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WEB_catalogo very regina

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Vittoria Regina prepara infatti, prima di tutto, il campo, il luogo, le regole, per così dire, e il<br />

metodo di lavoro del proprio solitario spettacolo: dall’ideazione iniziale dell’immagine (prelevata,<br />

come dicevamo, quasi sempre, pur non in via del tutto esclusiva, da una visione estrapolata da un<br />

sogno), alla costruzione di set realizzati appositamente per l’occasione, alla scelta e ricerca degli<br />

accessori, dei trucchi e dei costumi di volta in volta adatti al singolo scatto, per arrivare infine<br />

al momento clou – quello dello scatto, appunto –, realizzato sempre in solitaria, senza l’aiuto di<br />

assistenti, come in una misteriosa e prolungata seduta di auto-analisi (o addirittura di auto-ipnosi);<br />

finendo poi, successivamente, e solo successivamente, con una complessa e articolata opera di<br />

post-produzione dell’immagine, attraverso dettagliate e sofisticate operazioni di giustapposizione<br />

di immagini diverse e di intervento pittorico-digitale sull’opera definitiva.<br />

Quanto c’è, dunque, di Vittoria Regina, la persona, del suo nucleo identitario profondo, dei fantasmi<br />

del suo inconscio, nelle impeccabili, rigorose visioni che Vittoria Regina, l’artista e performer,<br />

estrae dai suoi sogni, per consegnarle prima alla carta, in forma di appunti, poi alla macchina,<br />

in forma di immagini da ricostruire meticolosamente, con i dati, gli elementi, gli accessori (abiti,<br />

acconciature, gioielli) di cui la realtà la fornisce? E quanto c’è della persona Vittoria Regina e<br />

del suo inconscio negli sguardi, nelle espressioni, nell’imperturbabile geometria fisiognomica<br />

che Vittoria Regina la performer, soggetto unico e univoco delle sue foto, riesce a trasmettere<br />

in chi guarda l’immagine finale? Potremmo, com’è spesso compito di quei curiosi compilatori di<br />

similitudini e di rimandi culturali e iconografici che sono i critici d’arte, affaccendarci a trovare<br />

qua un riferimento alle immagini simboliste, là a un’Ofelia riportata in un’atmosfera fashion,<br />

più in là ancora a una sensibilità preraffaellita o, naturalmente, ai bizzarri giochi di scatole cinesi<br />

linguistici o visuali di cui era inesausto campione Salvador Dalí. Il tentativo, pur dialetticamente<br />

e filologicamente corretto, non ci direbbe niente di più delle sorprendenti immagini di questa<br />

artista fattasi, per sua stessa ammissione precocemente, caparbiamente, quasi destinalmente<br />

attrice privilegiata e soggetto unico, obbligato, della sua complessa ricerca artistica, psicologica,<br />

identitaria e formale. Il segreto delle foto di Vittoria Regina, come quello dei sogni, risiede nel<br />

non essere spiegate fino in fondo. È Ofelia o la stessa Vittoria quella che si specchia in sé stessa,<br />

al di là di un immaginario specchio d’acqua, forse in una lunga e strana giornata in un cui era la<br />

sua mente inconscia, e non quella conscia, a guidare l’obiettivo fotografico di Vittoria, l’artista?<br />

E da che lontananza proviene quel volto che sbuca inaspettatamente dietro la cornice barocca di<br />

una vecchia specchiera? Che pensieri oscuri e indicibili reca dentro di sé quel groviglio infausto e<br />

inquietante di stoffe che ricoprono, fornendole quasi la forma di uno strano animale preistorico,<br />

la performer in un momento di oscuramento, di oblio, forse, chissà, di vergogna, del sé razionale?<br />

Che lontani ricordi si affacciano nella mente dell’attrice immortalata, diremmo quasi congelata<br />

nell’atto di eseguire con le mani, senza emozioni né gioia, uno di quei passatempi infantili che<br />

si eseguono tirando in varie maniere un elastico tra le dita? E perché quell’aragosta incastrata<br />

proprio al centro della sua spina dorsale? Perché il melograno, così simbolicamente legato al<br />

culto della nascita e della morte, e il suo aver perso dei chicchi nel corpo della modella? Le<br />

risposte, come l’origine da cui sono nate le immagini, sono riposte nel cuore più fondo dell’animo<br />

dell’artista. E forse un poco anche dentro ognuno di noi.

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