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Diario 2

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DIARI DELLA QUARANTENA

Parte 2


13 Aprile 2020

Caro diario…

Caro Diario, non ci sentiamo da anni, da quando, più che per una sorta di consuetudine della mia generazione che

per reale motivazione, feci la prova a “tenerti”. Ti abbandonai quasi subito, ricorderai, perché mi ero reso conto di

essere più preso dalla forma che dalla sostanza dei miei racconti quotidiani. Mi concentravo su virgole e

congiuntivi, smarrendo ogni volta il senso del mio racconto. La vita reale era a tal punto intensa e “vissuta” che

non trovavo alcun bisogno di fermarmi con te per “raccontarmi”. Ho sempre preferito e di gran lunga gli amici, ai

quali confidare i miei più intimi segreti e dai quali ricevere altrettante storie di vita e di dubbi accumulati e

irrisolti. Nel tempo, riflettermi è diventato per me un esercizio legato al confronto con un altro, che si sostanzia

nella rivelazione di un altro me, rivelatore del o dei miei molteplici “me”, comunque contingenti, spesso

dissonanti, pur sempre in divenire. Ora sono di nuovo qui, a tentare di imbastire un discorso con te, perché gli altri

sono in questo momento forzatamente distanti e mediati da eccessiva virtualità e la virtualità, mi sono accorto, la

amo sempre meno, dopo l’ubriacatura iniziale. L’età, peraltro, mi ha reso molto più chiuso e schivo, anche perché

sono nel frattempo invecchiato convincendomi, il più delle volte sbagliando, di dover ostentare sempre e

comunque sicurezza e determinazione. Riflettersi, così, è diventato il momentaneo soffermarmi davanti a uno

specchio, quando faccio la barba o quando, per puro caso, incrocio i miei occhi mentre sciacquo il viso. Ma il

bisogno di dirsi è comunque rimasto in me, e con questo l’urgenza di raccontarmi per provare a comprendermi,

quanto meno in superficie (in profondità può anche essere il massimo, mi dicono, ma soffro di vertigini). Ho una

compagna alla quale dico di me, seppure tra mille imbarazzi e difficoltà e più su sua sollecitazione che per un mio

slancio spontaneo. Spesso lei arriva a scardinarmi, mi smonta e mi rimonta e trovo che sia sano e persino

appagante. Ma quanto è faticoso… In questi giorni di isolamento e di quarantena (parola che a quelli della mia

generazione rievoca vecchi racconti di marinai) ho molto pensato a com’ero, a cosa sognavo, a cosa immaginavo

nel mio domani e, l’avrai intuito, a come sono diventato. Ho visto tante di quelle cose in questi anni: l’uomo

sbarcare sulla Luna; gli anni bui del terrorismo. Ho visto Zoff alzare la coppa del mondo in Spagna; l’Inter vincere

la Champions, le squadre rivali in serie B! e ho visto cadere il muro di Berlino. Ho viaggiato in Europa col

biglietto chilometrico e i traveller’s cheques nascosti nel risvolto delle mutande, ma ho anche visto l’11 settembre.

Sono cresciuto con la speranza di un domani migliore, cavalcando l’illusorio benessere degli anni 80 e dei primi

telefonini, ingombranti come un libro, e sono cresciuto pensando che, nonostante tutto e tutti, internet, l’euro la

comunità globale avrebbero spazzato via ogni forma di egoismo e ingiustizia, per restituire dignità e prospettiva a

ogni singolo individuo e…, invece, è bastato un minuscolo virus a forma di palla con le protuberanze, grande

meno di un nanomillimetro, per far vacillare ogni mia più bella speranza. Il mondo si è trincerato negli egoismi

più meschini. Le nazioni hanno preso a rincorrersi per accaparrarsi mascherine chirurgiche a prezzi sempre più

fuori controllo, rifugiandosi nella difesa strenua, miope e suicida del proprio bilancio. La contabilità dei contagi e

