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Anno II - Numero 05 - Dicembre 2019
Edito da "Fabbrica delle Idee" di Maniago
IL GIARDINO
DELLE ALPI
Fare impresa in montagna [p.8-9]
QUESTIONE
DI DIRITTI
Evitare il rischio che gli anziani restino
esclusi dalla trasformazione digitale
[p.20-21]
VIVERE OLTRE
LO SPORT
Un viaggio nel mondo degli sport
paralimpici [p.32-33]
QUANDO IL LAVORO
DIVENTA MUSEO
Scoprire le tradizioni e i vecchi mestieri
lungo la Valcellina[ p.40-41]
IMMAGINARIO
MITICO
QUANDO FOLCLORE, LEGGENDA, TRADIZIONE
SI INTRECCIAMO AL TERRITORIO [p.2]
RACCONTO DEL MESE
RACCONTO DEL MESE
IL GOMITOLO
INFINITO
IMMAGINARIO
MITICO
di Gianluca Liva
Folclore, leggenda e tradizione si
intrecciano al territorio, legate dal
filo del gomitolo di lana di un’anguana
(agana, in friulano), la figura fatata tipica
anche della mitologia delle dolomiti e
della pedemontana.
Le agane sono creature
femminili leggendarie
che si possono
ritrovare nelle antiche
tradizioni folcloristiche
di molte regioni. La
loro descrizione si può
ritrovare in alcuni scritti
già a partire dal XIII
secolo. Le agane, in
genere, hanno sembianze
di affascinanti donne,
che vivono appartate
nei boschi, vicino a fonti
d’acqua: l’elemento a loro
affine.
Le leggende e le storie
sulle agane si sprecano
e la natura del loro agire,
benevola o malvagia,
varia a seconda della
tradizione e del luogo. È
così che le aguane sono
descritte talvolta come
perfide ammaliatrici,
rapitrici di uomini, di
bambini e dei beni lasciati
inavvertitamente vicino
a un corso d’acqua.
Dall’altra parte, invece,
le aguane possono
essere anche generose
e provvidenziali e, in
base alla tradizione delle
Valli e delle Dolomiti
friulane, pronte a offrire
il loro aiuto, discreto e
fondamentale.
Siamo ben lontani,
quindi, dall’immaginario
legato ad altre figure
mitiche femminili, come
le krivapete tipiche delle
Valli del Natisone: donne
che vivono isolate, in
grotte o vicino ai torrenti
che possono essere così
crudeli da portare via i
bambini dalle loro case
e che solo in alcune
occasioni offrono il loro
2
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane
aiuto. Le agane che,
secondo la leggenda,
popolano le valli e le
Dolomiti friulane sono
un archetipo di donna
indipendente, forte,
compassionevole e legata
al proprio territorio.
È rimasta leggendaria
la storia dell’agana che
donò alle donne della
pedemontana un gomitolo
di lana magico, infinito
e che viene tramandato
di generazione in
generazione.
Per capire l’origine di
questa storia è necessario
«tornare indietro nel
tempo, quando gli uomini
lavoravano lontano da
casa per la maggior
parte dell'anno e le donne
dovevano sobbarcarsi
tutta la vita di famiglia,
accudendo alla numerosa
prole, e per sostentare
tutti dovevano pensare
anche ai faticosi lavori
nei campi», spiega Paolo
Paron, ricercatore e
scrittore, che racconta
nei dettagli l’affascinante
storia che cristallizza,
nell’immaginario, il
rapporto tra le agane, le
donne e il territorio.
È così che questa storia
veicola i concetti di
solidarietà, impegno e
generosità tanto cari
a queste zone. Nel
rapporto tra la donna e
l’agana è ben presente
l’empatia nei confronti
della fatica e del dolore.
Entrambe, la donna e la
salamandra/agana vivono
intrecciate al territorio
e lo nobilitano, con il
lavoro e con la fatica.
Come se dovessero anche
essere rappresentative
di un certo “carattere”
locale, le agane sono
creature molto riservate e
dall’indole schiva, custodi
dell’anima di un territorio.
La loro confidenza è
un privilegio unico, da
rispettare. Paron racconta
che «si narrano anche
storie di matrimoni fra
boscaioli e bellissime
Agane, solitamente
finiti molto male, perché
l’uomo, prima o poi, ha
infranto il tabù del silenzio
Illustrazione di Luigino Peressini, pubblicazione
L'Agana del Colvera - Ecomuseo Lis Aganis
e svelato la vera natura
della propria moglie,
che è scomparsa o lo ha
duramente punito».
«Uno di questi lavori,
molto duro e faticoso,
era quello di salire sui
prati ripidi di montagna,
sfalciare l'erba, seccarla e
poi riempire grandi gerle,
caricarsele sulla schiena
e, con molta fatica,
perizia e attenzione
portarle a casa per
sfamare gli animali. Un
giorno, mentre una di
queste donne, molto
povera e con molte
bocche da sfamare,
stava scendendo “da
la mont”, con questa
grande gerla, stracolma
di fieno, sulla schiena, ha
visto improvvisamente
una bella salamandra
attraversarle lentamente
la strada. La bestiola
era grossa, perché si
vedeva che mancava
poco tempo al parto. La
donna si è fermata e le ha
mormorato: “Piccola mia,
vedo che sei sofferente e
stai per partorire, vorrei
tanto poterti aiutare,
perché di figli ne ho
avuti tanti anch'io e so
quanto sia doloroso”.
Appena la donna
ha concluso questa
accorata esclamazione,
la salamandra è sparita
e al suo posto è apparsa
una bellissima donna:
era scalza, con una
leggera veste bianca
drappeggiata sul corpo
giovane e flessuoso,
una splendida chioma
le scendeva ben oltre
le spalle e aveva uno
sguardo dolce e suadente.
Con voce gentile ha
risposto alla donna
stupefatta: “Anch'io vedo
quanto tu stia faticando
e soffrendo per allevare
i tuoi figli e vedo anche
quanto il tuo cuore
sia buono e generoso.
Prendi” le ha detto
porgendole un gomitolo
soffice e colorato “con
questo potrai vestire te
e loro e almeno, d'ora in
poi, non patirete più il
freddo”. La donna aveva
riconosciuto in questa
Illustrazioni dei bambini della Scuola Primaria di Campagna di Maniago, pubblicazione L'Agana
del Colvera - Ecomuseo Lis Aganis
AGANE, DOVE SIETE?
È facile cogliere il fascino
di queste benevole
“sirene d’acqua dolce”.
È il territorio stesso
intriso dal suo elemento
cardine - l’acqua - un
habitat perfetto per
queste suadenti creature
e le leggende che le
accompagnano. Le
agane abitano le grotte,
le forre e le cascate di
tutto il territorio. Ne sono
le custodi. I racconti e
la tradizione indicano
con chiarezza alcuni
bellissima fata l'agana
di cui tanto le aveva
parlato sua nonna, l'ha
ringraziata ed è tornata
a casa. Per molti anni
ha sferruzzato e filato
vestiti, maglie, calzini per
i figli, i nipoti e tutta la
famiglia e poi, quando è
diventata troppo vecchia
dei luoghi popolati dalle
nostre fate d’acqua. Tra i
più noti e visitati spicca
la Cjasa de las Aganas,
vicino al rio Barquiat
nella Val d’Arzino,
chiamata talvolta anche
“Forno della pagana”.
Si tratta di una grotta
raggiungibile attraverso
la strada che dall'abitato
di Vito d'Asio sale verso
"La Mònt di Vît".
Una visita alla grotta
permette di immergersi
in un ambiente unico
per lavorare, ha donato il
prezioso gomitolo a sua
nipote e quella ancora
alle sue discendenti e, si
dice, che questo gomitolo
dellagana, ancora oggi
riscaldi il cuore di molte
persone bisognose che
abitano i paesi delle
Dolomiti friulane».
e ispirante, come se si
stesse entrando in punta
di piedi nell’intimità più
riservata del territorio.
La “Cjasa de las Aganas”
è percorribile per circa
300 metri di basse
gallerie, inframezzate
da sette piccoli laghetti.
Nel recente passato, una
spedizione speleologica e
subacquea ha permesso
di rivelare che, oltre al
lago sotterraneo che
sembrava porre termine
alla grotta, si diramano
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane 3
RACCONTO DEL MESE
RACCONTO DEL MESE
circa 200 metri di altre
gallerie, abitate da una
colonia di pipistrelli.
La “Cjasa de las Aganas”
è l’esempio più famoso
di una bellezza naturale
che viene arricchita dal
racconto leggendario
della presenza delle
agane. La “presenza”
delle agane, se così si
può dire, si può trovare
anche nella "Grotta delle
Eccentriche", in località
Masarach, caratterizzata
da uno sviluppo di 250
metri; nell’inghiottitoio
dei Tinei, una borgata
dei Cedolins, pressoché
verticale, che raggiunge
una profondità di 120
metri; nell'inghiottitoio
dei Juris, con una fessura
nella roccia di 300 metri,
situato a ben 90 metri di
profondità.
In Val Colvera, le agane
si confondono tra i
boschi e i corsi d’acqua.
A Poffabro si racconta
che le agane siano
particolarmente benevole
e si facciano vedere nel
periodo in cui abitano il
“Bus da li aguani”.
La leggenda vuole che
LE STREGHE
DELLA
VAL COLVERA
La presenza delle streghe
a Frisanco fa parte di un
immaginario a metà strada
tra storia e leggenda, a
tratti degno di un racconto
dell’orrore. Tra il 1648 e
il 1650 il tribunale della
Santa Inquisizione tenne a
processo il giovane Mattia
di Bernardone, unico
testimone di alcuni riti
che si stavano svolgendo,
ai tempi, sul Plan di
Malagustà, sul Monte
Raut. e che sarebbero
stati condotti niente meno
che da una congrega
di streghe. L’inquisitore
generale delle diocesi
di Aquileia e Concordia
riportò le testimonianze
che descrivevano nel
dettaglio le varie fasi dei
sabba: le riunioni di streghe
in presenza del demonio.
I sabba si tenevano ogni
giovedì.
Secondo il racconto, in
quelle occasioni le streghe
ballavano sulla croce e
4
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane
le agane percorressero
l’antica strada che
portava in Val Colvera
da Maniago, per lavare
le proprie vesti. Un
giorno, una donna
vide i variopinti vestite
delle agane lasciati
a stendere e se ne
impadronì. La donna,
ben presto, si pentì
del proprio gesto. Una
volta rientrata a casa
si accorse che i vestiti
si erano trasformati
in pesanti pietre o, a
seconda del racconto,
in una moltitudine di
rospi. Le agane popolano
anche il Bus de la Lum
("Buco della Luce"), un
inghiottitoio carsico
in comune di Caneva.
La cavità è ritenuta
da secoli un luogo
misterioso: la porta
d’accesso alle profondità
più segrete della terra,
fonte di energie potenti
e incontrollabili. Il Bus
de la Lum è abitato dalle
agane ma, in questo
caso, la loro bellezza è
svanita. Le agane del
Bus de la Lum sono
perfide streghe capaci di
ogni nefandezza, anche
Illustrazioni dei bambini della Scuola Primaria di Campagna di Maniago, pubblicazione L'Agana
del Colvera - Ecomuseo Lis Aganis
di rapire i bambini che
si avventurano soli nel
bosco. In questo caso, le
agane sono molto vicine
all’immaginario delle
loro sorelle delle Valli del
Natisone, le krivapete.
I racconti paurosi come
questo avevano il fine
di essere un monito per
i bambini e le bambine
del luogo, per evitare
riportavano le malefatte
compiute nei giorni appena
trascorsi. In particolare, le
streghe mostravano fiere
i corpi dei bambini che
avevano rapito e lasciato
che entrassero da soli
nel bosco, esponendosi
al rischio di perdersi. Le
leggende delle cattive
agane del Bus de la Lum
narrano anche che, di
notte, accendessero un
fuoco. La luminosità,
proveniente dal fondo
della cavità, le conferì il
soprannome che porta
ancora oggi: buco della
morire di fame. Le streghe
rimuovevano le cose
ai corpi degli infanti, le
sostituivano con rametti di
erbe officinali.
Il sabba si concludeva con
un feroce rito cannibalesco
con protagonisti, di
nuovo, i corpi straziati dei
bambini.
È curioso che, accanto
alle agane, vivessero
anche creature capaci di
simili malvagità. Gli storici
hanno spiegato il motivo
di tali leggende rievocando
proprio il contesto storico
in cui nascevano e
venivano tramandate.
luce. Come spesso
succede alle leggende,
c’è un fondo di verità.
Ci sono state diverse
testimonianze di fuochi
fatui che si generavano
nel corso delle notti
d’estate dalle carcasse di
animali che erano periti
all’interno della grotta.
In Val Colvera, così
come in molte altre
aree, le morti dovute a
malnutrizione erano un
fenomeno comune. In un
contesto di grande miseria
e povertà, i bambini
erano spesso i primi a
risentire di una vita fatta
di stenti. È così che la
stregoneria è diventata un
modo - molto articolato e
narrativo - per dare una
spiegazione alle disgrazie
che colpivano le povere
genti del luogo. Si trattava
di un modo per tentare di
dare un senso alla morte
del proprio bambino.
Le Theròseghe
Un giorno la Theròsega incontrò San Giovanni
e lo pregò di essere battezzata. Il Santo accettò
la sua richiesta e le chiese di andare a prendere
dell'acqua per poterla benedire. La Theròsega
corse a cercare dell’acqua, dopo averne
raccolta a sufficienza si concesse un momento
di riposo ma si addormentò, perdendo
l’occasione di essere battezzata e dovendo
aspettare l’anno successivo.
E così accade ogni inverno.
La Therosega (Erto), la Redòdes (Claut), la
Legròsega (Casso) sono i nomi con cui si
celebra la Befana nell’alta Valcellina.
Illustrazione di Luigino Peressini, pubblicazione
L'Agana del Colvera - Ecomuseo Lis Aganis
L’EREDITÀ
DELLA LEGGENDA
Metafore, allegorie,
parallelismi. Le leggende
sono tali e tali restano,
ben distinte dalla
realtà. A rimanere e a
insediarsi nello spirito
di una comunità sono i
valori che tali leggende
tramandano.
È così che nelle Valli e
nelle Dolomiti friulane
il gomitolo delle agane
oggi scorre e unisce
queste zone, unendo le
sue caratteristiche e le
sue bellezze. Il gomitolo
delle agane rappresenta
un bene prezioso, da
condividere. Esso può
essere un ricordo, un
bene, una risorsa, una
bellezza, da custodire e
da tramandare.
Facendo propria questa
metafora, nel 2004 è
nata l’Associazione
Lis Aganis-Ecomuseo
Regionale delle Dolomiti
Friulane, realtà che conta
oltre 60 soci (tra Comuni,
Istituti Comprensivi,
l'UTI delle Valli e delle
Dolomiti Friulane,
il Bacino Imbrifero
Montano del Livenza,
Consorzi Pro Loco e
Associazioni Culturali)
e una trentina di Cellule
tematiche inserite nei
percorsi ecomuseali
acqua, sassi e mestieri.
Uno dei luoghi curati
dall’associazione è
proprio la Cjasa da las
Aganas, la grotta che
racchiude il fascino di
leggende sulle agane.
L’Associazione organizza
visite e percorsi guidati
per visitare quei luoghi
meravigliosi in cui, si
dice, vivano ancora le
agane. «Nei suoi primi
15 anni di vita, l’attività
dell’Associazione Lis
Aganis Ecomuseo
Regionale delle
Dolomiti Friulane è
stata molto fruttuosa»,
ha spiegato Chiara
Aviani, coordinatrice
dell’Associazione e
autrice di pubblicazioni
su percorsi didattici
e culturali in Friuli
occidentale, «in tutti
questi anni abbiamo
contato più di 35.000
visitatori. Negli ultimi
anni la media è stata
di 6.000 persone
all’anno, che in genere
partecipano alle nostre
attività e seguono i nostri
percorsi in gruppi: circa
120 gruppi di persone
ogni anno». La ricchezza
di questo territorio è
il territorio stesso. È
così che le agane di
oggi tramandano lo
spirito delle agane della
leggenda.
POCO PIÙ A NORD.
GLI SBILFS
Piccoli folletti dei boschi
abitano le montagne
della Carnia. Vivono
completamente
mimetizzati nella
natura, si rifugiano nelle
cavità degli alberi. Si
tratta di piccoli spiritelli
scherzosi, molto arguti
e inafferrabili. A pochi è
concesso di vederli. In
genere questo privilegio
è riservato ai bambini
e alle persone di buon
cuore. Gli sbilfs, in
questo senso, sono
molto simili ai geni che
facevano da cornice alle
vicende de “Il segreto del
Bosco Vecchio”, celebre
romanzo di Dino Buzzati.
Gli sbilfs sono folletti con
una eterna sindrome di
Peter Pan, dispettosi ma
anche pronti ad aiutare
un essere umano che
si trova in difficoltà,
smarrito in un bosco.
