Racconta Koine 2020
Racconta Koiné seconda edizione, anno 2020. La raccolta di racconti scritti dai ragazzi degli Istituti Scolastici di Monterotondo, Mentana e Fonte Nuova che hanno partecipato al progetto “L’Atelier Koiné” sul tema della Memoria. Una insieme di racconti che descrivono la memoria e le mille sfaccettature che questa parola evoca nei giovani scrittori. Il 4 Giugno 2020 si terrà la premiazione in un evento online alla partecipazione di una giuria esterna
Racconta Koiné seconda edizione, anno 2020.
La raccolta di racconti scritti dai ragazzi degli Istituti Scolastici di Monterotondo, Mentana e Fonte Nuova che hanno partecipato al progetto “L’Atelier Koiné” sul tema della Memoria.
Una insieme di racconti che descrivono la memoria e le mille sfaccettature che questa parola evoca nei giovani scrittori. Il 4 Giugno 2020 si terrà la premiazione in un evento online alla partecipazione di una giuria esterna
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RACCONTA KOINÉ II EDIZIONE - ANNO 2020
Dedicato a ...
Questo libro elettronico è dedicato a tutti i ragazzi e i professionisti dell’Atelier Koiné che in questo anno hanno reso
possibile la sua realizzazione. Ogni libro nasconde un tesoro ma più che mai nel nostro caso c’è un mondo di tesori,
i ragazzi che sono il nostro futuro.
In memoria di Marina
i
Ringraziamenti
Si ringraziano per la collaborazione tutti i partner che hanno reso possibile la realizzazione del II° Concorso Letterario “Racconta
Koiné 2020”.
MONTEROTONDO
ii
Prefazione
“Noi siamo la memoria che abbiamo e la responsabilità che
ci assumiamo. Senza memoria non esistiamo e senza responsabilità
forse non meritiamo di esistere”.
José Saramago
L’ edizione 2020 di “Racconta Koinè” non sarebbe dovuta essere
così, o meglio, forse i racconti sarebbero stati gli stessi, ma
la festa che avevamo immaginato per premiare i ragazzi e rendere
omaggio alle loro opere sarebbe dovuta essere simile a
quella dello scorso anno; in un luogo dei territori in cui il progetto
“L’ Atelier Koinè” opera, con tante persone, i ragazzi che
festeggiano, gli abbracci, la vicinanza; un giorno di festa, insomma,
di cui avere MEMORIA.
La MEMORIA è il tema che il concorso “Racconta Koinè”, riservato
ai ragazzi di secondaria di primo grado si è dato quest’
anno, come stimolo da suggerire ai giovani e capire in che
modo loro interpretano il concetto di “memoria”. I racconti,
inviati (prima dell’ evento del covid 19) ci hanno descritto un’
interpretazione del tema della memoria legato soprattutto a
fatti quotidiani, personali, quasi ci fosse una sorta di abbandono
nei giovani del senso di “memoria collettiva”.
Questo ci ha dato spunto di riflessione e ci ha suggerito l’ ipotesi
di come, se questi racconti fossero stati scritti dopo questa
terribile pandemia che ha sconvolto il mondo intero, avrebbero
avuto sicuramente uno sfondo e dei colori diversi, forse in
questo caso davvero si sarebbe parlato di “memoria collettiva”.
Questo evento resterà indelebile nel ricordo di ognuno di
noi, ma soprattutto nella memoria dei ragazzi, considerati “la
generazione più a rischio”, costretti a casa davanti al computer
ad affrontare le piccole sfide quotidiane, seppur scolastiche,
senza poter avvalersi del contatto dei coetanei e degli
adulti di riferimento. I giovani, quelli che come si è detto racconteranno
questa storia ai loro nipoti, come se parlassero di
una guerra, di uno stato di allerta, di una reclusione forzata, di
una paura misteriosa, inspiegabile.
No, quindi, non è così che doveva andare, non è così che avevamo
immaginato che andasse “Racconta Koinè 2020”, ma come
in un racconto, appunto, in una storia, forse un fantasy (visto
che di questo parliamo dopotutto), il destino ha mischiato
le carte mettendoci esattamente in contatto con il tema che in
iii
qualche modo volevamo dare come stimolo ai ragazzi; la ME-
MORIA.
Siamo tutti entrati a nostra insaputa in un processo di memoria
collettiva, che resterà indelebile nelle nostre vite. Traki Zannard
Bouchrara, scrive in proposito: “Un luogo vissuto da un
gruppo o una comunità rappresenta un momento unico, una
storia, un’ esperienza sociale, ma essenzialmente, una memoria
collettiva… La memoria collettiva, non è memoria individuale,
ma è pensare che è dall’ insieme che occorre partire.
Qui non si tratta di ricordi, ma di ritrovarsi come un NOI.”
E chissà, forse “Racconta Koinè 2020”, seppure a sua insaputa,
storia più significativa non poteva rappresentare.
Lo staff di “Racconta Koinè”
iv
CAPITOLO 1
I.C. “B.Buozzi”
Monterotondo
SEZIONE 1
La Memoria
La memoria è la funzione psichica di riprodurre nella mente
l’esperienza passata, di riconoscerla come tale e di localizzarla
nello spazio e nel tempo. Questa la definizione della parola
“memoria”, da cui possiamo comprendere che essa è indispensabile
per non dimenticare gli errori commessi in passato,
per fare in modo che non riaccadano nel futuro. Per evitare
che una tragedia si ripeta, oltre a ricordarla è importante
conoscerla in modo approfondito e capirne le conseguenze
prodotte.
Dal 2000 la Repubblica Italiana ha istituito la ricorrenza del 27
gennaio come “Giornata della Memoria”. È stata scelta questa
data in quanto in quel giorno nel 1945 le truppe sovietiche
abbatterono i cancelli di Auschwitz, scoprendo il più grande
campo di concentramento del regime nazista. I regimi dittatoriali
nazi-fascisti decisero, attraverso leggi razziali, di arrestare
tutti gli ebrei e di rinchiuderli nei campi di lavoro riducendoli
in schiavitù, e di sterminio per eliminare la razza ritenuta
inferiore. Lo stesso destino toccò agli zingari, agli slavi,
ai portatori di handicap, ai neri e a tutti coloro che, secondo i
nazisti e i fascisti, non appartenevano alla razza bianca ariana,
considerata pura e superiore alle altre.
Una delle poche superstiti rimasta ancora in vita e che si impegna
molto per far comprendere a tutti questa triste vicenda
è Liliana Segre. Mi hanno colpito molto le sue parole: “La
nostra colpa è che siamo nati” perché non si può pensare
c h e l a n a s c i t a s i a u n a c o l p a .
Il periodo nazista è orribile, in quanto non è corretto essere
giudicati per il colore della pelle oppure per la propria religione.
Credo che sia importante non dimenticare le sofferenze
di allora per evitare nuove sofferenze oggi, ad altri popoli e
ad altre persone, in qualsiasi parte del mondo.
Celebrare ogni anno questa data significa esprimere un atteggiamento
di ribellione nei confronti degli atti di persecuzione
verso chi è considerato "diverso" da noi.
Giulia Fraticelli II D
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SEZIONE 2
Caro Diario
Cracovia, 10 Marzo 2020 Caro diario, questa è la tua ultima
pagina e la volevo utilizzare per raccontarti una cosa molto
speciale. Oggi è il giorno del mio ottantaquattresimo compleanno
e l’ho voluto trascorrere in una maniera molto particolare,
che nessuno probabilmente avrebbe mai fatto. Sono
tornato per la prima volta in Polonia per visitare un luogo che
ha segnato in modo tragico la mia gioventù. Sono tornato
nel campo di Auschwitz, famoso per il terribile sterminio di
noi ebrei. Beh, ho pensato molte cose una volta arrivato lì. Il
primo pensiero è stato per i miei genitori e per i miei fratelli
maggiori che
hanno perso la vita per l’unico peccato di essere nati ebrei.
Oggi mi sono ricordato di una domanda di mio nipote David.
Un giorno mi chiese con tanta innocenza se io conoscessi Hitler.
Solo ora mi rendo conto di quanto fosse complessa quella
domanda: come si poteva spiegare ad un ragazzino un argomento
così complicato come quello del regime nazista? Il
campo di Auschwitz mi ha fatto ricordare anche di ciò che eravamo
prima di quel giorno. Un popolo felice, con culti e tradizioni
che ogni religione ha sempre avuto.
Ritornare in Polonia non è stato semplice. Questo viaggio mi
ha aiutato a capire una cosa che fino ad allora non avevo mai
compreso: io non ho paura. La paura è solo un sentimento
che bisogna imparare a conoscere: capire di cosa si ha paura
ci aiuta a sconfiggerla. Solo così si può essere veramente liberi.
La libertà l’ho provata una sola volta nella vita. Correva l’anno
1945, quando finalmente le forze dell’Armata Rossa vennero
a liberarci dal campo di concentramento. Ripensando a
quel momento, mi scende una lacrima, come allora.
Ora il mio dialogo con te è giunto definitivamente al termine,
caro diario, spero che qualcuno ti conserverà come si deve
quando non ci sarò più.
Hans Fischer
Gabriele Gironda IC
7
scorrere del tempo finisca per far dimenticare questo suo ricordo
nella “Nebbia di sempre”.
SEZIONE 3
La Memoria
La parola “Memoria” deriva dal Latino “Memor”(memoris=memore)
Secondo la scienza la memoria è una capacita psichica neurale
di assimilazione attraverso dati sensibili. Tutto ciò che ricordiamo
è dovuto a complicati processi fisico-chimici che avvengono
nel nostro cervello; essa è dovuta all’attività dei neuroni
(cellule celebrali nervose) che mediante le sinapsi (contatto
tra due cellule nervose) formano reti neurali.
Considerando, invece , la letteratura italiana, non si può non
parlare del ruolo che la memoria svolge per Eugenio Montale
(raccolta “Occasioni” e poesia “Non recidere forbice, quel
volto”) in cui descrive la questione della memoria soggettiva,
nella poesia il soggetto implora la forbice di non tagliare il viso
di una donna, forse sua amata, e descrive di come il tra-
Sono sorpreso da come gli anziani narrino accadimenti risalenti
all’infanzia con ricchi dettagli da far risultare il racconto
addirittura poco credibile ed a volte non ricordano accadimenti
di tempi più recenti. Ciò accade anche a me, capita di
ricordare cose della mia infanzia come se fossero successe ieri
e questo sorprende anche i miei genitori in quanto ritengono
che ero troppo piccolo. Tutt’ora custodisco parecchi vecchi
giochi e libricini con i quali mi divertivo da bambino, questa
è una abitudine che ho sin da piccolo al fine di preservare
la mia memoria di quei tempi in modo che nulla vada perduto
e dimenticato.
Si può immaginare l’Uomo privo di memoria? No. Saremmo
“Un signor nessuno” , soli, incapaci di sostenere relazioni tra
persone in quanto non conserveremmo le storie e le esperienze
apprese, commetteremmo gli stessi errori all’infinito in
quanto sarebbe sempre tutto sorprendentemente nuovo.
Quindi la memoria è ciò che caratterizza l’individuo. La memoria
dal punto di vista storico ci consente la conoscenza di
accadimenti passati che dobbiamo evitare si ripetano, un
esempio su tutti il periodo del nazi-fascismo e l’orrore che ha
causato, per questo esiste il Giorno della Memoria. Proprio
per questo desidero chiudere questo testo con le parole del
poeta austriaco Améry, che ha subito lui stesso l’umiliazione
della deportazione per mano nazista al campo di sterminio di
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Auschwitz, dove pochi anni dopo aver scritto queste righe ha
concluso la sua vita: “Chi è stato torturato rimane torturato.
Chi ha subito il tormento non potrà più ambientarsi nel mondo,
l’abominio dell’annullamento non si estingue mai. La fiducia
nell’umanità, già incrinata dal primo schiaffo sul viso, demolita
poi dalla tortura, non si riacquista più” cit. Améry.
Aleksiej Portulano 3A
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SEZIONE 4
La memoria
Grazie alla memoria riusciamo anche a non commettere più
gli stessi errori.Dopo uno sbaglio si memorizzano gli errori
che non si commetteranno più.
Insomma la memoria ci ricorda chi siamo e da dove veniamo,e
credo siano le cose più importanti.
Cos’è la memoria?
A cosa serve?
Giorgia Princigalli III E
P e r r i s p o n d e r m i s o n o a n d a t a a c e r c a r e l a
definizione.Memoria:”La capacità,comune a molti organismi
di conservare traccia più o meno completa e duratura degli
stimoli esterni sperimentare e delle relative risposte”.
A mio parere la memoria potrebbe essere paragonata a un
enorme magazzino,all’interno del quale si conserva parte della
nostra vita e della nostra storia ma sopratutto la memoria
serve a non dimenticare .
E’ importante non scordarsi di chi come Giulio Cesare ,Napoleone
Bonaparte,Garibaldi e Armando Diaz hanno lasciato
parte di loro nella storia ,perchè è anche grazie a quest’ultimi
se oggi siamo qui.
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SEZIONE 5
La memoria
Qualche mese fa mi trovavo a casa di mia nonna che, come
al solito, mi fece molte domande su come andasse a scuola,
con gli amici, in casa e a danza ma a un tratto le chiesi di raccontarmi
cosa faceva lei alla mia età e lei mi fece vedere delle
sue foto da ragazza. Sfogliando le varie foto mi resi conto
che in una era presente, oltre a lei, una sua amica: Carlotta.
Mia nonna mi raccontò che Carlotta fu la sua migliore amica
per molti anni e che con lei passò tutta la sua infanzia e adolescenza.
Ella però era ebrea e per questo il 5 marzo 1944 fu
deportata insieme a tutta la sua famiglia nel campo di concentramento
di Auschwitz, quando lei aveva solo quattordici anni.
Carlotta raccontò a mia nonna che la sua giornata iniziava
con il bere una bibita simile al the ma che ogni volta era gelida,
per quanto freddo faceva in Polonia. Poi, mentre tutti uscivano
dalle proprie baracche per andare a lavorare, lei aveva il
compito di operaia schiava e, svolgendo questo ruolo, ogni
giorno si allontanava dal campo dalla mattina alla sera; quando
rientrava nel campo mangiava una fetta di pane per cena
e poi andava a dormire. La vita nei campi era terribile, spaventosa,
stancante, umiliante e sconvolgente.
In tutti i campi di concentramento erano presenti sia i forni
crematori sia le camere gas dove ogni giorno venivano uccisi
centinaia di ebrei, accusati di appartenere ad una razza inferiore
rispetto a quella ariana, che veniva considerata quella
perfetta. Fortunatamente Carlotta non venne uccisa dai nazisti
perché il 27 gennaio 1945 l’Armata rossa oltrepassò i cancelli
del campo di concentramento di Auschwitz e sconfisse i
nazisti.
La storia di Carlotta mi ha messo tristezza ma, secondo me, è
giusto che vicende come la sua vengano ricordate perché
non accadano più e per fare in modo che gli errori che sono
stati commessi in passato non vengano ricommessi in futuro.
Giulia Consiglio II D
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nel caldo dell’estate, nel freddo dell’inverno.
SEZIONE 6
La memoria
Voi, uomini senza pietà,
che avete rovinato l’intera umanità.
Voi! Che avete tolto il nome,
a milioni di persone.
Ma è arrivato il momento che dovete capire
Che questo odio deve finire.
In un mare di odio,
in un mare di pianti,
in un mare di spari,
in un mare di abbracci,
famiglie separate,
popolazioni sterminate,
Che noi siamo diversi e siamo tutti uguali
Che siamo diversi, ma tutti speciali.
Non esiste una razza cattiva, non ne esiste una buona,
esiste solamente la singola persona.
E se vi chiederanno quante razze conoscete
“Solo quella umana!”, voi risponderete!
bambini sfruttati,
anziani ammazzati.
Voi, uomini crudeli, che non vi rendete conto
Di aver rovinato tutto questo mondo,
Tarantoli II G
che avete ridotto persone in questo inferno
costretti a lavorare in questo male eterno,
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CAPITOLO 2
I.C. “R. Paribeni”
Mentana
cose cambiarono; gli successe il figlio, un uomo avido e incapace
di amministrare il regno.
SEZIONE 1
Il viaggio di Olivia
Era sera. Una splendida sera dell’autunno 1116. Le foglie iniziavano
a cadere danzando al vento, ancora caldo ma già umido,
e un sole pallido si rannicchiava dietro le colline.
Non poteva essere una serata più bella per Olivia.
Olivia era una ragazza semplice, figlia di contadini. Passava le
sue giornate ad aiutare i genitori nei campi e nel giorno di riposo
amava ascoltare le narrazioni dei giullari e dei menestrelli
che si spostavano di borgo in borgo per raccontare avventurose
storie di eroi che viaggiavano in paesi lontani, accompagnandole
con strumenti buffissimi strumenti musicali.
veva Olivia era
sag-
Il feudo di Roccafiorita dove vigovernato
da Re Riccardo,
gio e benvoluto da tutti.
Alla sua morte però le
Iniziò a pressare il popolo con tasse e bazelli impossibili da
sostenere, e in poco tempo le famiglie si trovarono in difficoltà
e le porzioni a tavola si fecero sempre più esigue.
A peggiorare le cose quell’anno arrivò una carestia e i raccolti
divennero esigui. Poche spighe e sempre più vuote, inspiegabilmente.
Per le famiglie numerose come quella di Olivia sarebbero
arrivati tempi difficili e lei si sentiva di peso, era comunque
una bocca in più da sfamare… Nulla era più come
prima, quindi prese una decisione: compiuti quattordici anni
sarebbe partita in cerca di fortuna.
La sua famiglia, a malincuore, la lasciò andare. Erano tutti fiduciosi
che ce l’avrebbe fatta. La loro bambina era sempre stata
diligente e brillante ed aveva ricevuto un’educazione completa.
Dunque si era messa in cammino verso una vita nuova.
Olivia iniziò a camminare: camminò, camminò, e camminò
ancora… e indovinate cosa fece dopo aver camminato così
tanto? … Esatto! Camminò ancora!!! Viaggiò tutta la notte in
direzione del Bosco Oscuro.
Non sapeva esattamente dove stesse andando, ma continuava
a camminare ostinatamente.
Ad un tratto sentì un rumore…” Frush.. frush..” Da dove proveniva
quel rumore di foglie? Chi o cosa poteva aggirarsi così
furtivamente in quell’oscuro bosco?
Un cane rabbioso? Un orso? Un lupo mannaro?
Sembrava qualcosa di molto più piccolo!!!
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Guardò meglio tra le foglie e i rami del sottobosco e scorse
un esserino, come un umano ma in miniatura, che saltellava
nervoso tra le foglie secche..
