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templari

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a cura di

Francesco Scafuri

TEMPLARI A FERRARA

tra storia e leggenda

Testi di

Gianluca Lodi, Carlo Magri, Francesco Scafuri, Paolo Sturla Avogadri

Comune di Ferrara

Assessorato alla Cultura

Assessorato ai Beni Monumentali

Con il patrocinio dell’Associazione De Humanitate Sanctae Annae

2017

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Introduzione

Molto si è scritto e raccontato sui Cavalieri Templari negli ultimi tempi, tanto che i cosiddetti “monaci guerrieri”

sono stati al centro dell'attenzione di cinema, tv, inchieste giornalistiche e pubblicazioni, destando sempre

notevole curiosità e interesse, anche se spesso si è badato più a illustrare le leggende che da sempre li

accompagnano, piuttosto che le loro vere vicende.

Per quanto riguarda Ferrara, i legami che “i mitici Cavalieri” ebbero con la città e la sua storia sono ancora

oggi poco conosciuti. Per cominciare a colmare questa lacuna, il 20 settembre 2013 si tenne un convegno

nella Sala Estense dal titolo “Templari a Ferrara tra storia e leggenda”, cui seguì il 9 maggio 2014

un’escursione serale per le vie del centro, che consentì ai tanti intervenuti di vedere sotto una nuova luce i

luoghi della città legati all’Ordine Templare, offrendo contemporaneamente alle guide turistiche cittadine

spunti per nuovi itinerari da proporre ai visitatori.

In entrambe le iniziative, organizzate dall'associazione De Humanitate Sanctae Annae e dal Comune di

Ferrara attraverso l'Ufficio Ricerche Storiche, intervennero in qualità di relatori alcuni esperti in diverse

discipline, come Gianluca Lodi, Carlo Magri, Francesco Scafuri e Paolo Sturla Avogadri. Agli incontri

parteciparono centinaia di persone, decretando il successo dei due appuntamenti culturali.

In seguito all’interesse manifestato da più parti, l’Amministrazione Comunale e il Liceo Scientifico “Antonio

Roiti” di Ferrara hanno deciso di divulgare al più vasto pubblico di ComunEbook, pressoché integralmente, la

relazione di Sturla edita nel volume degli atti dell’Accademia delle Scienze di Ferrara (anno Accademico 189,

volume 89, anno 2011-2012), proposta poi dallo studioso in forma ampliata al convegno del 2013. Assieme al

testo di questo autore, uno dei massimi conoscitori dell’argomento non solo a livello locale, si è pensato di

pubblicare gli interventi inediti che Lodi, Magri e Scafuri proposero al pubblico in occasione del meeting del

2013, riassunti soltanto in alcune parti al fine di coinvolgere il vasto pubblico di appassionati e di lettori più

giovani, e con la sola aggiunta della bibliografia.

Oltre che degli aspetti mitici e misteriosi, gli autori si occupano in questo libro digitale soprattutto dei legami

che i Cavalieri del Tempio ebbero con Ferrara e con alcune chiese sotto la loro giurisdizione, ricordando allo

stesso tempo gli ospizi e gli ospedali fondati nel nostro territorio proprio accanto a quegli edifici di culto, attivi

come ricoveri per malati e pellegrini; senza dimenticare, in un panorama più generale, l’appassionante

mondo della cinematografia, spesso alle prese con le vicende storiche e leggendarie dei “monaci guerrieri”.

Si tratta quindi di un lavoro di squadra, che ha permesso di unire le conoscenze della materia per offrire, con

un'esposizione semplice ma precisa e rigorosa, verità poco note sulla presenza templare a Ferrara. La

pubblicazione che vi presentiamo, lungi dal voler essere esaustiva, aspira tuttavia ad offrire un primo

momento di conoscenza di un argomento che negli ultimi anni ha appassionato tanti lettori, incentivando

contemporaneamente studiosi e ricercatori ferraresi ad approfondire ulteriormente i vari temi legati ai Templari

affrontati in questa occasione.

In conclusione, sembrano particolarmente significative le parole che il sindaco Tiziano Tagliani usò in

occasione della presentazione del convegno presso la Sala Estense, di cui questo libro, come accennato,

ripropone in gran parte i contenuti:

“Questa iniziativa si presenta come un’originalissima coesione di diversi studi ed esperienze sul tema, che

sarà sicuramente in grado sia di calamitare l'inesauribile curiosità dei ferraresi per la storia della nostra città,

sia di restituire un po’ di verità sulla presenza dei Templari a Ferrara".

Francesco Scafuri

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Ringraziamenti

Gli autori desiderano ringraziare il sindaco Tiziano Tagliani, il vice sindaco Massimo Maisto e l’assessore ai

Beni Monumentali del Comune di Ferrara Aldo Modonesi per aver appoggiato e condiviso le iniziative sui

Templari, nel quadro della valorizzazione della cultura, dei beni architettonici e della storia della città.

Un ringraziamento particolare è rivolto all’associazione culturale De Humanitate Sanctae Annae per aver

patrocinato questo volume digitale e a Massimo Masotti, già presidente del sodalizio e “mitica voce narrante”

durante il convegno del 2013 e l’escursione serale del 2014 dedicati ai Templari a Ferrara. Esprimono, inoltre,

sentita riconoscenza nei confronti di Riccardo Modestino, attuale presidente, che con entusiasmo e

competenza è impegnato nel coordinamento delle attività della prestigiosa associazione.

Si ringrazia l’Accademia delle Scienze di Ferrara che ha autorizzato la pubblicazione pressoché integrale della

relazione “Templari e Adelardi. La conferma del legame”, tenuta da Paolo Sturla Avogadri durante la seduta

accademica del 10 ottobre 2012, testo edito nel volume degli Atti dell’Accademia delle Scienze di Ferrara,

anno Accademico 189, volume 89, anno 2011-2012

Un grazie speciale al direttore della Biblioteca Comunale Ariostea Enrico Spinelli e ai suoi collaboratori Mirna

Bonazza e Luca Taddia, nonché a Marcella Moggi dell’Ufficio Ricerche Storiche (Servizio Beni Monumentali del

Comune di Ferrara).

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Paolo Sturla Avogadri

Templari e Adelardi:

la conferma del legame*

Il 2012 segna una fatale ricorrenza nella storiografia dei leggendari Cavalieri Templari: il settecentesimo

anniversario da quando, il 3 Aprile 1312 a Vienne, nel Delfinato, nel corso di un Concilio, adulterato e

organizzato per l’occasione, veniva emanata la Bolla papale “Vox clamantis” che, pur se velata dall'eufemismo

di “Provvedimento Amministrativo Apostolico”, scioglieva d’autorità, inderogabilmente, il loro Ordine.

La logica vorrebbe che la “polvere del tempo”, accumulatasi per tanti secoli, ne coprisse e ne cancellasse

ogni vestigia, ogni possibile ricordo. Ma spesso, è proprio quell’ineluttabile fatalità, che noi chiamiamo

convenzionalmente “contrappasso”, a mantenere vivo il bruciante ricordo di un’ingiustizia. Così, dei Templari

ancora se ne parla, e tanto, quasi ogni giorno, attraverso tutti i media disponibili, disattendendo il disegno di

coloro (principalmente il re di Francia Filippo IV “il Bello” e papa Clemente V) che si resero promotori, con ogni

mezzo, del loro annientamento e di chi (papa Giovanni XXII), non sufficientemente pago, ne decretò anche la

“damnatio memoriae” cancellando, non soltanto ogni loro possibile testimonianza, ma eliminando, nel

contempo, anche preziosi documenti di storico interesse. E, in parte, ciò stava accadendo anche a Ferrara.

Persino il ricordo delle loro imprese meritorie doveva essere dimenticato, o peggio, attribuito ad altre entità.

Come nel caso della traslazione della Santa Casa da Nazareth a Loreto ad opera degli angeli (proprio quelli

con le ali) giocando sull’omonimia della committente: Elena Angeli Comneno, duchessa di Atene, che

incaricò i Templari, in tempo utile perché non cadesse in mano dei musulmani, di quell’avventuroso

trasferimento che, in realtà, non avvenne “per manus angelorum”, come vorrebbe l’ormai secolare e

consolidata tradizione, ma via mare (Fig. 1) dal 1291 al 1294 (1) . Non era certamente più tollerabile continuare

a lasciare a degli “eretici” il merito del salvataggio di una così importante reliquia della Cristianità (2) .

L’abolizione dell’Ordine non fu un avvenimento indolore: fece registrare un po’ ovunque pesanti ripercussioni

di carattere sociale ed economico, culminate con le carestie (3) seguite dalla terribile epidemia di peste nera

che decimò gran parte della popolazione in tutta Europa. Soltanto nel Ferrarese ci furono circa 10.000 vittime.

Anche a Ferrara, dove i nostri Cavalieri contavano una consistente presenza e godevano di unanime stima, le

misure fortemente repressive nei loro confronti, attuate dal Marchese Azzo VIII, certamente in ossequio alla

sua recente acquisita parentela con la Casa regnante francese (4) , contribuirono non poco alla perdita della

Signoria da parte degli Estensi e alla loro cacciata dalla città. Egual sorte toccò al Vescovo Guido Capello,

creatura papale ed inquisitore domenicano, che dovette riparare a Bologna (5) .

Anche il nostro Sommo Poeta, loro grande estimatore, non potendo fare di più (6) , etichettò, ponendoli per

l’eternità nella Divina Commedia, papa Clemente V e re Filippo, paragonandoli rispettivamente ad un “nuovo

Giasone” e ad un “nuovo Pilato”:

Nuovo Jason sarà, di cui si legge / Né Maccabei: e come a quel fu molle / Suo re, così fia a lui che Francia

regge…

(Inferno, canto XIX, 85-87)

Veggio il nuovo Pilato sì crudele / Che ciò nol sazia, ma, senza decreto, / Porta nel Tempio le cupide vele. / O

Signor mio, quando sarò io lieto / A veder la vendetta, che, nascosa, / fa dolce l’ira tua nel tuo segreto?

(Purgatorio, canto XX, 91-96)

Quando si parla dei Templari, sembra che un’atmosfera gravida di mistero cali intorno a noi, invogliandoci a

saperne sempre di più: si parla di tesori nascosti e mai più ritrovati, di ricerche archeologiche effettuate per

dieci anni, dai primi nove Cavalieri, nei sotterranei del Tempio di Salomone a Gerusalemme (7) ; del Santo

Graal, dell’Arca dell’Alleanza (8) , della Sacra Sindone (9) ; del ritrovamento dei Vangeli gnostici coevi dei “rotoli” (10)

rinvenuti a Nag Hammadi (1945) e a Qumran sul Mar Morto (1947); del loro sostegno alle Confraternite dei

Costruttori delle Cattedrali gotiche (11) ; della loro presenza in America, in quella meridionale in particolare, dove

pare possedessero miniere d’argento (12) ; di loro quali costruttori del “pozzo del tesoro” ad Oak Island in Nuova

Scozia (Canada); del loro intervento determinante nelle battaglie vittoriose di Bannockbourn presso

Edimburgo nel 1314 e, l’anno seguente, di Morgarten nella “nascente” Confederazione Elvetica (13) ; di loro,

persino, quali adoratori di una testa barbuta ovvero di un idolo chiamato “Bafometh” (14) ; del loro rapporto con

misteriosi personaggi come il Veglio della Montagna, signore della fortezza di Alamuth (Siria); della

maledizione scagliata da Jacques de Molay, ultimo Gran Maestro, mentre si consumava sul rogo la sera del

18 Marzo 1314 (15) .

Queste sono soltanto alcune delle tante leggende e dicerie fiorite, e tuttora perduranti, intorno alla storia dei

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Cavalieri rossocrociati. Saranno forse soltanto favole, ma tutte le recenti, accurate ed obbiettive ricerche in

merito non sono riuscite finora a smentirle, come neppure a confermarle. Certo è che tutta la vita dell’Ordine,

fin dalla data della sua fondazione, è avvolta dal mistero, al punto da non riuscire quasi più a scindere la storia

dalla leggenda, tanto è sottile e frastagliata la “border line”, la linea di confine, che dovrebbe distinguerle.

I Templari nella storia

Dopo la conquista di Gerusalemme (1099) e la fondazione del regno cristiano, la maggior parte dei Crociati

inizia a tornare alle proprie case in tutt’Europa, lasciando la Terrasanta sguarnita ed i pellegrini, che vi si

recavano per devozione nei Luoghi Santi, alla mercè di briganti e predoni.

Così, sul finire dell’anno 1118 (16) nove cavalieri franco-fiamminghi, “devoti, religiosi ed in timore di Dio”,

capeggiati da Hugo de Payns, si presentarono a Baldovino II, da poco divenuto re di Gerusalemme, e si

costituirono in comunità religiosa prendendo i voti monastici di “povertà, castità ed obbedienza” al cospetto di

Guermondo, Patriarca di Gerusalemme, e la denominazione di “Pauperes Milites Christi” (Poveri Cavalieri di

Cristo). Le loro finalità erano: proteggere i pellegrini dalle vessazioni dei briganti e degli infedeli e presidiare le

strade e i pozzi d’acqua. Il sovrano li accolse con grande benevolenza e cedette loro, quale residenza, una

parte del suo palazzo edificato ad El-Aksa, sulle antiche vestigia del famoso Tempio di Salomone; da questo il

nome indicativo di “Templari” che diverrà in seguito emblematico e definitivo.

I primi dieci anni di loro permanenza a Gerusalemme sono veramente enigmatici, non se ne sa nulla di

concreto e persino il cronista di corte, Fulk de Chartres, non ne fa il benché minimo accenno. Eppure nove

cavalieri, stanziati per dieci anni nel palazzo reale, in una città che allora doveva avere le dimensioni della

nostra attuale Bondeno, dovevano ben farsi notare. Ed inoltre, nove cavalieri non erano un po’ pochi per poter

contrastare i musulmani in un territorio così vasto?

Nel 1128 il de Payns, con quattro commilitoni, torna in Europa e si reca a Roma per perorare, presso papa

Onorio II (17) , la ratifica della “Nuova Milizia”, il che avverrà al Concilio di Troyes, in Francia, con l’adozione della

Regola dettata da San Bernardo di Chiaravalle (18) .

Da questo momento inizia la rapidissima espansione dell’Ordine, non soltanto in Terrasanta, ma in quasi

ogni contrada d’Europa dove, lungo le strade principali, alla distanza di un giorno di cammino tra loro e presso

gli incroci più importanti ed i guadi, viene allestita una magione (dal francese maison = casa), con annessa la

chiesa e l’ospizio/ospedale per i pellegrini.

Ma, se i Templari erano i ”Poveri Cavalieri di Cristo”, questo non valeva per l’Ordine che era una vera e propria

“macchina” per produrre (ma soltanto con mezzi leciti) il denaro necessario alla guerra ad oltranza, ovvero la

“Crociata permanente” contro l’Islam, in contrapposizione alla Jihad, e per il mantenimento del contingente

stanziato in Terrasanta, nella Penisola Iberica, nelle Isole Baleari, ecc. Così, dalle iniziali donazioni derivanti

dalle doti dei cavalieri novizi e dai penitenti per la salvezza delle loro anime, si arrivò ben presto ai proventi per

i “servizi militari”, consistenti, a volte, in enormi estensioni di terreno, boschi, laghi, castelli, fortezze, interi rioni

cittadini (vedi a Parigi “le Quartier du Temple”), interi boschi (vedi la Forète du Temple, la Forète d’Orient, ecc.),

ampie tenute con i contadini (dette “grange”), che saranno arricchite di armenti, greggi, mulini, magazzini per

la conservazione e la custodia delle derrate alimentari, ecc.

Giacomo I, re d’Aragona, addirittura, grato per la liberazione del suo regno dai Musulmani, aveva disposto,

quale lascito testamentario, la donazione di metà del suo regno ai Templari.

L’Ordine divenne in breve ricchissimo e potente oltre misura, favorito soprattutto dalla Bolla papale “Omne

datum optimum” di Innocenzo III (1139), che stabiliva che i Templari, tranne che al Papa, non dovevano

obbedienza ad alcun potere statale o ecclesiastico, ed erano inoltre esonerati dal pagamento di qualsiasi

tassa, dazio o gabella.

Possiamo, a giusta ragione, considerarlo un vero e proprio antesignano delle attuali Multinazionali del

commercio, ma soprattutto della finanza poiché, presso ognuna delle oltre 1000 magioni, sparse in

tutt’Europa e in Medio Oriente, esisteva una sorta di “sportello bancario” ante litteram, abilitato ad effettuare

ogni sorta di transazione, intermediazione e concessione di finanziamenti; per non parlare poi dell’invenzione

della “lettera di cambio” (19) .

