Rivista Aprile 2020
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La Toscana nuova - Anno 3 - Numero 4 - Aprile 2020 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 2. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074
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Sommario aprile 2020
I quadri del mese
Vincenzo Cirillo, Migrante, olio su tela, cm 50x70
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Cinzia Pistolesi: la pittura come pellegrinaggio interiore
Villa Bellavista a Buggiano, capolavoro del barocco fiorentino
Un ricordo di Luca Alinari ad un anno dalla scomparsa
Le opere tridimensionali dello scultore Gabriel Diana
Intervista a Dimitri Milopulos, direttore del Teatro della Limonaia
Il Don Giovanni in salsa toscana dell’attore Alessandro Calonaci
Alfredo Bianchini, indimenticato interprete del tabarin
Benessere della persona: come scegliere il sapone per le mani
L’universo plastico di Mimma Di Stefano
Mito e storia nelle terracotte di Stefania Maffei
I 70 anni di attività della Pasticceria Nencioni
La voce dei poeti: le liriche di Maria D’Ippolito
Gino Carosella: immagini di Firenze ai tempi del Coronavirus
Hong Kong “teatro vivente” negli scatti di Fan Ho
Psicologia oggi: le ricadute psicologiche del Covid-19
Stefano Grifoni, medico in trincea contro il Coronavirus
Paolo Vannini, sperimentatore tra figurazione e astrattismo
Solitudine e disincanto nel romanzo I fracassati di Alessandro Bini
Ascolta l’infinito: l’esordio letterario di Luca De Vincentis
Il ciclo pittorico di Giovanni Boldini a Villa La Falconiera
Lu.C.C.A., il museo - laboratorio nel centro storico di Lucca
Le cosmologie tra arte e scienza di JD Doria
Vernon Lee, la scrittrice inglese innamorata di Firenze
Boyhood: il film esperimento di Richard Linklater
Rosy Carletti, fotografa di dissolvenze e metamorfosi
Krzysztof Konopka a Montecatini Terme per un’asta internazionale
I dipinti di Karin Monschauer ad Abu Dhabi e Singapore
I bassorilievi di Michael Henry Ferrell all’asta di Fabiani Arte
Alla Galleria Mentana,“Firenze sogna” con la mostra dell’AELA
Il super tifoso viola: Leonardo Semplici, allenatore e fiorentino doc
La Quaresima, tempo di rinascita spirituale
Corsi e ricorsi storici: la peste nera del Trecento
La collettiva per i 60 anni del Circolo Amatori Arti Figurative
Chianti Classico: il mito del gallo nero si rinnova
L’avvocato risponde: il marchio a tutela delle aziende storiche
Vo per botteghe Web, l’iniziativa a sostegno delle PMI italiane
B&B Hotels Road Trip: a Modena, città della Ghirlandina
L’aperigrappa, un aperitivo insolito
Arte e Gusto: un tris di sensazioni olfattive tutto da scoprire
#iorestoacasa: l’appello di artisti e musei per la lotta al virus
Mauro Maris, Risveglio di primavera nelle crete senesi,
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La Toscana nuova - Anno 3 - Numero 4 - Aprile 2020 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 2. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074
In copertina:
Cinzia Pistolesi, Lo specchio e la
maschera, acrilico su tela
Periodico di attualità, arte e cultura
La Nuova Toscana Edizioni
di Fabrizio Borghini
Viale F. Redi 75 - 50144 Firenze
Tel. 333 3196324
lanuovatoscanaedizioni@gmail.com
lanuovatoscanaedizioni@pec.it
Registrazione Tribunale di Firenze
n. 6072 del 12-01-2018
Iscriz. Roc. n. 30907 del 30-01-2018
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Anno 3 - Numero 4
Aprile 2020
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La Toscana nuova - Periodico di attualità,
arte e cultura
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Testi:
Laura Belli
Paolo Bini
Margherita Blonska Ciardi
Doretta Boretti
Lorenzo Borghini
Fabrizio Borghini
Erika Bresci
Viktorija Carkina
Jacopo Chiostri
Nicola Crisci
Maria Grazia Dainelli
Massimo De Francesco
Maria D’Ippolito
Aldo Fittante
Giuseppe Fricelli
Serena Gelli
Stefano Grifoni
Paolo Grigò
Anna La Donna
Stefania Macrì
Elisabetta Mereu
Emanuela Muriana
Lucia Petraroli
Elena Maria Petrini
Antonio Pieri
Daniela Pronestì
Valter Quagliarotti
Silvia Ranzi
Lucia Raveggi
Sonia Salsi
Silvano Salvadori
Barbara Santoro
Gaia Simonetti
Rita Tambone
Andrea Vignozzi
Francesca Vivaldi
Foto:
Margherita Blonska Ciardi
Rosy Carletti
Gino Carosella
Chiara Daniele
Enrico Gallina
Francesca Gheri
Fan Ho
Alessandro Martignoni
Maurizio Mattei
Caterina Mori
Elena Maria Petrini
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In questo triste momento di
SOSPENSIONE
di ogni nostra attività
per il Coronavirus,
nello sfogliare il libro
dedicato dal grande fotografo
MICHAEL DOSTER
alla madre dell'amico Marzio
prematuramente scomparso,
cerchiamo la
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di poter, al più presto,
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Ritratti
d’artista
Cinzia Pistolesi
La pittura come pellegrinaggio interiore verso la
completezza dell’anima
di Sonia Salsi
Tante esperienze nel mondo dei
colori degli atelier della moda,
tante letture e studi nei più vari
campi della cultura, dalla filosofia alle
scienze, ed ecco che, all'improvviso,
tutta questa ricchezza interiore è esplosa
in raffigurazioni volte, già dal loro inizio,
all'incontro tra figura e astrazione,
prime testimonianze di creativa espansione,
di creativa “immersione” nell'arte.
Da questo iniziale nucleo, continuano
ad estendersi tanti cerchi concentrici, in
una continua ricerca di “figurazioni”, di
materiali, di strumenti, in un’espansione
pluridirezionale volta alla sintesi, in un
originalissimo percorso che Cinzia stessa
ci racconta.
Cos’è per te il colore?
«E' magia: un pentagramma musicale è
la tela, un messaggio da altre realtà che
ci parlano di quiete, silenzio, di compassione
e gioia».
Emozione e ragione, due aspetti di una
medesima realtà che l'arte riunifica in un
principio unitario. I “cerchi” travalicano
verso una dimensione che non si accontenta
di una sorta di “geometria piana”,
ma si espande in una spirale avvolgente,
in uno spazio che non è più tridimensionale
e si apre al concetto di tempo.
Dove ti conduce la tua ricerca?
«A capire il perché del tempo e dello spa-
zio attraverso un pellegrinaggio interiore
verso la completezza dell'anima».
Ecco la più profonda motivazione dell'artista:
la ricerca e l'incontro con “anima”,
principio unitario che unisce l’infinitamente
grande all’infinitamente piccolo
e motiva e giustifica l'esistente tutto, in
una dimensione olistica fra arte, scienza,
vita.
Come s’intersecano, nel tuo mondo
interiore, queste dimensioni così poco
“frequentate” dalla contemporaneità,
volta all'apparire piuttosto che
all'essere?
«L’emozione è un veicolo di esplorazio-
Alter Ego
Vasi comunicanti
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CINZIA PISTOLESI
ne nei confini animici, e l'arte,
intesa in tal senso, riscatta la
natura umana dalla sua condizione
materiale».
Con sempre maggiore intensità
si addentra in questa
esplorazione senza confini, in
cui sempre più si sperimenta
nell'approfondire i caratteri,
il “segno” del suo linguaggio:
suo e inconfondibile è il modo
di tracciare curve leggere a delimitare
ipotesi di volti, suo è il
“dialogo” dei colori, il loro incontro
che si espande in nebulose
o è circoscritto fra segni
minimali, ognuno dei quali è
un mondo d’immagini, di microfigure,
separate e distinte
ma complementari l'una all'altra.
Il suo è uno stile non ricon-
Epifania
ducibile a scuole e correnti artistiche
specifiche: uno stile che è un unicum
cromatico, materico, concettuale.
Cos'è, dunque, “arte” in questo percorso
così complesso e difficile?
«E' l'autopercezione della creatura vivente,
proiettata all'infinito da anima
che è la fonte del sapere assoluto. Il
concetto del sé si esprime attraverso la
forma».
Arte come impegno assoluto, ricerca
che ogni volta ti pone di fronte a te
stessa?
«Mi percepisco come una funambula in
equilibrio fra due dimensioni opposte;
sotto di me è il vuoto, è nel vuoto che io
lavoro, non mi sento protagonista ma
esecutrice. Ho imparato a mettere a tacere
l'ego, la dimensione materiale, e a
dar voce all'anima».
Una concezione dell'arte che non si
esaurisce nella dimensione estetica, ma
coinvolge unitariamente l'etica, e crea
un “ponte” fra i saperi: arte e vita s’incontrano
in un principio unitario, così
come la scienza ricerca il principio unitario
che spieghi tutti gli aspetti della realtà,
studiati dai vari settori della scienza
stessa. Non a caso ha dedicato alcune
sue opere alla quantistica, alla “frontiera”
che ha superato la fisica classica per
addentrarsi ancora più in profondità in
quello “spazio” in cui materia ed energia
s’incontrano, interagiscono, si confondono.
Così come il “campo morfico”
di cui sperimenta alcune “figurazioni”,
è il luogo dell'empatia, dell'incontro,
dell'identificazione con l'altro, in una
percezione diretta che mette in pratica
ciò che per la scienza resta a livello
di teoria dei campi quantistici. Ancora
una volta, gli “opposti” non sono tali,
le separatezze non sono tali, gli individui
non sono monadi isolate in quel
“campo” di percezioni che costituisce la
memoria collettiva, sottesa ad ogni incontro,
ad ogni relazione. Le sue opere,
così impegnative nella loro genesi e
così coinvolgenti nella loro realtà “effettuale”,
richiedono, a coronamento del
loro significato più profondo, l'impegno
di un visitatore che non si trinceri dietro
generiche categorie di apprezzamento
estetico, ma sia disponibile a mettere in
discussione le sue certezze, le sue difese,
le barriere, scenda dentro se stesso.
Come per tutta l'arte contemporanea, il
pubblico è chiamato ad interagire con
l'opera, a coronarne il senso; tanto più
ciò è fondamentale nell'arte, così permeata
dall'introspezione, dalla ricerca
della libertà.
Anima in divenire
Qual è il rapporto tra la libertà nell'arte
e la libertà nella tua ricerca culturale?
«La prima caratteristica della connessione
animica è la ricerca della libertà,
non come trasgressione delle regole
sociali, comunque condizionanti, ma
soprattutto come ricerca di una dimensione
propria in cui l'anima è regista incondizionata
della realtà».
Nella profondità di se stessi, nella connessione
con tutto l'esistente sta, dunque,
il significato dell'arte, veicolo di
comprensione e di compassione, in
senso etimologico.
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Cinzia Pistolesi
CINZIA PISTOLESI
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I maestri dell'
architettura
A cura di
Margherita Blonska Ciardi
Villa Bellavista a Buggiano
Progettata nel tardo Seicento dall'architetto fiorentino Antonio
Maria Ferri, è una delle dimore storiche più belle e grandi d’Italia
dopo la Reggia di Caserta
Testo e foto di Margherita Blonska Ciardi
Villa Bellavista nei pressi di Buggiano
è una suggestiva villa
barocca di fine Seicento chiamata
“Bellavista” perché dalle sue finestre
si apre un magico panorama che
domina le vallate circostanti, iniziando
dalla catena delle Apuane versiliesi per
finire alle colline di Montecatini, Monsumano
Alto e Lamporecchio. L’antico
edificio fu progettato dall'architetto
fiorentino Antonio Maria Ferri, attivo
presso la corte del Granduca Cosimo
III de’ Medici. La costruzione di questo
magnifico palazzo è legata alla vita
del suo primo proprietario, il marchese
Francesco Ferroni. Questi proveniva
da una famiglia di commercianti di
tessuti di Fucecchio e fin da giovane si
era distinto come abile uomo d’affari,
i cui maggiori guadagni venivano dalla
tratta degli schiavi dall’India occidentale
all’Olanda. Il suo successo economico
fu presto notato e riconosciuto da
Cosimo III de’ Medici, il quale per ringraziarlo
dell'ospitalità ricevuta ad Amsterdam
presso la fastosa dimora di
Ferroni dopo la dichiarazione di guerra
all'Olanda da parte della coalizione
anglo-francese, lo nominò prima funzionario
e poi nel 1673 senatore del
Granducato fiorentino. Nel 1681 il senatore
Ferroni acquistò da Cosimo III
la quattrocentesca Fattoria medicea e
decise di costruirci accanto una villa in
un nuovo stile, convocando l'architetto
fiorentino più in voga a quei tempi, cioè
Antonio Maria Ferri. Essendo bravo
manager di se stesso, Francesco Ferroni
seppe sfruttare ogni occasione buona
per i propri affari e per dare lustro
al suo nome. Ecco perché, conquistata
la fiducia dei Medici, riuscì ad ottenere
da Cosimo III il titolo di marchese.
La villa, realizzata in uno stile che confina
tra il manierismo fiorentino e gli inizi
del barocco, riproduce in scala ridotta
Villa Bellavista a Buggiano
La cappella della villa
la planimetria del Belvedere di Vienna:
anche in questo caso, infatti, le facciate
longitudinali terminano con torrette
curvilinee come braccia che accolgo-
no il visitatore. Lo stile barocco fiorentino,
caratterizzato da decori realizzati in
bugnato che contrastano con l’intonaco
dell'edificio, è tuttavia meno sfarzoso di
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VILLA BELLAVISTA
Veduta d'insieme del complesso monumentale
quello austriaco. La strada fra i poderi,
diritta come l'asse di simmetria e costeggiata
da filari di cipressi, porta ad
attraversare la storica cancellata in ferro
battuto del parco dove, percorrendo
un viale decorato da statue allegoriche
barocche e vasi, si arriva di fronte ad
una vasca ittica con fontana. Salendo
Una delle statue allegoriche nel parco
le scale sotto il porticato della terrazza
principale, si rimane stupiti dalla grandezza
del salone d’ingresso, con i suoi
spazi immensi che abbracciano ben due
piani di altezza. Il soffitto è decorato con
scene raffiguranti la battaglia di Vienna
(1863) che si riferisce alla sconfitta definitiva
dei Turchi da parte della cristianità.
Il salone dominato dal
ballatoio è collegato con altre
due sale laterali attraverso
il corridoio che percorre
tutti gli ambienti, comprese
le camere da letto comunicanti
dei marchesi. I piani
superiori erano dedicati in
origine agli ospiti e alla servitù.
Accanto alla villa si
trovano l'antica Fattoria medicea
e la cappella costruita
successivamente su commissione
del figlio del marchese
Fabio Ferroni. A causa
delle bonifiche dei terreni intraprese
nel Settecento, i
campi di proprietà dei Ferroni
furono soggetti a numerose
inondazioni per lo
scolo delle acque e la famiglia
si trovò per questo in
serie difficoltà economiche.
Non a caso, i Ferroni cedettero
la proprietà al barone
Giuseppe Ardia, capo dei Vigili
del Fuoco che abitò nella
villa fino alla sua morte e
fu sepolto nella cappella del
complesso. Successivamente, la struttura
fu adibita a casa di cura e orfanotrofio
per i figli dei Vigili del Fuoco. Una
leggenda racconta che i tunnel sotterranei
della villa, collegati alla cappella
e al centro del paese, nascondono ancora
oggi uno scrigno con il tesoro del
marchese. Attualmente, la villa è di proprietà
dell’Opera nazionale di assistenza
per i figli dei Vigili del Fuoco che cerca,
come può, di mantenerla integra.
Il recente stanziamento di due importanti
finanziamenti da parte del Mibact
destinati al recupero dell’edificio principale,
lasciano ben sperare in una rifunzionalizzazione
della villa, anche grazie
alla sua posizione strategica sul crocevia
tra Firenze, Lucca e Pisa, alla vicinanza
dell’uscita autostradale e della
linea ferroviaria Firenze - Viareggio. Negli
anni passati è stata oggetto d’interesse
da parte di un’importante fondazione
d'arte che avrebbe voluto acquistarla
per farne un centro congressi e una sede
di mostre internazionali.
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VILLA BELLAVISTA
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Personaggi
Luca Alinari
Dall'infanzia in via Dandolo alla giovanile "ossessione"
per la pittura: un ricordo del maestro ad un anno dalla
scomparsa
di Viktorija Carkina / foto courtesy Filippo Alinari
In primo piano sulla destra, Alinari bambino
durante una festa di amici in via Dandolo (1953)
Luca Alinari, nato il 27 ottobre
1943 a Firenze, è figlio della
guerra. La sua prima casa
si trovava in via Fratelli Dandolo, oltre
piazza Alberti, allora considerata periferia
di Firenze. Nonostante le misure ridotte,
la strada pullulava di personalità
artistiche. Ci vivevano diversi musicisti,
pittori, disegnatori di cartoni animati.
Tra queste persone c'erano anche Filiberto
e Sofia, genitori di Luca Alinari,
anche loro dalla grande mente creativa.
Filiberto, oppure sor Alberto, come lo
chiamavano tutti, dai più piccoli ai più
grandi, era un dentista di professione e
aveva lo studio nello stesso palazzo, ma
nel tempo libero si dedicava alla passione
che gli stava più a cuore: cantare. La
madre del pittore, invece, era una stilista,
aveva il proprio negozio di abbigliamento
per bambini in cui realizzava
i suoi progetti sempre molto originali
e creativi. Probabilmente è da lei che
Luca ha ereditato una mente così fantasiosa.
Quella piccola strada era carica
non soltanto di un’aura artistica, ma
anche di un'aria particolarmente familiare.
Tutti i vicini si conoscevano fra
di loro, aiutandosi a vicenda durante i
tempi duri con scambi d'acqua e di prodotti
alimentari e confortandosi durante
le serate passate insieme in uno dei
giardini dei palazzi. Grazie alla professione
del sor Alberto, Luca ha vissuto
il dopoguerra con relativa serenità. Essendo
un dentista, spesso riusciva a
fare anche scambi con i pazienti che,
non avendo denaro per pagare la prestazione,
si sdebitavano con generi alimentari
di ogni tipo. In quella strada
viveva anche Pino Pini. Era più giovane
di tre anni di Luca, che l’aveva conosciuto
all'incirca all'età di sei anni. Da
quel giorno nacque un’amicizia che sarebbe
durata per il resto della loro vita,
riflettendosi anche nei numerosi video
realizzati assieme e ancora oggi reperibili
su Youtube. La loro collaborazione
Con i genitori a Pisa
Luca Alinari in una foto degli ultimi anni
è stata molto fruttuosa e ha dato vita a
cortometraggi pregni di profonde riflessioni
sull'arte di Alinari e di altri grandi
autori. Luca è stato sceneggiatore, regista
e voce narrante di queste interessanti
pillole cinematografiche, mentre
Pino ne è stato video operatore e montatore,
partendo dalle macchine fotografiche
a pellicola nel 1959, quando
fecero il loro primo video, e arrivando
negli anni più recenti alla Panasonic Lumix
GH3, con la quale sono stati realizzati
tutti i video degli anni Duemila. Fin
da bambino, all'età di quattro anni, Luca
ha dimostrato una grande volontà di
dipingere, come se si fosse trattato già
allora di una piccola ossessione. Pensando
al quel periodo, amava ricordare:
«C'era un tavolo di marmo in cucina,
un vecchio tavolo dell'epoca, e il gioco
mio era quello di disegnarci sopra con
una matita, ma non su una piccola parte,
disegnavo l'intera superficie; al che
mia madre doveva poi pulirlo per apparecchiare
pur sapendo che nuovamente
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LUCA ALINARI
Città felicità (2017/2018), tecnica mista e smalti su
tela, cm 100x90
Spirali (2009), tecnica mista e smalti su tela,
cm 95x125
vi avrei disegnato sopra. Forse fu allora
che i miei genitori cominciarono a capire
che avrei fatto il pittore, era chiaro fin
da bambino che sarei stato pittore, era
chiaro a tutti». Nonostante ciò non decise
di intraprendere gli studi pittorici,
pur portando avanti la sua grande passione
da autodidatta con accurate ricerche
individuali. Prima si diplomò al
Liceo Classico alla Badia Fiesolana e poi
proseguì gli studi alla Facoltà di Lettere
e Filosofia dell'Università di Firenze.
