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21 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.5

LUIS SEPULVEDA: IL VIRUS NE SPEGNE LA

VOCE NON ZITTITA NEANCHE DALLA

DITTATURA DI PINOCHET

Maria Lucia Riccioli pag.8

NUOVI SBARCHI: VI PUÒ ESSERE

UNA GRADUATORIA DEI

DESTINATARI DEI BISOGNI?

Francesco Magnano pag.10

L’ULTIMA CENA SPIEGATA DA

FRATE ALBERTO MAGGI

Antonio Andolfi pag.11

NON BASTA L’ASSOLUZIONE DI

MASSIMO CARRUBA.

È TEMPO DI RISPOSTE CERTE

Giambattista Totis pag.12

Raccolta

*QUINDICINALE DI FATTI E OPINIONI * REG. TRIB. DI SIRACUSA N.1509 DEL 25/08/2009

*DIRETTORE: FRANCO ODDO * VICEDIRETTORE: MARINA DE MICHELE

T. Sgarlata PAG.2

All’orizzonte, per tutti, una sfida soprattutto culturale e spirituale

Salvo Adorno: “Sono stati

rilegittimati la politica e

i “saperi” esperti”

Marina de Michele pag.3

Siamo in un momento in cui si intrecciano tre ordini di problemi e dall’equilibrio con

il quale si riusciranno a gestire i tre aspetti dipenderà il nostro futuro.

I tre aspetti sono: l’emergenza sanitaria, l’emergenza economica e l’emergenza

democratica.

Riapre il parco dell’Hangar? PAG.13

Covid19. Una catena ininterrotta

di errori. Da salvare solo il

personale sanitario, encomiabile

Dott. Gaetano Scifo pag.5

1


21 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.5

All’orizzonte, per tutti, una sfida soprattutto culturale e

spirituale

Tati Sgarlata

Pubblicato il 14/04/2020

Siamo in un momento in cui si intrecciano tre ordini di

problemi e dall’equilibrio con il quale si riusciranno a

gestire i tre aspetti dipenderà il nostro futuro.

I tre aspetti sono: l’emergenza sanitaria, l’emergenza

economica e l’emergenza democratica.

Se ci sbilanceremo troppo sull’emergenza sanitaria,

rischieremmo di ritrovarci incapaci di gestire l’emergenza

economica con milioni di persone senza reddito e tutto ciò

che questo comporterà.

Se ci sbilanceremo molto sulla emergenza economica,

pagheremmo un prezzo insopportabile in vite umane con

possibili disordini sociali ed incapacità di gestione del

sistema.

Se ci sbilanceremo molto sull’emergenza democratica, non

utilizzeremmo a pieno gli strumenti tecnologici che, come in

Corea del Sud, hanno evitato migliaia di vittime.

Per il momento è stato trovato un discreto equilibrio dal

nostro governo nazionale anche se il nostro Presidente della

Regione non teme di vietare ancora ai bambini di uscire da

casa per brevi passeggiate con un genitore o un po’ di

attività motoria da soli, mentre in Veneto si stanno già

recuperando varchi di libertà utilissimi per non fare

precipitare situazioni che stanno reggendo a malapena. Chi

segue come me pazienti che soffrono di disagio psichico

forse coglie maggiormente certe problematiche.

Ma è giusto anche stare molto attenti agli aspetti delle

limitazioni delle libertà ai quali saremmo molto più sensibili

se al governo ci fosse un certo Salvini che già, da ministro

dell’interno, aveva chiaramente manifestato il suo modo di

intendere la democrazia (sequestro di persone per ragion di

Stato, divieto di manifestazioni sindacali per compiacere

paesi amici etc.).

Allora torniamo gradualmente alla normalità tenendo conto,

come dice Landini, che molto dovrà cambiare del modo di

produrre in termini di sicurezza e delle filiere da sostenere o

meno.

Ricordiamoci che, di tutte le emergenze citate, sullo sfondo

resta l’emergenza climatica ed ambientale che potrebbe, nel

giro di qualche anno, cambiare radicalmente la possibilità di

vita per l’uomo nel pianeta.

E ricordiamoci pure che negli ultimi decenni si è rinsaldata

una alleanza tra le Mafie, i colletti bianchi, la Finanza e la

Massoneria deviata che controlla ampiamente già la nostra

vita.

Ma tutto dipenderà dall’uomo che uscirà dalle

trasformazioni in atto in queste settimane e Michele Serra

oggi scrive che, da questo periodo, ognuno di noi uscirà

rinforzato nel suo modo di essere: da una parte chi è più

incline alla costruzione del bene comune e dall’altra chi è

più incline alla ricerca di vantaggi personali.

La sfida allora che abbiamo davanti è quindi soprattutto

culturale e spirituale, buon lavoro

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21 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.5

Salvo Adorno: “Sono stati rilegittimati la politica e i “saperi”

esperti”

Marina De Michele

Pubblicato il 17/04/2020

L’epidemia che non vuole finire e la fase due che preme alle

porte, anche a Siracusa. Sul presente e su quello che dovrebbe/

potrebbe essere il nostro futuro abbiamo chiacchierato con il

professore Salvo Adorno, storico e politico,segretario in pectore

del Partito Democratico. Una prima intervista alla quale

contiamo di far presto seguire un approfondimento sul “futuro

del territorio”, con l’auspicio che altri intellettuali della nostra

città vogliano partecipare per iniziare a parlare, a vedere la

speranza di un domani più consapevole, soprattutto di quello che

non dovrebbe più essere.

Partiamo dal personale come hai organizzato i tuoi tempi

nella quarantena? Anche tu, come altri, hai recuperato più

tempo per la riflessione? Un bene o un male?

Troppo tempo davanti al computer. Una volta rotto il confine

formale tra tempo di lavoro e tempo personale, il lavoro ha

invaso tutti gli orari della giornata. Lavoro molto con gli studenti

ma quello del docente è anche un lavoro di pensiero, di lettura. I

miei studi di storia ambientale mi stanno aiutando a leggere la

pandemia all’interno del rapporto tra uomo e natura, come effetto

della profonda e radicale alterazione degli equilibri ambientali

prodotta dall’azione umana.

Che giudizio dai della gestione dell’epidemia da parte del

governo italiano?

Positiva, senza dubbio. Covid ha messo in evidenza i limiti della

regionalizzazione della sanità e della sua privatizzazione. Le

regioni che hanno tenuto meglio sono quelle con maggiore

territorializzazione del servizio come il Veneto, le peggiori quelle

che hanno privatizzato come la Lombardia. Il governo ha operato

dentro queste contraddizioni.

Quale giudizio sulla gestione a livello regionale e a livello

locale. Il nostro sindaco, l’Asp stanno facendo le giuste scelte?

La sanità siciliana sta scontando limiti strutturali di efficienza.

L’impostazione ospedalocentrica, la disattenzione ormai cronica

per i servizi territoriali di base e il perverso intreccio con la

politica mostrano alla prova dei fatti la debolezza del sistema. Mi

sono fatto l’idea che se Covid fosse arrivato in Sicilia anche solo

con un terzo della forza con cui è arrivato al nord avrebbe fatto

una strage.

La risposta di Musumeci è tutta dentro i limiti di questo contesto.

Gestisce irresponsabilità ereditate, che ha la responsabilità di non

aver saputo affrontare in tempo. Sull’Asp di Siracusa ho già

espresso pubblicamente il mio giudizio negativo, c’è una

inadeguatezza di fondo nella catena di comando che non è

giustificabile. Ho invece molto apprezzato le prese di posizione

del Sindaco, coraggiose e solidali, a tutela dei cittadini. Sta

interpretando al meglio il suo ruolo di responsabile della sanità

nel territorio.

Anche tu credi che sarebbe un errore tornare alla normalità

precedente e vedi all’orizzonte alzarsi il sol dell’avvenire?

Pessimista o fiducioso in un cambiamento radicale del nostro

modo di stare al mondo?

Anche io sono tra quelli che pensano che dopo Covid niente sarà

come prima. La crisi sta radicalizzando il modo di reagire. Mi

sembra che l’isolamento sta acuendo sia le chiusure

individualiste, recriminatorie ed egoiste, sia i sentimenti di

solidarietà, fraternità, cooperazione. Bisogna vedere cosa di

quello che si è espresso emotivamente in questi mesi diventerà

strutturale.