Ancorata presso il porto di La Rochelle, l’Ordine possedeva una poderosa flotta, armata inizialmente per il

proprio fabbisogno e in seguito anche adibita ai noli marittimi per conto terzi, per il trasferimento di Crociati,

pellegrini e mercanzie pregiate di ogni genere (20) . Si conoscono anche i nomi di due delle sue navi: la

Templère e le Buscard.

Per la sua specchiata onestà e correttezza, l’Ordine divenne il consulente, l’amministratore e il depositario

dell’erario dei Regni di Francia, Inghilterra ed Aragona.

Ma tanta potenza e ricchezza acquisite avrebbero inevitabilmente creato malumori ed invidie e sarebbero state

la rovina per l’Ordine, come in effetti avvenne.

I Templari furono anche e soprattutto dei grandi combattenti: lo dimostra il valore e lo sprezzo del pericolo da

loro profusi in tutte le battaglie, particolarmente a Tolemaide, ad Arsuf, a Tiberiade e ad Hattin (luglio 1187), in

particolare, pur con la totale disfatta dell’esercito cristiano, nonchè la perdita della “Vera Croce”, caduta in

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mano al Saladino.

La sconfitta presso “i Corni di Hattin” innescò una serie infinita di avvenimenti concatenati che coinvolsero

anche Ferrara: la caduta di Gerusalemme che causò la morte di papa Urbano III, nell’Ottobre 1187 (mentre

era di passaggio per la nostra città diretto a Venezia), la sua sepoltura in Cattedrale, seguita dall’indizione del

Conclave per l’elezione del suo successore, Gregorio VIII (Alberto de Morra) che, proprio qui, a Ferrara, pose i

presupposti di una nuova Crociata: la III.

Nell’estate del 1291 cadono le ultime fortezze templari di Terrasanta: Athlit e Tortosa e, dopo l’olocausto di Acri,

l’Ordine si trasferisce a Cipro. Successivamente il Gran Magistero e la riserva aurea vengono stanziati nella

fortezza del Tempio, a Parigi.

Ma Filippo il Bello, debitore di ingentissime somme nei confronti dell’Ordine, col suo consigliere Guglielmo di

Nogaret (noto per l’oltraggio di Anagni inferto a Bonifacio VIII), avvalendosi delle menzogne di ex cavalieri

rancorosi perché espulsi per indegnità, crea un castello di false accuse nei confronti dei Templari che, la notte

di venerdì 13 Ottobre 1307 (21) vengono così arrestati in massa, contemporaneamente, in tutta la Francia.

Non avendo nulla da temere, i malcapitati si lasciano arrestare senza reazioni di sorta, in attesa di

chiarimenti (22) . Vengono immediatamente incarcerati e sottoposti alle più inumane torture finalizzate ad

estorcere le confessioni di colpe assurde ed inesistenti, che dovranno servire, quali prove, per lo scioglimento

dell’Ordine. Il che avverrà dopo cinque anni, durante il Concilio di Vienne. Molti Cavalieri moriranno sotto

tortura, rifiutandosi di confessare il falso. Chi, dopo la confessione estorta, avesse osato ritrattare, sarebbe

stato messo inesorabilmente al rogo quale “eretico relapso”. Come avvenne a Sens per 54 confratelli, il 12

Maggio 1310.

La storia dell’Ordine del Tempio termina il 18 Marzo 1314, dinanzi alla Cattedrale di Notre Dame, a Parigi,

quando vengono condotti in catene i quattro massimi dignitari dell’Ordine, ancora detenuti: il Gran Maestro

Jacques de Molay, il Precettore di Francia Hugues de Pérraud, il Gran Precettore di Normandia Geoffroy de

Charny e Geoffroy de Gonneville. Filippo il Bello già pregusta il suo trionfo nell’umiliarli. Ma il de Molay e il de

Charny, pur sapendo che sarebbero stati inesorabilmente condannati al rogo, ritrattano le confessioni a suo

tempo estorte, reclamando a gran voce l’innocenza e la purezza dell’Ordine. La sera stessa saranno arsi, a

fuoco lento, su di un isolotto della Senna dinanzi alla Cattedrale di Notre Dame. E comincia la leggenda.

Il caso di Ferrara

Leggendo il saggio I Templari in Italia, di un’ancora per me sconosciuta Bianca Capone (23) , fra le tantissime

notizie, appresi la metodologia per localizzare gli antichi insediamenti templari, attraverso quanto restava della

vecchia toponomastica pur se guastata dalle influenze dialettali, dai neologismi o da altri fattori, ma soprattutto

dalla “polvere del tempo” accumulatasi per tanti secoli. Un valido riferimento era dato dall’intitolazione di tutti i

luoghi di loro pertinenza, precettorie, magioni, grange, chiese, ospedali ed ospizi, ai loro Santi Patroni,

solitamente Bartolomeo, Egidio, Giacomo/ Jacopo, Giovanni, Marco, Martino, Quirino, ma anche la Madonna

(con le sue varie attribuzioni) e la Maddalena.

Neanche a farlo apposta, nel sud-est di Ferrara, in un quadrilatero di neppure quindici chilometri per lato,

alcune antiche parrocchiali avevano dato alle rispettive frazioni, divenute nel corso dei secoli ragguardevoli

centri abitativi, i nomi, appunto, di San Bartolomeo in Bosco, S. Egidio, Fossanova S. Marco, S. Martino,

Monestirolo (che in passato ospitava un piccolo monastero, guarda caso, cistercense) ed Ospital Monacale. E

tutte erano state, fino alla dominazione napoleonica (24) , delle ragioni dell’antichissimo complesso abbaziale

cistercense di San Bartolomeo (più noto come San Bartolo) situato nell’antichissimo Borgo della Misericordia,

presso Aguscello, alle porte di Ferrara. Nella sua magnifica chiesa cenobita, innalzata un tempo a

Commenda della Santa Croce di Gerusalemme, vi erano state conservate importanti reliquie, fra le quali una

mano dell’Apostolo Bartolomeo ed alcune ossa di S. Quirino e S. Maria Maddalena.

Una curiosa coincidenza, comune a tutte queste chiese: nonostante fossero di fondazione ben più antica, i

rogiti più vecchi, spesso stilati dagli stessi notai (25) , erano tutti immancabilmente posteriori al 1312, anno in

cui, in ossequio alla Bolla papale “Ad providam Christi Vicarii” (26) , tutti i beni fondiari del disciolto Ordine del

Tempio venivano assegnati ad altri Ordini religiosi, in particolare agli Ospitalieri di San Giovanni

Gerosolimitano, gli attuali Cavalieri di Malta (27) . Ma dell’eventuale precedente possesso o collegamento con i

Templari, nessun riferimento.

Ero però certo che nell’antica ed arcana Ferrara e nel suo contado (domini papali fin dall’età carolingia) avrei

trovato le tracce della presenza templare, per questi motivi:

- i Cavalieri rossocrociati, che erano soggetti solamente al Papa, erano stati presenti in tutto il mondo cristiano

(anche con funzioni di “gendarmeria”) quindi, a maggior ragione, in un possedimento papale;

- Marc’Antonio Guarini, nel suo “Compendio Historico”, affermava che nella Chiesa di S. Giacomo, sita nel

quartiere medievale di S. Romano, fosse stato sepolto Ugo de’ Pagani, di famiglia ferrarese oriunda dalla

Francia, che “… diede principio insieme con altri all’Ordine de’ Cavallieri Templari (1118)”. Anche se a mio

avviso, in questo caso, l’illustre storico aveva preso una probabile cantonata dovuta all’omonimia con

un’importante famiglia dimorante nei pressi, tuttavia, dato che li nominava, a Ferrara i Templari potevano

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esserci stati per davvero;

- in angolo fra viale Cavour e via Armari, prima di essere demolita in seguito agli eventi bellici, vi era l’antica

chiesa di Santa Maria della Rosa, già denominata Santa Maria de Templo, prima che passasse all’Ordine di

San Giovanni. La sua antica appartenenza templare è citata da una lapide posta all’esterno del chiostro

ricostruito;

- lo stemma comunale di Ferrara, nero e bianco, pur se con i colori invertiti, è molto simile allo scudo dei

Cavalieri Templari e al loro stendardo, il “bauceant”.

Continuai ancora le mie ricerche, non approdai però a nulla. Pubblicai allora due articoli che riportavano

queste mie ipotesi (28) e cominciai ad interessarmi dei Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni, ovvero di Malta

che, nella nostra città, tennero la Luogotenenza dal 1826 al 1834. E proprio nel corso dello studio per la

stesura di un articolo su di loro, i Templari uscirono dai più riposti meandri della storia con una insperata e

massiccia presenza. Infatti, andando a ritroso nel tempo, come per la ricostruzione di un albero genealogico,

onde poter localizzare i primi insediamenti dell’Ordine degli Ospitalieri di San Giovanni in Ferrara, mi accorsi

che tutti i riferimenti confluivano verso la mitica figura di Guglielmo III degli Adelardi che storici attendibili

indicavano come il primo ferrarese che avesse calzato gli speroni quale “cavaliere professo” (29) . Personaggio

di primo piano nella vita economica e sociale cittadina del XII secolo, era figlio di quel Guglielmo II, grande

feudatario che fu signore di Ferrara e costruttore della sua Cattedrale (30) . Partecipò alla II Crociata al seguito

dell’imperatore Corrado III di Hohenstaufen e di Luigi VII di Francia (31) . Al suo ritorno nella natia Ferrara,

dicono sempre gli storici, donò all’Ordine (di San Giovanni) un ragguardevole fabbricato situato nel centro

della città, che sarebbe divenuto Commenda intitolata a San Giovanni della Trinità, comprendente la chiesa, il

convento e l’ospedale (32) . Il complesso, oggi evidenziato da una nicchia d’angolo recante una statua di

recente fattura del patrono San Giovanni Battista, è situato nel quadrilatero fra le vie Cortevecchia, Boccaleone,

Podestà e del Turco.

A questa Commenda erano soggette le chiese (con i rispettivi monasteri ed ospizi per pellegrini) di S. Maria

della Rosa, allora situata fuori della cerchia muraria, ad oriente (33) e di S. Maria Annunciata di Betlemme, a

due miglia dalla città, ad occidente, nel Borgo Superiore ovvero Mizzana (34) .

Quindi Guglielmo III degli Adelardi Marcheselli Bulgari (era questo il suo cognome completo) era un cavaliere

“professo” dell’Ordine degli Ospitalieri di San Giovanni e questo suo stato semimonacale non gli consentiva

di sposarsi (35) ; la sua “professione di fede” era confermata anche dallo stemma che, oltre la figura araldica,

rappresentata da un leone rampante accostato da due stelle, nella parte superiore (chiamata capo) mostrava

una croce rossa in campo argento che, oltre a testimoniare l’appartenenza ad un Ordine monastico, indicava

un importante grado ricoperto nello stesso (36) .

Ma, riguardo alla “blasonatura del capo”, esiste l’obiezione dello storico e araldista ferrarese Ferruccio Pasini-

Frassoni che, nel suo I Cavalieri di Malta a Ferrara, pubblicato nel 1910 sulla "Rivista Araldica", afferma

essere “probabilmente il capo della religione, alterato per l’ignoranza dei pittori” (37) . In effetti, il capo “della

religione” dell’Ordine di San Giovanni, ovvero di Malta, è indicato da una croce bianca in campo rosso. I

Templari l’avevano all’incontrario. Pertanto, se i pittori l’avevano dipinto correttamente, Guglielmo sarebbe

stato un Templare. Personalmente dubito che a quei tempi, in cui le raffigurazioni degli stemmi erano

all’ordine del giorno, i pittori potessero fare (e tramandare, senza correggerli) errori tanto grossolani,

trattandosi soprattutto di un personaggio di “primo piano”.

Proseguendo le mie ricerche sulle tre chiese appena menzionate, riscontrai la stessa strana anomalia

rilevata due anni prima: i documenti più antichi che le riguardavano erano sempre posteriori a quel fatidico

anno 1312, nonostante quei luoghi di culto fossero ben più vetusti:

- per S. Giovanni della Trinità, che già esisteva immediatamente dopo la II Crociata, quindi dalla seconda metà

del XII secolo, il documento più antico che ne attestava il restauro e l’elezione a Commenda, ma dell’Ordine di

S. Giovanni, risaliva al 12 maggio 1338 (38) . Ma perché soltanto in quella data se è vero che quei Cavalieri vi

erano stanziati da quasi duecento anni?

- per S. Maria della Rosa, già chiamata del ”guazzatoio” e prima ancora “de Templo” (quindi chiaramente

templare), nonostante fosse già citata, quale beneficiaria in due testamenti (39) , uno del marchese Obizzo II

d’Este (1292) e l’altro di Ubaldino Fontana (1297), veniva nominata solamente il 6 dicembre 1448 in una bolla

di papa Nicolò V. Nello stesso testamento, il già nominato Ubaldino Fontana, insieme a S. Maria de Templo,

faceva riferimento, quale beneficiario “…ad hospitale sive collegium hospitalis Sancti Iohannis de

Templo…” (40) che io credetti di non sbagliare identificandolo per S. Giovanni della Trinità (41) anche perché era

improbabile, soprattutto nella Ferrara di allora, la presenza di due ospedali intitolati col medesimo

patronimico;

- per S. Maria Annunciata di Belème o Betlemme di Mizzana, che accolse le spoglie mortali di Guglielmo II,

deceduto il 9 Settembre 1146, ricostruita o restaurata dal figlio Guglielmo III in forma rotonda forse a ricordo

della “Cupola della Roccia” di Gerusalemme (spesso confusa con la Basilica del Santo Sepolcro), il

documento più vecchio risaliva al 13 Giugno 1449 e riguardava la sua permuta con un’altra chiesa (42) .

Ma dov’erano i documenti precedenti? Forse distrutti sistematicamente al tempo di papa Giovanni XXII

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insieme agli affreschi, agli emblemi e a tutto quanto poteva riguardare i Templari per continuarne la “damnatio

memoriae” o, forse, per cancellare il ricordo di un’ingiustizia perpetrata nei loro confronti? (43)

A dispetto della carenza di testimonianze pervenute fino a noi, i Templari dovevano aver avuto una consistente

presenza sul territorio ferrarese, lo si può dedurre dal riscontro di alcuni documenti (44) :

- il più antico è datato 9 Dicembre 1156 (o 1158): Papa Adriano IV, scrivendo al Vescovo di Ferrara Griffone e al

suo clero riguardo ad una controversia inerente la “Massa di Formignana”, nomina gli Ospitalieri ed i Templari;

- l’altro è del 30 Luglio 1207: Papa Innocenzo III in una lettera, indirizzata al Vescovo di Modena e all’Abate di

Nonantola, riguardante un interdetto sopra la città di Ferrara, il suo circondario e le isole, minacciava di pene

da applicarsi, non soltanto alla popolazione, ma anche ai Templari e agli Ospitalieri dimoranti nel Ferrarese;

- ancora un testamento, del 1281: Frà Pietrobono, penitente, citava quale suo beneficiario, l’ospedale “de

Templo”, ma de ultramare (45) .

In base al materiale di cui disponevo, non molto per davvero, cominciai a tirare le somme ed arrivai ad

azzardare un’ipotesi che esternai nel 1987, nel corso del “V Convegno di Ricerche Templari”, tenutosi a

Castel Rigone sul Trasimeno (PG), e pubblicai in un articolo (46) : la chiesa di Santa Maria Annunciata di

Betlemme di Mizzana era appartenuta ai Cavalieri Templari. E le motivazioni erano queste:

- la sua forma rotonda (come quella di molte altre chiese templari), ora mantenuta solamente dall’abside

romanico ad archi ciechi (Fig. 2), a similitudine della Cupola della Roccia di Gerusalemme, spesso presente

sui sigilli templari;

- la sua dedicazione alla Madonna, come di sovente avveniva per le chiese templari, contrariamente a quelle

degli Ospitalieri per San Giovanni;

- la sua posizione, a due miglia dalla città, all’incontro dell’antico Po di Ferrara (ora Po di Volano) col canale

Traversagno e con l’importante arteria stradale romana che si sdoppiava in direzione di Vico Variano (l’odierna

Vigarano Mainarda)-Cento-Modena da una parte e Bondeno-Ostiglia-Mantova-Verona dall’altra. Il suo ospizio

poteva accogliere i pellegrini e i viandanti che, dopo la chiusura delle porte della città all’imbrunire, si fossero

attardati nottetempo per strada, solitamente infestata da malfattori. Era quello un servizio conforme alla

“Regola” templare;

- fu ricostruita o ampliata, forse corredata ulteriormente del monastero e dell’ospizio, da Guglielmo III degli

Adelardi che, in Terrasanta, durante la II Crociata, ebbe modo di apprezzare i Templari e probabilmente lo era

lui stesso. Infatti, oltre ad essere stato raffigurato, in cotta di maglia d’acciaio e lancia, in una statua posta

presso la Porta dei Mesi (47) nella fiancata meridionale del Duomo di Ferrara, lo è tuttora anche nella statuetta

equestre posta sull’angolo di sinistra della facciata del Duomo stesso (Fig. 3). Sul suo scudo è ben evidente

“l’escarboucle”, ovvero il carbonchio (48) , quel fregio di rinforzo presente sui più vecchi sigilli templari e che

venne evidenziato sugli scudi fino alla fine degli anni ‘80 del XII secolo (III Crociata) (Fig. 4), quando venne

coperto dallo smalto bianco e nero e dalla rossa croce patente nel campo superiore (Fig. 5);

- e, poiché nel corso di alcune ricognizioni effettuate in varie epoche presso la tomba della famiglia Adelardi, in

Cattedrale a Ferrara non è mai stato rinvenuto il corpo di Guglielmo III, si può desumere che abbia voluto

essere sepolto a Mizzana, accanto a suo padre e ai confratelli Templari.