Significativa, invece, per il suo percorso
artistico, fu un'esperienza lavorativa
compiuta all'età di 18 anni all'interno
di un'agenzia pubblicitaria fiorentina.
Le opere successive degli anni Settanta
porteranno dentro vari elementi della
Pop Art, anche se il pittore non fu particolarmente
impressionato dall'arte del
consumo, nonostante l'abbia sperimentata
diverse volte. Ma è proprio questo
che distingue Luca Alinari da chiunque
altro: una ricerca e una sperimentazione
continua. Nonostante fosse un grande
ammiratore del dadaismo, del futurismo,
ma anche dell'arte rinascimentale,
sosteneva che solo le esperienze di
vita di ciascun artista ne determinano
le scelte stilistiche. Sperimentò sia
l'arte figurativa che l'arte astratta, alternandole
e attraversando soggetti diversissimi.
Tante sue opere riflettono il
tema della figura umana, che ha rappresentato
sempre duplicata, per sottolineare
il dualismo dell'essere. Vediamo
spesso raffigurata anche una chiesa, rimasta
impressa nella memoria del pittore
dalla sua infanzia. Ma il suo percorso
artistico non è caratterizzato solo dai
diversi generi pittorici e soggetti come
paesaggi, nature morte, figure umane,
stelline, ma anche dalla sperimentazione
di altre forme d'arte. Infatti, ha realizzato
bellissime sculture, purtroppo
rimaste poche per via della loro delicatezza.
Osservando le sue opere bisogna
prestare particolare attenzione al materiale
utilizzato: i supporti sono in tela,
tavola in multistrato, vetro colorato, tela
jeans, stoffa, carta, pallina in legno, metallo,
tulle, piastra di strass e plexiglass.
I colori utilizzati sono olio, acquarello ed
acrilico, mescolati in un linguaggio del
tutto nuovo con plasmi resinosi, pailettes,
perle, colle colorate, bottoni, piume
e altri giochi di fantasia come minuscoli
oggettini, spesso alimentari. Nell'ultimo
periodo della vita − Alinari ha continuato
a dipingere fino all'ultimo respiro −,
ha scelto spesso la via dell'arte astratta.
Una delle sue ultime considerazioni
è stata: «L’arte astratta ti lascia libero
di correre. Ti offre uno stimolo per
viaggiare dove vuoi». Così è stata anche
la vita e la personalità del pittore:
un viaggio continuo alla ricerca della felicità,
che raggiungeva grazie alla pittura.
Un percorso di avvicinamento alla
scoperta del senso della vita, della propria
esistenza e delle conferme per superare
le proprie insicurezze, quelle che
attanagliano ogni grande artista. Ma soprattutto
il suo è stato un viaggio verso
l’arte pura, un viaggio che lo ha reso vivo
per sempre.
Stato di grazia (2017/2018), tecnica mista e smalti su tela, cm 80x80
Sulla strada dei fagiolini (2011), tecnica mista e smalti su tela, cm 120x100
LUCA ALINARI
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Musei nel
mondo
Gabriel Diana
Paglia e bronzo nelle opere tridimensionali realizzate a
quattro mani con l'artista Dominique Beniza
di Lucia Raveggi
Dopo gli esordi come pittore
accademico, Gabriel Diana
è approdato ineluttabilmente
alla scultura, linguaggio che ormai
connota anche i suoi quadri conferendo
loro una struttura tridimensionale
grazie all’innovativa tecnica definita
dall’artista Full Metal Painting. Tutto è
cominciato circa dieci anni fa quando
Diana ha iniziato a ricoprire di metallo
l’intera superficie dei quadri, con fogli
di bronzo, ottone, alluminio, argento e
d’oro, seguendo l’estro di un'inesauribile
creatività. Il passo successivo
è stato integrare a queste opere "metalliche"
le sue sculture in bronzo, in
modo da ottenere un tutt’uno armonico.
«Se non fosse per la superficie
legnosa la cui rigidità è indispensabile
per sopportare il peso dei miei personaggi
di bronzo − afferma l’artista
− si potrebbe dire che queste opere
Dominique Beniza con una delle opere in paglia e bronzo realizzate a
quattro mani con Gabriel Diana
nascono direttamente
dalla fucina di Vulcano».
L’effetto tridimensionale
è accentuato dal riflesso
del metallo, la cui
superficie è a volte parzialmente
dipinta con i
medesimi acidi ed ossidi
utilizzati per patinare
le sculture. La luce gioca
a nascondino sotto le
forme di bronzo, mettendo
ancora più in risalto
movimenti e gesti
delle figure. Qualche anno
fa, l’incontro con Dominique
Beniza, artista
transalpina specializzata
nell’intarsio di paglia
di segale ed esperta antiquaria, ha generato
un’ulteriore innovazione nello
stile del maestro. Pur essendo materiali
molto diversi, paglia e bronzo
hanno iniziato a convivere nelle opere
di Diana, in un felice contrasto tra la
Escalation, paglia e bronzo, cm 80x80
L'arrampicatore, paglia e bronzo, cm 80x80
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GABRIEL DIANA
Volo di gabbiani, full metal painting, cm 60x120
Climbing, paglia e bronzo, cm 60x60
leggerezza del giunco e la pesantezza
del metallo. E’ nato
così il ciclo dei quadri in paglia
e bronzo che vede i due artisti
lavorare a quattro mani con
lunghi tempi di realizzazione;
opere molto apprezzate e richieste
dai collezionisti per l’assoluta
originalità di questo linguaggio ibrido.
DIAN’Arte Museum
5992, Route des Marines de Borgo
+33 (0)669240110
www.gabriel-diana.com
Donna col cappello, full metal painting, cm 42x80
Runners, full metal painting, cm 80x80
GABRIEL DIANA
13
Dal teatro al
sipario
A cura di
Doretta Boretti
Il Teatro della Limonaia a Sesto Fiorentino
Intervista al direttore artistico Dimitri Milopulos
di Doretta Boretti / foto Enrico Gallina
Nella Limonaia della prestigiosa
Villa Corsi Salviati − villa storica
del XVI secolo a Sesto Fiorentino
− nel 1985, il Comune di Sesto
decise di creare un teatro; così, negli
anni successivi, Barbara Nativi insieme
a Dimitri Milopulos e a tanti altri collaboratori,
dettero vita ad un’avventura
teatrale tutt’oggi ancora fiorente.
Mi trovo in compagnia di Dimitri Milopulos
che dal 2005 riveste il ruolo
di direttore artistico dell’Associazione
Culturale Teatro della Limonaia.
Lei è stato, insieme a Barbara Nativi
e a tanti altri, il fondatore di questo
immane progetto artistico culturale.
Poiché quest’anno ricorre il quindicesimo
anno dalla sua scomparsa,
vorrei che la ricordasse ai nostri lettori
con un suo personale pensiero.
Intercity: parliamone.
Da qualche anno le attività dell’Associazione
Culturale Teatro della Limona-
Dimitri Milopulos
Io e Barbara abbiamo iniziato il nostro
percorso artistico insieme negli anni
ʼ80. Eravamo una coppia sia nella vita
privata che come professionisti. Alla
metà degli anni 90 abbiamo fatto
i bagagli e siamo partiti per costruire
qualcosa di nuovo senza sapere
all’inizio cosa, ma poi l’abbiamo
capito. Nel nostro viaggio a Londra,
abbiamo avuto la fortuna di incontrare,
al National Theatre, il progetto
Intercity e l’abbiamo portato in
Italia. E’ stata un’idea fortunata e
unica, non a caso, oggi, dopo tanti
anni, è ancora uno dei festival più
importanti della nuova drammaturgia.
Con Barbara abbiamo portato
avanti tanti altri progetti: spettacoli
di drammaturgia internazionale
scritti da nuovi autori, anche stranieri,
per il nostro festival, la for-
mazione, rivolta anche agli adolescenti,
perché sono proprio loro che di solito
restano fuori da altre scuole, e tanti altri
progetti.
ia portano il nome di Intercity perché è
da lì che è partito tutto. Intercity Festival,
che si svolge in autunno, Intercity
Winter, per gli spettacoli nel periodo invernale,
e Intercity Connections, scuola
di teatro che abbraccia tutte le stagioni.
Ogni anno il festival è dedicato a una
città del mondo, sempre diversa, cercando
di presentare quello che succede
in quella città da un punto
di vista della drammaturgia
contemporanea. L’Intercity
2019 è stato dedicato
alla città di Oslo. Chi fosse
interessato può trovare tante
informazioni sul sito www.
teatrodellalimonaia.it.
Scenografo, costumista,
attore, autore, regista e da
15 anni direttore artistico
dell’Associazione Culturale
Teatro della Limonaia. Questo
ruolo di direttore è stato
più difficile un tempo o
lo è di più adesso?
Alias Godot di Brandan Gall, regia di David Ferry, scene, luci e costumi di Dimitri Milopulos, produzione Intercity Toronto
Da giovane ho sviluppato
una grande passione per le
miniature e i modellini, forse
sono state proprio queste
14
TEATRO DELLA LIMONAIA
Il Teatro della Limonaia, con
il suo festival, la stagione
artistica, la scuola di Teatro,
le grandi proposte culturali,
è una ricchezza unica per il
territorio.
Firenze, scritto, disegnato e diretto da Dimitri Milopulos in foto
E’ vero, perché nasce dalla
scommessa di un gruppo di
persone accomunate da una
grande passione. Oggi il teatro
richiede un continuo rinnovarsi
per proporre sempre
cose nuove nelle quali il testo
è alla base del lavoro teatrale.
Questo cercare sempre
nuovi legami tra popoli e generazioni,
è uno dei principali
motivi per i quali portiamo
avanti il nostro progetto con
dedizione.
le cause scatenanti il mio essere artista
e il mio fare teatro ancora oggi. Sono
arrivato a Firenze da oltre trent’anni
per studiare arte e mi sono diplomato
all’Accademia di Belle Arti, per poi
dedicare la mia vita, con tanto amore,
al teatro. Ho sempre portato avanti un
notevole interesse per la drammaturgia
teatrale, nazionale e internazionale,
e se penso a tutti i grandi scrittori di un
tempo e a quanto sono stati sostenuti
anche dai politici di allora, penso che
sia per quello che i loro testi di drammaturgia
sono arrivati fino ai giorni nostri;
invece oggi è tutto più difficile, i
fondi, che sono indispensabili, sono
veramente minimi,
il teatro viene ingiustamente
emarginato
dalla politica,
e negli ultimi tempi
la situazione è diventata
intollerabile.
Quindi, sì, è più difficile
oggi fare il direttore
artistico.
Come possiamo seguire i progetti
dell’Associazione Culturale Teatro
della Limonaia?
La nostra è un’attività che si trova, oltre
che sul sito dedicato, su tutti i mezzi
che la tecnologia ci offre. Ma io,
nonostante sia superata, continuo ad
usare anche la carta per stampare manifesti
da affiggere sui muri, cataloghi
da leggere e guardare, volantini da distribuire.
Continuo a usarla perché la
amo e perché penso che sia ancora lo
strumento più efficace.
Come non trovarci d’accordo.
elischia@inwind.it
Psicosi di Sarah Kane, traduzione di Barbara Nativi rivista e diretta da Dimitri
Milopulos; in foto: da sinistra, Sonia Remorini, Teresa Fallai e Valentina Banci
La platea del Teatro della Limonaia
TEATRO DELLA LIMONAIA
15
Dal teatro al
sipario
A cura di
Doretta Boretti
Alessandro Calonaci
Un Don Giovanni in salsa toscana: il nuovo progetto
dell’attore, regista e fondatore della Compagnia Mald’estro
di Doretta Boretti
Quando un artista come Alessandro
Calonaci dedica la sua
esperienza teatrale, le sue conoscenze
e un interessante
e approfondito studio per portare alla
visione di tutti un progetto teatrale
unico nel suo genere, ci riempie di
curiosità.
Come e quando è nata in te la voglia
di questo progetto su Don Giovanni?
Sono diversi anni che porto avanti, con
la mia Compagnia Mald’estro, un lavoro
sul linguaggio toscano. Ho cercato
di sondare l’animo e il modo di pensare
e di fare di quella che è la nostra toscanità,
l’ho unito alla materia teatrale
e ho portato in scena Maledetti Toscani,
la Mandragola e per ultimo Pluto di
Aristofane, che ho ambientato in epoca
etrusca, Il malato immaginario e Il
Tartufo di Molière, Sogno di una notte
di mezza estate e La dodicesima notte
di Shakespeare, e adesso
Don Giovanni. In un
continuo percorso alla ricerca
delle influenze che
la nostra lingua ha avuto
su tante altre lingue straniere,
non quella becera
imbastardita ma al contrario
una lingua che grazie
a Dante, Boccaccio e
a tanti altri si è distinta
per essere la madre non
solo della lingua italiana.
Molière, senza i comici
della Commedia dell’Arte,
non avrebbe scritto
i suoi capolavori e non
avrebbe inventato il teatro
moderno. Fiorilli, suo
maestro, dopo Marinelli
e Andreini, aveva contribuito
a far radicare il
teatro italiano in Francia.
E Shakespeare dalla Bisbetica
domata a Otello e a Misura per
Misura si ispirò alle novelle di Giovan
Battista Giraldi e La dodicesima notte
fu rappresentata a Siena, sembra
scritta dall’Accademia degli Intronati,
settanta anni prima di lui. Senza tralasciare
la politica e tanto altro della nostra
toscanità nel mondo.
E Don Giovanni?
Don Giovanni è in linea con quello che
abbiamo fatto fino ad ora. Continuando
la ricerca, ho trovato tante assonanze
tra la figura di Molière e quella
di Luigi Del Buono, straordinario artista
fiorentino, famoso accademico e
scrittore vissuto tra la seconda metà
del Settecento e gli inizi dell’Ottocento,
volle creare una maschera che
avesse un “carattere” tutto fiorentino,
tradizionalista, plebeo, dall’umorismo
sapido: Stenterello. Purtroppo si sono
perse gran parte delle sue commedie,
delle quali, dopo l’alluvione del 1884,
ne restano soltanto tre e Don Giovanni
non è tra queste, ma Del Buono,
avendo frequentato il salotto letterario
di “Corilla Olimpica”, conobbe probabilmente
il giovane Mozart. Nel Don
Giovanni di Molière troviamo la figura
del servo Sganarello, creata probabilmente
sulla falsariga delle maschere
del teatro italiano. Il mio Don Giovanni
lo ambiento a Firenze e sostituisco
al ruolo del servo la maschera dello
Stenterello di Del Buono.
Quando potremo vedere la tua nuova
“creatura”?
Avremmo dovuto rappresentarlo il
prossimo 9 aprile al Consolato francese
ma vista la “clausura” per il Covid19,
è stato rimandato a data da
destinarsi. Forniremo notizie in merito
sulla nostra pagina Facebook: Compagnia
Mald’estro.
16
ALESSANDRO CALONACI
A cura di
Giuseppe Fricelli
Concerto in
salotto
Sull'aia e al tabarin
Il maestro Giuseppe Fricelli ricorda il grande attore e
cantante Alfredo Bianchini nel recital registrato insieme
in Rai nel 1977
di Giuseppe Fricelli
Ho collaborato per molti anni,
in qualità di pianista e compositore,
con Alfredo Bianchini,
straordinario poliedrico artista.
Era nato come cantante da camera e
in seguito aveva ampliato la sua attività
dedicandosi anche al teatro. Alfredo
era unico ed irripetibile nei suoi recital.
Abbinava, nei programmi di sala, pagine
di prosa, poesia, arie da camera,
nenie, canzoni di tabarin: un cocktail
splendido e ricercato. L'intelligenza viva,
pimpante, unita ad una cultura vera
e profonda facevano di Alfredo un artista
di prima grandezza. Lavorare con
lui era una gioia, un arricchimento. Abbiamo
girato l'Italia in lungo e in largo,
riscuotendo sempre vivo successo di
pubblico e critica. Tutti i più famosi artisti
venivano ad ascoltare ed applaudire
Bianchini. Ricordo, fra questi, Sarah
Ferrati, Paola Borboni, Rina Morelli,
Rossella Falk, Romolo Valli, Giorgio
De Lullo, Mario Scaccia, Eva Magni, e
tanti altri. Un giorno ci trovavamo a Torino
per registrare in diretta per la Rai
il recital Sull'aia e al tabarin. Avevamo
fatto varie recite al Teatro Eliseo e al
Valle di Roma. Quindi lo spettacolo era
ben rodato. Per fortuna questo recital
è rimasto nelle teche Rai come documento
dell'arte di Alfredo. Il regista televisivo
mi pregò di truccarmi con del
fondotinta perché il mio volto risultava
troppo bianco per la ripresa televisiva
a colori. In effetti, era così. Il truccatore
venne nel mio camerino ma io gli
dissi che avrei fatto da solo. Dovete sapere
che io ho sempre amato il teatro
e tutto ciò che avviene prima di andare
in scena: lo stare in camerino, vestirsi,
truccarsi, vivere le quinte, assaporare
tutta la magia del palcoscenico. Un
mondo fatto di tanto sacrificio e studio
che ripaga col suo fascino profon-
do. Incominciai a truccarmi dinanzi ad
un grande specchio. Il fondotinta spalmato
sul viso mi rendeva più piacevole,
più attore, più attraente. Ed allora
Giuseppe, forza! Più fondotinta, più
fondotinta, più fondotinta. Al termine
dell'operazione mi sentì chiamare da
Alfredo che aveva il camerino accanto
al mio: «Giuseppe, Giuseppe siamo
pronti?». Uscì nel corridoio. Sentì
un urlo di Alfredo che, avendomi visto
così truccato, disse:«Beppino, ma stasera
non si recita l'Otello!». Per chi volesse
risentirlo o rivederlo consigliamo
il disco Addio tabarin (1979) di Alfredo
Bianchini e Giuseppe Fricelli (Cardinal
Records CDLP 1604) e su YouTube
Recital di Bianchini - Fricelli.
Alfredo Bianchini nel 1959
Addio Tabarin, uno dei dischi di Alfredo Bianchini con la partecipazione del pianista Giuseppe Fricelli
SULL'AIA E AL TABARIN
17
Natural and Delicate cleansers for the whole Family
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A cura di
Antonio Pieri
Benessere e cura
della persona
Come scegliere il sapone giusto per
un corretto lavaggio delle mani
di Antonio Pieri
In questo periodo è inevitabile che
i lavaggi delle mani siano più frequenti
del solito. Il problema è
che lavandosi le mani con maggiore
frequenza la pelle inizia a perdere idratazione
arrossendosi e assottigliandosi
sempre più. Quindi come possiamo
scegliere il sapone per mani migliore
per la nostra pelle?
Guardare l’INCI
E’ essenziale che il sapone abbia inclusi
nella sua formulazione (INCI) ingredienti
emollienti ed idratanti come ad
esempio l'aloe vera e l'olio extravergine
di oliva, così da assicurare alla pelle delle
mani un effetto lenitivo importante.
Per questo motivo e per evitare arrossamenti,
secchezza e irritazioni è molto
importante scegliere saponi naturali.
Gel igienizzanti, saponi e salviette
antibatteriche e disinfettanti sono
davvero così indispensabili per proteggersi
dal Coronavirus?
Dipende. Il più delle volte è davvero
sufficiente lavarsi le mani spesso, nella
maniera corretta, con acqua e sapone
come si capisce dalle comunicazioni
ufficiali diramate dagli esperti in tutti i
messaggi radio e televisivi rivolti alla
cittadinanza. Ecco perché: gli igienizzanti
con alcol aiutano a ridurre il numero
di germi presenti sulle mani, ma
non a eliminarli tutti. Inoltre, non sono
indicati per la pulizia delle mani
sporche o per rimuovere dalle mani
sostanze dannose. In questi casi bisogna
lavarsi le mani con acqua e sapone.
Molti gel igienizzanti contengono so-
stanze antimicrobiche alle quali dobbiamo
fare molta attenzione perché l’uso
incondizionato potrebbe favorire nei
batteri lo sviluppo di resistenze proprio
nei confronti di questi prodotti. Quindi,
il sapone rimane in modo indiscutibile
la prima scelta per evitare contagi.
Può sembrare una cosa banale, ma lavarsi
le mani in un modo superficiale o
meno può fare la differenza.