Io spero che a prevalere nel futuro sia lo spirito di fraternità tra

gli uomini e di cooperazione tra gli stati, non l’egoismo

individuale e il nazionalismo politico. Credo che, come in ogni

crisi epocale, gli scenari siano tutti aperti.

Temi che, come qualcuno paventa, quanto accaduto, la

compressione momentanea dei nostri diritti costituzionali,

umani, possa portarci nel futuro a una riduzione dei nostri

spazi di democrazia, di libertà, che possano prodursi

tentazione autoritarie? O sono timori ingiustificati?

Io nel futuro vedo una spinta verso la centralizzazione delle

scelte. Ma non credo che questo significhi inevitabilmente

autoritarismo, crisi della democrazia, violazione della privacy,

controllo totalitario, coercizione securitaria. Democrazia e

sicurezza possono andare d’accordo. Dipende dalle scelte che

faranno le catene di comando politiche, ma anche, in modo

decisivo, dalla capacità che la società, soprattutto in occidente,

avrà di rendere solide le forme della partecipazione. Credo inoltre

che tutto è legato a come verrà affrontato a livello globale il tema

ambientale. E’ su questo campo che si gioca il futuro del pianeta,

la pandemia è strettamente legata all’alterazione dell’ambiente da

parte dell’uomo. Quale sarà la governance mondiale

dell’ambiente dopo Covid? Inevitabilmente le politiche

ambientali devono essere globali e per essere efficaci richiedono

un certo livello di centralizzazione. Quindi ritorna il tema di

come i governi riusciranno a coniugare ambiente,

centralizzazione, democrazie e libertà. Bisogna impedire che

facciano la scelta opposta.

continua..

3


21 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.5

…continua

Questa epidemia ha messo in luce, anche nella nostra realtà, un

mondo sepolto fatto di lavoro nero, grandi povertà e livelli minimi

di sopravvivenza, disagi e altro. Come pensi che si debba

affrontare tutto questo nell’immediato e per il futuro?

Un mondo sepolto ma conosciuto. La crisi fa emergere le

diseguaglianze e le acuisce. È ormai evidente la necessità di un livello

di intervento nazionale e regionale: un vero e proprio piano contro la

povertà e per la regolarizzazione del lavoro nero. A livello locale ci

sono già alcune buone pratiche a cui fare riferimento, in cui le

amministrazioni, le associazioni e le piccole imprese si mettono in rete

per sostenere chi ha bisogno. Le amministrazioni in questo caso, oltre

alle loro poche risorse, mettono a disposizione soprattutto il supporto

logistico e organizzativo. In tempi di risorse scarse e di bisogni

crescenti, l’efficacia e l’efficienza della governance amministrativa è

un bene fondamentale. Inoltre, le amministrazioni locali possono

intervenire con maggior agio sul tema della povertà educativa, che è

strettamente connesso con la povertà economica. La battaglia dei

sindaci non è solo quella di trovare risorse, ma anche quella di

promuovere idee di sviluppo economico e culturale per i territori.

Se la politica, le istituzioni, dimostrano tutti i loro limiti, incapacità

e inadeguatezza, la società civile risponde meglio, con il

volontariato, la libera iniziativa, la solidarietà. Segnali di

speranza? Una ricucitura dello strappo politica/società è possibile?

Si è così, è quello che penso. Bisogna ricucire la frattura tra politica e

società che si è creata negli ultimi decenni e che i populisti e i

sovranisti hanno trasformato in conflitto. L’azione di governo sta

rilegittimando la politica e sta rilegittimando i saperi esperti, che fino a

ieri erano considerati nemici del popolo. Credo che stia avvenendo

perché Covid ha costretto tecnici e politici una piena assunzione di

responsabilità e a una dimostrazione di affidabilità. La grande

scommessa è rendere strutturale questa scelta nata in emergenza.

Tranne che in pochissime occasioni, la politica locale tace, o

va dietro ad alcuni interventi forti come quelli del sindacato a

cui va senz’altro riconosciuto in questi giorni un’importante

funzione di stimolo per le errate strategie sanitarie. Su questo

sei d’accordo? E la politica, i partiti, non avrebbero modo di

ritagliarsi un ruolo autonomo, propositivo, di stimolo?

Quali i luoghi del dibattito e su quali temi? C’è un confronto

all’interno del Partito Democratico?

Rivendico che il Partito Democratico di Siracusa sia intervenuto

con più voci sulla questione sanitaria in modo chiaro,

denunciando l’inadeguatezza della catena di comando della

sanità. Il passo successivo è per me rivendicare una riforma che

superi la visione Ospedalocentrica della sanità e che punti sui

servizi territoriali. La politica deve inoltre recidere drasticamente

il rapporto di scambio con la sanità. Sarebbe una vera

rivoluzione. Ho sempre sostenuto pubblicamente che il Pd deve

diventare un partito che si muove su un doppio livello di azione:

affrontare e risolvere i mille problemi dell’oggi e costruire

un’idea di futuro del territorio. Il presente della sanità si affronta

chiudendo al più presto questa gestione inadeguata, il futuro

ripensando il modello che la ha prodotta. Pur nella mancanza di

organismi formali nel PD c’è un serio dibattito su questi temi.

Non pensi che sia il momento di elaborare piani di sostegno e

ripresa anche per l’economia cittadina? C’è stata una

proposta “pubblica” di Amo Siracusa (Gaetano Cutrufo e

Mario Bonomo) di creare un gruppo di lavoro “che coinvolga

anche l’opposizione e metta insieme i dirigenti economici del

Comune con rappresentanti di agricoltura, commercio,

industria, la giunta e un esperto economista per comprendere

già da ora cosa si dovrà fare nell’immediato in termini di

sostegni alle imprese e all’economia”. Ti sembra un

suggerimento ragionevole, utile? Lo condividi? Quale la tua

ricetta (o quella del Pd) per uscire fuori dal tunnel e

pianificare una necessaria ripresa?

Anche in questo caso ci deve essere una risposta immediata e una

capacità di costruire le nuove strategie di sviluppo della

provincia.È uno sforzo difficile da sostenere che richiede un

esercizio collettivo di responsabilità da parte della politica e della

società. Una nuova capacità di fare sistema e di fare rete su un

percorso di sviluppo condiviso, capacità che è mancata alla classe

dirigente complessiva della provincia. Quindi ben venga ogni

iniziativa che superi la frammentazione e l’auto referenzialità

della politica locale. Ma quale deve essere il modello futuro su

cui investire?

Qui si aprono diverse prospettive, ed è su questo, se è necessario,

che bisogna dividersi assumendosi le responsabilità delle scelte.

Mi piace la politica che si divide sulle scelte di fondo e non sulla

contabilità degli equilibri di potere. A dover rispondere su quale è

secondo me il futuro del territorio bisognerebbe fare un’altra

intervista. Posso solo enunciare sinteticamente quelle che credo

siano le nuove centralità: ambiente; sviluppo plurale e non

monocentrico, che punti in modo equilibrato su tutte le risorse del

territorio, agricoltura, industria, turismo e artigianato;

valorizzazione di tutti i territori, dalle aree interne a quelle

costiere passando dalle città, secondo le proprie vocazioni

produttive; formazione a partire dai nuovi lavori legati

all’innovazione; investimenti prioritari e mirati nelle

infrastrutture strategiche funzionali del territorio, penso a quella

ferroviaria e autostradale, ma anche a quella socio sanitaria e a

quella idrica.

Sei ancora candidato alla segreteria provinciale del Pd. Quale

la crono agenda per l’espletamento delle procedure di rito

(congressi regionali, provinciali, comunali)? A quando la

normalizzazione degli organismi?

I tempi del congresso li deciderà Covid, piuttosto che il

commissario regionale. Spero solo che siano brevi. Il Pd ha

bisogno di ripartire al più presto, perché credo che Siracusa abbia

bisogno del Pd.

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21 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.5

Pubblicato il 15/04/20

Covid19. Una catena ininterrotta di errori.

Da salvare solo il personale sanitario, encomiabile

Dott. Gaetano Scifo

Nell’analisi dettagliata dell’epatologo il punto e a capo per

la sanità siracusana

Il Dottor Gaetano Scifo, insigne epatologo e primario emerito

della Divisione di Malattie Infettive dell’Ospedale di Siracusa,

nominato dal Sindaco membro della Commissione Comunale

COVID di Siracusa insieme al Dottor Angelo Giudice, ci

rilascia questo dirompente articolo, mettendo a nudo situazioni

che superano la più tetra delle previsioni sulla qualità delle cure

che sono riservate ai Siracusani.

