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Il Forte sul Fiume

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Camelot è ormai lontana per Merlino e il piccolo Artù,<br />

affidato alla sua custodia. I due hanno navigato a lungo<br />

verso nord, per sfuggire a un tragico destino. La salvezza è<br />

nel porto di Ravenglass, città di cui è sovrano Derek, l'uomo<br />

che ha ucciso il padre di Artù e ne ha violentato la madre.<br />

Vincendo l'odio che lo divora, Merlino si trova costretto a<br />

salvare la vita di costui, ottenendo in cambio un sicuro<br />

rifugio per sé e per il suo protetto in un vecchio fortino<br />

abbandonato nei pressi del Vallo di Antonino.<br />

Lì, nascosto dalla minaccia dei nemici, educherà e addestrerà<br />

negli anni il giovane Artù di Pendragon, fino a farne un<br />

uomo valoroso e saggio, dal cuore puro e dal coraggio<br />

indomito. Fino a fare di lui il cavaliere che un giorno sarà<br />

degno di brandire la mitica Excalibur e diventare Alto Re di<br />

tutta la Britannia.


VOLUME DLB 153


Jack Whyte è poeta, regista cinematografico e romanziere.<br />

Nato in Scozia, vive da molti anni in Canada. Ha raggiunto<br />

uno straordinario successo con Le Cronache di Camelot,<br />

ormai considerate un bestseller in tutto il mondo. A questo<br />

ciclo appartengono anche i titoli La pietra del cielo, La<br />

spada che canta, La stirpe dell'aquila, <strong>Il</strong> sogno di Merlino,<br />

<strong>Il</strong> segno di Excalihur, Le porte di Camelot e La donna di<br />

Avalon. L'autore sta lavorando a una nuova appassionante<br />

serie dedicata a Lancillotto, di cui sono disponibili in Italia II<br />

cavaliere di Artù e <strong>Il</strong> marchio di Merlino.<br />

Della serie Le Cronache di Camelot hanno detto:<br />

«Una storia semplicemente straordinaria.»<br />

Rosamunde Pilcher<br />

«Uno splendido mix di realtà storica e leggenda.»<br />

La Stampa<br />

In sovraccoperta: <strong>Il</strong>lustrazione di Silvia Fusetti


Titolo originale dell'opera: The Fort at the River’s bend<br />

© 1999 by Jack Whyte<br />

© 2006 - Edizioni Piemme Economica<br />

© 2001 - EDIZIONI PIEMME Spa<br />

15033 Casale Monferrato (AL) - Via Galeotto del Carretto, 10<br />

Tel. 0142/3361 - Fax 0142/74223<br />

www.edizpiemme.it<br />

Stampa Rotolito Lombarda – Via Roma, 115 – Pioltello (MI)


A mia moglie, Beverley,<br />

e a mio nipote<br />

David Michael Johns,<br />

finalmente grande abbastanza<br />

per poter leggere i libri del nonno.


La leggenda della pietra<br />

caduta dal cielo<br />

Dal cielo notturno cadrà una pietra<br />

che cela una fanciulla nata da profondità tenebrose,<br />

una fanciulla i cui femminili misteri, nutriti dal fuoco,<br />

daranno vita a una spada scintillante, baluginante.<br />

Una spada fiammeggiante e splendente la cui potenza<br />

genera guerrieri. Ma quest'arma conterrà anche<br />

le astuzie di una donna e traccerà terribili fatti di uomini;<br />

darà il nome a un'epoca; incoronerà un re,<br />

che prenderà il nome da un popolo della montagna,<br />

che crede di essere stato generato dal seme di un drago;<br />

uomini vigorosi e feroci, eroici, prodi e forti,<br />

e nelle loro anime vi è grandezza.<br />

Questo re, questo monarca, potente oltre l'immaginabile,<br />

forgiato nella gloria, cantando un canto di spade,<br />

confondendo i mortali con magica follia,<br />

darà vita a una leggenda, e tuttavia non lascerà nessuno<br />

a condurre al trionfo il suo esercito dopo di lui.<br />

Ma la morte non svilirà mai il suo destino che,<br />

non morendo, vivrà per sempre, per essere ricordato.


Nomi geografici<br />

La terra che i Romani chiamavano Britannia era solo quella che<br />

oggi chiamiamo Inghilterra. La Scozia, l'Irlanda e il Galles erano<br />

separati, venivano chiamati rispettivamente Caledonia, Ibernia e<br />

Cambria, e non erano considerati parte della provincia della<br />

Britannia. Le antiche città della Britannia romana sono ancora al loro<br />

posto, ma oggi hanno nomi inglesi.<br />

Londinium Londra<br />

Verulamium St. Albans<br />

Alchester<br />

Glevum Gloucester<br />

Aquae Sulis Bath<br />

Lindinis <strong>Il</strong>chester<br />

Sorviodunum Old Sarum<br />

Venta Belgarum Winchester<br />

Noviomagus Chichester<br />

Durnovaria Dorchester<br />

Isca Dumnoniorum Exeter<br />

La Colonia (Camulod) Camelot<br />

Camulodunum Colchester<br />

Deva Chester<br />

Lindum Lincoln<br />

Eboracum York<br />

Mamucium Manchester<br />

Dolocauthi Miniere d’oro del Galles<br />

Durovernum Canterbury<br />

Regulbium Reculver<br />

Rutupiae Richborough<br />

Dubris Dover<br />

Lemanis Lympne<br />

Anderita Pevensey


Cartina della Britannia con alcuni nomi (N.D.S.)


Prologo<br />

Ricordo quando, per la prima volta, Artù Pendragon mi chiamò<br />

per nome. Non aveva ancora due anni e non riusciva a pronunciarlo<br />

bene, ma non fummo delusi del ri<strong>sul</strong>tato, né io né lui. «Mellino», mi<br />

chiamò chioccolando divertito a quel suono, e "Mellino" rimasi a<br />

lungo fino a quando non fu trascorso il tempo necessario perché gli<br />

riuscisse di padroneggiare la "r", un suono per lui nuovo, richiesto dal<br />

mio nome.<br />

Ricordo anche l'ultima volta in cui mi chiamò per nome,<br />

levandosi dal giaciglio e afferrandomi il braccio, gli occhi sbarrati per<br />

lo sgomento davanti all'inesorabile violenza di quell'improvviso<br />

strappo interno che gli portava via la vita. «Merlino?» rantolò e morì<br />

con il mio nome <strong>sul</strong>le labbra.<br />

Sono passati anni da quel giorno crudele e io sono ancora qui,<br />

l'unico sopravvissuto di quel luogo che gli uomini chiamavano<br />

Camelot, l'unico depositario, in tutta questa terra di Britannia, della<br />

conoscenza che qui, un tempo, fiorì e dei sogni di libertà di un intero<br />

popolo.<br />

La solitudine è nella sua essenza una maledizione. L'uomo non è<br />

destinato a vivere da solo, non deve essere costretto per sentire una<br />

voce umana a urlare con forza di tanto in tanto. Ci penso ormai da<br />

due giorni, riandando con il pensiero alle conversazioni, ai diverbi,<br />

ai dibattiti, alle canzoni, quelle intonate con voce possente e quelle<br />

sussurrate con dolcezza. Tutti i miei ricordi si sono contratti<br />

riducendosi a due momenti: la prima e l'ultima volta in cui il re mi<br />

chiamò per nome.<br />

Oggi, credo, il mio è un nome sconosciuto agli uomini e alle<br />

donne che vivono in questa terra. Altrove - nell'Eire o in Gallia, la<br />

terra dei Burgundi e delle orde incalzanti che vengono chiamate<br />

Franchi - forse ancora esiste, almeno così spero e auspico, chi pensa a<br />

me con simpatia. Ma qui, in Britannia, se mai qualcuno ancora mi<br />

ricorda, è con paura e soggezione, perché io ero Merlino, il mago e<br />

lo stregone, che conosceva dèi tenebrosi e misteri ancora più<br />

tenebrosi. Non vive nessuno oggi in questa triste terra che mi


ammenti diversamente. Sono morti tutti quei pochi che mi<br />

conoscevano a sufficienza per vedere oltre la paura, tutti i miei<br />

amici, tutti coloro che amavo.<br />

Eppure, lasciando da parte la commiserazione - un sentimento<br />

impotente e oggi, nella mia vita, un'indulgenza più che un vizio -<br />

provo profonda gratitudine per essere solo, libero di attendere al<br />

mio compito senza ostacoli. Rimane da raccontare qualcosa che<br />

nessuno ha mai raccontato. E quanto ho da raccontare è<br />

strettamente legato al mio nome, perché lungo i cambiamenti del<br />

nome scorrono i capitoli della mia vita e della vita del re, Artù.<br />

Quando si è soli, su che cosa si riflette se non su se stessi? Penso di<br />

avere da tempo abbandonato l'autoanalisi che ha ipotecato tanti<br />

anni della mia vita, vanità del tipo più squisito. Non si possono<br />

annullare le azioni compiute: le conseguenze sono ineluttabili.<br />

Ho sempre cercato di essere risoluto. Meglio una decisione<br />

solidamente radicata nell'errore che un'occasione irrimediabilmente<br />

perduta a causa della titubanza, diceva mio padre, e io gli ho<br />

creduto. Mi insegnò a soppesare gli elementi di prova e a<br />

confermarli con i fatti - fatti concreti e oggettivi - per poi prendere<br />

una decisione ferma basandomi <strong>sul</strong>le probabilità. Così ho sempre<br />

fatto o cercato di fare.<br />

Perfino in questo momento, nel mettere <strong>sul</strong>la pagina la mia<br />

versione, mi chiedo come abbia potuto a volte essere così cieco e<br />

ottuso, come abbia potuto commettere certi errori e come non mi<br />

sia posto tante domande. Sì, ero giovane, dovevo imparare molte<br />

cose, avevo la speranza e il vigore della giovinezza. Sapevo quello<br />

che desideravo e quello che il mondo voleva da me per Artù, per<br />

Camelot, per me stesso. Vedevo lo scopo, ci credevo fermamente e,<br />

pur non avendo i mezzi per conseguirlo, avevo fede che Dio, la vita,<br />

la santità dell'impresa mi avrebbero dato il tempo e la forza per<br />

portare a compimento il nostro Sogno. Ho commesso alcuni errori,<br />

ma di rado sono stati gravi.<br />

<strong>Il</strong> mio scopo era semplice, la sua realizzazione difficile: dovevo<br />

fare di un ragazzino un uomo, dovevo insegnargli a intraprendere<br />

un'impresa quale mai era stata compiuta da nessuno. Dovevo far<br />

fiorire un regno dove c'era soltanto una colonia; dovevo guidare un


popolo verso una nuova età di meravigliosa speranza. E dovevo<br />

esercitare <strong>sul</strong>la mia vita uno stretto controllo per rendere possibile<br />

tutto ciò.<br />

E mentre tutto ciò accadeva io non ne ero consapevole. Cercavo<br />

solo di dare consiglio, di avanzare passo a passo. Non avevo allora<br />

la piena coscienza del significato e della portata dell'impresa.<br />

Cercavo di fare il mio dovere; il dovere governava la mia vita.<br />

Nell'insieme ci sono riuscito. Ho commesso errori, ho avuto<br />

esitazioni, ma ho imparato a ogni passo. Ho visto il coronamento<br />

dell'impresa e l'ho vista vanificarsi, spazzata via dall'incurante mano<br />

di Dio e dell'uomo. Sono sopravvissuto. A quale fine? Per narrare<br />

ogni cosa a beneficio di uno sguardo che forse non si poserà mai<br />

<strong>sul</strong>le mie parole? Voglio scuotermi di dosso tale disperazione e<br />

continuare la mia cronaca.<br />

<strong>Il</strong> giorno in cui ebbe inizio questo capitolo della mia storia, un<br />

giorno al quale mi avvicino con trepidazione e incertezza, Merlino il<br />

mago non esisteva. L'uomo che allora così si chiamava era ancora<br />

giovane, si approssimava appena ai ricchi anni della maturità. Io ero<br />

Caio Merlino Britannico, consigliere e comandante legato degli<br />

eserciti di Camelot, Merlino per tutti, e Caio per gli amici intimi e i<br />

familiari. Nel frattempo la mia famiglia era quasi estinta, ridotta<br />

ormai, con la morte della vecchia zia Luceia, a comprendere soltanto<br />

un bambino, che mi era cugino e nipote, e un fratellastro di soli sei<br />

mesi più giovane di me, il figlio che mio padre aveva avuto da<br />

un'altra donna. Avevo cugini in Cambria, ma erano lontani, in ogni<br />

senso del termine. Pochi erano gli amici e le persone care, come<br />

accade alla gran parte degli uomini, ma mi erano tutti vicini quel<br />

giorno...


PARTE PRIMA<br />

RAVENGLASS


I.<br />

Eravamo in piedi l'uno accanto all'altro <strong>sul</strong> ponte di una galea che<br />

lentamente avanzava nel mattino di settembre, luminoso e<br />

tranquillo, solo qualche mese dopo il funesto incidente che per poco<br />

non era costato la vita a uno di noi e ci aveva costretti a fuggire da<br />

Camelot alla ricerca di quella sicurezza che avremmo dovuto avere<br />

in patria. La grande vela quadrata era floscia nel languore della<br />

brezza mattutina che disperdendo lentamente la nebbia dalla<br />

superficie della baia verso la quale eravamo diretti, levava vortici<br />

ondeggianti di vapori che si dissolvevano nel nulla. I rematori<br />

spingevano sui remi con cautela, gli occhi posati <strong>sul</strong> nostromo,<br />

Tearlach, che li indirizzava muovendo le braccia e le mani, lo<br />

sguardo fisso <strong>sul</strong> molo proteso verso di noi.<br />

Mi trovavo <strong>sul</strong> ponte di poppa con il capitano della galea,<br />

Connor Mac Athol. Connor, figlio di Athol, figlio di Iain. <strong>Il</strong> padre di<br />

Connor era il re degli Scoti dell'Eire, il popolo che i Romani avevano<br />

chiamato Scoti di Ibernia. Connor dalla gamba di legno, come era<br />

conosciuto tra i suoi uomini, era l'ammiraglio del sovrano nei mari<br />

meridionali.<br />

Seguii il suo sguardo fisso <strong>sul</strong> punto in cui, all'estremità del pontile<br />

di legno, erano ormeggiate due galee, l'una torreggiante <strong>sul</strong>l'altra,<br />

inequivocabilmente navi da guerra simili alla nostra, snelle e<br />

minacciose nelle loro affusolate linee aggressive.<br />

Dal viso di Connor capii che non appartenevano alla sua flotta.<br />

Sembravano deserte; le vele ammainate e legate, i massicci boma<br />

piegati ad angolo in cima agli alberi maestri. Al loro confronto i<br />

pescherecci, una ventina, attraccati al molo principale e al pontile<br />

più piccolo costruito a sud, sembravano minuscoli. Lanciai<br />

un'occhiata a Connor.<br />

«Di chi sono?»<br />

<strong>Il</strong> viso non lasciò trapelare i suoi pensieri, ma il tono della voce<br />

tradiva la preoccupazione. «Sono di Liam. Dei Figli di Condran.»


«Che cosa intendi fare?»<br />

«Niente. Ignorarle e andarcene prima di loro.»<br />

«Quella è enorme, più grande della nostra.»<br />

«Sì, quarantotto remi rispetto ai nostri trentasei. È la galea di<br />

Liam.»<br />

«Vuoi impegnarli in combattimento?»<br />

<strong>Il</strong> viso gli si contrasse in un lieve sorriso forzato. «Probabilmente,<br />

ma non qui. Non a Ravenglass. Questa è zona neutrale.»<br />

«Perdonami, non capisco. Che vuoi dire?»<br />

Girò la testa per guardarmi. «Semplice. È in tutta la regione nordoccidentale<br />

l'unico porto in cui le navi possono entrare e<br />

approvvigionarsi senza pericolo. È così fin da quando i Romani<br />

costruirono la fortezza. Non appena una nave entra in questa baia<br />

deve rinunciare allo stato di belligeranza, altrimenti le viene negato<br />

l'accesso. Come vedi, la fortezza è cintata e popolata. È imprendibile<br />

dal mare e dalla terra; inviolata e inviolabile. Serve come base di<br />

rifornimento. In città saremo gomito a gomito con gli uomini di<br />

Liam, ma li ignoreremo e loro ci ignoreranno. In caso di scontro, gli<br />

aggressori non avranno più il permesso di entrare nel porto in<br />

futuro. Non succede mai niente in città.» Sorrise ancora.<br />

«Naturalmente quando vi arrivano due gruppi come i nostri, nasce<br />

un po' di tensione al momento di partire.»<br />

«In che modo? Vuoi dire che è avvantaggiato chi salpa per<br />

primo?»<br />

«Sì, lo stesso vantaggio che ha il fabbro <strong>sul</strong> ferro che lavora.<br />

Picchia il martello con tutta la forza che gli pare per appiattire il<br />

metallo <strong>sul</strong>l'incudine. La costa è l'incudine per l'ultima nave in<br />

partenza.»<br />

«Ma tu hai tre navi contro le loro due.»<br />

«Sì, ed è un grande vantaggio. Vedremo.»<br />

Voltò la testa cercando con lo sguardo Tearlach, quindi,<br />

annuendo, si portò <strong>sul</strong> fianco della nave e scrutò attentamente il<br />

punto nel quale avremmo attraccato nel porto di Ravenglass.<br />

Capivo che mi aveva momentaneamente escluso dai suoi pensieri,


intento com'era a ormeggiare la galea lunga e snella che ci aveva<br />

condotti con rapidità e senza inconvenienti verso nord.<br />

Avevamo rasentato la costa della Cambria, a sud vicino a<br />

Glevum, superato Anglesey, l'isola sacra dei Druidi, in direzione del<br />

mare aperto e puntato di nuovo verso terra, accostandoci ancora<br />

una volta all'aspra costa della regione conosciuta come Cumbria che<br />

ci aspettava dietro a una forma gibbosa all'orizzonte che Connor<br />

chiamava Isola di Man.<br />

Consapevole che altre cure più importanti gli occupavano la<br />

mente, mi volsi per guardare a prua, dove il mio gruppo fissava<br />

rapito la nuova terra che si profilava davanti agli occhi. Erano i miei<br />

amici, la mia famiglia, il mio mondo adesso che Camelot era rimasta<br />

alle nostre spalle nel lontano meridione. Altri erano salpati insieme a<br />

noi, imbarcati chi <strong>sul</strong>l'una chi <strong>sul</strong>l'altra galea, solcando il mare <strong>sul</strong>la<br />

nostra scia e ci facevano da scorta; ma gli undici che si trovavano<br />

<strong>sul</strong>la mia stessa nave mi erano particolarmente vicini.<br />

<strong>Il</strong> più giovane, un gigante che in statura mi sopravanzava di un<br />

palmo, aveva ventiquattro anni ed era fratello del capitano Connor,<br />

ma nessuno lo avrebbe preso per tale. Mentre Connor aveva i<br />

capelli neri, gli occhi azzurri, la pelle scura al modo di un autentico<br />

celta, il fratello più giovane Donuil era di carnagione e capelli chiari.<br />

Portava, come me, il viso sbarbato all'uso dei Romani e gli occhi<br />

sembravano mutare dal bruno al verde a seconda della luce.<br />

Connor non era di bassa statura. Più alto della media, con spalle<br />

enormi e un torace possente, portava baffi folti e lunghi che,<br />

scendendogli fin sotto il mento, mettevano in risalto quel massiccio<br />

pilastro di muscoli che era il collo e richiamavano l'attenzione <strong>sul</strong>la<br />

pesante collana d'oro preziosamente lavorata che lo cingeva. Eppure<br />

Connor sembrava basso al confronto del fratello minore. La statura<br />

di Donuil, che lo faceva sopravanzare di una testa su quasi tutti gli<br />

uomini, combinata con le aggraziate proporzioni del corpo ne<br />

nascondeva l'autentica stazza. Aveva spalle più larghe di suo fratello,<br />

eppure sembrava più snello; il petto più possente, eppure all'aspetto<br />

meno massiccio; alto com'era, appariva quasi smilzo, mentre Connor<br />

era grosso e tarchiato.<br />

Osservando Donuil che disinvoltamente teneva un braccio


intorno alla vita di sua moglie, Shelagh, e insieme a lei si guardava<br />

intorno, pensai, come avevo già fatto centinaia di volte, quanto quel<br />

gruppo di stranieri, quel clan di Scoti, avesse influito <strong>sul</strong>la mia vita.<br />

Non era mancata progenie ad Athol Mac Iain. Erano nati tutti<br />

nell'Eire, lontano da Camelot, dove ero cresciuto io, inconsapevole<br />

della loro esistenza. Avevo sposato la figlia più giovane del re,<br />

Deirdre, che era stata uccisa quando portava in grembo mio figlio.<br />

Molto prima che morisse, suo fratello Donuil era diventato mio<br />

ostaggio, catturato in battaglia e trattenuto prigioniero a<br />

salvaguardia della promessa di suo padre di non intervenire nella<br />

guerra in corso contro Gulrhys Lot, signore della Cornovaglia.<br />

Nessuno conosceva i legami che ci univano fino a quando non<br />

portai mia moglie a Camelot. Deirdre e Donuil allora si ritrovarono,<br />

ciascuno sorpreso di incontrare l'altro.<br />

Una sorella di Deirdre, Ygraine, aveva sposato il mio mortale<br />

nemico, Gulrhys Lot, per saldare il patto di alleanza tra il popolo di<br />

suo padre e quello della Cornovaglia. Furente e rabbiosa per la<br />

durezza con cui veniva trattata dal suo disumano marito, era fuggita<br />

volentieri con mio cugino Uther Pendragon durante una lunga<br />

campagna militare, e i due, innamorati l'uno dell'altro, avevano<br />

concepito un figlio. Ero stato io, tempo dopo, a imbattermi in<br />

Ygraine su una spiaggia desolata della costa della Cornovaglia. Era<br />

stata stuprata da un uomo che, strappata l'armatura dal cadavere di<br />

Uther, l'aveva indossata. Le ero stato vicino nel momento della<br />

morte e avevo salvato il neonato, figlio di Uther. Saltato<br />

<strong>sul</strong>l'imbarcazione dove il piccolo, urlante, era stato abbandonato, mi<br />

ero spinto al largo senza avere una meta precisa. Ci aveva trovato<br />

Connor, incaricato dal re suo padre di cercare Ygraine e portarla<br />

sana e salva nell'Eire. Quel bambino, Artù Pendragon, su cui da<br />

allora avevo sempre vegliato, ora stava vicino allo zio Donuil, con<br />

lo sguardo fisso verso la terra di approdo.<br />

Al ricordo di quelle vicende scossi la testa pensando al gioco delle<br />

coincidenze e delle probabilità. Non cercavo più di darvi una<br />

risposta. Sono cristiano per nascita ed educazione, ma sono anche un<br />

celta druidico, allevato dal popolo di mia madre, i Pendragon della<br />

Cambria. La mia metà celtica crede nel destino e nell'inevitabilità<br />

degli eventi decretati da una mente superiore a quella degli uomini;


la mia metà cristiana, romano-britannica, è arrivata, grazie alla<br />

prozia Luceia, alla stessa conclusione: ci sono cose che devono<br />

accadere e accadranno a dispetto dell'incredulità degli uomini.<br />

Mentre osservavo il pontile di legno sempre più vicino a ogni<br />

colpo di remi, sorrisi a quel pensiero e sentii che mi si accapponava<br />

la pelle. Lì infatti avrei trovato la definitiva conferma di quella mia<br />

convinzione.<br />

Conoscevo l'uomo che aveva trucidato Uther Pendragon e gli<br />

aveva strappato l'armatura: un avversario, non un nemico mortale.<br />

Gli avevo creduto quando mi aveva detto di avere ucciso Uther<br />

senza conoscerne l'identità: la sua sorpresa nell’apprenderlo era stata<br />

genuina. Sconvolto dalle carneficine a cui avevo assistito nelle<br />

battaglie decisive della campagna di Cornovaglia, non avevo cercato<br />

di combatterlo o ucciderlo quel giorno. Ero rimasto a guardarlo<br />

mentre se ne andava illeso. Derek era il suo nome e si diceva re di<br />

Ravenglass. Ora, a tanti anni di distanza, lo riconobbi facilmente in<br />

mezzo alla folla che si assiepava a terra.<br />

La grande galea si accostò scivolando leggera lungo il fianco del<br />

pontile di legno, spinta dall'ultimo colpo dei trentasei rematori. Due<br />

uomini accovacciati a prua e a poppa si accingevano a gettare le<br />

gomene nelle mani esperte di coloro che aspettavano a terra; altri<br />

quattro si sporgevano da bordo per collocare grandi cuscini di<br />

canapa ai lati dell'imbarcazione perché non venisse graffiata dalle<br />

incrostazioni del molo. La galea rallentò, essendosi smorzato lo<br />

slancio che fino a quel momento l'aveva fatta avanzare, e alla fine<br />

restò a dondolare <strong>sul</strong>le onde. Le gomene lanciate dai marinai furono<br />

afferrate da altre mani e dalla folla si levò un cupo mormorio di<br />

approvazione.<br />

Contento di avere attraccato il suo vascello, Connor si allontanò<br />

dal parapetto e si avvicinò a me con passo sicuro, malgrado il<br />

cilindro scolpito e rastremato che dal ginocchio in giù gli sostituiva la<br />

gamba destra. Sorrideva, senza prestare attenzione alla folla che<br />

rumoreggiava <strong>sul</strong> molo.<br />

«Allora, Testa Gialla,» mi disse «com'è consuetudine sarò il primo a<br />

sbarcare, così tu avrai il tempo di raccogliere i tuoi pensieri. È il<br />

momento peggiore... il passaggio dalla nave alla terraferma, dal


camminare <strong>sul</strong> ponte di un vascello al camminare <strong>sul</strong> suolo. È già<br />

