibile e dominabile<br />

e l’immagine olografica che<br />

ne esce dà l’impressione di essere<br />

dilatata (a volte di molto) nelle<br />

tre dimensioni e fa scomparire le<br />

mura domestiche. Una ulteriore<br />

motivazione consisterebbe nel fatto<br />

che la distorsione prodotta nei<br />

trasformatori è alta alle basse frequenze,<br />

calando poi rapidamente<br />

verso le alte frequenze. L’esatto<br />

opposto accadrebbe negli amplificatori<br />

a transistor che aggiungono<br />

anche una maggiore distorsione<br />

d’intermodulazione.<br />

E proprio questa<br />

tesi sarebbe abbracciata<br />

da Ortofon, come si evince<br />

anche dal manuale del<br />

suo step-up ST-7 (e dal<br />

fatto che sono ben tre i<br />

modelli di step-up in catalogo<br />

per pilotare correttamente<br />

l’ampia gamma di testine<br />

MC della casa). Come per tutti gli<br />

altri componenti audio, per orientare<br />

la scelta sul prodotto giusto<br />

Prezzo: € 599,00<br />

Dimensioni: 43,5 x 10,2 x 12,2 cm (lxaxp)<br />

Peso: 0,79 Kg<br />

Distributore: Audiogamma S.p.A.<br />

Via Pietro Calvi, 16 - 20129 Milano (MI)<br />

Tel. 02 55181610 - Fax 02 55181961<br />

www.audiogamma.it<br />

UNITÀ PHONO ORTOFON ST-7<br />

Tipo: vedi note Risp. in freq. (Hz): 15 - 45.000 +0/-2,5 dB Impedenza MM<br />

(kOhm): 47 e capacità 200 pF Impedenza MC (Ohm): 2-60 Note: trasformatore<br />

elevatore per fonorilevatori MC. Guadagno 24 dB.<br />

44 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019


TEST<br />

occorre tenere conto del fatto che<br />

il livello della componentistica ha<br />

una grande influenza sul risultato<br />

sonoro finale e, anzi, sembra che<br />

per i trasformatori valga ancora<br />

di più. Ci si può spingere fino a oltre<br />

10.000 euro per uno step-up<br />

pregiatissimo e con prestazioni<br />

di distorsioni da record. Fortunatamente<br />

oggi il mercato offre<br />

prodotti assi meno costosi ma<br />

comunque prestazionali, proprio<br />

come l’Ortofon in prova, mentre<br />

gli altri modelli della casa declinano<br />

l’argomento in versioni più costose<br />

ma ancora ragionevolmente<br />

abbordabili.<br />

Essenzialmente un trasformatore<br />

comprende due bobine di rame,<br />

non connesse fra loro ma collegate<br />

da un semplice circuito magnetico,<br />

con un nucleo ferromagnetico<br />

centrale che induce gli effetti del<br />

flusso di corrente di una bobina<br />

nell’altra. Le due bobine non<br />

hanno lo stesso numero di spire<br />

(avvolgimenti) in quanto è proprio<br />

il rapporto fra il numero di spire<br />

delle due bobine a determinare la<br />

variazione della tensione fra i due<br />

avvolgimenti: il segnale in ingresso<br />

scorre nel primo avvolgimento,<br />

detto primario, per ritrovarlo poi<br />

“trasformato” nell’avvolgimento<br />

secondario in uscita. Se il secondario<br />

ha un numero maggiore di<br />

spire, la tensione di uscita sarà<br />

maggiore. Dunque lo scopo del<br />

trasformatore, nel caso specifico<br />

di uno step-up per fonorilevatori,<br />

è quello di prendere un segnale<br />

in ingresso a bassa impedenza e<br />

bassa tensione, tipici di molte MC<br />

anche di medio livello, e aumentarlo<br />

fino a valori “trattabili” da un<br />

pre-amp con uno stadio fono con<br />

sensibilità e guadagno non troppo<br />

spinti. Si tratta di una problematica<br />

frequente anche nell’ambito<br />

delle registrazioni in quanto molti<br />

dei microfoni dinamici hanno un<br />

principio di funzionamento molto<br />

simile a quello di una testina MC,<br />

pertanto hanno bisogno di un trasformatore<br />

elevatore di tensione<br />

per adattare il segnale in uscita<br />

molto debole alla sensibilità di ingresso<br />

dei mixer o dei registratori.<br />

Le differenze sono nel guadagno<br />

del trasformatore e nelle caratteristiche<br />

di impedenza interne ma<br />

anche nel fatto che nel caso del<br />

microfono non è necessario applicare<br />

una equalizzazione RIAA<br />

presente invece nel solco inciso<br />

sul disco. Ed è per questo motivo<br />

che uno step-up oltre a innalzare<br />

il livello molto basso del segnale<br />

proveniente dalla testina deve<br />

anche tener conto dell’attenuazione<br />

della equalizzazione RIAA<br />

che attenua drasticamente la parte<br />

bassa del segnale. In ogni caso il<br />

segnale, una volta innalzato, dovrà<br />

essere ulteriormente amplificato<br />

e linearizzato con la curva RIAA<br />

inversa, presente nello stadio fono<br />

MM. C’è da considerare però che<br />

una opzione oggi potrebbe essere<br />

quella di utilizzare uno step-up<br />

per la digitalizzazione dei vinili per<br />

innalzare il più possibile il segnale<br />

e poi, una volta digitalizzato, applicare<br />

la curva di equalizzazione<br />

RIAA nel dominio digitale. Si tratta<br />

di una opportunità che esula un<br />

po’ dalle abitudini del “vinilista”<br />

convinto ma che offre opportunità<br />

molto interessanti soprattutto se<br />

si trovano gli abbinamenti giusti<br />

fra testina, step-up e stadio linea<br />

del convertitore analogico digitale.<br />

Le più moderne cartucce MC hanno<br />

una impedenza interna intorno<br />

ai 10 Ohm e tensione d’uscita<br />

oscillante tra gli 0,1 e 0,5 mV. Un<br />

buon trasformatore step-up deve<br />

essere in grado di poter maneggiare<br />

questi valori e presentarne di<br />

idonei per uno stadio fono di tipo<br />

MM. Solitamente questi ultimi<br />

gradiscono un carico in ingresso<br />

di 47 kOhm / 200-300 pF con un<br />

segnale amplificato di almeno 20<br />

dB. È questo il caso del Ortofon<br />

ST-7 che accetta MC da 2-60 Ohm<br />

di carico, per un guadagno di 24<br />

dB e un carico del pre-fono di 47<br />

kOhm / 200 pF. Sono valori molto<br />

comuni, sia per quanto riguarda<br />

le cartucce a bobina mobile che<br />

per gli stadi fono MM, rendendo<br />

l’ST-7 utilizzabile in moltissimi<br />

casi. Questa versatilità viene confermata<br />

dal fatto che la Ortofon<br />

lo consiglia per la sua linea MC<br />

Quintet e per quella delle storiche<br />

PRO & CONTRO<br />

L’Ortofon ST-7 manifesta una elevata qualità<br />

costruttiva sebbene sia il più economico del<br />

costruttore, modello mono a parte, e si rivela<br />

molto utile e consigliabile in moltissimi casi.<br />

Tanti i suoi punti a favore, dal nome che c’è<br />

dietro alla validità musicale e a una notevole<br />

compatibilità. L’ST-7 aggiunge positivamente<br />

aspetti musicali che non vanno a stravolgere<br />

però le caratteristiche sonore dei pre-phono<br />

abbinati. Ognuno di loro mantiene le proprie<br />

caratteristiche timbriche di base ma si potrebbe<br />

dire che con l’ST-7 subiscano un upgrade e<br />

facciano lavorare il pre/ampli in ingresso in una<br />

“comfort zone” che ne facilita il lavoro.<br />

Probabilmente solo nei casi di abbinamento con<br />

pre phono molto sofisticati e particolari si deve<br />

pensare di cercare qualcos’altro di altrettanto<br />

più elevato e magari è possibile trovarlo sempre<br />

in casa Ortofon con i modelli ST-70 e ST-80 SE,<br />

dual mono e con trasformatori Lundhal.<br />

SPU Classic, cioè quanto di più<br />

lontano dalle prime per peso, cedevolezza,<br />

peso di lettura – però<br />

sono simili per tensione d’uscita<br />

e impedenza di carico entrambi<br />

molto basse.<br />

In merito all’ST-7 per prima cosa<br />

bisogna dire che, pur essendo di<br />

piccole dimensioni, l’apparecchio<br />

è sufficientemente pesante da non<br />

cappottarsi una volta collegato ai<br />

cavi di segnali, anche quelli grandi<br />

e un po’ rigidi, merito del mobile<br />

realizzato in lamiera ferrosa molto<br />

spessa che offre anche un valido<br />

contributo alla schermatura elettromagnetica<br />

oltre a quello della<br />

stabilità. Anche i morsetti RCA<br />

del pannello posteriore esibiscono<br />

doti meccaniche eccellenti tramite<br />

un contatto saldo e preciso.<br />

Le connessioni, compresa quella<br />

L’impostazione completamente<br />

dual mono si evince anche dalla<br />

disposizione delle connessioni sul<br />

pannello posteriore in quanto gli<br />

ingressi e le uscite per ogni canale sono<br />

raggruppate ai lati dell’apparecchio.<br />

La disposizione risulta molto pratica<br />

quando anche i cavi di connessione<br />

sono separati e indipendenti, meno<br />

quando i cavi, sopratutto quelli che<br />

provengono dal braccio, sono uniti fra<br />

loro. Al centro è collocato il morsetto<br />

della presa di terra, particolarmente<br />

grande e in grado di accettare<br />

qualunque cavo di questo tipo del<br />

giradischi, anche più d’uno.<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 45


SELECTOR<br />

Lo chassis è realizzato in lamiera ferrosa ad alto spessore<br />

ripiegata ai lati con il coperchio avvitato. I connettori<br />

sono avvitati sul pannello posteriore e isolati con<br />

anelli in teflon. Ne consegue una struttura molto<br />

robusta e anche con una massa notevole<br />

nonostante le dimensioni contenute.<br />

I piedini di appoggio sono in<br />

alluminio tornito con un<br />

inserto in gomma che<br />

aumenta il grip e<br />

l’isolamento dalle<br />

vibrazioni.<br />

Il trasformatore, uno per<br />

ogni canale, è inserito<br />

in un involucro in mu<br />

metal, una lega metallica<br />

particolarmente efficiente<br />

nella schermatura<br />

dai disturbi<br />

elettromagnetici<br />

che potrebbero<br />

interagire con il<br />

circuito magnetico del<br />

trasformatore molto<br />

sensibile. L’involucro è<br />

fissato allo chassis con<br />

un materiale viscoelastico<br />

smorzante.<br />

I resistori AMRG da 15k Ohm collegati<br />

parallelo all’uscita sono realizzati<br />

dalla AMTRANS che produce<br />

oggi resistori al carbone che<br />

coniugano le doti musicali<br />

dei mitici resistori Riken<br />

con le più attuali tecniche<br />

di produzione: base<br />

in porcellana su cui è<br />

depositato un film in<br />

carbone ricoperto da una<br />

resina conduttiva, il tutto<br />

inglobato da un involucro in<br />

allumino anodizzato.<br />

I reofori sono in rame OFC.<br />

in<br />

per il filo di massa, sono tutte su<br />

una stessa linea e ben distanziate.<br />

In questo modo è possibile<br />

collegare cavi di segnali dotati<br />

di spinotti RCA di qualità e ben<br />

dimensionati, senza problemi.<br />

Per l’ascolto abbiamo utilizzato<br />

tre cartucce MC a bassa tensione<br />

d’uscita come la Ortofon Quintet<br />

Bronze da 0,3 mV, la Lyra Helicon<br />

da 0,22 mV e la Sumiko Blackbird<br />

L da 0,7 mV, con una impedenza<br />

consigliata di almeno 100 Ohm<br />

per tutte. L’uscita dello step-up<br />

è stata collegata all’ingresso fono<br />

MM di alcuni fono, principalmente<br />

il Moth Pre RIAA e il Lindemann<br />

Limetree Phono. Le prime<br />

impressioni generali, comuni un<br />

po’ in tutte le combinazioni provate,<br />

hanno riguardato la capacità<br />

di gestire tutti e tre i fonorilevatori<br />

senza problemi. L’ST-7 rende la<br />

voce più aperta, il suono del basso<br />

sia acustico che elettrico risulta<br />

più convincente e coerente, con<br />

un ottimo senso del ritmo e della<br />

dinamica. In particolare la combinazione<br />

ST-7 e Limetree Phono<br />

(ma anche con il vecchio Moth<br />

i risultati sono vicini) convince<br />

ottenendo un suono naturale e<br />

articolato, le linee di basso sono<br />

più pulite e dinamiche seppur non<br />

profondissime. Più dettaglio e una<br />

eccellente stratificazione di dettagli,<br />

sfumature e piani sonori. ST-7<br />

e Limetree insieme ricordano<br />

l’eccellente, almeno secondo noi,<br />

pre-fono Nagra BPS alimentato a<br />

batteria. Trasparenza, fluidità e<br />

un timbro felicemente tendente al<br />

limpido e chiaro. Se consideriamo<br />

la somma dei prezzi del sistema<br />

Ortofon/Limetree, compreso un<br />

cavo di segnale decente, tra loro<br />

con il Nagra ci sarebbe un bel risparmio<br />

(circa il 40%)! Certo il<br />

BPS Nagra si fa notare per filigrana<br />

e una tessitura più fine e delicata<br />

ma non siamo tanto distanti.<br />

L’abbinata ST-7/Moth RIAA è più<br />

46 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019


calda e un poco scura ma è innegabile<br />

che l’incremento di livello,<br />

dinamica e migliore rapporto<br />

segnale/rumore, almeno quello<br />

percepito, rendono interessante<br />

tale soluzione con questi modelli<br />

di MC a bassa uscita.<br />

Più controversa, invece, l’abbinata<br />

dello step-up Ortofon con altri<br />

pre fono, in particolare citiamo<br />

quanto accaduto con un modello<br />

dove collegando lo step-up non<br />

si utilizza lo stadio di guadagno<br />

ulteriore studiato per le MC ma<br />

direttamente il primo stadio disegnato<br />

per le MM. Il suono è diverso,<br />

certo più dinamico, forse<br />

rischiarato, ma anche più duro e<br />

un po’ grezzo. Al contrario collegando<br />

una cartuccia MC a bassa<br />

uscita direttamente all’apparecchio<br />

e sfruttando quindi anche<br />

il secondo stadio di guadagno<br />

si ascolta un suono meno forte<br />

e chiaro ma decisamente più<br />

piacevole e affascinante. In funzione<br />

della qualità dello stadio<br />

fono dell’apparecchio utilizzato<br />

si rischia dunque il paradosso<br />

per cui sia meglio non utilizzare<br />

del tutto lo step-up, a patto che<br />

il guadagno sia almeno decente.<br />

In assoluto occorre dunque<br />

fare attenzione che il pre di linea<br />

sia dotato di una sufficiente<br />

sensibilità e che lo stadio fono<br />

sia realizzato secondo criteri di<br />

qualità, elemento non scontato<br />

negli amplificatori entry level o<br />

giù di lì che si suppone possono<br />

essere “la base” su cui imperniare<br />

l’upgrading costituito da<br />

uno step-up di fascia economica.<br />

Una piccola contraddizione<br />

che nello specifico nulla toglie<br />

al valore dell’apparecchio, dove<br />

soprattutto nel caso di abbinamento<br />

testina e step-up Ortofon<br />

a monte dell’amplificatore si<br />

sfruttano al meglio le potenzialità<br />

di questa soluzione e occorre<br />

soltanto assicurarsi che l’ingresso<br />

MM dell’ampli sia di qualità<br />

almeno adeguata.<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 47


SELECTOR<br />

a cura della redazione<br />

CONVERTITORE<br />

MSB Premier DAC<br />

Anni ’80, seconda<br />

metà: siamo nel pieno della<br />

prima rivoluzione digitale,<br />

quella ancora legata<br />

al CD ma anche dell’ascesa<br />

dell’audio high-end in<br />

generale, mentre cresce<br />

la bolla tecnologica della<br />

Silicon Valley. Ma la Bay<br />

Area viene scossa anche<br />

da un giovane nerd... Quel<br />

giovane si chiama Mark<br />

Brassfield e, modificando<br />

un lettore CD della Philips<br />

(che si chiama Magnavox),<br />

realizza un apparecchio di<br />

cui si dicono meraviglie,<br />

al punto tale che alcuni<br />

negozi lo utilizzano come<br />

riferimento per giudicare<br />

la qualità della musica<br />

proposta, pur essendo<br />

Brassfield partito da un<br />

prodotto base da pochi<br />

dollari...<br />

La M.S. Brassfield Audio<br />

avrà vita breve perché il<br />

talento di quel giovane<br />

progettista viene notato da Larry<br />

Gullman, un altro cervellone<br />

dell’epoca. Insieme danno vita<br />

(1986) alla MSB, acronimo del<br />

termine “Most Significant Bit” ma<br />

anche curiosamente (o forse no)<br />

identico alle iniziali di Brassfield.<br />

Sebbene infatti qualche anno più<br />

tardi (1989) Larry Gullman acquisti<br />

la quota della società di Mark<br />

Brassfield (e quindi le iniziali<br />

non avevano più alcun significato<br />

in questo contesto ed è forse<br />

li che nasce l’accenno al bit più<br />

significativo), Mark continuerà<br />

a collaborare fino alla metà del<br />

successivo decennio mentre Larry<br />

non mancherà mai di sottolineare<br />

come sia le basi della metodologia<br />

di ricerca che la filosofia aziendale<br />

fossero state progettate e realizzate<br />

da Mark, “padre” di tutti i<br />

prodotti lanciati<br />

successivamente.<br />

D’altronde<br />

i due<br />

sono molto simili:<br />

entrambi ingegneri<br />

ed entrambi profondi amanti della<br />

musica, sviluppano un approccio<br />

al tempo stesso ingegneristico e<br />

umanistico (una cosa rara al tempo)<br />

dove le sessioni d’ascolto hanno<br />

la stessa dignità delle misure<br />

di laboratorio: viene utilizzata la<br />

chiesa di Reedwoods City (che si<br />

trova nell’area tra San Mateo e<br />

Palo Alto) dove si suona e si ascolta<br />

il risultato delle registrazioni. Si<br />

aggiunga a questo quella miscela<br />

di tecnologia e autarchia tipica<br />

della Silicon Valley e diventa facile<br />

identificare la filosofia di MSB per<br />

come viene declinata nel tempo.<br />

In un primo tempo il marchio si<br />

concentra su soluzioni professionali<br />

legate all’uscita A-3 dei lettori<br />

di LaserDisc; poi, nel 1998, il primo<br />

DAC separato,<br />

frutto<br />

della<br />

convinzione, sin dai<br />

tempi dell’infanzia del CD, che<br />

gli apparecchi commerciali siano<br />

equipaggiati con convertitori<br />

D/A di bassa qualità<br />

o/e pessimi filtri digitali e che<br />

si possa far meglio...<br />

Il Link DAC (già con campionamento<br />

a 24 bit, 96 kHz) rappresenta<br />

pertanto la pietra miliare<br />

della MSB che conosciamo noi<br />

(che nel frattempo ha assunto un<br />

manipolo di giovani e promettenti<br />

ingegneri tra cui alcuni anche<br />

musicisti) e che, se invece di allora<br />

fossimo stati nella successiva era<br />

dei millennial, avremmo definito<br />

una start up. Sono comunque realizzazioni<br />

dirompenti quelle che<br />

poi si troveranno di fronte i nostri<br />

inviati al CES negli anni successivi<br />

nelle prime esibizioni ufficiali<br />

nel mondo dell’Hi-Fi. Se rimane<br />

nella memoria il Platinum DAC<br />

(2000), uno dei primi 384 kHz,<br />

a “spaccare” è soprattutto l’iLink,<br />

quello strano coacervo generato<br />

dall’unione con l’iPod in una versione<br />

“per audiofili” dove il lettore<br />

di Steve Jobs veniva modificato<br />

da MSB che ne prelevava il segnale<br />

digitale direttamente<br />

dall’uscita interna e tramite<br />

l’iLink garantiva un<br />

upsampling a 176.4 kHz!<br />

Va dato atto che l’azienda<br />

californiana è stata<br />

la prima a indagare sulle<br />

potenzialità assolute dell’iPod!<br />

Lungo il percorso successivo l’azienda<br />

si sposterà da questo target<br />

(micro lusso?) sempre più verso<br />

quello del lusso vero e proprio,<br />

Prezzo: € 25.350,00<br />

Dimensioni: 43,2 x 30,5 x 6,8 cm (lxaxp)<br />

Peso: 8,2 Kg<br />

Distributore: MondoAudio<br />

via Provinciale, 59/J - 24060 Cenate Sopra (BG)<br />

Tel. 035 561554<br />

www.mondoaudio.it<br />

CONVERTITORE MSB PREMIER<br />

Sistema di conversione: R2R Ladder 4x Prime modules Frequenza di campionamento<br />

(kHz): DSD 8x, PCM 32bit-3.072KHz Ingressi digitali: Spdif Rca<br />

e toslink Uscite analogiche: XLR o Rca Note: Configurabile con altri 3 ingressi<br />

digitali: Quad Rate DSD MQA USB, Renderer II ethernet, AES/EBU XLR Alimentatore<br />

Discrete Power supply, opzionalmente un secondo alimentatore. Clock<br />

Femto93 opzionale.<br />

48 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019


TEST<br />

scelta ancor più radicata dopo<br />

l’ingresso dei figli di Gullman<br />

(2016), Daniel e Jonathan (il primo<br />

un ingegnere meccanico, ingegnere<br />

elettronico il secondo) che<br />

esaltano le tendenze già in atto in<br />

azienda: l’attenzione al design, ad<br />

esempio, diventa quasi ossessiva,<br />

culminando nella scelta di produrre<br />

in proprio e dal pieno i mobili<br />

grazie all’acquisto di varie macchine<br />

CNC. Molte risorse sono state<br />

investite in questo settore e ancor<br />

più se ne stanno investendo oggi,<br />

tanto che nella pagina Facebook<br />

dell’azienda trapela l’orgoglio nello<br />

sfoggiare macchine a controllo<br />

numerico e robot di automazione<br />

made in USA per la produzione in<br />

loco di ogni parte meccanica ed<br />

elettronica degli attuali prodotti.<br />

Le scelte dal punto di vista estetico<br />

possono essere definite altalenanti<br />

nel tempo e hanno riscosso pareri<br />

non unanimi: lo chassis del Premier<br />

DAC III (2009 - provato su<br />

<strong>SUONO</strong> N° 437) era veramente<br />

spartano, di certo non eccessivamente<br />

accattivane alla vista, anche<br />

se le lavorazioni meccaniche delle<br />

lamiere in spesso alluminio erano<br />

molto accurate e di ottimo livello<br />

esecutivo. L’apparecchio aveva<br />

un form factor molto curioso in<br />

quanto l’interno era suddiviso in<br />

due unità rack 1U sovrapposte in<br />

cui erano contenuti distintamente<br />

la sezione di alimentazione in<br />

basso e quella dell’elettronica in<br />

alto, come se il prodotto avesse<br />

una natura modulare da rack tipicamente<br />

caratterizzata dal settore<br />

professionale (non di stampo<br />

audiofilo, più di quello di network<br />

è informatico). La stessa impostazione<br />

si riscontrava nel DAC IV<br />

(2010 - provato su <strong>SUONO</strong> 465)<br />

in quanto i moduli, ora finalmente<br />

separati fra loro, avevano lo stesso<br />

spazio interno a disposizione di<br />

una unità 1U, come se si trattasse<br />

una condizione di appartenenza<br />

a uno standard necessario. Tale<br />

scelta della 1U si è protratta anche<br />

Il primo step per l’alimentazione prevede l’utilizzo di un alimentatore lineare collegato<br />

tramite uno sdoppiatore ai due ingressi distinti sull’apparecchio a fianco delle uscite di<br />

segnale XLR. L’involucro dell’alimentatore utilizza una soluzione molto simile a quella<br />

del DAC, sfruttando un guscio/contenitore in alluminio scavato dal pieno e una piastra<br />

inferiore di sostegno all’elettronica. Il trasformatore toroidale è contenuto in una sede<br />

che applica anche una schermatura. Il guscio esterno dissipa e mantiene la temperatura<br />

di esercizio costante a un livello molto più alto di quello del DAC. Il passo successivo è<br />

quello di utilizzare in parallelo un altro modulo di alimentazione rimuovendo lo sdoppiatore<br />

e collegando la seconda unità direttamente all’ingresso del DAC. È disponibile<br />

anche una Power base dedicata alla serie Premier progettata con le linee differenziate<br />