Sono sicuro che questa mia ipotesi, forse allora azzardata, avrà fatto arricciare il naso a qualche immancabile

scettico anche perché, a quanto mi risulta, nessuno prima di me aveva mai parlato e, tantomeno pubblicato,

della chiesa di Mizzana come appartenente ai Cavalieri Templari.

Ha invece trovato ampia conferma, otto anni dopo, nel saggio che monsignor Antonio Samaritani, apprezzato

storico ferrarese, ha pubblicato col titolo: L’area medievale degli ospedali per pellegrini a Ferrara – templare,

crocifero e di S. Frediano (49) . Lo storico faceva particolare riferimento al rinvenimento, forse del tutto casuale,

di un contratto stilato l’11 Novembre 1376 dal notaio Pietro Pialbene: “… il Priore, a nome della Chiesa della

Trinità e di Santa Maria di Betlemme, olim Templi, subito li reinveste; a titolo di livello, …” (50) . “Olim Templi”: già

appartenuta all’Ordine del Tempio.

Dopo questa ratifica la Ferrariae Decus, ente morale per la tutela del patrimonio storico ed artistico, da me

interpellata, affinchè la verità storica fosse nota e permanesse nel tempo, ha apposto sulla facciata, ora

barocca, dell’antica chiesa questa targa:

“CHIESA DI SANTA MARIA ANNUNZIATA DI BETLEMME

APPARTENUTA IN ORIGINE AI CAVALIERI TEMPLARI

EDIFICATA DA GUGLIELMO II DEGLI ADELARDI

(PRIMA METÀ DEL SEC. XII) CHE IVI FU SEPOLTO.

RICOSTRUITA ED AMPLIATA ALL’INIZIO DEL SEC. XVII

CON TRASFERIMENTO IN LOCO DELLA PARROCCHIA DI

S. MATTEO DI MIZZANA” (Fig. 6)

Oggi, intorno alla chiesa di Mizzana che, data la sua accertata importanza, è fuori dubbio che fosse stata

“Sancta Maria de Templo”, ormai irriconoscibile rispetto alla primigena struttura a pianta circolare e a quanto

resta dell’antica “magione” (ora casa Taddia) e del suo ospizio, spesso, durante lavori di sterro, tornano alla

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luce vestigia del suo passato.

L’ultima, per me certamente la più importante, è rappresentata dal rinvenimento di parte di un archivolto in

marmo raffigurante una grande croce patente contenuta in un cerchio, indubbiamente templare, che i Cavalieri

Ospitalieri di San Giovanni, nuovi possessori del complesso, sopravvenuti ai Templari, ebbero il riguardo di

non distruggere, seppellendola (Fig. 7).

Questa trasgressione, della quale dobbiamo essere loro grati, ci permette ancora una volta di aggiungere una

nuova tessera a quel “grande mosaico”, mai ultimato, che chiamiamo Storia.

Siamo pertanto in attesa che, come già accaduto per Mizzana, da qualche remoto archivio possa emergere il

documento di conferma che anche San Giovanni della Trinità era “olim Templi”. Sono certo che anche

Guglielmo lo vorrebbe.

*Relazione tenuta da Paolo Sturla Av ogadri durante la seduta dell’Accademia delle Scienze di Ferrara del 10 ottobre 2012;

il testo, qui riportato con qualche piccolo aggiornamento, è stato edito nel v olume degli Atti dell’Accademia delle Scienze

di Ferrara, anno Accademico 189, v olume 89, anno 2011-2012

11


Note

1 - Agli inizi del 1291 era ormai certa ed imminente la perdita della Terrasanta. Nel maggio i Templari,

salpando da Athlit, diretti ad Atene, via Cipro, per una serie di circostanze contrarie (furiosa tempesta, navi

saracene che incrociavano, ecc.) dovettero risalire l’Adriatico e scaricare la preziosa reliquia a RAUNIZA,

presso Rijeka, in Illiria. Successivamente, per sottrarla ai barbari abitanti del luogo, la dovettero trasferire

sull’altro versante adriatico, nel Piceno, a Montarice, sulle vestigia di un antico tempio pagano dedicato alla

dea nera Cupra, poi nella proprietà dei due fratelli Antici e, soltanto dopo altre peripezie, a Loreto (10 dicembre

1294) dove è stata definitivamente “messa a dimora”. E’ da tenere presente che la Madonna di Loreto è una

“Vergine Nera”.

2 - Il 10 dicembre 2008 e 2009, in occasione delle celebrazioni della BeataVergine di Loreto, patrona degli

aviatori, ho ricevuto l’alto onore di essere invitato in Cattedrale da Sua Eccellenza l’arcivescovo di Ferrara e dal

Generale comandante il C.O.F.A. (Comando Operativo Forze Aeree), a parlare della verità storica della

traslazione.

3 - Le grandi distese di terreni, boschi, acquitrini, ecc., requisite ai Templari, restarono abbandonate ed incolte

per anni, causando le ben prevedibili conseguenze.

4 - Rimasto vedovo, nel 1305 Azzo sposò Beatrice, figlia di Carlo II di Valois, re di Napoli e cugino di Filippo IV il

Bello; questo matrimonio, considerato d’interesse, venne criticato dall’Alighieri: “L’altro che già uscì preso di

nave, / Veggio vender sua figlia e patteggiarne. / O avarizia, che puoi tu farne, / Poi ch’hai il sangue mio a te si

tratto, / che non si cura della propria carne?” (Purgatorio, canto XX, 79-84).

5 - A. VASINA, Comune, Vescovo o Signoria Estense dal XII sec., Storia di Ferrara, vol. V, p. 103.

6 - Forse per non aggravare ulteriormente la sua precaria condizione di esule, condannato contumace alla

pena capitale.

7 - E’ ipotizzato il rinvenimento di antiche pergamene di contenuto sapienziale e, forse, delle basi della

geometria descrittiva per le costruzioni in stile gotico, prima di allora mai impiegato.

8 - Del probabile recupero e trasferimento in Europa dell’Arca o del suo contenuto (vedi il bassorilievo sulla

Porta di Settentrione della Cattedrale di Chartres, raffigurante l’Arca, montata su ruote, ed il cartiglio “Archa

cederis”).

9 - Il Sacro Lenzuolo, il “Mandilion”, prima di essere venduto ai duchi di Savoia (1453), era proprietà della

famiglia de Charny alla quale era appartenuto quel Goffredo, Gran Precettore Templare di Normandia, che

venne arso sul rogo a Parigi il 18 marzo 1314, insieme al Gran Maestro Jacques de Molay.

10 - Si crede che quei vangeli perduti contenessero riferimenti alla genealogia della famiglia di Gesù e ai

supposti legami con Maria Maddalena.

11 - E’ comprovato il loro sostegno alle Confrèries dei Costruttori di Cattedrali (solitamente dedicate a “Notre

Dame”) ed erette, con riferimenti di carattere geo/astronomico, sulle vestigia di precedenti luoghi di culto

druidici. Il GranMaestro templare, portava, quale distintivo della sua autorità, l’“abacus”, il bastone graduato

dei Maestri Costruttori.

12 -A sostegno della tesi “americana” si possono citare: - La pietra tombale, presente a Westfort

(MASSACHUSSETS) raffigurante un guerriero armato con equipaggiamento del XIV sec., probabilmente lo

scozzese Sir James Gunn, appartenente al clan dei Sinclair e, conseguentemente, legato ai fratelli Zeno. Il

navigatore Giovanni da Verrazzano (primo ventennio del XVI sec.) annotò, su una sua planimetria, la presenza

presso Newport (RHODE ISLAND) di una villa normanna: ora la villa non esiste più, ma è tuttora ben presente

un torrione superstite a pianta circolare con archi e colonne romanici. A Rosslyn, presso Edimburgo (SCOZIA),

sul portale della cappella Sinclair, ultimata nella seconda metà del sec. XV, sono scolpite pannocchie di mais

ed inflorescenze di aloe che, provenienti dalle Americhe, sarebbero rimaste sconosciute fino alla metà del

secolo successivo. Per quanto riguarda l’argento, la sua massiccia presenza in tutta Europa, quale moneta

circolante, non era giustificabile attraverso le scarse risorse minerarie locali, contrariamente a quelle

sudamericane. Influenzò persino la lingua francese: ancora oggi “argent” significa denaro. Ed inoltre, come

poteva Cristoforo Colombo garantire ai sovrani spagnoli, Isabella e Ferdinando, la scoperta di un “Nuovo

Mondo” (che probabilmente tanto nuovo non era), se non ne fosse già stato a conoscenza? E’ da tenere

presente che Colombo era Cavaliere dell’Ordine di Calatrava (SPAGNA), erede dei beni, della tradizione e

dell’archivio (quindi anche dei portolani) del disciolto Ordine del Tempio. Una curiosità: tutti i “Conquistadores”

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portavano, ben evidenziata sulla vela di “maestra” delle loro navi, la croce rossa patente dei Templari.

13 - Pur se lacunosi, i riferimenti ad entrambe le battaglie concordano che la vittoria di Bannockbourn (25

giugno 1314) sull’esercito inglese e quella di Morgarten (15 novembre 1315) sulla cavalleria asburgica,

furono determinate dall’improvviso e provvidenziale intervento di uno squadrone di disciplinatissimi e ben

motivati cavalieri che indossavano mantelli bianchi. E’ infatti molto difficile poter credere che dei semplici

valligiani e pastori abbiano potuto sbaragliare, con le sole loro forze, dei guerrieri di professione. Inoltre, nella

Confederazione Elvetica, i Templari, integratisi con la popolazione locale, avrebbero potuto lasciare nei loro

discendenti la predisposizione per l’attività bancaria e militare. E la bandiera svizzera, rossa con la croce

bianca, non potrebbe ricordare, con i colori invertiti, la bandiera templare?

14 - E’ fondata convinzione che quell’idolo barbuto, sconosciuto alla maggior parte dei Cavalieri durante gli

interrogatori, fosse in realtà la Sacra Sindone che, ripiegata nella teca, mostrava soltanto il viso.

15 - Il GranMaestro, morente, avrebbe chiamato, entro l’anno, dinanzi “al tribunale di Dio” i fautori della

distruzione dell’Ordine: 37 giorni dopo il supplizio, il 20 aprile, papa Clemente V moriva divorato da

un’infiammazione intestinale, lui che era sempre stato ghiotto dei beni terreni. Otto mesi più tardi Filippo il

Bello, a Fontainebleau, cadeva da cavallo e, agganciato ad una staffa, veniva trascinato fra fango e sterco;

sarebbe morto di paralisi il 29 novembre. Nello stesso anno Guglielmo di Nogaret moriva misteriosamente e

miseramente. Guglielmo de Plaisians, ovvero Guglielmo di Parigi, grande inquisitore domenicano e

confessore di re Filippo, moriva misteriosamente. Altrettanto accadeva alla maggior parte dei falsi

denunciatari. Nel 1328 nessun discendente di re Filippo regnava più sulla Francia e sull’Inghilterra.

16 - Il 1118 viene convenzionalmente accettato, quale anno di fondazione, in base a quanto pubblicato da

Guillaume de Tyr e da Jacques DE Vitry nelle loro Cronache Gerosolimitane, stilate, però soltanto, negli anni

80-85 del XII sec., che la facevano risalire a dieci anni prima della ratifica dell’Ordine, avvenuta durante il

Concilio di Troyes, nel 1128. I nove Cavalieri fondatori erano: Hugo de Payns, feudatario della Champagne

(loro guida e primo Gran Maestro), Godefry de Saint-Omer,Andrè de Montbard, Payen de

Montdidier,Archambaud de Saint-Amand, Gondemare, Rossal e Geoffroy Bisol; nel 1126 si unirà a loro Hugo

conte de Champagne.

17 - Certamente imbarazzatissimo perché, prima di allora, non erano mai esistiti monaci “con licenza di

uccidere”.

18 - Questa “Regola”, severissima, costituita da 72 articoli, si uniformava alla cistercense, in sostituzione di

quella agostiniana adottata fino a quel momento. Bernardo de Fontaine, fondatore dell’Ordine dei monaci

cistercensi e Abate di Chiaravalle, era nipote di Andrè de Montbard, uno dei primi nove Cavalieri. Con

l’adozione della Regola di S. Bernardo, i Templari diverranno il “braccio armato” dei Cistercensi e, a loro

similitudine, adottarono il mantello bianco che, agli inizi della III Crociata, verrà guarnito, sopra la spalla

sinistra, della croce rossa patente, simbolo della “Crociata permanente”. Solitamente presso i Templari vi era

una presenza cistercense, e viceversa.

19 - Sistema utilizzato da chi voleva mettersi in viaggio, per strade malsicure, con denaro contante: bastava

versarlo presso una magione templare, dove il riscontro consisteva in un poco appetibile foglietto di carta

siglato e incomprensibile ai non “addetti ai lavori”, quindi inutilizzabile in caso di rapina. Una volta giunti a

destinazione, presso un’altra casa templare, previo un moderato tasso d’interesse, avveniva l’operazione

d’incasso.

20 - Da questo positivo precedente, pare abbia tratto origine la Lega Anseatica, il patto commerciale fra le città

del Mar Baltico e del Mare del Nord (AMBURGO, BREMA, LUBECCA - 1256).

21 - E’ da questo accadimento che pare derivi la negatività del “venerdì 13”.

22 - La “Regola” imponeva espresso divieto ai Templari di armarsi contro altri cristiani, se non attaccati da

forze tre volte superiori.

23 - La Professoressa Bianca Capone è autrice di numerosi altri saggi fra i quali Attraverso l’Italia misteriosa,

Vestigia templari in Italia, Quando in Italia c’erano i Templari, Guida all’Italia dei Templari, ecc. E’ stata la

fondatrice e prima presidente della LARTI- Libera Associazione Ricercatori Templari Italiani.

24 - Il 18 Febbraio 1798 il Corpo Legislativo, onde sopperire ai fabbisogni finanziari della Repubblica

Cisalpina, già Cispadana, deliberò la vendita all’incanto di tutti i beni ecclesiastici, compresi quelli dell’Ordine

di Malta.

13


25 - Abbazia di S. Bartolomeo, detta S. Bartolo, privilegio di Ludovico II, re d’Italia (869), rog. not. Valentino

Rossi, Bologna, 21/3/1319; S. Bartolomeo di Ospitalmonacale, esistente già nel sec. XI, nominata nel 1229 da

Federico, vescovo di Ravenna quale “Spedale di carità Vinci Nimici”, rog. not. Uguccione Brini, 5/9/1385; S.

Egidio, esistente già nell’XI sec. e nota come S. Michele di S. Egidio di Gaibana, rog. not. Valentino Rossi,

Bologna 24/9/1312; S. Marco di Fossanova, assoggettata dal vescovo Griffone ai monaci Olivetani, atto di

Angelberto dell’11/5/1114, rog. not. Giacomo Brini del 24/4/1308 (bisogna però tenere presente che a Ferrara,

a causa della politica filo francese del Marchese Azzo VIII d’Este, i Templari vennero arrestati e i loro beni

requisiti, proprio nel 1308. Vedi A. VASINA, Comune, Vescovo e Signoria Estense dal XII secolo, p.530. E di

loro non esiste alcuna notizia, neppure nell’elenco dei Cavalieri processati); S. Martino figura nella Bolla di

papa Clemente III del 1189, rog. not. Giacopo Bonavita, Bologna 28/9/1319; SS. Anastasio e Vincenzo di

Monestirolo, che prese questa denominazione da un antico monastero cistercense soggetto a S. Bartolo, pur

se abbandonato da quei monaci, rimase egualmente delle ragioni dell’abbazia, rog. not. Rinaldo Ziponari,

12/1/1411. Ed ancora: Natività di M.V. di Gaibana, privilegio del 1143 di papa Celestino II al vescovo Griffone,

rog. not. Valentino Rossi, Voghenza 6/10/1315; S. Agnese di Gaibanella, anticamente unita alla Pieve di

Gaibana, come da rog. not. Tuccio di Sanseverino, 28/4/1332; S. Nicolò, appartenente fin dal XIII sec.

all’abbazia di S. Bartolo, è nominata per un ospizio con sei letti per il ricovero “de’ poveri passeggeri”, rog. not.

