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Camelot è ormai lontana per Merlino e il piccolo Artù,<br />
affidato alla sua custodia. I due hanno navigato a lungo<br />
verso nord, per sfuggire a un tragico destino. La salvezza è<br />
nel porto di Ravenglass, città di cui è sovrano Derek, l'uomo<br />
che ha ucciso il padre di Artù e ne ha violentato la madre.<br />
Vincendo l'odio che lo divora, Merlino si trova costretto a<br />
salvare la vita di costui, ottenendo in cambio un sicuro<br />
rifugio per sé e per il suo protetto in un vecchio fortino<br />
abbandonato nei pressi del Vallo di Antonino.<br />
Lì, nascosto dalla minaccia dei nemici, educherà e addestrerà<br />
negli anni il giovane Artù di Pendragon, fino a farne un<br />
uomo valoroso e saggio, dal cuore puro e dal coraggio<br />
indomito. Fino a fare di lui il cavaliere che un giorno sarà<br />
degno di brandire la mitica Excalibur e diventare Alto Re di<br />
tutta la Britannia.
VOLUME DLB 153
Jack Whyte è poeta, regista cinematografico e romanziere.<br />
Nato in Scozia, vive da molti anni in Canada. Ha raggiunto<br />
uno straordinario successo con Le Cronache di Camelot,<br />
ormai considerate un bestseller in tutto il mondo. A questo<br />
ciclo appartengono anche i titoli La pietra del cielo, La<br />
spada che canta, La stirpe dell'aquila, <strong>Il</strong> sogno di Merlino,<br />
<strong>Il</strong> segno di Excalihur, Le porte di Camelot e La donna di<br />
Avalon. L'autore sta lavorando a una nuova appassionante<br />
serie dedicata a Lancillotto, di cui sono disponibili in Italia II<br />
cavaliere di Artù e <strong>Il</strong> marchio di Merlino.<br />
Della serie Le Cronache di Camelot hanno detto:<br />
«Una storia semplicemente straordinaria.»<br />
Rosamunde Pilcher<br />
«Uno splendido mix di realtà storica e leggenda.»<br />
La Stampa<br />
In sovraccoperta: <strong>Il</strong>lustrazione di Silvia Fusetti
Titolo originale dell'opera: The Fort at the River’s bend<br />
© 1999 by Jack Whyte<br />
© 2006 - Edizioni Piemme Economica<br />
© 2001 - EDIZIONI PIEMME Spa<br />
15033 Casale Monferrato (AL) - Via Galeotto del Carretto, 10<br />
Tel. 0142/3361 - Fax 0142/74223<br />
www.edizpiemme.it<br />
Stampa Rotolito Lombarda – Via Roma, 115 – Pioltello (MI)
A mia moglie, Beverley,<br />
e a mio nipote<br />
David Michael Johns,<br />
finalmente grande abbastanza<br />
per poter leggere i libri del nonno.
La leggenda della pietra<br />
caduta dal cielo<br />
Dal cielo notturno cadrà una pietra<br />
che cela una fanciulla nata da profondità tenebrose,<br />
una fanciulla i cui femminili misteri, nutriti dal fuoco,<br />
daranno vita a una spada scintillante, baluginante.<br />
Una spada fiammeggiante e splendente la cui potenza<br />
genera guerrieri. Ma quest'arma conterrà anche<br />
le astuzie di una donna e traccerà terribili fatti di uomini;<br />
darà il nome a un'epoca; incoronerà un re,<br />
che prenderà il nome da un popolo della montagna,<br />
che crede di essere stato generato dal seme di un drago;<br />
uomini vigorosi e feroci, eroici, prodi e forti,<br />
e nelle loro anime vi è grandezza.<br />
Questo re, questo monarca, potente oltre l'immaginabile,<br />
forgiato nella gloria, cantando un canto di spade,<br />
confondendo i mortali con magica follia,<br />
darà vita a una leggenda, e tuttavia non lascerà nessuno<br />
a condurre al trionfo il suo esercito dopo di lui.<br />
Ma la morte non svilirà mai il suo destino che,<br />
non morendo, vivrà per sempre, per essere ricordato.
Nomi geografici<br />
La terra che i Romani chiamavano Britannia era solo quella che<br />
oggi chiamiamo Inghilterra. La Scozia, l'Irlanda e il Galles erano<br />
separati, venivano chiamati rispettivamente Caledonia, Ibernia e<br />
Cambria, e non erano considerati parte della provincia della<br />
Britannia. Le antiche città della Britannia romana sono ancora al loro<br />
posto, ma oggi hanno nomi inglesi.<br />
Londinium Londra<br />
Verulamium St. Albans<br />
Alchester<br />
Glevum Gloucester<br />
Aquae Sulis Bath<br />
Lindinis <strong>Il</strong>chester<br />
Sorviodunum Old Sarum<br />
Venta Belgarum Winchester<br />
Noviomagus Chichester<br />
Durnovaria Dorchester<br />
Isca Dumnoniorum Exeter<br />
La Colonia (Camulod) Camelot<br />
Camulodunum Colchester<br />
Deva Chester<br />
Lindum Lincoln<br />
Eboracum York<br />
Mamucium Manchester<br />
Dolocauthi Miniere d’oro del Galles<br />
Durovernum Canterbury<br />
Regulbium Reculver<br />
Rutupiae Richborough<br />
Dubris Dover<br />
Lemanis Lympne<br />
Anderita Pevensey
Cartina della Britannia con alcuni nomi (N.D.S.)
Prologo<br />
Ricordo quando, per la prima volta, Artù Pendragon mi chiamò<br />
per nome. Non aveva ancora due anni e non riusciva a pronunciarlo<br />
bene, ma non fummo delusi del ri<strong>sul</strong>tato, né io né lui. «Mellino», mi<br />
chiamò chioccolando divertito a quel suono, e "Mellino" rimasi a<br />
lungo fino a quando non fu trascorso il tempo necessario perché gli<br />
riuscisse di padroneggiare la "r", un suono per lui nuovo, richiesto dal<br />
mio nome.<br />
Ricordo anche l'ultima volta in cui mi chiamò per nome,<br />
levandosi dal giaciglio e afferrandomi il braccio, gli occhi sbarrati per<br />
lo sgomento davanti all'inesorabile violenza di quell'improvviso<br />
strappo interno che gli portava via la vita. «Merlino?» rantolò e morì<br />
con il mio nome <strong>sul</strong>le labbra.<br />
Sono passati anni da quel giorno crudele e io sono ancora qui,<br />
l'unico sopravvissuto di quel luogo che gli uomini chiamavano<br />
Camelot, l'unico depositario, in tutta questa terra di Britannia, della<br />
conoscenza che qui, un tempo, fiorì e dei sogni di libertà di un intero<br />
popolo.<br />
La solitudine è nella sua essenza una maledizione. L'uomo non è<br />
destinato a vivere da solo, non deve essere costretto per sentire una<br />
voce umana a urlare con forza di tanto in tanto. Ci penso ormai da<br />
due giorni, riandando con il pensiero alle conversazioni, ai diverbi,<br />
ai dibattiti, alle canzoni, quelle intonate con voce possente e quelle<br />
sussurrate con dolcezza. Tutti i miei ricordi si sono contratti<br />
riducendosi a due momenti: la prima e l'ultima volta in cui il re mi<br />
chiamò per nome.<br />
Oggi, credo, il mio è un nome sconosciuto agli uomini e alle<br />
donne che vivono in questa terra. Altrove - nell'Eire o in Gallia, la<br />
terra dei Burgundi e delle orde incalzanti che vengono chiamate<br />
Franchi - forse ancora esiste, almeno così spero e auspico, chi pensa a<br />
me con simpatia. Ma qui, in Britannia, se mai qualcuno ancora mi<br />
ricorda, è con paura e soggezione, perché io ero Merlino, il mago e<br />
lo stregone, che conosceva dèi tenebrosi e misteri ancora più<br />
tenebrosi. Non vive nessuno oggi in questa triste terra che mi
ammenti diversamente. Sono morti tutti quei pochi che mi<br />
conoscevano a sufficienza per vedere oltre la paura, tutti i miei<br />
amici, tutti coloro che amavo.<br />
Eppure, lasciando da parte la commiserazione - un sentimento<br />
impotente e oggi, nella mia vita, un'indulgenza più che un vizio -<br />
provo profonda gratitudine per essere solo, libero di attendere al<br />
mio compito senza ostacoli. Rimane da raccontare qualcosa che<br />
nessuno ha mai raccontato. E quanto ho da raccontare è<br />
strettamente legato al mio nome, perché lungo i cambiamenti del<br />
nome scorrono i capitoli della mia vita e della vita del re, Artù.<br />
Quando si è soli, su che cosa si riflette se non su se stessi? Penso di<br />
avere da tempo abbandonato l'autoanalisi che ha ipotecato tanti<br />
anni della mia vita, vanità del tipo più squisito. Non si possono<br />
annullare le azioni compiute: le conseguenze sono ineluttabili.<br />
Ho sempre cercato di essere risoluto. Meglio una decisione<br />
solidamente radicata nell'errore che un'occasione irrimediabilmente<br />
perduta a causa della titubanza, diceva mio padre, e io gli ho<br />
creduto. Mi insegnò a soppesare gli elementi di prova e a<br />
confermarli con i fatti - fatti concreti e oggettivi - per poi prendere<br />
una decisione ferma basandomi <strong>sul</strong>le probabilità. Così ho sempre<br />
fatto o cercato di fare.<br />
Perfino in questo momento, nel mettere <strong>sul</strong>la pagina la mia<br />
versione, mi chiedo come abbia potuto a volte essere così cieco e<br />
ottuso, come abbia potuto commettere certi errori e come non mi<br />
sia posto tante domande. Sì, ero giovane, dovevo imparare molte<br />
cose, avevo la speranza e il vigore della giovinezza. Sapevo quello<br />
che desideravo e quello che il mondo voleva da me per Artù, per<br />
Camelot, per me stesso. Vedevo lo scopo, ci credevo fermamente e,<br />
pur non avendo i mezzi per conseguirlo, avevo fede che Dio, la vita,<br />
la santità dell'impresa mi avrebbero dato il tempo e la forza per<br />
portare a compimento il nostro Sogno. Ho commesso alcuni errori,<br />
ma di rado sono stati gravi.<br />
<strong>Il</strong> mio scopo era semplice, la sua realizzazione difficile: dovevo<br />
fare di un ragazzino un uomo, dovevo insegnargli a intraprendere<br />
un'impresa quale mai era stata compiuta da nessuno. Dovevo far<br />
fiorire un regno dove c'era soltanto una colonia; dovevo guidare un
popolo verso una nuova età di meravigliosa speranza. E dovevo<br />
esercitare <strong>sul</strong>la mia vita uno stretto controllo per rendere possibile<br />
tutto ciò.<br />
E mentre tutto ciò accadeva io non ne ero consapevole. Cercavo<br />
solo di dare consiglio, di avanzare passo a passo. Non avevo allora<br />
la piena coscienza del significato e della portata dell'impresa.<br />
Cercavo di fare il mio dovere; il dovere governava la mia vita.<br />
Nell'insieme ci sono riuscito. Ho commesso errori, ho avuto<br />
esitazioni, ma ho imparato a ogni passo. Ho visto il coronamento<br />
dell'impresa e l'ho vista vanificarsi, spazzata via dall'incurante mano<br />
di Dio e dell'uomo. Sono sopravvissuto. A quale fine? Per narrare<br />
ogni cosa a beneficio di uno sguardo che forse non si poserà mai<br />
<strong>sul</strong>le mie parole? Voglio scuotermi di dosso tale disperazione e<br />
continuare la mia cronaca.<br />
<strong>Il</strong> giorno in cui ebbe inizio questo capitolo della mia storia, un<br />
giorno al quale mi avvicino con trepidazione e incertezza, Merlino il<br />
mago non esisteva. L'uomo che allora così si chiamava era ancora<br />
giovane, si approssimava appena ai ricchi anni della maturità. Io ero<br />
Caio Merlino Britannico, consigliere e comandante legato degli<br />
eserciti di Camelot, Merlino per tutti, e Caio per gli amici intimi e i<br />
familiari. Nel frattempo la mia famiglia era quasi estinta, ridotta<br />
ormai, con la morte della vecchia zia Luceia, a comprendere soltanto<br />
un bambino, che mi era cugino e nipote, e un fratellastro di soli sei<br />
mesi più giovane di me, il figlio che mio padre aveva avuto da<br />
un'altra donna. Avevo cugini in Cambria, ma erano lontani, in ogni<br />
senso del termine. Pochi erano gli amici e le persone care, come<br />
accade alla gran parte degli uomini, ma mi erano tutti vicini quel<br />
giorno...
PARTE PRIMA<br />
RAVENGLASS
I.<br />
Eravamo in piedi l'uno accanto all'altro <strong>sul</strong> ponte di una galea che<br />
lentamente avanzava nel mattino di settembre, luminoso e<br />
tranquillo, solo qualche mese dopo il funesto incidente che per poco<br />
non era costato la vita a uno di noi e ci aveva costretti a fuggire da<br />
Camelot alla ricerca di quella sicurezza che avremmo dovuto avere<br />
in patria. La grande vela quadrata era floscia nel languore della<br />
brezza mattutina che disperdendo lentamente la nebbia dalla<br />
superficie della baia verso la quale eravamo diretti, levava vortici<br />
ondeggianti di vapori che si dissolvevano nel nulla. I rematori<br />
spingevano sui remi con cautela, gli occhi posati <strong>sul</strong> nostromo,<br />
Tearlach, che li indirizzava muovendo le braccia e le mani, lo<br />
sguardo fisso <strong>sul</strong> molo proteso verso di noi.<br />
Mi trovavo <strong>sul</strong> ponte di poppa con il capitano della galea,<br />
Connor Mac Athol. Connor, figlio di Athol, figlio di Iain. <strong>Il</strong> padre di<br />
Connor era il re degli Scoti dell'Eire, il popolo che i Romani avevano<br />
chiamato Scoti di Ibernia. Connor dalla gamba di legno, come era<br />
conosciuto tra i suoi uomini, era l'ammiraglio del sovrano nei mari<br />
meridionali.<br />
Seguii il suo sguardo fisso <strong>sul</strong> punto in cui, all'estremità del pontile<br />
di legno, erano ormeggiate due galee, l'una torreggiante <strong>sul</strong>l'altra,<br />
inequivocabilmente navi da guerra simili alla nostra, snelle e<br />
minacciose nelle loro affusolate linee aggressive.<br />
Dal viso di Connor capii che non appartenevano alla sua flotta.<br />
Sembravano deserte; le vele ammainate e legate, i massicci boma<br />
piegati ad angolo in cima agli alberi maestri. Al loro confronto i<br />
pescherecci, una ventina, attraccati al molo principale e al pontile<br />
più piccolo costruito a sud, sembravano minuscoli. Lanciai<br />
un'occhiata a Connor.<br />
«Di chi sono?»<br />
<strong>Il</strong> viso non lasciò trapelare i suoi pensieri, ma il tono della voce<br />
tradiva la preoccupazione. «Sono di Liam. Dei Figli di Condran.»
«Che cosa intendi fare?»<br />
«Niente. Ignorarle e andarcene prima di loro.»<br />
«Quella è enorme, più grande della nostra.»<br />
«Sì, quarantotto remi rispetto ai nostri trentasei. È la galea di<br />
Liam.»<br />
«Vuoi impegnarli in combattimento?»<br />
<strong>Il</strong> viso gli si contrasse in un lieve sorriso forzato. «Probabilmente,<br />
ma non qui. Non a Ravenglass. Questa è zona neutrale.»<br />
«Perdonami, non capisco. Che vuoi dire?»<br />
Girò la testa per guardarmi. «Semplice. È in tutta la regione nordoccidentale<br />
l'unico porto in cui le navi possono entrare e<br />
approvvigionarsi senza pericolo. È così fin da quando i Romani<br />
costruirono la fortezza. Non appena una nave entra in questa baia<br />
deve rinunciare allo stato di belligeranza, altrimenti le viene negato<br />
l'accesso. Come vedi, la fortezza è cintata e popolata. È imprendibile<br />
dal mare e dalla terra; inviolata e inviolabile. Serve come base di<br />
rifornimento. In città saremo gomito a gomito con gli uomini di<br />
Liam, ma li ignoreremo e loro ci ignoreranno. In caso di scontro, gli<br />
aggressori non avranno più il permesso di entrare nel porto in<br />
futuro. Non succede mai niente in città.» Sorrise ancora.<br />
«Naturalmente quando vi arrivano due gruppi come i nostri, nasce<br />
un po' di tensione al momento di partire.»<br />
«In che modo? Vuoi dire che è avvantaggiato chi salpa per<br />
primo?»<br />
«Sì, lo stesso vantaggio che ha il fabbro <strong>sul</strong> ferro che lavora.<br />
Picchia il martello con tutta la forza che gli pare per appiattire il<br />
metallo <strong>sul</strong>l'incudine. La costa è l'incudine per l'ultima nave in<br />
partenza.»<br />
«Ma tu hai tre navi contro le loro due.»<br />
«Sì, ed è un grande vantaggio. Vedremo.»<br />
Voltò la testa cercando con lo sguardo Tearlach, quindi,<br />
annuendo, si portò <strong>sul</strong> fianco della nave e scrutò attentamente il<br />
punto nel quale avremmo attraccato nel porto di Ravenglass.<br />
Capivo che mi aveva momentaneamente escluso dai suoi pensieri,
intento com'era a ormeggiare la galea lunga e snella che ci aveva<br />
condotti con rapidità e senza inconvenienti verso nord.<br />
Avevamo rasentato la costa della Cambria, a sud vicino a<br />
Glevum, superato Anglesey, l'isola sacra dei Druidi, in direzione del<br />
mare aperto e puntato di nuovo verso terra, accostandoci ancora<br />
una volta all'aspra costa della regione conosciuta come Cumbria che<br />
ci aspettava dietro a una forma gibbosa all'orizzonte che Connor<br />
chiamava Isola di Man.<br />
Consapevole che altre cure più importanti gli occupavano la<br />
mente, mi volsi per guardare a prua, dove il mio gruppo fissava<br />
rapito la nuova terra che si profilava davanti agli occhi. Erano i miei<br />
amici, la mia famiglia, il mio mondo adesso che Camelot era rimasta<br />
alle nostre spalle nel lontano meridione. Altri erano salpati insieme a<br />
noi, imbarcati chi <strong>sul</strong>l'una chi <strong>sul</strong>l'altra galea, solcando il mare <strong>sul</strong>la<br />
nostra scia e ci facevano da scorta; ma gli undici che si trovavano<br />
<strong>sul</strong>la mia stessa nave mi erano particolarmente vicini.<br />
<strong>Il</strong> più giovane, un gigante che in statura mi sopravanzava di un<br />
palmo, aveva ventiquattro anni ed era fratello del capitano Connor,<br />
ma nessuno lo avrebbe preso per tale. Mentre Connor aveva i<br />
capelli neri, gli occhi azzurri, la pelle scura al modo di un autentico<br />
celta, il fratello più giovane Donuil era di carnagione e capelli chiari.<br />
Portava, come me, il viso sbarbato all'uso dei Romani e gli occhi<br />
sembravano mutare dal bruno al verde a seconda della luce.<br />
Connor non era di bassa statura. Più alto della media, con spalle<br />
enormi e un torace possente, portava baffi folti e lunghi che,<br />
scendendogli fin sotto il mento, mettevano in risalto quel massiccio<br />
pilastro di muscoli che era il collo e richiamavano l'attenzione <strong>sul</strong>la<br />
pesante collana d'oro preziosamente lavorata che lo cingeva. Eppure<br />
Connor sembrava basso al confronto del fratello minore. La statura<br />
di Donuil, che lo faceva sopravanzare di una testa su quasi tutti gli<br />
uomini, combinata con le aggraziate proporzioni del corpo ne<br />
nascondeva l'autentica stazza. Aveva spalle più larghe di suo fratello,<br />
eppure sembrava più snello; il petto più possente, eppure all'aspetto<br />
meno massiccio; alto com'era, appariva quasi smilzo, mentre Connor<br />
era grosso e tarchiato.<br />
Osservando Donuil che disinvoltamente teneva un braccio
intorno alla vita di sua moglie, Shelagh, e insieme a lei si guardava<br />
intorno, pensai, come avevo già fatto centinaia di volte, quanto quel<br />
gruppo di stranieri, quel clan di Scoti, avesse influito <strong>sul</strong>la mia vita.<br />
Non era mancata progenie ad Athol Mac Iain. Erano nati tutti<br />
nell'Eire, lontano da Camelot, dove ero cresciuto io, inconsapevole<br />
della loro esistenza. Avevo sposato la figlia più giovane del re,<br />
Deirdre, che era stata uccisa quando portava in grembo mio figlio.<br />
Molto prima che morisse, suo fratello Donuil era diventato mio<br />
ostaggio, catturato in battaglia e trattenuto prigioniero a<br />
salvaguardia della promessa di suo padre di non intervenire nella<br />
guerra in corso contro Gulrhys Lot, signore della Cornovaglia.<br />
Nessuno conosceva i legami che ci univano fino a quando non<br />
portai mia moglie a Camelot. Deirdre e Donuil allora si ritrovarono,<br />
ciascuno sorpreso di incontrare l'altro.<br />
Una sorella di Deirdre, Ygraine, aveva sposato il mio mortale<br />
nemico, Gulrhys Lot, per saldare il patto di alleanza tra il popolo di<br />
suo padre e quello della Cornovaglia. Furente e rabbiosa per la<br />
durezza con cui veniva trattata dal suo disumano marito, era fuggita<br />
volentieri con mio cugino Uther Pendragon durante una lunga<br />
campagna militare, e i due, innamorati l'uno dell'altro, avevano<br />
concepito un figlio. Ero stato io, tempo dopo, a imbattermi in<br />
Ygraine su una spiaggia desolata della costa della Cornovaglia. Era<br />
stata stuprata da un uomo che, strappata l'armatura dal cadavere di<br />
Uther, l'aveva indossata. Le ero stato vicino nel momento della<br />
morte e avevo salvato il neonato, figlio di Uther. Saltato<br />
<strong>sul</strong>l'imbarcazione dove il piccolo, urlante, era stato abbandonato, mi<br />
ero spinto al largo senza avere una meta precisa. Ci aveva trovato<br />
Connor, incaricato dal re suo padre di cercare Ygraine e portarla<br />
sana e salva nell'Eire. Quel bambino, Artù Pendragon, su cui da<br />
allora avevo sempre vegliato, ora stava vicino allo zio Donuil, con<br />
lo sguardo fisso verso la terra di approdo.<br />
Al ricordo di quelle vicende scossi la testa pensando al gioco delle<br />
coincidenze e delle probabilità. Non cercavo più di darvi una<br />
risposta. Sono cristiano per nascita ed educazione, ma sono anche un<br />
celta druidico, allevato dal popolo di mia madre, i Pendragon della<br />
Cambria. La mia metà celtica crede nel destino e nell'inevitabilità<br />
degli eventi decretati da una mente superiore a quella degli uomini;
la mia metà cristiana, romano-britannica, è arrivata, grazie alla<br />
prozia Luceia, alla stessa conclusione: ci sono cose che devono<br />
accadere e accadranno a dispetto dell'incredulità degli uomini.<br />
Mentre osservavo il pontile di legno sempre più vicino a ogni<br />
colpo di remi, sorrisi a quel pensiero e sentii che mi si accapponava<br />
la pelle. Lì infatti avrei trovato la definitiva conferma di quella mia<br />
convinzione.<br />
Conoscevo l'uomo che aveva trucidato Uther Pendragon e gli<br />
aveva strappato l'armatura: un avversario, non un nemico mortale.<br />
Gli avevo creduto quando mi aveva detto di avere ucciso Uther<br />
senza conoscerne l'identità: la sua sorpresa nell’apprenderlo era stata<br />
genuina. Sconvolto dalle carneficine a cui avevo assistito nelle<br />
battaglie decisive della campagna di Cornovaglia, non avevo cercato<br />
di combatterlo o ucciderlo quel giorno. Ero rimasto a guardarlo<br />
mentre se ne andava illeso. Derek era il suo nome e si diceva re di<br />
Ravenglass. Ora, a tanti anni di distanza, lo riconobbi facilmente in<br />
mezzo alla folla che si assiepava a terra.<br />
La grande galea si accostò scivolando leggera lungo il fianco del<br />
pontile di legno, spinta dall'ultimo colpo dei trentasei rematori. Due<br />
uomini accovacciati a prua e a poppa si accingevano a gettare le<br />
gomene nelle mani esperte di coloro che aspettavano a terra; altri<br />
quattro si sporgevano da bordo per collocare grandi cuscini di<br />
canapa ai lati dell'imbarcazione perché non venisse graffiata dalle<br />
incrostazioni del molo. La galea rallentò, essendosi smorzato lo<br />
slancio che fino a quel momento l'aveva fatta avanzare, e alla fine<br />
restò a dondolare <strong>sul</strong>le onde. Le gomene lanciate dai marinai furono<br />
afferrate da altre mani e dalla folla si levò un cupo mormorio di<br />
approvazione.<br />
Contento di avere attraccato il suo vascello, Connor si allontanò<br />
dal parapetto e si avvicinò a me con passo sicuro, malgrado il<br />
cilindro scolpito e rastremato che dal ginocchio in giù gli sostituiva la<br />
gamba destra. Sorrideva, senza prestare attenzione alla folla che<br />
rumoreggiava <strong>sul</strong> molo.<br />
«Allora, Testa Gialla,» mi disse «com'è consuetudine sarò il primo a<br />
sbarcare, così tu avrai il tempo di raccogliere i tuoi pensieri. È il<br />
momento peggiore... il passaggio dalla nave alla terraferma, dal
camminare <strong>sul</strong> ponte di un vascello al camminare <strong>sul</strong> suolo. È già<br />
difficile per chi ha due piedi. Ho sbattuto il culo più di una volta.<br />
Noterai che i miei uomini si premurano di non guardarmi finché non<br />
sono io a chiamarli.» Scosse la testa con un sorriso di compatimento.<br />
«Ci vediamo a terra.»<br />
Mentre parlava, si materializzò una fune che sembrava scaturita<br />
dal nulla, e lui allungò la mano per afferrarla, quasi senza guardare.<br />
Girandomi per vedere da dove fosse saltata fuori, mi accorsi che<br />
oscillava dallo stesso albero che aveva abbassato la passerella. Nel<br />
frattempo Connor l'aveva stretta tra le mani e aveva infilato il piede<br />
nel cappio all'estremità. Immediatamente fu sollevato e con un lento<br />
dondolio posato <strong>sul</strong> molo. Liberò quindi il piede dal laccio e stette a<br />
gambe leggermente divaricate, senza lasciare la corda, che rimase<br />
tesa finché non si fu messo saldamente in equilibrio.<br />
Mi volsi intorno e vidi che aveva detto il vero: nessuno del suo<br />
equipaggio, uomini di grande fierezza, lo guardava. Rimase fermo<br />
ancora per qualche attimo, oscillando piano, quindi lasciò andare la<br />
fune.<br />
«Prendila, Sean!» urlò e si volse verso gli astanti che avevano<br />
seguito con curiosità quella manovra. Allargò le braccia in un gesto<br />
di trionfo e saluto; immediatamente venne inghiottito dalla folla che<br />
lo accolse con entusiasmo.<br />
La nave fu subito un brulicare di rematori, di solito<br />
disciplinatamente seduti in file serrate per ore e ore di seguito.<br />
Abbandonati i remi, sembravano riempire la galea al di là della sua<br />
capienza; si affollarono verso la passerella in una massa confusa e<br />
vociante. Non aveva senso che raggiungessi la mia gente all'altro<br />
capo della nave, così decisi di aspettare e di sbarcare una volta che<br />
fossero sfilati tutti.<br />
«Merlino! È il momento di sbarcare; ti faremo strada» disse la voce<br />
di Tearlach, il nostromo.<br />
Scossi la testa, sorridendogli e levando la mano. «No, Tearlach,<br />
non ancora. Che scendano prima gli uomini. Voglio parlare con il<br />
ragazzo; poi verremo.»<br />
Tearlach si strinse nelle spalle e scosse la testa. «Come vuoi» e
ontolando si avviò a impartire altri ordini.<br />
Volsi lo sguardo <strong>sul</strong> molo cercando di individuare l'uomo che<br />
aveva l'abitudine di chiamarmi «Testa Gialla», ma la visuale era<br />
impedita dai rematori che indossavano abiti di foggia celtica dai<br />
vivaci colori, splendenti nel sole mattutino, e portavano armi che<br />
scintillavano quando vi cadeva sopra la luce. Erano uomini<br />
dall'aspetto guerriero e dal portamento indomito che avrebbero<br />
scoraggiato chiunque avesse inteso ostacolare loro il cammino. Dalla<br />
disinvoltura dei loro modi si capiva che si trovavano a perfetto agio<br />
e che non per la prima volta mettevano piede in quel porto.<br />
Tra quanti erano convenuti <strong>sul</strong> molo nessuno cercò di fuggire,<br />
anzi ci fu chi li accolse chiamandoli per nome e porgendo loro il<br />
benvenuto.<br />
Come la folla si mosse, rividi la testa di Connor e incontrai il suo<br />
sguardo. Annuì e levò una mano con gesto disinvolto, senza essere<br />
visto dal suo compagno, Derek di Ravenglass, che mi volgeva le<br />
spalle. Un altro gruppo si mosse lungo la passerella. Volgendomi a<br />
destra verso il centro della nave notai che ormai almeno la metà<br />
dell'equipaggio era sbarcata e che potevo avvicinarmi a prua. Mi<br />
avviai muovendomi lentamente lungo il corridoio centrale,<br />
fermandomi di tanto in tanto per cedere il passo a qualcuno che si<br />
avviava a scendere a terra.<br />
Davanti a me, il più anziano del gruppo e il mio amico più caro,<br />
Lucano, mi guardò e annuì, levando un sopracciglio con aria ironica<br />
mentre mi avvicinavo.<br />
«Derek di Ravenglass si è mantenuto prestante in tutti questi anni,<br />
dai tempi di Verulamium. Un po' appesantito e ingrigito, ma l'ho<br />
riconosciuto immediatamente. Ti ha già visto?»<br />
«No, Connor è riuscito a distrarre la sua attenzione, ma non ce la<br />
farà ancora per molto. È venuto il momento di scendere <strong>sul</strong> molo.»<br />
«Non vuoi che ti accompagni?»<br />
«No, grazie. Andrò da solo. Qualunque cosa accada dovrà<br />
avvenire tra me e lui. Non voglio che nei primi momenti ci siano<br />
occhi e orecchi estranei.»<br />
«Come vuoi tu. Ricorda, amico mio, che se rifiuta, siamo pronti a
fare fronte all'imprevisto. Continueremo il nostro viaggio se sarà<br />
necessario.»<br />
«Speriamo che non sia necessario andare tanto lontano. Artù!»<br />
Al richiamo il ragazzo si volse immediatamente verso di me<br />
fissandomi con quei suoi strani occhi dorati che in quel momento<br />
riflettevano la luce del mattino. Non appena mi fu vicino,<br />
indicandogli con un cenno della testa il molo, gli dissi: «A terra<br />
incontrerò l'uomo che sta parlando con lo zio Connor. È il re cui ti<br />
ho accennato. Forse vorrà conoscerti, perché ha conosciuto tuo<br />
padre un tempo. Ma che lo chieda o no, voglio che tu rimanga qui<br />
ad aspettare pazientemente e ti comporti da uomo. Intesi?».<br />
<strong>Il</strong> ragazzo mi sorrise mostrando una maturità assai maggiore di<br />
quanto potessero indicare i suoi anni. Senza dire niente si limitò ad<br />
annuire con la testa.<br />
«Bravo!» Gli scompigliai i capelli e mi diressi allo sbarco,<br />
consapevole che lo sguardo di tutti era posato su di me. Sentivo che<br />
sotto i miei piedi la passerella oscillava lievemente e vedevo che <strong>sul</strong><br />
molo la folla si era diradata. Ma la mia attenzione era puntata <strong>sul</strong>le<br />
spalle ampie e la figura imponente di Derek che, volgendomi la<br />
schiena, si stagliava davanti a me e, parlando con Connor, muoveva<br />
a tratti un braccio quasi a sottolineare qualcosa di importante.<br />
Mentre mi avvicinavo, Connor mi sorrise al di sopra delle spalle<br />
di Derek, quindi allungò una mano per afferrare il braccio dell'altro e<br />
indicargli di tacere.<br />
«Scusami, Derek» disse continuando a sorridere. «C'è con me un<br />
caro amico... credo che tu lo conosca.»<br />
Fermandosi a metà discorso, Derek di Ravenglass si girò a<br />
guardarmi e io notai una ridda di espressioni guizzargli <strong>sul</strong> viso:<br />
stupore, consapevolezza, perplessità e, da ultimo, un'espressione<br />
cauta che non sapevo definire. Vi lessi il sospetto, un rapido moto di<br />
paura o di arroganza.<br />
«<strong>Il</strong> Sognatore» disse corrugando la fronte.<br />
Annuii. «Merlino Britannico.»<br />
«Sì, ricordo. La Cornovaglia e Camelot. La prima volta che ci
incontrammo usavi un altro nome.»<br />
«Ambrogio di Lindum.»<br />
«Già, sei romano.»<br />
«Soltanto per metà» risposi scuotendo la testa. «E soltanto nel<br />
nome. Sono britannico.»<br />
«Britannico? Che vuol dire?» <strong>Il</strong> tono sprezzante della domanda<br />
dimostrava che Derek non era affatto intimorito dalla mia<br />
improvvisa ricomparsa.<br />
Mi strinsi nelle spalle. «L'altra metà di me è celtica, quindi della<br />
tua stessa stirpe. La combinazione fa di me un britannico, poiché non<br />
sono né l'uno né l'altro, ma sono nato in Britannia.»<br />
«Sei uno che ama parlare. Lo eri, me lo ricordo, anche allora,<br />
quando eravamo in viaggio per raggiungere l'esercito di Lot.»<br />
«Era la tua meta; abbiamo fatto un tratto di strada insieme.»<br />
«Sì, poi scomparisti.» Tacque. «<strong>Il</strong> tuo medico mi pagò in oro per<br />
trasportare i tuoi feriti in un luogo sicuro al di là delle linee<br />
dell'esercito di Lot.»<br />
Era vero. Aveva accettato l'oro, ma non aveva adempiuto fino in<br />
fondo al suo obbligo. Che nulla di male fosse accaduto alla nostra<br />
gente era stato soltanto merito della prontezza di Lucano.<br />
Sapevo di dover parlare con cautela a tale proposito, se non<br />
volevo inasprire la situazione suscitando in lui sentimenti di colpa.<br />
«Come si chiama quel tuo medico?»<br />
«Lucano.»<br />
«Lucano? È ancora vivo?»<br />
«Sì, insieme con i suoi uomini. Si salvarono anche le masserizie.»<br />
«Ne sono contento. Me lo sono spesso chiesto.»<br />
Non era quello che mi ero aspettato. Cercavo di analizzare il<br />
tono della sua voce, per cogliervi i segni dell'arroganza o dell'ostilità.<br />
«Che cosa vuoi dire?» chiesi.<br />
Mi fissò diritto negli occhi, poi guardandosi intorno lanciò
un'occhiata di sbieco a Connor.<br />
«Una vera porcheria.» Si schiarì la gola. «Arrivammo senza<br />
difficoltà al punto di raduno di Lot, ma invece di procedere, fummo<br />
costretti a fermarci perché era stata convocata una riunione di<br />
comandanti a cui dovevo partecipare. Qualche stolto ci aveva visti e<br />
aveva passato parola che stavo arrivando. Lasciammo la tua gente al<br />
limitare dell'accampamento: concorderai con me, penso, che non<br />
fosse il caso di portarla al campo di Lot. <strong>Il</strong> raduno era immane; con i<br />
miei uomini avanzai e trovai il resto del nostro contingente, giunto lì<br />
via mare, lungo la costa, <strong>sul</strong>le galee di Lot.<br />
Tuttavia Lot non si trovava lì e non si fece vedere; tra una cosa e<br />
l'altra, non riuscii a rientrare quella notte, trattenuto in una<br />
cosiddetta riunione strategica. Una lotta tra cani ringhiosi, più che<br />
altro. In assenza di Lot tutti volevano fare i generali, anche se molti<br />
di loro non avrebbero saputo trovare il cesso neppure se ci fossero<br />
stati dentro. Più tardi quella sera, quando finalmente mi resi conto<br />
della piega che stavano prendendo le cose, mandai indietro alcuni<br />
miei uomini incontro alla tua gente per scortarla, ma quando<br />
arrivarono dove l'avevamo lasciata, se ne erano andati tutti senza<br />
lasciar traccia. I miei uomini non ci pensarono più e non ne seppi<br />
nulla fino al giorno successivo. Che fare allora? Chiesi in giro ma non<br />
ebbi risposta, anche perché non volevo scendere troppo nei dettagli.<br />
Non mi giunse voce che ci fossero stati scontri o saccheggi per<br />
accaparrarsi le masserizie, e così lasciai perdere. Ma mi sono spesso<br />
chiesto che cosa ne sia stato di quella gente e come se la sia cavata.»<br />
Sorridevo a quel punto, provando un intenso sollievo. «Perché<br />
non chiedi a Lucano come gli andò? È <strong>sul</strong>la galea.» Con un cenno<br />
della testa indicai Lucano, che ci osservava in piedi <strong>sul</strong> ponte di prua<br />
e che, leggendo lo stupore <strong>sul</strong> viso di Derek, sorrise e abbassò la<br />
testa in segno di saluto.<br />
«Che mi venga un accidenti!» borbottò Derek. «E c'è anche<br />
quell'altro, quello che ti accompagnò...»<br />
«Mio fratello Donuil» disse Connor.<br />
«Per Dio! Davvero?» Derek si girò verso di noi, posando lo<br />
sguardo su di me, su Connor e di nuovo su di me. «Perché sei qui,<br />
Merlino il Sognatore? Che cosa vuoi da me?»
«Niente che tu non possa darci o rifiutarci» risposi sorridendo e<br />
stringendomi nelle spalle. «Cibo e alloggio almeno per questa notte,<br />
per me e la mia gente, e forse darci asilo in un santuario.»<br />
«Santuario?» aggrottò la fronte mentre pronunciava la parola<br />
sconosciuta. «Che cosa vuol dire?»<br />
«Riparo, protezione.»<br />
«Protezione da che cosa? Da chi?» Guardò Connor con cipiglio<br />
fosco, il viso oscurato dall'ombra del sospetto. «Non ci sono pericoli<br />
a Ravenglass. Lo sai che Liam, l'ammiraglio di Condran, è qui?»<br />
«Una coincidenza» annuì Connor. «Liam non ha mai visto né<br />
sentito parlare di Merlino, e non si interessa a lui. Come sempre, si<br />
applicano le regole.»<br />
«Bene!» Pacificato, Derek si volse a me. «Allora, protezione da<br />
chi?»<br />
Mi strinsi nelle spalle. «È una storia lunga, o meglio, non lunga da<br />
raccontare, ma complicata. Sarei comunque contento di narrartela.»<br />
«Ehm!» Distogliendo lo sguardo da me, tornò a posarlo <strong>sul</strong>la<br />
galea. «Ci sono donne e bambini al tuo seguito? Quanti siete?»<br />
«Dodici, me compreso, a bordo della galea.»<br />
«A bordo della galea... e da altre parti?»<br />
Indicai le altre due navi di scorta fuori del porto. «Altri sei,<br />
distribuiti <strong>sul</strong>le due imbarcazioni.»<br />
«Perché se ne stanno discoste, Mac Athol? Hanno paura dei Figli<br />
di Condran?»<br />
Connor si strinse nelle spalle sorridendo. «Non più da quando<br />
hanno imparato a camminare. È semplice gesto di cortesia, amico<br />
mio. Ignoravamo la presenza del nemico fino a quando siamo<br />
arrivati, ma qui non fa differenza. Aspettano di essere invitati a<br />
entrare. Tre galee che gettano l'ancora insieme avrebbero potuto<br />
dare l'impressione di un'invasione.»<br />
«Da' loro il segnale di entrare. Appartengono alla vostra gente, e<br />
sono perciò i benvenuti. Feargus, vero?»
«Sì, e Logan.»<br />
Derek tornò a rivolgersi a me. «L'ospitalità, per una notte almeno,<br />
non presenta pericoli. L'avremmo concessa comunque. Non mi<br />
impegno oltre. Ma la tua storia mi interessa.» Si interruppe e dopo<br />
una breve pausa mi chiese: «Sei ancora un sognatore?».<br />
«Di tanto in tanto» risposi sorridendo. «Sognai di te neanche<br />
quattro settimane fa. Per questo siamo venuti qui.»<br />
Trasse un profondo sospiro. «Temevo di sentirti dire qualcosa di<br />
simile.»<br />
«Ti vidi che indossavi l'armatura di Uther. La possiedi ancora?»<br />
«Sì.» La voce era priva di emozione.<br />
«Quando l'hai indossata per l'ultima volta?»<br />
«Quando sono tornato in patria, dopo il nostro incontro. Ero<br />
stufo di guerra e ringrazio il cielo di non essermi trovato nella<br />
necessità di impugnare la spada da allora. Perché me lo chiedi?»<br />
«È in buone condizioni?»<br />
«Perfette. Potrei metterla oggi stesso, se fosse necessario. Ritieni<br />
probabile che si renda necessario?»<br />
Scossi la testa mentre il mio sorriso si allargava. «No, ma mi<br />
piacerebbe ricomprarla da te un giorno, se tu fossi disposto a<br />
venderla.»<br />
Mi fissò a lungo, perplesso, prima di rispondere. Quando parlò, la<br />
sua voce era dubbiosa. «Un giorno? E quando sarebbe quel giorno?<br />
Ti avverto: potrebbe influire <strong>sul</strong>la mia decisione e anche <strong>sul</strong> prezzo.»<br />
Indicando con un cenno la galea disse: «Fa' sbarcare i tuoi e vieni con<br />
me. Uno dei miei uomini li porterà in un luogo nel quale potranno<br />
riposarsi e ripulirsi. Ci sono le terme romane, se vogliono usarle».<br />
«Sono in funzione?»<br />
«Te le avrei offerte se fossero state fuori uso?» L'omaccione mi<br />
guardava con gli occhi socchiusi, ma riuscii lo stesso a scorgervi un<br />
guizzo di divertimento. «Devo dedurre che sei sorpreso di scoprire<br />
che ci laviamo, che sappiamo tenere accesa una fornace, anche<br />
adesso che i Romani se ne sono andati?»
«No, te lo giuro su tutti gli dèi» protestai serio. «Simili pensieri non<br />
mi hanno mai sfiorato.»<br />
«Ehm! Fai sbarcare la tua gente.»<br />
Al mio cenno, immediatamente il gruppo <strong>sul</strong>la galea si mosse per<br />
raccogliersi intorno alla passerella. Con le mani intorno alla bocca,<br />
Connor chiamò a gran voce Tearlach ordinandogli di convocare<br />
Feargus e Logan. Mentre gli uomini cominciavano a muoversi per<br />
dare il segnale alle galee che erano in attesa, i primi due del mio<br />
gruppo, Dedalo e Lucano, misero piede <strong>sul</strong> molo e si avvicinarono a<br />
noi, seguiti dagli altri.<br />
«Lucano» lo accolsi. «Derek si ricorda di te dal viaggio verso<br />
Aquae.»<br />
«Anch'io» rispose con un lieve sorriso. «Hai un bell'aspetto, Derek.<br />
Sei cambiato poco in questi dodici anni. Chi l'avrebbe mai detto che<br />
ci saremmo incontrati di nuovo?»<br />
«Non io, ma sei lo stesso il benvenuto, dottore. Merlino mi ha<br />
raccontato che anche senza il mio aiuto hai messo in salvo tutta la<br />
tua gente.» Spostò lo sguardo da Lucano a Dedalo. «Derek di<br />
Ravenglass» disse con un cenno della testa.<br />
«Dedalo» rispose l'altro, restituendo il cenno. «Sono amico di<br />
Merlino.»<br />
«Sì, vieni da Camelot. Questo l'ho capito. Tu non sei medico.»<br />
«No, sono un centurione, ma non vengo da Roma» rispose<br />
storcendo la bocca in un mezzo sorriso.<br />
Nel frattempo gli altri ci avevano raggiunto; uno a uno, compresi<br />
i ragazzi, li presentai al re che almeno per quella notte li avrebbe<br />
ospitati, e dissi loro che tutti avremmo trovato accoglienza. Derek<br />
era stato raggiunto da un uomo, che ci presentò come Blundyl e al<br />
quale indicò come alloggiarci e dividerci. Non appena ebbe finito,<br />
mi prese per un braccio.<br />
«Vieni, noi due soli. Blundyl si occuperà degli altri. Voglio<br />
parlarti.»<br />
Si avviò subito e io lo seguii, scambiando qualche occhiata<br />
indifferente con Lucano e Shelagh. Arrivammo in capo al molo,
apparentemente ignorati da tutti; tuttavia percepii la curiosità di<br />
varie persone anche se simularono indifferenza al nostro passaggio.<br />
Superata la porta nella torre che s'innalzava nel mezzo delle mura<br />
occidentali, mi ritrovai in una fortezza romana quale non avevo mai<br />
visto. Era una delle tante costruzioni idonee ad alloggiare cinque o<br />
seicento uomini. Avevo già visto luoghi analoghi nel corso degli<br />
anni, tutti in uno stato di rovina e decadimento più o meno<br />
avanzato. Molti erano stati abbandonati quando mio padre era<br />
ancora un ragazzo, assai prima che i Romani ritirassero le loro<br />
legioni dalla Britannia. Infatti, per dure ragioni economiche e in<br />
mancanza di rinforzi da oltremare, erano state equipaggiate di<br />
uomini e di mezzi le fortezze centrali della provincia a scapito di<br />
quelle periferiche più piccole. Non era stata questa la sorte di<br />
Glannaventa, così si chiamava il forte. Fino agli ultimi giorni della<br />
ritirata, allora ero un ragazzo, vi era rimasta di stanza una<br />
guarnigione, ma vista l'importanza del porto naturale, la gente del<br />
posto si appropriò del forte non appena i legionari l'ebbero<br />
abbandonato. Mi sembrava di ritornare indietro nel tempo quando,<br />
in fortezze simili a questa sparse in tutta la Britannia, regnavano<br />
l'ordine e il buon governo.<br />
Le caserme che avevano ospitato la guarnigione, tuttora in uso,<br />
erano in buone condizioni; le intercapedini fra i tronchi che<br />
formavano i muri erano ben isolate, i tetti di tegole non mostravano<br />
traccia di muschio; nessun segno indicava che stessero per cedere o<br />
che fossero marci. Una serie di porte nuove nelle lunghe facciate<br />
indicava che vi abitavano famiglie, non squadre militari. I sei edifici,<br />
costruiti per accogliere un centinaio di uomini più i centurioni, si<br />
sviluppavano in due blocchi di tre, a destra e a sinistra. Dietro<br />
ciascun blocco, sorgevano altri due corpi più lunghi e bassi che, simili<br />
alle caserme ma con diversa funzione, alloggiavano i servizi necessari<br />
alle truppe: fucine, concerie, laboratori artigianali. Su ciascun lato<br />
dell'ampia strada centrale che congiungeva la porta principale alle<br />
nostre spalle a quella di fronte, nella cinta orientale, a una distanza<br />
di oltre trecento passi, sorgeva un complesso di quattro edifici con<br />
analoghe funzioni di servizio. Nell'insieme queste otto costruzioni<br />
riempivano la metà anteriore del forte, la praetentura, la sezione più<br />
esposta a un possibile attacco nemico, dato che nel caso di
Glannaventa un'eventuale aggressione sarebbe venuta dal mare.<br />
«Ne sono molto colpito: hai trasformato le caserme in abitazioni<br />
civili.»<br />
Mi lanciò un'occhiata, quindi posò lo sguardo <strong>sul</strong>l'edificio <strong>sul</strong>la<br />
mia destra. «Sì» brontolò. «Un pasticcio all'inizio, finché non abbiamo<br />
capito che dovevamo lavorare bene. Da principio tutti, bravi e non<br />
bravi, facevano di testa loro; poi qualcuno cominciò a trovare da<br />
ridire perché c'era chi aveva più spazio di altri: era vero, ma a quel<br />
punto che si poteva fare? Poi uno scimunito abbatté un muro e<br />
crollò l'intera costruzione: ci furono quattro morti. Allora decisi che<br />
bisognava cambiare e che i cambiamenti andavano eseguiti <strong>sul</strong>la base<br />
di un progetto.»<br />
Interrompendosi di colpo, si voltò per guardarsi indietro. «Eccolo»<br />
disse indicando un altro edificio. «Sorge al posto di quello crollato.<br />
Non si direbbe oggi, vero?» Non aspettò la mia risposta. «Da quel<br />
momento chiamai a lavorare tutti i muratori del posto. Alcuni, anzi<br />
la maggioranza, avevano lavorato per i Romani e conoscevano bene<br />
il mestiere. Abbiamo sventrato gli spazi interni, li abbiamo divisi<br />
equamente alzando nuove pareti, aperto porte nei muri esterni e<br />
trasformato ogni edificio in unità abitative per dodici famiglie. Non<br />
abbiamo più avuto difficoltà.»<br />
«Le unità hanno tutte le stesse dimensioni? Anche gli ex quartieri<br />
dei centurioni? Sembrano più grandi.»<br />
«Lo sono. E allora?»<br />
Mi strinsi nelle spalle. «Hai detto di non avere avuto più difficoltà.<br />
Come avete deciso chi sarebbe venuto a vivere qui?»<br />
Sputò per terra. «Solo io ho deciso, e nessuno ha obiettato. Sono<br />
il re.» Si voltò e riprese a camminare. «Vi abitano gli artigiani più<br />
bravi con le loro famiglie. Queste ultime due costruzioni accolgono i<br />
loro laboratori; dobbiamo ringraziare l'efficienza dei Romani: fabbri,<br />
fonditori, ciabattini, bottai, falegnami, ceramisti, muratori,<br />
scalpellini. Tutti raggruppati insieme, per il fabbisogno della<br />
guarnigione. Gran carogne, i Romani, ma bravi. Perché non usare<br />
quello che si erano lasciati alle spalle?»<br />
Eravamo nel frattempo arrivati allo slargo rettangolare dove
sorgevano i tre principali edifici presenti in ogni insediamento<br />
militare romano: la casa del comandante, il quartier generale, il<br />
granaio e i magazzini noti come horrea. Costruiti in pietra, erano<br />
discosti dagli altri, da questi separati tramite la via principalis, che<br />
correva davanti, e la via quintana, che correva <strong>sul</strong> retro. Da tempi<br />
immemorabili queste due strade dividevano orizzontalmente tutti gli<br />
accampamenti romani, a prescindere dalle loro dimensioni, in una<br />
metà anteriore, la praetentura, e la metà posteriore, la retentura. «Lì<br />
abito io» disse Derek puntando il pollice verso la massiccia<br />
costruzione che era stata la casa del comandante.<br />
«<strong>Il</strong> praetorium? Abiti lì?»<br />
«È la mia casa.»<br />
«Già, sei il re.»<br />
Osservai il praetorium mentre ci avvicinavamo, ma ben poche<br />
cose indicavano che fosse una reggia anziché l'alloggio di un militare.<br />
Era circondato da alti muri che avevano un'unica porta centrale a<br />
due battenti, aperta in quel momento ma immersa nell'ombra. Non<br />
vidi guardie da nessuna parte e pensai che forse Derek non ne aveva<br />
alcun bisogno.<br />
Attraversando diagonalmente la via principalis, ci trovammo<br />
davanti all'edificio che sorgeva di lato, l'ex principia, il quartier<br />
generale della guarnigione, assai mutato da quando se ne erano<br />
andate le legioni. Un tempo si era sviluppato intorno a un cortile<br />
quadrato abbellito da una vasca nel mezzo, mentre la parte<br />
principale <strong>sul</strong> retro, che occupava circa un terzo della superficie<br />
totale, veniva adibita a sede delle funzioni principali della<br />
guarnigione: la stanza dove erano conservati i vessilli e i trofei<br />
conquistati in battaglia, la tesoreria e gli archivi con i fascicoli<br />
personali dei dipendenti. C'era anche una sala dove per secoli gli<br />
ufficiali comandanti avevano tenuto le riunioni formali e dove dal<br />
rostrum, situato all'estremità destra, avevano parlato all'assemblea.<br />
In origine, nel cortile quadrangolare gli ufficiali venivano a<br />
trascorrere il tempo libero quando non erano di servizio. Due<br />
passaggi definiti da alte colonne su entrambi i lati dell'ingresso<br />
principale portavano a una serie di uffici di minore importanza. In<br />
qualche momento, nei trent'anni intercorsi dalla partenza dei
Romani, il cortile quadrangolare era stato parzialmente coperto da<br />
un tetto che girava tutto intorno lasciando soltanto un'apertura<br />
centrale dalla quale usciva il fumo che si sprigionava dall'enorme<br />
fornace venuta a sostituire la vasca. Grandi travi di quercia solcavano<br />
lo spazio e reggevano una seconda struttura, meno massiccia, che<br />
sosteneva una sorta di tetto aguzzo fatto di spessa paglia, aperto<br />
lungo i cornicioni per lasciar passare l'aria.<br />
Notai tutto questo mentre procedevo alle calcagna di Derek che<br />
non si era preso la briga di illustrarmi il luogo. Girando a destra,<br />
imboccammo il portico; raggiungemmo la prima porta <strong>sul</strong>la sinistra,<br />
chiusa in basso e aperta dalla metà in su, con un ripiano sollevabile<br />
che, in quel momento abbassato, fungeva da scrivania. Dietro stava<br />
un uomo intento al lavoro. Mentre Derek gli parlava, io mi misi a<br />
curiosare in una stanza buia alle sue spalle, una sala spartana, quasi<br />
priva di mobili, con le pareti ricoperte da scaffali profondi.<br />
«Le armi della tua gente» brontolò Derek. Lo fissai sbalordito.<br />
«Rimarranno qui fino alla vostra partenza.»<br />
«Tutte? Devo restare disarmato tra sconosciuti?»<br />
«Sì, come ogni altro; non sarai certo il solo. È la legge, a<br />
Ravenglass non sono ammesse le armi. Qui sono raccolte quelle del<br />
tuo gruppo; gli uomini di Condran le hanno depositate da un'altra<br />
parte. Se arriva ancora qualcuno mentre siete qui, ci sarà spazio<br />
anche per le loro armi.»<br />
Mi ero già tolto la cintura e l'avevo avvolta intorno<br />
all'impugnatura della spada e della daga. «Da quando è in vigore<br />
questa legge?»<br />
«Da quando il porto è aperto alle navi in transito dopo che i<br />
Romani se ne sono andati. Ci ha evitato inutili scontri e spargimenti<br />
di sangue.»<br />
«Ne sono sicuro, ma non ti sembra rischioso applicarla?»<br />
«Nient'affatto» rispose facendo scintillare i denti in un sorriso<br />
fuggevole. «Chi non obbedisce deve andarsene e non può più<br />
tornare.»<br />
Mi limitai a scuotere la testa mentre porgevo al funzionario le<br />
armi che avevo addosso. «Una bella soluzione!» borbottai.
«Salutare, direi» rispose il re. «Su andiamo.»<br />
Riattraversammo il cortile fino alla porta principale; superata la<br />
soglia e girando ad angolo retto, mi fece strada fino alla vecchia via<br />
quintana che orizzontalmente tagliava il forte. L'attraversammo per<br />
dirigerci verso la porta orientale, ora visibile davanti a noi.<br />
In quella parte della fortezza gli edifici erano stati per lo più<br />
trasformati in abitazioni, ma la stuzzicante fragranza del pane<br />
appena sfornato e altri appetitosi profumi parlavano del tipo di<br />
attività che lì si svolgeva. Notai un altro edificio di pietra, accostato<br />
alle mura.<br />
«Quello laggiù è un ospedale?»<br />
«Lo era; oggi non serve più e oltretutto non abbiamo medici per<br />
farlo funzionare. È adibito per la maggior parte a residenza.»<br />
«Che ne è stato delle stalle?»<br />
«Fuori delle mura. Ci serviva lo spazio.»<br />
Eravamo vicini alla cinta posteriore della fortezza. Guardando i<br />
passaggi vuoti tra le torrette chiesi: «Non mettete guardie qui?».<br />
«Contro che cosa? <strong>Il</strong> mio è un popolo di contadini. Devono<br />
badare ai campi, al di fuori delle mura; l'unica minaccia potrebbe<br />
venire dal mare.» Con un cenno della testa indicò le cime lontane<br />
dei monti che chiudevano l'orizzonte da quella parte. «Alle nostre<br />
spalle si estende una regione di brulle alture; la strada che l'attraversa<br />
è impraticabile d'inverno e d'estate; se necessario, ci sarà facile<br />
difenderla. Non ci servono le guardie, te l'ho detto. Da quando sono<br />
venuto qui, sette anni fa, non impugno una spada.»<br />
«Sette? Sono passati otto anni da quando le nostre strade si<br />
divisero, quindi già allora intendevi venire qui.»<br />
«Sì, e mi ci volle quasi un anno per arrivarci. Persi il cavallo poco<br />
dopo che ci separammo.»<br />
Attraversammo la porta della torre orientale e di botto mi<br />
arrestai.<br />
«Che cos'hai?» Anche Derek si era fermato e mi fissava con aria<br />
interrogativa, cercando di farsi sentire al di sopra del frastuono che<br />
all'improvviso si era levato intorno.
Scossi la testa. «Niente» urlai. «Sono sorpreso, ecco tutto. Non mi<br />
aspettavo che il borgo fosse cresciuto tanto.»<br />
Si guardò intorno. «È ancora piccolo. Per ampliarlo ci mancano lo<br />
spazio e la buona pietra da costruzione.»<br />
In qualche modo, arrivando dal mare e varcando gli industriosi<br />
confini della fortezza con le sue alte mura, mi ero convinto che non<br />
ci fosse altro. Avevo creduto che, oltre la cinta cittadina, si<br />
estendesse solamente una terra ampia e fertile; invece mi trovavo in<br />
un borgo attivo e fiorente, cresciuto nell'arco di secoli intorno al<br />
forte e che ora si allargava fino all'orizzonte nella forma di un<br />
grande imbuto: lo sbocco stretto era chiuso dalle mura orientali; la<br />
bocca larga era definita dagli erti colli boscosi che si susseguivano a<br />
perdita d'occhio sui due lati.<br />
Eravamo al limitare della piazza del mercato: le bancarelle dei<br />
venditori poggiavano contro le mura, accanto alle porte alle nostre<br />
spalle e all'intorno ferveva un confuso viavai di traffici. L'aria<br />
risuonava dei mille versi degli animali e dello starnazzare del<br />
pollame, delle voci della folla che si assiepava alle bancarelle, delle<br />
grida dei venditori che esaltavano la loro merce e la mostravano in<br />
un'invidiabile ostentazione di prosperità e ricchezza.<br />
«Giorno di mercato» brontolò Derek. «Seguimi.»<br />
Gli rimasi alle calcagna mentre si faceva strada tra la folla, di tanto<br />
in tanto salutava con un cenno della testa e talvolta restituiva un<br />
saluto ad alta voce a chi lo chiamava per nome. Davanti a noi, <strong>sul</strong>la<br />
sinistra, torreggiante <strong>sul</strong>le bancarelle, scorsi i muri di arenaria e il<br />
tetto ad arco di un altro edificio romano. Lo afferrai per il braccio.<br />
«Che cos'è?»<br />
«Sono le terme. Andiamo lì.»<br />
Qualche istante dopo, mi sentii chiamare. Era Sean il navigatore<br />
che da dietro la bancarella del fornaio mi sorrideva mentre<br />
addentava una focaccia calda. Lo salutai con la mano e mi affrettai a<br />
raggiungere Derek. Soltanto la sua statura impediva che lo perdessi<br />
di vista tra tanta gente.<br />
Cominciai a riconoscere altri visi del nostro equipaggio, ma pochi<br />
mi scorsero e quei pochi mi ignorarono, salvo qualche frettoloso
cenno della testa. C'erano anche i Figli di Condran, ma nessuno dei<br />
due gruppi prestava attenzione all'altro, e quando per poco non<br />
inciampai in uno degli uomini di Liam, questi passò oltre, limitandosi<br />
a brontolare e a lanciarmi un'occhiata torva. Da quel momento mi<br />
concentrai per non perdere di vista Derek.
II.<br />
La folla si diradò mentre ci avvicinavamo alle terme. Alle<br />
bancarelle in fila l'una accanto all'altra subentrarono i pollai, gli ovili<br />
e i recinti ampi e aperti nei quali stazionavano bovini, maiali, capre,<br />
cavalli, pecore dal vello bruno, stormi di galline, oche, anatre e un<br />
corteo di maestosi cigni dalle ali cimate perché non potessero<br />
spiccare il volo.<br />
«Laggiù.» Derek si avviò verso un gruppo di edifici diroccati e<br />
cadenti. Le due ali delle terme, occidentale e meridionale, definivano<br />
uno spazio spoglio, aperto, a forma di "L" che dava riparo a un<br />
branco di ispidi ronzini. Al vedermi, un ometto gobbo e strabico,<br />
intento alla cura dei cavalli, mi si avvicinò di corsa, aggrottando la<br />
fronte e facendosi strada tra gli animali che gli impedivano di vedere<br />
la mia guida. Non appena scorse Derek, si fermò, quindi si volse e<br />
scomparve in mezzo alle sue bestie.<br />
«Reagiscono tutti così quando ti vedono?» gli chiesi lanciandogli<br />
un'occhiata.<br />
«È Ulf, non parla.»<br />
«È muto?»<br />
«Solo quando è sobrio» spiegò con un mezzo sorriso. «Ha una<br />
lingua che non la smette di blaterare se si decide a usarla. Grazie a<br />
Dio, se ne sta spesso zitto.» Senza aggiungere altro, si guardò<br />
intorno, mentre io oziosamente cominciavo a contare i cavalli. Ma<br />
prima di essere arrivato a venti, persi il conto degli animali che si<br />
accalcavano.<br />
«Sono tutti suoi? Li vende?»<br />
Derek grugnì. «Sono tutti miei; lui li cura.» Mentre parlava,<br />
l'ometto riemerse dal branco, portando due ronzini per le briglie. Ce<br />
le porse, un paio ciascuno - semplici corde intrecciate attaccate a una<br />
testiera con morsi di metallo - e sparì di nuovo senza aprire bocca.<br />
Portato il cavallo vicino a un blocco di legno, Derek montò
facilmente in groppa usando il ceppo per darsi la spinta.<br />
Seguii il suo esempio. Erano passati troppi anni da quando avevo<br />
volteggiato <strong>sul</strong> dorso di un cavallo; non avevo voglia di tentare e<br />
magari fare una figuraccia. Premetti piano i talloni contro i fianchi e<br />
la bestia drizzò le orecchie, chiedendosi se lo sconosciuto <strong>sul</strong>la sua<br />
groppa potesse essere ignorato o andasse obbedito. Tirai<br />
bruscamente le redini e gli feci percepire la forza delle mie gambe; si<br />
mosse allegramente a buon passo per raggiungere il compagno.<br />
A un certo punto, mentre superavamo un edificio lungo e basso<br />
quasi al limitare della città, qualcosa attirò la mia attenzione. Un<br />
uomo si era fermato all'improvviso nell'istante in cui entrava<br />
nell'edificio. Lo scrutai ma scorsi soltanto una sporca tunica gialla e<br />
un viso barbuto prima che lui, aperta la porta, sparisse. Eppure mi<br />
ero accorto che aveva fissato me, non Derek.<br />
«Che cos'è quel luogo <strong>sul</strong>la sinistra?»<br />
«Una birreria» spiegò Derek guardando il punto che gli indicavo.<br />
«Una taverna, cioè?»<br />
«Sì.»<br />
Subito dopo, oltrepassate le ultime case, ci addentrammo tra i fitti<br />
boschetti che fiancheggiavano la strada. Derek avanzava al piccolo<br />
galoppo e io lo seguivo. Superati gli alberi, ci trovammo in mezzo ai<br />
campi aperti che la strada tagliava con una linea netta. Le poche<br />
costruzioni lungo i bordi erano magazzini e capanni; non era facile<br />
distinguere i confini tra un campo e l'altro, appena identificabili dalla<br />
disposizione leggermente diversa delle colture. Mentre il mio<br />
compagno se ne stava in silenzio, mi guardavo intorno con curiosità.<br />
La valle, larga circa un miglio, era stata strappata in un lungo arco<br />
di tempo alla foresta che ancora ricopriva i pendii boscosi a destra e<br />
a sinistra. Davanti a noi, sui due lati, le colline, a mano a mano che si<br />
susseguivano verso l'interno, diventavano sempre più alte. Le cime<br />
più impervie, fino a dove riuscivo a vedere, erano nude rocce<br />
scandite da dirupi, alcune avvolte in un mantello bianco che poteva<br />
essere una nube o neve.<br />
«Quanto è lunga la valle, Derek?»
Mi lanciò un'occhiata sfuggente, aggrottando la fronte nel<br />
momento in cui avevo interrotto i suoi pensieri. «Circa sei miglia;<br />
fino al bordo del laghetto.»<br />
«<strong>Il</strong> laghetto? Quale laghetto?» chiesi per amore di precisione.<br />
«È il laghetto. Non ha un nome, è un laghetto come tanti altri.»<br />
«Hai detto sei miglia. Sono tutte coltivate?»<br />
«No, soltanto fin dove lo consente il terreno. A quattro miglia da<br />
qui l'altitudine si fa sentire e il suolo diventa roccioso.»<br />
Avevamo raggiunto, <strong>sul</strong>la sinistra, una linea divisoria tra due<br />
campi. <strong>Il</strong> grano che maturava nell'uno cedeva il passo nell'altro a una<br />
coltura di piante dalle foglie scarne che riconobbi per una specie di<br />
ravizzone. Lasciata la strada, Derek imboccò un sentiero stretto e ben<br />
battuto, puntando in direzione di una collina boscosa che si levava a<br />
circa mezzo miglio.<br />
«Dove mi stai portando?»<br />
«In un luogo dove io posso pensare e noi possiamo parlare.»<br />
Proseguimmo in silenzio - si sentivano soltanto il tonfo sordo<br />
degli zoccoli dei cavalli e il canto degli uccelli - per un angusto<br />
viottolo fino all'estremità di un campo all'imboccatura di un incavo a<br />
forma di "V" che si apriva in una sorta di parete di pietra, tale mi<br />
parve vista da lontano, che arrivava all'altezza del petto e<br />
percorreva tutta la valle. Mentre ci avvicinavamo, tuttavia, fu chiaro<br />
che non ci trovavamo davanti a una parete rocciosa naturale ma a<br />
una sorta di concrezione artificiale - non mi viene in mente altra<br />
parola per descriverla - fatta di pietre, alcune non più grandi di<br />
ciottoli, altre sufficientemente pesanti da non poter essere spostate<br />
da un uomo solo. Erano state ammassate casualmente per formare<br />
una barriera che aveva uno spessore di non meno di venti passi.<br />
Mentre contemplavo quella costruzione, sgomento davanti alle sue<br />
enormi dimensioni, il cavallo di Derek imboccò una breccia nel<br />
centro della parete e il mio lo seguì di buon grado.<br />
«Da dove vengono tante pietre?»<br />
«Dai campi, dal terreno.» Derek tirò le redini e si voltò a<br />
guardarmi. «Stando a un detto del posto, noi abbiamo più pietre che
messi. Affiorano alla superficie ogni inverno. La gente impiega mesi,<br />
anno dopo anno, a trascinarle qui; e l'anno successivo ecco che ne<br />
abbiamo un nuovo raccolto. Non si finisce mai. Va avanti da ben<br />
prima che arrivassero i Romani.»<br />
Guardai le pietre ammassate <strong>sul</strong>la mia destra; in alcuni casi il<br />
cumulo mi sopravanzava in altezza. «Da più di quattrocento anni!»<br />
«Di più. La nostra gente coltiva questi terreni da molto più<br />
tempo.»<br />
«Succede lo stesso <strong>sul</strong>l'altro versante della valle?»<br />
«È lo stesso dappertutto.»<br />
«Non capisco... hai detto che non avevate la pietra per costruire?»<br />
Derek mi lanciò un'occhiata sprezzante. «Ho detto che non<br />
avevamo la pietra adatta. Mi riferivo all'arenaria, alla pietra che si<br />
estrae dalle cave, che può essere tagliata e lavorata. Gran parte di<br />
quella che vedi qui è inservibile: blocchi troppo piccoli e friabili...<br />
sarebbe un lavoro enorme. Sbrighiamoci.»<br />
Dall'altra parte della barriera gli alberi tornavano a infittirsi; il<br />
sentiero ci condusse <strong>sul</strong>la cima del colle che, subito dopo la vetta,<br />
precipitava con un'alta parete scoscesa. Al di là si schiudeva un'altra<br />
valle, ricca di alberi, e <strong>sul</strong>la sinistra si apriva il mare.<br />
Derek rimase immobile per qualche momento a contemplare il<br />
paesaggio, quindi smontò e legò il cavallo, facendomi cenno di<br />
seguirlo fino a una sporgenza erbosa <strong>sul</strong>l'orlo di un burrone. Si<br />
sedette appoggiando comodamente la schiena al tronco di un<br />
albero. Mi sedetti al suo fianco, tra due cespugli che crescevano <strong>sul</strong><br />
pendio della collina. Per un bel pezzo rimanemmo in silenzio,<br />
guardando la valle e socchiudendo gli occhi nel fulgore del lontano<br />
mare scintillante, ciascuno di noi, ne sono sicuro, componendo nella<br />
sua mente le parole più efficaci per inquadrare i concetti ed esporli in<br />
modo convincente. Eravamo andati lì per riflettere e discutere, non<br />
soltanto per fare una passeggiata e ammirare il paesaggio. La voce di<br />
Derek interruppe i miei pensieri.<br />
«Sant... sant... che parola hai usato?»<br />
«Santuario.»
«Già, santuario... hai detto che significa asilo e rifugio, e io ti ho<br />
chiesto da che cosa. Te lo chiedo di nuovo. Nessuno verrà a<br />
disturbarci qui.» Mi guardò accigliato. «Perché sorridi?»<br />
Scossi la testa. «Penso che siamo del tutto incapaci di prevedere<br />
quello che succederà nel futuro. La notte scorsa abbiamo gettato<br />
l'ancora al largo del tuo porto... neppure stamattina, mentre ci<br />
avvicinavamo al molo, avevo idea di come avresti reagito al<br />
vedermi. Cercavo di prepararmi a qualsiasi evenienza... dall'aperta<br />
aggressione, all'indifferenza, al rifiuto del permesso di sbarcare.»<br />
Si tirava la punta dei baffi, gli occhi socchiusi nella concentrazione,<br />
le labbra contratte: mi fissava e ascoltava.<br />
«Perché ti aspettavi un'aggressione? Noi due non abbiamo mai<br />
litigato.»<br />
«No, ma non abbiamo neppure mai condiviso una meta. Due<br />
volte ci incontrammo, e fu con inimicizia, essendo noi guerrieri della<br />
Cornovaglia e di Camelot.»<br />
«Un'inimicizia unilaterale la prima volta. Credevo allora che fossi<br />
dalla nostra parte. Soltanto quando ci incontrammo di nuovo mi resi<br />
conto che non era così. Francamente, in quel frattempo, non pensai<br />
mai a te; ti pensai invece spesso dopo il secondo incontro. Fui<br />
contentissimo di allontanarmi da te su quella spiaggia.»<br />
«Perché?»<br />
«Temevo che intendessi uccidermi.»<br />
«Ucciderti? Fosti tu a minacciare di uccidermi se avessi incrociato<br />
la spada con te.»<br />
«Sì, avrei cercato di farlo. Ma sono soltanto un uomo; non posso<br />
stare alla pari con un mago.» <strong>Il</strong> suo sguardo e la sua voce<br />
esprimevano sincerità.<br />
«Mago? Non sono un mago, Derek. Sono solamente un uomo,<br />
come te.»<br />
«Un uomo che in sogno vede morire gli amici e sa con precisione<br />
quando e come, che descrive con grande anticipo la scena e l'arma<br />
che verrà usata. A mio avviso, non è cosa da uomo come gli altri.<br />
Quel giorno, <strong>sul</strong>la spiaggia, ti dissi che eri stato toccato dagli dèi e
non volevo avere a che fare con te. Ed eccoti qui, tranne che questa<br />
volta sei tu che, spinto da un sogno, vieni a cercare me. Ti avverto:<br />
altri mi hanno visto in sogno qui, di questi tempi, nemici che<br />
complottavano ed erano ben vigili. Ora sono morti. Perché dovrei<br />
pensare che i tuoi sogni siano diversi dai loro? Non è necessario<br />
avere un'intelligenza superiore per capire che sei qui perché hai in<br />
mente un piano e persegui un sogno.»<br />
«La mia presenza non è una minaccia, Derek. Non ti verrà alcun<br />
danno dal mio arrivo. Sono venuto da supplice a invocare il tuo<br />
aiuto e credo che sia in tuo potere darmelo.»<br />
«Potere...» Spostandosi leggermente, dal terreno trasse un ciottolo<br />
che gli premeva la coscia, lo lanciò lontano e lo guardò cadere nel<br />
precipizio davanti a noi. «Lo sai, un saggio mi disse una volta che per<br />
un re i nemici più infidi sono coloro che ha cercato di aiutare.<br />
Sembra strano, no? E strano mi parve allora, perché ero giovane. Gli<br />
chiesi che cosa volesse dire, e non ho mai dimenticato la sua risposta.<br />
Mi spiegò che la bontà d'animo spesso genera odio... che esiste un<br />
tipo di uomo - e anche di donna - nel quale cova e fermenta sempre<br />
il rancore e che nulla lo esaspera di più che l'obbligo della<br />
gratitudine.» Rimase in attesa di una mia reazione, fissandomi<br />
intensamente.<br />
«Capisco quello che vuoi dire, ma non ne condivido la<br />
generalizzazione. Stando alle tue parole, sembra che tu voglia<br />
riferirle a tutti, mentre a mio avviso si applicano soltanto a pochi.»<br />
Parve che volesse annusare l'aria e, dopo avere schioccato la<br />
lingua, spiegò: «Siamo andati fuori del seminato, ma forse meglio<br />
così. Dimmi, Merlino Britannico: quante volte ti capita di fare i tuoi<br />
sogni profetici?».<br />
«Non spesso. Una sola volta all'anno, forse più di rado.»<br />
«Compaiono sempre persone nei tuoi sogni?»<br />
Ci dovetti pensare un momento. «Non lo so con precisione.<br />
Credo di sì.»<br />
«Ami la gente?»<br />
«Amare la gente? In generale, vuoi dire?»
«Sì, la gente come massa.»<br />
«Non ci ho mai pensato, ma immagino di sì.»<br />
«Io no. Voglio bene agli amici, alla mia famiglia - almeno ad<br />
alcuni - voglio bene a varie persone che mi è capitato di conoscere<br />
per caso senza tuttavia diventare loro amico. Ma ritengo che la<br />
massa della gente, il gregge anonimo e impersonale degli uomini, sia<br />
sgradevole. Sono per lo più meschini d'animo, invidiosi, avidi, infidi,<br />
turpi, malvagi.»<br />
Lo ascoltavo attonito, ricordando l'ultima volta che lo avevo<br />
incontrato e lo avevo visto stuprare e massacrare una donna ferita,<br />
Ygraine, la sorella di mia moglie, su una spiaggia cosparsa di<br />
cadaveri. Sapevo che non era quello il momento migliore per<br />
ricordare l'episodio.<br />
Taceva, scrutandomi in viso. «A che cosa pensi?»<br />
Mi strinsi nelle spalle, ma sapevo di dover rispondere con onestà.<br />
<strong>Il</strong> re di Ravenglass non era uno sciocco; sapevo di non conoscerlo in<br />
profondità.<br />
«Le tue parole mi hanno sorpreso. Evocano immagini che non<br />
sono in sintonia con quanto ho visto oggi a Ravenglass.»<br />
«Non seguo il tuo ragionamento.»<br />
«Non so dove sto andando a parare, ma se tu sei veramente<br />
convinto delle cose che hai detto, se il tuo rifiuto del prossimo è<br />
radicato come affermi, non può non riflettersi nel modo in cui<br />
governi il tuo popolo. Eppure non ho percepito segni di paura o di<br />
avversione tra la gente che ho visto oggi.»<br />
Emise un brontolio. «Dimostra quello che ti ho detto. Sono tutti<br />
infidi.»<br />
Lo fissai negli occhi. «Non è vero e non ti aspetti che ti creda...»<br />
Quando rispose, colsi nel suo sguardo un guizzo ironico.<br />
«Torniamo a quello che ho detto prima. Accetto alcune persone che<br />
ho conosciuto per caso pur senza diventarne amico.»<br />
«Un'intera città popolata di gente così fatta?» Si strinse nelle spalle<br />
e io proseguii: «O forse un intero regno?».
«Fermiamoci alla città per il momento. Quelli che ci abitano sono<br />
coloro con i quali posso vivere.»<br />
«E gli altri? Quelli che stanno fuori della città?»<br />
«Nelle fattorie, vuoi dire? Accetto anche loro.»<br />
«E allora? Questo fa di te un buon re, Derek, non un cinico o un<br />
misantropo.»<br />
«Un che cosa?»<br />
«Uno che odia tutti.»<br />
«Già. La sorte mi ha fatto re, sicché posso tenere a debita distanza<br />
coloro che mi sono sgradevoli finché avrò la forza di farlo.»<br />
«E i sette anni?» Intuii dalla sua espressione che non mi aveva<br />
capito. «Mi hai detto che da sette anni non impugni una spada. Sta a<br />
indicare che non hai bisogno della durezza per governare.»<br />
«Davvero? Non è così che la penso. Ho detto di non avere<br />
impugnato una spada, non di aver perso la capacità di usarne una.»<br />
Sorrisi e levai una mano. «Così sia. Hai detto all'inizio che<br />
andavamo fuori dal seminato. Adesso stiamo di nuovo divagando.<br />
Perché mi hai chiesto se amo il prossimo?»<br />
«Perché parlavamo di risentimento. Lo cercavo in te. Ho scelto di<br />
credere che gli uomini siano nella stragrande maggioranza<br />
spregiudicatamente egoisti. La spregiudicatezza è essenziale per uno<br />
nella mia posizione; se la ignora, è a suo rischio e pericolo. Quelli di<br />
cui parlo, gli uomini che serbano rancore e risentimento,<br />
considerano la generosità altrui, chiamala pure tolleranza,<br />
compassione, indulgenza, una debolezza da sfruttare. E nello stesso<br />
tempo - ed ecco quello che non riuscivo a capire all'inizio -<br />
percepiscono come debolezza anche la propria accettazione della<br />
generosità altrui. <strong>Il</strong> che significa che l'uomo saggio deve guardare con<br />
cautela coloro con i quali si è mostrato benevolo perché facilmente<br />
si convincono di essere stati umiliati dalla preferenza dimostrata nei<br />
loro confronti.»<br />
Lo fissavo, profondamente colpito da una saggezza che non avrei<br />
pensato di trovare in uno come lui, ma prima che potessi
ispondergli aveva ripreso a parlare.<br />
«E questo mi riporta a te e alla domanda che non hai formulato.<br />
Che cosa vorrai da me? Come reagirò io? Come questa parola nuova<br />
"santuario" determinerà la mia vita in futuro?»<br />
Non mostrando io intenzione di rispondere, continuò: «Ci<br />
conosciamo, Merlino il Sognatore, ma mi chiedo che ne pensi di me<br />
e mi preoccupo... Sono sorpreso di me stesso perché di rado mi<br />
pongo domande di questa natura. Perché dovrei occuparmi di quello<br />
che uno sconosciuto pensa di me? Ci siamo visti soltanto due volte in<br />
precedenza, e in entrambi i casi fu il mio io guerriero a incontrarti.<br />
L'altro io, quello che governa e regge un regno, tu non l'hai mai<br />
conosciuto. So che sei romano, per famiglia se non altro, e tale<br />
circostanza mi porta a sospettare che tu sia convinto di avere<br />
qualche vantaggio su di me, un celta incolto e sempliciotto. Se è così,<br />
allora bada a quello che ti dico: oggi hai pronunciato una parola che<br />
mi giungeva nuova, ma il concetto che essa esprime è già in atto, qui<br />
a Ravenglass. Liam, Figlio di Condran, mangerà, berrà, dormirà<br />
stanotte con i suoi uomini, gomito a gomito con Connor, figlio di<br />
Athol e il suo seguito. Da quanto mi ri<strong>sul</strong>ta, da nessun'altra parte in<br />
queste terre tranne che a Ravenglass, può accadere una cosa simile<br />
senza spargimento di sangue. È questo il concetto di santuario, no?<br />
Ma si può godere di questo privilegio soltanto obbedendo alle mie<br />
leggi: né armi, né battaglie, né alcun danno a me e alla mia gente. La<br />
violazione della regola porta all'immediato allontanamento con la<br />
rinuncia al privilegio di asilo; non esistono né il diritto di appello, né<br />
la possibilità di un indulto».<br />
Annuii, sempre più convinto dalle sue parole.<br />
«Proprio così deve essere» dissi a voce bassa. «Vi rifletto fin da<br />
quando ho abbandonato le armi, e non vedo altre possibilità per<br />
garantirsi una pace sicura. Offri un privilegio, come hai detto, e il<br />
privilegio impone a chi ne gode un'obbligazione. La violazione è per<br />
definizione irremissibile. <strong>Il</strong> fatto che la tua comunità ne tragga<br />
beneficio è un effetto collaterale, seppure parte integrante della<br />
regola.»<br />
«Giusto. Mostri di essere un uomo di buon senso oltre che un<br />
sognatore. Accetti dunque di essere vincolato dalle mie leggi in
cambio del privilegio che cerchi.»<br />
«Naturalmente.»<br />
«Naturalmente? Anche senza conoscere le leggi?»<br />
Mi strinsi nelle spalle. «Conosco le tue idee abbastanza per sapere<br />
che le leggi da te imposte sono buone e per lo più sensate.»<br />
«Ehm!» brontolò. «Che cosa vuoi?»<br />
Riflettei <strong>sul</strong>la risposta, quindi la esposi brevemente.<br />
«Un luogo sicuro nel quale allevare un bambino.»<br />
Non replicò subito, ma distolse lo sguardo da me per fissarlo <strong>sul</strong>la<br />
valle dove, a un'altezza di poco superiore al punto in cui stavamo<br />
noi, un uccello rapace disegnava ampi cerchi contro lo sfondo del<br />
cielo azzurro, librandosi su ali immobili. Tre volte lo vedemmo<br />
roteare finché, all'improvviso, ripiegò le ali e si lasciò cadere come<br />
una pietra. Da quel momento sparì alla vista, nascosto sotto il bordo<br />
del picco di roccia <strong>sul</strong> quale stavamo. Per qualche istante il mio<br />
compagno rimase immobile e quando riprese a parlare non mi<br />
guardò.<br />
«Quale bambino ha bisogno di una terra sconosciuta per poter<br />
crescere al sicuro?» Capii immediatamente di essermi espresso nel<br />
modo peggiore, ma lui continuò. «Non dirmelo; non voglio saperlo.<br />
L'apprenderlo potrebbe essere pericoloso.»<br />
Feci una smorfia, consapevole che non poteva vedermi, e cercai<br />
di tenere calma la voce. «Perché parli così?»<br />
«Così?» Si volse lentamente verso di me. «Supponiamo... ti dirò<br />
come potrebbero stare le cose...<br />
Supponiamo che un bambino sia affidato alle cure di un uomo<br />
come te, un uomo importante, ricco, influente. Immaginiamo anche<br />
che quest'uomo sia amico di qualcuno come Connor Mac Athol, che<br />
possiede terre nell'Eire e anche nuove terre lontano, nel nord, ad<br />
Alba che voi chiamate Caledonia. Non ti sembra ragionevole che<br />
quest'uomo potrebbe assumersi l'impegno di dare riparo al bambino<br />
in una delle due località? Spazio abbondante in entrambe per<br />
allevarlo... a meno che la sua parentela non sia tale da essere un<br />
pericolo per lui tra la gente di Connor. <strong>Il</strong> bambino rappresenta in tal
modo una minaccia per qualcuno.<br />
Ma - ed è ancora più importante - supponi che il bambino non sia<br />
al sicuro nella sua patria... a Camelot... Deve essere così, altrimenti<br />
perché proteggerlo altrove? Ora, se fossi in te, se per qualche<br />
ragione mi trovassi a dover nascondere un bambino, io lo<br />
nasconderei vicino alla sua patria. I bambini sono esseri minuti, che<br />
molti neppure notano: anche io lo porterei lontano, ma resterei in<br />
una regione confinante. Probabilmente a sud-ovest, in Cornovaglia<br />
per esempio, ora che Lot è morto, ma ancora più probabilmente, se<br />
fossi in te, lo porterei a nord-ovest, in Cambria, nelle terre di<br />
Pendragon, tra i miei alleati. Lì troverei un luogo sicuro per lui... a<br />
meno che naturalmente i suoi parenti, ed ecco la grave minaccia,<br />
non fossero tali da attentare alla sua vita anche lì.»<br />
<strong>Il</strong> silenzio si protrasse a lungo prima che lo interrompessi.<br />
«Quante cose sai?»<br />
«Tra tante supposizioni? Non so niente. Non sapevo neppure che<br />
tu fossi vivo finché non ho visto la tua faccia stamattina, e non<br />
immaginavo niente di simile prima che tu mi dicessi quello che vuoi.»<br />
Scosse la testa ed emise un profondo sospiro,.<br />
«Merlino, non sono diventato re di Ravenglass perché sono<br />
stupido. Chi è questo bambino? Deve essere un figlio e un erede: di<br />
chi? È la distanza che mi preoccupa. Lo capisci, vero?»<br />
«Quale distanza?»<br />
«Tra Camelot e Ravenglass. Perché non la Cornovaglia? Non hai<br />
mai combattuto in quella terra. Non hai alcun nemico in<br />
Cornovaglia, o almeno non ne avevi quando ti incontrai lì. Le cose<br />
sono cambiate?»<br />
«Indirettamente.»<br />
Derek aggrottò la fronte. «Che risposta è questa? Hai o non hai<br />
nemici in Cornovaglia?»<br />
«Ne ho» risposi stringendomi nelle spalle. «Ma non è questo il<br />
punto. <strong>Il</strong> punto è che li ha il bambino.»<br />
«Allora avevo ragione. <strong>Il</strong> bambino è in pericolo in virtù di quello<br />
che è. Chi è tale prodigio? E perché dovrei mettere a rischio uno
qualsiasi dei miei sudditi per soccorrerlo? Ti sorprende che te lo<br />
chieda? Se adesso che è un marmocchio ha nemici che gli girano<br />
intorno in numero così cospicuo e in tanti luoghi, che cosa avrà in<br />
serbo il futuro per lui?»<br />
Mi levai in piedi e mi allontanai fino a un albero che cresceva<br />
quasi <strong>sul</strong>l'orlo del precipizio.<br />
Ero scosso dall'acutezza dei suoi pensieri e dalla facilità con cui<br />
aveva intuito e subito capito le difficoltà che mi trovavo ad<br />
affrontare. Da una sola mia affermazione, che scioccamente avevo<br />
ritenuto innocua, aveva immediatamente intravisto la verità circa i<br />
motivi della mia presenza nelle sue terre. Ero venuto a Ravenglass<br />
perché spinto dai suggerimenti avuti in sogno, nella certezza, che<br />
solo ora riconoscevo chiaramente, di poter imbrogliare un uomo che<br />
avevo catalogato come sempliciotto, ignorante, rozzo, zotico.<br />
Invece avevo finito per essere io catalogato e giudicato da una<br />
mente sottile e acuta, almeno pari alla mia.<br />
Una cosa mi era chiara: era una grave minaccia al mio progetto<br />
che Derek sapesse, seppur in modo incompleto. Dovevo riparare al<br />
danno fatto fino a quel momento e senza mentire.<br />
«Sono rimasto colpito,» dissi abbozzando un sorriso «che <strong>sul</strong>la base<br />
di un'unica osservazione tu abbia costruito un impeccabile<br />
ragionamento. In tale contesto le tue deduzioni per certi versi<br />
colpiscono il bersaglio, per certi versi lo mancano. Nell'insieme,<br />
tuttavia, non sono del tutto infondate. I pericoli che, nella tua<br />
supposizione, potrebbero venire dalla gente di Connor non esistono.<br />
Se ci rifiuterai accoglienza qui, siamo pronti ad andare con lui<br />
nell'Eire. Ma sono nato in Britannia, come sai, e in Britannia vorrei<br />
rimanere, se possibile. Lo stesso vale per le nuove terre della<br />
Caledonia di cui hai parlato. I possessi laggiù, mi hanno detto, sono<br />
piccoli e nuovi, isole primitive nel mare occidentale e io preferisco le<br />
comodità.<br />
Quanto al sud-ovest, hai colto la situazione nella sostanza, ma<br />
non nella sua interezza. C'è un mio nemico laggiù, un uomo che ho<br />
mandato in esilio, Peter Ironhair.» Gli raccontai di Ironhair, di come<br />
era stato cacciato da Camelot, della sua fuga e del suo fallito<br />
tentativo di conquistare il potere in Cambria in qualità di difensore
del principe pazzo Carthac Pendragon e della successiva alleanza da<br />
lui stretta con il nuovo signore della Cornovaglia. Non mentii, ma<br />
mi limitai a raccontare dei miei rapporti con Ironhair, senza<br />
accennare al ragazzo.<br />
Derek ascoltò in silenzio e quando ebbi finito, rimase seduto a<br />
fissarmi, pensieroso.<br />
«Allora questo Ironhair cerca vendetta <strong>sul</strong> ragazzo?»<br />
«No, cerca vendetta su di me. Conosce i sentimenti che mi legano<br />
al ragazzo e il dovere che mi sono assunto di crescerlo e di fargli<br />
avere l'eredità che gli spetta. Un giorno regnerà su Camelot. È il mio<br />
unico erede, sebbene non sia mio figlio. Ironhair sa che potrebbe<br />
recarmi un danno maggiore facendo del male al ragazzo che<br />
uccidendomi.»<br />
«E naturalmente ha già compiuto un tentativo, un tentativo ben<br />
congegnato, se ora sei qui <strong>sul</strong>la mia soglia a cercare il tuo sant...»<br />
agitò il dito per concludere la parola strana.<br />
«Santuario. Sì, è così. Ci riuscì quasi. Mandò i suoi sicari tra la mia<br />
gente per uccidere il ragazzo. Mancarono il bersaglio solo perché<br />
non lo avevano mai visto; invece del bambino uccisero una delle<br />
donne che quel giorno si prendeva cura di lui.»<br />
«Uccisero una donna? La violentarono?»<br />
«Sì, poi la massacrarono.»<br />
«Sei sicuro che dietro l'attentato ci fosse Ironhair? Non potrebbe<br />
essersi trattato di un incidente, la semplice circostanza che lei si sia<br />
trovata nel momento sbagliato nel luogo sbagliato?»<br />
Lo guardai in viso: l'espressione intenta, gli occhi socchiusi, in<br />
attesa della mia risposta. I fatti essenziali innanzi tutto, sembrava<br />
dire, com'era nel suo modo di pensare. Cercai di escludere dalla mia<br />
mente l'immagine di lui che stuprava la madre di Artù, Ygraine di<br />
Cornovaglia. Scossi la testa negando con forza e dimostrandogli che<br />
ero convinto di quello che dicevo. «No, non era possibile. Lo stupro<br />
fu improvvisato. Erano venuti per uccidere il ragazzo, e a mandarli<br />
era stato Ironhair. Fecero il suo nome e non ne fui sorpreso. Ma, ed<br />
ecco la circostanza più grave, per penetrare così a fondo nelle nostre<br />
difese, Ironhair doveva avere corrotto qualcuno della mia gente, e io
non avevo modo di sapere di chi si trattasse. Di conseguenza, non<br />
potendomi fidare di nessuno, mi sentivo vulnerabile ed esposto tra i<br />
miei stessi uomini. Era intollerabile; dovevamo andarcene perché la<br />
vita del ragazzo sarebbe stata costantemente in pericolo finché non<br />
avessimo individuato tra noi i serpenti traditori. Ed eccoci qui.»<br />
«Chi è il ragazzo?»<br />
«<strong>Il</strong> figlio di mio cugino Uther, Artù Pendragon.»<br />
Derek si stava grattando distrattamente la barba, ma le dita gli si<br />
immobilizzarono alle mie parole. Spalancò gli occhi: «Uther<br />
Pendragon, l'uomo da me ucciso?».<br />
«Sì, il ragazzo è l'erede di Pendragon, ma Ironhair percepisce<br />
questo fatto come una minaccia al suo potere, alla sua regalità. È<br />
pazzo. Potresti diventare tu re di Pendragon prima di lui.»<br />
Derek, che si era messo a scuotere la testa mentre parlavo e aveva<br />
quasi smesso di ascoltare, mi guardò con aria oltraggiata.<br />
«Stai dicendo che Ironhair è pazzo, eppure mi chiedi di dare asilo<br />
a un ragazzo il cui padre morì per mano mia? Che cosa ti spinge a<br />
tanto? Che cosa spingerebbe me, se fossi così stolto da ascoltarti? Ti<br />
aspetti che passi il resto della mia vita in attesa che Artù cresca ed<br />
esiga il prezzo del sangue di suo padre?»<br />
«No! Naturalmente no! Non accadrà mai; il ragazzo non lo saprà<br />
mai.»<br />
«Mai?» La voce di Derek era carica di disprezzo e di rabbia<br />
dettata, ne fui sicuro, dalla colpa. «Come no? Lo so io, lo sai tu, lo<br />
sanno gli dèi! E chissà quanti altri! Soltanto gli dèi potrebbero dirlo.<br />
Ma qualcuno prima o poi lo informerebbe.»<br />
«Non io, non tu. Nessun altro lo sa.»<br />
«Dovrei credere al tuo giuramento?»<br />
«Sì, perché prestato liberamente.»<br />
«Mi prendi per uno stolto come te? Perché dovrei rischiare?»<br />
«Forse perché gli sei debitore di una vita, la vita di suo padre.»<br />
Mi fissò a bocca aperta, incapace di articolare parola, quindi balzò<br />
in piedi.
«Partirete domani» mi disse gelidamente e si avviò deciso verso il<br />
suo cavallo.<br />
Lo seguii in uno strano stato d'animo, in parte deluso per non<br />
essere riuscito a ottenere il suo aiuto, in parte sollevato per avere<br />
distratto la sua attenzione dalla verità che era stato così vicino a<br />
cogliere. Non mi avrebbe giovato che quell'uomo intuisse che il<br />
ragazzo a me affidato aveva sufficienti legami di sangue e relazioni<br />
familiari per arrivare a controllare vaste regioni della Britannia, una<br />
volta raggiunta la maturità. Quel pericolo, ne avevo la certezza, era<br />
stato sventato e ora, dileguatosi, si era semplificato il mio compito di<br />
trovare un rifugio sicuro. <strong>Il</strong> nome di Pendragon di Cambria spiegava<br />
agli occhi di Derek il fatto che mi sentissi impegnato a nascondere il<br />
ragazzo. Non mi era di pregiudizio che conoscesse quella parte della<br />
verità, perché era abbastanza complicata da soddisfare la sua<br />
curiosità. Sapevo che non avrebbe cercato ulteriori spiegazioni, e che<br />
il segreto degli altri legami familiari del ragazzo e la sua<br />
rivendicazione <strong>sul</strong>la Cornovaglia e l'Eire, legittimata tramite sua<br />
madre, non sarebbero stati compromessi.<br />
Percorrevo lo stretto sentiero collinare stando dietro di lui e,<br />
notando la sua postura rilassata, mi chiesi se fosse davvero in collera.<br />
Cavalcava con disinvoltura, abbandonato <strong>sul</strong> dorso del cavallo, il<br />
peso del corpo inclinato verso di me, lasciando all'animale la scelta<br />
del percorso. Non cercai di parlargli; tra di me ripensavo alle cose<br />
che ci eravamo detti: avrebbe forse deciso diversamente se fossi stato<br />
più persuasivo nel presentargli la mia petizione? Pensandoci<br />
cominciai a figurarmi quale avrebbe potuto essere la sua reazione se<br />
avesse saputo del pericolo che rappresentavo per la sua gente, un<br />
pericolo che nulla aveva a che fare con il ragazzo, o con quello che<br />
ero io, ma che aveva molto a che fare con quello che sospettavo di<br />
essere diventato.<br />
Soffrivo di un disturbo della pelle e avevo finito con il<br />
convincermi che si trattasse di lebbra, malgrado i sogghigni derisori<br />
del mio amico Lucano, il nostro amato e stimato medico. Ascoltando<br />
i miei sospetti, Lucano aveva concluso che ero pazzo e delirante ed<br />
era stato incline a prendere alla leggera le mie fantasie, come le<br />
chiamava, fino a quando non si era accorto di come fossi spaventato<br />
e preoccupato. Non appena aveva percepito la mia paura, si era
prodigato per tranquillizzarmi e rassicurarmi. Da tutta la vita<br />
operava tra i lebbrosi, mi aveva detto, fissandomi intensamente negli<br />
occhi e nell'arco di quei decenni non aveva mai saputo di alcuno che<br />
fosse stato contagiato per essersi esposto alla malattia per un breve<br />
periodo. Ero stato vicino ai lebbrosi, aveva insistito, per neanche un<br />
giorno e non ne avevo toccato nessuno.<br />
Lo avevo ascoltato senza speranza, anelando a essere consolato,<br />
ma non ne ero convinto. L'infermità che mi affliggeva, qualunque<br />
cosa fosse, si presentava incontrovertibilmente sotto forma di una<br />
lesione non sanguinolenta, un'unica macchia <strong>sul</strong>la parte destra<br />
superiore del petto, con tutti i segni classici della natura lebbrosa,<br />
stando alle descrizioni che ne aveva fatto Lucano.<br />
In quella zona, più piccola del polpastrello del pollice, bianca nel<br />
centro e rossastra lungo il bordo, la pelle aveva perso sensibilità. La<br />
macchia non era dolente, ed erano bianchi i peli che crescevano<br />
all'interno dei bordi. Osservando attentamente la lesione, Lucano<br />
aveva ammesso che potesse essere di natura lebbrosa, ma mi aveva<br />
snocciolato allegramente un elenco, lungo e rassicurante, di altre<br />
possibili cause, contandole <strong>sul</strong>la punta delle dita a mano a mano che<br />
le nominava.<br />
A quel punto, sollevato oltre ogni dire, gli avevo raccontato con<br />
calma il fallito tentativo di salvare, dal crepaccio in cui era caduto, il<br />
suo amico Mordechai Emancipato, un medico che aveva contratto la<br />
lebbra stando a contatto con i malati. Gli avevo descritto le ferite<br />
che io stesso avevo riportato calandomi nel crepaccio, gli inutili<br />
sforzi compiuti per salvargli la vita e come fossi emerso dal burrone<br />
coperto del mio sangue e del suo. Nel rendergli questo resoconto<br />
avevo colto un guizzo di dubbio <strong>sul</strong> viso del mio amico. Mi aveva<br />
chiesto quanto sangue fosse stato versato in quel crepaccio. Quanto<br />
sangue mio e quanto di Mordechai? Quanto sangue di Mordechai<br />
era colato su di me?<br />
Non avevo avuto modo di rispondere con precisione alle sue<br />
domande, perché la notte era stata buia e fredda e per gran parte<br />
del tempo non mi ero neppure accorto che il sangue stava<br />
sgorgando, ma avevo capito che quel particolare turbava il mio<br />
interlocutore. Aveva ammesso che qualche preoccupazione gli
veniva dalla mescolanza di sangue infetto e sangue sano, seppure<br />
non fosse certo del perché quella commistione potesse essere<br />
pericolosa. Una volta aveva trovato, e acquistato, un antico trattato<br />
<strong>sul</strong>l'argomento, mi aveva detto, un rotolo di pergamena scritto molti<br />
anni prima da un illustre medico e studioso, ma non lo aveva mai<br />
esaminato; non aveva neppure mai avuto il tempo di leggerlo<br />
dall'inizio alla fine. Glielo aveva ricordato l'accenno alla circostanza<br />
che il mio sangue si era mescolato con quello di Mordechai. Si<br />
sarebbe adoperato per rintracciare l'antico testo, aveva promesso, e<br />
vagliarne il contenuto, ma lo aveva invano cercato, incapace di<br />
ricordare che cosa ne avesse fatto o perfino quando lo avesse visto<br />
l'ultima volta. Soltanto dopo averlo con<strong>sul</strong>tato, Lucano avrebbe<br />
formulato una diagnosi <strong>sul</strong> mio stato di salute. Fino a quel<br />
momento, <strong>sul</strong>la mia testa, simile a una spada di Damocle, avrebbe<br />
continuato a incombere la minaccia della lebbra.<br />
La malattia che io ero comunque convinto di aver contratto non<br />
era di per sé fatale come nella mia ignoranza avevo sempre creduto.<br />
Era un morbo devastante, orribilmente devastante, che comportava<br />
la graduale degradazione delle dita, degli arti, delle fattezze del viso,<br />
ma non provocava la morte, tranne che nei casi disperati quando il<br />
malato moriva di fame perché incapace di nutrirsi.<br />
Lebbra! Sebbene il pensiero fosse rivoltante, mi trovai<br />
incredibilmente a sorridere al pensiero di come avrebbe reagito<br />
Derek se gliene avessi parlato.<br />
Raggiunto il limitare della zona boscosa, eravamo <strong>sul</strong> punto di<br />
imboccare il sentiero fiancheggiato dai muretti di pietre allineati<br />
lungo i campi coltivati. Con un brontolio Derek si raddrizzò in tutta<br />
la sua statura, tirando bruscamente le redini per fermare il cavallo e<br />
allungando il collo per guardare <strong>sul</strong>la sinistra della barriera di sassi. Si<br />
fermò anche il mio cavallo, ma Derek aveva ripreso ad avanzare<br />
lasciando il sentiero e addentrandosi <strong>sul</strong> terreno impervio tra gli<br />
alberi. Incuriosito lo seguii; procedevamo lentamente perché i cavalli<br />
saggiavano il terreno insidioso e irregolare prima di avventurarsi a<br />
posare gli zoccoli.<br />
«Per tutti i santi!» brontolò Derek. «Guarda la stazza di quel<br />
maledetto!»
Sul bordo inferiore dell'interminabile muretto, nascosto ai miei<br />
occhi dalla massiccia figura di Derek e dal tronco di una betulla,<br />
giaceva il cadavere di un grande lupo, il dorso inarcato nello<br />
spasimo dell'ultima convulsione. Gli enormi artigli delle zampe<br />
anteriori erano spalancati, simili alle dita pelose di un gigante; le<br />
zampe posteriori e la coda erano imbrattate di sangue. <strong>Il</strong> ronzio di<br />
migliaia di mosche che sciamavano <strong>sul</strong>la carcassa riempiva l'aria.<br />
Guardavo Derek che, sceso di sella, si avvicinava cautamente al<br />
muretto per andare a vedere da vicino la bestia. Ignorando gli sciami<br />
di mosche si inginocchiò e, afferrandogli le zampe, con un grugnito<br />
di disgusto, voltò la carcassa <strong>sul</strong>l'altro fianco. Allora fu evidente che<br />
cosa lo aveva ucciso: una freccia incrostata di sangue sporgeva dal<br />
lato destro. I denti aguzzi della bestia sofferente avevano lacerato<br />
l'asticciola. <strong>Il</strong> lupo, un maschio adulto, più grosso di quelli che avevo<br />
visto nelle regioni meridionali, era grigio con striature bianche. In<br />
piedi <strong>sul</strong>le zampe posteriori mi sarebbe arrivato all'altezza delle<br />
spalle, e le enormi mascelle avrebbero potuto stringersi con facilità<br />
intorno alla mia testa. «Bel tiro» commentò Derek. «Owen aveva<br />
ragione.» Allungò la mano per far scorrere le dita <strong>sul</strong> pelo del<br />
possente collo. «Una bella pelle! Peccato averla rovinata. Un adulto<br />
giovane. Guarda!»<br />
Mi mostrò le zanne scoperte nell'estremo rantolo della morte,<br />
lunghe, bianchissime, senza una macchia. Rialzatosi, Derek rimontò<br />
in sella.<br />
«Chi è Owen?» chiesi.<br />
«Mio figlio, il primogenito» disse spronando il cavallo e<br />
precedendomi verso il sentiero. «Ha colpito la bestia la notte scorsa,<br />
al calare del sole, a circa due miglia da qui, nella valle. Lavorava nei<br />
campi. <strong>Il</strong> lupo correva dall'altra parte del muretto. Owen non era<br />
sicuro di averlo colpito: la luce era grigia, grigi erano il lupo e le<br />
pietre. Non è riuscito a trovare la freccia, ma questo non vuole dire<br />
molto. Ha tirato mirando alle pietre, e quindi la freccia,<br />
rimbalzando, avrebbe potuto finire chissà dove. Sarà contento di<br />
sapere che ha centrato il bersaglio, ma si sentirà male quando gli<br />
racconterò che era una bestia gigantesca. Una veste rovinata, sarà il<br />
suo primo pensiero.»
«Quanti figli hai, Derek?»<br />
«Undici maschi, e molte femmine.»<br />
Ne ero sbalordito perché pensavo che avesse appena sei o sette<br />
anni più di me. Di certo si accorse della mia reazione perché<br />
aggiunse: «Da cinque mogli».<br />
«Cinque? Hai seppellito quattro mogli?»<br />
Mi guardò come se io fossi impazzito, quindi scoppiò a ridere.<br />
«No, cristiano. Ho cinque mogli quasi sempre gravide.»<br />
Sus<strong>sul</strong>tai, consapevole della mia goffaggine. La poligamia non era<br />
poi infrequente tra i pagani delle regioni isolate della Britannia.<br />
«Quanti anni ha Owen?» chiesi cercando di sorvolare <strong>sul</strong>la mia<br />
inopportuna domanda.<br />
«Diciassette.»<br />
«E il minore dei tuoi figli?»<br />
«Nove.»<br />
«<strong>Il</strong> piccolo Artù è di poco più giovane.» Mi gettò un'occhiata in<br />
tralice e io mi affrettai a continuare. «Quante figlie hai?»<br />
«Troppe. Qual è Artù? Ho visto tre ragazzi nel vostro gruppo.»<br />
«Ce ne sono quattro. Artù è il più giovane, quello con gli occhi<br />
color dell'oro. Ha otto anni.»<br />
«Ce l'ho in mente. Ho notato gli occhi, somigliano a quelli di uno<br />
sparviero. La donna che lo accompagna è sua madre? Quella bella<br />
con il viso di falco.»<br />
«Shelagh vuoi dire? No, è la moglie di Donuil, che è...»<br />
«<strong>Il</strong> fratello di Connor. Lo ricordo dal nostro primo incontro.<br />
E l'altra donna?»<br />
«Turga, la balia del ragazzo.»<br />
«Balia? A otto anni Artù ha bisogno di una balia?»<br />
«No, naturalmente no. Ma Turga ha soltanto lui, e sono attaccati<br />
l'uno all'altro.»<br />
«Dov'è sua madre?»
«Morta da anni.» Cercai di scacciare dalla mente l'immagine del<br />
cadavere di Ygraine <strong>sul</strong>la spiaggia della lontana Cornovaglia e di<br />
Derek che si levava a guardarmi dopo avere consumato lo stupro, il<br />
fallo lucente e ancora eretto nella luce del pomeriggio. Non aveva<br />
idea di chi fosse quella donna e neppure si era accorto che il suo<br />
cavallo le aveva spappolato il cranio.<br />
«Allora tu gli fai da padre e da madre. Ti senti responsabile della<br />
sua vita?»<br />
Lo fissai perplesso a quella domanda, non sapendo a che cosa<br />
mirasse.<br />
«Sì, in coscienza mi sento responsabile.»<br />
«Cerca di diventare re un giorno, amico mio, e poi mi parlerai di<br />
responsabilità. Mi addolora, ti assicuro, rifiutarti quello che mi hai<br />
chiesto, ma non ho alternative. Posso accettare di mettere in<br />
pericolo me stesso, ma sarebbe imperdonabile esporre a un rischio<br />
superfluo la mia gente... Se ci fosse anche una lontana probabilità<br />
che non si venisse a conoscere l'identità del ragazzo, potrei ritornare<br />
<strong>sul</strong>la mia decisione. Ma si tratta del figlio di Pendragon<br />
accompagnato da Merlino di Camelot. No, è un rischio<br />
inammissibile.»<br />
Annuii di nuovo, accettando la sua irremovibile decisione. «Così<br />
sia. Ti capisco.»<br />
Durante il resto della strada di ritorno a Ravenglass, cominciai a<br />
pensare a un problema pratico conseguente al rifiuto di Derek: se,<br />
come temevo, la ciurma di Connor aveva già sbarcato dalla galea e<br />
dalle altre due navi le nostre masserizie, avremmo dovuto<br />
organizzare dei turni di guardia durante la notte per poi ricaricarle<br />
<strong>sul</strong>le navi l'indomani.<br />
Restituimmo i cavalli a Ulf. Ringraziai Derek per il tempo che mi<br />
aveva dedicato e mi accomiatai promettendogli di raggiungerlo<br />
quella sera a cena. Mi misi subito a cercare Connor, dirigendomi<br />
verso il mercato, ancora attivissimo, e da lì attraversando la fortezza<br />
fino alla porta che conduceva al molo.<br />
Connor era con i capitani delle altre galee, il minuto Feargus, non<br />
molto più alto di Artù, e il suo strano compagno Logan, un gigante
spropositatamente alto quanto Feargus era piccolo. Le due galee<br />
ormeggiate l'una dietro l'altra occupavano il molo per tutta la sua<br />
lunghezza: quella di Feargus aveva una vela rossiccia che si notava<br />
anche quando era piegata, l'altra apparteneva a Connor. La galea di<br />
Logan era sistemata di fianco all'imbarcazione di Feargus, sicché il<br />
suo equipaggio doveva attraversare il ponte di quest'ultima per<br />
sbarcare. Tutti e tre gli uomini si voltarono mentre mi avvicinavo,<br />
avvertiti da Logan che mi aveva visto superare la porta del forte.<br />
Non appena ci fummo salutati, i due capitani mi lasciarono con<br />
Connor. Venni subito al punto cruciale, spiegandogli come si era<br />
concluso l'incontro. Accolse la notizia con filosofia, sorridendo<br />
perfino, ammirato per l'acutezza dimostrata da Derek. Quando<br />
tacqui, mi diede una pacca <strong>sul</strong> braccio.<br />
«Allora, amico mio, faremo rotta verso l'Eire, oppure le isole<br />
settentrionali, se sono più di tuo gradimento. Avevo il<br />
presentimento che Derek potesse non aderire al tuo progetto, e così<br />
non ho fatto scaricare le galee. Passeremo qui la notte e ce ne<br />
andremo con la marea del mattino. Non avere quell'aria afflitta,<br />
Testa Gialla. Vedrai che tutto andrà a finire per il meglio.»<br />
«Senza dubbio hai ragione,» risposi con una smorfia «ma a volte<br />
vorrei che la vita fosse più semplice. Hai visto Donuil?»<br />
Connor annuì. «Sì, è stato qui poco fa. Lo avrai incrociato strada<br />
facendo. Ha detto che avrebbe raggiunto Shelagh e i bambini nella<br />
piazza del mercato.»<br />
Lo ringraziai e ritornai sui miei passi attraversando la fortezza fino<br />
ad arrivare alla porta posteriore, rimuginando i cambiamenti e le<br />
difficoltà che ci aspettavano ora che non avevamo più una base in<br />
Britannia. In linea d'aria la distanza tra Camelot e la Cumbria non<br />
era molto superiore di quella che separava la Colonia dal regno di<br />
Athol nell'Eire. Ma per raggiungere l'Eire avremmo dovuto<br />
attraversare il grande mare e affrontare rischi che non esistevano nel<br />
percorso fino alla Cumbria. Non era impresa da poco intraprendere<br />
la traversata, ma non era quella la mia preoccupazione principale.<br />
Mi sgomentava di più l'estraneità dell'Eire. Le prospettive di Artù, ne<br />
ero convinto, ne avrebbero risentito, se si fosse allontanato dalla<br />
Britannia, la sua patria.