per il due circuiti.<br />

nei DAC V (2015) e nelle unità di<br />

lettura. La propensione di MSB<br />

verso la modularità e la possibilità<br />

di upgrade il sistema è stata<br />

comunque ben chiara sin dai primi<br />

prodotti che testimoniano una<br />

competenza nella progettazione<br />

e una vision molto rara in senso<br />

generale e soprattutto unica nel<br />

settore Hi-Fi.<br />

Una competenza che ha aiutato<br />

fortemente l’azienda a crescere<br />

e individuare le scelte a maggior<br />

impatto sulle prestazioni rivelando<br />

un know how nelle scelte delle<br />

componenti elettronici che a distanza<br />

di anni potremmo considerare<br />

unico nel suo genere! Va considerato<br />

in tal senso il gran lavoro<br />

sviluppato sulla sezione dedicata<br />

al post processing del segnale che<br />

va di pari passo con lo sviluppo del<br />

DAC ladder proprietario: MSB è<br />

fra i primi ad aver investito sui<br />

procedimenti di upsampling e<br />

sugli algoritmi di trasformazione<br />

tanto<br />

che,<br />

per un certo periodo, forniva aggiornamenti<br />

costanti tramite il<br />

sito relativi ai filtri (gratuiti o a<br />

pagamento se molto sofisticati).<br />

Via via nel tempo la produzione<br />

ha abbracciato totalmente l’approccio<br />

modulare, che avrebbe<br />

dovuto ridurre l’offerta di prodotti<br />

(una “base” comune in cui inserire<br />

moduli aggiuntivi oppure migliorati<br />

o aggiornati); al contrario, ci<br />

troviamo di fronte a una griglia di<br />

prodotti non troppo intercambiabili<br />

che appartengono a fasce economicamente<br />

molto distanti fra<br />

loro. Da un lato è evidente che più<br />

si punta all’eccellenza e più le cose<br />

si complicano ma è anche vero che<br />

quando si punta oltre l’eccellenza<br />

la modularità e il concetto di<br />

upgrading perdono di significato!<br />

Questa corsa verso l’alto culmina<br />

in una gamma di 4 DAC che parte<br />

già da una fascia alta: il sistema<br />

più piccolo, il Discrete DAC, con<br />

prezzo base di circa 13.000 euro,<br />

è una versione molto semplificata<br />

del concetto di modularità e versatilità<br />

e rappresenta il primo<br />

passo verso l’universo MSB.<br />

Analizzando i costi di alcuni<br />

upgrade disponibili notiamo<br />

che il secondo alimentatore<br />

supplementare<br />

costa circa 1.900 euro<br />

e la Premier Powerbase,<br />

disponibile per la serie<br />

superiore, 11.600 euro, che<br />

andrebbero a sovrapporsi al<br />

Premier, il cui prezzo di ingresso<br />

è di 25.000 euro. Nella versione<br />

base il Premier è invece il secondo<br />

modello dal basso, anche se il<br />

gioco degli upgrade lo porta nella<br />

sua massima espansione a superare<br />

sulla carta alcuni dei dati di<br />

targa del successivo Reference<br />

(che a sua volta nella versione<br />

espansa utilizza un clock migliore<br />

di quello base del Select, il top<br />

assoluto, con prezzi a partire da<br />

oltre 80.000 dollari che ne fanno<br />

verosimilmente il più costoso DAC<br />

al mondo...).<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 49


SELECTOR<br />

La struttura superiore in alluminio fresato<br />

dal pieno ha la funzione di coperchio e di<br />

volano termico per il mantenimento della<br />

temperatura costante in tutto l’apparecchio.<br />

Il PCB su cui sono implementati il display<br />

e i comandi è tenuto in posizione da una<br />

serie di bulloni che lo spingono verso<br />

il pannello frontale con una pressione<br />

distribuita su tutta la superficie. La piastra in<br />

basso costituisce il piano di riscontro su cui<br />

scorrono i moduli a slitta che si innestano<br />

sui connettori multipolari presenti sul PCB<br />

principale nel quale sono presenti anche i<br />

moduli di gestione e controllo e il gruppo di<br />

conversione R2R proprietario.<br />

Nel PCB sono presenti un FPGA Actel Pro ASIC<br />

3, un DSP Analog Devices ADSP 21489 e un<br />

Microcontrollore EFM 32 G222F128G Gecko a 32-<br />

bit necessari per la gestione delle varie funzioni<br />

dell’apparecchio e per l’applicazione dei filtri e<br />

degli algoritmi proprietari per l’upsampling e per<br />

l’ottimizzazione del DAC ladder proprietario. Anche<br />

la gestione dei clock e delle tensioni di riferimento<br />

dell’apparecchio sono monitorate e tenute sotto controllo.<br />

Il DAC, di tipo<br />

ladder R2R, utilizza i moduli<br />

realizzati direttamente da MSB<br />

in casa con tecniche costruttive<br />

che utilizzano il laser per la<br />

realizzazione di reti resistive ad<br />

altissima precisione e per ridurre<br />

l’errore di conversione ai bassi<br />

livelli. I moduli utilizzati nella serie<br />

Premier sono la versione Prime,<br />

più semplificata rispetto a quella<br />

utilizzata nella serie Reference e<br />

Select. I moduli sono accoppiati<br />

termicamente al guscio esterno.<br />

La linea Premier si distingue dalle<br />

altre due più in alto nel catalogo<br />

per la scelta di non supportare<br />

l’universo analogico in ingresso e<br />

una semplificazione nel processo<br />

produttivo dei moduli R2R della<br />

sezione di conversione. Una specie<br />

di versione semplifica delle due<br />

corazzate più costose che mantiene<br />

comunque ampia versatilità<br />

nelle scelte dell’equipaggiamento<br />

base e negli eventuali upgrade – il<br />

modello base rappresentato dal<br />

Discrete offre meno opportunità<br />

in fatto di aggiornamento e supporto<br />

ai moduli opzionali e non<br />

consente la sostituzione del clock.<br />

In effetti uno dei cavalli di battaglia<br />

di MSB, oltre alla devozione<br />

all’R2R, è quello del clock, tanto<br />

che fu fra i primi costruttori a fornire<br />

come upgrade un clock con<br />

precisione all’interno del “femto”,<br />

ovvero in un range molto, molto<br />

basso. Una scelta che oltre a suscitare<br />

interesse tende a fornire una<br />

visone più concreta di un componente<br />

che viene in genere sottovalutato<br />

o per lo meno considerato<br />

con minor attenzione. C’è anche<br />

da dire che i fornitori di componenti<br />

dedicati ai clock non sono<br />

tantissimi e, anche in questo, MSB<br />

ha fatto una scelta decisamente<br />

controcorrente tanto da commissionare<br />

soluzioni customizzate<br />

direttamente dal produttore, Bliley<br />

Techonologies Inc., azienda<br />

specializzata nell’ambito della<br />

produzione di oscillatori quarzi e<br />

clock destinati a impieghi critici<br />

come i satelliti ad orbita bassa per<br />

telecomunicazioni, telemetrie e<br />

GPS. Tutti casi in cui stabilità e<br />

precisione non sono assolutamente<br />

messi in discussione. MSB<br />

ha quindi scelto per gli upgrade<br />

di classe “femto” i clock Bliley<br />

50 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019


TEST MSB PREMIER DAC<br />

OCXO adattati per l’utilizzo in<br />

ambito audio tramite circuito di<br />

regolazione della temperatura e<br />

di sistemi di ulteriore isolamento<br />

dai disturbi elettromagnetici. Bliley<br />

fornisce anche altri costruttori<br />

in ambito audio ma, oltre al riserbo<br />

dell’azienda nel non divulgare<br />

informazioni sensibili sui propri<br />

clienti, sono veramente pochi i costruttori<br />

che optano per soluzioni<br />

comunque molto costose in termini<br />

di risorse e di materiali. Non a<br />

caso i moduli di upgrading clock<br />

hanno costi al limite del proibitivo<br />

(l’upgrade femto 93 del Premier<br />

costa 6.450 euro mentre il femto<br />

33 del Reference si piazza a 19.350<br />

euro ma con il ritiro del femto 140<br />

di serie). Una svolta radicale per<br />

MSB che in passato aveva una<br />

distinzione netta fra i vari moduli<br />

R2R in funzione della precisione<br />

di produzione che oggi sembra<br />

esser stata aggirata: non sono più<br />

disponibili, infatti, gli upgrade dei<br />

moduli ladder R2R il cui posto,<br />

però, è stato preso dai clock, che<br />

hanno una escalation ancor più<br />

alta di quella dei ladder Diamond<br />

dei DAC IV e V.<br />

L’impostazione del Premier mostra<br />

un approccio nella ingegnerizzazione<br />

che esalata ancor più<br />

che in passato la modularità e<br />

l’accesso alle sezioni “critiche” del<br />

circuito: il PCB principale ospita a<br />

bordo i moduli R2R della sezione<br />

DAC e la sezione di elaborazione<br />

del segnale, anch’essa soggetta<br />

a upgrade ma prevalentemente<br />

software, mentre tutte le altre sezioni<br />

trovano posto nei moduli a<br />

innesto rapido che si ineriscono<br />

nei connettori a pettine posti al<br />

lato del PCB principale. Tutti i<br />

componenti poggiano sulla base<br />

piana di alluminio e il guscio superiore,<br />

molto spesso ricavato<br />

da un blocco unico in alluminio<br />

scavato con macchine a controllo<br />

numerico in cui sono ricavate le<br />

sedi dei vari componenti, ha la<br />

funzione di coperchio. L’alimentazione<br />

fa il suo ingresso attraverso<br />

il modulo di uscita analogico<br />

nel quale sono presenti due linee<br />

distinte con le filtrature dedicate<br />

per l’alimentazione della sezione<br />

di conversione e quelle di servizio<br />

che vengono poi distribuite sui<br />

connettori a pettine per gli altri<br />

moduli opzionali.<br />

La dotazione degli ingressi e delle<br />

possibilità è veramente ampia ma,<br />

come spesso accade nei casi in cui<br />

si presenta una eccessiva offerta,<br />

alla fine le soluzioni non sono poi<br />

così tante, anche in considerazione<br />

della modalità di utilizzo in cui<br />

si vuole collocare l’apparecchio.<br />

Tralasciando la condizione in cui<br />

si opta per l’abbinamento con la<br />

meccanica MSB, la Reference<br />

Transport, che sposta eccessivamente<br />

in alto il costo totale del<br />

sistema (praticamente<br />

raddoppia), le soluzioni<br />

non sono poi<br />

così tante e devono<br />

in ogni caso tener<br />

conto della sorgente<br />

che si vuole<br />

utilizzare. Sembra<br />

quasi scontato che<br />

per godere dei formati<br />

nativi ad alta risoluzione si<br />

debba per forza usare un computer<br />

(attraverso il collegamento<br />

USB) o la trasmissione tramite la<br />

Il sistema di collegamento ottico<br />

fra il modulo esterno USB Pro ISL<br />

e quello interno I2S Pro utilizza<br />

in trasmissione e ricezione due<br />

transceiver a doppia connessione in<br />

fibra da 1Gbps tipicamente utilizzati<br />

come modulo di trasmssione fra<br />

switch di rete. Il modulo Usb viene<br />

alimentato direttamente dalla<br />

connessione USB e supporta in<br />

ingresso i formati ad alta risoluzione<br />

PCM fino a 768 kHz e DSD 8x. Il<br />

sistema offre un isolamento elettrico<br />

totale fra il DAC e le sorgenti a cui<br />

si collega il Pro, che possono essere<br />

mini computer, server oppure<br />

streaming di rete con connessione<br />

USB.<br />

rete attraverso sistemi più o meno<br />

articolarti per la riproduzione in<br />

streaming. Quindi le soluzioni offerte<br />

oggi da MSB da tre si riducono<br />

a due, nel senso che il modulo<br />

Quad DSD USB MQA, ormai in<br />

pista dal 2016, è stato spazzato<br />

via dall’ultima proposta MSB presentata<br />

in primavera 2019, il Pro<br />

I2S, una unità USB esterna che<br />

si collega tramite il doppio cavo<br />

ottico al ricevitore Pro ISL a bordo<br />

del DAC. Le funzionalità sono<br />

sovrapponibili a quelle del Quad<br />

USB ma si presenta una ulteriore<br />

opportunità di collegamento a un<br />

computer esterno, annullando la<br />

propagazione di disturbi elettrici<br />

in merito al collegamento ottico<br />

fra il ricevitore<br />

USB e il DAC. C’è<br />

inoltre<br />

un’altra opportunità che è conseguenza<br />

della connessione ottica,<br />

ovvero quella di poter estendere<br />

senza limiti la distanza della connessione<br />

ottica senza perdite e<br />

senza disturbi, in sostanza il sogno<br />

di ogni audiofilo: sistemare il<br />

computer o quel che lo sostituisce<br />

lontano dal totem dell’impianto.<br />

Da non sottovalutare poi il fatto<br />

Il modulo clock standard implementa a bordo due linee<br />

dedicate ai formati che sono multipli di Fs a 44.1 kHz<br />

e 48 kHz con oscillatori di precisione TXCO da 24.576<br />

MHz e 22.5792 MHz. Il modulo Femto93, invece, utilizza<br />

due oscillatori OCXO realizzati dalla Bliley su specifiche,<br />

abbinati a una grande massa in alluminio per raggiungere una<br />

temperatura costante e controllata e mantenere le variazione del<br />

clock entro valori molto contenuti. Il modulo ospita a bordo anche il circuito<br />

di alimentazione dedicata e per il controllo del riscaldamento dell’involucro<br />

e il mantenimento della temperatura costante.<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 51


SELECTOR<br />

che un cavo USB per uso audio<br />

può raggiungere costi esorbitanti<br />

e comunque non si può estendere<br />

più di tanto. Di fatto questa soluzione,<br />

seppur più costosa in partenza,<br />

3.200 euro per il pacchetto<br />

Pro USB contro i 2.550 per la<br />

Quad USB, consente di utilizzare<br />

un cavo USB di qualità “standard”<br />

e per giunta corto, il che giova anche<br />

dal punto di vista dell’assorbimento<br />

elettrico visto che dovrà<br />

alimentare la sezione USB, e di<br />

posizionare il DAC lontano: un<br />

plus valor molto superiore alla<br />

differenza di 650 euro delle due<br />

modalità. L’altra opzione è quella<br />

del Renderer, che si rivela un’ottima<br />

alternativa alla connessione<br />

USB: la sensazione che con un<br />

computer o uno streamer di rete<br />

ad hoc collegato in USB al DAC<br />

si abbiano maggiori possibilità<br />

e opportunità si scontra poi con<br />

l’usabilità in quanto c’è comunque<br />

bisogno di tanta manutenzione da<br />

parte dell’utente per mantenere il<br />

sistema aggiornato ed efficiente<br />

in ogni suo componente. Cosa<br />

che invece con il modulo di rete<br />

non è così necessaria, soprattutto<br />

se si usano sistemi per la gestione<br />

dei contenuti come Jriver o Roon,<br />

due fra le piattaforme più avanti<br />

e robuste, supportate in toto dal<br />

modulo di rete MSB. I due oggetti<br />

sono ovviamente installabili<br />

anche insieme all’interno dell’apparecchio<br />

e in momenti diversi,<br />

il che aggiunge una flessibilità di<br />

utilizzo ma anche di valutazione<br />

da parte dell’utente sulla efficacia<br />

delle scelte in funzione dei propri<br />

bisogni: si tratta di una specie di<br />

evoluzione del concetto di tuning<br />

non tanto nei componenti di contorno<br />

ma nelle parti più profonde<br />

del sistema (leggi Clock, streaming<br />

Vs riproduzione locale, alimentazione).<br />

D’altronde anche<br />

il CEO di MSB ha manifestato in<br />

più occasioni alcune perplessità<br />

su certi approcci di tuning tramite<br />

cavi eorpelli, suscitando in noi<br />

la stessa perplessità in quanto<br />

prodotti “costosi” e al limite della<br />

perfezione non dovrebbero “migliorare”<br />

così tanto da step a step!<br />

Ribadiamo comunque anche dopo<br />

questo pensiero che il Premier,<br />

nella configurazione di prova, ha<br />

esibito un suono inatteso e che, in<br />

parte, dice qualcosa di nuovo nel<br />

settore! Per concludere il carosello<br />

delle opportunità, la riproduzione<br />

con il Renderer si è rivelata fra le<br />

più godibili sia dal punto di vista<br />

sonoro che di fruibilità, soprattutto<br />

in abbinamento a Roon con file<br />

ad alta risoluzione eDSD.<br />

L’accensione dell’apparecchio<br />

impiega un tempo non eccessivamente<br />

lungo per lo start-up e<br />

un tempo leggermente superiore<br />

Sul PCB di base sono implementati le alimentazioni, i filtri e i disacoppiatori,<br />

mentre nel modulo inserito su due connettori a pettine è realizzato il cuore<br />

del sistema di comunicazione che utilizza un processore Atmel con un core<br />

Cortex A5, una RAM e un lettore di schede micro SD per il sistema operativo<br />

basato su una distribuzione Linux ottimizzata da MSB che supporta Roon<br />

e la riproduzione gapless anche su DLNA.<br />

A fianco dello stadio di uscita bilanciato, inglobato in un involucro di resina,<br />

è presente la doppia linea di alimentazione che, prima di essere inoltrata<br />

all’interno del circuito di distribuzione dei connettori a pettine e nel PCB<br />

principale, viene ulteriormente filtrata e trattata con filtri e forodisaccoppiatori<br />

per ridurre l’immissione di disturbi all’interno del DAC.<br />

per la stabilità termica dell’apparecchio<br />

e, soprattutto, per quella<br />

degli alimentatori, raggiungendo<br />

temperature decisamente alte e<br />

ben distribuite sul guscio esterno,<br />

anch’esso ricavato dal pieno. L’utilizzo<br />

di un sarcofago di alluminio<br />

oltre a fornire un isolamento rivela<br />

un ottimo volano termico che<br />

mantiene la temperatura stabile<br />

e costante su tutto l’apparecchio.<br />

Rispetto alle precedenti versioni<br />

il display è finalmente godibile e<br />

visibile da molto lontano anche<br />

se, con la trasformazione che<br />

sta avvenendo nel settore della<br />

fruizione della musica digitale, è<br />

sempre meno necessario avere<br />

informazioni dall’apparecchio in<br />

riproduzione: oggi, infatti, non si<br />

possono scegliere i filtri in uscita<br />

e se si usa il modulo di rete le<br />

informazioni transitano direttamente<br />

sull’interfaccia di controllo<br />

o addirittura sull’applicazione di<br />

Roon se si usa Roon. Certamente<br />

è utile e godibile anche perché è<br />

possibile visualizzare immediatamente<br />

lo stato in funzione, ad<br />

esempio dell’inversione di fase o<br />

della modalità video, due scelte<br />

di cui è utile conoscere lo stato.<br />

È possibile anche scegliere di abilitare<br />

o disabilitare la regolazione<br />

del volume, altra funzione che<br />

beneficia in particolar modo di<br />

un display visibile soprattutto da<br />

molto lontano.<br />

A differenza di quanto veniva<br />

proposto in passato ora non è più<br />

possibile scegliere il tipo di filtro di<br />

upsampling o altre cose inerenti la<br />

trasformazione del segnale ingresso;<br />

l’esperienza d’uso del prodotto,<br />

quindi, da un certo punto di vista<br />

percorre una strada molto semplice<br />

e per giunta veramente godibile<br />

in quanto il carosello della<br />

scelta dei filtri non è sempre così<br />

soddisfacente, soprattutto quando<br />

si raggiunge un livello in cui<br />

si preferiscono alcuni settaggi in<br />

funzioni del tipo di musica ascoltato:<br />

il Giano bifronte del fine tuning<br />

o della perenne ricerca di una<br />

“pezza” a un sistema squilibrato!<br />

Ebbene ora MSB ci ha stupito in<br />

quanto, a prescindere da quanto<br />

propugnato dai progettisti, la<br />

scelta “unica” ha il suo perché e<br />

lascia probabilmente più spazio<br />

alla godibilità della musica.<br />

L’apparecchio supporta anche il<br />

formato DSD nativo con risultati<br />

non del tutto scontati in quanto<br />

spesso gli apparecchi molto spinti<br />

per quel che riguarda il post processing<br />

del segnale o un modello<br />

di conversione prioritario non<br />

esibiscono risultati altrettanto<br />

validi sia nell’ambito PCM che in<br />

quello DSD. In questo caso, invece,<br />

riscontriamo una prestazione<br />

con lo stesso imprinting (ma con<br />

le differenti caratteristiche dei<br />

due formati che in origine hanno<br />

comunque comportamenti sonori<br />

abbastanza differenti fra loro).<br />

52


TEST MSB PREMIER DAC<br />

al banco di misura<br />

PRO & CONTRO<br />

La realizzazione è di altissimo livello caratterizzata<br />

da scelte a volte contraddittorie su<br />

strategie e proposte ma che non mettono in<br />

discussione la “propensione” verso la classe<br />

elevatissima di prezzo. Molti aspetti autarchici<br />

riguardo alla produzione in casa rafforzano la<br />

tesi che colloca il prodotto in un segmento unico<br />

nel suo genere. I vari team di sviluppo (software,<br />

hardware e di implementazione) hanno<br />

dimostrato di aver ben chiari gli obiettivi da raggiungere<br />

da un punto di vista tecnologico e di<br />

produzione, tanto che le connessioni USB hanno<br />

da subito funzionato con il massimo supporto a<br />

differenza dei competitor, e la stessa cosa si può<br />

affermare oggi per il renderer che supporta tutto,<br />

risponde molto bene alle richieste e sollecitazioni,<br />

non si incastra, è gapless e rappresenta<br />

quel che dovrebbe essere lo standard comune,<br />

mentre invece gli altri sono ancora ben lungi<br />

dall’esserlo. L’unica pecca in passato era quella<br />

relativa all’estetica e alla realizzazione della<br />

carpenteria, argomento che ora sembra essere<br />

stato egregiamente risolto.<br />

MSB ha tenuto da sempre lo stretto riserbo sulle modalità di<br />

upsampling e i filtri utilizzati e già in passato avevamo avuto<br />

modo di incontrare un fatto abbastanza curioso: l’upsampling<br />

massimo disponibile riduceva sensibilmente la banda passante<br />

complessiva. Oggi, invece, è disponibile un solo tipo<br />

di filtro e upsampling che si comporta nelle stesso modo<br />

dei precedenti, con una banda passante compresa fra i 20<br />

kHz e i 30kHz a seconda del formato in ingresso. La risposta<br />

arriva senza alcuna attenuazione fino al punto limite fissato,<br />

Colpisce anche un DNA di base<br />

molto marcato perfettamente<br />

identificabile nel nostro DAC<br />

IV di riferimento ma (e questa<br />

affermazione non avremmo mai<br />

pensato di poterla nemmeno formulare!)<br />

il Premier esalta tutti gli<br />

aspetti che hanno sempre distino<br />

le performance del DAC IV e<br />

aggiunge, con garbo, un bouquet<br />

di sensazioni “nuove” che, peraltro,<br />

non sono nemmeno così<br />

prorompenti in prima analisi.<br />

Una prestazione clamorosamente<br />

migliore che in realtà non solleva<br />

clamore ma pian piano si fa strada,<br />

modellando un nuovo livello<br />

di valutazione che invece si palesa<br />

drammaticamente al momento di<br />

tornare indietro al glorioso DAC<br />

IV: nonostante rimangano da<br />

primato alcune caratteristiche<br />

tipo PrAT e ricchezza armonica,<br />

ci troviamo di fronte a un suono<br />

più confuso, meno a fuoco e soprattutto<br />

meno coinvolgente! Se<br />

da un punto di vista il suono del<br />

DAC IV è ancora molto attuale<br />

nonostante gli anni sulle spalle<br />

(che aumentano in modo esponenziale<br />

nel caso di un DAC),<br />

quello del Premier è un balzo in<br />

avanti che non si sarebbe potuto<br />

ipotizzare se non sul campo.<br />

L’apparecchio, in linea anche con<br />

quanto dichiarato dall’azienda,<br />

offre i migliori risultati dandogli<br />

in pasto i file in formato nativo<br />

oltre il quale il segnale crolla con un andamento a gradino.<br />

Non sono presenti alias fuori banda e il tappeto di rumore<br />

è estremamente basso, a riprova di un ottimo impianto di<br />

filtraggio e alimentazione. Sono visibili molte spurie anche<br />

se di bassa entità che, considerato il sistema adottato di<br />

conversione, rappresentano un eccellente risultato. I segnali<br />

DSD sono trattati in modo nativo anche se con una marcata<br />

attenuazione in uscita rispetto al formato PCM che a parità<br />

di condizioni esce con livello maggiore.<br />

e lasciando fare all’upsampling<br />

interno. Ed è anche per questo<br />

motivo che, mettendo nelle stesse<br />

condizioni operative un render o<br />

un computer in modalità player<br />

semplice, il risultato più apprezzabile<br />

è stato riscontrato con<br />

la riproduzione dallo streamer<br />

interno e con Roon, trattando<br />

tutti i formati ad alta risoluzione<br />

e con una fruibilità veramente<br />

invidiabile.<br />

Nel complesso appare evidente<br />

la competenza di MSB nel padroneggiare<br />

i processi produttivi, gli<br />

obiettivi e anche una certa ripartizione<br />

delle scelte cruciali e di effetto<br />

nel risultato finale per quello<br />

che riguarda le prestazioni, tant’è<br />

che comunque uno dei nostri sistemi<br />

di riferimento rimane proprio<br />

il DAC IV con Powerbase !<br />

Qualche perplessità, più per dovere<br />

di cronaca che per altro, la<br />

solleva il concetto di modularità<br />

inteso nella sua accezione più ampia,<br />

visto che alla fine c’è sempre<br />

una soluzione che prevale su tutte<br />

le altre e che l’eccessiva offerta<br />

potrebbe tendere a disorientare<br />

l’utente Hi-Fi tradizionalmente<br />

affetto da insicurezza patologica.<br />

Per contro il grade gioco costituito<br />

dall’assemblare il proprio<br />

sistema Hi-Fi trova qui la sua<br />

massima (e persino ridondante)<br />

espressione. A mettere infine tutti<br />

d’accordo sono le prestazioni sonore,<br />

che non nascono da un’intuizione<br />

o da un caso fortuito di<br />

abbinamento ma da un obiettivo<br />

molto ben definito in azienda,<br />

strenuamente sostenuto fin dagli<br />

inizi e che continua imperterrito<br />

a essere perseguito lungo il cammino.<br />

Detta così sembra il solito<br />

strillo promozionale presente in<br />

ogni brochure che si rispetti ma<br />

nella realtà e soprattutto nell’esperienza<br />

di chi maneggia certi<br />

apparecchi è evidente la consapevolezza<br />

di aver toccato con mano<br />

qualità assolute.<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 53


SELECTOR<br />

di Nicola Candelli<br />

Lo scorso novembre ho avuto tra le mani l’ultimo apparecchio costruito dalla Synthesis, il Soprano,<br />

recensito in maniera molto positiva da <strong>SUONO</strong>, un delizioso apparecchio da 12 watt in classe A dal<br />

costo leggermente superiore ai mille euro. Poiché in Hi-Fi come per le ciliege l’appetito vien mangiando,<br />

non ho resistito a trovare una risposta alla domanda su come (e se) l’azienda sapesse declinare anche<br />

in una fascia superiore il suo “equilibrio aurico”…<br />

Confrontato a varie riprese<br />

con apparecchi<br />

più importanti il Soprano<br />

fece capire a me e ai<br />

vari ascoltatori alternati nelle<br />

varie sessioni di ascolto che per<br />

avere non molto in più bisogna<br />

sborsare tanto ma tanto di più.<br />

Nel confronto con queste grosse<br />

macchine l’apparecchio si<br />

difese alla grande sfoderando<br />

un suono di grande piacevolezza<br />

che perdeva rispetto ai concorrenti<br />

solo in qualche piccolo<br />

dettaglio, soprattutto in relazione<br />

a una modesta potenza<br />

che in ogni caso è risultata<br />

essere più che sufficiente con<br />

diffusori di medio-alto livello<br />

di efficienza. La curiosità mi ha<br />

portato inevitabilmente a interrogarmi<br />

se e come l’azienda<br />

sapesse declinare le sue buone<br />

intenzioni anche in una fascia<br />

di mercato superiore (e quale<br />

fascia potesse essere quella che<br />

avrebbe offerto quel “qualcosa<br />

di più” significativo) ed ecco<br />

AMPLIFICATORE INTEGRATO<br />

Synthesis Roma 510 AC<br />

SUL CAMPO<br />

Prezzo: € 3.450,00<br />

Dimensioni: 41 x 26 x 33 cm (lxaxp)<br />

Peso: 20 Kg<br />

Distributore: MPI ELECTRONIC<br />

www.mpielectronic.com<br />

Tipo: stereo Tecnologia: a valvole Potenza: 2 x 80 W su 6 Ohm in classe<br />

AB push pull Accessori e funzionalità aggiuntive: Telecomando<br />

Risp. in freq. (Hz): 20 - 20.000 +/- 0,5 db THD (%): 1 Max pow S/N<br />

(dB): >90 Ingressi analogici: 5 RCA Uscite analogiche: 1 RCA Note:<br />

Amplificatore integrato a valvole, stadio finale valvole 2xKT88 Push-<br />

Pull. ECC83 input e 12BH7 phase splitter. Finitura wood, black white.<br />

54 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019


TEST<br />

Cinque gli ingressi linea ed è presente anche un Line Out. I connettori collegati all’uscita sono dorati e “escono a 6 ohm mentre<br />

le connessioni di potenza accettano bannane, forcelle e filo spellato da 4 mm.<br />

che al momento mi ritrovo invece<br />

ad ascoltare il Roma 510<br />

AC, apparecchio da diverso<br />

tempo sul mercato, dalla potenza<br />

di ben 80 watt per canale<br />

e dal prezzo che supera i tremila<br />

euro. Di più certamente ma<br />

anche troppo? Assolutamente<br />

no, a cominciare dal fatto che<br />

se cerchiamo nel panorama<br />

audio un buon integrato da 80<br />

watt a valvole, con costruzione<br />

di ottimo livello e ben suonante,<br />

ci accorgeremo che il prezzo<br />

di questo Synthesis, se l’apparecchio<br />

ottempera le richieste<br />

elencate, è decisamente più<br />

basso di quello che si crede.<br />

Il vanto del costruttore è la<br />

qualità dei trasformatori di<br />

alimentazione e di uscita che<br />

sono gli elementi chiave per<br />

un sistema a valvole; li costruisce<br />

lui stesso semplicemente<br />

perché questa azienda in precedenza<br />

era gestita dal padre<br />

con il nome di Fasel sin dagli<br />

anni ’60, un punto di riferimento<br />

per la costruzione e la<br />

vendita di ottimi trasformatori<br />

e induttanze per amplificatori<br />

a valvole.<br />

Oltre la costante tecnica va<br />

segnalata quella estetica: l’apparecchio<br />

si presenta in una<br />

veste davvero raffinata, italianissimo<br />

di gusto (il frontalino<br />

di quello in mio possesso è di<br />

un bel rosso) e con una grande<br />

qualità sia della struttura<br />

meccanica che dei componenti<br />

esterni e interni. Quattro KT<br />

88 come finali, cinque ingressi<br />

solo linea, una uscita pre-out<br />

e tante altre buone caratteristiche<br />

lo caratterizzano. Molto<br />

bello e massiccio il nuovo telecomando<br />

in alluminio che ho<br />

trovato nella confezione: non<br />

è quello in dotazione ma un<br />

extra anche se, in ogni caso,<br />

va altrettanto bene quello di<br />

plastica in dotazione standard.<br />

Peccato invece per l’assenza di<br />

un ingresso cuffia, sempre utile<br />

e certamente gradito.<br />

Fina dalle prime impressioni il<br />

suono risulta ottimo, pieno e<br />

soprattutto ben equilibrato.<br />

Molto bene il basso, veloce<br />

e netto come un transistor<br />

ma bello rotondo e corposo<br />

come i valvolari sanno fare,<br />

senza essere gonfio o peggio<br />

allungato. La porzione delle<br />

medie rappresenta il pezzo<br />

forte dell’apparecchio, materico,<br />

presente e accattivante e<br />

le note positive si “estendono”<br />

anche alla porzione degli acuti,<br />

ben definiti con vocazione<br />

alla naturale dolcezza dei valvolari.<br />

Con la superba registrazione<br />

audiophile Temptation<br />

di Holly Cole, nel brano<br />

Tango Til They’re Sore la<br />

grande presenza e profondità<br />

del basso, le percussioni, la<br />

voce sensuale, prima piena e<br />

a seguire appena sussurrata,<br />

la grandezza e la nitidezza del<br />

pianoforte mettono alla prova<br />

le capacità di interpretazione<br />

dell’amplificatore. E il Roma<br />

510 AC si destreggia in maniera<br />

egregia. Basso potente<br />

di giusta intensità e perfettamente<br />

frenato; chi conosce<br />

questo disco sa della presenza<br />

pressante e voluminosa della<br />

sezione bassa che a volte può<br />

risultare invece ridondante.<br />

Bellissime, poi, le variazioni<br />

della incredibile voce, trasmesse<br />

ai diffusori con una<br />

straordinaria naturalezza<br />

facendoci gustare al meglio<br />

questo brano che la Cole interpreta<br />

in maniera straordinaria.<br />

In un altro brano (Jersey<br />

Girl) la presenza di un piccolo<br />

coro collocato lateralmente ma<br />

leggermente arretrato mette<br />

in evidenza le buone capacità<br />

di ricostruzione di un palcoscenico<br />

abbastanza ampio e<br />

profondo. È la volta di Don’t<br />

Explain con Caroline Hander-<br />

La versione Deluxe del telecomando è un extra. Il modello standard svolge comunque egregiamente il suo compito.<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 55