A seconda della zona e
del carattere, gli sbilfs
hanno nomi diversi. Il
Maçarot, che a Forni di
Sopra è sempre assieme
a sua moglie Ridùsela,
è dispettosissimo. Il
Bagan, il folletto che
popola le stalle, è solito
nascondere gli attrezzi
da lavoro se infastidito.
Il famigerato Boborosso,
invece, è tra i più
cattivi: è lui a provocare
gli incubi ai bambini
dormienti.
In generale, però, gli
sbilfs non sono ritenuti
propriamente malvagi,
anzi. Sono l’essenza
stessa della Natura
in cui l’essere umano
vive. La Natura può
essere dispettosa e
provvidenziale, proprio
come uno sbilf.
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane 5
EDITORIALE
INDICE
IN MONTAGNA
Ciaurlèc, sguardo
verso la pianura › p. 46
VAL MEDUNA
Sindaci al femminile
› p 10
MODELLI
di Manuel Bertin
Si parla molto delle peculiarità, esaltando delle differenze
a discapito delle uguaglianze. In realtà, a un’analisi più
approfondita, il territorio presenta molti elementi comuni:
una simile struttura socio-demografica, col problema
dell’invecchiamento e dello spopolamento, molte criticità
legate alle distanze dai centri più grandi, una cultura
in gran parte comune. Su questo substrato comune,
è vero, si inseriscono alcune peculiarità linguistiche
o di tradizioni, che danno il colore della diversità.
Partendo da questa riflessione, in questo numero
abbiamo voluto parlare di modelli, intesi come fatti o casi
che presentano caratteristiche comuni e le cui soluzioni
sono (sarebbero?) declinabili in altre zone del nostro
territorio. Vale per la scuola musicale di Vito d’Asio, come
per l’agricoltura di nicchia della Valcellina, vale per
il progetto per colmare il divario digitale tra gli anziani
a Travesio, come per la parità di genere applicata
alla politica. Tutti temi che sono trasversali, ma che
impattano sulla quotidianità sia degli abitanti di Vivaro
che di quelli di Erto, da Montereale fino a Clauzetto.
Una volta di sottolineava l’importanza di “rubare
il mestiere con gli occhi”. Magari impariamo a farlo
più spesso anche fra noi.
VAL CELLINA
Il giardino delle Alpi › p. 8
BUONE PRATICHE
Il legno prende vita › p. 26
ILLUSTRI
CONCITTADINI
Federico Tavan, il poeta
delle pantegane › p. 29
ORGOGLIO
OLTRE CONFINE
Quell'accordo internazionale
scritto a Clauzetto › p. 23
VAL D'ARZINO / VAL COSA
La viola, il violino e il violoncello › p. 17
ENDEMISMI
Grifone, vicino di casa › p. 43
Buona lettura!
SEQUALS/TRAVESIO
Questione di diritti › p. 20
DIRETTORE RESPONSABILE
Manuel Bertin
EDITORE
Fabbrica delle Idee Srl
www.fabbricadelleidee.biz
DIREZIONE, REDAZIONE,
AMMINISTRAZIONE, PUBBLICITÀ
Via Violis 12 - 33085 Maniago (PN)
Telefono 393 133 1331
HANNO COLLABORATO
Andrea del Maschio, Gianluca Liva,
Elena Tomat, Caterina di Paolo, Roberto Prinzivalli,
Giuliano Boraso, Andrea Pegorer, Denis Busatto
(denisbusatto@gmail.com).
UN SENTITO RINGRAZIAMENTO PER LA DISPONIBILITÀ
A TUTTI GLI INTERVISTATI
PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE:
Paola Bertin
PREVENZIONE
Temporali in montagna
› p. 35
GITA D'ISTRUZIONE
Se l'acqua scorre in su › p. 53
TIPICO
C'è più gusto con le birre
artigianale› p. 37
REGISTRAZIONE
Tribunale di Pordenone, n.61 del 13.03.2018
STAMPA
Centro Stampa Quotidiani S.p.A.
Via dell'Industria, 52
25030 Erbusco (BS)
Chiuso il 23 dicembre 2019 - Tiratura: 15.000 copie
STORIE DI SPORT
Vivere oltre lo sport › p. 32
6
CONTATTI:
Fabbrica delle Idee
via Violis 12, 33085 Maniago (PN)
0427 540017
redazione@fabbricadelleidee.biz
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane
ESPLORANDO
LE VALLI
Quando il lavoro diventa
museo › p. 40
PEDEMONTANA
Le ultime steppe del nord
d'Italia › p. 14
Illustrazioni: Denis Busetto
VAL CELLINA
VAL CELLINA
IL GIARDINO
DELLE ALPI
SPERIMENTARE NUOVE IDEE
di Manuel Bertin
Fare impresa in montagna è difficile.
Però la montagna racchiude dei tesori,
chi riesce a vederli li sa trasformare in
piccole nuove imprese.
“È compito della
Repubblica rimuovere
gli ostacoli di ordine
economico e sociale,
che, limitando di fatto la
libertà e l'eguaglianza dei
cittadini, impediscono
il pieno sviluppo della
persona umana e l'effettiva
partecipazione di tutti i
DAVIDE PROTTI
Sindaco di Cimolais
Fare impresa in zone
montane è evidentemente
difficile, più difficile che
altrove.
Il ragionamento deve
partire dal contesto: in
Italia fare impresa è
difficile, è difficile anche
mantenere le grandi
aziende con una storia
alle spalle. Pensare di
farlo in montagna e
magari con nuove realtà è
decisamente ambizioso.
Detto questo, se non
vogliamo abbandonare i
paesi montani, dobbiamo
trovare delle strategie e
delle nuove idee.
Quali sono gli ostacoli
principali?
Il problema è complesso,
ma l’inaccessibilità è senza
dubbio uno: è difficile
pensare a una grande
azienda manifatturiera in
Valcellina in cui fornitori,
lavoratori all'organizzazione
politica, economica e
sociale del Paese.”
Comincia con l’articolo
3 della Costituzione la
chiacchierata con Davide
Protti, Sindaco di Cimolais,
per parlare di quali
prospettive ha fare impresa
in montagna.
operai e merci circolano tra
mille difficoltà.
Ci potrebbero essere
imprese IT, ma hanno
bisogno di una cablatura
che abbia standard elevati.
Al momento non c’è, ma
il progetto Open Fiber
dovrebbe completarsi a
breve per colmare questa
lacuna tecnologica.
Tra i settori che vedo più
in crescita e adatti alle
nostre valli c'è il comparto
agro-silvo-pastorale, in
cui l’elemento ambientale
diventa il valore aggiunto:
qui c’è acqua buona, aria
pulita e biodiversità che
altrove mancano.
Dobbiamo saper
valorizzare l’ambiente
incontaminato che ci
circonda, con produzioni
di qualità, di nicchia, non
con l’agricoltura che si fa in
pianura o in altre parti del
mondo.
Ci sono esempi che ha in
mente?
Da qualche tempo sono
arrivati in valle due
ragazzi, Marco Veneziano,
con l’azienda agricola
Montivelle, e Carlo
Santarossa, con l’azienda
agricola "Saliet" a Claut.
Il primo coltiva piante
officinali e aromatiche, il
Cimolais - foto Simone Zanna
secondo piante officinali e
lo zafferano.
Sono agricoltori che
guardano al futuro perché
hanno scelto produzioni
che danno valore aggiunto
e che traggono valore
dal crescere in vallate
incontaminate, all’interno
del Parco delle Dolomiti
Friulane.
E, altra caratteristica, sono
giovani “foresti”.
In che senso?
Entrambi arrivano dalla
pianura, non sono originari
della Valcellina e questo è
un valore aggiunto perché
con loro arrivano idee
nuove, energie nuove, una
diversa prospettiva sul
paese e sulla valle.
Chi nasce qui ha sempre
un senso di rassegnazione,
e spesso si guarda a valle
come se là ci fossero
cose che qui non possono
esistere. Da un lato è vero,
ma al tempo stesso questo
atteggiamento ci rende
ciechi su quello che ci
circonda e che diamo per
scontato.
Questi due ragazzi ci
insegnano che anche
qui ci sono opportunità
da cogliere, ma bisogna
saperle vedere e poi
saperle valorizzare.
Come si valorizzano?
Il ragionamento è
complesso, ma restando
ai due ragazzi quello che
vedo è che hanno saputo
fare un ragionamento
economico intelligente,
nello scovare le
opportunità. E inoltre
hanno saputo mettere
in pratica le conoscenze
acquisite nel percorso di
studi, perché l’agricoltura
moderna non può più
limitarsi agli insegnamenti
tramandati di generazione
in generazione.
Una seconda questione è
la fiscalità.
Cioè?
Chi abita in montagna
dovrebbe accedere
a condizioni fiscali
differenziate, non per dare
un vantaggio immeritato
ma come compensazione
delle difficoltà oggettive
che si hanno a vivere qui.
Il legislatore dovrebbe
rimuovere questi ostacoli,
come dice l’articolo 3
della Costituzione, e così
facendo, magari, diventa
nuovamente interessante
spostarsi a monte e
sopportare i disagi di
vivere in una piccola
comunità.
MARCO VENEZIANO
titolare azienda agricola
“Montivelle”
Quando hai aperto la
tua impresa?
Al pubblico da qualche
settimana, ma in realtà
ci lavoro da un paio
d’anni. Naturalmente
è ancora in divenire,
sto finendo il giardino
botanico alpino e ci sono
molti progetti che devo
ancora realizzare, come
lo spazio pic-nic, l’affitto
di ebike.
Che tipo di azienda
sarà?
È un’azienda
multifunzionale, perché
altrimenti non avrebbe
futuro. Ci sarà una parte
turistica, con agriturismo,
e una parte dedicata alla
coltivazione delle piante
officinali e aromatiche,
che in un prossimo futuro
trasformerò direttamente
in loco.
Il giardino botanico
alpino è l’elemento
che connette l’azienda
agricola con
la montagna:
consente agli
avventori di
osservare le
piante
selvatiche presenti
nel parco senza salire
a 1600 metri e nel
frattempo, durante
questa passeggiata,
si avvicinano anche
fisicamente alla zona di
coltivazione.
In parallelo, poi,
coltivo anche piante
ornamentali: non
apparteneva all’idea
iniziale dell’azienda ma
in tutta la Valcellina
manca un’offerta simile,
quindi è un servizio
che propongo per la
comunità.
Perché coltivi piante
officinali e aromatiche?
La mia idea è quella di
sfruttare le risorse che dà
la montagna.
Nella scelta iniziale ho
scartato la zootecnia
alpina, perché pur da
appassionato, non ho
trovato un modello di
impresa originale.
Allora ho
optato per
l’agricoltura,
ma con
prodotti che
qualificassero
il mio lavoro. Così
oggi pianto melissa,
malva e rosmarino
tra le aromatiche,
la stella alpina, la
genziana cruciata,
l’arnica montana
tra quelle officinali.
Le prime sono la base per
infusi e amari, le seconde
sono trasformate in
creme per il corpo e altri
prodotti.
Ho già un accordo
con Pagura per la
distillazione degli amari,
mentre le officinali
saranno trasformate nei
laboratori di Udine, fino a
quando non sarò in grado
di fare anche questa fase
della produzione.
La mia è un’agricoltura di
montagna che valorizza
l’ambiente in cui sono
collocato.
Hai trovato sostegno
nell’aprire un’impresa in
montagna?
Sulla carta ci sono
molte opportunità: nella
richiesta di agevolazioni
e contributi, la zona
montana è considerata
prioritaria, io ho 26 anni
e quindi sono giovane.
Tutte facilitazioni, che
però sono rimaste sulla
carta.
Ho faticato non poco a
far riconoscere la mia
idea, anche perché
era alternativa
all’agricoltura e alla
zootecnica a cui
siamo abituati,
così ho dovuto
discutere
affinché
le piante
ornamentali
non fossero
valutate di
maggior
valore
che
le piante
officinali,
che hanno un
mercato ad
altissimo valore
aggiunto.
E poi c’è il futuro. Io sono
un giovane agricoltore
che si impegna in una
start up: posso sbagliare
alcune valutazioni, avere
aspettative dal mercato
che non si riveleranno
corrette o che si
realizzeranno con tempi
più lunghi, ma quando
ottieni dei finanziamenti
sei imbrigliato a fare
quanto scritto pe molti
anni senza possibilità
di cambiare. Capisco
perché si è arrivati a
un sistema così rigido,
ma questa situazione
è in antitesi con il dare
aiuto ai giovani: non è
ammesso l’errore, né
sperimentare nuove idee.
Come sei arrivato a
Cimolais?
Io sono di Cordenons, là
ho la mia famiglia, ma
da piccolo frequentavo
la Valcellina perché uno
zio aveva una casa.
La bellezza di questi
luoghi, delle montagne
mi è rimasta nel cuore,
così quando ho dovuto
scegliere dove andare a
vivere, la scelta è stata
“facile”.
E la tua vita privata?
Ho una fidanzata, che fa
la musicista. Per lavoro
è spesso in pianura,
negli studi di prova e
di registrazione o per
progetti suoi e quando è
qui mi aiuta in azienda.
Per ora funziona, ma non
nego che un po’ di fatica
c’è.
8
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane 9
VAL MEDUNA
VAL MEDUNA
SINDACI
AL
FEMMINILE
di Gianluca Liva
Quasi la metà dei sindaci dei piccoli
comuni italiani è formata da donne.
Si tratta di un dato che fa ben sperare ma
che non trova conferma nei comuni delle
Valli e delle Dolomiti friulane.
A dicembre, la
trentacinquenne Sanna
Mirella Manin è stata
nominata ministro
capo della Repubblica
di Finlandia – la più
alta carica nel paese
scandinavo – diventando
così la più giovane leader
di governo al mondo. La
notizia ha offerto lo spunto
per valutare quale sia, in
Italia, la composizione di
genere tra le istituzioni.
Da lunghi anni si lotta per
raggiungere la parità di
genere anche all’interno
delle istituzioni e uno
sguardo sui vertici degli enti
territoriali di base, i comuni,
permette di capire al meglio
l’attuale situazione.
Su 7.914 comuni italiani,
1.131 hanno una donna
a ricoprire la carica di
sindaca, poco più del 14%
del totale. È andando più
nel profondo, però, che
emergono dati ancor più
interessanti.
C’è diversità tra il fare
il sindaco da donna
rispetto a un maschio?
No, non secondo la mia
esperienza. I problemi che
affronta un sindaco sono
gli stessi e sia i colleghi
maschi che le colleghe
10
MARINA CROVATTO
Sindaco di Meduno
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane
Nei comuni molto piccoli,
con una popolazione
fino a 1.999 abitanti, la
percentuale di sindache
quasi raggiunge la parità,
attestandosi al 43,41%.
Nei comuni di poco più
grandi, tra i 2.000 e i 4.999
abitanti, la percentuale
si abbassa (25,20%)
ma rimane nettamente
superiore a quella del dato
generale. Forse non è un
caso che la prima donna
eletta a sindaca della storia
della Repubblica sia stata
Ada Natali, che dal 1946
al 1959 ha governato il
comune del piccolo paese
di Massa Fermana, nelle
Marche, che hai tempi
superava di poco i 1.500
abitanti.
È possibile che lo stretto
e quotidiano contatto con
un territorio e un rapporto
di grande vicinanza con
le persone che lo abitano
permettano di rimuovere
più facilmente ostacoli,
sanno e
devono trovare le
soluzioni.
Ciò che può essere
differente è la sensibilità
che una donna ha nei
confronti delle persone,
caratteristica che
può emergere nella
conduzione delle relazioni
umane.
Donne sindaco ci sono,
ma sono comunque
molto lontane da un
50/50. Come lo spiega?
C’è un retaggio culturale
che ci portiamo ancora
stereotipi e diffidenze.
Tuttavia, nei 22 comuni
in cui è suddivisa l’UTI
delle Valli e delle Dolomiti
friulane, sono solo 3 le
sindache, rispettivamente
Marina Crovatto a Meduno
(1.535 abitanti), Rosetta
Facchin a Tramonti di
Sotto (356 abitanti) e
Lavinia Corona a Vajont
SINDACO DONNA
appresso e che non è del
tutto annullato, anche se
la direzione intrapresa è
quella giusta.
Poi c’è la quotidianità,
gli impegni familiari e
lavorativi che spesso
gravano sulle donne
impedendo loro di avere
del tempo per dedicarsi al
bene pubblico.
È il motivo per cui è
difficile trovare donne
giovani a condurre un
Comune?
Fare il Sindaco, in
particolare nei piccoli
(1.671 abitanti). Le tre
sindache amministrano
complessivamente una
popolazione di 3.562
persone.
Se si considera che il totale
degli abitanti dell’UTI
è di 36.033, emerge in
maniera chiara che le
tre sindache “pesano”
per il 9,8% dell’effettiva
SINDACO DONNA
paesi, è un’attività a
tempo pieno. Io sono
in pensione e quindi
posso dedicarmi a
quest’impegno, ma è
abbastanza ovvio che
chi ha figli piccoli o è
nel pieno della carriera
professionale difficilmente
riesce a conciliare gli
impegni istituzionali.