Un folletto???? Esatto, si trattava proprio di un folletto!!
“Chi sei? Perché sei qui?” Chiese sorpreso il folletto a Olivia
Era un buffo omino minuto e curioso che saltellava vispo da
un sasso all’altro.
Aveva qualche ciuffo di capelli spettinati raccolti sotto il cappellino
verde... A dirla tutta era vestito completamente di verde!
Era la prima volta che Olivia si imbatteva in un folletto!!
Ne aveva sentito parlare nelle narrazioni dei giullari, è vero,
ma in realtà non ne aveva mai visto uno! Era rimasta sbigottita
e aveva dimenticato di rispondere, tanto che il folletto, indispettito,
le chiese di nuovo:
- Chi sei? Perché sei qui? - Olivia si scusò dispiaciuta e si
presentò.
Il folletto fece segno a Olivia di avvicinarsi. Lei, ingenuamente
si fidò e… il folletto le spruzzò una strana polverina colorata
che la fece svenire all’istante.
Quando si riebbe, si trovò su un morbido tappeto di muschio
e con sua grande sorpresa si accorse di essere diventata delle
dimensioni del folletto… stranamente aveva i suoi lunghissimi
capelli rossi intrecciati in un’acconciatura meravigliosa.
“Ciao, io mi chiamo Willy” si presentò. E aggiunse: “Ti stavo
proprio aspettando”
Lei, sempre più incredula, si stropicciò gli occhi pensando di
sognare, e alla fine timidamente chiese: “Aspettando? Che
vuoi dire?”
Il folletto le spiegò farfugliando freneticamente che secondo
un’antica leggenda sarebbe venuta una ragazza da un luogo
lontano, gigantesca ma dall’animo nobile, che sarebbe diventata
la loro regina e li avrebbe aiutati a ristabilire l’Antico Patto
tra uomini e folletti, che era durato fino alla morte del re
Riccardo.
I folletti infatti svolgevano un utile lavoro di collaborazione
per riempire le spighe del grano e aiutare gli uomini nell’avere
un abbondante raccolto, ricevendo in cambio le ciliegie e
la frutta degli alberi più alti della quale i folletti erano ghiottissimi.
Alla morte del re il patto era stato interrotto.
Il senso di stordimento di Olivia e il racconto del folletto la
portarono a ricordare il suo passato.
Una volta infatti sua madre, mentre raccoglievano insieme il
grano, le raccontò di una neonata abbandonata tra le spighe
che era stata raccolta ed allevata da una coppia di contadini
senza figli.
In quel preciso istante si vide passare davanti agli occhi la scena.
Certo!! Doveva trattarsi proprio di lei!
Infatti la madre aveva aggiunto senza rendersene conto che
la neonata aveva una splendida acconciatura, incredibilmente
raffinata ed elegante come quella che si era ritrovata in testa
appena riavuta dallo svenimento.
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In pochi attimi realizzò che quella era la strada che il destino
aveva scritto per lei, doveva solo decidere se seguirla oppure
no.
L’avventurosa e impulsiva ragazza decise su due piedi di accettare
di aiutarli!!
Doveva trovare il modo di ricreare l’antico Patto, risolvendo il
problema della ricerca della frutta per i folletti e delle spighe
vuote nei campi degli umani.
Iniziò a ricordare come facevano gli umani a costruire macchine
tecnologiche chiamate “scale” che permettevano loro di
arrivare ai rami più alti degli alberi da frutto per raccogliere
succose ciliegie e tutti i tipi di frutta che generosamente la
madre natura offriva loro.
In un battibaleno mise su una catena di montaggio di folletti
e iniziò la produzione di artigianali e modernissime scale in
legno, a volte anche lavorate ed intagliate come vere opere
d’arte!I folletti erano particolarmente bravi a lavorare il legno
e quindi non era stato difficile per lei insegnare loro le tecniche
di costruzione, incastro e montaggio.
Furono tutti talmente contenti e grati ad Olivia che decisero
di ricominciare ad aiutare gli esseri umani.
Da quel giorno nelle spighe di grano coltivate nei campi i
chicchi divennero inspiegabilmente abbondanti.. La carestia
finì e i giullari tornarono a narrare di corte in corte negli anni
a seguire... cantavano le gesta di Olivia la regina dei folletti
che magicamente aveva ristabilito l’Antico Patto.
Chiara Luziotti II F
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SEZIONE 2
La memoria
La memoria. La memoria, secondo voi è un bel dono?
E’ uno strumento utile per rivivere i bei momenti, per rinfacciare
ad un amico un suo errore o per studiare, direte voi.
Chi vorrebbe dimenticare tutto, subito dopo aver vissuto?
Io.
Io vorrei dimenticare tutto, ora. Vorrei dimenticare cosa ho subìto
in queste ultime ventiquattro ore, per smettere di piangere
e per pensare ad altro. Ad altro che non siano le sue mani
callose su di me o i suoi occhi scuri. Ad altro che non siano le
sue parole che si mischiano ai miei singhiozzi o il letto su cui
mi ha buttata e mi ha trattenuta per un tempo che mi è sembrato
infinito. Vorrei pensare ad altro, che non sia la semplicità
con cui è riuscito ad ingannarmi o il modo in cui rideva,
mentre io mi sentivo morire.
Mi sento umiliata e sfruttata. Ricordo, purtroppo, il nostro primo
incontro: lui seduto davanti a me, al liceo in cui sono sempre
voluta andare. Ricordo che ero felice, perché pensavo
che il mio sogno si stesse per coronare. Ricordo il suo sguardo,
quasi fiero, mentre analizzavo ogni autore della letteratura
italiana. Non sapevo che l’uomo a cui stavo ripetendo tutto
il mio sapere, fosse lo stesso che, dopo solo un paio di mesi,
mi avrebbe sfruttata e violentata così crudelmente.
Ricordo la sua proposta di dargli il numero di telefono, per
aiutarmi con i compiti. Ricordo anche di quando, invece che
darmi il materiale scolastico, mi scrisse, per chiedermi se volessi
uscire con lui. Non l’ho presa come avrei dovuto: ho accettato.
Non avevo solo acconsentito di andare con lui al cinema,
ma avevo dato il via alla fine della mia vita, inconsapevolmente.
L’ho incontrato quel sabato pomeriggio in un parchetto
isolato. Ricordo i suoi occhi sul mio corpo, mentre un sorriso
gli si abbozzava sulle labbra. Ricordo quando mi disse che
era sposato, ma sua moglie non poteva avere figli. In quel
momento provai quasi compassione per lui. E la provo ancora:
smaltisce la rabbia con le ragazze deboli come me, e non
si pente.
La mia mente mi porta al nostro primo bacio, quando, accarezzandomi
il viso, si avvicinò e mi baciò. Questo, di solito, è
romantico, ma in quel caso non lo era affatto, forse perché
era il mio professore o forse perché iniziavo a capire com’era
fatto quell’uomo, se così si può chiamare. Corsi subito via,
spaventata. Lui mi chiamò qualche volta, per spiegarmi il suo
gesto, ma io non lo ascoltai e scappai.
Ricordo il giorno in cui mi invitò, di nuovo. Per scusarsi, disse.
Non gli credetti e cercai di fare un po’ di resistenza, ma alla
fine vinse lui. Mi invitò a casa sua il pomeriggio seguente. Ci
andai, come una scema. Ricordo di quando mi offrì da bere,
pur sapendo che sono minorenne. Anche se rifiutai, me lo offrì
lo stesso e sembrava non preoccuparsi del fatto che, legal-
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mente non avrei potuto accettare quel bicchiere. Non se ne
preoccupò. Bevvi tutto lo champagne e, subito dopo, sentii
uno strano bruciore allo stomaco. Parlammo del più e del meno,
ma non capii cosa diceva dopo il quinto minuto. Vidi tutto
nero e la stanza iniziò a girare. Non ebbi la forza di tenere
gli occhi aperti, mi sentii debole e mi fischiavano le orecchie.
Mi sentii prendere da un polso. Qualcuno mi aveva preso in
braccio e mi aveva buttato su un grande letto. Avrei voluto
chiedere aiuto, ma non potevo. Lui non si preoccupava minimamente
di quello che stava facendo, o che io fossi minorenne,
che mi stessi sentendo male o di quello che stessi provando
io. La cosa più importante della sua vita era lui stesso,
quindi sfogava su di me la sua rabbia per sentirsi meglio.
Sono a letto. Rivedo i suoi occhi scuri, la sua barba e le sue
mani su di me.
Ve lo richiedo: la memoria, secondo voi, è un bel dono?
MICALI MYRIAM III B
Affondava in me i suoi artigli e non sapeva che, anche se si
fosse allontanato, ormai aveva lasciato il segno.
La memoria mi sta rovinando la vita. Sono costretta a vedere
una psicologa e prendere psicofarmaci e calmanti, poiché,
ogni volta che vedo un uomo con la barba, vengo assalita dal
panico.
Sono stata costretta a cambiare città, amici e scuola. Ha cambiato
radicalmente la mia vita, e non in senso positivo. Non
so come sia riuscita a denunciarlo, ma ricordo che ho pianto
per tutto il tempo della denuncia. La donna, che mi
ha ascoltata, era molto com-
prensiva, ma
era il ricordo che mi distrug-
geva.
Adesso provo solo rabbia.
Odio
il momento il cui la rab-
bia
si trasforma in lacrime.
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CAPITOLO 3
I.C. Pirandello
Fonte Nuova
SEZIONE 1
Anima ribelle
ICammino. Nel trambusto del corridoio. Urla. Passi. Mi perdo.
Mi perdo nei pensieri. Cerco un luogo. Un luogo tranquillo
senza confusione. Il paradiso. Dove posso volare. Volare come
un angelo tra le nuvole. In sottofondo una canzone che
non mi accorgo neanche di canticchiare Leave me alone. Purtroppo
cado giù come Lucifero.
«Ehi! Come ti sei permessa? Mi hai sporcato la maglietta nuov
a , s e i p r o p r i o c o m e l e a l t r e ! » .
D ' i m p u l s o r i s p o n d o « C o m e l e a l t r e c o m e ? » .
«Inutile. Sai solo lavare, cucinare, pulire e rompere a noi maschi!».
È così che è andata. Le immagini e le parole che risuonano
nella testa come campane, non riesco a concentrarmi, ma
continuo a scrivere sul mio diario "Oggi sono triste".
Pluff...una lacrima è caduta sul foglio e ha sbiadito l'ultima parola.
Mi butto sul letto per soffocare le lacrime.
Il rumore della porta di casa mi sveglia, ma non mi muovo,
sento mia madre gridare «Ludo, sono a casa!». Io non le rispondo
e lei non entra in camera mia, perché sa che se non
le rispondo, sono concentrata a fare i compiti.
"I compiti!" mi ripeto in mente. Senza guardare l'orologio so
già che sono le sei. Mi precipito alla scrivania ribaltando anche
la lampada dello studio, apro il diario, vedo i compiti e
mi ricordo che è venerdì. Sento mia madre gridare «Va tutto
bene?»
«Si, si» le rispondo in automatico senza pensare.
Arrivo in salotto, mi butto sul divano e accendo la televisione.
Mia madre per rompere il silenzio, mi chiede senza troppo indugiare
«Cos'è successo oggi. Ti vedo distrutta».
Distrutta. È questa la parola giusta per descrivere i miei sentimenti,
schiacciati da un enorme macigno e polverizzati, dis
p e r s i n e l v e n t o .
L'unica rimasta è la tristezza che non mi lascia mai, come la
migliore amica quando lei ha bisogno di te, ma tu non di lei.
Provo ad inventarmi qualsiasi scusa tranne la stanchezza, capirebbe
che starei mentendo. Guardo mia madre, prepara un
dolce, di fretta e farfugliando, le chiedo se la posso aiutare,
mi tornano in mente le parole "lavare, cucinare e pulire".
« A n z i n o , c r e d o d i u s c i r e » .
Prendo gli occhiali che avevo abbandonato sul comodino della
mia camera, esco e mi metto in sella alla mia bellissima bicicletta
bianca, con i manubri e le ruote nere, come una
luce nello scuro della notte.
Arrivo in un parco
che a quell'ora è vuoto.
Scendo
e inizio a camminare.
P e r
sfogarmi faccio un lunghis-
simo
monologo ad alta vo-
20
c e , c a m m i n a n d o a v a n t i e i n d i e t r o .
Per mia sfortuna, o il contrario, mi si avvicina un ragazzo di
uno o due anni più piccolo di me, che credo abbia ascoltato
le mie parole. Mi fa cenno di sedermi su una panchina, lui si
siede accanto a me. Rosso in volto, goccioline di sudore gli
scendono dalla fronte. È evidentemente imbarazzato. Io lo fisso,
lui prende una bella boccata d'aria. Non so cosa mi stia
per dire. «Ho ascoltato quello che hai detto, ho capito che
hai un problema. Sai anch'io avevo un problema, alle elementari
venivo preso in giro, perché ero "paffuto". Per la rabbia
venni qui ogni giorno e correvo, correvo. Ed ora eccomi qui,
nessuno si ricorda più di come ero in passato».
Ora ci siamo invertiti e lo guardo con gli occhi sgranati e il
rossore compare sulle mie guance. Poi continua «Anch'io lotto
contro i pregiudizi, quindi se collaboriamo potremo ragg
i u n g e r e u n o s c o p o c o m u n e » .
Appoggio la mia mano sulla sua «E' un'idea stupenda!» gli dico,
abbozzando un sorriso «Potremmo diventare amici se
vuoi...» e ci presentiamo.
« P e r o n i , C h r i s t i a n P e r o n i » .
E i o d i r i m a n d o « R o m a n i , L u d o v i c a R o m a n i » .
Scoppiamo a ridere, almeno sono tornata al colore naturale.
Così mi dà il suo numero di telefono di casa.
Mi metto a tavola e mia madre mi ripete nuovamente la domanda
a cui prima non ho risposto. Questa volta mi colpisce
proprio in fondo, come una freccia scoccata da un arciere che
ha appena fatto centro nel mio cuore e ha fatto svolazzare
nuovamente le emozioni, come decine di fogli che volteggiano
nell'aria e si disperdono a terra uno lontano dall'altro senza
significato. «Ti manca tuo padre?».
«Mamma ti avevo detto di non parlar ne più!»
«Si, lo so, ma volevo sapere cos'hai, non ti rinosco più».
«NON TI SEMBRO IO? ALLORA CHI DOVREI ESSERE?».
«Ehi! Calmati, e non ti rivolgere così a tua madre!».
«SAI CHE TI DICO, HAI RAGIONE NON SONO PIU' IO.
NON SONO PIU' LUDOVICA ROMANI, TANTO UN PADRE
N O N C E L ' H O ! » .
Mi staglio davanti a mia madre, come una difficilissima montagna
da scalare. Dopo esserci fissate negli occhi, che a me
esplodono di rabbia e a lei di paura, scappo in camera. Adess
o s o n o i o c h e h o p a u r a .
Mi sembra come un deja-vu e mi butto sul letto. Ripenso a
quello che ho detto, parole forti che hanno scosso mia madre
e penso che ora si senta più in colpa lei di me per aver evocat
o m i o p a d r e .
La mattina seguente la saluto e cerco di fare il mio miglior sorriso.
Lei si inginocchia, si butta sul mio corpo e con un tono
rotto mi dice che non vuole perdere anche me. Ci abbracciam
o t a n t o , t a n t i s s i m o .
"Devo fare qualcosa...devo fare qualcosa. Mia madre non
può perdere anche me" penso. Vado nella tabaccheria sotto
casa e lo chiamo, inserisco il gettone e digito il numero «Christian?
Ciao. Senti porta più pittura e pennelli che puoi al parco,
ci vediamo domani alle 17» riattacco subito.
Salgo in sella alla mia bici con uno zaino molto vecchio di mia
madre. E' nero e c'è una scritta cancellata dal tempo, è un
po' strappato e usurato, ma non per questo va buttato. Come
un orologio svizzero, arriva il mio amico, il mio unico amic
o .
«Ciao, ma cosa vuoi fare!? Pitturarci la faccia? O lasciare dei
segni sopra gli alberi per far sapere che siamo stati qui?»
scherza lui.
21
«No, voglio fare dei cartelloni, perché non è giusto che noi
ragazze veniamo prese di mira, veniamo insultate e maltrattat
e » .
Ci mettiamo subito al lavoro fino a sera. Christian con una voce
più che amichevole mi dice «Sai oltre la tua idea che è
forte?...TU».
Ci fissiamo, ci avviciniamo, chiudiamo gli occhi e così sento le
sue labbra toccarsi con le mie. Intorno mi sento al sicuro, calda
e accolta. Una cosa che non avevo mai provato prima.
«Anche tu sei fantastico!». Così per non mandarlo a piedi, lo
porto sulla mia bici fino a casa.
Ora sono felice, penso solo a rilassarmi.
È lunedì mattina, uno dei giorni più importanti della mia vita.
Mi preparo ed esco, armata come un soldato che deve andare
in guerra. Christian mi aiuta e insieme urliamo per la strada
a tutte le persone l'idea di abbattere i pregiudizi. Dopo poco,
la strada si riempie di ragazze che manifestano la loro voglia
di cambiare. È il venticinque Novembre millenovecentosessanta,
la data che ricorda la prima giornata internazionale per
l'abolizione della violenza contro le donne.
MATTIA FRABONI Classe IIB
22
SEZIONE 2
Il coraggio di un investigatore
Era il 6 aprile del 2011. Un giorno come tanti, con la solita fitta
nebbia che aleggiava in quella cittadina alquanto strana
ma con un pizzico di vivacità. Steve Lee lavorava nella mastodontica
e prestigiosa centrale di polizia. Era solo un addetto
alle pulizie ma ardeva di grandi sogni. Ogni mattina Steve trovava
tutti pronti con una tazza di cioccolata calda tra le mani
accompagnata da quel sapore di brezza mattutina. Tutti seduti
su quelle comodissime poltrone in pelle ad ammirare il panorama
mozzafiato, che rendeva la cioccolata ancor più buona
e speciale. Ogni giorno pensava a quanto sarebbe stato
bello essere uno di loro e avere la sensazione di essere importante,
ma si tirava indietro. Rimaneva la stessa persona di
sempre che quando si svegliava vedeva un uomo che si alzava
per andare a pulire water. La sua vita però in quella fatidica
data ebbe una svolta.
Era una mattina come le altre. Steve percorreva il tragitto che
lo portava al lavoro. Camminava sul ciglio della strada, quando
inciampò tra le radici di un albero ciclopico a cui Steve
sembrava non aver fatto caso. Appena alzò gli occhi vide un
cartello con la foto di un uomo e la scritta MISSING. Steve diventò
pallido, gli sembrava di conoscere quella persona. Erano
anni che non scompariva nessuno e in una cittadina come
quella una notizia del genere era piuttosto agghiacciante!