SELECTOR<br />

son che con la sua voce particolare<br />

un po’ roca restituisce<br />

una bella interpretazione proprio<br />

al brano che dà il titolo<br />

all’album. Di pari passo l’amplificatore<br />

riesce a restituire il<br />

giusto spessore alla musica e<br />

la sua capacità di essere molto<br />

silenzioso, pur essendo un<br />

La bobinatrice degli anni ‘60, eredità della Fasel.<br />

CHI È SYNTHESIS ART OF MUSIC<br />

L’azienda è stata fondata nel 1992 da Luigi Lorenzon, un ottimo conoscitore<br />

del mondo delle valvole, grande appassionato di design e musica; il marchio si<br />

è da subito guadagnato un’ottima reputazione sia per la qualità che per il<br />

design molto personale, riconoscibile dall’utilizzo di frontali in legno laccato<br />

disponibile in diverse colorazioni. Sempre attento alla costante ricerca tecnologica<br />

è riuscito nel tempo a farsi apprezzare in tutto il mondo dove esporta<br />

buona parte dei suoi prodotti.<br />

valvolare, sottolinea al meglio<br />

anche le più piccole sfumature<br />

che accompagnano questo<br />

brano. Cambiamo genere per<br />

testare le capacità dinamiche<br />

del nostro apparecchio (Empire<br />

Brass Quintet – Passage 138<br />

B.C. - A.D. 1611): si tratta di un<br />

disco della Telarc dove, soprattutto<br />

nel brano Opper Dance,<br />

il quintetto di ottoni, le percussioni<br />

e la presenza massiccia<br />

del tamburo mettono a dura<br />

prova le capacità del sistema.<br />

Questo è un disco che uso di<br />

rado ma quando lo inserisco<br />

nel lettore fatalmente spingo<br />

il volume a livelli elevati, cosa<br />

che altrimenti mi capita raramente.<br />

In ogni caso l’apparecchio<br />

si comporta in un modo<br />

egregio consegnando tutta l’energia<br />

che questo brano necessita:<br />

quando gli viene richiesta<br />

potenza la rilascia senza sforzo,<br />

dimostrando di averne a<br />

disposizione. Non noto alcun<br />

accenno a compressione e il<br />

suono intenso e maestoso che<br />

accompagna tutto il brano lascia<br />

una sensazione di grande<br />

compiacimento che appaga a<br />

pieno l’ascoltatore.<br />

In sintesi il Roma 510 AC è un<br />

valvolare di una potenza elevata,<br />

abbinabile alla maggior parte<br />

dei diffusori in commercio<br />

con una ottima resa in grado di<br />

restituire grandi soddisfazioni<br />

per le sue capacità di estrarre<br />

al meglio il messaggio musicale<br />

che gli viene inviato. Lo si<br />

acquista a poco più di tremila<br />

euro ed è consigliato ai veri appassionati<br />

di musica che esigono<br />

il massimo delle prestazioni<br />

senza badare a fronzoli.<br />

56 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019


SELECTOR<br />

a cura della redazione<br />

PREAMPLIFICATORE E AMPLIFICATORE FINALE<br />

Yamaha C-5000 & M-5000<br />

5000 o dell’eccellenza,<br />

secondo il codice utilizzato<br />

per le sigle degli apparecchi<br />

dalla casa giapponese.<br />

E nel caso della attuale<br />

serie 5000 di Yamaha la<br />

tendenza e le scelte sono<br />

chiare, soprattutto se se ne<br />

legge l’evoluzione nel tempo.<br />

Giradischi, pre e finale<br />

stereo, diffusori: la catena<br />

audio si realizza così!<br />

Si è composta nel tempo<br />

la linea di eccellenza<br />

della casa giapponese<br />

ma nel tempo il focus è anche<br />

cambiato se si considera che il<br />

primo passo di questo percorso,<br />

in occasione del 125mo anniversario<br />

della nascita (2013)<br />

che si tenne ad Amburgo nel<br />

maggio di quell’anno, vedeva<br />

l’esordio della linea costituita<br />

da un pre (CXA 5000) e un<br />

finale (MXA 5000) dedicati<br />

all’home theater. “Declassato”<br />

nella sigla a un livello inferiore<br />

era l’A-S3000 (provato<br />

DISTRIBUTORE: Yamaha Music Europe GmbH - Branch Italy<br />

Via Tinelli, 67/69 - 20855 Gerno di Lesmo (MB)<br />

Tel.02.935771 - Fax 02.9370956<br />

www.yamaha.it<br />

su <strong>SUONO</strong> 480 - ottobre<br />

2013) un integrato che<br />

in coppia con il lettore<br />

CD-S3000<br />

costituiva<br />

comunque<br />

un<br />

ritorno<br />

del marchio<br />

del diapason<br />

all’Hi-Fi di livello, dopo<br />

che per molti anni aveva primeggiato<br />

l’attenzione all’HT.<br />

L’A-S300, peraltro, ereditava<br />

in gran parte la sezione di potenza<br />

dal finale multicanale<br />

MXA 5000; elemento<br />

curioso (segno<br />

di una inquietudine progettuale)<br />

era il fatto che paradossalmente<br />

alcuni aspetti di questo<br />

apparecchio (il fatto che<br />

accettasse connessioni bilanciate,<br />

la predisposizione per<br />

la biamplificazione passiva)<br />

apparissero<br />

più<br />

audiophile che<br />

dedicate all’HT,<br />

tanto che <strong>SUONO</strong> effettuò<br />

la prova dell’apparecchio<br />

esaminandolo<br />

in questa luce. Insomma: una<br />

tentazione al ritorno al due canali<br />

puro che poi si è concretizzata<br />

negli anni a venire se oggi<br />

la linea 5000 si rivela assolutamente<br />

tagliata sulle esigenze<br />

dell’appassionato di Hi-Fi: un<br />

giradischi (GT-5000) come<br />

unica fonte, un pre e finale a<br />

due canali (quelli oggetto della<br />

nostra prova) e una coppia<br />

di diffusori, i NS-5000,<br />

che sempre su <strong>SUONO</strong><br />

hanno ottenuto al tempo<br />

ottimi responsi! L’intera<br />

catena è stata svelata per<br />

la prima volta al Munich<br />

Hi-End 2019...<br />

Appurato che il campione<br />

dell’home theater propone<br />

ora come massima rappresentanza<br />

della sua eccellenza<br />

un sistema a due<br />

canali - cosa che colpisce<br />

in termini storici ma che<br />

deve tener conto del fatto<br />

che le linee audiophile<br />

i giapponesi le hanno<br />

sempre continuate a fare,<br />

magari relegandole solo al<br />

mercato orientale - il lettore<br />

potrà trarre ulteriore<br />

giovamento alla luce di alcuni<br />

dei pochi postulati di cui, graniticamente,<br />

siamo convinti e<br />

che qui lasciamo riaffiorare:<br />

1) solo le grandi aziende possono<br />

costruire prodotti Hiend,<br />

intendendo per Hi-end<br />

un dispiego di mezzi, ricerca,<br />

soluzioni ed economie di<br />

58 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019


TEST<br />

scala (fatte anche di ricaduta<br />

tecnologica) necessari alla realizzazione<br />

di prodotti di qualità<br />

superiore alla media 2) In<br />

Hi-Fi il prezzo di un prodotto,<br />

in special modo nel segmento<br />

di mercato definito “dell’eccellenza”,<br />

è un’astrazione, nel<br />

senso che non è direttamente<br />

o costantemente collegato alla<br />

qualità e alla quantità del contenuto<br />

offerto.<br />

Da entrambi i punti di vista<br />

va immediatamente segnalato<br />

che la coppia C-5000 e<br />

M-5000 è uno spettacolo pirotecnico<br />

dove i fuochi di artificio<br />

sono<br />

un<br />

dispendio di mezzi, energie e<br />

sostanza che esondano in senso<br />

positivo il punto 2, ovviamente<br />

in relazione a quello che<br />

in alternativa offre il mercato.<br />

A questo va aggiunta, ma non<br />

da oggi, la scelta indovinata<br />

del design che unisce aspetti<br />

retrò e di permanente modernità,<br />

scelta indovinata già<br />

al tempo dei padri fondatori<br />

del settore dalla quale non ci<br />

si distacca! Semmai colpisce il<br />

posizionamento di mercato in<br />

un’area di prezzo precedentemente<br />

mai presidiata se non<br />

per un’unica eccezione (DSP-<br />

Z11 – 6.500 euro oltre 10 anni<br />

fa)... Può sembrare una questione<br />

di lana caprina ma è ben<br />

più fondante perché delle due<br />

l’una: o Yamaha è convinta<br />

che il suo pubblico d’élite<br />

ha cambiato interessi spostandosi<br />

dall’HT all’Hi-Fi<br />

o il marchio giapponese<br />

troverà qualche difficoltà,<br />

principalmente derivante<br />

dai profondi preconcetti<br />

che animano un segmento<br />

di mercato legato a specifici<br />

stilemi.<br />

Al netto di tutto, come detto la<br />

coppa pre e finale in questione<br />

è uno spettacolo da vedere (su<br />

tutto i tasti a sviluppo rettangolare<br />

del pre e i VU-meter ad<br />

ago su fondo retroilluminato<br />

per il finale) e per funzioni<br />

offerte dove, non stupirà per<br />

quanto detto, prevale su tutto<br />

l’attenzione dedicata all’analogico<br />

(anche perché non vi<br />

è traccia di facilitazioni per i<br />

sistemi digitali): dato che sia<br />

il pre che il finale hanno la<br />

struttura completamente in bilanciato,<br />

per il fono MM e MC<br />

è previsto un doppio ingresso<br />

RCA e XLR visto che anche il<br />

giradischi GT-5000 ha le uscite<br />

in bilanciato. La sezione<br />

fono consente la regolazione<br />

del carico, doppio circuito separato<br />

e distinto per i due canali,<br />

mentre è doppio anche il<br />

trasformatore di alimentazione,<br />

ognuno dedicato a un canale<br />

specifico. Sia i trasformatori<br />

che altre sezioni del C-5000<br />

hanno la schermatura in rame,<br />

con l’obiettivo di ridurre gli<br />

effetti negativi dei flussi magnetici.<br />

La stessa cosa, con i<br />

canali completamente separati<br />

e distinti, per percorso di<br />

segnale e alimentazione, avviene<br />

anche per il finale M-5000.<br />

L’alimentazione è connessa<br />

direttamente a ogni lato positivo<br />

e negativo dello stadio di<br />

uscita. Anche nel finale alcuni<br />

elementi sono protetti con uno<br />

schermo in lamiera ramata; la<br />

struttura, inoltre, è stata progettata<br />

con particolare attenzione<br />

alle forze meccaniche per<br />

cui il trasformatore, il blocco<br />

dei condensatori e i dissipatori<br />

sono imbullonati direttamente<br />

al telaio principale. Anche i<br />

cavi dell’alimentazione hanno<br />

subìto un processo di sovradimensionamento<br />

e di rinforzo<br />

nella loro struttura: vengono<br />

bloccati con viti e connettori<br />

in ottone invece che con le più<br />

tradizionali saldature. Insomma,<br />

un dispiegamento di forze<br />

che stabilisce, di nuovo, che<br />

la genesi del mercato Hi-end<br />

(ovvero di quello no compromise)<br />

sui processi produttivi<br />

e sulle risorse dedicate all’Hi-<br />

Fi è appannaggio di ben pochi<br />

costruttori! Un Hi-end però<br />

La dotazione degli ingressi è molto<br />

ampia, forse molto di più del numero<br />

di sorgenti con uscita analogica oggi<br />

disponibili! Tuttavia è molto utile la<br />

presenza di due ingressi e sue uscite in<br />

modalità bilanciata e quattro ingressi<br />

linea e due uscite pre in single ended,<br />

oltre a una uscita fissa utile in passato<br />

per il collegamento di un registratore<br />

esterno. È presente, inoltre, un ingresso<br />

fono con due modalità, single ended<br />

prevalentemente per testine MM e<br />

anche in bilanciato per i fonorilevatori<br />

MC. Una opzione molto comoda per<br />

gli ingressi XLR è la possibilità di<br />

selezionare per ogni ingresso la fase<br />

in modo da ottimizzare gli ingressi in<br />

funzione delle caratteristiche delle<br />

sorgenti collegate. Il finale dispone<br />

di due coppie di morsetti molto<br />

grandi che consentono il serraggio di<br />

cavi anche di grandi dimensioni e in<br />

modalità bi-wiring.<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 59


SELECTOR<br />

L’apparecchio ha una impostazione<br />

completamente dual mono con ogni sezione<br />

duplicata e isolata dall’altra sia fisicamente<br />

che elettricamente. È comune il circuito di<br />

alimentazione di stand by e di servizio.<br />

La regolazione del livello è<br />

affidata a tre chip JRC<br />

NJU2321 gestiti da<br />

un meccanismi di<br />

servocontrollo<br />

azionato sia in<br />

modo meccanico<br />

che manuale. La<br />

commutazione<br />

degli ingressi<br />

avviene tramite<br />

l’attivazione dei relè<br />

azionati e gestiti da<br />

microcontrollore.<br />

Gli stadi di premplificazione e di commutazione del<br />

segnale sono sviluppati su due grandi PCB simmetrici e<br />

indipendenti posti uno su l’altro. Anche il posizionamento<br />

dei connettori adotta una simmetria che favorisce il<br />

collegamento delle sorgenti e delle amplificazioni.<br />

Prezzo: € 6.999,00<br />

Dimensioni: 43,5 x 14,2 x 45,1 cm (lxaxp)<br />

Peso: 19,1 Kg<br />

PREAMPLIFICATORE YAMAHA C-5000<br />

Tecnologia: a stato solido Ingressi: Phono MM/MC, 5x linea, trigger, remote<br />

Uscite: 3x RCA, XLR, trigger, remote Risp. in freq. (Hz): 10 - 100.000 THD (%): 0,01<br />

S/N (dB): 110 Controlli: Bass, Treble, Guadagno, Phono; Subsonic, Mute Livello<br />

uscita max (V): 6 Bal. - 3 V Sbil. Note: Completamente bilanciato. Controlli toni:<br />

bass 350 Hz +/- 9 dB; treble 3500 Hz +/- 9 dB. Filtro subsonico: 15 Hz - 3 dB.<br />

60 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019


al banco di misura<br />

PER<br />

TUTTI<br />

I GUSTI<br />

VELOCE COME UN<br />

CLICK, PIACEVOLE<br />

COME IL FRUSCIO<br />

DELLA CARTA<br />

La risposta in frequenza è molto ampia, lineare e non affetta<br />

da variazioni dovute al livello di regolazione del livello in<br />

uscita. Il rumore di fondo è estremamente basso e non<br />

affetto da disturbi o alterazioni in banda e fuori banda, a<br />

riprova di un eccellente stadio di alimentazione. La distorsione<br />

armonica è estremamente contenuta anche se sono<br />

visibili alcune componenti in seguito alle scelte dello schema<br />

dello stadio di amplificazione. L’accettazione in ingresso<br />

è inferiore a 3Vrms ma le prime componenti armoniche<br />

iniziano a sollevarsi dal fondo già poco oltre 1 V di ingresso<br />

per raggiungere la saturazione intorno ai 2.8 Vrms.<br />

di fascia consumer, abbordabile<br />

e comunque che fa i conti<br />

con la necessità di orientarsi<br />

a un pubblico non di iniziati<br />

ma di appassionati con elevate<br />

aspettative. Una sorta di altra<br />

faccia della medaglia rispetto<br />

al modo in cui il concetto viene<br />

declinato in questo stesso<br />

numero dal costruttore californiano<br />

MSB...<br />

Quando si passa all’utilizzo,<br />

ancor di più all’apertura<br />

degli imballi, si “esordisce”<br />

con quella sensazione, quel<br />

profumo di Hi-Fi di una volta<br />

che per gli appassionati di<br />

vecchia data è stampato nel<br />

DNA ed evoca una lunga serie<br />

di sensazioni, sopite ma ancor<br />

vive. Sensazioni che, oltre al tipico<br />

odore, riportano alla memoria<br />

la tattilità e le reazioni<br />

degli apparecchi dell’epoca.<br />

Sembra quasi una oscenità<br />

ma la rotazione della manopola<br />

del volume e l’azionamento<br />

delle levette di commutazione<br />

è cosa di altri tempi anche se<br />

oggi, in ogni caso, l’azionamento<br />

meccanico non agisce<br />

più su un selettore anch’esso<br />

meccanico ma su un sistema<br />

servo assistito. In questo ambito<br />

la regolazione del volume<br />

ma ancor di più l’attivazione<br />

del mute è il simbolo di tale<br />

approccio: agendo sulla levetta<br />

del mute si attiva un circuito di<br />

12 MESI<br />

€ 60,00<br />

6 MESI<br />

€ 30,00<br />

Il potenziometro motorizzato per<br />

il controllo del volume è installato<br />

su un castello di sostegno molto<br />

robusto in grado di sostenere la<br />

massiccia manopola esterna di<br />

azionamento e tutto il sistema<br />

di trascinamento. Il movimento<br />

è moto fluido e frizionato e la<br />

regolazione invia un segnale di<br />

riferimento al chip del volume che<br />

attua l’attenuazione selezionata.<br />

3 MESI<br />

€ 20,00<br />

Formule e offerte su:<br />

http://www.suono.it/E-Shop/<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre ALL-YOU-CAN-EAT-COME-<br />

- novembre 2019 61<br />

ABBONARSI


SELECTOR<br />

La struttura è a telaio portante su cui sono installati i vari componenti e<br />

che, inoltre, entrano a far parte della struttura. Nonostante la struttura<br />

sia realizzata con pannelli in lamiera ferrosa ramata e ripiegata, fissati<br />

fra loro con viti autefiletanti, l’ingegnierizzazione è molto ordinata e<br />

con cablatura aerea ridotta.<br />

Nella parte inferiore è presente la complessa distribuzione dei quattro<br />

alimentatori ad alta corrente specifici per lo schema di funzionamento<br />

Circlotron dello stadio finale. Ognuno dei quattro condensatori<br />

da 33.000uF da 63V è connesso a un ponte a diodi e fa parte di un<br />

alimentatore di potenza flottante. È presente anche un doppio circuito<br />

indipendente per i due canali dello stadio pilota.<br />

Il circuito di amplificazione è realmente simmetrico e l’ingresso elettivo<br />

è quello di tipo XLR oppure quello single ended che attraversa uno<br />

stadio che lo converte in simmetrico. Anche lo stadio di potenza utilizza<br />

Mosfet uguali fra loro e non di tipo complementare grazie allo schema<br />

di ingresso e di potenza.<br />

Prezzo: € 6.999,00<br />

Dimensioni: 43,5 x 18 x 46,4 cm (lxaxp)<br />

Peso: 26,9 Kg<br />

AMPLIFICATORE FINALE YAMAHA M-5000<br />

Tipo: stereo Tecnologia: stato solido bilanciato Potenza (W): 2x 100/200 @ 8/4<br />

Risp. in freq. (Hz): 5-100.000 Sens./imp. (V/kOhm): 2/47 Bilanciato - 1/47 Sbilanciato<br />

S/N (dB): 110 THD (%): 0,035 Fattore di smorzamento: 300 Ingressi:<br />

RCA, XLR, trigger Note: Possibilità di utilizzo in mono (400 watt). Circuito di<br />

alimentazione totalmente flottante.<br />

62 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019


TEST YAMAHA C-5000 & M-5000<br />

al banco di misura<br />

PRO & CONTRO<br />

servocontrollo che sposta fisicamente<br />

il potenziometro del<br />

volume per una rotazione tale<br />

da effettuar un’attenuazione<br />

fissa rispetto alla posizione del<br />

volume in cui si trovava al momento<br />

dell’attivazione. L’effetto<br />

è decisamente scenografico,<br />

anche utile e comunque piacevole,<br />

considerata la riduzione<br />

graduale del livello e non l’attivazione<br />

istantanea del mute;<br />

colpisce, tuttavia, il fatto che<br />

per la manopola del volume,<br />

nonostante sia di tipo motorizzato<br />

con potenziometro analogico,<br />

il controllo in realtà non<br />

interviene direttamente sul segnale<br />

ma su un chip integrato<br />

per la regolazione del livello<br />

che, tramite il valore resistivo<br />

fornito dal potenziometro,<br />

regola di conseguenza l’attenuazione<br />

sul segnale in modo<br />

comunque analogico. Sicuramente<br />

un giro interessante,<br />

per certi versi farraginoso,<br />

ma che in ogni caso consacra<br />

la riduzione del percorso del<br />

segnale e della gestione il più<br />

possibile esente da disturbi o<br />

alterazione. La regolazione del<br />

livello tramite telecomando o<br />

tramite il tasto mute potrebbe<br />

senza dubbio intervenire direttamente<br />

sul chip e non su<br />

tutto il “giro” anomalo” con il<br />

rischio, però, di perdere quel<br />

plus valore che fa la differenza<br />

per quel che riguarda il rapporto<br />

tattile con l’oggetto. Un<br />

rapporto in cui i Vu-Meter del<br />

finale, con la loro assoluta inutilità<br />

pratica, il vetro ad alto<br />

La risposta in frequenza non è affetta da variazioni in funzione<br />

del carico e mostra una estensione notevole con<br />

una lieve attenuazione agli estremi banda. Il tappeto di<br />

rumore evidenza un livello di accuratezza molto elevato<br />

dello stadio di alimentazione e della filtratura che attenua<br />

efficacemente i residui di rete. La potenza rilevata è conforme<br />

a quella dichiarata mostrando un tasso di distorsione<br />

armonica molto contenuto in tutto il range utile fino al<br />

raggiungimento del clipping che avviene in modo molto<br />

repentino con la saturazione immediata anche se la riserva<br />

di energia dello stadio di alimentazione ancora non mostra<br />

flessioni nella tensione di alimentazione.<br />

spessore e la regolazione del livello<br />

di illuminazione continuo<br />

della finestra, contribuiscono a<br />

creare un alone di esclusività<br />

che molti prodotti oggi, nonostante<br />

l’evoluzione del design<br />

industriale, stentano a esibire.<br />

Per concludere, i fianchetti in<br />

legno, in vero legno massello<br />

laccati a specchio con una finitura<br />

tipica delle laccature dei<br />

pianoforti (guarda caso Yamaha!)<br />

dà il suo tocco finale, anche<br />

se della presenza del legno<br />

se ne percepisce ben poca! Visto<br />

il tipo di finitura avrebbero<br />

potuto farli di resina? No! Effettivamente,<br />

non sarebbe stato<br />

lo stesso, anche se rispetto<br />

al pianoforte non c’è nessuna<br />

ragione pratica per emulare<br />

tale scelta. Osservandoli uno<br />

L’implementazione circuitale e altri aspetti<br />

costruttivi e di progettazione collocano il<br />

prodotto in una fascia “estranea” a quella<br />

di appartenenza, significativamente più<br />

elevata. Dal punto di vista della versatilità<br />

va segnalato come manchi la connessione<br />

USB, secondo una tendenza sempre più in<br />

voga e che ha la sua ragione in termini di<br />

costi/benefici. In compenso c’è una sezione<br />

fono di tutto rispetto, anzi, ben oltre le<br />

aspettative, e anche il Bluetooth tra l’altro<br />

di qualità e una ampia dotazione di ingressi<br />

spdif che soddisfano la quasi totalità<br />

delle esigenze. In termini sonori ci troviamo<br />

di fronte a qualcosa di diverso, dove i<br />

dettagli emergono, il ritmo pure, incalzante<br />

quando serve e dettagliato ma mai<br />

predominante nel resto. Un timbro vivo<br />

in tutta la gamma utile del sistema che a<br />

dispetto della potenza dichiarata suona,<br />

sembra suonare, molto più forte dei dati di<br />

targa. Solo quando si raggiungono i limiti,<br />

in modo non eccessivamente repentino si<br />

avvertono i limiti in potenza del sistema,<br />

con un clipping comunque morbido ma<br />

tipico di uno stadio solido prossimo alla<br />

saturazione. Si apprezza inoltre la buona<br />

insensibilità al carico e la capacita di mantenere<br />

un timbro costante anche in presenza<br />

di diffusori molto critici.<br />

accanto all’altro, il pre e il finale<br />

lasciano un po’ perplessi<br />

sulla collocabilità in ambiente,<br />

in quanto uno sopra l’altro non<br />

stanno bene (anzi, non si possono<br />

poggiare con semplicità<br />

per i piedini e le feritoie) ma<br />

nemmeno uno di fianco l’altro,<br />

in quanto le altezze differenti<br />

di due prodotti non danno<br />

luogo a uno skyline gradevole.<br />

Peccato, perché poggiati su un<br />

mobile basso o su una consolle<br />

avrebbero avuto una maggior<br />

visibilità che all’interno di un<br />

“mobile” Hi-Fi di tipo tradizionale<br />

e che spesso tenta di<br />

rubare la scena al prodotto.<br />

L’utilizzo stabilisce un rapporto<br />

con l’oggetto tipico di<br />

altri tempi; anche i controlli<br />

di tono, sovente disprezzati<br />

in ambito audio, assumono<br />

una dignità. Questo evidenzia<br />

la propensione di Yamaha<br />

nelle opzioni di tuning della<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 63


