Il contributo della Calabria al Risorgimento italiano - M. Morelli
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II GRUPPO<br />
<strong>Il</strong> <strong>contributo</strong> <strong>della</strong> <strong>C<strong>al</strong>abria</strong> <strong>al</strong> <strong>Risorgimento</strong> it<strong>al</strong>iano<br />
RELATORI LETTURA DEI TESTI SUPPORTOTECNICO<br />
Marko Arena Angela Campisi Nicola Currà<br />
Alessandro Mercatante Vito Piccione Antonio Donato
Anche la <strong>C<strong>al</strong>abria</strong> ha avuto i suoi martiri nelle guerre d’indipendenza,<br />
solo che nessuno lo sa. I libri di storia uffici<strong>al</strong>e non dedicano <strong>al</strong>cuna<br />
riga <strong>al</strong>l’Unità d’It<strong>al</strong>ia combattuta a queste latitudini e gli <strong>al</strong>unni delle<br />
scuole non la studiano.<br />
La <strong>C<strong>al</strong>abria</strong> prima dell’epoca risorgiment<strong>al</strong>e<br />
In <strong>C<strong>al</strong>abria</strong>, già nel 1811, c’era stata una riunione di aderenti <strong>al</strong>la<br />
carboneria ad Altilia , tra cui Michele <strong>Morelli</strong> di Vibo V<strong>al</strong>entia,<br />
Guglielmo e Florestano Pepe di Squillace, Luigi De Pasqu<strong>al</strong>e di<br />
Catanzaro e Francesco Monaco di Dipignano. <strong>Il</strong> moto dimostra che la<br />
borghesia c<strong>al</strong>abrese sentiva il bisogno di riforme istituzion<strong>al</strong>i, a partire<br />
da una Costituzione; ma, sino a quando Ferdinando I non si decise a<br />
licenziare il ministro <strong>della</strong> polizia, lo strumento di governo fu<br />
soprattutto la repressione. T<strong>al</strong>e incarico fu assegnato a Luigi de Medici<br />
e cambiò qu<strong>al</strong>cosa: sopravvenne una certa tolleranza politica e si cercò<br />
di migliorare la situazione economica dello Stato con una politica<br />
protezionistica in favore dell’industria, limitando l’ingresso dei<br />
manufatti provenienti d<strong>al</strong>l’It<strong>al</strong>ia del Nord e d<strong>al</strong>l’estero. In effetti, a<br />
seguito di questi provvedimenti, ci fu un notevole aumento delle<br />
imprese artigian<strong>al</strong>i, sempre presenti nella<br />
regione quanto meno per soddisfare i bisogni<br />
loc<strong>al</strong>i, e di <strong>al</strong>cune industrie. Le timide iniziative<br />
<strong>della</strong> borghesia meridion<strong>al</strong>e attiva non furono<br />
sollecitate d<strong>al</strong> governo dell’epoca, costituito<br />
da re Francesco I e re Ferdinando II, che si<br />
preoccupavano di conservare il proprio potere<br />
assoluto, eppure gli animi dei cittadini
ardevano con fervore: lo testimoniano Domenico Mauro, c<strong>al</strong>abrese,<br />
volontario a Roma e garib<strong>al</strong>dino, che nelle sue poesie espresse il<br />
desiderio di rinascita <strong>della</strong> <strong>C<strong>al</strong>abria</strong>, il sacerdote Vincenzo Padula, che<br />
denunciò sul suo giorn<strong>al</strong>e «<strong>Il</strong> Bruzio», il bisogno di mor<strong>al</strong>izzazione <strong>della</strong><br />
vita civile e <strong>della</strong> re<strong>al</strong>tà soci<strong>al</strong>e. Altri scrittori furono: Francesco<br />
Scaglione, Saverio Vit<strong>al</strong>i, Nicola Tarsia, Michele Bello di Ardore e<br />
Gaetano Ruffo di Bov<strong>al</strong>ino,questi ultimi due fucilati per aver guidato il<br />
Francesco I di Borbone<br />
movimento insurrezion<strong>al</strong>e di Gerace.<br />
“Una rivoluzione non si può fare senza il popolo, ed il<br />
popolo non si muove per raziocino, ma per bisogno”<br />
(Vincenzo Cuoco, storico napoletano, 1770-1823)<br />
Vincenzo Cuoco