Mentre mi avvicinavo alle mura della fortezza, venni scosso dalle<br />
mie riflessioni dalla vista di un uomo che, emergendo dall'ombroso<br />
portale, si fermò e, giratosi bruscamente, ritornò di corsa sui suoi<br />
passi. Se non avesse reagito in quel modo nello scorgermi, lo avrei<br />
superato senza notarlo, ma la velocità con cui si girò su se stesso e si<br />
allontanò attrasse il mio sguardo, e lo scorcio di una tunica gialla in<br />
fuga mi richiamò alla mente l'uomo che, qualche ora prima in quella<br />
stessa giornata, si era fermato a fissarmi dalla soglia di una taverna.<br />
Curioso, allungai un po' il passo e attraversai la porta del forte,<br />
guardandomi intorno con aria indifferente mentre raggiungevo la<br />
piazza del mercato poco oltre, senza tuttavia riuscire a scorgerlo.<br />
Perplesso, mi afferrai a un palo che sorreggeva la tenda sovrastante<br />
una bancarella e saltai su una cassetta di legno vuota, cercando di<br />
scrutare al di sopra della folla. Alla fine lo individuai mentre, in gran<br />
fretta, si allontanava <strong>sul</strong>la mia destra, a circa quattro bancarelle di<br />
distanza. In quel momento si volse per guardarsi alle spalle. L'allarme<br />
fu istantaneo. Si mise a correre e, guizzando a sinistra, scomparve<br />
dietro l'angolo di un'altra bancarella. All'improvviso mi trovai a<br />
inseguirlo, spingendo la gente di lato, ben consapevole di non avere<br />
la spada al fianco.<br />
Girando dietro l'angolo lo scorsi di nuovo ancora intento a<br />
correre; allungai il passo per raggiungerlo. Di nuovo lo persi di vista<br />
e di nuovo mi lanciai all'inseguimento, per poco non finendo lungo<br />
disteso quando inciampai in una pila di cesti vuoti. Sentivo voci<br />
rabbiose che si levavano a protestare, ma d'un tratto mi trovai oltre<br />
le ultime bancarelle, in uno spazio aperto e ampio dove un sentiero,<br />
tagliando attraverso l'erba alta, conduceva a un gruppo di alberi. Lì<br />
sparì la preda che inseguivo. Superai di corsa i primi due alberi e<br />
dovetti saltare di slancio un fossato profondo che attraversava il<br />
sentiero. Approdai sano e salvo <strong>sul</strong>la sponda opposta e, percorso il<br />
pendio in salita, mi trovai <strong>sul</strong>la sommità di una lieve altura che<br />
scendeva fino a un punto da dove veniva il suono sordo di uno<br />
scalpiccio di piedi che nella corsa battevano il terreno. Dopo essermi<br />
assicurato che ci fosse una sola via per scendere, ripresi la corsa,<br />
senza preoccuparmi del fatto che non sapevo chi fosse quell'uomo e<br />
perché scappasse davanti a me. Lo inseguivo soltanto perché lui<br />
fuggiva. Mi gettai a perdifiato giù per il pendio, schizzai intorno a un
albero, inciampai nella radice di un altro e mi ritrovai lungo disteso.<br />
Piombai a terra di peso e nell'impatto restai senza fiato. Mi<br />
contorcevo disperatamente, accecato dal dolore e rantolando nel<br />
tentativo di respirare. Mi parve che sopra di me, <strong>sul</strong>la destra,<br />
qualcuno ghignasse piano. Quel suono mi gelò. Mi irrigidii nel<br />
tentativo di parare un attacco violento, ma non accadde nulla e il<br />
suono non si ripeté. Non appena ricominciai a riprendere fiato,<br />
cercai di inalare aria con respiri dolorosi e profondi. Sapevo da<br />
alcune fitte meno penose che dovevo essermi graffiato le mani e il<br />
viso cadendo tra i rovi. Tenevo gli occhi chiusi in attesa di<br />
recuperare le forze. In qualche modo riuscii a mettermi in ginocchio,<br />
la testa china, le braccia intorno alle costole per proteggermi, le<br />
orecchie tese per cogliere il suono di un qualche movimento intorno<br />
a me. Silenzio.<br />
Mi raddrizzai, allentai la stretta delle braccia e aprii gli occhi. In<br />
quel momento qualcuno mi assestò un calcio al diaframma,<br />
gettandomi di nuovo tra i rovi. Questa volta caddi seduto, sostenuto<br />
dall'intreccio fitto e robusto dei rami che mi ressero la schiena e le<br />
spalle. Sopra di me si stagliava l'uomo che mi aveva colpito; si<br />
avvicinava e dietro a lui ne scorsi altri due. Ridevano alla prospettiva<br />
di quello che avrebbero potuto farmi, in tre contro uno. Mi mossi<br />
portandomi <strong>sul</strong>le ginocchia, ignorando le spine che mi ferivano le<br />
mani mentre cercavo di sollevarmi. Lessi la sorpresa <strong>sul</strong> viso del mio<br />
assalitore nel notare con quanta rapidità mi fossi ripreso; si spostò in<br />
fretta, avvicinandosi nel tentativo di assestarmi un altro calcio,<br />
questa volta mirando alla testa.<br />
Malgrado il vantaggio su di me, fu troppo lento e io riuscii a<br />
evitare il piede che si abbatteva. Mossi la testa in avanti verso la sua<br />
destra, levai le braccia per afferrarlo alla caviglia, tirandogli il<br />
calcagno con forza contro la mia spalla destra e gettandomi <strong>sul</strong>la<br />
sinistra contro di lui. Colto di sorpresa, perse l'equilibrio e cadde<br />
pesantemente <strong>sul</strong>la schiena. Sentii il rantolo che gli uscì come un<br />
sibilo dalla bocca e colsi un grugnito di dolore. Lasciai la presa e,<br />
levato il pugno sinistro, glielo abbattei <strong>sul</strong> naso; percepii la<br />
cartilagine che si appiattiva sotto il colpo. Tesi quindi la mano e la<br />
strinsi intorno alla sua gola. Un gesto goffo, tanto più che ero<br />
ostacolato dalla posizione in cui mi trovavo, ma efficace. Mi
allontanai rotolando il più rapidamente possibile preparandomi ad<br />
affrontare gli altri due uomini. Mentre mi sollevavo su un ginocchio,<br />
con il piede sinistro saldamente puntato sotto di me, fui colpito da<br />
uno dei due <strong>sul</strong>lo zigomo. Sentii il rumore dell'osso che si incrinava<br />
mentre di nuovo mi abbattevo lungo disteso, gli occhi chiusi contro<br />
la furia dell'attacco. Mi rotolai, aspettandomi un altro calcio dal<br />
terzo uomo; mi giunsero invece un urlo e il suono di altri colpi,<br />
nessuno vicino a me.<br />
Cercando a fatica di rimettermi <strong>sul</strong>le ginocchia e scuotendo la<br />
testa per schiarirmi le idee, vidi una scena che in un altro momento<br />
mi avrebbe fatto ridere. Era stato il secondo uomo, quello che mi<br />
aveva dato il pugno, a emettere l'urlo. Saltellava all'impazzata, il<br />
viso contratto in una smorfia di dolore, il polso sinistro stretto sotto<br />
l'ascella e il primo dito della sinistra grottescamente girato<br />
all'indietro. L'osso che avevo sentito spezzarsi era il suo. Al suo<br />
fianco, disteso <strong>sul</strong>la schiena, le gambe divaricate, le mani strette<br />
intorno alla gola, giaceva il primo aggressore. Dietro ai due, il terzo<br />
veniva sistematicamente investito da una gragnola di pugni e calci da<br />
Donuil Mac Athol, che gli torreggiava sopra a debita distanza mentre<br />
lo colpiva. Osservavo tutto, incapace di emettere suono; alla fine le<br />
ginocchia dell'uomo cedettero e lui si accasciò a faccia all'ingiù.<br />
Donuil affrontò allora il secondo aggressore che ancora saltellava<br />
stringendosi la mano ferita. Gli si avvicinò, lo afferrò per i capelli, gli<br />
portò la testa all'indietro per assestargli un diritto <strong>sul</strong>la fronte con il<br />
pugno serrato. L'uomo si abbatté come un torello.<br />
Donuil quindi si volse verso di me che, incerto <strong>sul</strong>le gambe, lo<br />
stavo fissando.<br />
«Guarda in che stato sei» disse con noncuranza. «Scorticato vivo e<br />
quasi annegato nel tuo stesso sangue! Fortuna che ti ho visto passare.<br />
Chi sono questi tizi?»<br />
Scossi la testa, scrutando i miei aggressori da vicino: nessuno<br />
indossava una tunica gialla. «Non lo so. Inseguivo un altro. Non li<br />
ho mai visti.»<br />
«Chi inseguivi?» chiese aggrottando la fronte.<br />
«Non lo so, ma qualcuno che mi conosce. L'ho incontrato due
volte oggi... era chiaro che non voleva essere visto da me. La<br />
seconda volta si è dato alla fuga e allora io l'ho inseguito.»<br />
«E ti ha portato diritto a incontrare questi tre campioni. Uomini di<br />
Liam.»<br />
«Come lo sai che sono di Liam?»<br />
«Dagli abiti e dal fatto che non portano armi, il che vuol dire che<br />
sono di passaggio, come noi.»<br />
«Grazie a Dio che sei arrivato!»<br />
«Grazie a Derek.»<br />
L'uomo che avevo stretto alla gola si stava riprendendo e si tirò<br />
su, fino a mettersi seduto, le mani ancora intorno al collo. Sputò,<br />
gemendo per il dolore. Donuil gli si avvicinò. Prima che potesse<br />
rivolgersi all'uomo, intervenne un'altra voce.<br />
«Che succede? Spargimento di sangue a Ravenglass?»<br />
Ci girammo e scoprimmo di essere circondati da cinque uomini,<br />
con le spade sguainate e corazze al petto. Riconobbi quello che<br />
aveva detto di chiamarsi Blundyl, il luogotenente incaricato da<br />
Derek di trovarci un alloggio. Con la testa che ancora mi turbinava,<br />
mi sedetti appoggiando la schiena al tronco di un albero. Donuil non<br />
si era mosso. Blundyl si guardò intorno osservando ogni cosa.<br />
«Non conoscete la legge di questo regno?» Non c'era acrimonia<br />
nella sua voce, ma neppure traccia di amicizia.<br />
Schiarendomi la gola, mi rivolsi a lui. «Sì, la conosciamo, Blundyl.<br />
Le armi sono bandite da Ravenglass, almeno tra chi è di passaggio, e<br />
non è permesso spargere sangue. Chi non si attiene alla legge viene<br />
espulso dal regno.»<br />
«Immediatamente» aggiunse guardandomi accigliato. «Chi sei?»<br />
«Ci siamo già incontrati prima. Ero con Derek. Ma non è stata<br />
perpetrata alcuna violazione della legge. Non è stato versato sangue<br />
e non sono state usate armi.»<br />
«Non c'è stato versamento di sangue? Ma ti sei almeno visto,<br />
amico?»<br />
Mi osservai le mani e stentai a credere a quello che vidi. Erano
graffiate, lacerate sui palmi e sui dorsi dalle spine acuminate dei rovi.<br />
Intuivo che lo stesso doveva apparire il mio viso, perché lo sentivo<br />
in fiamme e le palpebre erano incrostate.<br />
«Sangue che è zampillato, ma non versato» fu l'unica cosa che mi<br />
venne in mente di dire. «Non sono ferito, soltanto graffiato per<br />
essere caduto tra le spine. Mi chiamo Britannico; siamo arrivati qui<br />
con Connor Mac Athol. Questo è Donuil, fratello di Connor. Da<br />
quando siamo arrivati, ho passato parecchio tempo con Derek, il tuo<br />
re. Dopo averlo lasciato, mi sono imbattuto in un uomo che,<br />
riconoscendomi, è corso via. L'ho inseguito per scoprire chi è.»<br />
«Lo sappiamo che correvi» disse Blundyl, la voce greve di<br />
sarcasmo. «Hai demolito mezzo mercato nella tua furia.» Guardò i<br />
tre uomini a terra. «Quale di loro seguivi?»<br />
«Nessuno di questi. Te l'ho detto, non li conosco. L'uomo che<br />
inseguivo indossava una tunica gialla. Immagino che sia passato<br />
troppo in fretta perché i tre potessero bloccarlo, e io gli stavo alle<br />
calcagna. Mi hanno fermato. Ne è nato un alterco; Donuil, che vedi<br />
qui, è arrivato in tempo per porvi fine.»<br />
«Ehm!» Si rivolse a Donuil. «Non sono uomini tuoi questi tre?»<br />
Donuil si limitò a negare scuotendo la testa, le labbra contratte.<br />
«Allora devono essere dell'altro equipaggio. Solo due gruppi sono<br />
sbarcati.»<br />
Si mosse rapido oltre a quello che stava seduto, dirigendosi verso<br />
il corpo più vicino; si inginocchiò e tastò la gola per percepire le<br />
pulsazioni. Accertatosi che l'uomo era vivo, lo rigirò <strong>sul</strong>la schiena e<br />
lo perquisì alla ricerca di qualche arma. Finito con lui, si avvicinò al<br />
terzo e fece lo stesso. Da ultimo, raddrizzatosi, si avvicinò a me.<br />
«Mostrami le mani.»<br />
Gliele tesi e lui, prima di afferrarmi i polsi, rimise la spada nella<br />
guaina; li voltò e rimase a fissare i lunghi graffi.<br />
«Ti divertirai a lavarli. Non sarai un bello spettacolo per qualche<br />
giorno e non vedrai granché.» Mi toccò lo zigomo.<br />
Involontariamente sus<strong>sul</strong>tai, lasciandomi sfuggire un sibilo e tirando<br />
indietro la testa. «Che bellezza!» Si allontanò e ancora una volta<br />
esaminò la radura, evidentemente meditando il da farsi; quindi si
volse di nuovo a me. «Ne parlerò al signore, a Derek, come di un<br />
incidente marginale, al limite della legalità. Un alterco più che uno<br />
scontro. Ma sappi che chiudo un occhio. Per tua fortuna non ci sono<br />
stati danni nel mercato. Inoltre, hai il privilegio del prestigio. Ma<br />
ascoltami bene: non voglio altra feccia. Comportati con correttezza<br />
a Ravenglass d'ora innanzi, oppure ne subirai le conseguenze. E<br />
adesso, via di qui.»<br />
Lanciai un'occhiata ai tre. «E loro...?»<br />
«Ci penseremo noi. Passeranno la notte in prigione. Su,<br />
muovetevi!»<br />
Mi allontanai zoppicando dietro a Donuil. Nessuno di noi due<br />
aprì bocca finché non avemmo attraversato il fossato <strong>sul</strong>la sommità<br />
della salita, da dove potevamo vedere la piazza del mercato.<br />
Fu Donuil a rompere il silenzio. «Come ti senti?»<br />
«In castigo, come uno scolaretto redarguito dal maestro.»<br />
«Mi riferivo ai dolori e all'indolenzimento.»<br />
«<strong>Il</strong> dolore è uniforme e mi pervade tutto. Mi sembra di essere<br />
stato in guerra.»<br />
«Lo sei stato e si vede» disse sorridendo. «Non credo di avere mai<br />
visto un occhio pesto come il tuo. Riesci ancora a vedere?»<br />
Portai una mano <strong>sul</strong>l'occhio destro, cercando di fissare Donuil con<br />
il sinistro, ma era gonfio e pulsava con fitte dolorose. Scossi la testa.<br />
«Ci conviene cercare Lucano. Quanto alla faccenda con Blundyl,<br />
non pensarci. Ha compiuto il suo dovere e l'ha eseguito con<br />
tolleranza, visto anche che eravamo nel torto. Connor mi ha parlato<br />
di Ravenglass, e mi ha spiegato che qui il divieto di picchiarsi è<br />
rigoroso, come a Camelot. Blundyl ha detto che chiuderà un occhio.<br />
Mi ha sorpreso.»<br />
Non riprendemmo più l'argomento finché non trovammo Lucano<br />
che pulì e medicò i miei graffi. Blundyl ci aveva acquartierati nello<br />
stesso edificio, una costruzione residenziale nella via decumana, <strong>sul</strong><br />
retro del complesso amministrativo. Malgrado la mancanza di spazio<br />
cui aveva accennato Derek, eravamo comodamente alloggiati.<br />
Nessuna delle mie ferite era così profonda da richiedere punti di
sutura, ma tutte bruciavano moltissimo e il pomeriggio fu per me<br />
penoso. L'occhio sinistro, chiuso per il gonfiore, aveva già assunto<br />
una colorazione nera con bordi rossi e gialli. I quattro ragazzi mi<br />
fissarono attoniti, ma non osarono chiedermi che cosa mi fosse<br />
capitato. Derek venne a trovarmi <strong>sul</strong> tardi e, entrato nella stanza<br />
dove stavo vicino al braciere, rimase a fissarmi in silenzio, il volto<br />
aggrottato.<br />
«Qual è stata la causa?» mi chiese alla fine. Scuotendo la testa, gli<br />
raccontai dell'uomo con la tunica gialla, ricordandogli la domanda<br />
che gli avevo posto <strong>sul</strong>la birreria quando vi eravamo passati accanto<br />
quella mattina. Ascoltò in silenzio finché non ebbi finito.<br />
«Credi che ti sia stata tesa una trappola?»<br />
«No, non è possibile. Quell'uomo non sapeva che si sarebbe<br />
imbattuto in me. Sono arrivato alla porta della fortezza per caso<br />
mentre lui l'attraversava. È stata la sua reazione ad attirare la mia<br />
attenzione. Dopo, tutto è accaduto in fretta... non avrebbe avuto il<br />
tempo di organizzare un trabocchetto. La versione che ho reso a<br />
Blundyl corrisponde alla realtà dei fatti. L'uomo è passato vicino ai<br />
tre facendoli infuriare e io, che gli ero alle calcagna, ne ho fatto le<br />
spese. Non ci sono altre spiegazioni ragionevoli.»<br />
«A meno che non sapesse che erano lì e ti ha portato in quella<br />
direzione, chiedendo aiuto mentre li superava.»<br />
«Perché allora non è ritornato indietro e non si è unito a loro, una<br />
volta che mi avevano messo a terra?»<br />
«Non lo so. Mi hai detto che non voleva che tu lo notassi. Lo hai<br />
riconosciuto?»<br />
«No, non sono riuscito ad avvicinarmi abbastanza da vederlo<br />
chiaramente. Ma il viso non mi era familiare, da quello che ho<br />
potuto scorgere.»<br />
«Eppure lui ti conosceva.»<br />
«Sembra di sì.»<br />
Sospirando Derek si grattò un orecchio. «Merlino, questo dà<br />
ragione e conferma il giudizio che mi ero fatto. Sei a Ravenglass da<br />
meno di un giorno e già ci sono guai. Te la senti di cenare con noi
stasera?»<br />
«Sì, dove?»<br />
«Nella mia casa.»<br />
«Ci sarò. Mettiti il cuore in pace, Derek, abbiamo già disposto di<br />
salpare domattina.»<br />
«Lo so. Me l'ha detto Connor. A più tardi.»<br />
Derek se ne era appena andato quando entrò Shelagh, il viso<br />
contratto in un'espressione di ansia. Non la vedevo da quando,<br />
quella mattina, mi ero allontanato dal molo con Derek. Ferma <strong>sul</strong>la<br />
soglia mi fissava. Guardai le bende che mi fasciavano le mani e<br />
aspettai che dicesse qualcosa.<br />
«Perché? Chi è stato?» chiese.<br />
Levai la testa per guardarla negli occhi. «Non te ne ha parlato<br />
Donuil? Non so chi siano quegli uomini. Non so neppure perché mi<br />
abbiano aggredito.»<br />
Avanzò nella stanza, si guardò intorno alla ricerca di una sedia e,<br />
trovatala, la trascinò vicino a me.<br />
«Lucano mi ha raccontato quello che è avvenuto. Non ho ancora<br />
visto Donuil. Lo abbiamo aspettato al mercato, ma quando fu chiaro<br />
che non sarebbe venuto, ho mandato i ragazzi a casa con Turga.<br />
Dopo sono stata con Logan, vicino al molo. Raccontami.»<br />
Le riferii i fatti senza omettere nulla e, una volta che ebbi finito,<br />
aggrottando la fronte, allungò le dita per sfiorarmi delicatamente lo<br />
zigomo gonfio. Sobbalzò quando sus<strong>sul</strong>tai. «Ti duole molto?»<br />
«Non tanto. Guarirà.»<br />
«Non hai idea di chi fossero quegli uomini? O del perché ti hanno<br />
attaccato?»<br />
Scossi la testa. «Secondo Donuil, sono del gruppo di Liam. Li ha<br />
riconosciuti dalla foggia degli abiti. Erano certamente venuti da<br />
lontano, come noi, e non portavano armi. Non so altro di loro e<br />
neppure perché si trovassero lì in quel momento.»<br />
Si alzò. «Ecco, prendilo.» Così dicendo trasse dalla cintura della<br />
gonna un coltello, con una lama lunga e tagliente. Rimasi a bocca
aperta. «Prendilo» insistette.<br />
«Come...? Cosa...?»<br />
«Su, sbrigati a nasconderlo nella cintura, come ho fatto io. Non te<br />
lo troverà nessuno e potresti averne bisogno.»<br />
«Shelagh, è contrario alle leggi di Derek portare armi a<br />
Ravenglass, e noi siamo suoi ospiti.»<br />
«Sì, ma siamo anche responsabili dell'incolumità degli altri, e<br />
alcuni di loro sono bambini. Non ti salterebbe in mente di andare in<br />
giro per Camelot senza una spada. Sei così stupido da pensare di non<br />
avere bisogno di un'arma a Ravenglass, pullulante com'è di<br />
sconosciuti? Tanto più che sei già stato aggredito.»<br />
Presi il coltello e lo soppesai. «Come te lo sei procurato?»<br />
«Non bastano le minacce di uno stolto a convincermi a<br />
separarmene» sbottò e gli occhi le fiammeggiarono. Poi sorrise. «Le<br />
apparenze, Merlino... nel mondo degli uomini tutto ha a che fare<br />
con le apparenze. Siete più vanitosi delle donne. Quando Connor mi<br />
disse che dovevamo cedere le armi, ho nascosto la cintura con uno<br />
scialle, poi ho abbassato un po' la scollatura. Nessuno mi ha presa<br />
per un guerriero e nessuno mi ha chiesto di consegnare le armi.»<br />
La guardai ammirato, ma le restituii il coltello. «Grazie, Shelagh,<br />
ma non posso proprio accettarlo. È una questione di onore.»<br />
«Maledizione a voi uomini, tronfi delle vostre idee di onore!<br />
Merlino, sei in pericolo. Non ci credi? Lo sento, lo annuso nell'aria.»<br />
Annuii, ma non mi lasciai smuovere. «Ti credo, Shelagh, ma<br />
questo coltello non cambierebbe nulla, anche se potessi accettarlo.<br />
Ma se ti dà sollievo, lo terrò in questa stanza. Non lo porterò fuori<br />
di qui; mi allontanerò soltanto stasera, per la durata della cena nella<br />
casa di Derek. Non accadrà nulla e all'alba partiremo.»<br />
Mi alzai e, avvicinatomi alla branda, infilai il coltello sotto il<br />
cuscino. Mi fissò rossa in faccia con un'espressione di rabbia ed<br />
esasperazione, poi si girò bruscamente e se ne andò.<br />
Ritornai a sedermi vicino al braciere; mentre delicatamente mi<br />
toccavo i graffi, sorridevo al pensiero del temperamento della donna<br />
che Donuil aveva sposato.
III.<br />
C'erano quasi cento persone nella casa di Derek quella sera; una<br />
ventina erano donne: le mogli e le fidanzate dei maggiorenti di<br />
Ravenglass. Non era un banchetto, ma una normale cena, seppure<br />
allargata. Da ore i commensali bevevano senza ritegno, e molti<br />
ospiti già giacevano riversi <strong>sul</strong>le tavole ricoperte degli avanzi del<br />
pasto.<br />
L'occhio gonfio mi dava qualche difficoltà: lacrimava<br />
fastidiosamente e doleva con fitte acute per il fumo che riempiva la<br />
sala, poiché venti contrari ostacolavano il tiraggio dei camini. Non<br />
era stata una serata allegra per me: dovevo muovermi<br />
continuamente perché l'occhio ferito, impedendomi di vedere chi<br />
sedeva alla mia sinistra, mi costringeva a voltarmi con tutto il busto<br />
in quella direzione.<br />
Ero seduto a sinistra di Derek, il che mi consentiva di vederlo<br />
chiaramente; a sua volta Blundyl mi stava <strong>sul</strong>la sinistra. Si era<br />
dimostrato un commensale piacevole, simile per temperamento e<br />
mentalità al nostro Dedalo.<br />
Lucano sedeva a sinistra di Blundyl e a destra di Owen, il figlio<br />
maggiore di Derek, con il quale discuteva animatamente fin da<br />
quando aveva preso posto. A destra di Derek c'era Connor, al cui<br />
fianco si trovava un altro uomo di Derek, che non conoscevo; subito<br />
dopo veniva Tearlach, il nostromo di Connor. Donuil e Shelagh<br />
sedevano a una tavola più piccola davanti a noi, <strong>sul</strong>la destra e più in<br />
basso rispetto alla nostra tavola che era soprelevata, e con loro<br />
erano Feargus e Logan, Dedalo e Rufio, Sean il navigatore e parecchi<br />
uomini dell'equipaggio di Connor.<br />
Altri del nostro gruppo, sebbene non tutti, erano sparsi nella sala.<br />
Alcuni della ciurma gironzolavano per Ravenglass, cercando di<br />
divertirsi a modo loro nelle locande. Quelli presenti, ufficiali anziani<br />
e giovani, si mescolavano familiarmente con gli uomini di Derek.<br />
Non erano presenti né Liam né alcuno dei suoi. Erano stati ospiti di<br />
Derek la sera precedente e ora, secondo il costume, dovevano
arrangiarsi da soli.<br />
Avevamo accennato alla disavventura capitatami quel<br />
pomeriggio, liquidandola con poche parole. Dopo avermi lasciato<br />
andare, Blundyl e le sue guardie avevano interrogato i tre aggressori,<br />
senza scoprire nulla <strong>sul</strong>le ragioni dell'attacco sferratomi; li avevano<br />
quindi buttati in una cella dove sarebbero rimasti per tutta la notte.<br />
Da lì la conversazione si era volta a dibattere <strong>sul</strong>le risse e sugli scontri<br />
in generale, e Blundyl aveva ammesso che, perfino in una località<br />
rigidamente controllata come Ravenglass, era impossibile a volte<br />
evitare un combattimento a suon di pugni.<br />
All'improvviso si spalancarono le porte e nella sala si riversò un<br />
gruppo di uomini armati e in lotta. Blundyl saltò in piedi,<br />
aggrottando la fronte senza capire quello che stava succedendo e<br />
strizzando gli occhi per vedere meglio attraverso il fumo. Mi giunse<br />
un grido angosciato che invocava Connor e scorsi l'uomo che aveva<br />
lanciato l'urlo trapassato a fil di spada: la lama, conficcatagli nella<br />
schiena, gli uscì da sotto il mento; uno dei nuovi venuti, che in quel<br />
momento superava la soglia, lo scostò con violenza e si gettò nella<br />
sala. Alcuni seduti intorno alle tavole in fondo, vicino alle porte<br />
aperte, cominciarono a urlare; altri scattarono in piedi, ma non<br />
appena si levarono furono colpiti dalle frecce scagliate da breve<br />
distanza. Nell'arco di pochi istanti morirono così in sei o sette.<br />
Si immobilizzarono tutti e tacquero nell'istante in cui riconobbero<br />
Liam, sgomenti e increduli. Liam, figlio di Condran, che avanzava, i<br />
denti bianchi scintillanti sotto i baffi, mentre i suoi fedeli<br />
rapidamente si disponevano lungo le pareti ai lati della porta. Erano<br />
per lo più armati di arco e minacciavano i presenti. Nella destra Liam<br />
impugnava una grande spada dalla lama larga; uno scudo rotondo<br />
gli copriva il petto.<br />
Si fece avanti audacemente, gli occhi puntati su Derek, senza<br />
guardare né a destra né a sinistra mentre si avvicinava, percorrendo<br />
l'intera sala, tra le due tavolate. Alle spalle lo seguiva una compagine<br />
compatta di dodici armati che si facevano largo spingendo i<br />
commensali contro le pareti della sala e rovesciando i tavoli a gambe<br />
all'aria.<br />
Vicino a me Blundyl, disarmato come tutti noi e consapevole in
quel momento della propria impotenza, lentamente si accasciò <strong>sul</strong>la<br />
sedia.<br />
Liam si fermò dopo avere percorso circa un terzo della lunghezza<br />
della sala. Due suoi uomini gli si misero subito al fianco<br />
imbracciando gli archi e puntandoli verso Derek, che se ne stava<br />
rigido, contratto, i pugni stretti per la rabbia. Da qualche parte<br />
giunse il pianto di una donna; seguì il sibilo di una freccia che veniva<br />
scoccata e subito il lamento tacque. <strong>Il</strong> silenzio nella sala era assoluto.<br />
Sentivo la tensione crescere dentro di me mentre, semiaccecato,<br />
stringevo una ciotola di ferro, obbligandomi a mantenere la calma.<br />
Liam parlò con voce possente perché tutti lo sentissero. «<strong>Il</strong> guaio<br />
delle buone idee e delle buone intenzioni, Derek, è che stimolano la<br />
presunzione. Capisci?» Derek rimase in silenzio. «Se togli le armi ai<br />
tuoi ospiti, sappi che alcuni di loro forse vorranno riaverle. Mi segui?<br />
Forse una volta te ne rendevi conto, sono disposto a riconoscerlo,<br />
ma da allora hai preso brutte abitudini. Otto guardie sono spirate<br />
prima di accorgersi che eravamo venuti a farti visita.»<br />
«Sei un uomo morto, Liam!» rispose Derek levandosi in tutta la<br />
sua statura.<br />
Con gesto drammatico il figlio di Condran levò il braccio che<br />
teneva la spada e volgendosi a metà verso uno degli arcieri che gli<br />
stavano vicino, parlò a voce alta per essere sentito da tutti gli astanti.<br />
«Sentite, sentite! L'uomo morto sono io, mentre lui è sotto la<br />
minaccia delle frecce che fanno sprizzare il sangue dal cuore! Siediti,<br />
re Derek, e sta' zitto. Seduto!» Si piegò in avanti quasi ringhiò<br />
l'ultima parola. Capendo di non poter fare altro, il re si sedette,<br />
obbedendo docilmente all'ordine.<br />
Liam si guardò intorno, passandoci in rassegna uno a uno, a<br />
cominciare dal gruppo <strong>sul</strong>la tavola sopraelevata. Si soffermò su<br />
Connor che lo fissò a sua volta, pur sapendo che una delle guardie di<br />
Liam gli stava alla schiena con la spada sguainata e teneva a bada lui<br />
e Tearlach. Un altro uomo stava dietro a me e Blundyl. Con una<br />
risata di scherno Liam spostò lo sguardo <strong>sul</strong> possente Tearlach, che<br />
sedeva rigido. L'in<strong>sul</strong>to fu troppo per un altro degli uomini di<br />
Connor, che, saltando in piedi con un'imprecazione, fu<br />
istantaneamente trafitto alla gola da una freccia prima ancora di
avere avuto il tempo di proferire parola. Liam ignorò l'interruzione e<br />
continuò a perlustrare la sala tutto intorno, girandosi lentamente<br />
finché non si trovò di nuovo con la faccia alla tavolata. I suoi occhi<br />
allora si fissarono su di me.<br />
«Gran bell'occhio, amico. Devi essere quello che oggi pomeriggio<br />
ha avuto da ridire con i miei uomini. Merlino di Camelot,<br />
benvenuto nel mio avamposto, nel mio nuovo regno, visto che è<br />
compito del sovrano accogliere gli ospiti. Ma mentirei se ti dessi il<br />
benvenuto. Ti alita intorno il fetore dei gaelici di Athol; sarai<br />
bruciato come tutte le sue carogne.» Tacque all'improvviso e si girò a<br />
guardare Derek che aveva imprecato sottovoce. «Che cos'è? Vuoi<br />
dire qualcosa? Le tue ultime parole in qualità di re?»<br />
«Sei pazzo» grugnì Derek. «La mia gente ti annienterà.»<br />
«Annientarmi?» Liam scoppiò in una risata fragorosa, ma subito<br />
l'espressione gli si irrigidì in una maschera di odio. «Quale gente?<br />
Regni su un gregge di pecore, vecchio mio, su una mandria di<br />
bestiame. O sono io che ho sottovalutato le tue migliaia di<br />
coraggiosi nascosti nella foresta? È bastata la metà del mio<br />
equipaggio per conquistare il tuo avamposto. Tre quarti dei miei<br />
stanno facendo bisboccia, disarmati, con i tuoi per ubriacarli e<br />
renderli incapaci di tenersi in piedi. Più tardi, stanotte, quando<br />
saranno tutti incoscienti - i tuoi uomini, non i miei - completeremo la<br />
rivolta. La mia flotta arriverà dopodomani. Puoi dare la colpa a quel<br />
porco del tuo amico Mac Athol e ai suoi scagnozzi se il tuo regno è<br />
durato un giorno di meno. Se non fossero venuti, avresti regnato<br />
fino a domani sera. Che siano presenti e disarmati mentre grufolano<br />
alla tua tavola, è una fortuna inaspettata, imprevista ma assai<br />
gradita.» Si interruppe, mentre la sua voce e il suo viso, con una<br />
straordinaria trasformazione, assunsero ancora una volta<br />
l'espressione di una simulata buona volontà.<br />
«Ecco quello che accadrà di qui a poco. Alcuni miei amici<br />
aspettano con i bambini e con una delle donne portate qui oggi dai<br />
nuovi venuti. Vedo che l'altra donna è tra noi, sicché non manca<br />
nessuno all'appello.» Con un cordiale cenno della testa indicò<br />
Shelagh che, seduta a occhi spalancati vicino a suo marito, lo fissava<br />
con odio. Rivolgendosi di nuovo a Derek, Liam proseguì: «Cerca di
capire il temperamento dei miei uomini. I loro pessimi modi mi<br />
hanno spesso urtato in passato e con i bambini non sono per niente<br />
teneri, è bene farsene una ragione. Sicché dopo che sarai morto tu, il<br />
re decaduto, i tuoi ospiti... per tutti gli dèi, amico, non hai nessun<br />
pudore a sederti a tavola con costoro? I tuoi ospiti verranno con me,<br />
in qualità di ostaggi, in silenzio. Non è così, Connor Mac Athol?».<br />
Senza replicare, Connor si limitò a lanciare un'occhiata di sfida ma<br />
uno degli uomini di Liam, che gli stava alle spalle, gli assestò un<br />
manrovescio che lo mandò a sbattere con la testa <strong>sul</strong>la tavola.<br />
Liam attese che si rimettesse in piedi.<br />
«Non è così, Connor Mac Athol?» Di nuovo silenzio seguito da un<br />
altro manrovescio, questa volta così violento da scuotere l'intera<br />
tavolata quando Connor cadde. Un'altra pausa, e ancora: «Ho detto:<br />
"Non è così, Connor Mac Athol?"».<br />
«In nome di Dio, Connor, rispondigli!» Era Shelagh ad aver<br />
parlato. Connor la fissò per qualche lungo istante, lo sguardo<br />
appannato, quindi annuì in direzione di Liam.<br />
«Che cos'è? Non ti ho sentito.»<br />
Connor mormorò qualcosa e un altro colpo lo fece di nuovo<br />
roteare su se stesso. Questa volta gli ci volle più tempo per<br />
riprendersi; poi con il naso che gli sanguinava, parlò.<br />
«Sì, è così, Liam, figlio di Condran.»<br />
«Bene! Bene, bene. Vedi, Derek. Lo sapevo di avere ragione.» Si<br />
voltò rivolgendosi agli astanti. «La feccia di Mac Athol ci seguirà,<br />
ostaggi nelle nostre mani. Gli altri rimarranno qui a tenere<br />
compagnia ai miei uomini e accertarsi che il sonno di nessuno sia<br />
turbato prima di giorno. Domani avrete tutto il tempo per pensare a<br />
come accogliermi nel ruolo di re.»<br />
Si volse verso di noi e puntò la spada contro Donuil.<br />
«Tu, che sei grande e grosso, mettiti, vicino a tuo fratello gambadi-legno.<br />
Sbrigati!» Sotto la minaccia delle frecce pronte a scoccare,<br />
Donuil si mosse per obbedire e si avvicinò alla nostra tavola, seguito<br />
dagli occhi attenti di numerosi arcieri che tenevano le armi<br />
impugnate. Uno di costoro era lo stesso che poco prima aveva avuto
sotto mira Derek.<br />
Lo sguardo di Liam si volse a Shelagh. «Tu, sgualdrina, vieni qui.»<br />
Shelagh si levò in piedi, poi si mosse lentamente lungo il corridoio<br />
centrale fermandosi a circa dieci passi da lui. «Avvicinati!» Lei avanzò<br />
di un passo, quasi esitante, e mentre così faceva, mi sentii il cuore<br />
balzare in petto, intuendo quello che sarebbe seguito. «Fermati!<br />
Inginocchiati!»<br />
Lentamente, con movimento aggraziato, la schiena rivolta a noi,<br />
le spalle rigide, la testa alta, Shelagh si mise in ginocchio. Liam la fissò<br />
con sguardo compiaciuto.<br />
«Sei una bella sgualdrina, eh? Alza le sottane, vediamo quello che<br />
hai tra le gambe.» Lanciò un'occhiata feroce a Donuil e a Connor.<br />
«Guarda quei due» disse e tornò a scrutare Shelagh. «Allora? Mi fai<br />
aspettare?»<br />
Chinando la testa, Shelagh si fletté per raccogliere la gonna,<br />
quindi la levò lentamente e deliberatamente fino alla vita e,<br />
portando le mani dietro la schiena, tese la veste <strong>sul</strong> ventre. Non<br />
erano soltanto gli occhi di Liam a seguire i suoi movimenti: anche gli<br />
arcieri avevano distolto lo sguardo dai loro bersagli e la fissavano<br />
con intenzione licenziosa. Osservai Donuil, lo vidi fare uno sforzo<br />
per trattenersi dal digrignare i denti all'oltraggio perpetuato contro<br />
sua moglie. Sorprendentemente fu Derek a sbottare per primo e a<br />
balzare in piedi. «Animale!» ruggì.<br />
Gli occhi di Liam guizzarono verso la grande tavola e con un<br />
gesto rapido fece segno all'arciere <strong>sul</strong>la sua destra, che<br />
immediatamente lasciò partire la freccia. Mentre la micidiale arma<br />
volava verso il petto di Derek, io levai la ciotola di ferro <strong>sul</strong> torace<br />
del re, grato di non dovermi difendere da uno dei lunghi e terribili<br />
archi di Pendragon.<br />
La freccia colpì con violenza la ciotola e nell'impatto ne strappò il<br />
manico che finì sferragliante per terra. Derek fu spinto all'indietro,<br />
<strong>sul</strong>la sedia, contuso ma vivo.<br />
Liam sgranò gli occhi. Spalancò le braccia scoppiando<br />
selvaggiamente a ridere proprio mentre Shelagh con un movimento<br />
subitaneo del braccio afferrò uno dei suoi coltelli dalla cintura dietro
la schiena e lanciandolo a folle velocità lo colpì al collo. Liam ebbe<br />
un sus<strong>sul</strong>to spasmodico, le braccia e le gambe si contraevano a scatti<br />
come fosse preda delle convulsioni; il mento gli cadde<br />
<strong>sul</strong>l'impugnatura del coltello che sporgeva dalla gola. La spada gli<br />
sfuggì di mano e Shelagh, prontamente afferratala, la brandì contro<br />
l'uomo vicino a Liam, un arciere che non aveva avuto il tempo di<br />
afferrare un'altra freccia e ora con orrore fissava sgomento l'uomo<br />
colpito, il suo capitano. Si accasciò, cercando inutilmente di afferrare<br />
la lama che lo trafiggeva.<br />
Liam, nel frattempo, si rifiutava di morire. A gambe rigide, mentre<br />
il sangue gli gorgogliava nella gola, barcollava vistosamente, gli occhi<br />
che schizzavano dalle orbite, la lingua che sporgeva dalla bocca<br />
aperta, le braccia che freneticamente si agitavano nel tentativo di<br />
restare in piedi e in vita. Roteò su se stesso, volgendosi alla folla che<br />
gli stava dietro, a braccia spalancate e le spalle quasi comicamente<br />
ondeggianti nello sforzo di non abbattersi. Poi cadde, a faccia in giù.<br />
I suoi uomini lo fissavano attoniti, sbigottiti dalla rapidità con cui<br />
era caduto il loro condottiero. Non così noi.<br />
Donuil, Connor, Feargus e Logan avevano intuito quello che<br />
sarebbe accaduto quando Shelagh era avanzata, ed erano insorti con<br />
violenza ancora prima che venisse percepito il suo gesto. Con un<br />
movimento vorticoso Connor affondò il suo pugnale nel petto della<br />
guardia che lo aveva ripetutamente colpito. Donuil si levò<br />
afferrando il bordo della pesante tavola, capovolgendola e<br />
gettandola a terra ai piedi della piattaforma sopraelevata. Afferrai la<br />
ciotola di ferro e l'abbattei <strong>sul</strong>la testa dell'altra guardia che in quel<br />
momento affrontava Blundyl.<br />
Si erano gettati contro il nemico anche Logan, Feargus, Dedalo,<br />
Rufio e Sean, e mentre lottavano, altri si riscossero, rabbiosi e assetati<br />
di vendetta, brandendo i coltelli che avevano usato per mangiare.<br />
Gli uomini di Liam, che fino a pochi attimi prima erano stati i<br />
padroni, ora si trovavano assaliti e sopraffatti da ogni parte, impediti<br />
dalla mancanza di spazio, gli archi e le frecce divenuti<br />
improvvisamente inutili. Caos: ecco l'unica parola adatta a descrivere<br />
la scena, ma in brevissimo tempo la confusione si placò, così quando<br />
le guardie rimaste all'esterno spalancarono le porte, furono afferrate,
sopraffatte e massacrate, come i loro compagni, con le loro stesse<br />
armi.<br />
Derek, levatosi, respirava con fatica e si strofinava il petto. Nel<br />
frattempo Donuil, avvicinatosi a Shelagh, l'aveva presa tra le braccia,<br />
serrandola a sé, e lei era piegata all'indietro nella stretta. Fu Connor<br />
a raggiungere le porte e a chiuderle, imponendo l'ordine con tutta la<br />
voce che aveva in corpo. <strong>Il</strong> tempo di voltarmi, ed era già balzato su<br />
una tavola, guardando dall'alto gli astanti. Nel silenzio che seguì,<br />
percepii l'intensità del suo sguardo che si spostava da Derek a me.<br />
«Come sta il re, Merlino?» Sapevo quello che voleva. Eravamo<br />
nella casa di Derek, e spettava a lui prendere le decisioni e dare le<br />
disposizioni. Mi volsi a lui, che colse il mio sguardo e lesse<br />
l'espressione nei miei occhi. Inghiottì, il viso gli si contrasse in una<br />
smorfia per il dolore che sentiva al petto, agitò una mano nella mia<br />
direzione con gesto perentorio a significarmi che capiva quello che<br />
stava succedendo e che andava fatto.<br />
«Non è ancora pronto» dissi ad alta voce a Connor. «Organizza tu<br />
ogni cosa. Non c'è tempo da perdere.»<br />
Non se lo fece dire due volte. Mandò sei uomini ad accertarsi che<br />
non ci fossero altri uomini di Liam dietro la porta. Raccomandò loro<br />
di stare all'erta perché nessuno scappasse a dare l'allarme, e di<br />
muoversi con cautela per non attirare l'attenzione. Poi parlando in<br />
fretta e contando i punti <strong>sul</strong>le dita di una mano, ci prospettò la<br />
situazione.<br />
Le probabilità a breve termine ci sarebbero state propizie, disse, se<br />
ci fossimo mossi rapidamente e senza chiasso sfruttando il<br />
disorientamento dell'avversario. Disse che probabilmente eravamo<br />
soli nella fortezza, salvo pochi altri uomini di Liam, quelli che<br />
tenevano in ostaggio i bambini e custodivano le armi nel magazzino<br />
a ciò destinato nell'adiacente edificio. Era probabile che i rinforzi del<br />
nemico si trovassero al di fuori delle mura, nella parte della città che<br />
lì si sviluppava, attenti a nascondere il tradimento che il loro<br />
capitano aveva avuto l'intenzione di perpetrare. Per ammissione<br />
dello stesso Liam, ci ricordò, erano disarmati, privi di una guida, e<br />
tali sarebbero rimasti finché non fosse stata annunciata la morte del<br />
loro comandante. Dovevamo sfruttare quell'intervallo di tempo.
Le armi, tolte ai morti, furono distribuite tra l'equipaggio di Mac<br />
Athol e gli uomini di Derek. Connor ne scelse venti che, agli ordini di<br />
Donuil e Shelagh, sarebbero andati dai bambini per portarli al sicuro<br />
<strong>sul</strong>la galea e avrebbero provveduto a impossessarsi delle due navi di<br />
Liam. Mentre il primo gruppo si allontanava, un secondo gruppo di<br />
venti uomini comandati da Tearlach, ebbe il compito di andare al<br />
magazzino delle armi, muovendosi con tutta la cautela possibile.<br />
Quando anche costoro se ne furono andati, Connor diede ordini<br />
precisi alle forze rimanenti di raggiungere la città esterna, delegando<br />
il potere ad alcuni che conoscevano bene la località. Quelli di noi<br />
che, venendo da Camelot, non avevano familiarità con la zona<br />
erano tenuti a eseguire gli ordini. Non appena avessimo raggiunto il<br />
deposito delle armi, ciascuno di noi avrebbe preso almeno tre spade,<br />
due in mano e una allacciata al fianco. Ci saremmo quindi suddivisi<br />
in quattro gruppi condotti rispettivamente da lui stesso, Connor,<br />
Derek, Blundyl e Owen. Avremmo attraversato la città e consegnato<br />
le armi ai nostri mano a mano che li avessimo incontrati. Tearlach e<br />
una ventina di guardie sarebbero rimaste nell'edificio degli uffici<br />
amministrativi, con il compito di vegliare se mai qualche fedele di<br />
Liam intendesse attaccare, e di facilitare la distribuzione delle armi ai<br />
nostri.<br />
Connor aveva appena finito di delineare questa strategia quando<br />
arrivò un messaggero mandato da Tearlach con l'annuncio che i suoi<br />
uomini avevano avuto la meglio sui nemici e che ora avevano il<br />
possesso dell'armeria. Avevano trovato quattordici seguaci di Liam e<br />
avevano perduto sette dei loro nello scontro per riconquistare<br />
l'edificio. Era stata una dura battaglia. Pochi istanti più tardi venne la<br />
notizia, inoltrata a noi da Shelagh, che i bambini erano al sicuro, sani<br />
e salvi.<br />
Mi unii al gruppo di Derek, e nelle successive ore fummo<br />
impegnati nel cruento compito di ristabilire l'autorità del legittimo<br />
sovrano nel suo regno. Fu uno scontro amaro, ma avendo preso<br />
l'iniziativa, andammo fino in fondo. In capo a un'ora sapevamo di<br />
avere la vittoria in mano. Gli usurpatori si batterono con<br />
accanimento, pur sapendo che il complotto era fallito e che il loro<br />
principe era caduto. Combatterono con la follia suicida della<br />
disperazione, rifiutando di arrendersi e spesso lottando a mani nude
nell'oscurità contro uomini che brandivano spietatamente la spada,<br />
desiderosi di vendetta dopo il tradimento.<br />
Ci trovammo a un certo momento ai margini della città, vicino<br />
alla taverna dove per la prima volta avevo scorto l'uomo dalla<br />
tunica gialla. Qualcuno doveva avere rovesciato una lampada e ora<br />
le fiamme che avvolgevano la taverna illuminavano la notte scura.<br />
Mentre ci avvicinavamo, un gruppetto di uomini, sbucato da uno<br />
stretto pertugio tra due edifici, si gettò su di noi; li scorgemmo<br />
soltanto quando ci furono addosso e ci accingemmo subito<br />
all'attacco. Erano in cinque e noi solo quattro, ma dietro seguivano<br />
altri dei nostri. Uno di loro mi si avvicinò, la bocca spalancata in un<br />
urlo, i denti luccicanti, brandendo un'ascia. Mi assalì impugnando<br />
l'arma con l'intenzione di abbatterla <strong>sul</strong>la mia spalla e squarciarmi<br />
fino al petto. Evitai il colpo lanciandomi in avanti <strong>sul</strong>la sinistra, e lo<br />
infilzai con la spada. <strong>Il</strong> peso del suo corpo mi trascinò a terra, e<br />
mentre cercavo di liberare la lama spingendolo con il piede, vidi<br />
Derek che, rotolato a terra, con le mani tentava di allontanare il<br />
coltello che un altro gli puntava alla gola. Li raggiunsi e con un calcio<br />
allontanai l'assalitore finendolo subito dopo con un fendente.<br />
Rimanemmo soli, io e Derek, nella strada, ansimando e guardandoci<br />
intorno.<br />
Sentimmo un rumore che proveniva da un vicolo buio lì vicino;<br />
prima di avviarmi in quella direzione mi fermai per accertarmi che<br />
Derek, rimessosi in piedi, fosse incolume. Più ansimante di me,<br />
piegato in due, cercava di prendere fiato, ma con un cenno della<br />
mano mi fece segno che stava abbastanza bene e sentii che mi<br />
seguiva mentre correvo verso il luogo da cui proveniva il rumore.<br />
Ma per quella notte non avremmo più combattuto. Era caduto il<br />
silenzio prima che raggiungessimo l'estremità del vicolo, e vi<br />
incontrammo alcuni dei nostri che si radunavano, congratulandosi<br />
per la vittoria.<br />
Ritornammo immediatamente alla taverna in fiamme. Derek<br />
temeva che il fuoco potesse appiccarsi anche agli edifici circostanti,<br />
ma per fortuna non ce n'erano di sufficientemente vicini. Mentre<br />
osservavamo l'incendio e contavamo i corpi visibili al chiarore del<br />
fuoco, cominciò a piovere fittamente. La pioggia, all'inizio<br />
rinfrescante, divenne ben presto una maledizione.
Ci fu di sollievo constatare che i combattimenti erano finiti e<br />
l'ordine era stato restaurato dappertutto. La nostra era stata l'ultima<br />
schermaglia; a Ravenglass non c'erano altri Figli di Condran in grado<br />
di nuocere.<br />
Subito dopo organizzammo dei gruppetti per soccorrere i feriti,<br />
raccogliere i cadaveri e trasportarli sotto la pioggia ormai torrenziale<br />
in una zona designata, in prossimità delle terme. Mentre eravamo<br />
così occupati, Rufio ci avvertì che Lucano aveva allestito una specie<br />
di infermeria temporanea nel cortile centrale dell'edificio<br />
amministrativo. Derek immediatamente dette disposizioni affinché i<br />
feriti in grado di camminare si dirigessero lì in cerca di assistenza, e<br />
agli altri tre comandanti inviò messaggeri perché nominassero tra i<br />
loro uomini alcuni portantini per trasportare i più gravi nell'ospedale<br />
improvvisato. Dei pochi sopravvissuti della gente di Liam nessuno<br />
era in grado di camminare; erano tutti in gravi condizioni o<br />
agonizzanti.<br />
Alla fine, quando fummo sicuri di aver fatto tutto il possibile, io e<br />
Derek andammo a cercare Connor. Lo trovammo dove avevo<br />
previsto, <strong>sul</strong> molo, a con<strong>sul</strong>tarsi con i suoi nostromi, Tearlach,<br />
Feargus e Logan. Vedendoci arrivare, li congedò, si aggiustò <strong>sul</strong>le<br />
spalle il mantello zuppo di pioggia e con una smorfia annusò l'aria.<br />
«Esiste in questa città un luogo asciutto?» ci chiese non appena<br />
fummo a tiro di voce.<br />
«Sì, esiste, e proprio lì eravamo diretti» rispose Derek. «A casa mia.<br />
L'avranno rimessa in ordine nel frattempo, ma se anche non fosse<br />
così, ci sono stanze dove non si sono compiuti massacri. Seguiteci;<br />
abbiamo diverse cose da discutere.»<br />
Poco dopo, contenti di notare che i cadaveri erano stati levati<br />
dalla sala del banchetto, che era stato lavato il sangue ed era stata<br />
sparsa paglia fresca, Derek ci fece strada verso un'accogliente saletta<br />
della sua abitazione rischiarata da un bel fuoco che scoppiettava nel<br />
focolare. Dopo che ci fummo tolti le vesti zuppe di pioggia e raccolti<br />
intorno alle fiamme, stringendo in mano un boccale di idromele, il<br />
re non perse tempo per arrivare al punto.<br />
«Non ve ne andrete domattina, spero.»
Seduto nel mezzo, Connor mi lanciò un'occhiata ammiccante<br />
prima di volgersi al re. «Perché no? Niente ci trattiene qui, vero?»<br />
Derek ebbe la grazia di arrossire per l'imbarazzo. «No, immagino<br />
di no....» Io e Connor restammo in silenzio. «Ma... mi auguro che<br />
rimaniate.»<br />
«Per altri due giorni, vuoi dire? In attesa che arrivi la flotta di<br />
Liam?»<br />
«Sono nemici vostri non meno che miei.»<br />
«Vero, ma soprattutto tuoi, Derek.» Connor annuì con aria saggia.<br />
«Sono miei nemici da anni e a modo mio so come trattarli. Sono stati<br />
tuoi nemici soltanto per poche ore. È stata una fortuna per te e per il<br />
tuo popolo che noi fossimo qui oggi. Ammetti che non ci hai<br />
incoraggiati a rimanere. Esiste una flotta: almeno trenta navi contro<br />
le mie tre galee. Se, come tu hai suggerito, ce ne andiamo domani<br />
con la marea, saremo lontani prima che all'orizzonte si profilino le<br />
loro imbarcazioni.»<br />
«Cinque, se rimarrai.»<br />
«Cosa?»<br />
«Cinque galee. Le due di Liam ora sono mie. Te le darò se mi<br />
aiuterai.»<br />
«Una proposta allettante, ammetto, anche se sono stati i miei<br />
uomini a conquistarle. Ma si tratta sempre di cinque galee con<br />
l'equipaggio di tre contro trenta...» Fece una smorfia e scosse la testa.<br />
Derek, alzatosi, andava avanti e indietro. «Senti, non ho bisogno<br />
delle tue galee, ma dei tuoi uomini che, dall'alto delle mura, tengano<br />
lontano il nemico.»<br />
«Non ti capisco.» Connor era accigliato. «Vuoi che io mandi i miei<br />
uomini <strong>sul</strong>le mura e lasci le galee vuote nel porto, pronte a essere<br />
incendiate?»<br />
«Non saranno incendiate.»<br />
«Come puoi dirlo?» <strong>Il</strong> tono di Connor era sprezzante. «Sono di<br />
legno stagionato. Non hai mai visto quello che possono fare a una<br />
nave le frecce impeciate scagliate in fiamme? No, Derek, stai<br />
chiedendo troppo. Non abbandonerò le mie navi.»
«Le nasconderemo! Abbiamo tutta la giornata di domani per<br />
provvedere. Conosco un'insenatura, il nascondiglio ideale, invisibile<br />
dal mare, protetto dai venti; una spiaggia dove la marea sale alta. Le<br />
tue galee saranno al sicuro per tutto il tempo che vorrai; nessuno<br />
saprà dove si trovano.»<br />
Connor rimase a riflettere per qualche momento, poi emise un<br />
breve sospiro. «Quanto dista l'insenatura? Posso andarci domani a<br />
vedere con i miei occhi? Quando si tratta delle mie galee, non<br />
accetto niente <strong>sul</strong>la fiducia.»<br />
«Sì, puoi andare a controllare. Non è lontano. Meno di due<br />
miglia lungo la costa verso sud, invisibile dal mare aperto. Lo so con<br />
certezza perché neppure io avrei scorto l'insenatura, se non avessi<br />
saputo dove cercare.»<br />
Connor era incerto. «Non mi va di lasciare lì le mie navi, senza<br />
nessuno che vi faccia la guardia. Ci vogliono anni per costruire una<br />
galea, ma bastano pochi attimi per incendiarla e distruggerla.» Si<br />
interruppe, era chiaro che aveva preso una decisione. «Se<br />
acconsento, come faranno i miei uomini a tornare qui?»<br />
«Li trasporteremo sui nostri pescherecci.»<br />
Connor si volse a me. «Che ne pensi, Merlino?»<br />
Mi strinsi nelle spalle. «Mi è venuta un'idea. Supponiamo di<br />
riuscire a convincere i nemici ad allontanarsi perché capiscono di non<br />
poter conquistare la fortezza dal mare. Che cosa faranno allora?<br />
Torneranno indietro? Sì, se sapranno che Liam, il loro capitano, è<br />
morto. Ma lo sapranno?» I due uomini mi fissavano attoniti, privi di<br />
espressione. «Pensateci! Liam è morto. Lo sappiamo. Ma voi<br />
progettate di mettere al sicuro le sue galee, l'unico segno che<br />
indicherebbe alla flotta in arrivo che lui è qui. Allontanando le<br />
imbarcazioni, si nasconde la prova della sua presenza e della sua<br />
sconfitta. Non vedendo le galee, i suoi uomini, convinti che sia<br />
immortale, lo credeva lui stesso, concluderanno che per qualche<br />
ragione abbia cambiato i piani e posposto l'attacco. Certamente<br />
avranno almeno un bravo capitano, qualcuno abbastanza perspicace<br />
da capire che la dilazione del piano - un piano, notate bene, che<br />
comportava il tradimento - significa che perdurano i rapporti di<br />
amicizia tra Liam e Ravenglass. Non avranno motivo di avvicinarsi.
Riprenderanno il largo e andranno a cercarlo altrove, credendolo<br />
nelle vicinanze. Setacceranno la costa verso nord e verso sud, alla<br />
ricerca di un nascondiglio del tipo che hai descritto. Troveranno le<br />
tue galee.»<br />
«Sì» ammise Connor che mi fissava stringendo gli occhi. «Hai un<br />
modo sottile di ragionare. Sono contento che tu non mi sia nemico.<br />
Non ho obiezioni da muovere alla tua ipotesi. <strong>Il</strong> che vuole dire che<br />
le galee di Liam devono restare qui e correre il rischio di essere<br />
distrutte o riconquistate. Sono l'esca per attirare il nemico.» Si grattò<br />
il mento. «Sono contento di avertelo chiesto, ma non era questo il<br />
motivo per cui ti ho incitato a dire quello che pensi. Tu hai il tuo<br />
carico di responsabilità; il giuramento fatto a mio padre mi impegna<br />
ad aiutarti incondizionatamente. Per questo siamo qui. Ma la<br />
faccenda della flotta di Liam è troppo pericolosa e certamente non è<br />
di tua competenza.»<br />
«Aspettate!» Entrambi ci volgemmo verso Derek che rosso in<br />
faccia pareva a disagio. «Prima di rispondere, Merlino, ascolta quello<br />
che ho da dirti. Non mi è stato facile oggi spiegarti i motivi che mi<br />
inducevano a rifiutarti l'accoglienza nel mio regno e credo che tu<br />
abbia capito le mie ragioni.»<br />
«Sì, le ho capite.»<br />
«Nel frattempo, dopo il tradimento perpetrato dai Figli di<br />
Condran, sono cambiate.» Rimasi in silenzio aspettando il seguito.<br />
Derek raddrizzò le spalle, lanciando un'occhiata a Connor. «Hai<br />
parlato di dovere, dell'impegno che hai verso Merlino. Ne ero<br />
all'oscuro. Perché Athol Mac Iain è in debito di gratitudine verso<br />
Camelot?»<br />
Connor era impassibile; fui io a rispondere. «Nessun debito di<br />
gratitudine. Gli sta a cuore l'incolumità del ragazzo affidato alle mie<br />
cure.»<br />
«Perché?» <strong>Il</strong> viso di Derek tradiva la curiosità.<br />
«Che cosa vuoi sapere?» intervenne Connor con voce secca, quasi<br />
ironica.<br />
«Voglio sapere se Athol ha per il ragazzo un semplice<br />
attaccamento affettivo oppure se, in quanto re, lo considera sotto la
propria protezione. Non c'è motivo per non dirmelo; la faccenda<br />
con i Figli di Condran rischia di essere un disastro per la mia gente e<br />
il mio regno. Sono cose che non sapevo quando siete arrivati e che<br />
cambiano la situazione. Mi serve un alleato ora, un alleato forte con<br />
una flotta di galee. Se, come mi è stato chiesto, offro la mia<br />
protezione a Merlino e al ragazzo, posso chiedervi in cambio, quale<br />
parte del nostro patto, di proteggere la mia gente? Ecco quello che<br />
voglio sapere.»<br />
«Ti riferisci al futuro, non a dopodomani quando arriveranno le<br />
galee di Liam. Per fronteggiarle il nostro aiuto ti è essenziale.»<br />
«Sì.»<br />
Connor sospirò a fondo e disse a denti stretti: «Ho la sensazione<br />
che sia tua intenzione farmi sudare il possesso di quelle due galee».<br />
Derek parve <strong>sul</strong> punto di sorridere. «Sono le migliori di Condran.<br />
E non sono state danneggiate.»<br />
«No, grazie a te.» Connor mi guardò. «Su ciascuna si trovavano<br />
alcuni uomini dell'equipaggio. Hanno cercato di incendiarle quando<br />
ci hanno visti arrivare. Per poco non ci sono riusciti.» Si volse a<br />
Derek. «<strong>Il</strong> patto, soprattutto per quanto riguarda l'aiuto che vorrai<br />
ottenere in futuro, è troppo sbilanciato a tuo vantaggio. Se accetto,<br />
dove alloggerai Merlino e la sua gente? Se la tua condizione è<br />
cambiata, sono cambiate anche le esigenze della loro sicurezza.»<br />
«Lo so.» Volgendosi a me, Derek mi chiese: «Quante persone sono<br />
nel tuo gruppo?».<br />
«Diciotto.»<br />
Mi fissò a lungo, poi annuendo lentamente disse: «Ho il posto<br />
ideale, credo».<br />
Quando fu chiaro che non avrebbe aggiunto altro di sua<br />
iniziativa, intervenne Connor: «Un altro posto ideale? Dove? Hai<br />
una casa idonea?».<br />
«Ho una fortezza idonea.» Si levò per aggiungere un po' di legna<br />
al fuoco e, quando fu sicuro che le fiamme avevano ripreso vigore,<br />
ritornò a sedersi.<br />
«La strada che esce dalla nostra città è il decimum iter. Non vi dice
niente?» Scuotemmo la testa e lui sorrise, rivolgendosi a me. «Una<br />
volta mi hai detto che conoscevi la Britannia, almeno la parte<br />
romana, ma ora ti posso dire una cosa che non conoscevi. <strong>Il</strong><br />
decimum iter è l'unica strada in tutta la regione che dalla costa<br />
penetra verso l'interno. Era importantissima per i Romani; la<br />
costruirono dopo che ebbero abbandonato il vallo in Caledonia.»<br />
«<strong>Il</strong> vallo di Antonino.»<br />
«Sì. Costruirono allora il decimum iter, per trasportare i<br />
rifornimenti a Ravenglass, che chiamavano Glannaventa.<br />
Attraversava la brulla regione montana e arrivava a Galava, che vuol<br />
dire "presso la corrente vigorosa", il torrente Amble. La strada, lunga<br />
trenta miglia romane, aveva tre forti: uno a ciascuna delle due<br />
estremità e un altro che chiamavano Mediobogdum - non<br />
chiedetemi che cosa significa - nel mezzo, su un altopiano <strong>sul</strong>la<br />
sommità del più alto dei passi della regione.»<br />
«Significa "alla curva del fiume". Non è su un fiume?»<br />
«No, è in cima a una montagna, ma nella valle sottostante scorre<br />
un fiume, l'Esk, e disegna un'ansa intorno al forte, è vero. <strong>Il</strong> forte era<br />
un accampamento estivo delle guarnigioni; non era usato d'inverno,<br />
perché la strada era impraticabile.» Spostò lo sguardo dall'uno<br />
all'altro di noi. «<strong>Il</strong> che vuol dire che nessuna comunità si è stanziata<br />
nei dintorni. Chi mai vorrebbe vivere lì per tutto l'anno? Spinti dalle<br />
vostre particolari ragioni, voi potreste insediarvi lì, ma sareste i primi<br />
da duecento anni a questa parte, stando ai nostri druidi. Dista da qui<br />
circa dieci miglia, ed è abbandonato a memoria d'uomo. Penso<br />
tuttavia che con un po' di buona volontà e di duro lavoro si<br />
potrebbe renderlo abitabile. Vi andai l'estate scorsa e vi trascorsi due<br />
notti. Le mura sono solide - quasi tutte costruite con la pietra del<br />
posto - e alcuni edifici sono provvisti di un robusto tetto. C'è<br />
abbondanza di acqua e di legname; esistono perfino le terme, ma<br />
non so come siano ridotte. La località è protetta da alte cime e fitte<br />
foreste; oggi pochi percorrono la strada... se ne servono quelli che<br />
vengono dall'interno. Nessuno la imbocca da qui, tranne in estate,<br />
quando <strong>sul</strong> passo mandiamo un piccolo reparto di guardie a vigilare<br />
contro eventuali incursioni dall'interno. Da più di vent'anni è tutto<br />
tranquillo.»
Connor mi guardava, le labbra strette. «Che ne dici?»<br />
«Vorrei vederlo. Potrebbe essere utile» risposi stringendomi nelle<br />
spalle.<br />
«Ecco quello che faremo» propose Connor dopo un momento di<br />
silenzio. «Domani, Derek, mi assegnerai un uomo che mi conduca<br />
nell'insenatura dove nascondere le galee. Prenderemo soltanto le<br />
nostre tre e lasceremo quelle di Liam al molo perché la sua flotta<br />
possa vederle. Ci basterà portare con noi metà dell'equipaggio. Se<br />
l'insenatura mi sembrerà sicura e nascosta come mi garantisci, vi<br />
lasceremo le navi. I tuoi pescherecci riporteranno indietro gli uomini.<br />
Quando arriveranno gli scagnozzi di Liam, scorgendo le galee del<br />
loro ammiraglio, saranno sicuri che si trovi qui. Ma lo vedranno il<br />
loro maledetto ammiraglio... voglio esserne sicuro.» Tamburellò le<br />
dita <strong>sul</strong>le labbra, tenendo fissi gli occhi su di me, mentre i pensieri<br />
seguivano un loro corso.<br />
«Derek, durante la mia ultima visita, Blundyl mi ha portato in giro<br />
e mi ha mostrato molte cose straordinarie. Una di queste, la ricordo<br />
distintamente, era un vecchio deposito per imbarcazioni da carico,<br />
ancora solido e al sicuro dalle intemperie, oltre l'estremità delle mura<br />
occidentali, di fronte al porto. Era zeppo di catene di ferro<br />
arrugginite, forgiate a mano, cose enormi. Te ne ricordi?»<br />
«Sì, le avevano fabbricate i Romani. Le usavano per legare insieme<br />
i grandi tronchi e farne una barriera galleggiante contro gli attacchi<br />
di sorpresa. Un altro deposito simile sorge alla estremità opposta<br />
delle mura.»<br />
«Le catene sono ancora lì?»<br />
«Sì, da anni. Non ne abbiamo avuto bisogno finora, ma le<br />
abbiamo tenute in previsione di qualche eventualità futura. Vuoi<br />
usarle? Ricostruire la barriera galleggiante? Non abbiamo il tempo.<br />
Dovremmo abbattere gli alberi.»<br />
«No, voglio agganciarle le une alle altre e farle correre lungo le<br />
mura antistanti il porto, saldandole alla costruzione con pesanti<br />
picche. Vi appenderemo in bella vista i cadaveri dei Figli di Condran<br />
che abbiamo ucciso la notte scorsa, con Liam nel mezzo; sarà la<br />
prima cosa che i nostri visitatori scorgeranno all'arrivo. Un brutto
colpo. Capiranno che le mura sono ben difese, i miei cento uomini<br />
oltre ai tuoi. Saranno troppo lontani per riconoscerci e dedurranno<br />
che sono le tue truppe. Se si avvicineranno, li accoglieremo con<br />
frecce infuocate. Ho visto qualche catapulta romana <strong>sul</strong>le mura:<br />
sono ancora utilizzabili?» Derek annuì. «Bene, assicurati che per<br />
domani gli ingranaggi siano ingrassati e rimessi in efficienza. Vi<br />
aiuterà Merlino. Se ne intende di queste macchine. La flotta di Liam<br />
arriverà il giorno dopo, all'alba; l'equipaggio sarà convinto che la<br />
città è già stata conquistata. Li spaventeremo al punto che se ne<br />
andranno con la coda tra le gambe portando la notizia della morte<br />
di Liam. Non torneranno presto e se lo faranno, scopriranno che<br />
Mac Athol segue i loro movimenti. Non appena avranno girato la<br />
prua, porterai me e Merlino a vedere questo tuo forte. Come hai<br />
detto che si chiama?»<br />
«Mediobogdum. »<br />
«Siamo d'accordo?»<br />
«Sì.» Ciascuno di noi si sputò <strong>sul</strong> palmo della mano e toccò i palmi<br />
degli altri per sigillare il patto. Poco prima dell'alba, sporco e stanco,<br />
mi avviai verso la branda e vi caddi riverso. Malgrado la<br />
spossatezza, non mi addormentai istantaneamente, ma riandai agli<br />
eventi di quella notte, riflettendo su come le cose della vita<br />
cambiano continuamente senza mai rimanere fisse per un intervallo<br />
significativo di tempo. Rividi Liam che moriva mentre un fiotto di<br />
sangue gli zampillava dalla bocca. L'ultima cosa che percepii fu, ben<br />
nascosto sotto il cuscino, il coltello che mi aveva dato Shelagh.
IV.<br />
La pioggia, che era andata attenuandosi nel corso della mattinata,<br />
cessò del tutto poco prima di mezzogiorno. Mi tirai indietro il<br />
cappuccio e mi passai le dita tra i capelli, gustando l'aria fresca <strong>sul</strong>la<br />
testa.<br />
Vicino a me Shelagh, pensosa, si succhiava il labbro. I due uomini<br />
che mi avevano aiutato aspettavano in silenzio ulteriori istruzioni.<br />
«Non è qui» disse Shelagh.<br />
«Come fai a saperlo?» le chiesi voltandomi verso di lei e<br />
scuotendo la testa.<br />
«Lo so.»<br />
«Come, Shelagh? Come fai a saperlo, quando non lo so io stesso?<br />
Non so neanche chi sto cercando. Sono sicuro solo di una cosa: non<br />
sono in grado di identificarlo.»<br />
Shelagh mi lanciò un'occhiata, senza aggiungere altro. Eravamo<br />
nelle terme, vicino ai mucchi di cadaveri dei Figli di Condran, uccisi<br />
negli scontri della notte precedente, ammassati l'uno <strong>sul</strong>l'altro e<br />
fradici di pioggia. Ero rimasto stranamente indifferente alla vista di<br />
quella carneficina, perfino quando i corpi venivano rivoltati a faccia<br />
in su per darci la possibilità di riconoscerli. La pioggia, alla quale<br />
erano rimasti esposti per ore, aveva tolto a quei visi ogni espressione<br />
di umanità, lasciandoli cerei e pallidi dopo avere lavato via i grumi<br />
di sangue rappreso.<br />
I caduti di Ravenglass e di Connor - non c'erano stati morti tra gli<br />
uomini di Camelot, e per questo ringraziavo Dio – erano stati portati<br />
in un rifugio dietro le terme. I corpi, coperti di sangue, suscitavano<br />
maggiore pietà.<br />
Avevo esaminato ogni cadavere e avevo contato - perdendo<br />
talvolta il conteggio - tra i centocinquanta e i centosessanta morti. I<br />
primi ventisei erano stati uccisi da noi all'inizio dell'attacco. Non<br />
pensavo che vi avrei trovato l'uomo dalla tunica gialla, ma sapevo di
potermi sbagliare. Scossi la testa.<br />
«E se si fosse cambiato d'abito sapendo che avrei potuto<br />
riconoscerlo? In tal caso il suo corpo potrebbe essere uno qualsiasi di<br />
questi. Non l'ho visto bene in faccia. Gli sono stato vicino solo<br />
quando si è voltato per sgattaiolare via, e anche allora ho scorto la<br />
tunica, nient'altro.»<br />
«Lo credi probabile? Io no.»<br />
«Perché no? Mi sembra abbastanza logico.»<br />
«No, no, nient'affatto» disse scuotendo la testa. «Lo stai<br />
sopravvalutando, Merlino. Non è così perspicace. Scappando, ha<br />
attirato la tua attenzione. Uno più astuto ti sarebbe passato vicino<br />
con indifferenza, ignorandoti, senza farsi notare. Lui è scappato<br />
perché credeva che lo avessi riconosciuto. Lui, non il suo abito. Se<br />
era convinto di questo, perché avrebbe dovuto cambiarsi la tunica?<br />
Lo avresti individuato lo stesso. Tu qui non hai riconosciuto nessuno;<br />
perciò il tuo uomo, chiunque sia, non è tra i morti.»<br />
«<strong>Il</strong> che vuol dire che è vivo.»<br />
«Sì, e potrebbe in questo momento trovarsi dovunque nel raggio<br />
di un giorno di cammino. Molto astuto da parte tua, Merlino.»<br />
Le lanciai un'occhiata di sbieco. «Tieni a freno la lingua, donna, se<br />
non vuoi che dica a tuo marito di darti una scudisciata.»<br />
Emise un fischio di incredulità, quindi sorrise pudicamente e agitò<br />
le lunghe ciglia prima di abbassare la testa con finta docilità,<br />
imperturbabile, come me, al fatto che ci scambiassimo battute<br />
scherzose davanti a tanti morti.<br />
Restituendole il coltello quella mattina, l'avevo lodata per la<br />
presenza di spirito e la destrezza mostrate la sera prima. A quel<br />
colloquio erano presenti i bambini e con piacere avevo potuto<br />
constatare che nessun danno era venuto loro dagli uomini di Liam.<br />
Neppure Turga aveva avuto fastidi. Donuil era già sceso al porto con<br />
Lucano, Rufio e Dedalo a controllare, mentre dalle galee venivano<br />
scaricati il bestiame e le masserizie e portati al riparo entro la cerchia<br />
delle mura. L'equipaggio di Connor si apprestava a condurre le tre<br />
imbarcazioni di Mac Athol in un luogo dove non sarebbero state<br />
avvistate dalla flotta di Liam.
I ragazzi erano curiosi di sapere che cosa era accaduto la notte<br />
prima, ma Shelagh non aveva raccontato niente. Passai mezz'ora a<br />
riferire quello che mi sembrava giusto dovessero sapere, compresa la<br />
minaccia dell'imminente arrivo della flotta di Liam, previsto per il<br />
giorno successivo. Chiesi loro di promettere solennemente che si<br />
sarebbero comportati bene, senza intralciare i preparativi in corso. Li<br />
affidai quindi a Turga perché andassero a trovare gli zii al lavoro <strong>sul</strong><br />
molo. Gwin e Ghilleadh erano figli di Donuil e Shelagh; Bedwyr,<br />
l'ultimo del terzetto che accompagnava Artù dappertutto, era figlio<br />
di Hector e di sua moglie Julia, uccisa pochi mesi prima quando si<br />
era attentato alla vita di Artù.<br />
«Che cosa fate voi due?» chiese Donuil che si era avvicinato senza<br />
che né io né Shelagh ce ne fossimo accorti.<br />
«Abbiamo cercato l'uomo dalla tunica gialla.» disse Shelagh «Deve<br />
essere scappato.»<br />
«Scappato dove?»<br />
«Chi lo sa. Lontano da Ravenglass per non farsi riconoscere.»<br />
Donuil guardò me, poi Shelagh. «È importante?»<br />
«Potrebbe esserlo. Che ne pensi?» chiese Shelagh rivolta a me.<br />
«Dimmi quello che ne pensi tu. Questa mattina la tua mente è più<br />
lucida della mia.»<br />
«Una faccenda che non mi piace. Ascoltate e vediamo se il mio<br />
ragionamento vi sembra logico. Ma prima entriamo; sto<br />
congelando.»<br />
Le terme erano calde e asciutte, e ci sedemmo <strong>sul</strong>le panche di<br />
pietra negli spogliatoi deserti, vicino agli sbocchi delle fornaci.<br />
Shelagh non aveva più aperto bocca in quel frattempo,<br />
evidentemente immersa nei suoi pensieri. Non appena ci fummo<br />
tolti i mantelli, mentre cominciavamo a gustare il piacevole tepore,<br />
riprese l'argomento.<br />
«Ecco quello che mi è venuto in mente. Conosciamo le intenzioni<br />
di Ironhair su Artù e su di te, Caio, e sappiamo quanto possa essere<br />
pericoloso. Per questo ce ne siamo venuti via da Camelot; ignoriamo<br />
chi tra i coloni ci abbia tradito, ma certamente esiste. I traditori
potrebbero essere vicino a noi, naturalmente speriamo che non sia<br />
così, al punto da scoprire, fin da quando abbiamo cominciato a<br />
preparare il piano, che ci apprestavamo a mettere al sicuro il<br />
ragazzo. Se così stanno le cose, forse già da un mese, se non di più,<br />
Ironhair è al corrente di tutto. Eppure, a mio parere, abbiamo la<br />
certezza - se non altro per la ristrettezza dei tempi - che non ha<br />
avuto la possibilità di sguinzagliare le sue spie a controllare i nostri<br />
movimenti. Né dalla Cornovaglia né dalla Cambria, per via terra<br />
fino a qui...»<br />
«Potrebbero essere venute su un'imbarcazione, Shelagh. Quando<br />
siamo arrivati ieri, attraccati al molo c'erano una ventina di<br />
pescherecci.»<br />
«Sì, è vero, ma quasi tutti - ne sono sicura - appartengono a gente<br />
del posto. Si sarebbero notati quelli che non lo erano. Se un<br />
peschereccio si è allontanato ieri, dopo la discussione che hai avuto<br />
con Derek nei boschi, lo troveremo. Finché non avremo appurato<br />
questo particolare, il problema tempo rimane. Ma torniamo a quello<br />
che stavo dicendo. Forse Ironhair sa che ce ne siamo andati da<br />
Camelot, ma non ha avuto il tempo di mandarci le sue spie alle<br />
calcagna. Ti viene in mente nessuno, Merlino, salvo un emissario di<br />
Ironhair, che possa temerti al punto di darsi alla fuga per evitarti?»<br />
Scossi la testa lentamente, riflettendo <strong>sul</strong>la domanda, e ricordando<br />
che soltanto io e Lucano sapevamo che ero malato di lebbra. «No,<br />
non mi viene in mente nessuno.»<br />
«Ne sei sicuro, Caio? Davvero sicuro?»<br />
«Sì, sì.»<br />
«Allora dobbiamo dedurre che Ironhair ha spie dappertutto e che<br />
sta all'erta. Forse mi sbaglio, magari non si tratta di Ironhair, ma<br />
qualcuno sa che tu sei qui, Caio.»<br />
Capivo dove voleva arrivare. «No, non proprio, Shelagh. <strong>Il</strong> nostro<br />
uomo è sparito ieri pomeriggio e da allora nessuno l'ha visto. Non<br />
ha importanza il fatto che se ne sia andato per via di terra o di mare:<br />
nessuno di noi sapeva, fino a ieri sera tardi, che saremmo rimasti qui.<br />
Quando ho visto quell'uomo per l'ultima volta, Derek aveva<br />
respinto la mia richiesta. Gliel'avevo rivolta personalmente in
privato, e lui non l'aveva discussa con nessuno. Pensaci. Siamo<br />
arrivati a bordo delle galee di Connor e non abbiamo sbarcato<br />
niente. Chiunque si sia preso la briga di osservarci, se non altro come<br />
stranieri in transito, lo avrà notato. Ne consegue che, andandocene,<br />
saremmo partiti con le navi di Connor. Se dobbiamo concludere che<br />
quell'uomo è una spia, dobbiamo anche concludere che, avendomi<br />
visto per la prima volta mentre a cavallo passavo davanti alla<br />
taverna, avrebbe chiesto in giro e l'avrebbe saputo prima che ce ne<br />
andassimo.»<br />
Donuil, che ascoltava con attenzione e fissava ora l'uno ora l'altra<br />
mentre parlavamo, chiese: «Secondo voi, gli è giunta notizia che<br />
proseguiremo per l'Eire?».<br />
«Sì, qualcosa del genere. Forse pensa che continueremo il viaggio<br />
con Connor, per l'Eire o la Caledonia.»<br />
«E se avesse parlato con uno dei nostri e avesse saputo che<br />
saremmo rimasti?»<br />
«Impossibile, Donuil, a meno che non l'abbia chiesto a Connor<br />
stesso o a uno degli altri capitani. Nessuno conosce il nostro piano, e<br />
nessuno dei capitani di Connor ne farebbe cenno con uno<br />
sconosciuto.»<br />
Annuì. «Che ne sai del forte di cui ha parlato Connor? Puoi dirci<br />
qualcosa?»<br />
«Mediobogdum? Sono sicuro di non saperne molto più di quanto<br />
Connor vi abbia già riferito. Sorge tra i monti a circa dieci miglia da<br />
qui, abbandonato da almeno duecento anni, ma stando a Derek,<br />
ancora abitabile se ci si lavora sodo per un po'. Andremo a darci<br />
un'occhiata, una volta che avremo messo in fuga la flotta di Liam. Lo<br />
vedremo allora con i nostri occhi.»<br />
«Solamente un po' di duro lavoro dopo duecento anni?» Donuil si<br />
levò in piedi. «Meglio che ritorni al porto. Abbiamo scaricato le<br />
masserizie, le casse, i cavalli, e dobbiamo trasportarli entro le mura.<br />
Finiremo tra un'ora, credo. Prima di allora scoprirò se qualche<br />
imbarcazione è partita ieri dopo mezzogiorno e chi trasportava.<br />
Scoprirò anche se qualcuno, con o senza tunica gialla, ha fatto<br />
domande in giro su di te e sui nostri uomini. Che cosa hai intenzione
di fare adesso?»<br />
«Andrò a controllare le catapulte <strong>sul</strong>le mura per vedere come<br />
usarle senza colpire la nostra gente. A giudizio di Derek, sono in<br />
perfetta efficienza, ma, da quanto ne so, sono lì da almeno<br />
trent'anni, e non vi è mai stata fatta alcuna opera di manutenzione.<br />
Mi sentirò rassicurato se potrò controllarle di persona. Sarei sorpreso<br />
se non saltasse fuori che è necessario cambiare le funi, e ancora più<br />
sorpreso se troverò gli uomini capaci di farlo nel poco tempo che<br />
abbiamo a disposizione.»<br />
Shelagh ritornò nei nostri alloggi temporanei a controllare come e<br />
dove venivano sistemati i bagagli che arrivavano dal porto; io mi<br />
incamminai verso il molo con Donuil e lì lo lasciai per recarmi <strong>sul</strong><br />
parapetto lungo le mura.<br />
In una delle torri difensive aggettanti verso il porto trovai Derek<br />
intento a esaminare una delle grandi catapulte abbandonate dalle<br />
legioni quando se ne erano andate. Sentendomi arrivare, levò lo<br />
sguardo.<br />
«Ah, eccoti! Ti ho cercato prima.»<br />
Mentre gli spiegavo quello che avevo fatto, osservai la base<br />
massiccia del possente congegno di lancio. «Mi sembra in ottimo<br />
stato» dissi quando ebbi finito. «In perfetta efficienza.» A quelle mie<br />
parole un uomo si raddrizzò da dietro la macchina, fissandomi quasi<br />
si chiedesse da quale girone dell'Ade fossi saltato fuori e come potessi<br />
intendermi di macchine da guerra.<br />
«Ah!» L'esclamazione di Derek suonò come un ruggito<br />
compiaciuto. «L'hai sentito, Longino? Merlino di Camelot pensa che<br />
le tue catapulte siano in grado di funzionare.»<br />
Longino si era raddrizzato in tutta la sua statura e ora, girando<br />
intorno alla macchina, si avvicinò a dove mi trovavo io, cercando di<br />
estrarre una minuscola scheggia da un dito calloso. Non appena<br />
l'ebbe levata, alzò gli occhi e annuì. «Sono Caio Longino. Conosci le<br />
macchine da assedio?»<br />
Mi strinsi nelle spalle. «So quel poco che basta per dire che questa<br />
è in buono stato di manutenzione.»<br />
«Lo sono tutte» precisò.
Mi guardai intorno. Vedevo altre installazioni, ma mi sembrava<br />
che soltanto quella fosse completa.<br />
«Sì, sono smantellate, ma le rimonteremo oggi.»<br />
«Quante ne avete?»<br />
«Cinque.» Longino era uomo di poche parole.<br />
«Tutte su questo lato delle mura?»<br />
Fece un cenno di assenso con la testa.<br />
«Funzionanti?» Annuì di nuovo. «Anche gli argani?»<br />
Aggrottò la fronte con irritazione. «Hai mai visto una catapulta in<br />
grado di funzionare se l'argano è rotto?»<br />
«No, no. Chiedo scusa. Ti faccio i miei complimenti. Non mi sarei<br />
mai aspettato di trovare qui qualcuno che sapesse azionare le<br />
macchine da guerra e provvedere alla loro manutenzione. Dove hai<br />
imparato?»<br />
«Qui.»<br />
«In che modo? O preferisci che ti chieda chi te lo ha insegnato? Le<br />
legioni sono ormai partite da più di trent'anni.»<br />
«Mi fu maestro mio padre quando ero ragazzo.»<br />
«Da chi aveva imparato lui?»<br />
«Dai Romani. Quando le legioni lasciarono la guarnigione, ne<br />
assunse la difesa per conto del re. Mi addestrò e, da quando morì<br />
vent'anni fa, sono io a occuparmene.»<br />
«Tuo padre era con le legioni?»<br />
«Con la ventesima, la Valeria. Per trent'anni.»<br />
«Era un geniere?»<br />
«Servì come geniere negli ultimi vent'anni.»<br />
«Mio nonno comandava la Valeria.»<br />
«Davvero? Come si chiamava?»<br />
«Britannico, ma accadeva più di quarantanni fa, probabilmente<br />
prima dei tempi di tuo padre.»<br />
«No, era in servizio allora. Ma il nome non mi dice niente; non
ero ancora nato.»<br />
Lanciai un'occhiata a Derek e mi accorsi che sorrideva da un<br />
orecchio all'altro. Ignorandolo tornai a rivolgermi a Longino, ben<br />
sapendo che anche a domande specifiche avrebbe dato risposte<br />
laconiche. «Hai degli aiutanti esperti?»<br />
«Due squadre per ogni catapulta, una in azione.»<br />
«Chi addestra gli uomini?»<br />
«Io.»<br />
«Tutti? Nessuno che ti aiuti?»<br />
«Cinque. Uno per ciascuna squadra in azione.» Distolse lo sguardo<br />
per volgerlo ai piedi delle mura. Qualcuno lo chiamava. Senza<br />
aggiungere parola, si allontanò.<br />
Mi volsi a Derek. «Non è di molte parole, vero?»<br />
«No, ma nel suo campo è il migliore. Aspetta di vedere i suoi<br />
all'opera domani. Resterai sbalordito, te lo garantisco. Rimarranno<br />
stupefatti anche gli invasori. Hanno dimenticato i Romani e le<br />
pesanti catapulte. Non appena constateranno quanto danno può<br />
fare una macchina come questa e si accorgeranno che, se bene usata,<br />
riesce a distruggere una nave, gireranno su se stessi come fusi e non<br />
smetteranno di remare fino a quando non avranno raggiunto le<br />
sponde dalle quali sono partiti...» Tacque. «I morti... Sei ancora<br />
dell'idea di appenderli alle mura?»<br />
«Certamente, tutti. Te lo garantisco: vederli con le armature, in<br />
mezzo ci sarà Liam, il loro comandante, sarà più efficace delle<br />
catapulte.»<br />
«Sì, forse hai ragione, ma è molto macabro. Ce ne sono più di<br />
cento.»<br />
«Quasi centocinquanta. Sono d'accordo con te, ma Connor sa il<br />
fatto suo. Agli invasori lo spettacolo di tanti morti, esposti con tanta<br />
pompa, sembrerà un monito che annuncia l'incombente punizione e<br />
fa intravedere conseguenze disastrose. Se li induciamo ad andarsene,<br />
ci penseranno due volte prima di tornare.»<br />
Derek rimase in silenzio per qualche istante prima di annuire.<br />
«Così sia. Ne darò l'incarico a Blundyl. Gli serviranno cento uomini. I
cadaveri saranno appesi alle mura stanotte, dopo il tramonto.» Esitò<br />
guardando da una parte all'altra del parapetto. «Sono contento di<br />
non dovermene occupare; è un lavoraccio.»<br />
Sì, fu una fatica improba quella di appendere i cadaveri all'esterno<br />
delle mura, ma vi presero parte tutti gli uomini validi. Prima di<br />
mezzanotte, alla luce dei falò accesi <strong>sul</strong>la sommità della cinta<br />
difensiva, nel sottostante recinto e sui terrapieni al di fuori delle<br />
porte, l'ingrato compito era stato portato a termine.<br />
I cadaveri furono appesi a due a due; soltanto quello di Liam, al<br />
centro della fila, pendeva da solo.<br />
Non appena quello spettacolo di morte fu esibito in tutta la sua<br />
macabra crudezza in attesa che all'alba comparissero le navi di Liam,<br />
passai parola tra la mia gente che si raccogliesse nella sala centrale<br />
della casa di Derek.<br />
Avevo molte cose da comunicare prima che tutti andassero a<br />
coricarsi. Credevo infatti che avessero il diritto di conoscere le mie<br />
intenzioni, rifletterci e decidere quindi se impegnarsi a seguirmi<br />
nell'impresa.<br />
Essendomi fermato a definire con Derek e Longino alcune<br />
decisioni dell'ultima ora, quando arrivai <strong>sul</strong> luogo dell'incontro,<br />
erano già lì convenuti e mi aspettavano seduti <strong>sul</strong>le panche, <strong>sul</strong>le<br />
sedie, <strong>sul</strong>le tavole. Avevano l'aria esausta.<br />
«Non vi tratterrò a lungo» esordii. «L'alba sorgerà tra poco e<br />
nessuno di noi sa che cosa ci porterà.» Notai che mi fissavano attenti<br />
e curiosi.<br />
Mi misi in mezzo al gruppo per essere sentito senza dover alzare<br />
la voce. «Siamo venuti a Ravenglass alla ricerca di un asilo, un luogo<br />
sicuro per il ragazzo. Questo lo sapete tutti. Non tutti forse sanno<br />
che Derek, il re, rifiutò la nostra richiesta. Disse che una nostra<br />
permanenza protratta - si riferiva alla presenza mia e del giovane<br />
Artù - avrebbe costituito una minaccia alla sicurezza e al benessere<br />
del suo popolo, poiché noi rappresentiamo un pericolo per alcune<br />
potenti fazioni in varie località.»<br />
Tacqui aspettandomi una reazione, ma nessuno parlò. Capivano<br />
che avevo altre cose da dire.
«Questo accadeva ieri. Da allora, grazie a Liam e ai Figli di<br />
Condran, è cambiato tutto. Oggi Derek si trova ad affrontare una<br />
guerra. Considera il protrarsi della nostra permanenza una garanzia<br />
per ottenere l'aiuto di Athol e delle sue flotte che senz'altro si<br />
mobiliterebbero se fosse necessario proteggere il nipote del loro<br />
sovrano. Ci chiede di rimanere e così ci converrà fare, credo, se<br />
riusciremo a negoziare condizioni di insediamento adeguate alle<br />
nostre esigenze.»<br />
«Quali sono tali condizioni? Le hai definite?» chiese Dedalo.<br />
«Sì, in queste ultime ore. Abbiamo scelto questo luogo come<br />
prima tappa perché ci offre quello che cerchiamo: la sicurezza contro<br />
un attacco improvviso, al riparo come siamo delle montagne che ci<br />
circondano; canali aperti per comunicare con Athol e i suoi Scoti;<br />
una certa distanza tra noi e i nemici in Cornovaglia e in Cambria.»<br />
Tacqui aspettando che Dedalo parlasse.<br />
«Non sembri convinto.»<br />
Annuii. «Non lo sono, malgrado le garanzie di sicurezza di cui ho<br />
appena parlato. Ne avevamo altrettante, tranne le montagne alle<br />
spalle, a Camelot, la nostra patria, eppure i rischi erano troppo<br />
grandi per rimanervi. Come abbiamo imparato a caro prezzo,<br />
perfino in una comunità chiusa come Camelot il nemico può<br />
infiltrarsi. Non abbiamo saputo identificarlo; neppure tra la nostra<br />
gente abbiamo individuato coloro che erano stati corrotti. Adesso ci<br />
troviamo a Ravenglass, un porto franco, e siamo stranieri. I pericoli<br />
sono incommensurabilmente maggiori e quindi inaccettabili...»<br />
«Stai proponendo di andarcene?»<br />
«No... non lo so.»<br />
Levando le sopracciglia, Dedalo guardò gli altri prima di tornare a<br />
posare gli occhi su di me. Tossì, schiarendosi la gola. «Non lo sai...<br />
Avrei preferito sentire un netto "sì" o un netto "no".» Scosse la testa<br />
riflettendo. Gli altri rimasero immobili, gli occhi puntati su di me o<br />
su Dedalo. Alla fine riprese la parola. «Merlino, non fraintendere<br />
quello che dirò... Hai tutto il diritto di avere dei dubbi di tanto in<br />
tanto, anche se noi non siamo abituati a vederti incerto. Per<br />
consuetudine da te ci viene una guida ferma nelle cose importanti,
per lo più sotto forma di ordini diretti.»<br />
Si guardò di nuovo intorno quasi a cercare appoggio. Se era<br />
questo il suo desiderio, rimase inappagato. Donuil tossicchiò, l'unico<br />
suono che ruppe l'assoluto silenzio. Si volse a me. «Siamo qui perché<br />
qui siete tu e il giovane Artù. Ovunque andiate noi vi seguiremo. Tu<br />
sei la nostra guida e il nostro comandante. Dicci che cosa fare e sarà<br />
fatto. Non credo di poter essere più esplicito di così. Qualcuno è di<br />
contrario avviso? Lucano?» Lucano si limitò a scuotere la testa, gli<br />
occhi fissi nei miei; era evidente che nessuno aveva da obiettare.<br />
Sorrisi grato ancora una volta per le parole chiare e inequivocabili di<br />
Dedalo.<br />
«La mia non è indecisione, è esitazione. Abbiamo un'alternativa.<br />
Non ho avuto il tempo di valutarla, neppure di pensarci molto, ma<br />
presenta numerosi svantaggi anche se non mancano i vantaggi.<br />
Scegliere questa strada ci imporrebbe una grande quantità di lavoro,<br />
forse più di quanto abbiamo realisticamente la capacità o la voglia di<br />
affrontare. Non voglio prendere una decisione senza prima<br />
considerare con attenzione la realtà, chiedervi che cosa ne pensate<br />
ed esaminare la vostra risposta. La vita di tutti ne verrebbe<br />
radicalmente compromessa in modi che nessuno neppure immagina,<br />
se mai dovessimo adottare questa soluzione.»<br />
Rufio ammiccò, segno che voleva intervenire. «Uno<br />
sconvolgimento peggiore che andare nell'Eire o nelle isole<br />
settentrionali?»<br />
«Sì, forse assai peggiore» confermai.<br />
«Com'è possibile, in nome di Dio?»<br />
«C'è un forte romano, a parecchie miglia da qui, nell'interno.<br />
Nessuno ci abita.»<br />
Dedalo si sporse in avanti, accigliato. «È in rovina?»<br />
«Pare di no, da quanto mi è stato detto.»<br />
«Perché allora è disabitato?»<br />
«Sorge <strong>sul</strong>le montagne, su un altopiano. Perché vivere lì se si può<br />
vivere qui, vicino al mare, vicino alla gente, alle fattorie?»<br />
«Quanto dista?»
«Dodici, forse quindici miglia, non lo so. È a metà strada tra qui e<br />
il forte di Galava, dall'altra parte delle montagne. Fu costruito a<br />
difesa della strada che attraversa il passo.»<br />
Gli occhi di Dedalo si accesero. «Andiamoci! Daremo un'occhiata;<br />
probabilmente lo potremo rendere abitabile. Da quanto tempo è<br />
disabitato? Vent'anni?» Scossi la testa. «Quaranta? I Romani si<br />
ritirarono intorno a quell'epoca. <strong>Il</strong> tempo è molto, ma forse il luogo<br />
è recuperabile.»<br />
«Duecento.»<br />
«Cosa?»<br />
«Duecento anni, all'incirca. È abbandonato da lungo tempo.»<br />
«Duecento anni? Parli seriamente?»<br />
Annuii stringendomi nelle spalle. «Sì. Evidentemente duecento<br />
anni qui non sono la stessa cosa che duecento anni altrove, almeno<br />
stando a quanto mi ha detto Derek.» Mi accorsi che Lucano ed<br />
Hector aggrottavano la fronte e che gli altri scuotevano la testa.<br />
«Pensateci» insistetti. «<strong>Il</strong> forte fu costruito con la pietra del luogo; il<br />
tetto, almeno sui granai, è una massiccia volta di calcestruzzo. Le<br />
caserme hanno pavimenti che poggiano su solidi pilastri di legno.<br />
Forse questi sono marci, ma Derek mi assicura che reggono bene. Ha<br />
giovato al forte il suo isolamento. Sappiamo che dappertutto si<br />
abbattono i vecchi edifici e si usano i materiali per costruirne di<br />
nuovi. Ma lassù non c'è nessuno. I danni sono quelli provocati dalle<br />
intemperie, che non intaccano la pietra e il calcestruzzo. I pilastri<br />
possono essere sostituiti. Derek mi ha detto che, <strong>sul</strong> versante<br />
occidentale, la foresta arriva fino alle mura. La zona era stata<br />
disboscata per costruire il forte e procurarsi la legna per le terme, ma<br />
nel frattempo gli alberi sono ricresciuti. Probabilmente il luogo<br />
potrebbe essere recuperato oggi, a duecento anni da quando fu<br />
abbandonato, meglio che se fosse stato abbandonato quarant'anni<br />
fa. Lo sapremo soltanto quando lo avremo visto con i nostri occhi.»<br />
Ne seguì un silenzio che si protrasse a lungo; quindi Connor levò<br />
una mano. «Lo so che non mi riguarda direttamente, ma tu hai<br />
parlato di difficoltà forse insuperabili. Se ti preoccupa la quantità del<br />
lavoro da fare, ti dirò che a mio parere puoi contare su un gruppo di
gente per la quale forse niente è insuperabile. Hai fabbri, soldati,<br />
muratori, falegnami; ti serviranno braccia forti, ma credo che potrai<br />
trovarle a Ravenglass.»<br />
«Sì, ma ci interessa?» Era Hector a parlare. «Avete sentito quello<br />
che ci ha detto Merlino. Ce ne siamo andati da Camelot perché non<br />
sapevamo su chi della nostra gente potevamo fare affidamento.<br />
Adesso sappiamo di poter contare soltanto su noi stessi e su nessun<br />
altro. <strong>Il</strong> nuovo forte ci consente di restare pochi e fidati.»<br />
«Assurdo, Hector!» Connor scartò subito l'idea. «Io ho consigliato<br />
di chiedere aiuto, non di avviare un flusso di nuovi coloni. Niente vi<br />
impedisce di far venire lavoratori dalla città, e niente vi impone di<br />
lasciarli restare, una volta eseguito il lavoro. Hanno già dimostrato<br />
che non vogliono abitare lì; nulla li chiama lassù. Costruitevi un<br />
luogo nel quale vivere sicuri e comodi, poi popolatelo e difendetelo<br />
voi stessi. Vuoi un consiglio, Merlino?»<br />
«Naturalmente!»<br />
«Stiamo a vedere quale esito avrà la battaglia domani; se alla fine<br />
saremo ancora vivi, incontriamoci di nuovo. Avremo un'intera<br />
giornata per pensare a quello che ci aspetta. Poi qualcuno potrà<br />
recarsi al forte e osservare com'è.»<br />
«Mi sembra una proposta sensata. Ci sono obiezioni?» Nessuno<br />
ebbe altro da aggiungere. Fu allora che Donuil parlò per la prima<br />
volta.<br />
«<strong>Il</strong> forte ha un nome?»<br />
«Sì, si chiama Mediobogdum.»<br />
Contrasse le labbra e annuì. «"Alla curva del fiume". Vuol dire che<br />
almeno c'è acqua.»<br />
«In quantità, mi hanno detto.» Mi alzai. «È tardi, non so come la<br />
pensiate voi, ma per quanto mi riguarda gradirei riposarmi un po'.»<br />
La riunione si sciolse poco dopo tra reciproci scambi augurali per<br />
il giorno successivo. Sarebbe stata un'azione puramente difensiva<br />
senza il pericolo di uno scontro accanito. Al riparo dietro le mura di<br />
Ravenglass, che proteggevano l'unico accesso dal mare, non<br />
avremmo avuto difficoltà a respingere la flotta di Condran.
Non riuscii a dormire quella notte. Giacqui sveglio pensando alla<br />
gente che mi aveva seguito e come ciascuno di loro, a seconda delle<br />
sue capacità, avrebbe potuto contribuire a costruire la nuova piccola<br />
colonia. Dedalo, Rufio, Donuil, io stesso eravamo guerrieri e, salvo<br />
la perizia nell'uso delle armi, non avrei saputo dire che altro<br />
sapessimo fare. Avrei potuto cimentarmi a lavorare i metalli grazie a<br />
quanto mi aveva insegnato mio zio Varro, ma erano passati da<br />
allora molti anni. Forse sarei riuscito ad aiutare nel lavoro alla<br />
fornace, ma capivo che non sarei mai diventato un fabbro esperto.<br />
Mi rendevo conto che Donuil non avrebbe saputo svolgere altra<br />
attività che quella amministrativa che già aveva eseguito per me a<br />
Camelot. Dedalo e Rufio erano soldati, addestrati fin dall'infanzia<br />
nell'arte della guerra; dubitavo che avrebbero potuto dedicarsi a<br />
qualcosa di più utile che non fosse l'andare a caccia e trasportare<br />
carichi troppo pesanti per chiunque altro.<br />
Lucano, uomo di indiscutibile valore, si sarebbe guadagnato da<br />
vivere; Hector, agricoltore, sarebbe stato prezioso in futuro. Shelagh<br />
era Shelagh, pragmatica, sensata, esperta nella conduzione della casa;<br />
Turga, la balia di Artù, sapeva tra le tante cose anche conciare le<br />
pelli e farne vesti morbide e comode. A costoro andavano aggiunti i<br />
quattro ragazzi, Artù, Bedwyr, Gwin, Ghilleadh, e si raggiungeva il<br />
numero di dodici persone, due terzi del gruppo complessivo.<br />
Avevo molta fiducia negli altri sei, tutti bravi e ingegnosi. Lars e<br />
Joseph erano due dei tre figli superstiti di Equo, amico e socio di<br />
Publio Varro. A Camelot, Joseph era stato un fabbro provetto; per<br />
seguirci aveva lasciato la sua attività nelle mani di Carolus, o Carol,<br />
l'altro fratello. <strong>Il</strong> suo contributo sarebbe stato prezioso. Lars, il<br />
maggiore, era stato legionario. L'avevo incontrato che gestiva una<br />
locanda a nord di Isca quando mi ero recato a combattere in<br />
Cornovaglia. Credendolo morto, tutti avevano pensato a un<br />
miracolo al vederlo arrivare a Camelot e lo avevano accolto con<br />
entusiasmo. Da allora era cresciuta una profonda intesa tra Lars e<br />
Joseph tanto che quando Lars aveva deciso di seguirmi, anzi di<br />
seguire Artù e Bedwyr, nei quali vedeva i suoi due figli, impiccati<br />
anni prima dai soldati di Uther, Joseph aveva voluto unirsi al<br />
gruppo. Avevano portato le rispettive mogli, Esmeralda e Brunna. La<br />
bravura di Esmeralda come tessitrice non aveva nulla da invidiare a
quella di suo marito come fabbro. Dal canto suo Brunna superava<br />
Lars che era cuoco e panettiere di rara abilità: lei però sapeva anche<br />
fare scarpe e stivali.<br />
Gli altri due membri del gruppo univano la perizia dell'artigiano a<br />
quella dell'artista. Entrambi scapoli, si chiamavano Jonathan e Mark<br />
e fin dall'infanzia erano legati da profonda amicizia a Joseph.<br />
Jonathan era scalpellino, di una famiglia di scalpellini, l'ultimo di<br />
cinque figli. I quattro fratelli erano rimasti a Camelot. Mark faceva il<br />
falegname. Dire che era falegname è come dire che Omero era un<br />
cantastorie. La sua perizia andava ben al di là del solito uso degli<br />
strumenti e del legno; sapeva tornire mobili e bellissime suppellettili.<br />
A Camelot le sue creazioni ornavano le stanze e gli edifici più<br />
eleganti.<br />
Sei uomini, ciascuno esperto in un'arte, che avrebbero dovuto<br />
condurre su una lontana montagna una vita aspra d'inverno e dura<br />
anche d'estate. Diciotto anime. Sufficienti, speravo, con l'aiuto di Dio<br />
a sopravvivere anche in mezzo alle peggiori difficoltà. Con questi<br />
pensieri nella mente alla fine scivolai nel sonno.
V.<br />
Mi parve che quella notte, subito dopo essermi addormentato,<br />
qualcuno mi svegliasse con uno scossone. Mancava un'ora al sorgere<br />
dell'alba, ed ero atteso <strong>sul</strong>le mura dove già da tempo fervevano i<br />
preparativi.<br />
Esitai a indossare la corazza, ancora con il resto dei bagagli. Sulla<br />
nave avevo portato la veste di cuoio, che alla fine decisi di mettere,<br />
restando però a capo scoperto. Non avrei corso grandi rischi <strong>sul</strong>la<br />
cinta e non credevo che sarebbe stato di giovamento tradire la mia<br />
presenza con un elmo di foggia romana.<br />
Mentre salivo <strong>sul</strong> passaggio delle mura, osservai il bagliore giallo<br />
delle torce nella nebbia del mattino. Prima di mettermi alla ricerca di<br />
Derek e Longino, mi fermai a guardare il mare. Non si scorgeva<br />
niente nella baia e neppure nel cielo; le mura sembravano avvolte<br />
nel sudario di una fitta nebbia che ondeggiava in banchi densi<br />
quando passava qualcuno. A fatica distinguevo le sagome delle<br />
grandi catapulte che, a destra e a sinistra, distavano meno di<br />
venticinque passi da me. Non c'era modo di capire se la flotta di<br />
Condran si stava approssimando, ma sapevo che nessuna<br />
imbarcazione, tanto meno un'intera formazione navale, avrebbe<br />
osato avvicinarsi alla costa con quella nebbia. Se loro erano nascosti<br />
a noi, anche noi eravamo invisibili a loro.<br />
Trovai Derek e Longino con un capannello di altri uomini<br />
assiepati intorno alla più grande delle due baliste, intenti a<br />
controllare l'attacco di una pesante griglia di metallo a maglie sottili<br />
<strong>sul</strong> braccio di caricamento in legno posto quasi all'estremità<br />
dell'argano tenditore. Un paranco fornito di carrucola stava vicino al<br />
cavo che scendeva fino al sottostante cortile. Mi sporsi per guardare<br />
in basso le fiamme che avvampavano nella fornace di mattoni.<br />
Longino, che mi aveva visto arrivare, mi fece un cenno di saluto con<br />
la testa.<br />
«Carboni ardenti?» gli chiesi.
«Sì, non è la prima volta che vengono usati qui, ma sarà la prima<br />
volta che vengono utilizzati <strong>sul</strong> serio da quando se ne sono andati i<br />
Romani. Da anni quei forni non venivano accesi. Niente di meglio<br />
dei carboni ardenti da lanciare contro le navi una volta che arrivano<br />
a tiro. <strong>Il</strong> legno stagionato, le vele maltrattate dalle intemperie, le<br />
commessure impeciate avvampano come il fuoco dell'inferno. Non<br />
avranno il coraggio di avvicinarsi dopo il primo lancio di proiettili.»<br />
Ricambiai il saluto di Derek e continuai a discutere con Longino.<br />
«Ma la gittata delle frecce infuocate è limitata.»<br />
«Sì, ma non siamo a corto di pietre pesanti. Arriveranno<br />
abbastanza lontano da placare gli ardori degli assalitori.»<br />
«E le catapulte? Hai sufficienti punte di ferro?»<br />
«In abbondanza. Non credo che sarà necessario usarne più di una<br />
dozzina. Se <strong>sul</strong>la nave arriva una sola freccia, l'equipaggio continua a<br />
remare, ma se il dardo è il tronco di un albero grosso come una<br />
gamba, appuntito in cima e lanciato da una macchina più forte di<br />
mille uomini e dieci volte più precisa nel tiro, l'equipaggio reagisce in<br />
fretta. I primi sei colpi produrranno un danno decisivo. Sono lanci<br />
per bersagli fissi, come sai. Dovremo aggiustare il tiro subito dopo<br />
ma, calcolata la gittata, saranno devastanti. Dispongo di una ventina<br />
di punte di ferro, ma non credo che dovremo impiegarle tutte.»<br />
«E se non bastassero?»<br />
«Useremo i proiettili di legno.»<br />
Mi volsi a Derek. «Che mi dici degli uomini?»<br />
«Finché non sorgerà il sole, Connor li terrà lontani. Non c'è<br />
motivo di farli venire troppo presto <strong>sul</strong>le mura dove si<br />
intralcerebbero a vicenda. Sono tutti laggiù; i capitani sanno il da<br />
farsi e conoscono i segnali. Quando saliranno, arriveranno prima gli<br />
arcieri, poi i lancieri. Un bello spettacolo, molto più bello di quanto<br />
si aspetti chi oggi è al comando della flotta.»<br />
«Già» brontolò Longino. «Si schiereranno sui bastioni sopra la testa<br />
di Liam e del suo branco. Le vele si afflosceranno a tale vista, ne<br />
sono sicuro.»<br />
Levai la testa per guardare il cielo e mi parve che la nebbia si fosse
un po' diradata. «Quanto manca all'alba?»<br />
«Poco» rispose Derek levando anche lui gli occhi. «La nebbia non<br />
dura molto, una volta che comincia a soffiare la brezza. Conviene<br />
far salire gli uomini. Li voglio tutti ai loro posti prima che si dissolva<br />
la foschia.»<br />
«Da dove guarderai la battaglia?» mi chiese Longino.<br />
«Da dove starai tu, se non hai nulla in contrario.»<br />
«Vieni allora. Meglio trovarci ai nostri posti. Io stesso manovrerò<br />
la catapulta.»<br />
Non era passata un'ora che si levò il vento e in pochi istanti la<br />
nebbia si dileguò come un sipario che viene sollevato. <strong>Il</strong> mare era<br />
vuoto, non si vedeva una vela. Accanto a Longino fissavo le acque<br />
tranquille; dieci passi più in là, <strong>sul</strong>la sinistra, stava Derek. Oltre a noi<br />
tre, soltanto altri quattro uomini erano visibili, mentre circa<br />
quattrocento stavano accucciati sotto il bordo del parapetto. La voce<br />
lanciata dalle vedette, si sparse rapidamente, e dagli uomini nascosti<br />
si levò un sordo vocio.<br />
«Giù con la testa e in guardia!» La voce di Derek impose il silenzio.<br />
«Che cosa vi aspettavate? Non c'è niente lì, è naturale. Non<br />
potevano avvicinarsi in mezzo alla nebbia. Qualcuno su quell'isola<br />
laggiù cercherà di capire se le navi di Liam sono ormeggiate - come<br />
dovrebbero essere - vicino al molo. Ci vuole un po' di tempo; le<br />
loro galee sono nascoste dietro la punta. Saranno qui tra poco.»<br />
Non aveva finito di parlare che la prua del primo vascello spuntò<br />
da dietro la bassa riva dell'isola antistante. Avanzava velocemente<br />
spinta dai vigorosi colpi dei rematori. Seguivano le altre, diciotto in<br />
tutto, a meno di mezzo miglio dalle mura. Gli uomini erano tesi, ma<br />
rimasero nascosti dietro il parapetto.<br />
Trascorsero alcuni lunghi attimi mentre la flotta si avvicinava<br />
rapidamente. Arrivò il momento in cui ci giunse il brusio sempre più<br />
intenso delle voci: avevano visto i cadaveri che pendevano dai<br />
bastioni della fortezza. Mi rivolsi a Longino. «Credono che siano i<br />
cadaveri dei nostri.»
«Probabile, perché continuano ad avanzare.»<br />
«Diciotto navi. Connor pensava che sarebbero state almeno<br />
trenta. Secondo te, ne tengono qualcuna di riserva, dietro l'isola?»<br />
«Forse, ma non fa differenza. Non avranno modo di usarle.»<br />
Avanzavano, decisi e minacciosi, manovrando con destrezza. Pur<br />
osservando e ascoltando con attenzione, mi sfuggì l'istante in cui i<br />
nemici si accorsero che qualcosa non andava. Vidi una frenesia di<br />
segnali che venivano lanciati e sentii urla lontane; allora i remi si<br />
sollevarono dall'acqua e rimasero immobili, orizzontalmente.<br />
L'andatura delle imbarcazioni rallentò all'improvviso.<br />
Vicino a me Longino si sporgeva in avanti, il corpo teso nell'attesa<br />
che la nave ammiraglia si avvicinasse ulteriormente. «Avanti,<br />
smidollati!» sibilava. «Da dove siete non riuscite a distinguere di chi<br />
sono i cadaveri. Fatevi avanti!»<br />
Quasi in risposta al suo incitamento, i remi della galea di testa<br />
affondarono nell'acqua e l'imbarcazione avanzò, con cautela;<br />
seguivano altre due navi. Attento a non tradire precipitazione,<br />
Longino si ritrasse dal parapetto e si affrettò a raggiungere la<br />
catapulta.<br />
«Aspettano un qualche segnale che li avverta se ci sono pericoli a<br />
procedere. Forse si chiedono come mai ritardi. Pronti, ragazzi!» La<br />
sera prima aveva personalmente orientato le tre catapulte in modo<br />
che mirassero verso un punto astrattamente determinato,<br />
scommettendo con se stesso, come in seguito ammise, che la flotta si<br />
sarebbe avvicinata in quella precisa formazione: tre galee, disposte a<br />
punta di freccia, che precedevano le altre. Vedevo che più in là, i<br />
secchi di carboni ardenti, tolti dalla sottostante fornace, salivano<br />
verso di noi in un alone di vapore tremulo per l'intenso calore.<br />
«Adesso, Derek!» ruggì e Derek levò la mano dando il segnale<br />
convenuto. Quattro uomini, rimasti in attesa nel retrostante cortile<br />
tenendo la cima di una lunga fune, indietreggiarono di corsa di<br />
qualche passo e si fermarono. Allora il cadavere di Liam, attaccato<br />
all'altra estremità della fune, si issò di scatto, raggiungendo quasi la<br />
sommità della cinta esterna, e lì rimase appeso, rigido e<br />
riconoscibilissimo, davanti agli occhi dei suoi compatrioti attoniti. I<br />
remi si levarono di nuovo mentre lo sgomento e la confusione si
diffondevano tra l'equipaggio, e in quell'istante di caos Longino<br />
diede il suo segnale tirando la leva dell'argano.<br />
<strong>Il</strong> fragore del proiettile mi rimbombò nel petto. Con lo sguardo<br />
seguii la traiettoria verso la nave di destra e, prima che si abbattesse<br />
<strong>sul</strong> bersaglio, sentii il fragore del secondo lancio diretto verso la<br />
galea di sinistra. <strong>Il</strong> primo proiettile, centrando il vascello, provocò un<br />
disastro di uomini e di remi e s'incastrò <strong>sul</strong> fondo dello scafo. Si<br />
levarono grida e, non appena girai lo sguardo, vidi il secondo<br />
proiettile colpire la nave in testa. Abbattendosi con forza <strong>sul</strong>l'albero<br />
maestro, ne staccò dal fianco un'enorme scheggia; la velocità del<br />
colpo fu fatale e provocò un movimento rotatorio che fracassò<br />
l'albero e lo sparpagliò intorno in una pioggia di frammenti letali.<br />
Immediatamente tra la massa degli uomini massacrati sgorgarono<br />
schizzi di sangue.<br />
Non vidi l'impatto del terzo missile <strong>sul</strong>la terza nave, perché la mia<br />
attenzione fu attirata dalle volute di fumo che venivano dalle due<br />
baliste nel momento in cui scaricavano i carboni ardenti. Mi ero<br />
accorto che vicino a me gli uomini di Longino, impegnati in<br />
manovre frenetiche, sciamavano intorno alla macchina da guerra e la<br />
preparavano a scaricare un nuovo letale proiettile. All'improvviso<br />
tutto si placò; Longino controllò il congegno di scatto e, saltando<br />
all'indietro, lasciò andare la leva. Scricchiolò l'argano e stridettero le<br />
funi. La nave, che era il bersaglio della scarica, incapace di spostarsi,<br />
continuava a girare su se stessa, perché su un lato i rematori erano in<br />
numero maggiore che <strong>sul</strong>l'altro. <strong>Il</strong> proiettile disegnò una traiettoria<br />
nitida e precisa, abbattendosi come un fulmine nel mezzo della galea<br />
e conficcandosi nella chiglia. Fu allora che vidi qualcosa che mi lasciò<br />
attonito. <strong>Il</strong> corpo di un uomo si levò nell'aria dall'alto delle mura, le<br />
braccia e le gambe spalancate, vorticando come una trottola mentre<br />
si innalzava in una parabola e piombava quindi <strong>sul</strong>l'equipaggio che si<br />
era assiepato nella parte centrale della terza galea, nel tentativo di<br />
spegnere le fiamme ormai divampanti. Riconobbi in quella forma<br />
che, prima di ricadere, raggiunse il culmine della traiettoria la tunica<br />
gialla e verde del cadavere di Liam, figlio di Condran.<br />
Quel macabro finale era stato studiato con cura, ma nessuno me<br />
ne aveva parlato. <strong>Il</strong> cadavere era il segnale convenuto per i nostri<br />
che, levatisi, si affollarono sugli spalti delle mura, con urla di sfida,
mentre gli arcieri si mettevano all'opera.<br />
Mi avvicinai al bordo della cinta per vedere i danni provocati dai<br />
proiettili di Longino. Dalla prima galea, prossima ad affondare, gli<br />
uomini si gettavano in mare abbandonando il relitto che si inclinò su<br />
un lato mentre l'albero maestro oscillava violentemente. Si raddrizzò<br />
a un tratto e lentamente sprofondò nell'acqua appoggiandosi <strong>sul</strong><br />
fondo basso con la cima dell'albero che sporgeva dalle onde. Gli<br />
uomini si sparpagliarono in ogni direzione; alcuni, incapaci di<br />
nuotare, annegarono annaspando nelle acque agitate, in preda a un<br />
panico frenetico. Sulla sinistra la seconda galea, divorata dalle<br />
fiamme, fu presto abbandonata. I marinai evidentemente<br />
preferivano correre il rischio di morire annegati che bruciati. La terza<br />
galea si muoveva lentamente. I sopravvissuti dell'equipaggio<br />
decimato cercavano in tutti i modi di allontanarsi dalle mura. Ma<br />
prima di raggiungere la distanza di sicurezza, l'imbarcazione fu<br />
colpita due volte: un carico di carboni ardenti si abbatté <strong>sul</strong>la vela<br />
piegata e, subito dopo, dalla catapulta un proiettile piombò <strong>sul</strong>la<br />
destra dell'albero maestro, fracassando i remi e massacrando i<br />
rematori e, conficcatosi nel fianco del vascello, rimase a sporgere per<br />
un terzo della lunghezza attraverso le assi scardinate che<br />
galleggiavano <strong>sul</strong>la superficie dell'acqua.<br />
Subito dopo assistetti a una prova di coraggio e orgoglio che non<br />
ho mai dimenticato. Un uomo, con indosso un lungo mantello blu e<br />
un elmo ornato di corna, avanzò nel mezzo del ponte di comando,<br />
indifferente a noi e ai proiettili, e prese a incoraggiare i sopravvissuti<br />
del suo equipaggio. A quell'incitamento gli uomini si raccolsero in<br />
una specie di unità compatta, piegandosi all'unisono sui remi mentre<br />
lui ritmava il tempo battendo con la spada <strong>sul</strong>lo scudo, in una<br />
cadenza che giungeva sino a noi. Non fui l'unico a notare quel<br />
comportamento, e mentre tra noi si diffondeva la consapevole<br />
ammirazione per il suo agire, cadde il silenzio: nessun suono<br />
proveniva dai bastioni. Tutti rispettano gli audaci e lo spettacolo che<br />
si svolgeva davanti ai nostri occhi indicava grandissimo coraggio.<br />
Mentre regnava il silenzio, soltanto una freccia venne scagliata<br />
contro il capitano, e l'arciere, subito redarguito dai suoi compagni, si<br />
paralizzò per la vergogna.<br />
Cinque, sei, sette colpi di remo, poi il capitano impose di
smettere. Davanti alla prua nuotava un gruppo di uomini ai quali i<br />
compagni lanciarono corde.<br />
Non appena furono in salvo, il capitano si portò a poppa e<br />
impartì con voce possente altri ordini. La galea si girò e lentamente si<br />
volse verso un altro gruppo che annaspava in mare e lo caricò a<br />
bordo.<br />
Tutto ciò accadeva mentre erano ancora entro il raggio di gittata<br />
delle nostre catapulte, ma non ci muovemmo finché un altro<br />
vascello non tentò di avanzare dallo schieramento quasi immobile<br />
dietro a loro.<br />
Con un balzo Longino si avvicinò alla catapulta impartendo<br />
ordini a gran voce; gli uomini immediatamente alzarono la macchina<br />
puntando verso il cielo. Dopo avere calcolato la distanza, Longino<br />
apportò rapidamente qualche lieve aggiustamento e, non appena fu<br />
soddisfatto, con un salto all'indietro tirò il congegno di scatto<br />
facendo partire il proiettile. Lo guardammo disegnare una parabola e<br />
piombare a breve distanza dalla galea che avanzava, affondando in<br />
mare con un gran schizzo. <strong>Il</strong> messaggio fu subito compreso. <strong>Il</strong><br />
vascello cambiò rotta. Sull'altra galea, gli uomini, inconsapevoli<br />
dell'accaduto, continuavano l'opera di salvataggio. In qualche modo,<br />
il capitano sapeva di poter portare a termine il suo compito.<br />
A un certo punto dalla galea venne calata in mare una piccola<br />
imbarcazione su cui salirono tre uomini. Mentre uno manovrava la<br />
barca, gli altri due recuperarono un corpo senza vita. Gli abiti, intrisi<br />
d'acqua, avevano perduto il colore, ma capii che si trattava del loro<br />
ammiraglio, Liam, figlio di Condran. Fatto ciò, e ricostituito in parte<br />
l'equipaggio, la galea raggiunse il rimanente della flotta.<br />
Le sedici navi volsero le vele e doppiarono l'isola scomparendo<br />
alla vista.<br />
«Un farabutto coraggioso, quello. Chi è?» chiese Longino.<br />
Scossi la testa. «Non lo so; forse potrà dirtelo Connor. Credi che<br />
torneranno?»<br />
Mi guardò negli occhi, strinse le labbra e scosse la testa. «Ne<br />
dubito. Che cosa faresti tu? Secondo me, volgeranno le vele verso la<br />
patria, costituiranno una flotta più grande e torneranno assetati di
sangue. Torneranno insieme ad altri, desiderosi di vendetta» disse<br />
Longino in tono cupo. «Sanno quello che li aspetta.»<br />
«No, amico mio» dissi sorridendo. «Avranno rispetto delle tue<br />
armi, di questo non ne dubito. Ma quando torneranno, Connor Mac<br />
Athol se ne sarà andato. Ricordati: non sanno che è qui. Troveranno<br />
che a sbarrargli la rotta sarà una flotta pari alla loro.»<br />
Sgranò gli occhi, quindi sorridendo annuì. «Hai ragione, non ci<br />
avevo pensato. Beviamo qualcosa. Santo cielo, abbiamo sconfitto<br />
un'intera flotta.» Si volse e con un ruggito chiamò Derek.<br />
All'improvviso fummo circondati da una marea di uomini festanti il<br />
cui entusiasmo cresceva mano a mano che si rendevano conto della<br />
vittoria conseguita.<br />
Tutti notarono l'assenza di Connor e dei suoi uomini, che si erano<br />
affrettati ad andare a recuperare le galee nascoste nell'insenatura. Me<br />
ne diede conferma Donuil, venuto a cercarmi di lì a poco. In breve<br />
tempo si materializzarono al mio fianco, emergendo dalla folla,<br />
Lucano, Hector, Rufio e Dedalo. Fui sorpreso nel vedere che Dedalo<br />
teneva in mano un boccale perché sapevo che non beveva alcol.<br />
Notando la mia occhiata, sorrise e levandolo in un brindisi ne bevve<br />
un bel sorso che gli lasciò un alone bianco intorno alle labbra.<br />
«Latte» disse. «Freddo. Non hai l'aria contenta, amico e<br />
comandante. Che cosa non va?»<br />
«Niente. Abbiamo appena conseguito una vittoria incruenta per i<br />
nostri uomini. Che cosa potrebbe andare storto?»<br />
«Non lo so, ma non hai l'aria di credere alle tue parole.» Lo<br />
sguardo gli si indurì. «Dovremmo essere preoccupati?»<br />
«No, no.» Capivo di apparire ambiguo e scossi la testa. «Pensavo a<br />
Liam, figlio di Condran... a come è stato lanciato dalla catapulta.»<br />
Dedalo spalancò gli occhi stupito. «Non approvi? Dal canto mio<br />
mi è sembrata un'idea geniale; mi è dispiaciuto solo che quel<br />
farabutto fosse già morto. È stata un'iniziativa di Connor...<br />
splendida, mi è parso.»<br />
«Splendida? Perché? Io la ritengo barbara.»