Perché nei piccoli
Comuni le percentuali
di donne sindaco sono
maggiori?
Perché c’è un contatto
diretto con la gente ed
totalità. Si tratta di dati
notevolmente al di sotto
della media nazionale
e che devono invitare a
riflettere sulle doverose
strategie da mettere in atto
per raggiungere l’obiettivo
della parità di genere nei
piccoli comuni delle Valli e
delle Dolomiti friulane.
SINDACO DONNA
43% 25% 13%
Comuni fino a Comuni tra Comuni UTI Valli
1.999 2.000 e 4.999
e Dolomiti FVG
Abitanti
Abitanti
emerge maggiormente sia
la conoscenza personale
del candidato che la
sensibilità nel condurre
i rapporti umani, a cui
facevo cenno prima.
Inoltre, nei piccoli paesi è
più semplice coordinare le
varie attività e conciliarle
con gli impegni familiari.
Cosa può fare un
amministratore locale
per colmare la differenza
di genere?
L’impegno è rivolto a
trovare soluzioni che
aiutino le famiglie a
ROSETTA FACCHIN
Sindaco di Tramonti di Sotto
Sindaco uomo o
sindaco donna, ci sono
differenze?
La differenza è
limitata all’approccio
alle criticità, poiché
gli uomini sono più
razionali e diretti.
Le donne, invece,
affrontano i problemi
con maggiore sensibilità
e danno una lettura più
ampia del contesto.
conciliare la vita privata
e l’impegno pubblico.
Mi riferisco a soluzioni
per il doposcuola, in cui
i ragazzi abbiano delle
attività da fare, liberando,
nel contempo le famiglie
dall’accudimento diretto.
Un’idea su cui stiamo
agendo, inoltre, è cercare
una soluzione con le
aziende per creare asili
nido che abbiano orari e
facilitazioni pensati per le
donne lavoratrici.
In sintesi, si dovrebbe
facilitare i vari momenti
della vita quotidiana, per
fare in modo che anche
E a livello di consiglio
comunale?
Non ho mai percepito
differenza nel
trattamento in quanto
donna, né all’interno della
maggioranza, in cui c’è
una grande armonia, né
con la minoranza, anche
quando fa opposizione
dura.
Anzi, con la consigliera di
minoranza mi piacerebbe
avere scambi maggiori,
per avere uno sguardo e
un confronto al femminile
sui problemi.
Le statistiche dicono
che ci sono poche donne
sindaco. Come lo spiega?
È una lettura che può
essere vera, ma non si
le donne possano vivere
i momenti con serenità,
senza dover correre
costantemente tra un
impegno e il successivo.
applica nella realtà che
conosco.
Io ho fatto la presidente
di pro loco per 15 anni,
con un direttivo a
“trazione femminile”, la
mia collega di Meduno
è una donna, e per il
comune di Tramonti di
Sopra si era paventata
una candidatura al
femminile, anche se poi
non si è concluso questo
percorso.
Le donne in politica qui
ci sono e penso che ciò
sia dovuto a due fattori.
In primis, la reciproca
conoscenza, che ti fa
valutare le persone per
quello che fanno e sanno
fare, e poi probabilmente
è il frutto di un lascito
storico: le donne di qui,
a causa dell’emigrazione
PORDENONE
8
degli uomini, per lunghi
mesi si trovavano da sole
e la società ha imparato
a considerarle.
Semmai il problema è un
altro...
Quale?
La difficoltà di vivere in
montagna, dove tutto è
lontano e complicato.
Ciò vale per me, che
a fatica concilio il
lavoro con la guida del
Comune, vale per la mia
assessora che insegna a
Sacile, ma in fondo vale
anche per gli uomini.
Questo disagio non
produce una criticità
“di genere” ma è alla
base della scarsità delle
candidature di giovani,
che non riescono
IN PROVINCIA DI TRIESTE 5 DONNE SINDACO SU 6 COMUNI,
TRANNE NELLA CITTÀ DI TRIESTE
DONNE SINDACO IN FVG
215
COMUNI
IN REGIONE
UDINE
26
GORIZIA
5
a conciliare la vita
privata e gli impegni
istituzionali.
Come amministrazione
state attivando
politiche per limitare le
differenze di genere?
Collaboriamo con
l’associazione
Voce Donna per
realizzare iniziative di
sensibilizzazione sulla
violenza sulle donne.
Lato lavoro, invece,
ci è stato finanziato
un progetto sulle Pari
Opportunità che prevede
interventi formativi a
favore dell'imprenditoria
femminile.
TRIESTE
5
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane 11
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Le steppe di magredi evoluti e primitivi
che si formano appena i torrenti alpini
incrociano la pianura definiscono il
panorama delle pianure a limite coi monti.
Tra le Prealpi e le risorgive si forma così un
ambiente unico.
Si è da poco concluso
un progetto europeo
che ha consentito di
recuperare 500 ettari di
magredi in Friuli, 100
nell’area del Cellina, in
particolare nella zona del
Dandolo. Un lavoro durato
anni che ha riportato
allo stato originale un
ambiente delicato e
decisamente prezioso: non
esiste un'area comparabile
per continuità e superficie
di magredo evoluto in
tutta la pianura padana.
4 azioni, fino al
legame con l’uomo
Il recupero delle praterie
si è sviluppato lungo
quattro direttrici. La prima
ha visto l’eradicazione
dell’Amorpha fruticosa,
con la seconda si
è provveduto al
diradamento e al
Così preziosi, così
delicati
I magredi, nome che
evoca il prato "magro",
sono caratterizzati per
la scarsa disponibilità
d'acqua e di nutrienti
per le piante. Piove,
in realtà, e molto, ma
il suolo composto da
ciottoli è estremamente
permeabile così il
paesaggio si è evoluto in
una vasta prateria con
radi arbusti.
Si tratta di un habitat
estremamente delicato
perché facilmente
“aggredibile”: un’aratura
profonda o l’impatto
dei veicoli accelerano
attecchimento di specie
invasive, l’eccessiva
concimazione ne
cambia la composizione
decespugliamento per
lasciare spazio al prato.
La terza azione ha visto il
taglio di boscaglie recenti,
facendo attenzione a
lasciare i boschi ripariali
e quelli di interesse
comunitario, infine si
è cercato di ricreare il
legame con l’uomo.
La quarta fase, infatti, è
chimica, e via dicendo.
Tutte azione che
ne minacciano la
biodiversità perché
alterano un equilibrio
facilitando l’espandersi
di alcune specie che
prendono il sopravvento
sulle altre.
Avendo questo scenario
sotto gli occhi è difficile
accorgersi della lenta
trasformazione a cui si
assistite. L'abbandono
delle pratiche rurali
tradizionali quali lo
sfalcio, il pascolo
estensivo e il taglio del
legname ha portato a
una lenta evoluzione
del prato
verso il
bosco. Un
processo
accelerato dall'invasione
consistita nel recupero
delle aree agricole che
negli anni erano state
date in concessione da
demanio, riformulando i
termini della concessione
di specie alloctone dei
greti e dei magredi,
favorite dall’alterazione
dell'habitat originario.
Un arbusto come
Amorpha fruticosa
(l'indaco bastardo),
per esempio, aggiunge
molto azoto nel
terreno cambiando la
composizione chimica e,
quando arriva l’autunno,
con la perdita delle
foglie, crea uno strato
che presto si trasforma
in humus e quindi in
nutrimenti.
e coinvolgendo agli
agricoltori e agli
allevatori nel processo di
conservazione. I magredi,
infatti, si sono evoluti
in praterie stabili anche
Ciò che potrebbe apparire
positivo, nelle praterie
magredili si rivela un
problema, perché le
piante che si erano
adattate a un ambiente
con scarsi nutrienti sono
soppiantante da quelle
più richiedenti, che ora
trovano un ambiente
meno ostile e prendono il
sopravvento.
Amorpha fructicosa
grazie all’opera dell'uomo
che li sfalciava e portava
il bestiame al pascolo,
mentre il loro degrado è
iniziato proprio con il loro
abbandono.
Dopo il recupero?
Il progetto è terminato
quest’anno, ma il lavoro
di conservazione è solo
all’inizio. Dopo aver
recuperato queste aree,
sarà fondamentale il
contributo dell’attività
agricola, seppure
realizzata con diversa
consapevolezza del valore
dell’ambiente in cui si
lavora.
Agli agricoltori è chiesto
di diventare conduttori
delle aree demaniali,
seppure in modo diverso
rispetto alle concessioni
dei decenni scorsi, così da
FRANCA QUAS
Assessora all’Ambiente
del Comune di Maniago
sfruttare le peculiarità di
quest’ambiente.
Essi saranno i primi
custodi del territorio,
mettendo in atto le
azioni utili a conservare
i prati, come lo sfalcio
e il pascolo estensivo, e
questo consentirà loro di
accedere a specifici fondi
PSR. E potranno sfruttare
il valore della biodiversità,
producendo fienagione
biologica e di qualità per
gli allevamenti certificati
oppure rivendendo il
fiorume, ossia i semi per
i progetti di ripristino
ambientale.
Avete intenzione di
sfruttare in qualche
modo i prati stabili in
comune di Maniago?
Si tratta di uno dei
cosiddetti SIC, Siti
d’Interesse Comunitario,
e il suo recupero è parte
di un progetto che parte
da lontano. L’importante
obiettivo da raggiungere
– e che è stato raggiunto
– era bonificare l’area e
ristabilire le specie tipiche
dei magredi. Non ci sono
in programma, in questa
fase, nuovi progetti di
attività che riguardino
specificatamente
quell’area
FERNANDO PETRUCCELLI
Assessore all’Ambiente del
Comune di Vivaro
La biodiversità del luogo
è stata riscoperta ed è
apprezzata.
È una zona decisamente
interessante, vista
l’incredibile biodiversità.
La bonifica ha permesso
di reintrodurre specie che
mancavano da tempo e
ha portato a un risultato
meraviglioso. Le scuole
si recano nei prati stabili,
accompagnate da alcune
guide che illustrano le
caratteristiche delle specie
presenti e mostrano a
studenti e studentesse
quanta ricchezza naturale
si possa trovare a pochi
passi.
In che modo i prati
stabili interessano
il Comune di sua
competenza?
Il territorio del comune
di Vivaro si può dire che
abbia una certa valenza,
essendo, per dimensione,
il terzo comune dell'area
su cui poggia il magredo
del Cellina. L’area vicina,
quella di Dandolo, è stata
a sua volta recuperata
e alcune sue parti
sono a tutt’oggi aree
d’addestramento poste
sotto la giurisdizione
militare. Si tratta di
zone lasciate per anni in
condizioni “primitive”, con
l’introduzione di qualche
coltivo che era stata fatta
negli anni. Oggi è una
bellissima prateria, molto
piacevole da visitare.
Come viene mantenuto
il prato? Ci sono progetti
per un qualche tipo di
sfruttamento?
Nell’area dei prati che
fiancheggia il comune di
Vivaro viene effettuato
Molta ricchezza ma,
a volte, anche rifiuti
gettati abusivamente.
L’abbandono dei rifiuti
è un tasto decisamente
dolente. Però bisogna
far presente che non
riceviamo molte
segnalazioni di presenza
di rifiuti nella zona dei
prati stabili, visti anche
i controlli che vengono
svolti. Ogni anno la
Regione finanzia le opere
di pulizia ed è anche
così che riusciamo a
mantenere pulita quella
zona.
lo sfalcio dell’erba in
due periodi dell’anno,
come previsto in origine
dal piano Natura2000.
Le sue possibilità di
sviluppo sono elevate
vista e considerata la
sua estrema specificità.
Certamente bisognerebbe
attuare uno sforzo
coordinato per proporre
nuove iniziative per far
conoscere la natura e
le specie che popolano
questo affascinante
ambiente.
E per quanto riguarda
l’abbandono abusivo di
rifiuti?
L’inciviltà, purtroppo, può
avvenire ovunque e non
solo nei nostri prati stabili.
Tuttavia, i ritrovamenti
di rifiuti sono pochi
e vengono risolti
prontamente. Al momento
il nostro impegno
deve concentrarsi nel
proseguire quest’opera di
riscoperta e salvaguardia
del territorio e delle sue
numerose specie.
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14
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane
1 2 3 4
ERADICAZIONE
DIRADAMENTO E AL
DECESPUGLIAMENTO
TAGLIO DI BOSCAGLIE
RECENTI
RECUPERO DELLE AREE
AGRICOLE
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane 15
VAL D'ARZINO / VAL COSA
LA VIOLA
IL VIOLINO
E IL VIOLONCELLO
di Andrea del Maschio
Una scuola primaria a indirizzo musicale,
ad Anduins, potrebbe diventare
un modello da seguire per le scuole di
montagna.
Un indicatore sullo
stato di spopolamento
della nostra montagna
è dato sicuramente dal
numero dei bambini
iscritti nelle scuole sul
territorio. Si tratta di un
indicatore che ci può dare
dei dati in prospettiva
futura, ammesso che
questi bambini, una
volta adulti, abbiano la
possibilità di rimanere.
Quest'anno c’è stata
la chiusura, dopo anni
di tribolazioni, della
primaria di Tramonti
e il trasferimento
dei bambini dell'ex
pluriclasse a Meduno,
così come la necessaria
fusione tra l'Istituto
Comprensivo di Meduno
e quello di Travesio in
un'unica entità: l'Istituto
Comprensivo delle Valli
del Meduna, Cosa, Arzino.
Da un lato le necessarie
efficienze, dall’altro
i paesi di montagna
sopravvivono, o
almeno non perdono
ulteriori abitanti proprio
sostenendo la scuola,
quale elemento attrattore
sul territorio dei probabili
cittadini di domani e
possibilmente, attrattore
addirittura di nuovi
cittadini.
Ma in che modo?
Le esigenze dei
genitori
Per attrarre le famiglie
l'offerta educativa
dev'essere sempre
innovativa, accattivante e
pronta a soddisfare il più
possibile le loro esigenze.
Importanti, in termini
di scelta per i genitori,
oltre all'adeguato
servizio di scuolabus e di
mensa, sono senz'altro
la possibilità del tempo
prolungato per lo studio
individuale e l'esecuzione
dei compiti e l'offerta
di laboratori didattici
opzionali proposti al
pomeriggio.
Per quanto riguarda il
territorio delle tre valli,
sia i Comuni che il neo
istituto comprensivo sono
all'avanguardia riguardo
all'erogazione di tali
servizi e all'integrazione
degli stessi, ma ciò non
è garanzia sufficiente
d’iscrizione alla scuola.
L’esempio di Anduins
Lo scorso anno, Liviana
Pitt insegnante della
scuola primaria di
Anduins, ha avuto l’idea
di proporre l'unione tra il
tradizionale programma
della primaria con una
realtà locale consolidata,
coinvolgendo la scuola di
musica Santa Margherita
di Anduins e i suoi
maestri.
I diciotto bambini della
pluriclasse sono seguiti
da tre insegnanti più
i maestri della Scuola
Santa Margherita,
che si alternano e
collaborano nelle lezioni
di musica per quattro ore
settimanali.
Nella scuola si svolge
un lavoro mirato su
piccoli gruppi dove,
oltre al contributo
dell'insegnante, gli allievi
si aiutano tra loro sia
nelle ore tradizionali
che approfondendo le
tematiche legate alla
specificità dell'indirizzo
musicale.
La prima positiva
conseguenza di
quest’innovativa offerta
scolastica è che alcuni
bambini provengono
dai comuni limitrofi,
a dimostrazione
dell’attrattività e
dell’efficacia dell’idea.
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane 17
VAL D'ARZINO / VAL COSA
ALESSANDRO MULAS
assessore alla pubblica
istruzione del Comune di Vito
d’Asio
Com’è nato il progetto?
La proposta è stata una
vera e propria intuizione
e abbiamo preso la palla
al balzo. L'istituzione di
una scuola primaria ad
indirizzo musicale ci è
piaciuta fin da subito.
La cittadinanza come ha
accolto la novità?
L'opportunità per i nostri
ragazzi è particolarmente
ghiotta e sia loro che i
genitori ora ne vanno
davvero fieri. I giovani
hanno la possibilità di
prendere parte al coro della
scuola e di studiare uno
strumento già a partire
dai sei anni: attualmente
nella scuola ad indirizzo
musicale si studiano
la viola, il violino e il
violoncello.
Ha costi maggiori per i
genitori?
È gratuita, come
frequentare una scuola
primaria tradizionale.
Quali sono stati i
vantaggi?
Finanziariamente abbiamo
sfruttato la possibilità
di investire dataci da un
finanziamento regionale
concesso all'UTI delle Valli
e delle Dolomiti Friulane
per Comuni rimasti al di
fuori delle cosiddette aree
interne. Così siamo riusciti
a partire con il progetto già
nell'anno scolastico 2018-
2019.