difficile per chi ha due piedi. Ho sbattuto il culo più di una volta.<br />

Noterai che i miei uomini si premurano di non guardarmi finché non<br />

sono io a chiamarli.» Scosse la testa con un sorriso di compatimento.<br />

«Ci vediamo a terra.»<br />

Mentre parlava, si materializzò una fune che sembrava scaturita<br />

dal nulla, e lui allungò la mano per afferrarla, quasi senza guardare.<br />

Girandomi per vedere da dove fosse saltata fuori, mi accorsi che<br />

oscillava dallo stesso albero che aveva abbassato la passerella. Nel<br />

frattempo Connor l'aveva stretta tra le mani e aveva infilato il piede<br />

nel cappio all'estremità. Immediatamente fu sollevato e con un lento<br />

dondolio posato <strong>sul</strong> molo. Liberò quindi il piede dal laccio e stette a<br />

gambe leggermente divaricate, senza lasciare la corda, che rimase<br />

tesa finché non si fu messo saldamente in equilibrio.<br />

Mi volsi intorno e vidi che aveva detto il vero: nessuno del suo<br />

equipaggio, uomini di grande fierezza, lo guardava. Rimase fermo<br />

ancora per qualche attimo, oscillando piano, quindi lasciò andare la<br />

fune.<br />

«Prendila, Sean!» urlò e si volse verso gli astanti che avevano<br />

seguito con curiosità quella manovra. Allargò le braccia in un gesto<br />

di trionfo e saluto; immediatamente venne inghiottito dalla folla che<br />

lo accolse con entusiasmo.<br />

La nave fu subito un brulicare di rematori, di solito<br />

disciplinatamente seduti in file serrate per ore e ore di seguito.<br />

Abbandonati i remi, sembravano riempire la galea al di là della sua<br />

capienza; si affollarono verso la passerella in una massa confusa e<br />

vociante. Non aveva senso che raggiungessi la mia gente all'altro<br />

capo della nave, così decisi di aspettare e di sbarcare una volta che<br />

fossero sfilati tutti.<br />

«Merlino! È il momento di sbarcare; ti faremo strada» disse la voce<br />

di Tearlach, il nostromo.<br />

Scossi la testa, sorridendogli e levando la mano. «No, Tearlach,<br />

non ancora. Che scendano prima gli uomini. Voglio parlare con il<br />

ragazzo; poi verremo.»<br />

Tearlach si strinse nelle spalle e scosse la testa. «Come vuoi» e


ontolando si avviò a impartire altri ordini.<br />

Volsi lo sguardo <strong>sul</strong> molo cercando di individuare l'uomo che<br />

aveva l'abitudine di chiamarmi «Testa Gialla», ma la visuale era<br />

impedita dai rematori che indossavano abiti di foggia celtica dai<br />

vivaci colori, splendenti nel sole mattutino, e portavano armi che<br />

scintillavano quando vi cadeva sopra la luce. Erano uomini<br />

dall'aspetto guerriero e dal portamento indomito che avrebbero<br />

scoraggiato chiunque avesse inteso ostacolare loro il cammino. Dalla<br />

disinvoltura dei loro modi si capiva che si trovavano a perfetto agio<br />

e che non per la prima volta mettevano piede in quel porto.<br />

Tra quanti erano convenuti <strong>sul</strong> molo nessuno cercò di fuggire,<br />

anzi ci fu chi li accolse chiamandoli per nome e porgendo loro il<br />

benvenuto.<br />

Come la folla si mosse, rividi la testa di Connor e incontrai il suo<br />

sguardo. Annuì e levò una mano con gesto disinvolto, senza essere<br />

visto dal suo compagno, Derek di Ravenglass, che mi volgeva le<br />

spalle. Un altro gruppo si mosse lungo la passerella. Volgendomi a<br />

destra verso il centro della nave notai che ormai almeno la metà<br />

dell'equipaggio era sbarcata e che potevo avvicinarmi a prua. Mi<br />

avviai muovendomi lentamente lungo il corridoio centrale,<br />

fermandomi di tanto in tanto per cedere il passo a qualcuno che si<br />

avviava a scendere a terra.<br />

Davanti a me, il più anziano del gruppo e il mio amico più caro,<br />

Lucano, mi guardò e annuì, levando un sopracciglio con aria ironica<br />

mentre mi avvicinavo.<br />

«Derek di Ravenglass si è mantenuto prestante in tutti questi anni,<br />

dai tempi di Verulamium. Un po' appesantito e ingrigito, ma l'ho<br />

riconosciuto immediatamente. Ti ha già visto?»<br />

«No, Connor è riuscito a distrarre la sua attenzione, ma non ce la<br />

farà ancora per molto. È venuto il momento di scendere <strong>sul</strong> molo.»<br />

«Non vuoi che ti accompagni?»<br />

«No, grazie. Andrò da solo. Qualunque cosa accada dovrà<br />

avvenire tra me e lui. Non voglio che nei primi momenti ci siano<br />

occhi e orecchi estranei.»<br />

«Come vuoi tu. Ricorda, amico mio, che se rifiuta, siamo pronti a


fare fronte all'imprevisto. Continueremo il nostro viaggio se sarà<br />

necessario.»<br />

«Speriamo che non sia necessario andare tanto lontano. Artù!»<br />

Al richiamo il ragazzo si volse immediatamente verso di me<br />

fissandomi con quei suoi strani occhi dorati che in quel momento<br />

riflettevano la luce del mattino. Non appena mi fu vicino,<br />

indicandogli con un cenno della testa il molo, gli dissi: «A terra<br />

incontrerò l'uomo che sta parlando con lo zio Connor. È il re cui ti<br />

ho accennato. Forse vorrà conoscerti, perché ha conosciuto tuo<br />

padre un tempo. Ma che lo chieda o no, voglio che tu rimanga qui<br />

ad aspettare pazientemente e ti comporti da uomo. Intesi?».<br />

<strong>Il</strong> ragazzo mi sorrise mostrando una maturità assai maggiore di<br />

quanto potessero indicare i suoi anni. Senza dire niente si limitò ad<br />

annuire con la testa.<br />

«Bravo!» Gli scompigliai i capelli e mi diressi allo sbarco,<br />

consapevole che lo sguardo di tutti era posato su di me. Sentivo che<br />

sotto i miei piedi la passerella oscillava lievemente e vedevo che <strong>sul</strong><br />

molo la folla si era diradata. Ma la mia attenzione era puntata <strong>sul</strong>le<br />

spalle ampie e la figura imponente di Derek che, volgendomi la<br />

schiena, si stagliava davanti a me e, parlando con Connor, muoveva<br />

a tratti un braccio quasi a sottolineare qualcosa di importante.<br />

Mentre mi avvicinavo, Connor mi sorrise al di sopra delle spalle<br />

di Derek, quindi allungò una mano per afferrare il braccio dell'altro e<br />

indicargli di tacere.<br />

«Scusami, Derek» disse continuando a sorridere. «C'è con me un<br />

caro amico... credo che tu lo conosca.»<br />

Fermandosi a metà discorso, Derek di Ravenglass si girò a<br />

guardarmi e io notai una ridda di espressioni guizzargli <strong>sul</strong> viso:<br />

stupore, consapevolezza, perplessità e, da ultimo, un'espressione<br />

cauta che non sapevo definire. Vi lessi il sospetto, un rapido moto di<br />

paura o di arroganza.<br />

«<strong>Il</strong> Sognatore» disse corrugando la fronte.<br />

Annuii. «Merlino Britannico.»<br />

«Sì, ricordo. La Cornovaglia e Camelot. La prima volta che ci


incontrammo usavi un altro nome.»<br />

«Ambrogio di Lindum.»<br />

«Già, sei romano.»<br />

«Soltanto per metà» risposi scuotendo la testa. «E soltanto nel<br />

nome. Sono britannico.»<br />

«Britannico? Che vuol dire?» <strong>Il</strong> tono sprezzante della domanda<br />

dimostrava che Derek non era affatto intimorito dalla mia<br />

improvvisa ricomparsa.<br />

Mi strinsi nelle spalle. «L'altra metà di me è celtica, quindi della<br />

tua stessa stirpe. La combinazione fa di me un britannico, poiché non<br />

sono né l'uno né l'altro, ma sono nato in Britannia.»<br />

«Sei uno che ama parlare. Lo eri, me lo ricordo, anche allora,<br />

quando eravamo in viaggio per raggiungere l'esercito di Lot.»<br />

«Era la tua meta; abbiamo fatto un tratto di strada insieme.»<br />

«Sì, poi scomparisti.» Tacque. «<strong>Il</strong> tuo medico mi pagò in oro per<br />

trasportare i tuoi feriti in un luogo sicuro al di là delle linee<br />

dell'esercito di Lot.»<br />

Era vero. Aveva accettato l'oro, ma non aveva adempiuto fino in<br />

fondo al suo obbligo. Che nulla di male fosse accaduto alla nostra<br />

gente era stato soltanto merito della prontezza di Lucano.<br />

Sapevo di dover parlare con cautela a tale proposito, se non<br />

volevo inasprire la situazione suscitando in lui sentimenti di colpa.<br />

«Come si chiama quel tuo medico?»<br />

«Lucano.»<br />

«Lucano? È ancora vivo?»<br />

«Sì, insieme con i suoi uomini. Si salvarono anche le masserizie.»<br />

«Ne sono contento. Me lo sono spesso chiesto.»<br />

Non era quello che mi ero aspettato. Cercavo di analizzare il<br />

tono della sua voce, per cogliervi i segni dell'arroganza o dell'ostilità.<br />

«Che cosa vuoi dire?» chiesi.<br />

Mi fissò diritto negli occhi, poi guardandosi intorno lanciò


un'occhiata di sbieco a Connor.<br />

«Una vera porcheria.» Si schiarì la gola. «Arrivammo senza<br />

difficoltà al punto di raduno di Lot, ma invece di procedere, fummo<br />

costretti a fermarci perché era stata convocata una riunione di<br />

comandanti a cui dovevo partecipare. Qualche stolto ci aveva visti e<br />

aveva passato parola che stavo arrivando. Lasciammo la tua gente al<br />

limitare dell'accampamento: concorderai con me, penso, che non<br />

fosse il caso di portarla al campo di Lot. <strong>Il</strong> raduno era immane; con i<br />

miei uomini avanzai e trovai il resto del nostro contingente, giunto lì<br />

via mare, lungo la costa, <strong>sul</strong>le galee di Lot.<br />

Tuttavia Lot non si trovava lì e non si fece vedere; tra una cosa e<br />

l'altra, non riuscii a rientrare quella notte, trattenuto in una<br />

cosiddetta riunione strategica. Una lotta tra cani ringhiosi, più che<br />

altro. In assenza di Lot tutti volevano fare i generali, anche se molti<br />

di loro non avrebbero saputo trovare il cesso neppure se ci fossero<br />

stati dentro. Più tardi quella sera, quando finalmente mi resi conto<br />

della piega che stavano prendendo le cose, mandai indietro alcuni<br />

miei uomini incontro alla tua gente per scortarla, ma quando<br />

arrivarono dove l'avevamo lasciata, se ne erano andati tutti senza<br />

lasciar traccia. I miei uomini non ci pensarono più e non ne seppi<br />

nulla fino al giorno successivo. Che fare allora? Chiesi in giro ma non<br />

ebbi risposta, anche perché non volevo scendere troppo nei dettagli.<br />

Non mi giunse voce che ci fossero stati scontri o saccheggi per<br />

accaparrarsi le masserizie, e così lasciai perdere. Ma mi sono spesso<br />

chiesto che cosa ne sia stato di quella gente e come se la sia cavata.»<br />

Sorridevo a quel punto, provando un intenso sollievo. «Perché<br />

non chiedi a Lucano come gli andò? È <strong>sul</strong>la galea.» Con un cenno<br />

della testa indicai Lucano, che ci osservava in piedi <strong>sul</strong> ponte di prua<br />

e che, leggendo lo stupore <strong>sul</strong> viso di Derek, sorrise e abbassò la<br />

testa in segno di saluto.<br />

«Che mi venga un accidenti!» borbottò Derek. «E c'è anche<br />

quell'altro, quello che ti accompagnò...»<br />

«Mio fratello Donuil» disse Connor.<br />

«Per Dio! Davvero?» Derek si girò verso di noi, posando lo<br />

sguardo su di me, su Connor e di nuovo su di me. «Perché sei qui,<br />

Merlino il Sognatore? Che cosa vuoi da me?»


«Niente che tu non possa darci o rifiutarci» risposi sorridendo e<br />

stringendomi nelle spalle. «Cibo e alloggio almeno per questa notte,<br />

per me e la mia gente, e forse darci asilo in un santuario.»<br />

«Santuario?» aggrottò la fronte mentre pronunciava la parola<br />

sconosciuta. «Che cosa vuol dire?»<br />

«Riparo, protezione.»<br />

«Protezione da che cosa? Da chi?» Guardò Connor con cipiglio<br />

fosco, il viso oscurato dall'ombra del sospetto. «Non ci sono pericoli<br />

a Ravenglass. Lo sai che Liam, l'ammiraglio di Condran, è qui?»<br />

«Una coincidenza» annuì Connor. «Liam non ha mai visto né<br />

sentito parlare di Merlino, e non si interessa a lui. Come sempre, si<br />

applicano le regole.»<br />

«Bene!» Pacificato, Derek si volse a me. «Allora, protezione da<br />

chi?»<br />

Mi strinsi nelle spalle. «È una storia lunga, o meglio, non lunga da<br />

raccontare, ma complicata. Sarei comunque contento di narrartela.»<br />

«Ehm!» Distogliendo lo sguardo da me, tornò a posarlo <strong>sul</strong>la<br />

galea. «Ci sono donne e bambini al tuo seguito? Quanti siete?»<br />

«Dodici, me compreso, a bordo della galea.»<br />

«A bordo della galea... e da altre parti?»<br />

Indicai le altre due navi di scorta fuori del porto. «Altri sei,<br />

distribuiti <strong>sul</strong>le due imbarcazioni.»<br />

«Perché se ne stanno discoste, Mac Athol? Hanno paura dei Figli<br />

di Condran?»<br />

Connor si strinse nelle spalle sorridendo. «Non più da quando<br />

hanno imparato a camminare. È semplice gesto di cortesia, amico<br />

mio. Ignoravamo la presenza del nemico fino a quando siamo<br />

arrivati, ma qui non fa differenza. Aspettano di essere invitati a<br />

entrare. Tre galee che gettano l'ancora insieme avrebbero potuto<br />

dare l'impressione di un'invasione.»<br />

«Da' loro il segnale di entrare. Appartengono alla vostra gente, e<br />

sono perciò i benvenuti. Feargus, vero?»


«Sì, e Logan.»<br />

Derek tornò a rivolgersi a me. «L'ospitalità, per una notte almeno,<br />

non presenta pericoli. L'avremmo concessa comunque. Non mi<br />

impegno oltre. Ma la tua storia mi interessa.» Si interruppe e dopo<br />

una breve pausa mi chiese: «Sei ancora un sognatore?».<br />

«Di tanto in tanto» risposi sorridendo. «Sognai di te neanche<br />

quattro settimane fa. Per questo siamo venuti qui.»<br />

Trasse un profondo sospiro. «Temevo di sentirti dire qualcosa di<br />

simile.»<br />

«Ti vidi che indossavi l'armatura di Uther. La possiedi ancora?»<br />

«Sì.» La voce era priva di emozione.<br />

«Quando l'hai indossata per l'ultima volta?»<br />

«Quando sono tornato in patria, dopo il nostro incontro. Ero<br />

stufo di guerra e ringrazio il cielo di non essermi trovato nella<br />

necessità di impugnare la spada da allora. Perché me lo chiedi?»<br />

«È in buone condizioni?»<br />

«Perfette. Potrei metterla oggi stesso, se fosse necessario. Ritieni<br />

probabile che si renda necessario?»<br />

Scossi la testa mentre il mio sorriso si allargava. «No, ma mi<br />

piacerebbe ricomprarla da te un giorno, se tu fossi disposto a<br />

venderla.»<br />

Mi fissò a lungo, perplesso, prima di rispondere. Quando parlò, la<br />

sua voce era dubbiosa. «Un giorno? E quando sarebbe quel giorno?<br />

Ti avverto: potrebbe influire <strong>sul</strong>la mia decisione e anche <strong>sul</strong> prezzo.»<br />

Indicando con un cenno la galea disse: «Fa' sbarcare i tuoi e vieni con<br />

me. Uno dei miei uomini li porterà in un luogo nel quale potranno<br />

riposarsi e ripulirsi. Ci sono le terme romane, se vogliono usarle».<br />

«Sono in funzione?»<br />

«Te le avrei offerte se fossero state fuori uso?» L'omaccione mi<br />

guardava con gli occhi socchiusi, ma riuscii lo stesso a scorgervi un<br />

guizzo di divertimento. «Devo dedurre che sei sorpreso di scoprire<br />

che ci laviamo, che sappiamo tenere accesa una fornace, anche<br />

adesso che i Romani se ne sono andati?»


«No, te lo giuro su tutti gli dèi» protestai serio. «Simili pensieri non<br />

mi hanno mai sfiorato.»<br />

«Ehm! Fai sbarcare la tua gente.»<br />

Al mio cenno, immediatamente il gruppo <strong>sul</strong>la galea si mosse per<br />

raccogliersi intorno alla passerella. Con le mani intorno alla bocca,<br />

Connor chiamò a gran voce Tearlach ordinandogli di convocare<br />

Feargus e Logan. Mentre gli uomini cominciavano a muoversi per<br />

dare il segnale alle galee che erano in attesa, i primi due del mio<br />

gruppo, Dedalo e Lucano, misero piede <strong>sul</strong> molo e si avvicinarono a<br />

noi, seguiti dagli altri.<br />

«Lucano» lo accolsi. «Derek si ricorda di te dal viaggio verso<br />

Aquae.»<br />

«Anch'io» rispose con un lieve sorriso. «Hai un bell'aspetto, Derek.<br />

Sei cambiato poco in questi dodici anni. Chi l'avrebbe mai detto che<br />

ci saremmo incontrati di nuovo?»<br />

«Non io, ma sei lo stesso il benvenuto, dottore. Merlino mi ha<br />

raccontato che anche senza il mio aiuto hai messo in salvo tutta la<br />

tua gente.» Spostò lo sguardo da Lucano a Dedalo. «Derek di<br />

Ravenglass» disse con un cenno della testa.<br />

«Dedalo» rispose l'altro, restituendo il cenno. «Sono amico di<br />

Merlino.»<br />

«Sì, vieni da Camelot. Questo l'ho capito. Tu non sei medico.»<br />

«No, sono un centurione, ma non vengo da Roma» rispose<br />

storcendo la bocca in un mezzo sorriso.<br />

Nel frattempo gli altri ci avevano raggiunto; uno a uno, compresi<br />

i ragazzi, li presentai al re che almeno per quella notte li avrebbe<br />

ospitati, e dissi loro che tutti avremmo trovato accoglienza. Derek<br />

era stato raggiunto da un uomo, che ci presentò come Blundyl e al<br />

quale indicò come alloggiarci e dividerci. Non appena ebbe finito,<br />

mi prese per un braccio.<br />

«Vieni, noi due soli. Blundyl si occuperà degli altri. Voglio<br />

parlarti.»<br />

Si avviò subito e io lo seguii, scambiando qualche occhiata<br />

indifferente con Lucano e Shelagh. Arrivammo in capo al molo,


apparentemente ignorati da tutti; tuttavia percepii la curiosità di<br />

varie persone anche se simularono indifferenza al nostro passaggio.<br />

Superata la porta nella torre che s'innalzava nel mezzo delle mura<br />

occidentali, mi ritrovai in una fortezza romana quale non avevo mai<br />

visto. Era una delle tante costruzioni idonee ad alloggiare cinque o<br />

seicento uomini. Avevo già visto luoghi analoghi nel corso degli<br />

anni, tutti in uno stato di rovina e decadimento più o meno<br />

avanzato. Molti erano stati abbandonati quando mio padre era<br />

ancora un ragazzo, assai prima che i Romani ritirassero le loro<br />

legioni dalla Britannia. Infatti, per dure ragioni economiche e in<br />

mancanza di rinforzi da oltremare, erano state equipaggiate di<br />

uomini e di mezzi le fortezze centrali della provincia a scapito di<br />

quelle periferiche più piccole. Non era stata questa la sorte di<br />

Glannaventa, così si chiamava il forte. Fino agli ultimi giorni della<br />

ritirata, allora ero un ragazzo, vi era rimasta di stanza una<br />

guarnigione, ma vista l'importanza del porto naturale, la gente del<br />

posto si appropriò del forte non appena i legionari l'ebbero<br />

abbandonato. Mi sembrava di ritornare indietro nel tempo quando,<br />

in fortezze simili a questa sparse in tutta la Britannia, regnavano<br />

l'ordine e il buon governo.<br />

Le caserme che avevano ospitato la guarnigione, tuttora in uso,<br />

erano in buone condizioni; le intercapedini fra i tronchi che<br />

formavano i muri erano ben isolate, i tetti di tegole non mostravano<br />

traccia di muschio; nessun segno indicava che stessero per cedere o<br />

che fossero marci. Una serie di porte nuove nelle lunghe facciate<br />

indicava che vi abitavano famiglie, non squadre militari. I sei edifici,<br />

costruiti per accogliere un centinaio di uomini più i centurioni, si<br />

sviluppavano in due blocchi di tre, a destra e a sinistra. Dietro<br />

ciascun blocco, sorgevano altri due corpi più lunghi e bassi che, simili<br />

alle caserme ma con diversa funzione, alloggiavano i servizi necessari<br />

alle truppe: fucine, concerie, laboratori artigianali. Su ciascun lato<br />

dell'ampia strada centrale che congiungeva la porta principale alle<br />

nostre spalle a quella di fronte, nella cinta orientale, a una distanza<br />

di oltre trecento passi, sorgeva un complesso di quattro edifici con<br />

analoghe funzioni di servizio. Nell'insieme queste otto costruzioni<br />

riempivano la metà anteriore del forte, la praetentura, la sezione più<br />

esposta a un possibile attacco nemico, dato che nel caso di


Glannaventa un'eventuale aggressione sarebbe venuta dal mare.<br />

«Ne sono molto colpito: hai trasformato le caserme in abitazioni<br />

civili.»<br />

Mi lanciò un'occhiata, quindi posò lo sguardo <strong>sul</strong>l'edificio <strong>sul</strong>la<br />

mia destra. «Sì» brontolò. «Un pasticcio all'inizio, finché non abbiamo<br />

capito che dovevamo lavorare bene. Da principio tutti, bravi e non<br />

bravi, facevano di testa loro; poi qualcuno cominciò a trovare da<br />

ridire perché c'era chi aveva più spazio di altri: era vero, ma a quel<br />

punto che si poteva fare? Poi uno scimunito abbatté un muro e<br />

crollò l'intera costruzione: ci furono quattro morti. Allora decisi che<br />

bisognava cambiare e che i cambiamenti andavano eseguiti <strong>sul</strong>la base<br />

di un progetto.»<br />

Interrompendosi di colpo, si voltò per guardarsi indietro. «Eccolo»<br />

disse indicando un altro edificio. «Sorge al posto di quello crollato.<br />

Non si direbbe oggi, vero?» Non aspettò la mia risposta. «Da quel<br />

momento chiamai a lavorare tutti i muratori del posto. Alcuni, anzi<br />

la maggioranza, avevano lavorato per i Romani e conoscevano bene<br />

il mestiere. Abbiamo sventrato gli spazi interni, li abbiamo divisi<br />

equamente alzando nuove pareti, aperto porte nei muri esterni e<br />

trasformato ogni edificio in unità abitative per dodici famiglie. Non<br />

abbiamo più avuto difficoltà.»<br />

«Le unità hanno tutte le stesse dimensioni? Anche gli ex quartieri<br />

dei centurioni? Sembrano più grandi.»<br />

«Lo sono. E allora?»<br />

Mi strinsi nelle spalle. «Hai detto di non avere avuto più difficoltà.<br />

Come avete deciso chi sarebbe venuto a vivere qui?»<br />

Sputò per terra. «Solo io ho deciso, e nessuno ha obiettato. Sono<br />

il re.» Si voltò e riprese a camminare. «Vi abitano gli artigiani più<br />

bravi con le loro famiglie. Queste ultime due costruzioni accolgono i<br />

loro laboratori; dobbiamo ringraziare l'efficienza dei Romani: fabbri,<br />

fonditori, ciabattini, bottai, falegnami, ceramisti, muratori,<br />

scalpellini. Tutti raggruppati insieme, per il fabbisogno della<br />

guarnigione. Gran carogne, i Romani, ma bravi. Perché non usare<br />

quello che si erano lasciati alle spalle?»<br />

Eravamo nel frattempo arrivati allo slargo rettangolare dove


sorgevano i tre principali edifici presenti in ogni insediamento<br />

militare romano: la casa del comandante, il quartier generale, il<br />

granaio e i magazzini noti come horrea. Costruiti in pietra, erano<br />

discosti dagli altri, da questi separati tramite la via principalis, che<br />

correva davanti, e la via quintana, che correva <strong>sul</strong> retro. Da tempi<br />