Nella convinzione che nessuna rifondazione della sanità

siracusana sarà possibile senza una distaccata analisi dei fatti e

delle responsabilità che qui si denunciano, affidiamo ai lettori

la valutazione di quanto pubblichiamo (dottor Corrado Artale)

COVID-19

IL PUGNO ALLO STOMACO DI “REPORT”

“E ora andiamo in Sicilia, a Siracusa, qui l’emergenza

COVID-19 è stata una sequenza di errori”: quando lunedì 6

Aprile il giornalista Sigfrido Ranucci ha presentato il Caso

Siracusa su Report con queste parole, semplici cittadini e

tecnici, tutti abbiamo sentito di avere preso un pugno allo

stomaco, violento e improvviso, cattivo e disvelatore.

Ognuno di noi ha cominciato ad interrogarsi, ad osservare più

acutamente la realtà ed anch’io che per 40 anni ho operato nella

sanità siracusana, mi sono sforzato di capire più a fondo che

cosa possa essere successo per fare della gestione sanitaria

COVID-19 a Siracusa un caso nazionale da additare ad

esempio negativo.

Sovrintendenza e caso Rizzuto.

Non accennerò minimamente al caso Rizzuto e al caso

Sovrintendenza, in quanto ritengo che trattandosi di questioni

di massima gravità, la Procura debba essere lasciata libera di

studiare, analizzare, raccogliere prove e testimonianze e

tracciare delle conclusioni.

Voglio solo esprimere la massima solidarietà alla famiglia

Rizzuto e ai dipendenti di una istituzione, la Sovrintendenza,

che si sono sentiti lasciati soli e abbandonati in un momento

difficile e grave.

Sarei ingeneroso, inoltre, se non dicessi, prima di ogni altra

considerazione, del grande e appassionato impegno che tutti i

colleghi medici, gli infermieri e il personale non sanitario

stanno profondendo in questa emergenza, mentre assicurano

una assistenza sanitaria difficile e complessa e mettono in

pericolo persino la salute loro e quella dei familiari.

A tutti loro va e, in questo modo, credo di interpretare il sentire

di una intera comunità, la solidarietà e il sostegno morale mio e

di tutti i cittadini della provincia di Siracusa.

L’Ospedale, cluster delle infezioni

Il gruppo di matematici dell’Università di Palermo che studia i

dati epidemiologici COVID-19 nazionali sostiene che la Sicilia

abbia avuto, rispetto a tutte le altre regioni, i numeri più bassi e

che l’epidemia nella nostra regione stia già manifestando una

evidente e anticipata fase calante di infezioni. Nel quadro

siciliano, Siracusa ha avuto ad oggi 150 infezioni ma è

realistico pensare che le infezioni siano state circa 200 a causa

della grave disfunzione del sistema di processazione dei

tamponi che ha ritardato o impedito diverse diagnosi.

Mai sono stati superati i 50 ricoveri, la terapia intensiva non è

stata mai sotto pressione e non è stato necessario attivare tutti i

posti letto COVID-19 che più o meno fantasiosamente erano

stati previsti nel Piano Aziendale.

Eppure a fronte di un carico non elevato di pazienti, il sistema è

andato in crisi e l’Ospedale Umberto I di Siracusa è diventato

una vera e propria zona rossa.

Infatti, se si mettono insieme le infezioni del personale

sanitario e non sanitario, le infezioni secondarie dei familiari

dei dipendenti, le infezioni acquisite in ospedale da pazienti

ricoverati per altre patologie o le infezioni esportate in

Residenze Sanitarie Assistite, dove sono stati inviati pazienti

dimessi che non avevano eseguito il tampone (il caso più

clamoroso è quello della RSA di Canicattini, dove un paziente

dimesso dall’Umberto I ha causato un focolaio epidemico di

dodici infezioni), la somma rappresenta la metà di tutti i casi di

COVID-19 a Siracusa .

In pratica il P.O. Umberto I è diventato importante centro di

trasmissione dell’infezione e fino ad ora, nonostante alcune

recenti correzioni, non si riesce a migliorare la situazione

perché non sono state individuate quelle catene di trasmissione

sommersa dell’infezione connesse alla presenza di operatori

sanitari che sono, verosimilmente, portatori di infezioni

asintomatiche.

Questo si è rivelato l’errore più grave, quello capace di

compromette l’efficienza e la operatività di tutta la catena

assistenziale, generando paura e insicurezza tra i cittadini che

disertano le strutture ospedaliere temendo di infettarsi.

continua..

5


21 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.5

…continua

Accesso e percorsi ospedalieri differenziati

Il secondo grave problema è assolutamente oggettivo, in

quanto segnalato dalle relazioni e dagli interventi del Team di

esperti regionali, intervenuti a correggere errori e mancanze

dei piani procedurali.

I fatti dimostrano che è mancata un’operazione fondamentale

raccomandata nelle linee guida dell’Infection Control: la

separazione degli accessi in Pronto Soccorso e dei percorsi

interni per i pazienti Covid e non Covid. Da ciò è derivata

una promiscuità amplificatrice del rischio di contagio.

Perché non sono stati consultati e applicati i documenti stilati

da WHO (Organizzazione Mondiale Sanità) e CDC (Centers

for Disease Control and Prevention), autentici punti di

riferimento operativo per tutti gli ospedali italiani?

Sono mancate cultura e prassi dell’Infection Control e questo

pone pesanti interrogativi sulle reali competenze e

conoscenze dei membri dell’Unità di Crisi che ha gestito

l’emergenza.

Il Team specialistico inviato dall’assessorato ha imposto

accessi e percorsi rigidamente disegnati, completamente

diversi da quelli attuati in precedenza, ratificandone il pieno

fallimento.

Il ritardo diagnostico

Un problema che ha avuto gravi conseguenze è quello della

diagnosi virologica e della processazione dei tamponi. Qui il

primo e più grave errore è stato commesso dall’assessorato

della sanità siciliana che aveva disposto di indirizzare i

tamponi solo ai due poli diagnostici di Catania (Policlinico) e

Palermo (Policlinico).

Era però chiaro a tutti che questo sistema avesse le ore

contate e sarebbe crollato sotto il peso del numero degli

esami da eseguire e che si sarebbe andati verso la

identificazione di laboratori virologici su base provinciale.

Il P.O. Umberto I, nel laboratorio della Unità Operativa

Complessa di Immunoematologia, da lunghi anni ha a

disposizione “know-how”, macchinari e personale

specializzato nella diagnostica di biologia molecolare.

Occorreva pensare già a febbraio ad attrezzare il laboratorio

di biologia molecolare della UOC di Immunoematologia

individuando procedure, percorsi e figure professionali e

pensando a rifornirsi di kit diagnostici che sono stati cercati

sul mercato troppo tardivamente, quando erano merce rara e

ambita da troppe aziende e ospedali, sia in Italia che nel resto

d’Europa.

Questo errore, avvenuto per scarsa conoscenza delle risorse

del P.O. Umberto I e carenza di programmazione, ha prodotto

un ritardo diagnostico da cui sono derivati gravi anomalie

nell’assistenza ed abnorme espansione dell’area grigia di

pazienti che afferivano in ospedale con sospetto di Covid-19,

eseguivano il tampone e, invece di aspettare sei ore, erano

costretti ad attendere anche una o due settimane.

Nell’attesa dei risultati del tampone questi pazienti venivano

collocati in aree come il Pronto Soccorso, l’Osservazione

Breve Intensiva e la Medicina di Urgenza, dove non

venivano applicate in modo intensivo le norme dell’Infection

Control (isolamento, uso dei dispositivi di protezione

individuale, sanificazione ambientale che avrebbero dovute

essere per i casi sospetti uguali a quelle messe in atto per i

casi confermati). Di conseguenza si realizzavano catene di

infezioni tra il personale sanitario che non solo hanno

esposto a grave e insopportabile rischio la salute dei singoli

operatori ed anche dei loro familiari ma hanno anche

gravemente indebolito la consistenza degli organici degli

operatori

Mancanza di Dispositivi di protezione individuale (DPI)

Occorre ammettere che il deficit di DPI ha imperversato in

tutto il Paese ma a Siracusa ha avuto maggiore gravità e si è

associato anche a raccomandazioni cervellotiche e

incomprensibili che venivano impartite dalle Direzioni

Sanitarie e ad una assoluta mancanza di eventi di

addestramento e di formazione del personale. Questo ha

fatto sì che a Siracusa si raddoppiasse la percentuale tra gli

infetti del personale sanitario (22 %) rispetto al dato

nazionale (11%).