SELECTOR<br />

catena, soprattutto nella scelta<br />

del carico della testina MC,<br />

che spazia fra quattro valori di<br />

carico da 300 Ohm a 10 Ohm,<br />

nella regolazione del guadagno<br />

dello stadio di potenza per la<br />

cuffia e, dulcis in fundo, nella<br />

scelta di fase per le connessioni<br />

bilanciate, una per ogni<br />

ingresso, due linea e una fono<br />

Mc per ottimizzare l’uscita in<br />

funzione delle vaie sorgenti<br />

collegate.<br />

Il suono dell’accoppiata, anche<br />

perché di accoppiata bisogna<br />

parlare e non ha senso<br />

pensare i due prodotti come<br />

indipendenti l’uno dall’altro,<br />

evoca un imprinting molto<br />

“Yamaha” ma come abbiamo<br />

potuto constatare in occasione<br />

del test dell’A-S2100,<br />

con una marcata caratterizzazione<br />

del timbro che prende<br />

le distanze dalle precedenti<br />

versioni e varianti. In<br />

I coperchi dei due apparecchi sono ricavati da una lastra spessa in alluminio rettificata e con le aperture superiori per la<br />

ventilazione fresate. Per evitare l’intrusione di corpi estranei all’interno dell’apparecchio sono state poste delle griglie di<br />

protezione metalliche con una trama ad esagoni, fissate dall’interno tramite un numero impressionante di viti a passo metrico<br />

molto corte all’interno di fori filettati. Un dispiegamento di forze di grande impatto estetico.<br />

senso assolutamente generale<br />

si potrebbe classificare come<br />

la fusione delle interpretazioni<br />

molto positive dell’A-S3000 e<br />

della verve dell’A-S2100 senza<br />

i compromessi della serie 5000<br />

che li precedette. Grande precisione,<br />

a volte debordante in un<br />

accenno di iperdettaglio e grande<br />

punch... Il sistema, inoltre,<br />

si è interfacciato molto bene<br />

con diffusori ostici anche se si<br />

è trovato molto più a suo agio<br />

con quelli ad alta impedenza e<br />

di facile pilotaggio. Ci sarebbe<br />

piaciuto ascoltare la coppia con<br />

i suoi partner elettivi Yamaha:<br />

a prescindere dal fallace aspetto<br />

del family sound, quei diffusori<br />

ci piacquero davvero tanto<br />

(<strong>SUONO</strong> 511) e, per come erano<br />

costruiti e pensati (e soprattutto<br />

La stabilità al piano di appoggio sembra<br />

essere un argomento particolarmente<br />

a cuore del mercato Hi-end giapponese<br />

tanto che molti costruttori adottano<br />

soluzioni molto simili fra loro ma che<br />

privilegiano anche l’utilizzabilità da parte<br />

dell’utente. Ad esempio, marchi come<br />

Esoteric, Accuphase e anche Yamaha<br />

prevedono un appoggio a terra tramite<br />

una punta conica ma rendono parte del<br />

sistema anche il piattello di appoggio<br />

come parte integrante. Nella serie 5000<br />

il piede è realizzato in tre pezzi, uno<br />

avvitato all’apparecchio dotato di punta<br />

conica, la ghiera esterna che si avvita<br />

all’elemento principale e che ha l’unica<br />

funzione di mantenere in posizione il<br />

piattello di appoggio della punta conica al<br />

piano, terzo elemento.<br />

per il loro sound...), pensiamo<br />

che sarebbe potuta essere veramente<br />

una bella esperienza. Se si<br />

considera, inoltre, all’altro capo<br />

della catena, la possibilità di<br />

collegamento tramite il giradischi<br />

del vinile in bilanciato (soluzione<br />

vituperata da alcuni ma<br />

qualitativamente ineccepibile<br />

secondo noi), che sembra elettivo<br />

nelle scelte dei progettisti che<br />

sullo stadio fono hanno lavorato<br />

con dispendio di mezzi, tutto<br />

ciò porta la fantasia verso una<br />

strada che forse non soddisfa<br />

quel pensiero tradizionalmente<br />

audiofilo che privilegia la supremazia<br />

dei componenti separati.<br />

Il caso della serie 5000, invece,<br />

sembra oggi un esempio di come<br />

un’esperienza coinvolgente può<br />

e deve completarsi attraverso<br />

un percorso che tenga conto di<br />

un valore estetico a tutto tondo,<br />

come quello che Yamaha è riuscita<br />

a centrare.<br />

64 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019


SELECTOR<br />

di Nicola Candelli<br />

Per insondabili ragioni e dopo anni di incontri ravvicinati ma non troppo mi è rimasta la curiosità di<br />

meglio valutare un marchio i cui prodotti, in tutte le occasioni in cui li ho sentiti suonare, non hanno<br />

mai mancato di generare la loro quota di benessere musicale.<br />

In previsione di un incontro<br />

più “intimo” del solito con il<br />

marchio in questione, come<br />

d’abitudine “ho fatto i compiti” e<br />

scoperto che le sensazioni provate<br />

nei fugaci incontri di questi<br />

anni sono condivise anche da altri;<br />

ecco che cosa scrive in merito,<br />

con buona sintesi delle emozioni<br />

che portavo in memoria, Erick<br />

Lichte di “Stereophile”: “If it’s<br />

rare to go to an audio show and<br />

hear most of a company’s products<br />

set up properly in multiple<br />

rooms, it’s rarer still to hear those<br />

products also sounding terrific<br />

in each and every room. In<br />

each of the systems in which the<br />

Swedish company’s speakers<br />

(Marten) were set up, and no<br />

matter what gear was upstream<br />

of them, I heard distinctly neutral,<br />

open, musical sound”. Quoto<br />

al 100% ed è un dato di fatto<br />

DIFFUSORI<br />

Marten Design Django XL<br />

SUL CAMPO<br />

Prezzo: € 13.300,00<br />

Dimensioni: 27 x 125 x 50 cm (lxaxp)<br />

Peso: 47 Kg<br />

Distributore: Audioplusvia F.Crispi 77 - 63074 San Benedetto del<br />

Tronto (AP)<br />

Tel. 0735 593969<br />

www.audioplushiend.it<br />

Tipo: da pavimento Caricamento: bass reflex N. vie: 3 Potenza<br />

(W): 250 Impedenza (Ohm): 6 Frequenze di crossover (Hz): 250<br />

- 3000 Risp. in freq (Hz): 26-30 000 Hz ±3 Sensibilità (dB): 89 Altoparlanti:<br />

tw sa 1’’, mid da 6’’ in ceramica, 3x wf da 8’’ in alluminio<br />

Rifinitura: Piano Black, Silver Grey Note: terminali Single-wiring<br />

WBT, cablaggio interno Jorma Design. Color Silver €14.300,00.<br />

66 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019


TEST<br />

non da poco perché che si sia<br />

appassionati o professionisti del<br />

settore, la “molla” che ci anima<br />

tutti è la ricerca di una risposta<br />

alla domanda delle domande,<br />

“Come suona...?”, dove ai puntini<br />

puoi sostituire di tutto: come<br />

suona quel brano, come suona la<br />

musica che mi piace, come suona<br />

un dato prodotto qui o lì, come<br />

suona con questo e con quello…<br />

Le bricioline di pane raccolte in<br />

questi anni dal novello pollicino<br />

che vi scrive (e, obiettivamente,<br />

il notevole costo di quasi tutti i<br />

diffusori della casa che ne rendono<br />

difficile logisticamente e<br />

per impegno finanziario un test<br />

tradizionale), mi hanno portato a<br />

S. Benedetto del Tronto dove ha<br />

sede l’importatore di Marten, il<br />

marchio svedese creato da Leif<br />

Martin Alderson che è l’oggetto<br />

di queste attenzioni. Quella<br />

di Marten è tutt’ora una realtà<br />

a conduzione familiare, visto<br />

che via via nel tempo è avvenuto<br />

l’ingresso in azienda anche<br />

dei più vicini parenti: il fratello<br />

maggiore Jörgen che è il CEO<br />

dell’azienda e il figlio Lars con<br />

la funzione di Art Director. Una<br />

realtà le cui origini sono quelle<br />

classiche del percorso audiofilo<br />

di più della metà dei costruttori<br />

attuali e del passato ma che ha<br />

saputo evolversi stabilendo quel<br />

connubio equilibrato tra artigianato<br />

e industria che per mia<br />

esperienza è la perfetta alchimia<br />

per proporre le migliori soluzioni<br />

in Hi-Fi. Come molti altri Leif<br />

Martin Alderson da giovane progetta<br />

diffusori nel garage della<br />

casa di famiglia; poi il successo<br />

ma anche l’innamoramento e la<br />

conseguente sbandata per una<br />

delle classiche sfide in Hi-Fi:<br />

far suonare bene quel che per<br />

la maggior parte degli altri costruttori<br />

rappresenta in alterna<br />

misura un misto di gioie e dolori.<br />

Si tratta dei tweeter Accuton il<br />

cui suono (grazie ai coni in ceramica)<br />

è straordinario per trasparenza,<br />

precisione e velocità;<br />

quella stessa ceramica in molti<br />

casi dà luogo a una certa iper<br />

analicità e, per l’estrema velocità<br />

dell’equipaggio mobile, mal<br />

si abbina con le caratteristiche<br />

degli altoparlanti per l’emissione<br />

in banda grave. Martin Alderson<br />

prova l’abbinamento con vari<br />

componenti, lavora sul crossover<br />

e sulla forma del diffusore<br />

ma trova la quadra solo quando<br />

utilizza anche per il woofer una<br />

soluzione con cono in ceramica<br />

che darà vita nel 1998 a Mingus,<br />

un due vie che è il primo diffusore<br />

offerto sul mercato dalla neonata<br />

Marten; poco dopo nasce<br />

Miles, tutt’ora disponibile nella<br />

sua versione aggiornata, un 2,5<br />

vie più grande. Mingus & Miles:<br />

è chiaro l’amore e la dedizione<br />

per la musica di Martin Alderson<br />

(il nonno costruiva violini)…<br />

Con il passo del buon padre di<br />

famiglia, Marten espande la sua<br />

gamma fino a oggi con un’offerta<br />

articolata in cinque differenti<br />

serie dove il ricambio dei prodotti<br />

è moderato, a favore eventualmente<br />

degli aggiornamenti<br />

degli stessi, a cui si affianca un<br />

impegno “dall’altra parte della<br />

barricata”, visto che l’azienda<br />

dispone di un proprio studio di<br />

registrazione le cui realizzazioni<br />

vengono affidate a una propria<br />

etichetta musicale. Un impegno<br />

che trova il suo fil rouge nella<br />

eccezionale sala d’ascolto realizzata<br />

ad hoc da Leif Martin<br />

Alderson per ospitare le prove<br />

di ascolto degli apparecchi ma<br />

anche per le registrazioni dell’etichetta<br />

Marten Recordings. Non<br />

solo amore per la musica, non<br />

solo differenziazione ma anche<br />

un ottimo modo per creare dei<br />

riferimenti nella realtà (qualunque<br />

cosa questa parola significhi)<br />

con cui paragonare i propri<br />

prodotti Hi-Fi. Anche nel nostro<br />

personale processo di consape-<br />

I morsetti sono WBT di ottima fattura e con una capacità di serraggio notevole, quale<br />

che siano le terminazioni scelte, mentre tutto il cablaggio interno è realizzato da<br />

Jorma Design, un’azienda considerata “la Rolls Royce dei cavi” (il suo fondatore,<br />

Jorma Koski, sulla base di una amicizia di lunga data l’ha consegnata nelle mani dei<br />

fratelli Olofsson, che hanno rilevato la società qualche anno fa per continuarne i fasti).<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 67


SELECTOR<br />

Nei Djiango per la prima volta la casa utilizza dei woofer (tre) con cono in alluminio<br />

