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SUONO n° 551

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N. XXX<br />

Editoriale<br />

di Paolo Corciulo<br />

Perdonali perché non<br />

sanno quello che fanno*<br />

*sottotitolo: buone intenzioni per il 2021<br />

L’accorato messaggio di Papa Bergoglio di qualche tempo fa (25 gennaio 2021) in merito alla comunicazione<br />

ci tira in ballo tutti e se la faccenda ha scombussolato l’intermediario de “l’inquilino del piano<br />

di sopra”, beh, Houston... abbiamo un problema!<br />

Dice Bergoglio: “Voci attente lamentano da tempo il rischio di un<br />

appiattimento in ‘giornali fotocopia’ o in notiziari TV e radio e<br />

siti web sostanzialmente uguali, dove il genere dell’inchiesta e del<br />

reportage perdono spazio e qualità a vantaggio di una informazione<br />

preconfezionata, ‘di palazzo’, autoreferenziale, che sempre<br />

meno riesce a intercettare la verità delle cose e la vita concreta<br />

delle persone, e non sa più cogliere né i fenomeni sociali più gravi<br />

né le energie positive che si sprigionano dalla base della società”.<br />

Come dargli torto? E, aggiungo io, ho il forte sospetto che quanto<br />

accaduto sia elemento essenziale di quella che Ernesto Galli<br />

della Loggia dalle pagine del “Corriere Della Sera” definisce “la<br />

crescente delegittimazione della democrazia e con essa il diffondersi<br />

di una rabbia aggressiva”, frutto a suo dire (e condivido in<br />

toto) “delle gigantesche trasformazioni ideologiche e del costume<br />

avvenute nelle società occidentali nel corso degli ultimi due o<br />

tre decenni. Allorché la morale tradizionale si è repentinamente<br />

dissolta e le sue agenzie di formazione, i suoi punti di riferimento<br />

- la nazione, la famiglia, i partiti politici, la Chiesa, la scuola - o<br />

hanno visto cambiare decisamente le proprie regole o sono state<br />

investiti da critiche radicali e per molti aspetti messi fuori gioco”.<br />

La mancanza di una informazione salda, certa, in una parola<br />

“autorevole” ha contribuito a generare un sentimento di giustizia<br />

offeso, uno straniamento delle persone che non riescono più a riconoscersi<br />

nei modelli della cultura ufficiale, all’insorgere di una<br />

rabbia che l’articolista cita in relazione all’assalto al Campidoglio<br />

degli Stati Uniti del 6 gennaio 2021.<br />

Per fortuna, nell’ambito delle cose audiofile è meno drammatico<br />

ma non per questo le dinamiche sono diverse se il panorama<br />

odierno offre una pletora di personaggi che, cavalcando quella<br />

rabbia, si offrono come nuovi supposti paladini della verità,<br />

qualsiasi cosa si intenda con essa. Si va dall’idiota (utile o meno<br />

lo dirà la storia) che dal suo sito propone confronti imbarazzanti<br />

e ne sottopone “democraticamente” il giudizio al popolo che valuta<br />

ed esprime sulla base di un ascolto comparato dal telefonino<br />

(!?!) al personaggio affetto dal complesso di superiorità (declinato,<br />

però, in minore) che dispensa la sua saggezza ma, fateci caso,<br />

ogni volta che spara una cazzata gli viene una specie di risarella<br />

isterica… Passaggio quasi obbligato, in questo variegato universo<br />

intangibile di internet, quello della “rivista ufficiale” mezza copiata<br />

(e mal tradotta, chissà se in barba al copyright) da una molto più<br />

autorevole “cugina” estera, mezza inattendibile e mezza (vabbè,<br />

la statistica non è il mio forte) ancora una volta… na’ cazzata! E<br />

io mi chiedo: questa ampia varietà di fuffa democraticamente a<br />

tua disposizione, caro lettore (e mi interrogherei se il fatto che<br />

sia gratis è un vantaggio o un campanello d’allarme), ti illuminerà<br />

o ti getterà nella confusione più totale? E noi (plurale maiestatis<br />

di <strong>SUONO</strong>), che cosa possiamo fare per aiutarti? Dalla barra di<br />

comando, cristianamente seguirò il consiglio di Papa Francesco<br />

nel “consumare la suola delle scarpe”, perché i contenuti di<br />

questa rivista sappiano “intercettare la verità delle cose”; e già<br />

che mi sento in odor di sciacquare i panni in Arno, continuerò a<br />

considerare fonte d’ispirazione lo scritto che riporto qui di seguito<br />

e che mi auguro ispirerà anche voi:<br />

“Erano costoro onesti non per qualche speciale ragione (non potevano<br />

richiamarsi a grandi principi, né patriottici né sociali né<br />

religiosi, che non avevano più corso), erano onesti per abitudine<br />

mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso. Insomma<br />

non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano<br />

loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la<br />

loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi<br />

che collegano il guadagno col lavoro, la stima al merito, la<br />

soddisfazione propria alla soddisfazione d’altre persone. In<br />

quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a<br />

posto loro erano i soli a farsi sempre degli scrupoli, a chiedersi<br />

ogni momento cosa avrebbero dovuto fare. Sapevano che fare<br />

la morale agli altri, indignarsi, predicare la virtù sono cose che<br />

trovano troppo facilmente l’approvazione di tutti, in buona o in<br />

malafede. Il potere non lo trovavano abbastanza interessante<br />

per sognarlo per sé (almeno quel potere che interessava agli<br />

altri); non si facevano illusioni che in altri paesi non ci fossero<br />

le stesse magagne, anche se tenute più nascoste; in una società<br />

migliore non speravano perché sapevano che il peggio è sempre<br />

più probabile”.<br />

Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti<br />

Italo Calvino<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 3


Sommario<br />

Suono Stereo Hi-Fi<br />

la più autorevole rivista audio<br />

Poste Italiane Spa sped. abb. post.<br />

D.L. 353/2003<br />

(conv. in L. 27/02/2004 n. 46)<br />

Art. 1, Comma 1, Roma,<br />

aut. N. 140 del 2007 • mensile<br />

anno XLVX<br />

febbraio-marzo 2021<br />

2<br />

<strong>SUONO</strong> | <strong>551</strong> | FEBBRAIO-MARZO 2021 DI MARCO, NOCENZI, RUGGIERO, ZEROMANTRA: ROCK-POP ALL’ITALIANA<br />

10002<br />

IN PROVA<br />

9 771721 576006<br />

AMPLIFICATORI INTEGRATI<br />

YAMAHA A-S1200<br />

QUAD VA-ONE+,<br />

TRIGON ELEKTRONIK EXXCEED INT<br />

DIFFUSORI<br />

PMC TWENTY5.23I<br />

SONUS FABER OLYMPICA NOVA V<br />

SISTEMI<br />

SONOS FIVE<br />

TRIANGLE AIO 3<br />

COMPLEMENTI<br />

PORTENTO AUDIO POWER<br />

CLEAN ZERO<br />

CAVI<br />

PORTENTO AUDIO USB COPPER ONE,<br />

USB COPPER ONE DUAL HEADED,<br />

USB COPPER SIGNATURE<br />

Sonus Faber Lumina<br />

LA SOLITUDINE DEI NUMERI1<br />

<strong>551</strong><br />

70 anni di Nagra<br />

Phil Spector<br />

COMINCIÒ TUTTO COSÌ... L’ANTESIGNANO DEI<br />

€ 7,00<br />

PRODUTTORI<br />

Ani DiFranco<br />

IL RITORNO DELLA RIOT<br />

GRRRL<br />

N. <strong>551</strong><br />

FEBBRAIO-MARZO 2021<br />

EDITORIALE di Paolo Corciulo<br />

L’accorato messaggio di Papa Bergoglio di qualche<br />

tempo fa (25 gennaio 2021) in merito alla comunicazione<br />

ci tira in ballo tutti e se la faccenda ha scombussolato<br />

l’intermediario de “l’inquilino del piano di sopra”, beh,<br />

Houston... abbiamo un problema!<br />

ANTENNA Prodotti, News, Storie<br />

Scouting tra le proposte del mercato: in un mare di<br />

offerta occorre orientarsi con una bussola!<br />

3<br />

6<br />

SELECTOR TUTTO IL MEGLIO IN ARRIVO SUL MERCATO<br />

INSIDE DENTRO LA MUSICA<br />

SUL CAMPO<br />

COORDINATI<br />

SONOS VS TRIANGLE<br />

Sonos Five<br />

Triangle Aio 3<br />

a cura della redazione<br />

40<br />

LA PANDEMIA E LA MUSICA<br />

Cosa resterà di questo Covid qua...<br />

di Francesco Bonerba<br />

Si dice che da ogni crisi nasce un’opportunità<br />

e allora, parafrasando, si può dire che da ogni<br />

pandemia nasca una forma di rinascita? Con<br />

il dovuto rispetto per il dolore che il Covid ha<br />

generato, abbiamo provato ad analizzare che<br />

cosa è cambiato nel settore della riproduzione<br />

musicale e se, tra i tanti problemi,<br />

qualcosa è cambiato in meglio e potrà<br />

14<br />

essere utile in futuro...<br />

ALTA FEDELTÀ 2020<br />

IL FUTURO DEL PUNTO VENDITA<br />

La vita è tutta un risiko?<br />

di Libero Abbaci<br />

Appunti per un domani e per il rilancio dei punti<br />

vendita Hi-Fi la cui continua e inesorabile chiusura,<br />

per i motivi congiunturali, sta comportando<br />

22<br />

una concentrazione di distributori e di<br />

brand nell’offerta di mercato.<br />

IN PROVA<br />

AMPLIFICATORE<br />

INTEGRATO<br />

Yamaha A-S1200<br />

a cura della redazione<br />

44<br />

SUL CAMPO<br />

AMPLIFICATORE<br />

INTEGRATO<br />

Quad VA-One+<br />

di Nicola Candelli<br />

48<br />

FEDELI ALLA LINEA<br />

70 volte Nagra<br />

di Paolo Corciulo<br />

La casa svizzera festeggia i suoi 70 anni di vita<br />

vissuti nel solco di una invidiabile coerenza<br />

di intenti. Una vera icona, senza cedimenti,<br />

nel mercato Hi-Fi, sempre più alla ricerca di<br />

concretezza.<br />

28<br />

PHIL SPECTOR<br />

Angeli & Demoni<br />

de Il Tremila<br />

La morte in prigione il 16 gennaio a causa del<br />

Covid ma alle spalle un passato brillante nel<br />

32<br />

campo musicale, con tutti gli eccessi del<br />

caso. Il lascito di Phil Spector è quello di aver<br />

nobilitato la figura del produttore, unendo<br />

creatività a un sapiente uso delle tecnologie a<br />

disposizione.


Sommario<br />

Ta tarara tara taaaaaa<br />

UN OSSERVATORIO SUL MERCATO<br />

Essere un centro pilota <strong>SUONO</strong>point<br />

di Paolo Corciulo<br />

D’Agostini Lab a Roma e Il Centro<br />

della Musica a Legnano hanno aderito<br />

34<br />

all’iniziativa di <strong>SUONO</strong> che in questi ultimi<br />

mesi ha cercato dalle pagine del giornale di<br />

esaminare il mercato Hi-Fi ed evidenziarne i<br />

punti critici. Per rilanciarlo…<br />

VITA E OPERE DI BUDDY HOLLY<br />

Il giorno in cui nacque il rock<br />

di Massimo Bargna<br />

Una nuova e curatissima antologia musicale di<br />

Buddy Holly suddivisa in tre CD riporta<br />

l’attenzione sul ruolo che il leggendario<br />

36<br />

artista texano ebbe sulla genesi del rock ‘n<br />

roll degli anni Cinquanta e sullo sviluppo<br />

della musica del decennio successivo.<br />

52 di<br />

SUL CAMPO<br />

AMPLIFICATORI INTEGRATO<br />

Trigon Elektronik EXXCEED INT<br />

Roberto Rubini<br />

IN PROVA<br />

DIFFUSORI<br />

Pmc Twenty5.23i<br />

a cura della redazione<br />

56<br />

ABBONARSI SIGNIFICA<br />

NON DOVER MAI DIRE<br />

“MI DISPIACE”<br />

60 a<br />

IN PROVA<br />

DIFFUSORI<br />

Sonus Faber Lumina I<br />

cura della redazione<br />

66<br />

di<br />

SUL CAMPO<br />

DIFFUSORI<br />

Sonus Faber Olympica Nova V<br />

Vincenzo Sollazzo<br />

CAMPO<br />

CAVI USB<br />

70SUL<br />

Portento Audio<br />

di Nicola Candelli<br />

72<br />

AMATO MIO LP<br />

di Carlo D’Ottavi<br />

Ci siamo<br />

fatti in<br />

quattro<br />

per voi<br />

rivista cartacea,<br />

sfogliabile e pdf 12 MESI 60 €<br />

rivista cartacea,<br />

sfogliabile e pdf<br />

6 30 MESI €<br />

74<br />

LE RECENSIONI<br />

Classica - Rock - Jazz<br />

A.A.V.V.<br />

rivista cartacea,<br />

sfogliabile e pdf<br />

3 20 MESI €<br />

edizione digitale,<br />

sfogliabile e pdf 12 40 MESI €<br />

92CUT ‘N’ MIX CONCERTI | CINEMA | LIBRI | SOCIETÀ | ARTE<br />

Tutte le informazioni su<br />

www.suono.it<br />

(oppure contattare<br />

diffusione@suono.it)


ANTENNA<br />

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Indiana Line cambia faccia<br />

La roccaforte del value for money italiano<br />

cambia proprietà e non è un cambio da<br />

poco visto che il bastone del comando passa<br />

dalle mani di Eugenio Musso, che ha creato<br />

il marchio traghettandolo attraverso un<br />

mare in tempesta (così disegnava il mercato<br />

Hi-Fi una vecchia pubblicità autopromozionale<br />

di <strong>SUONO</strong>) in un tragitto lungo oltre<br />

40 anni, a quelle di Audio Klan, gruppo<br />

polacco il cui spirito si è sempre ispirato<br />

alla “logica del buon padre di famiglia”,<br />

orientando il suo operato su progetti ragionevoli,<br />

per lungo tempo caratterizzati da<br />

una linea spartana e fin da subito orientati<br />

a far buon uso della delocalizzazione per la<br />

produzione e l’acquisizione dei materiali,<br />

mantenendone salda la proprietà intellettuale.<br />

D’altronde tale vocazione apolide si<br />

ravvisa fin dai primi passi, già dalla scelta<br />

del nome, che in un periodo (la metà degli<br />

anni ’60) in cui l’immaginario audiofilo si<br />

rivolgeva al made in USA, faceva eco alle<br />

lusinghe e al fascino degli allora lontani<br />

States simbioticamente legati alla nascita<br />

della “costola” Alcor, distributore allora<br />

degli altoparlanti marchiati Utah prima e<br />

di Coral Electronic, nata nel 1975, e distributrice<br />

al tempo del marchio giapponese<br />

Coral (solamente per un caso il nome è anagramma<br />

di Alcor!). Negli anni più recenti<br />

è avvenuto il consolidamento sui mercati<br />

internazionali, sempre sotto la guida di<br />

Eugenio Musso, affiancato all’avvicinarsi di<br />

quella fase tipica nel percorso delle aziende<br />

che coincide con una crisi da crescita o<br />

una opportunità di crescita. Più volte ci è<br />

capitato di raccontare di questo momento<br />

e delle soluzioni intraprese per superarlo,<br />

che in alcuni casi hanno portato all’annullamento<br />

(a volte persino auspicato, quasi<br />

a liberarsi di un pesante fardello che ne<br />

imbriglia i rinnovati obiettivi) del proprio<br />

heritage, mentre altre volte ne hanno esaltato,<br />

anche oltre misura, l’esatto contrario,<br />

ovvero l’aspetto iconico. Al di là delle scelte<br />

filosofiche sono quelle economiche a dettarne<br />

il programma: molte delle aziende<br />

in crisi da crescita sono finite, a volte con<br />

successo altre no, nelle mani di gruppi di<br />

affari, banche e fondi di investimento il<br />

cui obiettivo non è esattamente etico ma<br />

votato a un (lecito) profitto. Un passaggio,<br />

quello finanziario, dal quale qualcuno ha<br />

fatto un passo indietro: è il caso di NHT e<br />

Audio Research, giusto per citarne i più<br />

recenti, che alla fine di un completo giro<br />

di giostra sono ritornati nelle confortanti<br />

6 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


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mani dell’“uomo unico al comando”, quasi a<br />

reinterpretare i momenti degli inizi, che per<br />

la maggior parte dei marchi Hi-Fi è quello<br />

della classica storia del one man band.<br />

La soluzione scelta da Indiana Line è a<br />

cavallo tra le situazioni citate, vista la storia<br />

del gruppo Audio Klan che l’ha acquistata:<br />

come accennato si tratta di un gruppo a<br />

conduzione familiare (anche se oggi conta<br />

oltre 100 dipendenti) fondato nel 1994<br />

a Varsavia come distributore di prodotti<br />

Hi-Fi. Intuendo l’onda del successo che ha<br />

portato la Polonia al centro nell’agone del<br />

mercato Hi-Fi internazionale (oggi l’Audio<br />

Video Show di Varsavia è una delle più<br />

importanti manifestazioni a livello europeo),<br />

Audio Klan ha sviluppato una rete<br />

di negozi nel suo Paese (18 negozi denominati<br />

“Top Hi-Fi & Video Design”) e poi<br />

una distribuzione internazionale in tutto<br />

il mondo di cui beneficerà anche Indiana<br />

Line che, risolto il problema delle risorse,<br />

si trova ora a un bivio commerciale<br />

e di natura tecnica. Entrambi gli aspetti<br />

sono stati in passato legati alla figura di<br />

Musso che, secondo i rumour che abbiamo<br />

raccolto, è intenzionato se non ad abbandonare<br />

quantomeno ad allentare il livello<br />

dei suoi impegni lavorativi. Molto dipende<br />

da quanto di quella formula progettuale e<br />

produttiva che ha caratterizzato Indiana<br />

Line in questi anni è stato trasmesso e di<br />

quanto Audio Klan vorrà farne uso, avendo<br />

o meno obiettivi simili. Il passaggio dalla<br />

dimensione “un uomo solo al comando”<br />

a quella inevitabilmente più complessa<br />

di un management aziendale non è privo<br />

di traumi, cesure e cambiamenti radicali,<br />

come insegna la vicenda di Sonus faber<br />

che ha trovato nella sua ormai non più<br />

nuova proprietà una spinta poderosa per<br />

l’export ma ha dovuto gestire un delicato<br />

“post Serblin”.<br />

Per Indiana Line fa ben sperare la “mission”<br />

disvelata nelle parole presenti sul loro sito,<br />

che “...è rimasta invariata da quando abbiamo<br />

iniziato a metà degli anni Novanta.<br />

Ci impegniamo a fornire agli amanti della<br />

musica la migliore qualità del suono e un<br />

vero rapporto qualità-prezzo, poiché la<br />

loro soddisfazione è sempre stata la nostra<br />

priorità assoluta”. Un inizio a cui vedremo<br />

come seguiranno i fatti.<br />

Paolo Corciulo<br />

HARD WIRED, TUBE ONLY, PURE MUSIC.<br />

WWW.TEKTRON.IT<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 7


ANTENNA<br />

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AUDIO RESEARCH:<br />

I NUOVI REFERENCE<br />

DIVENTANO DUE<br />

I suoi primi 50 anni Audio Research li ha chiusi con uno<br />

scossone non da poco: la fine del matrimonio con il McIntosh<br />

Group cominciato nel 2008 e mai del tutto digerito<br />

se il nuovo proprietario TWS Enterprises non è altri che<br />

una società privata creata e interamente controllata da<br />

quel Trent Suggs che prima aveva abbandonato l’azienda<br />

e che ora, insieme a Brandon Lauer (un altro della vecchia<br />

guardia che ritorna), si pone tra gli obiettivi quello<br />

di “ritornare ai valori delle piccole imprese”, ovvero alle<br />

origini, allo spirito tradizionalissimo del fondatore William<br />

Z. Johnson e dei suoi immediati successori. Uno spirito<br />

e una storia scanditi da passi “lenti e ben distesi”, come<br />

spiegato in Audio Research: Making the Music Glow, prezioso<br />

(anche nel prezzo, 150 dollari) volume realizzato<br />

con le stesse dimensioni di un LP che racconta la storia<br />

del marchio attraverso le parole di progettisti, ingegneri<br />

e dirigenti (molti dei quali rimasti tutt’ora fedeli<br />

all’azienda). Curato da Ken Kessler e realizzato con la<br />

collaborazione e l’approvazione di Nancy Johnson, la<br />

vedova del fondatore, è riccamente illustrato con preziose<br />

immagini d’archivio. Se Audio Research: Making the Music<br />

Glow può considerarsi il primo atto della nuova proprietà,<br />

l’annuncio dell’introduzione di un nuovo finale di potenza<br />

(Reference 80S) è invece il primo intervento in questo<br />

2021 e, al contempo, il primo prodotto sfornato dalla nuova compagine sociale. Si aggiunge alla già ampia linea Reference (6 modelli), di cui<br />

è cominciato il rinnovamento qualche tempo fa con l’introduzione del Reference 160 (versioni mono e stereo) caratterizzato dal restyling realizzato<br />

da Livio Cucuzza (a questo punto il suo ultimo impegno per A.R.?). Proprio da questo apparecchio prende le mosse il Reference 80, che<br />

utilizza lo stesso chassis e lo stesso design caratterizzato dalla presenza dell’ampia finestratura sul pannello frontale dove trovano sede i nuovi<br />

GhostMeters. Anche a livello circuitale l’apparecchio prende le mosse dal 160 con una demoltiplica che porta a 4 le valvole invece che 8 ma<br />

mantiene il disegno completamente bilanciato con<br />

topologia differenziale e il sistema di auto-bias proprietario.<br />

Un selettore consente il funzionamento a<br />

triodo o pentodo ed è presente un conta ore per il<br />

funzionamento delle valvole.<br />

Agostino Bistarelli<br />

Distributore: Audio Natali - www.audionatali.com<br />

Amplificatore finale Audio Research Reference 80S<br />

Prezzo: € 18.000,00<br />

Dimensioni: 43,8 x 25 x 47 cm (lxaxp)<br />

Tipo: stereo Tecnologia: a valvole, triodo-pentodo<br />

selezionabile Potenza (W): 80 su 8 Risp. in freq.<br />

(Hz): 0,5 - 110.000 Ingressi: 1 RCA e 1 XLR bilanciato<br />

Note: completamente bilanciato. Uscite distinte a<br />

16, 8 e 4 Ohm, autobias. 4 x KT150<br />

8 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


ANTENNA<br />

Bassi profondi<br />

e collegamento Wi-Fi<br />

Il nuovo sub Kef KC62 sostituisce il KF92 e, pur avendo dimensioni minori, promette prestazioni<br />

analoghe se non superiori grazie alle innovative soluzioni introdotte: gli ingegneri della casa,<br />

infatti, hanno utilizzato le tecnologie brevettate di “annullamento della forza” e Uni-Core con<br />

un inedito approccio alle prestazioni del subwoofer, alla ricerca di ottimizzarne le prestazioni in<br />

ambienti dai più piccoli fino a quelli medi


ANTENNA<br />

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InPol evolve<br />

La circuitazione InPoL (Inseguitore Pompa Lineare) è il marchio di fabbrica<br />

dell’italiana Pathos insieme all’originale design che mixa elementi<br />

tradizionali come il legno e linee rigorose di stampo nordeuropeo. Completamente<br />

bilanciata in classe A con un unico componente a stato solido<br />

in configurazione di inseguitore (ottenendo così un elevato guadagno in<br />

corrente con un guadagno in tensione unitario), questa soluzione consente<br />

di raddoppiare il rendimento teorico della pura classe A dal 25% al 50%<br />

con una bassa impedenza d’uscita. La nuova versione dell’InPol viene<br />

adottata sull’integrato InPoL2 MkII che, praticamente a parità di costi,<br />

sostituisce il precedente modello in esercizio ormai da svariato tempo.<br />

Maggiore ora la potenza su 4Ω (20% in più) e maggiore la corrente di<br />

BIAS, condizione che ha reso necessari radiatori di maggiori dimensioni<br />

pur senza alterare l’armonia del design. Migliorata l’alimentazione,<br />

nuovamente a potenza lineare (trasformatore - ponte - condensatori)<br />

con configurazione dual mono: 2 trasformatori (uno per canale), 2 ponti<br />

Amplificatore integrato Pathos InPoL2 MkII<br />

Prezzo: € 9.700,00<br />

Dimensioni: 43 x 18,50 x 55 cm (lxaxp)<br />

Peso: 45 Kg<br />

raddrizzatori (1 per canale) e 4 condensatori (2 per canale).<br />

Agostino Bistarelli<br />

Distributore: Pathos Acoustics - www.pathosacoustics.com<br />

Tipo: stereo Tecnologia: ibrido Potenza: 2 x 45 W su 8 Ohm in classe<br />

A pura, con tecnologia doppio InPoL Accessori e funzionalità aggiuntive:<br />

Telecomando Ingressi analogici: 4 RCA 2 XLR Ingressi<br />

digitali: 4 totali - Ottico / RCA / USB Standard Convertitore audio<br />

D/A: opzionale (HiDac Mk2) 32 bit/384KHz PCM; DSD Note: Configurazione<br />

interamente bilanciata; valvole 2x ECC803 + 2x ECC82; 1<br />

uscita pre XLR; volume resistivo con commutatori a relé; scheda HiDac<br />

Mk2 opzionale +640€<br />

PER NON PENSARCI PIÙ<br />

Appartiene alla nuova generazione dei plug and play l’Audio-Technica<br />

AT-LPW50PB, un giradischi completo di braccio e testina (AT-VM95E) che<br />

integra un preamplificatore fono selezionabile con cavo di uscita RCA doppio<br />

rimovibile, in modo da consentire il collegamento diretto a dispositivi<br />

con o senza ingresso fono dedicato. Lo chassis è in MDF anti-risonanza di<br />

30 mm di spessore, con finitura laccata color nero lucido. Il costo consente<br />

un accesso alla dimensione vinilica assolutamente abbordabile.<br />

Agostino Bistarelli<br />

Distributore: Sisme - www.sisme.com<br />

Giradischi Audio-Technica AT-LPW50PB<br />

Prezzo: € 399,00<br />

Dimensioni: 42 x 12,6 x 35,6 cm (lxaxp)<br />

Peso: 5,5 Kg<br />

Tipo: completo di testina Telaio: rigido in MDF da<br />

30 mm laccato nero Trasmissione: a cinghia Piatto:<br />

alluminio pressofuso e tappetino in gomma<br />

Velocità (RPM): 33/45 Braccio: dritto in carbonio<br />

con shell universale AT-HS4 Alzabraccio: idraulico<br />

Wow & Flutter (%): 60 Note: preamplificatore phono incluso<br />

escludibile, fonorilevatore MM premontato AT-VM95E<br />

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12 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


Auralic si espande<br />

A partire da febbraio 2021 il marchio Auralic sarà distribuito nel nostro<br />

paese da Audiogamma. Il marchio ha sede a Hong Kong ed è stato fondato<br />

nel 2008 da Xuanqian Wang (ingegnere elettronico con esperienze nel<br />

campo della registrazione e una attività come pianista) e da Yuan Wang<br />

(un background in sociologia e scienza della gestione), dopo essersi incontrati<br />

in occasione del Festival di Waldbühnes di Berlino. Sulla base<br />

di un modello matematico che tiene conto di elementi di psicoacustica<br />

Xuanqian Wang ha sviluppato nel 2014 una architettura comune per<br />

i suoi prodotti, le piattaforme Tesla G1 e G2 e Proteus G2, caratterizzate<br />

da complesse memorie di sistema aggiornabili, clock Femto72 e<br />

seguici anche su www.facebook.com/suono.it<br />

alimentazioni ultralineari che sono la base di una gamma di prodotti<br />

tutti dedicati allo streaming. Ben sette gli streamer a cui, con la nuova<br />

distribuzione, si aggiungono due nuovi prodotti che definire “accessori” è<br />

abbastanza limitativo: un master clock (Leo GX.1) e un upsampler (Sirius<br />

G2.1) compatibile con ogni tipo di campionamento che opera anche un<br />

reclock del segnale e un controllo dello jitter. Tutti gli apparecchi sono<br />

lavorati in CNC e ricavati dal pieno. I prezzi non sono variati da quelli<br />

proposti dal precedente distributore.<br />

Il Tremila<br />

Per info: Audiogamma<br />

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Prezzo: € 9.199,00<br />

Dimensioni: 34 x 9,6 x 32 cm (lxaxp)<br />

Tipo: generatore di clock Note: doppio clock al rubidio controllato in<br />

temperatura, accoppiato ad un oscillatore al cristallo anch’esso controllato<br />

in temperatura.<br />

Complemento Auralic Sirius G2.1<br />

Prezzo: € 6.799,00<br />

Dimensioni: 34 x 9,6 x 32 cm (lxaxp)<br />

Tipo: upsampler Ingressi: Lighting Link e USB fino a 384 Khz/32bit<br />

e DSD 512, AES/EBU, coassiale e ottico fino a 192Khz/24bit e DSD 64<br />

Uscite: Lighting Link e USB fino a 384 Khz/32bit e DSD 512, AES/<br />

EBU, coassiale e TOSLINK fino a 192Khz/24bit e DSD 64 Note: triplo<br />

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INSIDE DENTRO LA MUSICA<br />

di Francesco Bonerba<br />

Cosa resterà<br />

di questo Covid qua...<br />

Si dice che da ogni crisi nasce un’opportunità e allora, parafrasando, si può dire che da ogni pandemia<br />

nasca una forma di rinascita? Con il dovuto rispetto per il dolore che il Covid ha generato, abbiamo<br />

provato ad analizzare che cosa è cambiato nel settore della riproduzione musicale e se, tra i tanti<br />

problemi, qualcosa è cambiato in meglio e potrà essere utile in futuro...<br />

Il Web è più un’innovazione sociale che un’innovazione tecnica.<br />

L’ho progettato perché avesse una ricaduta sociale,<br />

perché aiutasse le persone a collaborare,<br />

e non come un giocattolo tecnologico.<br />

Il fine ultimo del Web<br />

è migliorare la nostra esistenza reticolare nel mondo.<br />

Tim Berners-Lee<br />

qui Watson, ho bisogno<br />

di lei!”. Non si tratta di un’esortazione<br />

del celebre personaggio “Venga<br />

creato dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle<br />

e rivolto al suo altrettanto celebre compagno<br />

di avventure ma della prima conversazione<br />

via telefono avvenuta a Boston tra Alexander<br />

Graham Bell e il suo assistente, Thomas<br />

A. Watson, il 10 marzo 1876. Come noto (e<br />

14 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


LA PANDEMIA E LA MUSICA<br />

riconosciuto nel 2002 dal Congresso degli<br />

Stati Uniti), la paternità dell’invenzione che<br />

avrebbe cambiato il secolo successivo apparteneva<br />

in realtà all’italiano Antonio Meucci,<br />

che già nel 1854 aveva inventato il suo primo<br />

prototipo, il telettrofono, per comunicare con<br />

la moglie, costretta a letto da un’artrite deformante.<br />

Ma questa, come si suol dire, è un’altra<br />

storia. Ciò che ci interessa dell’invenzione<br />

del telefono è immaginare lo sguardo attonito<br />

del pubblico che calcava i padiglioni della<br />

prima edizione americana dell’Esposizione<br />

Universale (Filadelfia, maggio - novembre<br />

1876) nell’osservare quell’enorme apparecchio<br />

ricevere e captare suoni provenienti da<br />

altrove. Lo stesso sgomento provato quando,<br />

a marzo 2020, la prossimità cui gli abitanti<br />

del villaggio globale sono stati abituati per<br />

decenni è stata per la prima volta soppressa<br />

su scala planetaria per far fronte all’emergenza<br />

del coronavirus. Così internet, che da<br />

diversi anni lavora per mandare definitivamente<br />

in pensione il telefono fisso, si è fatto<br />

carico di una sfida senza precedenti (secondo<br />

l’OECD - Organisation for Economic Co-operation<br />

and Development - oltre 1,3 miliardi<br />

di persone hanno lavorato e studiato da casa<br />

durante l’emergenza, con un incremento medio<br />

del 60% del traffico online) e a una necessità<br />

mai così imperativa: portare il mondo<br />

nelle case delle persone. Come se Bell, anziché<br />

chiamare il proprio assistente, avesse<br />

chiesto di essere raggiunto nella sua stanza<br />

dal proprio lavoro, dal teatro, dall’ancora non<br />

nato cinema, dai concerti ma anche dai beni<br />

di prima necessità e da tutti i suoi amici e<br />

La sala deserta del Musikverein a Vienna, dove Riccardo Muti ha diretto i Wiener Philharmoniker nel tradizionale<br />

concerto del primo dell’anno.<br />

parenti. Quello che sembrerebbe un racconto<br />

fantastico scritto da H. G. Wells è in realtà<br />

accaduto negli ultimi mesi e ha riguardato<br />

anche uno dei settori apparentemente più<br />

inconciliabili a essere “trasportati” in casa:<br />

la musica dal vivo. Non ne abbiano a male<br />

gli audiofili più colti, abituati a godere delle<br />

sonorità più impensabili attraverso impianti<br />

da migliaia di euro; il pensiero va piuttosto<br />

ai milioni di fruitori dei concerti di musica<br />

pop, dei festival musicali, delle iniziative di<br />

arte contemporanea e ai tanti studenti delle<br />

scuole e accademie impreparati a fruire la<br />

musica live attraverso modalità differenti. A<br />

un anno dall’inizio della pandemia, abbiamo<br />

voluto fare una rapida peregrinazione tra<br />

alcuni esperimenti per portare la musica in<br />

casa, facendola traghettare sul fiume sempre<br />

più veloce della rete.<br />

La sfida della distanza ha richiesto da subito<br />

il superamento di un ostacolo consistente,<br />

con il quale hanno dovuto confrontarsi uffici<br />

pubblici, scuole, società private: le barriere<br />

tecnologiche. In un Paese come l’Italia in<br />

cui il 70% degli utenti di Internet non hanno<br />

competenze digitali elevate e il 25% delle<br />

famiglie non dispongono di banda larga<br />

(fonte: Report Istat Cittadini e ICT, 2019),<br />

può essere facile sostituire una conversazione<br />

con una telefonata o videochiamata, ma immaginare<br />

la gestione a distanza di riunioni,<br />

lezioni, condivisione di file, organizzazione<br />

del workflow e via dicendo è tutt’altra storia.<br />

Le cose si complicano ulteriormente quando<br />

si parla di musica: faticosa la didattica,<br />

complessa la gestione di un evento fruibile<br />

esclusivamente online, apparentemente<br />

impossibile la sfida di restituire l’esperienza<br />

dello spettacolo dal vivo. Eppure… in tanti,<br />

nel corso dell’anno appena trascorso, ci hanno<br />

provato e ci sono riusciti! A partire dalle<br />

scuole: sono migliaia gli esempi di istituti e<br />

docenti virtuosi che, nonostante le mille difficoltà<br />

della DAD, non hanno rinunciato alle<br />

lezioni musica a distanza, sostenuti da nuovi<br />

strumenti di insegnamento.<br />

Cremona Musica, ad esempio, ha lanciato a<br />

luglio mfClassrooms, piattaforma web per<br />

studiare musica a distanza(tanti i conservatori<br />

e gli enti che l’hanno adottata, tra cui il<br />

Canepa di Sassari, l’Accademia Chigiana di<br />

Siena, l’European Music Institute di Vienna<br />

e la Escuela Reina Sofia di Madrid). Dietro<br />

il progetto, il pianista Roberto Prosseda (in-<br />

Il sistema LoLa 2.0 all’opera.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 15


INSIDE<br />

Jean-Michel Jarre nello studio dal quale ha registrato il concerto di fine anno.<br />

tervistato su <strong>SUONO</strong> 497, maggio 2015), che<br />

racconta in un’intervista: “Ho lavorato insieme<br />

ad Ubaldo Ponzio, co-ideatore e direttore<br />

tecnico di mfClassrooms, raccogliendo una<br />

sfida personale che aveva come obiettivi la<br />

creazione di un servizio che fosse funzionale<br />

per un musicista ed i suoi studenti e che<br />

contemporaneamente non fosse limitato<br />

a chi disponesse di una strumentazione e<br />

un’infrastruttura sofisticata e costosa. […]<br />

L’avanzamento tecnologico che consente<br />

questa nuova piattaforma sarà prezioso<br />

anche una volta superata la pandemia,<br />

perché ci permetterà di costruire nuovi progetti<br />

raggiungendo più facilmente luoghi,<br />

docenti, studenti anche geograficamente<br />

molto lontani.”<br />

Nello stesso solco si inserisce LoLa 2.0 (da<br />

Low Latency), un sistema, anch’esso completamente<br />

made in Italy, per suonare e<br />

fare didattica superando confini geografici<br />

e tecnologici. Nato nel 2007 in seno al Conservatorio<br />

Tartini di Trieste e recentemente<br />

implementato grazie alla rete GARR (infrastruttura<br />

che interconnette università, centri<br />

di ricerca, biblioteche, musei, scuole su tutto<br />

il territorio nazionale) e al progetto SWING<br />

(dedicato all’innovazione e alla collaborazione<br />

nel campo dell’istruzione musicale<br />

superiore), LoLa ha consentito lo scorso 6<br />

novembre, nel corso del Congresso annuale<br />

dell’Associazione Europea dei Conservatori,<br />

la realizzazione di una esibizione Jazz unica,<br />

con tre musicisti collegati simultaneamente<br />

da tre sedi diverse, Trieste, Vienna e Lubiana.<br />

Il concerto, ripreso in alta definizione da<br />

quattro telecamere, è stato trasmesso e poi<br />

La cattedrale di Notre Dame di Parigi ricreata digitalmente.<br />

reso disponibile su YouTube. Un primo passo<br />

verso un ambizioso obiettivo fino a poco<br />

tempo fa impensabile su scala planetaria:<br />

annullare, con la complicità della fibra e dei<br />

software, il gap temporale del passaggio di<br />

informazioni da una parte all’altra del mondo<br />

e rendere simultanea l’esecuzione live di artisti.<br />

Ed è ecco che, come per magia (la stessa<br />

che ha consentito a Meucci e Bell di meravigliare<br />

il mondo), diventa possibile realizzare<br />

un concerto in diretta a 10mila chilometri di<br />

distanza. Un altro traguardo che ha coinvolto<br />

l’Italia e nello specifico la Biennale di Tecnologia<br />

del Politecnico di Torino, che il 13<br />

novembre ha realizzato un collegamento tra<br />

musicisti di Torino, Monaco di Baviera (Germania)<br />

e Stanford (Stati Uniti) mantenendo<br />

il ritardo tra le esecuzioni a 30 millisecondi.<br />

Dietro al prodigio, però, nessuno stregone<br />

ma un algoritmo open source, JackTrip,<br />

sviluppato a partire dal 2000 da Chris Chafe,<br />

professore di musica della Stanford University<br />

music; il programma, recentemente<br />

perfezionato, consente la trasmissione di un<br />

flusso audio a bassa latenza, bidirezionale e<br />

non compresso, che annulla, di fatto, la distanza<br />

tra i musicisti. E non solo. Nel corso<br />

del concerto del 13 novembre dal titolo “Note<br />

in volo sulla rete”, sono state proposte pagine<br />

estrapolate dalla raccolta di Canzoni popolari<br />

WoO 158° di Beethoven (1816), Spiegel im<br />

Spiegel di Arvo Pärt (1978), la Sonata op.<br />

40 di Šostakovič (1934) e Lamentazioni del<br />

profeta Geremia, risalenti addirittura al 1588<br />

ed accompagnate dalle improvvisazioni di un<br />

esecutore di dilruba, poco noto strumento<br />

popolare ad arco dell’India Settentrionale.<br />

Un viaggio, dunque, che attraverso la fibra<br />

ottica e l’interpretazione digitale di algoritmi<br />

e software distribuisce, globalmente e in<br />

tempo reale, sonorità che hanno attraversato<br />

i secoli. Un patrimonio culturale che continua<br />

a tramandarsi grazie al supporto di una<br />

tecnologia che l’emergenza del Covid-19 sta<br />

definitivamente consolidando. Perché questo<br />

avvenga, ovviamente, sono necessarie persone<br />

pronte a mettersi in gioco, investire energie<br />

e passione nel modellare con intelligenza<br />

le risorse a disposizione. È il caso, ad esempio,<br />

dei musicisti dell’associazione La Scena<br />

Muta, Toscana, che durante il lockdown hanno<br />

dato vita alla Pippolo Music School,<br />

prima scuola di musica popolare contemporanea<br />

online, con corsi di basso elettrico,<br />

percussioni, tromba, digital audio, viola da<br />

gamba, tastiera e piano, etc. Il nome, che a<br />

qualcuno parrà insolito, deriva dal “pippolo”,<br />

modo popolare dei fiorentini di chiamare il<br />

plettro, e dalla Pippolese di Serpiolle e di<br />

16 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


INSIDE<br />

LO SPIRITO DELLA MUSICA OLTRE LA PANDEMIA<br />

Il presidente di HARMAN Lifestyle Division Dave Rogers è voluto intervenire<br />

sugli effetti dell pandemia sulla musica. Ospitiamo con piacere buona<br />

parte del suo interessante intervento.<br />

When the war is over<br />

and we go back to everyday, everyday<br />

Will it be the same again?<br />

When you’ve been turned inside out and outside in?<br />

Questi intensi versi della canzone inedita di Dave Matthews Singing from the<br />

Windows, ispirata alla pandemia globale di Covid-19, rappresentano l’angoscia<br />

emotiva che milioni di noi provano oggi. In tutto il mondo si sta lottando<br />

per creare una nuova normalità che pochi, se non nessuno, avrebbe potuto<br />

immaginare un anno fa. E senza vedere un punto di svolta a breve, questa<br />

nuova normalità può durare molto più a lungo di quanto chiunque vorrebbe.<br />

Mentre le misure necessarie nella lotta contro il virus come l’isolamento e la<br />

quarantena iniziano ad avere una serie di effetti collaterali, tra cui ansia, stress,<br />

solitudine, disconnessione e altro, rimpiangiamo i momenti in cui ascoltare<br />

le nostre playlist preferite con gli amici era semplice, quando godersi un<br />

concerto dal vivo era un piacere che troppo spesso davamo per scontato.<br />

Per molti di noi la musica è come ossigeno. Da tempo immemore, gli esseri<br />

umani hanno fatto musica, ascoltato musica, si sono affidati alla musica come<br />

un canale di liberazione e rifugio in momenti di prova. La musica è il linguaggio<br />

universale e uno dei grandi amori delle nostre vite. Quale altro modo di<br />

esprimersi arriva a ognuno di noi come fa la musica? Cos’altro può raggiungere<br />

le nostre emozioni e farle volare alle più grandi altezze o confortarle quando<br />

siamo tristi? Di tutte le forme d’arte, solo la musica ha il potere di toccarci così<br />

personalmente da farci sentire trasformati. Non deve sorprendere, quindi, che<br />

in questa crisi le persone abbiano mostrato ovunque un profondo bisogno<br />

di connettersi con lo spirito della musica. Uno studio condotto da OnePoll in<br />

collaborazione con HARMAN ha scoperto che la musica è il modo migliore<br />

per affrontare le situazioni di stress. Un incredibile 81%degli intervistati ha<br />

affermato che la musica li ha aiutati a superare la pandemia Covid-19, mentre<br />

il 64,2% degli intervistati ha affermato che guardare spettacoli musicali virtuali<br />

li ha aiutati a sentirsi connessi con gli altri durante l’isolamento. Nella statistica<br />

forse più eloquente di tutte, otto persone intervistate su dieci hanno rivelato<br />

che non sarebbero in grado di vivere in un mondo senza musica.<br />

Per vedere le prove della necessità di musica dell’umanità in questi tempi<br />

difficili, basta guardare all’incredibile popolarità dei concerti live-streamed,<br />

delle apparizioni virtuali in-game e di altri nuovi format innovativi: le megastar<br />

K-pop BTS hanno stabilito un nuovo record mondiale per un pubblico di musica<br />

live-streamed, quando 756.000 fan da più di 100 paesi si sono sintonizzati<br />

sul loro evento pay-per-view “Bang Bang Con: The Live” a giugno. Nel gioco<br />

online “Battle Royale” di Fortnite, l’apparizione di Travis Scott è stata vista da<br />

ben 12,3 milioni di giocatori. Tomorrowland, un evento che JBL sponsorizza<br />

regolarmente, è diventato virtuale e oltre un milione di appassionati di musica<br />

dance hanno acquistato i biglietti per Tomorrowland Around the World, un<br />

festival digitale di due giorni con otto palchi e più di 60 artisti. Su Twitter, i party<br />

di ascolto ospitati dal musicista Tim Burgess dei Charlatans, hanno riunito<br />

gli appassionati di musica per ascoltare gli album classici con il commento<br />

in diretta su Twitter delle persone che li hanno realizzati. Le esibizioni live<br />

gratuite dei Doobie Brothers, Modern English, Billie Eilish, Charlie CX e The<br />

Rolling Stones hanno permesso a milioni di fan di entrare nelle case e nelle<br />

vite dei loro idoli musicali. L’album più venduto quest’anno, Folklore di Taylor<br />