immemorabili queste due strade dividevano orizzontalmente tutti gli<br />

accampamenti romani, a prescindere dalle loro dimensioni, in una<br />

metà anteriore, la praetentura, e la metà posteriore, la retentura. «Lì<br />

abito io» disse Derek puntando il pollice verso la massiccia<br />

costruzione che era stata la casa del comandante.<br />

«<strong>Il</strong> praetorium? Abiti lì?»<br />

«È la mia casa.»<br />

«Già, sei il re.»<br />

Osservai il praetorium mentre ci avvicinavamo, ma ben poche<br />

cose indicavano che fosse una reggia anziché l'alloggio di un militare.<br />

Era circondato da alti muri che avevano un'unica porta centrale a<br />

due battenti, aperta in quel momento ma immersa nell'ombra. Non<br />

vidi guardie da nessuna parte e pensai che forse Derek non ne aveva<br />

alcun bisogno.<br />

Attraversando diagonalmente la via principalis, ci trovammo<br />

davanti all'edificio che sorgeva di lato, l'ex principia, il quartier<br />

generale della guarnigione, assai mutato da quando se ne erano<br />

andate le legioni. Un tempo si era sviluppato intorno a un cortile<br />

quadrato abbellito da una vasca nel mezzo, mentre la parte<br />

principale <strong>sul</strong> retro, che occupava circa un terzo della superficie<br />

totale, veniva adibita a sede delle funzioni principali della<br />

guarnigione: la stanza dove erano conservati i vessilli e i trofei<br />

conquistati in battaglia, la tesoreria e gli archivi con i fascicoli<br />

personali dei dipendenti. C'era anche una sala dove per secoli gli<br />

ufficiali comandanti avevano tenuto le riunioni formali e dove dal<br />

rostrum, situato all'estremità destra, avevano parlato all'assemblea.<br />

In origine, nel cortile quadrangolare gli ufficiali venivano a<br />

trascorrere il tempo libero quando non erano di servizio. Due<br />

passaggi definiti da alte colonne su entrambi i lati dell'ingresso<br />

principale portavano a una serie di uffici di minore importanza. In<br />

qualche momento, nei trent'anni intercorsi dalla partenza dei


Romani, il cortile quadrangolare era stato parzialmente coperto da<br />

un tetto che girava tutto intorno lasciando soltanto un'apertura<br />

centrale dalla quale usciva il fumo che si sprigionava dall'enorme<br />

fornace venuta a sostituire la vasca. Grandi travi di quercia solcavano<br />

lo spazio e reggevano una seconda struttura, meno massiccia, che<br />

sosteneva una sorta di tetto aguzzo fatto di spessa paglia, aperto<br />

lungo i cornicioni per lasciar passare l'aria.<br />

Notai tutto questo mentre procedevo alle calcagna di Derek che<br />

non si era preso la briga di illustrarmi il luogo. Girando a destra,<br />

imboccammo il portico; raggiungemmo la prima porta <strong>sul</strong>la sinistra,<br />

chiusa in basso e aperta dalla metà in su, con un ripiano sollevabile<br />

che, in quel momento abbassato, fungeva da scrivania. Dietro stava<br />

un uomo intento al lavoro. Mentre Derek gli parlava, io mi misi a<br />

curiosare in una stanza buia alle sue spalle, una sala spartana, quasi<br />

priva di mobili, con le pareti ricoperte da scaffali profondi.<br />

«Le armi della tua gente» brontolò Derek. Lo fissai sbalordito.<br />

«Rimarranno qui fino alla vostra partenza.»<br />

«Tutte? Devo restare disarmato tra sconosciuti?»<br />

«Sì, come ogni altro; non sarai certo il solo. È la legge, a<br />

Ravenglass non sono ammesse le armi. Qui sono raccolte quelle del<br />

tuo gruppo; gli uomini di Condran le hanno depositate da un'altra<br />

parte. Se arriva ancora qualcuno mentre siete qui, ci sarà spazio<br />

anche per le loro armi.»<br />

Mi ero già tolto la cintura e l'avevo avvolta intorno<br />

all'impugnatura della spada e della daga. «Da quando è in vigore<br />

questa legge?»<br />

«Da quando il porto è aperto alle navi in transito dopo che i<br />

Romani se ne sono andati. Ci ha evitato inutili scontri e spargimenti<br />

di sangue.»<br />

«Ne sono sicuro, ma non ti sembra rischioso applicarla?»<br />

«Nient'affatto» rispose facendo scintillare i denti in un sorriso<br />

fuggevole. «Chi non obbedisce deve andarsene e non può più<br />

tornare.»<br />

Mi limitai a scuotere la testa mentre porgevo al funzionario le<br />

armi che avevo addosso. «Una bella soluzione!» borbottai.


«Salutare, direi» rispose il re. «Su andiamo.»<br />

Riattraversammo il cortile fino alla porta principale; superata la<br />

soglia e girando ad angolo retto, mi fece strada fino alla vecchia via<br />

quintana che orizzontalmente tagliava il forte. L'attraversammo per<br />

dirigerci verso la porta orientale, ora visibile davanti a noi.<br />

In quella parte della fortezza gli edifici erano stati per lo più<br />

trasformati in abitazioni, ma la stuzzicante fragranza del pane<br />

appena sfornato e altri appetitosi profumi parlavano del tipo di<br />

attività che lì si svolgeva. Notai un altro edificio di pietra, accostato<br />

alle mura.<br />

«Quello laggiù è un ospedale?»<br />

«Lo era; oggi non serve più e oltretutto non abbiamo medici per<br />

farlo funzionare. È adibito per la maggior parte a residenza.»<br />

«Che ne è stato delle stalle?»<br />

«Fuori delle mura. Ci serviva lo spazio.»<br />

Eravamo vicini alla cinta posteriore della fortezza. Guardando i<br />

passaggi vuoti tra le torrette chiesi: «Non mettete guardie qui?».<br />

«Contro che cosa? <strong>Il</strong> mio è un popolo di contadini. Devono<br />

badare ai campi, al di fuori delle mura; l'unica minaccia potrebbe<br />

venire dal mare.» Con un cenno della testa indicò le cime lontane<br />

dei monti che chiudevano l'orizzonte da quella parte. «Alle nostre<br />

spalle si estende una regione di brulle alture; la strada che l'attraversa<br />

è impraticabile d'inverno e d'estate; se necessario, ci sarà facile<br />

difenderla. Non ci servono le guardie, te l'ho detto. Da quando sono<br />

venuto qui, sette anni fa, non impugno una spada.»<br />

«Sette? Sono passati otto anni da quando le nostre strade si<br />

divisero, quindi già allora intendevi venire qui.»<br />

«Sì, e mi ci volle quasi un anno per arrivarci. Persi il cavallo poco<br />

dopo che ci separammo.»<br />

Attraversammo la porta della torre orientale e di botto mi<br />

arrestai.<br />

«Che cos'hai?» Anche Derek si era fermato e mi fissava con aria<br />

interrogativa, cercando di farsi sentire al di sopra del frastuono che<br />

all'improvviso si era levato intorno.


Scossi la testa. «Niente» urlai. «Sono sorpreso, ecco tutto. Non mi<br />

aspettavo che il borgo fosse cresciuto tanto.»<br />

Si guardò intorno. «È ancora piccolo. Per ampliarlo ci mancano lo<br />

spazio e la buona pietra da costruzione.»<br />

In qualche modo, arrivando dal mare e varcando gli industriosi<br />

confini della fortezza con le sue alte mura, mi ero convinto che non<br />

ci fosse altro. Avevo creduto che, oltre la cinta cittadina, si<br />

estendesse solamente una terra ampia e fertile; invece mi trovavo in<br />

un borgo attivo e fiorente, cresciuto nell'arco di secoli intorno al<br />

forte e che ora si allargava fino all'orizzonte nella forma di un<br />

grande imbuto: lo sbocco stretto era chiuso dalle mura orientali; la<br />

bocca larga era definita dagli erti colli boscosi che si susseguivano a<br />

perdita d'occhio sui due lati.<br />

Eravamo al limitare della piazza del mercato: le bancarelle dei<br />

venditori poggiavano contro le mura, accanto alle porte alle nostre<br />

spalle e all'intorno ferveva un confuso viavai di traffici. L'aria<br />

risuonava dei mille versi degli animali e dello starnazzare del<br />

pollame, delle voci della folla che si assiepava alle bancarelle, delle<br />

grida dei venditori che esaltavano la loro merce e la mostravano in<br />

un'invidiabile ostentazione di prosperità e ricchezza.<br />

«Giorno di mercato» brontolò Derek. «Seguimi.»<br />

Gli rimasi alle calcagna mentre si faceva strada tra la folla, di tanto<br />

in tanto salutava con un cenno della testa e talvolta restituiva un<br />

saluto ad alta voce a chi lo chiamava per nome. Davanti a noi, <strong>sul</strong>la<br />

sinistra, torreggiante <strong>sul</strong>le bancarelle, scorsi i muri di arenaria e il<br />

tetto ad arco di un altro edificio romano. Lo afferrai per il braccio.<br />

«Che cos'è?»<br />

«Sono le terme. Andiamo lì.»<br />

Qualche istante dopo, mi sentii chiamare. Era Sean il navigatore<br />

che da dietro la bancarella del fornaio mi sorrideva mentre<br />

addentava una focaccia calda. Lo salutai con la mano e mi affrettai a<br />

raggiungere Derek. Soltanto la sua statura impediva che lo perdessi<br />

di vista tra tanta gente.<br />

Cominciai a riconoscere altri visi del nostro equipaggio, ma pochi<br />

mi scorsero e quei pochi mi ignorarono, salvo qualche frettoloso


cenno della testa. C'erano anche i Figli di Condran, ma nessuno dei<br />

due gruppi prestava attenzione all'altro, e quando per poco non<br />

inciampai in uno degli uomini di Liam, questi passò oltre, limitandosi<br />

a brontolare e a lanciarmi un'occhiata torva. Da quel momento mi<br />

concentrai per non perdere di vista Derek.


II.<br />

La folla si diradò mentre ci avvicinavamo alle terme. Alle<br />

bancarelle in fila l'una accanto all'altra subentrarono i pollai, gli ovili<br />

e i recinti ampi e aperti nei quali stazionavano bovini, maiali, capre,<br />

cavalli, pecore dal vello bruno, stormi di galline, oche, anatre e un<br />

corteo di maestosi cigni dalle ali cimate perché non potessero<br />

spiccare il volo.<br />

«Laggiù.» Derek si avviò verso un gruppo di edifici diroccati e<br />

cadenti. Le due ali delle terme, occidentale e meridionale, definivano<br />

uno spazio spoglio, aperto, a forma di "L" che dava riparo a un<br />

branco di ispidi ronzini. Al vedermi, un ometto gobbo e strabico,<br />

intento alla cura dei cavalli, mi si avvicinò di corsa, aggrottando la<br />

fronte e facendosi strada tra gli animali che gli impedivano di vedere<br />

la mia guida. Non appena scorse Derek, si fermò, quindi si volse e<br />

scomparve in mezzo alle sue bestie.<br />

«Reagiscono tutti così quando ti vedono?» gli chiesi lanciandogli<br />

un'occhiata.<br />

«È Ulf, non parla.»<br />

«È muto?»<br />

«Solo quando è sobrio» spiegò con un mezzo sorriso. «Ha una<br />

lingua che non la smette di blaterare se si decide a usarla. Grazie a<br />

Dio, se ne sta spesso zitto.» Senza aggiungere altro, si guardò<br />

intorno, mentre io oziosamente cominciavo a contare i cavalli. Ma<br />

prima di essere arrivato a venti, persi il conto degli animali che si<br />

accalcavano.<br />

«Sono tutti suoi? Li vende?»<br />

Derek grugnì. «Sono tutti miei; lui li cura.» Mentre parlava,<br />

l'ometto riemerse dal branco, portando due ronzini per le briglie. Ce<br />

le porse, un paio ciascuno - semplici corde intrecciate attaccate a una<br />

testiera con morsi di metallo - e sparì di nuovo senza aprire bocca.<br />

Portato il cavallo vicino a un blocco di legno, Derek montò


facilmente in groppa usando il ceppo per darsi la spinta.<br />

Seguii il suo esempio. Erano passati troppi anni da quando avevo<br />

volteggiato <strong>sul</strong> dorso di un cavallo; non avevo voglia di tentare e<br />

magari fare una figuraccia. Premetti piano i talloni contro i fianchi e<br />

la bestia drizzò le orecchie, chiedendosi se lo sconosciuto <strong>sul</strong>la sua<br />

groppa potesse essere ignorato o andasse obbedito. Tirai<br />

bruscamente le redini e gli feci percepire la forza delle mie gambe; si<br />

mosse allegramente a buon passo per raggiungere il compagno.<br />

A un certo punto, mentre superavamo un edificio lungo e basso<br />

quasi al limitare della città, qualcosa attirò la mia attenzione. Un<br />

uomo si era fermato all'improvviso nell'istante in cui entrava<br />

nell'edificio. Lo scrutai ma scorsi soltanto una sporca tunica gialla e<br />

un viso barbuto prima che lui, aperta la porta, sparisse. Eppure mi<br />

ero accorto che aveva fissato me, non Derek.<br />

«Che cos'è quel luogo <strong>sul</strong>la sinistra?»<br />

«Una birreria» spiegò Derek guardando il punto che gli indicavo.<br />

«Una taverna, cioè?»<br />

«Sì.»<br />

Subito dopo, oltrepassate le ultime case, ci addentrammo tra i fitti<br />

boschetti che fiancheggiavano la strada. Derek avanzava al piccolo<br />

galoppo e io lo seguivo. Superati gli alberi, ci trovammo in mezzo ai<br />

campi aperti che la strada tagliava con una linea netta. Le poche<br />

costruzioni lungo i bordi erano magazzini e capanni; non era facile<br />

distinguere i confini tra un campo e l'altro, appena identificabili dalla<br />

disposizione leggermente diversa delle colture. Mentre il mio<br />

compagno se ne stava in silenzio, mi guardavo intorno con curiosità.<br />

La valle, larga circa un miglio, era stata strappata in un lungo arco<br />

di tempo alla foresta che ancora ricopriva i pendii boscosi a destra e<br />

a sinistra. Davanti a noi, sui due lati, le colline, a mano a mano che si<br />

susseguivano verso l'interno, diventavano sempre più alte. Le cime<br />

più impervie, fino a dove riuscivo a vedere, erano nude rocce<br />

scandite da dirupi, alcune avvolte in un mantello bianco che poteva<br />

essere una nube o neve.<br />

«Quanto è lunga la valle, Derek?»


Mi lanciò un'occhiata sfuggente, aggrottando la fronte nel<br />

momento in cui avevo interrotto i suoi pensieri. «Circa sei miglia;<br />

fino al bordo del laghetto.»<br />

«<strong>Il</strong> laghetto? Quale laghetto?» chiesi per amore di precisione.<br />

«È il laghetto. Non ha un nome, è un laghetto come tanti altri.»<br />

«Hai detto sei miglia. Sono tutte coltivate?»<br />

«No, soltanto fin dove lo consente il terreno. A quattro miglia da<br />

qui l'altitudine si fa sentire e il suolo diventa roccioso.»<br />

Avevamo raggiunto, <strong>sul</strong>la sinistra, una linea divisoria tra due<br />

campi. <strong>Il</strong> grano che maturava nell'uno cedeva il passo nell'altro a una<br />

coltura di piante dalle foglie scarne che riconobbi per una specie di<br />

ravizzone. Lasciata la strada, Derek imboccò un sentiero stretto e ben<br />

battuto, puntando in direzione di una collina boscosa che si levava a<br />

circa mezzo miglio.<br />

«Dove mi stai portando?»<br />

«In un luogo dove io posso pensare e noi possiamo parlare.»<br />

Proseguimmo in silenzio - si sentivano soltanto il tonfo sordo<br />

degli zoccoli dei cavalli e il canto degli uccelli - per un angusto<br />

viottolo fino all'estremità di un campo all'imboccatura di un incavo a<br />

forma di "V" che si apriva in una sorta di parete di pietra, tale mi<br />

parve vista da lontano, che arrivava all'altezza del petto e<br />

percorreva tutta la valle. Mentre ci avvicinavamo, tuttavia, fu chiaro<br />

che non ci trovavamo davanti a una parete rocciosa naturale ma a<br />

una sorta di concrezione artificiale - non mi viene in mente altra<br />

parola per descriverla - fatta di pietre, alcune non più grandi di<br />

ciottoli, altre sufficientemente pesanti da non poter essere spostate<br />

da un uomo solo. Erano state ammassate casualmente per formare<br />

una barriera che aveva uno spessore di non meno di venti passi.<br />

Mentre contemplavo quella costruzione, sgomento davanti alle sue<br />

enormi dimensioni, il cavallo di Derek imboccò una breccia nel<br />

centro della parete e il mio lo seguì di buon grado.<br />

«Da dove vengono tante pietre?»<br />

«Dai campi, dal terreno.» Derek tirò le redini e si voltò a<br />

guardarmi. «Stando a un detto del posto, noi abbiamo più pietre che


messi. Affiorano alla superficie ogni inverno. La gente impiega mesi,<br />

anno dopo anno, a trascinarle qui; e l'anno successivo ecco che ne<br />

abbiamo un nuovo raccolto. Non si finisce mai. Va avanti da ben<br />

prima che arrivassero i Romani.»<br />

Guardai le pietre ammassate <strong>sul</strong>la mia destra; in alcuni casi il<br />

cumulo mi sopravanzava in altezza. «Da più di quattrocento anni!»<br />

«Di più. La nostra gente coltiva questi terreni da molto più<br />

tempo.»<br />

«Succede lo stesso <strong>sul</strong>l'altro versante della valle?»<br />

«È lo stesso dappertutto.»<br />

«Non capisco... hai detto che non avevate la pietra per costruire?»<br />

Derek mi lanciò un'occhiata sprezzante. «Ho detto che non<br />

avevamo la pietra adatta. Mi riferivo all'arenaria, alla pietra che si<br />

estrae dalle cave, che può essere tagliata e lavorata. Gran parte di<br />

quella che vedi qui è inservibile: blocchi troppo piccoli e friabili...<br />

sarebbe un lavoro enorme. Sbrighiamoci.»<br />

Dall'altra parte della barriera gli alberi tornavano a infittirsi; il<br />

sentiero ci condusse <strong>sul</strong>la cima del colle che, subito dopo la vetta,<br />

precipitava con un'alta parete scoscesa. Al di là si schiudeva un'altra<br />

valle, ricca di alberi, e <strong>sul</strong>la sinistra si apriva il mare.<br />

Derek rimase immobile per qualche momento a contemplare il<br />

paesaggio, quindi smontò e legò il cavallo, facendomi cenno di<br />

seguirlo fino a una sporgenza erbosa <strong>sul</strong>l'orlo di un burrone. Si<br />

sedette appoggiando comodamente la schiena al tronco di un<br />

albero. Mi sedetti al suo fianco, tra due cespugli che crescevano <strong>sul</strong><br />

pendio della collina. Per un bel pezzo rimanemmo in silenzio,<br />

guardando la valle e socchiudendo gli occhi nel fulgore del lontano<br />

mare scintillante, ciascuno di noi, ne sono sicuro, componendo nella<br />

sua mente le parole più efficaci per inquadrare i concetti ed esporli in<br />

modo convincente. Eravamo andati lì per riflettere e discutere, non<br />

soltanto per fare una passeggiata e ammirare il paesaggio. La voce di<br />

Derek interruppe i miei pensieri.<br />

«Sant... sant... che parola hai usato?»<br />

«Santuario.»


«Già, santuario... hai detto che significa asilo e rifugio, e io ti ho<br />

chiesto da che cosa. Te lo chiedo di nuovo. Nessuno verrà a<br />

disturbarci qui.» Mi guardò accigliato. «Perché sorridi?»<br />

Scossi la testa. «Penso che siamo del tutto incapaci di prevedere<br />

quello che succederà nel futuro. La notte scorsa abbiamo gettato<br />

l'ancora al largo del tuo porto... neppure stamattina, mentre ci<br />

avvicinavamo al molo, avevo idea di come avresti reagito al<br />

vedermi. Cercavo di prepararmi a qualsiasi evenienza... dall'aperta<br />

aggressione, all'indifferenza, al rifiuto del permesso di sbarcare.»<br />

Si tirava la punta dei baffi, gli occhi socchiusi nella concentrazione,<br />

le labbra contratte: mi fissava e ascoltava.<br />

«Perché ti aspettavi un'aggressione? Noi due non abbiamo mai<br />

litigato.»<br />

«No, ma non abbiamo neppure mai condiviso una meta. Due<br />

volte ci incontrammo, e fu con inimicizia, essendo noi guerrieri della<br />

Cornovaglia e di Camelot.»<br />

«Un'inimicizia unilaterale la prima volta. Credevo allora che fossi<br />

dalla nostra parte. Soltanto quando ci incontrammo di nuovo mi resi<br />

conto che non era così. Francamente, in quel frattempo, non pensai<br />

mai a te; ti pensai invece spesso dopo il secondo incontro. Fui<br />

contentissimo di allontanarmi da te su quella spiaggia.»<br />

«Perché?»<br />

«Temevo che intendessi uccidermi.»<br />

«Ucciderti? Fosti tu a minacciare di uccidermi se avessi incrociato<br />

la spada con te.»<br />

«Sì, avrei cercato di farlo. Ma sono soltanto un uomo; non posso<br />

stare alla pari con un mago.» <strong>Il</strong> suo sguardo e la sua voce<br />

esprimevano sincerità.<br />

«Mago? Non sono un mago, Derek. Sono solamente un uomo,<br />

come te.»<br />

«Un uomo che in sogno vede morire gli amici e sa con precisione<br />

quando e come, che descrive con grande anticipo la scena e l'arma<br />

che verrà usata. A mio avviso, non è cosa da uomo come gli altri.<br />

Quel giorno, <strong>sul</strong>la spiaggia, ti dissi che eri stato toccato dagli dèi e


non volevo avere a che fare con te. Ed eccoti qui, tranne che questa<br />

volta sei tu che, spinto da un sogno, vieni a cercare me. Ti avverto:<br />

altri mi hanno visto in sogno qui, di questi tempi, nemici che<br />

complottavano ed erano ben vigili. Ora sono morti. Perché dovrei<br />

pensare che i tuoi sogni siano diversi dai loro? Non è necessario<br />

avere un'intelligenza superiore per capire che sei qui perché hai in<br />

mente un piano e persegui un sogno.»<br />

«La mia presenza non è una minaccia, Derek. Non ti verrà alcun<br />

danno dal mio arrivo. Sono venuto da supplice a invocare il tuo<br />

aiuto e credo che sia in tuo potere darmelo.»<br />

«Potere...» Spostandosi leggermente, dal terreno trasse un ciottolo<br />

che gli premeva la coscia, lo lanciò lontano e lo guardò cadere nel<br />

precipizio davanti a noi. «Lo sai, un saggio mi disse una volta che per<br />

un re i nemici più infidi sono coloro che ha cercato di aiutare.<br />

Sembra strano, no? E strano mi parve allora, perché ero giovane. Gli<br />

chiesi che cosa volesse dire, e non ho mai dimenticato la sua risposta.<br />

Mi spiegò che la bontà d'animo spesso genera odio... che esiste un<br />

tipo di uomo - e anche di donna - nel quale cova e fermenta sempre<br />

il rancore e che nulla lo esaspera di più che l'obbligo della<br />

gratitudine.» Rimase in attesa di una mia reazione, fissandomi<br />

intensamente.<br />

«Capisco quello che vuoi dire, ma non ne condivido la<br />

generalizzazione. Stando alle tue parole, sembra che tu voglia<br />

riferirle a tutti, mentre a mio avviso si applicano soltanto a pochi.»<br />

Parve che volesse annusare l'aria e, dopo avere schioccato la<br />

lingua, spiegò: «Siamo andati fuori del seminato, ma forse meglio<br />

così. Dimmi, Merlino Britannico: quante volte ti capita di fare i tuoi<br />

sogni profetici?».<br />

«Non spesso. Una sola volta all'anno, forse più di rado.»<br />

«Compaiono sempre persone nei tuoi sogni?»<br />

Ci dovetti pensare un momento. «Non lo so con precisione.<br />

Credo di sì.»<br />

«Ami la gente?»<br />

«Amare la gente? In generale, vuoi dire?»


«Sì, la gente come massa.»<br />

«Non ci ho mai pensato, ma immagino di sì.»<br />

«Io no. Voglio bene agli amici, alla mia famiglia - almeno ad<br />

alcuni - voglio bene a varie persone che mi è capitato di conoscere<br />

per caso senza tuttavia diventare loro amico. Ma ritengo che la<br />

massa della gente, il gregge anonimo e impersonale degli uomini, sia<br />

sgradevole. Sono per lo più meschini d'animo, invidiosi, avidi, infidi,<br />

turpi, malvagi.»<br />

Lo ascoltavo attonito, ricordando l'ultima volta che lo avevo<br />

incontrato e lo avevo visto stuprare e massacrare una donna ferita,<br />

Ygraine, la sorella di mia moglie, su una spiaggia cosparsa di<br />

cadaveri. Sapevo che non era quello il momento migliore per<br />

ricordare l'episodio.<br />

Taceva, scrutandomi in viso. «A che cosa pensi?»<br />

Mi strinsi nelle spalle, ma sapevo di dover rispondere con onestà.<br />

<strong>Il</strong> re di Ravenglass non era uno sciocco; sapevo di non conoscerlo in<br />

profondità.<br />

«Le tue parole mi hanno sorpreso. Evocano immagini che non<br />

sono in sintonia con quanto ho visto oggi a Ravenglass.»<br />

«Non seguo il tuo ragionamento.»<br />

«Non so dove sto andando a parare, ma se tu sei veramente<br />

convinto delle cose che hai detto, se il tuo rifiuto del prossimo è<br />

radicato come affermi, non può non riflettersi nel modo in cui<br />

governi il tuo popolo. Eppure non ho percepito segni di paura o di<br />

avversione tra la gente che ho visto oggi.»<br />

Emise un brontolio. «Dimostra quello che ti ho detto. Sono tutti<br />

infidi.»<br />

Lo fissai negli occhi. «Non è vero e non ti aspetti che ti creda...»<br />

Quando rispose, colsi nel suo sguardo un guizzo ironico.<br />

«Torniamo a quello che ho detto prima. Accetto alcune persone che<br />

ho conosciuto per caso pur senza diventarne amico.»<br />

«Un'intera città popolata di gente così fatta?» Si strinse nelle spalle<br />

e io proseguii: «O forse un intero regno?».


