La Civetta online n. 6
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26 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.6
LA SATIRA DI ARCHIMETE PITACORICO E
QUELLA INVOLONTARIA DELL’ASP
Carmelo Maiorca pag.6
ADESSO SERVE UNA RIVINCITA
Duccio Di Stefano pag. 7
PROFILASSI IN CARCERE E
PROVE DI RIPARTENZA
Antonio Gelardi pag.9
MES. ANCHE SENZA CONDIZIONI
FORSE NON CI CONVIENE
Concetto Rossitto pag.12
Raccolta
*QUINDICINALE DI FATTI E OPINIONI * REG. TRIB. DI SIRACUSA N.1509 DEL 25/08/2009
*DIRETTORE: FRANCO ODDO * VICEDIRETTORE: MARINA DE MICHELE
A. Castello PAG.3
L’esperienza di Casa Aylan, una struttura
con dieci minori in quarantena
Ai medici giapponesi nella giungla:arrendetevi!
C’è si da combattere, ma il nemico è nella
vostra giungla, non fuori!
Dott. Dino Artale pag.2
Casa Aylan è una struttura di secondo livello per minori stranieri non accompagnati che dal 2015 ospita dieci
minori. L’ente gestore è la Cooperativa Passwork, in convenzione con il Comune di Canicattini (dove la
struttura ha sede).
Considerazioni in chiave psicologica in tempi di pandemia PAG.13
Con ritardo le linee guida per le RSA.
Quante le strutture non censite?
Marina De Michele pag. 4
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26 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.6
Ai medici giapponesi nella giungla: arrendetevi!
C’è sì da combattere ma il nemico è nella vostra giungla, non fuori!
Dott. Dino Artale
Pubblicato il 20/04/2020
Girano dei video, degli articoli, dei post sui social che
descrivono una realtà a volte lirica, rasserenante, quasi
futuribile della sanità ospedaliera siracusana, proprio ora
che è nell’occhio del ciclone nazionale. Insomma, una
pubblicità a volte tenera, inverosimile, qualche volta
irritante del nostro settantenne ospedale cittadino. Se
non fosse per la carenza dei tamponi, per la lentezza
nella loro esecuzione, per il loro “perdersi”, l’attuale
trenta per cento dei sanitari contagiati potrebbe infatti
persino avvicinarsi alla metà del totale dei contagi nella
nostra provincia, destinati, probabilmente, ad aumentare
complessivamente se e quando i tamponi si riusciranno
davvero a fare.
Ai medici del Umberto I vorremmo dire che sappiamo
con quanto amore fanno il proprio lavoro ma molti
cittadini e sanitari da almeno quindici anni sono costretti
a dire e scrivere in tutte le sedi che questo ospedale è da
loro vissuto spesso come un muro di gomma. Con il
taglio del 50% dei posti letto rispetto al 1977, per i
medici di famiglia ed i pazienti avere una soluzione alle
proprie esigenze è tecnicamente impossibile. Solo
ricorrendo alla forzatura di una telefonata, per non dire
di altre vie non democratiche e svilenti, si riesce a volte
ad avere un ricovero e persino qualche accertamento. In
genere, all'esterno degli ospedali italiani una cieca
strategia di molte ASP, non tutte, ha fatto in modo che
non si rispetti nessuna priorità e si
mantengano in vita liste di attesa
che, per alcune indagini, superano
un anno. Di fatto chi non ha denaro
non si può curare.
E non parliamo dei numeri paurosi
della migrazione sanitaria!
Vedere ora, nel nostro caso, il
numero di infetti dell’ospedale
siracusano parla più chiaro di tutte
le lingue. Come dicono il dottor
Angelo Giudice e il dottor Gaetano
S c i f o , c h e r i n g r a z i a m o
personalmente per l'attuale impegno
a fianco del sindaco, ancora non si
conosce il numero vero dei
contagiati fra sanitari, ricoverati e
loro contatti, esclusivamente perché
non si fanno, come detto, i tamponi
necessari.
La mancanza di una piena
trasparenza ci impedisce di sapere a
quanti dei contatti dei ricoverati
degli ultimi venti giorni, nei locali dei reparti chiusi,
riaperti, trasferiti, sanificati, rivoluzionati, siano state
fatte le indagini epidemiologiche ed eseguiti i tamponi.
Sappiamo solo che sono stati dimessi anziani con
polmoniti senza tampone che a loro volta avrebbero
provocato contagi, fino a una ventina di persone si dice.
Non è difendendo a spada tratta il proprio lavoro e il
proprio ospedale che potremo far dimenticare tutto
quello che accade e che si profila per la città.
Riteniamo che sia da radicalmente modificare questo
tipo di sanità che già da tempo era, per alcuni aspetti,
non tutti, inefficiente e fuori da ogni criterio di
modernità.
Abbiamo tutti il dovere di prendere le distanze da chi si
rifiuta di riconoscere che persino il Sindaco ha sfiduciato
i vertici sanitari siracusani e, con lui, i diecimila cittadini
firmatari di una petizione. Con l'augurio di sostituire chi
non ha visto il degrado della sanità siracusana degli
ultimi 15 anni, potremo fare il nostro dovere di
siracusani e riconquistare, anche per noi stessi, una
sanità, magari povera, ma democratica e dal volto
umano. E se proprio volessimo continuare a sognare,
potremmo auspicare un criterio meritocratico nella
scelta degli operatori, senza continuare a cacciare i
migliori, e l’allontanamento della politica dalle nomine
dei direttori generali e sanitari.
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26 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.6
L’esperienza di Casa Aylan, una struttura con dieci minori in quarantena
Aldo Castello
Pubblicato il 22/04/2020
“Ora quello di cui parlare non è più il problema dei migranti; ora è il
coronavirus, e questo riguarda tutti, migranti e europei”
Casa Aylan è una struttura di secondo livello per minori stranieri non
accompagnati che dal 2015 ospita dieci minori. L’ente gestore è la
Cooperativa Passwork, in convenzione con il Comune di Canicattini (dove la
struttura ha sede). Abbiamo chiesto ad Andrea Baffo, responsabile della
struttura di raccontarci, assieme ad alcuni ospiti ed operatori, come stanno
trascorrendo la quarantena:
“A Marzo scorso anche Casa Aylan con i suoi ospiti e l'équipe
multidisciplinare che ci lavora, è stata travolta dall'emergenza coronavirus,
dalla quarantena, dall'isolamento sociale e da tutte le altre parole correlate a
questo periodo e che prima quasi si sconoscevano”
Che tipo di difficoltà hanno riscontrato i ragazzi?
La preoccupazione degli operatori è stata da subito legata alla
consapevolezza della difficoltà di far rispettare il distanziamento sociale e,
ancor più, la regola del rimanere a casa per dieci adolescenti abituati ad
uscire tutte le mattine per andare a scuola e poi all'allenamento e poi in giro
c o n i c o m p a g n i ;
insomma, immaginatevi
una famiglia dove
invece di esserci uno o
due adolescenti, ce ne
s o n o d i e c i t u t t i
insieme.Invece i ragazzi
ci hanno sorpreso ancora
una volta. È bastato
spiegargli cosa stava
succedendo per vedere il
l o r o s e n s o d i
adattamento mettersi in
moto. Non è facile per
nessuno è chiaro, ma gli
ospiti di Casa Aylan
sono stati molto più
rapidi di noi operatori a
trovare le giuste misure,
a cambiare i ritmi della
giornata e adattarli con
quello che man mano
veniva richiesto: la
sospensione delle
attività didattiche, degli
allenamenti, dei tirocini
formativi, delle uscite
con gli amici, e delle partitelle in piazzetta. Mentre ancora noi operatori
eravamo confusi, appesi all'illusione che tutto sarebbe finito presto, i ragazzi
non hanno mai trasgredito al divieto di uscire da casa e hanno preso a
riorganizzare la propria quotidianità con invidiabile spirito di fiducia
Sentiamo Ahmed, uno degli ospiti:
“Va tutto bene, certo è difficile ma non possiamo lamentarci, non c'è altra
scelta che stare dentro, è una cosa obbligatoria, ma per ora è l'unica cosa da
fare. Mi mancano gli amici, i compagni di classe, ma meno male che ci
vediamo con le videochat della scuola, e poi anche dopo l'orario scolastico.
Per fortuna c'è internet e possiamo sentirci e vederci ogni volta che
vogliamo”.
Alessia Uccello, una delle educatrici di Casa Aylan:
“Mentre noi operatori ci impegnamo facendo turni più lunghi, rimanendo in
prima linea per cercare di alleviare il peso di queste giornate che per i nostri
ragazzi sono lente e interminabili, piene di incertezze, loro, i ragazzi, si sono
auto organizzati e le giornate trascorrono tra videolezioni,compiti,
allenamenti, svariati momenti ludici e momenti di preghiera... ma in piena
condivisione. Proprio quando è stato richiesto di isolarsi, pur nel rispetto
delle disposzioni, gli ospiti di Casa Aylan, si sono riscoperti “gruppo".
Gibi, un altro ospite di Casa Aylanci dice che ha sentito la sua famiglia in
Mali, che stanno bene ed è contento: Certo ora siamo stanchi, non è
normale restare a casa per tutto questo tempo, ma noi dobbiamo aspettare che
ci sia un momento migliore per uscire, per ora è pericoloso e fanno le multe
(ride).
Francesco Dato, un altro educatore, ha scoperto, grazie al contatto con i
ragazzi, come trovare forza e speranza per affrontare momenti così
difficili ed intensi:
“La cosa che trovo più straordinaria del lavoro in comunità è che sebbene sia
indiscutibilmente un lavoro del dare, finisci per portarti a casa molto di più.
Anche in questa occasione i giovani ospiti della comunità con cui lavoro mi
hanno restituito tanto. Straordinario è il senso di sopportazione delle
limitazioni imposte, la loro incondizionata fiducia in Dio, e nelle istituzioni
di questo paese che li accoglie e a cui loro vogliono bene, impegnati a tutti i
livelli nella risoluzione di questa emergenza, la loro innata capacità di
adattamento e la positività che traspare in ogni loro gesto sono per me da
stimolo per poter dare ancora, ancora e sempre di più”.
Andrea Baffo: Tutti gli operatori delle strutture socio assistenziali, anche se
non sanitari, sono professionisti che sono rimasti al lavoro per continuare a
dare dignità e servizi agli ospiti delle strutture. Molte volte lo hanno fatto e
continuano a farlo con umiltà consapevoli che non si finisce mai di imparare,
di crescere di "dare" e di " prendere", sempre pronti a riconoscere
l'importanza dell'altro per costruire relazioni e luoghi migliori.
