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N. XXX<br />
Editoriale<br />
di Paolo Corciulo<br />
Perdonali perché non<br />
sanno quello che fanno*<br />
*sottotitolo: buone intenzioni per il 2021<br />
L’accorato messaggio di Papa Bergoglio di qualche tempo fa (25 gennaio 2021) in merito alla comunicazione<br />
ci tira in ballo tutti e se la faccenda ha scombussolato l’intermediario de “l’inquilino del piano<br />
di sopra”, beh, Houston... abbiamo un problema!<br />
Dice Bergoglio: “Voci attente lamentano da tempo il rischio di un<br />
appiattimento in ‘giornali fotocopia’ o in notiziari TV e radio e<br />
siti web sostanzialmente uguali, dove il genere dell’inchiesta e del<br />
reportage perdono spazio e qualità a vantaggio di una informazione<br />
preconfezionata, ‘di palazzo’, autoreferenziale, che sempre<br />
meno riesce a intercettare la verità delle cose e la vita concreta<br />
delle persone, e non sa più cogliere né i fenomeni sociali più gravi<br />
né le energie positive che si sprigionano dalla base della società”.<br />
Come dargli torto? E, aggiungo io, ho il forte sospetto che quanto<br />
accaduto sia elemento essenziale di quella che Ernesto Galli<br />
della Loggia dalle pagine del “Corriere Della Sera” definisce “la<br />
crescente delegittimazione della democrazia e con essa il diffondersi<br />
di una rabbia aggressiva”, frutto a suo dire (e condivido in<br />
toto) “delle gigantesche trasformazioni ideologiche e del costume<br />
avvenute nelle società occidentali nel corso degli ultimi due o<br />
tre decenni. Allorché la morale tradizionale si è repentinamente<br />
dissolta e le sue agenzie di formazione, i suoi punti di riferimento<br />
- la nazione, la famiglia, i partiti politici, la Chiesa, la scuola - o<br />
hanno visto cambiare decisamente le proprie regole o sono state<br />
investiti da critiche radicali e per molti aspetti messi fuori gioco”.<br />
La mancanza di una informazione salda, certa, in una parola<br />
“autorevole” ha contribuito a generare un sentimento di giustizia<br />
offeso, uno straniamento delle persone che non riescono più a riconoscersi<br />
nei modelli della cultura ufficiale, all’insorgere di una<br />
rabbia che l’articolista cita in relazione all’assalto al Campidoglio<br />
degli Stati Uniti del 6 gennaio 2021.<br />
Per fortuna, nell’ambito delle cose audiofile è meno drammatico<br />
ma non per questo le dinamiche sono diverse se il panorama<br />
odierno offre una pletora di personaggi che, cavalcando quella<br />
rabbia, si offrono come nuovi supposti paladini della verità,<br />
qualsiasi cosa si intenda con essa. Si va dall’idiota (utile o meno<br />
lo dirà la storia) che dal suo sito propone confronti imbarazzanti<br />
e ne sottopone “democraticamente” il giudizio al popolo che valuta<br />
ed esprime sulla base di un ascolto comparato dal telefonino<br />
(!?!) al personaggio affetto dal complesso di superiorità (declinato,<br />
però, in minore) che dispensa la sua saggezza ma, fateci caso,<br />
ogni volta che spara una cazzata gli viene una specie di risarella<br />
isterica… Passaggio quasi obbligato, in questo variegato universo<br />
intangibile di internet, quello della “rivista ufficiale” mezza copiata<br />
(e mal tradotta, chissà se in barba al copyright) da una molto più<br />
autorevole “cugina” estera, mezza inattendibile e mezza (vabbè,<br />
la statistica non è il mio forte) ancora una volta… na’ cazzata! E<br />
io mi chiedo: questa ampia varietà di fuffa democraticamente a<br />
tua disposizione, caro lettore (e mi interrogherei se il fatto che<br />
sia gratis è un vantaggio o un campanello d’allarme), ti illuminerà<br />
o ti getterà nella confusione più totale? E noi (plurale maiestatis<br />
di <strong>SUONO</strong>), che cosa possiamo fare per aiutarti? Dalla barra di<br />
comando, cristianamente seguirò il consiglio di Papa Francesco<br />
nel “consumare la suola delle scarpe”, perché i contenuti di<br />
questa rivista sappiano “intercettare la verità delle cose”; e già<br />
che mi sento in odor di sciacquare i panni in Arno, continuerò a<br />
considerare fonte d’ispirazione lo scritto che riporto qui di seguito<br />
e che mi auguro ispirerà anche voi:<br />
“Erano costoro onesti non per qualche speciale ragione (non potevano<br />
richiamarsi a grandi principi, né patriottici né sociali né<br />
religiosi, che non avevano più corso), erano onesti per abitudine<br />
mentale, condizionamento caratteriale, tic nervoso. Insomma<br />
non potevano farci niente se erano così, se le cose che stavano<br />
loro a cuore non erano direttamente valutabili in denaro, se la<br />
loro testa funzionava sempre in base a quei vieti meccanismi<br />
che collegano il guadagno col lavoro, la stima al merito, la<br />
soddisfazione propria alla soddisfazione d’altre persone. In<br />
quel paese di gente che si sentiva sempre con la coscienza a<br />
posto loro erano i soli a farsi sempre degli scrupoli, a chiedersi<br />
ogni momento cosa avrebbero dovuto fare. Sapevano che fare<br />
la morale agli altri, indignarsi, predicare la virtù sono cose che<br />
trovano troppo facilmente l’approvazione di tutti, in buona o in<br />
malafede. Il potere non lo trovavano abbastanza interessante<br />
per sognarlo per sé (almeno quel potere che interessava agli<br />
altri); non si facevano illusioni che in altri paesi non ci fossero<br />
le stesse magagne, anche se tenute più nascoste; in una società<br />
migliore non speravano perché sapevano che il peggio è sempre<br />
più probabile”.<br />
Apologo sull’onestà nel paese dei corrotti<br />
Italo Calvino<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 3
Sommario<br />
Suono Stereo Hi-Fi<br />
la più autorevole rivista audio<br />
Poste Italiane Spa sped. abb. post.<br />
D.L. 353/2003<br />
(conv. in L. 27/02/2004 n. 46)<br />
Art. 1, Comma 1, Roma,<br />
aut. N. 140 del 2007 • mensile<br />
anno XLVX<br />
febbraio-marzo 2021<br />
2<br />
<strong>SUONO</strong> | <strong>551</strong> | FEBBRAIO-MARZO 2021 DI MARCO, NOCENZI, RUGGIERO, ZEROMANTRA: ROCK-POP ALL’ITALIANA<br />
10002<br />
IN PROVA<br />
9 771721 576006<br />
AMPLIFICATORI INTEGRATI<br />
YAMAHA A-S1200<br />
QUAD VA-ONE+,<br />
TRIGON ELEKTRONIK EXXCEED INT<br />
DIFFUSORI<br />
PMC TWENTY5.23I<br />
SONUS FABER OLYMPICA NOVA V<br />
SISTEMI<br />
SONOS FIVE<br />
TRIANGLE AIO 3<br />
COMPLEMENTI<br />
PORTENTO AUDIO POWER<br />
CLEAN ZERO<br />
CAVI<br />
PORTENTO AUDIO USB COPPER ONE,<br />
USB COPPER ONE DUAL HEADED,<br />
USB COPPER SIGNATURE<br />
Sonus Faber Lumina<br />
LA SOLITUDINE DEI NUMERI1<br />
<strong>551</strong><br />
70 anni di Nagra<br />
Phil Spector<br />
COMINCIÒ TUTTO COSÌ... L’ANTESIGNANO DEI<br />
€ 7,00<br />
PRODUTTORI<br />
Ani DiFranco<br />
IL RITORNO DELLA RIOT<br />
GRRRL<br />
N. <strong>551</strong><br />
FEBBRAIO-MARZO 2021<br />
EDITORIALE di Paolo Corciulo<br />
L’accorato messaggio di Papa Bergoglio di qualche<br />
tempo fa (25 gennaio 2021) in merito alla comunicazione<br />
ci tira in ballo tutti e se la faccenda ha scombussolato<br />
l’intermediario de “l’inquilino del piano di sopra”, beh,<br />
Houston... abbiamo un problema!<br />
ANTENNA Prodotti, News, Storie<br />
Scouting tra le proposte del mercato: in un mare di<br />
offerta occorre orientarsi con una bussola!<br />
3<br />
6<br />
SELECTOR TUTTO IL MEGLIO IN ARRIVO SUL MERCATO<br />
INSIDE DENTRO LA MUSICA<br />
SUL CAMPO<br />
COORDINATI<br />
SONOS VS TRIANGLE<br />
Sonos Five<br />
Triangle Aio 3<br />
a cura della redazione<br />
40<br />
LA PANDEMIA E LA MUSICA<br />
Cosa resterà di questo Covid qua...<br />
di Francesco Bonerba<br />
Si dice che da ogni crisi nasce un’opportunità<br />
e allora, parafrasando, si può dire che da ogni<br />
pandemia nasca una forma di rinascita? Con<br />
il dovuto rispetto per il dolore che il Covid ha<br />
generato, abbiamo provato ad analizzare che<br />
cosa è cambiato nel settore della riproduzione<br />
musicale e se, tra i tanti problemi,<br />
qualcosa è cambiato in meglio e potrà<br />
14<br />
essere utile in futuro...<br />
ALTA FEDELTÀ 2020<br />
IL FUTURO DEL PUNTO VENDITA<br />
La vita è tutta un risiko?<br />
di Libero Abbaci<br />
Appunti per un domani e per il rilancio dei punti<br />
vendita Hi-Fi la cui continua e inesorabile chiusura,<br />
per i motivi congiunturali, sta comportando<br />
22<br />
una concentrazione di distributori e di<br />
brand nell’offerta di mercato.<br />
IN PROVA<br />
AMPLIFICATORE<br />
INTEGRATO<br />
Yamaha A-S1200<br />
a cura della redazione<br />
44<br />
SUL CAMPO<br />
AMPLIFICATORE<br />
INTEGRATO<br />
Quad VA-One+<br />
di Nicola Candelli<br />
48<br />
FEDELI ALLA LINEA<br />
70 volte Nagra<br />
di Paolo Corciulo<br />
La casa svizzera festeggia i suoi 70 anni di vita<br />
vissuti nel solco di una invidiabile coerenza<br />
di intenti. Una vera icona, senza cedimenti,<br />
nel mercato Hi-Fi, sempre più alla ricerca di<br />
concretezza.<br />
28<br />
PHIL SPECTOR<br />
Angeli & Demoni<br />
de Il Tremila<br />
La morte in prigione il 16 gennaio a causa del<br />
Covid ma alle spalle un passato brillante nel<br />
32<br />
campo musicale, con tutti gli eccessi del<br />
caso. Il lascito di Phil Spector è quello di aver<br />
nobilitato la figura del produttore, unendo<br />
creatività a un sapiente uso delle tecnologie a<br />
disposizione.
Sommario<br />
Ta tarara tara taaaaaa<br />
UN OSSERVATORIO SUL MERCATO<br />
Essere un centro pilota <strong>SUONO</strong>point<br />
di Paolo Corciulo<br />
D’Agostini Lab a Roma e Il Centro<br />
della Musica a Legnano hanno aderito<br />
34<br />
all’iniziativa di <strong>SUONO</strong> che in questi ultimi<br />
mesi ha cercato dalle pagine del giornale di<br />
esaminare il mercato Hi-Fi ed evidenziarne i<br />
punti critici. Per rilanciarlo…<br />
VITA E OPERE DI BUDDY HOLLY<br />
Il giorno in cui nacque il rock<br />
di Massimo Bargna<br />
Una nuova e curatissima antologia musicale di<br />
Buddy Holly suddivisa in tre CD riporta<br />
l’attenzione sul ruolo che il leggendario<br />
36<br />
artista texano ebbe sulla genesi del rock ‘n<br />
roll degli anni Cinquanta e sullo sviluppo<br />
della musica del decennio successivo.<br />
52 di<br />
SUL CAMPO<br />
AMPLIFICATORI INTEGRATO<br />
Trigon Elektronik EXXCEED INT<br />
Roberto Rubini<br />
IN PROVA<br />
DIFFUSORI<br />
Pmc Twenty5.23i<br />
a cura della redazione<br />
56<br />
ABBONARSI SIGNIFICA<br />
NON DOVER MAI DIRE<br />
“MI DISPIACE”<br />
60 a<br />
IN PROVA<br />
DIFFUSORI<br />
Sonus Faber Lumina I<br />
cura della redazione<br />
66<br />
di<br />
SUL CAMPO<br />
DIFFUSORI<br />
Sonus Faber Olympica Nova V<br />
Vincenzo Sollazzo<br />
CAMPO<br />
CAVI USB<br />
70SUL<br />
Portento Audio<br />
di Nicola Candelli<br />
72<br />
AMATO MIO LP<br />
di Carlo D’Ottavi<br />
Ci siamo<br />
fatti in<br />
quattro<br />
per voi<br />
rivista cartacea,<br />
sfogliabile e pdf 12 MESI 60 €<br />
rivista cartacea,<br />
sfogliabile e pdf<br />
6 30 MESI €<br />
74<br />
LE RECENSIONI<br />
Classica - Rock - Jazz<br />
A.A.V.V.<br />
rivista cartacea,<br />
sfogliabile e pdf<br />
3 20 MESI €<br />
edizione digitale,<br />
sfogliabile e pdf 12 40 MESI €<br />
92CUT ‘N’ MIX CONCERTI | CINEMA | LIBRI | SOCIETÀ | ARTE<br />
Tutte le informazioni su<br />
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(oppure contattare<br />
diffusione@suono.it)
ANTENNA<br />
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Indiana Line cambia faccia<br />
La roccaforte del value for money italiano<br />
cambia proprietà e non è un cambio da<br />
poco visto che il bastone del comando passa<br />
dalle mani di Eugenio Musso, che ha creato<br />
il marchio traghettandolo attraverso un<br />
mare in tempesta (così disegnava il mercato<br />
Hi-Fi una vecchia pubblicità autopromozionale<br />
di <strong>SUONO</strong>) in un tragitto lungo oltre<br />
40 anni, a quelle di Audio Klan, gruppo<br />
polacco il cui spirito si è sempre ispirato<br />
alla “logica del buon padre di famiglia”,<br />
orientando il suo operato su progetti ragionevoli,<br />
per lungo tempo caratterizzati da<br />
una linea spartana e fin da subito orientati<br />
a far buon uso della delocalizzazione per la<br />
produzione e l’acquisizione dei materiali,<br />
mantenendone salda la proprietà intellettuale.<br />
D’altronde tale vocazione apolide si<br />
ravvisa fin dai primi passi, già dalla scelta<br />
del nome, che in un periodo (la metà degli<br />
anni ’60) in cui l’immaginario audiofilo si<br />
rivolgeva al made in USA, faceva eco alle<br />
lusinghe e al fascino degli allora lontani<br />
States simbioticamente legati alla nascita<br />
della “costola” Alcor, distributore allora<br />
degli altoparlanti marchiati Utah prima e<br />
di Coral Electronic, nata nel 1975, e distributrice<br />
al tempo del marchio giapponese<br />
Coral (solamente per un caso il nome è anagramma<br />
di Alcor!). Negli anni più recenti<br />
è avvenuto il consolidamento sui mercati<br />
internazionali, sempre sotto la guida di<br />
Eugenio Musso, affiancato all’avvicinarsi di<br />
quella fase tipica nel percorso delle aziende<br />
che coincide con una crisi da crescita o<br />
una opportunità di crescita. Più volte ci è<br />
capitato di raccontare di questo momento<br />
e delle soluzioni intraprese per superarlo,<br />
che in alcuni casi hanno portato all’annullamento<br />
(a volte persino auspicato, quasi<br />
a liberarsi di un pesante fardello che ne<br />
imbriglia i rinnovati obiettivi) del proprio<br />
heritage, mentre altre volte ne hanno esaltato,<br />
anche oltre misura, l’esatto contrario,<br />
ovvero l’aspetto iconico. Al di là delle scelte<br />
filosofiche sono quelle economiche a dettarne<br />
il programma: molte delle aziende<br />
in crisi da crescita sono finite, a volte con<br />
successo altre no, nelle mani di gruppi di<br />
affari, banche e fondi di investimento il<br />
cui obiettivo non è esattamente etico ma<br />
votato a un (lecito) profitto. Un passaggio,<br />
quello finanziario, dal quale qualcuno ha<br />
fatto un passo indietro: è il caso di NHT e<br />
Audio Research, giusto per citarne i più<br />
recenti, che alla fine di un completo giro<br />
di giostra sono ritornati nelle confortanti<br />
6 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
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mani dell’“uomo unico al comando”, quasi a<br />
reinterpretare i momenti degli inizi, che per<br />
la maggior parte dei marchi Hi-Fi è quello<br />
della classica storia del one man band.<br />
La soluzione scelta da Indiana Line è a<br />
cavallo tra le situazioni citate, vista la storia<br />
del gruppo Audio Klan che l’ha acquistata:<br />
come accennato si tratta di un gruppo a<br />
conduzione familiare (anche se oggi conta<br />
oltre 100 dipendenti) fondato nel 1994<br />
a Varsavia come distributore di prodotti<br />
Hi-Fi. Intuendo l’onda del successo che ha<br />
portato la Polonia al centro nell’agone del<br />
mercato Hi-Fi internazionale (oggi l’Audio<br />
Video Show di Varsavia è una delle più<br />
importanti manifestazioni a livello europeo),<br />
Audio Klan ha sviluppato una rete<br />
di negozi nel suo Paese (18 negozi denominati<br />
“Top Hi-Fi & Video Design”) e poi<br />
una distribuzione internazionale in tutto<br />
il mondo di cui beneficerà anche Indiana<br />
Line che, risolto il problema delle risorse,<br />
si trova ora a un bivio commerciale<br />
e di natura tecnica. Entrambi gli aspetti<br />
sono stati in passato legati alla figura di<br />
Musso che, secondo i rumour che abbiamo<br />
raccolto, è intenzionato se non ad abbandonare<br />
quantomeno ad allentare il livello<br />
dei suoi impegni lavorativi. Molto dipende<br />
da quanto di quella formula progettuale e<br />
produttiva che ha caratterizzato Indiana<br />
Line in questi anni è stato trasmesso e di<br />
quanto Audio Klan vorrà farne uso, avendo<br />
o meno obiettivi simili. Il passaggio dalla<br />
dimensione “un uomo solo al comando”<br />
a quella inevitabilmente più complessa<br />
di un management aziendale non è privo<br />
di traumi, cesure e cambiamenti radicali,<br />
come insegna la vicenda di Sonus faber<br />
che ha trovato nella sua ormai non più<br />
nuova proprietà una spinta poderosa per<br />
l’export ma ha dovuto gestire un delicato<br />
“post Serblin”.<br />
Per Indiana Line fa ben sperare la “mission”<br />
disvelata nelle parole presenti sul loro sito,<br />
che “...è rimasta invariata da quando abbiamo<br />
iniziato a metà degli anni Novanta.<br />
Ci impegniamo a fornire agli amanti della<br />
musica la migliore qualità del suono e un<br />
vero rapporto qualità-prezzo, poiché la<br />
loro soddisfazione è sempre stata la nostra<br />
priorità assoluta”. Un inizio a cui vedremo<br />
come seguiranno i fatti.<br />
Paolo Corciulo<br />
HARD WIRED, TUBE ONLY, PURE MUSIC.<br />
WWW.TEKTRON.IT<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 7
ANTENNA<br />
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AUDIO RESEARCH:<br />
I NUOVI REFERENCE<br />
DIVENTANO DUE<br />
I suoi primi 50 anni Audio Research li ha chiusi con uno<br />
scossone non da poco: la fine del matrimonio con il McIntosh<br />
Group cominciato nel 2008 e mai del tutto digerito<br />
se il nuovo proprietario TWS Enterprises non è altri che<br />
una società privata creata e interamente controllata da<br />
quel Trent Suggs che prima aveva abbandonato l’azienda<br />
e che ora, insieme a Brandon Lauer (un altro della vecchia<br />
guardia che ritorna), si pone tra gli obiettivi quello<br />
di “ritornare ai valori delle piccole imprese”, ovvero alle<br />
origini, allo spirito tradizionalissimo del fondatore William<br />
Z. Johnson e dei suoi immediati successori. Uno spirito<br />
e una storia scanditi da passi “lenti e ben distesi”, come<br />
spiegato in Audio Research: Making the Music Glow, prezioso<br />
(anche nel prezzo, 150 dollari) volume realizzato<br />
con le stesse dimensioni di un LP che racconta la storia<br />
del marchio attraverso le parole di progettisti, ingegneri<br />
e dirigenti (molti dei quali rimasti tutt’ora fedeli<br />
all’azienda). Curato da Ken Kessler e realizzato con la<br />
collaborazione e l’approvazione di Nancy Johnson, la<br />
vedova del fondatore, è riccamente illustrato con preziose<br />
immagini d’archivio. Se Audio Research: Making the Music<br />
Glow può considerarsi il primo atto della nuova proprietà,<br />
l’annuncio dell’introduzione di un nuovo finale di potenza<br />
(Reference 80S) è invece il primo intervento in questo<br />
2021 e, al contempo, il primo prodotto sfornato dalla nuova compagine sociale. Si aggiunge alla già ampia linea Reference (6 modelli), di cui<br />
è cominciato il rinnovamento qualche tempo fa con l’introduzione del Reference 160 (versioni mono e stereo) caratterizzato dal restyling realizzato<br />
da Livio Cucuzza (a questo punto il suo ultimo impegno per A.R.?). Proprio da questo apparecchio prende le mosse il Reference 80, che<br />
utilizza lo stesso chassis e lo stesso design caratterizzato dalla presenza dell’ampia finestratura sul pannello frontale dove trovano sede i nuovi<br />
GhostMeters. Anche a livello circuitale l’apparecchio prende le mosse dal 160 con una demoltiplica che porta a 4 le valvole invece che 8 ma<br />
mantiene il disegno completamente bilanciato con<br />
topologia differenziale e il sistema di auto-bias proprietario.<br />
Un selettore consente il funzionamento a<br />
triodo o pentodo ed è presente un conta ore per il<br />
funzionamento delle valvole.<br />
Agostino Bistarelli<br />
Distributore: Audio Natali - www.audionatali.com<br />
Amplificatore finale Audio Research Reference 80S<br />
Prezzo: € 18.000,00<br />
Dimensioni: 43,8 x 25 x 47 cm (lxaxp)<br />
Tipo: stereo Tecnologia: a valvole, triodo-pentodo<br />
selezionabile Potenza (W): 80 su 8 Risp. in freq.<br />
(Hz): 0,5 - 110.000 Ingressi: 1 RCA e 1 XLR bilanciato<br />
Note: completamente bilanciato. Uscite distinte a<br />
16, 8 e 4 Ohm, autobias. 4 x KT150<br />
8 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
ANTENNA<br />
Bassi profondi<br />
e collegamento Wi-Fi<br />
Il nuovo sub Kef KC62 sostituisce il KF92 e, pur avendo dimensioni minori, promette prestazioni<br />
analoghe se non superiori grazie alle innovative soluzioni introdotte: gli ingegneri della casa,<br />
infatti, hanno utilizzato le tecnologie brevettate di “annullamento della forza” e Uni-Core con<br />
un inedito approccio alle prestazioni del subwoofer, alla ricerca di ottimizzarne le prestazioni in<br />
ambienti dai più piccoli fino a quelli medi
ANTENNA<br />
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InPol evolve<br />
La circuitazione InPoL (Inseguitore Pompa Lineare) è il marchio di fabbrica<br />
dell’italiana Pathos insieme all’originale design che mixa elementi<br />
tradizionali come il legno e linee rigorose di stampo nordeuropeo. Completamente<br />
bilanciata in classe A con un unico componente a stato solido<br />
in configurazione di inseguitore (ottenendo così un elevato guadagno in<br />
corrente con un guadagno in tensione unitario), questa soluzione consente<br />
di raddoppiare il rendimento teorico della pura classe A dal 25% al 50%<br />
con una bassa impedenza d’uscita. La nuova versione dell’InPol viene<br />
adottata sull’integrato InPoL2 MkII che, praticamente a parità di costi,<br />
sostituisce il precedente modello in esercizio ormai da svariato tempo.<br />
Maggiore ora la potenza su 4Ω (20% in più) e maggiore la corrente di<br />
BIAS, condizione che ha reso necessari radiatori di maggiori dimensioni<br />
pur senza alterare l’armonia del design. Migliorata l’alimentazione,<br />
nuovamente a potenza lineare (trasformatore - ponte - condensatori)<br />
con configurazione dual mono: 2 trasformatori (uno per canale), 2 ponti<br />
Amplificatore integrato Pathos InPoL2 MkII<br />
Prezzo: € 9.700,00<br />
Dimensioni: 43 x 18,50 x 55 cm (lxaxp)<br />
Peso: 45 Kg<br />
raddrizzatori (1 per canale) e 4 condensatori (2 per canale).<br />
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Distributore: Pathos Acoustics - www.pathosacoustics.com<br />
Tipo: stereo Tecnologia: ibrido Potenza: 2 x 45 W su 8 Ohm in classe<br />
A pura, con tecnologia doppio InPoL Accessori e funzionalità aggiuntive:<br />
Telecomando Ingressi analogici: 4 RCA 2 XLR Ingressi<br />
digitali: 4 totali - Ottico / RCA / USB Standard Convertitore audio<br />
D/A: opzionale (HiDac Mk2) 32 bit/384KHz PCM; DSD Note: Configurazione<br />
interamente bilanciata; valvole 2x ECC803 + 2x ECC82; 1<br />
uscita pre XLR; volume resistivo con commutatori a relé; scheda HiDac<br />
Mk2 opzionale +640€<br />
PER NON PENSARCI PIÙ<br />
Appartiene alla nuova generazione dei plug and play l’Audio-Technica<br />
AT-LPW50PB, un giradischi completo di braccio e testina (AT-VM95E) che<br />
integra un preamplificatore fono selezionabile con cavo di uscita RCA doppio<br />
rimovibile, in modo da consentire il collegamento diretto a dispositivi<br />
con o senza ingresso fono dedicato. Lo chassis è in MDF anti-risonanza di<br />
30 mm di spessore, con finitura laccata color nero lucido. Il costo consente<br />
un accesso alla dimensione vinilica assolutamente abbordabile.<br />
Agostino Bistarelli<br />
Distributore: Sisme - www.sisme.com<br />
Giradischi Audio-Technica AT-LPW50PB<br />
Prezzo: € 399,00<br />
Dimensioni: 42 x 12,6 x 35,6 cm (lxaxp)<br />
Peso: 5,5 Kg<br />
Tipo: completo di testina Telaio: rigido in MDF da<br />
30 mm laccato nero Trasmissione: a cinghia Piatto:<br />
alluminio pressofuso e tappetino in gomma<br />
Velocità (RPM): 33/45 Braccio: dritto in carbonio<br />
con shell universale AT-HS4 Alzabraccio: idraulico<br />
Wow & Flutter (%): 60 Note: preamplificatore phono incluso<br />
escludibile, fonorilevatore MM premontato AT-VM95E<br />
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Mail: info@luxurygroup.it<br />
Web: https://luxurygroup.it<br />
12 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
Auralic si espande<br />
A partire da febbraio 2021 il marchio Auralic sarà distribuito nel nostro<br />
paese da Audiogamma. Il marchio ha sede a Hong Kong ed è stato fondato<br />
nel 2008 da Xuanqian Wang (ingegnere elettronico con esperienze nel<br />
campo della registrazione e una attività come pianista) e da Yuan Wang<br />
(un background in sociologia e scienza della gestione), dopo essersi incontrati<br />
in occasione del Festival di Waldbühnes di Berlino. Sulla base<br />
di un modello matematico che tiene conto di elementi di psicoacustica<br />
Xuanqian Wang ha sviluppato nel 2014 una architettura comune per<br />
i suoi prodotti, le piattaforme Tesla G1 e G2 e Proteus G2, caratterizzate<br />
da complesse memorie di sistema aggiornabili, clock Femto72 e<br />
seguici anche su www.facebook.com/suono.it<br />
alimentazioni ultralineari che sono la base di una gamma di prodotti<br />
tutti dedicati allo streaming. Ben sette gli streamer a cui, con la nuova<br />
distribuzione, si aggiungono due nuovi prodotti che definire “accessori” è<br />
abbastanza limitativo: un master clock (Leo GX.1) e un upsampler (Sirius<br />
G2.1) compatibile con ogni tipo di campionamento che opera anche un<br />
reclock del segnale e un controllo dello jitter. Tutti gli apparecchi sono<br />
lavorati in CNC e ricavati dal pieno. I prezzi non sono variati da quelli<br />
proposti dal precedente distributore.<br />
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Dimensioni: 34 x 9,6 x 32 cm (lxaxp)<br />
Tipo: upsampler Ingressi: Lighting Link e USB fino a 384 Khz/32bit<br />
e DSD 512, AES/EBU, coassiale e ottico fino a 192Khz/24bit e DSD 64<br />
Uscite: Lighting Link e USB fino a 384 Khz/32bit e DSD 512, AES/<br />
EBU, coassiale e TOSLINK fino a 192Khz/24bit e DSD 64 Note: triplo<br />
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INSIDE DENTRO LA MUSICA<br />
di Francesco Bonerba<br />
Cosa resterà<br />
di questo Covid qua...<br />
Si dice che da ogni crisi nasce un’opportunità e allora, parafrasando, si può dire che da ogni pandemia<br />
nasca una forma di rinascita? Con il dovuto rispetto per il dolore che il Covid ha generato, abbiamo<br />
provato ad analizzare che cosa è cambiato nel settore della riproduzione musicale e se, tra i tanti<br />
problemi, qualcosa è cambiato in meglio e potrà essere utile in futuro...<br />
Il Web è più un’innovazione sociale che un’innovazione tecnica.<br />
L’ho progettato perché avesse una ricaduta sociale,<br />
perché aiutasse le persone a collaborare,<br />
e non come un giocattolo tecnologico.<br />
Il fine ultimo del Web<br />
è migliorare la nostra esistenza reticolare nel mondo.<br />
Tim Berners-Lee<br />
qui Watson, ho bisogno<br />
di lei!”. Non si tratta di un’esortazione<br />
del celebre personaggio “Venga<br />
creato dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle<br />
e rivolto al suo altrettanto celebre compagno<br />
di avventure ma della prima conversazione<br />
via telefono avvenuta a Boston tra Alexander<br />
Graham Bell e il suo assistente, Thomas<br />
A. Watson, il 10 marzo 1876. Come noto (e<br />
14 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
LA PANDEMIA E LA MUSICA<br />
riconosciuto nel 2002 dal Congresso degli<br />
Stati Uniti), la paternità dell’invenzione che<br />
avrebbe cambiato il secolo successivo apparteneva<br />
in realtà all’italiano Antonio Meucci,<br />
che già nel 1854 aveva inventato il suo primo<br />
prototipo, il telettrofono, per comunicare con<br />
la moglie, costretta a letto da un’artrite deformante.<br />
Ma questa, come si suol dire, è un’altra<br />
storia. Ciò che ci interessa dell’invenzione<br />
del telefono è immaginare lo sguardo attonito<br />
del pubblico che calcava i padiglioni della<br />
prima edizione americana dell’Esposizione<br />
Universale (Filadelfia, maggio - novembre<br />
1876) nell’osservare quell’enorme apparecchio<br />
ricevere e captare suoni provenienti da<br />
altrove. Lo stesso sgomento provato quando,<br />
a marzo 2020, la prossimità cui gli abitanti<br />
del villaggio globale sono stati abituati per<br />
decenni è stata per la prima volta soppressa<br />
su scala planetaria per far fronte all’emergenza<br />
del coronavirus. Così internet, che da<br />
diversi anni lavora per mandare definitivamente<br />
in pensione il telefono fisso, si è fatto<br />
carico di una sfida senza precedenti (secondo<br />
l’OECD - Organisation for Economic Co-operation<br />
and Development - oltre 1,3 miliardi<br />
di persone hanno lavorato e studiato da casa<br />
durante l’emergenza, con un incremento medio<br />
del 60% del traffico online) e a una necessità<br />
mai così imperativa: portare il mondo<br />
nelle case delle persone. Come se Bell, anziché<br />
chiamare il proprio assistente, avesse<br />
chiesto di essere raggiunto nella sua stanza<br />
dal proprio lavoro, dal teatro, dall’ancora non<br />
nato cinema, dai concerti ma anche dai beni<br />
di prima necessità e da tutti i suoi amici e<br />
La sala deserta del Musikverein a Vienna, dove Riccardo Muti ha diretto i Wiener Philharmoniker nel tradizionale<br />
concerto del primo dell’anno.<br />
parenti. Quello che sembrerebbe un racconto<br />
fantastico scritto da H. G. Wells è in realtà<br />
accaduto negli ultimi mesi e ha riguardato<br />
anche uno dei settori apparentemente più<br />
inconciliabili a essere “trasportati” in casa:<br />
la musica dal vivo. Non ne abbiano a male<br />
gli audiofili più colti, abituati a godere delle<br />
sonorità più impensabili attraverso impianti<br />
da migliaia di euro; il pensiero va piuttosto<br />
ai milioni di fruitori dei concerti di musica<br />
pop, dei festival musicali, delle iniziative di<br />
arte contemporanea e ai tanti studenti delle<br />
scuole e accademie impreparati a fruire la<br />
musica live attraverso modalità differenti. A<br />
un anno dall’inizio della pandemia, abbiamo<br />
voluto fare una rapida peregrinazione tra<br />
alcuni esperimenti per portare la musica in<br />
casa, facendola traghettare sul fiume sempre<br />
più veloce della rete.<br />
La sfida della distanza ha richiesto da subito<br />
il superamento di un ostacolo consistente,<br />
con il quale hanno dovuto confrontarsi uffici<br />
pubblici, scuole, società private: le barriere<br />
tecnologiche. In un Paese come l’Italia in<br />
cui il 70% degli utenti di Internet non hanno<br />
competenze digitali elevate e il 25% delle<br />
famiglie non dispongono di banda larga<br />
(fonte: Report Istat Cittadini e ICT, 2019),<br />
può essere facile sostituire una conversazione<br />
con una telefonata o videochiamata, ma immaginare<br />
la gestione a distanza di riunioni,<br />
lezioni, condivisione di file, organizzazione<br />
del workflow e via dicendo è tutt’altra storia.<br />
Le cose si complicano ulteriormente quando<br />
si parla di musica: faticosa la didattica,<br />
complessa la gestione di un evento fruibile<br />
esclusivamente online, apparentemente<br />
impossibile la sfida di restituire l’esperienza<br />
dello spettacolo dal vivo. Eppure… in tanti,<br />
nel corso dell’anno appena trascorso, ci hanno<br />
provato e ci sono riusciti! A partire dalle<br />
scuole: sono migliaia gli esempi di istituti e<br />
docenti virtuosi che, nonostante le mille difficoltà<br />
della DAD, non hanno rinunciato alle<br />
lezioni musica a distanza, sostenuti da nuovi<br />
strumenti di insegnamento.<br />
Cremona Musica, ad esempio, ha lanciato a<br />
luglio mfClassrooms, piattaforma web per<br />
studiare musica a distanza(tanti i conservatori<br />
e gli enti che l’hanno adottata, tra cui il<br />
Canepa di Sassari, l’Accademia Chigiana di<br />
Siena, l’European Music Institute di Vienna<br />
e la Escuela Reina Sofia di Madrid). Dietro<br />
il progetto, il pianista Roberto Prosseda (in-<br />
Il sistema LoLa 2.0 all’opera.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 15
INSIDE<br />
Jean-Michel Jarre nello studio dal quale ha registrato il concerto di fine anno.<br />
tervistato su <strong>SUONO</strong> 497, maggio 2015), che<br />
racconta in un’intervista: “Ho lavorato insieme<br />
ad Ubaldo Ponzio, co-ideatore e direttore<br />
tecnico di mfClassrooms, raccogliendo una<br />
sfida personale che aveva come obiettivi la<br />
creazione di un servizio che fosse funzionale<br />
per un musicista ed i suoi studenti e che<br />
contemporaneamente non fosse limitato<br />
a chi disponesse di una strumentazione e<br />
un’infrastruttura sofisticata e costosa. […]<br />
L’avanzamento tecnologico che consente<br />
questa nuova piattaforma sarà prezioso<br />
anche una volta superata la pandemia,<br />
perché ci permetterà di costruire nuovi progetti<br />
raggiungendo più facilmente luoghi,<br />
docenti, studenti anche geograficamente<br />
molto lontani.”<br />
Nello stesso solco si inserisce LoLa 2.0 (da<br />
Low Latency), un sistema, anch’esso completamente<br />
made in Italy, per suonare e<br />
fare didattica superando confini geografici<br />
e tecnologici. Nato nel 2007 in seno al Conservatorio<br />
Tartini di Trieste e recentemente<br />
implementato grazie alla rete GARR (infrastruttura<br />
che interconnette università, centri<br />
di ricerca, biblioteche, musei, scuole su tutto<br />
il territorio nazionale) e al progetto SWING<br />
(dedicato all’innovazione e alla collaborazione<br />
nel campo dell’istruzione musicale<br />
superiore), LoLa ha consentito lo scorso 6<br />
novembre, nel corso del Congresso annuale<br />
dell’Associazione Europea dei Conservatori,<br />
la realizzazione di una esibizione Jazz unica,<br />
con tre musicisti collegati simultaneamente<br />
da tre sedi diverse, Trieste, Vienna e Lubiana.<br />
Il concerto, ripreso in alta definizione da<br />
quattro telecamere, è stato trasmesso e poi<br />
La cattedrale di Notre Dame di Parigi ricreata digitalmente.<br />
reso disponibile su YouTube. Un primo passo<br />
verso un ambizioso obiettivo fino a poco<br />
tempo fa impensabile su scala planetaria:<br />
annullare, con la complicità della fibra e dei<br />
software, il gap temporale del passaggio di<br />
informazioni da una parte all’altra del mondo<br />
e rendere simultanea l’esecuzione live di artisti.<br />
Ed è ecco che, come per magia (la stessa<br />
che ha consentito a Meucci e Bell di meravigliare<br />
il mondo), diventa possibile realizzare<br />
un concerto in diretta a 10mila chilometri di<br />
distanza. Un altro traguardo che ha coinvolto<br />
l’Italia e nello specifico la Biennale di Tecnologia<br />
del Politecnico di Torino, che il 13<br />
novembre ha realizzato un collegamento tra<br />
musicisti di Torino, Monaco di Baviera (Germania)<br />
e Stanford (Stati Uniti) mantenendo<br />
il ritardo tra le esecuzioni a 30 millisecondi.<br />
Dietro al prodigio, però, nessuno stregone<br />
ma un algoritmo open source, JackTrip,<br />
sviluppato a partire dal 2000 da Chris Chafe,<br />
professore di musica della Stanford University<br />
music; il programma, recentemente<br />
perfezionato, consente la trasmissione di un<br />
flusso audio a bassa latenza, bidirezionale e<br />
non compresso, che annulla, di fatto, la distanza<br />
tra i musicisti. E non solo. Nel corso<br />
del concerto del 13 novembre dal titolo “Note<br />
in volo sulla rete”, sono state proposte pagine<br />
estrapolate dalla raccolta di Canzoni popolari<br />
WoO 158° di Beethoven (1816), Spiegel im<br />
Spiegel di Arvo Pärt (1978), la Sonata op.<br />
40 di Šostakovič (1934) e Lamentazioni del<br />
profeta Geremia, risalenti addirittura al 1588<br />
ed accompagnate dalle improvvisazioni di un<br />
esecutore di dilruba, poco noto strumento<br />
popolare ad arco dell’India Settentrionale.<br />
Un viaggio, dunque, che attraverso la fibra<br />
ottica e l’interpretazione digitale di algoritmi<br />
e software distribuisce, globalmente e in<br />
tempo reale, sonorità che hanno attraversato<br />
i secoli. Un patrimonio culturale che continua<br />
a tramandarsi grazie al supporto di una<br />
tecnologia che l’emergenza del Covid-19 sta<br />
definitivamente consolidando. Perché questo<br />
avvenga, ovviamente, sono necessarie persone<br />
pronte a mettersi in gioco, investire energie<br />
e passione nel modellare con intelligenza<br />
le risorse a disposizione. È il caso, ad esempio,<br />
dei musicisti dell’associazione La Scena<br />
Muta, Toscana, che durante il lockdown hanno<br />
dato vita alla Pippolo Music School,<br />
prima scuola di musica popolare contemporanea<br />
online, con corsi di basso elettrico,<br />
percussioni, tromba, digital audio, viola da<br />
gamba, tastiera e piano, etc. Il nome, che a<br />
qualcuno parrà insolito, deriva dal “pippolo”,<br />
modo popolare dei fiorentini di chiamare il<br />
plettro, e dalla Pippolese di Serpiolle e di<br />
16 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
INSIDE<br />
LO SPIRITO DELLA MUSICA OLTRE LA PANDEMIA<br />
Il presidente di HARMAN Lifestyle Division Dave Rogers è voluto intervenire<br />
sugli effetti dell pandemia sulla musica. Ospitiamo con piacere buona<br />
parte del suo interessante intervento.<br />
When the war is over<br />
and we go back to everyday, everyday<br />
Will it be the same again?<br />
When you’ve been turned inside out and outside in?<br />
Questi intensi versi della canzone inedita di Dave Matthews Singing from the<br />
Windows, ispirata alla pandemia globale di Covid-19, rappresentano l’angoscia<br />
emotiva che milioni di noi provano oggi. In tutto il mondo si sta lottando<br />
per creare una nuova normalità che pochi, se non nessuno, avrebbe potuto<br />
immaginare un anno fa. E senza vedere un punto di svolta a breve, questa<br />
nuova normalità può durare molto più a lungo di quanto chiunque vorrebbe.<br />
Mentre le misure necessarie nella lotta contro il virus come l’isolamento e la<br />
quarantena iniziano ad avere una serie di effetti collaterali, tra cui ansia, stress,<br />
solitudine, disconnessione e altro, rimpiangiamo i momenti in cui ascoltare<br />
le nostre playlist preferite con gli amici era semplice, quando godersi un<br />
concerto dal vivo era un piacere che troppo spesso davamo per scontato.<br />
Per molti di noi la musica è come ossigeno. Da tempo immemore, gli esseri<br />
umani hanno fatto musica, ascoltato musica, si sono affidati alla musica come<br />
un canale di liberazione e rifugio in momenti di prova. La musica è il linguaggio<br />
universale e uno dei grandi amori delle nostre vite. Quale altro modo di<br />
esprimersi arriva a ognuno di noi come fa la musica? Cos’altro può raggiungere<br />
le nostre emozioni e farle volare alle più grandi altezze o confortarle quando<br />
siamo tristi? Di tutte le forme d’arte, solo la musica ha il potere di toccarci così<br />
personalmente da farci sentire trasformati. Non deve sorprendere, quindi, che<br />
in questa crisi le persone abbiano mostrato ovunque un profondo bisogno<br />
di connettersi con lo spirito della musica. Uno studio condotto da OnePoll in<br />
collaborazione con HARMAN ha scoperto che la musica è il modo migliore<br />
per affrontare le situazioni di stress. Un incredibile 81%degli intervistati ha<br />
affermato che la musica li ha aiutati a superare la pandemia Covid-19, mentre<br />
il 64,2% degli intervistati ha affermato che guardare spettacoli musicali virtuali<br />
li ha aiutati a sentirsi connessi con gli altri durante l’isolamento. Nella statistica<br />
forse più eloquente di tutte, otto persone intervistate su dieci hanno rivelato<br />
che non sarebbero in grado di vivere in un mondo senza musica.<br />
Per vedere le prove della necessità di musica dell’umanità in questi tempi<br />
difficili, basta guardare all’incredibile popolarità dei concerti live-streamed,<br />
delle apparizioni virtuali in-game e di altri nuovi format innovativi: le megastar<br />
K-pop BTS hanno stabilito un nuovo record mondiale per un pubblico di musica<br />
live-streamed, quando 756.000 fan da più di 100 paesi si sono sintonizzati<br />
sul loro evento pay-per-view “Bang Bang Con: The Live” a giugno. Nel gioco<br />
online “Battle Royale” di Fortnite, l’apparizione di Travis Scott è stata vista da<br />
ben 12,3 milioni di giocatori. Tomorrowland, un evento che JBL sponsorizza<br />
regolarmente, è diventato virtuale e oltre un milione di appassionati di musica<br />
dance hanno acquistato i biglietti per Tomorrowland Around the World, un<br />
festival digitale di due giorni con otto palchi e più di 60 artisti. Su Twitter, i party<br />
di ascolto ospitati dal musicista Tim Burgess dei Charlatans, hanno riunito<br />
gli appassionati di musica per ascoltare gli album classici con il commento<br />
in diretta su Twitter delle persone che li hanno realizzati. Le esibizioni live<br />
gratuite dei Doobie Brothers, Modern English, Billie Eilish, Charlie CX e The<br />
Rolling Stones hanno permesso a milioni di fan di entrare nelle case e nelle<br />
vite dei loro idoli musicali. L’album più venduto quest’anno, Folklore di Taylor<br />
Swift, è stato scritto e registrato durante il lockdown e l’artista è diventata<br />
l’unica nella storia con sette album che hanno venduto mezzo milione di<br />
copie in una settimana.<br />
Noi amiamo la musica. Il nostro desiderio di musica live è potente. Un’esperienza<br />
esaltante, emotiva, profondamente umana che è radicata nelle nostre<br />
più antiche tradizioni e coinvolge tutti i nostri sensi portandoci in uno stato<br />
di euforia in cui non esiste nient’altro che il suono e il ritmo.... Per molti di<br />
noi, l’impossibilità di godere della musica dal vivo è stata una mancanza<br />
molto seria. La buona notizia è che ci sono molti modi per mantenere viva la<br />
passione per la musica anche in momenti di transizione come questo, verso<br />
un mondo post-pandemia. Un ambiente di ascolto ottimizzato è la chiave,<br />
come abbiamo esplorato in un episodio del podcast di HARMAN “Audio Talks”<br />
sull’Hi-Fi Hygge - la dimensione audio della nozione scandinava di intimità,<br />
convivialità e semplici gioie. Sono sicuro che siamo tutti d’accordo sul fatto<br />
che le circostanze di oggi siano estremamente impegnative, ma dobbiamo<br />
ricordare che, per quanto ci si possa sentire come se navigassimo in acque<br />
