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16 Aprile 2020
Respira!
Fermarsi. Riflettere. Una pagina di diario? Ma il mio ultimo diario risale
a quando avevo 12 anni e versavo sul cuscino lacrime per
l’incomprensione del mondo. Le lacrime le ho versate anche adesso sul
cuscino, in preda alla febbre e all’incomprensione di quello che mi stava
succedendo.
Poi raccogli le forze, poche, che hai e… dormi.
“Mi raccomando mangia” - mi dice il dottore -, “respira”.
Respiri? Ossigeno diventa la parola chiave. Il saturimetro il mio
migliore amico.
L’ordine in cui mi vengono fatte le due domande ‘come stai’ e ‘quando
ci siamo visti’ mi insegna a distinguere chi si preoccupa di me e, poi, per
sé, da chi si preoccupa di sé e poi, forse, per me.
Ma questo è normale, è bastato un virus per toglierci ogni sovrastruttura.
Siamo tutti spaesati e spaventati.
Non puoi andare incontro alla tempesta a vele spiegate, devi
ammainarle, trovare uno scoglio, rannicchiartici dietro e aspettare che
passi.
Non ho elaborato pensieri sulla vita, sul tempo sospeso che vivo, sul
passato, sul futuro.
Ogni ora che passa, penso, è un’ora in più.
Galleggio. Poi tutto si placa. Penso che la solitudine mi sta proteggendo
dalla responsabilità di preoccuparmi degli altri. Le sorti del mondo mi
sono state lontane fino a quando non ho cominciato di nuovo a provare
fastidio per la confusione e le inadempienze in mezzo a cui mi sono
trovata, insieme a tanti altri.
Allora qualcuno mi ha detto “Sei di nuovo la solita rompiscatole: sei
guarita”. Così ho capito che è vero
Noemi Aliotta