«Fermiamoci alla città per il momento. Quelli che ci abitano sono<br />

coloro con i quali posso vivere.»<br />

«E gli altri? Quelli che stanno fuori della città?»<br />

«Nelle fattorie, vuoi dire? Accetto anche loro.»<br />

«E allora? Questo fa di te un buon re, Derek, non un cinico o un<br />

misantropo.»<br />

«Un che cosa?»<br />

«Uno che odia tutti.»<br />

«Già. La sorte mi ha fatto re, sicché posso tenere a debita distanza<br />

coloro che mi sono sgradevoli finché avrò la forza di farlo.»<br />

«E i sette anni?» Intuii dalla sua espressione che non mi aveva<br />

capito. «Mi hai detto che da sette anni non impugni una spada. Sta a<br />

indicare che non hai bisogno della durezza per governare.»<br />

«Davvero? Non è così che la penso. Ho detto di non avere<br />

impugnato una spada, non di aver perso la capacità di usarne una.»<br />

Sorrisi e levai una mano. «Così sia. Hai detto all'inizio che<br />

andavamo fuori dal seminato. Adesso stiamo di nuovo divagando.<br />

Perché mi hai chiesto se amo il prossimo?»<br />

«Perché parlavamo di risentimento. Lo cercavo in te. Ho scelto di<br />

credere che gli uomini siano nella stragrande maggioranza<br />

spregiudicatamente egoisti. La spregiudicatezza è essenziale per uno<br />

nella mia posizione; se la ignora, è a suo rischio e pericolo. Quelli di<br />

cui parlo, gli uomini che serbano rancore e risentimento,<br />

considerano la generosità altrui, chiamala pure tolleranza,<br />

compassione, indulgenza, una debolezza da sfruttare. E nello stesso<br />

tempo - ed ecco quello che non riuscivo a capire all'inizio -<br />

percepiscono come debolezza anche la propria accettazione della<br />

generosità altrui. <strong>Il</strong> che significa che l'uomo saggio deve guardare con<br />

cautela coloro con i quali si è mostrato benevolo perché facilmente<br />

si convincono di essere stati umiliati dalla preferenza dimostrata nei<br />

loro confronti.»<br />

Lo fissavo, profondamente colpito da una saggezza che non avrei<br />

pensato di trovare in uno come lui, ma prima che potessi


ispondergli aveva ripreso a parlare.<br />

«E questo mi riporta a te e alla domanda che non hai formulato.<br />

Che cosa vorrai da me? Come reagirò io? Come questa parola nuova<br />

"santuario" determinerà la mia vita in futuro?»<br />

Non mostrando io intenzione di rispondere, continuò: «Ci<br />

conosciamo, Merlino il Sognatore, ma mi chiedo che ne pensi di me<br />

e mi preoccupo... Sono sorpreso di me stesso perché di rado mi<br />

pongo domande di questa natura. Perché dovrei occuparmi di quello<br />

che uno sconosciuto pensa di me? Ci siamo visti soltanto due volte in<br />

precedenza, e in entrambi i casi fu il mio io guerriero a incontrarti.<br />

L'altro io, quello che governa e regge un regno, tu non l'hai mai<br />

conosciuto. So che sei romano, per famiglia se non altro, e tale<br />

circostanza mi porta a sospettare che tu sia convinto di avere<br />

qualche vantaggio su di me, un celta incolto e sempliciotto. Se è così,<br />

allora bada a quello che ti dico: oggi hai pronunciato una parola che<br />

mi giungeva nuova, ma il concetto che essa esprime è già in atto, qui<br />

a Ravenglass. Liam, Figlio di Condran, mangerà, berrà, dormirà<br />

stanotte con i suoi uomini, gomito a gomito con Connor, figlio di<br />

Athol e il suo seguito. Da quanto mi ri<strong>sul</strong>ta, da nessun'altra parte in<br />

queste terre tranne che a Ravenglass, può accadere una cosa simile<br />

senza spargimento di sangue. È questo il concetto di santuario, no?<br />

Ma si può godere di questo privilegio soltanto obbedendo alle mie<br />

leggi: né armi, né battaglie, né alcun danno a me e alla mia gente. La<br />

violazione della regola porta all'immediato allontanamento con la<br />

rinuncia al privilegio di asilo; non esistono né il diritto di appello, né<br />

la possibilità di un indulto».<br />

Annuii, sempre più convinto dalle sue parole.<br />

«Proprio così deve essere» dissi a voce bassa. «Vi rifletto fin da<br />

quando ho abbandonato le armi, e non vedo altre possibilità per<br />

garantirsi una pace sicura. Offri un privilegio, come hai detto, e il<br />

privilegio impone a chi ne gode un'obbligazione. La violazione è per<br />

definizione irremissibile. <strong>Il</strong> fatto che la tua comunità ne tragga<br />

beneficio è un effetto collaterale, seppure parte integrante della<br />

regola.»<br />

«Giusto. Mostri di essere un uomo di buon senso oltre che un<br />

sognatore. Accetti dunque di essere vincolato dalle mie leggi in


cambio del privilegio che cerchi.»<br />

«Naturalmente.»<br />

«Naturalmente? Anche senza conoscere le leggi?»<br />

Mi strinsi nelle spalle. «Conosco le tue idee abbastanza per sapere<br />

che le leggi da te imposte sono buone e per lo più sensate.»<br />

«Ehm!» brontolò. «Che cosa vuoi?»<br />

Riflettei <strong>sul</strong>la risposta, quindi la esposi brevemente.<br />

«Un luogo sicuro nel quale allevare un bambino.»<br />

Non replicò subito, ma distolse lo sguardo da me per fissarlo <strong>sul</strong>la<br />

valle dove, a un'altezza di poco superiore al punto in cui stavamo<br />

noi, un uccello rapace disegnava ampi cerchi contro lo sfondo del<br />

cielo azzurro, librandosi su ali immobili. Tre volte lo vedemmo<br />

roteare finché, all'improvviso, ripiegò le ali e si lasciò cadere come<br />

una pietra. Da quel momento sparì alla vista, nascosto sotto il bordo<br />

del picco di roccia <strong>sul</strong> quale stavamo. Per qualche istante il mio<br />

compagno rimase immobile e quando riprese a parlare non mi<br />

guardò.<br />

«Quale bambino ha bisogno di una terra sconosciuta per poter<br />

crescere al sicuro?» Capii immediatamente di essermi espresso nel<br />

modo peggiore, ma lui continuò. «Non dirmelo; non voglio saperlo.<br />

L'apprenderlo potrebbe essere pericoloso.»<br />

Feci una smorfia, consapevole che non poteva vedermi, e cercai<br />

di tenere calma la voce. «Perché parli così?»<br />

«Così?» Si volse lentamente verso di me. «Supponiamo... ti dirò<br />

come potrebbero stare le cose...<br />

Supponiamo che un bambino sia affidato alle cure di un uomo<br />

come te, un uomo importante, ricco, influente. Immaginiamo anche<br />

che quest'uomo sia amico di qualcuno come Connor Mac Athol, che<br />

possiede terre nell'Eire e anche nuove terre lontano, nel nord, ad<br />

Alba che voi chiamate Caledonia. Non ti sembra ragionevole che<br />

quest'uomo potrebbe assumersi l'impegno di dare riparo al bambino<br />

in una delle due località? Spazio abbondante in entrambe per<br />

allevarlo... a meno che la sua parentela non sia tale da essere un<br />

pericolo per lui tra la gente di Connor. <strong>Il</strong> bambino rappresenta in tal


modo una minaccia per qualcuno.<br />

Ma - ed è ancora più importante - supponi che il bambino non sia<br />

al sicuro nella sua patria... a Camelot... Deve essere così, altrimenti<br />

perché proteggerlo altrove? Ora, se fossi in te, se per qualche<br />

ragione mi trovassi a dover nascondere un bambino, io lo<br />

nasconderei vicino alla sua patria. I bambini sono esseri minuti, che<br />

molti neppure notano: anche io lo porterei lontano, ma resterei in<br />

una regione confinante. Probabilmente a sud-ovest, in Cornovaglia<br />

per esempio, ora che Lot è morto, ma ancora più probabilmente, se<br />

fossi in te, lo porterei a nord-ovest, in Cambria, nelle terre di<br />

Pendragon, tra i miei alleati. Lì troverei un luogo sicuro per lui... a<br />

meno che naturalmente i suoi parenti, ed ecco la grave minaccia,<br />

non fossero tali da attentare alla sua vita anche lì.»<br />

<strong>Il</strong> silenzio si protrasse a lungo prima che lo interrompessi.<br />

«Quante cose sai?»<br />

«Tra tante supposizioni? Non so niente. Non sapevo neppure che<br />

tu fossi vivo finché non ho visto la tua faccia stamattina, e non<br />

immaginavo niente di simile prima che tu mi dicessi quello che vuoi.»<br />

Scosse la testa ed emise un profondo sospiro,.<br />

«Merlino, non sono diventato re di Ravenglass perché sono<br />

stupido. Chi è questo bambino? Deve essere un figlio e un erede: di<br />

chi? È la distanza che mi preoccupa. Lo capisci, vero?»<br />

«Quale distanza?»<br />

«Tra Camelot e Ravenglass. Perché non la Cornovaglia? Non hai<br />

mai combattuto in quella terra. Non hai alcun nemico in<br />

Cornovaglia, o almeno non ne avevi quando ti incontrai lì. Le cose<br />

sono cambiate?»<br />

«Indirettamente.»<br />

Derek aggrottò la fronte. «Che risposta è questa? Hai o non hai<br />

nemici in Cornovaglia?»<br />

«Ne ho» risposi stringendomi nelle spalle. «Ma non è questo il<br />

punto. <strong>Il</strong> punto è che li ha il bambino.»<br />

«Allora avevo ragione. <strong>Il</strong> bambino è in pericolo in virtù di quello<br />

che è. Chi è tale prodigio? E perché dovrei mettere a rischio uno


qualsiasi dei miei sudditi per soccorrerlo? Ti sorprende che te lo<br />

chieda? Se adesso che è un marmocchio ha nemici che gli girano<br />

intorno in numero così cospicuo e in tanti luoghi, che cosa avrà in<br />

serbo il futuro per lui?»<br />

Mi levai in piedi e mi allontanai fino a un albero che cresceva<br />

quasi <strong>sul</strong>l'orlo del precipizio.<br />

Ero scosso dall'acutezza dei suoi pensieri e dalla facilità con cui<br />

aveva intuito e subito capito le difficoltà che mi trovavo ad<br />

affrontare. Da una sola mia affermazione, che scioccamente avevo<br />

ritenuto innocua, aveva immediatamente intravisto la verità circa i<br />

motivi della mia presenza nelle sue terre. Ero venuto a Ravenglass<br />

perché spinto dai suggerimenti avuti in sogno, nella certezza, che<br />

solo ora riconoscevo chiaramente, di poter imbrogliare un uomo che<br />

avevo catalogato come sempliciotto, ignorante, rozzo, zotico.<br />

Invece avevo finito per essere io catalogato e giudicato da una<br />

mente sottile e acuta, almeno pari alla mia.<br />

Una cosa mi era chiara: era una grave minaccia al mio progetto<br />

che Derek sapesse, seppur in modo incompleto. Dovevo riparare al<br />

danno fatto fino a quel momento e senza mentire.<br />

«Sono rimasto colpito,» dissi abbozzando un sorriso «che <strong>sul</strong>la base<br />

di un'unica osservazione tu abbia costruito un impeccabile<br />

ragionamento. In tale contesto le tue deduzioni per certi versi<br />

colpiscono il bersaglio, per certi versi lo mancano. Nell'insieme,<br />

tuttavia, non sono del tutto infondate. I pericoli che, nella tua<br />

supposizione, potrebbero venire dalla gente di Connor non esistono.<br />

Se ci rifiuterai accoglienza qui, siamo pronti ad andare con lui<br />

nell'Eire. Ma sono nato in Britannia, come sai, e in Britannia vorrei<br />

rimanere, se possibile. Lo stesso vale per le nuove terre della<br />

Caledonia di cui hai parlato. I possessi laggiù, mi hanno detto, sono<br />

piccoli e nuovi, isole primitive nel mare occidentale e io preferisco le<br />

comodità.<br />

Quanto al sud-ovest, hai colto la situazione nella sostanza, ma<br />

non nella sua interezza. C'è un mio nemico laggiù, un uomo che ho<br />

mandato in esilio, Peter Ironhair.» Gli raccontai di Ironhair, di come<br />

era stato cacciato da Camelot, della sua fuga e del suo fallito<br />

tentativo di conquistare il potere in Cambria in qualità di difensore


del principe pazzo Carthac Pendragon e della successiva alleanza da<br />

lui stretta con il nuovo signore della Cornovaglia. Non mentii, ma<br />

mi limitai a raccontare dei miei rapporti con Ironhair, senza<br />

accennare al ragazzo.<br />

Derek ascoltò in silenzio e quando ebbi finito, rimase seduto a<br />

fissarmi, pensieroso.<br />

«Allora questo Ironhair cerca vendetta <strong>sul</strong> ragazzo?»<br />

«No, cerca vendetta su di me. Conosce i sentimenti che mi legano<br />

al ragazzo e il dovere che mi sono assunto di crescerlo e di fargli<br />

avere l'eredità che gli spetta. Un giorno regnerà su Camelot. È il mio<br />

unico erede, sebbene non sia mio figlio. Ironhair sa che potrebbe<br />

recarmi un danno maggiore facendo del male al ragazzo che<br />

uccidendomi.»<br />

«E naturalmente ha già compiuto un tentativo, un tentativo ben<br />

congegnato, se ora sei qui <strong>sul</strong>la mia soglia a cercare il tuo sant...»<br />

agitò il dito per concludere la parola strana.<br />

«Santuario. Sì, è così. Ci riuscì quasi. Mandò i suoi sicari tra la mia<br />

gente per uccidere il ragazzo. Mancarono il bersaglio solo perché<br />

non lo avevano mai visto; invece del bambino uccisero una delle<br />

donne che quel giorno si prendeva cura di lui.»<br />

«Uccisero una donna? La violentarono?»<br />

«Sì, poi la massacrarono.»<br />

«Sei sicuro che dietro l'attentato ci fosse Ironhair? Non potrebbe<br />

essersi trattato di un incidente, la semplice circostanza che lei si sia<br />

trovata nel momento sbagliato nel luogo sbagliato?»<br />

Lo guardai in viso: l'espressione intenta, gli occhi socchiusi, in<br />

attesa della mia risposta. I fatti essenziali innanzi tutto, sembrava<br />

dire, com'era nel suo modo di pensare. Cercai di escludere dalla mia<br />

mente l'immagine di lui che stuprava la madre di Artù, Ygraine di<br />

Cornovaglia. Scossi la testa negando con forza e dimostrandogli che<br />

ero convinto di quello che dicevo. «No, non era possibile. Lo stupro<br />

fu improvvisato. Erano venuti per uccidere il ragazzo, e a mandarli<br />

era stato Ironhair. Fecero il suo nome e non ne fui sorpreso. Ma, ed<br />

ecco la circostanza più grave, per penetrare così a fondo nelle nostre<br />

difese, Ironhair doveva avere corrotto qualcuno della mia gente, e io


non avevo modo di sapere di chi si trattasse. Di conseguenza, non<br />

potendomi fidare di nessuno, mi sentivo vulnerabile ed esposto tra i<br />

miei stessi uomini. Era intollerabile; dovevamo andarcene perché la<br />

vita del ragazzo sarebbe stata costantemente in pericolo finché non<br />

avessimo individuato tra noi i serpenti traditori. Ed eccoci qui.»<br />

«Chi è il ragazzo?»<br />

«<strong>Il</strong> figlio di mio cugino Uther, Artù Pendragon.»<br />

Derek si stava grattando distrattamente la barba, ma le dita gli si<br />

immobilizzarono alle mie parole. Spalancò gli occhi: «Uther<br />

Pendragon, l'uomo da me ucciso?».<br />

«Sì, il ragazzo è l'erede di Pendragon, ma Ironhair percepisce<br />

questo fatto come una minaccia al suo potere, alla sua regalità. È<br />

pazzo. Potresti diventare tu re di Pendragon prima di lui.»<br />

Derek, che si era messo a scuotere la testa mentre parlavo e aveva<br />

quasi smesso di ascoltare, mi guardò con aria oltraggiata.<br />

«Stai dicendo che Ironhair è pazzo, eppure mi chiedi di dare asilo<br />

a un ragazzo il cui padre morì per mano mia? Che cosa ti spinge a<br />

tanto? Che cosa spingerebbe me, se fossi così stolto da ascoltarti? Ti<br />

aspetti che passi il resto della mia vita in attesa che Artù cresca ed<br />

esiga il prezzo del sangue di suo padre?»<br />

«No! Naturalmente no! Non accadrà mai; il ragazzo non lo saprà<br />

mai.»<br />

«Mai?» La voce di Derek era carica di disprezzo e di rabbia<br />

dettata, ne fui sicuro, dalla colpa. «Come no? Lo so io, lo sai tu, lo<br />

sanno gli dèi! E chissà quanti altri! Soltanto gli dèi potrebbero dirlo.<br />

Ma qualcuno prima o poi lo informerebbe.»<br />

«Non io, non tu. Nessun altro lo sa.»<br />

«Dovrei credere al tuo giuramento?»<br />

«Sì, perché prestato liberamente.»<br />

«Mi prendi per uno stolto come te? Perché dovrei rischiare?»<br />

«Forse perché gli sei debitore di una vita, la vita di suo padre.»<br />

Mi fissò a bocca aperta, incapace di articolare parola, quindi balzò<br />

in piedi.


«Partirete domani» mi disse gelidamente e si avviò deciso verso il<br />

suo cavallo.<br />

Lo seguii in uno strano stato d'animo, in parte deluso per non<br />

essere riuscito a ottenere il suo aiuto, in parte sollevato per avere<br />

distratto la sua attenzione dalla verità che era stato così vicino a<br />

cogliere. Non mi avrebbe giovato che quell'uomo intuisse che il<br />

ragazzo a me affidato aveva sufficienti legami di sangue e relazioni<br />

familiari per arrivare a controllare vaste regioni della Britannia, una<br />

volta raggiunta la maturità. Quel pericolo, ne avevo la certezza, era<br />

stato sventato e ora, dileguatosi, si era semplificato il mio compito di<br />

trovare un rifugio sicuro. <strong>Il</strong> nome di Pendragon di Cambria spiegava<br />

agli occhi di Derek il fatto che mi sentissi impegnato a nascondere il<br />

ragazzo. Non mi era di pregiudizio che conoscesse quella parte della<br />

verità, perché era abbastanza complicata da soddisfare la sua<br />

curiosità. Sapevo che non avrebbe cercato ulteriori spiegazioni, e che<br />

il segreto degli altri legami familiari del ragazzo e la sua<br />

rivendicazione <strong>sul</strong>la Cornovaglia e l'Eire, legittimata tramite sua<br />

madre, non sarebbero stati compromessi.<br />

Percorrevo lo stretto sentiero collinare stando dietro di lui e,<br />

notando la sua postura rilassata, mi chiesi se fosse davvero in collera.<br />

Cavalcava con disinvoltura, abbandonato <strong>sul</strong> dorso del cavallo, il<br />

peso del corpo inclinato verso di me, lasciando all'animale la scelta<br />

del percorso. Non cercai di parlargli; tra di me ripensavo alle cose<br />

che ci eravamo detti: avrebbe forse deciso diversamente se fossi stato<br />

più persuasivo nel presentargli la mia petizione? Pensandoci<br />

cominciai a figurarmi quale avrebbe potuto essere la sua reazione se<br />

avesse saputo del pericolo che rappresentavo per la sua gente, un<br />

pericolo che nulla aveva a che fare con il ragazzo, o con quello che<br />

ero io, ma che aveva molto a che fare con quello che sospettavo di<br />

essere diventato.<br />

Soffrivo di un disturbo della pelle e avevo finito con il<br />

convincermi che si trattasse di lebbra, malgrado i sogghigni derisori<br />

del mio amico Lucano, il nostro amato e stimato medico. Ascoltando<br />

i miei sospetti, Lucano aveva concluso che ero pazzo e delirante ed<br />

era stato incline a prendere alla leggera le mie fantasie, come le<br />

chiamava, fino a quando non si era accorto di come fossi spaventato<br />

e preoccupato. Non appena aveva percepito la mia paura, si era


prodigato per tranquillizzarmi e rassicurarmi. Da tutta la vita<br />

operava tra i lebbrosi, mi aveva detto, fissandomi intensamente negli<br />

occhi e nell'arco di quei decenni non aveva mai saputo di alcuno che<br />

fosse stato contagiato per essersi esposto alla malattia per un breve<br />

periodo. Ero stato vicino ai lebbrosi, aveva insistito, per neanche un<br />

giorno e non ne avevo toccato nessuno.<br />

Lo avevo ascoltato senza speranza, anelando a essere consolato,<br />

ma non ne ero convinto. L'infermità che mi affliggeva, qualunque<br />

cosa fosse, si presentava incontrovertibilmente sotto forma di una<br />

lesione non sanguinolenta, un'unica macchia <strong>sul</strong>la parte destra<br />

superiore del petto, con tutti i segni classici della natura lebbrosa,<br />

stando alle descrizioni che ne aveva fatto Lucano.<br />

In quella zona, più piccola del polpastrello del pollice, bianca nel<br />

centro e rossastra lungo il bordo, la pelle aveva perso sensibilità. La<br />

macchia non era dolente, ed erano bianchi i peli che crescevano<br />

all'interno dei bordi. Osservando attentamente la lesione, Lucano<br />

aveva ammesso che potesse essere di natura lebbrosa, ma mi aveva<br />

snocciolato allegramente un elenco, lungo e rassicurante, di altre<br />

possibili cause, contandole <strong>sul</strong>la punta delle dita a mano a mano che<br />

le nominava.<br />

A quel punto, sollevato oltre ogni dire, gli avevo raccontato con<br />

calma il fallito tentativo di salvare, dal crepaccio in cui era caduto, il<br />

suo amico Mordechai Emancipato, un medico che aveva contratto la<br />

lebbra stando a contatto con i malati. Gli avevo descritto le ferite<br />

che io stesso avevo riportato calandomi nel crepaccio, gli inutili<br />

sforzi compiuti per salvargli la vita e come fossi emerso dal burrone<br />

coperto del mio sangue e del suo. Nel rendergli questo resoconto<br />

avevo colto un guizzo di dubbio <strong>sul</strong> viso del mio amico. Mi aveva<br />

chiesto quanto sangue fosse stato versato in quel crepaccio. Quanto<br />

sangue mio e quanto di Mordechai? Quanto sangue di Mordechai<br />

era colato su di me?<br />

Non avevo avuto modo di rispondere con precisione alle sue<br />

domande, perché la notte era stata buia e fredda e per gran parte<br />

del tempo non mi ero neppure accorto che il sangue stava<br />

sgorgando, ma avevo capito che quel particolare turbava il mio<br />

interlocutore. Aveva ammesso che qualche preoccupazione gli


veniva dalla mescolanza di sangue infetto e sangue sano, seppure<br />

non fosse certo del perché quella commistione potesse essere<br />

pericolosa. Una volta aveva trovato, e acquistato, un antico trattato<br />

<strong>sul</strong>l'argomento, mi aveva detto, un rotolo di pergamena scritto molti<br />

anni prima da un illustre medico e studioso, ma non lo aveva mai<br />

esaminato; non aveva neppure mai avuto il tempo di leggerlo<br />

dall'inizio alla fine. Glielo aveva ricordato l'accenno alla circostanza<br />

che il mio sangue si era mescolato con quello di Mordechai. Si<br />

sarebbe adoperato per rintracciare l'antico testo, aveva promesso, e<br />

vagliarne il contenuto, ma lo aveva invano cercato, incapace di<br />

ricordare che cosa ne avesse fatto o perfino quando lo avesse visto<br />

l'ultima volta. Soltanto dopo averlo con<strong>sul</strong>tato, Lucano avrebbe<br />

formulato una diagnosi <strong>sul</strong> mio stato di salute. Fino a quel<br />

momento, <strong>sul</strong>la mia testa, simile a una spada di Damocle, avrebbe<br />

continuato a incombere la minaccia della lebbra.<br />

La malattia che io ero comunque convinto di aver contratto non<br />

era di per sé fatale come nella mia ignoranza avevo sempre creduto.<br />

Era un morbo devastante, orribilmente devastante, che comportava<br />

la graduale degradazione delle dita, degli arti, delle fattezze del viso,<br />

ma non provocava la morte, tranne che nei casi disperati quando il<br />

malato moriva di fame perché incapace di nutrirsi.<br />

Lebbra! Sebbene il pensiero fosse rivoltante, mi trovai<br />

incredibilmente a sorridere al pensiero di come avrebbe reagito<br />

Derek se gliene avessi parlato.<br />

Raggiunto il limitare della zona boscosa, eravamo <strong>sul</strong> punto di<br />

imboccare il sentiero fiancheggiato dai muretti di pietre allineati<br />

lungo i campi coltivati. Con un brontolio Derek si raddrizzò in tutta<br />

la sua statura, tirando bruscamente le redini per fermare il cavallo e<br />

allungando il collo per guardare <strong>sul</strong>la sinistra della barriera di sassi. Si<br />

fermò anche il mio cavallo, ma Derek aveva ripreso ad avanzare<br />

lasciando il sentiero e addentrandosi <strong>sul</strong> terreno impervio tra gli<br />

alberi. Incuriosito lo seguii; procedevamo lentamente perché i cavalli<br />

saggiavano il terreno insidioso e irregolare prima di avventurarsi a<br />

posare gli zoccoli.<br />

«Per tutti i santi!» brontolò Derek. «Guarda la stazza di quel<br />

maledetto!»


