23_03_18 santangelo-avellino.pdf
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Dal nostro inviato
Michele De Laurentiis
SANT’ANGELO DEI LOMBARDI - AVELLINO
(Impressioni di un autobussista)
Corriere dell’Irpinia
14 marzo 1923
Se possedessi un’automobile – in America il privilegio
si va estendendo oramai a tutti i cittadini – mi
chiamerei automobilista: non l’ho e costretto a
servirmi dell’autobus pubblica la «Spa» 6148, che, per
l’alacre iniziativa della «Sita» percorre queste contrade,
mi battezzo autobussista!
Sant’Angelo dei Lombardi-Avellino i due capolinea,
capoluogo di circondario e capoluogo di provincia sono
i termini di un percorso di cinquantacinque chilometri,
che svela agli occhi del viaggiatore bellezze che sempre
si rinnovellano e ricreano lo spirito con infinite
curiosità.
Quel difetto particolare degli italiani, che pretendono
tutto intuire, secondo il termine di genialoidi
ignorantoni, senza leggere e senza viaggiare nella
aridità mentale delle rappresentazioni ed in quella
spirituale delle sensazioni, trova negli irpini il maggiore
riscontro. Gongoliamo nel chiamarci figli dell’Irpinia
verde, sempre verde come la speranza e la miseria … e
non ci accorgiamo di cadere in una simbolica e
sentimentale frase fatta, allorchè, con un esame di
coscienza, ci domandiamo quante parti di questa
nostra meravigliosa terra sono note a noi irpini!
Scrivo, del resto queste impressioni d’inverno, ed il
verde è, per ora nei nostri cuori …
A Sant’Angelo (a. 870 m.) albeggia (ore 6) e la Spa,
tutta grigia come uomini e cose in questa caligine
mattutina, vien tratta fuori dal dormitorio ed
approntata per la diuturna prova.
Vincenzino Petitto, caro, simpatico ed ardimentoso tipo di
pilota d’automobili, azzardatosi al volante in guerra, fra i
dirupi della Carnia, dalla semplice ingenuità di quei giovani di
azione, ai quali si affida la vita di trenta simili in un viaggio di
macchine e vie spesso perfide, ispeziona congegni, lubrifica
ingranaggi, prova freni, abbevera il radiatore, dà la messa in moto.
Ahime! Il motore non rulla, non romba, non russa (s’è svegliato
adesso!) come dicono oggi gli scrittori mondani di moda ….
Ha secondo noi, semplicemente un dolore di pancia. Il vento gelido
che, su questo alto colle, spira sovrano, mentre dà alle vie della
cittadina lo spazzamento gratuito, imbarazza il nostro motore.
A qualche moccolo di Vincenzino tien dietro la irata imprecazione di
Antonio Matteo, un piccolo bruno santangiolese autentico di
Sant’Angelo, bigliettaio, ispettore, responsabile morale del
viaggio, capitano di piccolo corso, investito di poteri civili,
giuridici ed economici dell’autobus.
Alla fine si parte, spesso in pochi, e ce ne dispiace per la
signora società che non merita tanta indifferenza.
Il motore scoppia nei quattro tempi ritmicamente
succedentisi e si lascia dietro l’urlo tanto noto,
mentre i freni si stringono con aspra ruvidenza.
I tourniquets, ad angolo acutissimo, della discesa di
Sant’Angelo ci ghiacciano l’animo più del gelo della
rotabile stessa che tende insidie per lo slittamento, ma
Vincenzino è un elegante mago del volante e la sicura
perizia del pilota acqueta l’ansia nostra in un dormiveglia
che è il sogno-realtà del mattino.
Alle curve, che si snodano in un paesaggio incolto e selvaggio,
s’impongono i primi prudenti rallentamenti, a causa della aguzza
breccia che liquiderebbe i pneumatici della Spa – se ne avesse – e
dei collabenti parapetti di due o tre ponti ancien regime della
rotabile nazionale.
Provvederete quando, o saggi ingegneri preposti a questo tratto
stradale? Perdonateci questo inciso.
Sulla spianata del monte Porrara si comincia a filare e si
guadagna, attraverso campi dalla vegetazione più varia e più
ricca, il tenimento di Torella dei Lombardi. Salve, o mia nativa
borgata! Non molti anni orsono, ti toccò l’alto onore di essere
citata da Francesco De Sanctis nel suo brioso
«Viaggio elettorale» quando il sole salutò il grande
irpino sulla «Piana di Torella». Oggi deve salutarti il nuovo
sole del progresso se la rumorosa Spa, anziché lambirti
un fianco e lasciarti al Bivio Losco, come la negletta
Cenerentola, romberà fra le tue case!
Al Bivio Torella c’è sempre concorso di passeggeri.