E i DPI non sono mancati solo al personale dell’Ospedale,

area di emergenza compresa, ma anche al personale del 118,

ai medici di Medicina Generale che hanno dovuto affrontare

un duro contrasto con la Direzione Generale per rivendicare

la fornitura dei dispostivi di protezione individuale.

Medici di Medicina Generale (MMG) e Dipartimento di

Epidemiologia e Prevenzione

I MMG sono stati lasciati da soli e non hanno avuto

indicazioni e protocolli assistenziali né la possibilità di poter

trattare pazienti a domicilio, mentre in tutto il paese si

andava diffondendo la convinzione che l’assistenza andava

deospedalizzata e trasferita per buona parte sul territorio,

come oggi appare chiaro dalle curve statistiche che

dimostrano che i pazienti infetti per il 70% sono isolati e

curati a domicilio e per il 30% ricoverati.

Condizionato nella sua attività da un processo diagnostico

farraginoso e inefficiente, il Dipartimento di Prevenzione ed

Epidemiologia è collassato e non è riuscito a interfacciarsi

con i MMG per l’esecuzione dei tamponi ai soggetti

sintomatici, per le corrette indagini epidemiologiche

finalizzate alla definizione delle catene di trasmissione

dell’infezione, per la esecuzione dei tamponi ai soggetti che

venivano messi in quarantena. Per non dire dei tamponi

dispersi oppure ripetuti anche tre o quattro volte e il cui

risultato non è stato mai consegnato ai pazienti oppure della

negazione del tampone a cittadini con sindrome respiratoria

febbrile acuta che ne avrebbero avuto il diritto e della stessa

procedura di esecuzione del tampone che non veniva

praticata regolarmente al domicilio degli ammalati

costringendo pazienti fortemente sintomatici e a rischio di

trasmissione dell’infezione a recarsi in strutture dell’azienda

per essere sottoposti al tampone.

continua…

6


21 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.5

…continua

Centralizzazione dell’assistenza ai pazienti COVID-19

È probabile che un Piano Aziendale centralizzato su un solo

COVID Hospital, sul modello della Provincia di Ragusa che

ha puntato solo su Modica, avrebbe evitato continuo

trasporto e circolazione di pazienti, tamponi, presidi ed

ambulanze, condizioni tutte che sono amplificatrici di

infezione oltre che evidente spreco di tempo e risorse.

La centralizzazione avrebbe richiesto rigidissima

applicazione delle regole dell’Infection Control e un piano di

trasferimenti di Reparti meno impegnati nel corso di questa

emergenza che, anziché essere realizzato oggi piuttosto

tardivamente, avrebbe dovuto essere effettuato in una fase

iniziale, in modo da dare spazio alle aree dedicate alla

ospedalizzazione dei

pazienti Covid.

Ed infine la struttura

della Casa del

P e l l e g r i n o , d i

proprietà del Comune

di Siracusa, se attivata

precocemente, avrebbe

potuto ospitare il

personale sanitario

infetto e gli infetti

a s i n t o m a t i c i p e r

isolarli dalle famiglie

e impedire le infezioni

s e c o n d a r i e . E ,

probabilmente, vi si

sarebbe potuto trovare

s p a z i o a n c h e p e r

ospitare pazienti in

fase di post-acuzie, in

modo da tenerli vicini

al Covid Hospital e a

tutti i servizi che esso offre, a partire dalla diagnostica

virologica

La comunicazione sanitaria

In ultimo non è possibile, in un’epoca in cui la

comunicazione e la trasparenza sono invocate da tutte le

organizzazioni dei consumatori e degli utenti dei servizi

sanitari, che i massimi responsabili della gestione di una

azienda sanitaria si presentino in una trasmissione di forte

impatto come Report, al cospetto di milioni di spettatori, ivi

compresi i cittadini della provincia di Siracusa in fervida

attesa di rassicurazioni e incalzati da domande circostanziate,

facciano scena completamente muta manifestando

atteggiamenti omertosi ed arroganti.

I dirigenti sanitari non solo devono avere la capacità di

comunicare, ma ne hanno anche l’obbligo. Hanno l’obbligo

di rassicurare i cittadini del fatto che il management sta

facendo tutti gli sforzi possibili per correggere eventuali

errori, per migliorare il funzionamento della struttura

incoraggiando il dialogo con l’utenza.

Dirigenti che non sanno comunicare e non sanno rivolgersi ai

cittadini/utenti con atteggiamenti di umiltà e trasparenza,

producono sfiducia nelle istituzioni sanitarie.

Infatti, all’indomani della trasmissione di Report sono state

raccolte migliaia di firme di cittadini che chiedono il

sollevamento dall’incarico del Direttore Generale da parte

dell’assessore alla sanità avvocato Razza.

Queste le riflessioni che mi ha indotto a fare quel pugno allo

stomaco improvviso e malandrino che ci ha scagliato

Sigfrido Ranucci e che ci ha aiutato a capire la triste realtà

sanitaria siracusana.

Fare meglio è possibile: la grande disponibilità all’impegno e

al dovere del personale rappresenta sicuramente la base a

partire dalla quale, attuando il piano definito dal Team di

esperti regionali, applicando rigidamente le linee guida

dell’Infection Control, assicurando l’approvvigionamento dei

DPI e dei Kit diagnostici, ottimizzando il piano di assistenza

a i p a z i e n t i ,

collaborando con

istituzioni ed enti

come la

Protezione

C i v i l e ,

comunicando in

modo semplice,

d i r e t t o e

trasparente con i

cittadini, si può

dare ai pazienti

affetti da

malattie COVID

e non, un livello

di assistenza

d i g n i t o s o e d

a c c e t t a b i l e ,

rassicurando la

popolazione che

ha bisogno in

questo momento

di sapere che ha a disposizione una struttura sanitaria in

grado di affrontare l’emergenza .

È di tutta evidenza, però, che dopo lo “tsunami COVID-19”

tutto dovrà cambiare nella sanità siracusana. Occorrerà

un profondo rinnovamento di uomini, di idee, di modi di

agire e andrà avviato e rapidamente realizzato il percorso per

la costruzione a Siracusa di un ospedale nuovo e funzionale.

Perché l’emergenza COVID-19 non finirà presto ed altre

emergenze potranno sopravvenire e noi ci dobbiamo fare

trovare pronti.

Il nuovo ospedale non è il “sogno “che la comunità dei

cittadini siracusani dovrà inseguire, ma un obiettivo concreto

che i siracusani dovranno perseguire e imporre con iniziative

continue, lotte e manifestazioni popolari a una classe

dirigente che dovrà dimostrare di essere all’altezza della

situazione.

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21 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.5

Luis Sepulveda: il virus ne spegne la voce

non zittita neanche dalla dittatura di Pinochet

Maria Lucia Riccioli

Pubblicato il 16/04/2020

Il coronavirus falcia le vite di anziani e giovani,

contagia persone comuni, premier e reali.

Non ha risparmiato la voce dello scrittore cileno

Luis Sepúlveda, che neppure la dittatura di

Pinochet era riuscito a tacitare.

Sì, perché per Sepúlveda la penna e l’azione, la

mano e il pensiero non erano scissi ma uniti nella

coerenza di un sentire appassionato, di un’adesione

completa alle cause sostenute, che fossero la sorte

delle balene e delle altre creature marine difese

insieme a Greenpeace, il destino degli ultimi indios

– baluardo contro la capitalistica cieca cupidigia

dell’uomo bianco nei confronti della natura –, la

lotta per la democrazia e la libertà in un mondo che

ci vuole sempre più sottomessi alla dittatura del

mercato e del pensiero unico.