Sabrina Infanti, psicologa in diversi progetti della coop. Passwork,
scrive una lettera a nome di tutta l'equipe di un progetto di accoglienza
diffusa, per dimostrare la vicinanza degli operatori a tutti gli ospiti:
“È un momento di forte
c a m b i a m e n t o , u n a
rivoluzione nelle nostre vite,
una circostanza che ci
richiede di mettere in campo
tutta nostra adattabilità,
v e r s o c o s e n u o v e e
impreviste, lontane dalla
n o s t r a r o u t i n e , f o r s e
completamente diverse da
quello che ci potevamo mai
aspettare...beh! Allora forse
potreste essere voi i nostri
maestri, voi con le vostre
esperienze migranti, di vite
in movimento, ci avete
insegnato giorno per giorno
che la vita ricomincia
sempre, che essere flessibili
e adattarsi è un grande
sforzo, ma possibile. Forse
questo momentaccio può
aiutarci ad accorciare le
distanze tra le nostre vite. Le
vite di persone, che siano
operatori o beneficiari,
costrette a vivere l'emergenza
coronavirus in strutture di accoglienza, riscoprendo giorno dopo giorno che
la vita è più forte di un viaggio, di una migrazione, di un abbandono,
figuriamoci di un virus”.
B., ospite di un progetto di accoglienza per donne con vulnerabilità,
sempre a Canicattini Bagni, è convinta che aver affrontato un così lungo
viaggio le tornerà utile per affrontare una ripartenza verso una nuova
normalità. Sente che la distanza tra lei e gli italiani si è accorciata:
“Ora la tragedia, quello di cui parlare non è più il problema dei migranti, ora
è il coronavirus, e questo riguarda tutti, migranti e europei”.
Andrea Baffo: “Omar, ospite di Casa Aylan, che ha dovuto interrompere un
tirocinio in un ristorante, non vede l'ora di tornare al lavoro, ma intanto
approfitta per concentrarsi nello studio per prendere la terza media, tra poco
avrà gli esami ed anche se ancora non sa con che modalità dovrà affrontarli,
vuole farsi comunque trovare pronto.Qualcun altro dei ragazzi giunti per
primi a casa Aylan nel lontano 2015 ancora oggi è ospite della struttura, e si
avvia dopo tutti questi anni insieme, ad intraprendere un percoso di
autonomia che lo porterà alla vita adulta”.
Ahmed M. Sente spesso i suoi amici, quelli che ha incontrato in un'altra
comunità prima di arrivare a Canicattini Bagni, ma anche quelli che ha
incontrato qui e che per ora non può vedere:
“Con i compagni a casa e con gli educatori va tutto bene. Ci organizziamo
per pregare, fare gli allenamenti ealtre cose. Certo le giornate sono lunghe da
passare, ma speriamo che piano piano, un passo alla volta possiamo
riprendere ad uscire, a incontrare qualche amico, ad andare a scuola, perché
le lezioni on line non sono la stessa cosa. Sono sicuro che presto ne
usciremo”.
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26 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.6
Con ritardo le linee guida per le RSA. Quante le strutture non censite?
Marina de Michele
Pubblicato il 24/04/2020
Che cosa si sta realmente facendo nelle residenze per anziani della nostra
provincia per evitare eventuali focolai.
Una domanda a cui i vertici Asp dovrebbero dare subito una risposta. Di più:
una comunicazione che dovrebbe essere, avrebbe dovuto essere, da sempre, di
routine, doverosa e “istituzionale”, a prescindere ora dalla nuova diversa
dirompente strategia comunicativa del Direttore Generale dell’azienda.
In fondo la Sicilia, pur se in un contesto di epidemia contenuta, ha registrato
presto, molto presto, un caso che avrebbe dovuto fare scuola e indurre a
immediati provvedimenti per tutte le strutture che nella regione accolgono
soggetti fragili. Un caso probabilmente autoctono – non dovuto a fenomeni di
massa quali ad esempio l’arrivo nell’isola degli studenti fuori sede -,
drammatico per le sue dimensioni. Il focolaio dell’Oasi Maria Santissima di
Troina, nell’ennese, che accoglie disabili mentali, è iniziato a metà marzo e in
pochi giorni ha registrato alcuni morti e circa 160 contagi, tra ospiti e personale
sanitario, su 376 persone presenti nella struttura, inducendo la magistratura ad
avviare indagini “per omicidio colposo e epidemia colposa contro ignoti”.
E forse riconducibile proprio agli operatori dell’Istituto gli altri dieci casi
accertati negli stessi giorni nel comune.
Ovviamente non l’unico caso in Sicilia: il 24 Villafrate, in provincia di Palermo,
veniva dichiarato zona rossa per il contagio partito sempre da una casa per
anziani per fare un esempio.
E mentre le regioni, in ordine sparso e tempi diversi, impartivano disposizioni –
purtroppo, in genere, restate lettera morta come testimonia ogni giorno la
cronaca di tutta Italia -, l’Istituto Superiore di Sanità solo il 17 aprile (l’altro
ieri) ha emanato linee guida Covid-19 per le Rsa e Rsd diverse rispetto alle
precedenti del 16 marzo, quasi mostrando disattenzione per i più fragili, anziani
e disabili. Dall’indicazione di eseguire i tamponi una volta sola (si badi bene
una possibilità, non un obbligo), si è così finalmente passati a prescriverne l’uso
anche nelle situazioni un minimo sospette.
Tutto sempre in teoria comunque perché, come il Direttore Ficarra ha avuto
modo di ripetere ai siracusani nelle tante interviste rilasciate: senza reagente (“e
non ce n’è perché è un problema nazionale”!) è inutile parlare di tali test
diagnostici.
Insomma, la criticità è stata prima individuata, specie in Sicilia, nel numero
decisamente insufficiente dei laboratori, fatto a cui l’assessorato regionale non
aveva fatto caso; poi nella mancanza di reagenti: un vicolo cieco per cui tutti si
sono dichiarati impotenti, e soprattutto non responsabili.
C’è da dire però che a Siracusa le cose sono andate diversamente e già dai primi
del mese di aprile l’Asp ha inviato alcune “direttive”. Ma non motu proprio,
bensì grazie alla pressione costante esercitata dai sindacati dei pensionati che
hanno dato un colpo di acceleratore alla ingrippata macchina sanitaria. Un bene
per l’azienda che ha così potuto, sul piano burocratico, “mettere a posto le
carte”, quelle che in fondo spesso fanno la differenza in sede giudiziaria dove
“può” accadere che la sostanza, i fatti, siano alla fine quasi irrilevanti e la
“forma” salvi.
Infatti, dopo la nota del 29 marzo con cui i segretari generali di Spi Cgil, Fnp
Cisl, UilP Uil – preoccupati per l’assenza di informazioni
“ufficiali” (provenienti cioè dalle autorità sanitarie) sulla reale situazione
epidemiologica all’interno delle residenze per anziani e allarmati invece da
alcune segnalazioni indirette – hanno nuovamente sollecitato a una “immediata
sanificazione di tutte le strutture e all’attivazione della sorveglianza sanitaria
preventiva attraverso tamponi per gli operatori”, il tre aprile il direttore Ficarra
si è premurato di chiedere ai direttori dei distretti sanitari e dell’azienda
Anselmo Madeddu – nonché al Prefetto (!) – di avviare tutti i controlli necessari
per verificare la corretta applicazione delle disposizioni di legge emanate a
livello centrale in materia di Covid in tutte le residenze per anziani (pubbliche,
convenzionate accreditate e private autorizzate) attraverso l’organizzazione di
controlli periodici e la stesura di una relazione settimanale.
Un passaggio “formale” fondamentale il cui esito non conosciamo per cui
sarebbe molto interessante se, in una sua prossima intervista, il Direttore Ficarra
volesse informare la cittadinanza sulle “relazioni settimanali” dei diversi
distretti.
Ciò che invece sappiamo è che solo pochi giorni fa la segretaria Spi Cgil
Valeria Tranchina ha consegnato all’Asp l’unico censimento delle case di riposo
esistenti nella provincia redatto nel 2018.
118 le strutture individuate e l’amara certezza che molte sfuggano a qualsiasi
registrazione: si parla infatti di una quantità imprecisata di appartamenti
“adattati” all’ospitalità con 5, 6, 10 posti letto, i cui, per lo più improvvisati,
gestori ora tremano per il timore di essere scoperti perché mai come in questa
circostanza la presenza sul territorio di queste case fantasma, finora
sostanzialmente ignorata, potrebbe emergere in tutta la sua gravità.
Con una particolare responsabilità che vorremmo però segnalare: quella dei
parenti. Se infatti non può stupire il ricorso a tali soluzioni di ripiego per chi ha
la necessità assoluta di delegare ad altri un’assistenza sia pur minima per i
propri anziani e non può sostenere costi elevati (la retta mensile in provincia tra
gli 800 e i 1200 euro sale a Siracusa a 1200-1600 euro con esclusione di spese
aggiuntive quali farmaci o altro), fa certamente orrore l’idea che si arrivi a non
denunciare subito casi di maltrattamenti, carenza igienica e, meno che mai, la
mancata adozione delle misure indispensabili a fronteggiare una malattia
orribile anche per le modalità di una morte che lascia coscienti, la mente vigile,
mentre i polmoni si fermano.
Ma chiudiamo con il percorso burocratico fin qui delineato.
Alla comunicazione del 3 aprile dell’Asp di cui si è detto sono seguite altre due.
Quella dell’11, avente ad oggetto “Dimissioni pazienti ospedali”, ha prescritto,
“con decorrenza immediata per escludere possibili contagi” di far sottoscrivere
ai pazienti ospedalizzati, all’atto della dimissione, una dichiarazione dalla quale
risulti di essere eventualmente ospiti in “ambienti collettivi” per essere
sottoposti in tal caso “necessariamente e per maggiore sicurezza” al tampone.
Non sappiamo ovviamente se questa sia stata la prassi realmente applicata ma
per certo abbiamo appreso che alcuni anziani, passati al reparto di geriatria
dell’Umberto I, considerati guariti e dimessi, una volta rientrati nelle case di
riposo sono deceduti per Covid 19.
In realtà dal 9 aprile (!) le disposizioni dell’assessorato regionale alla salute
sono divenute ancor più rigorose: controlli e screening periodici su ospiti e
personale attraverso il tampone o test sierologici; l’individuazione di un
responsabile del biocontenimento che sovrintenda a tutte le azioni di
prevenzione come, ad esempio, garantire la tracciabilità degli operatori sanitari
e di tutto il personale; la formazione dei dipendenti sul corretto uso e
smaltimento dei dispositivi di protezione individuale; il divieto assoluto di
visite dall’esterno di parenti e conoscenti (di certo l’unica indicazione applicata
in maniera “coscienziosa”…); l’organizzazione di attività ludiche e ricreative e
la somministrazione dei pasti in ambienti comuni; il ricorso alle tecnologie
digitali (videochiamate mediante smartphone e tablet) per assicurare il contatto
tra gli ospiti e i loro familiari.
Bene: a tutte queste misure di contrasto e prevenzione dell’epidemia i vertici
Asp fanno “riferimento” nella terza comunicazione del 15 aprile trasmessa a
tutti (direttori medici, dei distretti, del dipartimento di prevenzione, sindaci,
prefetto, sindacati) che curiosamente tra gli allegati include anche la ormai
famigerata nota sindacale del 29 marzo. Si “raccomanda” di attenersi a tali
direttive “qualora non si fosse già provveduto” (!) e di “implementare il
database generato dal sindaco di Ferla per monitorare i soggetti fragili assistiti
nelle strutture residenziali”.