scure e inesplorate, anche questo passerà. E, come spesso accade, all’interno<br />
della sfida c’è un’opportunità. In realtà, più grande è la sfida, più grande<br />
è l'opportunità. Ecco perché sono decisamente ottimista sul futuro della<br />
scena musicale. Questo momento ha l'impareggiabile potenziale non solo<br />
di mettere sotto i riflettori l'abbondante bene emotivo e fisico che la musica<br />
offre, ma anche di porre la musica al centro del nostro recupero collettivo. Un<br />
modo concreto per sfruttare il potere riparatore della musica è quello di abbracciare<br />
l’esperienza virtuale condivisa come un modo significativo, flessibile<br />
e assolutamente sicuro per riunire le comunità. L’esplosione del divertimento<br />
della musica virtuale condivisa è uno dei doni più inaspettati di questa crisi.<br />
Negli ultimi sei mesi è progredita come in sei anni in circostanze ordinarie,<br />
aprendo innumerevoli strade inesplorate per lo sviluppo. I musicisti e i fornitori<br />
di tecnologia devono solo chiedersi come utilizzare al meglio l’accresciuto<br />
desiderio di comunità virtuali per condividere musica, discutere informazioni<br />
e connettersi. Le possibilità sono tanto entusiasmanti quanto numerose.<br />
In un’epoca di distanziamento, la musica unisce. In un tempo di ansia, la musica<br />
rilassa. In un tempo di sofferenza, la musica guarisce. I benefici della musica<br />
non sono mai stati così importanti per l’umanità, ed è per questo che tutti noi<br />
dobbiamo fare la nostra parte per mantenere vivo lo spirito della musica. Che<br />
ci crediate o no, la luce alla fine del tunnel si fa più luminosa. PWC prevede una<br />
crescita costante della musica dal vivo negli anni a venire; le sue ultime previsioni<br />
mostrano che l’industria della musica live si riprenderà nel 2021, raggiungendo<br />
la piena ripresa entro il 2022. Si tratta di una notizia davvero incoraggiante!<br />
18 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
LA PANDEMIA E LA MUSICA<br />
La spettacolare scenografia digitale e gli studi in green screen utilizzati per la registrazione dei dj set di<br />
Tomorrowland 31.12.2020.<br />
Borgo Allegri, orchestre di mandolini diffuse<br />
nella prima metà del novecento a Firenze; a<br />
loro si ispira La Nuova Pippolese, orchestrina<br />
popolare nata nel 2015 grazie a La Scena<br />
Muta, che si prefigge l’obiettivo di riscoprire i<br />
canti della tradizione fiorentina valorizzando<br />
il ruolo aggregativo della musica.<br />
La tecnologia, dunque, come ponte per tornare<br />
a una dimensione educativa, sociale,<br />
culturale bruscamente interrotta dalla pandemia;<br />
a patto, però, che ci si approcci ai<br />
nuovi scenari della contemporaneità con<br />
sguardo aperto, senza restare ancorati alle<br />
proprie consuetudini e con la consapevolezza<br />
che il cambiamento in atto non può e<br />
non deve essere temporaneo. Ciò non toglie<br />
che, per quanto proiettati verso il futuro si<br />
possa essere, guardare la platea deserta della<br />
meravigliosasala dorata del Musikverein a<br />
Vienna, dove Riccardo Muti ha diretto (per<br />
la sesta volta) i Wiener Philharmoniker nel<br />
consueto concerto del primo dell’anno,<br />
fa impressione. Più che per il pubblico da<br />
casa, la cui attenzione è stata spostata dalla<br />
regia sull’orchestra e sui dettagli architettonici<br />
e scenografici, il cambiamento ha avuto un<br />
forte impatto sui musicisti, privati del calore<br />
degli spettatori. La tecnologia è venuta anche<br />
qui in soccorso della musica, e coloro che si<br />
registravano sul portale mynewyearsconcert.<br />
com hanno potuto applaudire in diretta per<br />
rendere meno fredda l’esibizione, con esiti<br />
tuttavia lontani dal consueto. A riprova che<br />
(per ora) non tutte le esperienze sono replicabili<br />
a distanza. Il periodo delle festività<br />
natalizie, però, è stato un importante banco<br />
di prova per i concerti “virtuali”: da un lato la<br />
necessità di organizzare qualcosa nelle grandi<br />
città, per mitigare la sensazione di spaesamento<br />
da molti provata; dall’altro la difficoltà<br />
per le amministrazioni e gli addetti ai lavori<br />
di confrontarsi con l’organizzazione di spettacoli<br />
in grado di funzionare bene a distanza<br />
e per platee potenzialmente sconfinate. Tra<br />
gli esperimenti più interessanti sicuramente<br />
Welcome to the Other Side, concerto<br />
“impossibile” realizzato in collaborazione con<br />
la città di Parigi e con il patrocinio dell’UNE-<br />
SCO e trasmesso contemporaneamente in<br />
tutto il mondo su piattaforme per contenuti<br />
fruibili con visori VR, social network, radio<br />
e TV . Il musicista e compositore francese<br />
Jean-Michel Jarre, noto per i suoi concertispettacolo<br />
seguiti da milioni di spettatori, si<br />
è esibito in una performance live di 45 minuti<br />
in cui ha suonato brani della sua recente opera<br />
Electronica e nuove versioni rielaborate<br />
dei suoi classici, Oxygène ed Equinoxe, da<br />
uno studio nel centro di Parigi; parallelamente,<br />
il suo avatar è comparso all’interno<br />
di una location, per l’appunto, impossibile, la<br />
cattedrale di Notre-Dame (chiusa al pubblico<br />
dall’incendio del 15 aprile 2019), completamente<br />
ricostruita in 3D, dove il pubblico ha<br />
potuto osservarne in modo immersivo l’esibizione,<br />
accompagnata da spettacolari effetti<br />
grafici e di luce. Il concerto è stato progettato<br />
e prodotto in tre mesi, riunendo un team di<br />
cento artisti e tecnici, ed è stato reso possibile<br />
grazie al coinvolgimento di VRrOOm, compagnia<br />
francese fondata nel 2016 che si occupa<br />
di VR e che lo scorso anno ha lanciato una<br />
piattaforma VR per lo streaming immersivo<br />
e multi-user degli eventi dal vivo. Risultato:<br />
un “videogame” interattivo che ha richiamato<br />
l’attenzione di 75 milioni di spettatori. Altrettanto<br />
titanico è stato lo sforzo per realizzare<br />
Tomorrowland 31.12.2020, l’evento di<br />
fine anno organizzato dal più grande festival<br />
di musica elettronica al mondo. Ventotto tra<br />
i migliori artisti internazionali della scena<br />
dance/elettronica si sono esibiti su quattro<br />
stage digitali, tutti accessibili contemporaneamente,<br />
in uno show di oltre 21 ore andato<br />
in onda in contemporanea in tutto il mondo<br />
sulla piattaforma NAOZ. I numeri sono im-<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 19
INSIDE<br />
La facciata del Duomo durante l’evento “Pensieri illuminati”.<br />
pressionati: 200 persone al lavoro, 2 studi<br />
dotati di green screen (uno in Belgio e uno<br />
a Los Angeles), 17 camere 4K e 152 camere<br />
virtuali, 120 computer al lavoro e 1.000 ore<br />
di rendering. Ogni aspetto dello show è stato<br />
curato per dare agli spettatore l’illusione<br />
di una ripresa live, dalle 250 persone arruolate<br />
per fare da comparse e dare l’impressione<br />
di un pubblico reale all’illuminazione,<br />
modificata in base alla posizione del palco e<br />
all’ora del giorno durante la trasmissione.<br />
L’evento è stato seguito da oltre 950.000<br />
persone in più di 151 Paesi.<br />
Sul fronte italiano, tra le tante iniziative<br />
degne di note vanno menzionate almeno<br />
i Pensieri illuminati a Milano<br />
e Fkk2020 a Bologna, entrambe svoltesi<br />
la notte di capodanno. La prima è “un’opera<br />
d’arte totale” promossa dal Comune di Milano<br />
e prodotta con Videomobile e Area<br />
62, con la regia di Marco Boarino: fino al<br />
31 dicembre chiunque ha potuto lasciare<br />
sul sito www.pensieriilluminatimilano.<br />
itun breve pensiero ispirato a uno dei tre<br />
temi dell’opera (creato, umanità e futuro),<br />
trasformato e proiettato dall’artista Felice<br />
Limosani sotto forma di grafica generativa<br />
e pixel luminosi; ad accompagnare le forme,<br />
la musica diretta da Beatrice Venezi,<br />
eseguita dall’Orchestra “I pomeriggi musicali”,<br />
e dalla drammaturgia messa in scena<br />
dalla Civica scuola di teatro “Paolo Grassi”.<br />
Coinvolti nell’opera collettiva i luoghi simbolo<br />
della vita civile, culturale e religiosa<br />
di Milano, tutti circondati da un surreale<br />
vuoto umano: il Duomo, Sala delle Cariatidi,<br />
Palazzo Reale e Museo del Novecento. Il<br />
secondo è un concerto di musica elettronica<br />
organizzato da DumBO (il distretto urbano<br />
multifunzionale di Bologna) e ROBOT Festival<br />
e trasmesso in una live streaming di<br />
cinque ore dal Binario Centrale dell’ex scalo<br />
ferroviario Ravone. A differenza da quanto<br />
accaduto per il concerto nella sala viennese<br />
del Musikverein, qui i dj sono stati calati in<br />
una scenografia digitale “aumentata” e prodotta<br />
in tempo reale, circondati dagli avatar<br />
dei partecipanti alla diretta streaming, proiettati<br />
all’interno della sala digitale. L’evento<br />
è stato trasmesso in diretta streaming su<br />
Twich e in differita su Lepida TV.<br />
Bastano questi esempi per accorgersi della<br />
peculiarità di molti degli show realizzati a<br />
fine anno (e non solo): rendere il pubblico<br />
partecipe in modi innovativi e mai sperimentati,<br />
portando la musica dal vivo nell’arena<br />
digitale del attraverso nuove modalità<br />
o il perfezionamento di quelle già esistenti<br />
(su tutte, la Virtual reality, che non ha<br />
ancora del tutto preso piede). Così come<br />
i videogames hanno, ad esempio, debiti<br />
enormi verso il cinema (e viceversa, in<br />
tempi recenti), anche la musica ha preso<br />
in prestito modalità e strumenti da ambiti<br />
abitualmente molto distanti per far fronte<br />
a una sfida senza precedenti. L’emergenza<br />
sanitaria ha offerto il contesto ideale per<br />
applicare nuovi strumenti su vastissima<br />
scala e rendere il pubblico – già costretto<br />
giornalmente a teletrasportarsi nel mondo<br />
e a teletrasportare il mondo nella propria<br />
stanza – consapevole di contenuti e modalità<br />
di fruizione / interazione finora in<br />
buona parte ignorate. Contenuti e modalità<br />
che per essere goduti appieno necessiteranno,<br />
in futuro prossimo venturo, di<br />
strumenti in grado di rendere giustizia al<br />
lavoro svolto (una nuova età dell’oro si prospetta<br />
per l’alta fedeltà?). Questo ha fatto<br />
la differenza tra gli eventi sopra citati ed<br />
eventi “ordinari”, per i quali si è pensato<br />
solo a una mera riproposizione online o<br />
televisiva di uno spettacolo a porte chiuse,<br />
e rappresenterà il passaggio fondamentale<br />
verso una fruizione della musica senza<br />
confini: nessuna barriera architettonica o<br />
volo aereo o condizione fisica potrà in futuro<br />
impedire a una persona di godere delle<br />
note di un concerto in corso di svolgimento<br />
dalla parte opposta del mondo così come un<br />
musicista avrà finalmente l’opportunità di<br />
godere di una platea globale. Ciò a cui si<br />
andrà incontro, dunque, non sarà uno snaturamento<br />
della musica e della sua essenza<br />
ma una moltiplicazione infinita dei luoghi,<br />
dei pubblici e dei tempi. Perché se c’è una<br />
cosa che questa pandemia ha evidenziato<br />
in modo inequivocabile è che della musica<br />
non se ne può fare a meno. E nonostante le<br />
enormi difficoltà di un settore duramente<br />
colpito, la musica e chi la fa, la sostiene e<br />
la ama, hanno e stanno mostrando grande<br />
resilienza nell’affrontare questa situazione.<br />
Come le note del violoncello di Camille Thomas<br />
e della chitarra di Jacopo Mastrangelo<br />
che dai tetti di Parigi e Roma si sono perse<br />
tra le vie delle due capitali deserte durante<br />
il lockdown, la musica continua a vivere e<br />
a diffondersi in tutte le suo forme, sempre<br />
più velocemente, sempre più lontano, sempre<br />
più alla portata di tutti. In fondo, se c’è<br />
una cosa che può salvare il mondo, per dirla<br />
come Dostoevskij, è proprio la bellezza, della<br />
musica e dell’arte tutta.<br />
20 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
INSIDE<br />
di Libero Abbaci<br />
La vita<br />
è tutta un<br />
risiko?<br />
Appunti per un domani e per il rilancio dei punti vendita Hi-Fi la cui continua e inesorabile chiusura, per i<br />
motivi congiunturali affrontati negli articoli che costituiscono il dossier “Alta fedeltà 2020” pubblicato lungo<br />
l’anno che si è appena spento, sta comportando una concentrazione di distributori e di brand nell’offerta<br />
di mercato. Gli stoici negozianti superstiti, per sopravvivere, stanno mettendo da parte le loro nostalgiche<br />
preferenze di marchio o di modello o di gusto musicale ed etica commerciale, decidendo obtorto collo di<br />
aderire alle proposte commerciali dei pochi grandi distributori.<br />
Pesce grosso mangia pesce piccolo: vale ovunque e anche in Hi-Fi<br />
perché, nella continua lotta alla sopravvivenza, chi detiene più<br />
punti vendita sul territorio nazionale riesce a (o cerca di) spuntare<br />
i famosi “numeri” a due cifre. E nello stato attuale, il negoziante si<br />
trova ad accettare l’intero (o buona parte del) pacchetto di brand e di<br />
modelli offerto dal suo distributore (alias holding) di riferimento. In<br />
teoria, ogni brand all’interno del portfolio delle holding dovrebbe avere<br />
un suo preciso posizionamento, senza sovrapposizioni dei beni offerti<br />
su un mercato oramai monopolizzato da pochissimi grandi distributori<br />
che, però, distribuiscono sempre i soliti pochi brand. Per distribuire in<br />
modo più omogeneo le merci sul mercato nazionale, al fine di evitare<br />
l’insorgere di dannose sovrapposizioni dei modelli nel posizionamento<br />
dei vari brand del portfolio (quando i brand nel portfolio della holding<br />
diventano numerosi, questo può evidentemente accadere), alcune grandi<br />
holding avvedute hanno studiato l’offerta dei marchi “spalmandoli”<br />
su più distributori nazionali e quindi su molti più negozi fisici. Come<br />
condizione limite proiettata all’assurdo tecnologico, per sopravvivere<br />
nell’attività industriale le multinazionali detentrici dei brand potrebbero<br />
progettare e produrre due apparecchiature di due diversi brand (quindi<br />
in apparente competizione tra loro) provenienti invece dallo stesso stabilimento<br />
di produzione OEM e quindi aventi lo stesso DNA (accade già,<br />
frequentemente, nel mercato dell’auto). L’impatto di questa “normalizzazione”<br />
potrebbe portare l’utente evoluto (o meglio lo spettatore un po’<br />
“scafato” di questo mercato) a non condividere questa sorta di omologazione,<br />
invocando con lo strumento del passaparola, se vogliamo adottare<br />
una terminologia ecologica, una maggiore e più equa “biodiversità” del<br />
mercato, ogm-free per intenderci! L’italica audiofilia, per indole polemica<br />
innata e comprovata, abituata a lagnarsi e detestare già le normali<br />
imposizioni del vivere quotidiano offerte dalla politica, dai suoi rappresentanti,<br />
dall’economia, dal proprio stato sociale, etc., potrebbe iniziare a<br />
detestare anche la continua sovraesposizione mediatica di questi famosi<br />
brand e i loro lead, rigettandoli per principio, aldilà dell’effettivo valore<br />
percepibile e quindi della loro effettiva qualità. Al contrario, il ruolo del<br />
negoziante rischia di ridursi a quello di fornitore di servizi di vendita al<br />
distributore all’interno di spazi fisici promozionali, costituendo così una<br />
sua personale vetrina fisica sul mondo, con poco incentivo economico e<br />
convinzione personale da parte del commerciante stesso, ridotto quasi<br />
a un ruolo di “dipendente - concierge”. Dopo essere state annichilite le<br />
capacità decisionali del costruttore di progettare autonomamente, oltre<br />
ai propri apparecchi, anche la propria filosofia e strategia commerciale<br />
per lui più efficace o consona, viene assimilata anche la capacità decisionale<br />
del dettagliante di zona di selezionare (scegliere) gli apparecchi<br />
che ritiene più interessanti per la sua filosofia, il suo modello di vendita<br />
e di posizionamento commerciale (alias per lui più convenienti, meglio<br />
suonanti e più profittevoli).<br />
È comprensibile e umanamente condivisibile l’idea che<br />
un negoziante decida di diventare lui stesso distributore<br />
per l’intero territorio nazionale dei brand in cui crede,<br />
bypassando i canali distributivi tradizionali e acquisendo<br />
22 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
INCHIESTA IL FUTURO DEL PUNTO VENDITA<br />
direttamente i prodotti da commercializzare dai propri<br />
brand preferiti.<br />
Il ruolo del dettagliante di zona sta, dunque, cambiando: il negoziante<br />
che ha ancora le necessarie risorse per farlo, preferisce cambiare<br />
pelle e, in una sorta di corto circuito di causa-effetto commerciale, ha<br />
ancora senso parlare di “tradizionale catena produttore-importatore/<br />
distributore-dettagliante ,, nel 2021? Questo modello-sequenza di<br />
vendita, che da sempre è stato sinonimo di una ferrea applicazione<br />
delle regole dell’economia reale ante, oggi può ancora ritenersi<br />
valida?<br />
Uno degli effetti, o conseguenza di questa nuova fenomenologia commerciale,<br />
è che in occasione delle manifestazioni nazionali di settore,<br />
fino a quando si sono potute svolgere, si potevano incontrare anche<br />
loro, i dettaglianti di zona. In una sorta di autodeterminazione referenziale,<br />
e sempre più frequentemente, sono addirittura loro stessi<br />
a organizzarle, queste manifestazioni. Qual è, allora, il vero scopo e<br />
l’utilità di queste kermesse organizzate da dettaglianti (spesso anche)<br />
per i dettaglianti? Forse perché intravedono segmenti profittevoli<br />
e nuove opportunità per fare business alternativi o migliorare il<br />
proprio posizionamento commerciale (ergo il loro MOL)? Anche per<br />
questo, ovviamente... Oppure, il motivo della nascita di queste iniziative/servizi<br />
è legato al fatto che oggi il negoziante conosce meglio<br />
dei nostrani distributori i nuovi trend di consumo, la profittabilità<br />
e la scalabilità nell’offerta dei prodotti di un brand (scritto con tre<br />
punti di sospensione e punto interrogativo finale). Dato che lo scopo<br />
principale di questi eventi è far conoscere al pubblico i vari marchi<br />
e i loro prodotti, comunicando la filosofia che dovrebbe contraddistinguerli<br />
dal resto, si percepisce nel contempo un certo scollamento<br />
nei rapporti con i distributori nazionali, presenti anch’essi in queste<br />
manifestazioni, sovvenzionati o sponsorizzati anche dai loro brand,<br />
ovviamente.<br />
In una sorta di melting pot, i veri protagonisti, i distributori e gli<br />
importatori, dovrebbero forse (ri)adoperarsi fattivamente in questi<br />
servizi promozionali, possibilmente organizzandole nuovamente<br />
loro, queste kermesse, andando oltre gli obsoleti steccati imposti<br />
dalle regole della concorrenza. Anche alcuni produttori italiani che<br />
partecipano direttamente a queste manifestazioni osservano questa<br />
tendenza, non senza nascondere qualche perplessità circa l’affidabilità<br />
degli operatori in queste nuove vesti di distributori, che potrebbe<br />
tradursi in uno svantaggio (temporaneo?) per il produttore stesso in<br />
termini di reputazione nei servizi di post-vendita e/o nel loro corretto<br />
posizionamento di mercato. Siamo all’inizio delle grandi manovre<br />
per la creazione di una nuova e più agile corporazione trasversale,<br />
quella dei brand retailer affiliati? Ciò che cambia, in questo caso, è<br />
il sistema di relazioni, non più unidirezionale con il proprio distributore<br />
ma multiverso su rete network, veloce, assertivo, paritetico,<br />
costruttivo, equanime e solidale tra i vari partner. Probabile che<br />
i suggerimenti proposti da un rivenditore affiliato possano essere<br />
condivisi e replicati in tempo reale dai propri partner come atto per<br />
la crescita collettiva e non come un’iniziativa individuale di cui si deve<br />
comunque diffidare. In questo caso, l’uso di strumenti di geomarketing<br />
a geometria variabile risulta cruciale e strategico al fine di evitare<br />
rischiose sovrapposizioni delle “aree di competenza territoriale” nel<br />
posizionamento e di scalabilità dei prodotti. Nella “ripartenza” che,<br />
si spera, avverrà in questo stesso 2021 anno domini, diventa cruciale<br />
interrogarsi sul “come” (ancor più che sul “quando”) ripartire...<br />
Non si propone qui la ri-nascita di un’organizzazione nazionale (che<br />
dovrebbe comunque essere più super partes che in passato) costituita<br />
da tutti gli stakeholders audio e magari atta all’organizzazione<br />
di tre fiere all’anno, nord-centro-sud, isole comprese, di caratura,<br />
rappresentanza, autorevolezza e qualità stellari (anche se questa non<br />
sarebbe affatto una pessima idea) ma, proprio per dare un qualche<br />
valore al concetto di stakeholders, anche il pubblico dovrebbe essere<br />
parte attiva e consapevole di un nuovo processo di crescita...<br />
Della serie: non si va a eventi di questo tipo soltanto per passare<br />
un pomeriggio alternativo e diverso dal solito, magari portandosi<br />
dietro il proprio cane (!?!), perché non si sa proprio dove lasciarlo,<br />
oppure spingendo il passeggino con a bordo il proprio neonato (due<br />
cose viste per la prima volta lo scorso anno, sia nelle salette che nei<br />
corridoi di una di queste manifestazioni), come se invece di fare<br />
una passeggiata ai giardini pubblici, si venga qui solo “perché fuori<br />
piove”. Magari andrebbe introdotto il concetto di “biglietto” facendo<br />
pagare per l’ingresso: la “clientela general purpose” tenderà a<br />
diminuire in quanto disincentivata ma per gli operatori impegnati,<br />
probabilmente, il livello dei contatti qualificati può solo migliorare!<br />
E con essi, anche il prezzo per l’affitto delle salette potrebbe essere<br />
leggermente laminato da questa nuova entrata economica, possibilmente<br />
non speculativa. Inoltre, il tempo di permanenza del pubblico<br />
qualificato nelle salette sarebbe sicuramente superiore, in quanto<br />
stimolato dal dovere “ammortizzare” il costo del biglietto, progettando<br />
strategicamente così la loro giornata invece di “fuggire” al primo<br />
momento opportuno per l’aperitivo. Certamente, non si potrà più<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 23
INSIDE<br />
Tutti assieme abbiamo ottenuto nel corso dell’anno appena concluso degli ottimi<br />
risultati; un anno indubbiamente complesso per molte ragioni ma che ci ha anche<br />
portato, in molti casi, soddisfazioni inaspettate dal punto di vista commerciale.<br />
Parlando con altri addetti ai lavori ho avuto conferma che, per quanto concerne<br />
l’home entertainment e, più in generale, i prodotti che si utilizzano in casa, c’è<br />
stato un significativo aumento di interesse che spesso si è tramutato in vendite.<br />
Naturalmente questa disponibilità di spesa e aumento di interesse per l’audio e<br />
il video in casa è frutto anche dell’impossibilità di impegnare il tempo libero con<br />
viaggi, uscite al ristorante o ai caffè, con visite nei luoghi della cultura. Abbiamo tutti<br />
quanti vissuto di più le nostre case e viaggiato quasi solamente in maniera virtuale<br />
grazie ai nostri sistemi audio-video, ai quali un certo numero di appassionati ha<br />
messo mano per migliorarne le prestazioni e rendere l’esperienza più appagante.<br />
Questo trend è probabilmente destinato a continuare fino a quando le condizioni<br />
che ci impediscono di uscire, di viaggiare e di vivere la nostra vita in piena libertà<br />
rimarranno in forza. E poi? Il fatto che ci sarà un forte “rimbalzo” a favore di tutto<br />
ciò che è la vita all’aperto, il viaggiare, il socializzare nuovamente senza paure o<br />
sensi di colpa, direi che più che una probabilità è una certezza. Cosa possiamo fare,<br />
quindi, per ridurre il rischio che, dopo una fase di crescita “drogata” dalla condizione<br />
forzata in cui siamo tuttora, ci si ritrovi a sperimentare una frenata improvvisa dei<br />
consumi in ambito domestico? Ognuno di noi, credo, debba trovare la “propria<br />
risposta giusta” a questa domanda ma, se c’è una cosa che questo periodo ci sta<br />
quotidianamente insegnando è che, anche 2.500 anni dopo le parole di Aristotele,<br />
siamo sempre degli animali sociali e ci nutriamo del rapporto con i nostri simili:<br />
una stretta di mano (che ora ci è negata), una battuta di spirito al nostro cliente<br />
affezionato, il consiglio giusto e disinteressato regalato al ragazzo che si avvicina<br />
al mondo dell’audio perché spinto dal papà o incuriosito dall’amico, il minuto in<br />
più di disponibilità a rimanere al telefono offerta a un nuovo potenziale cliente e<br />
più in generale l’apertura al prossimo e la capacità di dimostrarci non dei semplici<br />
venditori di oggetti inanimati, tutto questo credo sia il migliore modo per rafforzare<br />
il legame con i nostri clienti già acquisiti, per conservarne la stima e l’affetto,<br />
così come può rappresentare l’inizio di un nuovo rapporto di fiducia con nuovi<br />
appassionati che si avvicinano al nostro mondo.<br />
So di dire cose scontate e so anche che la gran parte di chi legge, tra i professionisti,<br />
già fa del proprio meglio per far sì che i clienti, nuovi o vecchi che siano, possano<br />
continuare a vedere in voi una risorsa per spendere meglio e non magari un<br />
impedimento allo spendere meno. Tuttavia il “fattore umano” è davvero l’unico<br />
elemento che ci può dare un vantaggio competitivo rispetto alla pura vendita<br />
online, che pure so molti di voi ben conoscono e gestiscono. Oggi andare contro<br />
l’online non ha più senso perché è oramai un metodo di acquisto abituale per<br />
quasi tutti. Tuttavia molti prodotti, vuoi per la necessità di essere provati, confrontati<br />
o toccati con mano, vuoi per l’alto costo e la minore diffusione sul territorio,<br />
continueranno ancora per anni ad essere venduti solo in negozio. Ed è qui che un<br />
approccio sensibile al cliente può fare la differenza e generare sia una vendita che<br />
la nascita di un rapporto di fiducia con l’appassionato. Quindi, in ultima analisi, il<br />
mio consiglio è quello di utilizzare al meglio la situazione attuale per fidelizzare<br />
nuovi clienti e mantenere vivo il rapporto con quelli già acquisiti. Investite il tempo<br />
e la propria esperienza con loro: loro investiranno su di voi!<br />
Luca Parlato - LP Audio<br />
fare riferimento solo ai “like” di Facebook per determinare l’engagement<br />
che ha avuto il visitatore in quella specifica manifestazione.<br />
C’è anche il rischio che il commerciante (che ha già l’età della<br />
quiescenza), salvo rari casi di immolazione alla causa audiofila,<br />
preferisca chiudere e, in questa panoramica, va anche inserita la<br />
nuova user experience che “offre” l’e-commerce per l’acquisto di<br />
prodotti sotto la soglia psicologica dei 1.000 euro. Questi prodotti,<br />
oggi, sono anche reperibili con una certa tranquillità sui portali<br />
web dedicati che consentono di effettuare transazioni sicure tramite<br />
PayPal e altre label del settore, garantendo così una qualche forma<br />
aggiuntiva di certezza che arrivi a casa il prodotto desiderato e non<br />
altro. Ma così facendo, il punto vendita è penalizzato ancora una<br />
volta, perché magari il cliente, prima di acquistarlo sul web a 20<br />
euro in meno compreso il trasporto, è andato a vedere, toccare e<br />
ascoltare l’articolo “dei suoi desideri” nel negozio fisico, fruendo<br />
così di una vera user experience offerta gratuitamente (più o meno<br />
consapevolmente) dal rassegnato negoziante, che viene liquidato con<br />
la tipica frase: “ok, grazie, ci penso su ancora un po’, poi ripasso, ci<br />
vediamo... ciao...”. Per non parlare delle grandi superfici, anch’esse<br />
devastate dall’impatto dell’e-commerce nell’economia reale. Oggi,<br />
in quei luoghi, si vendono solo i “bianchi”, i “neri”, gli smartphone,<br />
qualche macchina per il caffè e i nuovi aspirapolvere premium senza<br />
filo e senza sacchetto. Neanche più i computer, resi immediatamente<br />
obsoleti dal continuo rinnovamento (reale o apparente) dei modelli<br />
“sempre più prestanti”, incompatibile con i tempi di tenuta a stock!<br />
Può capitare, infatti, di trovare sensibili discordanze tra il cartellino<br />
fisico del negozio e quello virtuale sul sito online, che offre prezzi<br />
sensibilmente differenti (più bassi) per lo stesso modello giacente nei<br />
magazzini fisici locali della stessa grande superficie. Occorre quindi,<br />
in questi casi, fare sempre molta attenzione a dove e come si compra.<br />
Stiamo per assistere alla quadratura del cerchio,<br />
ovvero a una kafkiana “cerchiatura del<br />
quadrato”? I mercati finanziari (holding, joint<br />
venture, private equity found e altre multiformi<br />
organizzazioni finanziarie) svolgono il loro lavoro:<br />
rendere produttivi i capitali investiti (anche)<br />
nelle società del settore Hi-Fi, possibilmente<br />
con rendimenti a due cifre, perché annualmente<br />
devono rendere conto della cosa ai propri<br />
investitori.<br />
L’EBITDA è uno degli indicatori nel bilancio di un brand che consente<br />
agli investitori di valutare correttamente la reale proposta di<br />
24 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
INSIDE<br />
valore del grande costruttore (ovvero il suo reale posizionamento<br />
di mercato). Il grande costruttore, vincolato ai risultati richiesti dai<br />
mercati finanziari a cui ha da tempo ceduto le leve economiche riferite<br />
alle sue capacità decisionali, deve continuare a fare fatturati a<br />
“due cifre” per la propria sopravvivenza (ovvero per il mantenimento<br />
dei fidi bancari, che determinano il rating a cui il grande brand è<br />
esposto dai mercati finanziari). Ogni anno, quindi, il grande costruttore<br />
deve sfornare continue “novità” di prodotto, quasi mai<br />
associabili a vera innovazione tecnologica ma, al limite, associabili<br />
a nuove forme estetiche o funzionali dell’oggetto, in particolare nei<br />
settori dell’analogico e dei diffusori. Comunque sia, tutti noi dobbiamo<br />
essere consapevoli che oggi siamo oggetto di rating da parte<br />
di qualcuno. Si, anche noi persone fisiche: provate a richiedere un<br />
prestito in banca per comprarvi l’ultimo DAC... Il distributore, per<br />
mantenere la distribuzione del brand, deve dimostrare con “i numeri”<br />
al costruttore la sua capacità di “penetrazione del mercato”. L’azione<br />
a cui sottende il sostantivo la dice tutta. Il punto vendita si trova<br />
tra il martello del distributore e l’incudine del cliente, all’interno<br />
di logiche di mercato oramai obsolete e poco incoraggianti per il<br />
proseguo della propria attività commerciale. Si uniscano anche gli<br />
incrementati costi di gestione dell’attività commerciale, e il gioco è<br />
fatto. Diventare senza reale convinzione una vetrina fisica del distributore<br />
è per tanti la soluzione più semplice ed economicamente più<br />
redditizia. Il cliente, infine, prima ha investito nei mercati finanziari<br />
per fare rendere (a una cifra) il proprio capitale, poi l’ha ritirato per<br />
acquistare il prodotto Hi-Fi dei suoi desideri... ex-demo, ovviamente.<br />
Quelle analizzate nei numeri passati nella rubrica “Alta fedeltà 2020”<br />
sono “solo” alcune delle cause dirette che hanno concorso e stanno<br />
concorrendo in questi anni sia all’abbandono di questo magnifico<br />
hobby da parte di tanti appassionati che alla chiusura dei punti<br />
vendita di alta fedeltà (anche storici) sul territorio nazionale. Certamente,<br />
la situazione recessiva in cui versa attualmente sia la cultura<br />
media che l’economia nazionale si riflette in un clima generalizzato<br />
di incertezza, che spaventa l’utente il quale, pur avendo a volte le<br />
capacità economiche per affrontare la spesa, lo porta “kafkachicamente”<br />
o “kafkiamente” a più miti consigli di posporre l’acquisto<br />
preventivato, in attesa che i tempi cambino e/o i prezzi scendano<br />
(?) con il prossimo “Black Friday”. Ma questo non accade da ormai<br />
più di un decennio e si ritiene non potrà accadere per molto tempo<br />
ancora. Pare che anche la Germania (qualcuno potrebbe anche<br />
concedersi un cattivo pensiero di marca euroscettica, aggiungendo<br />
come fosse un mantra la frase “finalmente, anche loro”) sia entrata<br />
in recessione.<br />
Occorre quindi una nuova visione, certamente<br />
non ideologica, tantomeno integralista,<br />
ma pragmatica, che porti stabilità, certezza e<br />
credibilità dei valori (e quindi dei prezzi), che<br />
renda etici, trasparenti e abbondanti i rapporti<br />
tra costruttore, distributore, punto vendita e<br />
cliente, uniti tutti per rafforzare un legame di<br />
“nuova alta fedeltà” reciproca, di incrementale<br />
perequazione dei rapporti di forza, specie nella<br />
(sempre trascurata, ma cruciale) attività definita<br />
di “post-vendita”.<br />
Occorre, inoltre, inoculare un nuovo immaginario collettivo di tipo<br />
propulsivo, motore di nuovi modi di intendere una nuova altra fedeltà.<br />
Almeno una volta nella vita abbiamo sentito dire che un cliente,<br />
appena uscito dal negozio, viene irrimediabilmente dimenticato<br />
dal negoziante, in questo caso sofferente di gravi patologie mentali<br />
di perdita di memoria a breve e a lungo termine. Certo conformemente<br />
alla definizione, l’attività di “negoziazione” del “negoziante”<br />
si “negozia” nel “negozio” e termina con una bella stretta di mano<br />
e un addio, non un arrivederci. Si conclude così, in maniera triste<br />
e sconsolata per il cliente, la fatidica e sospirata (per il negoziante)<br />
cosiddetta fase di sell-out. Il fatto è che tutti noi viviamo in una realtà<br />
economica, non finanziaria. Il destino non alternativo non è il futuro<br />
ma è il presente, ed è sotto gli occhi di tutti. Anche la terminologia<br />
che adottano ancora le multinazionali del settore o i propri uffici<br />
stampa rispecchia la volontà di raggiungere nel futuro “risultati a due<br />
cifre”. Probabile che vogliano replicare anche qui da noi in Europa<br />
o negli U.S.A. gli stessi trend di crescita consumistica dei paesi in<br />
via di sviluppo tecnologico. Ma sono passati oramai 40 anni e noi<br />
non siamo più nei rutilanti anni ’80. Ma siamo in Italia - casa Europa.<br />
Perché continuare a equivocare sapendo di equivocare, definendo<br />
alternativamente un “consumatore”, un “utente”, una persona (un<br />
utente che sta per acquistare o ha acquistato un bene non è più un<br />
utente, ma diventa casomai un cliente) che, se consapevolmente<br />
appagata dal prodotto acquistato, lo sostituirà ottimisticamente tra<br />
dieci o vent’anni?<br />
26 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
INSIDE<br />
di Paolo Corciulo<br />
Fedeli alla linea<br />
La casa svizzera festeggia i suoi 70 anni di vita vissuti nel solco di una invidiabile coerenza di intenti.<br />
Una vera icona, senza cedimenti, nel mercato Hi-Fi, sempre più alla ricerca di concretezza.<br />
Il Nagra I nella versione prototipale e in quella definitiva.<br />
Amaggior ragione per il fatto che nel calcio non ci sono<br />
più bandiere e nella vita mancano gli eroi (e tra caporali<br />
e uomini ve n’è più dei primi che dei secondi), va riconosciuto<br />
a Nagra il merito di aver saputo tenere dritto il timone<br />
nei 70 anni della sua vita, senza rinunciare a perseguire i suoi alti<br />
obiettivi e poco cedendo alle sirene del mercato o alla crescente<br />
mercificazione di idee, beni e imprese, caratteristica di questo<br />
secolo... Né si può dire che poco sia cambiato dal 1951, quando<br />
il profugo ventiduenne Stefan Kudelski (era nato nel 1929) creò<br />
il suo primo prodotto, animato da un certo ottimismo (la parola<br />
“nagra” in polacco, il paese di origine di Kudelski, ha a che fare con<br />
il verbo “registrare” declinato al futuro). “Registrerà”, ciò che Nagra<br />
ha saputo fare al meglio, ottemperando le<br />
necessità dei professionisti fino a diventare<br />
un must, sviluppando parallelamente anche<br />
deliziosi sogni per il mercato consumer. Registrerà:<br />
un manifesto programmatico declinato<br />
negli anni mentre più generazioni<br />
della famiglia Kudelski si sono alternate al<br />
comando del Kudelski Group e il panorama<br />
del mercato mutava via via sempre più velocemente,<br />
con aziende che passavano di mano<br />
o finivano in quelle della finanza. E invece<br />
gli atti e gli uomini della Audio Technology<br />
Switzerland SA, l’azienda proprietaria del<br />
marchio Nagra, una spin-off della divisione<br />
Audio dal gruppo Kudeski (che spazia nel<br />
vasto panorama della sicurezza e dell’entertainment<br />
digitale e non), hanno mantenuto il loro passo fermo<br />
senza cedimenti e con poche, pochissime esitazioni, forse ispirati<br />
dai dettami del fondatore. Kudelski perseguitato, Kudelski nomade<br />
e cittadino del mondo (emigrato con la sua famiglia prima<br />
in Francia e poi in Svizzera nel 1943); conosco la dinamica: ne<br />
esci distrutto e intimorito o estremamente fortificato! E il giovane<br />
Stefan Kudelski sembra appartenere a questa seconda razza:<br />
poco più che ventenne e ancora studente al Politecnico federale<br />
di Losanna presenta il suo primo registratore a nastro (Nagra I,<br />
nel 1951), per il quale l’anno successivo riceve il primo premio<br />
del primo “International Amateur Recording Contest”. Kudelski,<br />
appassionato di vela e ingegneria, aveva bisogno di un apparecchio<br />
Il Nagra II nasce nel 1953 sulla base dell’esperienza con la<br />
prima versione e delle nuove tecnologie di produzione: dal<br />
1954 monterà una scheda con circuiti stampati.<br />
28 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
70 VOLTE NAGRA<br />
Nasce nel 1957 il Nagra III, il primo modello con corpo in metallo, motore elettrico e controllo di velocità servoassistito ad anello chiuso. Compare per la prima volta il misuratore<br />
di picco denominato Modulometer.<br />
da utilizzare per registrare le istruzioni per una macchina CNC<br />
che voleva costruire! Del registratore, a manovella, ne verrà prodotto<br />
un piccolo numero (6 per Radio Lussemburgo) ed evolverà<br />
nel Nagra II (1953), ancora prodotto a livello artigianale in una<br />
abitazione a Prilly (ovest di Losanna) con un piccolo staff che<br />
rapidamente diventa di undici dipendenti che lavorano a tempo<br />
pieno. Nel 1956 il numero sale a 17 e dà vita, l’anno successivo,<br />
al Nagra III, il primo ad adoperare un motore elettrico. Poi è una<br />
marcia trionfale...<br />
La prima spedizione sull’Everest, la ricerca oceanografica nella<br />
Fossa delle Marianne (a bordo di un batiscafo) o il navigare tra<br />
le stelle (nell’ambito della Missione Apollo), l’utilizzo da parte<br />
dell’FBI e in altre spy story; l’utilizzo sui set cinematografici o<br />
da parte di radio e televisioni, dove generazioni di reporter ne<br />
hanno usato o agognato uno, hanno associato il nome di Nagra al<br />
concetto di registrazione in ambito professionale, rigorosamente<br />
affiancato dal fascino del nastro a bobina (con l’eccezione di un<br />
breve excursus con una sorta di cassetta, precorritrice della Compact<br />
Cassette) che ha scandito le varie generazioni di prodotto fino<br />
al Nagra-D, quando è nato il primo registratore digitale.<br />
Apprezzato in ambito professionale per buone ragioni, in quanto<br />
“pensato” per i professionisti: durante la produzione del Nagra III,<br />
ad esempio, Stefan Kudelski inventò il sistema “NEOPILOT”, un<br />
metodo di sincronizzazione tra audio e video (nei film si registrava<br />
l’immagine su pellicola fotografica attraverso la telecamera e il<br />
suono su un nastro magnetico e la sincronizzazione era un elemento<br />
nevralgico) che sarebbe diventato standard fino alla fine degli<br />
anni ’80 con l’introduzione del timecode. Realizzato rimanendo<br />
Oltre 2.500 esemplari scandiscono il primo lotto di produzione del Nagra IV che nel 1969, in una delle sue successive versioni (IV-S), offre ai professionisti il primo registratore<br />
stereo portatile degno di questo nome.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 29
INSIDE<br />
Il Crevette (1967) venne sviluppato per la marina francese (il termine vuol dire granchio in francese): si trattava di un registratore a mezza traccia da inserire in un siluro<br />
sottomarino che, una volta sparato, avrebbe registrato i dati balistici ottenuti dai giroscopi interni e dai sistemi di navigazione per consentire agli ingegneri di perfezionare<br />
la traiettoria e i sistemi di guida all’interno del siluro.<br />
fedeli a una sorta di dimensione famigliare (la sede a Romanel, a 5<br />
km da Losanna, con “affaccio” sul lago, non a caso nelle vicinanze<br />
di Montreaux e del suo famoso Jazz Festival...), scandita da una<br />
produzione “goccia a goccia”, fortemente caratterizzata dal livello<br />
costruttivo che, sarà banale dirlo, è sempre stato da “precisione<br />
svizzera”. Tutti elementi che tratteggiano una unicità del marchio<br />
difficile eguagliare. Semmai è incomprensibile perché, nonostante<br />
questa unicità (e la presenza anche di elementi di facile attrattiva<br />
come i VU-Meter di produzione originale, immancabilmente<br />
presenti sulle varie generazioni di registratori), tutto questo una<br />
volta trasposto nell’ambito Hi-Fi (a partire dagli originali finali<br />
a sviluppo verticale VPA - 1998) non abbia solleticato al massimo<br />
l’immaginario audiofilo; per carità, il marchio è altamente<br />
rispettato ma non ha la stessa potenza iconica dei stra-citati “occhioni<br />
blu”, anche se lo meriterebbe decisamente! Ma c’è sempre<br />
tempo, soprattutto per chi ha dimostrato di non temerne l’usura<br />
e, anzi, fin dall’inizio ha adottato il passo del montanaro (quello<br />