I protagonisti meridion<strong>al</strong>i del <strong>Risorgimento</strong><br />
“Più <strong>della</strong> madre e più del padre e più degli <strong>al</strong>tri<br />
progenitori presi tutti insieme è da onorare la patria, e<br />
più di costoro venerabile e santa”.<br />
(Platone, da Critone)<br />
Platone
Marco Centola<br />
(Napoli, 1827-1899)<br />
Marco Centola nacque a Napoli il 13 Febbraio 1827 da Ignazio e Giulia<br />
D’Ambrosio. <strong>Il</strong> padre Ignazio fu uno dei personaggi di rilievo <strong>della</strong> scena<br />
sammarchese e data la sua importanza era solito per impegni istituzion<strong>al</strong>i,<br />
familiari e lavorativi recarsi nella capit<strong>al</strong>e del regno Borbonico, ecco perché<br />
<strong>al</strong>cuni dei suoi figli nacquero a Napoli. Dopo aver intrapreso gli studi in<br />
Capitanata si recò nuovamente a Napoli nel 1849 dove conseguì la laurea in<br />
Giurisprudenza.<br />
Gli ambienti partenopei in quell’epoca pullulavano di personaggi colti ed<br />
efferatamente devoti <strong>al</strong>la cultura, fu così che il Centola<br />
fu trasportato da quegli ide<strong>al</strong>i liber<strong>al</strong>i che poi verrano<br />
fuori nel suo diario e nel discorso <strong>al</strong> plebiscito. Marco<br />
Centola sin d<strong>al</strong>la giovine età fu uomo di cultura e di<br />
spiccata sensibilità, aria che si respirava in casa Centola,<br />
e di questo gli fu dato merito d<strong>al</strong>la storia. Dopo una<br />
breve permanenza in terra Lucana dove fu giudice regio<br />
d<strong>al</strong> 1855 fu trasferito nel 1859 a Melito dove il caso<br />
volle che facesse parte <strong>della</strong> storia. Morì nel 1899.<br />
A Melito scrisse nel suo diario riguardo <strong>al</strong> 19 agosto<br />
1860, giornata magnifica e soleggiata, quando, svegliato<br />
<strong>al</strong>l’improvviso, s’accorse che i Garib<strong>al</strong>dini stavano sbarcando su due piroscafi, il<br />
Torino e il Franklin, e commentò il suo incontro con Garib<strong>al</strong>di sulla nave<br />
princip<strong>al</strong>e. Durante il nuovo governo repubblicano , poiché fu “uomo giusto e<br />
civile sotto il passato governo”, gli fu promessa una promozione, in attesa <strong>della</strong><br />
qu<strong>al</strong>e si trasferì nella “sua patria”, San Marco In Lamis, dove aveva famiglia.<br />
"Garib<strong>al</strong>di mi accolse egu<strong>al</strong>mente con perfetta civiltà e mostrando piacere. Sia<br />
che volesse restare sul Franklin, ove non vi era <strong>al</strong>tri, per attendere qu<strong>al</strong> destino<br />
aspettava <strong>al</strong> Torino, sia che vi volesse restare finché il Franklin doveva partire,<br />
mi fece sedere con lui su di un canapè in quella s<strong>al</strong>a, nel mezzo <strong>della</strong> qu<strong>al</strong>e era<br />
una lunga tavola su cui erano e restarono i residui di una colazione e mi<br />
trattenne, quasi sempre ivi seduti, due ore. Dopo un breve discorso circa quel<br />
luogo, lo sbarco e il viaggio di quella notte, egli parlò lungamente con lentezza<br />
notabile, e spesso con dettagli, dei suoi eroici fatti di Sicilia, e dello stato e<br />
condizione di quella contrada d'It<strong>al</strong>ia. Di tutto si mostrava assolutamente
convinto e sicuro. Disse che per occupare il regno di Napoli aveva mezzi<br />
soverchi che aveva abbandonati in Sicilia, parlava del suo prossimo arrivo in<br />
Napoli, come scopo sicurissimo di un viaggio che si sarebbe fatto senza difficoltà<br />
e ostacoli; e disse che come lo sbarco di Mars<strong>al</strong>a aveva assicurata la Sicilia<br />
<strong>al</strong>l'It<strong>al</strong>ia, lo sbarco di Melito le assicurava il regno di Napoli. A mezzogiorno<br />