Che ne è stato del database? Si sono individuate tutte le residenze per anziani
nei diversi Comuni? E poi? Che cosa si è veramente fatto per evitare situazioni
critiche nei pensionati?
4
26 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.6
Distretti socio-sanitari, l’appello dei sindacati: “I soldi ci sono, fate presto!”
Marina De Michele
Pubblicato il 25/04/2020
Fare presto. Di più: fare prestissimo.
È questo l’appello/allarme lanciato a una sola voce dai sindacati dei
pensionati Cgil Cisl Uil (“La nostra unità, tra le categorie, è un unicum
in provincia, forse in tutta la Regione!” dicono): le risorse per dare una
risposta concreta, se non a tutte, alla gran parte delle esigenze dei meno
abbienti e più fragili della società, disabili e anziani, ci sono, e sono
tante.
Decine di milioni di euro per la sola provincia di Siracusa nei diversi
capitoli dell’assistenza – alla povertà, ai non autosufficienti, per il fine
vita, per le politiche abitative – che potrebbero essere a disposizione se
solo la macchina organizzativa regionale e locale funzionasse, se si
mettesse in moto. Se qualcuno la mettesse in moto.
Il quadro socio-sanitario della provincia emerso da una lunga video
conferenza con i segretari generali e rappresentati del sindacato
pensionati – Valeria Tranchina Spi Cgil SR – Vito Polizzi Fnp Cisl SR
Rg – Salvo Lantieri Uil SR nord sud – Paola Di Natale e Antonio Bruno
Fnp Cisl, Paolo Gallo Spi Cgil – ha rivelato risvolti anche paradossali
per la forte denuncia di un immobilismo generale delle istituzioni non
giustificabile ieri e ancor meno oggi, nel pieno di un’epidemia che porta
insieme al contagio un drammatico aumento delle povertà.
Nella sola Siracusa sono stati distribuiti quattromila buoni spesa ma la
richiesta continua a crescere e sono altri 450 i nuclei familiari in
difficoltà raggiunti da Arci ed Astrea. Una situazione destinata ad
aggravarsi perché non è veramente certo che in Sicilia il lockdown
potrà finire il 4 maggio e perché, comunque, la ripresa sarà graduale e
difficile.
“Già ad inizio aprile il governatore Musumeci ha consentito la
rimodulazione dei piani di zona per affrontare l’emergenza Covid-19
anche attraverso una semplificazione delle procedure – spiega Vito
Polizzi -. In deroga alle precedenti disposizioni regionali è stata data la
possibilità ai comitati dei sindaci dei diversi distretti socio-sanitari
(quattro nella provincia con capofila Siracusa, Noto, Lentini, Augusta
più il subdistretto della Valle dell’Anapo) di disporre, con specifico
verbale/delibera e successivo Accordo di Programma, l’utilizzo delle
somme ancora disponibili. Una cifra considerevole, che potrebbe far
fronte a immediate necessità in un momento in cui ogni ritardo significa
la sofferenza e la disperazione di tanti che non sanno più come andare
avanti, come supportare la propria famiglia. Bene! Nessuno ci risponde:
tace il Prefetto, tacciono i sindaci. Nessuno si è mosso. Ecco il perché
del comunicato del 23, sottoscritto anche dai segretari di
confederazione. Forse in questo periodo solo il Commissario
straordinario del Libero Consorzio di Siracusa Domenico Percolla è
nelle condizioni di convocare i sindaci dei comuni capofila per rendere
operativa l’opportunità che ci è stata data, coordinare le azioni.
Da tempo ormai denunciamo l’incapacità di utilizzare i tanti fondi,
molti europei, a disposizione degli enti locali.
Come mai, lei mi chiede? Per cattiva, pessima organizzazione, perché ci
si perde nelle pastoie burocratiche. Basterebbe che ogni sindaco
assegnasse anche un solo funzionario esclusivamente a questo incarico
per non rimandare indietro risorse già disponibili in banca. Il welfare è
anche opportunità di lavoro, la possibilità di frenare l’emorragia dei
trecentomila, per lo più giovani, costretti ad andar via per cercare
un’occupazione. Abbiamo bisogno di un welfare europeo che funzioni”.
“Abbiamo proposto una riforma del settore in incontri pubblici, l’ultimo
il 13 giugno scorso a Siracusa – incalza Valeria Tranchina -. Un
incontro, o meglio un focus, molto partecipato, un’iniziativa di dialogo
sociale in cui, alla denuncia per il non fatto, abbiamo preferito insieme
ai nostri regionali (uniti come noi a Siracusa) lavorare per capire come
eliminare le difficoltà burocratiche, quali fossero i problemi dei vari
livelli dei Comuni se politici o lavorativi, o addirittura di reale
conoscenza della questione.
In Sicilia purtroppo la 328 è rimasta solo sulla carta, viene applicata
poco, e male. Una soluzione potrebbe essere togliere le competenze ai
sindaci e dare dignità giuridica a un organismo proprio, che si occupi
degli aspetti socio sanitari che riguardano gli emarginati. Non solo gli
aspetti sanitari, ma anche quelli sociali, psicologici perché la solitudine
di molti, dei più poveri e dimenticati, è uno dei mali che uccide. Il
sistema di assistenza, con la pandemia, è deflagrato ma quel che è grave
è la mancata risposta. Io non penso che ci sia malafede da parte dei
sindaci ma certamente incapacità organizzativa con qualche eccezione,
dobbiamo dirlo, come il sindaco di Canicattini, sempre attenta e pronta.
Ciò che ci risulta davvero incomprendibile è perché non si voglia
accettare la nostra disponibilità ad aiutare. Insieme si riuscirebbe, credo,
a migliorare tutto il settore dell’assistenza per chi si trova in
grandissima difficoltà in questo momento”.
Avete provato a consegnare le vostre proposte di riforma a un deputato
regionale?
“Non vogliamo che qualcuno ne faccia una propria bandiera – risponde
Tranchina -. Rappresentiamo cittadini di varia estrazione sociale, vario
orientamento, varie necessità. Vorremmo che il movimento partisse dal
basso, vorremmo condurlo con le nostre segreterie provinciali, con tutti
i sindaci del territorio proprio perché le politiche rivolte alla
popolazione anziana e non auto-sufficiente sono molto complesse,
intrecciano pubblico e privato, vedendo l’azione congiunta di più attori:
famiglia, stato, terzo settore e privato”.
“Presto. Bisogna fare presto. Non c’è più tempo – osserva Totò Lantieri
-. Non solo i comuni hanno illegittimamente tagliato nei loro bilanci i
servizi sociali potendo fruire proprio di queste somme extra ma le
hanno usate a volte impropriamente, per finalità diverse rispetto a
quelle cui sono destinate, o non sono riusciti, troppo spesso, a
utilizzarle integralmente. Nel 2019 dei 9 milioni disponibili per i
Distretti, la seconda trance del fondo di povertà, sono stati spesi solo
400mila euro. Il Comune di Lentini si è lasciato sfuggire un milione e
600mila euro!
Dobbiamo immediatamente sottoscrivere tutti insieme – sindaci,
prefetto, asp, nas – un protocollo per la verifica puntuale, trimestrale o
semestrale che sia, di come vengono utilizzati i fondi; recuperare la
legalità nei rapporti con i lavoratori nel rispetto della loro
professionalità; garantire reale assistenza ai più fragili, a chi ha di meno
o non ha niente. Non possiamo lasciare indietro nessuno”.
“Quest’emergenza del corona virus – concludono – ha fatto emergere
ancora di più le criticità dell’intero sistema e messo ancora più in luce
l’ignavia dei politici, degli amministratori che non ci rispondono,
evidentemente perché i nostri interessi, quelli dei nostri 60mila iscritti,
sono diversi, non sono utili ai fini elettoralistici per i quali vale forse di
più la sagra della salsiccia.
Ma ha anche aperto i nostri occhi, ci ha consentito di individuare
meglio quali debbano essere i futuri obiettivi sindacali: i livelli
essenziali di assistenza, il ruolo dei medici di base, tutto il sistema
autorizzativo delle residenze per anziani e disabili. Il sindacato non può
più limitarsi alle vertenze, ad aspetti burocratici. Deve recuperare la
propria funzione propositiva, la capacità di incidere realmente sulle
criticità. La realtà ci incalza e certo la prossima epidemia non potrà
trovarci impreparati”.
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26 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.6
La satira di Archimete Pitacorico e quella involontaria dell’ASP
Carmelo Maiorca
Pubblicato il 20/04/2020
Eccezionale performance della direzione dell’Azienda sanitaria provinciale
di Siracusa che in un’indimenticabile domenica pomeriggio smentisce e si
smentisce a colpi di comunicati stampa da manuale
Da un paio di migliaia di anni il tragico e il comico vanno a braccetto, persino
durante momenti, periodi difficili, duri, dolorosi come quello che stiamo
vivendo. E, nel nostro angolino di mondo, lo confermano egregiamente alcune
decisioni e scivoloni nella comunicazione della direzione dell’Azienda sanitaria
provinciale di Siracusa. La quale, nel pomeriggio di domenica 19 aprile, in un
comunicato stampa incredibile (infatti a molti, inizialmente, è venuto il sospetto
che non fosse vero), con raro sprezzo del ridicolo ha “smentito” il paradossale
contenuto satirico di un post pubblicato dal noto blog siracusano Archimete
Pitacorico, accusandolo di disorientare i cittadini e avvertendolo che il post in
questione sarebbe finito nell’enigmatico “fascicolo depositato” ad una non
meglio specificata “autorità competente”, interpretabile come una denuncia alla
magistratura.
Fra incredulità e divertimento il testo del comunicato stampa ha cominciato a
circolare nelle caselle di posta elettronica e nei messaggi whatsapp, dentro e
fuori l’ambito giornalistico.
A un certo punto è arrivata in forma ufficiale la solidarietà dell’Assostampa al
giornalista Emiliano Colomasi, alter ego di Archimete Pitacorico. A seguire, in
un secondo comunicato stampa, la direzione dell’Asp ha cercato di rimediare al
pasticcio comunicativo precedente, scusandosi per l’equivoco creato e
affermando di non volere denunciare Archimete Pitacorico. Puntualizzando
altresì che l’unico destinatario di azioni legali da parte dell’Azienda sanitaria in
questi giorni è Giuseppe Patti, l’architetto e ambientalista promotore della
petizione che, sulla piattaforma online change.org, ha raccolto oltre diecimila
firme indirizzate al presidente della Regione Siciliana e all’assessore alla Sanità
ai quali si chiede di rimuovere i vertici dell’Asp di Siracusa Salvatore Lucio
Ficarra e Anselmo Madeddu, rispettivamente direttore aziendale e direttore
sanitario.