che avanza piano ma che supera la salita): basterà solo rivedersi<br />
più avanti, quando anche il segmento Hi-Fi godrà di una ancor<br />
più solida storicità...<br />
Il Nagra SNS, Il più piccolo registratore a bobine portatile del mondo (mezza traccia), fu introdotto nel 1970: forse il più iconico dei prodotti Nagra, immortalato in tantissimi<br />
film. Il solo guardarlo evoca atmosfere da spy story al tempo della Cortina di Ferro: verrà adottato dalle forze dell’ordine di tutto il mondo.<br />
30 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
INSIDE<br />
de Il Tremila<br />
Angeli & Demoni<br />
La morte in prigione il 16 gennaio a causa del Covid ma alle spalle un passato brillante nel campo musicale,<br />
con tutti gli eccessi del caso. Il lascito di Phil Spector è quello di aver nobilitato la figura del produttore, unendo<br />
creatività a un sapiente uso delle tecnologie a disposizione.<br />
Immaginate che con una ipotetica macchina del tempo vi sia consentito<br />
fare un passo indietro ritrovandovi all’inizio degli anni<br />
’60. Il mondo musicale è assolutamente diverso e non solo per le<br />
melodie e gli arrangiamenti (quasi sempre essenziali, almeno nel pop<br />
rock) ma anche (o forse proprio per questo) per le tecniche utilizzate:<br />
la registrazione multitraccia è ancora agli esordi visto che solo nel 1954<br />
la Ampex, con il contributo del chitarrista Les Paul (che era anche un<br />
gran tecnico e sarebbe diventato un costruttore di chitarre) ha costruito<br />
il primo registratore a 8 piste, il cui utilizzo o quello di macchine simili (3<br />
o 4 tracce) è ancora estremamente ridotto e lo rimarrà per buona parte<br />
di questo decennio. Gli arrangiamenti dei brani pop rock sono molto<br />
semplici e le macchine multipista (3 o 4 tracce le più diffuse) sono utili<br />
tuttalpiù per registrare la musica di accompagnamento su due tracce<br />
(permettendo la sovraincisione di parti separate o creando una traccia<br />
di accompagnamento stereo completa) mentre la terza viene riservata al<br />
cantante principale... Solo qualche sperimentatore intuisce le potenzialità<br />
della tecnica multipista: i Beach Boys, in ragione dei complessi arrangiamenti<br />
di Brian Wilson, i Moody Blues, con il loro rock psichedelico e,<br />
naturalmente, i Beatles (restano nella storia le incisioni agli Abbey Road<br />
nella metà degli anni ’60). In questo panorama irrompe Phil Spector,<br />
ambigua figura di musicista - produttore con un passato segnato dalla<br />
morte del padre ancora giovanissimo: bambino prodigio con la chitarra<br />
dall’età di 12 anni, il successo sembra arridergli da subito visto che con<br />
il suo primo gruppo musicale firma una canzone che arriva a vendere<br />
oltre un milione di copie! Poi, poco più che ventenne, focalizza l’attività<br />
preminentemente sulla produzione, senza sbagliare un colpo (18 album<br />
in carriera, ciascuno oltre il milione di copie vendute) diventando<br />
multimilionario ad appena 25 e inventando uno stile nelle registrazioni,<br />
The Wall of Sound, che condizionerà i musicisti a venire: dal punk al<br />
grunge, da Amy Winehouse (che si è ispirata nel look alla cantante delle<br />
Ronettes - nella foto di apertura con Spector- il gruppo portato per<br />
primo alla ribalta dal produttore) a Brian Eno. Wall of Sound, ovvero<br />
32 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
PHIL SPECTOR<br />
una impronta musicale molto specifica ottenuta con la collaborazione<br />
dei migliori turnisti di Los Angeles (la cosiddetta Wrecking Crew - nella<br />
foto a destra) e “condita” da una attenzione ossessiva e perfezionista:<br />
per River Deep, Mountain High (1966), Phil Spector assunse 21 musicisti<br />
e 21 cantanti facendo ripetere a Tina Turner take dopo take fino a sua<br />
completa soddisfazione; le cronache narrano che per liberarsi dell’ingombrante<br />
presenza di Ike Turner, lo pagò ventimila dollari per stare<br />
lontano dalla sessione di registrazione! Più tardi Tina Turner racconterà:<br />
“Devo averla cantata 500.000 volte. Ero fradicia di sudore. Dovevo<br />
togliermi la camicia e stare lì in reggiseno per cantare”. Nel frattempo<br />
i musicisti della Wrecking Crew eseguivano le tracce strumentali che<br />
venivano registrate e mixate dal vivo, direttamente su 4 delle 8 tracce<br />
del registratore utilizzato in quello studio. Spector era intenzionato a<br />
portare il Wall of Sound nella storia! Va anche detto che l’adozione della<br />
tecnica multitraccia introdusse nuovi problemi, come l’aumento, soprattutto<br />
nella porzione inferiore della gamma di frequenze, del rumore<br />
per effetto delle interferenze tra traccia e traccia, cosa che però permise<br />
ad alcuni tecnici di distinguersi per la capacità di contenere al minimo<br />
il fenomeno (è una delle ragioni per cui gli Abbey Road sono diventati<br />
giustamente famosi). L’incentivazione dell’uso del nastro a 4 tracce e<br />
oltre portò anche, come sviluppo correlato, alla tecnica quadrifonica (un<br />
certo numero di album, tra cui The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd<br />
e Tubular Bells di Mike Oldfield, furono pubblicati sia in stereo che in<br />
formato quadrifonico negli anni Settanta); anche se questa soluzione non<br />
avrebbe poi preso piede, diede la spinta a una ricerca tutt’ora in atto per<br />
ottenere una nuova esperienza sonora “coinvolgente” e pose le basi del<br />
suono surround attualmente utilizzato nell’audio/video.<br />
Coinvolto nel divismo e negli eccessi di quelli anni (le foto dell’epoca che<br />
lo ritraggono immortalato esattamente con lo stesso look degli artisti a<br />
cui confezionava il suo riconoscibile abito musicale), a Spector va anche<br />
il merito di aver delineato con forza l’importanza del produttore, cosa<br />
che fece parallelamente a George Martin (il “quinto Beatles”), che però<br />
rimase dietro le quinte. Elevato da figura silenziosa e nascosta dietro a<br />
un mixer alla ribalta del glamour, il ruolo del producer da allora non è<br />
stato più lo stesso rivelando, in certi casi, una piena dimensione artistica:<br />
Quincy Jones, Nile Rodgers e Brian Eno che sono nella storia, la pattuglia<br />
di quelli che negli anni ’90 hanno donato dignità all’hip-hop e alla<br />
figura ibrida del produttore - dj. I Beatles lo convinsero a produrre il loro<br />
ultimo album, Let It Be, nel 1969, e dall’amicizia nata in tale occasione<br />
gli album di debutto di John Lennon e George Harrison (Lennon lo ha<br />
chiamato “il più grande produttore discografico di sempre”). Tina e Ike<br />
Turner, Leonard Cohen, Celine Dion, Cher e i Ramones in cuor loro<br />
sanno di dovergli qualcosa... Parte del suo successo può essere fatto<br />
risalire proprio alle sue attitudini giovanili: era un direttore creativo<br />
più che un produttore; sceglieva il materiale musicale, realizzava gli<br />
arrangiamenti, dirigeva addirittura musicisti e cantanti durante le registrazioni.<br />
“Quando vedi un film di Kubrick, dimmi quante volte ti ricordi<br />
immediatamente il cast”, rivelò a Melody Maker nel 1977. “Una? Due?<br />
È lo stesso con Fellini, ed è quello che volevo fare quando ho diretto<br />
una registrazione. I cantanti sono strumenti. Sono strumenti con cui<br />
lavorare”. Per la sua attitudine alla musica seppe anche svolgere l’attività<br />
di scouting: scoprì un gruppo di liceali di New York City, le Crystals, il<br />
cui singolo di debutto, There’s No Other (Like My Baby), raggiunse il<br />
numero 20 delle classifiche nel 1962. Il singolo He’s a Rebel, anch’esso<br />
accreditato alle Crystals, raggiunse la vetta delle classifiche lo stesso<br />
anno; portò a un successo planetario il gruppo vocale femminile The<br />
Romettes sposandone in prime nozze la fondatrice Veronica Bennett<br />
Riconoscimenti e successi che ne minarono via via la stabilità: mentre<br />
produceva l’album di Lennon Rock ‘n’ Roll (1975) sparò con una pistola<br />
nel soffitto e sempre con una pistola minacciò Leonard Cohen durante<br />
una sessione di registrazione per Death of a Ladies’ Man (1977). In quegli<br />
anni la seconda moglie e i figli lo descrivono come un donnaiolo instabile<br />
e possessivo e l’epilogo sembra quasi inevitabile: il 3 febbraio 2003 viene<br />
arrestato per aver ucciso con un colpo di pistola Lana Clarkson, una<br />
quarantenne hostess di nightclub, già attrice in difficoltà, che recitava in<br />
film a basso costo (nel biopic omonimo - interprete principale uno straordinario<br />
Al Pacino - il regista David Mamet adombra la possibilità che<br />
non fosse colpevole ma così decise la legge). Poi il carcere, dove è morto<br />
il 16 gennaio 2021 ottantenne o ottantunenne (le biografie si dividono<br />
in merito), mentre scontava una pena di 19 anni.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 33
INSIDE<br />
di Paolo Corciulo<br />
Essere un<br />
centro pilota<br />
<strong>SUONO</strong>point<br />
D’Agostini Lab a Roma e Il Centro della Musica a Legnano hanno aderito all’iniziativa di <strong>SUONO</strong> che in<br />
questi ultimi mesi ha cercato dalle pagine del giornale di esaminare il mercato Hi-Fi ed evidenziarne i punti<br />
critici. Per rilanciarlo…<br />
Le rivoluzioni si fanno anche partendo dalle piccole cose,<br />
avanzando passo per passo in un tragitto che appare forse<br />
infinito ma è importante sia conseguente e finalizzato all’obiettivo.<br />
È quello che da anni facciamo e se ne ravvisano tracce scritte<br />
(la carta non mente) a perenne memoria, nell’era in cui la vaghezza<br />
e l’impalpabilità della dimensione virtuale sembrano consentire<br />
tutto e il contrario di tutto in una dimensione orwelliana in cui oggi<br />
posso affermare l’esatto opposto di ieri e qualcosa di differente da<br />
domani... Il ciclo di articoli “Che cosa è l’alta fedeltà - e ci interessa<br />
davvero?” prima e quelli più recenti del “Dossier Alta Fedeltà<br />
2020” (che analizza in maniera spietata le dinamiche del mercato<br />
soffermandosi sul ruolo e futuro dei negozianti e degli utenti stessi),<br />
testimoniano la continua intenzione da parte di <strong>SUONO</strong> di stabilire<br />
un osservatorio sul mercato a cui, con la forza congiunta, fornire<br />
soluzioni e alternative, alla luce di un bene supremo superiore che<br />
è il buono stato di salute del mercato Hi-Fi, messo a repentaglio da<br />
anni di mal governo e da una situazione a contorno ostile e difficile.<br />
Talmente alto è l’obiettivo che richiederebbe un effluvio di parole,<br />
termini, precisazioni, tanto da suggerire, al contrario, una pragmatica<br />
e semplice stretta di mano dei contraenti (Covid permettendo)<br />
a consacrare l’intenzione di percorrere un cammino, fintanto sarà<br />
di comune interesse.<br />
Così è accaduto con Alessandro D’Agostini e Daniele Terrazzan, forse<br />
non a caso entrambi giovani imprenditori, lontani dall’epoca d’oro<br />
dell’Hi-Fi ma anche dalle pastoie ideologiche che l’hanno caratterizzata.<br />
Con loro c’è una condivisione di obiettivi consacrati dalle<br />
parole che ci siamo scambiati negli anni ma soprattutto degli anni che<br />
ognuno separatamente ha compiuto in questo lasso di tempo e che<br />
abbiamo racchiuso nella definizione “Centro Pilota <strong>SUONO</strong>point”,<br />
che contiamo abbia proseliti non solo per l’interesse personale ma<br />
perché sarebbe la riprova di un nuovo spirito del mercato, a tutto vantaggio<br />
del consumatore. Qualche anno fa abbiamo dato vita a SUO-<br />
NOpoint, una confederazione di negozi e una iniziativa che era volta<br />
a rinsaldare il rapporto della rivista con alcuni negozi di eccellenza<br />
distribuiti nel nostro paese e, tramite loro, con i consumatori del<br />
bellissimo hobby della riproduzione sonora a cui veniva sottoposta<br />
una griglia di prodotti caratterizzati da due elementi fondamentali:<br />
essere a nostro avviso estremamente validi e dal prezzo contenuto. Fu<br />
un successo commerciale (il che non guasta), meno dal punto di vista<br />
“etico”, ovvero del tentativo di aprire una verace finestra sul mondo,<br />
evitando l’isolamento lassù nell’Olimpo che spesso, soprattutto in<br />
passato, le riviste hanno ostentato. Come spesso ci capita eravamo<br />
troppo in anticipo sui tempi o, come i nostri detrattori potrebbero<br />
sostenere, eravamo fuori tempo…<br />
Poi l’evoluzione dell’avventura ANNUARIO del <strong>SUONO</strong> (perché<br />
ogni anno di avventura si tratta) ci ha portato a riconsiderare la<br />
34 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
UN OSSERVATORIO SUL MERCATO<br />
cosa. È doveroso aprire una piccola parentesi in tal senso, non fosse<br />
altro perché probabilmente la cosa è sconosciuta al pubblico; da<br />
alcuni anni ormai la lavorazione dell’ANNAURIO coinvolge oltre<br />
150 operatori del settore coesi da un bene/interesse comune: fornire<br />
un panorama il più completo e preciso possibile dell’offerta<br />
di prodotti nel mercato Hi-Fi. Questa community professionale,<br />
l’unica in vita in Hi-Fi dopo la chiusura dell’APAF, ha mostrato<br />
potenzialità enormi su un “piccolo – grande obiettivo” e non<br />
disperiamo possa esplorarne altri. Questa vitalità ci ha indotto,<br />
complice il momento difficile che attraversiamo, a vincere l’egoismo<br />
e l’individualismo dilagante (che dunque è anche dentro<br />
di noi) per offrire energie, come hanno fatto D’Agostini Lab e Il<br />
Centro della Musica, per un bene comune. Declinarle nel modo<br />
migliore è per noi un obbligo che spero rapidamente prenderà<br />
la sua migliore forma a partire da ora, dove parte un’avventura<br />
senza un punto di arrivo che ci limiti.<br />
“Mira alla luna.<br />
Male che andrà, ti ritroverai tra le stelle.”<br />
(Les Brown)<br />
D’AGOSTINI LAB<br />
Un auditorium (in grado di contenere più di una decina di persone<br />
sedute), una sala dedicata unicamente al confronto delle cuffie, una<br />
sala home theater e home automation, una sala audio e una grande<br />
superficie espositiva con tre vetrine multifunzione su strada e due<br />
entrate. La struttura si presta a ospitare eventi con una serie di aree<br />
(entrata separata, entrata merci, zona accoglienza e persino una zona<br />
cucina) adatte a tale scopo; un’altra svolgerà attività di ticketing per<br />
eventi e concerti non necessariamente collegati all’Hi-Fi.<br />
Per info:<br />
D’Agostini Lab<br />
Via Francesco Catel 37-39 - 00152 Roma - tel: 0686292661<br />
IL CENTRO DELLA MUSICA<br />
Nonostante Legnano non sia il centro del mondo, questo punto<br />
vendita ha saputo conquistare un ruolo di preminenza tra i negozi<br />
del nord grazie a un’offerta che spazia tra i migliori prodotti hi-end,<br />
tutti disponibili nel negozio e utilizzabili nelle tre sale d’ascolto e gli<br />
eventi organizzati periodicamente, una specie di salotto dell’Hi-Fi<br />
per aficionados e non. Il plus è costituito dall’esperienza del titolare<br />
Daniele Terrazzan, disponibile anche per appuntamenti ad hoc.<br />
Per info:<br />
Il Centro della Musica<br />
Via Bologna, 11 – 20025 Legnano (MI) – tel: 0331.45.38.84<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 35
INSIDE<br />
di Massimo Bargna<br />
Il giorno in cui<br />
nacque il rock<br />
Una nuova e curatissima antologia musicale di Buddy Holly suddivisa in tre CD riporta l’attenzione sul ruolo<br />
che il leggendario artista texano ebbe sulla genesi del rock ‘n’ roll degli anni Cinquanta e sullo sviluppo della<br />
musica del decennio successivo.<br />
Il luogo in cui, il 3 febbraio del 1959, Buddy Holly perse la vita,<br />
è segnato da un bizzarro monumento funebre con una croce e<br />
la riproduzione in acciaio di tre vinili e di una chitarra. Quella<br />
notte maledetta, verso l’una, il piccolo aereo a quattro posti Beechcraft<br />
35 Bonanza su cui viaggiava l’idolo dei teenager si schiantò<br />
nei campi di mais innevati dell’Iowa, consumando la tragedia passata<br />
alla storia con il nome di “The day the music died”.<br />
La storia è stata raccontata anche al cinema. Il velivolo era appena<br />
decollato dall’aeroporto di Clear Lake, diretto a Moorhead, Minnesota,<br />
via Fargo, North Dakota; a bordo, oltre a Buddy, c’erano<br />
altri due grandi nomi del rock and roll che erano in tournée con lui:<br />
Ritchie Valens e J.P. Richardson, detto “The Big Bopper”. L’idea di<br />
prendere un aereo per raggiungere la città della tappa successiva del<br />
Winter Dance Party tour, iniziato a Milwaukee, nel Wisconsin, era<br />
stata proprio di Buddy. Il giovane artista aveva deciso di impegnarsi<br />
in quella sfiancante maratona musicale perché Maria Elena, sua<br />
moglie, era incinta e lui voleva raggranellare un po’ di soldi. Era la<br />
prima volta che lei non lo accompagnava durante i suoi spostamenti.<br />
Lei che, più tardi, ebbe modo di dire che mai e poi mai sarebbe<br />
salita su quel dannato aeroplanino e lo stesso avrebbe chiesto di<br />
fare a suo marito se fosse stata lì. Ma in quei giorni di inizio febbraio,<br />
sul Midwest degli Stati Uniti si era abbattuta una terribile<br />
ondata di gelo e i lunghi trasferimenti tra una città e l’altra, a bordo<br />
di un autobus con l’impianto di riscaldamento continuamente in<br />
panne, erano diventati un calvario. Buddy aveva allora proposto<br />
al suo chitarrista Waylon Jennings e al suo bassista Tommy Allsup<br />
di noleggiare un volo. All’ultimo momento, dopo lo show alla Surf<br />
Ballroom di Clear Lake, Jennings aveva lasciato volontariamente il<br />
proprio posto a Richardson che aveva l’influenza. Allsup e Valens,<br />
invece, se l’erano giocata a testa o croce. Valens aveva vinto e aveva<br />
commentato ironicamente che quella era la prima volta in vita sua<br />
che vinceva qualcosa. Il Beechcraft Bonanza era decollato alle 00:58<br />
con condizioni climatiche inclementi, guidato da un pilota inesperto<br />
al quale la torre di controllo non fornì un’assistenza adeguata. Poco<br />
dopo lo schianto. Tutti i musicisti e il pilota morirono sul colpo.<br />
Buddy aveva appena ventidue anni, ma era già una delle stelle più<br />
luminose del rock and roll.<br />
Quel che oggi resta di lui è la sua corposa opera musicale, come ben<br />
testimonia il triplo CD The indispensable Buddy Holly pubblicato<br />
da Frémeaux et Associés che riunisce la bellezza di 62 brani, dagli<br />
esordi nel ’55 fino alle ultime registrazioni di quattro anni dopo. Un<br />
periodo breve ma intensissimo dal punto di vista creativo. La raccolta<br />
36 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
VITA E OPERE DI BUDDY HOLLY<br />
dell’etichetta francese, che si distingue per il rigoroso approccio storiografico<br />
e la pulizia del suono, rende giustizia a un artista geniale<br />
del quale, in Italia, non si riconosce<br />
a sufficienza il grande lascito<br />
artistico. In realtà, alla fine degli<br />
anni Cinquanta Buddy era una<br />
celebrità negli USA, nel Regno<br />
Unito e in Australia. E non solo<br />
come interprete ma anche come<br />
compositore. La sua morte destò<br />
grande clamore e gettò schiere<br />
di fan nella disperazione. Manco<br />
a dirlo, fiorirono le leggende.<br />
A questo contribuì il fatto che<br />
la disgrazia dell’incidente aereo<br />
sembrava segnata dal fato. Troppe<br />
le sfortunate coincidenze, si disse,<br />
per non pensare a una sorta di tragica<br />
predestinazione. Qualcuno si<br />
azzardò perfino a dire che l’incredibile<br />
frenesia creativa di Buddy<br />
era dovuta proprio a questo, al<br />
funesto presentimento che non<br />
gli restava molto tempo da vivere.<br />
Pure fantasie. In ogni caso, le tragiche<br />
circostanze del decesso e la<br />
giovane età della vittima furono di<br />
certo elementi che contribuirono<br />
alla nascita della leggenda di Buddy<br />
Holly. E il tutto venne riassunto<br />
nel verso della canzone American<br />
Pie che Don McLean scrisse in<br />
ricordo dell’artista scomparso: il<br />
giorno in cui la musica morì.<br />
Al di là della leggenda, come dicevamo,<br />
restano le canzoni. Il<br />
primo CD della raccolta ci mostra<br />
un Buddy già sicuro di sé,<br />
ma che deve spesso combattere<br />
con i produttori che vogliono<br />
imporgli scelte musicali che lo<br />
allontanerebbero del suo percorso.<br />
Il diciottenne di Lubbock,<br />
Texas, cresciuto in una famiglia<br />
che si dibatteva nelle ristrettezze,<br />
aveva un background che affondava<br />
nella musica country, la<br />
musica prediletta dalla comunità<br />
bianca di cui faceva parte. Le sue<br />
preferenze andavano per Woody<br />
Guthrie, la Carter Family, Jimmie<br />
Rodgers, Hank Snow, Roy Rogers,<br />
etc. Di nascosto, nel chiuso di un’automobile, ascoltava però<br />
anche la musica degli afroamericani, quel rhythm and blues che<br />
secondo i bacchettoni spingeva chi lo ascoltava verso il peccato. Bo<br />
Diddley, les Coasters, Muddy Waters, Howlin’ Wolf, Elmore James<br />
e Hank Ballard erano fra i<br />
suoi beniamini. È questa<br />
matrice nera, caratterizzata<br />
da una ritmica incalzante e<br />
da una torbida sensualità,<br />
che Buddy ritrovò in Elvis,<br />
sia a livello musicale che<br />
di atteggiamento scenico.<br />
Buddy assistette a un suo<br />
concerto a Lubbock e per<br />
lui fu un’autentica rivelazione.<br />
Da quel momento<br />
decise di abbandonare il<br />
genere hillbilly, un tipo di<br />
musica country, per dedicarsi<br />
sull’esempio di Elvis<br />
al rockabilly. La hit That’ll<br />
Be the Day è il pezzo più<br />
rappresentativo di questo<br />
cambiamento, un trascinante<br />
rock ’n roll che, tra<br />
l’altro, fu la prima canzone<br />
che John Lennon imparò<br />
alla chitarra e che fu rifatta<br />
dai Quarrymen, la primitiva<br />
formazione di Lennon e<br />
McCartney. L’altra perla del<br />
primo CD è Words of Love,<br />
una ballata romantica che<br />
permette a Buddy di dare<br />
libero sfogo alla sua vena<br />
sentimentale e di far sognare<br />
le ragazzine.<br />
Il secondo CD è una successione<br />
di pezzi indimenticabili.<br />
A partire da Peggy<br />
Sue, la canzone più famosa<br />
scritta da Buddy. È un<br />
pezzo irresistibile anche<br />
grazie al rivoluzionario<br />
ritmo di batteria afro, che<br />
potrebbe aver influenzato il<br />
gruppo punk dei Dead Kennedys<br />
per l’attacco di California<br />
Uber Alles, e all’assolo<br />
di chitarra di Buddy,<br />
il cui stile ricorda da vicino<br />
quello di David Byrne nella<br />
versione acustica di Psycho<br />
Killer pubblicata nel<br />
disco Stop Making Sense. Si tratta di un inno romantico alla libertà<br />
sessuale che i giovani bianchi degli anni Cinquanta, grazie al rock ’n<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 37
INSIDE<br />
roll, la musica del demonio, avevano potuto vivere in una maniera<br />
sconosciuta alle generazioni precedenti. Oh, Boy!, Rave On e Well…<br />
All Right sono altri tre capolavori che hanno tenuto molto bene la<br />
prova del tempo. Ma a sorprendere di più è la versione di Mona di<br />
Ellas McDaniel, incisa nello studio di Norman Petty, produttore di<br />
Buddy, in New Mexico. La qualità della registrazione, purtroppo, è<br />
indecente, ma ciò che si riesce a sentire lascia a bocca aperta. Sembra<br />
di ascoltare, con dieci anni<br />
di anticipo, una demo di All<br />
Tomorrow’s Parties dei Velvet<br />
Underground. Come dire che<br />
Lou Reed e John Cale, due dei<br />
musicisti più innovativi degli<br />
anni Sessanta, non abbiano inventato<br />
poi molto.<br />
Alla parte finale della carriera<br />
artistica di Buddy è dedicato il<br />
terzo compatto. Qui il giovane<br />
dagli occhiali cerchiati di corno<br />
dimostra che, all’età di ventidue<br />
anni, oltre a essere una<br />
delle personalità musicali più<br />
influenti dell’epoca, era un interprete<br />
e autore in piena evoluzione.<br />
Poca prima della morte,<br />
Buddy aveva lasciato il gruppo<br />
dei Crickets per intraprendere<br />
una carriera solista all’insegna di una maggiore libertà creativa.<br />
Aveva inciso alcuni brani orchestrali (tra cui le bellissime Moondreams<br />
e True Love Ways) che anticipavano con largo anticipo le<br />
analoghe sperimentazioni dei Beatles in Sgt. Peppers e dei Doors<br />
in The Soft Parade. Nel suo appartamento di New York, aveva registrato<br />
per conto proprio una serie di cover e nuove composizioni<br />
che testimoniano il suo sforzo di superare la musica generazionale e<br />
costruirsi una credibilità artistica duratura. Per godere pienamente<br />
di queste gemme acustiche, bisogna fare riferimento al CD Down the<br />
Line. The Rarities. Ma nella compilation di Frémeaux et Associés è<br />
comunque presente la splendida Smokey Joe’s Cafe nella versione<br />
chitarra e voce, senza sovraincisioni, che dimostra la maturità interpretativa<br />
raggiunta da Buddy alla<br />
fine della sua vita.<br />
Il talento precoce di Buddy ne faceva<br />
una delle più grandi promesse<br />
del rock. Ed è questo a rendere il<br />
dolore per la sua perdita ancora più<br />
struggente. Non sapremo mai che<br />
direzione avrebbe preso la sua ricerca<br />
musicale e che risultati avrebbe<br />
raggiunto, ma è certo che il genio<br />
di Buddy aveva caratteristiche tali<br />
da sopravvivere alla moda del rock<br />
’n roll. Lo dimostra l’influenza che<br />
l’artista texano ha avuto su protagonisti<br />
della scena musicale anni<br />
Sessanta come i Rolling Stones,<br />
Bob Dylan e i già citati Beatles.<br />
Il giorno in cui l’aereo su cui viaggiava<br />
Buddy si schiantò in un<br />
campo di mais, è superfluo dirlo,<br />
la musica non morì. Sarebbe più giusto dire che quello fu il giorno<br />
in cui la musica giovanile perse la sua innocenza. A morire<br />
era il rock ’n roll e a nascere era il rock anni Sessanta, un genere<br />
musicale più maturo, ricercato e disincantato, a cui Buddy Holly<br />
aveva aperto la strada.<br />
38 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
SELECTOR<br />
a cura della redazione<br />
Non v’è dubbio che l’ascolto<br />
di file musicali<br />
e lo streaming abbiano<br />
cambiato il panorama della fruizione<br />
della musica ma lo tsunami<br />
che si è abbattuto sul mondo<br />
dell’audio non si è fermato qui. La<br />
commistione tra informatica ed<br />
elettronica ne ha cambiato la faccia<br />
e soprattutto gli equilibri, mettendo<br />
in mostra una radicalizzazione<br />
delle tendenze nell’offerta,<br />
motivata dalle origini e dal know<br />
how delle aziende che si trovano<br />
ad orbitare in questo ambito.<br />
Una dicotomia particolarmente<br />
evidente tanto nello specifico<br />
segmento del trasporto, elaborazione<br />
e conversione dei dati musicali<br />
(dove le aziende elettroniche<br />
sono sembrate sempre in affanno<br />
e all’inseguimento) quanto nel<br />
resto della catena Hi-Fi dove, al<br />
contrario, i tentativi di competere<br />
delle aziende informatiche sono<br />
risultati velleitari e fuori dai codici<br />
comuni utilizzati nell’audio di<br />
qualità. Elementi particolarmente<br />
evidenti in quel segmento un<br />
tempo definito dei tutto-in-uno<br />
(o dei coordinati) completamente<br />
trasfigurato dalla musica liquida,<br />
oggi espressione principalmente<br />
di quelle start up che rappresentano<br />
la sintesi di questi mondi. Se<br />
l’offerta propone una miriade di<br />
sistemi portatili di basso costo e<br />
qualità, così non è in quella fascia<br />
di mercato che dovrebbe offrire il<br />
coordinato Hi-Fi del futuro o, almeno,<br />
del prossimo presente, fascia<br />
“spaccata” in due tra prodotti<br />
di fascia alta (B&W, Naim, Technics,<br />
Nad, McIntosh e l’eccezione<br />
Cocktail) e i pochi più abbordabili<br />
ma dalle caratteristiche Hi-Fi,<br />
dove prevale comunque un ibrido<br />
(non portatile ma trasportabile)<br />
e domina fondamentalmente un<br />
unico marchio, Sonos. Segmento<br />
difficile questo, evidentemente,<br />
come testimonia anche il fatto<br />
che dopo averlo cavalcato con<br />
entusiasmo (Zeppelin) B&W lo ha<br />
abbandonato e che solo due nuovi<br />
attori di estrazione Hi-Fi lo stiano<br />
popolando di nuovo: Dynaudio<br />
(Music 3) e Triangle con l’Aio 3,<br />
che si confronta nella nostra prova<br />
proprio con la nuova versione<br />
del Sonos Five (precedentemente<br />
Play:5).<br />
Sonos vs Triangle, dunque, Five<br />
contro Aio 3, marcatamente dif-<br />
COORDINATO<br />
Sonos Five<br />
SUL CAMPO<br />
Prezzo: € 579,00<br />
Dimensioni: 36,4 x 20,3 x 15,4 cm (lxaxp)<br />
Peso: 6,36 Kg<br />
Distributore: Nital - www.nital.it/<br />
Amplificatore: multiamplificato in classe D (6x) Diffusori: Sistema<br />
a 6 altoparlanti amplificati singolarmente, tre tweeter, tre<br />
midwoofer, crossover attivo e DSP; configurabile in stereo oppure<br />
come mono Left o mono Right Note: streamer PCM 16/44,1,<br />
ethernet, wifi, AirPlay 2. 1 ingresso RCA Prezzo cad.<br />
COORDINATO<br />
Triangle Aio 3<br />
Prezzo: € 499,00<br />
Dimensioni: 35,99 x 19,48 x 15 cm (lxaxp)<br />
Peso: 5,1 Kg<br />
Distributore: Tecnofuturo - www.tecnofuturo.it<br />
Amplificatore: 2 x 45W Diffusori: 2 x Tw da 25 mm e 2 x Wf da<br />
10 cm con filtro passivo a 12 dB/oct Note: Telecomando, Ethernet,<br />
wifi, Bluetoooth AptX v4.2, DLNA. Ingressi digitale ottico,<br />
analogico e USB flash disc. Legge formati audio Hi Res fino a<br />
24/192<br />
SUL CAMPO<br />
40 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
TEST<br />
La parte posteriore del Sonos Five è molto pulita, ordinata e lineare, soprattutto se si considera che il cavo di alimentazione in dotazione si integra totalmente con il piano<br />
posteriore, ricordando un design Apple. In basso la RJ-45 Ethernet, comunque realizzata ad hoc per uniformarsi all’estetica del prodotto, l’ingresso linea con jack da 3,5 mm a<br />
rilevamento automatico e il pulsante per la conferma di associazione alla rete. Il Triangle Aio 3 mostra un parco connessioni comunque più affollato, con gli ingressi distinti per la<br />
connessione ottica o analogica, quella di rete e la presa USB per i contenuti, collocata comunque in posizione scomoda. Sul retro è anche presente il condotto di accordo reflex.<br />
ferenti nella storia, nella mission<br />
e in quanto messo in campo;<br />
due marchi agli antipodi, culturalmente<br />
e geograficamente:<br />
Silicon valley uno e Poisson, capitale<br />
della Francia anche se per<br />
poco, l’altro. Per non parlare della<br />
specializzazione: uno dedito alla<br />
trasmissione in rete di contenuti<br />
criptati, l’altro specializzato nella<br />
progettazione e realizzazione di<br />
altoparlanti e diffusori acustici<br />
nel modo più tradizionale che si<br />
possa intendere. Sonos nel tempo<br />
ha investito anche nella ricerca<br />
dei componenti più adatti alla riproduzione<br />
sonora, esaltandone<br />
le prestazioni giusto con quell’aiutino<br />
che solo i DSP e i controlli<br />
adeguatamente settati riescono<br />
a fornire. Dal canto suo, affrontando<br />
il campo descritto, Triangle<br />
sembra aver delegato ad un<br />
terzista gran parte di quello che<br />
serve al sistema per funzionare...<br />
Non stupirà che tutto questo si<br />
rifletta in maniera marcata sul<br />
primo impatto, quello mediato<br />
dalla vista e dal tatto: tecnologico<br />
il Five, dalle forme rotondeggianti<br />
e realizzato in quella che definire<br />
plastica è decisamente riduttivo<br />
(il corpo è in policarbonato monolitico,<br />
leggermente morbido al<br />
tatto e davvero piacevolissimo da<br />
maneggiare); assolutamente tradizionale<br />
l’Aio, con il suo mobile<br />
squadrato con telaio in polimero,<br />
il piano inferiore in MDF, la griglia<br />
di protezione in tessuto con<br />
inserti in simil alluminio e un<br />
tratto che ricorda, addirittura, gli<br />
apparecchi d’antan. Mai come nel<br />
caso di Sonos Five e Triangle Aio<br />
3 la redazione si è schierata in opposte<br />
fazioni. L’aspetto del Sonos<br />
è stato considerato superlativo da<br />
alcuni e da altri cheap, quasi impersonale<br />
e difficilmente identificabile<br />
in un prodotto di qualità<br />
Hi-Fi; sensazioni che riportano<br />
ai tempi del lancio dei prodotti<br />
Apple, così distanti dai computer<br />
dell’epoca e che solo a fatica<br />
sono stati, in seguito, considerati<br />
prodotti “seri” e non dedicati a un<br />
Il Five ha tre comandi a sfioramento sul<br />
piano superiore, i due laterali per la regolazione<br />
del volume, quello al centro<br />
per mettere in pausa e riprendere la<br />
riproduzione (in un certo senso molto<br />
meglio della funzione mute in quanto,<br />
più che silenziare, interessa interrompere<br />
la riproduzione). Se si toccano tutti e tre<br />
i pulsanti in un verso o nell’altro, si può<br />
passare al brano precedente o quello<br />
successivo. Dato che il Five può essere<br />
collocato in verticale indifferentemente<br />
su uno dei due lati (in modo da collocare i<br />
tweeter al centro o all’esterno nel caso in<br />
cui si disponga di due unità abbinante in<br />
modalità stereo), i comandi si ribaltano<br />
a seconda della posizione, con il tasto<br />
in alto che aumenta e quello in basso<br />
che riduce il volume. In alternativa al<br />
telecomando il Triangle Aio 3 utilizza<br />
una pulsantiera tradizionale: accensione<br />
e stand-by, selezione delle sorgenti<br />
e due tasti per la regolazione del volume.<br />
consumo elitario. Si aggiunga che<br />
il Sonos è disponibile solo in due<br />
colori, bianco o nero e che forse la<br />
varietà del Triangle, tra l’altro con<br />
colori pastello, aiuta la collocazione<br />
in ambiente, almeno secondo<br />
l’opinione di un folto gruppo di<br />
appassionati.<br />
Dal punto di vista costruttivo il<br />
Sonos utilizza tre tweeter e tre<br />
woofer ad alta escursione, indipendenti<br />
e con amplificatore<br />
dedicato e DSP con la possibilità<br />
di correzioni di fase per l’ottimizzazione<br />
ambientale. Un supporto<br />
sagomato anteriore consente la<br />
collocazione dei woofer in carico<br />
pneumatico e l’orientamento<br />
dei tre tweeter in tre differenti<br />
posizioni, utili sia per l’uso stand<br />
alone sia per quello abbinato ad<br />
un altro Five in modalità stereo. Il<br />
Triangle è invece un sistema a due<br />
vie con woofer da 10 cm, tweeter<br />
da un pollice e filtro passivo realizzato<br />
con componenti tradizionali<br />
(induttori avvolti su nucleo<br />
metallico e condensatori bipolari).<br />
Il carico reflex è condiviso per<br />
i due woofer, e l’amplificazione è<br />
in classe D (STMicroelectronics)<br />
con un modulo di comunicazione<br />
di rete e Bluetooth LinkPlay A31.<br />
Quelle citate sono solo le pietanze<br />
dell’antipasto servito dai due<br />
sistemi, talmente divergenti che<br />
le differenze d’ascolto che pure<br />
ci sono diventano secondarie alla<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 41
SELECTOR<br />
UGUALI EPPUR DIFFERENTI<br />
La app di Sonos ha il controllo completo sia sui dispositivi che sui contenuti<br />
distribuiti tramite la rete, mentre l’approccio del produttore del modulo di rete<br />
Linkplay è più orientato a un sistema ampio e flessibile, a seconda delle condizioni<br />
in cui verrà inserito il sistema. Pertanto i contenuti al di fuori del proprio dispositivo<br />
verranno prelevati dai DMS (Digital Media Server) presenti e la ricerca è molto<br />
lenta e farraginosa, nonostante altri Player DLNA, come Bubble UPnP, nelle stesse<br />
condizioni offrano un’esperienza d’uso molto più gradevole e soddisfacente.<br />
Osservando le due schermate del brano durante la riproduzione, anche se a<br />
prima vista sembrano molto simili, si apprezza una differente distribuzione delle<br />
aree funzionali e delle informazioni utili sul media in riproduzione: ad esempio,<br />
il volume su Sonos si raggiunge immediatamente, senza dover prima pigiare il<br />
tasto con l’altoparlante e poi regolare il volume (come nel Triangle). Nelle info si<br />
apprezza il titolo del brano, l’artista e il titolo dell’LP mentre nel triangle manca<br />
il dato dell’LP. Nel Sonos, apparentemente scarno, ci sono poi in basso tutte le<br />
funzioni di supporto e di approfondimento tra cui il tasto di ricerca nei contenuti<br />
che scandaglia sia quelli presenti sul NAS che quelli nei servizi di streaming<br />
sottoscritti, mentre questa funzione è totalmente assente nel Triangle.<br />
destinazione d’uso dei due prodotti,<br />
vera demarcazione per scegliere<br />
l’uno o l’altro. È ad esempio<br />
nell’ambito delle connettività che<br />
si valuta principalmente un sistema<br />
all in one e, nel caso dei due<br />
prodotti a confronto, proprio il<br />
collegamento Bluetooth diventa<br />
un punto di demarcazione.<br />
Questo collegamento (o meglio,<br />
la sua mancanza) rientra in una<br />
della “crociate” portate avanti da<br />
Sonos, fermo detrattore di questo<br />
tipo di connessione, anche se<br />
pochissimo tempo fa la casa ha<br />
proposto il Move, un prodotto<br />
a batteria, quindi ampiamente<br />
portatile che, se non collegato<br />
alla rete Wi-Fi, può sfruttare lo<br />
smartphone in caso di necessità.<br />
Anzi, anche in funzione di alcuni<br />
rumour trapelati in occasione<br />
del prossimo lancio dell’azienda<br />
prevista per i primi di marzo, è<br />
possibile che Sonos punti su un<br />
altro prodotto ancora più portatile,<br />
Bluetooth, Wi-Fi 5 per completare<br />
la sua offerta. Il Five non<br />
ne è dotato, l’Aio 3 si e questo fa<br />
tutta la differenza del mondo se<br />
la funzione vi è utile!<br />
Sia Sonos che Triangle sono invece<br />
compatibili con il protocollo<br />
AirPlay2, pertanto tutto quello<br />
che riguarda la gestione dei contenuti<br />
viene totalmente bypassata<br />
e presa in carico dall’ecosistema<br />
Apple, con tutto quello che ne<br />
consegue sia nella gestione dei<br />
contenuti sia nella qualità di riproduzione<br />
che, ancora oggi, è la<br />
più scadente e insoddisfacente<br />
del settore. Da questo punto di<br />
vista, Sonos è compatibile con<br />
Roon, mentre Triangle no. Di<br />
contro, il Triangle, oltre al Bluetooth<br />
è dotato anche di un telecomando<br />
e di un ingresso USB cui<br />
collegare una chiavetta in modo<br />
da offrire una esperienza d’uso<br />
abbastanza immediata che da alcuni<br />
punti di vista semplifica molto<br />
l’utilizzo diretto e con poche<br />
pretese. Tramite l’USB, infatti, si<br />
possono ascoltare al volo una selezione<br />
di brani in essa contenuti<br />
ma non pensate assolutamente<br />
di inserire una intera collezione<br />
per di ricreare quella che era la<br />
“cassetta per le feste” di quando<br />
eravamo ragazzi. Inoltre, con il<br />
telecomando si può rapidamente<br />
intervenire sul volume o sul tasto<br />
mute, due funzioni che quando<br />
servono devono essere azionate<br />
quasi all’istante, cosa che con uno<br />
smartphone non è certo agevole.<br />
D’altronde, se anche Google ha<br />
scelto di dotare il suo streamer<br />
d’eccellenza, il Chromecast, di<br />
un telecomando, con tasto mute<br />
in bella evidenza, forse si tratta di<br />
una funzione utile, no?<br />
Le prestazioni sonore, infine.<br />
Posto che per definizione Sonos<br />
non supporta i formati al di sopra<br />
di quello CD (ma un programma<br />
come Roon se abbinato al Five<br />
provvede al downsampling) e<br />
l’Aio 3 invece si, non rimarrete<br />
sorpresi nell’apprendere che anche<br />
qui le differenze sono abbastanza<br />
profonde anche se meno<br />
marcate delle tante altre. In generale<br />
l’Aio 3 paga qualcosa nella<br />
porzione grave delle frequenze<br />
(dove il DSP di Sonos fa la differenza)<br />
con un basso più gonfio<br />
e inscatolato, meno vivido, con<br />
la voce che risulta più esile. Il<br />
timbro, però, è abbastanza naturale<br />
e godibile, soprattutto a<br />
bassi livelli di pressione in cui<br />
si apprezza anche una ipotesi<br />
di ricostruzione ambientale. Un<br />
suono tipicamente gradevole<br />
che mette in evidenza anche la<br />
qualità della sorgente a monte in<br />
cui si privilegia la riproduzione<br />
con protocollo DLNA indipendentemente<br />
se controllato dalla<br />
app proprietaria o da una esterna<br />
come, ad esempio, Bubble<br />
UPnP. Molto meno coinvolgente<br />
la riproduzione tramite AirPlay e<br />
Bluetooth. Con il Sonos, invece,<br />
le performance musicali sono<br />
praticamente indipendenti dalla<br />
modalità di controllo sia attraverso<br />
la app proprietaria che tramite<br />
DLNA generico. Anche con<br />
AirPlay, nonostante si apprezzi<br />
un decadimento della qualità,<br />
le prestazioni rimangono soddisfacenti.<br />
La pressione acustica<br />
ottenibile è molto elevata e offre<br />
sensazioni fisiche all’ascolto con<br />
un punch potente e incisivo. La<br />
timbrica non è mai affaticante<br />
anche se molto dettagliata, senza<br />
mai raggiungere comunque<br />
una eccessiva luminosità della<br />
riproduzione. Alzando il volume<br />
si raggiunge senza esitazione il<br />
massimo livello che, al di là di<br />
ogni previsione, sviluppa una<br />
pressione potente ma che lascia<br />
supporre che il sistema potrebbe<br />
andare molto oltre. Man mano<br />
che ci si avvicina al livello massimo,<br />
tuttavia, si apprezza il circuito<br />
DSP di compensazione che<br />
tende a comprimere il segnale<br />
per aumentare il livello complessivo<br />
senza portare in sovraccarico<br />
i woofer. La sensazione di<br />
compressione è però imparagonabile<br />
a quella di un sistema che<br />
arriva a “fondo corsa”!<br />
Per scegliere l’uno o l’altro non<br />
resta quindi che profilare le<br />
proprie esigenze come utente,<br />
partendo da quelle indispensabili:<br />
il “migliore” per ciascuno<br />
di noi verrà identificato rapidamente...<br />
42 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
SELECTOR<br />
a cura della redazione<br />
AMPLIFICATORE INTEGRATO<br />
Yamaha A-S1200<br />
Il punto di svolta nel 2013:<br />
in occasione del 125mo<br />