l'uffici<strong>al</strong>e d<strong>al</strong>l'<strong>al</strong>ta statura e uffici<strong>al</strong>i di bordo vennero a dire a Garib<strong>al</strong>di che le<br />
due macchine avevano fatto tutti gli sforzi possibili per liberare il Torino. Dette<br />
poche parole sulla deplorevole necessità di lasciare là imprigionato quel<br />
maestoso vapore, Garib<strong>al</strong>di scese in una barchetta ove lo seguimmo io e<br />
l'uffici<strong>al</strong>e d<strong>al</strong>l'<strong>al</strong>ta statura, del qu<strong>al</strong>e non conobbi il nome e, traversati pochi<br />
metri di mare, sbarcammo. Cosi Garib<strong>al</strong>di mise il piede sul regno di Napoli il<br />
mezzogiorno del 19 agosto 1860." (D<strong>al</strong> diario di Marco Centola).<br />
Sbarco a Melito
I fratelli Bandiera<br />
(Venezia 1810,1819- V<strong>al</strong>lone di Rovito 1844)<br />
Attilio Bandiera (Venezia, 24 maggio 1810 – V<strong>al</strong>lone di Rovito, 25 luglio 1844)<br />
ed Emilio Bandiera (Venezia, 20 giugno 1819 – V<strong>al</strong>lone di Rovito, 25 luglio<br />
1844) sono stati due patrioti it<strong>al</strong>iani. Nobili, figli del barone Francesco Giulio<br />
Bandiera ammiraglio, e di Anna Marsich; a loro volta uffici<strong>al</strong>i <strong>della</strong> Marina da<br />
guerra austriaca, aderirono <strong>al</strong>le idee di Giuseppe Mazzini e fondarono una loro<br />
società segreta, l'Esperia (nome col qu<strong>al</strong>e i greci indicavano l'It<strong>al</strong>ia antica) e con<br />
essa tentarono di effettuare una sollevazione popolare nel Sud It<strong>al</strong>ia. <strong>Il</strong> 13 giugno<br />
1844, i fratelli Emilio e Attilio Bandiera, disertarono e partirono da Corfù (dove<br />
avevano una base <strong>al</strong>lestita con l'ausilio del barese Vito Infante) <strong>al</strong>la volta <strong>della</strong><br />
<strong>C<strong>al</strong>abria</strong> seguiti da 17 compagni. <strong>Il</strong> 16 giugno 1844 sbarcarono vicino Crotone e<br />
appresero che la rivolta scoppiata poco tempo prima a Cosenza si era conclusa e<br />
che <strong>al</strong> momento non era in corso <strong>al</strong>cuna ribellione <strong>al</strong>l'autorità del re . Pur non<br />
essendoci <strong>al</strong>cuna rivolta i fratelli Bandiera vollero lo stesso continuare l'impresa e<br />
partirono per la Sila. Un loro compagno, appresa la notizia che non c'era <strong>al</strong>cuna<br />
sommossa a cui prendere parte tradì i suoi compagni e li fece arrestare. Subito<br />
iniziarono le ricerche dei rivoltosi ad opera delle guardie borboniche. Proprio<br />
quando il gruppetto si trovava <strong>al</strong>le porte di San Giovanni in Fiore, vennero<br />
avvistati d<strong>al</strong>le guardie partite d<strong>al</strong> paese, e in seguito ad <strong>al</strong>cuni scontri a fuoco,<br />
vennero tutti catturati.<br />
Subito iniziarono le ricerche dei rivoltosi ad opera delle guardie borboniche.<br />
Proprio quando il gruppetto si trovava <strong>al</strong>le porte di San Giovanni in Fiore,<br />
vennero avvistati d<strong>al</strong>le guardie partite d<strong>al</strong> paese, e in seguito ad <strong>al</strong>cuni scontri a<br />
fuoco, vennero tutti catturati. Vennero imprigionati tutti, tranne i feriti che<br />
vennero trasportati immediatamente a Cosenza, mentre i caduti vennero seppelliti<br />
a San Giovanni in Fiore. I catturati furono portati dinanzi la corte marzi<strong>al</strong>e, che li<br />
condannò a morte. <strong>Il</strong> re Ferdinando II questa volta fu severo e ne graziò pochi; i
fratelli Bandiera con <strong>al</strong>tri sette compagni, Giovanni Venerucci, Anacarsi Nardi,<br />