Ad un tratto ebbe un’illuminazione. E se fosse riuscito ad incastrare
il colpevole? Se si fosse travestito in un modo irriconoscibile?
O addirittura se avesse fatto finta che Steve Lee fosse
scomparso? Si sarebbe potuto fingere un grande investigatore,
avrebbe potuto cambiare il suo nome e la sua triste sorte.
Chissà! E mentre nella sua testa cominciava a prender forma
il curioso piano, una goccia di rugiada caduta dall’albero lo
riportò alla realtà. Sapeva che questa operazione non poteva
iniziare subito perché se non fosse andato al lavoro lo avrebbero
licenziato. Quindi si incamminò.
Giunto a destinazione vide il cancello d’entrata chiuso e il suo
collega David Brown che si allontanava velocemente. Da lontano
riuscì a chiedergli perché fosse chiuso e lui gli rispose
che era stato concesso loro un giorno libero perché la squadra
investigativa doveva lavorare al caso del ragazzo scompars
o .
Quale occasione migliore, pensò Steve, che ora aveva tutto il
tempo necessario per mettere in atto la sua trasformazione.
Trovò una parrucca folta e bionda, degli oc- c h i a l i d a
sole alquanto strani ma che davano
u n c e r t o
fascino e un cappello nero simile a
quello di un mago! Poi come
ciliegina sulla torta acquistò
una vecchia pipa nel negozio
d’antiquariato, indossò
23
un paio di pantaloni raggrinziti che trovò nel suo armadio e
u n a g i a c c a c h e e r a s t a t a d i s u o p a d r e .
Il mattino seguente all'alba iniziò a tappezzare tutta la città di
fogli che annunciavano la scomparsa di Steve Lee. Se ne era
tenuto uno, però, proprio per mostrarlo al capo dei poliziotti,
James Cording. Eludendo la sorveglianza, riuscì ad entrare
nel suo ufficio. Il suo piano andava alla perfezione, James
sembrava non essersi accorto che lui fosse Steve. Quest’ultimo
con voce chiara e limpida iniziò il discorso rompendo il
ghiaccio in maniera decisa. «Senta, sono qui per lavorare al
caso di Steve Lee, il vostro addetto alle pulizie».
«Steve Lee? Il nostro addetto alle pulizie» puntualizzò James.
«Si, proprio lui e ho questo fascicolo che glielo dimostra!».
Cording guardava il manifesto e nel suo viso si coglieva lo
smarrimento. Non riusciva ad articolare un discorso sensato
«Come! Lui non aveva nemici. Non può essere».
« E invece eccolo qua, su questa locandina!» lo interruppe dec
i s o S t e v e . « S o n o q u i p e r r i s o l v e r e i l c a s o ! »
Era evidente, Cording non ci vedeva chiaro in questa storia,
tuttavia decise di accogliere senza troppe domande la disponibilità
del curioso investigatore. Avrebbe avuto tutto il tempo
di fare le indagini su di lui. « Allora, le do tre giorni per indagare
sul caso, Signor...». Steve esitò. Non aveva pensato al
suo falso nome ma quasi gli venne spontaneo dire «Mi chiam
o B o b , B o b M i s t » .
« Ricorda Bob, tre giorni». E pronunciando queste parole,
Cording lo fisso negli occhi come a voler scrutare i suoi pensieri
più nascosti.
e a quel punto non sapeva che fare. Non ci dormì su. Si sentiva
impazzire, fino al giorno in cui si presentò alla centrale.
James lo stava aspettando. Lo trovò seduto sulla sua enorme
poltrona di pelle, sguardo fisso in un punto imprecisato della
stanza, dita tamburellanti sulla scrivania come se stesse cavalcando
il flusso inarrestabile dei suoi pensieri. Steve non fece
in tempo a parlare perché lui lo incalzò «Lo ha trovato?».
«No» rispose secco Steve guardandolo dritto negli occhi. Incontrò
lo sguardo interrogativo, severo, a tratti minaccioso di
Cording che sembrava aver capito «Allora per quale motivo è
q u i ? » .
Steve, per tutta risposta, si levò la parrucca, la pipa e gli occ
h i a l i .
James lo guardava stupito.
I l g i o v a n e s p i e g ò t u t t o .
Cording lo ascoltava attento. Lui, uomo tutto d'un pezzo, riconosceva
nel gesto di Steve un atto straordinario di riscatto
che lui non avrebbe mai avuto il coraggio di attuare.
Steve ricevette punizioni per la sua bizzarra condotta, ma non
perse il posto di lavoro. Da quel giorno capì che il coraggio è
la chiave di tutto e che pulire water o vedere un panorama
mozzafiato non cambia, ma alzarsi la mattina e vedere un uomo
fiero di sé stesso cambia la strada verso una vita migliore.
CHRISTIAN SERGIO Classe IB
Steve sbattè la porta dietro di sé, ma in quel misero nanosecondo
si domandò come Bob Mist avrebbe potuto nello stesso
tempo presentarsi insieme a Steve Lee. Quello era un bel
guaio! Non aveva pensato a questo aspetto importantissimo
24
SEZIONE 3
Il mondo senza Anna
Entrando sembra di essere in una discoteca: tavoli su tavoli
dove i ragazzi si ammassano per bere, discutere, ascoltare la
musica ad un volume assordante. Come fanno a trascorrere lì
dentro tutte quelle ore senza impazzire?
Lì ho incontrato i miei amici riuniti. Stavano parlando di Anna.
Non sai chi è Anna? Si parla solo di lei ormai. È la ragazza
che si è suicidata nel bagno del suo appartamento con un coltello.
Era una mia grande amica e io la amavo, ma ormai non c’è
più tempo per dichiararmi. Ormai è morta. Per sempre. E un
pezzo del mio cuore si è frantumato come una lastra di vetro.
24 maggio 2015
Caro diario,
sono ancora io, Bryan. In questo anno stanno accadendo cose
spaventose, orribili. Questa è la mia ultima pagina di diario.
Vuoi sapere perché? Aspetta, ci arriveremo.
Voglio scrivere per lasciare una traccia della mia vita e della
mia sofferenza. Un diario è la memoria di chi è ormai lontano
dagli eventi che ha vissuto, è la memoria di chi ormai non è
più su questa Terra.
Oggi mi sono svegliato tardi e come se non bastasse i biscotti
sono finiti, quindi ho indossato i primi abiti che ho trovato
sulla sedia e sono andato al bar “Monet”. È il bar preferito da
tutti gli studenti. Ha una facciata imponente con la scritta
“Monet bar” illuminata di blu, ma qualche lettera si è staccata
dall’insegna ed ora ha perso la sua luce.
Il suicidio è avvenuto circa un mese fa; ha lasciato delle cassette
dove indicava le persone che l’hanno spinta a quel terribile
gesto. Non sopportavo di portare avanti una discussione
su quell’argomento, così sono andato a scuola.
A ricreazione, nel corridoio, mi hanno abbassato i pantaloni.
È stato Mirko Walker, il bulletto della scuola, il riccone della
scuola che organizza feste ogni sera.
Per fortuna il preside ha assistito alla scena e lo ha convocato
nel suo ufficio.
Alla quarta ora sono andato in batrovato
Mirko e il suo amico Brice.
hanno sbattuto contro il lavandino,
mi hanno picchiato e mi
hanno infilato la testa ripetutamente
nel gabinetto. Lo-
gno e ho
M i
25
ro poi sono andati via. Io sono rimasto lì sanguinante. Volevo
mettere fine a tutta quella sofferenza, proprio come aveva fatto
Anna. Volevo essere coraggioso come lei, volevo sparire
da quel mondo ingiusto e crudele. E intanto piangevo, piangevo,
le mie lacrime erano senza fine.
Sono tornato a casa, ho preso un coltello e sono andato in bagno.
Ho provato ad essere come Anna, ma non ci sono riuscito.
Riuscivo solo a piangere. Ma perché dovevo essere io a
piangere e non le persone malvagie? Sono andato da Tony, il
mio amico che lavora in un’armeria e mi sono fatto dare un
fucile. Sono uscito frettolosamente e mi sono diretto al cimitero.
Ho visto Anna, la sua foto. Piangevo sulla sua fredda e
spoglia pietra. L’unico fiore sulla sua tomba era il mio. Nemmeno
i suoi genitori sono mai andati a farle visita.
Io somiglio molto ad Anna. I miei genitori sono morti in un incidente
stradale due anni fa e sono solo, anche se vivo con i
miei zii.
Avevo tanta paura, l’ansia saliva, saliva e si impadroniva del
mio corpo. Pensavo.
Come sarebbe stato il mondo dei miei desideri, se tutto questo
non fosse accaduto? Come sarebbe stato il mio mondo
se i miei genitori non fossero morti e se Mirko e Brice non fossero
mai esistiti? Come sarebbe stato il mondo senza Anna?
Come sarebbe stato il mondo se l’insegna del “Monet bar”
avesse avuto tutte le lettere illuminate, se quel locale non
avesse avuto la musica ad altissimo volume?
Le domande viaggiavano nella mia mente come razzi che si
schiantavano da una parte all’altra.
Ho sentito un dolore fortissimo alla testa. Sono svenuto…
FRANCESO SANITATE CLASSE III A
Con il fucile sono corso a scuola. Davanti al cancello mi sono
fermato e ho cominciato a camminare lentamente. Passo dopo
passo provavo un’emozione diversa: rabbia, paura, angoscia.
Davanti alla porta del bagno Clay mi ha fermato. Aveva gli occhi
bianchi, di ghiaccio, mi faceva paura. Tutto, quel giorno,
mi faceva paura: “Fermati, Bryan, sei ancora in tempo!”.
“No, Clay, devono soffrire, spostati o ti sparo”. Ho pronunciato
quelle parole come se non fossi io a parlare. Avevo la sensazione
di guardare quella scena spaventosa da spettatore,
come se nulla appartenesse a me: il corpo, la voce, i gesti, le
emozioni.
26
SEZIONE 4
Il muro del pregiudizio
Sono a scuola e tutto è così strano… la gente cammina, o salta?
Non capisco. Arrivo al mio armadietto situato davanti all’aula
di scienze. È strano, perché non ho mai avuto le aule divise
per materie. Voglio dire, non siamo in America, lì sono
gli alunni che cambiano classe, non i professori e in Italia non
ci sono gli armadietti. Guardo i muri, mi accorgo che sono stati
dipinti, forse lo hanno fatto questa notte dato che fino a ieri
erano rosa. Tocco con la punta delle dita quelle pareti blu e
ad un tratto sento in lontananza una musica, quella dei film,
di quando un personaggio viene accolto dagli angeli e portato
in paradiso; sì, sono proprio le voci degli angeli! Decido di
avvicinarmi a quel suono, giro l’angolo e vedo la mia professoressa
di latino… aspetta, ma io non studio il latino! È illuminata
da una luce gialla, mi avvicino, lei mi afferra la mano e
mi guarda con aria minacciosa. Piano piano i nostri piedi si
staccano dal pavimento e ci ritroviamo nello spazio. Io e la
mia professoressa di latino che voliamo, non è strano? “Cosa
c’è?”, le chiedo. “Hai preso un bel quattro all’ultima verifica”.
Sto per spingerla con rabbia quando suona la sveglia:
“Driiiin!”.
Mi alzo dal letto con gli occhi ancora chiusi pensando al sogno:
sarebbe bello poter cambiare le cose anche nella vita
reale.
Mi dirigo in bagno, mi metto la fascia per i capelli e rimango
a fissare il vuoto per due minuti. Mi riprendo con il felice pensiero
che oggi devo entrare alla seconda ora a scuola per una
visita dal dentista. Mi lavo il viso con acqua gelata, così mi
sveglio per bene e vado in cucina a fare colazione. Torno in
bagno per pulire bene i denti, almeno il dottore non sviene
appena apro la bocca.
Dopo la visita mia madre mi costringe ad andare a scuola per
non saltare quella dannata verifica di matematica. Entro in
classe e sento il mio nome pronunciato a voce alta: “Eleonora,
pensavamo che non saresti più arrivata!”. Spiego il motivo
del ritardo, mi siedo e affronto la mia battaglia con i numeri.
Questa volta vorrei vincere io.
A ricreazione vedo Valeria in lacrime e un gruppetto di compagne
che cercano di consolarla. Mi avvicino, lei mi spiega
che le hanno rubato il portafoglio dalla giacca che era appesa
fuori dalla classe. Subito mi viene in mente un sospettato:
Mariano! In effetti, adesso che ci penso, l’ho sorpreso a frugare
nelle giacche questa mattina mentre entravo alla seconda
ora; appena mi ha visto è corso in ba- gno.
Suona la campanella delle 14.00,
sono felice di tornare a ca- s a .
Vedo in lontananza mia
madre
ferma in macchina
27
ad aspettarmi. È al telefono e non la smette di urlare. È arrabbiata,
non ci sono dubbi, ma non so con chi. Decido di avvicinarmi
e appena mi vede chiude il telefono e sfoggia il suo
bel sorriso aperto e rassicurante. Entro in macchina e mi guarda:
“Come è andata oggi?”, mi chiede. “Credo che la verifica
sia andata bene”, e lei con occhi sereni mi accarezza la testa.
“Chi era al telefono?” continuo cambiando discorso. “Tuo padre,
ma non ti preoccupare, va tutto bene, è solo un po’ testardo”.
Mi sorride. Io non rispondo e guardo la strada per
tutto il tragitto.
Entriamo a casa, papà è di pessimo umore, non sopporto la
tensione, così vado in camera di mia sorella Giulia e le chiedo
cosa sia successo: “Non lo sopporto proprio, papà è solo un
razzista!”. Non rispondo e chiudo la porta, ma decido di andare
fino in fondo a questa storia, quindi mi precipito in cucina
da mia madre. Le chiedo di raccontarmi il giorno del loro
matrimonio: se mi dice che non è il momento la cosa è grave,
se racconta con gioia, allora non è accaduto nulla di preoccupante.
“Adesso vorrei riposarmi Eleonora, non è il momento di raccontare
la storia del nostro matrimonio”.
Ok, mi devo preoccupare! Aspetto con ansia la cena perché lì
sgancerò la bomba d’attacco.
Mi metto al telefono per passare il tempo. “È pronto!”, urla
mia madre dalla cucina. Io mi precipito nella sala da pranzo,
aspetto che tutti si siano seduti e faccio la domanda che darà
inizio alla terza guerra mondiale: “Beh, volete dirmi cosa è
successo oggi? Perché ogni volta che nomino papà, mamma
e Giulia si arrabbiano? Perché dite che papà è un razzista?”.
Giulia fa un respiro profondo e mi racconta: “Ieri ho fatto un
colloquio di lavoro e un’agenzia mi ha proposto di fare volontariato,
così sono tornata a casa e ho raccontato con entusiasmo
a mamma e papà la mia decisione di aiutare gli altri; lui
si è infuriato mi ha detto che perdo solo tempo, che ormai
tutti questi immigrati vogliono la pappa pronta, mentre dovrebbero
solo darsi da fare per proprio conto, ha detto che ci
sono troppi mangiapane a tradimento in questo Paese! È solo
un razzista e io non lo sopporto!”.
Giulia ha ragione e papà torto, non ci sono dubbi, ma ovviamente
lui crede di sapere tutto. La cena è finita con la tensione
alle stelle.
La mattina dopo, entrando in classe, vedo una ragazza di colore.
Si chiama Samira, è una nuova alunna, sembra gentile e
simpatica. Tutti i miei compagni la fissano con aria diffidente
e spaventata, nessuno la vuole vicino, così la professoressa la
invita a sedersi davanti a me, nell’unico posto libero, accanto
a Chiara che si affanna a spostare l’astuccio per il terrore di
sfiorare il suo braccio. Lara, la mia compagna di banco, mi
sussurra una cosa orribile all’orecchio: “Se la vedi di notte, si
mimetizza”, poi scoppia a ridere. Samira si gira inaspettatamente
e le risponde: “No, perché ho gli occhi bianchi e se rido
faccio brillare la notte”. Samira viene dal Congo e in questi
sei mesi ha imparato a parlare abbastanza bene l’italiano
guardando la televisione, andando in giro e ascoltando.
Il giorno dopo entrando in classe vedo Samira piangere, sola,
seduta al suo banco. Mi avvicino e lei, mi confessa singhiozzando
di essere disperata: nessuno sente il desiderio di conoscerla
veramente, hanno tutti paura del suo colore, del colore
nero della sua pelle; in più è stata accusata di aver rubato dei
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soldi dalla giacca di Valeria, visto che il giorno prima lei e sua
madre erano a scuola per l’iscrizione.
Provo a consolarla, ma capisco che le parole non bastano.
Penso a mio padre e ai suoi commenti sugli immigrati che rubano
casa e lavoro agli italiani.
Un nodo di rabbia mi stringe lo stomaco. Ci vuole pazienza e
coraggio per cambiare la mente e il cuore delle persone. In
ogni famiglia, in ogni classe, in ogni paese, c’è qualcuno che
aspetta un nostro piccolo gesto. Così decido di agire.
La professoressa ci fa sedere e con tono deciso ci riferisce
che Valeria è stata derubata e vuole che il colpevole confessi.
Mariano mi guarda con un sorrisino maligno e soddisfatto.
Non posso fare finta di niente, decido di scrivergli una lunga
lettera sperando di fare breccia nel suo cuore.
A casa mi metto subito a scrivere, le parole corrono veloci sul
foglio, mi sento fiera, una vera eroina. Poi mi viene un’idea:
“Se invitassi Samira a pranzo domani?”. Mi precipito in salotto,
mamma è d’accordo, così le scrivo un messaggio e lo
riempio di cuori…
Entro in classe, consegno la lettera a Mariano, credo che abbia
capito tutto, ma non ho voglia di soffermarmi sulla sua reazione,
così mi giro verso Samira: è raggiante, il mio invito le
ha dato una luce nuova. Sono emozionata, anche se temo il
momento dell’incontro ravvicinato con papà.
Le 14:00 arrivano velocemente, ad aspettarci all’uscita c’è
mia sorella Giulia, mamma sicuramente è rimasta a casa per
preparare il pranzo e una calda accoglienza. Ad attenderci troviamo
infatti una tavola apparecchiata con cura e il suo sorriso
aperto e rassicurante. Papà non è mai stato bravo a nascondere
i suoi sentimenti e con un gesto meccanico tende
la mano a Samira; a tavola prende posto lontano da lei e cerca
di evitare di incrociare il suo sguardo.