Swift, è stato scritto e registrato durante il lockdown e l’artista è diventata<br />

l’unica nella storia con sette album che hanno venduto mezzo milione di<br />

copie in una settimana.<br />

Noi amiamo la musica. Il nostro desiderio di musica live è potente. Un’esperienza<br />

esaltante, emotiva, profondamente umana che è radicata nelle nostre<br />

più antiche tradizioni e coinvolge tutti i nostri sensi portandoci in uno stato<br />

di euforia in cui non esiste nient’altro che il suono e il ritmo.... Per molti di<br />

noi, l’impossibilità di godere della musica dal vivo è stata una mancanza<br />

molto seria. La buona notizia è che ci sono molti modi per mantenere viva la<br />

passione per la musica anche in momenti di transizione come questo, verso<br />

un mondo post-pandemia. Un ambiente di ascolto ottimizzato è la chiave,<br />

come abbiamo esplorato in un episodio del podcast di HARMAN “Audio Talks”<br />

sull’Hi-Fi Hygge - la dimensione audio della nozione scandinava di intimità,<br />

convivialità e semplici gioie. Sono sicuro che siamo tutti d’accordo sul fatto<br />

che le circostanze di oggi siano estremamente impegnative, ma dobbiamo<br />

ricordare che, per quanto ci si possa sentire come se navigassimo in acque<br />

scure e inesplorate, anche questo passerà. E, come spesso accade, all’interno<br />

della sfida c’è un’opportunità. In realtà, più grande è la sfida, più grande<br />

è l'opportunità. Ecco perché sono decisamente ottimista sul futuro della<br />

scena musicale. Questo momento ha l'impareggiabile potenziale non solo<br />

di mettere sotto i riflettori l'abbondante bene emotivo e fisico che la musica<br />

offre, ma anche di porre la musica al centro del nostro recupero collettivo. Un<br />

modo concreto per sfruttare il potere riparatore della musica è quello di abbracciare<br />

l’esperienza virtuale condivisa come un modo significativo, flessibile<br />

e assolutamente sicuro per riunire le comunità. L’esplosione del divertimento<br />

della musica virtuale condivisa è uno dei doni più inaspettati di questa crisi.<br />

Negli ultimi sei mesi è progredita come in sei anni in circostanze ordinarie,<br />

aprendo innumerevoli strade inesplorate per lo sviluppo. I musicisti e i fornitori<br />

di tecnologia devono solo chiedersi come utilizzare al meglio l’accresciuto<br />

desiderio di comunità virtuali per condividere musica, discutere informazioni<br />

e connettersi. Le possibilità sono tanto entusiasmanti quanto numerose.<br />

In un’epoca di distanziamento, la musica unisce. In un tempo di ansia, la musica<br />

rilassa. In un tempo di sofferenza, la musica guarisce. I benefici della musica<br />

non sono mai stati così importanti per l’umanità, ed è per questo che tutti noi<br />

dobbiamo fare la nostra parte per mantenere vivo lo spirito della musica. Che<br />

ci crediate o no, la luce alla fine del tunnel si fa più luminosa. PWC prevede una<br />

crescita costante della musica dal vivo negli anni a venire; le sue ultime previsioni<br />

mostrano che l’industria della musica live si riprenderà nel 2021, raggiungendo<br />

la piena ripresa entro il 2022. Si tratta di una notizia davvero incoraggiante!<br />

18 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


LA PANDEMIA E LA MUSICA<br />

La spettacolare scenografia digitale e gli studi in green screen utilizzati per la registrazione dei dj set di<br />

Tomorrowland 31.12.2020.<br />

Borgo Allegri, orchestre di mandolini diffuse<br />

nella prima metà del novecento a Firenze; a<br />

loro si ispira La Nuova Pippolese, orchestrina<br />

popolare nata nel 2015 grazie a La Scena<br />

Muta, che si prefigge l’obiettivo di riscoprire i<br />

canti della tradizione fiorentina valorizzando<br />

il ruolo aggregativo della musica.<br />

La tecnologia, dunque, come ponte per tornare<br />

a una dimensione educativa, sociale,<br />

culturale bruscamente interrotta dalla pandemia;<br />

a patto, però, che ci si approcci ai<br />

nuovi scenari della contemporaneità con<br />

sguardo aperto, senza restare ancorati alle<br />

proprie consuetudini e con la consapevolezza<br />

che il cambiamento in atto non può e<br />

non deve essere temporaneo. Ciò non toglie<br />

che, per quanto proiettati verso il futuro si<br />

possa essere, guardare la platea deserta della<br />

meravigliosasala dorata del Musikverein a<br />

Vienna, dove Riccardo Muti ha diretto (per<br />

la sesta volta) i Wiener Philharmoniker nel<br />

consueto concerto del primo dell’anno,<br />

fa impressione. Più che per il pubblico da<br />

casa, la cui attenzione è stata spostata dalla<br />

regia sull’orchestra e sui dettagli architettonici<br />

e scenografici, il cambiamento ha avuto un<br />

forte impatto sui musicisti, privati del calore<br />

degli spettatori. La tecnologia è venuta anche<br />

qui in soccorso della musica, e coloro che si<br />

registravano sul portale mynewyearsconcert.<br />

com hanno potuto applaudire in diretta per<br />

rendere meno fredda l’esibizione, con esiti<br />

tuttavia lontani dal consueto. A riprova che<br />

(per ora) non tutte le esperienze sono replicabili<br />

a distanza. Il periodo delle festività<br />

natalizie, però, è stato un importante banco<br />

di prova per i concerti “virtuali”: da un lato la<br />

necessità di organizzare qualcosa nelle grandi<br />

città, per mitigare la sensazione di spaesamento<br />

da molti provata; dall’altro la difficoltà<br />

per le amministrazioni e gli addetti ai lavori<br />

di confrontarsi con l’organizzazione di spettacoli<br />

in grado di funzionare bene a distanza<br />

e per platee potenzialmente sconfinate. Tra<br />

gli esperimenti più interessanti sicuramente<br />

Welcome to the Other Side, concerto<br />

“impossibile” realizzato in collaborazione con<br />

la città di Parigi e con il patrocinio dell’UNE-<br />

SCO e trasmesso contemporaneamente in<br />

tutto il mondo su piattaforme per contenuti<br />

fruibili con visori VR, social network, radio<br />

e TV . Il musicista e compositore francese<br />

Jean-Michel Jarre, noto per i suoi concertispettacolo<br />

seguiti da milioni di spettatori, si<br />

è esibito in una performance live di 45 minuti<br />

in cui ha suonato brani della sua recente opera<br />

Electronica e nuove versioni rielaborate<br />

dei suoi classici, Oxygène ed Equinoxe, da<br />

uno studio nel centro di Parigi; parallelamente,<br />

il suo avatar è comparso all’interno<br />

di una location, per l’appunto, impossibile, la<br />

cattedrale di Notre-Dame (chiusa al pubblico<br />

dall’incendio del 15 aprile 2019), completamente<br />

ricostruita in 3D, dove il pubblico ha<br />

potuto osservarne in modo immersivo l’esibizione,<br />

accompagnata da spettacolari effetti<br />

grafici e di luce. Il concerto è stato progettato<br />

e prodotto in tre mesi, riunendo un team di<br />

cento artisti e tecnici, ed è stato reso possibile<br />

grazie al coinvolgimento di VRrOOm, compagnia<br />

francese fondata nel 2016 che si occupa<br />

di VR e che lo scorso anno ha lanciato una<br />

piattaforma VR per lo streaming immersivo<br />

e multi-user degli eventi dal vivo. Risultato:<br />

un “videogame” interattivo che ha richiamato<br />

l’attenzione di 75 milioni di spettatori. Altrettanto<br />

titanico è stato lo sforzo per realizzare<br />

Tomorrowland 31.12.2020, l’evento di<br />

fine anno organizzato dal più grande festival<br />

di musica elettronica al mondo. Ventotto tra<br />

i migliori artisti internazionali della scena<br />

dance/elettronica si sono esibiti su quattro<br />

stage digitali, tutti accessibili contemporaneamente,<br />

in uno show di oltre 21 ore andato<br />

in onda in contemporanea in tutto il mondo<br />

sulla piattaforma NAOZ. I numeri sono im-<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 19


INSIDE<br />

La facciata del Duomo durante l’evento “Pensieri illuminati”.<br />

pressionati: 200 persone al lavoro, 2 studi<br />

dotati di green screen (uno in Belgio e uno<br />

a Los Angeles), 17 camere 4K e 152 camere<br />

virtuali, 120 computer al lavoro e 1.000 ore<br />

di rendering. Ogni aspetto dello show è stato<br />

curato per dare agli spettatore l’illusione<br />

di una ripresa live, dalle 250 persone arruolate<br />

per fare da comparse e dare l’impressione<br />

di un pubblico reale all’illuminazione,<br />

modificata in base alla posizione del palco e<br />

all’ora del giorno durante la trasmissione.<br />

L’evento è stato seguito da oltre 950.000<br />

persone in più di 151 Paesi.<br />

Sul fronte italiano, tra le tante iniziative<br />

degne di note vanno menzionate almeno<br />

i Pensieri illuminati a Milano<br />

e Fkk2020 a Bologna, entrambe svoltesi<br />

la notte di capodanno. La prima è “un’opera<br />

d’arte totale” promossa dal Comune di Milano<br />

e prodotta con Videomobile e Area<br />

62, con la regia di Marco Boarino: fino al<br />

31 dicembre chiunque ha potuto lasciare<br />

sul sito www.pensieriilluminatimilano.<br />

itun breve pensiero ispirato a uno dei tre<br />

temi dell’opera (creato, umanità e futuro),<br />

trasformato e proiettato dall’artista Felice<br />

Limosani sotto forma di grafica generativa<br />

e pixel luminosi; ad accompagnare le forme,<br />

la musica diretta da Beatrice Venezi,<br />

eseguita dall’Orchestra “I pomeriggi musicali”,<br />

e dalla drammaturgia messa in scena<br />

dalla Civica scuola di teatro “Paolo Grassi”.<br />

Coinvolti nell’opera collettiva i luoghi simbolo<br />

della vita civile, culturale e religiosa<br />

di Milano, tutti circondati da un surreale<br />

vuoto umano: il Duomo, Sala delle Cariatidi,<br />

Palazzo Reale e Museo del Novecento. Il<br />

secondo è un concerto di musica elettronica<br />

organizzato da DumBO (il distretto urbano<br />

multifunzionale di Bologna) e ROBOT Festival<br />

e trasmesso in una live streaming di<br />

cinque ore dal Binario Centrale dell’ex scalo<br />

ferroviario Ravone. A differenza da quanto<br />

accaduto per il concerto nella sala viennese<br />

del Musikverein, qui i dj sono stati calati in<br />

una scenografia digitale “aumentata” e prodotta<br />

in tempo reale, circondati dagli avatar<br />

dei partecipanti alla diretta streaming, proiettati<br />

all’interno della sala digitale. L’evento<br />

è stato trasmesso in diretta streaming su<br />

Twich e in differita su Lepida TV.<br />

Bastano questi esempi per accorgersi della<br />

peculiarità di molti degli show realizzati a<br />

fine anno (e non solo): rendere il pubblico<br />

partecipe in modi innovativi e mai sperimentati,<br />

portando la musica dal vivo nell’arena<br />

digitale del attraverso nuove modalità<br />

o il perfezionamento di quelle già esistenti<br />

(su tutte, la Virtual reality, che non ha<br />

ancora del tutto preso piede). Così come<br />

i videogames hanno, ad esempio, debiti<br />

enormi verso il cinema (e viceversa, in<br />

tempi recenti), anche la musica ha preso<br />

in prestito modalità e strumenti da ambiti<br />

abitualmente molto distanti per far fronte<br />

a una sfida senza precedenti. L’emergenza<br />

sanitaria ha offerto il contesto ideale per<br />

applicare nuovi strumenti su vastissima<br />

scala e rendere il pubblico – già costretto<br />

giornalmente a teletrasportarsi nel mondo<br />

e a teletrasportare il mondo nella propria<br />

stanza – consapevole di contenuti e modalità<br />

di fruizione / interazione finora in<br />

buona parte ignorate. Contenuti e modalità<br />

che per essere goduti appieno necessiteranno,<br />

in futuro prossimo venturo, di<br />

strumenti in grado di rendere giustizia al<br />

lavoro svolto (una nuova età dell’oro si prospetta<br />

per l’alta fedeltà?). Questo ha fatto<br />

la differenza tra gli eventi sopra citati ed<br />

eventi “ordinari”, per i quali si è pensato<br />

solo a una mera riproposizione online o<br />

televisiva di uno spettacolo a porte chiuse,<br />

e rappresenterà il passaggio fondamentale<br />

verso una fruizione della musica senza<br />

confini: nessuna barriera architettonica o<br />

volo aereo o condizione fisica potrà in futuro<br />

impedire a una persona di godere delle<br />

note di un concerto in corso di svolgimento<br />

dalla parte opposta del mondo così come un<br />

musicista avrà finalmente l’opportunità di<br />

godere di una platea globale. Ciò a cui si<br />

andrà incontro, dunque, non sarà uno snaturamento<br />

della musica e della sua essenza<br />

ma una moltiplicazione infinita dei luoghi,<br />

dei pubblici e dei tempi. Perché se c’è una<br />

cosa che questa pandemia ha evidenziato<br />

in modo inequivocabile è che della musica<br />

non se ne può fare a meno. E nonostante le<br />

enormi difficoltà di un settore duramente<br />

colpito, la musica e chi la fa, la sostiene e<br />

la ama, hanno e stanno mostrando grande<br />

resilienza nell’affrontare questa situazione.<br />

Come le note del violoncello di Camille Thomas<br />

e della chitarra di Jacopo Mastrangelo<br />

che dai tetti di Parigi e Roma si sono perse<br />

tra le vie delle due capitali deserte durante<br />

il lockdown, la musica continua a vivere e<br />

a diffondersi in tutte le suo forme, sempre<br />

più velocemente, sempre più lontano, sempre<br />

più alla portata di tutti. In fondo, se c’è<br />

una cosa che può salvare il mondo, per dirla<br />

come Dostoevskij, è proprio la bellezza, della<br />

musica e dell’arte tutta.<br />

20 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


INSIDE<br />

di Libero Abbaci<br />

La vita<br />

è tutta un<br />

risiko?<br />

Appunti per un domani e per il rilancio dei punti vendita Hi-Fi la cui continua e inesorabile chiusura, per i<br />

motivi congiunturali affrontati negli articoli che costituiscono il dossier “Alta fedeltà 2020” pubblicato lungo<br />

l’anno che si è appena spento, sta comportando una concentrazione di distributori e di brand nell’offerta<br />

di mercato. Gli stoici negozianti superstiti, per sopravvivere, stanno mettendo da parte le loro nostalgiche<br />

preferenze di marchio o di modello o di gusto musicale ed etica commerciale, decidendo obtorto collo di<br />

aderire alle proposte commerciali dei pochi grandi distributori.<br />

Pesce grosso mangia pesce piccolo: vale ovunque e anche in Hi-Fi<br />

perché, nella continua lotta alla sopravvivenza, chi detiene più<br />

punti vendita sul territorio nazionale riesce a (o cerca di) spuntare<br />

i famosi “numeri” a due cifre. E nello stato attuale, il negoziante si<br />

trova ad accettare l’intero (o buona parte del) pacchetto di brand e di<br />

modelli offerto dal suo distributore (alias holding) di riferimento. In<br />

teoria, ogni brand all’interno del portfolio delle holding dovrebbe avere<br />

un suo preciso posizionamento, senza sovrapposizioni dei beni offerti<br />

su un mercato oramai monopolizzato da pochissimi grandi distributori<br />

che, però, distribuiscono sempre i soliti pochi brand. Per distribuire in<br />

modo più omogeneo le merci sul mercato nazionale, al fine di evitare<br />

l’insorgere di dannose sovrapposizioni dei modelli nel posizionamento<br />

dei vari brand del portfolio (quando i brand nel portfolio della holding<br />

diventano numerosi, questo può evidentemente accadere), alcune grandi<br />

holding avvedute hanno studiato l’offerta dei marchi “spalmandoli”<br />

su più distributori nazionali e quindi su molti più negozi fisici. Come<br />

condizione limite proiettata all’assurdo tecnologico, per sopravvivere<br />

nell’attività industriale le multinazionali detentrici dei brand potrebbero<br />

progettare e produrre due apparecchiature di due diversi brand (quindi<br />

in apparente competizione tra loro) provenienti invece dallo stesso stabilimento<br />

di produzione OEM e quindi aventi lo stesso DNA (accade già,<br />

frequentemente, nel mercato dell’auto). L’impatto di questa “normalizzazione”<br />

potrebbe portare l’utente evoluto (o meglio lo spettatore un po’<br />

“scafato” di questo mercato) a non condividere questa sorta di omologazione,<br />

invocando con lo strumento del passaparola, se vogliamo adottare<br />

una terminologia ecologica, una maggiore e più equa “biodiversità” del<br />

mercato, ogm-free per intenderci! L’italica audiofilia, per indole polemica<br />

innata e comprovata, abituata a lagnarsi e detestare già le normali<br />

imposizioni del vivere quotidiano offerte dalla politica, dai suoi rappresentanti,<br />

dall’economia, dal proprio stato sociale, etc., potrebbe iniziare a<br />

detestare anche la continua sovraesposizione mediatica di questi famosi<br />

brand e i loro lead, rigettandoli per principio, aldilà dell’effettivo valore<br />

percepibile e quindi della loro effettiva qualità. Al contrario, il ruolo del<br />

negoziante rischia di ridursi a quello di fornitore di servizi di vendita al<br />

distributore all’interno di spazi fisici promozionali, costituendo così una<br />

sua personale vetrina fisica sul mondo, con poco incentivo economico e<br />

convinzione personale da parte del commerciante stesso, ridotto quasi<br />

a un ruolo di “dipendente - concierge”. Dopo essere state annichilite le<br />

capacità decisionali del costruttore di progettare autonomamente, oltre<br />

ai propri apparecchi, anche la propria filosofia e strategia commerciale<br />

per lui più efficace o consona, viene assimilata anche la capacità decisionale<br />

del dettagliante di zona di selezionare (scegliere) gli apparecchi<br />

che ritiene più interessanti per la sua filosofia, il suo modello di vendita<br />

e di posizionamento commerciale (alias per lui più convenienti, meglio<br />

suonanti e più profittevoli).<br />

È comprensibile e umanamente condivisibile l’idea che<br />

un negoziante decida di diventare lui stesso distributore<br />

per l’intero territorio nazionale dei brand in cui crede,<br />

bypassando i canali distributivi tradizionali e acquisendo<br />

22 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


INCHIESTA IL FUTURO DEL PUNTO VENDITA<br />

direttamente i prodotti da commercializzare dai propri<br />

brand preferiti.<br />

Il ruolo del dettagliante di zona sta, dunque, cambiando: il negoziante<br />

che ha ancora le necessarie risorse per farlo, preferisce cambiare<br />

pelle e, in una sorta di corto circuito di causa-effetto commerciale, ha<br />

ancora senso parlare di “tradizionale catena produttore-importatore/<br />

distributore-dettagliante ,, nel 2021? Questo modello-sequenza di<br />

vendita, che da sempre è stato sinonimo di una ferrea applicazione<br />

delle regole dell’economia reale ante, oggi può ancora ritenersi<br />

valida?<br />

Uno degli effetti, o conseguenza di questa nuova fenomenologia commerciale,<br />

è che in occasione delle manifestazioni nazionali di settore,<br />

fino a quando si sono potute svolgere, si potevano incontrare anche<br />

loro, i dettaglianti di zona. In una sorta di autodeterminazione referenziale,<br />

e sempre più frequentemente, sono addirittura loro stessi<br />

a organizzarle, queste manifestazioni. Qual è, allora, il vero scopo e<br />

l’utilità di queste kermesse organizzate da dettaglianti (spesso anche)<br />

per i dettaglianti? Forse perché intravedono segmenti profittevoli<br />

e nuove opportunità per fare business alternativi o migliorare il<br />

proprio posizionamento commerciale (ergo il loro MOL)? Anche per<br />

questo, ovviamente... Oppure, il motivo della nascita di queste iniziative/servizi<br />

è legato al fatto che oggi il negoziante conosce meglio<br />

dei nostrani distributori i nuovi trend di consumo, la profittabilità<br />

e la scalabilità nell’offerta dei prodotti di un brand (scritto con tre<br />

punti di sospensione e punto interrogativo finale). Dato che lo scopo<br />

principale di questi eventi è far conoscere al pubblico i vari marchi<br />

e i loro prodotti, comunicando la filosofia che dovrebbe contraddistinguerli<br />

dal resto, si percepisce nel contempo un certo scollamento<br />

nei rapporti con i distributori nazionali, presenti anch’essi in queste<br />

manifestazioni, sovvenzionati o sponsorizzati anche dai loro brand,<br />

ovviamente.<br />

In una sorta di melting pot, i veri protagonisti, i distributori e gli<br />

importatori, dovrebbero forse (ri)adoperarsi fattivamente in questi<br />

servizi promozionali, possibilmente organizzandole nuovamente<br />

loro, queste kermesse, andando oltre gli obsoleti steccati imposti<br />

dalle regole della concorrenza. Anche alcuni produttori italiani che<br />

partecipano direttamente a queste manifestazioni osservano questa<br />

tendenza, non senza nascondere qualche perplessità circa l’affidabilità<br />

degli operatori in queste nuove vesti di distributori, che potrebbe<br />

tradursi in uno svantaggio (temporaneo?) per il produttore stesso in<br />

termini di reputazione nei servizi di post-vendita e/o nel loro corretto<br />

posizionamento di mercato. Siamo all’inizio delle grandi manovre<br />

per la creazione di una nuova e più agile corporazione trasversale,<br />

quella dei brand retailer affiliati? Ciò che cambia, in questo caso, è<br />

il sistema di relazioni, non più unidirezionale con il proprio distributore<br />

ma multiverso su rete network, veloce, assertivo, paritetico,<br />

costruttivo, equanime e solidale tra i vari partner. Probabile che<br />

i suggerimenti proposti da un rivenditore affiliato possano essere<br />

condivisi e replicati in tempo reale dai propri partner come atto per<br />

la crescita collettiva e non come un’iniziativa individuale di cui si deve<br />

comunque diffidare. In questo caso, l’uso di strumenti di geomarketing<br />

a geometria variabile risulta cruciale e strategico al fine di evitare<br />

rischiose sovrapposizioni delle “aree di competenza territoriale” nel<br />

posizionamento e di scalabilità dei prodotti. Nella “ripartenza” che,<br />

si spera, avverrà in questo stesso 2021 anno domini, diventa cruciale<br />

interrogarsi sul “come” (ancor più che sul “quando”) ripartire...<br />

Non si propone qui la ri-nascita di un’organizzazione nazionale (che<br />

dovrebbe comunque essere più super partes che in passato) costituita<br />

da tutti gli stakeholders audio e magari atta all’organizzazione<br />

di tre fiere all’anno, nord-centro-sud, isole comprese, di caratura,<br />

rappresentanza, autorevolezza e qualità stellari (anche se questa non<br />

sarebbe affatto una pessima idea) ma, proprio per dare un qualche<br />

valore al concetto di stakeholders, anche il pubblico dovrebbe essere<br />

parte attiva e consapevole di un nuovo processo di crescita...<br />

Della serie: non si va a eventi di questo tipo soltanto per passare<br />

un pomeriggio alternativo e diverso dal solito, magari portandosi<br />

dietro il proprio cane (!?!), perché non si sa proprio dove lasciarlo,<br />

oppure spingendo il passeggino con a bordo il proprio neonato (due<br />

cose viste per la prima volta lo scorso anno, sia nelle salette che nei<br />

corridoi di una di queste manifestazioni), come se invece di fare<br />

una passeggiata ai giardini pubblici, si venga qui solo “perché fuori<br />

piove”. Magari andrebbe introdotto il concetto di “biglietto” facendo<br />

pagare per l’ingresso: la “clientela general purpose” tenderà a<br />

diminuire in quanto disincentivata ma per gli operatori impegnati,<br />

probabilmente, il livello dei contatti qualificati può solo migliorare!<br />

E con essi, anche il prezzo per l’affitto delle salette potrebbe essere<br />

leggermente laminato da questa nuova entrata economica, possibilmente<br />

non speculativa. Inoltre, il tempo di permanenza del pubblico<br />

qualificato nelle salette sarebbe sicuramente superiore, in quanto<br />

stimolato dal dovere “ammortizzare” il costo del biglietto, progettando<br />

strategicamente così la loro giornata invece di “fuggire” al primo<br />

momento opportuno per l’aperitivo. Certamente, non si potrà più<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 23


INSIDE<br />

Tutti assieme abbiamo ottenuto nel corso dell’anno appena concluso degli ottimi<br />

risultati; un anno indubbiamente complesso per molte ragioni ma che ci ha anche<br />

portato, in molti casi, soddisfazioni inaspettate dal punto di vista commerciale.<br />

Parlando con altri addetti ai lavori ho avuto conferma che, per quanto concerne<br />

l’home entertainment e, più in generale, i prodotti che si utilizzano in casa, c’è<br />

stato un significativo aumento di interesse che spesso si è tramutato in vendite.<br />

Naturalmente questa disponibilità di spesa e aumento di interesse per l’audio e<br />

il video in casa è frutto anche dell’impossibilità di impegnare il tempo libero con<br />

viaggi, uscite al ristorante o ai caffè, con visite nei luoghi della cultura. Abbiamo tutti<br />

quanti vissuto di più le nostre case e viaggiato quasi solamente in maniera virtuale<br />

grazie ai nostri sistemi audio-video, ai quali un certo numero di appassionati ha<br />

messo mano per migliorarne le prestazioni e rendere l’esperienza più appagante.<br />

Questo trend è probabilmente destinato a continuare fino a quando le condizioni<br />

che ci impediscono di uscire, di viaggiare e di vivere la nostra vita in piena libertà<br />

rimarranno in forza. E poi? Il fatto che ci sarà un forte “rimbalzo” a favore di tutto<br />

ciò che è la vita all’aperto, il viaggiare, il socializzare nuovamente senza paure o<br />

sensi di colpa, direi che più che una probabilità è una certezza. Cosa possiamo fare,<br />

quindi, per ridurre il rischio che, dopo una fase di crescita “drogata” dalla condizione<br />

forzata in cui siamo tuttora, ci si ritrovi a sperimentare una frenata improvvisa dei<br />

consumi in ambito domestico? Ognuno di noi, credo, debba trovare la “propria<br />

risposta giusta” a questa domanda ma, se c’è una cosa che questo periodo ci sta<br />

quotidianamente insegnando è che, anche 2.500 anni dopo le parole di Aristotele,<br />

siamo sempre degli animali sociali e ci nutriamo del rapporto con i nostri simili:<br />

una stretta di mano (che ora ci è negata), una battuta di spirito al nostro cliente<br />

affezionato, il consiglio giusto e disinteressato regalato al ragazzo che si avvicina<br />

al mondo dell’audio perché spinto dal papà o incuriosito dall’amico, il minuto in<br />

più di disponibilità a rimanere al telefono offerta a un nuovo potenziale cliente e<br />

più in generale l’apertura al prossimo e la capacità di dimostrarci non dei semplici<br />

venditori di oggetti inanimati, tutto questo credo sia il migliore modo per rafforzare<br />

il legame con i nostri clienti già acquisiti, per conservarne la stima e l’affetto,<br />

così come può rappresentare l’inizio di un nuovo rapporto di fiducia con nuovi<br />

appassionati che si avvicinano al nostro mondo.<br />

So di dire cose scontate e so anche che la gran parte di chi legge, tra i professionisti,<br />

già fa del proprio meglio per far sì che i clienti, nuovi o vecchi che siano, possano<br />

continuare a vedere in voi una risorsa per spendere meglio e non magari un<br />

impedimento allo spendere meno. Tuttavia il “fattore umano” è davvero l’unico<br />

elemento che ci può dare un vantaggio competitivo rispetto alla pura vendita<br />

online, che pure so molti di voi ben conoscono e gestiscono. Oggi andare contro<br />

l’online non ha più senso perché è oramai un metodo di acquisto abituale per<br />

quasi tutti. Tuttavia molti prodotti, vuoi per la necessità di essere provati, confrontati<br />

o toccati con mano, vuoi per l’alto costo e la minore diffusione sul territorio,<br />

continueranno ancora per anni ad essere venduti solo in negozio. Ed è qui che un<br />

approccio sensibile al cliente può fare la differenza e generare sia una vendita che<br />

la nascita di un rapporto di fiducia con l’appassionato. Quindi, in ultima analisi, il<br />

mio consiglio è quello di utilizzare al meglio la situazione attuale per fidelizzare<br />

nuovi clienti e mantenere vivo il rapporto con quelli già acquisiti. Investite il tempo<br />

e la propria esperienza con loro: loro investiranno su di voi!<br />

Luca Parlato - LP Audio<br />

fare riferimento solo ai “like” di Facebook per determinare l’engagement<br />

che ha avuto il visitatore in quella specifica manifestazione.<br />

C’è anche il rischio che il commerciante (che ha già l’età della<br />

quiescenza), salvo rari casi di immolazione alla causa audiofila,<br />

preferisca chiudere e, in questa panoramica, va anche inserita la<br />

nuova user experience che “offre” l’e-commerce per l’acquisto di<br />

prodotti sotto la soglia psicologica dei 1.000 euro. Questi prodotti,<br />

oggi, sono anche reperibili con una certa tranquillità sui portali<br />

web dedicati che consentono di effettuare transazioni sicure tramite<br />

PayPal e altre label del settore, garantendo così una qualche forma<br />

aggiuntiva di certezza che arrivi a casa il prodotto desiderato e non<br />

altro. Ma così facendo, il punto vendita è penalizzato ancora una<br />

volta, perché magari il cliente, prima di acquistarlo sul web a 20<br />

euro in meno compreso il trasporto, è andato a vedere, toccare e<br />

ascoltare l’articolo “dei suoi desideri” nel negozio fisico, fruendo<br />

così di una vera user experience offerta gratuitamente (più o meno<br />

consapevolmente) dal rassegnato negoziante, che viene liquidato con<br />

la tipica frase: “ok, grazie, ci penso su ancora un po’, poi ripasso, ci<br />

vediamo... ciao...”. Per non parlare delle grandi superfici, anch’esse<br />

devastate dall’impatto dell’e-commerce nell’economia reale. Oggi,<br />

in quei luoghi, si vendono solo i “bianchi”, i “neri”, gli smartphone,<br />

qualche macchina per il caffè e i nuovi aspirapolvere premium senza<br />

filo e senza sacchetto. Neanche più i computer, resi immediatamente<br />

obsoleti dal continuo rinnovamento (reale o apparente) dei modelli<br />

“sempre più prestanti”, incompatibile con i tempi di tenuta a stock!<br />

Può capitare, infatti, di trovare sensibili discordanze tra il cartellino<br />

fisico del negozio e quello virtuale sul sito online, che offre prezzi<br />

sensibilmente differenti (più bassi) per lo stesso modello giacente nei<br />

magazzini fisici locali della stessa grande superficie. Occorre quindi,<br />

in questi casi, fare sempre molta attenzione a dove e come si compra.<br />

Stiamo per assistere alla quadratura del cerchio,<br />

ovvero a una kafkiana “cerchiatura del<br />

quadrato”? I mercati finanziari (holding, joint<br />

venture, private equity found e altre multiformi<br />

organizzazioni finanziarie) svolgono il loro lavoro:<br />

rendere produttivi i capitali investiti (anche)<br />

nelle società del settore Hi-Fi, possibilmente<br />

con rendimenti a due cifre, perché annualmente<br />

devono rendere conto della cosa ai propri<br />

investitori.<br />

L’EBITDA è uno degli indicatori nel bilancio di un brand che consente<br />

agli investitori di valutare correttamente la reale proposta di<br />

24 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


INSIDE<br />

valore del grande costruttore (ovvero il suo reale posizionamento<br />

di mercato). Il grande costruttore, vincolato ai risultati richiesti dai<br />

mercati finanziari a cui ha da tempo ceduto le leve economiche riferite<br />

alle sue capacità decisionali, deve continuare a fare fatturati a<br />

“due cifre” per la propria sopravvivenza (ovvero per il mantenimento<br />

dei fidi bancari, che determinano il rating a cui il grande brand è<br />

esposto dai mercati finanziari). Ogni anno, quindi, il grande costruttore<br />

deve sfornare continue “novità” di prodotto, quasi mai<br />

associabili a vera innovazione tecnologica ma, al limite, associabili<br />

a nuove forme estetiche o funzionali dell’oggetto, in particolare nei<br />

settori dell’analogico e dei diffusori. Comunque sia, tutti noi dobbiamo<br />

essere consapevoli che oggi siamo oggetto di rating da parte<br />

di qualcuno. Si, anche noi persone fisiche: provate a richiedere un<br />

prestito in banca per comprarvi l’ultimo DAC... Il distributore, per<br />

mantenere la distribuzione del brand, deve dimostrare con “i numeri”<br />

al costruttore la sua capacità di “penetrazione del mercato”. L’azione<br />

a cui sottende il sostantivo la dice tutta. Il punto vendita si trova<br />

tra il martello del distributore e l’incudine del cliente, all’interno<br />

di logiche di mercato oramai obsolete e poco incoraggianti per il<br />

proseguo della propria attività commerciale. Si uniscano anche gli<br />

incrementati costi di gestione dell’attività commerciale, e il gioco è<br />

fatto. Diventare senza reale convinzione una vetrina fisica del distributore<br />

è per tanti la soluzione più semplice ed economicamente più<br />

redditizia. Il cliente, infine, prima ha investito nei mercati finanziari<br />

per fare rendere (a una cifra) il proprio capitale, poi l’ha ritirato per<br />

acquistare il prodotto Hi-Fi dei suoi desideri... ex-demo, ovviamente.<br />

Quelle analizzate nei numeri passati nella rubrica “Alta fedeltà 2020”<br />

sono “solo” alcune delle cause dirette che hanno concorso e stanno<br />

concorrendo in questi anni sia all’abbandono di questo magnifico<br />

hobby da parte di tanti appassionati che alla chiusura dei punti<br />

vendita di alta fedeltà (anche storici) sul territorio nazionale. Certamente,<br />

la situazione recessiva in cui versa attualmente sia la cultura<br />

media che l’economia nazionale si riflette in un clima generalizzato<br />

di incertezza, che spaventa l’utente il quale, pur avendo a volte le<br />

capacità economiche per affrontare la spesa, lo porta “kafkachicamente”<br />

o “kafkiamente” a più miti consigli di posporre l’acquisto<br />

preventivato, in attesa che i tempi cambino e/o i prezzi scendano<br />

(?) con il prossimo “Black Friday”. Ma questo non accade da ormai<br />

più di un decennio e si ritiene non potrà accadere per molto tempo<br />

ancora. Pare che anche la Germania (qualcuno potrebbe anche<br />

concedersi un cattivo pensiero di marca euroscettica, aggiungendo<br />

come fosse un mantra la frase “finalmente, anche loro”) sia entrata<br />

in recessione.<br />

Occorre quindi una nuova visione, certamente<br />

non ideologica, tantomeno integralista,<br />

ma pragmatica, che porti stabilità, certezza e<br />

credibilità dei valori (e quindi dei prezzi), che<br />

renda etici, trasparenti e abbondanti i rapporti<br />

tra costruttore, distributore, punto vendita e<br />

cliente, uniti tutti per rafforzare un legame di<br />

“nuova alta fedeltà” reciproca, di incrementale<br />

perequazione dei rapporti di forza, specie nella<br />

(sempre trascurata, ma cruciale) attività definita<br />

di “post-vendita”.<br />

Occorre, inoltre, inoculare un nuovo immaginario collettivo di tipo<br />

propulsivo, motore di nuovi modi di intendere una nuova altra fedeltà.<br />

Almeno una volta nella vita abbiamo sentito dire che un cliente,<br />

appena uscito dal negozio, viene irrimediabilmente dimenticato<br />

dal negoziante, in questo caso sofferente di gravi patologie mentali<br />

di perdita di memoria a breve e a lungo termine. Certo conformemente<br />

alla definizione, l’attività di “negoziazione” del “negoziante”<br />

si “negozia” nel “negozio” e termina con una bella stretta di mano<br />

e un addio, non un arrivederci. Si conclude così, in maniera triste<br />

e sconsolata per il cliente, la fatidica e sospirata (per il negoziante)<br />

cosiddetta fase di sell-out. Il fatto è che tutti noi viviamo in una realtà<br />

economica, non finanziaria. Il destino non alternativo non è il futuro<br />

ma è il presente, ed è sotto gli occhi di tutti. Anche la terminologia<br />

che adottano ancora le multinazionali del settore o i propri uffici<br />

stampa rispecchia la volontà di raggiungere nel futuro “risultati a due<br />

cifre”. Probabile che vogliano replicare anche qui da noi in Europa<br />

o negli U.S.A. gli stessi trend di crescita consumistica dei paesi in<br />

via di sviluppo tecnologico. Ma sono passati oramai 40 anni e noi<br />

non siamo più nei rutilanti anni ’80. Ma siamo in Italia - casa Europa.<br />

Perché continuare a equivocare sapendo di equivocare, definendo<br />

alternativamente un “consumatore”, un “utente”, una persona (un<br />

utente che sta per acquistare o ha acquistato un bene non è più un<br />

utente, ma diventa casomai un cliente) che, se consapevolmente<br />

appagata dal prodotto acquistato, lo sostituirà ottimisticamente tra<br />

dieci o vent’anni?<br />

26 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


INSIDE<br />

di Paolo Corciulo<br />

Fedeli alla linea<br />

La casa svizzera festeggia i suoi 70 anni di vita vissuti nel solco di una invidiabile coerenza di intenti.<br />

Una vera icona, senza cedimenti, nel mercato Hi-Fi, sempre più alla ricerca di concretezza.<br />

Il Nagra I nella versione prototipale e in quella definitiva.<br />

Amaggior ragione per il fatto che nel calcio non ci sono<br />

più bandiere e nella vita mancano gli eroi (e tra caporali<br />

e uomini ve n’è più dei primi che dei secondi), va riconosciuto<br />

a Nagra il merito di aver saputo tenere dritto il timone<br />

nei 70 anni della sua vita, senza rinunciare a perseguire i suoi alti<br />

obiettivi e poco cedendo alle sirene del mercato o alla crescente<br />

mercificazione di idee, beni e imprese, caratteristica di questo<br />

secolo... Né si può dire che poco sia cambiato dal 1951, quando<br />

il profugo ventiduenne Stefan Kudelski (era nato nel 1929) creò<br />

il suo primo prodotto, animato da un certo ottimismo (la parola<br />

“nagra” in polacco, il paese di origine di Kudelski, ha a che fare con<br />

il verbo “registrare” declinato al futuro). “Registrerà”, ciò che Nagra<br />

ha saputo fare al meglio, ottemperando le<br />

necessità dei professionisti fino a diventare<br />

un must, sviluppando parallelamente anche<br />

deliziosi sogni per il mercato consumer. Registrerà:<br />

un manifesto programmatico declinato<br />

negli anni mentre più generazioni<br />

della famiglia Kudelski si sono alternate al<br />

comando del Kudelski Group e il panorama<br />

del mercato mutava via via sempre più velocemente,<br />

con aziende che passavano di mano<br />

o finivano in quelle della finanza. E invece<br />

gli atti e gli uomini della Audio Technology<br />

Switzerland SA, l’azienda proprietaria del<br />

marchio Nagra, una spin-off della divisione<br />

Audio dal gruppo Kudeski (che spazia nel<br />

vasto panorama della sicurezza e dell’entertainment<br />

digitale e non), hanno mantenuto il loro passo fermo<br />

senza cedimenti e con poche, pochissime esitazioni, forse ispirati<br />

dai dettami del fondatore. Kudelski perseguitato, Kudelski nomade<br />

e cittadino del mondo (emigrato con la sua famiglia prima<br />

in Francia e poi in Svizzera nel 1943); conosco la dinamica: ne<br />

esci distrutto e intimorito o estremamente fortificato! E il giovane<br />

Stefan Kudelski sembra appartenere a questa seconda razza:<br />

poco più che ventenne e ancora studente al Politecnico federale<br />

di Losanna presenta il suo primo registratore a nastro (Nagra I,<br />

nel 1951), per il quale l’anno successivo riceve il primo premio<br />

del primo “International Amateur Recording Contest”. Kudelski,<br />

appassionato di vela e ingegneria, aveva bisogno di un apparecchio<br />

Il Nagra II nasce nel 1953 sulla base dell’esperienza con la<br />

prima versione e delle nuove tecnologie di produzione: dal<br />

1954 monterà una scheda con circuiti stampati.<br />

28 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


70 VOLTE NAGRA<br />

Nasce nel 1957 il Nagra III, il primo modello con corpo in metallo, motore elettrico e controllo di velocità servoassistito ad anello chiuso. Compare per la prima volta il misuratore<br />

di picco denominato Modulometer.<br />

da utilizzare per registrare le istruzioni per una macchina CNC<br />

che voleva costruire! Del registratore, a manovella, ne verrà prodotto<br />

un piccolo numero (6 per Radio Lussemburgo) ed evolverà<br />

nel Nagra II (1953), ancora prodotto a livello artigianale in una<br />

abitazione a Prilly (ovest di Losanna) con un piccolo staff che<br />

rapidamente diventa di undici dipendenti che lavorano a tempo<br />

pieno. Nel 1956 il numero sale a 17 e dà vita, l’anno successivo,<br />

al Nagra III, il primo ad adoperare un motore elettrico. Poi è una<br />

marcia trionfale...<br />

La prima spedizione sull’Everest, la ricerca oceanografica nella<br />

Fossa delle Marianne (a bordo di un batiscafo) o il navigare tra<br />

le stelle (nell’ambito della Missione Apollo), l’utilizzo da parte<br />

dell’FBI e in altre spy story; l’utilizzo sui set cinematografici o<br />

da parte di radio e televisioni, dove generazioni di reporter ne<br />

hanno usato o agognato uno, hanno associato il nome di Nagra al<br />

concetto di registrazione in ambito professionale, rigorosamente<br />

affiancato dal fascino del nastro a bobina (con l’eccezione di un<br />

breve excursus con una sorta di cassetta, precorritrice della Compact<br />

Cassette) che ha scandito le varie generazioni di prodotto fino<br />

al Nagra-D, quando è nato il primo registratore digitale.<br />

Apprezzato in ambito professionale per buone ragioni, in quanto<br />

“pensato” per i professionisti: durante la produzione del Nagra III,<br />

ad esempio, Stefan Kudelski inventò il sistema “NEOPILOT”, un<br />

metodo di sincronizzazione tra audio e video (nei film si registrava<br />

l’immagine su pellicola fotografica attraverso la telecamera e il<br />

suono su un nastro magnetico e la sincronizzazione era un elemento<br />

nevralgico) che sarebbe diventato standard fino alla fine degli<br />

anni ’80 con l’introduzione del timecode. Realizzato rimanendo<br />

Oltre 2.500 esemplari scandiscono il primo lotto di produzione del Nagra IV che nel 1969, in una delle sue successive versioni (IV-S), offre ai professionisti il primo registratore<br />

stereo portatile degno di questo nome.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 29


INSIDE<br />

Il Crevette (1967) venne sviluppato per la marina francese (il termine vuol dire granchio in francese): si trattava di un registratore a mezza traccia da inserire in un siluro<br />

sottomarino che, una volta sparato, avrebbe registrato i dati balistici ottenuti dai giroscopi interni e dai sistemi di navigazione per consentire agli ingegneri di perfezionare<br />

la traiettoria e i sistemi di guida all’interno del siluro.<br />

fedeli a una sorta di dimensione famigliare (la sede a Romanel, a 5<br />

km da Losanna, con “affaccio” sul lago, non a caso nelle vicinanze<br />

di Montreaux e del suo famoso Jazz Festival...), scandita da una<br />

produzione “goccia a goccia”, fortemente caratterizzata dal livello<br />

costruttivo che, sarà banale dirlo, è sempre stato da “precisione<br />

svizzera”. Tutti elementi che tratteggiano una unicità del marchio<br />

difficile eguagliare. Semmai è incomprensibile perché, nonostante<br />

questa unicità (e la presenza anche di elementi di facile attrattiva<br />

come i VU-Meter di produzione originale, immancabilmente<br />

presenti sulle varie generazioni di registratori), tutto questo una<br />

volta trasposto nell’ambito Hi-Fi (a partire dagli originali finali<br />

a sviluppo verticale VPA - 1998) non abbia solleticato al massimo<br />

l’immaginario audiofilo; per carità, il marchio è altamente<br />

rispettato ma non ha la stessa potenza iconica dei stra-citati “occhioni<br />

blu”, anche se lo meriterebbe decisamente! Ma c’è sempre<br />

tempo, soprattutto per chi ha dimostrato di non temerne l’usura<br />

e, anzi, fin dall’inizio ha adottato il passo del montanaro (quello<br />

che avanza piano ma che supera la salita): basterà solo rivedersi<br />

più avanti, quando anche il segmento Hi-Fi godrà di una ancor<br />

più solida storicità...<br />

Il Nagra SNS, Il più piccolo registratore a bobine portatile del mondo (mezza traccia), fu introdotto nel 1970: forse il più iconico dei prodotti Nagra, immortalato in tantissimi<br />

film. Il solo guardarlo evoca atmosfere da spy story al tempo della Cortina di Ferro: verrà adottato dalle forze dell’ordine di tutto il mondo.<br />