Antonio
Pieri
Nato a Firenze nel 1962, Antonio Pieri è amministratore delegato dell’azienda
il Forte srl e cofondatore di Idea Toscana, azienda produttrice di cosmetici
naturali per il benessere secondo la più alta tradizione manifatturiera toscana
che hanno come principio attivo principale l’olio extravergine di oliva toscano IGP
biologico. Esperto di cosmesi, profumeria ed erboristeria, svolge anche consulenze
di marketing per primarie aziende del settore. Molto legato al territorio toscano e
alle sue eccellenze, è somelier ufficale FISAR e assaggiatore di olio professionista.
Per info:
antoniopieri@primaspremitura.it
Antonio Pieri
SAPONE
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Ritratti
d’artista
Mimma Di Stefano
Un universo plastico sospeso tra realismo poetico e simbolismo etico
di Silvia Ranzi
Da oltre un ventennio l’artista
Mimma Di Stefano si dedica
con passione e perizia all’arte
scultorea, privilegiando l’espressività
di materiali duttili a lei congeniali
nella messa in opera di studiate ed originali
ideazioni di classica ed elegante
compostezza. Si è formata, quale discepola
della rinomata scultrice fiorentina
Amalia Ciardi Duprè, presso
lo studio-laboratorio della Fondazione
Museo CAD a Firenze, di cui è membro
nel consiglio direttivo. Ad oggi ha riscosso
successo di critica e pubblico,
conseguendo l’apprezzamento per un
iter stilistico consolidato dalla morbida
ed accurata modellazione di opere
realizzate nella tecnica della manipolazione
dell’argilla e del gesso, a crudo
o patinati da tenui cromie, per approdare
anche alla realizzazione di fusioni
in bronzo. Il suo estro creativo
interpreta nella plasticità della materia,
forgiata con soavità di intenti, soggetti
consoni al suo mondo interiore
tra realismo lirico e simbolismo etico.
Affascinata dall’esercizio tridimensionale
impresso dalla manualità sulla
creta, dà corpo a trasognate raffigurazioni
che alternano la trascendenza
del sacro a temi iconologici di denuncia
sociale, per spaziare dal recupero
mnemonico delle proprie origini nella
rievocazione di luoghi cari alla fattura
di compositi intrecci di figure, onorando
i sentimenti più vivi e
genuini dettati dalla poetica
degli affetti. Il culto dei valori
familiari rappresenta una
delle fonti ispirative che trapela
dalle volumetrie nell’atto
di ricreare volti di persone
care, nella dinamica del fluire
del tempo, assaporato e
ritmato dalle stagioni del vivere.
La sublimazione dell’amore
di coppia è suggellato
da movenze corporee nella
celebrazione sponsale della
vita che si perpetua nella polarità
maschio-femmina, declinata
nella complicità del
quotidiano. Lo stesso genere
del ritratto, nella modalità
del mezzo busto o a figura
intera, restituisce la fisicità
dei lineamenti insieme alla
resa psicologica del carattere
di amici o conoscenti nella
vitalità delle trame relazionali.
Emblematici sono i bassorilievi
che rappresentano
un sentito omaggio alle origini
abruzzesi: se da un lato
la veduta del borgo paesistico, nel
bassorilievo patinato Il mio giardino
(2008) offre l’atmosfera neoromantica
Segreto di fanciulli (2015), terracotta, cm 50x54x100
Dominio e prepotenza (2017), terracotta, cm 50x38x40
Madonna consolatrice (2014), altorilievo in terracotta, cm 100x90
20
MIMMA DI STEFANO
del crepuscolo, dall’altra la prospettiva
naturalistica a scorcio dell’antico casale
di famiglia, casa-nido di pascoliana
memoria, si situa attorno ad ombreggianti
pergolati. La sua produzione si
qualifica per la continuità con la tradizione
e la modernità di significati,
supportata da intensi accenti ideali
che veicolano la propositività contenutistica
e plastica raggiunta dal suo
talento di scultrice, votato a dare forma
al concetto di Filia, come attesta
l’opera Condivisione (2016) in cui si
esplicita l’amorevole sostegno nei rapporti
intergenerazionali tra prossimità
e sussistenza nelle criticità esistenziali,
incarnato dal valore della solidarietà,
virtù insostituibile e riparatrice
nello sviluppo di un Neoumanesimo da
ricostruire, a cui costantemente richiamarsi
nell’avvicendarsi di ogni epoca.
Riposo della Luna (2019), terracotta patinata, cm 50x40x40
Il pensiero vola (2017), terracotta, cm 50x40x50
Di origini abruzzesi e fiorentina
d’adozione, Mimma
Di Stefano, biologa, è stata
allieva della nota scultrice Amalia
Ciardi Duprè. Cofondatrice del
museo CAD a Firenze, dal 2019 è
presidente della Fondazione Amalia
Ciardi Duprè. Ha partecipato a Firenze
a numerose collettive e mostre
personali nelle sedi di rinomati
gruppi artistici come Il Donatello, Il
Circolo degli Artisti Casa di Dante e
a Bologna nella Galleria S. Isaia. Ha
partecipato, inoltre, ad importanti
rassegne: I Biennale della Creatività
a Verona; II Biennale Internazionale
di Palermo; Dialogando
con la Biennale di Venezia
(2015); L’Isola che c’è (Palermo,
2015); Triennale
dell’Arte Contemporanea
(Verona, 2016); Florence
Biennale (2017); Art Capital,
Salone des Indipendents a
Parigi (2019). Il suo nome è
presente nell’Annuario di Arte
Contemporanea a cura di
Vittorio Sgarbi (EA Editore,
2014) e nel CAM 53 (Giorgio
Mondadori Editore).
domenica.distef@virgilio.it
Mimma Di Stefano
MIMMA DI STEFANO
21
Uno spazio ideale per mostre, eventi, conferenze,
presentazioni di libri
Il Quadrivio - Galleria d’Arte / Viale Sonnino, 100 Grosseto
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Ritratti
d’artista
Stefania Maffei
Figure del mito e della storia in un linguaggio dalla
forte espressività
di Paolo Grigò
Le sculture di Stefania Maffei restituiscono
tutta la forza e la bellezza
propria dell’argilla utilizzata
con sapienza dall’artista. I tratti dei corpi
scolpiti rimandano, per proporzionalità ed
armonia, a reminiscenze di classica memoria,
discostandosene nei segni di forte
contemporaneità, come nei bassorilievi
Adamo ed Eva e Nudo femminile. Così si
accentua il valore delle forme piene, a volte
anatomicamente studiate, senza che ne siano
diminuite espressività e potenza, anzi i
volumi acquistano maggiore forza e significatività.
La dirompenza del suo linguaggio
artistico è quasi più vicina alle statuette
Dante, argilla galestro, cm 45x30
Il sognatore, terracotta policroma, cm 35x20
della preistoria, con il volto
abbozzato, dove le forme tipiche
della femminilità, seno,
fianchi e ventre erano
esageratamente evidenziati
e rigonfi per valorizzare
le forme materne. In alcuni
casi la scultura diventa
zooantropomorfa, quasi
“idoli” interpretati nell’epoca
post-paleolitica dove
l’ibrido uomo-animale assumeva
particolare valore
caricaturale (Figura del divino
Dante e Il padrino). La
fusione tra soggetto e ambiente
circostante diventa
preponderante e l’intreccio
con gli elementi naturali fa
vibrare le opere esposte davanti
allo sguardo attento
dell'osservatore. Tra le varie
sculture eseguite in terracotta
policroma, alcune guardano
alla classicità, altre ai movimenti d'avanguardia
del secolo scorso, in particolare
espressionismo e surrealismo (Il danzatore
e Il sognatore). Stefania Maffei sembra
posseduta dal piacere esplorativo
del soggetto, e ciò accade solo quando
l’artista è capace di perdersi in quello
stato di piena astrazione chiamata
“fantasia” che le consente di proiettare
mente e corpo dentro l’opera, per seguire,
con questa vigile incoscienza, il
proprio percorso fatto di poesia cromatica
e gestualità.
Stefania Maffei
Nata nel 1954 a Santa Colomba
di Bientina (PI), Stefania Maffei
si dedica a varie forme d’arte −
scrittura, poesia, scultura, pittura e teatro
− vivendole come mezzo di espressione
emozionale e di crescita. Ha partecipato
a diversi concorsi nazionali e a varie mostre
collettive: Pisa in fiore (2014); Vico
Vitri (2015); Ponsacco Palazzo del
Mobile (2014/15/16); Leopolda a Pisa
(2014/15/16/17). Nel 2014 pubblica
con Helicom Poeti del Millennium e nello
stesso anno le sillogi Perimetri e Inside
con Aletti, con cui nel 2015 pubblica
alcune poesie nell'antologia I poeti contemporanei
e poi di seguito Around Me
(2016) e Behind me (2017). Con l’editore
CLD pubblica nel 2018 Mare dentro
illustrato dall’artista Paolo Grigò e nel
2019 Nell’Incanto - Viaggio attraverso
la natura, la vita, il sogno per Il quaderno
edizioni. Dal 2018 fa parte di MARIC,
movimento artistico nato a Salerno che
ha donato ai terremotati di Illica (RT) la
Casa della cultura, un edificio con biblioteca
davanti al quale è stata collocata
una sua scultura in terracotta intitolata
Oltre, come auspicio di rinascita.
stefania.maffei@gmail.com
STEFANIA MAFFEI
23
Eventi in
Toscana
Pasticceria Nencioni
Aperta a Firenze nel 1950, ha da poco festeggiato 70 anni di
attività alla presenza delle istituzioni cittadine
di Maria Grazia Dainelli / foto Alessandro Martignoni
Lo scorso 3 marzo, la Pasticceria
Nencioni, in via Pietrapiana
24/r a Firenze, ha festeggiato
l’importante traguardo dei settant’anni
di attività alla presenza dell’assessore
al Commercio del Comune di Firenze
Federico Gianassi, che ha sottolineato
l’importanza di questa attività da tanti
anni presidio economico e lavorativo
ma anche sociale e culturale della città.
Per questo motivo Gianassi ha consegnato
alla famiglia Nencioni, da parte
del sindaco Nardella, una pergamena
che premia “la dedizione al lavoro,
la cura, l’attenzione e l’amore mostrato
verso la città”. Nata nel 1950 come
forno con produzione propria di pane,
dolci e pasta fresca, in poco tempo
Un'immagine di diversi anni fa durante la preparazione delle classiche fritelle fiorentine
l’attività dei Nencioni si è trasformata
in una pasticceria con bar e annesso
laboratorio. Fondamentali per questo
passaggio sono stati il contributo di
Maria Luisa e Ottavio Falai, ma soprattutto
la determinazione di Vinicio Nencioni.
E’ stato quest’ultimo, infatti, ad
avere l'intuizione di organizzare ricevimenti
nei primi anni Sessanta, quando
ancora la parola catering non era
in uso. Nel novembre 1966, la furia
dell’Arno ha devastato completamente
il locale. La famiglia Nencioni Falai,
con tanto impegno e fatica, è riuscita
a riaprire dopo pochi giorni per il conforto
di tutte le persone impegnate a liberare
il quartiere Sant'Ambrogio dal
fango. Nel 1977, Vinicio, con l’appoggio
fondamentale della moglie Maria
Luisa sempre al suo fianco, ha deci-
L’assessore al Commercio del Comune di Firenze Federico Gianassi consegna la pergamena
a Maria Luisa Nencioni; con loro Stefano Lisi (a sinistra) e suo figlio Filippo
24
PASTICCERIA NENCIONI
La pasticceria gremita per i festeggiamenti
Villa Viviani
so di acquistare Villa Viviani, dimora
storica sulle colline fiorentine, per
trasformarla in un’elegante location
di meeting, convegni e ricevimenti di
ogni tipo, dai battesimi ai matrimoni.
Sono passati gli anni e, ovviamente, i
protagonisti sono cambiati: sono subentrate
le figlie di Maria Luisa e Vinicio,
Maria Grazia e Nicoletta, quindi
Francesca, figlia di Ottavio, e ancora
la nipote Chiara che gestisce la pasticceria
con competenza e passione.
Un ruolo importante lo ha avuto anche,
nella gestione di Villa Vivani, Stefano
Lisi, marito di Nicoletta che per molti
anni ha affiancato il suocero Vinicio
imparando da lui la costanza necessaria
per andare avanti. I figli di Stefano,
Filippo e Niccolò, hanno portato nuovo
entusiasmo nello staff della cucina
e in sala, rendendo così possibile il
connubio fra tradizione e rinnovamento.
Questo magnifico team, che con il
coinvolgimento della terza generazione
mostra non solo coesione e armonia
ma anche la voglia di raggiungere
nuovi obiettivi, mette concretamente a
frutto tutti gli insegnamenti morali di
Vinicio, uomo coraggioso e imprenditore
lungimirante.
Pasticceria Nencioni
Via Pietrapiana 24/r - 50121 Firenze
www.pasticcerianencioni.com
Il laboratorio
PASTICCERIA NENCIONI
25
La voce
dei poeti
Poesie di Maria D'Ippolito
Madre Terra
Occhi, di visione ancestrale,
contemplano un mondo
dove pace eterna
governa principessa
di terre copiose, di frutti,
bagnato di salubri acque
nei cieli azzurri e tersi.
Terre vigorose
spargono profumi
di dolce mosto o tenero raccolto
di olivello spinoso.
Aromi di tiglio
accolgono notti insonni
rose rosse invitano le spose.
Filari di cipressi
inducono alla calma
sentieri di more e lamponi
rallegrano il cammino.
Un dolce vento produce una danza
tra spighe di grano e dorati girasoli
nutrimento divino
di tavole imbandite e copiose.
Dimore di uccelli
si adagiano su verdi fronde
risuonano echi di canto
su colline in fiore.
Perduta mai sarà questa sacra terra
nessun uomo toglierà l'incanto e la magia
se vigile sarà il suo occhio
e tenero il suo cuore.
Madre terra mia
che ti ribelli
e incalzi l'onda
di un mare in tempesta
o sputi fuoco e fiamme
da vulcani in eruzione
salva te stessa, non salvare me
se non saprò amarti e rispettarti
come Dio vuole!
Luce radiosa
Lascio alla mente
i ricordi lontani
custoditi in un cassetto
quando la malinconia
prende il sopravvento.
La felicità è la somma
di attimi condivisi.
Ognuno lascia traccia
nel cuore di chi ama.
E la mente non dimentica
i volti di chi ci ha lasciato.
Ho incontrato il tuo sorriso
nel tempo che scolora
e fa affiorare la bellezza.
Ti sempre sarai certezza
che nessuno può violare.
Tra i colori del tramonto
sei luce radiosa
la dolcezza dei tuoi occhi
è essenza di emozioni.
Ed ora che lontano è il tuo volto
ti cerco nell'azzurro infinito.
Ti amerò fino all'ultimo respiro!
Baciami
Baciami
come il vento fa alle foglie
un bacio dolce che sa di miele
salato come il mare in tempesta
vivo e impetuoso in preda all'onda
che di passione avvolge come edera.
Baciami
e fai di me veliero del tuo mare
combatteremo uniti le intemperie
la forza dell'amore sarà scudo
finché a riva, pur stremati dalle forze
approderemo fieri, in eterno abbraccio.
Malinconia di un
abbraccio
Con gli occhi abbraccio il mare
m'avvolge il suo profumo
sento il suo respiro che mi porta
là dove la mente a sera si rifugia.
Vorrei tornare bambina davvero
per ritrovare quel calore sincero.
Riempirei secchi di teneri baci
per farne scorta un domani.
E mi manca quel conforto
il tuo sorriso che sempre appaga.
Cavalco l'onda dei pensieri
dalla risacca la voce tua mi giunge.
Cingo l'anima in abbraccio,
sicuro e forte a me donato.
Poesia anela al tramonto.
Speranza è cosa certa, porto sicuro
di rivederti ancor su questo mare
venirmi incontro all'alba e dirmi:
È un nuovo giorno!
Coraggio, devi andare!
Maria D'Ippolito
Nata a Roma il 16 ottobre
1960, Maria D'Ippolito (in
arte Iris) vive a Livorno dal
1985. Dal 2007 si dedica con passione
alla scrittura. Ha vinto numerosi
premi, classificandosi tra i primi
posti in concorsi letterari in Calabria,
Lazio e Toscana ed è presente in diverse
antologie anche per l'infanzia.
Ama l'arte, la musica e la fotografia.
Segue gli incontri letterari periodici
a Livorno e a Firenze presso la Libreria
Salvemini. Dal 2013 frequenta
assiduamente a Pisa lo storico Caffè
dell'Ussero e la libreria Blu Book
anche in veste di fotografa. Ha cura-
to l'editing di alcune raccolte poetiche
ed è in fase di preparazione una
sua raccolta decennale, con disegni
e dipinti propri. E’ presente nel
web, con più di cento poesie, al link
mariadippolito.scrivere.info
Per contattare l'autrice:
arcobalenoazzurro18@gmail.com
26
MARIA D'IPPOLITO
SIGMA L2
LIGHTING AND INTERIOR DESIGN
Design Francesca Granchi 2013
SIGMA L2 Paolo Granchi srl | Via Degli Olmi, 145 | 50019 Sesto Fiorentino (FI) - ITALY
Ph +39 055 4207107 | info@sigmal2.it | www.sigmal2.it
Obbiettivo
Fotografia
A cura di
Maria Grazia Dainelli
Gino Carosella
Immagini di Firenze deserta e surreale ai tempi del
Coronavirus
di Maria Grazia Dainelli / foto Gino Carosella
Gino Carosella nasce a Napoli
nel 1963. Fin da ragazzo s’interessa
alla fotografia come
linguaggio attraverso cui comunicare
emozioni. Negli anni ha cercato di
comprendere quale settore della fotografia
gli consentisse di esprimere in
modo più completo la propria sensibilità;
al contempo, ha sviluppato una
sorta di “educazione visiva” che gli
consente di individuare, tra le diverse
rappresentazioni di uno stesso soggetto,
l’immagine più espressiva. Ha
approfondito lo studio della fotografia
ben prima che la rivoluzione della
tecnica digitale consentisse la sperimentazione
a costi irrisori; dovendo
far quadrare passione e borsellino,
ha imparato a ridurre al minimo indispensabile
il numero degli scatti, allenando
l’occhio a riconoscere fin da
subito un soggetto interessante. Un
modus operandi che ha mantenuto
anche dopo il passaggio alla fotografia
digitale: per prima cosa, Carosella
si sofferma ad osservare il soggetto
e a studiare il modo migliore di immortalarlo;
solo una volta conclusa
questa fase preliminare, procede
con lo scatto. Il suo obbiettivo è suscitare
la curiosità dello spettatore, al
quale chiede di completare l’immagine
con la propria fantasia. Per questo
motivo sceglie il bianco e nero, dove
l’ombra “nasconde” ciò che l’immaginazione
dell’osservatore è chiamata
appunto a completare. E’ il
caso delle foto in cui non è
dato vedere il volto del personaggio
principale perché
in ombra o perché girato di
spalle. Negli scatti qui pubblicati,
immortala una Firenze
deserta e quasi surreale a
causa dei recenti provvedimenti
legati al contenimento
del contagio da Coronavirus.
Tra i premi fotografici da lui
conseguiti negli anni, si segnala
l’ultimo nell’ambito del
concorso La città delle acque
indetto dall’Associazione
Commercianti di Castellammare
di Stabia (NA) dove si
è classificato quarto. Una sua
mostra personale è attualmente
in corso alla Pasticceria
Serafini in via Gioberti 168
a Firenze, dove resterà fino a
tutto il mese di maggio.
Piazza San Giovanni
FOTOGRAFIA PASSIONE PROFESSIONE IN NETWORK
www.universofoto.it
Via Ponte all'Asse 2/4 - 50019 Sesto F.no (Fi) - tel 0553454164
Piazza della Signoria
Ponte Santa Trinita
28
GINO CAROSELLA
A cura di
Nicola Crisci e Maria Grazia Dainelli
Spunti di critica
Fotografica
Fan Ho
Poeta del bianco e nero, ha raccontato la città di Hong Kong
come "teatro vivente"
di Nicola Crisci / foto Fan Ho
Hong Kong Venice (1962)
Nato nel 1931 a Shanghai, Fan
Ho è stato un attore, regista
e fotografo cinese. La sua ricerca
fotografica si è svolta per le
strade di Hong Kong dove abitava con
la famiglia. Fan Ho racconta il pulsare
della vita per i vicoli e i canali di questa
città caotica, scegliendo gli scorci
più interessanti dal punto di vista
della composizione fotografica. Sono
scatti emozionanti che catturano totalmente
l’attenzione dell’osservatore
regalandogli un’indimenticabile esperienza
estetica. «Vedevo la strada come
un teatro vivente − era solito dire il
celebre fotografo − e aspettavo che gli
attori entrassero in scena. Scattavo
fotografie secondo il mio istinto, senza
ispirarmi ad un maestro o riferirmi
ad uno stile in particolare; non cercavo
nulla che fosse particolarmente attrattivo,
ma immortalavo le cose per
come le vedevo». Altrettanto significative
alcune
sue considerazioni
sul modo di
approcciarsi
al mezzo
fotografico:
«Credo
che la tecnica
non sia
troppo importante.