E se l’anno prossimo
non venisse rinnovato il
finanziamento?
Il Comune di Vito d'Asio
si impegna per il futuro
a garantire continuità e
longevità alla scuola.
Pensa possa essere una
soluzione per dare futuro
alle scuole di montagna?
Al di là del caso
specifico, puntare sulla
specializzazione in alcune
discipline potrà diventare
il punto di forza di quelle
scuole che stanno vedendo
diminuire il numero degli
iscritti.
Ben vengano corsi e
laboratori di musica,
mosaico, fumetto, scrittura,
disegno, cucina, e ben
vengano anche i laboratori
di antichi mestieri
che, se non preservati,
tenderebbero a scomparire.
Il nostro territorio offre
realtà associative e
artigiani esperti che,
facendo rete con le
istituzioni scolastiche,
potranno avere
l’opportunità di dare una
caratterizzazione peculiare
all’offerta formativa delle
scuole montagna.
I CONTRIBUTI DELLA
COLLETTIVITÀ ALL’IC VALLI
MEDUNA, COSA, ARZINO
Per le attività didattiche
extracurricolari l’istituto
comprensivo delle Valli Meduna,
Cosa, Arzino chiede ai Comuni
interessati un contributo annuale
di 20 euro a bambino che alcuni
Comuni, e tra questi Vito d’Asio,
traducono nell’offerta di servizi
diretti alle scuole presenti
sul proprio territorio, come
l’organizzazione e l’attivazione di
corsi ad hoc.
Tra questi si configura il progetto
a carattere musicale della Scuola
Primaria “Leonardo da Vinci” di
Anduins.
LA SCUOLA DI MUSICA SANTA
MARGHERITA DI ANDUINS
Oltre al progetto relativo
allo studio degli strumenti
ad arco nella scuola
primaria, la scuola Santa
Margherita tiene dei
corsi di avviamento alla
musica e al canto presso
la Scuola dell’Infanzia di
Casiacco e organizza per
i privati lezioni individuali
di diversa durata, tarate
sulle esigenze degli
iscritti.
La stessa scuola unisce
i propri allievi in un
progetto sulla musica
d’insieme incentrato
sui generi pop e rock.
Gli archi si ritrovano
una volta al mese in
un’orchestra che si
perfeziona di volta in
volta e prepara i concerti.
Due volte l’anno, in luglio
e dicembre, la scuola
organizza la Masterclass,
un corso intensivo di
orchestra aperto anche ad
allievi esterni.
18
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane
SEQUALS/TRAVESIO
SEQUALS/TRAVESIO
QUESTIONE
DI DIRITTI
di Manuel Bertin
Il rischio che gli anziani restino esclusi dalla
trasformazione digitale in atto e siano
privati della possibilità di esercitare i loro
diritti di cittadinanza è elevato. A Travesio
hanno cercato di colmare la lacuna con un
progetto che potrebbe diventare modello
per tutto il territorio
Il digital divide è il
divario che separa chi ha
accesso a internet e chi no.
È un problema di rilievo,
particolarmente nelle
aree interne e nei piccoli
comuni montani perché chi
non ha accesso a internet è
escluso dai vantaggi della
società digitale, subisce
danni socio-economici e
culturali.
Esclusione digitale
Tra le categorie più
minacciate dall’esclusione
digitale vi sono gli anziani,
le donne non occupate o in
particolari condizioni, gli
immigrati (per il cosiddetto
“digital divide linguisticoculturale”),
le persone
con disabilità, le persone
detenute e in generale
coloro che, essendo in
possesso di bassi livelli
di scolarizzazione e di
istruzione, non sono in
grado di utilizzare gli
strumenti informatici.
E qui si inserisce nella
riflessione un secondo
dato, che aiuta a
completare la lettura della
situazione: nell’territorio
della UTI il 30% degli
abitanti ha più di 65 anni,
poco meglio a Sequals e
30%
della popolazione residente
nella nostra UTI
20
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane
Ma il divario che separa
chi è connesso da chi non
lo è, non è solo questione
infrastrutturale.
Una linea capace di
connettere velocemente
è un requisito essenziale
per non lasciare aziende e
utenti separati dal resto del
mondo, ma poi gli utenti
devono saper utilizzare o
strumento.
Travesio con il 1 cittadino
su 4, ma molti sono i
comuni con percentuali
che superano il 40%, il 50%
e addirittura l’80% di over
65.
Cosa significa? Significa
che molti dei nostri
concittadini hanno vissuto
gran parte della loro vita
prima dell’avvento di
internet, che in Italia nei
centri maggiori si può
collocare indicativamente
nei primi anni ’90.
Quindi hanno maggiore
difficoltà a coglierne le
potenzialità e sono più
restii ad avvicinarsi: gli
anziani non nutrono
interesse per un mondo
che non conoscono, che
generazionalmente non gli
appartiene.
+65
Anni
«Il rischio che gli anziani restino esclusi
dalla trasformazione digitale in atto e
privati della possibilità di esercitare i
loro diritti di cittadinanza in digitale è
drammaticamente elevato.
E si tratta di un rischio che lo Stato
non può correre perché i suoi servizi -
online come offline - o sono per tutti o
non sono per nessuno. Nessuno deve
restare indietro lungo la strada della
cittadinanza digitale.»
“Strategia per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione
del Paese” presentata a metà dicembre dal Ministro
per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione.
Una volta entrati
In Italia, solo il 25.4%
degli italiani tra i 65
e i 74 anni ha usato
internet almeno una volta
nell’ultima settimana
contro la media europea
del 45.5%. Questo dato
però non deve trarre
in inganno: i (pochi)
soggetti anziani che
accedono a Internet sono
cosiddetti heavy user:
il 71% di chi accede a
Internet, lo fa quasi tutti
i giorni, soprattutto per
svago o per mantenere le
MARINO TITOLO
Assessore Patrimonio,
Manutenzioni, Viabilità e
Protezione civile, Comune di
Travesio
Come nasce il progetto
“Basta un click”?
Siamo finalmente giunti
al termine del lavoro di
cablatura con la fibra
ottica del comune e
dei comuni limitrofi, un
progetto che ha ridotto
il divario digitale che
scontiamo con il resto
dell’Italia. È stato un
intervento necessario
per restare al passo coi
tempi e per aiutare le
aziende e le persone a
sfruttare le potenzialità
del web.
Ci siamo resi conto,
però, che accrescere la
velocità e la potenza
nella trasmissione dei
dati, non è sufficiente
perché una componente
della nostra cittadinanza
non sa navigare.
Parliamo di una
percentuale rilevante:
GLI ANZIANI
NEL SUB AMBITO
SEQUALS TRAVESIO
1.790
ABITANTI
TRAVESIO
relazioni (Social network,
Whatapp).
Tra gli iscritti a Facebook
anziani, il 46% dei
maschi e il 73% delle
donne accedono al social
network tutti i giorni. E
poi ci sono i giochi online,
che impegnano
molte ore al punto che si
comincia a parlare anche
di possibili rischi connessi
a un uso eccessivo dei
media digitali da parte
delle fasce mature della
popolazione.
464
2.231
ABITANTI
SEQUALS
539
Legenda = Anziani > 65
25,4%
65 > 74
a Travesio gli over 65
rappresentano il 25%
della popolazione, e
negli altri comuni della
UTI la percentuale sale.
Perché ritiene
importante insegnare
a tutti a usare il
computer?
È una questione di
parità tra cittadini: molti
servizi sia di privati
che della pubblica
amministrazione
si spostano verso il
mondo digitale. Si pensi
ai servizi che l’INPS
offre connettendosi al
sito, oppure, per fare
un secondo esempio,
a Travesio manca
un’agenzia bancaria e
avere un conto online
diventa necessario.
Chi non sa navigare su
internet viene escluso,
MARIAPIA CORVEZZO
(TRAVESIO)
partecipante al corso
d’informatica “Basta un click"
Come mai ha deciso di
frequentare un corso
d'informatica?
All'inizio ero un po'
dubbiosa, ma appena
iniziato il corso, sono
stata subito contenta.
Desideravo imparare
a usare il computer
ed evitare di chiedere
sempre informazioni
a mia figlia! Abbiamo
imparato alcune nozioni
a poco a poco, da molte
opportunità.
Per non parlare
dell’aspetto sociale,
perché molte relazioni
sono semplificate da
strumenti quali i social
media, WhatsApp e via
dicendo che consentono
di restare in contatto
con figli lontani, parenti
all’estero e via dicendo.
Cosa avete proposto?
Abbiamo realizzato un
progetto molto semplice:
un corso base di
computer aperto a tutti,
in collaborazione con
l’istituto comprensivo
di Travesio e il Circolo
Culturale “F. Viviano”.
L’obiettivo che ci
siamo dati è stato di
insegnare a gestire
una casella di posta
elettronica, imparare
basilari e appreso come
utilizzare programmi
semplici, ma utili per la
vita di tutti i giorni. Per
esempio, come spedire
correttamente una
lettera e come curarne
la stesura, oppure come
scaricare e organizzare
gli archivi di fotografie.
Utilizza spesso il
computer?
Non lo utilizzo
frequentemente, ma di
sicuro mi è utile.
Nel corso del progetto
ci hanno anche messo
in guardia dalle bufale
e dalle potenziali
frodi che possono
diffondersi on line, via
mail. Inoltre, utilizzo
45,5%
65 > 74
UTILIZZO INTERNET ALMENO UNA VOLTA LA SETTIMANA
a leggere le news e a
informarsi usando il pc
e infine saper usare i
principali strumenti di
messaggistica e i social
network.
Come hanno risposto i
cittadini?
Molto bene, il corso
iniziale è immediatamente
raddoppiato per far fronte
alle richieste.
Ciò è un indicatore del
fatto che abbiamo risposto
a un bisogno sentito.
E non è un'esigenza che
interessa unicamente il
comune di Travesio, ma
tutti i paesi della nostra
area: chissà quindi che
questo non si trasformi
in un progetto pilota da
replicare anche in altri
comuni.
l'e-mail per mettermi in
contatto con gli uffici
dell'amministrazione del
mio comune, Travesio.
Il corso le ha permesso
di scoprire nuove
possibilità?
È stato molto utile
anche scoprire e
imparare a navigare
il sito del comune e
capire come sia facile
poter raggiungere
l'amministrazione e
apprendere le notizie
che interessano la
propria zona. Al termine
del corso mi sono
sentita una persona più
indipendente nell'uso
del computer e ne sono
rimasta molto contenta.
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane 21
ORGOGLIO OLTRECONFINE
QUELL’ACCORDO
INTERNAZIONALE
SCRITTO A CLAUZETTO
di Manuel Bertin
Vienna, Roma, L’Aja, Abu Dhabi. La
vita e la carriera di Lamberto Zannier,
diplomatico, si è realizzata lontano dal
Friuli, più che a Clauzetto. Nonostante
gli impegni internazionali che lo hanno
portato lontano, il legame con il “balcone
del Friuli” non si è mai dissolto
All’Università a Trieste
si laurea in legge, ma
non diventa avvocato:
lo sguardo è rivolto al
confine e gli studi in
diritto internazionale ne
indirizzano la strada.
Inizia così una carriera
nel mondo della
diplomazia, che lo porterà
a ricoprire per sei anni
l'incarico di Segretario
Generale dell'OSCE
(l'Organizzazione
per la Sicurezza e la
Cooperazione in Europa) e
quello di Sotto-Segretario
Generale dell'ONU in
Kosovo, in qualità di
capo dell'UNMIK
(Nations Interim
Administration
Mission in
Kosovo), nominato
direttamente da Ban Kimoon,
allora Segretario
Generale delle Nazioni
Unite.
Dal luglio 2018, invece,
lavora a l’Aja in qualità di
Alto Commissario OSCE
sulle minoranze nazionali.
Come si arriva a lavorare
per l’ONU e l’OSCE?
Ci vuole volontà, impegno,
il piacere e la curiosità
di viaggiare e conoscere
altri mondi, la capacità di
cogliere le occasioni che
si presentano, la voglia di
imparare le lingue, perché
sono la chiave per entrare
in contatto con le nuove
culture.
Ho cominciato dopo la
laurea con una piccola
esperienza alla FAO, a
Roma - all’epoca era già
una mezza avventura -
poi ho vinto una borsa di
studio alla Società Italiana
per l'Organizzazione
Internazionale (SIOI), grazie
a cui mi sono preparato
per il concorso per fare
carriera diplomatica. Da lì
è partita la mia esperienza
internazionale, iniziata
con l’apertura
dell’ambasciata
italiana negli
Emirati arabi nel
1979 (e uno dei
ricordi più vivi di
quel periodo è un
memorabile viaggio
in auto da Abu Dhabi a
Udine e ritorno, nel 1981).
Diplomazia negli
organismi internazionali,
più che nelle ambasciate.
Sì, è la diplomazia che
preferisco perché devi
saper gestire negoziati
e dialoghi tra Stati e
questo ti offre libertà
d’azione per condurre,
in base agli interessi
nazionali e alla sensibilità
personale, lo sviluppo
della discussione. Tra le
pagine più interessanti, il
mio coinvolgimento nei
lavori della Conferenza
sulla Sicurezza e la
Cooperazione in Europa
(CSCE), che era un foro
multilaterale per il dialogo
e il negoziato tra Est e
Ovest. Tra il 1991 e il 1997,
poi, sono stato Capodipartimento
Disarmo
presso il Segretariato
NATO a Bruxelles.
Successivamente ho
presieduto un negoziato di
disarmo e in quella veste,
proprio in un soggiorno
nella casa di Clauzetto,
ho scritto il testo di un
accordo, successivamente
firmato in un Vertice
internazionale a Istanbul,
per riallineare le capacità
delle forze armate
convenzionali dei Paesi
europei, incluse Russia e
Ucraina.
Nella sua carriera
ha sempre cercato di
mediare tra conflitti.
Come vede i cambiamenti
sociali che stiamo
vivendo?
La società si sta aprendo e
sta cambiando, dobbiamo
accettare che andremo
incontro a società con
identità multiple. Ciò
che occorre attuare sono
politiche equilibrate, che
proteggano l’identità
culturale, linguistica,
etnica con uno sguardo
all’integrazione: se si
vogliono evitare fratture,
le società devono lavorare
per rafforzare la coesione
perché è l’integrazione che
crea gli anticorpi contro crisi
e conflitti.
Questo però si può fare
se c’è anche la volontà da
parte dei nuovi arrivati:
Lamberto Zannier
chi arriva deve conoscere i
valori fondanti della società
di approdo. Deve desiderare
l’integrazione e deve voler
vivere in quella società.
In sintesi, lo sforzo di
avvicinamento si fa con
un passo in entrambe le
direzioni, da parte di chi
accoglie e da chi accetta di
essere accolto.
Guardando il mondo da
un palco internazionale,
che futuro ci attende?
La reazione al
cambiamento sociale
potrebbe indurre alla
chiusura, ma tornare a
una politica con un’ottica
nazionale non è la
soluzione ai problemi.
Le sfide odierne sono di
natura globale: servono
coalizioni internazionali per
affrontare la crisi climatica,
quella demografica, la sfida
della sostenibilità.
Come è riuscito a
mantenere il legame con
Clauzetto?
Mio padre era ufficiale degli
alpini e con la famiglia ci
siamo trasferiti spesso.
Clauzetto è diventato il
mio punto di approdo,
soprattutto nei mesi estivi
durante la pausa scolastica.
I miei figli, invece, sono
cittadini del mondo,
passano per il Friuli ma
vivono lontano e non sono
ancora riuscito a trasferire
loro il legame con questa
terra.
