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perché fa riferimento a Guglielmo arcivescovo di Tiro, nato in Siria nel 1130 circa e morto dopo il 1186,
importante cronista delle crociate, dei templari e del regno di Gerusalemme, personaggio del XII secolo ben
tratteggiato tra gli altri dalla studiosa Barbara Frale.
Per quanto riguarda il testo di Guarini, poi, non si può parlare di scoperta vera e propria da parte di Moiraghi,
che pure dobbiamo ringraziare perché ha calamitato l’attenzione dei media su Ferrara. Sappiamo, infatti, che
in passato storici come Giuseppe Antenore Scalabrini nel 1773 o Gualtiero Medri nel 1967 già avevano
ripreso l’informazione che Guarini fin dal XVII secolo aveva tramandato, ma non avevano dato molto peso alla
questione. Anzi, Scalabrini si diceva convinto che Ugo Pagani fosse “francese, non ferrarese”, mentre il
secondo delineava un’ipotesi che appare abbastanza fondata: cioè che quell’Ugo sepolto nell’ex chiesa di
San Giacomo poteva essere “uno della famiglia dei Pagani”, tra le più potenti di Ferrara nel Medioevo, “che
aveva le sue case turrite” proprio nei pressi dell’antica chiesa di via Carbone. Questa, secondo Mario Calura,
uno storico ferrarese della prima metà del Novecento, sarebbe stata fondata dalla stessa famiglia, “che vi
ebbe il suo sepolcreto”. Ricordo, a tal proposito, che i Pagani furono prima vassalli dei Marchesella-Adelardi,
poi degli Estensi, e occuparono importanti cariche, tanto che alcuni di loro furono anche consoli del Comune
proprio nel XII secolo.
Fatte queste precisazioni, vorrei tratteggiare ora rapidamente le vicende storiche relative all’ex chiesa di San
Giacomo. Innanzitutto occorre ricordare che si tratta di un’antichissima parrocchiale e le prime testimonianze
dell’edificio di culto risalgono al 1086. Era perciò una chiesa romanica, il cui aspetto doveva essere molto
vicino a quello proposto dal prof. Castagnoli nel suo disegno ricostruttivo pubblicato da Calura nel 1927.
Si può ritenere quindi che la chiesa di San Giacomo non abbia a che fare con i Templari, secondo la
documentazione fin qui ritrovata, ma non per questo la storia dell’edificio di culto si presenta meno
avvincende. In un articolo pubblicato sul Corriere Padano del 12 ottobre 1935, lo stesso Calura afferma che
anticamente all’interno della chiesa si svolgeva la cerimonia di investitura dei Cavalieri dell’insigne Ordine
Equestre di S. Giacomo (o Santiago) di Compostela”, detto anche di S. Giacomo della Spada, un antico ordine
monastico-militare (quindi con alcune analogie con quello dei Templari), ma che sorse in Spagna nel 1170.
Interessante notare, a supporto della tesi di questo studioso, che la regola di questo ordine cavalleresco fu
dettata dal cardinale Alberto Morra (futuro papa Gregorio VIII) eletto al soglio pontificio proprio a Ferrara
durante un conclave nel 1187. Secondo la tradizione, i nobili, in attesa di riceverne le insegne ed essere
armati cavalieri dell’ordine di Santiago, trascorrevano la notte precedente la vestizione nell’edificio di culto di
via Carbone, compiendo in questo modo la cosidetta “veglia d’armi”.
La chiesa di San Giacomo subì rilevanti trasformazioni già nei secoli successivi, ma soprattutto agli inizi del
XV secolo, quando il piccolo edificio di culto fu ampliato e la facciata ebbe in gran parte l’aspetto attuale.
Il tempio, che subì notevoli danni a seguito del terremoto del 1570 (poi riparati), rischiò persino la distruzione
nel Seicento. All’interno conservava opere d’arte di varie epoche, tra cui mi piace ricordare due antichi
bassorilievi in terra cotta citati da Scalabrini nel Settecento, uno dei quali raffigurava il Salvatore crocifisso e
l’altro Gesù che assolve la Maddalena penitente, opere, secondo lo storico del Settecento “di buon figulino”.
La parrocchia di San Giacomo fu successivamente soppressa dal governo francese nel 1806 e la chiesa
venne chiusa dopo qualche anno, quindi venduta a privati, che la ridussero prima a magazzino per la legna e
poi per la canapa (Fig. 25).
Oltre ai due incendi (uno nel 1882 e l’altro nel 1893), che causarono gravi danni distruggendo parte della
chiesa, vorrei soffermarmi sull’incredibile crollo dell’intera torre campanaria avvenuto il 19 giugno 1822, come
risulta da una petizione del giorno seguente conservata nell’Archivio Storico Comunale (XIX secolo, Strade e
Fabbricati, busta 3, fasc. 1); le fonti ci dicono che tale crollo coinvolse l’abside ed il presbiterio, cancellandone
ogni traccia, perciò se all’epoca era rimasto ancora qualcosa delle antiche sepolture, che presumibilmente
dovevano trovarsi proprio in quelle parti dell’antica chiesa, esse forse andarono distrutte per sempre in
quell’occasione e nei due incendi successivi, chissà per quale strana fatalità, direbbe qualcuno. Certo che di
coincidenze ce ne furono tante!
Ripiena com’era di balle di canapa, San Giacomo alla fine degli anni Venti del Novecento versava ancora in
uno stato di grave degrado, circostanza che indusse l’associazione culturale “Ferrariae Decus” a promuovere
e realizzare dopo qualche anno il restauro dell’antica chiesa e soprattutto della facciata che, tutto sommato,
risulta ben conservata ancora oggi, anche se avrebbe bisogno di alcuni interventi di manutenzione; i lavori di
recupero, documentati in una relazione a firma dell’ingegnere Giuseppe Stefani del 17 febbraio 1936
(conservata presso l’archivio del citato sodalizio nel fascicolo n. 33), furono eseguiti dal 29 luglio al 21
settembre 1935 e misero in evidenza le linee ancora leggibili dell’altezza primitiva della facciata, molto più
bassa rispetto ad oggi, rendendo visibili le antiche tracce di due finestre romaniche (Figg. 26 e 27).
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