E’
più importante usare occhi, mente e
cuore. La tecnica è per tutti, mentre
per portare la fotografia ad un livello
più elevato bisogna saper raccontare
qualcosa, muovere qualcosa. La fotografia
deve rompere gli schemi per
essere ricordata». Oggi Fan Ho è poco
celebrato, ma tra il 1958 e il 1965
è stato nominato per ben otto volte
uno dei primi dieci fotografi al mondo
da parte della Photographic Society
of America, senza dimenticare
che nella sua lunga carriera ha ricevuto
oltre 280 Photography Awards.
Poco prima della sua scomparsa, avvenuta
nel 2016, si è riavvicinato alla
fotografia, dimostrando la capacità
di essere “contemporaneo”; ha ripreso
i suoi vecchi negativi, li ha digitalizzati
e manipolati con gli odierni
software dando così nuova vita ad
immagini del passato. Per approfondire
la conoscenza di questo autore
è possibile visitare il sito a lui dedicato
(fanho-forgetmenot.com) oppure
cercare i suoi libri fotografici Hong
Kong Yesterday (2006) e The Living
Theatre (2008).
Triangular (1962)
Her study (1963) Approaching shadow (1954)
FAN HO
29
Psicologia
oggi
A cura di
Emanuela Muriana
Covid-19
Come affrontare le ricadute psicologiche della pandemia
con la terapia breve strategica
di Emanuela Muriana
Lo scorso 11 marzo, l’Organizzazione
Mondiale della
Sanità ha dichiarato che
il Covid-19 è una pandemia, ovvero
un virus capace di diffondersi ovunque,
portando in poco tempo il contagio
in diversi continenti. Questa
dichiarazione, unitamente alle inevitabili
misure di sicurezza applicate
dal Governo italiano per contrastare
il dilagare del virus ed evitare il collasso
del sistema sanitario, ha generato
in tutti noi stati d’ansia, paura
e soprattutto angoscia. Una condizione
collettiva che può essere un
fattore aggravante per alcuni pazienti
ansiosi e affetti da disturbi come
ipocondria, patofobia, ossessività
in tutte le declinazioni. Ma la pandemia
ha avuto un risultato paradossale
di (apparente) “guarigione
collettiva” per i rupofobici, persone
che soffrono di un disturbo ossessivo
compulsivo da contaminazione:
per far fronte alla loro fobia ossessiva,
queste persone sono costrette
da un’esigenza continua come
ad esempio lavarsi ripetutamente le
mani per decontaminarsi. E’ il terrore
del contagio - sia di agenti patogeni
biologici sia da veleni presenti
nell’ambiente - che li spinge compulsivamente
a veri e propri riti di
pulizia. Persone che hanno fatto del
detto “meglio prevenire che curare”
la loro ossessione in tempi non
sospetti, trasformando la sana prevenzione
in uno dei più severi disturbi
mentali. Adesso, per la pandemia
da Coronavirus siamo noi che dobbiamo
con fatica fare ciò che per loro
è un comportamento quotidiano
ma è anche una grave patologia che
li rende schiavi di veri e propri rituali
di decontaminazione. Le restrizioni
a cui momentaneamente dobbiamo
adeguarci possono diventare un’esperienza
positiva, un’occasione di
cambiamento, adattamento e acquisizione
di nuove risorse oppure
una condanna che avvelena la nostra
quotidianità anche se per un periodo
limitato. Certo non siamo così ingenui
da non prendere in considerazione
tutti gli effetti negativi prevedibili
e imprevedibili di questa situazione,
ma dobbiamo imparare a pensare
che servono idee nuove per far fronte
a cose nuove. Noi psicoterapeuti
del Centro di Terapia Strategica, in
accordo con l’Ordine Professionale
Nazionale (CNOP), abbiamo scelto
la consultazione per via telematica,
in modo da dare un piccolo contributo
alle norme di sicurezza del Governo
lasciando vuote le nostre sale
d’aspetto. Ringrazio i miei pazienti
che hanno quasi tutti accettato questa
nuova modalità online, evitando
così di interrompere percorsi terapeutici
già avviati e alcuni dei quali in
fasi delicate. La mia esperienza nella
psicoterapia telematica, consolidata
ormai da qualche anno con pazienti
prevalentemente italiani residenti in
Europa e in altri continenti, mi permette
di usare questi mezzi con le
accortezze necessarie sia dal punto
di vista formale che della comunicazione,
senza compromettere in alcun
modo l’efficacia della terapia.
Emanuela
Muriana
Emanuela Muriana vive e lavora prevalentemente a Firenze. E’ responsabile
dello Studio di Psicoterapia Breve Strategica di Firenze, dove svolge
attività clinica e di consulenza. Specializzata al Centro di Terapia Strategica
di Arezzo diretto da Giorgio Nardone e al Mental Reasearch Institute di
Palo Alto CA (USA) con Paul Watzlawick. Ricercatore e Professore della Scuola
di Specializzazione quadriennale in Psicoterapia Breve Strategica (MIUR) dal
1994, insegna da anni ai master clinici in Italia e all’estero. E’ stata professore
alla Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Siena (2007-2012)
e Firenze (2004-20015). Ha pubblicato tre libri e numerosi articoli consultabili
sul sito www.terapiastrategica.fi.it
Studio di Terapia Breve Strategica
Viale Mazzini 16, Firenze
+ 39 055-242642 - 574344
Fax 055-580280
emanuela.muriana@virgilio.it
30
COVID-19
A cura di
Stefano Grifoni
Dimensione
Salute
Il coraggio di un medico in trincea
contro il Coronavirus
di Stefano Grifoni
Uscendo di casa per andare in
ospedale ho visto strade deserte,
negozi chiusi, tutto
chiuso. Mi mancava il rumore dei motori
delle macchine, della gente, le grida
dei bambini che andavano a scuola.
Un grande silenzio; unici responsabili
i Coronavirus. I Coronavirus sono diventati
organismi con una vita sociale:
ca con i caschi in testa e mascherine
che coprivano interamente il loro volto.
In un'altra stanza c’erano pazienti
che respiravano con difficoltà. Ho fatto
una telefonata: Come stai? Respiri bene?
La febbre? Solo il fatto che il mio
amico contagiato dal Coronavirus stava
meglio, mi ha fatto iniziare una nuova
giornata con più coraggio.
Tempi e fasi di realizzazione di un vaccino
di Daniela Pronestì
In tempi di Coronavirus, siamo
tutti in trepidante attesa del
vaccino che ci libererà da questo
flagello, restituendoci finalmente
le nostre vite. Vale la pena quindi
domandarsi come nasca un vaccino
e quali siano i tempi di realizzazione.
Alla prima domanda non esiste
una sola risposta, perché le modalità
di “costruzione” dei vaccini antivirali
variano da preparato a preparato. In
genere le strategie più utilizzate sono
tre: indebolire il virus quel tanto che
basta per stimolare il sistema immunitario
a reagire ma senza sviluppare
la malattia; inattivare il virus con sistemi
chimici in modo da impedirgli di moltiplicarsi
o causare anche sintomi lievi
della malattia; utilizzare una specifica
componente del virus rimuovendola dal
microrganismo oppure sintetizzandola
in laboratorio per poi inserirla nel preparato
vaccinale. La costruzione di un
vaccino in laboratorio è solo la prima
tappa di un lungo periodo di ricerca volto
a dimostrarne la sicurezza, la tollerabilità
degli effetti collaterali e l’efficacia
nel determinare una buona risposta immunitaria.
Le fasi preliminari della ricerca
si svolgono in laboratorio (in vitro)
e puntano ad identificare, generalmente
attraverso l’utilizzo di colture cellulari,
la componente del microrganismo in
a loro piace vivere in mezzo alle persone,
infettarle e talvolta ucciderle.
E noi che ci consideriamo dominatori
incontrastati di tutti gli esseri viventi
non abbiamo nessuna garanzia che
saremo noi a sopravvivere. Quando
sono arrivato in pronto soccorso, le
stanze di isolamento erano presidiate
da infermieri vestiti con una tutta biangrado
di stimolare il sistema immunitario.
Una volta terminata questa fase,
si avvia la sperimentazione sull’uomo
suddivisa generalmente in tre fasi che
coinvolgono un numero crescente di
volontari (da alcune decine a molte
migliaia di persone). Concluse le fasi
della ricerca clinica, il vaccino ottiene
l’autorizzazione all’utilizzo da parte
delle agenzie farmaceutiche regolatorie
internazionali e nazionali. Ma non
è finita qui: anche dopo l’autorizzazione
all’utilizzo, il nuovo vaccino viene
tenuto sotto controllo per rilevare effetti
collaterali eventualmente sfuggiti
agli studi clinici. Un percorso lungo,
insomma, ma necessario per garantire
la nostra salute.
Stefano
Grifoni
Nato a Firenze nel 1954, Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del Pronto
Soccorso dell’Ospedale di Careggi e sempre presso la stessa struttura è direttore del Centro di Riferimento Regionale
Toscano per la Diagnosi e la Terapia d’Urgenza della Malattia Tromboembolica Venosa. Ha condotto numerosi
studi nel campo della medicina interna, della cardiologia, della malattie del SNC e delle malattie respiratorie e
nell’ambito della medicina di urgenza. Membro del consiglio Nazionale della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza,
è vice presidente dell’associazione per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per
Guglielmo e membro tecnico dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze. Ha pubblicato oltre 160
articoli su riviste nazionali e internazionali nel settore della medicina interna e della medicina di urgenza e numerosi testi
scientifici sullo stesso argomento. Da molti anni collabora con RAI TRE Regione Toscana nell’ambito di programmi
di medicina, con il quotidiano La Nazione e da tre anni tiene una trasmissione radiofonica quotidiana sulla salute.
IL CORAGGIO DI UN MEDICO
31
Ritratti
d’artista
Paolo Vannini
Instancabile sperimentatore tra figurazione ed astrattismo
di Jacopo Chiostri
Paolo Vannini è un “solido” e fecondo
pittore di lungo corso,
che calca le scene da decenni
con uno stile molto personale che ha
saputo rinnovare nel tempo, restando
però fedele a quelli che sono i pilastri
del suo lavoro: ricerca sul colore, inter-
Movimenti in collina, olio su faesite, cm 60x60
pretazione soggettiva e profonda della
natura, soggetti scomposti ma resi sulla
tela come entità indivisibili e dipinti in
eleganti geometrie che richiedono un’inedita
modalità di visione. Gli elementi
fondanti del mestiere di pittore ci sono
tutti nella pittura di Vannini, equilibrio
compositivo, intensità
luminosa, ma è con il colore,
con gli accostamenti
cromatici, l’influenza dei colori
vicini, l’utilizzo sapiente
dei “primari” e dei “complementari”,
che si esprime al
massimo la sua sensibilità
e si concretizza la sua ricerca.
Per ottenere il risultato
che vuole, Vannini non usa
le tinte in commercio, ma
se le fabbrica da solo, così
da ottenere cromie che sono
soltanto sue, in una sperimentazione
inarrestabile.
Ed è il colore che definisce
le forme e i piani sui quali
si dipana la rappresentazione,
in una sintesi che coniuga intensità
emotiva e intensità pittorica. Paolo Vannini
ama parlare della sua pittura come
di un linguaggio “in cui s’intrecciano
l’astratto e il figurativo”. Poi ci sono i
critici, molti ed illustri, che ne hanno
parlato; e in genere, nei loro testi, i riferimenti
per inquadrare in una modalità
storica la sua pittura, chiamano in
causa le avanguardie del primo Novecento.
Il primo accostamento, inevitabile,
è con i fauves con i quali condivide la
ricerca dell’immediatezza e la scelta che
il colore sia subordinato solo e soltanto
all’armonia della composizione; rispetto
ai fauves però, specie nelle opere recenti,
è assente una peculiarità che fu tipica
del movimento nei brevi anni della sua
esistenza, ciò a dire la “disattenzione”
per la prospettiva e per la semplificazione
delle forme. Altro riferimento quello
con la pittura cubista, con cui condivide
la riproduzione non verosimile della
realtà e la raffigurazione del soggetto in
più piani simultaneamente, grazie all’organizzazione
degli spazi e la sintesi pla-
Costa livornese, olio su legno, cm 50x60
Luna scomposta, olio su faesite telata, cm 70x70
32
PAOLO VANNINI
Strutture in crescita, olio su tela, cm 90x60
stica delle figure osservabili
da più punti di vista. I dipinti
più recenti sono ricchi, pieni
di forme poste in relazione tra
loro, il segno è deciso, autoritario,
e su tutto, ancora una
volta s’impone il colore; si vedono
luoghi ove a volte si avverte
una rumorosità allegra,
altri in cui domina il silenzio
che abbiamo conosciuto
nella pittura metafisica. In
opere quali La piazza dell’obelisco,
Il Boschetto e altre
ancora lo sguardo è guidato,
quasi condotto per mano
verso punti primari d’interesse
che in realtà non esistono,
giacché ognuna delle forme
presenti − in un ampio ventaglio
di geometrie − è necessaria alle
altre e nell’armonia complessiva, a dispetto
delle asperità (e come non pensare
alle teorizzazioni sui contrasti di
linea e di tono di Seurat, avendo ben
presente, beninteso, che parliamo di
due mondi lontani), si esprime al meglio
la loro bellezza. Vannini, non copia
la realtà, la interpreta, la crea ex novo.
Dopotutto, aveva ragione Marcel Proust
quando scriveva: «Il mondo non è stato
creato una volta, ma tutte le volte che è
sopravvenuto un artista originale». Vannini
è entrato ufficialmente nel mondo
pittorico giovanissimo, appena diciottenne;
molte e di pregio le sue esposizioni,
personali e collettive, i premi vinti
e le sue opere entrare a far parte di importanti
collezioni private. Attivo anche
sul piano della promozione delle attività
artistiche, nel 1981 è stato tra i fondatori
del gruppo Trecentoventidue, e dal
1999 fa parte dell’Associazione culturale
Estrarte, sodalizio di pittori impegnati
nel proporre, con mostre organizzate,
pittura estemporanea e d’avanguardia.
In ultimo, Gustave Moreau, maestro di
pittori del calibro di Matisse e Degas, diceva:«
Non credo alla realtà; né di quello
che vedo né di quello che tocco, ma unicamente
a quella del mio sentire interiore».
Nel caso di Vannini riteniamo che la
questione non sia “credere” o “non credere”
alla realtà, quanto poggiare la sua
arte sul suo “sentire interiore”: su questo
non sembrano esservi dubbi.
Atelier Paolo Vannini:
Via Roma 234/a, Signa (FI)
Dalla collaborazione di Paolo Vannini con Andrea Vignozzi, nasce l’idea di un progetto
espositivo itinerante in spazi pubblici e privati per ampliare il pubblico dell’arte
di Andrea Vignozzi
Paolo Vannini in occasione della mostra personale a Villa
Caruso a Lastra a Signa
Da sempre Signa è una fucina
di personaggi più o meno famosi
nel campo del teatro,
della politica, dell’arte e dello sport.
Paolo Vannini è uno di questi, attento
interprete, com'è, della tradizione artistica
locale. Egli si è imposto all’attenzione
del pubblico attraverso mostre
nazionali ed internazionali, con i suoi
lavori esaltanti e riconoscibili per la
forza del segno e l’energia dei colori.
Nella sua bottega, l’occhio del visitatore
che vorrà accedervi potrà scoprire
capolavori di "impressionismo futuristico”,
“cubismo”, "figurazione", "studi
contemporanei". Dal 2019, dopo la
sua mostra personale a Villa Caruso
Bellosguardo, io e Paolo abbiamo avviato
una collaborazione che
tuttora ci vede impegnati
in un susseguirsi di incontri,
rivisitazioni e seminari in
streaming. L’ultima recente
iniziativa è stata una mostra
di quadri di grande e medio
formato nelle varie tecniche
e nei molteplici soggetti della
sua pittura. L’esposizione
si è tenuta in un importante
contesto di lavoro a Pistoia
e verrà riproposta in altre
location pubbliche e private
altrettanto importanti e legate
al mondo del commercio, dell’industria,
dell’artigianato e del tempo
libero. Tutti luoghi con una frequentazione
quotidiana eterogenea che consente
alle opere di Paolo di arrivare ad
un pubblico sempre più ampio.
PAOLO VANNINI
33
I libri del
Mese
I fracassati
Racconti di vita tra solitudine e disincanto nel romanzo di Alessandro Bini
di Erika Bresci
Una strada, stretta, del centro
storico fiorentino. Quello vicino
al mercato centrale. Da un lato
una casa, abitata da un protagonista maschile
di cui si tace il nome, quarant’anni
circa e una vita scombussolata, fatta
di insuccessi sentimentali e di precariato
lavorativo (un lavoro, tra l’altro, assolutamente
inusuale). Dall’altro lato un
bar, il “Cantuccino”, animato da una folla
multiforme di avventori e gestito da una
giovane donna, Titti, anche lei in affanno
con se stessa e schiacciata dal peso
difficilmente sostenibile di dover tirare su
da sola una figlia che si sta affacciando
all’adolescenza con problemi di una certa
gravità. Due vite apparentemente separate,
quelle di Lui e di Titti, divise da
venti metri difficili da percorrere, ma unite
da un filo di seta che Bini tesse e tiene
per tutto il romanzo stando attento a
non spezzare. Le storie che si svolgono
all’interno del bar chiariscono da subito il
titolo scelto dall’autore, I fracassati. Perché
al bancone di Titti si alternano – con
una tecnica quasi cinematografica, fatta
di inquadrature singole e primi piani che
illuminano d’improvviso e poi spengono
volti e azioni – uomini e donne di ogni
età, estrazione sociale, etnia, che ben
mettono in luce la grande capacità osservativa
di Bini e la pochezza triste, le miserie
quotidiane, le meschinità evidenti di
una società sempre più chiusa in se stessa,
sulla quale domina come un manto
venefico la solitudine. Quella della dolce
Corinna, vecchina alle prese con il carrello
della spesa che sogna ancora un valzer
da danzare, quella di Vittorio, che si
consuma nel livore covato contro i negri
(così chiama tutti gli extracomunitari che
incrocia) che hanno cambiato la fisionomia
del suo quartiere, quella di Andrea,
che non è solo, anzi presto festeggiato
dalla sua famiglia, ma che vive l’incognita
della pensione come una vertigine
sconosciuta, quella di Duccio, perso tra
metanfetamine e ignoranza che trova nella
violenza – verbale e fisica – la sua cifra
e la sua identità, quella di tanti altri
che riempiono e affaticano le giornate di
Titti. Lui, del resto, è parimenti un “fracassato”.
Incapace di restare attaccato a
quel “bottone” che metaforicamente dice
di saper cucire così bene sulla patta dei
pantaloni che resterebbe attaccato anche
se tutto il resto dovesse deflagrare. Disperso
nel suo non sapere dove andare,
ascoltatore per lavoro di storie incredibili
di altrettante solitudini, attratto da una
storia d’amore per una donna bellissima
e sensuale, con la quale sa dall’inizio che
non potrà funzionare, ma che desidera
pazzamente come acqua che possa dissetare
almeno per un attimo prima di ricominciare
a percorrere il deserto della
vita. Una dissociazione che avviene a tutti
i livelli – sociale, appunto, e intimo –,
che percorre in senso orizzontale l’intera
umanità e che non dà risposte né vaticini.
Che constata semplicemente, con
disincantato umorismo, solo talvolta con
caustica cattiveria, ciò che siamo diventati,
il pericolo che come specie stiamo
correndo. E alla fine Bini, con la sua solita
brezza di pungente sarcasmo arriva a
dire: «Inizio a provare una certa simpatia
per l’Asteroide», ipotizzando per noi la
stessa fine dei dinosauri. Forse, guardando
ai tempi che stiamo vivendo, il regalo
di estinguerci ce lo faremo da soli.