dei morti mi ha catapultato ogni sera davanti alla tv, lasciandomi di volta in volta sempre più incredulo, e anche io

mi sono messo a costruire curve di tendenza, indici e parametri di correlazione, nel tentativo di scoprire il punto di

svolta! Ma al termine di ognuno di questi strani giorni, maturo la certezza che non potrà andare avanti così ancora

a lungo. Giorno dopo giorno comprendo che la quarantena mi sta offrendo l’opportunità irripetibile di diventare

una persona migliore. Perché ho capito che il cambiamento, una volta fuori da casa, il riscatto e la mia rinascita

dipenderanno soltanto da me e dalla mia brama inesaurita di futuro, di condivisione e di bellezza e che farò tutto

questo non soltanto per me stesso, ma soprattutto per i miei figli, ai quali dovrò dare l'esempio più importante:

guardare oltre il presente; avere fiducia; impegnarsi per sé e per gli altri; amare e rispettare sempre il prossimo.

Ecco perché io oggi: faccio il pane e la pizza con assiduità e distribuisco agli amici il mio lievito madre; perché

spiego quel poco che so o che penso di aver capito a chi me lo chiede, seppure online; perché studio tedesco su

Duolingo, per tornare in Germania e riuscire a farmi capire, con un sorriso e con un auf wiedersehen pieni di

soddisfazione; ecco perché mi sono iscritto e frequento corsi di formazione online; perché leggo libri al ritmo di

uno a settimana; perché visito musei e mostre virtuali; ed ecco perché la sera, sul divano, crollo abbracciato alla

mia compagna e con le gatte addosso, per addormentarmi con loro davanti all’ennesima serie TV; ed è il motivo

per cui in smart working e su skype, congedandomi, ogni volta dico: “un abbraccio forte”: non ha più nulla di

retorico o di formale o di scontato, ma corrisponde al mio bisogno autentico di vicinanza e di umana condivisione.

Ed ecco perché sono tornato a dirti di me e di quanto io non veda l’ora di abbandonarti di nuovo, per tornare a

dirmi agli altri senza più alcuna mediazione, anche se sento di volerti sempre bene, perché hai avuto pazienza e hai

saputo aspettarmi.

Alberto Giarrizzo


12 Aprile 2020

Sono sempre i migliori quelli

che se ne vanno

Abbiamo sentito molto spesso la frase: “sono anziani”, “avevano altre

patologie”. No, non sono dei semplici numeri, sono persone che lasciano

affetti, che lasciano mogli, figli e nipoti. Se ne vanno da soli, silenziosi,

umili come magari è stata la loro vita. Vita segnata dalle rughe e dalla

fatica. Se ne va la generazione che ha visto la guerra, l’ha combattuta, fatta

di fughe e dell’odore di polvere da sparo, fughe in rifugi antiaerei o per

trovare qualcosa per sfamarsi. Se ne vanno coloro i quali hanno costruito

l’Italia di oggi, scavando fra macerie, mani sporche di cemento, piegato

ferri, mani piene di calli, per ricostruire e rendere il futuro più roseo ai

posteri, lo hanno fatto per noi. Quelli delle Fiat 500, delle notizie di guerra

alla radio, della Vespa, della Lambretta, hanno visto la tv in bianco e nero,

hanno visto nascere tecnologie che hanno reso la nostra vita migliore. Se ne

va un pezzo di storia, una biblioteca che brucia, fonte inesauribile di

conoscenza. Quelli dell’Italia del boom economico, di cui noi tutti, ormai,

abbiamo approfittato impunemente senza ringraziarli a dovere. Se ne vanno

i nostri nonni, l’esperienza, la resilienza, l’umiltà, la comprensione…pregi

ormai andati perduti. Ci lasciano avvolti in lenzuola bianche, da soli, senza

neanche un ultimo bacio, un’ultima carezza, senza essere accuditi in

ospedale, senza un degno funerale, privi di un ringraziamento per tutto

quello che hanno fatto per noi. L’Italia, tutta, vi ringrazierà a tempo debito,

quando tutto sarà finito, per tutto quello che avete fatto per noi. Grazie.

