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21 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.5

Luis Sepulveda: il virus ne spegne la voce

non zittita neanche dalla dittatura di Pinochet

Maria Lucia Riccioli

Pubblicato il 16/04/2020

Il coronavirus falcia le vite di anziani e giovani,

contagia persone comuni, premier e reali.

Non ha risparmiato la voce dello scrittore cileno

Luis Sepúlveda, che neppure la dittatura di

Pinochet era riuscito a tacitare.

Sì, perché per Sepúlveda la penna e l’azione, la

mano e il pensiero non erano scissi ma uniti nella

coerenza di un sentire appassionato, di un’adesione

completa alle cause sostenute, che fossero la sorte

delle balene e delle altre creature marine difese

insieme a Greenpeace, il destino degli ultimi indios

– baluardo contro la capitalistica cieca cupidigia

dell’uomo bianco nei confronti della natura –, la

lotta per la democrazia e la libertà in un mondo che

ci vuole sempre più sottomessi alla dittatura del

mercato e del pensiero unico.

“Abbiamo bisogno delle opinioni, abbiamo bisogno

di scienziati coraggiosi che si giochino tutto per

dire “Eppur si muove” anche nel peggiore

momento, abbiamo bisogno del politico che è

capace di dire “La politica non è semplicemente

una forma per difendere un interesse determinato”;

la rivoluzione che sognava era quella contro il

lucro, l’individualismo, l’egoismo, la prepotenza,

per una “società di cittadini e non di miserabili

consumatori”: queste le sue parole in occasione

della sua ultima partecipazione al Salone del libro

di Torino.

Nei suoi libri si trasfigurano l’impegno militante, il

trauma – un marchio di fuoco – dell’uccisione di

Allende, che lo scrittore aveva conosciuto, i viaggi

– da curioso viaggiatore, non da turista –, la

passione per la scrittura – amava i nostri Fo e

Strehler e sognava di diventare un autore di teatro

–, gli amori, specie quello che lo ha unito nella lotta

contro la dittatura e contro il coronavirus alla prima

e ultima moglie, Carmen Yanez.

Ospite a Catania nel 2016, aveva omaggiato la

Sicilia con queste parole: “Tanti anni fa, la mia casa

editrice, che è la stessa di Camilleri, mi dice che lui

sarebbe arrivato da lì a poco in Spagna e aveva il

desiderio di salutarmi. No, dissi io. Sono io che

voglio salutare lui. Ho un’ammirazione enorme

verso Camilleri, così come verso tanti altri autori

siciliani da Luigi Pirandello a Leonardo Sciascia.

La sicilianità è qualcosa di straordinario, l’aspetto

che amo di più della Sicilia. È un’attitudine umana,

una forma dell’essere che si traduce in qualità come

per esempio l’ospitalità, un pregio tipico dei

siciliani”.

Rimangono – oltre lo sgomento, penso ai messaggi

dei nostri alunni, che hanno amato e letto e perfino

portato in scena, alle elementari e alle medie, i suoi

lavori, “La gabbianella e il gatto che le insegnò a

volare” – la scrittura limpida di Sepúlveda, le sue

idee e soprattutto i suoi libri.

“Sapeva leggere. Fu la scoperta più importante di

tutta la sua vita. Sapeva leggere. Possedeva

l’antidoto contro il terribile veleno della vecchiaia”.

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