Giulia rompe l’imbarazzo: “Da dove vieni?”. “Vengo dal Congo,
è un Paese molto povero; i bambini sono costretti a lavorare,
vengono sfruttati nelle miniere per estrarre il cobalto; io
ho rischiato più volte di morire, è una lunga storia”. “Cobalto?”
esclama mio padre incuriosito. “Sì, papà” esplode Giulia,
“miniere di cobalto! Se allargassi i tuoi minuscoli orizzonti
e ti informassi un po’, scopriresti che il cobalto viene usato
per realizzare le batterie dei cellulari, quindi è presente anche
nel tuo cellulare, e scopriresti anche da dove viene!”. Che succede?
Papà riceve una bella lezione da sua figlia senza urlare,
senza replicare, senza diventare rosso come un peperone, un
vero miracolo! Rivolge addirittura a Samira domande sulla
sua famiglia e sulla storia del suo Paese.
La giornata scolastica si apre con un’altra bella sorpresa. Entrando
a scuola, vedo la professoressa in fondo al corridoio
che discute con Mariano e Valeria e poco dopo una stretta di
mano tra i due: la mia lettera ha fatto centro, Mariano ha riflettuto
e ha confessato. Anche la ricreazione oggi è diversa: Valeria
si avvicina a Samira, vuole rompere il ghiaccio, vuole forse
scusarsi per averla accusata ingiustamente del furto, o forse
semplicemente qualcosa sta cambiando. Le dice che ammira
le sue treccine e le chiede se può insegnarle a realizzarle.
Samira invita Valeria a sedersi, le mette le mani tra i capelli
e comincia ad intrecciarli mentre i suoi occhi che fanno brillare
la notte mi guardano pieni di affetto e di riconoscenza.
Il telefono squilla, corro a rispondere, è l’agenzia di volontariato
che vuole parlare con mia sorella. La chiamo e resto lì ad
29
ascoltare. “Buongiorno, sì sono Giulia…state cercando una
persona che dia lezione di italiano a una famiglia che viene
dal Congo? Rifletterò sulla proposta e le darò una risposta prima
possibile, grazie.”
“Perché non hai accettato subito?” chiede mamma. Papà assiste
alla scena senza intervenire, ma più per orgoglio; il suo silenzio
suona come un’approvazione.
Ogni persona ha una storia bellissima da raccontare, la storia
della sua vita. Tutte le storie formano la memoria dell’umanità.
Conoscere le storie degli altri, entrare nella memoria di un
popolo, ci aiuterebbe ad abbattere il muro della paura e del
pregiudizio.
ELEONORA SEVERA CLASSE II A
30
SEZIONE 5
La bambola magica
Era il 2009. Lola a quel tempo aveva dieci anni. Era una bambina
stupenda, bella come il sorriso di sua nonna, che aveva
perso due anni prima. Questa grande perdita aveva trasformato
Lola, rendendola scontrosa, ma anche molto debole e
i n s i c u r a .
A tenere unito il suo cuore c’era una piccola piuma che per
qualunque insulto o rimprovero volava via e lasciava che il
suo prezioso muscolo cardiaco si frantumasse in mille pezzi,
ma poi la piuma ritornava e pian piano riuniva il suo cuore e
lo rendeva più resistente. La “cura” era leggere perché rassicurava
la piuma, ma anche Lola, che per questo si era appassionata
alla lettura.
Lola teneva molto alla sua cameretta, curata nei minimi dettagli.
La considerava il suo reame. Un luogo magico che custodiva
i ricordi dei momenti trascorsi insieme alla sua amata
nonnina a leggere i libri di Harry Potter. Lola amava dormire
sul letto a castello. Sotto c’erano dei soldatini giocattolo che
nella sua immaginazione erano posti a guardia della sua dimora.
Al centro della stanza c'era una grande scrivania bianca
che si abbinava perfettamente al colore delle sue mura lilla,
di fronte una grande finestra a picco sul mare, coperta da una
sottile tendina verde, che ricordava un prato sommerso da fiori
di tutti i colori. Nella cameretta una parte era riservata solo
alla lettura, occupata da un’immensa libreria stracolma di libri
che aveva letto e riletto, tra cui i suoi due libri preferiti “Mio
papà sa volare” ed “Eco e Narciso”.
Lola, come ogni sera, era sdraiata sul suo letto a leggere un
nuovo libro tra le braccia del suo peluche preferito, un orso
gigante che la proteggeva anche nelle notti più oscure. Cominciava
ad avere fame, anche se non voleva ammetterlo perc
h é e r a u n a b a m b i n a u n p o ’ t e s t a r d a .
Mezz’ora dopo il silenzio nella sua casa fu interrotto da Claudia,
la sua mamma. «Lola, è pronto, vieni a tavola!» urlò la madre
dalla cucina. Lola pur avendo fame sbuffò perché non voleva
abbandonare la lettura, ma fu costretta ad andare. Allora
si infilò le sue pantofole a forma di unicorno, uscì dalla camera
sbattendo la porta e si avviò verso la cucina.
Nel frattempo nella sua cameretta succedeva qualcosa di misterioso.
Attorno al libro “Mio papà sa volare“ svolazzavano
delle lettere dell’alfabeto di colori diversi. Le pagine del libro
avevano cominciato a muoversi come se ci fosse qualcosa
sotto. Era sbucata fuori pri-
ma una testolina
e subito dopo l'intero corpo
di un
minuscolo esserino. Non si
capiva
bene cosa fosse e come
fosse arrivato lì, sem-
31
b r a v a
e s s e r e i l
protago-
nista del libro
“Mio
papà sa volare”,
con un bel po’
di chili in più.
Ritrovatosi improvvisamente su un comodino, quella specie
di umano microscopico aveva la sensazione di trovarsi sul
monte Everest. Cominciò a discendere.
Quando fu a terra si accorse che in cima alla libreria, lì dove
era appoggiato il libro di Eco e Narciso stava succedendo la
stessa cosa. Incuriosito si arrampicò per capire cosa stesse
succedendo ma non poté perché fu abbagliato da un'intensa
luce e quando passò, il papà si ritrovò faccia a faccia con Eco.
I due rimasero in silenzio per molto, il papà iniziò ad arrossire.
Si direbbe che si era follemente innamorato di lei, come se
Eros avesse scagliato dritto nel suo cuore la freccia dell'ardente
passione. Eco iniziò a presentarsi «Ciao, il mio nome è
Eco!» disse la ninfa sorridendo. Era felicissima perché la maledizione
di Era nella VITA REALE non funzionava, riusciva a parl
a r e t r a n q u i l l a m e n t e .
«Il mio nome è...». Il papà rimase in silenzio, perché non aveva
un nome e veniva chiamato sempre e solo papà, allora inventò
un nome. «Il mio nome è Giancarlo!» disse il papà fiero
d e l s u o n u o v o n o m e .
«Giancarlo?!» domandò sospettosa Eco. Il papà annuì orgog
l i o s o .
«Bene Giancarlo, qual è il tuo cognome?». Il papà non sapeva
cosa fosse un cognome ed allora disse la prima cosa che
g l i v e n n e i n m e n t e « G i a l l o ! » .
«OK, Giancarlo Giallo, potresti spiegarmi cosa ci facciamo
qui?!». Il papà fece cenno di no con la testa.
«Perfetto, sono in un posto che non conosco, con una persona
che non conosco, sono messa proprio bene!» si agitò Eco
m o r d e n d o s i l e d i t a e a g g r o t t a n d o l a f r o n t e .
Dalla finestra che Lola aveva dimenticato aperta entrò un corvo.
Il papà era talmente appassionato
di uccelli che aveva perfino imparato la loro lingua. Eco guardò
stranita Giancarlo Giallo e il corvo che parlavano. Finita la
conversazione il papà si girò verso Eco e sorridendo orgoglios
o l e d i s s e « A b b i a m o l a s o l u z i o n e p e r. . . » .
Fu bloccato dalla porta che venne aperta da Lola, il corvo si
volatilizzò e anche loro si nascosero in tempo. «Perfetto, mancava
solo questo!» dissero sottovoce il papà ed Eco contemporaneamente.
Lola nel frattempo si era addormentata e ciò
rese il lavoro più facile. «Dicevi?» chiese Eco «Ah si!» ricominciò
il papà «Abbiamo la soluzione per ritornare a casa!».
La ninfa fece finta di essere felice, ma dopo un po’ ammise
che non voleva tornare alla sua eterna maledizione.
«Non credevo fossi così insoddisfatta» disse il papà.
«Non ci conosciamo abbastanza» rispose piuttosto piccata
Eco.
«Beh, io sono testardo ma furbo» ammise Giancarlo.
«Beh, anch'io io sono testarda ma astuta!» ribadì Eco con punt
i g l i o .
Erano anime gemelle e fra loro scoppiò una scintilla «Comunque
per tornare a casa bisogna salire sul nostro libro e ripetere
per tre volte: LIBRO, LIBRO, FAMMI TORNARE» spiegò il
p a p à .
Eco, salendo sul suo libro, cominciò a pronunciare la formula
«LIBRO LIBR... » fu interrotta da Giancarlo «NO, fermati! Devi
a i u t a r m i a d a n d a r e s u l m i o l i b r o » .
«Ma il tuo libro si trova dall’altra parte della stanza!» protestò
E c o .
«Lo so, ma non posso scendere perché sveglierei Lola e non
32
posso volare perché ho dimenticato le mie ali dentro il libro!»
r i s p o s e G i a n c a r l o .
«E come facciamo ad arrivare laggiù?» chiese Eco timorosa.
«Il corvo mi ha detto anche che servono tre oggetti: una corda,
una matita e dello scotch!» disse il papà pronto a sfidare
l ’ i m p o s s i b i l e .
« E c o s a c i f a c c i a m o c o n q u e s t i o g g e t t i ? » .
Il papà spiegò il piano... «Prendiamo la corda, la portiamo fino
al tuo libro e la teniamo ancorata con lo scotch, prendiamo
la parte finale della corda e ci attacchiamo la matita e
poi, io dondolo, fino ad arrivare al mio libro. Tutto chiaro?».
Ma la ninfa si era addormentata e al povero papà toccò rispiegare
tutto da capo. «Prendiamo la corda e la portiamo fino al
tuo libro...Tutto chiaro?». E cominciarono a mettere in atto il
piano.
P o c o d o p o . . .
«Ok, abbiamo presa la corda, ora prendiamo la matita!» disse
Eco. Non fecero in tempo a finire la frase che Lola si svegliò e
q u e s t o f u u n p r o b l e m a .
«Oh, diamine! Come facciamo ora?!» si arrabbiò Eco «Tu occupati
di prendere lo scotch ed io mi occupo della matita».
C i v o l l e u n ' o r a .
«Perfetto è tutto pronto, vado!» e attaccandosi alla corda
Giancarlo iniziò a dondolare. I due si posizionarono ognuno
sul proprio libro e si salutarono per l’ultima volta. «Addio
Eco, sei stata la mia anima gemella, la mia esploratrice, la mia
migliore amica, non ti scorderò mai!» la salutò commosso.
« Addio Giancarlo Giallo, da quando ti ho conosciuto mi sei
stato subito simpatico, non ti scorderò mai!» disse Eco piang
e n d o .
Giancarlo Giallo o meglio il papà, si posizionò per primo sul
libro e ripeté la frase magica per tre volte. Come una pellicola
che si riavvolge, si ripeté la scena iniziale ma a ritroso ed il
p a p à s c o m p a r v e .
Ed Eco? Eco piuttosto che ritornare alla sua eterna maledizione,
decise di rimanere nella cameretta e si trasformò in una
bambola che divenne la preferita di Lola. Era la sua preferita
perché cambiava espressione in base a come si sentiva Lola
riuscendo a trasformare il suo broncio in uno splendente sorriso
e far posare lieve sul suo cuore la preziosa piuma che lo
teneva unito e saldo.
SARA PALMA Classe IB
33
SEZIONE 6
Ricordi che profumano di
arancia
Camminavo sul viale con il trolley rosa in mano e la cartellina
verdeacqua nell'altra. Entrai in casa e il profumo della pasta
con la panna e il prosciutto mi avvolse in un istante. Mi sedetti
a tavola, a capotavola. Avevo avuto una giornata strana,
ero stata isolata da tutti per tutto il giorno, ma non ci badai.
Mia nonna accese la stufa e io sotto le coperte sul divano studiavo
geografia, la Norvegia. Ah quanto mi piacerebbe vedere
il sole di mezzanotte! Alle 19.17 finii di studiare. Mangiai
un boccone e mettendo il pigiama pensavo alla lezione di
geografia del giorno dopo, pensavo ancora al sole di mezzanotte.
Indossai il pigiama con i pinguini e andai a letto.
La mattina dopo mi svegliai e guardandomi allo specchio notai
una me diversa, una me piccola ma con la stessa mentalità
di una dodicenne. Agli occhi degli altri non sembravo diversa
ma io mi sentivo più piccola. Non avevo scuola, non sapevo
perché, ma non feci domande. Mi recai al cimitero con nonna
Elda. Una volta arrivata davanti al luogo di sepoltura di nonno,
non avevo più nonna che mi avvolgeva tra le sue braccia
ma lui, Nonno Mario. Un omone possente e alto, con delle
sopracciglia folte che ho ereditato e delle braccia talmente
forti da spaccare in due un ciocco di legno a mani nude.
Nonno Mario per me era semplicemente casa. Nonno era
l’odore di legna che sentivo quando rientrava. Era il sapore di
miele bruciato a Natale perché puntualmente lo lasciava troppo
sul fuoco. Nonno era la scopa che faceva sempre all’ultimo
giro quando giocavamo a carte. Era i racconti sempre
nuovi che ogni pomeriggio tirava fuori mentre io, una piccola
nana, mangiavo i Ringo sempre più incuriosita. Nonno era il
solco sul suo letto che rimaneva quando si alzava dopo aver
finito di guardare il Giro d’Italia. Era il sapore della spremuta
che bevevo alla mattina. Nonno era tutto per me, ma poi un
giorno qualcuno o meglio qualcosa me lo ha portato via.
Quella mattina nonno mi stringeva forte a sé, mi rassicurava
che sarebbe andato tutto bene perché c’era lui. Era come acqua,
più cercavo di stringerlo forte, più sgusciava via. Sentivo
il cuore in gola, la pioggia continuava a scendere incessante
sul mio viso. Non sapevo se i piloti di formula uno sul mio viso
fossero gocce di pioggia o lacrime, non lo sapevo. Avrei
voluto stringerlo a me forte e dirgli tutto quello che non avevo
potuto dirgli nella mia vita. Ma rimanevo muta, non dicevo
nulla. Perché non parlavo? Non lo so ma non lo facevo.
Per un secondo chiusi gli occhi,
riaprendoli subito
di scatto, come se avessi ap- pe- na starnutito.
Riaprendoli un colore
arancione
acceso attirò la mia
attenzione.
Arance, le aveva
portate z i a
34
Claudia al funerale. Vidi una figura avanzare sulla navata. Dovetti
chiedere chi fosse. «Come non la riconosci, Marta. È zia
Claudia». Mia cugina parlava singhiozzando ma non piangeva,
non l’avevo mai vista piangere. Portava un abito lungo, o
una maglietta a fiori, non lo so.
«Io la voglio con tre cucchiaini di zucchero». Mi girai di scatto,
sobbalzai come non avevo mai fatto. Paolo, l’amico di una
vita. Era piccolo e lo ero anche io, ma stavolta davvero. A pieni
polmoni urlai «Bleah, acida, si sente di più il vero sapore».
Era nonno Mario, si lui, era uguale. In un batter d’occhi, letteralmente,
mi ritrovai seduta a tavola con due spremute davanti
in due bicchieri grandi, grandi con su scritti i nostri nomi. La
mia era troppo acida, la sua troppo dolce e come al solito
scambiandole esclamammo a gran voce in coro «Oh, ora sì».
La casa ci crollò sotto i piedi ma senza emettere il minimo rumore.
Ero di nuovo al cimitero e mentre sussurravo un “Non
lasciarmi” senza un filo di voce sentii «Amore, svegliati». Sentii
delle mani morbide che mi toccavano, stavolta erano morbide
davvero, erano le mani di mia nonna. Era stato un sogno.
Beh, era stato comunque bello vederlo, poterlo abbracciare
di nuovo, avevo ancora il sapore di spremuta in bocca,
vorrei che non finisse mai.
Andai a scuola e arrivò l’ora di geografia tanto attesa. Non sognavo
più il classico, per modo di dire, sole di mezzanotte.
Sognavo il mio sole di mezzanotte, Nonno, Nonno Mario. Ho
dei
bellissimi RICORDI di lui. Di solito si alzava alle otto del mattino
e preparava il suo latte con il Nesquik e i pezzi di pane
che galleggiavano come boe. Ogni mattina, quando facevo
colazione con lui, mi riportavano alla mente quelle del Circeo
che galleggiano sopra alle buche. Poi si vestiva e indossava
la tuta blu che mia nonna gli comprava sempre alla Pam. Indossava
il cappello verde con il pile sulle orecchie anche
d’estate. Usciva e andava a curare le sue amate verdure e ortaggi
vari. Nonno era il sovrano indiscusso del cantiere. Il cantiere
di mio Nonno non era un cantiere normale. Nonno aveva
il suo piccolo angolo di orto dove coltivava di tutto. Aveva
anche le galline, sì le galline. Tornava a casa quando il sole
cominciava a cuocere. Entrava trionfante con un mazzo di insalata
oppure dei pomodori rosso fuoco e cominciava a mostrarmi
i loro particolari, anche quelli più minuziosi. Prima di
pranzo sulla sedia blu davanti alla televisione si incantava a
guardare “Geo Terra” su Rai 2. A tavola mangiava con gusto
tutto ciò che mia nonna gli preparava. Prendeva il suo cucchiaio
in mano e con la sua classica presa sul punto più estremo
del manico cominciava a mangiare con foga. Poi andava
a letto, sistemava tre cuscini sotto la testa, sprofondava dentro
le coperte e si addormentava senza emettere il minimo rumore.
Ah no, dimenticavo! Mio nonno aveva una caratteristica
nel sonno, rideva, rideva e rideva come mai.
La vita di mio nonno può sembrare monotona ma era la sua e
quindi anche la mia, che se ne è andata un po’ con lui.
Il giorno dopo. Al supermercato con nonna. Mi recai nel reparto
frutta per prendere le arance. Tornai al carrello e, poggiandole
delicatamente, nonna mi chiese «Cosa ci devi far
e ? » .
« M i h a i c h i e s t o l e a r a n c e e d e c c o l e » .
«Io ti ho chiesto i finocchi».
Chissà perché avevo preso le arance. Questo forse lo sapevo.
35
SEZIONE 7
La memoria di un sogno
Ho ripreso da lui il mio carattere, litighiamo sempre, non ha
mai voglia di fare qualcosa insieme a me. Passerebbe anche
la notte nel suo elegante ufficio, pur di non avermi intorno.