Rinaldo Ziponari, 30/12/1326.

26 - Emanata a durante il Concilio di Vienne il 2 Maggio 1312.

27 - I Cavalieri Ospitalieri di S. Giovanni di Gerusalemme, detti anche di Rodi, con l’assegnazione

dell’Arcipelago maltese da parte dell’Imperatore Carlo V (Castelfranco Emilia, 23/3/1530) presero la

denominazione, ancora attuale di Cavalieri di Malta.

28 - Sant’Egidio: un insediamento Templare?, La Voce di Ferrara, 12/11/1977; Ipotesi di un insediamento dei

Templari nel Territorio ferrarese, La Pianura, Ferrara, n. 4/1979.

29 - PASINI-FRASSONI, Della Nobiltà Ferrarese, presso la Direzione del giornale araldico, Pisa 1886, pp. 22-

23; L’Ordine di Malta a Ferrara, p. 69

30 - Dedicata al Patrono S. Giorgio, fu consacrata l’8 Maggio 1135. La sua costruzione è ricordata nel cartiglio

con scolpiti i versi, probabilmente i più antichi in lingua volgare: “Li mile cento trempta cenque nato / fo questo

templo a San Gogio donato /da Glelmo ciptadin per so amore / e mea fo l’opra, Nicolao scolptore”.

31 - Pasini-Frassoni, Della Nobiltà Ferrarese, p. 23; L’Ordine di Malta a Ferrara, p. 69.

32 - GUARINI, Compendio historico dell’origine, accrescimento e prerogative delle Chiese , e luoghi pii della

città e diocesi di Ferrara, e delle memorie di què personaggi di pregio, che in esse sono sepelliti: [...], presso

gli Eredi di Vittorio Boldini, Ferrara 1621, p. 169; SCALABRINI G.A., Memorie storiche delle chiese di Ferrara e

dì suoi borghi, ristampa anastatica dell’ed. di Carlo Coatti 1773, Forni, Bologna 1971, p. 69.

33 - GUARINI, op. cit. p. 137; SCALABRINI, op. cit., p. 49; PASINI-FRASSONI, L’Ordine di Malta, p. 69.

34 - GUARINI, op. cit. p. 455; SCALABRINI, op. cit. p. 89; PASINI-FRASSONI, L’Ordine di Malta, p. 69.

35 - PASINI-FRASSONI, L’Ordine di Malta a Ferrara, p. 70.

36 - DI CROLLALANZA G., Enciclopedia araldico-cavalleresca: prontuario nobiliare, ristampa anastatica, Forni,

Bologna 1999, pp. 147-149.

37 - PASINI-FRASSONI, L’Ordine di Malta a Ferrara, p. 70.

38 - Vedi nota 32.

39 - SAMARITANI, Michele Savonarola, riformatore ecclesiastico, pp. 110-111.

40 - SAMARITANI, Michele Savonarola, ibidem.

41 - STURLA AVOGADRI, Il testamento di Guglielmo degli Adelardi, p. 75

42 - Vedi nota 34.

43 - L’ingiustizia ci fu, ed anche grossa: “Durante il papato avignonese, in un clima di pesante predominio

angioino-papale nella penisola, si registrò a Ferrara un caso assai significativo, determinato nel 1308 dalla

decisione politica assunta da Clemente V di sopprimere l’Ordine religioso-cavalleresco dei Templari e pertanto

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di imprigionare e processarne dietro pretestuose accuse gli aderenti delle sedi ferraresi, per poi confiscarne i

beni. L’ordine partito dalla corte avignonese in ossequio alla politica repressiva voluta dal re di Francia Filippo

IV il Bello, dovette trovare facile esecuzione nella città per il consenso, del resto scontato, dato sia dal vescovo

Guido Capello da Vicenza (1304/1332), già creatura papale, fedele inquisitore domenicano legato da vincoli

personali al pontefice regnante, siaq dai signori di Ferrara. E nulla potè fare, probabilmente, a favore dei

Templari, l’arcivescovo di Ravenna Rinaldo da Concorezzo –-che pure, dopo averli inquisiti per mandato

papale, ne aveva riconosciuto la generale innocenza- , anche perché non disponeva più dell’autorità metro

politica sulla diocesi ferrarese”. (A. VASINA,, op. cit. p. 103).

44 - SAMARITANI, Michele Savonarola, pp. 9, 10.

45 - Anche così veniva chiamata la Terrasanta.

46 - Vedi nota 41.

47 - Fino alla chiusura della porta (1717) “Ai lati erano due statue al naturale, una di vecchio armato d’asta e

l’altra di giovane con usbergo ed almo in testa e con spada brandita, ambi con uno scudo crociato - forse, dice

il Cittadella -ad accennare a que’ Adelardi che militarono alle Crociate” (SAUTTO, Il Duomo di Ferrara, p. 21).

“Agli inizi del secolo scorso Giuseppe Agnelli tentò inutilmente di rintracciare le statue, in particolare quella del

vecchio barbuto indossante il giaco”. (FRANCESCHINI, La chiesa scalabriniana di S. Maria di Bocche, p. 277).

48 - E’ raffigurato da due croci, una latina soprapposta a quella di S. Andrea, punteggiate da borchie; è

possibile vederlo sugli scudi dei cavalieri raffigurati su varie cattedrali gotiche. Il carbonchio, oltre ad essere

un simbolo araldico, è anche un simbolo alchemico.

49 - Studi vari 1992-93, p. 13.

50 - Mss. Cl. I, 868, Not. Pietro Pialbene, X, s.d., Biblioteca Ariostea, Ferrara.

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Immagini

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Gianluca Lodi*

Testimonianze Templari nel territorio ferrarese

I Cavalieri Templari, nascono come milizia prima militare e poi monastica alla fine del 1118 nella città di

Gerusalemme, all’indomani della Prima Crociata (1099). Le ragioni che portarono alla fondazione dell’Ordine

possono essere riassunte in due sostanziali obiettivi: proteggere i pellegrini che si recavano nei luoghi sacri e

per questo venivano presidiate strade, ponti, guadi e corsi d’acqua; avere cura del conforto e della salute degli

stessi, offrendo luoghi di accoglienza lungo le strade percorse, per raggiungere i luoghi di culto e preghiera.

Le strutture dove i Cavalieri offrivano difesa e ricovero dei pellegrini e dei mezzi utilizzati come veicolo erano

definite magioni, dotate di chiesa e ospizio, ed erano di regola disposte fuori dalle mura delle città, per dare

asilo ai viandanti che si attardavano per strada dopo la chiusura delle porte delle città e quindi per proteggerli

dalle frequenti aggressioni di briganti e infedeli, oltre che per fornire loro un momentaneo ristoro. Le regole

dettate dall’Ordine erano di destinare la costruzione di questi luoghi in posizioni isolate appunto fuori dalla

città, presso strade prossime a biforcazioni strategiche e possibilmente all’incrocio con corsi d’acqua

navigabili, dove convergevano persone e mezzi da più parti.

Magione templare – Poggibonsi (Siena)

Nei primi anni dell’anno mille (1101) la città di Ferrara venne nuovamente conquistata da Matilde di Canossa,

grazie all’appoggio militare fornito dalle navi di Venezia e Ravenna. Pur essendo queste città tradizionalmente

nemiche di Ferrara non esitarono a garantire il loro provvidenziale supporto, grazie al prezioso lavoro di

conciliazione del Vescovo Landolfo, uomo forte della riconquista, che riuscì a dare forza alla Chiesa di Ferrara,

recuperando diritti e beni andati a favore delle ricche famiglie ferraresi, come i Salinguerra Torelli che, con i

Vescovi di nomina imperiale, si erano divise il potere sulla città. Accanto al Vescovo Landolfo altri uomini si

distinsero in questa riconquista di Ferrara da parte dell’esercito di Matilde di Canossa, tra cui uno dei più noti

fu Guglielmo II degli Adelardi, appartenente alla famiglia che da sempre sosteneva le ragioni papali, e per

questo Vassallo dei Vescovi di nomina ecclesiale e successivamente riconosciuto come Capitaneo della

vassallità canossiana, massimo grado del potere al di sotto della stessa Matilde. Tuttavia Guglielmo II, figlio di

Bulgaro, si distinse anche per le imponenti ricchezze e per la grande e mirabile iniziativa di costruire la nuova

Cattedrale nel centro della città di Ferrara (Addizione Adelardiana), opera che si sarebbe completata grazie

all’intervento successivo del figlio Guglielmo III degli Adelardi al quale, per volontà del padre, venne destinato

un gran cumulo d’oro.

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Guglielmo II si recò in pellegrinaggio in Terrasanta, all’indomani della Prima Crociata del 1099, e al suo

rientro in Ferrara offrì mezzi e disponibilità per fondare una magione presso il Borgo Superiore di Ferrara, dove

esistevano tutti i presupposti ambientali richiesti dalle regole dell’Ordine dei Templari per offrire assistenza ai

pellegrini, fuori dalle mura della città.

Il luogo prescelto era a nord-ovest di Ferrara, nell’attuale borgo di Mizzana dove, secondo le notizie riportate

dal Chronicon Estense, lo stesso Guglielmo II venne sepolto nell’anno 1149. Cosa spinse il Capitaneo, che

spese ingentissime somme di denaro per la costruzione del più grande luogo di culto cristiano nel centro

della città, a farsi seppellire nell’isolato e insalubre luogo non possiamo certamente saperlo, ma possiamo

almeno desumerlo.

L’esperienza vissuta durante il pellegrinaggio in Terrasanta lo portò certamente in contatto con la cruda realtà

di quei tempi, che ogni viandante doveva affrontare lungo i percorsi che erano a loro disposizione per gli

spostamenti di terra e di acqua. Il supporto offerto dagli ordini cavallereschi permetteva loro di superare disagi

inaffrontabili e certamente il fascino che accompagnava questi personaggi avrebbero potuto in un certo qual

modo lasciare un segno, soprattutto in un Vassallo della Chiesa Cristiana. Molto probabilmente Guglielmo II

rimase affascinato da questi personaggi, dalla loro missione militare e dalla loro profonda opera di carità.

La scelta di Mizzana non fu affatto casuale. La posizione isolata fuori dalla città, presso la strada a cavaliere

del grande fiume (antico Po di Ferrara o di Volano, confluente con il Traversagno che garantiva il collegamento

con il Po di Venezia), che si biforcava verso le direzioni di: Cento, Modena e Bologna, passando per Vigarano

(vicus Varianus) a sud; Ostiglia, Mantova e Verona, passando per la matildea Bondeno a nord-ovest; Este,

Padova, Altino e quindi Aquileia a nord-est. Era esattamente ciò che imponevano le regole dell’Ordine, vale a

dire un incrocio strategico tra vie di terra e di acqua, considerando che il Po e tutte le sue diramazioni

rappresentavano la principale via d’acqua, che permetteva il collegamento tra l’alto Adriatico e importanti città

del nord Italia. Il nuovo corso del Po, il Padus Ruptae Ficaroli, dal 1152 rendeva ancora più permeabile il

territorio ferrarese, dalla tradizionale vocazione idroviaria, tanto che Ferrara tra il XII e il XIV secolo era il nodo

principale delle vie commerciali e dell’economia della pianura Padana. Su questo aspetto gli Estensi

costruirono in larga parte le loro fortune, in considerazione delle salate gabelle e dei dazi che facevano pagare

a tutti i naviganti che attraversavano il loro territorio.

La viabilità in quegli anni dipendeva sostanzialmente dai corsi naturali delle acque e dalle grandi vie costruite

(e in costruzione) dai Romani, che avevano iniziato a realizzare fin dal 312 a.C. verso sud come la via Appia, la

più antica delle strade consolari, che portava da Roma verso Capua e il porto di Brindisi, e a seguire le strade

verso nord come la via Aurelia, che conduceva verso il porto di Pisa, e le vie che collegavano Roma

all’Adriatico quali la Flaminia e la Salaria, che conducevano rispettivamente a Rimini e al porto prossimo ad

Ascoli Piceno. Da Rimini poi nel 187 a.C. prese forma la via Aemilia che attraversava tutta la pianura Padana

andando a toccare città importanti come Cesena, Forlì, Bologna, Modena, Parma e Piacenza.

Antiche strade romane – tracce in rosso (fonte: Google Maps)

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Sempre da Rimini prese forma nel 132 a.C. la via Popilia (attuale Romea) che puntando verso nord, lungo la

fascia costiera adriatica del nostro territorio, permetteva insieme alla via Annia di collegare città di grande

interesse come Ravenna, Adria, Padova, Altino e Aquileia. Ma le nostre terre erano già attraversate dalla via

Aemilia Altinate (o Minor) del 175 a.C., che si staccava dalla via Aemilia all’altezza di Bologna e Modena

prendendo la direzione nord e puntando su Ostiglia, Mantova e Verona verso nord-ovest e Este, Padova, Altino

e Aquileia verso nord-est, attraversando vicus Serninus (Guisa Pepoli presso Crevalcore) e vicus Varianus

(Vigarano Mainarda / Pieve). Il crocicchio strategico risulterà proprio a nord-ovest del territorio dove sarebbe

sorto il nucleo abitativo di Ferrara, dove correvano numerosi corsi d’acqua navigabili, che garantivano il

collegamento diretto dal mare Adriatico verso importanti città del nord come Cremona, Piacenza e Torino e

grazie agli affluenti del Po ad innumerevoli altre destinazioni di rilievo.

Lungo le vie di terra i Romani avevano previsto un sistema di stazioni di servizio dislocate ad intervalli di 12-18

miglia, che servivano per veicoli ed animali, denominate mutationes e mansiones, di fatto poste e ostelli dove

si potevano comprare i servizi di carrettieri, maniscalchi e veterinari, oltre che consumare pasti caldi e

soprattutto riposare. Quindi é molto verosimile che fosse già prevista una posta a nord-ovest del luogo dove

sarebbe sorta la città di Ferrara perché strategica in relazione all’incrocio tra la Aemilia Altinate e le tre vie

d’acqua navigabili offerte dal Po.

Ipotesi tracciati via Aemilia Altinate (fonte: Convegno Nazionale di Studi, Cento – Ferrara)

Il figlio di Guglielmo II, Guglielmo III degli Adelardi raccolse l’enorme eredità e si prodigò per legittimare il

lascito, dimostrando nei fatti di essere certamente non meno del padre, anche sotto il profilo spirituale visto

che, come Lui, decise di affrontare nel 1147 un pellegrinaggio in Terrasanta, in occasione della II Crociata,

insieme all’Imperatore Corrado III di Hohenstaufen e Re Luigi VII di Francia. Un pellegrinaggio molto più

difficile di quello affrontato dal padre in quanto l’esito di questa seconda Crociata fu decisamente più

complicato della precedente e il loro ritorno in patria dipese in larga parte dagli interventi decisi dei Cavalieri

Templari, che sostennero il loro ritorno. Quindi, al di là del fascino, Guglielmo III venne colpito anche dalla

tempestiva ed efficace azione dei Cavalieri, che permise loro un rientro sicuro.

Sarà stato per questo debito di riconoscenza verso l’azione di protezione dei Templari, e senza dubbio per

riconoscenza verso le azioni del padre, che Guglielmo III decise di riedificare la magione di Mizzana, facendole

assumere una forma architettonica più consona, in quanto sede di sepoltura del padre. Venne così scelta la

pianta ottagonale che ricordava la Cupola della Roccia di Gerusalemme, ancora oggi ben evidente

nonostante la struttura sia stata negli anni successivi integrata nell’abside dell’attuale chiesa di Mizzana. Altro

significativo indizio della tesi templare fu la dedicazione all’Annunciazione della Beata Vergine di Betlem, come

ricordato anche dal Guarini.

Ma la testimonianza che ancor di più avallò l’appartenenza templare dell’edificio fu la scelta del luogo di

sepoltura, certamente del padre e probabilmente anche del figlio, in quanto nella tomba di famiglia, situata

nella navata centrale della Cattedrale le ricognizioni effettuate non misero mai in luce la presenza del corpo di

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Guglielmo III, che molto verosimilmente decise, come aveva deciso il padre, di farsi seppellire nella

costruzione templare di Mizzana.

Tomba della famiglia Adelardi. Navata centrale della Cattedrale di Ferrara

L’altra testimonianza, certamente definitiva oltre che suggestiva è rappresentata dal rinvenimento, durante

lavori di scavo attorno all’abside della Chiesa di Mizzana, di un archivolto di marmo rosato raffigurante una

grande croce patente contenuta in un cerchio, senza dubbio di origine templare.