«Barbara?» Sbatté le palpebre quasi avesse concluso che ero<br />
impazzito. «Certo che è barbara, ma Liam si è comportato da<br />
barbaro, Merlino. E lo è anche Connor, pur con tutta la sua grazia<br />
raffinata. Questi sono aggressori, non esteti di Camelot, educati al<br />
modo romano. Combattono continuamente tra loro e hanno leggi<br />
diverse dalle nostre. Vedendo Liam che, solcando il cielo piombava<br />
su di loro come un proiettile, l'equipaggio ha capito le intenzioni di<br />
Connor e il giudizio che dava dei metodi del loro infido<br />
comandante. Te lo ripeto, mi spiace solo che fosse già morto.»<br />
Non sapendo replicare a quelle parole, mi limitai ad annuire e gli<br />
porsi la coppa vuota. «Riempila. Vado a fare quattro passi. Ho molte<br />
cose cui pensare.»<br />
Poco dopo mi trovai fuori dalle mura, al limitare della piazza del<br />
mercato. Mi avvicinai a Shelagh, seduta su un muretto vicino a<br />
Turga. Guardavano Artù che giocava con gli altri tre ragazzi. Li stava<br />
osservando anche un capannello di giovani del posto, ma non<br />
presero l'iniziativa di partecipare al gioco che era in realtà un<br />
esercizio inventato da Rufio per addestrarli nell'arte di tirare la<br />
fionda.<br />
Accorgendosi di me, le due donne si volsero a salutarmi, ma io<br />
feci loro cenno di non muoversi. Mi sedetti <strong>sul</strong> muretto accanto a<br />
Shelagh e in silenzio restammo a osservare i ragazzi che non mi<br />
notarono, tanto erano concentrati.<br />
«Chi sta vincendo?» chiesi.<br />
«Bedwyr è in testa con dodici punti di vantaggio» rispose Shelagh<br />
senza guardarmi. «La battaglia si è conclusa con una vittoria?»<br />
«Sì, come previsto. Li abbiamo colti di sorpresa. Sono entrati nella<br />
baia e sono stati costretti ad andarsene; non hanno provocato<br />
perdite tra i nostri uomini. Tu dove ti trovavi?»<br />
«Nei nostri alloggi. Ho tenuto i ragazzi al riparo.»<br />
«Non ti sarà stato facile.»<br />
«Non ne erano entusiasti» confermò girandosi a guardarmi. «Ma<br />
sapevano che non c'era niente da fare e si sono rassegnati. Avete
affondato due galee?»<br />
«Sì» e le raccontai del coraggio del capitano di una delle tre galee.<br />
«Un mantello blu e un elmetto ornato di corna? Era un blu<br />
acceso?»<br />
«Sì, più acceso di ogni altro. Lo conosci? Sai chi è?»<br />
Scosse la testa. «C'è tra loro un capitano di nome Modrin, che ha<br />
fama di grande guerriero. Forse è lui. Si dice che indossi un mantello<br />
di un blu acceso e un elmetto con in cima le corna di un cervo. Le<br />
hai viste? Erano così?»<br />
«Non lo so; non ho notato. Era molto distante.»<br />
Shelagh si levò e, dopo avere detto a Turga qualcosa che non<br />
sentii, si volse a me, mettendosi in spalla un capace sacco di cuoio.<br />
«Vieni, Merlino, voglio fare quattro passi. Se i ragazzi notano la<br />
tua presenza, è finita.»<br />
Allontanandoci imboccammo il sentiero che conduceva alla<br />
foresta dove ero caduto nell'agguato. Sentii una voce infantile che mi<br />
chiamava e capii che si erano accorti di me.<br />
«Non voltarti; fingi di non sentirli. Ho avvertito Turga di dire loro<br />
che non possiamo essere disturbati e di trattenerli.»<br />
Nessuno dei due aveva voglia di parlare, e proseguimmo<br />
tranquillamente in un silenzio interrotto soltanto dal canto di un<br />
merlo. L'aiutai ad attraversare il fossato al margine della foresta,<br />
quindi le feci strada mentre scendevamo lungo il pendio.<br />
«Qui sono stato aggredito l'altro giorno.»<br />
Si guardò intorno osservando i fitti rovi che mi avevano lacerato<br />
la pelle delle mani e del viso. «Ehm!» mormorò. «Sii grato che Donuil<br />
ti abbia visto passare e ti sia venuto dietro. Che cosa c'è lassù?»<br />
Guardai il sentiero che si inerpicava su per la collina poco oltre la<br />
piccola radura. «Non lo so. Non sono arrivato fin lì.»<br />
«Andiamo a vedere. L'uomo dalla tunica gialla sarà andato da<br />
quella parte.»<br />
<strong>Il</strong> sentiero saliva così erto che a un certo momento, non potendo<br />
procedere diritti, fummo costretti a metterci quasi carponi, piegati in
avanti per avanzare.<br />
«Vale la pena fare tanta fatica?» chiesi.<br />
Mi sbirciò scostandosi dalla fronte un ricciolo che le era sceso sugli<br />
occhi, quindi guardò in alto davanti a sé. «Siamo quasi in cima.»<br />
Aveva ragione; poco dopo avevamo raggiunto i pochi alberi che<br />
coronavano la vetta della collina, quasi del tutto spoglia. Alle nostre<br />
spalle vedevamo la sommità delle mura orientali di Ravenglass,<br />
sorprendentemente vicine dietro una fila di bassi alberi. Nessuno si<br />
muoveva sui bastioni; <strong>sul</strong> versante occidentale le potenti catapulte di<br />
Longino ancora levavano in alto il loro braccio. Le strade della città<br />
erano affollate di gente.<br />
«Sembra un formicaio» disse Shelagh, quindi si volse per guardare<br />
nell'altra direzione. «Le colline.»<br />
Una fila di alture, che si perdeva in lontananza a oriente, stagliava<br />
i suoi picchi contro il cielo. «Si chiamano Fells» dissi assaporandone la<br />
placida bellezza. «Di che cosa volevi parlarmi?»<br />
Si voltò alla ricerca di un luogo dove sedersi. C'era un alberello<br />
morto, caduto di lato, la corteccia consumata dai piedi della gente<br />
che vi era passata. Si accomodò lì, e io mi appoggiai a un albero<br />
vicino.<br />
«Ho riflettuto <strong>sul</strong> nostro futuro» disse e tacque.<br />
«Anch'io. A che cosa hai pensato?»<br />
«Al tuo nome.»<br />
«Al mio nome?» sbattei le palpebre davanti a quella frase che mi<br />
parve insensata.<br />
«Qual è?» contrasse il viso in una smorfia e scosse la testa con<br />
impazienza, ignorando il mio stupore. «Oh, non importa. Te lo dico<br />
io. Tu hai quattro nomi.»<br />
«No, tre. Caio Merlino Britannico.»<br />
«No, ne hai quattro. Mi ha dato da pensare proprio il sentire il<br />
tuo quarto nome la notte scorsa.»<br />
«Che vuoi dire? Non capisco.»<br />
«Lucano ti ha chiamato Cay ieri notte.»
«Sì, lo fa spesso. Anche tu mi chiami così di tanto in tanto. I miei<br />
amici e familiari mi chiamano tutti Cay.»<br />
«Proprio così!» sorrise, quasi avesse dimostrato il suo<br />
ragionamento. «L'uomo dalla tunica gialla... pensi che sia venuto<br />
qui?»<br />
«Cosa?»<br />
«Cosa pensi? Accidenti, com'è scomodo stare seduta quassù.» Si<br />
levò rapida e si mise cavalcioni <strong>sul</strong> tronco, sistemandosi in fretta la<br />
veste prima di tornare a rivolgersi a me. «Quell'uomo è scappato<br />
perché ti conosceva e naturalmente credeva che anche tu l'avessi<br />
riconosciuto. Sapeva che tu eri Merlino di Camelot, ed è fuggito<br />
perché capiva che il saperlo era pericoloso. Pericoloso per te.<br />
Perché? Semplice. Perché voleva vendere l'informazione a qualcuno<br />
che l'avrebbe pagato per averla.<br />
Anche Derek ti conosceva, quando siamo arrivati. Merlino di<br />
Camelot, così si è rivolto a te, e non ha esitato a dirti che non<br />
potevamo fermarci, perché la notizia che Merlino si trovava a<br />
Ravenglass avrebbe portato qui orde di nemici dalla Cornovaglia e<br />
dalla Cambria e da ogni altro luogo in cui si è a conoscenza che<br />
Merlino è il tutore del piccolo Artù Pendragon. Quanta gente hai<br />
incontrato da quando siamo arrivati? Altri che conoscono il tuo<br />
nome?»<br />
«Parecchi.»<br />
«Come ti chiamano? Merlino?» Annuii.<br />
«Derek ti ha mai chiamato Caio?»<br />
«No.»<br />
«Neppure Cay?»<br />
«Assolutamente no.»<br />
«Bene. Allora è chiaro. Quando hai intenzione di andare a vedere<br />
il forte? Domani?»<br />
«Sì, domani mattina, ma non capisco quello che a te è tanto<br />
chiaro.»<br />
Scosse la testa lentamente, un lieve sorriso <strong>sul</strong>le labbra, gli occhi
sgranati su di me. «Merlino, Merlino... ecco che ti parlo come a uno<br />
pari a me, e tu rispondi da uomo cieco e stupido come tanti altri.» <strong>Il</strong><br />
sorriso si allargò. «Farò allora la maga e ti confiderò segreti che<br />
nessuno conosce.»<br />
«Tu sei una maga, e lo sai. Ma perché hai l'aria tanto<br />
compiaciuta?»<br />
«Davvero?»<br />
Per un attimo non capii a quale delle mie due osservazioni si<br />
riferisse, ma me lo chiarirono le successive parole e l'improvviso<br />
guizzo malizioso nei suoi occhi.<br />
«Lo so di essere una maga, ma avevo cominciato a credere di<br />
essere diventata immune ai miei stessi incantesimi. Da anni non<br />
percepisco in te l'impeto amoroso e voluttuoso della lussuria.»<br />
Mi sentivo la gola stretta per la tensione e il cuore mi martellava<br />
nel petto. Entrambi avevamo ammesso molto tempo prima che era<br />
forte in noi l'impeto del desiderio reciproco, ma doveva restare<br />
inappagato per lealtà verso Donuil. Erano passati anni da quando ne<br />
avevamo discusso e avevamo deciso di comune accordo di<br />
reprimere lo slancio della passione e non perseguirla, pur<br />
rimanendone consapevoli.<br />
Le sue due gravidanze e la scelta del celibato da parte mia<br />
avevano rafforzato la nostra amicizia e confidenza. Dall'attrazione,<br />
che persisteva, era scaturito il calore di un legame saldo. Ma<br />
all'improvviso il desiderio esplose dentro di me. Inghiottii il groppo<br />
che sentivo in gola.<br />
«Non si è mai spento» dissi sforzandomi di parlare in tono<br />
leggero. «Stai invecchiando, ecco tutto. Si è ottusa in te la percezione<br />
di tali sentimenti.»<br />
«Una maga non perde mai l'acutezza della percezione.»<br />
Levandosi in piedi, allontanandosi dal tronco e tendendo le mani<br />
verso di me, cominciò a canticchiare una melodia seducente e<br />
ammaliante.<br />
Mi raddrizzai contro l'albero al quale ero rimasto appoggiato, e<br />
mi lasciai condurre dove era stata seduta fino a quel momento.
«Siediti,» disse sorridendo «siediti e ascolta i miei incantesimi.<br />
Chiamerò a raccolta tutta la potenza della magia femminile per dirti<br />
come uomini rozzi e torpidi potranno vivere al sicuro e allevare figli<br />
sani tra queste colline. Sei pronto?» Annuii; avevo ripreso il controllo<br />
su me stesso. Sorrideva dolcemente: «Fa' attenzione».<br />
Rimase in piedi davanti a me, riprendendo a canticchiare lo stesso<br />
motivo cadenzato di prima. Levò le braccia e sciolse il nastro intorno<br />
ai capelli che le scesero <strong>sul</strong>le spalle.<br />
Mentre guardavo con occhi spalancati e increduli, cominciò a<br />
girare piano, continuando a canticchiare la sua nenia e tenendo gli<br />
occhi fissi su di me, torcendo il collo fino al punto in cui mi parve<br />
che le si sarebbe spezzato. Soltanto allora con un subitaneo moto<br />
volse la testa. Teneva le braccia tese lungo i fianchi e a poco a poco<br />
si mise a girare sempre più in fretta finché prese a vorticare come<br />
una trottola. Mentre i suoi movimenti da lenti e aggraziati<br />
acceleravano fino a diventare turbinosi, io continuavo a fissarla<br />
incantato guardando il viso e i capelli che roteavano, percependo<br />
appena che la gonna salendo lasciava vedere le gambe snelle e<br />
diritte. Non appena me ne accorsi, i miei occhi non si staccarono più<br />
dalla sua nudità forte e giovane.<br />
Mi aveva osservato, ne sono sicuro, con la stessa intensità con cui<br />
l'avevo osservata io; non appena notò che il mio sguardo aveva<br />
lasciato il suo viso, smise bruscamente, la voce interruppe il canto su<br />
una nota nitida e alta, le gonne ricaddero come un sipario<br />
ondeggiante.<br />
«Siediti» mi ordinò. «Una maga non cade mai. Ascolta. Chiudi gli<br />
occhi e tienili chiusi.» Così feci rivedendo nella mente l'immagine<br />
delle sue gambe che vorticavano nude nella danza.<br />
«Rifletti, Merlino di Camelot...» disse piano e prese a parlare con<br />
una cadenza ritmata, quasi un canto, che mi cullava costringendomi<br />
ad ascoltarla.<br />
«Immagina una schiera di uomini forti e anche di donne che arriva<br />
in un luogo <strong>sul</strong> mare. Si chiama Ravenglass, e da lì spariscono alla<br />
vista, nessuno sa dove siano andati. Immagina che ci siano dei nemici<br />
che li cercano per mare e per terra, che sguinzagliano spie in ogni<br />
direzione per dare loro la caccia ovunque siano. Immagina che
queste spie conoscano un nome, il nome di un uomo forte, il nome<br />
di un capo, e sappiano che rintracciando lui troverebbero quello che<br />
cercano e sperano di trovare. Immagina che su questa terra - ma<br />
anche ad Alba e nell'Eire - si creda che di quest'uomo forte si sia<br />
smarrito ogni indizio nei luoghi in cui si affollano gli uomini e le<br />
donne...»<br />
La voce si spense, ma io continuai a tenere gli occhi chiusi<br />
concentrandomi <strong>sul</strong>la visione che aveva evocato. Quando la guardai,<br />
era inginocchiata vicino a me: mi fissava con i suoi bellissimi occhi<br />
penetranti, ma l'espressione era grave, non scherzosa.<br />
«Io ho visto» disse. «La nostra speranza si realizza. Vuoi sapere<br />
dove sono spariti?»<br />
«Sì, se sai dove si volgono i miei pensieri.»<br />
«Non sono partiti. Sono partite le loro navi nel cuore della notte,<br />
ma loro sono rimasti e sono andati a vivere nel forte abbandonato.<br />
La loro guida, Merlino, ha cambiato il suo nome in Cay. Continua a<br />
essere un capo per quella gente, ma il titolo di capo l'ha conferito a<br />
un altro, non un guerriero ma un contadino, che sfama la sua gente.»<br />
«Hector.»<br />
«Sì. Cay è divenuto uno dei tanti, un uomo che attende al suo<br />
lavoro. Quando alla fine tornano le spie, la loro ricerca ri<strong>sul</strong>ta vana<br />
perché non esiste a Ravenglass nessuno che si chiami Merlino.»<br />
La fissavo stupito dalla lucida semplicità del suo consiglio,<br />
consapevole che aveva ragione. Pochi a Ravenglass conoscevano il<br />
mio vero nome e per loro tranquillità avrei potuto partire su una<br />
nave con Connor e il giovane Artù, farmi sbarcare a breve distanza<br />
<strong>sul</strong>la costa, poi tornare a Mediobogdum vitando di passare per la<br />
città. Sarei stato soltanto Cay; Merlino sarebbe svanito nel nulla.<br />
«Shelagh, è un ottimo piano!»<br />
«Naturale! Una maga non sbaglia mai, uomo di poca fede!»<br />
«Santo cielo! Come hai... Lo sapevi che saremmo venuti qui oggi?»<br />
«Non essere sciocco» disse gettandomi un'occhiata storta. «Come<br />
avrei potuto saperlo? Sapevo però che avrei tenuto i ragazzi lontano<br />
dalle mura per tutto il giorno per via della battaglia e dei
festeggiamenti che, mi auguravo sinceramente, sarebbero seguiti alla<br />
vittoria.»<br />
«Hai eseguito una danza meravigliosa.»<br />
«Un incantesimo. Efficace, vero?»<br />
«Certamente, in molti modi.»<br />
«Non avresti dovuto guardarmi sotto le gonne. Mi hai visto il<br />
sedere nudo?»<br />
Scossi la testa, sorridendo. «No, purtroppo. Ma mi sarei sforzato<br />
se avessi saputo che era nudo. Ero così affascinato dalla tua parte<br />
superiore, dalle braccia, dalla testa, dai capelli, che non ho notato<br />
altro.»<br />
«Bugiardo. Ti ho visto con la bocca aperta.»<br />
«Come hai potuto? Roteavi troppo in fretta.»<br />
«Mi è bastato un istante per cogliere quel guizzo nei tuoi occhi.<br />
Ho smesso per paura che ti venisse un colpo apoplettico.»<br />
«Improbabile, ma forse avrei infranto il mio voto di celibato se tu<br />
avessi continuato.»<br />
Mi fissò l'inguine apertamente e senza imbarazzo. «Si rizza ancora?<br />
Malgrado tutte le rinunce che ti imponi?» Non c'era traccia di falso<br />
pudore nella sua voce e nel suo atteggiamento.<br />
«Certamente.» Mi mossi appena, cercando una posizione più<br />
comoda, stranamente a mio agio malgrado la piega che aveva preso<br />
la conversazione. «Soprattutto nel cuor della notte. Grazie a Dio.»<br />
«Sogni erotici?»<br />
«Sì.»<br />
«Spesso?»<br />
«Sì, ogni settimana.»<br />
«Ogni settimana? Dopo tanto tempo?»<br />
«Forse proprio perché è tanto tempo. Non lo so e cerco di non<br />
pensarci. Perché non parliamo d'altro?»<br />
Continuava a osservarmi tra le gambe con aria perplessa. Levando
gli occhi, li fissò nei miei.<br />
«Chi vedi in sogno?»<br />
«Non lo so quasi mai» sospirai scuotendo la testa.<br />
Sollevò le sopracciglia incredula. «Devi saperlo! Se una donna ti<br />
piace al punto da provocarti un'erezione anche senza essere<br />
cosciente, di sicuro sai chi è.»<br />
Sorrisi della sua incredulità. «Non è una donna, è un sogno, una<br />
forma spettrale evocata dalle pulsioni del corpo e dagli stimoli della<br />
mente. Non so come faccia a evocarla, so soltanto che<br />
inaspettatamente, senza che me lo prefigga, tramite qualche<br />
meccanismo inconscio, mi avvalgo di questa presenza spettrale, un<br />
contenitore incorporeo nel quale riverso il mio seme senza che me<br />
ne renda conto. Quasi mai lo capisco al momento; lo arguisco da<br />
quello che vedo al risveglio.»<br />
«Donuil non fa mai sogni così» disse aggrottando la fronte.<br />
«Lo spero proprio. Neppure io li farei se tu mi giacessi accanto...»<br />
Mi trattenni ed evitai di completare la frase. Mi ascoltava appena, la<br />
fronte aggrottata pensosa.<br />
«Hai detto "quasi mai". <strong>Il</strong> che vuol dire che per lo più non sai chi è<br />
la donna del tuo desiderio, ma a volte lo sai. Chi è?»<br />
«Tu, Shelagh, tu. Mi hai dato licenza una volta di sognare di te, di<br />
desiderarti nella mente. Non te lo ricordi?»<br />
Era sorpresa.<br />
«Come? Non ti ho mai dato ragione...»<br />
«No, non mi hai incoraggiato per anni, sta' tranquilla. E io non ti<br />
ho desiderato di recente, non consciamente, almeno. Per nessuno di<br />
noi due è un moto volontario.»<br />
«Lo so. Ma come? Oh, quanto mi sento stupida!»<br />
«Non dire così. Tu sei una donna. Non provi l'urgenza del<br />
desiderio maschile, più prepotente, a quanto sembra, e più effimero<br />
di quello femminile. Sembra, ripeto. Non so se sia vero; nessuno lo<br />
sa.»<br />
«È abbastanza vero, credo. So che le donne si eccitano più
lentamente degli uomini. Negli uomini il desiderio è improvviso e<br />
imprevedibile; prevedibili sono soltanto la frequenza e<br />
l'imprevedibilità.» Tacque e riprese: «So che vuoi parlare d'altro, ma<br />
mi hai detto qualcosa di cui non so niente. Muoio dalla curiosità di<br />
sapere. Posso farti qualche domanda?».<br />
«Sì, naturalmente. Di che si tratta?»<br />
Rimase in silenzio per qualche momento, esitante all'audacia delle<br />
sue parole, poi sbottò a chiedermi: «Quando ti... quando fai quei<br />
sogni... che cosa ricordi?».<br />
Rimanemmo a fissarci, i visi vicini, ciascuno dei due contratto per<br />
la tensione delle cose che scopriva, eppure senza sentire lo stimolo<br />
del desiderio.<br />
Quando parlai, la mia voce era roca, le parole lente e calcolate.<br />
«Tutto di te, dalla percezione del tuo seno alla sensazione di<br />
affondare dentro di te.»<br />
«Non mi hai mai toccata.»<br />
Mi scostai leggermente. «Lo so. <strong>Il</strong> massimo che ho visto di te è<br />
stato oggi quando ti guardavo le gambe e le cosce.»<br />
<strong>Il</strong> viso le si illuminò, la ruga scomparve dalla fronte lasciando<br />
posto a un'espressione concentrata. «Quando in sogno mi stai<br />
accanto, l'immagine ti sembra reale? Mi è difficile capire.»<br />
«Neanch'io capisco, ma ringrazio il cielo che sembrino reali. Non<br />
portano offesa a Donuil e neppure a te.»<br />
«A me? Come potrebbero offendere me?»<br />
«Perché sei una moglie fedele. Ma non potrebbero... sono<br />
soltanto sogni. Involontari. Lo dice anche Lucano.»<br />
«Ne hai parlato con Lucano?» disse aggrottando di nuovo la<br />
fronte.<br />
«Non di te» la rassicurai ridendo. «Che cosa hai pensato? Abbiamo<br />
parlato della castità, ecco tutto, e delle polluzioni notturne. Cosi le<br />
chiama.»<br />
«Polluzioni notturne? Che paroloni!»
«A volte danno piacere, ma non quanto un rapporto reale.»<br />
«Perché no?»<br />
«Perché manca la cosa principale, un elemento cruciale: una<br />
donna vera, deliziosamente rorida.»<br />
La nostra conversazione si era svolta in latino - Shelagh lo aveva<br />
imparato con straordinaria facilità - ma in quel momento, come una<br />
bambina, si portò un dito alle labbra, e le si accentuò l'accento<br />
natale. «Gli dèi si metteranno a urlare sentendoci dire queste cose.<br />
Non ho mai parlato così con Donuil. Ti immagini la faccia che<br />
farebbe se ci ascoltasse?» Tacque e per qualche momento rimase<br />
pensosamente in silenzio, quindi ridendo con aria infantile riprese:<br />
«Sicché dormi della grossa quando fai questi sogni? Morto al mondo<br />
senza idea di quello che sta succedendo».<br />
«Sì, a livello conscio. Molte cose avvengono nella mente.»<br />
«E anche in altre parti.»<br />
«Ehm!»<br />
«Quanto mi piacerebbe vedere!» esclamò divertita. «Non sarebbe<br />
uno spettacolo guardare lo zampillo lucente che, all'improvviso,<br />
sgorga come un nastro?»<br />
«Sì» brontolai e feci per levarmi in piedi. «Se non ce ne andiamo,<br />
succederà qui nel bel mezzo del pomeriggio. Su, muoviamoci.»<br />
Le tesi la mano per aiutarla ad alzarsi, ma lei non si mosse.<br />
Teneva gli occhi fissi <strong>sul</strong>l'erezione che all'altezza del suo sguardo<br />
premeva contro la veste.<br />
«Perdonami, Merlino. È stato stupido da parte mia stuzzicarti.»<br />
«Tirati su; afferrati alla mia mano. Non è stato imperdonabile. Mi<br />
è piaciuto. Vuol dire che questa settimana sognerò due volte.»<br />
L'aiutai a sollevarsi e mi allontanai di un passo, volgendole la schiena<br />
per non cedere alla tentazione di prenderla tra le braccia e baciarla.<br />
Sapevo che si sarebbe avvicinata a me. Rimasi vicino a un albero,<br />
lo sguardo fisso finché la sua voce non mi giunse sottile e seducente.<br />
«Merlino, è vero? Non sei arrabbiato?»<br />
«No, Shelagh, non sono arrabbiato, te lo giuro» risposi sorridendo
nel voltarmi verso di lei.<br />
Tacque per un po'. «Due volte questa settimana? Vuoi dire che...»<br />
«Sì, è stato quattro notti fa, a bordo della galea. Non eri tu nel<br />
sogno.»<br />
«Lo spettro senza volto... sarò io stanotte?»<br />
«Sì, e anche molte altre notti a venire. Non pretenderai che ti<br />
ringrazi per avermi eccitato.»<br />
«No, ma...»<br />
«Che cosa?»<br />
Sorrise. «Voglio che tu sappia... non dovrei dirlo... sono eccitata<br />
quanto te.»<br />
La fissai, ben sapendo che correvamo un grave pericolo. «Buona<br />
fortuna a Donuil.»<br />
Mi afferrò per il polso. «Non parlare così, Merlino. Non è Donuil<br />
che ho in mente e non sarà lui a trarne beneficio. Non verrò a letto<br />
con te, ma questa notte non sarò neppure di Donuil.» Continuava a<br />
fissarmi intensamente. Scossi la testa. «È una follia. Andiamo!»<br />
Sulla via del ritorno parlammo di altre cose; quando fummo di<br />
nuovo in città, mi aveva già insegnato i primi versi della melodia che<br />
aveva cantato durante il suo rito magico.
VI.<br />
Alta sopra di me svettava la torre nella quale si apriva la porta<br />
principale di Mediobogdum; i battenti di quercia massiccia erano<br />
inariditi e screpolati dal tempo ma ancora solidi. Intorno agli stipiti<br />
correvano pesanti blocchi di pietra che, come mi aveva spiegato<br />
Derek, venivano dalle cave a nord, lungo la costa. Allungai il collo<br />
per decifrare le parole, sbiadite dal tempo e dalle intemperie, incise<br />
<strong>sul</strong>l'iscrizione del plinto sovrastante i doppi battenti.<br />
«Che cosa dice, Merlino?»<br />
Vicino a me, il giovane Artù stringeva le redini del suo pony e<br />
fissava la scritta. «Dimmelo tu, giovanotto. Sei tu che ti dedichi agli<br />
studi.»<br />
La fronte gli si corrugò nello sforzo di leggere. «Ci sono troppe<br />
parole che non conosco. Sono raggruppate all'inizio dell'iscrizione.»<br />
«Sono nomi» gli spiegai sorridendo. «Nomi che non hai mai<br />
sentito fino a ora, ma da vivi gli uomini che così si chiamavano<br />
erano conosciuti e temuti in tutto il mondo. Dice: "All'imperatore<br />
Cesare Traiano Adriano Augusto, figlio del divo Traiano,<br />
conquistatore dei Parti, nipote del divo Nerva, pontefice massimo,<br />
tre volte console, la quarta coorte dalmatica qui eresse alla presenza<br />
del propretore dell'imperatore".»<br />
Si volse a me sgranando gli occhi. «Cesare Augusto?»<br />
«Sì, ma non quello cui pensi tu. Questo era un Cesare, ma<br />
Augusto è solo un titolo per dire "il grande Cesare". Si chiamava in<br />
realtà Adriano, come io mi chiamo Merlino. <strong>Il</strong> mio nome per intero<br />
è Caio Merlino Britannico, ma Caio Britannico era mio nonno.»<br />
«<strong>Il</strong> vallo di Adriano? Fu lui a costruirlo?»<br />
«Sì, fu costruito durante il suo impero.»<br />
«Dice che suo padre e suo nonno erano di origine divina. Erano<br />
dèi?»<br />
Sorridendo gli scompigliai i capelli. «No. Ma erano imperatori. Era
costume dei Romani considerare dèi i loro imperatori per mostrare<br />
che erano superiori agli uomini comuni.»<br />
«Lo erano veramente?»<br />
«No, erano come la maggior parte di noi, anzi alcuni furono<br />
piccoli uomini. Ma il loro potere era tanto maggiore del nostro che<br />
si credeva fossero dèi.»<br />
Rimase a riflettere su quelle parole per qualche tempo, quindi,<br />
distogliendo lo sguardo, fissò le mura che si ergevano alla sua destra.<br />
«Rimarremo a vivere qui?»<br />
«Forse. Dobbiamo trovare un luogo, e questo potrebbe andare<br />
bene. Che ne dici?»<br />
Prima di rispondere Artù Pendragon si guardò intorno ancora una<br />
volta, prestando maggiore attenzione. Lo osservai, alto, forte, le<br />
spalle larghe, la testa orgogliosamente eretta mentre scrutava la<br />
scarpata erta e scoscesa a est e a sud. Si girò quindi, immemore del<br />
gruppo in attesa dietro a noi, per fissare la valle boscosa che iniziava<br />
a un centinaio di piedi da dove ci trovavamo e si perdeva in<br />
lontananza, verso ovest, in direzione di Ravenglass e della costa.<br />
«Farà freddo qui d'inverno.» Dal tono della voce capii che<br />
esprimeva un giudizio, non che poneva una domanda. Aspettai<br />
senza rispondere, osservando i suoi occhi che percorrevano la parte<br />
sinistra delle mura e tornavano a posarsi <strong>sul</strong>la porta centrale.<br />
«Possiamo entrare?»<br />
«Certamente. Non so che cosa ci troveremo. <strong>Il</strong> forte è disabitato<br />
da tempo.»<br />
«Da secoli, ha detto Lucano.»<br />
«Sì. Vuoi entrare?»<br />
«Esiste anche un'altra porta nel settore settentrionale delle mura?»<br />
Mi strinsi nelle spalle. «Ci sarà di sicuro. È una costruzione<br />
romana. Certamente ci saranno quattro uscite. Forse non tutte<br />
grandi come questa.»<br />
«Come mai?»<br />
«Guardati intorno. Questa è la porta principale, in faccia al
nemico. Gli aggressori potevano avvicinarsi soltanto dalla strada, o<br />
imboccandola dal passo lassù o dalla valle laggiù. Se fossero arrivati<br />
dalla valle a occidente per attaccare la porta su quel versante,<br />
avrebbero dovuto lasciare la strada, arrampicarsi su per un erto<br />
pendio e affrontare un terreno aspro: un'impresa ardua e pericolosa.<br />
L'unica alternativa, la stessa per chi avesse sferrato l'attacco dal passo,<br />
era di seguire la strada e aggredire la porta orientale dall'alto, dove si<br />
trova un campo di parata, come quello di Camelot. Quando era qui<br />
di stanza, la guarnigione, che di sicuro vigilava <strong>sul</strong>le alture su questo<br />
lato della strada, avrebbe rappresentato una minaccia per chiunque<br />
si fosse avvicinato. Dalla parte opposta le mura settentrionali<br />
costeggiano, per un tratto, una scarpata. Nessun esercito potrebbe<br />
superarla.» Tacqui notando l'attenzione con cui mi aveva ascoltato.<br />
«Che tipo di porte ti aspetti di trovare nella cinta?»<br />
<strong>Il</strong> ragazzo esitò, poi si volse a guardare gli altri che sui loro cavalli<br />
aspettavano.<br />
«Non preoccuparti, ragazzo. Ci aspetteranno; attendo la tua<br />
risposta.»<br />
Tornò a posare lo sguardo su di me, poi lo abbassò fissando un<br />
punto tra lui e il terreno, quindi levò i suoi straordinari occhi color<br />
dell'oro.<br />
«Le mura orientali di certo avranno una doppia porta grande<br />
come questa, visto che sono dalla parte del campo di parata. E su<br />
quel versante saranno ben fortificate. Ci saranno porte doppie anche<br />
<strong>sul</strong> lato occidentale della cinta, ma più piccole; da lì sicuramente si<br />
bloccavano le aggressioni di minore entità, sferrate da chi saliva dalla<br />
valle. <strong>Il</strong> lato settentrionale, lungo la roccia, non ha bisogno di porte,<br />
salvo una piccola per scaricare i rifiuti.»<br />
«Bravo!» esclamai mentre sentivo salirmi in gola un groppo di<br />
orgoglio. «È la risposta che avevo formulato alla domanda che ti<br />
avevo posto. Neanch'io sono mai stato qui. Andiamo a vedere se hai<br />
ragione.»<br />
«Posso farti un'altra domanda?»<br />
«Naturalmente.»<br />
Indicò la torre davanti a noi. «Perché le pietre delle mura sono
diverse da quelle della torre?»<br />
Gli sorrisi. «Sto imparando molte cose oggi. Sei un bravo<br />
insegnante, Artù. Guardati intorno e cerca di spiegarmelo. Non<br />
affrettarti, la risposta è davanti a te.»<br />
Venne rapida. Si guardò intorno, cominciando dal pilastro di<br />
arenaria lavorata tra i pesanti battenti, poi volse gli occhi allo stipite<br />
e da lì li portò alle mura turrite ai lati della torre centrale. Vedevo<br />
che il suo sguardo, interrogativo all'inizio, all'improvviso si faceva<br />
acuto e, mentre lo posava <strong>sul</strong>le pareti rocciose a sud e a est, colsi la<br />
luce dell'intelligenza brillare in loro.<br />
«È troppo tenera e non abbastanza spessa. Eccellente per costruire<br />
mura difensive, ma per reggere le porte era necessaria una pietra di<br />
altro tipo. Da dove viene? Non vedo quel materiale qui intorno.<br />
Devono averlo trasportato da qualche altra località. I blocchi<br />
saranno stati estratti da una cava, sagomati e portati fin qui.» Mi<br />
guardò sorridendo. «È così?»<br />
«Sì. Meriti i pieni voti.» Mentre mi volgevo verso gli altri per<br />
indicare loro di avanzare, fui contento di avere assecondato<br />
l'impulso che mi aveva spinto a dire loro di aspettare mentre io e il<br />
ragazzo li precedevamo. Avevamo percorso il decimum iter, una<br />
strada intatta, solida, larga otto passi che nell'ultimo tratto saliva per<br />
un'erta collina fino al passo sovrastante, per la cui difesa era stato<br />
costruito il forte. Emergendo dalla foresta nella quale ci eravamo<br />
addentrati subito dopo avere lasciato Ravenglass, ci eravamo trovati<br />
su un piccolo altopiano e da lì avevamo scorto la sommità della<br />
torre di Mediobogdum <strong>sul</strong>la sinistra, in parte nascosta da una cresta<br />
scoscesa. E dalla cresta, ad appena venti passi dalla strada, avevamo<br />
per la prima volta visto il forte disabitato e immerso nel silenzio. Era<br />
suggestivo da quella distanza, un centinaio di passi, cupo e<br />
invulnerabile come quando era stato costruito, appollaiato <strong>sul</strong>l'orlo<br />
di un precipizio; in lontananza si profilavano incerti i pendii della<br />
valle successiva.<br />
Mentre gli altri ci raggiungevano, scesi da cavallo e mi avvicinai ai<br />
battenti della porta sperando di riuscire ad aprirli quel tanto che<br />
bastava per fare passare il drappello. Con mia grande sorpresa<br />
cedettero con facilità e i cardini cigolarono nei fori. Mi volsi verso il
corteo con le braccia levate.<br />
«Amici...» Si immobilizzarono tutti a guardarmi, e sui volti lessi<br />
interesse e curiosità. «Varcare questa soglia è come superare uno<br />
spartiacque. Al di là forse ci aspetta un nuovo futuro. Siamo venuti<br />
perché sappiamo che qui potremo vivere per molti anni, se così<br />
vorremo fare. È una decisione che deve scaturire da una profonda<br />
riflessione. Le mura davanti a noi sono solide ma antiche. Non so<br />
che cosa troveremo all'interno; so soltanto che si tratterà comunque<br />
di cose che nessuno tocca da tempo. Vorrei che ciascuno di noi<br />
procedesse in solitudine, senza ascoltare i commenti del vicino.<br />
Difficile, lo so, perché è forte e naturale la tentazione di condividere<br />
le proprie impressioni e confrontare le proprie reazioni. Qualcuno di<br />
voi forse proverà un sentimento di ripulsa; qualcuno forse sentirà<br />
nascere l'entusiasmo dentro di sé. Vorrei che ciascuno riflettesse <strong>sul</strong>le<br />
impressioni avute, non reagisse d'impulso nell'impatto del primo<br />
momento. Mi capite?»<br />
Annuirono; fu Dedalo che, come al solito, diede una svolta.<br />
«Ciascuno di noi dovrà parlare da solo?»<br />
«Sì, ma soprattutto ciascuno parli da solo per conto proprio.<br />
Andate dove volete, una volta che sarete all'interno del forte, ma<br />
cercate la solitudine. Guardate, osservate, esaminate, riflettete, siate<br />
onesti con voi stessi, ma tenete presente quello che è il nostro<br />
obiettivo. Chiedetevi se siete disposti a considerare questo luogo<br />
come una meta temporanea o se invece siete pronti a farne per anni<br />
la vostra casa; se ritenete che sia adeguato alle esigenze vostre come<br />
individui e alle nostre come comunità.»<br />
«Quando potremo tornare a parlarci?» chiese Dedalo ridendo.<br />
«Non appena ciascuno avrà preso la propria decisione. Dopo che<br />
avrete visto tutto quello che vi sarà sembrato opportuno, uscite dal<br />
forte. Accenderemo un fuoco e discuteremo. Non c'è fretta. Che<br />
ciascuno abbia il tempo che gli sembra necessario. Anche tu, Shelagh.<br />
Siamo d'accordo?»<br />
Fu Lucano a parlare per tutti. «Entra tu per primo, Merlino. Noi ti<br />
seguiremo.»<br />
Attraversai la porta e mi addentrai nel forte mentre dentro di me
percepivo sentimenti contrastanti di trepidazione ed eccitazione. <strong>Il</strong><br />
ragazzo, che mi precedeva, mi si avvicinò non appena superata la<br />
soglia. Ero contento che fosse lì perché desideravo accompagnarlo<br />
nei suoi pensieri e forse anche vedere le cose con i suoi occhi.<br />
Sentivo alle mie spalle lo scalpiccio dei passi del seguito; mi misi di<br />
lato per lasciarlo passare, mentre con gli occhi rapidamente<br />
esaminavo gli edifici che sorgevano all'interno delle mura. Mi mossi<br />
accompagnato da Artù. Ci avviammo verso la via praetoria, la strada<br />
centrale, fiancheggiata da basse caserme. Erano costruite con pesanti<br />
tronchi di legno, verdi di muschio, forse marci, ma sapevo che non<br />
da lì desideravo cominciare a ispezionare il forte.<br />
Artù mi aveva superato, aveva raggiunto il primo ingresso<br />
dell'edificio <strong>sul</strong>la sinistra, sporgeva la testa nell'oscurità oltre lo spazio<br />
vuoto dove un tempo era stata la porta. Avvicinatomi, lo toccai<br />
<strong>sul</strong>la spalla; mi guardò.<br />
«Attento! Non mettere la testa in luoghi bui senza avere prima<br />
controllato che siano vuoti. Ricorda che questo luogo è<br />
abbandonato da anni. Potrebbero viverci degli orsi.»<br />
«Orsi? Lo credi davvero?» mi chiese spalancando gli occhi.<br />
Non aveva paura, era solo eccitato. Sorridendo scossi la testa. «Ne<br />
dubito, ma per quanto improbabile, potrebbe accadere. È sempre<br />
meglio essere cauti. Ma non da qui voglio iniziare la ricerca. Non<br />
qui, non ora. Andiamo dall'altra parte.»<br />
Lanciò ancora un'occhiata attraverso la soglia.<br />
«<strong>Il</strong> pavimento è di calcestruzzo, Merlino. È sporco, ma è asciutto e<br />
piatto, senza crepe.»<br />
«Sì, guarderemo meglio dopo. Andiamo da questa parte adesso.<br />
Seguiremo le mura.» Lo condussi <strong>sul</strong>la destra e insieme salimmo la<br />
breve rampa che ci portò nello stretto passaggio perimetrale rasente<br />
la base sassosa e ineguale della cinta.<br />
«Che te ne pare? Ti sembra una strada romana?» gli chiesi non<br />
appena l'imboccammo.<br />
Osservò la parete che in quel punto sopravanzava le nostre teste;<br />
con lo sguardo ne seguì lo sviluppo per circa venti passi fino a dove,<br />
abbassandosi, scompariva alla vista prima di risalire e raggiungere
infine la torre nell'angolo sudorientale. Guardò in direzione del<br />
nostro gruppo che cominciava a sparpagliarsi. <strong>Il</strong> terreno sotto di noi<br />
era di pietra massiccia, spoglia, non coperta dal muschio e da lì, la<br />
pianta del forte, tipica nel suo sviluppo, era chiaramente definibile;<br />
inequivocabile era il quartiere amministrativo con il suo alto tetto di<br />
calcestruzzo, in forma di cupola, a copertura dei granai.<br />
«È diverso» disse alla fine in tono pensoso.<br />
«Che vuoi dire? Sii più preciso.»<br />
«Tutto il forte è diverso» spiegò sorridendo. «Doveva esserlo.»<br />
Non replicai aspettando che precisasse quel concetto, e così fece<br />
dopo una pausa, guardandosi intorno mentre parlava.<br />
«Costruirono questo forte adattandolo al terreno. Non hanno<br />
cercato di spianarlo, come avrebbero fatto con un altro tipo di<br />
fortezza. La strada sale e scende seguendo l'andamento delle mura e<br />
il dislivello del suolo. Gli arcieri potevano attaccare da lì, da sotto le<br />
mura, e abbattere i difensori, ma lassù, in corrispondenza di questo<br />
punto, il passaggio lungo il parapetto è più ampio, per contenere<br />
probabilmente un maggior numero di uomini contro l'assalto degli<br />
arcieri. Non è una vera strada quella che percorriamo, ma un<br />
sentiero livellato, non costruito.»<br />
«Un sentiero? A chi serviva?» Quanto ero orgoglioso del ragazzo!<br />
A otto anni la sua mente intuitiva e ricca mostrava una capacità di<br />
ragionamento e un'acutezza che non avrei trovato in un giovane con<br />
il doppio della sua età.<br />
A sedici anni i ragazzi sono ancora ignoranti di cose militari, lui<br />
già mi dava risposte.<br />
«Alla guarnigione. Così gli uomini potevano recarsi dove si aveva<br />
bisogno di loro.»<br />
«Non potevano seguire il passaggio lungo il parapetto?»<br />
«Durante un attacco?» mi guardò sottecchi. «Sarebbero inciampati<br />
l'uno <strong>sul</strong>l'altro, con il rischio di cadere sui nemici. Lassù c'è spazio per<br />
uno, al massimo due, contemporaneamente.»<br />
«Hai ragione. Ho fatto un'obiezione sciocca.»<br />
Mi sorrise di nuovo. «Lo sapevi benissimo. Volevi capire se lo
sapevo io.»<br />
«Sì.» Gli scompigliai i capelli e in silenzio ci incamminammo per<br />
raggiungere l'angolo sudorientale con la torre d'angolo quadrata.<br />
Artù si fermò vicino alla scala stretta che portava al passaggio lungo<br />
il parapetto.<br />
«Non ci sono porte nella torre. Che cosa contiene?»<br />
«Niente, credo. Probabilmente serviva come deposito.»<br />
«Come entravano?»<br />
«Con una scala a pioli da quel foro nel soffitto.»<br />
«Possiamo salire?»<br />
«Certamente. Attento ai gradini.»<br />
Si arrampicò rapido muovendosi quasi carponi. Lo seguii<br />
lentamente mentre di corsa lui superava la distanza che ci separava<br />
dall'entrata alla torre.<br />
«Attento! Non entrare. <strong>Il</strong> pavimento è vecchio, forse pericolante.<br />
Se cadi, avremo un bel da fare a tirarti fuori.»<br />
«Credi che siano mai stati attaccati quassù, Merlino?» I suoi occhi<br />
dorati cercavano di penetrare l'oscurità sottostante.<br />
«Forse sì, di tanto in tanto, ma dubito che fossero attacchi violenti<br />
e che siano stati vittoriosi. <strong>Il</strong> luogo è troppo ben fortificato per essere<br />
una tentazione. Non credo che troveremo ossa umane laggiù.»<br />
«Che ne è stato del pavimento?»<br />
«Ha ceduto. <strong>Il</strong> forte esiste fin dai tempi dell'imperatore Adriano,<br />
ricordi? Duecento anni fa... molto prima che nascesse il tuo bisnonno<br />
Varro. Un pavimento di legno dura a lungo se si fa opera di<br />
manutenzione, ma se è lasciato alle intemperie, come è accaduto a<br />
questo, marcisce in fretta. Probabilmente i rimi a rovinarsi furono i<br />
battenti delle porte che, cadendo dai cardini arrugginiti, hanno<br />
lasciato passare il vento, la pioggia, l'umidità, che hanno compiuto la<br />
loro azione devastatrice.»<br />
Spostò lo sguardo per fissare dietro di me il punto in cui la spalla<br />
meridionale del brullo colle retrostante sembrava raggiungere il<br />
cielo. «E se i nemici avessero attaccato da lassù?»
Mi volsi a guardare. «Che ne pensi? È possibile che l'abbiano<br />
fatto?»<br />
Aggrottando la fronte, si avvicinò alle mura. La cima del colle era<br />
a mezzo miglio da noi, <strong>sul</strong>l'altro versante di una gola in fondo alla<br />
strada che veniva da Ravenglass. Rimase a osservare a lungo, in<br />
silenzio, mentre il vento gli scompigliava i capelli scuri con dei riflessi<br />
biondi.<br />
«No, non è possibile. Scendiamo?»<br />
«Fa' strada. Perché ritieni che sia impossibile?»<br />
«Troppo distante e troppo difficile. Chiunque fosse stato così<br />
stupido da attaccare da quel lato avrebbe meritato di essere<br />
sconfitto.»<br />
«In che senso stupido?»<br />
«Perché innanzitutto gli uomini avrebbero dovuto arrampicarsi<br />
lassù. Una mossa stupida, se non ce n'è bisogno. E nella discesa<br />
sarebbero stati troppo visibili... si sarebbero poi dovuti arrampicare<br />
lungo l'altro versante della gola prima di costituire un pericolo.<br />
Sarebbero stati certamente annientati.»<br />
Eravamo giunti in prossimità della torre della porta orientale che<br />
si stagliava davanti a noi con i suoi pilastri di arenaria. Con uno<br />
scatto balzò in avanti e scomparve dall'altra parte. Quando superai il<br />
portale, Artù, già a un centinaio di passi davanti a me, correva verso<br />
la strada, visibile malgrado la vegetazione, che portava a una zona<br />
pianeggiante sottostante la scarpata. In lontananza, in direzione sudest,<br />
vedevo il sottile nastro della strada che percorreva il crinale tra<br />
una vetta e l'altra e continuava fino alla città vicino al lago di cui mi<br />
aveva parlato Derek. Arrivato <strong>sul</strong> punto più alto della strada, il<br />
ragazzo si fermò a guardarsi intorno. Allungai il passo per<br />
raggiungerlo.<br />
«È pianeggiante, Merlino. Perché non hanno costruito lassù il<br />
forte?»<br />
Aveva ragione. Ci trovavamo al limitare di una distesa<br />
pianeggiante che, seppur più piccola, assomigliava al campo di<br />
addestramento ai piedi della collina di Camelot.
«È piatta perché fu livellata dagli uomini, ma non è abbastanza<br />
vasta da contenere il forte. Vedi quel pendio laggiù?» Volse lo<br />
sguardo verso uno stretto sentiero che inerpicandosi arrivava a un<br />
punto dal quale si poteva vedere lo spazio sottostante. Annuì<br />
lentamente, un'espressione perplessa in viso. «Anche quello è stato<br />
costruito. Sai dirmi perché?» Scosse la testa. «Ti metterò <strong>sul</strong>la buona<br />
strada. Pensa a Camelot.»<br />
«Non lo so, Merlino, a meno che non ti riferisca al campo di<br />
addestramento. Ma non ne vedo la ragione. Perché fare tanta fatica<br />
per livellare un'area di esercitazione? Perché non mettersi d'impegno<br />
all'inizio e costruire l'accampamento nella parte livellata?» Fu lui<br />
stesso a dare una risposta alle domande, illuminandosi<br />
improvvisamente di un sorriso. «Per via del tempo! Non potevano!<br />
<strong>Il</strong> livellamento fu eseguito molto dopo che il forte era stato<br />
costruito, quando ormai avevano tutto il tempo per realizzarlo. È un<br />
campo di esercitazione. E lassù c'è il palco da dove osservare le<br />
manovre, come a Camelot. Vivremo qui, Merlino? Questo posto è<br />
nostro?»<br />
Lo guardai. Camminava al mio fianco e intanto mi fissava con i<br />
suoi occhi dorati.<br />
«È possibile, ma ci piacerebbe? È questa la domanda che<br />
dobbiamo rivolgere a noi stessi. Ecco perché siamo venuti qui oggi...<br />
per rispondere a questo interrogativo.»<br />
«A me sì.»<br />
Sorrisi. «Lo so che a te piacerebbe, ma forse solo perché si tratta di<br />
un forte abbandonato che sorge su una montagna e il tempo è<br />
ancora buono. Ma sarà molto diverso con la pioggia e la neve. Ce<br />
ne accorgeremo quando i venti sibileranno attraverso le fessure e le<br />
brecce nei muri, e intorno a noi sarà tutto gelido, compresi i nostri<br />
piedi e le nostre mani. Le avventure che nella tua immaginazione<br />
potrai avere qui d'estate con i tuoi amici non sono una buona<br />
ragione per trasferirci qui a viverci permanentemente. Spero che<br />
sarai d'accordo.»<br />
Si incupì in viso e abbassò la testa. Tacque finché non rientrammo<br />
nel forte e prendemmo a destra, camminando lungo il perimetro<br />
delle mura fino alla porta a settentrione. Ma non era nella sua
natura rassegnarsi senza combattere. «Non potremmo tappare le<br />
fessure delle pareti?»<br />
Scoppiai a ridere. «Certamente, e potremmo anche montare<br />
nuove porte e stendere pelli di animali per proteggerci dagli spifferi.<br />
È fattibile, ma tutti noi, compresi tu e i tuoi amici, dovremo lavorare<br />
per mesi e mesi. E non avremmo ancora risolto il problema della<br />
sopravvivenza quotidiana.»<br />
Mi fermai e gli posai una mano <strong>sul</strong>la spalla, in attesa che levasse<br />
lo sguardo su di me. «Artù, non escludo che verremo a vivere qui.<br />
Forse faremo proprio così. Ma hai sentito quello che ho detto agli<br />
altri?» Annuì.<br />
«Allora sai quanto è importante che si decida in autonomia, visto<br />
che la scelta cambierà la vita di ciascuno di noi. Confronteremo le<br />
diverse opinioni, arriveremo a un consenso e <strong>sul</strong>la base di questo<br />
formuleremo una decisione. Un modo democratico di agire.»<br />
<strong>Il</strong> ragazzo mi fissò, socchiudendo gli occhi, poi il suo viso si<br />
dischiuse nel sorriso. «Lo so, ma <strong>sul</strong>la galea, qualche giorno fa mentre<br />
parlavi delle guerre in Cornovaglia, ti ho sentito dire a Dedalo e a<br />
Connor che la democrazia funziona bene soltanto se alla sua guida<br />
c'è un uomo illuminato e determinato.»<br />
Mi aveva messo con le spalle al muro. Distogliendo lo sguardo<br />
per non tradire l'imbarazzo, mi portai una mano <strong>sul</strong>la bocca a<br />
nascondere un sorriso mesto. «Sì, ho detto così, ma non sapevo che<br />
tu fossi in ascolto. Ma, malgrado quello che ho detto allora a Dedalo<br />
e a Connor, oggi ci ritroviamo in numero esiguo e siamo tutti amici.<br />
Voglio che sia la volontà degli altri a prevalere.»<br />
«Finché non riterrai che sono incerti nel loro agire, che sbagliano,<br />
che non sono capaci di prendere una decisione e di darti ragione.» <strong>Il</strong><br />
viso era grave, ma negli occhi brillava una luce divertita. Ancora una<br />
volta rimasi sorpreso che a parlare così fosse un ragazzo di otto anni.<br />
Se avesse continuato a ragionare in quel modo, quel bambino<br />
sarebbe diventato un adulto di grande levatura.<br />
Annuii, atteggiando il volto in un'espressione seria.<br />
«Un'osservazione assai impertinente, ragazzo mio. Nessuno nel<br />
nostro gruppo è incerto. Ma...» mi lasciai andare a un sorriso «hai
agione, naturalmente.»<br />
Rise, cosa che faceva di rado, e corse davanti a me verso il<br />
cancello settentrionale. Mentre lo seguivo, mi guardai oziosamente<br />
intorno. Vidi in lontananza Dedalo che sbucava da dietro un muro e<br />
scompariva dietro un altro, e Lucano che avanzava lungo la via<br />
principalis, l'asse est-ovest del forte, con le mani dietro la schiena,<br />
intento a osservare i muri e il tetto del granaio che gli torreggiava<br />
sopra. Come mi scorse, io lo salutai con la mano e lui si apprestò a<br />
raggiungermi.<br />
«Si può tornare a parlare, immagino?» disse con un sorrisino<br />
sardonico.<br />
«Certamente. Hai trovato qualche ragione di natura medica per<br />
cui non possiamo abitare qui?»<br />
«No, nessuna. Che ne dice il ragazzo?»<br />
«Che ti aspetti alla sua età? Gli piace. Gli sembra di essere nella sua<br />
fortezza.»<br />
«Sei contento che l'abbia presa in questo modo? Di che cosa avete<br />
parlato tanto a lungo mentre eravate davanti alle porte del forte?»<br />
Mi guardai ancora intorno. Dedalo era sparito e sembrava che<br />
non ci fosse nessuno in giro. «Di come è costruita la fortezza, delle<br />
torri e della pietra usata. È un ragazzo straordinario, Lucano. A che<br />
punto sono gli altri? Hanno finito?»<br />
«Ne dubito. Ho sentito, passando, delle voci nel granaio, perciò<br />
qualcuno ha violato la consegna del silenzio.» Sorrideva.<br />
«Litigavano?»<br />
«No, pareva che discutessero di qualcosa di importante.»<br />
«Merlino, vieni a vedere che cosa ho trovato!» Vicino alla porta<br />
settentrionale, Artù agitava la mano.<br />
Lanciai un'occhiata a Lucano, che si era girato a guardare il<br />
ragazzo. «Sapevo che se ci fosse stato qualcosa da trovare, lui<br />
l'avrebbe trovato. Cammina tenendo gli occhi fissi a terra fin da<br />
quando abbiamo superato la porta orientale. Andiamo a vedere<br />
quello che ha scoperto.»
Si trattava di qualcosa di piccolo perché Artù lo scrutava<br />
attentamente tenendolo tra le dita, di tanto in tanto occhieggiando il<br />
terreno tra sé e le mura, in attesa che lo raggiungessimo. Non<br />
appena gli fummo abbastanza vicino da poter vedere quello che era,<br />
tese la mano verso di me.<br />
«È oro. Ho trovato un tesoro. Ho visto brillare la moneta sotto le<br />
mura. Ce ne sono anche di nere.»<br />
Aveva trovato un gruzzolo di monete, una era d'oro. Mi avvicinai<br />
al punto da lui indicato e, chinandomi, scrutai tra alcune pietre che<br />
non erano saldate come le altre. Vi trovai diverse monete. Le nere<br />
erano d'argento, ormai scurite dal tempo, le brune di rame. Di certo<br />
era marcita la borsa che le aveva contenute. Nessuno le avrebbe<br />
notate, se lo sguardo acuto del ragazzo non avesse colto lo scintillio<br />
dell'unico pezzo d'oro. Erano undici e, raccogliendole, cercai di<br />
capire l'immagine che portavano incisa, ma erano troppo brunite per<br />
distinguerla. Non così per Artù, tuttavia. Mentre mi alzavo, me la<br />
lanciò e io, afferratala, la fissai alla luce.<br />
«Di chi è il viso che si vede su un lato? Di un imperatore?»<br />
La moneta era piccola e consunta, e dovetti aguzzare la vista nel<br />
tentativo di leggere la rozza scritta che correva intorno al bordo.<br />
Quando ci riuscii, mi sentii percorrere da un brivido. «No, Artù,»<br />
mormorai in preda allo stupore «non è un imperatore... ma avrebbe<br />
potuto esserlo, perché aveva grandi sogni.» Con reverenza porsi la<br />
moneta a Lucano che la scrutò aggrottando la fronte: i suoi occhi<br />
erano più deboli dei miei. «È Marco Antonio» continuai. «Amico o,<br />
come sostengono alcuni, figlio di Giulio Cesare. Marco Antonio che<br />
ebbe come concubina Cleopatra, la regina d'Egitto. In Egitto avrà<br />
coniato monete per poter pagare le legioni, e una di queste è<br />
arrivata fin qui perché tu la prendessi.»<br />
<strong>Il</strong> ragazzo continuava a fissare la moneta che Lucano ancora<br />
stringeva tra le dita. «Marco Antonio!» La voce era un sussurro<br />
sommesso. Sapeva di Marco Antonio perché lo aveva studiato nelle<br />
sue lezioni. «Venne mai in Britannia?»<br />
Fu Lucano a rispondere restituendogli la moneta. «No.<br />
Marco Antonio morì in Egitto combattendo contro il nipote di
Giulio Cesare, Ottaviano, che era stato suo amico, l'uomo che si<br />
proclamò imperatore e prese il nome di Cesare Augusto.»<br />
«Cesare Augusto? È il suo nome che si legge sopra la porta<br />
principale del forte?»<br />
Lucano, incerto, si volse verso di me a chiedere conferma. «Non<br />
lo so, non ho guardato. Merlino?»<br />
«La risposta è sì e no» dissi sorridendo, rivolgendomi al ragazzo.<br />
«Ottaviano Cesare Augusto fu il primo imperatore; fu anche il primo<br />
a essere chiamato "divo". Tutti quelli che seguirono adottarono lo<br />
stesso nome. Quello sopra la porta principale è Adriano Cesare<br />
Augusto, ricordi?» Annuì e io proseguii. «Prova a pensare alla moneta<br />
in questo altro modo. In ogni battaglia c'è chi vince e chi perde. Lo<br />
stabilisce il fato, spesso a capriccio. Se il fato avesse deciso altrimenti<br />
il giorno in cui Marco Antonio combatté contro Ottaviano, tu ora<br />
stringeresti in mano l'immagine del primo imperatore romano.»<br />
Serrò il pugno intorno alla moneta. «Posso tenerla?»<br />
«Certamente, l'hai trovata tu.»<br />
«Hai detto che non era un dio, ma come pensavano di fare<br />
dell'imperatore un dio?»<br />
«Non potevano. Gli dèi sono immortali. Lo chiamavano divo per<br />
pura adulazione, ma era un uomo e lo dimostrava morendo come<br />
tutti gli altri uomini. Avevi ragione <strong>sul</strong>la porta. Ce n'è soltanto una di<br />
grande.» Ignorai le sopracciglia levate di Lucano.<br />
«Andiamo a vedere.» <strong>Il</strong> ragazzo, messosi in mezzo tra noi, ci prese<br />
per mano e, tirandoci impaziente, ci condusse fuori, oltre la porta<br />
del forte. Dopo pochi passi eravamo <strong>sul</strong>l'orlo della roccia dove ci<br />
fermammo attoniti davanti allo spettacolo che si apriva ai nostri<br />
occhi. Sotto di noi la parete rocciosa scendeva a precipizio, spoglia<br />
di vegetazione; da un lato e dall'altro si perdeva nella foresta che<br />
avevamo attraversato quella mattina, ma vista dall'alto sembrava<br />
una coltre verde e spessa che ricopriva ogni cosa tranne quel tratto<br />
di terreno scabro ai nostri piedi. Non si scorgevano neppure la<br />
strada e il fiume Esk; eppure sapevamo che erano lì. Artù, che per<br />
avvicinarsi al bordo aveva lasciato andare la mano di Lucano,<br />
istintivamente si ritrasse e si strinse più forte a me sebbene non ci
fosse pericolo di cadere. Quando levò il viso per guardarmi, aveva<br />
gli occhi sbarrati.<br />
«Quant'è il dislivello?»<br />
«Non lo so.» Cercai di parlare con un tono disinvolto perché non<br />
era necessario spaventarlo. «<strong>Il</strong> grande vantaggio è che nessuno può<br />
minacciare questa postazione. Non esiste esercito che potrebbe salire<br />
quassù e non conosco uomo che riuscirebbe ad arrampicarsi.»<br />
«Quelle pietre laggiù... si sono staccate dalla roccia?» chiese<br />
avvicinandosi di nuovo al bordo e sporgendosi cautamente.<br />
«Sì. Per questo la parete è così spoglia, senza neppure un albero.<br />
Ma l'erba è cresciuta sugli spuntoni e in alcuni punti è spessa. <strong>Il</strong> che<br />
dimostra che non si sgretola più.»<br />
«È bello, no? Così diverso da Camelot.»<br />
«Sì. Ti piace di più?»<br />
«No... eppure sì. Le montagne...»<br />
«Non hai mai visto la Cambria, vero?»<br />
Mi lanciò un'occhiata - degna di un giovanotto di diciotto anni<br />
più che di un ragazzo di otto - a significarmi che entrambi, io e<br />
Lucano, sapevamo benissimo che non vi aveva mai messo piede.<br />
Sorrisi.<br />
«Ci andrai un giorno, te lo prometto, e vedrai che anche lì le<br />
colline sono bellissime e molto, molto diverse da queste.»<br />
«Diverse da queste? Come può essere?»<br />
Scossi la testa. «Capirai quando le vedrai. Anzitutto sono più alte,<br />
vere e proprie montagne. Su alcune la neve non si scioglie mai. Le<br />
loro cime sono bianche tutto l'anno.»<br />
Mi guardò incredulo. «Impossibile. <strong>Il</strong> sole dell'estate porta il<br />
disgelo.»<br />
«Non nella Cambria e su nessuna montagna che raggiunga una<br />
certa altezza.»<br />
«Una certa altezza? Per sfuggire al sole?»<br />
Mi strinsi nelle spalle. «Sì, forse puoi metterla così. Non sfuggono
alla luce, ma sfuggono al calore. È un fatto noto. Ovunque tu sia, più<br />
sali al di sopra del livello in cui la terra incontra l'acqua del mare, più<br />
si raffredda l'aria. A un certo punto arrivi a un'altitudine in cui anche<br />
d'estate invece di piovere nevica. Chiedi a Lucano. Insieme, io e lui,<br />
ci siamo trovati ad affrontare un temporale estivo e mano a mano<br />
che salivamo la pioggia diventava neve. E girando i cavalli siamo<br />
tornati dove ogni traccia di neve era scomparsa e cadeva la pioggia.<br />
Non ti sei accorto di come si è rinfrescata l'aria mentre dalla valle<br />
salivamo <strong>sul</strong>la collina?»<br />
Annuì. «Ma come succede? Perché?»<br />
«Non lo so, ragazzo mio. Forse Lucano può spiegartelo.»<br />
«No, non so spiegartelo,» disse Lucano «ma è così. È come se il<br />
caldo fosse più pesante del freddo. Eppure succede che il calore del<br />
fuoco va in alto, sicché in una stanza è vicino al soffitto che si<br />
concentra il calore. Contraddittorio quanto vuoi, ma vero.»<br />
<strong>Il</strong> ragionamento era troppo complicato per il ragazzo che,<br />
cambiando argomento, chiese: «Come si chiama questa valle? Lo<br />
sapete?».<br />
«No» risposi. «So soltanto che il fiume che abbiamo attraversato si<br />
chiama Esk. Deve essere quindi la valle dell'Esk.»<br />
Fissava l'orizzonte a occidente dove la terra visibilmente si<br />
appiattiva dietro l'ultima corona di colline. «Si vede il mare da qui<br />
nelle giornate serene?»<br />
Seguii il suo sguardo. «Probabilmente sì. Quella linea piatta laggiù<br />
è la costa, credo.»<br />
Si volse a guardare le mura del forte. «Che cosa c'è dall'altra parte<br />
del passo?»<br />
«Un'altra valle, immagino, e poi un'altra, e poi alla fine della<br />
strada un'altra città come Ravenglass.»<br />
«Anche lì c'era un forte?»<br />
«Sì, e un borgo come Ravenglass.»<br />
«Cumbria...» Con voce sommessa pronunciò l'antico nome della<br />
regione intorno a noi. «Che differenza passa tra la Cambria e la<br />
Cumbria?»
Sorridendo guardai Lucano che, stringendosi nelle spalle, fece una<br />
smorfia a indicare che non lo sapeva. «Sono due nomi antichi.<br />
Probabilmente non c'era differenza una volta; forse soltanto la<br />
pronuncia era diversa. E prima che mi chieda il significato del nome<br />
ti dico subito che non lo so. Ma sono tutte Britannia, Artù.» "E forse<br />
un giorno sarà tutto tuo" pensai. «Su, vieni. Rientriamo nel forte.<br />
Sono sicuro che avrai molte cose da chiedermi.»<br />
Fu una breve visita la mia perché mi interessava soltanto<br />
constatare in che condizioni fossero gli edifici e accertarmi<br />
dell'esistenza della latrina. Era situata in una piccola costruzione di<br />
pietra nel quadrante nordorientale del forte, contigua alla cinta in<br />
prossimità della torre di guardia. Mi affacciai alla porta. Artù si<br />
avvicinò e, sporgendosi a osservare, levò su di me uno sguardo<br />
perplesso.<br />
Entrammo e gli indicai la lavorazione del pavimento di pietra e<br />
un muricciolo, alto fino al ginocchio, che correva lungo tre lati del<br />
locale. Un canaletto, leggermente inclinato per far scendere l'acqua<br />
convogliata da una conduttura che sbucava da una parete, solcava il<br />
pavimento di calcestruzzo. In un angolo scorsi alcuni bastoni corti e<br />
parecchi oggetti che sembravano ciottoli. Quando ne presi uno,<br />
notai, come mi ero aspettato, che era leggerissimo.<br />
«Guarda! Lo sai che cos'è?»<br />
<strong>Il</strong> ragazzo esaminò attentamente quello che tenevo in mano, ma<br />
scosse la testa. Raccolsi uno dei bastoni, mi avvicinai al muricciolo e<br />
inserii il bastone in una fessura a forma di serratura, una delle tante<br />
praticate nella pietra.<br />
«Assomiglia alla latrina che avevamo a Camelot, ma questa è più<br />
funzionale. La buca dietro il muretto era coperta da sedili di legno,<br />
tre su ciascun lato, posti in corrispondenza di queste fessure.» Gli<br />
mostrai il ciottolo. «Ecco una spugna che ha almeno due secoli, più<br />
piccola forse di quella che usiamo oggi a Camelot. Le nostre sono<br />
preziose perché sono merce rara, ma al tempo dei Romani, ce<br />
n'erano in abbondanza. Erano padroni del mondo, non<br />
dimenticarlo. Lucano - lo hai sentito, no? - spesso dice che all'igiene e<br />
alla pulizia ci tenevano molto. Ecco un esempio. Le spugne,<br />
imbevute dell'acqua che scorre nel canaletto <strong>sul</strong> pavimento,
venivano attaccate ai bastoni inseriti nei fori del muretto. I soldati si<br />
passavano i bastoni tra le gambe e si pulivano; quindi tornavano a<br />
lavare la spugna nell'acqua. Pratico ed efficiente. Su, andiamo a<br />
vedere il resto del forte.»<br />
Ispezionammo i granai, i magazzini e fui contento di constatare<br />
che il soffitto era ancora solido, i contrafforti non davano segni di<br />
cedimento, la calcina era quasi intatta. In buone condizioni erano<br />
anche la casa del comandante e il quartier generale. Sebbene<br />
mancassero i battenti delle porte, perché nessun accessorio di legno<br />
era sopravvissuto al tempo, gli ambienti erano stranamente ben<br />
conservati.<br />
Eravamo rimasti gli ultimi nel forte; ci affrettammo quindi a<br />
raggiungere gli altri raccoltisi nel frattempo intorno a uno dei tre<br />
fuochi che avevano acceso fuori della porta principale. Sui due che<br />
accudivano Lars e Rufio, si cucinava. Mancava soltanto Dedalo.<br />
«Dov'è Dedalo?» Mi guardarono stupiti, alcuni scossero la testa. Fu<br />
Shelagh a rispondere.<br />
«Ho parlato con lui poco fa. Era diretto alle terme.»<br />
Pochi attimi dopo entravo nelle terme, notando compiaciuto che<br />
anche qui il soffitto era solido. In un angolo giacevano i resti di una<br />
porta; il pannello di vetro colorato che aveva chiuso la parte<br />
superiore dell'anta era intatto sotto lo strato di sporco. Sorpreso di<br />
vedere qualcosa di tanto raffinato in quel luogo, mi chinai e con la<br />
lama della daga grattai il pavimento. Subito emerse una striscia di<br />
mosaico dai vivaci colori.<br />
Più curioso che mai mi chiedevo che tipo di uomo fosse stato<br />
l'ufficiale che aveva supervisionato la costruzione di quegli edifici.<br />
Quei tocchi di lusso non avrebbero potuto essere installati senza la<br />
sua autorizzazione, e non era consueta tanta sollecitudine verso i<br />
soldati di una guarnigione. Mi mossi per guardarmi meglio intorno.<br />
Pur senza essere spaziose, le terme erano sufficientemente vaste e<br />
parevano progettate con cura. Lo spogliatoio, Vapodyterium, era<br />
comodo; dietro si susseguivano varie vasche che finivano nel<br />
calidarium, la vasca di acqua calda. Uno stretto corridoio <strong>sul</strong>la destra<br />
portava al sudatorium, il locale sovrastante la fornace per i bagni di<br />
sudore. Se non fosse stato per la sporcizia depositatasi nei secoli,
tutto era in buone condizioni, tranne il pavimento del calidarium<br />
che in un angolo aveva ceduto. Sentii un rumore seguito da una<br />
sonora imprecazione.<br />
«Dedalo? Sei laggiù?» Mi avvicinai all'angolo dove il pavimento<br />
era crollato e cercai di scrutare nella sottostante oscurità.<br />
«Sì, per poco non mi sono spaccato la testa!» Lo sentii che si<br />
avvicinava all'apertura e mi chinai per aiutarlo a risalire.<br />
«Santo cielo! Che cosa sei andato a fare laggiù?»<br />
«A controllare la fornace.» Si grattò il viso sporco di fuliggine.<br />
«Quella maledetta è in grado di funzionare. Non è ostruita e la<br />
muratura non ha ceduto salvo intorno alla bocca di alimentazione.<br />
Sono intatte anche le cisterne di raccolta dell'acqua piovana, le<br />
condutture che la convogliano e i canali di scolo. Una volta<br />
ricostruito qualche tubo, dato che i vecchi sono ostruiti, l'impianto<br />
può funzionare.»<br />
«Dedalo, che ne sai di terme?» gli chiesi perplesso.<br />
«Tutto». Mi fissò; il bianco degli occhi risaltava nel viso nero<br />
fumo. «Non lo sapevi, eh? Da soldato giovane mi misero tra i<br />
genieri. Per tre anni ci rimasi prima di andare sotto tuo padre. Un<br />
quattordicenne - mi mancavano due anni per avere l'età regolare -<br />
ma grande e grosso. Cominciai nel genio, ed ero portato per quel<br />
mestiere. Poi quando passai sotto tuo padre, da geniere diventai<br />
soldato. Mi è tornato tutto in mente non appena sono arrivato qui.<br />
A suo tempo, in Asia Minore, costruii un impianto proprio come<br />
questo, in funzione di vice del mio capo che era un vero ingegnere e<br />
architetto. Sapeva tutto quel che c'era da sapere su come si<br />
costruisce.»<br />
«Mi stai dicendo che potresti riattivare questi impianti? Le terme?»<br />
La perplessità era diventata stupore.<br />
«Facile come pisciare, capo.» <strong>Il</strong> viso esprimeva una feroce<br />
determinazione, un misto di convinzione ed entusiasmo. «A<br />
condizione che ci sia un fiume o un torrente nei pressi, che riusciamo<br />
a trovare un bravo muratore per costruire una conduttura nella<br />
quale convogliare l'acqua verso le cisterne... e che queste non<br />
abbiano crepe. Non ne ho viste, ma da troppo tempo sono asciutte.
Potrei sbagliarmi. Non avremo difficoltà a procurarci il combustibile.<br />
Di legna nei dintorni ce n'è a sufficienza per alimentare una fornace<br />
per i prossimi mille anni. A queste condizioni, sì, credo di poter<br />
riattivare le terme.»<br />
«Magnifico, Dedalo!» Sorridevo. «Credo che potremo fare di<br />
questo luogo la nostra casa... purché gli altri siano d'accordo.<br />
Lascia che ti aiuti. Raggiungeremo il gruppo, mangeremo qualcosa<br />
e vedremo che cosa decideranno.»<br />
<strong>Il</strong> giudizio di Dedalo <strong>sul</strong>la riattivazione delle terme bastò a<br />
convincere i dubbiosi, che in verità erano pochi. In meno di un'ora<br />
avevamo convenuto di togliere gli accampamenti da Ravenglass - era<br />
chiaro che Derek avrebbe dato la sua benedizione alla nostra<br />
partenza - e di stabilirci lì nel punto più alto di quelle terre. <strong>Il</strong><br />
vecchio forte era un rudere e ciascuno aveva un'idea diversa da dove<br />
cominciare ma convenivamo tutti che avevamo le capacità di<br />
riattivarlo e riportarlo in efficienza per garantire condizioni di vita<br />
decenti. Ci servivano tempo e ingenti forniture da Ravenglass, la<br />
clemenza del clima e sufficiente determinazione. Shelagh non prese<br />
parte alla discussione. Per ragioni sue era stata favorevole a stabilirsi<br />
nel forte ancora prima di vederlo.
VII.<br />
Quando l'inverno cominciò a sussurrare tra le foglie brune delle<br />
vallette di montagna, eravamo già a buon punto nel compito che ci<br />
eravamo ripromessi e che pochi mesi prima ci era apparso immane.<br />
Settembre era stato così mite e benigno che gli alberi non si<br />
decidevano ad abbandonare le foglie <strong>sul</strong> terreno. Ottobre era<br />
venuto e se ne era andato senza gelate; soltanto <strong>sul</strong> finire di<br />
novembre l'aria del mattino cominciò a condensarci il fiato e ad<br />
annunciare i rigori dell'inverno.<br />
Ma nel frattempo ci eravamo ben premuniti: dappertutto entro il<br />
forte, di giorno e di notte, si levava il fumo della legna che bruciava<br />
riempiendo le lunghe serate autunnali di una diffusa sensazione di<br />
piacere, tepore, benessere. Intorno si percepiva il profumo resinoso<br />
del legno tagliato e piallato di fresco. Erano state ricostruite tre delle<br />
lunghe caserme: abbattuti i vecchi muri e dati alle fiamme, li<br />
avevamo sostituiti con nuovi di tronchi squadrati, cementati con<br />
malta per essere impermeabili ai venti e alle intemperie.<br />
Le finestre, grandi e larghe, avevano due serie di imposte: una<br />
esterna di quercia massiccia che si chiudeva come una porta e si<br />
serrava ermeticamente; e una interna, costruita da Mark, il mastro<br />
falegname, con stretti pannelli di sottile betulla lavorati a mano, che<br />
si potevano regolare in su e in giù per lasciar entrare, filtrare o<br />
bloccare la luce, ed essendo incardinati sui due lati, anche spalancare<br />
nei giorni d'estate. Una serie di doppie pareti divisorie, costruite con<br />
massicce assi di legno tra loro incastrate e solidamente inchiodate a<br />
una struttura portante centrale, divideva lo spazio in unità comode e<br />
capaci, ciascuna fornita di un ingresso e una finestra. L'intercapedine<br />
tra le doppie pareti era stata riempita di paglia e trucioli per<br />
conservare il calore e attutire i rumori. I pavimenti di calcestruzzo<br />
originali, ancora robusti e solidi, erano coperti di stuoie di paglia<br />
intrecciata.<br />
Dalla circostante foresta avevamo preso quasi tutto quello che ci<br />
serviva per costruire, ma Derek e la sua gente ci erano stati di
grandissimo aiuto, fornendoci in quantità il materiale e mettendo a<br />
nostra disposizione un piccolo esercito di uomini e donne.<br />
In cambio era stato garantito l'aiuto dell'Eire, per loro di grande<br />
importanza. Avevano già ricevuto il carico di tre convogli, da<br />
dividere con noi, inviati da Athol, comprendenti animali, armi, merci<br />
catturate nelle ultime guerre.<br />
All'inizio dell'inverno, poco prima che cominciasse a nevicare,<br />
tenemmo una grande festa per celebrare la nuova comunità.<br />
In una fredda giornata Dedalo, con un sorrisone soddisfatto <strong>sul</strong><br />
viso, mi si avvicinò e, conducendomi oltre le mura, indicò senza<br />
parlare un filo di fumo che saliva dal comignolo della fornace delle<br />
terme, alla quale i suoi uomini avevano lavorato infaticabilmente<br />
per mesi, senza mai lagnarsi né compiacersi. Avevano completato<br />
l'opera: l'acqua si scaldava sopra l'ipocausto e il vapore cominciava a<br />
filtrare dalle condutture del sudatorium. Dopo un silenzio di secoli,<br />
tra poco nelle terme di Mediobogdum sarebbero nuovamente<br />
risuonate voci, risa, canzoni.<br />
Per la prima volta nell'arco di parecchi mesi mi avventurai al<br />
seguito di Dedalo nel nuovo impianto, e non lesinai le lodi e le<br />
espressioni di ammirazione che mi salivano alle labbra per lui e i suoi<br />
uomini. Era stato riparato il pavimento che aveva ceduto<br />
nell'angolo, e ogni superficie luccicava, dipinta a vivaci colori. Per<br />
dare portata simbolica alla mia soddisfazione dichiarai che il giorno<br />
successivo sarebbe stato di festa e mandai a Derek l'invito a<br />
prendervi parte con tutta la sua gente, o almeno con quelli del suo<br />
popolo che avrebbero accettato di correre il rischio di essere tagliati<br />
fuori dalla prima tempesta di neve.<br />
Compiaciuto più di ogni altro dal completamento dei lavori nelle<br />
terme fu Lucano, perché la sua anima di medico per mesi era stata<br />
turbata dall'inevitabile cedimento dei rigorosi principi igienici nella<br />
nostra piccola comunità. Per lui la pulizia non si riduceva<br />
all'abolizione degli odori sgradevoli, ma significava salute e vigore.<br />
Quando ci raggiunse fuori delle mura per scoprire le ragioni di tanto<br />
viavai, parve che il petto gli si espandesse dalla gioia e si adoperò<br />
perché tra i festeggiamenti del giorno successivo ci fosse anche<br />
l'inaugurazione ufficiale delle terme.
Ritornai con lui al quartier generale, divertendomi all'insolito<br />
cicaleccio dell'austero medico che per tutta la strada non smise di<br />
entusiasmarsi, elencando tutte le migliorie apportate da Dedalo. Una<br />
volta che mi trovai nel suo alloggio, rifiutai la coppa di vino che mi<br />
offriva e subito sbollì la sua eccitazione. Con uno sguardo acuto mi<br />
osservò attentamente.<br />
«Che cosa ti preoccupa, Caio? Sembri in ansia.»<br />
Esitavo a parlare, mi stringevo nelle spalle e scuotevo la testa, ma<br />
Lucano mi conosceva troppo bene per demordere e lasciarmi andare<br />
senza spiegazioni. «Scusami, ma sono all'improvviso invecchiato e mi<br />
sono indebolito di mente al punto da perdere ogni capacità di<br />
raziocinio?» insistette pronunciando ogni parola in modo chiaro e<br />
distinto quasi si rivolgesse a un bambino. «Vedo che sei turbato: è<br />
evidente come il colore dei tuoi capelli; quindi te lo chiedo di nuovo<br />
e confido che mi farai l'onore di rispondere con sincerità: Che cosa ti<br />
preoccupa?»<br />
Stringendomi nelle spalle, mi sfregai le mani quasi me le lavassi.<br />
«Niente, Lucano» protestai. «Non c'è niente che non vada. Sono solo<br />
invidioso, ecco tutto.»<br />
Sgranò gli occhi guardandomi come se fossi ammattito. Mentre<br />
cercava una risposta, mi sorpresi stranamente a osservare le mani di<br />
entrambi: le mie, in preda al nervosismo, si agitavano<br />
convulsamente; le sue, immobili, reggevano due coppe di vino e una<br />
era tesa verso di me nel gesto di porgermela. Quando riprese a<br />
parlare, la sua espressione era cupa.<br />
«Invidioso? Che razza di parola ti è saltata in mente? Che cosa in<br />
nome di Esculapio ti fa provare invidia?»<br />
Avevo trattenuto il respiro e in quel momento espirai attraverso<br />
le labbra contratte con un sibilo sommesso. «La compagnia nelle<br />
terme. Mi mancherà.»<br />
«Che cosa stai dicendo, Caio?»<br />
«Sto parlando di me, Lucano!» Si dileguò d'un tratto lo stretto<br />
controllo che avevo fino ad allora esercitato su me stesso e alla<br />
superficie emerse un vortice di paura e amarezza che, almeno a<br />
giudicare dall'espressione <strong>sul</strong> viso del mio amico, lo lasciò attonito.
«Sto parlando di me! Della mia malattia... di questo maledetto,<br />
pesante groppo che sento in petto. Sto parlando della lebbra!<br />
Lebbra, Lucano, e la maledizione che porta con sé. Se questo segno<br />
su di me, se questa macchia è la lebbra, e tu non mi hai assicurato<br />
che non lo sia, allora non potrò mai entrare nelle terme perché<br />
sarebbe come seminare morte. Non ho altre parole per dirlo.<br />
Sarebbe un assassinio diffondere il contagio. Ecco di che cosa sto<br />
parlando. Mi stupisce che tu...»<br />
«Che stupidaggini stai dicendo!»<br />
La sua interruzione accompagnata da un'imprecazione sonora,<br />
aspra, sferzante, mi svuotò di ogni slancio e rimasi lì a bocca aperta.<br />
In tutti gli anni dacché lo conoscevo Lucano non era mai sbottato in<br />
quel modo.<br />
«Stammi a sentire, amico! Ascoltami e dimmi come hai potuto<br />
avere tanta sfrontatezza. Hai davvero così poca considerazione di<br />
me, della mia esperienza e della mia capacità di medico? Sarei così<br />
indifferente alla tua malattia, così noncurante, che ti lascerei a<br />
tormentarti nell'ignoranza e nella paura?»<br />
Vergognandomi e d'un tratto consapevole che il mio scoppio d'ira<br />
era stato uno sfogo aggressivo e inutile, scossi la testa borbottando,<br />
incapace di sostenere il suo sguardo. «Io... perdonami, Lucano, non<br />
pensavo...» La voce, che mi vibrava di infelicità e di qualcosa di<br />
molto simile alla commiserazione, mi si strozzò in gola. Si avvicinò a<br />
me e mi ficcò in mano la coppa di vino che teneva tra le dita.<br />
«Non pensavi... in molte cose non sai pensare con lucidità, amico<br />
mio. Questo l'ho capito. Prendi e bevi. Siediti lì.» Indicò una sedia<br />
vicino alla parete.<br />
Quando mi fui seduto, levò la coppa e la tenne in alto finché io,<br />
ripetendo il gesto, non levai anche la mia. Bevemmo entrambi. Non<br />
mi accorsi neppure del sapore del vino mentre lo guardavo che<br />
avvicinava una sedia e vi si metteva dietro. Bevve ancora, un piccolo<br />
sorso, poi si chinò per appoggiare la coppa <strong>sul</strong> sedile, dopo di che<br />
rimase a fissarmi, chino in avanti, le mani strette <strong>sul</strong>lo schienale. La<br />
luce, che si posava <strong>sul</strong>la sua fronte arcuata sotto il folto ciuffo di<br />
capelli, illuminava l'infossatura all'altezza delle tempie e le guance<br />
scavate. Per la prima volta mi rendevo conto che Lucano non era più
giovane. <strong>Il</strong> silenzio tra noi si prolungava finché divenne insostenibile.<br />
«Lucano...» presi a dire, ma con un gesto della mano mi invitò a<br />
tacere. Quando parlò, la sua voce esprimeva il freddo distacco del<br />
medico. In quel momento taceva l'amico e parlava il dottore.<br />
«Una volta, per la precisione l'ultima volta che abbiamo avuto<br />
occasione di stare insieme, ci siamo detti che tra noi non ci sarebbe<br />
stato bisogno di scuse se fossero insorte divergenze di vedute. <strong>Il</strong><br />
principio si applica ora. Ho mancato nei tuoi confronti: sono stato<br />
sbadato e negligente a non accorgermi quanto ti tormentasse il tuo<br />
stato di salute. So che ne sei spaventato, ma hai nascosto così bene la<br />
tua angoscia che l'ho persa di vista. Occupiamocene subito. Togliti la<br />
tunica.»<br />
«Perché? Hai visto la macchia questa mattina.»<br />
«Sì, ma ora ti chiedo di esaminarla insieme a me. Svestiti.»<br />
Feci come mi era stato chiesto e scoprii il petto sicché il Segno -<br />
ormai così lo chiamavo nei miei pensieri - fu esposto al suo sguardo<br />
e al mio, sebbene io lo vedessi da un'angolazione deformante.<br />
Lucano avanzò e, pizzicandomi la pelle, la tese stringendola tra il<br />
pollice e l'indice al punto che la cute intorno al Segno si schiarì fino<br />
ad assumere lo stesso colore bianco della parte centrale della<br />
macchia.<br />
«Ti fa male?» Scossi la testa. «La sensibilità è intatta oppure è<br />
scomparsa? Senti che ti pizzico?»<br />
«No.»<br />
«Pensa bene prima di rispondere. È cambiata in qualche modo -<br />
nella forma, nel colore, nella sensibilità - in questi mesi?»<br />
Trattenni il diniego che mi era salito d'impulso alle labbra per<br />
riflettere. La macchia non si era allargata da quando era comparsa.<br />
Riuscivo ancora a coprirla completamente con il polpastrello del<br />
pollice. «No,» dissi alla fine «non è cambiata.»<br />
«Lo so che non è cambiata, ma questo interrogatorio è per<br />
convincere te, non per dare indicazioni a me. Nessun cambiamento<br />
quindi: non ha proliferato, non si è estesa, non è dolente né<br />
purulenta, non ha screpolato la pelle; non dà prurito, non spurga.
Dico bene?» Annuii. Si raddrizzò. «Ora ricopriti e ascolta quello che<br />
ho da dirti.» Mentre mi ricomponevo la tunica, lui si avvicinò alla<br />
sedia di fronte alla mia e, presa la coppa, mi si sedette davanti.<br />
«Come sai, conosco i sintomi della malattia che tanto ti spaventa:<br />
la lebbra, l'idea stessa della lebbra. Ho visto i lebbrosi, ho lavorato in<br />
mezzo a loro per molti anni. Credo, ne sono convinto, che il tuo<br />
sintomo non sia una lesione da lebbra. Non so di che si tratta;<br />
potrebbe essere centinaia di altre cose, alcune conosciute, altre<br />
sconosciute. Ne saprò di più quando avrò letto quel documento di<br />
cui ti ho parlato. Credo che si trovi nel baule che consegnai a tua zia<br />
Luceia. Ho scritto ad Ambrogio e gli ho chiesto di cercarlo. Se lo<br />
troverà, mi spedirà l'intero contenuto con il prossimo vascello di<br />
Connor.» Si alzò in piedi e venne a porsi davanti a me, guardandomi<br />
dall'alto in basso. «Le tue paure, amico mio, quelle paure che mi hai<br />
appena confessato, sono infondate. Ascoltami. Se anche quello che<br />
hai dovesse in futuro degenerare in lebbra, sappi che al momento è<br />
del tutto innocuo. Capisci, Caio? Innocuo. Per diffondere il contagio<br />
dovrebbe essere una ferita aperta... spurgare, secernere pus. Non è il<br />
tuo caso.<br />
Non ti ho mai mentito, Caio, e non incomincerò a farlo adesso.<br />
La macchia che hai <strong>sul</strong>la pelle ha qualche vaga e discutibile<br />
somiglianza con le lesioni da lebbra. La parola chiave è lesioni... al<br />
plurale. Hai soltanto una macchia, ed è rimasta identica da quando è<br />
comparsa più di un anno fa. È mia ferma convinzione, basata su<br />
un'intera vita dedicata allo studio e alla pratica della medicina, che<br />
non ci sia la minima possibilità che tu possa rappresentare una<br />
minaccia di contagio. E questo si riferisce in particolare all'uso delle<br />
terme. Sono stato chiaro?»<br />
«Sì.»<br />
«Ancora più importante: mi credi?»<br />
Riandai alle cose che mi aveva detto, soppesando non soltanto le<br />
sue parole e la sua credibilità ma anche il suo tono e il suo<br />
atteggiamento, e mi sentii sopraffare dal sollievo e dalla gratitudine;<br />
per la contentezza un sorriso mi salì alle labbra e mi si allargò il<br />
petto. Mi osservava attentamente mentre io annuivo con ritrosia<br />
all'inizio e poi con crescente convinzione e riconoscenza.
Levai la coppa di nuovo, questa volta gustando la piena rotondità<br />
del vino.<br />
«Sì, Lucano, ti credo. Così sia.»<br />
Prima che si arrivasse alla sera del giorno successivo, il verdetto di<br />
Lucano fu insidiato dal dubbio. Ero insieme a lui, Donuil e Derek,<br />
tutti e tre sdraiati e rilassati nel silenzio del sudatorium, dopo il<br />
trambusto e l'eccitazione della giornata di festa che aveva visto gli<br />
atleti impegnati nelle gare e noi occupati a fare discorsi. Cullati dal<br />
vapore caldo, eravamo quasi in letargo, poco inclini a chiacchierare.<br />
Fu Donuil che alla fine, riscuotendosi con un sospiro, si offrì di<br />
andare a vedere dove sarebbe stata servita la cena. Lucano, quasi<br />
addormentato, giaceva <strong>sul</strong>la panca di marmo alla mia destra, mentre<br />
io pigramente osservavo snodarsi le volute di vapore,<br />
compiacendomi in quell'ozio. Fu allora che Derek volgendosi verso<br />
di me mi gettò nel panico.<br />
«Che cos'è quel segno che hai <strong>sul</strong> petto? Una cicatrice?» Serrai gli<br />
occhi, trassi un profondo respiro e, cercando di non irrigidirmi, mi<br />
sforzai di guardare in basso con indifferenza. <strong>Il</strong> Segno risaltava nitido<br />
contro la carnagione naturalmente scura della mia pelle; il biancore<br />
era accentuato dai peli bianchi del petto che crescevano lungo il suo<br />
bordo. Lo fissai, acutamente consapevole della presenza di Lucano<br />
immobile <strong>sul</strong>la panca di marmo.<br />
«No,» mi sentii dire con voce quasi divertita «non è una cicatrice.<br />
E una malattia della pelle. Lucano l'ha studiata... ne sembra<br />
affascinato perché non fa altro che punzecchiare la macchia e<br />
tastarla. Non duole, non prude, non si allarga. Secondo lui, un<br />
giorno o l'altro sparirà come una verruca.»<br />
Notai che Derek non era interessato; la sua curiosità si era esaurita<br />
nel notare la piccola anomalia. «Una volta avevo una verruca che mi<br />
dava fastidio. Era grandissima e vi crescevano dei peli; disgustosa da<br />
vedere. Ci credete che un'escrescenza simile possa essersi formata su<br />
un corpo come il mio? Alle donne non piaceva, ve lo garantisco. Me<br />
la sono tenuta per anni, qui.» Si tirò su e indicò un punto sotto la<br />
pancia proprio sopra il pube. Non si vedeva niente. «Poi un giorno<br />
eccola sparita, da un momento all'altro.» Tentò di schioccare le dita
umide. «Non so né come né perché né quando se ne sia andata. Un<br />
giorno guardo e non c'è più. Hector ci è riuscito eh?»<br />
«Che cosa dici?» gli chiesi. «Che c'entra Hector con le verruche?»<br />
Derek si stiracchiò sbadigliando, quindi si levò in piedi e cominciò<br />
a detergersi il sudore dal corpo muscoloso. Mi vide che oziosamente<br />
gli guardavo i genitali e, tirando su la pancia con le mani,<br />
sghignazzò.<br />
«Faccio fatica a vederlo ormai» disse con voce strascicata. «E<br />
neanche lo uso come una volta. Invecchio e non mi sembra più<br />
tanto importante.»<br />
Lasciò andare la pancia e prese un asciugamano dietro a lui. «Ho<br />
detto che Hector ci è riuscito, nient'altro. Le verruche non c'entrano.<br />
Mi dicevo che eri stato bravo a farti così diverso da come eri prima.<br />
E bada che non mi riferisco solo alla barba e al colore dei capelli.»<br />
Poco dopo esserci trasferiti a Mediobogdum, mi ero lasciato<br />
crescere una folta barba e scurito artificialmente i capelli. Era passato<br />
da allora abbastanza tempo perché non pensassi più alla mia<br />
trasformazione. Derek non mi guardò neanche i capelli mentre<br />
continuava.<br />
«Ti sei annullato, cancellato completamente. Me ne sono accorto<br />
oggi durante i festeggiamenti. Tutti sanno chi sei, ma ti chiamano<br />
Cay, e trattano Hector alla stregua di capo del gruppo. Ci crede lui<br />
stesso, o almeno lo dà a vedere. Perfino per me ormai sei Cay,<br />
eppure ti conosco bene. Quando arrivaste, tre o quattro mesi fa,<br />
avrei giurato che sarebbe stato impossibile... inattuabile. Ma ci sei<br />
riuscito. Merlino di Camelot è scomparso.»<br />
«Bene. Così deve essere. Più se ne sta nell'ombra, meglio è per il<br />
ragazzo.»<br />
Avevo seguito il consiglio di Shelagh e organizzato la mia<br />
scomparsa, assicurandomi che tutti a Ravenglass mi vedessero partire<br />
con Artù su una galea di Connor. Soltanto noi sapevamo che<br />
Connor ci aveva sbarcati poche miglia più a nord, lungo la costa,<br />
dove nessuno di Ravenglass ci aveva visti. Eravamo quindi tornati,<br />
mastro Clay, un uomo senza figli, e un giovane apprendista.<br />
Ero rimasto in questo frattempo davanti a lui, e ora mi detersi il
copioso sudore dalla fronte e dagli occhi, convinto che fossimo<br />
rimasti troppo a lungo nel sudatorium. Quando riaprii le palpebre,<br />
Derek era ancora lì, in piedi, intento a fissarmi; Lucano, che si era<br />
riscosso, era seduto <strong>sul</strong>la panca e con la salvietta usata come cuscino<br />
si asciugava il viso.<br />
«Che cosa c'è?» chiesi. «Che c'è da guardare?»<br />
«Posso farti una domanda?»<br />
Sbirciai Lucano, sorpreso che a Derek potesse saltare in mente di<br />
chiedermi il permesso prima di sbottare in una richiesta.<br />
«Ti fidi di me? Non è questa, ti avverto, la domanda.»<br />
Sorridendogli, mi alzai in piedi. «Usciamo di qui prima di<br />
liquefarci. Sicuro che mi fido di te. Come ti salta in mente di<br />
chiedermi una cosa del genere dopo tanto tempo?»<br />
Lucano in piedi ci lasciò passare, quindi ci seguì nell'aria fresca e<br />
asciutta della piscina. Ci tuffammo tutti e tre nell'acqua fredda che sui<br />
nostri corpi surriscaldati ebbe l'effetto del ghiaccio. Uscimmo in fretta<br />
per asciugarci finché la pelle non parve lucida tanto era pulita e sana.<br />
Per comune consenso nessuno aprì bocca finché non fummo asciutti;<br />
quindi ci dirigemmo verso gli spogliatoi. Fu Lucano a rompere il<br />
silenzio, le sue prime parole da quando avevamo messo piede nelle<br />
terme.<br />
«Non riesco a credere che nessun altro sia venuto qui.»<br />
Derek gli lanciò un'occhiata da sotto le sopracciglia levate.<br />
«Credici o no, si stanno tutti abbuffando. Ci andrà bene se<br />
troveremo qualcosa da mettere sotto i denti quando li<br />
raggiungeremo.» Si avviò alla porta.<br />
Mi sentivo in pace, non provavo il morso della fame. Mi<br />
avvicinai a Derek per parlargli senza che nessuno ci ascoltasse. «Pochi<br />
momenti fa volevi farmi una domanda. Perché mi hai chiesto se mi<br />
fidavo di te?»<br />
Si fermò con la mano <strong>sul</strong>la porta, quindi, girandosi, tornò indietro<br />
e si sedette davanti a me. «Perché la tua risposta a quel primo<br />
interrogativo ha determinato la formulazione che darò alla<br />
successiva domanda. Ti sei fidato di me mettendomi a parte del tuo
segreto... il segreto della tua identità e del luogo in cui vivi perché<br />
sapevi di poterlo fare. Da questa fiducia dipendono la mia esistenza<br />
oltre che quella della mia gente. Ma sei disposto ad andare oltre? Sei<br />
disposto a darmi altra fiducia?»<br />
Capivo dall'espressione del viso che parlava seriamente, che si<br />
aspettava una risposta e mi scrutava per saggiare la sincerità delle<br />
mie parole. Gli restituii lo sguardo. Aspettava, mentre io sceglievo<br />
con quali parole rispondergli.<br />
«Sì, Derek, la mia fiducia va ben oltre. Mi sono sempre fidato di<br />
te, seppure per ragioni non logiche. L'ho fatto, ecco tutto. Per questo<br />
sono venuto a Ravenglass. Sono venuto seguendo un sogno che mi<br />
diceva che potevo fidarmi di te. Ammetto che ci sono stati momenti<br />
in cui ho dubitato di me stesso e della saggezza dei miei sentimenti,<br />
ma ho scelto di rimanere e non me ne sono pentito. In questi mesi<br />
abbiamo trovato in te un amico leale e fidato. Lucano è del mio<br />
stesso avviso. Ne abbiamo discusso poche sere fa... Che succede? Ti<br />
ho offeso?»<br />
Inspiegabilmente il viso gli si era incupito in una espressione mista<br />
di perplessità e riprovazione. Scosse la testa. «No, ma mi è difficile<br />
crederti» borbottò. «La tua lealtà va al ragazzo e io sono l'uomo che<br />
uccise suo padre. Come puoi fidarti a tal punto di me dopo quello<br />
che ti dissi il giorno stesso in cui arrivasti a Ravenglass?»<br />
«Perché dovrei diffidare di te? Ti darò la misura della mia<br />
fiducia...» Mi interruppi fissandolo con la stessa intensità con cui lui<br />
fissava me. Gli avevo taciuto una verità. Sapevo ormai che era un<br />
uomo giusto e degno e fino a quel momento ero stato riluttante a<br />
dirgli qual era stato il suo ruolo nel destino di Artù: come la sua<br />
effimera libidine aveva reso il ragazzo orfano anche di madre. Era<br />
venuto, a mio avviso, il momento di dirglielo. Forse avrebbe<br />
rinsaldato il legame che aveva con noi e con il buon esito della<br />
nostra impresa.<br />
«Non uccidesti soltanto suo padre; uccidesti anche sua madre.»<br />
Fece un balzo all'indietro quasi lo avessi schiaffeggiato; gli occhi<br />
gli luccicavano per la rabbia e l'incredulità. Levai una mano per<br />
trattenerlo dal rispondere. «È vero, Derek.» Si controllò, quindi si<br />
sedette e rimase immobile, impietrito; perfino lo sguardo era fisso.
Continuai con voce ferma. «La donna <strong>sul</strong> bordo del mare... quella<br />
con la quale ti... stavi intrattenendo quando arrivai. Ricordi?»<br />
«La donna dai capelli rossi...» Lanciò un'occhiata di sbieco, con<br />
aria colpevole, verso Lucano che, in piedi, ascoltava.<br />
«Sì, la donna dai capelli rossi...» confermai sommessamente. «Era<br />
Ygraine di Cornovaglia, moglie di Lot e amante di Uther... la madre<br />
di Artù.»<br />
Mi parve che si sgonfiasse come se dai polmoni gli fosse uscita<br />
tutta l'aria. Mi accorsi dal suo sguardo che credeva alle mie parole.<br />
Ma scosse la testa, un piccolo moto di stupore. «Non la uccisi. Era<br />
viva! La gettai di lato quando tu arrivasti, ma non era ferita.»<br />
«È vero, Derek» dissi continuando a parlare con voce pacata. «Ma<br />
poi montasti in sella per affrontarmi da uomo a uomo, e così<br />
facendo gli zoccoli del tuo cavallo la colpirono o forse la<br />
calpestarono. Quando la trovai, stava morendo, il cranio fracassato.<br />
<strong>Il</strong> piccolo Artù era in un'imbarcazione lì vicino.»<br />
Nel silenzio che seguì, Lucano, avvicinatosi a Derek, gli pose una<br />
mano <strong>sul</strong>la spalla. «Fu volontà di Dio, amico mio... che sia morta. Lo<br />
sappiamo. Nessuno ti accusa. Prendesti la donna come bottino di<br />
guerra contro la sua volontà... è consueto in simili circostanze. Non<br />
avevi intenzione di ucciderla.»"<br />
Derek scosse la testa; nei suoi occhi smarriti mi parve di cogliere<br />
una punta di rammarico, perfino di dolore. «No» mormorò con voce<br />
appena percepibile. «Era una donna matura, desiderabile e<br />
voluttuosa. La volevo, ma non pensavo di ucciderla... eppure uccisi<br />
le altre... una che mi affrontò per impedirmi di avvicinarmi a quella<br />
dai capelli rossi. Afferrò la mia daga e mi assalì. Le afferrai il polso e<br />
glielo torsi, la spinsi contro la punta della lama...»<br />
«Legittima difesa» intervenne Lucano. La sua propensione a<br />
soprassedere a un fatto del genere mi colse di sorpresa, ma subito mi<br />
accorsi che era una mossa diplomatica. «Parlavamo di Ygraine. Non<br />
intendevi ucciderla, non volevi darle la morte.» Derek scosse la testa,<br />
e Lucano continuò.<br />
«Non sapevi che era morta fino a questo momento? Non sapevi<br />
che il tuo cavallo l'aveva colpita quando in gran fretta montasti in
sella vedendo Cay che arrivava per sfidarti avendoti scambiato per<br />
Uther?» Ancora una volta la risposta tacita di Derek fu un cenno di<br />
assenso con la testa. «Bene. È chiaro che non ti si può imputare la<br />
volontà di uccidere la donna. Ma c'è dell'altro. Ascolta Cay e presta<br />
attenzione alle sue parole.»<br />
Derek si ricompose e con un profondo sospiro levò la testa<br />
guardandomi diritto negli occhi. «Dell'altro? Dimmelo subito. Che<br />
cosa ci può essere ancora?»<br />
«Non molto, ma è di vitale importanza. Soltanto noi due, io e<br />
Lucano, ne siamo al corrente. Tu sarai il terzo e l'ultimo a conoscere<br />
tutti i fatti... a sapere come il cerchio si chiude. Giuro che né Artù né<br />
alcun altro verrà a saperlo dalle nostre labbra.» Mi interruppi e<br />
guardai Lucano che all'improvviso sembrava a disagio. «Accertati,<br />
Lucano, che siamo soli.» Si mosse per controllare che non ci fosse<br />
nessuno a portata di voce. Aspettammo che tornasse e ci<br />
confermasse con un cenno della testa che non c'erano intrusi. Mi<br />
rivolsi a Derek.<br />
«Ygraine era figlia del tuo più stretto alleato, il re dell'Eire, Athol<br />
Mac Iain. Era sorella di Connor e di Donuil, sorella anche di mia<br />
moglie Deirdre. <strong>Il</strong> ragazzo, come vedi, è nipote di Athol, erede del<br />
regno degli Scoti dell'Eire. E anche erede della Cornovaglia di Lot,<br />
perché Lot lo ha riconosciuto come figlio e non ha mai saputo chi<br />
fosse il padre del ragazzo. Erediterà anche i miei domini a Camelot<br />
perché è mio pupillo: nipote e cugino. Quanti appartengono alla<br />
stirpe di Ygraine sanno che lei morì nel conflitto tra Lot e Uther, ma<br />
nessuno, neppure Donuil, sa come morì e per mano di chi. Così sia e<br />
che riposi in pace. Ygraine è morta; fu pianta. Suo figlio è al sicuro e<br />
a lui si provvede nel migliore dei modi.<br />
Ecco il fondamento della fiducia che ti porto, se ti piace fare il<br />
cinico, e della fiducia che tu devi avere in me. Sono arrivato a<br />
conoscerti meglio e ti credo quando dici che di tutto questo non<br />
sapevi niente. Se avessi voluto, avrei potuto usare i fatti di cui sono a<br />
conoscenza per rovinarti. Non lo farò mai, credimi; non ho mai<br />
pensato di farlo.» Tacqui per dargli la possibilità di recepire le mie<br />
parole. «Allora? Siamo in pace?»<br />
Ancora una volta Derek di Ravenglass si lasciò sfuggire un
profondo sospiro, quindi levatosi in piedi mi tese la mano. Mi alzai<br />
anch'io e gliela strinsi. Sentii un groppo salirmi in gola al vedere le<br />
lacrime che gli velavano lo sguardo duro. Sbatté le palpebre per<br />
ricacciarle, quindi inspirando a fondo per controllare la voce che<br />
tuttavia gli uscì di gola incerta e tremula, parlò.<br />
«Così sia» sussurrò. «Giuro su quanto mi è di più caro che, finché<br />
avrò respiro, al ragazzo non verranno mai a mancare la sicurezza, la<br />
protezione, l'affetto familiare.»<br />
Lucano, che aveva posato la sua mano <strong>sul</strong>le nostre, ruppe la<br />
stretta a simboleggiare che il patto era stato concluso e sigillato.<br />
«Così sia» disse ridendo. «Che ne dite di andare a mangiare? Sto<br />
morendo di fame.»<br />
<strong>Il</strong> terzo giorno dopo questi avvenimenti, svegliandoci all'alba ci<br />
accorgemmo che la neve si era impossessata del nostro nuovo regno<br />
e nell'oscurità della notte si era posata come un mantello di silenzio<br />
su ogni cosa. L'avevo aspettata con trepidazione, e con me gli altri.<br />
Era ancora vivo il ricordo dell'inverno precedente, malefico per tutti<br />
e tra quelle aspre colline ci eravamo preparati ad affrontare ogni<br />
difficoltà. Dalla gente di Ravenglass comprammo il grano e<br />
provvedemmo a fare ampie provviste di cibo, legna, foraggio per gli<br />
animali e a mettere ogni cosa al sicuro sotto un solido tetto.<br />
La nevicata fu un episodio passeggero, e poco dopo l'aria tornò a<br />
essere mite. Soltanto l'anno nuovo portò altra neve. Questa volta<br />
tuttavia non si sciolse e l'aria rimase fredda, ma non mortalmente<br />
gelida.<br />
Per i ragazzi quello era un mondo incantato e si lanciavano come<br />
su uno scivolo giù per la strada in pendenza lungo il fianco della<br />
collina. Dopo che Dedalo e Rufio avevano insegnato loro la tecnica,<br />
passavano giornate intere a trascinare pesanti scudi di metallo fino al<br />
passo sovrastante il forte e quindi a lasciarsi andare appollaiati su<br />
quelle precarie slitte fino a un tumulo di neve, innalzato di proposito<br />
da alcuni uomini per frenare la discesa.<br />
Turga rimase scandalizzata quando seppe quello che i due<br />
avevano insegnato ai ragazzi, e Rufio, che trascorreva molto tempo
in sua compagnia, si sentì bistrattare non poco, tanto che per<br />
qualche giorno si tenne a cauta distanza da lei.<br />
Ricordo di avere condiviso l'opinione di Turga per qualche<br />
tempo. La prima volta che vidi Artù volteggiare come una trottola, i<br />
capelli al vento, su uno scudo rotondo che roteava <strong>sul</strong>la neve,<br />
ridente nell'eccitazione della corsa, inorridito aprii la bocca in un<br />
urlo muto. Finì contro un mucchio di neve, fu catapultato dall'altra<br />
parte e mentre mi precipitavo nella sua direzione chiamando aiuto,<br />
lo vidi saltare su, gioioso, mentre incitava Gwin, Ghilly e Bedwyr,<br />
ancora in cima alla discesa, a lanciarsi.<br />
Bedwyr si buttò immediatamente, disteso a pancia in giù su uno<br />
scudo romano rettangolare; seguirono immediatamente, a<br />
rompicollo, Gwin e Ghilly. Avevano scudi rettangolari più<br />
maneggevoli e controllabili di quello rotondo di Artù. Li raggiunsi in<br />
fondo alla discesa e nascondendo l'ansia li salutai affettuosamente.<br />
Avevano il viso arrossato e gli occhi luccicanti di entusiasmo. Non<br />
appena chiesi loro dove avessero trovato quelle "slitte", vidi che i tre<br />
più giovani si incupivano, ma Artù fu rapido a rispondere.<br />
«Gli scudi non sono di nessuno. Ce li hanno dati Ded e Rufio, e ci<br />
hanno mostrato come usarli.»<br />
<strong>Il</strong> ragazzo mi aveva battuto, lo sapevo. Se avessi impedito loro di<br />
giocarci, sarebbe stato come rivolgere un rimprovero ufficiale a<br />
Dedalo e Rufio: Artù lo aveva capito. Indicai lo scudo rotondo.<br />
«Quello non è romano. Da dove viene?»<br />
«Era di uno dei Figli di Condran» spiegò Gwin. «Adesso è il mio<br />
turno di usarlo.»<br />
«Vuoi dire che lo preferisci all'altro?»<br />
Artù sorrise. «Tutti lo preferiamo. È più divertente, più eccitante.<br />
Vuoi provare, Cay? Ded è bravissimo.»<br />
«No, credo di non averne voglia. Dubito che il mio stomaco<br />
reggerebbe a una prova simile. Mi sembra un gioco pericoloso.» Non<br />
riuscii a trattenere un'ultima raccomandazione. «State attenti, ragazzi.<br />
Se sbattete contro una pietra, rischiate di farvi male.»<br />
«Puoi sempre saltare giù dallo scudo.» Era Bedwyr a parlare. «E<br />
poi non ci sono pietre grosse <strong>sul</strong>la strada. Le hanno tolte tutte.»
Mi arresi e li lasciai al gioco.<br />
Meno di un mese dopo cominciò il disgelo e per quell'anno la<br />
primavera giunse in anticipo.<br />
Sebbene fosse stato breve e mite, l'inverno, fin dalla prima<br />
nevicata, ci aveva impedito ogni contatto con Derek e la sua gente,<br />
sicché quando prese a spuntare la nuova erbetta, eravamo stufi di<br />
vedere sempre le stesse facce. L'annuncio da me dato che diciotto di<br />
noi sarebbero andati a Ravenglass fu quindi accolto tra l'entusiasmo<br />
generale.<br />
Alla vigilia della partenza, nel breve crepuscolo prima che calasse<br />
il sole, convocai, in attesa della cena, il gruppo e rammentai loro la<br />
necessità di continuare nella finzione una volta che fossimo arrivati a<br />
Ravenglass il giorno successivo: io avrei continuato a essere Cay per<br />
tutti; a Hector andava tributata la deferenza che era stata<br />
tradizionalmente riservata a me come Caio Merlino. Era mia<br />
speranza che quell'avvertimento fosse diventato nel frattempo<br />
superfluo, ma conveniva ribadirlo perché la nostra attuale sicurezza<br />
dipendeva in buona parte dal fatto che fossero tutti convinti che<br />
Merlino di Camelot era salpato un anno prima con Connor Mac<br />
Athol e il piccolo Pendragon.<br />
Una volta scioltasi la riunione fra un coro di augurali buona notte<br />
e di previsioni eccitate <strong>sul</strong> viaggio del giorno seguente, mi accinsi a<br />
ritornare da solo verso il mio alloggio. Avevo fatto dieci passi<br />
quando mi si affiancarono Donuil e Shelagh che, presomi<br />
sottobraccio, mi accompagnarono fino alla porta. Entrato che fui, mi<br />
affaccendai intorno al fuoco attizzando i carboni prossimi a spegnersi<br />
e accendendo una fiammella per portare la luce alle lampade.<br />
Sebbene fuori fosse ancora il crepuscolo, le ombre si erano allungate<br />
ed era quasi buio all'interno. Mentre ero chino <strong>sul</strong>la lampada per<br />
accendere lo stoppino con la fiammella, mi accorsi che Shelagh si era<br />
fermata non appena varcata la soglia e si guardava intorno con<br />
esagerata curiosità.<br />
Quell'alloggio era più che sufficiente per me. Vi aveva abitato in<br />
origine il centurione che controllava le caserme, ma era stato<br />
ampliato all'epoca della ristrutturazione dell'edificio che ora, invece
di ottanta o cento legionari, accoglieva meno di dieci persone,<br />
alcune delle quali erano marito e moglie. Lo spazio abitabile<br />
sembrava più angusto di com'era in realtà perché vi erano accatastati<br />
i cassoni che mi ero portato da Camelot. Molti erano stati depositati<br />
negli horrea, gli edifici destinati a granaio e magazzino, che un solido<br />
tetto proteggeva dal freddo e dalla pioggia. Mi ero portato<br />
nell'alloggio soltanto le cose più care, e tra queste naturalmente il<br />
fodero che conteneva Excalibur e le armi che venivano dall'armeria<br />
di Publio Varro. Non sopportavo il pensiero di staccarmene. Non<br />
avrei potuto dormire se non avessi saputo che i libri di Camelot<br />
erano al sicuro a portata di mano. Avevo anche due pesanti bauli<br />
rinforzati con borchie di ferro che una volta erano appartenuti a<br />
Gaspare e Memmone, gli stregoni egizi di Lot, di tragica memoria.<br />
Me li portavo dietro non tanto per amore del loro contenuto ma<br />
perché era troppo pericoloso lasciarli in giro, accessibili a persone<br />
che avrebbero potuto essere tentate di leggerli, se non altro per<br />
curiosità.<br />
Shelagh era ancora incerta vicino alla porta. «Non vuoi entrare?»<br />
le chiesi. «Hai paura della mia casa?»<br />
«No, non paura, ma sgomento. Cay, si sente visibilmente la<br />
mancanza del tuo domestico.»<br />
Donuil, che era stato mio domestico e aiutante finché, all'arrivo<br />
nel nuovo insediamento, avevo rifiutato i suoi servigi, arrossì e si<br />
levò dalla sedia <strong>sul</strong>la quale si era lasciato andare non appena<br />
entrato. Con un cenno della mano lo invitai a rimettersi seduto,<br />
tenendo gli occhi su sua moglie e sorridendo perché sapevo che<br />
aveva qualcosa da ridire.<br />
«Mancanza del mio domestico? Aiutante, vorrai dire. Non ho<br />
bisogno di un domestico; sono in grado di provvedere a quanto mi<br />
serve.»<br />
Mi gettò un'occhiata di scherno che mostrava il suo fiero<br />
temperamento. «Non lo metto in dubbio, Caio Merlino. Mi<br />
preoccupano la tua concentrazione e il tuo concetto di priorità.»<br />
Aggrottando la fronte, le sorrisi per prendere in giro la sua grinta.<br />
«Che vuoi dire, donna? Devo ricordarti che soltanto con tuo marito<br />
puoi usare la lingua tagliente, non con me? Che cosa non va nel mio
modo di intendere le priorità?»<br />
Lanciò qualche rapida occhiata intorno, brevi sguardi che<br />
indicavano profonda disapprovazione. «Quello che non va con le<br />
priorità di tutti gli uomini: sono priorità maschili.»<br />
Levai le mani e presi ad applaudire lentamente, sapendo che<br />
l'avrei esasperata fino a farla scoppiare in una risata. Mi fissò a lungo<br />
stringendo gli occhi, ma poi avanzò nella stanza e si fermò per far<br />
scorrere un dito <strong>sul</strong> ripiano del tavolo. Comparve <strong>sul</strong>la superficie una<br />
riga lunga e lucente dove era stata levata la polvere.<br />
«Ecco! Hai mai visto una cosa simile nell'alloggio del comandante<br />
Caio Britannico?»<br />
«No, Shelagh. Ma qui non ci sono comandanti militari; questo è<br />
l'alloggio di mastro Cay, un contadino privo di terre, che al<br />
momento dimora in un antico forte romano abbandonato. Chi è il<br />
comandante Caio Britannico?»<br />
«Uno che conoscevo.» Passò ancora una volta il dito <strong>sul</strong>lo strato<br />
di polvere che copriva la superficie liscia e lucida del tavolo. «<strong>Il</strong><br />
contadino Cay non ha terre ma ha mobili bellissimi, lo ammetto.» Si<br />
guardò intorno con un sospiro. «Ti serve aiuto, Cay, nella vita di<br />
ogni giorno, come serve a quasi tutti noi di questa operosa comunità<br />
che abbiamo costruito e che ha bisogno di mille e mille cose. Non sei<br />
il solo. Ma siccome rifiuti l'aiuto mio, di Donuil e di ogni altro, ho un<br />
suggerimento da darti.»<br />
Appoggiai la lampada <strong>sul</strong> tavolo con cura esagerata e le rivolsi un<br />
inchino, indicandole con la mano una sedia vuota. «Siediti, Shelagh.<br />
Vedrai che potremo parlare da seduti con la stessa chiarezza che se<br />
restiamo in piedi, e ti accorgerai che ascolto con maggiore<br />
attenzione un interlocutore seduto.»<br />
Lanciandomi un'occhiata in tralice, prese posto vicino a suo<br />
marito che le sorrideva in silenzio. Quando si fu accomodata, mi<br />
appoggiai allo schienale della mia sedia sorridendo.<br />
«Dicevi che, come a molti altri, anche a me serve aiuto e che puoi<br />
darmi un consiglio. Quale?»<br />
«D'accordo. La nostra comunità ha bisogno di sangue nuovo e<br />
nuovi stimoli. Siamo diciotto in questo forte appollaiato su un picco:
quattro ragazzi, tre coppie sposate, una donna nubile e sette uomini<br />
celibi: tu, Lucano, Hector, Dedalo, Jonathan, Rufio, Mark. Dieci<br />
uomini contro quattro donne: sono proporzioni malsane. Lasciamo<br />
fuori Rufio che si può considerare sposato con Turga perché è<br />
sempre con lei; rimangono comunque sei uomini dei quali ci si deve<br />
prendere cura.»<br />
«Che cosa proponi, Shelagh?» la incoraggiai sorridendo. «Che ci<br />
mettiamo a cercare disperatamente moglie?»<br />
«Non sarebbe una cattiva idea, se fosse praticabile. No, non è<br />
quello che propongo. La mia idea è che domani, quando saremo a<br />
Ravenglass, dovremo cercare di aumentare il nostro numero con un<br />
saggio reclutamento...» Levò la mano per impedirmi di interloquire.<br />
«Lo so che per comune decisione abbiamo stabilito di essere<br />
sufficienti a noi stessi e che dobbiamo prudentemente evitare di farci<br />
notare. Ma, pensaci, Cay: esiste modo migliore di nascondersi nel<br />
mucchio che mimetizzarsi con il mucchio?»<br />
Rimasi a fissarla, ascoltandola ma senza capirla. Le lanciai<br />
un'occhiata dubbiosa per manifestarle il mio disorientamento.<br />
«Che cosa?»<br />
«Pensaci, Cay! Conduciamo una vita parallela alla loro, separati<br />
da loro, non in mezzo a loro. Ecco quello che intendo dire:<br />
portiamo qualcuno di quella gente quassù a vivere e lavorare con<br />
noi. Derek si lamenta che la sua città è sovraffollata e noi ci siamo<br />
accorti, nel corso di un inverno mite, di essere pochi e che ci<br />
piacerebbe che altri fossero con noi nelle corte giornate e nelle<br />
lunghe nottate. C'è la possibilità di aiutarci a vicenda con vantaggio<br />
di tutti. Perché non chiediamo a Derek di mandare un po' della sua<br />
gente a vivere con noi, riservandoci il diritto di scegliere chi<br />
accogliere?»<br />
«Messa così, sembra ragionevole.» Capivo che diceva cose sensate<br />
e mi volsi a Donuil. «Che ne pensi?»<br />
Stiracchiandosi, Donuil sorrise e aprì la bocca in un enorme<br />
sbadiglio. «Penso che è ora di cena e che ho fame. Penso anche che<br />
mia moglie sia una donna assai in gamba e che la sua proposta sia<br />
saggia. Io non ci sarei mai riuscito a tirarla fuori.»