“È tempo che sfugge, niente paura

Che prima o poi ci riprende

Perché c'è tempo, c'è tempo c'è tempo, c'è tempo

Per questo mare infinito di gente.”

-Ivano Fossati, C’è tempo

Gaetano Tralongo


13 Aprile 2020

E il naufragar m’è dolce…

Cerco sempre di trovare dei lati positivi in ogni situazione. In questo

periodo critico per tutti, ho riscoperto la mia casa, ritrovando cose che

neanche sapevo di avere...

Oltre a pulizie meticolose, a fare ordine, a cucinare, mi immergo in nuove

letture, torno a prendere in mano la penna per scrivere su carta bianca le

mie impressioni, ascolto musica rilassante, strimpello un po' la chitarra,

riprendo i miei lavori all'uncinetto, curo le piante, faccio meditazione e

apertura chakra, faccio chilometri... sulla cyclette...

E poi c'è sempre quel luogo magico dove tutto diventa possibile, in cui posso

sempre rifugiarmi: il sogno. Credo che chi come me possiede un mondo

interiore abbia trovato la salvezza.

Intorno c'è gente che si lamenta e soffre questa "reclusione" e l'isolamento,

eppure non fa nulla di diverso da ciò che faceva prima... Questa è una

conferma che le catene sono mentali. Mi spiace per queste persone prive di

ali, soffrono in modo particolare. Io mi riprendo il mio tempo, assaporo la

vita in ogni suo attimo, godendomela a piccoli sorsi, ammirando la bellezza

della natura che si espande sempre di più in assenza dell'essere umano.

Fortunatamente il clima primaverile permette di stare a lungo in balcone,

sul terrazzo, o in cortile, fra le aiuole ricche di fiori variopinti. Il silenzio è

una dolce melodia, così gradevole al mattino con i fruscii del fogliame al

passaggio dei mici in giardino, l'eco dei richiami di stormi di uccelli di varie

specie in volo nel cielo terso, il ronzio delle api che nel frattempo si sono

fortunatamente riprodotte e tornate all'opera... Il rumore del mare della mia

Siracusa, anzi... il suono, non riesco ad udirlo, ma osservando il suo lieve

movimento da lontano posso immaginare il gorgoglìo di piccole onde

luccicanti, solleticate da una gradevole brezza sotto il tepore del sole. È

come stare davanti ad un dipinto animato che ti cattura l'animo rendendoti

partecipe, anche a distanza.

Riesco a vedermi abbracciata a coloro che fanno parte della mia vita, in

questo cuore verde lussureggiante che avanza e ci abbraccia a sua volta,

certa che sarà così, quando questa emergenza terminerà. Non mi aspetto la

vita di prima, ma una vita fondata soprattutto nel rispetto della natura e nei

valori che abbiamo tutti riscoperto in questo periodo.

Patrizia Principato


16 Aprile 2020

W l’ossimoro!

Non mi sono mai piaciute le figure retoriche!

Le ho detestate soprattutto dopo il mio diciassettesimo esame all’università:

letteratura italiana II corso.

Già il numero 17 non prometteva nulla di buono né tantomeno il professore di

cattedra, un genio letterario ma il più temuto e a detta di molti il più

antipatico. Eppure ero stata già così coraggiosa al mio primo esame da

matricola proprio con lui. Primo esame: letteratura italiana I corso. Primo

appello, primo giorno, prima della lista per scelta. Coraggiosa, forse un po'

fortunata.

A distanza di anni non poteva ripetersi altrettanta fortuna. Mi ero convinta che

forse era stato un pizzico d’incoscienza ad aiutarmi tanto da lasciar stare

quell’esame quasi alla fine: il diciassettesimo. Non prometteva nulla di buono.

n. appello, n. giorno ma sempre prima della lista per scelta.