30 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


INSIDE<br />

de Il Tremila<br />

Angeli & Demoni<br />

La morte in prigione il 16 gennaio a causa del Covid ma alle spalle un passato brillante nel campo musicale,<br />

con tutti gli eccessi del caso. Il lascito di Phil Spector è quello di aver nobilitato la figura del produttore, unendo<br />

creatività a un sapiente uso delle tecnologie a disposizione.<br />

Immaginate che con una ipotetica macchina del tempo vi sia consentito<br />

fare un passo indietro ritrovandovi all’inizio degli anni<br />

’60. Il mondo musicale è assolutamente diverso e non solo per le<br />

melodie e gli arrangiamenti (quasi sempre essenziali, almeno nel pop<br />

rock) ma anche (o forse proprio per questo) per le tecniche utilizzate:<br />

la registrazione multitraccia è ancora agli esordi visto che solo nel 1954<br />

la Ampex, con il contributo del chitarrista Les Paul (che era anche un<br />

gran tecnico e sarebbe diventato un costruttore di chitarre) ha costruito<br />

il primo registratore a 8 piste, il cui utilizzo o quello di macchine simili (3<br />

o 4 tracce) è ancora estremamente ridotto e lo rimarrà per buona parte<br />

di questo decennio. Gli arrangiamenti dei brani pop rock sono molto<br />

semplici e le macchine multipista (3 o 4 tracce le più diffuse) sono utili<br />

tuttalpiù per registrare la musica di accompagnamento su due tracce<br />

(permettendo la sovraincisione di parti separate o creando una traccia<br />

di accompagnamento stereo completa) mentre la terza viene riservata al<br />

cantante principale... Solo qualche sperimentatore intuisce le potenzialità<br />

della tecnica multipista: i Beach Boys, in ragione dei complessi arrangiamenti<br />

di Brian Wilson, i Moody Blues, con il loro rock psichedelico e,<br />

naturalmente, i Beatles (restano nella storia le incisioni agli Abbey Road<br />

nella metà degli anni ’60). In questo panorama irrompe Phil Spector,<br />

ambigua figura di musicista - produttore con un passato segnato dalla<br />

morte del padre ancora giovanissimo: bambino prodigio con la chitarra<br />

dall’età di 12 anni, il successo sembra arridergli da subito visto che con<br />

il suo primo gruppo musicale firma una canzone che arriva a vendere<br />

oltre un milione di copie! Poi, poco più che ventenne, focalizza l’attività<br />

preminentemente sulla produzione, senza sbagliare un colpo (18 album<br />

in carriera, ciascuno oltre il milione di copie vendute) diventando<br />

multimilionario ad appena 25 e inventando uno stile nelle registrazioni,<br />

The Wall of Sound, che condizionerà i musicisti a venire: dal punk al<br />

grunge, da Amy Winehouse (che si è ispirata nel look alla cantante delle<br />

Ronettes - nella foto di apertura con Spector- il gruppo portato per<br />

primo alla ribalta dal produttore) a Brian Eno. Wall of Sound, ovvero<br />

32 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


PHIL SPECTOR<br />

una impronta musicale molto specifica ottenuta con la collaborazione<br />

dei migliori turnisti di Los Angeles (la cosiddetta Wrecking Crew - nella<br />

foto a destra) e “condita” da una attenzione ossessiva e perfezionista:<br />

per River Deep, Mountain High (1966), Phil Spector assunse 21 musicisti<br />

e 21 cantanti facendo ripetere a Tina Turner take dopo take fino a sua<br />

completa soddisfazione; le cronache narrano che per liberarsi dell’ingombrante<br />

presenza di Ike Turner, lo pagò ventimila dollari per stare<br />

lontano dalla sessione di registrazione! Più tardi Tina Turner racconterà:<br />

“Devo averla cantata 500.000 volte. Ero fradicia di sudore. Dovevo<br />

togliermi la camicia e stare lì in reggiseno per cantare”. Nel frattempo<br />

i musicisti della Wrecking Crew eseguivano le tracce strumentali che<br />

venivano registrate e mixate dal vivo, direttamente su 4 delle 8 tracce<br />

del registratore utilizzato in quello studio. Spector era intenzionato a<br />

portare il Wall of Sound nella storia! Va anche detto che l’adozione della<br />

tecnica multitraccia introdusse nuovi problemi, come l’aumento, soprattutto<br />

nella porzione inferiore della gamma di frequenze, del rumore<br />

per effetto delle interferenze tra traccia e traccia, cosa che però permise<br />

ad alcuni tecnici di distinguersi per la capacità di contenere al minimo<br />

il fenomeno (è una delle ragioni per cui gli Abbey Road sono diventati<br />

giustamente famosi). L’incentivazione dell’uso del nastro a 4 tracce e<br />

oltre portò anche, come sviluppo correlato, alla tecnica quadrifonica (un<br />

certo numero di album, tra cui The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd<br />

e Tubular Bells di Mike Oldfield, furono pubblicati sia in stereo che in<br />

formato quadrifonico negli anni Settanta); anche se questa soluzione non<br />

avrebbe poi preso piede, diede la spinta a una ricerca tutt’ora in atto per<br />

ottenere una nuova esperienza sonora “coinvolgente” e pose le basi del<br />

suono surround attualmente utilizzato nell’audio/video.<br />

Coinvolto nel divismo e negli eccessi di quelli anni (le foto dell’epoca che<br />

lo ritraggono immortalato esattamente con lo stesso look degli artisti a<br />

cui confezionava il suo riconoscibile abito musicale), a Spector va anche<br />

il merito di aver delineato con forza l’importanza del produttore, cosa<br />

che fece parallelamente a George Martin (il “quinto Beatles”), che però<br />

rimase dietro le quinte. Elevato da figura silenziosa e nascosta dietro a<br />

un mixer alla ribalta del glamour, il ruolo del producer da allora non è<br />

stato più lo stesso rivelando, in certi casi, una piena dimensione artistica:<br />

Quincy Jones, Nile Rodgers e Brian Eno che sono nella storia, la pattuglia<br />

di quelli che negli anni ’90 hanno donato dignità all’hip-hop e alla<br />

figura ibrida del produttore - dj. I Beatles lo convinsero a produrre il loro<br />

ultimo album, Let It Be, nel 1969, e dall’amicizia nata in tale occasione<br />

gli album di debutto di John Lennon e George Harrison (Lennon lo ha<br />

chiamato “il più grande produttore discografico di sempre”). Tina e Ike<br />

Turner, Leonard Cohen, Celine Dion, Cher e i Ramones in cuor loro<br />

sanno di dovergli qualcosa... Parte del suo successo può essere fatto<br />

risalire proprio alle sue attitudini giovanili: era un direttore creativo<br />

più che un produttore; sceglieva il materiale musicale, realizzava gli<br />

arrangiamenti, dirigeva addirittura musicisti e cantanti durante le registrazioni.<br />

“Quando vedi un film di Kubrick, dimmi quante volte ti ricordi<br />

immediatamente il cast”, rivelò a Melody Maker nel 1977. “Una? Due?<br />

È lo stesso con Fellini, ed è quello che volevo fare quando ho diretto<br />

una registrazione. I cantanti sono strumenti. Sono strumenti con cui<br />

lavorare”. Per la sua attitudine alla musica seppe anche svolgere l’attività<br />

di scouting: scoprì un gruppo di liceali di New York City, le Crystals, il<br />

cui singolo di debutto, There’s No Other (Like My Baby), raggiunse il<br />

numero 20 delle classifiche nel 1962. Il singolo He’s a Rebel, anch’esso<br />

accreditato alle Crystals, raggiunse la vetta delle classifiche lo stesso<br />

anno; portò a un successo planetario il gruppo vocale femminile The<br />

Romettes sposandone in prime nozze la fondatrice Veronica Bennett<br />

Riconoscimenti e successi che ne minarono via via la stabilità: mentre<br />

produceva l’album di Lennon Rock ‘n’ Roll (1975) sparò con una pistola<br />

nel soffitto e sempre con una pistola minacciò Leonard Cohen durante<br />

una sessione di registrazione per Death of a Ladies’ Man (1977). In quegli<br />

anni la seconda moglie e i figli lo descrivono come un donnaiolo instabile<br />

e possessivo e l’epilogo sembra quasi inevitabile: il 3 febbraio 2003 viene<br />

arrestato per aver ucciso con un colpo di pistola Lana Clarkson, una<br />

quarantenne hostess di nightclub, già attrice in difficoltà, che recitava in<br />

film a basso costo (nel biopic omonimo - interprete principale uno straordinario<br />

Al Pacino - il regista David Mamet adombra la possibilità che<br />

non fosse colpevole ma così decise la legge). Poi il carcere, dove è morto<br />

il 16 gennaio 2021 ottantenne o ottantunenne (le biografie si dividono<br />

in merito), mentre scontava una pena di 19 anni.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 33


INSIDE<br />

di Paolo Corciulo<br />

Essere un<br />

centro pilota<br />

<strong>SUONO</strong>point<br />

D’Agostini Lab a Roma e Il Centro della Musica a Legnano hanno aderito all’iniziativa di <strong>SUONO</strong> che in<br />

questi ultimi mesi ha cercato dalle pagine del giornale di esaminare il mercato Hi-Fi ed evidenziarne i punti<br />

critici. Per rilanciarlo…<br />

Le rivoluzioni si fanno anche partendo dalle piccole cose,<br />

avanzando passo per passo in un tragitto che appare forse<br />

infinito ma è importante sia conseguente e finalizzato all’obiettivo.<br />

È quello che da anni facciamo e se ne ravvisano tracce scritte<br />

(la carta non mente) a perenne memoria, nell’era in cui la vaghezza<br />

e l’impalpabilità della dimensione virtuale sembrano consentire<br />

tutto e il contrario di tutto in una dimensione orwelliana in cui oggi<br />

posso affermare l’esatto opposto di ieri e qualcosa di differente da<br />

domani... Il ciclo di articoli “Che cosa è l’alta fedeltà - e ci interessa<br />

davvero?” prima e quelli più recenti del “Dossier Alta Fedeltà<br />

2020” (che analizza in maniera spietata le dinamiche del mercato<br />

soffermandosi sul ruolo e futuro dei negozianti e degli utenti stessi),<br />

testimoniano la continua intenzione da parte di <strong>SUONO</strong> di stabilire<br />

un osservatorio sul mercato a cui, con la forza congiunta, fornire<br />

soluzioni e alternative, alla luce di un bene supremo superiore che<br />

è il buono stato di salute del mercato Hi-Fi, messo a repentaglio da<br />

anni di mal governo e da una situazione a contorno ostile e difficile.<br />

Talmente alto è l’obiettivo che richiederebbe un effluvio di parole,<br />

termini, precisazioni, tanto da suggerire, al contrario, una pragmatica<br />

e semplice stretta di mano dei contraenti (Covid permettendo)<br />

a consacrare l’intenzione di percorrere un cammino, fintanto sarà<br />

di comune interesse.<br />

Così è accaduto con Alessandro D’Agostini e Daniele Terrazzan, forse<br />

non a caso entrambi giovani imprenditori, lontani dall’epoca d’oro<br />

dell’Hi-Fi ma anche dalle pastoie ideologiche che l’hanno caratterizzata.<br />

Con loro c’è una condivisione di obiettivi consacrati dalle<br />

parole che ci siamo scambiati negli anni ma soprattutto degli anni che<br />

ognuno separatamente ha compiuto in questo lasso di tempo e che<br />

abbiamo racchiuso nella definizione “Centro Pilota <strong>SUONO</strong>point”,<br />

che contiamo abbia proseliti non solo per l’interesse personale ma<br />

perché sarebbe la riprova di un nuovo spirito del mercato, a tutto vantaggio<br />

del consumatore. Qualche anno fa abbiamo dato vita a SUO-<br />

NOpoint, una confederazione di negozi e una iniziativa che era volta<br />

a rinsaldare il rapporto della rivista con alcuni negozi di eccellenza<br />

distribuiti nel nostro paese e, tramite loro, con i consumatori del<br />

bellissimo hobby della riproduzione sonora a cui veniva sottoposta<br />

una griglia di prodotti caratterizzati da due elementi fondamentali:<br />

essere a nostro avviso estremamente validi e dal prezzo contenuto. Fu<br />

un successo commerciale (il che non guasta), meno dal punto di vista<br />

“etico”, ovvero del tentativo di aprire una verace finestra sul mondo,<br />

evitando l’isolamento lassù nell’Olimpo che spesso, soprattutto in<br />

passato, le riviste hanno ostentato. Come spesso ci capita eravamo<br />

troppo in anticipo sui tempi o, come i nostri detrattori potrebbero<br />

sostenere, eravamo fuori tempo…<br />

Poi l’evoluzione dell’avventura ANNUARIO del <strong>SUONO</strong> (perché<br />

ogni anno di avventura si tratta) ci ha portato a riconsiderare la<br />

34 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


UN OSSERVATORIO SUL MERCATO<br />

cosa. È doveroso aprire una piccola parentesi in tal senso, non fosse<br />

altro perché probabilmente la cosa è sconosciuta al pubblico; da<br />

alcuni anni ormai la lavorazione dell’ANNAURIO coinvolge oltre<br />

150 operatori del settore coesi da un bene/interesse comune: fornire<br />

un panorama il più completo e preciso possibile dell’offerta<br />

di prodotti nel mercato Hi-Fi. Questa community professionale,<br />

l’unica in vita in Hi-Fi dopo la chiusura dell’APAF, ha mostrato<br />

potenzialità enormi su un “piccolo – grande obiettivo” e non<br />

disperiamo possa esplorarne altri. Questa vitalità ci ha indotto,<br />

complice il momento difficile che attraversiamo, a vincere l’egoismo<br />

e l’individualismo dilagante (che dunque è anche dentro<br />

di noi) per offrire energie, come hanno fatto D’Agostini Lab e Il<br />

Centro della Musica, per un bene comune. Declinarle nel modo<br />

migliore è per noi un obbligo che spero rapidamente prenderà<br />

la sua migliore forma a partire da ora, dove parte un’avventura<br />

senza un punto di arrivo che ci limiti.<br />

“Mira alla luna.<br />

Male che andrà, ti ritroverai tra le stelle.”<br />

(Les Brown)<br />

D’AGOSTINI LAB<br />

Un auditorium (in grado di contenere più di una decina di persone<br />

sedute), una sala dedicata unicamente al confronto delle cuffie, una<br />

sala home theater e home automation, una sala audio e una grande<br />

superficie espositiva con tre vetrine multifunzione su strada e due<br />

entrate. La struttura si presta a ospitare eventi con una serie di aree<br />

(entrata separata, entrata merci, zona accoglienza e persino una zona<br />

cucina) adatte a tale scopo; un’altra svolgerà attività di ticketing per<br />

eventi e concerti non necessariamente collegati all’Hi-Fi.<br />

Per info:<br />

D’Agostini Lab<br />

Via Francesco Catel 37-39 - 00152 Roma - tel: 0686292661<br />

IL CENTRO DELLA MUSICA<br />

Nonostante Legnano non sia il centro del mondo, questo punto<br />

vendita ha saputo conquistare un ruolo di preminenza tra i negozi<br />

del nord grazie a un’offerta che spazia tra i migliori prodotti hi-end,<br />

tutti disponibili nel negozio e utilizzabili nelle tre sale d’ascolto e gli<br />

eventi organizzati periodicamente, una specie di salotto dell’Hi-Fi<br />

per aficionados e non. Il plus è costituito dall’esperienza del titolare<br />

Daniele Terrazzan, disponibile anche per appuntamenti ad hoc.<br />

Per info:<br />

Il Centro della Musica<br />

Via Bologna, 11 – 20025 Legnano (MI) – tel: 0331.45.38.84<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 35


INSIDE<br />

di Massimo Bargna<br />

Il giorno in cui<br />

nacque il rock<br />

Una nuova e curatissima antologia musicale di Buddy Holly suddivisa in tre CD riporta l’attenzione sul ruolo<br />

che il leggendario artista texano ebbe sulla genesi del rock ‘n’ roll degli anni Cinquanta e sullo sviluppo della<br />

musica del decennio successivo.<br />

Il luogo in cui, il 3 febbraio del 1959, Buddy Holly perse la vita,<br />

è segnato da un bizzarro monumento funebre con una croce e<br />

la riproduzione in acciaio di tre vinili e di una chitarra. Quella<br />

notte maledetta, verso l’una, il piccolo aereo a quattro posti Beechcraft<br />

35 Bonanza su cui viaggiava l’idolo dei teenager si schiantò<br />

nei campi di mais innevati dell’Iowa, consumando la tragedia passata<br />

alla storia con il nome di “The day the music died”.<br />

La storia è stata raccontata anche al cinema. Il velivolo era appena<br />

decollato dall’aeroporto di Clear Lake, diretto a Moorhead, Minnesota,<br />

via Fargo, North Dakota; a bordo, oltre a Buddy, c’erano<br />

altri due grandi nomi del rock and roll che erano in tournée con lui:<br />

Ritchie Valens e J.P. Richardson, detto “The Big Bopper”. L’idea di<br />

prendere un aereo per raggiungere la città della tappa successiva del<br />

Winter Dance Party tour, iniziato a Milwaukee, nel Wisconsin, era<br />

stata proprio di Buddy. Il giovane artista aveva deciso di impegnarsi<br />

in quella sfiancante maratona musicale perché Maria Elena, sua<br />

moglie, era incinta e lui voleva raggranellare un po’ di soldi. Era la<br />

prima volta che lei non lo accompagnava durante i suoi spostamenti.<br />

Lei che, più tardi, ebbe modo di dire che mai e poi mai sarebbe<br />

salita su quel dannato aeroplanino e lo stesso avrebbe chiesto di<br />

fare a suo marito se fosse stata lì. Ma in quei giorni di inizio febbraio,<br />

sul Midwest degli Stati Uniti si era abbattuta una terribile<br />

ondata di gelo e i lunghi trasferimenti tra una città e l’altra, a bordo<br />

di un autobus con l’impianto di riscaldamento continuamente in<br />

panne, erano diventati un calvario. Buddy aveva allora proposto<br />

al suo chitarrista Waylon Jennings e al suo bassista Tommy Allsup<br />

di noleggiare un volo. All’ultimo momento, dopo lo show alla Surf<br />

Ballroom di Clear Lake, Jennings aveva lasciato volontariamente il<br />

proprio posto a Richardson che aveva l’influenza. Allsup e Valens,<br />

invece, se l’erano giocata a testa o croce. Valens aveva vinto e aveva<br />

commentato ironicamente che quella era la prima volta in vita sua<br />

che vinceva qualcosa. Il Beechcraft Bonanza era decollato alle 00:58<br />

con condizioni climatiche inclementi, guidato da un pilota inesperto<br />

al quale la torre di controllo non fornì un’assistenza adeguata. Poco<br />

dopo lo schianto. Tutti i musicisti e il pilota morirono sul colpo.<br />

Buddy aveva appena ventidue anni, ma era già una delle stelle più<br />

luminose del rock and roll.<br />

Quel che oggi resta di lui è la sua corposa opera musicale, come ben<br />

testimonia il triplo CD The indispensable Buddy Holly pubblicato<br />

da Frémeaux et Associés che riunisce la bellezza di 62 brani, dagli<br />

esordi nel ’55 fino alle ultime registrazioni di quattro anni dopo. Un<br />

periodo breve ma intensissimo dal punto di vista creativo. La raccolta<br />

36 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


VITA E OPERE DI BUDDY HOLLY<br />

dell’etichetta francese, che si distingue per il rigoroso approccio storiografico<br />

e la pulizia del suono, rende giustizia a un artista geniale<br />

del quale, in Italia, non si riconosce<br />

a sufficienza il grande lascito<br />

artistico. In realtà, alla fine degli<br />

anni Cinquanta Buddy era una<br />

celebrità negli USA, nel Regno<br />

Unito e in Australia. E non solo<br />

come interprete ma anche come<br />

compositore. La sua morte destò<br />

grande clamore e gettò schiere<br />

di fan nella disperazione. Manco<br />

a dirlo, fiorirono le leggende.<br />

A questo contribuì il fatto che<br />

la disgrazia dell’incidente aereo<br />

sembrava segnata dal fato. Troppe<br />

le sfortunate coincidenze, si disse,<br />

per non pensare a una sorta di tragica<br />

predestinazione. Qualcuno si<br />

azzardò perfino a dire che l’incredibile<br />

frenesia creativa di Buddy<br />

era dovuta proprio a questo, al<br />

funesto presentimento che non<br />

gli restava molto tempo da vivere.<br />

Pure fantasie. In ogni caso, le tragiche<br />

circostanze del decesso e la<br />

giovane età della vittima furono di<br />

certo elementi che contribuirono<br />

alla nascita della leggenda di Buddy<br />

Holly. E il tutto venne riassunto<br />

nel verso della canzone American<br />

Pie che Don McLean scrisse in<br />

ricordo dell’artista scomparso: il<br />

giorno in cui la musica morì.<br />

Al di là della leggenda, come dicevamo,<br />

restano le canzoni. Il<br />

primo CD della raccolta ci mostra<br />

un Buddy già sicuro di sé,<br />

ma che deve spesso combattere<br />

con i produttori che vogliono<br />

imporgli scelte musicali che lo<br />

allontanerebbero del suo percorso.<br />

Il diciottenne di Lubbock,<br />

Texas, cresciuto in una famiglia<br />

che si dibatteva nelle ristrettezze,<br />

aveva un background che affondava<br />

nella musica country, la<br />

musica prediletta dalla comunità<br />

bianca di cui faceva parte. Le sue<br />

preferenze andavano per Woody<br />

Guthrie, la Carter Family, Jimmie<br />

Rodgers, Hank Snow, Roy Rogers,<br />

etc. Di nascosto, nel chiuso di un’automobile, ascoltava però<br />

anche la musica degli afroamericani, quel rhythm and blues che<br />

secondo i bacchettoni spingeva chi lo ascoltava verso il peccato. Bo<br />

Diddley, les Coasters, Muddy Waters, Howlin’ Wolf, Elmore James<br />

e Hank Ballard erano fra i<br />

suoi beniamini. È questa<br />

matrice nera, caratterizzata<br />

da una ritmica incalzante e<br />

da una torbida sensualità,<br />

che Buddy ritrovò in Elvis,<br />

sia a livello musicale che<br />

di atteggiamento scenico.<br />

Buddy assistette a un suo<br />

concerto a Lubbock e per<br />

lui fu un’autentica rivelazione.<br />

Da quel momento<br />

decise di abbandonare il<br />

genere hillbilly, un tipo di<br />

musica country, per dedicarsi<br />

sull’esempio di Elvis<br />

al rockabilly. La hit That’ll<br />

Be the Day è il pezzo più<br />

rappresentativo di questo<br />

cambiamento, un trascinante<br />

rock ’n roll che, tra<br />

l’altro, fu la prima canzone<br />

che John Lennon imparò<br />

alla chitarra e che fu rifatta<br />

dai Quarrymen, la primitiva<br />

formazione di Lennon e<br />

McCartney. L’altra perla del<br />

primo CD è Words of Love,<br />

una ballata romantica che<br />

permette a Buddy di dare<br />

libero sfogo alla sua vena<br />

sentimentale e di far sognare<br />

le ragazzine.<br />

Il secondo CD è una successione<br />

di pezzi indimenticabili.<br />

A partire da Peggy<br />

Sue, la canzone più famosa<br />

scritta da Buddy. È un<br />

pezzo irresistibile anche<br />

grazie al rivoluzionario<br />

ritmo di batteria afro, che<br />

potrebbe aver influenzato il<br />

gruppo punk dei Dead Kennedys<br />

per l’attacco di California<br />

Uber Alles, e all’assolo<br />

di chitarra di Buddy,<br />

il cui stile ricorda da vicino<br />

quello di David Byrne nella<br />

versione acustica di Psycho<br />

Killer pubblicata nel<br />

disco Stop Making Sense. Si tratta di un inno romantico alla libertà<br />

sessuale che i giovani bianchi degli anni Cinquanta, grazie al rock ’n<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 37


INSIDE<br />

roll, la musica del demonio, avevano potuto vivere in una maniera<br />

sconosciuta alle generazioni precedenti. Oh, Boy!, Rave On e Well…<br />

All Right sono altri tre capolavori che hanno tenuto molto bene la<br />

prova del tempo. Ma a sorprendere di più è la versione di Mona di<br />

Ellas McDaniel, incisa nello studio di Norman Petty, produttore di<br />

Buddy, in New Mexico. La qualità della registrazione, purtroppo, è<br />

indecente, ma ciò che si riesce a sentire lascia a bocca aperta. Sembra<br />

di ascoltare, con dieci anni<br />

di anticipo, una demo di All<br />

Tomorrow’s Parties dei Velvet<br />

Underground. Come dire che<br />

Lou Reed e John Cale, due dei<br />

musicisti più innovativi degli<br />

anni Sessanta, non abbiano inventato<br />

poi molto.<br />

Alla parte finale della carriera<br />

artistica di Buddy è dedicato il<br />

terzo compatto. Qui il giovane<br />

dagli occhiali cerchiati di corno<br />

dimostra che, all’età di ventidue<br />

anni, oltre a essere una<br />

delle personalità musicali più<br />

influenti dell’epoca, era un interprete<br />

e autore in piena evoluzione.<br />

Poca prima della morte,<br />

Buddy aveva lasciato il gruppo<br />

dei Crickets per intraprendere<br />

una carriera solista all’insegna di una maggiore libertà creativa.<br />

Aveva inciso alcuni brani orchestrali (tra cui le bellissime Moondreams<br />

e True Love Ways) che anticipavano con largo anticipo le<br />

analoghe sperimentazioni dei Beatles in Sgt. Peppers e dei Doors<br />

in The Soft Parade. Nel suo appartamento di New York, aveva registrato<br />

per conto proprio una serie di cover e nuove composizioni<br />

che testimoniano il suo sforzo di superare la musica generazionale e<br />

costruirsi una credibilità artistica duratura. Per godere pienamente<br />

di queste gemme acustiche, bisogna fare riferimento al CD Down the<br />

Line. The Rarities. Ma nella compilation di Frémeaux et Associés è<br />

comunque presente la splendida Smokey Joe’s Cafe nella versione<br />

chitarra e voce, senza sovraincisioni, che dimostra la maturità interpretativa<br />

raggiunta da Buddy alla<br />

fine della sua vita.<br />

Il talento precoce di Buddy ne faceva<br />

una delle più grandi promesse<br />

del rock. Ed è questo a rendere il<br />

dolore per la sua perdita ancora più<br />

struggente. Non sapremo mai che<br />

direzione avrebbe preso la sua ricerca<br />

musicale e che risultati avrebbe<br />

raggiunto, ma è certo che il genio<br />

di Buddy aveva caratteristiche tali<br />

da sopravvivere alla moda del rock<br />

’n roll. Lo dimostra l’influenza che<br />

l’artista texano ha avuto su protagonisti<br />

della scena musicale anni<br />

Sessanta come i Rolling Stones,<br />

Bob Dylan e i già citati Beatles.<br />

Il giorno in cui l’aereo su cui viaggiava<br />

Buddy si schiantò in un<br />

campo di mais, è superfluo dirlo,<br />

la musica non morì. Sarebbe più giusto dire che quello fu il giorno<br />

in cui la musica giovanile perse la sua innocenza. A morire<br />

era il rock ’n roll e a nascere era il rock anni Sessanta, un genere<br />

musicale più maturo, ricercato e disincantato, a cui Buddy Holly<br />

aveva aperto la strada.<br />

38 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


SELECTOR<br />

a cura della redazione<br />

Non v’è dubbio che l’ascolto<br />

di file musicali<br />

e lo streaming abbiano<br />

cambiato il panorama della fruizione<br />

della musica ma lo tsunami<br />

che si è abbattuto sul mondo<br />

dell’audio non si è fermato qui. La<br />

commistione tra informatica ed<br />

elettronica ne ha cambiato la faccia<br />

e soprattutto gli equilibri, mettendo<br />

in mostra una radicalizzazione<br />

delle tendenze nell’offerta,<br />

motivata dalle origini e dal know<br />

how delle aziende che si trovano<br />

ad orbitare in questo ambito.<br />

Una dicotomia particolarmente<br />

evidente tanto nello specifico<br />

segmento del trasporto, elaborazione<br />

e conversione dei dati musicali<br />

(dove le aziende elettroniche<br />

sono sembrate sempre in affanno<br />

e all’inseguimento) quanto nel<br />

resto della catena Hi-Fi dove, al<br />

contrario, i tentativi di competere<br />

delle aziende informatiche sono<br />

risultati velleitari e fuori dai codici<br />

comuni utilizzati nell’audio di<br />

qualità. Elementi particolarmente<br />

evidenti in quel segmento un<br />

tempo definito dei tutto-in-uno<br />

(o dei coordinati) completamente<br />

trasfigurato dalla musica liquida,<br />

oggi espressione principalmente<br />

di quelle start up che rappresentano<br />

la sintesi di questi mondi. Se<br />

l’offerta propone una miriade di<br />

sistemi portatili di basso costo e<br />

qualità, così non è in quella fascia<br />

di mercato che dovrebbe offrire il<br />

coordinato Hi-Fi del futuro o, almeno,<br />

del prossimo presente, fascia<br />

“spaccata” in due tra prodotti<br />

di fascia alta (B&W, Naim, Technics,<br />

Nad, McIntosh e l’eccezione<br />

Cocktail) e i pochi più abbordabili<br />

ma dalle caratteristiche Hi-Fi,<br />

dove prevale comunque un ibrido<br />

(non portatile ma trasportabile)<br />

e domina fondamentalmente un<br />

unico marchio, Sonos. Segmento<br />

difficile questo, evidentemente,<br />

come testimonia anche il fatto<br />

che dopo averlo cavalcato con<br />

entusiasmo (Zeppelin) B&W lo ha<br />

abbandonato e che solo due nuovi<br />

attori di estrazione Hi-Fi lo stiano<br />

popolando di nuovo: Dynaudio<br />

(Music 3) e Triangle con l’Aio 3,<br />

che si confronta nella nostra prova<br />

proprio con la nuova versione<br />

del Sonos Five (precedentemente<br />

Play:5).<br />

Sonos vs Triangle, dunque, Five<br />

contro Aio 3, marcatamente dif-<br />

COORDINATO<br />

Sonos Five<br />

SUL CAMPO<br />

Prezzo: € 579,00<br />

Dimensioni: 36,4 x 20,3 x 15,4 cm (lxaxp)<br />

Peso: 6,36 Kg<br />

Distributore: Nital - www.nital.it/<br />

Amplificatore: multiamplificato in classe D (6x) Diffusori: Sistema<br />

a 6 altoparlanti amplificati singolarmente, tre tweeter, tre<br />

midwoofer, crossover attivo e DSP; configurabile in stereo oppure<br />

come mono Left o mono Right Note: streamer PCM 16/44,1,<br />

ethernet, wifi, AirPlay 2. 1 ingresso RCA Prezzo cad.<br />

COORDINATO<br />

Triangle Aio 3<br />

Prezzo: € 499,00<br />

Dimensioni: 35,99 x 19,48 x 15 cm (lxaxp)<br />

Peso: 5,1 Kg<br />

Distributore: Tecnofuturo - www.tecnofuturo.it<br />

Amplificatore: 2 x 45W Diffusori: 2 x Tw da 25 mm e 2 x Wf da<br />

10 cm con filtro passivo a 12 dB/oct Note: Telecomando, Ethernet,<br />

wifi, Bluetoooth AptX v4.2, DLNA. Ingressi digitale ottico,<br />

analogico e USB flash disc. Legge formati audio Hi Res fino a<br />

24/192<br />

SUL CAMPO<br />

40 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


TEST<br />

La parte posteriore del Sonos Five è molto pulita, ordinata e lineare, soprattutto se si considera che il cavo di alimentazione in dotazione si integra totalmente con il piano<br />

posteriore, ricordando un design Apple. In basso la RJ-45 Ethernet, comunque realizzata ad hoc per uniformarsi all’estetica del prodotto, l’ingresso linea con jack da 3,5 mm a<br />

rilevamento automatico e il pulsante per la conferma di associazione alla rete. Il Triangle Aio 3 mostra un parco connessioni comunque più affollato, con gli ingressi distinti per la<br />

connessione ottica o analogica, quella di rete e la presa USB per i contenuti, collocata comunque in posizione scomoda. Sul retro è anche presente il condotto di accordo reflex.<br />

ferenti nella storia, nella mission<br />

e in quanto messo in campo;<br />

due marchi agli antipodi, culturalmente<br />

e geograficamente:<br />

Silicon valley uno e Poisson, capitale<br />

della Francia anche se per<br />

poco, l’altro. Per non parlare della<br />

specializzazione: uno dedito alla<br />

trasmissione in rete di contenuti<br />

criptati, l’altro specializzato nella<br />

progettazione e realizzazione di<br />

altoparlanti e diffusori acustici<br />

nel modo più tradizionale che si<br />

possa intendere. Sonos nel tempo<br />

ha investito anche nella ricerca<br />

dei componenti più adatti alla riproduzione<br />

sonora, esaltandone<br />

le prestazioni giusto con quell’aiutino<br />

che solo i DSP e i controlli<br />

adeguatamente settati riescono<br />

a fornire. Dal canto suo, affrontando<br />

il campo descritto, Triangle<br />

sembra aver delegato ad un<br />

terzista gran parte di quello che<br />

serve al sistema per funzionare...<br />

Non stupirà che tutto questo si<br />

rifletta in maniera marcata sul<br />

primo impatto, quello mediato<br />

dalla vista e dal tatto: tecnologico<br />

il Five, dalle forme rotondeggianti<br />

e realizzato in quella che definire<br />

plastica è decisamente riduttivo<br />

(il corpo è in policarbonato monolitico,<br />

leggermente morbido al<br />

tatto e davvero piacevolissimo da<br />

maneggiare); assolutamente tradizionale<br />

l’Aio, con il suo mobile<br />

squadrato con telaio in polimero,<br />

il piano inferiore in MDF, la griglia<br />

di protezione in tessuto con<br />

inserti in simil alluminio e un<br />

tratto che ricorda, addirittura, gli<br />

apparecchi d’antan. Mai come nel<br />

caso di Sonos Five e Triangle Aio<br />

3 la redazione si è schierata in opposte<br />

fazioni. L’aspetto del Sonos<br />

è stato considerato superlativo da<br />

alcuni e da altri cheap, quasi impersonale<br />

e difficilmente identificabile<br />

in un prodotto di qualità<br />

Hi-Fi; sensazioni che riportano<br />

ai tempi del lancio dei prodotti<br />

Apple, così distanti dai computer<br />

dell’epoca e che solo a fatica<br />

sono stati, in seguito, considerati<br />

prodotti “seri” e non dedicati a un<br />

Il Five ha tre comandi a sfioramento sul<br />

piano superiore, i due laterali per la regolazione<br />

del volume, quello al centro<br />

per mettere in pausa e riprendere la<br />

riproduzione (in un certo senso molto<br />

meglio della funzione mute in quanto,<br />

più che silenziare, interessa interrompere<br />

la riproduzione). Se si toccano tutti e tre<br />

i pulsanti in un verso o nell’altro, si può<br />

passare al brano precedente o quello<br />

successivo. Dato che il Five può essere<br />

collocato in verticale indifferentemente<br />

su uno dei due lati (in modo da collocare i<br />

tweeter al centro o all’esterno nel caso in<br />

cui si disponga di due unità abbinante in<br />

modalità stereo), i comandi si ribaltano<br />

a seconda della posizione, con il tasto<br />

in alto che aumenta e quello in basso<br />

che riduce il volume. In alternativa al<br />

telecomando il Triangle Aio 3 utilizza<br />

una pulsantiera tradizionale: accensione<br />

e stand-by, selezione delle sorgenti<br />

e due tasti per la regolazione del volume.<br />

consumo elitario. Si aggiunga che<br />

il Sonos è disponibile solo in due<br />

colori, bianco o nero e che forse la<br />

varietà del Triangle, tra l’altro con<br />

colori pastello, aiuta la collocazione<br />

in ambiente, almeno secondo<br />

l’opinione di un folto gruppo di<br />

appassionati.<br />

Dal punto di vista costruttivo il<br />

Sonos utilizza tre tweeter e tre<br />

woofer ad alta escursione, indipendenti<br />

e con amplificatore<br />

dedicato e DSP con la possibilità<br />

di correzioni di fase per l’ottimizzazione<br />

ambientale. Un supporto<br />

sagomato anteriore consente la<br />

collocazione dei woofer in carico<br />

pneumatico e l’orientamento<br />

dei tre tweeter in tre differenti<br />

posizioni, utili sia per l’uso stand<br />

alone sia per quello abbinato ad<br />

un altro Five in modalità stereo. Il<br />

Triangle è invece un sistema a due<br />

vie con woofer da 10 cm, tweeter<br />

da un pollice e filtro passivo realizzato<br />

con componenti tradizionali<br />

(induttori avvolti su nucleo<br />

metallico e condensatori bipolari).<br />

Il carico reflex è condiviso per<br />

i due woofer, e l’amplificazione è<br />

in classe D (STMicroelectronics)<br />

con un modulo di comunicazione<br />

di rete e Bluetooth LinkPlay A31.<br />

Quelle citate sono solo le pietanze<br />

dell’antipasto servito dai due<br />

sistemi, talmente divergenti che<br />

le differenze d’ascolto che pure<br />

ci sono diventano secondarie alla<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 41


SELECTOR<br />

UGUALI EPPUR DIFFERENTI<br />

La app di Sonos ha il controllo completo sia sui dispositivi che sui contenuti<br />

distribuiti tramite la rete, mentre l’approccio del produttore del modulo di rete<br />

Linkplay è più orientato a un sistema ampio e flessibile, a seconda delle condizioni<br />

in cui verrà inserito il sistema. Pertanto i contenuti al di fuori del proprio dispositivo<br />

verranno prelevati dai DMS (Digital Media Server) presenti e la ricerca è molto<br />

lenta e farraginosa, nonostante altri Player DLNA, come Bubble UPnP, nelle stesse<br />

condizioni offrano un’esperienza d’uso molto più gradevole e soddisfacente.<br />

Osservando le due schermate del brano durante la riproduzione, anche se a<br />

prima vista sembrano molto simili, si apprezza una differente distribuzione delle<br />

aree funzionali e delle informazioni utili sul media in riproduzione: ad esempio,<br />

il volume su Sonos si raggiunge immediatamente, senza dover prima pigiare il<br />

tasto con l’altoparlante e poi regolare il volume (come nel Triangle). Nelle info si<br />

apprezza il titolo del brano, l’artista e il titolo dell’LP mentre nel triangle manca<br />

il dato dell’LP. Nel Sonos, apparentemente scarno, ci sono poi in basso tutte le<br />

funzioni di supporto e di approfondimento tra cui il tasto di ricerca nei contenuti<br />

che scandaglia sia quelli presenti sul NAS che quelli nei servizi di streaming<br />