Solo una volta mi ha concesso di andare al lavoro con lui, ma
solo perché era la giornata dei figli e non poteva non portarmi
con sé. Mi ha riempito la testa di regole da rispettare rigorosamente,
non voleva fare una brutta figura; non era minimamente
interessato a sapere come stessi io.
Dopo la colazione mi precipito in bagno, mi lavo velocemente
e poi devo lottare con il mio armadio. Do molta importanza
alla mia immagine, mi vesto sempre con abiti alla moda.
Mi chiamo Stefano, ho tredici anni. Ho un carattere difficile,
infatti le persone che ho intorno mi allontanano. Neanche
mia madre mi sopporta. Sono antipatico a tutti persino ai professori.
Però il mio carattere forte mi rende un duro; agli occhi degli
altri appaio grande e maturo. In classe i maschi cercano di imitarmi,
anche se non lo dicono lo so.
La mia giornata inizia sempre con il rumore della sveglia seguita
dalla voce sgradevole di mia madre. È una donna alta e
magrolina, ha lunghe gambe e braccia sottili e una fastidiosa
voce stridula.
Entra nella mia stanza con passo deciso, i capelli arruffati, mi
scopre, urla che la colazione è pronta e mi solleva per un
braccio. Mi avvio verso la cucina dove trovo papà seduto a
fare colazione. Lui è un uomo goffo ma sempre elegante. È
un uomo d’affari. Ha lo sguardo minaccioso e una testa tonda
con radi capelli. Con me è sempre duro e appena lo vedo mi
passa la voglia di mangiare.
Il tragitto per la scuola sembra infinito. Case, macchine, distese
interminabili di erba, negozi, corrono velocemente attraverso
il finestrino che fisso angosciato in attesa di giungere in
quell’inferno chiuso tra quattro mura. Mi accompagna sempre
mamma. Non vola una mosca, forse perché abbiamo sonno,
ma non credo. Non parliamo perché non abbiamo niente
da dire. Mi sento vuoto. È strano che tra madre e figlio non si
crei un dialogo se non per litigare.
A scuola la situazione non è migliore.
Oggi è il 26 ottobre. La professoressa di
alza per controllare i quaderni; ho il
gola, il respiro affannoso. Il demone
castigatore mi guarda negli
occhi, non c’è bisogno che io
parli, ha già capito tutto.
Prendo un bel quattro e
italiano si
c u o r e i n
36
una nota che mia madre avrà visto in tempo reale: è sempre
incollata a quell’oggetto diabolico. Che brutta invenzione il
registro elettronico!
La seconda ora non va meglio. La matematica è incomprensibile
per me, così sprofondo sul banco e lascio la lezione scorrere.
Per fortuna alla terza ora manca il professore di inglese
e siamo divisi in altre classi. Finalmente posso rilassarmi ed
osservare i miei coetanei durante le lezioni. La mia presenza li
mette un po’ a disagio, soprattutto quando qualcuno viene
interrogato o rimproverato. Mi sento gli occhi puntati addosso.
Il mio atteggiamento duro mi rende strano. Voglio sembrare
più grande, ma poi mi sento a disagio ogni volta che
qualcuno mi guarda, vorrei sapere cosa pensa veramente di
me, vorrei che mi guardasse dentro.
Il resto della giornata trascorre velocemente, ma solo per accelerare
il momento inevitabile del confronto con mia madre:
il rimprovero per il quattro e per la nota. Per punizione non
mi manda all’allenamento di calcio. Lo sa che ci tengo moltissimo.
Nel campo nessuno mi critica o mi rimprovera, corro,
mi sento libero, sono padrone della palla.
Trascorro il pomeriggio senza dire una parola aspettando il
momento di andare a dormire. Lì, nella mia cameretta, non
ho bisogno di dimostrare niente a nessuno e senza paura di
essere rimproverato o giudicato, scoppio in lacrime. Sprofondo
nel mio vortice di pensieri e mi addormento.
A svegliarmi non è la voce stridula di mia madre, ma le note
melodiose della mia canzone preferita che provengono dalla
radio accesa. Ancora il 26 ottobre? Come è possibile?
Vado in cucina e trovo papà seduto, come sempre, a fare colazione.
Mi accoglie con un saluto caldo; guarda me e non il
suo solito noiosissimo giornale. Mi viene voglia di mangiare. I
soliti biscotti hanno un altro sapore, li divoro.
Durante il tragitto per andare a scuola mamma stranamente
ha voglia di parlare, ma le dico che devo ripassare letteratura
per l’interrogazione. Un forte senso di colpa mi stringe il petto,
forse voleva aprire un dialogo con me e io non gliel’ho
permesso, ma in quel momento ho pensato che non avevo
voglia di prendere un brutto voto. La sua voce dolce e materna
mi lascia però una sensazione di gioia profonda e mi dà la
carica per affrontare l’inferno, la scuola.
Alla prima ora la professoressa di italiano controlla i compiti e
mi fa addirittura i complimenti, dice davanti a tutti che sono
stato davvero bravo. Mi sento fiero e felice, una sensazione
che non provo da molto tempo, o forse non l’ho mai provata
veramente. Nell’ora successiva mi sforzo di seguire la lezione
di matematica e capisco che uno come me non può arrendersi
di fronte alle difficoltà, anche se si tratta di odiosi numeri.
Un duro deve affrontare anche le sfide più difficili.
Alla terza ora manca l’insegnante di inglese e venivamo divisi
in altre classi, ma gli sguardi brucianti dei ragazzi non sono
cambiati, mi fanno ancora soffrire. Il mio atteggiamento da
duro mi fa sentire forte, ma mi rende antipatico e allontana
gli altri da me. E io vorrei tanto che le persone si avvicinassero
a me.
Alle 14.00 la campana suona, ma non sento il desiderio di
fuggire dalle fiamme dell’inferno, mi avvio verso l’uscita con
passo lento.
Arrivo a casa, mamma mi accoglie con un sorriso orgoglioso,
sul registro elettronico non è comparso un quattro ma un bel
“più”. Mangio con grande appetito pensando alla partita che
37
dovrò giocare con la mia squadra. È una partita importante e
io devo dare il massimo.
L’arbitro fischia, corro, libero la testa, lascio tutto dietro di
me, anche l’ansia e la paura.
Segno tre goal portando la mia squadra alla vittoria. Il mio allenatore
mi guarda come non aveva mai fatto prima, si avvicina
e avvolge intorno al mio braccio la fascia da capitano. Il
mio più grande desiderio si è avverato, ho la sensazione che i
miei piedi si sollevino dal terreno e, come una piuma in volo,
mi allontano dal campo. Uscendo trovo mio padre, non posso
crederci, ha guardato tutta la partita e vuole festeggiare il
mio successo nel mio ristorante preferito. A cena mi racconta
la sua giornata e anche qualche emozionante episodio di
quando aveva la mia età e voleva diventare un campione di
basket; incredibile, non si è mai aperto in questo modo con
me. La memoria a volte fa miracoli! È proprio il papà che ho
sempre desiderato: allegro, complice, spiritoso, duro quanto
basta per farmi sentire protetto e sicuro.
Arrivo in cucina, do un bacio a mia madre e il buongiorno a
mio padre. Sui loro volti appare un piccolo sorriso che mi dà
la carica.
In macchina sono io ad aprire un dialogo con mamma, le parlo
di un lavoro di scienze che sto preparando con il mio gruppo;
lei è felice, non ha mai potuto parlare con me di scuola
senza che io mi trasformassi in un drago sputafuoco.
In classe ho provato a mostrare ai miei compagni anche le
mie parti più fragili e li ho sentiti più vicini. In fondo non ho
neanche perso il mio ruolo di duro.
Ci vuole coraggio per cambiare, per ricominciare.
Nei sogni puoi creare il mondo dei tuoi desideri. E può succedere
che, svegliandoti, il ricordo di quel mondo sia ancora vivo.
E può succedere che quel ricordo ti aiuti a realizzare il tuo
sogno nel mondo reale.
Suona la sveglia seguita dalla voce stridula di mia madre. Cos’è
successo? Dove sono le note della mia canzone preferita?
È stato tutto un sogno? Eppure era così reale!
Mi alzo e mentre mi trascino faticosamente verso la cucina,
penso che forse per poter vivere realmente una giornata come
quella del sogno, dovrei cambiare il mio modo di essere.
Se sono io a cambiare, anche le persone che mi circondano
cambieranno.
ILARIA BEVILACQUA Classe III A
La memoria di quel sogno mi ha aiutato a capire qual è il mio
più grande desiderio adesso: cambiare alcuni aspetti di me.
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SEZIONE 8
Lo “schizzo”
Dopo un lungo e stancante venerdì di scuola, Diego torna a
casa con il suo solito brutto voto. Nel garage non vede la
macchina della mamma e gli torna in mente che quella mattina
sarebbe andata a parlare con i professori. Diego comincia
a preoccuparsi, la scuola non fa per lui e sa già che lo aspetta
una brutta giornata. Per ingannare il tempo e non pensare
troppo decide di mettersi a giocare un po' con il telefono, facendo
finta che non succederà nulla.
Dopo pochi minuti il rumore di una porta sbattuta forte, lo riporta
alla realtà. Diego alza di scatto la testa e vede sua madre
stagliarsi davanti a lui. È così arrabbiata che sta per cambiare
colore. È talmente delusa per ciò che le hanno detto i
professori che nemmeno riesce a parlare. Stavolta la rabbia
sembra aver lasciato posto alla delusione.
Diego zitto corre più veloce che può in camera sua, i silenzi
di sua madre lo mortificano ancor più delle sue prediche, tanto
che non riesce a dirle di aver preso l'ennesimo brutto voto
q u e l l a m a t t i n a a s c u o l a .
Il pranzo scorre in un silenzio tombale. Il pomeriggio, dopo
aver fatto i compiti, la madre prende il telefono e sul registro
elettronico legge un bel “4” in inglese. In quel momento la
madre scoppia in urla e grida che riassunte vogliono dire solo
una cosa <Sei uno scansafatiche!!!>.
Diego corre in camera sua piangendo e spera che il padre tornato
da lavoro non si arrabbi così tanto come mamma. Ma la
speranza è vana. Il padre è ancora più duro e su tutte le furie
ed esce dalla camera di Diego sbattendo la porta.
A cena il clima è gelido, ma una luce si accende, quando la
mamma dice che l'indomani sarebbero andati a trovare i nonni.
Diego non vede l'ora di parlare con suo nonno.
La notte passa più velocemente di sempre. La mattina partono
per Firenze, dove vivono i nonni. Il viaggio è una continua
e noiosa predica, altre sgridate e altre punizioni pronte per
D i e g o .
Dopo due ore di viaggio Diego è felice che sia finito, per lui
sono state le due ore più brutte di sempre.
Entrando, sente l'odore di casa dei nonni che è indescrivibile,
u n m i s t o t r a a n t i c o e d o l c e z z a .
Nonno è già sveglio, seduto sulla sua poltrona rossa dove di
solito guarda la televisione o legge ”Tv sorrisi e canzoni”, come
vede Diego fa un grandissimo sorriso, allarga le braccia e
va verso di lui. Diego lo abbrac-
cia forte, e capisce
subito che nonno ha lo
“schizzo”.
Lo schizzo è quando il
nonno
parla di più, è sveglio
mentalmente, perché di
solito il non-n o d i
39
D i e g o
trascorre il
suo tem-
po da solo
a guarda-
re la TV o a
leggere. Invece quel
giorno è molto sveglio
e copre Diego di un sacco di complimenti, comincia a parlare
d i q u a n t o s i a b e l l o e i n t e l l i g e n t e .
Pranzano con un'ottima pasta al ragù, che anche Diego e sua
madre quasi ogni domenica cucinano, ma nessuno è mai riuscito
a battere il ragù della nonna. Il ragù della nonna è il ragù
della nonna. Durante il pranzo i grandi parlano del più e
del meno e ovviamente pure dello scarso impegno di Diego
a scuola, ma il nonno si gira e gli sorride ancora.
Terminato il pranzo, tutti si mettono a guardare un po' di tv,
Diego è con il telefono seduto vicino al nonno che comincia
a raccontare una delle tante storie di quando era ragazzo.
“Sai, Diego, ai miei tempi c'erano le lire e una volta comprai
così tanti ghiaccioli da farsi venire il mal di pancia e poi oltre
al mal di pancia presi pure due sonori ceffoni da mia madre”.
E continuando a perdersi nei suoi ricordi, scoppia in una risata.
“Subito dopo la guerra non avevamo molto di cui mangiare
e così, pensando di rendermi utile, andavo a rubare la frutta
dagli alberi, i contadini si arrabbiavano, mi rincorrevano
con il bastone e lo raccontavano a mamma, che poi mi risuonava
i suoi graditi ceffoni!”. E scoppia ancora una volta in una
s o n o r a r i s a t a .
Diego si immedesima moltissimo nel racconto del nonno,
spegne il telefono e rimane ad ascoltarlo accoccolandosi sull
e s u e g a m b e m a g r e .
“Sai, tesoro mio, a scuola non ero bravo, ma mi piaceva, anche
se i miei risultati erano scarsi. L'unico bel voto che presi
fu un sette a disegno. Disegnai un misero vaso di fiori, ma feci
lo sfondo nero, ancora mi ricordo i complimenti della maes
t r a ! ” .
“Scusa, nonno” lo interrompe curioso Diego “ Ma perché ti
piaceva andare a scuola se non eri bravo. E poi perché la
maestra? Non c'erano i professori ai tuoi tempi?”
“Diego mio, a scuola mi divertivo, mi piaceva imparare cose
nuove e poi mi aiutava a non pensare a tutti i problemi di casa.
Sai il dopoguerra è stato duro, non avevamo niente da
mangiare. Mio padre non era tornato dalla guerra e mia madre
era sola con quattro figli piccoli, per questo ho dovuto lasciare
la scuola dopo la licenza elementare! Non è stato facile
andare a lavorare così giovane”. Diego rimane vicino al nonno
fino a sera tardi, e capisce quanto si somigliano e da chi
abbia preso il “gene dello scansafatiche”. Tutti ormai sono
andati a dormire, ma nonno quando aveva lo
“schizzo“ poteva parlare per ore e Diego non voleva perdere
questa occasione. Guarda nonno negli occhi e gli promette
che avrebbe combattuto il gene dello scansafatiche e avrebbe
studiato e continuato a farlo anche per lui. Prima di andare
a dormire si scambiano un grandissimo abbraccio. Il giorno
dopo però il nonno non ha più lo schizzo, è ripiombato
nel suo mondo di televisione e riviste, la malattia purtroppo è
così. Diego è molto triste, ma va a fare una passeggiata con
mamma e papà, si diverte a dare da mangiare e a osservare i
cuccioli di anatre, a saltare sui trampolini. Così la tristezza passa.
Giunge l'ora di partire. Arrivato a casa, Diego studia storia
per ben due ore e dopo una cena “leggera” con due piatti di
pasta al pomodoro, va a dormire. Il giorno dopo va a scuola
sereno e tornato a casa felice dice alla mamma di aver preso
un sei a matematica e uno a storia. La madre quasi piange
dall'emozione ed abbracciando il figlio esclama soddisfatta
”Andiamo più spesso dai nonni se ti fa questo effetto”. Die-
40
go sorride. Continua a studiare e i suoi risultati migliorano
con grande soddisfazione di tutta la famiglia.
Chissà forse anche nonno è soddisfatto di lui e chissà se in un
giorno di “schizzo” glielo avrebbe mai confessato. Diego si
ricorderà sempre di quel giorno in cui il nonno con le sue storie
gli ha cambiato la vita .
SPAGNUOLO PAOLO Classe IIB
41
SEZIONE 9
Ritratto su tela
Riuscivo a vederla, ancora lì seduta, la stanza buia e solo quella
fioca luce ad illuminarla, come una madonnina nella sua nicchia.
La sera tardi era l’unico momento della sua interminabile
giornata in cui il lavoro e tutte le faccende di casa erano
svolte. Lì in quello spicchio di tempo, seduta sulla poltrona,
trovava il tempo di mandare su e giù il filo tra le trame di
quella tela, nel silenzio. In quei momenti riuscivo a sentire il
suono dell’ago quando trapassa la tela e il filo che scorreva.
Era ostinata a finirlo in fretta per dare vita a quel gatto che
s t a v a r i c a m a n d o .
Mia madre è ancora giovane e molto bella; capelli lunghi e
scuri, occhi verdi, fisico asciutto, sempre sorridente e solare.
Il ricordo che ho però di quel periodo è di una donna in là
con gli anni, con le prime rughe, gli occhi tristi, il viso cupo e
le “borse” sotto gli occhi. La scomparsa del suo adorato mic
i o l ’ a v e v a c a m b i a t a .
Mizio così si chiamava, un nome di origine indiana, con significato
di “bianco, candido”, come il suo soffice pelo. Dopo otto
anni nella nostra famiglia ormai ne era parte a tutti gli effetti.
Lui e mia madre erano in simbiosi perfetta, uno conosceva
già le mosse dell’altro. Quando lei camminava lui era sempre
tra i suoi piedi, ma non lo calpestava mai, sembrava ballassero
un valzer in perfetta sintonia. Mizio non miagolava, emetteva
strani versi per farsi capire e mia madre azzeccava sempre
quello che voleva. Era affezionato a tutti, ma per lei doveva
provare un’adorazione speciale, la guardava sempre con quegli
occhioni innamorati, quasi a venerarla. L’aspettava al cancello
per ore con aria quasi preoccupata, non riuscivamo a distoglierlo
da lì, non ci filava neanche in cambio dei suoi croccantini
preferiti. Quando compariva la macchina di mia madre
lui scodinzolava, Quando scendeva dalla macchina cominciava
ad emettere un suo strano verso simile a quello di un grillo.
Allora mia madre una volta in casa gli riempiva la ciotolina
di croccantini e lui finalmente si rilassava e mangiava così lei
riusciva a salutare me, mio fratello e mio padre senza averlo
tra i piedi. Io purtroppo sono allergico al pelo del gatto quindi
Mizio frequentava la casa per poco tempo durante il giorno.
Abbiamo però un giardino enorme con alberi dove era
solito arrampicarsi e una cantina dove mio padre tiene gli attrezzi
da lavoro e la legna del neanche fosse stato un cane, e
cambiava espressione, tra i baffi sembrava sorridesse. camin
o , d o v e M i z i o l a n o t t e d o r m i v a .