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane 23
INFORMAZIONI
DOVE TROVARE
L'ECO DELLE VALLI E
DELLE DOLOMITI
FRIULANE
MANIAGO
Comune di Maniago
Bar Serena
3Store
Bar Sorsi e Morsi
Piazza Sport
Artexx
Bottega Bio
Gekateria Dolce Freddo
Abbigliamento Colombini
Lavanderia Lavapiù
Cgil Caf
Inia Viaggi
Ottica Gortana
Pizzeria da Mario
Bar Coricama
Bar Stazione Corriere
Distrobutore OMV
Consorzio revisioni Maniago
Bar Barile
Antica Coltelleria
Ristorante Casasola
Piscina Maniago
Bottega del FOrmaggio
Edicola Venier
Mensa Zona Industriale
Tecnocollaudi Servizi
Automobilistici
Bar Bottegon
CAMPAGNA
Ai Gelsi
Poste
Studio Medico
ARBA
Farmacia
Macelleria
Alimentari
Graphistudio
Tabaccheria
VIVARO
Alimentari
Lupo Alberto
Gelindo
VAJONT
Comune di Vajont
Palestra
Farmacia
MONTEREALE
VALCELLINA
Comune di Montereale
Non solo bar
Osteria Vittoria
Tabacchi (Piazza)
Edicola (Piazza)
Macelleria
Castelu
Farmacia 3 F
Bar Scalinetti
Red Devil
MALNISIO
Da Borghese
SAN LEONARDO
Da Plinio
GRIZZO
Forno ALzetta
BARCIS
Comune di Barcis
Cartoleria
Panificio De Giusti
ANDREIS
Comune di Andreis
Locanda Al vecio For
Chiosco Camping
CLAUT
Comune di Claut
Supermercato
Farmacia
CIMOLAIS
Comune di Cimolais
Osteria Pian Pinedo
ERTO
Comune di Erto
Ufficio postale
Bar passo sant’Osvaldo
Bar Stella
MEDUNO
Roncadin
Bar da Laura
Bar Meridiana
TRAMONTI DI SOTTO
Bar Antica Corte
TRAMONTI DI SOPRA
Alimentari SISA
Locanda al lago (Redona)
FRISANCO
Comune di Frisanco
Circolo operaio
Albergo Ristorante alle Alpi
POFFABRO
Bar in piazza
SEQUALS
Bar al cret
Edicola 4 Borghi
Trattoria al Forno
Pizzeria Sabrina
LESTANS
Supermercato
Bar alla Posta
Bar al Capriccio
SOLIMBERGO
Da Mander
TRAVESIO
Harry's Bar
Caffè (Piazza XX Settembre)
Cokki Bar (Zancan)
Cooper's
Supermercato
TOPPO
Alimentari
CASTELNUOVO
Bierkneipe (Loc. Paludea)
Trattoria (Loc. Vigna)
PINZANO
Market Da Cinzia
Bar Progresso
VALERIANO
Ristorante Don Chisciotte
Alimentari e Bar Lucco
CLAUZETTO
Bar – Alimentari Da Andrea
Edicola di Nadia Colledani
ABBIAMO DISTRIBUITO SUL
TERRITORIO DEGLI ESPOSITORI /
CONTENITORE, QUI DI SEGUITO LA LISTA
DEI POSTI DOVE SONO STATI LASCIATI
PER POTER TROVARE LA RIVISTA
GRATUITA DEL NOSTRO TERRITORIO
VITO D'ASIO
Ristorante L’Ortal
SAN FRANCESCO
Alimentari Ristorante
Da Renzo
ANDUINS
Ristorante alla Posta
CASIACCO
Bar alle Alpi
24
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane
BUONE PRATICHE
IL LEGNO
PRENDE VITA
di Manuel Bertin
A
Claut c’è una piccola realtà artigiana
che sfida con la modernità, partendo
dalla tradizione e dalla cultura della
Valcellina, in cui affonda le radici.
Artigianato Clautano
è una piccola realtà di
dimensioni familiari, ma
con una lunga storia
alle spalle che è iniziata
nell’immediato secondo
dopoguerra. In questi
decenni molte cose sono
radicalmente cambiate,
a partire dal numero di
artigiani capaci di lavorare
il legno come i propri padri.
Rosanna Talamini ci
racconta oltre 40 anni di
storia aziendale.
da cucina e oggetti di
arredamento, tutti in
legno, valorizzando le
capacità artigianali e la
tradizione di Claut.
ROSANNA TALAMINI
Quando nasce
Artigianato Clautano?
È difficile pensare a un
punto di partenza, questa
è un’impresa familiare
che affonda le proprie
radici nel passato. Mio
nonno era
segantino, mio
padre è stato
falegname,
io ho preso in
mano l’azienda
nel 1974 e ora
c’è mio figlio a
guidarla. Una
continuità lunga
un secolo, che
si perde nella
memoria, fatta di
lavoro quotidiano.
Quello che è certo è che
nella mia famiglia il
legame con il legno, in
particolare con il legno
dei nostri boschi, è
sempre stato molto forte.
Che tipo di prodotti
realizzate?
Produciamo piccoli
oggetti per la casa,
utensili e suppellettili
Li realizzate con legno
locale?
Per quanto possibile e
disponibile sì, cerchiamo
di utilizzare legno locale.
Adesso, per esempio
stiamo realizzando
15.000 taglieri fatti
con abete bianco, non
trattato, cresciuto nel
Pradut e proveniente
dalle foreste schiantate
a seguito della tempesta
Vaia nel Parco naturale
delle Dolomiti Friulane.
Inoltre, un euro per ogni
tagliere venduto sarà
devoluto per sostenere i
cittadini di Forni Avoltri.
Quali sono le difficoltà
odierne di una piccola
impresa familiare?
Non c’è mai una pausa
perché dal lunedì al
venerdì sei in azienda
per produrre gli oggetti
che poi si vendono ai
mercatini il sabato e la
domenica.
Senza che i governanti
considerino le difficoltà
specifiche di realtà di
questo genere, perché i
nostri prodotti richiedono
molto lavoro ma hanno
poco margine,
mentre per una
piccola realtà
montana a
conduzione
familiare, IVA e
tasse da pagare
sono identiche
a quelle di
grossa azienda
in pianura
o una realtà
commerciale in un
centro turistico.
Altre collaborazioni in
atto?
Da un paio d’anni stiamo
collaborando con il Parco
delle Dolomiti Friulane,
partecipando agli eventi
di promozione della
Valcellina.
Per esempio, lo scorso
anno siamo stati ospiti
dei loro spazi a Grado,
in cui si presentavano
ai turisti le peculiarità
della Valcellina, e noi
abbiamo mostrato cos’è
l’artigianato del legno.
Novità recente è che
avete registrato il
design di un oggetto.
È il primo. Finora non
avevamo mai registrato
un prodotto nonostante
in tanti anni di attività ne
abbiamo creati molti.
Dolomix, questo è
il nome del piccolo
mestolo ricurvo in
avanti, ha un design
così particolare che lo
rende straordinariamente
adatto per tutte le
preparazioni in cui è
necessario mescolare
le pietanze. È stata così
l’occasione per introdurre
questa novità nel
processo aziendale, ma
non avendolo mai fatto,
fondamentale è stato il
ruolo del NIP. Loro ci
hanno messo in contatto
con i consulenti che ci
hanno aiutato a preparare
la documentazione e fare
gli studi per il nome: ora
abbiamo un prodotto che
nessuno ci può copiare.
Per saperne di più:
https://www.legnoservizi.it/
la-solidarieta-si-fa-legnoda-vaia-alla-tua-tavolacon-un-solo-gesto/
26
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane
ILLUSTRI CONCITTADINI
FEDERICO TAVAN
IL POETA DELLE
PANTEGANE
di Caterina di Paolo
È
da poco passato il sesto anniversario
della morte di Federico Tavan, che
impersonava tutto quello che vuol dire
essere «il poeta di Andreis». Federico
Tavan è stato un indiano, un’ape, un
alieno, un indovino, un mat. Nei suoi
scritti troviamo la vita bruciante di chi le
parole avrebbe voluto mangiarle, di chi nel
friulano di Andreis sentiva il miele.
Fedrico Tavan
(1949-2013)
Profumi d’Autunno in Agriturismo
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per un fantastico weekend enogastronomico
Al Luogo del Giulio
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È difficile parlare in
prosa di poesia. Forse
ancora più difficile
parlare di Federico Tavan:
perché Federico era un
poeta assoluto. Viveva
aggrappato alle sue poesie,
da un canto; dall’altro le
poesie che teneva nelle
tasche erano i suoi occhi
per guardare gli altri.
Federico Tavan è nato nel
1949 ad Andreis. L’inizio
della sua storia sembra
quello di una fiaba, o una
maledizione: la madre
Cosetta stava pregando
in chiesa, incinta di lui di
quattro mesi, quando entrò
la strega del paese – una
donna cattiva, che tagliava
le teste delle galline altrui
per dispetto. Federico
racconta che la strega
avrebbe urlato: «verrà un
giorno il mostro, qualcosa
che non è nostro».
Cosetta rischiò l’aborto
per lo spavento, e quando
Federico nacque, divenne
quello strano. Un bambino
intelligente, bravo a scuola,
ma che si grattava sempre
e non sapeva fraternizzare
con gli altri in modo
“normale”.
Cosetta muore quando
Federico ha solo undici
anni. In una sua poesia
dice: «Io non credo nel
Paradiso / e così non ci
vedremo più.»
Un addio che sembra
tanto più forte e
assoluto nel suo sentirsi
continuamente rifiutato
dagli altri: la famiglia
cerca di farlo diventare
“normale” girando la testa
e calcando la mano, prima
mandandolo alla scuola
di preti Don Bosco e poi
costringendolo a fare il
servizio di leva. Nel mezzo,
Federico comincia ad
avere le prime crisi: còrea
reumatica, per gli amici
ballo di San Vito. La cura:
psicofarmaci a profusione.
Fortuna che non si è
passati per l’elettroshock,
che forse avrebbe zittito le
sue poesie per sempre.
Insomma, solo
una vita tragica
quella di
Federico?
Dome un pôr
beât?
Aldo Colonnello e Rosanna
Paroni Bertoja, fondatori
del Circolo Menocchio di
Montereale Valcellina,
conobbero Federico e
furono i responsabili della
pubblicazione delle sue
poesie. Che erano grandi,
immense. Grazie a loro
possiamo incontrare una
voce grande com’era
Federico; e grazie a loro
e ai tanti amici che si
sono battuti per Federico,
nel 2008 il poeta riceve
la legge Bacchelli e
finalmente può tornare
nella sua Andreis.
Il percorso della sua
poesia è tortuoso
come la verità,
che ci schiaccia
abbagliandoci. Se
da un lato Federico
a tratti pare il
poeta del
limite –
A me plâs Icaro
Brusât dal sorele
Ma almancu
Al à tentât.
(Mi piace Icaro
bruciato dal sole
ma almeno
ha tentato.)
Consigliamo di cominciare la lettura
degli scritti di Tavan concon Cràceles
cròceles, pubblicato da Olmis. È di uscita
recentissima Il poeta delle pantegane,
scritto da Alessandro Mezzena Lona per
Aquario edizioni. Raro e meraviglioso Federico
Tavan. Nostra preziosa eresia, uscito per Forum e curato
da Pierluigi Cappello, Danilo De Marco e Paolo Medeossi.
Approfondimento
Se fos normâl
e audarés al vint
a scrîve poesies
sui tiô cjavei.
(Se fossi normale / aiuterei
il vento / a scrivere poesie
/ sui tuoi capelli)
– poi gli basta aprire le
braccia per diventare
tutto, la sua mente sfonda
ogni confine: diventa un
astronauta, un’ape, una
squaw, un generale. E
ama tutti, tutti! La strega,
Andreis, le pantianis di cui
diventa il cantore. E anche
il suo essere mostro:
Sì ’e soi jò
inventât da vô.
Ma dopo ’e ve soi
scjampât.
E dal mostru
al paron ’e soi deventât.
(Sì sono io / inventato
da voi. / Ma poi di
mano vi sono sfuggito.
/ E del mostro / mi sono
impadronito.)
Leggere Federico Tavan
fa bene. Perché ci porta
nel fango e nelle stelle.
Ci ricorda che siamo gli
umani, e abbiamo limiti
piccoli piccoli quando
anche il soffitto di casa
nostra potrebbe diventare
lo spazio infinito. Lui l’ha
fatto. Con la sua diversità
ha percorso la strada di
una bellezza nuova e
bruciante, e senza paura
l’ha lasciata anche a noi.
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane 29
30
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane 31
STORIE DI SPORT
STORIE DI SPORT
VIVERE
OLTRE
LO SPORT
di Gianluca Liva
Un viaggio nel mondo degli sport
paralimpici, tra successi, medaglie e,
in certi casi, carenza di infrastrutture.
Katia Aere
Ne è passato di tempo
da quando, nel 1948,
al centro per la cura e
riabilitazione di persone
affette da lesione spinale
di Stroke Mandeville,
in Gran Bretagna,
vennero organizzate
le prime competizioni
sportive tra i pazienti con
disabilità. Il successo di
quelle manifestazioni
portò, nel 1960, alle
prime vere Olimpiadi
paralimpiche, quelle di
Roma. Oggi il mondo delle
competizioni sportive
che coinvolgono atleti e
atlete con disabilità si è
strutturato e ramificato
e propone scenari
avvincenti. Il territorio
delle Valli e delle Dolomiti
friulane e, in generale,
del Friuli, ha fornito
un importantissimo
contributo ai successi
ottenuti nelle varie
discipline, a livello
nazionale, europeo e
mondiale.
«In Friuli c'è sempre
stato un bacino d'utenza
che ha fatto sport ad
alto livello. Il professor
Antonio Maglio, medico
e direttore del Centro
paraplegici INAIL di Ostia
fu colui il quale ebbe
l’intuizione che portò
all’organizzazione delle
paralimpiadi di Roma del
1960. Tra gli atleti che
erano seguiti da Maglio e
dai suoi colleghi c’erano
molti friulani», racconta
Giovanni De Piero,
Presidente del Comitato
Paralimpico del Friuli
Venezia Giulia, l’ente
regionale che si occupa di
sport nelle tre macro aree
della disabilità, fisica,
psichica e sensoriale.
Il Comitato Paralimpico
Internazionale (CIP)
ha stabilito un sistema
di classificazione delle
diverse categorie di
gare. La classificazione
ufficiale per gli sport
per disabili tiene conto
della disciplina, delle
sue varie specialità, del
tipo di disabilità; e ha
il fine di garantire una
competizione basata su
un livello omogeneo di
abilità tra i partecipanti.
«L’obiettivo è far
gareggiare persone dotate
della stessa abilità e non
della stessa disabilità»,
chiarisce De Piero, «la
categoria iniziale viene
stabilita dopo una
valutazione e può variare
nel tempo. In Friuli la
situazione è buona per
quanto riguarda il numero
di atleti, di medici e, in
generale, di persone
che contribuiscono
all’organizzazione degli
eventi sportivi».
Nelle Valli e delle Dolomiti
friulane sono ben presenti
alcune realtà che fanno
attività paralimpica, come
la Trivium, il Curling
Club Claut, il Maniago
Nuoto, tutte le società
di tiro con l’arco o la
bocciofila di Spilimbergo.
Si tratta di realtà che
hanno permesso a molti
atleti di competere ad
alto livello nelle rispettive
discipline, confermando
quanto questo territorio
sia florido per gli sportivi.
La nota dolente, però,
riguarda alcune delle
strutture sportive che
dovrebbero accogliere
questi atleti e farli
crescere. De Piero spiega
che «è in programma
la risistemazione del
palaghiaccio di Claut
perché nel 2023 ci
saranno i campionati
europei giovanili.
La pista d’atletica, il
poligono di tiro e il
palazzetto di Vajont
sono tenuti in pessime
condizioni, forse anche
per via della vicinanza
con il palazzetto di
Maniago. L’UTI dovrebbe
intervenire e sfruttare la
mappatura degli impianti
che ha fatto il CONI, con
tanto di valutazione degli
impianti».
Alcuni dei recenti
campioni sportivi e
alle nuove promesse
di domani sono nati
in questo territorio. È
il caso di Katia Aere,
campionessa di nuoto
della Federazione Italiana
di Nuoto Paralimpico che,
di recente, si è cimentata
con successo anche
nel paraciclismo con
l’handbike.
«Le strutture che
abbiamo qua sono molto
ricettive per le persone
diversamente abili.
La piscina di Maniago
è completamente
accessibile, stessa cosa
dicasi per la piscina
di Spilimbergo che è
inserita in un centro
sportivo a sua volta del
tutto accessibile. Per
alcune discipline, come il
nuoto, il nostro territorio
è invidiabile», spiega
Katia Aere, «per quanto
riguarda l’handbike le
cose si fanno più difficili,
in particolare per riuscire
ad allenarsi. Dobbiamo
essere obiettivi: siamo
ingombranti e a volte
poco visibili. Nella nostra
zona, però, ormai mi
conoscono in tanti e
quando mi vedono su
strada capiscono che
mi sto allenando e non
si arrabbiano se occupo
parte della carreggiata!
Mi alleno spessissimo,
sempre in compagnia
di un allenatore. Stiamo
lavorando dal punto di
vista fisico e mentale per
raggiungere un obiettivo:
le paralimpiadi di Tokyo
2020».
INTERVISTA
A CARLOTTA BERTOLI
CARLOTTA BERTOLI
Quest'estate si sono
tenuti i Mondiali
Paralimpici Giovanili
di Atletica a Nottwil,
in Svizzera. Mattatrice
assoluta è stata Carlotta
Bertoli, giovanissima
campionessa nata e
cresciuta a Maniago,
che ha vinto l'oro nei
400 metri (categoria
T11-T13) surclassando le
avversarie e completando
il percorso in 1'04".20.
Non solo. Bertoli si è
guadagnata anche la
medaglia d'argento nei
200 metri e, ancora, si è
aggiudicata la medaglia
di bronzo nel salto in
lungo, saltando per la
distanza di 4 metri e
25 centimetri. I suoi
successi hanno permesso
alla nazionale italiana
di tornare a casa con
un cospicuo bottino di
medaglie.
Le sue vittorie nascono
dalla tenacia e dalla
passione per l'atletica.