anniversario della nascita,<br />
esordiva la linea 5000 costituita<br />
da un pre (CXA 5000) e un finale<br />
(MXA 5000) dedicati all’home<br />
theater, mentre veniva “declassato”<br />
nella sigla a un livello inferiore<br />
l’A-S3000 (provato su <strong>SUONO</strong><br />
480 - ottobre 2013). Comunque<br />
un ritorno del marchio del diapason<br />
all’Hi-Fi di livello, dopo che<br />
per molti anni aveva primeggiato<br />
l’attenzione all’HT. Sulla base di<br />
quel progetto vennero sviluppati<br />
per demoltiplica alcuni integrati<br />
e proposta nuovamente come<br />
punto di riferimento la coppia<br />
pre e finale C-5000 & M-5000,<br />
anch’essi provati su <strong>SUONO</strong><br />
nell’ottobre 2019, poco dopo la<br />
presentazione in occasione del<br />
Munich Hi-End di quell’anno.<br />
Kenwood, Pioneer, Sansui, Technics, Yamaha; c’era<br />
una volta la pattuglia degli amplificatori medium price,<br />
capitanata dai costruttori giapponesi... Ne sono sopravvissuti,<br />
perlomeno nel segmento di competenza, solo due: uno,<br />
di ritorno, ha scelto di aderire alle (poche) nuove filosofie<br />
sviluppate nell’ambito dell’amplificazione; l’altro, Yamaha<br />
per l’appunto, non ha mai smesso di concentrarsi su soluzioni<br />
più tradizionali ma non per questo meno efficaci.<br />
Anche da lì sono stati declinati<br />
una serie di prodotti via via più<br />
economici, mentre i 5000 rimangono<br />
ancora (e giustamente!) il<br />
riferimento nel catalogo della<br />
casa giapponese. Non si tratta<br />
solo di una ricaduta a livello<br />
tecnologico visto che, con la logica<br />
del “squadra che vince non<br />
si cambia”, il design di Yamaha<br />
rimane fedele a se stesso: quello<br />
retrò con i tradizionali quadranti<br />
ad ago illuminati a LED<br />
che ricorda echi ben più ampi<br />
e trionfali dell’Hi-Fi (quelli, appunto,<br />
del quintetto citato in avvio<br />
di questo articolo), al punto<br />
che molti, guardandolo, potrebbero<br />
nutrire il dubbio: si tratta<br />
di un apparecchio entry level o<br />
di un alto di gamma? Il quesito è<br />
alimentato anche da una politica<br />
nella griglia prodotti che non ci<br />
è chiara: in catalogo, infatti, ci<br />
sono una serie di prodotti sostanzialmente<br />
molto simili fra<br />
loro, con leggere differenze che<br />
dovrebbero determinare una più<br />
adatta soddisfazione di esigenze<br />
specifiche da parte dell’utente e<br />
anche un miglioramento, se non<br />
nelle prestazioni e nel progetto,<br />
almeno negli equipaggiamenti e<br />
nelle finiture. Vale lo stesso per<br />
l’A-S1200 oggetto di questo test<br />
e degli altri componenti della A-S<br />
Serie (A-S2200 e A-S3200) che<br />
sostituiscono i precedenti A-S<br />
1100, 2100 e 3000. Si aggiunga<br />
che questa, come le precedenti<br />
serie, non viene aggiornata in<br />
blocco ma differenziata nel tempo,<br />
fattore che complica il puzzle<br />
che porta a un ipotetico posizionamento<br />
qualitativo nella griglia.<br />
Per un breve lasso di tempo, ad<br />
esempio, la versione A-S2100 era<br />
molto più godibile in termini di<br />
musicalità e verve del più costoso<br />
3000; l’A-S2100, infatti, era<br />
stato oggetto di una rivisitazione<br />
dello stadio di potenza (trasferito<br />
in seguito nelle altre<br />
linee) che aveva determinato,<br />
in quel periodo, la sovrapposizione<br />
fra l’A-S3000 e l’A-<br />
S2100. Se da un lato gli equipaggiamenti<br />
dell’A-S3000<br />
erano più ampi e raffinati di<br />
quelli dell’A-S2100, per quel<br />
che riguarda il suono, invece,<br />
l’A-S2100 apparteneva alla<br />
novelle vogue poi propagata<br />
al resto della linea, rinnovata<br />
e caratterizzata da un timbro<br />
più luminoso e una verve mai<br />
iperdettagliata e affaticante!<br />
Esiste poi un altro aspetto<br />
Prezzo: € 1.990,00<br />
Dimensioni: 43,50 x 15,70 x 46,30 cm (lxaxp)<br />
Peso: 22 Kg<br />
Distributore: Yamaha Music Europe GmbH - Branch Italy<br />
Via Tinelli, 67/69 - 20855 Gerno di Lesmo (MB)<br />
Tel.02.935771 - Fax 02.9370956<br />
www.yamaha.it<br />
AMPLIFICATORE INTEGRATO YAMAHA A-S1200<br />
Tipo: stereo Tecnologia: a stato solido Potenza: 2 x 105 W su<br />
8 Ohm Accessori e funzionalità aggiuntive: Telecomando, Ingresso<br />
cuffia, Controlli di tono Risp. in freq. (Hz): 5 - 100.000 +0<br />
/ -3 dB THD (%): 0.035 Phono: MM (3,5 mV/47 KOhm) MC ( mV/<br />
Ohm) Ingressi analogici: 3 RCA Uscite analogiche: 2 RCA<br />
44 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
TEST<br />
assai curioso nella logica promozionale<br />
dell’azienda che, non<br />
se ne capisce bene lo scopo, non<br />
fornisce all’utente una logica di<br />
scelta comprensibile basata sulle<br />
differenziazioni dei prodotti in<br />
base alle caratteristiche tecniche,<br />
in particolar modo quelle relative<br />
alla potenza dell’amplificatore,<br />
alla distorsione e al rapporto<br />
segnale rumore. Le caratteristiche<br />
dei tre integrati nel corso<br />
del tempo e nelle varie versioni<br />
sono praticamente sovrapponibili,<br />
con differenze che in alcuni<br />
casi perdono di significato. Leggendo<br />
in rete alcuni notano, ad<br />
esempio, la differenza tra i 95<br />
Watt di un modello e i 100 di un<br />
altro, oppure il valore di 18.000<br />
uF del condensatore di alimentazione<br />
dell’A-S1200 (ma anche<br />
del 1000) rispetto ai 22.000<br />
uF di quello impiegato nell’A-<br />
S2200... Differenze che in certi<br />
casi possono portare benefici in<br />
un progetto ben preciso ma che<br />
in altri non rappresentano una<br />
soluzione a priori indice di miglioramenti<br />
qualitativi; la scelta<br />
di dotare oggi l’A-S1200, più piccolo<br />
della serie, del trasformatore<br />
toroidale, sembra aver ancor<br />
più livellato i tre prodotti della<br />
linea che si differenziano più<br />
per equipaggiamento (zero, uno<br />
o due ingressi bilanciati rispettivamente)<br />
e cura nei particolari<br />
(isolamento dalle vibrazioni e i<br />
piedi di appoggio, ad esempio).<br />
A fare la differenza sono quelle<br />
scelte del circuito che hanno<br />
un vero effetto sulle prestazioni<br />
come, per esempio, quelle implementate<br />
nell’A-S2100 che<br />
potranno sicuramente beneficiare<br />
dei particolari ma che, in<br />
sostanza, costituiscono quel piccolo<br />
“salto di specie”. Da questo<br />
punto di vista, allora, lo scenario<br />
si ridefinisce e assume una<br />
connotazione abbastanza chiara<br />
che non mette in discussione il<br />
flagship della serie, anzi, colloca<br />
l’entry level come un best buy a<br />
tutti gli effetti, soprattutto se non<br />
si ha la necessità di un ingresso<br />
bilanciato. Vedremo se questa<br />
filosofia, anch’essa rinnovata,<br />
sarà accolta favorevolmente dal<br />
pubblico!<br />
Aspetti che invece passano molto<br />
spesso in sordina ma che sono<br />
oggetto in altri ambiti di accanimenti<br />
e dibattiti se non addirittura<br />
di guerre di religione, sono<br />
quelli dell’adozione di circuiti a<br />
componenti discreti Vs circuiti<br />
integrati e la regolazione del volume<br />
con potenziometro analogico<br />
Vs circuiti integrati. C’è da notare<br />
che Yamaha da lungo tempo<br />
impiega soluzioni miste per quel<br />
che riguarda l’amplificazione dei<br />
segnali linea, impiegando comunque<br />
amplificatori operazionali<br />
di alta qualità, mentre per la<br />
regolazione del volume impiega<br />
un sistema piuttosto articolato<br />
che sfrutta un potenziometro<br />
analogico per controllare un<br />
circuito integrato per la regolazione<br />
del volume. In pratica, il livello<br />
di attenuazione del circuito<br />
integrato è determinato dalla posizione<br />
del potenziometro motorizzato<br />
su cui agisce il telecomando.<br />
Inoltre, anche il mute agisce<br />
sulla rotazione della manopola<br />
del volume, che ruota giusto per<br />
una attenuazione importante<br />
del segnale senza silenziarlo, un<br />
effetto sicuramente scenografico<br />
e soprattutto molto piacevole<br />
al tatto se si agisce direttamente<br />
sulla manopola del volume;<br />
tutto molto bello ed evocativo,<br />
se non fosse che il segnale passa<br />
attraverso un integrato e ciò che è<br />
stato costruito intorno al sistema<br />
di gestione fa venire in mente un<br />
robot che si dedica alla dattilografia<br />
non con una macchina da<br />
scrivere meccanica ma con una<br />
tastiera da computer! Questo,<br />
naturalmente, non si percepisce<br />
dal “vestito” adottato, come detto<br />
assolutamente “fedele alla linea”,<br />
che beneficia ora anche nel modello<br />
più piccolo della linea (il<br />
1200 appunto) dei due VU-meter<br />
ad ago che consentono la regolazione<br />
continua della luminosità<br />
del quadro per ben adattarsi ad<br />
ogni condizione; una feature che,<br />
abbinata al gusto vintage dei Vumeter,<br />
è un valore aggiunto non<br />
da poco! Sul pannello anteriore è<br />
presente un selettore per attivare<br />
o disattivare i VU-meter; quando<br />
attivati, tenendo il selettore nella<br />
posizione Dimmer, l’intensità<br />
luminosa varia fra il minimo e il<br />
massimo e si ferma quando si ottiene<br />
il livello ottimale che rimane<br />
memorizzato fino ad un’altra<br />
regolazione. Una sensazione di<br />
“solidità culturale” (ci si passi il<br />
termine) confermata nell’azionamento<br />
dei comandi da un procedere<br />
fluido e preciso di chiaro<br />
stampo meccanico.<br />
Collegato il nuovo A-S2100 ai<br />
diffusori presenti in redazione<br />
per le varie prove (tra quelli in<br />
prova - PMC Twenty 5.23i, Sonus<br />
Faber Lumina I e III - e quelli di<br />
riferimento, Triangle e Elac), si<br />
percepisce subito un ascolto gradevole,<br />
molto equilibrato e non<br />
affaticante, caratteristica che si<br />
ripropone con tutti i sistemi collegati<br />
e che sottolinea una certa<br />
insensibilità al carico, almeno<br />
sotto l’aspetto della resa timbrica.<br />
Con diffusori caratterizzati da<br />
una timbrica leggermente scura<br />
si apprezza una sorta di compensazione<br />
ma con un intervento<br />
che non tende a livellare ma<br />
a rendere il suono luminoso e<br />
al contempo non affaticante. La<br />
potenza c’è e si sente, perché si<br />
può alzare il volume senza ravvisare<br />
costrizioni dinamiche o<br />
distorsioni nella gestione delle<br />
voci e degli strumenti musicali,<br />
anzi, l’assenza di indurimenti e<br />
di una sensazione di raggiungimento<br />
del limite dello stadio finale<br />
invoglia ad alzare il volume<br />
anche a livelli solitamente al di<br />
sopra della soglia “condominiale”.<br />
Tuttavia, con diffusori poco<br />
sensibili abbiamo notato un clipping<br />
repentino e marcato nella<br />
riproduzione di percussioni profonde<br />
e molto dinamiche, come<br />
Al centro dell’apparecchio sono<br />
collocati i connettori di ingresso e<br />
uscita del segnale con tre ingressi<br />
linea, uno Phono per MM e MC,<br />
un anello tape, un’uscita pre e un<br />
ingresso Direct per la sezione finale.<br />
Sui lati sono disposte le due coppie di<br />
morsetti di potenza per una doppia<br />
coppia di diffusori o, ancor meglio,<br />
per un collegamento in bi-wiring.<br />
I morsetti di potenza sono molto<br />
efficienti e consentono un ottimo<br />
serraggio in sicurezza di qualsiasi<br />
tipo di cavo.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 45
SELECTOR<br />
I cavi di potenza sono<br />
collegati al PCB dotato<br />
di doppia uscita in cui<br />
sono presenti i due relé di<br />
commutazione e il filtro comune<br />
alle due uscite. I due morsetti<br />
possono essere usati in coppia<br />
oppure alternati.<br />
La scheda phono è posizionata<br />
in fondo alla sezione di ingresso,<br />
chiusa in un contenitore metallico<br />
schermante. Il circuito è realizzato a<br />
componenti discreti distintamente<br />
per la sezione MM e MC con due<br />
alimentazioni duali separate e distinte<br />
da ±20 per l’una e ±18V per l’altra. Le<br />
commutazioni avvengono tramite<br />
relè attivati dal circuito di controllo<br />
servoassistito. I componenti attivi sono<br />
prevalentemente a tecnologia SMD<br />
con l’utilizzo, però, di condensatori<br />
tradizionali sia a film che elettrolitico,<br />
opportunamente distribuiti lungo le<br />
linee di alimentazione di segnale.<br />
Si nota anche l’impiego di microinduttori<br />
sull’ingresso ad alta<br />
compattazione. La scelta fra MM e MC<br />
si effettua tramite un selettore a fianco<br />
dei connettori di ingresso.<br />
La regolazione del volume<br />
avviene tramite un regolatore<br />
di livello elettronico JRC<br />
NJU72321 controllato da un<br />
potenziometro analogico.<br />
Anche i livelli delle regolazioni<br />
dei toni avvengono con<br />
la stessa modalità tramite<br />
l’abbinamento di un NJU72321<br />
al potenziometro a monte del<br />
circuito di regolazione dei toni<br />
alti e bassi.<br />
Tutte le funzionalità dell’apparecchio<br />
sono servoassistite e gestite da un<br />
microcomputer Renesas che tiene<br />
sotto controllo gli input dei comandi<br />
e gli azionamenti dei relè e del<br />
potenziometro del volume. Alcuni di<br />
essi manifestano una lieve latenza fra<br />
la selezione e lo scatto del relè.<br />
È presente una connessione sul retro<br />
per l’aggiornamento firmware.<br />
se il sistema, totalmente lineare<br />
fino ad un punto, cedesse tutto<br />
insieme (impressione confermata<br />
al banco di misura). Al di là<br />
dei casi limite, con diffusori di<br />
media sensibilità ma anche con<br />
un carico particolarmente ostico<br />
come, ad esempio, i Triangle Cello,<br />
comunque non si apprezzano<br />
mai sensazioni di indurimento o<br />
di raggiungimento del limite.<br />
Nel complesso, a livello sonoro<br />
questo integrato rappresenta<br />
una piacevole sorpresa grazie al<br />
suono timbricamente corretto; la<br />
gamma bassa è netta, profonda e<br />
articolata, veloce e sicura nel suo<br />
incedere, quella media è ben coesa<br />
con quella inferiore e in grado<br />
di riproporre con stile e sapienza<br />
il pianoforte acustico e le voci,<br />
che appaiono naturali, ricche di<br />
armoniche e mai preponderanti<br />
rispetto al resto del messaggio<br />
musicale.<br />
Soffermandosi sul pianoforte, si<br />
riescono a seguire le evoluzioni<br />
dell’esecutore sulla tastiera senza<br />
46 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
TEST YAMAHA A-S1200<br />
al banco di misura<br />
La risposta in frequenza è molto estesa e per nulla condizionata<br />
dal carico o dalla regolazione del livello, effettuata<br />
a passi di 0.5 dB in tutto il range utile dal chip JRC<br />
NJU72321. La distorsione è solo lievemente accennata con<br />
una prevalenza di componenti di ordine dispari ma con<br />
un decadimento armonico abbastanza rapido. Le componenti<br />
da intermodulazione simmetriche sono lievemente<br />
accennate e assenti le altre. Nonostante la sensibilità<br />
dell’apparecchio sia piuttosto alta, il tappeto di rumore<br />
si mantiene a livelli molto bassi nelle normali condizioni<br />
di utilizzo ipotizzate, con livelli di ingresso intorno a 2<br />
Vrms in cui si ottengono le massime e prestazioni dell’apparecchio<br />
in termini di rumore e spurie in banda e fuori<br />
perdere neanche una nota, lo<br />
strumento è realistico, nitido e<br />
gli accordi e gli arpeggi si susseguono<br />
con le giuste notazioni<br />
timbriche. L’immagine virtuale si<br />
dispone sui tre assi con fermezza.<br />
Ottimo il lavoro svolto in tal<br />
senso con i piccoli Sonus faber<br />
Lumina I, che letteralmente svaniscono<br />
dal piano del soundstage.<br />
La stessa cosa accade anche<br />
con i più ricchi e impegnativi<br />
PMC. Facile l’individuazione dei<br />
singoli strumenti o dei gruppi<br />
strumentali dell’orchestra, diluiti<br />
con maestria nel piano della<br />
profondità, ovviamente ove la<br />
registrazione risulti ben fatta e<br />
consenta la scansione dei piani<br />
sonori. Il range acuto non è mai<br />
pungente e rifinisce in maniera<br />
pressoché ideale il messaggio<br />
musicale verso l’alto.<br />
Anche il registro basso è esteso<br />
e articolato, mai onnipresente e<br />
confuso, aspetto che in certe circostanze<br />
potrebbe far supporre<br />
a una certa leggerezza, supposizione<br />
smentita non appena<br />
“si manifesta” il basso nella sua<br />
pienezza e articolazione. In ogni<br />
caso, non si avverte mai uno<br />
banda. Risultato ottenuto certamente con l’ottimizzazione<br />
delle linee di massa dell’alimentazione e delle filtrature.<br />
La distorsione si mantiene molto bassa in tutto il range di<br />
amplificazione, con una prevalenza di terza armonica e la<br />
totale assenza della seconda in conseguenza alle scelte di<br />
configurazione. Il clipping si raggiunge con una modalità<br />
quasi “a gradino”, con una distorsione allo 0,06% prima del<br />
clipping che schizza in verticale. La distorsione aumenta<br />
nonostante l’alimentatore fornisca ancora una tensione in<br />
costante ascesa senza flessioni, che tende a cedere molto<br />
oltre il clipping. Quindi, la potenza si attesta a 105 Wrms<br />
su 8R per una THD+N allo 0,06% per crescere, anche se<br />
di poco, oltre l’1%.<br />
squilibrio timbrico all’opposto,<br />
anzi, l’impostazione dell’apparecchio<br />
manifesta una notevole<br />
neutralità anche se poi il carattere<br />
non manca di certo.<br />
In sostanza l’apparecchio è ben<br />
suonante, esteticamente lussuoso,<br />
sostanzioso nell’ingombro e<br />
nel peso, tutti elementi in grado<br />
di colpire l’immaginario audiofilo<br />
ai quali si aggiungono due ulteriori<br />
elementi, spesso sottovalutati<br />
in un amplificatore integrato<br />
ma che sono sempre stati dotazioni<br />
fondamentali in passato:<br />
lo stadio phono e l’uscita cuffia<br />
dedicata. Da questo punto di vista<br />
Yamaha non ha lesinato nella<br />
realizzazione di uno stadio phono<br />
sia MM che MC implementato in<br />
una scheda ad hoc chiusa in un<br />
contenitore di schermatura dotata<br />
di relè di commutazione interni<br />
per la selezione del guadagno<br />
e della modalità. Tale scheda, in<br />
sostanza, è comune a tutti e tre<br />
gli apparecchi della gamma, e<br />
diventa un valore aggiunto non<br />
indifferente, soprattutto per l’A-<br />
S1200, per utenti che hanno già<br />
un giradischi o che vorrebbero<br />
inserirlo visto l’attuale revival.<br />
Lo stadio phono ha un valore<br />
molto al di sopra di unità esterne<br />
di bassa fascia e in un certo<br />
senso dà valore al concetto stesso<br />
di amplificatore integrato, che<br />
deve soddisfare al meglio le esigenze<br />
dell’utente che sceglie una<br />
soluzione “all in one” rispetto a<br />
quelle fatta di componenti separati.<br />
Anche lo stadio di potenza<br />
della cuffia si colloca a un livello<br />
molto alto, soprattutto per la<br />
sezione di potenza a discreti che<br />
non sfigura davanti a prodotti di<br />
fascia media stand alone. Certo,<br />
vale sempre la sensazione da parte<br />
dell’utente che, se non usa tali<br />
opzioni, parti delle risorse sono<br />
state investite inutilmente (anche<br />
se fanno parte del prodotto<br />
e non c’è possibilità di scelta)<br />
ma in senso più generale c’è da<br />
considerare che se si opta per<br />
allestire un sistema tradizionale<br />
con un amplificatore integrato<br />
al centro, anzi un sistema simil<br />
vintage, allora l’equipaggiamento<br />
dell’A-S1200 è perfetto, e sarebbe<br />
anche un’ottima occasione<br />
per i nostalgici di rispolverare<br />
il vecchio giradischi in soffitta.<br />
Sorprendente il rapporto qualità/prezzo,<br />
anche solo guardando<br />
all’interno della gamma offerta<br />
dall’azienda: un “Entry Killer” e<br />
non il solo in questo numero di<br />
<strong>SUONO</strong>… continuate a sfogliare<br />
avidamente la rivista!<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 47
SELECTOR<br />
di Nicola Candelli<br />
Un incontro o uno scontro<br />
tra generazioni<br />
quello che lega alle<br />
origini l’attuale produzione<br />
Quad, storico marchio fondato<br />
nel 1936 da Peter J. Walker,<br />
uno dei pionieri della riproduzione<br />
stereofonica, ceduto (o<br />
caduto) nelle pur amorevoli<br />
mani di International Audio<br />
Group (IAG) e dei suoi proprietari<br />
cinesi? La possibilità<br />
di avere in perfetta efficienza<br />
e ancora attiva la coppia pre<br />
e finale Quad 34+306 insieme<br />
alla concomitante presenza<br />
nella mia sala d’ascolto di un<br />
apparecchio di produzione attuale,<br />
il piccolo valvolare Quad<br />
VA-ONE+, ha semplificato la<br />
possibile ancorché parziale risposta,<br />
facilitando la verifica di<br />
quel che è accaduto nel tempo<br />
e quante siano le differenze tra<br />
due generazioni di amplificazioni<br />
abbastanza distanti tra loro.<br />
Va detto che, al contrario di<br />
quanto accade frequentemente<br />
quando vecchi marchi iconici<br />
vanno a far parte di questi grossi<br />
gruppi, si capisce da subito<br />
che sono state profuse consi-<br />
AMPLIFICATORE INTEGRATO<br />
Quad VA-One+<br />
Prezzo: € 1.950,00<br />
Dimensioni: 18 x 16 x 28 cm (lxaxp)<br />
Peso: 9,8 Kg<br />
Distributore: High Fidelity Italia S.r.l.<br />
Via Collodi - 20010 Cornaredo (MI)<br />
Tel.02-93611024 - Fax 02-93647770<br />
www.h-fidelity.com<br />
Tipo: stereo Tecnologia: a valvole Potenza: 2 x 12 W su 8 Ohm (15<br />
W su 6 Ohm) in classe AB Accessori: Telecomando, Ingresso cuffia<br />
Risp. in freq. (Hz): 20-50.000 THD (%): 0,50 S/N (dB): 90 Ingressi<br />
digitali: 3 totali - Ottico / RCA / USB HiRes Convertitore audio<br />
D/A: ESS Sabre ES9018M2K Sistema di conversione audio D/A:<br />
24 bit - 192 kHz, PCM 32 bit/384 kHz (USB), DSD256 (USB) Note:<br />
Ingresso Bluetooth. Valvole: 1 x ECC83, 2 x ECC82, 4 x EL84EH<br />
SUL CAMPO<br />
48 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
TEST<br />
derevoli energie per mantenere<br />
un alto standard qualitativo:<br />
già dall’unboxing sono rimasto<br />
colpito dalla qualità costruttiva<br />
dell’apparecchio, che risulta<br />
davvero di ottima fattura. Una<br />
veste che richiama la classica<br />
estetica Quad, vedi la manopola<br />
del volume, l’austero colore<br />
British Lancaster (con un grigio<br />
divenuto ancora più... grigio) e<br />
un mobile compatto come quasi<br />
tutti i vecchi prodotti Quad.<br />
Non è difficile riconoscerne lo<br />
stile e così buona parte della<br />
tradizione è mantenuta, anche<br />
se i progettisti si sono barcamenati<br />
inevitabilmente in un mix<br />
di antico e moderno, a cominciare<br />
dalle stesse scelte circuitali:<br />
rispetto alla coppia 33+306<br />
di oltre trenta anni più vecchia,<br />
il “nuovo” VA-ONE+ si avvale<br />
di una circuitazione valvolare<br />
(tecnologia precedente a quella<br />
a transistor del pre e finale)<br />
impreziosita o armonizzata con<br />
le istanze attuali, inserendo nel<br />
circuito elementi come la conversione<br />
digitale e il Bluetooth.<br />
La sezione amplificatrice è<br />
completamente valvolare con<br />
due Ecc82 e una Ecc83 per la<br />
sezione pre ed un quartetto di<br />
EL 84 per la sezione finale, in<br />
grado di garantire una quindicina<br />
di watt per canale. La<br />
versione rinnovata del DAC è<br />
la ragione di quel plus (+) che<br />
appare ora nel nome rispetto<br />
al VA-ONE e si avvale del più<br />
moderno Ess Sabre 9018 K2M<br />
che riesce a gestire flussi digitali<br />
DSD 256 e PCM 32/384 Khz,<br />
il massimo ragionevole per le<br />
attuali esigenze. Molto gradito<br />
sul frontale un attacco cuffia<br />
da 6,3 mm che consente l’utilizzo<br />
personale della musica,<br />
oltre alla grossa manopola del<br />
volume telecomandabile e gli<br />
interruttori che selezionano il<br />
Bluetooth, la presa analogica e<br />
i tre ingressi digitali (coassiale,<br />
ottico e USB). Sulla parte posteriore<br />
un unico ingresso analogico<br />
e le tre connessioni digitali,<br />
oltre al solito collegamento<br />
dell’amplificatore ai diffusori.<br />
Presenti anche l’antenna Bluetooth<br />
e un piccolo telecomando<br />
che consente di effettuare ogni<br />
funzione richiesta, il tutto in un<br />
involucro di contenute dimensioni<br />
e peso.<br />
A livello di prestazioni sonore,<br />
se certamente non ha senso,<br />
a distanza di oltre 30 anni<br />
e di un passaggio di consegne<br />
della proprietà e delle capacità<br />
ingegneristiche, parlare di<br />
un family sound mantenuto o<br />
meno, è comunque interessante<br />
fare il punto sull’evoluzione<br />
in tal senso. Il suono del mio<br />
vecchio pre e finale lo conosco<br />
molto bene ma il confronto con<br />
il recente piccolo valvolare ne<br />
ha maggiormente evidenziato<br />
le caratteristiche: un suono<br />
sicuramente vellutato e colori<br />
che virano verso tinte pastello,<br />
per un apparecchio molto<br />
indulgente nei confronti delle<br />
registrazioni, anche in virtù di<br />
un micro-dettaglio non proprio<br />
al massimo, un basso un po’ lanoso<br />
e una fascia alta arrotondata;<br />
di contro, il suono risulta<br />
sempre gradevole e di grande<br />
compagnia, con fatica di ascolto<br />
prossima allo zero. Nel paragone<br />
con il Quad VA ONE+ sembra<br />
quasi che si siano invertiti<br />
i ruoli (almeno nell’immaginario<br />
audiofilo) tra l’apparecchio<br />
a transistor e quello valvolare:<br />
il suono del valvolare VA ONE+<br />
è immediatamente più schietto,<br />
sicuramente dotato di una<br />
maggior definizione, con maggior<br />
distacco tra gli strumenti,<br />
un miglior controllo sul basso e<br />
una sensazione di potenza abbastanza<br />
simile al concorrente<br />
in quanto i due sistemi collegati<br />
a una coppia di Monitor Audio<br />
Bronze 2 hanno risposto nel<br />
medesimo modo, riempiendo<br />
più che soddisfacentemente la<br />
mia sala d’ascolto (un ambiente<br />
di medie dimensioni) senza<br />
che si notino in entrambi e con<br />
qualsiasi genere musicale sofferenze<br />
o compressione alcuna,<br />
anche spingendo la manopola<br />
del volume a livelli più elevati.<br />
La porzione media delle frequenze<br />
nel VA ONE+ è davvero<br />
godibile, probabilmente per<br />
merito di quelle piccole EL84<br />
che, in campo audio, al di là della<br />
loro modesta potenza, hanno<br />
sempre fornito risultati di<br />
rilievo; acuti dolci, setosi e ben<br />
definiti, in linea con la tradizionale<br />
filosofia Quad, completano<br />
il quadro di un confronto<br />
tra le due realtà a favore del VA<br />
ONE+ che, se accoppiato con<br />
casse di buona efficienza, riesce<br />
ad esprimere in un modo molto<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 49
SELECTOR<br />
efficace tutte le sue potenzialità<br />
in relazione al predecessore.<br />
Molto ben progettata e curata<br />
la parte digitale: basta collegare<br />
alla presa coax dell’apparecchio<br />
un lettore CD anche non proprio<br />
recente (purché provvisto<br />
di uscita digitale) per apprezzare<br />
i miglioramenti che i moderni<br />
convertitori riescono a<br />
restituire, donando una nuova<br />
giovinezza ad apparecchi ormai<br />
prossimi alla obsolescenza. Ancora<br />
più interessante il collegamento<br />
del computer alla presa<br />
USB. Se ne utilizziamo uno<br />
provvisto del sistema operativo<br />
Windows è necessario scaricare<br />
dal sito ufficiale i driver necessari<br />
per accoppiare il computer<br />
al convertitore. Ne è presente<br />
solo uno, “Driver Quad DSD<br />
(Artera)”, ma va bene anche per<br />
il VA ONE, consentendo dopo<br />
l’installazione l’ascolto di qualsiasi<br />
file sia PCM che DSD. E<br />
anche qui si notano da subito le<br />
buone prestazioni del convertitore<br />
di recente generazione a<br />
bordo dell’apparecchio. Interessante,<br />
ancora, l’utilizzo della<br />
sezione Bluetooth: collegando<br />
l’apparecchio allo smartphone<br />
ho apprezzato la bontà di alcuni<br />
file musicali a bordo; ancora<br />
meglio quando ho spaziato<br />
nella ampia libreria di Spotify.<br />
A dire il vero credevo in una<br />
prestazione abbastanza modesta<br />
ma ho dovuto ricredermi: il<br />
sistema, innanzitutto, è assolutamente<br />
silenzioso; il suono è<br />
corposo, con una buona energia<br />
e sonorità non lontana dalle<br />
prestazioni ottenute con altre<br />
sorgenti (tra le altre cose mi<br />
sono accorto che avevo dimenticato<br />
di collegargli l’antenna,<br />
ottenendo ottimi risultati in<br />
silenziosità anche in assenza<br />
della stessa!).<br />
La ciliegina sulla torta è costituita<br />
dal collegamento in<br />
cuffia, di buone prestazioni:<br />
dopo tanti anni ho finalmente<br />
riscoperto l’ascolto privato anche<br />
in quelle ore in cui, per ovvi<br />
motivi, è inopportuno l’ascolto<br />
attraverso gli altoparlanti. Ed<br />
è proprio durante il periodo<br />
nel quale ho utilizzato questo<br />
Quad, posizionato spesso sulla<br />
scrivania, che mi sono regalato<br />
via Bluetooth ore di ottima musica.<br />
Ho anche voluto effettuare<br />
una ulteriore prova collegandolo<br />
all’impianto principale, per<br />
valutare meglio le prestazioni<br />
della macchina. Nell’ascolto<br />
del CD Double Concertos<br />
(Heifetz) della Living Stereo la<br />
zona media si conferma molto<br />
ricca e seducente, archi e legni<br />
propongono un suono coinvolgente,<br />
incisivo ed energico,<br />
molto credibile, con buona<br />
precisione e una buona collocazione<br />
degli strumenti nel<br />
palcoscenico. Certo, rispetto<br />
al riferimento, nella sezione<br />
bassa i violoncelli, per quanto<br />
ben definiti e presenti, risultano<br />
di peso inferiore anche se<br />
godibili; molto buono, invece,<br />
quel leggerissimo roll-off sulla<br />
parte acuta. In ogni caso inutile<br />
chiedere l’impossibile a un apparecchio<br />
di una quindicina di<br />
watt costretto, come in questa<br />
prova, a lavorare ai limiti delle<br />
sue capacità ma, ripeto, con<br />
diffusori dotati di una buona<br />
efficienza sia bookshelf che da<br />
pavimento i risultati sono più<br />
che appaganti.<br />
Sia per qualità di costruzione<br />
che per bontà del suono e la<br />
possibilità di avere in un apparecchio<br />
così compatto alcune<br />
moderne tecnologie a un prezzo<br />
di mercato interessante,<br />
il VA ONE+ viene promosso<br />
senza condizioni. Anzi: dopo<br />
questa prova molto soddisfacente<br />
mi chiedo come mai<br />
questi prodotti che godono di<br />
una ottima reputazione in special<br />
modo nei paesi dell’Est e<br />
in quelli Asiatici, nel nostro<br />
Paese sembrano vivere un po’<br />
nell’ombra, trattati forse con<br />
una certa indifferenza dai quei<br />
consumatori ancora legati alla<br />
vecchia immagine del marchio.<br />
Eppure, basta sfogliare il catalogo<br />
per trovare forse uno<br />
dei più interessanti diffusori<br />
elettrostatici, elettroniche valvolari<br />
e non di tutto rispetto,<br />
in alcuni casi caratterizzati<br />
dall’intervento del compianto<br />
Tim de Paravicini, oltre a<br />
moderni diffusori con tweeter<br />
a nastro sia da scaffale e da<br />
pavimento, che praticamente<br />
coprono le esigenze di ogni<br />
appassionato. Forse a questo<br />
marchio bisogna ridare il posto<br />
che merita!<br />
50 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
SELECTOR<br />
di Roberto Rubini<br />
Il marchio Trigon Elektronik<br />
è stato fondato nel<br />
1996 dal duo formato da<br />
Ralf Kolmsee e Rainer Reddemann,<br />
esperti nel campo dei<br />
sistemi di controllo elettronici.<br />
Il nome pare sia stato preso<br />
da un personaggio dei fumetti<br />
della DC Comics, il malvagio e<br />
potente demone Trigon. Inizialmente<br />
specializzato nella<br />
realizzazione di pre phono, Trigon<br />
si è cimentata più recentemente<br />
con una linea completa<br />
di elettroniche con amplificatori<br />
dotati a bordo di DAC e<br />
ingressi phono opzionali e con<br />
un CD player costruiti come se<br />
fossero... una Mercedes! L’apparecchio<br />
che ho avuto tra le<br />
mani è il Trigon Exxceed MK-II<br />
fornito di DAC, ingresso phono<br />
e telecomando e il test si è<br />
svolto nell’accogliente negozio<br />
Ethos di Roma.<br />
Al primo contatto l’apparecchio<br />
appare molto azzeccato<br />
dal punto di vista estetico, con<br />
la sua livrea lineare e il bel display;<br />
una volta tanto la grafica<br />
è ben leggibile grazie anche<br />
ai colori presenti nelle varie<br />
schermate. È piacevole giocare<br />
con le manopole, i tasti e<br />
l’ampio schermo, che consentono<br />
tutti insieme un intuitivo<br />
controllo delle funzioni di configurazione<br />
e gestione. Di grande<br />
qualità e ben distanziate tra<br />
loro le connessioni posteriori.<br />
Da segnalare che in dotazione<br />
viene fornito un cavo di alimentazione<br />
di tutto rispetto,<br />
al posto del solito triste cavo<br />
nero “da computer”. L’impianto<br />
utilizzato è composto da una<br />
sorgente digitale, il citato lettore<br />
CD Trigon, di cui è stata<br />
impiegata la sola meccanica di<br />
trasporto sfruttandone le uscite<br />
digitali (l’apparecchio lo consente)<br />
in modo da operare con<br />
il DAC interno all’ampli e valutarne<br />
dunque le caratteristiche<br />
a tutto tondo, mentre non è<br />
stato possibile, per motivi logistici,<br />
utilizzare l’ingresso fono.<br />
Almeno sulla carta le due sezioni<br />
DAC dovrebbero equivalersi,<br />
anche se la Casa stranamente<br />
non specifica da nessuna parte<br />
quale tipo di convertitore abbia<br />
utilizzato nei suoi apparecchi.<br />
All’ascolto, comunque, il risultato<br />
risulterà molto simile,<br />
segno di una comune matrice<br />
- sebbene vadano considerati<br />
gli interventi di variabili come<br />
il cavo di collegamento digitale<br />
in un caso e i cavi di segnale<br />
nell’altro caso. L’amplificatore<br />
viene venduto sia “liscio” (senza<br />
DAC a bordo), utile nella logica<br />
del marchio se si acquista<br />
anche il lettore CD Trigon, sia<br />
con il DAC a bordo, nel qual<br />
AMPLIFICATORE INTEGRATO<br />
Trigon Elektronik EXXCEED INT<br />
SUL CAMPO<br />
Prezzo: € 4.560,00<br />
Dimensioni: 44 x 11 x 38 cm (lxaxp)<br />
Peso: 18,3 Kg<br />
Distributore: Ethos S.r.l.<br />
Via della Fonte Meravigliosa, 50/52 - 00143 Roma (RM)<br />
Tel.06-5192128/5193162 - Fax<br />
www.ethosfineaudio.com<br />
Tipo: stereo Tecnologia: a stato solido Potenza: 2 x 100 W su 8<br />
Ohm (170 W su 4 Ohm) in classe AB doppio mono Accessori e funzionalità<br />
aggiuntive: Telecomando Risp. in freq. (Hz): 5-250.000<br />
THD (%):
TEST<br />
caso occorre sborsare 450 euro<br />
in più. Soluzione complessiva<br />
intelligente che evita duplicazioni<br />
di sistema e spreco di<br />
soldi per il cliente. Le uniche<br />
lievi differenze emerse sono da<br />
attribuire all’ampiezza dell’immagine<br />
virtuale riproposta, più<br />
marcata nella riproduzione da<br />
digitale dell’integrato, e in una<br />
nota grave più nitida, anche se<br />
parte del rilievo potrebbe dipendere<br />
dal diverso schema di<br />
collegamento necessario e dalla<br />
qualità dei cavi impiegati (per<br />
la cronaca i costosi Reymio, sia<br />
digitale che di segnale). A valle,<br />
i diffusori Ensemble Natura<br />
da pavimento, molto reattivi,<br />
esclusivi, completi e naturali<br />
nell’emissione. Inserito in<br />
questa catena (e limitandoci<br />
pertanto alla sorgente digitale),<br />
abbiamo iniziato con il primo<br />
CD, per l’occasione un XRCD,<br />
un disco ottimamente inciso.<br />
Il sistema garantisce subito un<br />
elevato livello di qualità all’ascolto<br />
e si impiega poco tempo<br />
a entrare in confidenza con<br />
l’apparecchio. Il suono appare<br />
naturale, dinamico, appagante.<br />
L’amplificatore appartiene<br />
alla fascia di prezzo intorno<br />
ai 5.000 euro, un settore ben<br />
presidiato da tanta agguerrita<br />
concorrenza. Il Trigon gioca<br />
le sue carte sfoderando una<br />
prestazione globale degna di<br />
nota visto che riesce a pilotare<br />
anche i costosi diffusori Ensemble<br />
senza alcun accenno<br />
di timor reverentialis. Si tratta<br />
di un amplificazione versatile<br />
con attitudini digitali di livello,<br />
potente quanto basta e raffinato<br />
nelle sue evoluzioni sonore.<br />
Possiede coerenza timbrica,<br />
trasparenza e una completa<br />
capacità dinamica in funzione<br />
delle necessità che si presentano.<br />
È un concentrato di virtù<br />
e si fa portare ai limiti senza<br />
mai scomporsi, anzi, mostrando<br />
ampia energia nei contrasti<br />
dinamici e nei passaggi più<br />
complessi delle partiture. Ogni<br />
strumento musicale è trattato<br />
con attenzione e resta perfettamente<br />
riconoscibile, anche in<br />
ensemble cospicui. Il pianoforte<br />
è lo strumento che, quando<br />
ben inciso, fornisce le maggiori<br />
soddisfazioni. In questo caso il<br />
Trigon non si scompone e riporta<br />
la puntuale escursione dinamica<br />
del tocco sulla tastiera e<br />
tutti i magnifici suoni che ogni<br />
ottava è in grado di emettere.<br />
La ricostruzione della scena<br />
virtuale è espansa sia in altezza<br />
che in larghezza, meno nel<br />
senso della profondità, anche<br />
se questo potrebbe essere più<br />
un limite della registrazione sul<br />
CD. I vari piani sonori in cui è<br />
suddivisa l’orchestra sono comunque<br />
riconoscibili. Anche<br />
la messa a fuoco si dimostra<br />
assai scrupolosa e l’immagine<br />
prodotta è stabile, priva di tentennamenti<br />
e, nel caso dell’orchestra<br />
nella musica classica,<br />
con gli strumentisti che restano<br />
saldamente focalizzati dall’inizio<br />
alla fine dell’esecuzione.<br />
La gamma bassa è presente,<br />
cosa di cui si avvantaggiano a<br />
valle i diffusori da pavimento,<br />
fornendo una rappresentazione<br />
netta, con smorzamenti repentini,<br />
mai gonfia o distorta.<br />
L’organo a canne utilizzato in<br />
una traccia della sessione d’ascolto<br />
viene riproposto in un<br />
modo che la dice lunga sulla<br />
necessità di possedere un diffusore<br />
in grado di scendere fino<br />
alle note più gravi, in barba ai<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 53
SELECTOR<br />
tanti estimatori dei mini-diffusori,<br />
non in grado di esprimere<br />
l’intero messaggio musicale e<br />
quindi di coinvolgere del tutto<br />
l’ascoltatore. Efficace la gamma<br />
media, con le voci sia maschili<br />
che femminili assolutamente<br />
godibili e trasparenti. Bello, ancora,<br />
il pianoforte con le evoluzioni<br />
dell’esecutore sempre ben<br />
scandite e dinamiche, dove si<br />
percepisce anche il tocco delle<br />
dita sui tasti e il rumore della<br />
complessa meccanica dello<br />
strumento. Di livello, poi, la<br />
nitida percezione degli arpeggi<br />
e del pizzicato sulle corde della<br />
chitarra acustica. Attendibile<br />
il range acuto, mai timido, in<br />
grado di rifinire degnamente i<br />
suoni che iniziano nella parte<br />
inferiore dello spettro acustico.<br />
I dettagli ci sono, le note<br />
più alte del violino pure, la<br />
trasparenza è di casa, ma senza<br />
eccessi, in quanto dettata dalla<br />
precisione nel trattamento del<br />
segnale. L’intero spettro, insomma,<br />
si estende liberamente<br />
sia in alto che verso il basso.<br />
La timbrica è corretta, neutra<br />
perché non evidenzia alcuno<br />
strumento rispetto agli altri. Le<br />
voci femminili nei brani di lirica<br />
sono ricche di armonia, veloci<br />
e intellegibili in ogni nota<br />
e gorgheggio. Non vi sono code<br />
sonore se non quelle previste e<br />
volute. Dunque tutto perfetto?<br />
Sembrerebbe, anche dopo un<br />
prolungato ascolto, salvo salire<br />
di livello di costo (ho avuto la<br />
possibilità di collegare la coppia<br />
pre e finale Reymio) e solo<br />
allora ci si accorge che esiste<br />
una… perfezione ancor più<br />
perfetta (ma parliamo di ben<br />
36.000 euro la coppia) che<br />
giustifica per certi prodotti la<br />
definizione di “stato dell’arte<br />
nella riproduzione dell’evento<br />
musicale”.<br />
Nel procedimento inverso,<br />
comunque, passando nuovamente<br />
all’ascolto del Trigon (e<br />
risparmiando potenzialmente<br />
oltre 30.000 euro!), non si resta<br />
delusi: certo la differenza si<br />
avverte ma si può felicemente<br />
convivere con un integrato che<br />
non costa più di un rene! In sintesi,<br />
il Trigon Exxceed MK-II è<br />
sicuramente un amplificatore<br />
molto valido, offerto a un prezzo<br />
coerente con le prestazioni e<br />
anche di più tenendo presente<br />
sia la qualità costruttiva interna<br />
ed esterna che quella relativa<br />
alle prestazioni in sede di<br />
ascolto. Un prodotto, dunque,<br />
del tutto soddisfacente e in grado<br />
di competere con successo<br />
nei confronti della concorrenza<br />
sul mercato. In poche parole:<br />
buona la prima!<br />
54 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
SELECTOR<br />
a cura della redazione<br />
DIFFUSORI<br />
Pmc Twenty5.23i<br />
PMC next level... Ovvero<br />
consapevolezza di sé,<br />
maturità o quel che volete<br />
ma, comunque, un innalzamento<br />
delle prospettive<br />
e delle aspettative.<br />
Quando visitammo il<br />
quartier generale della<br />
PMC in occasione<br />
dell’ascolto in esclusiva dei diffusori<br />
top di gamma Fenestria<br />
(<strong>SUONO</strong> 538), tra gli oggetti a<br />
contorno dell’evento compariva<br />
uno dei modelli della nuova<br />
serie Twenty5 che di lì a poco<br />
(metà dello scorso anno) sarebbe<br />
stata interamente rinnovata.<br />
Sviluppati da zero senza tenere<br />
conto di ciò che li aveva preceduti,<br />
i Fenestria erano stati<br />
una vera e propria palestra, la<br />
migliore visto gli obiettivi nocompromise,<br />
per assumere un<br />
bagaglio di conoscenza in precedenza<br />
affidato più all’intuito<br />