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Croce patente Templare. Chiesa di Mizzana (Ferrara)

Esiste infine un documento, conservato presso la Biblioteca Comunale Ariostea di Ferrara (Collezione

Antonelli, 868), stilato il giorno 11 novembre 1376 dal notaio Pietro Pialbene, dove troviamo un chiaro

riferimento alla Chiesa di Santa Maria di Betlem olim templi, che rende assolutamente certa l’origine templare

dell’edificio.

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Atto del notaio Pietro Pialbene, 11 Novembre 1376 (in Biblioteca Comunale Ariostea, Collezione Antonelli, 868)

Guglielmo III, non essendosi mai sposato aveva per sua volontà preso i voti di stato semi-monacale e aveva

per questo deciso di praticare povertà, castità ed obbedienza e la testimonianza diretta di questo suo voto lo si

ricava dallo stemma della Famiglia Adelardi dove, oltre alla figura araldica (leone rampante accostato a due

stelle), nel capo compare il distintivo dell’Ordine Templare (fondo argento e croce patente rossa), che

rappresenta senza dubbio l’appartenenza all’Ordine e l’alto grado ricoperto nell’Ordine stesso.

Era quindi Cavaliere Professo, tanto che venne raffigurato in una terracotta che faceva parte delle dodici

formelle che adornavano la Porta dei Pellegrini (definita Porta dei Mesi) che ancora oggi è possibile

individuare nel centro del lato lungo della Cattedrale, che delimita la piazza del listone (attuale Trento Trieste).

Le formelle sono oggi conservate presso il Museo della Cattedrale, ma una copia che rappresenta il Cavaliere

Professo (mese di maggio) è presente sul fronte della Cattedrale lungo il pilastro d’angolo con la via degli

Adelardi. Di grande interesse l’analisi che lo storico Paolo Sturla Avogadri avanza a proposito dello scudo

brandito da Guglielmo, dove si riconosce l’escarboucle (carbonchio) che è inequivocabilmente il fregio che si

evidenzia sul caratteristico Sigillo Templare.

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Stemma della famiglia Adelardi

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Cavaliere Ardente raffigurante Guglielmo III degli Adelardi. Formella della Porta dei Mesi (Museo della Cattedrale di Ferrara)

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Sigillo Templare

Quando ormai prossimo alla fine dei suoi giorni, il 12 marzo 1183 Guglielmo III compilò l’atto testamentale

Ecclesia Sancti Joannis de Hospitale medietatem omnium bonorum, con il quale cedette larga parte del

patrimonio di famiglia a Marchesella, figlia del fratello Adelardo, promessa sposa di Azzo VI d’Este. Con il

trasferimento dei beni della famiglia Adelardi, ormai senza eredi maschi, si aprì la strada di Ferrara e del suo

territorio agli Estensi, anche per la prematura scomparsa di Marchesella, che morì poco dopo il matrimonio

con il discendente della casa d’Este.

Nello stesso atto Guglielmo III donò altresì alla città un importante ed esteso fabbricato situato nel centro della

città (vie del quadrilatero: Cortevecchia, Boccaleone, Podestà e Turco), che sarebbe divenuto Commenda

intitolata a San Giovanni della Trinità, comprendente la chiesa, il convento e l’ospedale. Alla stessa

Commenda erano soggette le chiese, con i rispettivi monasteri ed ospizi per i pellegrini di Santa Maria della

Rosa (del Guazzaduro) e di Santa Maria Annunciata di Betlemme. Questo ci porta a considerare che le

Chiese, con ospedali e conventi annessi, siano state tutte soggette all’Ordine, per un insieme di ragioni che

vanno dalla dedicazione a Maria, alle definizioni de Templo per Santa Maria della Rosa e olim Templi per

Santa Maria Annunciata di Betlemme, oltre alle suggestive ipotesi legate alla localizzazione di quest’ultima e

inequivocabilmente alla testimonianza legata al rinvenimento dell’archivolto con croce patente.

Negli stessi anni in cui venne fondato l’Ordine dei Cavalieri Templari, sempre a Gerusalemme, prese vita

l’Ordine dei Cavalieri Gerosolimitani, che vennero nel tempo denominati di Rodi e infine di Malta, come ordine

benedettino a cui venne affidata la cura e quindi la difesa dei pellegrini in Terrasanta. A differenza dei Templari

quindi svilupparono le funzioni di carità prima delle riconosciute funzioni di difesa e quindi prima monaci e poi

cavalieri, ma sempre Ordine Religioso Cavalleresco Cristiano. Come tali potevano godere di privilegi

funzionali concessi dal Papa come indipendenza da ogni autorità (escluso il Papa stesso), esenzione dai

tributi e concessione di edifici religiosi, che li rese particolarmente ricchi ed influenti.

Tuttavia, dopo anni di gloriosa attività la storia dei Cavalieri Templari si complicò per le congiure dei potenti di

Francia e in particolare di Re Filippo IV di Francia e del suo consigliere Guglielmo di Nogaret, debitori di

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ingentissime somme di denaro nei confronti dei Templari. Per questo ordirono ai loro danni un insieme di

accuse infamanti per evitare di versare le somme dovute, che portarono nel giro di pochi anni alla

soppressione dell’Ordine e a quella che verrà definita damnatio memoriae, che costrinse a celare ogni traccia

di storia dei Cavalieri Templari, accompagnata dalla immediata devoluzione di ogni loro bene a favore dei

Cavalieri Gerosolimitani.

Santa Maria di Betlemme – Mizzana (Ferrara)

La storia dell’Ordine del Tempio terminò ufficialmente il 18 marzo 1314. La storia locale rispetta in pieno

questi tempi, tanto che le testimonianze e i riferimenti storici delle tre Chiese nominate nella Commenda di

Guglielmo III daranno presenza di sé solo dopo la scomparsa dell’Ordine Templare, come Commende

Gerosolimitane e di fatto riconosciute di proprietà dei Cavalieri di Malta, che le gestirono negli anni a venire.

Tuttavia la nostra storia permette di individuare la vera origine di questi edifici e di riconoscere ai Templari un

passo importante nella storia della nostra città.

*Storico. Fondatore e consigliere della Associazione culturale De Humanitate Sanctae Annae

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Francesco Scafuri*

Storia e misteri di luoghi templari a Ferrara

Chiesa di Santa Maria Annunziata di Betlemme in Mizzana

Di questa chiesa, che sorge nella frazione di Mizzana, così come delle altre cui accennerò, ci parlano diversi

studiosi, tra cui Antonio Samaritani, Silio Sarpi e Dante Balboni. Ma un ringraziamento particolare lo devo a

Luca Taddia, per avermi aiutato a ricostruire la storia dell’edificio di culto e dell’adiacente ex precettoria

templare, che ora è diventata la sua abitazione. Desidero, inoltre, esprimere speciale e sentita riconoscenza a

Paolo Sturla Avogadri, il maggiore esperto di templari a Ferrara, per i preziosi suggerimenti riguardo a questo

e agli altri edifici di culto di cui mi occuperò in questo studio.(Fig. 1)

Come accenna anche Lodi in questo volume, si parla per la prima volta della chiesa di Santa Maria di

Betlemme in Mizzana nel Chronicon Estense che risale al XIV secolo, dove si ricorda che l’11 settembre 1146

il nobile Guglielmo II degli Adelardi, morto a Ferrara, fu sepolto con tutti gli onori nel tempio in questione, che

quindi era già esistente e che probabilmente in precedenza era stato costruito proprio per suo impulso;

secondo altre fonti, invece, vi sarebbe stato sepolto esattamente tre anni dopo. Alcuni storici, come Righini ed

altri, sulla base di antichi manoscritti due-trecenteschi ritengono che il figlio Guglielmo III Marchesella degli

Adelardi, dopo essersi recato in Terrasanta per un voto o per partecipare alla seconda crociata del 1147-49,

sia stato in seguito sepolto proprio nella chiesa di Mizzana, dedicata in quel periodo a Santa Maria Annunziata

di Betlemme, ovvero all’Annunciazione di Maria. Sarebbe stato proprio Guglielmo III a completare la

costruzione, annettendo al fabbricato preesistente un edificio di forma rotonda o, come sostengono altri, a

riedificarla completamente in tale forma, ad imitazione forse della Cupola della Roccia (come propone Sturla)

oppure del Santo Sepolcro, come ricordano altri. La struttura circolare della chiesa di Mizzana (decorata di

archi con relativi sott’archi), è databile infatti con buona approssimazione intorno alla metà del XII secolo. La

tipologia architettonica della parte absidale è un importante indizio per definirne l’origine templare; basti dire

che proprio a partire dagli anni Quaranta e Cinquanta del XII secolo viene promossa dall’Ordine del Tempio

l’erezione di chiese con lo stesso tipo di struttura in diverse altre città della penisola.

La costruzione circolare è in parte ancora oggi esistente, poiché fu utilizzata parzialmente come abside

durante la trasformazione barocca della chiesa, avvenuta nella prima metà del XVII secolo, come vedremo nei

dettagli in seguito (Fig. 2).

La chiesa di Mizzana era “olim templi”, cioè già appartenuta all’Ordine dei “Poveri Cavalieri di Cristo”, poi

denominato “Ordine dei Cavalieri del Tempio” (o Templare), come riportato nell’atto notarile di Pietro Pialbene

del 1376, conservato presso la Biblioteca Comunale Ariostea (Collezione Antonelli, 868), e lo fu secondo

diversi storici fin dalle origini. Questo documento, conosciuto dagli studiosi che si sono occupati del tema,

come Samaritani, Sarpi e Sturla, è quindi l’atto più importante che ci consente di affermare che anticamente la

chiesa era appartenuta all’Ordine dei Cavalieri del Tempio.

D’altra parte, lo stesso titolo mariano, che nel caso di Mizzana è quello di Santa Maria Annuciata di Betlemme,

è tipico delle fondazioni templari.

Apprendiamo, altresì, che era annesso alla chiesa un ospizio o ospedale, ricordato in un atto testamentario

del 1199. E’ solo il caso di accennare che, come già ricordato in altri interventi di questo libro, i templari, pur

essendo nati soprattutto come Ordine combattente in Terrasanta, presto si espansero anche in Europa, dove

ebbero pure attività e funzioni ospedaliere, istituendo molte domus, in particolare nelle città situate sulle

grandi strade di traffico, come a quell’epoca era sicuramente Ferrara e in particolare Mizzana, anche alla luce

di quanto ci riferisce Lodi.

Nelle immediate adiacenze della chiesa di Santa Maria di Betlemme insisteva quindi una magione templare,

ora abitazione della famiglia Taddia (Fig. 3), purtroppo notevolmente trasformata nei secoli, cioè una di quelle

case per accogliere i pellegrini (o precettoria), adibita anche a ospedale per malati, la cui entrata principale si

trovava sul lato sud del fabbricato, come testimonia un’antica traccia di un arco a tutto sesto. Nel periodo

medievale il complesso rappresentava senza dubbio un punto di riferimento per molti, visibile anche dalle

imbarcazioni che navigavano lungo il corso del vicino ramo del Po: un luogo sicuro per molti, soprattutto di

notte, quando le porte della città venivano chiuse per essere riaperte solo l’indomani, non senza accurati

controlli nei confronti di coloro che volevano entrare o uscire da Ferrara. Tanto più che nell’area insisteva fin

dall’origine una “torre-campanile” romanica, con funzioni legate al culto ma anche di controllo e difensive:

l’alta costruzione era staccata dalla chiesa primitiva, essendo inglobata nell’edificio retrostante adibito ad

ospizio o magione, come dimostrano le tracce che si possono osservare nel sottotetto di casa Taddia (angolo

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sud-ovest).

Il campanile del XII secolo venne in seguito demolito e ricostruito ex novo nel 1621 da Francesco Zucchetti

(con alcune modifiche successive) nell’attuale posizione (Fig. 4), utilizzando alla base una campata dell’antico

portico adelardiano (Fig. 5). La torre campanaria presenta diverse analogie con altre costruzioni coeve a

Ferrara: basti pensare alla Torre dell’Orologio, o al campanile di San Benedetto, oppure a quello della chiesa

di Santa Giustina, strutture attribuite o in cui è documentato l’intervento del grande architetto Giovan Battista

Aleotti (Argenta 1546 – Ferrara 1636) nella prima metà del XVII secolo.

Occorre ricordare anche che la precettoria di Mizzana non compare negli elenchi degli ospedali vescovili del

XII secolo; questo significa che non dipendeva dalla curia e, oltre ai giovanniti, il solo ordine che dal 1128

godeva di esenzione vescovile era proprio quello Templare.

Secondo la “Guida all’Italia dei Templari”, poi, la chiesa di Santa Maria di Betlemme è molto simile a quella

templare di San Tommaso Beckett, che sorge sul Poggio di Cabriolo vicino Fidenza; anche qui la parte

absidale, che ricorda quella ferrarese, è la costruzione più antica di ciò che rimane dell’edificio, essendo stata

realizzata tra il XII e il XIII secolo. Da notare che pure nei pressi della chiesa di Cabriolo insisteva un antico

ospedale templare per i pellegrini, fondato proprio nel XII secolo.

Come noto, a seguito della soppressione dell’Ordine dei Templari nel 1312, i loro beni, compresa la nostra

chiesa di Santa Maria di Betlemme, furono trasferiti all’ordine degli Ospedalieri (o Ospitalieri) di San Giovanni

Gerosolimitano, detti Giovanniti, denominati poi Cavalieri di Malta a partire dal 1530. La prima testimonianza

dell’accorpamento della chiesa di Mizzana all’ordine giovannita risale al 1368.

E’ bene ricordare che una sorta di Damnatio memoriae colpì questo come altri siti templari: la

documentazione relativa, nel corso del XIV secolo fu in gran parte distrutta, così come molte delle tracce del

passaggio dell’ordine. Quindi è da considerarsi eccezionale il ritrovamento negli anni Ottanta del Novecento

presso la chiesa di Santa Maria di Betlemme di un frammento di archivolto marmoreo di straordinaria

importanza, su cui è incisa una croce patente contenuta in un cerchio, che l’esperto Paolo Sturla Avogadri

afferma essere certamente templare; ora il prezioso reperto è stato apposto sopra il portone di casa Taddia

(prospetto rivolto a occidente).

Il complesso della chiesa e ospedale di Mizzana, nel corso del XIV secolo fu unito sia alla precettoria cittadina

della SS. Trinità (che si trovava in via Cortevecchia), sia a Santa Maria del Guazzaduro o della Rosa, un’altra

chiesa templare, anch’essa passata dopo il 1312 ai giovanniti, di cui parleremo fra breve. Quindi, un antico

legame, molto stretto, sembra associare questi tre edifici di culto.

L’ospedale di Santa Maria di Betlemme a Mizzana, documentato come accennato fin dal XII secolo, dopo

alterne vicende mantenne tale funzione anche durante la peste del 1436, così come nel 1449 e nel 1463

quando il Comune utilizzò la struttura, amministrata all’epoca dai giovanniti, come sanatorio specializzato

(diremmo oggi), immettendovi chirurghi ed esperti nella cura della terribile epidemia; tuttavia, già a queste

date la funzione ospedaliera viene meno.

Nei secoli successivi e in particolare nel Seicento sorsero alcune diatribe tra i Cavalieri di Malta e la Curia, ma

questa riuscì sempre ad imporre propri parroci. Altre questioni sorte poi con i privati, si risolsero soltanto nel

1908 con il riconoscimento del legittimo possesso della chiesa e delle relative pertinenze a favore dei parroci

della frazione.

Per quanto riguarda le trasformazioni architettoniche dell’edificio di culto di Mizzana, in sintesi possiamo dire

che ancora nella seconda metà del XVI secolo, al tempo di alcune visite pastorali (gentilmente segnalatemi

da mons. Enrico Peverada), la chiesa era caratterizzata da una forma “quasi rotonda con copertura a volta”,

perciò aveva conservato in gran parte la struttura originaria del XII secolo.

Ma, come ricorda la targa posta dalla Ferrariae Decus sulla facciata della chiesa, a partire dagli inizi del

Seicento la costruzione fu ampliata e in gran parte trasformata.

Occorreva un tempio più grande, anche perché le funzioni della vicina parrocchia di San Matteo, ormai

diroccata, nel 1603 furono trasferite dal vescovo Fontana in Santa Maria di Betlemme. La chiesa di San Matteo

si trovava in via Barbieri 29: è documentata come parrocchia almeno dal 1187, mentre venne trasformata nel

1913 in civile abitazione.

Nel XVII secolo, quindi, metà dell’antico edificio “rotondo” di origine templare fu abbattuto per costruire l’attuale

ambiente ad aula della chiesa templare di Mizzana, caratterizzato da un barocco dai toni equilibrati, mentre

l’altra metà fu adattata ad abside del nuovo edificio sacro. Un disegno datato 2 dicembre 1749 del perito

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Giovan Battista Benetti, conservato nella Biblioteca Comunale Ariostea (Collezione Antonelli, 958, fascicolo

26), documenta le trasformazioni avvenute in gran parte nel secolo precedente (Fig. 6).