“Abbiamo bisogno delle opinioni, abbiamo bisogno

di scienziati coraggiosi che si giochino tutto per

dire “Eppur si muove” anche nel peggiore

momento, abbiamo bisogno del politico che è

capace di dire “La politica non è semplicemente

una forma per difendere un interesse determinato”;

la rivoluzione che sognava era quella contro il

lucro, l’individualismo, l’egoismo, la prepotenza,

per una “società di cittadini e non di miserabili

consumatori”: queste le sue parole in occasione

della sua ultima partecipazione al Salone del libro

di Torino.

Nei suoi libri si trasfigurano l’impegno militante, il

trauma – un marchio di fuoco – dell’uccisione di

Allende, che lo scrittore aveva conosciuto, i viaggi

– da curioso viaggiatore, non da turista –, la

passione per la scrittura – amava i nostri Fo e

Strehler e sognava di diventare un autore di teatro

–, gli amori, specie quello che lo ha unito nella lotta

contro la dittatura e contro il coronavirus alla prima

e ultima moglie, Carmen Yanez.

Ospite a Catania nel 2016, aveva omaggiato la

Sicilia con queste parole: “Tanti anni fa, la mia casa

editrice, che è la stessa di Camilleri, mi dice che lui

sarebbe arrivato da lì a poco in Spagna e aveva il

desiderio di salutarmi. No, dissi io. Sono io che

voglio salutare lui. Ho un’ammirazione enorme

verso Camilleri, così come verso tanti altri autori

siciliani da Luigi Pirandello a Leonardo Sciascia.

La sicilianità è qualcosa di straordinario, l’aspetto

che amo di più della Sicilia. È un’attitudine umana,

una forma dell’essere che si traduce in qualità come

per esempio l’ospitalità, un pregio tipico dei

siciliani”.

Rimangono – oltre lo sgomento, penso ai messaggi

dei nostri alunni, che hanno amato e letto e perfino

portato in scena, alle elementari e alle medie, i suoi

lavori, “La gabbianella e il gatto che le insegnò a

volare” – la scrittura limpida di Sepúlveda, le sue

idee e soprattutto i suoi libri.

“Sapeva leggere. Fu la scoperta più importante di

tutta la sua vita. Sapeva leggere. Possedeva

l’antidoto contro il terribile veleno della vecchiaia”.

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21 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.5

Pubblicato il 14/04/2020

Il fil rouge delle epidemie nel nostro passato,

letterario e non solo

Maria Lucia Riccioli

L’otto aprile – data che ricordiamo per l’inizio del

viaggio dantesco oltre che per altre “coincidenze”

storiche – del 1860, alle cinque del mattino, presso la

Cattedrale di Siracusa, Mariannina Coffa Caruso,

poetessa e patriota netina, si univa in matrimonio con il

possidente ragusano Giorgio Morana.

Un evento di 160 anni fa che coincide con i moti

risorgimentali e che prelude allo sbarco dei Mille e alla

tormentata unificazione della penisola.

Lo studio della figura della Coffa – oltre che critico,

filologico, sociologico… – permette di illuminare non

solo molti aspetti del nostro secondo Romanticismo, e

più in generale del secondo Ottocento (la poetessa nasce

nel 1841 e nel 2021 ricorreranno quindi 170 anni dai

suoi natali; muore a trentasei anni, tre mesi e sei giorni

nel 1878), ma anche fatti e problemi che possiamo

comparare alle questioni attuali.

Oggi la pandemia da Cov-id19 miete vittime in Italia e

nel mondo e studiare il passato e le epidemie con cui

hanno dovuto convivere e lottare i nostri antenati può

gettare una luce sul presente.

Nel 1835 muore a Siracusa il poeta tedesco August von

Platen, probabilmente di enterocolite o forse di colera;

nel 1837 divampò il colera che probabilmente uccise

Leopardi e che a Siracusa fece scoppiare una rivolta

contro dei presunti “untori”: la città perse il ruolo di

capovalle in favore della vicina e rivale Noto.

Il colera del 1854-’55 esilia Mariannina Coffa,

quattordicenne enfant prodige dei salotti netini, presso il

podere di famiglia in contrada Falconara: oggi diremmo

che la ragazza trascorse un periodo di quarantena fra

timore e tremore, non solo per via dell’epidemia ma

anche a motivo dell’impegno politico del padre, legato ai

liberali antiborbonici.

Il patrono di Noto, San Corrado, il cavaliere piacentino

divenuto eremita, viene dalla Coffa invocato in versi

perché interceda presso Dio per la cessazione

dell’epidemia:

Corrado, oh no, la grazia / Non ci saprà negar. // Ei che

nostra patria / Ricopre col suo manto, / Ei che rimira il

popolo / Fra tante angosce e in pianto, / Ei ci vorrà

protendere / La salvatrice man. // Salve, o celeste

Spirito, / O nostro Protettore / Fuga l’orrenda e squallida

/ Paura d’ogni core / E le dolenti lacrime / Sian di

contento alfin…

La poetessa ci dà notizie del colera, potremmo dire, di

sbieco: l’epistolario – le lettere indirizzate non solo

all’amore mancato, al maestro di pianoforte e

drammaturgo Ascenzio Mauceri (di cui il 13 aprile

ricorre l’anniversario della morte, avvenuta nel 1893),

ma anche a parenti, amici, al precettore – ci offrono uno

spaccato di storia della Sicilia ottocentesca, anche dal

punto di vista delle quasi periodiche epidemie di colera

(Mariannina temerà non solo il colera del 1854 ma anche

le sue recrudescenze degli anni ’60, quando la poetessa è

già a Ragusa). Non solo: la lotta contro il colera

s’insinua nel conflitto tra liberali moderati e repubblicani

democratici, spesso rivoluzionari, che oppone i medici

allopatici agli omeopatici; i rimedi contro il colera e le

malattie delle viti e del bestiame rendono benemeriti i

medici che riescano a salvare vite umane, animali e

colture. Pensiamo ad esempio a Giuseppe Migneco, cui

Mariannina Coffa affiderà la propria salute: i rimedi del

medico augustano saranno adottati e riceveranno

pubblici encomi da Comuni e autorità.

Le epidemie di colera, lungi dall’arrestarsi, continuano

per tutto il XIX e per parte del XX: per citarne una

trasfigurazione letteraria nostrana, nel 1918 la

compagnia di Angelo Musco mette in scena al Teatro

Nazionale di Roma “’U contra”, commedia di Nino

Martoglio in cui nel caratteristico quartiere catanese

della Civita si scontrano “baddisti” (da “badda”, polpetta

avvelenata), che credevano agli untori prezzolati dal

Governo per decimare la popolazione in sovrannumero,

e “culunnisti”, che credevano in una pseudoscientifica

“culonna” d’aria, una corrente di Scirocco che

propagava la malattia dall’Asia minore

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21 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.5

Pubblicato il 17/04/2020

Nuovi sbarchi: vi può essere una graduatoria

dei destinatari dei bisogni?

Francesco Magnano

Il fenomeno migratorio in Sicilia è nuovamente

apparso sull'isola maggiore. Dopo aver esaurito la

disponibilità di posti al centro di Lampedusa, la regia

dei trafficanti di uomini, sempre attenta alle dinamiche

sociali, sposta gli arrivi. A Pozzallo, dov’è un hotspot

assolutamente inadeguato, affidato ad una società,

Badia Grande di Trapani, fondata nel 2007, ormai

operante in tutta Italia, spesso finita sotto i riflettori

della cronaca anche per contestazioni alle modalità di

gestione del personale.

In due giorni sono sbarcati 250 disperati. Sicuramente

nel peggiore momento possibile. Nel momento più

confuso della Sicilia repubblicana, approfittando

dell'impegno di ogni energia sul fronte sanitario e socio

assistenziale, ecco che si organizza il ritorno in Sicilia.

Come accadeva in epoca non pandemica, gli Italiani

sono divisi tra accoglienza e divieto di ingresso, a

maggior ragione in un momento tanto delicato. Le

necessità gestionali di un centro di accoglienza per

immigrati richiede infatti un intervento corale per le

istituzioni investite da responsabilità: Prefettura,

Comune, Forze dell'ordine ed Asp, già oberate dalla

gestione di una complessa pandemia. Inevitabile la

scelta della quarantena coatta in una struttura vigilata,

un centro medico dedicato, il vitto secondo standard

sanitari e un alloggio decoroso. Il minimo concedibile.