Tornai a guardare Shelagh che mi fissava e annuii. «Sono<br />
d'accordo con Donuil. Ne parlerò a Derek non appena arriveremo a<br />
Ravenglass. Quanti della sua gente potremmo accogliere, secondo<br />
te?»<br />
«Ci servono artigiani e donne pratiche. Le coppie, se entrambi i<br />
coniugi sanno lavorare, potrebbero essere considerati come un'unità.<br />
Ci servono falegnami, boscaioli e conciatori; sarebbe utile anche un<br />
bottaio. Noi siamo diciotto ma in realtà quattordici perché quattro<br />
sono ragazzi. Potremmo facilmente essere in cinquanta. Non ci<br />
mancano né lo spazio né gli alloggi; c'è abbondanza di acqua e<br />
cacciagione.»<br />
«Credi che ci sarà riconosciuto il diritto di scegliere solo quelli che<br />
ci servono secondo i nostri criteri?»<br />
«Sì, il nostro insediamento piacerà a chi vive in una città<br />
affollata... soprattutto in primavera, in estate e autunno. Non credo<br />
che mancheranno i volontari e i giovani robusti.»<br />
«Ci saranno anche le giovani robuste?»<br />
Mi guardò con occhi sgranati e un'espressione di innocenza.<br />
«Naturalmente ci saranno anche le giovani robuste. Ce n'è di lavoro<br />
quassù per chi ha braccia forti! I nostri giovanotti, Jonathan e Mark,<br />
hanno bisogno di avere qualche rivale.»<br />
«Rivali, sì.» Sospirai consapevole di essere stato scartato dal<br />
numero. «D'accordo, Shelagh. Così sia. Ne parlerò con Hector<br />
stasera. Ha diritto di conoscere questo piano prima di ogni altro.<br />
Andiamo a cenare; lo incontrerò lì.»<br />
C'era aria di festa nel nostro gruppo mentre, il giorno dopo, si<br />
avviava verso Ravenglass. Alcuni di noi - io stesso, Dedalo, Donuil,<br />
Shelagh e Rufio - procedevamo singolarmente <strong>sul</strong>le nostre<br />
cavalcature; i ragazzi montavano i loro pony pezzati, gli altri nove<br />
occupavano i quattro carri tirati da cavalli, carri che, quasi vuoti<br />
nell'andata, ci auguravamo sarebbero stati carichi nel ritorno. Era<br />
una tiepida giornata di sole primaverile sicché la nostra esaltazione si<br />
accentuò mentre scendevamo lungo il pendio della collina fino alla<br />
valle dell'Esk tra i canti degli uccelli che sembravano distendersi sopra
la valle come una seta lieve e frusciante.<br />
Procedevo a capo della colonna e a un certo punto mi misi di<br />
lato per veder sfilare il gruppo, scuotendo la testa in cenno di<br />
diniego ogni volta che qualcuno mostrava di volersi fermare per<br />
parlarmi e facendo segno con la mano di proseguire perché<br />
desideravo restare da solo per qualche tempo. I ragazzi sui loro<br />
pony andavano avanti e indietro; a volte sopravanzavano di un bel<br />
pezzo il gruppo dei cavalieri adulti più lenti e tranquilli, poi<br />
ritornavano indietro per vedere a che punto eravamo, sapendo che<br />
non dovevano staccarsi troppo.<br />
Come uscimmo dalla foresta e raggiungemmo la distesa dei campi<br />
coltivati, sopra di noi il cielo si dilatò, gli alberi rimasero alle nostre<br />
spalle e lo spettro dei colori passò dal verde scuro e dai pacati bruni<br />
delle querce coperte di muschio al verde brillante delle piante che<br />
rinascevano nella primavera e si stagliavano contro il terreno nero.<br />
Mano a mano che ci avvicinavamo alla città incontravamo uomini<br />
intenti a lavorare nei campi lungo i margini della strada, da soli o in<br />
coppia. Molti ci salutavano con la mano; di tanto in tanto qualcuno<br />
si avvicinava per rivolgerci la parola, desiderosi di rivedere il viso di<br />
persone che da tempo non incontravano e curiosi di sapere come<br />
fosse stato l'inverno in quella nostra regione sperduta.<br />
Con quella specie di magica premonizione che sembra sempre<br />
accompagnare l'arrivo di gente come noi, Derek ci venne incontro<br />
prima ancora che arrivassimo in città. Di umore allegro quel giorno,<br />
esuberante e chiassoso, ci accolse rumorosamente e mandò avanti<br />
alcuni dei suoi ad avvertire che si predisponessero gli alloggi del<br />
forte per ospitarci. Donuil e Shelagh, Hector e io avremmo<br />
soggiornato nella sua casa. Artù, gli altri tre ragazzi e Turga, che si<br />
era autoproclamata sorvegliante, avrebbero alloggiato presso una<br />
famiglia che aveva dieci figli: tra quella massa di ragazzini si<br />
sarebbero appena notate le facce nuove. Dedalo, Rufio e gli altri si<br />
sarebbero arrangiati da soli.<br />
Prima che il gruppo si dividesse, Derek volle mostrarci dove<br />
sarebbero stati sistemati i cavalli e i carri alla cura dei quali era stato<br />
nominato il taciturno Ulf.<br />
La reazione di Ulf al vedere le nostre bestie non fu meno
clamorosa della volta precedente. Le sue erano molto più piccole, e<br />
per prudenza portò i nostri cavalli in un recinto fuori vista.<br />
Sul tardi quella sera, stanco e piacevolmente rilassato dopo un'ora<br />
lieta trascorsa a sentire le canzoni di un druido di passaggio, un<br />
artista di eccezionale bravura, scorsi superando una porta aperta<br />
Shelagh, Donuil e Derek seduti intorno a un fiammeggiante braciere.<br />
Mi fermai <strong>sul</strong>la soglia per augurare loro la buona notte, intuendo<br />
immediatamente dall'espressione dei loro visi che stavano parlando<br />
di me. Non dissi niente e mi allontanai immediatamente, portando<br />
con me l'immagine dello sguardo pensoso di Shelagh e del suo seno<br />
fasciato nella veste. Dormii pesantemente quella notte, senza<br />
sognare.
VIII.<br />
Le galee di Connor, entrate in porto all'alba, erano già<br />
saldamente ormeggiate al molo quando, ancora assonnato, vi arrivai<br />
uscendo dalla porta occidentale. Alla fine della stagione invernale,<br />
periodo in cui navigare era più agevole, aveva deciso di gettare di<br />
nuovo l'ancora a Ravenglass. La sua presenza, che non ci colse del<br />
tutto di sorpresa, fu un motivo in più per festeggiare.<br />
«Testa Gialla!»<br />
Levai lo sguardo dove lui, sospeso in aria, si apprestava a sbarcare<br />
al suo solito modo inusitato, il piede ancorato in un laccio della<br />
fune, la gamba di legno puntata nella mia direzione, una mano<br />
stretta intorno alla corda, mentre gli uomini dell'equipaggio<br />
cautamente lo calavano a terra.<br />
«Testa Gialla! Hai la barba come i celti. Cosa ti sei fatto ai capelli?<br />
Dovrò chiamarti Testa Bruna. Sei stato malato?» Rideva e sapevo che<br />
non era sorpreso di vedere in me tutti quei cambiamenti. Prima che<br />
potessi rispondergli, si voltò facendo perno <strong>sul</strong>la gamba di legno e,<br />
appoggiando un braccio <strong>sul</strong>la mia spalla per girare anche me, indicò<br />
il ponte di poppa. «Guarda lassù! Ti ho portato ospiti.»<br />
Rimasi attonito al vedere Ambrogio e Ludmilla che agitavano la<br />
mano per salutarmi, i visi sorridenti. Sentii la gioia invadere il mio<br />
cuore mentre rivolgevo loro un silenzioso benvenuto. Si<br />
allontanarono dal ponte e sapendo che sarebbero apparsi <strong>sul</strong>la<br />
passerella, mi volsi a Connor.<br />
«Cosa ci fa qui Ambrogio? Come è riuscito a fuggire da Camelot?»<br />
Connor rise e portando il dito alle labbra con un'elaborata<br />
pantomima mi invitò alla prudenza. «Ssst! Di quale Ambrogio stai<br />
parlando, Testa Bruna? L'uomo che hai salutato è Merlino<br />
Britannico, comandante delle forze armate di Camelot. Non sai<br />
niente? È venuto fino qui per rendere visita al re Derek di<br />
Ravenglass. Sono alleati di vecchia data.»<br />
Che potevo fare se non scuotere la testa e accettare le
improvvisazioni fantasiose di Connor? «Sì, lo so. Lo stesso Derek mi<br />
ha parlato dell'amicizia che li lega. Non vedo l'ora di accogliere<br />
Merlino Britannico. Possibile che intraprenda un viaggio così lungo<br />
solo per salutare un vecchio amico?»<br />
«Perché no?» Connor continuava a sorridere, ma i suoi occhi si<br />
muovevano senza posa per controllare le operazioni di scarico dalle<br />
galee. «Quando ricevette e lesse la tua ultima lettera, quella in cui gli<br />
parlavi della tua intenzione di sparire dalla vista, Ambrogio diede<br />
un'incondizionata approvazione. Eccitato com'era al pensiero di<br />
quello che avresti fatto, si accinse a leggermela: un'impresa da non<br />
prendere alla leggera, come avrebbe detto mio padre. Tuo fratello<br />
non conosce bene la lingua dell'Eire. Ci divertimmo molto, io e lui, a<br />
tradurre dal latino, ostico ai miei orecchi, in gaelico irlandese, ostico<br />
ai suoi. Grazie a Dio, sappiamo entrambi la lingua che si parla lungo<br />
la costa. Discutemmo l'intera faccenda, esaminando anche i dettagli,<br />
concordi nel ritenere che le tue misure di precauzione contribuivano<br />
a mettere al sicuro il ragazzo.<br />
Poco dopo, partii da Camelot per trascorrere l'inverno sotto il<br />
tetto di mio padre nell'Eire. Durante il viaggio mi venne in mente<br />
che se la tua manovra diversiva fosse riuscita, cioè sparire senza<br />
andartene lontano, Ambrogio avrebbe dato maggiore credibilità al<br />
tuo progetto facendosi vedere qui nei tuoi panni. Nessuno lo<br />
conosce in questa regione, nessuno sa della sua esistenza, ma tutti ti<br />
hanno visto prima che "tu salpassi" con il ragazzo a bordo della mia<br />
galea. Ora ti vedranno in Ambrogio. Siete identici. Vedranno<br />
arrivare Merlino Britannico e lo vedranno ripartire tra dieci giorni<br />
<strong>sul</strong>la mia nave. Nessuno avrà dubbi, ma, cosa ancora più<br />
importante, nessuno qui penserà che sei tu Merlino Britannico... a<br />
meno che tu non decida di svelare in futuro la tua vera identità. Ecco<br />
che arrivano!»<br />
Raggiunsi i piedi della passerella prima che Ambrogio e Ludmilla<br />
l'avessero percorsa tutta; li abbracciai sopraffatto da un'emozione<br />
che mi impediva di parlare. Ludmilla era bella come sempre, un po'<br />
più paffuta e matronale di quanto la ricordassi; mi chiese subito<br />
notizie di Shelagh, di Lucano, di Turga, dei quattro ragazzi. Le risposi<br />
come meglio potei, ma in quel momento, avendo già constatato che<br />
era soddisfatta e felice, mi stava a cuore osservare mio fratello.
Aveva un aspetto magnifico: un comandante, un vero capo sotto<br />
ogni punto di vista. Chissà cosa pensava di me mi chiesi, vedendo<br />
che mi fissava con la stessa intensità con cui io fissavo lui. La folla si<br />
affaccendava in ogni direzione mentre noi, dimentichi di tutti,<br />
assaporavamo quello squisito momento di vicinanza in un silenzio<br />
affettuoso, intimo, familiare.<br />
Sorridendo, ma con atteggiamento critico, Ambrogio alla fine<br />
commentò il mio aspetto.<br />
«I capelli scuri... meglio non parlarne, fratello. Ti preferivo<br />
quando mi assomigliavi di più.»<br />
Gli sorrisi e strinsi sua moglie afferrandola per la vita morbida.<br />
«Questo lo dici tu, Testa Gialla, in nome del tuo narcisismo. Chiedi a<br />
una donna che a quest'ora ne avrà abbastanza di chiome bionde<br />
quello che pensa degli uomini belli e bruni. Scommetto che riceverai<br />
una risposta ben diversa. Non ho ragione, Ludmilla?»<br />
Scostandosi leggermente dal mio fianco, mi sorrise e mi scrutò.<br />
«Parlandoti con la saggezza e la tenerezza di una cognata, dovrei<br />
dire che se tu, quando eri più giovane, avessi l'aspetto che hai oggi,<br />
forse ti avrei preso in maggior considerazione... Ma chissà? Come<br />
cognato, confesso che non hai pari e che sopravanzi tutti in ogni<br />
qualità.»<br />
Ammiccai verso di lei che mi guardava a occhi sgranati, con aria<br />
solenne, e componendo l'espressione del viso all'imperscrutabilità mi<br />
volsi a mio fratello. «Ho sentito bene? Tua moglie ha detto che sono<br />
unico?»<br />
«Forse sì, fratello, visto che sei il suo unico cognato. Non lo so.<br />
Ma di rado so quello che le passa per la mente. Essere sposato con<br />
una dea non è facile per un semplice mortale, che spesso si trova a<br />
dover affrontare un compito al di sopra delle proprie forze. Per<br />
esempio, capire l'eccezionale eccezionalità della consorte... cose del<br />
genere...»<br />
«Sì.» Tesi il braccio per bloccare il pugno di Ludmilla prima che<br />
potesse farsi male appioppandolo <strong>sul</strong>la corazza. «Meglio allontanarci<br />
da qui e raggiungere gli altri. Shelagh sarà felice di vedervi. Non<br />
sapevamo che sareste arrivati...» Mi interruppi e li scrutai prima
l'uno, poi l'altra. «Perché siete venuti? Va tutto bene a Camelot?»<br />
Ambrogio mi bloccò subito. «Credi che saremmo qui se qualcosa<br />
non andasse per il suo verso? Siamo venuti perché potevamo farlo,<br />
soltanto per questa ragione. Va tutto bene in patria, anzi più che<br />
bene. Abbiamo avuto una stagione ricca e copiosa, cui è seguito un<br />
inverno mite e breve; da quando ci siamo sposati è la prima volta<br />
che io e mia moglie ci allontaniamo da Camelot. Connor, diretto a<br />
Ravenglass, aveva spazio <strong>sul</strong>le sue galee e io avevo messaggi per te e<br />
Lucano. Così siamo partiti. Rimarremo finché Connor non tornerà a<br />
prenderci, cioè, secondo le sue stime, tra due settimane. Sopporterai<br />
fino ad allora la nostra compagnia?»<br />
«Con gioia e anche per molto più a lungo.» Mi girai verso<br />
Connor. «Soltanto due settimane? Non è molto per fare una doppia<br />
traversata.»<br />
«Perché no?» disse stringendosi nelle spalle e aggrottando la<br />
fronte. «Bastano e avanzano... tanto più che le navi saranno vuote<br />
<strong>sul</strong>la via del ritorno.»<br />
«Vuote? Dall'Eire?»<br />
«Eire? Non siamo diretti nell'Eire. Te l'ho detto: lì abbiamo<br />
passato l'inverno, poi abbiamo raggiunto i nostri possedimenti vicino<br />
a Camelot. Ora con dodici galee cariche del bestiame di Liam il<br />
gobbo, mi recherò ad Alba nelle isole nord-occidentali.» Vedendo la<br />
mia espressione, scoppiò a ridere e agitò la mano in direzione del<br />
mare. «Sono laggiù al sicuro, nascoste dietro l'isola. Che senso aveva<br />
portarle qui? Avrebbero creato solo confusione. A Derek sarebbe<br />
venuto un colpo apoplettico quando le avesse viste sbucare da<br />
dietro la punta dell'isola. Avrebbe pensato che era tornata la flotta<br />
dei Figli di Condran. Sulle navi ho lasciato Logan e Feargus, che<br />
fanno da pastori delle greggi e da custodi delle navi. Voglio parlare<br />
con Derek, questione di un'oretta, e poi via di nuovo prima che<br />
cambi la marea. Quello che devo scaricare qui, sarà <strong>sul</strong> molo entro<br />
mezz'ora.»<br />
Lanciò un'occhiata alla galea, quindi, controllando che il lavoro<br />
procedesse bene, raggiunse Ambrogio per salutarlo.<br />
«Addio, Ambrogio, e possano gli dèi esserti benevoli mentre sarai
inchiodato qui con questi selvaggi fino al mio ritorno.» Prendendo la<br />
mano di Ludmilla si inchinò. «Gentile signora, spero che vorrete<br />
portare i miei saluti a mia cognata Shelagh. A presto.»<br />
Voltatosi verso di me, mi appioppò una possente manata <strong>sul</strong><br />
braccio, quindi mi strinse in un abbraccio prima di scostarsi e<br />
osservarmi sorridendo.<br />
«Prenditi cura di queste brave persone, Cay dalle chiome brune, e<br />
bada che non succeda loro niente di male, altrimenti richiamerai<br />
<strong>sul</strong>la tua testa incolore l'ira di Camelot.»<br />
Così dicendo se ne andò e noi restammo <strong>sul</strong> molo ad ascoltare il<br />
tonfo cadenzato della sua gamba di legno che si perdeva in<br />
lontananza.<br />
Sapendo che gli uomini di Connor avrebbero avuto cura di<br />
recapitare i bagagli, feci strada ai miei ospiti fino agli alloggi situati<br />
nel forte. Appena giunti uno strillo di gioia di Shelagh mi disse che ci<br />
aveva avvistati. Da quel momento tutto degenerò nel caos che<br />
continuò ininterrotto fino alla partenza di Connor e proseguì a cena.<br />
Dovetti rassegnarmi ad aspettare che l'eccitazione dell'incontro si<br />
spegnesse per poter avere qualche informazione su quanto accadeva<br />
a sud. E anche allora dovetti scavare a fondo per riuscire mettere<br />
assieme le notizie strappandole a mio fratello convinto, e a ragione,<br />
che non c'era niente di importante.<br />
Prima che avessimo avuto il tempo di discutere con calma e in<br />
privato degli avvenimenti di Camelot, si era fatto tardi e molti si<br />
erano ritirati per la notte. Non era ancora ora di cena che già Lucano<br />
era scomparso stringendo gli ambiti rotoli che Ambrogio gli aveva<br />
portato, e tra questi il prezioso testo che forse avrebbe gettato un<br />
po' di luce <strong>sul</strong>la mia malattia. Mi sforzavo di non pensarci. Dopo<br />
cena Shelagh e le altre donne avevano seguito Jessica, la prima tra le<br />
mogli di Derek, e non erano ancora tornate. Noi uomini, una<br />
ventina, eravamo soli in una stanza dell'alloggio privato di Derek,<br />
ben fornita di lampade e candele e ben riscaldata dai fuochi che<br />
ardevano nei bracieri aperti.<br />
Era piena notte ormai, avevamo esaurito le chiacchiere fatue;<br />
quasi tutti erano andati a coricarsi; alcuni ce l'avevano fatta a<br />
rincasare con i propri piedi, altri avevano dovuto ricorrere all'aiuto
degli amici. Io e Ambrogio eravamo gli unici svegli, distesi sui letti<br />
romani davanti al fuoco che ancora ardeva. Parlavamo in latino, la<br />
lingua che entrambi padroneggiavamo meglio. In precedenza<br />
avevamo usato la lingua che si parlava <strong>sul</strong>la costa, che a mio avviso<br />
era il volgare britannico, una mescolanza di dialetti celtici e<br />
intonazioni tribali, di tanto in tanto indecifrabili. Le varianti locali, in<br />
particolare, avevano lasciato mio fratello a bocca aperta. La gente di<br />
Derek aveva un suo modo di masticare i suoni vocalici che a me<br />
sembrava assai insolito.<br />
Sapevo che il piccolo Artù, sperando di passare inosservato, era<br />
scivolato nella stanza per mettersi dietro a me, contro la parete in<br />
fondo. Quella notte sarebbe rimasto nella mia camera, un privilegio<br />
che gli avevo concesso per la sera dell'arrivo degli zii. Sapevo che si<br />
era coricato almeno quattro ore prima; l'eccitazione gli aveva<br />
evidentemente impedito di sprofondare nel sonno. Come un'ombra<br />
aveva seguito lo zio Ambrogio fin dal momento in cui, quella<br />
mattina, gli si erano illuminati gli occhi alla vista inattesa del suo<br />
eroe. Ricordando come da ragazzo mi avevano entusiasmato i<br />
racconti di chi tornava da una spedizione, decisi di non mandarlo via<br />
ma di avvicinarlo a noi indicandogli una sedia accanto al fuoco.<br />
Mentre passando il ragazzo sfiorava Ambrogio con un timido<br />
sorriso, questi gli prese una mano, lo trasse a sé e lo trattenne<br />
mentre con l'altra mano fingeva di colpirlo nelle costole; con<br />
riluttanza lo lasciò poi andare verso la sedia che gli avevo indicato.<br />
Una volta che il ragazzo si fu seduto, Ambrogio prese a rispondere<br />
alle mie domande su Camelot.<br />
La vita nella Colonia procedeva uguale e tranquilla, ci raccontò,<br />
giorno dopo giorno mentre cresceva la prosperità e si consolidava la<br />
pace. A coronamento di un anno che in ogni senso era stato<br />
fruttuoso, allietato anche dalla nascita di numerosi bambini, il<br />
raccolto era stato ottimo, più copioso del precedente, il quale a sua<br />
volta aveva superato la quantità della stagione ancora precedente,<br />
sicché i granai della Colonia, compresi i sei nuovi costruiti per<br />
immagazzinarvi le eccedenze, erano pieni zeppi. Dal tempo della<br />
nostra partenza non si erano avute scorrerie neppure nelle zone<br />
limitrofe. Fui lieto di sentire quelle notizie perché voleva dire che la<br />
pace ormai regnava da sei anni. È tentazione naturale in tali
circostanze sperare che duri per sempre, ma è folle presunzione. Era<br />
un miracolo, lo sapevo, avere evitato scontri per un periodo così<br />
lungo. Era vero che la presenza di una forza armata, e la conoscenza<br />
che di questa avevano i nemici, ci metteva in vantaggio, perché<br />
soltanto un esercito ben provvisto poteva scoraggiare, al pensiero<br />
dei costi proibitivi, chi avesse voluto mettere il naso negli affari della<br />
Colonia. Ma serpeggiavano forze sempre più minacciose perché<br />
uomini forti, ambiziosi signori della guerra abituati alla vittoria,<br />
aspiravano al potere e raccoglievano intorno a sé combattenti leali.<br />
Quanto alle tensioni che trovavano origine nelle terre a sud di<br />
Camelot, disse Ambrogio, prevalevano in ogni iniziativa gli indugi e<br />
la ponderatezza. Non era accaduto niente di significativo nel sudovest,<br />
mi raccontò con evidente soddisfazione, e la Cornovaglia,<br />
all'apparenza in pace, se ne stava tranquilla, malgrado fosse noto che<br />
Peter Ironhair si trovava lì. <strong>Il</strong> silenzio su quel fronte, spiegò, era il<br />
regalo più grande che si potesse sperare e auspicare. In Cambria<br />
sembrava che tutto procedesse bene. Dergyll ap Gryffyd, diventato<br />
re e ora accettato e solidamente insediato <strong>sul</strong> trono, si adoperava<br />
per riportare l'ordine e incrementare la prosperità del suo popolo. Si<br />
costruivano di nuovo i lunghi archi di Pendragon, in numero ancora<br />
maggiore di prima, e le terre a nord e a ovest di Camelot erano<br />
piene di giovani che si esercitavano a diventare arcieri.<br />
Non avendo avuto notizie dalla terra di Vortigern nel lontano<br />
nord-ovest, non credeva che qualcosa fosse cambiato lì. Sebbene si<br />
acuissero le tensioni con le genti che da altre regioni Vortigern aveva<br />
portato nel regno perché lo aiutassero a proteggere il suo popolo, lo<br />
scettro doveva essere ancora in sua mano - così riteneva Ambrogio -<br />
altrimenti gli sarebbe giunta qualche notizia in contrario. <strong>Il</strong> che<br />
significava anche che Hengist il Danese era abbastanza forte da<br />
tenere a bada il suo riottoso figlio Horsa.<br />
Artù ascoltava in silenzio le cose che si dicevano, prestando la<br />
massima attenzione come dimostrava il suo sguardo fisso e<br />
concentrato. Mi accorsi che al nome di Vortigern levava di scatto la<br />
testa, e dalla luce nei suoi occhi mi resi conto che desiderava parlare,<br />
sebbene sapessi che non si sarebbe mai sognato di interromperci.<br />
«Che cosa c'è, Artù? Si direbbe che hai voglia di dire qualcosa?»
Irrigidendosi e arrossendo per l'imbarazzo di essere stato notato, il<br />
ragazzo scosse la testa. Si dimenava per il disagio e si capiva che<br />
avrebbe voluto che il pavimento si spalancasse e lo inghiottisse.<br />
Osservandolo, intuii immediatamente la ragione di tanta<br />
inquietudine, e mi ritrovai a mordermi le labbra distrattamente,<br />
sentendomi in colpa per avergli insegnato fin troppo bene la lezione<br />
nell'inverno passato.<br />
Fin da quando, parecchi mesi prima, lui e i suoi amici avevano<br />
fatto irruzione rumorosamente e inaspettatamente mentre stavo<br />
discutendo con Derek e i suoi consiglieri i patti e le condizioni<br />
dell'uso da parte nostra delle terre di Mediobogdum, di proprietà di<br />
Derek, mi ero dato la briga di insegnare al ragazzo la necessità di<br />
comportarsi dignitosamente con gli adulti. Mi ero infuriato in un<br />
primo momento, e Artù aveva capito di essersi comportato in modo<br />
sconveniente quel giorno e intuito di avermi seccato e disturbato con<br />
la sua irresponsabilità e sconsideratezza.<br />
Vedendolo come reagiva alla mia domanda casuale, mi resi conto<br />
che il suo comportamento di allora, che mi aveva davvero<br />
infastidito, era stato una ragazzata. Avevo dimostrato un'eccessiva<br />
severità, e adesso si agitava, schivo e ritroso, non appena gli si<br />
rivolgeva la parola.<br />
Ambrogio guardò attonito me e il ragazzo, levando le<br />
sopracciglia quasi a chiedere che cosa succedeva. Sentendomi<br />
codardo, mi limitai a stringermi nelle spalle. Ambrogio fissò il<br />
ragazzo che teneva la testa bassa.<br />
«Che hai?»<br />
Rosso in viso, Artù levò lo sguardo a incontrare quello di<br />
Ambrogio. «Niente, zio Ambrogio.»<br />
«Sei sicuro? Non hai sentito quello che ti ha chiesto lo zio Cay?»<br />
«Sì. Mi ha chiesto se desideravo dire qualcosa.»<br />
«E allora? Hai qualcosa da dire?» Artù scosse appena la testa in<br />
modo nient'affatto convincente. «Che c'è? Non hai niente da dire?»<br />
«No, zio.»<br />
«Ecco una novità! Te ne sei stato seduto lì ad ascoltarci per
quanto... un'ora? e non hai niente da dire, nessuna domanda da<br />
porre, nessun commento da esprimere? Non sei forse Artù<br />
Pendragon? Non sei stato lì a fissarmi? Ti ho rivolto una domanda.<br />
Pensavo che fossi mio nipote, ma comincio a dubitarne. Sei Artù<br />
Pendragon?»<br />
Sulla bocca apparve e subito scomparve l'ombra di un sorriso. «Sì,<br />
zio Ambrogio, sono Artù Pendragon.»<br />
«Certo che lo sei! Ne ero sicuro. Allora dimmi che cosa ti succede.<br />
Come mai non hai nessuna domanda da pormi? Sei diventato muto?<br />
Le formiche ti hanno mangiato il cervello? Parla, ragazzo!<br />
Dimostrami che sei vivo, che non sei cambiato!»<br />
Artù sorrideva apertamente, divertito dall'impeto e dalla foga<br />
dello zio, ma abbassando la testa, disse: «Lo zio Cay dice che nei<br />
discorsi dei grandi non c'è spazio per quello che pensano i ragazzi».<br />
«No, Artù, non è vero...» sbottai notando l'incredulità nei suoi<br />
occhi. Mi alzai e avvicinatomi a lui, gli posi una mano <strong>sul</strong>la spalla e<br />
mi sedetti vicino. «Tuo zio Ambrogio non sa di che cosa parlavamo<br />
qui, ma noi due, tu e io, lo sappiamo benissimo.» Raccontai quindi<br />
ad Ambrogio come Artù e i suoi amici avessero interrotto l'incontro<br />
con Derek e i suoi consiglieri, e come avessi cercato in<br />
quell'occasione di impartirgli una lezione.<br />
Mi levai e sospirando guardai Artù che contraccambiò il mio<br />
sguardo fissandomi negli occhi.<br />
«Ti ho insegnato allora che non c'è posto negli affari dei grandi<br />
per la voce dei ragazzi quando il loro contributo si limita a<br />
schiamazzi e maniere villane. Vedo che lo hai imparato. Ma mi<br />
accorgo che forse lo hai capito soltanto in parte. Non comprendi che<br />
sarebbe ben diverso se stasera tu parlassi e che non recheresti offesa<br />
né a tuo zio né a me? Pensa, ti prego, a quanto ti ho detto. So che<br />
puoi farlo.» Non avevo ancora finito di parlare che già vedevo la sua<br />
fronte rasserenarsi. «Hai capito allora che in questo momento le cose<br />
sono diverse?»<br />
«Sì.»<br />
«Bene. Ripeti allora.»<br />
«Nelle faccende dei grandi non c'è posto per la voce dei ragazzi
quando il loro unico contributo si limita a schiamazzi e maniere<br />
villane. Ne consegue che la voce dei ragazzi ha posto, se sono seri e<br />
bene informati.» Guardò mio fratello e me. «È così?»<br />
«Sì.» Tornando a sorridere gli posai una mano <strong>sul</strong>la testa. «Seri:<br />
ecco la parola chiave, cioè attenti, rispettosi, riguardosi. Un ragazzo<br />
serio non necessariamente è bene informato. Bene intenzionato è<br />
forse un'espressione più adatta. Una domanda opportuna, posta al<br />
momento giusto, può condurre a una buona conoscenza<br />
dell'argomento... Se ti ricordi come volevi contribuire alla nostra<br />
discussione, chiedi pure.»<br />
<strong>Il</strong> ragazzo si immobilizzò, lo sguardo gli si acuì mentre corrugava<br />
la fronte per mettere ordine nei suoi pensieri.<br />
«Non tanto una domanda quanto un dubbio» cominciò. «Perché si<br />
ha l'impressione che ogni grande sovrano porti in sé il seme della<br />
sconfitta? Perché alcuni riescono a impedire che quei semi<br />
germoglino, mentre altri soccombono a causa loro?»<br />
Era il mio turno di essere stupefatto. Di tanto in tanto quel<br />
ragazzo, che viveva e si comportava come un bambino, sfrenato e<br />
spensierato, saltava fuori con le considerazioni, le osservazioni e le<br />
conclusioni più complicate.<br />
«Era di questo che discutevamo?»<br />
«No, ma parlavate di Vortigern.»<br />
«Sì. In che modo la tua osservazione riguarda la nostra<br />
discussione?»<br />
Quella mia tranquilla domanda suscitò nell'uomo dentro di lui,<br />
che era una personalità decisa sebbene solo a tratti percepibile,<br />
un'occhiata sprezzante e una reazione fulminante. «Non è chiaro?<br />
Vortigern impiantò i semi della propria rovina quando chiese ai<br />
danesi di Hengist di aiutarlo contro gli invasori. Di questo<br />
argomento trattò nei suoi libri il mio bisnonno, Publio Varro, e lo<br />
stesso faceste tu, nei tuoi scritti, e lo zio Pico. Per tenere lontane le<br />
volpi dalle anatre si portò in casa il lupo. Ha commesso lo stesso<br />
fatale errore commesso dai Romani, quando addestrarono i popoli<br />
soggiogati nelle tecniche di combattimento da loro usate. Così<br />
insegnarono come distruggere l'impero. Alessandro il Grande fu più
fortunato; nessuno si accorse della sua debolezza.»<br />
«Alessandro il Macedone?» Ambrogio sorrideva da un orecchio<br />
all'altro. «Qual era la sua debolezza? Niente di grave, immagino,<br />
visto che non gli impedì di conquistare il mondo.»<br />
«Oh no, zio Ambrogio! Avrebbe potuto essergli fatale.»<br />
Mio fratello aggrottò la fronte quasi si fosse sentito offeso, poi mi<br />
guardò. Rimasi imperturbabile, senza lasciar trapelare che la mia<br />
ignoranza non era inferiore alla sua. Nel frattempo Artù ci guardava,<br />
ora l'uno ora l'altro; non si rendeva conto, l'avrei giurato, che<br />
nessuno di noi due aveva capito quello che aveva in mente. Alla fine<br />
Ambrogio si piegò all'inevitabile.<br />
«Ammetto che mi hai battuto. Quale debolezza, secondo te,<br />
aveva Alessandro... salvo la cavalleria?» Scherzava naturalmente, ma<br />
il ragazzo scosse la testa.<br />
«Era quella.»<br />
«Che cosa stai dicendo? Una debolezza? La cavalleria?» Ambrogio<br />
aveva assunto un tono di ironica incredulità.<br />
«I cavalieri lo erano.»<br />
«I suoi...?» Levando le braccia in un gesto di esasperazione,<br />
Ambrogio si volse verso di me alla ricerca di appoggio. Da parte<br />
mia, stupito com'ero, mi schiarii la gola, cercando di assumere<br />
un'aria tranquilla e serenamente consapevole. Artù mi guardava<br />
aspettando di sentire quello che avevo da dire.<br />
«Artù... i cavalieri... c'è chi direbbe...» Mi sentivo ridicolo e, di<br />
nuovo schiarendomi la gola, ricominciai. «Senti, ragazzo, non ho<br />
voglia di discutere con te, ma si ritiene da parte dei maggiori studiosi<br />
di quel periodo storico che i cavalieri costituissero il più forte<br />
manipolo combattente del mondo antico. Erano stati scelti uno a<br />
uno dal re, Filippo di Macedonia, si erano esercitati con lui e con lui<br />
erano andati in battaglia a spese proprie; ciascuno comprava il suo<br />
equipaggiamento: cavalli, corazze, armi. Tutti erano individualmente<br />
guerrieri di fama, campioni di coraggio e destrezza. Quando Filippo<br />
morì in un attentato, i cavalieri offrirono la loro lealtà al figlio, il<br />
giovane Alessandro, e sotto la sua guida conquistarono il mondo,<br />
molto prima che Roma cominciasse a imporsi. Come puoi pensare
che fossero un punto debole?»<br />
«Hai ragione, zio» rispose con una smorfia. «Ho commesso lo<br />
stesso errore di prima: l'imprecisione. Ma se mi è consentito di dirlo<br />
senza sembrare impertinente, lo avete commesso anche voi, tu e lo<br />
zio Ambrogio. Come ho detto all'inizio, sembra che ogni grande<br />
sovrano porti in sé il seme della sconfitta. <strong>Il</strong> concetto importante è<br />
quello del seme. I cavalieri di Alessandro lo portavano.»<br />
«A cosa ti riferisci?»<br />
«Alla loro principale arma di attacco, la sarissa.»<br />
«La sarissa?» Capivo che anche <strong>sul</strong> mio viso si leggeva lo stupore<br />
attonito che traspariva su quello di Ambrogio. «Perdonami, ragazzo,<br />
ma non capisco quello che vuoi dire. Abbiamo cercato di migliorare<br />
a Camelot la sarissa di Alessandro, fin da quando abbiamo<br />
cominciato ad addestrare i nostri soldati a usare i cavalli.»<br />
«Lo so, e lo zio Ambrogio è ancora impegnato a farlo. Ma il<br />
progetto è diverso. Le armi che usano le truppe di Camelot non<br />
sono le sarisse e quindi non sono altrettanto pericolose. Inoltre lo<br />
zio Ambrogio ha elaborato un mezzo per controbilanciarne<br />
l'eventuale minaccia.»<br />
«Congratulazioni» dissi rivolgendomi ad Ambrogio.<br />
Scuotendo la testa, Ambrogio mosse la mano per richiamare<br />
l'attenzione di Artù. Avvicinatosi quindi al fuoco, si rivolse al<br />
ragazzo. «Dimmi, Artù, dove hai imparato queste cose <strong>sul</strong>la sarissa?»<br />
«Dai libri di Publio Varro e Caio Britannico. Li abbiamo portati<br />
con noi partendo da Camelot.»<br />
«Lo so. Credevo di averli letti tutti, ma, da quanto ricordo, in<br />
nessuno dei volumi si afferma che la sarissa fu una debolezza, o<br />
anche solo il germe di una debolezza. Evidentemente non li ho letti<br />
tutti.»<br />
«Be', no...»<br />
«Che vuoi dire?»<br />
<strong>Il</strong> ragazzo si strinse nelle spalle. «Non viene detto esplicitamente in<br />
alcun libro. Mi è venuto in mente durante la lettura, e me lo sono<br />
posto come dubbio. Ho pensato che fosse un punto debole molto
più tardi, circa un anno fa, mentre riflettevo <strong>sul</strong>le cause che<br />
portarono al crollo dell'impero e ai punti deboli del sistema che ne<br />
produssero la caduta.»<br />
Mi mossi per interromperlo, ma Ambrogio con un gesto della<br />
mano mi invitò a tacere. «Lascialo finire, Caio. È importante, credo.<br />
Intuisco il punto debole dell'impero, Artù, il suo vizio, o difetto, ma<br />
non quello di Alessandro. Come sei arrivato alla conclusione che la<br />
sarissa fosse un punto debole? Nessun altro l'ha mai sostenuto, da<br />
quanto mi ri<strong>sul</strong>ta. Ti pare, Cay?»<br />
Mi limitai a scuotere la testa. Artù guardò prima l'uno poi l'altro<br />
sgranando gli occhi, poi il suo viso si schiuse nel sorriso mentre nello<br />
sguardo dorato guizzava una punta di divertita incredulità.<br />
«Mi state prendendo in giro. Conoscete la risposta. Solo così avete<br />
potuto trovare la soluzione a Camelot.»<br />
«No, Artù, nessuno di noi due ti prende in giro. Non riesco a<br />
capire il nocciolo del problema... come avrei potuto trovare la<br />
soluzione? Spiegaci con parole semplici quello che hai osservato,<br />
quello che pensi. Noi non lo sappiamo; illuminaci tu.»<br />
«Ma...»<br />
«Nessun "ma". Spiegacelo! Dove germogliava il seme della<br />
sconfitta?»<br />
«Nella lunghezza dell'arma e nella tecnica dei cavalieri quando la<br />
usavano in battaglia.» Si interruppe, ma riprese ben presto, vedendo<br />
che nessuno di noi due interloquiva. «Si trattava di una lancia lunga<br />
sei passi, pesante e poco maneggevole. La impiegavano nella carica,<br />
un'estremità appoggiata <strong>sul</strong>la spalla, l'altra con la punta di metallo<br />
inclinata verso il basso per colpire i fanti. Infilzavano gli uomini delle<br />
prime file e lasciavano la sarissa nei corpi degli uccisi...» Ebbe un<br />
attimo di incertezza. «Non è così?»<br />
«Sì» disse piano Ambrogio. «Deve essere stato uno spettacolo<br />
tremendo la carica contro uno schieramento di fanteria. Una parete<br />
compatta di uomini a cavallo con le lance puntate verso il basso.<br />
Non sorprende che fossero invincibili.»<br />
«Ma pensaci, zio! Le lance... lunghe, pesanti. Che cosa sarebbe<br />
accaduto se un uomo, un nemico coraggioso, intelligente,
lungimirante, avesse deciso di raccoglierle o ne avesse costruite di<br />
simili, le avesse date alla sua fanteria, organizzando gli uomini in una<br />
schiera compatta come un muro? Pensaci! Un muro di guerrieri,<br />
spalla a spalla, con le sarisse capovolte, cioè l'estremità posteriore<br />
saldamente conficcata nel terreno e la punta in alto, inclinate contro<br />
i cavalieri lanciati alla carica?»<br />
A quelle parole che rivelavano una strabiliante intuizione<br />
strategica seguì un silenzio che si protrasse a lungo. Ambrogio e io<br />
eravamo attoniti cercando di figurarci quello che il ragazzo aveva<br />
descritto: l'utilizzo di un'arma che nessuno in sette secoli aveva<br />
immaginato. La cavalleria di Alessandro aveva conquistato il mondo,<br />
ma se fosse vissuto allora, Artù avrebbe escogitato il sistema per<br />
sopraffare il grande generale macedone. Trovandosi ad affrontare<br />
truppe disciplinate che usavano le loro stesse armi, i cavalieri di<br />
Alessandro sarebbero stati impotenti e avrebbero conosciuto la<br />
sconfitta. Era quello un concetto che nessuno studioso in tanti secoli<br />
aveva elaborato; l'intuizione era venuta, senza l'aiuto di alcuno, a un<br />
ragazzo, in timida attesa che i suoi due imponenti zii gliela<br />
mettessero in ridicolo.<br />
Rimasi a fissare le fiamme così a lungo che cominciarono a<br />
lacrimarmi gli occhi; Ambrogio dopo qualche attimo si avvicinò<br />
incerto alla tavola <strong>sul</strong>la quale erano posate le brocche di birra e<br />
idromele. Immerso nei suoi pensieri, si riempì un boccale che tenne<br />
stretto in mano, senza portarlo alle labbra, prima di rivolgersi ancora<br />
al ragazzo.<br />
«A Camelot usiamo la tecnica di Alessandro.»<br />
«Sì, zio, ma non la sarissa. Le nostre lance sono più corte, adatte a<br />
un uomo in sella, ma non così lunghe da poter essere usate contro di<br />
lui da un fante nel modo che ti ho detto.»<br />
«Sì, ma hai espresso in parole la tua idea e una volta che ciò<br />
accade, la voce si sparge. Hai detto che io ho trovato la soluzione.<br />
Se l'ho fatto, è stato inconsapevolmente. Qua! è?»<br />
«I nostri arcieri, naturalmente! Se i nemici dovessero usare le lance<br />
contro la nostra cavalleria, dovrebbero assieparsi in una fitta schiera,<br />
un muro umano; gli uomini non si limiterebbero a reggere la lancia<br />
ma dovrebbero imbracciarla, e ciò li metterebbe alla mercé dei nostri
arcieri. L'azione congiunta degli arcieri e dei cavalieri distruggerebbe<br />
una simile formazione prima che potesse intervenire efficacemente.<br />
Pensavo che lo sapessi. Ero sicuro che tu fossi stato così irremovibile<br />
nella strategia di combinare l'intervento dei due corpi militari<br />
proprio perché ti proponevi di sostenere la fanteria.»<br />
Sorridendo Ambrogio scosse la testa e con un'occhiata mi fece<br />
capire che condivideva il mio orgoglio per le capacità del ragazzo.<br />
«Sì, adesso lo so, e non lo dimenticherò, sta' sicuro.» Posò <strong>sul</strong>la<br />
tavola il boccale ancora pieno. «Signori, credo che andrò a coricarmi.<br />
Farò almeno il tentativo di dormire. Se vincerò o sarò sconfitto<br />
dipenderà dalle cose che mi hai piantato nella mente stanotte, Artù.<br />
È tardi, anche tu dovresti andare a letto.» Mi lanciò un'occhiata, il<br />
viso imperscrutabile. «Avremo molte cose cui pensare, no?... Scatole<br />
dentro altre scatole.» Annuii senza replicare. «Sì, molte cose cui<br />
pensare. Ne riparleremo domani.»<br />
Ci separammo da Ambrogio, mentre Artù mi accompagnò fino<br />
alla camera che mi era stata assegnata. Procedevamo piano; io<br />
tenevo la mano intorno alla candela per proteggerne la fiammella<br />
che doveva rischiararci la strada. La camera era a una certa distanza,<br />
e non conoscevo a sufficienza la casa di Derek per orientarmi<br />
facilmente nell'oscurità, se la candela si fosse spenta. Ero così<br />
immerso nei miei pensieri che trasalii alla voce del ragazzo.<br />
«Che cosa intendeva dire lo zio Ambrogio quando ha parlato di<br />
"scatole dentro altre scatole"?»<br />
Tossicchiai cercando di prendere tempo: non volevo mentire<br />
dicendo che non lo sapevo. «Si riferiva alla portata delle tue parole...<br />
a quello che hai scoperto. Lodava l'acutezza della tua intelligenza,<br />
Artù, e io concordo con lui. È straordinario che tu abbia intuito quel<br />
punto debole nella strategia di Alessandro: nessun altro lo ha capito.<br />
E ancora più sorprendente è che tu ci sia arrivato alla tua età senza<br />
l'aiuto di alcuno, basandoti soltanto <strong>sul</strong>le tue letture e<br />
<strong>sul</strong>l'osservazione. Chissà quante altre cose potrai intuire, cose su cui si<br />
sono arrovellati per anni, forse per decenni o addirittura secoli,<br />
uomini più avanti di te negli anni e da tutti ritenuti molto capaci.<br />
Sembra che un'unica intuizione possa aprire la strada a mille<br />
possibilità. Ecco che cosa intendeva dire lo zio parlando di "scatole
dentro altre scatole". Mi capisci?»<br />
«Sì, credo di sì.»<br />
Eravamo arrivati alla camera nella quale, vicino al mio letto, era<br />
stata messa una branda per il ragazzo. Pochi minuti dopo eravamo<br />
entrambi sotto le coperte. Artù si addormentò subito, io rimasi<br />
sveglio a lungo, pensando a quello che avrei detto ad Ambrogio il<br />
mattino dopo.<br />
<strong>Il</strong> mattino dopo, tuttavia, ebbi occasione di intrattenermi assai<br />
poco con Ambrogio riguardo ad Artù e alle sue eccezionali capacità<br />
deduttive. Shelagh non era rimasta in ozio e, dopo essersi assicurata<br />
l'appoggio di Jessica, moglie di Derek, lo aveva abilmente circuito<br />
perché ci consentisse di avvicinare la sua gente con l'intento di<br />
trovare qualcuno disposto a seguirci nel forte tra le colline. Derek<br />
non aveva in linea di principio obiezioni ad aiutarci; era prontissimo<br />
a farlo. Lo induceva a esitare - e all'inizio ne fui sorpreso finché non<br />
colsi il ragionamento sottinteso - il fatto che ci riservassimo di<br />
scegliere tra chi si offriva di partire. A suo avviso, tutti coloro che lo<br />
chiedevano avrebbero dovuto essere liberi di venire; Shelagh invece<br />
era irremovibilmente contraria a tale progetto. Potevamo accogliere<br />
artigiani provetti in mestieri specifici, e li indicò. Sarebbe stata data la<br />
preferenza alle coppie sposate che sapevano eseguirli; avremmo poi<br />
dato priorità alle donne senza gravami familiari o di altra natura,<br />
pratiche nei lavori femminili e disposte a sanare lo squilibrio sessuale<br />
della nostra comunità. Ne conseguiva logicamente che queste donne<br />
dovessero essere relativamente giovani, pulite e attraenti, perché<br />
avrebbero adempiuto a una funzione sociale.<br />
Testimone distaccato e blandamente divertito dello scontro di<br />
volontà tra quelle due personalità aggressive, intuii all'improvviso<br />
qual era il vero motivo dell'intrattabilità di Derek. Shelagh, chiara,<br />
logica e coerente, diceva le sue ragioni, le difendeva e le ribadiva;<br />
Jessica stava in silenzio ma assentiva con vigore; Derek, che si sentiva<br />
manovrato e spodestato delle sue prerogative, reagiva con stizzosa<br />
caparbietà.<br />
Presa Shelagh in disparte, le sussurrai qualche consiglio<br />
nell'orecchio. Mi guardò altezzosamente con espressione severa.
Abbassò quindi la testa e, avvicinatasi al re, chiese scusa per<br />
l'eccessiva esuberanza mostrata e gli disse che si sarebbe rimessa al<br />
suo giudizio e alla sua saggezza. Andò a finire che Derek le concesse<br />
tutto quello che lei aveva chiesto fin dall'inizio, senza neppure<br />
rendersene conto. Trascorremmo il resto della giornata e la notte<br />
selezionando una quarantina di nuovi residenti tra oltre duecento<br />
richiedenti che, entro un'ora da quando Derek aveva annunciato lo<br />
scopo della nostra missione, erano confluiti per mettere a nostra<br />
disposizione le loro capacità artigianali.<br />
Ci fu possibile procedere con tanta sveltezza perché in città<br />
vivevano coloro di cui avevamo bisogno. La popolazione che viveva<br />
fuori delle mura era composta di contadini che, attaccati ai loro<br />
campi, non avrebbero avuto molto da fare nel nostro forte<br />
appollaiato sotto la cresta di un monte. Non disponevamo di terra<br />
arabile, sebbene avessimo in mente di destinare alla coltivazione<br />
degli ortaggi i piccoli appezzamenti di terreno disboscato vicino al<br />
forte. Ci servivano invece artigiani che potessero aiutarci a<br />
sopportare l'isolamento: bottai, vasai, calzolai capaci di fare scarpe e<br />
stivali adatti a quella regione montagnosa, ciabattini per tenere in<br />
buone condizioni le calzature, conciatori, pastori di greggi di capre e<br />
pecore; falegnami, muratori e fabbri, stallieri per curare i cavalli;<br />
gente in grado di trasformare il legname in carbonella per alimentare<br />
le fucine. Ogni volta che pensavo di avere terminato l'elenco, mi<br />
venivano in mente altre necessità che non avevo preso in<br />
considerazione.<br />
Shelagh dal canto suo aveva una lista che non assomigliava alla<br />
mia. Le interessava trovare fornai, cuochi, macellai; scuoiatori per<br />
recuperare le pelli degli animali macellati; apicoltori, birrai e gente<br />
che sapesse fermentare l'idromele, donne capaci di cucire e lavorare<br />
a maglia, cardare la lana appena tosata; filatrici, tessitrici, tintori. Se<br />
avessimo trovato tutti questi artigiani, la vita a Mediobogdum<br />
sarebbe stata assai più facile perché fino a quel momento avevamo<br />
dovuto adattarci a fare tutti quei mestieri con un'attrezzatura<br />
inadeguata.<br />
Decisi di non partecipare alla procedura di selezione, contento di<br />
lasciare quel compito a Shelagh e Donuil, Hector e Brunna, la moglie<br />
di Lars. Vedendo che mi tenevo a distanza da quell'incombenza,
Derek mi chiamò in disparte, desideroso di consolazione dopo essere<br />
stato strapazzato da Shelagh. Lo commiserai, concordando con lui<br />
<strong>sul</strong> fatto che la nostra Shelagh aveva una lingua tagliente come un<br />
rasoio, ma sottolineando che era tenuta in gran considerazione da<br />
chi la conosceva, per ragioni che avrebbe presto conosciuto.<br />
Pacificato dalla mia solidarietà e ovviamente desideroso di porre<br />
rimedio alla precedente ostinazione, esitò quel tanto che bastava per<br />
avere da me la rassicurazione che la sua gente sarebbe rimasta la sua<br />
gente e che non solo l'avrebbe riavuta ma si sarebbe anche trovato<br />
con i frutti del loro lavoro sotto forma di un forte abitabile, dato che<br />
in un futuro abbastanza vicino, noi ce ne saremmo andati da<br />
Mediobogdum. Subito dopo, rassicurato, si dedicò al processo di<br />
selezione. Fu per me motivo di ironico divertimento che fosse<br />
proprio lui a trovare gli individui più idonei alle nostre esigenze.<br />
Conosceva i suoi sudditi, i loro punti di forza e di debolezza.<br />
L'operazione si concluse nel tardo pomeriggio, e i nostri ranghi si<br />
erano ingrossati al di là di ogni aspettativa. Con soddisfazione di<br />
Shelagh, avevamo artigiani per tutti i settori di maggiore importanza.<br />
Sarebbero partiti con noi trentotto adulti, ventisei erano coppie<br />
sposate, tra le quali un birraio e sua moglie, e un abile apicoltore.<br />
Dei rimanenti dodici nove erano donne, di cui cinque giovani, e tre<br />
uomini. Le coppie sposate avrebbero portato i loro figli, in tutto<br />
quattordici bambini e ragazzi, dall'infanzia alla preadolescenza.<br />
Shelagh era felice; io ero contento, Derek era soddisfatto di avere<br />
completato il lavoro. Quella notte ci fu un banchetto per celebrare<br />
l'avvenimento.<br />
Nel mezzo della festa Shelagh mi si avvicinò mentre, appoggiato a<br />
una parete, osservavo compiaciuto l'allegria generale. Ambrogio si<br />
era appena allontanato per raggiungere Ludmilla che lo aveva<br />
chiamato con un cenno da dove se ne stava seduta con Jessica;<br />
dall'altra parte della stanza Donuil parlava con Dedalo.<br />
«Lucano e Derek se ne stanno a confabulare laggiù. Che cosa<br />
complottano quei due?»<br />
Non l'avevo vista arrivare e alle sue parole mi raddrizzai<br />
immediatamente e volsi lo sguardo nel punto da lei indicato. Sorrisi.<br />
«Che tipi! Ti assicuro che non complottano niente. Si conoscono
da molto tempo.»<br />
«Già.» Aveva puntato gli occhi su un altro obiettivo e seguendone<br />
la direzione scorsi i due più giovani del nostro gruppo, Mark e<br />
Jonathan, che sembravano in ammirazione di una giovane donna. Si<br />
chiamava, ricordai, Tressa; qualche ora prima, in quella stessa<br />
giornata, mi aveva portato un boccale di birra fredda. Era una<br />
ragazza che si notava, non una bellezza classica ma dotata dello<br />
splendore della giovinezza; sotto gli zigomi alti, le gote erano<br />
paffute; gli occhi splendevano, i denti luccicavano candidi e forti.<br />
Sorrideva spesso con spontaneità. Mi erano piaciute le sue forme.<br />
Indossava una semplice tunica bianca, modellata <strong>sul</strong>la stola romana,<br />
che metteva in risalto il collo snello e aggraziato, le spalle ampie e<br />
diritte sotto le quali il seno pieno sporgeva turgido e magnifico. Una<br />
donna che colpiva l'attenzione, avevo pensato allora, ed ero<br />
contento adesso di constatare che i due giovanotti condividevano la<br />
mia opinione... almeno a giudicare dalle attenzioni che le<br />
prestavano. Tressa gettò indietro la testa e rise per qualcosa che le<br />
aveva detto Mark; sopra il brusio della festa mi giunse il trillo<br />
spontaneo della risata.<br />
«È Tressa» disse Shelagh.<br />
«Lo so, l'ho già conosciuta.» Mi volsi a guardarla. «Stavi<br />
dicendo...?»<br />
«È dei nostri? Approvi?»<br />
Tornai a guardare la giovane. «Non serve la mia approvazione.<br />
Mark e Jonathan approvano. Si capisce subito.»<br />
«Sì. Fa la cucitrice ed è brava. Le altre donne sono gelose. Quelle<br />
più anziane di lei, che la invidiano perché è brava, hanno cercato di<br />
metterle i bastoni tra le ruote. È molto motivata a seguirci. Avremo<br />
modo di apprezzare le sue capacità senza pentircene. Ti aiuterà.»<br />
«Aiutare me? Come? In che modo? Non mi serve il suo aiuto.»<br />
«No?» Tese la mano e infilò l'indice in un piccolo strappo nella<br />
stoffa della manica. Non me ne ero accorto, ma sapevo che era<br />
recente. Ricordavo vagamente di essermi impigliato in qualcosa<br />
poco prima. «Chiaro che non ne hai bisogno, neppure di una che<br />
potrebbe aggiustare i tuoi vestiti senza che te ne accorga.»
«Posso sbrigarmela da solo.»<br />
Sorridendo con dolcezza si accinse ad allontanarsi. «Certo che<br />
puoi farlo, Caio. Sappiamo entrambi come la pensi al riguardo: non<br />
ti serve niente. Ma questa è una tua idea. Io non la condivido.»<br />
Prima che riuscissi a risponderle si era allontanata per raggiungere<br />
suo marito che le sorrideva. Disturbato in qualche modo da quelle<br />
parole, mi volsi a guardare Tressa, ma anche lei se ne era andata. In<br />
quel momento mi accorsi che era lì, vicino a me, a meno di un passo<br />
di distanza. Sorrideva.<br />
«Volete bere, mastro Cay?»<br />
Turbato dalla sua vicinanza, riuscii a ringraziarla con garbo,<br />
rifiutando l'offerta, furente dentro di me per il rossore che mi si era<br />
diffuso in viso. Non parve notarlo; rimase a fissarmi e a sorridermi<br />
mentre balbettavo qualche parola. Chinò il capo con grazia, e io<br />
dovetti lottare con me stesso per controllare il desiderio di guardarla<br />
mentre si allontanava.<br />
Poco dopo la vidi all'altro capo della sala, intenta a chiacchierare<br />
con Jonathan; mentre l'osservavo, lei levò la testa e i suoi occhi si<br />
fissarono nei miei. Prima che potessi distogliere lo sguardo, lei riprese<br />
a sorridere, abbassò la testa in un breve cenno di assenso e tornò a<br />
volgere l'attenzione a Jonathan. Un attimo più tardi, mentre ancora<br />
fissavo Tressa, sentii Donuil che mi chiamava e girandomi, notai che,<br />
dietro a lui, sua moglie mi scrutava con un lieve sorriso <strong>sul</strong>le labbra.<br />
Mi sentii avvampare dalla rabbia, ma subito la soffocai, consapevole<br />
di quanto fosse una reazione irragionevole. Me ne andai ben presto<br />
a dormire e mi addormentai mentre nella mia mente ancora<br />
aleggiava lo sconcertante sorriso di Tressa.<br />
La mattina successiva, all'alba, ci preparammo ad accomiatarci da<br />
Ravenglass e volgere i nostri passi verso le colline dell'interno.<br />
Vennero con noi quanti erano liberi da impegni: poco più della metà<br />
dei nuovi reclutati; gli altri ci avrebbero raggiunti di lì a qualche<br />
giorno. Ci seguirono anche Ambrogio e Ludmilla, desiderosi di<br />
vedere il nostro insediamento.<br />
Mentre osservavo il gruppo che si raccoglieva in vista della
partenza, i miei pensieri andavano in due direzioni: gran parte della<br />
mia attenzione si volgeva a organizzare il corteo dei quattro carri,<br />
vuoti nell'andata e ora traboccanti <strong>sul</strong>la via del ritorno. A contrastare<br />
la necessità di concentrarmi sui preparativi era il bisogno, di pari se<br />
non più forte intensità, di riflettere <strong>sul</strong>la breve discussione<br />
intervenuta circa un'ora prima con Lucano. Non mi ero ancora<br />
adattato alla notizia che mi aveva dato, e mentre me ne stavo in<br />
sella a Germanico, mi sentii pervadere da un'ondata di vertigini che<br />
mi avrebbe fatto cadere al suolo, se non mi fossi stretto alla sella e<br />
non avessi tirato qualche sospiro profondo.<br />
Lucano mi si era avvicinato mentre nella cucina di Derek rompevo<br />
il digiuno con un piatto di cereali: frumento e avena bolliti misti a<br />
latte e miele. Restituitomi il cenno di saluto e spalmato su una fetta<br />
di pane appena tolto dal forno un po' di miele denso, mi si era<br />
seduto di fronte e per qualche attimo eravamo rimasti entrambi in<br />
silenzio, tutti presi dal cibo. Alla fine Lucano si era appoggiato allo<br />
schienale della sedia, si era sfregato le mani e, levatosi con la punta<br />
del mignolo una goccia di miele che gli si era attaccata all'angolo<br />
della bocca, era rimasto a fissarmi muto finché non mi ero sentito a<br />
disagio, percependo che aveva qualcosa di importante da dirmi.<br />
«Che cos'è?»<br />
«Si tratta della macchia che hai <strong>sul</strong> petto.»<br />
Mi si era stretto lo stomaco e mi era venuta la pelle d'oca.<br />
«Che cosa hai scoperto?»<br />
«Quello che ho sempre pensato, un difetto della pelle,<br />
sicuramente innocuo.»<br />
«Hai letto il rotolo che viene da Camelot?»<br />
«Sì, non conteneva niente di nuovo... niente che possa<br />
confermare le tue paure. È una macchia cutanea, non una lesione e,<br />
a mio avviso, non ha niente a che fare con la lebbra.»<br />
Mi ero sentito rombare le orecchie e la stanza aveva preso a<br />
vorticarmi intorno tanto che mi ero aggrappato al bordo della<br />
tavola, respirando a fondo. Lucano mi aveva fissato, un lieve sorriso<br />
<strong>sul</strong>le labbra. Non appena riprese le forze, con il respiro che era<br />
tornato regolare, mi ero levato con un ultimo sospiro. <strong>Il</strong> suo sorriso
si era allargato e aveva battuto le mani.<br />
«Vedo che stai già meglio.»<br />
Avevo annuito in silenzio sapendo che non sarei riuscito a tenere<br />
salda la voce.<br />
«Ottimo. Adesso ascoltami. Normalmente ti avrei prescritto<br />
l'esposizione al sole e all'aria, ma i tuoi timori, che hanno ingigantito<br />
una semplice imperfezione dell'epidermide, mi hanno sconsigliato<br />
finora di indicarti tale terapia, senza contare che d'inverno fa troppo<br />
freddo per andare in giro a petto nudo. La situazione è diversa oggi<br />
e stanno arrivando i tepori primaverili. Vorrei che d'ora innanzi, nei<br />
limiti del possibile, tu restassi scoperto dalla cintola in su. L'effetto<br />
del sole probabilmente guarirà la macchia o almeno la renderà meno<br />
visibile.»<br />
«Posso farlo?»<br />
«Certamente. Non sei malato, Caio. La prima diagnosi che ho<br />
formulato era giusta. La mia esperienza, unita a quella di tanti medici<br />
nei secoli, mi dicono che tu non sei mai stato a contatto con lebbrosi<br />
abbastanza a lungo da contrarre la malattia. Sei convinto<br />
finalmente?»<br />
Avevo annuito, consapevole di una meravigliosa sensazione di<br />
sollievo e scampato pericolo che prepotentemente mi aveva<br />
riempito il cuore e la mente. «Grazie, amico mio» avevo detto con<br />
voce appena percettibile. «Non sai quanta gratitudine ti devo per<br />
confermarmi che non porto il contagio con me. Che cosa dice il tuo<br />
rotolo <strong>sul</strong> sangue e <strong>sul</strong>la malattia?»<br />
«Niente che riguardi un sintomo come il tuo. Lo scrisse un medico<br />
che si chiamava Quintilio Oppio, celebre e stimato diagnostico<br />
vissuto ad Alessandria all'epoca dell'imperatore Galeno, circa un<br />
secolo fa. Oppio teneva in grande considerazione l'opera di<br />
Galeno... ne hai sentito parlare? <strong>Il</strong> più grande medico che sia mai<br />
esistito, superiore anche a Esculapio. Nacque a Pergamo, suo padre<br />
era architetto, studiò anatomia ad Alessandria prima di andare a<br />
Roma dove visse per quarant'anni. Fu il medico dell'imperatore<br />
Marco Aurelio e, dopo la sua morte, degli imperatori Lucio Vero,<br />
Commodo e Settimio Severo. Autore prodigiosamente prolifico,
Galeno descrisse le scoperte che aveva fatto e le teorie che aveva<br />
formulato <strong>sul</strong>la pratica della medicina. <strong>Il</strong> suo trattato Sulla procedura<br />
anatomica è il maggiore testo di medicina che sia stato scritto, ma si<br />
occupò anche dell'arte di curare nel De methodo medendi, delle<br />
facoltà naturali, del movimento dei muscoli. Galeno era morto da<br />
un secolo allorché Oppio si accinse alla propria opera, seguendo il<br />
metodo e le procedure del grande predecessore. Si trovava in Asia<br />
Minore quando un'impresa militare coincise con lo scoppio di<br />
un'epidemia che i servizi sanitari non riuscirono a fronteggiare. In<br />
quelle circostanze notò che il contagio si diffondeva tra legionari le<br />
cui ferite non avrebbero mai dovuto infettarsi. Oppio ipotizzò che<br />
l'infezione potesse derivare dall'uso errato di bende già impiegate<br />
per avvolgere altre ferite. Le bende naturalmente erano state lavate<br />
prima di essere riutilizzate, ma evidentemente non erano state<br />
bollite, come sarebbe stato d'obbligo in epoche meno movimentate.<br />
Da secoli sappiamo che l'acqua bollente elimina le impurità. Oppio,<br />
che volle approfondire la teoria, finì per scrivere un trattato in cui<br />
confutava che l'incauta applicazione <strong>sul</strong>le ferite di bende macchiate<br />
di sangue e pus, inadeguatamente lavate, portava a infezioni<br />
epidemiche.»<br />
«Ti sembra una conclusione accettabile?»<br />
Si strinse nelle spalle. «Non sono in grado di formulare un<br />
giudizio. <strong>Il</strong> pus fa parte del processo di guarigione; è la normale<br />
reazione del corpo che spurga le tossine di una ferita infetta.<br />
Sapendo che è un flusso contaminato nessun medico si sognerebbe di<br />
immettere il pus di una ferita in un'altra.»<br />
«Di proposito, vuoi dire.»<br />
«Sì. Ma le bende che Oppio usò nelle sue ricerche erano pulite e<br />
lavate.»<br />
«Alcune immerse in acqua bollente, altre no.»<br />
«Sì. Capisco dove vuoi arrivare. Abbiamo soltanto le parole di<br />
Oppio, scritte più di un secolo fa. Sarò esplicito: le sue scoperte nel<br />
caso specifico e la proposta che l'applicazione del calore, durante la<br />
bollitura, possa alterare sostanzialmente le bende mi sembrano<br />
assurde.»
«Sono d'accordo ma...» Ero perplesso e consapevole che mi<br />
avventuravo su un terreno a me estraneo, eppure mi era venuto in<br />
mente qualcosa che mi sembrava degno di interesse. «Sappiamo,<br />
Lucano, cioè lo sanno quelli di noi che hanno qualche nozione<br />
<strong>sul</strong>l'arte di fondere i metalli, che l'applicazione del calore, a<br />
temperature elevatissime, ha <strong>sul</strong> ferro, il più duro dei metalli<br />
conosciuti dall'uomo, un effetto sempre benefico.<br />
È praticamente impossibile lavorare il ferro freddo, ma puoi<br />
lavorarlo come vuoi quando è incandescente, perfino annodarlo...»<br />
Mi interruppi per cercare le parole più adatte. «Lo so che le bende<br />
non hanno nulla in comune con il metallo, ma il calore cui vengono<br />
sottoposte è sempre calore. Non è possibile che l'anello di<br />
congiunzione, se esiste, sia proprio il calore, la temperatura, più che<br />
il materiale che viene riscaldato?»<br />
Lucano si era levato sorridendo e stringendosi la cintura. «Non lo<br />
so» aveva risposto. «Forse hai ragione, amico mio, e io forse sbaglio.<br />
Nessuno di noi due ha i mezzi per arrivare alla verità. Mi piace<br />
tuttavia il tuo modo di pensare; ha una insolita lucidità tra quanti ci<br />
circondano. Ti prometto che ci penserò e cercherò di andare a fondo<br />
alla questione senza mettere in pericolo la salute del prossimo. Ho<br />
promesso a Shelagh di aiutarla prima che lasci le sue stanze per<br />
raggiungere gli altri. Ne riparleremo dopo. Nel frattempo ricorda<br />
che non hai niente; sei in perfetta salute, tranne una macchia che il<br />
sole farà sparire. Addio.» Se ne era andato lasciandomi ad assaporare<br />
il sollievo di sapermi sano.<br />
Pochi istanti più tardi, Dedalo aveva fatto irruzione nella cucina<br />
alla ricerca di Rufio. Ero uscito nella frescura dell'alba e mi ero<br />
accodato al corteo che già sfilava nella strada affollata davanti al<br />
vecchio praesidium. Sorgendo, il sole brillò <strong>sul</strong>la mia nuova,<br />
immacolata visione della vita.<br />
Strinsi gli speroni contro i fianchi di Germanico e, facendolo<br />
indietreggiare, lo portai in un punto da dove si vedeva la strada<br />
davanti a noi. Shelagh e Lucano cavalcavano l'uno vicino all'altra<br />
dirigendosi verso la porta orientale; davanti a loro venivano Dedalo<br />
e Rufio, in mezzo ai due procedeva Ambrogio. Ludmilla se ne stava<br />
comodamente seduta <strong>sul</strong>la panca del carro più grande, insieme a
Turga ed Hector, che reggeva le redini; i quattro ragazzi erano sui<br />
loro pony. Salutai con un ultimo gesto della mano Derek che<br />
guardava dal cortile della sua massiccia casa, quindi levando il<br />
braccio in alto diedi il segnale della partenza. A dodici miglia da lì,<br />
alto <strong>sul</strong>le colline, si ergeva Mediobogdum.
IX.<br />
«Mi dichiaro sconfitto prima ancora che tu mi sfidi. Mi hai<br />
battuto, lo confesso, manipolato, raggirato. Non riuscirò mai a<br />
indovinare di che si tratta; posso quindi chiederti: che cos'è?»<br />
Avevo smesso di muovermi non appena avevo sentito alle mie<br />
spalle la voce di Ambrogio, e ora stavo immobile, leggermente<br />
piegato in avanti, le braccia tese e le mani intorno a un'estremità del<br />
bastone che avevo fatto oscillare. Ansimavo ancora per lo sforzo.<br />
Sorrisi mentre mi figuravo le possibili reazioni di mio fratello a<br />
quello che gli avrei detto. Inspirai profondamente e mi raddrizzai,<br />
girandomi lentamente per trovarmi faccia a faccia con lui<br />
lanciandogli l'oggetto che tenevo in mano. Lo afferrò con facilità e<br />
lo tenne davanti a sé, impugnandolo con il braccio teso.<br />
«Che cos'è a tuo avviso?» gli chiesi.<br />
«Pare un pesante pezzo di legno, un ramo strappato a un vecchio<br />
albero, senza corteccia e lasciato seccare, forse in un forno, quindi<br />
ricoperto di incisioni. Ho la tentazione di definirlo un bastone lungo<br />
e inutile, ma so che il fervido e onesto fratello Merlino non<br />
perderebbe tempo con un'inezia del genere. Ti chiedo quindi di<br />
nuovo: che cos'è?»<br />
«Un bastone come hai detto.»<br />
«Ah!» annuì con aria saputa. «Ma un bastone solido, un bastone<br />
eccezionale, ti pare? Un bastone lungo e pesante.»<br />
«Concordo su tutto. Ecco perché lo uso.»<br />
«Capisco.» Annuì ancora, il viso grave, quasi sapesse quello di cui<br />
parlavamo e la nostra conversazione fosse assolutamente razionale.<br />
«Sì, capisco che un uomo di grande intelletto possa volere un<br />
bastone così eccellente, solido e robusto, così fondamentalmente<br />
utile. Ci si può appoggiare nel cammino, se si è infermi o vecchi.»<br />
«Sì, se fosse più lungo, ma è troppo corto. È un bastone dopo<br />
tutto, non una stampella. Non pensavo di usarlo per aiutarmi nel
cammino.»<br />
«Sì, capisco. Te lo facevi roteare <strong>sul</strong>la testa, no?»<br />
«Sì.»<br />
«Ti getterebbe nello sgomento se ti chiedessi perché?»<br />
«No. Mi esercitavo... esercitavo le braccia e ancor più le spalle.»<br />
Mio fratello mi fissò sforzandosi di non sbottare in<br />
un'imprecazione. Cercava di stare al gioco per capire quello che<br />
avevo in mente senza dovermelo chiedere ancora. Teneva il bastone<br />
in modo strano, incerto su che farne, e decisi di aiutarlo. Mi piegai<br />
<strong>sul</strong>le ginocchia e dall'erba recuperai un altro pezzo di legno quasi<br />
identico.<br />
«Ne ho due. Vuoi imparare a usarli?»<br />
<strong>Il</strong> viso gli si illuminò di un largo sorriso. «Sì» rispose.<br />
«Ti mostrerò, ma togliti il mantello. Ti insegnerò le cose<br />
essenziali.»<br />
Mentre con il bastone sottobraccio per avere le mani sgombre si<br />
ingegnava a togliersi il mantello, io mi liberai dell'elmo, indicandogli<br />
di fare lo stesso. Alcuni istanti dopo, eravamo l'uno di fronte<br />
all'altro, con le corazze di cuoio a protezione del petto e del dorso,<br />
indossate <strong>sul</strong>le tuniche romane.<br />
«Fa' quello che faccio io. È facile.» Tesi le braccia verso di lui, le<br />
mani strette alle estremità del bastone. Dopo che fu nella mia stessa<br />
posizione, gli feci cenno di avvicinarsi finché i nostri pugni si<br />
toccarono, nocche contro nocche. Alzai quindi le braccia<br />
verticalmente portandomele sopra la testa; sentivo che lo stomaco si<br />
appiattiva e che si tendevano i muscoli flessori delle spalle.<br />
Controllavo che Ambrogio eseguisse con precisione i miei stessi<br />
movimenti. Era un esercizio di contrazione e rilassamento che mi<br />
riusciva più facile di qualche mese prima, quando avevo iniziato<br />
quella pratica ginnica. Dapprincipio mi era capitato spesso di avere<br />
dei crampi perché i muscoli non erano ancora abituati alle<br />
contorsioni alle quali avevo iniziato a sottoporli all'improvviso. Ora,<br />
dopo qualche mese, ero più flessibile, più morbido; sapevo che<br />
Ambrogio già probabilmente accusava nelle spalle gli effetti dello
sforzo.<br />
«Tutto bene?»<br />
Annuì, mentre un guizzo di perplessità gli attraversava lo sguardo.<br />
Teneva la testa ancora lievemente abbassata nel cenno di assenso<br />
che mi aveva rivolto quando io, staccando la mano sinistra, con uno<br />
schiocco come di frusta abbassai con forza il bastone <strong>sul</strong>la destra<br />
colpendolo <strong>sul</strong> vestimento di cuoio e mandandolo a terra, senza<br />
fargli male, e strappandogli dalla sinistra l'estremità del bastone,<br />
sicché reggeva la sua "arma" solo con la destra che oscillava inerme.<br />
Prima che potesse riaversi, con un balzo gli fui di lato e lo colpii di<br />
nuovo, questa volta con un fendente assestato di rovescio da sinistra<br />
a destra che lo colse perfidamente sotto la spalla destra, buttandolo<br />
a terra per la seconda volta. Ero di nuovo pronto ad attaccarlo,<br />
tenendo ancora una volta il bastone con le due mani e volgendo<br />
contro di lui un'estremità con forza e sveltezza, bilanciandomi <strong>sul</strong>le<br />
gambe, per colpirlo sopra lo sterno. Alla fine, perdendo l'equilibrio,<br />
cadde <strong>sul</strong> deretano. Saltai all'indietro e mi accucciai, di fronte a lui, i<br />
pugni stretti intorno al bastone, una estremità fermamente puntata<br />
contro la sua testa.<br />
Si mise seduto e cominciò a indietreggiare, appoggiandosi <strong>sul</strong>le<br />
mani dietro la schiena. Dopo un lungo momento di silenzio,<br />
contrasse le labbra e fece per mettersi in piedi, con un'espressione<br />
decisa nello sguardo mentre cercava e raccoglieva il bastone che gli<br />
era caduto. Impugnandolo strettamente con entrambe le mani come<br />
facevo io, cominciò a girarmi intorno con circospezione, aspettando<br />
l'occasione per sferrare un colpo.<br />
Mi mossi all'unisono, indietreggiando, in equilibrio sui talloni;<br />
quindi simulando uno slancio in avanti a sinistra, tornai nel punto in<br />
cui ero. Ambrogio, il mio scaltro fratello, non si lasciò ingannare e<br />
rimase in attesa. Avevamo combattuto tante volte e conosceva il<br />
mio stile, come io conoscevo alcune sue mosse. In quel momento<br />
ero però certo di vincere perché da mesi praticavo quella nuova<br />
tecnica, mentre per lui era del tutto inedita. Ma Ambrogio non era<br />
stupido. Capii subito che avrebbe potuto continuare a girare per<br />
tutto il giorno e che non si sarebbe impegnato ad attaccarmi senza<br />
avere prima elaborato una tattica adatta. Schiarendomi la gola, gli
feci un cenno con la testa, smettendo il combattimento.<br />
«Molto bene. Continua. Colpiscimi.»<br />
Mi guardò con aria interrogativa, un'espressione scettica, gli occhi<br />
luccicanti. «Non ti muoverai?»<br />
«Non mi muoverò finché non avrai deciso dove colpirmi. Dopo<br />
mi scanserò e tu non riuscirai a centrarmi.»<br />
Si raddrizzò, roteò il bastone in basso con una mano, stringendo<br />
un'estremità sotto l'ascella. Capii istintivamente quale sarebbe stata la<br />
sua mossa successiva.<br />
Ambrogio era solito portare una spada lunga e sottile simile a<br />
quella dei cavalieri romani che, stando in sella, l'affondavano nel<br />
nemico a piedi. Un'arma eccezionale per certi scopi, ma inutile negli<br />
aspri combattimenti corpo a corpo. La lama lunga e leggera rischiava<br />
di piegarsi o addirittura spezzarsi se impiegata contro un ferro<br />
meglio temprato. Nella fase iniziale del processo di conversione alla<br />
cavalleria avvenuto a Camelot, il mio prozio Publio Varro, mastro<br />
armaiolo della Colonia, aveva progettato una spada più lunga<br />
dell'originaria versione romana, con una lama più larga, più robusta<br />
e meglio temprata. Era questa l'arma che Ambrogio preferiva. La<br />
lunghezza e la fattura imponevano di usarla in un certo modo,<br />
secondo una tecnica ben precisa per chi combatteva a piedi: ecco<br />
perché ero in grado di prevedere la successiva mossa di Ambrogio.<br />
Mio fratello si rimise in posizione: afferrò con le mani l'arma,<br />
piegò leggermente le ginocchia, avanzò un po' il piede destro, la<br />
"lama" puntata contro il mio sterno. Si immobilizzò, gli occhi fissi e<br />
concentrati, quindi con un brontolio si scatenò in un vortice di<br />
azioni velocissime, sollevando l'arma e roteandola <strong>sul</strong>la mia testa,<br />
abbassandola di rovescio con forza nell'intenzione di colpirmi nelle<br />
gambe. Conoscevo la parabola del suo fendente; sapevo in quale<br />
punto avrebbe cambiato direzione per diventare una stoccata di<br />
punta prima di sollevarsi di nuovo e abbattersi di taglio dall'alto in<br />
basso, verticalmente.<br />
Senza distogliere lo sguardo dal suo, lasciai cadere la "punta" e<br />
presi a muovere la "lama" impugnando l'arma al rovescio per parare<br />
il colpo dall'alto. Poi, prima che cambiasse direzione, bloccai il colpo
di punta e, sollevando le braccia, lasciando tra le mani la larghezza<br />
del petto, trascinai in alto la sua "lama". In quel frattempo cambiai<br />
l'impugnatura della destra in modo da tenere l'arma di rovescio e,<br />
lasciando cadere le braccia e le spalle, gliela puntai contro il petto<br />
mandandolo a terra per la terza volta. E, prima che finisse di<br />
rotolare, gli fui addosso bloccandolo con un ginocchio, l'estremità<br />
del bastone contro la sua gola.<br />
Non tentò di muoversi; rimase fermo ad ansimare finché il respiro<br />
non riprese il ritmo normale. Eravamo in silenzio da tempo.<br />
«Merda!» esclamò alla fine mettendosi seduto. Lo aiutai ad alzarsi e<br />
lo guardai ricomporsi le vesti.<br />
«Adesso sai tutto.»<br />
«Sì.» Mi guardò di sottecchi. «Armi da allenamento, come quelle<br />
usate dai Romani, ma nuove e migliori. Quando ti è venuta l'idea?»<br />
«Vieni, ti mostrerò.»<br />
Gli feci strada su per il ripido pendio della collina verso la porta<br />
occidentale del forte, un tratto non più lungo di trenta passi, e da lì<br />
raggiungemmo il mio alloggio. Quando arrivammo, Shelagh e<br />
Ludmilla se ne stavano andando dopo avere depositato, a detta di<br />
Ludmilla, nella mia stanza un baule di fogli di papiro fattimi<br />
pervenire dal mio fornitore a Camelot. Le invitai cortesemente a<br />
trattenersi, ma fui segretamente contento che rifiutassero. Non<br />
appena furono uscite, mi accinsi ad aprire un cassone posto contro la<br />
parete, e da lì estrassi una cassa di legno che racchiudeva Excalibur.<br />
L'aprii, afferrai la spada e la tesi ad Ambrogio, porgendogli<br />
l'impugnatura.<br />
«Mi serve il tuo aiuto. Roteala un paio di volte per abituarti al<br />
peso e per maneggiarla. Voglio dimostrarti una cosa.»<br />
Mentre faceva vorticare la massiccia arma e <strong>sul</strong>la lunga lama<br />
splendente si rifletteva la luce del lume, tolsi dalla cassa una spada di<br />
tipo romano. C'era un tallone tra l'elsa e la lama come nel corto<br />
gladium; era priva di guardamano. Una bella arma, perfetta, salvo<br />
un lieve rivestimento rossiccio troppo sottile per essere ruggine; la<br />
lama, leggermente curva e affilatissima, si allargava e allungava,<br />
simile nella forma a una foglia. Ambrogio si interruppe e, tenendo
Excalibur verticalmente, guardò me e la spada che impugnavo. Gliela<br />
porsi e simultaneamente tesi l'altra mano per afferrare Excalibur.<br />
Scambiammo le armi, e subito lui si accinse a esaminare da vicino la<br />
nuova spada, osservandola minuziosamente, tastando il filo della<br />
lama con il polpastrello del pollice.<br />
«Non l'ho mai vista? Da dove viene?»<br />
«Dall'armeria di Camelot. E uno dei prototipi disegnati da Varro<br />
quando con Equo riprogettava la vecchia spada romana da<br />
cavalleria. Prima che io nascessi e che si scoprisse il segreto degli<br />
speroni, Caio Britannico voleva una nuova arma, più forte della<br />
precedente versione romana, una specie di incrocio tra la lancia e<br />
l'ascia, che i cavalieri potessero utilizzare contro i fanti.»<br />
«È una buona arma» disse piano Ambrogio, soppesandola e<br />
muovendo piano il braccio. «Una bella arma.»<br />
«Successivamente ho fatto una scoperta su questa spada, ovvero<br />
su un esemplare simile e voglio che tu mi aiuti a scoprire se quello<br />
che sospetto è vero. Se è come credo, dovremo fare qualcosa, tu e<br />
io, in segreto.»<br />
Ambrogio mi guardava divertito, un lieve sorriso <strong>sul</strong>le labbra.<br />
Scosse la testa. «Non ti chiedo di che si tratta. So che me lo dirai al<br />
momento opportuno. Come posso aiutarti ad arrivare a questa<br />
verità?»<br />
«Prendi questa e dammi quella.» Di nuovo ci scambiammo le<br />
spade. Roteai la lunga lama ricurva e mi fermai tenendola tesa a<br />
destra, non orizzontale ma leggermente inclinata, e impugnandola<br />
con entrambe le mani. Ambrogio si limitava a guardare, aspettando<br />
direttive.<br />
«È una delle migliori lame di Varro. Lui stesso fuse il metallo e lo<br />
temprò. Un'opera splendida. Naturalmente quella che reggi tu<br />
adesso probabilmente è la più grande lama mai costruita dall'uomo.<br />
Ti chiedo di cercare di usarla per scalzare dal mio pugno questa che<br />
ho io. È importante che tu lo faccia di taglio, non di piatto. Nessun<br />
trucco, te lo assicuro. Colpisci stando lontano da me perché, non<br />
avendo io un guardamano, Excalibur potrebbe staccarmi il braccio di<br />
netto. Non mi muoverò, non cercherò di scansare il tuo colpo. Mi
limiterò a stare qui fermo e tendere questa spada. Cercherò di non<br />
farla cadere sotto il tuo fendente. Ti è chiaro?»<br />
Annuì, indietreggiò di un passo, si raccolse in posizione accucciata,<br />
concentrandosi <strong>sul</strong>la mossa successiva. Quando si dispiegò in tutta la<br />
sua altezza e potenza brandendo nell'attacco Excalibur, io trattenni il<br />
fiato allo scintillio della grande lama che roteando sibilava e<br />
lampeggiava nel grigiore del mio alloggio. Ambrogio si appoggiò <strong>sul</strong><br />
tallone del piede sinistro e abbassò l'arma mortale <strong>sul</strong>la lama che io<br />
tenevo nella mia destra. Mi ero aspettato quell'impatto e mi ero<br />
preparato a riceverlo, i muscoli tesi per parare il colpo, ma l'arma mi<br />
schizzò dalla mano in un attimo. La forza dell'assalto mi fece<br />
indietreggiare e io caddi <strong>sul</strong>le ginocchia contro una parete mentre la<br />
spada tintinnando rimbalzava <strong>sul</strong> pavimento.<br />
Ambrogio rimase immobile, stupito, il viso vuoto di espressione<br />
per la sorpresa, guardando alternativamente la spada che teneva in<br />
mano e me che ero finito a terra. Mentre mi muovevo per<br />
rimettermi in piedi, appoggiandomi al muro con la sinistra tesa e<br />
scuotendo il braccio destro indolenzito, mi si avvicinò continuando a<br />
impugnare l'arma e tenendo la punta verso il pavimento.<br />
«Merlino, ti sei fatto male? Che cos'era? Che cosa è successo?»<br />
Con la mano destra mi massaggiai il braccio indolenzito,<br />
stringendolo sopra il gomito, intorpidito e insensibile. «Sto bene,<br />
fratello, e per niente sorpreso. È successo quello che avevo previsto.»<br />
Indicai con un cenno della testa la lunga spada finita a terra contro la<br />
parete opposta. «Guarda.»<br />
Volse gli occhi in quella direzione e mi giunse il sibilo di un<br />
respiro trattenuto. La lunga spada di Varro si era piegata e intaccata;<br />
la lama finemente lavorata si era sformata e contorta. Prima che<br />
potesse aprire bocca, ripresi a parlare.<br />
«Controlla la lama di Excalibur. È danneggiata?»<br />
La sollevò per esaminarla minuziosamente. Sapevo che non<br />
avrebbe trovato il minimo difetto. «No» disse alla fine. «Non ha<br />
alcuna intaccatura.»<br />
Mi chinai e presi con la destra la spada di Varro, provando un<br />
lieve pizzicore nelle dita che si chiudevano intorno all'impugnatura.
Una dentellatura profonda a forma di "V" aveva inciso la lama.<br />
Excalibur era penetrata in profondità tagliando il metallo quasi fosse<br />
stato legno o piombo, alterandone la forma. Lasciai cadere a terra la<br />
spada di Varro.<br />
«Era questo il motivo del combattimento con i bastoni. La<br />
necessità di esercitarsi nella spada... una particolare spada» dissi.<br />
«Non capisco.»<br />
«Lo so, ma capirai. Quello che hai fatto definisce i termini del<br />
problema e nello stesso tempo li acuisce. Non esiste al mondo una<br />
lama che sia pari a Excalibur. Taglia i metalli, senza deformarsi. È<br />
unica ed è questa anche la sua tragedia.»<br />
«Tragedia!» L'esclamazione risuonò come una risata. «Che c'è di<br />
tragico? È un'arma magica, di incredibile potenza. Non c'è niente di<br />
tragico in questo.»<br />
«Neanche nelle sarisse di Alessandro c'erano punti deboli.»<br />
<strong>Il</strong> sorriso gli morì <strong>sul</strong>le labbra. «Non ci sono affinità. Dov'è il<br />
punto debole di Excalibur? Chiunque, vedendo che riesce a spezzare<br />
in due una lama, sarebbe disposto a dire che è magica e ne sarebbe<br />
intimorito. <strong>Il</strong> guerriero che la impugna è invincibile; lo invidieranno<br />
tutti.»<br />
«<strong>Il</strong> re, vuoi dire... il re che la impugna.»<br />
«Sì...» si interruppe lanciandomi un'occhiata obliqua. «Sarà il<br />
giovane Artù, no? Non hai cambiato idea su questo punto, vero?»<br />
«No. È figlio di suo padre, erede delle terre e del regno di<br />
Pendragon. I miei sentimenti sono quelli di sempre. Ma sono<br />
preoccupato su come addestrarlo e farne un uomo in grado di<br />
affrontare il suo compito e il suo destino. Siamo chiusi tra queste<br />
colline, lontano da Camelot e da chi potrebbe valorizzarlo. Per<br />
imparare a usare Excalibur e non solo a rotearla per gioco, deve<br />
trovare qualcuno che possa contrastarlo con un'arma adatta e<br />
addestrarlo.»<br />
«Lo farai tu, no? Combatterà con te, Dedalo, Rufio, gli altri. Non<br />
mi sembra che vi manchino gli istruttori.»<br />
«No, ma non mi hai ascoltato. L'invincibilità di Excalibur è il suo
punto debole. Non ho nessuno strumento adeguato per addestrare il<br />
ragazzo... non ho un'altra Excalibur da contrapporre a Excalibur.»<br />
Con un gesto della testa indicai la spada spezzata nell'angolo della<br />
stanza. «Una bella spada con una lama modellata da Varro. Un<br />
unico colpo l'ha quasi tagliata in due. Non sarà sufficiente<br />
addestrarlo con una spada qualunque, di inferiore qualità, perché in<br />
tal modo non apprenderà a mettere a frutto la forza, la raffinatezza,<br />
il bilanciamento di questa spada, l'eccellenza della sua lama.»<br />
Mentre parlavo, capivo dalla luce del suo sguardo che si rendeva<br />
conto delle mie perplessità. Quasi subito cominciò a sorridere, e il<br />
sorriso si allargò mentre si sedeva su una sedia, tenendo Excalibur tra<br />
le ginocchia, la punta in basso tra i piedi.<br />
«Che cos'hai?» gli chiesi. «Che cos'hai da ridere?»<br />
Appoggiò in grembo l'impugnatura della spada e ne sollevò la<br />
punta che sopravanzò la testa di un buon tratto. La luce della<br />
lampada giocava <strong>sul</strong>la lama possente mandando dei bagliori.<br />
«Excalibur. Qualcuno lavorò con Publio Varro nel costruirla?»<br />
«Sì, il suo amico Equo. La modellarono insieme, alternandosi al<br />
lavoro finché non l'ebbero finita.»<br />
«Esiste nessuno che sappia come la forgiarono?»<br />
«Sì, i figli di Equo, Joseph e Carol. Non parteciparono al lavoro,<br />
ma sono fabbri entrambi. So che appresero l'arte di plasmare e<br />
battere il metallo al modo del loro padre e di Varro, e sanno<br />
trasformare il normale ferro in un'opera di ineguagliabile eccellenza.<br />
Lavorano ancora così. Ti dirò di più: è ormai prassi comune a<br />
Camelot l'uso degli stampi per modellare e saldare l'elsa al codolo.»<br />
«Saprebbero produrre un'altra Excalibur?»<br />
«Sì. Non solo: non sei stato tu a dirmi che per fare la spada Varro<br />
fuse la statua e che poi, con il metallo avanzato, la ricostruì più<br />
piccola e leggera? <strong>Il</strong> metallo avanzato, Cay, quello della Pietra del<br />
Cielo! Possiamo fare la tua spada da allenamento: un'altra Excalibur,<br />
meno ornata, ma dalle caratteristiche altrettanto magiche, una lama<br />
semplice per mettere alla prova la prima.»<br />
«Per Dio!» Ero attonito. La sua soluzione era così chiara, perfetta,<br />
ovvia che non capivo come non mi fosse venuta in mente prima.
«Joseph è qui con te, vero? Non importa. Chiederemo a Carol di<br />
farne un'altra a Camelot, perché lì si trova la statua. <strong>Il</strong> modello sarà<br />
Excalibur, ma non sarà così preziosa e neppure così bella. Ci serve<br />
un'arma semplice e funzionale, resistente e durevole, che possa stare<br />
alla pari con l'originale. Abbiamo le misure; basta che Carol ne faccia<br />
un duplicato senza badare alla decorazione. Che ne pensi?»<br />
Sedevo scuotendo la testa, sopraffatto dalla meravigliosa<br />
semplicità con cui aveva risolto un cruccio che da mesi mi<br />
tormentava. Ambrogio mi fissava con sguardo luminoso.<br />
«Sei d'accordo?»<br />
«D'accordo? Naturalmente. È una soluzione brillante, Ambrogio!<br />
Cominceremo preparando una serie di disegni che terranno conto<br />
delle notazioni e degli schizzi di Publio Varro: li ho tutti qui.<br />
Tornerai a casa portandoti dietro le indicazioni per iscritto, le<br />
dimensioni e ogni altro particolare che Joseph vorrà aggiungere su<br />
come lavorare il metallo, fondere la statua e modellare un'altra<br />
lama. Dovremo naturalmente mostrare Excalibur a Joseph.»<br />
Ambrogio mi guardò corrugando la fronte. «Ti preoccupa? Sento<br />
il dubbio nella tua voce.»<br />
Mi strinsi nelle spalle. «Non dubbio, ma trepidazione. Non ho<br />
voglia di farlo. Soltanto tu, Shelagh, Donuil e io sappiamo<br />
dell'esistenza di Excalibur. Troppi. Ogni persona in più che viene a<br />
saperlo aumenta le probabilità che il segreto sia scoperto.»<br />
Rimase in silenzio, riflettendo su quell'osservazione, poi si strinse<br />
nelle spalle. «Occorre mostrarla a Joseph? Hai le misure e Joseph è<br />
un fabbro. Dovrebbe poter lavorare <strong>sul</strong>la base di questi dati. Una<br />
spada è una spada e quella che chiediamo a Carol di costruire sarà<br />
soltanto più larga, più lunga, più pesante di qualsiasi altra che<br />
abbiano forgiato finora. Non occorre che vedano l'esemplare<br />
originale.»<br />
«Come può Joseph figurarsi l'oggetto concretò, descriverlo con<br />
minuziosa precisione se non l'ha mai visto?» Scossi la testa. «No, non<br />
mi va, ma credo che dovremo mostrargliela. È uno di noi, fedele e<br />
leale; suo padre partecipò a costruire l'originale e noi gli chiediamo<br />
di aiutarci a farne una copia. Gli mostreremo Excalibur stasera, dopo
che avrà giurato di non parlarne con nessuno. Una volta vista la<br />
spada, capirà l'importanza dell'impegno. Quanto ci metterà Carol a<br />
produrla?»<br />
Sorridendo Ambrogio andò a riporre Excalibur nella sua custodia.<br />
«L'unico dubbio riguardava le capacità di Carol come fabbro, ma tu<br />
mi hai tranquillizzato.»<br />
«Sì, i due fratelli sono ugualmente bravi; Varro ha insegnato loro<br />
il mestiere. Se mai dovessi scegliere tra i due, direi che Carol è<br />
migliore, ma non lo ammetterei mai davanti a Joseph.»<br />
«Carol sarà lusingato che ti rivolga a lui e gli chieda aiuto. Non<br />
perderà tempo e capirà l'esigenza di non parlare con nessuno. <strong>Il</strong> mio<br />
consiglio è che Carol, soltanto lui, sappia da dove proviene il<br />
metallo e che abbia libertà di muoversi come crede per fondere la<br />
statua e ricavarne un lingotto al riparo da occhi indiscreti.<br />
Successivamente il metallo sarà come ogni altro pezzo di ferro, ma<br />
solo lui dovrà lavorarlo. Sei d'accordo?» Annuii e lui proseguì.<br />
«Una verità rimane invariata, fratello. Che ci voglia molto o poco<br />
a costruire questa seconda spada, tu avrai nel frattempo un bel da<br />
fare ad allenare il ragazzo. Ma non c'è fretta. Artù dovrà crescere di<br />
un bel pezzo prima di avere la stazza e la forza per usare Excalibur,<br />
senza contare che dovrà imparare anche quel tuo trucchetto che mi<br />
ha mandato col deretano per terra. È grande e forte per la sua età, e<br />
non ho mai visto un ragazzo che avesse mani e piedi delle sue<br />
dimensioni. Ha i tratti di famiglia e diventerà come noi, ma quel<br />
giorno è ancora lontano.» Tacque e riportò la custodia di legno dove<br />
era contenuta Excalibur lì da dove l'avevo presa. Una volta che ebbe<br />
ben chiuso il coperchio, si voltò spolverandosi le mani.<br />
«Adesso che abbiamo prospettato la soluzione al nostro<br />
problema, andrò a cercare Rufio. È andato nel bosco a tagliare legna<br />
con Dedalo, Donuil e qualche altro. Gli ho promesso che l'avrei<br />
raggiunto e mi sarei sporcato le nobili mani a segare. Vieni con me e<br />
cammin facendo mi racconterai come ti è venuta l'idea di usare una<br />
spada di legno.»<br />
Sapevo che quasi tutti gli uomini erano impegnati nel bosco, in un<br />
querceto, ad abbattere gli alberi indicati da Mark, il falegname.<br />
Facevamo eccezione io, deciso a completare alcuni testi scritti nel
silenzio e nella solitudine, e Lucano, ancora occupato con le sue<br />
pergamene. Avendo finito prima del previsto, mi sentivo ora attratto<br />
dall'idea di dedicarmi per un po' alla dura fatica fisica. Troppo<br />
tempo era passato da quando mi ero concesso una bella sudata in un<br />
lavoro manuale. D'un tratto euforico, scoppiai a ridere e diedi una<br />
pacca <strong>sul</strong>la spalla di mio fratello.<br />
Ci dirigemmo subito verso le stalle.<br />
La gualdrappa invernale di Germanico, lunga e pesante,<br />
cominciava a mostrare i segni dell'usura sebbene negli ultimi giorni<br />
Ulf si fosse dedicato a porvi rimedio.<br />
Montato a cavallo, superai la porta principale del forte, seguendo<br />
Ambrogio e quindi voltando subito a destra per condurlo dove<br />
sapevo che gli uomini erano al lavoro. Mi ci volle qualche momento<br />
per rendermi conto che lui non mi aveva seguito. Voltandomi, lo<br />
vidi che, seduto eretto in sella, fissava lo sguardo verso oriente dove<br />
la strada arrivava al passo per scomparire alla vista dietro la<br />
montagna. Girai il cavallo e lo raggiunsi.<br />
«Che cosa guardi?» gli chiesi.<br />
«Laggiù. Non è mai venuto nessuno da quella parte?»<br />
«Non da quando siamo qui e, stando a Derek, neppure da molti<br />
anni prima.»<br />
«Che cosa si trova laggiù?»<br />
«Una valle come quella ai nostri piedi. La strada scende da quella<br />
cresta là in fondo, attraversa la valle e all'estremità opposta risale le<br />
pendici di un colle fino a raggiungere un altro valico.»<br />
«È una valle grande? L'hai vista?»<br />
Ridacchiai. «Sì, l'ho vista, ma soltanto da quella cresta. Non c'è<br />
niente da vedere. Sarà lunga tre miglia, non di più. È tutta ricoperta<br />
di alberi come questa che vedi sotto di te. Non mi ci addentrai solo<br />
perché, se l'avessi fatto, avrei dovuto poi arrampicarmi per tornare<br />
indietro. Sul fondo scorre il fiume e passa la strada.»<br />
«Dove va la strada? A che cosa serve?»<br />
Mi sorprese scoprire che mio fratello non sapeva nulla di quella<br />
regione e della sua storia; ma fino a pochi mesi prima anch'io avevo
ignorato ogni cosa. Da allora tuttavia molto era cambiato. La nostra<br />
gente si era adattata a vivere nel vecchio forte, anzi ne era contenta,<br />
e si dedicava anima e corpo a renderlo accogliente e piacevole. Si<br />
era data un'organizzazione efficiente, suddividendosi in squadre e<br />
unità di lavoro, e si era adoperata in tutti i modi per avviare e<br />
completare i progetti che era necessario condurre a termine prima<br />
dell'inverno. Poiché non esisteva terra coltivabile, avevamo<br />
abbattuto le più belle querce e con cura ne avevamo ricavato<br />
legname pregiato da vendere a Ravenglass in cambio di frumento e<br />
altri prodotti agricoli. Mano a mano che mi abituavo a vivere nel<br />
forte, desideravo saperne di più su Mediobogdum, <strong>sul</strong>le sue origini e<br />
<strong>sul</strong>la strada per vegliare la quale era stato costruito.<br />
«Hai mai sentito parlare del decimum iter?»<br />
«No.»<br />
«Era molto conosciuto a suo tempo perché era l'unica strada<br />
romana che dalla costa raggiungesse l'entroterra nord-occidentale<br />
della Britannia. Sotto di te, puoi vedere il decimum iter, da<br />
Ravenglass si sviluppa per venti miglia, supera questo valico e<br />
prosegue fino al forte di Galava vicino al lago.»<br />
«Non sei mai stato a Galava? Non sai se sia abbandonato come lo<br />
era Mediobogdum?»<br />
«Non ci sono stato, ma non è abbandonato. Vi si è insediata una<br />
comunità di gente del posto e di mercanti come a Ravenglass. La<br />
strada prosegue ancora - un'altra strada in realtà costruita da altri<br />
legionari in tempi diversi - ma da qualche parte, stando a quello che<br />
si dice, si congiunge in prossimità del vecchio forte di Brocavum con<br />
il troncone viario principale che attraversa fino a sud l'intera<br />
Britannia.»<br />
«L'intera Britannia? Vuoi dire che potresti arrivare su una buona<br />
strada romana fino a Londinium?»<br />
«Sì così mi hanno detto, o anche a Glevum, ad Aquae Sulis e da lì<br />
a Camelot, a seconda della direzione che imbocchi al bivio di<br />
Brocavum. Un troncone punta direttamente a sud e, passando per<br />
Glevum e Aquae, arriva a Isca; l'altro troncone, che si dirama verso<br />
est, porta quasi direttamente nel centro di Londinium. Lo conosci di
sicuro perché attraversa Lindum.»<br />
«So che a Lindum convergono due strade - una da nord che volge<br />
subito a sud, l'altra da nord-ovest - ma io non sono mai stato più che<br />
a un centinaio di miglia a nord di Lindum. Non sapevo che la strada<br />
avesse origine nel cuore della regione nord-occidentale.» L'itinerario<br />
via mare da lui percorso per arrivare lì era più rapido, più diretto e<br />
assai più sicuro di quello via terra. Ero incuriosito.<br />
«Perché mi fai tante domande? Hai voglia di sferrare un attacco<br />
contro Lindum da qui?»<br />
«No, e neppure contro altri bersagli. È incoraggiante sapere che<br />
esiste una strada viabile da qui, se mai fosse precluso il passaggio via<br />
mare.»<br />
«Che vuoi dire?» Percepì nella mia voce un tono allarmato e<br />
voltandosi verso di me levò la mano in un gesto rassicurante.<br />
«Niente, Caio. Ti giuro che non c'è da aver paura. Non sono<br />
pessimista. Non ci sono pericoli o catastrofi che ti minacciano dal<br />
mare. Pensavo a una conversazione avuta con Connor durante il<br />
viaggio. Mi disse che non aveva più saputo nulla dei Figli di Condran<br />
dopo la morte di Liam e la sconfitta che avete inflitto alla loro flotta<br />
nel mare antistante Ravenglass. Ne è preoccupato. Si aspettava da<br />
Condran una qualche reazione di rancore. Gli do ragione. È<br />
sconcertante che non sia accaduto niente, che niente sembri<br />
muoversi <strong>sul</strong> mare, neppure a nord. Di' pure che sono sciocco, ma<br />
ho il presentimento che una enorme flotta di vele straniere, così<br />
enorme da oscurare l'orizzonte, si diriga a distruggere il regno di<br />
Derek. Adesso so che se dovesse accadere, se dovessero dimostrarsi<br />
vani i tentativi di soccorso, tu e i tuoi avreste una via di fuga<br />
attraverso questo valico fino a sud e alla salvezza.»<br />
«Capisco...» Lo guardai negli occhi, cercando di nascondere il mio<br />
disagio. «Hai davvero il presentimento di questa enorme flotta?»<br />
Sorridendomi mi diede una pacca <strong>sul</strong>la spalla. «No, non nel senso<br />
che credi tu. Non è uno dei tuoi sogni, non ci sono apparizioni<br />
magiche e figure spettrali. No, mi limito a figurarmi quello che forse<br />
potrebbe prepararsi... A proposito di prepararsi... ci aspetta il<br />
lavoro, un duro e sano lavoro manuale. Dove sono gli uomini?»
«Dietro a noi, a circa un miglio da qui.» Tirai le redini, Germanico<br />
indietreggiò e posandosi <strong>sul</strong>le due zampe posteriori invertì la<br />
direzione. Era una mossa che da anni adottavamo e che piaceva a<br />
entrambi, se non altro per la perizia che richiedeva nell'esecuzione.<br />
Vidi Ambrogio annusare una folata che portava l'odore di legna<br />
fresca bruciata. «Se seguiamo il naso, li troveremo» dissi e spronai il<br />
cavallo.<br />
Ci volle una buona mezz'ora per coprire la distanza dalla porta<br />
del forte alla radura dove gli uomini erano intenti al lavoro.<br />
Parlammo di varie cose, non ultima delle quali era l'insolita e<br />
straordinaria intelligenza del ragazzo affidato alle nostre cure.<br />
Accennai di nuovo ad Ambrogio il timore - da qualche tempo ne ero<br />
intermittentemente assalito - che quel forte solitario e isolato, una<br />
comunità minuscola e in embrione, potesse rivelarsi inadeguato per<br />
il compito che mi ero proposto. Non era Mediobogdum,<br />
apparentemente lontano dallo sguardo e dalle armi dei potenziali<br />
assassini, il posto nel quale allevare un futuro re. Ero arrivato<br />
riluttante a tale conclusione. Non ci avevo pensato nell'urgenza di<br />
fuggire al pericolo e di insediarci nell'antico forte. Soltanto mentre le<br />
settimane diventavano mesi avevo cominciato a rendermi conto di<br />
come fosse angusto quel nostro avamposto ai confini del nulla e di<br />
come non potesse rappresentare il modello di base per costruire e<br />
governare un regno. Era necessario che il ragazzo arrivasse a<br />
conoscere il vasto mondo degli uomini.<br />
Ambrogio mi ascoltò con attenzione e quando ebbi finito, sfilato<br />
un piede dalla staffa, piegò il ginocchio agganciandolo <strong>sul</strong> davanti<br />
della sella e si girò a guardarmi.<br />
«Secondo te, Mediobogdum è troppo isolato per il compito che ti<br />
sei prefisso? Eppure sei venuto qui proprio per questo motivo, e sei<br />
riuscito a scomparire da Camelot, dalla tua vita precedente, dai<br />
pericoli per il ragazzo.»<br />
«Lo so, Ambrogio, e per mesi ho creduto di avere agito con<br />
saggezza. Ma vedendo il ragazzo che cresce a vista d'occhio come un<br />
giovane virgulto, sopraggiunge il timore che stia buttando via il suo<br />
tempo e che altrove, senza rinunciare alla sicurezza, potrebbe
imparare molto di più.»<br />
«Perché? Che cosa potrebbe imparare di meglio altrove che non<br />
possa apprendere qui?»<br />
«La vita, la vita tra uomini di ogni tipo, venali e nobili!»<br />
Consapevole della portata di quelle parole, mi affrettai a smentire<br />
l'offesa implicita nei confronti dei miei amici. «La nostra gente è<br />
buona e gentile, generosa e sensibile, e tra i Celti di Derek nessun<br />
danno verrà al ragazzo. Ma non è come gli altri, questo è il nocciolo<br />
delle mie ansie. Artù Pendragon non sarà un uomo come tanti,<br />
Ambrogio; nostro intento è di farne un guerriero, un sovrano<br />
illuminato. Detto così, sembra presuntuoso ed esagerato, ma è la<br />
verità. Se è destinato a regnare a Camelot, in Cambria o in<br />
Cornovaglia, deve imparare a essere re, guerriero e sovrano, più<br />
grande di Vortigern, capace di evitare i suoi errori. Non credo che<br />
potrà imparare tante cose se rimarrà qui, isolato. Per imparare gli ci<br />
vogliono esempi delle debolezze degli uomini e della loro forza e<br />
per trovarli deve cercare altrove, nel vasto mondo, dove le<br />
esperienze quotidiane dell'ambizione, dell'avidità, della<br />
spregiudicatezza, della meschinità, dell'inganno e del furto sono<br />
smascherate e messe in evidenza dalla nobiltà, dall'onore,<br />
dall'integrità. Soltanto vedendo queste cose, imparerà ad affrontarle<br />
e a innalzarsi al di sopra di esse. Io le ho imparate al seguito di<br />
Uther, instaurando la pace a Camelot, avendo contatto con uomini<br />
al di là del nostro dominio. Tu le hai imparate combattendo una<br />
guerra contro tuo zio e tutore a Lindum, e con Vortigern,<br />
mantenendo la pace e vegliando sugli interessi del re. Artù può<br />
apprendere qui la teoria, ma gli mancherà un'educazione pratica.<br />
Non ci sono traditori venali nel nostro gruppo, non ci sono malvagi<br />
come Lot di Cornovaglia o dementi come il deforme Carthac; non<br />
abbiamo neppure un Peter Ironhair.»<br />
«Mi sembri eccessivamente ansioso, Cay.» La voce pacata di<br />
Ambrogio mi fece capire quanto fosse stata stridula la mia. «Mi<br />
rendo conto che tu possa essere preoccupato. Conduci una vita<br />
solitaria e isolata quassù, e immagino che gli svantaggi appaiano con<br />
maggior evidenza d'inverno, ma credo che tu ti agiti senza che ce ne<br />
sia bisogno. Secondo il nostro progetto, Artù verrà a Camelot non<br />
appena lui e i suoi amici avranno raggiunto l'età di unirsi alle nostre
truppe. Ne abbiamo già discusso e siamo d'accordo, questione di tre<br />
o quattro anni, forse prima se il ragazzo continuerà a crescere e a<br />
maturare come ha fatto finora. Nel frattempo la nostra maggiore<br />
cura sarà di proteggerlo, di dargli un ambiente stabile e sicuro, di<br />
insegnargli tutto quello che può imparare. Forse, dopo quanto lui ha<br />
insegnato a noi un paio di sere fa, sarebbe più corretto dire che<br />
imparerà tutto quello che noi saremo in grado di trasmettergli.<br />
Credo che alla fine il discente saprà molte più cose del docente. Tra<br />
queste montagne puoi insegnargli a combattere da guerriero, da<br />
cavaliere e da fante, a vivere da uomo bastando a se stesso. Puoi<br />
impartirgli le lezioni che ti hanno insegnato coloro che le avevano<br />
apprese anni prima che nascesse il padre del giovane Artù, e che tu<br />
stesso hai appreso. Puoi illuminarlo, dargli il potere di leggere e<br />
scrivere, un potere che purtroppo pochi hanno in questa nazione. Lo<br />
hai affidato a ottimi maestri e il ragazzo è molto dotato. Alla loro<br />
scuola impiegherà il tempo nel modo migliore. Che impari da loro;<br />
tu offrigli ulteriori stimoli.<br />
Perché non lo porti in Gallia dal tuo amico, il vescovo Germano?<br />
Perché non fargli conoscere gente che vive in altri climi? Portalo<br />
nell'Eire dove non ci sono strade, e nelle isole settentrionali rette da<br />
suo nonno; mostragli come può essere primitiva la vita in luoghi così<br />
remoti e ostili. Portalo in Britannia... non ancora in Cambria o in<br />
Cornovaglia, neppure a Camelot, ma nel resto del paese, seguendo<br />
la strada romana di cui mi hai parlato, fino alle terre di Vortigern,<br />
sperando che continui a regnare la pace nelle regioni nord-orientali.<br />
<strong>Il</strong> ragazzo non ha nemici lì, e Vortigern nutre benevolenza nei tuoi<br />
confronti; lo stesso si può dire di Hengist. Ricordati: non sei più<br />
Merlino di Camelot, sarai un viaggiatore come tanti altri che si<br />
muove con un paio di compagni e di ragazzi, anche tutti e quattro se<br />
vuoi. Suo zio Connor sarà felice di darti una scorta fino in Gallia.»<br />
Ascoltando mio fratello, capivo quanta verità e saggezza ci<br />
fossero nei suoi consigli. Raddrizzandomi <strong>sul</strong>la sella, mi parve che,<br />
simili a foglie d'autunno, cadessero le tensioni accumulate in quegli<br />
ultimi mesi e che subentrasse un'ondata di entusiasmo. Sarebbe stato<br />
bello, pensavo, rivedere il mio amico Germano dopo tanto tempo.<br />
Come può essere strana l'amicizia! Lo avevo visto una volta sola,<br />
dodici anni prima, e allora non avevamo avuto nulla in comune -
certamente nessun motivo per riuscirci vicendevolmente simpatici -<br />
eppure eravamo diventati amici stretti. Era l'unica persona al mondo<br />
al quale continuassi a scrivere con una certa regolarità, per non dire<br />
frequenza. Era diventato vescovo, il vescovo di Auxerre in Gallia.<br />
Aveva anche la carica di ex legato dell'esercito imperiale di Onorio e<br />
aveva conquistato vasta fama comandando un intero reparto<br />
dell'esercito nella Renania. Da sempre uomo di profonda fede, una<br />
volta ritiratosi dal servizio militare, aveva sostituito la ferrea<br />
disciplina delle armi con il rigore altrettanto severo della teologia e si<br />
era dedicato alla vita ecclesiastica con la stessa devozione univoca e<br />
lo stesso impegno incondizionato che lo avevano distinto tra i<br />
soldati.<br />
Lo avevo conosciuto quando, in veste di difensore della Chiesa,<br />
era venuto in Britannia mandato dal papa, il vescovo della Santa<br />
Sede di Roma, per partecipare nella città di Verulamium al dibattito,<br />
aperto a chiunque desiderasse prendervi parte, circa gli insegnamenti<br />
di Pelagio, il teologo eretico di nazionalità britannica. Gli erano<br />
avversari nella discussione quasi tutti i vescovi che avevano sposato<br />
la dottrina di Pelagio, il pelagianesimo. Mi ero recato a Verulamium<br />
attraversando l'intera Britannia spinto dalla paura di quello che<br />
sarebbe potuto derivare da quel confronto. Tutta la mia famiglia,<br />
ancora prima che io nascessi, era stata profondamente influenzata da<br />
Alarico, vescovo di Verulamium. Uomo timorato di Dio, esempio<br />
luminoso di virtù e integrità per quanti lo conoscevano, Alarico<br />
dopo molta riflessione si era accostato alla dottrina di Pelagio,<br />
secondo la quale Dio aveva creato l'uomo a propria immagine e gli<br />
aveva trasmesso una particella della propria essenza divina. Alarico<br />
aveva insegnato al suo gregge, e naturalmente ai suoi amici e<br />
compagni di fede, che ogni individuo aveva la possibilità di<br />
comunicare con Dio personalmente tramite la scintilla divina che<br />
convogliava la preghiera dall'animo del singolo all'orecchio del<br />
creatore.<br />
La tragedia per Pelagio e i suoi seguaci, compreso il vescovo<br />
Alarico, che naturalmente non poteva immaginare quali furori<br />
sarebbero esplosi dopo la sua morte, era stata che quella dottrina in<br />
ultima istanza negava la necessità della presenza degli uomini di<br />
Chiesa quali intermediari tra l'individuo e Dio. <strong>Il</strong> comune mortale
non aveva bisogno del sacerdote: ecco il motivo del contendere che<br />
si era rivelato chiaramente non appena la Chiesa cristiana, affrancata<br />
dalla clandestinità e sotto Costantino, riconosciuta dapprima come<br />
portatrice di una religione ufficiale e poi della religione ufficiale<br />
dell'Impero, aveva cominciato ad affermare una propria gerarchia. I<br />
prelati di Roma, soddisfatti del recente privilegio ottenuto di poter<br />
organizzare se stessi, le proprie attività e dogmi, non avevano<br />
gradito sentirsi dire che erano inutili. Avevano ricevuto non soltanto<br />
il riconoscimento ufficiale, ma un rango nell'ambito dell'Impero.<br />
L'immagine del povero falegname era stata obliata nell'arco di pochi<br />
decenni e sostituita dalle ricchezze e dai fasti della corte imperiale; il<br />
papato romano aveva ereditato l'opulenza e lo sfarzo della Città<br />
eterna.<br />
In quello stesso periodo Agostino, il grande vescovo di Ippona in<br />
Africa, aveva cominciato a diffondere la propria dottrina, secondo la<br />
quale l'uomo era incapace di raggiungere la salvezza eterna in<br />
quanto privo della grazia divina che da Dio scendeva sui suoi figli<br />
tramite la preghiera. Senza la grazia, predicava Agostino, l'uomo era<br />
condannato a peccare in eterno. Portando tale ragionamento alle<br />
sue estreme conseguenze, si poteva concludere che le leggi erano<br />
inutili perché ogni azione riprovevole poteva essere imputata a Dio,<br />
che non aveva dato al trasgressore bastante grazia per combattere la<br />
tentazione.<br />
Tali dottrine erano evidentemente destinate a scontrarsi, perché<br />
l'una metteva in discussione la necessità di una Chiesa, l'altra negava<br />
la necessità di una legge umana contrapposta a quella divina. Si<br />
erano scontrate nelle sembianze di due uomini, Pelagio e Agostino,<br />
ed era stato Pelagio a perdere, condannato dai poteri congiunti della<br />
Chiesa ufficiale e dei suoi Padri fondatori. La gerarchia lo aveva<br />
scomunicato e bandito dalla comunità religiosa; i suoi insegnamenti<br />
erano stati giudicati eretici e dichiarati anatema.<br />
Proprio quell'anatema aveva scatenato le mie paure. In quanto<br />
soldato, non avevo familiarità con la teologia e non nutrivo<br />
interesse per la politica, ma la mia intelligenza mi aveva detto che<br />
quel conflitto era diventato politico, anzi forse lo era sempre stato.<br />
Con la scomunica di Pelagio erano stati scomunicati anche i suoi<br />
seguaci, e questo mi aveva lasciato attonito. L'idea che il reverendo
vescovo Alarico potesse essere scomunicato e sconsacrato dopo la<br />
morte per ordine di uomini che non lo avevano conosciuto mi era<br />
parsa assurda. Ecco perché, avendo avuto notizia del concilio che si<br />
sarebbe tenuto a Verulamium, avevo deciso di andarci<br />
accompagnato dalle truppe scelte di Camelot. Durante il tragitto<br />
avevamo incontrato il vescovo e lo avevamo salvato dall'assalto di<br />
una banda di fuorilegge sassoni. Eravamo diventati amici e mi aveva<br />
rimandato a casa tranquillo nella consapevolezza che Alarico e il suo<br />
gregge di anime, compresi i miei familiari e amici, non erano stati<br />
toccati dalla scomunica.<br />
Tutti questi pensieri mi passarono nella mente in un tempo<br />
minore di quello necessario a descriverli. Ambrogio procedeva calmo<br />
vicino a me, inconsapevole che la mia mente si era volta ad altro nel<br />
breve intervallo di tempo da quando avevo pronunciato l'ultima<br />
parola. Gli sorrisi ricordando che a quello stesso periodo risaliva il<br />
legame che avevo con lui. Anche lui era venuto a Verulamium per il<br />
concilio, inconsapevole che la sua vita sarebbe cambiata per sempre.<br />
Ci era arrivato convinto di essere Ambrogio Ambrosiano, ma<br />
constatando, non appena ci fummo conosciuti, che eravamo come<br />
due gocce d'acqua, era stato facile accertare che lui era in realtà<br />
Ambrogio Britannico, un fratellastro concepito da mio padre<br />
convalescente circa tre decenni prima. <strong>Il</strong> sorriso mi si allargò <strong>sul</strong>le<br />
labbra, ricordando che non era stato affatto compiaciuto<br />
nell’apprendere quella nuova, ma vi si era poi adattato rapidamente.<br />
In quel momento accorgendosi che sorridevo, levò le sopracciglia.<br />
«Che hai? Hai l'aria divertita.»<br />
«No, non proprio» dissi scuotendo la testa. «Ricordavo Germano e<br />
come tu e io ci incontrammo a Verulamium. Mi piace quella tua idea<br />
di un viaggio, e forse sarà buona cosa rivedere Germano. Grazie del<br />
suggerimento.» Annuì senza replicare e spronò il cavallo verso il<br />
bosco che si profilava di lontano.<br />
Da quel momento procedemmo in silenzio, apprezzando la<br />
bellezza della giornata e pensando a come il destino stesso avrebbe<br />
fissato il ritmo dell'educazione di Artù.<br />
Nella radura non tutti erano occupati a tagliare gli alberi. Da
lontano, ben prima di raggiungerli, ci era giunto il suono<br />
inequivocabile delle spade che si incrociavano con i colpi sonori e<br />
forti che soltanto uomini maturi potevano infierire. <strong>Il</strong> tonfo delle<br />
accette ci diceva che altri tuttavia erano intenti ad abbattere qualche<br />
tronco e più in là altri ancora segavano il legno fresco come indicava<br />
lo stridio asmatico delle lame.<br />
Uscendo dal fitto degli alberi e arrivando alla radura vedemmo<br />
che i duellanti erano Dedalo e Rufio, come del resto mi ero<br />
immaginato dal ritmo dei colpi inferti. Dietro a loro, a una certa<br />
distanza, lavorava Mark, il mastro falegname, che per esperienza e<br />
conoscenza era a capo della squadra dei boscaioli. Sulla sua destra<br />
una pariglia di quattro cavalli tirava un carico he non vedevo dal<br />
punto in cui mi trovavo; la guidava un uomo di Derek. Fui sorpreso<br />
nel riconoscere in lui Longino, il comandante delle macchine da<br />
guerra di Ravenglass, che evidentemente non si adontava di lavorare<br />
agli ordini altrui quando non doveva misurarsi con catapulte e<br />
baliste.<br />
Sulla mia sinistra Joseph ed Hector, il fabbro e l'agricoltore,<br />
lavoravano insieme, lasciando cadere con movimenti fluidi e<br />
impeccabili l'accetta nel tronco della maestosa quercia. Sapevo che<br />
nelle vicinanze c'erano Lars, Jonathan e numerosi altri intenti a<br />
tagliare e preparare scorte di legna che sarebbero bastate per qualche<br />
anno.