Sul bordo inferiore dell'interminabile muretto, nascosto ai miei<br />

occhi dalla massiccia figura di Derek e dal tronco di una betulla,<br />

giaceva il cadavere di un grande lupo, il dorso inarcato nello<br />

spasimo dell'ultima convulsione. Gli enormi artigli delle zampe<br />

anteriori erano spalancati, simili alle dita pelose di un gigante; le<br />

zampe posteriori e la coda erano imbrattate di sangue. <strong>Il</strong> ronzio di<br />

migliaia di mosche che sciamavano <strong>sul</strong>la carcassa riempiva l'aria.<br />

Guardavo Derek che, sceso di sella, si avvicinava cautamente al<br />

muretto per andare a vedere da vicino la bestia. Ignorando gli sciami<br />

di mosche si inginocchiò e, afferrandogli le zampe, con un grugnito<br />

di disgusto, voltò la carcassa <strong>sul</strong>l'altro fianco. Allora fu evidente che<br />

cosa lo aveva ucciso: una freccia incrostata di sangue sporgeva dal<br />

lato destro. I denti aguzzi della bestia sofferente avevano lacerato<br />

l'asticciola. <strong>Il</strong> lupo, un maschio adulto, più grosso di quelli che avevo<br />

visto nelle regioni meridionali, era grigio con striature bianche. In<br />

piedi <strong>sul</strong>le zampe posteriori mi sarebbe arrivato all'altezza delle<br />

spalle, e le enormi mascelle avrebbero potuto stringersi con facilità<br />

intorno alla mia testa. «Bel tiro» commentò Derek. «Owen aveva<br />

ragione.» Allungò la mano per far scorrere le dita <strong>sul</strong> pelo del<br />

possente collo. «Una bella pelle! Peccato averla rovinata. Un adulto<br />

giovane. Guarda!»<br />

Mi mostrò le zanne scoperte nell'estremo rantolo della morte,<br />

lunghe, bianchissime, senza una macchia. Rialzatosi, Derek rimontò<br />

in sella.<br />

«Chi è Owen?» chiesi.<br />

«Mio figlio, il primogenito» disse spronando il cavallo e<br />

precedendomi verso il sentiero. «Ha colpito la bestia la notte scorsa,<br />

al calare del sole, a circa due miglia da qui, nella valle. Lavorava nei<br />

campi. <strong>Il</strong> lupo correva dall'altra parte del muretto. Owen non era<br />

sicuro di averlo colpito: la luce era grigia, grigi erano il lupo e le<br />

pietre. Non è riuscito a trovare la freccia, ma questo non vuole dire<br />

molto. Ha tirato mirando alle pietre, e quindi la freccia,<br />

rimbalzando, avrebbe potuto finire chissà dove. Sarà contento di<br />

sapere che ha centrato il bersaglio, ma si sentirà male quando gli<br />

racconterò che era una bestia gigantesca. Una veste rovinata, sarà il<br />

suo primo pensiero.»


«Quanti figli hai, Derek?»<br />

«Undici maschi, e molte femmine.»<br />

Ne ero sbalordito perché pensavo che avesse appena sei o sette<br />

anni più di me. Di certo si accorse della mia reazione perché<br />

aggiunse: «Da cinque mogli».<br />

«Cinque? Hai seppellito quattro mogli?»<br />

Mi guardò come se io fossi impazzito, quindi scoppiò a ridere.<br />

«No, cristiano. Ho cinque mogli quasi sempre gravide.»<br />

Sus<strong>sul</strong>tai, consapevole della mia goffaggine. La poligamia non era<br />

poi infrequente tra i pagani delle regioni isolate della Britannia.<br />

«Quanti anni ha Owen?» chiesi cercando di sorvolare <strong>sul</strong>la mia<br />

inopportuna domanda.<br />

«Diciassette.»<br />

«E il minore dei tuoi figli?»<br />

«Nove.»<br />

«<strong>Il</strong> piccolo Artù è di poco più giovane.» Mi gettò un'occhiata in<br />

tralice e io mi affrettai a continuare. «Quante figlie hai?»<br />

«Troppe. Qual è Artù? Ho visto tre ragazzi nel vostro gruppo.»<br />

«Ce ne sono quattro. Artù è il più giovane, quello con gli occhi<br />

color dell'oro. Ha otto anni.»<br />

«Ce l'ho in mente. Ho notato gli occhi, somigliano a quelli di uno<br />

sparviero. La donna che lo accompagna è sua madre? Quella bella<br />

con il viso di falco.»<br />

«Shelagh vuoi dire? No, è la moglie di Donuil, che è...»<br />

«<strong>Il</strong> fratello di Connor. Lo ricordo dal nostro primo incontro.<br />

E l'altra donna?»<br />

«Turga, la balia del ragazzo.»<br />

«Balia? A otto anni Artù ha bisogno di una balia?»<br />

«No, naturalmente no. Ma Turga ha soltanto lui, e sono attaccati<br />

l'uno all'altro.»<br />

«Dov'è sua madre?»


«Morta da anni.» Cercai di scacciare dalla mente l'immagine del<br />

cadavere di Ygraine <strong>sul</strong>la spiaggia della lontana Cornovaglia e di<br />

Derek che si levava a guardarmi dopo avere consumato lo stupro, il<br />

fallo lucente e ancora eretto nella luce del pomeriggio. Non aveva<br />

idea di chi fosse quella donna e neppure si era accorto che il suo<br />

cavallo le aveva spappolato il cranio.<br />

«Allora tu gli fai da padre e da madre. Ti senti responsabile della<br />

sua vita?»<br />

Lo fissai perplesso a quella domanda, non sapendo a che cosa<br />

mirasse.<br />

«Sì, in coscienza mi sento responsabile.»<br />

«Cerca di diventare re un giorno, amico mio, e poi mi parlerai di<br />

responsabilità. Mi addolora, ti assicuro, rifiutarti quello che mi hai<br />

chiesto, ma non ho alternative. Posso accettare di mettere in<br />

pericolo me stesso, ma sarebbe imperdonabile esporre a un rischio<br />

superfluo la mia gente... Se ci fosse anche una lontana probabilità<br />

che non si venisse a conoscere l'identità del ragazzo, potrei ritornare<br />

<strong>sul</strong>la mia decisione. Ma si tratta del figlio di Pendragon<br />

accompagnato da Merlino di Camelot. No, è un rischio<br />

inammissibile.»<br />

Annuii di nuovo, accettando la sua irremovibile decisione. «Così<br />

sia. Ti capisco.»<br />

Durante il resto della strada di ritorno a Ravenglass, cominciai a<br />

pensare a un problema pratico conseguente al rifiuto di Derek: se,<br />

come temevo, la ciurma di Connor aveva già sbarcato dalla galea e<br />

dalle altre due navi le nostre masserizie, avremmo dovuto<br />

organizzare dei turni di guardia durante la notte per poi ricaricarle<br />

<strong>sul</strong>le navi l'indomani.<br />

Restituimmo i cavalli a Ulf. Ringraziai Derek per il tempo che mi<br />

aveva dedicato e mi accomiatai promettendogli di raggiungerlo<br />

quella sera a cena. Mi misi subito a cercare Connor, dirigendomi<br />

verso il mercato, ancora attivissimo, e da lì attraversando la fortezza<br />

fino alla porta che conduceva al molo.<br />

Connor era con i capitani delle altre galee, il minuto Feargus, non<br />

molto più alto di Artù, e il suo strano compagno Logan, un gigante


spropositatamente alto quanto Feargus era piccolo. Le due galee<br />

ormeggiate l'una dietro l'altra occupavano il molo per tutta la sua<br />

lunghezza: quella di Feargus aveva una vela rossiccia che si notava<br />

anche quando era piegata, l'altra apparteneva a Connor. La galea di<br />

Logan era sistemata di fianco all'imbarcazione di Feargus, sicché il<br />

suo equipaggio doveva attraversare il ponte di quest'ultima per<br />

sbarcare. Tutti e tre gli uomini si voltarono mentre mi avvicinavo,<br />

avvertiti da Logan che mi aveva visto superare la porta del forte.<br />

Non appena ci fummo salutati, i due capitani mi lasciarono con<br />

Connor. Venni subito al punto cruciale, spiegandogli come si era<br />

concluso l'incontro. Accolse la notizia con filosofia, sorridendo<br />

perfino, ammirato per l'acutezza dimostrata da Derek. Quando<br />

tacqui, mi diede una pacca <strong>sul</strong> braccio.<br />

«Allora, amico mio, faremo rotta verso l'Eire, oppure le isole<br />

settentrionali, se sono più di tuo gradimento. Avevo il<br />

presentimento che Derek potesse non aderire al tuo progetto, e così<br />

non ho fatto scaricare le galee. Passeremo qui la notte e ce ne<br />

andremo con la marea del mattino. Non avere quell'aria afflitta,<br />

Testa Gialla. Vedrai che tutto andrà a finire per il meglio.»<br />

«Senza dubbio hai ragione,» risposi con una smorfia «ma a volte<br />

vorrei che la vita fosse più semplice. Hai visto Donuil?»<br />

Connor annuì. «Sì, è stato qui poco fa. Lo avrai incrociato strada<br />

facendo. Ha detto che avrebbe raggiunto Shelagh e i bambini nella<br />

piazza del mercato.»<br />

Lo ringraziai e ritornai sui miei passi attraversando la fortezza fino<br />

ad arrivare alla porta posteriore, rimuginando i cambiamenti e le<br />

difficoltà che ci aspettavano ora che non avevamo più una base in<br />

Britannia. In linea d'aria la distanza tra Camelot e la Cumbria non<br />

era molto superiore di quella che separava la Colonia dal regno di<br />

Athol nell'Eire. Ma per raggiungere l'Eire avremmo dovuto<br />

attraversare il grande mare e affrontare rischi che non esistevano nel<br />

percorso fino alla Cumbria. Non era impresa da poco intraprendere<br />

la traversata, ma non era quella la mia preoccupazione principale.<br />

Mi sgomentava di più l'estraneità dell'Eire. Le prospettive di Artù, ne<br />

ero convinto, ne avrebbero risentito, se si fosse allontanato dalla<br />

Britannia, la sua patria.


Mentre mi avvicinavo alle mura della fortezza, venni scosso dalle<br />

mie riflessioni dalla vista di un uomo che, emergendo dall'ombroso<br />

portale, si fermò e, giratosi bruscamente, ritornò di corsa sui suoi<br />

passi. Se non avesse reagito in quel modo nello scorgermi, lo avrei<br />

superato senza notarlo, ma la velocità con cui si girò su se stesso e si<br />

allontanò attrasse il mio sguardo, e lo scorcio di una tunica gialla in<br />

fuga mi richiamò alla mente l'uomo che, qualche ora prima in quella<br />

stessa giornata, si era fermato a fissarmi dalla soglia di una taverna.<br />

Curioso, allungai un po' il passo e attraversai la porta del forte,<br />

guardandomi intorno con aria indifferente mentre raggiungevo la<br />

piazza del mercato poco oltre, senza tuttavia riuscire a scorgerlo.<br />

Perplesso, mi afferrai a un palo che sorreggeva la tenda sovrastante<br />

una bancarella e saltai su una cassetta di legno vuota, cercando di<br />

scrutare al di sopra della folla. Alla fine lo individuai mentre, in gran<br />

fretta, si allontanava <strong>sul</strong>la mia destra, a circa quattro bancarelle di<br />

distanza. In quel momento si volse per guardarsi alle spalle. L'allarme<br />

fu istantaneo. Si mise a correre e, guizzando a sinistra, scomparve<br />

dietro l'angolo di un'altra bancarella. All'improvviso mi trovai a<br />

inseguirlo, spingendo la gente di lato, ben consapevole di non avere<br />

la spada al fianco.<br />

Girando dietro l'angolo lo scorsi di nuovo ancora intento a<br />

correre; allungai il passo per raggiungerlo. Di nuovo lo persi di vista<br />

e di nuovo mi lanciai all'inseguimento, per poco non finendo lungo<br />

disteso quando inciampai in una pila di cesti vuoti. Sentivo voci<br />

rabbiose che si levavano a protestare, ma d'un tratto mi trovai oltre<br />

le ultime bancarelle, in uno spazio aperto e ampio dove un sentiero,<br />

tagliando attraverso l'erba alta, conduceva a un gruppo di alberi. Lì<br />

sparì la preda che inseguivo. Superai di corsa i primi due alberi e<br />

dovetti saltare di slancio un fossato profondo che attraversava il<br />

sentiero. Approdai sano e salvo <strong>sul</strong>la sponda opposta e, percorso il<br />

pendio in salita, mi trovai <strong>sul</strong>la sommità di una lieve altura che<br />

scendeva fino a un punto da dove veniva il suono sordo di uno<br />

scalpiccio di piedi che nella corsa battevano il terreno. Dopo essermi<br />

assicurato che ci fosse una sola via per scendere, ripresi la corsa,<br />

senza preoccuparmi del fatto che non sapevo chi fosse quell'uomo e<br />

perché scappasse davanti a me. Lo inseguivo soltanto perché lui<br />

fuggiva. Mi gettai a perdifiato giù per il pendio, schizzai intorno a un


albero, inciampai nella radice di un altro e mi ritrovai lungo disteso.<br />

Piombai a terra di peso e nell'impatto restai senza fiato. Mi<br />

contorcevo disperatamente, accecato dal dolore e rantolando nel<br />

tentativo di respirare. Mi parve che sopra di me, <strong>sul</strong>la destra,<br />

qualcuno ghignasse piano. Quel suono mi gelò. Mi irrigidii nel<br />

tentativo di parare un attacco violento, ma non accadde nulla e il<br />

suono non si ripeté. Non appena ricominciai a riprendere fiato,<br />

cercai di inalare aria con respiri dolorosi e profondi. Sapevo da<br />

alcune fitte meno penose che dovevo essermi graffiato le mani e il<br />

viso cadendo tra i rovi. Tenevo gli occhi chiusi in attesa di<br />

recuperare le forze. In qualche modo riuscii a mettermi in ginocchio,<br />

la testa china, le braccia intorno alle costole per proteggermi, le<br />

orecchie tese per cogliere il suono di un qualche movimento intorno<br />

a me. Silenzio.<br />

Mi raddrizzai, allentai la stretta delle braccia e aprii gli occhi. In<br />

quel momento qualcuno mi assestò un calcio al diaframma,<br />

gettandomi di nuovo tra i rovi. Questa volta caddi seduto, sostenuto<br />

dall'intreccio fitto e robusto dei rami che mi ressero la schiena e le<br />

spalle. Sopra di me si stagliava l'uomo che mi aveva colpito; si<br />

avvicinava e dietro a lui ne scorsi altri due. Ridevano alla prospettiva<br />

di quello che avrebbero potuto farmi, in tre contro uno. Mi mossi<br />

portandomi <strong>sul</strong>le ginocchia, ignorando le spine che mi ferivano le<br />

mani mentre cercavo di sollevarmi. Lessi la sorpresa <strong>sul</strong> viso del mio<br />

assalitore nel notare con quanta rapidità mi fossi ripreso; si spostò in<br />

fretta, avvicinandosi nel tentativo di assestarmi un altro calcio,<br />

questa volta mirando alla testa.<br />

Malgrado il vantaggio su di me, fu troppo lento e io riuscii a<br />

evitare il piede che si abbatteva. Mossi la testa in avanti verso la sua<br />

destra, levai le braccia per afferrarlo alla caviglia, tirandogli il<br />

calcagno con forza contro la mia spalla destra e gettandomi <strong>sul</strong>la<br />

sinistra contro di lui. Colto di sorpresa, perse l'equilibrio e cadde<br />

pesantemente <strong>sul</strong>la schiena. Sentii il rantolo che gli uscì come un<br />

sibilo dalla bocca e colsi un grugnito di dolore. Lasciai la presa e,<br />

levato il pugno sinistro, glielo abbattei <strong>sul</strong> naso; percepii la<br />

cartilagine che si appiattiva sotto il colpo. Tesi quindi la mano e la<br />

strinsi intorno alla sua gola. Un gesto goffo, tanto più che ero<br />

ostacolato dalla posizione in cui mi trovavo, ma efficace. Mi


allontanai rotolando il più rapidamente possibile preparandomi ad<br />

affrontare gli altri due uomini. Mentre mi sollevavo su un ginocchio,<br />

con il piede sinistro saldamente puntato sotto di me, fui colpito da<br />

uno dei due <strong>sul</strong>lo zigomo. Sentii il rumore dell'osso che si incrinava<br />

mentre di nuovo mi abbattevo lungo disteso, gli occhi chiusi contro<br />

la furia dell'attacco. Mi rotolai, aspettandomi un altro calcio dal<br />

terzo uomo; mi giunsero invece un urlo e il suono di altri colpi,<br />

nessuno vicino a me.<br />

Cercando a fatica di rimettermi <strong>sul</strong>le ginocchia e scuotendo la<br />

testa per schiarirmi le idee, vidi una scena che in un altro momento<br />

mi avrebbe fatto ridere. Era stato il secondo uomo, quello che mi<br />

aveva dato il pugno, a emettere l'urlo. Saltellava all'impazzata, il<br />

viso contratto in una smorfia di dolore, il polso sinistro stretto sotto<br />

l'ascella e il primo dito della sinistra grottescamente girato<br />

all'indietro. L'osso che avevo sentito spezzarsi era il suo. Al suo<br />

fianco, disteso <strong>sul</strong>la schiena, le gambe divaricate, le mani strette<br />

intorno alla gola, giaceva il primo aggressore. Dietro ai due, il terzo<br />

veniva sistematicamente investito da una gragnola di pugni e calci da<br />

Donuil Mac Athol, che gli torreggiava sopra a debita distanza mentre<br />

lo colpiva. Osservavo tutto, incapace di emettere suono; alla fine le<br />

ginocchia dell'uomo cedettero e lui si accasciò a faccia all'ingiù.<br />

Donuil affrontò allora il secondo aggressore che ancora saltellava<br />

stringendosi la mano ferita. Gli si avvicinò, lo afferrò per i capelli, gli<br />

portò la testa all'indietro per assestargli un diritto <strong>sul</strong>la fronte con il<br />

pugno serrato. L'uomo si abbatté come un torello.<br />

Donuil quindi si volse verso di me che, incerto <strong>sul</strong>le gambe, lo<br />

stavo fissando.<br />

«Guarda in che stato sei» disse con noncuranza. «Scorticato vivo e<br />

quasi annegato nel tuo stesso sangue! Fortuna che ti ho visto passare.<br />

Chi sono questi tizi?»<br />

Scossi la testa, scrutando i miei aggressori da vicino: nessuno<br />

indossava una tunica gialla. «Non lo so. Inseguivo un altro. Non li<br />

ho mai visti.»<br />

«Chi inseguivi?» chiese aggrottando la fronte.<br />

«Non lo so, ma qualcuno che mi conosce. L'ho incontrato due


volte oggi... era chiaro che non voleva essere visto da me. La<br />

seconda volta si è dato alla fuga e allora io l'ho inseguito.»<br />

«E ti ha portato diritto a incontrare questi tre campioni. Uomini di<br />

Liam.»<br />

«Come lo sai che sono di Liam?»<br />

«Dagli abiti e dal fatto che non portano armi, il che vuol dire che<br />

sono di passaggio, come noi.»<br />

«Grazie a Dio che sei arrivato!»<br />

«Grazie a Derek.»<br />

L'uomo che avevo stretto alla gola si stava riprendendo e si tirò<br />

su, fino a mettersi seduto, le mani ancora intorno al collo. Sputò,<br />

gemendo per il dolore. Donuil gli si avvicinò. Prima che potesse<br />

rivolgersi all'uomo, intervenne un'altra voce.<br />

«Che succede? Spargimento di sangue a Ravenglass?»<br />

Ci girammo e scoprimmo di essere circondati da cinque uomini,<br />

con le spade sguainate e corazze al petto. Riconobbi quello che<br />

aveva detto di chiamarsi Blundyl, il luogotenente incaricato da<br />

Derek di trovarci un alloggio. Con la testa che ancora mi turbinava,<br />

mi sedetti appoggiando la schiena al tronco di un albero. Donuil non<br />

si era mosso. Blundyl si guardò intorno osservando ogni cosa.<br />

«Non conoscete la legge di questo regno?» Non c'era acrimonia<br />

nella sua voce, ma neppure traccia di amicizia.<br />

Schiarendomi la gola, mi rivolsi a lui. «Sì, la conosciamo, Blundyl.<br />

Le armi sono bandite da Ravenglass, almeno tra chi è di passaggio, e<br />

non è permesso spargere sangue. Chi non si attiene alla legge viene<br />

espulso dal regno.»<br />

«Immediatamente» aggiunse guardandomi accigliato. «Chi sei?»<br />

«Ci siamo già incontrati prima. Ero con Derek. Ma non è stata<br />

perpetrata alcuna violazione della legge. Non è stato versato sangue<br />

e non sono state usate armi.»<br />

«Non c'è stato versamento di sangue? Ma ti sei almeno visto,<br />

amico?»<br />

Mi osservai le mani e stentai a credere a quello che vidi. Erano


graffiate, lacerate sui palmi e sui dorsi dalle spine acuminate dei rovi.<br />

Intuivo che lo stesso doveva apparire il mio viso, perché lo sentivo<br />

in fiamme e le palpebre erano incrostate.<br />

«Sangue che è zampillato, ma non versato» fu l'unica cosa che mi<br />

venne in mente di dire. «Non sono ferito, soltanto graffiato per<br />

essere caduto tra le spine. Mi chiamo Britannico; siamo arrivati qui<br />

con Connor Mac Athol. Questo è Donuil, fratello di Connor. Da<br />

quando siamo arrivati, ho passato parecchio tempo con Derek, il tuo<br />

re. Dopo averlo lasciato, mi sono imbattuto in un uomo che,<br />

riconoscendomi, è corso via. L'ho inseguito per scoprire chi è.»<br />

«Lo sappiamo che correvi» disse Blundyl, la voce greve di<br />

sarcasmo. «Hai demolito mezzo mercato nella tua furia.» Guardò i<br />

tre uomini a terra. «Quale di loro seguivi?»<br />

«Nessuno di questi. Te l'ho detto, non li conosco. L'uomo che<br />

inseguivo indossava una tunica gialla. Immagino che sia passato<br />

troppo in fretta perché i tre potessero bloccarlo, e io gli stavo alle<br />

calcagna. Mi hanno fermato. Ne è nato un alterco; Donuil, che vedi<br />

qui, è arrivato in tempo per porvi fine.»<br />

«Ehm!» Si rivolse a Donuil. «Non sono uomini tuoi questi tre?»<br />

Donuil si limitò a negare scuotendo la testa, le labbra contratte.<br />

«Allora devono essere dell'altro equipaggio. Solo due gruppi sono<br />

sbarcati.»<br />

Si mosse rapido oltre a quello che stava seduto, dirigendosi verso<br />

il corpo più vicino; si inginocchiò e tastò la gola per percepire le<br />

pulsazioni. Accertatosi che l'uomo era vivo, lo rigirò <strong>sul</strong>la schiena e<br />

lo perquisì alla ricerca di qualche arma. Finito con lui, si avvicinò al<br />

terzo e fece lo stesso. Da ultimo, raddrizzatosi, si avvicinò a me.<br />

«Mostrami le mani.»<br />

Gliele tesi e lui, prima di afferrarmi i polsi, rimise la spada nella<br />

guaina; li voltò e rimase a fissare i lunghi graffi.<br />

«Ti divertirai a lavarli. Non sarai un bello spettacolo per qualche<br />

giorno e non vedrai granché.» Mi toccò lo zigomo.<br />

Involontariamente sus<strong>sul</strong>tai, lasciandomi sfuggire un sibilo e tirando<br />

indietro la testa. «Che bellezza!» Si allontanò e ancora una volta<br />

esaminò la radura, evidentemente meditando il da farsi; quindi si


volse di nuovo a me. «Ne parlerò al signore, a Derek, come di un<br />

incidente marginale, al limite della legalità. Un alterco più che uno<br />

scontro. Ma sappi che chiudo un occhio. Per tua fortuna non ci sono<br />

stati danni nel mercato. Inoltre, hai il privilegio del prestigio. Ma<br />

ascoltami bene: non voglio altra feccia. Comportati con correttezza<br />

a Ravenglass d'ora innanzi, oppure ne subirai le conseguenze. E<br />

adesso, via di qui.»<br />

Lanciai un'occhiata ai tre. «E loro...?»<br />

«Ci penseremo noi. Passeranno la notte in prigione. Su,<br />

muovetevi!»<br />

Mi allontanai zoppicando dietro a Donuil. Nessuno di noi due<br />

aprì bocca finché non avemmo attraversato il fossato <strong>sul</strong>la sommità<br />

della salita, da dove potevamo vedere la piazza del mercato.<br />

Fu Donuil a rompere il silenzio. «Come ti senti?»<br />

«In castigo, come uno scolaretto redarguito dal maestro.»<br />

«Mi riferivo ai dolori e all'indolenzimento.»<br />

«<strong>Il</strong> dolore è uniforme e mi pervade tutto. Mi sembra di essere<br />

stato in guerra.»<br />

«Lo sei stato e si vede» disse sorridendo. «Non credo di avere mai<br />

visto un occhio pesto come il tuo. Riesci ancora a vedere?»<br />

Portai una mano <strong>sul</strong>l'occhio destro, cercando di fissare Donuil con<br />