Ma i sindaci di Lampedusa e Pozzallo diventano così

subito oggetto di forti contestazioni da parte delle due

comunità cittadine: inevitabilmente, purtroppo, la

gestione emergenziale di questi arrivi assume

nell'immaginario collettivo la valenza di una

discriminazione tra il cittadino e lo straniero.

In molti, per lo più, vivono la doverosa gestione del

fenomeno da parte delle istituzioni come una

attenzione maggiore, e pertanto non condivisibile,

verso i bisogni degli immigrati che verso se stessi.

Trasporti, vigilanza, sanità, istruzione, il

soddisfacimento dei più elementari diritti di chi,

appena approdato, è privo di tutto, non sono considerati

come ineludibili, come dovuti, bensì come un qualcosa

che viene sottratto a chi, residente, ne avrebbe bisogno.

Ancor di più se, in questi tempi di lotta al corona virus,

si parla di tamponi, di quei test che per molti, per i più,

restano quasi un miraggio.

Ma vi può essere una graduatoria dei destinatari dei

bisogni? Come viene percepita l’attenzione verso

cittadini stranieri “piuttosto che verso i propri

connazionali”?

Nella scaletta delle priorità, i più fragili dei cittadini

italiani sono considerati meno meritevoli di attenzione

rispetto “a questi marocchini”? queste le domande che

immediatamente trovano spazio sui social, dove si può

urlare il proprio dissenso senza che vi sia la possibilità

di un confronto sereno; dove invece troppo spesso si

scatena l’effetto domino della più becera rivolta; ma

dove anche non è possibile cogliere il senso di alcune

proteste che hanno aspetti di legittimità.

In una riflessione serena si potrebbe forse anche

spiegare quanto, in una crisi pandemica, sia di

fondamentale rilevanza l’immediata individuazione di

uno “straniero” positivo al Covid 19 e da qui l’estrema

urgenza di fare una immediata diagnosi in grado di

annullare ogni possibilità di rischio di contagio

ulteriore. Basterà questa magari fin troppo

semplicistica descrizione dell’emergenza

immigrazione, per dare una necessaria spiegazione

della differenza di trattamento tra cittadini italiani ed

extra comunitari, alias africani ed asiatici? Perché è fin

troppo chiaro che l’astio nasce dalla diversità già del

solo colore della pelle. Ovviamente la reazione verso

un cittadino britannico non più comunitario sarebbe

ben diversa rispetto a quella verso un cittadino non

comunitario dalla pelle scura. Almeno questo è chiaro?

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21 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.5

L’ultima cena spiegata da Frate Alberto Maggi

Antonio Andolfi

Pubblicato il 16/04/2020

Frate Alberto Maggi in questo periodo pasquale vogliamo

riprendere e riscoprire, anche sinteticamente, i versi dell’ultima

cena e capire da lei biblista il loro attuale significato?

Certamente, parliamo dell’ultima cena che ci racconta Matteo.

Bisogna sapere che ogni evangelista descrive la vicenda in maniera

diversa; questo perché i vangeli non sono cronache, ma teologia,

riguardano la fede, sono ciò che ognuno di quei teologi ha voluto

trasmettere teologicamente. I vangeli servivano alla crescita delle

comunità, non rappresentavano un semplice raccontino, ma un

cammino di fede.

Veniamo a quella oramai divenuta sera, come si svolse?

Dobbiamo porre una premessa: quella cena pasquale fu totalmente

diversa da quella ebraica, lo vedremo nei vari passaggi che

ripercorremmo. Innanzitutto, non è presente l’agnello pasquale,

nessun sacrificio neppure d’animale deve esserci, poi tutti devono

essere accolti, anche Giuda che lo tradirà. Difatti, il suo

comportamento è differente: quando Gesù dirà “qualcuno di voi mi

tradirà” tutti gli rispondono “sono io Signore”?”, solo Giuda ribatte

“sono forse io Rabbi”?

C’è una netta differenza fra chi riconosce la sua divinità (Signore) e

chi lo vede come maestro (Rabbi). Inoltre, quella paura dei discepoli

proviene dalla loro non compiuta accettazione delle beatitudini,

specialmente della povertà. Essa è una roccia, una sicurezza. Gesù

continua: “colui che intingerà nel piatto…”, qui notiamo un’ulteriore

trasgressione ai precetti ebraici: nelle cene ebraiche ognuno

mangiava nel suo piatto qui è unico per tutti. Gesù continua “…

meglio se quell’uomo non fosse mai nato”. Capisce Gesù, per quel

che riguarda Giuda, una sua sconfitta - non è riuscito a farlo

allontanare dalle tenebre - Giuda per pochi denari sprofonderà

nell’oscurità. L’evangelista presenta Gesù uomo pieno, Giuda uomo

svuotato che per paura di ciò che possibilmente accadrà – il suo

arresto, già percepito - preferisce tradirlo. Alla risposta di Giuda

Gesù risponde “tu lo dici”. Sarà la stessa frase che pronuncerà al

sommo sacerdote e a Ponzio Pilato.

La dirà a Pilato che gli domanderà “sei tu il re d’Israele”

Si, con quella frase voleva dire: ragiona liberamente, pensi che io sia

un rivoluzionario (per gli ebrei il Messia, il loro re, sarebbe apparso

incitando il popolo a sconfiggere i romani). Per cui nell’episodio con

Giuda significa: lo dici solo per tua convenienza non da mente libera.

Il momento importante della cena, cioè l’eucarestia?

Scrive Matteo: Gesù prese un pane, non il pane. Qui sta a significare

che non agisce secondo un codice scritto, un vincolo di legge, ma

l’alimento per nutrirsi e un pane, inoltre non azzimo come

prescriveva la legge, fatto in casa dalle donne. Bisogna considerare

che l’agnello veniva portato al tempio per essere benedetto dai

sacerdoti. Qui è Gesù il pane che libererà definitamente dalla morte

gli uomini per una nuova pasqua e non ha bisogno di andare in un

tempio. È lui il tempio. La scelta che egli fa è quella della vita: offre

la sua vita a tutti. Il pane presente sulla tavola è quello che

conosciamo come arabo: tondo, uguale da qualsiasi parte si prenda.

Una proposizione di unità, d’uguaglianza?

Senz'altro, invece con l’agnello c’è una gerarchia: le persone più

importanti ricevevano le parti migliori e poi a seguire. Con lui non ci

sono privilegi. Poi Gesù lo benedisse, significa il riconoscere nel

creatore l’origine del pane che non è in nostro possesso, lo spezzò e

lo diede ai discepoli: loro lo presero, mangiarono. Questi due verbi

sono un unico gesto.

Non c’è la congiunzione?

Esatto, cioè significa che non puoi prendere e mangiare il pane senza

assimilarlo. Difatti, Giuda, già lontano come pensieri, lo prenderà,

ma non lo mangerà. Anche in questo momento è presente un’altra

trasgressione alla cena ebraica tradizionale: la non purificazione delle

mani. Era un rito molto importante per gli ebrei, per l’evangelista ciò

significa che chi mangia con Gesù è purificato. C’è da capire un altro

aspetto non preso in considerazione da secoli nella chiesa, anche se

esisteva in quella dei primi tempi. Scrive Matteo: Gesù prese “questo

pane”, ma pane è maschile, mentre “questo” in greco - lingua che usa

Matteo - è neutro. L’evangelista vuole riferirsi a tutto.

Cioè?

Lo spezzare, prendere, mangiare della comunità è “questo” il corpo

del Cristo questa è la vera eucarestia non la sola ostia. La comunità

con questa azione accoglie Gesù, spirito santo, diventando pane per

tutti gli altri, muovendosi verso gli altri continuando la sua opera

salvifica.

Allora per i credenti non è il prendere l’ostia, ma impegnarsi,

assimilando quel pane, a continuare quell’attività nel dire a tutti

qual è la vera libertà umana?

È questo che dovrebbero profondamente capire i credenti. Lo

riafferma anche san Paolo nella prima lettera ai corinzi scrivendo

“voi siete corpo del signore”. Poi prese il calice e ringraziò.

Perché usa il verbo ringraziare mentre prima con il pane aveva

detto benedire?