sottoscritti, mentre questa funzione è totalmente assente nel Triangle.<br />

destinazione d’uso dei due prodotti,<br />

vera demarcazione per scegliere<br />

l’uno o l’altro. È ad esempio<br />

nell’ambito delle connettività che<br />

si valuta principalmente un sistema<br />

all in one e, nel caso dei due<br />

prodotti a confronto, proprio il<br />

collegamento Bluetooth diventa<br />

un punto di demarcazione.<br />

Questo collegamento (o meglio,<br />

la sua mancanza) rientra in una<br />

della “crociate” portate avanti da<br />

Sonos, fermo detrattore di questo<br />

tipo di connessione, anche se<br />

pochissimo tempo fa la casa ha<br />

proposto il Move, un prodotto<br />

a batteria, quindi ampiamente<br />

portatile che, se non collegato<br />

alla rete Wi-Fi, può sfruttare lo<br />

smartphone in caso di necessità.<br />

Anzi, anche in funzione di alcuni<br />

rumour trapelati in occasione<br />

del prossimo lancio dell’azienda<br />

prevista per i primi di marzo, è<br />

possibile che Sonos punti su un<br />

altro prodotto ancora più portatile,<br />

Bluetooth, Wi-Fi 5 per completare<br />

la sua offerta. Il Five non<br />

ne è dotato, l’Aio 3 si e questo fa<br />

tutta la differenza del mondo se<br />

la funzione vi è utile!<br />

Sia Sonos che Triangle sono invece<br />

compatibili con il protocollo<br />

AirPlay2, pertanto tutto quello<br />

che riguarda la gestione dei contenuti<br />

viene totalmente bypassata<br />

e presa in carico dall’ecosistema<br />

Apple, con tutto quello che ne<br />

consegue sia nella gestione dei<br />

contenuti sia nella qualità di riproduzione<br />

che, ancora oggi, è la<br />

più scadente e insoddisfacente<br />

del settore. Da questo punto di<br />

vista, Sonos è compatibile con<br />

Roon, mentre Triangle no. Di<br />

contro, il Triangle, oltre al Bluetooth<br />

è dotato anche di un telecomando<br />

e di un ingresso USB cui<br />

collegare una chiavetta in modo<br />

da offrire una esperienza d’uso<br />

abbastanza immediata che da alcuni<br />

punti di vista semplifica molto<br />

l’utilizzo diretto e con poche<br />

pretese. Tramite l’USB, infatti, si<br />

possono ascoltare al volo una selezione<br />

di brani in essa contenuti<br />

ma non pensate assolutamente<br />

di inserire una intera collezione<br />

per di ricreare quella che era la<br />

“cassetta per le feste” di quando<br />

eravamo ragazzi. Inoltre, con il<br />

telecomando si può rapidamente<br />

intervenire sul volume o sul tasto<br />

mute, due funzioni che quando<br />

servono devono essere azionate<br />

quasi all’istante, cosa che con uno<br />

smartphone non è certo agevole.<br />

D’altronde, se anche Google ha<br />

scelto di dotare il suo streamer<br />

d’eccellenza, il Chromecast, di<br />

un telecomando, con tasto mute<br />

in bella evidenza, forse si tratta di<br />

una funzione utile, no?<br />

Le prestazioni sonore, infine.<br />

Posto che per definizione Sonos<br />

non supporta i formati al di sopra<br />

di quello CD (ma un programma<br />

come Roon se abbinato al Five<br />

provvede al downsampling) e<br />

l’Aio 3 invece si, non rimarrete<br />

sorpresi nell’apprendere che anche<br />

qui le differenze sono abbastanza<br />

profonde anche se meno<br />

marcate delle tante altre. In generale<br />

l’Aio 3 paga qualcosa nella<br />

porzione grave delle frequenze<br />

(dove il DSP di Sonos fa la differenza)<br />

con un basso più gonfio<br />

e inscatolato, meno vivido, con<br />

la voce che risulta più esile. Il<br />

timbro, però, è abbastanza naturale<br />

e godibile, soprattutto a<br />

bassi livelli di pressione in cui<br />

si apprezza anche una ipotesi<br />

di ricostruzione ambientale. Un<br />

suono tipicamente gradevole<br />

che mette in evidenza anche la<br />

qualità della sorgente a monte in<br />

cui si privilegia la riproduzione<br />

con protocollo DLNA indipendentemente<br />

se controllato dalla<br />

app proprietaria o da una esterna<br />

come, ad esempio, Bubble<br />

UPnP. Molto meno coinvolgente<br />

la riproduzione tramite AirPlay e<br />

Bluetooth. Con il Sonos, invece,<br />

le performance musicali sono<br />

praticamente indipendenti dalla<br />

modalità di controllo sia attraverso<br />

la app proprietaria che tramite<br />

DLNA generico. Anche con<br />

AirPlay, nonostante si apprezzi<br />

un decadimento della qualità,<br />

le prestazioni rimangono soddisfacenti.<br />

La pressione acustica<br />

ottenibile è molto elevata e offre<br />

sensazioni fisiche all’ascolto con<br />

un punch potente e incisivo. La<br />

timbrica non è mai affaticante<br />

anche se molto dettagliata, senza<br />

mai raggiungere comunque<br />

una eccessiva luminosità della<br />

riproduzione. Alzando il volume<br />

si raggiunge senza esitazione il<br />

massimo livello che, al di là di<br />

ogni previsione, sviluppa una<br />

pressione potente ma che lascia<br />

supporre che il sistema potrebbe<br />

andare molto oltre. Man mano<br />

che ci si avvicina al livello massimo,<br />

tuttavia, si apprezza il circuito<br />

DSP di compensazione che<br />

tende a comprimere il segnale<br />

per aumentare il livello complessivo<br />

senza portare in sovraccarico<br />

i woofer. La sensazione di<br />

compressione è però imparagonabile<br />

a quella di un sistema che<br />

arriva a “fondo corsa”!<br />

Per scegliere l’uno o l’altro non<br />

resta quindi che profilare le<br />

proprie esigenze come utente,<br />

partendo da quelle indispensabili:<br />

il “migliore” per ciascuno<br />

di noi verrà identificato rapidamente...<br />

42 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


SELECTOR<br />

a cura della redazione<br />

AMPLIFICATORE INTEGRATO<br />

Yamaha A-S1200<br />

Il punto di svolta nel 2013:<br />

in occasione del 125mo<br />

anniversario della nascita,<br />

esordiva la linea 5000 costituita<br />

da un pre (CXA 5000) e un finale<br />

(MXA 5000) dedicati all’home<br />

theater, mentre veniva “declassato”<br />

nella sigla a un livello inferiore<br />

l’A-S3000 (provato su <strong>SUONO</strong><br />

480 - ottobre 2013). Comunque<br />

un ritorno del marchio del diapason<br />

all’Hi-Fi di livello, dopo che<br />

per molti anni aveva primeggiato<br />

l’attenzione all’HT. Sulla base di<br />

quel progetto vennero sviluppati<br />

per demoltiplica alcuni integrati<br />

e proposta nuovamente come<br />

punto di riferimento la coppia<br />

pre e finale C-5000 & M-5000,<br />

anch’essi provati su <strong>SUONO</strong><br />

nell’ottobre 2019, poco dopo la<br />

presentazione in occasione del<br />

Munich Hi-End di quell’anno.<br />

Kenwood, Pioneer, Sansui, Technics, Yamaha; c’era<br />

una volta la pattuglia degli amplificatori medium price,<br />

capitanata dai costruttori giapponesi... Ne sono sopravvissuti,<br />

perlomeno nel segmento di competenza, solo due: uno,<br />

di ritorno, ha scelto di aderire alle (poche) nuove filosofie<br />

sviluppate nell’ambito dell’amplificazione; l’altro, Yamaha<br />

per l’appunto, non ha mai smesso di concentrarsi su soluzioni<br />

più tradizionali ma non per questo meno efficaci.<br />

Anche da lì sono stati declinati<br />

una serie di prodotti via via più<br />

economici, mentre i 5000 rimangono<br />

ancora (e giustamente!) il<br />

riferimento nel catalogo della<br />

casa giapponese. Non si tratta<br />

solo di una ricaduta a livello<br />

tecnologico visto che, con la logica<br />

del “squadra che vince non<br />

si cambia”, il design di Yamaha<br />

rimane fedele a se stesso: quello<br />

retrò con i tradizionali quadranti<br />

ad ago illuminati a LED<br />

che ricorda echi ben più ampi<br />

e trionfali dell’Hi-Fi (quelli, appunto,<br />

del quintetto citato in avvio<br />

di questo articolo), al punto<br />

che molti, guardandolo, potrebbero<br />

nutrire il dubbio: si tratta<br />

di un apparecchio entry level o<br />

di un alto di gamma? Il quesito è<br />

alimentato anche da una politica<br />

nella griglia prodotti che non ci<br />

è chiara: in catalogo, infatti, ci<br />

sono una serie di prodotti sostanzialmente<br />

molto simili fra<br />

loro, con leggere differenze che<br />

dovrebbero determinare una più<br />

adatta soddisfazione di esigenze<br />

specifiche da parte dell’utente e<br />

anche un miglioramento, se non<br />

nelle prestazioni e nel progetto,<br />

almeno negli equipaggiamenti e<br />

nelle finiture. Vale lo stesso per<br />

l’A-S1200 oggetto di questo test<br />

e degli altri componenti della A-S<br />

Serie (A-S2200 e A-S3200) che<br />

sostituiscono i precedenti A-S<br />

1100, 2100 e 3000. Si aggiunga<br />

che questa, come le precedenti<br />

serie, non viene aggiornata in<br />

blocco ma differenziata nel tempo,<br />

fattore che complica il puzzle<br />

che porta a un ipotetico posizionamento<br />

qualitativo nella griglia.<br />

Per un breve lasso di tempo, ad<br />

esempio, la versione A-S2100 era<br />

molto più godibile in termini di<br />

musicalità e verve del più costoso<br />

3000; l’A-S2100, infatti, era<br />

stato oggetto di una rivisitazione<br />

dello stadio di potenza (trasferito<br />

in seguito nelle altre<br />

linee) che aveva determinato,<br />

in quel periodo, la sovrapposizione<br />

fra l’A-S3000 e l’A-<br />

S2100. Se da un lato gli equipaggiamenti<br />

dell’A-S3000<br />

erano più ampi e raffinati di<br />

quelli dell’A-S2100, per quel<br />

che riguarda il suono, invece,<br />

l’A-S2100 apparteneva alla<br />

novelle vogue poi propagata<br />

al resto della linea, rinnovata<br />

e caratterizzata da un timbro<br />

più luminoso e una verve mai<br />

iperdettagliata e affaticante!<br />

Esiste poi un altro aspetto<br />

Prezzo: € 1.990,00<br />

Dimensioni: 43,50 x 15,70 x 46,30 cm (lxaxp)<br />

Peso: 22 Kg<br />

Distributore: Yamaha Music Europe GmbH - Branch Italy<br />

Via Tinelli, 67/69 - 20855 Gerno di Lesmo (MB)<br />

Tel.02.935771 - Fax 02.9370956<br />

www.yamaha.it<br />

AMPLIFICATORE INTEGRATO YAMAHA A-S1200<br />

Tipo: stereo Tecnologia: a stato solido Potenza: 2 x 105 W su<br />

8 Ohm Accessori e funzionalità aggiuntive: Telecomando, Ingresso<br />

cuffia, Controlli di tono Risp. in freq. (Hz): 5 - 100.000 +0<br />

/ -3 dB THD (%): 0.035 Phono: MM (3,5 mV/47 KOhm) MC ( mV/<br />

Ohm) Ingressi analogici: 3 RCA Uscite analogiche: 2 RCA<br />

44 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


TEST<br />

assai curioso nella logica promozionale<br />

dell’azienda che, non<br />

se ne capisce bene lo scopo, non<br />

fornisce all’utente una logica di<br />

scelta comprensibile basata sulle<br />

differenziazioni dei prodotti in<br />

base alle caratteristiche tecniche,<br />

in particolar modo quelle relative<br />

alla potenza dell’amplificatore,<br />

alla distorsione e al rapporto<br />

segnale rumore. Le caratteristiche<br />

dei tre integrati nel corso<br />

del tempo e nelle varie versioni<br />

sono praticamente sovrapponibili,<br />

con differenze che in alcuni<br />

casi perdono di significato. Leggendo<br />

in rete alcuni notano, ad<br />

esempio, la differenza tra i 95<br />

Watt di un modello e i 100 di un<br />

altro, oppure il valore di 18.000<br />

uF del condensatore di alimentazione<br />

dell’A-S1200 (ma anche<br />

del 1000) rispetto ai 22.000<br />

uF di quello impiegato nell’A-<br />

S2200... Differenze che in certi<br />

casi possono portare benefici in<br />

un progetto ben preciso ma che<br />

in altri non rappresentano una<br />

soluzione a priori indice di miglioramenti<br />

qualitativi; la scelta<br />

di dotare oggi l’A-S1200, più piccolo<br />

della serie, del trasformatore<br />

toroidale, sembra aver ancor<br />

più livellato i tre prodotti della<br />

linea che si differenziano più<br />

per equipaggiamento (zero, uno<br />

o due ingressi bilanciati rispettivamente)<br />

e cura nei particolari<br />

(isolamento dalle vibrazioni e i<br />

piedi di appoggio, ad esempio).<br />

A fare la differenza sono quelle<br />

scelte del circuito che hanno<br />

un vero effetto sulle prestazioni<br />

come, per esempio, quelle implementate<br />

nell’A-S2100 che<br />

potranno sicuramente beneficiare<br />

dei particolari ma che, in<br />

sostanza, costituiscono quel piccolo<br />

“salto di specie”. Da questo<br />

punto di vista, allora, lo scenario<br />

si ridefinisce e assume una<br />

connotazione abbastanza chiara<br />

che non mette in discussione il<br />

flagship della serie, anzi, colloca<br />

l’entry level come un best buy a<br />

tutti gli effetti, soprattutto se non<br />

si ha la necessità di un ingresso<br />

bilanciato. Vedremo se questa<br />

filosofia, anch’essa rinnovata,<br />

sarà accolta favorevolmente dal<br />

pubblico!<br />

Aspetti che invece passano molto<br />

spesso in sordina ma che sono<br />

oggetto in altri ambiti di accanimenti<br />

e dibattiti se non addirittura<br />

di guerre di religione, sono<br />

quelli dell’adozione di circuiti a<br />

componenti discreti Vs circuiti<br />

integrati e la regolazione del volume<br />

con potenziometro analogico<br />

Vs circuiti integrati. C’è da notare<br />

che Yamaha da lungo tempo<br />

impiega soluzioni miste per quel<br />

che riguarda l’amplificazione dei<br />

segnali linea, impiegando comunque<br />

amplificatori operazionali<br />

di alta qualità, mentre per la<br />

regolazione del volume impiega<br />

un sistema piuttosto articolato<br />

che sfrutta un potenziometro<br />

analogico per controllare un<br />

circuito integrato per la regolazione<br />

del volume. In pratica, il livello<br />

di attenuazione del circuito<br />

integrato è determinato dalla posizione<br />

del potenziometro motorizzato<br />

su cui agisce il telecomando.<br />

Inoltre, anche il mute agisce<br />

sulla rotazione della manopola<br />

del volume, che ruota giusto per<br />

una attenuazione importante<br />

del segnale senza silenziarlo, un<br />

effetto sicuramente scenografico<br />

e soprattutto molto piacevole<br />

al tatto se si agisce direttamente<br />

sulla manopola del volume;<br />

tutto molto bello ed evocativo,<br />

se non fosse che il segnale passa<br />

attraverso un integrato e ciò che è<br />

stato costruito intorno al sistema<br />

di gestione fa venire in mente un<br />

robot che si dedica alla dattilografia<br />

non con una macchina da<br />

scrivere meccanica ma con una<br />

tastiera da computer! Questo,<br />

naturalmente, non si percepisce<br />

dal “vestito” adottato, come detto<br />

assolutamente “fedele alla linea”,<br />

che beneficia ora anche nel modello<br />

più piccolo della linea (il<br />

1200 appunto) dei due VU-meter<br />

ad ago che consentono la regolazione<br />

continua della luminosità<br />

del quadro per ben adattarsi ad<br />

ogni condizione; una feature che,<br />

abbinata al gusto vintage dei Vumeter,<br />

è un valore aggiunto non<br />

da poco! Sul pannello anteriore è<br />

presente un selettore per attivare<br />

o disattivare i VU-meter; quando<br />

attivati, tenendo il selettore nella<br />

posizione Dimmer, l’intensità<br />

luminosa varia fra il minimo e il<br />

massimo e si ferma quando si ottiene<br />

il livello ottimale che rimane<br />

memorizzato fino ad un’altra<br />

regolazione. Una sensazione di<br />

“solidità culturale” (ci si passi il<br />

termine) confermata nell’azionamento<br />

dei comandi da un procedere<br />

fluido e preciso di chiaro<br />

stampo meccanico.<br />

Collegato il nuovo A-S2100 ai<br />

diffusori presenti in redazione<br />

per le varie prove (tra quelli in<br />

prova - PMC Twenty 5.23i, Sonus<br />

Faber Lumina I e III - e quelli di<br />

riferimento, Triangle e Elac), si<br />

percepisce subito un ascolto gradevole,<br />

molto equilibrato e non<br />

affaticante, caratteristica che si<br />

ripropone con tutti i sistemi collegati<br />

e che sottolinea una certa<br />

insensibilità al carico, almeno<br />

sotto l’aspetto della resa timbrica.<br />

Con diffusori caratterizzati da<br />

una timbrica leggermente scura<br />

si apprezza una sorta di compensazione<br />

ma con un intervento<br />

che non tende a livellare ma<br />

a rendere il suono luminoso e<br />

al contempo non affaticante. La<br />

potenza c’è e si sente, perché si<br />

può alzare il volume senza ravvisare<br />

costrizioni dinamiche o<br />

distorsioni nella gestione delle<br />

voci e degli strumenti musicali,<br />

anzi, l’assenza di indurimenti e<br />

di una sensazione di raggiungimento<br />

del limite dello stadio finale<br />

invoglia ad alzare il volume<br />

anche a livelli solitamente al di<br />

sopra della soglia “condominiale”.<br />

Tuttavia, con diffusori poco<br />

sensibili abbiamo notato un clipping<br />

repentino e marcato nella<br />

riproduzione di percussioni profonde<br />

e molto dinamiche, come<br />

Al centro dell’apparecchio sono<br />

collocati i connettori di ingresso e<br />

uscita del segnale con tre ingressi<br />

linea, uno Phono per MM e MC,<br />

un anello tape, un’uscita pre e un<br />

ingresso Direct per la sezione finale.<br />

Sui lati sono disposte le due coppie di<br />

morsetti di potenza per una doppia<br />

coppia di diffusori o, ancor meglio,<br />

per un collegamento in bi-wiring.<br />

I morsetti di potenza sono molto<br />

efficienti e consentono un ottimo<br />

serraggio in sicurezza di qualsiasi<br />

tipo di cavo.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 45


SELECTOR<br />

I cavi di potenza sono<br />

collegati al PCB dotato<br />

di doppia uscita in cui<br />

sono presenti i due relé di<br />

commutazione e il filtro comune<br />

alle due uscite. I due morsetti<br />

possono essere usati in coppia<br />

oppure alternati.<br />

La scheda phono è posizionata<br />

in fondo alla sezione di ingresso,<br />

chiusa in un contenitore metallico<br />

schermante. Il circuito è realizzato a<br />

componenti discreti distintamente<br />

per la sezione MM e MC con due<br />

alimentazioni duali separate e distinte<br />

da ±20 per l’una e ±18V per l’altra. Le<br />

commutazioni avvengono tramite<br />

relè attivati dal circuito di controllo<br />

servoassistito. I componenti attivi sono<br />

prevalentemente a tecnologia SMD<br />

con l’utilizzo, però, di condensatori<br />

tradizionali sia a film che elettrolitico,<br />

opportunamente distribuiti lungo le<br />

linee di alimentazione di segnale.<br />

Si nota anche l’impiego di microinduttori<br />

sull’ingresso ad alta<br />

compattazione. La scelta fra MM e MC<br />

si effettua tramite un selettore a fianco<br />

dei connettori di ingresso.<br />

La regolazione del volume<br />

avviene tramite un regolatore<br />

di livello elettronico JRC<br />

NJU72321 controllato da un<br />

potenziometro analogico.<br />

Anche i livelli delle regolazioni<br />

dei toni avvengono con<br />

la stessa modalità tramite<br />

l’abbinamento di un NJU72321<br />

al potenziometro a monte del<br />

circuito di regolazione dei toni<br />

alti e bassi.<br />

Tutte le funzionalità dell’apparecchio<br />

sono servoassistite e gestite da un<br />

microcomputer Renesas che tiene<br />

sotto controllo gli input dei comandi<br />

e gli azionamenti dei relè e del<br />

potenziometro del volume. Alcuni di<br />

essi manifestano una lieve latenza fra<br />

la selezione e lo scatto del relè.<br />

È presente una connessione sul retro<br />

per l’aggiornamento firmware.<br />

se il sistema, totalmente lineare<br />

fino ad un punto, cedesse tutto<br />

insieme (impressione confermata<br />

al banco di misura). Al di là<br />

dei casi limite, con diffusori di<br />

media sensibilità ma anche con<br />

un carico particolarmente ostico<br />

come, ad esempio, i Triangle Cello,<br />

comunque non si apprezzano<br />

mai sensazioni di indurimento o<br />

di raggiungimento del limite.<br />

Nel complesso, a livello sonoro<br />

questo integrato rappresenta<br />

una piacevole sorpresa grazie al<br />

suono timbricamente corretto; la<br />

gamma bassa è netta, profonda e<br />

articolata, veloce e sicura nel suo<br />

incedere, quella media è ben coesa<br />

con quella inferiore e in grado<br />

di riproporre con stile e sapienza<br />

il pianoforte acustico e le voci,<br />

che appaiono naturali, ricche di<br />

armoniche e mai preponderanti<br />

rispetto al resto del messaggio<br />

musicale.<br />

Soffermandosi sul pianoforte, si<br />

riescono a seguire le evoluzioni<br />

dell’esecutore sulla tastiera senza<br />

46 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


TEST YAMAHA A-S1200<br />

al banco di misura<br />

La risposta in frequenza è molto estesa e per nulla condizionata<br />

dal carico o dalla regolazione del livello, effettuata<br />

a passi di 0.5 dB in tutto il range utile dal chip JRC<br />

NJU72321. La distorsione è solo lievemente accennata con<br />

una prevalenza di componenti di ordine dispari ma con<br />

un decadimento armonico abbastanza rapido. Le componenti<br />

da intermodulazione simmetriche sono lievemente<br />

accennate e assenti le altre. Nonostante la sensibilità<br />

dell’apparecchio sia piuttosto alta, il tappeto di rumore<br />

si mantiene a livelli molto bassi nelle normali condizioni<br />

di utilizzo ipotizzate, con livelli di ingresso intorno a 2<br />

Vrms in cui si ottengono le massime e prestazioni dell’apparecchio<br />

in termini di rumore e spurie in banda e fuori<br />

perdere neanche una nota, lo<br />

strumento è realistico, nitido e<br />

gli accordi e gli arpeggi si susseguono<br />

con le giuste notazioni<br />

timbriche. L’immagine virtuale si<br />

dispone sui tre assi con fermezza.<br />

Ottimo il lavoro svolto in tal<br />

senso con i piccoli Sonus faber<br />

Lumina I, che letteralmente svaniscono<br />

dal piano del soundstage.<br />

La stessa cosa accade anche<br />

con i più ricchi e impegnativi<br />

PMC. Facile l’individuazione dei<br />

singoli strumenti o dei gruppi<br />

strumentali dell’orchestra, diluiti<br />

con maestria nel piano della<br />

profondità, ovviamente ove la<br />

registrazione risulti ben fatta e<br />

consenta la scansione dei piani<br />

sonori. Il range acuto non è mai<br />

pungente e rifinisce in maniera<br />

pressoché ideale il messaggio<br />

musicale verso l’alto.<br />

Anche il registro basso è esteso<br />

e articolato, mai onnipresente e<br />

confuso, aspetto che in certe circostanze<br />

potrebbe far supporre<br />

a una certa leggerezza, supposizione<br />

smentita non appena<br />

“si manifesta” il basso nella sua<br />

pienezza e articolazione. In ogni<br />

caso, non si avverte mai uno<br />

banda. Risultato ottenuto certamente con l’ottimizzazione<br />

delle linee di massa dell’alimentazione e delle filtrature.<br />

La distorsione si mantiene molto bassa in tutto il range di<br />

amplificazione, con una prevalenza di terza armonica e la<br />

totale assenza della seconda in conseguenza alle scelte di<br />

configurazione. Il clipping si raggiunge con una modalità<br />

quasi “a gradino”, con una distorsione allo 0,06% prima del<br />

clipping che schizza in verticale. La distorsione aumenta<br />

nonostante l’alimentatore fornisca ancora una tensione in<br />

costante ascesa senza flessioni, che tende a cedere molto<br />

oltre il clipping. Quindi, la potenza si attesta a 105 Wrms<br />

su 8R per una THD+N allo 0,06% per crescere, anche se<br />

di poco, oltre l’1%.<br />

squilibrio timbrico all’opposto,<br />

anzi, l’impostazione dell’apparecchio<br />

manifesta una notevole<br />

neutralità anche se poi il carattere<br />

non manca di certo.<br />

In sostanza l’apparecchio è ben<br />

suonante, esteticamente lussuoso,<br />

sostanzioso nell’ingombro e<br />

nel peso, tutti elementi in grado<br />

di colpire l’immaginario audiofilo<br />

ai quali si aggiungono due ulteriori<br />

elementi, spesso sottovalutati<br />

in un amplificatore integrato<br />

ma che sono sempre stati dotazioni<br />

fondamentali in passato:<br />

lo stadio phono e l’uscita cuffia<br />

dedicata. Da questo punto di vista<br />

Yamaha non ha lesinato nella<br />

realizzazione di uno stadio phono<br />

sia MM che MC implementato in<br />

una scheda ad hoc chiusa in un<br />

contenitore di schermatura dotata<br />

di relè di commutazione interni<br />

per la selezione del guadagno<br />

e della modalità. Tale scheda, in<br />

sostanza, è comune a tutti e tre<br />

gli apparecchi della gamma, e<br />

diventa un valore aggiunto non<br />

indifferente, soprattutto per l’A-<br />

S1200, per utenti che hanno già<br />

un giradischi o che vorrebbero<br />

inserirlo visto l’attuale revival.<br />

Lo stadio phono ha un valore<br />

molto al di sopra di unità esterne<br />

di bassa fascia e in un certo<br />

senso dà valore al concetto stesso<br />

di amplificatore integrato, che<br />

deve soddisfare al meglio le esigenze<br />

dell’utente che sceglie una<br />

soluzione “all in one” rispetto a<br />

quelle fatta di componenti separati.<br />

Anche lo stadio di potenza<br />

della cuffia si colloca a un livello<br />

molto alto, soprattutto per la<br />

sezione di potenza a discreti che<br />

non sfigura davanti a prodotti di<br />

fascia media stand alone. Certo,<br />

vale sempre la sensazione da parte<br />

dell’utente che, se non usa tali<br />

opzioni, parti delle risorse sono<br />

state investite inutilmente (anche<br />

se fanno parte del prodotto<br />

e non c’è possibilità di scelta)<br />

ma in senso più generale c’è da<br />

considerare che se si opta per<br />

allestire un sistema tradizionale<br />

con un amplificatore integrato<br />

al centro, anzi un sistema simil<br />

vintage, allora l’equipaggiamento<br />

dell’A-S1200 è perfetto, e sarebbe<br />

anche un’ottima occasione<br />

per i nostalgici di rispolverare<br />

il vecchio giradischi in soffitta.<br />

Sorprendente il rapporto qualità/prezzo,<br />

anche solo guardando<br />

all’interno della gamma offerta<br />

dall’azienda: un “Entry Killer” e<br />

non il solo in questo numero di<br />

<strong>SUONO</strong>… continuate a sfogliare<br />

avidamente la rivista!<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 47


SELECTOR<br />

di Nicola Candelli<br />

Un incontro o uno scontro<br />

tra generazioni<br />

quello che lega alle<br />

origini l’attuale produzione<br />

Quad, storico marchio fondato<br />

nel 1936 da Peter J. Walker,<br />

uno dei pionieri della riproduzione<br />

stereofonica, ceduto (o<br />

caduto) nelle pur amorevoli<br />

mani di International Audio<br />

Group (IAG) e dei suoi proprietari<br />

cinesi? La possibilità<br />

di avere in perfetta efficienza<br />

e ancora attiva la coppia pre<br />

e finale Quad 34+306 insieme<br />

alla concomitante presenza<br />

nella mia sala d’ascolto di un<br />

apparecchio di produzione attuale,<br />

il piccolo valvolare Quad<br />

VA-ONE+, ha semplificato la<br />

possibile ancorché parziale risposta,<br />

facilitando la verifica di<br />

quel che è accaduto nel tempo<br />

e quante siano le differenze tra<br />

due generazioni di amplificazioni<br />

abbastanza distanti tra loro.<br />

Va detto che, al contrario di<br />

quanto accade frequentemente<br />

quando vecchi marchi iconici<br />

vanno a far parte di questi grossi<br />

gruppi, si capisce da subito<br />

che sono state profuse consi-<br />

AMPLIFICATORE INTEGRATO<br />

Quad VA-One+<br />

Prezzo: € 1.950,00<br />

Dimensioni: 18 x 16 x 28 cm (lxaxp)<br />

Peso: 9,8 Kg<br />

Distributore: High Fidelity Italia S.r.l.<br />

Via Collodi - 20010 Cornaredo (MI)<br />

Tel.02-93611024 - Fax 02-93647770<br />

www.h-fidelity.com<br />

Tipo: stereo Tecnologia: a valvole Potenza: 2 x 12 W su 8 Ohm (15<br />

W su 6 Ohm) in classe AB Accessori: Telecomando, Ingresso cuffia<br />

Risp. in freq. (Hz): 20-50.000 THD (%): 0,50 S/N (dB): 90 Ingressi<br />

digitali: 3 totali - Ottico / RCA / USB HiRes Convertitore audio<br />

D/A: ESS Sabre ES9018M2K Sistema di conversione audio D/A:<br />

24 bit - 192 kHz, PCM 32 bit/384 kHz (USB), DSD256 (USB) Note:<br />

Ingresso Bluetooth. Valvole: 1 x ECC83, 2 x ECC82, 4 x EL84EH<br />

SUL CAMPO<br />

48 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


TEST<br />

derevoli energie per mantenere<br />

un alto standard qualitativo:<br />

già dall’unboxing sono rimasto<br />

colpito dalla qualità costruttiva<br />

dell’apparecchio, che risulta<br />

davvero di ottima fattura. Una<br />

veste che richiama la classica<br />

estetica Quad, vedi la manopola<br />

del volume, l’austero colore<br />

British Lancaster (con un grigio<br />

divenuto ancora più... grigio) e<br />

un mobile compatto come quasi<br />

tutti i vecchi prodotti Quad.<br />

Non è difficile riconoscerne lo<br />

stile e così buona parte della<br />

tradizione è mantenuta, anche<br />

se i progettisti si sono barcamenati<br />

inevitabilmente in un mix<br />

di antico e moderno, a cominciare<br />

dalle stesse scelte circuitali:<br />

rispetto alla coppia 33+306<br />

di oltre trenta anni più vecchia,<br />

il “nuovo” VA-ONE+ si avvale<br />

di una circuitazione valvolare<br />

(tecnologia precedente a quella<br />

a transistor del pre e finale)<br />

impreziosita o armonizzata con<br />

le istanze attuali, inserendo nel<br />

circuito elementi come la conversione<br />

digitale e il Bluetooth.<br />

La sezione amplificatrice è<br />

completamente valvolare con<br />

due Ecc82 e una Ecc83 per la<br />

sezione pre ed un quartetto di<br />

EL 84 per la sezione finale, in<br />

grado di garantire una quindicina<br />

di watt per canale. La<br />

versione rinnovata del DAC è<br />

la ragione di quel plus (+) che<br />

appare ora nel nome rispetto<br />

al VA-ONE e si avvale del più<br />

moderno Ess Sabre 9018 K2M<br />

che riesce a gestire flussi digitali<br />

DSD 256 e PCM 32/384 Khz,<br />

il massimo ragionevole per le<br />

attuali esigenze. Molto gradito<br />

sul frontale un attacco cuffia<br />

da 6,3 mm che consente l’utilizzo<br />

personale della musica,<br />

oltre alla grossa manopola del<br />

volume telecomandabile e gli<br />

interruttori che selezionano il<br />

Bluetooth, la presa analogica e<br />

i tre ingressi digitali (coassiale,<br />

ottico e USB). Sulla parte posteriore<br />

un unico ingresso analogico<br />

e le tre connessioni digitali,<br />

oltre al solito collegamento<br />

dell’amplificatore ai diffusori.<br />

Presenti anche l’antenna Bluetooth<br />

e un piccolo telecomando<br />

che consente di effettuare ogni<br />

funzione richiesta, il tutto in un<br />

involucro di contenute dimensioni<br />

e peso.<br />

A livello di prestazioni sonore,<br />

se certamente non ha senso,<br />

a distanza di oltre 30 anni<br />

e di un passaggio di consegne<br />

della proprietà e delle capacità<br />

ingegneristiche, parlare di<br />

un family sound mantenuto o<br />

meno, è comunque interessante<br />

fare il punto sull’evoluzione<br />

in tal senso. Il suono del mio<br />

vecchio pre e finale lo conosco<br />

molto bene ma il confronto con<br />

il recente piccolo valvolare ne<br />

ha maggiormente evidenziato<br />

le caratteristiche: un suono<br />

sicuramente vellutato e colori<br />

che virano verso tinte pastello,<br />

per un apparecchio molto<br />

indulgente nei confronti delle<br />

registrazioni, anche in virtù di<br />

un micro-dettaglio non proprio<br />

al massimo, un basso un po’ lanoso<br />

e una fascia alta arrotondata;<br />

di contro, il suono risulta<br />

sempre gradevole e di grande<br />

compagnia, con fatica di ascolto<br />

prossima allo zero. Nel paragone<br />

con il Quad VA ONE+ sembra<br />

quasi che si siano invertiti<br />

i ruoli (almeno nell’immaginario<br />

audiofilo) tra l’apparecchio<br />

a transistor e quello valvolare:<br />

il suono del valvolare VA ONE+<br />

è immediatamente più schietto,<br />

sicuramente dotato di una<br />

maggior definizione, con maggior<br />

distacco tra gli strumenti,<br />

un miglior controllo sul basso e<br />

una sensazione di potenza abbastanza<br />

simile al concorrente<br />

in quanto i due sistemi collegati<br />

a una coppia di Monitor Audio<br />

Bronze 2 hanno risposto nel<br />

medesimo modo, riempiendo<br />

più che soddisfacentemente la<br />

mia sala d’ascolto (un ambiente<br />

di medie dimensioni) senza<br />

che si notino in entrambi e con<br />

qualsiasi genere musicale sofferenze<br />

o compressione alcuna,<br />

anche spingendo la manopola<br />

del volume a livelli più elevati.<br />

La porzione media delle frequenze<br />

nel VA ONE+ è davvero<br />

godibile, probabilmente per<br />

merito di quelle piccole EL84<br />

che, in campo audio, al di là della<br />

loro modesta potenza, hanno<br />

sempre fornito risultati di<br />

rilievo; acuti dolci, setosi e ben<br />

definiti, in linea con la tradizionale<br />

filosofia Quad, completano<br />

il quadro di un confronto<br />

tra le due realtà a favore del VA<br />

ONE+ che, se accoppiato con<br />

casse di buona efficienza, riesce<br />

ad esprimere in un modo molto<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 49


SELECTOR<br />

efficace tutte le sue potenzialità<br />

in relazione al predecessore.<br />

Molto ben progettata e curata<br />

la parte digitale: basta collegare<br />

alla presa coax dell’apparecchio<br />

un lettore CD anche non proprio<br />

recente (purché provvisto<br />

di uscita digitale) per apprezzare<br />

i miglioramenti che i moderni<br />

convertitori riescono a<br />

restituire, donando una nuova<br />

giovinezza ad apparecchi ormai<br />

prossimi alla obsolescenza. Ancora<br />

più interessante il collegamento<br />

del computer alla presa<br />

USB. Se ne utilizziamo uno<br />

provvisto del sistema operativo<br />

Windows è necessario scaricare<br />

dal sito ufficiale i driver necessari<br />

per accoppiare il computer<br />

al convertitore. Ne è presente<br />

solo uno, “Driver Quad DSD<br />

(Artera)”, ma va bene anche per<br />

il VA ONE, consentendo dopo<br />

l’installazione l’ascolto di qualsiasi<br />

file sia PCM che DSD. E<br />

anche qui si notano da subito le<br />

buone prestazioni del convertitore<br />

di recente generazione a<br />

bordo dell’apparecchio. Interessante,<br />

ancora, l’utilizzo della<br />

sezione Bluetooth: collegando<br />

l’apparecchio allo smartphone<br />

ho apprezzato la bontà di alcuni<br />

file musicali a bordo; ancora<br />

meglio quando ho spaziato<br />

nella ampia libreria di Spotify.<br />

A dire il vero credevo in una<br />

prestazione abbastanza modesta<br />

ma ho dovuto ricredermi: il<br />

sistema, innanzitutto, è assolutamente<br />

silenzioso; il suono è<br />

corposo, con una buona energia<br />

e sonorità non lontana dalle<br />

prestazioni ottenute con altre<br />

sorgenti (tra le altre cose mi<br />

sono accorto che avevo dimenticato<br />

di collegargli l’antenna,<br />

ottenendo ottimi risultati in<br />

silenziosità anche in assenza<br />

della stessa!).<br />

La ciliegina sulla torta è costituita<br />

dal collegamento in<br />

cuffia, di buone prestazioni:<br />

dopo tanti anni ho finalmente<br />

riscoperto l’ascolto privato anche<br />

in quelle ore in cui, per ovvi<br />

motivi, è inopportuno l’ascolto<br />

attraverso gli altoparlanti. Ed<br />

è proprio durante il periodo<br />

nel quale ho utilizzato questo<br />

Quad, posizionato spesso sulla<br />

scrivania, che mi sono regalato<br />

via Bluetooth ore di ottima musica.<br />

Ho anche voluto effettuare<br />

una ulteriore prova collegandolo<br />

all’impianto principale, per<br />

valutare meglio le prestazioni<br />

della macchina. Nell’ascolto<br />

del CD Double Concertos<br />

(Heifetz) della Living Stereo la<br />

zona media si conferma molto<br />

ricca e seducente, archi e legni<br />

propongono un suono coinvolgente,<br />

incisivo ed energico,<br />

molto credibile, con buona<br />

precisione e una buona collocazione<br />

degli strumenti nel<br />

palcoscenico. Certo, rispetto<br />

al riferimento, nella sezione<br />

bassa i violoncelli, per quanto<br />

ben definiti e presenti, risultano<br />

di peso inferiore anche se<br />

godibili; molto buono, invece,<br />

quel leggerissimo roll-off sulla<br />

parte acuta. In ogni caso inutile<br />

chiedere l’impossibile a un apparecchio<br />

di una quindicina di<br />

watt costretto, come in questa<br />

prova, a lavorare ai limiti delle<br />

sue capacità ma, ripeto, con<br />

diffusori dotati di una buona<br />

efficienza sia bookshelf che da<br />

pavimento i risultati sono più<br />

che appaganti.<br />

Sia per qualità di costruzione<br />

che per bontà del suono e la<br />

possibilità di avere in un apparecchio<br />

così compatto alcune<br />

moderne tecnologie a un prezzo<br />

di mercato interessante,<br />

il VA ONE+ viene promosso<br />

senza condizioni. Anzi: dopo<br />

questa prova molto soddisfacente<br />

mi chiedo come mai<br />

questi prodotti che godono di<br />

una ottima reputazione in special<br />

modo nei paesi dell’Est e<br />

in quelli Asiatici, nel nostro<br />

Paese sembrano vivere un po’<br />

nell’ombra, trattati forse con<br />

una certa indifferenza dai quei<br />

consumatori ancora legati alla<br />

vecchia immagine del marchio.<br />

Eppure, basta sfogliare il catalogo<br />

per trovare forse uno<br />

dei più interessanti diffusori<br />

elettrostatici, elettroniche valvolari<br />

e non di tutto rispetto,<br />

in alcuni casi caratterizzati<br />

dall’intervento del compianto<br />

Tim de Paravicini, oltre a<br />

moderni diffusori con tweeter<br />

a nastro sia da scaffale e da<br />

pavimento, che praticamente<br />

coprono le esigenze di ogni<br />

appassionato. Forse a questo<br />

marchio bisogna ridare il posto<br />

che merita!<br />

50 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


SELECTOR<br />

di Roberto Rubini<br />

Il marchio Trigon Elektronik<br />

è stato fondato nel<br />

1996 dal duo formato da<br />

Ralf Kolmsee e Rainer Reddemann,<br />

esperti nel campo dei<br />

sistemi di controllo elettronici.<br />

Il nome pare sia stato preso<br />

da un personaggio dei fumetti<br />

della DC Comics, il malvagio e<br />

potente demone Trigon. Inizialmente<br />

specializzato nella<br />

realizzazione di pre phono, Trigon<br />

si è cimentata più recentemente<br />

con una linea completa<br />

di elettroniche con amplificatori<br />

dotati a bordo di DAC e<br />

ingressi phono opzionali e con<br />

un CD player costruiti come se<br />

fossero... una Mercedes! L’apparecchio<br />

che ho avuto tra le<br />

mani è il Trigon Exxceed MK-II<br />

fornito di DAC, ingresso phono<br />

e telecomando e il test si è<br />

svolto nell’accogliente negozio<br />

Ethos di Roma.<br />

Al primo contatto l’apparecchio<br />

appare molto azzeccato<br />

dal punto di vista estetico, con<br />

la sua livrea lineare e il bel display;<br />

una volta tanto la grafica<br />

è ben leggibile grazie anche<br />

ai colori presenti nelle varie<br />

schermate. È piacevole giocare<br />

con le manopole, i tasti e<br />

l’ampio schermo, che consentono<br />

tutti insieme un intuitivo<br />

controllo delle funzioni di configurazione<br />

e gestione. Di grande<br />

qualità e ben distanziate tra<br />

loro le connessioni posteriori.<br />

Da segnalare che in dotazione<br />

viene fornito un cavo di alimentazione<br />

di tutto rispetto,<br />

al posto del solito triste cavo<br />

nero “da computer”. L’impianto<br />

utilizzato è composto da una<br />

sorgente digitale, il citato lettore<br />

CD Trigon, di cui è stata<br />

impiegata la sola meccanica di<br />

trasporto sfruttandone le uscite<br />

digitali (l’apparecchio lo consente)<br />

in modo da operare con<br />

il DAC interno all’ampli e valutarne<br />

dunque le caratteristiche<br />

a tutto tondo, mentre non è<br />

stato possibile, per motivi logistici,<br />

utilizzare l’ingresso fono.<br />

Almeno sulla carta le due sezioni<br />

DAC dovrebbero equivalersi,<br />

anche se la Casa stranamente<br />

non specifica da nessuna parte<br />

quale tipo di convertitore abbia<br />

utilizzato nei suoi apparecchi.<br />

All’ascolto, comunque, il risultato<br />

risulterà molto simile,<br />

segno di una comune matrice<br />

- sebbene vadano considerati<br />

gli interventi di variabili come<br />

il cavo di collegamento digitale<br />

in un caso e i cavi di segnale<br />

nell’altro caso. L’amplificatore<br />

viene venduto sia “liscio” (senza<br />

DAC a bordo), utile nella logica<br />

del marchio se si acquista<br />

anche il lettore CD Trigon, sia<br />

con il DAC a bordo, nel qual<br />

AMPLIFICATORE INTEGRATO<br />

Trigon Elektronik EXXCEED INT<br />

SUL CAMPO<br />

Prezzo: € 4.560,00<br />

Dimensioni: 44 x 11 x 38 cm (lxaxp)<br />

Peso: 18,3 Kg<br />

Distributore: Ethos S.r.l.<br />

Via della Fonte Meravigliosa, 50/52 - 00143 Roma (RM)<br />

Tel.06-5192128/5193162 - Fax<br />

www.ethosfineaudio.com<br />

Tipo: stereo Tecnologia: a stato solido Potenza: 2 x 100 W su 8<br />

Ohm (170 W su 4 Ohm) in classe AB doppio mono Accessori e funzionalità<br />

aggiuntive: Telecomando Risp. in freq. (Hz): 5-250.000<br />

THD (%):


TEST<br />

caso occorre sborsare 450 euro<br />

in più. Soluzione complessiva<br />

intelligente che evita duplicazioni<br />

di sistema e spreco di<br />

soldi per il cliente. Le uniche<br />

lievi differenze emerse sono da<br />

attribuire all’ampiezza dell’immagine<br />

virtuale riproposta, più<br />

marcata nella riproduzione da<br />

digitale dell’integrato, e in una<br />

nota grave più nitida, anche se<br />

parte del rilievo potrebbe dipendere<br />

dal diverso schema di<br />

collegamento necessario e dalla<br />

qualità dei cavi impiegati (per<br />

la cronaca i costosi Reymio, sia<br />

digitale che di segnale). A valle,<br />

i diffusori Ensemble Natura<br />

da pavimento, molto reattivi,<br />

esclusivi, completi e naturali<br />

nell’emissione. Inserito in<br />

questa catena (e limitandoci<br />

pertanto alla sorgente digitale),<br />

abbiamo iniziato con il primo<br />

CD, per l’occasione un XRCD,<br />

un disco ottimamente inciso.<br />

Il sistema garantisce subito un<br />

elevato livello di qualità all’ascolto<br />

e si impiega poco tempo<br />

a entrare in confidenza con<br />

l’apparecchio. Il suono appare<br />

naturale, dinamico, appagante.<br />

L’amplificatore appartiene<br />

alla fascia di prezzo intorno<br />

ai 5.000 euro, un settore ben<br />

presidiato da tanta agguerrita<br />

concorrenza. Il Trigon gioca<br />

le sue carte sfoderando una<br />

prestazione globale degna di<br />

nota visto che riesce a pilotare<br />

anche i costosi diffusori Ensemble<br />

senza alcun accenno<br />

di timor reverentialis. Si tratta<br />

di un amplificazione versatile<br />

con attitudini digitali di livello,<br />

potente quanto basta e raffinato<br />

nelle sue evoluzioni sonore.<br />

Possiede coerenza timbrica,<br />

trasparenza e una completa<br />

capacità dinamica in funzione<br />

delle necessità che si presentano.<br />

È un concentrato di virtù<br />

e si fa portare ai limiti senza<br />

mai scomporsi, anzi, mostrando<br />

ampia energia nei contrasti<br />

dinamici e nei passaggi più<br />

complessi delle partiture. Ogni<br />

strumento musicale è trattato<br />

con attenzione e resta perfettamente<br />

riconoscibile, anche in<br />

ensemble cospicui. Il pianoforte<br />

è lo strumento che, quando<br />

ben inciso, fornisce le maggiori<br />

soddisfazioni. In questo caso il<br />

Trigon non si scompone e riporta<br />

la puntuale escursione dinamica<br />

del tocco sulla tastiera e<br />

tutti i magnifici suoni che ogni<br />

ottava è in grado di emettere.<br />

La ricostruzione della scena<br />

virtuale è espansa sia in altezza<br />

che in larghezza, meno nel<br />

senso della profondità, anche<br />

se questo potrebbe essere più<br />

un limite della registrazione sul<br />

CD. I vari piani sonori in cui è<br />

suddivisa l’orchestra sono comunque<br />

riconoscibili. Anche<br />

la messa a fuoco si dimostra<br />

assai scrupolosa e l’immagine<br />

prodotta è stabile, priva di tentennamenti<br />

e, nel caso dell’orchestra<br />

nella musica classica,<br />

con gli strumentisti che restano<br />

saldamente focalizzati dall’inizio<br />

alla fine dell’esecuzione.<br />

La gamma bassa è presente,<br />

cosa di cui si avvantaggiano a<br />

valle i diffusori da pavimento,<br />

fornendo una rappresentazione<br />

netta, con smorzamenti repentini,<br />

mai gonfia o distorta.<br />

L’organo a canne utilizzato in<br />

una traccia della sessione d’ascolto<br />

viene riproposto in un<br />

modo che la dice lunga sulla<br />

necessità di possedere un diffusore<br />

in grado di scendere fino<br />

alle note più gravi, in barba ai<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 53