X.<br />
Nella settimana successiva al nostro ritorno da Ravenglass pensai<br />
a lungo e intensamente alla lettera che avevo intenzione di inviare a<br />
Germano in Gallia. Scostando i numerosi fogli di note e<br />
appoggiandomi allo schienale della sedia, mi sfregai gli occhi e mossi<br />
le spalle. Quante ore erano passate da quando, prima dell'alba ero<br />
saltato giù dal letto e, acceso un lume, avevo cominciato ad andare<br />
avanti e indietro nella stanza, cercando di mettere ordine nei miei<br />
pensieri. Invece di scrivere una lettera mi ero trovato a buttar giù<br />
appunti sugli argomenti che desideravo esporre al mio amico.<br />
Contando oziosamente i fogli, mi accorsi che già sei erano<br />
fittamente ricoperti, ma avevo appena toccato il tema che più mi<br />
stava a cuore: l'educazione di Artù. Le grandi capacità del ragazzo, la<br />
sua intelligenza, la mente viva, così matura rispetto alla giovane età,<br />
mi facevano venir meno le parole per descriverle. Accingendomi a<br />
leggere quelle copiose annotazioni, mi sentii sopraffare da un'ondata<br />
di frustrazione. Le scostai da me e, levandomi impulsivamente dalla<br />
sedia, ripresi il mio andirivieni nella stanza come avevo fatto qualche<br />
ora prima dell'alba. La tensione mi rodeva il petto e mi irrigidiva la<br />
nuca.<br />
Passando nella più vasta delle due stanze che componevano il<br />
mio alloggio, mi volsi a lanciare uno sguardo alla camera attraverso<br />
la porta aperta. Vedendo il letto sfatto mi immobilizzai: per la prima<br />
volta constatavo con i miei occhi come fossi cambiato da quando<br />
ero arrivato a Ravenglass e Mediobogdum.<br />
Allevato a una disciplina militare, da tutta la vita avevo<br />
l'abitudine di cominciare la giornata rifacendomi il letto prima di<br />
dedicarmi a qualsiasi altro compito. Era un gesto naturale, qualcosa<br />
che facevo automaticamente, senza pensarci. In quel momento la<br />
vista delle coperte in disordine mi diede la misura dei mutamenti<br />
enormi che negli ultimi anni e mesi erano intervenuti nella mia vita.<br />
La mia vita, me ne rendevo conto, non mi apparteneva più nel<br />
modo spensierato e intenso di una volta. Ora vivevo per altre
persone, prima tra queste Artù, che esigevano attenzione e<br />
dedizione. Le loro priorità erano le mie; i loro affanni erano i miei; i<br />
miei doveri riguardavano soltanto loro. Non appena tale pensiero<br />
mi si affacciò alla mente, mi dissi che sempre i doveri riguardano il<br />
prossimo, ma una differenza era chiara e lampante: a Camelot i miei<br />
compiti erano stati rigorosamente strutturati, di natura militare,<br />
definiti con precisione; erano prevedibili, commisurati alla natura<br />
della prestazione e alla qualità del ri<strong>sul</strong>tato: la ricompensa nella<br />
forma di un riconoscimento o di una lode, la spartizione delle<br />
responsabilità, di tanto in tanto il sollievo dal fardello degli impegni<br />
in cambio di un'azione meritoria. Tutto questo era cambiato. Oggi il<br />
peso dei doveri non mi abbandonava mai.<br />
Consapevole che in tal modo non facevo che compiangermi e<br />
commiserarmi, avanzai risolutamente nella cameretta e proprio<br />
mentre afferravo le coperte, qualcuno bussò alla porta.<br />
«Entra, è aperto» gridai e, curioso di sapere chi fosse il visitatore,<br />
allungai il collo. Fui sorpreso di vedere Shelagh che metteva la testa<br />
dentro e mi chiamava.<br />
«Cay? Posso entrare?»<br />
«Certamente, Shelagh. È da molto che bussi?»<br />
<strong>Il</strong> piacere che mi davano il vederla e il sentire la sua voce dissipò<br />
ogni ansia, eppure non mi mossi per raggiungerla nell'altra stanza.<br />
L'occasione di poterla osservare senza essere visto era troppo<br />
preziosa; rimasi quindi a scrutarla attraverso la porta aperta della<br />
camera da letto ancora buia. Avanzò nella stanza, tenendo la mano<br />
<strong>sul</strong>la maniglia e guardandosi intorno; poi non appena i suoi occhi si<br />
posarono <strong>sul</strong>la soglia oltre la quale stavo io nascosto nell'ombra, mi<br />
accorsi che non era sola, che qualcuno le stava alle spalle.<br />
Avanzai sorridendo nel benvenuto a lei e a chi l'accompagnava.<br />
Mi bloccai nel riconoscere la persona che la seguiva. Era Tressa, la<br />
giovane donna che mi aveva sorriso la sera della festa, la donna che<br />
mi aveva turbato con lo sguardo ridente e il seno pieno. Di nuovo<br />
mi trovai davanti quegli occhi che mi fissavano, attenti e spalancati,<br />
quasi in un'espressione di stupore. Mi accorsi che non era impossibile<br />
ignorare il suo seno alto e sodo che tendeva la stoffa dell'abito.<br />
Shelagh non si accorse di quello scambio di sguardi. Provavo
gratitudine per la ragione, qualunque essa fosse, che l'aveva spinta a<br />
venire da me con Tressa. Lanciò un'occhiata intorno alla stanza.<br />
«È buio qui dentro e pieno di polvere. Merlino, ti presento...»<br />
«Tressa. La ricordo da Ravenglass. Benvenuta, Tressa.»<br />
La giovane arrossì e nel sorridere il viso le si riempì di fossette.<br />
Con un sussurro disse: «Mastro Cay». Mi volsi a Shelagh,<br />
ridicolmente consapevole della presenza dell'altra e con una strana<br />
sensazione di colpa come se, ricordandomela così bene, avessi<br />
peccato verso di lei.<br />
«In che cosa posso esservi utile? Dovete perdonarmi. Temo di non<br />
essere abituato a ricevere signore nel mio rozzo alloggio.»<br />
«Questo lo si vede bene.» Shelagh sorrideva e il suo sguardo era<br />
malizioso. «Ho portato Tressa perché si renda conto di quelli che<br />
saranno i suoi compiti. Si occuperà di te e di Lucano, pulendo i vostri<br />
alloggi, arieggiandoli, aggiustandovi gli abiti... insomma avendo cura<br />
di tutto quanto vi serve.»<br />
«Ma...»<br />
«Nessun "ma". Cay. Così ho stabilito io, Shelagh, e tu ci<br />
risparmierai fastidi e preoccupazioni se ti adeguerai all'ordine. Voi<br />
uomini siete grandi nel legiferare, ma a volte le leggi delle donne<br />
sono migliori e più sensate. Questa è una delle tante. Tu baderai alle<br />
tue cose, e Tressa si preoccuperà di tenere pulite le stanze e di<br />
rendertele gradevoli. D'accordo?»<br />
«Ma...»<br />
«Ma? Scusa, Cay, noi siamo venute qui con uno scopo. Ora se ti<br />
metti in disparte, mostrerò a Tressa il da farsi.»<br />
A bocca aperta rimasi a guardarle mentre scrutavano ogni angolo<br />
della mia abitazione, parlottando e prendendo nota di quello che,<br />
secondo loro, andava cambiato e migliorato. <strong>Il</strong> fastidio iniziale<br />
passò, e ben presto cominciai a trovare divertente quell'andirivieni.<br />
Tressa non era una bellezza, ma era giovane, vigorosa, sprizzante<br />
salute, non meno affascinante di Shelagh, dotata di una grazia più<br />
matura. Entrambe erano piene nei posti femminilmente giusti, e di<br />
tanto in tanto ridacchiavano sommessamente. Poco dopo,
completata la ricognizione, si avvicinarono a dove stavo io.<br />
«Ho mostrato a Tressa quello che l'aspetta. Cercherà di non starti<br />
tra i piedi e di fare ogni cosa mentre tu sei fuori a occuparti delle tue<br />
faccende. Ti accorgerai di lei soltanto perché avrai modo di notare<br />
che vivi in un ambiente più piacevole. Buona giornata a te.»<br />
Con un timido sorriso si accomiatò anche Tressa, lasciandomi con<br />
l'impressione di essere stato ispezionato, studiato e valutato: il che<br />
era vero. Rimasi a guardarle dalla finestra mentre si allontanavano, e<br />
quando scomparvero alla vista, restai per qualche tempo a fissare il<br />
cielo. Vedevo un lembo di azzurro racchiuso tra il cornicione del<br />
tetto della mia casa e il muro esterno del forte, e scorgevo piccole<br />
nuvole bianche che lo attraversavano rapide, spinte dal vento.<br />
All'improvviso la stanza mi parve buia e fredda, innaturalmente<br />
tranquilla ora che non risuonavano più le voci delle donne. Mi<br />
avvicinai alla porta, afferrai il mantello e uscii nella luce intensa del<br />
mattino.<br />
Non mi accorsi di niente di insolito nel silenzio che mi accolse.<br />
Pur con il recente incremento degli abitanti che ne aveva triplicato il<br />
numero, la presenza di cinquanta persone era appena percepibile in<br />
un forte costruito per alloggiarne seicento, senza contare che erano<br />
rare e tra loro distanziate le volte in cui tutti si trovavano<br />
simultaneamente entro le mura. Sapevo che quel giorno, come<br />
ormai da una settimana, almeno dieci, o addirittura venti uomini<br />
incaricati di raccogliere la legna sarebbero stati lontano, nella foresta.<br />
Ambrogio era uscito in compagnia di Dedalo e Rufio a esercitarsi<br />
nell'uso dei bastoni; Shelagh e Tressa erano probabilmente intente ai<br />
soliti lavori delle donne; i ragazzi, ormai finite le ore di studio,<br />
certamente giocavano fuori delle mura. Mi parve che da qualche<br />
parte, a una certa distanza, provenisse il suono di acute voci di<br />
giovinette; molti nuovi venuti si erano portati le famiglie appresso, e<br />
ora abitavano a Mediobogdum bambini e adolescenti di entrambi i<br />
sessi, non soltanto i quattro ragazzi di Camelot. Avviandomi verso la<br />
porta occidentale, incontrai soltanto una persona, un nuovo venuto,<br />
il cui nome ancora ignoravo. Ci scambiammo un cenno di saluto nel<br />
passarci accanto, e poi mi ritrovai da solo in prossimità del precipizio<br />
alle spalle del forte.
Sulla mia destra le pareti rocciose del versante nordorientale della<br />
valle torreggiavano alte, ma ad attrarre la mia attenzione era il<br />
fondo, brulicante di movimento e di vita, perché le querce enormi<br />
che lo ricoprivano fittamente erano agitate dai forti venti che<br />
soffiavano dal mare occidentale, a oltre dodici miglia di distanza,<br />
all'estremità della valle dell'Esk. Mi avvicinai ancora di più al bordo<br />
del burrone, consapevole di fare una cosa sciocca, ma incapace di<br />
sopprimere il desiderio di fissare lo strapiombo sotto ai miei piedi.<br />
<strong>Il</strong> vento crebbe di intensità, diventando una forza costante e<br />
irruenta, sicché dovevo oppormi per contrastarlo mentre la mente<br />
mi consigliava di allontanarmi dal bordo, di smettere di fare<br />
sciocchezze. Era una strana sensazione restarmene in bilico lassù,<br />
opponendomi con il mio peso alle folate. Se si fossero placate<br />
all'improvviso, sarei caduto nell'abisso.<br />
Pensai per un attimo che se avessi spalancato le braccia e mi fossi<br />
lanciato, mi sarei librato nell'aria come un uccello e sarei planato<br />
sugli alberi sottostanti. Avevo addirittura levato le braccia e<br />
percepivo il vento che, ingrossando le pieghe del mio mantello, le<br />
agitava come ali. Sbattendo le palpebre, indietreggiai, lasciando<br />
cadere le braccia sui fianchi. Al riparo di uno spuntone di roccia il<br />
mantello mi si afflosciò intorno, i capelli agitati si ricomposero <strong>sul</strong>la<br />
testa. In quel momento il vento tacque all'improvviso, come pochi<br />
attimi prima avevo temuto potesse fare. Per pochi istanti l'aria<br />
rimase immobile e io ebbi un fremito di orrore al pensiero che il mio<br />
corpo si sarebbe potuto schiantare nell'abisso. Poi le folate ripresero<br />
con un ululato sordo, via via più forte. Mi allontanai con risolutezza,<br />
volsi le spalle alla valle e, rientrato nel forte, mi avviai verso le<br />
scuderie dove era accudito Germanico.<br />
Pochi attimi più tardi, uscendo di nuovo dal forte attraverso la<br />
porta meridionale, salutai con un gesto della mano Lucano, che<br />
camminava lungo il passaggio perimetrale interno. Superata la porta,<br />
mi diressi verso lo stradone, passando sotto le terme e percorrendo il<br />
crinale che nascondeva la vista del forte. Mentre osservavo il nastro<br />
che si snodava fino al passo per proseguire quindi nella valle<br />
successiva, ebbi la rapida visione di qualcosa di bianco. Trattenendo<br />
il cavallo per scrutare meglio, mi accorsi che il biancore era uno dei<br />
pony dei ragazzi, ma di questi non si vedeva traccia. Punto dalla
curiosità, non appena raggiunta la strada, spronai Germanico ad<br />
andare a destra, in direzione del passo.<br />
Sapevo che i ragazzi ci andavano spesso, soprattutto d'inverno,<br />
quando potevano usare le slitte. Quanto a me, dopo essermi spinto<br />
fino al valico <strong>sul</strong> finire dell'autunno, prima delle nevicate, non ci ero<br />
più tornato. Mi ero dimenticato come fosse erta la salita. Per<br />
avanzare, Germanico si spingeva facendo forza a ogni passo mentre<br />
gli zoccoli scivolavano <strong>sul</strong>la superficie dura e acciottolata del manto<br />
stradale, lottando a ogni curva per procedere di poco <strong>sul</strong> tornante.<br />
Mi sorpresi a immaginare la fatica e le sofferenze dei legionari e dei<br />
conducenti dei pesanti carri trainati dai muli e dai buoi che, arrivati<br />
in cima, si sarebbero trovati davanti a un'impresa ancora più ardua<br />
nella discesa <strong>sul</strong>l'altro versante del valico.<br />
Giunto <strong>sul</strong>la sommità del crinale, protetto ora contro il vento<br />
dalle rocce svettanti <strong>sul</strong>la mia sinistra, tirai le redini e, spinto dalla<br />
pietà per il cavallo, smontai per percorrere a piedi il tratto che<br />
restava. <strong>Il</strong> pony che aveva attratto la mia attenzione era lì vicino,<br />
legato con le redini a una pesante pietra. Lo riconobbi subito per<br />
Primo, la cavalcatura di Artù. Le zampe, la coda e il ventre chiazzati<br />
di fango indicavano che aveva percorso un terreno difficile. Non<br />
c'era la minima traccia del ragazzo.<br />
«Merlino, che cosa fai? Che cosa cerchi?»<br />
Levai la testa e scorsi Artù Pendragon che mi fissava dall'alto di<br />
una roccia <strong>sul</strong>la sinistra.<br />
«Sono venuto a cercarti perché ho visto il tuo pony. Che cosa stai<br />
facendo?»<br />
«Niente.» Flettendo le ginocchia cominciò a scendere, tenendosi in<br />
equilibrio con le braccia allargate.<br />
Mi girai per tornare dove aspettava Germanico che con un<br />
sommesso nitrito mi appoggiò il muso <strong>sul</strong>la spalla. Guardandomi<br />
intorno vidi il forte sotto di noi, imprendibile e all'apparenza<br />
disabitato, cosa che non corrispondeva alla realtà. Dalle terme si<br />
levava, come sempre, il fumo della fornace che si raggrumava in una<br />
nuvoletta prima di disperdersi nel vento.<br />
Ci fu un piccolo tonfo quando Artù saltò <strong>sul</strong>la strada e, non
appena mi fu vicino, notai una ferita <strong>sul</strong>la tempia destra e tracce di<br />
sangue incrostate <strong>sul</strong> naso. Non me ne ero accorto prima perché lo<br />
avevo visto dal basso e dall'altro lato. L'occhio destro era tumefatto,<br />
il labbro gonfio. Intuendo che me ne ero accorto, arrossì, a disagio.<br />
Mi avvicinai e gli presi il mento rovesciandogli la testa all'indietro.<br />
«La tua unica consolazione è che tra un mese sarà sparito tutto.<br />
Nei prossimi giorni invece avrai un viso che sarà uno spettacolo.<br />
Spero almeno che tu abbia avuto la meglio.»<br />
<strong>Il</strong> cenno di diniego e lo sguardo che cercava di sfuggire al mio mi<br />
dissero che non era andata così.<br />
«Chi è stato? Gwin? Bedwyr?»<br />
«No.» Continuava a evitare di fissarmi negli occhi sebbene gli<br />
tenessi sollevato il mento. Lo lasciai andare e indietreggiai.<br />
«Chi allora?» Nel momento stesso in cui gli posi la domanda capii<br />
che non mi avrebbe risposto. C'era nella sua espressione<br />
un'ostinazione insolita. Mi strinsi nelle spalle a dimostrargli che la<br />
cosa non mi interessava. «Non ho intenzione di andare a fondo,<br />
Artù. Te l'ho chiesto per curiosità. Ormai il danno è stato fatto. Sono<br />
affari di ragazzi, non miei... gli uomini non c'entrano in queste<br />
faccende.»<br />
«Ma a volte le prendono a cuore.» Le parole borbottate con forza<br />
mi indussero a osservarlo con attenzione.<br />
«Che cosa vuoi dire? Chi sono quelli che se la prendono a cuore?»<br />
«Gli uomini. A volte si interessano alle contese tra ragazzi.»<br />
«Artù, che stai dicendo? Sono parole insensate le tue.» Sul suo viso<br />
leggevo la rabbia. «È stato un uomo a picchiarti, non un ragazzo?»<br />
«No. Ci siamo scontrati io e Droc, e lui me le ha date.»<br />
«Ovvio.» Droc era uno dei figli di Derek, di almeno tre anni più<br />
grande di Artù, e cresciuto per la sua età, così simile a suo fratello<br />
maggiore Landroc che i due venivano spesso presi per gemelli ed<br />
erano inseparabili. Anche Artù era grande per la sua età, ma in lui la<br />
prestanza era una promessa, e al momento era ancora lungo e<br />
allampanato. Calcolai che Droc doveva pesare almeno il doppio di<br />
Artù.
Aspettai, ma era comunque chiaro che il ragazzo non mi avrebbe<br />
detto altro.<br />
«Che cosa ti è saltato in mente di venire alle mani con Droc? È<br />
grande e grosso quasi come me.» <strong>Il</strong> ragazzo restava in silenzio. «Non<br />
vuoi dirmelo? Sarò costretto a concludere che hai fatto una pazzia,<br />
anche se fino a oggi non avevi dato segno di essere fuori di testa.<br />
Hai parlato di uomini che mettono il naso negli affari dei ragazzi.<br />
Qualcuno è venuto a interrompervi?»<br />
«No.»<br />
«Peccato. Su, torneremo insieme al forte. Dove sono gli altri?<br />
Bedwyr, Gwin, Ghilleadh?»<br />
«Non lo so» rispose scuotendo la testa. «Me ne sono andato dopo<br />
lo scontro. Non li volevo con me.»<br />
«Vi siete azzuffati tra di voi?»<br />
Scosse la testa in silenzio: fu questa l'unica risposta che ebbi. Mi<br />
raddrizzai, all'improvviso spazientito dall'insolita reticenza del<br />
ragazzo.<br />
«Bene, torniamo. Non conviene montare in sella per questo<br />
primo tratto; lo percorreremo a piedi.»<br />
Afferrò le redini del pony e in silenzio tornammo, attenti a dove<br />
posavamo i piedi, perché i chiodi di ferro degli stivali non trovavano<br />
appigli <strong>sul</strong>la strada lastricata e ogni passo era un gioco di difficile<br />
equilibrio per evitare una rovinosa caduta.<br />
Montammo in sella solo dopo essere arrivati in fondo al crinale, e<br />
proseguimmo curvi per difenderci dalle sferzate del vento. Avevamo<br />
quasi raggiunto il bivio dove avremmo imboccato la strada per il<br />
forte, quando rompendo il silenzio Artù disse: «Ghilleadh ha trovato<br />
una spada corta... una spada romana... un gladium».<br />
Lo guardai sorpreso. «Davvero? Dove? Come sai che si trattava di<br />
un'arma romana?»<br />
«Era tra l'erba, <strong>sul</strong> pendio sotto la porta occidentale del forte.<br />
Deve essere rimasta lì molto, molto tempo. Distrutta quasi del tutto<br />
dalla ruggine, ma romana. L'elsa era di bronzo. Ne ho viste di simili<br />
nell'armeria a Camelot. Qualche soldato l'avrà lasciata cadere o
l'avrà buttata chissà quanti anni fa, probabilmente buttata, perché<br />
era distante dalla porta e dalla strada.»<br />
«Mi piacerebbe vederla. Puoi chiedere a Ghilleadh di<br />
mostrarmela.»<br />
«L'ha presa Droc.»<br />
Mi chiesi come mai un ragazzone come Droc si interessasse a una<br />
spada romana arrugginita, ma avvertito dalla tensione che percepivo<br />
in Artù capii che il ragazzo l'aveva presa per dimostrargli di essere il<br />
più forte. Un gesto di prepotenza.<br />
«Per questo hai bisticciato con Droc. Ha portato via la spada di<br />
Ghilleadh.»<br />
«Ehm.»<br />
<strong>Il</strong> silenzio durò fino a quando non fummo quasi dentro il forte.<br />
Non appena tirai le redini, alzò lo sguardo su di me con aria di<br />
attesa. Rimasi seduto per un po' prima di parlare.<br />
«Artù, non giudicarmi un ficcanaso che si intromette nelle tue<br />
faccende personali. So che non mi riguardano...» Annuì e un solco gli<br />
comparve tra i sopraccigli. «Detto questo, ammetto di essere curioso.<br />
Prima hai fatto un accenno che mi induce a sospettare che qualcuno<br />
- un uomo - si sia immischiato nei tuoi affari. Credo che tu mi<br />
nasconda qualcosa.»<br />
Tacqui per lasciargli il tempo di dire quello che aveva in mente,<br />
ma Artù continuò a restare in silenzio, la bocca leggermente<br />
imbronciata, sebbene <strong>sul</strong> suo viso non apparissero altri segni di<br />
insofferenza. Traendo un profondo sospiro, completai quello che<br />
avevo da dire.<br />
«A volte ho l'impressione che tu e io siamo qualcosa di più che un<br />
maestro e un discepolo, più che semplici cugini, più che un uomo e<br />
un ragazzo. In tali momenti mi piace pensare che siamo amici nel<br />
vero senso della parola: due persone che condividono la mentalità e<br />
il temperamento, con gusti comuni e opinioni che si completano a<br />
vicenda, due persone che possono discutere apertamente senza<br />
acrimonia e senza sottintesi. La pensi anche tu così?»<br />
Mi disprezzavo per quel mio tentativo di manipolare il ragazzo
che mi fissava e annuiva. <strong>Il</strong> viso esprimeva chiaramente il bisogno di<br />
parlare del cruccio che lo assillava. Tossicchiò, si guardò intorno,<br />
levando rapidamente gli occhi <strong>sul</strong>la cima della torre davanti a noi e<br />
poi abbassandoli per scrutare la strada.<br />
«Sì» disse con voce che era appena un sussurro. «Vorrei dirti quello<br />
che è successo... ma non qui.»<br />
«No, naturalmente. Andremo nel mio alloggio. Ho del succo di<br />
mela fatto questa mattina nelle cucine e un po' di pane fresco.<br />
Raggiungimi non appena avrai tolto la sella e i finimenti al pony e lo<br />
avrai ripulito. Gli gioverà una bella strigliata.»<br />
Portai Germanico nella stalla, gli tolsi le bardature, lo ripulii con<br />
uno straccio ruvido, sebbene in quella breve uscita non si fosse<br />
coperto di sudore. Artù avrebbe faticato di più per togliere il fango<br />
dal suo pony, e sapevo che non avrebbe scansato quel suo compito,<br />
perché avevamo inculcato nei ragazzi la disciplina di accudire i<br />
propri animali. Al minimo indizio di trascuratezza seguiva la<br />
paventata punizione: il divieto di montare a cavallo per un periodo<br />
variabile da un giorno a una settimana. Non appena mi fui accertato<br />
che Germanico aveva da bere e da mangiare a sufficienza,<br />
lentamente mi avviai verso il mio alloggio, fischiettando una<br />
marcetta e chiedendomi che cosa avesse potuto turbare il ragazzo.<br />
Me lo chiedevo ancora, cercando di resistere alla tentazione di<br />
non correre con il pensiero a Tressa e al suo seno pieno, quando<br />
Artù bussò alla porta ed entrò. Era passata mezz'ora circa da quando<br />
ci eravamo salutati, ma subito capii dalla sua espressione che il<br />
cruccio non aveva cessato di tormentarlo. Accettò la tazza di succo<br />
di mela non fermentato e si abbandonò senza aprire bocca in una<br />
delle due poltrone accanto al caminetto di pietra ricavato nella<br />
lunga parete <strong>sul</strong> fondo della stanza. Osservandolo mentre mi<br />
riempivo di vino una coppa, notai che aveva la fronte aggrottata.<br />
Mi sedetti davanti a lui.<br />
Vicino al braciere stavano impilati trucioli secchi per attizzare il<br />
fuoco. La stanza era fresca, quasi buia; dalla finestra aperta<br />
entravano i raggi obliqui del sole di mezzogiorno. Mi levai per<br />
andare a prendere dall'unica lampada <strong>sul</strong>la scrivania un accenditoio e<br />
avviare il fuoco nel braciere. Non appena mi parve che avvampasse,
tornai <strong>sul</strong>la sedia e sedutomi allungai i piedi verso le fiamme. Artù<br />
sedeva fissando la brace.<br />
«Allora,» cominciai «che cosa ti ha indotto a lasciare i tuoi amici<br />
così presto oggi?»<br />
<strong>Il</strong> ragazzo si accigliò, poi volse su di me uno sguardo perplesso e<br />
ribelle. «Che cosa dà a Droc il diritto di credere di poter prendere la<br />
spada di Ghilleadh?»<br />
«La stazza, direi.» Mi accorsi subito, non appena uscirono dalla<br />
mia bocca, che le mie parole erano poco appropriate. Almeno non<br />
me le fossi fatte scappare! Non era quello né il momento né il luogo<br />
per facezie del genere. Con mia sorpresa Artù non reagì.<br />
«Non basta» disse. «La stazza gli permette di prendere la spada,<br />
ma cosa lo persuade a prenderla come suo diritto?»<br />
Sbatté le palpebre sorpreso e io fui attento a scegliere le parole.<br />
«Perdonami, Artù, non ti capisco. Che cosa vuoi sapere?»<br />
«Non lo so con precisione, ma so che la risposta è importante.<br />
Ghilly ha trovato una spada che stava in quel luogo da anni e anni.<br />
Chi la buttò è morto da moltissimo tempo, sicché apparteneva a<br />
Ghilly che l'aveva trovata. Poi Droc la vede e se la prende. Era<br />
vecchia, sporca, corrosa dalla ruggine, inutilizzabile. Ma Droc l'ha<br />
voluta e se l'è tenuta. Perché? Perché si è comportato così?»<br />
Mi strinsi nelle spalle, confuso. «Per la ragione cui ho accennato<br />
prima, probabilmente. Perché voleva e poteva.»<br />
«Ma perché?» Lo chiese quasi urlando, sopraffatto dalla<br />
frustrazione. «Droc possiede una spada, una vecchia arma che<br />
apparteneva a suo padre. Non gliene serve un'altra, non gli serve in<br />
particolare quella vecchia e inutile di Ghilly. Eppure l'ha presa perché<br />
convinto che era suo diritto impossessarsene. Non è giusto, Merlino.<br />
Nessuno ha il diritto di agire così. È ingiusto.»<br />
«Non capisco perché te la prenda tanto. Per tua stessa ammissione<br />
non è altro che un pezzo di metallo vecchio, brutto, arrugginito,<br />
privo di valore.»<br />
«Ghilly ci teneva! Era sua. L'aveva trovata lui.» La rabbia e lo<br />
sdegno nel suo sguardo acceso mi fecero esitare. Capii in quel
momento che quanto io, come uomo, accettavo perché mi<br />
sembrava naturale seppur deplorevole, era un oltraggio al senso di<br />
giustizia del ragazzo. Tossii per mascherare l'imbarazzo.<br />
«Che cosa ne ha fatto Droc della spada, una volta presa?»<br />
«Non lo so; se l'è portata via.»<br />
«Dopo che vi siete azzuffati?»<br />
«Sì.»<br />
«Perché hai deciso di venire alle mani con lui?»<br />
«Non è che l'abbia deciso. Mi sono trovato a picchiarlo prima di<br />
sapere ciò che facevo. Aveva assestato a Ghilly un colpo di piatto<br />
con la lama di quella vecchia spada. Ghilly si era messo a piangere.<br />
So solo che subito dopo mi sono trovato a terra e Droc mi dava<br />
calci.»<br />
«Lo hai colpito?»<br />
Un lieve sorriso gli fremette <strong>sul</strong>le labbra. «Credo di sì; gli<br />
sanguinava il naso.»<br />
«E gli altri? Bedwyr e Gwin? Ti hanno aiutato?»<br />
«Non potevano. Landroc li teneva lontano. Droc me le ha date di<br />
santa ragione. E poi se ne è andato con suo fratello ridendo. L'ha<br />
fatto perché aveva la forza di- farlo. Non credo che ci sia altro da<br />
capire.»<br />
«Cioè che è un prepotente?»<br />
L'occhiata che mi lanciò era di pura commiserazione. «Cioè che è<br />
il figlio del re.»<br />
Ero attonito; non volevo credere a quelle parole.<br />
«Che c'entra? Credi che Derek, il re, assolverebbe il<br />
comportamento di suo figlio in questo caso?»<br />
«C'entra con molte cose, Merlino. È cominciato la settimana<br />
scorsa.» Ignorando l'espressione che mi si era disegnata in faccia,<br />
parlò come se io fossi il discepolo e lui il maestro, e io rimasi ad<br />
ascoltarlo affascinato dal suo trasporto. «Una settimana fa, il giorno<br />
dopo l'arrivo dello zio Ambrogio, ho trovato qualcosa di molto più<br />
prezioso della vecchia spada di Ghilly. Ho trovato una spilla nel
osco, all'esterno delle mura di Ravenglass, una vecchia spilla grande<br />
con una pietra gialla nel mezzo. Era d'argento, diventato verde e<br />
nero con il tempo. Scioccamente l'ho mostrata a Kesler, che ha<br />
cercato di prendermela. Ce le siamo date.»<br />
Kesler era anche lui uno dei numerosi figli di Derek e aveva la<br />
stessa età di Artù ma era più piccolo di statura.<br />
«Ve le siete date. E poi?»<br />
«Un capitano di Derek è intervenuto a separarci e ha voluto<br />
sapere perché litigavamo.»<br />
«Chi era? Lo sai? Che cosa gli avete detto?»<br />
«Era Longino, l'addetto alle catapulte, e gli abbiamo raccontato la<br />
verità.»<br />
«E poi?»<br />
«Mi ha costretto a consegnare la spilla a Kesler, perché è il figlio<br />
del re e la spilla, trovata nelle terre del re, era sua.»<br />
«Che ne hai pensato?»<br />
Si concentrò nella risposta.<br />
«Mi sono arrabbiato in un primo momento, poi mi è passata... un<br />
po'.»<br />
«Come mai?»<br />
«Perché non credevo davvero che la spilla potesse essere mia.<br />
Non era mai stata mia, era appartenuta a un'altra persona. Qualcuno<br />
l'aveva perduta... tanto tempo fa. Era una cosa preziosa... lo si<br />
capiva anche se era sporca. La dimensione e il colore della pietra, il<br />
modo come era lavorata, la montatura... non era il tipo di gioiello<br />
che porta uno qualunque. Di sicuro era appartenuta a una persona<br />
di alto rango, qualcuno di Ravenglass, forse il re stesso o una<br />
persona della sua cerchia...»<br />
«Ma?»<br />
Contrasse il viso in una smorfia. «Ma se così fosse stato, Longino<br />
avrebbe dovuto consegnarla al re; non si sarebbe dovuto limitare a<br />
lasciarla al figlio del re. Non l'ho intuito subito, ma ci ho riflettuto<br />
dopo. Ho ragione?»
Non risposi immediatamente. «Ehm. Dunque Droc ha preso la<br />
spada. Capisco che tu ti ponga qualche domanda.»<br />
«Davvero?» <strong>Il</strong> viso gli si illuminò.<br />
«Certamente. L'ingiustizia di cui sei stato testimone oggi ha tirato<br />
fuori la rabbia che fin dalla precedente occasione cova dentro di te.»<br />
«No!» Fu quasi un grido, che rispecchiò il fulmineo cambiamento<br />
di espressione intervenuto <strong>sul</strong> suo viso mentre parlavo. Si controllò<br />
subito moderando il tono della voce. «No, è più complicato di così,<br />
Merlino. Non capisci? Droc viene a sapere la storia della spilla e<br />
quello che ne segue, e non appena vede la spada di Ghilly, decide lì<br />
per lì che è sua, di diritto, perché è stata trovata nelle terre di suo<br />
padre. Allora gonfia il petto, mostra i muscoli, la prende anche se<br />
per lui non ha valore. Ecco l'ingiustizia.»<br />
Era arrivato al nocciolo della questione. <strong>Il</strong> dilemma si profilava in<br />
modo netto. <strong>Il</strong> ragazzo si era opposto a un'ingiustizia che ai suoi<br />
occhi era chiaramente definita e ora se la doveva vedere con le<br />
astrazioni della giustizia e il difficile rapporto con la forza fisica, con i<br />
concetti intangibili e filosofici della forza e del potere, e<br />
dell'influenza che entrambi avevano <strong>sul</strong>la morale. Traendo un<br />
profondo sospiro, levai una mano per imporgli il silenzio mentre<br />
cercavo di dare un ordine ai miei pensieri caotici. Ecco un momento<br />
- lo capivo bene - cruciale del rapporto tra me, il tutore, e Artù, il<br />
pupillo, un momento che non potevo ignorare o posporre. Come<br />
dovevo comportarmi? Fissandomi con attenzione in attesa che<br />
parlassi, si appoggiò allo schienale della sedia, le braccia conserte <strong>sul</strong><br />
petto.<br />
«Ascolta» cominciai e subito tacqui sfregandomi un dito contro<br />
l'ispida peluria che mi cresceva <strong>sul</strong> mento. Senza tentare di farmi<br />
fretta, il ragazzo rimase a fissarmi. Lasciai cadere la mano che mi ero<br />
portato al viso e mi raddrizzai <strong>sul</strong>la sedia.<br />
«Artù, ci sono cose... aspetti della vita... che sembrano cambiare<br />
mano a mano che si cresce. Così accadde a me, accade a tutti. Credo<br />
che tu abbia avuto un'esperienza di questo tipo. Agli occhi di un<br />
ragazzo i colori sono facilmente identificabili: il nero è nero, il<br />
bianco è bianco.» Vedendo che una nube di incomprensione gli<br />
offuscava lo sguardo, mi affrettai a spiegarmi. «Quando si è ragazzi,
ecco quello che voglio dire, il buono è buono, il cattivo è cattivo, e<br />
non è difficile tracciare una netta linea divisoria e comportarsi di<br />
conseguenza. Credo per esempio che quasi tutti i ragazzi assegnino<br />
gli uomini adulti a tre categorie. Uomini che apprezzano, ammirano,<br />
cercano di imitare; sono contenti di stare con loro. Poi ci sono i<br />
mediocri, la massa degli anonimi, gli sconosciuti... a questi i ragazzi<br />
reagiscono con indifferenza, li ignorano perché sono insignificanti, e<br />
continuano a vivere come prima. <strong>Il</strong> terzo tipo è rappresentato dai<br />
prepotenti, dai misantropi, persone sgradevoli e odiose. Costoro i<br />
ragazzi sensati schivano e si premurano di sfuggire. Sei d'accordo?»<br />
Artù annuì lentamente e pensosamente.<br />
Riprendendo a parlare, mi accorsi che stavo usando un tono<br />
solenne.<br />
«Bene. La capacità di evitare gli individui di quest'ultimo tipo è<br />
una delle cose che cambiano nei ragazzi mano a mano che crescono.<br />
Finché sono piccoli, non si curano di scansarli, non ci badano. Li<br />
evitano forse, si nascondono, li rifuggono, ma da questa fuga non<br />
deriva loro alcun danno perché ci sono gli adulti a vegliare. Un<br />
grande vantaggio, anche se i ragazzi non se ne rendono conto. Ma<br />
quando crescono e diventano a loro volta adulti, le cose cambiano.<br />
Sono ancora gli stessi nel cuore, ma il loro corpo è quello di un<br />
uomo e sono da uomo i loro pensieri. Non è possibile fuggire senza<br />
mettere a repentaglio l'onore, una volta raggiunta la virilità. Mi<br />
capisci?»<br />
«Sì. Stai dicendo che un uomo deve resistere e combattere certi<br />
individui, se non vuole perdere l'onore.»<br />
«No, non proprio. Voglio dire che un uomo deve imparare a<br />
vivere con costoro, avere un certo grado di tolleranza per i loro<br />
difetti, adoperarsi per comportarsi con rispetto e onore malgrado<br />
questi individui. Non occorre che li combatta sempre, anzi non può<br />
farlo.»<br />
«Perché no?»<br />
«Perché... perché ce ne sono troppi, se vuoi sapere la verità.»<br />
«Troppi? Vuoi dire che esistono più uomini così che uomini<br />
onesti?»
Era quello che intendevo dire? Dovevo fare attenzione a come<br />
rispondere.<br />
«No, Artù. Non intendevo questo. Mi induci a pensare a fondo<br />
<strong>sul</strong> significato delle mie parole e mi è difficile essere preciso. Lasciami<br />
riflettere per un po'.» Rimase a guardarmi finché non fui pronto a<br />
riprendere la parola.<br />
«La realtà è che i mediocri, la massa degli uomini cui ho<br />
accennato, sono indolenti quando il nocciolo si riduce a una<br />
questione di onore e disonore. Preferiscono la vita tranquilla, senza<br />
complicazioni; non hanno voglia di pensare a cose di cui non<br />
capirebbero il significato. Non che siano privi del senso dell'onore,<br />
capisci? Vuol dire solo che sono...»<br />
«... deboli.» Quell'unica parola, che rivelava la profondità di<br />
pensiero del ragazzo, mi lasciò attonito. Sbattei le palpebre e<br />
tossicchiai per nascondere la sorpresa, ma non vedevo ragione per<br />
criticare l'adeguatezza della parola da lui scelta.<br />
«Deboli... sì. Credo che sia l'aggettivo più adatto a qualificarli. Gli<br />
uomini sono nella gran massa deboli, contenti di lasciare la loro<br />
sorte nelle mani di altri più risoluti.»<br />
«Più forti, buoni e cattivi.»<br />
«Sì. Ricordi qual è stato il punto di partenza di questa discussione?<br />
Tu vedi le cose con i tuoi occhi, gli occhi di un ragazzo, in termini di<br />
bianco e nero, mentre nel mondo, il mondo nel quale dobbiamo<br />
vivere, è raro poter distinguere con chiarezza questi colori. <strong>Il</strong> tuo<br />
pony, Primo, è bellissimo; il suo mantello è pezzato: chiazze bianche<br />
e chiazze nere. Secondo te, è un cavallo nero con macchie bianche, o<br />
un cavallo bianco con macchie nere?»<br />
Sorrise. «Ci ho pensato spesso, ma non sono mai riuscito a<br />
stabilirlo. Che ne pensi tu?»<br />
«Non mi serve pensare, lo so già. Non è né l'uno né l'altro. È un<br />
cavallo bianco e nero, raro e pregiato. Pochi sono gli esemplari in<br />
natura con simili colori. Pochi uccelli, una razza di bovini, alcuni<br />
maiali, pochissimi pony. Spesso i colori sono mescolati, e questo ci<br />
riporta al punto dove eravamo... uomini e ragazzi. <strong>Il</strong> nero misto al<br />
bianco dà il grigio. <strong>Il</strong> nero e il bianco, nel senso di un'assoluta
malvagità e di un'assoluta bontà negli uomini, di un loro essere<br />
angeli o diavoli, non sono spesso in questo mondo. In vita mia ho<br />
incontrato un solo uomo che considero autenticamente buono, e<br />
solo due che giudico autenticamente malvagi.»<br />
«Credo che nella maggioranza gli uomini siano stupidi.»<br />
«Cosa?»<br />
«Ho detto che devono essere stupidi... gli uomini in generale...<br />
pecore. È stupido lasciare che siano gli altri a governare la nostra vita<br />
solo perché non abbiamo la volontà o il desiderio di pensare e<br />
decidere. Sono così anche le donne?»<br />
«Le donne?» Scoppiai a ridere. «Certamente. Come ti viene in<br />
mente di chiedermi una cosa simile? Le donne, da questo punto di<br />
vista, non sono diverse dagli uomini. Si comportano<br />
fondamentalmente nello stesso modo. Le donne sanno essere deboli<br />
e forti come gli uomini, altrettanto generose o malvagie, generose e<br />
buone o crudeli, meschine, perfide. In generale desiderano condurre<br />
una vita semplice, non oppressa dalla necessità di prendere decisioni<br />
su temi che conoscono poco. Crescendo imparerai molte cose <strong>sul</strong>le<br />
donne e vedrai come per tanti versi sono uguali agli uomini.<br />
Troverai che ci sono donne la cui compagnia e amicizia sono più<br />
piacevoli di quella degli uomini.»<br />
«Ehm.» <strong>Il</strong> ragazzo preferiva non esprimere un giudizio per il<br />
momento su tale argomento. Aveva la fronte corrugata, lo sguardo<br />
concentrato.<br />
«Secondo te, allora, gli uomini preferiscono che venga loro detto<br />
che cosa fare. È così?»<br />
Mi strinsi nelle spalle. «Mettila pure così. Personalmente andrei<br />
più in là: la maggior parte degli uomini preferisce che si dica loro che<br />
cosa fare nella maggioranza dei casi.»<br />
<strong>Il</strong> solco <strong>sul</strong>la fronte si accentuò. «Perché?» Non tentò di<br />
contraddire la mia affermazione; ne accettò la verità nella forma in<br />
cui l'avevo espressa. Sospirai a fondo.<br />
«Non lo so, Artù, ma così vanno le cose del mondo. C'è sempre<br />
chi comanda e non manca un nutrito corteo di gregari. Gli uomini<br />
costruiscono le società - imperi, regni, città grandi e piccole - e
dappertutto, invariabilmente, numerosi sono i gregari, e pochi sono i<br />
capi. Anche i piccoli gruppi di amici hanno un capo.»<br />
«Me.»<br />
«Quando lasciate i pony liberi di brucare in un campo, che<br />
succede? Si disperdono?»<br />
Si raddrizzò <strong>sul</strong>la sedia. «No, rimangono insieme.»<br />
«E?»<br />
«Seguono Primo. È il capo.»<br />
Annuii. «Così avviene tra le bestie. La mandria segue il toro più<br />
forte, il cervo dominante conduce il branco; il montone guida il<br />
gregge.»<br />
«Dominante. I più forti dominano dappertutto.»<br />
«Tra gli animali sì, è vero: il più forte domina per diritto di<br />
conquista e conserva il primato con la forza e la capacità di<br />
combattere. Ma gli uomini sono diversi. Hanno la ragione, sanno<br />
unire la forza con l'intelligenza e la capacità di pensare al bene<br />
comune. Così costituiscono gli stati, che altro non sono che sistemi di<br />
comportamento regolati da norme formali che chiamiamo leggi.»<br />
Osservavo, mentre parlavo, il mutevole succedersi delle espressioni<br />
<strong>sul</strong> viso del ragazzo, riflesso dei pensieri che gli passavano per la<br />
mente. Contrastavo dentro di me la tentazione di continuare per<br />
paura di dire troppo, e mi imponevo di aspettare la sua replica.<br />
Quando parlò, disse quello che più o meno mi ero aspettato.<br />
«Chi all'inizio stabilisce le norme?» Rispose lui stesso prima che<br />
potessi farlo io. «I capi...» Scosse la testa. «Ma se non vogliono farlo?<br />
Se non emanano leggi, ma usano la forza e la paura che la forza<br />
incute? Oppure se sfruttano le leggi per perseguire i propri fini? Che<br />
succede allora, Merlino?»<br />
«Allora, Artù, si tratta di una società crudele, nella quale non<br />
esistono vere leggi e gli uomini non sono che schiavi alla mercé dei<br />
capi che si circondano di gente malvagia e spietata, attratta dalla<br />
promessa di ricevere l'anarchia quale ricompensa.»<br />
«Anarchia?» Conosceva quella parola, lo sapevo, perché<br />
l'avevamo discussa precedentemente in quello stesso mese. «Anarchia
significa la mancanza di un'autorità, così ci hai spiegato la scorsa<br />
settimana.»<br />
«Sì. Poniti questa domanda. Se l'uomo dominante in una<br />
comunità è un brigante, un fuorilegge, che cerca sfrenatamente la<br />
propria convenienza, che cosa se non l'anarchia può esistere in<br />
quella comunità? E questo ci riporta al punto di partenza. Ti ricordi<br />
qual è?»<br />
«Sì.» Non c'era la minima esitazione nella sua voce. «<strong>Il</strong> passaggio<br />
dall'adolescenza alla maturità. Un uomo che ha il senso dell'onore<br />
non può fuggire a nascondersi quando si trova davanti al nemico.»<br />
«Bravo! Hai capito quello che ho detto.»<br />
«Comincio a capire, Merlino. Gli uomini che hanno il senso<br />
dell'onore devono unire intelligenza e capacità per debellare chi<br />
calpesta gli altri, i più deboli.»<br />
«Sì, questo è il loro dovere, ma la verità va ancora più in là, Artù.<br />
Gli uomini che ritengono di avere il senso dell'onore devono<br />
continuamente cercare di migliorare loro stessi, il loro modo di<br />
vivere, e di estendere tali miglioramenti a beneficio del prossimo.<br />
Sono loro che fondano e costruiscono le società.»<br />
«Ti riferisci al bisnonno Varro e Caio Britannico?»<br />
«Sì, mi riferisco a loro e a quanti li aiutarono a edificare la Colonia<br />
a Camelot.»<br />
«Camelot è una democrazia, vero?»<br />
«Nel senso greco, per indicare una comunità governata dal<br />
popolo? No, non direi che lo è in questo senso. Ma a Camelot la<br />
gente ha la libertà di vivere senza il giogo della paura. Sanno che<br />
nessuno li priverà dei loro beni per un capriccio passeggero. Sanno<br />
che i familiari, mogli, mariti, figli, possono muoversi senza pericolo;<br />
sanno che nessuno li costringerà a commettere azioni inique o<br />
malvagie. Non c'è un re a Camelot, nessuno la cui volontà sia<br />
illimitata e dominante: a questo provvede il Consiglio. Credo che in<br />
tal senso si possa affermare che Camelot è una democrazia.»<br />
«Non come qui. Questo è un regno.»<br />
Sorrisi. «Vero, ma non un cattivo regno.»
«Ha un re.»<br />
Qualcosa nella sua voce mi fece aggrottare la fronte. «Che<br />
intendi? Pensi che Derek di Ravenglass sia un uomo ingiusto, un<br />
cattivo re?»<br />
«No.» Lo disse con tono risentito. «Ma a Camelot nessuno mi<br />
avrebbe portato via la spilla che avevo trovato o preso la spada di<br />
Ghilly.»<br />
«Neppure Derek, Artù. Non ti ha portato via la spilla.»<br />
«No, ma mi è stata portata via in suo nome, in nome delle sue<br />
leggi, in modo ingiusto.»<br />
«Perché fu data a Kesler? Forse hai ragione, ma non fu colpa di<br />
Derek. Che cos'hai? Sbaglio?»<br />
<strong>Il</strong> viso di Artù aveva assunto un'espressione caparbia. Dopo essere<br />
rimasto a fissarmi per un po', prese a parlare con quel tono formale<br />
e quella sconcertante maturità che avevo già avuto modo di notare<br />
nelle rare occasioni in cui si sentiva sufficientemente forte da<br />
contrapporre alle mie le sue opinioni e scelte e decideva quindi di<br />
esporle e subire le eventuali conseguenze.<br />
«Uno di noi due sbaglia, comandante. Gli insegnamenti di logica<br />
che mi avete impartito tu e mastro Lucano mi dicono che uno di noi<br />
sbaglia, sbaglia gravemente, nel recepire quelli che sono i principali<br />
articoli di fede.»<br />
Lo fissavo cercando di mantenere un'espressione neutrale in attesa<br />
che completasse le cose che aveva da dire.<br />
«Mi sembra che se qualcuno, specie se si tratta di un ufficiale o di<br />
un funzionario di grado elevato, prende una decisione o dirime una<br />
disputa, e lo fa in nome del re, deve agire nella ferma convinzione<br />
che il re stesso approverà quella decisione e sarà pronto a ratificarla.<br />
Ne consegue quale logico ri<strong>sul</strong>tato che la responsabilità ultima è<br />
del re perché autorizza che si parli e si agisca in suo nome. Se così<br />
non fa, se ignora tale evenienza oppure ne è indifferente, allora è un<br />
abuso invocare il suo nome e la sua autorità, e il re è re solo di<br />
nome. Gli è stata sottratta l'autorità.»<br />
Fui costretto a sorridere, ammirato dall'intelligenza del ragazzo e
felice, ma cercai ancora una volta di difendere entrambi. «Anche se<br />
l'azione è stata compiuta senza malevolenza nella convinzione di<br />
tutelare al meglio gli interessi del re? Longino è un suddito leale di<br />
Derek.»<br />
«Sì, tanto più in un caso come questo nel quale il suddito ha<br />
dimostrato massima arroganza e impertinenza osando pensare per il<br />
re e parlare in nome suo.»<br />
L'impatto delle parole di Artù fu così forte che, balzando in piedi,<br />
mi avvicinai rapido al caminetto e qui accucciandomi e volgendogli<br />
la schiena, mi premurai di accatastare legna e alimentare le fiamme<br />
senza che ve ne fosse bisogno. Che ragazzo era e che intelligenza!<br />
Che uomo sarebbe diventato! Dovetti inghiottire più volte per<br />
dissolvere il groppo di commozione che mi si era formato in gola,<br />
mentre cercavo di reprimere gli intensi sentimenti che mi riempivano<br />
il petto: orgoglio, amore, ammirazione, consapevolezza timorosa di<br />
un'intelligenza più acuta della mia. Sentivo le lacrime salirmi agli<br />
occhi e mi dissi che erano causa del forte calore delle fiamme. Poi mi<br />
ricordai che il ragazzo era ancora lì, seduto in silenzio, forse<br />
timoroso. Traendo un profondo sospiro, mi levai lentamente,<br />
voltandomi verso di lui. Mi fissava, gli occhi spalancati e inquieti.<br />
«Sono stato avventato. Io...»<br />
«No, non lo sei stato. Hai ragione in tutto e per tutto; sono io che<br />
ho sbagliato.» Mi avvicinai di un passo, le mani strette dietro la<br />
schiena e lo guardai. «Soltanto una cosa di quelle che hai detto mi<br />
preoccupa. Sai di che si tratta?»<br />
«No.» La voce era acuta.<br />
«<strong>Il</strong> tuo giudizio condanna Derek tacciandolo di debolezza. Ne sei<br />
convinto?»<br />
Distolse lo sguardo e lo fissò <strong>sul</strong>le fiamme; quando riprese a<br />
parlare, la voce era pacata. «Non credo che Derek sia debole. La sua<br />
gente, la gente comune, lo ama; i suoi figli non lo temono. Ma il re<br />
deve essere al di sopra di ogni altro. Se permette, seppure<br />
ignorandolo, che in suo nome si commettano dei soprusi, manifesta<br />
una debolezza che mina la sua autorità, la indebolisce e di<br />
conseguenza espone al rischio la sicurezza e l'incolumità del suo
popolo. Se di questo se ne accorge un ragazzo come me, se ne<br />
accorgerà chiunque si prenda la briga di osservare.»<br />
Tornai a sedermi sospirando e, presa la coppa di vino, bevvi fino<br />
in fondo. «La debolezza si presenta in molte guise, Artù, ma temo<br />
che tu abbia ragione. Prego che nessuno abbia la tua capacità di<br />
giudizio. L'autorità di Derek non conosce ancora oppositori ed è<br />
benvoluta. Speriamo che così sia a lungo.»<br />
Artù sorrise con espressione fanciullesca. «In quanto uomo con il<br />
senso dell'onore, è tuo dovere, comandante Merlino, adoperarti a<br />
che nulla cambi.»<br />
«Sì, c'è voluto un bambino per farmelo capire e di questo non ti<br />
ringrazio. Bene, abbiamo finito o hai ancora qualche prezioso<br />
insegnamento da impartirmi?»<br />
Sorrideva ancora. «No, abbiamo finito. Grazie per avermi<br />
ascoltato, Merlino.»<br />
«Non mi hai quasi lasciato aprire bocca: che altro potevo fare?<br />
Che cosa passa in quella tua possente mente?»<br />
«Merlino, sarò mai un capo?»<br />
«Lo sai bene che sarà così. Comanderai sugli uomini di Camelot e<br />
di Cambria, il regno di tuo padre. Perché me lo chiedi?»<br />
«Perché voglio decidere come garantirmi che nessuno si arroghi il<br />
diritto di usare il mio nome e di invocare la mia autorità ai propri<br />
fini senza che io ne sia al corrente. Sarà difficile.»<br />
«Sì, molto difficile.»<br />
«Se sarò un capo a Camelot e un re in Cambria, lo sarò di fatto<br />
non solo di nome. Emanerò leggi e ne esigerò l'osservanza; il mio<br />
popolo dovrà vivere senza paura, così come oggi a Camelot.»<br />
Mi trovai a sorridere quando finì di parlare. «Credo che ci<br />
riuscirai, Artù, a condizione che ti circondi di uomini di valore. Ti<br />
riprometti anche che vivano nella fiducia della giustizia?»<br />
«Certamente.» Non c'era traccia di sorriso <strong>sul</strong> suo viso in quel<br />
momento.<br />
«Ottimo! Magnifico! Spero di poter essere lì ad aiutarti. Andiamo
adesso a mangiare. <strong>Il</strong> vino mi ha messo fame.»<br />
Mentre mangiavamo, mi fu difficile concentrarmi su altre cose che<br />
non fossero gli argomenti dibattuti con Artù, e verso la fine del<br />
pranzo mi accorsi che intorno a me tutti avevano accettato il mio<br />
silenzio e deciso di lasciarmi riflettere in pace. Neppure la<br />
consapevolezza di essere scontroso e scostante riuscì a distogliermi<br />
dai miei pensieri. Mi trovai così a comporre mentalmente una lettera<br />
al vescovo Germano in Gallia per chiedere il suo appoggio nel<br />
compito di educare il giovane Artù.<br />
Ricordo chiaramente che, all'inizio, prima di decidere di stendere<br />
la lettera, ero quasi arrivato a convincermi che sarebbe stato<br />
pericoloso e avventato mettere per iscritto quello che intendevo dire<br />
a Germano, perché la semplice scrittura avrebbe potuto dare a occhi<br />
diversi dai suoi, occhi nemici, l'occasione di identificare il ragazzo e,<br />
ancora più rischioso, di rintracciarlo. Nell'arco di pochi momenti<br />
tuttavia l'avvedutezza e il senso di realtà mi persuasero che l'istinto<br />
mi aveva suggerito la giusta decisione e che dovevo scrivergli. In<br />
primo luogo avrei usato il latino: erano ormai passati cinquantanni<br />
da quando i Romani se ne erano andati dalla Britannia e<br />
rimanevano pochi nelle nostre terre che parlavano la lingua dei<br />
conquistatori, tanto meno la leggevano e la scrivevano. Un testo era<br />
non solo indecifrabile alla gente analfabeta, ma inintelligibile. Le<br />
lingue celtiche, che pure avevano forma scritta nell'Eire, erano orali<br />
in Britannia. Da noi, dove il latino era stato la lingua dominante,<br />
uno su diecimila sapeva leggerlo e scriverlo, ma forse era una<br />
percentuale troppo bassa. C'era a Camelot una scuola dove i ragazzi<br />
migliori imparavano a leggere e a scrivere il latino, una scuola retta<br />
dagli anacoreti di Glastonbury, e non ero a conoscenza dell'esistenza<br />
di un'altra uguale in Britannia.<br />
Proprio l'idea che per molti sarebbe stato inconcepibile scrivere,<br />
alla fine mi convinse a farlo. La lettera sarebbe stata affidata a un<br />
prete itinerante che senza suscitare curiosità o attrarre l'attenzione<br />
avrebbe percorso il suo tragitto e se la sarebbe portata con sé:<br />
pacchetto insignificante <strong>sul</strong> fondo della sua bisaccia. I banditi non<br />
molestavano i viandanti squattrinati; non ci badavano neppure i<br />
signori della guerra e i loro lacchè. Veniva derubato solo chi dava<br />
mostra di essere ricco e quindi una preda da inseguire e catturare; in
ogni caso che valore avrebbe attribuito un analfabeta a un foglio<br />
pieno di scarabocchi? Peter Ironhair sapeva leggere, di questo ero<br />
certo e sicuramente avrebbe gradito venire in possesso della mia<br />
lettera, ma minime erano le probabilità che il nostro prete itinerante,<br />
prima della traversata alla volta della Gallia, venisse a contatto con<br />
qualcuno che conosceva Ironhair. Perfino in un'evenienza del<br />
genere, era quasi inconcepibile che la lettera potesse capitare nelle<br />
mani di chi non solo sapeva leggere ma capiva anche l'importanza<br />
che quel messaggio avrebbe avuto per Ironhair in Cornovaglia. Era<br />
questa possibilità l'unica mia paura. Ironhair, l'unica persona che<br />
avesse attentato alla vita del mio pupillo, era quasi riuscito nel suo<br />
intento, minando la fiducia che avevo nei miei amici e compagni a<br />
Camelot, perché tutti i dettami della logica dicevano che non<br />
sarebbe arrivato così vicino alla meta se non avesse avuto l'aiuto di<br />
qualcuno all'interno della Colonia, qualcuno che conosceva bene e<br />
da vicino la mia famiglia. Dopo avere passato in rassegna tutte<br />
queste considerazioni con rigore e metodo, mi resi conto che si<br />
trattava di paure in gran parte immaginarie. Le probabilità erano<br />
dalla mia parte.<br />
La lettera sarebbe finita in mani sicure, mi dissi, e quindi potevo<br />
comporla con chiara coscienza.<br />
Germanus Pontifex - Auxerre, Gallia<br />
Da Caio Merlino Britannico<br />
Salute a te, amico negletto, a lungo sono rimasto seduto a fissare<br />
la facciata immacolata di questo foglio di papiro, penosamente<br />
consapevole che è passato molto tempo da quando per l'ultima<br />
volta presi lo stilo in mano per rivolgermi a te. Sembra che ormai il<br />
compito di tenere il diario sia l'unica cosa per la quale trovo, spesso<br />
a fatica, il tempo.<br />
Da mesi intendo scriverti. Due ragioni mi spingono: chiedere il<br />
tuo consiglio su un tema che mi sta a cuore e aggiornarti su quanto è<br />
accaduto in Britannia, e nella nostra Colonia di Camelot, da quando<br />
te ne diedi notizia l'ultima volta. Ora che mi accingo a questo<br />
compito mi sembra impossibile racchiudere in un'unica missiva tutto<br />
ciò che desidero dire.
Ci sono stati di recente grandi sconvolgimenti nella nostra terra,<br />
come di sicuro saprai. Nella tua ultima lettera esprimevi la speranza<br />
che non fossimo stati coinvolti nelle guerre in corso nella Cambria, il<br />
regno che apparteneva a mio cugino Uther. Quel conflitto invero<br />
non ci toccò quasi e da tempo si è pacificato. Ma ne derivarono<br />
brutte complicazioni e un clima politico pericoloso che mise a<br />
repentaglio la vita del giovane Artù Pendragon. Fare di lui un uomo<br />
è oggi il mio maggior impegno.<br />
Come sai, il ragazzo è il figlio di mio cugino Uther Pendragon che<br />
morì nove anni fa, all'epoca in cui nacque il bambino. Ora Artù è<br />
l'erede legittimo al trono di Cambria, il regno di suo padre. E anche<br />
erede della Cornovaglia per via di madre, sebbene la questione sia<br />
irta di difficoltà: Gulrhys hot, il precedente duca autoproclamatosi<br />
re, padre apparente del ragazzo e ignaro dell'identità del padre vero,<br />
lo riconobbe ufficialmente come erede legittimo. Ho in mio possesso<br />
il sigillo personale di hot e lo custodisco per conto del ragazzo. Con<br />
maggiore legittimità, ancora dal ramo materno, il ragazzo è anche<br />
erede del regno e dei beni di suo nonno, Athol Mac lain, re del<br />
popolo dell'Ibernia: gli Scoti nella lingua dei Romani e i Gaeli nella<br />
loro lingua. È inoltre bisnipote di Publio Varro e bis-bisnipote di<br />
Caio Britannico, e pertanto successore nelle principali proprietà di<br />
Camelot.<br />
Per tutte queste ragioni, per proteggere il ragazzo dalle sfrenate<br />
ambizioni di chi ha già tentato di ucciderlo, l'ho portato via da<br />
Camelot e condotto in questa località, nel nord-ovest della<br />
Britannia, in una regione montuosa che si chiama Cumbria, vicino<br />
all'estremità occidentale del grande vallo costruito dall'imperatore<br />
Adriano per difendere la provincia dai Pitti, il popolo che si<br />
dipingeva il corpo e veniva da settentrione, dai territori della<br />
Caledonia.<br />
Arrivando qui, mi adoperai per scomparire alla vista degli uomini.<br />
Davanti a tutti lasciai, insieme ad Artù, il rifugio di Ravenglass<br />
imbarcandomi alla volta dell'Eire. Nessuno, soltanto la mia gente e<br />
pochi amici fidati sapevano che il capitano della nave, Connor Mac<br />
Athol, era fratello della madre di Artù, morta. Ci sbarcò a poche<br />
miglia a nord di Ravenglass, dove alcuni amici ci aspettavano con i<br />
cavalli. Da lì segretamente raggiungemmo il nostro insediamento tra
i monti. Successivamente mi sono cambiato il colore dei capelli, mi<br />
sono lasciato crescere una barba folta alla maniera dei Celti, ho<br />
cambiato il nome, e da Caio Merlino britannico sono diventato<br />
mastro Cay, un agricoltore. Un altro del gruppo, un brav'uomo di<br />
nome Hector, che era stato consigliere a Camelot, ha assunto in via<br />
ufficiale il governo della nostra nuova patria. E qui siamo rimasti.<br />
Pochi giorni fa, inoltre, per rafforzare la convinzione che io non<br />
sono Merlino, mio fratello Ambrogio, che come sai mi assomiglia<br />
come una goccia d'acqua, è arrivato a Ravenglass su una nave di<br />
Connor e si fa passare per me. Tutti hanno creduto che fosse<br />
Merlino di Camelot.<br />
Gli sono andato incontro e grazie ai capelli di diverso colore e al<br />
mutato aspetto fisico nessuno ha notato la somiglianza tra noi.<br />
Ambrogio ha assunto il comando delle nostre forze a Camelot e<br />
la piena responsabilità dell'amministrazione della Colonia, lo<br />
incontrai per la prima volta in occasione, come ricorderai, del<br />
grande dibattito che portò te e me a Verulamium. Poco dopo<br />
cambiò luogo e modo di vivere, e da Lindum, dove era capitano di<br />
Vortigern, venne a Camelot. In questo momento è da noi in visita<br />
ma presto tornerà nella Colonia portando con sé questa lettera, la<br />
consegnerà a un vescovo itinerante di passaggio, che provvederà a<br />
fartela pervenire.<br />
Quanti lo hanno visto sanno che in primavera Merlino di<br />
Camelot trascorse qui parecchi giorni e che prima della fine del mese<br />
prese di nuovo il mare su una galea irlandese. Sapranno anche e così<br />
verrà riferito a chi chiede notizie, che non era accompagnato da un<br />
ragazzo né nel viaggio di andata né in quello di ritorno.<br />
Nessuno che sia alla ricerca di Artù penserà di cercarlo presso un<br />
contadino quale sono io adesso. È quindi al sicuro per l'immediato<br />
futuro, e ho grandi speranze che la sua educazione possa proseguire<br />
senza interruzioni.<br />
Proprio l'educazione di Artù e la sua portata mi danno profondo<br />
cruccio. Ecco perché mi rivolgo a te per aiuto e guida.<br />
Sono molto orgoglioso e sempre più compiaciuto dei progressi e<br />
della capacità del mio giovane pupillo. Sono fermamente convinto
che un giorno si troverà ad affrontare un destino ben più grande di<br />
quello in serbo per molti ragazzi e uomini, la mia mente e la mia<br />
anima e<strong>sul</strong>tano davanti ai suoi progressi. Appena poche ore fa mi ha<br />
dato prova della sua straordinaria abilità e capacità intellettuale. Ciò<br />
ha rafforzato in me la decisione di istruirlo adeguatamente per<br />
quanto sta in mio potere, di dargli tutti gli strumenti necessari al<br />
compito che lo aspetta. Conosce già molte delle cose che gli saranno<br />
utili; ininterrotta è l'opera di educazione, cui ci dedichiamo io e i<br />
miei buoni amici.<br />
In breve, ha solide basi di filosofia, logica, retorica, dialettica; con<br />
gli stessi criteri gli abbiamo insegnato la matematica, l'ingegneria e<br />
l'arte militare, la disciplina, la tattica, la strategia non sono mera<br />
teoria e astrazione, ma esperienze reali. Malgrado gli ottimi ri<strong>sul</strong>tati<br />
conseguiti, nutro grandi dubbi circa la mia capacità di istruirlo in un<br />
particolare campo. Perché questo ragazzo diventi l'uomo che sono<br />
convinto diventerà, dovrà ricevere - è mia profonda convinzione -<br />
insegnamenti illuminati e attenti <strong>sul</strong>l'essenza del cristianesimo e non<br />
limitarsi a conoscerne i principi fondamentali. Questi già li possiede;<br />
deve ora maturare una concezione cristiana della vita sotto tutti gli<br />
aspetti. Sono conoscenze che comportano l'apprendimento della<br />
filosofia e della morale cristiane, io non sono all'altezza di impartirgli<br />
questo insegnamento. Sono quello di sempre: un uomo che dubita<br />
quando gli viene proposta l'interpretazione, elaborata da altri, della<br />
volontà di Dio. Artù ha bisogno di maggiori conoscenze in questo<br />
campo, di sapere di più, più a fondo e in modo più illuminato.<br />
Nessuno di noi è in grado di dargliele, la forza della fede di<br />
Ambrogio e la sua devozione lo renderebbero un meraviglioso<br />
maestro, ma il suo posto è a Camelot. Sono convinto che il ragazzo<br />
trarrà beneficio dagli strumenti che ci consiglierai di usare per<br />
istruirlo: testo, lettera, trattato, dissertazione filosofica. Se tu potessi<br />
inviargli questo materiale, ne intraprenderei io stesso lo studio in<br />
vista di diventare per lui un orecchio comprensivo e attento nel<br />
quale potrà riversare le sue riflessioni. Ritengo questo obiettivo<br />
fondamentale alla formazione del mio pupillo. Tra poco sarò tenuto<br />
a rientrare nel mondo insieme a lui. Quando verrà il momento,<br />
dovrà avere sufficienti strumenti per riconoscere quel mondo per<br />
come è. Dovrà capire, da guerriero cristiano, che la bontà, la forza,
l'ordine esistono per controbattere il male, la debolezza, il caos<br />
anche nella nostra piccola Britannia. Ti sarò grato per la<br />
considerazione che darai al mio dilemma. Confido che la mia lettera<br />
ti trovi in buona salute e che i doveri della tua vocazione ti lascino,<br />
di tanto in tanto, il tempo per viaggiare. Assaporo il piacere della<br />
tua risposta.<br />
Merlino Britannico.
XI.<br />
Alla vigilia della partenza di Ambrogio e Ludmilla, l'alba portò<br />
una brutale grandinata mista a neve e pioggia, con folate irregolari e<br />
violente di tale intensità che per tutta la mattina caddero alberi e<br />
rami, mettendo in pericolo gli uomini che lavoravano nel bosco. Per<br />
paura che qualcuno potesse essere ferito, Hector diede ordine di<br />
interrompere ogni attività all'aperto, e di conseguenza tutti si<br />
diedero a sbrigare le piccole faccende trascurate che si potevano<br />
svolgere al riparo nelle case.<br />
Di tutti i luoghi del forte il più gradevole e accogliente erano le<br />
terme, e lì ci recammo in buon numero sicché verso la metà del<br />
pomeriggio vi era convenuta una folla di gente e vi risuonavano le<br />
voci acute e felici dei ragazzi che di regola non avevano accesso alla<br />
vasca, ma quel giorno ebbero il privilegio di poter giocare nella<br />
grande piscina di acqua tiepida.<br />
Quando mi avviai al calidarium, superando la zona dei bagni,<br />
scoprii che molti avevano avuto la stessa idea ed erano arrivati<br />
prima di me. Guardandomi intorno nella penombra, mentre le nubi<br />
di vapore si diradavano o infittivano, riconobbi molti amici.<br />
Individuai subito Lucano. Teneva gli occhi chiusi e la testa<br />
appoggiata all'indietro contro la parete; il sudore lo irrorava<br />
scorrendogli dal viso e dal corpo; i capelli radi erano appiccicati al<br />
cranio. Alla sua destra sedeva Hector, che mi sorrise e fece un cenno<br />
della testa, e alla sinistra stava Dedalo, accovacciato, con la testa in<br />
avanti mentre il sudore gli gocciolava dal mento e dalla punta del<br />
naso. Scorsi Rufio, Mark, Ambrogio. Mentre sentivo il calore<br />
avvolgermi e la pelle cominciava a pizzicarmi per il sudore, mi<br />
appoggiai alla parete assaporando il piacere delle piastrelle fresche<br />
contro le spalle. Inspirai profondamente l'aria umida e calda. Le<br />
spirali di vapore si agitarono annunciando che qualcuno aveva<br />
aperto la porta esterna. Nel biancore incerto delle volute intravidi la<br />
sagoma di Ambrogio. Mi guardava con occhi divertiti.<br />
«Ti ho svegliato? Che razza di uomo sei ad addormentarti a metà
pomeriggio? Dobbiamo lavorare noi due; voglio che tu sia ben<br />
sveglio.»<br />
«Lavorare?»<br />
L'espressione <strong>sul</strong> suo viso si fece seria. «La copia della spada.<br />
Voglio discuterne ancora una volta con te e Joseph per accertarci di<br />
non avere trascurato alcun particolare. Gli ho parlato circa un'ora fa.<br />
Ha lavorato ai disegni e adesso sono pronti. Mi ha detto di avere<br />
passato quattro giorni e due notti nella fucina. Ora insiste perché ci<br />
incontriamo tutti e tre un'ultima volta per mettere a punto ogni<br />
dettaglio. Ha ragione. Abbiamo affidato in buone mani la<br />
realizzazione del progetto, ma la responsabilità ultima sarà di Carol.<br />
Sarebbe stolto da parte nostra, perfino iniquo, non assicurarci di<br />
avere perfezionato e discusso ogni particolare. Ci accingiamo a un<br />
compito di grande impegno. Ecco perché sono qui: dobbiamo<br />
vedere Joseph.»<br />
Mandammo uno dei ragazzi ad avvertirlo di raggiungerci nel mio<br />
alloggio nel tardo pomeriggio; avremmo potuto lavorare, data la<br />
scorta di candele che avevo a disposizione. Ne erano accese una<br />
dozzina quando il fabbro entrò reggendo due fagotti voluminosi e<br />
imprecando contro il tempo da sotto il mantello che lo avvolgeva.<br />
«Maledizione!» sbottò non appena la porta si fu chiusa alle sue<br />
spalle. «Pensavo che l'inverno fosse finito.»<br />
«Anche noi. Vieni a scaldarti vicino al fuoco.»<br />
Mentre batteva i piedi e si toglieva il mantello, Ambrogio lo<br />
sollevò dell'ingombrante fardello; nel frattempo io preparai un<br />
bricco di quel vino caldo e mielato che chiamiamo "dolci fiamme".<br />
Joseph si era portato dietro due pacchi stringendoli<br />
protettivamente sotto il mantello perché non si bagnassero: uno<br />
lungo, avvolto nella stoffa, contenente stanghe di ferro, a giudicare<br />
dal rumore sferragliante che ne veniva, e un pesante rotolo di<br />
pergamena. Mi ringraziò prendendo tra le mani il boccale di vino<br />
fumante e si avvicinò al fuoco, lasciando che io e Ambrogio<br />
esaminassimo i disegni. Mentre Ambrogio stendeva i fogli <strong>sul</strong> tavolo<br />
e disponeva dei pesi agli angoli perché non si riavvolgessero, colsi<br />
l'occasione per scrutare a lungo quel Joseph che, dopo un'intera vita
passata a Camelot, aveva deciso di seguirci e ricominciare daccapo in<br />
una regione sconosciuta del settentrione. Non avevo idea di quanti<br />
anni avesse, ma sapevo che ne aveva almeno dieci più di me. Joseph<br />
era già grande e lavorava nell'officina di suo padre quando io avevo<br />
appena cominciato a notare le persone che non facevano parte della<br />
mia cerchia familiare.<br />
<strong>Il</strong> padre di Joseph era conosciuto con il nome di Equo, dalla<br />
parola latina equus, cioè "cavallo", perché era grande e forte; anche i<br />
suoi tre figli avevano rispettabili dimensioni, ma non la massiccia<br />
stazza che aveva determinato quel soprannome. Lars, il primogenito,<br />
non intenzionato a passare la vita in una fucina, era scappato dalla<br />
sua casa a Colchester quando era ancora ragazzo per arruolarsi nelle<br />
legioni. Per oltre vent'anni nessuno ne aveva sentito più parlare<br />
finché non l'avevo incontrato io, per puro caso, che gestiva una<br />
taverna <strong>sul</strong>la strada per Isca, mentre inseguivo mio cugino Uther.<br />
Sollecitato da me, Lars era venuto a Camelot e aveva rivisto i due<br />
fratelli Joseph e Carol, nel frattempo diventati i fabbri della Colonia.<br />
Ricordavo che i capelli di Joseph, ora tutti bianchi ma ancora folti<br />
e belli, erano stati neri e ricciuti. Doveva essere fiero della sua<br />
capigliatura perché ne aveva cura lavandola spesso; la portava lunga,<br />
in una foggia che non avevo visto in nessun fabbro. Publio Varro, il<br />
mio compianto zio, era solito portare capelli e barba corti perché a<br />
suo avviso era rischioso tenerli lunghi in una fucina. Per un qualche<br />
miracolo Joseph era riuscito a conservare i denti a un'età in cui gli<br />
altri li avevano persi quasi tutti; la pelle bruna, che d'estate si scuriva<br />
ancora di più, metteva in risalto gli azzurri occhi celtici. Era un<br />
bell'uomo, con un viso sottile e intelligente, un naso elegante dalla<br />
linea tipicamente romana, malgrado il sangue celtico. Inconsapevole<br />
del mio sguardo se ne stava a fissare il fuoco e io, squadrandolo<br />
dalla testa ai piedi, notavo la stazza solida e forte, e osservavo come<br />
la fatica della sua arte aveva ridotto al minimo i segni dell'età.<br />
Mentre stringeva il boccale tra le mani, muscoli robusti gli<br />
guizzavano negli avambracci ed era facile intuire che le spalle erano<br />
altrettanto poderose. Indossava una semplice tunica di pesante lana<br />
grezza, disadorna, che gli scendeva fino alle ginocchia; una veste<br />
funzionale, stretta in vita da una cintura, utile a nascondere i danni<br />
derivanti dal lavorare tra il fumo e i tizzoni ardenti per tutto il
giorno, ogni giorno. Ai piedi indossava robusti stivali di cuoio che gli<br />
avvolgevano anche i polpacci, una calzatura da soldato, con una<br />
grossa suola composta da diversi strati di pelle conciata, indurita e<br />
rinforzata dai chiodi che lui stesso aveva costruito nella sua fucina; la<br />
parte superiore era allacciata fin quasi all'altezza del ginocchio. Sotto<br />
indossava calzettoni pesanti della stessa lana grigia della tunica, che,<br />
piegati in alto, ricadevano, coprendolo, oltre l'orlo superiore degli<br />
stivali.<br />
Accorgendosi di essere osservato, si volse verso di me, con un<br />
sopracciglio levato per la curiosità, ma in quel momento Ambrogio,<br />
concluso un rapido esame dei disegni, mi chiamò per andarli a<br />
controllare.<br />
Erano stati eseguiti con grande precisione, ma alcuni mi erano<br />
quasi incomprensibili. Fui stupito dall'esattezza del tratto di Joseph.<br />
«Ottimi, Joseph. Perché ne hai eseguito due serie?»<br />
Brontolando e soffiando, appoggiò il boccale prima di<br />
rispondere. «Per un confronto. Useremo soltanto una serie, quella<br />
semplice e lineare. L'altra che mostra Excalibur la bruceremo non<br />
appena avremo accertato la corrispondenza.» Si allontanò dal fuoco<br />
e si avvicinò a noi. In una mano teneva il boccale, con l'altra<br />
indicava i particolari del disegno. Mentre mi stava vicino, percepii<br />
l'odore della fucina che veniva dai suoi abiti, una nostalgica miscela<br />
di fumo e di qualcos'altro che mi parve "l'odore del ferro" e mi<br />
richiamò alla memoria l'infanzia. Joseph parlava con sicurezza<br />
indicando ora questo o quel dettaglio <strong>sul</strong> foglio. «Ecco Excalibur così<br />
com'è nella realtà. Per tutti gli dèi non ho mai visto niente di simile.<br />
Sapevo che l'avevano forgiata Publio Varro e mio padre, ma<br />
nient'altro. Mio padre ne parlava con orgoglio ma con reticenza -<br />
me ne rendo conto ora - perché non accennò mai alla sua bellezza e<br />
potenza, al suo colore. Sapevo che era più lunga del gladium, ma<br />
credevo che si trattasse dello stesso tipo di spada, in una versione più<br />
bella, con una lama lunga quanto un braccio. Niente mi aveva<br />
preparato alla perfezione di Excalibur, al suo splendore e alle sue<br />
dimensioni. Da quanto diceva a volte mio padre, avevo intuito che<br />
era senza difetti, ma non avevo capito la portata della parola<br />
"perfetta". Una bellezza innaturale...» Tacque scuotendo la testa per
l'ammirazione.<br />
«Ecco le dimensioni, prese con tutta la precisione di cui sono<br />
capace: l'angolo di rastremazione per lunghezza e spessore, il grado<br />
forte, il grado medio, il grado debole; la lunghezza del codolo,<br />
triplo codolo, lo sapevate?» Mi lanciò un'occhiata. «Sì, lo sapevate di<br />
sicuro. Me l'avete illustrata voi. A ogni modo, come sapete, un<br />
pezzo del codolo, la striscia centrale, sembra come tanti, ma gli altri<br />
due si piegano ad angolo retto per formare lo scheletro, potremmo<br />
dire, dell'elsa cruciforme. Ho poi indicato la lunghezza e lo spessore<br />
dell'impugnatura, la lunghezza e il diametro dell'elsa, le dimensioni<br />
del pomo, e naturalmente nel caso di Excalibur, la saldatura e il<br />
rivestimento dell'impugnatura: filo d'oro e d'argento intrecciati sopra<br />
un materiale scuro e ruvido, una specie di cuoio, credo.» Si<br />
interruppe e si mosse su un lato del tavolo da dove poteva vederci<br />
entrambi.<br />
«Per questo ho eseguito due serie di disegni. Avrei potuto usare<br />
l'originale per mettere in luce le differenze che ci saranno con la<br />
copia, ma in vista di questo incontro, ho preferito fare i disegni per<br />
confrontarli.»<br />
Con l'indice indicò il disegno dell'elsa cruciforme ornata e<br />
decorata di Excalibur. «Una lavorazione splendida, tipicamente<br />
celtica. Volute e rami intrecciati, spine e foglie... particolari perfetti.<br />
Opera di un grande maestro. Non credo però che sia necessario<br />
riprodurre questa decorazione <strong>sul</strong>la nuova spada. Basta una semplice<br />
sbarra lineare e disadorna, sostanzialmente un allungamento laterale<br />
del calcagno. Lo stesso vale per l'impugnatura e il pomo. Ne faremo<br />
un'unica fusione, che esteriormente non avrà niente a che fare con la<br />
forma a conchiglia dell'originale. C'è però una difficoltà. L'avete<br />
capito?»<br />
Guardai Ambrogio ed entrambi scuotemmo la testa. «Quale?»<br />
chiesi.<br />
«<strong>Il</strong> peso e forse la bilanciatura, perché l'uno compromette l'altra. <strong>Il</strong><br />
peso è il fattore che mi preoccupa. Abbiamo pesato la spada, ma<br />
non sappiamo quanto pesino i singoli elementi, la lama per esempio,<br />
senza l'impugnatura, ma soprattutto l'elsa cruciforme. Quella di<br />
Excalibur è solida, pesante, funzionale, adatta a proteggere dalle
stoccate. Le decorazioni sembrano incise in profondità; sappiamo<br />
invece che il metallo fu colato in uno stampo già sagomato. Ce ne<br />
sono a profusione; non ci vuole un occhio addestrato per vederle.<br />
Non c'è centimetro che non sia decorato, davanti e dietro. Se<br />
sostituiamo l'elsa con una semplice sbarra di ferro, sbilanciamo<br />
l'intero pezzo, perché tutti questi solchi tra una figura e l'altra<br />
saranno di metallo massiccio.»<br />
Levai una mano per fermarlo. «Non occorre che sia una copia<br />
perfetta, Joseph.»<br />
«Davvero? Mi avete detto che volevate un duplicato. <strong>Il</strong> duplicato<br />
è una replica perfetta dell'originale. Se le differenze sono troppe, è<br />
facile che la bilanciatura sia gravemente compromessa. Se la nuova<br />
arma deve servire a qualcosa, allora è bene che sia gemella dell'altra.<br />
Ed è nostra intenzione che il lavoro riesca bene fin dalla prima volta<br />
perché ci vogliono mesi per costruirla e altri mesi per ricostruirla, se<br />
qualcosa non è stato ben calcolato. Non si possono correggere gli<br />
errori, bisogna ricominciare daccapo. Capite?»<br />
«Sì, hai ragione. Ma a noi serve una copia funzionale, non un<br />
duplicato perfetto. Pensi che tuo fratello sarà in grado di produrlo?»<br />
Joseph ci squadrò. «Vi dirò la verità. Vorrei forgiare questa spada<br />
più di ogni altra cosa al mondo e credo che potrei eseguire il lavoro<br />
non meno bene di mio fratello a Camelot. Ma il buon senso lo nega.<br />
Le fucine di Camelot, costruite da Publio Varro e da mio padre, sono<br />
le meglio attrezzate che conosca. Inoltre la statua di ferro è lì, non<br />
qui, e voi, Ambrogio ci tornerete domani, sicché si potrebbe avviare<br />
l'opera nell'arco di una settimana. Detto questo, aggiungerò che<br />
Carol è il solo uomo in tutta la Britannia a cui affiderei tale<br />
compito.»<br />
«Eccellente! Mi sta bene. Ci sono altre domande? Altri argomenti<br />
che desideri dibattere?»<br />
«Sì, un particolare. <strong>Il</strong> colore della spada. Sembra d'argento. Come<br />
lo si è ottenuto?»<br />
Scossi la testa. «Non lo so con certezza. Publio Varro non lasciò<br />
alcuna descrizione su quella fase della costruzione della spada. Ho<br />
sempre pensato che fosse della stessa natura del luccichio del pugnale
fatto con la Pietra del Cielo.»<br />
«Di che cosa?»<br />
«Del pugnale di Pietra del Cielo. Così Publio Varro chiamava la<br />
daga che lo portò a cercare la Pietra del Cielo, il misterioso masso<br />
dal quale trasse il metallo che gli servì per modellare la statua che<br />
noi chiamiamo la Signora del Lago. Suo nonno, Varro il Vecchio,<br />
l'aveva costruita con il metallo fuso da un'altra Pietra del Cielo, più<br />
piccola, che aveva trovato quando Publio era appena bambino, più<br />
di cento anni fa. Publio mise il pugnale nella tomba di Caio<br />
Britannico: un gesto di commiato dall'amico più caro. Nelle sue carte<br />
Publio Varro scrisse di avere chiesto a tuo padre, Equo, come fosse<br />
riuscito suo nonno a dare quello splendore alla lama, ed Equo aveva<br />
risposto che era di per sé lucente, lo era il metallo. Per ottenerlo si<br />
erano limitati a ripulirlo, e più lo brunivano, più brillava. Non so<br />
altro.»<br />
«Se è così, vale anche per il resto del metallo della statua. Per<br />
tenerlo opaco, basta evitare di brunire la lama. Non ho mai visto<br />
questa statua. Splende come la spada?»<br />
«No, no. È di un colore più chiaro del ferro e non arrugginisce;<br />
be', questo forse non posso affermarlo. Non è stata mai messa in<br />
condizione di arrugginire. È sempre rimasta, fin dal giorno del<br />
ritrovamento, nell'armeria di Publio Varro. Fu spostata soltanto<br />
quando venne fusa per trarne il metallo che poi fu utilizzato per<br />
Excalibur. In seguito Publio modellò un'altra statua e la ripose di<br />
nuovo nell'armeria. È tanto importante?»<br />
Joseph si strinse nelle spalle. «Solo voi potete dirlo, perché sarete<br />
voi a usare la nuova spada. Vi sta a cuore la lucentezza?»<br />
«No, ma sospetto che la lama avrà un suo splendore intrinseco, se<br />
le nostre congetture sono vere. Dovremmo avvertire Carol di non<br />
farla brillare a specchio come l'originale. <strong>Il</strong> nostro intento è di non<br />
attirare l'attenzione, tutt'altro.» Mi volsi ad Ambrogio. «Ti ricorderai<br />
di raccomandarlo a Carol? Preferisci che lo scriviamo?»<br />
Scosse la testa. «Non occorre. Mi bastano i disegni. Non<br />
dimenticherò una parola di quanto abbiamo discusso oggi e in<br />
precedenza. La testa mi funziona bene.»
«Ho ancora una domanda» intervenne Joseph. «Forse la più<br />
importante. Quanto è grande la statua della Signora? Contiene<br />
sufficiente metallo per fondere un'altra spada?»<br />
Lo fissai ammutolito, sgomento tutto d'un tratto. «Non lo so»<br />
dissi. «So dire quanto è grande la statua attuale, ma non ho mai visto<br />
l'originale, sicché non sono in grado di precisare quanto metallo<br />
Varro usò per Excalibur. Ho sempre creduto che ne avesse utilizzato<br />
la metà, ma è una semplice supposizione. Che cosa faremo se il<br />
metallo non basta?»<br />
«Lo sapremo ben presto, non appena cominceremo a fonderla per<br />
ricavarne le barre. Sappiamo quante ce ne servono, di quale peso e<br />
dimensione. Potremo farne una versione in scala. Potrebbe bastare<br />
allo scopo?»<br />
Mi strinsi nelle spalle. «Immagino di sì, ma forse non sarà<br />
necessario. La statua pesa almeno tre volte, forse cinque, più di<br />
Excalibur. Non la sollevo da molti anni... da quando ero ragazzo,<br />
ma ricordo che era pesante.»<br />
«Certamente lo era per la forza di un ragazzo.» Joseph emise un<br />
borbottio. «Deve avere almeno il doppio del peso della spada che si<br />
vuole ottenere, perché vi garantisco che metà del materiale andrà<br />
disperso. Se hai ragione, e la statua è cinque o sei volte il peso di<br />
Excalibur, allora di spade potrete ricavarne due.»<br />
«Assai improbabile, credo.» Guardai Ambrogio. «Che ne dici?»<br />
«Sono l'ultima persona cui chiederlo. Ho visto la statua, ma non vi<br />
ho mai prestato attenzione. Non è la più bella scultura del mondo. È<br />
grande, questo sì.» Tacque, quindi indicò <strong>sul</strong> foglio un disegno che<br />
anche a me era sembrato strano e incomprensibile. «Che cosa sono<br />
questi simboli?»<br />
Joseph mi lanciò un'occhiata sorridendo. «Lo sai che significano,<br />
Cay?»<br />
Scossi la testa, e Joseph si accinse a svolgere il pacco avvolto nella<br />
stoffa che aveva sferragliato quando Ambrogio l'aveva appoggiato a<br />
terra. Lo fissammo incuriositi mentre estraeva una spada lunga con<br />
l'elsa a tazza nella forma della spada romana da cavalleria e una serie<br />
di barre sottili di metallo, lunghe quanto un braccio dal polso alla
spalla. Alcune avevano una sezione rotonda inferiore alla punta di<br />
un dito, altre erano piatte.<br />
Joseph porse la spada ad Ambrogio. «È la migliore lama che abbia<br />
costruito.» Indicò con un cenno della testa le barre di ferro. «Lo<br />
sapete che cosa sono?»<br />
Ambrogio sorrise levando lo sguardo dall'arma che teneva in<br />
mano.<br />
«Non ti sorprenderai, ne sono sicuro, se ti dico che non ne ho<br />
idea.»<br />
«Sono le barre che mi serviranno a forgiare la prossima spada.»<br />
Dal fagotto estrasse una massa pastosa informe di una sostanza<br />
biancastra che aveva la consistenza del gesso e la posò accanto alle<br />
barre. «Mi servirà a costruirla.»<br />
Ambrogio toccò quell'impasto con la punta della spada. «Che<br />
cos'è?»<br />
«Escrementi di uccelli, per lo più... di piccioni, impastati con<br />
farina, miele, latte e un po' di olio di oliva.»<br />
Scoppiai a ridere perché all'improvviso mi si era affacciato alla<br />
mente il ricordo di quando, nella piccionaia della villa dello zio<br />
Varro, avevo passato molti lunghi pomeriggi d'estate a raccogliere in<br />
un recipiente di metallo gli escrementi dei piccioni, grattandoli dai<br />
muri. Lo zio mi aveva sempre fatto qualche regalino per<br />
compensarmi della fatica. Ambrogio mi guardò storto, pensando che<br />
ci prendessimo gioco di lui, ma io levai le mani in un gesto di resa<br />
innocente scuotendo la testa per escludere ogni complicità.<br />
«È vero» protestò Joseph. «È uno dei più antichi segreti dei fabbri.<br />
Se si applica <strong>sul</strong> ferro nella fornace un impasto fatto con questi<br />
ingredienti, il metallo si indurisce.» Si capiva dalla espressione della<br />
faccia di Ambrogio che non ne era rimasto convinto. Joseph<br />
continuò ridendo: «Non vi mentirei, mastro Ambrogio. Considerate<br />
un impasto composto da cento parti uguali: quaranta sono<br />
escrementi di piccione, ventuno di semplice farina, quattordici di<br />
miele, ventitré di latte, due di olio di oliva. Cento in tutto. Se<br />
credete che l'abbia inventato io, mi sopravvalutate...». Si interruppe<br />
e tese le mani verso le sottili barre di metallo. «Posso dare
un'occhiata a Excalibur? Mi sarà più facile spiegare se avrò la spada.»<br />
La presi e gliela porsi.<br />
Impugnandola con le due mani, la tese davanti a sé lasciandosi<br />
scappare un fischio di meraviglia.<br />
«Mi è difficile credere che esista un simile capolavoro. Guardate le<br />
dimensioni! Non un difetto, perfetta! Se non la vedessi con i miei<br />
occhi, non crederei che sia possibile modellare un'arma simile. Pochi<br />
uomini sono per statura lunghi come Excalibur; nessun guerriero,<br />
nessuna armatura potrebbero resistere.» La sollevò diritta finché la<br />
punta toccò il soffitto, poi rapidamente l'abbassò, portandosi vicino<br />
al viso l'elsa cruciforme e indicando la lama nel grado forte, il punto<br />
di massima larghezza. Si rivolse ancora ad Ambrogio.<br />
«Guardate! <strong>Il</strong> grado forte, la sezione più robusta della spada, è<br />
larga tre o quattro dita. E guardate dove hanno inizio le scanalature<br />
parallele e notate la profondità di ciascuna. Osservate anche le linee<br />
ondulate nel metallo.»<br />
«A cosa sono dovute?»<br />
«Alla lavorazione. Vedete il disegno? Ecco i segni che hanno<br />
attratto la vostra attenzione.» Indicò le strane forme stilizzate che ci<br />
avevano incuriositi.<br />
«Dieci sono le fasi di lavorazione di una spada. Una<br />
semplificazione naturalmente che, non rende l'idea della quantità di<br />
fatica necessaria, ma per l'occhio di un fabbro è una procedura<br />
semplice e lineare. <strong>Il</strong> trucco sta nel capire che state esaminando il<br />
grado forte, subito sotto l'elsa. Osservate la base. Se si decidesse di<br />
segare la lama qui, sotto la guardia, si vedrebbero diciassette sottili<br />
verghe di semplice ferro. Come andare a ritroso nella lavorazione.<br />
Mi seguite, Cay?»<br />
Annuii perché le sue parole venivano a colmare il divario tra le<br />
notazioni teoriche dello zio Varro e l'esperienza pratica quale veniva<br />
descritta da Joseph. Ambrogio, che non aveva mai conosciuto Publio<br />
Varro e forse non aveva mai messo piede in una fucina, osservava<br />
perplesso i disegni sotto lo sguardo vigile di Joseph.<br />
«Mi sembra che desideriate pormi una domanda, mastro<br />
Ambrogio? Fatemela.»
«I tre grandi tondi neri: che cosa vogliono dire? Vedo che le<br />
diciassette barre della prima fila si appiattiscono e diventano<br />
squadrate nella seconda, ma da dove vengono questi tre?»<br />
«Eccoli» spiegò Joseph puntando un dito <strong>sul</strong>la seconda fila.<br />
«Vedete, ci sono tre serie di cinque barre nere divise l'una dall'altra<br />
da due serie di barre bianche. Ciascuna di queste serie di barre nere -<br />
tre piatte, nel mezzo, e due squadrate, una su ciascuno dei due lati -<br />
viene modellata e forgiata in modo da saldarsi in un'unica verga a<br />
spirale. Le copriamo una a una con gli escrementi di uccello, le<br />
leghiamo con filo di ferro, le mettiamo <strong>sul</strong>la fiamma, saldiamo<br />
un'estremità per tenerle insieme e quindi stringiamo tale estremità in<br />
una morsa. Poi, usando le tenaglie, pieghiamo le altre estremità fino<br />
a ottenere una barra a spirale. Ci vuole tempo perché il metallo va<br />
messo al fuoco più volte e va lavorato quando è molle. <strong>Il</strong> calore si<br />
disperde in fretta. <strong>Il</strong> ri<strong>sul</strong>tato, se tutto fila liscio, è un'unica verga di<br />
metallo costituita da diversi strati di ferro, strettamente saldati e<br />
avvoltolati a spirale. È a questo punto che si formano i segni che<br />
avete osservato lungo i bordi della lama e nella scanalatura centrale.<br />
Torcendo cinque bande piatte di metallo, si ottiene una verga con<br />
venti scanalature che corrono per tutta la sua lunghezza, i quattro<br />
bordi di ogni banda. Si espone il tutto al calore e lo si martella con<br />
un maglio fino ad appiattirlo. Questi segni nel metallo indicano<br />
dove i bordi sono stati fusi e battuti.»<br />
Fu Ambrogio a parlare. «Perché tanta fatica, Joseph? Perché non<br />
lavorare con un unico pezzo di ferro? A che scopo usare gli<br />
escrementi di piccione?»<br />
Incrociai le braccia <strong>sul</strong> petto e mi sedetti comodamente. Non<br />
avevo fretta di intervenire, sebbene conoscessi la risposta alla prima<br />
domanda. Joseph prese una delle barre sottili e rotonde, come se<br />
nulla fosse, la piegò a mani nude in forma di cerchio, quindi la porse<br />
ad Ambrogio.<br />
«Allo stato naturale il ferro è malleabile. Non chiedetemi il<br />
perché, e neppure perché tale caratteristica cambia quando lo si<br />
forgia a strati in strisce multiple. So però che se cercate di torcere un<br />
singolo pezzo di ferro, prima o poi si spezza... prima piuttosto che<br />
poi. Poniamo quindi le strisce l'una <strong>sul</strong>l'altra, stratificate, e le
torciamo con il ri<strong>sul</strong>tato che si rafforzano a vicenda. Mentre così<br />
facciamo, anzi prima, ricopriamo con l'impasto ciascuna striscia, una<br />
a una. È efficace e da centinaia di anni i fabbri procedono in questo<br />
modo. La barra così modellata e trattata è più resistente e robusta di<br />
una identica che non sia stata sottoposta a questo processo.<br />
Naturalmente anche l'applicazione dell'impasto richiede grande<br />
esperienza e attenzione. Non basta ricoprire le barre e metterle tra i<br />
carboni ardenti perché il materiale brucerebbe subito. Bisogna<br />
distribuirlo <strong>sul</strong>la superficie delle barre, avvolgerle in un tessuto e<br />
legarle strettamente. Avvoltoliamo il tutto ancora una volta nella<br />
sabbia e lo esponiamo al calore - un fuoco di legna di un'intensità<br />
che arriva al rosso arancione - per un paio d'ore, poi lo lasciamo<br />
raffreddare. Credetemi: queste barre sono molto più resistenti di<br />
quelle che non sono state sottoposte a tale procedura.»<br />
«Come si fa a saldarle?» chiese Ambrogio.<br />
«Esponendole al calore. Portiamo il metallo a un calore di luce<br />
gialla e lo lavoriamo a martello. Così i componenti si saldano<br />
perfettamente.»<br />
«Che cos'è stato?»<br />
Ci irrigidimmo, tendendo l'orecchio. Non c'era niente. Joseph mi<br />
lanciò un'occhiata corrugando la fronte.<br />
«Che cosa hai sentito?»<br />
«Non lo so ma....» Mentre così dicevo, capii quello che avevo<br />
percepito. «<strong>Il</strong> vento è calato. Mi sono accorto che all'improvviso è<br />
calato il silenzio.»<br />
Levatosi, Ambrogio si avvicinò alla porta, l'aprì e guardò fuori.<br />
Notai che era già l'ora del crepuscolo. Si raddrizzò e richiuse la<br />
porta.<br />
«Hai ragione. Ha smesso di piovere. Mangeremo stasera?»<br />
Joseph scoppiò in una risata che pareva un latrato. «Sì, ma non<br />
prima di un paio d'ore. È ancora presto. Non è ancora buio; sono le<br />
nuvole del maltempo che nascondono il sole. Ci vuole un bel po'<br />
prima che sia ora di cena. I fuochi non erano neppure accesi nelle<br />
cucine quando vi sono passato per venire qui.»
La cena, che si consumava tutti insieme, era servita in uno degli<br />
stanzoni della caserma, una volta calata l'oscurità. L'orario cambiava<br />
in piena estate. Ma l'accenno al pasto era bastato a ricordarmi che<br />
avevo fame. Non mangiavo dal mattino.<br />
Presi dal braciere la brocca, contento di quanto avevamo appreso<br />
e apprezzando il fatto che avevamo tutto il tempo di assaporare il<br />
vino.<br />
Rimanemmo a chiacchierare tranquillamente, colmando di tanto<br />
in tanto i boccali e crogiolandoci al calore del fuoco e del vino. A<br />
poco a poco la conversazione languì e alla fine tacemmo; per lungo<br />
tempo si sentì soltanto il crepitio delle fiamme nel braciere e lo<br />
sfrigolio dei carboni che si assestavano. Dormicchiavo <strong>sul</strong>la sedia,<br />
quando Ambrogio mi scosse di botto facendomi sobbalzare.<br />
«Che cos'era?»<br />
«Cosa? Non ho sentito niente.»<br />
Mi scoccò un'occhiata, quindi piegò la testa all'indietro. «Ascolta.»<br />
Tendemmo l'orecchio, e all'improvviso la porta e le persiane<br />
tremarono sotto l'impeto del vento.<br />
«Maledizione!» esclamò Joseph balzando in piedi e, avvicinatosi<br />
alla porta, l'aprì. Era buio pesto fuori. Dovevamo essere rimasti<br />
davanti al fuoco per almeno due ore. Mentre così pensavo, la porta<br />
si spalancò con forza e il battente andò a sbattere contro la parete.<br />
Una folata di vento gelido irruppe nella stanza, spegnendo le<br />
candele, sollevando uno degli angoli del foglio di pergamena <strong>sul</strong><br />
tavolo e scatenando una nube di scintille nel braciere. Joseph tirò<br />
con forza la porta e la chiuse saldamente. Voltandosi a guardarci e<br />
pulendosi le mani <strong>sul</strong>la tunica, i capelli arruffati e l'abito bagnato da<br />
goccioloni di pioggia borbottò: «Chi ha detto che la tempesta era<br />
passata? Non si allontanava, si preparava a scatenarsi».<br />
Scorsi Tressa quella sera a cena, e come ogni volta che la vedevo,<br />
restavo poi a lungo sconcertatamente consapevole della sua<br />
presenza.<br />
Con quel tempaccio, erano venuti tutti nello stanzone della
mensa. Ogni tavola era occupata e i bambini facevano più chiasso<br />
del solito. Lo feci notare a Shelagh che mi spiegò che il brutto tempo<br />
aveva impedito ai ragazzi di scatenarsi all'aperto secondo la loro<br />
abitudine e di conseguenza, all'ora in cui normalmente andavano a<br />
letto, erano irrequieti e rumorosi.<br />
Ambrogio, cui era stato lasciato un posto tra sua moglie e Artù, li<br />
raggiunse. Seduti vicino erano anche Donuil, Shelagh, Bedwyr, Gwin<br />
e il piccolo Ghilleadh. In compagnia di Joseph andai a un tavolo<br />
accanto dove stavano Lucano, Rufio, Dedalo e Mark.<br />
Lucano, che quella sera era di buon umore, si invischiò in una<br />
lunga discussione con Dedalo sui meriti dei cavalli da tiro rispetto a<br />
quelli da cavalleria. Lucano, che data la sua vocazione amava tutte le<br />
creature viventi, non nutriva uno slancio particolare per i cavalli da<br />
equitazione, e il dibattito, vivace e benevolmente accanito, attirò<br />
altri alla nostra gioviale tavolata. Ben presto non ci fu più posto.<br />
Ambrogio, arrivato dopo qualche tempo, si sedette vicino a me,<br />
incoraggiandomi con una spinta del fianco a stringermi contro<br />
Joseph, seduto alla mia sinistra, e a fargli spazio.<br />
In quel momento, mentre scherzosamente mi lamentavo della<br />
rude insistenza di mio fratello, notai di nuovo Tressa che ci portava<br />
un cesto di pagnotte fresche.<br />
Da quell'istante non prestai più attenzione a quello che si diceva. I<br />
miei occhi la seguirono mentre si aggirava nella sala occupata a<br />
vedere se il cibo era bastante nei piatti e a riempirli mano a mano<br />
che si svuotavano. Non era impegnata come domestica, ma era<br />
ormai una consuetudine che le donne, a turno, servissero in tavola<br />
alla sera.<br />
Uno scoppio di risa particolarmente rumoroso dei miei compagni<br />
mi richiamò al momento presente e guardandomi intorno vidi che<br />
tutti mi fissavano. La mia reazione immediata fu di arrossire,<br />
pensando che mi avessero notato con gli occhi puntati su Tressa, ma<br />
subito capii che aspettavano da me una risposta a qualcosa che mi<br />
era stato chiesto mentre ero distratto.<br />
«Perdonatemi» dissi scuotendo la testa quasi volessi schiarirmi le<br />
idee. «Pensavo ad altro. Qualcuno mi ha posto una domanda?»
«Sì» rispose Dedalo, le labbra increspate in un sorriso. «Ti ho<br />
chiesto che cosa farai quando quel tuo grosso cavallo nero schiatterà<br />
sotto il tuo peso.» Seguì un altro scoppio di risa. Capivo di avere<br />
davvero perduto il filo del discorso perché non avevo idea di che<br />
cosa ci fosse di tanto divertente. Mi rifugiai dietro una smargiassata.<br />
«Se ti riferisci a Germanico, mastro Dedalo, ti insegnerò a<br />
mostrare maggiore rispetto. Da più di dieci anni mi porta in groppa<br />
senza tradire il minimo segno di stanchezza.»<br />
«Certo, certo, mastro Cay, ma non è qui in discussione la forza<br />
della cavalcatura, bensì la stazza del cavaliere.»<br />
«Che dici?» mi guardai la pancia per vedere se ci fossero tracce che<br />
la cintura si era allargata. «Sono ingrassato?»<br />
Un altro scoppio di ilarità, e Lucano, seduto all'estremità del<br />
tavolo, si sporse in avanti. «No, Cay, Ded ti sta prendendo in giro<br />
perché è chiaro che non ascoltavi. Stavamo dicendo che da quando<br />
siamo entrati in cavalleria le armi delle truppe sono proliferate. La<br />
quantità di armi, e di conseguenza, il peso, ha continuato ad<br />
aumentare, mentre i nostri cavalli più di così non possono crescere. È<br />
stato allora che Ded ha osservato che tu, con la tua mole, il peso<br />
della cotta, dei gambali, della corazza, delle calzature, più la sella, i<br />
finimenti, le armi, prima o poi ucciderai il tuo Germanico.»<br />
Li guardai uno a uno seduti intorno al tavolo. Tacevano. «Poiché<br />
la morte sopraggiunge a tempo debito per ogni essere vivente,<br />
troverò un altro cavallo come lui. Forse non suo pari, perché non ce<br />
ne sono di uguali, ma simile.»<br />
«Non lo troverai qui» brontolò Ded. «Non a Ravenglass e da<br />
nessun'altra parte che non sia Camelot. Gli animali che qui si fanno<br />
passare per cavalli vanno bene a un nano, non a un gigante come te<br />
e non sono animali da combattimento.»<br />
Osservai il mio amico, accettando la verità delle sue parole. Non<br />
avrei infatti potuto sostituire Germanico. Una carenza cui bisognava<br />
provvedere. Mi venne in mente un'altra questione che di tanto in<br />
tanto, pensando al nostro insediamento a Mediobogdum, mi<br />
turbava. Cinque anni era il periodo massimo di permanenza nei miei<br />
piani. Nel frattempo Artù sarebbe diventato tredicenne, quasi <strong>sul</strong>la
soglia di assumere il ruolo che lo aspettava nella vita. Troppo<br />
grande, inoltre, per cavalcare il suo delizioso pony bianco e nero.<br />
Non era questo che contava. Contava invece quanto sarebbe potuto<br />
accadere prima di quei cinque anni. Isolati nel nostro forte di<br />
montagna, non eravamo pronti ad affrontare un attacco concertato<br />
che in qualche modo fosse sfuggito alla sorveglianza dei nostri vicini<br />
di Ravenglass. Feci un cenno di assenso a Dedalo, d'accordo con lui.<br />
«Hai ragione, ed è una questione grave <strong>sul</strong>la quale non si può<br />
scherzare. Sarà necessario trovare un modo di cambiare le cose.»<br />
Dedalo annuì, serio ormai, e rivolse la sua attenzione all'uomo<br />
che sedeva di fronte. Volsi loro le spalle per parlare ad Ambrogio.<br />
«Ricordi che abbiamo parlato di una via di fuga attraverso le valli<br />
fino alle grandi strade romane che da nord conducono a meridione?<br />
Ho pensato che, prima di usarla come via di fuga, dovremmo usarla<br />
come via di accesso. Hai sentito di che si è parlato? Cose giuste e<br />
sacrosante. Ci serviranno altri cavalli quassù, e non sarà impresa<br />
facile trasportarli <strong>sul</strong>le galee di Connor nel numero da noi richiesto.»<br />
«Quanti te ne potrebbero servire?»<br />
Mi strinsi nelle spalle. «Non lo so, ma tra poco potrebbe esserci la<br />
necessità di una ventina, se fosse possibile, e non sarebbe male avere<br />
anche qualche paio di braccia in più. Sarebbe, a tuo avviso, fattibile<br />
mandare via terra uno squadrone di truppe a scorta di una piccola<br />
mandria di bestiame?»<br />
«Bestiame?» Mi guardò sottecchi. «Intendi bestie da allevamento?»<br />
«Cavalli da combattimento. Non ci serve avviare un allevamento;<br />
anche se lo volessimo, non avremmo i pascoli.»<br />
Ambrogio tacque per un momento, rimuginando su quanto<br />
avevo detto, e mentre aspettavo una sua risposta, mi ritrovai a<br />
cercare Tressa con lo sguardo. Era a un tavolo vicino, piegata in<br />
avanti per pulire il mento di uno dei bambini. Mentre osservavo la<br />
gonna che le modellava i fianchi, Ambrogio interruppe il corso dei<br />
miei pensieri.<br />
«Niente male, eh? Fortunato l'uomo che si stringerà a lei nelle<br />
notti fredde! È legata a qualcuno?»
«No, non ancora. È una delle nuove venute da Ravenglass,<br />
nubile.» Non c'era motivo per negare che sapevo a chi si riferiva.<br />
«Chi la conquisterà? Scommetto che ci tenteranno tutti. A te<br />
piace?»<br />
«Come potrebbe? Ha la metà dei miei anni.»<br />
Mi guardò con stupore, le sopracciglia levate. «Che c'entra in<br />
nome di tutti gli dèi? Ha l'età per essere montata, di che altro ti<br />
preoccupi? E sono sicuro che tu hai l'età per montarla.»<br />
Tagliai corto. «Lasciamo stare. Che ne pensi del nostro fabbisogno<br />
di cavalli?»<br />
Dubbioso davanti alla mia reazione alle sue parole su Tressa, ebbe<br />
un attimo di esitazione, ma cambiò espressione quando<br />
evidentemente si convinse a lasciar cadere quell'argomento.<br />
«Uno squadrone di uomini armati. Ci saranno quasi duecento<br />
miglia da qui a Camelot; troppo lontano per mandare una<br />
quarantina di soldati a scortare una ventina di cavalli nel fior dell'età<br />
attraverso un territorio ostile e sconosciuto. Avrebbero già fin<br />
troppo da fare a occuparsi delle bestie; se qualcosa andasse storto e<br />
se incontrassero qualche grave ostacolo per strada, rischieremmo di<br />
perdere tutto, uomini e animali.»<br />
Sospirai. «Era solo un'idea che mi è venuta. Hai ragione; sarebbe<br />
una follia. Chiederemo a Connor di portarci qualche bestia per<br />
volta. Ci vorrà tempo, ma finiremo con averne un numero<br />
sufficiente.»<br />
«No, Cay, mi hai frainteso. Non volevo dire che non si può o non<br />
si debba farlo. Dicevo solo che una squadra di uomini è troppo<br />
poco. Ci vorranno almeno due squadre e l'appoggio di un manipolo<br />
di fanti.»<br />
«Un manipolo? Centoventi uomini? Non parli <strong>sul</strong> serio.»<br />
«Sì, invece. Pensaci: la guarnigione è oggi al completo a Camelot e<br />
siamo in tempo di pace. I nostri soldati hanno bisogno di mettersi in<br />
azione. Quale esercitazione più adatta che esplorare il territorio e<br />
l'ambiente - insediamenti, strade, centri urbani - tra qui e Camelot?<br />
Se saranno in numero sufficiente, non avranno difficoltà ad arrivare
a destinazione, e nel tragitto dovranno procacciare il cibo per loro e<br />
il foraggio per gli animali. Mi sembra un'idea eccellente che risponde<br />
a molteplici scopi. Metterà alla prova gli uomini e gli ufficiali, sarà<br />
una sfida per tutti e ci fornirà preziose informazioni <strong>sul</strong> cuore di<br />
questa terra, comprese le condizioni in cui versano le strade<br />
principali. Camelot ha molto da guadagnare da una simile impresa e,<br />
da come la vedo, poco da perdere. Gli uomini che vi saranno<br />
destinati la considereranno una licenza: due mesi lontano dal<br />
servizio nella guarnigione. Non intraprenderanno una marcia, ma<br />
una spedizione per raccogliere informazioni. Li accompagneranno<br />
alcuni funzionari per annotare i ri<strong>sul</strong>tati delle loro scoperte.<br />
Manderemo tre squadroni di cavalleria: due torneranno alla base,<br />
uno rimarrà qui, e tornerà a Camelot con la spedizione successiva.<br />
Una volta avviato questo programma di esplorazione, ci converrà<br />
tenerlo in funzione. Sono sicuro che ci sarà di vantaggio. Hai avuto<br />
una pensata geniale. La metterò in atto non appena arriverò a<br />
Camelot, anzi sarò io a condurre il primo corpo di spedizione.<br />
Scommetto che il compito più arduo sarà per me scegliere i pochi tra<br />
i molti volontari.»<br />
«Ottimo! Così sia. Aspetterò con ansia l'arrivo del primo<br />
contingente.»<br />
Ero assurdamente compiaciuto di me stesso, e con il petto gonfio<br />
mi guardai apertamente intorno alla ricerca di Tressa. Non appena la<br />
scorsi, notai che Shelagh mi osservava con un lieve sorriso <strong>sul</strong>le<br />
labbra. Ero così preso che quel piccolo segno di intesa non mi turbò.<br />
Mi sentivo euforico, spensierato, immemore di ogni freno e<br />
dimentico del comune buon senso. Per ragioni che non so precisare,<br />
neppure oggi dopo averci riflettuto numerose volte negli anni che<br />
seguirono a quella notte, la mia mente era tutta concentrata a<br />
guardare senza ritegno una donna seducente e provocante. Una<br />
donna - mi diceva l'intelligenza - più accessibile di Shelagh e più<br />
disponibile a un approccio.<br />
In tutta onestà credo di avere combattuto una breve battaglia con<br />
quella parte di me che, per mesi e anni, aveva tanto contribuito alla<br />
mia esigenza di conseguire il dominio dell'istinto e osservare la<br />
castità. Se mai ci fu, quella battaglia fu breve. In quel momento mi<br />
sentivo giovane e virile, carico del desiderio di un uomo nel fior
degli anni. Mi giunse la voce di Lucano seduto più in là, e decisi di<br />
parlargli di nuovo e presto. Mi unii alla conversazione; Tressa si<br />
allontanò dal mio sguardo ma non dai miei pensieri.
«Allora, fratello, che ne pensi?»<br />
XII.<br />
Sotto i cornicioni del tetto della stalla, ci proteggevamo dal vento<br />
e dalla pioggia. La tempesta aveva infuriato per tutta la notte. Era<br />
già trascorsa un'ora dall'alba, ma non ci si accorgeva quasi che il sole<br />
si fosse levato. In quel momento eravamo avvolti da una fitta<br />
nebbia: nubi basse e pesanti agitate dal vento impetuoso<br />
impedivano di vedere a più di venti passi di distanza.<br />
Ambrogio rimase a lungo in silenzio, e quando rispose, mi parve<br />
che le parole contraddicessero la sua palese intenzione. «Dico che<br />
siamo pazzi a partire per Ravenglass con questo tempo. Connor non<br />
riuscirà mai ad attraccare, neanche se arriverà puntualmente; il vento<br />
lo terrà lontano dall'approdo. Sarà costretto ad aspettare al largo<br />
che la tempesta si plachi e potrà accostarsi soltanto una volta tornata<br />
la calma. Lo verremo a sapere perché siamo ad appena venti miglia<br />
nell'entroterra. Avremo tutto il tempo di arrivare prima che getti<br />
l'ancora.»<br />
«Ma...?»<br />
«Ma che cosa? Mi hai chiesto che cosa ne pensavo, e io te l'ho<br />
detto.»<br />
«Sì, capisco le tue riserve.» Mi strinsi a lui urlando nel vento che<br />
ruggiva intorno a noi. «Stai pensando che tutto è pronto per la<br />
partenza e che in questi preparativi abbiamo passato buona parte<br />
della notte. Sai che molti di noi si sono alzati e si stanno dando da<br />
fare, equipaggiati per affrontare la tempesta, più o meno di buona<br />
voglia. Per di più te la prendi con il tempo, deciso a non farti<br />
scoraggiare. Non vuoi sentirti costretto a una decisione che, con il<br />
senno di poi, forse considereresti una debolezza.»<br />
Mentre finivo di parlare, mio fratello si volse verso di me tenendo<br />
la bocca esageratamente aperta in un atteggiamento di derisoria<br />
incredulità. «Eccoti di nuovo! Tu e le tue predizioni! Come fai a<br />
sapere che cosa penso e penserò?»