prodotti dalla Seas e non sono in ceramica.<br />

volezza quanto realizzato con<br />

<strong>SUONO</strong>Records è stato fondamentale!<br />

Nella sala d’ascolto di Audioplus<br />

sono in attesa i Django XL,<br />

ennesimo omaggio (in questo<br />

caso a Django Reinhardt) a un<br />

musicista così definito: “L’acqua<br />

è l’elemento del pesce, l’aria<br />

degli uccelli. La musica è l’elemento<br />

di Django” (copyright di<br />

Charles Delaunay, amico e manager<br />

del chitarrista belga). La<br />

musica è naturalmente anche<br />

l’elemento dei Django XL, un<br />

diffusore sviluppato nel 2012<br />

contemporaneamente ad altri<br />

modelli di maggiore caratura,<br />

cosa che ha consentito, visto il<br />

posizionamento merceologico<br />

desiderato, di adottare soluzioni<br />

scelte nell’ottica del miglior<br />

compromesso: il tweeter in<br />

ceramica della Acuton è stato<br />

scelto per le caratteristiche<br />

che, si dice, sono molto simili a<br />

quelle del tweeter in diamante<br />

utilizzato per i modelli superiori;<br />

il midrange, sempre in<br />

ceramica della Acuton, viene<br />

introdotto per la prima volta in<br />

questo modello; i woofer (tre)<br />

non sono in ceramica ma con<br />

cono in alluminio, prodotti dalla<br />

Seas. Riuscirà questo coacervo<br />

di soluzioni a mantenere il<br />

sound Marten o perlomeno le<br />

mie aspettative in merito? Per<br />

certo queste soluzioni consentono<br />

ai Django XL di rientrare<br />

in termini di costi se non<br />

nell’ambito più ampio del genere<br />

umano almeno in quello<br />

dei sogni perseguibili. Quanto<br />

detto (e la sala demo di Audioplus,<br />

a mia disposizione per una<br />

piena giornata di ascolti) rende<br />

la marcia di avvicinamento<br />

Roma - S. Benedetto una sorta<br />

di sinfonia dell’intero registro<br />

di quelle emozioni generate<br />

dai sogni audiofili: l’emozione<br />

della prima volta, che per tutti<br />

gli audiofili significa in qualche<br />

modo tornare giovinetti, il<br />

prepararsi al bello e al piacere<br />

che ne deriva, che è invece una<br />

sensazione percepibile appieno<br />

nell’era della maturità...<br />

Al contatto visivo con i Django<br />

XL la percezione è di trovarsi di<br />

fronte a un diffusore all’aspetto<br />

maggiormente filante rispetto al<br />

tipico format dei prodotti Marten;<br />

probabilmente le stondature<br />

del mobile (non solo laterali ma<br />

anche sul pannello superiore)<br />

determinano questo effetto visivo,<br />

visto che poi l’altezza del<br />

diffusore rientra nella media dei<br />

prodotti Marten. Al tempo stesso<br />

nel diffusore coabitano aspetti<br />

estetici differenti: i Django XL<br />

sono ancora più essenziali nel<br />

design, con un legame rispetto al<br />

resto dei diffusori Marten costituito<br />

dalla presenza dei caratteristici<br />

coni in ceramica, anche se<br />

qui non viene utilizzata la soluzione<br />

denominata CELL studiata<br />

a partire dal 2012 e impiegata<br />

dal 2014 con i Coltrane Supreme<br />

2 dove, grazie a un crossover di<br />

primo ordine e al fatto che i driver<br />

hanno tutti gli stessi centri<br />

acustici, si è ricercata la massima<br />

coerenza temporale e di fase.<br />

I Django XL hanno una ricerca<br />

meno marcata in tal senso (il<br />

frontale è comunque inclinato<br />

verso il retro dal basso verso l’alto<br />

ma gli altoparlanti non sono<br />

allineati nel tempo) e, soprattutto,<br />

il woofer, come accennato, è<br />

differente, nonostante venga<br />

mantenuta una certa coerenza<br />

ottica grazie alla griglie protettive<br />

in stile Marten. L’efficienza<br />

abbastanza elevata del diffusore<br />

e la scelta di posizionare le porte<br />

del bass reflex sul fondo inferiore<br />

del diffusore facilitano l’abbinamento<br />

tanto con l’ambiente che<br />

con i partner elettronici anche se<br />

l’eventuale orientamento dei diffusori<br />

determina una non marcata<br />

ma avvertibile differenza<br />

nella ricostruzione della scena<br />

sonora. Ulteriore elemento che<br />

favorisce l’interfacciamento con<br />

l’ambiente è la possibilità di regolare<br />

l’intensità dell’emissione<br />

in basso di 2 db con un selettore<br />

a tre posizioni.<br />

Nella sala d’ascolto i Django XL<br />

sono stati collegati con un amplificatore<br />

integrato ibrido (2x<br />

12AU7 / ECC82 or E80CC per<br />

lo stadio pre) Absolare Passion,<br />

comunque della ragguardevole<br />

potenza di 150 watt per canale su<br />

8 Ohm e con un non recente ma<br />

sempre valido lettore CD MLabs.<br />

A disposizione anche uno streamer<br />

nel quale non è stato difficile<br />

trovare brani conosciuti<br />

(quelli tradizionalmente più<br />

gettonati nelle manifestazioni e<br />

nei test audiofili); non è molto<br />

importante, però, citare questo<br />

o quel brano perché, come non<br />

sempre accade, i Django XL sono<br />

diffusori che rappresentano un<br />

completo invito all’ascolto della<br />

musica. La principale emozione<br />

d’ascolto che determinano, infatti,<br />

è quella di uno straordinario<br />

equilibrio dell’emissione intesa<br />

non solo come estensione lungo<br />

l’arco delle frequenze ma soprattutto<br />

per il modo in cui le varie<br />

frequenze vengono riproposte.<br />

Tanto in basso che agli estremi<br />

acuti l’articolazione è estrema<br />

ma non scade mai in iper analicità<br />

nella porzione alta (caratteristica<br />

a volte riscontrata nei<br />

tweeter con cono in ceramica)<br />

68 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019


TEST MARTEN DESIGN DJANGO XL<br />

né in quella sorta di gonfiore (o accenni<br />

di...) nella parte più grave dello spettro.<br />

Il suono, invece, mantiene una intellegibilità<br />

massima ma anche un calore e una<br />

rotondità graditi, che contribuiscono alla<br />

piacevolezza della riproduzione, all’interno<br />

di una scatola sonora che è ampia<br />

senza gigantismi, profonda il giusto e,<br />

soprattutto, con i vari piani sonori ben<br />

scanditi l’uno dall’altro. I vari strumenti<br />

sono credibili senza preferenza per l’uno<br />

o per l’altro se si eccettua il pianoforte,<br />

davvero notevole. Alla credibilità<br />

di questa scena sonora contribuisce una<br />

capacità dinamica che senza raggiungere<br />

vette esplicite è sempre presente,<br />

a testimonianza del felice abbinamento<br />

con l’amplificazione della serie “muscoli<br />

e carezze” degna delle massime aspettative<br />

dell’ascoltatore. Praticamente ogni<br />

brano ascoltato è risultato estremamente<br />

piacevole nella misura dei pregi e dei<br />

difetti che lo caratterizza: i Django non<br />

sono particolarmente radiografanti in tal<br />

senso ma sottolineano eventuali carenze<br />

della registrazione offrendola comunque<br />

all’ascolto, quando di più non si può, alla<br />

meno peggio...<br />

Appaganti. Se dovessi ridurre in sintesi<br />

l’impressione d’ascolto rilevata, questo<br />

sarebbe, con l’aggiunta di una piccola ulteriore<br />

domanda (si sa, il dubbio è il tarlo<br />

dell’audiofilo): come si comporteranno i<br />

Django L, versione in piccolo degli XL,<br />

creata per contenere entro i 10.000 euro<br />

il costo del prodotto? Questa concessione<br />

“commerciale” a un allargamento del potenziale<br />

mercato (che ha aperto la strada<br />

alla nuova linea Oscar) non induca a false<br />

considerazioni: in un decennio caratterizzato<br />

dal raggruppamento e dalle acquisizioni<br />

di marchi da parte dei poteri<br />

forti, Marten come pochi altri ha saputo<br />

mantenere intatto il suo concetto di<br />

qualità e la coerenza con le idee fondanti<br />

del marchio, declinate a distanza di venti<br />

anni e oltre dalla nascita con lo stesso<br />

fervore e intensità. È questo aspetto,<br />

questa scelta negli ingredienti della miscela<br />

artigianato & industrializzazione,<br />

che mantiene vivi i prodotti Marten così<br />

come la possibilità, ascoltandone uno,<br />

di poterne acquistare un altro con tutta<br />

tranquillità!<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 69


SELECTOR<br />

a cura della redazione<br />

DIFFUSORI<br />

Sonus Faber Minima Amator II<br />

I piccoli diffusori da<br />

scaffale in prova appartengono,<br />

insieme agli Electa<br />

Amator III, a una serie<br />

particolare di Sonus faber,<br />

la Heritage. Heritage sta<br />

per eredità e patrimonio<br />

storico e tecnologico di<br />

questa celebre azienda,<br />

creata da Franco Serblin<br />

all’alba degli anni Ottanta<br />

del secolo scorso.<br />

IMinima furono il terzo prodotto<br />

disegnato da Serblin,<br />

preceduti dalla “provocazione”<br />

del sistema Snail seguito dai<br />

più concreti Parva, un più classico<br />

due vie bass reflex da piedistallo.<br />

Furono proprio i Minima, però,<br />

a rappresentare il primo grande<br />

successo di critica e di pubblico:<br />

presentati nel 1984 hanno attraversato<br />

tutto questo tempo tra<br />

nuove versioni, periodi di uscita<br />

dal catalogo (pur rimanendo sempre<br />

molto ricercati nel mercato<br />

dell’usato) e rinascite, per poi arrivare<br />

a quest’ultima versione.<br />

Era invece il 1992 quando SUO-<br />

NO (luglio – agosto, N° 230) annunciava<br />

l’anteprima mondiale<br />

in esclusiva dei Sonus faber Minima<br />

Amator, definiti “il gigante<br />

dei mini”. Un frutto, raccontava<br />

Bebo Moroni, al tempo direttore<br />

della rivista, di quattro anni di<br />

lavoro di Franco Serblin con l’obiettivo<br />

di “racchiudere in sé un<br />

arduo condensato del meglio di<br />

due oggetti tanto amati”. I due<br />

erano i Minima (“ha rappresentato<br />

forse l’oggetto in cui Serblin<br />

ha creduto di più...”) e la Electa<br />

Amator, “talmente bella e buona<br />

che non la si può non amare”...<br />

I Minima Amator ereditavano<br />

parte del nome dall’uno e dall’altro<br />

e dunque la tesi che ne volessero<br />

rappresentare una sintesi è<br />

plausibile!<br />

La portata del fenomeno Minima<br />

va però inquadrato nel tempo e<br />

se da un lato sembra ieri quando<br />

la BBC stravolse un mondo che,<br />

seppur ancora non ben definito,<br />

vide le cose da una prospettiva<br />

molto differente, comunque il<br />

tempo è passato mutando i punti<br />

di vista. Con la sua “scatola da<br />

scarpe” BBC gettò le basi per<br />

sostenere la “nuova visone”<br />

senza peraltro andare troppo<br />

oltre al proprio “naso”<br />

con un risvolto nella genesi<br />

dei BBC LS3/5a di natura<br />

ironica: nati come monitor<br />

voce per studi mobili di<br />

piccole dimensioni, rappresentavano<br />

un ambito<br />

totalmente opposto alle<br />

esigenze dell’utente domestico<br />

ma seppero cogliere<br />

alcuni dettagli nella<br />

riproduzione all’epoca<br />

sconosciuti! Con una tale<br />

premessa si assistette a un<br />

fenomeno veramente curioso<br />

in grado di innescare<br />

una produzione quasi di<br />

larga scala (almeno per la<br />

fine degli anni Settanta)<br />

di mini diffusori basati sul<br />

progetto BBC e caratterizzati<br />

Prezzo: € 4.000,00<br />

Dimensioni: 20 x 32,5 x 27,4 cm (lxaxp)<br />

Peso: 7,1 Kg<br />

Distributore: MPI Electronic - www.mpielectronic.com<br />

DIFFUSORI SONUS FABER MINIMA AMATOR II<br />

Tipo: da supporto Caricamento: bass reflex N. vie: 2 Potenza<br />

(W): 35-150 Frequenze di crossover (Hz): 2500 Risp. in freq<br />

(Hz): 50 - 35.000 Sensibilità (dB): 87 Altoparlanti: 1 TW H28<br />

XTR2-04 con cupola in seta da 28 mm, 1 WF MW15 XT 04 con<br />

cono in polpa di cellulosa da 15 cm<br />

70 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019


TEST<br />

da innumerevoli varianti sia nella<br />

scelta dei materiali che nelle<br />

forme. Un fenomeno che si contrappose<br />

anche al fatto che i vari<br />

produttori abbiano fatto tesoro di<br />

un approccio decisamente innovativo<br />

per l’epoca e sperimentato<br />

molte varianti, quelle all’interno di<br />

una produzione su licenza e quelle<br />

che poi ampliavano un orizzonte<br />

in evoluzione.<br />

Gli obiettivi della BBC erano<br />

chiari, come peraltro una certa<br />

predisposizione verso il prodotto<br />

“inglese” made in Gran Bretagna<br />

a tutto tondo, probabilmente anche<br />

in considerazione del fatto<br />

che all’epoca KEF, che produceva<br />

gli altoparlanti degli LS3/5°, era<br />

un partner ideale e all’apice dello<br />

sviluppo. Tuttavia altre realtà si<br />

fecero strada, proponendo forse<br />

anche con un piglio più dinamico<br />

soluzioni interessanti: SEAS, Scan<br />

Speak, senza dimenticare Audax e<br />

Peerless... Ciò ha probabilmente<br />

dato vita alla successiva evoluzione<br />

della “scatola di scarpe” magari<br />

ancora made in UK ma con<br />

tecnologia non più “full made in<br />

UK”! Un esempio “dirompente”<br />

furono i Tablette e il punto chiave<br />

della trasformazione rispetto agli<br />

LS3/5a era l’adozione di un carico<br />

reflex al posto di quello pneumatico<br />

e di un woofer SEAS e non il<br />

classico KEF, con un’efficienza e<br />

tenuta in potenza molto più elevate.<br />

In abbinamento al woofer<br />

SEAS veniva utilizzato il tweeter<br />

Scan Speak che ha contribuito alla<br />

diffusione del marchio come alternativa<br />

“all’attufatissimo” tweeter<br />

KEF T27 degli LS3/5a.<br />

In questo scenario, e in un momento<br />

di gran fervore e investimenti,<br />

Franco Serblin propose<br />

una soluzione “trasgressiva” per<br />

l’epoca, proprio grazie alla presenza<br />

del tweeter Dynaudio D28 che<br />

fu fra i primi tweeter a esibire una<br />

tenuta in potenza e una escursione<br />

in frequenza impensabili per<br />

l’epoca e soprattutto sconosciuta<br />

ai tweeter utilizzati<br />

nei mini<br />

diffusori del<br />

momento. Le<br />

differenze dai<br />

competitor<br />

dell’epoca erano<br />

evidenti anche<br />

in funzione<br />

dei materiali utilizzati<br />

e delle dimensioni<br />

del prodotto: non più una<br />

“scatola di scarpe” (peraltro brutta<br />

e sgraziata come una scatola di<br />

scarpe) ma un mobile robusto,<br />

bello e ben fatto con effetti anche<br />

importanti sulla qualità della riproduzione.<br />

Il mobile e i materiali,<br />

di fatto, rendevano il sistema più<br />

“inerte” di quello dei BBC o dei<br />

Tablette. Da notare che anche<br />

Jim Rogers propose i suoi “cilindroni”<br />

(i Rogers JR149 con forma<br />

cilindrica in alluminio) che esprimevano<br />

la necessità di evoluzione<br />

e di distacco dai canoni estetici e<br />

funzionali iniziali.<br />

Certo quelle condizioni (di fermento<br />

culturale, di necessità di<br />

rompere con un passato declinato<br />

a partire da diffusori di enormi dimensioni<br />

mutuati inizialmente da<br />

quelli delle sale cinematografiche<br />

ma anche in seguito soggetti all’equazione<br />

“grande è bello”... anche<br />

quando non è possibile!) oggi non<br />

sono replicabili; la rivoluzione,<br />

semmai, vola sulle ali delle nuove<br />

forme di fruizione della musica e,<br />

semmai, un diffusore “di rottura”<br />

sarebbe (o “è”, visto che ne sono<br />

comparsi alcuni) un sistema biamplificato<br />

controllato da DSP,<br />

anche se poco accetto dai canoni<br />

Hi-Fi. Né lo “sbuffo” utilizzato da<br />

Serblin sulle pareti laterali del mobile<br />

per contenere il woofer Seas<br />

da 14 cm (e che sarebbe diventato<br />

un marchio di fabbrica) potrebbe<br />

avere oggi particolare impatto dal<br />

punto di vista estetico mentre da<br />

quello tecnico esistono altoparlanti<br />

che non necessitano di tali<br />

servitù.<br />

Il condotto reflex è<br />

collocato in asse al pannello<br />

posteriore verso l’alto<br />

quasi filo con una ampia<br />

svasatura che si raccorda al<br />

rivestimento in simil pelle e<br />

un sottile strato di materiale<br />

poroso fonoassorbente<br />

posto all’altra estremità<br />

all’interno del mobile, che<br />

riduce soffi e turbolenze nel<br />

condotto. I morsetti sono<br />

avvitati al filo del pannello<br />

abbastanza distanziati e a<br />

filo del pannello rendendo<br />

possibile il collegamento in<br />

bi-wiring anche con cavi di<br />

gradi dimensioni.<br />

Che cosa sono allora gli attuali<br />

Minima Amator II? Si tratta<br />

di una versione strettamente<br />

fedele all’originale nel volume e<br />

nelle dimensioni che utilizza ancora<br />

come materiale del cabinet il<br />

noce massello (fronte e retro sono<br />

in MDF rivestiti in similpelle), se<br />

si eccettua la sottile lamina in ottone<br />

inserita ad altezza della base<br />

che si raccorda con la morsettiera<br />

in ottone posta sul retro del diffusore.<br />

Eccellenti le lavorazioni<br />

di ebanisteria anche se si perde<br />

molto di quella che era una esecuzione<br />

che la vulgata voleva realizzata<br />

a mano e che ora è quella<br />

di un prodotto industriale, seppur<br />

di classe, ma più ordinario. Differenti<br />

sono ovviamente gli altoparlanti,<br />

comunque di ottima fattura:<br />

il tweeter, a differenza di altre serie,<br />

sembra “rispondere” pienamente<br />

alla denominazione DAD<br />

Damped Apex Dome in quanto<br />

l’ogiva tocca la membrana anche<br />

se direttamente, senza l’adozione<br />

di materiale smorzante (il che<br />

mette in discussione il termine<br />

Damped ma molto meno rispetto<br />

ai modelli in cui l’ogiva non<br />

toccava la membrana). Il woofer,<br />

anch’esso proprietario, utilizza un<br />

cono in polpa di cellulosa e fibre<br />

naturali con cestello in alluminio<br />

pressofuso. Il corssover, invece,<br />

ricalca un’impostazione con un<br />

andamento a bassa pendenza<br />

intorno alle frequenze di incrocio<br />

per attuare successivamente un<br />

taglio con pendenza più elevata,<br />

una tecnica sviluppata negli ultimi<br />

anni. Si nota anche l’adozione di<br />

componenti di elevata qualità e<br />

cavi semirigidi saldati ai morsetti<br />

degli altoparlanti. Sul fondo dei<br />

diffusori ci sono quattro piccoli<br />

piedini che consentono di appoggiarli<br />

sul ripiano del piedistallo<br />

senza rischi di graffi; se si scelgono<br />

gli stand della casa potrete fissarli<br />

tramite due opportune viti, permettendo<br />

così un’installazione più<br />

sicura. Va comunque tenuto conto<br />

del costo di tali stand (1.500 euro),<br />

composti da colonne di alluminio<br />

anodizzato riempito di materiale<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 71


SELECTOR<br />

Il tweeter ha il gruppo magnetico in neodimio<br />

al cui interno è presente una camera di<br />

risonanza. L’altoparlante è incollato su una<br />

piccola flangia che sostiene il supporto a tre<br />

razze con l’ogiva al vertice che tocca al centro<br />

della membrana a cupola, variando così le<br />

caratteristiche di emissione e dispersione<br />

all’estremo superiore.<br />

I componenti sono saldati su un PCB molto<br />

ampio avvitato sulla parete laterale del mobile.<br />

Lo schema è a multi-pendenza, blanda in<br />

prossimità dell’incrocio e alta successivamente.<br />

I condensatori sono ClarityCap marchiati Sonus<br />

faber e sul tweeter sono installati sia in serie<br />

al cavo positivo che in serie a quello di massa.<br />

Il woofer ha un cestello in<br />

alluminio pressofuso a tre<br />

doppie razze con una<br />

flangia di ancoraggio<br />

ridotta su cui si fissa una<br />

ghiera in alluminio<br />

di raccordo con il<br />

pannello anteriore.<br />

L’equipaggio mobile<br />

a vista è di tipo a<br />

corsa lunga con<br />

diametro contenuto.<br />

smorzante e una base di marmo di<br />

Carrara, adatti per tutta l’attuale<br />

collezione heritage. Sul posizionamento<br />

si sono letti pareri tra i più<br />

vari: da chi consiglia distanze siderali<br />

(anche fino a due metri dalla<br />

parete di fondo) a chi al contrario<br />

propone 20/30 cm tra pannello<br />

posteriore e parete per cercare di<br />

rinforzare la gamma bassa e rendere<br />

il suono più esteso ed equilibrato.<br />

Noi abbiamo optato per una<br />

via di mezzo, assai vicina a quella<br />

canonica utilizzata con altri diffusori<br />

di piccole dimensioni.<br />

La session di ascolto è cominciata<br />

con il Messiah di Haendel (versione<br />

Hogwood Oiseau Lyre/Decca)<br />

che mette in luce la riproposizione<br />

di voci soliste ben stabili al centro<br />

della scena e l’orchestra distribuita<br />

a semicerchio in un eccellente<br />

equilibrio di livello di volume, proporzioni<br />

e distribuzione dei diversi<br />

piani sonori; un’ottima scena tridimensionale.<br />

Le evoluzioni delle<br />

voci femminili e maschili sono<br />

riprodotte con ricchezza di dettagli,<br />

senza che lo spettacolo sonoro<br />

perda di controllo o si presentino<br />

indurimenti nei momenti più sostenuti.<br />

I diffusori mostrano una<br />

discreta capacità nell’evidenziare<br />

le differenti caratteristiche delle<br />

registrazioni ascoltate: in A Distortion<br />

of Love di Patricia Barber<br />

(MFSL - vinile) l’atmosfera è volutamente<br />

cupa e la voce molto lontana<br />

e acuta. Tutt’altra atmosfera,<br />

calda e avvolgente, viene proposta<br />

con una voce femminile differente<br />

in New Moon Daughter (Cassandra<br />

Wilson - Blue Note vinile). Si<br />

ha però l’impressione che manchi<br />

un po’ di ariosità, come se il<br />

patrimonio armonico non appaia<br />

completo. È pur vero, però, che il<br />

diffusore è abbastanza sensibile<br />

dell’abbinamento: nel confronto<br />

tra amplificazioni a stato solido<br />

e valvolare i Minima preferiscono<br />

queste ultime; con il Conrad<br />

72 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019


TEST SONUS FABER MINIMA AMATOR II<br />

al banco di misura<br />

PRO & CONTRO<br />

Impeccabili l’esecuzione e la scelta dei<br />

componenti. Discutibile l’inserto in ottone<br />

che richiama gli Electa ma che nel loro<br />

caso aveva lo scopo funzionale di separare<br />

il marmo del legno; qui non ha alcun senso<br />

funzionale e al più potrebbe “indebolire”<br />

la struttura. Eccellenti le lavorazioni<br />

di ebanisteria anche se, nonostante sia<br />

stato utilizzato legno massello, si perde<br />

molto di quella che era una esecuzione<br />

smaccatamente artigianale virando su un<br />

prodotto semi-industriale, di classe ma<br />

con minor appeal.<br />

Johnson MV50, ad esempio, grazie<br />

anche alla sua calda luminosità,<br />

il suono dei Minima Amator<br />

II diviene più affascinante e ricco,<br />

per timbro e contenuto armonico.<br />

Buona la luminosità della scena<br />

sonora, con un basso rotondo e discretamente<br />

profondo, nell’ascolto<br />

a volume moderato; se si passa<br />

a volumi sostenuti, invece, cominciano<br />

a venire fuori i limiti della<br />

categoria e del prodotto: il suono<br />

perde di precisione, si indurisce<br />

e risulta più compresso e con un<br />

punch limitato rispetto a diffusori<br />

con volumi interni maggiori sebbene<br />

in un range di prezzo simile.<br />

In alcuni abbinamenti abbiamo<br />

notato delle vere idiosincrasie,<br />

soprattutto con partner non di<br />

alto rango, mentre le performance<br />

migliori si ottengono con amplificazioni<br />

almeno di pari rango.<br />

Nel complesso, dal punto di vista<br />

sonoro, sebbene il paragone con<br />

le precedenti versioni vada fatto<br />

a memoria o attraverso le molte<br />

vecchie recensioni, si potrebbe affermare<br />

che i Minima originali e<br />

quelli attuali riflettano due scuole<br />

di pensiero differenti. In tal senso<br />

ma anche oltre, come vedremo<br />

a breve, il termine Heritage (patrimonio)<br />

va inteso più che come<br />

La risposta è abbastanza lineare ed estesa con una dispersione<br />

fuori asse tipica dei trasduttori con cupola di<br />

grande diametro. L’impedenza, seppur intorno ai 4 Ohm,<br />

non scende mai sotto tale valore e si presenta come<br />

un carico facilmente abbinabile anche con diffusori di<br />

bassa potenza, sebbene la sensibilità non altissima e<br />

una bona tenuta in potenza del sistema suggeriscono<br />

l’utilizzo con finali ad alta corrente. La frequenza di<br />

incrocio elettrica si attesta sopra i 2.5 kHz e può essere<br />

un’opportunità per l’adozione di un bi-wiring o la<br />

biamplificazione passiva.<br />

un’eredità da tramandare come<br />

un coacervo di elementi che sono<br />

la base e lo stimolo per una evoluzione.<br />

Non si può, infatti, non<br />

tenere conto dei differenti periodi<br />

storici di riferimento in cui le due<br />

versioni sono state ideate sebbene<br />

la prima stabilisca le linee guida<br />

per la seconda. Allo stesso tempo<br />

va letta in una prospettiva dinamica<br />

l’affermazione presente sul<br />

comunicato stampa di presentazione<br />

della versione odierna: “Non<br />

c’è futuro senza passato”. Essa va<br />

intesa, appunto, come la fotografia<br />

di un costante work in progress,<br />

una evoluzione naturale e non<br />

un déjà vu, gentile concessione ai<br />

nostalgici...<br />

Premesso che già in origine i Minima<br />

Amator erano molto differenti<br />

dai Minima, il senso del progetto è<br />

comunque mutato in larga misura<br />

visto che il crossover è diverso<br />

così come i punti di lavoro degli<br />

altoparlanti. In senso assoluto ciò<br />

non costituisce un limite, anzi:<br />

ben vengano le “rielaborazioni”<br />

stimolate dallo spirito iniziale.<br />

Se proprio, verrebbe da chiedersi<br />

quanto sia rimasto di quello spirito,<br />

in particolar modo oggi che si<br />

dispone di una tecnologia e di un<br />

processo produttivo molto più efficace<br />

che in passato – interrogativo<br />

che porterebbe ad altri dubbi:<br />

quello spirito è stato tradito? Se<br />

si, in cosa? L’averlo soverchiato<br />

può essere considerato un atto di<br />

coraggio?<br />

Al netto delle emozioni (al potenziale<br />

utente il compito di<br />

decidere se attingervi o meno) i<br />

Sonus faber Minima Amator II si<br />

inseriscono nel segmento dei mini<br />

diffusori di lusso in un parterre<br />

di concorrenti con prestazioni<br />

che risultano perlomeno in linea<br />

e dove, per paradosso, rispetto<br />

ai discorsi precedentemente accennati<br />

il valore in più è proprio<br />

nel maggior spessore della storia<br />

che c’è dietro e nel fatto, sempre<br />

in prospettiva storica, che a distanza<br />

di 27 anni dall’originale<br />

(1.870.000 lire) il prezzo richiesto<br />

non appare eccessivo per un prodotto<br />

“fatto artigianalmente secondo<br />

il saper fare italiano”.<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 73


SELECTOR<br />

di Vittorio Pio<br />

Solo per (i tuoi) occhi jazz<br />

Passione, amore e bellezza sono coniugati nella filosofia della Newvelle Records, ambiziosa label francese<br />

che nel giro di soli quattro anni ha istituito un nuovo standard di eccellenza, grazie alle sue pubblicazioni in<br />

edizione limitata ed esclusive per foggia e contenuto, che possono essere ordinate solo per corrispondenza.<br />