L’interno barocco fu impreziosito nella seconda metà del Settecento da un vecchio organo proveniente dalla

parrocchia di Porotto, che il rettore di allora fece ricostruire dai fratelli Fedeli, appartenenti ad una dinastia tra

le più rappresentative dell’arte organaria italiana tra Settecento e Novecento. L’organo è stato restaurato con il

contributo e la cura di Silio Sarpi, indimenticabile cultore di storia locale (Fig. 7).

Allo stesso secolo risale la lapide, ormai quasi illeggibile, apposta sul lato orientale della chiesa seicentesca,

proprio sotto l’unica finestra: datata 1727, la lastra marmorea vuole celebrare la figura del cardinale Tommaso

Ruffo (Bagnara 1663 - Roma 1753), primo arcivescovo di Ferrara. In particolare qui è ricordato perché, in base

alla documentazione fornita, il 21 maggio 1725 ottenne dai padri del concilio romano l’indipendenza della

Chiesa di Ferrara dalla “metropolia” di Ravenna, facendo sì che la prima fosse unicamente soggetta alla

Santa Sede. Il pontefice confermò la sentenza conciliare il 15 dicembre 1725.

Sempre nel XVIII secolo fu edificata l’attuale casa canonica (Fig. 8), inglobando nella nuova costruzione un

“portico adelardiano”, edificato anch’esso nel XII secolo (secondo l’ipotesi di Sarpi), pressoché

contemporaneamente alla costruzione di forma rotonda. Di questo portico, dal quale nel periodo medievale si

accedeva alla chiesa templare, si conservano in alcuni ambienti al piano terra della canonica le vestigia di

quattro grandi arcate collegate da volte a crociera, mentre sulle pareti si scorgono tracce di affreschi scialbati.

Nelle stanze del primo piano, poi, sono presenti altri lacerti più estesi di interessanti raffigurazioni sacre (Fig.

9).

Il complesso di Santa Maria di Betlemme è quindi un sito particolarmente evocativo, che ci riporta al Medioevo

e ai Templari, dove sembra che il tempo si sia fermato. Si può essere rapiti dalla sua bellezza e dal desiderio

di immaginare come potesse essere la vita tra le mura della magione nel XII e XIII secolo: certamente un

punto di riferimento sicuro per i pellegrini, ma anche un luogo di sofferenza e di dolore, che si cercava di lenire

con i pochi rimedi efficaci conosciuti all’epoca.

Chiesa di S. Maria de Templo detta della Rosa (distrutta)

Abbiamo visto dunque che nel XII secolo l’Ordine dei Cavalieri del Tempio aveva in Santa Maria di Betlemme a

Mizzana il principale insediamento nei pressi di Ferrara; tuttavia, nel periodo medievale possedeva a poca

distanza dal centro della città una piccola chiesa con annesso ospizio o ospedale, che si trovava al di là del

fossato e delle mura medievali che un tempo correvano lungo l’asse dell’attuale Corso Giovecca e viale

Cavour. Più esattamente si trovava dove attualmente sorge il palazzo INA, nell’angolo di Viale Cavour con via

Armari (Fig. 10).

Veniva chiamata Santa Maria de Templo (o del Tempio), poi del Guazzaduro o della Rosa, ed era dedicata alla

Natività della Vergine. L’ospedale adiacente doveva servire soprattutto per il ricovero e il ristoro di quei

pellegrini che erano diretti presso i vari santuari della penisola, o presso i porti, da dove si imbarcavano alla

volta della Terrasanta.

Santa Maria de Templo viene nominata in alcuni testamenti della fine del XIII secolo, ma vi è il dubbio che si

possa fare riferimento invece alla chiesa di Mizzana, tuttavia, secondo Samaritani, già alla fine del XIII secolo

la sede originaria dei Templari, cioè Santa Maria di Betlemme, sarebbe stata trasferita “de iure” in “Santa

Maria de Guazzaduro”.

Prova ne sia che anche la chiesa della Rosa, come la maggior parte dei beni templari, dopo la soppressione

dell’ordine (nel 1312) fu trasferita all’ordine degli Ospedalieri di San Giovanni, detti Giovanniti o

Gerosolimitani. La conferma ufficiale di tale trasferimento, che sarebbe avvenuto nel 1368, è documentata

molto tempo dopo da una bolla di papa Nicolò V del 16 novembre 1448 in cui, oltre ad essere chiaramente

espresso il nome templare dell’edificio di culto, si esprime la presa di possesso della chiesa da parte del

precettore e rettore dei giovanniti di Ferrara Avanzo de’ Ridolfi. Nella bolla essa è denominata “Sanctae Marie

olim appellate de templo” [cioè un tempo denominata del Tempio]… posta “extra muros civitatis ferrarie”

[ovvero fuori dalle mura della città di Ferrara]… "supra foveam" [cioè sopra la fossa della città, ovvero a lato

della stessa], come ci conferma la famosa pianta di Ferrara di Pellegrino Prisciani della fine del XV secolo,

conservata nell’Archivio di Stato di Modena (Manoscritti della Biblioteca, n. 130, cc. 20v-21r).

Quindi è chiaro che si tratta della chiesa che conosciamo come Santa Maria della Rosa, perciò lo scritto del

1448 emanato dalla Curia romana con i il sigillo del Papa è uno dei documenti che, secondo diversi studiosi,

dimostra l’appartenenza del complesso all’Ordine dei Cavalieri del Tempio.

Da notare come, tra XIV e XV secolo, sia ancora vivo quel legame cui abbiamo accennato in precedenza.

39


Infatti, la chiesa di Santa Maria del Guazzatore era di pertinenza dell’ospedale di San Giovanni della Trinità,

così come Santa Maria Annunziata di Betlemme in Mizzana sin dalla documentazione di fine Trecento era

legata anch’essa al priorato della Trinità; al tal proposito, non sembra affatto un caso che, sia pure in epoca

successiva, Giorgio de Montesia sia documentato come precettore presso tutti e tre gli edifici di culto nel

1430, come ci ricorda Samaritani.

L’edificio di culto in questione è conosciuto anche come Santa Maria del Guazzaduro perché nel XV secolo fu

costruito nei pressi della chiesa un “guazzaduro” o “roggia” (dal latino medievale “roxa”), una sorta di grande

vasca lunga 25 piedi ferraresi e larga 7 (m. 10 x 3 circa) per abbeverare e bagnare i cavalli ed altri animali,

soprattutto durante l’estate. Santa Maria del Tempio mutò allora la denominazione in Santa Maria del

Guazzaduro o della Roxa, poi della Rosa.

L’intero complesso religioso fu notevolmente trasformato nei secoli successivi e, in seguito a varie

vicissitudini, l’ex convento divenne dopo il 1870 la caserma del comando divisionale dei reali Carabinieri a

cavallo, che vi rimase fino al settembre 1943.

La chiesa invece ancora agli inizi del Novecento era meta di fedeli e visitatori, soprattutto perché all’interno

conservava le otto statue in terracotta policroma modellate dal modenese Guido Mazzoni nel 1485: si tratta del

celebre gruppo scultoreo conosciuto come il “Compianto di Cristo morto”, o Mortorio, ma noto ai ferraresi

come “I pianzun dla Rosa” (Fig. 11).

Quando nel 1938 la diocesi cedette la chiesa alla Provincia, già da alcuni anni l’edificio sacro era stato chiuso,

perciò le opere d’arte erano state trasferite in altri luoghi; tra queste il Mortorio del Mazzoni, che trovò una

degna collocazione presso la chiesa del Gesù, dove tuttora si trova.

I bombardamenti del 1944 colpirono lievemente il convento della Rosa, tuttavia, i danni maggiori si

verificarono nella facciata della chiesa a causa di un ordigno esploso a posa distanza, tanto che nel 1949

l’Amministrazione Provinciale, invece di prevederne il restauro, scelse la strada più semplice, quella

dell’abbattimento di alcune sue parti per evitare ulteriori crolli (Figg. 12 e 13). Ormai la sorte del complesso

della Rosa era segnato, così nell’ottobre del 1955 l’ex convento con il magnifico chiostro, la chiesa di origine

templare e il campanile del XV secolo vennero abbattuti, mentre l’area oggetto delle demolizioni fu nel

frattempo acquistata dall’INA.

24) Sull’area dove sorgeva il tempio venne eretto tra il 1955 ed il 1957 il palazzo dell’Istituto Nazionale delle

Assicurazioni su disegno dell’architetto Giuseppe Vaccaro, uno dei maestri del razionalismo romano. Per

quanto riguarda il chiostro, “a parte un paio di colonne originali nell’angolo nord ovest”, fu completamente

ricostruito alla fine degli anni Cinquanta a cura dell’ingegnere Carlo Savonuzzi, cui era stato conferito l’incarico

di “sovraintendente ai lavori”, come si evince da una lettera del 12 giugno 1959 conservata nel fascicolo n. 62

presso l’archivio dell’associazione Ferrariae Decus (Figg. 14, 15, 16, 17, 18).

Chiesa della SS. Trinità o di San Giovanni Gerosolimitano con annesso ospedale (distrutti)

Tra gli edifici in cui anticamente furono presenti i templari, si ipotizza possa essere inserita la chiesa con

annesso ospedale di San Giovanni detto “la Trinità” (un tempo ubicati in via Cortevecchia). Il complesso,

secondo Melchiorri, sarebbe stato fondato attorno al XII secolo. Ma non ci sono prove certe della sua antichità,

anche perché, come lamentato dallo storico del Seicento Marc’Antonio Guarini, i documenti relativi ai primi

secoli di attività del complesso, guarda caso, andarono perduti. Anzi, gli altri storici ritengono invece fondata,

piuttosto, la presenza presso la SS. Trinità dei giovanniti, che secondo Samaritani elessero a loro sede fin da

prima del 1183, anno in cui, come ricorda anche Lodi, Guglielmo III Marchesella Adelardi donò metà dei suoi

beni all’ospedale della Trinità, che egli stesso secondo alcuni storici avrebbe fondato al suo ritorno dalla

Terrasanta.

In un testamento del 1297 (quello di Ubaldino Fontana) veniva citato il “collegium hospitalis Sancti Johannis

de Templo”. Per Paolo Sturla Avogadri, in disaccordo con altri studi, si tratterebbe di quello presso San

Giovanni della Trinità. Sturla afferma, inoltre, che all’epoca il complesso era ancora denominato San Giovanni

del Tempio, cioè templare, appartenente quindi ai cavalieri rossocrociati.

Le documentazioni più attendibili sul complesso della Trinità risalgono, tuttavia, a dopo il 1312, tanto che il

Guarini si limita a riportare una menzione della chiesa della SS. Trinità soltanto nel 1338. Ma è ancora più

strano che l’elenco dei cavalieri giovanniti o ospedalieri presenti nella nostra città inizi soltanto dal primo

ventennio del XIV secolo, nonostante sia opinione di Samaritani che essi avessero la loro sede presso la

Trinità già da prima del 1183. E questa è un’altra incongruenza che farebbe pensare all’originaria presenza

dei Cavalieri del Tempio presso il sito in questione, presenza che poi si sarebbe cercato di cancellare dopo la

soppressione dell’ordine del 1312 e l’arrivo dei giovanniti, con i quali la funzione ospedaliera presso il

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complesso della Trinità venne meno sin dal 1341. Successivamente l’edificio di culto viene ricordato pure

come commenda dell’ordine dei Cavalieri di Malta.

Officiata dal 1582 dalla confraternita dei Sacchi, la chiesa venne poi soppressa nel 1798, venduta a privati e

successivamente demolita (Fig. 19); tuttavia, da una relazione inedita del 1918 conservata nell’Archivio della

Ferrariae Decus (fascicolo n. 41) risulta che in un cortile interno si potevano vedere fino a poco tempo prima

tracce di loggiati, di cui rimane soltanto un antico capitello inglobato nel muro di uno degli edifici sorto

nell’area, che chi scrive ha potuto fotografare nel 2013 (Fig. 20). Nel luogo dove era la chiesa della Trinità, oggi

sorse il caseggiato in corrispondenza degli attuali numeri civici 31-39 di via Cortevecchia (Fig. 21). Lo

dimostrano, tra l’altro, due piante poco conosciute: una è conservata nell’Archivio di Stato di Ferrara nel fondo

“Periti e agrimensori” ed è datata 1655 (G. B. Frigieri, busta 341, L. 1, n.5); l’altra, che risale al 1705, è firmata

da “G. B. Bonaccioli” e si trova nella Biblioteca Comunale Ariostea di Ferrara (Collezione Antonelli, 958,

fascicolo 26). Dai due disegni, ma anche da altre mappe inserite nella medesima collezione, si evince che la

chiesa non insisteva in angolo con via Boccaleone, come molti pensano, ma si estendeva a quell’epoca solo

su via Cortevecchia ed era caratterizzata, tra l’altro, da due accessi sulla medesima strada (Fig. 22).

Una curiosità: in angolo fra via Boccaleone e via Cortevecchia si nota una nicchia, entro la quale dal 2006 è

stata collocata la statua di San Giovanni Battista, protettore dell’Ordine dei Cavalieri di Malta, realizzata per

l’occasione dallo scultore ferrarese Alfredo Filippini. Si tratta della riproduzione di quella originale in terracotta

(collocata poco dopo il 1515), importante opera giovanile secondo alcuni storici dello scultore Alfonso

Lombardi (citato anche nelle “Vite” del Vasari). Lucio Scardino e Antonio P. Torresi hanno avanzato, invece,

anche un'altra ipotesi, cioè che si tratti piuttosto dello scultore Giovanni Minelli, ovvero Minello de' Bardi nato

nel 1440 circa e morto attorno al 1529. La statua originale, opportunamente restaurata, si trova da diversi anni

presso la Pinacoteca Nazionale di Ferrara, da quando cioè cadde al suolo a seguito di un violento temporale

(Fig. 23).

Ex chiesa di San Giacomo

A questo punto analizziamo l’ultima chiesa di cui mi occuperò, quella di San Giacomo (Fig. 24). Ritorno

brevemente sulle vicende dell’Ordine dei “Poveri Cavalieri di Cristo”, poi denominato Ordine dei Cavalieri del

Tempio o Templari. Secondo la versione più accreditata, l’ordine fu fondato sul finire del 1118 dal nobile

cavaliere francese Hugues De Payns (primo Gran Maestro dell’Ordine, nato attorno al 1070 nella regione della

Champagne-Ardenne) e da altri otto compagni.

Questo è quello che sappiamo, in estrema sintesi, sul periodo iniziale dell’ordine templare e sul suo

fondatore. Ma negli ultimi anni, da alcune ricerche e interviste rilasciate a giornali e riviste da Mario Moiraghi,

autore tra l’altro nel 2005 della pubblicazione “L’italiano che fondò i templari. Hugo de Paganis cavaliere di

Campania”, emerge un’altra versione. Secondo Moiraghi, Hugues De Payns era il nome francesizzato di Ugo

de’ Pagani (o Hugo de Paganis), nobile cavaliere dell’Italia meridionale. E a tal proposito cita una lettera scritta

dal de’ Pagani stesso nel 1103, dalla quale si evince, secondo Moiraghi, che il fondatore dei Templari non era

un francese bensì un italiano, inoltre, che i cavalieri erano già attivi in Terra Santa una quindicina d’anni prima

della data della loro fondazione.

Lo studioso lombardo asseriva anche di aver scoperto, grazie alla segnalazione di Luigi Chiarion (un

industriale veneto appassionato di ricerche sul Medioevo) il luogo di sepoltura del famoso cavaliere: cioè a

Ferrara ed esattamente nella chiesa di San Giacomo, in via Carbone 25, antico luogo di culto di origine

medievale, da tempo sconsacrato. E a tal proposito citava un libro dello storico ferrarese Marc’Antonio Guarini,

cioè il Compendio historico dell’origine, accrescimento, e prerogative delle Chiese e dei Luoghi Pij della Città,

e Diocesi di Ferrara, dato alle stampe nel 1621. Guarini, solitamente piuttosto puntuale nelle sue ricerche, a

pagina 224 effettivamente scrive:

“Vogliono che fossero in questa Chiesa seppelliti alcuni soggetti di memoria degni, ed in particolare quel Ugo

Pagani, il quale per quanto rifferisce Guglielmo Arcivescovo di Tiro, diede principio insieme con altri all’ordine

de Cavallieri Templari...”.

Moiraghi concludeva, quindi, che l’origine francese dei monaci guerrieri era dunque una storia completamente

inventata, costruita ad arte nei secoli proprio dai francesi, per attribuirsi un merito che in realtà non era loro.