Risi apertamente dandogli una pacca <strong>sul</strong> braccio armato. «Perché<br />
ti accompagnerò e sai benissimo, come lo so io, che entrambi la<br />
pensiamo nello stesso modo. Scommetto che sono dello stesso<br />
parere anche gli altri, o molti di loro. Ti diranno, se glielo chiedi, che<br />
avrebbero preferito starsene al calduccio nel letto invece di uscire ad<br />
affrontare un lungo viaggio nel maltempo senza che sia necessario.»<br />
Protetti dalla tettoia della stalla eravamo ancora abbastanza<br />
asciutti. In casa, Ludmilla e Shelagh attendevano che venisse l'ora<br />
della partenza. In gran numero avevano deciso di accompagnare<br />
Ludmilla e suo marito al molo dove una galea li avrebbe riportati da<br />
Ravenglass fino alla costa all'altezza di Camelot. Ci avrebbero<br />
accompagnati Dedalo, Rufio, Donuil, Lucano, avvolti al pari di me e<br />
Ambrogio in pesanti mantelli di lana, resi impermeabili da un sottile<br />
strato di cera secondo le precisazioni in vigore a Camelot<br />
<strong>sul</strong>l'attrezzatura militare.<br />
Queste mantelle erano state confezionate, come prevedibile, su<br />
quelle che per secoli avevano usato i Romani, ma perfezionate nella<br />
forma per coprire completamente un uomo a cavallo e riparare<br />
anche la sella.<br />
Sarebbe venuto Longino, il capitano dell'artiglieria di Derek, che<br />
in quel momento stava sotto la tenda del carro <strong>sul</strong> quale sarebbe<br />
salita Ludmilla. Esaurito il suo lavoro nella foresta, se ne tornava a<br />
casa, in famiglia, per attendere ai soliti doveri; avrebbe viaggiato a<br />
cassetta con Lars, il cocchiere. Erano pronti a partire Artù e Bedwyr,<br />
cui era stato concesso di venire a salutare lo zio e la zia. In verità,<br />
pochi giorni prima, tutti e quattro i ragazzi avevano avuto il<br />
permesso di partire per Ravenglass, ma nel frattempo Gwin e<br />
Ghilleadh avevano cominciato a starnutire e sarebbero rimasti a casa,<br />
malgrado le proteste. <strong>Il</strong> brutto tempo avrebbe trattenuto anche gli<br />
altri due, se Lucano non avesse deciso che era meglio per loro stare<br />
alla larga dai due amici malati.<br />
Mentre osservavo i ragazzi sui loro pony, avvolti in mantelli simili<br />
ai nostri ma naturalmente adatti alle loro dimensioni, vidi Dedalo<br />
che si avvicinava a me.<br />
«Cay, caricherò <strong>sul</strong> carro, dato che di spazio ce n'è in abbondanza,<br />
qualche rotolo di corda robusta e credo che sia bene portare anche
qualche cavallo in più.» Levò gli occhi verso il tetto quasi potesse<br />
scorgere il cielo plumbeo. «Potrebbero tornarci utili. Troveremo<br />
alberi sradicati, forse in alcuni punti la strada sarà bloccata e<br />
dovremo aprire un varco per il carro.»<br />
«Dedalo ha ragione. Potrebbe essere un brutto viaggio, ma la<br />
decisione spetta a te, fratello, ed è ora che tu la prenda. Ci avviamo<br />
o aspettiamo che si plachi la tempesta?»<br />
Ambrogio sospirò e si coprì la testa con il cappuccio. L'elmo era<br />
appeso alla sella.<br />
«Andiamo. È tutto pronto, anche Ludmilla. Ho promesso a<br />
Connor che saremmo arrivati oggi. Nessuno prese allora in<br />
considerazione l'eventualità del maltempo. Una promessa è una<br />
promessa. Andrò ad avvertire le donne. Di' agli altri di tenersi<br />
pronti.»<br />
Feci con la testa un cenno a Dedalo che immediatamente si avviò<br />
a dare l'ordine di mettersi in moto; Ambrogio si avviò alla volta<br />
dell'alloggio che aveva condiviso con Donuil e Shelagh. Pochi istanti<br />
dopo era già di ritorno accompagnato dalle due donne, e in breve<br />
tempo, superata la porta nelle mura del forte, ci avviavamo in fila<br />
ordinata verso la strada che scendeva fino <strong>sul</strong> fondo della valle<br />
dell'Esk e proseguiva per Ravenglass a dodici miglia di distanza.<br />
Quattro volte fummo costretti a fermarci per sbloccare la strada<br />
ostruita dai tronchi degli alberi abbattuti o dai grossi rami spezzati<br />
dalla furia del vento e ogni volta la fatica di attaccare i cavalli per<br />
trascinare quei grossi carichi ci induceva a scambiarci occhiate di<br />
perplessità <strong>sul</strong> perché dovessimo esporci quel castigo in una giornata<br />
simile. Per qualche ragione, che più tardi attribuimmo a una sorta di<br />
pazzia comune provocata dalla tempesta, nessuno si lamentò o<br />
protestò apertamente.<br />
Ci imbattemmo nel primo e più gravoso ostacolo a metà dello<br />
scosceso pendio, in un punto esposto a violente raffiche. Non si<br />
trattava di un tronco abbattuto da spostare per mezzo dei cavalli<br />
ancora freschi di forze, ma di un intrico di rami attorcigliati l'uno<br />
all'altro che ricopriva l'intera strada, una barriera insormontabile che
sembrava prendersi beffe di noi. Mentre imprecando aspettavamo<br />
che Dedalo decidesse come affrontare l'ostacolo, il giovane Artù,<br />
allontanatosi dalla strada, scoprì un itinerario alternativo che,<br />
secondo lui, ci avrebbe consentito di oltrepassare il groviglio<br />
limitandoci a tagliare pochi arboscelli per dare spazio al carro.<br />
Andai con lui a controllare e notai che aveva ragione. Esisteva<br />
una specie di corridoio, stretto e serpeggiante, tra il pendio della<br />
collina e un terrapieno artificiale formato dal pietrisco spostato dagli<br />
ingegneri romani quando avevano costruito la strada. Ci vollero<br />
circa due ore prima che, fradici di pioggia e gelati fino alle ossa<br />
malgrado i nostri mantelli, potessimo ritornare <strong>sul</strong>la carreggiata<br />
dopo esserci lasciati alle spalle, sopra di noi, il groviglio di rami.<br />
Avevamo lavorato tutti insieme; perfino le donne erano venute ad<br />
aiutare gli uomini che tiravano le corde per impedire che il carro<br />
rotolasse giù dal pendio e si fracassasse sbattendo contro gli spuntoni<br />
di roccia. Non perdemmo tempo a compiacerci dell'impresa, ma<br />
rimontati in sella continuammo il viaggio. Al confronto di quel<br />
primo ostacolo, gli altri tre in cui ci imbattemmo erano insignificanti.<br />
Soltanto al crepuscolo di quella giornata grigia scorgemmo i<br />
campi che fiancheggiavano la strada nelle ultime tre miglia fino a<br />
Ravenglass e per ricevere una notizia che nessuno di noi si era<br />
aspettato.<br />
Le prime avvisaglie ci vennero da Artù e Bedwyr che cavalcavano<br />
davanti a noi di un buon tratto. Nella pioggia battente li vedemmo<br />
tornare di gran carriera, diritti <strong>sul</strong>le staffe, gridando a perdifiato per<br />
richiamare la nostra attenzione.<br />
«Uomini! Pirati!»<br />
Recepii istantaneamente la notizia e senza esitazione, non<br />
concedendo un attimo alla curiosità e alla sorpresa, affondai gli<br />
speroni nei fianchi di Germanico. Mentre sentivo sotto di me<br />
guizzare e tendersi i muscoli del grande cavallo nero e i suoi zoccoli<br />
mandare scintille <strong>sul</strong>la strada lastricata, mi accorsi che mio fratello e<br />
almeno due altri uomini mi seguivano. A un certo momento tirando<br />
le redini e costringendo Germanico, fermato all'improvviso, ad<br />
accucciarsi quasi <strong>sul</strong>le zampe posteriori, aguzzai lo sguardo per<br />
cercare di capire quello che vedevo attraverso il velo di pioggia.
Ambrogio mi era di fianco; Donuil, Dedalo, Rufio stavano un po'<br />
avanti <strong>sul</strong>la mia destra. Artù e Bedwyr erano dietro, discosti per<br />
paura che, notandoli, ordinassi loro di andare al riparo <strong>sul</strong> carro.<br />
A una certa distanza, appena distinguibili attraverso la pioggia e<br />
irriconoscibili a causa del fango che li ricopriva, alcuni uomini - una<br />
ventina - procedevano attraverso i campi, in ordine sparso, verso<br />
sud, da destra a sinistra. Perfino dal nostro punto di osservazione<br />
capivamo che erano troppo sfiniti per riuscire a correre. Voltandosi<br />
verso di me Dedalo, urlando per farsi sentire sopra il boato del<br />
vento, mi disse: «Sono dell'Eire. Che cosa ci fanno qui?».<br />
«Come fai a sapere che sono dell'Eire?» gli urlò di rimando<br />
Ambrogio ponendo la domanda che avrei posto io.<br />
«Gli scudi. Donuil, ho ragione?»<br />
Donuil annuì. «Gli scudi sono dell'Eire, ma non gli uomini. Ho<br />
pensato per un attimo che fossero dell'equipaggio di Connor, tenuto<br />
conto che le sue galee erano attese per oggi, ma non è così. Da qui si<br />
direbbero gente di Condran. Ma da dove arrivano? Come mai<br />
vengono da nord? Potrebbero essere l'equipaggio di una nave; non è<br />
possibile che abbiano pensato di attaccare Ravenglass, prendendola<br />
alle spalle.»<br />
«Sono feccia allo sbando. Attacchiamoli!»<br />
«No, aspetta!» Levai una mano per trattenere Dedalo. «Hai<br />
ragione, Dedalo, non hanno l'aria minacciosa, ma prima di<br />
sterminarli, riflettiamo un attimo. Anche Donuil ha ragione. Come<br />
mai vengono da nord? Come potrebbero attaccare nelle condizioni<br />
in cui sono? Capirei una massa di armati che approdano a nord con<br />
l'intenzione di circondare la città, e Condran potrebbe avere un<br />
comandante sufficientemente audace o disperato da tentare una<br />
manovra simile, ma avrebbe mobilitato un esercito non l'equipaggio<br />
di una sola nave.»<br />
«La tempesta!» Rufio annuiva così dicendo. «La tempesta.<br />
Scommetto che il vento ha spinto la loro galea contro la costa. Sono<br />
naufraghi.»<br />
«Sì, stanno puntando su Ravenglass perché pensano che lì si<br />
metteranno al sicuro. La flotta sta attaccando la città malgrado la
tempesta.» Mi levai <strong>sul</strong>le staffe e mi volsi a guardare il carro,<br />
immobile dietro di noi, a circa cinquanta passi.<br />
«Artù, Bedwyr! Tornate al carro e assicuratevi che Lars e Longino<br />
lo mettano al riparo e veglino <strong>sul</strong>le donne. Di corsa!» Mentre<br />
riluttanti i ragazzi si allontanavano, mi rivolsi agli altri. «Non li<br />
perderemo d'occhio, ma restate <strong>sul</strong>la strada finché non saremo tra<br />
loro e la città. Soltanto allora torneremo indietro e ingaggeremo<br />
battaglia. Se resteranno disordinatamente sparsi come sono adesso,<br />
ci sarà facile sopraffarli. Avanti!»<br />
Nessuno di noi si trovò mai in pericolo. Come avevo previsto, la<br />
vista di cinque uomini pesantemente armati in sella a possenti cavalli<br />
gettò lo sgomento tra quegli sconosciuti allo sbando e spense ogni<br />
ardore che potessero avere in petto. Prima ancora che li<br />
affiancassimo, con ancora una buona metà di un campo tra loro e la<br />
strada <strong>sul</strong>la quale procedevamo al galoppo, gli uomini esitarono e si<br />
bloccarono, stringendosi insieme e guardandoci a bocca aperta. <strong>Il</strong><br />
vento che da ore ci sferzava si placò all'improvviso. Quando fummo<br />
abbastanza vicino, ci fermammo e ordinai a tutti di indossare gli<br />
elmi. Al vederci seduti in sella, intenti con tutta calma a levarci il<br />
cappuccio e indossare l'elmo, cominciarono a retrocedere. <strong>Il</strong> cavallo<br />
di Rufio si impennò e nitrì: un richiamo impaziente nel silenzio<br />
subentrato al ruggito del vento.<br />
«Che facciamo?» chiese Dedalo con voce che risuonò stranamente<br />
calma e pacata.<br />
«Affianchiamoli senza movimenti frettolosi. Regolate la velocità<br />
<strong>sul</strong>la mia. Daremo loro il tempo di capire che stiamo avanzando, ma<br />
sappiate che procederemo piano. I cavalli affonderanno nel fango<br />
non appena lasceremo la strada. Teniamoci pronti. Affronteremo<br />
prima il gruppo più consistente, quello dei dodici uomini <strong>sul</strong>la<br />
destra, poi vireremo a sinistra e attaccheremo il secondo manipolo e<br />
tutti quelli abbastanza stolti da mettersi in mezzo. Se decideranno di<br />
combattere così sia. Se si dessero alla fuga, lasciamoli andare, non<br />
inseguiamoli. Meglio raggiungere Ravenglass senza perdere tempo.»<br />
Sganciai il pesante mazzafrusto di ferro appeso al pomo della sella<br />
e infilai la mano nel laccio di cuoio per afferrare l'impugnatura corta<br />
e grossa, flettendo il polso sotto il peso dell'arma, ben consapevole
dell'efficacia letale della palla di ferro che oscillava all'estremità della<br />
breve catena. Osservai la nostra piccola schiera: Rufio <strong>sul</strong>la sinistra,<br />
Dedalo, Ambrogio, io stesso e Donuil. Rufio e Donuil erano armati<br />
di lancia; io avevo il mazzafrusto, Dedalo e Ambrogio impugnavano<br />
le lunghe spade da cavalleria. Abbandonai la strada e, in<br />
quell'attimo, la pioggia cessò e una striscia di luce perforò la grigia<br />
coltre di nuvole. <strong>Il</strong> silenzio non più interrotto neppure dal fruscio<br />
della pioggia diede all'intera scena, per un rapido istante, l'aspetto di<br />
una calma sovrumana. Avanzavamo, il rimbombo degli zoccoli <strong>sul</strong><br />
selciato si spense non appena i cavalli affondarono nel fango dei<br />
campi.<br />
I dodici uomini del primo gruppo si strinsero insieme,<br />
addossandosi l'uno all'altro mentre ci guardavano sopraggiungere.<br />
Ma quando la distanza tra noi si fu dimezzata, poco prima che<br />
mettessi Germanico al piccolo galoppo, mentre cominciavo a<br />
pensare che forse si sarebbero sparsi e dati alla fuga, il gruppo si<br />
spaccò e gli uomini cominciarono a correre verso di noi in una<br />
manovra a tenaglia, le armi in mano, con l'evidente intenzione di<br />
circondarci. Subito accorsero gli altri che fino a quel momento erano<br />
rimasti a guardare. Spronai Germanico.<br />
«Vogliono combattere! Attraversate il gruppo e tornate indietro<br />
attaccandolo alle spalle. Non resisteranno a lungo.»<br />
Così fu. Tre morirono: due trafitti dalle lance dei miei compagni,<br />
uno colpito dal mio mazzafrusto; avevo già scelto il bersaglio<br />
successivo quando l'uomo, vedendo che giravo il cavallo nella sua<br />
direzione, si voltò e si diede alla fuga, scivolando <strong>sul</strong> difficile terreno<br />
e affondando nel fango. Lo raggiunsi in pochi istanti; torreggiandogli<br />
sopra, potevo leggere il terrore nel modo in cui correndo cercava di<br />
accucciarsi per evitare il colpo. Sentivo il desiderio di risparmiargli la<br />
vita, ma dentro di me era prepotente l'esigenza di dimostrare che<br />
eravamo lì di proposito e che la serietà del nostro intento andava<br />
riconosciuta. La clemenza in quel momento sarebbe stata<br />
interpretata come debolezza. Feci oscillare con forza il mazzafrusto,<br />
la palla roteava con impeto e l'abbattei con tutto lo slancio del<br />
braccio colpendo l'uomo tra le spalle, sollevandolo e strappandogli il<br />
respiro e la vita. Un rantolo gli uscì dalle labbra, per qualche istante<br />
rimase sospeso a mezz'aria prima che lo gettassi nel fango dove
piombò a braccia spalancate.<br />
Diedi di redini a Germanico, mentre vedevo gli uomini dell'Eire<br />
che si sparpagliavano intorno, allo sbando. Ritornai <strong>sul</strong>la strada e gli<br />
altri mi seguirono. Sapevamo quello che ci restava da fare:<br />
raggiungere Ravenglass il prima possibile e sperare di non arrivare<br />
troppo tardi o essere troppo pochi. Nel frattempo bisognava tenere<br />
presente che avevamo donne e bambini. Che decisione prendere ora<br />
che sapevamo di trovarci in una situazione pericolosa? Due erano le<br />
possibilità, e nessuna mi sembrava idonea. La prima era di lasciare lì<br />
il carro, mentre noi ci saremmo avvicinati alla città: in tal modo però<br />
sarebbero rimasti del tutto indifesi e vulnerabili se qualcuno dei<br />
nemici si fosse avventurato in quella direzione. Non era possibile.<br />
La seconda, altrettanto improponibile, era di portare le donne e i<br />
bambini a Ravenglass, nell'assoluta ignoranza di quanto avremmo<br />
trovato lì. Avrebbero potuto essere uccisi, lo saremmo stati anche<br />
noi, ma accompagnandoli avremmo almeno potuto sperare di<br />
difenderli fino in fondo. Dovevo accettare l'inevitabile. Levandomi<br />
<strong>sul</strong>le staffe, feci segno a Lars <strong>sul</strong> carro di avanzare e seguirci.<br />
Riprendemmo di nuovo la via, cinque uomini che procedevano di<br />
fianco al carro.<br />
Guardandoci intorno circospetti, attenti al pericolo di una<br />
trappola e di arcieri in agguato, percorremmo il breve tratto di<br />
bosco tra i primi campi coltivati e l'estremo lembo della città che si<br />
estendeva al di là delle mura, intorno alla fortezza prospiciente il<br />
mare. Arrivati nei pressi della cinta ci fermammo. Niente si<br />
muoveva, nessun suono si levava finché non sentimmo il tonfo degli<br />
zoccoli di un cavallo alle nostre spalle. Pallido e teso, apparve<br />
Longino <strong>sul</strong> cavallo di Shelagh. Non ebbi bisogno di chiedergli<br />
perché fosse lì. Ravenglass era la sua patria; la sua postazione di<br />
combattimento era a capo delle macchine da guerra.<br />
«Sono andati tutti a rifugiarsi dentro le mura» disse Rufio con voce<br />
roca.<br />
«Perché? Non ci sono nemici qui, non ci sono pericoli.»<br />
Così dicendo, Longino si guardò intorno. Sembrava che avesse<br />
ragione. Eravamo soli da quella parte. Avanzammo, pronti a cogliere<br />
ogni segno minaccioso, e mentre ci avvicinavamo alle mura del
forte, cominciammo a percepire i suoni della città che venivano<br />
dall'interno della cinta. Notai qualche movimento sopra di noi, e mi<br />
accorsi che le mura orientali erano protette da uomini armati. Le<br />
sentinelle erano all'erta, ma non sembrava che il pericolo fosse<br />
imminente. Aprirono la porta, non appena riconobbero Longino<br />
che, smontato da cavallo, mi affidò le redini e a passo rapido si<br />
diresse - non avevo dubbi su questo - verso le mura occidentali e le<br />
sue amate catapulte.<br />
Confortato dal fatto che non pareva ci fosse un pericolo<br />
incombente, Ambrogio si avviò per raggiungere Ludmilla e<br />
ragguagliarla; Donuil lo accompagnò per andare a rassicurare<br />
Shelagh. Io, Dedalo e Rufio entrammo nel forte insieme e ci<br />
mettemmo alla ricerca di Derek, mentre ci giungevano da varie parti<br />
brandelli di conversazioni e congetture <strong>sul</strong>la tempesta, <strong>sul</strong>le galee<br />
naufragate, sugli uomini annegati.<br />
Trovammo Derek <strong>sul</strong>le mura occidentali, intento a osservare la<br />
baia e, salendo le scale, scorsi Longino accanto a lui che, piegato in<br />
avanti, dai bastioni guardava sotto di sé. Fui sorpreso che ci fossero<br />
così pochi difensori ma, prima che potessi parlare, Derek con un<br />
cenno della testa indicò il molo.<br />
«Gli dèi ci hanno protetti la notte scorsa. Guardate laggiù.»<br />
Ci sono stati nella mia vita momenti in cui mi sono sentito<br />
sopraffatto e pervaso da forti impressioni. Uno di quei momenti fu<br />
quando mi avvicinai al bordo delle mura per guardare il sottostante<br />
porto. Lo spettacolo rimane ancora nei miei occhi in vivide immagini<br />
che da allora mi sfidano a trovare le parole per descriverlo.<br />
Caos, follia, devastazione sfrenata: metà, forse più, del pontile di<br />
pesanti tronchi di quercia che si protendeva in mare era stato<br />
distrutto, ridotto in rovina, divelto da una confusione orribile di<br />
galee capovolte, sommerse, affondate in tutta la baia; il fondo delle<br />
navi coperto di sedimenti galleggiava <strong>sul</strong>l'acqua, gli scafi dilaniati,<br />
l'alberatura abbattuta; gomene spezzate e attorcigliate, cavi rotti e<br />
sciolti; decine di cadaveri di annegati, vortici di acqua che<br />
ingoiavano i detriti, mucchi di alghe lucenti e scivolose strappate<br />
dalle onde e gettate con furia <strong>sul</strong>la riva ai piedi delle mura, corpi<br />
spinti dai marosi <strong>sul</strong>la costa e contro i bastioni, uomini che
correvano con le spade sguainate: dappertutto i segni di un'immane<br />
tragedia e della rabbia indomita della natura.<br />
E dappertutto remi che galleggiavano <strong>sul</strong>le onde come rami inerti;<br />
<strong>sul</strong> ponte di poppa di una galea che spuntava <strong>sul</strong>l'acqua si vedeva<br />
una moltitudine di frecce, l'unica traccia che in quel massacro erano<br />
stati travolti degli uomini.<br />
Incapace di aprire bocca, con mani tremanti sciolsi le cinghie<br />
dell'elmo e me lo tolsi. Derek mi fissava muto. Alla fine trovai<br />
qualcosa da fare: mi misi a contare le galee distrutte. Arrivato a<br />
quattordici e perso a quel punto il conto, emisi un profondo sospiro.<br />
«Quante sono naufragate?»<br />
Si strinse nelle spalle. «Ne abbiamo contate venti, ma forse sono<br />
di più.»<br />
«Quanti morti! Ce ne saranno ancora un centinaio nell'acqua.»<br />
«Sì, quelli leggeri, senza armatura; gli altri, pesanti, sono affondati<br />
e non più riemersi.»<br />
«Che cosa è successo? Lo so, è stata la tempesta, ma che cosa ha<br />
indotto il loro capitano ad accostarsi a riva in quelle condizioni?<br />
Avrebbe dovuto ordinare alle sue navi di puntare verso l'alto mare.»<br />
«L'avidità lo ha spinto, e il desiderio di vendetta. Ha pensato che<br />
la tempesta fosse finita e che avrebbe potuto sorprenderci non<br />
appena placatasi. C'è stato un momento la scorsa notte in cui il<br />
vento è caduto e la tempesta ha taciuto. Abbiamo creduto che si<br />
fosse sfogata. Ne eravamo convinti. Per tutto il giorno aveva<br />
infuriato.»<br />
Annuii alle sue parole. «Sì, lo abbiamo creduto anche noi nel<br />
forte. Per parecchie ore il vento si è placato, è subentrata la calma e<br />
tutto è stato tranquillo.»<br />
Derek mi ascoltava appena e teneva gli occhi fissi <strong>sul</strong>la piatta isola<br />
che nella baia si frapponeva tra Ravenglass e il mare aperto. Riprese<br />
a raccontare a voce bassa, quasi parlasse a se stesso.<br />
«Ripensando a quanto è avvenuto, ho la sensazione che tutti noi<br />
abbiamo vissuto nell'intervallo tra due tempeste, e quando la prima<br />
se ne è andata, la seconda ha riacquistato forza ed è esplosa più
furibonda di quanto fosse mai stata la precedente nei momenti di<br />
maggiore intensità. Non ricordo venti più rabbiosi. Abbiamo perso<br />
due uomini spinti dal vento giù dalle mura. Nessuno ricorda niente<br />
di simile. Grazie agli dèi, il comandante ha creduto, come tutti noi,<br />
che il pericolo fosse passato. Nell'oscurità ha tentato di avvicinarsi<br />
alla riva, preparandosi ad attaccarci all'alba, e quando la tempesta ha<br />
ripreso, le onde hanno spinto le sue navi contro la costa<br />
sfracellandole.» Si avvicinò al parapetto. «Non so quante galee siano<br />
andate perdute, forse non lo sapremo mai, ma non avremo più da<br />
temere dai Figli di Condran. Due spedizioni disastrose, l'una dopo<br />
l'altra, dovrebbero bastare a placare ogni appetito su Ravenglass.»<br />
Si voltò a guardarmi ed era la prima volta che incontravo il suo<br />
sguardo da quando ero arrivato. «Amico mio, sei inzuppato e livido<br />
di freddo, e io sono qui dall'alba. Andiamo a riscaldarci davanti a un<br />
bel fuoco. Dubito che Connor arriverà oggi. Un marinaio con la sua<br />
esperienza di navigazione probabilmente sarà al sicuro con le galee<br />
in qualche baia sottovento. Forse laggiù, nell'Isola di Man.»<br />
Guardai nella direzione da lui indicata e, sebbene non vedessi<br />
niente, sapevo che si riferiva al vasto lembo di terra che si profilava<br />
al largo della costa della Britannia. Per quanto inesperto di mare, gli<br />
diedi ragione. Sembrava ragionevole pensare che Connor, vedendo<br />
avvicinarsi la tempesta da occidente, avesse deciso, valutato il<br />
rischio, di ripararsi al sicuro nei pressi dell'isola.<br />
Con un sospiro lanciai un ultimo sguardo alla baia piena di morte,<br />
quindi mi volsi per avviarmi in città.<br />
Ed eccoli i due ragazzi, Artù e Bedwyr, che mi fissavano; in mezzo<br />
alla folla affaccendata, sembravano avvolti da un alone di calma<br />
immobile.<br />
Derek si era allontanato di pochi passi e lo trattenni afferrandolo<br />
per la manica. Si fermò e mi guardò incuriosito mentre con l'indice<br />
facevo cenno ai due ragazzi di avvicinarsi. Si guardarono<br />
scambiandosi un gran sorriso che riuscivo a distinguere da lontano,<br />
poi di corsa si precipitarono verso la prima scala.<br />
«Che cosa fai? Pensi che sia uno spettacolo da mostrare a due<br />
ragazzi?» La sua voce esprimeva dissenso.
«No,» risposi mentre vedevo sbucare le teste dei due «non glielo<br />
mostrerei se fossero ragazzi come tanti altri, ma sarà una lezione per<br />
due futuri guerrieri e condottieri di uomini.»<br />
Derek brontolò in tono di disapprovazione, ma non protestò<br />
oltre. Quando Artù e Bedwyr mi furono vicino, posai una mano<br />
<strong>sul</strong>la spalla di ciascuno.<br />
«Ascoltatemi ora. Sentite nel cuore il desiderio di muovere guerra<br />
un giorno o l'altro, di vincere e conquistare gloria?»<br />
«Sì, Cay, non appena saremo grandi» disse Artù spalancando gli<br />
occhi. Bedwyr si limitò ad annuire, troppo esaltato dalla prospettiva<br />
per riuscire a parlare.<br />
«Non appena sarete grandi» feci eco aggrottando la fronte. Mi<br />
misi in ginocchio per guardarli negli occhi alla loro altezza. «Forse<br />
non ci credereste se non lo vedeste di persona, ma ci sono spettacoli<br />
che nessuno è mai abbastanza grande da contemplare senza orrore e<br />
dolore. Uno di questi è ai nostri piedi, sotto le mura. Ho deciso che<br />
vediate. Venite.»<br />
Li condussi al parapetto e rimasi in mezzo a loro, continuando a<br />
tenere una mano <strong>sul</strong>la spalla di ciascuno. Percepii i loro corpi che si<br />
irrigidivano non appena capirono quello che era accaduto lì sotto.<br />
Sapevo di essere stato crudele, ma da maestro e guida sapevo anche<br />
che nessuna lezione sarebbe stata più efficace. Eppure, nonostante<br />
tutto, vedevano la morte da lontano. <strong>Il</strong> sangue, le ferite, la<br />
carneficina li scorgevano, ma a distanza, lavati dalle onde,<br />
confusamente. Troppo lontani per notarle erano le viscere lucide, gli<br />
escrementi, le secrezioni corporee; per questa volta sarebbe stato<br />
loro risparmiato l'odore nauseabondo della morte violenta. Quella<br />
vista tuttavia li cambiò per sempre nell'arco di pochi istanti e mai più<br />
avrebbero provato l'eccitazione infantile avida di gloria. Quando<br />
ebbero guardato a sufficienza, mi rivolsi a loro e parlai, consapevole<br />
del pallore delle loro gote e dello sgomento doloroso nei loro occhi.<br />
«Come vedete, non c'è gloria nella guerra. Di questa verità avete<br />
la prova: morte e disperazione, vergogna e costernazione, squallore,<br />
miseria, follia; devastazione, rovina, spreco, distruzione; nessuna<br />
grandezza, soltanto l'incredulità e la voglia di vomitare, di piangere.<br />
Nessuno muore bene in battaglia, e nessuno muore gloriosamente.
Se non imparate altro oggi, imparate almeno questo: i morti non<br />
vincono la guerra. I morti perdono ogni cosa, compresa la dignità, e<br />
prima di tutto perdono la vita. Soltanto i vivi possono essere<br />
vittoriosi. Nessuno, mai, vince nella morte.<br />
Quegli uomini che vedete laggiù, gettati dalle onde <strong>sul</strong>la riva o<br />
ancora galleggianti <strong>sul</strong>l'acqua, sono morti perché erano al seguito di<br />
un capo pazzo, incapace di valutare il rischio. Precipitoso e<br />
avventato, ha esposto a un mortale pericolo e portato alla rovina i<br />
suoi uomini e le sue navi; ha perduto tutto. Se fosse vivo, dovrebbe<br />
essere impiccato per essersi abbandonato alla follia omicida.<br />
Comandare significa assumersi la responsabilità degli uomini che si<br />
affidano a noi. La loro vita è nelle nostre mani da sacrificare in una<br />
guerra vittoriosa, ma sacrificare con giudizio, con prudenza, con<br />
riluttanza; bisogna adoperarsi perché nessuno, non uno, sia<br />
sacrificato inutilmente. È responsabilità del capo mandare gli uomini<br />
in battaglia ed esporli al rischio di morire, ma è un assassinio<br />
mandarli al massacro. Tenete a mente queste parole d'ora innanzi, e<br />
ricordate le centinaia di morti inutili, le centinaia di uomini<br />
assassinati. Andate a cercare la zia Ludmilla. Dite a lei e a Shelagh che<br />
io sono con il re Derek e presto le raggiungerò. Su, andate, di corsa.»<br />
Derek, che era rimasto a guardare e ascoltare in silenzio, non<br />
lasciò trapelare né con un gesto né con un'occhiata quello che<br />
pensava, e non aprì bocca mentre dalle mura ci dirigevamo verso la<br />
sua grande casa.
XIII.<br />
Ricordo che la tempesta e la nostra visita a Ravenglass segnarono<br />
due importanti eventi: l'inizio della fine di un'epoca della mia vita,<br />
imposto da una decisione che presi mentre ero ospite nella casa di<br />
Derek, e il primo vero passo verso la maturità del piccolo Artù<br />
Pendragon nel momento in cui osservò, valutò e venne a patti con<br />
quanto aveva visto in quel porto, una sintesi di morte e distruzione.<br />
Due giorni dopo il nostro arrivo apparve Connor con le sue galee<br />
a vele spiegate nella luce luminosa di un'alba che si annunciava di<br />
sole, confermando l'ipotesi di Derek secondo la quale il bravo<br />
capitano, in previsione della tempesta, aveva messo la sua flotta al<br />
riparo in una delle insenature della grande isola al largo, nota come<br />
Man. Non appena si era schiarito il cielo, aveva ripreso il mare e nel<br />
tragitto si era imbattuto nelle poche galee sopravvissute e ormai allo<br />
sbando della flotta dei Figli di Condran, affondandole tutte.<br />
Preoccupato per il ritardo, sapeva che gli rimaneva ben poco tempo<br />
per depositare sani e salvi i suoi passeggeri a sud, quindi volgere la<br />
prua di nuovo verso nord-ovest per riunirsi alla sua flotta di ritorno<br />
dal nord e diretta nell'Eire. Affrettatosi quindi a imbarcare Ambrogio,<br />
Ludmilla e i loro averi, salpò ben presto, a fatica aprendosi un<br />
passaggio tra i relitti che ancora ingombravano il porto.<br />
Li guardammo partire salutandoli dai bastioni finché non ebbero<br />
doppiato il promontorio davanti a noi. Trascorremmo quindi tre<br />
giorni ad aiutare la gente di Derek nell'erculea impresa di togliere i<br />
detriti del naufragio, recuperandoli o distruggendoli perché non<br />
ostacolassero l'accesso al porto e seppellendo i cadaveri che<br />
trovavamo, ben sapendo che le onde ne avrebbero spinti altri <strong>sul</strong>la<br />
spiaggia chissà per quanti mesi.<br />
Una volta fatto quel che si poteva, riprendemmo la strada per<br />
Mediobogdum sotto un cielo benigno, tra il cinguettio di<br />
innumerevoli uccelli e il verde lussureggiante del nuovo fogliame,<br />
lucente negli angoli protetti, tra il quale brillavano le gemme<br />
inebrianti e profumate dei meli, dei peri, dei biancospini bianchi e
osa.<br />
Quel viaggio di ritorno ci vide per lo più immersi in riflessioni,<br />
intenti, ciascuno di noi a seconda della sua natura, a considerare ciò<br />
che sarebbe potuto accadere a Ravenglass se la tempesta non avesse<br />
per breve tempo ingannato il nemico. Trovammo ancora al suo<br />
posto, <strong>sul</strong> fianco della collina, il groviglio di rami e alberi caduti che<br />
bloccava l'erta salita della strada. Accettammo quella presenza con<br />
stoicismo e un vago senso di sorpresa nel vedere che non era<br />
cambiato niente in quella settimana.<br />
Nei giorni successivi per prima cosa avremmo provveduto a<br />
sbloccare la strada, utilizzando corde, asce, seghe, squadre di cavalli.<br />
Avendo lasciato a Ravenglass Lars e il carro con l'intesa che lo<br />
avremmo avvertito non appena la strada fosse stata di nuovo<br />
transitabile, superammo la barriera senza sostare; impiegammo<br />
meno di un'ora a girarvi intorno, procedendo uno a uno, contenti di<br />
non essere ostacolati dai torrenti di acqua che nell'andata si erano<br />
rovesciati addosso a noi dagli alberi.<br />
Cavalcavo a disagio accanto a Lucano <strong>sul</strong>la parte più aspra della<br />
salita perché avevo notato poco prima che pareva sofferente e<br />
cercava in tutti i modi di non darlo a vedere. Era pallido, smunto;<br />
intorno agli occhi e alla bocca aveva solchi profondi quali non<br />
avevo mai visto. Non gli espressi la mia ansia, ben sapendo che si<br />
sarebbe affrettato a negare come se l'avere contratto una malattia o<br />
il provare malessere fossero un in<strong>sul</strong>to alla sua arte. Invece di<br />
rivelargli i miei sospetti mi limitai a cavalcare al suo fianco, parlando<br />
poco ma tenendomi pronto a sorreggerlo se avesse dato segno di<br />
non riuscire a stare più in sella. Soltanto quando avemmo superato il<br />
punto più difficile della salita, mi allontanai per raggiungere Donuil e<br />
Shelagh che davanti a noi procedevano l'uno accanto all'altra,<br />
parlando quietamente tra loro. Avvertendoli di non voltarsi indietro<br />
a guardare Lucano, li misi da parte delle mie preoccupazioni e con<br />
Shelagh mi accordai di accompagnarlo subito a letto non appena<br />
fossimo arrivati al forte.<br />
Poco dopo affrontammo l'ultimo tratto della scoscesa salita e<br />
vedemmo sopra di noi, <strong>sul</strong>la sinistra, luminoso nel sole di<br />
mezzogiorno il tratto delle mura verso occidente. Dedalo suonò il
corno di rame per annunciare il nostro arrivo, e quando, lasciando la<br />
strada, ci dirigemmo verso la porta principale del forte, Hector e<br />
parecchi altri già ci venivano incontro. Mi sorpresi a sorridere nel<br />
vedere i loro volti lieti, ma gran parte della mia attenzione era<br />
rivolta al pennacchio di fumo che si levava sopra le terme. Salutai<br />
tutti, tolsi l'elmo e la spada dalla sella, vi posai sopra il mantello e,<br />
affidato Germanico a Donuil, mi diressi alle terme.<br />
Quando vi arrivai, nel sudatorium c'era un altro occupante. Ne<br />
percepii immediatamente la presenza sebbene le nuvole ondeggianti<br />
di vapore me lo nascondessero alla vista. Rispose al mio saluto la<br />
voce di Mark, il giovane falegname. Lo vidi in piedi vicino alla<br />
parete e, mentre mi avvicinavo, abbassò le braccia che aveva tenuto<br />
alte <strong>sul</strong>la testa, quindi si lanciò a farmi tutta una sfilza di domande<br />
<strong>sul</strong> nostro viaggio. Riluttante a lanciarmi in un resoconto lungo e<br />
sgradevole, lo trattenni con un gesto della mano, scuotendo la testa<br />
e chiedendogli venia adducendo come scusa la stanchezza e il<br />
desiderio di stirarmi e rilassarmi. Si strinse nelle spalle, sorrise e<br />
annuì, accettando la mia reticenza, e riprese l'esercizio cui si era<br />
dedicato prima. Nessun altro venne a turbare la mia solitudine. Feci<br />
il bagno, mi infilai la tunica, indossai i sandali e mi avviai verso il<br />
mio alloggio portando gli altri indumenti ammucchiati nella corazza<br />
che usavo a mo' di cesto. Pregustavo la gioia di indossare vesti<br />
fresche e odorose di bucato, ma questi pensieri si dileguarono<br />
quando scorsi Tressa nella mia casa. Aveva spalancato le persiane per<br />
arieggiare le stanze; vedendo questo, notai anche che in quel<br />
momento, con la schiena verso di me, stava spazzando.<br />
Non appena la scorsi, istintivamente, senza soffermarmi a<br />
pensare, mi girai sui talloni e mi affrettai ad allontanarmi, temendo<br />
che potesse voltarsi e cogliermi nell'atto di fissarla. Imprecavo contro<br />
la mia viltà, arrabbiato con me stesso per scappare in quel modo da<br />
una giovane donna innocua. Non sarei del tutto sincero se dicessi<br />
che ero sgomento e smarrito nel trovare Tressa nel mio alloggio,<br />
eppure ero... ero attonito. La violenza di quella mia reazione mi<br />
colse di sorpresa inducendomi a chiedermene il perché. E quando lo<br />
feci, mi accorsi che dentro di me, stranamente nascoste nel più<br />
profondo dell'animo, c'erano cose che non mi piacquero molto.
Non c'era dubbio che una parte di me aveva sperato di trovarla in<br />
casa, un'altra parte aveva sdegnato con sconcertante<br />
disapprovazione quella stessa speranza, e un'altra parte ancora,<br />
preponderante, superficiale, inconsapevole, sembrava a un attento<br />
esame del tutto ignara di ogni pensiero che riguardasse la giovane.<br />
Quest'ultima "verità" era naturalmente una menzogna, e mi<br />
seccava accorgermi che sapevo mentire a me stesso. Tressa, la sua<br />
seducente bellezza, le fossette del viso quando sorrideva, il seno alto<br />
e orgoglioso, la vita sottile, i fianchi rotondi erano stati quasi sempre<br />
nei miei pensieri dalla notte della tempesta, quando l'avevo fissata<br />
così a lungo durante la cena. Soltanto tenendone conto avrei potuto<br />
valutare con attenzione la reazione di censura e disapprovazione<br />
insorta in me verso le istanze recondite del mio animo. Da dove<br />
emergevano? Perché si manifestavano con tanta intensità?<br />
Mi accorsi che a grandi passi percorrevo la strada principale del<br />
forte quasi avessi un compito da svolgere. Mi costrinsi a rallentare<br />
fino al punto che mi trovai a ciondolare. Parecchi mi superarono,<br />
salutandomi con un silenzioso cenno della testa, prima che arrivassi<br />
alla porta posteriore e da lì mi portassi <strong>sul</strong>l'orlo del precipizio dove<br />
mi ero librato, poco tempo prima, a braccia spalancate come<br />
un'aquila nel vento. Trovata una pietra ricoperta di muschio in un<br />
punto dal quale potevo guardare la valle sottostante, mi sedetti<br />
lasciando che i miei pensieri corressero a briglia sciolta.<br />
I lunghi anni di assidua riflessione su me stesso mi avevano<br />
abituato a identificare i motivi che mi inducevano ad agire in un<br />
certo modo. Avevo cominciato a pormi domande e ad analizzare le<br />
motivazioni per reagire a una sferzante critica di mio cugino Uther,<br />
che mi aveva accusato di essere presuntuoso, moralistico, pronto a<br />
giudicare con severità e con sufficienza. Deciso, con l'arroganza della<br />
giovinezza, a cambiare atteggiamento, mi ero abituato a<br />
interrogarmi ed esaminarmi spietatamente, arrivando così a<br />
conoscermi troppo bene per potermi ingannare anche solo<br />
momentaneamente.<br />
Ora utilizzavo questa capacità di autoanalisi per sviscerare la<br />
questione di Tressa e capire la mia reazione al vederla. Evitai<br />
brutalmente di fingere a me stesso o abbandonarmi a dinieghi, e
quando dagli occhi cadde l'ultimo velo, accettai ciò che vedevo<br />
come verità incontrovertibile: Tressa era per me inequivocabilmente<br />
attraente, ero deciso a cedere all'inevitabile e a comportarmi in<br />
conformità a quel richiamo. Rimaneva tuttavia un conflitto interiore<br />
circa il celibato che mi aveva fatto passare in quegli anni ore<br />
tormentose. Qualcosa dentro di me, una molesta voce della<br />
coscienza, si struggeva per la rinuncia a un ideale che mi era parso<br />
luminoso. <strong>Il</strong> desiderio, genuino e acutamente sentito, di vivere<br />
castamente aveva radici profonde, comprensibili seppure non del<br />
tutto encomiabili e logiche. <strong>Il</strong> desiderio per Shelagh era un fardello<br />
che mi portavo addosso da anni, inappagato e inammissibile, in<br />
quanto avrebbe portato al perfido tradimento di un caro amico. <strong>Il</strong><br />
voto di astinenza a quel riguardo non aveva conosciuto cedimenti;<br />
avevo sperato che la castità fisica si sarebbe estesa ai pensieri<br />
inconsci. <strong>Il</strong> senso di colpa e il conflitto suscitato dai ricordi di mia<br />
moglie morta, seppur inesplicabili, erano reali, e una parte profonda<br />
di me aveva cercato una via d'uscita nel celibato, sebbene non<br />
sapessi dire e precisare perché dovessi sentirmi in colpa. L'altra<br />
donna, che mi aveva attratto oltre a Shelagh, la deliziosa Ludmilla, si<br />
era innamorata e aveva sposato mio fratello Ambrogio. Nessun<br />
senso di colpa e nessun desiderio a questo riguardo, e di ciò ero<br />
lieto. Ludmilla era come una sorella e nei suoi confronti nutrivo<br />
sentimenti fraterni. Eppure anche lei aveva influito <strong>sul</strong>la mia<br />
decisione di votarmi alla castità: avevo osato amarla e l'avevo<br />
perduta prima che i miei sentimenti potessero maturare. <strong>Il</strong> celibato<br />
avrebbe eliminato quel pericolo dal mio futuro.<br />
Era poi subentrato il terrore di avere contratto la lebbra e la<br />
maledizione del contagio. Una ragione imprescindibile che mi<br />
vincolava al celibato! Ma anche questo momento era passato<br />
quando Lucano aveva ricevuto la pergamena e la macchia <strong>sul</strong>la pelle<br />
era rimpicciolita.<br />
E in mezzo a tutto c'erano stati l'amore e l'orgoglio per il giovane<br />
Artù Pendragon e la responsabilità di dargli quanto stava nelle mie<br />
possibilità e capacità. Avevo creduto che il celibato avrebbe svuotato<br />
la mia mente di ogni pensiero profano e mi avrebbe lasciato libero<br />
di imparare e di insegnare al ragazzo. Poi era arrivata la deliziosa,<br />
seducente Tressa.
Mi bastava all'inizio vederla per sgomentarmi; poi avevo<br />
cominciato a perdere i miei timori e a riconoscerli per quello che<br />
erano: la paura di essere respinto e di essere, a quarantanni troppo<br />
vecchio per piacere a una giovane donna.<br />
Oltre a ciò avevo il terrore irragionevole che la semplice<br />
ammissione di essere fisicamente attratto da una donna potesse in<br />
qualche modo darle un potere su di me, e il terrore persisteva<br />
sebbene la parte razionale mi dicesse che non era vero: lo<br />
dimostrava Shelagh. Sapevo anche che l'essere attratto da Tressa non<br />
significava esserne istupidito e abbrutito. Ero consapevole di<br />
possedere una forza intellettuale che mi avrebbe protetto dalle sue<br />
trame di seduzione e sapevo che da quel punto di vista non mi stava<br />
alla pari. Parlava lentamente e con semplicità, si comportava con<br />
umile soggezione, i modi erano deferenti e rispettosi. La sua presenza<br />
era una piacevole distrazione, in nessun modo minacciosa, ora che<br />
avevo fissato le condizioni entro le quali gestire la relazione.<br />
Tranquillizzato, mi girai e lentamente mi avviai verso casa dove<br />
Tressa era ancora affaccendata a riordinare. La salutai con calma<br />
notando con quale piacere mi accoglieva; cercai quindi di ignorarla<br />
per il momento, tentativo questo destinato a fallire perché ero<br />
acutamente consapevole del grembiule giallo che indossava e della<br />
vicinanza fisica.<br />
Una volta rassicuratala che la sua presenza non mi era di disturbo,<br />
mi sedetti a un tavolino accanto a una delle finestre, e mentre lei<br />
continuava a sbrigare i compiti che le aveva assegnato Shelagh, presi<br />
a leggere uno dei libroni dello zio Varro. Spesso, intenta alle<br />
faccende, mi passava vicino e allora io percepivo il profumo della<br />
sua persona nell'aria intorno. Era un buon odore, tiepido e lindo,<br />
leggermente muschiato dal sudore appena stillato. Cercai di<br />
ignorarlo, ma si risvegliò in me la consapevolezza di essere nudo<br />
sotto la tunica. Mi trovai a essere sgradevolmente congestionato dal<br />
desiderio e svuotato mentalmente.<br />
Tressa naturalmente non sospettava l'effetto che la sua vicinanza<br />
mi provocava, e fu quella innocenza che mi aiutò a superare la<br />
tensione e a recuperare un'apparenza di calma. Come si rese conto<br />
che la sua presenza non mi irritava e disturbava, cominciò a
chiacchierare, ciarlando di cose innocue; dal canto mio trovavo<br />
piacevole e rilassante starmene seduto ad ascoltare il suo cicaleccio.<br />
Non si era aspettata che tornassi così presto, disse. Quando ero<br />
arrivato, aveva da poco cominciato a sbrigare le faccende, spiegò a<br />
voce alta dalla camera da letto dove era intenta a cambiare le<br />
lenzuola. Avrebbe presto finito e se ne sarebbe andata lasciandomi il<br />
tempo di riprendermi dal viaggio.<br />
Girato a metà per prestare orecchio alle sue parole che mi<br />
arrivavano sommesse e confuse attraverso la porta, scorsi <strong>sul</strong>l'altro<br />
tavolo - il tavolo più grande - una pila di indumenti assortiti, tutti<br />
miei, posti vicino a un cesto coperto. Curioso mi avvicinai per<br />
vedere che cosa ci fosse nel cesto. <strong>Il</strong> coperchio, una volta levato, mi<br />
rivelò un cuscinetto con appuntati almeno venti aghi di varie<br />
dimensioni, una profusione di gomitoli, fili, cordoni, mescolati a<br />
brandelli di tessuto colorato.<br />
Sentendola rientrare nella stanza e avvicinarsi a me, mi girai<br />
confuso quasi mi avesse colto a spiare. Parve non accorgersi del mio<br />
imbarazzo, limitandosi a lanciare un'occhiata alla pila di indumenti e<br />
dicendo che era stata sua intenzione rammendare quelli più<br />
consumati, ma che avrebbe aspettato un momento più propizio,<br />
quando fossi stato occupato altrove nel forte. Si accostò al tavolo e<br />
all'improvviso fui sopraffatto dalla sua presenza. Incapace di aprire<br />
bocca, mi scostai, rapido, rigido, goffo, quasi temessi di essere<br />
aggredito. Così facendo, non so come, rovesciai il cestino e i<br />
gomitoli colorati rotolarono <strong>sul</strong> tavolo e <strong>sul</strong> pavimento.<br />
Rapida, senza una parola di protesta, Tressa si chinò e<br />
accovacciata per terra prese a raccoglierli in grembo con movimenti<br />
che, evidenziando le sue forme, mi parvero molto erotici. Sentendo<br />
in gola un groppo di desiderio, paralizzato, osservai le caviglie nude,<br />
le gambe rotonde, i glutei sodi sotto la stoffa della veste, incapace di<br />
distogliere lo sguardo dalla scollatura e dal seno pieno e vibrante.<br />
Sentii tendersi i lombi e gonfiarsi il fallo. In quel momento il piede le<br />
si aggrovigliò in qualche modo nella veste e lei vacillò lì lì per<br />
perdere l'equilibrio vicino a me. Mi girai bruscamente e mi allontanai<br />
verso la camera da letto; mi chiusi la porta alle spalle e mi appoggiai<br />
allo stipite, con il cuore che palpitava forte. Mi chiedevo se si fosse<br />
accorta della mia erezione.
Sembrava che da mesi avessi atteso quel momento, soltanto per<br />
essere devastato dall'imprevisto scontro tra il desiderio e la sua<br />
negazione. Fui sopraffatto, quasi fosse un demone vendicatore, dal<br />
timore di perdere l'occasione, di spaventarla mostrandomi<br />
importuno. Qualche istante più tardi, ancora in preda al panico, con<br />
l'orecchio appoggiato alla porta e il cuore martellante in petto, colsi<br />
il suono di lei che se ne andava e chiudeva l'uscio esterno. Rimasi a<br />
lungo lì appoggiato, in attesa che il batticuore si attenuasse e con la<br />
vana speranza di svuotarmi la mente del tumulto di pensieri che<br />
sciamavano. Quando dalla camera da letto passai nell'altra stanza,<br />
provai simultaneamente piacere e rimpianto: ero riuscito a non<br />
mettere in allarme Tressa e a non bruciare le mie possibilità, ma<br />
avevo perduto un'occasione che forse non si sarebbe ripresentata.<br />
Tressa se ne era andata, era per il momento uscita dalla mia vita.<br />
Qualche tempo dopo, quando avevo ripreso la calma e con essa<br />
l'equanimità del giudizio e il senso delle proporzioni, Shelagh, dopo<br />
avere bussato con forza, entrò guardandomi curiosamente.<br />
«Stai bene?»<br />
«Entra» dissi strizzando gli occhi per vederla meglio contro la<br />
violenta luce pomeridiana che entrava dalla porta. «Sto bene. Era<br />
Lucano quello che non stava bene. Ricordi? Che ne è di lui?»<br />
Lasciando l'uscio socchiuso, si avvicinò alla finestra. Mi ero<br />
cambiato la tunica e indossavo abiti puliti. Shelagh portava ancora le<br />
vesti da viaggio, una tunica di pelle che le scendeva alle caviglie, con<br />
due lunghi spacchi laterali che arrivavano alla vita, e sotto un paio di<br />
morbidi pantaloni. Aveva lo stesso taglio dell'abito che portavo<br />
anch'io in viaggio, a sua volta modellato su una veste di Publio<br />
Varro che gli aveva confezionato, prima ancora del matrimonio, la<br />
futura moglie Luceia. Alcuni si erano scandalizzati a vedere Shelagh<br />
che montava a cavallo come un uomo, ma lei si era dimostrata<br />
indifferente alla loro pudibonda suscettibilità, e nel frattempo tutti,<br />
oramai abituati a lei in quella foggia, avevano dimenticato, almeno<br />
da quel punto di vista, che era una donna.<br />
Mi guardò socchiudendo gli occhi, la testa piegata di lato.<br />
«Lucano sta bene. Era soltanto stanco del viaggio. Non è più un<br />
giovanotto e, come sai, non è mai stato un bravo cavaliere. Si stanca
ad andare a cavallo, si stanca anche a stare in sella. Appena<br />
smontato, ha ripreso colore. Ho cercato di convincerlo a distendersi<br />
<strong>sul</strong> letto, ma non ha voluto saperne. L'ho visto poco fa, seduto al<br />
sole, intento a chiacchierare con Joseph. Sembrava a suo agio. Come<br />
ti senti tu?»<br />
«Io? Come dovrei sentirmi? Non sono diverso da com'ero quando<br />
siamo arrivati... in ottima forma.»<br />
«Tressa mi ha detto che non avevi l'aria di stare bene, che<br />
sembravi affranto.»<br />
L'attimo in cui pronunciò il nome dell'altra donna fu per me una<br />
rivelazione. Nell'andarsene dal mio alloggio Tressa si era subito<br />
recata da Shelagh. Tressa agiva ai suoi ordini. Fremetti, ma fui<br />
attento a nascondere a Shelagh ogni segno che avevo capito. Sentii<br />
un tumulto di pensieri ed emozioni, ma fu per breve tempo; ripresi<br />
subito il controllo di me stesso e per la prima volta in vita mia anche<br />
di Shelagh. Mi trovai a sorriderle calorosamente.<br />
«Tressa! Si è sbagliata. Sto bene e non sono affranto. Ma adesso<br />
che hai fatto il suo nome, parleremo di lei.»<br />
Shelagh, che si era avvicinata alla finestra, si profilava nitidamente<br />
nel chiarore pomeridiano. Rimase lì a lungo a guardarmi, la testa<br />
alta; la luce alle sue spalle mi impediva di leggere l'espressione dei<br />
suoi occhi.<br />
Attesi contando mentalmente fino a dieci prima che lei con voce<br />
dolcissima dicesse: «D'accordo, parliamone. Che cosa c'è da<br />
discutere?».<br />
Sì, che cosa c'era da discutere? Prima che me ne rendessi conto, mi<br />
trovai sbilanciato. La semplicità e l'immediatezza della reazione di<br />
Shelagh mi avevano colto impreparato. Non potevo darle una<br />
risposta diretta senza tradire, forse in modo offensivo, che avevo<br />
intuito le sue intenzioni, o senza rischiare di apparire sciocco e<br />
ingrato, esprimendo su Tressa un giudizio aspro che non meritava.<br />
Tossicchiai, schiarendomi la gola per prendere tempo; alla fine<br />
decisi di essere sincero.<br />
«Tressa» dissi e mi fu facile sorridere. «Mi hai teso una trappola, e<br />
l'esca è stata Tressa.»
Vidi che per un attimo si irrigidiva, quasi fosse sorpresa, ma la sua<br />
voce, quando riprese a parlare, era inalterata. «Una trappola? Non<br />
sono tua nemica, Caio. Perché dovrei farlo?»<br />
«Per deviarmi dalla retta via?» Parlavo in tono cordiale e leggero,<br />
in parte timoroso di offenderla, il che non era nelle mie intenzioni.<br />
«Deviarti da che cosa?»<br />
«Dal mio proposito di non avere vincoli sessuali. Che altro?»<br />
Di nuovo quel fuggevole irrigidimento, seguito da una risata, alta,<br />
chiara, divertita. Vedevo soltanto la sua sagoma scura, contro la luce<br />
abbagliante che veniva da fuori; non riuscivo a cogliere la sua<br />
espressione.<br />
«Senza vincoli? Una giovane donna come Tressa, bella come lei,<br />
sarebbe un vincolo?»<br />
Attesi, ma lei non disse altro. Quando fui sicuro che non avrebbe<br />
proseguito, stringendomi nelle spalle risposi: «Lo considererebbero<br />
tale tutti coloro che ritengono la castità un valore».<br />
«Già, il tuo voto di celibato.»<br />
«Che cosa vuoi dire?»<br />
«Solo quello che ho detto, e con una punta di disprezzo. <strong>Il</strong><br />
celibato è per ogni uomo l'ammissione di non essere riuscito a vivere<br />
all'altezza delle aspettative degli dèi. Ma questo è ridicolo nel tuo<br />
caso.» Si raddrizzò bruscamente e si allontanò dalla finestra. Riuscivo<br />
a distinguere la sua faccia ora e mi fu di sollievo. Ridendo, andò a<br />
sedersi al tavolo dove poco prima ero stato seduto io.<br />
«Perché ridi di me?»<br />
«Non rido di te.» Ma pur così dicendo continuava a ridere. La<br />
sentivo però amica e sapevo che la sua risata non era sprezzante.<br />
«Vieni a sederti qui, vicino a me.» Presi l'altra sedia e mi misi di<br />
fronte a lei. Per qualche istante rimase immobile, sorridendo e<br />
scuotendo la testa. «Ammetto, Cay, di avere portato Tressa nella tua<br />
casa di proposito. L'ho vista in sogno una notte insieme a te, e tu<br />
sorridevi.» Levò una mano. «Non chiedermelo: non so se si trattasse<br />
di un sogno profetico, ma era nitido, inequivocabile, ricco di<br />
promesse. Ho agito spinta da quelle impressioni.» Scosse la testa con
gesto impaziente e scostò una ciocca di capelli che le era scesa sugli<br />
occhi. «Caio, questo tuo discorso <strong>sul</strong> celibato è assurdo per quanto ti<br />
riguarda. Non mi interessa discutere le tue ragioni. Non sei votato<br />
alla castità. Sì, hai voluto farmi credere di esserlo, almeno così ha<br />
voluto la tua mente con il suo amore per la logica. Ci credo. Ma che<br />
ne è dell'altra parte della tua mente, quella che cerca uno sbocco<br />
sognando donne con o senza volto? Lo sfogo, l'eiaculazione,<br />
dimostra che c'è vita in te, Caio, una vita che esige di essere vissuta.<br />
Negarlo davanti al tuo dio, al mio o al dio di chiunque è peccato, è<br />
sicuramente peccato. Guardami, non voltare il viso.»<br />
Tornai dunque a fissarla, ma non le dissi niente e lei strinse gli<br />
occhi.<br />
«La ragazza? Non ti piace?»<br />
Scossi la testa. «Nient'affatto. È attraente, pulita, sana.»<br />
«Allora? Qualcosa non va. Che cosa le manca?»<br />
«Non le manca niente, almeno <strong>sul</strong> piano fisico.»<br />
«E neanche su quello mentale. Le hai parlato?»<br />
Sollevai sorpreso le sopracciglia. «Certamente. Le ho parlato oggi.<br />
Ha chiacchierato raccontando quello che faceva.»<br />
«Non questo tipo di cose. Aveva paura di te, era nervosa, credo.<br />
Hai parlato con lei, Cay? Vi siete scambiati qualche idea?»<br />
«Su quali argomenti?»<br />
Levando le mani in un gesto di rassegnazione, emise un sospiro<br />
profondo. «Su qualsiasi cosa! Caio, con quella ragazza puoi discutere<br />
di ogni cosa che ti passa per la testa. Non lasciarti ingannare da<br />
quella che tu, da uomo, consideri la sua semplicità, forse rozzezza, di<br />
linguaggio. È una cucitrice brava, non ne ho mai conosciuta una<br />
altrettanto esperta; il suo cervello funziona bene quanto il mio o<br />
quello di Ludmilla o di altre donne.» Si buttò all'indietro <strong>sul</strong>la sedia,<br />
fissandomi a occhi spalancati e scuotendo piano la testa in segno di<br />
stupore per la mia insipienza.<br />
«Che cos'hai, Shelagh? Credo che tu voglia dirmi qualcosa.»<br />
«Sì. Te lo ricordi?» Lasciò cadere le mani in grembo e allargò le<br />
dita <strong>sul</strong>le cosce ricoperte dalla tunica di cuoio, che segnava la forma
delle gambe. La guardai confuso, mentre il cuore mi batteva<br />
all'impazzata in petto.<br />
«Ricordo che cosa, Shelagh?» Inequivocabile era la tensione nella<br />
mia voce, greve e sensuale.<br />
«<strong>Il</strong> corpo avvolto da queste vesti, il corpo che molto tempo fa,<br />
decidemmo di comune accordo, per ottime ragioni, che tu non<br />
avresti mai avuto. In tutti questi anni non abbiamo mai fatto niente<br />
di cui vergognarci agli occhi di nessuno.»<br />
Inghiottii cercando di liberarmi del groppo che sentivo in gola.<br />
«Lo so. Perché me lo dici, Shelagh?»<br />
«Perché so quanto può fare male il desiderio, Cay, sebbene abbia<br />
un marito che amo, che mi ama e può soddisfare ogni mia voglia.<br />
Mi addolora - e da molti anni provo questo dispiacere - sapere che<br />
tu non hai altre risorse salvo i tuoi sogni.»<br />
La voce si spense e ne seguì un lungo silenzio. Alla fine annuii.<br />
«Così hai scelto Tressa perché fosse il mio passatempo?»<br />
«Ho scelto Tressa, sciocco, ma non perché fosse il tuo passatempo.<br />
L'ho scelta per te. E, credimi, l'ho fatto con grande cura.»<br />
«Come mai?» le chiesi sorridendo. «Non hai forse detto che l'avevi<br />
vista in sogno?»<br />
«Sì. La vidi in sogno. Ma i sogni sono sogni e la vita è reale: chi<br />
può saperlo meglio di te? Ho studiato la ragazza prima di compiere<br />
il primo passo. Ho setacciato, alla ricerca di pecche e difetti, tutto di<br />
lei... la giovinezza, la salute, la famiglia, il carattere. Non ho trovato<br />
che un'unica imperfezione. È fatta per te, Cay.»<br />
«Non desidero sposarmi, Shelagh. Se non posso avere te, non<br />
avrò nessun'altra.» Non dissi nulla del giuramento che, dopo la<br />
morte di Cassandra, avevo fatto a me stesso di non prendere una<br />
nuova moglie. Non vedevo alcun motivo per parlarne e non mi<br />
passava per la testa di sposare Tressa.<br />
«Parole stolte, che non possono essere tue. Non ho parlato di<br />
matrimonio. Non ho mai pensato di trovarti una moglie.»<br />
«Forse è vero, Shelagh, ma contrasta con il mio concetto di<br />
responsabilità. Oggi mentre le ero vicino e la guardavo intenta a
accogliere i gomitoli che avevo lasciato cadere a terra, me la figurai<br />
gravida, incinta di mio figlio; la percepii minacciosa. Fu la fine di<br />
tutto in quell'istante.»<br />
«Non è niente! Un ultimo rigurgito di coscienza e un impulso ad<br />
autopunirti.»<br />
La fissai con stupore. «Tu parli così? Non potevi essere più<br />
convincente. Basta così; so che se la tocco, finirà con il trovarsi<br />
incinta. Di questa complicazione non ho la minima necessità. Non<br />
ho intenzione di procreare figli bastardi. Se rimanesse gravida, dovrei<br />
sposarla e questo, senza alcuna avversione per Tressa, non può<br />
essere. Ho un preciso compito nella vita, ben chiaro e definito da<br />
tempo: Artù Pendragon, davanti a tutto. Abbi fede nel mio giudizio<br />
e lasciamo stare.»<br />
«È sterile.»<br />
«Cosa?» Le sue parole mi lasciarono senza fiato. Rimasi a bocca<br />
aperta per lo stupore. Shelagh era tornata a sorridere.<br />
«Tressa è sterile. Ecco l'unica imperfezione che ho trovato in lei.<br />
Aveva un marito che circa un anno fa la cacciò per prendere una<br />
nuova moglie che già gli aveva dato due figli mentre era ancora<br />
sposato con Tressa. <strong>Il</strong> che dimostra che sterile era lei, non suo<br />
marito. Da allora Tressa vive soltanto perché è più brava di ogni<br />
altra a usare l'ago e il filo. Come vedi, ha bisogno di aiuto quanto<br />
te.»<br />
«Mi lasci esterrefatto, Shelagh.» Mi accasciai <strong>sul</strong>la sedia, del tutto<br />
smarrito. «Hai macchinato in tutti i modi per cambiarmi la vita.»<br />
«L'iniziativa è stata solo mia. Tressa non ha idea di quello che mi<br />
passava in mente.» Mi sorrideva senza mostrare segno di contrizione.<br />
«Pensaci, Cay; pensa che cosa potrebbe significare per te un semplice<br />
segno di assenso con la testa: la vicinanza di una donna, uno spirito<br />
pronto che ti tiene agile e vigile, una giovane brava con un bel<br />
sorriso, una compagna di letto allegra che ti riscalda nelle notti<br />
fredde e buie... e anche in quelle tiepide e buie. Di tutto questo hai<br />
bisogno, Caio Merlino Britannico, e tutto questo lo trovi nella<br />
giovane Tressa. Senza paura di generare figli.» Tacque e il volto le si<br />
fece serio. «Ne trarrebbe vantaggio anche Artù, perché in Tressa è
prepotente la vocazione materna.» Con voce più pacata aggiunse:<br />
«Credi che ti darei un consiglio avventato a questo proposito? O che<br />
ti consiglierei male? O che mi profonderei in lodi per una donna<br />
indegna?».<br />
Mi levai lentamente con la testa in subbuglio. Ma prima di<br />
trovare le parole per rispondere a quella serie di affermazioni,<br />
domande, rivelazioni, la porta si aprì ed entrò Dedalo. Fu lì lì per<br />
immobilizzarsi quando vide l'espressione del viso di Shelagh e del<br />
mio.<br />
«Santo cielo! Perdonami, Merlino... cioè Cay... per esserti<br />
piombato addosso in questo modo senza neppure bussare o chiedere<br />
il permesso. Non sapevo che eri occupato. Shelagh, ti chiedo<br />
perdono...»<br />
«Dedalo, per favore, basta così.» Si levò in piedi zittendolo con un<br />
sorriso e levando la mano. «Stavo per andarmene; ci siamo detti<br />
quello che dovevamo dirci.» E con un sorriso verso di me aggiunse:<br />
«Pensaci, Cay, pensaci bene. Non occorre essere precipitosi. Quando<br />
sarai pronto a riprendere l'argomento, vieni a trovarmi». Rivolse un<br />
cenno di saluto a Dedalo e con un sorriso a entrambi se ne andò.<br />
Dedalo si avvicinò alla finestra per guardarla mentre si<br />
allontanava, quindi si rivolse a me. «Ti chiedo di nuovo scusa, Cay.<br />
Sono entrato soprappensiero.»<br />
Ascoltavo appena quello che mi diceva: la mia mente era ancora<br />
scossa dalle parole di Shelagh; ma, accorgendomi di essere sgarbato,<br />
mi costrinsi a prestare attenzione al nuovo visitatore.<br />
«Non pensarci più, Ded! Lo sai che la mia porta è sempre aperta<br />
per te. Come ha detto Shelagh, ci eravamo già detti quel che c'era da<br />
dire. Quando sei arrivato, ormai chiacchieravamo del più e del<br />
meno. Che cosa succede?»<br />
Sotto un braccio teneva due lunghi pezzi di legno. Si avvicinò a<br />
una sedia e si sedette, appoggiando le due assicelle contro la sua<br />
gamba e un'estremità a terra; si profuse quindi in una lunga<br />
descrizione di come le aveva trovate e a che cosa servivano. Ma<br />
avrebbe potuto parlare una lingua sconosciuta perché ero ancora<br />
tutto preso da quanto mi aveva raccontato Shelagh: Tressa era
sterile. Probabilmente il mio viso manifestava un certo interesse a<br />
quanto diceva perché Dedalo continuò a parlare. Ma mentre<br />
proseguiva, il suo tono cambiò mostrando irritazione per la mia<br />
confusione e alla fine, alzai una mano indicandogli di tacere con<br />
gesto perentorio. Smise di colpo.<br />
«Dedalo, amico mio, ti chiedo di perdonarmi, ma non ho prestato<br />
attenzione a quello che hai detto. Ho altri pensieri in testa.»<br />
Mi guardò aggottando la fronte, preoccupato per me.<br />
«Stai bene, Cay? Qualcosa non va?»<br />
Scossi la testa e riuscii a sorridere seppur con aria mesta. «No,<br />
Ded, non c'è niente che non vada... almeno niente che si possa<br />
cambiare. È che... ho troppe cose in testa, piccole cose, che vanno<br />
sistemate. E Shelagh ha contribuito, seppur in misura minima, a<br />
creare una nuova complicazione. Tu adesso vieni ad aggravare il<br />
fardello. Mi scusi la mancanza di cortesia?»<br />
«Che cosa dici?» Si levò sorridendo. «Sono stato io a irrompere<br />
nella tua casa senza pensarci. Devo vedere Mark e passando di qui,<br />
ho voluto mostrarti queste cose che ho trovato.» Sollevò le due<br />
assicelle e se le ficcò di nuovo sotto il braccio. «Sono solide, vedi,<br />
non seccheranno e non spariranno. Risolvi le cose che hai in mente e<br />
quando avrai finito, ti sarà facile trovarmi. Posso esserti di aiuto?»<br />
Scossi la testa senza parlare, e Dedalo stringendosi nelle spalle se ne<br />
andò. «Ti lascio alle tue preoccupazioni. A più tardi.»<br />
Quando se ne fu andato, rimasi a fissare la porta, la mente<br />
svuotata di ogni pensiero razionale. Ma poi mi si riaffacciò al ricordo<br />
l'immagine di Tressa, immediatamente sostituita dal viso sorridente<br />
di Shelagh e dal suono della sua voce. Andai a sedermi nella<br />
poltrona più comoda lasciando che i pensieri mi turbinassero nella<br />
mente. Ma erano troppo irruenti e inquietanti perché potessi<br />
starmene seduto, e ben presto presi a camminare avanti e indietro,<br />
sempre lo stesso percorso, mentre cercavo di sbrogliarmi nel tumulto<br />
dei sentimenti e delle emozioni. Mi fermai alla fine davanti alla<br />
finestra dove era stata Shelagh e mi sporsi di fuori nel pomeriggio<br />
ancora luminoso. D'un tratto capii quello che nelle parole di Shelagh<br />
mi aveva turbato: una piccola incoerenza, così sottile da essere quasi<br />
impercettibile, eppure si imponeva ed esigeva una spiegazione.
Shelagh aveva scelto Tressa perché fosse la mia amante, e una<br />
parte di me ne era scandalizzata. Aveva cercato, come aveva<br />
ammesso lei stessa, con cura diligente vagliando altre donne e alla<br />
fine prediligendo Tressa avanti a tutte. Poi, una volta selezionata,<br />
aveva dato seguito al suo progetto e io avevo rifiutato l'offerta.<br />
Soltanto davanti a quel rifiuto aveva ammesso la sua intenzione e<br />
dichiarato di avere manipolato gli eventi a mio beneficio privato e<br />
personale. Era all'apparenza il gesto di un'amica leale e sincera.<br />
Altruista, generosa, di nobile animo. Eppure... eppure qualcosa non<br />
andava.<br />
Non potevo sposare Tressa per una miriade di ragioni compreso il<br />
giuramento che avevo fatto di non riprendere più moglie. Shelagh,<br />
che pur non sapeva niente del giuramento non mi aveva cercato una<br />
moglie, aveva invece trovato una potenziale amante che non<br />
sarebbe mai stata una minaccia né per me né per Artù né per quel<br />
luogo sacro, dentro il mio cuore, consacrato a Cassandra, morta da<br />
lungo tempo, alla sua memoria, e a lei, Shelagh. E soprattutto la<br />
donna che aveva scelto non avrebbe mai potuto legarmi a sé con il<br />
vincolo dei figli.<br />
Sapevo con certezza che Shelagh si era sempre adoperata per il<br />
mio vantaggio, ma capivo che non lo aveva fatto con assoluto<br />
altruismo e totale abnegazione. L'amore fisico che lei non poteva<br />
darmi me lo dava in altro modo; ma salvaguardava gelosamente<br />
l'attrazione reciproca stranamente appassionata, inerte e segreta che<br />
ci legava. Da mezzana... da ruffiana. Nel momento in cui capivo<br />
pienamente quello che era accaduto, l'ammissione tacita, forse<br />
inconsapevole dell'amore di Shelagh per me, sorrisi con gioia<br />
stavolta e, riempiendomi i polmoni dell'aria aromatica dell'autunno<br />
e sentendomi come un ragazzo che ha finito la lezione, uscii di casa e<br />
mi avviai verso il laboratorio di Mark.<br />
Vi trovai Dedalo e Lucano; quest'ultimo se ne stava seduto su un<br />
barile capovolto nel cortile antistante la falegnameria. Parlavano di<br />
mobili e lodavano la bella decorazione del ripiano di un tavolo al<br />
quale Mark stava lavorando. Furono contenti di vedermi e, finiti i<br />
convenevoli, mi volsi a Dedalo.<br />
«Adesso posso concentrarmi su quello che volevi discutere. Mi
stavi mostrando qualcosa. L'hai ancora con te?»<br />
«Sì» mormorò sorridendo. Andò a prendere i due pezzi di legno,<br />
me ne tese uno. Lo osservai attentamente e lo tastai con il pollice.<br />
Era levigato, pesante, di quercia; non era piallato ma squadrato per<br />
una larghezza di quattro dita. Arrivava all'altezza del petto. L'altro<br />
pezzo era identico.<br />
«Quercia stagionata» dissi. «Dove li hai trovati?»<br />
«Nelle terme, sopra la fornace, qualche mese fa. Mentre riparavo<br />
l'ipocausto, Mark si mise a cercare un posto dove asciugare alcune<br />
travi. Non gli occorreva molto spazio, ma voleva che fosse un<br />
angolo caldo, asciutto, impermeabile all'acqua. Sapevo che sotto il<br />
pavimento delle terme c'era un vano adeguato alle sue esigenze.<br />
Gliene parlai, e poi me ne dimenticai, ma da allora lui se ne serve<br />
abitualmente. Ci sono andato oggi, circa un'ora prima che passassi da<br />
te, e ho trovato questi pezzi e un centinaio di altri simili. Mark ne ha<br />
usati un bel numero per fare le gambe dei nostri letti.» Lesse<br />
l'incomprensione nel mio sguardo mentre mi giravo verso Mark che<br />
ascoltava e sorrideva lievemente. «Non capisci, Cay?» Percepivo<br />
l'entusiasmo nella voce di Dedalo. «Quercia di prima qualità, seccata<br />
nel forno, più pesante e resistente del frassino. Possiamo lavorarla al<br />
tornio e farne delle spade da addestramento, del tipo di cui abbiamo<br />
già parlato, tutte della stessa lunghezza.»<br />
«Hai ragione, Ded!»<br />
«Lo so bene. Sono contento di essere sceso fino alle terme oggi.<br />
Non avremmo altrimenti saputo di avere a portata di mano un<br />
materiale così bello, stagionato e lavorato. Credi che la quercia sia<br />
all'altezza del frassino?»<br />
«Anche meglio!» e guardai Mark che annuì sorridendo.<br />
«Credo che possa andare altrettanto bene,» disse con la sua voce<br />
strascicata «ma non so quale sia il suo indice di usura. Se i bastoni si<br />
rompono, possiamo farne altri con il frassino.»<br />
Sollevai il pezzo di legno afferrandolo nel mezzo. «I Romani si<br />
esercitavano con spade di frassino; le nostre saranno di quercia.<br />
Quale lunghezza dovranno avere?»<br />
Mark guardò Dedalo che si strinse nelle possenti spalle. «Faremo
due modelli sperimentali e li perfezioneremo al punto giusto. Sei<br />
d'accordo?»<br />
«Certamente.»<br />
«Te le porterò non appena saranno pronte. Quanto ci vorrà,<br />
Mark?»<br />
«Capisco che la cosa vi sta a cuore. Almeno per oggi smetto di<br />
lavorare a questo tavolo. Posso cominciare subito. Mostratemi che<br />
cosa volete con precisione: la lunghezza e l'angolazione della<br />
rastrematura. Ci vorrà un'ora per prepararle a essere lavorate al<br />
tornio, ma poi si andrà in fretta. Se tutto va bene, saranno pronte<br />
domani a quest'ora.»<br />
Mettendosi in punta di piedi e levando in aria le braccia Dedalo<br />
esclamò: «Che aspettiamo? Al lavoro, Mark».<br />
Mi allontanai per andarmi a sedere su un basso ciocco vicino alla<br />
botte capovolta <strong>sul</strong>la quale stava Lucano.<br />
«Come stai, Lucano? Ti ho visto pallido mentre ci inerpicavamo su<br />
per la collina.»<br />
«C'è stato un momento, lo ammetto, in cui ho creduto che quel<br />
cavallo sarebbe stato la mia morte. Qualcosa in quell'andatura<br />
altalenante mi fa venire il mal di mare. Come si fa a sopportarla?»<br />
Lo guardai: possibile che non si rendesse conto di essere l'unico a<br />
sentirsi sballottato come su un'altalena stando su una sella? Quel<br />
movimento oscillante era la conseguenza della sua imperizia<br />
nell'equitazione. Lucano non aveva mai imparato l'arte di rilassarsi<br />
stando <strong>sul</strong> dorso di un cavallo. Se ne stava rigido sicché invece di<br />
assecondare il movimento dell'animale, si aggrappava contratto su<br />
quel suo trespolo precario. Non capivo come gli riuscisse così<br />
difficile; andava tuttavia detto che io avevo cominciato a salire in<br />
sella da giovanissimo e non ricordavo quell'avventura altalenante.<br />
«Sei stato meglio quando hai sentito il terreno sotto i piedi?»<br />
«Eccome! Preferisco muovermi su un carro. Lì almeno ci sono<br />
mille appigli cui afferrarsi.»<br />
Scossi la testa ridacchiando. «Che cosa farai adesso?»<br />
«Adesso? In questo momento? Volevo andare a vedere Mark al
lavoro. Ma se hai altro in mente, starò con te.»<br />
«Ti va una passeggiata lungo le mura?»<br />
Mi lanciò un'occhiata scrutatrice. «Con te? Certamente. Aiutami a<br />
scendere. Mi sono issato quassù, ma sembra un bel salto per ossa<br />
come le mie.»<br />
Gli tesi una mano e l'aiutai a scendere dalla botte. Ci dirigemmo<br />
verso il primo tratto di mura, quello a nord, antistante il precipizio<br />
dietro il forte. Una volta lì, girammo a destra e a passo svelto<br />
imboccammo l’intervallum, il circuito perimetrale interno lungo le<br />
mura. Affrontai subito l'argomento che mi stava a cuore.<br />
«Devo farti una domanda.»<br />
«Avanti» rispose, ma subito si fermò e si volse a guardarmi,<br />
preoccupato forse da qualcosa che aveva percepito nella mia voce.<br />
Sul suo viso si disegnò un'espressione di sgomento. «Oh, Esculapio!»<br />
esclamò con una specie di grugnito. «Hai un'aria che puzza di castità.<br />
Non oggi, Merlino, ti prego. Preferisco saltare giù da queste mura<br />
che parlare di castità in un pomeriggio bello come questo.»<br />
«Ascoltami, Lucano. Forse ti sarà gradito quello che sto per dirti.»<br />
Levò un sopracciglio. «Ne sei convinto?»<br />
«Sì, ho deciso che la castità non mi si addice.»<br />
Gettando la testa all'indietro e stendendo le braccia all'altezza<br />
delle spalle, si girò lentamente, gli occhi chiusi e un'espressione<br />
estatica <strong>sul</strong> suo viso sottile e ascetico.<br />
«Grazie a tutti gli dèi della medicina e alla loro idea di<br />
illuminazione... Come sei arrivato a questa straordinaria decisione?<br />
Perché? Chi è la donna?»<br />
«Tressa» risposi a voce bassa.<br />
«Benedetta sia la prosperosa Tressa. Sarò felice di vederti<br />
soddisfatto e sorridente, coniugalmente appagato.»<br />
«Coniugalmente? Non sto parlando di matrimonio.»<br />
«Non è necessario, non a questo punto, ma stai parlando <strong>sul</strong>le ali<br />
di un rinfrescante vento di buon senso. Su, muoviamoci. Trovo che il<br />
discorso <strong>sul</strong> celibato sia molto meno opprimente. Ho da dirti
qualche cosa; mi sembri intenzionato ad ascoltarmi.»<br />
Camminammo avanti e indietro ai piedi delle mura dell'antico<br />
forte; Lucano mi teneva stretto il braccio sotto il suo mentre parlava<br />
dell'inquietudine suscitata in lui dalle richieste che gli avevo rivolto in<br />
un passato lontano e recente. Era da sempre convinto che io fossi in<br />
errore nell'assecondare la castità e avessi imboccato una strada<br />
destinata a portarmi al fallimento e alla frustrazione. Adesso che<br />
avevo abbandonato quell’irrealistico desiderio sperava che avrei<br />
tratto maggiore soddisfazione dai pochi insegnamenti che poteva<br />
impartirmi <strong>sul</strong> celibato. Era pronto, più di quanto lo fosse stato un<br />
tempo, a dirmi quello che sapeva <strong>sul</strong>la filosofia sottesa alla disciplina<br />
dell'astinenza.<br />
A sentirlo parlare in quel modo, gli chiesi di essere più chiaro.<br />
In origine, mi ricordò, volevo arrivare alla castità con<br />
l'autodisciplina, sperando che tale regola mi avrebbe aiutato<br />
nell'educazione di Artù. Non c'era nulla di arcano in questo. Alla<br />
disciplina ero già avvezzo data la vita che avevo condotto. Arrivare<br />
all'arcana scienza dei maghi che avevano praticato l'ascetismo e<br />
l'abnegazione era un passo in avanti verso una disciplina che non si<br />
limitava all'astinenza sessuale; era una scienza, disse, superflua, di cui<br />
non avevo bisogno. Per mettere a frutto i doni e le capacità che<br />
possedevo erano necessarie una serenità dello spirito e<br />
un'equanimità che avevano radice nella fiducia in se stessi. Una volta<br />
deciso chi e che cosa ero, una volta accettato il ruolo che volevo<br />
svolgere nella vita, i doni e le capacità di cui ero dotato sarebbero<br />
fioriti senza costrizioni.<br />
Avevamo da poco superato metà del percorso, quando ci corse<br />
incontro, rumoroso e turbolento, simili a foglie al vento, un gruppo<br />
di bambini. Ci fermammo per farci superare da loro che, quasi<br />
fossimo invisibili, ci sfiorarono tra grida gioiose e acute. Lucano si<br />
voltò a guardarli mentre si allontanavano, quindi dopo un silenzio<br />
piuttosto prolungato che non intendevo interrompere, disse: «Lo sai,<br />
Caio, non mi ricordo di avere mai corso con la foga e l'allegrezza di<br />
questi bambini. Ma l'avrò certamente fatto. Anch'io ho avuto<br />
un'infanzia».<br />
«È passato tanto tempo che non te ne ricordi neppure?»
«Oh, sì, me lo ricordo bene... alcune cose almeno. I momenti<br />
felici, soprattutto, che sono stati pochi. Ricordi la tua infanzia?»<br />
«Sì, vividamente e con piacere. Io e Uther avemmo un'infanzia<br />
che non molti hanno, piena di gioia per essere quello che eravamo.<br />
Trascorrevamo l'autunno e l'inverno nella romana Camelot; la<br />
primavera e l'estate nella celtica Cambria. I lividi che ci facevamo<br />
erano gli stessi in entrambe le località.»<br />
«Sono sicuro che erano tanti. Ma parlando di lividi che ne è stato<br />
di quella lesione <strong>sul</strong> petto? L'hai esposta all'aria come ti avevo<br />
suggerito?»<br />
«Sì, ma senza effetto, adesso che ci penso. Da quando è arrivata la<br />
tua pergamena e mi hai rassicurato che la lesione non era quella che<br />
temevo, me ne sono dimenticato. Grazie al clima mite di questi<br />
ultimi tempi sono spesso andato in giro a torso nudo.»<br />
«Mostramela» disse fermandosi.<br />
Indossavo una semplice tunica a girocollo, stretta da un cordone<br />
ornato. Me lo slegai per esporre la parte destra del petto. Lucano la<br />
osservò. «Come pensavo. Si è rimpicciolita. Ricordo che era più<br />
estesa. Tra un mese sarà sparita.»<br />
Riprendendo a camminare, borbottò qualcosa <strong>sul</strong>la bella giornata<br />
e io, aggiustandomi la tunica, mi misi al suo fianco.<br />
A quel punto, completato il circuito delle mura e ormai arrivati in<br />
prossimità dei nostri alloggi dove indugiava un capannello di<br />
persone, Lucano si fermò e, mettendomisi di fronte, mi afferrò per<br />
una spalla dimostrando di essere più forte e giovanile di quanto<br />
lasciasse trasparire il suo viso. Con tutta serietà mi disse che avevo<br />
preso una saggia decisione; quindi con mio imbarazzo aggiunse che<br />
ero l'uomo migliore che avesse conosciuto, più ancora di mio padre,<br />
e che a suo parere nessuno meglio di me avrebbe potuto adempiere<br />
al compito che mi ero proposto. Artù, oggi un ragazzo, sarebbe<br />
diventato re sotto la mia guida, e tenuto conto del precettore e del<br />
discepolo, che sapeva essere dotato di grandi qualità, era convinto<br />
che sarebbe diventato un re quale la Britannia non aveva mai avuto.<br />
Non un imperatore come Alessandro, ma un re; non un<br />
conquistatore di nuove terre ma un sovrano capace di governare
quelle che già aveva, un uomo che si sarebbe meritato fama e gloria<br />
imperiture.<br />
Quando finì di parlare, aveva le lacrime agli occhi, e io dovetti<br />
inghiottire più volte per dissolvere il nodo che mi si era addensato in<br />
gola. Rimanemmo in silenzio fino a quando, davanti alla porta del<br />
suo alloggio, ci separammo. Non c'era altro da dire.<br />
Quella sera, quando tutti si furono raccolti per la cena, mi<br />
avvicinai alla giovane Tressa che stava insieme ai nuovi arrivati da<br />
Ravenglass e mi sedetti accanto a lei. Parve che nessuno avesse da<br />
commentare il mio arrivo, pur così insolito, e Tressa non diede<br />
segno di essere curiosa o nervosa. Mi accolse con simpatia e passò il<br />
resto della cena a chiacchierare piacevolmente del più e del meno<br />
con gli altri, conversazione alla quale partecipai senza riserve. Mi<br />
piacque immensamente.<br />
Finita la cena, mentre tutti si dirigevano ai propri alloggi, mi<br />
incamminai insieme a lei. L'aria fredda prometteva una gelata.<br />
Vedendo che rabbrividiva e si portava le braccia <strong>sul</strong> petto, presi il<br />
mantello che portavo <strong>sul</strong> braccio e glielo avvolsi intorno. Si fermò<br />
sorpresa e mi lanciò un'occhiata attenta e perplessa.<br />
«Non offendetevi, mastro Cay, ma che intenzioni avete?»<br />
«Che ne dici, Tressa?» chiesi a mia volta sorridendo.<br />
Scosse la testa con lentezza, sorridendo leggermente. «Non lo so.<br />
Come potrei? È la prima volta che vi prendete cura di me; oggi per<br />
poco non siete scappato al vedermi. E adesso d'un tratto vi sedete<br />
vicino a me, mi guardate, mi parlate e arrivate ad avvolgermi nel<br />
vostro mantello.»<br />
Mi resi conto di non badare più al suo accento; la voce mi<br />
sembrava del tutto normale. Annuii. «Hai ragione; sono quasi<br />
scappato da te oggi, ma da allora ho avuto modo e tempo di<br />
pensarci. Mi perdoni?»<br />
«Perdonarvi?» Rise, un mormorio delizioso, profondo. «Che cosa<br />
avete fatto da dovermene chiedere perdono? Non ho notato<br />
niente.»<br />
«Avevo paura di te.»
«Cosa?» Si irrigidì. «Perché parlate così, mastro Cay? Vi burlate di<br />
me? Se è così, e credo proprio che sia così, allora andatevene. Non<br />
merito di essere trattata in questo modo.»<br />
«Taci!» Levai piano la mano quasi volessi toccarle la bocca e lei si<br />
immobilizzò istantaneamente, fissandomi a occhi spalancati. Le<br />
accarezzai le gote, le sfiorai le labbra con il polpastrello del pollice.<br />
«Non avevo intenzione di prenderti in giro. Ti ho detto la verità.<br />
Avevo paura di te, scioccamente, perché avevo paura di me stesso e<br />
di come avrei reagito alla tua presenza... ai sentimenti che suscitavi<br />
in me.» Mi chinai su di lei, abbassando la testa per guardarla negli<br />
occhi. «Hai idea di quello che provo per te?»<br />
Se anche fosse stata cieca e non avesse potuto vedermi, sarebbe<br />
bastato il tono della mia voce a suggerirle la risposta. Annuì esitante,<br />
parlando attraverso il dito che ancora le tenevo <strong>sul</strong>le labbra. «Sì,<br />
credo di sì.»<br />
«Ti dispiace?»<br />
«No... ma...»<br />
«Che cosa?»<br />
«Che cosa volete da me, adesso che lo so?»<br />
Percepivo <strong>sul</strong> polpastrello il suo fiato tiepido e sorrisi di nuovo,<br />
sorpreso di come mi sentissi tranquillo e a mio agio in quella<br />
situazione insolita. Mi sembrava di conoscerla da anni, e con il<br />
magico potere della prossimità il suo viso si sovrapponeva a quello<br />
di Shelagh e perfino a quello di mia moglie Cassandra.<br />
«Che cosa voglio da te? Che vuoi darmi? Io chiedo il tuo calore e<br />
la tua amicizia, il tuo sorriso, la tua allegria, la tua lingua pronta.»<br />
Non si era mossa e non aveva fatto il gesto di allontanare la gota<br />
dal contatto delle mie dita. Tacqui e lei spostò la testa quel tanto che<br />
bastava per accentuare la pressione della guancia contro la mia<br />
mano.<br />
«E?» sussurrò.<br />
«Se vorrai concedermelo, Tressa, ti chiedo di darmi la tua<br />
vicinanza, la tua dolcezza, te stessa.»<br />
«Che altro, mastro Cay?» La sua voce era un debole mormorio.
Mi resi conto che c'era qualcuno nelle vicinanze, ma non me ne<br />
occupai. Le accarezzai le labbra con il dito, poi le piegai il labbro in<br />
basso per sentire l'umidore tiepido della gengiva.<br />
«Non chiamarmi più mastro Cay; per te sarò Cay, solo Cay, come<br />
per gli amici. Lascia che ti dia un bacio...»<br />
«Venite!» In un attimo mi aveva afferrato la mano<br />
allontanandomi da dove ci trovavamo, vicino alla sala da pranzo.<br />
«Cominciano a tendere l'orecchio» disse, quando fummo a una certa<br />
distanza, ma la sua mano continuava a tenere ben stretta la mia. «È<br />
acceso il fuoco nel vostro alloggio?»<br />
«Se non si è spento nel frattempo. L'ho acceso prima di uscire, ma<br />
la legna che usiamo è ben secca e brucia rapidamente.»<br />
«Avete un po' di vino? Possiamo insaporirlo con le spezie?»<br />
«Sì, ne ho.»<br />
«Allora andate a prepararlo; io vado a prendere il mio cesto da<br />
lavoro.»<br />
«Perché? Non avevo intenzione di chiederti di cucire per me,<br />
seduta davanti al fuoco... non stasera.»<br />
Sorridendo mi strinse le dita e perfino al debole chiarore della<br />
luna mi accorsi che la gioia splendeva nei suoi occhi. «Neppure io<br />
avevo intenzione di cucire stanotte. Non ci riuscirei tenendo in<br />
mano una coppa di vino caldo... o altro liquido tiepido.» L'ambiguità<br />
di quelle parole mi fece palpitare, ma lei allontanandosi aggiunse:<br />
«Voglio però avere il mio cesto; non mi piace lasciarlo incustodito<br />
troppo a lungo. Contiene tutti gli strumenti del mio lavoro e i miei<br />
tesori».<br />
Mi parve che il sangue mi si ispessisse nelle vene e lo percepii<br />
pulsare nelle tempie. «L'hai lasciato incustodito per andare a cena.»<br />
«Non c'erano rischi; erano tutti a cena. Adesso torneranno, tranne<br />
me, e la tentazione di mettere le mani nel mio cesto può essere<br />
troppo forte per alcuni. È sciocco proteggersi dalla tentazione<br />
quando un altro, cedendovi, mi farebbe soffrire...» Continuava a<br />
sorridere e a guardarmi, la testa china da un lato. «Non vi pare<br />
saggio?» Annuii incapace di parlare. Mi fissava il pomo di Adamo,
en consapevole del mio nervosismo; poi annuì anche lei e la voce<br />
divenne un sussurro. «Bene! Allora vado a prenderlo. Non appena<br />
sarò di ritorno, avrete un bacio per avermi concesso di dividere con<br />
voi il calore del fuoco e il vino.» Si voltò per allontanarsi, ma la<br />
trattenni con dita frementi.<br />
«Non ti va di dividere anche il mio letto, Tressa?»<br />
Sorrise, gli occhi splendenti di malizia nel chiarore della luna.<br />
«Ecco una tentazione cui merita cedere. Perché secondo voi sento la<br />
necessità di recuperare il mio cesto? Andate ad attizzare il fuoco.»<br />
Alcuni tizzoni ardevano ancora e, dopo avere acceso diverse<br />
candele di cera, ravvivai le fiamme aggiungendo dapprima qualche<br />
ramoscello e poi ceppi grossi. Versai quindi il vino in un vaso di<br />
terraglia e lo appoggiai <strong>sul</strong>la grata, insaporendolo con una generosa<br />
presa delle spezie che Luceia Varro aveva portato d'oltremare tanti<br />
anni prima. Mi rimaneva troppo poca di quella mistura di essenze<br />
esotiche disseccate e polverizzate per consentire di sperperarne, era<br />
letteralmente insostituibile, e io la usavo soltanto nelle occasioni più<br />
solenni e importanti. Ne avevo usato un po' con Ambrogio e Joseph<br />
appena una settimana prima, e non avevo dubbi che quella notte<br />
meritava di essere celebrata ancora meglio.<br />
Ero ancora intento a preparare l'infuso quando bussando piano<br />
alla porta Tressa entrò. Indossava un lungo mantello sopra quello<br />
che le avevo lasciato e reggeva il prezioso cesto. Lo posò a terra non<br />
appena entrata, si chiuse la porta alle spalle assicurandosi che fosse<br />
ben serrata con il paletto. Appese il mio e il suo mantello<br />
<strong>sul</strong>l'appendiabiti alla parete. Le persiane erano già chiuse.<br />
«<strong>Il</strong> vino sarà pronto tra poco. Lo hai mai assaggiato prima?»<br />
«Sì, più volte. Me lo ha offerto Shelagh.»<br />
«Hai bevuto il vino di Shelagh mescolato al miele. Questo è<br />
diverso; vi ho aggiunto le spezie venute dai confini orientali<br />
dell'Impero. Shelagh ci aggiunge erbe raccolte in Britannia... o<br />
nell'Eire. Forse non ti piacerà.»<br />
Si avvicinò a me vicino al braciere e rimase a guardare il liquido<br />
che cominciava a bollire piano nel recipiente. La riga tra i capelli<br />
bruni e lucenti era di un bianco perlaceo. Levò la testa a guardarmi;
il suo viso fresco non mostrava traccia di ritrosia o falso pudore. «Mi<br />
avete promesso un bacio» disse avvicinandosi a me.<br />
Non dimenticherò mai l'intensità di quel bacio, il primo di mille e<br />
mille altri che ci saremmo scambiati. Dovetti chinarmi per<br />
appoggiare le mie labbra <strong>sul</strong>le sue e lo feci ancora incerto se<br />
accarezzarla con le mani. Accadde così che soltanto le nostre labbra<br />
si toccarono, e che nessun altro contatto ci fosse tra i nostri corpi.<br />
Quel primo incontro delle nostre bocche dissolse d'un tratto la<br />
percezione del calore delle fiamme <strong>sul</strong>le gambe nude; la morbidezza<br />
delle sue labbra e la cedevolezza con cui si adeguavano alla forma e<br />
alla pressione delle mie allontanarono ogni altra sensazione.<br />
In quei primi istanti fu incerta ed esitante non meno di me, ma a<br />
ogni battito del cuore crescevano in entrambi la forza e la sicurezza;<br />
il piacere e l'eccitazione del bacio aumentavano la pressione delle<br />
nostre labbra e delle nostre bocche. Mossi la testa di lato e lei fece lo<br />
stesso. All'improvviso il tiepido umore all'interno del labbro inferiore<br />
della sua bocca acuì in me il desiderio. Trattenni il respiro e aprii la<br />
bocca, succhiandoglielo, ricco e succulento. Levò il braccio e me lo<br />
posò <strong>sul</strong> collo, tirandomi a sé; le mie mani si riempirono del suo<br />
corpo, l'una posata <strong>sul</strong>la schiena, l'altra <strong>sul</strong> ventre pieno e sodo,<br />
mentre il seno si appiattiva contro le mie costole. Mi pareva di<br />
vacillare per l'intensità del desiderio. D'improvviso si allontanò da<br />
me, respirò a fondo e allontanò i capelli che le erano ricaduti <strong>sul</strong><br />
viso.<br />
«Occupatevi del vino, mastro Cay.» La voce suonava tremante,<br />
affannosa.<br />
«Mi chiamo Cay, soltanto Cay, te l'ho detto.»<br />
«Lo so. E quelli che mi conoscono mi chiamano Tress, non Tressa.»<br />
Si guardò intorno. «<strong>Il</strong> vino, versamene un po'.»<br />
Mentre toglievo il recipiente dal caminetto, la sentii entrare nella<br />
mia camera e lì muoversi. Versai il vino in due coppe. Stavo per<br />
chiederle che cosa facesse quando tornò stringendo tra le braccia le<br />
pelli di animali che usavo durante le campagne militari. Mentre la<br />
guardavo sbalordito reggendo le coppe, lei lasciò cadere il suo carico<br />
e lo stese per terra in doppio strato. Quindi, avvicinando un basso<br />
sgabello, lo posò da una parte e si sedette <strong>sul</strong> morbido tappeto di
pelliccia.<br />
«Siediti, Cay, bevi con me e insieme godiamoci il calore del<br />
fuoco.»<br />
Mi venne in mente in quel momento, sentendola dire Cay, che lei<br />
sola, di tutti i sudditi di Derek, conosceva la mia identità. Ero<br />
contento che sapesse che ero Merlino di Camelot, sebbene mi fosse<br />
dispiaciuto quando Shelagh mi aveva avvertito di averglielo detto. In<br />
quel momento mi parve del tutto naturale che fosse a parte del<br />
segreto. Sorridendo mi sedetti e lei assaggiò il vino speziato levando<br />
le sopracciglia al sapore insolito.<br />
«Che cos'è?»<br />
«Nettare. Sembra che sia afrodisiaco.»<br />
«Afrodisiaco? Che vuol dire?»<br />
Lo sorseggiai rumorosamente di proposito. «Una pozione d'amore<br />
che stimola il desiderio e allunga i tempi dell'amore.»<br />
Volse gli occhi intorno sorpresa e leggermente diffidente. «È<br />
efficace? Mi pentirò di averlo bevuto?»<br />
«Non lo so. Che ne dici?»<br />
«Soltanto se non sarà efficace con noi.» Cominciò a ridere piano<br />
all'inizio, poi sempre più irresistibilmente, finché alla fine anch'io mi<br />
trovai a ridere insieme a lei, e<strong>sul</strong>tante, con un senso di sollievo. Mi<br />
parve che gli anni mi cadessero di dosso. Ci rotolammo abbracciati<br />
l'uno all'altra <strong>sul</strong> letto che aveva preparato, parlando, ridendo,<br />
raccontandoci della nostra vita, liberi da ogni restrizione. E mentre<br />
parlavamo, ridevamo, ci raccontavamo, continuavamo a baciarci, e<br />
baciandoci osavamo di più finché alla fine ci togliemmo le vesti e<br />
restammo abbracciati, appagati della bellezza che ciascuno trovava<br />
nell'altro, incuranti che l'afrodisiaco fosse efficace o no. Non ne<br />
avevamo bisogno. Di tanto in tanto attizzavo il fuoco. E quando il<br />
sole sorse ci trovò ancora svegli, felici insieme, con il pensiero<br />
spensieratamente rivolto a un futuro che si prospettava lungo<br />
davanti a noi.
PARTE SECONDA<br />
MEDIOBOGDUM
XIV.<br />
Verso la fine dell'estate di quel primo anno al forte, giunse da<br />
Camelot la prima spedizione via terra, che veniva a rifornirci di<br />
cavalli. Con grande eccitazione di tutti i presenti nel forte, li<br />
vedemmo superare la sella del passo sopra Mediobogdum, verso<br />
oriente.<br />
Sapendo che sarebbero arrivati in quei giorni, avevo dislocato<br />
qualche settimana prima delle sentinelle <strong>sul</strong>la cima che sormontava il<br />
passo, così che i corni che annunciavano il loro arrivo erano<br />
risuonati nella valle fin dal primo avvistamento. Questo ci aveva<br />
dato il tempo di raccogliere gli uomini nel campo e di indossare le<br />
uniformi, cosa che facevamo di rado, in quel pacifico periodo di<br />
costruzione e rafforzamento, per riceverli in modo dignitoso.<br />
Erano una visione davvero emozionante: armi e armature<br />
brillavano alla luce del sole ormai basso a occidente, mentre<br />
scendevano zigzagando dal passo verso il forte, un percorso che<br />
richiedeva circa un terzo di un'ora. Marciavano in fila per quattro, in<br />
una colonna che sembrava non avere fine. Due squadroni di<br />
cavalleria aprivano e chiudevano la colonna, e nel centro c'erano i<br />
fanti e i cavalli per noi, legati quattro a quattro con la cavezza. <strong>Il</strong><br />
cavallo più esterno di ogni fila, alternando tra destra e sinistra, aveva<br />
un cavaliere in groppa.<br />
Ambrogio cavalcava davanti a tutti, sotto il suo grande stendardo<br />
bianco e nero fregiato dell'orso grigio, che era divenuto il vessillo di<br />
Camelot. Io mi trovavo <strong>sul</strong>la torre di sud-est del forte e guardandolo<br />
avanzare sentii il cuore battermi più veloce e il respiro farsi<br />
stranamente più corto: era come guardare me stesso cavalcare verso<br />
me stesso, il che naturalmente, mi dissi subito, era esattamente<br />
l'effetto che Ambrogio aveva cercato di ottenere. Agli occhi della<br />
gente comune, chi guidava quel distaccamento era Merlino di<br />
Camelot, e persino io avrei potuto lasciarmi convincere che fosse<br />
così. L'effetto che quella vista ebbe <strong>sul</strong> giovane Artù e sui suoi tre<br />
amici fu invece molto più salutare.
Artù era sempre stato affascinato dagli aspetti più eroici della<br />
personalità di "zio Ambrogio", come era solito chiamarlo. Ma questa<br />
volta il ragazzo rimase letteralmente ammutolito dall'arrivo<br />
spettacolare degli uomini di Camelot. Non ho dubbi che la sua<br />
reazione fosse dovuta a molte e diverse ragioni. Di sicuro lo<br />
emozionò perché tutti noi, dopotutto, eravamo lontani da Camelot<br />
da più di un anno. Lo colpì probabilmente anche perché in quel<br />
periodo a Mediobogdum portavamo di rado le armature, e<br />
somigliavamo ormai più a dei contadini o degli artigiani, quanto<br />
meno nell'aspetto esteriore, che a combattenti o addirittura soldati.<br />
O forse si trattava solo dell'improvvisa comparsa di una compagine<br />
di uomini e cavalli in formazione, disciplinati e pesantemente armati,<br />
in un posto dove ci eravamo abituati a vedere i guerrieri locali<br />
muoversi da soli, a piedi, o tutt'al più su piccoli pony dal pelo lungo.<br />
Qualunque ne fosse il motivo, quando l'avanguardia delle truppe<br />
di Camelot raggiunse lo spiazzo davanti al forte e Ambrogio si<br />
fermò, sorridendoci dall'alto della sua cavalcatura, il capo<br />
sormontato dalla cresta imponente dell'elmo romano, l'armatura<br />
pesante e lucidata che splendeva al sole e i suoi tre aiutanti di campo<br />
al fianco, il giovane Artù si fece avanti da solo, senza una parola, gli<br />
occhi lucidi e le braccia protese a liberare Ambrogio dal suo pesante<br />
scudo. Mio fratello borbottò qualcosa, guardando il ragazzo, poi<br />
con un movimento rapido ed elegante scese dalla sella, allungando<br />
lo scudo ad Artù con una mano mentre accennava ad arruffargli i<br />
capelli con l'altra. Si fermò però a metà del gesto, come se ci avesse<br />
ripensato, e gli strinse solo una spalla con cordialità, per poi venire<br />
ad abbracciarmi.<br />
«È troppo grande ormai, per essere salutato come un ragazzino»<br />
mi bisbigliò mentre ci stringevamo. Io non risposi, facendomi da<br />
parte per lasciar venire avanti gli uomini dietro di me. Quando<br />
furono completati i saluti, Ambrogio mandò i suoi tre comandanti a<br />
sorvegliare l'installazione dell'accampamento <strong>sul</strong>lo spiazzo delle<br />
parate, davanti alla porta orientale.<br />
Laggiù i fanti stavano già montando le tende e accatastando le<br />
armi secondo le procedure tradizionali di un esercito romano.<br />
Rientrai nel forte con il nostro gruppetto e salimmo subito <strong>sul</strong><br />
bastione orientale, dal quale si godeva una splendida vista di quello
spettacolo.<br />
Lucano osservò che quel vecchio forte non aveva probabilmente<br />
mai visto un simile dispiegamento di forza militare. Poco dopo la sua<br />
costruzione, all'apice dell'attività romana nel settentrione, forse<br />
aveva avuto cinque o seicento uomini di guarnigione - anche se<br />
Lucano ne dubitava - ma sicuramente non aveva mai ospitato più di<br />
cento cavalleggeri armati.<br />
Mentre Lucano sottolineava quello strano aspetto dell'evento,<br />
Derek, che era al forte con noi da una settimana, lo ascoltava in<br />
silenzio, le braccia incrociate e il mento barbuto appoggiato alla<br />
piastra di cuoio <strong>sul</strong> petto, osservando il distaccamento di cavalleria<br />
che occupava lo spiazzo delle parate. Era la prima volta, e io lo<br />
sapevo, che vedeva il genere di forze che Camelot poteva dispiegare<br />
in tempo di pace, e ne era impressionato. Sapeva bene che quella<br />
era solo una pattuglia spedita al nord qualche mese prima, della<br />
quale Camelot stava facendo a meno senza sforzo.<br />
Quando gli avevo detto di quella spedizione via terra da<br />
Camelot, mesi prima, il re era parso turbato, preoccupato<br />
dall'esempio che l'uso di quell'approccio a Ravenglass da oriente<br />
avrebbe potuto dare ad altri, più ostili visitatori. Tuttavia, dopo che<br />
gli ebbi spiegato che lo scopo era di lasciare al forte una guarnigione<br />
a cavallo permanente, che sarebbe stata rilevata da forze fresche due<br />
volte all'anno, aveva convenuto che una simile guardia a protezione<br />
delle sue spalle rendeva ingiustificate le paure di un'invasione da<br />
quella direzione.<br />
Più tardi, quando Ambrogio fu finalmente sicuro che tutto era<br />
sotto controllo, riuscii a sottrarlo ai suoi doveri e trascinarlo nel<br />
sudatorium delle nostre terme, sincerandomi prima che nessuno ci<br />
avrebbe disturbato. Quando gli ebbi concesso il piacere di rilassarsi<br />
in quell'ambiente e togliersi di dosso lo sporco e la stanchezza del<br />
lungo viaggio, potei interrogarlo su ciò che aveva trovato lungo il<br />
tragitto, <strong>sul</strong>le novità di Camelot e <strong>sul</strong>la cosa che più mi stava a<br />
cuore: la nuova spada che doveva venire forgiata con il metallo<br />
della Signora del Lago.<br />
Mi rassicurò subito su quell'ultima questione. Le mie paure che il<br />
metallo residuo fosse insufficiente erano ingiustificate, disse, poiché
un esame della grezza figura, mai completata, aveva rivelato che<br />
Publio Varro non poteva aver usato per forgiare Excalibur più di un<br />
terzo del metallo della statua. Joseph e Carol avevano sviluppato il<br />
calcolo che portava a quella conclusione. Excalibur, una volta<br />
rifinita, doveva pesare circa metà del suo peso alla fusione, la<br />
differenza essendo lo sfrido e la limatura della lavorazione del<br />
metallo dalla fusione sino alla sua forma finale. Stando così le cose, il<br />
metallo della statua doveva essere sufficiente a forgiare non una ma<br />
due spade identiche, se così avessi voluto.<br />
Era una notizia splendida e insperata, che mi fece però riflettere:<br />
volevo davvero due doppioni di Excalibur?<br />
Non appena formulata la domanda, la risposta fu subito ovvia. Le<br />
spade sarebbero state rappresentazioni di Excalibur, non doppioni;<br />
sarebbero state spade d'addestramento e come tali avrebbero subito<br />
un utilizzo troppo frequente e un trattamento impietoso. Meglio<br />
perciò averne due, tanto più che questo avrebbe permesso di tenere<br />
nascosta Excalibur. Risolta quella questione, chiesi subito a mio<br />
fratello quanto tempo ci sarebbe voluto per averle. Scrollò le spalle.<br />
Non sarebbe tornato a Camelot prima dell'inizio dell'inverno, disse,<br />
e finché non fosse rientrato, Carol non avrebbe messo in lavorazione<br />
la seconda lama. Forse la prima sarebbe già stata pronta per allora,<br />
ma anche se lo fosse stata non avrebbe lasciato Camelot fino a<br />
primavera.<br />
Dovetti accontentarmi di quelle considerazioni, e per un bel po'<br />
non parlammo più di questioni politiche, poiché Ambrogio<br />
desiderava solo immergersi e sudare, gli occhi e la mente chiusi a<br />
tutto fuorché alle sensazioni e al piacere di quel caldo umido che si<br />
portava via stanchezza, dolori e rigidità. Questo non gli impedì<br />
comunque di aggiornarmi <strong>sul</strong>la sua vita privata a Camelot. Nella<br />
tarda estate dell'anno precedente, Ludmilla gli aveva dato due<br />
gemelline meravigliose, una bionda come il sole e l'altra nera come<br />
un corvo: Ambrogio era semplicemente pazzo di loro, e non si<br />
curava minimamente dell'opinione corrente che le figlie potessero<br />
solo complicare la vita di un uomo. Le aveva chiamate Luceia e<br />
Octavia, in onore delle sue antenate della stirpe dei Britannico, di cui<br />
aveva scoperto di far parte solo un anno prima, quando mi aveva<br />
incontrato a Verulamium. Credo davvero che sarebbe stato capace
di parlare di quelle bambine anche nel sonno.<br />
Ludmilla era in piena salute e salutava amorevolmente tutti<br />
quanti, in particolar modo il suo amato maestro Lucano.<br />
Quest'ultimo, prima di partire, aveva insistito perché fosse lei ad<br />
assumersi la responsabilità della salute della Colonia in sua assenza e<br />
aveva fatto bene, poiché le questioni mediche e igieniche, sotto<br />
l'attenta sorveglianza di Ludmilla, erano tutte perfettamente sotto<br />
controllo. Un valido aiuto le era venuto dall'arrivo di un giovane<br />
cerusico, addestrato dall'esercito imperiale ad Antiochia, che aveva<br />
intrapreso il viaggio a Camelot dopo aver sentito parlare di Lucano<br />
da innumerevoli persone nelle sue peregrinazioni in Britannia.<br />
Giunto fin là, dopo aver valutato le capacità di Ludmilla e<br />
l'infermeria di Lucano, superbamente attrezzata secondo il suo metro<br />
di giudizio, aveva deciso di rimanere a Camelot e assisterla nel suo<br />
lavoro.<br />
Di lì in avanti la conversazione vagò piacevolmente per altri temi,<br />
tutti abbastanza innocui e tutti capaci di scatenare in me la nostalgia<br />
per la vita e i personaggi di Camelot. Quando Ambrogio emerse dal<br />
suo torpore e si sentì all'altezza di discutere altre questioni<br />
«importanti», fui io a suggerire di soprassedere, avendo deciso che<br />
era scorretto non condividere quelle notizie con gli altri, come lo era<br />
negare agli ufficiali di mio fratello i piaceri delle terme. Così ci<br />
rivestimmo e lasciammo il posto ad altri, che non ne avevano meno<br />
bisogno di noi.<br />
Meno di un'ora più tardi ci eravamo ricongiunti al resto del<br />
gruppo, compresi Donuil e Shelagh, ed eravamo usciti dal forte,<br />
verso il precipizio <strong>sul</strong> retro; ci sedemmo tutti comodamente per<br />
ascoltare il resoconto di Ambrogio <strong>sul</strong> suo viaggio. Artù<br />
naturalmente era presente, come lo erano i suoi tre amici del cuore,<br />
Bedwyr, Gwin e Ghilleadh, tutti e quattro appollaiati su un tronco,<br />
immobili come colonne di pietra, preoccupati che qualcuno si<br />
ricordasse di loro e li mandasse via. Ma nessuno sembrò far loro<br />
caso e alla fine si misero ad ascoltare, tranquilli.<br />
Mio fratello portava notizie sorprendenti e gradite. Le città che<br />
aveva attraversato <strong>sul</strong> cammino erano di nuovo quasi degne di quel<br />
nome. Dopo anni e anni di abbandono e incuria, stavano tornando
a essere abitate, non certo da comunità bene organizzate o<br />
governate da leggi, si affrettò ad aggiungere, ma i segnali di vitalità<br />
erano inconfondibili. Glevum e Aquae Sulis, in particolare, avevano<br />
ormai qualche centinaio di abitanti ciascuna, anche se molti, non<br />
fidandosi delle indifendibili rovine romane, preferivano costruire le<br />
loro case nelle immediate vicinanze, contando su una rapida fuga<br />
dentro la foresta vicina in caso di attacco. <strong>Il</strong> ponte <strong>sul</strong> fiume Severn,<br />
appena fuori Glevum, riparato e rinforzato, era tornato a essere<br />
come un tempo un crocevia naturale per i viandanti e per il<br />
commercio tra il nord e il sud dell'estuario. Anche lungo la grande<br />
strada romana che la gente ora chiamava Foss Way - per via dei<br />
canaloni, o fossae, che la fiancheggiavano - piccoli centri erano<br />
spuntati nei punti dove i sentieri naturali più trafficati incrociavano la<br />
grande strada rialzata. La gente si andava riorganizzando in piccole<br />
comunità, trovava modi per difendersi, piantava raccolti con fiducia<br />
e persino rubava terra alla foresta, visto che quella parte del paese<br />
sembrava immune dalla piaga delle guerre continue. Sinora nessuna<br />
banda di Sassoni era penetrata così a ovest e così a nord, e le<br />
scorrerie dall'Eire si erano molto diradate. Non dubitai per un<br />
attimo, ascoltandolo, che il merito di quell'ultimo sviluppo fosse<br />
principalmente dovuto alla nostra alleanza con gli Scoti di Athol e ai<br />
rovesci subiti dai Figli di Condran nell'ultimo anno.<br />
Ambrogio e i suoi, preceduti dalla voce, sparsasi come per magia,<br />
che non erano intenzionati a conquiste o scorribande, furono bene<br />
accolti ovunque. La vista di una nutrita e disciplinata pattuglia di<br />
uomini armati, che non solo non minacciavano la popolazione ma<br />
che promettevano di passare di lì regolarmente, aveva rincuorato<br />
tutte le piccole comunità lungo la strada. In risposta a una domanda<br />
di Dedalo, Ambrogio riferì che la strada, sorprendentemente, era in<br />
ottime condizioni, ancora libera dalla vegetazione selvatica e dalla<br />
corrosione degli elementi. Sorrisi a Ded, sapendo che aveva fatto<br />
quella domanda pensando al nostro commilitone Benedetto il quale,<br />
tornando dall'Eire dieci anni prima, aveva a torto sentenziato che gli<br />
alberi avrebbero divelto le strade romane di Britannia entro poco<br />
tempo.<br />
Poi Ambrogio descrisse il distaccamento che aveva guidato: tre<br />
squadroni di cavalleria, ciascuno di quaranta uomini, e un intero
manipolo romano di fanti, cioè dieci plotoni di dodici uomini<br />
ciascuno. Rivolgendosi a me, disse che aveva pensato di lasciare<br />
quattro di quei plotoni con noi, oltre allo squadrone di cavalleria di<br />
cui avevamo parlato. Eravamo in grado di sfamare una simile<br />
truppa? Guardai Derek, invitandolo con lo sguardo a rispondere per<br />
me, visto che quell'onere sarebbe ricaduto su di lui. Noi non<br />
avevamo campi coltivati lassù <strong>sul</strong>l'altopiano e le nostre provviste,<br />
meno la selvaggina e il pesce d'acqua dolce, ci venivano dalla gente<br />
di Derek, in cambio del nostro lavoro nei loro campi e nella foresta,<br />
oltre che dell'impegno a combattere in difesa della città in caso di<br />
necessità. Derek rifletté per qualche istante poi scrollò le spalle,<br />
accennando un sorriso. Quarantotto guerrieri addestrati con i loro<br />
ufficiali, ammise, erano una presenza che valeva il sacrificio in più<br />
che avrebbero dovuto fare per mantenerli.<br />
Ambrogio annuì, sorridendo. La nostra nuova guarnigione<br />
sarebbe rimasta con noi per cinque mesi, disse, passati i quali sarebbe<br />
stata rilevata da un altro contingente in arrivo da Camelot, e questo<br />
ricambio sarebbe andato avanti due volte l'anno finché ne avessimo<br />
avuto bisogno.<br />
Ambrogio passò poi a riferire delle notizie che giungevano da altri<br />
luoghi. La Cornovaglia era tranquilla e si rimetteva dai suoi disastri.<br />
Non c'erano notizie di guerre nel sud-ovest, né di Peter Ironhair:<br />
qualche tempo prima si era saputo che Ironhair viveva laggiù e noi<br />
tutti avevamo la certezza che l'attentato ad Artù era partito dalla<br />
Cornovaglia, ma gli ultimi rapporti non confermavano più la sua<br />
presenza e a Camelot non si sapeva con certezza dove si trovasse.<br />
Accantonai quell'informazione, per rifletterci meglio in un altro<br />
momento.<br />
Anche la Cambria era, tutto sommato, in pace. Sotto la guida di<br />
Dergyll ap Griffyd continuavano i buoni rapporti con Camelot e<br />
crescevano la forza e la stabilità del regno.<br />
La sola notizia preoccupante riguardava un grosso esercito che,<br />
secondo voci raccolte da Connor nei suoi viaggi per mare, andava<br />
assemblandosi nel lontano nord-est, di là del Vallo antico, nelle terre<br />
di un re chiamato Crandal, che personalmente non avevo mai<br />
sentito nominare. Si diceva avesse intenzione di espandersi verso sud
invadendo la Northumbria, il che lo avrebbe messo in conflitto con<br />
Vortigern e i suoi mercenari danesi. Nessuno dei presenti dubitava<br />
che l'invasione si sarebbe arrestata lì. I danesi di Hengist gli<br />
avrebbero dato sufficiente filo da torcere, anzi, gli avrebbero fatto<br />
desiderare di esser rimasto nel suo brumoso nord. A Camelot non si<br />
avevano nuove di Vortigern e Hengist, e Ambrogio ne desumeva<br />
perciò che fossero entrambi vivi e vegeti. Se così non fosse stato,<br />
ragionò, gli uomini del giovane Horsa, non più trattenuto dal pugno<br />
di ferro di suo padre Hengist, si sarebbero già riversati verso sud e<br />
verso ovest.<br />
Ho il sospetto che con un pubblico che pendeva dalle sue labbra<br />
in quel modo, Ambrogio avrebbe potuto facilmente andare avanti<br />
per molto più a lungo di quanto fece, ma aveva altro per la testa e il<br />
pomeriggio avanzava inesorabile, perciò si accomiatò dai suoi<br />
ascoltatori. Le sue truppe non conoscevano né il forte né il loro<br />
nuovo accampamento, disse, e voleva sincerarsi che tutto stesse<br />
andando per il meglio e che fosse bene organizzato il loro primo<br />
pasto a Mediobogdum. Si allontanò, lasciandoci tutti a rimuginare<br />
<strong>sul</strong>le notizie che ci aveva dato a eccezione di Artù e dei tre ragazzi,<br />
che gli trottarono subito dietro come cani bene addestrati. Poco<br />
dopo trovai anch'io una scusa per ritirarmi nei miei quartieri e me ne<br />
rimasi per un bel po', nella penombra che avanzava, a riflettere su<br />
tutto ciò che avevo sentito in quella giornata.<br />
La cosa cui dedicai la maggior parte dei miei pensieri fu la<br />
questione delle spade da addestramento. <strong>Il</strong> modo di usarle era un<br />
problema che mi assillava già da tempo, anche se prima pensavo di<br />
poter disporre di una sola nuova spada, oltre alla stessa Excalibur. In<br />
teoria, Artù avrebbe usato la spada da addestramento per imparare<br />
più tardi a maneggiare Excalibur e a trarne il meglio. Ma la cosa non<br />
era così semplice e il primo problema era il pericolo che chiunque<br />
usasse una simile arma, esperto o novellino che fosse, si ferisse<br />
accidentalmente. Una lama che poteva tagliare il ferro avrebbe<br />
attraversato carne e ossa come fossero burro. Dovevo assolutamente<br />
familiarizzare io stesso con i trucchi e le particolarità di quelle armi, e<br />
ben prima che Artù ne prendesse in mano una.<br />
Ricordavo perfettamente che lo stesso Publio Varro si era ferito<br />
all'avambraccio con la prima delle spade lunghe forgiate da Equo.