Sei album l’anno di composizioni<br />

rigorosamente<br />

originali per filosofia<br />

aziendale; la tiratura è di 1.000<br />

copie per ciascuno e i clienti<br />

arrivano logicamente da tutto<br />

il mondo. Quella in atto è la<br />

quarta stagione e l’abbonamento<br />

risulta alquanto impegnativo:<br />

400 dollari senza scelta, o<br />

si compra tutta la produzione<br />

senza possibilità di pre-ascolto<br />

o si è fuori. Ma ogni album è<br />

confezionato con una cura che<br />

Il “guru” del suono Marc Urselli.<br />

rasenta la maniacalità, utilizzando<br />

i migliori materiali di<br />

stampa, grammatura pesante,<br />

vinili sensualmente chiari e una<br />

grafica coerente per pulizia e<br />

suggestione al linguaggio jazz.<br />

Il tutto al servizio di una dinamica<br />

calda e avvolgente, che si<br />

avvale delle migliori strumentazioni<br />

analogiche messe a punto<br />

dal “guru” del suono Marc<br />

Urselli. Un’esperienza anche<br />

tattile che difficilmente può essere<br />

dimenticata, riassunta qui<br />

da Elan Mehler, il co-fondatore<br />

dell’etichetta, anch’egli musicista<br />

di jazz. Dopo un periodo<br />

molto intenso a New York nel<br />

2010 si è trasferito a Parigi per<br />

iniziare questa nuova e avvincente<br />

sfida: “Abbiamo fondato<br />

l’etichetta nel 2015, anni belli<br />

e vorticosi che sono passati in<br />

un battibaleno. Ho incontrato il<br />

mio futuro socio Jean Cristophe<br />

Morriseau giusto qualche tempo<br />

prima, l’occasione era quella<br />

di fargli delle lezioni di piano.<br />

Dopo aver fantasticato un po’<br />

siamo scesi nei dettagli, riuscendo<br />

a individuare e pubblicare<br />

il nostro primo disco con<br />

Frank Kimbrough. L’idea nasce<br />

dall’offrire ai musicisti coinvolti<br />

la piena proprietà dei master<br />

registrati; in cambio chiediamo<br />

di pazientare almeno due anni<br />

prima di ristampare quella<br />

stessa musica in qualunque altro<br />

formato dal momento che il<br />

lavoro in questione farà parte<br />

della nostra serie limitata in vinile,<br />

che si può acquistare solo<br />

attraverso il nostro sito. Abbiamo<br />

una grande considerazione<br />

della musica e dell’arte in cui<br />

confluisce. In questa maniera<br />

i musicisti coinvolti vengono<br />

pagati in anticipo e in più<br />

mantengono anche la loro opera<br />

d’ingegno”. L’interesse della<br />

comunità jazzistica è stato notevole<br />

e molti musicisti hanno<br />

manifestato l’intenzione di registrare<br />

con Newvelle. Tutto si<br />

sta sviluppando rapidamente e<br />

nella prossima stagione faranno<br />

parte dell’avventura la stella<br />

nascente Sullivan Fortner, Dave<br />

Douglas, Anat Cohen, Jenny<br />

Scheinman, Chris Cheek e Kurt<br />

Elling fra molti altri.<br />

74 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019


Amato mio LP<br />

Elan Mehler, il co-fondatore di Newvelle Records.<br />

Qualcuno ha detto che per<br />

essere un buon produttore,<br />

occorre giocare di squadra,<br />

anche se ognuno possiede<br />

una diversa interpretazione<br />

di ciò che dovrebbe essere<br />

o fare con il suo ruolo. Tu<br />

oltre a farlo, suoni anche:<br />

è più importante essere un<br />

grande ascoltatore o un<br />

buon musicista?<br />

Scelgo senza ombra di dubbio la<br />

prima ipotesi. Quando suoni sei<br />

troppo coinvolto emotivamente:<br />

se fai un passo indietro resti<br />

certamente più lucido. Il mio<br />

ruolo è essenzialmente quello<br />

di chi lima i dettagli e cura i<br />

particolari.<br />

Newvelle è una label ancora<br />

molto giovane che ha avuto<br />

a che fare con artisti già<br />

molto affermati come Bill<br />

Frisell, Jack DeJohnette,<br />

Kenny Werner, Dave<br />

Douglas, Tim Berne, Dave<br />

Liebman: in questo caso<br />

pensi sia utile mostrare la<br />

tua personalità o è meglio<br />

restare quasi invisibili<br />

lasciando che la creatività<br />

fluisca?<br />

Newvelle per me ha imposto<br />

una nuova filosofia, mettendo<br />

a disposizione per quel profilo<br />

ideale di artista capace di<br />

esprimere veramente se stesso<br />

delle tele preziose e tutte da affrescare.<br />

Ogni anno si possono<br />

profilare uno o due progetti che<br />

potrei assemblare direttamente<br />

o su cui potrei dire una parola<br />

in più ma per la maggior parte<br />

del tempo cerco di stare fuori<br />

dalla mischia e di essere certo<br />

che i musicisti siano alimentati<br />

da buone energie.<br />

Come avete messo a punto<br />

e calibrato il vostro suono<br />

e come si innesca un nuovo<br />

progetto in Newvelle?<br />

Il suono è una delle nostre peculiarità<br />

principali ed è nient’altro<br />

che il risultato delle scelte e della<br />

maestria del nostro insostituibile<br />

ingegnere del suono Marc<br />

Urselli, e di ciò che di sensazionale<br />

riesce a ottenere presso<br />

l’East Side Sound di New York,<br />

dove ogni nostro disco viene registrato<br />

e mixato con una catena<br />

in cui il segnale si diffonde in<br />

maniera estremamente chiara<br />

e corta. Le scelte dei musicisti<br />

sono assolutamente personali:<br />

adesso che siamo abbastanza<br />

conosciuti, ho veramente l’imbarazzo<br />

della scelta. Ci sono<br />

davvero tanti fantastici musicisti<br />

che ambirebbero a lavorare<br />

con noi. Ho una tendenza personale<br />

verso musica più melodica<br />

o lirica ma queste sono parole<br />

dalle sfumature così estese che<br />

temo di non riuscire a evidenziare<br />

il significato più consono.<br />

Penso che la coerenza con i miei<br />

gusti musicali e scelte personali<br />

aiuterà Newvelle a mantenere la<br />

sua identità e tutto ciò che oggi<br />

la rende già così originale.<br />

A proposito, cosa pensi della<br />

scena contemporanea?<br />

Penso che ci sia molta musica<br />

creativa e brillante in giro: dovremmo<br />

essere tutti là fuori ad<br />

ascoltare e a intercettare talenti.<br />

Si può ipotizzare un<br />

recupero dei bei tempi<br />

andati in cui le etichette<br />

più note potranno essere<br />

nuovamente protagoniste<br />

nello scoprire e valorizzare<br />

giovani talenti?<br />

È molto difficile ipotizzare<br />

qualcosa per il futuro, almeno<br />

adesso. Chi può dire quale sarà<br />

il prossimo modello per l’industria<br />

discografica? Abbiamo<br />

visto come internet nelle sue<br />

applicazioni o effetti inerenti la<br />

musica abbia avuto lo stesso effetto<br />

di una gigantesca meteora<br />

abbattutasi sulla terra. Al momento<br />

c’è ancora così polvere<br />

in aria che nessuno è capace<br />

di scorgere il nuovo profilo del<br />

territorio che si vedrà una volta<br />

che si saranno diradati gli ultimi<br />

granelli. Nel frattempo c’è sempre<br />

bisogno di nuovi modelli e<br />

alternative, in modo da registrare<br />

e immettere sul mercato la<br />

migliore musica possibile.<br />

In tutta questa euforia si<br />

può immaginare quale<br />

potrebbe essere un disco<br />

che già sogni di poter<br />

produrre e pubblicare o sei<br />

già soddisfatto così?<br />

Mi ritengo già un privilegiato<br />

per aver avuto la chance di lavorare<br />

con molti dei miei eroi, fra<br />

cui Bill, Jack, Frank, Dave, Kenny,<br />

Tim ma anche John Patitucci,<br />

Kevin Hays, Lionel Loueke e<br />

ancora troppi altri da dover nominare,<br />

per cui non mi sentirei<br />

troppo a mio agio nel desiderare<br />

a occhi aperti. Là fuori ci sono<br />

tanti ottimi musicisti che conosco<br />

da anni ma che ancora non<br />

hanno ricevuto la giusta considerazione<br />

e che meritano una<br />

buona chance con noi: il fatto<br />

di riuscirgli a confezionare l’ideale<br />

cornice espressiva anche<br />

dal punto di vista etico mi rende<br />

parecchio euforico.<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019 75


SELECTOR<br />

a cura di Carlo D’Ottavi<br />

GEORG FRIEDRICH HAENDEL:<br />

BROKES-PASSION<br />

Richard Egarr dir. Orchestra e<br />

Coro Academy of Ancient Music<br />

Solisti vari<br />

AAM records AAM007<br />

Questa uscita, nel formato<br />

CD (3) o Hi-Res<br />

FLAC 96/24, celebra il<br />

300° anniversario della grande<br />

passione di Brockes musicata,<br />

in forma di Oratorio, da<br />

G.F.Handel: un capolavoro<br />

a lungo trascurato di questo<br />

geniale compositore. Richard<br />

Egarr e l’Accademy of Ancient<br />

Music sono affiancati da<br />

un notevole cast di solisti tra i<br />

quali spiccano i tenori Robert<br />

Murray, Gwilym Bowen e Nicky<br />

Spence, il baritono Cody<br />

Quattlebaum, le soprano Elizabeth<br />

Watts e Ruby Hughes<br />

e il contro-tenore Tim Mead.<br />

L’originale di Handel è da tempo<br />

perduto e le varie pubblicazioni<br />

in CD, anche recenti, non<br />

sono mai state il risultato di<br />

una ricostruzione così attenta<br />

e metodica come è stato fatto<br />

in questo caso. Per dire del<br />

successo del lavoro di Brockes:<br />

il testo fu messo in musica non<br />

solo da Haendel nel 1719 ma<br />

anche da Reinhard Keiser, Johann<br />

Matheson, Georg Philipp<br />

Telemann e persino da Johan<br />

Sebastian Bach che ne utilizzò<br />

diversi numeri per la sua Johannes<br />

Passion, spingendosi<br />

a utilizzare direttamente alcuni<br />

pezzi musicati da Haendel<br />

nel “pastiche” della Passione<br />

secondo Marco, peraltro andata<br />

persa.<br />

Per creare questa nuova edizione<br />

l’Accademy of Ancient Music<br />

si è avvalsa di un team di<br />

studiosi e musicologi delle Università<br />

di Oxford, Cambridge,<br />

del King’s College di Londra e<br />

altri studiosi, che hanno affiancato<br />

nelle ricerche il direttore<br />

musicale Richard Egarr e il redattore<br />

Leo Duarte. Consultando<br />

15 fonti di manoscritti<br />

provenienti da 11 collezioni in<br />

5 paesi, hanno prodotto l’edizione<br />

più sostanziale di questo<br />

lavoro, incluse appendici movimenti<br />

extra; Charles Jennens si<br />

è invece dedicato a una parziale<br />

traduzione inglese nelle<br />

loro registrazioni in anteprima<br />

mondiale. Un opuscolo deluxe<br />

di 220 pagine accompagna<br />

questa pubblicazione, con note<br />

complete, la prima versione<br />

contemporanea del testo originale<br />

nello stile antico gotico<br />

detto Kurrentschrift accanto al<br />

moderno libretto tedesco, una<br />

nuovissima traduzione inglese<br />

e molto altro.<br />

Questo album è forse quello che<br />

maggiormente si avvicina allo<br />

spirito di questo testo. L’opera,<br />

che comprende 117 numeri è un<br />

susseguirsi incalzante di arie,<br />

cori, corali, ariosi e recitativi,<br />

caratterizzata da una marcata<br />

teatralità, libera da lentezze e<br />

tempi morti. In particolare,<br />

spicca la varietà melodica delle<br />

arie, sostenute da magnifici<br />

accompagnamenti strumentali.<br />

La soprano Elizabeth Watts<br />

prende le luci della ribalta<br />

nei panni della Figlia di Sion,<br />

con il tenore Robert Murray e<br />

il baritono basso Cody Quattlebaum<br />

che interpretano rispettivamente<br />

l’Evangelista e<br />

Cristo, tra gli altri. L’Orchestra<br />

e il coro di AAM hanno<br />

registrato questa nuova uscita<br />

in occasione dell’anniversario,<br />

il Venerdì Santo alla Barbican<br />

Hall di Londra. L’esplorazione<br />

e la riscoperta della Brockes-<br />

Passion di Handel è stato un<br />

affascinante viaggio di scoperta<br />

che è solo l’inizio, nell’era moderna,<br />

di questa grande opera<br />

di Handel. Un’opera per certi<br />

versi spiazzante, musicalmente<br />

e testualmente, che spezza un<br />

po’ il monopolio nel genere del<br />

grande contemporaneo J. S.<br />

Bach. L’etichetta AAM Records<br />

altro non è che una costola di<br />

quella Oyseau Lyre dedita, soprattutto,<br />

alla musica barocca<br />

del Sei-Settecento, entrata a far<br />

part negli anni Ottanta del secolo<br />

scorso della famiglia Decca, e<br />

si caratterizza per una costante<br />

e assidua ricerca filologica alla<br />

ricerca di spartiti originali, nella<br />

prassi esecutiva, avvalendosi<br />

dei migliori ingegneri e tecnici<br />

del suono che hanno reso famosa<br />

in tutto il mondo la grande<br />

casa londinese. La AAM Records<br />

si sta muovendo sulla scia di altre<br />

orchestre famose come quella<br />

dei Berliner Symphoniker o della<br />

Los Angeles Orchestra, alla ricerca<br />

di una maggiore indipendenza<br />

artistica e creativa, allentando gli<br />

stretti legami e ritmi imposti delle<br />

major discografiche.<br />

Su www.prestomusic.com/classical<br />

a 48 euro.<br />

76 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019


Secondo noi la classica<br />

DMITRI SHOSTAKOVIC<br />

SINFONIA N°4<br />

Gianandrea Noseda Dir.<br />

London Symphony Orchestra<br />

LSO Live - LSO0832<br />

Quest’opera, disponibile<br />

in CD e file Hi-<br />

Res 24/96, è il punto<br />

d’arrivo della prima fase<br />

creativa di Shostakovic come<br />

compositore: un inizio sfolgorante,<br />

contrassegnato da una<br />

formazione artistica e intellettuale<br />

che si era grandemente<br />

arricchita a stretto contatto<br />

con le tendenze musicali più<br />

avanzate che avevano animato<br />

gli anni Venti. Dopo aver<br />

esordito brillantemente come<br />

pianista nel 1925, Shostakovic<br />

abbandonò l’attività concertistica<br />

per privilegiare la composizione<br />

e già il 12 maggio 1926<br />

trionfò a Leningrado con la<br />

sua Sinfonia n. 1. Una sinfonia<br />

ricca di idee, dalla geniale<br />

estrosità del linguaggio alla<br />

freschezza e spontaneità d’invenzione<br />

ai moduli stilistici vivaci<br />

ed aggressivi, sottolineati<br />

da armonie dissonanti, da sonorità<br />

asciutte e incisive, nonché<br />

da una ritmica angolosa e<br />

aspra, che pose Shostakovic<br />

tra i compositori più in vista<br />

della nascente musica sovietica<br />

accanto a Prokofiev, tanto<br />

per dirne il livello. Fu l’inizio<br />

di una vulcanica produzione in<br />

cui il compositore mostrò uno<br />

spiccato interesse per le esperienze<br />

multiformi dell’avanguardia<br />

europea dal futurismo<br />

all’espressionismo, pur risultando<br />

altrettanto palese il suo<br />

impegno per un’arte “antiborghese<br />

e rivoluzionaria” sia nei<br />

contenuti che nelle forme. Tra<br />

queste l’opera Lady Macbeth<br />

del distretto di M’censk la cui<br />

prima fu eseguita in contemporanea<br />

a Leningrado e Mosca<br />

il 22 gennaio 1934 - un vistoso<br />

successo al quale seguirono un<br />

centinaio di repliche non solo<br />

nella madrepatria ma anche<br />

nel resto d’Europa e negli USA.<br />

Passano solo due anni e il clima<br />

nell’URSS cambia drasticamente:<br />

la Pravda bolla l’opera<br />

come “Confusione invece di<br />

musica”. L’articolo, non firmato<br />

ma probabilmente suggerito<br />

da Stalin, accusa l’opera di formalismo,<br />

in sostanza di essere<br />

un’espressione dell’ideologia<br />

borghese. Altri lavori furono<br />

analogamente accusati di mancanza<br />

di melodia e passione.<br />

Questi attacchi improvvisi e<br />

violenti sconvolsero Shostakovic,<br />

definito un artista nemico<br />

del popolo, al punto di temere<br />

per la propria vita. Le sue opere<br />

uscirono dai cartelloni dei teatri<br />

russi e Shostakovic decise<br />

di ritirare anche la sua Quarta<br />

Sinfonia completata<br />

nel 1936. La conseguenza<br />

ineluttabile dell’ostracismo<br />

inflitto a Shostakovic nel<br />

1936 fu, per il compositore,<br />

l’abbandono di qualunque<br />

iniziativa creativa nell’ambito<br />

della grande forma teatrale.<br />

La vicenda occorsa alla Quarta<br />

Sinfonia fu il punto di<br />

rottura con le ambizioni della<br />

giovinezza. Furono necessari<br />

più di venticinque anni prima<br />

che si creasse una situazione<br />

favorevole a una esecuzione<br />

pubblica. La Sinfonia fu<br />

tuttavia eseguita per la prima<br />

volta soltanto il 30 dicembre<br />

1961, nella Sala Grande<br />

del Conservatorio di Mosca<br />

dall’Orchestra Filarmonica<br />

di questa città diretta da Kiril<br />

Kondrasin. La Sinfonia è<br />

formata da tre soli movimenti.<br />

Il primo, Allegretto poco<br />

moderato, è un brano<br />

d’andamento rapsodico in<br />

cui compaiono ampie sezioni<br />

solistiche per gli ottoni, di<br />

carattere continuamente<br />

mutevole, ora magniloquente,<br />

ora ironico, ora lirico. Il<br />

secondo tempo, Moderato<br />

con moto, è il più breve e ha il<br />

carattere di uno scherzo. Il terzo<br />

e ultimo movimento, Largo,<br />

Allegretto, si articola in cinque<br />

sezioni; la prima è una marcia<br />

di tono lugubre e grottesco;<br />

la seconda è basata sulla ripetizione<br />

di un breve inciso<br />

ostinato; la terza è una sorta<br />

di valzer viennese deformato;<br />

la quarta si affida a sonorità<br />

clownesche dei fiati; la quinta<br />

è invece di tono più sereno, e si<br />

apre con un corale culminante<br />

in una grande perorazione<br />

a piena orchestra. Una lunga<br />

Coda ripropone, ancora una<br />

volta, la reminiscenza dell’idea<br />

primigenia con gli accenti solistici<br />

della tromba e i reiterati<br />

arpeggi della celesta, la Quarta<br />

Sinfonia esaurisce tutta la<br />

sua carica espressiva nella<br />

dissolvenza del “morendo” di<br />

rara emozione e magnificenza.<br />

Questa è la terza registrazione<br />

nel progetto del ciclo di<br />

Shostakovich dell’LSO con il<br />

loro principale direttore ospite<br />

Noseda e fa seguito all’interpretazione<br />

della ottava sinfonia<br />

elogiata per l’intensità e<br />

profondità dell’esecuzione. In<br />

questo capitolo, eseguito nel<br />

novembre 2018 nella sala del<br />

Barbicane a Londra, appare<br />

evidente come ogni nota è stata<br />

resa palpitante e raffinata,<br />

non mancando di sottolineare i<br />

climax con dinamiche e volumi<br />

impressionanti.<br />

Su: https://lsolive.lso.co.uk/<br />

collections/flac/products/<br />

shostakovich-symphony-no-<br />

4-download<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019 77


SELECTOR<br />

di Marco Fullone<br />

Battisti come non l’avete mai ascoltato...<br />

per davvero!<br />

Quando ascoltai per la prima volta le stampe di prova in vinile di “Masters Vol. 1” di Lucio Battisti rimasi<br />

seriamente impressionato, forse mi aspettavo il solito remaster farlocco a cui spesso ci ha abituato la<br />

discografia ma in questo caso - davvero - mi resi conto che Battisti così non lo avevo mai ascoltato. Poi è<br />

arrivato Masters Vol. 2.<br />

In quel periodo la Sony stava<br />

alacremente lavorando<br />

sul progetto denominato<br />

“Archivio del Suono” improntato<br />

al recupero e restauro del<br />

mitico catalogo della RCA, Numero<br />

Uno, Ricordi, una sfida<br />

non da poco considerando che<br />

alcuni dei nomi più importanti<br />

della storia musicale italiana<br />

(Battisti, De Andrè, Dalla,<br />

PFM, Banco, Baglioni, etc.)<br />

erano parte integrante di questo<br />

imponente lavoro di studio.<br />

Finalmente il prezioso archivio<br />

dei nastri (trasferito in Germania<br />

quando la BMG comprò la<br />

RCA e le etichette correlate)<br />

fu oggetto di un vero lavoro di<br />

remastering digitale partendo<br />

proprio dai master originali<br />

registrati da Battisti. Di fatto<br />

era la prima volta che si operava<br />

sui nastri multi-traccia<br />

probabilmente dei tempi in<br />

cui vennero registrati dall’artista,<br />

anche perché nel periodo<br />

delle prime stampe su CD vennero<br />

utilizzati i master stereo<br />

già mixati. Quello che emerse<br />

con “Masters” era chiaro più<br />

che mai: Battisti non era solo<br />

78 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019


Amato mio LP<br />

uno straordinario autore di<br />

canzoni ma anche un musicista<br />

raffinato e un produttore,<br />

arrangiatore sempre alla<br />

ricerca di qualcosa di nuovo e<br />

originale.<br />

Una piccola grande conquista<br />

è stata comunque l’apparizione<br />

del catalogo (a esclusione<br />

degli ultimi album con Panella<br />

– quelli con la copertina bianca<br />

per capirci) sulle principali<br />

piattaforme di streaming e<br />

vendita online come iTunes,<br />

Apple Music, Spotify, Qobuz,<br />

in una data fatidica, il 29 settembre.<br />

Una conquista per la<br />

cultura musicale italiana e per<br />

il pubblico (soprattutto per i<br />

più giovani) che finalmente<br />

possono ascoltare Battisti anche<br />

con i nuovi e ormai sempre<br />

più diffusi dispositivi elettronici.<br />

La battaglia legale portata<br />

avanti da Mogol ha dato i suoi<br />

frutti e liberato il repertorio<br />

di Battisti una volta per tutte<br />

dopo tanti anni di attesa. Una<br />

scelta incomprensibile da parti<br />

degli eredi che non solo ha privato<br />

il grande pubblico della<br />

possibilità di ascoltare le<br />

canzoni di Battisti attraverso<br />

i nuovi canali della musica liquida<br />

ma ha portato sull’orlo<br />

del fallimento le edizioni Acqua<br />

Azzurra.<br />

Il secondo appuntamento<br />

con “Masters”, pubblicato in<br />

un bel box con 4 CD oppure<br />

su triplo LP, offre qualche<br />

spunto alternativo al box<br />

precedente che conteneva<br />

un concentrato di gran<br />

parte dei pezzi più famosi<br />

e amati. Si tratta quindi di<br />

una selezione “alternativa”<br />

con scelte sicuramente molto<br />

belle tra le album track del<br />

repertorio. Stano, però, che<br />

in questo caso si sia deciso<br />

di selezionare ulteriormente<br />

per la versione vinile solo<br />

28 brani contro i 48 del box<br />

CD. Probabilmente si tratta<br />

di una prima versione ridotta<br />

(anche di Masters 1 era stata<br />

pubblicata una versione a 3 LP<br />

in alternativa al box di 8) a cui<br />

seguirà una versione completa<br />

di 6 o 7 LP in boxset (vedremo<br />

se in vinile colorato). Magari<br />

a Natale!<br />

La qualità del suono è sorprendente,<br />

merito del lavoro fatto<br />

per riversare i nastri originali<br />

in digitale come già raccontato<br />

in passato, una tecnica utilizzata<br />

anche per le ristampe recenti<br />

di altri artisti Sony come<br />

Lucio Dalla, PFM, Banco, De<br />

Andrè, etc. Spiace, però, che<br />

sul piano dello streaming tutti<br />

questi lavori vengano proposti<br />

in definizione standard.<br />

Tralasciando Spotify o Apple<br />

Music che offrono un flusso<br />

simil mp3, gli album di Lucio<br />

Battisti su Qobuz sono offerti<br />

in vendita o in streaming in<br />

qualità CD, 16 bit / 44 kHz.<br />

Considerando che il remaster<br />

è stato fatto in alta definizione<br />

a 24 bit / 192 kHz gli appassionati<br />

si perdono una grande<br />

occasione di ascolto. Speriamo<br />

che in futuro la Sony decida di<br />

cambiare la propria politica<br />

commerciale e di marketing<br />

offrendo Battisti con audio<br />

realmente in alta definizione<br />

sebbene l’investimento in questo<br />

senso abbia portato fortuna<br />

alla serie di capolavori di<br />

casa RCA ristampati su vinile<br />

proprio utilizzando i master in<br />

HD. Anche in CD, comunque,<br />

l’upgrade è notevole rispetto al<br />

passato digitale di Battisti, merito<br />

dell’ingegnere del suono<br />

che ha processato le preziose<br />

bobine.<br />

Avere la possibilità, oggi, di<br />

riascoltare questo meticoloso<br />

lavoro di studio con una qualità<br />

e una trasparenza assolutamente<br />

inedite nella storia<br />

dell’artista è un’esperienza<br />

che mostra, una volta per tutte,<br />

la genialità e la ricchezza<br />

delle sue canzoni. Il paragone<br />

più banale lo si fa spesso<br />

pensando ai capolavori della<br />

pittura sui quali il tempo ha<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019 79