il sinistro, ma era gonfio e pulsava con fitte dolorose. Scossi la testa.<br />

«Ci conviene cercare Lucano. Quanto alla faccenda con Blundyl,<br />

non pensarci. Ha compiuto il suo dovere e l'ha eseguito con<br />

tolleranza, visto anche che eravamo nel torto. Connor mi ha parlato<br />

di Ravenglass, e mi ha spiegato che qui il divieto di picchiarsi è<br />

rigoroso, come a Camelot. Blundyl ha detto che chiuderà un occhio.<br />

Mi ha sorpreso.»<br />

Non riprendemmo più l'argomento finché non trovammo Lucano<br />

che pulì e medicò i miei graffi. Blundyl ci aveva acquartierati nello<br />

stesso edificio, una costruzione residenziale nella via decumana, <strong>sul</strong><br />

retro del complesso amministrativo. Malgrado la mancanza di spazio<br />

cui aveva accennato Derek, eravamo comodamente alloggiati.<br />

Nessuna delle mie ferite era così profonda da richiedere punti di


sutura, ma tutte bruciavano moltissimo e il pomeriggio fu per me<br />

penoso. L'occhio sinistro, chiuso per il gonfiore, aveva già assunto<br />

una colorazione nera con bordi rossi e gialli. I quattro ragazzi mi<br />

fissarono attoniti, ma non osarono chiedermi che cosa mi fosse<br />

capitato. Derek venne a trovarmi <strong>sul</strong> tardi e, entrato nella stanza<br />

dove stavo vicino al braciere, rimase a fissarmi in silenzio, il volto<br />

aggrottato.<br />

«Qual è stata la causa?» mi chiese alla fine. Scuotendo la testa, gli<br />

raccontai dell'uomo con la tunica gialla, ricordandogli la domanda<br />

che gli avevo posto <strong>sul</strong>la birreria quando vi eravamo passati accanto<br />

quella mattina. Ascoltò in silenzio finché non ebbi finito.<br />

«Credi che ti sia stata tesa una trappola?»<br />

«No, non è possibile. Quell'uomo non sapeva che si sarebbe<br />

imbattuto in me. Sono arrivato alla porta della fortezza per caso<br />

mentre lui l'attraversava. È stata la sua reazione ad attirare la mia<br />

attenzione. Dopo, tutto è accaduto in fretta... non avrebbe avuto il<br />

tempo di organizzare un trabocchetto. La versione che ho reso a<br />

Blundyl corrisponde alla realtà dei fatti. L'uomo è passato vicino ai<br />

tre facendoli infuriare e io, che gli ero alle calcagna, ne ho fatto le<br />

spese. Non ci sono altre spiegazioni ragionevoli.»<br />

«A meno che non sapesse che erano lì e ti ha portato in quella<br />

direzione, chiedendo aiuto mentre li superava.»<br />

«Perché allora non è ritornato indietro e non si è unito a loro, una<br />

volta che mi avevano messo a terra?»<br />

«Non lo so. Mi hai detto che non voleva che tu lo notassi. Lo hai<br />

riconosciuto?»<br />

«No, non sono riuscito ad avvicinarmi abbastanza da vederlo<br />

chiaramente. Ma il viso non mi era familiare, da quello che ho<br />

potuto scorgere.»<br />

«Eppure lui ti conosceva.»<br />

«Sembra di sì.»<br />

Sospirando Derek si grattò un orecchio. «Merlino, questo dà<br />

ragione e conferma il giudizio che mi ero fatto. Sei a Ravenglass da<br />

meno di un giorno e già ci sono guai. Te la senti di cenare con noi


stasera?»<br />

«Sì, dove?»<br />

«Nella mia casa.»<br />

«Ci sarò. Mettiti il cuore in pace, Derek, abbiamo già disposto di<br />

salpare domattina.»<br />

«Lo so. Me l'ha detto Connor. A più tardi.»<br />

Derek se ne era appena andato quando entrò Shelagh, il viso<br />

contratto in un'espressione di ansia. Non la vedevo da quando,<br />

quella mattina, mi ero allontanato dal molo con Derek. Ferma <strong>sul</strong>la<br />

soglia mi fissava. Guardai le bende che mi fasciavano le mani e<br />

aspettai che dicesse qualcosa.<br />

«Perché? Chi è stato?» chiese.<br />

Levai la testa per guardarla negli occhi. «Non te ne ha parlato<br />

Donuil? Non so chi siano quegli uomini. Non so neppure perché mi<br />

abbiano aggredito.»<br />

Avanzò nella stanza, si guardò intorno alla ricerca di una sedia e,<br />

trovatala, la trascinò vicino a me.<br />

«Lucano mi ha raccontato quello che è avvenuto. Non ho ancora<br />

visto Donuil. Lo abbiamo aspettato al mercato, ma quando fu chiaro<br />

che non sarebbe venuto, ho mandato i ragazzi a casa con Turga.<br />

Dopo sono stata con Logan, vicino al molo. Raccontami.»<br />

Le riferii i fatti senza omettere nulla e, una volta che ebbi finito,<br />

aggrottando la fronte, allungò le dita per sfiorarmi delicatamente lo<br />

zigomo gonfio. Sobbalzò quando sus<strong>sul</strong>tai. «Ti duole molto?»<br />

«Non tanto. Guarirà.»<br />

«Non hai idea di chi fossero quegli uomini? O del perché ti hanno<br />

attaccato?»<br />

Scossi la testa. «Secondo Donuil, sono del gruppo di Liam. Li ha<br />

riconosciuti dalla foggia degli abiti. Erano certamente venuti da<br />

lontano, come noi, e non portavano armi. Non so altro di loro e<br />

neppure perché si trovassero lì in quel momento.»<br />

Si alzò. «Ecco, prendilo.» Così dicendo trasse dalla cintura della<br />

gonna un coltello, con una lama lunga e tagliente. Rimasi a bocca


aperta. «Prendilo» insistette.<br />

«Come...? Cosa...?»<br />

«Su, sbrigati a nasconderlo nella cintura, come ho fatto io. Non te<br />

lo troverà nessuno e potresti averne bisogno.»<br />

«Shelagh, è contrario alle leggi di Derek portare armi a<br />

Ravenglass, e noi siamo suoi ospiti.»<br />

«Sì, ma siamo anche responsabili dell'incolumità degli altri, e<br />

alcuni di loro sono bambini. Non ti salterebbe in mente di andare in<br />

giro per Camelot senza una spada. Sei così stupido da pensare di non<br />

avere bisogno di un'arma a Ravenglass, pullulante com'è di<br />

sconosciuti? Tanto più che sei già stato aggredito.»<br />

Presi il coltello e lo soppesai. «Come te lo sei procurato?»<br />

«Non bastano le minacce di uno stolto a convincermi a<br />

separarmene» sbottò e gli occhi le fiammeggiarono. Poi sorrise. «Le<br />

apparenze, Merlino... nel mondo degli uomini tutto ha a che fare<br />

con le apparenze. Siete più vanitosi delle donne. Quando Connor mi<br />

disse che dovevamo cedere le armi, ho nascosto la cintura con uno<br />

scialle, poi ho abbassato un po' la scollatura. Nessuno mi ha presa<br />

per un guerriero e nessuno mi ha chiesto di consegnare le armi.»<br />

La guardai ammirato, ma le restituii il coltello. «Grazie, Shelagh,<br />

ma non posso proprio accettarlo. È una questione di onore.»<br />

«Maledizione a voi uomini, tronfi delle vostre idee di onore!<br />

Merlino, sei in pericolo. Non ci credi? Lo sento, lo annuso nell'aria.»<br />

Annuii, ma non mi lasciai smuovere. «Ti credo, Shelagh, ma<br />

questo coltello non cambierebbe nulla, anche se potessi accettarlo.<br />

Ma se ti dà sollievo, lo terrò in questa stanza. Non lo porterò fuori<br />

di qui; mi allontanerò soltanto stasera, per la durata della cena nella<br />

casa di Derek. Non accadrà nulla e all'alba partiremo.»<br />

Mi alzai e, avvicinatomi alla branda, infilai il coltello sotto il<br />

cuscino. Mi fissò rossa in faccia con un'espressione di rabbia ed<br />

esasperazione, poi si girò bruscamente e se ne andò.<br />

Ritornai a sedermi vicino al braciere; mentre delicatamente mi<br />

toccavo i graffi, sorridevo al pensiero del temperamento della donna<br />

che Donuil aveva sposato.


III.<br />

C'erano quasi cento persone nella casa di Derek quella sera; una<br />

ventina erano donne: le mogli e le fidanzate dei maggiorenti di<br />

Ravenglass. Non era un banchetto, ma una normale cena, seppure<br />

allargata. Da ore i commensali bevevano senza ritegno, e molti<br />

ospiti già giacevano riversi <strong>sul</strong>le tavole ricoperte degli avanzi del<br />

pasto.<br />

L'occhio gonfio mi dava qualche difficoltà: lacrimava<br />

fastidiosamente e doleva con fitte acute per il fumo che riempiva la<br />

sala, poiché venti contrari ostacolavano il tiraggio dei camini. Non<br />

era stata una serata allegra per me: dovevo muovermi<br />

continuamente perché l'occhio ferito, impedendomi di vedere chi<br />

sedeva alla mia sinistra, mi costringeva a voltarmi con tutto il busto<br />

in quella direzione.<br />

Ero seduto a sinistra di Derek, il che mi consentiva di vederlo<br />

chiaramente; a sua volta Blundyl mi stava <strong>sul</strong>la sinistra. Si era<br />

dimostrato un commensale piacevole, simile per temperamento e<br />

mentalità al nostro Dedalo.<br />

Lucano sedeva a sinistra di Blundyl e a destra di Owen, il figlio<br />

maggiore di Derek, con il quale discuteva animatamente fin da<br />

quando aveva preso posto. A destra di Derek c'era Connor, al cui<br />

fianco si trovava un altro uomo di Derek, che non conoscevo; subito<br />

dopo veniva Tearlach, il nostromo di Connor. Donuil e Shelagh<br />

sedevano a una tavola più piccola davanti a noi, <strong>sul</strong>la destra e più in<br />

basso rispetto alla nostra tavola che era soprelevata, e con loro<br />

erano Feargus e Logan, Dedalo e Rufio, Sean il navigatore e parecchi<br />

uomini dell'equipaggio di Connor.<br />

Altri del nostro gruppo, sebbene non tutti, erano sparsi nella sala.<br />

Alcuni della ciurma gironzolavano per Ravenglass, cercando di<br />

divertirsi a modo loro nelle locande. Quelli presenti, ufficiali anziani<br />

e giovani, si mescolavano familiarmente con gli uomini di Derek.<br />

Non erano presenti né Liam né alcuno dei suoi. Erano stati ospiti di<br />

Derek la sera precedente e ora, secondo il costume, dovevano


arrangiarsi da soli.<br />

Avevamo accennato alla disavventura capitatami quel<br />

pomeriggio, liquidandola con poche parole. Dopo avermi lasciato<br />

andare, Blundyl e le sue guardie avevano interrogato i tre aggressori,<br />

senza scoprire nulla <strong>sul</strong>le ragioni dell'attacco sferratomi; li avevano<br />

quindi buttati in una cella dove sarebbero rimasti per tutta la notte.<br />

Da lì la conversazione si era volta a dibattere <strong>sul</strong>le risse e sugli scontri<br />

in generale, e Blundyl aveva ammesso che, perfino in una località<br />

rigidamente controllata come Ravenglass, era impossibile a volte<br />

evitare un combattimento a suon di pugni.<br />

All'improvviso si spalancarono le porte e nella sala si riversò un<br />

gruppo di uomini armati e in lotta. Blundyl saltò in piedi,<br />

aggrottando la fronte senza capire quello che stava succedendo e<br />

strizzando gli occhi per vedere meglio attraverso il fumo. Mi giunse<br />

un grido angosciato che invocava Connor e scorsi l'uomo che aveva<br />

lanciato l'urlo trapassato a fil di spada: la lama, conficcatagli nella<br />

schiena, gli uscì da sotto il mento; uno dei nuovi venuti, che in quel<br />

momento superava la soglia, lo scostò con violenza e si gettò nella<br />

sala. Alcuni seduti intorno alle tavole in fondo, vicino alle porte<br />

aperte, cominciarono a urlare; altri scattarono in piedi, ma non<br />

appena si levarono furono colpiti dalle frecce scagliate da breve<br />

distanza. Nell'arco di pochi istanti morirono così in sei o sette.<br />

Si immobilizzarono tutti e tacquero nell'istante in cui riconobbero<br />

Liam, sgomenti e increduli. Liam, figlio di Condran, che avanzava, i<br />

denti bianchi scintillanti sotto i baffi, mentre i suoi fedeli<br />

rapidamente si disponevano lungo le pareti ai lati della porta. Erano<br />

per lo più armati di arco e minacciavano i presenti. Nella destra Liam<br />

impugnava una grande spada dalla lama larga; uno scudo rotondo<br />

gli copriva il petto.<br />

Si fece avanti audacemente, gli occhi puntati su Derek, senza<br />

guardare né a destra né a sinistra mentre si avvicinava, percorrendo<br />

l'intera sala, tra le due tavolate. Alle spalle lo seguiva una compagine<br />

compatta di dodici armati che si facevano largo spingendo i<br />

commensali contro le pareti della sala e rovesciando i tavoli a gambe<br />

all'aria.<br />

Vicino a me Blundyl, disarmato come tutti noi e consapevole in


quel momento della propria impotenza, lentamente si accasciò <strong>sul</strong>la<br />

sedia.<br />

Liam si fermò dopo avere percorso circa un terzo della lunghezza<br />

della sala. Due suoi uomini gli si misero subito al fianco<br />

imbracciando gli archi e puntandoli verso Derek, che se ne stava<br />

rigido, contratto, i pugni stretti per la rabbia. Da qualche parte<br />

giunse il pianto di una donna; seguì il sibilo di una freccia che veniva<br />

scoccata e subito il lamento tacque. <strong>Il</strong> silenzio nella sala era assoluto.<br />

Sentivo la tensione crescere dentro di me mentre, semiaccecato,<br />

stringevo una ciotola di ferro, obbligandomi a mantenere la calma.<br />

Liam parlò con voce possente perché tutti lo sentissero. «<strong>Il</strong> guaio<br />

delle buone idee e delle buone intenzioni, Derek, è che stimolano la<br />

presunzione. Capisci?» Derek rimase in silenzio. «Se togli le armi ai<br />

tuoi ospiti, sappi che alcuni di loro forse vorranno riaverle. Mi segui?<br />

Forse una volta te ne rendevi conto, sono disposto a riconoscerlo,<br />

ma da allora hai preso brutte abitudini. Otto guardie sono spirate<br />

prima di accorgersi che eravamo venuti a farti visita.»<br />

«Sei un uomo morto, Liam!» rispose Derek levandosi in tutta la<br />

sua statura.<br />

Con gesto drammatico il figlio di Condran levò il braccio che<br />

teneva la spada e volgendosi a metà verso uno degli arcieri che gli<br />

stavano vicino, parlò a voce alta per essere sentito da tutti gli astanti.<br />

«Sentite, sentite! L'uomo morto sono io, mentre lui è sotto la<br />

minaccia delle frecce che fanno sprizzare il sangue dal cuore! Siediti,<br />

re Derek, e sta' zitto. Seduto!» Si piegò in avanti quasi ringhiò<br />

l'ultima parola. Capendo di non poter fare altro, il re si sedette,<br />

obbedendo docilmente all'ordine.<br />

Liam si guardò intorno, passandoci in rassegna uno a uno, a<br />

cominciare dal gruppo <strong>sul</strong>la tavola sopraelevata. Si soffermò su<br />

Connor che lo fissò a sua volta, pur sapendo che una delle guardie di<br />

Liam gli stava alla schiena con la spada sguainata e teneva a bada lui<br />

e Tearlach. Un altro uomo stava dietro a me e Blundyl. Con una<br />

risata di scherno Liam spostò lo sguardo <strong>sul</strong> possente Tearlach, che<br />

sedeva rigido. L'in<strong>sul</strong>to fu troppo per un altro degli uomini di<br />

Connor, che, saltando in piedi con un'imprecazione, fu<br />

istantaneamente trafitto alla gola da una freccia prima ancora di


avere avuto il tempo di proferire parola. Liam ignorò l'interruzione e<br />

continuò a perlustrare la sala tutto intorno, girandosi lentamente<br />

finché non si trovò di nuovo con la faccia alla tavolata. I suoi occhi<br />

allora si fissarono su di me.<br />

«Gran bell'occhio, amico. Devi essere quello che oggi pomeriggio<br />

ha avuto da ridire con i miei uomini. Merlino di Camelot,<br />

benvenuto nel mio avamposto, nel mio nuovo regno, visto che è<br />

compito del sovrano accogliere gli ospiti. Ma mentirei se ti dessi il<br />

benvenuto. Ti alita intorno il fetore dei gaelici di Athol; sarai<br />

bruciato come tutte le sue carogne.» Tacque all'improvviso e si girò a<br />

guardare Derek che aveva imprecato sottovoce. «Che cos'è? Vuoi<br />

dire qualcosa? Le tue ultime parole in qualità di re?»<br />

«Sei pazzo» grugnì Derek. «La mia gente ti annienterà.»<br />

«Annientarmi?» Liam scoppiò in una risata fragorosa, ma subito<br />

l'espressione gli si irrigidì in una maschera di odio. «Quale gente?<br />

Regni su un gregge di pecore, vecchio mio, su una mandria di<br />

bestiame. O sono io che ho sottovalutato le tue migliaia di<br />

coraggiosi nascosti nella foresta? È bastata la metà del mio<br />

equipaggio per conquistare il tuo avamposto. Tre quarti dei miei<br />

stanno facendo bisboccia, disarmati, con i tuoi per ubriacarli e<br />

renderli incapaci di tenersi in piedi. Più tardi, stanotte, quando<br />

saranno tutti incoscienti - i tuoi uomini, non i miei - completeremo la<br />

rivolta. La mia flotta arriverà dopodomani. Puoi dare la colpa a quel<br />

porco del tuo amico Mac Athol e ai suoi scagnozzi se il tuo regno è<br />

durato un giorno di meno. Se non fossero venuti, avresti regnato<br />

fino a domani sera. Che siano presenti e disarmati mentre grufolano<br />

alla tua tavola, è una fortuna inaspettata, imprevista ma assai<br />

gradita.» Si interruppe, mentre la sua voce e il suo viso, con una<br />

straordinaria trasformazione, assunsero ancora una volta<br />

l'espressione di una simulata buona volontà.<br />

«Ecco quello che accadrà di qui a poco. Alcuni miei amici<br />

aspettano con i bambini e con una delle donne portate qui oggi dai<br />

nuovi venuti. Vedo che l'altra donna è tra noi, sicché non manca<br />

nessuno all'appello.» Con un cordiale cenno della testa indicò<br />

Shelagh che, seduta a occhi spalancati vicino a suo marito, lo fissava<br />

con odio. Rivolgendosi di nuovo a Derek, Liam proseguì: «Cerca di


capire il temperamento dei miei uomini. I loro pessimi modi mi<br />

hanno spesso urtato in passato e con i bambini non sono per niente<br />

teneri, è bene farsene una ragione. Sicché dopo che sarai morto tu, il<br />

re decaduto, i tuoi ospiti... per tutti gli dèi, amico, non hai nessun<br />

pudore a sederti a tavola con costoro? I tuoi ospiti verranno con me,<br />

in qualità di ostaggi, in silenzio. Non è così, Connor Mac Athol?».<br />

Senza replicare, Connor si limitò a lanciare un'occhiata di sfida ma<br />

uno degli uomini di Liam, che gli stava alle spalle, gli assestò un<br />

manrovescio che lo mandò a sbattere con la testa <strong>sul</strong>la tavola.<br />

Liam attese che si rimettesse in piedi.<br />

«Non è così, Connor Mac Athol?» Di nuovo silenzio seguito da un<br />

altro manrovescio, questa volta così violento da scuotere l'intera<br />

tavolata quando Connor cadde. Un'altra pausa, e ancora: «Ho detto:<br />

"Non è così, Connor Mac Athol?"».<br />

«In nome di Dio, Connor, rispondigli!» Era Shelagh ad aver<br />

parlato. Connor la fissò per qualche lungo istante, lo sguardo<br />

appannato, quindi annuì in direzione di Liam.<br />

«Che cos'è? Non ti ho sentito.»<br />

Connor mormorò qualcosa e un altro colpo lo fece di nuovo<br />

roteare su se stesso. Questa volta gli ci volle più tempo per<br />

riprendersi; poi con il naso che gli sanguinava, parlò.<br />

«Sì, è così, Liam, figlio di Condran.»<br />

«Bene! Bene, bene. Vedi, Derek. Lo sapevo di avere ragione.» Si<br />

voltò rivolgendosi agli astanti. «La feccia di Mac Athol ci seguirà,<br />

ostaggi nelle nostre mani. Gli altri rimarranno qui a tenere<br />

compagnia ai miei uomini e accertarsi che il sonno di nessuno sia<br />

turbato prima di giorno. Domani avrete tutto il tempo per pensare a<br />

come accogliermi nel ruolo di re.»<br />

Si volse verso di noi e puntò la spada contro Donuil.<br />

«Tu, che sei grande e grosso, mettiti, vicino a tuo fratello gambadi-legno.<br />

Sbrigati!» Sotto la minaccia delle frecce pronte a scoccare,<br />

Donuil si mosse per obbedire e si avvicinò alla nostra tavola, seguito<br />

dagli occhi attenti di numerosi arcieri che tenevano le armi<br />

impugnate. Uno di costoro era lo stesso che poco prima aveva avuto


sotto mira Derek.<br />

Lo sguardo di Liam si volse a Shelagh. «Tu, sgualdrina, vieni qui.»<br />

Shelagh si levò in piedi, poi si mosse lentamente lungo il corridoio<br />

centrale fermandosi a circa dieci passi da lui. «Avvicinati!» Lei avanzò<br />

di un passo, quasi esitante, e mentre così faceva, mi sentii il cuore<br />

balzare in petto, intuendo quello che sarebbe seguito. «Fermati!<br />

Inginocchiati!»<br />

Lentamente, con movimento aggraziato, la schiena rivolta a noi,<br />

le spalle rigide, la testa alta, Shelagh si mise in ginocchio. Liam la fissò<br />

con sguardo compiaciuto.<br />

«Sei una bella sgualdrina, eh? Alza le sottane, vediamo quello che<br />

hai tra le gambe.» Lanciò un'occhiata feroce a Donuil e a Connor.<br />

«Guarda quei due» disse e tornò a scrutare Shelagh. «Allora? Mi fai<br />

aspettare?»<br />

Chinando la testa, Shelagh si fletté per raccogliere la gonna,<br />

quindi la levò lentamente e deliberatamente fino alla vita e,<br />

portando le mani dietro la schiena, tese la veste <strong>sul</strong> ventre. Non<br />

erano soltanto gli occhi di Liam a seguire i suoi movimenti: anche gli<br />

arcieri avevano distolto lo sguardo dai loro bersagli e la fissavano<br />

con intenzione licenziosa. Osservai Donuil, lo vidi fare uno sforzo<br />

per trattenersi dal digrignare i denti all'oltraggio perpetuato contro<br />

sua moglie. Sorprendentemente fu Derek a sbottare per primo e a<br />

balzare in piedi. «Animale!» ruggì.<br />

Gli occhi di Liam guizzarono verso la grande tavola e con un<br />

gesto rapido fece segno all'arciere <strong>sul</strong>la sua destra, che<br />

immediatamente lasciò partire la freccia. Mentre la micidiale arma<br />

volava verso il petto di Derek, io levai la ciotola di ferro <strong>sul</strong> torace<br />

del re, grato di non dovermi difendere da uno dei lunghi e terribili<br />

archi di Pendragon.<br />

La freccia colpì con violenza la ciotola e nell'impatto ne strappò il<br />

manico che finì sferragliante per terra. Derek fu spinto all'indietro,<br />

<strong>sul</strong>la sedia, contuso ma vivo.<br />

Liam sgranò gli occhi. Spalancò le braccia scoppiando<br />

selvaggiamente a ridere proprio mentre Shelagh con un movimento<br />

subitaneo del braccio afferrò uno dei suoi coltelli dalla cintura dietro


la schiena e lanciandolo a folle velocità lo colpì al collo. Liam ebbe<br />

un sus<strong>sul</strong>to spasmodico, le braccia e le gambe si contraevano a scatti<br />

come fosse preda delle convulsioni; il mento gli cadde<br />

<strong>sul</strong>l'impugnatura del coltello che sporgeva dalla gola. La spada gli<br />

sfuggì di mano e Shelagh, prontamente afferratala, la brandì contro<br />

l'uomo vicino a Liam, un arciere che non aveva avuto il tempo di<br />

afferrare un'altra freccia e ora con orrore fissava sgomento l'uomo<br />

colpito, il suo capitano. Si accasciò, cercando inutilmente di afferrare<br />

la lama che lo trafiggeva.<br />

Liam, nel frattempo, si rifiutava di morire. A gambe rigide, mentre<br />

il sangue gli gorgogliava nella gola, barcollava vistosamente, gli occhi<br />

che schizzavano dalle orbite, la lingua che sporgeva dalla bocca<br />

aperta, le braccia che freneticamente si agitavano nel tentativo di<br />

restare in piedi e in vita. Roteò su se stesso, volgendosi alla folla che<br />

gli stava dietro, a braccia spalancate e le spalle quasi comicamente<br />

ondeggianti nello sforzo di non abbattersi. Poi cadde, a faccia in giù.<br />

I suoi uomini lo fissavano attoniti, sbigottiti dalla rapidità con cui<br />

era caduto il loro condottiero. Non così noi.<br />

Donuil, Connor, Feargus e Logan avevano intuito quello che<br />

sarebbe accaduto quando Shelagh era avanzata, ed erano insorti con<br />

violenza ancora prima che venisse percepito il suo gesto. Con un<br />

movimento vorticoso Connor affondò il suo pugnale nel petto della<br />

guardia che lo aveva ripetutamente colpito. Donuil si levò<br />

afferrando il bordo della pesante tavola, capovolgendola e<br />

gettandola a terra ai piedi della piattaforma sopraelevata. Afferrai la<br />

ciotola di ferro e l'abbattei <strong>sul</strong>la testa dell'altra guardia che in quel<br />