Come hai iniziato?
Alle superiori ho
partecipato alle fasi
regionali di atletica leggera
e, successivamente,
sono passata alla
fase nazionale. Per un
periodo mi sono allenata
a Spilimbergo e a
Nottwil 2019 - Argento nei 200metri -foto Mantovani
Maniago ha ospitato in varie
occasioni una tappa di coppa
del mondo, come parte
di un progetto unico
per arrivare all’evento finale
dei mondiali paralimpici
del 2018.
Pordenone. Tuttavia, mi
veniva difficile allenarmi
in una pista così distante
da casa, dato che dovevo
anche studiare. È stato
allora che ho iniziato
ad allenarmi sulla pista
di Vajont con un nuovo
allenatore. Ora abito a
Firenze, città in cui mi
sono trasferita per studiare
fisioterapia all'università
e sto cercando una nuova
realtà dove proseguire con
l'atletica.
Che opinione hai degli
impianti sportivi che si
possono trovare in queste
zone?
È ancora molto difficile
trovare un posto in cui
allenarsi. Quello di Vajont
è un campo vecchissimo
con una pista che sarebbe
da rifare. Un tempo era
rossa ma ora è di colore
nero, da quanto è usurata.
È dura come il cemento
e correre con le scarpe
chiodate è addirittura
doloroso. Per fare un
allenamento come si deve
mi era necessario andare
fino a Pordenone.
Si tratta di una vera
e propria carenza di
strutture?
Sì. A Spilimbergo c'è una
bella pista ma a Vajont le
strutture versano in uno
stato di semi abbandono.
Da questo punto di vista
siamo messi molto male ed
è un peccato, visto che gli
atleti e le atlete di queste
zone portano a casa molti
successi, nonostante il
contesto da cui partono.
32
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane 33
PREVENZIONE
TEMPORALI
IN MONTAGNA
di Gianluca Liva - redazione
Cosa fare e cosa evitare se ci si trova
nel bel mezzo di una tempesta ad alta
quota.
Un temporale
improvviso può mettere a
serio pericolo l'incolumità
di chi si trova in un
ambiente come quello
montano.
Nei mesi in cui i temporali
sono più frequenti - da
giugno a settembre - è
abbastanza comune
che al Corpo Nazionale
Soccorso Alpino e
Speleologico (CNSAS)
giungano le richieste di
aiuto di chi si è trovato,
suo malgrado, bloccato
in alta quota nel bel
mezzo di una tempesta.
Si tratta di una situazione
ad alto rischio, in cui i
fulmini rappresentano una
concreta minaccia.
Per questo motivo è bene
essere a conoscenza delle
norme di base da seguire
per limitare i rischi e
tornare a casa incolumi.
Cogliere e interpretare i
"segnali premonitori" di
un temporale in arrivo
permette di capire in
tempo che è il momento
di mettersi al riparo. Si
tratta di piccoli indizi che
diventano fondamentali
per raggiungere un posto
sicuro prima che si scateni
la tempesta.
ROBERTO SGOBARO
esperto capo stazione
del CNSAS-FVG
Qual è il primo consiglio
da dare?
Innanzitutto, parliamo
di prevenzione. Oltre
a evitare un'uscita in
montagna se le previsioni
indicano la possibilità di
un temporale, è anche
bene partire già premuniti.
È per questo che
consiglio di aggiungere
all'equipaggiamento una
mantellina, un sacco
da bivacco e indumenti
di ricambio che siano
idrorepellenti.
La visita medicosportiva
è necessaria?
Le visite sportive - in base
al decreto-legge 158/2012
- riguardano i tesserati e
le tesserate a federazioni
sportive nazionali.
Il decreto prevede che, in
base all’attività agonistica
o meno, su richiesta
del presidente della
società siano eseguiti
accertamenti medici
di varia natura. Il mio
consiglio, in ogni caso, è
di parlarne con il proprio
medico di fiducia prima di
intraprendere tali attività.
E quando siamo in mezzo
al temporale?
Nel caso in cui si venisse
colti da un temporale ci
sono alcune valutazioni
da fare. Se si è in
prossimità di una ferrata,
è necessario allontanarsi
velocemente. Allo stesso
modo, bisogna stare a
buona distanza da vette
o creste.
Se, invece, ci si trova
nel bel mezzo di una
arrampicata, vanno
riposti lontano tutti
gli oggetti metallici,
come i moschettoni, e
si cerca riparo lontano
dalle pareti, dalle rocce
appuntite e dagli alberi:
ci si siede rannicchiati
(mai distesi), riparati e si
aspetta.
Un errore che spesso si
commette, magari in
buona fede?
Bisogna evitare di entrare
in una grotta convinti
di essere al sicuro: un
fulmine percorre la parete
della montagna e può
anche addentrarsi nelle
cavità.
Quali sono i segnali
premonitori da saper
riconoscere?
Ci sono degli evidenti
segnali elettrostatici che
fanno presagire l'arrivo del
temporale. Si avverte uno
sfrigolio sulle dita, sul viso
o sui capelli. Se si provano
queste sensazioni, allora
la tempesta sta arrivando.
In più, si può capire a che
distanza è il temporale
contando il tempo, in
secondi, che passa tra
il bagliore del fulmine e
il tuono. Dividendo per
tre il numero di secondi
si ottiene la distanza in
chilometri a cui si trova la
tempesta.
Nel caso in cui la
tempesta non passi, come
ci si comporta?
In una situazione di vero
pericolo, il numero da
contattare è il 112. Spesso,
però, in montagna le
telefonate possono essere
difficoltose, per questo si
consiglia l'invio di un SMS
con la richiesta d'aiuto.
La Protezione Civile del Friuli
Venezia Giulia ha reso disponibile
gratuitamente l'APP 112 che
permette di chiamare il 112, inviando
automaticamente i tuoi dati di
localizzazione e le altre informazioni
che hai incluso nell'app.
Per saperne di più, visita il sito:
www.protezionecivile.fvg.it/it/app-112
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane 35
TIPICO
Se tu hai una mela, e io ho una mela,
e ce le scambiamo,
allora tu ed io abbiamo sempre una mela ciascuno.
Ma se tu hai un'idea, ed io ho un'idea,
e ce le scambiamo,
allora abbiamo entrambi due idee.
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Ale
Denis
Emma
Alessandro
Antonio
Samanta
Claudio
Manuel
Sono sempre più numerosi gli
appassionati che decidono di
cimentarsi nella produzione di birra
artigianale. Spesso creando ricette
originali, che utilizzano materie prime
del territorio e danno vita a bevande dal
gusto caratteristico e dai nomi fantasiosi.
Gli ingredienti
fondamentali della birra
sono pochi: acqua, orzo o
altri cereali, luppolo, lievito.
Cos’hanno quindi di diverso
questi prodotti da quelli
industriali? Innanzitutto,
la birra artigianale non è
pastorizzata né microfiltrata,
quindi si conserva per un
periodo di tempo più breve.
Inoltre, proviene da piccoli
birrifici indipendenti, che
non superano i 200.000
ettolitri di produzione
all’anno. Come il Birrificio
Maniago, avviato nel 2015
nell’omonima cittadina
pordenonese, che realizza
diverse tipologie di birre,
sia con marchio proprio
che per altre aziende prive
di impianti produttivi (beer
firm).
Fermentazione e
imbottigliamento: i
pionieri
Uno dei pionieri di
quest’attività in Friuli è
Domenico Francescon
di Cavasso
Nuovo, che ha
iniziato i primi
esperimenti
casalinghi negli
anni Ottanta
del secolo
STUDIARE DA MASTRI BIRRAI
La nostra regione è stata la prima, nel 1981, a
offrire un corso universitario di “Tecnologia
della birra”, attivo oggi presso il corso di
laurea in Scienze e Tecnologie alimentari
dell’Ateneo udinese. Gli studenti, oltre
alle lezioni teoriche, svolgono utilissime
esercitazioni pratiche nell’impianto
sperimentale di produzione della birra
realizzato dall’Università all’interno
dell’Azienda agraria A. Servadei
C’È PIÙ GUSTO
CON LE BIRRE
ARTIGIANALI
GIOVANNI FRANCESCON
«Non è facile arrivare al
consumatore finale perché molti
distributori guardano soltanto al
margine e non alla qualità della
birra»
Fotografie di malga Pian Pagnon: di F. Galifi,
tratte dal libro “Vivere in malga”
scorso, fino ad arrivare
all’apertura, nel 2008, del
birrificio “La birra di Meni”
molto conosciuto fuori
regione: il 90% delle loro
bottiglie va “oltreconfine”,
il 40% addirittura
in America.
Specializzato
nella produzione
di birre
aromatizzate,
ha vinto
numerosi premi
Coltivazione e
maltazione: la birra
agricola
Se oltre alle fasi di
fermentazione e
imbottigliamento, una
piccola azienda decide
di effettuare direttamente
anche quelle di
coltivazione e maltazione
dell’orzo, le cose si
complicano parecchio.
Ma si raggiunge quella
che è “l’ultima frontiera”
del mondo brassicolo, la
cosiddetta birra agricola,
definizione
introdotta nel
2010: prima di
allora, per la
legge italiana,
questa antica
con la ricetta al miele e
quella alle castagne.
La fase di vendita non è
l’unica a presentare qualche
criticità, legata anche al
prezzo più elevato delle craft
beers rispetto alle bevande
industriali: la
trasformazione
richiede
competenze
e investimenti
notevoli, che
crescono con
PATRIZIA MARESCUTTI
«Coltiviamo orzo biologico e
facciamo il malto in casa, così la
birra è bio dal seme al bicchiere»
WALTER MAGRIS
di Elena Tomat
l’aumentare delle fasi
di lavorazione seguite
internamente. Lo sa bene
Walter Magris, che a Usago
di Travesio ha creato la
birra Praforte puntando su
un impianto di produzione
tecnologicamente
avanzato,
annesso al
brew pub
Cooper’s.
«Il locale ci dà la remunerazione,
il resto ci dà le soddisfazioni
personali: è difficile trasmettere
i pregi di queste birre ai clienti»
bevanda era considerata
un prodotto industriale.
Da un punto di
vista produttivo la
trasformazione dell’orzo in
malto, per piccole quantità
di materia prima, è un
processo anti-economico,
la fa solo chi vuole avere il
controllo sull’intera filiera,
come Patrizia Marescutti,
conduttrice assieme
alle figlie dell’azienda
agricola “Sasso d’oro” di
Solimbergo di Sequals,
dove ha appena avviato
un microbirrificio
artigianale per
fornire i clienti
del proprio
agriturismo.
44
LE MICRO
E PICCOLE IMPRESE
DI PRODUZIONE
DELLA BIRRA IN FVG
LA MAGGIOR PARTE
È LOCALIZZATA IN
PROVINCIA DI UDINE,
CUI SEGUE QUELLA DI
PORDENONE. OLTRE
IL 70% DELLE AZIENDE
È NATO DAL 2010 AD
OGGI, CON UN PICCO DI
NUOVE APERTURE NEL
2014.
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane 37
TIPICO
ALE, PILS, LAGER,
STOUT, BLANCHE.
NON È UNA SEMPLICE
BIONDA
di Elena Tomat
Intervista a Federico Tomadon,
Biersommelier Doemens Academy
FEDERICO
TOMADON
Da dove nascono
le “ricette” delle
birre artigianali,
protagoniste oggi
di un vero e proprio
boom?
Le birre seguono uno
stile birraio. Ci sono
degli stili storici,
corrispondenti ai
Paesi che hanno reso
famosa questa bevanda:
Inghilterra, Belgio,
Germania e Repubblica
Ceca. La cosiddetta craft
revolution, ovvero la
grande riscoperta delle
birre artigianali, arriva
dall’America e ha portato
i mastri birrai a reinterpretare
i vecchi stili,
anche in Friuli Venezia
Giulia. Ma i luppoli
moderni non sono quelli
di cento anni fa: sono
molto caratterizzanti,
soprattutto nell’aroma,
quindi vanno a cambiare
i connotati degli stili
originari.
Le birre artigianali
hanno sapori e
profumazioni
particolari: come
ci si orienta per
accostarle ai cibi?
Proprio questa forte
caratterizzazione dei
luppoli rende difficile
stabilire un abbinamento
corretto a priori: le IPA,
ad esempio, le birre
ad alta fermentazione
appartenenti alla
famiglia delle “Pale
Ale”, non sono tutte
uguali. Per abbinarle è
fondamentale partire
dalle materie prime e dal
luppolo in particolare
per non generalizzare lo
stile.
Ci fa un esempio
concreto?
Molto interessante è
l’abbinamento della
birra artigianale con il
cioccolato. Preparazioni
a base di cacao almeno
al 75% possono essere
gustate assieme a
una Imperial Stout:
una birra nera, quasi
liquorosa, molto alcolica,
a tostatura forte. Il suo
grado alcolico elevato
deriva storicamente
dalla necessità di
essere trasportata
dall’Inghilterra alla
Russia, alla corte dello
zar, garantendone la
conservazione.
Da quale birra
artigianale consiglia
di iniziare per chi si
avvicina a questo
mondo per la prima
volta?
Dalle birre Pils a bassa
fermentazione, le più
difficili da fare. La
maggior parte dei birrai
italiani, infatti, fa birre
ad alta fermentazione
– le cosiddette “Ale” –,
riconoscibili dall’aroma
fruttato dato dal lievito.
Questo perché è più
facile lavorare il lievito
ad alte temperature che
far maturare la birra
a freddo – come nelle
cosiddette “Lager” – con
la conseguenza di essere
costretti a dotarsi di celle
apposite.
Volendo aggiornare
il classico binomio
pizza-birra, ci
può suggerire
un abbinamento
sfizioso?
La pizza è una palestra
perfetta per sperimentare
gli abbinamenti con le
birre artigianali a partire
dalle loro caratteristiche
in fatto di malto. Io vi
propongo la pizza con
gamberoni, prezzemolo e
una grattugiata di scorza
di arancia, abbinata a
una birra Blanche, della
scuola belga, fatta di
frumento e orzo. Oggi,
comunque, la birra è
sempre più una bevanda
da degustazione che sta
entrando anche nell’alta
ristorazione. La qualità
del prodotto finale è
sempre determinata
dall’uomo, quindi dalla
conoscenza: ogni
mastro birraio sa che
l’esperienza è la somma
degli errori, ovvero delle
cotte buttate via prima
di arrivare al risultato
desiderato.
38
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane
ESPLORANDO LE VALLI
ESPLORANDO LE VALLI
QUANDO
IL LAVORO
DIVENTA MUSEO
di Andrea Pegoraro
Chi percorre la Valcellina ha l’occasione
di scoprire le tradizioni e i vecchi
mestieri in tre piccoli spazi dedicati ai
lavoratori di un tempo e alla loro vita di
ogni giorno.
Riscoprire le tradizioni
e gli stili di vita attraverso
gli oggetti, ma anche gli
ambienti di lavoro, per
conoscere lo spirito di
sacrificio e la creatività
di alcune figure come
la donna valcellinese, il
fabbro e i produttori di
coltelli.
Piccoli musei che
preservano la memoria
dell’operosità delle genti
di questi paesi, dei ritmi
di vita di un tempo, delle
ritualità quotidiane.
MUSEO CASA CLAUTANA
La donna clautana e
valcellinese è la figura
centrale del Museo del
comune pedemontano.
Una donna impegnata
nei lavori di casa, dei
campi e della stalla ma
anche “fora pal mont”
(in giro per il mondo)
per vendere gli utensili
in legno che i nonni
avevano lavorato durante
l’inverno. Si chiamavano
le “sedonere”, ovvero le
venditrici ambulanti, e
portavano gli oggetti
(cucchiai, forchette,
mestoli) all’interno di una
cesta. Sedonere a cui si è
40
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane
ispirato lo scrittore friulano
Carlo Sgorlon in uno dei
suoi romanzi sulla vita
contadina della nostra
Regione.
La donna era infatti
fondamentale per la
sopravvivenza della
famiglia e dell’economia
del paese.
Bianca Borsatti, che
ha contribuito a fondare
il Museo della casa
clautana, racconta che nei
primi anni ’70 il parroco
Luigi Stefanutto aveva
allestito in oratorio una
mostra di oggetti vecchi
non più usati, che il
«È un museo didattico che parla
del lavoro e delle tradizioni.
La donna aveva un senso
dell’etica perché si occupava del
mantenimento della famiglia
e aveva una profonda fede
religiosa.»
BIANCA BORSATTI
sacerdote aveva raccolto
dagli abitanti del paese.
In un secondo momento
la collezione etnografica è
confluita nel museo che è
stato inaugurato nel 1987.