SELECTOR<br />

tanti estimatori dei mini-diffusori,<br />

non in grado di esprimere<br />

l’intero messaggio musicale e<br />

quindi di coinvolgere del tutto<br />

l’ascoltatore. Efficace la gamma<br />

media, con le voci sia maschili<br />

che femminili assolutamente<br />

godibili e trasparenti. Bello, ancora,<br />

il pianoforte con le evoluzioni<br />

dell’esecutore sempre ben<br />

scandite e dinamiche, dove si<br />

percepisce anche il tocco delle<br />

dita sui tasti e il rumore della<br />

complessa meccanica dello<br />

strumento. Di livello, poi, la<br />

nitida percezione degli arpeggi<br />

e del pizzicato sulle corde della<br />

chitarra acustica. Attendibile<br />

il range acuto, mai timido, in<br />

grado di rifinire degnamente i<br />

suoni che iniziano nella parte<br />

inferiore dello spettro acustico.<br />

I dettagli ci sono, le note<br />

più alte del violino pure, la<br />

trasparenza è di casa, ma senza<br />

eccessi, in quanto dettata dalla<br />

precisione nel trattamento del<br />

segnale. L’intero spettro, insomma,<br />

si estende liberamente<br />

sia in alto che verso il basso.<br />

La timbrica è corretta, neutra<br />

perché non evidenzia alcuno<br />

strumento rispetto agli altri. Le<br />

voci femminili nei brani di lirica<br />

sono ricche di armonia, veloci<br />

e intellegibili in ogni nota<br />

e gorgheggio. Non vi sono code<br />

sonore se non quelle previste e<br />

volute. Dunque tutto perfetto?<br />

Sembrerebbe, anche dopo un<br />

prolungato ascolto, salvo salire<br />

di livello di costo (ho avuto la<br />

possibilità di collegare la coppia<br />

pre e finale Reymio) e solo<br />

allora ci si accorge che esiste<br />

una… perfezione ancor più<br />

perfetta (ma parliamo di ben<br />

36.000 euro la coppia) che<br />

giustifica per certi prodotti la<br />

definizione di “stato dell’arte<br />

nella riproduzione dell’evento<br />

musicale”.<br />

Nel procedimento inverso,<br />

comunque, passando nuovamente<br />

all’ascolto del Trigon (e<br />

risparmiando potenzialmente<br />

oltre 30.000 euro!), non si resta<br />

delusi: certo la differenza si<br />

avverte ma si può felicemente<br />

convivere con un integrato che<br />

non costa più di un rene! In sintesi,<br />

il Trigon Exxceed MK-II è<br />

sicuramente un amplificatore<br />

molto valido, offerto a un prezzo<br />

coerente con le prestazioni e<br />

anche di più tenendo presente<br />

sia la qualità costruttiva interna<br />

ed esterna che quella relativa<br />

alle prestazioni in sede di<br />

ascolto. Un prodotto, dunque,<br />

del tutto soddisfacente e in grado<br />

di competere con successo<br />

nei confronti della concorrenza<br />

sul mercato. In poche parole:<br />

buona la prima!<br />

54 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


SELECTOR<br />

a cura della redazione<br />

DIFFUSORI<br />

Pmc Twenty5.23i<br />

PMC next level... Ovvero<br />

consapevolezza di sé,<br />

maturità o quel che volete<br />

ma, comunque, un innalzamento<br />

delle prospettive<br />

e delle aspettative.<br />

Quando visitammo il<br />

quartier generale della<br />

PMC in occasione<br />

dell’ascolto in esclusiva dei diffusori<br />

top di gamma Fenestria<br />

(<strong>SUONO</strong> 538), tra gli oggetti a<br />

contorno dell’evento compariva<br />

uno dei modelli della nuova<br />

serie Twenty5 che di lì a poco<br />

(metà dello scorso anno) sarebbe<br />

stata interamente rinnovata.<br />

Sviluppati da zero senza tenere<br />

conto di ciò che li aveva preceduti,<br />

i Fenestria erano stati<br />

una vera e propria palestra, la<br />

migliore visto gli obiettivi nocompromise,<br />

per assumere un<br />

bagaglio di conoscenza in precedenza<br />

affidato più all’intuito<br />

personale del fondatore Peter<br />

Thomas; una palestra o più<br />

propriamente un laboratorio,<br />

visto che per lo sviluppo di Fenestria<br />

era stato coinvolto il Laboratorio<br />

Fisico Nazionale che<br />

dispone di una camera anecoica<br />

di grandi dimensioni e che ha<br />

sviluppato un particolare sistema<br />

per l’analisi dei moti delle<br />

vibrazioni basato su esame al<br />

laser. L’analisi di forma e dimensioni<br />

di baffle differenti,<br />

l’influenza alle varie frequenze,<br />

insomma una miriade di dati<br />

sono stati riassunti in mappe<br />

per uno studio che ha dato vita<br />

a molteplici prototipi poi esaminati<br />

anche in funzione delle<br />

prestazioni sonore. Lo stesso sistema<br />

è stato utilizzato anche su<br />

crossover e componenti come i<br />

Mundorf e i Claritycap utilizzati<br />

in alcuni modelli PMC mentre<br />

contemporaneamente, per lo<br />

sviluppo del gruppo medio-alti<br />

della Fenestria, è aumentato il<br />

coinvolgimento con Seas (che<br />

per il progetto hanno sviluppato<br />

componenti originali). Next<br />

level, appunto, completato da<br />

una nuova sede e suggellato<br />

dal 30mo anniversario che<br />

cade proprio quest’anno e vede<br />

l’azienda ancora impegnata in<br />

egual misura tanto nel campo<br />

professionale che in quello consumer<br />

(una garanzia a nostro<br />

modo di vedere, soprattutto<br />

rispetto ai molti casi in cui le<br />

sirene del consumer - inteso nel<br />

peggior modo possibile - hanno<br />

preso il sopravvento). Ora è il<br />

tempo della rivisitazione del<br />

proprio lavoro, onestamente<br />

ma anche orgogliosamente dato<br />

che quella “i” sta per improved,<br />

dunque non una rivoluzione<br />

ma solo un aggiustamento, e<br />

coinvolge la linea di attacco di<br />

PMC al mercato, la serie Twenty5.<br />

Ben altra cosa accadde nel<br />

passaggio tra la linea Twenty e<br />

la Twenty5 prima generazione<br />

Prezzo: € 4.390,00<br />

Dimensioni: 16,2 x 90,7 x 33 cm (lxaxp)<br />

Distributore: Gammalta Group S.r.l.<br />

Via S. Maria, 19/21 - 56126 Pisa (PI)<br />

Tel.050 2201042 - Fax 050 2201047<br />

gammalta.it<br />

DIFFUSORI PMC TWENTY5.23I<br />

Tipo: da pavimento Caricamento: linea di trasmissione N. vie:<br />

2 Impedenza (Ohm): 8 Frequenze di crossover (Hz): 1.700<br />

Risp. in freq (Hz): 28 - 25.000 Sensibilità (dB): 86.5 Rifinitura:<br />

Oak/Walnut/Diamond Blac, seta chiara Note: caricamento ATL<br />

con griglia Laminair.<br />

56 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


TEST<br />

(introdotta nel 2016), marcato<br />

da una radicale rivisitazione<br />

tale da far mantenere per un<br />

periodo entrambe le versioni in<br />

catalogo (“la nuova linea ha in<br />

comune con il passato qualche<br />

vite e… il grado di inclinazione<br />

dei diffusori da pavimento”<br />

trapelò dallo staff!) visto anche<br />

il consistente (+20/30%) incremento<br />

del prezzo a catalogo.<br />

La line up rimane quella tradizionale<br />

composta da 2 bookshelf<br />

e 3 torri, tutti 2 vie tranne<br />

il modello top da pavimento<br />

che è a 3. Il modello Twenty5<br />

23i, la più piccola delle torri,<br />

succede alla precedente con un<br />

incremento di costo modesto ed<br />

è fondamentalmente caratterizzata<br />

dalla sostituzione del tweeter<br />

(precedentemente da 25<br />

mm) con uno da 19. Nel precedente<br />

passaggio generazionale<br />

(Twenty - Twenty5) accadde il<br />

contrario: il tweeter rimase lo<br />

stesso mentre la scelta del woofer<br />

fu radicalmente differente:<br />

si optò per un corsa lunga con<br />

cono in fibra di vetro (invece<br />

che in carta) e motore più efficiente,<br />

che è rimasto invariato<br />

e compare anche sulla serie<br />

Twenty5i 23. Da sottolineare<br />

come a fronte di questa scelta,<br />

allora e oggi, il crossover non<br />

ha comunque subito modifiche<br />

sostanziali, anzi: dalle misure<br />

e dall’analisi dei dati rilevati<br />

sembra che vecchia e nuova<br />

versione siano quasi perfettamente<br />

sovrapposte nelle due<br />

modalità. Azzardiamo: è possibile<br />

che siano state richieste<br />

delle customizzazioni ad hoc del<br />

tweeter o che le spire della sua<br />

bobina siano in numero differente<br />

rispetto a quelle del modello<br />

standard, oppure che sia<br />

stato richiesto un trattamento<br />

della membrana particolare...<br />

Non abbiamo informazioni in<br />

merito ma sta di fatto che da<br />

quanto rilevato le prestazioni<br />

strumentali ma anche quelle<br />

all’ascolto risultano migliorate,<br />

a conferma di una idea chiara<br />

e “ferma” degli obiettivi, anche<br />

nella rivisitazione del progetto!<br />

Ancora una volta, se ve ne fosse<br />

bisogno, si conferma come una<br />

certa vocazione olistica (dunque<br />

impermeabile alle tante<br />

favole che hanno caratterizzato<br />

il settore dell’Hi-Fi) sia determinante<br />

nel risultato più che<br />

l’ipotesi che i valori dei componenti<br />

e lo schema siano scelti<br />

con attenzione maniacale... Se<br />

le reti di compensazione sono<br />

le stesse anche per altoparlanti<br />

fra loro estranei, e i tagli usano<br />

schemi ricorrenti, anche per<br />

altoparlanti molto differenti,<br />

evidentemente i risultati dipendono<br />

da altri fattori come<br />

saper mettere insieme i pezzi di<br />

un progetto!<br />

La struttura del mobile risulta<br />

invariata rispetto alla<br />

precedente versione (cambiò<br />

radicalmente invece nel passaggio<br />

da Twenty a Twenty5):<br />

è estremamente rigida sia in<br />

ragione dell’ottima costruzione<br />

che per il fatto che le pareti<br />

interne che costituiscono la<br />

linea di trasmissione ripiegata<br />

costituiscono degli elementi di<br />

rinforzo eccellenti. Le superfici<br />

interne sono rivestite con<br />

pannelli bugnati che se da un<br />

lato riducono in misura minima<br />

l’efficienza della linea di<br />

trasmissione (nella versione a<br />

doppia porta denominata Laminair,<br />

il cui obiettivo è quello di<br />

ridurre la turbolenza del flusso<br />

che percorre la porta d’accordo<br />

con una maggiore efficienza del<br />

sistema), dall’altro abbattono le<br />

risonanze spurie e le riflessioni<br />

che potrebbero innescarsi (e<br />

spesso succede!) in sistemi di<br />

questo tipo. I due altoparlanti<br />

sono installati a diretto contatto<br />

con il pannello anteriore,<br />

avvitati su innesti in metallo<br />

annegati nell’MDF. Ad aumentare<br />

la rigidità della struttura<br />

nel suo complesso sono presenti<br />

due barre in acciaio inox<br />

fissate al fondo che, inoltre,<br />

ampliano la pianta di appoggio.<br />

Una delle caratteristiche salienti<br />

quando si passa all’utilizzo<br />

del diffusore è costituito<br />

dall’eccellente capacità di inserimento<br />

in ambiente dal punto<br />

di vista estetico, visto che<br />

il diffusore risulta particolarmente<br />

filante (da questo punto<br />

di vista rappresenta il miglior<br />

compromesso tra prestazioni e<br />

ingombri tra i tre modelli della<br />

linea), anche grazie alle due<br />

staffe in acciaio che alleggeriscono<br />

esteticamente la struttura<br />

dandole un notevole slancio<br />

e la cui funzione preminente è<br />

comunque quella di appesantire<br />

la base, aumentando la stabilità<br />

del sistema. Altrettanto<br />

semplice l’abbinamento con<br />

i partner musicali visto che il<br />

diffusore accetta di buon grado<br />

amplificazioni anche di potenza<br />

limitata. Certo la stessa natura<br />

sonora dei Twenty5 23i “richiama”<br />

performance in termini di<br />

punch e coinvolgimento che richiedono<br />

maggiori erogazioni e<br />

quindi, se necessario e quando<br />

possibile, si può anche esagerare<br />

visto anche il fatto che il<br />

diffusore non sempre manifesta<br />

limiti in coincidenza con transienti<br />

anche potenti e, in questo<br />

caso, ripropone una emissione<br />

sonora particolarmente ricca di<br />

energia. In generale l’approccio<br />

monitor viene mantenuto in<br />

quella formula che è quasi un<br />

marchio di fabbrica per PMC,<br />

dove convive un suono ricco e<br />

frizzante ma al tempo stesso<br />

I morsetti sono installati su un<br />

pannello in metallo. Il corpo in<br />

metallo e la filettatura a passo fine<br />

consentono un serraggio molto<br />

tenace del cavo spellato oppure<br />

terminato con forcelle.<br />

educato. Il dettaglio è a livelli<br />

notevoli, senza scadere in accenni<br />

di freddezza irsuta alle<br />

alte frequenze; l’immagine è<br />

ampia e scolpita con un rigore<br />

puntuale nel rispetto delle tre<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 57


SELECTOR<br />

La pianta di appoggio a terra viene<br />

ampliata con due barre in acciaio<br />

installate al fondo del diffusore.<br />

Il fissaggio avviene tramite bulloni di<br />

grande diametro che agiscono su due<br />

dischi in materiale viscoelastico che<br />

disaccoppiano la staffa dal mobile.<br />

Il crossover è fissato alla piastra<br />

in acciaio tramite i morsetti di<br />

ingresso e due distanziali<br />

isolati elettricamente.<br />

I componenti di ottima<br />

qualità sono implementati<br />

su un PCB a doppia faccia<br />

dotato di connettore<br />

multiplo per il cablaggio<br />

degli altoparlanti.<br />

Il mobile presenta un setto verticale che divide il<br />

volume in due sezioni ripiegate di lunghezze differenti<br />

che costituiscono gli elementi del particolare sistema<br />

di carico a linea di trasmissione di PMC. In basso è<br />

collocata la feritoia di comunicazione con l’esterno<br />

dotata del caratteristico profilo plastico aerodinamico.<br />

Il woofer è<br />

dotato di<br />

un cestello in<br />

pressofusione<br />

molto robusto e aerodinamico, con una flangia<br />

di appoggio ampia e tornita esternamente a fini<br />

estetici. L’equipaggio mobile a lunga escursione è<br />

a vista e la membrana è in fibra sintetica G-Weave.<br />

Il tweeter, realizzato da SEAS, ha la bobina mobile da 19<br />

mm ma è dotato di una sospensione molto ampia che<br />

consente una lunga escursione della membrana, una<br />

riduzione della Fs, pur senza camera di decompressione,<br />

e un ampliamento della dispersione verticale.<br />

dimensioni e della scansione<br />

dei piani nel senso della profondità<br />

dell’immagine virtuale, in<br />

grado di generare un coinvolgimento<br />

di livello che potremmo<br />

definire estremo, in quanto anche<br />

impegnativo e in ipotetica<br />

contrapposizione ad un più<br />

rilassante ascolto superficiale.<br />

I Twenty5 23i ti tirano dentro<br />

la performance musicale grazie<br />

a una capacità di riproporre<br />

l’intera tavolozza musicale in<br />

modo solare ma rigoroso agli<br />

estremi banda, dove si apprezza<br />

una articolazione eccezionale<br />

praticamente con ogni genere<br />

musicale. La gamma grave è pulita,<br />

articolata, profonda e presente,<br />

con una veemenza che si<br />

apprezza con l’intervento della<br />

pedaliera dell’organo a canne o<br />

nel giro di contrabbasso acustico.<br />

Strumenti e voci vengono<br />

riproposti con una naturalezza<br />

particolare soprattutto dove si<br />

intersecano le gamme di frequenza,<br />

cosa che accade senza<br />

58 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


TEST PMC TWENTY5.23I<br />

al banco di misura<br />

La risposta in frequenza è molto estesa e abbastanza<br />

lineare, con una lieve attenuazione poco al di sopra della<br />

frequenza di incrocio fra tweeter e woofer e costante<br />

anche fuori dall’asse sia verticale che orizzontale, esibendo<br />

una sovrapposizione quasi priva di cancellazioni<br />

evidenti nonostante l’impiego di un crossover con una<br />

pendenza non eccessiva ma con un incrocio elevato. La<br />

risposta all’estremo superiore beneficia della particolare<br />

geometria del tweeter da 19 mm di diametro dotato di<br />

una ampia sospensione e anche della griglia in metallo<br />

che applica una, seppur lieve, equalizzazione all’estremo<br />

superiore fuori dall’asse di emissione.<br />

Per il resto della banda riprodotta, le prestazioni della<br />

versione improved sono molto simili a quelle della<br />

versione precedente, caratterizzate da una estensione<br />

verso il basso decisamente inconsueta in merito all’azione<br />

della TL. Il condotto è particolarmente privo di disturbi<br />

e risonanze, un risultato molto apprezzabile anche grazie<br />

all’adozione massiva di assorbente acustico di varia<br />

natura che, sebbene riduca l’intervento della Linea di<br />

Trasmissione, riduce proporzionalmente anche gli effetti<br />

secondari negativi.<br />

Le caratteristiche di smorzamento in gamma bassa tipiche<br />

della Linea di Trasmissione, il modulo dell’impedenza<br />

sempre al di sopra dei 6 Ohm e una sensibilità accettabile<br />

consentono un buon abbinamento con moltissimi<br />

amplificatori a stato solido ma anche a valvole a basso<br />

fattore di smorzamento.<br />

Il filtro impiega due celle a 12 dB/oct con una<br />

frequenza di incrocio elettrica posta oltre i 2 kHz.<br />

Anche grazie alle caratteristiche degli altoparlanti e<br />

del modulo di impedenza degli stessi molto lineare,<br />

il risultato è stato ottenuto con pochi componenti<br />

di compensazione e con una elevata efficacia di<br />

attenuazione. I condensatori sono in poliestere<br />

metallizzato della francese Solen e gli induttori a<br />

bassa resistenza interna sono avvolti su nuclei di<br />

ferro sinterizzato e lamierini.<br />

scollamenti, in un amalgama<br />

genuino ed appagante per l’udito.<br />

La gamma media e acuta<br />

è presente e timbricamente<br />

significativa. A memoria, dal<br />

punto di vista sonoro (ma anche<br />

consultando gli appunti in<br />

merito) la versione improved<br />

rispetto alla precedente esalta<br />

la caratteristica di definizione e<br />

coerenza ma senza alcuna sensazione<br />

di analiticità esagerata<br />

e per certi versi “gratuita”, con<br />

un abbattimento di qualunque<br />

sentore di affaticamento d’ascolto.<br />

Una performance complessiva<br />

che non fa rimpiangere<br />

il nostro riferimento rispetto a<br />

cui i PMC, per usare un termine<br />

ciclistico, si pongono a ruota,<br />

specialmente per quanto riguarda<br />

la gestione della gamma<br />

bassa, con una leggera demoltiplica,<br />

per carità, ma anche con<br />

un litraggio più contenuto che<br />

comporta un gradevole e agevole<br />

inserimento in qualunque<br />

ambiente.<br />

In sintesi i Twenty5i 23 sono<br />

una testimonianza della ulteriore<br />

maturità raggiunta dall’azienda,<br />

un produttore che per<br />

lungo tempo ha preferito una<br />

dimensione naïf ma, vuoi per<br />

ragioni anagrafiche, vuoi per l’inevitabile<br />

necessità di evolvere<br />

nel proprio cammino, è davvero<br />

diventato grande. E matura<br />

oggi è anche la serie Twenty,<br />

giunta nella terza versione delle<br />

sue peripezie a uno standard<br />

complessivo invidiabile. In particolare<br />

il modello 23 ci sembra<br />

il giusto compromesso (inteso<br />

nel senso più alto del termine)<br />

per affrontare quello che per<br />

PMC è un entry level ma a tutti<br />

gli effetti rappresenta un ottimo<br />

esercizio di micro-lusso, ovvero<br />

un qualcosa che può diventare<br />

elemento definitivo di un impianto<br />

senza rimpiagere eventuali<br />

“corse al rialzo”...<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 59


SELECTOR<br />

a cura della redazione<br />

DIFFUSORI<br />

Sonus Faber Lumina I<br />

C’è mai stato bisogno<br />

di un minidiffusore e c’è<br />

ancora? La risposta alla<br />

domanda, in parte provocatoria<br />

in parte no, cambia<br />

non di poco la collocazione<br />

dei Lumina I, ultima<br />

fatica in ordine di tempo<br />

della nostra azienda più<br />

conosciuta nel mondo, la<br />

Sonus faber.<br />

Quello dei mindiffusori,<br />

infatti, è stato un fenomeno<br />

che ha assunto<br />

una dimensione inaspettata<br />

e per certi versi estremamente<br />

sopravvalutata dando vita<br />

nell’ambito Hi-Fi a una serie di<br />

leggende metropolitane e di distorsioni<br />

delle regole del buon<br />

senso, unici nel loro genere.<br />

A un certo punto della storia,<br />

un discreto balzo evolutivo avvenne<br />

come molti sanno per<br />

merito di un evento scatenante,<br />

la nascita dei BBC LS3/5a, che<br />

ha dato il via a questa tendenza.<br />

Cinquant’anni fa, il piccolo monitor<br />

portatile ha fatto decisamente<br />

la storia e ha anche mostrato<br />

un modo del tutto nuovo<br />

di intendere il campo sonoro<br />

riprodotto, con tutti i suoi limiti<br />

ma anche con una visione che<br />

ha stimolato i costruttori a fare<br />

sempre meglio, mantenendo<br />

quel form factor, quello dello<br />

“shoes box”, tanto osteggiato<br />

ma al contempo così pieno di<br />

fascino e di potenzialità! Inutile<br />

prendersi in giro: da un<br />

diffusore di grandi dimensioni<br />

le aspettative sono altrettanto<br />

ampie, ma da una scatola di<br />

scarpe ci si aspetta ben poco<br />

e l’esperienza che ne deriva è<br />

sempre al di sopra della più fervida<br />

immaginazione. Lo è stato<br />

all’epoca dei BBC e i ProAc Tablette<br />

hanno fatto il loro appena<br />

entrati sul mercato...<br />

Una delle grandi intuizioni,<br />

forse tra le più dimenticate, nel<br />

lavoro di Franco Serblin, fondatore<br />

di Sonus faber, fu quella<br />

al tempo di donare una dignità<br />

tattile e alla vista a quelle<br />

che venivano definite in modo<br />

sprezzante “loro malgrado” scatole<br />

da scarpe e di cui i maggiori<br />

esponenti, LS3/5a e Tablette,<br />

tutto erano fuorché belli! Fu<br />

una svolta epocale nell’ambito<br />

dell’Hi-Fi di classe e di lusso,<br />

avvenuta forse senza nemmeno<br />

rendersene conto, almeno nella<br />

portata dell’evento in sé.<br />

Sembra banale ridurre il fenomeno<br />

del minidiffusore solo alle<br />

sue dimensioni anche perché,<br />

nelle molteplici declinazioni<br />

che si sono succedute nell’ambito<br />

Hi-Fi, tutto ciò che è legato al<br />

bello, al comodo, all’essenziale<br />

è stato in gran parte distorto in<br />

quanto intorno a un sistema di<br />

piccole dimensioni ha preso vita<br />

un ecosistema (che ben poco ha<br />

di “eco”) fatto di teorie strampalate<br />

e di strategie di ottimizzazioni<br />

che hanno stravolto il<br />

piccolo magico prodigio: amplificatori<br />

di potenza smisurata,<br />

Prezzo: € 900,00<br />

Dimensioni: 14,8 x 28 x 21,3 cm (lxaxp)<br />

Peso: 4,4 kg<br />

Distributore: MPI Electronic SRL<br />

Via De Amicis, 10/12 - 20010 Cornaredo (MI)<br />

Tel.02.936.11.01 - Fax 02.93.56.23.36<br />

www.mpielectronic.com<br />

DIFFUSORI SONUS FABER LUMINA I<br />

Tipo: da supporto Caricamento: bass reflex N. vie: 2 Potenza<br />

(W): 30 - 100 Impedenza (Ohm): 4 Risp. in freq (Hz): 65 -<br />

24.000 Sensibilità (dB): 84 Altoparlanti: 1 tw DAD da 29 mm, 1<br />

wf da 12 cm in polpa di cellulosa.<br />

60 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


TEST<br />

cavi inusitati, posizionamenti in<br />

mezzo alla stanza e accessori fra<br />

i più creativi erano solo l’inizio<br />

per ottimizzare un diffusore che<br />

nel suo contesto aveva giù tutto<br />

per essere “il piccolo, equilibrato,<br />

prodigio”. Il fenomeno<br />

ha visto un apice negli anni Ottanta<br />

ma anche se in calo non<br />

ha mai perso appeal anzi, anche<br />

se è vero che nell’accezione ha<br />

cambiato i suoi connotati con<br />

una progressiva cura calorica<br />

nonché di merito, tanto da travalicare<br />

quel che la definizione<br />

propriamente recita (bookshelf,<br />

ovvero da scaffale) a favore di<br />

un ibrido della cui inconsistenza<br />

abbiamo più volte disquisito:<br />

se la soluzione mini diffusore +<br />

stand occupa lo stesso volume<br />

di un diffusore da pavimento,<br />

perché non optare per il secondo<br />

facendo buon uso di quel<br />

volume utilizzato nel diffusore<br />

e non con il diffusore?<br />

Solo recentemente è stato<br />

ripreso in considerazione il taglio<br />

“minimo” del woofer che,<br />

per essere considerato un diffusore<br />

stand alone, si potrebbe<br />

collocare intorno ai dieci centimetri,<br />

soglia sotto la quale<br />

è veramente difficile ottenere<br />

una pressione credibile in bassa<br />

frequenza. Le dimensioni del<br />

volume di carico sono altrettanto<br />

importanti<br />

se si tratta di<br />

un diffusore<br />

passivo in cui<br />

il carico acustico<br />

ha vari scopi, primo<br />

fra tutti quello di estendere<br />

e incrementare il livello della<br />

risposta in gamma bassa; questo<br />

vincolo viene oggi bypassato<br />

tramite le amplificazioni dotate<br />

di DSP a bordo che riescono a<br />

compensare molti parametri<br />

dell’altoparlante, modellando<br />

la risposta all’estremo superiore<br />

e incrementando quella in<br />

basso, salvaguardando anche<br />

I morsetti di ingresso sono fissati sulla vaschetta in plastica su cui è fissato, all’interno,<br />

anche il circuito stampato con il filtro. Molto buona la meccanica di serraggio, si consiglia<br />

la sostituzione del ponticello con almeno due spezzoni di cavo spellato.<br />

l’altoparlante<br />

nel caso di sovraccarichi; il diffusore<br />

amplificato, pertanto,<br />

raggiunge prestazioni impensabili<br />

rispetto al passato. Grazie<br />

all’evoluzione tecnologica sia<br />

nell’ambito degli altoparlanti<br />

ma soprattutto nelle amplificazioni<br />

dotate di DSP, ora il<br />

minidiffusore sta vivendo un<br />

momento di grande interesse<br />

anche perché, finalmente,<br />

con un sistema di dimensioni<br />

ancora più compatte dei primi<br />

BBC si ottengono risultati decisamente<br />

più completi e coinvolgenti<br />

di quelli dell’epoca. Ma<br />

se in questo ambito gli esempi<br />

di applicazioni che in qualche<br />

modo esibiscono un killer instinct<br />

non sono poche e dal costo<br />

contenuto, nel segmento di<br />

lusso relativo, quello che diede<br />

origine al fenomeno, i rappresentanti<br />

tanto della novelle vague<br />

che delle applicazioni più<br />

tradizionali sono pochi: Genelec<br />

Sonos e qualche altro (vedi<br />

anche nell’articolo che precede<br />

dedicato a Sonos e Triangle) per<br />

la novelle vague, Dali Menuet,<br />

Technics SBM-01 e poco più per<br />

i secondi...<br />

Elementi di quel connubio sensoriale<br />

che fece la storia si riscontrano<br />

invece nei Lumina I<br />

(le foto, ve lo anticipiamo, non<br />

Il condotto<br />

di accordo è<br />

ricavato nella base<br />

in plastica applicata al<br />

fondo del diffusore.<br />

Il profilo molto svasato e ampiamente<br />

raccordato con l’esterno comunica con<br />

il volume interno di carico attraverso<br />

una apertura sul piano inferiore del<br />

mobile. La base in plastica è avvitata al<br />

piano e poggia sul rivestimento<br />

in similpelle.<br />

rendono giustizia né all’ingombro<br />

né alla natura filante<br />

del design), ultima creazione<br />

della ditta italiana che proprio<br />

con questo modello opera anche<br />

una vigorosa sterzata nelle scelte<br />

di marketing, di posizionamento<br />

merceologico e di natura<br />

tecnica. “Il ritorno del mini diffusore”,<br />

verrebbe da dire, dato<br />

l’impegno davvero oneroso per<br />

rientrare in un segmento di<br />

mercato non sempre presidiato<br />

in questi anni dalla società vicentina.<br />

E invece è proprio questa<br />

la fascia di pertinenza dei<br />

Lumina I, prodotto di attacco<br />

della serie Lumina (acronimo di<br />

LUsso, design MInimale e suono<br />

NAturale) con la quale Sonus<br />

faber si inserisce nella fascia di<br />

mercato Hi-Fi compresa tra gli<br />

800 euro del modello da scaffale<br />

(i Lumina I, appunto) e i<br />

2.000 dei Lumina III da pavimento,<br />

a cui si aggiunge un centrale<br />

a completare una serie che<br />

è tutta qui, in controtendenza<br />

(o forse in anticipo?) rispetto<br />

alle scelte di molti costruttori<br />

che offrono normalmente almeno<br />

4 modelli (due da scaffale<br />

e due da pavimento) quando<br />

non l’aggiunta di una ulteriore<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 61


SELECTOR<br />

Le pareti del mobile sono in MDF<br />

ricoperte con un rivestimento in<br />

similpelle. Il pannello anteriore,<br />

in multistrato nobilitato, è<br />

accoppiato al mobile con un<br />

collante viscoelastico e non è<br />

a contatto con gli altoparlanti<br />

che sono installati direttamente<br />

sul pannello in MDF. Il pannello<br />

ha la funzione di irrobustire<br />

il frontale e di raccordare gli<br />

altoparlanti smorzando inoltre<br />

la trasmissione delle vibrazioni.<br />

Il cestello presenta un disegno<br />

aerodinamico con una struttura a tre<br />

doppie razze che offre ampio respiro alla<br />

parte posteriore della membrana. Anche<br />

l’equipaggio mobile a lunga escursione e<br />

di tipo esposto.<br />

La membrana è in tela stampata e<br />

trattata con la bobina mobile da un<br />

pollice annegata nel ferrofluido.<br />

Il gruppo magnetico presenta<br />

una piccola cavità riempita<br />

di materiale smorzante.<br />

Il supporto di fissaggio<br />

dell’altoparlante è dotato<br />

della struttura verticale che<br />

equalizza la risposta fuori<br />

asse dotato della piccola ogiva<br />

preposta alla tecnologia D.A.D.<br />

che discende direttamente dalla<br />

serie Reference, con la differenza<br />

che in questo caso non è presente alcun<br />

contatto con l’apice della cupola.<br />

Gli altoparlanti sono dotati<br />

di piastre di supporto minimali<br />

necessarie per l’installazione al piano.<br />

Il raccordo con la parete esterna è realizzato con due<br />

apposite flange in plastica e gomma, a loro volta fissate<br />

tramite innesti in gomma disaccoppianti.<br />

torre. Scelta meritoria a parer<br />

nostro (che non genera inutili<br />

doppioni e sovrapposizioni) se<br />

non per l’eccessivo margine (di<br />

scelte tecniche, di prezzo e di<br />

rapporto costi/prestazioni) tra<br />

i due modelli. Vero anche che<br />

i Lumina I sono un autentico<br />

gioiellino, lo sveliamo subito, a<br />

partire dalla forma inusuale con<br />

ridotto buffle frontale in favore<br />

delle altre dimensioni spaziali,<br />

comunque tutte ridotte al minimo<br />

(e si sa, come per le scarpe,<br />

più piccolo è il “numero” e più<br />

belle sono) al punto tale da non<br />

presentare o quasi competitor.<br />

Di fatto rappresentano il primo<br />

sistema che rientra a gran voce<br />

in un mercato che sembrava<br />

aver smarrito lo spirito della<br />

ricerca del bel suono e della<br />

grazia, soprattutto per quello<br />

che riguarda l’inserimento in<br />

ambiente e l’abbinamento con<br />

il resto dell’impianto.<br />

Dal punto di vista sonoro i<br />

Lumina I non sono avidi di<br />

62 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


TEST SONUS FABER LUMINA I<br />

potenza pur non disdegnandola; già “a una tacca”<br />

della manopola del volume si esprimono<br />

in modo completo. Un campo sonoro che poi<br />

beneficia anche di una installazione a scaffale<br />

oppure molto vicino alla parete di fondo che<br />

rinforza la parte bassa dello spettro senza però<br />

avere un impatto negativo nell’articolazione e<br />

nella ricostruzione. Si tratta di un campo sonoro<br />

certamente ridotto in prospettiva ma che mantiene<br />

quella impostazione di assoluta gradevolezza<br />

in quanto a pressione, estensione e grazia<br />

in gamma alta e che consente alla sfera emotiva,<br />

non quella percettiva, di compensare e adattarsi<br />

a quanto riproposto. Si usa spesso la massima<br />

della coperta corta, vera in molti casi ma non<br />

in questo in cui, vuoi per una impostazione leggermente<br />

loudness, vuoi per una gamma media<br />

molto luminosa e intellegibile ma mai appuntita,<br />

si ottiene un fronte sonoro estremamente gradevole,<br />

completo, anche materico. Il punch c’è, ma<br />

non bisogna farsi prendere la mano in quanto<br />

i limiti del sistema non si avvertono subito e si<br />

tende pertanto ad alzare il volume senza rendersi<br />

conto che si tratta pur sempre di un diffusore<br />

passivo con woofer da 10 cm. Alzando il volume<br />

la gamma bassa è la prima a mostrare i limiti<br />

con una compressione dinamica e la perdita di<br />

articolazione a livelli comunque inusuali per un<br />

minidiffusore, ma con una gamma medioalta che<br />

non mostra nessuna incertezza e indurimento.<br />

Ed è proprio per questa impostazione che i Lumina<br />

si trovano a loro agio con amplificazioni<br />

non molto potenti ma non disdegnano sistemi<br />

potenti e dinamici, con un timbro chiaro e una<br />

gamma bassa controllata e potente.<br />

I Lumina I si sono trovati particolarmente a<br />

loro agio con lo Yamaha A-S1200 che ne ha<br />

esaltato la gamma media senza incrementare il<br />

registro inferiore, restituendo un basso esteso,<br />

corposo, articolato e mai sgraziato anche a livelli<br />

sostenuti.<br />

La gamma bassa si dimostra perfettamente coesa<br />

con le gamme di frequenza superiori, veloce<br />

e sufficientemente di impatto. Bello il<br />

pianoforte, lo strumento principe e il<br />

più difficile da riprodurre correttamente,<br />

a causa della complessità delle sue<br />

onde armoniche, che si mostra in gran<br />

spolvero, ovviamente non grande e realistico<br />

come con i riferimenti, ma ben<br />

proporzionato, ricco di sfumature nel<br />

tocco ora lieve ora perentorio e ritmato<br />

dell’esecutore.<br />

Un abbinamento invece molto<br />

IL PRIMO AMORE...<br />

“Sono tornato ai vecchi amori, i piccoli diffusori a<br />

cui ho sempre creduto”. E, ancora: “Non si inventa<br />

niente, semmai si riscopre quello che è stato detto.<br />

Ed è stato detto, ed è stato scritto, tutto, in maniera<br />

indelebile!”.<br />

Le radici ormai<br />

lontane<br />

in cui affonda<br />

la mia carriera<br />

nel mondo<br />

dell’Hi-Fi mi<br />

hanno consentito<br />

di seguire in<br />

tutto e per tutto<br />

le sorti della Sonus<br />

faber, non<br />

solo in ragione di<br />

una comunanza<br />

di patria del suo<br />

fondatore (sue le<br />

parole nei virgolettati)<br />

e mie da parte di madre ma anche soprattutto<br />

per una affinità intellettuale. E c’è un elemento,<br />

più forte delle origini, in parte tramandato nel<br />

tempo in parte no, che caratterizza consapevolmente<br />

o meno il DNA di questa azienda: si<br />

tratta di una viscerale attenzione per i diffusori<br />

di piccola taglia via via nel tempo amati, sedotti<br />

& abbandonati, come nelle più classiche e complicate<br />

storie d’amore.<br />

Sonus faber nasce così (se si esclude l’esercizio di<br />

stile degli Snake che comunque sono pur sempre<br />

un tutt’uno di sat + sub), con i Parva e soprattutto<br />

con i Minima. E nell’ambito della scelta delle soluzioni<br />

più idonee in questo segmento di mercato,<br />

Sonus faber ha avuto in passato una marcia in più<br />

rispetto ai concorrenti del tempo proprio in quanto,<br />

un po’ controtendenza, propose i Minima: si<br />

trattava di un diffusore dotato dello stesso woofer<br />

dei ProAc Tablette (il mitico SEAS 11GFX) abbinato<br />

però al tweeter Dynaudio D28, altro componente<br />

mitico dell’epoca, caratterizzato da una tenuta in<br />

potenza inusuale e per sopportare sollecitazioni<br />

meccaniche importanti; tutte caratteristiche<br />

che consentirono di utilizzare un filtro blando a 6<br />

dB/oct con un taglio abbastanza basso, aprendo<br />

un modello di riproduzione quasi sconosciuto<br />

in questo ambito. Un altro elemento chiave nel<br />

successo dei Minima fu l’utilizzo di massello di<br />

legno ad alto spessore che rispetto alle “scatole<br />

da scarpe” ha finalmente dato un valore aggiunto<br />

senza precedenti.<br />

Il form factor e le dimensioni (forse le più compatte<br />

nell’ambito dei minidiffusori) dei Tablette<br />

non erano disdegnabili ma<br />

i Minima, anche se più<br />

massicci, hanno<br />

aperto a quella che sarà la scelta elettiva del<br />

costruttore negli anni a venire. Tuttavia Sonus<br />

faber abbandona quasi immediatamente il piccolo<br />

woofer da 11 cm di diametro per passare al taglio<br />

successivo, ovvero da 13 cm, che, in sostanza, non<br />

ha costituito un ampliamento significativo del<br />

diffusore ma ha semplificato il raggiungimento di<br />

certe prestazioni. Ovvio che rispetto ai competitor,<br />

dotati di un mobile costruito intorno agli altoparlanti,<br />

qualche centimetro in più avrebbe fatto la<br />

differenza, ma per Sonus faber non è stato un<br />

limite, anzi, un pretesto per modellare i fianchetti<br />

laterali in modo da adeguarsi esteticamente la<br />

flangia del woofer.<br />

Solo dopo molti anni è ricomparso nel catalogo<br />

Sonus faber un woofer da 11, utilizzato nei Toy,<br />

un sistema con la forma dei Signum ma molto<br />

più compatto e grazioso, di cui sono il geloso<br />

possessore di una versione unicum (con inserti<br />

in pelle), troppo costosa per prendere la strada<br />

della produzione. Ma oggetto di valore, anzi<br />

di “troppo” valore, i Toy lo erano comunque,<br />

tanto che il sistema ha avuto vita breve: caduti<br />

nell’oblio se non per il fatto che oggi sembrano<br />

aprire la strada ai Lumina I, di fatto il prodotto<br />

più rappresentativo della discendenza Minima<br />

per le dimensioni del woofer, per il volume del<br />

diffusore ma anche per il fatto che il mobile, pur<br />

estremamente semplificato nelle realizzazione,<br />

esprime nuovamente quella sensazione di lusso<br />

(qui dovremmo parlare di micro lusso) che è stata<br />

una componente essenziale del successo dei mini<br />

diffusori targati Sonus faber. Il mobile di Lumina<br />

I, inoltre, presenta dimensioni molto vicine a<br />

quelle dei Tablette, collocandosi<br />

fra i più compatti del segmento.<br />

I diffusori sono dotati inoltre di<br />

un crossover a 6dB/oct con solo<br />

due componenti! Un ritorno al<br />

futuro e in un certo senso una<br />

nemesi dei valori fondanti del<br />

marchio, scivolati “di lato” per<br />

ragioni commerciali che hanno<br />

portato l’azienda (nel dopo<br />

Serblin) verso altri lidi, quelli dei<br />

diffusori da terra e, poi, dei mega<br />

diffusori.<br />

Forse è davvero vero che... il<br />

primo amore non si scorda mai!<br />

Paolo Corciulo<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 63


SELECTOR<br />

al banco di misura<br />

controcorrente (audiofila) ma<br />

che diventa assolutamente vincente<br />

è con il Sonos AMP che offre<br />

una delicatezza a una spinta<br />

in tutto il range unica nel suo<br />

genere, considerando soprattutto<br />

le dimensioni dell’oggetto<br />

in questione: il connubio con le<br />

dimensioni dei Lumina I determina<br />

il valore aggiunto in fatto<br />

di prestazioni e “incredulità”,<br />

Il filtro adotta una filosofia minimalista<br />

a 6dB/oct e solo due componenti di<br />

ottima qualità, un condensatore a film<br />

in serie al tweeter e un induttore in<br />

serie al woofer. È presente anche un<br />

resistore di attenuazione.<br />

La risposta in frequenza in asse ha una impostazione<br />

a sella, con gli estremi banda leggermente enfatizzati<br />

rispetto alla gamma media. La risposta fuori asse tende<br />

a regolarizzarsi notevolmente, soprattutto all’estremo<br />

superiore, e non presenta cancellazioni nella zona di<br />

incrocio, fissata comunque molto in alto nonostante<br />

l’ampia banda di sovrapposizione. Non sono presenti<br />

invece rinforzi molto localizzati in gamma bassa che potrebbero<br />

ridurre l’articolazione. Il modulo dell’impedenza<br />

si mantiene sempre al di spora dei 4 Ohm e si rivela un<br />

carico piuttosto facile da abbinare con qualsiasi tipo di<br />

amplificazione.<br />

abbinato soprattutto alla collocazione<br />

in ambiente che si<br />

sposa particolarmente fra i due<br />

oggetti, espressione oggi di un<br />

industrial design comunque di<br />

classe che potrebbe rivelarsi la<br />

nouvelle vogue sia per l’estetica<br />

che per la User Experience, fra<br />

le più stimolanti e appaganti<br />

del momento. La timbrica<br />

molto asciutta e precisa (mai<br />

debordante) del Sonos Amp fa<br />

andare i Lumina I fino al loro<br />

limite, considerando anche la<br />

potenza massima dell’AMP<br />

che oltrepassa i 100 Wrms pur<br />

sempre di una ampli in classe D<br />

ma con una impostazione che,<br />

come possiamo apprezzare di<br />

volta in volta, ha ben poco da<br />

spartire con gli ampli freddi di<br />

fascia bassa.<br />

Così, tornando alla domanda<br />

che ha aperto questo scritto (C’è<br />

mai stato, c’è e ci sarà ancora<br />

bisogno di un minidiffusore di<br />

qualità?), l’eventuale dubbio<br />

sulla risposta è solo nella testa<br />

di chi (e purtroppo non sono<br />

pochi) ha operato finora senza<br />

tener conto delle reali esigenze<br />

del consumatore! Dando dunque<br />

per assodato il responso e<br />

avendo esaminato come Sonus<br />

faber ha deciso di interpretarlo,<br />

siamo di fronte a un potenziale<br />

evento epocale (abbiamo<br />

tentennato a utilizzare questo<br />

termine abusato ma si, si tratta<br />

proprio di questo!) di cui anche<br />

Sonus faber, ormai più avvezza<br />

al segmento del lusso e dell’ultra<br />

lusso che alle sirene del<br />

consumer, sembra comunque<br />

essersi accorta: nella pubblicistica<br />

aziendale le immagini dei<br />

Lumina I vengono associate a<br />

quelle dell’Amp della Sonos,<br />

azienda che ci ha abituato a<br />

sfornare con nonchalance delle<br />

killer app; un abbinamento tra<br />

sacro e profano secondo le tradizionali<br />

categorie della mente<br />

audiofile ma che salda i due<br />

mondi che abbiamo delineato<br />

in questo articolo e garantisce<br />

a dei costi assolutamente in linea<br />

con l’ambito del microlusso<br />

un sistema completo, moderno<br />

e a misura d’utente, a sfatare<br />

ogni residuale resistenza che<br />

identifichi i Lumina solo come<br />

rappresentanti di un portato<br />

passato. Declinati in una visione<br />

moderna tradizione, culto<br />

dell’oggetto e performance ci<br />

sono tutti, a fare dei Lumina I<br />

una “entry killer”, neologismo<br />

da noi creato ma che comincia<br />

ad avere proseliti.<br />

64 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


SELECTOR<br />

di Vincenzo Sollazzo<br />

In un pomeriggio di dicembre,<br />

durante una<br />

delle giornate più corte<br />

dell’anno, il mio telefono<br />

squilla e il direttore mi dice:<br />

“Vincenzo, vorrei tu dessi un<br />

secondo ascolto alle Sonus<br />

faber Olympica Nova V e che<br />

approfondissi l’aspetto della<br />

biamplificazione del sistema<br />

di altoparlanti”. Una richiesta<br />

comprensibile visto che la casa<br />

italiana offre relativamente da<br />

poco tale possibilità, e tante<br />

volte capita di vedere diffusori<br />

predisposti al biamping/<br />

biwiring con cavi collegati<br />

alla sola coppia di morsetti<br />

inferiori con ponticelli che li<br />

uniscono a quelli superiori.<br />

Ponticelli che, oltretutto (come<br />

seppe dimostrare la proposta<br />

di ponticelli di qualità offerta<br />

da <strong>SUONO</strong>point un tempo...)<br />

incidono sulla qualità sonora<br />

del sistema. Uno spreco? Non<br />

saprei. Sicuramente un’occasione<br />

che può essere adeguatamente<br />

sfruttata. Così tutto il<br />

periodo natalizio è stato riempito<br />

di ascolti di cui riporto le<br />

considerazioni a seguire.<br />

Devo dire che l’arrivo di una<br />

coppia di Sonus faber di alto lignaggio<br />

è sempre emozionante<br />

ed è un’occasione importante<br />

per poter capire a che punto<br />

sia arrivato il progresso nel<br />

settore. L’azienda italiana<br />

rappresenta una eccellenza<br />

nostrana riconosciuta in tutto<br />

il mondo per la capacità di<br />

unire alla bellezza sostanziale<br />

del suono quella derivante dallo<br />

studio di forme raffinate e<br />

gradevoli allo sguardo. E belle<br />

da vedere le Olympica Nova V<br />

lo sono per davvero: un ogget-<br />

DIFFUSORI<br />

Sonus faber Olympica Nova V<br />

SUL CAMPO<br />

Prezzo: € 4.560,00<br />

Dimensioni: 42,4 x 117,4 x 53 cm (lxaxp)<br />

Peso: 44 Kg<br />

Distributore: MPI Electronic SRL<br />

Via De Amicis, 10/12 - 20010 Cornaredo (MI)<br />

Tel.02.936.11.01 - Fax 02.93.56.23.36<br />

http://www.mpielectronic.com<br />

Tipo: da pavimento Caricamento: bass reflex Stealth Ultraflex N.<br />

vie: 3 Potenza (W): 60 - 400 Impedenza (Ohm): 4 Frequenze di<br />

crossover (Hz): 250/2500 Risp. in freq (Hz): 32 - 35,000 Sensibilità<br />

(dB): 90 Altoparlanti: 1 Tw 28 mm a cupola in seta H28 XTR3, 1<br />

Mid da 15 cm M15 XTR2-04, 3 Wf da 18 cm W18XTR2-12<br />

66 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


to perfettamente collocabile in<br />

ambiente casalingo che si integra<br />

facilmente sia in un contesto<br />

moderno che classico. La<br />

bontà delle finiture conferisce<br />

loro un aspetto importante<br />

e lussuoso perfettamente in<br />

linea con il livello del loro<br />

prezzo. La collocazione ideale<br />

è stata a circa un metro dalla<br />

parete di fondo e a poco più di<br />

un metro dalle pareti laterali.<br />

Non mi dilungo sulla loro<br />

descrizione (la potete trovare<br />

nella esaustiva recensione sul<br />

numero di settembre 2019 di<br />

<strong>SUONO</strong>) ricordando solo che<br />

si tratta di una torre da pavimento<br />

con bass reflex sulla<br />

parete laterale del diffusore,<br />

a tre vie con tre woofer da 18<br />

cm, un midrange da 15 cm e<br />

un tweeter a cupola morbida<br />

da 28 mm. Appena attaccate,<br />

colpisce la generosa presentazione<br />

del medio basso. I tre<br />

woofer spingono parecchio in<br />

questa zona dello spettro, con<br />

il risultato di un suono caldo<br />

e lievemente arrotondato.<br />

Il basso profondo c’è ed è anche<br />

sufficientemente articolato,<br />

seppur lievemente posto<br />

in secondo piano rispetto alla<br />

porzione più alta del registro<br />

grave. In sostanza c’è un’enfasi<br />

educata del medio basso<br />

che dà l’impressione di generosità<br />

e potenza. Se da un lato<br />

l’esuberanza di questo registro<br />

risulta appagante, dall’altro si<br />

perde qualcosina sul fronte<br />

dell’articolazione e in velocità.<br />

Poca cosa rispetto alla<br />

percezione di corposa solidità<br />

del suono che colpisce l’ascoltatore.<br />

Il medio è molto chiaro<br />

e dotato di grande precisione<br />

espositiva. Le Olimpica Nova<br />

V esaltano le doti di sorgenti<br />

precise e dettagliate dalle quali<br />

spremono anche i più piccoli<br />

particolari. Il registro medio<br />

è caratterizzato anche da una<br />

modica tendenza al calore ed è<br />

leggermente e piacevolmente<br />

MA<br />

LODOVE TROVATE<br />

UNO<br />

COSÌ?<br />

Ci siamo fatti<br />

in quattro per voi<br />

12<br />

rivista cartacea,<br />

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MESI60€<br />

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edizione digitale,<br />

12MESI40€<br />

sfogliabile e pdf<br />

Tutte le informazioni su<br />

www.suono.it<br />

(oppure contattare 67<br />

diffusione@suono.it)