Dobbiamo capire che benedire – shalom – era la parola ebraica,

mentre il verbo ringraziare era d’uso fra i pagani. Egli vuole

incarnare l’universalità del suo messaggio. C’è ancora un'altra

differenza con la tradizione: era proibito avere un unico calice, ma in

quella sera quel calice assimila il dare la vita. Poi, quando pronunciò

la frase “questo è il mio sangue”, risultò molto urtante, sconvolgente

- per il mondo ebraico era proibito bere sangue - per

quell’espressione molti discepoli si allontaneranno dal cristianesimo.

Ma ci fu un momento storico nella vita d’Israele che parla di

sangue

C’è l’episodio di Mosè con il sacrificio del vitello e l’aspersione del

suo sangue sugli ebrei. Nell’ultima cena la vittima non è neppure un

animale, ma Gesù e nessuna aspersione ma il berlo cioè l’assimilarlo.

È ciò che ci rende come lui - figli di dio - in una nuova e universale

alleanza. Gesù battezza in spirito santo cioè inzuppa non in acqua ma

nel divino e Matteo continua con “versato in condono dei peccati”.

Questa frase a cosa si riferisce?

È il cancellare una direzione sbagliata che si è intrapresi. Con la

nuova alleanza dove il tempio perde di significato: è inutile è Gesù

che si offre all’uomo per la liberazione dal peccato. Si è liberi da

dottrine, perché lui vuole la nostra autentica libertà sgombra da

pregiudizi, egoismi, etc. che non ci rendono pienamente liberi. Nel

tempio si andava a offrire sacrifici e offerte a dio tramite i sacerdoti

per Gesù tutto ciò è finito è lui che si offre all’uomo senza giudicarlo.

Infine Gesù dirà “d’ora in poi non berrò al frutto della vite”.

Perché l’evangelista non lo chiama vino?

Gesù nella cena non mangia né beve, è lui che si fa alimento e con il

frutto della vite Matteo vuol far ricordare la parabola del vignaiolo e

dei servi malvagi: quando infine il padrone invia il figlio i servi

decidono d’ucciderlo

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21 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.5

Pubblicato il 17/04/2020

Non basta l’assoluzione di Massimo Carrubba.

E’ tempo di risposte certe

Giambattista Totis

In un paese normale, con una Magistratura terza rispetto agli altri organi dello

Stato, le motivazioni della sentenza assolutoria emessa in favore dell’ex sindaco

di Augusta dovrebbero aprire due scenari assolutamente logici e necessari.

Primo scenario: la Procura prende atto delle valutazioni del Tribunale, le

contesta e pone all’attenzione della Magistratura giudicante di secondo livello

nuovi e più concreti elementi di prova per supportare una tesi accusatoria

poiché, secondo la valutazione del Tribunale: “Non è stato possibile accertare

l’intervenuto accordo tra il Carrubba e i vari esponenti del clan Nardo sul

territorio del Comune di Augusta”.

Oppure, secondo scenario, si avvia una indagine per sapere se svarioni,

costruzioni accusatorie forzate e le conclusioni dell’indagine amministrativa

sono state il frutto di ordinaria superficialità da parte degli inquirenti; questo

perché è stato l’insieme delle risultanze delle attività di indagine presentate

dagli inquirenti a indurre la Procura all’incardinamento di un processo

indiziario costruito su indizi inesistenti con tesi precostituite il cui effetto, di

fatto, è stato quello di togliere di mezzo fastidiosi pubblici ufficiali che col loro

agire, volenti o nolenti, si contrapponevano a disegni predatori di gran lunga più

corposi di un appaltuccio da quattro soldi.

Come si è visto dal dibattimento e dall’esame degli elementi a supporto

d e l l ’ a c c u s a ( u t i l i z z a n d o l e s t e s s e p a r o l e d e l t r i b u n a l e )

“L’imputato Carrubba non ha mai avuto contatti diretti con nessuno dei

soggetti che già all’epoca erano noti esponenti del clan” … “e ha intrattenuto

rapporti di cortesia con (altri) soggetti, senza che tuttavia sia mai stato provato,

al di là di ogni ragionevole dubbio, l’intervenuta conclusione di un accordo con

i suddetti soggetti”.

Nell’illustrare le conclusioni e nel descrivere le motivazioni in una sentenza di

ben 243 pagine, il Tribunale non dimostra remore nell’affermare che: “L’accusa

mossa a carico del Carrubba, pertanto, pare più frutto di un massiccio

travisamento di alcune conversazioni intercettate, che dell’effettiva sussistenza

di contatti illeciti del Sindaco con i diversi esponenti del clan” e che l’ipotesi

dell’accusa secondo cui i 297 voti di differenza al turno di ballottaggio

tra Carrubba e Stella “…sarebbero derivati proprio dall’essersi

il Carrubba messo a disposizione del Clan… non ha trovato riscontro

nell’istruttoria svolta”; infine, per la vicenda relativa alla locazione

dell’immobile di Puccio Tabita (altro elemento a supporto di un presunto

scambio di favori con i gruppi criminali), la sentenza stabilisce come

“l’infondatezza dell’accusa … assume carattere di tutta evidenza” … posto che

“le circostanze rappresentate, provate dalla documentazione in atti prodotta

dalla difesa, dimostrano già di per sé non solo la legittimità della procedura

seguita per la selezione dell’immobile… ma anche che il Carrubba non ebbe

mai ad interessarsi della vicenda o a far pressioni per fare ottenere il contratto a

Tabita. Pertanto non si comprende in che modo l’imputato avrebbe potuto

favorire il Clan Nardo. L’ipotesi dell’accusa è rimasta totalmente priva di

riscontro…”.

Inoltre, si legge sempre nelle motivazioni della sentenza, l’esposto di Pippo

Amara, sul quale si è anche fondata l’inchiesta “… appariva effettivamente

privo di fondamento”.

Questi i passi salienti della sentenza che demolisce in modo radicale ogni

ipotesi accusatoria e giunge alla conclusione che l’imputato Carrubba vada

assolto “per non aver commesso il fatto”. La sentenza poi passa ad esaminare la

posizione dei vari imputati mettendo in luce pratiche e sistemi in uso presso il

mondo del malaffare tutte tese a coinvolgere, compartecipare e realizzare

collusioni con una parte di quel mondo di mezzo pieno di personaggi presenti

nella vita politica che con la Politica propriamente detta hanno ben poco a che

fare, concentrati come sono a cercare un cavallo vincente, chiunque esso sia,

per avere interlocuzioni e garantirsi affari e profitti.

Se non fossero sconvolgenti, alcuni colloqui tra questa banda bassotti e noti

avvocati o sedicenti mediatori andrebbero studiati nelle scuole per capire come

spesso l’indifferenza, la superficialità e la presunta equidistanza dalle varie

opzioni politiche (“Tanto su tutti i stissi”) costituisca un naturale terreno di

coltura per la criminalità, il malaffare e il malgoverno; terreno in cui alcuni

cittadini/elettori si trasformano da vittime in carnefici a causa del proprio

superficiale approccio a temi delicati e dirimenti come quelli affidati, in un

regime democratico, alla Politica.

Ricapitolando, sostanzialmente dalla sentenza emerge che l’inchiesta parte da

un esposto di Pippo Amara e si sostanzia appunto in un “massiccio

travisamento” di alcune conversazioni intercettate.

Nello svolgimento del processo, inoltre, è emersa una notevole quantità di

presunti elementi di prova non esibiti perché smarriti dagli inquirenti, pasticci e

altro che, se non fossimo in presenza di un contesto inquietante, potrebbe essere

il canovaccio per una commedia degli equivoci.

Se quanto visto si mette in parallelo con quanto emerso, ed è in emersione, nel

cosiddetto “Sistema Siracusa”, tutto ciò solleva non pochi interrogativi e

richiede una disamina puntuale e puntigliosa delle varie fasi dell’inchiesta

penale ma anche delle conclusioni della Commissione di accesso che portò allo

scioglimento del consiglio comunale di Augusta (peraltro più volte portate

criticamente all’attenzione dell’opinione pubblica da parecchi attori della vita

politica: dall’on. Piscitello allo stesso Carrubba).