Nicola Ricciotti, Giacomo Rocca, Domenico Moro, Francesco Berti e Domenico<br />
Lupatelli, vennero fucilati nel V<strong>al</strong>lone di Rovito nei pressi di Cosenza il 25 luglio<br />
1844.Attilio e Emilio Bandiera furono fucilati mentre affrontavano<br />
coraggiosamente la pena capit<strong>al</strong>e e cantavano l’inno d’It<strong>al</strong>ia.<br />
Antonietta de Pace<br />
(G<strong>al</strong>lipoli 1818-1893)<br />
Antonietta De Pace nasce a G<strong>al</strong>lipoli il 2 febbraio 1818 in una famiglia<br />
benestante. Entrò giovanissima nell’ambiente insurrezion<strong>al</strong>e <strong>della</strong> giovine It<strong>al</strong>ia<br />
anche grazie <strong>al</strong> cognato e poco tempo dopo venne catturata. Processata,<br />
Antonietta evitò la pena capit<strong>al</strong>e e riuscì ad ottenere la libertà. Una volta libera<br />
continuò con il marito, Beniamino Marciano, a diffondere<br />
le idee mazziniane. Della sua vita, conosciamo molte lotte<br />
da lei intraprese per la difesa delle donne e per l’unità.<br />
Mazziniana e antiborbonica. Antonietta prese parte attiva<br />
ai moti del ‘48 nella terra d’Otranto e combattè a fianco<br />
dei Settembrini. Nel 1849 fondò un circolo femminile per<br />
riunire le donne aristocratiche con i suoi ide<strong>al</strong>i o che<br />
avevano parenti rinchiusi nelle carceri borboniche.<br />
L’impegno di Antonietta per i più deboli e i più poveri non<br />
si affievolì neanche con il venir meno dell’impegno<br />
rivoluzionario. Anzi, ella fu protesa verso l’istruzione<br />
speci<strong>al</strong>mente per le donne che solo attraverso la cultura<br />
possono riscattare la propria condizione soci<strong>al</strong>e. Morì il 4 Agosto 1893.
“L’intiera terra tra i due golfi di mari, il Nepetinico (S. Eufemia) e lo<br />
Scilletinico (l’odierna Squillace), fu ridotta sotto il potere di un uomo<br />
buono e saggio, che convinse i vicini, gli uni con le parole, gli <strong>al</strong>tri con<br />
la forza. Questo uomo si chiamò It<strong>al</strong>o che denominò per primo questa<br />
terra It<strong>al</strong>ia”<br />
(Antioco di Siracusa, V sec. a.C.)<br />
I protagonisti c<strong>al</strong>abresi<br />
Francesco Ursia<br />
(San Nicola di V<strong>al</strong>lelonga 1817-1894)<br />
Francesco Ursia nacque a San Nicola di V<strong>al</strong>lelonga<br />
(l’odierna San Nicola da Crissa) il 23 ottobre 1817. Per<br />
quanto riguarda la sua gioventù non si ricordano molte<br />
notizie, se non che <strong>al</strong>l’età di 31 anni partecipa ai moti del<br />
’48 insieme a Garcea. Viene arrestato dopo una lunga<br />
latitanza il 18 Settembre del 1849. <strong>Il</strong> 26 novembre 1850 è<br />
condannato d<strong>al</strong>la Grande Corte Speci<strong>al</strong>e di Catanzaro a 19
anni di ferri per attentato <strong>al</strong>la sicurezza dello Stato e per aver armato i ribelli<br />
contro il sovrano. Prima <strong>della</strong> grazia (tramutata in esilio) ai 66 patrioti,<br />
Ferdinando II aveva emanato a Foggia un decreto (27 ottobre) col qu<strong>al</strong>e, in<br />
occasione delle nozze imminenti del Duca di <strong>C<strong>al</strong>abria</strong>, riduceva di 4 anni i ferri<br />
dei g<strong>al</strong>eotti politici che si trovavano in maggioranza a Procida, considerati tra i<br />
“non-pericolosi”.<strong>Il</strong> 21 marzo 1859 venivano liberati 33 prigionieri, tra cui Ursia e<br />
Nicodemo P<strong>al</strong>ermo, con la pena ridotta di <strong>al</strong>tri 4 anni. Ursia viene liberato e<br />
inviato a domicilio forzato. Nel 1860 viene incaricato d<strong>al</strong> gener<strong>al</strong>e Francesco<br />