Immancabili il Dott. De Laurentiis ed il
Commerciante Giovanni Preziosi. Sono continue
iniezioni ipodermiche di biglietti da 10 lire che
Torella pratica alla spettabile «Sita».
Lo rammenti l’ottimo direttore e non si turi le
orecchie alle nostre minime pretenzioni.
Dal Bivio Torella la rotabile si stende in
serpeggiamenti a grandi braccia fra colline
civettuole ed oasi di boschetti che, d’estate, danno
al paesaggio un’intonazione di ombre e di colori
meravigliose, costeggia le sorgenti de l’Ofanto e,
lasciatasi sulla sinistra Nusco, più vicina a Dio che a
noi, sul cocuzzolo di una montagna (alt. 912!),
ridiscende, attraverso una costa mezzo deserta, alla
vallata del Calore, a Ponteromito.
Il giorno, che s’inoltra, sveglia i semidormienti e
nell’interno dell’autobus comincia il vocio.
La lattiginosa nubecola, che ondeggia sul Calore, che
scorre di un verde cupo a valle, mette un frizzo nelle
carni. Antonio litiga con i viaggiatori che son venuti col
danaro non contato, Vincenzino sorride per l’implacabile
meticolosità nell’esigere del compagno.
Ecco il passaggio a livello … al solito senza custodia … con
un’ironia di cartelli di segnalazione, fatti non per gli
analfabeti, e posti quasi sul binario della strada ferrata,
quando il Touring Club ne prescrive la giacitura per lo meno a
duecento metri da quella.
Possiamo azzardarci ad un secondo inciso per voi, o burocrati
delle FF. SS. perché vogliate interessarvi della faccenda che
costituisce un perpetuo pericolo per i transitanti?
Sorpassato di slancio, con un magistrale cambio di velocità e
a tutto acceleratore, il vecchio ponte sul Calore, angusto
tanto che la macchina pare confezionata su misura, da
questa valle – ove per poco le meraviglie di Prometeo, il
vapore con la strada ferrata, il motore con l’automobile e
dell’idraulica, con i pastifici Del Sordo si sono intersecate
nella vivida loro opera di progresso – ci inerpichiamo
per tortuosi contorcimenti a Montemarano.
È il tratto più uggioso della linea, non per l’aridità del
panorama pittorico, chè basta volgersi d’intorno e mirare
l’opalina conca di Laceno ed il lucicchio, ai primi raggi del
sole, di un anfiteatro di colline degradanti in un cerchio, ma
per la forzata salita, succedentisi in un cambio ininterrotto di
velocità, nello sfrizzo di qualche candela ribelle … I giovani
viaggiatori protestano, i vecchi filosoficamente ammoniscono
che quarant’anni orsono, sulla stessa strada, si viaggiava
pigiati in un’angusta corriera postale, armati fino ai denti,
non con la Spa, ma con lo spa .. ghetto di trovarsi, da un
momento all’altro, dinanzi ai tromboni, dal bersaglio
infallibile, delle bande brigantesche!
Vincenzino, pianamente, trattandosi di una candela del
motore che s’impunta biascica: «Sempre le candele!» senza
evidenti allusioni alle avventure più o meno arcadiche, che
sulla linea automobilistica Sant’Angelo-Avellino – come in
ogni servizio pubblico di trasporti – sogliono talvolta
capitare.
La vegetazione di questa costa aprica – se ne togli
qualche rachitica boscaglia – è costituita, in massima,
dalla vite. Ci rendiamo ragione della coltura
accuratissima di essa e del vino che spreme dai suoi
grappoli – tredici o quattordici gradi di alcool come
tasso normale – quando, al termine della snervante
ascesa, siamo a Montemarano, a 820 sul livello del
mare. Si potrebbe mai vivere a queste altitudini, senza
benzinarsi (reminiscenza di un termine militare degli
alpini) come il serbatoio della macchina che ci trasporta,
in aspra fatica?
E tirremm innanz con un arrivederci alla strada
nazionale che, qualche chilometro dopo Montemarano,
va a svolgersi fra le gole di Volturara, mentre la nostra
Spa infila la provinciale che, se lascia molto molto a
desiderare per manutenzione e sicurezza, ci offre, in
compenso, uno degli spettacoli di natura più suggestivi,
una delle delizie di questa plaga d’Irpinia purtroppo
sconosciuta.
Scorre su di un contrafforte, dalle mille volute, dalle
innumerevoli meraviglie. Gira e spunta, spunta e rigira,
mentre lo sguardo può affisarsi fin su Ariano di Puglia,
lontanissima ed in risalto nel primo splendore di sole che
deterge l’atmosfera, mentre le paurose svolte, protette
anche qui da embrioni di muricciuoli che non parano
nessun petto, ci fanno trattenere il respiro, piombiamo,
dopo un rauco squillo della sirena avvisatrice, d’émblé, in
Castelvetere.