Le domande che si pongono nascono da alcune semplici considerazioni:

Augusta non è un paesino dell’entroterra siciliano dedito alla pastorizia, al

turismo domenicale o all’economia agricola minore; nel suo territorio e in

quello limitrofo sono presenti stabilimenti industriali, attività economiche ed

interessi di proporzioni ciclopiche nei confronti dei quali una mancata

autorizzazione, una permanente distrazione sui temi della sicurezza e

dell’ambiente, una gestione del territorio rispettosa degli interessi generali

possono determinare la perdita di profitti considerevoli e spesso gli

amministratori e i cittadini di questi Comuni sono stati oggetto di aggressioni

virulente che non hanno disdegnato di coinvolgere anche chi doveva vigilare

(vedasi processo Oikoten, mare rosso o similari).

La tecnica è sempre la stessa: si procede con lettere anonime, articoli

compiacenti di giornalisti (!) prezzolati, depistaggi, scoop costruiti a tavolino e

simili architetture la cui summa, negli ultimi anni, abbiamo imparato a

conoscere dalla stampa nazionale.

Si utilizzano procedure e tecniche, formalmente dentro le norme ma che, gestite

da grandi vecchi, assistiti spesso da commentatori poco accorti (o peggio,

velinari, o ancor più stipendiati dai vari “registi”), assicurano il “battage”

pubblicitario necessario a fuorviare l’opinione pubblica a cui non par vero di

poter immolare il politico di turno senza distinzioni di censo, storia personale ed

appartenenza politica, in modo da consolarsi nel giudizio catartico “son tutti

ladri” costituendo, così, il terreno di coltura per ulteriori nuovi massacratori

della vita pubblica.

Quindi Augusta Melilli e Priolo costituiscono un triangolo dove vi sono

interessi diffusi molto consistenti ed è qui che la Magistratura deve essere

rigorosa dipanando ogni dubbio e aiutando le altre istituzioni a fare chiarezza

senza lasciare zone d’ombra.

In caso contrario per ogni “affaire” non riuscito se ne costruiranno altri e altri

ancora, in un massacro permanente della coscienza civile e della civiltà

giuridica del nostro vivere civile. Questo bisogna sapere per chiudere la partita,

altrimenti avremo sprecato una quantità enorme di denaro pubblico per fare ciò

che i grandi vecchi, che da sempre muovono gli affari sporchi del territorio, non

erano riusciti a fare con i soliti strumenti di ricatto e dell’intimidazione che

tanto hanno condizionato la vita della nostra provincia e dell’intera nazione.

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21 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.5

Notizie flash da Augusta

Giambattista Totis

Pubblicato il 17/04/2020

Conclusa la gara per la realizzazione della rete

fognaria per 2,5 milioni di euro

In tempi di covid-19, qualche buona notizia.

Finalmente si è conclusa la gara per l’affidamento della

progettazione esecutiva, la direzione dei lavori e

coordinamento della sicurezza, della rete fognaria di

Augusta per l’importo di 2,5 milioni di euro al

raggruppamento composto da: C&S Di Giuseppe

Ingegneri Associati Srl socio unico, Iaing Srl, Artec

associati Srl, studio di ingegneria Isola Boasso &

Associati Srl, Altene ingegneri associati, Engeo associati

– Engineering & Geology , Tbf+Partner Ag ,Giuseppe

Siligato, Idroter di Lo Presti Marco Rosario, Eugenio

Donato.

A giorni la firma del contratto, e partirà il lavoro per le

imprese aggiudicatarie che hanno avuto assegnato un

tempo di 105 giorni per la consegna di un progetto unico

per l’intero comune. Così, infatti il Commissario Rolle

ha commentato l’evento: “Abbiamo deciso di

razionalizzare i dodici interventi inizialmente previsti in

varie parti della città in un’unica azione integrata per

affrontare in un’unica visione d’insieme l’infrazione

europea e superarla il prima possibile. Varie parti della

città saranno interessate da questo importante lavoro,

secondo un Masterplan definito che prevede il

completamento della rete fognaria e il collettamento

all’impianto di depurazione nell’area di Punta Cugno,

dove sarà realizzato un nuovo impianto cercando di

recuperare le opere civili già realizzate”.

Dopo 30 anni si vedrà, forse, la luce per recuperare alla

fruizione il golfo Xifonio e concorrere al recupero delle

aree di marina levante da tempo abbandonate e lasciate

al degrado. Se il Comune si attrezzerà per tempo questa

parte della città potrà risorgere a nuova vita recuperando

alla balneazione quella che per noi ragazzi era il naturale

sbocco a mare della città.

Compiuto il primo passo per ridiscutere della

riapertura del Parco dell'Hangar

Finalmente, dopo 4 anni, il 3 aprile 2020 è stata emanata

l'ordinanza sindacale n.13 che revoca le precedenti

ordinanze sindacali, del 25.03.2016 (Interdizione totale

di tutta l'area dell'ex Idroscalo, oltre 30 ettari, per motivi

di sicurezza) e del 26.05.2017 (Interdizione di tutta

l'area dell'ex Aeroscalo di 20 ettari) e limita

l'interdizione alla sola area che comprende l'Hangar per

dirigibili e gli edifici limitrofi. È il primo passo per poter

riprendere il discorso della riapertura del Parco

dell'Hangar alla pubblica fruizione. Che sia la volta

buona per ridare alla città il suo polmone verde sul porto

commerciale?

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21 MAGGIO 2020 LA CIVETTA DI MINERVA- RACCOLTA N.5

Giuseppe La Delfa, giornalista, regista, attore,

alla terza laurea: 76 anni e non sentirli

Maria Lucia Riccioli

Pubblicato il 14/04/2020

La cultura e lo studio come passione, come

arricchimento personale, al di là di ogni limite e

preclusione dovuti all’età o ad altre condizioni.

“La Civetta di Minerva” ha incontrato –

virtualmente – per voi il neolaureato Giuseppe

La Delfa (Assoro, 1944), che scrive in lingua e

in dialetto, è socio dell’Accademia Pen Club di

Milano e dell'A.S.A.S. (Associazione Siciliana

Arte Scienza) di Messina, cavaliere dell'Ordine

Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme,

direttore responsabile e giornalista di bimestrali

culturali, regista e attore, ed è fresco di laurea in

giurisprudenza, la terza (dopo quella in Scienze

della comunicazione e in Scienze cognitive e

psicologia).

Da dove viene questa passione per lo studio?

È nata da diverse circostanze: innanzitutto mio

nonno paterno era ufficiale giudiziario presso la

pretura di Leonforte, in provincia di Enna, e

fungeva anche da aiuto privilegiato al Pretore

avendo frequentato l’università di Catania in

Giurisprudenza senza mai laurearsi per via della

sua salute precaria; a mio zio e padrino per

laurearsi in giurisprudenza mancava una

materia (eravamo in tempo di guerra), poi

partimmo per l’Argentina, al ritorno studiò per

il concorso per l’insegnamento, risultò secondo in

tutta Italia e gli assegnarono la cattedra a

Racalmuto, paese dello scrittore Leonardo Sciascia

del quale diventò collega e poi direttore didattico.

Per ricordarli ho dedicato loro la tesi di laurea. Uno

stimolo importante a riprendere gli studi è stato un

alunno di mia figlia che aiutavo con dei riassunti;

un giorno, incuriosito, gli chiesi notizie

sull’andamento delle lezioni, sui professori e altro e

decisi di tentare questo nuovo percorso.

Di cosa ti occupi attualmente?

Mi occupo di cultura, dopo una pausa di riflessione

dovuta alla stanchezza. Come ben sai sono

giornalista, ma per adesso scrivo solo una tantum.

Dedico il mio impegno alla socio-cultura

occupandomi di volontariato, inoltre mi dedicherò

alla presentazione di libri presso i cenacoli culturali

della città, naturalmente non appena ci saremo

liberati del coronavirus; riprenderò poi a compilare

antologie poetiche in omaggio ai grandi poeti

italiani e siciliani del passato e a scrivere altri libri

miei di saggistica in corso di elaborazione.

Propositi e riflessioni per questo periodo

particolare…

Veramente mi sento prigioniero in casa: un uomo

libero come me si trova a disagio e direi in pericolo

di vita sia per l’età sia per le condizioni di salute.

Sopravviviamo perché amiamo la vita, la filosofia,

il prossimo e Dio. Con la consapevolezza di un

avvenire migliore per i figli e i nipoti affidiamo le

nostre intenzioni al Padre Celeste per debellare un

male di cui non sappiamo ancora gli sviluppi futuri

e che ha invaso tutto il mondo

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