Ricordo un giorno quando si presentò davanti a mia madre
baldanzoso con un piccolo topolino in bocca, io e mio fratello
ci demmo alla fuga, invece no- tai mia madre
contenta come quel giorno che mio p a d r e
arrivò da lei con quindici ro- s e
rosse. Bah, valle a capire l e
donne! Tutte le mattine
alle 6:30 era davanti la
42
porta ad aspettare che mia madre aprisse per dargli il primo
pasto della giornata e le carezze. Quella mattina però, dopo
essere stato puntuale per otto anni, non c’era ad aspettare la
colazione e le coccole. Non si presentò a pranzo, non si presentò
a cena. Lo cercammo ogni giorno lasciando acqua e cibo
davanti alla porta, appendemmo ovunque volantini e mettemmo
annunci su internet. Il nostro paese fu molto solidale,
ricevemmo numerose segnalazioni che riaccesero le speranze,
ma nessuna a buon fine. Mia madre dapprima ottimista,
sembrava ormai dopo un mese, essere caduta nel pessimismo
più nero, sfiduciata, terrorizzata dal fatto che non l’avrebbe
più trovato. Fu dopo un mese esatto dalla sua scomparsa
che cominciò a ricamare il suo musetto su quella tela, come
se quel ricamo assumesse per lei dei significati particolari.
Usava il filo come un originale inchiostro per fissare la sua immagine,
e l’attesa, il tempo che passava, in quel modo era
più lieto, come se così in qualche modo si prendesse comunque
cura di lui. Un modo per rimanere in connessione, un filo
conduttore. Passò diverso tempo ancora, più o meno tre lunghi
mesi, ma il desiderio di ritrovarlo, di riaverlo in famiglia
e r a a n c o r a a c c e s o .
Una mattina alle 6:30 uno strano miagolio ci fece balzare tutti
giù dal letto. La prima ad arrivare alla porta fu mia madre ovviamente.
Con il cuore che le batteva all’impazzata aprì, ritrovando
Mizio davanti ai suoi piedi stremato, sporco, quasi
scheletrico, con evidenti ferite sul corpicino, dietro le quali si
nascondeva una storia impossibile per lui da raccontare, ma
di sicuro tracce lasciate da una terribile esperienza di vita. Dopo
aver provato a farlo mangiare e bere senza successo, lo
portammo dal veterinario. Gli diede le prime cure, lo visitò e
poi cominciò a riempirci di strani e incomprensibili termini come
peritonite infettiva, rinotracheite virale, infezione isogena
setticemica, batteri, microrganismi... Non ci capivo nulla e
neanche i miei genitori. Poi mia madre parlò per conto suo
con il veterinario e dopo quasi venti minuti uscì con Mizio in
braccio, fortunatamente vivo, ma mia madre aveva gli occhi
gonfi di lacrime che non lasciavano intendere nulla di buono.
Solo successivamente, a casa, ci spiegò che il veterinario gli
aveva suggerito di sopprimerlo per non farlo soffrire, perché
ogni cura sarebbe stata vana. Ma lei quella decisione non voleva
prenderla. Lo voleva ostinatamente a casa con lei. Lo
aveva sistemato in una cesta vicino la sua poltrona, là dove
ogni tanto metteva ancora punti su quella tela. A me piaceva
pensare che rammendasse le ferite di Mizio e che quindi in
quel modo si prendesse cura della sua guarigione. Ma in realtà
peggiorava di giorno in giorno. Tre giorni dopo mi svegliai
alle cinque di mattina per andare in bagno, vidi una fioca luce
nel salotto, mia madre era già lì sulla poltrona vicino alla
cesta. Forse non si era mossa da lì per tutta la notte. Mi chiamò
vicino a lei e mi disse mentre tagliava un filo del ricamo
con le forbici: ”L’ho finito vedi, sto tagliando l’ultimo filo“. Poi
continuò: “Ciò che divide il bene e il male, il giusto e sbagliato
è un filo talmente sottile...a volte quel filo si spezza e tutto
si mischia senza comprendere quale sia la scelta giusta. Ci si
smarrisce”. Facevo fatica a seguirla ma continuò: “Questa
notte però ho preso coraggio, non pensavo di averne così
tanto, ho deciso che è ora di spezzare questa sofferenza, non
posso essere così egoista e averlo qui a suo discapito”.
Lo adagiò nel trasportino e da sola andò dal veterinario. Cinque
giorni dopo mia madre appese alla parete del salotto un
quadro con il ritratto su tela di Mizio. Da quella parete Mizio
sembra avere gli occhi sempre su mia madre, quegli occhioni
innamorati. Loro rimarranno sempre uniti da un filo invisibile,
e ovunque saranno quel filo non si spezzerà mai.
SPAGNUOLO PAOLO Classe IIB
43
CAPITOLO 4
I.C. Giovagnoli
Monterotondo
Sono trascorsi nove anni.
SEZIONE 1
Voci
Mi trovavo al mare con i miei, era un giorno d’estate scandito
da riti ben precisi: ci si svegliava presto, si andava al mare, si
pranzava, a volte dormivamo al mare di pomeriggio, si cenava
e poi insieme si andava sul pontile.
Ad un certo punto il meccanismo si interruppe.
Sentii urlare…voci a me estranee e al tempo stesso familiari
che si sovrapponevano, una porta sbattuta…e poi silenzio.
Ricordare, spesso vuol dire cullarsi nel proprio passato.
Aprire porte delle quali si credeva di aver perso la chiave e
poi ritrovarla grazie ad un profumo, una foto, un suono, un sapore
o anche un’emozione.
Ricordiamo per trovare un “altrove”, nel momento in cui sentiamo
che la realtà ci opprime o più semplicemente quando
vorremmo stare da un’altra parte: fuori dalla classe, dalla stanza
in cui ci troviamo o dall’ufficio in cui lavoriamo.
Appena sentiamo un odore particolare, vediamo un oggetto,
una fotografia, sentiamo un timbro di voce particolare, un
passo specifico, una determinata canzone ebbene: noi ricordiamo.
Subito. Istintivamente. Ricordiamo.
Mia madre mi venne vicino, io e mio padre guardavamo i cartoni
animati, o meglio, facevamo finta di essere interessati ad
altro, mi disse di prendere il cappellino perché saremmo andate
a fare una passeggiata.
Al nostro ritorno non vidi più i sandali infradito del nonno pieni
di sabbia fuori la porta di ingresso, le sue chiavi in corridoio,
il cappello sull’attaccapanni, la sua settimana enegmistica
sulla cassapanca, la valigia….
Il nonno era andato via.
Mia madre non disse nulla.
Più tardi sentii un rumore
Mi chiamo Caterina ed ho un ricordo che credo di non riuscire
a togliere mai più dalla testa.
45
familiare…una macchina…poco dopo la serratura della porta
di ingresso scattò e dietro la porta comparve il nonno.
Non mi salutò, non rispose neanche alla mia “Buonanotte” e
finì così.
La mattina dopo mi svegliai in macchina, stavamo tornando
in città.
Questo è l’ultimo ricordo che ho di lui…il ricordo della sua voce
è stato consumato dal tempo ed io ho rimosso tutto il resto.
Florido Giulia Classe III G
46
con piacere anche se con il tempo diventano sempre più sfumati.
SEZIONE 2
La mia città
Quando torno nella mia città natale noto che è cambiata, è
diversa da come me la ricordo, ma non per questo la mia voglia
di tornarci diminuisce: anche se Salerno è cambiata resta
comunque la mia città.
C’è qualcosa di magico nella “reminescenza”, questa magia
avviene ogni volta che uno dei miei cinque sensi mi ricollega
al passato in questo caso si accende una sensazione, un sentimento
di malinconia, ritorno a quando ero piccolo ed ero
l’unico bambino di casa, senza obblighi o responsabilità. Purtroppo
non si può tornare indietro se non con il ricordo o con
qualcosa che attivi la “rimembranza”: le fotografie, gli odori
ma anche i sapori, rumori e suoni.
Massaro Nicolò III G
Tutto questo mi permette di tornare nel luogo dove sono nato
e dove sono vissuto durante la mia infanzia: Salerno.
Ogni volta che sento l’odore della salsedine, ogni volta che
sento il rumore delle onde che si infrangono sulla costa, ogni
volta che assaporo il gusto della pizza, ogni volta che riguardo
una foto di me stesso nella casa in cui tutto è cominciato,
vivo una sorta di malinconia per quei momenti che ricordo
47
SEZIONE 3
La Gabbia
al suo caldo abbraccio, al suo profumo, al rumore della carrozzina
che girava per casa, alle sue urla di dolore quando le sollevavano
la gamba.
Ripenso alle foto che la ritraevano giovane ,nonna era proprio
bella!
Ricordo i santini che aveva in camera e che si teneva stretta a
sé, era molto religiosa tanto che leggeva il Vangelo addirittura
mentre mangiava lo yogurt al caffè di cui era ghiotta, lo yogurt
al caffè le piaceva molto.
Ad Agnone Cilento… il ricordo mi porta lì.
…Era agosto, un agosto freddo, diverso.
C’era qualcosa nell’aria che non mi convinceva. Nonna era diversa
dal solito, stava male come sempre, ormai ci aveva fatto
l’abitudine a quel dolore che ogni giorno la tormentava.
Nonna mi voleva bene, lo so, percepivo il suo affetto anche
se parlava poco e dimostrava a stento quello che provava.
Tutto per colpa di quella stupida sedia che la bloccava come
se stesse in una gabbia.
Nonna è venuta a mancare tre anni fa dopo numerosi interventi.
Mia nonna resterà sempre nel mio cuore, nei miei pensieri…
con una carrozzina: è così che me la ricordo.
Nori Matteo III G
A nonna faceva male soprattutto la gamba nella quale ogni
giorno veniva iniettata attraverso una puntura, una dose di antidolorifico
per non sentire dolore.
Ripenso con tenerezza ai soldi che mi regalava ogni volta che
tornavo a Monterotondo,
48
da una grande felicità perché quando mi abbracciava mi sentivo
“come nel grembo materno”.
SEZIONE 4
La galleria
Era dicembre, non ricordo che giorno fosse, ero in macchina
con mio padre andavamo a comperare il necessario per una
cena. Non so precisamente il motivo visto che non sono un
grande estimatore di foto, ma quel giorno aprii la galleria del
mio cellulare e inaspettatamente mi imbattei in un selfie con
mia nonna, all’istante sentii riaffiorare racconti, vicende e ricordi.
Mi girai verso papà e gli feci guardare le foto. Sorrise.
Non capivo il motivo, ma evidentemente anche lui stava ricordando.
Disse:” Quante gliene ho combinate” ed accennò ad
un sorriso e da quel momento pensò solo a guidare e non disse
più una parola.
Poi cominciai ad entrare nella mia “galleria” dei ricordi.
…Il pomeriggio dopo la scuola le piaceva molto raccontare la
sua vita. Aprivo la porta di casa, la prima cosa che facevo dopo
essere entrato era salire quei quindici gradini, ero pervaso
In quella stanza dove trascorreva la maggior parte della vita
ho dei ricordi stupendi.
Aprivo la porta e mi investiva l’odore d’arancia appena sbucciata
che mangiavamo insieme.
Uscii dal “ricordo” e tornai alla macchina un po’ spaesato; mi
guardai intorno e mi cadde l’occhio sulla conchetta dello
sportello dove notai una carta da gioco: un cinque di fiori.
Sembrava messa apposta lì per ricordarmi di quando non andavo
a scuola e giocavo a scala quaranta con quelle carte così
scivolose che quando le poggiavo sul letto si ribaltavano e
non appena succedeva l’espressione del volto di mia nonna
cambiava totalmente. L’espressione cambiava anche quando
faceva un sorrisetto che esplodeva in una risata quando vinceva.
In quel momento scoprii il bello di rivivere i momenti passati
con chi vuoi bene.
Eravamo quasi arrivati e pas-
sammo
davanti alla casa di ri-
poso
Raggio di Sole.
49
È lì che ha trascorso il suo ultimo anno di vita e ne ho un bellissimo
ricordo.
Il pomeriggio andavamo a farle visita per due
ore.Suonavamo il campanello poggiato su di un cancello di
metallo ed il suono era come quello di una sveglia, prontamente
il personale ci apriva.Percorrevo quei corridoi con
gioia, entusiasmo, velocità e felicità aspettando quell’abbraccio
che mi faceva stare bene. Ho il ricordo anche del suo portamonete
di velluto soffice e morbido con all’interno due o
tre euro con cui mi prendeva la merenda che aveva un sapore
cento volte più buono. A fine visita, e questo mi rattrista davvero,
ci lasciavamo con quel saluto ripetuto ad ogni passo:”
ciao, vi voglio bene”. Sperava che restassimo più a lungo perché
sapeva di stare male e voleva trascorrere più tempo possibile
con chi amava.
Sentii una lacrima scendere dagli occhi, era salata, amara e
dolce allo stesso tempo: amara perché non potrò più sentire
la sua voce, il suo CIAO…ma dolce perché lei rimarrà sempre
con me.Arrivammo al supermercato, ero ancora pensieroso
ma felice di aver rispolverato ciò che avrò per sempre con
me.
Il ricordo stupendo di mia nonna.
FARRUGIA FRANCESCO PIO CLASSE 3 III
50
CAPITOLO 5
I.C. Campanari
Monterotondo
SEZIONE 1
La memoria
La prima volta in cui sentii parlare del giorno della memoria è
stato a Berlino quando arrivai in una piazza con tanti blocchi
di pietra ed iniziai a saltarci sopra. D’un tratto mamma mi disse
che quello non era un luogo di gioco ma un monumento
in memoria degli Ebrei. Poi ne sentii parlare a scuola dalle
mie maestre.
È assurdo pensare che venivano uccisi nelle camere a gas, nei
forni crematori oppure sparati, e che i bambini e gli anziani
venivano uccisi subito.
Grazie alle testimonianze e ai ricordi delle persone che sono
state nei campi di concentramento, ogni persona sa cosa è
successo; è importante che questi ricordi non vadano persi
ed è grazie al giorno della memoria che questo ricordo sarà
tramandato alle generazioni future, perché non succeda mai
più.
Non deve più accadere!
Alessio Mancini 1A
Quando capii cosa era veramente l’olocausto, iniziai ad aver
paura perché i bambini erano indifesi.
Quando vedevo i film sull’olocausto non riuscivo a capire cosa
avessero fatto di male gli Ebrei per essere uccisi. Per me
questa è una pazzia perché siamo tutti uguali anche se di colore
o religione diversa.
Credo che sia importante affrontare questo argomento già da
piccoli, perché tutti possiamo riflettere su quello che è accaduto,
sull’ingiustizia, la crudeltà, la follia e l’amarezza.
52
SEZIONE 2
Bulli da dimenticare
Ogni mattina lo stesso fardello. Questo era quello a cui era
condannata Emma. Viveva la sua giornata, a volte si divertiva,
a volte meno. La sera, prima che il sonno le chiudesse gli occhi,
sperava che l’indomani ogni ricordo fosse cancellato dalla
sua mente. E una mattina ciò avvenne. La sua memoria era
diventata una pagina bianca. I suoi genitori, disperati, contattarono
neurologi, psicologi e persino maghi, ma nessuno sapeva
dare una spiegazione. “È una malattia rara!”. “Vuole attirare
l’attenzione!”. Nessuno fu in grado di capire.
Erano le sei e mezza di mattina, la sveglia aveva suonato. Alle
sette Emma aveva raggiunto sullo scuolabus Sara e Alice.
Quel giorno le sue amiche sembravano non volerle stare vicino.
Era molto strano poiché non si erano mai separate. Ancora
più strano per Emma era stato vedere Sara ed Alice vicino
a Lorenzo e Mattia, i bulli della classe. Mentre Emma scendeva
dallo scuolabus aveva sentito: “Passa la sfigata!”. Non poteva
crederci. Era stata Alice! Quelle frasi, pronunciate dalla
sua amica speciale, le avevano insinuato un dolore acuto. Emma
era entrata in classe e Lorenzo aveva iniziato a cantare
una canzoncina che lei conosceva molto bene. Era un motivetto
della sua infanzia. Le parole però erano diverse, offensive,
cattive. I due bulli avevano trovato in rete un video che i genitori
di Emma le avevano fatto da piccola. In quel video Emma
cantava quella canzone mettendo la s al posto della f in ogni
parola. I due bulli avevano trasformato il suo ricordo dolcissimo
in una grottesca parodia.
Nei giorni seguenti Emma aveva iniziato ad isolarsi e a maturare
il desiderio di cancellare ogni ricordo dalla mente. Questo
desiderio era cresciuto di giorno in giorno, ad ogni risatina
dei compagni, insensibile anche alla preoccupazione dei
genitori che pure amava tantissimo. Nessuno l’avrebbe capita.
Finché un giorno, ciò che tanto desiderava era accaduto.
S’era svegliata senza passato. Emma s’era nascosta al proprio
dolore.
De Matteis Eleonora II E
53
SEZIONE 3
Gli Italiani in America
Ero a casa di Zoe, sua sorella maggiore ci diede del pane con
la marmellata. Mentre mangiavo vidi una foto appoggiata su
una delle mensole. C’era una sfilza di uomini con delle sottospecie
di valigie in mano che sembrava stessero per scoppiare.
Continuavo ad osservare, quando entrò in cucina la zia di
Zoe, Greta. Subito mi si avvicinò e disse: “Mi sembri molto
incuriosita, se vuoi ti racconto la storia del mio bisnonno Gianni”.
Mi girai verso Zoe, e lei col suo sguardo mi convinse, perciò
sua zia ci portò in salotto e cominciò a raccontare: “Dovete
sapere che l’Italia molto tempo fa era un paese assai povero,
le famiglie stentavano a vivere perciò molte di queste arrivavano
in America, nella speranza di iniziare una nuova vita.
Tra queste famiglie c’era quella del mio bisnonno, Gianni.”
Dopo di che andò a rovistare in un cassetto e tirò fuori un album
pieno zeppo di fotografie. Ce ne mostrò una di una famiglia
con cinque figli, avevano dei volti emaciati e dispersi...
“Qui la famiglia di Gianni era appena arrivata a Boston. Il mio
bisnonno aveva trovato un lavoro come operaio, era l’unico
modo per poter sfamare i figli.” Io e Zoe la guardavamo con
curiosità e stupore. Prese il telecomando e ci mise un video
alla televisione. La registrazione era stata fatta in una piazza
di Boston, c’erano degli altissimi palazzi e la gente guardava
colui che registrava con diffidenza. “Gli italiani non erano accettati
dagli americani” disse Greta, e io risposi:” Come noi
non accettiamo gli extracomunitari?”, lei abbassò lo sguardo
e annuì... Poi ricominciò:” Purtroppo Gianni non fu ben pagato
e non ebbe fortuna...” Stavo per uscire dall’appartamento
di Zoe per recarmi da mia madre che era appena arrivata, e
lei aggiunse:” Ricordati di non giudicare chi sta affrontando
tutto ciò, i tuoi antenati hanno passato lo stesso, ma la comunità
spesso fa finta di niente...”