Stocco di organizzare una rivolta nel suo distretto per spianare la strada a<br />
Garib<strong>al</strong>di. Nel 1862, viene nominato giudice, ma dopo qu<strong>al</strong>che anno deve<br />
dimettersi per m<strong>al</strong>attia. Muore il 30 luglio 1894. Con la sua morte scompare il<br />
suo cognome d<strong>al</strong>la memoria loc<strong>al</strong>e.<br />
Antonio Garcea<br />
(San Nicola di V<strong>al</strong>lelonga 1820-1878)<br />
Antonio Garcea nacque a San Nicola di V<strong>al</strong>lelonga (attu<strong>al</strong>e San Nicola da<br />
Crissa) nel 1820. Egli partecipò attivamente ai moti del ‘48 e nel 1837 si iscrisse<br />
<strong>al</strong>la setta dei Carbonara. Essa lo incoraggiava ad arruolarsi nel corpo dei<br />
Cacciatori borbonici, che ricercavano gli stessi Carbonari, come spia. Nel 1848 il<br />
Re di Napoli diede ordine di farlo impiccare ma l’ amico Nocita, Padre Grilli e<br />
Antonio Scozzafave riuscirono a s<strong>al</strong>varlo facendolo ricoverare nel convento di<br />
San Marcellino. Lì gli viene ordinato di recarsi in <strong>C<strong>al</strong>abria</strong> per organizzare<br />
l’insurrezione. Arrivato a Mongiana, dopo una breve sparatoria, i soldati<br />
borbonici disertarono e Garcea con i suoi s’impadronì <strong>della</strong> fabbrica che<br />
difendevano.
Trasferitosi a Catanzaro a causa dei quattro processi istituiti contro di lui, gli<br />
verranno inflitti trent’anni di duro lavoro: subì una durissima flagellazione, <strong>al</strong>la<br />
qu<strong>al</strong>e riuscì a sopravvivere per miracolo. In seguito venne mandato in esilio, ma<br />
decise di lasciarlo e di tornare a combattere. Giunto in It<strong>al</strong>ia nel 1859, tentò in<br />
ogni modo di farsi arruolare tra i Cacciatori di Garib<strong>al</strong>di; nell’Aprile dell’anno<br />
dopo Garib<strong>al</strong>di avvia la spedizione dei mille <strong>al</strong>la qu<strong>al</strong>e Garcea, pur volendo, non<br />
riesce a partecipare. Muore a Velletri il 29 Aprile del 1878 per i postumi di<br />
quella durissima flagellazione subita a Montefusco.
Benedetto Musolino<br />
(Pizzo 1809-1885)<br />
Benedetto Musolino nacque l’8 febbraio 1809 a Pizzo da una famiglia di idee<br />
antiborboniche e liber<strong>al</strong>i. Frequentò il liceo-ginnasio di<br />
Monteleone ( oggi Vibo V<strong>al</strong>entia) e in seguito studiò<br />
giurisprudenza a Napoli. Fondò la setta dei “Figlioli <strong>della</strong><br />
giovine It<strong>al</strong>ia” che sebbene simile a quella ideata da<br />
Mazzini per gli ide<strong>al</strong>i seguiti, era diversa sia nella<br />
condotta, sia nell’organizzazione. L’8 maggio 1839,<br />
tradito da due membri <strong>della</strong> setta, fu arrestato e condotto<br />
in carcere. Dopo 3 anni e mezzo di carcere fu liberato nel<br />
1848 e, tornato a Pizzo, seppur sotto stretta sorveglianza,<br />
riuscì ad organizzare la rivoluzione del 1848 insieme <strong>al</strong><br />
nipote e <strong>al</strong>cuni stretti collaboratori. Repressa<br />
violentemente la rivolta di Napoli, tornò in <strong>C<strong>al</strong>abria</strong> e<br />
organizzò la difesa del governo provvisorio con sede a<br />
Cosenza. La reazione borbonica però fu spietata; gli insorti non furono<br />
risparmiati e persino <strong>al</strong>cuni membri <strong>della</strong> famiglia di Benedetto furono uccisi.<br />
Benedetto fu esiliato in Francia e venuto a conoscenza in Francia <strong>della</strong><br />
spedizione garib<strong>al</strong>dina, non esitò un<br />
istante a tornare a P<strong>al</strong>ermo dove si<br />
arruolò come colonnello brigadiere.<br />
Infine si ritirò a Pizzo ove morì il 15<br />
novembre del 1885 fra la stima dei suoi<br />
concittadini.