ANTEFATTO - La situazione del locale ospedale Umberto I è grave,
drammatica, e con circa il 30% del personale sanitario contagiato c’è poco da
stare allegri. Le critiche sulla gestione dell’emergenza - fra cui s’inserisce il
caso della morte del direttore del Parco Archeologico Calogero Rizzutto,
approdato in varie trasmissioni televisive a diffusione nazionale - sono sfociate
nella petizione inviata alla Regione. Ebbene, di fronte a ciò, il dottore Ficarra –
che già aveva ispirato la satira locale (compreso chi scrive) – ha deciso qualche
giorno fa di querelare Giuseppe Patti, non si capisce in base a quale ipotesi di
reato e addirittura intimandogli di consegnare le firme raccolte. Le reazioni non
si sono fatte attendere, a cominciare da quella del diretto interessato.
Di bella inventiva satirica il pezzetto dedicato alla vicenda dal blog Archimete
Pitacorico: sotto il titolo “Prosegue la querelle Patti verso ASP”, spicca una foto
tratta da “Il grande Lebowski” - un film del 1998 dei fratelli Joel ed Ethan Coen
- in cui, accanto al protagonista principale della pellicola, Jeff Bridges, compare
un altro attore, John Goodman, che in quest’immagine somiglia molto a Patti,
particolare tanto più divertente per chi conosce quest’ultimo.
fake news, con un articolo su una circolare emanata dall’Asp di Siracusa,
ovviamente inesistente, che vieterebbe prestazioni sanitarie a tutti coloro che si
chiamano Patti sino al 2021, con chiaro riferimento a Giuseppe Patti promotore
della raccolta firme contro la Direzione aziendale. Anche questo andrà ad
accrescere il fascicolo depositato all’Autorità competente”.
Un comunicato tutt’altro che bonario. Esaminiamolo: la direzione dell’Asp
(Ficarra da solo? Ficarra e Madeddu?) ha in sostanza accusato il blog Archimete
Pitacorico, definendolo “noto per la satira e le fake news”, di “contribuire a
disorientare i cittadini” con una “ovviamente inesistente circolare contro il
nome Patti”, seguita da quella che a non pochi è parsa una minaccia di querela.
Un clamoroso autogol. Poi – pensiamo per la reazione dell’Assostampa, forse
non prevista - l’Asp ha provato a chiudere la polemica da essa stessa innescata
mediante un secondo comunicato in cui ha dichiarato “che non vi è alcuna
intenzione di sporgere alcuna denuncia nei confronti del blog Archimete
Pitacorico”. E ciò ha eliminato un eventuale se pure assurdo strascico
giudiziario.
Meritevole di segnalazione pure l’inizio della seconda “PRECISAZIONE
STAMPA”: “A chiarimento della smentita dei contenuti dell’articolo di satira”.
Frase con cui l’Asp ha ribadito di aver voluto smentire ufficialmente un articolo
di satira – che a loro dire “non fa ridere” (de gustibus) - mediante un
comunicato stampa che ha fatto ridere molti, e che rimarrà un esempio
emblematico e interessante di “satira involontaria”.
Senza dubbio da inserire nel format “La satira prima e al tempo delle fake
news” che con Emiliano abbiamo presentato qualche mese fa all’Arci e, in
precedenza, come evento di formazione professionale obbligatoria in uno dei
corsi organizzati periodicamente dall’Ordine dei giornalisti per i propri iscritti.
Evidenziando fra l’altro l’abissale differenza – che i dirigenti dell’Asp non
conoscono - tra la satira autentica e riconoscibile, anche la più corrosiva e
“cattiva”, e le fake news oggi dilaganti che spesso spacciano, volutamente e in
modo subdolo, notizie false in certi casi a danno di qualcuno, e/o fabbricando
consenso a vantaggio di qualcun altro, partiti, esponenti politici ma non solo.
Descrizione della foto: “Peppe Patti e il suo avvocato mostrano all’inviato di
Teletris la presunta circolare dell’Asp che, per ripicca, vieterebbe al personale
medico e paramedico di tutte le strutture sanitarie della provincia, la
somministrazione di qualsiasi tipo di cura agli uomini di cognome Patti fino al
2021”.
Si tratta di un breve ed efficace esempio di satira mediante un paradosso: la
ritorsione della direzione dell’Asp nei confronti di Peppe Patti è tale che a farne
le spese sono tutti quelli che hanno il suo stesso cognome. Elemento
paradossale che dovrebbe cogliere anche un lettore che non sa chi è Patti. Certo,
in circolazione ci sono persone che abboccano, indignandosi contro chi non
rispetta il divieto di assembramento, davanti alla falsa foto della maratona sul
ponte di Messina (mai costruito) o a quella con la gente che affolla l’inesistente
lungomare di Siena o di Caltanissetta (città che non si affacciano sul mare)
tanto per fare un paio di esempi recentissimi che girano nella rete alla ricerca di
qualcuno da prendere per i fondelli e a cui dare dell’ignorante. Ma Archimete
Pitacorico è un blog dichiaratamente satirico e seguito da oltre 8300 persone –
come ha fatto notare la segreteria dell’Assostampa di Siracusa nella sua nota
con cui ha espresso solidarietà a Emiliano Colomasi e criticato il comunicato
stampa dell’Asp.
L’AUTOGOL dell’ASP
Il testo della direzione dell’Azienda sanitaria di Siracusa trasmesso ai giornalisti
si è presentato con il titolo “PRECISAZIONE STAMPA, UNA SATIRA CHE
NON FA RIDERE. OVVIAMENTE INESISTENTE LA CIRCOLARE
CONTRO IL NOME PATTI”, poi continuando: “A contribuire a disorientare i
cittadini ci si mette anche il blog Archimete Pitacorico, noto per la satira e le
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26 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.6
Adesso serve una rivincita
Duccio Di Stefano
Pubblicato il 25/04/2020
Oggi si festeggia la Liberazione. Il settantacinquesimo
anniversario della Liberazione. E checché se ne dica, o – quanto
meno – si provi a dire, è e rappresenta una festa di tutti e per
tutti, persino per i negazionisti in servizio permanente effettivo.
Però riconosco che, in tempi d’emergenza estrema, causa
pandemia da Coronavirus, la ricorrenza assume un altro
significato perché ovviamente la liberazione che tutti quanti
all’unisono vorremmo e alla quale auspicheremmo è
assolutamente quella da questo demone invisibile e micidiale
che ha messo in ginocchio tutti. Dai ricchi ai poveri, dagli
Appennini alle Ande, dai comunisti ai conservatori, dagli atei ai
religiosi. Ha praticamente e democraticamente calato la sua
silenziosa mannaia sulle spalle di tutti, senza alcuna distinzione.
E quindi ciò premesso, ogni altro discorso sulla Liberazione dal
regime fascista in generale lascia spazio alla Liberazione da
questo nuovo, feroce e determinato regime dittatoriale, che per il
momento la sta avendo vinta di brutto. E quindi vorrei
soffermarmi, anche solo per spirito d’italianità, su un episodio
che in quanto a
crisi generale
poteva dire la
sua e alla fine
riuscì a dirla.
Nel senso che
come spesso
capita, lo sport
si fece palestra
di vita e seppe
r i d a r e u n
b r i c i o l o d i
dignità ad un
Paese ferito.
M i s t o
r i f e r e n d o a
q u a n d o , a
s e g u i t o d e l
d i s a s t r o s o
coinvolgimento
fascista nella Seconda Guerra Mondiale, alla fine del conflitto
bellico, come ai cittadini era impedito di recarsi all’estero, se
non con motivazioni accertate e dimostrate (e qui si evince che i
ricorsi storici spesso si ripropongono), alla stessa maniera agli
atleti italiani era impedito di gareggiare all’estero onde evitare le
sanzioni internazionali. E per un certo periodo solo la Svizzera,
che aveva mantenuto lo stato di neutralità, poteva accogliere gli
azzurri e le azzurre dello sport.
Fu così che nel 1946 a Fausto Coppi e Gino Bartali (per i più
giovani, erano allora per il ciclismo ciò che sono oggi Cristiano
Ronaldo e Messi per il calcio) si presentò l’opportunità di
esaltare il tricolore oltre confine. E i due campionissimi non si
fecero scappare quell’occasione per ridare voce e testimonianza
dell’identità coraggiosa di un popolo che si stava rimettendo
faticosamente in piedi. E l’unico modo che conoscevano per
poterlo fare era marchiare a fuoco indelebile il loro indiscutibile
talento in sella alla bicicletta, che faceva da insegna all’indomito
genio e all’innata creatività che gli italiani sanno tirar fuori ogni
volta che si sentono con l’acqua alla gola.
A Zurigo era infatti in programma una classica del ciclismo,
l’unica corsa che si era disputata anche durante la guerra. Però i
due nostri atleti di punta durante il periodo bellico erano
giocoforza coinvolti nel conflitto: Coppi era prigioniero in
Africa e Bartali si affannava a sottrarre quanti più ebrei potesse
all’Olocausto. Quindi fu solo dopo la fine della guerra, in quella
gara che si teneva in terra svizzera, che poterono finalmente
tornare a fare quello per cui si erano distinti agli occhi del
mondo. Notoriamente non si amavano, erano troppo forti e
troppo rivali per poter anche solo pensare ad una sorta di
alleanza. Però quel giorno di primavera del ’46 accadde una cosa
che segnò il tempo e scrisse un destino.
Su quelle strade di Zurigo infatti, i due nostri maggiori simboli
sportivi si accorsero che, assiepati nelle siepi che cingevano tutto
il percorso della gara, vi erano, laceri e umiliati dalla miseria,
migliaia di connazionali che clandestinamente erano fuggiti in
Svizzera per scappare dalla fame e dalle reprimende. E
intuirono, Coppi e Bartali, che per quella povera gente italiana,
p e r s i n o u n a
corsa ciclistica
rappresentava
un momento di
d i g n i t à
ritrovata.
E a l l o r a
accadde quello
che non era
mai accaduto,
q u e l l o c h e
sembrava
impossibile, e
cioè che per
una volta i due
litiganti
deposero le
armi. Ma anzi
sommarono le
forze con un
piano comune. Si resero conto che se davano potenti strappi alla
corsa, in pochi tra i corridori presenti sarebbero riusciti a starvi
dietro, così decisero di scattare a turno, e uno dopo l’altro
seminarono per strada i belgi, i francesi, gli olandesi. Se tirava
Coppi, solo Bartali riusciva a stargli a ruota, e viceversa se tirava
Bartali e si voltava, solo il rivale di sempre riusciva a scorgere
ancora incollato alla sua ruota. E gli immigrati d’Italia,
commossi e festanti, trasformarono la loro cavalcata in una
parata trionfale. In nome di un amor patrio che ancor oggi non
tutti sembrano possedere. Naturalmente, Bartali era sempre
Bartali e Coppi era sempre Coppi, sicché, una volta rimasti da
soli in vista del rettilineo d’arrivo, ripresero a sgomitare per
vincere, senza farsi sconti. La spuntò Gino, il toscanaccio, e
Fausto si accontentò della piazza d’onore. Fu la prima vittoria di
un italiano all’estero dopo la Liberazione, e oggi, 25 aprile, ho
voluto raccontare questa antica storia perché anche questa volta
è nobile il messaggio che arriva da un semplice episodio
agonistico. E cioè che ripartire si può. Tutti assieme. E presto
avremo la nostra Liberazione. La nostra rivincita. Il nostro
secondo dopoguerra!