Begli occhi che spiano alle finestre … con nelle pupille il
resto di un sogno dorato … occhi che dardeggiano quelli
della castelgiovane, per dio! e non delle castelveteresi
come tutti le chiamano.
D’improvviso … un frastuono indiavolato. Cosa diamine
succede? – ci domandiamo perplessi.
È semplicemente l’Avv. Palermo, l’indistruttibile dal moto
perpetuo, il primogenito del Chiasso, che invade la
macchina.
E, mentre attraversiamo boschi di castagni di tutte le
età solcati da rivoletti che balzano scintillanti su nitide
pietraie, mentre la natura, qui, più che altrove, ingemma
di poesia la nostra dolce Irpinia, con un particolare cesello
di deliziose curiosità e di strani ghiribizzi che vi
entusiasmano il cuore, il gridio dell’avvocato – che questi
luoghi conosce a menadito – vi distrae rumorosamente le
orecchie.
Fino a Chiusano – correndo sotto la cappa di una montagna folta
di tronchi – il paesaggio è veramente incantevole, direbbe un
romantico. Chiusano ha l’appellativo di un Santo, San Domenico
di Guzman (credo), il santo più turista dell’antichità!
Mentre voi siete attratto nell’orbita delle considerazioni misticopagane,
l’avvocato prodigio spiffera ad una signorina che ha
emesso un piccolo grido di terrore, per il rimbalzo della Spa
lungo un ponte indifeso: «Ah, signorina, v’intestardite ancora
con le jubes-cullottes in questi viaggi! Le nostre nonne
portavano le gonne a campana per avere il benefizio del
paracadute nel salto all’abisso.
Sapienza antica: imitatela! Omne tulit punctum…».
La considerazione, all’agrodolce, è savia, quantunque
nessuno abbia compreso il latino dell’avvocato – ma
Chiusano, frattanto, è alle nostre spalle – e ci
ricongiungiamo oltre Parolise alla strada nazionale, che
da questo incrocio conduce ad Avellino ampia e
comodissima.
Dio, le viuzze di Parolise e di S. Potito!
Ci si potrebbe tendere la mano dall’una all’altra
delle case che le fiancheggiano – come a Bari vecchia.
– E se Vincenzino fin qua ha dovuto aver forza di nervi,
in un assillante embrayer e debrayer per secondare le
scabrosità, le insidie e i dislivelli del terreno, ora ha da
vedersela a tu per tu coi carrettieri che, nei pressi di Avellino,
diventano addirittura di un’insolenza intollerabile e se
n’impipano del più elementare regolamento di percorso
stradale! I dirigenti della «Sita» sanno di certo l’ardore e lo
scrupolo che portano i loro due impiegati, Petitto e Matteo, nel
disimpegno delle mansioni su questa linea e non lesinano, di certo,
lodi e ricompense ai due benemeriti.
Oramai si scende ad Atripalda – guai se è di giovedì, giorno di mercato
affollatissimo – I negozi espongono la crassa abbondanza: V’è di tutto …
che vi eccita l’acquolino in bocca, dopo il massaggio addominale
che vi è stato insensibilmente praticato dal rullio della macchina
per tre ore e più, ininterrotto.
Il paesaggio si è mutato in una landa, a zone oscure, irrigate,
fertilissime … che non parlano di poesia … parlano di
qualcosa di più sodo … di borsa. Ed Atripalda è straricca.
Da Atripalda ad Avellino, se il viale, bordeggiato da
ippocastani, non ha mezzo palmo di breccia o fango,
ci si va presto.
Siete stanco, innegabilmente, ma vorreste che la visione
di un paesaggio così policromo che vi ha beata la vista e
trasfusa nei nervi un’essenza di puro lavacro, non cessasse
ancora con la rapidità della delusione di un bel quadro
cinematografico.
Avellino ci accoglie nel solito ritmo della vita della capitale
di provincia. Eccoci a Piazza della Libertà … ce lo dice
l’orologio del Campanile che segna il tempo con la più
licenziosa libertà e fa allibire i conducenti di questo
piacevole viaggio - … ma il sorriso del signor Cappucci, che,
sull’entrata dell’agenzia «Sita» consulta, con soddisfazione,
l’infallibile suo cronometro, è confortante. Sono le nove e
mezza: orario precisissimo.
Nihil pro nihilo! Alla stoccata!
Direttore egregio di così benefico servizio, vorrete
ricompensarci di quanto abbiamo detto, concedendoci che
l’autobus, con un modico rimaneggiamento del prezzo di
corsa, sacrifichi tre minuti – andata, ritorno, carico e
scarico – per toccare Torella, il solo paese, sulla linea,
lasciato obliosamente in disparte?