Stesso coraggio? Stessa incoscienza? No. Detestavo l’idea di aspettare, di

assistere agli esami altrui, vedere gli altri ripassare o chiedere al malcapitato

“cosa ti ha chiesto?” A che serviva? Ogni esame è diverso, diverso è il

momento, diverso il giorno, diversa la persona.

Ecco... era il 17. A volte mi capita di “annusare” qualcosa di speciale che

accadrà e così allo stesso modo mi capita di non sentire magia nell’aria. È un

modo per affrontare meglio le cose. Non è rassegnazione

E poi in fondo non mi avevano mai rimandato ad un esame fino ad allora e se

doveva proprio capitare sarebbe stato meglio con lui, con il terribile docente.

Mi sarei sentita meno colpevole, meno responsabile.

E così fu. Caddi sulle figure retoriche, analizzando i versi di una poesia. Il

professore mi mandò via…

Ecco perché detesto le figure retoriche e la (brutta) figura fatta.

Ma l’ossìmoro, no! L’ho rivalutato in questi giorni: “accostamento di parole

che esprimono concetti contrari”.

Ed in questa fase di lentezza potersi dire “a presto” per me è l’ossìmoro più

bello!

Lucia Iacono


16 Aprile 2020

Respira!

Fermarsi. Riflettere. Una pagina di diario? Ma il mio ultimo diario risale

a quando avevo 12 anni e versavo sul cuscino lacrime per

l’incomprensione del mondo. Le lacrime le ho versate anche adesso sul

cuscino, in preda alla febbre e all’incomprensione di quello che mi stava

succedendo.

Poi raccogli le forze, poche, che hai e… dormi.

“Mi raccomando mangia” - mi dice il dottore -, “respira”.

Respiri? Ossigeno diventa la parola chiave. Il saturimetro il mio

migliore amico.

L’ordine in cui mi vengono fatte le due domande ‘come stai’ e ‘quando

ci siamo visti’ mi insegna a distinguere chi si preoccupa di me e, poi, per

sé, da chi si preoccupa di sé e poi, forse, per me.

Ma questo è normale, è bastato un virus per toglierci ogni sovrastruttura.

Siamo tutti spaesati e spaventati.

Non puoi andare incontro alla tempesta a vele spiegate, devi

ammainarle, trovare uno scoglio, rannicchiartici dietro e aspettare che

passi.

Non ho elaborato pensieri sulla vita, sul tempo sospeso che vivo, sul

passato, sul futuro.

Ogni ora che passa, penso, è un’ora in più.

Galleggio. Poi tutto si placa. Penso che la solitudine mi sta proteggendo

dalla responsabilità di preoccuparmi degli altri. Le sorti del mondo mi

sono state lontane fino a quando non ho cominciato di nuovo a provare

fastidio per la confusione e le inadempienze in mezzo a cui mi sono

trovata, insieme a tanti altri.

Allora qualcuno mi ha detto “Sei di nuovo la solita rompiscatole: sei

guarita”. Così ho capito che è vero

Noemi Aliotta


16 Aprile 2020

Le catene dell’imbecillità.

Non abbiamo un vaccino contro il dilagare

delle fake news

Sono scecco: sono scecco in chimica, sono scecco in biologia, sono scecco in

fisica, sono scecco in matematica. Temo che non sia un problema soltanto

mio. Mi sono formato in una scuola che non mi ha dato una istruzione

scientifica di base, degna di questo nome. Giuro che ho studiato. Non è dipeso

da me. Non ho fatto lo scientifico, è vero. Ma se parlo con i miei amici che

hanno frequentato quel liceo, non è che, a distanza di anni, li trovi messi poi

così bene. Annaspano anche loro.

Non è solo una questione di conoscenze (tipo: spiegami la differenza tra massa

e peso; oppure: quale indicatore distingue una sostanza acida da una basica? O

ancora: che differenza esiste tra un batterio e un virus? E via di questo passo).