Avevano subito scoperto che due lame di quel metallo, se impiegate<br />
l'una contro l'altra, si comportavano in modo diverso da qualunque<br />
altra spada avessero mai visto prima. Le due lingue di metallo<br />
temperato, ciascuna incapace di intaccare l'avversaria, rimbalzavano<br />
e saltavano gridando, fameliche e potenti, il vigore accentuato dal<br />
lungo arco che percorrevano, dato che erano più lunghe. E quelle<br />
lame erano di mero ferro temperato, prive del magico componente -<br />
il misterioso metallo della Pietra del Cielo - che dava a Excalibur la<br />
sua terribile forza e il suo filo incorruttibile. L'elsa di Excalibur, mi<br />
consolavo, avrebbe compensato in parte il pericolo, deviando i colpi<br />
che scivolavano lungo la lama e che potevano altrimenti giungere<br />
<strong>sul</strong>l'avambraccio, ma non potevo certo affidarmi solo alle else per la<br />
protezione del ragazzo.<br />
Ora però avremmo avuto due doppioni di Excalibur. Ben presto<br />
giunsi alla conclusione che avrei dovuto includere Dedalo, Rufio e<br />
Donuil nella sperimentazione del piano di addestramento. Noi<br />
quattro avremmo studiato le proprietà e il comportamento delle<br />
spade, e determinato ciò che chi le usava avrebbe dovuto aspettarsi<br />
o non aspettarsi da loro. Nel frattempo i ragazzi avrebbero affinato<br />
la loro perizia nel battersi con i bastoni di legno, accumulando nel<br />
contempo la forza muscolare e la velocità di riflessi che servivano.<br />
Poi, man mano che noi adulti scoprivamo le tecniche necessarie per<br />
dominare le nuove spade, le avremmo trasmesse ai ragazzi sotto<br />
forma di movimenti da eseguire con bastoni sempre più pesanti, in<br />
modo che imparassero a usare al meglio le lunghe spade prima<br />
ancora di averle mai viste. Una volta formulato quel progetto riuscii<br />
finalmente a rilassarmi, sentendo nel mio cuore che quella era la<br />
strada giusta.<br />
Più tardi quella notte, quando tutti erano a letto da tempo,<br />
Ambrogio, che aveva srotolato il suo giaciglio nella mia stanza, mi<br />
svegliò, per portarmi con sé a ispezionare la guardia. Era la prima<br />
notte del nuovo ordine di Mediobogdum e mi avrebbe fatto bene<br />
familiarizzare subito con la routine. Era una splendida notte d'estate,<br />
senza nuvole e piena di stelle. Inspiravo profondamente l'aria<br />
notturna, godendomi la passeggiata lungo tutto il perimetro delle<br />
mura. Parlammo con ognuna delle sentinelle, trovandole tutte
sveglie e all'erta. Poi uscimmo dal forte e ci addentrammo nello<br />
spiazzo delle parate, che in un solo pomeriggio si era trasformato in<br />
un accampamento da guerra.<br />
<strong>Il</strong> primo ufficiale di guardia che incontrammo era un giovane che<br />
non conoscevo. Scoprii però subito che il suo nome era Decio Falvo<br />
e che si trattava del figlio di un mio compagno nella spedizione in<br />
Eire. Ambrogio lo considerava uno dei più promettenti tra i suoi<br />
comandanti di fanteria e la cosa non mi sorprese, giacché suo padre,<br />
che io chiamavo semplicemente Falvo, era uno dei soldati più<br />
affidabili che avessi mai avuto il privilegio di conoscere. Decio ci<br />
disse che aveva mandato delle sentinelle <strong>sul</strong>la cima che sormontava il<br />
passo e che c'era un comodo sentiero per arrivarvi, il che attestava<br />
come i romani avessero già usato quell'osservatorio secoli prima.<br />
Ambrogio mi gettò un'occhiata. «Hai voglia di un'arrampicata?<br />
Non possiamo certo ispezionare la guardia interna e lasciare quella<br />
esterna al suo destino!»<br />
Fummo fermati più volte lungo il ripido tragitto fino alla vetta, e<br />
ogni volta ci fu chiesto di identificarci. In cima c'era un gruppetto di<br />
quattro uomini, che scrutavano giù nell'oscurità della notte più<br />
fonda, senza nemmeno un lume visibile a qualsiasi distanza. Per<br />
contrasto, sopra di noi il cielo era una massa di luci sfavillanti, con<br />
una fetta di luna crescente, appena nata, sopra le vette dei monti a<br />
nord-est.<br />
Io e Ambrogio restammo lì per un po', uno accanto all'altro, a<br />
guardare tutto e niente senza sentire bisogno di parlare. Stare lassù,<br />
in piena notte, mi faceva sentire a un tempo potente e privilegiato.<br />
Mi voltai verso il forte, seminascosto <strong>sul</strong> buio altopiano sotto di noi,<br />
e mi sorprese il fatto che, a eccezione di qualche piccolo fuoco<br />
interrato, non c'era movimento o segno di vita là dove sapevo che<br />
dormivano in realtà più di duecento uomini.<br />
La logica conclusione - cioè che avrebbe potuto esserci una simile<br />
forza accampata sotto di noi, <strong>sul</strong>l'altro lato, senza che ne<br />
percepissimo la presenza - mi sembrò al momento troppo banale per<br />
meritare una menzione. Dopo aver scambiato qualche parola con le<br />
guardie, ci accingemmo a scendere di nuovo nell'accampamento.<br />
Quando fummo in vista delle guardie alla porta principale del
forte, ma ancora abbastanza lontani da non essere uditi, Ambrogio si<br />
fermò accanto a un fuoco che si andava spegnendo e lo ravvivò,<br />
prima con qualche ramoscello, poi con due o tre ciocchi più grossi.<br />
Io scelsi il lato libero dal fumo e mi sedetti su un tronco, e Ambrogio<br />
mi raggiunse dopo qualche istante, trascinando un altro ciocco su cui<br />
sedersi. Non avevamo avuto occasione di conversare durante il giro<br />
di ispezione, presi come eravamo a seguire un sentiero pietroso e<br />
infido nell'oscurità. Per un po' parlammo di Tressa e della mia<br />
relazione con lei, e io fui totalmente franco con mio fratello. Era<br />
curioso, naturalmente, ma non voleva sembrare indiscreto. Io invece<br />
ero così sereno e soddisfatto della mia vita con lei, che gli dissi tutto<br />
ciò che avevo nel cuore, ed egli mi ascoltò e ne fu felice per me. Gli<br />
parlai anche del rapporto che era nato tra Artù e Tressa, basato <strong>sul</strong>la<br />
simpatia, <strong>sul</strong>la profonda fiducia reciproca e sui bisogni inconsapevoli<br />
e umani di entrambi: quello di lui di una madre e quello di lei di un<br />
figlio.<br />
Mentre commentavo quell'aspetto dell'intimità tra Artù e Tressa,<br />
Ambrogio mi chiese che fine avesse fatto Turga, che era stata la balia<br />
e la madre surrogata del ragazzo fin quasi dalla nascita, allattandolo<br />
quando rischiava di morire di fame e rimanendo con lui, protettiva<br />
come una leonessa, anche dopo lo svezzamento.<br />
Dall'aggrottare di sopracciglia di mio fratello compresi<br />
l'apprensione che si celava in quella domanda e fui contento di<br />
poterlo rassicurare: Turga era cresciuta e sbocciata negli anni<br />
dell'infanzia di Artù. Ora era una giovane donna bella e intelligente,<br />
niente a che vedere con il relitto umano, muto e quasi dissennato<br />
che avevamo trovato, circondata dai cadaveri dei suoi familiari, fra<br />
le rovine di quella casa in una Cornovaglia dilaniata dalla guerra.<br />
Aveva avuto rapporti con altri uomini, ma non aveva mai preso<br />
un altro marito, né avuto altri figli, ma in qualche modo,<br />
discretamente e forse senza neanche rendersene conto, aveva<br />
adottato una nidiata di quattro piccoli: Artù e i suoi amichetti.<br />
Nessuno, neppure i genitori degli altri tre, avrebbe saputo spiegare<br />
come fosse successo, ma Turga era diventata la responsabile ufficiale<br />
delle condizioni dei quattro ragazzi, trasferendosi addirittura in casa<br />
di Donuil e Shelagh e dedicandosi totalmente allo sfamare, tener<br />
puliti e sorvegliare i ragazzi. Un aspetto fortunato di quello strano
intreccio era stato il modo in cui, avendo ampliato le sue<br />
responsabilità all'intero gruppetto, Turga non aveva sofferto di<br />
gelosia o senso di esclusione quando un rapporto più esplicitamente<br />
materno era sbocciato tra Artù e Tressa. <strong>Il</strong> suo ruolo era diverso, e<br />
non aveva percepito Tressa come una minaccia.<br />
Noi tre, Tressa, Artù e io, avevamo praticamente creato un<br />
nucleo familiare nel giro di pochi mesi, anche se mi rendevo conto<br />
che a un osservatore esterno la cosa potesse sembrare inusuale.<br />
Sebbene fossimo amanti e non ne facessimo un segreto, Tressa e io<br />
continuavamo a vivere ciascuno a casa propria, così come Artù<br />
continuava a vivere, come aveva sempre fatto, in casa dei suoi amici<br />
Gwin e Ghilleadh, accudito da Turga in ogni cosa e trattando<br />
Shelagh come una madre adottiva. Ma nonostante tutto ciò, Artù,<br />
Tressa e io eravamo divenuti una famiglia solida, unita e affiatata,<br />
che condivideva ideali, forze e debolezze senza inganni, e senza<br />
quelle gelosie e quegli egoismi personali che sembravano invece<br />
contraddistinguere così tante famiglie tradizionali.<br />
Dopo quel lungo discorso <strong>sul</strong>la mia vita privata, sedemmo un po'<br />
in silenzio. Poi Ambrogio riportò il discorso <strong>sul</strong> giovane Artù.<br />
«<strong>Il</strong> ragazzo mi sembra in ottima forma» disse. «Sta diventando<br />
alto, e mi sembra di vedere le spalle cominciare ad allargarsi come<br />
fecero le mie e le tue. Però mi sembra un po' poco in carne, non<br />
trovi?»<br />
«<strong>Il</strong> ragazzo è nella fase più rapida della crescita, Ambrogio, ed è<br />
del tutto normale. Anch'io ero alto e magro come lui a quell'età.<br />
Tutto quello che mangia - e credimi, mangia come un cavallo - lo<br />
usa per arrivare alla sua altezza definitiva. Quando ci sarà arrivato, si<br />
riempirà anche in largo e metterà su più muscolatura, vedrai».<br />
Ambrogio mi guardò divertito, gli occhi che brillavano. «Sembri<br />
Lucano» disse.<br />
«Lo credo. Quelle parole sono state le sue, quando qualche mese<br />
fa gli ho fatto lo stesso ingenuo commento che hai appena fatto tu.<br />
<strong>Il</strong> corpo del ragazzo si riempirà, non ti preoccupare. Dobbiamo solo<br />
pensare a tenerlo sano e forte nel frattempo.»<br />
«E questo come si fa?»
«Artù ha quasi dieci anni, e nell'ultimo anno la sua educazione ha<br />
preso una svolta importante. Meno studio sui libri, meno teorie<br />
ascoltate al chiuso e più cavalcate, più pratica con le armi e lezioni di<br />
combattimento. Lui e i suoi amichetti hanno cominciato a usare le<br />
spade di legno, da quando tu e Connor siete partiti per Camelot<br />
l'ultima volta...» mi interruppi, vedendo <strong>sul</strong> suo viso allargarsi un<br />
ampio sorriso. «Cosa c'è?»<br />
«No, niente. È solo che ricordo il peso di quelle spade. Le fate<br />
ancora di quercia? I poveretti faranno fatica a sollevarle, per non<br />
parlare di menare colpi.»<br />
Annuii. «Be', sì, non hai torto. Per adesso usano legni più corti e<br />
leggeri, adatti alla loro forza attuale, e anche quelli maneggiati a due<br />
mani. Ma stanno crescendo in fretta e i muscoli delle spalle e delle<br />
braccia sono sempre più grossi. Dedalo e Rufio mi stanno dando una<br />
mano e tu sai che sono i due migliori esperti di queste nuove spade<br />
che ci siano e sono molto esigenti! Dammi tempo, Ambrogio, e<br />
vedrai. Ti prometto che sarai sorpreso.»<br />
Mio fratello annuì e cambiò discorso. «C'è ancora una cosa di cui<br />
ti vorrei parlare, Cay, ed è solo per le tue orecchie, anche se poi farai<br />
ciò che vorrai dell'informazione.»<br />
Mi voltai a guardarlo, allertato da qualcosa nel tono della sua<br />
voce.<br />
«Di che si tratta?»<br />
«Artù potrebbe avere un fratello in Cornovaglia.»<br />
«Cosa?» Rimasi lì seduto, immobile, le palpebre che sbattevano<br />
incredule, incapace di assorbire le implicazioni di ciò che aveva<br />
detto. «Non è possibile» dissi infine. «Uther e Ygraine sono morti<br />
entrambi subito dopo la nascita di Artù.»<br />
«Cay, anche tua madre è morta da quando sei nato, eppure io e<br />
te siamo fratelli.»<br />
«Noi abbiamo avuto madri diverse.»<br />
«Precisamente.»<br />
Lo fissai in silenzio, mentre nel mio cervello si faceva strada la<br />
consapevolezza di ciò che voleva dire. «Oh mio dolce, amato Gesù!
Stai forse dicendo che Uther ha ingravidato un'altra donna prima di<br />
morire?»<br />
«No, sto solo dicendo che mi è stata riferita una voce - una voce,<br />
niente di più - secondo la quale Uther ebbe una relazione con una<br />
dama della corte di Ygraine, prima di sedurre la regina stessa. Non<br />
ho modo di sapere se sia vero, è una leggenda narrata tra i soldati,<br />
capisci? È come la storia della magia che facesti nella stanza vuota, e<br />
questa leggenda riguarda le conquiste di Uther tra le cortigiane di<br />
Ygraine. Sai come sono fatti i soldati: attribuiscono ai loro eroi,<br />
soprattutto a quelli morti, un fascino e una personalità che farebbero<br />
invidia agli dèi. Di Uther si dice che i suoi lombi abbiano lasciato una<br />
lunga scia in tutta la Cornovaglia, e che il reame pulluli di bastardi il<br />
cui vero padre è lui.»<br />
«Be', questo non si fatica a crederlo» risposi. «Gli appetiti di Uther<br />
in quel campo erano già leggendari quand'era in vita, e molti dei<br />
suoi fidi si sono rovinati il fisico tentando di superarlo. Ma tu sai<br />
bene che lo stupro e il saccheggio fanno parte della guerra e della<br />
ricompensa dei soldati che hanno rischiato la vita in battaglia. Se<br />
penso a quanto tempo è durata quella guerra, non posso dubitare<br />
che la Cornovaglia sia piena di figli degli uomini di Uther. È<br />
paradossale, ma è certamente vero che mio cugino deve aver<br />
contribuito a ripopolare quelle terre, dopo che i suoi eserciti le<br />
avevano svuotate...»<br />
«Sì, questo è certo.» Ambrogio si chinò in avanti e con un piede<br />
spinse dentro il fuoco un ciocco di legno in bilico. «Ma uno di quei<br />
suoi bastardi è figlio di sangue nobile da entrambi i lati, e questo<br />
potrebbe significare una futura pretesa degli stessi diritti di Artù, un<br />
giorno. La voce dice che la donna in questione era una nobildonna<br />
del nord, spedita alla corte di Lot dal fratello, un re chiamato<br />
Crandal.»<br />
Quel nome mi sorprese: dal non averlo mai udito in vita mia,<br />
ecco che lo sentivo nominare due volte in un giorno. Ambrogio mi<br />
disse che era un re importante delle Genti Pitturate a nord del<br />
Grande Vallo, un uomo la cui fama stava crescendo con le sue<br />
conquiste. Pareva non fosse solo un guerriero, ma un campione, un<br />
eroe imbattibile per il quale i suoi morivano con gioia. Non aveva
mai subito una sconfitta in battaglia e aveva ormai conquistato tutti<br />
regni intorno al suo, così che dominava l'intera Caledonia orientale,<br />
dal Vallo sino alle alte montagne a nord e quelle a ovest.<br />
Lo ascoltai in silenzio, consapevole solo della sua voce e del<br />
crepitare del fuoco. Quando finì di parlare capii che non ero<br />
soddisfatto di quanto mi aveva raccontato e volevo approfondire la<br />
questione.<br />
«E perché hai menzionato questo personaggio proprio adesso?»<br />
Mi guardò, sorpreso. «Perché? Be', perché ora sembra che stia<br />
progettando di muoversi verso sud, di passare il Vallo, insomma di<br />
invadere la Britannia. E questa storia di sua sorella e di un possibile<br />
figlio di Uther ci riguarda da vicino. Se non l'ho menzionata prima è<br />
stato perché il ragazzo era presente...»<br />
Adesso era il mio turno di fissare le fiamme, sovrappensiero. «E<br />
dove si troverebbe ora questa nobildonna?»<br />
Ambrogio scosse il capo. «Non so nulla di lei. Secondo la storia<br />
che mi è giunta all'orecchio, se ne andò a partorire altrove quando si<br />
seppe della relazione di Uther con la regina Ygraine.»<br />
«Fu bandita dalla corte di Lot?»<br />
«No, pare di no. Per quello che ne so, pare che avesse ceduto alle<br />
smanie di Uther su istigazione della regina, in una sorta di tranello<br />
sentimentale che doveva procurare vantaggi alla regina. Che sia<br />
rimasta ingravidata non era previsto, ma non fu nemmeno un gran<br />
problema. Fu solo più tardi che Uther sedusse anche la regina.»<br />
«Dannazione! Allora questa storia potrebbe essere vera? Potrebbe<br />
davvero esserci un altro pretendente al trono che era di Uther<br />
Pendragon?»<br />
«Temo di sì, e per giunta sarebbe un primogenito. Un bastardo,<br />
d'accordo, ma non più bastardo di Artù...»<br />
«E dove sarebbe adesso, questo fratellastro?»<br />
«E chi può saperlo? Potrebbe essere dovunque, nascosto per la<br />
propria sicurezza, come il nostro ragazzo. Ma non dimenticare,<br />
Caio, che ti ho solo riportato una voce, niente di più. Potrebbe<br />
essere tutta una montatura.»
«Facciamo pure questa ipotesi. Nel peggiore dei casi<br />
significherebbe che Artù potrebbe rischiare di perdere il regno di<br />
Pendragon, in Cambria. È vero, fa parte della sua legittima eredità,<br />
ma non credo che quella perdita scompaginerebbe i nostri piani.<br />
Avrebbe ancora Camelot e le sue forze, la parentela con gli Scoti<br />
dell'Eire e la legittima pretesa al trono di Cornovaglia. Più che<br />
sufficiente a tenere impegnato anche un ragazzo dotato come lui per<br />
una cinquantina d'anni, non trovi? E poi comunque, a mio modesto<br />
avviso, preoccuparsi inutilmente di questo ignoto rivale non porta a<br />
nulla ed è prematuro. Se quel ragazzo è là fuori da qualche parte,<br />
prima o poi si farà vivo per reclamare ciò che è suo, e quand'anche<br />
lo facesse, non avrà il sigillo di Uther <strong>sul</strong>la mano destra, né<br />
l'armatura di Uther <strong>sul</strong>le spalle, né i cugini di Uther che governano<br />
Camelot dalla sua. A proposito, hai parlato con Derek della<br />
questione dell'armatura?»<br />
«Sì, più di una volta. Sono convinto che la darà al ragazzo<br />
quando sarà il momento, ma penso che lo farà attraverso di me.<br />
Non vuole assolutamente che il ragazzo venga a sapere, o diventi<br />
anche solo curioso di sapere, chi abbia ucciso suo padre. Però so che<br />
conserva l'armatura con tutte le cure necessarie. L'ho vista. Non è<br />
minimamente arrugginita e le fibbie di cuoio sono morbide e<br />
regolarmente ingrassate...» Fissai le fiamme per qualche istante in<br />
silenzio, poi con un lungo sospiro mi alzai.<br />
«Hai ragione tu, fratello, c'è poco da guadagnare a scervellarsi su<br />
un figlio di Uther che forse non è mai nato e che, se è nato e<br />
costituisce un pericolo per noi, ce lo farà sapere quando sarà il<br />
momento. Ma noi non scopriremo certo nulla di più stando qui a<br />
parlarne questa notte. Andiamo a dormire.»<br />
Quella volta Ambrogio rimase a Mediobogdum con noi per due<br />
settimane, e poi rientrò a Camelot seguendo la strada per cui era<br />
venuto. Ma fin dal primo giorno di quella sua visita, il giovane Artù<br />
si dedicò al proprio addestramento con rinnovate energie,<br />
esercitandosi senza sosta con le spade di legno e spingendo i suoi<br />
compagni a impegnarsi quanto lui. <strong>Il</strong> ricordo della visione dello zio<br />
Ambrogio che scendeva dal passo verso il forte alla testa delle sue
truppe lo spingeva a non risparmiarsi. Artù non si sarebbe più dato<br />
pace finché non avesse avuto la certezza che anche lui, un giorno,<br />
alla guida dei suoi uomini, avrebbe offerto uno spettacolo<br />
altrettanto impressionante. Io fui felice di quel rinnovato entusiasmo<br />
e ne approfittai per spingere il ragazzo ancora più vicino ai limiti<br />
delle sue possibilità. Mi riempiva di gioia vedere con quale velocità<br />
assorbiva tutto ciò che gli insegnavo, il modo in cui il suo corpo<br />
iniziava ad appesantirsi e la sua forza muscolare ad avvicinarsi a<br />
quella di un uomo fatto.<br />
Mi sorprende, a volte, che la mia memoria abbia conservato così<br />
poche immagini di quel periodo breve, ma intensamente felice. Le<br />
estati e gli inverni si susseguivano con ritmo naturale e spensierato,<br />
in una sorta di idilliaco isolamento. Sicuramente quel compiacimento<br />
per il distacco di Mediobogdum dal mondo, dai suoi pericoli e<br />
affanni, era in parte dovuto alla sensuale novità della presenza di<br />
Tressa nella mia vita. Con questo non voglio dire che la nostra vita<br />
insieme fosse paragonabile a una routine matrimoniale, era tutt'altro,<br />
ma la profonda amicizia, cementata da un'intimità sessuale che non<br />
dovevamo nascondere, favoriva una rara serenità in entrambi.<br />
Certo, anche durante quei bucolici anni nel settentrione ci furono<br />
eventi che mi rimasero impressi nella memoria, ma furono singoli<br />
episodi isolati, brevi interruzioni nel tessuto della nostra vita<br />
quotidiana, molti piacevoli, altri no. Vi furono matrimoni tra i nostri<br />
e la gente di Derek, nacquero bambini, alcuni dei quali - pochi,<br />
grazie alle attenzioni del nostro Lucano - morirono in tenera età.<br />
Una volta un uomo del forte, una recluta giunta da Ravenglass, uscì<br />
dalla porta a nord, una notte, con troppo alcol in corpo e cadde nel<br />
baratro, trascinando con sé i due compagni che avevano pensato,<br />
viste le sue condizioni, di accompagnarlo.<br />
Ambrogio tornò ogni volta che poté, e comunque almeno una<br />
volta l'anno, come fece anche Connor dall'Eire. Ricordo chiaramente<br />
che alla sua terza visita, o forse era la quarta, Ambrogio ci sorprese<br />
tutti annunciando che Camelot aveva dislocato una guarnigione<br />
nella città abbandonata di Lindinis, o <strong>Il</strong>chester, come cominciano a<br />
chiamarla, l'insediamento più vicino a Camelot lungo la grande<br />
strada verso sud che porta a Isca. La notizia scatenò domande e<br />
discussioni interminabili <strong>sul</strong>la opportunità di quell'iniziativa.
Ambrogio rimase lì sorridente a godersi il coro di voci altercanti,<br />
senza intervenire, mentre il suo sguardo passava da un volto all'altro.<br />
<strong>Il</strong>chester, gli fu spiegato - come se lui non lo sapesse - era decaduta in<br />
fretta dopo la partenza delle legioni, trasformandosi in un lugubre,<br />
squallido luogo di rovine, desolazione e agguati. Era del tutto<br />
inadatta allo stazionamento di una guarnigione di truppe di<br />
Camelot. Era troppo lontana dalla Colonia per essere difendibile e<br />
sarebbe caduta in mano a qualsiasi invasore che si avvicinasse dal<br />
nord o dal sud. La stessa strada romana offriva agli aggressori il<br />
perfetto accesso alle sue mura malridotte. Che diamine era saltato in<br />
testa al Consiglio, non avevano nessuna considerazione per il morale<br />
dei soldati che sarebbero stati di guardia in un luogo simile?<br />
Avendo notato sin dal primo momento il sorriso <strong>sul</strong>le labbra di<br />
mio fratello, mi ero astenuto dal partecipare al coro di proteste,<br />
aspettando di udire quello che avrebbe detto una volta sgonfiatasi<br />
l'eccitazione iniziale. Notai che anche Dedalo sedeva senza parlare, e<br />
mi sorprese che nessuno si fosse accorto del suo atteggiamento. La<br />
sua avrebbe dovuto essere la voce che condannava quella scelta con<br />
più veemenza, ma nessuno notò il suo silenzio. I commenti si<br />
esaurirono e alla fine anche le ultime voci indignate si spensero<br />
lentamente, con imbarazzo, per lasciare il posto a un lungo silenzio<br />
che nessuno pareva disposto a rompere. Incrociai lo sguardo di mio<br />
fratello e intervenni.<br />
«Non sei pentito di averci comunicato quella notizia?»<br />
«No. Mi aspettavo quella reazione e mi ha divertito ascoltarla.»<br />
«Allora hai anche le risposte.»<br />
Ambrogio si guardò attorno. «Certo, e ve le darò volentieri,<br />
anche se non credo di poter rispondere a tutte le questioni sollevate<br />
qui.» Fece una pausa. «Prima di tutto devo dirvi che Lindinis, o<br />
<strong>Il</strong>chester, se vi pare, non è più il luogo desolato e malfamato che<br />
ricordate. Le rovine sono sparite e hanno lasciato un ampio spazio<br />
libero intorno al forte. Le mura si ergono più alte di quando<br />
riparavano le legioni, in tre strati e con nuove palizzate di tronchi<br />
all'esterno. Dentro le mura, tutte le case sono state ricostruite e sono<br />
piene di abitanti, e non si tratta solo degli uomini della guarnigione e<br />
delle loro famiglie. Abbiamo costruito nuove difese, nuovi parapetti
e torri munite di macchine da guerra, tre fossati che circondano il<br />
forte, attraversati da tre ponti levatoi controllati da postazioni nelle<br />
torri. La città è oggi praticamente inespugnabile, e il morale della<br />
guarnigione è molto alto. Nel breve spazio di un anno, anche se vi<br />
sembrerà incredibile, la <strong>Il</strong>chester da evitare che ricordate è diventata<br />
una destinazione ambita fra i nostri soldati.» Si fermò, guardandoli<br />
uno per uno. «E adesso ditemi, perché abbiamo fatto tutto questo?<br />
Perché abbiamo investito uomini, lavoro e ricchezze per restaurare<br />
una città derelitta a più di trenta miglia dalla nostra base?»<br />
Hector si fece sentire. «Camelot è sovraffollata. Doveva succedere,<br />
prima o poi.»<br />
«Esattamente, Hector. Sovrappopolazione.» <strong>Il</strong> suo sguardo corse<br />
nuovamente sui loro volti. «Eravate lì l'anno del Grande Inverno,<br />
quando accogliemmo tutti quei soldati per rimpiazzare le perdite<br />
delle guerre in Cornovaglia. Lavoraste anche voi alla costruzione dei<br />
quartieri per ospitarli, mentre si decideva quali delle nostre terre<br />
arabili sarebbero state destinate a sfamarli. Sono passati gli anni,<br />
amici, e ogni anno ha visto giungere a Camelot altre reclute, perché i<br />
soldati sono la nostra linfa vitale. Camelot fu fondata con un unico<br />
scopo: la sopravvivenza! Essere pronti a combattere e vincere contro<br />
qualsiasi invasore è l'unico modo per sopravvivere. Se dovessimo<br />
mai permettere alla nostra guarnigione di indebolirsi, tanto varrebbe<br />
sdraiarci a terra e lasciarci morire, perché non sopravviveremmo<br />
comunque.» Fece un'altra pausa per raccogliere l'approvazione dei<br />
capi, prima di proseguire.<br />
«Ma i soldati devono mangiare e anche se Camelot è benedetta<br />
da un suolo fertile, ci sono limiti a ciò che si può coltivare e allevare.<br />
Già un anno fa ci siamo resi conto che presto avremmo raggiunto<br />
quel limite e un consigliere, Lucio Varo, suggerì che avremmo potuto<br />
sfruttare nuovamente i campi abbandonati intorno a <strong>Il</strong>chester. L'idea<br />
sembrò plausibile e una pattuglia di ricognizione fu spedita a<br />
compiere un sopralluogo. La comandavo io stesso e il mio rapporto<br />
fu entusiastico, perché vidi due distinte potenzialità: una nuova fonte<br />
di cibo e una minore pressione dei numeri crescenti nella Colonia.<br />
Inoltre mi venne in mente che il lavoro necessario per ripristinare il<br />
vecchio forte avrebbe dato ai nostri uomini qualcosa da fare quando<br />
non si stavano addestrando alla guerra, qualcosa di utile e di
permanente, della cui realizzazione avrebbero potuto andare fieri.<br />
Avevo ricevuto dei documenti, qualche anno fa, che descrivevano<br />
nei minimi dettagli la costruzione di un forte molto sofisticato in<br />
Gallia, e decisi che avremmo applicato quelle tecniche anche qui in<br />
Britannia. Ci è voluto un anno per portare a termine l'opera, e quasi<br />
mille uomini vi hanno lavorato ininterrottamente. Lo abbiamo<br />
inaugurato due mesi fa, ed è magnifico. Tommaso Atribato, l'ufficiale<br />
che porta quel nome per la quarta generazione, è il comandante<br />
della guarnigione e Lucio Varo è il governatore civile, che risponde<br />
al Consiglio e organizza la coltivazione delle terre. I nostri nuovi<br />
castella non sono di pietra, e non dureranno certo in eterno, ma<br />
serviranno ai nostri scopi per i prossimi cent'anni almeno.»<br />
Ci fu ancora qualche residua discussione, ma il fuoco che aveva<br />
alimentato i pareri contrari si era spento, inondato dalla ferrea logica<br />
dell'esposizione di Ambrogio.<br />
Trovo curioso che decenni più tardi io riesca a ricordare<br />
chiaramente momenti come quello mentre altri sono completamente<br />
scomparsi. Giunsero lettere da Germano, in Gallia, giunsero spade e<br />
altre armi da Camelot; molti soldati vennero e rimasero a lungo,<br />
altri se ne andarono; la vita si snodava senza sobbalzi. Mi piaceva la<br />
novità di far parte di una piccola comunità spartana ed operosa, ma<br />
restavo comunque per prima cosa un militare e non me ne<br />
dimenticai. Mi allenavo quotidianamente per ore, o con i ragazzi o<br />
mettendomi alla prova con Dedalo, Rufio o Donuil, brandendo le<br />
armi come avevo fatto per tutta la vita, tenendomi fisicamente in<br />
forma e con i riflessi sempre all'erta. Ora capisco che in quel periodo<br />
fui davvero in pace, per la seconda volta in vita mia: gustavo il duro<br />
lavoro, la stanchezza e la gioia di tornare a casa e trovare il calore<br />
della compagnia di Tressa. E mentre mi saziavo di quella vita serena<br />
e appagante, gli anni passarono, inesorabili ed invisibili.<br />
Ripensandoci oggi, trovo ironico che tra tutti sia toccato proprio a<br />
Derek scuotermi da quel soddisfatto torpore e riportarmi alla realtà<br />
della vita.<br />
Era stata un'estate caldissima e quel giorno non ero riuscito a<br />
concentrarmi su nessuno dei compiti che mi ero assegnato. Così<br />
avevo sellato Germanico e mi ero avviato giù per la valle, verso<br />
Ravenglass. Non avevo alcuna destinazione, stavo solo
concedendomi un piacevole diversivo. A essere sincero, Tressa non<br />
aveva tempo per me, i miei compagni erano tutti impegnati altrove<br />
e il mio umore quel giorno era incline all'autocommiserazione.<br />
Tressa era chiusa in casa di Shelagh con altre tre donne: dovevano<br />
assolutamente finire di ricamare le decorazioni di una splendida<br />
veste destinata a festeggiare il primo parto di Salindra, la<br />
giovanissima seconda moglie del figlio di Derek, così vicina al parto<br />
che le donne temevano di non finire in tempo. Ero stato nella stanza<br />
alla base della torre di pietra dove lavoravano, cucendo nella fresca<br />
semioscurità, apparentemente più al tatto che a vista.<br />
Lucano era assente da più di una settimana, impegnato a<br />
Ravenglass in questioni che riguardavano le provviste di medicinali<br />
per l'infermeria, e per le quali aveva deciso di frequentare i capitani<br />
e gli equipaggi delle navi che attraccavano nel porto. Anche Rufio,<br />
Dedalo e Donuil erano laggiù per diverse faccende e avevano<br />
portato con loro i ragazzi, ritenendo l'esperienza educativa. Di<br />
conseguenza, solo e senza problemi impellenti da risolvere, mi ero<br />
messo in strada verso la valle, più che altro nella speranza di<br />
incontrare della piacevole compagnia.<br />
Uscendo dalla foresta, all'inizio di quelle ultime miglia lungo i<br />
campi prima di giungere alla città, mi tornò in mente il luogo che<br />
Derek mi aveva mostrato il primo giorno che ero arrivato a<br />
Ravenglass. Guidai Germanico attraverso la pietraia che cingeva i<br />
campi e su per la ripida collina boscosa, fino alla piccola cresta <strong>sul</strong>la<br />
quale ci eravamo seduti a parlare quel giorno. <strong>Il</strong> posto era come me<br />
lo ricordavo, una sorta di trono naturale che dominava sia la città<br />
circondata dai boschi, sia un tratto di mare scintillante a occidente.<br />
Smontai e mi accomodai dove si era piazzato Derek, un sedile<br />
naturale comodo e rivestito di morbido muschio, che offriva la<br />
miglior veduta della vallata sotto di me. Rimasi lì una mezz'ora a<br />
guardare il mare, senza pensare a nulla in particolare, finché d'un<br />
tratto riconobbi l'inconfondibile rumore di qualcuno che saliva a<br />
cavallo verso di me. La logica mi disse che doveva trattarsi di Derek,<br />
ma la forza delle buone abitudini mi fece comunque scattare in piedi<br />
e nascondermi tra gli alberi finché non avessi visto chi era il<br />
visitatore.
Era lui. Quando lo riconobbi uscii dal nascondiglio e lo chiamai<br />
per nome. Fu sorpreso di trovarmi là ma non infastidito, e io provai<br />
un certo sollievo alla vista del suo sorriso, perché mi era venuto in<br />
mente nel frattempo che avrebbe potuto essere geloso di quel posto<br />
privato come lo ero io della mia piccola valle segreta vicino a<br />
Camelot. Dopo i convenevoli del caso, si piazzò nel posto dove ero<br />
seduto prima del suo arrivo e mi fece cenno di mettermi accanto a<br />
lui. Parlammo di questioni banali e rassicuranti per un po', come le<br />
stranezze del clima o l'imminenza del raccolto, poi restammo lì in<br />
silenzio a goderci il sole, a tratti sonnecchiando, entrambi a nostro<br />
agio, cullati dal ronzio delle api, dallo spettacolo delle libellule che<br />
saettavano verdi e blu nell'aria del pomeriggio e dalla delicata danza<br />
delle farfalle. Una di queste, un esemplare enorme dalle ali marroni,<br />
bianche e rosse, si posò <strong>sul</strong>la gamba tesa di Derek e rimase lì,<br />
vibrando impercettibilmente, aprendo e chiudendo le splendide ali<br />
alle carezze del sole.<br />
Derek mi lanciò uno sguardo per vedere se l'avessi notata, poi<br />
emise un basso grugnito. «Hai mai visto una di quelle creature<br />
quando nasce?»<br />
Feci cenno di sì. «Più di una volta. È una cosa miracolosa a<br />
vedersi, non è vero?»<br />
«Lo è per certo, anche se io l'ho vista una sola volta. Ricordi<br />
ancora come ti successe la prima volta?»<br />
Sorrisi. «Mi fu mostrato, altrimenti credo che non me ne sarei mai<br />
accorto. Avevo un maestro, un druido di nome Daffyd, che un<br />
giorno, io ero poco più che un bambino, trovò una parete di roccia<br />
alla quale si erano attaccati svariati bruchi. Li seguì attentamente da<br />
quel giorno, e quando giudicò che stessero per schiudersi mi riportò<br />
<strong>sul</strong> posto e mi ordinò di osservarli attentamente.»<br />
Quel ricordo mi riempì di gioia e scoppiai a ridere. «Ci volle un<br />
bel po' di tempo, quasi tutta la giornata, se ricordo bene, e lui si<br />
rifiutava di dirmi cosa stessimo aspettando. Avevo già deciso che<br />
Daffyd doveva avere semplicemente escogitato un nuovo modo di<br />
tenermi lontano dai miei giochi preferiti: costringermi a rimanere<br />
immobile a fissare una cosa marrone, inanimata e del tutto priva di<br />
qualsiasi interesse. Sì, potevo vedere che era un insetto di qualche
tipo, ma era decisamente un insetto morto.»<br />
Sorrisi. «Sopportai stoicamente la cosa per quasi tutto il giorno,<br />
ma quando divenni troppo irrequieto, il mio maestro rinunciò a<br />
sorprendermi e mi disse cosa stava per succedere. Mi sembrò<br />
impossibile che un grosso bruco peloso si fosse rinchiuso in quel<br />
minuscolo guscio: una crisalide, la chiamò, e ora che ci penso mi<br />
piacerebbe chiedergli dove avesse sentito quella parola, perché è in<br />
greco, l'unica parola in greco che gli abbia mai sentito pronunciare.<br />
Più incredibile ancora mi sembrò l'idea che di lì sarebbe uscita una<br />
farfalla, ma poi successe! <strong>Il</strong> bozzolo cominciò a muoversi, a incrinarsi<br />
lentamente e alla fine ne uscì questa cosina tremolante, che si<br />
dispiegò fino a diventare una farfalla stupenda. Non ho mai visto<br />
niente di più bello o di più commovente di quelle ali che si<br />
srotolavano e si asciugavano, tremando. Perché sorridi?»<br />
Derek scosse leggermente il capo. «Stavo solo ricordando la mia<br />
emozione, che fu simile alla tua. Quella vista mi scosse fin nel<br />
profondo dell'anima, e io ero un uomo adulto quando la vidi. Anzi,<br />
fu proprio poco dopo averti incontrato, durante le guerre di Lot. Mi<br />
stavo nascondendo, inseguito dagli uomini di tuo cugino Uther, e mi<br />
stavano quasi addosso. Ero accucciato contro una roccia e questo<br />
coso, quella parola greca che hai detto, mi stava proprio davanti agli<br />
occhi. Cominciò a dischiudersi e io non riuscivo a credere a quello<br />
che vedevo. Voglio dire, era così vicino alla mia faccia, così brutto<br />
che ne fui disgustato. Mi venne la pelle d'oca e volevo vomitare, ma<br />
udivo le voci degli uomini che mi cercavano - se avessero allungato<br />
un braccio mi avrebbero toccato - e dovetti rimanere immobile. E<br />
poi la nuova creatura uscì fuori e srotolò e dischiuse le sue ali, e<br />
sembrò che si asciugassero, ed era la cosa più bella che avessi mai<br />
visto. Quando alla fine se ne volò via, lasciandosi dietro il guscio<br />
abbandonato, mi sentii derubato. Non l'ho mai né rivisto né<br />
dimenticato, ma mi ha insegnato che a volte le cose più belle saltano<br />
fuori dai posti dove meno te le aspetti.»<br />
Tacqui, e dopo qualche istante Derek proseguì. «Ma non so<br />
proprio se sono disposto a credere che quelle creature comincino la<br />
vita come bruchi pelosi. È un'idea che sembra venire da qualcuno<br />
che ha bevuto un po' troppo vino. Voglio dire, pensaci un<br />
momento. Nemmeno tu credi a quella storia, vero? Le farfalle
vengono dalle uova, uova insolite, te lo concedo, ma uova. Anche<br />
gli uccelli escono dalle uova. Rompono il guscio e se ne vengono<br />
fuori, già con il becco, le ali, le piume e tutto quanto. Ma sono altri<br />
uccelli che hanno deposto quelle uova. Hai mai sentito qualcuno<br />
sostenere che un qualche verme si costruisca intorno un guscio<br />
d'uovo e che poi ne venga fuori un uccello? Su, è ridicolo!»<br />
Sorrisi. «Non ho intenzione di mettermi a discutere con te, Derek,<br />
ma le farfalle non sono uccelli ed è proprio così che accade. Si<br />
chiama metamorfosi.»<br />
«Che?»<br />
«Metamorfosi. Un'altra parola greca. Significa un cambiamento di<br />
forma. La farfalla depone uova che diventano bruchi. I bruchi<br />
crescono fino alla maturità e poi tessono un filo che si avvolgono<br />
attorno girando su loro stessi, un materiale non dissimile da quello<br />
che producono i ragni per fare le loro tele. Quando si sono avvolti<br />
completamente vanno a dormire per un tempo molto lungo, e<br />
quando si svegliano ed escono dal guscio, sono farfalla.»<br />
«Stupidaggini!»<br />
Alzai le mani, ridendo. «Va bene! Come vuoi, io non discuto<br />
perché non te lo posso dimostrare, ma ti giuro che è così.»<br />
Mi concesse un lungo sguardo intriso di scetticismo, poi rimase in<br />
silenzio per un po'. Quando parlò di nuovo, le sue parole mi colsero<br />
di sorpresa.<br />
«Come quel tuo ragazzo, allora, come il giovane Artù.»<br />
Mi voltai a guardarlo. «Non ti seguo.»<br />
«La meta-come-diavolo-l'hai-chiamata. Anche lui si sta<br />
trasformando in qualcosa di completamente diverso.»<br />
«Che vuoi dire? Ti ho perso per strada.»<br />
«Che Artù sta cambiando e sta cambiando in fretta. Sta crescendo.<br />
Ha fatto quasi a pezzi il mio Droc, stamattina, e davanti alla porta di<br />
casa mia. Gli ha incrinato il cranio, credo, e ha rotto qualche osso<br />
anche a due o tre dei suoi scagnozzi.»<br />
«Per l'amore di Cristo! Stai dicendo <strong>sul</strong> serio?»
«Certo che dico <strong>sul</strong> serio. C'è da dire che se l'erano cercata, e forse<br />
meritavano di peggio. Ho dovuto spiegare a quel gruppetto di bulli<br />
quale fosse la legge in casa mia, ma si vede che Droc non mi ha<br />
ascoltato. Quando sono arrivato <strong>sul</strong> posto era svenuto. Meno male<br />
che Lucano era in città. Lo ha portato via e l'ha fasciato tutto, dal<br />
petto in su.»<br />
Ero esterrefatto. «Non posso crederci. Droc è due volte più grosso<br />
di Artù e qualche anno più vecchio. Come può averlo ridotto in<br />
quello stato? È poco più di un bambino!»<br />
Derek scrollò le spalle, ma poi si voltò a guardarmi.<br />
«Un bambino? Quand'è l'ultima volta che lo hai visto?»<br />
«Chi, Artù? Qualche giorno fa, il mattino che è partito per<br />
Ravenglass.»<br />
«Allora tu hai visto un altro ragazzo, non quello che ho visto io.<br />
Io sto parlando di Artù di Pendragon.»<br />
«Lo so. Anch'io sto parlando di lui.»<br />
«Be', in questo caso uno di noi ha problemi alla vista e quello non<br />
sono io. Fammi provare a ripetere la domanda con altre parole:<br />
quand'è l'ultima volta che lo hai guardato?»<br />
Lo fissai, considerando la domanda nella nuova formulazione.<br />
Quando, ultimamente, avevo guardato Artù da vicino, esaminato<br />
analiticamente il ragazzo? Lo feci nella mia mente e ben presto mi<br />
resi conto che Derek aveva ragione. Artù non era più un bambino da<br />
molto tempo e io non mi ero accorto dell'enormità di quei<br />
cambiamenti.<br />
A tredici anni, vicino ai quattordici, Artù era già quasi alto quanto<br />
i più alti tra noi, Derek e me. Era ancora dinoccolato, un po' magro,<br />
ma era ormai forte e proporzionato, le spalle sempre più larghe e un<br />
inizio di peluria su mento e guance. Pensai alle sue mani, affusolate<br />
ma forti, i polsi grandi, percorsi da muscoli e tendini sviluppati<br />
dall'esercizio costante coi bastoni. Pensai al viso liscio e abbronzato,<br />
gli occhi di quell'incredibile giallo-bronzo, penetranti, i lineamenti<br />
affilati e la grande bocca sorridente con la perfetta fila di denti<br />
squadrati, la criniera di lunghi capelli castani, venati d'oro, che<br />
circondava il viso, le spalle che mostravano già i fasci di muscoli che
salivano verso il collo robusto. Era vero, Artù stava crescendo molto<br />
in fretta. Annuii in silenzio per fare capire a Derek che aveva<br />
ragione.<br />
«Dimmi com'è successo.»<br />
Derek affondò una mano nella camicia ed estrasse un lungo<br />
coltellino e un pezzo di canna che stava evidentemente lavorando,<br />
forse per farne un fischietto.<br />
«Be', in un certo senso è stata solo una sfida a lungo rimandata tra<br />
due ragazzi. Succede di continuo. Però uno dei due non è più un<br />
ragazzo, e per giunta è un bullaccio viziato. Sfortunatamente si tratta<br />
di mio figlio e la cosa non mi rende affatto fiero, ma gli ho sferrato<br />
abbastanza calci nel culo da sapere che picchiarlo non lo cambierà<br />
più, ormai. Forse ciò che gli è accaduto stamane avrà più effetto<br />
delle cinghiate di suo padre. Vedremo.»<br />
Segnò la canna con dei taglietti, preparandosi a scavare i solchi.<br />
«Stava prendendosela con Artù?»<br />
«No, no. Pare che ci abbia provato, ma non riusciva a far<br />
funzionare la cosa. No, se la stava prendendo con il piccolino,<br />
Ghilly, e i suoi amici lo stavano aiutando. Lo hanno pestato<br />
selvaggiamente. Io non ero presente, capisci, ma mi sono fatto dire<br />
ogni cosa dalla donna che mi aveva fatto chiamare. Per come ho<br />
capito la faccenda, stavano infierendo <strong>sul</strong> piccolo quando Artù è<br />
entrato in città <strong>sul</strong> suo cavallo. Ho scoperto che da mesi volevano<br />
dimostrare la loro superiorità su Artù, ma lui si rifiutava di battersi,<br />
qualunque provocazione tentassero. Avevano provato a minacciarlo,<br />
a in<strong>sul</strong>tarlo, persino a spintonarlo, ma lui li ignorava. Non capivano<br />
quel comportamento e diventavano ancora più pazzi di rabbia.<br />
Sapevano che non li temeva, perché non tentava mai di evitarli, ma<br />
non riuscivano a farlo reagire, fino a oggi. Uno di loro ebbe la bella<br />
idea di sfogarsi <strong>sul</strong> piccolo Ghilly, sperando in quel modo di<br />
strappare una reazione ad Artù.»<br />
Sollevò la canna davanti a un occhio, guardandola in tralice.<br />
«E ci sono riusciti, ma la reazione è andata al di là di quello che si<br />
aspettavano. Artù ha visto Ghilly riverso <strong>sul</strong> lastricato, sanguinante.<br />
L'ha aiutato ad alzarsi e l'ha accompagnato via di lì. Non ha aperto
occa e non ha guardato né Droc né i suoi. Ma dopo qualche istante<br />
è tornato indietro da solo, e con in mano uno di quei tuoi bastoni. Si<br />
è avvicinato al gruppetto e ha detto solo: "Bene. Eccomi qua", poi si<br />
è scatenato l'inferno. Tre di loro erano a terra prima ancora di capire<br />
che era tornato per battersi, e quando l'ebbero capito non riuscirono<br />
a toccarlo, nonostante siano tutti più grossi di lui. Non l'ho mai visto<br />
usare quel bastone, ma mi hanno detto che le cose che gli fa fare<br />
sono quasi una magia.»<br />
Io sorridevo da un orecchio all'altro. «Quanti erano?»<br />
«Otto, e lui è andato lì come se ci fosse un solo avversario. Senza<br />
esitazioni, senza nervosismo. E li ha massacrati tutti, compreso il mio<br />
grande, impavido Droc, che gli dèi proteggano la sua inutile,<br />
scervellata massa di muscoli. Non è stato Artù, tra l'altro, a spaccargli<br />
il cranio. Lui gli ha solo fatto lo sgambetto, e Droc è finito dritto<br />
contro un muro. È un genere di cosa che gli riesce piuttosto bene.<br />
Cos'è che ti rende così contento?»<br />
«Ho l'aria contenta? Be', sì, suppongo di esserlo. Mi fa piacere che<br />
il ragazzo si sia dimostrato così maturo. Abbastanza maturo da<br />
evitare di battersi quando non lo riteneva necessario o giustificato, e<br />
altrettanto maturo da battersi senza esitazioni, anche contro ragazzi<br />
più grossi e più vecchi di lui, e batterli, quando ha deciso che era<br />
necessario. Ora però devo lasciarti. Devo andare a discutere certe<br />
questioni con Dedalo e Rufio.»<br />
«Riguardo al ragazzo?»<br />
«Sì, riguardo alla sua educazione. È chiaramente tempo di farlo<br />
andare avanti.»<br />
«Avanti verso dove?»<br />
«Verso il diventare un uomo.»<br />
Derek sorrise e scosse il capo, tornando a concentrarsi <strong>sul</strong><br />
fischietto. «Ci arriverà comunque tra breve, amico mio. Ma se pensi<br />
di doverlo aiutare ad arrivarci più in fretta, allora è meglio che tu lo<br />
faccia.»<br />
Prima di rientrare al forte parlai a lungo con Dedalo e Rufio e,
quella sera, discussi con Donuil e Shelagh della successiva fase<br />
dell'addestramento del ragazzo. Chiesi consiglio anche a Tressa, le<br />
cui opinioni avevo ormai imparato a rispettare. Era una fase cruciale,<br />
e volevo accertarmi personalmente che fosse pronto ad affrontarla.<br />
<strong>Il</strong> primo passo doveva farlo Artù da solo. Non c'era posto, almeno<br />
all'inizio, per le distrazioni che la presenza dei suoi amici avrebbero<br />
causato, anche se non dubitavo che lo avrebbero seguito<br />
nell'addestramento con le nuove armi, come lo seguivano in ogni<br />
cosa.<br />
Artù comparve all'ingresso della mia stanza a metà mattina del<br />
giorno successivo, chiaramente curioso del motivo per cui era stato<br />
convocato e con un sorriso leggermente diffidente <strong>sul</strong> viso. «Tressa<br />
ha detto che mi volevi parlare.»<br />
«Sì, entra, Artù.»<br />
Entrò, guardandosi intorno, sempre con quel mezzo sorriso. <strong>Il</strong> suo<br />
sguardo indugiò <strong>sul</strong>la spada di quercia appoggiata al tavolo al quale<br />
ero seduto.<br />
«Ho fatto qualcosa che non va?»<br />
«Perché mai mi fai una domanda simile?»<br />
<strong>Il</strong> suo sorriso si aprì un poco, ma senza perdere l'incertezza.<br />
«Perché non dovrei? È molto tempo che non mi convochi in questo<br />
modo, e l'ultima volta che lo facesti fu perché ero rimasto fuori dal<br />
forte la sera, dopo l'orario consentito.»<br />
«È vero, me n'ero scordato. No, Artù, non sei nei guai, perciò<br />
tranquillizzati, e siediti.»<br />
Si sedette, l'ombra <strong>sul</strong> viso subito dissolta, e attese che continuassi.<br />
Passai qualche istante a guardarlo.<br />
«Ieri Derek mi ha detto che hai avuto uno scontro con suo figlio.»<br />
«Oh, Droc. Sì, è vero.»<br />
«E che lo hai conciato ben bene.»<br />
Parve imbarazzato. «Sì.»<br />
«Hai usato la spada di quercia. Come?»<br />
«In che senso?»
«Come hai usato il bastone, con una mano o con due mani?»<br />
«Ehm... non lo so. In tutt'e due i modi, credo. Non ho avuto il<br />
tempo di pensarci.»<br />
«Hmm. Dov'è, adesso?»<br />
«Qui fuori, legato alla mia sella.»<br />
«Va' a prenderlo, e poi seguimi. <strong>Il</strong> mio carro è qui dietro.»<br />
Legò il suo cavallo dietro al carro e montò <strong>sul</strong>la panca accanto a<br />
me. Sbattei le redini e ci avviammo in silenzio attraverso il forte,<br />
verso la porta orientale, oltre la quale c'era il campo di<br />
addestramento. Quando raggiungemmo la casamatta accanto alla<br />
torre di guardia, dove tenevamo le armature di cuoio, gli dissi di<br />
saltare giù e indossarne una. Io avevo già indossato le mie pesanti<br />
piastre protettive, comprese quelle che avevamo disegnato per<br />
coprire le braccia dalle spalle ai polsi. Artù saltò giù dal carro e sparì<br />
dentro la torre, mentre io proseguivo senza aspettarlo. Fermai il<br />
carro alla base della salita che portava <strong>sul</strong>lo spiazzo delle parate, e<br />
scesi. Mentre salivo verso lo spiazzo, cominciai a menare fendenti<br />
nell'aria con la mia pesante spada di legno, per scaldare i muscoli di<br />
braccia e spalle. Poco dopo lo sentii arrivare di corsa per<br />
raggiungermi, ma giunsi in cima al terrapieno prima che lo facesse e<br />
mi voltai, sollevando l'arma orizzontalmente nelle due mani.<br />
«Prima, gli esercizi.»<br />
Si fermò davanti a me, senza nemmeno il fiato corto per la corsa,<br />
poi sollevò anche lui il bastone a due mani e chiuse gli occhi,<br />
concentrandosi. Fece un respiro profondo e si lanciò nella sequenza<br />
di esercizi che avevamo progettato per sciogliere e rinforzare i<br />
movimenti delle braccia e dei polsi.<br />
Rimasi lì immobile a guardarlo, senza dire nulla e senza perdere<br />
un solo movimento della sua routine. Ero consapevole che erano<br />
passati almeno sei mesi dall'ultima volta che lo avevo visto eseguire<br />
quegli esercizi: avevo un po' trascurato quell'aspetto del mio ruolo<br />
nella crescita del ragazzo, forse impigrito dalla placida somiglianza di<br />
ogni giorno a quello precedente, nella mia vita a Mediobogdum.<br />
Sapevo che si stava addestrando con vigore e disciplina grazie a<br />
Dedalo e Rufio, che lo sottoponevano quotidianamente a quella e
molte altre routine, e che mi avevano tenuto aggiornato sui suoi<br />
progressi, ma in realtà non avevo idea di quanto il ragazzo fosse<br />
migliorato. Sei mesi prima la sua esecuzione era ottima, ma adesso<br />
era spettacolare.<br />
I suoi occhi restavano chiusi per non perdere la concentrazione e<br />
il bastone turbinava nelle sue mani sempre più in fretta, finché il<br />
movimento dell'arma divenne un indistinto disco marrone nell'aria<br />
davanti a lui: i contorni del legno erano visibili solo nei brevissimi<br />
istanti in cui lo passava da una mano all'altra, o dalle due mani a una<br />
sola, facendolo salire dietro la testa e passare sotto una gamba, per<br />
poi passarlo nell'altra mano e compiere il giro inverso. Continuò la<br />
sequenza con velocità strabiliante fino all'ultimo passo della danza,<br />
in cui girò su se stesso su una gamba, fece un passo avanti con l'altra<br />
e portò il bastone verso il basso con un colpo che, se si fosse trattato<br />
di una spada affilata, avrebbe spaccato in due chi gli stava davanti.<br />
L'arma si fermò invece a un palmo da terra e Artù aprì gli occhi e mi<br />
guardò, senza alcuna espressione <strong>sul</strong> volto. Dovetti riprendermi dalla<br />
sorpresa.<br />
«Impressionante» dissi, pacatamente. «Dedalo e Rufio mi avevano<br />
detto che eri molto migliorato. «Ma ora, a parte gli esercizi e gli<br />
assalti ad altri ragazzi disarmati, pensi di poter usare quell'oggetto<br />
con efficacia contro un avversario addestrato?»<br />
I suoi denti scintillarono in un ampio sorriso e mi accorsi di<br />
nuovo, nonostante l'avessi sempre accanto a me, della naturale e<br />
radiosa bellezza di quel viso.<br />
«Vuoi che ci provi?»<br />
Be', ci provò, e confesso che riuscii a batterlo solo a stento. La sua<br />
forza e la sua velocità mi colsero di sorpresa, e l'impeto furibondo<br />
dell'assalto mi fece subito dimenticare che stavo battendomi con un<br />
ragazzo di nemmeno quattordici anni, "poco più di un bambino",<br />
come lo avevo definito il giorno prima. Mi fece indietreggiare una<br />
prima volta quasi subito, sviando un mio fendente e facendo un<br />
passo avanti dentro alla mia guardia, costringendomi così a fare un<br />
passo indietro per proteggermi le costole. Avendomi messo <strong>sul</strong>la<br />
difensiva mi ci tenne, costretto com'ero a parare i suoi continui<br />
attacchi da ogni direzione, tanto che non trovavo il tempo di
sferrarne uno a mia volta.<br />
Alla fine riuscii a ingannarlo, facendo un salto indietro davanti a<br />
un suo affondo e lasciando che l'impeto del colpo mancato lo<br />
sbilanciasse verso un lato, esponendo un fianco al mio attacco. Mi<br />
gettai su di lui e sfruttai a fondo il mio vantaggio, come se stessi<br />
giostrando con Dedalo o con Rufio, senza pensare ormai neppure<br />
per un attimo a trattenere la forza dei colpi perché l'avversario era<br />
più giovane o meno forte di me. Lo costrinsi a fare un passo<br />
indietro, poi un altro, e un terzo, il che lo portò <strong>sul</strong>l'orlo della brusca<br />
discesa dal terrapieno. Poi bloccai un colpo del suo bastone<br />
mettendo il mio di traverso e sollevandolo, mi avvicinai di scatto e<br />
lo spinsi violentemente con il petto, facendolo scivolare con un<br />
piede oltre la scarpata e cadere su un ginocchio.<br />
Posai subito a terra il mio bastone, profondamente grato<br />
dell'opportunità di farlo, e gli offrii la mano per risalire <strong>sul</strong>lo spiazzo,<br />
dove si mise subito a gambe larghe, chiaramente pronto a<br />
continuare. Dovetti sforzarmi di respirare lentamente, invece di<br />
ansimare come avrei voluto, come il vecchio che in quel momento<br />
mi sembrava di esser diventato. Dopo qualche momento, quando fui<br />
sicuro di poter eliminare il tremito dalla voce, dissi: «Bene. Ora<br />
penso che tu sia pronto per il prossimo stadio».<br />
Mi fissò come in trepida attesa, sicuro che quello era un momento<br />
importante, ma senza sapere né perché lo fosse né in cosa consistesse<br />
lo stadio successivo.<br />
Già da qualche anno avevamo ricevuto le due spade forgiate a<br />
Camelot ma in tutto quel tempo solo io, Dedalo, Rufio, Lucano,<br />
Shelagh e Donuil le avevamo viste, e Shelagh e Lucano solo perché si<br />
trovavano lì quando le spade erano arrivate. Ci era parso più saggio<br />
tenere segreta l'esistenza delle spade ed eravamo stati molto attenti<br />
nel trasportarle, nell'aver cura di loro e nello scegliere tempi e luoghi<br />
per provarle. Fin dal primo giorno avevamo scoperto che usandole<br />
l'una contro l'altra, risuonavano di un clangore metallico unico e<br />
sorprendente, udibile a grande distanza, e avevamo dovuto trovare<br />
un luogo fuori mano in cui fare pratica, lontano da orecchie<br />
indiscrete che potessero essere attratte dal canto di un ferro così<br />
puro.
<strong>Il</strong> luogo dove esercitarci lo trovammo più per un colpo di fortuna<br />
che per una ricerca sistematica. Dedalo ci era quasi caduto dentro la<br />
mattina che erano arrivate le spade. Si trattava di una fenditura nella<br />
parete di roccia <strong>sul</strong> lato a nord dello sperone sopra il quale era<br />
costruito il forte. In fondo alla spaccatura c'era uno slargo il cui<br />
fondo era coperto d'erba e di muschio, largo e lungo giusto quanto<br />
bastava per un combattimento, e le cui pareti di roccia, verticali e<br />
altissime, attutivano i suoni in modo quasi perfetto. Per raggiungerlo<br />
dal forte, però, ci voleva una marcia di oltre un'ora, prima giù per la<br />
strada fino a valle e poi lungo la pietraia alla base dello sperone,<br />
sino al punto dove una macchia di verde nascondeva l'ingresso della<br />
fenditura.<br />
La maggior parte del tempo tenevamo le spade nascoste lì, in situ.<br />
Quando dovevano essere portate al forte o riportate laggiù, lo<br />
facevamo sotto gli occhi di tutti, avvolgendole in alcune pelli e<br />
infilandole <strong>sul</strong> fondo del carro, che era comunque sempre pieno di<br />
attrezzi e cianfrusaglie. Nessuno si era mai accorto di nulla. Ora<br />
portai Artù dietro il carro e sfilai il lungo fardello dal fondo. Svolsi le<br />
pelli e sollevai una delle spade, porgendone l'impugnatura ad Artù.<br />
Rimase ammutolito, rapito dalla letale bellezza dell'arma nelle sue<br />
mani. Non era certo la prima spada che maneggiava, ma era la più<br />
perfetta e pericolosa, e si vedeva. Da due anni ormai lui, Gwin,<br />
Bedwyr e Ghilly si allenavano con corte spade romane, gladi<br />
tradizionali, forgiati decenni prima da Publio Varro.<br />
Tutti e quattro i ragazzi erano ormai provetti nell'uso del gladio,<br />
avendo appreso fino in fondo le tecniche di base, guardia, fendente<br />
e affondo, "battendosi" contro un robusto palo di legno infisso nel<br />
terreno, protetti da un pesante scudo da fanteria. A<br />
quell'addestramento si aggiungeva, nel caso del solo Artù, l'esercizio<br />
quotidiano con il bastone, che usava ormai in modo così devastante.<br />
<strong>Il</strong> motivo era che i bastoni di faggio o di quercia erano lunghi<br />
esattamente come le spade che rappresentavano, ma erano due e<br />
anche tre volte più pesanti, per far sì che quando Artù avesse tenuto<br />
in mano una copia di Excalibur in un vero combattimento, il suo<br />
peso gli sarebbe sembrato irrisorio in confronto all'arma alla quale<br />
era abituato.<br />
Lo guardai rigirarsi la spada nella mano. Dopo qualche istante
sollevò lo sguardo prima su di me, poi verso i quattro pali di legno<br />
all'altra estremità dello spiazzo.<br />
«No» dissi, leggendo nel suo pensiero. «Non su quelli. Quei pali<br />
sono inutili per imparare a usare queste spade. Sono troppo lunghe,<br />
e il loro arco è troppo ampio. Le spade da cavalleria necessitano di<br />
strumenti del tutto diversi per fare pratica, ed è questo che farai<br />
d'ora in avanti. A dire il vero, sono già un po' di anni che lo fai.»<br />
Guardò di nuovo l'arma nelle sue mani, tenendo l'impugnatura<br />
nella destra e l'ultimo terzo della lama poggiato <strong>sul</strong> palmo aperto<br />
della sinistra. Mi guardò di nuovo. «Questa non somiglia a<br />
nessun'altra spada da cavalleria che abbia mai visto. Da dove viene?»<br />
«Da Camelot» risposi. «L'ha forgiata Carol, ed è una spada da<br />
cavalleria come tutte le altre, ma è anche molto diversa. È più lunga,<br />
più pesante e soprattutto più affilata e più pericolosa. Scoprirai che è<br />
necessaria più disciplina nell'uso di questa spada che di qualsiasi altra.<br />
Valgono tutte le regole che hai appreso nell'usare altre spade, ma ce<br />
ne sono di nuove, supplementari, che valgono solo per queste armi<br />
particolari. Ded e Rufio continueranno a essere i tuoi maestri e ogni<br />
tanto ti addestrerai anche con me e con Donuil.»<br />
Artù impugnò la spada con due mani e la sollevò, muovendola<br />
lentamente da un lato all'altro, fissando la lunga lama che teneva in<br />
pugno.<br />
«C'è ancora una cosa da dire, Artù, che dovrebbe esserti evidente.<br />
Non potrai usare questa spada in così tanti modi diversi come fai<br />
con il tuo bastone. L'unico momento in cui la userai a due mani sarà<br />
quando sono entrambe <strong>sul</strong>l'impugnatura. Prova solo a chiudere un<br />
pugno attorno a qualsiasi punto di questa lama, e ti ritroverai senza<br />
dita.» Feci una pausa. «E ora fammi vedere di nuovo quegli esercizi,<br />
usando però la spada.»<br />
Artù eseguì nuovamente l'intera routine di movimenti, dapprima<br />
molto lentamente, mentre si familiarizzava con il peso, le reazioni e<br />
la sensazione della nuova spada, poi sempre più disinvoltamente,<br />
finché nei punti dove aveva eliminato un movimento che gli<br />
avrebbe fatto toccare la punta della lama con la mano sinistra, per<br />
parare un colpo dall'alto verso il basso, non percepii più alcuna<br />
esitazione. Non disse nulla, ma si vedeva che era tremendamente
affascinato dal compito che lo aspettava: controllare e dominare la<br />
sua nuova spada. Resistetti alla tentazione di incrociare subito le<br />
lame con il ragazzo. Ci sarebbe stato tempo a sufficienza nei giorni a<br />
venire.<br />
Quel pomeriggio stesso ordinai a Mark di fabbricare quattro<br />
"tronchi di cavallo" di legno. Artù, come mi aspettavo, aveva insistito<br />
molto perché i suoi tre amici passassero al successivo stadio insieme a<br />
lui, e le motivazioni che mi aveva presentato per quella richiesta mi<br />
avevano fatto molto piacere. Che senso aveva, mi aveva chiesto, far<br />
proseguire lui solo alla fase dell'uso della spada? Senza l'aiuto e la<br />
partecipazione dei suoi amici avrebbe solo fatto più fatica a imparare<br />
le nuove tecniche, e per di più la loro amicizia ne avrebbe sofferto,<br />
mentre la loro presenza avrebbe ridotto di molto il lavoro degli<br />
adulti, giacché i ragazzi avrebbero giostrato anche fra di loro. Lo<br />
avevo ascoltato, dandogli ragione alla fine con una scrollata di<br />
spalle.<br />
I "tronchi di cavallo" erano letteralmente pezzi di tronco, fissati in<br />
cima a montanti di legno a simulare una montatura, abbastanza<br />
grossi per potervi assicurare anche selle, staffe, e briglie. Li feci<br />
erigere vicino ai pali, in fondo allo spiazzo: dato che anche gli altri<br />
ragazzi avrebbero partecipato alle esercitazioni, non aveva più senso<br />
nascondersi quando usavamo le spade. Entro sera i cavalli di legno<br />
erano montati e quando Mark mi chiamò a vederli li trovai tozzi e<br />
ineleganti, ma adatti allo scopo.<br />
La sera stessa - all'imbrunire, prima di cenare - portai i quattro<br />
ragazzi a vederli, e per far loro comprendere l'importanza di quella<br />
novità chiesi a Dedalo, Donuil e Rufio di accompagnarci. Quando<br />
l'eccitazione dei giovani nel montare in sella a quei mostri inanimati<br />
si fu sfogata, spiegammo loro che a cavallo di quei tronchi di legno<br />
avrebbero imparato tutto ciò che dovevano sapere <strong>sul</strong>le nuove armi.<br />
Naturalmente avrebbero imparato a usarle anche a piedi, ma non<br />
così spesso, e non così a lungo. Come il mazzafrusto con palla e<br />
catena inventato da Uther Pendragon, anche queste spade erano<br />
principalmente armi da cavalleria.<br />
Da quel momento ebbe inizio un periodo in cui il canto del ferro<br />
della Pietra del Cielo, da un leggero tintinnio fino a un clamore
come di campane, era udibile <strong>sul</strong>lo spiazzo delle parate a tutte le ore<br />
del giorno. Avevamo quattro alunni e quattro maestri, ma solo due<br />
spade, e così fummo costretti a disegnare una tabella di turni a<br />
rotazione, affinché ciascun ragazzo avesse l'opportunità di allenarsi<br />
con tutti e quattro i maestri. Ciò che noi avevamo appreso usando le<br />
spade erano perlopiù tecniche nuove ma comuni a tutti e quattro e<br />
adatte alle caratteristiche di quelle spade. Vi erano però alcuni<br />
trucchi e abilità particolari che ciascuno di noi aveva sviluppato in<br />
sintonia con il proprio stile di combattimento, e che in questo modo<br />
vennero trasmessi a tutti e quattro gli allievi.<br />
Quando l'eccitazione e la novità di quel lavoro si furono un po'<br />
attenuate, la mente curiosa e il naturale senso di giustizia di Artù lo<br />
fecero venire da me con delle domande precise. Perché i quattro<br />
ragazzi di Camelot erano gli unici a imparare le nuove tecniche di<br />
combattimento? Qui la risposta era facile: c'erano solo due spade e<br />
solo un certo numero di ore in una giornata. Ma perché c'erano solo<br />
due spade? Non poteva Joseph forgiarne delle altre, visto che erano<br />
armi così evidentemente superiori a tutte?<br />
Per rispondere a quest'ultima domanda, dovetti spiegargli che le<br />
spade erano state forgiate con il metallo della Signora del Lago, la<br />
statua che Publio Varro aveva fuso dal metallo della Pietra del Cielo.<br />
Naturalmente Artù conosceva bene soltanto la prima parte di quella<br />
storia. Non aveva idea dell'esistenza di Excalibur, ed ero deciso a far<br />
sì che non ne venisse a conoscenza finché non fosse stato il<br />
momento, anche se ero certo più che mai che se c'era un uomo<br />
destinato a usare quella spada, era lui. Publio Varro mi aveva<br />
affidato il segreto di Excalibur e io lo avevo conservato a dovere.<br />
Artù l'avrebbe posseduta, un giorno, ma solo quando fosse stato<br />
pronto, e per ora era solo un ragazzo.<br />
Mi stette a sentire mentre spiegavo l'origine delle due spade e<br />
l'unicità del metallo di cui erano forgiate e quando ebbi terminato<br />
annuì lentamente, non del tutto convinto della correttezza del mio<br />
ragionamento. Io lo guardai.<br />
«Cosa ti turba, Artù? C'è qualcos'altro che mi vuoi chiedere? Parla<br />
pure, ragazzo.»<br />
Scrollò le spalle. «Be', Merlino, capisco quello che vuoi dire, ma
continua a non sembrarmi giusto che Gwin, Bedwyr, Ghilly e io<br />
dobbiamo essere i soli a imparare a usare le nuove armi. E tutti gli<br />
altri miei amici? Così noi sembreremmo differenti, in qualche modo<br />
migliori, privilegiati.»<br />
«Lo siete.» Artù sbatté le palpebre per la sorpresa e io mi morsi il<br />
labbro inferiore, imbarazzato. «Quando alludi ad altri tuoi amici, ti<br />
riferisci ai giovani che vivono qui a Mediobogdum, o stai<br />
comprendendo anche quelli che sono di Ravenglass? Ricordati che i<br />
Romani hanno perso il mondo perché hanno insegnato ai barbari il<br />
modo romano di fare la guerra. Ti piacerebbe che Droc e i suoi<br />
scagnozzi imparassero a sottometterti meglio di quanto non<br />
sappiano già fare?»<br />
«Non intendevo loro!»<br />
«No, ne ero certo, ma dove tiri la riga, dove poni il confine?<br />
Dobbiamo forse dire a re Derek che non vogliamo insegnare nulla di<br />
utile a suo figlio? Non ci ha chiesto di farlo, ma se tu ti metti a<br />
insegnare l'uso di simili armi a tutti quei tuoi amici che sono suoi<br />
sudditi, non ti pare che avrà il diritto di esigere che i suoi figli non<br />
vengano lasciati fuori?»<br />
Quest'ultima considerazione lo zittì, e io lo osservai mentre, con<br />
lo sguardo abbassato sui piedi, rimuginava la questione. Dopo un po'<br />
mi fece pena.<br />
«Ascolta, Artù. C'è una sola cosa che devi tenere a mente. Tu sei il<br />
motivo centrale e lo scopo finale di tutte le attività di questo luogo.<br />
Tu sei Artù di Pendragon, figlio del nipote di Publio Varro e di re<br />
Ullic Pendragon, pronipote di Caio Britannico, fondatore di<br />
Camelot. Sei figlio di Uther Pendragon e perciò legittimo erede al<br />
trono di Cambria, e da parte di tua madre sei erede al trono degli<br />
Scoti d'Ibernia. Forse verrà il giorno in cui dovrai combattere per far<br />
valere i tuoi diritti su una o su tutte queste eredità. Quel giorno, se<br />
continueremo a seguire il piano che stiamo seguendo, ti troverà<br />
pronto ad affrontare chiunque ti voglia sfidare, anzi più pronto di<br />
chiunque altro potrebbe esserlo. Gwin, Ghilly e Bedwyr si allenano<br />
con te perché sono i tuoi amici più intimi, e lo sono fin dalla più<br />
tenera infanzia. Un giorno saranno i tuoi comandanti più fidati,<br />
anch'essi armi micidiali nelle tue mani, perciò meritano di imparare
tutto ciò che devono sapere per svolgere al meglio i compiti che li<br />
aspettano, per ottenere i ri<strong>sul</strong>tati che chiederai loro di ottenere. Senti<br />
e comprendi ciò che ti vado dicendo, Artù?»<br />
«Sì, Merlino, lo sento e lo comprendo» annuì finalmente con<br />
convinzione, i grandi occhi dorati spalancati e solenni. «Però vorrei<br />
almeno che i miei amici imparassero a usare i bastoni.»<br />
Risi divertito. «Allora credo proprio che dovrai insegnarglielo tu,<br />
perché nessuno di quelli che sono qui per addestrarti ne avrebbe il<br />
tempo. Sei disposto a farlo? Pensi davvero di esserne capace?»<br />
Mi guardò tranquillo, gli occhi fermi e pieni di fiducia in se stesso.<br />
«Sì, penso di sì, se me ne darai il permesso.»<br />
Scossi le spalle, sorridendo. «Non mi verrebbe neanche in mente<br />
di impedirtelo. Dirò a Mark di distribuire i bastoni necessari. Quanti<br />
dei tuoi amici vogliono imparare subito, fin da oggi?»<br />
«Sette.» Non ebbe alcun bisogno di contare.<br />
«Benissimo. Avrai sette spade di legno entro domani, o al<br />
massimo dopodomani, secondo il tempo a disposizione di Mark per<br />
metterle <strong>sul</strong> suo tornio. Ora va' via, e lasciami lavorare.»<br />
Ci misi poco più di una settimana ad abituarmi alla vista di Artù e<br />
dei suoi tre "satelliti" che insegnavano ai loro amici meno privilegiati<br />
l'uso dei bastoni che gli altri ragazzi avevano loro invidiato così a<br />
lungo. Sulle prime pensai che fosse un gioco passeggero, che si<br />
sarebbero ben presto stancati - sia gli allievi, sia i maestri - della dura<br />
disciplina e della fatica quotidiana necessarie per ottenere dei<br />
ri<strong>sul</strong>tati, soprattutto se aggiunte alla normale routine dei ragazzi. Ma<br />
mi sbagliavo, e osservai con crescente ammirazione i sette ragazzini<br />
diventare sempre più efficienti nel battersi con i bastoni. <strong>Il</strong> loro<br />
numero salì da sette a tredici, poi a diciassette, e Artù era infaticabile<br />
nelle attenzioni che dedicava a ciascuno di loro.<br />
Ripensandoci oggi, capisco che il valore di Artù, gli incredibili<br />
ri<strong>sul</strong>tati che ottenne in seguito, provenivano dalle forze esterne che<br />
contribuirono a forgiarne il carattere, ma forse ancor di più dai<br />
talenti sepolti dentro di lui. Negli anni a venire avrebbe incontrato<br />
molti potenti - re e principi, capi-tribù e generali - che gli avrebbero<br />
sottoposto svariati modelli diversi di come trattare i suoi uomini,
come addestrare un esercito, come condurre le sue campagne<br />
militari, come fare leggi e governare un popolo. Ciononostante Artù<br />
portava dentro di sé fin dall'infanzia, direi quasi nel sangue, un senso<br />
innato di ciò che era giusto, della differenza fra giustizia e mero<br />
potere. Fu quel senso innato a porlo sopra gli uomini del suo tempo,<br />
a far sì che le genti di Britannia lo amassero in quel modo.<br />
Più di una volta vidi quel dono operare in lui fin dall'infanzia,<br />
come quando decise immediatamente di condividere con i suoi amici<br />
i pony che Connor gli aveva portato in dono, prima di sapere che<br />
quella era stata l'intenzione di Connor nel donarglieli, oppure in<br />
questa vicenda della condivisione con ragazzi qualsiasi di ciò che<br />
stava imparando a fare con le armi. Fu un'impresa difficile e faticosa,<br />
che gli costò tempo e sacrifici, ma non vi avrebbe mai rinunciato. La<br />
vedeva come un obbligo naturale, una conseguenza dei suoi privilegi<br />
da accettare senza esitazione e da rispettare come meglio gli riusciva.<br />
Innumerevoli volte, nelle lunghe serate estive quando avrebbe<br />
potuto andarsene a pescare, a nuotare o a fare una bella cavalcata,<br />
lo vidi fornire istruzioni supplementari ai ragazzi che erano rimasti<br />
indietro, o che non riuscivano nei trucchi che aveva loro insegnato.<br />
Io lo osservavo senza farmi notare, come facevano anche Ded e gli<br />
altri, fiero della sua dedizione e della sua generosità. Eppure, anche<br />
se ne ero orgoglioso, confesso di non essermi mai soffermato a<br />
pensare quanto fosse straordinaria l'evoluzione che stavo<br />
osservando.<br />
Vedevo e ammiravo il giovane coscienzioso. Non mi accorsi mai<br />
del futuro guerriero e campione, del grande re.
XV.<br />
Poco tempo dopo la costruzione dei cavalli di legno, i giorni pigri<br />
e spensierati di quegli ultimi anni sembrarono un sogno lontano. <strong>Il</strong><br />
tempo si era rimesso a marciare come al ritmo di un tamburo. Meno<br />
di un mese dopo l'inizio dell'addestramento di Artù all'uso delle<br />
nuove spade, fummo chiamati tutti quanti, a Mediobogdum come a<br />
Ravenglass, a partecipare al raccolto secondo un piano ben definito.<br />
Ma entro una settimana il ritmo di marcia del tamburo si era già<br />
tramutato in uno staccato irregolare, a causa della successione di<br />
tempeste che si abbatterono <strong>sul</strong>la costa, ognuna più violenta della<br />
precedente. I primi temporali furono accettati con filosofia, ma man<br />
mano che il tempo peggiorava ogni altra attività a Ravenglass fu<br />
interrotta e chiunque ne fosse fisicamente in grado uscì nei campi,<br />
per tentare di salvare il salvabile del raccolto. Le tempeste<br />
infuriarono per quasi tre settimane e alla fine fummo costretti a<br />
lasciare un quarto del raccolto dove si trovava, a marcire nei campi,<br />
inzuppato e inutile.<br />
Le settimane del raccolto portarono anche la visita di Connor -<br />
accompagnato dal piccolo Feargus - le cui navi erano state costrette<br />
a cercare un riparo durante le terribili tempeste. Connor recava<br />
notizie che ben si adattavano all'umore cupo e pessimistico di quel<br />
malaugurato mese. L'Eire era nuovamente dilaniato dalla guerra e le<br />
tribù pagane del nord-ovest, conosciute come i Figli di Gar, si erano<br />
impossessate della maggior parte del vecchio reame di Athol, <strong>sul</strong>la<br />
costa orientale. Non ne avevano ancora conquistato un ultimo<br />
lembo, difeso dall'unica guarnigione del clan di Athol rimasta<br />
nell'Eire.<br />
Le donne, i vecchi e i bambini erano già stati tutti trasferiti senza<br />
incidenti nei nuovi territori del clan, <strong>sul</strong>le isole lungo la costa<br />
occidentale della Caledonia. L'ultima, feroce campagna si<br />
combatteva in realtà solo perché i difensori avevano le spalle al<br />
mare, e nessuna via di scampo. Avrebbero dovuto essere evacuati<br />
appena le navi necessarie fossero state disponibili, ma la cosa si era
ivelata più complicata del previsto. Anche se alcune galee erano<br />
arrivate, nessuno era disposto ad abbandonare i compagni in<br />
numero insufficiente a difendersi, e perciò la ritirata definitiva non<br />
sarebbe stata possibile fin quando le navi non fossero state in<br />
numero sufficiente ad allontanare l'intera guarnigione in una notte.<br />
Ma quando Connor e Feargus erano partiti, qualche settimana<br />
prima, con l'ultimo carico di bestiame, quel giorno era già molto<br />
vicino. Connor era fiducioso che l'operazione fosse già stata<br />
completata e che il popolo degli Scoti avesse ormai abbandonato<br />
per sempre l'Eire, che da tempo non sentiva più come la sua terra.<br />
Lui avrebbe portato le sue galee direttamente al nord, dove la sua<br />
flotta e quella di suo fratello Brander avrebbero instaurato la loro<br />
nuova base.<br />
Alla fine il maltempo si attenuò, e tornò finalmente il sereno.<br />
Connor issò le vele e salpò verso nord, e qualche giorno dopo la sua<br />
partenza giunse la colonna autunnale da Camelot, al comando di tre<br />
nostri vecchi amici: Benedetto, Filippo e Falvo, tutti e tre veterani<br />
della spedizione nell'Eire di dieci anni prima. Anche loro, nella<br />
marcia da Camelot, avevano subito la collera impetuosa del dio del<br />
vento e della pioggia e le loro truppe presentavano uno spettacolo<br />
ben diverso dalle colonne precedenti. Nessuna attenzione a pompa e<br />
fanfara: gli uomini erano <strong>sul</strong>le strade aperte da un mese e ognuno<br />
aveva dormito solo in piccole tende di cuoio. Molti erano così<br />
malconci che non si sarebbe potuto contare su di loro in caso di<br />
necessità, squassati com'erano da febbri, reumatismi, dolori,<br />
congestioni e piaghe causate dal continuo sfregamento <strong>sul</strong>la pelle<br />
delle armature di cuoio gelide e bagnate.<br />
<strong>Il</strong> povero Lucano si mise all'opera praticamente dal momento in<br />
cui arrivarono, e per i primi giorni quasi non lo vedemmo più. Poco<br />
dopo il nostro arrivo a Mediobogdum, Lucano aveva adibito<br />
un'intera costruzione all'interno del forte a infermeria e vi si era<br />
addirittura trasferito, dormendo nei vecchi quartieri del centurione<br />
anziano, all'estremità occidentale dell'edificio. Usciva di rado da lì<br />
dentro, e i pasti gli venivano portati dovunque si trovasse, sempre in<br />
compagnia di numerosi pazienti, intento a palparli, a parlare con<br />
loro e a guarirli quasi con la mera forza della sua volontà.
Dedalo, Rufio e io reagimmo alla vista dei nostri vecchi camerati<br />
come a una sorsata di vino speziato, e i festeggiamenti per la<br />
rimpatriata furono una faccenda quasi esagerata, anche se molto<br />
esclusiva, essendo noi sei gli unici invitati. Solo il giorno successivo,<br />
quando i fumi nella mia testa si furono dissolti e il mio cranio ebbe<br />
smesso di pulsare come un gong di bronzo a ogni battito del mio<br />
cuore, Benedetto mi consegnò la lettera che recava da parte di mio<br />
fratello.<br />
<strong>Il</strong> giorno prima gli avevo chiesto che cosa avesse trattenuto<br />
Ambrogio a Camelot. Lui aveva scrollato le spalle, dicendo che<br />
Ambrogio aveva deciso che non era giusto tenere per sé il privilegio<br />
di quelle lunghe cavalcate su e giù per il paese, e che era tempo di<br />
concedere anche ad altri quella responsabilità e quell'onore. Mi era<br />
sembrato giusto, ma il contenuto della lettera aveva poi gettato<br />
un'altra luce su quell'assenza. Ero uscito, da solo, dalla porta <strong>sul</strong> retro<br />
del forte e avevo trovato un angolo appartato, dove avevo rotto il<br />
sigillo <strong>sul</strong>la lettera di mio fratello, immaginando il suono della sua<br />
voce mentre leggevo:<br />
Salute a te, fratello<br />
«Ambrogio Ambrosiano<br />
A Caio Merlino Britannico<br />
Mi giungono notizie dalla Cornovaglia - che un druido di quella<br />
regione mi ha chiesto di trasmetterti - di nuove guerre che affliggono<br />
quelle sfortunate terre. Principi e re, compreso quel Dumnoric che<br />
era salito al potere dopo la morte di Gulrhys hot, sono passati a<br />
miglior vita, e tutta la regione è contesa e messa a ferro e fuoco da<br />
un gran numero di turbolente bande armate. Uno dei capi che si<br />
disputano la supremazia nel reame è il tuo vecchio nemico Ironhair,<br />
del quale speravamo di non sentir più parlare. Ahimè, egli non solo<br />
è riaffiorato, ma dopo essersi assicurato un seguito e aver<br />
conquistato il controllo di svariate fortezze, sembra ora deciso a<br />
eliminare tutti gli altri contendenti al trono di Cornovaglia. Pare che<br />
in questo sia sostenuto da quel Carthac che è ormai conosciuto a<br />
tutti più come un mostro depravato che come un uomo, e la cui<br />
mera presenza <strong>sul</strong> campo di battaglia incute il terrore nei nemici.
Ho chiesto al druido il motivo di una simile reputazione, e la sua<br />
risposta mi ha ricordato il tuo racconto della discesa di Carthac<br />
nell'abisso della follia, in seguito a un colpo alla testa ricevuto da<br />
ragazzo. Sembra che la sua perversione sia ormai tale da non poterlo<br />
più considerare un essere umano. È dotato della forza di un gigante<br />
e uccide per il piacere fisico che prova nel versare sangue e causare<br />
dolore. <strong>Il</strong> druido ha detto che il suo valore in battaglia è<br />
straordinario, e la sua presenza equivale a quella di dieci uomini<br />
normali. Questo Carthac adora uccidere con lente torture e lo fa<br />
anche come miglior modo di passare una serata, scegliendo le sue<br />
vittime a caso, anche tra i suoi stessi uomini. Può darsi che siano<br />
esagerazioni, ma di certo si tratta di un uomo pericoloso.<br />
Ma in realtà la cosa più orribile, il vero motivo del terrore<br />
suscitato da questa creatura mostruosa, è il suo cannibalismo.<br />
Arrostisce le carni dei suoi nemici e le mangia, ed è stato visto<br />
indossare collane di orecchie umane. Tutti attorno a lui si muovono<br />
in preda alla paura, eccetto Ironhair, al quale il mostro sembra essere<br />
stranamente devoto. <strong>Il</strong> nostro amico druido era venuto qui in cerca<br />
del tuo aiuto per liberare dall'incubo le genti di quelle terre, e <strong>sul</strong>le<br />
prime mi ha scambiato per te. È stato molto deluso quando ha<br />
saputo della tua assenza e mi ha pregato di trasmetterti queste<br />
notizie, e di augurarti ogni bene. <strong>Il</strong> suo nome è Tumac e dice di<br />
averti conosciuto bene, una volta, molto tempo fa».<br />
Tumac! Lasciai andare l'estremità della pergamena, che si<br />
riarrotolò repentinamente su se stessa, e mi levai in piedi,<br />
mettendomi a camminare su e giù nervosamente. Tumac era il<br />
secondo, e il più giovane, dei due apprendisti del mio vecchio<br />
maestro, il druido Daffyd. Quando li incontrai, erano poco più che<br />
due bambini ed erano di una decina d'anni più giovani di me. Molto<br />
prima di scoprire che avevo un fratello di nome Ambrogio, Tumac e<br />
Mod erano stati a tutti gli effetti dei fratelli per me. Daffyd era stato<br />
barbaramente ucciso da quello stesso Carthac per la sua lealtà nei<br />
miei confronti, e nella stessa occasione Mod era stato trafitto da una<br />
lancia e lasciato per morto, mentre tentava inutilmente di difendere<br />
il suo tutore.
La vista del nome di Tumac nella lettera dissolse all'istante<br />
qualsiasi dubbio avessi avuto <strong>sul</strong>la veridicità delle voci <strong>sul</strong>la pazzia e<br />
<strong>sul</strong>le tremende atrocità commesse da Carthac. Cannibale e assassino<br />
per tortura! Perché qualcuno non aveva già liberato il mondo da<br />
quell'immonda presenza? Nonostante la fama di mostro<br />
sovrannaturale era comunque un uomo, e persino un cane rabbioso<br />
sarebbe stato ucciso da tempo per crimini meno efferati di quelli di<br />
cui era accusato Carthac. Non dubitavo che incutesse terrore nella<br />
maggior parte degli uomini di Cornovaglia, ma ricordavo anche la<br />
storia narrata da Dergyll di come i suoi eccessi, da ragazzo, avessero<br />
già convinto i suoi coetanei a unirsi in una banda, rapirlo e<br />
massacrarlo di botte, lasciandolo <strong>sul</strong> cocuzzolo di una collina con<br />
l'avvertimento di non tentare mai più di infastidire qualcuno di loro<br />
in vita sua. All'epoca il deterrente aveva funzionato ma chissà, forse<br />
adesso la follia di Carthac lo aveva reso incontrollabile. Eppure mi<br />
ritrovai a chiedermi come mai non lo si fosse semplicemente<br />
abbattuto di nascosto, da lontano, con una freccia ben tirata.<br />
Turbato da quei pensieri, e scosso dal disgusto e dalla rabbia che<br />
quelle notizie mi suscitavano, mi costrinsi a respirare profondamente<br />
e rimuovere dalla mia mente ogni pensiero di Carthac e di Ironhair.<br />
Marciai più volte su e giù per l'orlo della scarpata dietro al forte,<br />
fissando le cime degli alberi nel vallone, molto sotto di me, cercando<br />
di pensare solo a quello che vedevo. Infine, quando i miei turbolenti<br />
pensieri si furono un po' calmati, mi sedetti nuovamente <strong>sul</strong> mio<br />
masso preferito e ripresi la lettura della lettera.<br />
«Caio, non ho idea dell'effetto che queste notizie avranno su di te,<br />
ma ho il sospetto che sarai non poco turbato dal racconto di Tumac.<br />
Se è così, ti prego di tranquillizzarti. La Cornovaglia è lontana dalla<br />
tua attuale residenza quanto può esserlo un luogo della Britannia<br />
occidentale, e Tumac è certo che le ambizioni di Ironhair si limitino<br />
al diventare re di Cornovaglia. Non vedo motivo di non<br />
condividere la sua opinione, e ne consegue che essendo un ribelle<br />
che mira al trono, un usurpatore, Ironhair non è in grado di<br />
costituire una minaccia per te a Ravenglass, dove per giunta nessuno<br />
conosce la tua vera identità. Ciononostante, uomo avvisato mezzo<br />
salvato. Ironhair è vivo, e ora sappiamo dove si trova.
Quanto alla situazione qui a Camelot, tutto è tranquillo. Non ho<br />
nessuna nuova di Vortigern e anche se mi accuserai di essere un<br />
ottimista, scelgo di prendere quel silenzio per una conferma che il re<br />
sta bene, e che il fido Hengist esercita il suo controllo <strong>sul</strong> figlio<br />
Horsa. Dergyll regna sempre in Cambria e ci siamo incontrati più<br />
volte nell'ultimo anno. È un uomo amabile e saggio, e governa la<br />
sua gente con benevolenza, seppure nascosta dentro un guanto di<br />
ferro. Mi ha chiesto di augurarti felicità e salute, dovunque tu ti<br />
trovassi.<br />
Saluti e auguri anche da parte di Owain delle Grotte, che continua<br />
ad addestrare le nostre truppe nell'uso dell'arco lungo dei Celti.<br />
Qualche anno fa si è assunto la responsabilità di mantenere due<br />
sorelle che non avevano mai trovato marito, e da allora le conserva<br />
entrambe costantemente gravide e apparentemente contente. Aveva<br />
solo parole lusinghiere per te quando gli ho parlato l'ultima volta, e<br />
mi ha raccomandato di salutarti da parte sua quando ti avessi visto.<br />
Lì per lì mi ha sorpreso che sapesse qualcosa di dove ti trovi, o che io<br />
avevo occasione di vederti, ma poi mi sono reso conto che con il<br />
movimento di così tanti soldati tra Camelot e Ravenglass era poco<br />
realistico pensare che la cosa potesse davvero essere ancora un<br />
segreto. Ciononostante ho trattato i suoi approcci con diffidenza,<br />
anche se si tratta di un tuo amico, e dopo aver parlato con me non<br />
ne sapeva più di prima. Ma non ha mai menzionato il ragazzo,<br />
perciò potrebbe anche essere sincero.<br />
Spero che tu abbia goduto come credo nel vedere Falvo,<br />
Benedetto e Filippo scendere dal passo verso Mediobogdum.<br />
Ludmilla ti abbraccia e manda il suo amore a tutti. Stammi bene,<br />
Ambrogio.»<br />
Ciò che mio fratello mi scriveva di Owain delle Grotte mi<br />
preoccupò quasi quanto le notizie su Ironhair e Carthac, e il fatto<br />
che un dettaglio così apparentemente insignificante mi facesse<br />
quell'effetto non fece che aumentare la mia inquietudine. Per<br />
liberarmi dalla sensazione che vi fosse qualcosa di stonato in<br />
quell'ultima parte della lettera ricostruii l'intera vicenda nella mia<br />
mente, con tutta l'obiettività di cui ero capace, alla ricerca di un non
sequitur. Trovai ben presto la frase che mi aveva messo in allarme:<br />
"ho trattato i suoi approcci con diffidenza, anche se si tratta di un<br />
tuo amico"...<br />
Owain aveva fatto parte di un gruppo di comandanti celti di<br />
Uther, che dopo molte esitazioni avevano scelto di trasferirsi a<br />
Camelot, non potendo più rimanere in Cambria dopo la morte di<br />
Uther. Erano stati tutti fanaticamente fedeli a Uther, amici oltre che<br />
seguaci, e al loro ritorno dalle guerre di Cornovaglia, due sole<br />
settimane dopo la sua morte, non se l'erano sentita di schierarsi con<br />
l'uno o con l'altro dei pretendenti al trono di Cambria.<br />
Sfortunatamente, ognuno dei pretendenti aveva interpretato quella<br />
neutralità come un pericolo per la propria scalata, e i comandanti di<br />
Uther si erano trovati a essere personae non gratae nella loro stessa<br />
terra.<br />
Quattro di loro erano stati assassinati a tradimento, e i quattordici<br />
che restavano avevano deciso di scendere dalle montagne e venire a<br />
offrire la loro lealtà a me, che fui felice di accettarla, insieme alla<br />
loro presenza a Camelot. Per anni avevamo combattuto fianco a<br />
fianco, e la fiducia che questo crea tra gli uomini è cosa risaputa, ma<br />
in realtà consideravo uno solo tra loro un vero amico: Huw<br />
Strongarm, figlio del costruttore di archi Cymric, che per primo<br />
aveva costruito un arco lungo di legno di tasso. Anche se Owain e io<br />
avevamo marciato insieme sotto i vessilli di Uther e combattuto<br />
insieme in qualche battaglia, e anche se sapevo che Uther si fidava di<br />
lui, per me era sempre rimasto un uomo di Uther come tutti gli altri.<br />
Certo, non potevo escludere che avesse nutrito per me sentimenti<br />
più profondi di quelli che nutrivo per lui, ma il vero motivo per cui<br />
quella sua dichiarata amicizia mi aveva insospettito aveva a che fare<br />
con un mistero che mi assillava da qualche anno: qualcuno aveva<br />
tradito il segreto dell'identità di Artù, rivelandolo a Ironhair, il quale<br />
era riuscito ad introdurre i suoi sicari a Camelot e attentare alla vita<br />
del ragazzo. In quell'attacco, che era fallito solo grazie alla prontezza<br />
di spirito di Shelagh e alla sua mira infallibile con i coltelli da lancio,<br />
era stata violentata e uccisa la moglie di Hector, e i ragazzini erano<br />
scampati a stento alla morte. Qualcuno dei nostri, qualcuno a<br />
Camelot di cui ci fidavamo, ci aveva traditi, e per di più era riuscito<br />
a conservare l'anonimato. Quella consapevolezza aveva seminato la
paura e il sospetto tra noi, che non li avevamo mai conosciuti prima,<br />
e aveva finito per precipitare la mia fuga, perché di questo s'era<br />
trattato, con i ragazzi da Camelot a Mediobogdum.<br />
E ora Owain delle Grotte, che era stato in Cambria quando<br />
Ironhair aveva tentato di instaurare Carthac <strong>sul</strong> trono di quel reame,<br />
e che si trovava a Camelot all'epoca dell'ignobile attentato ad Artù,<br />
andava chiedendo notizie su dove mi trovassi e definendomi un suo<br />
vecchio amico. Forse stavo leggendo troppo nei dettagli della<br />
lettera, ma che ci fosse un traditore al soldo di Ironhair dentro le<br />
mura di Camelot era certo. Owain non aveva menzionato il<br />
ragazzo. Ma non ne aveva bisogno, sapeva bene che se avesse<br />
trovato me, avrebbe trovato anche Artù. E inoltre l'ammissione di<br />
Ambrogio che il nostro nascondiglio non era più un segreto<br />
all'interno di Camelot mi costringeva ad accettarne anche le logiche<br />
conseguenze: poteva trattarsi di Owain o meno, ma se il traditore si<br />
trovava ancora a Camelot - e non avevo motivo di dubitarne -<br />
allora il ragazzo non era più completamente al sicuro quassù, e io<br />
non potevo farci nulla se non fuggire nuovamente, questa volta<br />
verso le isole della Caledonia.<br />
Ero incerto <strong>sul</strong> da farsi. Forse i miei sospetti erano infondati,<br />
basati su congetture troppo soggettive, ma in ogni modo - una volta<br />
rientrato - mi sedetti al mio tavolo e vergai una risposta per mio<br />
fratello. Gli dissi della mia reazione alle sue parole e gli chiesi di<br />
tenere sotto sorveglianza Owain delle Grotte, discretamente,<br />
prendendo nota di quando sembrava eccessivamente curioso a mio<br />
proposito. Quando ebbi finito la missiva la rilessi più volte, poi la<br />
sigillai con la cera e la spedii a Camelot, affidandola alla colonna di<br />
truppe in partenza che avevano ultimato la corvé nel nord-ovest.<br />
Durante quella settimana condussi a Ravenglass i nostri tre amici e<br />
i giovani ufficiali della nuova guarnigione, e Derek fece loro<br />
un'accoglienza degna della visita formale di nobiltà straniere,<br />
organizzando un sontuoso banchetto e una visita alla città e alla<br />
zona circostante.<br />
Invitammo Derek a salire al forte perché potessimo presentargli<br />
l'intera nuova guarnigione; poi, mentre i miei compagni andavano<br />
alla scoperta delle eccezionali birre che si distillavano a Ravenglass, il
e e io ci appartammo e gli narrai della lettera di Ambrogio, dei miei<br />
sospetti su Owain e delle paure che mi avevano fatto nascere <strong>sul</strong>la<br />
sicurezza di Artù qui a Ravenglass, nonché della stessa Camelot.<br />
Non prese le mie apprensioni alla leggera. Mi ascoltò, serio, e<br />
tentò di tranquillizzarmi. A Ravenglass, mi fece notare, si erano visti<br />
ben pochi stranieri in quegli anni, dopo la morte di Liam figlio di<br />
Condran e la cacciata dei suoi seguaci. Quasi tutte le navi che<br />
attraccavano nel porto erano locali, soprattutto barche da pesca, e le<br />
poche galee e navi più pesanti erano o dei miei amici dell'Eire o di<br />
altri clan pacifici più a nord, lungo la costa. Non più di una persona<br />
su venti di quelle che giungevano a Ravenglass era uno straniero, ma<br />
Derek mi promise che quei pochi, da allora in poi, sarebbero stati<br />
discretamente sorvegliati dai suoi uomini.<br />
Rasserenato dalla sua reazione pragmatica e ragionevole, lo<br />
ringraziai e mi appoggiai all'indietro, accorgendomi subito che<br />
continuava a guardarmi e non mi aveva detto tutto quello che<br />
voleva dirmi.<br />
«Che c'è? Hai una domanda da farmi? Sputala fuori» dissi.<br />
«Quando pensi di andartene?»<br />
«Cosa?» La sua domanda era semplice e diretta, ma mi colse così<br />
di sorpresa che il suo significato, lì per lì, mi sfuggì del tutto.<br />
«Tu e la tua gente, quando pensate di partire? Non dirmi che non<br />
ci stai pensando. Ormai sei qui da più di sei anni. Quando sei<br />
arrivato hai detto che saresti rimasto per cinque o sei anni, finché il<br />
ragazzo non fosse cresciuto. Be', è cresciuto.»<br />
«No, non ci ho pensato. E il ragazzo non è cresciuto, non del<br />
tutto.»<br />
«Sciocchezze! Da tutti i punti di vista, quello che ti ostini a<br />
chiamare "il ragazzo" è un uomo fatto. Ha quasi quindici anni.<br />
Se non ha già iniziato a sbattersi le giovinette è solo perché<br />
Shelagh lo tiene a bada con un guinzaglio cortissimo e lo fa rientrare<br />
prima del buio, ma non durerà a lungo. A meno di non mettere<br />
delle sbarre alle finestre non sarà possibile tenerlo entro di notte se<br />
lui vuole essere fuori, a ululare alla luna.
Personalmente, non ho dubbi che già adesso abbia allargato le<br />
gambe a qualcuna delle mie giovani. Dio sa che da queste parti sono<br />
molto poche quelle che gli direbbero di no. È un ragazzo troppo<br />
affascinante.»<br />
Rimasi lì seduto a fissarlo, riconoscendo la verità di ciò che<br />
diceva. Artù era quasi un uomo, ma io non avevo mai dedicato un<br />
singolo pensiero al suo risveglio sessuale. Appena Derek ne fece<br />
menzione, mi resi conto della mia cecità. Come avevo potuto essere<br />
in sintonia con i bisogni del ragazzo e allo stesso tempo rimanere<br />
così inconsapevole di tutto ciò? Tressa se n'era accorta, ne ero sicuro,<br />
ma non ne aveva parlato. Decisi di chiederglielo quella sera stessa,<br />
poi cercai di svuotare la testa da quei pensieri e riprendere il filo<br />
della domanda di Derek.<br />
«Dove pensi che ce ne potremmo andare, se lasciassimo<br />
Mediobogdum ? »<br />
«Dove?» chiese lui, spalancando gli occhi con finta sorpresa. «Be',<br />
vediamo un po'... a Camelot? Sarebbe un buon punto di partenza,<br />
non trovi? O forse in Cornovaglia? O magari in Cambria...»<br />
Scossi il capo, ignorando il suo sarcasmo. «Non ci crederai, Derek,<br />
ma è da anni che non penso all'idea d'andar via di qui.»<br />
«Se è così, dovresti vergognarti. Passi troppo tempo con la testa<br />
tra le gambe di Tressa, amico mio. Ti concentri <strong>sul</strong>l'estremità<br />
sbagliata delle cose. Per i glutei di Budicca! Mi hai parlato così spesso<br />
del possente destino di quel ragazzo che ormai ci credo anch'io,<br />
Derek di Ravenglass! E ora mi vuoi far credere che te ne sei<br />
dimenticato? Dovrei esserne contento?»<br />
Alzai le mani, agitandole per zittirlo. «Ma no, no, no. Non è<br />
affatto questo che sto dicendo, Derek. Non ho dimenticato<br />
proprio...»<br />
«E allora cosa c'è che non va, nella tua testa? Hai portato il<br />
ragazzo quassù per proteggerlo e addestrarlo. È addestrato, Merlino.<br />
Ed è un uomo, ormai. Ora deve mettere in pratica e affinare ciò che<br />
ha imparato. Diventerà più grosso, e più vecchio, ma se lo farà qui a<br />
Ravenglass vorrà dire che il mondo gli sta passando accanto. Lui<br />
deve andare là fuori adesso, Merlino, e deve vedere come funziona
il mondo, quello vero. Non ha più niente da imparare qui, te<br />
l'assicuro, se non appunto l'arte di far allargare le gambe alle giovani<br />
donne, e quello può farlo ovunque. Ora ha bisogno di viaggiare, di<br />
vedere altre regioni e altre genti, di incontrare altri uomini e formare<br />
le proprie opinioni, che lo sosterranno o lo faranno cadere. Deve<br />
incontrare stranieri e conterranei e combatterli o farne degli amici,<br />
forse dei seguaci. Mi hai parlato spesso di come Artù governerà<br />
Camelot, un giorno. Quel giorno si avvicina, amico mio. È giunta<br />
l'ora di andargli incontro.»<br />
Inspirai profondamente, pensando a come era vero tutto ciò che<br />
aveva appena detto. E provai vergogna. Non avevo mai perso di<br />
vista le cose che aveva descritto, ma mi ero volutamente rifiutato di<br />
pensare a quanto fosse vicino il giorno della partenza, l'inizio della<br />
successiva fase della nostra avventura. Ora capivo che la mia vita<br />
nell'angolo di paradiso di Derek di Ravenglass era diventata troppo<br />
comoda, e che la presenza di Tressa mi aveva mentalmente<br />
rammollito.<br />
Mi alzai in piedi e svuotai il resto del mio vino in un sorso. «Hai<br />
ragione, amico mio. Mi sono impantanato in questo posto, e il<br />
mondo sta andando per la sua strada altrove. C'è un mostro in<br />
Cornovaglia che dev'essere annientato a tutti i costi, e il suo padrone<br />
è un cane non meno pazzo o pericoloso di lui. È giunto il tempo che<br />
Artù vada alla guerra.»<br />
Derek mi fissò intensamente. «Chi è mai questo mostro in<br />
Cornovaglia?»<br />
Gli narrai brevemente di Carthac e di Ironhair. Quando ebbi<br />
finito si rizzò a sedere.<br />
«Sarà fin troppo tranquillo, da queste parti, quando ve ne sarete<br />
andati voialtri.»<br />
«Sì, suppongo che sia così. Ma che mi dici della guarnigione? Pensi<br />
che la sua partenza possa crearti dei problemi?»<br />
«E perché? La città è praticamente inespugnabile. È rimasta in piedi<br />
per centinaia di anni prima del vostro arrivo, e continuerà a esserci<br />
molto dopo la vostra partenza.»<br />
A quelle parole sollevai un sopracciglio. «Inespugnabile? Se non
icordo male una mia vecchia conoscenza, che si faceva chiamare il<br />
re di Ravenglass, mi implorò qualche anno fa di restare nei paraggi,<br />
per aiutarlo a contenere attacchi che i suoi non potevano respingere<br />
da soli.»<br />
<strong>Il</strong> mio sarcasmo lo lasciò del tutto indifferente. «Era diverso,<br />
allora, e tu lo sai bene. Eravamo in pace da tempo, senza sospettare<br />
alcun tradimento, e al largo c'era un'intera flotta che non aveva<br />
nessuna intenzione di esplorare o di trattare. Erano qui per<br />
conquistare e massacrare, e quel figlio di puttana del loro<br />
comandante pensava che fossimo già stati sconfitti da un esercito di<br />
terra. Mi servivano gli uomini di Connor da mettere sugli spalti, per<br />
fare numero. Era semplicemente per lanciare un messaggio a quelle<br />
navi, di andarsene e stare lontani da qui.»<br />
Annuii, riconoscendo la verità di quello che diceva, poi lo fissai.<br />
I miei pensieri corsero a tutto ciò che era successo dal giorno che<br />
eravamo approdati a Ravenglass.<br />
«Mi mancherai, amico mio.»<br />
«No, non ti mancherò. Io vengo con voi. Voglio dire, se mi<br />
volete. Le mie ossa sono un po' fradice, ma non molto più delle tue,<br />
e so ancora tenere in mano uno scudo e menare colpi con una spada<br />
o con un'ascia. Mi prenderete?»<br />
«Se ti prenderò?» Ero sbalordito. «Certo che ti porterei con me,<br />
Derek, e con gioia, ma quando sono arrivato a Ravenglass tu hai<br />
detto che speravi di non dover menare mai più colpi d'ascia. Che<br />
avevi visto guerre e massacri a sufficienza per più di una vita.»<br />
«Sì, è vero, e credevo fermamente in ogni parola che ti ho detto.<br />
Allora. Ora però ho cambiato idea. E vengo con voi.»<br />
«E la tua gente?»<br />
«Qual è il problema? Ci penseranno i miei figli. Sono lì che<br />
aspettano che io tolga il disturbo e muoia, mi guardano ingrassare in<br />
attesa dell'attacco di bile o di cuore che mi porterà all'altro mondo.<br />
Sembrano corvacci neri che mi schiamazzano attorno, aspettando di<br />
poter litigare per ciò che resta del mio regno. Be', che litighino prima<br />
del previsto, allora, e buon pro gli faccia. E poi ti dirò, non vedo<br />
l'ora di vederlo andare alla guerra, quel tuo ragazzo, e non vedo
l'ora di vedere finalmente anche la tua Camelot, vedere se davvero<br />
non ha niente da invidiare alla stessa Roma...»<br />
Sorrisi felice e allungai la mano destra. «Anch'io non vedo l'ora,<br />
Derek.»<br />
Mi accomiatai, raggiunsi gli altri che erano scesi a Ravenglass con<br />
me e in meno di un'ora ci trovavamo già lungo la via di<br />
Mediobogdum, un gruppetto ilare e spensierato formato da Donuil,<br />
Lucano, Dedalo, Rufio, Filippo, Falvo, Benedetto e me. Quando<br />
fummo a metà strada e le reciproche prese in giro si furono calmate,<br />
feci il mio annuncio.<br />
Saremmo partiti per Camelot in primavera.<br />
Chiesi loro di non farne parola con nessuno finché non avessimo<br />
riunito l'intera popolazione del forte.<br />
Sottolineai che la decisione di rientrare a Camelot era solo mia, e<br />
che non l'avrei imposta a nessun'altro membro del nostro gruppo<br />
che preferisse invece restare qui. Ero certo che nessuno sarebbe<br />
rimasto, ma a mio avviso tutti dovevano essere liberi di fare la loro<br />
scelta.<br />
Una volta al forte, dopo aver lasciato i compagni e<br />
accompagnato Germanico nella stalla, andai dritto a casa da Tressa.<br />
Ero molto in anticipo <strong>sul</strong> previsto e la trovai nel centro della mia<br />
stanza, gli occhi larghi per lo spavento, una mano davanti alla bocca.<br />
«Cay, che succede?»<br />
«Niente, non c'è niente che non va, amore mio. Calmati.» Mi<br />
avvicinai e la presi tra le braccia. «È venuta a galla una cosa, a<br />
Ravenglass, una cosa imprevista, e abbiamo deciso di rientrare<br />
prima. Domani devo convocare una riunione, per parlare a tutti i<br />
nostri insieme.»<br />
Sollevò lo sguardo, appoggiandosi all'indietro contro il mio<br />
braccio.<br />
«Cos'è venuto a galla di imprevisto?»<br />
«Nulla, in realtà, ho solo avuto una conversazione con Derek che<br />
rimandavo da molto. Mi ha fatto capire che mi avvicinavo al<br />
momento in cui quassù avrei solo perso tempo.»