34
I FRACASSATI
I libri del
Mese
Ascolta l’infinito
Storia e misteri lungo la via Francigena nella pedalata
letteraria dello scrittore esordiente Luca De Vincentis
di Elisabetta Mereu / Foto courtesy Luca De Vincentis
Leggendo questo libro mi è venuta
in mente la canzone di
Lucio Battisti che parlava di discese
ardite e di risalite, perché in sella
alla sua bici ne ha fatte tante Luca De
Vincentis, fisioterapista di Lissone, che
per i suoi 40 anni la scorsa estate si è
voluto regalare un viaggio in solitaria
sulle due ruote, lungo il tratto della via
Francigena (420 km.) che lo ha portato
da Lucca a Roma. Per cinque giorni ha
lasciato in mano ai colleghi il suo ambulatorio
privato, alla moglie Sonia e ai genitori
la cura dei tre amatissimi figli ed
è partito per questa avventura da cui è
scaturita la pubblicazione di Ascolta l’infinito,
titolo ispirato da un brano di Fiorella
Mannoia, che per tutto il racconto
sarà un enigmatico “mantra”. In questa
sua prima esperienza come scrittore, il
dottore brianzolo racconta il percorso
effettuato fra suggestive città e borghi
della Toscana e del Lazio. E lo fa con dovizia
di particolari, dati storici e aneddoti
curiosi, dopo essersi a lungo documentato
su monumenti, piazze e chiese talvolta
già visti in precedenti vacanze. Si
trasforma così in un appassionato promoter/gourmet
dei bellissimi e magici
Luca De Vincentis a Siena in Piazza del Campo
luoghi in cui ha sostato e mangiato, ma
anche e sopratutto in un cicerone alla ricerca
di un percorso spirituale all’interno
del suo stesso “io” dove, fra ricordi
e realtà, incappa in personaggi, sigle e
numeri misteriosi che si sveleranno solo
alla fine del viaggio. «Questo è il mio
primo romanzo − dice l’autore − ma siccome
è proprio vero che quando scopri
qualcosa che ti piace non puoi più farne
a meno, sto già lavorando al secondo».
Dunque, lui che fin da bambino è stato
un “divoratore” di libri, da consumatore
è diventato produttore di parole, perchè
ha capito che la scrittura può essere
una bella terapia per la mente e uno
strumento molto efficace per conoscere
meglio se stessi e trasmettere emozioni,
pensieri, sentimenti e riflessioni.
Viaggiare in solitudine lo ha aiutato a far
riemergere ricordi dell’infanzia sua o dei
familiari più cari. Ricordi che erano solo
accantonati in un angolo ben riscaldato
del suo cuore. Sembra aver fatto
suo l’aforisma di Confucio “Ovunque tu
vada, vacci con tutto il tuo cuore”, perché
è quello il vero fil rouge della pedalata
che Luca fisicamente ha fatto lungo
le strade sterrate dell’amata Toscana e
del Lazio, ma soprattutto
dentro se stesso,
così da scandagliare
nelle pieghe dell’anima
e nella profondità dei
propri sentimenti. Nonostante
abbia sempre
pensato di essere
molto razionale e pragmatico,
questo viaggio
introspettivo gli ha fatto
capire di quanta sensibilità
il suo cuore sia
capace, plasmato dagli
affetti che lo circondano
e che riempiono le sue
giornate e tutto il suo
essere. “Nel mezzo del
cammin...” della sua vita, dopo questo
momento di ricerca di qualcosa di più
spirituale, il protagonista diventa così
un uomo nuovo, più consapevole dei
veri valori della vita. Un figlio, marito e
padre migliore perché ha imparato a far
scaturire e ad amare le proprie fragilità,
facendole diventare un punto di forza.
Con Ascolta l’infinito, Luca De Vincentis
ha tracciato una sorta di immaginaria linea
esistenziale fra generazioni, a partire
dai suoi predecessori per arrivare ai
suoi tre figli. Quasi la consegna di un
testimone di quei valori morali e sentimenti
puri che deve essere passato da
padre in figlio durante la corsa della vita.
Una chiave di lettura utile ad ognuno
di noi.
Per richiedere il libro cartaceo o
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Luca De Vincentis
Ascolta l’infinito - Luca De Vincentis
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ASCOLTA L’INFINITO
35
L'Acchiappasogni (2017), acrilico e olio su tela, cm 60x90
Preludio all'ordine (2017), acrilico e olio su tela, cm 70x90
Un viaggio nell'immaginazione,
dove tutto ha inizio
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A cura di
Laura Belli
Speciale
Pistoia
Giovanni Boldini
A Villa La Falconiera il ciclo pittorico del celebre artista
ferrarese oggi conservato all'Antico Palazzo dei Vescovi
di Laura Belli
Giovanni Boldini in un autoritratto del 1897
Collegigliato e La Falconiera sono
i nomi suggestivi che indicano
un luogo e una villa sulle colline
subito fuori Pistoia. Qui Giovanni Boldini
− il pittore ferrarese noto come il
“ritrattista della Belle Epoque” − eseguì
nel 1868, appena venticinquenne, la decorazione
della sala da pranzo di Villa
La Falconiera di proprietà di una signora
inglese, Isabella Falconer, che era solita
ricevere nella sua elegante dimora
di Collegigliato alcuni pittori macchiaioli.
Fu Telemaco Signorini a presentarle
il giovane Boldini al quale la Falconer
affidò l’impresa decorativa all’interno
della villa. Il giovane artista lavorò,
seppur con una certa incostanza, nella
primavera del 1868 e per tutta l’estate,
fino a quando le pareti della sala furono
completamente ricoperte
da un ciclo pittorico a tempera
stesa “a secco” con scene
di paesaggi tipicamente toscani:
buoi aggiogati, una marina
con scogli, un pagliaio, i battitori
di grano, la stesa del bucato,
il mondatore di grano,
una guardiana di capre, palmizi
e aranci, tutti con lo sfondo
delle colline di Collegigliato o
del mare di Castiglioncello. Questo ciclo
di pitture murali rappresenta una
rarità non solo per quanto riguarda la
produzione artistica del Boldini ma in
generale della corrente macchiaiola. A
poche settimane dalla realizzazione, la
signora Falconer morì, la villa fu chiusa
e lo rimase per decenni; pian piano si
perse il ricordo dell’opera. Fu Emilia
Cardona Boldini, giovane vedova
del Boldini e prima biografa del
maestro, a riscoprirla, dedicandosi
con determinazione e pazienza
alla ricerca di un ciclo di affreschi
di cui il marito, ormai molto anziano,
le aveva parlato in modo vago
dicendo di avervi lavorato in epoca
giovanile, in una città toscana di
cui ricordava soltanto l’iniziale del
nome, ovvero la lettera “P”. Raccogliendo
pazientemente voci e indizi,
negli anni Trenta del Novecento
Uno degli otto dipinti a tempera facenti parte del ciclo
Emilia giunse a Villa La Falconiera e,
quando scoraggiata stava per andarsene,
venne attratta da una rimessa di
attrezzi agricoli: era l’antica e ormai irriconoscibile
sala da pranzo di Isabella
Falconer. Decise allora di acquistare
la proprietà e nel 1938 vi trasferì la sua
dimora portando da Parigi tutte le cose
appartenute a Boldini. Emilia, giornalista
piemontese, aveva conosciuto il
maestro a Parigi in occasione di un’intervista.
La decisione presa da Boldini
di sposarla a 87 anni, lui che non si era
mai sposato, fu forse dovuta al desiderio
di non finire dimenticato affidando
ad una donna intelligente, colta e libera
il compito di tutelare la memoria della
sua vicenda artistica, come difatto avvenne
con le mostre internazionali da
lei organizzate e i saggi scritti sull’opera
del marito. In quest’ottica va vista la
tenacia e il ritrovamento del ciclo pittorico
della Falconiera
donato nel 1974
alla città di Pistoia e
alla Cassa di Risparmio.
Oggi le tempere
si possono ammirare,
accuratamente restaurate,
in una sala
appositamente ricostruita
al primo piano
dell’Antico Palazzo
dei Vescovi.
GIOVANNI BOLDINI
37
Musei in
Toscana
Lu.C.C.A.
Un museo - laboratorio per l'arte contemporanea nel
centro storico di Lucca
di Gaia Simonetti / foto courtesy Lu.C.C.A.
Non dimentichiamo che le piccole
emozioni sono i grandi
capitani della nostra vita e che
obbediamo a loro senza saperlo. Viene
in mente questo aforisma di Vincent
Van Gogh quando si pensa alle emozioni
che hanno ispirato l’innovativo
progetto del Lu.C.C.A., museo polivalente
di arte moderna e contemporanea
allo stesso tempo contenitore di
opere d’arte, spazio educativo e luogo
aperto alla comunità. Ospitato all’interno
del cinquecentesco Palazzo Boccella,
nel centro storico di Lucca, ha dieci
sale espositive, di cui otto dedicate a
grandi mostre, con laboratori didattici
per bambini, rassegne di videoarte
ed eventi interdisciplinari, e due sale
per mostre collaterali con uno spazio
lounge video. E’ diretto da Maurizio
Vanni, docente di Museologia e Marketing
Museale, che coniuga le tradizionali
conoscenze storico-artistiche
con competenze legate all’organizzazione
di mostre, a forme strategiche di
marketing e alla comunicazione analogica
e digitale. Vanni ci accoglie con un
sorriso all’ingresso del museo e ci porta
a fare un tour di esperienze nell’arte.
«Oggi il museo è un’impresa − ci
spiega − che si può raffigurare come
un lungo viaggio con tante tappe da
raggiungere. Abbiamo seguito nuove
strade, spesso mai battute, e colto opportunità
che hanno permesso di dar
vita a percorsi museologici e di marketing
in 60 musei e 40 università di 27
paesi del mondo. Il Lu.C.C.A. è un luogo
di crescita culturale, uno spazio di
socializzazione e soprattutto di inclusione
sociale grazie alla divisione interna
Lu.C.C.A. ArTS Hub (Art Therapy
Social Hub) che ha l’obiettivo di ideare,
progettare e coordinare laboratori
di arte terapia rivolti a diversamente
abili, soggetti socialmente deboli, terza
età». Dopo la visita, ci fermiamo in
un’area relax ricca di colori e di libri.
I tavoli e le sedie sono leggeri come
sughero e osservando bene si capisce
che sono realizzati con materiale
riciclato. «L’attenzione all’ambiente è
già una grande forma di arte − continua
Vanni − e dopo aver sperimentato
modelli di sostenibilità economica, da
oltre un anno il Lu.C.C.A. è proiettato
verso modelli di sostenibilità ambientale,
sociale e tecnologica. Insomma,
una struttura museale che abbatte, oltre
a quelle architettoniche, anche le
barriere sociali, e che adotta il Green
Marketing per la salvaguarda ambientale,
portando avanti attività di formazione
e curando il benessere interiore
dei visitatori offrendo loro una mirata
esperienza estetica. Un modo per stare
al passo con i tempi ma anche per diventare
un punto di riferimento per altre
realtà simili alla nostra. In un'epoca
di crisi economica ed antropologica
nella quale soprattutto i cambiamenti
sociali sono sempre più repentini,
senso etico e senso civico devono necessariamente
integrarsi con le funzioni
tradizionali del museo inteso come
spazio che dialoga con il pubblico e
con il territorio». In questo periodo di
chiusura per l’emergenza Coronavirus,
il Lu.C.C.A. ha potenziato l’area tecnologica,
già avviata da anni, con tour
virtuali in grado di regalare emozioni
a distanza.
www.luccamuseum.org
L'esterno del Lucca Center of Contemporary Art
Una sala del museo
38
LU.C.C.A. MUSEUM
Ritratti
d’artista
JD Doria
Cosmologie tra arte e scienza
di Daniela Pronestì
Il connubio tra arte e scienza attuato
per mezzo della tecnologia
è il pilastro concettuale dell’opera
di JD Doria, la cui ricerca volge da
sempre alla combinazione di diversi −
e solo apparentemente distanti − ambiti
disciplinari e medium espressivi.
Molteplici le implicazioni pratiche e
teoriche di questa ibridazione di linguaggi:
anzitutto, un’idea dell’atto
creativo non come esperienza condotta
in solitudine dall’artista, ma come
processo attuato in sinergia con
esperti di altri settori. Ogni opera di
JD Doria prevede, infatti, una varietà
di passaggi che richiedono, oltre al
suo intervento, anche quello di un fotografo
e di un tecnico della stampa,
la cui collaborazione, tuttavia, non intacca
il principio dell’autorialità, o per
lo meno non del tutto. In questo caso,
parlare di un solo “autore” può
risultare fuorviante, non tanto, come
si è visto, per il coinvolgimento
di altre professionalità, quanto perché
alla tradizionale figura dell’artista
“demiurgo”, JD Doria preferisce
per se stesso il ruolo di tramite che
alla materia consente di manifestare
la propria “immaginazione creativa”.
Il suo intervento serve, infatti, a creare
le condizioni ideali affinché s’inneschi
un processo dove arte e scienza
diventano tutt’uno, a cominciare dalla
scelta di un supporto, la piastra di Petri,
usato in biologia per le colture cellulari.
Più simile ad un chimico che ad
un artista convenzionalmente inteso,
JD Doria versa in questo recipiente un
numero variabile di pigmenti cromatici
− inchiostri, vernici e acrilici − che interagendo
tra loro senza mai mescolarsi,
generano il nucleo fondativo dell’opera:
un insieme magmatico di colori che
poco a poco procedono dal caos all’ordine
seguendo una legge universale intrinseca
alla materia. Le immagini così
ottenute e immortalate dall’obiettivo fotografico
sono epifanie del palpito vitale
nascosto in ogni cellula; rivelazioni
della naturale tensione dell’esistente al
bello e all’armonia. Siamo lontani da
ciò che in pittura è composizione, rigore
formale, controllo degli strumenti
espressivi: il corpo dell’opera è una
massa fluida, osmotica, soggetta a continui
scambi e relazioni tra le sue componenti.
E in questa micro comunità,
i cui membri collaborano e si rispettano
l’un l’altro senza conflitti, JD Doria
si spinge alla ricerca di dettagli che,
estrapolati dall’insieme, si rivelano, a
loro volta, quali piccoli e compiuti mondi
da esplorare. La scansione ingrandita
dell’immagine fotografica consente,
infatti, di far emergere particolari altrimenti
impercettibili all’occhio umano;
ed è qui che il gusto della scoperta entra
in gioco: nel progressivo dipanarsi allo
sguardo di uno scenario popolato di
rocce, orizzonti marini, forme floreali,
figure animali, creature fantastiche.
Un immaginario che affiora dalla materia
e che diventa esso stesso opera
d’arte. Molti i sottintesi simbolici
di questo insolito processo creativo:
tra questi, lo stretto rapporto di necessità
che lega l’uno al molteplice, il
particolare all’insieme, e, in senso lato,
l’individuo alla collettività. Siamo
tutti cellule del medesimo corpo, monadi
solitarie gravitanti nello stesso
cosmo: i nostri mondi percettivi − dichiara
l’artista − ci dividono apparentemente
gli uni dagli altri, ma, al di là
di questi, “fluttua un caos dorato, fonte
primigenia dell’imprevedibile”. Per
JD Doria, la tecnologia acquista senso
se vocata alla conoscenza e, tramite
questa, alla presa di coscienza della
condizione che abbraccia ogni cosa
vivente, uomo e natura. Una riflessione
che non trascura i rischi della deriva
etica ed estetica di una società
sempre più dominata dall’appeal
dell’innovazione tecnologica. E a questa
minaccia, neanche troppo lontana
nel tempo, risponde con una rinnovata
idea di arte e insieme di bellezza,
intendendo entrambe come strumenti
necessari per vedere oltre e attraverso
le contraddizioni e i nonsensi del
vivere umano.
www.jd-doria.com
JD DORIA
39
Letterati stranieri in
Toscana
A cura di
Massimo De Francesco
Vernon Lee
Pseudonimo maschile della scrittrice inglese Violet Paget, amò Firenze dove
visse per oltre 50 anni
di Massimo De Francesco
Vernon Lee, pseudonimo della
scrittrice Violet Paget, nasce
il 14 ottobre 1856 a Boulogne-sur-Mer,
da Henry Ferguson Paget
e Matilda Lee Hamilton. E’ sorellastra
del poeta tardo vittoriano Eugene
Lee-Hamilton, nato dal primo matrimonio
della madre. Definitasi “inglese di
nazionalità” e “francese per caso”, Lee
è “italiana per scelta”, avendo trascorso
più di mezzo secolo in Italia. Qui
stringe amicizie importanti nei salotti
intellettuali di allora con personaggi
di spicco come Henry James, Mario
Praz, Telemaco Signorini, Carlo Placci,
Bernard Berenson e Edith Wharton.
Praz definisce la scrittrice una “miniera
di idee”. In Italia, i Paget si spostano
frequentemente e nel 1873 si fermano
a Firenze, dove la scrittrice trascorrerà
il resto della sua vita. Nel 1878, inizia
a scrivere sotto lo pseudonimo maschile
di Vernon Lee, divulgando l’opera
di Metastasio e Goldoni al pubblico
inglese. Poliglotta sin da piccola, condivide
l’anno di nascita con un altro illustre
personaggio dell’epoca, il pittore
americano John Singer Sargent, nato a
John Singer Sargent, Ritratto di Vernon Lee (1881), olio su tela, Tate Gallery, Londra
Firenze, con il quale stringe una forte
amicizia. Il loro primo incontro avviene
nel 1862, anno in cui i Sargent e i Paget
risiedono a Nizza. Un decennio dopo,
nel 1872, John e Violet esplorano
insieme la vecchia scuola di musica di
Bologna, dove s’incontrano brevemente
danno sfogo al loro desiderio di cultura
immaginando di “abitare” la scuola
con i compositori settecenteschi i cui
ritratti li circondano. Questa esperienza
immaginaria dona alla scrittrice lo
spunto per il racconto breve del 1881
L’avventura di Winthrop. Nello stesso
anno posa per Sargent, che la ritrae
in uno dei suoi più importanti dipinti.
L’anno prima, grazie alla passione per
la musica italiana del Settecento, Violet
pubblica all’età di ventiquattro anni
Studies of Eighteenth Century in Italy
(Studi del diciottesimo secolo in Italia).
Prosegue, sempre nel 1881, con Belcaro:
saggi su diverse questioni di estetica,
una delle sue opere più significative
riguardanti l’estetica, e poi ancora opere
come Euphorion (1884) e Passioni
e Studi sul Rinascimento (1895) che
fanno di lei un’esperta della cultura del
XVI secolo. Nel 1903, si cimenta anche
nella letteratura teatrale con l’opera
Arianna a Mantova. A partire dal
1888, risiede presso Villa Il Palmerino,
ai piedi di Fiesole, dove convive con
Clementine (Kit) Anstruther Thomson,
scrittrice scozzese sua amante dalla
quale viene lasciata nel 1899. Qualche
tempo dopo, nel 1911 si lega alla scrittrice
e avvocato inglese Irene Cooper
Willis con la quale vivrà a Villa Il Palmerino
fino alla fine della sua vita. Violet
Paget muore il 13 febbraio del 1935
a San Gervasio e riposa nel Cimitero
Evangelico degli Allori al Galluzzo, alle
porte di Firenze. Più di quattrocento
volumi antichi di proprietà della scrittrice
sono stati donati al British Institute
da Irene Cooper Willis, divenuta
beneficiaria della scrittrice.
40
VERNON LEE
A cura di
Lorenzo Borghini
Il cinema
a casa
Boyhood
Il film esperimento di Richard Linklater girato in 12 anni
per raccontare il passaggio del protagonista dall’infanzia
all’età adulta
di Lorenzo Borghini
Che cosa dire davanti a questo
esperimento cinematografico?
Niente. Dobbiamo restare
a guardarlo immobili, in silenzio, pronti
a cogliere tutto quello che ci sembra
più banale e scontato, pronti a cogliere
i cambiamenti fisici dei suoi protagonisti,
una maturazione della carne e
dello spirito lunga dodici anni. Perché
Boyhood racconta la vita di una famiglia
americana, le tradizioni di un popolo,
ma soprattutto la crescita del piccolo
Mason, dai suoi otto anni fino alla maturità
raggiunta con il diploma superiore.