La prima stanza è la
camera da letto e riguarda
il ciclo della vita, ovvero
nascita, vita e morte:
la donna aveva una
devozione nei confronti
di questo spazio. Poi si
passa nella vera e propria
‘cjasa’, il luogo dove le
famiglie trascorrevano
molto tempo come la
cucina e il focolare, ma
le curiosità si possono
scoprire nell’ambiente
di lavoro, cioè lo spazio
dove la donna lavorava al
telaio, ma anche la lana
e le calze. Qui, infatti, tra i
vari oggetti si può notare
l’olio di scorpione che
veniva usato per curare
l’otite e delle fette di patate
gli utensili
del museo casa
clautana
adoperate per curare il
mal di gola.
Oltre al museo, è possibile
visitare la “Cjasa da fum”
che grazie all’odore del
fumo e alla luce del fuoco
fa rivivere le tradizioni
valcellinesi. Il tutto in
un’abitazione vecchia di
quattro secoli e uno dei
pochi esempi di antica
dimora clautana.
INFORMAZIONI
Sede: Piazza San Giorgio, 4
Claut (PN)
TELEFONO
0427 878078
Parco delle Dolomiti Friulane
ORARIO VISITE
Da Pasqua: domenica,
orario 14.00/17.00
Dal 1 Giugno al 24 Luglio:
sabati e le domeniche, orario
15.30/18.30
Dal 25 luglio al 30 Agosto:
tutti i giorni, orario 15.30/18.30
Dal 1 Settembre al 13 Settembre:
domenica, orario 15.30/18.30
MUSEO CIVILTÀ E ARTE CONTADINA - ANDREIS
Il Museo etnografico di
Andreis, inaugurato nel
1981, rappresenta, insieme
alla Bottega del Fabbro. la
testimonianza della civiltà
contadina nella prima metà
del XX secolo.
Tra i vari oggetti, occorre
citare le “craceles”,
le raganelle che
rimpiazzavano
il suono delle
campane
durante
il Triduo
pasquale.
Si tratta di
una tradizione
mantenuta ancora
MUSEO DELLE COLTELLERIE - MANIAGO
È un viaggio che conduce
il visitatore attraverso
lame di vario tipo, battiferri
anneriti, e lo porta a
vedere questi oggetti non
come oggetti pericolosi
ma come simbolo di una
tradizione che si tramanda
da generazioni. Il Museo
dell’Arte Fabbrile e delle
Coltellerie di Maniago
rappresenta ormai
un’istituzione culturale che
racconta passato, presente
e futuro delle lame.
La sua storia è legata
a quella del terremoto
ROBERTO DE ZORZI,
custode del Museo di Andreis
oggi il Venerdì santo. Una
volta venivano tirate sul
campanile, mentre adesso
vengono suonate a terra.
Un’altra particolarità è
la lavorazione dell’osso
per realizzare pettini,
tabacchiere che poi
venivano venduti. Non
meno importante il
legno che veniva
utilizzato per
produrre
cucchiai,
zoccoli
(palotes) e più
in generale
calzature e
oggetti domestici,
«Non è facile mantenere in vita
un museo in un piccolissimo
paese. Nonostante questo,
piace alla gente perché le
persone vengono con il
passaparola. C’è un bel giro di
scolaresche e in un anno ci sono
stati 2000 visitatori. Dovremmo
pubblicizzarlo ancora di più.»
che ha colpito la nostra
Regione nel 1976. Negli
anni successivi al terribile
disastro, un gruppo di
cittadini ha iniziato a
raccogliere macchinari,
oggetti d’uso comune
nelle officine e documenti,
proprio per non perdere
una parte importante
della storia della comunità
maniaghese. In realtà il
Museo nascerà solo molti
anni dopo e oggi è allestito
nella sede del Coricama,
ex fabbrica di coltelli che
ha dato lavoro a centinaia
ma anche le “scarpetes”, le
tipiche scarpette in stoffa.
“Non è stato facile
raccogliere il materiale -
racconta De Zorzi - perché
la gente era diffidente visto
che si trattava di oggetti
personali. Il Comune ha
rilasciato una ricevuta per
ogni oggetto e le persone
continuano a portare le loro
cose”.
Vicino al Museo, si trova la
Favria ovvero l’incantevole
La Favria
La sede del museo
di persone dal 1907 fino
alla sua chiusura nel 1972.
Il Museo racconta
l’evoluzione tecnologica
e storica dei coltelli: dal
1454, anno in cui sorgono
i primi battiferri si passa
al laboratorio domestico,
alle officine a conduzione
familiare fino allo sviluppo
industriale dei coltelli.
Dalla funzione alla forma
è la parte museale che si
trova al piano superiore.
Qui sono ospitate le
produzioni passate e
attuali del settore come
bottega del fabbro che è
stata donata da “Barba
Anzal” e recentemente
ristrutturata per riportarla
all’origine. Grazie a
un’ampia vetrata si può
ammirare il suo interno
dove emergono una grande
ruota con cinghia e pedale,
che veniva usata per filare e
un mantice, uno strumento
meccanico utilizzato per
produrre soffi d’aria.
lame da cucina, sportive,
per caccia, pesca,
strumenti per agricoltura,
edilizia e belle arti,
cavatappi, forbici di ogni
tipo, temperini, coltelli
a scatto, ferri chirurgici,
spade e armi da taglio
realizzate per il cinema.
Tutti questi oggetti sono
testimoni del continuo
rinnovarsi del tempo e
fanno capire come gli
artigiani maniaghesi
abbiano saputo esplorare
ogni aspetto del verbo
“tagliare”.
La
raganella
è uno
strumento formato
da una ruota montata
su un perno. Intorno
al perno è fissato un
telaio con una lamina
che emette un suono
stridulo, strisciando
contro i denti della
ruota.
INFORMAZIONI
Via Centrale
Andreis (PN)
TELEFONO
0427 76007
Comune di Andreis
servizi@comune.andreis.pn
SITO INTERNET
comune.andreis.pn.it
ORARIO VISITE
Normalmente su richiesta.
Per prenotazioni, telefonare al
Comune di Andreis
INFORMAZIONI
Sede: Via Maestri del Lavoro, 1
Maniago (PN)
TELEFONO
0427 709063
museocoltellerie@maniago.it
SITO INTERNET
museocoltellerie.maniago.it
ORARIO VISITE
Da lunedì a domenica 9.30/ 12.30
e 15.30/18.30
Martedì e mercoledì 9.30/12.30,
pomeriggio chiuso
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane 41
ENDEMISMI
GRIFONE,
VICINO DI CASA
di redazione
Le Prealpi sono il luogo di elezioni un
progetto di reintroduzione, che oramai
da 30 anni caratterizza i cieli tra le nostre
montagne.
CLAUZETTINO
E SANDRO
MARESCUTTI
Il tutto è nato da
un’intuizione di Fabio
Perco, a fine anni ’80,
che ha visto nel Friuli un
perfetto punto per riportare
il grifone nelle Alpi, specie
in passato nidificante e,
al tempo, scomparsa da
quasi un secolo.
CICLI
SHOPS - RENTALS - SERVICES
Official Dealer BIANCHI e TRANSITION BIKE, SERVICE & Bike World !!
A.S.D.
AURO
Corsi di MTB per bambini, giovani ed Adulti,
sempre seguiti da Maestri MTB della FCI
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Ne parliamo con Fulvio
Genero.
Quando è cominciata
quest’avventura?
FULVIO GENERO
Responsabile dei programmi di ricerca e di monitoraggio del grifone
Il progetto grifone ha
preso avvio nel 1988: sono
oltre 30 anni di lavoro.
I primi, circa 70 grifoni,
arrivarono dalla Spagna
che ci concesse questi
giovani scelti tra quelli
che i ricercatori spagnoli
avevano recuperato, per
esempio quelli caduti
anzitempo dal nido.
Erano giovani e immaturi,
così abbiamo cominciato
con l’ambientamento e la
creazione di un carnaio,
ossia un luogo per la loro
alimentazione. Nel 1992
sono avvenute le prime
liberazioni, confidando che
questi animali, se avessero
trovato le condizioni ideali
per stabilirsi, avremmo
creato nuovamente una
colonia nelle Prealpi.
Dopo 30 anni, possiamo
dire che la speranza si è
avverata.
Perché riportare il grifone
nelle Alpi?
Era un tassello che da circa
150 anni avevamo perduto
Fiume Tagliamento dal Monte Ragogna - Andrea Vendramin
nel ciclo ecologico, a causa
di caccia indiscriminata
e mutamenti nei sistemi
di allevamento. Negli
anni ’80, all’avvio del
progetto, in Italia era
completamente sparito,
tranne una piccola colonia
in Sardegna.
Sapevamo che in passato
c’erano state colonie
nidificanti, sia in Friuli
che in Slovenia, mentre
al tempo ammiravamo
il grifone, specie che
predilige luoghi temperati,
solo durante i sorvoli del
periodo estivo, senza
UNA PASQUA CON SORPRESA
Il 1° aprile 2018, giorno di Pasqua, è stata una giornata
davvero inusuale per Sandro Marescutti: per la prima
volta da oltre un secolo, un piccolo di grifone, poi
chiamato “Clauzettino”, è stato scorto tra i monti
nidificare. Così abbiamo
provato a riportarlo a
nidificare sulle Alpi,
contando sulla minor
altezza dei nostri monti,
sulle nevicate meno
abbondanti, sui letti dei
fiumi molto ampi che
creano correnti termiche
favorevoli al loro volo.
Oggi possiamo affermare
che grazie al progetto
Grifone è stato ripristinato
il tassello perduto.
Quante coppie ci sono in
regione?
Attualmente la colonia
conta circa 150 grifoni nel
periodo invernale e oltre
200 in quello primaverileestivo,
quando numerosi
individui arrivano dalla
Croazia e anche da altri
Paesi quali Francia,
di Clauzetto.
Era stato sempre Marescutti, amante della montagna e
gran camminatore, un paio di mesi prima a scoprire la
coppia di genitori in evidenti effusioni, proprio là dove
qualche tempo prima aveva visto volteggiare dei grifoni
attirati dalle carcasse di due pecore. Da quella Pasqua, il
primo nido è diventato colonia e già quest’anno altre 6
coppie hanno animato queste pareti rocciose.
Spagna, Bulgaria, Serbia.
Nel ‘96-‘97 abbiamo
registrato la presenza
dei primi nidi e oggi ci
sono circa 60 coppie
che nidificano nella
Valle del Tagliamento e
vallate laterali. Poi, novità
recente, 6 coppie si sono
stabilite anche nei monti
attorno a Clauzetto.
Questo fatto ci ha
sorpreso perché per 30
anni abbiamo assistito
a una sorta di barriera
invisibile lungo l’Arzino,
che portava questi
straordinari animali verso
nord, nei Tauri, e verso
est, verso sud ma nessuno
verso ovest. Almeno fino a
2 anni fa.
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane 43
VICINI DI CASA
AL FIANCO
DELL’UOMO
di redazione
via Cesare Battisti 2
Pordenone
[ ex WEEST ]
“...ho dei gusti semplicissimi,
mi accontento sempre del meglio”
Oscar Wilde
• colazione dolce e salata
• business lunch
• taglieri e cicchetti
• cena
• aperitivi
• wine bar
• cocktails
Vederlo volare ha uno strano fascino, così
lento, così alto, senza battiti d’ali. Eppure,
è stato oggetto di caccia spietata al punto da
averlo estinto dalla nostra regione.
Il grifone ha
volteggiato per secoli
sui cieli delle Alpi, anche
quelle orientali, e degli
Appennini in un rapporto
simbiotico con l’uomo,
con la pastorizia e con
l’allevamento allo stato
brado. Per secoli, questi
uccelli, un po’ come gli
altri rapaci, sono stati
rispettati e venerati,
inseriti negli stemmi quali
portatori di valori. Poi il
cambio di rotta, la caccia
spietata e il declino.
Certamente persecuzioni
o abbattimenti non
sono l’unica causa
della scomparsa di
quest’enorme uccello
dai nostri cieli, che
ha sofferto anche del
mutamento delle forme di
allevamento: gli animali
condotti all’interno delle
stalle, con l’obbligo di
incenerire le carcasse,
offrono poco cibo a
questi animali spazzini.
Il grifone, infatti, non
caccia ma è un animale
necrofago, si nutre cioè
di animali che trova già
morti.
Al fianco dell’uomo
La dieta del grifone è
strettamente legata alle
attività
umane.
Per
migliaia di
anni ha seguito
gli allevatori nelle
transumanze e ha adattato
la sua alimentazione alla
disponibilità di carcasse
che pastori e allevatori
lasciavano lungo il
cammino. Un rapporto
così stretto che tutt’ora,
difficilmente, un grifone si
alimenta esclusivamente
di animali selvatici, anche
se naturalmente integrano
la sua dieta.
In questo modo
quest’animale spazzino
svolge la sua funzione
ecologica, eliminando
le carogne, sempre con
maggiore efficienza di
qualsiasi mammifero,
poiché è capace di arrivare
in volo anche in luoghi
difficilmente accessibili.
Il volo planato
Il grifone non è un
predatore, ma per nutrirsi
attende l’incontro fortuito
con una carogna, una
tecnica che lo porta anche
a lunghi periodi di digiuno.
Legando la propria
sopravvivenza alla
casualità,
per
massimizzare
la possibilità di
trovare cibo ha
ridotto il dispendio
energetico con un
volo che sfrutta le correnti
termiche per percorrere
moltissimi chilometri.
Una tecnica che ne limita
le evoluzioni nello stretto.
Il grifone, infatti, ama i
grandi spazi e i prati, in cui
può decollare e atterrare
con facilità.
La vita in colonia
Questi avvoltoi sono
animali longevi,
abitudinari e sociali.
L'aspettativa di vita è di
circa 30-40 anni.
Percorrono moltissimi
chilometri ma
frequentano sempre gli
stessi luoghi e amano
farlo “in compagnia”,
nidificando in colonia.
I piccoli diventano
sessualmente maturi
verso 4-6 anni, ma sono
pochi quelli che arrivano
a spiccare il volo: appena
il 50-60%.
Specializzate per non
competere
Le diverse specie di
avvoltoi hanno trovato
un sistema per convivere:
la specializzazione
nell’alimentazione. Tra
le 23 specie di avvoltoi,
troviamo il gipeto, che è
capace di nutrirsi delle
ossa, il capovaccaio
col suo becco sottile
mangia la carne nei
punti inaccessibili agli
altri, l’avvoltoio monaco
si nutre con le parti più
consistenti o dure, e così
via. Ecco che dalla stessa
carogna, tutti possono
trovare un pasto.
Dal centro visite
della Riserva, gestita
dall’amministrazione
comunale di Forgaria
nel Friuli, partono vari
itinerari e vengono
forniti strumenti di
interpretazione e
informazioni relativi ai
vari aspetti del territorio
e alle attività in atto.
La gran parte delle
iniziative si collega
al Progetto Grifone,
che rappresenta uno
dei fattori di maggior
interesse dell’area
protetta.
50%
DELLE SPECIE
SONO A RISCHIO
ESTINZIONE
Fino a pochi anni fa
erano molto comuni, con
un totale di 23 specie,
in Africa, Asia, Europa
meridionale e americhe.
Poi diversi fattori, ma
soprattutto le minacce
legate alle attività umane,
hanno messo a rischio la
maggioranza delle specie
che stanno rapidamente
scomparendo da aree
sempre più vaste.
Oggi il 50% sono a
rischio di estinzione e,
paradossalmente, le
condizioni migliori si
riscontrano in Europa
grazie a metodi di
conservazione che stanno
portando a buoni risultati.
Grifone in volo (Friuli)
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane 45
IN MONTAGNA
CIAURLÈC,
SGUARDO VERSO
LA PIANURA
2
SECONDA TAPPA: DA MALGA VALINIS
VERSO IL CIAURLÈC
Dalla Casera ci si dirige
a est, attraversando
l’altopiano ondulato
sul quale sono visibili
fenomeni di carsismo
rappresentati da doline,
inghiottitoi, campi solcati
e voragini (cèvole).
Dopo aver aggirato una
recinzione il sentiero si
sposta a destra e comincia
a salire fino a raggiungere
la sella presso il dosso
Paladin. La strada si fa via
via meno ripida salendo
fino alle praterie sommitali
che caratterizzano questo
monte.
La cima più alta, che
si raggiunge in circa
un’ora dalla casera
Valinis, è circondata da
lame rocciose e si nota
per un semplice ometto
che segna la sommità,
da qui lo sguardo si
può allungare fino al
Tagliamento.
di Roberto Prinzivalli, Amministratore di I love Friuli
Quota massima:
1.145 mt SLM
Dislivello:
1000 mt
Sviluppo:
15 km
Difficoltà:
Periodo:
Tutto l'anno
È
il monte che introduce
alle Prealpi, colosso che
fa da limite tra la pianura
e le vette. Non spicca per
altezza o difficoltà, ma resta
una montagna amata e
frequentata. Una montagna
viva e accessibile.
VALINIS
1
CIAURLEC
2
3
SECONDA TAPPA:
CASERA DAVASS E GIÙ FINO A TOPPO
Con un giro facile
e alla portata di tutti è
possibile abbracciare con
lo sguardo l’intera pianura
che offre lo spettacolo dei
greti del Meduna e del
Tagliamento.