No: è soprattutto una questione di metodo.

Non abbiamo acquisito (parlo in via generale) una abitudine mentale che ci

porti ad affrontare la vita quotidiana distinguendo tra fatti e opinioni, tra

probabilità e possibilità, tra deduzioni logiche e false inferenze, tra

argomentazioni fondate e ragionamenti sconclusionati; insomma: tra discorso

e chiacchiericcio. E così, nell’era della esplosione comunicativa, non abbiamo

un vaccino che ci immunizzi contro l’epidemia degli “ho sentito dire che …”

o dei “tu non ci credi, ma …”; contro il dilagare delle fake news e dei

complottismi. Si annodano senza posa le catene dell’imbecillità. Bisogna

metterci una pezza.

Mi ricordo i problemi della seconda elementare, del tipo: “La mamma va al

mercato e compra 700 gr. di mele a 120 lire al kg; 800 gr. di pere a 150 lire il

kg; 1,2 kg di arance a 90 lire il kg. Quanto resto le darà il fruttivendolo se la

mamma lo avrà pagato con un biglietto da 500 lire?”. Si cominciava scrivendo

perbenino i “dati del problema”; si illustrava il “procedimento del calcolo” e si

arrivava alla “soluzione” che (vivaddio!) era una e una sola.

Ecco, forse bisognerebbe ripartire da lì, con pazienza e senza fretta; perché, mi

sa, che ci siamo persi per strada.

Anonimo


17 Aprile 2020

Dopo…dovremo ricordare di essere tornati

mortali, pieni di dubbi, senza verità da vendere

#diariodaqui

Sono sincero. Non so cosa resterà nel diario scritto, da ognuno di noi, alla fine di questa

storia. Non so come potremo raccontare la nostra vita al tempo del coronavirus.

La cosa che più mi incuriosisce, forse, sarà rileggere il nostro inconsapevole adattamento a

qualcosa di nuovo. Un cambiamento lento, graduale, ma, molto spesso, fatto soltanto di

riscoperte.

Sì, mi incuriosisce proprio questo. Forse un paradosso, ma pensare di essere cambiato

riscoprendo alcune cose di me e delle persone che mi stanno accanto, così come della mia

stessa città, mi sembra fantastico.

Non si tratta soltanto del pane fatto in casa, della convivenza piena con la famiglia, dello

smart working. Penso alla consapevolezza di essere tornato ad essere più “lento”. Ad avere

la capacità di elaborare meglio le cose; quelle lette e quelle ascoltate.

Qualcuno ha scritto che questo tempo non dovremo sciuparlo. E sono pienamente

d’accordo. Faccio il giornalista, non ho mai apprezzato il linguaggio bellico usato da

alcuni colleghi e, ancora peggio, da politici vari per descrivere questo tempo. Tra le cose

che ho riscoperto ci sono anche le parole. Ne avevo dimenticate tante, forse per noia, per

leggerezza, per esigenze di narrazione iper veloce dei fatti.

Non so se, in questo periodo, qualcuno sta trovando la fede o la sta perdendo. Credo

appartenga alle naturali cose della vita. Pupi Avati, una persona che ho potuto conoscere e

con cui sono rimasto a chiacchierare per oltre un’ora, in questi giorni ha detto che gli unici

ai quali credere sono coloro che, in termini di scienza e ricerca, rispondono “non so”.

Ecco, sul diario, tra le cose riscoperte, che ci avranno cambiato, bisognerà appuntare di

essere tornati mortali, pieni di dubbi, consapevoli di non avere verità da vendere porta a

porta.

Non credo molto a chi esorcizza questi giorni scrivendo “eravamo felici e non sapevamo

di esserlo”. Vallo a dire a qualche milione di persone che vivono “fuori” di te. Oggi stiamo

soltanto guardando allo specchio ciò che siamo da tempo. Solo che oggi, proprio perché

più lenti, ci fermiamo qualche minuto in più davanti a quello specchio.