personale del fondatore Peter<br />
Thomas; una palestra o più<br />
propriamente un laboratorio,<br />
visto che per lo sviluppo di Fenestria<br />
era stato coinvolto il Laboratorio<br />
Fisico Nazionale che<br />
dispone di una camera anecoica<br />
di grandi dimensioni e che ha<br />
sviluppato un particolare sistema<br />
per l’analisi dei moti delle<br />
vibrazioni basato su esame al<br />
laser. L’analisi di forma e dimensioni<br />
di baffle differenti,<br />
l’influenza alle varie frequenze,<br />
insomma una miriade di dati<br />
sono stati riassunti in mappe<br />
per uno studio che ha dato vita<br />
a molteplici prototipi poi esaminati<br />
anche in funzione delle<br />
prestazioni sonore. Lo stesso sistema<br />
è stato utilizzato anche su<br />
crossover e componenti come i<br />
Mundorf e i Claritycap utilizzati<br />
in alcuni modelli PMC mentre<br />
contemporaneamente, per lo<br />
sviluppo del gruppo medio-alti<br />
della Fenestria, è aumentato il<br />
coinvolgimento con Seas (che<br />
per il progetto hanno sviluppato<br />
componenti originali). Next<br />
level, appunto, completato da<br />
una nuova sede e suggellato<br />
dal 30mo anniversario che<br />
cade proprio quest’anno e vede<br />
l’azienda ancora impegnata in<br />
egual misura tanto nel campo<br />
professionale che in quello consumer<br />
(una garanzia a nostro<br />
modo di vedere, soprattutto<br />
rispetto ai molti casi in cui le<br />
sirene del consumer - inteso nel<br />
peggior modo possibile - hanno<br />
preso il sopravvento). Ora è il<br />
tempo della rivisitazione del<br />
proprio lavoro, onestamente<br />
ma anche orgogliosamente dato<br />
che quella “i” sta per improved,<br />
dunque non una rivoluzione<br />
ma solo un aggiustamento, e<br />
coinvolge la linea di attacco di<br />
PMC al mercato, la serie Twenty5.<br />
Ben altra cosa accadde nel<br />
passaggio tra la linea Twenty e<br />
la Twenty5 prima generazione<br />
Prezzo: € 4.390,00<br />
Dimensioni: 16,2 x 90,7 x 33 cm (lxaxp)<br />
Distributore: Gammalta Group S.r.l.<br />
Via S. Maria, 19/21 - 56126 Pisa (PI)<br />
Tel.050 2201042 - Fax 050 2201047<br />
gammalta.it<br />
DIFFUSORI PMC TWENTY5.23I<br />
Tipo: da pavimento Caricamento: linea di trasmissione N. vie:<br />
2 Impedenza (Ohm): 8 Frequenze di crossover (Hz): 1.700<br />
Risp. in freq (Hz): 28 - 25.000 Sensibilità (dB): 86.5 Rifinitura:<br />
Oak/Walnut/Diamond Blac, seta chiara Note: caricamento ATL<br />
con griglia Laminair.<br />
56 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
TEST<br />
(introdotta nel 2016), marcato<br />
da una radicale rivisitazione<br />
tale da far mantenere per un<br />
periodo entrambe le versioni in<br />
catalogo (“la nuova linea ha in<br />
comune con il passato qualche<br />
vite e… il grado di inclinazione<br />
dei diffusori da pavimento”<br />
trapelò dallo staff!) visto anche<br />
il consistente (+20/30%) incremento<br />
del prezzo a catalogo.<br />
La line up rimane quella tradizionale<br />
composta da 2 bookshelf<br />
e 3 torri, tutti 2 vie tranne<br />
il modello top da pavimento<br />
che è a 3. Il modello Twenty5<br />
23i, la più piccola delle torri,<br />
succede alla precedente con un<br />
incremento di costo modesto ed<br />
è fondamentalmente caratterizzata<br />
dalla sostituzione del tweeter<br />
(precedentemente da 25<br />
mm) con uno da 19. Nel precedente<br />
passaggio generazionale<br />
(Twenty - Twenty5) accadde il<br />
contrario: il tweeter rimase lo<br />
stesso mentre la scelta del woofer<br />
fu radicalmente differente:<br />
si optò per un corsa lunga con<br />
cono in fibra di vetro (invece<br />
che in carta) e motore più efficiente,<br />
che è rimasto invariato<br />
e compare anche sulla serie<br />
Twenty5i 23. Da sottolineare<br />
come a fronte di questa scelta,<br />
allora e oggi, il crossover non<br />
ha comunque subito modifiche<br />
sostanziali, anzi: dalle misure<br />
e dall’analisi dei dati rilevati<br />
sembra che vecchia e nuova<br />
versione siano quasi perfettamente<br />
sovrapposte nelle due<br />
modalità. Azzardiamo: è possibile<br />
che siano state richieste<br />
delle customizzazioni ad hoc del<br />
tweeter o che le spire della sua<br />
bobina siano in numero differente<br />
rispetto a quelle del modello<br />
standard, oppure che sia<br />
stato richiesto un trattamento<br />
della membrana particolare...<br />
Non abbiamo informazioni in<br />
merito ma sta di fatto che da<br />
quanto rilevato le prestazioni<br />
strumentali ma anche quelle<br />
all’ascolto risultano migliorate,<br />
a conferma di una idea chiara<br />
e “ferma” degli obiettivi, anche<br />
nella rivisitazione del progetto!<br />
Ancora una volta, se ve ne fosse<br />
bisogno, si conferma come una<br />
certa vocazione olistica (dunque<br />
impermeabile alle tante<br />
favole che hanno caratterizzato<br />
il settore dell’Hi-Fi) sia determinante<br />
nel risultato più che<br />
l’ipotesi che i valori dei componenti<br />
e lo schema siano scelti<br />
con attenzione maniacale... Se<br />
le reti di compensazione sono<br />
le stesse anche per altoparlanti<br />
fra loro estranei, e i tagli usano<br />
schemi ricorrenti, anche per<br />
altoparlanti molto differenti,<br />
evidentemente i risultati dipendono<br />
da altri fattori come<br />
saper mettere insieme i pezzi di<br />
un progetto!<br />
La struttura del mobile risulta<br />
invariata rispetto alla<br />
precedente versione (cambiò<br />
radicalmente invece nel passaggio<br />
da Twenty a Twenty5):<br />
è estremamente rigida sia in<br />
ragione dell’ottima costruzione<br />
che per il fatto che le pareti<br />
interne che costituiscono la<br />
linea di trasmissione ripiegata<br />
costituiscono degli elementi di<br />
rinforzo eccellenti. Le superfici<br />
interne sono rivestite con<br />
pannelli bugnati che se da un<br />
lato riducono in misura minima<br />
l’efficienza della linea di<br />
trasmissione (nella versione a<br />
doppia porta denominata Laminair,<br />
il cui obiettivo è quello di<br />
ridurre la turbolenza del flusso<br />
che percorre la porta d’accordo<br />
con una maggiore efficienza del<br />
sistema), dall’altro abbattono le<br />
risonanze spurie e le riflessioni<br />
che potrebbero innescarsi (e<br />
spesso succede!) in sistemi di<br />
questo tipo. I due altoparlanti<br />
sono installati a diretto contatto<br />
con il pannello anteriore,<br />
avvitati su innesti in metallo<br />
annegati nell’MDF. Ad aumentare<br />
la rigidità della struttura<br />
nel suo complesso sono presenti<br />
due barre in acciaio inox<br />
fissate al fondo che, inoltre,<br />
ampliano la pianta di appoggio.<br />
Una delle caratteristiche salienti<br />
quando si passa all’utilizzo<br />
del diffusore è costituito<br />
dall’eccellente capacità di inserimento<br />
in ambiente dal punto<br />
di vista estetico, visto che<br />
il diffusore risulta particolarmente<br />
filante (da questo punto<br />
di vista rappresenta il miglior<br />
compromesso tra prestazioni e<br />
ingombri tra i tre modelli della<br />
linea), anche grazie alle due<br />
staffe in acciaio che alleggeriscono<br />
esteticamente la struttura<br />
dandole un notevole slancio<br />
e la cui funzione preminente è<br />
comunque quella di appesantire<br />
la base, aumentando la stabilità<br />
del sistema. Altrettanto<br />
semplice l’abbinamento con<br />
i partner musicali visto che il<br />
diffusore accetta di buon grado<br />
amplificazioni anche di potenza<br />
limitata. Certo la stessa natura<br />
sonora dei Twenty5 23i “richiama”<br />
performance in termini di<br />
punch e coinvolgimento che richiedono<br />
maggiori erogazioni e<br />
quindi, se necessario e quando<br />
possibile, si può anche esagerare<br />
visto anche il fatto che il<br />
diffusore non sempre manifesta<br />
limiti in coincidenza con transienti<br />
anche potenti e, in questo<br />
caso, ripropone una emissione<br />
sonora particolarmente ricca di<br />
energia. In generale l’approccio<br />
monitor viene mantenuto in<br />
quella formula che è quasi un<br />
marchio di fabbrica per PMC,<br />
dove convive un suono ricco e<br />
frizzante ma al tempo stesso<br />
I morsetti sono installati su un<br />
pannello in metallo. Il corpo in<br />
metallo e la filettatura a passo fine<br />
consentono un serraggio molto<br />
tenace del cavo spellato oppure<br />
terminato con forcelle.<br />
educato. Il dettaglio è a livelli<br />
notevoli, senza scadere in accenni<br />
di freddezza irsuta alle<br />
alte frequenze; l’immagine è<br />
ampia e scolpita con un rigore<br />
puntuale nel rispetto delle tre<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 57
SELECTOR<br />
La pianta di appoggio a terra viene<br />
ampliata con due barre in acciaio<br />
installate al fondo del diffusore.<br />
Il fissaggio avviene tramite bulloni di<br />
grande diametro che agiscono su due<br />
dischi in materiale viscoelastico che<br />
disaccoppiano la staffa dal mobile.<br />
Il crossover è fissato alla piastra<br />
in acciaio tramite i morsetti di<br />
ingresso e due distanziali<br />
isolati elettricamente.<br />
I componenti di ottima<br />
qualità sono implementati<br />
su un PCB a doppia faccia<br />
dotato di connettore<br />
multiplo per il cablaggio<br />
degli altoparlanti.<br />
Il mobile presenta un setto verticale che divide il<br />
volume in due sezioni ripiegate di lunghezze differenti<br />
che costituiscono gli elementi del particolare sistema<br />
di carico a linea di trasmissione di PMC. In basso è<br />
collocata la feritoia di comunicazione con l’esterno<br />
dotata del caratteristico profilo plastico aerodinamico.<br />
Il woofer è<br />
dotato di<br />
un cestello in<br />
pressofusione<br />
molto robusto e aerodinamico, con una flangia<br />
di appoggio ampia e tornita esternamente a fini<br />
estetici. L’equipaggio mobile a lunga escursione è<br />
a vista e la membrana è in fibra sintetica G-Weave.<br />
Il tweeter, realizzato da SEAS, ha la bobina mobile da 19<br />
mm ma è dotato di una sospensione molto ampia che<br />
consente una lunga escursione della membrana, una<br />
riduzione della Fs, pur senza camera di decompressione,<br />
e un ampliamento della dispersione verticale.<br />
dimensioni e della scansione<br />
dei piani nel senso della profondità<br />
dell’immagine virtuale, in<br />
grado di generare un coinvolgimento<br />
di livello che potremmo<br />
definire estremo, in quanto anche<br />
impegnativo e in ipotetica<br />
contrapposizione ad un più<br />
rilassante ascolto superficiale.<br />
I Twenty5 23i ti tirano dentro<br />
la performance musicale grazie<br />
a una capacità di riproporre<br />
l’intera tavolozza musicale in<br />
modo solare ma rigoroso agli<br />
estremi banda, dove si apprezza<br />
una articolazione eccezionale<br />
praticamente con ogni genere<br />
musicale. La gamma grave è pulita,<br />
articolata, profonda e presente,<br />
con una veemenza che si<br />
apprezza con l’intervento della<br />
pedaliera dell’organo a canne o<br />
nel giro di contrabbasso acustico.<br />
Strumenti e voci vengono<br />
riproposti con una naturalezza<br />
particolare soprattutto dove si<br />
intersecano le gamme di frequenza,<br />
cosa che accade senza<br />
58 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
TEST PMC TWENTY5.23I<br />
al banco di misura<br />
La risposta in frequenza è molto estesa e abbastanza<br />
lineare, con una lieve attenuazione poco al di sopra della<br />
frequenza di incrocio fra tweeter e woofer e costante<br />
anche fuori dall’asse sia verticale che orizzontale, esibendo<br />
una sovrapposizione quasi priva di cancellazioni<br />
evidenti nonostante l’impiego di un crossover con una<br />
pendenza non eccessiva ma con un incrocio elevato. La<br />
risposta all’estremo superiore beneficia della particolare<br />
geometria del tweeter da 19 mm di diametro dotato di<br />
una ampia sospensione e anche della griglia in metallo<br />
che applica una, seppur lieve, equalizzazione all’estremo<br />
superiore fuori dall’asse di emissione.<br />
Per il resto della banda riprodotta, le prestazioni della<br />
versione improved sono molto simili a quelle della<br />
versione precedente, caratterizzate da una estensione<br />
verso il basso decisamente inconsueta in merito all’azione<br />
della TL. Il condotto è particolarmente privo di disturbi<br />
e risonanze, un risultato molto apprezzabile anche grazie<br />
all’adozione massiva di assorbente acustico di varia<br />
natura che, sebbene riduca l’intervento della Linea di<br />
Trasmissione, riduce proporzionalmente anche gli effetti<br />
secondari negativi.<br />
Le caratteristiche di smorzamento in gamma bassa tipiche<br />
della Linea di Trasmissione, il modulo dell’impedenza<br />
sempre al di sopra dei 6 Ohm e una sensibilità accettabile<br />
consentono un buon abbinamento con moltissimi<br />
amplificatori a stato solido ma anche a valvole a basso<br />
fattore di smorzamento.<br />
Il filtro impiega due celle a 12 dB/oct con una<br />
frequenza di incrocio elettrica posta oltre i 2 kHz.<br />
Anche grazie alle caratteristiche degli altoparlanti e<br />
del modulo di impedenza degli stessi molto lineare,<br />
il risultato è stato ottenuto con pochi componenti<br />
di compensazione e con una elevata efficacia di<br />
attenuazione. I condensatori sono in poliestere<br />
metallizzato della francese Solen e gli induttori a<br />
bassa resistenza interna sono avvolti su nuclei di<br />
ferro sinterizzato e lamierini.<br />
scollamenti, in un amalgama<br />
genuino ed appagante per l’udito.<br />
La gamma media e acuta<br />
è presente e timbricamente<br />
significativa. A memoria, dal<br />
punto di vista sonoro (ma anche<br />
consultando gli appunti in<br />
merito) la versione improved<br />
rispetto alla precedente esalta<br />
la caratteristica di definizione e<br />
coerenza ma senza alcuna sensazione<br />
di analiticità esagerata<br />
e per certi versi “gratuita”, con<br />
un abbattimento di qualunque<br />
sentore di affaticamento d’ascolto.<br />
Una performance complessiva<br />
che non fa rimpiangere<br />
il nostro riferimento rispetto a<br />
cui i PMC, per usare un termine<br />
ciclistico, si pongono a ruota,<br />
specialmente per quanto riguarda<br />
la gestione della gamma<br />
bassa, con una leggera demoltiplica,<br />
per carità, ma anche con<br />
un litraggio più contenuto che<br />
comporta un gradevole e agevole<br />
inserimento in qualunque<br />
ambiente.<br />
In sintesi i Twenty5i 23 sono<br />
una testimonianza della ulteriore<br />
maturità raggiunta dall’azienda,<br />
un produttore che per<br />
lungo tempo ha preferito una<br />
dimensione naïf ma, vuoi per<br />
ragioni anagrafiche, vuoi per l’inevitabile<br />
necessità di evolvere<br />
nel proprio cammino, è davvero<br />
diventato grande. E matura<br />
oggi è anche la serie Twenty,<br />
giunta nella terza versione delle<br />
sue peripezie a uno standard<br />
complessivo invidiabile. In particolare<br />
il modello 23 ci sembra<br />
il giusto compromesso (inteso<br />
nel senso più alto del termine)<br />
per affrontare quello che per<br />
PMC è un entry level ma a tutti<br />
gli effetti rappresenta un ottimo<br />
esercizio di micro-lusso, ovvero<br />
un qualcosa che può diventare<br />
elemento definitivo di un impianto<br />
senza rimpiagere eventuali<br />
“corse al rialzo”...<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 59
SELECTOR<br />
a cura della redazione<br />
DIFFUSORI<br />
Sonus Faber Lumina I<br />
C’è mai stato bisogno<br />
di un minidiffusore e c’è<br />
ancora? La risposta alla<br />
domanda, in parte provocatoria<br />
in parte no, cambia<br />
non di poco la collocazione<br />
dei Lumina I, ultima<br />
fatica in ordine di tempo<br />
della nostra azienda più<br />
conosciuta nel mondo, la<br />
Sonus faber.<br />
Quello dei mindiffusori,<br />
infatti, è stato un fenomeno<br />
che ha assunto<br />
una dimensione inaspettata<br />
e per certi versi estremamente<br />
sopravvalutata dando vita<br />
nell’ambito Hi-Fi a una serie di<br />
leggende metropolitane e di distorsioni<br />
delle regole del buon<br />
senso, unici nel loro genere.<br />
A un certo punto della storia,<br />
un discreto balzo evolutivo avvenne<br />
come molti sanno per<br />
merito di un evento scatenante,<br />
la nascita dei BBC LS3/5a, che<br />
ha dato il via a questa tendenza.<br />
Cinquant’anni fa, il piccolo monitor<br />
portatile ha fatto decisamente<br />
la storia e ha anche mostrato<br />
un modo del tutto nuovo<br />
di intendere il campo sonoro<br />
riprodotto, con tutti i suoi limiti<br />
ma anche con una visione che<br />
ha stimolato i costruttori a fare<br />
sempre meglio, mantenendo<br />
quel form factor, quello dello<br />
“shoes box”, tanto osteggiato<br />
ma al contempo così pieno di<br />
fascino e di potenzialità! Inutile<br />
prendersi in giro: da un<br />
diffusore di grandi dimensioni<br />
le aspettative sono altrettanto<br />
ampie, ma da una scatola di<br />
scarpe ci si aspetta ben poco<br />
e l’esperienza che ne deriva è<br />
sempre al di sopra della più fervida<br />
immaginazione. Lo è stato<br />
all’epoca dei BBC e i ProAc Tablette<br />
hanno fatto il loro appena<br />
entrati sul mercato...<br />
Una delle grandi intuizioni,<br />
forse tra le più dimenticate, nel<br />
lavoro di Franco Serblin, fondatore<br />
di Sonus faber, fu quella<br />
al tempo di donare una dignità<br />
tattile e alla vista a quelle<br />
che venivano definite in modo<br />
sprezzante “loro malgrado” scatole<br />
da scarpe e di cui i maggiori<br />
esponenti, LS3/5a e Tablette,<br />
tutto erano fuorché belli! Fu<br />
una svolta epocale nell’ambito<br />
dell’Hi-Fi di classe e di lusso,<br />
avvenuta forse senza nemmeno<br />
rendersene conto, almeno nella<br />
portata dell’evento in sé.<br />
Sembra banale ridurre il fenomeno<br />
del minidiffusore solo alle<br />
sue dimensioni anche perché,<br />
nelle molteplici declinazioni<br />
che si sono succedute nell’ambito<br />
Hi-Fi, tutto ciò che è legato al<br />
bello, al comodo, all’essenziale<br />
è stato in gran parte distorto in<br />
quanto intorno a un sistema di<br />
piccole dimensioni ha preso vita<br />
un ecosistema (che ben poco ha<br />
di “eco”) fatto di teorie strampalate<br />
e di strategie di ottimizzazioni<br />
che hanno stravolto il<br />
piccolo magico prodigio: amplificatori<br />
di potenza smisurata,<br />
Prezzo: € 900,00<br />
Dimensioni: 14,8 x 28 x 21,3 cm (lxaxp)<br />
Peso: 4,4 kg<br />
Distributore: MPI Electronic SRL<br />
Via De Amicis, 10/12 - 20010 Cornaredo (MI)<br />
Tel.02.936.11.01 - Fax 02.93.56.23.36<br />
www.mpielectronic.com<br />
DIFFUSORI SONUS FABER LUMINA I<br />
Tipo: da supporto Caricamento: bass reflex N. vie: 2 Potenza<br />
(W): 30 - 100 Impedenza (Ohm): 4 Risp. in freq (Hz): 65 -<br />
24.000 Sensibilità (dB): 84 Altoparlanti: 1 tw DAD da 29 mm, 1<br />
wf da 12 cm in polpa di cellulosa.<br />
60 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
TEST<br />
cavi inusitati, posizionamenti in<br />
mezzo alla stanza e accessori fra<br />
i più creativi erano solo l’inizio<br />
per ottimizzare un diffusore che<br />
nel suo contesto aveva giù tutto<br />
per essere “il piccolo, equilibrato,<br />
prodigio”. Il fenomeno<br />
ha visto un apice negli anni Ottanta<br />
ma anche se in calo non<br />
ha mai perso appeal anzi, anche<br />
se è vero che nell’accezione ha<br />
cambiato i suoi connotati con<br />
una progressiva cura calorica<br />
nonché di merito, tanto da travalicare<br />
quel che la definizione<br />
propriamente recita (bookshelf,<br />
ovvero da scaffale) a favore di<br />
un ibrido della cui inconsistenza<br />
abbiamo più volte disquisito:<br />
se la soluzione mini diffusore +<br />
stand occupa lo stesso volume<br />
di un diffusore da pavimento,<br />
perché non optare per il secondo<br />
facendo buon uso di quel<br />
volume utilizzato nel diffusore<br />
e non con il diffusore?<br />
Solo recentemente è stato<br />
ripreso in considerazione il taglio<br />
“minimo” del woofer che,<br />
per essere considerato un diffusore<br />
stand alone, si potrebbe<br />
collocare intorno ai dieci centimetri,<br />
soglia sotto la quale<br />
è veramente difficile ottenere<br />
una pressione credibile in bassa<br />
frequenza. Le dimensioni del<br />
volume di carico sono altrettanto<br />
importanti<br />
se si tratta di<br />
un diffusore<br />
passivo in cui<br />
il carico acustico<br />
ha vari scopi, primo<br />
fra tutti quello di estendere<br />
e incrementare il livello della<br />
risposta in gamma bassa; questo<br />
vincolo viene oggi bypassato<br />
tramite le amplificazioni dotate<br />
di DSP a bordo che riescono a<br />
compensare molti parametri<br />
dell’altoparlante, modellando<br />
la risposta all’estremo superiore<br />
e incrementando quella in<br />
basso, salvaguardando anche<br />
I morsetti di ingresso sono fissati sulla vaschetta in plastica su cui è fissato, all’interno,<br />
anche il circuito stampato con il filtro. Molto buona la meccanica di serraggio, si consiglia<br />
la sostituzione del ponticello con almeno due spezzoni di cavo spellato.<br />
l’altoparlante<br />
nel caso di sovraccarichi; il diffusore<br />
amplificato, pertanto,<br />
raggiunge prestazioni impensabili<br />
rispetto al passato. Grazie<br />
all’evoluzione tecnologica sia<br />
nell’ambito degli altoparlanti<br />
ma soprattutto nelle amplificazioni<br />
dotate di DSP, ora il<br />
minidiffusore sta vivendo un<br />
momento di grande interesse<br />
anche perché, finalmente,<br />
con un sistema di dimensioni<br />
ancora più compatte dei primi<br />
BBC si ottengono risultati decisamente<br />
più completi e coinvolgenti<br />
di quelli dell’epoca. Ma<br />
se in questo ambito gli esempi<br />
di applicazioni che in qualche<br />
modo esibiscono un killer instinct<br />
non sono poche e dal costo<br />
contenuto, nel segmento di<br />
lusso relativo, quello che diede<br />
origine al fenomeno, i rappresentanti<br />
tanto della novelle vague<br />
che delle applicazioni più<br />
tradizionali sono pochi: Genelec<br />
Sonos e qualche altro (vedi<br />
anche nell’articolo che precede<br />
dedicato a Sonos e Triangle) per<br />
la novelle vague, Dali Menuet,<br />
Technics SBM-01 e poco più per<br />
i secondi...<br />
Elementi di quel connubio sensoriale<br />
che fece la storia si riscontrano<br />
invece nei Lumina I<br />
(le foto, ve lo anticipiamo, non<br />
Il condotto<br />
di accordo è<br />
ricavato nella base<br />
in plastica applicata al<br />
fondo del diffusore.<br />
Il profilo molto svasato e ampiamente<br />
raccordato con l’esterno comunica con<br />
il volume interno di carico attraverso<br />
una apertura sul piano inferiore del<br />
mobile. La base in plastica è avvitata al<br />
piano e poggia sul rivestimento<br />
in similpelle.<br />
rendono giustizia né all’ingombro<br />
né alla natura filante<br />
del design), ultima creazione<br />
della ditta italiana che proprio<br />
con questo modello opera anche<br />
una vigorosa sterzata nelle scelte<br />
di marketing, di posizionamento<br />
merceologico e di natura<br />
tecnica. “Il ritorno del mini diffusore”,<br />
verrebbe da dire, dato<br />
l’impegno davvero oneroso per<br />
rientrare in un segmento di<br />
mercato non sempre presidiato<br />
in questi anni dalla società vicentina.<br />
E invece è proprio questa<br />
la fascia di pertinenza dei<br />
Lumina I, prodotto di attacco<br />
della serie Lumina (acronimo di<br />
LUsso, design MInimale e suono<br />
NAturale) con la quale Sonus<br />
faber si inserisce nella fascia di<br />
mercato Hi-Fi compresa tra gli<br />
800 euro del modello da scaffale<br />
(i Lumina I, appunto) e i<br />
2.000 dei Lumina III da pavimento,<br />
a cui si aggiunge un centrale<br />
a completare una serie che<br />
è tutta qui, in controtendenza<br />
(o forse in anticipo?) rispetto<br />
alle scelte di molti costruttori<br />
che offrono normalmente almeno<br />
4 modelli (due da scaffale<br />
e due da pavimento) quando<br />
non l’aggiunta di una ulteriore<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 61
SELECTOR<br />
Le pareti del mobile sono in MDF<br />
ricoperte con un rivestimento in<br />
similpelle. Il pannello anteriore,<br />
in multistrato nobilitato, è<br />
accoppiato al mobile con un<br />
collante viscoelastico e non è<br />
a contatto con gli altoparlanti<br />
che sono installati direttamente<br />
sul pannello in MDF. Il pannello<br />
ha la funzione di irrobustire<br />
il frontale e di raccordare gli<br />
altoparlanti smorzando inoltre<br />
la trasmissione delle vibrazioni.<br />
Il cestello presenta un disegno<br />
aerodinamico con una struttura a tre<br />
doppie razze che offre ampio respiro alla<br />
parte posteriore della membrana. Anche<br />
l’equipaggio mobile a lunga escursione e<br />
di tipo esposto.<br />
La membrana è in tela stampata e<br />
trattata con la bobina mobile da un<br />
pollice annegata nel ferrofluido.<br />
Il gruppo magnetico presenta<br />
una piccola cavità riempita<br />
di materiale smorzante.<br />
Il supporto di fissaggio<br />
dell’altoparlante è dotato<br />
della struttura verticale che<br />
equalizza la risposta fuori<br />
asse dotato della piccola ogiva<br />
preposta alla tecnologia D.A.D.<br />
che discende direttamente dalla<br />
serie Reference, con la differenza<br />
che in questo caso non è presente alcun<br />
contatto con l’apice della cupola.<br />
Gli altoparlanti sono dotati<br />
di piastre di supporto minimali<br />
necessarie per l’installazione al piano.<br />
Il raccordo con la parete esterna è realizzato con due<br />
apposite flange in plastica e gomma, a loro volta fissate<br />
tramite innesti in gomma disaccoppianti.<br />
torre. Scelta meritoria a parer<br />
nostro (che non genera inutili<br />
doppioni e sovrapposizioni) se<br />
non per l’eccessivo margine (di<br />
scelte tecniche, di prezzo e di<br />
rapporto costi/prestazioni) tra<br />
i due modelli. Vero anche che<br />
i Lumina I sono un autentico<br />
gioiellino, lo sveliamo subito, a<br />
partire dalla forma inusuale con<br />
ridotto buffle frontale in favore<br />
delle altre dimensioni spaziali,<br />
comunque tutte ridotte al minimo<br />
(e si sa, come per le scarpe,<br />
più piccolo è il “numero” e più<br />
belle sono) al punto tale da non<br />
presentare o quasi competitor.<br />
Di fatto rappresentano il primo<br />
sistema che rientra a gran voce<br />
in un mercato che sembrava<br />
aver smarrito lo spirito della<br />
ricerca del bel suono e della<br />
grazia, soprattutto per quello<br />
che riguarda l’inserimento in<br />
ambiente e l’abbinamento con<br />
il resto dell’impianto.<br />
Dal punto di vista sonoro i<br />
Lumina I non sono avidi di<br />
62 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
TEST SONUS FABER LUMINA I<br />
potenza pur non disdegnandola; già “a una tacca”<br />
della manopola del volume si esprimono<br />
in modo completo. Un campo sonoro che poi<br />
beneficia anche di una installazione a scaffale<br />
oppure molto vicino alla parete di fondo che<br />
rinforza la parte bassa dello spettro senza però<br />
avere un impatto negativo nell’articolazione e<br />
nella ricostruzione. Si tratta di un campo sonoro<br />
certamente ridotto in prospettiva ma che mantiene<br />
quella impostazione di assoluta gradevolezza<br />
in quanto a pressione, estensione e grazia<br />
in gamma alta e che consente alla sfera emotiva,<br />
non quella percettiva, di compensare e adattarsi<br />
a quanto riproposto. Si usa spesso la massima<br />
della coperta corta, vera in molti casi ma non<br />
in questo in cui, vuoi per una impostazione leggermente<br />
loudness, vuoi per una gamma media<br />
molto luminosa e intellegibile ma mai appuntita,<br />
si ottiene un fronte sonoro estremamente gradevole,<br />
completo, anche materico. Il punch c’è, ma<br />
non bisogna farsi prendere la mano in quanto<br />
i limiti del sistema non si avvertono subito e si<br />
tende pertanto ad alzare il volume senza rendersi<br />
conto che si tratta pur sempre di un diffusore<br />
passivo con woofer da 10 cm. Alzando il volume<br />
la gamma bassa è la prima a mostrare i limiti<br />
con una compressione dinamica e la perdita di<br />
articolazione a livelli comunque inusuali per un<br />
minidiffusore, ma con una gamma medioalta che<br />
non mostra nessuna incertezza e indurimento.<br />
Ed è proprio per questa impostazione che i Lumina<br />
si trovano a loro agio con amplificazioni<br />
non molto potenti ma non disdegnano sistemi<br />
potenti e dinamici, con un timbro chiaro e una<br />
gamma bassa controllata e potente.<br />
I Lumina I si sono trovati particolarmente a<br />
loro agio con lo Yamaha A-S1200 che ne ha<br />
esaltato la gamma media senza incrementare il<br />
registro inferiore, restituendo un basso esteso,<br />
corposo, articolato e mai sgraziato anche a livelli<br />
sostenuti.<br />
La gamma bassa si dimostra perfettamente coesa<br />
con le gamme di frequenza superiori, veloce<br />
e sufficientemente di impatto. Bello il<br />
pianoforte, lo strumento principe e il<br />
più difficile da riprodurre correttamente,<br />
a causa della complessità delle sue<br />
onde armoniche, che si mostra in gran<br />
spolvero, ovviamente non grande e realistico<br />
come con i riferimenti, ma ben<br />
proporzionato, ricco di sfumature nel<br />
tocco ora lieve ora perentorio e ritmato<br />
dell’esecutore.<br />
Un abbinamento invece molto<br />
IL PRIMO AMORE...<br />
“Sono tornato ai vecchi amori, i piccoli diffusori a<br />
cui ho sempre creduto”. E, ancora: “Non si inventa<br />
niente, semmai si riscopre quello che è stato detto.<br />
Ed è stato detto, ed è stato scritto, tutto, in maniera<br />
indelebile!”.<br />
Le radici ormai<br />
lontane<br />
in cui affonda<br />
la mia carriera<br />
nel mondo<br />
dell’Hi-Fi mi<br />
hanno consentito<br />
di seguire in<br />
tutto e per tutto<br />
le sorti della Sonus<br />
faber, non<br />
solo in ragione di<br />
una comunanza<br />
di patria del suo<br />
fondatore (sue le<br />
parole nei virgolettati)<br />
e mie da parte di madre ma anche soprattutto<br />
per una affinità intellettuale. E c’è un elemento,<br />
più forte delle origini, in parte tramandato nel<br />
tempo in parte no, che caratterizza consapevolmente<br />
o meno il DNA di questa azienda: si<br />
tratta di una viscerale attenzione per i diffusori<br />
di piccola taglia via via nel tempo amati, sedotti<br />
& abbandonati, come nelle più classiche e complicate<br />
storie d’amore.<br />
Sonus faber nasce così (se si esclude l’esercizio di<br />
stile degli Snake che comunque sono pur sempre<br />
un tutt’uno di sat + sub), con i Parva e soprattutto<br />
con i Minima. E nell’ambito della scelta delle soluzioni<br />
più idonee in questo segmento di mercato,<br />
Sonus faber ha avuto in passato una marcia in più<br />
rispetto ai concorrenti del tempo proprio in quanto,<br />
un po’ controtendenza, propose i Minima: si<br />
trattava di un diffusore dotato dello stesso woofer<br />
dei ProAc Tablette (il mitico SEAS 11GFX) abbinato<br />
però al tweeter Dynaudio D28, altro componente<br />
mitico dell’epoca, caratterizzato da una tenuta in<br />
potenza inusuale e per sopportare sollecitazioni<br />
meccaniche importanti; tutte caratteristiche<br />
che consentirono di utilizzare un filtro blando a 6<br />
dB/oct con un taglio abbastanza basso, aprendo<br />
un modello di riproduzione quasi sconosciuto<br />
in questo ambito. Un altro elemento chiave nel<br />
successo dei Minima fu l’utilizzo di massello di<br />
legno ad alto spessore che rispetto alle “scatole<br />
da scarpe” ha finalmente dato un valore aggiunto<br />
senza precedenti.<br />
Il form factor e le dimensioni (forse le più compatte<br />
nell’ambito dei minidiffusori) dei Tablette<br />
non erano disdegnabili ma<br />
i Minima, anche se più<br />
massicci, hanno<br />
aperto a quella che sarà la scelta elettiva del<br />
costruttore negli anni a venire. Tuttavia Sonus<br />
faber abbandona quasi immediatamente il piccolo<br />
woofer da 11 cm di diametro per passare al taglio<br />
successivo, ovvero da 13 cm, che, in sostanza, non<br />
ha costituito un ampliamento significativo del<br />
diffusore ma ha semplificato il raggiungimento di<br />
certe prestazioni. Ovvio che rispetto ai competitor,<br />
dotati di un mobile costruito intorno agli altoparlanti,<br />
qualche centimetro in più avrebbe fatto la<br />
differenza, ma per Sonus faber non è stato un<br />
limite, anzi, un pretesto per modellare i fianchetti<br />
laterali in modo da adeguarsi esteticamente la<br />
flangia del woofer.<br />
Solo dopo molti anni è ricomparso nel catalogo<br />
Sonus faber un woofer da 11, utilizzato nei Toy,<br />
un sistema con la forma dei Signum ma molto<br />
più compatto e grazioso, di cui sono il geloso<br />
possessore di una versione unicum (con inserti<br />
in pelle), troppo costosa per prendere la strada<br />
della produzione. Ma oggetto di valore, anzi<br />
di “troppo” valore, i Toy lo erano comunque,<br />
tanto che il sistema ha avuto vita breve: caduti<br />
nell’oblio se non per il fatto che oggi sembrano<br />
aprire la strada ai Lumina I, di fatto il prodotto<br />
più rappresentativo della discendenza Minima<br />
per le dimensioni del woofer, per il volume del<br />
diffusore ma anche per il fatto che il mobile, pur<br />
estremamente semplificato nelle realizzazione,<br />
esprime nuovamente quella sensazione di lusso<br />
(qui dovremmo parlare di micro lusso) che è stata<br />
una componente essenziale del successo dei mini<br />
diffusori targati Sonus faber. Il mobile di Lumina<br />
I, inoltre, presenta dimensioni molto vicine a<br />
quelle dei Tablette, collocandosi<br />
fra i più compatti del segmento.<br />
I diffusori sono dotati inoltre di<br />
un crossover a 6dB/oct con solo<br />
due componenti! Un ritorno al<br />
futuro e in un certo senso una<br />
nemesi dei valori fondanti del<br />
marchio, scivolati “di lato” per<br />
ragioni commerciali che hanno<br />
portato l’azienda (nel dopo<br />
Serblin) verso altri lidi, quelli dei<br />
diffusori da terra e, poi, dei mega<br />
diffusori.<br />
Forse è davvero vero che... il<br />
primo amore non si scorda mai!<br />
Paolo Corciulo<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 63
SELECTOR<br />
al banco di misura<br />
controcorrente (audiofila) ma<br />
che diventa assolutamente vincente<br />
è con il Sonos AMP che offre<br />
una delicatezza a una spinta<br />
in tutto il range unica nel suo<br />
genere, considerando soprattutto<br />
le dimensioni dell’oggetto<br />
in questione: il connubio con le<br />
dimensioni dei Lumina I determina<br />
il valore aggiunto in fatto<br />
di prestazioni e “incredulità”,<br />
Il filtro adotta una filosofia minimalista<br />
a 6dB/oct e solo due componenti di<br />
ottima qualità, un condensatore a film<br />
in serie al tweeter e un induttore in<br />
serie al woofer. È presente anche un<br />
resistore di attenuazione.<br />
La risposta in frequenza in asse ha una impostazione<br />
a sella, con gli estremi banda leggermente enfatizzati<br />
rispetto alla gamma media. La risposta fuori asse tende<br />
a regolarizzarsi notevolmente, soprattutto all’estremo<br />
superiore, e non presenta cancellazioni nella zona di<br />
incrocio, fissata comunque molto in alto nonostante<br />
l’ampia banda di sovrapposizione. Non sono presenti<br />
invece rinforzi molto localizzati in gamma bassa che potrebbero<br />
ridurre l’articolazione. Il modulo dell’impedenza<br />
si mantiene sempre al di spora dei 4 Ohm e si rivela un<br />
carico piuttosto facile da abbinare con qualsiasi tipo di<br />
amplificazione.<br />
abbinato soprattutto alla collocazione<br />
in ambiente che si<br />
sposa particolarmente fra i due<br />
oggetti, espressione oggi di un<br />
industrial design comunque di<br />
classe che potrebbe rivelarsi la<br />
nouvelle vogue sia per l’estetica<br />
che per la User Experience, fra<br />
le più stimolanti e appaganti<br />
del momento. La timbrica<br />
molto asciutta e precisa (mai<br />
debordante) del Sonos Amp fa<br />
andare i Lumina I fino al loro<br />
limite, considerando anche la<br />
potenza massima dell’AMP<br />
che oltrepassa i 100 Wrms pur<br />
sempre di una ampli in classe D<br />
ma con una impostazione che,<br />
come possiamo apprezzare di<br />
volta in volta, ha ben poco da<br />
spartire con gli ampli freddi di<br />
fascia bassa.<br />
Così, tornando alla domanda<br />
che ha aperto questo scritto (C’è<br />
mai stato, c’è e ci sarà ancora<br />
bisogno di un minidiffusore di<br />
qualità?), l’eventuale dubbio<br />
sulla risposta è solo nella testa<br />
di chi (e purtroppo non sono<br />
pochi) ha operato finora senza<br />
tener conto delle reali esigenze<br />
del consumatore! Dando dunque<br />
per assodato il responso e<br />
avendo esaminato come Sonus<br />
faber ha deciso di interpretarlo,<br />
siamo di fronte a un potenziale<br />
evento epocale (abbiamo<br />
tentennato a utilizzare questo<br />
termine abusato ma si, si tratta<br />
proprio di questo!) di cui anche<br />
Sonus faber, ormai più avvezza<br />
al segmento del lusso e dell’ultra<br />
lusso che alle sirene del<br />
consumer, sembra comunque<br />
essersi accorta: nella pubblicistica<br />
aziendale le immagini dei<br />
Lumina I vengono associate a<br />
quelle dell’Amp della Sonos,<br />
azienda che ci ha abituato a<br />
sfornare con nonchalance delle<br />
killer app; un abbinamento tra<br />
sacro e profano secondo le tradizionali<br />
categorie della mente<br />
audiofile ma che salda i due<br />
mondi che abbiamo delineato<br />
in questo articolo e garantisce<br />
a dei costi assolutamente in linea<br />
con l’ambito del microlusso<br />
un sistema completo, moderno<br />
e a misura d’utente, a sfatare<br />
ogni residuale resistenza che<br />
identifichi i Lumina solo come<br />
rappresentanti di un portato<br />
passato. Declinati in una visione<br />
moderna tradizione, culto<br />
dell’oggetto e performance ci<br />
sono tutti, a fare dei Lumina I<br />
una “entry killer”, neologismo<br />
da noi creato ma che comincia<br />
ad avere proseliti.<br />
64 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
SELECTOR<br />
di Vincenzo Sollazzo<br />
In un pomeriggio di dicembre,<br />
durante una<br />
delle giornate più corte<br />
dell’anno, il mio telefono<br />
squilla e il direttore mi dice:<br />
“Vincenzo, vorrei tu dessi un<br />
secondo ascolto alle Sonus<br />
faber Olympica Nova V e che<br />
approfondissi l’aspetto della<br />
biamplificazione del sistema<br />
di altoparlanti”. Una richiesta<br />
comprensibile visto che la casa<br />
italiana offre relativamente da<br />
poco tale possibilità, e tante<br />
volte capita di vedere diffusori<br />
predisposti al biamping/<br />
biwiring con cavi collegati<br />
alla sola coppia di morsetti<br />
inferiori con ponticelli che li<br />
uniscono a quelli superiori.<br />
Ponticelli che, oltretutto (come<br />
seppe dimostrare la proposta<br />
di ponticelli di qualità offerta<br />
da <strong>SUONO</strong>point un tempo...)<br />
incidono sulla qualità sonora<br />
del sistema. Uno spreco? Non<br />
saprei. Sicuramente un’occasione<br />
che può essere adeguatamente<br />
sfruttata. Così tutto il<br />
periodo natalizio è stato riempito<br />
di ascolti di cui riporto le<br />
considerazioni a seguire.<br />
Devo dire che l’arrivo di una<br />
coppia di Sonus faber di alto lignaggio<br />
è sempre emozionante<br />
ed è un’occasione importante<br />
per poter capire a che punto<br />
sia arrivato il progresso nel<br />
settore. L’azienda italiana<br />
rappresenta una eccellenza<br />
nostrana riconosciuta in tutto<br />
il mondo per la capacità di<br />
unire alla bellezza sostanziale<br />
del suono quella derivante dallo<br />
studio di forme raffinate e<br />
gradevoli allo sguardo. E belle<br />
da vedere le Olympica Nova V<br />
lo sono per davvero: un ogget-<br />
DIFFUSORI<br />
Sonus faber Olympica Nova V<br />
SUL CAMPO<br />
Prezzo: € 4.560,00<br />
Dimensioni: 42,4 x 117,4 x 53 cm (lxaxp)<br />
Peso: 44 Kg<br />
Distributore: MPI Electronic SRL<br />
Via De Amicis, 10/12 - 20010 Cornaredo (MI)<br />
Tel.02.936.11.01 - Fax 02.93.56.23.36<br />
http://www.mpielectronic.com<br />
Tipo: da pavimento Caricamento: bass reflex Stealth Ultraflex N.<br />
vie: 3 Potenza (W): 60 - 400 Impedenza (Ohm): 4 Frequenze di<br />
crossover (Hz): 250/2500 Risp. in freq (Hz): 32 - 35,000 Sensibilità<br />
(dB): 90 Altoparlanti: 1 Tw 28 mm a cupola in seta H28 XTR3, 1<br />
Mid da 15 cm M15 XTR2-04, 3 Wf da 18 cm W18XTR2-12<br />
66 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
to perfettamente collocabile in<br />
ambiente casalingo che si integra<br />
facilmente sia in un contesto<br />
moderno che classico. La<br />
bontà delle finiture conferisce<br />
loro un aspetto importante<br />
e lussuoso perfettamente in<br />
linea con il livello del loro<br />
prezzo. La collocazione ideale<br />
è stata a circa un metro dalla<br />
parete di fondo e a poco più di<br />
un metro dalle pareti laterali.<br />
Non mi dilungo sulla loro<br />
descrizione (la potete trovare<br />
nella esaustiva recensione sul<br />
numero di settembre 2019 di<br />
<strong>SUONO</strong>) ricordando solo che<br />
si tratta di una torre da pavimento<br />
con bass reflex sulla<br />
parete laterale del diffusore,<br />
a tre vie con tre woofer da 18<br />
cm, un midrange da 15 cm e<br />
un tweeter a cupola morbida<br />
da 28 mm. Appena attaccate,<br />
colpisce la generosa presentazione<br />
del medio basso. I tre<br />
woofer spingono parecchio in<br />
questa zona dello spettro, con<br />
il risultato di un suono caldo<br />
e lievemente arrotondato.<br />
Il basso profondo c’è ed è anche<br />
sufficientemente articolato,<br />
seppur lievemente posto<br />
in secondo piano rispetto alla<br />
porzione più alta del registro<br />
grave. In sostanza c’è un’enfasi<br />
educata del medio basso<br />
che dà l’impressione di generosità<br />
e potenza. Se da un lato<br />