Domenico Mauro<br />
(San Demetrio Corone 1812-1873)<br />
Nacque a San Demetrio Corone, un paese di lingua <strong>al</strong>banese, nella provincia di<br />
Cosenza. Fu la princip<strong>al</strong>e figura di un gruppo di giovani c<strong>al</strong>abresi romantici in<br />
letteratura e radic<strong>al</strong>i in politica che si adoperarono per far rinnovare la cultura<br />
c<strong>al</strong>abrese. <strong>Il</strong> 15 Marzo 1844 fu il capo di una<br />
sommossa antiborbonica <strong>al</strong> grido di “It<strong>al</strong>ia e<br />
Costituzione” che però f<strong>al</strong>lì miseramente. Partecipò<br />
attivamente ai moti rivoluzionari del 1848 e, dopo che<br />
Ferdinando I concesse la costituzione, fu deputato del<br />
parlamento del Regno delle Due Sicilie. Dopo il<br />
tradimento del re ritornò in <strong>C<strong>al</strong>abria</strong> dove proseguì la<br />
rivoluzione in veste di commissario civile di<br />
Castrovillari e che culminò con una sfortunata battaglia<br />
<strong>al</strong> v<strong>al</strong>ico Campotenese dove guidò 3.000 volontari<br />
contro le truppe borboniche del gener<strong>al</strong>e Lanza.<br />
Condannato a morte, riparò a M<strong>al</strong>ta, a Corfù, in Grecia,<br />
e infine in Albania. Nel 1849 tornò in It<strong>al</strong>ia, in aiuto <strong>della</strong> Repubblica Romana,<br />
caduta la qu<strong>al</strong>e si rifugiò in Piemonte. Nel 1860 seguì, insieme <strong>al</strong> fratello,<br />
Giuseppe Garib<strong>al</strong>di nell’impresa dei Mille. Dopo l’unità fu eletto <strong>al</strong>la Camera dei<br />
deputati dove militò fra le fila <strong>della</strong> sinistra d<strong>al</strong> 1865 fino <strong>al</strong> 1870. Morì a Firenze<br />
<strong>al</strong>l’età di 61 anni.<br />
“Misero la libertà in comune a tutti, ma <strong>della</strong> fama che derivò<br />
d<strong>al</strong>le loro azioni incoronarono solo la patria”.<br />
(Iperide, oratore ateniese, da Epitafio, IV secolo a.C.)
Michele <strong>Morelli</strong><br />
(Monteleone 1792-1822)<br />
<strong>Morelli</strong> è un protomartire del risorgimento it<strong>al</strong>iano,<br />
nonché straordinario eroico figlio <strong>della</strong> nostra terra di<br />
<strong>C<strong>al</strong>abria</strong>. Nasce a Monteleone, odierna Vibo V<strong>al</strong>entia,<br />
nel 1792 da Don Giuseppe Maria e da Donna Orsola<br />
Ceniti. I genitori di Michele discendevano da un’<br />
antica e benestante famiglia. <strong>Il</strong> padre era governatore<br />
di <strong>al</strong>cuni piccoli comuni poco distanti da Monteleone<br />
e successivamente fu luogotenente tesoriere <strong>della</strong><br />
città. <strong>Il</strong> <strong>Morelli</strong> aveva anche <strong>al</strong>tri nove fratelli e così<br />
viene descritto da Nazzareno S<strong>al</strong>imbeni: “<strong>Morelli</strong><br />
aveva bassa statura, era scuro in volto, gli occhi e i<br />
capelli neri, le membra agilissime ed era capace di<br />
movimenti rapidi. Ebbe un indomito spirito di<br />
avventura, fermezza di carattere nei suoi ide<strong>al</strong>i, volontà tenace nei suoi propositi,<br />
coraggio di fronte a tanti pericoli ed in tante battaglie, resistenza ammirevole ai<br />
disagi, <strong>al</strong>le fatiche, <strong>al</strong>le sofferenze … ”. <strong>Il</strong> padre non esita ad avviarlo <strong>al</strong>la<br />
carriera militare e <strong>al</strong>l’ età di 16 anni Michele si arruola volontario nell’ esercito<br />
di Giuseppe Bonaparte, che sceglie Monteleone come capoluogo di provincia<br />
<strong>della</strong> <strong>C<strong>al</strong>abria</strong> Ulteriore, per considerazioni logistiche e strategiche, cioè la lotta<br />
<strong>al</strong> brigantaggio, fenomeno conseguente <strong>al</strong> m<strong>al</strong>contento popolare, che spargeva<br />