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26 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.6
Considerazioni in chiave psicologica in tempi di pandemia
Dott. Francesco Sciuto
Pubblicato il 19/04/2020
Siamo grati al dottor Franco Sciuto, neuropsichiatra infantile, già
Difensore per i Diritti del Bambino e dell'Infanzia al Comune di
Siracusa, di aver voluto affidare a La Civetta queste sue
considerazioni sugli effetti di questa, almeno al momento invincibile,
epidemia sulla psiche umana, su come potrà essere diverso il domani,
su una possibile discontinuità con il passato solo però se ci si affiderà
all’ “impegno degli gli uomini di buona volontà”.
La neurobiologia delle relazioni umane ha scoperto che esiste un cervello
sociale capace di empatia, di solidarietà, di altruismo. L’uomo è quindi
capace di una capacità distruttiva che non ha eguali in altri esseri viventi,
ma anche di una grande capacità di amare. La neurobiologia delle
relazioni interpersonali dimostra che soprattutto nei primi anni di vita si
strutturano modelli relazionali abbastanza stabili. Le modifiche a questi
modelli relazionali sono solitamente molto lenti e difficili man mano che
cresciamo. Ci sono però eventi che rendono le modifiche di questi
modelli più veloci: sono esperienze di “discontinuità” psicologica ed
esistenziale.
L’emergenza Covid 19 ha creato certamente una discontinuità nella
nostra esistenza. Ha modificato persino la percezione dei confini del
nostro corpo e del nostro corpo sociale. Sono mutate le nostre priorità.
Pensavamo di poter costruire un mondo senza sofferenza ma ci siamo
resi conto di vivere in un mondo senza vere relazioni interpersonali.
Anche se una realtà complessa come sono i comportamenti sociali non
possono essere definiti per categorie, per un intrecciarsi di modalità
diverse e a volte contrastanti in ognuno di noi, certamente humus sociale
e relazionale pre Covid ha favorito, sul piano psicologico, lo sviluppo di
una struttura narcisistica delle relazioni interpersonali.
In tanti, con formazione professionale e culturale diverse, hanno espresso
la convinzione che alla conclusione delle drammatiche giornate che tutto
il mondo sta vivendo a causa della pandemia, il nostro modo di vivere
cambierà e il mondo sarà migliore. In effetti in questo periodo i livelli di
solidarietà sono molto cresciuti. La pandemia ci ha fatto incontrare con la
paura e la sofferenza e ci ha fatto dubitare del nostro senso di
onnipotenza e della fiducia nella tecnologia e la scienza: ha messo a
fuoco la nostra fragilità e i nostri limiti.
Pertanto è innegabile che stiamo vivendo una situazione di discontinuità
che può modificare la struttura del nostro cervello sociale. Pensare,
pertanto, che la fine della pandemia ci lasci in eredità la capacità di
maggiore fraternità, addirittura tra i popoli, come stiamo sperimentando
in questi giorni è un auspicio e una speranza. Ci chiediamo però perché
solo ora? Anche prima della pandemia i media portavano nelle nostre
case situazioni drammatiche ma certamente non davano adito a tanta
capacità donativa.
Le motivazioni sono tante. Ne elencherei alcune, di carattere psicologico:
- La prossimità fisica e psicologica con le persone in situazione di
fragilità e sofferenza. La rappresentazione immediata che la sofferenza
della persona accanto ha probabilità ben più alte di colpire anche me di
quanto ne abbiano le situazioni drammatiche vissute in regioni distanti.
- Il rinforzo dato dall’apprezzamento generale dei media e della
popolazione tutta a comportamenti di solidarietà.
- Lo spirito di gruppo e il sentirsi competente. Il sentirsi parte di una
battaglia, dove io sono costruttore, partecipante attivo e competente.
La motivazione che mi sembra però più significativa è aver vissuto
l’esperienza del dono e della reciprocità. Due esperienze che modificano
la neurobiologia del cervello sociale, ingaggiando parti di esso orientate
al bene e all’amore verso il prossimo. Si sono creati contesti di
reciprocità, dove al dono di uno c’è stata la risposta dell’altro.
L’esperienza del dono dato e ricevuto, pertanto, sprigiona energie
positive dal nostro cervello sociale, lo modifica ampliando le sue
potenzialità e dona gioia in sé e negli altri. Per chi crede garantisce la
presenza del Divino tra di noi e nella nostra anima.
Tutto ciò garantisce, come in tanti auspicano, che il “mondo che verrà”
alla fine della pandemia sarà migliore? Purtroppo no! E’ probabile,
quindi, che il “mondo che verrà” sarà diverso, ma non necessariamente
migliore anche se ci sono tante condizioni affinché ciò avvenga.
Per questo è utile uscire dalla retorica e prendere consapevolezza che,
come sempre, sono aperte più strade e approfondire attraverso quali
processi possiamo giungere a sviluppare un cervello sociale capace di
fraternità. Questo processo deve ingaggiare tutte le scienze!
I maggiori punti critici che remano contro questo processo sono:
- Le modalità di elaborazione del dolore per le tante persone care
decedute. In questo momento il dolore della perdita è contenuto da un
lutto sociale e profondo che tutti insieme stiamo vivendo. Presto questo
potrà scomparire e il lutto vissuto in solitudine darà adito a sensi di colpa
e alla ricerca del colpevole
- I livelli di povertà. Senza risposte adeguate, soprattutto da parte
dell’Europa, l’emergenza economica, senza una modifica della struttura
economica e produttiva, come indicano alcuni economisti illuminati,
porterà ad una emergenza sociale.
- Programmi modificati. Come ci adatteremo a cambi di programmi
e a modalità radicalmente diverse di muoverci, lavorare, relazionarci?
Sapremo trovare modalità diverse di concepire il benessere e la salute,
organizzando in modo diverso la sanità; scopriremo le priorità e
l’importanza, per esempio, della conservazione e rispetto della natura?
- Avendo una classe politica mediocre e sempre pronta al conflitto, in
che modo sarà capace di lavorare per il bene comune e non per un
tornaconto personale alimentando paure e rabbia sociale?
- La capacità sociale di contenere la mafia e gli usurai sarà tale da
permettere che non aumenti la loro invasività nel tessuto sociale?
Infine vorrei ricordare i livelli di sofferenza che si stanno vivendo in
tante famiglie, oltre la povertà: abitazioni piccole e con tanta
promiscuità; famiglie con situazioni di violenza che viene amplificata in
questo periodo; famiglie con bambini disabili difficili da contenere.
Come sarà elaborata questa sofferenza e quali tracce lascerà nei bambini
e negli adulti più fragili?
Molti, quindi, i punti interrogativi!
È più facile pensare che questa emergenza amplificherà in noi quegli
aspetti già esistenti: chi era orientato alla costruzione del bene comune
sarà rinforzato in questo schema sociale; chi era orientato a
comportamenti narcisistici sarà rinforzato in questi.
Ciò nonostante è innegabile che la discontinuità creata dalla pandemia è
tale da poter affermare che “può nascere un altro uomo”. Questo proprio
perché tutti possiamo renderci responsabili dello sviluppo della struttura
sociale del nostro cervello, a scapito delle strutture narcisistiche.
Certamente da questo punto di vista la pandemia è una opportunità: far
evolvere l’uomo e la comunità umana verso l’Unità! Questo presuppone
sia la nostra capacità di rischio, ma anche il desiderio di vivere fino in
fondo il dolore di oggi, senza retorica e facili risposte. L’impegno degli
gli uomini di buona volontà può fare la differenza
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26 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.6
Profilassi in carcere e prove di ripartenza
Antonio Gelardi
Pubblicato il 23/04/2020
Sono stati effettuati fra ieri e oggi i tamponi
faringei per tutto il personale della casa
circondariale di Piazza Armerina. L’iniziativa, che
dovrà riguardare tutte le carceri siciliane e che già
è stata avviata in quelle delle regioni del nord, era
stata sollecitata dalla direzione con una nota
basata sulle raccomandazioni dell’organizzazione
mondiale della sanità e preceduta da contatti con
l’ufficio di igiene pubblica di piazza Armerina.
Come è noto il territorio di Enna è fra quelli in
Sicilia con maggiori casi di positività e questa
iniziativa, fra le prime per gli istituti siciliani, si
inquadra evidentemente in un più ampio piano
studiato per fronteggiare la diffusione del
contagio. Va quindi un plauso alla Asp provinciale
e all’ufficio di igiene e l’azione suona da
incoraggiamento anche per quella che deve essere
una cauta (molto cauta) e graduale marcia verso il
riavvio della vita penitenziaria, contrassegnata da
uno specifico lockdown che ha comportato la
sospensione dei colloqui con i familiari e quella
delle attività risocializzanti.
Per quanto riguarda il primo aspetto, come ovvio
particolarmente sentito dai detenuti, si
sperimenterà in una prima fase lo svolgimento
delle visite con dei pannelli divisori per evitare i
contatti; per ciò che riguarda le attività si farà in
modo da assicurare la ripresa dell’anno scolastico,
sperimentando – ma è una attività ancora allo
studio – la didattica a distanza, che, come è ovvio,
in carcere presenta particolari problemi non
essendo i detenuti dotati di pc con collegamento
internet.
A seguire, disposizioni superiori e prudenza
sanitaria permettendo, dovranno ripartire gli altri
corsi. Al vaglio della direzione ve ne sono diversi.
La sfida, inedita, sarà quella di sperimentarne lo
svolgimento in condizioni di sicurezza e di
distanziamento.
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26 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.6
Alberto Maggi: “Il Papa, telefonando, è vicino a tutti,
Pubblicato il 21/04/2020
esprime il messaggio della buona novella”
Antonio Andolfi
Chiediamo al biblista Alberto Maggi, spesso
intervistato da La Civetta, un commento sulla
telefonata di papa Francesco al sindaco
Francesco Italia.
Egli non fa che applicare il Vangelo. All’inizio del
suo papato Francesco ha suscitato un mormorio
via via crescente trasformatosi oggi, senza più
remore, in aperto dissenso da parte di tanti che lo
vorrebbero mandare via. Questo papa in poco
tempo è riuscito a deludere tutti.
Cioè?
C’è la delusione di molti dei cardinali che l’hanno
eletto. Era l’uomo ideale, senza scheletri negli
armadi, tradizionalista ma con accettabili aperture
verso il nuovo. Avrebbe potuto garantire un
periodo di tranquillità alla Chiesa terremotata da
scandali e divisioni. Mai avrebbero pensato che
Bergoglio avrebbe avuto intenzione di riformare
nientemeno che la Curia romana, eliminare
privilegi e fustigare le vanità del clero.
Non c’era riuscito neppure papa Paolo IV con
il concilio e le varie encicliche
Invece, la sua presenza, sobria e spontanea, è un
costante atto d’accusa ai pomposi prelati,
anacronistici faraoni pieni di sé. Poi, sono delusi i
vescovi in carriera. Ora questo papa invita gli
ambiziosi e vanesi vescovi ad avere l’odore delle
pecore.