SELECTOR<br />

prevalente. Il tweeter fa con<br />

discrezione un ottimo lavoro di<br />

rifinitura in alto con frequenze<br />

acute molto estese, pulite e<br />

senza grana. Le voci femminili<br />

sono luminose e vellutate<br />

mentre quelle maschili piene<br />

e carnose. La scena acustica è<br />

apprezzabilmente ampia nelle<br />

tre dimensioni dello spazio.<br />

I diffusori, sia pur di stazza<br />

considerevole, spariscono e lasciano<br />

il campo a un suono ben<br />

distribuito, arioso e sviluppato<br />

in profondità. Gli strumenti<br />

sono facilmente individuabili<br />

nel soundstage e sono spaziati<br />

bene fra loro e anche nei pieni<br />

orchestrali restano ordinati e<br />

molto ben a fuoco. Un suono<br />

caldo e finemente dettagliato<br />

condito da capacità dinamiche<br />

di alto livello sia per intensità<br />

che per impulsività. Prediligono<br />

amplificazioni a stato<br />

solido potenti e “correntose”<br />

e sorgenti raffinate timbricamente<br />

aperte di cui esaltano le<br />

capacità di analisi.<br />

Quando le Olympica Nova V<br />

vengono pilotate in biamplificazione<br />

passiva il sistema<br />

compie un ulteriore passo<br />

avanti con maggior chiarezza<br />

e perentorietà sul registro<br />

basso e medio basso. Il suono<br />

è più definito con piani sonori<br />

più facilmente individuabili e<br />

con maggior controllo e dominio<br />

della scena. Si potrebbe<br />

dire che la biamplificazione<br />

passiva fa compiere un salto<br />

di qualità all’intero sistema,<br />

laddove gli amplificatori sono<br />

in grado di controllare al meglio<br />

gli altoparlanti dei quali<br />

sfruttano tutte le potenzialità.<br />

Si scopre un passo ulteriore<br />

che non era possibile immaginare<br />

senza provare la biamplificazione<br />

passiva. Non è che il<br />

sistema suoni forte il doppio<br />

ma diventa più preciso e perentorio<br />

con attacchi e rilasci<br />

più netti e frenati. La dinamica<br />

è più esplosiva e nel contempo<br />

consente la messa a fuoco del<br />

micro dettaglio in maniera più<br />

lucida di quanto non avvenga<br />

con un approccio di amplificazione<br />

meno frazionata. La cosa<br />

ancor più interessante è che<br />

persino amplificatori dal costo<br />

relativamente modesto (nel<br />

mio caso i Carot One, anch’essi<br />

oggetto di una prova su SUO-<br />

NO 548 - novembre 2020) fanno<br />

un figurone. Nella fattispecie,<br />

l’utilizzo di singoli finali<br />

mono per canale produce un<br />

simpatico effetto wow perché<br />

risulta spettacolare la resa dei<br />

due piccoletti che riempiono di<br />

volume e di buon suono i diffusori.<br />

Quando passano i minuti<br />

di ascolto si capisce però che<br />

c’è una notevole differenza di<br />

classe fra le Olympica Nova V<br />

e i pur generosi Carot One, dei<br />

quali si percepiscono i limiti<br />

dinamici e la ovvia distanza di<br />

raffinatezza con i diffusori. Aggiungendo<br />

due altri “piccoletti”,<br />

pilotando quindi le Sonus<br />

faber con due amplificatori<br />

ciascuna (uno per i bassi e uno<br />

per i medio acuti) la situazione<br />

cambia in maniera notevole.<br />

Nella fattispecie le performance<br />

in ambito dinamico crescono<br />

in maniera più evidente di<br />

quanto si potrebbe aspettarsi,<br />

facendo fare un salto di classe<br />

alla amplificazione. Intendiamoci<br />

bene: non è che i Carot<br />

One diventino dei Gryphon o<br />

dei Pass o dei Classè ma acquistano<br />

uno standing e una<br />

autorevolezza che non avevano<br />

prima e rendono la loro prestazione<br />

meno distante da quella<br />

dei mostri sacri testé nominati.<br />

Frazionando l’amplificazione<br />

si ottengono insomma risultati<br />

apprezzabilmente superiori<br />

rispetto alla classe di appartenenza<br />

dell’apparecchio; c’è<br />

da dire anche che i Carot One<br />

sono stati pilotati con un preamplificatore<br />

dal costo molto<br />

superiore a loro e se da un lato<br />

si sono sicuramente avvantaggiati<br />

della maggior qualità alle<br />

loro spalle dall’altro hanno ben<br />

sfruttato l’opportunità fornita<br />

loro.<br />

In conclusione la biamplificazione<br />

passiva migliora la resa<br />

dell’impianto e, disponendo<br />

di diffusori con la possibilità<br />

di essere pilotati in biwiring,<br />

vale la pena provarlo perché<br />

il sistema così configurato dimostrerà<br />

potenzialità sino a<br />

prima nascoste. L’altro dato<br />

molto interessante è che, pur<br />

non disponendo delle risorse<br />

economiche per l’acquisto di<br />

un amplificatore importante si<br />

può, spendendo relativamente<br />

poco (e ammesso che il sistema<br />

di altoparlanti sia dotato<br />

di crossover che permetta il<br />

biamping!), avere prestazioni<br />

di rilievo; sfruttando la possibilità<br />

della biamplificazione<br />

passiva con amplificatori dal<br />

costo modico, infatti, la performance<br />

può arrivare ben oltre<br />

quella prevista dalla classe<br />

di appartenenza.<br />

68 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


SELECTOR<br />

di Nicola Candelli<br />

Portento Audio è un costruttore<br />

italiano con le<br />

idee chiare e prodotti<br />

interessanti che è riuscito a ritagliarsi<br />

una fetta di mercato in un<br />

campo, quello dei cavi e relativi<br />

accessori, molto difficile e controverso<br />

vista la scarsa propensione<br />

di una buona parte di appassionati<br />

ad accettare l’utilità di questi<br />

COMPLEMENTO<br />

Portento Audio Power Clean Zero<br />

complementi nonostante l’intervento<br />

di questi prodotti possa<br />

essere utile. Il catalogo di cavi e<br />

accessori è ha un range di prezzi<br />

e qualità capaci di soddisfare le<br />

SUL CAMPO<br />

Prezzo: € 360,00<br />

Tipo: Filtro di rete Note: Filtro parallelo PAF (Portento Audiophile Filter). Circuito resinato per evitare microvibrazioni.<br />

Incapsulato in un cilindro in Delrin con presa Schuko per un utilizzo Plug & Play.<br />

CAVO<br />

Portento Audio USB Copper One<br />

Prezzo: € 109,00<br />

Tipo: segnale digitale Conduttore: Rame<br />

CAVO<br />

Portento Audio USB Copper One Dual Headed<br />

Prezzo: € 139,00<br />

Tipo: segnale digitale Conduttore: Rame<br />

CAVO<br />

Portento Audio USB Copper Signature<br />

SUL CAMPO<br />

SUL CAMPO<br />

SUL CAMPO<br />

Prezzo: € 599,00<br />

Tipo: segnale digitale Conduttore: rame Schermatura: tecnologia di schermatura proprietaria AIST II Isolante:<br />

Kapton Resistenza (mOhm): 90<br />

esigenze di ogni appassionato e<br />

la scelta è approdata a due categorie<br />

di prodotto: il Powerclean<br />

Zero e i cavi di interconnessione<br />

Usb. Il Powerclean è un filtro parallelo<br />

incapsulato in un cilindro<br />

di Derlin completamente resinato<br />

per evitare eventuali micro-vibrazioni,<br />

dalle dimensioni di quattro<br />

cm di diametro e 16 cm di altezza,<br />

un accessorio che ha il compito<br />

di eliminare i tanti disturbi della<br />

rete elettrica. Interessante la sua<br />

configurazione in parallelo e non<br />

in serie, soluzione che a detta del<br />

costruttore ha lo scopo di preservarne<br />

la dinamica in quanto tra la<br />

rete e il nostro sistema non si interpone<br />

nessun componente che<br />

potrebbe alterarne le prestazioni.<br />

Io ho provato a inserirlo in una<br />

presa libera del generatore di corrente,<br />

idem in una multipresa, in<br />

una presa adiacente alla presa che<br />

collega l’impianto e anche ad una<br />

distante circa due metri. I risultati<br />

sono, in tutti i casi, avvertibili, ma<br />

è preferibile collocare il filtro nelle<br />

vicinanze dell’impianto o all’interno<br />

di una multipresa; qualora se<br />

ne voglia aumentare l’efficacia,<br />

si può aggiungere un ulteriore<br />

filtro... Ma al di là di quello che<br />

mostrano le misure (materiale<br />

prodotto a cura del costruttore),<br />

quali sono gli effetti che produce<br />

il Powerclean? La musica, purtroppo,<br />

viaggia assieme a rumori<br />

e spurie generate dalla rete elettrica<br />

o dalle vibrazioni prodotte<br />

dalle elettroniche che si fondono<br />

con il messaggio musicale e la nostra<br />

mente li interpreta come se<br />

ne facessero parte. Ma se proviamo<br />

a togliere questa spazzatura<br />

che non ha nulla a che spartire<br />

con la musica, ecco che i risultati<br />

cambiano eccome! Nella fattispecie<br />

questo filtro elimina buona<br />

parte di quel rumore che non<br />

fa parte del messaggio musicale:<br />

una volta inserito nella catena i<br />

risultati non si fanno attendere,<br />

la musica appare innanzitutto più<br />

70 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


Dual Headed (in rosso) la 5 volt.<br />

rilassata, più gradevole, il timbro<br />

rimane integro ma si dissolve<br />

quel velo che si interpone tra noi<br />

e il messaggio musicale, con il<br />

risultato di sonorità più nitide e<br />

dettagliate. A fronte di un rumore<br />

ridotto, lo sfondo diviene più buio<br />

lasciando emergere anche quelle<br />

piccole informazioni che venivano<br />

mascherate da questi disturbi, le<br />

basse frequenze ancora più leggibili<br />

e soprattutto sono le voci a<br />

trarne un sensibile giovamento:<br />

una volta libere da quel fastidioso<br />

rumore riescono a materializzarsi<br />

meglio nel palcoscenico virtuale,<br />

proponendo un miglior fuoco e un<br />

migliore effetto 3D. A conti fatti,<br />

visto i risultati e un prezzo non<br />

elevato, l’uso di questo prodotto<br />

diviene davvero interessante.<br />

L’esame del catalogo di cavi USB<br />

Powerclean collegato a una multipresa<br />

Copper one Dual Headed collegato alla<br />

powerbank.<br />

mi ha offerto invece una nuova<br />

interessante esperienza, consentendomi<br />

di esaminare e valutare<br />

gli effetti (ove ce ne siano) dei<br />

cavi USB di differente qualità<br />

sulla qualità del segnale musicale.<br />

Il più economico Copper One<br />

si presenta da subito con buone<br />

credenziali: sonorità abbastanza<br />

simili ai concorrenti dello stesso<br />

prezzo ma con una particolarità<br />

che contraddistingue la filosofia<br />

Portento costituita da un timbro<br />

caldo e armonicamente ricco, in<br />

special modo nella parte media,<br />

sena nessun accenno a essere<br />

eccessivamente radiografante. Si<br />

apprezza piuttosto la trama musicale<br />

fluida e di buono spessore<br />

che riesce a rendere universale ed<br />

equilibrato l’ascolto di qualsiasi<br />

genere musicale. All’estremo opposto<br />

del catalogo, appartenente<br />

alla serie top, il Copper Signature<br />

USB, dove il prezzo sale ma cambia<br />

anche la musica e in modo<br />

significativo. Si tratta, infatti, di<br />

un progetto molto interessante,<br />

con l’utilizzo di materiale di alta<br />

qualità (conduttori in rame 7/N)<br />

e una schermatura proprietaria<br />

AIST II. Non chiedetemi quale<br />

sia l’alchimia di questa particolare<br />

schermatura AIST II: a me<br />

personalmente, e credo a qualsiasi<br />

ascoltatore, interessa solo se il<br />

risultato è concreto e rispondente<br />

alle proprie necessità indipendentemente<br />

dal rame utilizzato,<br />

dal tipo di schermatura e dai metodi<br />

che ogni costruttore utilizza<br />

per raggiungere il miglior risultato<br />

(comunque tenete a mente<br />

quello che può fare una buona<br />

schermatura, ne riparleremo in<br />

seguito)! Di certo questo cavo<br />

va a confrontarsi con quelli di<br />

livello top riuscendo, in alcuni<br />

parametri, ad andare anche oltre;<br />

forse è proprio questo l’impegno<br />

che il progettista ha dedicato al<br />

problema della schermatura che<br />

rende questo cavo di una classe<br />

superiore. Il suono è avvolgente<br />

e setoso, molto silenzioso, con<br />

una grande ricchezza armonica,<br />

dettagliatissimo ma eufonico<br />

quel tanto che basta per farti apprezzare<br />

tutte le sfumature della<br />

musica senza che il suo inserimento<br />

nella catena Hi-Fi risulti<br />

aggressivo, sfoderando nello<br />

stesso tempo grande dinamica<br />

e solidità nella struttura, con un<br />

basso ben presente ma non invadente,<br />

per un risultato molto<br />

credibile e accattivante. Davvero<br />

un bel cavo da tenere in grande<br />

considerazione! Il cavo USB Copper<br />

One Dual Headed è invece<br />

assolutamente identico al Copper<br />

One già citato ma è composto da<br />

due cavi identici che trasportano<br />

separatamente il segnale e la<br />

corrente (5 volt): la corrente e i<br />

segnali viaggiano in modo assolutamente<br />

separato sino all’innesto<br />

del convertitore e quindi<br />

nessuna interferenza tra segnale<br />

e corrente dovrebbe affliggerne<br />

il passaggio. Invece di collegare<br />

le due prese USB al computer,<br />

ho preferito alimentare il<br />

cavo contrassegnato in rosso (5<br />

volt) attraverso una PowerBank<br />

bypassando l’alimentazione<br />

switching del computer. L’esito<br />

è molto interessante, segno che<br />

un intervento sulle schermature<br />

e sulla pulizia della corrente è utile<br />

e si apprezza facilmente, proprio<br />

come sostiene la filosofia che<br />

Portento porta avanti nei suoi<br />

progetti: si possono raggiungere<br />

risultati di grande soddisfazione<br />

e il Dual Headed ne è la dimostrazione:<br />

non raggiunge il livello<br />

del Signature (che d’altronde è<br />

progettato e costruito con materiale<br />

di qualità superiore) ma vi<br />

si avvicina, pur costando quattro<br />

volte in meno, superando il Copper<br />

One (che gli è invece vicino<br />

di prezzo) in modo evidente solo<br />

con l’aggiunta di un semplice<br />

accessorio facile da collocare e<br />

di costo pur sempre modesto. In<br />

ogni caso, se siete pigri e volete<br />

utilizzare anche per la 5 volt la<br />

presa USB del computer, il risultato<br />

cambia di poco: personalmente,<br />

però, preferisco la prima<br />

soluzione…<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 71


SELECTOR<br />

Charles Camille Saint-Saëns<br />

(1835-1921) si può davvero definire<br />

come un artista che ha vissuto la<br />

musica in tutte le sue espressioni.<br />

Noto oggi soprattutto come grande<br />

compositore, fu anche direttore<br />

d’orchestra ed eccellente pianista;<br />

ha scritto e pubblicato poesie e<br />

vanta almeno un dramma messo<br />

in scena. È stato inoltre studioso<br />

di matematica, di musica antica e<br />

dei suoi compositori contemporanei.<br />

Nella sua lunga vita ha conosciuto<br />

Berlioz (suo ammiratore),<br />

fu incoraggiato da Liszt e visse abbastanza<br />

per ammirare i “nuovi”<br />

Debussy, Ravel, Mahler, Rachmaninov<br />

e Stravinsky. Il suo catalogo<br />

è davvero ampio, arrivando a<br />

comprendere persino una colonna<br />

sonora per il film muto L’Assassinat<br />

du Duc de Guise del 1908,<br />

eseguita con l’orchestra dal vivo<br />

durante la proiezione del film.<br />

Le sue doti di pianista lo portarono<br />

ad affrontare le più celebri pagine<br />

di noti compositori, da Bach a Mozart<br />

(del quale curò molte delle cadenze<br />

non specificate dei suoi concerti<br />

per pianoforte e orchestra)<br />

e tanti altri. Grazie alle esibizioni<br />

concertistiche come direttore e<br />

musicista sviluppò una passione<br />

per i viaggi che lo portarono, tra<br />

Charles Camille Saint-Saëns<br />

SINFONIA N°3 ORGANO<br />

Reference Recordings RR-136<br />

Reference Mastercuts 2 LP a<br />

45 giri 180 gr LP 180 gr<br />

gli altri, in Egitto e Algeria, paesi<br />

che lo affascinarono al punto di<br />

trascorrervi gli ultimi anni fino<br />

alla sua morte ad Algeri. Scrisse<br />

cinque sinfonie ma le due giovanili,<br />

scritte a 13 e 21 anni, non le pubblicò<br />

mai; ecco perché la sua ultima<br />

sinfonia, scritta a cinquantuno<br />

anni, è chiamata N.3 ed è anche<br />

di gran lunga la più nota, tanto da<br />

essere tutt’oggi un pezzo da repertorio<br />

irrinunciabile per tutte le più<br />

grandi orchestre al mondo. Saint-<br />

Saëns ne diresse la prima nel 1886<br />

a Londra con grande successo, a<br />

dispetto del fatto di essere decisamente<br />

innovativa, diventando in<br />

breve il modello delle composizioni<br />

orchestrali tardo romantiche,<br />

specie francesi. L’ammirazione,<br />

ricambiata, da parte di Liszt per<br />

le sue composizioni, portò Saint-<br />

Saëns a dedicare questa sinfonia al<br />

compositore magiaro. Morto poche<br />

settimane dopo la prima esecuzione<br />

londinese, Liszt non fece<br />

in tempo ad ascoltarla e per questo<br />

Saint-Saëns cambio la dedica in<br />

“Alla memoria di Franz Liszt”.<br />

Scritta per una grande orchestra,<br />

comprende un pianoforte da suonare<br />

a quattro mani e un organo<br />

che svolge un ruolo di supporto<br />

all’inizio del lavoro ma poi assume<br />

un ruolo da solista nel finale.<br />

Le indicazioni del compositore<br />

sono precise: “La sinfonia, divisa<br />

in due parti, comprende tuttavia<br />

praticamente i tradizionali<br />

quattro movimenti: il primo,<br />

controllato nello sviluppo, funge<br />

da introduzione all’Adagio, e lo<br />

scherzo è collegato dopo allo stesso<br />

modo con il finale”. Una breve e<br />

alquanto misteriosa introduzione<br />

conduce ad un Allegro moderato<br />

e inquieto di contrastante vivacità.<br />

Nuovo cambio di clima con un<br />

Adagio contemplativo e pacifico<br />

(cit. dell’autore); l’organo si fa sentire<br />

come parte della colorazione<br />

orchestrale, e il tema è ripreso e<br />

ampliato da vari legni e ottoni.<br />

Il tema dell’Allegro torna a inserire<br />

una nota di inquietudine, ma<br />

gli archi e l’organo prevalgono per<br />

concludere il movimento in uno<br />

stato d’animo più rassicurante.<br />

I due movimenti successivi contrastano<br />

brillantemente con le<br />

sezioni precedenti, sebbene siano<br />

costruite molto sullo stesso materiale.<br />

Lo scherzo è sbalorditivo<br />

nel suo vigore demoniaco, con un<br />

crescendo come elemento di fantasia.<br />

Gli arpeggi e le veloci scale<br />

suonano come un fulmine a cielo<br />

sereno. L’organo viene alla ribalta<br />

nel finale, che entra maestoso e si<br />

dilata in confidenza e grandezza.<br />

Dopo un breve intermezzo pastorale,<br />

intonato per flauto, oboe,<br />

corno inglese e clarinetto, la coda<br />

raggiunge un apice di esultanza,<br />

ricoperta da squillanti fanfare.<br />

Pur avendo solo cinquant’anni,<br />

quando completò la sinfonia il<br />

compositore annunciò che la terza<br />

(quinta) sarebbe stata la sua ultima,<br />

perché vi aveva speso tutta la<br />

sua creatività e non avrebbe potere<br />

dire niente di nuovo nel genere.<br />

Manterrà la parola!<br />

Il disco fu pubblicato nel formato<br />

CD nel 2013 e subito fu un grande<br />

successo per la bellezza del suo<br />

contenuto e per la qualità della<br />

registrazione. La recente rivisitazione<br />

ha recuperato i master<br />

originali per riversarli sia in digitale<br />

a più alta risoluzione che in<br />

SACD e in vinile. Tutto il processo<br />

analogico ha visto riprodurre il<br />

master originale a mezza velocità,<br />

utilizzando elettroniche disegnate<br />

da Nelson Pass, la supervisione<br />

dell’ingegnere del suono<br />

Keith O. Johnson e la produzione<br />

di Dave Frost. Pressatura QRP e<br />

stampa su due LP a 45 giri che<br />

contengono la sinfonia mentre<br />

in digitale sono presenti anche<br />

altre due composizioni brevi.<br />

Questa versione analogica ha ricevuto<br />

il Grammy per il genere<br />

classico e ascoltandolo se ne capisce<br />

il motivo. Anche in ambito<br />

strettamente sonoro il disco è un<br />

piacere audiofilo. Ad esempio,<br />

quando il tempo cambia in presto,<br />

gli arpeggi e le scale del piano<br />

sono abbastanza prominenti<br />

da esprimere la loro presenza<br />

senza balzarti addosso, proprio<br />

come l’organo, che nel finale<br />

afferma la sua grandezza senza<br />

travolgere la tavolozza orchestrale.<br />

L’esperienza è spettacolare indipendentemente<br />

dal sistema e,<br />

soprattutto, le pagine di chiusura<br />

sono semplicemente una gioia.<br />

La Kansas City Symphony, con<br />

la superba direzione di Michael<br />

Stern, ha un suono pieno, ricco<br />

e romantico che è così essenziale<br />

per la musica francese del XIX<br />

secolo. E c’è anche un’eccitazione<br />

viscerale. I musicisti sono in<br />

gran forma, precisi e generosi. Un<br />

disco per gli audiofili e gli amanti<br />

di musica più esigenti, non che i<br />

due si escludano a vicenda. Una<br />

registrazione impressionante,<br />

sorprendentemente realistica.<br />

Anche in un mercato competitivo,<br />

questa versione ha un vantaggio<br />

netto.<br />

Carlo D’Ottavi<br />

72 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


Amato mio LP<br />

Questo disco, del 1997, vede<br />

Marc Johnson affiancato da Bill<br />

Frisell, Pat Metheny e Joey Baron<br />

in un programma comprendente<br />

brani particolarmente<br />

gradevoli e rilassanti. The<br />

Sound of Summer Running è<br />

un album sorprendentemente<br />

dolce e melodico, soprattutto<br />

se si tiene conto dei musicisti<br />

che vi sono coinvolti, vale a dire<br />

il contrabbassista Marc Johnson,<br />

i chitarristi Bill Frisell e<br />

Pat Metheny e il batterista Joey<br />

Baron. La maggior parte dei<br />

brani in programma presenta<br />

melodie dal sapore vagamente<br />

tradizionale, arricchite di<br />

assoli di chitarra dai toni meravigliosamente<br />

lirici. Frisell<br />

appare leggermente trattenuto<br />

(aggiungendo a molti brani un<br />

gradevole tocco country), mentre<br />

Metheny si rivela meno caratteristico<br />

del solito, passando<br />

dalla chitarra acustica a quella<br />

elettrica e alla Pikasso da 42<br />

corde. Il quartetto esegue sette<br />

brani originali di Johnson,<br />

tra i quali spicca Union Pacific,<br />

due di Frisell e uno di Metheny.<br />

Da questo deriva un disco<br />

gradevole e molto rilassante.<br />

I quattro formidabili jazzisti<br />

Marc Johnson<br />

THE SOUND OF SUMMER<br />

RUNNING<br />

M. JOHNSON, B. FRISELL,<br />

P. METHENY E J. BARON<br />

Khiov Music KH LP43000 2<br />

LP 180 gr Deluxe Edition<br />

avevano già collaborato in diverse<br />

formazioni (potremmo<br />

dire in tutte le combinazioni<br />

possibili) ma mai tutti insieme<br />

come in questo doppio album.<br />

In Sound of Summer Running<br />

il calore della West Coast<br />

deve aver molto influenzato il<br />

quartetto, al punto che sono del<br />

tutto assenti le zampate nervose<br />

e più elettroniche tipiche di<br />

Frisell e dello stesso Johnson.<br />

In seguito queste atmosfere tra<br />

jazz, folk e country sarebbero<br />

state riprese da Frisell insieme<br />

a Holland ed Elvin Jones in<br />

un disco omonimo di grande<br />

suggestione. Dieci anni prima,<br />

invece, in Bass Desires proprio<br />

Johnson e Frisell, insieme a<br />

Scofield ed Erskine, avevano<br />

toccato, almeno in parte, questo<br />

genere, sempre con gran<br />

classe e raffinatezza.<br />

Tutti i titoli della “Play 33 1/3<br />

LP Series” sono stampati dalla<br />

nota Pallas in Germania su vinile<br />

vergine da 180 grammi e<br />

sono dei veri capolavori degli<br />

anni ’90, che per la prima volta<br />

al mondo vengono realizzati su<br />

LP analogici. Le copertine degli<br />

album e la confezione sono<br />

stati realizzati con mesi di lavoro<br />

appassionato dai grafici<br />

della Khiov Music (in Corea<br />

del Sud, da dove in effetti proviene<br />

il prodotto finito) e per<br />

assicurare un suono di qualità<br />

superba il taglio delle lacche è<br />

stato effettuato direttamente<br />

dai master analogici dalla SST<br />

(Schallplatten Schneid Technik)<br />

Bruggemann in Germania,<br />

ditta che sovrintende alla produzione<br />

della EMI e della Universal<br />

tedesche. Khiov è stata<br />

fondata nel 2007 e da allora<br />

ha sempre dedicato tempo e<br />

fondi allo sviluppo di prodotti,<br />

design e grafica specializzati<br />

nel campo musicale. In effetti<br />

gli album riproposti in questa<br />

serie dalla casa coreana non<br />

puntano solo alla migliore resa<br />

sonora di questi LP ma curano<br />

a fondo anche la veste grafica,<br />

che non è solo una pedissequa<br />

riproposizione di quella originale.<br />

Il packaging, inoltre, è in<br />

robusto cartonato ma contiene<br />

anche bellissime foto, note sui<br />

brani e sugli artisti coinvolti,<br />

assai poco apprezzabili in precedenza<br />

nelle miniature dei CD<br />

originali. Ora Khiov, composto<br />

da un team di pianificazione,<br />

un team di progettazione e<br />

un team di produzione, sta<br />

collaborando con importanti<br />

case discografiche come Warner<br />

Music, Universal Music e<br />

Sony Music; gli LP prodotti da<br />

questo progetto sono destinati<br />

a diventare un must per tutti<br />

gli amanti del suono analogico<br />

e per tutti i seri collezionisti,<br />

come conferma il fatto che alcuni<br />

dei titoli prodotti in passato<br />

sono già delle rarità fuori<br />

catalogo.<br />

Carlo D’Ottavi<br />

PILLOLE<br />

Bob Marley and the Wailers<br />

CASINO<br />

Island 0602435082165- 1 LP<br />

Dal 2020 si stanno<br />

ristampando i<br />

lavori di Bob<br />

Marley e tra i più<br />

recenti c’è Exodus,<br />

registrato per la<br />

Island Records nel 1977, uno dei<br />

lavori decisivi per far conoscere<br />

l’artista giamaicano al di fuori<br />

dell’isola, specie in<br />

Europa. Jamming, One<br />

Love e Exodus tra i brani<br />

memorabili. Tutti i brani sono stati<br />

masterizzati da Miles Showell agli<br />

Abbey Road Studios di Londra.<br />

Rebecca Pidgeon<br />

THE RAVEN<br />

Dir. Bruno Walter CSO<br />

Chesky Rec. ASLP115 - 1 LP<br />

Un classico dei<br />

tempi d’oro della<br />

Chesky, ristampato<br />

in QRP 180 gr.<br />

Quest’artista è<br />

balzato ai vertici<br />

delle classifiche americane,<br />

ricevendo un’entusiastica<br />

recensione persino dalla rivista<br />

“Time”. Una voce tenera e<br />

piacevolissima, Spanish Harlem su<br />

tutte, e un country rock americano<br />

tra i migliori anche per i gusti<br />

europei.<br />

Tony Allen e Hugh Masekela<br />

REJOICE<br />

World Circuit LDA57497 - 1 LP<br />

Un disco<br />

incredibilmente<br />

ben prodotto della<br />

collaborazione tra<br />

due leggende. Il<br />

posizionamento<br />

dello strumento e la qualità della<br />

registrazione sono sorprendenti,<br />

come la musica. Allen definì<br />

l’album “una specie di spezzatino di<br />

jazz swing sudafricano-nigeriano”.<br />

Keith Richards<br />

TALK IS CHEAP<br />

BMG Rec. LDR25024 - 1 LP 180 gr.<br />

Questo è il primo<br />

album a suo nome<br />

per il chitarrista<br />

dei Rolling Stones<br />

e risale al 1988.<br />

Accompagnato da<br />

un cast stellare - spiccano i nomi di<br />

Maceo Parker e dei Memphis Horns<br />

- il disco contiene alcune hit del<br />

periodo e suona bene oggi come<br />

trent’anni fa, parola di Keith!<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 73


SELECTOR<br />

Respighi<br />

TRILOGIA<br />

ROMANA<br />

Chandos 095115526125<br />

(SACD, MP3, FLAC, HI-RES FLAC 24/96)<br />

Ottorino Respighi (1879-<br />

1936) è certamente il<br />

più noto compositore<br />

italiano classico del Novecento<br />

storico, avendo raggiunto una<br />

fama internazionale duratura al<br />

punto che i celebri poemi sinfonici,<br />

soprattutto questi dedicati a<br />

Roma, sono spesso nei cartelloni<br />

dei più noti teatri di mezzo mondo.<br />

Nato a Bologna, vi frequentò<br />

il Liceo Musicale con insegnanti<br />

come il compositore e direttore<br />

Giuseppe Martucci, che fece conoscere<br />

ai bolognesi le musiche<br />

sinfoniche di Brahms e Wagner.<br />

Nel 1900, Respighi (un eccellente<br />

violinista) suonò nell’orchestra<br />

per una stagione dell’opera italiana<br />

a San Pietroburgo dove incontrò<br />

Rimsky-Korsakov; ricevette<br />

alcune lezioni di orchestrazione<br />

da Rimsky che in seguito definì<br />

molto importanti per lui. Un’esperienza<br />

decisiva per allargare le sue<br />

conoscenze musicali, attingendo<br />

da Richard Strauss, Debussy e,<br />

naturalmente, dai russi contemporanei.<br />

Un bagaglio musicale che<br />

non ha, però, escluso la tradizione<br />

italiana barocca e popolare.<br />

Prima di scrivere il poema sinfonico<br />

Le Fontane di Roma, il suo<br />

lavoro più noto era la “Sinfonia<br />

Drammatica del 1914”, un lavoro<br />

oscuro tra Scriabin e Franck.<br />

Ben presto cambia direzione e il<br />

poema delle Fontane di Roma è<br />

più conciso e più brillantemente<br />

colorato di qualsiasi cosa abbia<br />

scritto prima. Il suo linguaggio si<br />

fa più personale e Respighi spiega<br />

di aver cercato di dare espressione<br />

ai sentimenti e alle visioni suggeritegli<br />

da quattro delle fontane di<br />

Roma contemplate nell’ora in cui<br />

il loro carattere è più in armonia<br />

con il paesaggio circostante, o in<br />

cui la loro bellezza appare più<br />

impressionante all’osservatore.<br />

Così La Fontana di Valle Giulia<br />

appare tra le nebbie dell’alba<br />

con un’atmosfera calma e serena.<br />

In contrasto, a mattina inoltrata,<br />

un improvviso e insistente squillo<br />

di corni sopra i trilli dell’intera<br />

orchestra introduce la seconda<br />

parte, La fontana del Tritone. È<br />

come una chiamata gioiosa, che<br />

richiama immaginarie figure acquatiche<br />

che si mescolano in una<br />

danza frenetica tra i getti d’acqua.<br />

Segue poi un tema solenne<br />

sostenuto da ondulazioni nell’orchestra.<br />

È la Fontana di Trevi a<br />

mezzogiorno. Passando dai legni<br />

agli ottoni, assume un carattere<br />

trionfale. Una specie di gioiosa<br />

processione simbolicamente<br />

marina che poi svanisce mentre<br />

deboli richiami di tromba risuonano<br />

in lontananza. La quarta<br />

parte, La Fontana di Villa Medici,<br />

è annunciata da un triste tema<br />

che si erge sopra un sommesso<br />

gorgheggio. È l’ora nostalgica<br />

del tramonto. L’aria è piena del<br />

suono delle campane che rintoccano,<br />

del cinguettio degli uccelli,<br />

del fruscio delle foglie. Poi tutto<br />

muore pacificamente nel silenzio<br />

della notte. La prima di Fontane<br />

di Roma era prevista per fine 1916<br />

con la direzione di Toscanini in un<br />

programma che comprendeva anche<br />

Wagner ma, in pieno conflitto<br />

mondiale, un concerto che prevedesse<br />

anche musica del “nemico”<br />

germanico fu motivo di scontri<br />

e proteste. Finalmente si giunse<br />

alla prima esecuzione nel marzo<br />

1917 ma il compositore era molto<br />

deluso dalle difficoltà di vedere<br />

accettato il suo lavoro, tanto da<br />

meditare forti modifiche alla partitura<br />

originale. Il successo vero<br />

arriverà solo nel 1918 alla Scala<br />

di Milano, nuovamente, sotto la<br />

direzione di Toscanini. L’editore<br />

Ricordi, entusiasta, annunciò a<br />

Respighi di voler pubblicare immediatamente<br />

quella partitura<br />

che divenne così uno dei brani<br />

più popolari nel mondo.<br />

74 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


Secondo noi la classica<br />

Il successo di Fontane di<br />

Roma convinse Respighi a<br />

comporre un nuovo poema<br />

sinfonico: il risultato fu Pini di<br />

Roma, completato nel 1924. Il<br />

clima politico post bellico era profondamente<br />

cambiato, nel 1922<br />

c’era stata la marcia su Roma che<br />

aveva di fatto sancito l’ascesa al<br />

potere di Mussolini e del suo partito<br />

fascista. Respighi, pur non essendosi<br />

mai interessato alla politica,<br />

stabilì nei primi anni Venti una<br />

certa simpatia per il futuro Duce<br />

e questo getta una sinistra luce<br />

sulla composizione che fu spesso<br />

vista come una ulteriore celebrazione<br />

di Roma, non più solo come<br />

bellezza artistica ma anche come<br />

potenza mondiale. A smorzare totalmente<br />

questi sospetti ci pensò,<br />

ancora lui, il direttore Toscanini,<br />

noto convinto antifascista, che<br />

notò come l’unica vera passione<br />

di Respighi fosse la composizione<br />

musicale e non certo quella di<br />

celebrare chicchessia. Riferendosi<br />

a Pini di Roma, la stampa americana<br />

definì “Il non mondano<br />

Respighi più influenzato qui da<br />

un semplice piacere infantile per<br />

le ricchezze caleidoscopiche di<br />

un’orchestra moderna che dallo<br />

sfarzo del fascismo”. La prima<br />

fu all’Augusteo di Roma nel<br />

1924. Come nel caso precedente<br />

il poema sinfonico ha un programma<br />

in quattro movimenti.<br />

I Pini di Villa Borghese hanno<br />

per protagonisti i bambini e si<br />

riconoscono facilmente alcuni<br />

temi e filastrocche infantili, in un<br />

crescendo chiassoso che termina<br />

improvvisamente. Segue I Pini<br />

presso una Catacomba, dove le<br />

ombre dei pini sovrastano l’ingresso<br />

di una catacomba. Dal<br />

profondo un canto emerge solennemente<br />

come un inno per poi<br />

scomparire misteriosamente.<br />

Ne I Pini del Gianicolo, una misteriosa<br />

calma domina il tema con<br />

tanto di Luna piena e il canto di<br />

un usignolo. Da perfetto padrone<br />

della scrittura musicale in grado<br />

di creare atmosfere e formidabili<br />

suggestioni ecco il poema<br />

concludersi con I Pini della Via<br />

Appia. Uno dei più spettacolari<br />

ed emozionanti crescendo che<br />

dal pianissimo iniziale esplode<br />

in uno dei più fragorosi finali mai<br />

ascoltati, per descrivere il ritorno<br />

trionfale dei soldati dell’antica<br />

Roma facendo tremare con la<br />

loro marcia la terra. Un finale che<br />

per potenza, sfruttando tutta la<br />

dinamica e i colori della grande<br />

orchestra moderna, trova pochi<br />

paragoni come nello Stravinsky<br />

dell’Oiseau De Feu o nel Bolero<br />

di Ravel, non a caso grandi<br />

compositori contemporanei.<br />

Toscanini diresse Pini con ancora<br />

più entusiasmo di Fontane. Diresse<br />

la prima di New York il<br />

14 gennaio 1926 continuando a<br />

darne molte rappresentazioni<br />

nei successivi decenni. Lo stesso<br />

Respighi diresse le prime quattro<br />

esibizioni ad Amsterdam (marzo<br />

1926), mentre in Gran Bretagna fu<br />

ascoltato per la prima volta al Festival<br />

di Leeds, suonato dalla London<br />

Symphony Orchestra diretta<br />

da Albert Coates, conquistando il<br />

pubblico inglese. Feste Romane fu<br />

composta nel 1928, completando<br />

la trilogia e aggiungendovi una<br />

nuova dimensione: l’orchestra<br />

suona più netta e più dissonante<br />

nelle armonie. Fu eseguita per<br />

la prima volta dalla New York<br />

Philharmonic il 21 febbraio<br />

1929, diretta da Toscanini. L’orchestra<br />

è ancora più grande che<br />

in Fontane e Pini, inclusa una<br />

vasta gamma di percussioni, organo,<br />

pianoforte a quattro mani<br />

e mandolino. Nel programma<br />

della prima esecuzione Respighi<br />

affermò che le Feste Romane<br />

“rappresentano il massimo<br />

della sonorità orchestrale e del<br />

colore” nelle sue partiture, e<br />

non stava esagerando! Ancora<br />

quattro movimenti: Circences è<br />

un continuo contrasto tra saluti<br />

a Nerone, folla che festeggia<br />

e poi aizza le bestie feroci<br />

all’apparizione dei cristiani condannati,<br />

che intonano un canto<br />

sommesso lasciando interdetta la<br />

folla e tutto si placa nel silenzio;<br />

ne Il Giubileo una processione<br />

di stanchi pellegrini procede<br />

lentamente per poi esultare<br />

alla vista di Roma che li saluta<br />

suonando le campane a festa;<br />

l’Ottobrata festeggia la raccolta<br />

dell’uva nei castelli romani con<br />

numerosi riferimenti ai canti<br />

popolari per la vendemmia; si<br />

chiude con La Befana, dove un<br />

caratteristico ritmo di trombe<br />

domina il frastuono frenetico:<br />

sulla marea del rumore fluttuano<br />

di tanto in tanto canti rustici, il<br />

ritmo del saltarello, i suoni di un<br />

organetto di un teatrino, il richiamo<br />

dello showman, grida rauche<br />

e ubriache, e il suono del vivace<br />

stornello che richiama lo spirito<br />

del popolo. In quest’ultimo pezzo<br />

ritroviamo echi dello Stravinsky<br />

del carnevale petruskiano. L’esecuzione<br />

londinese del 1929, sotto<br />

la guida di Eugene Goosens fu accolta<br />

dal “Times” in modo insolitamente<br />

feroce, accusando il compositore<br />

italiano di aver ceduto ai<br />

gusti americani che amano il grandioso,<br />

il pacchiano e addirittura<br />

il volgare, salvando in parte solo<br />

il movimento finale, pur considerandolo<br />

una buona imitazione del<br />

Petruscha sopraddetto. A difendere<br />

questo lavoro non ci fu solo<br />

il solito Toscanini ma anche altri<br />

grandi direttori d’orchestra come<br />

Furtwangler, Boehm e Rainer. Può<br />

essere il meno conosciuto del Trittico<br />

romano, ma Feste Romane è<br />

probabilmente il più audace dei<br />

tre: indubbiamente stravagante<br />

e persino strepitoso, è anche<br />

una sorprendente dimostrazione<br />

dell’inventiva di Respighi.<br />

Questo è repertorio tra i più amati<br />

anche dagli audiofili per le incredibili<br />

escursioni dinamiche, la<br />

ricchezza della tavolozza timbrica<br />

e la spazialità impressionante,<br />

tanto che le migliori registrazioni<br />

hanno sempre suonato negli audio<br />

show di mezzo mondo. Questa<br />

nuova edizione, con la Sinfonia di<br />

Londra diretta da John Wilson<br />

nel 2019 e pubblicata l’anno successivo,<br />

si pone come una delle<br />

migliori tra le più recenti, per interpretazione<br />

e ancora di più per<br />

la sua qualità sonora. Gli inglesi<br />

non cedono a facili eccessi ma<br />

non per questo si tirano indietro<br />

quando c’è da fare baccano! In<br />

realtà il giovane direttore Wilson<br />

è capace anche di mostrare tutte<br />

le raffinatezze e le sfumature di<br />

scrittura di cui era maestro Ottorino<br />

Respighi.<br />

Carlo D’Ottavi<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 75


SELECTOR<br />

Nel corso della seconda<br />

metà del Settecento<br />

nelle piccole corti<br />

dell’Europa centrale si diffuse<br />

enormemente l’abitudine di affidare<br />

l’intrattenimento musicale<br />

durante feste e cerimonie a un<br />

piccolo complesso di fiati che<br />

veniva indicato con il termine<br />

tedesco di Harmonie. Il nucleo<br />

standard di una Harmonie era<br />

un ottetto formato da due oboi,<br />

due clarinetti, due corni e due<br />

fagotti e il suo repertorio era<br />

costituito principalmente da arrangiamenti<br />

e trascrizioni delle<br />

opere più in voga o da lavori originali<br />

nelle forme disimpegnate<br />

della serenata, del divertimento,<br />

della cassazione. A questo<br />

complesso musicale, destinato<br />

a scomparire del tutto nel giro<br />

di pochi decenni, diedero il loro<br />

contributo praticamente tutti i<br />

compositori dell’epoca, sia con<br />

arrangiamenti che con lavori<br />

originali. Le tre serenate per<br />

fiati composte da Mozart costituiscono<br />

senza dubbio il vertice<br />

di questa produzione. Nella loro<br />

struttura formale sembrano<br />

guardare più al modello della<br />

Mozart<br />

SERENATA N. 10 IN SI<br />

BEMOLLE MAGGIORE,<br />

K. 361 “GRAN PARTITA”<br />

Members of The Concertgebouworkest,<br />

Director Alexei Ogrintchouk<br />

BIS cat.BIS2463<br />

(SACD MULTICANALE IBRIDO, DOWNLOAD FINO A 24/96)<br />

sinfonia che a quello della serenata,<br />

così come la temperatura<br />

espressiva dei brani e la complessità<br />

di esecuzione. Con la Serenata<br />

in si bemolle maggiore K.<br />

361 Mozart, apparentemente<br />

più convenzionale in sette<br />

movimenti, osa ancora di più,<br />

non solo aggiungendo altri<br />

strumenti all’organico base della<br />

Harmonie, due corni di bassetto<br />

(un particolare tipo di clarinetto,<br />

inventato in quegli anni e particolarmente<br />

amato da Mozart per<br />

il suo timbro molto più scuro e<br />

velato rispetto al clarinetto), una<br />

seconda coppia di corni e un contrabbasso,<br />

dilatando le dimensioni<br />

e la densità di scrittura di<br />

ciascun movimento, dando vita<br />

così a un lavoro assolutamente<br />

unico nel suo genere; e questa<br />

ipertrofia quantitativa e qualitativa<br />

della Serenata in si bemolle<br />

maggiore doveva essere tanto<br />

più evidente all’epoca di Mozart,<br />

visto che una mano anonima ha<br />

aggiunto sul manoscritto autografo<br />

la dicitura di Gran Partita<br />

con cui ancora oggi viene<br />

abitualmente chiamata.<br />

Per quanto possa sembrare strano,<br />

le notizie che abbiamo sulla<br />

genesi e la dedica di questo<br />

lavoro sono alquanto incerte.<br />

Il lavoro fu probabilmente composto<br />

in due tempi tra il 1780 e<br />

il 1781, mentre per la dedica si<br />

passa dalla moglie Constanze<br />

al principe elettore di Baviera,<br />

Karl Theodor, con la speranza<br />

di ottenere un buon incarico a<br />

corte. Non sappiamo neppure<br />

se la Serenata sia mai stata eseguita,<br />

nella sua interezza, con<br />

Mozart in vita. Fin dall’apertura<br />

insolitamente lunga e solenne<br />

la Serenata afferma la sua divergenza<br />

dalle convenzioni del<br />

genere. Non c’è da stupirsi se<br />

dopo un simile incipit segua un<br />

gioioso Allegro Molto che alterna<br />

una scrittura contrappuntistica<br />

a brevi momenti di malinconia.<br />

Seguono momenti più leggeri<br />

fino a quando si arriva all’Adagio:<br />

siamo forse di fronte a<br />

una delle pagine di più sublime<br />

bellezza di tutta la letteratura<br />

musicale; e non è andato troppo<br />

lontano dal vero Peter Shaffer,<br />

che nella prima scena del suo<br />

lavoro Amadeus, poi portata sul<br />

grande schermo da Milos Forman,<br />

fa dire a Salieri all’ascolto<br />

di questo Adagio: “Mi sembrò di<br />

aver sentito la voce di Dio!”. Segue<br />

un giocoso Menuetto che, se<br />

rimane sereno e cantabile anche<br />

nel secondo Trio, dal tono rassicurantemente<br />

popolareggiante,<br />

nasconde nel suo cuore una<br />

prima parte dai toni misteriosi e<br />

inquietanti. Perfino la Romanze,<br />

altro momento di sospensione<br />

lirica, contiene al suo interno<br />

un agitato Allegretto in minore,<br />

mentre lo spensierato Tema<br />

con variazioni che segue offre a<br />

turno a tutti gli strumentisti la<br />

possibilità di salire alla ribalta;<br />

ma anche qui la quarta variazione<br />

sembra anticipare voci e colori di<br />

alcune pagine del Flauto Magico.<br />

Questo capolavoro davvero straordinario,<br />

in cui Mozart usa con<br />

inarrivabile maestria la tavolozza<br />

offertagli da un ensemble di<br />

strumenti a fiato, si chiude gioiosamente<br />

con un brevissimo e<br />

festoso Rondò di sapore turco,<br />

forse la pagina più in sintonia<br />

con le esigenze di una normale<br />

serenata per Harmonie. La Gran<br />

Partita è qui eseguita da fiati di<br />

una delle migliori orchestre del<br />

mondo, l’Amsterdam Concertgebouworkest,<br />

sotto la direzione<br />

dell’oboista Alexei Ogrintchouk.<br />

76 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


Secondo noi la classica<br />

Ogrintchouk ha scelto di abbinare<br />

al pezzo principale una serie<br />

di variazioni di Beethoven sulla<br />

famosa aria di Mozart La ci<br />

darem la mano tratta dal Don<br />

Giovanni, incisa per due oboi e<br />

corno inglese.<br />

Come in tutte le migliori esibizioni,<br />

i suonatori di fiati del Concertgebouw<br />

(il marchio parla da<br />

solo) combinano la raffinatezza<br />

della fusione e dell’insieme con<br />

un senso di divertimento spontaneo.<br />

Si può ben dire che i musicisti<br />

del Concertgebouw sono<br />

una garanzia, in particolare con<br />

il genere classico del XVIII e XIX<br />

secolo. Non mancano i momenti<br />

di voluta abrasività negli ottoni,<br />

quasi a suggerire ai più distratti<br />

ascoltatori di fare attenzione a<br />

questa meravigliosa musica suonata<br />

in modo così superlativo.<br />

Ogrintchouk, l’oboista e direttore<br />

del Royal Concertgebouw,<br />

qui è protagonista di una performance<br />

piena di vivacità operistica,<br />

catturando il cantabile simile<br />

a un’aria nel sublime Adagio e<br />

nella Romanze. Le otto variazioni<br />

di Beethoven, suonate da due<br />

oboi e corno inglese, sul duetto<br />

d’amore di Mozart dal Don Giovanni<br />

sono una rara delizia.<br />

La più sontuosa delle serenate di<br />

Mozart ha ricevuto un trattamento<br />

d’eccezione da parte dagli ingegneri<br />

dell’etichetta nordica BIS,<br />

tanto da candidarsi tra le migliori<br />

registrazioni assolute nel genere.<br />

Una proposta ideale per rilassarsi<br />

e godere dei timbri e finezze<br />

di queste pagine, che può essere<br />

anche un buon test per valutare<br />

le capacità di un sistema hi-fi di<br />

riprodurre i vari strumenti a fiato,<br />

ottoni e legni che siano con le loro<br />

tipiche caratteristiche timbriche,<br />

armoniche e dinamiche.<br />

Carlo D’Ottavi<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 77


SELECTOR<br />

di Vittorio Pio, foto: Jakubowska - Prandoni<br />

Con la musica<br />

l’età sparisce<br />

A 72 anni, quando sarebbe anche lecito e giustificato aspettarsi un certo rallentamento creativo,<br />