terrore. Volontario delle truppe del Murat, reduce d<strong>al</strong>la Russia, ottiene il grado di<br />
Maresci<strong>al</strong>lo d’<strong>al</strong>loggio, battendosi v<strong>al</strong>orosamente contro i Cosacchi durante la<br />
ritirata. Nel 1813 è promosso <strong>al</strong> grado di uffici<strong>al</strong>e di cav<strong>al</strong>leria. Con il ritorno dei<br />
Borboni subentrano nel nostro Michele, così come in <strong>al</strong>tri giovani intellettu<strong>al</strong>i, l’<br />
amarezza e lo sconforto e le speranze che andavano scemando, si riaccesero<br />
grazie <strong>al</strong>l’esperienza murattiana e <strong>al</strong>la diffusione <strong>della</strong><br />
Carboneria. Tra il 1818 e il 1820 troviamo <strong>Morelli</strong><br />
insieme a Giuseppe Silvati nel Reggimento Cav<strong>al</strong>leria<br />
Re<strong>al</strong>e a Nola. La concessione <strong>della</strong> costituzione del re<br />
in Spagna portò il <strong>Morelli</strong> e Silvati, nella notte tra il 1<br />
e il 2 luglio 1820, a dare il via <strong>al</strong>la cospirazione con<br />
l’insurrezione <strong>della</strong> guarnigione di Nola e la marcia<br />
verso Avellino.<br />
Michele <strong>Morelli</strong> e Giuseppe Silvati
Inizi<strong>al</strong>mente deluso d<strong>al</strong> disinteresse popolare, si ricredette nel momento in cui fu<br />
accolto trionf<strong>al</strong>mente a Monforte Irpino; pochi giorni dopo entrò a S<strong>al</strong>erno.<br />
La rapidità dei movimenti dei rivoltosi capeggiati d<strong>al</strong> nostro eroe impaurì il re<br />
Ferdinando I tanto da portarlo, il 6 luglio, a concedere la Costituzione tanto<br />
attesa. Per festeggiare t<strong>al</strong>e straordinario evento molti cospiratori giunsero a<br />
Napoli, dove si trovava lo stesso <strong>Morelli</strong>, soddisfatto a t<strong>al</strong> punto da decidere di<br />
non prendere parte ai moti rivoluzionari p<strong>al</strong>ermitani del 20 luglio 1820.<br />
Monforte Irpino (AV)<br />
Ma la gioia fu breve in quanto il 23 marzo<br />
dell’ anno successivo gli austriaci entrarono a<br />
Napoli ristabilendo l’ assolutismo regio e<br />
Ferdinando riprese il potere seppellendo la<br />
Costituzione da lui stesso emanata. <strong>Il</strong> 23<br />
marzo 1821, un corpo di spedizione austriaca<br />
entrava a Napoli, gli austriaci ristabilivano l' assolutismo regio e Ferdinando<br />
ritornava nel suo regno seppellendo la Costituzione. La maggior parte dei patrioti<br />
furono costretti <strong>al</strong>la fuga: <strong>Morelli</strong> e Silvati, tornarono da fuggiaschi in It<strong>al</strong>ia e<br />
vennero arrestati. Dopo mesi di carcere duro, tra sofferenze d' ogni sorta e<br />
torture, nel maggio del 1822 ebbe inizio il processo <strong>al</strong>la Grande Corte Speci<strong>al</strong>e di<br />
Napoli, tre erano le pene inflitte: morte, ergastolo, esilio.<br />
Non si conoscevano l'assoluzione o il<br />
perdono. Le sentenze erano inappellabili.<br />
<strong>Il</strong> colonnello Celentani difese<br />
appassionatamente ed energicamente gli<br />
uffici<strong>al</strong>i del suo Reggimento dichiarandoli<br />
innocenti d<strong>al</strong>l'accusa, perché costretti ad<br />
obbedire ai comandi del corpo supremo,<br />
per cui la colpa di quanto accaduto doveva<br />
ricadere esclusivamente su di lui. Tre<br />
giudici votarono per la morte degli<br />
accusati, tre per l'assoluzione, il presidente<br />
votò a favore <strong>della</strong> morte capit<strong>al</strong>e. <strong>Il</strong><br />
giorno 12 settembre 1822 <strong>al</strong>le prime luci<br />
dell'<strong>al</strong>ba il giovane <strong>Morelli</strong> pendeva d<strong>al</strong>le<br />
forche inn<strong>al</strong>zate in Piazza del Mercato<br />
fuori porta Capuana.
