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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Era un odore particolare, pieno, quasi… intimo. Aveva qualcosa di

speciale, e mi resi conto che era lo stesso odore che aveva anche Anna.

Fissai l’interno con occhi luminosi. La carta da parati un po’ consunta, le

cornici che costellavano qua e là le pareti; il centrino sul tavolo lì accanto,

vicino alla ciotola per le chiavi. Aveva tutto un che di talmente vissuto e

personale che rimasi un istante sul ciglio della porta, incapace di muovere

un passo.

«È un po’ piccola», si imbarazzò il signor Milligan, grattandosi la testa,

ma io non lo sentii neanche.

Dio, era… perfetta.

«Le camere sono di sopra.» Anna salì su per la stretta rampa di scale, e io

ne approfittai per lanciare un’occhiata di sottecchi a Rigel.

Reggeva la sua scatola con un braccio, e si guardava intorno a viso basso:

gli occhi scorrevano sinuosi da una parte all’altra, senza lasciar trasparire

nulla.

«Klaus?» pronunciò il signor Milligan, cercando qualcuno. «Dove si sarà

cacciato?» Lo sentii allontanarsi mentre salivamo al piano superiore.

Ci sistemammo nelle due camere a disposizione.

«Qui c’era un secondo salottino», mi disse Anna, aprendo la porta di

quella che sarebbe stata la mia camera. «Poi è diventata la stanza degli

ospiti. Sai, se fosse venuto qualche amico di…» tentennò, bloccandosi un

momento. Sbatté le palpebre, articolando un sorriso. «Non importa…

Insomma, è tua adesso. Ti piace? Se c’è qualcosa che preferiresti cambiare,

o spostare, non so…»

«No…» sussurrai, sulla soglia di una stanza che finalmente potevo

definire solo mia.

Non più camere condivise, o le tapparelle che segavano la luce all’alba;

non più il pavimento gelido e impolverato, o il grigiore delle pareti color

topo.

Era una stanzetta discreta, con il parquet a pavimento e un lungo

specchio in ferro battuto nell’angolo in fondo. Il vento che entrava dalla

finestra aperta gonfiava morbidamente le tende di lino, e le lenzuola pulite

spiccavano bianchissime su un caldo copriletto vermiglio; mi ritrovai a

sfiorarne un angolo candido, quando mi avvicinai con ancora la scatola

sottobraccio. Controllai che la signora Milligan fosse andata di là e poi mi

abbassai frettolosamente ad annusarle: l’odore fresco di bucato mi inebriò

le narici e io chiusi gli occhi, inspirandolo a fondo.

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