Il regista Richard Linklater compie
qualcosa di grande, mai visto prima
sullo schermo. Abbandona la pratica
del trucco (da sempre simbolo della
finzione cinematografica) e quella della
sostituzione di bambini con attori più
adulti. In Boyhood è importante la crescita
(di Mason e della sorella), o l'invecchiamento
(del padre Mason Sr,
un fantastico Ethan Hawke), perché lo
spettatore deve immedesimarsi a pieno
nella ricerca dell'identità dei due ragazzi,
nei dubbi generazionali, nella scoperta
del primo amore; ma anche nelle
scelte sbagliate dei genitori, nell'ansia
dell'invecchiare, del cambiare rotta
in età avanzata, e infine nell'accettare
che i figli crescono e che la solitudine
sarà una compagna fedele fino alla fine
del proprio cammino. Il regista ha girato
il film in soli quaranta giorni dispiegati
nell'arco di dodici anni, riunendo la
troupe di volta in volta seguendo passo
dopo passo l'evoluzione dei suoi personaggi,
ma anche la crescita fisica dei
due attori inizialmente bambini che sono
cambiati davanti ai suoi occhi proprio
come figli con i loro brufoli nella
fase della pubertà, chili in più o in meno,
centimetri su centimetri e soprattutto
ha potuto osservare da vicino la
maturazione artistica di Ethan Hawke,
suo attore feticcio che lo aveva accompagnato
a braccetto proprio nell'altro
progetto ventennale, la trilogia che racconta
la storia di Jesse e Celine nei film
Prima dell'alba (1994), Prima del tramonto
(2004) e Prima della mezzanotte
(2013). Quindi il regista del tempo e di
tutte le sue sfaccettature. I personaggi
di Boyhood sono esseri umani veri,
svolgono la loro esistenza ordinaria,
ma colorata di sentimenti ben visibili,
senza veli, illuminati dalla macchina
da presa che li accompagna nel loro
cammino travagliato. Linklater fa parlare
molto i suoi personaggi, li fa interrogare
su tutto ciò che circonda la
loro esistenza, li fa riflettere sulla loro
condizione di ragazzi americani di og-
gi, e il collante di tutto è la famiglia come
elemento centrale nella boyhood.
Regista indipendente che fonda una
piccola casa di produzione a metà anni
'80, Linklater si confronta anche con
l'animazione sfornando due buonissimi
film come A Scanner Darkly e Waking
Life, esordisce con un film costato
circa ventitremila dollari e la presenza
di Boyhood in svariate sale di tutto il
mondo dimostra che non è necessario
piegarsi al volere delle Major americane,
che non è necessario finire un film
con una vera e propria fine, ma anche
con uno sguardo aperto al futuro, perché
come dicono i suoi protagonisti “è
l'attimo che coglie noi”.
BOYHOOD
41
Ritratti
d’artista
Rosy Carletti
Dalla cattura dell’istante con effetti di dissolvenza alla
metamorfosi di corpi e natura in forme scultoree
di Anna la Donna / foto Rosy Carletti
Andrea Petralia, art director
della galleria Beach Resort
di Punta Marina a Ravenna e
consulente del portale online Mecenate,
incontra Rosy Carletti, appassionata
fotografa che, nella sua originale
indagine del mondo, supera i limiti del
digitale, catturando scenari emotivi
Water and salt
Trucioli di legno
42
ROSY CARLETTI
decisamente insoliti. Nelle sue creazioni
si entra in punta di piedi. Trattiene l'effimero
corpo in dissolvenza attraverso
mani che cercano, nell'ombra, la realtà
che fugge. Un'ambientazione irreale avvolge
sagome che potrebbero dileguarsi
da un momento all'altro ma, le mani,
che tenacemente si aggrappano alla vita,
ci riconducono alla realtà. Artista poliedrica,
attraverso la riduzione della gamma
cromatica al bianco e nero, con esiti
creativi sorprendenti, cerca nei fluttuanti
stati dell'animo, l'ingresso per dialogare
con la natura. Come una regista da teatro,
al di qua dell'occhio sul mondo, scova
luoghi insoliti e allestisce la sua scena,
realizza costumi e sperimenta materiali
inusuali. I corpi diventano statue in cui
soffia lo spirito divino, scolpisce emozioni
e insegue la verità dimenticata, riscoprendo
nelle linee di quelle anime, le
geometrie del mondo. Lei non separa,
ma al contrario unisce. In un racconto
senza voce, blocca l'istante all'interno di
uno spazio dove l’esistenza oscilla al ritmo
di onde emotive che, nel tumulto del
loro essere, anelano alla pace del principio
da cui tutto proviene e verso cui tutto
tornerà. I paradigmi della sua ricerca
sono l'acqua, la natura, le mani creatrici,
la corrispondenza di segni nell'armonia
del creato tra giochi di colore e sinfonie
al chiaroscuro. La sua capacità artistica,
unita ad una curiosità singolare,
rivela un superamento della staticità ponendosi
il problema della riproducibilità.
E se al di qua Rosy crea, al di là dell'obbiettivo
ci imbriglia tra le strette maglie
di un’emozione.
Inside (modella Ivana Sammarco)
Sculpture (modelle Enrica Cozzolotto e Laura Pagliani)
Nata in Svizzera nel 1959,
Rosy Carletti coltiva fin da
ragazza la passione per la
fotografia, alla quale inizia a dedicarsi
con serio impegno dopo il
rinvenimento, in un bosco, di una
Praktica, una vecchia macchina
analogica. Un segno, una svolta.
Inizia un percorso di studio associato
ad una curiosità mai paga
verso il mondo e un’introspezione
che la porterà ad analizzare il flusso
emotivo attraverso il linguaggio del
corpo. Ama i colori quanto il bianco e
nero, il contrasto tra soggetto ritratto
e ambientazione. Suo marito le allestisce
uno studio dove lei crea e confeziona
copricapo, abiti e qualsiasi cosa
necessiti al set che dovrà approntare.
Il suo occhio cerca meraviglie nascoste;
il suo obbiettivo cattura soluzioni
insolite; le sue foto tra colori, luci,
emozioni interpretano le infinite variabili
della vita.
Rosy Carletti photography
rosycarletti_photography
Rosy Carletti
ROSY CARLETTI
43
Nuove proposte dell’arte
contemporanea
A cura di
Margherita Blonska Ciardi
Krzysztof Konopka
Il fondatore dell'Orapizmo a Montecatini Terme per
un’asta internazionale
di Margherita Blonska Ciardi
Durante la recente edizione della
Biennale di Firenze, l'artista polacco
Krzysztof Konopka è stato
riconosciuto ufficialmente iniziatore
di una corrente pittorica chiamata Orapizmo
(dal portoghese “adesso traccio”)
che, elaborando e sviluppando le lezioni
dell’espressionismo astratto, del fauvismo
e della pittura informale, introduce
un nuovo genere di rappresentazione
plastica. La pittura di Konopka riprende
le avanguardie del Novecento per trasformarle
in uno stile personale che l'ar-
tista ha definito, appunto, “Orapizmo”.
Con pennellate spontanee che increspano
e graffiano la superficie della tela, Konopka
sovrappone il suo caos emotivo
alle immagini rappresentate, trasmettendo
tutta la freschezza e la naturalezza del
suo gesto. In questo modo l'artista diventa
un catalizzatore di emozioni nascoste
nell’inconscio. Konopka lascia
emergere le sue e le nostre sensazioni
primodiali catturandole in un groviglio di
colori e trame cromatiche. Il mondo reale
è sempre il punto di partenza delle sue
opere, anche se il dato oggettivo della visione
viene trasformato attraverso diverse
sovrapposizioni cromatiche. Le opere
dell’artista polacco sono state presentate
di recente in una puntata della rubrica
televisiva Incontri con l’Arte presso
lo storico ristorante fiorentino La Loggia
sul Piazzale Michelangelo a Firenze. Una
delle sue opere è stata scelta per la prossima
asta internazionale della Fabiani Arte
a Montecatini Terme.
www.orapizmkonopka.eu
Butterfly, olio su tela, cm 100x80
44
KRZYSZTOF KONOPKA
Nuove proposte dell’arte
contemporanea
Karin Monschauer
Protagonista nei prossimi mesi di due eventi espositivi
ad Abu Dhabi e Singapore
di Margherita Blonska Ciardi
Ilavori dell’artista lussemburghese
Karin Monschauer, che vive
e lavora tra l’Italia e la Svizzera,
fondano le proprie basi sul modernismo,
sull’optical art e sull'arte
cinetica, pur mostrando la ricerca
personale dell’artista e la sua passione
per il ricamo e la matematica.
Le superfici, create attraverso l'uso
dell'arte digitale, sembrano trame coloristiche
ricamate secondo progetti
compositivi costruiti con un criterio
ornamentale di impronta razionale e
logica. Le tele di Monschauer sorprendono
per la varietà caleidoscopica dei
colorati spazi geometrici, che trasportano
lo spettatore in mondi fantastici
ed armonici. L’artista ha ricevuto nei
primi mesi del 2020 numerosi riconoscimenti
internazionali come il premio
Leonardo da Vinci a Firenze, il premio
della critica e l’International Prize Frida
Kahlo a Palermo, il Master Award 2020
a New York. Prossimamente parteciperà
ad importanti rassegne che la vedranno
esporre i lavori eseguiti con la
tecnica del ricamo ad Abu Dhabi, dove
nel mese di novembre sarà presente
all’Expo, e alla Bank Art Fair di
Singapore. E’ stata inoltre invitata a
partecipare all'asta internazionale di
Fabiani Arte a Montecatini Terme e
alle mostre Tamara – donna moderna
glamour, dove saranno presenti anche
opere della grande artista Tamara
de Lempicka, e AqvArt a Venezia
nel mese di settembre.
www.karinmonschauer.ch
Farfalla su una camelia (2020), pittura su tela, cm 50x70
Punto di non ritorno (2020), pittura su tela, cm 70x70
KARIN MONSCHAUER
45
Nuove proposte dell’arte
contemporanea
A cura di
Margherita Blonska Ciardi
Michael Henry Ferrell
Ospite all'asta di Fabiani Arte con un ciclo di bassorilievi
ispirati all’Italia e alla Grecia
di Margherita Blonska Ciardi
Dopo aver lavorato nell’ambito
della pubblicità e del teatro,
l’artista inglese Michael
Henry Ferrell si è trasferito in Andalusia
per dedicarsi totalmente ed esclusivamente
alla pittura. Laureato in Belle
Arti e Design e con esperienza nel campo
delle arti applicate e del teatro, ha
approfondito lo studio della scenografia
e dei comportamenti sociali per creare
uno stile molto personale. Durante i
suoi numerosi viaggi in Grecia e in Italia
ha realizzato una nuova serie di opere
che uniscono la pittura alla tecnica del
bassorilievo. Queste bellissime composizioni,
raffiguranti le case colorate
di Capri, Amalfi e Santorini, sono state
esposte di recente presso la Fondazione
Zeffirelli a Firenze e saranno prossimamente
presentate all'asta internazionale
d'arte contemporanea della Fabiani
Arte a Montecatini Terme. Nei prossimi
mesi, Ferrell parteciperà alla mostra dedicata
a Tamara de Lempicka e a settembre
alla rassegna AqvArt a Venezia,
confermando così l'importanza della
sua attività artistica in Italia.
Capri, bassorilievo dipinto
Santorini, bassorilievo dipinto
Enrico Visani
Amalfi, bassorilievo dipinto
46
MICHAEL HENRY FERRELL
Firenze
Mostre
Alla Galleria Mentana, “Firenze sogna” con
la mostra promossa dall’associazione AELA
di Rita Tambone / foto courtesy AELA
Lo scorso 29 febbraio, alla Galleria
Mentana di Firenze, si è
inaugurata la mostra Firenze
Sogna. Ventiquattro artisti hanno
esposto le loro opere ispirandosi liberamente
alla “città del fiore”; artisti
tutti diversi per soluzioni formali
e temperamento ma che hanno saputo
cogliere tanti aspetti della realtà e
del sogno. Dagli angoli eternamente
suggestivi della nostra città alla bellezza
della natura, all’intimità degli affetti,
alla forza del lavoro, alla dolce
e silenziosa presenza degli oggetti
quotidiani. Non sono mancati omaggi
ai monumenti fiorentini. Tutto è stato
raccontato attraverso una linea salda
con la forza e l’armonia del colore,
percorrendo la strada del figurativo
oppure scegliendo quella dell’astrattismo.
Ne nasce un delicato bouquet
di opere che conducono lo spettatore
attraverso l’immaginario dell’artista
e gli permettono di compiere un
viaggio, di gettare uno sguardo sul
contemporaneo, su un’arte che vive,
esiste e respira anche in una città
come Firenze dove il confronto con i
grandi è costante e dove troppo spesso
siamo portati a rifugiarci nel passato,
dimenticando che l’arte, anche
quella attuale, altro non fa che camminare
saldamente intrecciata alla
storia dell’uomo.
La mostra è stata promossa da AE-
LA (Associazione Europea Lavoratori
Anziani), il cui presidente Vincenzo
D’Angelo, ha così commentato l’iniziativa:«Con
soddisfazione e con piacere
desidero ringraziare tutti coloro
i quali hanno contribuito al successo
di questa seconda edizione di Firenze
Sogna, una rassegna di arte contemporanea
che già costituisce annualmente
un importante evento culturale
nel panorama artistico fiorentino. I
ventiquattro partecipanti, con le loro
opere, hanno costruito un significativo
e concreto “omaggio” alla città di
Firenze e hanno lanciato un ponte di
condivisione con altri artisti pronti a
recepirne i messaggi».
Artisti in mostra:
Lidia Atzori, Libuse Babakova, Maria
Grazia Bambi, Donatella Calamai,
Maria Cristina Cincidda, Roberto
D’Angelo, Mara Faggioli, Carla Fossi,
Cinzia Francalanci, Patrizia Gabellini,
Elena Gheri, Caterina Gianuizzi, Giusy
Gramigni, Lucia Introna, Angela Lucarini,
Andrea Mattolini, Miranda Mei,
Maria Lorena Pinzauti Zalaffi, Pier Nicola
Ricciardelli, Maria Sciuto, Maria
Paola Spadolini, Angela Tarantino, Alteride
Turchi, Bianca Vivarelli, Rosalba
Vagaggini.
Da sinistra l’artista Miranda Mei, la dottoressa Rita Tambone, il presidente di AELA Vincenzo D’Angelo e
Laura Adreani, direttrice artistica della Galleria Mentana
GALLERIA MENTANA
47
Il super tifoso
Viola
A cura di
Lucia Petraroli
Leonardo Semplici
Fiorentino doc, l’ex allenatore della Spal si racconta: dal legame
con la città agli scenari presenti e futuri della squadra viola
di Lucia Petraroli
Reduce da un viaggio di aggiornamento
lavorativo in Spagna
diventato un'odissea per l'emergenza
Coronavirus, intervistiamo
Leonardo Semplici, ex tecnico della
Spal con cui parliamo del momento
attuale, del calcio, della Fiorentina
e dell'ambizione di sedersi un giorno
sulla panchina viola.
Innanzitutto parliamo di lei, mister
Semplici: cosa sta facendo in questo
momento? Sappiamo del suo
viaggio di lavoro all’estero interrotto
per l’emergenza Coronavirus.
Sì, purtroppo c'è stata questa emergenza
e siamo dovuti rientrare in Italia
con un viaggio diciamo un po' particolare,
lungo e con molti voli. Mi è dispiaciuto
rinunciare all’impegno di
lavoro ma è stato doveroso rientrare
per le ordinanze del nostro Governo.
Crede che questa emergenza potesse
essere gestita meglio sia a livello
generale che sul fronte sportivo
oppure le istituzioni, anche calcistiche,
hanno agito nel modo migliore?
A livello italiano credo si siano mossi
discretamente, nessuno certo pensava
a questo pericolo. L'altra settimana
ero in Spagna dove ancora non si percepiva
la gravità della situazione. Le
restrizioni adottate sono giuste anche
dal punto di vista calcistico.
Lei è uno di quegli allenatori che ha
fatto davvero tutta la gavetta possibile
fino all’approdo in Serie A con
grandi successi come quello con la
Spal; in futuro pensa di rimanere nel
campionato italiano o le piacerebbe
provare un’esperienza all’estero?
Guardo con interesse ai campionati
esteri, ma il mio obbiettivo è quello di
continuare in Italia. Il viaggio che ho fatto
in Spagna e che purtroppo come si
Leonardo Semplici (ph. courtesy Calcioatalanta.it)
48
LEONARDO SEMPLICI
è detto ho dovuto interrompere, serviva
proprio a farmi capire da vicino come
lavorano alcuni allenatori a livello internazionale,
in modo da trarne spunto per
il mio futuro lavorativo.
Quali sono nella sua carriera la partita
indimenticabile e quella più brutta?
Tante partite e tanti bei ricordi, non ne
ho uno in particolare, sicuramente qualcuno
anche meno bello, ma tutti fanno
parte del mio percorso e della mia crescita.
In quanto fiorentino doc, le piacerebbe
un giorno allenare la squadra viola?
Devo dire che da parte mia ci sarebbe
l'ambizione di allenare la Fiorentina, ma
vedremo in futuro. Oggi sicuramente è
allenata da un bravo tecnico a cui auguro
anche da tifoso le migliori cose.
Questa Fiorentina potrà ambire di
nuovo a palcoscenici importanti?
Credo che la nuova società abbia dato
un forte input e grandi nuove motivazioni.
Certo, è auspicabile che la squadra
abbia un nuovo stadio nell’immediato
futuro. Ma non c’è dubbio che la Fiorentina
abbia tutte le carte in regola per
fare grandi cose.
Lei conosce molti giovani giocatori
viola che si stanno mettendo in mostra,
su tutti Chiesa: rimarrà alla Fiorentina
secondo lei?
Credo che Federico stia facendo grandi
cose anche se ha passato un periodo
non buono in questo campionato.
Ora si è ripreso e credo avrà margini di
miglioramento. Ovviamente spero che
rimarrà a lungo alla Fiorentina, ma sicuramente
verrà valutato anche da altre
squadre e questo lo vedremo a breve.
Cosa rappresenta per lei Firenze?
Firenze è casa mia, rispecchia il mio
modo di essere e di esprimermi, il mio
carattere. Quando vivi in una città come
Firenze rischi spesso di non apprezzarne
fino in fondo la bellezza, però quando
sei lontano capisci la fortuna che hai
ad essere fiorentino.
Quando si trova a Firenze, dove le piace
andare nel tempo libero?
In centro senz'altro: vengono da tutto
il mondo per apprezzare la nostra città,
dobbiamo esserne orgogliosi.
Firenze significa anche buona cucina,
il suo piatto preferito?
Cosa posso rispondere se non la bistecca
alla fiorentina? La cucina toscana
è ottima per vari aspetti; infatti,
quando rientro a casa dopo un periodo
fuori, non vedo l’ora di gustare i
sapori della nostra tradizione culinaria.
Si aspetta il nuovo stadio per Firenze
o si andrà per il restyling del
Franchi?
Io sarei per il restyling del Franchi, vista
la storia che lo lega alla Fiorentina.
Ma se vuoi stare al passo di club
importanti, lo stadio di proprietà, magari
in un luogo diverso, credo sia il
futuro.
Miglior giocatore di sempre?
Senza ombra di dubbio Giancarlo Antognoni:
è stato il mio numero 10, il
giocatore che mi ha fatto avvicinare
al calcio e ai colori viola, alla storia
del club. Un esempio da seguire e un
grande giocatore che ho avuto la fortuna
di conoscere.
LEONARDO SEMPLICI
49
Storia delle
Religioni
A cura di
Stefano Marucci
La Quaresima: tempo di rinascita
spirituale dell’uomo
di Valter Quagliarotti
1^ parte
Come ogni anno, puntuale, arriva
la Quaresima. Deposte le
maschere, quelle di Carnevale
e quelle, molto più difficili da togliere,
che la vita o l'abitudine ci fanno indossare,
ci è proposto un tempo di grazia
per prepararci alla Pasqua e verificare
così anche la nostra vita. Che cos’è
la Quaresima? Prima di tutto è, insieme
all’avvento, uno dei tempi forti dell’anno
liturgico, un tempo dedicato principalmente
alla conversione che dura 40
giorni e si articola in 5 domeniche ciascuna
delle quali ha in sé elementi battesimali.