Peter Bichsel, uno scrittore svizzero che ha fatto anche il maestro elementare, nel suo

Quando sapevamo aspettare scrive: “È possibile ascoltare bene solo quando si tollera

di non capire”.

Questo, con ogni probabilità, rileggerò spesso su questo diario.

Prospero Dente


18 Aprile 2020

Tutti come in uno sceneggiato tv di cui si

aspetta l’ultima puntata, di cui non si

conosce la fine

In questi giorni guardo tantissima televisione. Nessuna particolare selezione di film o serie.

Guardo di tutto: telegiornali, approfondimenti, film improbabili di una stupidità incredibile o film

serissimi, o impegnati o di quelli che pensi “sarà un ottimo film” o, “ma ne hanno parlato

tantissimo”, o “ah me lo avevano segnalato” e pensi “mah...”

Non credo nel tempo ritrovato, nel tempo sospeso, nel tempo per fare, creare nuove possibilità,

penso piuttosto a questo tempo che sta passando così.

Davanti alla televisione, davanti al pc per lavorare, davanti al cellulare per scambiare qualche

parola, per potersi almeno “vedere” un po’, e poi di nuovo al pc per fare un po’ di sport

illudendoti che stai facendo ancora qualcosa per il tuo fisico che ormai è accartocciato su se

stesso, la schiena e le braccia sempre doloranti, i muscoli che bruciano la sera e anche nel letto, il

fisico non riesce a distendersi, a liberarsi da tutto quello che si accumula durante la giornata.

Immagini su immagini, voci ad intermittenza che arrivano dopo secondi, che si accavallano.

Invece se guardi la tv ti riconcili con tutto e tutti. Lì tutto è uguale. Ripropongono le stesse serie

come da anni, gli approfondimenti e i dibattiti politici sembra parlino delle stesse cosa come da

anni. Poco importa se siamo nel pieno di una pandemia che oggi va meglio, che domani non si sa,

che ieri era stabile. Stesse modalità, stesse facce, stessa arroganza, stessa incompletezza.

Eppure è rassicurante, ti fa credere che fuori non sia successo niente di nuovo.

Del resto cosa c’è di nuovo? Fai lo stesso lavoro in un altro modo, ma è sempre quello, cucini,

apparecchi, sparecchi la tavola, fai il bucato, stendi il bucato, ritiri il bucato.

Leggi, magari scrivi qualcosa. Ma tutte queste cose le facevi anche prima? E allora, cosa c’è di

nuovo in tutto questo?

Tutto questo sentirsi uniti, essere nella stessa barca, la solidarietà stanno là, in tv, sul pc.

Ma tu non sei in tv, non sei lì a postare la tua giornata, a raccontare il tuo dolore o la tua azione

solidale, tu sei chiusa dentro casa a cercare di non pensare al domani, a tenere in piedi la normalità

più banale di cui possiamo parlare, cioè le nostre vite quotidiane, che adesso sei costretta ad

osservare minuto per minuto, che sembrano scorrerti davanti come uno sceneggiato.

Le figlie ribelli e scontente e insofferenti che stancamente studiano, ripetono, oppure le figlie che

sono contente, allegre e con entusiasmo ripetono una lezione o commentano qualcosa.

Tutto come prima. Continua esattamente ad essere la stessa vita, solo che è dentro casa, dentro

una scatola, come dentro ad uno schermo e tu, e loro e la famiglia e gli amici e i parenti sono

dentro altre scatole e la tua e la loro vita scorre, sì come dentro ad uno sceneggiato tv di cui si

aspetta l’ultima puntata e di cui non si conosce la fine.

Luisa Fiandaca


22 Aprile 2020

Osservare, dare importanza al tempo

Vedo il mare lontano: la mia isola è la Madonnina che mi saluta. Una

sedia vuota sulla terrazza dell’edificio accanto che aspetta non si sa chi,

mi dà l’idea dell’isolamento al quale siamo un po’ costretti in questi

giorni.