Turi Asia II A
54
SEZIONE 4
La memoria
La memoria e’ una parte molto importante della nostra vita, e’ il posto
della nostra mente dove
affiorano ricordi , emozioni o eventi tristi della nostra esistenza . Se parliamo
di memoria il mio pensiero va’ alla deportazione degli Ebrei nei
campi di concentramento nella seconda guerra mondiale per mano
dei nazisti, che li fecero morire a milioni . I nazisti li conducevano nei
campi
di sterminio dove venivano costretti a lavori pesanti per poi essere uccisi
nelle camere a gas e bruciati nei forni crematori.
Una brutta pagina di storia organizzata dalla follia di Hitler e dell’esercito
tedesco.
La memoria non è solo ricordi tristi , ma puo’ essere utile ad esempio a
non ripetere errori che commettiamo , essere motivo di crescita per diventare
responsabili .La memoria insomma e’ la parte del nostro cervello
piu’ importante, io la paragonerei ad un personal computer dove sono
inseriti tutti i nostri dati di ricordi ed emozioni .Un episodio bello che fa
parte dei miei ricordi di infanzia è quando mi sono recato dalla mia vicina,
perche’ mi aveva regalato due gattini neri,mi batteva forte il cuore
per l’emozione e appena li ho presi tra le mani era come possedere un
enorme tesoro.Il loro flebile miagolio era musica per le mie orecchie.
Un altro ricordo bello nella mia memoria è quando andai con i miei genitori
a scegliere il mio cagnolino Kiko , ricordo erano quattro cuccioli
due maschi e due femmine , lui si diresse subito verso di me e scodinzolava
felice ed io non ho avuto dubbi nello scegliere lui, fu amore a
prima vista. Quindi la memoria e’ un tesoro di informazioni e risorse da
cui possiamo attingere per migliorarci , purtroppo nei ricordi della nostra
memoria possono esserci anche brutti ricordi o episodi spiacevoli
da ricordare , molte volte la nostra mente cerca di cancellare i brutti ricordi
ma anche i momenti spiacevoli fanno parte di essa. Ad esempio
un ricordo spiacevole nella mia memoria e’ quando il mio papa’ mi disse
che il mio gattino era
morto , fu un momento di profonda tristezza e ricordo che prsino mio
nonno , venne a consolarmi, ma io non riuscivo a fermare le lacrime .
Ognuno di noi insomma coltiva le proprie memorie belle o brutte che
siano , la memoria e’ la nostra storia , ma allo stesso tempo e’ anche il
nostro futuro, perche’ piu’ la memoria e’ attiva piu’ siamo in grado di
migliorare per creare il nostro futuro per un
mondo migliore, possibilmente sen-
za guerre e molto
piu’ rispettoso dell’ambiente in cui
viviamo.
Veschi
55
SEZIONE 5
La memoria
Per me la memoria è molto importante, senza di essa non ci
ricorderemmo la nostra infanzia, una conversazione avuta con
una persona, una raccomandazione, il giorno del nostro compleanno,
il proprio nome, o le cose studiate per un’ interrogazione
o una verifica scritta (che neanche faremmo perché senza
memoria i professori se ne scorderebbero del tutto), un impegno
importante, un’uscita tra amici, un colloquio di lavoro,
un evento, una festività e molte altre cose. È vero, le cose si
posso appuntare su un quaderno apposito ma ci scorderemmo
anche dove lo abbiamo messo. Di solito la sottovalutiamo
e se ci chiedono quale sia la cosa a cui teniamo di più si
risponde sempre “la famiglia e gli amici”, mentre la cosa veramente
più importante è la memoria, perché senza di essa
non solo non ci ricorderemmo il nome dei nostri amici e parenti
ma neppure di averli, di avere una nostra vita, esistenza,
tutto. È come scrivere la propria autobiografia dalla nascita
fino al momento in cui si scrive descrivendo ogni momento e
utilizzarla per ricordarsi ogni singola cosa vissuta, e poi ad un
tratto essa finisce nelle fiamme di “un vuoto di memoria” e
così rimaniamo senza sapere chi siamo, dove abitiamo, qual
è la nostra famiglia e i nostri amici, e dopo molti sforzi non
riusciamo ancora a rispondere a tutte quelle domande, non si
potrebbe vivere. Sto provando a immaginare come sarebbe il
mondo senza di essa e credo proprio che sarebbe terribile.
Gli scienziati i poliziotti o carabinieri, gli insegnanti o gli istruttori
di uno sport non saprebbero più fare niente. Le cose che
succederebbero in assenza di memoria, oltre a scatenare tragedie,
cambierebbero il mondo in un modo mai visto. Ci sono
delle malattie come l’alzheimer che portano la perdita della
memoria ma pensate a tutto il mondo senza memoria. Si
inquinerebbe ancora di più senza ricordarsi delle conseguenze,
a cacciare senza limiti, a tagliere alberi a volontà. Qualche
mese senza memoria e sono sicura che il mondo non esisterebbe
più per svariati motivi. Speriamo che questo non accada,
anzi sono sicura che non succederà mai, neanche in futuro.
Zandrelli Alice I E
56
SEZIONE 6
La memoria
in auto e quando l’accese non funzionava, perché quel giorno
doveva andare pure dal meccanico a far riparare l’auto. Il
signor Rossi, disperato, provò a cercare una stazione di polizia;
non poteva neanche chiedere aiuto, perché si era fatto
tardi e non c’era più nessuno in giro. Fortunatamente, vagando
per la strada, trovò casa sua e una volta entrato decise di
cenare, ma non aveva niente da mangiare perché doveva fare
pure la spesa. Dopo questa disavventura il signor Rossi capì
l’importanza della memoria, quindi si allenò a non scrivere
più sul taccuino e a esercitare la sua memoria.
C’era una volta un signore chiamato signor Rossi, il quale sosteneva
che per lui la memoria era inutile, perché scriveva tutto
quello che doveva ricordare su un taccuino; si era talmente
abituato a scrivere su quel taccuino che dimenticava automaticamente
tutte le cose che doveva ricordare. Lui faceva questo
perchè pensava che non ricordare le cose avrebbe aiutato
il suo cervello a stancarsi di meno. Capitò un giorno in cui il
signor Rossi aveva molti impegni, ma che lui ovviamente non
ricordava. Quella mattina aveva un appuntamento con il medico
e lui era in ritardo, però riuscì a guardare in tempo il taccuino
ed a uscire di casa. Ad un certo punto del tragitto lui
non ricordava più la strada, allora decise di controllare sul taccuino
ma si accorse che per la fretta di uscire lo aveva scordato
a casa; quindi provò a fare dietro-front ma si era perso! Provò
a chiedere indicazioni ma non ritrovava la via di casa. Allora
chiese indicazioni per il dottore e fortunatamente riuscì ad
ottenerle. Quando arrivò da lui vide che aveva sbagliato dottore,
perché non si ricordava come si chiamava; allora tornò
Francesco Tombesi 3 D
57
SEZIONE 7
La ladra di memoria
C’era una volta un ragazzo che viveva in una piccola città di
provincia e che lavorava come bancario, ma non aveva nessun
tipo di strumento ad aiutarlo , riusciva a fare tutti i calcoli
a mente e a ricordarsi tutto a memoria, e proprio per questa
sua dote era il migliore nel suo lavoro .Un giorno arrivò in città
una donna che prevedeva il futuro ,e si accampò con una
tenda proprio accanto alla sua banca. Di lì a qualche settimana
ci sarebbe stata la premiazione per il miglior lavoratore e
come gli anni scorsi Tommaso ( questo era il nome del ragazzo)
avrebbe voluto vincere .Lui però aveva molta ansia e
fretta , allora decise di andare dall’indovina per vedere se
avrebbe vinto( lui o il suo rivale Lucas ) . Si incamminò , chiese
permesso e entrò nella tenda. Vide una donna seduta sopra
un cuscino con davanti un piccolo tavolino in legno abbastanza
basso, su cui c’era una sfera di vetro , la tenda il giorno
era illuminata dalla luce del sole, mentre la notte da una
piccola lanterna luminosa. Il ragazzo la salutò in modo formale
e si sedette sopra ad un cuscino che era posto dall’altra
parte del tavolo ,quindi spiegò il motiva per il quale era andato
da lei. La donna misteriosa rimase in silenzio per qualche
secondo a pensare , poi iniziò a muovere le m ani sulla sfera
come una danza o un rito magico , appena ebbe finito
schioccò le dita e il ragazzo si addormentò . Immediatamente
dopo la donna iniziò a correre fuori dalla tenda e scappò
via. Quando il ragazzo si svegliò , sentì come se gli mancasse
qualcosa , allora , non ricordando quello che era successo
poche ore prima , tornò a lavoro, ma si accorse che non riusciva
più a fare nessun calcolo , né a ricordare nulla. Pensò che
la causa della sua perdita di memoria fosse stata la magia della
donna misteriosa allora decise di chiedere a qualche cittadino
se avessero visto in quale direzione era scappata . Un signore
anziano gli disse che aveva visto una donna passare davanti
a lui correndo molto velocemente , come se avesse
qualcosa di grave . Aggiunse che l’aveva vista andare ai confini
della città , oltre la casa del vecchio saggio sopra la collina
, dove iniziava il bosco. Il ragazzo lo ringraziò e si incamminò
verso la casa del saggio. Quando arri- vò alla casa decise
di chiedere a lui se la donna
fosse andata
nel bosco o se avesse cam-
biato
direzione. Allora bussò alla
porta
della piccola e adorabi-
58
le ca- setta , il
s a g g i o
lo salutò e
lo fece en-
trare , appena
varcata la soia sentì un odore di legna bruciata( perché
l’uomo aveva il camino acceso) e notò anche con piacere
che la casa era ben andata ed era in ordine . Il saggio era molto
contento di quella visita visto che normalmente passava
le giornate da solo. Dopo averlo salutato gli raccontò perché
fosse andato da lui e perché fosse un po’ agitato .Gli disse
che aveva visto la donna andare nel bosco in direzioni dei
campi arati. Tommaso lo ringraziò e si inoltrò nel bosco ,verso
i campi arati . Arrivato lì incontrò un contadino che piantava
i semi a mano , lo salutò e chiese anche a lui se aveva visto
una donna passare di lì correndo, lui rispose di sì , e aggiunse
che sembrava indecisa su quale direzione prendere ,
ma che dopo qualche minuto aveva ricominciato a correre.
Dopo averlo ringraziato il ragazzo , gli augurò buon lavoro e
ripartì . Camminò per tre giorni senza sosta , quando però si
imbatté in un terribile temporale ,corse sotto l’albero, dove
incontrò una persona con il volto coperto , che stava tutta curvata
per non farsi notare , e che gli diede un telo per coprirsi
il capo dalla pioggia e poi lo condusse ad una piccola casa
disabitata. Il ragazzo rimase lì da solo , perché la persona che
lo aveva aiutato era andata via correndo. La tempesta durò
molto , due giorni interi ; Quando smise, il giovane riprese a
camminare, anche se ormai si sarebbe voluto arrendere per
la stanchezza e anche perché ormai pensava che la donna
fosse irraggiungibile. Ad un certo punto sentì il rumore della
legna che ardeva nelle vicinanze , così continuò a camminare
in quella direzione .Arrivato sul posto vide una piccola casa
isolata che, però sembrava abitata. Il ragazzo bussò alla porta
e ad aprire fu proprio la donna misteriosa, che però nel frattempo
si era pentita di quello che aveva fatto, e che aveva
deciso che il giorno dopo sarebbe tornata in città per far ritornare
la memoria a Tommaso. Quest’ultimo non ricordava
nulla di quello che le aveva fatto , quindi se lo fece spiegare
da lei. Al termine il ragazzo decise che per la notte sarebbe
rimasto lì da lei. Il giorno dopo si svegliarono molto presto ,
per riuscire ad arrivare in tempo in città per la premiazione
del miglior lavoratore del mese. Alla fine scoprì che la donna
che lo aveva aiutato con il temporale era proprio lei e per
questo la ringraziò. Quando arrivarono alla tenda , la donna
si sbrigò a ridargli la memoria , facendo dei gesti con le mani
attorno alla sfera, giusto in tempo per la sfida di calcoli contro
gli altri suoi colleghi , dopo un po’ rimasero solo lui e Lucas.
Una sfida all’ultimo calcolo, passò qualche minuto di pura
concentrazione tra i due rivali , ma alla fine il sindaco annunciò
il vincitore, cioè…TOMMASO!
Il ragazzo era pieno di gioia ed era molto emozionato, perché
tutti i suoi sforzi erano stati ricompensati con quella vittoria
e quel premio, cioè uno stipendio in più un mese intero di
vacanza, grazie alla sua memoria.
Martini
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SEZIONE 8
La chitarra nascosta
Germano era un ragazzo di 15 anni, come il suo amico Francesco,
era appassionato di musica. Tutti i giorni i due andavano in
oratorio a suonare con gli amici. L’oratorio aveva diverse stanze,
ognuna con una finestra che affacciava sul grande cortile. La
stanza che incuriosiva di più Germano e Francesco comunicava
con i locali delle caldaie ed era chiusa a chiave. Un pomeriggio il
parroco diede ai due amici le chiavi per andare
a prendere qualcosa che serviva nelle
attività. Spiegò ai ragazzi che in quella stanza,
durante le persecuzioni, il parroco di allora
nascondeva gli ebrei. I ragazzi s’avviarono
subito, ancor più incuriositi. La stanza
era assai spaziosa, ma anche molto buia e
fredda. Per fortuna avevano una torcia, cominciarono
a perlustrare. Il soffitto era pieno
di muffa, ma c’erano due lampadari stupendi.
Anche le pareti erano umide e ammuffite.
Una cosa li impressionò molto,
sui muri c’erano delle svastiche e delle
scritte che insultavano gli ebrei. Sulla parete
sinistra c’erano tre grandi buchi, dai quali si intravedevano
tre stanze. Decisero di entrarvi. Nella prima stanza non trovarono
niente di interessante, solo mobili, bicchieri, e qualche
topo. Nella seconda stanza c’erano molte scritte dei nazisti,
buchi nei muri e un orsacchiotto. Nella terza stanza trovarono
schizzi di sangue, pistole e abiti da donna sparsi a terra.
Tornando indietro, Germano illuminò la parete e sopra c’era
scritto: JUDEN con una svastica accanto. Rimasero immobili
per qualche secondo e poi a Germano cadde l’occhio in un
angolino. Vide molte stoffe accumulate, per curiosità si avvicinò
e le spostò...rimase a bocca aperta. C’era una chitarra, probabilmente
era appartenuta ad un ebreo. La prese e la portò
con sé. Il parroco gli disse che la poteva tenere, così Germano
la portò a casa, le cambiò le corde e l’accordò. Provò a
suonarla e sentì un suono diverso da tutte le chitarre che aveva,
un suono speciale. Un suono che quando l’ascolti t’incanta.
Quel ragazzo era mio padre, ancora oggi abbiamo quella chitarra.
Tutte le volte che mi racconta questa storia penso che
nei campi di concentramento saper suonare uno strumento ti
poteva salvare. Poiché anche io sono una musicista, questa
storia mi ha sempre colpito, e mi ha portato ad amare ancora
di più la musica.
Giulia Maura II A
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62
SEZIONE 9
Un’amicizia
Questa è la storia una grande amicizia che mi ha fatto crescere.
Quando l’ho conosciuto, questo ragazzo era completamente
diverso da come è ora. Era facilmente irritabile, imprecava
spesso e senza motivo, quando si arrabbiava imprecava
ancora di più. Molte volte arrivava quasi a picchiare chi lo faceva
arrabbiare. Con il passare degli anni cominciai a conoscerlo
meglio, intanto, piano piano lui iniziava a cambiare
avendo al suo fianco una famiglia amorevole. Al di là delle
possibili patologie, mi sono sempre chiesto il motivo dei suoi
passati atteggiamenti, del perché avesse esternato tutto quel
malessere. Quei comportamenti a volte grotteschi forse derivavano
proprio dai suoi cattivi ricordi? Queste considerazioni
mi hanno portato a riflettere su cosa sia la memoria. Per me
la memoria è il ricordo, brutto o bello che sia, un ricordo che
ti segna nel bene o nel male, qualcosa che ti cambia nel profondo.
Noi proviamo a scegliere quello che vogliamo ricordare,
ma in realtà, molte volte, sono proprio gli eventi che non
desideriamo ricordare a segnarci positivamente. Le esperienze
che consideriamo negative ci impartiscono una lezione
molto importante: bisogna sempre imparare dai propri errori.
Quando si è commesso un errore, a distanza di tempo, è molto
più facile dire “Io non mi ricordo...”, piuttosto che ammettere
di aver sbagliato, senza incolpare gli altri. Io personalmente
sono molto critico con me stesso, sono costantemente
alla ricerca della perfezione. Essere autocritici è molto importante,
perché rende umili e fa rimanere con i piedi per terra,
ma d’altro canto, ogni tanto bisogna anche ammettere i propri
meriti. Questo è per me memoria: ammettere e capire i
propri errori, imparare da essi e non rimuginarci sopra, comunque
andare avanti. La memoria fa cambiare radicalmente
le persone. Se si è in grado di cogliere l’aspetto positivo di
ogni situazione, sicuramente non si può che cambiare in meglio.
Matteo Sciarra II E
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stanno memorizzando servono a raggiungere un obiettivo importante
per la persona.
SEZIONE 10
Tema della memoria
La memoria è una funzione psichica e serve per assimilare ed
immagazzinare le informazioni provenienti dall’ambiente
esterno attraverso gli organi di senso. Queste informazioni
vengono elaborate dal cervello e dalla mente sotto forma di
ricordi o esperienze, che insieme contribuiscono allo sviluppo
del nostro apprendimento e dell’intelligenza e quindi fanno sì
che le nostre capacità cognitive, psichiche e fisiche aumentino
sempre di più. La memoria è presente in tutti gli esseri animali
ed è impossibile svolgere delle azioni senza averne la
memoria. Quindi possiamo definirla come base della conoscenza
animale e umana. Essa collabora con altre funzioni
mentali che sono: il ragionamento, l’intuizione e la coscienza.
Spesso la memoria è influenzata da elementi affettivi come
l’emozione e la motivazione. Se la persona che sta memorizzando
delle informazioni prova delle emozioni positive rispetto
ad esse sicuramente le apprenderà più facilmente e le ricorderà
sempre. La stessa cosa è se le informazioni che si
Sigmund Freud diceva che a volte molte informazioni vengono
perse dalla memoria, perché le persone mettono in funzione
dei meccanismi di difesa per rimuovere o per reprimere
ciò che per loro è minaccioso o negativo. Tutte queste informazioni
vanno a finire in una parte della coscienza che si chiama
inconscio, il quale le rende difficilmente recuperabili.