Ma ad una più attenta lettura del testo del Guarini, si può comprendere come lo storico del Seicento non si

basi in questo caso su fonti certe (cioè documenti d’archivio, atti notarili, lapidi sepolcrali originarie presenti in

loco e cosi via), infatti, la frase comincia con “vogliono che fossero in questa chiesa seppelliti soggetti di

memoria degni”; quel “vogliono” lo potremmo tradurre con “la tradizione vuole”, quindi egli non ha la certezza

che le cose stiano veramente così. D’altra parte dimostra però di conoscere la storia ufficiale dei templari

41


perché fa riferimento a Guglielmo arcivescovo di Tiro, nato in Siria nel 1130 circa e morto dopo il 1186,

importante cronista delle crociate, dei templari e del regno di Gerusalemme, personaggio del XII secolo ben

tratteggiato tra gli altri dalla studiosa Barbara Frale.

Per quanto riguarda il testo di Guarini, poi, non si può parlare di scoperta vera e propria da parte di Moiraghi,

che pure dobbiamo ringraziare perché ha calamitato l’attenzione dei media su Ferrara. Sappiamo, infatti, che

in passato storici come Giuseppe Antenore Scalabrini nel 1773 o Gualtiero Medri nel 1967 già avevano

ripreso l’informazione che Guarini fin dal XVII secolo aveva tramandato, ma non avevano dato molto peso alla

questione. Anzi, Scalabrini si diceva convinto che Ugo Pagani fosse “francese, non ferrarese”, mentre il

secondo delineava un’ipotesi che appare abbastanza fondata: cioè che quell’Ugo sepolto nell’ex chiesa di

San Giacomo poteva essere “uno della famiglia dei Pagani”, tra le più potenti di Ferrara nel Medioevo, “che

aveva le sue case turrite” proprio nei pressi dell’antica chiesa di via Carbone. Questa, secondo Mario Calura,

uno storico ferrarese della prima metà del Novecento, sarebbe stata fondata dalla stessa famiglia, “che vi

ebbe il suo sepolcreto”. Ricordo, a tal proposito, che i Pagani furono prima vassalli dei Marchesella-Adelardi,

poi degli Estensi, e occuparono importanti cariche, tanto che alcuni di loro furono anche consoli del Comune

proprio nel XII secolo.

Fatte queste precisazioni, vorrei tratteggiare ora rapidamente le vicende storiche relative all’ex chiesa di San

Giacomo. Innanzitutto occorre ricordare che si tratta di un’antichissima parrocchiale e le prime testimonianze

dell’edificio di culto risalgono al 1086. Era perciò una chiesa romanica, il cui aspetto doveva essere molto

vicino a quello proposto dal prof. Castagnoli nel suo disegno ricostruttivo pubblicato da Calura nel 1927.

Si può ritenere quindi che la chiesa di San Giacomo non abbia a che fare con i Templari, secondo la

documentazione fin qui ritrovata, ma non per questo la storia dell’edificio di culto si presenta meno

avvincende. In un articolo pubblicato sul Corriere Padano del 12 ottobre 1935, lo stesso Calura afferma che

anticamente all’interno della chiesa si svolgeva la cerimonia di investitura dei Cavalieri dell’insigne Ordine

Equestre di S. Giacomo (o Santiago) di Compostela”, detto anche di S. Giacomo della Spada, un antico ordine

monastico-militare (quindi con alcune analogie con quello dei Templari), ma che sorse in Spagna nel 1170.

Interessante notare, a supporto della tesi di questo studioso, che la regola di questo ordine cavalleresco fu

dettata dal cardinale Alberto Morra (futuro papa Gregorio VIII) eletto al soglio pontificio proprio a Ferrara

durante un conclave nel 1187. Secondo la tradizione, i nobili, in attesa di riceverne le insegne ed essere

armati cavalieri dell’ordine di Santiago, trascorrevano la notte precedente la vestizione nell’edificio di culto di

via Carbone, compiendo in questo modo la cosidetta “veglia d’armi”.

La chiesa di San Giacomo subì rilevanti trasformazioni già nei secoli successivi, ma soprattutto agli inizi del

XV secolo, quando il piccolo edificio di culto fu ampliato e la facciata ebbe in gran parte l’aspetto attuale.

Il tempio, che subì notevoli danni a seguito del terremoto del 1570 (poi riparati), rischiò persino la distruzione

nel Seicento. All’interno conservava opere d’arte di varie epoche, tra cui mi piace ricordare due antichi

bassorilievi in terra cotta citati da Scalabrini nel Settecento, uno dei quali raffigurava il Salvatore crocifisso e

l’altro Gesù che assolve la Maddalena penitente, opere, secondo lo storico del Settecento “di buon figulino”.

La parrocchia di San Giacomo fu successivamente soppressa dal governo francese nel 1806 e la chiesa

venne chiusa dopo qualche anno, quindi venduta a privati, che la ridussero prima a magazzino per la legna e

poi per la canapa (Fig. 25).

Oltre ai due incendi (uno nel 1882 e l’altro nel 1893), che causarono gravi danni distruggendo parte della

chiesa, vorrei soffermarmi sull’incredibile crollo dell’intera torre campanaria avvenuto il 19 giugno 1822, come

risulta da una petizione del giorno seguente conservata nell’Archivio Storico Comunale (XIX secolo, Strade e

Fabbricati, busta 3, fasc. 1); le fonti ci dicono che tale crollo coinvolse l’abside ed il presbiterio, cancellandone

ogni traccia, perciò se all’epoca era rimasto ancora qualcosa delle antiche sepolture, che presumibilmente

dovevano trovarsi proprio in quelle parti dell’antica chiesa, esse forse andarono distrutte per sempre in

quell’occasione e nei due incendi successivi, chissà per quale strana fatalità, direbbe qualcuno. Certo che di

coincidenze ce ne furono tante!

Ripiena com’era di balle di canapa, San Giacomo alla fine degli anni Venti del Novecento versava ancora in

uno stato di grave degrado, circostanza che indusse l’associazione culturale “Ferrariae Decus” a promuovere

e realizzare dopo qualche anno il restauro dell’antica chiesa e soprattutto della facciata che, tutto sommato,

risulta ben conservata ancora oggi, anche se avrebbe bisogno di alcuni interventi di manutenzione; i lavori di

recupero, documentati in una relazione a firma dell’ingegnere Giuseppe Stefani del 17 febbraio 1936

(conservata presso l’archivio del citato sodalizio nel fascicolo n. 33), furono eseguiti dal 29 luglio al 21

settembre 1935 e misero in evidenza le linee ancora leggibili dell’altezza primitiva della facciata, molto più

bassa rispetto ad oggi, rendendo visibili le antiche tracce di due finestre romaniche (Figg. 26 e 27).

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Tuttavia, ancora negli anni Sessanta l’ex edificio di culto era utilizzato a fini impropri, poichè all’interno era stata

collocata una falegnameria. San Giacomo fu poi venduta nel 1968 dai proprietari alla società Amon, che nel

1979 l’ha trasformata completamente per ospitarvi una sala cinematografica (conosciuta come Apollino o

Apollo IV), ufficialmente inaugurata con il film "Ma che sei tutta matta?" con Ryan O'Neal e Barbra Streisand. Lo

storico ambiente, chiuso nel giugno 2013, è stato di nuovo riaperto il 10 ottobre successivo con la stessa

destinazione d’uso. A ricordare l’antico splendore e il mistero che spesso hanno avvolto la chiesa trasformata

in cinema, oltre alla bella facciata in cotto, rimangono soltanto all’interno interessanti capriate di rovere con

mensoloni sagomati.

*Responsabile Ufficio Ricerche Storiche, Servizio Beni Monumentali-Centro Storico, Comune di Ferrara

43


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P. STURLA AVOGADRI, Il mito dei Templari. A Ferrara sulle tracce dei Cavalieri del Tempio (estr. da “Logos”,

anno 3., n. 2, Acireale, 1996, pp. 12-17).

P. STURLA AVOGADRI, I Cavalieri Templari: Soldati di Cristo e…”managers”, “La Pianura” n. 1, Camera di

Commercio Industria Artigianato Agricoltura di Ferrara, 2005, pp. 67-70.

P. STURLA AVOGADRI, Templari e Adelardi: la conferma del legame, Atti dell’Accademia delle Scienze di

Ferrara, Ferrara, Anno accademico 189, TLA editrice, 2011-2012, vol. 89, pp. 99-119

Inoltre:

M. CALURA, Restauri dell’ex chiesa di S. Giacomo, in “Corriere Padano”, 12 ottobre 1935.

Il palazzo che sorgerà nell’area della ex Rosa, in “Gazzetta Padana”, 24 dicembre 1955.

Nuovo palazzo in viale Cavour. E’ iniziata la demolizione dei ruderi, in “Gazzetta Padana”, 9 ottobre 1955.

G. P. ZERBINI, L’Apollo compie oggi ottantaquattro anni, in “La Nuova Ferrara”, 17 dicembre 2005, p. 14

Si sono consultati, infine, i seguenti archivi: Archivio Storico Comunale di Ferrara, Archivio di Stato di Ferrara,

Archivio Diocesano di Ferrara, Archivio dell’Associazione Ferrariae Decus, Archivio Pasi e Collezione Antonelli

(Biblioteca Comunale Ariostea), Archivio Ufficio Ricerche Storiche del Comune di Ferrara.

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Immagini

Fig. 1) Chiesa di Santa Maria Annunziata di Betlemme in Mizzana, prospetto principale (foto di Francesco Scafuri)

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Fig. 2) Chiesa di Santa Maria Annunziata di Betlemme in Mizzana, zona absidale. La struttura circolare originaria fu utilizzata

parzialmente come abside nel XVII secolo (foto di Francesco Scafuri)

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Fig. 3) Prospetto rivolto ad est dell’ex magione templare con ospizio per i pellegrini (ora casa Taddia), che si trova nell’area

retrostante alla Chiesa di Santa Maria di Betlemme in Mizzana. L’edificio appare notevolmente trasformato nel tempo (foto di

Francesco Scafuri)

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Fig. 4) Il campanile della chiesa di Mizzana, 1621 (foto di Francesco Scafuri)

Fig. 5) Tracce di arcate dell’antico portico. L’attuale campanile (a destra) è stato costruito utilizzando una campata dell’antico

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portico (foto di Luca Taddia)

Fig. 6) La chiesa di Mizzana dopo le trasformazioni seicentesche nel disegno del perito G. B. Benetti, 1749 (in Biblioteca

Comunale Ariostea, Collezione Antonelli, 958, fascicolo 26)

Fig. 7) Chiesa di Mizzana, organo settecentesco (foto di Francesco Scafuri)

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Fig. 8) Casa Canonica, realizzata nel XVIII secolo inglobando l’antico porticato (foto di Francesco Scafuri)

Fig. 9) Chiesa di Mizzana, Casa Canonica, piano primo, lacerti di antichi affreschi (foto di Francesco Scafuri)

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Fig. 10) La chiesa e il chiostro di Santa Maria della Rosa nell'Alzato di Andrea Bolzoni del 1747

Fig. 11) Guido Mazzoni, “Compianto di Cristo morto”, 1485 (foto d’archivio conservata presso l’associazione Ferrariae Decus)

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Fig. 12) Santa Maria della Rosa prima dei bombardamenti del 1944 (in Archivio Ufficio Ricerche Storiche, Comune di Ferrara)

13) La chiesa di Santa Maria della Rosa dopo il bombardamento aereo del 2 settembre 1944 (in Archivio Ferrariae Decus)

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14) Chiostro di Santa Maria della Rosa prima della demolizione, anni Trenta (in Archivio Ufficio Ricerche Storiche, Comune di

Ferrara)

15) Chiostro di Santa Maria della Rosa, “Sistemazione di Progetto”, anni Cinquanta (in Archivio Ufficio Ricerche Storiche,

Comune di Ferrara)

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16) Chiostro di Santa Maria della Rosa, stato attuale (foto di Francesco Scafuri)

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17) Gazzetta Padana, 24 dicembre 1955

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18) Il Palazzo I.N.A.

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19) A. Bolzoni, Pianta e alzato della città di Ferrara, 1782, particolare. La chiesa della SS. Trinità è identificata con il n. 98

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20) Ex Complesso della SS. Trinità, antico capitello (foto di Francesco Scafuri)

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Fig. 21) Caseggiato di via Cortevecchia (numeri civici 31-39), dove un tempo si trovava la chiesa della SS. Trinità (foto di

Francesco Scafuri)

22) La chiesa della SS. Trinità sulla via omonima (oggi via Cortevecchia) nella pianta del perito G. B. Bonaccioli, 1705 c. (in

Biblioteca Comunale Ariostea, Collezione Antonelli, 958, fascicolo 26)

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23) Edificio all’angolo tra via Cortevecchia e via Boccaleone, con la nicchia entro la quale nel 2006 è stata collocata la statua

di San Giovanni Battista, opera dello scultore Alfredo Filippini (foto di Francesco Scafuri)

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24) La chiesa di San Giacomo oggi (foto di Francesco Scafuri)

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25) La chiesa di San Giacomo, secondo un disegno di Antonio Sandri (prima metà del XIX secolo)

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26) L’ex chiesa di San Giacomo nel 1927 (Archivio Ufficio Ricerche Storiche, Comune di Ferrara)

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27) L’ex chiesa di San Giacomo dopo i restauri del 1935 (Archivio Ufficio Ricerche Storiche, Comune di Ferrara)

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Carlo Magri*

I Cavalieri Templari nel Cinema

La cinematografia sui Cavalieri Crociati Templari è molto ricca e continua negli anni. Si parte dal bianco e nero

per arrivare fino al colore, arricchito di effetti speciali digitali iperrealistici e con un audio coinvolgente come il

surround.

Questa tipologia di cinema rientra nella specie denominata del film storico.

Storico è un termine dai molteplici significati: può riferirsi a ciò che è avvenuto in passato, dunque legato a ciò

che descrive di questo passato. Nel cinema, un film storico è un film che considera avvenimenti trascorsi e li

mette in scena, curandone più o meno la veridicità, cioè non rispettando sempre la cosidetta correttezza

storica.

Il cinema di fiction (cosidetto “di finzione”) è una tipologia che non risponde, come risaputo, ai meccanismi

registici del documentario, nè alle specifiche volontà di aderire il più possibile alla realtà che la maggior parte

dei documentaristi hanno invece fissato come obiettivo fin dalla nascita del genere stesso.

Un film spesso non è necessariamente un resoconto aderente alla realtà; mentre la storia e la storiografia

rientrano nelle scienze sociali, il cinema è considerato spettacolo.

All’interno del genere vi sono poi film che mettono al centro del racconto la storia delle masse ed altri la storia

di individui. Un classico esempio del primo tipo sono i famosi Ottobre e La corazzata Potèmkin.

Un film è quasi sempre un opera multidisciplinare che propone e accomuna in un unico momento sia una

metodologia estetica che un’analisi storica e sociale.

La storiografia ha come scopo l’indagare i documenti e le fonti, invece la cinematografia, utilizzando sofisticate

tecniche iconiche, mira più a realizzare un racconto/spettacolo. Cos’è quindi un film, se non una serie di

immagini impresse su una pellicola o più modernamente su chip digitali che scorrono davanti ai nostri occhi

alla cadenza di 24 immagini al secondo, restituendo l’illusione della realtà. Le stesse immagini possono

essere poi organizzate in inquadrature, piani, movimenti e montate mettendo in forma visiva un racconto che

può essere ulteriormente accompagnato da musica, titoli e parlato. Il cinema è quindi un’illusione come la

capacità della retina di ritenere per un tempo brevissimo l’immagine ma che, creando un collegamento fra

esse, sembra restituirci la realtà. L’illusione della realtà, la ricerca del realismo è una ricerca costante che si

riscontra in vari generi della rappresentazione cinematografica, quando si intende dare al pubblico la

sensazione di verità. Per rendere reale la finzione filmica (fiction) e per attrarre lo spettatore esistono delle

regole che anche il film storico deve seguire, quindi spesso gli eventi vengono “ritoccati” o adattati per

compiacere il target di pubblico destinatario del prodotto. Esistono all’opposto, e questo va detto, anche film

realizzati al preciso scopo di trasmettere ad una comunità un’idea falsata di un evento o di un personaggio

allo scopo di instaurare o modificare un’ideologia. Credo sia sufficiente ricordare i film di regime. Eventi

lontani, avvenuti negli anni che vanno dal mille fino alle crociate, hanno rappresentato per il cinema una fonte

di ispirazione che continua a tutt’oggi anche perché è ancora attuale lo scontro politico-religioso fra due

mondi, quello musulmano e cristiano, ora come allora.