Dopo una notte passata a pensare a cosa fare nel mio lavoro mi sono

affacciata come al solito alla finestra e da lì è nata in maniera spontanea

un’idea. Quante persone conosco qui nel vicinato? Cosa staranno facendo

in questo momento? Mi sono accorta che ci sono tante persone che

vivono vicino a me e che io non ho mai notato se non adesso nel

momento in cui sono costretta a fermarmi. Ecco un ragazzo che ad

esempio ho osservato per ore mentre lavorava ad un pezzo di legno in

terrazza e un gatto sornione e impavido che cammina lungo il cornicione.

Di chi sarà? Più in là un uomo si allena come fosse un samurai e di fianco

una donna anziana stende accuratamente la sua biancheria. Osservare

come tutti alla fine fanno qualcosa mi offre la possibilità di dare

importanza ad una cosa preziosa: il Tempo.

Io che di solito corro sempre di qua e di là che non riesco mai a stare

ferma, mi ritrovo costretta in casa e la cosa assurda è che questa cosa non

è riuscita a destabilizzarmi, anzi forse l’andare piano, questa lentezza, mi

fa osservare meglio e più attentamente le cose, le mie emozioni, cosa

veramente desidero fare appena saremo liberi di poter uscire.

Il mio unico desiderio è raggiungere il mio elemento naturale: il mare,

luogo dal quale non riesco a stare lontana. Sono sicura che quando lo

rivedrò sarà bellissimo ... io sirena - come ben raccontato dal grande

Giuseppe Tomasi di Lampedusa - Perché solo lui, il mio mare, mi

conosce profondamente.

Maria Pia Ballarino


24 Aprile 2020

Non è che in questo tempo che scorre

senza tempo, invece di parlare e di scrivere

ho solo bisogno di silenzio?

Foto di Zerocalcare

Avrò scritto quattro o cinque bozze da quando gli amici della Civetta mi

hanno proposto di condividere una pagina del diario della mia quarantena.

Che meraviglia, oggi – ha scritto l’Alessandra dal bicchiere mezzo pieno – il

sole splende alto nel cielo, la primavera si presenta nei fiori che mia madre

ha piantato nei vasi del terrazzo: prendo il sole tutto il giorno. Non ne avrei

mai avuto il tempo se non mi avessero costretto alla clausura.

Che palle, questo pomeriggio – ha esclamato l’Alessandra annoiata –

nessuno dei romanzi che ho a disposizione mi ispira, in tv non danno niente

di interessante, non riesco ad alzarmi dal divano per la lezione di work-out…

Dai che ce la fai! – ha continuato a ripetersi l’Alessandra convinta – oggi

smonti e rimonti tutta la casa per le pulizie di primavera! Quando ti ricapita

questa grande possibilità? Non hai nessun appuntamento, nessun impegno:

il tempo è tuo!

Davvero è questo quello per cui ho sacrificato tempo, energia e passione? –

si è chiesta l’Alessandra frustrata davanti al pc, la didattica a distanza

(questa sconosciuta), la rete wi-fi che non va.

Mai, nel rileggere i miei pensieri, ho provato così tanto disagio: la

frustrazione si alterna all'entusiasmo; la noia e il dolore da una parte,

l'allegria e la frenesia del fare dall'altra. Sembrano le parole (e le giornate) di

bambine, ragazze, donne diversissime tra loro.

E tutte le volte che ho provato a continuare, nessuna di queste Alessandra

mi ha convinto, nessuna mi è appartenuta totalmente. In questi giorni pare

che il mondo intero senta il bisogno di vomitare pensieri, parole, opere,

proponimenti. Io, invece, davanti alle pagine del mio diario non so come

continuare a scrivere. E non mi riconosco. Io che non smetto mai di parlare,

io che non conosco il dono della sintesi nella scrittura: io non so che dire?

Dapprima mi spavento. Poi trovo un senso alla mia incapacità di dire.