E il clero?
Certamente, tanti anche fra i più giovani sacerdoti
non accettavano in pieno il concilio vaticano II.
Invece devono recuperare un’umanità che le
norme ecclesiali hanno atrofizzato. Questo papa li
invita a scendere e a mettersi a servizio degli
ultimi. Ma sono delusi anche i laici impegnati nel
rinnovamento della Chiesa e i super tradizionalisti
attaccati tenacemente al passato. Per questi ultimi
il papa è un traditore che sta portando la Chiesa
alla rovina. Per i primi, papa Bergoglio non fa
abbastanza, non cambia norme e legislazioni non
più in sintonia con i tempi.
C’è qualcuno entusiasta?
Sono entusiasti di lui i poveri, gli emarginati, gli
invisibili e tutti quelli, fra cardinali, vescovi e preti
e laici, che da decenni sono stati emarginati a
causa della loro fedeltà al vangelo, visti con
sospetto e perseguitati per questa loro “mania”
della Sacra Scrittura a discapito della tradizione.
Quindi anche per lei che fa parte di questa
schiera?
Certo, l’avevamo sperato, immaginato o sognato,
quando discutevamo nel 2015 a Cefalù sul
concilio. Ora, tutto ciò è divenuto realtà.
Francesco è il papa che fa riscoprire al mondo il
profumo del vangelo. È il vangelo, la buona
novella che porta a questi cosiddetti
comportamenti rivoluzionari in telefonate, invio di
messaggi anche a chi non lo interpella. È un papa
presente nel quotidiano non chiuso nelle stanze
vaticane.
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26 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.6
Presentata la relazione della Commissione Antimafia dell’ARS su 20 anni
di gestione del ciclo rifiuti in Sicilia
Giambattista Totis
Pubblicato il 25/04/2020
Il documento evidenzia i percorsi che hanno segnato gli affari nella gestione dei rifiuti
nell’isola e come questi affari abbiano condizionato la vita democratica di quei comuni
in cui gli amministratori non si accodavano alle richieste dei gruppi affaristici.
Tra assessori che non sanno, dirigenti che non leggono, minacce di ricorsi milionari,
lettere anonime e pressioni indebite si snoda un percorso perverso che, anche a causa di
un sistema pieno di buchi, porta alla situazione di oggi che vede il territorio pieno di
discariche governate in maniera promiscua da chi ha solo il profitto come stella polare.
Particolarmente inquietante si rivela il “modus operandi” di questi gruppi di affaristi
spregiudicati, assistiti da legali non sempre estranei agli “affaire” che, maliziosamente,
accennano, nell’interlocuzione con i decisori amministrativi e/o politici, a possibili
risarcimenti milionari in caso di mancate concessioni o, peggio, imbastiscono strategie
che utilizzano le lettere anonime come fonte di “notizie di presunto reato” per mettere
in moto i meccanismi infernali della “giustizia” che spesso, dopo anni e notizie gridate
su quella stampa in cerca di facili scoop, si concludono col nulla e nel silenzio.
L’obiettivo, spesso raggiunto, sarà stato quello mettere in croce sindaci ed
amministratori che, se non collusi, si chiedono sempre di più se ne valga la pena e se
non sia meglio affidarsi ai pareri di quei tecnici e/o consulenti che, in cambio di lucrose
parcelle, non lesinano firme e supporti alle tesi sostenute da chi ha mezzi, contatti e
capacità di orientare i vari “poteri forti” di questa guerra sotterranea.
In questo contesto, messo alla luce dalla commissione regionale d’inchiesta, un intero
paragrafo del capitolo 5 è dedicato nello specifico alla discarica CISMA di Melilli.
Una vicenda che raccoglie in sé, come evidenzia la relazione, tutti gli elementi patogeni
che hanno riguardato in questi anni il ciclo dei rifiuti in Sicilia: l’asservimento di
segmenti della burocrazia regionale, la manipolazione delle procedure autorizzative, le
interferenze del mondo politico, fino alle illegittime pressioni da parte di soggetti
appartenenti all’Autorità Giudiziaria. Una vicenda ritenuta “tra i processi autorizzativi
più discutibili” al punto da determinare gravi e significative conseguenze penali a carico
dei protagonisti; una storia che racconta plasticamente anche i possibili punti di
intersezione tra il ciclo dei rifiuti e la criminalità mafiosa.
Infatti, la D.D.A. di Catania per la relativa inchiesta si è mossa su due fronti: il primo è
quello che riguardava la concessione di un’autorizzazione alla CISMA per “un impianto
di trattamento del rifiuto indifferenziato e per la successiva stabilizzazione organica”.
Con un’ordinanza “contingibile e urgente” del presidente della Regione Crocetta venne
concesso che una parte delle circa 6mila tonnellate di rifiuti solidi urbani prodotti
giornalmente in Sicilia venissero conferiti, e successivamente abbancati, nella discarica
di Melilli, autorizzata fino a quel momento soltanto per ricevere rifiuti speciali
(Procedimento penale n. 2784/2017, cfr. sul punto sul punto la relazione del 30 ottobre
2019 trasmessa dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catania, a firma
della dottoressa Raffaella Vinciguerra, con visto del Procuratore Capo). Ma attorno alla
Cisma (già nel 2015 oggetto di interdittiva antimafia della Prefettura di Siracusa, poi
sospesa dal Tar e infine ritirata) ruota anche l’inchiesta “Piramidi” su un “sistema
perverso di connivenza e affari tra imprese controllate da Cosa nostra e funzionari
pubblici infedeli”.
Le indagini hanno disvelato gli interessi di Cosa nostra etnea nel settore dei rifiuti,
operato nel caso di specie, attraverso il sito industriale della società Cisma (situato a
Melilli e servente quasi per la totalità l’indotto dei rifiuti proveniente dal polo
petrolchimico ENI).
Il trattamento e lo smaltimento illecito, consentito grazie a provvedimenti emessi ad hoc
da pubblici funzionari compiacenti e prezzolati, hanno comportato guadagni immensi e
il rafforzarsi di relazioni in un’ottica di controllo criminale del territorio.
Il processo vede tra i suoi imputati anche due consulenti nominati dalla Procura di
Siracusa, nei cui confronti la stessa Procura ha poi proceduto per il reato di corruzione,
e per lo stesso fatto storico, ovvero la redazione di consulenze favorevole agli indagati,
si è mossa anche la Procura di Messina.
Nel corso della richiesta di misura cautelare avanzata al Gip nel febbraio 2017 si
chiedevano ed ottenevano anche le misure reali sia sui beni degli imprenditori che
sull’impianto di smaltimento e rifiuti speciali CISMA, oggi sottoposto ad
amministrazione giudiziaria.
La Commissione, nella sua indagine, si è proposta di ricostruire il rapporto malato tra
CISMA e la Regione e riporta nella relazione quanto dichiarato dal giornalista Antonio
Fraschilla che, in merito, si rivela illuminante: “Una discarica che era per rifiuti speciali
e per inerti, la Cisma Ambiente di Melilli, viene autorizzata nell’arco di pochi giorni a
poter accogliere rifiuti urbani. Si scoprirà poco dopo che, proprio su quella discarica,
era in corso un’indagine da parte della D.D.A. di Catania che poi ha portato al
coinvolgimento dei proprietari della discarica, la famiglia Paratore, sospettati dai P.M.
di essere in qualche modo prestanome o vicini ai clan Santapaola. Però qual è la
curiosità? È che nell’arco di pochi giorni la burocrazia regionale si era attivata per
portare al governatore Crocetta un decreto che consentisse a quella discarica di poter
accogliere, sull’onda dell’emergenza, i rifiuti urbani. Il 19 luglio arriva una domanda
della Cisma alla Regione per poter ricevere rifiuti urbani, e il 22 luglio c’è il decreto
firmato dal Governatore Crocetta”. Tre giorni: un record! Chiosa la relazione della
commissione; velocità che è difficile attribuire alla solerzia e all’efficienza dei
dipartimenti regionali.
Il caso CISMA, come detto, è piuttosto “un compendio delle sollecitazioni, le
seduzioni, i suggerimenti, le mediazioni istituzionali, gli amichevoli suggerimenti o le
minacce a cui si è stati capaci di ricorrere per ottenere che l’interesse, sia pur legittimo,
del privato potesse sempre prevalere sull’interesse pubblico garantito da leggi e
regolamenti”.
Particolarmente interessanti, per comprendere eventuali commistioni tra organi dello
stato e gruppi affaristici, sono gli accadimenti verificatisi nella vicenda che riguarda lo
scioglimento di alcuni comuni quando le operazioni di “verifica” amministrativa si
accompagnano con tempistiche singolari alle determinazioni dei Comuni che rigettano
richieste di ampliamento o di nuova localizzazione di discariche.
Dalle parole del Presidente della commissione antimafia dell’assemblea regionale
siciliana Fava, emergono infatti particolari similitudini nello scioglimento del comune
di Scicli e quello del comune di Pachino.
L’intervista può essere ascoltata collegandosi al link:
https://www.videomediterraneo.it/news/attualita/8204-da-mtg-delle-16-30-in-collskype-claudio-fava-presidente-commissione-antimafia-all-ars.html
che ciascuno può autonomamente valutare. Ascoltando il Presidente Fava per noi
Augustani il pensiero va allo scioglimento del nostro comune e alla vicenda Oikoten
nonché all’inchiesta “Mare rosso”. Due vicende che ci hanno riguardato da vicino e che
si svilupparono precedentemente allo scioglimento del Consiglio comunale.
Come si ricorderà, sulla base di indagini svolte in seguito ad alcune lettere recapitate in
Procura, alcuni amministratori del Comune di Augusta, segnatamente il Sindaco e l’avv.
Perrotta furono sottoposti a giudizio per la vicenda Oikoten risoltasi, dopo anni, con la
loro completa assoluzione. La vicenda “Mare Rosso”, invece, segnò la vita del cronista
augustano Gianni D’Anna, costretto a peregrinazioni, negli anni, tra tribunali di vario
livello con relative spese, solo per aver fatto una osservazione critica all’archiviazione
di quel procedimento penale e che ha dovuto aspettare, post mortem, la sentenza
assolutoria della Cassazione.
La vicenda si protrasse per molto tempo e portò l’ENI a decidere di liquidare
transattivamente parcelle e risarcimenti che precedettero la chiusura del procedimento
conclusosi con un nulla di fatto. Per restare nel nostro territorio, alla luce da quanto
messo in evidenza dalla relazione e sul “modus operandi” di alcuni gruppi affaristici
che girano attorno alla gestione dei rifiuti nonché agli attori che a vario titolo risultano
sempre presenti, sembrerebbe più che opportuno, pur se allo stato degli atti le cose
sembrano non connesse, che la DDA indaghi più a fondo sulla intera vicenda, ciò alla
luce della sentenza assolutoria “perché il fatto non sussiste” del Sindaco Carrubba,
sulle causali che portarono allo scioglimento il consiglio comunale di Augusta nonché
sul ruolo dei soliti avvocati d’affari e dei vari protagonisti di questa brutta pagina della
storia cittadina.