l’esuberanza di questo registro<br />
risulta appagante, dall’altro si<br />
perde qualcosina sul fronte<br />
dell’articolazione e in velocità.<br />
Poca cosa rispetto alla<br />
percezione di corposa solidità<br />
del suono che colpisce l’ascoltatore.<br />
Il medio è molto chiaro<br />
e dotato di grande precisione<br />
espositiva. Le Olimpica Nova<br />
V esaltano le doti di sorgenti<br />
precise e dettagliate dalle quali<br />
spremono anche i più piccoli<br />
particolari. Il registro medio<br />
è caratterizzato anche da una<br />
modica tendenza al calore ed è<br />
leggermente e piacevolmente<br />
MA<br />
LODOVE TROVATE<br />
UNO<br />
COSÌ?<br />
Ci siamo fatti<br />
in quattro per voi<br />
12<br />
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(oppure contattare 67<br />
diffusione@suono.it)
SELECTOR<br />
prevalente. Il tweeter fa con<br />
discrezione un ottimo lavoro di<br />
rifinitura in alto con frequenze<br />
acute molto estese, pulite e<br />
senza grana. Le voci femminili<br />
sono luminose e vellutate<br />
mentre quelle maschili piene<br />
e carnose. La scena acustica è<br />
apprezzabilmente ampia nelle<br />
tre dimensioni dello spazio.<br />
I diffusori, sia pur di stazza<br />
considerevole, spariscono e lasciano<br />
il campo a un suono ben<br />
distribuito, arioso e sviluppato<br />
in profondità. Gli strumenti<br />
sono facilmente individuabili<br />
nel soundstage e sono spaziati<br />
bene fra loro e anche nei pieni<br />
orchestrali restano ordinati e<br />
molto ben a fuoco. Un suono<br />
caldo e finemente dettagliato<br />
condito da capacità dinamiche<br />
di alto livello sia per intensità<br />
che per impulsività. Prediligono<br />
amplificazioni a stato<br />
solido potenti e “correntose”<br />
e sorgenti raffinate timbricamente<br />
aperte di cui esaltano le<br />
capacità di analisi.<br />
Quando le Olympica Nova V<br />
vengono pilotate in biamplificazione<br />
passiva il sistema<br />
compie un ulteriore passo<br />
avanti con maggior chiarezza<br />
e perentorietà sul registro<br />
basso e medio basso. Il suono<br />
è più definito con piani sonori<br />
più facilmente individuabili e<br />
con maggior controllo e dominio<br />
della scena. Si potrebbe<br />
dire che la biamplificazione<br />
passiva fa compiere un salto<br />
di qualità all’intero sistema,<br />
laddove gli amplificatori sono<br />
in grado di controllare al meglio<br />
gli altoparlanti dei quali<br />
sfruttano tutte le potenzialità.<br />
Si scopre un passo ulteriore<br />
che non era possibile immaginare<br />
senza provare la biamplificazione<br />
passiva. Non è che il<br />
sistema suoni forte il doppio<br />
ma diventa più preciso e perentorio<br />
con attacchi e rilasci<br />
più netti e frenati. La dinamica<br />
è più esplosiva e nel contempo<br />
consente la messa a fuoco del<br />
micro dettaglio in maniera più<br />
lucida di quanto non avvenga<br />
con un approccio di amplificazione<br />
meno frazionata. La cosa<br />
ancor più interessante è che<br />
persino amplificatori dal costo<br />
relativamente modesto (nel<br />
mio caso i Carot One, anch’essi<br />
oggetto di una prova su SUO-<br />
NO 548 - novembre 2020) fanno<br />
un figurone. Nella fattispecie,<br />
l’utilizzo di singoli finali<br />
mono per canale produce un<br />
simpatico effetto wow perché<br />
risulta spettacolare la resa dei<br />
due piccoletti che riempiono di<br />
volume e di buon suono i diffusori.<br />
Quando passano i minuti<br />
di ascolto si capisce però che<br />
c’è una notevole differenza di<br />
classe fra le Olympica Nova V<br />
e i pur generosi Carot One, dei<br />
quali si percepiscono i limiti<br />
dinamici e la ovvia distanza di<br />
raffinatezza con i diffusori. Aggiungendo<br />
due altri “piccoletti”,<br />
pilotando quindi le Sonus<br />
faber con due amplificatori<br />
ciascuna (uno per i bassi e uno<br />
per i medio acuti) la situazione<br />
cambia in maniera notevole.<br />
Nella fattispecie le performance<br />
in ambito dinamico crescono<br />
in maniera più evidente di<br />
quanto si potrebbe aspettarsi,<br />
facendo fare un salto di classe<br />
alla amplificazione. Intendiamoci<br />
bene: non è che i Carot<br />
One diventino dei Gryphon o<br />
dei Pass o dei Classè ma acquistano<br />
uno standing e una<br />
autorevolezza che non avevano<br />
prima e rendono la loro prestazione<br />
meno distante da quella<br />
dei mostri sacri testé nominati.<br />
Frazionando l’amplificazione<br />
si ottengono insomma risultati<br />
apprezzabilmente superiori<br />
rispetto alla classe di appartenenza<br />
dell’apparecchio; c’è<br />
da dire anche che i Carot One<br />
sono stati pilotati con un preamplificatore<br />
dal costo molto<br />
superiore a loro e se da un lato<br />
si sono sicuramente avvantaggiati<br />
della maggior qualità alle<br />
loro spalle dall’altro hanno ben<br />
sfruttato l’opportunità fornita<br />
loro.<br />
In conclusione la biamplificazione<br />
passiva migliora la resa<br />
dell’impianto e, disponendo<br />
di diffusori con la possibilità<br />
di essere pilotati in biwiring,<br />
vale la pena provarlo perché<br />
il sistema così configurato dimostrerà<br />
potenzialità sino a<br />
prima nascoste. L’altro dato<br />
molto interessante è che, pur<br />
non disponendo delle risorse<br />
economiche per l’acquisto di<br />
un amplificatore importante si<br />
può, spendendo relativamente<br />
poco (e ammesso che il sistema<br />
di altoparlanti sia dotato<br />
di crossover che permetta il<br />
biamping!), avere prestazioni<br />
di rilievo; sfruttando la possibilità<br />
della biamplificazione<br />
passiva con amplificatori dal<br />
costo modico, infatti, la performance<br />
può arrivare ben oltre<br />
quella prevista dalla classe<br />
di appartenenza.<br />
68 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
SELECTOR<br />
di Nicola Candelli<br />
Portento Audio è un costruttore<br />
italiano con le<br />
idee chiare e prodotti<br />
interessanti che è riuscito a ritagliarsi<br />
una fetta di mercato in un<br />
campo, quello dei cavi e relativi<br />
accessori, molto difficile e controverso<br />
vista la scarsa propensione<br />
di una buona parte di appassionati<br />
ad accettare l’utilità di questi<br />
COMPLEMENTO<br />
Portento Audio Power Clean Zero<br />
complementi nonostante l’intervento<br />
di questi prodotti possa<br />
essere utile. Il catalogo di cavi e<br />
accessori è ha un range di prezzi<br />
e qualità capaci di soddisfare le<br />
SUL CAMPO<br />
Prezzo: € 360,00<br />
Tipo: Filtro di rete Note: Filtro parallelo PAF (Portento Audiophile Filter). Circuito resinato per evitare microvibrazioni.<br />
Incapsulato in un cilindro in Delrin con presa Schuko per un utilizzo Plug & Play.<br />
CAVO<br />
Portento Audio USB Copper One<br />
Prezzo: € 109,00<br />
Tipo: segnale digitale Conduttore: Rame<br />
CAVO<br />
Portento Audio USB Copper One Dual Headed<br />
Prezzo: € 139,00<br />
Tipo: segnale digitale Conduttore: Rame<br />
CAVO<br />
Portento Audio USB Copper Signature<br />
SUL CAMPO<br />
SUL CAMPO<br />
SUL CAMPO<br />
Prezzo: € 599,00<br />
Tipo: segnale digitale Conduttore: rame Schermatura: tecnologia di schermatura proprietaria AIST II Isolante:<br />
Kapton Resistenza (mOhm): 90<br />
esigenze di ogni appassionato e<br />
la scelta è approdata a due categorie<br />
di prodotto: il Powerclean<br />
Zero e i cavi di interconnessione<br />
Usb. Il Powerclean è un filtro parallelo<br />
incapsulato in un cilindro<br />
di Derlin completamente resinato<br />
per evitare eventuali micro-vibrazioni,<br />
dalle dimensioni di quattro<br />
cm di diametro e 16 cm di altezza,<br />
un accessorio che ha il compito<br />
di eliminare i tanti disturbi della<br />
rete elettrica. Interessante la sua<br />
configurazione in parallelo e non<br />
in serie, soluzione che a detta del<br />
costruttore ha lo scopo di preservarne<br />
la dinamica in quanto tra la<br />
rete e il nostro sistema non si interpone<br />
nessun componente che<br />
potrebbe alterarne le prestazioni.<br />
Io ho provato a inserirlo in una<br />
presa libera del generatore di corrente,<br />
idem in una multipresa, in<br />
una presa adiacente alla presa che<br />
collega l’impianto e anche ad una<br />
distante circa due metri. I risultati<br />
sono, in tutti i casi, avvertibili, ma<br />
è preferibile collocare il filtro nelle<br />
vicinanze dell’impianto o all’interno<br />
di una multipresa; qualora se<br />
ne voglia aumentare l’efficacia,<br />
si può aggiungere un ulteriore<br />
filtro... Ma al di là di quello che<br />
mostrano le misure (materiale<br />
prodotto a cura del costruttore),<br />
quali sono gli effetti che produce<br />
il Powerclean? La musica, purtroppo,<br />
viaggia assieme a rumori<br />
e spurie generate dalla rete elettrica<br />
o dalle vibrazioni prodotte<br />
dalle elettroniche che si fondono<br />
con il messaggio musicale e la nostra<br />
mente li interpreta come se<br />
ne facessero parte. Ma se proviamo<br />
a togliere questa spazzatura<br />
che non ha nulla a che spartire<br />
con la musica, ecco che i risultati<br />
cambiano eccome! Nella fattispecie<br />
questo filtro elimina buona<br />
parte di quel rumore che non<br />
fa parte del messaggio musicale:<br />
una volta inserito nella catena i<br />
risultati non si fanno attendere,<br />
la musica appare innanzitutto più<br />
70 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
Dual Headed (in rosso) la 5 volt.<br />
rilassata, più gradevole, il timbro<br />
rimane integro ma si dissolve<br />
quel velo che si interpone tra noi<br />
e il messaggio musicale, con il<br />
risultato di sonorità più nitide e<br />
dettagliate. A fronte di un rumore<br />
ridotto, lo sfondo diviene più buio<br />
lasciando emergere anche quelle<br />
piccole informazioni che venivano<br />
mascherate da questi disturbi, le<br />
basse frequenze ancora più leggibili<br />
e soprattutto sono le voci a<br />
trarne un sensibile giovamento:<br />
una volta libere da quel fastidioso<br />
rumore riescono a materializzarsi<br />
meglio nel palcoscenico virtuale,<br />
proponendo un miglior fuoco e un<br />
migliore effetto 3D. A conti fatti,<br />
visto i risultati e un prezzo non<br />
elevato, l’uso di questo prodotto<br />
diviene davvero interessante.<br />
L’esame del catalogo di cavi USB<br />
Powerclean collegato a una multipresa<br />
Copper one Dual Headed collegato alla<br />
powerbank.<br />
mi ha offerto invece una nuova<br />
interessante esperienza, consentendomi<br />
di esaminare e valutare<br />
gli effetti (ove ce ne siano) dei<br />
cavi USB di differente qualità<br />
sulla qualità del segnale musicale.<br />
Il più economico Copper One<br />
si presenta da subito con buone<br />
credenziali: sonorità abbastanza<br />
simili ai concorrenti dello stesso<br />
prezzo ma con una particolarità<br />
che contraddistingue la filosofia<br />
Portento costituita da un timbro<br />
caldo e armonicamente ricco, in<br />
special modo nella parte media,<br />
sena nessun accenno a essere<br />
eccessivamente radiografante. Si<br />
apprezza piuttosto la trama musicale<br />
fluida e di buono spessore<br />
che riesce a rendere universale ed<br />
equilibrato l’ascolto di qualsiasi<br />
genere musicale. All’estremo opposto<br />
del catalogo, appartenente<br />
alla serie top, il Copper Signature<br />
USB, dove il prezzo sale ma cambia<br />
anche la musica e in modo<br />
significativo. Si tratta, infatti, di<br />
un progetto molto interessante,<br />
con l’utilizzo di materiale di alta<br />
qualità (conduttori in rame 7/N)<br />
e una schermatura proprietaria<br />
AIST II. Non chiedetemi quale<br />
sia l’alchimia di questa particolare<br />
schermatura AIST II: a me<br />
personalmente, e credo a qualsiasi<br />
ascoltatore, interessa solo se il<br />
risultato è concreto e rispondente<br />
alle proprie necessità indipendentemente<br />
dal rame utilizzato,<br />
dal tipo di schermatura e dai metodi<br />
che ogni costruttore utilizza<br />
per raggiungere il miglior risultato<br />
(comunque tenete a mente<br />
quello che può fare una buona<br />
schermatura, ne riparleremo in<br />
seguito)! Di certo questo cavo<br />
va a confrontarsi con quelli di<br />
livello top riuscendo, in alcuni<br />
parametri, ad andare anche oltre;<br />
forse è proprio questo l’impegno<br />
che il progettista ha dedicato al<br />
problema della schermatura che<br />
rende questo cavo di una classe<br />
superiore. Il suono è avvolgente<br />
e setoso, molto silenzioso, con<br />
una grande ricchezza armonica,<br />
dettagliatissimo ma eufonico<br />
quel tanto che basta per farti apprezzare<br />
tutte le sfumature della<br />
musica senza che il suo inserimento<br />
nella catena Hi-Fi risulti<br />
aggressivo, sfoderando nello<br />
stesso tempo grande dinamica<br />
e solidità nella struttura, con un<br />
basso ben presente ma non invadente,<br />
per un risultato molto<br />
credibile e accattivante. Davvero<br />
un bel cavo da tenere in grande<br />
considerazione! Il cavo USB Copper<br />
One Dual Headed è invece<br />
assolutamente identico al Copper<br />
One già citato ma è composto da<br />
due cavi identici che trasportano<br />
separatamente il segnale e la<br />
corrente (5 volt): la corrente e i<br />
segnali viaggiano in modo assolutamente<br />
separato sino all’innesto<br />
del convertitore e quindi<br />
nessuna interferenza tra segnale<br />
e corrente dovrebbe affliggerne<br />
il passaggio. Invece di collegare<br />
le due prese USB al computer,<br />
ho preferito alimentare il<br />
cavo contrassegnato in rosso (5<br />
volt) attraverso una PowerBank<br />
bypassando l’alimentazione<br />
switching del computer. L’esito<br />
è molto interessante, segno che<br />
un intervento sulle schermature<br />
e sulla pulizia della corrente è utile<br />
e si apprezza facilmente, proprio<br />
come sostiene la filosofia che<br />
Portento porta avanti nei suoi<br />
progetti: si possono raggiungere<br />
risultati di grande soddisfazione<br />
e il Dual Headed ne è la dimostrazione:<br />
non raggiunge il livello<br />
del Signature (che d’altronde è<br />
progettato e costruito con materiale<br />
di qualità superiore) ma vi<br />
si avvicina, pur costando quattro<br />
volte in meno, superando il Copper<br />
One (che gli è invece vicino<br />
di prezzo) in modo evidente solo<br />
con l’aggiunta di un semplice<br />
accessorio facile da collocare e<br />
di costo pur sempre modesto. In<br />
ogni caso, se siete pigri e volete<br />
utilizzare anche per la 5 volt la<br />
presa USB del computer, il risultato<br />
cambia di poco: personalmente,<br />
però, preferisco la prima<br />
soluzione…<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 71
SELECTOR<br />
Charles Camille Saint-Saëns<br />
(1835-1921) si può davvero definire<br />
come un artista che ha vissuto la<br />
musica in tutte le sue espressioni.<br />
Noto oggi soprattutto come grande<br />
compositore, fu anche direttore<br />
d’orchestra ed eccellente pianista;<br />
ha scritto e pubblicato poesie e<br />
vanta almeno un dramma messo<br />
in scena. È stato inoltre studioso<br />
di matematica, di musica antica e<br />
dei suoi compositori contemporanei.<br />
Nella sua lunga vita ha conosciuto<br />
Berlioz (suo ammiratore),<br />
fu incoraggiato da Liszt e visse abbastanza<br />
per ammirare i “nuovi”<br />
Debussy, Ravel, Mahler, Rachmaninov<br />
e Stravinsky. Il suo catalogo<br />
è davvero ampio, arrivando a<br />
comprendere persino una colonna<br />
sonora per il film muto L’Assassinat<br />
du Duc de Guise del 1908,<br />
eseguita con l’orchestra dal vivo<br />
durante la proiezione del film.<br />
Le sue doti di pianista lo portarono<br />
ad affrontare le più celebri pagine<br />
di noti compositori, da Bach a Mozart<br />
(del quale curò molte delle cadenze<br />
non specificate dei suoi concerti<br />
per pianoforte e orchestra)<br />
e tanti altri. Grazie alle esibizioni<br />
concertistiche come direttore e<br />
musicista sviluppò una passione<br />
per i viaggi che lo portarono, tra<br />
Charles Camille Saint-Saëns<br />
SINFONIA N°3 ORGANO<br />
Reference Recordings RR-136<br />
Reference Mastercuts 2 LP a<br />
45 giri 180 gr LP 180 gr<br />
gli altri, in Egitto e Algeria, paesi<br />
che lo affascinarono al punto di<br />
trascorrervi gli ultimi anni fino<br />
alla sua morte ad Algeri. Scrisse<br />
cinque sinfonie ma le due giovanili,<br />
scritte a 13 e 21 anni, non le pubblicò<br />
mai; ecco perché la sua ultima<br />
sinfonia, scritta a cinquantuno<br />
anni, è chiamata N.3 ed è anche<br />
di gran lunga la più nota, tanto da<br />
essere tutt’oggi un pezzo da repertorio<br />
irrinunciabile per tutte le più<br />
grandi orchestre al mondo. Saint-<br />
Saëns ne diresse la prima nel 1886<br />
a Londra con grande successo, a<br />
dispetto del fatto di essere decisamente<br />
innovativa, diventando in<br />
breve il modello delle composizioni<br />
orchestrali tardo romantiche,<br />
specie francesi. L’ammirazione,<br />
ricambiata, da parte di Liszt per<br />
le sue composizioni, portò Saint-<br />
Saëns a dedicare questa sinfonia al<br />
compositore magiaro. Morto poche<br />
settimane dopo la prima esecuzione<br />
londinese, Liszt non fece<br />
in tempo ad ascoltarla e per questo<br />
Saint-Saëns cambio la dedica in<br />
“Alla memoria di Franz Liszt”.<br />
Scritta per una grande orchestra,<br />
comprende un pianoforte da suonare<br />
a quattro mani e un organo<br />
che svolge un ruolo di supporto<br />
all’inizio del lavoro ma poi assume<br />
un ruolo da solista nel finale.<br />
Le indicazioni del compositore<br />
sono precise: “La sinfonia, divisa<br />
in due parti, comprende tuttavia<br />
praticamente i tradizionali<br />
quattro movimenti: il primo,<br />
controllato nello sviluppo, funge<br />
da introduzione all’Adagio, e lo<br />
scherzo è collegato dopo allo stesso<br />
modo con il finale”. Una breve e<br />
alquanto misteriosa introduzione<br />
conduce ad un Allegro moderato<br />
e inquieto di contrastante vivacità.<br />
Nuovo cambio di clima con un<br />
Adagio contemplativo e pacifico<br />
(cit. dell’autore); l’organo si fa sentire<br />
come parte della colorazione<br />
orchestrale, e il tema è ripreso e<br />
ampliato da vari legni e ottoni.<br />
Il tema dell’Allegro torna a inserire<br />
una nota di inquietudine, ma<br />
gli archi e l’organo prevalgono per<br />
concludere il movimento in uno<br />
stato d’animo più rassicurante.<br />
I due movimenti successivi contrastano<br />
brillantemente con le<br />
sezioni precedenti, sebbene siano<br />
costruite molto sullo stesso materiale.<br />
Lo scherzo è sbalorditivo<br />
nel suo vigore demoniaco, con un<br />
crescendo come elemento di fantasia.<br />
Gli arpeggi e le veloci scale<br />
suonano come un fulmine a cielo<br />
sereno. L’organo viene alla ribalta<br />
nel finale, che entra maestoso e si<br />
dilata in confidenza e grandezza.<br />
Dopo un breve intermezzo pastorale,<br />
intonato per flauto, oboe,<br />
corno inglese e clarinetto, la coda<br />
raggiunge un apice di esultanza,<br />
ricoperta da squillanti fanfare.<br />
Pur avendo solo cinquant’anni,<br />
quando completò la sinfonia il<br />
compositore annunciò che la terza<br />
(quinta) sarebbe stata la sua ultima,<br />
perché vi aveva speso tutta la<br />
sua creatività e non avrebbe potere<br />
dire niente di nuovo nel genere.<br />
Manterrà la parola!<br />
Il disco fu pubblicato nel formato<br />
CD nel 2013 e subito fu un grande<br />
successo per la bellezza del suo<br />
contenuto e per la qualità della<br />
registrazione. La recente rivisitazione<br />
ha recuperato i master<br />
originali per riversarli sia in digitale<br />
a più alta risoluzione che in<br />
SACD e in vinile. Tutto il processo<br />
analogico ha visto riprodurre il<br />
master originale a mezza velocità,<br />
utilizzando elettroniche disegnate<br />
da Nelson Pass, la supervisione<br />
dell’ingegnere del suono<br />
Keith O. Johnson e la produzione<br />
di Dave Frost. Pressatura QRP e<br />
stampa su due LP a 45 giri che<br />
contengono la sinfonia mentre<br />
in digitale sono presenti anche<br />
altre due composizioni brevi.<br />
Questa versione analogica ha ricevuto<br />
il Grammy per il genere<br />
classico e ascoltandolo se ne capisce<br />
il motivo. Anche in ambito<br />
strettamente sonoro il disco è un<br />
piacere audiofilo. Ad esempio,<br />
quando il tempo cambia in presto,<br />
gli arpeggi e le scale del piano<br />
sono abbastanza prominenti<br />
da esprimere la loro presenza<br />
senza balzarti addosso, proprio<br />
come l’organo, che nel finale<br />
afferma la sua grandezza senza<br />
travolgere la tavolozza orchestrale.<br />
L’esperienza è spettacolare indipendentemente<br />
dal sistema e,<br />
soprattutto, le pagine di chiusura<br />
sono semplicemente una gioia.<br />
La Kansas City Symphony, con<br />
la superba direzione di Michael<br />
Stern, ha un suono pieno, ricco<br />
e romantico che è così essenziale<br />
per la musica francese del XIX<br />
secolo. E c’è anche un’eccitazione<br />
viscerale. I musicisti sono in<br />
gran forma, precisi e generosi. Un<br />
disco per gli audiofili e gli amanti<br />
di musica più esigenti, non che i<br />
due si escludano a vicenda. Una<br />
registrazione impressionante,<br />
sorprendentemente realistica.<br />
Anche in un mercato competitivo,<br />
questa versione ha un vantaggio<br />
netto.<br />
Carlo D’Ottavi<br />
72 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
Amato mio LP<br />
Questo disco, del 1997, vede<br />
Marc Johnson affiancato da Bill<br />
Frisell, Pat Metheny e Joey Baron<br />
in un programma comprendente<br />
brani particolarmente<br />
gradevoli e rilassanti. The<br />
Sound of Summer Running è<br />
un album sorprendentemente<br />
dolce e melodico, soprattutto<br />
se si tiene conto dei musicisti<br />
che vi sono coinvolti, vale a dire<br />
il contrabbassista Marc Johnson,<br />
i chitarristi Bill Frisell e<br />
Pat Metheny e il batterista Joey<br />
Baron. La maggior parte dei<br />
brani in programma presenta<br />
melodie dal sapore vagamente<br />
tradizionale, arricchite di<br />
assoli di chitarra dai toni meravigliosamente<br />
lirici. Frisell<br />
appare leggermente trattenuto<br />
(aggiungendo a molti brani un<br />
gradevole tocco country), mentre<br />
Metheny si rivela meno caratteristico<br />
del solito, passando<br />
dalla chitarra acustica a quella<br />
elettrica e alla Pikasso da 42<br />
corde. Il quartetto esegue sette<br />
brani originali di Johnson,<br />
tra i quali spicca Union Pacific,<br />
due di Frisell e uno di Metheny.<br />
Da questo deriva un disco<br />
gradevole e molto rilassante.<br />
I quattro formidabili jazzisti<br />
Marc Johnson<br />
THE SOUND OF SUMMER<br />
RUNNING<br />
M. JOHNSON, B. FRISELL,<br />
P. METHENY E J. BARON<br />
Khiov Music KH LP43000 2<br />
LP 180 gr Deluxe Edition<br />
avevano già collaborato in diverse<br />
formazioni (potremmo<br />
dire in tutte le combinazioni<br />
possibili) ma mai tutti insieme<br />
come in questo doppio album.<br />
In Sound of Summer Running<br />
il calore della West Coast<br />
deve aver molto influenzato il<br />
quartetto, al punto che sono del<br />
tutto assenti le zampate nervose<br />
e più elettroniche tipiche di<br />
Frisell e dello stesso Johnson.<br />
In seguito queste atmosfere tra<br />
jazz, folk e country sarebbero<br />
state riprese da Frisell insieme<br />
a Holland ed Elvin Jones in<br />
un disco omonimo di grande<br />
suggestione. Dieci anni prima,<br />
invece, in Bass Desires proprio<br />
Johnson e Frisell, insieme a<br />
Scofield ed Erskine, avevano<br />
toccato, almeno in parte, questo<br />
genere, sempre con gran<br />
classe e raffinatezza.<br />
Tutti i titoli della “Play 33 1/3<br />
LP Series” sono stampati dalla<br />
nota Pallas in Germania su vinile<br />
vergine da 180 grammi e<br />
sono dei veri capolavori degli<br />
anni ’90, che per la prima volta<br />
al mondo vengono realizzati su<br />
LP analogici. Le copertine degli<br />
album e la confezione sono<br />
stati realizzati con mesi di lavoro<br />
appassionato dai grafici<br />
della Khiov Music (in Corea<br />
del Sud, da dove in effetti proviene<br />
il prodotto finito) e per<br />
assicurare un suono di qualità<br />
superba il taglio delle lacche è<br />
stato effettuato direttamente<br />
dai master analogici dalla SST<br />
(Schallplatten Schneid Technik)<br />
Bruggemann in Germania,<br />
ditta che sovrintende alla produzione<br />
della EMI e della Universal<br />
tedesche. Khiov è stata<br />
fondata nel 2007 e da allora<br />
ha sempre dedicato tempo e<br />
fondi allo sviluppo di prodotti,<br />
design e grafica specializzati<br />
nel campo musicale. In effetti<br />
gli album riproposti in questa<br />
serie dalla casa coreana non<br />
puntano solo alla migliore resa<br />
sonora di questi LP ma curano<br />
a fondo anche la veste grafica,<br />
che non è solo una pedissequa<br />
riproposizione di quella originale.<br />
Il packaging, inoltre, è in<br />
robusto cartonato ma contiene<br />
anche bellissime foto, note sui<br />
brani e sugli artisti coinvolti,<br />
assai poco apprezzabili in precedenza<br />
nelle miniature dei CD<br />
originali. Ora Khiov, composto<br />
da un team di pianificazione,<br />
un team di progettazione e<br />
un team di produzione, sta<br />
collaborando con importanti<br />
case discografiche come Warner<br />
Music, Universal Music e<br />
Sony Music; gli LP prodotti da<br />
questo progetto sono destinati<br />
a diventare un must per tutti<br />
gli amanti del suono analogico<br />
e per tutti i seri collezionisti,<br />
come conferma il fatto che alcuni<br />
dei titoli prodotti in passato<br />
sono già delle rarità fuori<br />
catalogo.<br />
Carlo D’Ottavi<br />
PILLOLE<br />
Bob Marley and the Wailers<br />
CASINO<br />
Island 0602435082165- 1 LP<br />
Dal 2020 si stanno<br />
ristampando i<br />
lavori di Bob<br />
Marley e tra i più<br />
recenti c’è Exodus,<br />
registrato per la<br />
Island Records nel 1977, uno dei<br />
lavori decisivi per far conoscere<br />
l’artista giamaicano al di fuori<br />
dell’isola, specie in<br />
Europa. Jamming, One<br />
Love e Exodus tra i brani<br />
memorabili. Tutti i brani sono stati<br />
masterizzati da Miles Showell agli<br />
Abbey Road Studios di Londra.<br />
Rebecca Pidgeon<br />
THE RAVEN<br />
Dir. Bruno Walter CSO<br />
Chesky Rec. ASLP115 - 1 LP<br />
Un classico dei<br />
tempi d’oro della<br />
Chesky, ristampato<br />
in QRP 180 gr.<br />
Quest’artista è<br />
balzato ai vertici<br />
delle classifiche americane,<br />
ricevendo un’entusiastica<br />
recensione persino dalla rivista<br />
“Time”. Una voce tenera e<br />
piacevolissima, Spanish Harlem su<br />
tutte, e un country rock americano<br />
tra i migliori anche per i gusti<br />
europei.<br />
Tony Allen e Hugh Masekela<br />
REJOICE<br />
World Circuit LDA57497 - 1 LP<br />
Un disco<br />
incredibilmente<br />
ben prodotto della<br />
collaborazione tra<br />
due leggende. Il<br />
posizionamento<br />
dello strumento e la qualità della<br />
registrazione sono sorprendenti,<br />
come la musica. Allen definì<br />
l’album “una specie di spezzatino di<br />
jazz swing sudafricano-nigeriano”.<br />
Keith Richards<br />
TALK IS CHEAP<br />
BMG Rec. LDR25024 - 1 LP 180 gr.<br />
Questo è il primo<br />
album a suo nome<br />
per il chitarrista<br />
dei Rolling Stones<br />
e risale al 1988.<br />
Accompagnato da<br />
un cast stellare - spiccano i nomi di<br />
Maceo Parker e dei Memphis Horns<br />
- il disco contiene alcune hit del<br />
periodo e suona bene oggi come<br />
trent’anni fa, parola di Keith!<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 73
SELECTOR<br />
Respighi<br />
TRILOGIA<br />
ROMANA<br />
Chandos 095115526125<br />
(SACD, MP3, FLAC, HI-RES FLAC 24/96)<br />
Ottorino Respighi (1879-<br />
1936) è certamente il<br />
più noto compositore<br />
italiano classico del Novecento<br />
storico, avendo raggiunto una<br />
fama internazionale duratura al<br />
punto che i celebri poemi sinfonici,<br />
soprattutto questi dedicati a<br />
Roma, sono spesso nei cartelloni<br />
dei più noti teatri di mezzo mondo.<br />
Nato a Bologna, vi frequentò<br />
il Liceo Musicale con insegnanti<br />
come il compositore e direttore<br />
Giuseppe Martucci, che fece conoscere<br />
ai bolognesi le musiche<br />
sinfoniche di Brahms e Wagner.<br />
Nel 1900, Respighi (un eccellente<br />
violinista) suonò nell’orchestra<br />
per una stagione dell’opera italiana<br />
a San Pietroburgo dove incontrò<br />
Rimsky-Korsakov; ricevette<br />
alcune lezioni di orchestrazione<br />
da Rimsky che in seguito definì<br />
molto importanti per lui. Un’esperienza<br />
decisiva per allargare le sue<br />
conoscenze musicali, attingendo<br />
da Richard Strauss, Debussy e,<br />
naturalmente, dai russi contemporanei.<br />
Un bagaglio musicale che<br />
non ha, però, escluso la tradizione<br />
italiana barocca e popolare.<br />
Prima di scrivere il poema sinfonico<br />
Le Fontane di Roma, il suo<br />
lavoro più noto era la “Sinfonia<br />
Drammatica del 1914”, un lavoro<br />
oscuro tra Scriabin e Franck.<br />
Ben presto cambia direzione e il<br />
poema delle Fontane di Roma è<br />
più conciso e più brillantemente<br />
colorato di qualsiasi cosa abbia<br />
scritto prima. Il suo linguaggio si<br />
fa più personale e Respighi spiega<br />
di aver cercato di dare espressione<br />
ai sentimenti e alle visioni suggeritegli<br />
da quattro delle fontane di<br />
Roma contemplate nell’ora in cui<br />
il loro carattere è più in armonia<br />
con il paesaggio circostante, o in<br />
cui la loro bellezza appare più<br />
impressionante all’osservatore.<br />
Così La Fontana di Valle Giulia<br />
appare tra le nebbie dell’alba<br />
con un’atmosfera calma e serena.<br />
In contrasto, a mattina inoltrata,<br />
un improvviso e insistente squillo<br />
di corni sopra i trilli dell’intera<br />
orchestra introduce la seconda<br />
parte, La fontana del Tritone. È<br />
come una chiamata gioiosa, che<br />
richiama immaginarie figure acquatiche<br />
che si mescolano in una<br />
danza frenetica tra i getti d’acqua.<br />
Segue poi un tema solenne<br />
sostenuto da ondulazioni nell’orchestra.<br />
È la Fontana di Trevi a<br />
mezzogiorno. Passando dai legni<br />
agli ottoni, assume un carattere<br />
trionfale. Una specie di gioiosa<br />
processione simbolicamente<br />
marina che poi svanisce mentre<br />
deboli richiami di tromba risuonano<br />
in lontananza. La quarta<br />
parte, La Fontana di Villa Medici,<br />
è annunciata da un triste tema<br />
che si erge sopra un sommesso<br />
gorgheggio. È l’ora nostalgica<br />
del tramonto. L’aria è piena del<br />
suono delle campane che rintoccano,<br />
del cinguettio degli uccelli,<br />
del fruscio delle foglie. Poi tutto<br />
muore pacificamente nel silenzio<br />
della notte. La prima di Fontane<br />
di Roma era prevista per fine 1916<br />
con la direzione di Toscanini in un<br />
programma che comprendeva anche<br />
Wagner ma, in pieno conflitto<br />
mondiale, un concerto che prevedesse<br />
anche musica del “nemico”<br />
germanico fu motivo di scontri<br />
e proteste. Finalmente si giunse<br />
alla prima esecuzione nel marzo<br />
1917 ma il compositore era molto<br />
deluso dalle difficoltà di vedere<br />
accettato il suo lavoro, tanto da<br />
meditare forti modifiche alla partitura<br />
originale. Il successo vero<br />
arriverà solo nel 1918 alla Scala<br />
di Milano, nuovamente, sotto la<br />
direzione di Toscanini. L’editore<br />
Ricordi, entusiasta, annunciò a<br />
Respighi di voler pubblicare immediatamente<br />
quella partitura<br />
che divenne così uno dei brani<br />
più popolari nel mondo.<br />
74 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
Secondo noi la classica<br />
Il successo di Fontane di<br />
Roma convinse Respighi a<br />
comporre un nuovo poema<br />
sinfonico: il risultato fu Pini di<br />
Roma, completato nel 1924. Il<br />
clima politico post bellico era profondamente<br />
cambiato, nel 1922<br />
c’era stata la marcia su Roma che<br />
aveva di fatto sancito l’ascesa al<br />
potere di Mussolini e del suo partito<br />
fascista. Respighi, pur non essendosi<br />
mai interessato alla politica,<br />
stabilì nei primi anni Venti una<br />
certa simpatia per il futuro Duce<br />
e questo getta una sinistra luce<br />
sulla composizione che fu spesso<br />
vista come una ulteriore celebrazione<br />
di Roma, non più solo come<br />
bellezza artistica ma anche come<br />
potenza mondiale. A smorzare totalmente<br />
questi sospetti ci pensò,<br />
ancora lui, il direttore Toscanini,<br />
noto convinto antifascista, che<br />
notò come l’unica vera passione<br />
di Respighi fosse la composizione<br />
musicale e non certo quella di<br />
celebrare chicchessia. Riferendosi<br />
a Pini di Roma, la stampa americana<br />
definì “Il non mondano<br />
Respighi più influenzato qui da<br />
un semplice piacere infantile per<br />
le ricchezze caleidoscopiche di<br />
un’orchestra moderna che dallo<br />
sfarzo del fascismo”. La prima<br />
fu all’Augusteo di Roma nel<br />
1924. Come nel caso precedente<br />
il poema sinfonico ha un programma<br />
in quattro movimenti.<br />
I Pini di Villa Borghese hanno<br />
per protagonisti i bambini e si<br />
riconoscono facilmente alcuni<br />
temi e filastrocche infantili, in un<br />
crescendo chiassoso che termina<br />
improvvisamente. Segue I Pini<br />
presso una Catacomba, dove le<br />
ombre dei pini sovrastano l’ingresso<br />
di una catacomba. Dal<br />
profondo un canto emerge solennemente<br />
come un inno per poi<br />
scomparire misteriosamente.<br />
Ne I Pini del Gianicolo, una misteriosa<br />
calma domina il tema con<br />
tanto di Luna piena e il canto di<br />
un usignolo. Da perfetto padrone<br />
della scrittura musicale in grado<br />
di creare atmosfere e formidabili<br />
suggestioni ecco il poema<br />
concludersi con I Pini della Via<br />
Appia. Uno dei più spettacolari<br />
ed emozionanti crescendo che<br />
dal pianissimo iniziale esplode<br />
in uno dei più fragorosi finali mai<br />
ascoltati, per descrivere il ritorno<br />
trionfale dei soldati dell’antica<br />
Roma facendo tremare con la<br />
loro marcia la terra. Un finale che<br />
per potenza, sfruttando tutta la<br />
dinamica e i colori della grande<br />
orchestra moderna, trova pochi<br />
paragoni come nello Stravinsky<br />
dell’Oiseau De Feu o nel Bolero<br />
di Ravel, non a caso grandi<br />
compositori contemporanei.<br />
Toscanini diresse Pini con ancora<br />
più entusiasmo di Fontane. Diresse<br />
la prima di New York il<br />
14 gennaio 1926 continuando a<br />
darne molte rappresentazioni<br />
nei successivi decenni. Lo stesso<br />
Respighi diresse le prime quattro<br />
esibizioni ad Amsterdam (marzo<br />
1926), mentre in Gran Bretagna fu<br />
ascoltato per la prima volta al Festival<br />
di Leeds, suonato dalla London<br />
Symphony Orchestra diretta<br />
da Albert Coates, conquistando il<br />
pubblico inglese. Feste Romane fu<br />
composta nel 1928, completando<br />
la trilogia e aggiungendovi una<br />
nuova dimensione: l’orchestra<br />
suona più netta e più dissonante<br />
nelle armonie. Fu eseguita per<br />
la prima volta dalla New York<br />
Philharmonic il 21 febbraio<br />
1929, diretta da Toscanini. L’orchestra<br />
è ancora più grande che<br />
in Fontane e Pini, inclusa una<br />
vasta gamma di percussioni, organo,<br />
pianoforte a quattro mani<br />
e mandolino. Nel programma<br />
della prima esecuzione Respighi<br />
affermò che le Feste Romane<br />
“rappresentano il massimo<br />
della sonorità orchestrale e del<br />
colore” nelle sue partiture, e<br />
non stava esagerando! Ancora<br />
quattro movimenti: Circences è<br />
un continuo contrasto tra saluti<br />
a Nerone, folla che festeggia<br />
e poi aizza le bestie feroci<br />
all’apparizione dei cristiani condannati,<br />
che intonano un canto<br />
sommesso lasciando interdetta la<br />
folla e tutto si placa nel silenzio;<br />
ne Il Giubileo una processione<br />
di stanchi pellegrini procede<br />
lentamente per poi esultare<br />
alla vista di Roma che li saluta<br />
suonando le campane a festa;<br />
l’Ottobrata festeggia la raccolta<br />
dell’uva nei castelli romani con<br />
numerosi riferimenti ai canti<br />
popolari per la vendemmia; si<br />
chiude con La Befana, dove un<br />
caratteristico ritmo di trombe<br />
domina il frastuono frenetico:<br />
sulla marea del rumore fluttuano<br />
di tanto in tanto canti rustici, il<br />
ritmo del saltarello, i suoni di un<br />
organetto di un teatrino, il richiamo<br />
dello showman, grida rauche<br />
e ubriache, e il suono del vivace<br />
stornello che richiama lo spirito<br />
del popolo. In quest’ultimo pezzo<br />
ritroviamo echi dello Stravinsky<br />
del carnevale petruskiano. L’esecuzione<br />
londinese del 1929, sotto<br />
la guida di Eugene Goosens fu accolta<br />
dal “Times” in modo insolitamente<br />
feroce, accusando il compositore<br />
italiano di aver ceduto ai<br />
gusti americani che amano il grandioso,<br />
il pacchiano e addirittura<br />
il volgare, salvando in parte solo<br />
il movimento finale, pur considerandolo<br />
una buona imitazione del<br />
Petruscha sopraddetto. A difendere<br />
questo lavoro non ci fu solo<br />
il solito Toscanini ma anche altri<br />
grandi direttori d’orchestra come<br />
Furtwangler, Boehm e Rainer. Può<br />
essere il meno conosciuto del Trittico<br />
romano, ma Feste Romane è<br />
probabilmente il più audace dei<br />
tre: indubbiamente stravagante<br />
e persino strepitoso, è anche<br />
una sorprendente dimostrazione<br />
dell’inventiva di Respighi.<br />
Questo è repertorio tra i più amati<br />
anche dagli audiofili per le incredibili<br />
escursioni dinamiche, la<br />
ricchezza della tavolozza timbrica<br />
e la spazialità impressionante,<br />
tanto che le migliori registrazioni<br />
hanno sempre suonato negli audio<br />
show di mezzo mondo. Questa<br />
nuova edizione, con la Sinfonia di<br />
Londra diretta da John Wilson<br />
nel 2019 e pubblicata l’anno successivo,<br />
si pone come una delle<br />
migliori tra le più recenti, per interpretazione<br />
e ancora di più per<br />
la sua qualità sonora. Gli inglesi<br />
non cedono a facili eccessi ma<br />
non per questo si tirano indietro<br />
quando c’è da fare baccano! In<br />
realtà il giovane direttore Wilson<br />
è capace anche di mostrare tutte<br />
le raffinatezze e le sfumature di<br />
scrittura di cui era maestro Ottorino<br />
Respighi.<br />
Carlo D’Ottavi<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 75
SELECTOR<br />
Nel corso della seconda<br />
metà del Settecento<br />
nelle piccole corti<br />
dell’Europa centrale si diffuse<br />
enormemente l’abitudine di affidare<br />
l’intrattenimento musicale<br />
durante feste e cerimonie a un<br />
piccolo complesso di fiati che<br />
veniva indicato con il termine<br />
tedesco di Harmonie. Il nucleo<br />
standard di una Harmonie era<br />
un ottetto formato da due oboi,<br />
due clarinetti, due corni e due<br />
fagotti e il suo repertorio era<br />
costituito principalmente da arrangiamenti<br />
e trascrizioni delle<br />
opere più in voga o da lavori originali<br />
nelle forme disimpegnate<br />
della serenata, del divertimento,<br />
della cassazione. A questo<br />
complesso musicale, destinato<br />
a scomparire del tutto nel giro<br />
di pochi decenni, diedero il loro<br />
contributo praticamente tutti i<br />
compositori dell’epoca, sia con<br />
arrangiamenti che con lavori<br />
originali. Le tre serenate per<br />
fiati composte da Mozart costituiscono<br />
senza dubbio il vertice<br />
di questa produzione. Nella loro<br />
struttura formale sembrano<br />
guardare più al modello della<br />
Mozart<br />
SERENATA N. 10 IN SI<br />
BEMOLLE MAGGIORE,<br />
K. 361 “GRAN PARTITA”<br />
Members of The Concertgebouworkest,<br />
Director Alexei Ogrintchouk<br />
BIS cat.BIS2463<br />
(SACD MULTICANALE IBRIDO, DOWNLOAD FINO A 24/96)<br />
sinfonia che a quello della serenata,<br />
così come la temperatura<br />
espressiva dei brani e la complessità<br />
di esecuzione. Con la Serenata<br />
in si bemolle maggiore K.<br />
361 Mozart, apparentemente<br />
più convenzionale in sette<br />
movimenti, osa ancora di più,<br />
non solo aggiungendo altri<br />
strumenti all’organico base della<br />
Harmonie, due corni di bassetto<br />
(un particolare tipo di clarinetto,<br />
inventato in quegli anni e particolarmente<br />
amato da Mozart per<br />
il suo timbro molto più scuro e<br />
velato rispetto al clarinetto), una<br />
seconda coppia di corni e un contrabbasso,<br />
dilatando le dimensioni<br />
e la densità di scrittura di<br />
ciascun movimento, dando vita<br />
così a un lavoro assolutamente<br />
unico nel suo genere; e questa<br />
ipertrofia quantitativa e qualitativa<br />
della Serenata in si bemolle<br />
maggiore doveva essere tanto<br />
più evidente all’epoca di Mozart,<br />
visto che una mano anonima ha<br />
aggiunto sul manoscritto autografo<br />
la dicitura di Gran Partita<br />
con cui ancora oggi viene<br />
abitualmente chiamata.<br />
Per quanto possa sembrare strano,<br />
le notizie che abbiamo sulla<br />
genesi e la dedica di questo<br />
lavoro sono alquanto incerte.<br />
Il lavoro fu probabilmente composto<br />
in due tempi tra il 1780 e<br />
il 1781, mentre per la dedica si<br />
passa dalla moglie Constanze<br />
al principe elettore di Baviera,<br />
Karl Theodor, con la speranza<br />
di ottenere un buon incarico a<br />
corte. Non sappiamo neppure<br />
se la Serenata sia mai stata eseguita,<br />
nella sua interezza, con<br />
Mozart in vita. Fin dall’apertura<br />
insolitamente lunga e solenne<br />
la Serenata afferma la sua divergenza<br />
dalle convenzioni del<br />
genere. Non c’è da stupirsi se<br />
dopo un simile incipit segua un<br />
gioioso Allegro Molto che alterna<br />
una scrittura contrappuntistica<br />
a brevi momenti di malinconia.<br />