Non è che in questo tempo che scorre senza tempo, invece di parlare e di

scrivere ho solo bisogno di silenzio?

E il silenzio diventa catarsi. E le Alessandra in me si quietano.

Alessandra Privitera


2 Maggio 2020

1° Maggio diverso dal solito: i corvi di piazza Adda

Oggi non avevo proprio voglia di celebrare il 1 Maggio, quella solita cosa ripetuta sempre uguale

da tanti, tantissimi anni: la scampagnata. Riempire la macchina di teglie, andare in villetta (di

amici o parenti), la brace, l’arrustuta, le solite discussioni se i carciofi vanno conditi prima o dopo

di metterle sulla brace, se la salsiccia di Palazzolo è meno piccante dell’ultima volta, se era meglio

prenderla a Buscemi … cose così. Poi ti metti al sole sulla sdraio, apri il libro ma in realtà vai a

finire sempre sullo smartphone, ti lamenti delle zanzare, vorresti tirare quattro calci al pallone coi

tuoi figli ma loro sono grandi e già se ne sono andati per i fatti loro. Il ripasso coi parenti di

quando i figli erano bambini, di quando eravamo bambini noi. Che di solito il 1 maggio si faceva

il primo bagno, che ultimamente il tempo si guasta. Che facciamo, raccolgo 4 limoni e ce ne

torniamo prima che si forma la fila di auto interminabile su Via Elorina?

Niente, basta quest’anno niente scampagnata, già fatto, già visto.

Questo 1 Maggio me ne vado in terrazza a godermi la pace, il silenzio, il panorama. E scoprire

cose nuove. Per esempio non sapevo che sopra il mio tetto c’è una colonia di rondoni. Sapevo dei

piccioni, tanti, troppi e scassamentos per biancheria stesa e carrozzeria auto. Ma di rondini e

rondoni che svolazzano allegramente non mi ero accorto. Ma ancora di più mi ha sorpreso

scoprire i corvi: ce ne sono davvero tanti sulla ringhiera, sui serbatoi e sulle antenne. Si muovono

quasi tutti a coppia, almeno 3 coppie si fanno notare saltellando a turno da una antenna alla

ringhiera del terrazzo di fronte e ritorno. Forse giocano, forse è un rito, un corteggiamento. Parte

uno e l’altro/a subito lo segue. Da antenna ad antenna, da ringhiera a ringhiera. Al mio passaggio

(percorro più volte il perimetro della terrazza) si infastidiscono e si spostano... Piccioni

(scassamentos), rondoni dal volo elegante e corvi, vari corvi, che giocano o si amano

strusciandosi, si beccano e punzecchiano e si spostano e poi ritornano. A coppie.

Chissà come stanno vivendo gli uccelli questo periodo di quarantena, di “fermo” umano, di

silenzio, di assenza di attività. Chissà cosa pensano, come lo vivono, come interpretano questo

momento improvvisamente diverso e più vicino alla natura (ma chissà cos’è per i volatili la

natura). Chissà cosa si dicono tra di loro, che impressioni ne hanno, cosa si tramandano e come

incide nelle loro abitudini questo tempo diverso. Triste e ansioso per noi umani che nemmeno ci

possiamo toccare e dobbiamo stare lontani, tranquillo e spensierato per gli uccelli che invece si

possono muovere e stare insieme più al sicuro di prima. Di certo non aspettano con ansia il 4

maggio, o il 17 o il 1 giugno. Anzi per loro sarebbe meglio che la quarantena non finisse mai. Che

le macchine non affollassero più le strade, che i rumori non tornassero ad abitare sotto i tetti, che

l’aria rimanesse leggera e pulita come mai l’hanno sentita.

Forse la quarantena è servita a qualcosa. Forse c’è chi l’ha vissuta e la vive felicemente. Forse c’è

chi soffrirà quando la vita riprenderà i propri ritmi “normali” (?) ma noi non ce ne accorgeremo o

ce ne fregheremo.

Aldo Castello

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