Tressa s'incupì immediatamente. «Come sarebbe, "perso tempo"?»<br />
«Esitando. Cercando di evitare l'inevitabile. In realtà è tempo che<br />
io me ne vada, che noi ce ne andiamo, voglio dire. Che torniamo a<br />
Camelot. Anzi, è passato. Ehi!»<br />
Si era sottratta al mio abbraccio repentinamente, il corpo rigido di<br />
ansia e risentimento. Rimasi lì, sbattendo gli occhi, consapevole che<br />
era addolorata e arrabbiata, ma incapace di comprenderne il perché.<br />
Poi, essendo un uomo, feci la domanda che fanno gli uomini.<br />
«Cosa c'è che non va, Tressa?»<br />
«Niente». <strong>Il</strong> gelo nella sua voce avrebbe rovinato la frutta sugli<br />
alberi.<br />
Sentii la rabbia montarmi in petto. «Ma è ridicolo! C'è qualcosa di<br />
così grave che a guardarti non si sa nemmeno se sopravviverai, e che<br />
io sia dannato se so che cos'è! Cos'ho detto per provocare una simile<br />
reazione? Ho detto che ce ne andiamo, tutto qui.»<br />
Mi lanciò un'occhiata obliqua e infuocata e quando parlò, per la<br />
prima volta da anni, udii nella sua voce acida e sarcastica l'accento<br />
dei locali. «Tutto qui? Tutto qui? Dopo cinque, quasi sei anni, decidi<br />
di andartene e me lo fai sapere in quel modo, ed è tutto qui? Be',<br />
scusami se l'ho presa troppo a cuore. Cercherò di controllarmi. Sono<br />
certa, come si dice, che mancherai molto a tutti noi».<br />
In un istante, come accecato da una luce, compresi il motivo della<br />
sua rabbia. Con un passo fui di nuovo accanto a lei, le mani <strong>sul</strong>le sue<br />
spalle. «Tressa, ho detto che ce ne andiamo. Noi. Tu e io. Noi<br />
significava te per prima, e Artù, e poi tutti gli altri. Non mi interessa<br />
tornare a Camelot senza te al mio fianco. Ho solo fatto l'errore di<br />
dare per scontato che saresti partita con me, e così non te l'ho<br />
chiesto prima. Verrai con me?»<br />
Mi guardò, gli occhi grandi e due grosse lacrime che tremavano,<br />
in bilico <strong>sul</strong>le ciglia. «Cosa?» chiese con voce incerta.<br />
«Verrai a Camelot con me?»<br />
«Sei sicuro di volermi, laggiù, in mezzo a tutta quella gente<br />
importante?»<br />
Risi. «Volerti? Ma sei impazzita? E poi cos'è questo delirio <strong>sul</strong>la
gente importante? <strong>Il</strong> posto in cui vivono sarà anche lussuoso, lo<br />
ammetto, ma si tratta di persone come tutte le altre. Be', forse alcune<br />
effettivamente sono alquanto straordinarie, ma non vedo perché ti<br />
dovrebbe preoccupare, anzi, tu vali quanto chiunque di loro, anzi<br />
più della maggior parte di loro. Certo che ti voglio lì accanto a me, e<br />
non m'interessa se come moglie, amante o concubina. Anzi, vorrei<br />
che tu fossi mia moglie, ma che restassi anche la mia amante e la mia<br />
lasciva concubina.»<br />
Un pensiero che non riuscii a decifrare passò nei suoi occhi e la<br />
allontanò nuovamente. «Cos'è questa storia di essere tua moglie?<br />
Sono anni che viviamo insieme e non mi hai mai parlato di<br />
matrimonio. Pensavo che tra noi due non fosse necessario, e credevo<br />
che lo pensassi anche tu.»<br />
«Sì, lo pensavo, ma ora è diverso...» risposi. In realtà le cose erano<br />
cambiate in quel preciso istante, dopo aver provato l'improvvisa<br />
paura che Tressa non volesse seguirmi. <strong>Il</strong> voto che avevo preso di<br />
non risposarmi mai più, in quel breve istante, era stato riesaminato,<br />
trovato stupido e infantile, e rifiutato.<br />
«Diverso? Come? E come mai così di colpo? Non sarà che la<br />
nostra vita quassù non sarebbe presentabile a Camelot? Non sarà che<br />
i tuoi amici potenti sarebbero scandalizzati di vederti vivere con una<br />
popolana, che per giunta non è nemmeno tua moglie?»<br />
«O potenti dèi! Ma la sentite, questa donna? Tressa! Non è questo<br />
che intendevo! Volevo solo dire che il mio amore per te è cresciuto<br />
al punto che non voglio più starti accanto senza essere tuo marito.<br />
Sei la mia amica, la mia amante, la mia confidente. Che tu giaccia<br />
con me per poi alzarti e tornartene a casa a dormire da sola, questo,<br />
d'ora in avanti, non lo accetterò più.» La ripresi fra le braccia,<br />
sentendo l'esitazione con cui si lasciò abbracciare. «C'è una casa che ti<br />
aspetta, a Camelot, amore mio» sussurrai nei suoi capelli. «<strong>Il</strong> tuo<br />
posto è quello di padrona della casa che fu del mio prozio Varro e<br />
della mia prozia Luceia, e questo comporta che tu diventi non solo<br />
la mia amica e amante dichiarata, ma anche la mia sposa.» Mi<br />
guardò, gli occhi nuovamente gonfi di lacrime. Poi la sua mano si<br />
posò dolcemente <strong>sul</strong>la mia nuca e abbassò la mia bocca verso la sua.<br />
Ciò che seguì, per un tempo tutt'altro che breve, è cosa di cui non c'è
isogno che io scriva, né che altri ne sappiano alcunché.<br />
<strong>Il</strong> giorno dopo parlai ai residenti di Mediobogdum, raccolti nello<br />
slargo al centro del forte, e annunciai la mia decisione di tornare a<br />
Camelot, ripetendo più volte che non consideravo nessuno di loro<br />
vincolato alla mia volontà. Chiunque avesse deciso - a primavera,<br />
quando l'ultima guarnigione avrebbe abbandonato il forte - di<br />
rimanere lassù, lo avrebbe fatto con la mia benedizione e il mio<br />
appoggio, e chiunque fosse venuto a vivere nel forte da Ravenglass e<br />
avesse deciso di venire a Camelot con noi, sarebbe stato il<br />
benvenuto.<br />
Quando finii di parlare ci fu un lungo silenzio, rotto alla fine da<br />
un possente rutto di Dedalo. Quando le risate si furono quietate,<br />
Ded disse: «Bene, ora che ci siamo liberati di quell'aria viziata,<br />
occupiamoci di problemi più concreti. La mia proposta è di<br />
compilare un inventario di tutto ciò che possediamo: nei magazzini,<br />
in armeria, in infermeria, nelle case e in qualsiasi altro posto. Tutto<br />
ciò che decideremo di non portare con noi, lo lasceremo alla gente<br />
di Derek, e saranno certamente molti carri di materiale. Che scribi e<br />
funzionari si mettano al lavoro dunque, e noi, come facciamo<br />
sempre, troveremo poi il modo di migliorare il ri<strong>sul</strong>tato dei loro<br />
sforzi. A te, Cay, dico che se sei sicuro di voler partire dopo<br />
l'inverno, dovresti farlo sapere ai nostri compatrioti a Camelot, e<br />
farlo subito, prima che cada la prima neve, altrimenti Ambrogio<br />
organizzerà la partenza del prossimo contingente di primavera. Se<br />
fossero in perlustrazione, potremmo anche non incrociarli lungo la<br />
strada, il che sarebbe comico e tragico allo stesso tempo».<br />
Così ci mettemmo al lavoro. Dopo una settimana, un plotone di<br />
dieci uomini a cavallo partì per Camelot recando una mia lettera per<br />
Ambrogio, che annunciava il nostro arrivo sotto le mura entro un<br />
mese dalla scomparsa delle ultime nevi. Ci accingemmo a smontare<br />
sistematicamente il rifugio che ci eravamo costruiti a Mediobogdum.<br />
<strong>Il</strong> forte era rimasto vuoto per duecento anni prima del nostro arrivo,<br />
e dopo la nostra dipartita ne sarebbero forse passati altri duecento,<br />
prima che qualcuno vi abitasse di nuovo.<br />
Tressa cominciò subito a imballare gli oggetti che ci circondavano<br />
nella vita di tutti i giorni. Mi accorsi dopo qualche giorno che ogni
utensile, ogni mobile, tutto era stato contrassegnato legandovi<br />
pezzetti di filo di lana di colori diversi. Non dissi nulla, contando su<br />
di lei per quell'organizzazione, ma non potei fare a meno di<br />
confrontare i diversi oggetti contrassegnati da fili dello stesso colore.<br />
Ero sicuro che Tressa avesse seguito una qualche logica<br />
nell'assegnazione dei colori, ma mi sfuggiva completamente.<br />
Artù mi trovò nella mia stanza, in un pomeriggio grigio e<br />
nuvoloso non molto tempo dopo, assorto per la prima volta in non<br />
ricordo quanti anni, nella meticolosa ispezione dei contenuti della<br />
cassa più grande. Le due casse, la grande e la piccola, entrambe di<br />
legno finemente lavorato e bordato di borchie di ferro battuto,<br />
erano appartenute a Caspar e Memnon, i due stregoni, morti da<br />
tempo, che avevano causato la morte di mio padre e gettato<br />
Camelot nell'abisso delle guerre contro Gulrhys Lot di Cornovaglia.<br />
Le avevo sempre tenute entrambe vicino a me, sempre sprangate dai<br />
loro pesanti chiavistelli, fin da quando erano entrate in mio<br />
possesso, anni prima della nascita del ragazzo.<br />
Mi ero sempre ripromesso che un giorno avrei scoperto i segreti<br />
delle centinaia di sostanze conservate nei numerosi cassettini, fiale e<br />
involucri di ogni tipo e dimensione. In effetti, nei primi tempi, ne<br />
avevo esaminate molte e preso appunti <strong>sul</strong>le funzioni che avevo<br />
ipotizzato potessero avere. Dal poco che avevo potuto capire, un<br />
solo scopo accomunava ogni articolo lì dentro: infliggere la morte in<br />
modi misteriosi, certamente sconosciuti e aborriti da qualsiasi soldato<br />
con un minimo di onore. Le sostanze erano meravigliosamente<br />
ordinate negli scomparti di vassoi che scomparivano uno sotto<br />
l'altro, in un intrigante disegno di malevola simmetria. I tipi di morte<br />
che potevano dare rappresentavano una gamma infinita di caos e<br />
rovina che superava di gran lunga le intenzioni, la comprensione e<br />
persino l'immaginazione di uomini solo occasionalmente violenti,<br />
insomma di uomini normali.<br />
Ciascuna cassa conteneva vari strati di vassoi, di profondità<br />
diverse, ognuno foggiato in modo da fungere da coperchio per<br />
quello sottostante, e ognuno provvisto di lunghi laccetti di cuoio per<br />
essere sollevato dalla sua sede. Ben presto avevo compreso che tutto<br />
ciò che contenevano serviva alle pratiche dell'assassinio politico,<br />
della magia nera, della stregoneria e della negromanzia, e alla fine
avevo semplicemente abbandonato quei nefasti studi. Non potevo<br />
tollerare l'idea che le casse cadessero in mani pericolose, ma d'altro<br />
canto non potevo nemmeno distruggerne il contenuto. <strong>Il</strong> buon senso<br />
mi diceva che non vi avrei mai trovato neppure una foglia che<br />
servisse a qualcosa di benefico, ma finché non ne avessi avuto la<br />
certezza, non me la sentivo di distruggerle.<br />
Erano stati i fili colorati di Tressa a riaccendere il mio interesse per<br />
le casse. Una logica come quella che seguiva nel contrassegnare gli<br />
oggetti doveva esser stata applicata anche all'ordinata disposizione<br />
dei contenuti dei vassoi. Li fissavo, cercando quell'ordine.<br />
«Che stai facendo, Cay? Oh, scusa... posso entrare?»<br />
Gli feci cenno di entrare e mi appoggiai allo schienale della sedia<br />
con un sospiro, guardando l'ordinato disordine che regnava <strong>sul</strong> mio<br />
tavolo. <strong>Il</strong> contenuto dei due vassoi superiori della cassa più grande<br />
era sparso alla mia sinistra e alla mia destra, ciascun contenitore<br />
accanto alla sua casella vuota. <strong>Il</strong> terzo vassoio, composto di dodici<br />
scomparti in quattro file di tre, ciascuno largo quanto una mano e<br />
contenente una boccetta di creta, compariva in cima alla cassa come<br />
il successivo strato.<br />
Quando udii la voce del ragazzo diversi pensieri mi<br />
attraversarono la mente, il primo dei quali fu che avrei dovuto<br />
subito cacciarlo di lì, e bruscamente, prima che vedesse cosa stavo<br />
facendo. Abbandonai quel pensiero prima ancora di finire di<br />
formularlo.<br />
«Porta qui uno sgabello e siediti accanto a me. E non toccare<br />
nulla, capito?»<br />
Fece come gli avevo ordinato e si chinò, gli occhi scintillanti di<br />
pagliuzze d'oro che correvano su tutto l'armamentario, dentro e<br />
fuori dalla cassa. Io tacevo, aspettando che ponesse le sue domande,<br />
ma anche lui rimase in silenzio per un bel po'. Infine mi guardò.<br />
«Cosa contengono?»<br />
«Morte, e un dilemma.»<br />
Mi lanciò uno sguardo obliquo, gli occhi spalancati per la<br />
sorpresa. «Che vuoi dire?»
Mi girai verso di lui. «Ricordi la storia di come morì mio padre?»<br />
Annuì. «Fu assassinato nel suo letto da due maghi. Come si<br />
chiamavano?» <strong>Il</strong> suo sguardo si assentò nei ricordi. «Caspar, Caspar e<br />
Memnon.»<br />
«Sì, erano quelli i loro nomi. Caspar e Memnon. Maghi, come dici<br />
tu. Io preferisco chiamarli stregoni.»<br />
«Che differenza c'è?»<br />
«All'apparenza molto poca, ho il sospetto. Ma secondo me un<br />
mago è qualcuno che tenta di usare la magia, i poteri sovrannaturali,<br />
per influenzare il mondo degli uomini. Se lo fa per fini buoni o<br />
malvagi dipende, naturalmente, dalla natura del mago, o della<br />
maga. Ma siccome io non credo né alla magia né ai poteri<br />
sovrannaturali, trovo i maghi una categoria abbastanza penosa, a<br />
volte ridicola e generalmente innocua, una volta che i loro trucchi<br />
sono stati esposti.»<br />
«Le donne possono essere maghi?» Era sorpreso, e io risi.<br />
«Artù, le donne possono essere qualunque cosa un uomo può<br />
essere, eccetto padri. Te ne accorgerai presto, vedrai.»<br />
Ma il ragazzo non intendeva farsi distrarre dall'oggetto della sua<br />
curiosità.<br />
«Ma spiegami, se i maghi sono penosi, è questo che li rende<br />
diversi dagli stregoni?»<br />
«Sì. Gli stregoni sono tutt'altra cosa, Artù. Sono reali e terrificanti.<br />
Cercano e a volte ottengono poteri che le persone comuni non<br />
possono comprendere, e li usano sempre per scopi malvagi. Non<br />
utilizzano incantesimi o formule magiche, ma mille tipi di magia<br />
fisica e tangibile, di pozioni e veleni, come le sostanze che vedi qui.<br />
Gli stregoni portano solo la morte, dovunque si rechino.» Fui<br />
sorpreso dalle mie stesse parole, non avendo mai articolato quelle<br />
verità così chiaramente prima di allora.<br />
<strong>Il</strong> ragazzo mi fissava, affascinato. «Bene» disse dopo un po'.<br />
«Questa è la parte della morte. E il dilemma, che cos'è? Capisco la<br />
morte, se tutte le fiale e le scatolette contengono veleni, come dici.<br />
Ma proprio tutte?»
«Quasi. Non conosco l'uso di ogni cosa che si trova qui dentro,<br />
ma tutte le sostanze che ho identificato portano la morte in un<br />
modo o nell'altro, e di solito dopo lunga agonia.»<br />
«Mi mostrerai come si usano?»<br />
«In parte. Ti mostrerò quelle che ho identificato, ma non<br />
dimostrerò certo il loro effetto mortale per il tuo divertimento.<br />
Dovrai accontentarti della mia parola.»<br />
«E dici che molte cose non le hai ancora esaminate? Ma come hai<br />
fatto a trattenerti? Non sei curioso? Io le avrei già tirate fuori tutte<br />
fino all'ultima. Come fai a essere così disciplinato? Sei davvero<br />
incredibile, Merlino.»<br />
«Devi sempre chiamarmi Cay, ricordi?»<br />
Mi guardò, leggermente irritato. «Sì lo ricordo, ma adesso siamo<br />
soli, e tu per me sei sempre stato Merlino.» Abbassò il capo. «Mi è<br />
scappato. Non succederà più. Ma non mi hai ancora detto cos'è il<br />
dilemma.»<br />
«Non lo indovini? Non riesco a decidere se distruggerle o<br />
continuare a studiarle.»<br />
Non esitò un istante. «Dovresti studiarle, naturalmente. E poi,<br />
anche se volessi distruggerle, come faresti?»<br />
«Alcune le brucerei, anzi, a dire il vero la maggior parte. Altre<br />
potrei decidere di seppellirle, o diluirle fino a che diventino<br />
innocue.»<br />
Artù avvicinò lo sgabello al tavolo. «Mostramele, ti prego.»<br />
Una alla volta, gli mostrai le sostanze della cassa più grande che<br />
avevo identificato. Cominciai dalle scatole di creta con la pasta<br />
verde, che uccideva tra bruciori atroci chi venisse ferito da una lama<br />
spalmata di quella crema mefitica. Era quello il veleno, gli spiegai,<br />
che i guerrieri di Lot avevano spalmato <strong>sul</strong>le punte delle loro frecce<br />
nell'agguato a suo padre in Cornovaglia, e che io avevo poi usato<br />
per giustiziare lo stregone Caspar, facendogli un taglio <strong>sul</strong>la fronte<br />
con la stessa punta di freccia.<br />
Artù ascoltava rapito, seguendo ogni movimento delle mie mani<br />
mentre aprivo fiale, scatole e foglie più volte ripiegate, estraendone
decine di polveri sconosciute dei colori più strani, miscele di cristalli,<br />
unguenti e paste oleose probabilmente distillate a fuoco lento,<br />
minuscoli fogli di corteccia arrotolati, erbe seccate e poi bacche, semi<br />
e strane nocciole. Guardando il ragazzo, mi tornò in mente<br />
l'entusiasmo con cui mi ero addentrato in quei misteri, anni prima.<br />
«Ora ti farò vedere una cosa che da sola costituisce un buon<br />
motivo per non distruggere tutto quanto. È l'unica sostanza qui<br />
dentro che non sia velenosa, anche se è comunque pericolosa.»<br />
Estrassi tutti i vassoi dalla cassa, cercando in un angolo del fondo<br />
una scatola di legno, la più grossa della collezione, strettamente<br />
legata con delle fibre intrecciate. Aprendola, mostrai ad Artù una<br />
polvere grossa, nerastra, che sapevo non gli avrebbe fatto alcuna<br />
impressione. Era inodore e insapore, se non per un vago, pungente<br />
retrogusto che ricordava l'aria di una palude. Sapevo che non era<br />
velenosa, avendola somministrata a tre conigli senza che soffrissero<br />
alcun danno. Avevo anche scoperto che quella polvere era insolubile<br />
nell'acqua, ma quando - una volta deciso che non serviva a niente -<br />
avevo provato a gettarne un po' nel fuoco, ero quasi morto per lo<br />
spavento. La combustione, violenta, improvvisa e rumorosa, mi<br />
aveva accecato. Ne era uscita una nube di fumo denso e nero, che<br />
mi aveva fatto tossire, ma non aveva lasciato altri segni. Quando mi<br />
ero ripreso, avevo fatto altri mille esperimenti e accertato che quella<br />
sostanza era la più volatile e pericolosa che avessi mai incontrato:<br />
prendeva fuoco persino da una scintilla vagante. A cosa potesse<br />
servire era al di là delle possibilità della mia fantasia, ma sospettavo<br />
fosse qualcosa di tremendo. L'idea che una scintilla del braciere<br />
potesse cadere nella scatola con il resto di quel materiale mi aveva<br />
fatto tremare di paura, e da allora avevo trattato quella che<br />
chiamavo "polvere di fuoco" con la massima cura.<br />
Ora ne presi un pizzico tra pollice e indice e l'avvolsi strettamente<br />
in un angolo di stoffa. Richiusi bene la scatola e lo diedi ad Artù.<br />
«Ecco, non c'è altro da dedurre da come appare alla vista. Non ha<br />
odore, né sapore, il colore è tra il nero e il marrone scuro, e non ho<br />
mai scoperto che scopo possa avere. Non si scioglie nell'acqua, né<br />
nel vino, e non è velenosa. Gettala nel fuoco, là dietro di te.»<br />
Si voltò e lo fece, aspettando di vedere cosa sarebbe successo. <strong>Il</strong>
fagottino atterrò su una brace non incandescente, e si mise a fumare<br />
lentamente. Artù si girò verso di me ma io gli accennai con lo<br />
sguardo di continuare a guardare. Poi d'un tratto ci fu un lampo di<br />
luce accecante, il fortissimo whuff della conflagrazione e grandi,<br />
spesse nuvole di fumo nero invasero la stanza, piene di scintille<br />
impazzite che volavano come proiettili. Persino io, che me<br />
l'aspettavo, fui scosso dalla violenza del fenomeno. <strong>Il</strong> ragazzo balzò<br />
in piedi terrorizzato, la faccia pallida mentre combatteva il panico<br />
che gli montava dalle viscere.<br />
Rimase lì qualche istante, come incerto tra la fuga e l'accettazione<br />
della cosa, poi si buttò in ginocchio, afferrò dei rametti accanto al<br />
braciere e si mise a spazzare via i pezzetti di brace che erano volati<br />
<strong>sul</strong> tappeto, e che rischiavano di appiccare il fuoco all'intera stanza.<br />
Mi gettai ad aiutarlo, inorridendo alla vista dei focolai in più punti<br />
del tappeto che Tressa aveva tessuto per me con le sue mani.<br />
Riuscimmo, freneticamente, a spazzare via tutto prima che<br />
comparissero dei buchi evidenti e rimanemmo lì accovacciati, il fiato<br />
corto, ridendo un po' nervosamente.<br />
«Che cos'è quella roba?» chiese infine Artù. «Ne hai idea?»<br />
Scossi la testa. «No. Sembra una sorta di carbone macinato, ma<br />
non si comporta come nessun carbone che io abbia mai visto.»<br />
«Brucia così velocemente che... nessun preavviso, solo un whoosh!<br />
e non c'è più. Avevi mai sentito parlare di una cosa simile?»<br />
«Assolutamente no. Ma gli stregoni che la portarono in Britannia<br />
venivano dagli estremi confini orientali dell'Impero. I loro nomi<br />
suonavano egizi, ma ho il sospetto che venissero da ancora più<br />
lontano, oltre quella che chiamano l'India, da una terra dove si dice<br />
che la gente abbia la pelle gialla. Sono certo che anche se non<br />
venivano da laggiù, c'erano comunque stati. Allora, Artù, ora che hai<br />
visto come funziona questa polvere, cosa pensi che dovrei farne?»<br />
Scosse la testa, poi sorrise. «Potresti usarla per spaventare i nemici,<br />
mi sembra che lo faccia molto bene.»<br />
Risi con lui, poi mi alzai e rimisi la scatola nel fondo della cassa.<br />
Artù mi aiutò a riavvolgere, sigillare e riporre i contenitori delle<br />
sostanze. Rimase lì a guardarmi mentre chiudevo il chiavistello della
cassa.<br />
«Quelle cose sono molto pericolose, Cay.»<br />
«Sì, lo sono. Ma qui dentro sono al sicuro, per il momento. Le<br />
sole chiavi delle due casse sono in mio possesso. So che prima o poi<br />
dovrò esaminare tutto con la dovuta attenzione, per decidere cosa<br />
sia meglio fare di ogni singola sostanza. Non potrei mai distruggere<br />
tutto senza aver prima tentato di scoprire di cosa si tratti. Lo capisci,<br />
questo?»<br />
«Certo. Quelle sostanze rappresentano una conoscenza. Tu non lo<br />
sai, ma qualcuno, da qualche parte, conosce il modo di usare<br />
ciascuna di esse, e la conoscenza è potere.»<br />
La conoscenza è potere. Sorrisi, contento di sentirlo citare una<br />
frase che gli avevo ripetuto innumerevoli volte. Gli misi un braccio<br />
attorno alle spalle e c'incamminammo verso la casa di Shelagh e<br />
Donuil. «Stanotte pioverà» dissi, annusando l'aria. Alzò lo sguardo<br />
verso le nuvole sempre più basse e poi grugnì, esattamente come<br />
avrebbe fatto mio cugino.<br />
C'era un altro oggetto in quelle casse il cui utilizzo non era<br />
necessariamente malefico, e lo scoprii il giorno successivo. Lo<br />
menziono qui perché, per quanto a quel tempo possa essermi<br />
sembrato innocuo e quasi insignificante, divenne in realtà una delle<br />
due cose più potenti dell'intera, mefitica collezione.<br />
Trovai l'oggetto in fondo alla cassa più piccola, avvolto in una<br />
morbidissima pelle di daino. Quando aprii l'involucro, con grande<br />
cautela, rimasi dapprima inorridito da ciò che conteneva, al punto<br />
da non riuscire a toccarlo. Era una faccia umana, senza occhi ma<br />
perfettamente conservata, completa di capelli <strong>sul</strong>la testa che non<br />
c'era. Mi venne la pelle d'oca al pensiero di come doveva esser stata<br />
ottenuta: strappata a un cranio vivente e trattata poi con una tecnica<br />
che aveva conservato alla pelle la consistenza, la superficie e il colore<br />
di quando era viva, e infine riposta amorevolmente in<br />
quell'involucro.<br />
Dopo averla fissata per qualche minuto, cominciai però a notare<br />
dei particolari che contraddicevano quella mia ipotesi. Anche allora,
mi ci volle del tempo per riuscire ad allungare una mano e toccarla,<br />
ma appena lo feci mi resi conto che avevo toccato un qualche tipo<br />
di cera. Era una maschera, divisa in due metà, ma come nessun'altra<br />
maschera che avessi mai visto prima.<br />
I capelli erano veri, ma erano stati applicati con infinita pazienza<br />
a una base di tessuto, il più fino e trasparente immaginabile, che<br />
riconobbi subito come lo stesso che mia zia Luceia si faceva arrivare<br />
fin dall'Asia Minore. La maschera era stata formata dalle successive<br />
applicazioni di molteplici strati di quel delicatissimo materiale,<br />
chiaramente appoggiati addosso a una vera faccia e spalmati, uno<br />
alla volta, di qualche colla o pasta. Sollevandola davanti alla luce,<br />
potevo vedere chiaramente dove gli strati si accavallavano e dove<br />
non coincidevano precisamente. Poi, quando i lineamenti del volto<br />
erano stati ottenuti in quel modo, l'esterno della maschera era stato<br />
coperto di una cera, solida ma malleabile, e infine lo stregone che<br />
l'aveva creata ne aveva dipinto la superficie, imitando i colori della<br />
vita stessa.<br />
La metà superiore andava calcata sopra gli occhi e il naso,<br />
coprendo completamente i lineamenti di chi la indossava, insieme<br />
alla parrucca di capelli lunghi e castani - cuciti addosso a una calotta<br />
sottile, dello stesso materiale che formava la base della maschera - i<br />
quali ricadevano sopra i capelli del mascherato, nascondendoli alla<br />
vista. I bordi superiori dei buchi per gli occhi esibivano due folte,<br />
minacciose sopracciglia, mentre i bordi inferiori erano così sottili da<br />
sembrare inconsistenti, e si adagiavano <strong>sul</strong>la pelle sotto gli occhi<br />
dell'indossatore, simulando alla perfezione persino le sacche di pelle<br />
che si formano sopra gli zigomi con l'età. <strong>Il</strong> naso era grosso,<br />
sporgente e butterato. Da pori realistici e visibili nella pelle delle<br />
guance spuntavano poi i peli, che cadevano uno sopra l'altro fino a<br />
formare dei lunghi baffi scuri.<br />
La seconda metà della maschera era costruita allo stesso modo ma<br />
portava una folta barba. Si adattava alla parte inferiore del viso, da<br />
sotto le orecchie fino a coprire mascella e mento, aderendo alla pelle<br />
del portatore appena sotto le sue labbra. Mi resi subito conto che<br />
quella metà andava indossata per prima, e che la seconda parte vi si<br />
doveva adagiare sopra. Compresi anche che la sua struttura di base<br />
non era molto malleabile, e poteva adattarsi solo alle sporgenze del
volto su cui era stata modellata: insomma quella maschera così<br />
perfetta poteva in realtà essere indossata solo dalla persona sui cui<br />
lineamenti era stata modellata - ma in quel caso, mi chiesi subito, a<br />
che scopo? - oppure da qualcuno che gli somigliasse molto da vicino.<br />
Naturalmente, una volta raggiunta quella conclusione, la sollevai,<br />
portandomela <strong>sul</strong> viso.<br />
Mi aspettavo di sentire creste e sporgenze che non si sarebbero<br />
adattate alla struttura ossea del mio volto, ma provai invece una<br />
morbida, inquietante comodità, che si tramutò rapidamente in una<br />
specie di terrore superstizioso, man mano che mi accorgevo della<br />
perfezione con cui quella membrana aderiva al mio volto,<br />
coprendolo come una seconda pelle naturale, fresca e onnipresente.<br />
Allontanai le mani con cui l'avevo premuta in sede, aspettandomi<br />
che cadesse, ma rimase al suo posto, scaldandosi gradualmente a<br />
contatto con la mia pelle, finché praticamente non ne percepii più la<br />
presenza.<br />
<strong>Il</strong> pensiero di quanto quella coincidenza fosse improbabile mi fece<br />
battere il cuore a un ritmo accelerato e mi sollevò i morbidi peli <strong>sul</strong><br />
retro del collo. La mia mente produsse decine di ragioni per cui ciò<br />
che era appena successo doveva essere semplicemente impossibile.<br />
Delle centinaia di uomini che conoscevo, nessuno - salvo forse mio<br />
fratello Ambrogio - avrebbe potuto indossare quella maschera con la<br />
stessa, aderente perfezione. Di chi era? Ero certo che non potesse<br />
essere appartenuta, originalmente, né a Caspar né a Memnon. I loro<br />
volti erano profondamente diversi dal mio e da quello della<br />
maschera che indossavo. Memnon era addirittura sfigurato, gli occhi<br />
grossi, sporgenti e non allineati. La memoria mi diceva che forse<br />
Caspar avrebbe potuto indossarla, ma di certo non era stata fatta per<br />
il suo viso. Le sue guance erano troppo piatte, il suo naso troppo<br />
lungo, il mento troppo sfuggente. Chi era dunque il destinatario<br />
della maschera, e perché proprio io, fra tutti gli uomini, ne ero<br />
venuto in possesso? Era dotata di qualche potere magico? O forse<br />
Dio stesso l'aveva indirizzata verso le mie mani per qualche Suo<br />
inafferrabile disegno? <strong>Il</strong> fatto era che essa, sfidando ogni probabilità<br />
naturale, si adattava perfettamente al mio volto, e la cosa mi scosse<br />
sin nel profondo, al punto che per la prima volta in vita mia, andai<br />
alla ricerca di uno specchio.
Scoprii ben presto che la maschera non sarebbe rimasta incollata<br />
al mio volto senza la frequente pressione delle mie mani, così tornai<br />
a frugare nel fondo della cassa, alla ricerca di ciò che lo stregone<br />
doveva aver usato per fissarla al suo volto. Infatti trovai una<br />
boccetta di una pasta incredibilmente adesiva, tanto da incollare<br />
insieme le mie dita, ma in modo elastico e non permanente, in<br />
modo che la maschera potesse venire anche sfilata con facilità.<br />
Trovai anche alcune scatolette cilindriche di papiro cerato contenenti<br />
creme di vari colori, chiaramente cosmetici che dovevano servire a<br />
rifinire il travestimento.<br />
Mi chiusi a chiave nella mia stanza e, piazzatomi davanti allo<br />
specchio di zia Luceia, giocai per qualche ora con quello strano<br />
oggetto, meravigliato dalla completa e complessa trasformazione che<br />
era in grado di operare. Infine, la pelle un po' irritata dalla ripetuta<br />
applicazione dell'adesivo, riavvolsi tutto quanto, lo riposi nella cassa<br />
e mi avviai verso le terme.
XVI.<br />
In seguito avrei pensato sempre a quell'autunno come<br />
all’”Autunno delle Belve”. Prima vennero i lupi, indotti a scendere<br />
fino al forte, a detta di Lucano, da qualche epidemia che doveva<br />
aver decimato le loro prede abituali. Credo che avesse ragione,<br />
perché quell'anno si videro pochissimi daini nella foresta e persino le<br />
lepri e gli scoiattoli, che di solito quasi si calpestavano, erano<br />
diventati rari.<br />
I lupi - come anche gli orsi e gli altri animali selvatici di una certa<br />
taglia - evitano, normalmente, ogni contatto con gli esseri umani.<br />
Ma in quell'autunno i lupi vennero più vicino al forte e in numero<br />
più considerevole di quanto non avessero mai fatto. I loro ululati<br />
appena fuori dalle nostre mura divennero una costante di quasi tutte<br />
le notti dalla fine di quell'estate in avanti, e dopo aver perduto non<br />
pochi capi del nostro bestiame, fummo costretti a trasferire ogni sera<br />
gli animali al sicuro dentro il forte. Con tutto ciò, non eravamo<br />
affatto pronti all'idea di venire assaliti in pieno giorno.<br />
La piccola mandria di maiali che Shelagh aveva cominciato ad<br />
allevare fin dal nostro arrivo era cresciuta e aveva prosperato. Anche<br />
loro, al tramonto, venivano portati dentro le mura e rinchiusi in un<br />
recinto addossato ai bastioni settentrionali, il più lontano possibile<br />
cioè dalle nostre abitazioni. In un bellissimo tardo pomeriggio di<br />
quell'autunno, quando gli alberi avevano ormai perso quasi del tutto<br />
le loro chiome dorate, un branco di lupi affamati e disperati aveva<br />
sfidato la vicinanza degli uomini e si era avventato <strong>sul</strong> recinto dei<br />
maiali appena rinchiusi.<br />
L'allarme scattò immediatamente, ma in realtà le urla di terrore<br />
dei suini ci avrebbero fatto accorrere anche se nessuno avesse<br />
assistito alla scena. Dopo qualche minuto, una ventina di uomini,<br />
tutti armati, erano già <strong>sul</strong> luogo. Io fui tra i primi ad arrivare,<br />
avendo sentito le grida mentre tornavo dalle terme, ma proprio per<br />
quel motivo ero uno dei pochi a trovarsi senza armi. Dedalo giunse<br />
subito dopo di me, con una lancia, un arco lungo e una faretra piena
di frecce <strong>sul</strong>la spalla. Vedendomi disarmato, mi gettò la lancia e si<br />
mise ad armare l'arco.<br />
<strong>Il</strong> frastuono era terrificante, e in mezzo alle grida dei maiali ci<br />
sembrò di sentir ringhiare dei cani. Ma quei cani erano lupi, ed<br />
erano in numero sorprendente, decisi ad attaccare tutto e tutti con<br />
una ferocia suicida. Ne contai quattordici, prima di rinunciare a<br />
sapere quanti fossero e gettarmi nella mischia. Questi lupi erano<br />
davvero disperati e non mostrarono la benché minima propensione<br />
a correre via a coda bassa, come fanno di solito i lupi che<br />
s'imbattono negli uomini. Si voltarono e ci attaccarono senza<br />
esitazione.<br />
Un esemplare enorme saltò verso il mio collo, le fauci spalancate,<br />
e fu solo per una felice intuizione che riuscii ad abbassarmi, piegando<br />
un ginocchio, e trafiggerlo con la lancia mentre mi passava sopra. <strong>Il</strong><br />
peso morto del lupo che trascinava la lancia mi rovesciò all'indietro.<br />
Mi rialzai febbrilmente, estrassi la lancia dalla carcassa e mi voltai in<br />
tempo per vedere un'altra belva contorcersi <strong>sul</strong>l'erba accanto a me,<br />
trafitta da una freccia. Dedalo si era piazzato su un dosso, pochi passi<br />
alla mia sinistra, e stava estraendo e tirando frecce una dopo l'altra,<br />
con metodica precisione, abbattendo un lupo con ogni freccia senza<br />
curarsi di finirli, perché sapeva che eravamo abbastanza numerosi<br />
per completare il lavoro. D'un tratto vidi Hector cadere alla mia<br />
destra, travolto da due animali, il più grosso dei quali era riuscito ad<br />
azzannarlo al polso che reggeva la spada.<br />
Ero a due passi da lui, ma non osavo gettare la lancia per paura di<br />
colpire il mio amico. Fu Rufio a salvare la vita a Hector, balzandogli<br />
accanto con un'enorme ascia che non gli avevo mai visto usare<br />
prima e disintegrando letteralmente i crani dei due lupi con due<br />
colpi, accompagnati da urla più selvagge di quelle di un orso<br />
inferocito. Incredibilmente, un altro lupo smagrito stava strisciando<br />
verso l'uomo a terra ferito, e Rufio l'affrontò con l'ascia. La belva<br />
ringhiò, mostrando i denti e schiumando dalla bocca, ma Rufio<br />
ignorò l'avvertimento e lo colpì di piatto facendolo volare ai miei<br />
piedi, dove io lo trafissi immediatamente con la lancia.<br />
Lo scontro sembrò durare un tempo lunghissimo, ma in realtà<br />
dovevano essere stati pochi minuti, finché il primo lupo, lanciando
qualcosa a metà tra un guaito e un ululato, scelse la fuga, seguito dai<br />
pochi sopravvissuti del branco.<br />
Persino allora, però, le belve si ritirarono solo di qualche decina<br />
di passi, girandosi poi a guardarci, ringhiando, da quella che doveva<br />
sembrare loro una distanza di sicurezza. Ma l'arco lungo dei Celti che<br />
Dedalo aveva in mano era letale a una portata ben superiore a<br />
quella distanza, e in breve altri quattro lupi caddero trafitti. Gli altri,<br />
finalmente, rinunciarono e si diedero alla fuga verso la foresta,<br />
inseguiti da altre frecce di Dedalo.<br />
Trovammo dodici lupi morti dentro e fuori il recinto e le opinioni<br />
<strong>sul</strong> numero degli scampati variavano tra sei e dodici. Trovammo<br />
anche cinque maiali di un anno dilaniati, e altri due così malridotti<br />
che dovemmo ucciderli. Fortunatamente nessuna delle scrofe era<br />
morta. Tutta Mediobogdum mangiò carne di maiale per più di una<br />
settimana.<br />
Poi, neanche dieci giorni dopo l'episodio dei lupi, il cavallo di<br />
Rufio tornò al forte senza cavaliere in pieno giorno, la schiuma<br />
intorno al morso e il pelo madido di sudore. Organizzammo<br />
immediatamente le pattuglie di perlustrazione e partimmo alla<br />
ricerca del nostro compagno. Non sapevamo con che intenzioni<br />
fosse uscito dal forte, ma potevamo escludere che fosse sceso verso<br />
Ravenglass, perché era una sorta di regola non scritta che chiunque si<br />
recasse in città, doveva prima comunicarlo a qualcuno. Ma poteva<br />
essere salito <strong>sul</strong> fianco della collina a sud-ovest, verso la cava dove ci<br />
procuravamo la pietra calcare. O poteva essere sceso a cacciare nella<br />
foresta <strong>sul</strong> fondo della valle, alla ricerca di daini o altra selvaggina.<br />
Avevamo ottanta uomini validi disponibili per le ricerche, metà di<br />
loro fanti addestrati. Ne mandai quaranta giù nella valle e presi il<br />
resto con me verso le colline. Ci restavano solo cinque o sei ore di<br />
luce e scandagliammo i dintorni fino all'ultimo istante utile, quando<br />
non si distingueva più una roccia da un cespuglio, così che<br />
rientrammo al forte molto dopo il tramonto, ostacolati dalla<br />
difficoltà del percorrere i sentieri nell'oscurità.<br />
Quella notte fu una delle prime volte che Tressa rimase a dormire<br />
con me. La feci quasi svenire di paura nel bel mezzo della notte,
izzandomi a sedere nel letto con un grido, una parola che lei non<br />
capì e io, in seguito, non riuscii a ricordare. Mi abbracciò subito,<br />
portandosi la mia testa <strong>sul</strong> petto ed emettendo bisbigli rassicuranti,<br />
come avrebbe fatto con un fanciullo in preda a un incubo. Alla fine,<br />
quando mi fui calmato e ridisteso <strong>sul</strong>la schiena, lo sguardo fisso al<br />
soffitto, si sporse sopra di me, i morbidi seni schiacciati contro il mio<br />
fianco.<br />
«Cos'è stato?» mi chiese dopo un po'; la sua voce era un mero<br />
sussurro.<br />
«Un sogno», risposi. «Rufio. Ho visto Rufio.» Facevo una fatica<br />
enorme ad articolare le parole. La prospettiva di dover ammettere,<br />
soprattutto a me stesso, di aver fatto un altro dei miei sogni, mi<br />
terrorizzava. Avevo visto morire troppe persone, in passato, in sogni<br />
esattamente come quello. Pensavo che quel talento inquietante fosse<br />
svanito, essendo passati molti anni dall'ultima volta che mi era<br />
accaduto, quando avevo sognato l'assassinio di un fratello di Donuil,<br />
in Eire.<br />
Ci fu una pausa, poi Tressa disse: «Dov'era?». Non c'era traccia di<br />
dubbio o incredulità nella sua voce.<br />
La mia gola era secca come sabbia al sole. Deglutii, con difficoltà.<br />
«In un incavo di roccia... c'era uno spiazzo in mezzo agli alberi, <strong>sul</strong><br />
fianco di una collina... aveva una parete di roccia dietro alle spalle.»<br />
«Era vivo?» Non risposi. Mi afferrò una spalla. «Cay! Rufio era<br />
vivo?»<br />
Cercai di sottrarmi al suo abbraccio, ma mi trattenne.<br />
«Come faccio a saperlo? Era un sogno, Tressa, solo un sogno.»<br />
«No!» Mi attirò a sé, sibilando nella sua urgenza. «Era uno dei tuoi<br />
sogni, Cay, e io so tutto dei tuoi sogni. Ora cerca di concentrarti,<br />
prima che il velo si richiuda. Hai visto nient'altro? Rufio ti è<br />
sembrato vivo?»<br />
Repressi l'impulso di chiederle chi le avesse narrato dei miei sogni<br />
e tentai di ricordare la scena che mi aveva fatto uscire dal sonno<br />
gridando. Respirai profondamente, svuotando la mente da ogni<br />
altro pensiero, e dopo qualche minuto la scena mi tornò davanti,
tremolante ma riconoscibile.<br />
«È immobile, tutto sporco di sangue... non so dire se è vivo o<br />
morto... non ha più l'elmo... sangue dappertutto, <strong>sul</strong>l'erba, <strong>sul</strong>le<br />
pietre... è incastrato tra due alberi... c'è muschio sui tronchi, e sangue<br />
<strong>sul</strong> muschio. Vedo dove le sue dita hanno strappato il muschio dalla<br />
corteccia...»<br />
L'immagine pareva muoversi mentre la descrivevo, come se i miei<br />
occhi si abituassero a una luce strana, e d'un tratto vidi qualcosa fra<br />
gli alberi, seminascosta nell'ombra dietro Rufio. La mia mente si<br />
ribellò, incredula, e l'intera scena si dissolse lentamente, lasciandomi<br />
esausto, a guardare il soffitto, gli occhi spalancati. Trattenni il respiro<br />
per un po', preso in un turbine di pensieri contraddittori, poi espirai<br />
lungamente.<br />
«È tutto. La visione se ne è andata. È tutto quello che ho visto.»<br />
«Hmm.» Mi lasciò andare e si alzò dal letto. Seguii con lo sguardo<br />
il suo corpo nudo che attraversava la stanza. «Vieni, Cay. Ora<br />
riaccendo il fuoco. Forza, vestiti. Svelto.»<br />
«Cosa? Perché? A cosa servirà star seduti davanti al fuoco? Non<br />
sappiamo dove si trova, Tressa.»<br />
«Ma potremmo scoprirlo. Anzi, lo scopriremo. Avanti, indossa<br />
qualcosa.»<br />
Poco dopo, seduto nell'altra stanza, vedendola ancora nuda<br />
armeggiare intorno al braciere, allungai una mano e le carezzai un<br />
gluteo. Ma Tressa non aveva di quei pensieri e allontanò decisa la<br />
mia mano, andando poi di là a buttarsi una coperta <strong>sul</strong>le spalle. Si<br />
sedette accanto a me e mi fissò, come in attesa.<br />
«Cosa?» chiesi. «Cosa c'è. È ovvio che ti aspetti che io dica<br />
qualcosa di significativo.» Non rispose. «Be', non mi viene in mente<br />
niente. Dovrai farmi delle domande.»<br />
«Rufio. Ora sappiamo dove si trova».<br />
«No che non lo sappiamo, Tressa. Era un sogno, e non ho visto<br />
iscrizioni con il nome del luogo.»<br />
«Sì che le hai viste, uomo privo di senno che non sei altro. Certo,<br />
non sappiamo esattamente dov'è, ma sappiamo molto più di quello
che sapevamo oggi.»<br />
«E come?»<br />
«Perché lo hai visto in un incavo nella roccia, in uno spiazzo <strong>sul</strong><br />
fianco di una collina. Non è così? Ed era incastrato tra due alberi,<br />
con del muschio sui tronchi, che lui aveva grattato via.»<br />
«E allora?»<br />
«Cay, questo ci dice molto, o almeno lo dice a me. Era anche<br />
disteso contro una parete di roccia, e questo ci dice dell'altro.»<br />
«Non ti seguo, Tressa.»<br />
Scosse la testa come per zittirmi mentre pensava. «Era incastrato<br />
fra due alberi, hai detto, con dietro una parete di roccia. Come fai a<br />
sapere che si trova <strong>sul</strong> fianco di una collina? E com'era la posizione<br />
del corpo, rispetto agli alberi?»<br />
Chiusi gli occhi e mi sforzai di rievocare l'immagine. «È perché il<br />
terreno è in discesa, e anche abbastanza ripido. Lui è <strong>sul</strong>la schiena, la<br />
testa che ciondola verso il fondovalle. Gli alberi sono vicinissimi,<br />
forse sono le due propaggini di un solo tronco biforcuto. La sua<br />
schiena è arcuata su uno dei due. Ha tentato di tirarsi su per uscire<br />
dall'incastro. È per questo che ha grattato il muschio.»<br />
«Perciò il muschio è dalla parte della sua testa.»<br />
«Sì.»<br />
«E la parete di roccia? Dov'era esattamente? Hai detto dietro di<br />
lui, ma più <strong>sul</strong>la sua sinistra o <strong>sul</strong>la sua destra?»<br />
Mi concentrai nuovamente. «Sulla sinistra, parallela al senso in cui<br />
giace il suo corpo.»<br />
«Aha! Tu hai guardato nei posti sbagliati, mentre sognavi.»<br />
La guardai con un certo sussiego. «Questa poi è assurda quasi<br />
quanto il sogno.»<br />
«Sì, forse a te sembra davvero così. Ma pensaci, Cay! <strong>Il</strong> muschio<br />
cresce <strong>sul</strong> lato a nord dei tronchi: ogni bambino lo impara la prima<br />
volta che entra in un bosco. Quindi tu hai visto Rufio giacere con i<br />
piedi verso sud, incastrato tra due alberi che guardano a nord, con la<br />
testa che pende a valle verso nord e con una parete di roccia <strong>sul</strong>la
sua sinistra, <strong>sul</strong> lato a est, una parete cioè che guarda a ovest. L'unico<br />
posto dove tutto è disposto in quel modo è il fianco della collina<br />
sotto il passo, ma non dove lo avete cercato oggi, bensì giù in<br />
fondo, lungo il letto del fiume.»<br />
«Che cosa ti fa dire che può trovarsi solo giù in fondo?»<br />
«Perché il muschio sui tronchi era spesso. <strong>Il</strong> muschio non è mai<br />
spesso sugli alberi, sopra una certa altezza.»<br />
Annuii, ammettendo la mia ingenuità, ma poi scrollai le spalle.<br />
«Cosa c'è? Cos'è che non ti torna?» disse subito lei.<br />
«Niente, Tressa. È tutto molto logico. Ammiro davvero il modo in<br />
cui hai trovato un senso alla mia visione, ma era comunque solo un<br />
sogno, e per giunta incompleto.»<br />
«Che vuol dire, "incompleto"? Non capisco.»<br />
«Non ti ho detto tutto ciò che ho visto,» mormorai «e la parte che<br />
non ti ho detto rende tutto privo di senso.»<br />
Si raddrizzò <strong>sul</strong>la sedia e la coperta le cadde dalle spalle. Rimase lì<br />
immobile, in attesa che io proseguissi.<br />
«Ho visto un uomo che mi guardava appena al di là dello spiazzo,<br />
un uomo che si chiama Peter Ironhair.»<br />
«Peter Ironhair?» Aggrottò le sopracciglia. «Vuoi dire il fabbro che<br />
tentò di uccidere Artù a Camelot e poi fuggì, prima in Cambria e poi<br />
in Cornovaglia?»<br />
La fissai, sorpreso. «Sai, Tressa,» dissi infine «sono sempre più<br />
sorpreso dal numero di cose che sai, e che io non ti ho mai detto.»<br />
«Shelagh mi ha detto tutto di te. So tutto quello che c'è da<br />
sapere.» Si alzò e venne verso di me, sistemandosi <strong>sul</strong>le mie ginocchia<br />
e mettendomi le braccia attorno al collo. Mosse il sedere di qua e di<br />
là finché non fu comoda. <strong>Il</strong> braciere illuminava debolmente la<br />
stanza. Tressa appoggiò la mia testa al suo petto e mi sussurrò in un<br />
orecchio: «Caio Merlino Britannico, lo sai». Fece una pausa: la voce<br />
era rauca e il suo caldo respiro mi sfiorava l'orecchio. «Lo sai che ti<br />
amo, vero?» Attese una risposta, e io annuii senza parlare. «Be', devi<br />
sapere anche che io credo in te, credo nel tuo talento, o dono, o<br />
come lo vuoi chiamare, quello che tu pensi sia una sorta di
maledizione. Credo che tu abbia il dono della profezia, o meglio,<br />
come le ha chiamate Lucano? Premonizioni. Si dice così?» Aspettò<br />
nuovamente, e io annuii di nuovo. «Bene. Io credo che tu abbia<br />
visto Rufio, ferito, forse morto - gli dèi non vogliano - in un posto<br />
dove non lo avete ancora cercato. Perciò domani manderai le<br />
pattuglie dove avevi deciso di mandarle, ma tu e i tuoi uomini più<br />
fidati andrete giù lungo la parete di roccia, <strong>sul</strong> fondo della valle.»<br />
Mi prese una mano tra le sue. «Per quanto riguarda la faccia di<br />
Ironhair, questa è una cosa che né tu né io possiamo comprendere.<br />
Shelagh mi ha detto che a volte non capisci il significato di tutto ciò<br />
che vedi. È vero?»<br />
«Sì, anche troppo spesso.»<br />
«Allora questa è una di quelle volte, amore mio. Accettalo, ma<br />
ricorda bene quello che hai visto, la faccia di Ironhair dove la<br />
semplice ragione ci dice che non poteva trovarsi. Un giorno o l'altro<br />
ne comprenderai il significato e quando accadrà, saprai cosa fare.<br />
Prima però devi trovare Rufio. Ci andrai?»<br />
«Sì. Prenderò Donuil e Dedalo. Lucano è troppo anziano per una<br />
ricerca in quei luoghi. Filippo, Falvo e Benedetto dovrebbero stare<br />
con gli altri, ma sono gli amici più cari di Rufio.»<br />
«Allora porta anche loro. Hanno sottufficiali che possono<br />
comandare i loro soldati. E Shelagh verrà con te di sicuro, perché<br />
anche lei considera Rufio uno dei suoi uomini. Prendi anche i<br />
quattro ragazzi. Uno di voi lo troverà.»<br />
«E sia.» La tirai a me e la baciai a lungo, trasportato dal sollievo,<br />
dalla determinazione e dal crescente desiderio. Tornammo a letto,<br />
impazienti.<br />
Fu Shelagh, in effetti, a trovarlo. E lo trovò esattamente nel luogo<br />
e nella posizione in cui lo avevo sognato, su un dosso ai piedi di un<br />
burrone, all'estremità più lontana del fondo della valle, in una zona<br />
dove non mi sarebbe mai nemmeno venuto in mente di cercarlo. Per<br />
un colpo di fortuna in più, Shelagh era accompagnata da Lucano,<br />
che si era rifiutato di restare al forte, sostenendo, a ragione, che se<br />
Rufio era vivo avrebbe avuto bisogno delle sue cure per rimanerlo.<br />
L'orecchio acuto di Artù, che cercava con me, afferrò le urla di
Dedalo, a centinaia di passi da noi.<br />
Riconobbi immediatamente lo spiazzo.<br />
Shelagh e Lucano erano accovacciati accanto a Rufio, e<br />
lavoravano veloci e concentrati. Dedalo era in piedi vicino a loro, il<br />
volto contratto dall'ansia e dalla rabbia. Accanto a lui Gwin e Ghilly<br />
fissavano, inorriditi e affascinati, la chirurgia d'emergenza praticata<br />
<strong>sul</strong> povero Rufio.<br />
«Come sta?» chiesi urlando da lontano ancor prima di<br />
raggiungerli.<br />
«È vivo, ma per un pelo» rispose Ded.<br />
Ordinai ai ragazzi di aspettarmi più indietro e mi avvicinai a<br />
Rufio. Bianco e nero. <strong>Il</strong> pensiero mi colpì senza preavviso, mentre<br />
riaffiorava il ricordo della scena dopo l'ultima battaglia di Uther.<br />
Come allora, il bianco era il pallore della pelle dei morti e il nero il<br />
sangue rappreso dappertutto. Rufio, malgrado le parole di Dedalo,<br />
sembrava morto.<br />
Lucano aveva già tagliato via l'armatura di cuoio e i vestiti che<br />
indossava, esponendo le spaventose ferite che avevano lacerato il<br />
corpo così pallido del nostro amico. Avevo pensato a un incidente,<br />
non avevo escluso nemmeno la possibilità di un agguato, ma niente<br />
mi aveva preparato alla vista delle ferite di Rufio. Era stato<br />
squarciato in più punti da graffi paralleli, profondi tre o quattro dita,<br />
e la sua faccia era quasi invisibile per lo strato di sangue rappreso e<br />
di capelli, che la rendevano simile a un cranio nero e lucidato.<br />
«Mio Dio, ma cosa ha?»<br />
«È stato un orso. Guarda lì.» Ded fece un cenno verso qualcosa<br />
che giaceva <strong>sul</strong>l'erba, non lontano dai miei piedi.<br />
Abbassai lo sguardo e vidi una zampa di orso nera, enorme,<br />
troncata di netto all'altezza di quello che in un essere umano sarebbe<br />
stato il polso.<br />
Aveva gli artigli lunghi come le mie dita.<br />
Incredulo, la bocca involontariamente spalancata, guardai Rufio e<br />
poi di nuovo la zampa. Dedalo mi lesse nel pensiero.<br />
«Sì, Rufio doveva aver portato con sé una delle due spade. Non
conosco nessun'altra arma capace di fare una cosa simile.»<br />
Mi guardai subito intorno, ma non vidi niente. «E dov'è, allora, la<br />
spada?»<br />
«Conficcata nella belva, scommetto. Non vedo in quale altro<br />
modo spiegare perché non sia rimasta qui a mangiarsi Rufio.»<br />
Inspirai profondamente, tentando di calmare il mio stomaco e la<br />
mia mente. Dedalo aveva ragione. Una volta persa la zampa, l'orso<br />
sarebbe stato abbastanza inferocito da non lasciare che brandelli di<br />
Rufio. Solo una ferita ancora più grave e più dolorosa avrebbe<br />
potuto farlo fuggire senza uccidere l'uomo.<br />
Udii la voce di Lucano, come in lontananza, dare istruzioni per la<br />
costruzione di una barella, ma la mia mente era ormai presa da<br />
un'altra emergenza.<br />
«Dobbiamo trovarla» dissi.<br />
«Che cosa, la spada o la belva?»<br />
«Tutt'e due. La prima ci serve, la seconda ci serve morta.»<br />
«Sì, questo è vero, ma non ho intenzione di inseguire quel mostro<br />
ferito senza almeno venti lance intorno a me.»<br />
«Dovrebbe essere già morto, a quest'ora.»<br />
«Sì, anche Rufio, eppure lui - sia lode a Dio - è vivo.»<br />
«Hai ragione.» Mi voltai verso i ragazzi. «Artù, prendi il giovane<br />
Ghilly con te e corri a cercare la pattuglia di perlustrazione più<br />
vicina. Dirai loro che abbiamo trovato Rufio, e che ci serve aiuto per<br />
eliminare un orso, un grosso orso. Ci servono uomini armati di<br />
lance, almeno una ventina. E di' loro di mandare qualcuno al forte,<br />
per far rientrare le altre pattuglie e per allertare l'infermeria<br />
dell'arrivo del ferito. Devono preparare grandi quantità di acqua<br />
bollente, Lucano ha sempre bisogno di acqua bollente. Ora vai,<br />
svelto, e porta qui quelli che troverai. E stai attento a come ti muovi!<br />
Non sappiamo dove si trovi quell'orso. Se lo vedi, o lo senti, stanne<br />
ben lontano. Va'!»<br />
Poco dopo, Dedalo e io guardammo partire anche il gruppo con<br />
la barella, e avemmo modo di ammirare il sistema che Lucano aveva<br />
escogitato, passando una cinghia sotto la barella con una quantità di
gioco sufficiente per assorbire il contraccolpo anche se uno dei<br />
quattro barellieri - Donuil, Filippo, Falvo e Benedetto - fosse<br />
scivolato durante la pericolosa discesa dalla scarpata. Quando se ne<br />
furono andati, Ded e io ci accingemmo a seguire le tracce di sangue<br />
lasciate dall'orso.<br />
Dalla scia di distruzione che la bestia aveva lasciato dietro di sé,<br />
capimmo che si era lanciata in una folle corsa dentro la foresta<br />
circostante, accecata dalla furia e dal dolore. Non ci allontanammo<br />
più di venti passi dallo spiazzo, poi tornammo ad aspettare gli altri,<br />
guardandoci intorno nervosamente, in silenzio, per più di un'ora. Mi<br />
ritrovai a fissare gli alberi spruzzati di sangue, cercando quello dietro<br />
al quale avevo visto comparire il volto di Ironhair, ma non lo<br />
riconobbi.<br />
«Che c'entra Ironhair?»<br />
«Chi?»<br />
«Ironhair. Hai appena pronunciato il suo nome.»<br />
Non mi ero accorto di aver parlato. «L'ho sognato ieri notte. Ho<br />
visto anche lui, qui.»<br />
Ded si voltò lentamente e mi fissò. «Ironhair era qui, nel tuo<br />
sogno? Insieme a Rufio? Dici <strong>sul</strong> serio?»<br />
Scrollai le spalle. «No, non con Rufio. Più indietro, in mezzo agli<br />
alberi. Ma era solo un pezzo del sogno, Ded, un pezzo senza senso,<br />
come lo sono spesso i sogni.»<br />
«Hmm.» Per un bel po', sembrò non voler dire più di quel<br />
grugnito, poi però aggiunse: «Io non ne so gran che di questo tuo<br />
potere, Merlino, ma a me sembra che se così tante parti dei tuoi<br />
sogni sono potenti, è probabile che nessuna parte sia mai del tutto<br />
priva di senso. Se tu hai sognato che Ironhair era qui, allora in<br />
qualche modo doveva trovarsi qui».<br />
«Tressa la pensa come te. Dice che il significato di quella parte mi<br />
diverrà chiaro, un giorno.»<br />
«Cos'è stato?»<br />
Inclinai la testa, invidiando per la centesima volta l'incredibile<br />
udito di Dedalo. «Io non ho sentito niente.»
«Io sì. Eccolo di nuovo. Sono loro, finalmente.»<br />
Infatti, dopo qualche istante, vedemmo arrivare Filippo con una<br />
quarantina di fanti.<br />
Li dividemmo in gruppi di sei uomini e ci addentrammo nella<br />
foresta in una formazione a ventaglio, di qua e di là della scia<br />
lasciata dall'orso. Ci estendevamo in ampiezza almeno per cento<br />
passi, anche se la natura selvaggia di quel fianco del burrone<br />
impediva ai gruppi di procedere di pari passo.<br />
«Cos'è quello?» Filippo aveva visto qualcosa, e mi girai subito a<br />
guardare dove stava indicando. Vidi un balenare di metallo in un<br />
grosso cespuglio che l'orso aveva attraversato correndo, e la spada fu<br />
subito di nuovo nelle nostre mani. L'elsa doveva essersi impigliata<br />
nel cespuglio, e la spada si era sfilata dal corpo della belva.<br />
«Dev'essere morto per forza» borbottò Filippo. «Non può aver<br />
perso tutto questo sangue ed essere ancora vivo. Guarda, dopo il<br />
cespuglio perdeva molto più sangue. La spada deve avergli lacerato<br />
la ferita nell'uscire dal corpo.» Mi guardò. «Non sei d'accordo?»<br />
Annuii. Filippo lanciò un grido ai suoi uomini.<br />
«State all'erta da qui in avanti! La bestia è qui vicino. Logica vuole<br />
che sia morta, ma finché non l'avremo scuoiata, non date nulla per<br />
scontato!»<br />
Lo trovammo meno di cinquanta passi più su, ed era morto da<br />
tempo. Era enorme, con una gobba <strong>sul</strong>la schiena, grosso almeno<br />
quanto quello che avevo affrontato davanti al fortino di Athol, in<br />
Eire. Ed era vecchio. Aveva perso un occhio in un combattimento e<br />
portava decine di altre cicatrici. <strong>Il</strong> pelo era argentato in più punti,<br />
solo le tre zampe rimaste erano ancora nere. Lo fissai a lungo,<br />
circondato dai commenti esterrefatti dei soldati che si avvicinavano a<br />
turno, per vedere il mostro da vicino.<br />
Constatammo che era morto da troppo tempo perché valesse la<br />
pena scuoiarlo. <strong>Il</strong> pelo sarebbe venuto via subito, dato che non era<br />
stato trattato immediatamente dopo la morte, e così decidemmo di<br />
lasciare lì la carcassa e tornare allo spiazzo dove avevamo legato i<br />
cavalli. Durante il tragitto, tutti parlavano di Rufio e delle sue<br />
possibilità di farcela, ma i miei pensieri erano fissi su Ironhair, e su
come quel vecchio orso canuto potesse in qualche modo<br />
rappresentarlo.<br />
L'ultimo, e forse il più sorprendente, degli incidenti dell'Autunno<br />
delle Belve avvenne il giorno successivo. Persino oggi, se ci ripenso,<br />
come ho fatto spesso negli anni trascorsi da allora, il ricordo mi<br />
riempie di meraviglia e di soggezione quasi religiose.<br />
L'estate precedente, avevamo cominciato a estrarre la friabile<br />
pietra locale da una cava scoperta <strong>sul</strong> fianco di una collina, sopra e<br />
dietro il forte. Usavamo le pietre per riparare parti del forte che<br />
erano rimaste cadenti ma che, essendo dentro le mura, non ci era<br />
mai sembrato urgente ripristinare. <strong>Il</strong> vero motivo di quel progetto<br />
era molto semplice: gli uomini addestrati alla guerra e lasciati<br />
inattivi, con le mani in mano, si annoiano ben presto e divengono<br />
difficili da governare. <strong>Il</strong> lavoro pesante nella cava li teneva lontano<br />
dai guai e in buona forma fisica. Ho il sospetto che fosse stato<br />
quello, secoli prima, il vero motivo anche della costruzione del<br />
grande Vallo di Adriano, che attraversa il nord della Britannia da<br />
una costa all'altra.<br />
<strong>Il</strong> giorno in cui avvennero i fatti che sto per narrare, ero salito alla<br />
cava con Benedetto e Filippo, un po' per verificarne le condizioni e<br />
un po' per tenere alto il morale dei nostri uomini con un<br />
interessamento diretto a quello che stavano facendo. Era una<br />
giornata cristallina e bellissima, con quel primo morso di gelo<br />
nell'aria assolata che arriva a un certo punto dell'autunno.<br />
Parlavamo delle condizioni di Rufio. L'eccezionale bravura di<br />
Lucano ci dava motivo di sperare che il nostro amico sarebbe<br />
sopravvissuto a ferite che avrebbero ucciso qualsiasi uomo, anche<br />
forte come lui. Nessuno se la sentiva di affermarlo con certezza,<br />
però, e l'intera vicenda ci sembrava avere qualcosa di miracoloso. La<br />
spalla e il braccio destro erano stati maciullati dagli artigli della<br />
belva, in certi punti i muscoli erano stati staccati dalle ossa, mentre<br />
<strong>sul</strong>la spalla sinistra c'erano quattro fori spaventosi, due davanti e due<br />
dietro, dove l'orso aveva tentato di staccargli un braccio con un<br />
morso. Le costole erano acciaccate e il femore destro spaccato di<br />
netto, ma il cranio sembrava intatto. Lucano era sicuro che Rufio ce
l'avrebbe fatta, anche se probabilmente non avrebbe mai più<br />
brandito una spada.<br />
Benedetto e io ci allontanammo da Filippo e dagli uomini che<br />
lavoravano nella cava, avventurandoci cautamente <strong>sul</strong>la pietraia<br />
scoscesa. Non avevamo ancora attraversato l'intera larghezza della<br />
cava. La faccia esposta dello spacco nella montagna - la macchia<br />
biancastra che, essendo visibile dal forte, ci aveva fatto salire fin qui<br />
a cercare pietra - era <strong>sul</strong>la nostra sinistra, e la bassa erba di montagna<br />
ricominciava una ventina di passi più in basso rispetto a dove<br />
eravamo arrivati. D'un tratto Benedetto si fermò, e mi posò una<br />
mano <strong>sul</strong> petto per fermare anche me.<br />
«Ehi, guarda laggiù» disse.<br />
Mi girai a guardare dove aveva accennato e lì per lì, finché un<br />
allarme interiore non mi fece battere forte il cuore in petto, non<br />
riuscii a capire ciò che vedevo. Quello che accadde poi fu molto<br />
veloce ma ogni volta che ci ripenso, l'azione, nei miei ricordi, è<br />
stranamente rallentata, e tutto sembra accadere con dei tempi<br />
lunghissimi. C'era un animale, una piccola volpe, che trotterellava su<br />
per la collina venendo dritta verso di noi, la lingua penzoloni fuori<br />
dalla bocca.<br />
Io pensai che non ci avesse visto, giacché le volpi meritano<br />
sicuramente la loro fama di bestie molto intelligenti, e uno dei modi<br />
in cui lo dimostrano è il fatto che si guardano bene dall'avvicinare<br />
l'uomo. Ma cambiai subito idea, perché l'animale guardava dritto<br />
verso di noi.<br />
«Strana volpe, vero? Sembra addomesticata...»<br />
Le parole di Benedetto mi gelarono il sangue. Guardai meglio<br />
l'animale, che aveva già coperto metà della distanza che lo separava<br />
da noi, e mi accorsi che dalle fauci aperte colava uno spesso rivolo di<br />
saliva.<br />
Poi sentii il ringhio costante che emetteva.<br />
«No, Ben, non è addomesticata, è impazzita: è rabbiosa! Ci sta<br />
attaccando e se morde uno di noi, è la morte certa! Svelto, su per la<br />
collina. Muoviti!»<br />
Benedetto esitò per un istante, lo sguardo <strong>sul</strong>la volpe e la mano
<strong>sul</strong>la corta spada alla sua cinta. Gli afferrai un braccio mentre gli<br />
passavo accanto, trascinandolo verso l'alto.<br />
«Arrampicati, maledizione! Non estrarla, ti serviranno entrambe le<br />
mani per salire più in fretta!»<br />
Quando lo vidi salire spedito, mi voltai e tentai di tirare qualche<br />
grossa pietra contro la volpe, che era ormai a meno di venti passi da<br />
me. Le evitò senza sforzo e continuò a salire. Ripresi la fuga,<br />
gridando a Benedetto: «Se ne avrà la forza, si arrampicherà anche lei.<br />
Sii pronto ad ucciderla quando arriva in cima. Non tentare di<br />
pugnalarla, mozzala in due!».<br />
Lo strapiombo che incominciammo a risalire era alto forse una<br />
quindicina di passi in quel punto, e non era troppo difficile da<br />
scalare, né per noi né per la volpe.<br />
«Quella figlia di puttana ci segue ancora!» disse Benedetto,<br />
ansimando.<br />
«Lasciala venire! Pensa a salire» risposi, anch'io con il fiato corto.<br />
Poi afferrai una sporgenza di roccia, che si staccò nella mia mano<br />
nel momento stesso in cui vi caricai la maggior parte del peso. Seppi<br />
subito, istintivamente, che stavo per cadere, e che l'animale<br />
contagiato dalla rabbia era direttamente sotto di me. Per un lungo<br />
momento rimasi aggrappato alla pietraia con la sola forza della<br />
disperazione, poi un piede perse l'appoggio. Riuscii in qualche modo<br />
a girarmi subito, in modo da scivolare lungo la pietraia <strong>sul</strong>la schiena:<br />
una caduta dolorosa ma che, perlomeno mi permetteva di vedere<br />
dove sarei andato a finire.<br />
Non feci a tempo e girarmi che la volpe mi comparve davanti agli<br />
occhi, le fauci aperte e un cordone di saliva che scendeva ad<br />
avviluppare il mio braccio. Ritirai istintivamente il braccio e sentii il<br />
colpo delle mascelle della bestia che si chiudevano a vuoto, mentre<br />
con una gamba scalciavo via le sue zampe posteriori dal loro<br />
appoggio, così che rotolammo giù insieme, anch'essa incapace di<br />
frenare la caduta.<br />
Riuscii ad atterrare in piedi in fondo alla scarpata, pieno di graffi e<br />
lividi, e trovai la forza di buttarmi in avanti in un tuffo a ruzzoloni,<br />
come quelli che si fanno per evitare il colpo di un'arma che non si
può più parare. In un attimo ero di nuovo in piedi e correvo<br />
all'impazzata, guardandomi dietro le spalle. La volpe mi era già alle<br />
calcagna. Udii vagamente delle voci concitate sopra di me mentre<br />
facevo una decina di lunghi passi, quasi dei salti. Poi inciampai su<br />
una pietra sporgente e volai a terra violentemente. Mi girai, un po'<br />
rintronato, e mi sollevai su un gomito, appoggiato alla schiena,<br />
rassegnato ad affrontare il mio destino.<br />
La volpe aveva già spiccato il balzo verso la mia gola, i denti<br />
giallastri scoperti, quando un'ombra passò sopra di me. Ci fu un<br />
forte tonfo di corpi in collisione, come il rumore di un pugno su un<br />
corpo nudo, poi un'aquila enorme comparve, sospesa a mezz'aria<br />
davanti ai miei occhi, il corpo della volpe stretto nei possenti artigli.<br />
Per un attimo rimase lì ferma, le ali che sbattevano lentamente<br />
con le punte che quasi sfioravano il terreno. Tre, quattro colpi d'ala,<br />
quindi uccello e preda iniziarono a sollevarsi nell'aria. L'aquila<br />
sembrò gettarmi uno sguardo e poi si allontanò, colpo dopo colpo,<br />
verso le cime degli alberi. Mi tirai su in ginocchio, ansimando, e poi<br />
in piedi, senza mai smettere di seguire con lo sguardo i colpi di<br />
quelle ali.<br />
La mia salvezza, la maestosa magnificenza dell'aquila, il miracolo<br />
del suo intervento, tutto contribuì a paralizzarmi come sotto l'effetto<br />
di un incantesimo, e rimasi lì per vari minuti, seguendo i cerchi<br />
sempre più grandi che l'uccello tracciava nel cielo, fino a divenire<br />
piccolo come un passero. Poi l'aquila lasciò cadere la volpe, e io<br />
guardai l'animale precipitare a terra fino a quando lo sentii<br />
schiantarsi <strong>sul</strong>le rocce dietro di me. L'aquila era ormai un puntino che<br />
si allontanava nel cielo.<br />
Che cosa aveva portato lì quell'aquila proprio in quel momento?<br />
Forse Dio sorveglia davvero le vite di ogni singolo essere umano,<br />
come insegna la Chiesa. Quell'aquila era stata mandata per salvare<br />
me? La parte sana e razionale di me rifiutava quel pensiero, ma non<br />
potei fare a meno di chiedermi se ero stato salvato da morte certa<br />
per poter compiere la mia missione.<br />
L'arrivo degli altri interruppe quel mio stato trasognato. Erano<br />
pieni di meraviglia quanto me per ciò che avevano appena visto e io<br />
non dissi nulla, rimuginando queste cose nel mio cuore.
Quella sera, quando eravamo tutti all'assemblea generale prima<br />
della cena, seduti intorno al fuoco davanti alla porta del forte,<br />
Shelagh e Donuil vennero dove ero seduto con un braccio attorno<br />
alla vita di Tressa.<br />
«È una splendida serata, Cay. Vi va di fare due passi?»<br />
Tressa era già in piedi e si aggiustava lo scialle <strong>sul</strong>le spalle. Mi fu<br />
subito chiaro che avevano qualcosa da dirmi, che non volevano<br />
fosse udito da altri. Annuii in silenzio e mi alzai in piedi.<br />
Camminammo per un pezzo lungo le mura, le donne che<br />
chiacchieravano animatamente davanti mentre Donuil e io le<br />
seguivamo in silenzio. Quando fummo abbastanza lontani, Shelagh<br />
venne a infilare il suo braccio sotto il mio.<br />
«Allora, cosa riguarda questa storia?» le chiesi.<br />
Sorrise sorniona. «I sogni, Caio. Cos'altro?»<br />
«Vai avanti.» Shelagh si fece correre la lingua sui denti, spingendo<br />
in fuori più volte le labbra, come se pensasse da dove cominciare.<br />
«Ricordi il primo sogno che tentammo di interpretare insieme?»<br />
Annuii. «Certo. Eravamo in Eire, e fu la prima notte che ci<br />
conoscemmo, quando tuo padre e gli altri se ne andarono alla<br />
ricerca di quel tale, quel Rud, che era scomparso nella foresta.»<br />
In quell'occasione Shelagh aveva avuto paura che avrei tradito il<br />
suo segreto - cioè che anche lei "soffriva" di sogni premonitori - e che<br />
la sua gente l'avrebbe ripudiata, additandola come una strega. Non<br />
era stato facile convincerla che il suo segreto era al sicuro con me,<br />
ma quando ci fui riuscito mi raccontò il suo sogno, senza omettere<br />
nessun particolare.<br />
Aveva sognato un orso, un cinghiale e un drago che facevano<br />
battaglia. Solo l'orso era sopravvissuto. Poi l'orso cavalcò in piedi su<br />
un toro bianco e incontrò un altro orso, e i tre si batterono al centro<br />
di un cerchio di lupi. Quando il primo orso fu gravemente ferito e<br />
sembrò <strong>sul</strong> punto di soccombere, una grande aquila entrò in scena su<br />
un raggio di luce e attaccò i lupi, disperdendoli. Uccise il gigantesco<br />
capobranco e gli strappò il pelo, rivelando le sottostanti rosse scaglie
di un drago. Infine Shelagh aveva visto me, che guardavo la scena<br />
dall'ombra <strong>sul</strong>lo sfondo. Aveva visto il drago rosso riprodotto <strong>sul</strong><br />
mio petto, e l'aquila venire a posarsi <strong>sul</strong>la mia spalla.<br />
Narrai tutto questo a Shelagh, senza tralasciare nulla. Seguì un<br />
lungo silenzio.<br />
«Hmm» disse infine lei. «La tua memoria è incredibilmente precisa,<br />
dopo dieci anni.»<br />
La contraddissi con un sorriso. «Non dovrebbe sorprenderti. Eri la<br />
sola persona che avessi mai incontrato che faceva sogni come i miei,<br />
e per giunta io stesso comparivo nel tuo sogno. Certo che mi ricordo<br />
ogni minimo dettaglio. Ma perché me ne parli adesso?»<br />
Questa volta l'avevo davvero sorpresa. «E me lo chiedi? È mai<br />
possibile che tu non veda alcun nesso tra quel sogno e quello che è<br />
successo oggi?»<br />
Mi sforzai di non sembrare sarcastico. Non volevo ferire i suoi<br />
sentimenti, visto che in tutta sincerità, persino in quel momento,<br />
quel nesso non lo vedevo. L'aquila nel suo sogno aveva ucciso un<br />
lupo gigantesco, la mia aveva ucciso solo una piccola volpe.<br />
«Mi sembra di capire che tu invece lo vedi» dissi infine.<br />
«Certo che lo vedo, e dovresti vederlo anche tu. Ma c'è un altro<br />
motivo. Devi sapere che ho rifatto quel sogno, due notti fa, e questa<br />
volta era cambiato.»<br />
Aggrottai la fronte, chiedendomi dove mi volesse portare con<br />
quei discorsi. <strong>Il</strong> romano razionale e civilizzato - la parte cinica e<br />
incredula di me, così riluttante a riconoscere l'esistenza di una<br />
potenza sovrannaturale dei sogni - combatteva quella che<br />
considerava la parte celtica, superstiziosa e pericolosamente<br />
credulona. Ma sentendo l'intensità della sua voce, decisi di<br />
assecondarla.<br />
«Cambiato? In che modo?»<br />
Fece una pausa, guardandomi, poi continuò. «Quel sogno fu<br />
molto importante per me, Cay. Era troppo simbolico, per essere<br />
ignorato. Negli anni che sono trascorsi da allora, sono sicura di aver<br />
capito alcune delle cose che profetizzava.»
«Ah sì? Io non ne ho mai decifrato nessuna parte, se non le cose<br />
che sarebbero ovvie a chicchessia. Ma non è che ci abbia pensato<br />
così spesso, lo confesso...»<br />
Inclinò il capo. «Le cose ovvie? E quali sarebbero?»<br />
«Be', la cosa più ovvia ero io. L'orso è il mio emblema, l'emblema<br />
di Camelot, se vuoi, così come il drago era l'emblema di Uther e<br />
della Cambria. Insieme, Camelot e la Cambria distruggevano Lot, il<br />
cinghiale di Cornovaglia. Fin qui, con il senno di poi, la cosa fu<br />
ovvia persino per me. Ma il cerchio di lupi e il loro capo gigantesco?<br />
Lì ti confesso che ho perso di vista il senso del sogno... e anche il<br />
toro bianco non significa nulla per me. O l'aquila, se è per questo, se<br />
non per il fatto che una volta simboleggiava le legioni di Roma, che<br />
se ne sono andate da molto tempo, per non tornare mai più.»<br />
Shelagh annuì, guardando Tressa e Donuil, che ci ascoltavano con<br />
grande attenzione. «Tra ieri e oggi, credo anche di aver compreso<br />
qualcosa di più di prima» disse poi.<br />
«Cosa, per esempio? Forza, dimmelo, ora che mi hai costretto ad<br />
ascoltarti.»<br />
«Be', credo di aver compreso a cosa alludono il toro bianco, e<br />
forse anche l'aquila.»<br />
Ripensai agli emblemi delle forze in campo in Britannia, schierate<br />
con me o contro di me, e improvvisamente compresi anch'io.<br />
«Ma certo! Come ho potuto non accorgermene? L'aquila è di<br />
Pendragon! <strong>Il</strong> loro capo, in guerra, indossa l'elmo sormontato<br />
dall'aquila! Ricordo Ullic Pendragon, il nonno di Uther, con l'aquila<br />
<strong>sul</strong>la testa.»<br />
«Sì, Caio, ma c'è di più. Parecchi dei guerrieri celti di Pendragon,<br />
come tutti i guerrieri dell'antico impero, sono seguaci della religione<br />
di Mitra, il cui simbolo è il Toro Bianco.»<br />
Stavo per obiettare, ma mi zittì con una mano alzata. «No,<br />
aspetta! So cosa vuoi dire, ma Mitra non era una divinità romana. I<br />
soldati romani lo veneravano, ma lui era già un dio quando Roma<br />
non esisteva ancora, ha avuto molti nomi in molte epoche e terre<br />
diverse, ma sempre il significato di quel nome è stato "il Toro<br />
Bianco".»
«Frena, Shelagh.» Non avevo nulla da ridire su ciò che aveva<br />
detto della religione di Mitra, ma nutrivo ancora dei seri dubbi.<br />
«Così mi confondi. Come può Pendragon essere rappresentato sia<br />
dall'aquila sia dal toro bianco, in uno stesso sogno?»<br />
«Non ho detto che lo fosse. Sei tu che sostieni l'identità dell'aquila<br />
con Pendragon. Ma non è incompatibile con la mia interpretazione,<br />
perché io penso che l'aquila sia Artù. Sta' a sentire in che modo è<br />
mutato il mio sogno. Anche questa volta l'orso e il drago<br />
combattono insieme e sconfiggono il cinghiale, ma solo l'orso<br />
sopravvive. Questo, come dici tu, è ovvio, giacché Uther e Lot sono<br />
morti entrambi. L'orso va poi, in groppa al toro bianco, a<br />
combattere un'altra bestia, qualcosa di simile a un orso, ma non è<br />
proprio un orso, è qualcosa di più spaventoso e selvaggio, come se<br />
un orso fosse stato incrociato con un lupo, o qualche altra belva<br />
tremenda. Era un...» Esitò, cercando una parola che non conosceva.<br />
«Una chimera» dissi io.<br />
«Una che?»<br />
«Una mostruosa creatura mitica, formata da parti diverse di belve<br />
diverse.»<br />
«Sì, allora era una... chimera.»<br />
«E cosa accadde quando si scontrarono queste creature?»<br />
Shelagh sollevò il mento e mi guardò negli occhi. «Si batterono<br />
nel cerchio di lupi, tra fiumi di sangue e quando fu finito, l'orso era<br />
gravemente ferito. Pensò di appartarsi per morire, ma<br />
improvvisamente calò l'oscurità e, come lanciata dalle spalle del toro<br />
bianco su un raggio di luce, giunse l'aquila a salvarlo, la chimera si<br />
ritirò, e i lupi furono sbaragliati.»<br />
Annuii, trattenendo l'impulso di sorridere quando mi accorsi<br />
dell'espressione rapita con cui Donuil seguiva i pronunciamenti<br />
profetici di sua moglie. Purtroppo, invece di sorridere, insinuai nella<br />
mia voce più ironia di quella che intendevo.<br />
«Così l'orso sopravvisse. Insomma vivrò...»<br />
Ma Shelagh non aveva sorrisi, né <strong>sul</strong> viso né nella voce. «No, Cay.<br />
L'orso non si riprese. Cadde morto. Eppure, alla fine del sogno, lo
vidi alzarsi di nuovo dalla propria forma inanimata. Un orso che<br />
giaceva morto e un altro, identico, che si alzava dal cadavere,<br />
integro e vivo, e si allontanava. E poi ecco di nuovo te, come<br />
nell'altro sogno, il drago <strong>sul</strong> petto e l'aquila <strong>sul</strong>la spalla, che ti<br />
allontani recedendo nell'ombra...»<br />
«Capisco» mormorai dopo qualche istante, anche se in realtà non<br />
capivo gran che. Qualunque fosse il significato che Shelagh si<br />
aspettava di sentirmi attribuire a quella visione, mi rimaneva oscuro.<br />
«Insomma mi stai dicendo che il tuo sogno farebbe di me una sorta<br />
di novello Gesù Cristo, che risorge dalla morte...»<br />
Scosse il capo, non in segno di diniego, ma per manifestare la<br />
propria ignoranza in proposito, e per un po' tacemmo tutti. Infine<br />
Donuil, pragmatico come sempre, disse che moriva di fame e che<br />
stavamo per mancare la cena. Shelagh mi guardò.<br />
«In ogni modo, questo è ciò che volevo dirti. <strong>Il</strong> mio sogno era<br />
diverso, la seconda volta, e anche se non capisco il significato dei<br />
cambiamenti sento, dentro di me, che sono importanti. E poi le<br />
coincidenze tra alcune parti del sogno e gli avvenimenti di oggi sono<br />
troppo evidenti per essere ignorate. <strong>Il</strong> tuo emblema è sempre stato<br />
l'orso. <strong>Il</strong> pericolo che hai corso oggi non veniva da lupi, ma veniva<br />
comunque da una creatura canina e rabbiosa, e l'aquila ti ha salvato<br />
la vita, distruggendo la creatura nel farlo. Non sono coincidenze,<br />
credimi, Cay.»<br />
«E allora cosa sono, Shelagh, magia?»<br />
Inclinò la testa e mi guardò di sbieco. «Forse. Chi siamo tu o io<br />
per saperlo?»<br />
«Non fa nulla» disse Tressa, che non aveva ancora aperto bocca.<br />
«Non importa cosa sia, magia o altro. Qualcosa è cambiato, e a me<br />
sembra chiaro che tu ne sei emerso vincitore, Cay, visto che l'aquila<br />
ti ha salvato la vita. Ciò che tutto questo significa diverrà chiaro col<br />
tempo.»<br />
«Tu quoque?» Le sorrisi. «E va bene. Accetterò le vostre parole,<br />
donne, e presterò attenzione agli avvertimenti del sogno. E seguirò<br />
anche il tuo consiglio Donuil, perché anch'io sto morendo di fame.<br />
Andiamo a cena.»
Sarebbero passati alcuni anni prima che io scoprissi che Horsa<br />
chiamava i suoi selvaggi danesi "Lupi di Mare", e che si vantava di<br />
essere il loro Re Lupo. Se quel giorno avessimo posseduto quella<br />
semplice informazione avremmo potuto facilmente interpretare la<br />
"chimera" del sogno di Shelagh. Ma se lo avessimo saputo allora,<br />
forse il terrore ci avrebbe impedito di seguire le scelte e i<br />
comportamenti che qualche potenza invisibile voleva che seguissimo.<br />
La settimana dopo l'episodio della volpe e dell'aquila cominciò a<br />
piovere, e per i quindici giorni che seguirono il nostro intero mondo<br />
fu grigio, bagnato e ammuffito. Grossi banchi di nebbia entravano<br />
nella valle e vi si spingevano come nuvole disperse che cercassero di<br />
ricongiungersi alle nuvole sopra le nostre teste.<br />
La nostra gente, per la prolungata assenza della luce del sole, finì<br />
per calare in una malinconia collettiva, vittima delle giornate sempre<br />
più grigie e corte e dell'oscurità sempre più precoce. Persino i cavalli,<br />
il bestiame e i maiali cercavano riparo dove potevano, troppo<br />
abbacchiati per cercare erba da mangiare. Ogni tanto udivamo<br />
lunghi tuoni srotolarsi in lontananza, ma sempre senza alcun lampo.<br />
Ci abituammo al silenzio ovattato che ci circondava, rotto soltanto<br />
dal picchiettare costante e dall'interminabile gocciolio della pioggia.<br />
Poi, nel pomeriggio del quindicesimo giorno, uscendo da uno<br />
degli edifici del forte, guardai in alto e intravidi un colore giallastro e<br />
luminoso nel cielo sopra le colline, a occidente. Mi appoggiai a uno<br />
stipite, non credendo ai miei occhi, con un gradevole brivido nel<br />
petto. Pensai di tornare dentro per annunciare agli altri la lieta<br />
novella, ma poi decisi di concedere anche a loro la gioia di scoprirlo<br />
da soli.<br />
<strong>Il</strong> breve periodo di giornate miti e soleggiate che seguì la pioggia<br />
fu l'ultimo colpo di coda dell'estate. Finite quelle, la temperatura<br />
crollò e le mattine si fecero rigide di gelo, che durava a volte quasi<br />
fino a mezzogiorno. Ben presto cominciò a cadere qualche fiocco di<br />
neve ogni tanto, e la gente si affrettò a terminare la cura delle carni<br />
salate ed essiccate, a sciogliere il grasso che ci sarebbe servito per<br />
cucinare e fare sapone e ad ammassare la legna e le provviste per i<br />
lunghi mesi dell'inverno.
Poco dopo l'inizio delle nevicate, giunse il tempo dei Saturnalia<br />
romani, la settimana del 25 dicembre. Solo Lucano, io e pochi altri a<br />
Mediobogdum sapevamo che l'imperatore Costantino, meno di<br />
cent'anni prima, aveva trasformato l'antica festa dei Saturnalia<br />
romani nella data provata della nascita di Cristo. Nessuno lo aveva<br />
contraddetto - pare non fosse cosa saggia - e anche se la coincidenza<br />
parve a tutti un po' forzata, la cristianità strappò quella data ai riti<br />
dei pagani, la cristianizzò e la santificò, rendendola rispettabile quasi<br />
da un giorno all'altro. Ma per i più anziani e per quelli che<br />
ricordavano le celebrazioni pagane in tutto l'Impero, il mese di<br />
dicembre rimase il mese dei Saturnalia, quando tutti celebravano il<br />
superamento del giorno più corto dell'anno, il completamento delle<br />
preparazioni per l'inverno e la certezza di poterlo affrontare senza<br />
paura.<br />
I nostri Saturnalia di quell'inverno furono allietati dalla piacevole<br />
sorpresa di una missione di sei uomini da Camelot che recavano<br />
lettere da casa, per me e per molti degli altri. Erano scesi dal passo<br />
nelle prime ore della prima vera bufera di neve di quell'inverno, e in<br />
seguito avevano espresso la loro gratitudine agli dèi per aver<br />
compiuto l'intero viaggio, così tardi nell'anno, senza guai seri. <strong>Il</strong> fatto<br />
stesso che fossero arrivati in quel momento mi fece capire che mio<br />
fratello doveva avere cose urgenti, forse gravi, da comunicarmi e mi<br />
assentai immediatamente per leggere la sua missiva. Era lunga, e la<br />
lessi con preoccupazione crescente, notando con perplessità che non<br />
c'era un saluto iniziale che riportasse il mio nome.<br />
«Fratello,<br />
Spero che questa mia ti trovi in buona salute, anche se temo che<br />
leggerla non contribuirà alla tua serenità, dovendo essa riflettere le<br />
mie preoccupazioni attuali. So già che il suo arrivo così avanti<br />
nell'anno avrà già suscitato in te cattivi pensieri e la paura che non<br />
tutto a Camelot vada come dovrebbe. Lascia che ti tranquillizzi<br />
subito a questo riguardo. Camelot sta bene. Qui tutto procede per il<br />
meglio.<br />
Altrove, però, le cose non vanno affatto bene e degenerano<br />
precipitosamente. È tardi, e ho poco tempo per scrivere anche
perché devo dormire almeno un poco e poi alzarmi prima dell'alba,<br />
per guidare una colonna dei nostri migliori cavalieri, a tappe forzate,<br />
fino alla fortezza di Dergyll ap Griffyd, in Cambria. Ci affretteremo,<br />
anche se in realtà sappiamo di partire troppo tardi.<br />
Dergyll è morto. <strong>Il</strong> come e il perché ti diverranno chiari nel<br />
proseguire la lettura. Peter Ironhair è ricomparso, dopo lunghi anni<br />
di silenzio. Poche, confuse notizie delle sue attività ci erano giunte<br />
qualche mese fa, poco prima della partenza del contingente<br />
autunnale verso il vostro rifugio.<br />
Devi sapere che ho preso le misure del caso appena ho sentito<br />
nuovamente parlare di Ironhair. Ho costretto il Consiglio ad<br />
approvare una nuova campagna di reclutamento, la più estesa da<br />
quando esiste Camelot. Ho chiesto un aumento delle nostre forze di<br />
duemila uomini, metà subito e metà entro un anno, la nostra<br />
capacità di armare e addestrare un simile numero di nuove truppe<br />
non è il problema, lo è invece trovare loro dove abitare e sfamarli,<br />
comprese le mille persone che si porterebbero dietro. Manderemo a<br />
<strong>Il</strong>chester quelli non del tutto privi di esperienza, anche se la<br />
guarnigione laggiù è già a corto di spazio e non osiamo far<br />
accampare nessuno fuori dalle mura. Ma dovremo reclutarli e<br />
sfamarli, non abbiamo scelta, e se fossimo attaccati tu sai quanto<br />
rapidamente persino quei grandi numeri si ridurrebbero. <strong>Il</strong> dilemma<br />
di Camelot sembra non cambiare mai, e le soluzioni di oggi fanno<br />
parte dei problemi di domani. Ma quello che volevo sottolineare è<br />
che le nostre forze saranno ormai vicine ai diecimila uomini.<br />
Nel frattempo, dopo l'arrivo di Benedetto da voi, mi è giunta la<br />
tua lettera che annuncia il vostro rientro subito dopo le nevi. Quella<br />
notizia, e soprattutto la determinazione nel tuo tono, mi hanno<br />
molto sollevato. Abbiamo bisogno di te, quaggiù. Cercherò di essere<br />
breve, perché le cose da dire sono molte.<br />
Sembra proprio che i tuoi sospetti su Owain delle Grotte fossero<br />
giustificati, giacché quest'ultimo è scomparso, e ci è giunta voce che<br />
abbia trovato un posto tra gli uomini di Ironhair in Cornovaglia.<br />
Temo che si sia accorto che lo avevo messo sotto sorveglianza e un<br />
giorno, più di un mese fa, è semplicemente uscito dalla porta<br />
principale e non è più stato visto, almeno non nei nostri
possedimenti. Non ho le prove che si trovi in Cornovaglia, ma dati i<br />
tuoi sospetti, le voci che giungono a riguardo paiono credibili.<br />
La Cornovaglia è nel caos da più di un anno ormai, lacerata dai<br />
capi-tribù agli ordini di Ironhair, il più disgustoso dei quali è quella<br />
creatura dissennata, Carthac. Ora sembra che le guerre laggiù siano<br />
finite, perché ogni oppositore della supremazia di Ironhair e Carthac<br />
è stato sottomesso oppure ucciso.<br />
Un mese fa, Carthac ha mandato una spedizione via mare dalla<br />
Cornovaglia alla Cambria, giungendo vicino alla vecchia città<br />
romana di Venta Silurum, chiamata Caerwent dai Celti del luogo. Da<br />
lì ha guidato attacchi feroci verso l'interno, bruciando e<br />
massacrando, ed è arrivato a minacciare il forte di Dergyll a Cardiff.<br />
Dergyll ha raccolto i suoi guerrieri e gli è andato incontro vicino<br />
al forte e nella battaglia si è trovato faccia a faccia con il suo parente,<br />
Carthac, venuto fin lì per trovarlo e ucciderlo. Ci è giunto il<br />
racconto, insieme a una disperata richiesta di aiuto, di come lo abbia<br />
fatto. In un assalto degno degli eroi dell'antichità, si è letteralmente<br />
aperto la strada, quasi solo, attraverso la guardia personale scelta di<br />
Dergyll e ha ucciso il re, decapitandolo, smembrandolo dopo averlo<br />
ucciso e infine togliendogli il cuore dal petto e mangiandolo davanti<br />
a tutti i suoi uomini.<br />
Come puoi immaginare, quella vista è stata troppo per i soldati di<br />
Cambria. Sono fuggiti dal campo di battaglia e si sono dispersi in<br />
tutte le direzioni, inseguiti dalle furie scatenate di Carthac. Cymbric,<br />
il primogenito di Dergyll, è riuscito a ricomporre una parte delle<br />
forze dopo un po', ma i sopravvissuti non ne volevano sapere di<br />
affrontare di nuovo l'invasore pazzo, che consideravano maledetto<br />
dai loro dèi e perciò immune da qualsiasi essere, umano o divino.<br />
Cymbric mi ha mandato una richiesta urgente di assistenza per<br />
riconquistare il reame di suo padre, e siccome si tratta, in realtà, del<br />
reame di Artù, ho deciso che non possiamo sottrarci alle nostre<br />
responsabilità. Inoltre, se proprio deve succedere che Ironhair e<br />
Carthac vengano sfidati da truppe di Camelot, e comincio a credere<br />
che sia inevitabile, preferisco almeno che accada lontano dalle nostre<br />
terre.<br />
Ma non è ancora tutto. Mi è giunta voce dall'estremità opposta
della Britannia che anche Hengist è morto di morte innaturale, in<br />
Northumbria, e anche quelle lande sono piombate nella guerra. Non<br />
ho ancora ricevuto notizie di Vortigern, cosi temo il peggio anche lì.<br />
Queste notizie dal nord mi preoccupano ancor più di quelle dalla<br />
Cornovaglia e dalla Cambria.<br />
<strong>Il</strong> nemico quaggiù lo conosciamo, ma nel nord-est potremmo<br />
trovarci davanti degli stranieri, diversi da noi nel linguaggio, negli usi<br />
e soprattutto, come tu sai, nel modo di combattere. Ho il timore che<br />
possano lanciarsi attraverso tutta la Britannia e giungere fino a noi.<br />
Perciò, caro fratello, non perdere tempo nel partire una volta che<br />
le nevi si saranno sciolte. Se Connor si rifacesse vivo prima della tua<br />
partenza, vieni a sud con le sue navi e lascia che i tuoi uomini<br />
seguano la via di terra. Abbiamo bisogno della tua presenza a<br />
Camelot. Qui tutto è come l'hai lasciato e continua a crescere e a<br />
prosperare, ma chi può sapere per quanto tempo ancora?<br />
Attendo con ansia di abbracciarti e rivedere il tuo sorriso.<br />
Dopo aver letto la lettera per la terza volta, chiamai una guardia<br />
e feci convocare Lucano, Donuil, Dedalo, Benedetto, Filippo e Falvo<br />
nella mia stanza. <strong>Il</strong> primo ad arrivare fu Lucano, come mi aspettavo,<br />
giacché l'infermeria era accanto ai miei quartieri e Rufio, che<br />
migliorava a vista d'occhio, era il suo unico paziente. Ma il Lucano<br />
che comparve <strong>sul</strong>la mia soglia non era quello che mi aspettavo di<br />
vedere. Era pallido e consunto, gli occhi cerchiati e iniettati di<br />
sangue. Si fermò appena entrato, incerto <strong>sul</strong>le gambe, e dovette<br />
allungare una mano <strong>sul</strong>lo stipite per tenersi dritto.<br />
Mi precipitai accanto a lui e gli presi un braccio, sconvolto dal suo<br />
aspetto, ma mi spinse via, borbottando che aveva solo preso un po'<br />
di freddo e che non era niente di serio. Lo accompagnai alla mia<br />
poltrona e gli versai un po' del vino che avevo preparato. Lo accettò<br />
e ne bevve un lungo sorso lentamente, posandolo poi con un<br />
sospiro <strong>sul</strong> tavolino che gli avevo subito avvicinato. Lo guardai<br />
attentamente, cercando di nascondere la mia preoccupazione,<br />
perché sapevo che qualsiasi mia attenzione lo avrebbe offeso.<br />
A.»
Lucano non aveva mai avuto pazienza per le proprie infermità e si<br />
rifiutava semplicemente di ammalarsi come chiunque altro.<br />
Sembrava trovare una sua malattia o debolezza un in<strong>sul</strong>to alle sue<br />
capacità di medico, ed era forse l'unica sua forma di vanità. Questa<br />
volta però era malato davvero, e non aveva neppure la forza di<br />
negarlo.<br />
Quando riprese in mano il calice di vino mi accorsi di come<br />
tremava la sua mano. Rimasi lì a mordermi l'interno di una guancia,<br />
pensando a come fare per occuparmi di lui senza sollevare le sue ire.<br />
Decisi che non appena fosse terminata la riunione, lo avrei affidato<br />
alle cure di Shelagh e Tressa, che avrebbero ignorato tranquillamente<br />
le sue lamentele e i suoi rimbrotti con la stessa naturalezza con cui<br />
ignoravano i miei o quelli di Donuil.<br />
Guardai la testa di Lucano sotto di me, vedendo per la prima<br />
volta il pallore del suo scalpo sotto i capelli radi. <strong>Il</strong> mio amico era<br />
invecchiato spaventosamente, e in un tempo molto breve. Era<br />
sempre stato una figura alta e dinoccolata, ma ora era smagrito fino<br />
a sembrare emaciato, e i suoi movimenti erano lenti ed esitanti. Lo<br />
informai che avrei mandato Shelagh e Tressa a trovarlo, per<br />
somministrargli qualche brodo medicinale caldo. Borbottò qualcosa<br />
ma non si oppose.<br />
Quando furono arrivati tutti, lessi loro la lettera di Ambrogio ad<br />
alta voce, chiedendo loro di dirmi cosa ne pensavano. Prima Dedalo<br />
mi chiese di rileggerla, cosa che feci, poi seguì un silenzio che sembrò<br />
confermare la mia impressione che Ambrogio avesse detto tutto ciò<br />
che c'era da dire.<br />
Poi però Filippo parlò.<br />
«Se Connor comparirà prima della partenza, seguirai il consiglio di<br />
tuo fratello e ti imbarcherai con lui?»<br />
«Sì, credo che sia un'idea ragionevole. Mi porterò via quelli che<br />
giunsero qui con me, e tu riporterai i tuoi lungo la strada. Se le cose<br />
stanno come dice Ambrogio, e potrebbero essere già peggiorate,<br />
prima saremo di nuovo a Camelot e meglio sarà per tutti, non sei<br />
d'accordo?»<br />
Filippo scosse il capo, perplesso. «Sì, certo. Pensavo solo a quello
che dice Ambrogio della spedizione di Carthac in Cambria. Potrebbe<br />
esserci una flotta di navi della Cornovaglia tra noi e la costa più<br />
vicina a Camelot, e allora la tua sicurezza dipenderebbe dal numero<br />
di navi di Connor. Non sappiamo quante navi abbia portato con sé<br />
Carthac, ma se sono bastate per trasportare un esercito, potrebbero<br />
bastare anche per darti fastidio mentre ti sposti verso sud. Potresti<br />
addirittura essere più sicuro <strong>sul</strong>le strade.»<br />
Guardai Dedalo, che annuì in segno di approvazione. Poi guardai<br />
Donuil.<br />
«Che ne pensi, Donuil?»<br />
«Che Filippo ha ragione, ma che finché non sapremo quante navi<br />
Connor avrà con sé non possiamo prendere alcuna decisione.<br />
Potrebbe anche non venire del tutto: è una perdita di tempo<br />
discuterne ora.»<br />
«Sì, hai ragione. Dovremo aspettare e vedere. Ma una cosa è<br />
cambiata, rispetto a prima. Ora abbiamo la certezza di dover<br />
affrontare una guerra, almeno su un fronte. Se anche la minaccia dal<br />
nord-est non si materializzasse, non ci sarà pace in Cambria finché<br />
Ironhair e Carthac non saranno stati eliminati. Voglio che<br />
quest'inverno a Mediobogdum venga passato a prepararsi alla<br />
guerra. Non mi interessa se la neve raggiunge i tetti, dovrete trovare<br />
un posto dove gli uomini si possano allenare e tenersi in forma per il<br />
combattimento. E questo vale anche per i quattro ragazzi.<br />
Potrebbero vedere la loro prima campagna prima della prossima<br />
estate. Voglio che l'addestramento proceda più velocemente e più<br />
intensamente, in ogni campo.»<br />
Annuirono tutti e aggiornammo la riunione.<br />
Non feci sogni che annunciassero la morte di Lucano, anche se la<br />
notte che Tressa mi svegliò in seguito all'allarme per la sua fuga,<br />
saltai su in preda a un terrore che avevo conosciuto solo in<br />
occasione delle mie visioni profetiche.<br />
Nei giorni e nelle settimane che seguirono quell'ultima riunione<br />
nella mia stanza, la salute di Lucano precipitò. La tosse lo squassava e<br />
aveva cominciato a sputare un po' di sangue ogni tanto, come se<br />
qualcosa si fosse smosso nelle profondità del suo corpo. La pelle
sembrava cadergli dalla carne, e divenne così magro che a volte<br />
sembrava di vedergli le ossa. Le febbri lo afferravano e lo lasciavano<br />
a intermittenza, facendolo sudare e delirare per notti intere.<br />
Sulle prime era abbastanza forte per mangiare da solo, e per<br />
qualche settimana fece anche un po' di scena, protestando per il<br />
fatto che Shelagh non lo faceva scendere dal letto, ma man mano<br />
che si faceva più debole e il tremito delle mani aumentava, sfamarlo<br />
divenne un compito per le donne o per qualsiasi altra persona<br />
passasse di là, e tutti lo facevano con grande amore e infinita<br />
pazienza. Infine anche mangiare in quel modo gli fu impossibile, e la<br />
sua dieta si ridusse a un po' di miele diluito nell'acqua, che succhiava<br />
da un pezzo di stoffa, come un gattino appena nato, e ci rendemmo<br />
conto che per il nostro coraggioso e meraviglioso Lucano la fine si<br />
avvicinava.<br />
Ero sconvolto dal dolore e rifiutai, per un tempo lunghissimo di<br />
accettare l'evidenza di quella morte imminente. Divenni così<br />
ossessionato dall'idea che Lucano dovesse sopravvivere da divenire<br />
inavvicinabile, aggredendo tutti quelli che mi sembravano troppo<br />
pessimisti. La gente cominciò a starmi lontano per non subire il mio<br />
umore intrattabile e solo Tressa e Shelagh mostravano una pazienza<br />
sovrumana nei confronti della mia disperazione, e furono loro a<br />
trasportarmi nel mio letto, la notte che Lucano se ne andò.<br />
Ero sveglio da tre giorni e tre notti - come lo erano anche loro,<br />
ma dandosi il cambio - passando il tempo seduto accanto al letto di<br />
Lucano. Quando Tressa mi scosse per svegliarmi, aveva gli occhi<br />
spiritati e invasi dal terrore, che mi contagiò in un istante. Lucano era<br />
fuggito, gridò, fuori nella neve, semi-nudo. Ricordo che mentre mi<br />
gettavo addosso qualcosa pensai che fosse stato rapito. Non sarebbe<br />
mai riuscito a camminare da solo, pensai. Shelagh era ormai sveglia,<br />
e il suo sguardo calmo e determinato mi infuse la forza che non<br />
provavo. La mandai a svegliare gli altri poi corsi fuori, seguito da<br />
Tressa, e mi misi a seguire le orme di Lucano nella neve.<br />
Le seguii per più di settanta passi, fino alla scalinata che portava<br />
<strong>sul</strong> parapetto, e lì lo trovai, raccolto dove era caduto lateralmente<br />
sui primi, scivolosi gradini innevati. Donuil e Benedetto, i primi ad<br />
arrivare, mi trovarono seguendo i miei ululati di pianto
incontrollato. Furono loro a riportare dentro quella leggera forma<br />
infagottata, nel calore inutile dell'infermeria, dove aveva passato così<br />
tante ore a curare i mali altrui.<br />
Ho visto e conosciuto molte, troppe morti nella mia lunga vita, e<br />
tutti coloro che ho amato se ne sono andati prima di me, ma una<br />
sola morte in tutti i miei anni ebbe un effetto su di me paragonabile<br />
a quello della tragica morte del mio più caro e più vecchio amico.<br />
Quando venne il momento di seppellirlo, avevo ormai<br />
riacquistato il controllo di me stesso e riuscii a condurre il rito<br />
funebre in modo quasi dignitoso. Salutai Lucano un'ultima volta,<br />
quella mattina, piangendo sopra il suo corpo mentre toccavo le sue<br />
mani gelide. Guardando le guance incavate e le ossa del suo cranio<br />
sporgere attraverso la pelle diafana, mi accorsi che il corpo davanti a<br />
me non conteneva più nulla del mio amico, dell'uomo la cui empatia<br />
aveva guarito migliaia di ferite e malattie. Quel cadavere non<br />
conteneva più nessuna traccia del viso sorridente e gentile. Dov'era<br />
andato quel calore umano, quella generosità, tutto a un tratto?<br />
Ricordo d'aver parlato a lungo al cadavere, ma non ho idea di cosa<br />
gli dissi.<br />
Lo seppellimmo <strong>sul</strong>la soglia della sua infermeria, e lo coprimmo<br />
con una semplice lapide di pietra della cava, incassata nel terreno, su<br />
cui il nostro tagliapietre aveva inciso un caduceo, il simbolo che<br />
amava così tanto e di cui andava così fiero, con sotto semplicemente<br />
il nome "LUCANUS".<br />
Mentre il tagliapietre rifiniva i bordi della lapide, vidi le lacrime<br />
che scorrevano lungo le guance di Artù, e posai una mano <strong>sul</strong>la sua<br />
spalla, portandolo via di lì. Camminò accanto a me per un po', poi si<br />
fermò e si girò a guardare la tomba. La neve tutt'intorno era stata<br />
ridotta a melma dai nostri piedi, ma nevicava ancora, e la pietra<br />
spiccava, scura contro il manto bianco.<br />
«È così brutto» disse il ragazzo, più a se stesso che a me.<br />
«Sì, ragazzo, lo è, non c'è dubbio» risposi, la voce bassa, sapendo<br />
che parlava della morte e non della lapide. «Ma è il destino di tutti<br />
noi. Ci arriviamo tutti, prima o poi.»
Si voltò verso di me, furibondo. «Perché, Merlino? Perché<br />
dobbiamo finire così?»<br />
Non possedevo nessuna buona risposta.<br />
«Perché dobbiamo andare nella tomba? È troppo... definitivo,<br />
troppo totale!»<br />
Lo guardai, perplesso. «Cosa vuoi dire, Artù? È inevitabile, lo sai.<br />
La tomba aspetta ogni uomo e ogni donna che nasce.»<br />
«E molti non meritano più di una tomba. Ma ce ne sono alcuni<br />
come Lucano che meriterebbero qualcosa di più. Ora lui è lì, in un<br />
buco nel terreno. Identificabile. Finito. Chiuso. Pietra sopra. Non c'è<br />
nessuna speranza che un giorno possa... ottenere...»<br />
«Ma come potrebbe, ragazzo mio?» chiesi con un sussurro.<br />
«Lucano è morto.»<br />
«Questo lo so, Merlino!» Stava quasi sputando fuori le parole, per<br />
la frustrazione di non riuscire a spiegare ciò che voleva dire. «Ma<br />
questo non vuol dire che sia giusto che la sua vita finisca in questo<br />
modo, così pubblicamente, definitivamente, proprio qui...» La voce<br />
gli si spense in gola e scosse il capo, gli occhi chiusi, i pugni stretti<br />
lungo i fianchi.<br />
«Non è la morte che mi fa infuriare, Merlino. È questo annuncio<br />
visibile che facciamo che tutto ciò che ha mai fatto Lucano - tutte le<br />
sue più belle imprese - sono finite qui, in una buca ben<br />
contrassegnata nel terreno. Non c'è bisogno di questo finale, se non<br />
il nostro bisogno di onorarlo. Ma il suo onore in realtà vive nei<br />
nostri cuori e nei nostri ricordi. Dovremmo erigere il suo santuario<br />
nella nostra mente, ma tenere nascosto agli occhi degli uomini il<br />
luogo in cui giace il suo corpo. In primavera noi non saremo più qui,<br />
e lui sarà qui da solo, dimenticato e abbandonato. Quando gli<br />
uomini passeranno di qui e vedranno la pietra, non sapranno chi<br />
fosse. Passeggeranno sopra il suo corpo, senza sapere niente di più<br />
del fatto che è morto e che ora marcisce qui sotto! Meglio sarebbe<br />
seppellirlo in un posto segreto, e senza alcuna indicazione. Almeno<br />
sarebbe al sicuro dalla volgarità degli sguardi degli stolti che passano,<br />
e lasciato solo a vivere nei nostri ricordi.»<br />
La mia bocca era spalancata per la sorpresa, ma non per
l'eloquenza del ragazzo, ma per ciò che aveva detto. Non avevo mai<br />
udito nessun uomo dire cose così giuste e così vere, così<br />
incontestabili e chiare, e la mia sorpresa davanti alla saggezza di Artù<br />
mi lasciò senza parole. Non c'era più nulla che potessi fare, a quel<br />
punto. Provai a immaginare la reazione degli altri se avessi divelto<br />
quella pietra, preparata con tanto amore per contrassegnare la<br />
tomba di Lucano. Per dissimulare la confusione che provavo, afferrai<br />
le spalle del ragazzo.<br />
«Ascoltami bene, Artù. Dove un uomo riposa dopo che è morto<br />
non è la cosa importante. La cosa importante è la sua vita e ciò che<br />
ne ha fatto. La vita di Lucano è stata esemplare. Credo che fosse il<br />
miglior uomo che ho mai conosciuto. In tutto ciò che faceva era un<br />
gigante fra gli uomini, la quintessenza dell'intelligenza, della<br />
compassione e del coraggio. Ha sempre difeso la nobiltà della gente<br />
comune. Se proverai a seguire il suo esempio solamente in questo,<br />
nel sapere chi sei e in che cosa credi, avrai vissuto una vita<br />
onorevole.» Artù mi ascoltava, serio e non del tutto convinto.<br />
«<strong>Il</strong> compito che Lucano si era assegnato era di essere un medico, il<br />
miglior medico che gli riusciva di essere, ed era fiero di quella scelta.<br />
Come dici tu giustamente, egli vivrà a lungo nella memoria di tutti<br />
quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo. Perciò accetta la sua<br />
morte, adesso, e vai a salutarlo un'ultima volta. Poi torna qui, e<br />
andremo a fare due passi. E dopo andremo a trovare Rufio, perché<br />
sarà deluso di non esser stato presente per l'ultimo saluto al suo<br />
vecchio amico.»<br />
Lo seguii con lo sguardo mentre tornava accanto alla tomba.<br />
Rimase lì per qualche momento con il capo chino. Mi avviai verso lo<br />
spiazzo delle parate; Artù mi raggiunse e camminò accanto a me. Gli<br />
parlai a lungo.<br />
«Che Dio dia pace alla sua anima, come si merita l'anima di un<br />
uomo che ha fatto sempre tutto ciò che gli è stato chiesto e che ha<br />
chiesto a se stesso. <strong>Il</strong> suo compito è terminato, il mio è ancora in<br />
corso e il tuo sta per avere inizio. <strong>Il</strong> tuo compito sarà di guidare gli<br />
uomini, di essere un guerriero e forse un giorno un re, nelle terre di<br />
tuo padre.»<br />
Mi fermai, costringendolo a guardarmi. «A cominciare da questa
primavera, il tuo campo di addestramento saranno i campi di<br />
battaglia. Verrai a Camelot con me, e andrai alla guerra, come<br />
scudiero e apprendista guerriero, sotto il mio comando o sotto<br />
quello di tuo zio Ambrogio. Terrai le nostre armi asciutte, lucide e<br />
taglienti. Terrai i nostri cavalli asciutti, puliti e sazi. Eseguirai tutti gli<br />
ordini che riceverai, porterai dispacci da un ufficiale all'altro e<br />
imparerai da ogni piccola cosa che farai. Poi, un giorno, quando te<br />
ne sarai conquistato il diritto, avrai anche tu un tuo scudiero, e<br />
messaggeri, e forse un tuo esercito. È questo che viene adesso il tuo<br />
vero addestramento. Hai imparato molte cose quassù, eppure non<br />
hai ancora cominciato a imparare. La guerra è una maestra<br />
intransigente, Artù. Le sue lezioni sono dure e umilianti, e le sue<br />
punizioni sono la morte e la distruzione.»<br />
Vidi come una fiamma accendersi nel suo sguardo. Si raddrizzò<br />
fino alla sua ormai imponente altezza, il petto gonfio d'orgoglio, e<br />
vidi una domanda formarsi nei suoi occhi.<br />
«Avrò una mia spada?»<br />
«Sì, prima una spada corta, solo per la tua difesa personale. Te la<br />
darò oggi stesso. La forgiò il tuo bisnonno, Publio Varro, e non ne<br />
troverai una migliore in tutta la Britannia. È completa del pugnale<br />
che l'accompagna, e delle guaine di cuoio per entrambe le lame. Ma<br />
ricorda che d'ora in avanti il tuo compito e di imparare, seguire e<br />
obbedire, non ancora di combattere. Obbedirai agli ordini e seguirai<br />
il tuo comandante dovunque ti guidi. Nell'anno che ti aspetta, Artù,<br />
sarai ancora considerato un ragazzo, eppure ci si aspetterà che tu ti<br />
comporti in tutto e per tutto come un uomo. Obbedendo imparerai<br />
a comandare, e seguendo imparerai a guidare, e a meritarti il<br />
rispetto degli uomini che combatteranno con te e per te.»<br />
Feci una pausa, ricordando le frustrazioni della vita dello<br />
scudiero, che avevo subito in gioventù. Chiusi il pugno e glielo<br />
appoggiai scherzosamente al mento.<br />
«Credimi ragazzo, il momento oggi ti sembra lontano, ma più<br />
presto di quanto credi comanderai una squadra di cavalieri. Ora<br />
guardami negli occhi, da uomo a uomo.»<br />
Sollevò quei suoi occhi unici, macchiati d'oro. La gola mi si strinse<br />
davanti a quella bellezza e quella gioventù, così pure e splendide.
«Ascolta anche quest'ultima cosa. Io ti prometto solennemente che<br />
il giorno che accetterai le responsabilità di un uomo fatto, sarò io a<br />
darti la tua spada, e sarà un'arma come nessun uomo ne ha mai<br />
viste. No, non sono solo parole, Artù» dissi, vedendo un dubbio<br />
passargli per lo sguardo. «La tua sarà un'arma che farà restare gli<br />
uomini di sasso al solo vederla. Non sarà solo la tua spada, ma una<br />
spada che sarà la meraviglia del mondo intero. Questo te lo<br />
prometto.»
Nota dell'autore<br />
Mi sgomenta sempre il compito di ringraziare chi mi ha aiutato<br />
nel lavoro e nelle ricerche. Sono tante le persone cui devo<br />
riconoscenza per l'incoraggiamento e la collaborazione, che mi è<br />
impossibile nominarle tutte. In questo caso, tuttavia, alcuni apporti<br />
predominano su ogni altro perché, in loro mancanza, questa storia<br />
non sarebbe così com'è.<br />
<strong>Il</strong> disegno della spada con i segni della saldatura che si vede a<br />
pagina 254 è frutto del lavoro del britannico John Anstee che di<br />
fatto, dopo ricerche durate decenni, forgiò un'arma simile usando<br />
tecniche e materiali antichi. Ho trovato il disegno, e informazioni<br />
altrettanto utili, nell'ottimo libro di Hilda Ellis Davidson, The Sword<br />
in Anglo-Saxon England. Sebbene fosse stato pubblicato per la prima<br />
volta nel 1962 dalla Boydell Press di Woodbridge, Suffolk, venni a<br />
conoscenza dell'opera soltanto nel 1995. Se l'avessi scoperta un<br />
decennio prima, la mia vita sarebbe stata più facile e meno<br />
tormentata dai dubbi. Ho faticato a lungo per mettere a fuoco il<br />
concetto che mi ero fatto di Excalibur: sapevo approssimativamente<br />
come doveva essere, ma ero incerto che fosse realizzabile il progetto<br />
rozzamente elaborato nel corso delle mie vagabonde ricerche.<br />
Entrambe queste persone mi hanno chiarito le idee e gratificato nel<br />
confermare le mie ipotesi.<br />
Fu mio fratello Michael a farmi conoscere l'ambientazione del<br />
forte alla curva del fiume. Nel maggio del 1993, mentre era in<br />
vacanza nel Lake District con sua moglie Kate, lo raggiunsi con<br />
Beverley, eravamo in viaggio in Inghilterra, per trascorrere alcuni<br />
giorni nel bel mezzo di una splendida ondata di calura estiva.<br />
Sapendo che non ero pienamente convinto di ambientare <strong>sul</strong>la costa<br />
orientale quella fase dell'educazione di Artù, mi condusse nella<br />
brughiera - dieci minuti di macchina - lungo una strada che<br />
costeggiava un burrone, desolata e paurosamente stretta quale non<br />
avevo mai visto, e mi indicò un angolo che da allora sono arrivato a<br />
conoscere molto bene.
<strong>Il</strong> forte alla curva del fiume, ancora lì, è diventato, grazie al suo<br />
splendido isolamento nella bellissima regione dei laghi, uno dei più<br />
famosi forti ausiliari romani. I visitatori oggi sanno che è il forte del<br />
passo di Hardknott, ma Hardknott è un nome moderno. In origine si<br />
chiamava Mediobogdum, cioè "situato alla curva (del fiume)".<br />
Sorge a nove miglia da Ravenglass, un'antica cittadina costiera il<br />
cui nome (Yr-afon-[g]las) è anteriore ai Romani e significa "la baia<br />
azzurra" nella lingua celtica degli abitanti locali, che i Romani<br />
chiamavano Briganti, una popolazione fiera e ribelle, mai del tutto<br />
romanizzata. <strong>Il</strong> nome latino di Ravenglass era Glannaventa.<br />
Da qui i Romani, per poter trasportare i rifornimenti, costruirono<br />
una strada fino ad Ambleside, cittadina <strong>sul</strong> lago Windermere,<br />
collegando i due desolati passi di Hardknott e Wrynose. Lunga<br />
appena trenta miglia, era l'unico itinerario che dalla costa nordoccidentale<br />
a sud di Carlyle si avventurasse nella regione interna.<br />
Attestano la sua importanza i tre forti costruiti per controllarla:<br />
Glannaventa <strong>sul</strong>la costa, Mediobogdum nel punto più alto, Galava<br />
(Ambleside) che concludeva il tragitto nell'entroterra. Intorno a<br />
Glannaventa e a Galava sorsero città che ancora esistono. Nessuna<br />
comunità invece fiorì in prossimità del passo di Hardknott, bellissimo<br />
ma inospitale e sterile. La guarnigione lì di stanza era isolata.<br />
La cosa più straordinaria di questo forte è che rimase<br />
abbandonato, indisturbato e immune da vandalismi per quasi<br />
quindici secoli. Fu riscoperto nel Seicento quando vennero devastati i<br />
querceti di Eskdale per costruire le navi da guerra della flotta reale.<br />
Alla distruzione delle foreste seguirono lo sgombro del terreno e il<br />
conseguente afflusso sempre maggiore di contadini che presero a<br />
utilizzare i blocchi di arenaria delle grandi porte per costruirsi le case.<br />
All'inizio dell'Ottocento William Wordsworth allude al forte in un<br />
sonetto: «Quel solitario accampamento <strong>sul</strong>le alture di Hardknott, <strong>sul</strong><br />
quale vegliavano uomini che si inginocchiavano a Giove e a Marte».<br />
Da allora, nel secolo scorso, orde di cacciatori di souvenir hanno<br />
strappato le splendide piastrelle rosse che decoravano l'ipocausto<br />
delle terme fuori delle mura. Chissà quanto altro è sparito nello<br />
stesso modo!<br />
<strong>Il</strong> forte, ora affidato a un'associazione locale che provvede alla
sua conservazione, è un luogo affascinante. È così intriso di passato<br />
che si ha la sensazione di essere afferrati alla gola dalla storia.<br />
Ritornato lì nel 1995 per un periodo di qualche settimana<br />
alloggiando nella deliziosa locanda Bridge Inn a Santon Bridge,<br />
Wasdale, passai ore e ore ogni giorno a imbevermi dell'atmosfera<br />
del luogo e della circostante campagna, grato dell'incoraggiamento e<br />
dell'aiuto che mi davano gli abitanti del posto, molti dei quali<br />
conoscevano moltissime cose <strong>sul</strong> forte e i suoi dintorni. La prima<br />
guarnigione che vi fu di stanza nel forte era di Dalmati, della regione<br />
che oggi è la Serbia e la Croazia. Cercavo di figurarmi come si<br />
fossero sentiti in quella postazione isolata tra cime piovose e<br />
nebbiose centinaia di anni fa, senza nessuna accogliente taverna ad<br />
attenderli <strong>sul</strong> fondo della valle. Nella storia qui raccontata si<br />
troveranno molte mie impressioni su Mediobogdum e <strong>sul</strong>le scoperte<br />
che vi ho fatto. La descrizione del forte e di come era costruito sono<br />
precise. La strada che controllava - soltanto di recente identificata<br />
con il decimum iter dell'epoca di Antonino - sale dal fondo valle fino<br />
al passo di Hardknott con un'inclinazione di oltre trenta gradi, ed è<br />
un'impresa percorrerla perfino <strong>sul</strong>le macchine moderne. <strong>Il</strong> fiume<br />
nella cui ansa si annida il forte, sebbene scorra <strong>sul</strong> fondo della valle a<br />
notevole distanza, è l'Esk.<br />
Alcuni aspetti della mia descrizione indurranno il lettore a<br />
corrugare perplesso la fronte, ma sono reali anche i dettagli più<br />
sorprendenti. I Romani usavano il calcestruzzo, e di questo materiale<br />
erano costruiti i tetti a cupola dei magazzini del forte, e ogni parete<br />
laterale aveva cinque contrafforti per sostenerne il peso. Sono tetti<br />
che hanno resistito per secoli, forse per un millennio. Negli alloggi i<br />
pavimenti erano coperti di malta. La guarnigione aveva anche una<br />
sofisticata latrina provvista di acqua corrente. L'iscrizione sopra la<br />
porta principale è stata recuperata e restaurata. Le terme erano come<br />
le ho descritte: trentatré metri di lunghezza per otto di larghezza;<br />
l'acqua veniva convogliata dal vicino torrente oggi noto come<br />
Campsike. Poiché dal momento in cui fu abbandonato il forte è<br />
rimasto intatto per quindici secoli, è ragionevole ipotizzare che<br />
all'epoca di Merlino, meno di duecento anni dopo la partenza della<br />
guarnigione, fosse possibile riadattarlo e abitarlo.
Jack Whyte.<br />
Kelowna, British Columbia,<br />
giugno 1997