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Diario 2

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13 Aprile 2020

Caro diario…

Caro Diario, non ci sentiamo da anni, da quando, più che per una sorta di consuetudine della mia generazione che

per reale motivazione, feci la prova a “tenerti”. Ti abbandonai quasi subito, ricorderai, perché mi ero reso conto di

essere più preso dalla forma che dalla sostanza dei miei racconti quotidiani. Mi concentravo su virgole e

congiuntivi, smarrendo ogni volta il senso del mio racconto. La vita reale era a tal punto intensa e “vissuta” che

non trovavo alcun bisogno di fermarmi con te per “raccontarmi”. Ho sempre preferito e di gran lunga gli amici, ai

quali confidare i miei più intimi segreti e dai quali ricevere altrettante storie di vita e di dubbi accumulati e

irrisolti. Nel tempo, riflettermi è diventato per me un esercizio legato al confronto con un altro, che si sostanzia

nella rivelazione di un altro me, rivelatore del o dei miei molteplici “me”, comunque contingenti, spesso

dissonanti, pur sempre in divenire. Ora sono di nuovo qui, a tentare di imbastire un discorso con te, perché gli altri

sono in questo momento forzatamente distanti e mediati da eccessiva virtualità e la virtualità, mi sono accorto, la

amo sempre meno, dopo l’ubriacatura iniziale. L’età, peraltro, mi ha reso molto più chiuso e schivo, anche perché

sono nel frattempo invecchiato convincendomi, il più delle volte sbagliando, di dover ostentare sempre e

comunque sicurezza e determinazione. Riflettersi, così, è diventato il momentaneo soffermarmi davanti a uno

specchio, quando faccio la barba o quando, per puro caso, incrocio i miei occhi mentre sciacquo il viso. Ma il

bisogno di dirsi è comunque rimasto in me, e con questo l’urgenza di raccontarmi per provare a comprendermi,

quanto meno in superficie (in profondità può anche essere il massimo, mi dicono, ma soffro di vertigini). Ho una

compagna alla quale dico di me, seppure tra mille imbarazzi e difficoltà e più su sua sollecitazione che per un mio

slancio spontaneo. Spesso lei arriva a scardinarmi, mi smonta e mi rimonta e trovo che sia sano e persino

appagante. Ma quanto è faticoso… In questi giorni di isolamento e di quarantena (parola che a quelli della mia

generazione rievoca vecchi racconti di marinai) ho molto pensato a com’ero, a cosa sognavo, a cosa immaginavo

nel mio domani e, l’avrai intuito, a come sono diventato. Ho visto tante di quelle cose in questi anni: l’uomo

sbarcare sulla Luna; gli anni bui del terrorismo. Ho visto Zoff alzare la coppa del mondo in Spagna; l’Inter vincere

la Champions, le squadre rivali in serie B! e ho visto cadere il muro di Berlino. Ho viaggiato in Europa col

biglietto chilometrico e i traveller’s cheques nascosti nel risvolto delle mutande, ma ho anche visto l’11 settembre.

Sono cresciuto con la speranza di un domani migliore, cavalcando l’illusorio benessere degli anni 80 e dei primi

telefonini, ingombranti come un libro, e sono cresciuto pensando che, nonostante tutto e tutti, internet, l’euro la

comunità globale avrebbero spazzato via ogni forma di egoismo e ingiustizia, per restituire dignità e prospettiva a

ogni singolo individuo e…, invece, è bastato un minuscolo virus a forma di palla con le protuberanze, grande

meno di un nanomillimetro, per far vacillare ogni mia più bella speranza. Il mondo si è trincerato negli egoismi

più meschini. Le nazioni hanno preso a rincorrersi per accaparrarsi mascherine chirurgiche a prezzi sempre più

fuori controllo, rifugiandosi nella difesa strenua, miope e suicida del proprio bilancio. La contabilità dei contagi e

dei morti mi ha catapultato ogni sera davanti alla tv, lasciandomi di volta in volta sempre più incredulo, e anche io

mi sono messo a costruire curve di tendenza, indici e parametri di correlazione, nel tentativo di scoprire il punto di

svolta! Ma al termine di ognuno di questi strani giorni, maturo la certezza che non potrà andare avanti così ancora

a lungo. Giorno dopo giorno comprendo che la quarantena mi sta offrendo l’opportunità irripetibile di diventare

una persona migliore. Perché ho capito che il cambiamento, una volta fuori da casa, il riscatto e la mia rinascita

dipenderanno soltanto da me e dalla mia brama inesaurita di futuro, di condivisione e di bellezza e che farò tutto

questo non soltanto per me stesso, ma soprattutto per i miei figli, ai quali dovrò dare l'esempio più importante:

guardare oltre il presente; avere fiducia; impegnarsi per sé e per gli altri; amare e rispettare sempre il prossimo.

Ecco perché io oggi: faccio il pane e la pizza con assiduità e distribuisco agli amici il mio lievito madre; perché

spiego quel poco che so o che penso di aver capito a chi me lo chiede, seppure online; perché studio tedesco su

Duolingo, per tornare in Germania e riuscire a farmi capire, con un sorriso e con un auf wiedersehen pieni di

soddisfazione; ecco perché mi sono iscritto e frequento corsi di formazione online; perché leggo libri al ritmo di

uno a settimana; perché visito musei e mostre virtuali; ed ecco perché la sera, sul divano, crollo abbracciato alla

mia compagna e con le gatte addosso, per addormentarmi con loro davanti all’ennesima serie TV; ed è il motivo

per cui in smart working e su skype, congedandomi, ogni volta dico: “un abbraccio forte”: non ha più nulla di

retorico o di formale o di scontato, ma corrisponde al mio bisogno autentico di vicinanza e di umana condivisione.

Ed ecco perché sono tornato a dirti di me e di quanto io non veda l’ora di abbandonarti di nuovo, per tornare a

dirmi agli altri senza più alcuna mediazione, anche se sento di volerti sempre bene, perché hai avuto pazienza e hai

saputo aspettarmi.

Alberto Giarrizzo

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