Esistono tre tipi di memoria che si basano sulla durata e sono:
la memoria sensoriale, la memoria a breve termine e la
memoria a lungo termine. La memoria sensoriale ci permette
di memorizzare le informazioni provenienti dai cinque sensi
per pochi istanti e secondo la loro importanza esse possono
passare nella memoria a lungo termine o a breve termine. La
memoria a breve termine è una memoria di lavoro cioè contiene
delle informazioni tenute in mente per poco tempo,
che servono solo a raggiungere uno scopo. La memoria a lungo
termine è una memoria che serve ad accrescere le conoscenze,
a ricordare episodi importanti e a ricordare anche
tutte le sequenze per ese-
guire dei comportamenti
complessi.
La memoria è importante
per la nostra vita e quan-
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d o s i
presentano
dei pro-
blemi legati
alla capa-
cità di memoria
ci si può trovare in difficoltà. La difficoltà di memoria
potrebbe essere causata dalla perdita del sonno, oppure dalla
perdita di attenzione o quando si vive in uno stato di ansia
e di stress.
3d
Personalmente ho difficoltà ad archiviare, nella memoria a
breve termine, le informazioni che apprendo attraverso lo studio
facendo si che, nei momenti in cui i professori devono valutarmi,
mi trovi in difficoltà perché non ricordo niente. Questo
causa un grande svantaggio per me, perché, a volte, pur
avendo studiato tanto, i miei voti non migliorano ed io mi sento
demotivata, dispiaciuta e arrabbiata, perché non riesco ad
accettare il motivo di ciò. Questo condiziona tutta la mia vita,
perché, a volte noto i miei genitori, che pure mi aiutano quotidianamente,
sconfortati e delusi a causa del mio rendimento
scolastico. Passo comunque la maggior parte del mio tempo
a studiare e spesso dimentico anche azioni che devo compiere
o eventi programmati da molto tempo se non li ho segnati
da qualche parte. Probabilmente questo problema è causato
da una mia difficoltà di attenzione e concentrazione, spesso
influenzata dalle mie emozioni che mi portano ad essere più
facilmente interessata ad alcune cose rispetto ad altre.
VIRGINIA ZAMPOLLA
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SEZIONE 11
La memoria
morte sia di persone importanti, quali politici, ma anche di
tantissime persone semplici, di cittadini comuni, che si trovavano
a compiere atti della vita quotidiana, come su un treno,
in una banca, in una stazione ferroviaria e sono stati uccisi in
nome di ideali che forse neppure conoscevano.
Ricordare, tutelare la memoria di episodi tutt’oggi inaccettabili,
divulgare a noi, nuove generazioni, un passato che a volte
vorremmo tutti dimenticare è essenziale per diversi motivi.
Quando penso alla Memoria, la prima immagine che mi viene
in mente è quella di un albero con le sue radici ben ancorate
al terreno: allo stesso modo, penso che la memoria per
l’uomo rappresenti il suo radicamento nella vita presente.
Più in generale, quindi, nella nostra società, avere consapevolezza
e rispetto per la Memoria ci permette di vivere il nostro
il nostro tempo in un modo cosciente e informato, e quindi ci
permette di essere liberi.
La Memoria di una società, infatti, è legata soprattutto a quegli
eventi che si sono verificati in passato e che hanno messo
a repentaglio alcuni dei principi fondamentali della nostra civiltà:
mi riferisco a tutti gli atti di violenza esercitati verso persone,
popoli, gruppi politici, minoranze culturali.
È importante perché la considero una forma di rispetto verso
le vittime e i loro familiari che, molto spesso, non hanno mai
ottenuto giustizia, né hanno visto i colpevoli scontare le giuste
pene.
Salvaguardare la Memoria è, inoltre, molto importante per poter
immaginare un futuro diverso; la conoscenza degli errori
commessi nel passato, delle cause che hanno portato a determinate
azioni, possono aiutarci a comprendere che forse può
esistere un modo diverso di agire, che si possono esprimere
le proprie idee in maniera diversa, civile senza dovere nuocere
a qualcuno.
Studiare il passato permette
a noi
giovani di giudicare con l a
nostra testa e di leggere
Penso, quindi, agli episodi di terrorismo di cui l’Italia è stata
vittima soprattutto negli anni ’70 e ’80 e che hanno visto la
66
a n c h e
il presente
in manie-
ra più consapevole
affinché determinati
episodi di violenze e di persecuzione siano irrepetibili.
Solo la memoria può fare di noi dei cittadini diversi, in grado,
quindi, di affrontare in modo nuovo tutte quelle situazioni,
quelle difficoltà che si ripetono nella storia dell’uomo.
Qualche settimana fa ho seguito una trasmissione in televisione
con i miei genitori, era presente Liliana Segre, una donna
italiana superstite dell’Olocausto. Mi ha colpito molto una frase
che diceva più o meno così: “Ricordare è dovere; la memoria
va difesa e diffusa, solo così c’è la speranza che molti crimini
del passato non si ripetano più”.
Questo è il messaggio più importante che voglio conservare
dentro di me e coltivare come principio nei miei anni futuri.
Sofia Bellucci 3d
67
SEZIONE 12
La memoria
Mi sono svegliato e mi ricordo solo che ero andato con Patrik
nel bosco, poi mi ricordo che a un certo punto ero inciampato
ed ero caduto per terra battendo alla testa. Grazie ad una
domanda che mi fece Patrik capii che il mio nome era Mattias.
Poi prendemmo la cartina per arrivare alla meta cioè al
punto di ritrovo. Patrik credeva che avessi solamente battuto
alla testa ma più tardi cominciò a credere che io non avessi
solamente battuto alla testa perché a un certo punto sentimmo
un cinguettio e io chiesi a Patrik: ”Ma cos’è questo rumore?”
. Lui mi guardò estrefatto dicendomi: ”Questo è il canto
dell’usignolo, il tuo uccello preferito, lo sapresti riconoscere
tra mille!” e lì Patrik si iniziò a insospettire. Più tardi chiesi a
Patrik che ore erano e lui mi ricordò che avevo l’orologio al
polso lo guardai e gli chiesi:”Si, ma voglio sapere che ore sono,
non voglio vedere delle linee” allora Patrik si rese conto
che io non sapessi leggere l’orologio; e perciò si iniziò a
schiaffeggiare per svegliarsi ed io credetti che egli fosse diventato
pazzo perché: si schiaffeggiava, credeva che le linee
indicassero le ore e che quello era il cinguettio dell’usignolo.
Poi si fermò e mi disse” Mattias ma tu hai perso la memoria?!”.
Io gli chiesi che cosa volesse dire e lui mi chiese se mi
ricordavo il nome di mia madre o di mio padre ed io risposi
di no, allora andammo al punto di ritrovo e Patrik riferì quello
che era successo alla guardia forestale e loro chiamarono i
miei genitori che avevo il numero scritto sullo sullo zaino e
poi dopo qualche settimana premiarono Patrik per essere riuscito
ad intervenire anche senza memoria.
Grimaldi Anna
Classe 1A
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SEZIONE 13
La memoria in una foto
Dì recente con la mia famiglia sono andata a vedere una mostra
fotografica. Girando fra le foto, ne ho notata una in bianco
e nero che raffigurava un ragazzo di spalle. Il ragazzo era
in una foresta e guardava una casa in lontananza. Quella foto
mi ha trasmesso malinconia ed ho cominciato a farmi mille
domande. Ad un tratto un ragazzo si è avvicinato a me, dicendomi:
‘Ti piace la foto?” Io un po’ intimidita ho risposto di sì.
Lui si è presentato: “Ciao, sono Mamadou, ho scattato questa
foto quando avevo la tua età. Quella era la mia casa. Questa
foto è per me un ricordo”. Incuriosita gli ho chiesto se ora
abitava in Italia e lui mi ha raccontato la sua storia.
“Cominciò tutto una decina di anni fa. Con la mia famiglia
abitavamo in Costa d’Avorio, vicino ad una foresta. Scoppiò
la guerra. Uomini armati fecero irruzione nel villaggio. Mia
mamma mi disse di scappare nel bosco e di aspettare. I miei
genitori furono uccisi e di loro mi rimase solo una foto. Ero solo,
smarrito. Decisi di partire, era troppo pericoloso stare lì.
Mi unii ad una famiglia per affrontare il viaggio. In Libia fummo
arrestati dalle milizie. Scoprirono la foto dei miei genitori
e la strapparono. Non mi rimaneva nulla di loro. Fu così che
capii l’importanza della fotografia che ha il potere di conservare
il passato. La fotografia è memoria. Una volta liberati, abbiamo
preso un barcone per l’Italia. Il viaggio durò una settimana,
era rischioso e mi spaventava, ma era l’unica via d’uscita.
Sbarcai in Sicilia e finii in un centro d’accoglienza per minori.
Un uomo del centro, scoprendo la mia passione, mi regalò
una macchina fotografica. Ora faccio il fotografo e a volte vado
in Africa per tenere corsi dedicati ai bambini. Tornando lì
provo malinconia, ma poi sorrido e penso “Ce l’ho fetta!”.
Questa storia mi ha molto colpito, penso rappresenti la speranza
di tutti coloro che vivono l’inferno ma combattono per
un domani migliore.
Russo Sophie 2A
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SEZIONE 14
Czesc' Kristian
Mi ricordo di quella volta in cui con la mia famiglia ero venuto
a trovarti in ospedale e io volevo mangiare insieme a te il
cioccolato che avevamo portato. La dottoressa aveva detto
che tu non potevi, ma quando lei si era girata noi avevamo
divorato tutta la tavoletta e poi c'eravamo messi a ridere a
crepapelle.
Purtroppo ti vedevo poco, ci separava una distanza di migliaia
di chilometri.
Potevamo stare insieme più o meno due volte all'anno e per
me andava bene anche così. Perché qualcuno ha deciso di
portarti lassù nel cielo lontano da me?
Caro Cristian, è da tanto che non ti vedo e so che questo tempo
aumenterà sempre di più. Ricordo l’ultima volta in cui siamo
stati insieme, non potevo immaginare potesse essere l’ultima.
Tantissimi ricordi mi legano a te, sei sempre stato come l'altra
mia metà.
Mi torna in mente il rasoio Gillette con la bandiera dell’Italia
che ti avevamo regalato e che tanto ti piaceva, oppure quel
bellissimo orologio nero e arancione che io ti invidiavo tantissimo.
Ricordo tutte le pazzie che facevamo quando non eri in ospedale:
i giochi al computer e quando facevamo diventare matta
Saba, il tuo cane. Ci mettevamo a correre per le scale e andavamo
in mansarda, lì c'era il tuo telescopio, guardavamo le
stelle tutta la notte e poi il giorno dopo dormivamo fino a tardi.
Era il pomeriggio di un giorno come tanti quando a mamma
arrivò la telefonata. Dopo qualche secondo vidi che iniziava
ad assumere un’espressione strana. Lì per lì non riuscivo a capire
se sorrideva o piangeva, finché parlando, lei scoppiò a
piangere. Chiusa la chiamata, mamma andò a parlare con papà
e dopo un po' mi diedero la brutta notizia. Tu Kristian ci
avevi lasciato, eri volato lassù nel cielo.
Ti voglio bene Kristian.
Signoretti Federico 2A
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CAPITOLO 6
Miscellanea
SEZIONE 1
Memoria
Mia madre fa la volontaria in un Centro di ascolto nella Periferia
romana e, quando torna a casa, ci racconta delle persone
che ha incontrato e delle loro storie. Di solito io e mia sorella
siamo poco interessate, perché riguardano quasi sempre donne
abbandonante, migranti che cercano aiuto, persone rimaste
senza casa. L’unica storia che mi è rimasta dentro, che resta
nella mia memoria, è quella di Rabia, una bambina siriana,
fuggita dalla guerra e rifugiata nel nostro paese. Rabia è
una bambina senza passato: i suoi ricordi, la sua memoria sono
rimasti nel suo paese; è come una lavagna vuota, dove tutto
è stato cancellato. Quando mia mamma ci ha parlato di lei
io e mia sorella abbiamo voluto conoscerla, perché ci sembrava
una situazione strana e curiosa e così ci siamo recate al
Centro. Dall’aspetto Rabia sembrava una bambina come tante,
quando però le abbiamo offerto le caramelle lei ha iniziato
a fissarle: non sapeva quale scegliere perché non ricordava
più i diversi gusti, aveva perso il ricordo di ciò che le piaceva
e ciò che detestava, il volto e i nomi dei genitori, degli amici,
l’immagine della sua casa e di tutto ciò che aveva conosciuto.
Con la memoria questa bambina aveva perso se stessa. Io e
mia sorella siamo tornate a casa piuttosto sconvolte e la sera,
a letto, abbiamo confrontato le nostre impressioni. Quel pomeriggio
con Rabia ci ha fatto capire che noi siamo la nostra
memoria: i ricordi, le esperienze, le persone incontrate, le
paure e le gioie provate ci rendono quello che siamo, costruiscono
il nostro modo di essere, ci aiutano a crescere, a prepararci
per affrontare la vita. Rabia è rimasta poco al Centro perché
aveva bisogno di un aiuto diverso, ma io e mia sorella da
allora siamo diverse. Quando la bisnonna non ricorda i nomi,
noi non ridiamo più, quando parliamo del Giorno della Memoria
a scuola, comprendiamo in modo diverso l’importanza
dei ricordi, anche quelli brutti. Ora noi sappiamo che siamo la
nostra memoria!
Francesca Ercoli
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73
SEZIONE 2
Memoria
C’era una volta un bambino di nome Giorgio, che aveva perso
la memoria a causa di un incidente avuto con l’auto dei genitori
. Era stato in coma un anno e quando si era svegliato
non si ricordava niente, nemmeno il suo nome né quello dei
suoi genitori .Dopo questo incidente Giorgio non parlò più ,
allora la madre lo portò da un dottore che le disse che era
normale che il bambino non parlasse perché non ricordava le
parole e nemmeno cosa fosse la lettura .La madre tornò a casa
molto triste e dispiaciuta per il figlio. Provò a farlo leggere
ma non ci riuscì,il giorno dopo Giorgio disse una parola :
mamma ; la madre fu felicissima, perché non se l’aspettava.
Quando corsero subito dal dottore che disse che gli stava tornando
la memoria . Quindi diede a Giorgio un libro da leggere
, quando la madre e Giorgio stavano ritornando a casa in
auto , Giorgio riusciva a dire qualche parola . A casa la madre
e il figlio iniziarono a parlare lei gli chiese se volesse provare
a ritornare a scuola , ma il bambino rifiutò perché non sapeva
leggere . La madre però alla fine lo convinse . Quando tornò
a casa confidò alla madre che tutti lo avevano preso in giro ,
perché non sapeva leggere . La madre gli disse di non preoccuparsi
, e che se non se la senti di tornare a scuola poteva
non andarci , cosi Giorgio decise di non tornarci più. Dopo
qualche giorno Giorgio prese il libro che gli aveva dato il dottore
e lo iniziò a leggere .Quando la madre arrivò a casa e vide
Giorgio leggere gli chiese che cosa stava facendo, ma lui
non rispose , dopo qualche minuto disse alla madre che sapeva
leggere. La madre fu molto felice, allora il giorno dopo il
figlio tornò a scuola e non lo presero in giro. Giorgio iniziò a
fare molte amicizie con i suoi compagni . Cresciuto, Giorgio
scrisse un libro sulla memoria e disse che la memoria è fondamentale.
Sara Milita I E
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SEZIONE 3
Memoria
Ognuno di noi possiede una memoria che ci aiuta a ricordare
cosa abbiamo mangiato a pranzo, oppure avvenimenti importanti
accaduti nel corso degli anni. Ad esempio noi ricordiamo
il “giorno della Memoria”. La memoria è fondamentale
poiché con essa possiamo ricostruire il nostro passato e ricordarlo.
Questa lascia un segno nell’uomo, basta pensare all’anziano
che molto spesso la perde e dimentica le cose recenti
ma ricorda perfettamente quello che gli è successo nel passato.
Inoltre fa molta tristezza pensare che al giorno d’oggi c’è
ancora chi fa finta di non ricordare ciò che è stato fatto di
atroce in passato, nei confronti di per- sone innocenti
condannate alla morte per
l’ideale di un individuo
folle.
Angela Di Vaio IIID
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SEZIONE 4
Memoria
Poche volte, durante il percorso della nostra vita quotidiana,
ci fermiamo un attimo, e pensiamo a che cosa è la memoria.
Ognuno può avere un’idea di che cosa è la memoria, ma nessuno,
secondo me, può sapere il suo vero significato.La memoria,
la si può intendere in vari modi, come ad esempio: come
un ricordo, o, dei ricordi, sia belli sia brutti, oppure, come
durante un’interrogazione devi ricordarti quello che avevi studiato
il giorno prima, quindi in tutti i casi, ognuno ha una visione
imprecisa del significato della parola memoria.
Secondo me, per memoria si in- tende un ricordo
che non va dimenticato, ov- v e- ro, un
qualcosa che è successo, m a
che noi adesso non dob-
biamo
dimenticare.
Molte volte però, le persone non tengono conto delle disgrazie
che sono successe in passato, e ricommettono gli stessi
errori.Degli esempi potrebbero essere le guerre che tempo
fa, hanno ucciso milioni di persone, o le discriminazioni che
nel passato hanno procurato milioni e miliardi di morti del tutto
innocenti.Questi esempi di tragedie andrebbero ricordate,
per non ripraticarle, ma purtroppo in molti parti del mondo
c’è la guerra, che continua a uccidere persone innocenti, e
purtroppo esiste ancora la discriminazione verso persone che
sono uguali a noi.Fortunatamente queste discriminazioni, oggi
giorno, non sono più così pesanti e conducibili alla morte,
ma purtroppo esistono, e feriscono molto, perché potremmo
anche essere diversi per il colore della pelle, ma visti dall’alto,
siamo tutti uguali come stelle.
Per questo motivo, molte volte, quando avvengono fatti forti,
anche nel nostro piccolo, dobbiamo ricordarli.
La memoria è una cosa troppo forte da controllare, ma se
ognuno di noi prova a farlo, forse un giorno non ci saranno
più guerre e non esisterà più la discriminazione, e il mondo
sarà un posto migliore.
Ricordiamoci sempre di ricordare, anche il più piccolo pensiero,
anche quello di un bambino, può fare la differenza e può
far capire alla gente che anche solo una presa in giro ferisce
o distrugge.
Benedetta Gargano 1 E
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