Il 40 è un numero simbolico
legato a due grandi avvenimenti presenti
sia nell’Antico Testamento che nel Nuovo:
nel primo, ci ricorda il vagare del popolo
ebraico che, sotto la guida di Mosè,
camminò per 40 giorni nel deserto prima
di giungere alla terra promessa; nel
secondo, si parla invece dei 40 giorni di
Gesù nel deserto culminanti con le tentazioni
del demonio. Riguardo poi al significato
della Quaresima, possiamo
comprenderlo a partire dal mistero pa-
Marc Chagall, Crocifissione bianca (1938), olio su tela, cm 154,6 x 140, Chicago, Art Institute
squale di morte e risurrezione che ricordiamo
durante il triduo pasquale. E’ un
tempo privilegiato, quello quaresimale,
per fare un’esperienza viva della nostra
partecipazione al mistero pasquale
del Signore; per poter vivere in pienezza
questo tempo quaresimale, abbiamo
bisogno di qualche attimo strappato
al caos, di silenzio interiore da ritagliare
nelle nostre frenetiche giornate senza
capo né coda. L'ha detto anche papa
Benedetto: basta con l'idea della Quaresima
come di un tempo penitenziale doloroso,
in cui imporci delle rinunce
e metterci in volto la maschera del
penitente. Al contrario, la Quaresima
è il tempo della verifica della
propria vita, della preparazione
al grande evento. Papa Francesco
chiama ciascun cristiano a guardare
alle miserie che ci circondano e
a distinguere tre tipi di miseria: «La
miseria materiale, la miseria morale
e la miseria spirituale. La miseria
materiale è quella che comunemente
viene chiamata povertà. Di
fronte a questa miseria, la Chiesa
offre il suo servizio per andare incontro
ai bisogni. La miseria morale
consiste nel diventare schiavi
del vizio e del peccato. Questa forma
di miseria si collega sempre alla
miseria spirituale, che ci colpisce
quando ci allontaniamo da Dio e rifiutiamo
il suo amore. Il cristiano è
chiamato a portare in ogni ambiente
l’annuncio liberante che esiste il
perdono del male commesso, che
Dio è più grande del nostro peccato
e ci ama gratuitamente». La Quaresima,
quindi, è un tempo battesimale,
in cui tutti noi battezzati in
Cristo facciamo rivivere la consapevolezza
del nostro battesimo e,
al tempo stesso, intensifichiamo il
nostro vivere da cristiani.
50
LA QUARESIMA
Corsi e ricorsi
storici
La peste nera del Trecento
Arrivata in Europa dall’Asia, sterminò oltre un terzo degli
abitanti del continente
Un dramma sociale con conseguenze sui capisaldi etici e culturali
del Medioevo
di Barbara Santoro
Durante il XIV secolo, in particolare
tra il 1347 e il 1350, si
verificò in Europa la più diffusa
e terrificante epidemia di tutti i tempi,
che non solo provocò migliaia di vittime,
ma rimase endemica, ricomparendo periodicamente
ora in una regione ora in
un'altra, raggiungendo l’acme in Italia
nel 1348. Secondo le stime dell'epoca
si pensa che sia morto oltre un terzo
degli abitanti del continente. Passata alla
storia come “peste nera”, ebbe origine
in Asia, con molta probabilità in Cina,
e si diffuse con grande rapidità raggiungendo
la prima città europea, Caffa in
Crimea, che a quel tempo era un importante
centro commerciale dei genovesi.
Da lì si spostò a Bisanzio e in quasi tutti
i porti dell’Europa orientale. L'Italia fu
il paese in cui il morbo si manifestò con
Trionfo della morte (1346), affresco staccato, Galleria regionale di Palazzo Abbatellis, già a Palazzo
Sclafani, Palermo
maggiore violenza, lasciando segni indelebili
e conseguenze gravissime che fecero
sentire il loro peso anche nei secoli
successivi, tanto che alcuni storici hanno
fissato nel 1348 la data della fine del
Medioevo. Dai tanti cronisti dell'epoca
emerge in modo chiaro la drammaticità
della situazione. Il carattere improvviso
e letale della malattia e il terrore di
contrarre il morbo da una persona infetta
determinarono un sentimento di sfiducia
nei confronti del prossimo. Anche
gli stessi religiosi, che avrebbero dovuto
portare gli estremi conforti a chi stava
per morire, a causa della paura di
infettarsi non svolsero il proprio compito
come avrebbero dovuto. A Firenze
i malati rimasero a morire nelle proprie
case, mentre a Venezia il governo cittadino
decise che alcuni addetti prescelti
passassero nelle case a raccogliere moribondi
e morti per portarli nelle isole di
San Marco Boccalama, San Leonardo
Fossamala e Sant’Erasmo, dove furono
tutti seppelliti in grandi fosse comuni. Il
poeta Francesco Petrarca perse un figlio
e la tanto amata e celebrata Laura, altri
cronisti addirittura quattro o cinque figli.
Per non dimenticare il Boccaccio che
ne parla nel Decameron. Si continuava
a pensare che la malattia fosse una sorta
di castigo inviato da Dio allo scopo di
punire le depravazioni dei costumi che
caratterizzavano quell’epoca. Una moltitudine
di gente scese nelle piazze e per
le strade flagellandosi, pregando ed invocando
il nome di Cristo e della Vergine
Maria. La colpa dell'epidemia venne
fatta ricadere sugli Ebrei accusati di avvelenare
i pozzi delle città. Una grande
devozione si diffuse per quei santi che
in qualche modo erano legati alla peste,
soprattutto San Sebastiano e San Rocco.
Molti morivano senza poter fare testamento
e sentendosi vicini alla morte
cercavano di ottenere la salvezza della
propria anima affidandosi agli ordini
religiosi e alle confraternite che si approfittarono
dei lasciti testamentari per
accumulare ricchezze. La grande peste
del 1348 non soltanto determinò cambiamenti
radicali nell’aspetto delle città
e nei patrimoni dei sopravvissuti ma
mutò il modo di pensare di molti uomini
di quel tempo. Si pensò quindi di investire
i propri averi in nuove attività produttive,
nell'educazione dei figli e in dimore
più grandi e adornate con opere d’arte.
Questo cambio di mentalità dei sopravvissuti
contribuì fortemente al sorgere
delle epoche più fiorenti della nostra
storia, cioè Umanesimo e Rinascimento.
LA PESTE NERA
51
Firenze
Mostre
Colori in … Circolo
A Palazzo Bastogi la collettiva per gli oltre 60 anni di vita del
Circolo Amatori Arti Figurative di Empoli
di Silvano Salvadori / foto Francesca Gheri
Fondato nell’ottobre del 1957, il
Circolo Amatori Arti Figurative è
forse l’associazione culturale più
antica e longeva dell’Empoli democratica;
come si legge nell’atto costitutivo,
scopo dell’associazione è aprire le porte
“agli artisti di arti figurative, ai critici
e ai cultori d'arte in genere di qualsiasi
nazionalità, razza e religione (…) comprendendo
tutte le tendenze artistiche e
culturali”. Il Comune di Empoli le ha concesso
la sede del piano terra del Palazzo
Ghibellino, un prestigioso edificio prospiciente
la piazza dove nel 1260 si tenne
il famoso “Parlamento” in cui Farinata
degli Uberti difese Firenze affinché non
fosse distrutta. Empoli, patria del Pontormo,
vanta un’importante pinacoteca,
Un momento della presentazione: a partire da destra, il presidente del Circolo Silvano Salvadori, il giornalista Fabrizio
Borghini, il consigliere regionale Enrico Sostegni e l’assessore alla Cultura del Comune di Empoli Giulia Terreni
In questa e nell'altra foto due scorci della mostra
sita di fronte alla sede dell’associazione,
con opere di maestri come Masolino
da Panicale, Lorenzo Monaco, Filippo
Lippi e il Rossellino. Se pur negli ultimi
decenni la possibilità per il pubblico
di seguire le tendenze artistiche è stata
affidata ai mass media, in questi anni il
Circolo ha fornito occasioni di confronto,
dibattito e formazione per gli amanti
dell’arte con più di mille esposizioni. Oltre
ad ospitare mostre di nomi importanti,
il Circolo ha offerto l’occasione a tanti
di avviare una vera e propria iniziazione
all’arte concedendo loro spazi espositivi,
organizzando uscite in plein air per
concorsi estemporanei, conferenze, gite
d’istruzione, lezioni di tecnica pittorica,
disegno ed incisione. Il confronto e il
dibattito con le opere dei maestri più conosciuti
hanno permesso, ai soci e ai frequentatori,
l’affinamento degli strumenti
tecnici e di una più accurata coscienza
critica. Pur non mancando negli anni i dibattiti
fra astrattisti e figurativi, oggi superati
dal moltiplicarsi delle correnti e
delle tecnologie, il sodalizio ha svolto un
importante ruolo sociale che oggi sempre
più si apre verso altri ambiti: editoria,
fotografia, musica, filmografia. Una
vita attiva anche nella promozione della
conoscenza della cultura e del territorio
dell’Empolese-Valdelsa perché sia salvaguardato
e reso fruibile in forme didattiche
appropriate. Tutto questo grazie
all’impegno dei numerosi soci e dei presidenti
che si sono succeduti negli anni.
Gli oltre sessant’anni di attività dell’associazione
sono stati celebrati con una mostra
a Palazzo Bastogi − dal 26 febbraio
all’11 marzo 2020 − a cui hanno preso
parte i seguenti artisti in qualità di soci:
Giovanna Arrighi, Dea J. Babic, Laura
Ballini, Rinaldo Barnini, Marco Beconcini,
Claudio Bernardeschi, Mariapaola
Bianchi, Beppe Calvetti, Eleonora Cantini,
Delia Estela Caporale, Anna Caporali,
Camilla Ciampalini, Valentina Coculo,
Lorella Consorti, Bianca Corsi, Daniela
Del Sarto, Grazia Di Napoli, Cosetta Di
Pietrantonio, Luigi Dimitrio, Euro Elmi,
Alfonso Fantuzzi, Giovanni Fiaschi, Alma
Francesca, Francesca Gheri, Letizia Lazzeretti,
Chiara Lunardi, Tiziana Maggiorelli,
Katayoun Maleki, Rossana Mannini,
Antonio Marrazzo, Vera Martino, Mira
Masini, Sandra Masoni, Chiara Mattei,
Umberto Matteoli, Elena Migliorini,
Alessandra Mollica, Anna Napoli, Claudia
Nesti, Luana Nesti, Franco Paolucci,
Graziano Pellegrini, Fulvio Persia, Giulia
Peruzzi, Paola Pini, Franco Ramerini,
Mario Romoli, Silvano Salvadori, Bruna
Scali, Beatriz Scotti, Saura Simoni, Silvano
Sordi, Elisa Tosi, Alberto Vignoli, Gerardina
Zaccagnino.
52
COLORI IN … CIRCOLO
A cura di
Paolo Bini
Arte del
Vino
Chianti Classico: il mito del
gallo nero si rinnova
di Paolo Bini / foto Chiara Daniele e Caterina Mori
L’attenzione di tutti è oggi chiaramente
volta verso la situazione
di emergenza sanitaria
che ci vede costretti a proteggere noi
stessi e la comunità intera. Sembra
passato un secolo ma era soltanto
metà febbraio quando la Stazione Leopolda
accolse oltre 3000 persone fra
operatori, professionisti e giornalisti
accreditati per salutare in due giornate
il nuovo Chianti Classico. Un’affluenza
impressionante, con visitatori da tutto
il mondo, che oggi ci rende quasi
increduli alla luce di quanto accaduto
pochi giorni dopo. Giusto il tempo
di godersi fortunatamente il vernissage
di questo prodotto che il mondo
ci invidia. Chianti Classico DOCG significa
ovviamente mito del gallo nero
ma soprattutto indica quel territorio
che da oltre 300 anni è stimato essere
area elettiva dell’ottimo vino a base
uva Sangiovese. Una zona oggi coperta
dai comuni fiorentini di San Casciano
VP, Greve, Barberino Tavarnelle e
da quelli senesi di Radda, Gaiole, Castelnuovo
Berardenga, Castellina e in
parte Poggibonsi.
I nuovi Chianti Classico sono
figli di annate diverse in
base alla tipologia. Sicuramente
si presenta per la
prima volta il risultato della
vendemmia 2018 arrivata
dopo una stagione non
semplicissima, tendenzialmente
umida ma che alla
fine dell’estate ha regalato
giornate ottime e ha consentito
un buon raccolto
e di conseguenza un vino
equilibrato. La calda annata
2017 e la splendida
2016 sono state invece degustate
nelle tipologie Riserva
(minimo 2 anni di
invecchiamento) e Gran
Selezione (minimo 30 mesi
di evoluzione prima della
messa in commercio).
Entusiasmante comprendere
le differenze qualitative
a seconda delle aziende
ma soprattutto a secon-
da dell’annata e del comune di provenienza
con la consueta epica sfida
fra la forza dei Chianti Classico di Greve
e l’eleganza di quelli nativi di Radda.
Ogni anno è un’occasione,
ogni anno è competizione,
ogni anno è una sorpresa, ma
con la solida certezza che il
Chianti Classico regala ogni
anno emozioni attraverso la
sua assoluta qualità e la grande
tradizione.
Questi giorni di clausura non
ci impediranno di degustarlo
e continuare ad abbinarlo
ai prodotti gastronomici della
nostra terra: salumi, primi
piatti al ragù, formaggi o carne
rossa più o meno strutturata,
con il Chianti Classico
annata, Riserva o Gran Selezione,
per lasciare evadere i
nostri sensi; almeno questo
sarà ancora consentito e sicuramente
appagante.
CHIANTI CLASSICO
53
L’avvocato
Risponde
A cura di
Aldo Fittante
Il Marchio storico di interesse
nazionale
Un’opportunità unica per valorizzare il Made in Italy
di Aldo Fittante
Alcuni esempi di marchi storici italiani (ph. courtesy Il Sole 24 Ore)
Nella Gazzetta Ufficiale del 24
febbraio 2020 n. 46 è stato
pubblicato il Decreto del MI-
SE che, rubricato Disciplina dell’iscrizione
al registro speciale dei
marchi storici di interesse nazionale
nonché di individuazione del logo
“Marchio storico di interesse nazionale”,
ha dato attuazione al cd. Decreto
Crescita, rendendo operativa
la disciplina che quest’ultimo aveva
introdotto nel 2019 nel Codice della
Proprietà Industriale. Le aziende
storiche italiane portatrici di un Made
in Italy che le vede saldamente
radicate al territorio del nostro paese
da almeno 50 anni, potranno così
fregiarsi dell’uso di un nuovo contrassegno
che – destinato ad accompagnare
il loro tradizionale marchio
d’impresa – renda immediatamente
riconoscibile al mercato il loro storico
ed autentico legame con la nostra
bella Italia. L’introduzione del
Marchio storico di interesse nazionale
si colloca nell’ambito di una serie
di misure varate lo scorso anno
dal Legislatore italiano attraverso il
Decreto Crescita – tra queste rammentiamo
anche la valorizzazione
del Made in Italy e la lotta all’Italian
Sounding – con l’intento dichiarato,
per usare le stesse parole del MISE,
di "far premio delle grandi ricchezze
che nell’immaginario collettivo vengono
associate all’Italia, la sua cultura,
il suo prestigio, la creatività e
il genio che da sempre ne sono un
tratto distintivo universalmente riconosciuto".
Il Registro speciale –
cui possono iscriversi le imprese
italiane per accrescere la capacità
attrattiva di quei marchi che sono
presenti sul mercato da almeno
50 anni – è stato presentato in occasione
dell’evento organizzato dal
Ministero dello Sviluppo Economico
in collaborazione con Unioncamere
lo scorso 13 gennaio. In quell’occasione
è stata presentata anche la
veste grafica del nuovo Marchio storico
di interesse nazionale. Per otte-
nerlo, le imprese italiane che hanno
costantemente contribuito a fare
la storia del Made in Italy, devono
chiedere l’iscrizione in un Registro
speciale istituito presso l’Ufficio Italiano
Brevetti e Marchi. Il loro ruolo
di storica eccellenza del Made in
Italy risponde – ovviamente – a precisi
requisiti posti dal Legislatore,
che costituiscono condizioni essenziali
per ottenere l’iscrizione. Infatti,
secondo l’art. 11-ter del Codice
della Proprietà Industriale, possono
divenire Marchio storico i marchi
d'impresa che soddisfino due
fondamentali presupposti: che siano
anzitutto registrati da almeno
cinquant’anni o per i quali sia possibile
dimostrare l'uso continuativo
da almeno cinquant’anni e, in secondo
luogo, che siano utilizzati per
la commercializzazione di prodotti o
servizi realizzati in un'impresa produttiva
di eccellenza storicamente
collegata al territorio nazionale. Effettuata
con successo l’iscrizione al
Registro speciale – che non è soggetta
a rinnovo ma solo a eventuale
rinuncia su istanza di parte – si acquisisce
la facoltà di utilizzare il logo
Marchio storico di interesse nazionale,
secondo i precisi criteri indicati
dal decreto stesso. Il logo potrà
essere apposto sui prodotti e/o servizi
offerti dall’impresa, che avrà in
tal modo la possibilità di valorizzare
la storia che può vantare come eccellenza
del Made in Italy e sfruttare
quel grande appeal che nell’immaginario
collettivo viene associato alla
provenienza dall’Italia e al costan-
54
MARCHIO STORICO
te e risalente radicamento al nostro
territorio. Quanto all’uso concreto
del logo Marchio storico di interesse
nazionale, la normativa precisa
che lo stesso non costituisce un
nuovo titolo di proprietà industriale,
ma potrà essere utilizzato per finalità
promozionali e di marketing
affiancandolo, secondo precise modalità,
al marchio precedentemente
registrato e normalmente usato
dalle nostre imprese, senza alterarne
la rappresentazione. L’iscrizione
nel Registro speciale dei Marchi
storici di interesse nazionale implica
anche precisi oneri per l’impresa
iscritta, correlativamente all’impegno
da parte del Ministero dello
Sviluppo Economico a difendere le
aziende iscritte con uno specifico
fondo per la tutela dei marchi storici,
finalizzato alla salvaguardia dei
livelli occupazionali e alla garanzia
di prosecuzione dell’attività produttiva
sul territorio nazionale. In particolare
l’art. 185-ter del Codice della
Proprietà Industriale prevede che
l'impresa titolare o licenziataria di
un Marchio storico iscritto nel Registro
speciale che intenda chiudere il
sito produttivo d’origine o principale
– per cessazione dell'attività svolta
o delocalizzazione della stessa all’estero,
con conseguente riduzione
collettiva dell’occupazione – debba
adempiere a precisi e tassativi obblighi
informativi nei confronti del
MISE, la violazione dei quali comporta
l'applicazione di una sanzione
amministrativa. A seguito di tale
informativa, il MISE attiva uno specifico
procedimento per l'individuazione
di interventi di sostegno, da
realizzare in particolare con l’impiego
delle risorse di un apposito fondo
denominato Fondo per la tutela dei
marchi storici di interesse nazionale.
L’istituzione del Marchio storico
di interesse nazionale, recentemente
introdotto con grande lungimiranza
dal Legislatore italiano, mette a disposizione
delle aziende italiane che
hanno fatto la storia dell’eccellenza
del Made in Italy nel mondo un formidabile
strumento di promozione:
una certificazione – immediatamente
riconoscibile al consumatore attraverso
uno specifico simbolo da
affiancare al tradizionale marchio
aziendale – in grado di valorizzare
al massimo il costante e risalente
radicamento dell’impresa al nostro
inimitabile territorio, sinonimo di
qualità e competenze artigianali che
costituiscono un valore aggiunto di
grandissimo valore evocativo.