Questo articolo presenterà alcuni film (fiction) ispirati ai templari e meno il genere documentaristico. Per

quest’ultima tipologia, affinchè il lettore possa farsi un idea del genere cito i documentari della National

Geographic e di History Channel , visibili anche in rete e molti pure in versione italiana. (vedi es: Youtube)

I film che riguardano i Cavalieri Templari sono tanti e mi limiterò a presentarne una decina, scelti per offrire

una panoramica delle varie tipologie e generi. Nelle produzioni troviamo sia film veri e propri sia serial

televisivi, ma anche sequel (film che danno origine nel tempo a seguiti). Quasi tutti hanno come denominatori

comuni: il mito dei cavalieri crociati, la terra santa, la ricerca di reliquie miracolose, la simbologia segreta, la

religione, le crociate, le battaglie e i tesori.

Mi limiterò a prodotti realizzati dagli anni Cinquanta all’oggi. Per iniziare cominciamo con Ivanhoe. E’ un film

del 1952 diretto da Richard Thorpe. Si tratta di un remake di due film precedenti, ossia il britannico Ivanhoe,

diretto da Leedham Bantock e l'americano Ivanhoe, prodotto dall'IMP.

Dopo aver preso parte alla Terza crociata, re Riccardo Cuor di Leone al ritorno dalla Terra Santa viene fatto

prigioniero dal duca d'Austria. Il sassone Wilfred d'Ivanhoe, tornato in patria con l'impegno di trovare il riscatto

con cui liberare il re, deve guardarsi da molte insidie. Sfiderà da solo in un torneo quattro normanni, pur ferito

esce vincitore. Dopo un rapimento di persone a lui care che sono tenute prigioniere, Ivanhoe si offre come

ostaggio per liberarli e così viene catturato ma troverà aiuto nei ribelli di sir Locksley e nella comunità ebraica.

Dopo una serie di scontri all'ultimo sangue quando sta per essere sconfitto, l'arrivo del re Riccardo,

finalmente liberato e che riprende il trono, salva Ivanhoe e Rebecca, portando finalmente la pace in Inghilterra.

Il settimo sigillo (Det sjunde inseglet) film in bianco e nero, svedese del 1957 diretto da Ingmar Bergman. In

una Scandinavia dove imperversano peste e disperazione torna dalle crociate in Terra Santa il nobile cavaliere

Antonius Block. Sulla spiaggia, appena sbarcato, trova ad attenderlo la Morte, che ha scelto quel momento per

portarlo via. Il cavaliere decide di sfidarla a scacchi. Il film si snoda presentando vari incontri tra Block e la

Morte intervallati da una serie di incontri con vari altri personaggi che interagiscono anch’essi con il tema della

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morte ma in modi diversi fra loro.

Il codice da Vinci (The Da Vinci Code) è un film thriller del 2006, diretto da Ron Howard e basato

sull'omonimo romanzo best-seller di Dan Brown. Il curatore del Louvre viene trovato morto ricoperto di strani

segni e nella posizione dell'uomo di Vitruvio di Leonardo Da Vinci. Un esperto di simbologia, insieme alla

nipote del morto inizierà una ricerca per comprendere il significato delle scritte. L’importanza è tale che

potrebbe portare a uno sconvolgimento della fede cristiana. Le vicende storiche di Dan Brown vengono

visualizzate in flashback ma sanno molto di approssimato dal punto di vista storico, intanto i due protagonisti

avanzano verso la verità, di casella in casella come nel gioco dell'oca.

Il mistero dei Templari - National Treasure (National Treasure) è un film del 2004 diretto da Jon Turteltaub,

che vede come protagonisti Nicolas Cage, Diane Kruger, Justin Bartha e Jon Voight. Il film nel 2007 ha avuto

un sequel, chiamato Il mistero delle pagine perdute (National Treasure: Book of Secrets).

Benjamin Franklin Gates proviene da una famiglia di archeologi i quali hanno impiegato la vita nella ricerca

del tesoro perduto dei Templari, che nessuno riteneva esistesse. Il nonno aveva lasciato su un piccolo foglio

un solo indizio: "Charlotte ha in serbo il segreto".

Charlotte è una nave ora nascosta sotto i ghiacci. Viene organizzata, quindi, una spedizione nell'Artide con altri

ricercatori.

Nella caccia al tesoro, i protagonisti trovano di continuo molti indizi legati alla massoneria.

Al termine, dopo tante ricerche, il protagonista trova il tesoro in una stanza segreta sigillata nella tomba di un

capo della massoneria sotto una antica chiesa di New York.

Il tesoro dei Templari- Il ritorno al passato (2007), regia di Giacomo Campeotto, è un film d’avventura

prodotto in Danimarca. La saga ruota attorno alle avventure dell'adolescente Katrine e dei suoi quattro amici,

impegnati alla ricerca dell'Arca dell'Alleanza e del Sacro Graal, in una lotta contro il tempo e contro la

confraternita dei Cavalieri Neri, nemici giurati dei Templari. Fra gli amici si distingue in particolare Nis, esperto

di storia e fissato con i misteri dei cavalieri di Cristo. Interessante la caratterizzazione psicologica dei

personaggi, mentre è approssimativa la corrispondenza storica degli eventi narrati. Suggestivi gli ambienti

dove il film è stato girato, prima nell’ isola di Bornholm, dalla natura lussureggiante, quindi in quella di

Gotlands, dove pare che il tempo si sia fermato nel Medioevo, proprio in linea quindi con la storia che il film

propone.

La maledizione dei Templari (Les rois maudits) (2005) è una miniserie televisiva. Tra gli interpreti principali del

film ricordiamo Jeanne Moreau, Philippe Torreton, Tchéky Karyo, Gérard Depardieu. Originariamente la

miniserie era composta da cinque puntate per la regia di Josèe Dayan, tratte dal romanzo di Maurice Druon.

La storia è ambientata agli inizi del Trecento, quando Filippo il Bello, Re di Francia, perseguita i Cavalieri

Templari per incamerarne il loro tesoro. Quando Jacques de Molay, il Gran Maestro del Tempio, viene messo

al rogo questi lancia una maledizione contro i Re di Francia e contro Papa Clemente V. Seguono intrighi,

rivalità, veleni e scontri per le successioni ereditarie che porteranno alla famosa Guerra dei Cent’anni.

Il tesoro del castello senza nome (1970): (Les Galapiats) è una miniserie televisiva di coproduzione francobelga-canadese

girata nelle foreste delle Ardenne. Il lungometraggio è stato diretto da Pierre Gaspard-Huit.

La serie venne trasmessa in Italia nel 1972 in bianco e nero pur essendo una serie a colori, poiché all'epoca

la Rai non diffondeva ancora il segnale a colori. La replica, nel dicembre 1976, fu invece una delle prime

trasmissioni sperimentali a colori della televisione nazionale. Tra le straordinarie colline delle Ardenne,

disseminate da antichi castelli, alcuni ragazzi, ancora adolescenti sono coinvolti in un'avvincente e misteriosa

avventura. I ragazzi si lanciano, come per gioco, a caccia del tesoro perduto dai Templari, ma ben presto si

ritrovano coinvolti in misteriosi inspiegabili eventi.

Nei silenzi delle montagne, si alzano imponenti e sinistre le rovine del Castello senza nome e proprio attorno

a questa reliquia storica, i ragazzi fanno continue e sorprendenti scoperte, sempre più inesplicabili fra grotte e

sotterranei. Tutto è inquietante e non è chiaro cosa si nasconda effettivamente nel castello, ma alla fine

aiuteranno la polizia a risolvere il mistero. La storia pare sia ispirata ad un fatto simile realmente accaduto in

quegli anni nel paese francofono.

La nave maledetta (El buque maldito) è un film diretto da Amando de Ossorio nel 1974. Si tratta del terzo

capitolo della saga dei Templari resuscitati ciechi. Essendo ambientato in mare, è l'unico film della saga in cui

i Templari non si muovono a cavallo, come tradizione vuole e come sempre sono riprodotti. Tre coppie

salgono a bordo di un misterioso galeone, ma solo in alto mare si rendono conto che la nave è maledetta e

l'intero equipaggio è formato da morti viventi. Con grande raccapriccio, scoprono che la nave è infestata da

Templari che, resuscitati dalle loro tombe (custodite nella stiva del veliero), seminano morte e terrore per

difendere un tesoro che è a bordo. La nave dei Templari, sembra inoltre viaggiare in una dimensione parallela

tanto che le varie strumentazioni sembrano non funzionare più a dovere.

La notte dei resuscitati ciechi (La noche de las gaviotas) è un film diretto da Amando de Ossorio nel 1975. Si

tratta del quarto e ultimo capitolo della saga dei Templari resuscitati ciechi. È noto anche con il titolo di "Terror

Beach".

Siamo in Spagna, alcuni Templari legano una donna, la uccidono e il suo cuore viene dato in bocca ad un

idolo. La storia viene poi attualizzata ai giorni nostri. Una sera una ragazza in fuga cerca aiuto e si rifugia dal

dottor Stein. Seguono una serie di colpi di scena fino a scoprire pratiche di sacrifici umani. Autori sono i

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Cavalieri del Mare che altro non sono se non i Templari risorti. I sacrifici avvengono ogni notte, per sette notti,

ogni sette anni, uccidendo ragazze vergini. Il dottore capisce che soltanto distruggendo l'idolo si potranno

distruggere i Templari.

L'ultimo dei Templari (Season of the Witch) è un film del 2011 diretto da Dominic Sena. Nel XIV secolo un

gruppo di soldati al seguito di un prete si reca con tre donne, condannate per stregoneria, a un ponte affinché

siano giustiziate. Le donne, una dopo l'altra, vengono impiccate e fatte calare nell'acqua, compresa la donna

che ha confessato poiché il prete afferma che il perdono vale solo per la sua anima. La terza donna,

inspiegabilmente tornata in vita con sinistre sembianze, dà fuoco al libro e impicca su quello stesso ponte il

sacerdote. Due cavalieri, Behman (Cage) e Felson (Pearlman), militano in Terrasanta durante le Crociate e

dopo un lungo e pesante servizio i due crociati abbandonano i compagni a causa del rimorso per aver ucciso

anche donne e innocenti per volontà della Chiesa. I crociati tornando a casa dalla Terrasanta, trovano la loro

terra devastata dalla peste nera. Giunti in una chiesa assediata dal morbo, ai due crociati viene chiesto di

prendere in custodia una strega, ritenuta responsabile della pestilenza, e di portarla in una remota abbazia,

dove i monaci possano compiere il rituale di esorcismo nel tentativo di fermare l'epidemia. Convinti

dell’innocenza della ragazza, il cavaliere e alcuni compagni di viaggio combatteranno per raggiungere una

terra consacrata, dove poter provare l’innocenza della giovane e liberare l’Europa dalla maledizione della

peste. Quello che il cavaliere ignora, è che le oscure forze del male lo stanno attendendo.

Le crociate - Kingdom of Heaven (Kingdom of Heaven) è un film diretto nel 2005 da Ridley Scott. Il film narra

inizialmente la storia del francese Baliano di Ibelin, del suicidio della moglie a seguito della morte dell’unico

loro figlio. Baliano viene raggiunto nel villaggio dal padre Goffredo di Ibelin che lo invita a seguirlo nel suo

viaggio verso Gerusalemme dove è proprietario di alcune terre. Arrivati in Sicilia però Goffredo muore per le

ferite riportate durante il viaggio nella difesa del figlio da alcuni soldati francesi che lo volevano arrestare,

avendo ucciso il prete che prima di seppellire la moglie le aveva rubato un piccolo crocefisso d’oro. Baliano,

nominato dal padre cavaliere e suo erede, va verso Gerusalemme con l’intenzione principale di espiare il suo

peccato e il suicidio della moglie. Si ritroverà invece a capo dei cavalieri del padre, a fianco del re lebbroso

Baldovino IV in un continuo scontro con Guido di Lusignano e Reginaldo di Chatillon che, al contrario del

saggio re, desiderano scatenare una guerra contro i saraceni. Dopo la morte del Re e la sconfitta in battaglia

di Guido e Reginaldo per opera del potente esercito del Saladino, toccherà a Baliano difendere le mura della

città santa.

Brancaleone alle crociate è un film commedia di Mario Monicelli del 1970. Classico esempio di un sequel.

Questo film segue il precedente del 1966, diretto sempre da Mario Monicelli (L'armata Brancaleone).

Brancaleone da Norcia, alla guida di un gruppo di sbandati che dovrebbe formare una compagnia di ventura,

parte per le crociate. In cerca di gloria, Brancaleone e la truppa di straccioni del frate Zenone, si mettono in

viaggio verso la Terra Santa alla conquista del Santo Sepolcro. L'avventura che li attende è però ricca di

insidie. Anche in questo film come ne Il Settimo Sigillo si assiste ad una contesa con la morte che stringe un

patto con il protagonista.

La rapidissima e tragica scomparsa dell’ordine dei cavalieri Templari, la potenza e la ricchezza accumulate, il

dubbio che avessero recuperato reliquie importantissime per il mondo cristiano come il Santo Graal o l’Arca

dell’Alleanza, unite alla damnatio memoriae voluta dalla chiesa, hanno continuato ad alimentare nei secoli il

mistero e quasi un senso immortale di potenza nascosta per questo ordine cavalleresco crociato. Lascio al

lettore attento e curioso il piacere di compiere una più approfondita ricerca filmica sul web e subito troverà

molti altri titoli come: Angeli e Demoni, Indiana Jones e l’ultima crociata, La Maledizione dei Templari, La

missione dei quattro cavalieri, Il nome della rosa, Soldati di Dio o Il sangue dei Templari, ma questi sono

probabilmente solo i più conosciuti. Come detto in premessa il cinema continua a perpetuare con la potenza

comunicativa insita nel suo stesso mezzo, il mito dei Templari, ma quasi tutti i film pagano un dazio molto alto

in termini di correttezza e certezza storica, perché spesso nei racconti domina la fantasia degli sceneggiatori

che quasi sempre è molto più attenta al numero degli spettatori che alla realtà storica.

*Dirigente Professioni sanitarie, Docente a.c. UNIFE

Immagini

68


1. Il settimo sigillo

2. Le crociate - Kingdom of Heaven

69


3. Il codice da Vinci

4. Ivanhoe

70


Bibliografia

F. CASETTI, L’occhio del Novecento. Cinema, esperienza, modernità, Bompiani, Milano 2005

G. RONDOLINO, La nuova arte: il cinema, Utet, Torino 1988

G. MIRO GORI, La storia al cinema. Ricostruzione del passato, interpretazione del presente, Bulzoni, Roma,

1994

G.P. BRUNETTA, Buio in sala. Cent’anni di passione dello spettatore cinematografico, Marsilio, Venezia 1989

M. MARANGI, Insegnare cinema. Lezioni di didattica multimediale, Utet, Torino, 2004

P. ORTOLEVA, Presentazione. Doppio passato: la sfida del film storico, in P. Sorlin, La storia nei film.

Interpretazioni del passato, La Nuova Italia,Firenze 1984

P. SORLIN, L’immagine e l’evento. L’uso storico delle fonti audiovisive, Paravia, Torino 1999

Sitografia

http://www.imdb.com/

http://www.mymovies.it/database/

https://it.wikipedia.org/wiki/Cavalieri_templari

http://www.treccani.it/enciclopedia/ordine-dei-templari/

71


Questo eBook è frutto di una collaborazione tra Comune di Ferrara

e Liceo Scientifico “A. Roiti” di Ferrara.

ISBN 9788898786312

2017 Comune di Ferrara

A cura di: Francesco Scafuri

Testi di: Gianluca Lodi, Carlo Magri, Francesco Scafuri, Paolo Sturla Avogadri

Progetto grafico e realizzazione eBook a cura della classe IV S 2016-2017 del Liceo Scientifico “A. Roiti” di

Ferrara con il coordinamento di Mario Sileo

Il volume è stato edito con il patrocinio di De Humanitate Sanctae Annae

Per le immagini relative all'atto del notaio Pietro Pialbene nel testo di Gianluca Lodi, al disegno di G.B. Benetti (Fig.6) e alla

pianta di G.B. Bonaccioli (Fig.22) nel testo di Francesco Scafuri, è stata concessa l'autorizzazione alla pubblicazione dalla

Biblioteca Comunale Ariostea in data 4 marzo 2017.

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Indice

Introduzione 4

Ringraziamenti 5

Templari e Adelardi: la conferma del legame - Paolo Sturla Avogadri 6

I Templari nella storia 7

Il caso di Ferrara 8

Note 12

Bibliografia 16

Immagini 18

Testimonianze Templari nel territorio ferrarese - Gianluca Lodi 25

Bibliografia 36

Storia e misteri di luoghi templari a Ferrara - Francesco Scafuri 37

Chiesa di Santa Maria Annunziata di Betlemme in Mizzana 37

Chiesa di S. Maria de Templo detta della Rosa (distrutta) 39

Chiesa della SS. Trinità o di San Giovanni Gerosolimitano con annesso ospedale (distrutti) 40

Ex chiesa di San Giacomo 41

Bibliografia 44

Immagini 46

I Cavalieri Templari nel Cinema - Carlo Magri 66

Immagini 68

Bibliografia 71

73

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