Marc Copland, pianista di sopraffina eleganza, ha dato una robusta sferzata alla sua carriera.<br />

Lo ha fatto grazie a un album in solo dedicato a John Abercrombie<br />

(e non mancate l’omaggio precedente a Gary Peacock)<br />

e un altro in quintetto con dei compagni clamorosi<br />

nelle individualità di Dave Liebman, Randy Brecker, Joey Baron<br />

e Drew Gress, che firmano una prestazione superlativa per temi<br />

ed esecuzioni, ispirandosi al meglio delle loro capacità con riverberi<br />

che portano al meglio di Duke Ellington, Charlie Parker,<br />

Miles Davis, Charlie Mingus. Ovvero, l’olimpo assoluto. Ce ne<br />

ha parlato in esclusiva...<br />

Cosa le ha lasciato in eredità, non solo riguardo al jazz,<br />

un gigante come Abercrombie? Come vi siete incontrati?<br />

Intanto è stato un grande amico e compagno che mi mancherà<br />

davvero tanto: con John ci siamo conosciuti nel 1970, quando lui<br />

era pendolare da Boston a New York per lavorare nel progetto<br />

Dreams, il primo gruppo orientato sul versante jazz-rock dei<br />

fratelli Brecker. Rimase con loro per qualche mese, ma poi decise<br />

di tornare a Boston, salvo unirsi l’anno seguente a quello di Chico<br />

Hamilton in cui militavo già. Abbiamo condiviso tante esperienze,<br />

traslochi compresi, nel suo appartamento dell’East Village. Suonavamo<br />

diverse volte a settimana, parlando di musica, facendo<br />

concerti e molto altro. All’inizio ero in soggezione nei suoi confronti,<br />

perché molti musicisti lo consideravano il chitarrista per<br />

eccellenza; a lui non interessava, piuttosto si preoccupava della<br />

sua integrità artistica e lo dimostrava costantemente. All’epoca<br />

io ero un giovane sassofonista ambizioso, e sognavo di farcela.<br />

John fu per me una rivelazione: non gli importava del successo,<br />

o del denaro. Voleva semplicemente suonare ciò che sentiva e in<br />

cui credeva. Vedere John suonare, pensare e vivere con questo<br />

tipo di dedizione alla musica era umiliante e gratificante al tempo<br />

stesso. Lui rappresentava il modello giusto, il più alto livello di<br />

onestà artistica. Era quello che desideravo più intensamente,<br />

ma ancora non sapevo come raggiungere quel livello. A poco a<br />

poco sono arrivato a comprendere il sentiero, o meglio cosa mi<br />

sarebbe servito per diventare quel tipo di musicista; e una volta<br />

raggiunto quel traguardo non mi sono mai voltato indietro.<br />

Questo disco è dedicato a lui, ne condensa l’integrità umana e<br />

lo spessore artistico.<br />

78 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


Marc Copland<br />

di Vittorio Pio<br />

Ha sviluppato la sua carriera prefiggendosi degli obiettivi<br />

precisi o ha lasciato fluire placidamente le cose?<br />

Gli obiettivi che mi sono posto riguardano la crescita e lo sviluppo prima<br />

come essere umano e poi come<br />

artista. Non c’è vittoria pubblica<br />

senza quella privata. A quel punto<br />

il progresso è inevitabile quando ci<br />

si evolve con un flusso tranquillo.<br />

Occorre un lavoro interiore che richiede<br />

molta energia e impegno, ma<br />

quel lavoro non è poi così stressante<br />

vista la gratificazione che si riceve<br />

con eguale consapevolezza.<br />

Attualmente considera più<br />

l’aspetto melodico o quello<br />

ritmico del suo stile?<br />

Sono inscindibili. Se sei un pianista,<br />

solista o accompagnatore,<br />

devi prima sentire, poi ascoltare<br />

e quindi suonare. Se non sento<br />

niente, è meglio non suonare.<br />

Isolarsi in uno spazio mentale di<br />

silenzio è un buon modo per far<br />

fluire le idee. Quello che sento<br />

spesso all’inizio di un concerto, o<br />

di una registrazione, è una trama,<br />

una melodia, un colore o un suono<br />

di qualche tipo. Cerco di andare in<br />

una direzione con quella traccia,<br />

che può portare a un luogo inaspettato,<br />

a una conquista armonica.<br />

Mi piace quando succede, e<br />

di solito tutto il resto si sviluppa<br />

da lì.<br />

Trascorre una buona parte<br />

dell’anno in Europa: quali<br />

sono le tue impressioni, non<br />

solo come musicista, riguardo<br />

al vecchio continente?<br />

Come molti musicisti americani, sono stato spesso in tournée in<br />

Europa, adesso la frequento per motivi personali. Sono affascinato<br />

dalla storia e dalla cultura che è riscontrabile ovunque. Mi piace<br />

visitare vari Paesi e sentire, e a volte suonare, con alcuni grandi<br />

musicisti che ho incontrato. Il bello del jazz è che ancora adesso è<br />

una musica che non conosce confini.<br />

Le è capitato di collaborare con qualche big band<br />

radiofonica europea?<br />

Solo una volta un paio d’anni fa, con la big band di Amburgo, sotto<br />

la direzione del compositore e direttore d’orchestra Hans Koller. È<br />

stato divertente, Hans mi ha compreso al volo e ha reso tutto molto<br />

facile, e la band è stata eccellente.<br />

Come riesce a controllare il flusso creativo quando suona?<br />

Quando il flusso si incanala la musica si sviluppa da un luogo profondo.<br />

So come aiutarla a fluire, ma non riesco a spiegarlo e soprattutto<br />

non riesco a controllarlo.<br />

Posso solo arrendermi alla potenza<br />

della musica stessa: ritengo che sia<br />

la soluzione migliore.<br />

Qual è lo stato del jazz oggi, in<br />

che forma lo considera? Prima<br />

ha sottolineato la libertà anche<br />

in termini di confini e stimoli:<br />

cosa ha aggiunto alla sua vita?<br />

Credo fermamente che suonare<br />

musica, cercando di farlo bene, mi<br />

abbia reso una persona migliore.<br />

Più si è centrati con se stessi e più<br />

è facile essere aperti a cose nuove,<br />

ad accoglierle sia dall’esterno che<br />

dall’interno, imparando di più su<br />

questo mestiere. Questo processo<br />

porta sicuramente a fare della musica<br />

migliore. Per me è importante<br />

non solo essere un buon musicista<br />

ma anche un buon essere umano.<br />

Che incoraggiamento potrebbe<br />

lasciare alla prossima<br />

generazione di jazzisti?<br />

Di essere fedeli a se stessi, di suonare<br />

quello che si ha dentro, di<br />

lavorare sodo. Se si è sinceri con<br />

la musica allora si entra in un’altra<br />

dimensione: quando sono profondamente<br />

coinvolto, sia che si tratti<br />

di suonare in un concerto o di provare<br />

in studio o a casa , non sono<br />

neanche consapevole del tempo<br />

che passa... potrebbe passare anche<br />

un’ora o due prima che me ne<br />

accorga. Mi trovo sempre disponibile a vagliare collaborazioni con<br />

musicisti di tutte le età: quando si stabilisce un contatto con un<br />

musicista, l’obiettivo è di arrivare a quel livello profondo che tutti<br />

noi ricerchiamo e amiamo. A quel livello l’età sparisce e questo<br />

accade anche con musicisti ancora più grandi anagraficamente,<br />

anzi, vuole sapere una cosa? Nessuno di noi si considera vecchio.<br />

E credo di sapere anche il perché. I musicisti della mia generazione,<br />

quelli a cui sono vicino come esperienza, condividono un<br />

desiderio, quello del miglioramento costante: vogliamo continuare<br />

a imparare, a suonare meglio, possibilmente in modo anche diverso,<br />

rispetto a quanto abbiamo fatto prima. Non vedo come un<br />

musicista completo possa continuare a svilupparsi e crescere a<br />

qualsiasi età se non in questa maniera, a meno che non rimanga<br />

un appassionato studente di musica.<br />

79


SELECTOR<br />

di Vittorio Pio<br />

Bill Evans<br />

LIVE AT<br />

RONNIE<br />

SCOTT’S<br />

Resonance/Ird<br />

Terzo capitolo di questa<br />

incredibile serie<br />

dedicata a un trio<br />

delle meraviglie,<br />

che sta avendo una<br />

sua aurea documentazione<br />

postuma.<br />

Il Ronnie Scott’s è<br />

uno dei salotti di velluto del jazz mondiale,<br />

con un’atmosfera che continua a essere unica<br />

dal 1959, anno della sua fondazione, malgrado<br />

un trasloco in quello che è ancora oggi il<br />

suo ricercato indirizzo londinese di SoHo. Anche<br />

l’incensato Live In England, pubblicato<br />

l’anno scorso dalla stessa label, era relativo a<br />

un ingaggio nella stessa venue, ma si riferiva<br />

al decennale del club, con una formazione<br />

che, oltre al fidatissimo Eddie Gomez, comprendeva<br />

Marty Morell alla batteria. Dopo le<br />

session dimenticate in casa MPS, nel cuore<br />

della selva nera tedesca e l’ingaggio in Belgio,<br />

che seguirono di poco l’acclamato concerto<br />

di Montreux, il festival svizzero inaugurato<br />

solo l’anno precedente, quella fortunata estate<br />

del 1968 si chiuse con un mese consecutivo<br />

al Ronnie Scott’s. Di quelle nottate trionfali<br />

restavano dei nastri gelosamente custoditi<br />

nell’archivio personale di Jack De Johnette,<br />

che ricorda così quel periodo di particolare<br />

enfasi creativa: “È stato fantastico stargli<br />

accanto: questi album documentano un<br />

musicista in stato di grazia, che sarebbe diventato<br />

un riferimento assoluto e ispirazione<br />

costante non solo per i pianisti. Nelle magiche<br />

serate londinesi l’interplay crebbe di sera<br />

in sera: sono orgoglioso di aver contribuito a<br />

una testimonianza ufficiale.” Evans dal canto<br />

suo, con l’impareggiabile sodalizio condiviso<br />

assieme a Paul Motian e Scott LaFaro, aveva<br />

già rivoluzionato la formula del piano trio.<br />

Di lui si sa che non gradiva particolarmente<br />

i batteristi, singolare quindi che fosse rimasto<br />

folgorato dal drumming poliritmico<br />

di DeJohnette, un giovane dal gran talento,<br />

fattosi largo pochi mesi prima nel quartetto di<br />

Charles Lloyd e che era in procinto di passare<br />

alla corte di Miles Davis, spesso presente in<br />

quelle serate al club, per sostituire un “certo”<br />

Photo © 1969 Veryl Oakland<br />

Bill Evans<br />

80 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


Tony Williams. Con il divino trombettista,<br />

il batterista di Chicago sarebbe rimasto per<br />

quasi quattro anni, rivestendo un ruolo cruciale<br />

nella svolta elettrica di Miles, il cui fiuto<br />

gli aveva già fatto prenotare una seduta in<br />

studio per documentare l’ammirazione per<br />

Jimi Hendrix. Quando ormai sembrava che<br />

tutti gli accordi fossero ratificati, il progetto<br />

di realizzare un album svanì nel nulla. Nella<br />

sua autobiografia Davis ammetterà che non<br />

se n’era fatto nulla sia per un’inconciliabilità<br />

tra i suoi orari e quelli di Hendrix sia per il suo<br />

compenso, decisamente troppo basso. Rispetto<br />

alla deriva colta e melanconica che aveva<br />

contraddistinto Evans fino a quel momento,<br />

De Johnette portava con sé una dote di creatività<br />

e autorevolezza che era andata inesorabilmente<br />

a fiaccarsi rispetto alla fuoriuscita di<br />

Paul Motian e dai frequenti cambi di formazione<br />

(e di umore), che avrebbero contraddistinto<br />

l’estetica del pianista dal quel momento<br />

in poi. Ci troviamo immersi in un doppio set<br />

pieno di prelibatezze, nella massima varietà<br />

possibile concessa dalla formazione in solo,<br />

duo e trio (fra cui la disneyana Someday My<br />

Prince Will Come, spesso associata all’impareggiabile<br />

versione in sordina di Miles), radiosi<br />

gioielli di casa - Waltz For Debby e Turn<br />

Out the Stars - e tutta la squisita musicalità<br />

racchiusa anche nel gusto esecutivo di Round<br />

Midnight, Stella By Starlight, Alfie, Embreaceable<br />

You, standard sognanti e pregiatissimi.<br />

Non meno che perfetto l’apporto di Gomez:<br />

grazie a un fraseggio estremamente mobile<br />

e votato all’interplay, rappresentò uno dei<br />

partner ideali del pianista del New Jersey.<br />

La musica è distillata con vigorosa eleganza:<br />

ardite concezioni armoniche puntellano<br />

una nuova e seducente coesione artistica<br />

e un linguaggio espressivo di un’intensità<br />

senza pari. La registrazione è ottima,<br />

la confezione (libretto estensivo con foto<br />

dell’epoca, saggi e altre testimonianze<br />

commissionate, fra cui una dell’attore<br />

Chevy Chase, che si scopre essere compagno<br />

di studi di Donald Fagen), di lusso.<br />

Per sublimare un simile stato di grazia<br />

c’è anche l’ulteriore colpaccio del produttore<br />

Zev Feldman, capace di scovare una<br />

splendida cover del tutto inedita firmata<br />

da David Stone Martin, l’illustratore caro a<br />

Norman Granz, che caratterizzò con il suo<br />

tocco fatato l’epopea della Verve Records.<br />

Vittorio Pio<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 81


SELECTOR<br />

di Antonio Gaudino<br />

Stan Getz<br />

GETZ<br />

AT THE GATE<br />

Verve – 1961<br />

Tempo fa,<br />

qualche<br />

topo di archivio<br />

si è<br />

intrufolato<br />

in quello<br />

della<br />

celeberrima label americana<br />

Verve, scoprendo un live set<br />

inedito di Stan Getz, registrato<br />

59 anni fa in un locale dimenticato<br />

o meglio poco utilizzato<br />

da produttori e ingegneri, con<br />

un’acustica insperata per i tempi.<br />

Se a questo aggiungiamo<br />

che la rara istantanea di Getz<br />

ce lo restituisce in una forma<br />

smagliante, di ritorno dal suo<br />

lungo soggiorno scandinavo e<br />

poco prima di fare incursione<br />

nei territori bossa nova scoperti<br />

da Jobim e Gilberto, con una<br />

sezione ritmica di rara avanguardia,<br />

il reperto diventa una<br />

“pepita” fondamentale nella<br />

vasta discografia di Getz.<br />

Il disco vola sulla spinta energica<br />

dall’interazione tra Stan<br />

Getz e il drummer Roy Haynes.<br />

Va detto che il batterista si è<br />

sempre definito un batterista<br />

swing della vecchia guardia,<br />

ma è indiscutibile che in questo<br />

live mostri a tutta la scena jazz<br />

dell’epoca che la sua immensa<br />

capacità di guidare una band<br />

hard & swing è ottimamente<br />

bilanciata da un’invenzione<br />

ritmica di prim’ordine, non c’è<br />

dubbio. L’apertura di It’s All<br />

Right With Me è una chiara<br />

dichiarazione di intenti: non si<br />

fanno prigionieri, evidenziando<br />

l’approccio affiatato e deciso<br />

della band. Ma nell’album il<br />

ruolo chiave viene interpretato<br />

dal lato lirico del sassofonista<br />

fiorito in terra svedese, dove<br />

emergono brillando Steve Kuhn<br />

e John Neves. Va detto che Roy<br />

Haynes aveva trascorso cinque<br />

anni precedentemente come<br />

batterista nel trio di Sarah<br />

Vaughan e, forte di quell’esperienza<br />

recente, con saggezza<br />

mette a disposizione di Kuhn<br />

e Getz l’abile supporto ritmico<br />

mentre Kuhn disegna al meglio<br />

le armonie che ispirano Getz<br />

verso esecuzioni emozionanti,<br />

come nel caso di Where Do You<br />

Go? e When’ di Harold Arlen<br />

The Sun Comes Out, composte<br />

da Alec Wilder.<br />

Ogni singola traccia di questo<br />

set ha qualcosa di importante<br />

e speciale, e va elogiata l’operazione<br />

della Verve di aver scelto<br />

di pubblicare l’intera registrazione<br />

in una sequenza ordinata.<br />

Anche se il secondo set di registrazioni<br />

ha più ballate, il duo<br />

Getz/Haynes si incontrano e<br />

scontrano nel muscoloso sound<br />

di 52nd St Theme. In conclusione:<br />

per essere una registrazione<br />

live realizzata in un solo giorno<br />

si può definire perfetta in termini<br />

di qualità, e consente a noi<br />

tutti di condividere un periodo<br />

raro e senza grandi incisioni<br />

della carriera di Getz.<br />

82 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


Jazz<br />

di Vittorio Pio<br />

Keith Jarrett<br />

BUDAPEST<br />

CONCERT<br />

Ecm\Ducale<br />

Mentre<br />

è in<br />

arrivo<br />

u n a<br />

retrospettiva<br />

fotografica curata da Roberto<br />

Masotti, che ha rivestito un<br />

ruolo cardine per la diffusione<br />

della cultura musicale ed estetica<br />

dell’ECM in Italia, il nome<br />

di Keith Jarrett continua a rappresentare<br />

un caposaldo dell’etichetta<br />

tedesca legata alla musica<br />

contemporanea. Il pianista<br />

americano che da poco ha<br />

compiuto 75 anni non si trova<br />

nelle migliori condizioni psicofisiche:<br />

la morte del suo fedele<br />

amico e contrabbassista Gary<br />

Peacock ha difatti sancito la<br />

fine di un epopea meravigliosa<br />

vissuta all’interno dello standard<br />

trio completato da Jack<br />

DeJohnette, e lui stesso ha dichiarato<br />

al “New York Times”<br />

che dopo aver subito due ictus,<br />

ormai non si sente più un pianista,<br />

visto l’uso compromesso<br />

delle mani. L’ultima esibizione<br />

pubblica risale ormai a quattro<br />

anni fa: sarà davvero molto<br />

difficile rivederlo suonare ancora<br />

in presa diretta, per cui<br />

niente di meglio di questa serie<br />

di concerti live che continua a<br />

rovistare nel meglio delle sue<br />

celebrate esibizioni intorno al<br />

mondo. Si torna indietro al<br />

2016 quindi, a Budapest, proprio<br />

dove la famiglia Jarrett ha<br />

le sue radici, per una lezione<br />

di stile divisa in dodici parti<br />

comprese fra i 4 e i 14 minuti,<br />

in cui il coinvolgimento emotivo<br />

tracima nella declinazione<br />

sopraffina di jazz, folk, blues<br />

e musica colta. La partenza è<br />

tumultuosa e cerebrale: Jarrett<br />

sembra arrovellarsi intorno<br />

alla strada da prendere,<br />

che imbrocca definitivamente<br />

dalla quinta parte in poi, quella<br />

che apre la seconda parte del<br />

concerto, fino all’arrivo distensivo<br />

e lirico nei due pregiati e<br />

poco battuti classici It’s a lonesome<br />

old town e Answer,<br />

my love, nostalgici e toccanti<br />

nella capacità del nostro di<br />

calarsi nella nuance melodica<br />

dei brani dall’interno, per<br />

una prova di alto e raffinato<br />

magistero. La seconda parte<br />

di questo concerto è da annoverare<br />

alle vette più alte di una<br />

carriera sensazionale che pare<br />

al suo definitivo crepuscolo.<br />

Registrazione impeccabile per<br />

timbrica e ricostruzione della<br />

scena.<br />

83


SELECTOR<br />

Elina Duni\Rob Luft<br />

LOST SHIPS<br />

Ecm\Ducale<br />

Centro pieno per<br />

questo primo capitolo<br />

congiunto<br />

di due fra le individualità<br />

più<br />

interessanti messe in evidenza<br />

dall’instancabile ricerca di Manfred<br />

Eicher, che sigillano un disco<br />

sfaccettato (cantato in ben<br />

quattro lingue fra cui il dialetto<br />

salentino) e ispirato da un camerismo<br />

d’impronta mediterranea,<br />

insieme alla presenza di Mathieu<br />

Michel (flicorno) e Fred Thomas<br />

(pianoforte e batteria). “Questo è<br />

un album sui problemi contemporanei<br />

che tutti noi abbiamo<br />

dovuto affrontare”, ricordano i<br />

due leader e protagonisti, “con<br />

la tragica storia della crisi migratoria<br />

in Europa e lo scempio<br />

compiuto ai danni della natura.<br />

È anche un album sui luoghi in<br />

cui siamo stati e che abbiamo<br />

amato, luoghi che non esistono<br />

più o continuano a esistere solo<br />

come un frammento della nostra<br />

immaginazione. Ci sono canzoni<br />

che toccano influenze del passato,<br />

così come abbiamo voluto esplorare<br />

anche altre radici musicali:<br />

ballate jazz senza tempo, canzoni<br />

francesi, canzoni popolari americane…<br />

Accanto alla severità che si<br />

trova in molti di questi brani, c’è<br />

una leggerezza che pervade tutto<br />

e crediamo che questa luce possa,<br />

e farà, eclissare questi tempi difficili.”<br />

Un gioiellino che si apre con<br />

Bella ci dormi, tramandata a noi<br />

dall’eccelso lavoro compiuto dal<br />

Canzoniere Grecanico Salentino<br />

e ripreso in tempi recenti da Piers<br />

Faccini, ex-pupillo di Ben Harper.<br />

Ma la vera magia volteggia nei<br />

canti del prediletto albanese (la<br />

Duni è nata a Tirana quarant’anni<br />

fa, ma è cresciuta poi in Svizzera):<br />

in Kur Më Del Në Derë e N’at<br />

Zaman colpisce il dialogo senza<br />

rete fra gli strumenti. Nessuno<br />

sembra accompagnare l’altro<br />

laddove tutti e quattro viaggiano<br />

in parallelo, come se fossero gli<br />

uni l’ideale prolungamento - e<br />

completamento - degli altri. C’è<br />

poi la straordinaria ripresa di I’m<br />

A Fool To Want You, comunemente<br />

associata a Billie Holiday,<br />

in cui splende l’eleganza di<br />

Matthieu Michel, e in chiusura<br />

un brano tratto dal repertorio di<br />

Charles Aznavour, quella Hier<br />

encore tutta giocata sull’equilibrio<br />

perfetto della narrazione e di armonici<br />

sapientemente prodotti<br />

dalla chitarra acustica di Luft, in<br />

bilico fra classico, folk e improvvisazione.<br />

“Il mio intento”, chiude la<br />

Duni “è stato quello che i musicisti<br />

avessero molto spazio per improvvisare,<br />

e io per sperimentare<br />

con la voce. Col tempo, abbiamo<br />

sviluppato un’intesa fra noi che<br />

ci consente di muoverci dovunque<br />

vogliamo andare”. In ogni<br />

lacrima c’è una luce che sorge,<br />

senza scadere in un accademico<br />

manierismo.<br />

Vittorio Pio<br />

Black Art Jazz Collective<br />

ASCENSION<br />

Highnote – 2020<br />

Si intitola Ascension<br />

il nuovo album<br />

dei Black Art Jazz<br />

Collective, il sestetto<br />

made in USA con il<br />

chiaro intento di rendere alto il<br />

nome del jazz classico con suoni<br />

e una ritmica che scavano nel<br />

miglior hard bop dei 60s e 70s.<br />

La band nasce nel 2012 dall’idea<br />

del batterista Johnathan Blake,<br />

con Jeremy Pelt alla tromba e<br />

Wayne Escoffery al sax tenore,<br />

capaci di mescolare la miglior<br />

tradizione jazz a intuizioni attuali<br />

e proprie. Ascension è un gran<br />

bell’album che riesce a flettere i<br />

muscoli della ritmica sin dal primo<br />

e omonimo brano, che ricorda<br />

molto da vicino l’Hard-Bop degli<br />

Eastern Rebellion attingendo al<br />

lirismo jazz della metà dei ’70<br />

grazie ai ritmi febbrili che non<br />

mollano mai la presa, proseguendo<br />

in crescendo nel secondo<br />

brano in scaletta Mr. Willis,<br />

un’alternativa meno bizzarra ma<br />

convincente di quella “Bolivia”<br />

che incantò Freddie Hubbard<br />

tanto da farne una rilettura in<br />

grande stile, ai tempi. La musica<br />

di Ascension è ingannevolmente<br />

semplice, assertiva e diretta con<br />

molti colpi di scena stimolanti<br />

che percorrono tutte e nove le<br />

composizioni che formano questo<br />

gioiello appena uscito.<br />

Antonio Gaudino<br />

84 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


SELECTOR<br />

di Paolo Corciulo<br />

Ani DiFranco<br />

REVOLUTIONARY<br />

LOVE<br />

Righteous Babe Records - 2021<br />

“...dopo quello che<br />

sembra un danno<br />

imperdonabile,<br />

dove si va? Non ci<br />

si può buttare fuori<br />

dal pianeta, non si<br />

può cambiare il passato, e allora?”.<br />

Il tempo, come l’acqua<br />

che scorre, smussa gli spigoli e le<br />

asperità e anche Ani DiFranco,<br />

oggi cinquantunenne, si trova a<br />

fare i conti, proprio in uno dei<br />

momenti più drammatici per chi<br />

si trova a vivere questi anni, con<br />

pregi e difetti della maturità che,<br />

in termini sonori e nell’arco dei<br />

22 album che contraddistinguono<br />

la sua carriera (l’ultimo, questo,<br />

ad aprire il 2021), suggerisce<br />

di guardare alle cose non solo<br />

con la rabbia e l’aggressività ma<br />

con la riflessione e un anelito di<br />

speranza perché, appunto, un<br />

altro mondo dove svernare non<br />

c’è! E così, pur non rinunciando<br />

ai temi di protesta e di impegno<br />

sociale che traspaiono dalle sue<br />

liriche, Ani DiFranco ha lavorato<br />

nel tempo sull’uso della voce e<br />

sugli arrangiamenti via via sempre<br />

più lontani da quella scelta<br />

essenziale e centrata sulla sua<br />

chitarra, peraltro magistralmente<br />

percossa alla ricerca di ritmi<br />

sincopati con una voce che ne<br />

arrotondava l’incedere. Era il<br />

1989 quando, diciottenne, fonda<br />

una propria casa discografica,<br />

la Righteous Babe Records, per<br />

suonare e diffondere come voleva<br />

la sua musica; con questa,<br />

incide e dà alle stampe l’album<br />

omonimo, una perla davvero<br />

imperdibile che trasuda tutto il<br />

disappunto e la rabbia verso il<br />

potere, come i successivi Not So<br />

Soft e Imperfectly, che offrono<br />

una matrice rock progressiva<br />

poi sostituita da una sorta di folk<br />

rock (il folk era la passione dei<br />

genitori), comunque denso della<br />

grande energia della DiFranco,<br />

che per esperienza diretta (vista<br />

più volte dal vivo) ne aveva da<br />

vendere!<br />

Revolutionary Love è decisamente<br />

qualcosa di diverso con<br />

una dimensione orchestrale<br />

dove la mitica chitarra della Di-<br />

Franco scompare (non il senso<br />

del ritmo, però) e dall’atmosfera,<br />

quella intima e raffinata di<br />

un club. Un disco elegante che<br />

per certi versi, nella capacità<br />

di affondare le sue radici in<br />

un mix jazzy – soul, ricorda Sade<br />

e il suo incontrastato Smooth<br />

Operator declinato in una salsa<br />

meno fashion e più irsuta. Uno<br />

più bello dell’altro i brani, soprattutto<br />

dopo qualche ascolto,<br />

quando si è entrati nel mood di<br />

un percorso sonoro che, per voce<br />

stessa della DiFranco, è “sgorgato<br />

con immediatezza”. Poi<br />

il lavoro del produttore Tchad<br />

Blake (Black Keys, Los Lobos,<br />

Tom Waits) ha coniugato con<br />

eleganza (con una qualità tecnica<br />

della registrazione di tutto<br />

rispetto) la dimensione intima<br />

del paesaggio sonoro disegnato<br />

dall’artista che, anche a livello<br />

di artwork, ha voluto lanciare<br />

il suo messaggio: “Quando le<br />

persone ascoltano questo disco,<br />

voglio che provino la stessa<br />

sensazione che ho avuto dalle<br />

foto del cielo di Susan (la sua<br />

ex tour manager – ndr.), quella<br />

sensazione di prendersi un minuto<br />

per realizzare che la luce<br />

sta brillando intorno a noi e<br />

attraverso di noi”. Un invito a<br />

guardare in alto, in tutti i senti.<br />

E se il buon giorno si vede<br />

dal mattino, questo 2021 sarà<br />

un anno bellissimo, almeno<br />

musicalmente parlando!<br />

PS: se volete ritrovare tracce<br />

della vecchia Ani DiFranco,<br />

Simultaneously (nona traccia<br />

dell’album) non vi deluderà!<br />

86 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


Rock<br />

di Il Tremila<br />

Antonella Ruggiero<br />

EMPATIA<br />

shop.antonellaruggiero.com<br />

Non lasciatevi<br />

sviare<br />

dal fatto<br />

che Empatia<br />

è<br />

un disco<br />

sostanzialmente autoprodotto, né<br />

che è la testimonianza live di un<br />

concerto a fini benefici (dedicato<br />

al volontariato): si tratta a tutti gli<br />

effetti di un disco… disco, tutt’altro<br />

che un’opera di nicchia e la<br />

sua forza sta proprio nella sua<br />

dimensione live, catturata, nelle<br />

intenzioni utilizzando un multitraccia<br />

digitale ma masterizzata<br />

anche con apparecchiature viniliche<br />

come il compressore Manley<br />

Variable MU e dall’equalizzatore<br />

GML 8200, utilizzati per le<br />

tracce di strumenti acustici quali<br />

i fiati, l’arpa, l’arciliuto e il violoncello<br />

mentre le percussioni sono<br />

state processate con il preamplificatore<br />

valvolare Thermionic<br />

Culture Rooster e il simulatore di<br />

nastro Rupert Neve Portico 5042.<br />

Ne nasce uno spaccato di quella<br />

splendida artista che è Antonella<br />

Ruggiero che aggiunge un ulteriore<br />

piano a quel caleidoscopio<br />

insondabile della sua personalità<br />

che rifulge e al tempo stesso<br />

è attirata dalle luci della ribalta:<br />

dopo 14 anni con i Matia Bazar,<br />

una pausa di sette, il ritorno sulle<br />

scene nel 1996, persino una<br />

presenza a Sanremo mentre l’ultimo<br />

suo lavoro, Quando facevo<br />

la cantante (2018), somiglia a<br />

un lascito definito… E invece no:<br />

ecco Empatia, che l’artista ha deciso<br />

di distribuire da sola e che<br />

ripropone il fortunato sodalizio<br />

con Roberto Colombo, uno dei<br />

migliori arrangiatori e produttori<br />

italiani di sempre. Colombo, che<br />

nell’album suona vocoder e organo<br />

liturgico, è affiancato da una<br />

originale formazione composta<br />

da Maurizio Camardi (saxofoni,<br />

duduk e flauti), Sabir e il suo<br />

quartetto di musicisti (Alessandro<br />

Tombesi all’arpa, Ilaria Fantin<br />

all’arciliuto, Alessandra Moro al<br />

violoncello e Alessandro Arcolin<br />

alle percussioni) che dà origine a<br />

un sound davvero particolare con<br />

il contributo dell’acustica della Basilica<br />

di Sant’Antonio a Padova.<br />

L’ambienza è davvero immanente<br />

nella registrazione ma dicevamo<br />

che l’opera è curata tecnicamente<br />

“nelle intenzioni” perché, al netto<br />

di tutto, soprattutto la voce perde<br />

di quella potenza che è propria<br />

della Ruggiero, spostata verso la<br />

porzione alta dello spettro.<br />

Questo non compromette il piacere<br />

di ascoltare i quindici i brani,<br />

uno più bello dell’altro, dove<br />

comunque la voce della Ruggiero<br />

probabilmente dal vivo (per l’occasione<br />

la Basilica era stracolma<br />

anche se in fase di missaggio<br />

sono stati tralasciati gli applausi<br />

tra i vari brani) riesce addirittura<br />

a superare se stessa in termini di<br />

partecipazione. Non solo per questo<br />

Empatia è un disco davvero<br />

imperdibile; è la riprova, ad esempio,<br />

dell’impatto degli arrangiamenti<br />

e del ruolo del produttore<br />

(vedi l’articolo su Phil Spector nella<br />

pagine iniziali di questo numero<br />

di <strong>SUONO</strong>) in una produzione<br />

musicale: lo stesso Colombo, di<br />

fronte a Echi dall’infinito (che la<br />

Ruggiero portò a Sanremo 2005<br />

ottenendo un immeritato terzo<br />

posto - immeritato nel senso che<br />

avrebbe dovuto vincere a mani<br />

basse) riesce a estrarne una dimensione<br />

lontana dalla versione<br />

sanremese ma non per questo<br />

meno intensa, anzi! Qualcosa<br />

di simile vale anche per Cavallo<br />

Bianco, lontano dagli echi sperimentali<br />

dei Mattia Bazar in<br />

una rilettura intimista e intensa,<br />

mentre i due omaggi a De André<br />

(L’Ave Maria laica e Creuza<br />

de Ma) sono la testimonianza<br />

di quale valore aggiunto possa<br />

essere lo strumento voce della<br />

Ruggiero. Il resto… è gioia e<br />

sorpresa per i registri sonori che<br />

Antonella Ruggiero riesce a proporci<br />

e ci proporrà, perché “dopo<br />

aver fatto la cantante c’è ancora<br />

ricerca, ancora voce, ancora<br />

musica”!<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 87


SELECTOR<br />

di Vittorio Pio<br />

Tom Petty<br />

WILDFLOWERS<br />

& ALL THE REST<br />

Warner Music<br />

Appuntamento<br />

imperdibile<br />

per tutti<br />

gli amanti<br />

del folk rock<br />

americano in<br />

questa versione definitiva dell’altisonante<br />

rendez-vous in studio<br />

fra Tom Petty e Rick Rubin.<br />

Uscito originariamente nel ’94<br />

e senza, almeno in apparenza,<br />

l’apporto degli Heartbreakers (in<br />

realtà sono tutti presenti tranne<br />

il batterista Stan Lynch che rappresentò<br />

la vera spina nel fianco<br />

di quel periodo), questo album<br />

ottenne delle ottime accoglienze<br />

da parte di pubblico e critica;<br />

Petty non se ne dichiarò mai del<br />

tutto contento laddove, al contrario,<br />

il cambio di passo risulta<br />

oggettivo: Wildflowers ha i suoi<br />

inni più rock, vero, ma consiste<br />

principalmente di ballate più<br />

lente, e di sentite odi al dolore e<br />

alle avversità della vita. Agli inizi<br />

degli anni ’90 Petty attraversa un<br />

periodo tormentato: professionalmente<br />

è in auge, alle spalle<br />

può annoverare anche un lunghissimo<br />

tour condiviso insieme<br />

a sua Maestà Dylan e Roger Mc<br />

Guinn (che toccò anche l’Italia<br />

grazie all’acume di David Zard),<br />

ma sul piano personale il rocker<br />

incassa il fallimento di un matrimonio<br />

e un processo di rinnovamento<br />

che riguarderà anche un<br />

flusso creativo molto copioso, al<br />

punto di riuscire a scrivere materiale<br />

buono per chiudere almeno<br />

un doppio album. Alla fine il nostro<br />

accettò di pubblicare un’edizione<br />

singola, anche perché si<br />

trattava di bagnare l’esordio per<br />

una major come la Warner e quel<br />

disco suona potente e originale<br />

ancora oggi: partite dalla perentoria<br />

Time To Move On che fa il<br />

paio con il rock and roll di You<br />

Wreck me, la limpidezza di To<br />

Find A Friend, un talking blues<br />

pianistico che innesca l’epica It’s<br />

Good To Be King, che da quel<br />

momento in poi diviene uno<br />

dei momenti più attesi dei suoi<br />

live. Sa colpire il nostro Tom,<br />

ma anche ammaliare (A Higher<br />

Place). Sa essere duro ma anche<br />

vulnerabile, con l’eleganza formale<br />

di Crawling Back To You.<br />

Risolte le inevitabili baruffe legali<br />

fra le figlie di primo letto e<br />

la seconda moglie, ecco questa<br />

versione allargata e definitiva<br />

in pluri-formato che parte dal<br />

perno fisso di Wildflowers e All<br />

The Rest, che allinea dieci pezzi<br />

di cui cinque inediti assoluti -<br />

nel terzo CD ci sono le demo (15<br />

canzoni, di cui 3 inedite e le versioni<br />

sono tutte mai pubblicate)<br />

in solitario per voce, chitarra e<br />

basso, spesso stravolte. Il quarto<br />

è l’album, dal vivo: Petty scelse<br />

di andare comunque in tour<br />

insieme agli Heartbreakers con<br />

il nuovo, tentacolare batterista<br />

Steve Ferrone - e l’impatto della<br />

band sui brani è fantastico (basta<br />

sentire la versione da 11 minuti<br />

di It’s good to be king con le<br />

scorribande fra chitarra e piano<br />

di Mike Campbell e Benmont<br />

Tench), e una manciata di live<br />

tracks tratti da concerti registrati<br />

negli ultimi anni di carriera,<br />

che prendono rispettivamente<br />

il posto in tre o addirittura sette<br />

LP molto ben prodotti. Per chi<br />

non ne avesse abbastanza c’è<br />

un’ulteriore stra-limited edition,<br />

che viene venduta solo ai<br />

fan incalliti direttamente sul<br />

sito dell’artista. Ottima la qualità<br />

della stampa, nel nostro<br />

caso un triplo gatefold e doppia<br />

copertina interna, in cui lo<br />

sguardo viene catturato da foto<br />

e disegni di Tom mai visti prima<br />

e posizionati con grande gusto<br />

e passione. In altre parole siamo<br />

di fronte a uno splendido<br />

e degnissimo omaggio, fatto di<br />

amore e rispetto nei confronti<br />

di uno dei fiori più rigogliosi<br />

del r’n’ r, reciso con malvagia<br />

prematurità.<br />

88 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


Lou Reed<br />

NEW YORK<br />

DE LUXE<br />

Warner<br />

Rock<br />

di Vittorio Pio<br />

Prodotto con intelligenza<br />

e stile,<br />

New York è<br />

un capolavoro<br />

di adult-rock<br />

vibrante e sanguigno,<br />

che riporta il nostro eroe<br />

al centro della scena dopo un<br />

periodo di suoni posticci e male<br />

amalgamati: il peggio degli anni<br />

‘80 (videoclip compresi), da cui<br />

Reed si leva con un agile colpo<br />

di reni dedicando, finalmente,<br />

un robusto concept album alla<br />

sua città che viene posta sotto la<br />

sua implacabile lente di ingrandimento<br />

con il consiglio personale<br />

di ascoltarlo dall’inizio alla<br />

fine in unica seduta, come se ci si<br />

trovasse a leggere un libro o vedere<br />

un film. Le 14 canzoni che<br />

componevano il disco squadrano<br />

un mondo di violenza (sia nelle<br />

strade che sui minori), vizi e vita<br />

ai margini del palcoscenico centrale,<br />

come ribadisce la prosa circolare<br />

di Dirty Boulevard, oltre<br />

al devastante impatto che l’Aids<br />

stava avendo proprio a quei<br />

tempi nei confronti di vari strati<br />

sociali in Halloween Parade. Il<br />

tutto unito ad una feroce critica<br />

politica che vedeva il nostro<br />

scagliarsi apertamente contro<br />

George Bush Sr., Jesse Jackson,<br />

Papa Wojtyla, il segretario ONU<br />

Kurt Waldheim che per Lou era<br />

un nazista neanche tanto mancato,<br />

il già allora capitalista ingombrante<br />

Donald Trump e l’allora<br />

procuratore del distretto sud di<br />

NY e futuro sindaco della città<br />

Rudy Giuliani. Oltre alla sua ex<br />

collega Maureen “Moe” Tucker,<br />

Reed in veste anche di produttore<br />

è affiancato da una nuova,<br />

robustissima band in cui ci sono<br />

Mike Rathke alla seconda chitarra,<br />

Rob Wasserman al basso<br />

elettrico, e il co-produttore Fred<br />

Maher alla batteria. Da ricordare<br />

anche la presenza vocale di Anthony,<br />

allora quasi al debutto. Il<br />

box si presenta in dignitosa foggia<br />

e interesse certo anche per<br />

i fan non devoti: l’immancabile<br />

versione rimasterizzata dell’album<br />

originale ne migliora di<br />

parecchio la dinamica, a seguire<br />

la sua granitica esecuzione live,<br />

presa da vari concerti e altrettante<br />

venues intorno al mondo.<br />

Con una scelta molto azzeccata,<br />

nessuna di queste tracce è uguale<br />

a quella del DVD che, però, allinea<br />

solo la prima parte di quel<br />

concerto, quella appunto relativa<br />

a questo disco, come era stato<br />

fatto nelle prime versioni in VHS<br />

e Laserdisc, mancando del tutto<br />

la seconda. Il terzo disco è quello<br />

più interessante, in quanto<br />

raccoglie 14 rarità con provini,<br />

rough mix e work in progress<br />

della scaletta finale. Fra le chicche<br />

anche le versioni live eseguite<br />

nel tour del 1989 di due classici<br />

come Sweet Jane e l’insuperabile<br />

anthem rappresentato da Walk<br />

on the Wild Side. Ottima anche la<br />

stampa in doppio vinile (l’originale<br />

era singolo) del disco primigenio.<br />

A sigillo della confezione<br />

curata da Laurie Anderson e dal<br />

geniale produttore Hal Willner,<br />

anche un libretto sempre 12 x 12<br />

pollici con foto, memorabilia e<br />

nuove note di copertina a cura<br />

di Don Fleming, curatore dell’archivio<br />

di Reed e David Fricke, a<br />

lungo direttore editoriale del<br />

vero “Rolling Stone”.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 89


SELECTOR<br />

di Paolo Corciulo<br />

Zeromantra<br />

LA DISTANZA<br />

DI UN SEMITONO<br />

Storiedinote - 2020<br />

Puoi colorare un quadro<br />

già dalla cornice...<br />

C’è una<br />

profonda<br />

vena<br />

di lirismo<br />

negli<br />

Zero-<br />

Mantra, la cui opera prima si snoda<br />

su nove tracce, tutte che scorrono<br />

piacevolmente a disegnare<br />

cartoline di vita contrassegnate<br />

da temi musicali orecchiabili. La<br />

loro musica riesce a combinare<br />

semplicità e raffinatezza con un<br />

risultato altamente gradevole che<br />

risulta una ventata di freschezza,<br />

una sorta di toccasana per questi<br />

giorni da confinati dove l’invito a<br />

spaziare nella praterie della fantasia<br />

fa da contrappunto all’elogio<br />

degli spazi piccoli citato nel titolo<br />

(il semitono è quella distanza<br />

che unisce due note vicine) in un<br />

connubio che dipana una scala<br />

di colori vividi che si intrecciano<br />

in storie, vite, avventure, narrate<br />

con uno stile cantautoriale a dispetto<br />

di un assetto della band<br />

(due chitarre, basso, batteria) che<br />

è quello classico del pop-rock. Si<br />

sorride, ci si abbandona alla melanconia,<br />

persino a una ventata di<br />

ottimismo; da ogni brano quasi<br />

traspare il desiderio di riaprire<br />

quella metaforica finestra simbolicamente<br />

serrata dalle paure<br />

odierne, in un percorso rigenerante<br />

che si snoda lungo tutto l’album,<br />

scritto dal cantante e chitarrista<br />

Matteo Abatti e arrangiato<br />

dalla band. Sebbene si tratti di un<br />

esordio (i cinque componenti degli<br />

Zeromantra suonano insieme<br />

dal 2014, e si sente) c’è un’armonia<br />

sonora che è frutto del lavoro<br />

condiviso e che beneficia al<br />

massimo della vena creativa, sia<br />

musicale che di scrittura, di Abbati;<br />

a livello di prosa sono molti<br />

i passaggi che colpiscono come “si<br />

impara a decidere decidendo, si<br />

impara ad immaginare immaginando”<br />

(da Decidendo) ma ancor<br />

più lo fanno i 23 secondi del<br />

cameo di Silvano Agosti, regista,<br />

sceneggiatore, filosofo, scrittore,<br />

poeta e saggista italiano che regala<br />

una piccola perla di saggezza<br />

con il suo intervento parlato che<br />

imprudentemente l’ascoltatore<br />