Aldo
Fittante
Avvocato in Firenze e Bruxelles, docente in Diritto della Proprietà Industriale
e ricercatore Università degli Studi di Firenze, già consulente
della “Commissione Parlamentare di Inchiesta sui Fenomeni della Contraffazione
e della Pirateria in Campo Commerciale” della Camera dei Deputati.
www.studiolegalefittante.it
MARCHIO STORICO
55
Movimento
Life Beyond Tourism
Travel To Dialogue
Vo per Botteghe WEB per sostenere
le PMI italiane
La risposta del Movimento Life Beyond Tourism Travel to
Dialogue alla crisi economica italiana legata al Covid-19
di Stefania Macrì
Il 2020 sta mettendo l’Italia a dura
prova con un’emergenza sanitaria
che si propaga con molta rapidità e
che sta portando le aziende, soprattutto
quelle più piccole, a vivere una vera
e propria crisi economica. Il Movimento
Life Beyond Tourism Travel to Dialogue
tende una mano a queste realtà attraverso
il progetto Vo per Botteghe WEB. Il
Movimento Life Beyond Tourism Travel
to Dialogue nasce da un’idea della Fondazione
Romualdo Del Bianco, una fondazione
privata fiorentina che nel 1989,
all’indomani della caduta del Muro di
Berlino, inizia a occuparsi del riavvicinamento
tra popoli attraverso il dialogo
tra culture nei siti Patrimonio Mondiale
dell’umanità, della tutela delle tradizioni
locali dei territori e del viaggio come
mezzo attraverso cui costruire il dialogo
(il cosiddetto viaggio dei valori). Da
queste basi nasce e si sviluppa un agire
etico che prende il nome di Life Beyond
Tourism e che, oggi, attraverso le attività
che il Movimento Life Beyond Tourism
Travel to Dialogue svolge, vuole realizzare
il dialogo interculturale coinvolgendo i
soggetti a vari livelli: dai singoli individui,
alle aziende e alle istituzioni. Quest’attività
si traduce con una serie di iniziative
volte alla valorizzazione delle espressioni
culturali dei territori, affinché possano
essere conosciute a tutti i livelli e valorizzate
concretamente con un’azione collettiva
di tutela che parta dalla conoscenza
dei luoghi, con le proprie tradizioni, i propri
prodotti e i propri valori. Ecco che grazie
all’impegno e alla dedizione per Life
Beyond Tourism molte istituzioni nazionali
e internazionali di alto livello hanno
dato il proprio riconoscimento alle attività
svolte: dall’UNESCO al Parlamento Europeo,
da ICOMOS International (International
Council on Monuments and Sites) a
ICCROM (Centro internazionale di studi
per la conservazione ed il restauro dei beni
culturali), da IUCN (International Union
for Conservation of Nature) a UCLG Africa
(United Cities and Local Governments of
Africa) e molte altre. In questo contesto si
inserisce la nuova iniziativa “Vo per Botteghe
Web” del Movimento, per tendere
una mano alle piccole e medie imprese
artigianali che si trovano in grave disagio
a causa dell’emergenza sanitaria in corso.
Si tratta di un’iniziativa che vuole incentivare
l’utilizzo delle tecnologie del web per
poter aprire la strada al commercio onli-
ne, soprattutto per le aziende artigianali
che in genere, per mancanza di tempo,
personale o altre motivazioni, non riescono
ad occuparsi di e-commerce. Vo
per Botteghe WEB aiuta le aziende affiliate
al Movimento, con la sua tecnologia
web 4.0 e attraverso la sua rete, ad
aprire un bacino di utenza internazionale
contando su una visibilità in oltre 111
paesi dei 5 continenti. Grazie alla collaborazione
tra il Movimento Life Beyond
Tourism Travel to Dialogue e il partner
tecnologico italiano Donkey Commerce,
gli artigiani avranno accesso diretto allo
sviluppo del proprio e-commerce. In
aggiunta il Movimento mette a disposizione
tutti gli strumenti e le consulenze
necessarie a ottimizzare la comunicazione
online e offline, a costruire la brand
identity e la presenza in rete, avendo anche
accesso a finanziamenti attraverso
bandi e contributi nazionali e internazionali.
Ciò consente di portare al proprio
saper fare Made in Italy’ a un livello
superiore, aprendosi a livello mondiale
con possibilità di vendita diretta. Per realizzare
questo, il Movimento promuove
un’offerta rivolta a tutte le aziende italiane,
valida fino al 30 giugno 2020.
56
MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE
Come funziona?
Il primo passo da compiere è quello di
affiliare la propria azienda al Movimento
Life Beyond Tourism Travel to Dialogue
attraverso l’iscrizione al portale www.lifebeyondtourism.org.
Inserendo il codice
sconto voperbottegheweb2020 la
registrazione sarà completamente gratuita
per tutto il 2020. Inoltre il Bonus
LBT per le imprese consentirà di accedere
a una scontistica immediata anche
per gli anni successivi sulla piattaforma
Donkey Commerce. La nuova iniziativa
Vo Per Botteghe Web con le modalità di
partecipazione e registrazione è consultabile
sul sito www.lifebeyondtourism.
org/it/vo-per-botteghe-2/
«Con Vo per Botteghe Web vogliamo
porgere una mano all’Italia in difficoltà
in modo facile e gratuito e soprattutto
dare la possibilità di aprirsi un mondo
di opportunità – spiega Carlotta
Del Bianco, presidente del Movimento
Life Beyond Tourism −; è l’evoluzio-
ne dell’omonimo progetto nato a Firenze
nel 2016 dall’etica Life Beyond Tourism
promosso dalla Fondazione Romualdo
Del Bianco che esalta la componente culturale
e avvicina al mondo delle tradizioni
artigianali e alle espressioni culturali
dei vari luoghi, connettendo direttamente
le aziende con i viaggiatori in rete, potenziali
clienti, progetto tuttora portato
avanti dall’Hotel Laurus al Duomo e Pitti
Palace al Ponte Vecchio, gestiti da B&B
Hotels Italia». Da sempre la missione del
Movimento è costruire la pace nel mondo
con il dialogo grazie al patrimonio, al
viaggio, all’incontro con accoglienza e
ospitalità, con la comunicazione, la conoscenza
e la tutela della personalità del luogo
e della sua economia. «Credo che con
il passaggio al web dell’iniziativa si possa
contribuire attivamente al sostegno dell’economia
italiana in questo momento delicato
della storia e dare un aiuto concreto
agli artigiani nel dare continuità
alla propria attività – aggiunge
Carlotta Del Bianco −. Un
contributo moderno, necessario in un
momento di orgogliosa ripartenza, con
strumenti per lavorare a distanza in un
momento in cui il commercio o è online
o subisce difficoltà o passa alle multinazionali
depauperando il PIL Italiano.
Soprattutto questo contributo vuole essere
un semplice gesto per infondere
fiducia nel prossimo, con entusiasmo,
per l’uscita dall’isolamento; è un contributo
orientato alla visibilità, quindi alla
tutela del grande patrimonio che l’Italia
può vantare: il patrimonio immateriale
dato dall’ingegno, dalla creatività e dal
saper fare».
Per conoscere i
dettagli dell'iniziativa
scannerizza il
codice QR qui di
fianco con il tuo
smartphone.
Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue
Nasce e si sviluppa seguendo i princìpi di Life Beyond Tourism ® , ideati
dalla Fondazione Romualdo Del Bianco al fine di creare una rete internazionale
che promuova il Dialogo tra Culture a ogni livello coinvolgendo
le espressioni culturali dei luoghi (residenti, viaggiatori, istituzioni culturali,
pubbliche amministrazioni, aziende, artigiani e tutti coloro che rispondono alle
esigenze del mercato). Si tratta di una vera e propria nuova offerta commerciale
incentrata sull’agire etico.
Per info:
+ 39 055 284722
company@lifebeyondtourism.org
www.lifebeyondtourism.org
MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE
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B&B Hotels
Italia
Il B&B Hotels Road Trip a Modena, città
della Ghirlandina
di Francesca Vivaldi
Eccoci con un’altra tappa del Road
Trip firmato B&B Hotels. Finalmente
è arrivato il periodo
dell’anno che amo di più: la primavera.
Quale miglior periodo per passare il fine
settimana fuori città? Questa volta vi racconto
del mio weekend a Modena, meta
perfetta per trascorrere giornate all’aria
aperta passeggiando alla scoperta delle
bellezze che si nascondono per le vie
della città. In questo senso B&B Hotels si
è dimostrata per l’ennesima volta la scelta
vincente. Il B&B Hotel Modena si trova
a meno di un chilometro dal centro
storico, la posizione ideale per muoversi
liberamente anche a piedi. Esattamente
quello che cercavo! Piazza Grande, punto
di partenza del mio tour modenese, si
trova, infatti, a soli 10 minuti dall’hotel.
Sono rimasta subito colpita dalla bellezza
dei monumenti storici che circondano
questa piazza. Non a caso, nel 1997 sono
stati dichiarati Patrimonio dell’Umanità
dall’UNESCO: il Duomo di Modena,
la Ghirlandina (campanile e simbolo della
città) e il Palazzo Comunale. Ciò che
mi ha colpita di più di Modena è però il
suo legame con la tradizione, tenuta ancora
viva dai cittadini. Entrare nel Mercato
storico Albinelli significa fare davvero
esperienza della tradizione storica e culturale
modenese. L’atmosfera che si respira
è calda, accogliente, quasi magica.
Anche questa volta posso dire di tornare
a casa con qualcosa in più, soprattutto
tortellini fatti in casa.
Il Duomo di Modena con la torre Ghirlandina (ph.courtesy Asils.it)
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MODENA
B&B Hotels
D
estinazioni, design, prezzo.
B&B Hotels unisce il calore e
l’attenzione di una gestione di
tipo familiare all’offerta tipica di una
grande catena d’alberghi. Un’ospitalità
di qualità a prezzi contenuti e competitivi,
senza fronzoli ma con una forte
attenzione ai servizi. 39 hotel in Italia.
Camere dal design moderno e funzionale
con bagno spazioso e soffione XL,
Wi-Fi in fibra fino a 200Mega, Smart TV
43”con canali Sky e satellitari di sport,
cinema e informazione gratuiti e Chromecast
integrata per condividere in
streaming contenuti audio e video proprio
come a casa. Vivi l’Italia come mai
avevi fatto prima. E’ questo il momento
di viaggiare.
hotelbb.com
MODENA
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Arte e
gusto
A cura di
Elena Maria Petrini
L’aperigrappa: un aperitivo insolito
Testo e foto di Elena Maria Petrini
La grappa, un'acquavite di vinaccia
ricavata da uve prodotte, vinificate
e distillate esclusivamente
in Italia, viene così definita secondo il disciplinare
delle bevande spiritose il cui
grado alcolico non può essere inferiore a
37,5% volumi. Per la normativa europea
il termine "grappa" è una IGP (Indicazione
Geografica Protetta) solo per l’Italia.
Nel 1779 nasce, a Bassano del Grappa,
la prima distilleria moderna a vapore.
Oggi si distilla anche con impianti ad
alambicchi a fuoco diretto e a bagno maria.
L’ANAG (Associazione nazionale assaggiatori
grappa ed acquaviti), nata ad
Asti nel 1978, ha istituito il premio annuale
Alambicco d’Oro − quest’anno alla
37ª edizione − al quale si concorre
per decretare le migliori grappe per categoria
(giovani, invecchiate, aromatiche
e da un paio di anni anche i brandy
italiani). La Toscana ha sempre ottenuto
alti riconoscimenti sia per qualità che
per quantità, come confermato dal referente
ANAG Toscana Marcello Vecchio:
«Quando si parla di grappa, si pensa
sempre ad una produzione del nord o
nord-est italiano, invece anche la Toscana
si distingue con le sue quattro distillerie
regionali, Bonollo, Deta, Nannoni e
Alboni, a cui ogni anno vengono riconosciuti
premi importanti, collocandosi tra
le prime in Italia». Parlando di grappa,
non poteva mancare un aperitivo “insolito”:
si tratta dell’aperigrappa organizzato
da ANAG Toscana e firmato dal barman
Massimiliano Liuzzi che ha ideato per noi
il nuovo cocktail Old style, ovviamente
a base di grappa. Un drink la cui ricetta
prevede: 2 cl. di grappa invecchiata; 3
cl. di liquore al cioccolato fondente; 1,5
cl. Marendry; top di panna da montare a
freddo con lo shaker e aromatizzata alla
cannella. E’ previsto, inoltre, un “dolce”
abbinamento con la torta Sacher o
con la millefoglie al cioccolato. Massimiliano
Liuzzi, classe '68, barman ABI Professional
e sommelier AIS, ha iniziato a
Firenze nel 1988 nella caffetteria Shaker
con Angelo Boddi, da cui ha appreso
l’arte della miscelazione. In seguito, ha
perfezionato le tecniche e le conoscenze
su distillati e cocktail con tre grandi
maestri del bartending: Roberto Giannelli
(presidente della FIB), Fabio Suppi
(Revoire) e Severino Paolo Baldini (cofondatore
ABI Professional). Tra le sue
esperienze ricordiamo i locali fiorentini
come il Full Up, 055, Ofelia, Paszkowski
e Giubbe Rosse (dove affiancava Massimo
Tanzini). In proprio ha aperto il Bar
13 dove ha proposto happy hour con
cocktail miscelati al momento invece dei
soliti aperitivi giá pronti. Oggi, invece, lavora
come freelance per feste private,
catering ed eventi, creando cocktail con
abbinamenti ad hoc acquisiti con la formazione
della sommelierie. Ha seguito
percorsi formativi alla Campari Academy
su metzcal e tequila, diplomandosi in
Mexican Mixology. Il messaggio di Massimiliano
ai giovani bartender è di essere
sempre curiosi e di non smettere mai di
studiare perché quello della "mixology" è
un mondo in continua evoluzione.
Il barman Massimiliano Liuzzi
Il referente ANAG Toscana Marcello Vecchio
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L’APERIGRAPPA
Arte e
gusto
Tabacco, vinsanto e gorgonzola
Un tris di sensazioni olfattive tutto da scoprire
di Elena Maria Petrini / foto Maurizio Mattei
La penisola italiana e l'isola di Cuba:
due terre molto lontane ma
unite dalla tradizione della coltivazione
del tabacco. Cuba con i suoi Habanos,
composti da capa, capote e tripa,
autentiche opere d'arte dai sentori tostati
di cuoio, spezie e aromi tropicali che
ne fanno un prodotto unico al mondo; l’Italia
che, in virtù del suo clima mediterraneo,
è il primo produttore dell'UE con
circa 50.000 tonnellate annue. Quattro le
regioni che ne producono il 97%: l’Umbria
e il Veneto con i tabacchi Virginia; la
Campania con le varietà Burley, Paraguay
e Badisher; la Toscana con la specie Kentucky.
Il rimanente della produzione
nazionale è in Puglia, con i tabacchi Xanthi
e Yakà, in Abruzzo, con il Perustitza,
una piccola quantità di Maryland nel
Lazio ed anche in Sicilia si registra la varietà
Kentucky. Il nostro paese detiene un
posto di prim'ordine nel panorama della
tabaccheria mondiale, con prodotti di
grande tradizione in grado di regalarci
sentori raffinati e complessi ed un'ampia
panoramica di note aromatiche e tostate.
La “fascia” dei nostri sigari si presenta di
un bel colore bruno (tonaca di frate); al
tatto sono piacevolmente ruvidi e oleo-
Assortimento di formaggi erborinati con rum invecchiato, frutta secca, tè nero, fiori eduli, bergamotto,
pera, mandorle, cacao, riduzione di birra nera, caffè e polvere di peperoncino, olive nere e aceto balsamico
di Modena, tartufo bianco e nocciola
si. Il “ripieno” è assemblato
con cura, e questa sapiente
lavorazione ne fa un
prodotto unico apprezzato
nel mondo. La degustazione
che vi propongo è in
abbinamento con un altro
prodotto di eccellenza nazionale
come il vinsanto, a
sua volta perfetto con i formaggi
“erborinati” (o fromage
bleu) ma non solo.
Il vinsanto ha origini molto
antiche, a cominciare
dal nome: è stato chiamato
così probabilmente per
le proprietà "miracolose" dimostrate
durante la peste
del XIV secolo oppure perché
paragonato, per la sua
fragranza, ad un vino passito
greco chiamato Xanthos,
oppure ancora per
essere un vino adoperato
per la celebrazione della messa. I grappoli
migliori venivano appesi o stesi su
stuoie e fatti appassire nel periodo di luna
calante fino alla settimana santa, da
cui forse la scelta del nome. Le uve − so-
Degustazione di vinsanto del Chianti e del Chianti Classico e assortimento
di sigari cubani e italiani
litamente a bacca bianca, Trebbiano e
Malvasia, talvolta anche con Sangiovese
(almeno il 50% per la varietà occhio
di pernice) −, una volta appassite, venivano
pigiate e il mosto trasferito in piccoli
fusti di varie essenze e di dimensioni
variabili (in genere tra 15 e 100 litri) detti
“caratelli”. Classificato tra i vini liquorosi,
per disciplinare invecchiato almeno
tre anni e quattro per la versione riserva,
si presenta con tonalità che vanno dal
giallo paglierino dorato all'ambrato saturo;
all'olfatto è intenso, caratteristico ed
etereo; il gusto, armonico e vellutato, si
distingue per spiccata rotondità e morbidezza.
Tra gli abbinamenti ideali col
vinsanto suggeriamo sia quello con i sigari,
per una particolare “fumata lenta”,
sia con i formaggi erborinati nella versione
dolce e piccante, dai sentori di forte
aromaticità e di lunghissima persistenza
gusto-olfattiva, che trovano un equilibrio
armonico per la spiccata rotondità e
morbidezza del vino che avvolge il palato
ed attenua l’esuberanza del formaggio e
degli estri dell’erborinatura.
TABACCO, VINSANTO E GORGONZOLA
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Cultura
& Società
#iorestoacasa
Artisti e musei insieme sui social per contrastare la
diffusione del virus
di Serena Gelli
Sono tanti gli artisti, da Ligabue
ad Amadeus, ad aver rilanciato la
campagna #iorestoacasa promossa
dal Ministero dei Beni Culturali per
contenere la diffusione del Coronavirus.
«Dovete stare a casa», scrive Jovanotti,
postando l’emoticon delle mani giunte
in preghiera. Ancora più nette le parole
di Nek: «Dobbiamo essere responsabili
e avere un occhio di riguardo verso noi
stessi e verso questa situazione drammatica
in ogni parte del mondo. Siate generosi
con voi stessi, prendetevi anche il
tempo che non avete, per scelta o ahimè
per forza». E ancora Laura Pausini: «State
a casa ragazzi, non muovetevi se non
è strettamente indispensabile. Io cerco di
rispettare tutto quello che ci è stato spiegato
e richiesto. Per favore fatelo anche
voi. Facendo così aiutate il prossimo e anche
voi stessi». C’è chi, poi, come Giuliano
Sangiorgi, leader dei Negramaro, ha
composto una canzone ad hoc e su Instagram
ha spiegato: «Questa canzone voglio
dedicarvela per annullare le distanze
e per sentirvi in questa stanza tutti. Torno
al mio ragù e vi aspetto, aspetto che
tutto torni a girare nel senso giusto come
questo mio ragù, come questa mia canzone...
Restiamo a casa». E poi Antonella
Clerici, i Pinguini Tattici Nucleari, Annalisa
ed Emma Marrone che ha invitato i suoi
fan a non uscire dando loro consigli utili
per fronteggiare la situazione: «Questo è il
mio sabato sera - ha scritto su Instagram
-, un bicchiere di vino mentre guardo la
tv». A lanciare questo messaggio sociale
è stata anche la cantante Gianna Nannini
che su un Instagram ha postato un mini
concerto suonando dal vivo per i suoi fan;
nel video la rocker toscana, dalla sua abitazione
milanese, ha interpretato uno dei
suoi brani più amati, Sei nell'anima. Ma
a riprendere l'appello non sono stati solo
artisti e cantanti, ma anche molti musei,
postando in rete i propri capolavori e
invitando a scoprire da casa i segreti delle
loro collezioni. Qualche esempio? I musei
di Torino, Pompei, Capodimonte, il Colosseo,
gli Uffizi, Palazzo Reale di Napoli, il
Museo Egizio, Palazzo Barberini, la Galleria
nazionale d’arte moderna e contemporanea
di Roma, il Museo Archeologico di
Cagliari, il parco archeologico dei Campi
Flegrei, il Museo d’Arte Orientale di Venezia,
il Museo Omero di Ancona, la Galleria
Nazionale dell’Umbria, il Museo di San
Martino. «Grazie a tutti, il contributo di
ciascuno è essenziale», ha ribadito il Ministro
della Salute Roberto Speranza, che
ha ringraziato i grandi nomi della musica,
del cinema e dello spettacolo per aver sostenuto
la campagna #iorestoacasa.
Un'immagine della campagna pubblicitaria diffusa dal Ministero dei Beni Culturali per fermare il contagio da Coronavirus
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#IORESTOACASA
GRAN CAFFÈ SAN MARCO
Un locale nuovo e poliedrico, con orari che coprono tutto l’arco della giornata.
Perfetto sia per un pranzo di lavoro che per una cena romantica o per qualche
ricorrenza importante
Piazza San Marco 11/R - 50121 Firenze
+ 3 9 0 5 5 2 1 5 8 3 3
www.grancaffesanmarco.it
Una banca coi piedi
per terra, la tua.
www.bancofiorentino.it