Seguono momenti più leggeri<br />
fino a quando si arriva all’Adagio:<br />
siamo forse di fronte a<br />
una delle pagine di più sublime<br />
bellezza di tutta la letteratura<br />
musicale; e non è andato troppo<br />
lontano dal vero Peter Shaffer,<br />
che nella prima scena del suo<br />
lavoro Amadeus, poi portata sul<br />
grande schermo da Milos Forman,<br />
fa dire a Salieri all’ascolto<br />
di questo Adagio: “Mi sembrò di<br />
aver sentito la voce di Dio!”. Segue<br />
un giocoso Menuetto che, se<br />
rimane sereno e cantabile anche<br />
nel secondo Trio, dal tono rassicurantemente<br />
popolareggiante,<br />
nasconde nel suo cuore una<br />
prima parte dai toni misteriosi e<br />
inquietanti. Perfino la Romanze,<br />
altro momento di sospensione<br />
lirica, contiene al suo interno<br />
un agitato Allegretto in minore,<br />
mentre lo spensierato Tema<br />
con variazioni che segue offre a<br />
turno a tutti gli strumentisti la<br />
possibilità di salire alla ribalta;<br />
ma anche qui la quarta variazione<br />
sembra anticipare voci e colori di<br />
alcune pagine del Flauto Magico.<br />
Questo capolavoro davvero straordinario,<br />
in cui Mozart usa con<br />
inarrivabile maestria la tavolozza<br />
offertagli da un ensemble di<br />
strumenti a fiato, si chiude gioiosamente<br />
con un brevissimo e<br />
festoso Rondò di sapore turco,<br />
forse la pagina più in sintonia<br />
con le esigenze di una normale<br />
serenata per Harmonie. La Gran<br />
Partita è qui eseguita da fiati di<br />
una delle migliori orchestre del<br />
mondo, l’Amsterdam Concertgebouworkest,<br />
sotto la direzione<br />
dell’oboista Alexei Ogrintchouk.<br />
76 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
Secondo noi la classica<br />
Ogrintchouk ha scelto di abbinare<br />
al pezzo principale una serie<br />
di variazioni di Beethoven sulla<br />
famosa aria di Mozart La ci<br />
darem la mano tratta dal Don<br />
Giovanni, incisa per due oboi e<br />
corno inglese.<br />
Come in tutte le migliori esibizioni,<br />
i suonatori di fiati del Concertgebouw<br />
(il marchio parla da<br />
solo) combinano la raffinatezza<br />
della fusione e dell’insieme con<br />
un senso di divertimento spontaneo.<br />
Si può ben dire che i musicisti<br />
del Concertgebouw sono<br />
una garanzia, in particolare con<br />
il genere classico del XVIII e XIX<br />
secolo. Non mancano i momenti<br />
di voluta abrasività negli ottoni,<br />
quasi a suggerire ai più distratti<br />
ascoltatori di fare attenzione a<br />
questa meravigliosa musica suonata<br />
in modo così superlativo.<br />
Ogrintchouk, l’oboista e direttore<br />
del Royal Concertgebouw,<br />
qui è protagonista di una performance<br />
piena di vivacità operistica,<br />
catturando il cantabile simile<br />
a un’aria nel sublime Adagio e<br />
nella Romanze. Le otto variazioni<br />
di Beethoven, suonate da due<br />
oboi e corno inglese, sul duetto<br />
d’amore di Mozart dal Don Giovanni<br />
sono una rara delizia.<br />
La più sontuosa delle serenate di<br />
Mozart ha ricevuto un trattamento<br />
d’eccezione da parte dagli ingegneri<br />
dell’etichetta nordica BIS,<br />
tanto da candidarsi tra le migliori<br />
registrazioni assolute nel genere.<br />
Una proposta ideale per rilassarsi<br />
e godere dei timbri e finezze<br />
di queste pagine, che può essere<br />
anche un buon test per valutare<br />
le capacità di un sistema hi-fi di<br />
riprodurre i vari strumenti a fiato,<br />
ottoni e legni che siano con le loro<br />
tipiche caratteristiche timbriche,<br />
armoniche e dinamiche.<br />
Carlo D’Ottavi<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 77
SELECTOR<br />
di Vittorio Pio, foto: Jakubowska - Prandoni<br />
Con la musica<br />
l’età sparisce<br />
A 72 anni, quando sarebbe anche lecito e giustificato aspettarsi un certo rallentamento creativo,<br />
Marc Copland, pianista di sopraffina eleganza, ha dato una robusta sferzata alla sua carriera.<br />
Lo ha fatto grazie a un album in solo dedicato a John Abercrombie<br />
(e non mancate l’omaggio precedente a Gary Peacock)<br />
e un altro in quintetto con dei compagni clamorosi<br />
nelle individualità di Dave Liebman, Randy Brecker, Joey Baron<br />
e Drew Gress, che firmano una prestazione superlativa per temi<br />
ed esecuzioni, ispirandosi al meglio delle loro capacità con riverberi<br />
che portano al meglio di Duke Ellington, Charlie Parker,<br />
Miles Davis, Charlie Mingus. Ovvero, l’olimpo assoluto. Ce ne<br />
ha parlato in esclusiva...<br />
Cosa le ha lasciato in eredità, non solo riguardo al jazz,<br />
un gigante come Abercrombie? Come vi siete incontrati?<br />
Intanto è stato un grande amico e compagno che mi mancherà<br />
davvero tanto: con John ci siamo conosciuti nel 1970, quando lui<br />
era pendolare da Boston a New York per lavorare nel progetto<br />
Dreams, il primo gruppo orientato sul versante jazz-rock dei<br />
fratelli Brecker. Rimase con loro per qualche mese, ma poi decise<br />
di tornare a Boston, salvo unirsi l’anno seguente a quello di Chico<br />
Hamilton in cui militavo già. Abbiamo condiviso tante esperienze,<br />
traslochi compresi, nel suo appartamento dell’East Village. Suonavamo<br />
diverse volte a settimana, parlando di musica, facendo<br />
concerti e molto altro. All’inizio ero in soggezione nei suoi confronti,<br />
perché molti musicisti lo consideravano il chitarrista per<br />
eccellenza; a lui non interessava, piuttosto si preoccupava della<br />
sua integrità artistica e lo dimostrava costantemente. All’epoca<br />
io ero un giovane sassofonista ambizioso, e sognavo di farcela.<br />
John fu per me una rivelazione: non gli importava del successo,<br />
o del denaro. Voleva semplicemente suonare ciò che sentiva e in<br />
cui credeva. Vedere John suonare, pensare e vivere con questo<br />
tipo di dedizione alla musica era umiliante e gratificante al tempo<br />
stesso. Lui rappresentava il modello giusto, il più alto livello di<br />
onestà artistica. Era quello che desideravo più intensamente,<br />
ma ancora non sapevo come raggiungere quel livello. A poco a<br />
poco sono arrivato a comprendere il sentiero, o meglio cosa mi<br />
sarebbe servito per diventare quel tipo di musicista; e una volta<br />
raggiunto quel traguardo non mi sono mai voltato indietro.<br />
Questo disco è dedicato a lui, ne condensa l’integrità umana e<br />
lo spessore artistico.<br />
78 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
Marc Copland<br />
di Vittorio Pio<br />
Ha sviluppato la sua carriera prefiggendosi degli obiettivi<br />
precisi o ha lasciato fluire placidamente le cose?<br />
Gli obiettivi che mi sono posto riguardano la crescita e lo sviluppo prima<br />
come essere umano e poi come<br />
artista. Non c’è vittoria pubblica<br />
senza quella privata. A quel punto<br />
il progresso è inevitabile quando ci<br />
si evolve con un flusso tranquillo.<br />
Occorre un lavoro interiore che richiede<br />
molta energia e impegno, ma<br />
quel lavoro non è poi così stressante<br />
vista la gratificazione che si riceve<br />
con eguale consapevolezza.<br />
Attualmente considera più<br />
l’aspetto melodico o quello<br />
ritmico del suo stile?<br />
Sono inscindibili. Se sei un pianista,<br />
solista o accompagnatore,<br />
devi prima sentire, poi ascoltare<br />
e quindi suonare. Se non sento<br />
niente, è meglio non suonare.<br />
Isolarsi in uno spazio mentale di<br />
silenzio è un buon modo per far<br />
fluire le idee. Quello che sento<br />
spesso all’inizio di un concerto, o<br />
di una registrazione, è una trama,<br />
una melodia, un colore o un suono<br />
di qualche tipo. Cerco di andare in<br />
una direzione con quella traccia,<br />
che può portare a un luogo inaspettato,<br />
a una conquista armonica.<br />
Mi piace quando succede, e<br />
di solito tutto il resto si sviluppa<br />
da lì.<br />
Trascorre una buona parte<br />
dell’anno in Europa: quali<br />
sono le tue impressioni, non<br />
solo come musicista, riguardo<br />
al vecchio continente?<br />
Come molti musicisti americani, sono stato spesso in tournée in<br />
Europa, adesso la frequento per motivi personali. Sono affascinato<br />
dalla storia e dalla cultura che è riscontrabile ovunque. Mi piace<br />
visitare vari Paesi e sentire, e a volte suonare, con alcuni grandi<br />
musicisti che ho incontrato. Il bello del jazz è che ancora adesso è<br />
una musica che non conosce confini.<br />
Le è capitato di collaborare con qualche big band<br />
radiofonica europea?<br />
Solo una volta un paio d’anni fa, con la big band di Amburgo, sotto<br />
la direzione del compositore e direttore d’orchestra Hans Koller. È<br />
stato divertente, Hans mi ha compreso al volo e ha reso tutto molto<br />
facile, e la band è stata eccellente.<br />
Come riesce a controllare il flusso creativo quando suona?<br />
Quando il flusso si incanala la musica si sviluppa da un luogo profondo.<br />
So come aiutarla a fluire, ma non riesco a spiegarlo e soprattutto<br />
non riesco a controllarlo.<br />
Posso solo arrendermi alla potenza<br />
della musica stessa: ritengo che sia<br />
la soluzione migliore.<br />
Qual è lo stato del jazz oggi, in<br />
che forma lo considera? Prima<br />
ha sottolineato la libertà anche<br />
in termini di confini e stimoli:<br />
cosa ha aggiunto alla sua vita?<br />
Credo fermamente che suonare<br />
musica, cercando di farlo bene, mi<br />
abbia reso una persona migliore.<br />
Più si è centrati con se stessi e più<br />
è facile essere aperti a cose nuove,<br />
ad accoglierle sia dall’esterno che<br />
dall’interno, imparando di più su<br />
questo mestiere. Questo processo<br />
porta sicuramente a fare della musica<br />
migliore. Per me è importante<br />
non solo essere un buon musicista<br />
ma anche un buon essere umano.<br />
Che incoraggiamento potrebbe<br />
lasciare alla prossima<br />
generazione di jazzisti?<br />
Di essere fedeli a se stessi, di suonare<br />
quello che si ha dentro, di<br />
lavorare sodo. Se si è sinceri con<br />
la musica allora si entra in un’altra<br />
dimensione: quando sono profondamente<br />
coinvolto, sia che si tratti<br />
di suonare in un concerto o di provare<br />
in studio o a casa , non sono<br />
neanche consapevole del tempo<br />
che passa... potrebbe passare anche<br />
un’ora o due prima che me ne<br />
accorga. Mi trovo sempre disponibile a vagliare collaborazioni con<br />
musicisti di tutte le età: quando si stabilisce un contatto con un<br />
musicista, l’obiettivo è di arrivare a quel livello profondo che tutti<br />
noi ricerchiamo e amiamo. A quel livello l’età sparisce e questo<br />
accade anche con musicisti ancora più grandi anagraficamente,<br />
anzi, vuole sapere una cosa? Nessuno di noi si considera vecchio.<br />
E credo di sapere anche il perché. I musicisti della mia generazione,<br />
quelli a cui sono vicino come esperienza, condividono un<br />
desiderio, quello del miglioramento costante: vogliamo continuare<br />
a imparare, a suonare meglio, possibilmente in modo anche diverso,<br />
rispetto a quanto abbiamo fatto prima. Non vedo come un<br />
musicista completo possa continuare a svilupparsi e crescere a<br />
qualsiasi età se non in questa maniera, a meno che non rimanga<br />
un appassionato studente di musica.<br />
79
SELECTOR<br />
di Vittorio Pio<br />
Bill Evans<br />
LIVE AT<br />
RONNIE<br />
SCOTT’S<br />
Resonance/Ird<br />
Terzo capitolo di questa<br />
incredibile serie<br />
dedicata a un trio<br />
delle meraviglie,<br />
che sta avendo una<br />
sua aurea documentazione<br />
postuma.<br />
Il Ronnie Scott’s è<br />
uno dei salotti di velluto del jazz mondiale,<br />
con un’atmosfera che continua a essere unica<br />
dal 1959, anno della sua fondazione, malgrado<br />
un trasloco in quello che è ancora oggi il<br />
suo ricercato indirizzo londinese di SoHo. Anche<br />
l’incensato Live In England, pubblicato<br />
l’anno scorso dalla stessa label, era relativo a<br />
un ingaggio nella stessa venue, ma si riferiva<br />
al decennale del club, con una formazione<br />
che, oltre al fidatissimo Eddie Gomez, comprendeva<br />
Marty Morell alla batteria. Dopo le<br />
session dimenticate in casa MPS, nel cuore<br />
della selva nera tedesca e l’ingaggio in Belgio,<br />
che seguirono di poco l’acclamato concerto<br />
di Montreux, il festival svizzero inaugurato<br />
solo l’anno precedente, quella fortunata estate<br />
del 1968 si chiuse con un mese consecutivo<br />
al Ronnie Scott’s. Di quelle nottate trionfali<br />
restavano dei nastri gelosamente custoditi<br />
nell’archivio personale di Jack De Johnette,<br />
che ricorda così quel periodo di particolare<br />
enfasi creativa: “È stato fantastico stargli<br />
accanto: questi album documentano un<br />
musicista in stato di grazia, che sarebbe diventato<br />
un riferimento assoluto e ispirazione<br />
costante non solo per i pianisti. Nelle magiche<br />
serate londinesi l’interplay crebbe di sera<br />
in sera: sono orgoglioso di aver contribuito a<br />
una testimonianza ufficiale.” Evans dal canto<br />
suo, con l’impareggiabile sodalizio condiviso<br />
assieme a Paul Motian e Scott LaFaro, aveva<br />
già rivoluzionato la formula del piano trio.<br />
Di lui si sa che non gradiva particolarmente<br />
i batteristi, singolare quindi che fosse rimasto<br />
folgorato dal drumming poliritmico<br />
di DeJohnette, un giovane dal gran talento,<br />
fattosi largo pochi mesi prima nel quartetto di<br />
Charles Lloyd e che era in procinto di passare<br />
alla corte di Miles Davis, spesso presente in<br />
quelle serate al club, per sostituire un “certo”<br />
Photo © 1969 Veryl Oakland<br />
Bill Evans<br />
80 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
Tony Williams. Con il divino trombettista,<br />
il batterista di Chicago sarebbe rimasto per<br />
quasi quattro anni, rivestendo un ruolo cruciale<br />
nella svolta elettrica di Miles, il cui fiuto<br />
gli aveva già fatto prenotare una seduta in<br />
studio per documentare l’ammirazione per<br />
Jimi Hendrix. Quando ormai sembrava che<br />
tutti gli accordi fossero ratificati, il progetto<br />
di realizzare un album svanì nel nulla. Nella<br />
sua autobiografia Davis ammetterà che non<br />
se n’era fatto nulla sia per un’inconciliabilità<br />
tra i suoi orari e quelli di Hendrix sia per il suo<br />
compenso, decisamente troppo basso. Rispetto<br />
alla deriva colta e melanconica che aveva<br />
contraddistinto Evans fino a quel momento,<br />
De Johnette portava con sé una dote di creatività<br />
e autorevolezza che era andata inesorabilmente<br />
a fiaccarsi rispetto alla fuoriuscita di<br />
Paul Motian e dai frequenti cambi di formazione<br />
(e di umore), che avrebbero contraddistinto<br />
l’estetica del pianista dal quel momento<br />
in poi. Ci troviamo immersi in un doppio set<br />
pieno di prelibatezze, nella massima varietà<br />
possibile concessa dalla formazione in solo,<br />
duo e trio (fra cui la disneyana Someday My<br />
Prince Will Come, spesso associata all’impareggiabile<br />
versione in sordina di Miles), radiosi<br />
gioielli di casa - Waltz For Debby e Turn<br />
Out the Stars - e tutta la squisita musicalità<br />
racchiusa anche nel gusto esecutivo di Round<br />
Midnight, Stella By Starlight, Alfie, Embreaceable<br />
You, standard sognanti e pregiatissimi.<br />
Non meno che perfetto l’apporto di Gomez:<br />
grazie a un fraseggio estremamente mobile<br />
e votato all’interplay, rappresentò uno dei<br />
partner ideali del pianista del New Jersey.<br />
La musica è distillata con vigorosa eleganza:<br />
ardite concezioni armoniche puntellano<br />
una nuova e seducente coesione artistica<br />
e un linguaggio espressivo di un’intensità<br />
senza pari. La registrazione è ottima,<br />
la confezione (libretto estensivo con foto<br />
dell’epoca, saggi e altre testimonianze<br />
commissionate, fra cui una dell’attore<br />
Chevy Chase, che si scopre essere compagno<br />
di studi di Donald Fagen), di lusso.<br />
Per sublimare un simile stato di grazia<br />
c’è anche l’ulteriore colpaccio del produttore<br />
Zev Feldman, capace di scovare una<br />
splendida cover del tutto inedita firmata<br />
da David Stone Martin, l’illustratore caro a<br />
Norman Granz, che caratterizzò con il suo<br />
tocco fatato l’epopea della Verve Records.<br />
Vittorio Pio<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 81
SELECTOR<br />
di Antonio Gaudino<br />
Stan Getz<br />
GETZ<br />
AT THE GATE<br />
Verve – 1961<br />
Tempo fa,<br />
qualche<br />
topo di archivio<br />
si è<br />
intrufolato<br />
in quello<br />
della<br />
celeberrima label americana<br />
Verve, scoprendo un live set<br />
inedito di Stan Getz, registrato<br />
59 anni fa in un locale dimenticato<br />
o meglio poco utilizzato<br />
da produttori e ingegneri, con<br />
un’acustica insperata per i tempi.<br />
Se a questo aggiungiamo<br />
che la rara istantanea di Getz<br />
ce lo restituisce in una forma<br />
smagliante, di ritorno dal suo<br />
lungo soggiorno scandinavo e<br />
poco prima di fare incursione<br />
nei territori bossa nova scoperti<br />
da Jobim e Gilberto, con una<br />
sezione ritmica di rara avanguardia,<br />
il reperto diventa una<br />
“pepita” fondamentale nella<br />
vasta discografia di Getz.<br />
Il disco vola sulla spinta energica<br />
dall’interazione tra Stan<br />
Getz e il drummer Roy Haynes.<br />
Va detto che il batterista si è<br />
sempre definito un batterista<br />
swing della vecchia guardia,<br />
ma è indiscutibile che in questo<br />
live mostri a tutta la scena jazz<br />
dell’epoca che la sua immensa<br />
capacità di guidare una band<br />
hard & swing è ottimamente<br />
bilanciata da un’invenzione<br />
ritmica di prim’ordine, non c’è<br />
dubbio. L’apertura di It’s All<br />
Right With Me è una chiara<br />
dichiarazione di intenti: non si<br />
fanno prigionieri, evidenziando<br />
l’approccio affiatato e deciso<br />
della band. Ma nell’album il<br />
ruolo chiave viene interpretato<br />
dal lato lirico del sassofonista<br />
fiorito in terra svedese, dove<br />
emergono brillando Steve Kuhn<br />
e John Neves. Va detto che Roy<br />
Haynes aveva trascorso cinque<br />
anni precedentemente come<br />
batterista nel trio di Sarah<br />
Vaughan e, forte di quell’esperienza<br />
recente, con saggezza<br />
mette a disposizione di Kuhn<br />
e Getz l’abile supporto ritmico<br />
mentre Kuhn disegna al meglio<br />
le armonie che ispirano Getz<br />
verso esecuzioni emozionanti,<br />
come nel caso di Where Do You<br />
Go? e When’ di Harold Arlen<br />
The Sun Comes Out, composte<br />
da Alec Wilder.<br />
Ogni singola traccia di questo<br />
set ha qualcosa di importante<br />
e speciale, e va elogiata l’operazione<br />
della Verve di aver scelto<br />
di pubblicare l’intera registrazione<br />
in una sequenza ordinata.<br />
Anche se il secondo set di registrazioni<br />
ha più ballate, il duo<br />
Getz/Haynes si incontrano e<br />
scontrano nel muscoloso sound<br />
di 52nd St Theme. In conclusione:<br />
per essere una registrazione<br />
live realizzata in un solo giorno<br />
si può definire perfetta in termini<br />
di qualità, e consente a noi<br />
tutti di condividere un periodo<br />
raro e senza grandi incisioni<br />
della carriera di Getz.<br />
82 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
Jazz<br />
di Vittorio Pio<br />
Keith Jarrett<br />
BUDAPEST<br />
CONCERT<br />
Ecm\Ducale<br />
Mentre<br />
è in<br />
arrivo<br />
u n a<br />
retrospettiva<br />
fotografica curata da Roberto<br />
Masotti, che ha rivestito un<br />
ruolo cardine per la diffusione<br />
della cultura musicale ed estetica<br />
dell’ECM in Italia, il nome<br />
di Keith Jarrett continua a rappresentare<br />
un caposaldo dell’etichetta<br />
tedesca legata alla musica<br />
contemporanea. Il pianista<br />
americano che da poco ha<br />
compiuto 75 anni non si trova<br />
nelle migliori condizioni psicofisiche:<br />
la morte del suo fedele<br />
amico e contrabbassista Gary<br />
Peacock ha difatti sancito la<br />
fine di un epopea meravigliosa<br />
vissuta all’interno dello standard<br />
trio completato da Jack<br />
DeJohnette, e lui stesso ha dichiarato<br />
al “New York Times”<br />
che dopo aver subito due ictus,<br />
ormai non si sente più un pianista,<br />
visto l’uso compromesso<br />
delle mani. L’ultima esibizione<br />
pubblica risale ormai a quattro<br />
anni fa: sarà davvero molto<br />
difficile rivederlo suonare ancora<br />
in presa diretta, per cui<br />
niente di meglio di questa serie<br />
di concerti live che continua a<br />
rovistare nel meglio delle sue<br />
celebrate esibizioni intorno al<br />
mondo. Si torna indietro al<br />
2016 quindi, a Budapest, proprio<br />
dove la famiglia Jarrett ha<br />
le sue radici, per una lezione<br />
di stile divisa in dodici parti<br />
comprese fra i 4 e i 14 minuti,<br />
in cui il coinvolgimento emotivo<br />
tracima nella declinazione<br />
sopraffina di jazz, folk, blues<br />
e musica colta. La partenza è<br />
tumultuosa e cerebrale: Jarrett<br />
sembra arrovellarsi intorno<br />
alla strada da prendere,<br />
che imbrocca definitivamente<br />
dalla quinta parte in poi, quella<br />
che apre la seconda parte del<br />
concerto, fino all’arrivo distensivo<br />
e lirico nei due pregiati e<br />
poco battuti classici It’s a lonesome<br />
old town e Answer,<br />
my love, nostalgici e toccanti<br />
nella capacità del nostro di<br />
calarsi nella nuance melodica<br />
dei brani dall’interno, per<br />
una prova di alto e raffinato<br />
magistero. La seconda parte<br />
di questo concerto è da annoverare<br />
alle vette più alte di una<br />
carriera sensazionale che pare<br />
al suo definitivo crepuscolo.<br />
Registrazione impeccabile per<br />
timbrica e ricostruzione della<br />
scena.<br />
83
SELECTOR<br />
Elina Duni\Rob Luft<br />
LOST SHIPS<br />
Ecm\Ducale<br />
Centro pieno per<br />
questo primo capitolo<br />
congiunto<br />
di due fra le individualità<br />
più<br />
interessanti messe in evidenza<br />
dall’instancabile ricerca di Manfred<br />
Eicher, che sigillano un disco<br />
sfaccettato (cantato in ben<br />
quattro lingue fra cui il dialetto<br />
salentino) e ispirato da un camerismo<br />
d’impronta mediterranea,<br />
insieme alla presenza di Mathieu<br />
Michel (flicorno) e Fred Thomas<br />
(pianoforte e batteria). “Questo è<br />
un album sui problemi contemporanei<br />
che tutti noi abbiamo<br />
dovuto affrontare”, ricordano i<br />
due leader e protagonisti, “con<br />
la tragica storia della crisi migratoria<br />
in Europa e lo scempio<br />
compiuto ai danni della natura.<br />
È anche un album sui luoghi in<br />
cui siamo stati e che abbiamo<br />
amato, luoghi che non esistono<br />
più o continuano a esistere solo<br />
come un frammento della nostra<br />
immaginazione. Ci sono canzoni<br />
che toccano influenze del passato,<br />
così come abbiamo voluto esplorare<br />
anche altre radici musicali:<br />
ballate jazz senza tempo, canzoni<br />
francesi, canzoni popolari americane…<br />
Accanto alla severità che si<br />
trova in molti di questi brani, c’è<br />
una leggerezza che pervade tutto<br />
e crediamo che questa luce possa,<br />
e farà, eclissare questi tempi difficili.”<br />
Un gioiellino che si apre con<br />
Bella ci dormi, tramandata a noi<br />
dall’eccelso lavoro compiuto dal<br />
Canzoniere Grecanico Salentino<br />
e ripreso in tempi recenti da Piers<br />
Faccini, ex-pupillo di Ben Harper.<br />
Ma la vera magia volteggia nei<br />
canti del prediletto albanese (la<br />
Duni è nata a Tirana quarant’anni<br />
fa, ma è cresciuta poi in Svizzera):<br />
in Kur Më Del Në Derë e N’at<br />
Zaman colpisce il dialogo senza<br />
rete fra gli strumenti. Nessuno<br />
sembra accompagnare l’altro<br />
laddove tutti e quattro viaggiano<br />
in parallelo, come se fossero gli<br />
uni l’ideale prolungamento - e<br />
completamento - degli altri. C’è<br />
poi la straordinaria ripresa di I’m<br />
A Fool To Want You, comunemente<br />
associata a Billie Holiday,<br />
in cui splende l’eleganza di<br />
Matthieu Michel, e in chiusura<br />
un brano tratto dal repertorio di<br />
Charles Aznavour, quella Hier<br />
encore tutta giocata sull’equilibrio<br />
perfetto della narrazione e di armonici<br />
sapientemente prodotti<br />
dalla chitarra acustica di Luft, in<br />
bilico fra classico, folk e improvvisazione.<br />
“Il mio intento”, chiude la<br />
Duni “è stato quello che i musicisti<br />
avessero molto spazio per improvvisare,<br />
e io per sperimentare<br />
con la voce. Col tempo, abbiamo<br />
sviluppato un’intesa fra noi che<br />
ci consente di muoverci dovunque<br />
vogliamo andare”. In ogni<br />
lacrima c’è una luce che sorge,<br />
senza scadere in un accademico<br />
manierismo.<br />
Vittorio Pio<br />
Black Art Jazz Collective<br />
ASCENSION<br />
Highnote – 2020<br />
Si intitola Ascension<br />
il nuovo album<br />
dei Black Art Jazz<br />
Collective, il sestetto<br />
made in USA con il<br />
chiaro intento di rendere alto il<br />
nome del jazz classico con suoni<br />
e una ritmica che scavano nel<br />
miglior hard bop dei 60s e 70s.<br />
La band nasce nel 2012 dall’idea<br />
del batterista Johnathan Blake,<br />
con Jeremy Pelt alla tromba e<br />
Wayne Escoffery al sax tenore,<br />
capaci di mescolare la miglior<br />
tradizione jazz a intuizioni attuali<br />
e proprie. Ascension è un gran<br />
bell’album che riesce a flettere i<br />
muscoli della ritmica sin dal primo<br />
e omonimo brano, che ricorda<br />
molto da vicino l’Hard-Bop degli<br />
Eastern Rebellion attingendo al<br />
lirismo jazz della metà dei ’70<br />
grazie ai ritmi febbrili che non<br />
mollano mai la presa, proseguendo<br />
in crescendo nel secondo<br />
brano in scaletta Mr. Willis,<br />
un’alternativa meno bizzarra ma<br />
convincente di quella “Bolivia”<br />
che incantò Freddie Hubbard<br />
tanto da farne una rilettura in<br />
grande stile, ai tempi. La musica<br />
di Ascension è ingannevolmente<br />
semplice, assertiva e diretta con<br />
molti colpi di scena stimolanti<br />
che percorrono tutte e nove le<br />
composizioni che formano questo<br />
gioiello appena uscito.<br />
Antonio Gaudino<br />
84 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
SELECTOR<br />
di Paolo Corciulo<br />
Ani DiFranco<br />
REVOLUTIONARY<br />
LOVE<br />
Righteous Babe Records - 2021<br />
“...dopo quello che<br />
sembra un danno<br />
imperdonabile,<br />
dove si va? Non ci<br />
si può buttare fuori<br />
dal pianeta, non si<br />
può cambiare il passato, e allora?”.<br />
Il tempo, come l’acqua<br />
che scorre, smussa gli spigoli e le<br />
asperità e anche Ani DiFranco,<br />
oggi cinquantunenne, si trova a<br />
fare i conti, proprio in uno dei<br />
momenti più drammatici per chi<br />
si trova a vivere questi anni, con<br />
pregi e difetti della maturità che,<br />
in termini sonori e nell’arco dei<br />
22 album che contraddistinguono<br />
la sua carriera (l’ultimo, questo,<br />
ad aprire il 2021), suggerisce<br />
di guardare alle cose non solo<br />
con la rabbia e l’aggressività ma<br />
con la riflessione e un anelito di<br />
speranza perché, appunto, un<br />
altro mondo dove svernare non<br />
c’è! E così, pur non rinunciando<br />
ai temi di protesta e di impegno<br />
sociale che traspaiono dalle sue<br />
liriche, Ani DiFranco ha lavorato<br />
nel tempo sull’uso della voce e<br />
sugli arrangiamenti via via sempre<br />
più lontani da quella scelta<br />
essenziale e centrata sulla sua<br />
chitarra, peraltro magistralmente<br />
percossa alla ricerca di ritmi<br />
sincopati con una voce che ne<br />
arrotondava l’incedere. Era il<br />
1989 quando, diciottenne, fonda<br />
una propria casa discografica,<br />
la Righteous Babe Records, per<br />
suonare e diffondere come voleva<br />
la sua musica; con questa,<br />
incide e dà alle stampe l’album<br />
omonimo, una perla davvero<br />
imperdibile che trasuda tutto il<br />
disappunto e la rabbia verso il<br />
potere, come i successivi Not So<br />
Soft e Imperfectly, che offrono<br />
una matrice rock progressiva<br />
poi sostituita da una sorta di folk<br />
rock (il folk era la passione dei<br />
genitori), comunque denso della<br />
grande energia della DiFranco,<br />
che per esperienza diretta (vista<br />
più volte dal vivo) ne aveva da<br />
vendere!<br />
Revolutionary Love è decisamente<br />
qualcosa di diverso con<br />
una dimensione orchestrale<br />
dove la mitica chitarra della Di-<br />
Franco scompare (non il senso<br />
del ritmo, però) e dall’atmosfera,<br />
quella intima e raffinata di<br />
un club. Un disco elegante che<br />
per certi versi, nella capacità<br />
di affondare le sue radici in<br />
un mix jazzy – soul, ricorda Sade<br />
e il suo incontrastato Smooth<br />
Operator declinato in una salsa<br />
meno fashion e più irsuta. Uno<br />
più bello dell’altro i brani, soprattutto<br />
dopo qualche ascolto,<br />
quando si è entrati nel mood di<br />
un percorso sonoro che, per voce<br />
stessa della DiFranco, è “sgorgato<br />
con immediatezza”. Poi<br />
il lavoro del produttore Tchad<br />
Blake (Black Keys, Los Lobos,<br />
Tom Waits) ha coniugato con<br />
eleganza (con una qualità tecnica<br />
della registrazione di tutto<br />
rispetto) la dimensione intima<br />
del paesaggio sonoro disegnato<br />
dall’artista che, anche a livello<br />
di artwork, ha voluto lanciare<br />
il suo messaggio: “Quando le<br />
persone ascoltano questo disco,<br />
voglio che provino la stessa<br />
sensazione che ho avuto dalle<br />
foto del cielo di Susan (la sua<br />
ex tour manager – ndr.), quella<br />
sensazione di prendersi un minuto<br />
per realizzare che la luce<br />
sta brillando intorno a noi e<br />
attraverso di noi”. Un invito a<br />
guardare in alto, in tutti i senti.<br />
E se il buon giorno si vede<br />
dal mattino, questo 2021 sarà<br />
un anno bellissimo, almeno<br />
musicalmente parlando!<br />
PS: se volete ritrovare tracce<br />
della vecchia Ani DiFranco,<br />
Simultaneously (nona traccia<br />
dell’album) non vi deluderà!<br />
86 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
Rock<br />
di Il Tremila<br />
Antonella Ruggiero<br />
EMPATIA<br />
shop.antonellaruggiero.com<br />
Non lasciatevi<br />
sviare<br />
dal fatto<br />
che Empatia<br />
è<br />
un disco<br />
sostanzialmente autoprodotto, né<br />
che è la testimonianza live di un<br />
concerto a fini benefici (dedicato<br />
al volontariato): si tratta a tutti gli<br />
effetti di un disco… disco, tutt’altro<br />
che un’opera di nicchia e la<br />
sua forza sta proprio nella sua<br />
dimensione live, catturata, nelle<br />
intenzioni utilizzando un multitraccia<br />
digitale ma masterizzata<br />
anche con apparecchiature viniliche<br />
come il compressore Manley<br />
Variable MU e dall’equalizzatore<br />
GML 8200, utilizzati per le<br />
tracce di strumenti acustici quali<br />
i fiati, l’arpa, l’arciliuto e il violoncello<br />
mentre le percussioni sono<br />
state processate con il preamplificatore<br />
valvolare Thermionic<br />
Culture Rooster e il simulatore di<br />
nastro Rupert Neve Portico 5042.<br />
Ne nasce uno spaccato di quella<br />
splendida artista che è Antonella<br />
Ruggiero che aggiunge un ulteriore<br />
piano a quel caleidoscopio<br />
insondabile della sua personalità<br />
che rifulge e al tempo stesso<br />
è attirata dalle luci della ribalta:<br />
dopo 14 anni con i Matia Bazar,<br />
una pausa di sette, il ritorno sulle<br />
scene nel 1996, persino una<br />
presenza a Sanremo mentre l’ultimo<br />
suo lavoro, Quando facevo<br />
la cantante (2018), somiglia a<br />
un lascito definito… E invece no:<br />
ecco Empatia, che l’artista ha deciso<br />
di distribuire da sola e che<br />
ripropone il fortunato sodalizio<br />
con Roberto Colombo, uno dei<br />
migliori arrangiatori e produttori<br />
italiani di sempre. Colombo, che<br />
nell’album suona vocoder e organo<br />
liturgico, è affiancato da una<br />
originale formazione composta<br />
da Maurizio Camardi (saxofoni,<br />
duduk e flauti), Sabir e il suo<br />
quartetto di musicisti (Alessandro<br />
Tombesi all’arpa, Ilaria Fantin<br />
all’arciliuto, Alessandra Moro al<br />
violoncello e Alessandro Arcolin<br />
alle percussioni) che dà origine a<br />
un sound davvero particolare con<br />
il contributo dell’acustica della Basilica<br />
di Sant’Antonio a Padova.<br />
L’ambienza è davvero immanente<br />
nella registrazione ma dicevamo<br />
che l’opera è curata tecnicamente<br />
“nelle intenzioni” perché, al netto<br />
di tutto, soprattutto la voce perde<br />
di quella potenza che è propria<br />
della Ruggiero, spostata verso la<br />
porzione alta dello spettro.<br />
Questo non compromette il piacere<br />
di ascoltare i quindici i brani,<br />
uno più bello dell’altro, dove<br />
comunque la voce della Ruggiero<br />
probabilmente dal vivo (per l’occasione<br />
la Basilica era stracolma<br />
anche se in fase di missaggio<br />
sono stati tralasciati gli applausi<br />
tra i vari brani) riesce addirittura<br />
a superare se stessa in termini di<br />
partecipazione. Non solo per questo<br />
Empatia è un disco davvero<br />
imperdibile; è la riprova, ad esempio,<br />
dell’impatto degli arrangiamenti<br />
e del ruolo del produttore<br />
(vedi l’articolo su Phil Spector nella<br />
pagine iniziali di questo numero<br />
di <strong>SUONO</strong>) in una produzione<br />
musicale: lo stesso Colombo, di<br />
fronte a Echi dall’infinito (che la<br />
Ruggiero portò a Sanremo 2005<br />
ottenendo un immeritato terzo<br />
posto - immeritato nel senso che<br />
avrebbe dovuto vincere a mani<br />
basse) riesce a estrarne una dimensione<br />
lontana dalla versione<br />
sanremese ma non per questo<br />
meno intensa, anzi! Qualcosa<br />
di simile vale anche per Cavallo<br />
Bianco, lontano dagli echi sperimentali<br />
dei Mattia Bazar in<br />
una rilettura intimista e intensa,<br />
mentre i due omaggi a De André<br />
(L’Ave Maria laica e Creuza<br />
de Ma) sono la testimonianza<br />
di quale valore aggiunto possa<br />
essere lo strumento voce della<br />
Ruggiero. Il resto… è gioia e<br />
sorpresa per i registri sonori che<br />
Antonella Ruggiero riesce a proporci<br />
e ci proporrà, perché “dopo<br />
aver fatto la cantante c’è ancora<br />
ricerca, ancora voce, ancora<br />
musica”!<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 87
SELECTOR<br />
di Vittorio Pio<br />
Tom Petty<br />
WILDFLOWERS<br />
& ALL THE REST<br />
Warner Music<br />
Appuntamento<br />
imperdibile<br />
per tutti<br />
gli amanti<br />
del folk rock<br />
americano in<br />
questa versione definitiva dell’altisonante<br />
rendez-vous in studio<br />
fra Tom Petty e Rick Rubin.<br />
Uscito originariamente nel ’94<br />
e senza, almeno in apparenza,<br />
l’apporto degli Heartbreakers (in<br />
realtà sono tutti presenti tranne<br />
il batterista Stan Lynch che rappresentò<br />
la vera spina nel fianco<br />
di quel periodo), questo album<br />
ottenne delle ottime accoglienze<br />
da parte di pubblico e critica;<br />
Petty non se ne dichiarò mai del<br />
tutto contento laddove, al contrario,<br />
il cambio di passo risulta<br />
oggettivo: Wildflowers ha i suoi<br />
inni più rock, vero, ma consiste<br />
principalmente di ballate più<br />
lente, e di sentite odi al dolore e<br />
alle avversità della vita. Agli inizi<br />
degli anni ’90 Petty attraversa un<br />
periodo tormentato: professionalmente<br />
è in auge, alle spalle<br />
può annoverare anche un lunghissimo<br />
tour condiviso insieme<br />
a sua Maestà Dylan e Roger Mc<br />
Guinn (che toccò anche l’Italia<br />
grazie all’acume di David Zard),<br />
ma sul piano personale il rocker<br />
incassa il fallimento di un matrimonio<br />
e un processo di rinnovamento<br />
che riguarderà anche un<br />
flusso creativo molto copioso, al<br />
punto di riuscire a scrivere materiale<br />
buono per chiudere almeno<br />
un doppio album. Alla fine il nostro<br />
accettò di pubblicare un’edizione<br />
singola, anche perché si<br />
trattava di bagnare l’esordio per<br />
una major come la Warner e quel<br />
disco suona potente e originale<br />
ancora oggi: partite dalla perentoria<br />
Time To Move On che fa il<br />
paio con il rock and roll di You<br />
Wreck me, la limpidezza di To<br />
Find A Friend, un talking blues<br />
pianistico che innesca l’epica It’s<br />
Good To Be King, che da quel<br />
momento in poi diviene uno<br />
dei momenti più attesi dei suoi<br />
live. Sa colpire il nostro Tom,<br />
ma anche ammaliare (A Higher<br />
Place). Sa essere duro ma anche<br />
vulnerabile, con l’eleganza formale<br />
di Crawling Back To You.<br />
Risolte le inevitabili baruffe legali<br />
fra le figlie di primo letto e<br />
la seconda moglie, ecco questa<br />
versione allargata e definitiva<br />
in pluri-formato che parte dal<br />
perno fisso di Wildflowers e All<br />
The Rest, che allinea dieci pezzi<br />
di cui cinque inediti assoluti -<br />
nel terzo CD ci sono le demo (15<br />
canzoni, di cui 3 inedite e le versioni<br />
sono tutte mai pubblicate)<br />
in solitario per voce, chitarra e<br />
basso, spesso stravolte. Il quarto<br />
è l’album, dal vivo: Petty scelse<br />
di andare comunque in tour<br />
insieme agli Heartbreakers con<br />
il nuovo, tentacolare batterista<br />
Steve Ferrone - e l’impatto della<br />
band sui brani è fantastico (basta<br />
sentire la versione da 11 minuti<br />
di It’s good to be king con le<br />
scorribande fra chitarra e piano<br />
di Mike Campbell e Benmont<br />
Tench), e una manciata di live<br />
tracks tratti da concerti registrati<br />
negli ultimi anni di carriera,<br />
che prendono rispettivamente<br />
il posto in tre o addirittura sette<br />
LP molto ben prodotti. Per chi<br />
non ne avesse abbastanza c’è<br />
un’ulteriore stra-limited edition,<br />
che viene venduta solo ai<br />
fan incalliti direttamente sul<br />
sito dell’artista. Ottima la qualità<br />
della stampa, nel nostro<br />
caso un triplo gatefold e doppia<br />
copertina interna, in cui lo<br />
sguardo viene catturato da foto<br />
e disegni di Tom mai visti prima<br />
e posizionati con grande gusto<br />
e passione. In altre parole siamo<br />
di fronte a uno splendido<br />
e degnissimo omaggio, fatto di<br />
amore e rispetto nei confronti<br />
di uno dei fiori più rigogliosi<br />
del r’n’ r, reciso con malvagia<br />
prematurità.<br />
88 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
Lou Reed<br />
NEW YORK<br />
DE LUXE<br />
Warner<br />
Rock<br />
di Vittorio Pio<br />
Prodotto con intelligenza<br />
e stile,<br />
New York è<br />
un capolavoro<br />
di adult-rock<br />
vibrante e sanguigno,<br />
che riporta il nostro eroe<br />
al centro della scena dopo un<br />
periodo di suoni posticci e male<br />
amalgamati: il peggio degli anni<br />
‘80 (videoclip compresi), da cui<br />
Reed si leva con un agile colpo<br />
di reni dedicando, finalmente,<br />
un robusto concept album alla<br />
sua città che viene posta sotto la<br />
sua implacabile lente di ingrandimento<br />
con il consiglio personale<br />
di ascoltarlo dall’inizio alla<br />
fine in unica seduta, come se ci si<br />
trovasse a leggere un libro o vedere<br />
un film. Le 14 canzoni che<br />
componevano il disco squadrano<br />
un mondo di violenza (sia nelle<br />
strade che sui minori), vizi e vita<br />
ai margini del palcoscenico centrale,<br />
come ribadisce la prosa circolare<br />
di Dirty Boulevard, oltre<br />
al devastante impatto che l’Aids<br />
stava avendo proprio a quei<br />
tempi nei confronti di vari strati<br />
sociali in Halloween Parade. Il<br />
tutto unito ad una feroce critica<br />
politica che vedeva il nostro<br />
scagliarsi apertamente contro<br />
George Bush Sr., Jesse Jackson,<br />
Papa Wojtyla, il segretario ONU<br />
Kurt Waldheim che per Lou era<br />
un nazista neanche tanto mancato,<br />
il già allora capitalista ingombrante<br />
Donald Trump e l’allora<br />
procuratore del distretto sud di<br />
NY e futuro sindaco della città<br />
Rudy Giuliani. Oltre alla sua ex<br />
collega Maureen “Moe” Tucker,<br />
Reed in veste anche di produttore<br />
è affiancato da una nuova,<br />
robustissima band in cui ci sono<br />
Mike Rathke alla seconda chitarra,<br />
Rob Wasserman al basso<br />
elettrico, e il co-produttore Fred<br />
Maher alla batteria. Da ricordare<br />
anche la presenza vocale di Anthony,<br />
allora quasi al debutto. Il<br />
box si presenta in dignitosa foggia<br />
e interesse certo anche per<br />
i fan non devoti: l’immancabile<br />
versione rimasterizzata dell’album<br />
originale ne migliora di<br />
parecchio la dinamica, a seguire<br />
la sua granitica esecuzione live,<br />
presa da vari concerti e altrettante<br />
venues intorno al mondo.<br />
Con una scelta molto azzeccata,<br />
nessuna di queste tracce è uguale<br />
a quella del DVD che, però, allinea<br />
solo la prima parte di quel<br />
concerto, quella appunto relativa<br />
a questo disco, come era stato<br />
fatto nelle prime versioni in VHS<br />
e Laserdisc, mancando del tutto<br />
la seconda. Il terzo disco è quello<br />
più interessante, in quanto<br />
raccoglie 14 rarità con provini,<br />
rough mix e work in progress<br />
della scaletta finale. Fra le chicche<br />
anche le versioni live eseguite<br />
nel tour del 1989 di due classici<br />
come Sweet Jane e l’insuperabile<br />
anthem rappresentato da Walk<br />
on the Wild Side. Ottima anche la<br />
stampa in doppio vinile (l’originale<br />
era singolo) del disco primigenio.<br />
A sigillo della confezione<br />
curata da Laurie Anderson e dal<br />
geniale produttore Hal Willner,<br />
anche un libretto sempre 12 x 12<br />
pollici con foto, memorabilia e<br />
nuove note di copertina a cura<br />
di Don Fleming, curatore dell’archivio<br />
di Reed e David Fricke, a<br />
lungo direttore editoriale del<br />
vero “Rolling Stone”.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 89
SELECTOR<br />
di Paolo Corciulo<br />
Zeromantra<br />
LA DISTANZA<br />
DI UN SEMITONO<br />