L’ex Sindaco di Vittoria, comune sciolto per mafia nel 2018, Giovanni Moscato così
commenta: “Quello che abbiamo sempre detto su interessi occulti relativi allo
scioglimento stanno venendo fuori. E sta venendo fuori l’assurdo ordinamento che
regola gli scioglimenti dei Comuni. Una legge utilizzata spesso da un sistema malato …
con uomini dello Stato in balia di questi poteri. Dalla relazione emerge che nessuno
ricerca la verità sulle possibili infiltrazioni ma si è ricercato solo il modo per poter
giungere al sovvertimento della democrazia, senza alcuna prova”.
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26 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.6
MES. Anche senza condizioni forse non ci conviene
Concetto Rossitto
Pubblicato il 23/04/2020
A proposito di MES, di cui si parla tanto senza forse
capirci molto, sarà il caso di richiamare l’attenzione
su una questione che sfugge a molti.
Gli stati che hanno aderito alla creazione del MES (o
Fondo salva-stati) hanno complessivamente versato
a tale Fondo 80 miliardi, ma hanno anche
sottoscritto un impegno a raccoglierne sul mercato,
con obbligazioni onerose, altri 620, qualora dovesse
servire l’intera
somma di 700
miliardi che il
MES può offrire
a prestito (a
c e r t e
condizioni) agli
stati in crisi che
n e f a c c i a n o
richiesta.
La quota
italiana degli 80
miliardi già
versati è pari
a 14,33 miliardi
(in percentuale
il 17,91%).
Per versare tale
quota (14,33 miliardi) lo stato italiano, che era già
indebitato di oltre 2.000 miliardi, ha dovuto chiedere
in prestito tale somma, accrescendo di 14,33 miliardi
il suo precedente debito. Dunque su tale somma
versata al MES (e immobilizzata in tale Fondo) lo
stato sta già pagando interessi annuali a chi ci ha
prestato quei soldi che non avevamo.
Dal MES l’Italia può prendere in prestito (ad
interessi) sino a 36 miliardi (cioè una somma pari al
massimo al 2% del nostro PIL).
Che accadrebbe se prendessimo in prestito tale
somma? È presto detto: pagheremmo gli interessi
sull’intera somma. Ma nessuno dice che finiremmo
per pagare due volte gli interessi su quella parte
di essa (14,33 miliardi) che abbiamo noi stessi
versato al MES dopo averla presa in
prestito. Sulla quale già paghiamo interessi !!!
Detto papale, papale, ciò significa che faremmo un
pessimo affare.
Questa considerazione è valida a prescindere da
eventuali altre condizioni che potrebbero rendere
ancor meno conveniente il ricorso ad un prestito dal
Fondo salvastati. Molti oggi ci dicono che l’Europa
ci consentirebbe di usufruire di quel prestito senza
condizioni. Ma altri (non senza ragione) obiettano
che una riforma del MES non è stata portata a
termine e che il funzionamento del Fondo è ancora
regolato da una modifica dell’art. 136 del Trattato
sul Funzionamento dell’Unione assunta con
Decisione del
Consiglio Europeo
n.199 del 2011.
Dunque sarebbe
oltretutto incauto
ricorrere a quel
prestito (confidando
nella promessa di non
dover sottostare a
condizioni capestro),
considerato che una
r i f o r m a d e l l e
condizioni MES
richiederebbe una
n u o v a r e v i s i o n e
dell’art. 136 del
Trattato. Che ancora
non c’è.
Inoltre ha ragione Conte quando sostiene che il MES
dovrebbe prestare soldi agli stati solo in caso di crisi
asimmetrica (cioè di uno o due di essi). Se tutti gli
stati, per fronteggiare una crisi in seguito al
diffondersi del coronavirus (crisi che Conte
definisce simmetrica, cioè riguardante tutti),
dovessero ricorrere al prestito del MES, dovrebbero
prima versare la residua somma per la quale si sono
impegnati. Infatti il MES dovrebbe disporre
dell’intera somma di 700 miliardi.
E per versare la residua quota di finanziamento a noi
spettante, dovremmo elevare dai 14 (già versati) a
125 miliardi la nostra esposizione debitoria verso i
mercati (pagando i relativi interessi). E soltanto
dopo potremmo prendere a prestito dal MES, al
massimo, 36 miliardi (il 2% del nostro PIL). Sui
quali dovremmo pagare interessi al MES.
Assurdo! Pagheremmo interessi due volte, per
usufruire di una somma inferiore a quella che
verseremmo.
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26 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.6
Decrescita…infelice
Paolo Pantano
Pubblicato il 26/04/2020
Fu tanto criticata ed irrisa la decrescita felice, proposta da vari
economisti, filosofi, naturalisti, biologi, fisici, chimici (Herman
Daly, Nicholas Georgescu-Roegen, Zigmunt Bauman, Martha C.
Nussbaum, Manfred Max-Neef, Maurizio Pallante, Serge
Latouche, Tim Jackson, Ferdinando Boero, Tiziano Terzani,
Guido Viale, tanto per citarne alcuni) ed ora siamo di fronte ad
un’emergenza sanitaria, sociale ed economica da incubo.
L’epidemia del coronavirus sta mettendo in luce la fragilità del
nostro sistema delle organizzazioni di prevenzione sanitaria e di
presìdi sul territorio in grado di affrontare emergenze. Vengono a
galla i limiti di un’economia troppo incentrata sulla patologia
produttivistica e iperconsumistica, anziché su salubrità,
assistenza sociale, servizi ecologici, ricerca, istruzione e
formazione, ma ora il dileggio è finito e vi è una decrescita
forzata, veramente infelice e tragica poiché gli ecosistemi non
sono più in equilibrio tra di loro essendo stati sconvolti da
interventi che hanno alterato in modo irresponsabile ed infausto i
più intimi meccanismi del controllo biogenetico e bio-evolutivo.
In condizioni ideali, infatti, dove l’ambiente è preservato in tutte
le sue funzioni ecologiche complesse, le malattie infettive sono
interazioni ricorrenti: i patogeni si manifestano e si estinguono in
continuo senza danneggiare, ma le condizioni, oggi, sono
diverse. Da qualche decennio abbiamo a che fare con eventi
sempre più frequenti e sempre più dannosi. Poiché, però, siamo
soggetti alle leggi dell’evoluzione e integrati nelle
interrelazioni ecologiche, le alterazioni per interventi esterni,
fanno mutare esigenze e dunque strategie a tutti gli elementi
esistenti che cercheranno di garantirsi nuove occasioni per la
propria sopravvivenza. Darwin ci aveva già avvertiti. Non
siamo altro che animali legati a tutti gli altri esseri viventi,
agli alberi, agli insetti, al fitoplancton, ai grandi e piccoli
mammiferi e agli uccelli con i quali condividiamo da sempre
origine, evoluzione, salute e malattie, per cui quando gli
equilibri dei sistemi naturali non sono intaccati dall’azione
aggressiva dell’uomo, più difficile è l’insorgenza di epidemie.
IL MODELLO INSOSTENIBILE
I principali sistemi omeostatici sono stati modificati o
stravolti con la bioinvasione di enormi quantità di migliaia di
nuove molecole di sintesi disperse e circolanti, ciò ha fatto
perdere la stabilità degli ecosistemi. Per milioni di anni, infatti, le
barriere naturali hanno separato tra loro tali ecosistemi, ora nel
giro di pochi anni l’uomo ha forzato e sconvolto l’intero
impianto ed eccola qua la decrescita, purtroppo nella maniera
peggiore, la gente non è sobria ma povera. Siamo stati presi dal
delirio dell’onnipotenza quando, invece, avremmo dovuto,
saggiamente, pensare al limite, alla misura, alla natura finita dei
corpi e delle risorse. Per far crescere il prodotto interno lordo,
dicono i neoliberisti, poniamo del due per cento l’anno, occorre
che beni e servizi derivanti dalla trasformazione della natura e
dalle altre attività umane, dovrebbero moltiplicarsi per venti in
dieci anni, per quaranta in venti anni. Chiunque sia dotato di
buon senso capisce che è semplicemente impossibile anche solo
immaginarlo senza considerare le conseguenze ambientali e gli
effetti collaterali di una così frenetica e parossistica attività.
Facciamocene una ragione: la “crescita infinita” dell’economia,
della produzione, dei servizi è impossibile e non funziona. I conti
non tornano, l’ottimo non coincide affatto con la crescita, ma con
il suo contrario: perché l’ottimo non consiste nello sprecare
sempre di più, ma nell’ottenere il meglio tramite il meno
possibile.
CAMBIARE PARADIGMI E MODELLO: riconversione
ecologica ed economica.
Un noto aforisma così recita: “Se da una sconfitta non hai
imparato nulla, allora ne meriti un’altra”. Ora siamo al
dunque, o s’inventa qualcosa di molto diverso o cadremo a picco.
Le risorse del nostro pianeta sono limitate ed è necessario
“disintossicarci” dai consumi perché una crescita infinita è
impossibile in un mondo finito. Dobbiamo uscire dalla fede
religiosa del “crescere per crescere” e vedere il Prodotto Interno
Lordo come indice-feticcio della crescita stessa. Una crescita che
non è sostenibile non è neanche auspicabile. Tutto ciò che
consumiamo, ha un impatto sul pianeta: l’umanità ha già
sorpassato la capacità di rigenerazione della biosfera e non è
possibile sopravvivere oltre questo limite, continuando ad
aggredire gli spazi di tutte le forme viventi, compresi i
microrganismi.
Invece di vivere in armonia al suo interno, abbiamo dichiarato
guerra alla natura. Gli ecologisti hanno, da tempo, dimostrato che
la società della crescita ad oltranza, ad ogni costo, indeterminata
ed indifferenziata è illogica, antieconomica, irrazionale, si
schianta contro il muro dei limiti ecologici del Pianeta e ci mette
in pericolo costante per le conseguenze di stravolgimenti del
sistema microbico e biologico interconnesso.
Correre ai ripari significa mettere in cantiere nuove iniziative:
impianti per le rinnovabili e l’efficienza energetica,
ristrutturazione del già costruito, gestione accurata di risorse e
rifiuti,
agricoltura biologica e di prossimità, riassetto idrogeologico dei
territori e tutto ciò che è legato alla prevenzione ad alla
precauzione: ce n’è abbastanza per impiegare e riqualificare
eserciti di disoccupati. Senza mai rinunciare ai saperi di
scienziati ed esperti per progettare. Ce ne sono molti in giro,
disoccupati o non valorizzati da chi li impiega, ma desiderosi, se
gliene si offre l’occasione, di mettersi al servizio di una vera
riconversione. Costruiamo insieme un futuro diverso.
Abbiamo un’opportunità se ci siamo resi conto della nostra
fragilità di fronte ad un microrganismo (che è al limite tra
l’organico e l’inorganico). Con umiltà possiamo e dobbiamo
combattere anche noi per la nostra sopravvivenza e ricominciare
e rigenerarci senza ricadere negli errori precedenti.