Non è l’altezza della vetta,
piuttosto modesta, che
dà l’emozione, quanto
l’enorme apertura del
panorama che, nelle
giornate terse, arriva
facilmente fino al mare.
Oggi quindi si sale
(facilmente) sulla porta
della Prealpi, verso il
monte Ciaurlèc con un
percorso che parte da
Sottomonte di Meduno
(290 m), passando per
Malga Valinis (967 m),
raggiungendo la cima
(1148 m), e scendendo
per casera Davass per
poi raggiungere Toppo di
Travesio (250 m).
46
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane
Il versante meridionale
è coperto da prati
intercalati da boschetti di
ontano, acero e betulla; il
versante settentrionale,
che risulta più freddo,
è ricoperto da bosco a
prevalenza di faggio.
Attenzione, non essendo
un anello servono due
auto, anche se le località
sono abbastanza vicine.
1
SOTTOMONTE
4
TOPPO
CASERA
DAVASS
PRIMA TAPPA:
DA SOTTOMONTE DI MEDUNO A MALGA VALINIS
Raggiunto l'abitato di
Meduno, ci si dirige verso
il borgo di Sottomonte e
nei pressi del campanile, si
può parcheggiare e iniziare
l’escursione (segnavia CAI
819) con un facile percorso
che porta verso Borgo Cilia,
da qui il sentiero piega
verso destra attraversando
uno dei molti rii, anche
se quasi sempre in secca.
Dopo poco il sentiero
comincia a salire verso la
vetta fino a raggiungere
una piccola cengia che
affaccia sulla pianura,
offrendo lo spettacolo della
tessitura dei campi coltivati.
Giunti in vista del ripetitore,
il sentiero svolta a destra
e si può facilmente
raggiungere il riparo
di Malga Valinis. Dopo
3
poco meno di due ore
di camminata ci si può
ristorare un po’, magari
godendo della compagnia
degli appassionati di volo a
vela che qui animano con
colori sgargianti il pianoro
prima di lanciarsi nel vuoto.
Del grande pianoro
del M. Ciaurlèc, sul
bordo meridionale si
raggiunge il ricovero
Casera Davass (m. 891),
Casera Davass
ristrutturata da volontari
del CAI di Spilimbergo,
che ci introduce a un
eccezionale punto
panoramico su tutta
la pianura friulana
che, nelle giornate più
limpide, lascia che lo
sguardo raggiunga il
mare: la cima del Monte
Davass (m. 947).
Comincia poi la discesa
verso Casera Tamer
bassa (m. 586), che
sorge su un piccolo
pianoro boscato e
poco oltre l’omonima
fontana Tamer, da qui la
camminata prosegue per
circa un’ora percorrendo
un’evidente mulattiera
dal fondo lastricato, in
cui sono evidenti i segni
delle slitte utilizzate in
passato per il trasporto
di legname, fieno ed altre
merci, da e per le casere.
Poco prima di concludere
l’escursione, con breve
deviazione si potranno
visitare i resti del castello
di Toppo, di cui abbiamo
parlato nel numero di
giugno dell’Eco delle
Valli.
Finita la visita, pochi
passi e si ritorna in paese,
nell’abitato di Toppo,
tra case e abitanti che
in fondo non abbiamo
mai abbandonato in
quest’escursione su un
monte che è (era?) parte
integrante della vita
quotidiana di queste parti.
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane 47
ESPLORAZIONI
SGUARDI
PERIODICI
suggestioni di Giuliano Boraso
Niente libri, ma riviste che dalla nostra
terra lanciano occhiate ai mondi che ci
circondano.
FRUTE
INUTILE
Frute è una rivista
autoprodotta che si
occupa di femminismo
intersezionale, confini
del genere sessuale,
relazioni, prevenzione della
discriminazione, sessualità
e tanto altro, intorno ai
temi centrali delle pari
opportunità di genere e
dell’attivismo.
Tre finora i numeri in
catalogo. Tra i contenuti
dell’ultimo - “Corpo,
identità e pratiche di
resistenza femminile” - un
ritratto di Giulia Iacolutti
con il suo progetto
fotografico Casa Azul
(indagine socio-visiva
sulle storie di cinque donne
trans imprigionate in un
penitenziario maschile in
Messico) e un’intervista a
Marta Cuscunà, attrice,
ERODOTO 108
Viaggi luoghi
persone
regista e drammaturga che
fonda l’indagine storica e
antropologica per narrare
le resistenze femminili.
Per info:
https://frute.bigcartel.com
Rivista letteraria fondata
nel 2005, inutile nasce
con lo scopo di fare cultura
in maniera semplice,
all’opposto della cattedra,
lontano dall’illuminazione
forzata e salvifica che
ancora oggi caratterizza
certi salotti letterari. E
di farlo con serietà e
con il massimo della
professionalità che un
passatempo permette.
Inutile si occupa di
narrativa internazionale e
ogni settimana pubblica on
line un racconto, di autori
italiani o stranieri.
Dal 2016, inoltre, è
affiancata da una rivista
di tecnologia e cultura in
lingua inglese, No Rocket
Science, e da una rivista
dedicata agli anni 2000,
Effemeridi.
Per info:
http://rivista.inutile.eu
M.O.L.L.A.
MAGAZINE
ONNIVORO
DI LAPIS E
LINGUACCE
ARGUTE
Online dal 2011, Erodoto108
– magazine di viaggi, luoghi
e persone –è disponibile
anche in versione cartacea,
grazie alla collaborazione
tra l’associazione Gli amici
di Erodoto, proprietari della
testata, e l’editore Bottega
Errante.
Il numero 25, uscito a
novembre, è incentrato sul
Dossier dedicato all’India,
con reportage fotografici dal
Briji Festival in Rajasthan
e dal Gange, il viaggio
di Pasolini nell’India
del 1961 raccontato da
Susanna Cressati, il popolo
dei Parsi fotografato da
Majlemd Bramo, la storia
di un indiano di Firenze
raccontata da Paolo Ciampi,
e quella di William Pearson,
segretario di Tagore, morto
misteriosamente a Pistoia
e qui sepolto, narrata da
Francesca Cecconi.
Per info:
www.erodoto108.com
M.O.L.L.A. è il primo
giornalino pensato per
quei bambini dai sette
agli undici anni carichi
come molle che vogliono
curiosare il mondo attorno
a sé.
Ogni numero è incentrato
su un tema, interpretato
nei vari linguaggi della
scrittura, dell’illustrazione,
della grafica e del gioco.
Dopo la “città” e il
“futuro”, l’ultimo numero
della rivista attraversa
la “frontiera” con un
approfondimento sulle
lingue minoritarie e
tanti altri contenuti che
sarebbero molto utili
anche a qualche adulto.
“Come nascono i confini?
Oltre a quelli geografici
ne esistono altri, magari
interiori? Abbiamo preso
un biglietto immaginario
e siamo partiti per un
viaggio. Il modo migliore
di… superare le frontiere!”.
La rivista è pubblicata
dall’Associazione BEKKO
di Udine.
Per info:
http://magazineonnivoro.
blogspot.com
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane 49
GITA D’ISTRUZIONE
GITA D'ISTRUZIONE
SEL’ACQUA
SCORRE
IN SU
di Manuel Bertin
Un progetto di
storia locale, la
costruzione della roggia
di San Leonardo, diventa
l’occasione per scoprire
nuovi strumenti didattici,
dall’albo illustrato al
videogioco
La storia, a San
Leonardo e Montereale,
è piuttosto conosciuta:
nella prima metà del
‘800 Antonio Dell'Angelo,
detto il Pellegrin, si ostina
a voler portare l’acqua
in paese e dopo 27 mesi
di lavoro realizza il suo
sogno.
In realtà, perché gli
abitanti di San Leonardo
ben sapevano di trovarsi
più in alto rispetto al
greto del Cellina e quindi,
per giungere in paese,
l’acqua avrebbe dovuto
scorrere verso l’alto.
D’altro canto, le fonti di
approvvigionamento
erano lontane e l’unica
acqua disponibile in
paese era quella piovana,
raccolta in una vasca,
GIULIA BIER
Illustratrice
Da dove si parte per
realizzare un albo
illustrato?
Avevo già disegnato
una sceneggiatura, poi
coi ragazzi abbiamo
cominciato lo studio dei
personaggi, abbiamo
fatto le ricerche storiche
su abiti, acconciature,
che era l’ambiente ideale
per il diffondersi di
epidemie.
Ma il Pellegrin aveva
capito che l’acqua poteva
essere captata a monte,
perché tra Montereale
e San Leonardo ci
sono circa 100 metri
di dislivello e quindi lo
scavo avrebbe “solo”
dovuto far attenzione
a rispettare la giusta
pendenza. Qui comincia
una storia che dura
oltre due anni, dal 1835
al 1837, per realizzare
una roggia lunga circa
2 km capace di portare
l’acqua corrente ai propri
concittadini.
soluzioni architettoniche,
sull’ambiente che
caratterizza i luoghi della
storia.
Perché hai scelto il
collage, anziché il
disegno
I vantaggi di questa
tecnica sono più d’uno. Il
primo è che non si creano
troppe differenze tra chi è
più capace e chi e meno
portato per il disegno. Il
secondo è che consente il
lavoro per gruppi, quindi
si lavora in team. Il terzo è
che il collage, a differenza
del disegno, consente di
fare prove, di comparare
I.C. “David Maria Turoldo”
Scuola Primaria di Montereale Valcellina
Il Roiello
Ma lui, testardo,
il primo agosto 1835
iniziò a scavare.
Uno sforzo
incredibile.
BzzzzZ
soluzioni fino ad arrivare
al risultato desiderato.
Infine, non da meno, è più
facile creare la profondità
rispetto al disegno. In
questo modo il risultato
Il fruscio del vento...
finale è esteticamente
più interessante, lo
percepiscono anche i
ragazzi che sono più
motivati a lavorare e
impegnarsi.
PUM
... il ronzio degli insetti...
Ho visto le piante, nei
vostri fondali …
flap
flap
Sì, questa tecnica ci ha
consentito di integrare
lo studio sulle piante che
... il canto
degli uccelli...
CIP
CIP
MARCO ANGELI
formatore, progettista di siti
web ed esperto di didattica
digitale
Che programmi hai
usato?
Abbiamo utilizzato una
versione opensource
di Minecraft, chiamata
MineTest. Minecraft è
uno dei videogiochi più
conosciuti e di successo.
A noi è servito perché
consente di creare
dei mondi virtuali in
tre dimensioni: puoi
costruire case, strade,
oggetti.
Come l’hai applicato alla
storia del Pellegrin?
Abbiamo realizzato la
roggia, anche se nel
progetto non abbiamo
chiesto un’assoluta
aderenza storica né il
rispetto del tracciato. I
ragazzi potevano creare
la loro roggia personale.
... i colpi
del piccone...
cip
PUM
cip
crescono nei luoghi della
storia fino a inserirle
nell’albo. Abbiamo fatto
delle uscite, raccolto erbe
che poi abbiamo essiccato
e infine le abbiamo
Creatività sì, ma con
dei vincoli: ricordiamoci
che nel videogioco vige
la nostra fisica quindi
l’acqua scorre solo se la
pendenza è corretta.
È facile lavorare con i
nativi digitali?
I ragazzi sono molto
bravi a utilizzare i
dispositivi elettronici,
ma in realtà sono molto
passivi e li godono
solo come fossero dei
televisori evoluti.
Passano molto tempo
davanti a un pc o un
tablet ma solo per
stare su un social o
un sito web, senza
immaginare di avere
le potenzialità per
realizzare, modificare,
trasformare i programmi
che utilizzano.
Con questo progetto
li abbiamo stimolati
allo sviluppo del
cosiddetto “pensiero
computazionale”: hanno
imparato a scrivere
piccole stringhe di
codice, ossia le istruzioni,
per far fare al programma
quello che avevano in
testa.
Bzz
... e il mio
scorrere...
squit
stampate inserendole nei
fondali. In questo modo
l’albo è più ricco, piacevole
a vedersi e racchiude
anche un pezzetto dello
studio fatto a scuola.
Antonio Dell’Angelo detto ‘Pellegrin’ - Minetest (alcuni elaborati)
... diventarono
la tua sola
compagnia.
PUM
Istituto
Comprensivo
D.M. Turoldo
Montereale
Valcellina
ERIK MONTAGNER,
insegnante IC “Turoldo”
Perché abbinare attorno
a un unico tema due
tecniche, videogame e
collage, così
diverse?
Volevamo lavorare con le
classi III, IV e V elementare
sulla storia locale e la
scelta della
scuola è stata di
focalizzare due strumenti
diversi attorno al
medesimo racconto,
affinché
uno strumento rinforzasse
i contenuti appresi con
l’altra modalità.
Che risultati offre
l’impiego del collage?
È una tecnica che
consente a tutti di lavorare,
nessuno escluso. Inoltre,
i ragazzi sono impegnati
lungo tutto il percorso,
perché l’impegno non è
limitato alla singola tavola
assegnata, ma si lavora
su più tavole: è ideale per
approfondire una storia
dall’inizio alla fine. Infine,
si è visto che i ragazzi
hanno avuto una grande
partecipazione emotiva,
segnale molto positivo per
l’apprendimento.
Che contributo ha dato
la simulazione del
videogioco?
L’obiettivo generale era
insegnare ai ragazzi un
uso più consapevole del
computer. Volevamo
che fossero coscienti di
essere parte attiva di
questa realtà virtuale che
integra le loro vite, che
possono personalizzare per
sfruttarla a loro beneficio.
Parlando del progetto,
invece, hanno dovuto
applicare semplici principi
di fisica, come la gravità,
e quindi è stato un modo
interessante per farli
apprendere.
Il progetto
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50
L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane
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L’eco delle valli
e delle Dolomiti Friulane 53
CUCÙ: CURIOSITÀ E CULTURE
FRIULI
DEMONIACO
Illustrazione: Eva Di Silvestro
In passato, se si era
posseduti dal demonio,
non c’era altra cosa
da fare che recarsi a
Clauzetto, nella chiesa di
San Giacomo.
Lì c’era un prete che
fungeva anche da
esorcista e, una volta
all’anno, svolgeva la
messa del perdon,
con cui era concessa
l’indulgenza plenaria.
Questa “specializzazione”
nell’esorcismo e nel
perdono deriva dal fatto
che dal 1755 a Clauzetto
viene conservata una
reliquia con il sangue del
Cristo. Il potere di questo
simbolo materiale della
cristianità fece sì che a
Clauzetto, per quasi due
secoli, accorsero folle di
fedeli e di indemoniati –
gli spiritats - bisognosi
di essere liberati.
Questa tradizione
proseguì fino a metà
del secolo scorso,
per poi spegnersi
definitivamente.
UNA BURLA
CONTADINA
Nei vari momenti di
vita contadina, in
particolare quelle legate
alla produzione di cibo,
c’era sempre spazio per
le burle. Una di queste,
piuttosto frequente, era
rivolta ai più giovani:
bimbi innocenti che
sarebbero poi stati presi
in giro (bonariamente)
per giorni.
Quando si procedeva con
la cagliata serviva, per
esempio un ingrediente
fondamentale, che
il casaro sbadato
scordava. Il giovane
fanciullo era così
investito dell’importante
missione di recuperare
la “misura del cali”
presso una famiglia
donatrice. Chi apriva
la porta e sentiva la
richiesta mangiava
immediatamente
la foglia e, spesso,
rincarava la burla.
Lo stesso avveniva
durante la purcitada,
in cui a mancare era
usualmente la misura
per fare i salami,
fondamentale per far
sì che tutti avessero
stessa dimensione.
In questo caso, al
giovane capitava di
tornare a casa con un
preziosissimo elastico.
Sono cambiate le
abitudini e difficilmente
si assiste alla produzione
in casa e in modo
comunitario di salumi
e formaggi, ma ancora
oggi, chi si mostra curioso
e si presenta in luoghi
che non gli competono,
viene apostrofato con:
“Sei venuto a prendere la
misura del cali?”
LE VEDOVE
BIANCHE
DEL FRIULI
Il Friuli è storicamente
una terra di emigrazione.
Nel corso dei secoli
centinaia di migliaia
di uomini sono partiti
per una miriade di
destinazioni, dalle
Americhe all’Asia. È
noto che il motivo di
una tale diaspora era
la ricerca del lavoro, di
nuove opportunità e,
in generale, di una vita
migliore.
È ancora poco noto,
invece, il fenomeno
delle “vedove bianche”,
tutte quelle donne che,
rimaste a casa, si sono
ritrovate sole a far
crescere i figli mentre,
dall’altro capo del
mondo, i mariti facevano
perdere le proprie tracce
e si costruivano una
nuova vita.
A tutte loro è dedicata
la sezione del Museo
dell’Emigrazione di
Cavasso Nuovo.
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Gli orari di apertura sono i seguenti:
Lunedì - Venerdì | ore 8.00 - 18.30
e Sabato | ore 8.30 - 12.30