SELECTOR<br />

posato una patina che ha tolto<br />

vivacità ai colori, spento i<br />

dettagli e la raffinatezza dell’esecuzione.<br />

Il restauro, se ben<br />

eseguito, riporta all’originale<br />

splendore tali capolavori, un<br />

concetto applicabile senza<br />

tema di smentita anche al repertorio<br />

immortale di Battisti.<br />

E di questo ne ho parlato<br />

con Gaetano Ria, ingegnere<br />

del suono (all’epoca definito<br />

più semplicemente fonico) di<br />

alcuni degli album più belli tra<br />

il 1971 e il 1976, e con Alberto<br />

Radius, chitarrista e amico<br />

di sempre. Entrambi sono<br />

stati con Battisti in un periodo<br />

creativamente straordinario<br />

e, da quello che raccontano,<br />

Lucio passava molto tempo in<br />

studio. Alla luce di queste ultime<br />

importanti pubblicazioni<br />

del suo catalogo rimasterizzato<br />

molti fan dell’artista si chiedono<br />

ancora come mai non siano<br />

mai stati pubblicati brani<br />

inediti, versioni alternative, o<br />

magari qualcuna delle ormai<br />

leggendarie canzoni cantate in<br />

finto inglese. Così mi è sembrato<br />

logico chiedere a Ria e<br />

Radius come sia possibile che<br />

in questi nastri non sia stato<br />

trovato nulla di nulla. “Mah, io<br />

non ho mai sentito nulla”, sostiene<br />

Radius, “non penso esistano<br />

sui nastri della Ricordi<br />

o Numero1”. Anche Ria sembra<br />

cadere dalle nuvole. “Poi<br />

non so se la moglie di Lucio”,<br />

continua Radius, “conservi<br />

nastri con i provini o altro.<br />

Lucio amava molto provare<br />

nel suo studio di casa, molti<br />

dei suoi capolavori sono nati<br />

così! Poi lei era una che non si<br />

occupava assolutamente della<br />

parte artistica ma era molto<br />

presente in tutte le cose pratiche<br />

del marito”.<br />

Considerando l’ostracismo<br />

della famiglia Battisti nei<br />

confronti dell’avvento della<br />

musica digitale ma anche per<br />

qualsiasi iniziativa riguardi<br />

l’artista – tranne la pubblicazione<br />

di LP e CD che evidentemente<br />

era scritta nei contratti<br />

artistici – è facile immaginare<br />

che se mai esistano nastri con<br />

tali meraviglie probabilmente<br />

non li ascolteremo mai. Un<br />

vero peccato per la storia di<br />

Battisti, soprattutto se pensiamo<br />

a quanto si è fatto, scoperto<br />

e pubblicato in questi anni di<br />

artisti leggendari come Beatles,<br />

Dylan, Bowie, ecc. Chiaramente<br />

saccheggiare l’intimo di<br />

un artista non piace a nessuno<br />

ma esplorare e soprattutto<br />

magari conoscere la genesi di<br />

tanti suoi capolavori sarebbe<br />

un regalo enorme per i fan. Ho<br />

provato a farlo con le mie domande<br />

a queste due persone,<br />

bene introdotte nell’universo<br />

Battisti...<br />

Mi raccontate che metodo<br />

usava Battisti per le<br />

session in studio? Era<br />

davvero così meticoloso?<br />

GR Lucio era un perfezionista,<br />

arrivava in studio con in testa<br />

esattamente quello che voleva<br />

ottenere dai suoi musicisti,<br />

non amava improvvisare perché<br />

si preparava tutto nel suo<br />

studio di casa. Poi aveva un<br />

metodo tutto suo di suonare le<br />

varie parti ed esigeva che tutti<br />

i musicisti potessero vedersi in<br />

faccia e controllassero la sua<br />

mimica. Era un linguaggio in<br />

tempo reale in cui un cenno<br />

o una particolare espressione<br />

serviva a dare uno spunto a<br />

uno strumentista, a modificare<br />

un accordo o seguire un certo<br />

ritmo. Io stesso come fonico<br />

dovevo fare attenzione a che<br />

tutti potessero essere ben visibili<br />

organizzando di conseguenza<br />

lo studio.<br />

Che tipo di rapporto si<br />

instaurava sul piano<br />

tecnico della ripresa del<br />

suono?<br />

GR Beh Lucio all’inizio mi ha<br />

corteggiato per un po’ perché<br />

adorava il suono degli album<br />

di progressive che avevo già<br />

curato prima di lavorare con<br />

lui, ad esempio con la PFM.<br />

Era molto curioso e sempre attento<br />

alle innovazioni, amava<br />

anche sperimentare. Però era<br />

abbastanza chiuso sul piano<br />

della produzione artistica e<br />

non voleva intromissioni. Una<br />

volta mi permisi di suggerire<br />

80 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019


SELECTOR<br />

IL PIÙ ORIGINALE POSSIBILE<br />

Abbiamo chiesto a Bashar Shammout, sound engineer<br />

della dc1 GmbH – media & object digitisation<br />

(lo studio che sta digitalizzando il repertorio Sony<br />

Music proveniente dagli archivi RCA) qualche informazione<br />

sui metodi utilizzati per il remaster<br />

della discografia di Lucio Battisti.<br />

Puoi dirci esattamente come avviene il processo<br />

di trasferimento dei nastri dell’archivio<br />

originale della RCA?<br />

I nastri provengono principalmente da fonti analogiche<br />

e questi devono essere gestiti con cura speciale e<br />

correttamente. A seconda del tipo di nastro, è necessario<br />

un trattamento speciale come ripristino fisico<br />

o disidratazione. Dopo questo importante lavoro di<br />

restauro dei nastri, inizia il processo di digitalizzazione:<br />

in primis la corretta e assoluta regolazione<br />

del percorso di riproduzione, compresa la riduzione<br />

del rumore Dolby, se presente, e termina con la<br />

conversione analogica-digitale con un convertitore<br />

high-end. Infine, iniziano i processi di trattamento<br />

del suono, correzione e mastering e il master finale<br />

sarà controllato e poi rilasciato per la produzione.<br />

Che tipo di macchine utilizzate?<br />

Per la digitalizzazione utilizziamo diverse macchine<br />

di fascia alta, come Studer A827 24 tracce da<br />

un pollice, Studer A820 per 2 tracce e mezzo pollice,<br />

3M 32 tracce e 4 tracce da digitale a digitale,<br />

Mitsubishi X86. La conversione A/D viene eseguita<br />

con Yamaha Systems, convertitori “Kuhnle 8192”<br />

o “Weiss” dalla Svizzera. Il re-mastering viene eseguito<br />

con i componenti audio di fascia alta di Pro<br />

Tools, WaveLab, Sadie e altri sistemi di Steinberg.<br />

Se disponibili, immagino che usiate i nastri<br />

multi-traccia. In caso contrario rimasterizzate<br />

il nastro che contiene la traccia del mix stereo<br />

dell’epoca?<br />

Dall’esperienza di ascolto abbiamo notato che i lavori<br />

di rimasterizzazione più spettacolari si ottengono<br />

lavorando proprio sui multi-traccia e su un<br />

nuovo missaggio stereo o 5.1 (vedi King Crimson,<br />

Beatles, etc.) Sì, questo è spesso il caso, ma dipende<br />

ovviamente dalla disponibilità e dallo stato dei<br />

nastri. Purtroppo molti nastri multi-traccia si stanno<br />

deteriorando e richiedono un restauro speciale,<br />

anche perché non sempre vengono conservati in<br />

modo corretto in atmosfera controllata.<br />

Come vengono massimizzate le tracce? Per<br />

rispettare le dinamiche originali immagino che<br />

evitiate gli errori commessi in passato usando<br />

una compressione forzata o altri artifici.<br />

Sì, proviamo a rendere il suono “moderno” ma<br />

mantenendo il suono originale il più “originale”<br />

possibile. Questa è davvero una sfida per trovare<br />

il giusto equilibrio tra “originale” e “modernità”.<br />

L’anno scorso si è verificato un sensazionale caso<br />

di errore nel trasferimento da nastro analogico<br />

a digitale (parliamo del brano Heroes di David<br />

Bowie) ed è stato rilasciato il pezzo più iconico<br />

di un artista con un fastidioso cambio di<br />

volume e dinamica. Quando lavori su questi<br />

pezzi storici, non hai paura di fare degli errori?<br />

Fondamentalmente è come un restauro di un<br />

quadro di un pittore famoso.<br />

No, non temiamo questo genere di errori: abbiamo<br />

decenni di esperienza sul campo e stiamo lavorando<br />

con molta attenzione e con grande rispetto per<br />

il contenuto musicale. Heroes non è stato realizzato<br />

da noi, quindi non posso commentarlo.<br />

un cambio di tonalità su un arrangiamento<br />

di piano che non<br />

girava bene e lui mi disse che dovevo<br />

curarmi solo del suono, che<br />

il produttore e l’artista era lui. Poi<br />

in realtà seguì il mio consiglio.<br />

Che tipo di musicista era<br />

Lucio?<br />

AR Beh Lucio era un creativo<br />

ma spesso faceva fatica a<br />

mettere in pratica le sue idee<br />

in fatto di suoni o assoli. Si<br />

affidava a me magari strimpellando<br />

qualcosa (Radius lo<br />

imita canticchiando qualcosa<br />

e mimando con la chitarra una<br />

melodia improbabile e sbilenca)<br />

fino a quando io non intuivo<br />

cosa davvero aveva in mente.<br />

Sono nati così tanti pezzi<br />

di Lucio, a lui piaceva questa<br />

sinergia tra noi e io riuscivo a<br />

portare quel tiro rock che lui<br />

desiderava per le sue canzoni.<br />

Battisti è sempre apparso<br />

al pubblico timido e<br />

distaccato. Voi che ci<br />

passavate giornate intere<br />

assieme che ricordo avete?<br />

AR Era un simpaticone! Raccontava<br />

barzellette e amava<br />

scherzare. Con lui non ti annoiavi<br />

mai. Certo aveva un<br />

rapporto col pubblico un po’<br />

controverso e non amava essere<br />

importunato. All’apice<br />

della sua popolarità era difficile<br />

per lui andare in giro<br />

senza che qualcuno cercasse<br />

di parlargli o di farsi fare un<br />

autografo. Una volta – non ricordo<br />

se eravamo a Rimini – si<br />

era creata una piccola folla di<br />

fronte al ristorante dove stavamo<br />

cenando. Tutti spingevano<br />

per vedere Lucio, spingevano a<br />

tal punto che la vetrina cadde<br />

finendo in mille pezzi. Per un<br />

pelo non ci colpì!<br />

82 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019


SELECTOR<br />

di Vittorio Pio<br />

Lucio Dalla<br />

LUCIO DALLA<br />

Sony/Legacy Edition<br />

Definitiva<br />

versione<br />

per uno dei<br />

dischi più<br />

importanti<br />

nella storia<br />

più nobile del nostro cantautorato:<br />

quel colpo d’ala capace di<br />

massimizzare la popolarità del<br />

cantautore bolognese che già con<br />

Roberto Roversi aveva evidenziato<br />

un talento capace di fare categoria<br />

a sé e successivamente fatto<br />

gridare al capolavoro in Com’è<br />

profondo il mare, il primo album<br />

scritto interamente da solo, decretando<br />

di fatto il suo ingresso<br />

permanente nell’olimpo assoluto<br />

della “cosiddetta” musica leggera.<br />

Fiumi d’inchiostro sono già stati<br />

versati per magnificare quello che<br />

sarebbe stato l’album più venduto<br />

dell’anno di grazia 1979, certificato<br />

disco d’oro con 500.000 copie<br />

vendute, sull’oltre milione totale<br />

che continua a totalizzare. Guarda<br />

caso il numero due di quella stessa<br />

classifica di vendita sarebbe stato<br />

l’altrettanto epocale Banana<br />

Republic, il live condiviso con<br />

Francesco De Gregori e Ron, resoconto<br />

fedele di un’altra Italia.<br />

Metà dei brani di Lucio Dalla,<br />

pur non essendo mai ufficialmente<br />

stampati a 45 giri, passarono a<br />

furor di popolo come singoli in radio:<br />

L’ultima luna, Stella di mare,<br />

Anna e Marco, Cosa sarà, sono<br />

brani per i quali si stentano a<br />

trovare adeguati superlativi più<br />

che semplici aggettivi, per come<br />

suonano moderni ed attualissimi<br />

quarant’anni dopo. Sarebbe<br />

stato difficile se non impossibile<br />

per chiunque altro chiudere un<br />

album così, certamente non per<br />

Lucio, capace dell’immaginifica e<br />

straordinaria L’anno che verrà,<br />

un sigillo non solo a questo magnifico<br />

LP in cui venne inserita ma<br />

anche ai dolenti anni di piombo,<br />

con quel 1978 che registrò l’eccidio<br />

di Aldo Moro e l’espansione<br />

del terrorismo ideologico, la morte<br />

naturale di Paolo VI e quella fulminea<br />

per quanto misteriosa del<br />

suo successore, Giovanni Paolo I.<br />

Una lettera di dolore, sofferenza<br />

e speranza, capace di divenire un<br />

classico istantaneo, perché capace<br />

di accomunare un intero paese<br />

nell’utopia del “riflusso”, ovvero la<br />

voglia di uscire dalle ristrettezze e<br />

dal timore (“Si esce poco la sera<br />

compreso quando è festa / e c’è<br />

chi ha messo dei sacchi di sabbia<br />

vicino alla finestra”), guardando<br />

verso se stessi per aprirsi a un futuro<br />

pieno di speranza e libertà, che<br />

si riaffaccia prepotentemente ai<br />

giorni nostri, anche se il paradiso<br />

in terra resta quanto mai lontano.<br />

Nel consueto formato a libretto rigido<br />

che caratterizza ormai queste<br />

ristampe, oltre all’album originale<br />

con remaster a 24 bit/192 hertz ci<br />

sono tre aggiunte che è esagerato<br />

definire inediti, in quanto<br />

della loro esistenza si è spesso<br />

parlato. C’è Angeli finalmente,<br />

misteriosamente scartata nel<br />

mix finale, sebbene fosse stata<br />

presentata anche nei concerti<br />

ufficiali in Svizzera di quel periodo<br />

e poi interpretata in studio da<br />

Bruno Lauzi con lo stesso Lucio<br />

ai cori nel 1981. È presente una<br />

versione di Stella di mare in un<br />

curioso inglese e poi c’è una superba<br />

prova in studio di Ma come<br />

fanno i marinai, l’altro inno cantato<br />

assieme a De Gregori che il<br />

cantautore romano ebbe a ricordare<br />

così: “Quando un giorno<br />

Dalla venne a pranzo a casa mia<br />

insieme a Ron, cosa che avveniva<br />

abbastanza di frequente, mi feci<br />

trovare intento a scrivere questa<br />

canzone. Forse già mentre la<br />

pensavo ipotizzavo che, assieme<br />

a Lucio, sarebbe potuta diventare<br />

una cosa forte, importante<br />

e divertente. E lui la sentì, se ne<br />

innamorò, ci mise subito un bel<br />

riff di clarinetto all’inizio, aggiunse,<br />

cambiò, migliorò, la rese decisamente<br />

più “commestibile”, più<br />

adatta alle nostre due vocalità”.<br />

Oltre a un saggio commemorativo<br />

di John Vignola, anche le testimonianze<br />

di Dente, Colapesce<br />

e Di Martino: le (pen)ultime generazioni<br />

fortemente influenzate<br />

da queste canzoni, che hanno una<br />

dedica speciale anche da parte di<br />

Alessandro Colombini, produttore<br />

discografico del suo luccicante<br />

esordio in solo e Maurizio Biancani,<br />

il sound engineer garanzia<br />

di qualità, che ovviamente era in<br />

studio con Lucio anche in quell’occasione.<br />

In più ci sono le illustrazioni<br />

originali di Alessandro Baronciani<br />

che sottolinea con affetto<br />

la circostanza: “Ho scoperto Dalla<br />

tramite mio fratello più grande.<br />

Gli chiesi di registrarmi una cassetta<br />

e lui mi portò una Tdk da<br />

46 con il disco del 1979. Penso sia<br />

stato veramente il primo disco<br />

che ho ascoltato dall’inizio alla<br />

fine. Non ho altri ricordi di dischi<br />

prima. Di questo album ricordo<br />

tutti i testi a memoria e ogni volta<br />

che lo ascolto ho sempre la stessa<br />

sensazione di stupore surreale. E<br />

non so cosa pensiate della vita e<br />

dei cerchi ma sono stato chiamato<br />

— in questa speciale occasione del<br />

suo quarantennale — a chiudere<br />

un bellissimo cerchio: ridisegnare<br />

la copertina di Dalla 1979 e quindi<br />

di creare un booklet gigante con<br />

nove illustrazioni, una per canzone”.<br />

Nel cofanetto in vinile c’è<br />

anche lo stesso CD con i tre brani<br />

aggiunti, un libretto da 12 pagine<br />

e infine la stampa di una illustrazione<br />

di Baronciani in carta speciale<br />

30×30, numerata a mano.<br />

Acquisto obbligato per ricordare<br />

con gioia e tramandare, entusiasmandosi<br />

già alle prime note.<br />

84


Rock<br />

Vasco Rossi<br />

NON SIAMO<br />

MICA GLI<br />

AMERICANI!<br />

Sony/Legacy Edition<br />

Secondo appuntamento<br />

per la serie<br />

R>PLAY dedicata<br />

ai 40esimi<br />

anniversari<br />

dalle pubblicazioni<br />

degli album in studio di<br />

Vasco, con le note agiografiche<br />

che fanno partire qui un bivio<br />

fondamentale di una carriera ancora<br />

tutta da costruire ma dove,<br />

per la prima volta, si rivela quella<br />

vena irriverente e originale di<br />

rocker ruspante e sincero. Uscito<br />

il 30 aprile 1979 per l’etichetta<br />

indipendente Lotus, Non siamo<br />

mica gli Americani! tratta di<br />

emarginazione e pregiudizio, solitudine<br />

e ribellione; da quel momento<br />

in poi, malgrado le basse<br />

vendite commerciali, un ristretto<br />

pubblico di affezionati lo seguirà<br />

con un tifo quasi da stadio.<br />

Seppur ancora lontanissimi dai<br />

raduni oceanici che caratterizzeranno<br />

gli ultimi, ruggenti anni,<br />

Blasco inizia anche l’attività live:<br />

dopo il primo concerto in Piazza<br />

Maggiore a Bologna (“Avevo<br />

convocato tutti gli amici per quel<br />

concerto” ricorda lui oggi “eravamo<br />

più noi sul palco che la gente<br />

sotto...”) batte palmo a palmo<br />

quasi tutta l’Emilia Romagna e<br />

ogni sera sarà un trionfo. È anche<br />

il momento del suo battesimo<br />

televisivo, perché Renzo Arbore<br />

lo convoca al suo programma<br />

cult L’altra domenica dopo averlo<br />

visto esibirsi in (Per quello che<br />

ho da fare) faccio il militare, la<br />

canzone che irride la durezza della<br />

naja, ispirando il titolo di un<br />

disco rinnovato nel vestito (nelle<br />

versioni disponibili c’è un box<br />

di otto vinili ed esaustivo book<br />

fotografico), come nel sound,<br />

rimodellato dagli interventi del<br />

sapiente Maurizio Biancani, che<br />

poi gli produsse anche Bollicine,<br />

partendo dai nastri master analogici<br />

di studio tramite trattamento<br />

termico, restauro e acquisizione<br />

in digitale, presso gli studi Fonoprint<br />

di Bologna. A riascoltarlo<br />

ancora adesso questo disco colpisce<br />

per freschezza e sfrontatezza:<br />

prendete Fegato, fegato<br />

spappolato ad esempio, dove<br />

Vasco sintetizza il suo pensiero<br />

con argomenti talmente avanguardistici<br />

da risultare (più che<br />

mai) un caposcuola.<br />

Vittorio Pio<br />

Emma Frank<br />

COME BACK<br />

Justin Time Records - 2019<br />

Esistono girotondi<br />

intimi<br />

nelle<br />

profondità<br />

di ogni essere<br />

umano,<br />

quei momenti di solitudine<br />

acclamata nei quali si realizza<br />

una riscoperta di alcune<br />

bellezze che ci appartengono,<br />

che sono nostre ma restano lì<br />

nel silenzio grondante sentimento.<br />

Quegli spazi di apparente<br />

calma sono cibo per la<br />

creatività di Emma Frank e<br />

rappresentano il filo narrante<br />

di Come Back, l’ultimo lavoro<br />

discografico licenziato dall’etichetta<br />

Justin Time Records.<br />

La sua voce morbida e sinuosa<br />

esplora i temi dell’amore, del<br />

ludibrio, dell’insicurezza e di<br />

tutte le ombre emozionali che<br />

legano la sua esperienza interiore<br />

a quelle degli ascoltatori.<br />

Le composizioni evidenziano<br />

la duplice veste di vocalist e di<br />

cantautrice: le liriche forti, avvolte<br />

e mitigate dalle calde fioriture<br />

della sua voce. Le canzoni<br />

originali mettono in risalto<br />

l’intesa e il legame musicale<br />

con il pianista Aaron Parks,<br />

nati solo lo scorso anno ma già<br />

maturi. Evidenti sono i piaceri<br />

musicali di Emma che intrecciando<br />

folk, jazz e persino r&b<br />

generano una mutevolezza<br />

ritmica accattivante. Interessante<br />

la personale versione<br />

di Either Way dei Wilco. Finalmente<br />

una visione originale,<br />

un passo avanti, dello strumento<br />

voce all’interno della<br />

musica creativa mondiale.<br />

Daniele Camerlengo<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019 85


SELECTOR<br />

di Vittorio Pio<br />

AA.VV.<br />

JAZZ<br />

IMAGES<br />

Egea<br />

Jazz Images in CD e vinile<br />

nella copiosa serie<br />

che omaggia il grande<br />

fotografo Francis Wolff.<br />

Per tutti coloro che hanno<br />

superato i 50 anni<br />

questa serie, molto ben<br />

curata da un punto di<br />

vista grafico e distribuita in Italia da Egea,<br />

rappresenta un’occasione per riconciliarsi<br />

con una stagione ruggente e probabilmente<br />

irripetibile del jazz più ammaliante.<br />

Una sessantina di titoli in tutto (i vinili,<br />

56, sono in schiacciante maggioranza),<br />

di album passati alla storia della Blue Note<br />

e Prestige degli anni ’50 e ’60, anche grazie<br />

al contributo del fotografo berlinese Francis<br />

Wolff, un incrocio obbligato insieme a quello<br />

di Alfred Lion per capire lo spirito intimistico<br />

non solo del momento che riusciva a cogliere<br />

con le sue portentose capacità ma anche di<br />

un’epoca fascinosissima. Per Wolff la passione<br />

per il jazz e la fotografia in bianco e nero<br />

iniziano da adolescente. Riesce a scappare<br />

dalla natia Berlino, prima della disfatta della<br />

Germania nazista con l’ultima nave diretta<br />

oltre-oceano: sarà una mossa che quasi certamente<br />

gli salvò la vita, cambiandogliela<br />

drasticamente. Giunto nella grande mela, il<br />

nostro uomo di giorno lavora in uno studio<br />

fotografico mentre di notte frequenta la casa<br />

discografica fondata dal suo amico di infanzia<br />

Alfred Lion: quella Blue Note che si prepara a<br />

diventare un concetto iconico, come del resto<br />

le sue stesse foto. Dagli anni ’50 gli scatti iniziano<br />

a far parte integrante degli LP, quindi<br />

inizia a pubblicarle creando una filosofia estetica,<br />

in formato adattato sulle copertine dei<br />

dischi, costruendo un archivio di grande valore<br />

artistico e una documentazione visiva della<br />

storia del jazz che teme pochi confronti. La<br />

sua capacità di illuminare, inquadrare e catturare<br />

in uno scatto qualcuno dei grandi del<br />

jazz era sorprendente. E spesso quello scatto<br />

era il primo in un’epoca in cui, si badi bene,<br />

le fotografie nascevano in camera oscura con<br />

tutte le incognite ma anche l’eccitazione del<br />

caso. Ben presto Wolff fu completamente immerso<br />

dalla gestione dell’etichetta, ed è facile<br />

immaginarselo mentre si aggira candidamente<br />

nello studio del mitico ingegnere del suono<br />

Rudy Van Gelder per riprendere Miles, Chet,<br />

Thelonious, Herbie, Wayne, Ornette, Sonny,<br />

ovvero qualcuno dei suoi migliori amici che<br />

poi sarebbero diventati fisionomie familiari<br />

per tutti i veri appassionati di questa musica,<br />

anche nel ricordo personale di RVG, che era<br />

un avido fotografo: “La maggior parte delle<br />

foto scattate da Francis erano fatte con la<br />

Rolleiflex e un flash a mano, tenuto a braccio.<br />

Teneva la macchina fotografica con la<br />

mano sinistra e teneva il flash con la mano<br />

destra - stile statua della libertà - cercando<br />

di portare la sorgente luminosa nella posizione<br />

corretta. Alle sessioni di Blue Note, Art<br />

Blakey era il tuono e Francis il fulmine”. Che<br />

meraviglia. L’indice completo è su www.jazzimagesrecords.com<br />

e l’attimo di disorientamento<br />

che potreste avvertire rispetto a ciò che<br />

troverete è giustificato dal fatto che nonostante<br />

la familiarità dei titoli (The shape of jazz<br />

to come, Relaxin, Saxophone Colossus, Mo-<br />

86 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019


Director’s cut<br />

Alfred Lion fondò la Blue Note nel 1939,<br />

un anno dopo essere arrivato a New<br />

York. Quasi subito invitò a farne parte<br />

l’amico d’infanzia Francis Wolff. Mentre<br />

Lion delineò per sé il ruolo di produttore<br />

a tutto tondo, Wolff si ritagliò il ruolo di<br />

fotografo onnipresente dell’etichetta.<br />

L’alchimia funzionò perfettamente.<br />

anin’, Giant Steps fra molti altri),<br />

le fotografie utilizzate non erano<br />

apparse precedentemente su<br />

alcuna riedizione di questi<br />

capolavori, di cui non ci si<br />

stancherà mai di ascoltare<br />

la luminosa caparbietà dei<br />

magnifici protagonisti alle<br />

prese con alcune delle loro pietre<br />

miliari. Come prassi ormai<br />

nota il tutto è stato qui rieditato<br />

con note di libretto originale,<br />

remaster aggiornato alle<br />

ultime possibilità della tecnologia<br />

digitale odierna, qualche<br />

bonus track, spesso realmente<br />

difficile da ascoltare altrove e<br />

una solida confezione gatefold<br />

per quanto riguarda i vinili da<br />

180 grammi, dove ogni dettaglio<br />

aumenta sensibilmente il<br />

suo fascino.<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019 87


SELECTOR<br />

di Vittorio Pio<br />

Maria Chiara Argirò<br />

HIDDEN SEAS<br />

Cavalo Records/Pias<br />

Segnatevi il nome<br />

di Maria Chiara<br />

Argirò perché<br />

potrebbe diventare<br />

presto una<br />

delle più ricercate<br />

selezioni della vostra playlist.<br />

È cresciuta ascoltando e assorbendo<br />

moltissima musica classica<br />

(la madre, Francesca Falcone,<br />

ha insegnato teoria della danza<br />

all’Accademia Nazionale di Danza)<br />

ma ha seguito ben presto<br />

un proprio percorso, prima con<br />

la classica, poi con il jazz. Intorno<br />

ai 16/17 anni inizia a comprare<br />

moltissimi dischi: da Miles Davis,<br />

Thelonious Monk, Keith Jarrett<br />

passando per i Beatles, i Pink<br />

Floyd e De Andrè. Intorno ai 19<br />

anni decide di fare la musicista<br />

e raccontare il suo mondo attraverso<br />

il pianoforte e le sue composizioni.<br />

Orgogliosamente<br />

italiana ma di stanza a Londra,<br />

Maria Chiara ha appena pubblicato<br />

un disco che ha già raccolto<br />

delle recensioni entusiastiche<br />

anche in un mercato affollato<br />

e difficile come quello americano.<br />

Ispirato dai Sea Pieces di<br />

Edward MacDowell, un ciclo di<br />

otto composizioni per pianoforte<br />

pubblicato nel 1898, ma con uno<br />

sguardo ben posizionato nella<br />

contemporaneità, la Argirò ha<br />

sigillato un album sofisticato e<br />

diretto, dalla immediata forza<br />

comunicativa, mantenendosi al<br />

contempo coerente con un’idea<br />

d’arte anticommerciale nelle sue<br />

smerigliate composizioni originali.<br />

Quelle della pianista sono<br />

note prismatiche e guizzanti, di<br />

una ricchezza cromatica piena,<br />

che possiedono un’inclinazione<br />

naturale ad articolarsi nella totale<br />

sintonia intellettuale del collettivo<br />

chiamato a raccolta, in cui<br />

spiccano i brillanti vocalizzi della<br />

francese Leila Martial. Un’opera<br />

seconda che consegna Maria<br />

Chiara alla sua consacrazione e di<br />

cui ci parla con il giusto entusiasmo:<br />

“L’idea alla base di Hidden<br />

Seas”, ribadisce, “è nata da un<br />

antefatto molto particolare. Mi<br />

trovavo al mercato di Camden<br />

Town quando mi è letteralmente<br />

caduta sui piedi questa raccolta<br />

di spartiti di MacDowell: ne<br />

sono rimasta folgorata e l’ho<br />

comprato immediatamente.<br />

Inizialmente ho pensato di ri-<br />

-arrangiare i brani ma poi ho<br />

deciso di voler dare un’impronta<br />

tutta mia.”<br />

Il mare, certo, è un concetto inseparabile<br />

per chi è nato in Italia,<br />

specie se si vive all’estero… “Per<br />

me rappresenta l’elemento naturale<br />

di riferimento, anzi, è<br />

una sorta di ossessione. Ha fatto<br />

costantemente parte della mia<br />

vita ed è l’unico posto in cui riesco<br />

a sentirmi completamente<br />

a casa. Ne sono sempre rimasta<br />

affascinata dal punto di vista sonoro.<br />

In quest’album ho cercato<br />

di riprodurne i suoni a modo<br />

mio, con tutta l’immaginazione<br />

possibile: spesso vediamo solo<br />

l’aspetto superficiale delle persone,<br />

volevo raccontare quello che<br />

accade quando scopri cosa c’è<br />

dall’altra parte, cosa si nasconde<br />

dietro i misteri celati”. Difficile<br />

etichettare la sua musica, lo<br />

ammette la stessa Maria Chiara<br />

che definisce così il suo lavoro:<br />

“Hidden Seas è stato creato<br />

pensando a un equilibrio tra<br />

composizione e improvvisazione,<br />

dove la ricerca accurata di<br />

ogni singolo suono viene prima<br />

di ogni altra cosa. Dentro questo<br />

disco c’è il jazz, la musica<br />

elettronica, la forma classica e<br />

forma-canzone. L’idea compositiva<br />

di fondo era di apertura<br />

all’immaginazione, proprio<br />

come il mare suggerisce”.<br />

Su www.suono.it un’ampia intervista<br />

all’artista…<br />

88 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019


SELECTOR<br />

Harmony<br />

BILL FRISELL<br />

Blue Note Records – 2019<br />

Una nenia<br />

costante<br />

che volteggia<br />

nel suo<br />

intorno e<br />

persevera<br />

nel cantilenare il vecchio ardore<br />

verso la tradizione musicale<br />

americana e la conseguente severa<br />

abnegazione nei confronti<br />

di un sentore che racconta, per<br />

intero, il suo lungo percorso personale.<br />

Il florilegio delle canzoni<br />

che ha sempre amato e nonostante<br />

la loro diversa genesi stilistica<br />

e strumentale si cercano e<br />

tentano di fondere indissolubilmente,<br />

forti della loro bellezza,<br />

quel legame senza tempo che<br />

emoziona il suo animo vissuto.<br />

La poderosa forza di questa<br />

spinta emozionale ha permesso<br />

la realizzazione di Harmony, la<br />

nuova fatica discografica di Bill<br />

Frisell che sancisce il debutto<br />

con la prestigiosa Blue Note Records.<br />

Questa nuova compagine,<br />

priva della batteria, era da tempo<br />

nei pensieri del chitarrista di<br />

Baltimora, un costrutto ibrido<br />

che ricorda l’ensemble da camera<br />

ma ha nel suo interno le peculiarità<br />

di una piccola formazione<br />

jazz e quelle del classico gruppo<br />

della tradizione musicale americana.<br />

Ciò che abbaglia è l’intesa<br />

creativa che lega Frisell alla voce<br />

sublime e onirica di Petra Haden:<br />

una danza che avvolge ogni<br />

essenza melodica e straripa nel<br />

bagno libero e audace dell’improvvisazione.<br />

La formazione<br />

è completata da Hank Roberts<br />

al violoncello e voce e al nuovo<br />

arrivato Luke Bergman alla chitarra<br />

acustica, chitarra baritona,<br />

basso e voce.<br />

Daniele Camerlengo<br />

John Coltrane<br />

BLUE WORLD<br />

Impulse! Universal<br />

Se il precedente<br />

Both Directions<br />

at<br />

Once aveva<br />

destato più di<br />

una perplessità<br />

(il materiale era stato in origine<br />

scartato da Coltrane) questo<br />

nuovo, parziale capitolo inedito<br />

è invece molto più soddisfacente.<br />

Intanto siamo nel 1964, ovvero<br />

nell’anno in cui il leggendario<br />

sassofonista stava chiudendo<br />

le registrazioni di Crescent e A<br />

Love Supreme, ovvero i capolavori<br />

della sua deriva spirituale,<br />

con il suo formidabile quartetto<br />

che annoverava Elvin Jones,<br />

McCoy Tyner e Jimmy Garrison.<br />

Quest’ultimo era buon amico di<br />

un misconosciuto regista canadese<br />

di nome Gilles Groulx, che<br />

amava il jazz da ardente fan di<br />

Coltrane, al punto di chiedergli<br />

di realizzare la colonna sonora<br />

del suo Le Chat dans le sac,<br />

un film romantico, malgrado il<br />

bizzarro titolo, la cui traduzione<br />

venne poi ampiamente riportata<br />

nella letteratura calcistica di<br />

satira. Così, poco prima dell’estate,<br />

il favoloso quartetto venne<br />

convocato nello studio del mitico<br />

ingegnere del suono Rudy Van<br />

Gelder, per riprendere alcuni<br />

brani del suo periodo precedente,<br />

quello appannaggio dell’etichetta<br />

Atlantic, scelti essenzialmente<br />

per la loro breve durata,<br />

in contrasto con le magmatiche<br />

improvvisazioni dal vivo che già<br />

stavano innalzando la formazione<br />

verso un nuovo standard di<br />

eccellenza. Qui invece l’eloquio<br />

è levigato, quasi sommesso per<br />

il peculiare coinvolgimento emotivo<br />

alla base della seduta in cui<br />

anche Groulx era presente, anche<br />

se alla fine furono selezionati solo<br />

dieci minuti dei trentasette complessivi<br />

in cui sfilano, con delle<br />

variazioni più o meno evidenti,<br />

capolavori assoluti come la celestiale<br />

Naima, Like Sonny, Traneing<br />

In, Village Blues e la title<br />

track, ripresa da una scheggia<br />

melodica di Out of this world, del<br />

compositore noto a Broadway<br />

Harold Arlen. Per quanto ampiamente<br />

conosciuta, siamo di<br />

fronte a grande musica: in questa<br />

occasione lo spot principale è<br />

per il contrabbasso di Garrison,<br />

la cui cavata è sempre in primo<br />

piano nell’impressionante, istantaneo<br />

affiatamento del quartetto<br />

in cui le intuizioni e le soluzioni<br />

dei singoli venivano immediatamente<br />

metabolizzate dal piccolo<br />

ensemble. In sintesi ci troviamo<br />

al cospetto di una magnifica incursione<br />

in quello spazio interno<br />

creativo che solo Coltrane e pochissimi<br />

altri sapevano osare. Vinile<br />

silenzioso e ben equilibrato.<br />

Vittorio Pio<br />

90 <strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019


Jazz<br />

Wallace Roney<br />

BLUE DAWN -<br />

BLUE NIGHTS<br />

Highnote Records – 2019<br />

Una voce<br />

solitaria<br />

e audace<br />

del jazz<br />

mainstream<br />

che riflette oro sonante. Il generoso<br />

rispetto per l’eleganza e<br />

quella vorticosa voracità vittima<br />

del piacere emozionale ne tratteggiano<br />

la figura nobile e creativa.<br />

La straordinaria carriera musicale<br />

di Wallace Roney viene ulteriormente<br />

avvalorata dalla sua<br />

ventiduesima fatica discografica:<br />

Blue Dawn - Blue Nights, il<br />

nuovo album del trombettista e<br />

bandleader di Philadelphia. Al<br />

suo fianco una band composta<br />

dalla nuova generazione di innovatori:<br />

il sassofonista Emilio<br />

Modeste, il pianista Oscar Williams<br />

II, il bassista Paul Cuffari<br />

e suo nipote quindicenne, batterista<br />

Kojo Odu Roney. Insieme<br />

a questa schiera di giovani leoni<br />

due leggende: il chitarrista Philly<br />

Quintin Zoto e il leggendario<br />

batterista Lenny White.<br />

La cura del suono che strabilierà<br />

le orecchie più difficili è frutto<br />

dell’intenso lavoro dell’ingegnere<br />

Maureen Sickler alla guida<br />

del leggendario studio del New<br />

Jersey di Rudy Van Gelder. La<br />

tromba di Roney ama discorrere<br />

con chi evade dalle abitudinarie<br />

dinamiche performative,<br />

cerca di stimolare l’intelligenza<br />

creativa insita nei suoi compagni,<br />

lodando chi riesce ad avere<br />

padronanza delle dinamiche<br />

d’improvvisazione che si generano<br />

durante il flusso compositivo.<br />

Le atmosfere esalate dal<br />

profondo interplay assumono<br />

le più diverse sfumature timbriche<br />

ed emotive, sorvolando<br />

e catturando indissolubilmente<br />

la tensione di chi ha la fortuna<br />

di ascoltare questa meraviglia<br />

aurale. L’apertura del disco dal<br />

ritmo dinoccolante e brioso è<br />

l’unica composizione che porta<br />

la sua firma, un canto sublime<br />

ed energico che mette in risalto<br />

le preziosità del suo animo logoro<br />

di bellezze e storie di suoni da<br />

tramandare. La solidità ritmica<br />

porta ognuno dei componenti<br />

della formazione a esprimere<br />

tutto il potenziale espressivo enfatizzando,<br />

nell’estemporaneità<br />

del gesto, i devastanti ritrovati<br />

di tecnica strumentale.<br />

Daniele Camerlengo<br />

Fabrizio D’Alisera<br />

TRISONIC<br />

Filibusta Records - 2019<br />

Modellare<br />

la propria<br />

immaginazione<br />

per<br />

renderla<br />

prosa di suoni, un racconto di<br />

elementi inanimati che nasce<br />

dalla voluttà di una coscienza<br />

creativa generosa e loquace.<br />

La purezza emanata dalla nudità<br />

del suono che cerca l’appiglio<br />

giusto per comunicarsi e gioire<br />

della ricchezza emozionale e di<br />

senso che scaturisce dai processi<br />

improvvisativi: questa è<br />

l’ingombrante ricchezza concettuale<br />

contenuta in Trisonic,<br />

il nuovo album, terzo da leader,<br />

del neo-baritonista Fabrizio<br />

D’Alisera, licenziato dalla lodevole<br />

etichetta Filibusta Records.<br />

Un disco che ammicca e tenta di<br />

fornire la personale visione del<br />

BeBop, vista anche la voluta assenza<br />

di uno strumento armonico.<br />

La formazione, oltre all’esordio<br />

del baritono del sassofonista<br />

romano (Fabrizio D’Alisera nei<br />

due album precedenti suonava<br />

il tenore e il soprano) annovera<br />

Pietro Ciancaglini al Contrabbasso<br />

e Andrea Nunzi alla batteria.<br />

Nelle otto tracce originali<br />

la nona è la rivisitazione di Ask<br />

Me Now di Monk, si percepisce<br />

l’estrema sensibilità delle voci<br />

che nel loro dialogo musicale,<br />

fluido ed equilibrato, mettono<br />

in luce un’intesa brillante. Nel<br />

finale appare la bella sorpresa<br />

del vibrafono di Andrea Biondi<br />

che irradia il soffio del baritono<br />

arricchendone l’evasiva attitudine<br />

alla costruzione di paesaggi<br />

sognanti.<br />

Daniele Camerlengo<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre-novembre 2019 91


CUT ‘N’ MIX CONCERTI | CINEMA | LIBRI | SOCIETÀ | ARTE<br />

Patti Smith<br />

ritrovata<br />

di<br />

Antonio Gaudino<br />

Nel 2010 l’autore di questo articolo incontra Patti Smith (che si accingeva<br />

a un Tour europeo importante e con un libro appena sfornato per<br />

Feltrinelli) e lei gli rilascia un’intervista esclusiva che, per i casi della vita,<br />

non viene pubblicata. Qualche giorno fa viene ritrovata nel “cassetto” ed è<br />

un’intervista ricca, importante, sicuramente da condividere…<br />

Tutto ebbe inizio grazie a Just Kids, il nuovo libro autobiografico<br />

dedicato alla storia di Patty Smith con il fotografo Robert Mapplethorpe,<br />

e al tour “We Shall Live Again” con la Patti Smith Acoustic<br />

Band che avrebbe toccato anche l’Italia. Sullo sfondo dell’intervista Vigo,<br />

un luogo estremo della Spagna al confine col Portogallo, dove la poetessa<br />

del rock scelse di raccontare qualcosa di sé...<br />

Nonostante il suo ruolo di rockstar, lei è sempre stata discreta<br />

nella sua vita privata. Cosa l’ha spinta dopo 40 anni a scrivere<br />

un libro rendendo pubblica una storia d’amore e amicizia così<br />

importante fatta di gioia, dolore e momenti intensi?<br />

Ho scritto il libro perché il giorno prima che morisse ho promesso a Robert<br />