Storiedinote - 2020<br />
Puoi colorare un quadro<br />
già dalla cornice...<br />
C’è una<br />
profonda<br />
vena<br />
di lirismo<br />
negli<br />
Zero-<br />
Mantra, la cui opera prima si snoda<br />
su nove tracce, tutte che scorrono<br />
piacevolmente a disegnare<br />
cartoline di vita contrassegnate<br />
da temi musicali orecchiabili. La<br />
loro musica riesce a combinare<br />
semplicità e raffinatezza con un<br />
risultato altamente gradevole che<br />
risulta una ventata di freschezza,<br />
una sorta di toccasana per questi<br />
giorni da confinati dove l’invito a<br />
spaziare nella praterie della fantasia<br />
fa da contrappunto all’elogio<br />
degli spazi piccoli citato nel titolo<br />
(il semitono è quella distanza<br />
che unisce due note vicine) in un<br />
connubio che dipana una scala<br />
di colori vividi che si intrecciano<br />
in storie, vite, avventure, narrate<br />
con uno stile cantautoriale a dispetto<br />
di un assetto della band<br />
(due chitarre, basso, batteria) che<br />
è quello classico del pop-rock. Si<br />
sorride, ci si abbandona alla melanconia,<br />
persino a una ventata di<br />
ottimismo; da ogni brano quasi<br />
traspare il desiderio di riaprire<br />
quella metaforica finestra simbolicamente<br />
serrata dalle paure<br />
odierne, in un percorso rigenerante<br />
che si snoda lungo tutto l’album,<br />
scritto dal cantante e chitarrista<br />
Matteo Abatti e arrangiato<br />
dalla band. Sebbene si tratti di un<br />
esordio (i cinque componenti degli<br />
Zeromantra suonano insieme<br />
dal 2014, e si sente) c’è un’armonia<br />
sonora che è frutto del lavoro<br />
condiviso e che beneficia al<br />
massimo della vena creativa, sia<br />
musicale che di scrittura, di Abbati;<br />
a livello di prosa sono molti<br />
i passaggi che colpiscono come “si<br />
impara a decidere decidendo, si<br />
impara ad immaginare immaginando”<br />
(da Decidendo) ma ancor<br />
più lo fanno i 23 secondi del<br />
cameo di Silvano Agosti, regista,<br />
sceneggiatore, filosofo, scrittore,<br />
poeta e saggista italiano che regala<br />
una piccola perla di saggezza<br />
con il suo intervento parlato che<br />
imprudentemente l’ascoltatore<br />
potrebbe saltare (io inizialmente<br />
l’ho fatto) e che invece vi invito ad<br />
ascoltare riflettendoci su…<br />
Peccato per la qualità della registrazione,<br />
non così pessima da penalizzare<br />
il piacere d’ascolto (tutti<br />
belli i brani ma per me La scala<br />
dei colori è sopra gli altri) ma<br />
certamente carente dal punto di<br />
vista della dinamica, obolo quasi<br />
inevitabile ai dettami del business<br />
moderno. Al di là di tutto, La<br />
distanza di un semitono è molto<br />
vicino a essere imperdibile.<br />
90 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
Rock<br />
Ginevra Di Marco<br />
QUELLO<br />
CHE CONTA<br />
Universal - 2020<br />
È<br />
corretto, come<br />
riporta il comunicato<br />
stampa<br />
di presentazione<br />
dell’album, considerare<br />
Quello che conta (sottotitolo:<br />
Ginevra canta Luigi Tenco)<br />
come una rilettura e non una<br />
pedissequa riproposizione del<br />
lavoro di Tenco, autore a cui Ginevra<br />
Di Marco approda lungo il<br />
suo percorso di esplorazione che<br />
l’ha portata ad affrontare artisti<br />
e opere non solo musicali con<br />
Viola Nocenzi<br />
VIOLA NOCENZI<br />
Santeria - 2020<br />
una matrice cosmopolita priva<br />
di preconcetti. Collante di questo<br />
tragitto la voce educata e raffinata<br />
della Di Marco che, in particolare,<br />
dona all’opera di Luigi Tenco<br />
(se ve ne fosse bisogno e se sia<br />
possibile) una ulteriore ragione<br />
di essere. Questa reinterpretazione<br />
costituisce motivo, per i<br />
distratti e per chi ha dimenticato<br />
(e naturalmente per chi non<br />
l’ha conosciuto) per apprezzare<br />
l’opera di questo esponente<br />
della scuola genovese che ha<br />
animato, insieme a De André,<br />
Lauzi, Bindi (solo per citarne<br />
alcuni) una fortunata stagione<br />
della canzone italiana e ancor di<br />
più l’avrebbe fatto… Ginevra Di<br />
Marco aggiunge il suo stile elegante,<br />
arricchito delle partecipazioni<br />
di Dario Brunori, Massimo<br />
Zamboni e Giorgio Canali, per<br />
un risultato che anche per chi<br />
conosce l’opera di Tenco a menadito<br />
risulterà piacevole, inedito,<br />
a tratti sorprendente, sempre<br />
in grado di scatenare la magia di<br />
un artista che, come dichiara la<br />
Di Marco stessa, “è dentro di noi<br />
da sempre”. Peccato che a livello<br />
di qualità tecnica, non tanto<br />
nell’equilibrio timbrico quanto a<br />
livello di dinamica, l’album non<br />
sia completamente in linea con<br />
l’obiettivo di un prodotto raffinato.<br />
Si apprezzano comunque<br />
sonorità e disposizione degli attori<br />
in una dimensione piacevole.<br />
Il Tremila<br />
Dopo un paio di<br />
prove singole<br />
Viola Nocenzi<br />
approda a<br />
una sua prima<br />
opera di ampio respiro (circa 30<br />
minuti - la metà circa di un CD<br />
e in linea o quasi con i tempi degli<br />
LP di una volta) pubblicando<br />
sette tracce la cui musica è tutta<br />
di suo pugno, che inevitabilmente<br />
verranno considerate anche<br />
in relazione ai “nobili natali”,<br />
visto che il padre Vittorio e lo<br />
zio Gianni (che vi ha suonato il<br />
piano e curato arrangiamenti,<br />
produzione artistica, supervisione<br />
missaggi, mastering) hanno<br />
animato le sorti del Banco del<br />
Mutuo Soccorso. Ed è facile etichettare<br />
come “disco prog” disco<br />
che è “anche” prog (ma pure pop,<br />
siderale, algido, new romantico,<br />
rock…) ma soprattutto “difficile”,<br />
richiede ascolti attenti e ripetuti<br />
per farti entrare dentro; nel caratteristico<br />
stile vocale di Viola<br />
Nocenzi si avvertono reminiscenze<br />
di Tori Amos (artista che<br />
ha amato in gioventù) e dello<br />
studio della musica classica,<br />
mentre l’iniziale stravolgimento<br />
della metrica da straniante diventa<br />
valore aggiunto dell’album.<br />
Forti inflessioni liriche si avvertono<br />
in Lettera da Marte, brano<br />
che da singolo ha anticipato il<br />
disco; Entanglement potrebbe<br />
rappresentare un manifesto della<br />
new-prog addolcito da un ridotto<br />
intervento orchestrale e da una<br />
vena pop che qua e là fa capolino<br />
nell’intero album. Nel complesso<br />
la coppia Nocenzi – Pracanica<br />
(lo scrittore Alessio Pracanica ha<br />
scritto i testi di tutti i brani con<br />
l’eccezione di Bellezza, tutta della<br />
Nocenzi) dà vita a un’opera<br />
originale (forse musicalmente<br />
un po’ mono-tono) e raffinata, la<br />
mano di Gianni Nocenzi si sente,<br />
buon punto di partenza per la sua<br />
carriera ma anche per lo sviluppo<br />
di quel melting pot musicale<br />
che non cerca etichette e le vuole<br />
superare, a dispetto di pregi e difetti<br />
di essere figlia d’arte.<br />
Il Tremila<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 91
CUT ‘N’ MIX CONCERTI | CINEMA | LIBRI | SOCIETÀ | ARTE<br />
Le record cover<br />
ai tempi del rock anni ’70<br />
di Antonio Gaudino<br />
Le copertine dei vinili degli anni ’70 hanno segnato un’epoca per originalità e per aver “sottolineato”<br />
all’esterno la grande musica prodotta al loro interno. Difficile trovare un album negli anni ’70 rock con<br />
delle brutte copertine: si sceglievano i migliori fotografi, art designer, fumettisti e pittori, addirittura.<br />
Queste scelte sono tra le più importanti e interessanti da vedere e “ascoltare”, senza alcun dubbio.<br />
americana, allora quelli dei Deep Purple<br />
potevano a diritto rappresentare la storia<br />
della musica rock.<br />
Crosby Stills Nash & Young<br />
Déja Vu - Atlantic (1970)<br />
Foto: Tom Gundelfinger<br />
Design: Gary Burden<br />
Per un breve periodo all’inizio degli anni<br />
’70, i grafici ingaggiati dalle case discografiche<br />
si innamorarono della dicotomia fra<br />
“band giovane” e “immagine antica”: una<br />
manciata di formazioni (Steeleye Span,<br />
Nitty Gritty Dirt Band, e in Italia il nostro<br />
Francesco De Gregori con “Rimmel”), si<br />
avvalsero di questo trattamento visivo, legando<br />
il proprio nome a delle foto d’epoca<br />
o simil-tali. “Déja Vu”, con la formazione<br />
come immobile in un dagherrotipo, ne resta<br />
l’esempio più celebre.<br />
La foto – virata sul seppia – venne scattata<br />
a casa di Crosby a Novato, in California,<br />
e sembrava immortalare una scena della<br />
Rivoluzione Americana. Fu scelto un materiale<br />
in similpelle per la copertina dell’LP,<br />
per accentuare la verità di “Old West”, ma<br />
furono in molti a obiettare sul fatto che<br />
si trattasse in realtà di cartone friabile.<br />
Deep Purple<br />
Deep Purple In Rock - Warner (1970)<br />
Foto: Alan Hall e Mike Brown<br />
Una bella trovata senza dubbio quella<br />
dei Deep Purple per descrivere il titolo<br />
di questo album, “Deep Purple nella roccia”.<br />
Oltre ad essere un simpatico gioco di<br />
parole che doveva rappresentare il suono<br />
decisamente rock, “roccioso” e aggressivo<br />
della band, in copertina i volti dei cinque<br />
componenti della band sono scolpiti nella<br />
pietra e messi al posto di quelli dei quattro<br />
presidenti americani scolpiti sul monte<br />
Rushmore. A vedere le foto fatte al vero<br />
monte Rushmore, non si noterebbe neanche<br />
la differenza tra i musicisti e i presidenti,<br />
se non fosse per il look decisamente<br />
hippie dei Nostri. I capelli lunghi, come si<br />
portavano all’epoca, stonano decisamente<br />
con l’immagine pulita, fiera e autoritaria<br />
di George Washington, Thomas Jefferson,<br />
Theodore Roosevelt e Abraham Lincoln. Ma<br />
se i loro volti scolpiti nel monte dovevano<br />
rappresentare i primi 150 anni di storia<br />
The Doors<br />
Morrison Hotel - Wea (1970)<br />
Foto: Henry Diltz<br />
Design: Gary Burden<br />
La storia che si nasconde dietro questa fotografia<br />
è che la band non ebbe il permesso<br />
da parte del proprietario del Morrison Hotel,<br />
così che Jim Morrison e compagni corsero<br />
dentro per mettersi in posa mentre il fotografo<br />
Henry Diltz prese degli scatti in tutta<br />
fretta, e volarono di nuovo fuori dall’albergo<br />
prima che il proprietario potesse accorgersi<br />
di cosa stesse succedendo. Dunque la copertina<br />
mostra i componenti della band ripresi<br />
da dietro la vetrata del posto che porta la<br />
scritta “Morrison Hotel” e “Rooms For Rent”.<br />
Nient’altro. In realtà Diltz e Gary Burden<br />
avrebbero voluto scattare la foto nella hall<br />
dell’albergo ma, come detto, l’inserviente<br />
non li fece entrare. Ray Manzarek dei Doors<br />
92 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
prese la foto che si può vedere sul retro copertina,<br />
scattata di fronte ad uno squallido<br />
bar chiamato Hard Rock Cafe. L’attuale e conosciutissima<br />
catena dell’Hard Rock Cafe si<br />
ispirò proprio a quest’immagine per il nome<br />
del locale.<br />
P.S. La gestazione della copertina fu talmente<br />
lunga tanto che in Italia, e in molti altri<br />
Paesi, l’LP uscì con una busta provvisoria:<br />
una busta di carta normale con l’effige dei<br />
4 musicisti, la stessa posta dietro la copertina<br />
definitiva. In teoria presentandosi dopo<br />
mesi con la busta provvisoria, la commessa<br />
avrebbe dovuto cambiarla con quella ufficiale<br />
a cerchio; ma questo non avvenne e molti<br />
acquirenti dell’epoca hanno ancora “III” con<br />
la busta provvisoria. Viste le quotazioni delle<br />
rarità in vinile, la “provvisoria” ha superato,<br />
paradossalmente, l’originale.<br />
Elton John<br />
Tumbleweed Connection<br />
Rocket/Island (1970)<br />
Foto, artwork e design: David Larkham<br />
Straordinaria copertina per un giovane Elton<br />
John. Un “quasi” bianco nero virato da<br />
una leggera tinta color coloniale immortala<br />
l’artista seduto per terra in un angolo di un<br />
vecchio e deserto bar-tabaccheria. Il tipico e<br />
vecchio “spaccio” degli States del deserto californiano.<br />
Particolari e affascinanti le vecchie<br />
insegne pubblicitarie in metallo, che ornano<br />
per intero il negozio al quale John è poggiato.<br />
Pensieroso e in solitudine attende, forse,<br />
l’apertura della “bottega”. Se una copertina<br />
generalmente funge da riflesso dell’anima di<br />
un album, in questo caso è azzeccatissima.<br />
Infatti si tratta di un disco rock blues con<br />
forti influenze gospel-pop, e la foto con la<br />
grafica da whiskey del Tennessee non poteva<br />
riflettere meglio queste caratteristiche. In<br />
seguito, infatti, l’artista avrebbe optato per<br />
copertine molto più commerciali.<br />
Led Zeppelin<br />
III - Atlantic (1970)<br />
Design: Zacron<br />
L’album calendario intitolato “Led Zeppelin<br />
III”, cosparso di farfalle, animali da fattoria<br />
e verdure volanti, all’epoca non soddisfò<br />
tutti i membri del gruppo. L’artwork lasciò<br />
perplesso Jimmy Page, chitarrista della band,<br />
che definì la copertina “stupida, da teenagers”.<br />
Invece fu un’innovazione al tempo della sua<br />
pubblicazione nel campo del design di copertine.<br />
L’album includeva una ruota girevole<br />
di modo che quando questa veniva girata,<br />
varie fotografie della band, accompagnate<br />
da forme e motivi dalle tinte forti, apparivano<br />
nei cerchi (dei fori creati appositamente)<br />
della copertina frontale. Questo affare costoso<br />
accreditato a Zacron (nella vita reale fa<br />
l’insegnate a Wimbledon) è solo un lontano<br />
risutato del progetto originario di Jimmy Page.<br />
“La copertina originale”, disse Page, “doveva<br />
riflettere l’ambiente campagnolo dell’album<br />
attraverso l’imitazione di un calendario girevole.<br />
Invece Zacron ha cosparso la copertina<br />
con varie immagini psicadeliche coloratissime,<br />
includendo oggetti, bersagli, farfalle e stelle”.<br />
L’interno della copertina apribile conteneva<br />
molto di più dello stesso tipo di soggetti: una<br />
sedia volante, una pannocchia e un uccello<br />
tropicale molto colorato. Gli unici oggetti<br />
presenti nelle immagini dell’artwork relativi<br />
alla band sono lo Zeppelin (il dirigibile), un<br />
aereo da bombardamento tedesco e un’auto<br />
con le iniziali sulla fiancata. Nonostante tutto,<br />
Page ha avuto parte di responsabilità nel<br />
risultato finale dell’album. Il chitarrista, per<br />
lungo tempo interessato alla magia, acquistò<br />
la residenza “Boleskine House”, del mistico<br />
Aleister Crowley. All’inizio della sua creazione,<br />
l’LP conteneva un estratto dal libro di<br />
Aleister Crowley “The Book Of The Law” (“Il<br />
libro della legge”) che leggeva “Do what Thou<br />
Wilt, So Mote It Be”, un’abbreviazione della<br />
citazione di Crowley “Fare quello che credi<br />
dovrebbe essere la sola legge”. Da ciò che si<br />
sa, pare che la citazione non sia entrata nella<br />
tiratura del vinile.<br />
Ten Years After<br />
Watt - Deram (1969/1970)<br />
Design: John Fowlie<br />
Color processing: Grham Nash<br />
Questa copertina, per quanto ritragga un’immagine<br />
dei componenti della band seduti su<br />
di un prato, ha una forte inclinazione decisamente<br />
psichedelica. I quattro personaggi<br />
seduti su di un prato sono infatti disegnati di<br />
rosso, con i visi e altri dettagli del corpo che<br />
riprendono lo sfondo del mare, e potrebbero<br />
sembrare degli extra terrestri o degli esseri<br />
invisibili. Anche il bosco che si nota a distanza<br />
è rappresentato nella stessa maniera, ovvero<br />
è disegnato completamente di rosso, tanto<br />
da dare l’idea di una materia vulcanica. Nel<br />
cielo spicca una mongolfiera gialla e rossa<br />
che porta il titolo dell’album, mentre dalla<br />
parte opposta è scritto in grande, in rosso, il<br />
nome della band. Sul retro della copertina è<br />
raffigurata un’alta costruzione che dà l’idea<br />
di un hotel, e nel complesso sembrerebbe appunto<br />
una ambientazione turistica. Bellissimi<br />
i colori usati per questo lavoro decisamente<br />
originale.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 93
CUT ‘N’ MIX<br />
il nome dell’artista e il titolo dell’album.<br />
Lo sguardo del cantante sembra triste e<br />
allo stesso tempo assente, lontano mille<br />
miglia. Imagine, il più famoso – e ad oggi<br />
il più venduto – tra gli album post-Beatles<br />
di Lennon offriva un’immagine malinconica<br />
dell’artista, ritratto dalla moglie Yoko Ono.<br />
Una curiosità: gli occhiali indossati da John<br />
Lennon hanno un valore che gira intorno<br />
al milione di sterline, circa un milione e<br />
mezzo di euro, e sono esposti al “Beatles<br />
Story Museum” di Liverpool.<br />
Traffic<br />
John Barleycorn Must Die - Island (1970)<br />
Foto: Richard Polak<br />
Design: Mike Sida<br />
Illustrazione: per gentile concessione della<br />
English Folk Dance & Song Society<br />
Per l’album John Barleycorn Must Die i Traffic<br />
si affidano al fotografo Richard Polak e<br />
al designer Mike Sida i quali fanno uso di<br />
un’immagine concessa dalla English Folk<br />
Dance & Song Society per descrivere il suono<br />
folk dell’album. È un’immagine che tra<br />
l’altro richiama anche la svolta progressive<br />
che la band di Steve Winwood aveva preso,<br />
abbandonando quelle atmosfere molto più<br />
psichedeliche del passato. Su una base di<br />
cartoncino marrone spicca il disegno che<br />
sembra fatto a mano e che raffigura un fascio<br />
di fiori dallo stelo lungo o di frasche di grano<br />
messe in verticale sopra una macchia d’erba.<br />
Potrebbe essere il luogo simbolico dove giace<br />
il corpo di “John Barleycorn” che per questo<br />
album, secondo il titolo, doveva morire. Non<br />
è di certo una copertina eclatante ma è di<br />
sicuro effetto visivo per la sua semplicità e<br />
per la storia che cela.<br />
Genesis<br />
Nursery Cryme - Buddah (1971)<br />
Design: Paul Whitehead<br />
Cosa c’è di più “sconvolgente” che far giocare<br />
a Cricket “donnine” ciniche che prendono<br />
a colpi di mazza teste umane (di altre<br />
donne) invece che palline nell’album<br />
“Nursery Cryme” dei Genesis? Forse nulla.<br />
Così come nulla si era mai visto prima, in<br />
quanto a genialità nel genere progressive.<br />
I Genesis mettono a segno una delle migliori<br />
copertine degli anni ’70, grazie soprattutto<br />
al geniale Paul Whitehead, che sempre per i<br />
Genesis l’anno prima aveva firmato il lavoro<br />
di copertina di “Trespass” e nel 1972 firma<br />
quello di “Foxtrot”. Una curiosità: tutte e tre<br />
le illustrazioni di queste copertine vennero<br />
rubati dalla sede della Charisma Records da<br />
ignoti. Tra l’altro, delle tre, “Nursery Cryme”<br />
è la preferita di Paul Whitehead, spiegando<br />
il perché: “È perfetta per la musica, il colore<br />
è quello giusto, e anche le vibrazioni che<br />
emana sono quelle giuste”.<br />
John Lennon<br />
Imagine - Capitol (1971)<br />
Foto, supervisione e design: Yoko Ono<br />
Una patina ricopre il primo piano di John<br />
Lennon e lascia appena intravedere i capelli<br />
a caschetto e i suoi classici occhialetti<br />
tondi. La velatura azzurrina sembra<br />
essere l’immagine di un cielo nuvoloso,<br />
che potrebbe fare riferimento alla canzone<br />
Imagine, in cui Lennon canta “Above<br />
us only sky” (“sopra di noi solo il cielo”).<br />
All’interno di una nuvola bianca compare<br />
Joni Mitchell<br />
Blue - Reprise (1971)<br />
Foto: Henry Diltz<br />
Direzione artistica: Gary Burden<br />
Il quarto LP della Mitchell è contraddistinto<br />
dal titolo: Blue. In effetti la foto è “filtrata”<br />
da un blu che mette in risalto i tratti<br />
della cantautrice canadese. Penetrante,<br />
elegante, signorile, questa foto è un raggio<br />
di luce “aristocratico” sul vasto panorama<br />
delle copertine d’autore, quelle più belle e<br />
importanti. Ma Blue è molto più di questo.<br />
Tra morbide chitarre acustiche e accordi di<br />
pianoforte che illuminano l’album, i testi<br />
poetici della Mitchell dipingono l’immagine<br />
di una donna vulnerabile e tormentata<br />
(“Blue” vuol dire anche triste). Joni<br />
Mitchell aveva solo 28 anni quando registrò<br />
questo disco eppure sentiva la forte necessità<br />
di mettere a nudo i suoi sentimenti,<br />
di far sapere al mondo che aveva voglia<br />
di sfuggire alla solitudine per ritrovarsi<br />
tra le braccia di qualcuno che la amasse.<br />
E la foto che la ritrae in copertina mostra<br />
tutto questo trasformando l’album in un<br />
magnifico lavoro di onesta bellezza.<br />
94 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
XXX XXX<br />
The Rolling Stones<br />
Sticky Fingers<br />
Rolling Stones Records/Atlantic (1971)<br />
Concept e foto: Andy Warhol<br />
Design: Craig Braun<br />
Si narra che a un party a New York, nel<br />
1969, Andy Warhol accennò con indifferenza<br />
a Mick Jagger che si stava divertendo<br />
a realizzare una vera chiusura lampo per<br />
una possibile copertina di un album. Un<br />
anno più tardi Jagger propose l’idea alla<br />
band per il loro nuovo album Sticky Fingers:<br />
il primo per la nuova etichetta di<br />
loro proprietà, la Rolling Stones Records,<br />
e anche il primo in cui compariva il famoso<br />
logo: la caricatura della bocca, con tanto<br />
di “linguaccia”, di Jagger. Una copertina<br />
geniale quanto “sessuale”: foto in bianco e<br />
nero, blue jeans con chiusura lampo vera<br />
che, una volta tirata giù, metteva in mostra<br />
un bel paio di “mutande”. Molti dissero che<br />
il modello era Jagger, ma il frontman ha<br />
sempre smentito, affermando che il modello<br />
è un tale Joe Dallesandro, dello studio di<br />
Warhol. L’unico inconveniente che la chiusura<br />
lampo poteva causare, era quello di<br />
“battere” e graffiare nel punto esatto dove<br />
c’era la canzone Sister Morphine (traccia<br />
numero 8 dell’LP); allora Braun realizzò<br />
uno strato supplementare di cartone per<br />
proteggere il disco dalla chiusura lampo.<br />
Con questa soluzione venne sventata la<br />
querela da parte della casa discografica<br />
che distribuì il disco all’epoca. Una curiosità:<br />
inizialmente molte catene di grandi<br />
magazzini si rifiutarono di esporre il disco<br />
perché metteva in risalto un’ambigua protuberanza<br />
all’altezza del pube.<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 95
CUT ‘N’ MIX<br />
LIBRI<br />
Bob Gluck<br />
MILES DAVIS, IL QUINTETTO PERDUTO<br />
E ALTRE RIVOLUZIONI<br />
Quodlibet, collana Chorus 330 pp – 25,00 euro<br />
Principe delle tenebre,<br />
genio imprendibile, divino<br />
Miles. Artista opposto<br />
ai compromessi, cercò di<br />
rivoluzionare la musica<br />
seguendo il proprio daimon<br />
che pretendeva di<br />
ascoltare solo se stesso.<br />
Sono trascorsi quasi<br />
trent’anni dalla sua morte<br />
ma Miles Davis continua a rappresentare il simbolo<br />
del jazz, un instancabile viaggiatore che nel<br />
1969 rimescolò ancora carte e vision, flirtando<br />
con il rock e il suo astro nascente Jimi Hendrix,<br />
con cui aveva fissato anche un fertile rendez-vous,<br />
mancato all’ultimo per la triste scomparsa del<br />
mancino di Seattle. In queste pagine viene riassunta<br />
la fascinazione vissuta verso quelle vibranti<br />
energie, attraverso la sponda di Dave Holland<br />
e Chick Corea, i due nuovi sodali che avevano un<br />
rapporto molto forte con Anthony Braxton, già<br />
campione dell’avanguardia in quel nuovo quintetto<br />
completato da Wayne Shorter e Jack<br />
DeJohnette (anche lui proveniente dal fertilissimo<br />
atelier di libero pensiero di stanza a Chicago).<br />
Quell’ensamble non registrò neanche un album<br />
in studio ma visse diverse esibizioni dal vivo, documentate<br />
con un certa perizia. Nel frattempo la<br />
corte davisiana continuava a rinnovarsi: sarà il<br />
compianto Steve Grossman (appena diventato<br />
maggiorenne!) a prendere il posto di Shorter al<br />
sax, mentre il fronte sonoro si giova degli innesti<br />
del percussionista Airto Moreira e dell’imberbe<br />
Keith Jarrett al piano elettrico; per la cronaca,<br />
saranno un sestetto e settetto perduti perché, al<br />
pari di quanto accaduto con il quintetto di cui<br />
erano un’espansione, le loro performance sono<br />
state documentate solo live. La storia immediatamente<br />
successiva consegna Bitches Brew, In a<br />
silent way e il tributo a Jack Johnson a una musica<br />
considerata come un magma in continua mutazione:<br />
queste appassionanti vicende sono ben<br />
dipanate con una minuziosa esegesi, che allontana<br />
lo spauracchio del jazz rock per un approdo<br />
di matrice diversa, come una declinazione assimilabile<br />
all’improvvisazione libera del free. Quella<br />
che aveva incuriosito parecchio Miles, ovviamente<br />
a partire dalla svolta spirituale di John<br />
Coltrane, per proseguire con Archie Shepp e l’iconoclasta<br />
Ornette Coleman, che per Davis aveva<br />
il torto di accompagnarsi a Don Cherry, irregolare<br />
per quanto strepitoso trombettista che, però,<br />
non godeva affatto delle sue simpatie.<br />
Vittorio Pio<br />
Riccardo Brazzale, Maurizio Franco, Luigi Onori<br />
LA STORIA DEL JAZZ<br />
Hoepli Editore 512 pp – 29,90 euro<br />
Non si tratta dell’ennesimo<br />
tentativo di una ricostruzione<br />
sempre impervia quanto,<br />
piuttosto, di un racconto appassionante<br />
approcciato in<br />
maniera originale: sappiamo<br />
che il jazz è nato in Nordamerica<br />
per l’aggregazione di<br />
numerosi fattori, diffondendosi<br />
poi anche in Europa e cominciando, di fatto,<br />
una lunga opera di contaminazione che non si è<br />
più arrestata. Lo scambio culturale tra le forme innovative<br />
della musica popolare del nuovo mondo<br />
e le avanguardie europee fu assai fruttuoso sia per<br />
i compositori americani che per molte figure della<br />
musica colta: ottima, quindi, la scelta da parte dei<br />
tre autorevoli autori (con un differente per quanto<br />
ricco background formativo, anche questo funzionale<br />
agli intenti dell’opera), di concedere ampio<br />
spazio all’epopea del jazz nel vecchio continente,<br />
senza parlarsi addosso, ma piuttosto con ammirevole<br />
veste esplicativa. Undici capitoli che scorrono<br />
veloci, utili per chi magari del jazz ha avuto un po’<br />
timore, così come ai fedeli appassionati che di certo<br />
apprezzeranno gli spunti offerti nei periodici<br />
approfondimenti che riguardano non solo le scelte,<br />
ineluttabilmente parziali su album e protagonisti,<br />
ma anche le argute considerazioni sul linguaggio<br />
musicale, le tendenze ormai irreversibili intorno ai<br />
formati e divulgazione liquida, curiosità e retroscena,<br />
citazioni e ricerche, che vi accompagneranno in<br />
modo dinamico e appassionante lungo i decenni<br />
alle spalle. Una suprema forma d’arte in cui si ripassano<br />
generi e stili, titani e gregari, scuole e scene,<br />
condensate nelle pagine finali, che arrivano a citare<br />
anche i musicisti scomparsi nella prima, infausta<br />
tornata del Covid-19. Molto ben calibrate anche le<br />
riflessioni sulla ulteriore contaminazione dei linguaggi<br />
odierni, che del jazz ne stanno dettando la<br />
vitale contemporaneità, nella quale un posto importante<br />
è appannaggio del movimento italiano,<br />
di cui vengono segnalati con dovizia di particolari<br />
episodi storici, associazioni, premi e musicisti. La<br />
prefazione di Pupi Avati, che riconosce alla musica<br />
jazz un amore grande e pregresso a quello che poi<br />
ha nutrito per il cinema, innesca la curiosità per una<br />
lettura, in cui sarà facile ritornare indietro, alla ricerca<br />
di quel particolare forse sfuggito ma prezioso al<br />
rendering del mosaico complessivo.<br />
Vittorio Pio<br />
Antonio Crepax<br />
CREPAX A 33 GIRI<br />
Vololibero 112 pp – 28,00 euro<br />
A volte un faro puntato in una<br />
direzione oscura eccessivamente<br />
il resto e così è per l’opera<br />
Guido Crepax identificata<br />
in quella Valentina sogno<br />
proibito di quei giovani permanentemente<br />
giovani<br />
dell’ultima generazione del Novecento. Così<br />
pochi sanno che Guido Crepax è stato, insieme al<br />
fratello Franco, uno degli animatori della scena discografica<br />
italiana disegnando, prima della sua attività<br />
di fumettista, oltre 250 copertine di dischi,<br />
rigorosamente in vinile, che spaziano da Jonny<br />
Dorelli alla classica e al Jazz, di cui Crepax era un<br />
appassionato, passando per gli audiolibri e per il<br />
prog, a partire dalla copertina del primo disco dei<br />
Garybaldi. E così questo Crepax a 33 giri (formato<br />
305 x 305 mm, indovinate uguale a cosa…) è, pagina<br />
per pagina, una permanente sorpresa non solo<br />
del tocco di Crepax ma anche per l’intento di ricostruire<br />
gli eventi della effervescente scena musicale<br />
italiana dagli anni ’70 in poi: lo fa attraverso la<br />
spinta propulsiva del mai troppo rimpianto “Re<br />
Nudo” e le esperienze e i contributi dei molti interventi<br />
che, se distolgono in minima parte il focus dal<br />
lavoro di Crepax, hanno il grande pregio di disegnare<br />
una mappa di quei giorni, che a noi vecchi accende<br />
le corde della rimembranza e per i millennials<br />
può essere una utile guida, grazie alla lodevole<br />
opera archivistica dei figli di Guido Crepax.<br />
Il Tremila<br />
Morgan<br />
L’AUDIOLIBRO DI MORGAN<br />
Emons Libri & Audiolibri - 5h e 22’ – 15,00 euro<br />
Ne ha fatte di tutti i<br />
colori eppure continua<br />
a stupirci: l’ultima trovata<br />
di Morgan, a 13<br />
anni dal suo più recente<br />
album di inediti,<br />
raccoglie parti musicali<br />
e parti narrate dallo<br />
stesso cantante (disponibili in formato fisico e digitale,<br />
in questo caso a 9,54 euro), oltre a composizioni<br />
e brani inediti. Cover, riarrangiamenti e riscritture<br />
di brani italiani e stranieri e pezzi editi a cura di un<br />
artista tanto geniale quanto controverso, che firma<br />
anche le grafiche della cover e del booklet.<br />
Il Tremila<br />
PiePaolo Ferrari<br />
VALVOLE: UNA STORIA INFINITA<br />
SANDIT Editore 310 pp – 20,81 euro<br />
Le valvole termoioniche<br />
hanno rappresentato una<br />
tappa fondamentale nella<br />
storia dell’elettronica. Inventate<br />
nel 1904, sono state<br />
utilizzate in tutti i settori<br />
scientifici. Dopo oltre 100<br />
anni dalla loro scoperta,<br />
ancora oggi vengono impiegate<br />
in campo Hi-Fi per<br />
la loro straordinaria musicalità. Il testo si propone,<br />
attraverso immagini a fumetto e fotografie reali, di<br />
descrivere la loro storia, il loro utilizzo, il loro funzionamento<br />
e il loro “suono”; le valvole “antiche”, le<br />
valvole di produzione attuale, le valvole criogeniche,<br />
i circuiti con le valvole; gli apparecchi vintage Hi-Fi<br />
a tubi; le valvole e i transistor; i consigli pratici per<br />
convivere bene con le valvole!<br />
96 <strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021
professore della trasmissione Lezioni di<br />
rcana ha scritto 667 – Ne so una più del<br />
Baby Rock. Il suo desiderio è quello di<br />
pringsteen. Genovese di nascita, sardo<br />
Jersey.<br />
Cover layout: BRUNO APOSTOLI<br />
ntre c’è chi continua a combattere<br />
i sta lentamente abituando al nuovo<br />
avirus, è il tentativo di utilizzare la<br />
list strettamente collegate all’isola-<br />
“ascoltare” con occhio differente la<br />
qualcuno aveva già profetizzato. E<br />
mento sociale già parlava nel 1982<br />
i sorcini nel pezzo Contagio cantava<br />
esca dalla città… l’isolamento è un<br />
ato”. Un volume in note dedicato a<br />
a loro dedizione finiranno nei libri di<br />
t’emergenza planetaria. Il tutto pasll<br />
e scomodando anche delle icone<br />
el brano La peste, ispirandosi al flalo<br />
che saltella / che si muove un po’<br />
acillo contagioso”. Fino agli eccessi<br />
emia o alla parodia di Bella ciao traa:<br />
“Un’amuchina / mi son comprato<br />
iao ciao”. E su tutto aleggiano, per<br />
biato per sempre molte delle nostre<br />
otiche di Björk che in Virus sussurra<br />
rpo… io busso alla tua pelle ed enore.<br />
Fabrizio Barabesi<br />
ISOLATION ROCK<br />
Arcana 179 pp – 16,50 euro<br />
FABRIZIO BARABESI ISOLATION ROCK<br />
FABRIZIO BARABESI<br />
ISOLATION<br />
ROCK<br />
STORIE DI MUSICA, QUARANTENA<br />
Disegni di<br />
Filippo “Kultgeneration” D’Angelo<br />
Fotografie di<br />
Roberto Colombo<br />
E CORONAVIRUS<br />
Il rock che atterra e suscita, che esalta e che consola, che fa<br />
urlare, prende per mano e non ti lascia più, anche se l’azzeramento<br />
sociale è l’imperativo categorico, là fuori. Desolation<br />
Row, canzone emblema e capolavoro, chiude il sesto album<br />
in studio di Bob Dylan, Highway 61 Revisited. L’hanno fatta<br />
propria tra gli altri Fabrizio De André, Francesco De Gregori,<br />
i Grateful Dead e il bravo Andrea Appino degli Zen Circus<br />
dell’album solista Il testamento. Fabrizio Barabesi, giornalista<br />
e scrittore, ne fa una cover tutta sua nel suo nuovo libro<br />
Isolation rock, un diario in pubblico nel tunnel della quarantena,<br />
cronistoria di un anno da fantascienza che è purtroppo realtà tuttora incandescente.<br />
Ma proprio la musica consente di vivere in modo più leggero e anche più<br />
consapevole un dramma planetario che riguarda tutti. Anche chi, cocciuto più di<br />
un mulo, lo nega. “Questo libro, mentre c’è chi continua a combattere il contagio in<br />
prima linea, è il frutto", scrive Barabesi, “di uno strano esperimento da laboratorio<br />
casalingo: utilizzare la musica per inventare delle playlist strettamente collegate all’isolamento<br />
più intransigente, ai suoi effetti collaterali”.<br />
La musica evocata dalle sue pagine è quella di ieri e di oggi, fatta da artisti celeberrimi<br />
ma anche di nicchia, dai più melodici e orecchiabili ai quasi cacofonici: tutto serve per<br />
rompere il silenzio al tempo del Covid 19 orchestrato sul filo del pentagramma. Un<br />
racconto strutturato e non rapsodico o caotico zibaldone dove scopri anche perle<br />
d’archivio: «Curioso scoprire chi di distanziamento sociale già parlava nel 1982, come<br />
Renato Zero, che nel pezzo Contagio cantava: “Pericolo di contagio / Che nessuno esca<br />
dalla città / L’isolamento è un dovere oramai / Dare la mano è vietato». E chi l’avrebbe mai<br />
sospettato, nel bisesto e funesto 2020 d.C. dove abbiamo cantato e suonato dai balconi<br />
e condiviso concerti in streaming a più non posso, pur di non star da soli?<br />
In questo libro scorrevole ma al contempo denso di informazioni e percorsi trasversali<br />
in cui ogni lettore trova specchiata la propria esperienza della pandemia, trovano spazio<br />
irriverenti parodie di Bella ciao (trasformata in Canzone dell’Amuchina («Un’amuchina /<br />
Mi son comprato / Virus ciao / Virus ciao / Virus ciao ciao ciao», cosa mai ci si inventa per<br />
stare allegri) e anche riferimenti colti come, citiamo, «le sonorità misteriose e ipnotiche<br />
di Björk che in Virus (canzone del 2011, ndr.) sussurra: “Come un virus ha bisogno di<br />
un corpo / Un qualche giorno ti troverò / L’impulso è qui… Io busso alla tua pelle ed<br />
entro”». Un utile manuale di sopravvivenza musicale questo libro, che fa di Barabesi<br />
una sorta di Nick Hornby del Covid, un disck jockey capace sempre di trovarti la lista<br />
degli ascolti giusta per l’emozione che colleghi al rosario pandemico, dal distanziamento<br />
alla didattica digitale, dalle strade deserte al Papa solo in piazza San Pietro.<br />
Un libro che chiama a raccolta mostri sacri del rock e della canzone d’autore. Tra i tanti divi<br />
a spiccare nel libro c’è il Madman del rock duro, il padrino del metal Ozzy Osbourne dei<br />
Black Sabbath che nel 1982 divora un pipistrello in scena (sì, proprio il volatile probabile<br />
fonte del salto di specie del virus), e chissà cosa starà pensando di tutto questo casino.<br />
Come noto, secondo la tesi più quotata, il Covid-19 sarebbe passato dal pipistrello al<br />
pangolino e quindi all’uomo, dopo che lo stesso ne aveva consumato la carne. Carne<br />
che si può comprare in uno di questi market molto diffusi in Cina dove si può trovare<br />
proprio di tutto: dai pipistrelli a cani e gatti, scorpioni e ogni altra leccornia. E poi nel libro<br />
si sente il suono della «dura pioggia» che cade in A Hard Rain’s A-Gonna Fall del citato<br />
Dylan, Don’t Stop Me Now dei Queen suonata da un medico in pausa per rilassarsi tra un<br />
turno massacrante e l’altro in pronto soccorso, Gloria Gaynor che in I will survive invita<br />
a non lavarsi le mani del prossimo lavando le proprie in bagno. Ci si emoziona con<br />
la preghiera laica di Hallelujah di Leonard Cohen, ci si ribella a ritmo rock con People<br />
have the power di Patti Smith, ci si esalta di giusta indignazione per le storture sociali<br />
in corso con Rockin’ in a Free World di Neil Young, e con Open All Night del Boss Bruce<br />
Springsteen di cui Barabesi è un cultore assoluto: «Se nella canzone il guidatore solitario<br />
stava cercando di ritornare dall’amata dopo il turno di notte, qui nel 2020 in piena era<br />
Coronavirus, io sto cercando di non lasciarmi sopraffare dall’inquietudine e allora non<br />
posso non affidarmi ancora una volta alla canzone quando dice: “La radio è intasata<br />
di stazioni gospel / Anime perdute che invocano da lontano la salvezza / Hey signor<br />
deejay, vuoi sentire la mia ultima preghiera / Hey, oh, rock’n’roll salvami da questo nulla”».<br />
Lorenzo Morandotti<br />
PILLOLE DA 3000 MCG<br />
Più che pillole, veri pilloloni per animare la prossima fine<br />
dell’inverno e il fiorir delle speranze primaverili…<br />
IL POLESINE<br />
E I SUI TEATRI<br />
SOCIALI<br />
Le devastanti alluvioni<br />
del 1951 e del 1966 che<br />
ne hanno cambiato il<br />
destino anche dal punto<br />
di vista morfologico,<br />
hanno messo in ombra<br />
il fatto che il Polesine,<br />
fin dall’epoca classica, è<br />
terra di cultura. A ricordarlo<br />
“Quando Gigli, la Callas e Pavarotti… I Teatri Storici del Polesine” che<br />
dal 13 marzo fino al 4 luglio nel Palazzo Roncale di Rovigo mette in mostra<br />
attraverso documenti originali (affiches, libretti d’opera, foto dedicate dai<br />
grandi interpreti, filmati, scenografie, costumi), la storia di 7 degli almeno 50<br />
teatri del territorio di cui si trova traccia documentata e che hanno animato,<br />
anche nel remoto passato, la scena culturale anche in paesini di poche<br />
anime persi nel Delta del Po. Teatri per la maggior parte nati dalla volontà<br />
di gruppi di privati che si sono tassati per costruirli e poi per sostenerne<br />
l’attività, soprattutto musicale, e che proprio perché derivano da una “società”<br />
di persone, presero il nome di Teatri Sociali. Sei ancora attivi (il Sociale<br />
di Rovigo, il Comunale e il Ferrini ad Adria, quelli di Badia Polesine, Loreo<br />
e Lendinara), uno il cui restauro è in corso (quello liberty di Castelmassa),<br />
tutti restaurati anche grazie al concorso di Fondazione Cassa di Risparmio<br />
di Padova e Rovigo, che promuove la mostra. I 7 teatri sono descritti nella<br />
loro architettura attraverso le immagini del fotografo Giovanni Hänninen<br />
e del videomaker Alberto Amoretti e, grazie alla realtà aumentata, i visitatori<br />
possono entrarvi dentro vivendo l’emozione degli eventi musicali che<br />
hanno ospitato.<br />
Per info: tel. 0425 46 0093<br />
LARGO<br />
AL LEGNO<br />
Rispetto ad altri<br />
materiali il legno è<br />
rinnovabile: crescerà<br />
di nuovo se glielo<br />
permettiamo! Partendo<br />
da questa<br />
constatazione e<br />
sviluppando modalità<br />
di consumo<br />
sostenibile delle foreste,<br />
il legno viene sempre più spesso proposto (ad eccezione del nostro<br />
paese!) come materiale da utilizzare in architettura, anche grazie a prestazioni<br />
ormai analoghe a quelle di acciaio o cemento ma con un peso della struttura<br />
e un impatto sull’ambiente durante produzione e lavorazione significativamente<br />
inferiori. Così, hanno preso vita progetti inusuali come il grattacielo<br />
Mjøstårnet di oltre 85 metri a Brumunddal in Norvegia o il Susie Sainsbury<br />
Theatre all’interno della Royal Academy of Music di Londra: acusticamente<br />
rivestito in ciliegio americano, possiede una balconata che ha aumentato<br />
del 40% i posti, una buca dell’orchestra più grande, un’ala del palcoscenico<br />
e la torre scenica. Questo tipo di ciliegio (un legno di media densità, con<br />
buone proprietà di curvatura, moderata robustezza e resistenza agli urti e<br />
scarsa rigidezza) è tipico delle foreste di latifoglie degli Stati Uniti; cresce a<br />
ritmi di 11,7 milioni di metri cubi l’anno, con un abbattimento nello stesso<br />
periodo di 4,3 milioni di metri cubi. Il tutto, dunque, molto “sostenibile”!<br />
<strong>SUONO</strong> febbraio-marzo 2021 97
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Il presente numero di <strong>SUONO</strong> è stato finito di stampare nel mese di febbraio 2021.<br />
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INDICE INSERZIONISTI<br />
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Audio Reference - Sorane/Abis 39<br />
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II Cop.<br />
Audioplus 31<br />
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Gammalta Group - Jl Audio 51<br />
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III Cop.<br />
Il Centro Della Musica 25, 85<br />
Lp Audio - Franco Serblin 21<br />
Lp Audio - PrimaLuna 43<br />
Mpi Electronic - PS Audio 27<br />
Mpi Electronic - Sonus Faber<br />
IV Cop.<br />
Music Tools - Avid 17<br />
Openitem - Carot One 95<br />
Pathos Acoustics 11<br />
Ricable - Ricable 77<br />
Te.de.s. - HOLBO 13<br />
Tecnofuturo - Gold Note 55<br />
Tecnofuturo 65<br />
Tecnofuturo - Gold Note 69<br />
Tektron 7<br />
98 <strong>SUONO</strong> febbraio - marzo 2021