“E il v<strong>al</strong>ore non scordarono, e fama li prese <strong>al</strong>ta fino <strong>al</strong><br />
cielo, e la gloria fra gli uomini sarà immort<strong>al</strong>e”.<br />
( Simonide, elegia per la battaglia di Platea)<br />
<strong>Il</strong> <strong>Risorgimento</strong> meridion<strong>al</strong>e e tutti quelli che lo<br />
tradirono<br />
<strong>Il</strong> <strong>contributo</strong> <strong>della</strong> <strong>C<strong>al</strong>abria</strong> <strong>al</strong> <strong>Risorgimento</strong> it<strong>al</strong>iano, nei libri di storia, è quasi<br />
esclusivamente legato <strong>al</strong>la spedizione di Attilio ed Emilio Bandiera, ma non<br />
consiste solo in questo. Dietro t<strong>al</strong>e tentativo d’insurrezione agiva probabilmente<br />
anche la mitologia di una popolazione sempre pronta <strong>al</strong>la ribellione e che stava
trasformandosi: giovani uffici<strong>al</strong>i, medici e avvocati, <strong>al</strong> diffondersi delle idee<br />
mazziniane, diventano protagonisti di moti che anticipano quelli che si sarebbero<br />
verificati nel resto d’It<strong>al</strong>ia. Ancora però, un’esigua parte <strong>della</strong> popolazione si<br />
unisce agli inviti dei rivoltosi il 3 settembre, quando si annuncia la Costituzione<br />
proclamata a Napoli, Roma e Reggio. Coloro che furono fucilati nel nostro<br />
territorio furono considerati praticamente martiri <strong>della</strong> libertà, o meglio,<br />
dell’Unità. I tanti c<strong>al</strong>abresi che sposeranno la causa dell’It<strong>al</strong>ia unita, avranno<br />
sempre presente il sacrificio di questi eroi fondatori. L’oblio è la conseguenza del<br />
“tradimento” del <strong>Risorgimento</strong> meridion<strong>al</strong>e. Ben presto quanti avrebbero posto il<br />
problema <strong>della</strong> terra e di nuovi rapporti soci<strong>al</strong>i, sarebbero stati trattati come<br />
briganti ed é in un quadro simile che si sviluppa la ‘ndrangheta come esito<br />
perverso di un processo unitario che aveva distrutto soggettività, fantasia e senso<br />
<strong>della</strong> fatica delle popolazioni, perciò lo Stato é visto come oppressore,<br />
dispensatore di tasse, responsabile <strong>della</strong> leva e dell’ emigrazione. Richieste e<br />
pratiche pacifiche che affermavano desiderio di restare e voglia di coltivare e<br />
trasformare le campagne sono liquidate come episodi di ribellismo e atti<br />
crimin<strong>al</strong>i. Per uno dei paradossi storici, oggi, sono gli eredi di quei martiri, dei<br />
contadini, degli emigrati, cacciati, uccisi, espropriati, a sostenere e a difendere le<br />
ragioni di un’It<strong>al</strong>ia unita, mentre gli eredi di quanti hanno costruito le loro<br />
fortune sul sangue dei meridion<strong>al</strong>i sognano la divisione. Forse è da qui che<br />
dobbiamo partire, anche per non autoassolverci e per non dimenticare i tanti<br />
limiti e responsabilità dei gruppi dirigenti meridion<strong>al</strong>i.<br />
Vito Teti
“Ogni volta che viene liberato, il Mezzogiorno<br />
ci rimette qu<strong>al</strong>cosa”<br />
“La costruzione <strong>della</strong> minorità del Sud con<br />
stragi e saccheggi e leggi inique è il più<br />
grande affare di sempre per il nord”<br />
Pino Aprile<br />
“<strong>Il</strong> Nord, visto d<strong>al</strong> Sud, è Caino: da lì vennero quelli che, dicendosi fratelli,<br />
compirono <strong>al</strong> Sud, a scopo di rapina, il massacro più imponente mai subito da<br />
queste regioni (e si che di barbari ne sono passati)”.<br />
“Quel che gli it<strong>al</strong>iani venuti d<strong>al</strong> Nord ci fecero fu così spaventoso, che ancora<br />
oggi lo si tace nei libri di storia”
“Noi che movemmo a questo<br />
pellegrinaggio, abbiamo rimirato<br />
i simulacri infranti, e persi in un oblio<br />
ci siamo detti che la vita non si perde.”<br />
(Ghiorgos Seferis)