Mapplethorpe che l’avrei fatto. È morto giovane, aveva solo 42 anni<br />

e voleva che la gente sapesse di quando lui era giovane. Io conoscevo la<br />

sua storia molto bene, lui mi ha chiesto di scriverla e io gli ho promesso<br />

che l’avrei fatto. Ci è voluto molto tempo, perché lui era… come dire...<br />

“tanto”, con una vita molto intensa, ricca, piena di eventi.<br />

Dopo la perdita di suo marito Fred Sonic, si ha come<br />

l’impressione che lei sia in una fase di attenta veglia sui ricordi<br />

del passato: gli amici, gli artisti, le storie d’amore. È solo la<br />

mia impressione o sente il bisogno di raccontare alla gente le<br />

cose non per come le immaginiamo ma per come andarono<br />

realmente?<br />

A volte lo faccio perché alcune persone hanno scritto le loro impressioni<br />

su questi artisti e amici ma non sempre corrispondono alla verità.<br />

Io voglio che la gente sappia come sono veramente e vorrei anche che la<br />

gente si ricordasse di questi amici che sono morti, brave persone e artisti<br />

interessanti che meritano di essere omaggiati... faccio tutto questo per<br />

dire la verità e per condividere ciò che so.<br />

Leggendo Just Kids ci sono citazioni e riferimenti che<br />

attraversano la migliore musica degli anni ’60 e ’70: Bob<br />

Dylan, Brian Jones, Rolling Stones, The Doors, Byrds, Tim<br />

Buckley e molti altri... Chi è stato il più influente sul suo modo<br />

di pensare e comporre musica?<br />

Probabilmente Bob Dylan. Ma in ogni caso il mio campo musicale è<br />

vasto. Io ho studiato la voce di Maria Callas in termini di performance e<br />

mi piace molto l’opera, quindi si impara da cose molto diverse.<br />

Un grande artista che ha collaborato con lei e purtroppo non<br />

è più con noi è Jeff Buckley. Che ricordi o aneddoti ha di Jeff<br />

e della sua musica?<br />

Jeff era un perfezionista. Era molto bello, molto solidale come persona.<br />

Lavorare con lui in studio è stato un dono. E devo dire che quando lui<br />

ha lavorato e cantato Beneath the Southern Cross la registrazione era<br />

bellissima ma in seguito l’ho scoperto in una stanza a piangere da solo e<br />

gli ho chiesto: “perché piangi?”, lui mi rispose: “pensavo di fare meglio,<br />

volevo cantare meglio per il tuo disco” e io: “tu hai la voce di un angelo,<br />

come potrebbe mai essere meglio!”. Così era Jeff, e questo fa di lui il<br />

perfezionista che è stato.<br />

Che cosa pensava e pensa oggi della sua musica?<br />

Suo padre Tim Buckley è stato un grande artista, un produttore, un<br />

grande cantante e innovatore, la sua scomparsa ci ha rattristato molto;<br />

Jeff era dotato come suo padre, un cantante bello, forse anche più bello,<br />

una grande promessa come songwriter, come interprete e, mi ripeto,<br />

aveva una voce di un angelo.<br />

92 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019


Tornando a Just Kids, perché la perseguitava il verso della<br />

poesia Bahnhofstrasse di Joyce “I segni che mi irridono se<br />

vado”?<br />

Io e Robert sentivamo che stavamo facendo le nostre scelte in maniera<br />

autonoma ma qualche volta il destino aveva il sopravvento e più volte ci<br />

dava segnali di come sarebbero andate le cose che noi ignoravamo; se<br />

fossimo stati più attenti, avremmo capito cosa stava accadendo. Perché<br />

dico che ci prendeva in giro? Perché quando si è giovani e ribelli non<br />

si vuole ascoltare nessuno e si ignorano i segnali. Quindi, è bene stare<br />

molto attenti.<br />

Lei nel libro afferma che Jim Morrison le ha insegnato a<br />

unire rock’n’roll e poesia. A parer suo le due cose a volte non<br />

camminino di pari passo? Secondo lei, è possibile produrre<br />

grande rock senza testi adeguati?<br />

Beh voglio dire il rock’n’roll è un’arte delle radici. Il rock’n’roll comunica<br />

politica, spiritualità, sesso, fisicità, racchiude ogni tipo di energia.<br />

I testi sono importanti ma il cuore è nella musica, la fisicità musicale nel<br />

rock’n’roll è molto importante. Il rock’n’roll può sopravvivere senza la<br />

poesia ma Jim Morrison era molto interessato a fondere la poesia con il<br />

rock’n’roll, come anche Jimi Hendrix e Bob Dylan. Morrison, però, è stato<br />

un poeta superiore a tutti gli altri. Ritengo sia assolutamente possibile fare<br />

poesia fusa con il rock’n’roll. Michael Stipe (R.E.M., ndr.) lo fa con i suoi<br />

testi. Tuttavia il rock’n’roll può sopravvivere senza poesia, ne sono certa.<br />

Leggendo il quadretto fra lei e Johnny Winter, colto dal panico<br />

dopo aver suonato al funerale di Jimi Hendrix, riemerge la<br />

vecchia storia della maledizione delle J, visto che molte star<br />

sono morte negli anni ’60 e ’70 e tutti avevano le iniziali del<br />

nome o del cognome con la J (Brian Jones, Jimi Hendrix,<br />

Janis Joplin, Jim Morrison). Crede ci fosse davvero una sorta<br />

di maledizione sulla lettera J o era solo una coincidenza, una<br />

diceria?<br />

Loro avevano 27 anni. Tutta questa gente aveva 27 anni e non so cosa<br />

aggiungere a riguardo. È solo di nuovo uno di quei segni che ci ha fatto<br />

un brutto scherzo mentre andavamo per la nostra strada. Non so cosa<br />

significhi, so solo ciò che è accaduto.<br />

Può dirci qualche parola sul suo rapporto con il genio di Robert<br />

Mapplethorpe: amore, amicizia, unione, quotidianità…<br />

Ho incontrato Robert quando eravamo entrambi molto giovani. Avevamo<br />

20 anni, eravamo poveri ma determinati a diventare artisti, e la lotta per<br />

raggiungere i nostri scopi insieme a Robert è stata bellissima, non mi è<br />

dispiaciuta neanche un po’. Qualche volta non avevamo soldi sufficienti<br />

per mangiare ma ero molto felice. Lui era a modo, mi supportava, e ci<br />

siamo evoluti insieme come artisti. Vedi… qualche volta sento che lui è<br />

ancora con me.<br />

La stampa internazionale ha sempre visto nei suoi album<br />

una continua evoluzione della musica e della poesia, senza<br />

nominare un album favorito in particolare. Per lei, invece,<br />

qual è l’album più significativo, che ascolta di più e che ancora<br />

oggi considera essere stato importante per la storia del rock?<br />

Normalmente non ascolto le mie incisioni, è molto difficile per me. Le<br />

canzoni che hanno più significato per me sono quelle che ho fatto in collaborazione<br />

con lo Studio come Radio Baghdad, Birdland o Radio Ethiopia.<br />

Mi piacciono le canzoni che mi sono state proposte come sfida dallo Studio,<br />

il doverle farle sul momento, senza scrivere le parole. Radio Baghdad è<br />

una canzone molto importante dell’album Trampin’ ma ognuna di queste<br />

ha un diverso significato. People of the Power è importante perché l’ho<br />

scritta con mio marito, parla di filosofia. E siccome Horses è stato il mio<br />

primo album, ha un significato speciale per me.<br />

Qual è stata l’ispirazione per Because the Night e come è nata<br />

la collaborazione con Bruce Springsteen per creare questa<br />

canzone senza tempo?<br />

Bruce Springsteen ha cominciato a scrivere la canzone ma ha avuto qualche<br />

problema a finirla, e io ero innamorata di Fred, che poi è diventato<br />

mio marito. Bruce mi diede la musica ed è stato facile scrivere il testo<br />

perché pensavo a mio marito. Tutto parla di Fred. Aspettavo di essere<br />

chiamata da Fred per telefono, e aspettavo perché la canzone esprimeva<br />

tutto il mio amore per lui.<br />

Quanto è importante per lei la poesia al giorno d’oggi? Ha un<br />

poeta preferito?<br />

La poesia è importante, sono sempre al lavoro e ho diversi poeti che mi<br />

piacciono particolarmente: i francesi, le rime di Michelangelo Buonarroti,<br />

gli spagnoli, Lorca, e poi Walt Whitman, Ginsberg… ce ne sono così tanti,<br />

non ne ho uno in particolare anche se Arthur Rimbaud probabilmente<br />

è il più vicino ai miei gusti.<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 93


CUT ‘N’ MIX<br />

air che ha coinciso con il tour di<br />

addio di Elton John”.<br />

Montreux luogo dei sogni<br />

di Vittorio Pio<br />

Non sono molte le rassegne che possono vantare il fascinoso appeal che ha<br />

sempre avuto il Montreux Jazz Festival nei confronti di cultori, musicisti e addetti<br />

ai lavori. Ne abbiamo parlato con Mathieu Jaton, direttore generale del festival.<br />

Nell’incantevole cornice<br />

del lago di Lemano, a<br />

pochi chilometri da Ginevra,<br />

il festival venne battezzato<br />

nel 1967 presso il locale Casinò con<br />

un parterre di ospiti che comprendeva<br />

Bill Evans, Weather Report,<br />

Soft Machine, Keith Jarrett ed<br />

Ella Fitzgerald fra molti altri. È<br />

bene ricordare che quel luogo fu<br />

distrutto da un incendio durante<br />

un concerto di Frank Zappa e che<br />

quella drammatica circostanza<br />

venne fissata dai Deep Purple<br />

nell’epocale Smoke on the water.<br />

Ricostruito nel 1975, il Montreux<br />

Jazz Festival si è poi espanso<br />

negli anni sotto la guida del suo<br />

deus ex machina Claude Nobs,<br />

che aveva una predilezione per il<br />

genere afro-americano come per<br />

il Brasile, ospitando centinaia di<br />

esibizioni memorabili con delle<br />

vere e proprie icone come Miles<br />

Davis, Elis Regina, Chuck Berry,<br />

Oscar Peterson, Charles Mingus<br />

e diventando nel tempo un festival<br />

di musica globale capace<br />

di richiamare folle di spettatori<br />

anche grazie al ruolo di testimonial<br />

e co-produttore esercitato dal<br />

leggendario produttore Quincy Jones,<br />

che ancora oggi mantiene un<br />

ruolo attivo nell’organizzazione.<br />

Dopo la prematura scomparsa di<br />

Nobs nel 2013, le redini sono passate<br />

saldamente a Mathieu Jaton,<br />

giovane, appassionato, formatosi<br />

con slancio e dedizione proprio accanto<br />

a Nobs. Quella che si è chiusa<br />

a Luglio è stata l’edizione numero<br />

53 di una manifestazione che<br />

continua a crescere (circa 250.000<br />

spettatori per 400 concerti in 2<br />

settimane su 9 palchi con un miglioramento<br />

costante anche nella<br />

sezione gratuita), mantenendo i<br />

conti in ordine in un programma<br />

trasversale che del jazz incarna lo<br />

spirito di condivisione e la libertà.<br />

“Una musica ancora viva e palpitante,<br />

uno stato della mente, con<br />

un futuro più che mai brillante”,<br />

ribadisce lui in questa intervista<br />

esclusiva che si riflette nella sua direzione<br />

artistica che oggi si muove<br />

secondo quali criteri?<br />

“Se si parla di arte allora non si<br />

potrà mai ragionare al pari di una<br />

scienza esatta. Sono diversi i fattori<br />

da prendere in considerazione:<br />

i gusti del pubblico come la nostra<br />

lunga storia e altri fattori legati<br />

alla logistica e all’andamento del<br />

mercato globale. Per cui i criteri<br />

sono diversi ma il mio compito<br />

è sempre quello di preservare lo<br />

spirito e il DNA del festival con<br />

un programma che deve essere<br />

audace e possibilmente esclusivo.<br />

Quest’anno abbiamo presentato<br />

alcuni spettacoli cui tenevo in<br />

maniera particolare come Janet<br />

Jackson, Anita Baker, Bon Iver,<br />

Thom Yorke e altri amici del festival<br />

come Chick Corea, Ivan Lins,<br />

Terence Blanchard, per finire con<br />

la grande passerella commissionata<br />

a Quincy Jones. Qui a Montreux<br />

c’è una vicinanza e un tipo<br />

di predisposizione per il pubblico<br />

da parte degli artisti coinvolti che<br />

è difficile trovare altrove: anche<br />

quest’anno abbiamo assistito a<br />

delle jam after-show straordinarie.<br />

Siamo molto affezionati a<br />

quegli artisti capaci di ricreare<br />

quella bolla di libertà creativa<br />

dopo il loro concerto ufficiale, che<br />

si è realizzata quasi tutte le sere.<br />

Ma è stata un edizione storica da<br />

diversi punti di vista, a partire<br />

dal nostro primo concerto open<br />

Mi ha molto incuriosito lo<br />

spazio che avete concesso<br />

a Mahmood: dal punto di<br />

vista curriculare la sua<br />

partecipazione al festival<br />

varrà molto di più della sua<br />

vittoria a Sanremo, fra l’altro<br />

non era neanche in tour la<br />

scorsa estate...<br />

Lo abbiamo voluto fermamente<br />

e ha realizzato anche un concerto<br />

travolgente, che è stato apprezzato<br />

da tutti. Felici di questo suo<br />

debutto internazionale che si inserisce<br />

appieno nel mio ruolo, che<br />

paragonerei quasi a quello di un<br />

moderno direttore d’orchestra che<br />

deve essere capace di assecondare<br />

il suo intuito calandosi nel presente<br />

e nel futuro della musica, con i<br />

suoi nuovi protagonisti e linguaggi.<br />

Lo stesso Claude amava dire: è un<br />

po’ come aggiungere sale e pepe<br />

quanto basta per essere certi di<br />

realizzare una situazione all’altezza<br />

del Montreux Jazz Festival e della<br />

sua autenticità.<br />

Come ti sei formato e cosa hai<br />

imparato da Claude? Immagino<br />

quanto possa essere stato<br />

straordinario per un giovane<br />

amante del jazz stare accanto<br />

a lui...<br />

Ho studiato in una scuola alberghiera<br />

viste le caratteristiche del<br />

nostro territorio a vocazione turistica;<br />

poi ho iniziato al festival<br />

aiutando per gli eventi da semplice<br />

volontario. Dopo ho avuto un incarico<br />

nel settore marketing. Claude<br />

mi ha insegnato che il tempo è la<br />

nostra ricchezza più consistente,<br />

che niente è impossibile e che<br />

conoscere l’arte dell’accoglienza<br />

rappresenta la qualità essenziale<br />

per lavorare su grandi progetti.<br />

Il Jazz invece, come è entrato<br />

nella tua vita? Hai avuto un<br />

interesse spontaneo, hai<br />

94 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019


XXX XXX<br />

assistito a un concerto o<br />

ascoltato un disco che ti ha<br />

cambiato la vita ?<br />

Ho iniziato ad ascoltare jazz con<br />

John Hiseman e i Colosseum ma<br />

anche John McLaughlin e la fantastica<br />

Mahavisnu Orchestra. In<br />

realtà sono stato più incline alla<br />

fusion, perché in gioventù cantavo<br />

e suonavo la chitarra in una rock<br />

band.<br />

Hai avuto il privilegio di<br />

assistere a tanti momenti<br />

di gloria a Montreux,<br />

quali ricordi con maggiore<br />

piacere e cosa ritieni sia stato<br />

veramente memorabile ed<br />

unico?<br />

Sono state tante le occasioni memorabili<br />

con Prince, Santana, Van<br />

Morrison, George Clinton con<br />

champagne fino alle 5 di mattina,<br />

i Muse che hanno accettato di<br />

suonare in una sala da “soli” 4mila<br />

posti, rispetto agli stadi che riempiono<br />

sempre, ma forse il flash che<br />

ho più in mente è stata l’esecuzione<br />

integrale di Low, venticinque anni<br />

dopo la sua registrazione a Berlino<br />

da parte di David Bowie, nella seconda<br />

parte del suo concerto qui<br />

a Montreux del 2002. Un emozione<br />

pressoché unica, e non solo<br />

perché è stata l’ultima volta delle<br />

pochissime in cui venne eseguito<br />

l’integrale in quel tour a seguito<br />

dell’uscita di Heathen, un disco<br />

quasi all’opposto di quello concepito<br />

insieme al geniale produttore<br />

Brian Eno. Il filmato è presente<br />

nei nostri archivi in alta qualità sia<br />

audio che video ma ancora non è<br />

prevista una sua uscita ufficiale.<br />

Qual è invece l’artista che<br />

è sempre sfuggito al MJF o<br />

quello che adesso sogni di<br />

portare?<br />

Sicuramente Tom Waits, anche se<br />

purtroppo non partecipa ad alcun<br />

tipo di festival. Sogno anche una<br />

performance di solo piano e voce<br />

da parte di Paul McCartney…<br />

Quando gli alberi cantano…<br />

e suonano de Il Tremila<br />

Forse non lo sapete ma il disastro<br />

ambientale nei boschi trentini del<br />

2018 ha a che fare con la musica. La<br />

strage di abeti rossi documentata<br />

dai molti filmati dell’epoca ha infatti<br />

depauperato quella che viene<br />

definita “la foresta dei violini”. E per<br />

sensibilizzare l’opinione pubblica<br />

sull’importanza della natura, accanto<br />

a Greta scende in campo la musica…<br />

È in Val di Fiemme, nella foresta di Paneveggio, che<br />

crescono gli abeti rossi, alberi plurisecolari il cui legno<br />

gode di una particolare capacità di risonanza. Ed è<br />

qui che fin dai tempi di Stradivari i grandi liutai si<br />

avventuravano alla ricerca della materia prima ideale<br />

per la costruzione delle casse armoniche di strumenti<br />

musicali come i violini. Una ricerca ecocompatibile,<br />

visto che gli esperti boscaioli che se ne occupano<br />

sono, secondo la vulgata, in grado di capire osservando<br />

la natura dell’albero (la chioma, la corteccia, il<br />

tronco e perfino la posizione) se il legno suona senza<br />

doverlo prima abbatterlo, tant’è che negli ultimi<br />

secoli l’estensione della foresta si è triplicata prima<br />

dell’incredibile tempesta di vento del 29 ottobre 2018<br />

che ha sradicato oltre un milione e mezzo di metri<br />

cubi di legname! Per sensibilizzare la popolazione<br />

sui temi dell’ambiente e sulla ripopolazione della<br />

foresta dei violini (dove hanno suonato negli anni<br />

alcuni dei più grandi violinisti, da Salvatore Accardo<br />

a Uto Ughi, ai Solisti Veneti e al violoncellista Mario<br />

Brunello) il bosco che suona ha deciso di scendere<br />

dalle montagne per approdare a Cremona (e dove<br />

sennò?) vicino al luogo dove ha trovato sepoltura<br />

Antonio Stradivari, in occasione del Cremona<br />

Musica International Exhibitions and Festival con<br />

l’esposizione di parti degli abeti rossi distrutti dalla<br />

tempesta e la mostra fotografica “Rinascita con la<br />

musica” che ha permesso ai visitatori di ripercorrere<br />

e vedere le immagini del disastroso evento naturale.<br />

Nello stesso periodo a Roma, in occasione del Creative<br />

Contest 2019, è stato presentato in anteprima<br />

assoluta Platani di Davide Santocchi, un corto che<br />

ha come protagonisti due platani, uno più giovane e<br />

uno più adulto, che conversano tra di loro toccando<br />

con modi ironici e sarcastici temi ambientalistici.<br />

Al contrario dell’abete rosso il platano non “suona”<br />

ma colora l’arredo urbano delle città perché è<br />

molto resistente allo smog e cattura molta anidride<br />

carbonica. Non è dello stesso parere Yourban2030,<br />

un’organizzazione no profit che ha scelto il linguaggio<br />

artistico per veicolare il suo messaggio sui temi<br />

dell’ambiente, immaginando nuove prospettive del<br />

futuro sostenibile. Plants Play è una “performance<br />

arborea” resa possibile dallo sviluppo di un dispositivo<br />

che permette di convertire le variazioni di<br />

impedenza elettrica delle piante in musica. I segnali<br />

elettrici vengono captati tramite due sensori<br />

posizionati sulle foglie delle piante che li trasforma<br />

in note musicali attraverso un algoritmo di generazione<br />

statistica creato da Edoardo Taori e Federica<br />

Zizzari di Yourban2030. Le note vengono poi inviate<br />

tramite Bluetooth a uno smartphone o tramite Midi<br />

a un computer. “Avremmo potuto raccontarvi che<br />

le piante sono in grado di comunicare?” chiosa la<br />

Presidente di Yourban2030 Veronica De Angelis<br />

“Magari si, ma non sarebbe stato così convincente<br />

come sentirle parlare”.<br />

Come darle torto?<br />

<strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019 95


CUT ‘N’ MIX<br />

Rogers si, ma, però<br />

Fuor di metafora (e a rischio di metaforico linciaggio) Rogers Waters ha sfinito i cabbasisi con il suo eterno<br />

rimestare in un patrimonio musicale leggendario ma ormai archiviato nel passato con pochi sprazzi di presente.<br />

Eppure le sue produzioni monumentali e d’avanguardia, il tentativo di raggiungere nuove esperienze<br />

sensoriali, rimane meritevole di attenzione come un certo fiuto su fenomeni sociologici ipotizzati 40 anni fa<br />

e oggi, purtroppo, “solide realtà”. Così US + THEM che i più fortunati hanno potuto gustare in 4K al cinema<br />

(7-9 ottobre in 60 cinema del mondo) con adeguata colonna sonora, più che un inno al trittico “diritti umani<br />

- libertà - amore” dove persino Ferragnez può avere maggiore appeal (a dispetto di uno spessore umano<br />

certamente minore) è l’apoteosi di un modo di fare musica che combina le note e la tecnologia.<br />

Nell’omonimo spettacolo dal vivo un palco largo 26,6 metri e uno schermo LED di 28,5 metri di larghezza e 12<br />

metri di altezza giganteggiano e coadiuvano la musica in una esperienza sensoriale a tutto tondo che all’inizio<br />

del secondo tempo, tra sirene e luci lampeggianti, vede la sala divisa al centro da una gigantesca rete metallica<br />

che cala dal tetto e da cui si alzavano grandi camini alti cinque metri. Contemporaneamente appaiono 16 schermi<br />

in movimento che rivelano la riproduzione macroscopica della famosa Centrale Elettrica di Battersea, l’edificio<br />

reso iconico dalla copertina di Animals<br />

(1977), progettata da Roger Waters.<br />

Si continua così tra effetti laser e le icone<br />

del Waters pensiero (un maiale gonfiabile<br />

ad aria fredda lungo 2.750 mm, alto 1.380<br />

mm e largo 1.050 mm, la nave spaziale a<br />

forma di maiale, gonfiata ad elio – e quella<br />

Orb cromata e gonfiata ad elio con una<br />

telecamera a bordo) con risultati emozionanti<br />

anche nelle due dimensioni del<br />

grande schermo che ripagano del grande<br />

sforzo logistico: 30 camion per le attrezzature<br />

della produzione, oltre 10 ore per<br />

il montaggio del tutto…<br />

Il Tremila<br />

HYDE PARK<br />

CORNER<br />

PILLOLE DA 3000 MCG<br />

UNA INCUDINE IN VOLO<br />

Come fussi picciridda, brano contenuto nell’album<br />

Tarakè di Francesca Incudine e già premiato<br />

con la Targa Tenco come miglior album in dialetto,<br />

è tra i brani che, fino a novembre, andranno in<br />

rotazione, prima del decollo e dopo l’atterraggio,<br />

sui voli nazionali e internazionali di Alitalia. La<br />

cantautrice siciliana è infatti tra i vincitori del<br />

contest “Fai volare la tua musica” bandito da SIAE, Alitalia e Rockol.<br />

Niente airport music… finalmente!<br />

LIQUIDAMENTE CONCRETA<br />

La musica approda, attraverso la piattaforma di<br />

Tidal, nei negozi Bershka dove una zona relax è<br />

stata equipaggiata con diversi iPad e cuffie affinché<br />

i clienti possano ascoltare playlist esclusive<br />

oltre tutti i contenuti normalmente offerti da<br />

TIDAL. Inoltre i clienti riceveranno una prova<br />

gratuita di tre mesi di TIDAL e avranno la<br />

possibilità di partecipare a eventi esclusivi di TIDAL X. Vi chiederete:<br />

ma che cavolo è Bershka? Secondo il comunicato stampa si tratta di<br />

un marchio si rivolge “agli estroversi e ai fashion conscious”. Il marchio<br />

(che appartiene al Gruppo Inditex, uno dei più grandi rivenditori di moda<br />

del mondo) contrassegna una catena di negozi con più di 7.300 store in<br />

92 mercati in tutti e cinque i continenti dove noi verosimilmente non<br />

troveremo mai abiti per noi. Per i nostri figli, forse…<br />

INTEGRAZIONE E INCLUSIONE<br />

ll 14 ottobre al Museo d’Arte Cinese ed Etnografico di Parma (viale San<br />

Martino, 8) si terrà la prima edizione di AHYMÉ, il festival interculturale<br />

dell’integrazione ideato e diretto dall’artista, musicista, compositore e<br />

autore Bessou Gnaly Woh, Presidente dell’Associazione “Colori d’Africa<br />

– APS”. Il festival si articola in tre giornate dedicate alla cultura e alla<br />

musica africana con artisti che hanno segnato la storia della world music:<br />

dal celebre volto di Ray Lema, simbolo portante della musica africana,<br />

alla nuova promessa afropop Gasandji; dal gruppo musicale Mokoomba<br />

al cantante ivoriano Boni Gnahoré, padre e mentore della prima vincitrice<br />

ivoriano di un Grammy Awards. Il cantante camerunese Daniel Kollé e il<br />

produttore e compositore world music Giovanni Amighetti eseguiranno<br />

in anteprima il brano The Hunters in the Snow, ispirato all’omonimo<br />

quadro di Pieter Bruegel.<br />

Per info: https://museocineseparma.org/it<br />

96 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019


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Hanno collaborato<br />

Massimo Bargna, Agostino Bistarelli, Francesco Bonerba, Paolo Corciulo, Daniele Camerlengo,<br />

Nicola Candelli, Carlo D’Ottavi, Pier Paolo Ferrari, Marco Fullone, Antonio Gaudino, Marco Mazzi,<br />

Vittorio Pio, Riccardo Russino, Il Tremila.<br />

Abbonamenti: annuale Italia € 60,00 (all inclusive).<br />

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Direttore responsabile Paolo Corciulo<br />

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scritta dell’Editore.<br />

Suono è un periodico che ha percepito (già legge 7 agosto 1990 n. 250) e percepisce i contributi<br />

pubblici all’editoria ( legge 26 ottobre 2016 n. 198, d.lvo 15 maggio 2017 n. 70).<br />

Il presente numero di <strong>SUONO</strong> è stato finito di stampare nel mese di ottobre 2019.<br />

INDICE INSERZIONISTI<br />

Audio Reference<br />

II Cop.<br />

Mpi Electronic - McIntosh 5<br />

Cooperativa Giornalistica Mondo Nuovo<br />

Direttore editoriale<br />

Paolo Corciulo<br />

Distributore per l’Italia<br />

Press-di Distribuzione Stampa e Multimedia S.r.l.<br />

20134 Milano<br />

Stampa<br />

Tiber S.p.A.<br />

Via Della Volta 179 - 25124 Brescia (BS)<br />

(t) 030.35.43.439<br />

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Audiogamma 9, 97<br />

Audiogamma - Musical Fidelity 19<br />

Audioplus 29<br />

Dp Trade 40<br />

Gammalta Group - Pmc 33<br />

Gammalta Group 16, 18<br />

High Fidelity Italia - Accuphase 37<br />

Il Centro Della Musica 15<br />

Laboratorium 65<br />

Lp Audio - Moon<br />

III Cop.<br />

Mpi Electronic - PS Audio 17<br />

Mpi Electronic - Klipsch 81<br />

Mpi Electronic - Sonus Faber<br />

IV Cop.<br />

Music Tools - VTL 11<br />

Openitem - Carot One 47<br />

Stereo Box 69<br />

Tecnofuturo - Gold Note 13<br />

Tecnofuturo 57<br />

Tecnofuturo - Luxman 83<br />

Tektron 7<br />

98 <strong>SUONO</strong> ottobre - novembre 2019

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