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26 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.6
Don Raffaele Aprile: “Un video che vuole essere un inno
Pubblicato il 26/04/2020
di speranza e di rinascita”
Maria Lucia Riccioli
Ecco le parole di don
R a f f a e l e A p r i l e ,
presbitero presso la
Basilica Santuario della
Madonna delle Lacrime
di Siracusa: “Un video
di speranza… Voglio
farvi dono di un video
che vuole essere un
inno di speranza e di
rinascita. La speranza,
infatti, è la parola che
Dio ha impresso nel
cuore di ogni uomo.
Essa vede l’invisibile,
tocca l’intangibile e
r a g g i u n g e
l’impossibile. Cari
amici, condividete
affinché questo video
raggiunga più persone
possibili. Grazie di
cuore a tutti coloro che
hanno partecipato:
S a l l y d e L u c a ,
G e r m a n a F a l c o ,
Giorgia Midolo, Elly
Gallo, Carmen Tafuri,
I d a Va s t a , A n d r e a
Scorsonelli, Giuliana Giarrizzo, Stefania Castilletti, Antonino La Greca, Salvatore
Picca, Salvatore Paolo Cucè, Anna Gioia, Vincenzina Botindari, Franco Balistreri,
Safiria Leccese, Sac. Giuseppe Calabrese, Fabio Colagrande, Massimo Mollica,
Nancy Sanfilippo, Francesco Elia, Davide Lo Bue, Filippo Antonino Cacioppo,
Maria Lucia Riccioli, Maria Accillaro e tanti altri ancora”.
h t t p s : / / w w w . y o u t u b e . c o m / w a t c h ?
v=UmKnBpp9Jfc&feature=youtu.be&fbclid=IwAR3hN-8fbIJpjyiwUGVImeTW2g
CT1cMrmgn9LoYPap3cMijQcevtM9o6GRI
Come potete vedere, tra i nomi di devoti e volontari della Basilica, ci sono anche
quelli di autori e conduttori televisivi, accomunati dalla volontà di offrire un
contributo di speranza sia a chi crede che a chi non ha sperimentato la fede, nel
desiderio di illuminare questi giorni strani e difficili.
Il video verrà trasmesso da Tris Siracusa su canale 172 oppure su www.srlive.it o su
www.teletris.it dopo la Santa Messa delle 11 e delle 18.
“La Civetta di Minerva” ha spesso intervistato e recensito don Aprile, specie in
occasione delle presentazioni dei suoi libri “Innamorato del cielo” e “Fratelli di
cielo”, la cui dotta presentazione, a firma di Monsignor Giuseppe Greco, direttore
della storica Biblioteca Alagoniana di Siracusa, è stata pubblicata su “L’Osservatore
Romano”. La offriamo ai nostri lettori.
https://www.vaticannews.va/it/osservatoreromano/news/2020-04/fratelli-dicielo.html
«Fratelli di Cielo». Cielo non nel senso cosmologico ma nel senso teologico. Il
Cielo rappresenta il mistero di Dio. Fratelli perché nati dallo stesso grembo del
mistero, dal grembo di un mistero di amore. Un mistero di amore infinito. Un
mistero di amore eterno.
Con questi Fratelli di Cielo – in versi si raccontano in cammino con Maria (Enna,
Bonfirraro Editore, 2019, pagine 286, euro 16,90) don Raffaele Aprile, sacerdote del
santuario della Madonna delle lacrime di Siracusa, intesse un dialogo poetico e
forma un libro di poesia corale. Non è soltanto lui che esprime intuizioni poetiche e
illuminazioni spirituali, ma è lui insieme ad altri poeti e ad altri uomini e donne di
vita spirituale che compongono questa armonia di pensieri. E di armonia si tratta,
non soltanto di melodia. È come un canto polifonico. Viene da pensare al grande
teologo Hans Urs von Balthasar, il quale diceva: «La verità è sinfonica». E noi
constatiamo che la verità più alta è la poesia, la poesia è veritatis splendor, splendore
della verità. La poesia corale acquista una maggiore forza di penetrazione nel cuore
di chi ascolta.
Affinché si realizzi un’armonia è necessario che le varie note siano consonanti, non
dissonanti. E in realtà ogni poesia e ogni riflessione spirituale in questo libro
costituiscono un insieme armonioso. Ogni autore presentato in questo libro ha la sua
peculiarità, ha la sua storia spirituale, ha la sua specifica sensibilità, ma in questa
diversità di voci c’è un filo conduttore, un’unica visione di fede, un unico desiderio
di comunicare il profondo messaggio spirituale che è la connotazione di tutti.
«Fratelli di Cielo»: è un’espressione che denota una comune aspirazione al Cielo.
San Paolo ci dice: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo,
seduto alla destra di Dio, rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della
terra» (Colossesi, 3, 1).
La vita sulla terra serve per costruire un tesoro in Cielo. Padre Raffaele lo dice in
maniera convinta, nella sua poesia, con queste parole: «Facciamo la tua volontà,
Signore… E così, giorno dopo giorno, costruisco / il mio tesoro in Cielo» (pagina
102).
Egli esprime alcuni versi struggenti che raccontano il suo anelito al Cielo. Così è
detto: «Fuoco che brucia l’anima, passione e dono totale / a Te e ai fratelli. / Vita che
vibra in fondo alle mie viscere, Cielo che racconta l’infinito di Dio» (pagina 103).
Nessuno pensi che don Raffaele esprima una religiosità di evasione, una spiritualità
disincarnata, una visione religiosa che concentrando l’attenzione al Cielo,
dimentichi la terra, dimentichi la serietà dell’impegno di amore verso i fratelli. Anzi
egli in maniera chiarissima
parla dell’esigenza
dell’amore evangelico sulla
terra. Così afferma: «La porta
del Cielo è ogni tuo fratello».
Non si può dimenticare la
terra pensando al Cielo.
Proprio se vogliamo anelare
al Cielo, dobbiamo passare
per la porta che ci conduce al
Cielo, e la porta è l’amore
del fratello, soprattutto del
fratello più bisognoso e più
sofferente.
L’esperienza ci insegna che
proprio coloro i quali,
anziché volgere lo sguardo
verso il Cielo, hanno avuto lo
sguardo chino verso i propri
interessi, hanno violentato la
terra creando il drammatico
sconvolgimento ecologico e
la devastazione della terra.
Chi non ha saputo guardare il
Cielo, ha devastato la terra.
N o i c r i s t i a n i , q u i n d i ,
abbiamo il dovere della
duplice fedeltà: fedeltà al
Cielo e fedeltà alla terra,
fedeltà al Vangelo e fedeltà alla storia, fedeltà alla meta e fedeltà alla strada. Il Cielo
è la meta, ma per arrivarci dobbiamo percorrere la strada che ci conduce al Cielo.
Qual è il senso di tutte le poesie, di tutte le riflessioni, di tutte le testimonianze che
don Raffaele ha raccolto e che ha incastonato in questo libro? Le spiega lui stesso
quando scrive: «Ci sono riflessi di Cielo nelle storie, / nelle vicende e nei volti degli
altri, / e questo dovrebbe aprire all’incontro con l’altro, / a fare esperienza della loro
vita» (pagina 26). Vi sono riflessi di Cielo che il nostro poeta sa cogliere nella vita
degli altri. Vi sono riflessi di Cielo nelle storie di tante persone. Scoprire questi
riflessi di Cielo, lasciarsi illuminare, condividerne la gioia, cantare la bellezza del
Cielo che tocca la terra, questa è la missione del sacerdote, questo è il ministero del
nostro poeta. Anche nelle persone più terrestri si intravvede il Cielo. Anche nelle
pozzanghere della strada si riflette il Cielo.
Il ministero del sacerdote comporta l’impegno di far prendere coscienza ai cristiani
della realtà sublime che dice l’apostolo Paolo: «Voi non siete più stranieri né ospiti,
ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli
apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù» (Efesini,
2, 19-20). Tutti siamo invitati a scoprire, guardando il Cielo, una comune
cittadinanza e una comune fraternità.
C’è un passaggio importante nel libro di don Raffaele: è quello che descrive il
momento della prova. Anche Gesù è stato tentato nel deserto. Il nostro poeta ha
attraversato il buio della tentazione, si è trovato di fronte alle suggestioni di satana.
Anzitutto sono state suggestioni demoniache del pensiero. Con una espressione
molto eloquente il nostro autore dice che «satana sa essere teologo» (pagina 86).
La connotazione importante dell’uomo è quella di avere la facoltà di pensare, e in
modo particolare di pensare Dio, per intessere con Lui un rapporto di amore. Satana
sa chi è Dio, in questo senso è un teologo, cioè riflette su Dio, ma lo presenta
all’uomo in maniera distorta, come fece con Adamo ed Eva, a cui presentò un Dio
geloso della sua grandezza e invidioso della realizzazione dell’uomo. Gesù dice di
satana che è “padre della menzogna”. Satana sa ragionare su Dio, sa essere teologo,
ma presenta una teologia perversa che tende ad allontanare l’uomo da Dio.
Don Raffaele ha sperimentato la dura «lotta contro il male, si sente mancare le
forze» (pagina 89), ma riesce a superare la prova, forte dell’aiuto del Signore,
ripetendo più volte «Gesù, Gesù», e «recitando un’Ave Maria» (pagina 87).
Nell’oscurità e nella solitudine, nella sensazione di avere smarrito il Signore, egli
grida: «Dio, dove sei? / Perché non ti trovo?» (pagina 91). Ma poi scopre che Dio è
vicino, lo aspetta «seduto alla tavola / imbandita nel suo cuore» (pagina 91).
Tutto questo fa capire a noi che raggiungere il cielo ha un costo. Non esiste un cielo
a buon mercato. È necessario affrontare la prova per guadagnare la meta. Gesù dice
di se stesso ai due discepoli di Emmaus: «Non bisognava che il Cristo patisse queste
sofferenze per entrare nella sua gloria?» (Luca, 24, 26).
Nella dimensione del cielo di cui è pervaso questo libro, molto intenso è il pensiero
sulla Madonna delle lacrime. Dice don Raffaele: «Le lacrime della Madonna
esprimono luce — ci indicano che dobbiamo guardare in alto … aprono un varco
nel Cielo … per volare all’infinito di Dio» (pagina 63).
Padre Raffaele canta con gioia la sua vocazione “mariana”: egli è impegnato in una
missione che svolge sotto lo sguardo di Maria e delle sue lacrime. Testimonia a noi
che non si può essere cristiani senza essere “mariani”. In Maria egli trova la luce
perché Lei è donna di luce, trova il varco verso il Cielo perché Lei è donna di Cielo.
In Maria trova la leva per costruire un nuovo mondo secondo il progetto di Dio. In
Maria trova la chiave per entrare nel Cielo pur rimanendo sulla terra. Così egli si
esprime: con il “sì” di Maria «iniziano i cieli nuovi e la terra nuova» (pagina 27). È
dal sì di Maria che è dipesa la salvezza dell’uomo operata da Cristo. Ella ci insegna
a dire di sì al Signore, ad accogliere con gioia e a realizzare con fervore il sublime
progetto di amore che il Signore sogna per ognuno di noi.
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