momento affrontava Blundyl.<br />

Si erano gettati contro il nemico anche Logan, Feargus, Dedalo,<br />

Rufio e Sean, e mentre lottavano, altri si riscossero, rabbiosi e assetati<br />

di vendetta, brandendo i coltelli che avevano usato per mangiare.<br />

Gli uomini di Liam, che fino a pochi attimi prima erano stati i<br />

padroni, ora si trovavano assaliti e sopraffatti da ogni parte, impediti<br />

dalla mancanza di spazio, gli archi e le frecce divenuti<br />

improvvisamente inutili. Caos: ecco l'unica parola adatta a descrivere<br />

la scena, ma in brevissimo tempo la confusione si placò, così quando<br />

le guardie rimaste all'esterno spalancarono le porte, furono afferrate,


sopraffatte e massacrate, come i loro compagni, con le loro stesse<br />

armi.<br />

Derek, levatosi, respirava con fatica e si strofinava il petto. Nel<br />

frattempo Donuil, avvicinatosi a Shelagh, l'aveva presa tra le braccia,<br />

serrandola a sé, e lei era piegata all'indietro nella stretta. Fu Connor<br />

a raggiungere le porte e a chiuderle, imponendo l'ordine con tutta la<br />

voce che aveva in corpo. <strong>Il</strong> tempo di voltarmi, ed era già balzato su<br />

una tavola, guardando dall'alto gli astanti. Nel silenzio che seguì,<br />

percepii l'intensità del suo sguardo che si spostava da Derek a me.<br />

«Come sta il re, Merlino?» Sapevo quello che voleva. Eravamo<br />

nella casa di Derek, e spettava a lui prendere le decisioni e dare le<br />

disposizioni. Mi volsi a lui, che colse il mio sguardo e lesse<br />

l'espressione nei miei occhi. Inghiottì, il viso gli si contrasse in una<br />

smorfia per il dolore che sentiva al petto, agitò una mano nella mia<br />

direzione con gesto perentorio a significarmi che capiva quello che<br />

stava succedendo e che andava fatto.<br />

«Non è ancora pronto» dissi ad alta voce a Connor. «Organizza tu<br />

ogni cosa. Non c'è tempo da perdere.»<br />

Non se lo fece dire due volte. Mandò sei uomini ad accertarsi che<br />

non ci fossero altri uomini di Liam dietro la porta. Raccomandò loro<br />

di stare all'erta perché nessuno scappasse a dare l'allarme, e di<br />

muoversi con cautela per non attirare l'attenzione. Poi parlando in<br />

fretta e contando i punti <strong>sul</strong>le dita di una mano, ci prospettò la<br />

situazione.<br />

Le probabilità a breve termine ci sarebbero state propizie, disse, se<br />

ci fossimo mossi rapidamente e senza chiasso sfruttando il<br />

disorientamento dell'avversario. Disse che probabilmente eravamo<br />

soli nella fortezza, salvo pochi altri uomini di Liam, quelli che<br />

tenevano in ostaggio i bambini e custodivano le armi nel magazzino<br />

a ciò destinato nell'adiacente edificio. Era probabile che i rinforzi del<br />

nemico si trovassero al di fuori delle mura, nella parte della città che<br />

lì si sviluppava, attenti a nascondere il tradimento che il loro<br />

capitano aveva avuto l'intenzione di perpetrare. Per ammissione<br />

dello stesso Liam, ci ricordò, erano disarmati, privi di una guida, e<br />

tali sarebbero rimasti finché non fosse stata annunciata la morte del<br />

loro comandante. Dovevamo sfruttare quell'intervallo di tempo.


Le armi, tolte ai morti, furono distribuite tra l'equipaggio di Mac<br />

Athol e gli uomini di Derek. Connor ne scelse venti che, agli ordini di<br />

Donuil e Shelagh, sarebbero andati dai bambini per portarli al sicuro<br />

<strong>sul</strong>la galea e avrebbero provveduto a impossessarsi delle due navi di<br />

Liam. Mentre il primo gruppo si allontanava, un secondo gruppo di<br />

venti uomini comandati da Tearlach, ebbe il compito di andare al<br />

magazzino delle armi, muovendosi con tutta la cautela possibile.<br />

Quando anche costoro se ne furono andati, Connor diede ordini<br />

precisi alle forze rimanenti di raggiungere la città esterna, delegando<br />

il potere ad alcuni che conoscevano bene la località. Quelli di noi<br />

che, venendo da Camelot, non avevano familiarità con la zona<br />

erano tenuti a eseguire gli ordini. Non appena avessimo raggiunto il<br />

deposito delle armi, ciascuno di noi avrebbe preso almeno tre spade,<br />

due in mano e una allacciata al fianco. Ci saremmo quindi suddivisi<br />

in quattro gruppi condotti rispettivamente da lui stesso, Connor,<br />

Derek, Blundyl e Owen. Avremmo attraversato la città e consegnato<br />

le armi ai nostri mano a mano che li avessimo incontrati. Tearlach e<br />

una ventina di guardie sarebbero rimaste nell'edificio degli uffici<br />

amministrativi, con il compito di vegliare se mai qualche fedele di<br />

Liam intendesse attaccare, e di facilitare la distribuzione delle armi ai<br />

nostri.<br />

Connor aveva appena finito di delineare questa strategia quando<br />

arrivò un messaggero mandato da Tearlach con l'annuncio che i suoi<br />

uomini avevano avuto la meglio sui nemici e che ora avevano il<br />

possesso dell'armeria. Avevano trovato quattordici seguaci di Liam e<br />

avevano perduto sette dei loro nello scontro per riconquistare<br />

l'edificio. Era stata una dura battaglia. Pochi istanti più tardi venne la<br />

notizia, inoltrata a noi da Shelagh, che i bambini erano al sicuro, sani<br />

e salvi.<br />

Mi unii al gruppo di Derek, e nelle successive ore fummo<br />

impegnati nel cruento compito di ristabilire l'autorità del legittimo<br />

sovrano nel suo regno. Fu uno scontro amaro, ma avendo preso<br />

l'iniziativa, andammo fino in fondo. In capo a un'ora sapevamo di<br />

avere la vittoria in mano. Gli usurpatori si batterono con<br />

accanimento, pur sapendo che il complotto era fallito e che il loro<br />

principe era caduto. Combatterono con la follia suicida della<br />

disperazione, rifiutando di arrendersi e spesso lottando a mani nude


nell'oscurità contro uomini che brandivano spietatamente la spada,<br />

desiderosi di vendetta dopo il tradimento.<br />

Ci trovammo a un certo momento ai margini della città, vicino<br />

alla taverna dove per la prima volta avevo scorto l'uomo dalla<br />

tunica gialla. Qualcuno doveva avere rovesciato una lampada e ora<br />

le fiamme che avvolgevano la taverna illuminavano la notte scura.<br />

Mentre ci avvicinavamo, un gruppetto di uomini, sbucato da uno<br />

stretto pertugio tra due edifici, si gettò su di noi; li scorgemmo<br />

soltanto quando ci furono addosso e ci accingemmo subito<br />

all'attacco. Erano in cinque e noi solo quattro, ma dietro seguivano<br />

altri dei nostri. Uno di loro mi si avvicinò, la bocca spalancata in un<br />

urlo, i denti luccicanti, brandendo un'ascia. Mi assalì impugnando<br />

l'arma con l'intenzione di abbatterla <strong>sul</strong>la mia spalla e squarciarmi<br />

fino al petto. Evitai il colpo lanciandomi in avanti <strong>sul</strong>la sinistra, e lo<br />

infilzai con la spada. <strong>Il</strong> peso del suo corpo mi trascinò a terra, e<br />

mentre cercavo di liberare la lama spingendolo con il piede, vidi<br />

Derek che, rotolato a terra, con le mani tentava di allontanare il<br />

coltello che un altro gli puntava alla gola. Li raggiunsi e con un calcio<br />

allontanai l'assalitore finendolo subito dopo con un fendente.<br />

Rimanemmo soli, io e Derek, nella strada, ansimando e guardandoci<br />

intorno.<br />

Sentimmo un rumore che proveniva da un vicolo buio lì vicino;<br />

prima di avviarmi in quella direzione mi fermai per accertarmi che<br />

Derek, rimessosi in piedi, fosse incolume. Più ansimante di me,<br />

piegato in due, cercava di prendere fiato, ma con un cenno della<br />

mano mi fece segno che stava abbastanza bene e sentii che mi<br />

seguiva mentre correvo verso il luogo da cui proveniva il rumore.<br />

Ma per quella notte non avremmo più combattuto. Era caduto il<br />

silenzio prima che raggiungessimo l'estremità del vicolo, e vi<br />

incontrammo alcuni dei nostri che si radunavano, congratulandosi<br />

per la vittoria.<br />

Ritornammo immediatamente alla taverna in fiamme. Derek<br />

temeva che il fuoco potesse appiccarsi anche agli edifici circostanti,<br />

ma per fortuna non ce n'erano di sufficientemente vicini. Mentre<br />

osservavamo l'incendio e contavamo i corpi visibili al chiarore del<br />

fuoco, cominciò a piovere fittamente. La pioggia, all'inizio<br />

rinfrescante, divenne ben presto una maledizione.


Ci fu di sollievo constatare che i combattimenti erano finiti e<br />

l'ordine era stato restaurato dappertutto. La nostra era stata l'ultima<br />

schermaglia; a Ravenglass non c'erano altri Figli di Condran in grado<br />

di nuocere.<br />

Subito dopo organizzammo dei gruppetti per soccorrere i feriti,<br />

raccogliere i cadaveri e trasportarli sotto la pioggia ormai torrenziale<br />

in una zona designata, in prossimità delle terme. Mentre eravamo<br />

così occupati, Rufio ci avvertì che Lucano aveva allestito una specie<br />

di infermeria temporanea nel cortile centrale dell'edificio<br />

amministrativo. Derek immediatamente dette disposizioni affinché i<br />

feriti in grado di camminare si dirigessero lì in cerca di assistenza, e<br />

agli altri tre comandanti inviò messaggeri perché nominassero tra i<br />

loro uomini alcuni portantini per trasportare i più gravi nell'ospedale<br />

improvvisato. Dei pochi sopravvissuti della gente di Liam nessuno<br />

era in grado di camminare; erano tutti in gravi condizioni o<br />

agonizzanti.<br />

Alla fine, quando fummo sicuri di aver fatto tutto il possibile, io e<br />

Derek andammo a cercare Connor. Lo trovammo dove avevo<br />

previsto, <strong>sul</strong> molo, a con<strong>sul</strong>tarsi con i suoi nostromi, Tearlach,<br />

Feargus e Logan. Vedendoci arrivare, li congedò, si aggiustò <strong>sul</strong>le<br />

spalle il mantello zuppo di pioggia e con una smorfia annusò l'aria.<br />

«Esiste in questa città un luogo asciutto?» ci chiese non appena<br />

fummo a tiro di voce.<br />

«Sì, esiste, e proprio lì eravamo diretti» rispose Derek. «A casa mia.<br />

L'avranno rimessa in ordine nel frattempo, ma se anche non fosse<br />

così, ci sono stanze dove non si sono compiuti massacri. Seguiteci;<br />

abbiamo diverse cose da discutere.»<br />

Poco dopo, contenti di notare che i cadaveri erano stati levati<br />

dalla sala del banchetto, che era stato lavato il sangue ed era stata<br />

sparsa paglia fresca, Derek ci fece strada verso un'accogliente saletta<br />

della sua abitazione rischiarata da un bel fuoco che scoppiettava nel<br />

focolare. Dopo che ci fummo tolti le vesti zuppe di pioggia e raccolti<br />

intorno alle fiamme, stringendo in mano un boccale di idromele, il<br />

re non perse tempo per arrivare al punto.<br />

«Non ve ne andrete domattina, spero.»


Seduto nel mezzo, Connor mi lanciò un'occhiata ammiccante<br />

prima di volgersi al re. «Perché no? Niente ci trattiene qui, vero?»<br />

Derek ebbe la grazia di arrossire per l'imbarazzo. «No, immagino<br />

di no....» Io e Connor restammo in silenzio. «Ma... mi auguro che<br />

rimaniate.»<br />

«Per altri due giorni, vuoi dire? In attesa che arrivi la flotta di<br />

Liam?»<br />

«Sono nemici vostri non meno che miei.»<br />

«Vero, ma soprattutto tuoi, Derek.» Connor annuì con aria saggia.<br />

«Sono miei nemici da anni e a modo mio so come trattarli. Sono stati<br />

tuoi nemici soltanto per poche ore. È stata una fortuna per te e per il<br />

tuo popolo che noi fossimo qui oggi. Ammetti che non ci hai<br />

incoraggiati a rimanere. Esiste una flotta: almeno trenta navi contro<br />

le mie tre galee. Se, come tu hai suggerito, ce ne andiamo domani<br />

con la marea, saremo lontani prima che all'orizzonte si profilino le<br />

loro imbarcazioni.»<br />

«Cinque, se rimarrai.»<br />

«Cosa?»<br />

«Cinque galee. Le due di Liam ora sono mie. Te le darò se mi<br />

aiuterai.»<br />

«Una proposta allettante, ammetto, anche se sono stati i miei<br />

uomini a conquistarle. Ma si tratta sempre di cinque galee con<br />

l'equipaggio di tre contro trenta...» Fece una smorfia e scosse la testa.<br />

Derek, alzatosi, andava avanti e indietro. «Senti, non ho bisogno<br />

delle tue galee, ma dei tuoi uomini che, dall'alto delle mura, tengano<br />

lontano il nemico.»<br />

«Non ti capisco.» Connor era accigliato. «Vuoi che io mandi i miei<br />

uomini <strong>sul</strong>le mura e lasci le galee vuote nel porto, pronte a essere<br />

incendiate?»<br />

«Non saranno incendiate.»<br />

«Come puoi dirlo?» <strong>Il</strong> tono di Connor era sprezzante. «Sono di<br />

legno stagionato. Non hai mai visto quello che possono fare a una<br />

nave le frecce impeciate scagliate in fiamme? No, Derek, stai<br />

chiedendo troppo. Non abbandonerò le mie navi.»


«Le nasconderemo! Abbiamo tutta la giornata di domani per<br />

provvedere. Conosco un'insenatura, il nascondiglio ideale, invisibile<br />

dal mare, protetto dai venti; una spiaggia dove la marea sale alta. Le<br />

tue galee saranno al sicuro per tutto il tempo che vorrai; nessuno<br />

saprà dove si trovano.»<br />

Connor rimase a riflettere per qualche momento, poi emise un<br />

breve sospiro. «Quanto dista l'insenatura? Posso andarci domani a<br />

vedere con i miei occhi? Quando si tratta delle mie galee, non<br />

accetto niente <strong>sul</strong>la fiducia.»<br />

«Sì, puoi andare a controllare. Non è lontano. Meno di due<br />

miglia lungo la costa verso sud, invisibile dal mare aperto. Lo so con<br />

certezza perché neppure io avrei scorto l'insenatura, se non avessi<br />

saputo dove cercare.»<br />

Connor era incerto. «Non mi va di lasciare lì le mie navi, senza<br />

nessuno che vi faccia la guardia. Ci vogliono anni per costruire una<br />

galea, ma bastano pochi attimi per incendiarla e distruggerla.» Si<br />

interruppe, era chiaro che aveva preso una decisione. «Se<br />

acconsento, come faranno i miei uomini a tornare qui?»<br />

«Li trasporteremo sui nostri pescherecci.»<br />

Connor si volse a me. «Che ne pensi, Merlino?»<br />

Mi strinsi nelle spalle. «Mi è venuta un'idea. Supponiamo di<br />

riuscire a convincere i nemici ad allontanarsi perché capiscono di non<br />

poter conquistare la fortezza dal mare. Che cosa faranno allora?<br />

Torneranno indietro? Sì, se sapranno che Liam, il loro capitano, è<br />

morto. Ma lo sapranno?» I due uomini mi fissavano attoniti, privi di<br />

espressione. «Pensateci! Liam è morto. Lo sappiamo. Ma voi<br />

progettate di mettere al sicuro le sue galee, l'unico segno che<br />

indicherebbe alla flotta in arrivo che lui è qui. Allontanando le<br />

imbarcazioni, si nasconde la prova della sua presenza e della sua<br />

sconfitta. Non vedendo le galee, i suoi uomini, convinti che sia<br />

immortale, lo credeva lui stesso, concluderanno che per qualche<br />

ragione abbia cambiato i piani e posposto l'attacco. Certamente<br />

avranno almeno un bravo capitano, qualcuno abbastanza perspicace<br />

da capire che la dilazione del piano - un piano, notate bene, che<br />

comportava il tradimento - significa che perdurano i rapporti di<br />

amicizia tra Liam e Ravenglass. Non avranno motivo di avvicinarsi.


Riprenderanno il largo e andranno a cercarlo altrove, credendolo<br />

nelle vicinanze. Setacceranno la costa verso nord e verso sud, alla<br />

ricerca di un nascondiglio del tipo che hai descritto. Troveranno le<br />

tue galee.»<br />

«Sì» ammise Connor che mi fissava stringendo gli occhi. «Hai un<br />

modo sottile di ragionare. Sono contento che tu non mi sia nemico.<br />

Non ho obiezioni da muovere alla tua ipotesi. <strong>Il</strong> che vuole dire che<br />

le galee di Liam devono restare qui e correre il rischio di essere<br />

distrutte o riconquistate. Sono l'esca per attirare il nemico.» Si grattò<br />

il mento. «Sono contento di avertelo chiesto, ma non era questo il<br />

motivo per cui ti ho incitato a dire quello che pensi. Tu hai il tuo<br />

carico di responsabilità; il giuramento fatto a mio padre mi impegna<br />

ad aiutarti incondizionatamente. Per questo siamo qui. Ma la<br />

faccenda della flotta di Liam è troppo pericolosa e certamente non è<br />

di tua competenza.»<br />

«Aspettate!» Entrambi ci volgemmo verso Derek che rosso in<br />

faccia pareva a disagio. «Prima di rispondere, Merlino, ascolta quello<br />

che ho da dirti. Non mi è stato facile oggi spiegarti i motivi che mi<br />

inducevano a rifiutarti l'accoglienza nel mio regno e credo che tu<br />

abbia capito le mie ragioni.»<br />

«Sì, le ho capite.»<br />

«Nel frattempo, dopo il tradimento perpetrato dai Figli di<br />

Condran, sono cambiate.» Rimasi in silenzio aspettando il seguito.<br />

Derek raddrizzò le spalle, lanciando un'occhiata a Connor. «Hai<br />

parlato di dovere, dell'impegno che hai verso Merlino. Ne ero<br />

all'oscuro. Perché Athol Mac Iain è in debito di gratitudine verso<br />

Camelot?»<br />

Connor era impassibile; fui io a rispondere. «Nessun debito di<br />

gratitudine. Gli sta a cuore l'incolumità del ragazzo affidato alle mie<br />

cure.»<br />

«Perché?» <strong>Il</strong> viso di Derek tradiva la curiosità.<br />

«Che cosa vuoi sapere?» intervenne Connor con voce secca, quasi<br />

ironica.<br />

«Voglio sapere se Athol ha per il ragazzo un semplice<br />

attaccamento affettivo oppure se, in quanto re, lo considera sotto la


propria protezione. Non c'è motivo per non dirmelo; la faccenda<br />

con i Figli di Condran rischia di essere un disastro per la mia gente e<br />

il mio regno. Sono cose che non sapevo quando siete arrivati e che<br />

cambiano la situazione. Mi serve un alleato ora, un alleato forte con<br />

una flotta di galee. Se, come mi è stato chiesto, offro la mia<br />

protezione a Merlino e al ragazzo, posso chiedervi in cambio, quale<br />

parte del nostro patto, di proteggere la mia gente? Ecco quello che<br />

voglio sapere.»<br />

«Ti riferisci al futuro, non a dopodomani quando arriveranno le<br />

galee di Liam. Per fronteggiarle il nostro aiuto ti è essenziale.»<br />

«Sì.»<br />

Connor sospirò a fondo e disse a denti stretti: «Ho la sensazione<br />

che sia tua intenzione farmi sudare il possesso di quelle due galee».<br />

Derek parve <strong>sul</strong> punto di sorridere. «Sono le migliori di Condran.<br />

E non sono state danneggiate.»<br />

«No, grazie a te.» Connor mi guardò. «Su ciascuna si trovavano<br />

alcuni uomini dell'equipaggio. Hanno cercato di incendiarle quando<br />

ci hanno visti arrivare. Per poco non ci sono riusciti.» Si volse a<br />

Derek. «<strong>Il</strong> patto, soprattutto per quanto riguarda l'aiuto che vorrai<br />

ottenere in futuro, è troppo sbilanciato a tuo vantaggio. Se accetto,<br />

dove alloggerai Merlino e la sua gente? Se la tua condizione è<br />

cambiata, sono cambiate anche le esigenze della loro sicurezza.»<br />

«Lo so.» Volgendosi a me, Derek mi chiese: «Quante persone sono<br />

nel tuo gruppo?».<br />

«Diciotto.»<br />

Mi fissò a lungo, poi annuendo lentamente disse: «Ho il posto<br />

ideale, credo».<br />

Quando fu chiaro che non avrebbe aggiunto altro di sua<br />

iniziativa, intervenne Connor: «Un altro posto ideale? Dove? Hai<br />

una casa idonea?».<br />

«Ho una fortezza idonea.» Si levò per aggiungere un po' di legna<br />

al fuoco e, quando fu sicuro che le fiamme avevano ripreso vigore,<br />

ritornò a sedersi.<br />

«La strada che esce dalla nostra città è il decimum iter. Non vi dice


niente?» Scuotemmo la testa e lui sorrise, rivolgendosi a me. «Una<br />

volta mi hai detto che conoscevi la Britannia, almeno la parte<br />

romana, ma ora ti posso dire una cosa che non conoscevi. <strong>Il</strong><br />

decimum iter è l'unica strada in tutta la regione che dalla costa<br />

penetra verso l'interno. Era importantissima per i Romani; la<br />

costruirono dopo che ebbero abbandonato il vallo in Caledonia.»<br />

«<strong>Il</strong> vallo di Antonino.»<br />

«Sì. Costruirono allora il decimum iter, per trasportare i<br />

rifornimenti a Ravenglass, che chiamavano Glannaventa.<br />

Attraversava la brulla regione montana e arrivava a Galava, che vuol<br />

dire "presso la corrente vigorosa", il torrente Amble. La strada, lunga<br />

trenta miglia romane, aveva tre forti: uno a ciascuna delle due<br />

estremità e un altro che chiamavano Mediobogdum - non<br />

chiedetemi che cosa significa - nel mezzo, su un altopiano <strong>sul</strong>la<br />

sommità del più alto dei passi della regione.»<br />

«Significa "alla curva del fiume". Non è su un fiume?»<br />

«No, è in cima a una montagna, ma nella valle sottostante scorre<br />

un fiume, l'Esk, e disegna un'ansa intorno al forte, è vero. <strong>Il</strong> forte era<br />

un accampamento estivo delle guarnigioni; non era usato d'inverno,<br />

perché la strada era impraticabile.» Spostò lo sguardo dall'uno<br />

all'altro di noi. «<strong>Il</strong> che vuol dire che nessuna comunità si è stanziata<br />

nei dintorni. Chi mai vorrebbe vivere lì per tutto l'anno? Spinti dalle<br />

vostre particolari ragioni, voi potreste insediarvi lì, ma sareste i primi<br />

da duecento anni a questa parte, stando ai nostri druidi. Dista da qui<br />

circa dieci miglia, ed è abbandonato a memoria d'uomo. Penso<br />

tuttavia che con un po' di buona volontà e di duro lavoro si<br />

potrebbe renderlo abitabile. Vi andai l'estate scorsa e vi trascorsi due<br />

notti. Le mura sono solide - quasi tutte costruite con la pietra del<br />

posto - e alcuni edifici sono provvisti di un robusto tetto. C'è<br />

abbondanza di acqua e di legname; esistono perfino le terme, ma<br />

non so come siano ridotte. La località è protetta da alte cime e fitte<br />

foreste; oggi pochi percorrono la strada... se ne servono quelli che<br />

vengono dall'interno. Nessuno la imbocca da qui, tranne in estate,<br />

quando <strong>sul</strong> passo mandiamo un piccolo reparto di guardie a vigilare<br />

contro eventuali incursioni dall'interno. Da più di vent'anni è tutto<br />

tranquillo.»


