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Domm Erin - Fabbricante di lacrime

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Eppure, quando si trattava di lui, l’idea di abituarmi mi sembrava

impossibile.

«Non dovresti essere ancora sveglia.»

La sua voce, amplificata dal silenzio, mi fece salire un brivido lungo la

spina dorsale.

Avevamo solo diciassette anni eppure c’era qualcosa di strano, in lui,

difficile da spiegare. Una bellezza ossessiva e una mente in grado di

affascinare chiunque. Era assurdo. Diverso. Anormale. Chiunque si lasciava

plasmare dai suoi modi e cadeva in errore: Rigel sembrava nato per questo,

per modellare e piegare come metalli le persone. Mi faceva paura, perché

non era come i ragazzi della nostra età.

Per un momento provai a immaginarmelo adulto, e la mia mente scappò

davanti al volto di un uomo tremendo, dal fascino corrosivo e gli occhi più

cupi della notte…

«Hai voglia di restare a fissarmi?» chiese con sarcasmo, premendo il

ghiaccio sul livido del collo. Rilassato, ora, con quell’atteggiamento

prevaricatore che mi induceva ad andare via. Come ogni volta.

Ancor prima che potessi recuperare il mio buonsenso e scappare da lui,

schiusi le labbra e parlai.

«Perché?»

Rigel alzò un sopracciglio.

«Perché cosa?»

«Perché ti sei lasciato scegliere?»

Vidi i suoi occhi restare fissi nei miei, come pervasi da una sorta di

consapevolezza.

«Credi che sia qualcosa che abbia deciso io?» domandò lentamente,

studiandomi a lungo.

«Sì», risposi cauta. «Hai fatto in modo che accadesse… Hai suonato il

pianoforte.» I suoi occhi bruciarono di un’intensità quasi fastidiosa mentre

dicevo: «Tu, che sei sempre stato quello che tutti volevano, non hai mai

lasciato che ti portassero via».

Di famiglie al Grave non ne erano passate tante. Guardavano i bambini,

studiandoli come farfalle in una teca, e i piccoli erano quelli più carini e

variopinti, quelli che sopra ogni altra cosa meritavano attenzione.

Ma poi vedevano lui, il visino pulito e quei modi educati, e sembravano

dimenticarsi di tutti gli altri; guardavano la farfalla nera e restavano

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