potrebbe saltare (io inizialmente<br />

l’ho fatto) e che invece vi invito ad<br />

ascoltare riflettendoci su…<br />

Peccato per la qualità della registrazione,<br />

non così pessima da penalizzare<br />

il piacere d’ascolto (tutti<br />

belli i brani ma per me La scala<br />

dei colori è sopra gli altri) ma<br />

certamente carente dal punto di<br />

vista della dinamica, obolo quasi<br />

inevitabile ai dettami del business<br />

moderno. Al di là di tutto, La<br />

distanza di un semitono è molto<br />

vicino a essere imperdibile.<br />

90 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


Rock<br />

Ginevra Di Marco<br />

QUELLO<br />

CHE CONTA<br />

Universal - 2020<br />

È<br />

corretto, come<br />

riporta il comunicato<br />

stampa<br />

di presentazione<br />

dell’album, considerare<br />

Quello che conta (sottotitolo:<br />

Ginevra canta Luigi Tenco)<br />

come una rilettura e non una<br />

pedissequa riproposizione del<br />

lavoro di Tenco, autore a cui Ginevra<br />

Di Marco approda lungo il<br />

suo percorso di esplorazione che<br />

l’ha portata ad affrontare artisti<br />

e opere non solo musicali con<br />

Viola Nocenzi<br />

VIOLA NOCENZI<br />

Santeria - 2020<br />

una matrice cosmopolita priva<br />

di preconcetti. Collante di questo<br />

tragitto la voce educata e raffinata<br />

della Di Marco che, in particolare,<br />

dona all’opera di Luigi Tenco<br />

(se ve ne fosse bisogno e se sia<br />

possibile) una ulteriore ragione<br />

di essere. Questa reinterpretazione<br />

costituisce motivo, per i<br />

distratti e per chi ha dimenticato<br />

(e naturalmente per chi non<br />

l’ha conosciuto) per apprezzare<br />

l’opera di questo esponente<br />

della scuola genovese che ha<br />

animato, insieme a De André,<br />

Lauzi, Bindi (solo per citarne<br />

alcuni) una fortunata stagione<br />

della canzone italiana e ancor di<br />

più l’avrebbe fatto… Ginevra Di<br />

Marco aggiunge il suo stile elegante,<br />

arricchito delle partecipazioni<br />

di Dario Brunori, Massimo<br />

Zamboni e Giorgio Canali, per<br />

un risultato che anche per chi<br />

conosce l’opera di Tenco a menadito<br />

risulterà piacevole, inedito,<br />

a tratti sorprendente, sempre<br />

in grado di scatenare la magia di<br />

un artista che, come dichiara la<br />

Di Marco stessa, “è dentro di noi<br />

da sempre”. Peccato che a livello<br />

di qualità tecnica, non tanto<br />

nell’equilibrio timbrico quanto a<br />

livello di dinamica, l’album non<br />

sia completamente in linea con<br />

l’obiettivo di un prodotto raffinato.<br />

Si apprezzano comunque<br />

sonorità e disposizione degli attori<br />

in una dimensione piacevole.<br />

Il Tremila<br />

Dopo un paio di<br />

prove singole<br />

Viola Nocenzi<br />

approda a<br />

una sua prima<br />

opera di ampio respiro (circa 30<br />

minuti - la metà circa di un CD<br />

e in linea o quasi con i tempi degli<br />

LP di una volta) pubblicando<br />

sette tracce la cui musica è tutta<br />

di suo pugno, che inevitabilmente<br />

verranno considerate anche<br />

in relazione ai “nobili natali”,<br />

visto che il padre Vittorio e lo<br />

zio Gianni (che vi ha suonato il<br />

piano e curato arrangiamenti,<br />

produzione artistica, supervisione<br />

missaggi, mastering) hanno<br />

animato le sorti del Banco del<br />

Mutuo Soccorso. Ed è facile etichettare<br />

come “disco prog” disco<br />

che è “anche” prog (ma pure pop,<br />

siderale, algido, new romantico,<br />

rock…) ma soprattutto “difficile”,<br />

richiede ascolti attenti e ripetuti<br />

per farti entrare dentro; nel caratteristico<br />

stile vocale di Viola<br />

Nocenzi si avvertono reminiscenze<br />

di Tori Amos (artista che<br />

ha amato in gioventù) e dello<br />

studio della musica classica,<br />

mentre l’iniziale stravolgimento<br />

della metrica da straniante diventa<br />

valore aggiunto dell’album.<br />

Forti inflessioni liriche si avvertono<br />

in Lettera da Marte, brano<br />

che da singolo ha anticipato il<br />

disco; Entanglement potrebbe<br />

rappresentare un manifesto della<br />

new-prog addolcito da un ridotto<br />

intervento orchestrale e da una<br />

vena pop che qua e là fa capolino<br />

nell’intero album. Nel complesso<br />

la coppia Nocenzi – Pracanica<br />

(lo scrittore Alessio Pracanica ha<br />

scritto i testi di tutti i brani con<br />

l’eccezione di Bellezza, tutta della<br />

Nocenzi) dà vita a un’opera<br />

originale (forse musicalmente<br />

un po’ mono-tono) e raffinata, la<br />

mano di Gianni Nocenzi si sente,<br />

buon punto di partenza per la sua<br />

carriera ma anche per lo sviluppo<br />

di quel melting pot musicale<br />

che non cerca etichette e le vuole<br />

superare, a dispetto di pregi e difetti<br />

di essere figlia d’arte.<br />

Il Tremila<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 91


CUT ‘N’ MIX CONCERTI | CINEMA | LIBRI | SOCIETÀ | ARTE<br />

Le record cover<br />

ai tempi del rock anni ’70<br />

di Antonio Gaudino<br />

Le copertine dei vinili degli anni ’70 hanno segnato un’epoca per originalità e per aver “sottolineato”<br />

all’esterno la grande musica prodotta al loro interno. Difficile trovare un album negli anni ’70 rock con<br />

delle brutte copertine: si sceglievano i migliori fotografi, art designer, fumettisti e pittori, addirittura.<br />

Queste scelte sono tra le più importanti e interessanti da vedere e “ascoltare”, senza alcun dubbio.<br />

americana, allora quelli dei Deep Purple<br />

potevano a diritto rappresentare la storia<br />

della musica rock.<br />

Crosby Stills Nash & Young<br />

Déja Vu - Atlantic (1970)<br />

Foto: Tom Gundelfinger<br />

Design: Gary Burden<br />

Per un breve periodo all’inizio degli anni<br />

’70, i grafici ingaggiati dalle case discografiche<br />

si innamorarono della dicotomia fra<br />

“band giovane” e “immagine antica”: una<br />

manciata di formazioni (Steeleye Span,<br />

Nitty Gritty Dirt Band, e in Italia il nostro<br />

Francesco De Gregori con “Rimmel”), si<br />

avvalsero di questo trattamento visivo, legando<br />

il proprio nome a delle foto d’epoca<br />

o simil-tali. “Déja Vu”, con la formazione<br />

come immobile in un dagherrotipo, ne resta<br />

l’esempio più celebre.<br />

La foto – virata sul seppia – venne scattata<br />

a casa di Crosby a Novato, in California,<br />

e sembrava immortalare una scena della<br />

Rivoluzione Americana. Fu scelto un materiale<br />

in similpelle per la copertina dell’LP,<br />

per accentuare la verità di “Old West”, ma<br />

furono in molti a obiettare sul fatto che<br />

si trattasse in realtà di cartone friabile.<br />

Deep Purple<br />

Deep Purple In Rock - Warner (1970)<br />

Foto: Alan Hall e Mike Brown<br />

Una bella trovata senza dubbio quella<br />

dei Deep Purple per descrivere il titolo<br />

di questo album, “Deep Purple nella roccia”.<br />

Oltre ad essere un simpatico gioco di<br />

parole che doveva rappresentare il suono<br />

decisamente rock, “roccioso” e aggressivo<br />

della band, in copertina i volti dei cinque<br />

componenti della band sono scolpiti nella<br />

pietra e messi al posto di quelli dei quattro<br />

presidenti americani scolpiti sul monte<br />

Rushmore. A vedere le foto fatte al vero<br />

monte Rushmore, non si noterebbe neanche<br />

la differenza tra i musicisti e i presidenti,<br />

se non fosse per il look decisamente<br />

hippie dei Nostri. I capelli lunghi, come si<br />

portavano all’epoca, stonano decisamente<br />

con l’immagine pulita, fiera e autoritaria<br />

di George Washington, Thomas Jefferson,<br />

Theodore Roosevelt e Abraham Lincoln. Ma<br />

se i loro volti scolpiti nel monte dovevano<br />

rappresentare i primi 150 anni di storia<br />

The Doors<br />

Morrison Hotel - Wea (1970)<br />

Foto: Henry Diltz<br />

Design: Gary Burden<br />

La storia che si nasconde dietro questa fotografia<br />

è che la band non ebbe il permesso<br />

da parte del proprietario del Morrison Hotel,<br />

così che Jim Morrison e compagni corsero<br />

dentro per mettersi in posa mentre il fotografo<br />

Henry Diltz prese degli scatti in tutta<br />

fretta, e volarono di nuovo fuori dall’albergo<br />

prima che il proprietario potesse accorgersi<br />

di cosa stesse succedendo. Dunque la copertina<br />

mostra i componenti della band ripresi<br />

da dietro la vetrata del posto che porta la<br />

scritta “Morrison Hotel” e “Rooms For Rent”.<br />

Nient’altro. In realtà Diltz e Gary Burden<br />

avrebbero voluto scattare la foto nella hall<br />

dell’albergo ma, come detto, l’inserviente<br />

non li fece entrare. Ray Manzarek dei Doors<br />

92 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


prese la foto che si può vedere sul retro copertina,<br />

scattata di fronte ad uno squallido<br />

bar chiamato Hard Rock Cafe. L’attuale e conosciutissima<br />

catena dell’Hard Rock Cafe si<br />

ispirò proprio a quest’immagine per il nome<br />

del locale.<br />

P.S. La gestazione della copertina fu talmente<br />

lunga tanto che in Italia, e in molti altri<br />

Paesi, l’LP uscì con una busta provvisoria:<br />

una busta di carta normale con l’effige dei<br />

4 musicisti, la stessa posta dietro la copertina<br />

definitiva. In teoria presentandosi dopo<br />

mesi con la busta provvisoria, la commessa<br />

avrebbe dovuto cambiarla con quella ufficiale<br />

a cerchio; ma questo non avvenne e molti<br />

acquirenti dell’epoca hanno ancora “III” con<br />

la busta provvisoria. Viste le quotazioni delle<br />

rarità in vinile, la “provvisoria” ha superato,<br />

paradossalmente, l’originale.<br />

Elton John<br />

Tumbleweed Connection<br />

Rocket/Island (1970)<br />

Foto, artwork e design: David Larkham<br />

Straordinaria copertina per un giovane Elton<br />

John. Un “quasi” bianco nero virato da<br />

una leggera tinta color coloniale immortala<br />

l’artista seduto per terra in un angolo di un<br />

vecchio e deserto bar-tabaccheria. Il tipico e<br />

vecchio “spaccio” degli States del deserto californiano.<br />

Particolari e affascinanti le vecchie<br />

insegne pubblicitarie in metallo, che ornano<br />

per intero il negozio al quale John è poggiato.<br />

Pensieroso e in solitudine attende, forse,<br />

l’apertura della “bottega”. Se una copertina<br />

generalmente funge da riflesso dell’anima di<br />

un album, in questo caso è azzeccatissima.<br />

Infatti si tratta di un disco rock blues con<br />

forti influenze gospel-pop, e la foto con la<br />

grafica da whiskey del Tennessee non poteva<br />

riflettere meglio queste caratteristiche. In<br />

seguito, infatti, l’artista avrebbe optato per<br />

copertine molto più commerciali.<br />

Led Zeppelin<br />

III - Atlantic (1970)<br />

Design: Zacron<br />

L’album calendario intitolato “Led Zeppelin<br />

III”, cosparso di farfalle, animali da fattoria<br />

e verdure volanti, all’epoca non soddisfò<br />

tutti i membri del gruppo. L’artwork lasciò<br />

perplesso Jimmy Page, chitarrista della band,<br />

che definì la copertina “stupida, da teenagers”.<br />

Invece fu un’innovazione al tempo della sua<br />

pubblicazione nel campo del design di copertine.<br />

L’album includeva una ruota girevole<br />

di modo che quando questa veniva girata,<br />

varie fotografie della band, accompagnate<br />

da forme e motivi dalle tinte forti, apparivano<br />

nei cerchi (dei fori creati appositamente)<br />

della copertina frontale. Questo affare costoso<br />

accreditato a Zacron (nella vita reale fa<br />

l’insegnate a Wimbledon) è solo un lontano<br />

risutato del progetto originario di Jimmy Page.<br />

“La copertina originale”, disse Page, “doveva<br />

riflettere l’ambiente campagnolo dell’album<br />

attraverso l’imitazione di un calendario girevole.<br />

Invece Zacron ha cosparso la copertina<br />

con varie immagini psicadeliche coloratissime,<br />

includendo oggetti, bersagli, farfalle e stelle”.<br />

L’interno della copertina apribile conteneva<br />

molto di più dello stesso tipo di soggetti: una<br />

sedia volante, una pannocchia e un uccello<br />

tropicale molto colorato. Gli unici oggetti<br />

presenti nelle immagini dell’artwork relativi<br />

alla band sono lo Zeppelin (il dirigibile), un<br />

aereo da bombardamento tedesco e un’auto<br />

con le iniziali sulla fiancata. Nonostante tutto,<br />

Page ha avuto parte di responsabilità nel<br />

risultato finale dell’album. Il chitarrista, per<br />

lungo tempo interessato alla magia, acquistò<br />

la residenza “Boleskine House”, del mistico<br />

Aleister Crowley. All’inizio della sua creazione,<br />

l’LP conteneva un estratto dal libro di<br />

Aleister Crowley “The Book Of The Law” (“Il<br />

libro della legge”) che leggeva “Do what Thou<br />

Wilt, So Mote It Be”, un’abbreviazione della<br />

citazione di Crowley “Fare quello che credi<br />

dovrebbe essere la sola legge”. Da ciò che si<br />

sa, pare che la citazione non sia entrata nella<br />

tiratura del vinile.<br />

Ten Years After<br />

Watt - Deram (1969/1970)<br />

Design: John Fowlie<br />

Color processing: Grham Nash<br />

Questa copertina, per quanto ritragga un’immagine<br />

dei componenti della band seduti su<br />

di un prato, ha una forte inclinazione decisamente<br />

psichedelica. I quattro personaggi<br />

seduti su di un prato sono infatti disegnati di<br />

rosso, con i visi e altri dettagli del corpo che<br />

riprendono lo sfondo del mare, e potrebbero<br />

sembrare degli extra terrestri o degli esseri<br />

invisibili. Anche il bosco che si nota a distanza<br />

è rappresentato nella stessa maniera, ovvero<br />

è disegnato completamente di rosso, tanto<br />

da dare l’idea di una materia vulcanica. Nel<br />

cielo spicca una mongolfiera gialla e rossa<br />

che porta il titolo dell’album, mentre dalla<br />

parte opposta è scritto in grande, in rosso, il<br />

nome della band. Sul retro della copertina è<br />

raffigurata un’alta costruzione che dà l’idea<br />

di un hotel, e nel complesso sembrerebbe appunto<br />

una ambientazione turistica. Bellissimi<br />

i colori usati per questo lavoro decisamente<br />

originale.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 93


CUT ‘N’ MIX<br />

il nome dell’artista e il titolo dell’album.<br />

Lo sguardo del cantante sembra triste e<br />

allo stesso tempo assente, lontano mille<br />

miglia. Imagine, il più famoso – e ad oggi<br />

il più venduto – tra gli album post-Beatles<br />

di Lennon offriva un’immagine malinconica<br />

dell’artista, ritratto dalla moglie Yoko Ono.<br />

Una curiosità: gli occhiali indossati da John<br />

Lennon hanno un valore che gira intorno<br />

al milione di sterline, circa un milione e<br />

mezzo di euro, e sono esposti al “Beatles<br />

Story Museum” di Liverpool.<br />

Traffic<br />

John Barleycorn Must Die - Island (1970)<br />

Foto: Richard Polak<br />

Design: Mike Sida<br />

Illustrazione: per gentile concessione della<br />

English Folk Dance & Song Society<br />

Per l’album John Barleycorn Must Die i Traffic<br />

si affidano al fotografo Richard Polak e<br />

al designer Mike Sida i quali fanno uso di<br />

un’immagine concessa dalla English Folk<br />

Dance & Song Society per descrivere il suono<br />

folk dell’album. È un’immagine che tra<br />

l’altro richiama anche la svolta progressive<br />

che la band di Steve Winwood aveva preso,<br />

abbandonando quelle atmosfere molto più<br />

psichedeliche del passato. Su una base di<br />

cartoncino marrone spicca il disegno che<br />

sembra fatto a mano e che raffigura un fascio<br />

di fiori dallo stelo lungo o di frasche di grano<br />

messe in verticale sopra una macchia d’erba.<br />

Potrebbe essere il luogo simbolico dove giace<br />

il corpo di “John Barleycorn” che per questo<br />

album, secondo il titolo, doveva morire. Non<br />

è di certo una copertina eclatante ma è di<br />

sicuro effetto visivo per la sua semplicità e<br />

per la storia che cela.<br />

Genesis<br />

Nursery Cryme - Buddah (1971)<br />

Design: Paul Whitehead<br />

Cosa c’è di più “sconvolgente” che far giocare<br />

a Cricket “donnine” ciniche che prendono<br />

a colpi di mazza teste umane (di altre<br />

donne) invece che palline nell’album<br />

“Nursery Cryme” dei Genesis? Forse nulla.<br />

Così come nulla si era mai visto prima, in<br />

quanto a genialità nel genere progressive.<br />

I Genesis mettono a segno una delle migliori<br />

copertine degli anni ’70, grazie soprattutto<br />

al geniale Paul Whitehead, che sempre per i<br />

Genesis l’anno prima aveva firmato il lavoro<br />

di copertina di “Trespass” e nel 1972 firma<br />

quello di “Foxtrot”. Una curiosità: tutte e tre<br />

le illustrazioni di queste copertine vennero<br />

rubati dalla sede della Charisma Records da<br />

ignoti. Tra l’altro, delle tre, “Nursery Cryme”<br />

è la preferita di Paul Whitehead, spiegando<br />

il perché: “È perfetta per la musica, il colore<br />

è quello giusto, e anche le vibrazioni che<br />

emana sono quelle giuste”.<br />

John Lennon<br />

Imagine - Capitol (1971)<br />

Foto, supervisione e design: Yoko Ono<br />

Una patina ricopre il primo piano di John<br />

Lennon e lascia appena intravedere i capelli<br />

a caschetto e i suoi classici occhialetti<br />

tondi. La velatura azzurrina sembra<br />

essere l’immagine di un cielo nuvoloso,<br />

che potrebbe fare riferimento alla canzone<br />

Imagine, in cui Lennon canta “Above<br />

us only sky” (“sopra di noi solo il cielo”).<br />

All’interno di una nuvola bianca compare<br />

Joni Mitchell<br />

Blue - Reprise (1971)<br />

Foto: Henry Diltz<br />

Direzione artistica: Gary Burden<br />

Il quarto LP della Mitchell è contraddistinto<br />

dal titolo: Blue. In effetti la foto è “filtrata”<br />

da un blu che mette in risalto i tratti<br />

della cantautrice canadese. Penetrante,<br />

elegante, signorile, questa foto è un raggio<br />

di luce “aristocratico” sul vasto panorama<br />

delle copertine d’autore, quelle più belle e<br />

importanti. Ma Blue è molto più di questo.<br />

Tra morbide chitarre acustiche e accordi di<br />

pianoforte che illuminano l’album, i testi<br />

poetici della Mitchell dipingono l’immagine<br />

di una donna vulnerabile e tormentata<br />

(“Blue” vuol dire anche triste). Joni<br />

Mitchell aveva solo 28 anni quando registrò<br />

questo disco eppure sentiva la forte necessità<br />

di mettere a nudo i suoi sentimenti,<br />

di far sapere al mondo che aveva voglia<br />

di sfuggire alla solitudine per ritrovarsi<br />

tra le braccia di qualcuno che la amasse.<br />

E la foto che la ritrae in copertina mostra<br />

tutto questo trasformando l’album in un<br />

magnifico lavoro di onesta bellezza.<br />

94 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


XXX XXX<br />

The Rolling Stones<br />

Sticky Fingers<br />

Rolling Stones Records/Atlantic (1971)<br />

Concept e foto: Andy Warhol<br />

Design: Craig Braun<br />

Si narra che a un party a New York, nel<br />

1969, Andy Warhol accennò con indifferenza<br />

a Mick Jagger che si stava divertendo<br />

a realizzare una vera chiusura lampo per<br />

una possibile copertina di un album. Un<br />

anno più tardi Jagger propose l’idea alla<br />

band per il loro nuovo album Sticky Fingers:<br />

il primo per la nuova etichetta di<br />

loro proprietà, la Rolling Stones Records,<br />

e anche il primo in cui compariva il famoso<br />

logo: la caricatura della bocca, con tanto<br />

di “linguaccia”, di Jagger. Una copertina<br />

geniale quanto “sessuale”: foto in bianco e<br />

nero, blue jeans con chiusura lampo vera<br />

che, una volta tirata giù, metteva in mostra<br />

un bel paio di “mutande”. Molti dissero che<br />

il modello era Jagger, ma il frontman ha<br />

sempre smentito, affermando che il modello<br />

è un tale Joe Dallesandro, dello studio di<br />

Warhol. L’unico inconveniente che la chiusura<br />

lampo poteva causare, era quello di<br />

“battere” e graffiare nel punto esatto dove<br />

c’era la canzone Sister Morphine (traccia<br />

numero 8 dell’LP); allora Braun realizzò<br />

uno strato supplementare di cartone per<br />

proteggere il disco dalla chiusura lampo.<br />

Con questa soluzione venne sventata la<br />

querela da parte della casa discografica<br />

che distribuì il disco all’epoca. Una curiosità:<br />

inizialmente molte catene di grandi<br />

magazzini si rifiutarono di esporre il disco<br />

perché metteva in risalto un’ambigua protuberanza<br />

all’altezza del pube.<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 95


CUT ‘N’ MIX<br />

LIBRI<br />

Bob Gluck<br />

MILES DAVIS, IL QUINTETTO PERDUTO<br />

E ALTRE RIVOLUZIONI<br />

Quodlibet, collana Chorus 330 pp – 25,00 euro<br />

Principe delle tenebre,<br />

genio imprendibile, divino<br />

Miles. Artista opposto<br />

ai compromessi, cercò di<br />

rivoluzionare la musica<br />

seguendo il proprio daimon<br />

che pretendeva di<br />

ascoltare solo se stesso.<br />

Sono trascorsi quasi<br />

trent’anni dalla sua morte<br />

ma Miles Davis continua a rappresentare il simbolo<br />

del jazz, un instancabile viaggiatore che nel<br />

1969 rimescolò ancora carte e vision, flirtando<br />

con il rock e il suo astro nascente Jimi Hendrix,<br />

con cui aveva fissato anche un fertile rendez-vous,<br />

mancato all’ultimo per la triste scomparsa del<br />

mancino di Seattle. In queste pagine viene riassunta<br />

la fascinazione vissuta verso quelle vibranti<br />

energie, attraverso la sponda di Dave Holland<br />

e Chick Corea, i due nuovi sodali che avevano un<br />

rapporto molto forte con Anthony Braxton, già<br />

campione dell’avanguardia in quel nuovo quintetto<br />

completato da Wayne Shorter e Jack<br />

DeJohnette (anche lui proveniente dal fertilissimo<br />

atelier di libero pensiero di stanza a Chicago).<br />

Quell’ensamble non registrò neanche un album<br />

in studio ma visse diverse esibizioni dal vivo, documentate<br />

con un certa perizia. Nel frattempo la<br />

corte davisiana continuava a rinnovarsi: sarà il<br />

compianto Steve Grossman (appena diventato<br />

maggiorenne!) a prendere il posto di Shorter al<br />

sax, mentre il fronte sonoro si giova degli innesti<br />

del percussionista Airto Moreira e dell’imberbe<br />

Keith Jarrett al piano elettrico; per la cronaca,<br />

saranno un sestetto e settetto perduti perché, al<br />

pari di quanto accaduto con il quintetto di cui<br />

erano un’espansione, le loro performance sono<br />

state documentate solo live. La storia immediatamente<br />

successiva consegna Bitches Brew, In a<br />

silent way e il tributo a Jack Johnson a una musica<br />

considerata come un magma in continua mutazione:<br />

queste appassionanti vicende sono ben<br />

dipanate con una minuziosa esegesi, che allontana<br />

lo spauracchio del jazz rock per un approdo<br />

di matrice diversa, come una declinazione assimilabile<br />

all’improvvisazione libera del free. Quella<br />

che aveva incuriosito parecchio Miles, ovviamente<br />

a partire dalla svolta spirituale di John<br />

Coltrane, per proseguire con Archie Shepp e l’iconoclasta<br />

Ornette Coleman, che per Davis aveva<br />

il torto di accompagnarsi a Don Cherry, irregolare<br />

per quanto strepitoso trombettista che, però,<br />

non godeva affatto delle sue simpatie.<br />

Vittorio Pio<br />

Riccardo Brazzale, Maurizio Franco, Luigi Onori<br />

LA STORIA DEL JAZZ<br />

Hoepli Editore 512 pp – 29,90 euro<br />

Non si tratta dell’ennesimo<br />

tentativo di una ricostruzione<br />

sempre impervia quanto,<br />

piuttosto, di un racconto appassionante<br />

approcciato in<br />

maniera originale: sappiamo<br />

che il jazz è nato in Nordamerica<br />

per l’aggregazione di<br />

numerosi fattori, diffondendosi<br />

poi anche in Europa e cominciando, di fatto,<br />

una lunga opera di contaminazione che non si è<br />

più arrestata. Lo scambio culturale tra le forme innovative<br />

della musica popolare del nuovo mondo<br />

e le avanguardie europee fu assai fruttuoso sia per<br />

i compositori americani che per molte figure della<br />

musica colta: ottima, quindi, la scelta da parte dei<br />

tre autorevoli autori (con un differente per quanto<br />

ricco background formativo, anche questo funzionale<br />

agli intenti dell’opera), di concedere ampio<br />

spazio all’epopea del jazz nel vecchio continente,<br />

senza parlarsi addosso, ma piuttosto con ammirevole<br />

veste esplicativa. Undici capitoli che scorrono<br />

veloci, utili per chi magari del jazz ha avuto un po’<br />

timore, così come ai fedeli appassionati che di certo<br />

apprezzeranno gli spunti offerti nei periodici<br />

approfondimenti che riguardano non solo le scelte,<br />

ineluttabilmente parziali su album e protagonisti,<br />

ma anche le argute considerazioni sul linguaggio<br />

musicale, le tendenze ormai irreversibili intorno ai<br />

formati e divulgazione liquida, curiosità e retroscena,<br />

citazioni e ricerche, che vi accompagneranno in<br />

modo dinamico e appassionante lungo i decenni<br />

alle spalle. Una suprema forma d’arte in cui si ripassano<br />

generi e stili, titani e gregari, scuole e scene,<br />

condensate nelle pagine finali, che arrivano a citare<br />

anche i musicisti scomparsi nella prima, infausta<br />

tornata del Covid-19. Molto ben calibrate anche le<br />

riflessioni sulla ulteriore contaminazione dei linguaggi<br />

odierni, che del jazz ne stanno dettando la<br />

vitale contemporaneità, nella quale un posto importante<br />

è appannaggio del movimento italiano,<br />

di cui vengono segnalati con dovizia di particolari<br />

episodi storici, associazioni, premi e musicisti. La<br />

prefazione di Pupi Avati, che riconosce alla musica<br />

jazz un amore grande e pregresso a quello che poi<br />

ha nutrito per il cinema, innesca la curiosità per una<br />

lettura, in cui sarà facile ritornare indietro, alla ricerca<br />

di quel particolare forse sfuggito ma prezioso al<br />

rendering del mosaico complessivo.<br />

Vittorio Pio<br />

Antonio Crepax<br />

CREPAX A 33 GIRI<br />

Vololibero 112 pp – 28,00 euro<br />

A volte un faro puntato in una<br />

direzione oscura eccessivamente<br />

il resto e così è per l’opera<br />

Guido Crepax identificata<br />

in quella Valentina sogno<br />

proibito di quei giovani permanentemente<br />

giovani<br />

dell’ultima generazione del Novecento. Così<br />

pochi sanno che Guido Crepax è stato, insieme al<br />

fratello Franco, uno degli animatori della scena discografica<br />

italiana disegnando, prima della sua attività<br />

di fumettista, oltre 250 copertine di dischi,<br />

rigorosamente in vinile, che spaziano da Jonny<br />

Dorelli alla classica e al Jazz, di cui Crepax era un<br />

appassionato, passando per gli audiolibri e per il<br />

prog, a partire dalla copertina del primo disco dei<br />

Garybaldi. E così questo Crepax a 33 giri (formato<br />

305 x 305 mm, indovinate uguale a cosa…) è, pagina<br />

per pagina, una permanente sorpresa non solo<br />

del tocco di Crepax ma anche per l’intento di ricostruire<br />

gli eventi della effervescente scena musicale<br />

italiana dagli anni ’70 in poi: lo fa attraverso la<br />

spinta propulsiva del mai troppo rimpianto “Re<br />

Nudo” e le esperienze e i contributi dei molti interventi<br />

che, se distolgono in minima parte il focus dal<br />

lavoro di Crepax, hanno il grande pregio di disegnare<br />

una mappa di quei giorni, che a noi vecchi accende<br />

le corde della rimembranza e per i millennials<br />

può essere una utile guida, grazie alla lodevole<br />

opera archivistica dei figli di Guido Crepax.<br />

Il Tremila<br />

Morgan<br />

L’AUDIOLIBRO DI MORGAN<br />

Emons Libri & Audiolibri - 5h e 22’ – 15,00 euro<br />

Ne ha fatte di tutti i<br />

colori eppure continua<br />

a stupirci: l’ultima trovata<br />

di Morgan, a 13<br />

anni dal suo più recente<br />

album di inediti,<br />

raccoglie parti musicali<br />

e parti narrate dallo<br />

stesso cantante (disponibili in formato fisico e digitale,<br />

in questo caso a 9,54 euro), oltre a composizioni<br />

e brani inediti. Cover, riarrangiamenti e riscritture<br />

di brani italiani e stranieri e pezzi editi a cura di un<br />

artista tanto geniale quanto controverso, che firma<br />

anche le grafiche della cover e del booklet.<br />

Il Tremila<br />

PiePaolo Ferrari<br />

VALVOLE: UNA STORIA INFINITA<br />

SANDIT Editore 310 pp – 20,81 euro<br />

Le valvole termoioniche<br />

hanno rappresentato una<br />

tappa fondamentale nella<br />

storia dell’elettronica. Inventate<br />

nel 1904, sono state<br />

utilizzate in tutti i settori<br />

scientifici. Dopo oltre 100<br />

anni dalla loro scoperta,<br />

ancora oggi vengono impiegate<br />

in campo Hi-Fi per<br />

la loro straordinaria musicalità. Il testo si propone,<br />

attraverso immagini a fumetto e fotografie reali, di<br />

descrivere la loro storia, il loro utilizzo, il loro funzionamento<br />

e il loro “suono”; le valvole “antiche”, le<br />

valvole di produzione attuale, le valvole criogeniche,<br />

i circuiti con le valvole; gli apparecchi vintage Hi-Fi<br />

a tubi; le valvole e i transistor; i consigli pratici per<br />

convivere bene con le valvole!<br />

96 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021


professore della trasmissione Lezioni di<br />

rcana ha scritto 667 – Ne so una più del<br />

Baby Rock. Il suo desiderio è quello di<br />

pringsteen. Genovese di nascita, sardo<br />

Jersey.<br />

Cover layout: BRUNO APOSTOLI<br />

ntre c’è chi continua a combattere<br />

i sta lentamente abituando al nuovo<br />

avirus, è il tentativo di utilizzare la<br />

list strettamente collegate all’isola-<br />

“ascoltare” con occhio differente la<br />

qualcuno aveva già profetizzato. E<br />

mento sociale già parlava nel 1982<br />

i sorcini nel pezzo Contagio cantava<br />

esca dalla città… l’isolamento è un<br />

ato”. Un volume in note dedicato a<br />

a loro dedizione finiranno nei libri di<br />

t’emergenza planetaria. Il tutto pasll<br />

e scomodando anche delle icone<br />

el brano La peste, ispirandosi al flalo<br />

che saltella / che si muove un po’<br />

acillo contagioso”. Fino agli eccessi<br />

emia o alla parodia di Bella ciao traa:<br />

“Un’amuchina / mi son comprato<br />

iao ciao”. E su tutto aleggiano, per<br />

biato per sempre molte delle nostre<br />

otiche di Björk che in Virus sussurra<br />

rpo… io busso alla tua pelle ed enore.<br />

Fabrizio Barabesi<br />

ISOLATION ROCK<br />

Arcana 179 pp – 16,50 euro<br />

FABRIZIO BARABESI ISOLATION ROCK<br />

FABRIZIO BARABESI<br />

ISOLATION<br />

ROCK<br />

STORIE DI MUSICA, QUARANTENA<br />

Disegni di<br />

Filippo “Kultgeneration” D’Angelo<br />

Fotografie di<br />

Roberto Colombo<br />

E CORONAVIRUS<br />

Il rock che atterra e suscita, che esalta e che consola, che fa<br />

urlare, prende per mano e non ti lascia più, anche se l’azzeramento<br />

sociale è l’imperativo categorico, là fuori. Desolation<br />

Row, canzone emblema e capolavoro, chiude il sesto album<br />

in studio di Bob Dylan, Highway 61 Revisited. L’hanno fatta<br />

propria tra gli altri Fabrizio De André, Francesco De Gregori,<br />

i Grateful Dead e il bravo Andrea Appino degli Zen Circus<br />

dell’album solista Il testamento. Fabrizio Barabesi, giornalista<br />

e scrittore, ne fa una cover tutta sua nel suo nuovo libro<br />

Isolation rock, un diario in pubblico nel tunnel della quarantena,<br />

cronistoria di un anno da fantascienza che è purtroppo realtà tuttora incandescente.<br />

Ma proprio la musica consente di vivere in modo più leggero e anche più<br />

consapevole un dramma planetario che riguarda tutti. Anche chi, cocciuto più di<br />

un mulo, lo nega. “Questo libro, mentre c’è chi continua a combattere il contagio in<br />

prima linea, è il frutto", scrive Barabesi, “di uno strano esperimento da laboratorio<br />

casalingo: utilizzare la musica per inventare delle playlist strettamente collegate all’isolamento<br />

più intransigente, ai suoi effetti collaterali”.<br />

La musica evocata dalle sue pagine è quella di ieri e di oggi, fatta da artisti celeberrimi<br />

ma anche di nicchia, dai più melodici e orecchiabili ai quasi cacofonici: tutto serve per<br />

rompere il silenzio al tempo del Covid 19 orchestrato sul filo del pentagramma. Un<br />

racconto strutturato e non rapsodico o caotico zibaldone dove scopri anche perle<br />

d’archivio: «Curioso scoprire chi di distanziamento sociale già parlava nel 1982, come<br />

Renato Zero, che nel pezzo Contagio cantava: “Pericolo di contagio / Che nessuno esca<br />

dalla città / L’isolamento è un dovere oramai / Dare la mano è vietato». E chi l’avrebbe mai<br />

sospettato, nel bisesto e funesto 2020 d.C. dove abbiamo cantato e suonato dai balconi<br />

e condiviso concerti in streaming a più non posso, pur di non star da soli?<br />

In questo libro scorrevole ma al contempo denso di informazioni e percorsi trasversali<br />

in cui ogni lettore trova specchiata la propria esperienza della pandemia, trovano spazio<br />

irriverenti parodie di Bella ciao (trasformata in Canzone dell’Amuchina («Un’amuchina /<br />

Mi son comprato / Virus ciao / Virus ciao / Virus ciao ciao ciao», cosa mai ci si inventa per<br />

stare allegri) e anche riferimenti colti come, citiamo, «le sonorità misteriose e ipnotiche<br />

di Björk che in Virus (canzone del 2011, ndr.) sussurra: “Come un virus ha bisogno di<br />

un corpo / Un qualche giorno ti troverò / L’impulso è qui… Io busso alla tua pelle ed<br />

entro”». Un utile manuale di sopravvivenza musicale questo libro, che fa di Barabesi<br />

una sorta di Nick Hornby del Covid, un disck jockey capace sempre di trovarti la lista<br />

degli ascolti giusta per l’emozione che colleghi al rosario pandemico, dal distanziamento<br />

alla didattica digitale, dalle strade deserte al Papa solo in piazza San Pietro.<br />

Un libro che chiama a raccolta mostri sacri del rock e della canzone d’autore. Tra i tanti divi<br />

a spiccare nel libro c’è il Madman del rock duro, il padrino del metal Ozzy Osbourne dei<br />

Black Sabbath che nel 1982 divora un pipistrello in scena (sì, proprio il volatile probabile<br />

fonte del salto di specie del virus), e chissà cosa starà pensando di tutto questo casino.<br />

Come noto, secondo la tesi più quotata, il Covid-19 sarebbe passato dal pipistrello al<br />

pangolino e quindi all’uomo, dopo che lo stesso ne aveva consumato la carne. Carne<br />

che si può comprare in uno di questi market molto diffusi in Cina dove si può trovare<br />

proprio di tutto: dai pipistrelli a cani e gatti, scorpioni e ogni altra leccornia. E poi nel libro<br />

si sente il suono della «dura pioggia» che cade in A Hard Rain’s A-Gonna Fall del citato<br />

Dylan, Don’t Stop Me Now dei Queen suonata da un medico in pausa per rilassarsi tra un<br />

turno massacrante e l’altro in pronto soccorso, Gloria Gaynor che in I will survive invita<br />

a non lavarsi le mani del prossimo lavando le proprie in bagno. Ci si emoziona con<br />

la preghiera laica di Hallelujah di Leonard Cohen, ci si ribella a ritmo rock con People<br />

have the power di Patti Smith, ci si esalta di giusta indignazione per le storture sociali<br />

in corso con Rockin’ in a Free World di Neil Young, e con Open All Night del Boss Bruce<br />

Springsteen di cui Barabesi è un cultore assoluto: «Se nella canzone il guidatore solitario<br />

stava cercando di ritornare dall’amata dopo il turno di notte, qui nel 2020 in piena era<br />

Coronavirus, io sto cercando di non lasciarmi sopraffare dall’inquietudine e allora non<br />

posso non affidarmi ancora una volta alla canzone quando dice: “La radio è intasata<br />

di stazioni gospel / Anime perdute che invocano da lontano la salvezza / Hey signor<br />

deejay, vuoi sentire la mia ultima preghiera / Hey, oh, rock’n’roll salvami da questo nulla”».<br />

Lorenzo Morandotti<br />

PILLOLE DA 3000 MCG<br />

Più che pillole, veri pilloloni per animare la prossima fine<br />

dell’inverno e il fiorir delle speranze primaverili…<br />

IL POLESINE<br />

E I SUI TEATRI<br />

SOCIALI<br />

Le devastanti alluvioni<br />

del 1951 e del 1966 che<br />

ne hanno cambiato il<br />

destino anche dal punto<br />

di vista morfologico,<br />

hanno messo in ombra<br />

il fatto che il Polesine,<br />

fin dall’epoca classica, è<br />

terra di cultura. A ricordarlo<br />

“Quando Gigli, la Callas e Pavarotti… I Teatri Storici del Polesine” che<br />

dal 13 marzo fino al 4 luglio nel Palazzo Roncale di Rovigo mette in mostra<br />

attraverso documenti originali (affiches, libretti d’opera, foto dedicate dai<br />

grandi interpreti, filmati, scenografie, costumi), la storia di 7 degli almeno 50<br />

teatri del territorio di cui si trova traccia documentata e che hanno animato,<br />

anche nel remoto passato, la scena culturale anche in paesini di poche<br />

anime persi nel Delta del Po. Teatri per la maggior parte nati dalla volontà<br />

di gruppi di privati che si sono tassati per costruirli e poi per sostenerne<br />

l’attività, soprattutto musicale, e che proprio perché derivano da una “società”<br />

di persone, presero il nome di Teatri Sociali. Sei ancora attivi (il Sociale<br />

di Rovigo, il Comunale e il Ferrini ad Adria, quelli di Badia Polesine, Loreo<br />

e Lendinara), uno il cui restauro è in corso (quello liberty di Castelmassa),<br />

tutti restaurati anche grazie al concorso di Fondazione Cassa di Risparmio<br />

di Padova e Rovigo, che promuove la mostra. I 7 teatri sono descritti nella<br />

loro architettura attraverso le immagini del fotografo Giovanni Hänninen<br />

e del videomaker Alberto Amoretti e, grazie alla realtà aumentata, i visitatori<br />

possono entrarvi dentro vivendo l’emozione degli eventi musicali che<br />

hanno ospitato.<br />

Per info: tel. 0425 46 0093<br />

LARGO<br />

AL LEGNO<br />

Rispetto ad altri<br />

materiali il legno è<br />

rinnovabile: crescerà<br />

di nuovo se glielo<br />

permettiamo! Partendo<br />

da questa<br />

constatazione e<br />

sviluppando modalità<br />

di consumo<br />

sostenibile delle foreste,<br />

il legno viene sempre più spesso proposto (ad eccezione del nostro<br />

paese!) come materiale da utilizzare in architettura, anche grazie a prestazioni<br />

ormai analoghe a quelle di acciaio o cemento ma con un peso della struttura<br />

e un impatto sull’ambiente durante produzione e lavorazione significativamente<br />

inferiori. Così, hanno preso vita progetti inusuali come il grattacielo<br />

Mjøstårnet di oltre 85 metri a Brumunddal in Norvegia o il Susie Sainsbury<br />

Theatre all’interno della Royal Academy of Music di Londra: acusticamente<br />

rivestito in ciliegio americano, possiede una balconata che ha aumentato<br />

del 40% i posti, una buca dell’orchestra più grande, un’ala del palcoscenico<br />

e la torre scenica. Questo tipo di ciliegio (un legno di media densità, con<br />

buone proprietà di curvatura, moderata robustezza e resistenza agli urti e<br />

scarsa rigidezza) è tipico delle foreste di latifoglie degli Stati Uniti; cresce a<br />

ritmi di 11,7 milioni di metri cubi l’anno, con un abbattimento nello stesso<br />

periodo di 4,3 milioni di metri cubi. Il tutto, dunque, molto “sostenibile”!<br />

<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 97


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Hanno collaborato<br />

Libero Abbaci, Agostino Bistarelli, Massimo Bargna, Francesco Bonerba, Nicola Candelli, Paolo<br />

Corciulo, Carlo D’Ottavi, Antonio Gaudino, Lorenzo Morandotti, Vittorio Pio, Il Tremila, Roberto<br />

Rubini, Vincenzo Sollazzo.<br />

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Suono è un periodico che ha percepito (già legge 7 agosto 1990 n. 250) e percepisce i contributi<br />

pubblici all’editoria ( legge 26 ottobre 2016 n. 198, d.lvo 15 maggio 2017 n. 70).<br />

Il presente numero di <strong>SUONO</strong> è stato finito di stampare nel mese di febbraio 2021.<br />

Cooperativa Giornalistica Mondo Nuovo<br />

Direttore editoriale<br />

Paolo Corciulo<br />

Distributore per l’Italia<br />

Press-di Distribuzione Stampa e Multimedia S.r.l.<br />

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INDICE INSERZIONISTI<br />

Adcomm - VREL electroacoustic 81<br />

Audio Reference - Sorane/Abis 39<br />

Audio Reference - ProAc<br />

II Cop.<br />

Audioplus 31<br />

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Gammalta Group - Pmc 9<br />

Gammalta Group - Jl Audio 51<br />

Gammalta Group 10, 12<br />

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III Cop.<br />

Il Centro Della Musica 25, 85<br />

Lp Audio - Franco Serblin 21<br />

Lp Audio - PrimaLuna 43<br />

Mpi Electronic - PS Audio 27<br />

Mpi Electronic - Sonus Faber<br />

IV Cop.<br />

Music Tools - Avid 17<br />

Openitem - Carot One 95<br />

Pathos Acoustics 11<br />

Ricable - Ricable 77<br />

Te.de.s. - HOLBO 13<br />

Tecnofuturo - Gold Note 55<br />

Tecnofuturo 65<br />

Tecnofuturo - Gold Note 69<br />

Tektron 7<br />

98 <strong>SUONO</strong> febbraio - marzo 2021

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