La Conquista_3:2021
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La Conquista 33
andavamo: una parte sull’isola di Corfù
e l’altra sull’isola di Cefalonia. Non
sapevamo al momento chi era più fortunato,
ma era evidente il fatto che restavo
nuovamente solo. Mi venivano a
mancare gli amici più cari.
Provai anche a chiedere se fosse
stato possibile andare con loro, ma
il tenente mi disse di no. Mi venne da
piangere, ma non restava altro che farsi
coraggio. Li salutai. Ci siamo fatti gli auguri
e noi siamo saliti su un veliero che
ci portava al porto di Agrigno. Il mare
era molto mosso e una buona parte ci
siamo sentiti male. Eravamo completamente
bagnati perché gli spruzzi delle
onde arrivavano fino in coperta.
Finalmente, dopo quattro ore
di mare, siamo arrivati. Ci portarono a
dormire in case disabitate, in una zona
vicino alle carceri militari della Grecia. Lì
finalmente per quattro giorni abbiamo
potuto riposare. Eravamo veramente
stanchi. Eravamo in viaggio ormai da
tre settimane.
In tutto questo tempo eravamo
rimasti senza notizie da casa. Ero
molto in pensiero per mia madre, ma
speravo di arrivare presto a destinazione
e trovare sue notizie. Durante il viaggio
scrivevo spesso nella speranza che
almeno lei avesse mie notizie, se non
altro per sapere che ero ancora vivo.
Lì ad Agrigno ci siamo trattenuti
per quattro giorni, in attesa di
proseguire per Messolungi, e abbiamo
potuto riprenderci dalla stanchezza. Il
quinto giorno in stazione ci fecero salire
su vagoni che servivano per il trasporto
della ghiaia. Il binario era a scartamento
ridotto. Dovevamo rimanere aggrappati
come potevamo, altrimenti andavamo
a finire giù per la scarpata.
Lungo il viaggio non si vedevano
abitazioni, ma solo paludi e mandrie
di cavalli. Arrivati mezzi storditi, dopo
quattro ore di treno, ci siamo accampati
in un fabbricato che in precedenza
doveva essere stato una fabbrica. C’era
della paglia per terra. Abbiamo depositato
il tutto e girando abbiamo trovato
le cucine dove stavano preparando il
rancio.
Però soldati non ne vedevamo.
I cucinieri ci dissero che erano tutti fuori,
perché erano stati attaccati dai partigiani.
Dopo un po’ abbiamo sentito dei
camion arrivare con militari tutti bianchi
di polvere, ma vittoriosi.
Dalle cucine abbiamo potuto
avere un po’ di brodo caldo. La notte
abbiamo dormito malissimo perché
non avevamo nemmeno il posto da
stendere le gambe. La mattina ci fu la
sveglia presto e ci fecero partire per
Arta. Il trasporto veniva fatto a mezzo
autocolonna. Sul piazzale ci aspettavano
dodici camion, otto per noi e quattro
per la nostra scorta, che era composta
da soldati anziani.
Prima di salire, l’ufficiale che
comandava la colonna ci avvertì del pericolo
a cui andavamo incontro nell’attraversare
quelle montagne. Ci fece un
po’ di istruzione su come ci dovevamo
comportare nel caso fossimo stati attaccati.
Ci diedero un supplemento di
bombe a mano e anche di cartucce. Eravamo
abbastanza armati, però mancava
l’esperienza.
Verso le sette siamo partiti. La
strada portava in montagna. Appena
si riusciva a vedere la macchina che ci
precedeva a causa del polverone bianco
che si alzava. In poco tempo eravamo
tutti bianchi anche noi.
La strada che facevamo era
molto dissestata, con tante curve e
burroni. Se avessimo avuto la sventura
di essere attaccati, le nostre armi non
sarebbero servite a nulla. C’erano dei
passaggi che avrebbero favorito i partigiani
e sarebbe stato sufficiente per loro
far rotolare delle pietre sul pendio per
buttarci nel burrone.
Dopo sette ore di viaggio siamo
arrivati sani e salvi a Arta. I nostri
accompagnatori ci dissero che eravamo
stati molto fortunati e che spesso
le colonne venivano attaccate.
Se i partigiani avessero saputo
che sui camion c’erano ragazzini
di 19 anni, avrebbero fatto
presto a prenderci. Forse avranno
anche saputo e avranno
avuto compassione per noi.
Il greco come nostro
nemico non odiava tutti i soldati
italiani ma certi corpi. Ad
esempio la Milizia era molto
odiata per la sua arroganza.
Anche gli Alpini, per il loro comportamento
orgoglioso nei
confronti dei civili, pertanto i
partigiani si comportavano di
conseguenza.
Nemmeno i Carabinieri
erano ben visti perché i greci,
per loro abitudine, facevano
lavorare la donna e quando c’era
da trasportare la legna o da
portare il grano al molino o le
olive a macinare per fare l’olio,
dovevano le donne portare il
carico mentre il marito precedeva a cavallo,
fumando tranquillo la sigaretta. I
carabinieri, vedendo l’ingiustizia, facevano
scendere l’uomo e davano il carico
a lui… senza pensare che quando
rientravano a casa il marito picchiava la
moglie.
Da Arta ci accompagnarono
con mezzora di cammino in una posizione
alta sopra il paese. C’era un castello
disabitato e fuori di questo ci fecero
montare le tende, cosa che non avevamo
mai fatto… comunque in qualche
modo siamo riusciti a tenerle in piedi
per quella notte.
La mattina ci fecero la sveglia
presto e ci ordinarono di prepararci e
di avviarci al porto. Abbiamo trovato
un veliero pronto che ci doveva portare
a Prevesa. Ci imbarcarono e in due
ore siamo arrivati. Una volta sbarcati ci
condussero in campagna, in un bosco
di ulivi. Ci diedero nuovamente ordine
di montare per bene le tende, perché
dovevamo rimanere lì per qualche giorno.
Ormai mi ero fatto dei nuovi
amici. Insieme abbiamo montato la
tenda (ne veniva montata una ogni sei
soldati), però non ci diedero la paglia da
mettere per terra. Così si dormiva molto
male. Avevamo in dotazione due coperte:
una si metteva sotto e una sopra. Per
fortuna il tempo era bello e così ce la
siamo cavata discretamente. Ormai ci
eravamo fatte le ossa.
(continua)