Connor mi guardava, le labbra strette. «Che ne dici?»<br />

«Vorrei vederlo. Potrebbe essere utile» risposi stringendomi nelle<br />

spalle.<br />

«Ecco quello che faremo» propose Connor dopo un momento di<br />

silenzio. «Domani, Derek, mi assegnerai un uomo che mi conduca<br />

nell'insenatura dove nascondere le galee. Prenderemo soltanto le<br />

nostre tre e lasceremo quelle di Liam al molo perché la sua flotta<br />

possa vederle. Ci basterà portare con noi metà dell'equipaggio. Se<br />

l'insenatura mi sembrerà sicura e nascosta come mi garantisci, vi<br />

lasceremo le navi. I tuoi pescherecci riporteranno indietro gli uomini.<br />

Quando arriveranno gli scagnozzi di Liam, scorgendo le galee del<br />

loro ammiraglio, saranno sicuri che si trovi qui. Ma lo vedranno il<br />

loro maledetto ammiraglio... voglio esserne sicuro.» Tamburellò le<br />

dita <strong>sul</strong>le labbra, tenendo fissi gli occhi su di me, mentre i pensieri<br />

seguivano un loro corso.<br />

«Derek, durante la mia ultima visita, Blundyl mi ha portato in giro<br />

e mi ha mostrato molte cose straordinarie. Una di queste, la ricordo<br />

distintamente, era un vecchio deposito per imbarcazioni da carico,<br />

ancora solido e al sicuro dalle intemperie, oltre l'estremità delle mura<br />

occidentali, di fronte al porto. Era zeppo di catene di ferro<br />

arrugginite, forgiate a mano, cose enormi. Te ne ricordi?»<br />

«Sì, le avevano fabbricate i Romani. Le usavano per legare insieme<br />

i grandi tronchi e farne una barriera galleggiante contro gli attacchi<br />

di sorpresa. Un altro deposito simile sorge alla estremità opposta<br />

delle mura.»<br />

«Le catene sono ancora lì?»<br />

«Sì, da anni. Non ne abbiamo avuto bisogno finora, ma le<br />

abbiamo tenute in previsione di qualche eventualità futura. Vuoi<br />

usarle? Ricostruire la barriera galleggiante? Non abbiamo il tempo.<br />

Dovremmo abbattere gli alberi.»<br />

«No, voglio agganciarle le une alle altre e farle correre lungo le<br />

mura antistanti il porto, saldandole alla costruzione con pesanti<br />

picche. Vi appenderemo in bella vista i cadaveri dei Figli di Condran<br />

che abbiamo ucciso la notte scorsa, con Liam nel mezzo; sarà la<br />

prima cosa che i nostri visitatori scorgeranno all'arrivo. Un brutto


colpo. Capiranno che le mura sono ben difese, i miei cento uomini<br />

oltre ai tuoi. Saranno troppo lontani per riconoscerci e dedurranno<br />

che sono le tue truppe. Se si avvicineranno, li accoglieremo con<br />

frecce infuocate. Ho visto qualche catapulta romana <strong>sul</strong>le mura:<br />

sono ancora utilizzabili?» Derek annuì. «Bene, assicurati che per<br />

domani gli ingranaggi siano ingrassati e rimessi in efficienza. Vi<br />

aiuterà Merlino. Se ne intende di queste macchine. La flotta di Liam<br />

arriverà il giorno dopo, all'alba; l'equipaggio sarà convinto che la<br />

città è già stata conquistata. Li spaventeremo al punto che se ne<br />

andranno con la coda tra le gambe portando la notizia della morte<br />

di Liam. Non torneranno presto e se lo faranno, scopriranno che<br />

Mac Athol segue i loro movimenti. Non appena avranno girato la<br />

prua, porterai me e Merlino a vedere questo tuo forte. Come hai<br />

detto che si chiama?»<br />

«Mediobogdum. »<br />

«Siamo d'accordo?»<br />

«Sì.» Ciascuno di noi si sputò <strong>sul</strong> palmo della mano e toccò i palmi<br />

degli altri per sigillare il patto. Poco prima dell'alba, sporco e stanco,<br />

mi avviai verso la branda e vi caddi riverso. Malgrado la<br />

spossatezza, non mi addormentai istantaneamente, ma riandai agli<br />

eventi di quella notte, riflettendo su come le cose della vita<br />

cambiano continuamente senza mai rimanere fisse per un intervallo<br />

significativo di tempo. Rividi Liam che moriva mentre un fiotto di<br />

sangue gli zampillava dalla bocca. L'ultima cosa che percepii fu, ben<br />

nascosto sotto il cuscino, il coltello che mi aveva dato Shelagh.


IV.<br />

La pioggia, che era andata attenuandosi nel corso della mattinata,<br />

cessò del tutto poco prima di mezzogiorno. Mi tirai indietro il<br />

cappuccio e mi passai le dita tra i capelli, gustando l'aria fresca <strong>sul</strong>la<br />

testa.<br />

Vicino a me Shelagh, pensosa, si succhiava il labbro. I due uomini<br />

che mi avevano aiutato aspettavano in silenzio ulteriori istruzioni.<br />

«Non è qui» disse Shelagh.<br />

«Come fai a saperlo?» le chiesi voltandomi verso di lei e<br />

scuotendo la testa.<br />

«Lo so.»<br />

«Come, Shelagh? Come fai a saperlo, quando non lo so io stesso?<br />

Non so neanche chi sto cercando. Sono sicuro solo di una cosa: non<br />

sono in grado di identificarlo.»<br />

Shelagh mi lanciò un'occhiata, senza aggiungere altro. Eravamo<br />

nelle terme, vicino ai mucchi di cadaveri dei Figli di Condran, uccisi<br />

negli scontri della notte precedente, ammassati l'uno <strong>sul</strong>l'altro e<br />

fradici di pioggia. Ero rimasto stranamente indifferente alla vista di<br />

quella carneficina, perfino quando i corpi venivano rivoltati a faccia<br />

in su per darci la possibilità di riconoscerli. La pioggia, alla quale<br />

erano rimasti esposti per ore, aveva tolto a quei visi ogni espressione<br />

di umanità, lasciandoli cerei e pallidi dopo avere lavato via i grumi<br />

di sangue rappreso.<br />

I caduti di Ravenglass e di Connor - non c'erano stati morti tra gli<br />

uomini di Camelot, e per questo ringraziavo Dio – erano stati portati<br />

in un rifugio dietro le terme. I corpi, coperti di sangue, suscitavano<br />

maggiore pietà.<br />

Avevo esaminato ogni cadavere e avevo contato - perdendo<br />

talvolta il conteggio - tra i centocinquanta e i centosessanta morti. I<br />

primi ventisei erano stati uccisi da noi all'inizio dell'attacco. Non<br />

pensavo che vi avrei trovato l'uomo dalla tunica gialla, ma sapevo di


potermi sbagliare. Scossi la testa.<br />

«E se si fosse cambiato d'abito sapendo che avrei potuto<br />

riconoscerlo? In tal caso il suo corpo potrebbe essere uno qualsiasi di<br />

questi. Non l'ho visto bene in faccia. Gli sono stato vicino solo<br />

quando si è voltato per sgattaiolare via, e anche allora ho scorto la<br />

tunica, nient'altro.»<br />

«Lo credi probabile? Io no.»<br />

«Perché no? Mi sembra abbastanza logico.»<br />

«No, no, nient'affatto» disse scuotendo la testa. «Lo stai<br />

sopravvalutando, Merlino. Non è così perspicace. Scappando, ha<br />

attirato la tua attenzione. Uno più astuto ti sarebbe passato vicino<br />

con indifferenza, ignorandoti, senza farsi notare. Lui è scappato<br />

perché credeva che lo avessi riconosciuto. Lui, non il suo abito. Se<br />

era convinto di questo, perché avrebbe dovuto cambiarsi la tunica?<br />

Lo avresti individuato lo stesso. Tu qui non hai riconosciuto nessuno;<br />

perciò il tuo uomo, chiunque sia, non è tra i morti.»<br />

«<strong>Il</strong> che vuol dire che è vivo.»<br />

«Sì, e potrebbe in questo momento trovarsi dovunque nel raggio<br />

di un giorno di cammino. Molto astuto da parte tua, Merlino.»<br />

Le lanciai un'occhiata di sbieco. «Tieni a freno la lingua, donna, se<br />

non vuoi che dica a tuo marito di darti una scudisciata.»<br />

Emise un fischio di incredulità, quindi sorrise pudicamente e agitò<br />

le lunghe ciglia prima di abbassare la testa con finta docilità,<br />

imperturbabile, come me, al fatto che ci scambiassimo battute<br />

scherzose davanti a tanti morti.<br />

Restituendole il coltello quella mattina, l'avevo lodata per la<br />

presenza di spirito e la destrezza mostrate la sera prima. A quel<br />

colloquio erano presenti i bambini e con piacere avevo potuto<br />

constatare che nessun danno era venuto loro dagli uomini di Liam.<br />

Neppure Turga aveva avuto fastidi. Donuil era già sceso al porto con<br />

Lucano, Rufio e Dedalo a controllare, mentre dalle galee venivano<br />

scaricati il bestiame e le masserizie e portati al riparo entro la cerchia<br />

delle mura. L'equipaggio di Connor si apprestava a condurre le tre<br />

imbarcazioni di Mac Athol in un luogo dove non sarebbero state<br />

avvistate dalla flotta di Liam.


I ragazzi erano curiosi di sapere che cosa era accaduto la notte<br />

prima, ma Shelagh non aveva raccontato niente. Passai mezz'ora a<br />

riferire quello che mi sembrava giusto dovessero sapere, compresa la<br />

minaccia dell'imminente arrivo della flotta di Liam, previsto per il<br />

giorno successivo. Chiesi loro di promettere solennemente che si<br />

sarebbero comportati bene, senza intralciare i preparativi in corso. Li<br />

affidai quindi a Turga perché andassero a trovare gli zii al lavoro <strong>sul</strong><br />

molo. Gwin e Ghilleadh erano figli di Donuil e Shelagh; Bedwyr,<br />

l'ultimo del terzetto che accompagnava Artù dappertutto, era figlio<br />

di Hector e di sua moglie Julia, uccisa pochi mesi prima quando si<br />

era attentato alla vita di Artù.<br />

«Che cosa fate voi due?» chiese Donuil che si era avvicinato senza<br />

che né io né Shelagh ce ne fossimo accorti.<br />

«Abbiamo cercato l'uomo dalla tunica gialla.» disse Shelagh «Deve<br />

essere scappato.»<br />

«Scappato dove?»<br />

«Chi lo sa. Lontano da Ravenglass per non farsi riconoscere.»<br />

Donuil guardò me, poi Shelagh. «È importante?»<br />

«Potrebbe esserlo. Che ne pensi?» chiese Shelagh rivolta a me.<br />

«Dimmi quello che ne pensi tu. Questa mattina la tua mente è più<br />

lucida della mia.»<br />

«Una faccenda che non mi piace. Ascoltate e vediamo se il mio<br />

ragionamento vi sembra logico. Ma prima entriamo; sto<br />

congelando.»<br />

Le terme erano calde e asciutte, e ci sedemmo <strong>sul</strong>le panche di<br />

pietra negli spogliatoi deserti, vicino agli sbocchi delle fornaci.<br />

Shelagh non aveva più aperto bocca in quel frattempo,<br />

evidentemente immersa nei suoi pensieri. Non appena ci fummo<br />

tolti i mantelli, mentre cominciavamo a gustare il piacevole tepore,<br />

riprese l'argomento.<br />

«Ecco quello che mi è venuto in mente. Conosciamo le intenzioni<br />

di Ironhair su Artù e su di te, Caio, e sappiamo quanto possa essere<br />

pericoloso. Per questo ce ne siamo venuti via da Camelot; ignoriamo<br />

chi tra i coloni ci abbia tradito, ma certamente esiste. I traditori


potrebbero essere vicino a noi, naturalmente speriamo che non sia<br />

così, al punto da scoprire, fin da quando abbiamo cominciato a<br />

preparare il piano, che ci apprestavamo a mettere al sicuro il<br />

ragazzo. Se così stanno le cose, forse già da un mese, se non di più,<br />

Ironhair è al corrente di tutto. Eppure, a mio parere, abbiamo la<br />

certezza - se non altro per la ristrettezza dei tempi - che non ha<br />

avuto la possibilità di sguinzagliare le sue spie a controllare i nostri<br />

movimenti. Né dalla Cornovaglia né dalla Cambria, per via terra<br />

fino a qui...»<br />

«Potrebbero essere venute su un'imbarcazione, Shelagh. Quando<br />

siamo arrivati ieri, attraccati al molo c'erano una ventina di<br />

pescherecci.»<br />

«Sì, è vero, ma quasi tutti - ne sono sicura - appartengono a gente<br />

del posto. Si sarebbero notati quelli che non lo erano. Se un<br />

peschereccio si è allontanato ieri, dopo la discussione che hai avuto<br />

con Derek nei boschi, lo troveremo. Finché non avremo appurato<br />

questo particolare, il problema tempo rimane. Ma torniamo a quello<br />

che stavo dicendo. Forse Ironhair sa che ce ne siamo andati da<br />

Camelot, ma non ha avuto il tempo di mandarci le sue spie alle<br />

calcagna. Ti viene in mente nessuno, Merlino, salvo un emissario di<br />

Ironhair, che possa temerti al punto di darsi alla fuga per evitarti?»<br />

Scossi la testa lentamente, riflettendo <strong>sul</strong>la domanda, e ricordando<br />

che soltanto io e Lucano sapevamo che ero malato di lebbra. «No,<br />

non mi viene in mente nessuno.»<br />

«Ne sei sicuro, Caio? Davvero sicuro?»<br />

«Sì, sì.»<br />

«Allora dobbiamo dedurre che Ironhair ha spie dappertutto e che<br />

sta all'erta. Forse mi sbaglio, magari non si tratta di Ironhair, ma<br />

qualcuno sa che tu sei qui, Caio.»<br />

Capivo dove voleva arrivare. «No, non proprio, Shelagh. <strong>Il</strong> nostro<br />

uomo è sparito ieri pomeriggio e da allora nessuno l'ha visto. Non<br />

ha importanza il fatto che se ne sia andato per via di terra o di mare:<br />

nessuno di noi sapeva, fino a ieri sera tardi, che saremmo rimasti qui.<br />

Quando ho visto quell'uomo per l'ultima volta, Derek aveva<br />

respinto la mia richiesta. Gliel'avevo rivolta personalmente in


privato, e lui non l'aveva discussa con nessuno. Pensaci. Siamo<br />

arrivati a bordo delle galee di Connor e non abbiamo sbarcato<br />

niente. Chiunque si sia preso la briga di osservarci, se non altro come<br />

stranieri in transito, lo avrà notato. Ne consegue che, andandocene,<br />

saremmo partiti con le navi di Connor. Se dobbiamo concludere che<br />

quell'uomo è una spia, dobbiamo anche concludere che, avendomi<br />

visto per la prima volta mentre a cavallo passavo davanti alla<br />

taverna, avrebbe chiesto in giro e l'avrebbe saputo prima che ce ne<br />

andassimo.»<br />

Donuil, che ascoltava con attenzione e fissava ora l'uno ora l'altra<br />

mentre parlavamo, chiese: «Secondo voi, gli è giunta notizia che<br />

proseguiremo per l'Eire?».<br />

«Sì, qualcosa del genere. Forse pensa che continueremo il viaggio<br />

con Connor, per l'Eire o la Caledonia.»<br />

«E se avesse parlato con uno dei nostri e avesse saputo che<br />

saremmo rimasti?»<br />

«Impossibile, Donuil, a meno che non l'abbia chiesto a Connor<br />

stesso o a uno degli altri capitani. Nessuno conosce il nostro piano, e<br />

nessuno dei capitani di Connor ne farebbe cenno con uno<br />

sconosciuto.»<br />

Annuì. «Che ne sai del forte di cui ha parlato Connor? Puoi dirci<br />

qualcosa?»<br />

«Mediobogdum? Sono sicuro di non saperne molto più di quanto<br />

Connor vi abbia già riferito. Sorge tra i monti a circa dieci miglia da<br />

qui, abbandonato da almeno duecento anni, ma stando a Derek,<br />

ancora abitabile se ci si lavora sodo per un po'. Andremo a darci<br />

un'occhiata, una volta che avremo messo in fuga la flotta di Liam. Lo<br />

vedremo allora con i nostri occhi.»<br />

«Solamente un po' di duro lavoro dopo duecento anni?» Donuil si<br />

levò in piedi. «Meglio che ritorni al porto. Abbiamo scaricato le<br />

masserizie, le casse, i cavalli, e dobbiamo trasportarli entro le mura.<br />

Finiremo tra un'ora, credo. Prima di allora scoprirò se qualche<br />

imbarcazione è partita ieri dopo mezzogiorno e chi trasportava.<br />

Scoprirò anche se qualcuno, con o senza tunica gialla, ha fatto<br />

domande in giro su di te e sui nostri uomini. Che cosa hai intenzione


di fare adesso?»<br />

«Andrò a controllare le catapulte <strong>sul</strong>le mura per vedere come<br />

usarle senza colpire la nostra gente. A giudizio di Derek, sono in<br />

perfetta efficienza, ma, da quanto ne so, sono lì da almeno<br />

trent'anni, e non vi è mai stata fatta alcuna opera di manutenzione.<br />

Mi sentirò rassicurato se potrò controllarle di persona. Sarei sorpreso<br />

se non saltasse fuori che è necessario cambiare le funi, e ancora più<br />

sorpreso se troverò gli uomini capaci di farlo nel poco tempo che<br />

abbiamo a disposizione.»<br />

Shelagh ritornò nei nostri alloggi temporanei a controllare come e<br />

dove venivano sistemati i bagagli che arrivavano dal porto; io mi<br />

incamminai verso il molo con Donuil e lì lo lasciai per recarmi <strong>sul</strong><br />

parapetto lungo le mura.<br />

In una delle torri difensive aggettanti verso il porto trovai Derek<br />

intento a esaminare una delle grandi catapulte abbandonate dalle<br />

legioni quando se ne erano andate. Sentendomi arrivare, levò lo<br />

sguardo.<br />

«Ah, eccoti! Ti ho cercato prima.»<br />

Mentre gli spiegavo quello che avevo fatto, osservai la base<br />

massiccia del possente congegno di lancio. «Mi sembra in ottimo<br />

stato» dissi quando ebbi finito. «In perfetta efficienza.» A quelle mie<br />

parole un uomo si raddrizzò da dietro la macchina, fissandomi quasi<br />

si chiedesse da quale girone dell'Ade fossi saltato fuori e come potessi<br />

intendermi di macchine da guerra.<br />

«Ah!» L'esclamazione di Derek suonò come un ruggito<br />

compiaciuto. «L'hai sentito, Longino? Merlino di Camelot pensa che<br />

le tue catapulte siano in grado di funzionare.»<br />

Longino si era raddrizzato in tutta la sua statura e ora, girando<br />

intorno alla macchina, si avvicinò a dove mi trovavo io, cercando di<br />

estrarre una minuscola scheggia da un dito calloso. Non appena<br />

l'ebbe levata, alzò gli occhi e annuì. «Sono Caio Longino. Conosci le<br />

macchine da assedio?»<br />

Mi strinsi nelle spalle. «So quel poco che basta per dire che questa<br />

è in buono stato di manutenzione.»<br />

«Lo sono tutte» precisò.


Mi guardai intorno. Vedevo altre installazioni, ma mi sembrava<br />

che soltanto quella fosse completa.<br />

«Sì, sono smantellate, ma le rimonteremo oggi.»<br />

«Quante ne avete?»<br />

«Cinque.» Longino era uomo di poche parole.<br />

«Tutte su questo lato delle mura?»<br />

Fece un cenno di assenso con la testa.<br />

«Funzionanti?» Annuì di nuovo. «Anche gli argani?»<br />

Aggrottò la fronte con irritazione. «Hai mai visto una catapulta in<br />

grado di funzionare se l'argano è rotto?»<br />

«No, no. Chiedo scusa. Ti faccio i miei complimenti. Non mi sarei<br />

mai aspettato di trovare qui qualcuno che sapesse azionare le<br />

macchine da guerra e provvedere alla loro manutenzione. Dove hai<br />

imparato?»<br />

«Qui.»<br />

«In che modo? O preferisci che ti chieda chi te lo ha insegnato? Le<br />

legioni sono ormai partite da più di trent'anni.»<br />

«Mi fu maestro mio padre quando ero ragazzo.»<br />

«Da chi aveva imparato lui?»<br />

«Dai Romani. Quando le legioni lasciarono la guarnigione, ne<br />

assunse la difesa per conto del re. Mi addestrò e, da quando morì<br />

vent'anni fa, sono io a occuparmene.»<br />

«Tuo padre era con le legioni?»<br />

«Con la ventesima, la Valeria. Per trent'anni.»<br />

«Era un geniere?»<br />

«Servì come geniere negli ultimi vent'anni.»<br />

«Mio nonno comandava la Valeria.»<br />

«Davvero? Come si chiamava?»<br />

«Britannico, ma accadeva più di quarantanni fa, probabilmente<br />

prima dei tempi di tuo padre.»<br />

«No, era in servizio allora. Ma il nome non mi dice niente; non


ero ancora nato.»<br />

Lanciai un'occhiata a Derek e mi accorsi che sorrideva da un<br />

orecchio all'altro. Ignorandolo tornai a rivolgermi a Longino, ben<br />

sapendo che anche a domande specifiche avrebbe dato risposte<br />

laconiche. «Hai degli aiutanti esperti?»<br />

«Due squadre per ogni catapulta, una in azione.»<br />

«Chi addestra gli uomini?»<br />

«Io.»<br />

«Tutti? Nessuno che ti aiuti?»<br />

«Cinque. Uno per ciascuna squadra in azione.» Distolse lo sguardo<br />

per volgerlo ai piedi delle mura. Qualcuno lo chiamava. Senza<br />

aggiungere parola, si allontanò.<br />

Mi volsi a Derek. «Non è di molte parole, vero?»<br />

«No, ma nel suo campo è il migliore. Aspetta di vedere i suoi<br />

all'opera domani. Resterai sbalordito, te lo garantisco. Rimarranno<br />

stupefatti anche gli invasori. Hanno dimenticato i Romani e le<br />

pesanti catapulte. Non appena constateranno quanto danno può<br />

fare una macchina come questa e si accorgeranno che, se bene usata,<br />

riesce a distruggere una nave, gireranno su se stessi come fusi e non<br />

smetteranno di remare fino a quando non avranno raggiunto le<br />

sponde dalle quali sono partiti...» Tacque. «I morti... Sei ancora<br />

dell'idea di appenderli alle mura?»<br />

«Certamente, tutti. Te lo garantisco: vederli con le armature, in<br />

mezzo ci sarà Liam, il loro comandante, sarà più efficace delle<br />

catapulte.»<br />

«Sì, forse hai ragione, ma è molto macabro. Ce ne sono più di<br />

cento.»<br />

«Quasi centocinquanta. Sono d'accordo con te, ma Connor sa il<br />

fatto suo. Agli invasori lo spettacolo di tanti morti, esposti con tanta<br />

pompa, sembrerà un monito che annuncia l'incombente punizione e<br />

fa intravedere conseguenze disastrose. Se li induciamo ad andarsene,<br />

ci penseranno due volte prima di tornare.»<br />

Derek rimase in silenzio per qualche istante prima di annuire.<br />

«Così sia. Ne darò l'incarico a Blundyl. Gli serviranno cento uomini. I


cadaveri saranno appesi alle mura stanotte, dopo il tramonto.» Esitò<br />

guardando da una parte all'altra del parapetto. «Sono contento di<br />

non dovermene occupare; è un lavoraccio.»<br />

Sì, fu una fatica improba quella di appendere i cadaveri all'esterno<br />

delle mura, ma vi presero parte tutti gli uomini validi. Prima di<br />

mezzanotte, alla luce dei falò accesi <strong>sul</strong>la sommità della cinta<br />

difensiva, nel sottostante recinto e sui terrapieni al di fuori delle<br />

porte, l'ingrato compito era stato portato a termine.<br />

I cadaveri furono appesi a due a due; soltanto quello di Liam, al<br />

centro della fila, pendeva da solo.<br />

Non appena quello spettacolo di morte fu esibito in tutta la sua<br />

macabra crudezza in attesa che all'alba comparissero le navi di Liam,<br />

passai parola tra la mia gente che si raccogliesse nella sala centrale<br />

della casa di Derek.<br />

Avevo molte cose da comunicare prima che tutti andassero a<br />

coricarsi. Credevo infatti che avessero il diritto di conoscere le mie<br />

intenzioni, rifletterci e decidere quindi se impegnarsi a seguirmi<br />

nell'impresa.<br />

Essendomi fermato a definire con Derek e Longino alcune<br />

decisioni dell'ultima ora, quando arrivai <strong>sul</strong> luogo dell'incontro,<br />

erano già lì convenuti e mi aspettavano seduti <strong>sul</strong>le panche, <strong>sul</strong>le<br />

sedie, <strong>sul</strong>le tavole. Avevano l'aria esausta.<br />

«Non vi tratterrò a lungo» esordii. «L'alba sorgerà tra poco e<br />

nessuno di noi sa che cosa ci porterà.» Notai che mi fissavano attenti<br />

e curiosi.<br />

Mi misi in mezzo al gruppo per essere sentito senza dover alzare<br />

la voce. «Siamo venuti a Ravenglass alla ricerca di un asilo, un luogo<br />

sicuro per il ragazzo. Questo lo sapete tutti. Non tutti forse sanno<br />

che Derek, il re, rifiutò la nostra richiesta. Disse che una nostra<br />

permanenza protratta - si riferiva alla presenza mia e del giovane<br />

Artù - avrebbe costituito una minaccia alla sicurezza e al benessere<br />

del suo popolo, poiché noi rappresentiamo un pericolo per alcune<br />

potenti fazioni in varie località.»<br />

Tacqui aspettandomi una reazione, ma nessuno parlò. Capivano<br />

che avevo altre cose da dire.


«Questo accadeva ieri. Da allora, grazie a Liam e ai Figli di<br />

Condran, è cambiato tutto. Oggi Derek si trova ad affrontare una<br />

guerra. Considera il protrarsi della nostra permanenza una garanzia<br />

per ottenere l'aiuto di Athol e delle sue flotte che senz'altro si<br />

mobiliterebbero se fosse necessario proteggere il nipote del loro<br />

sovrano. Ci chiede di rimanere e così ci converrà fare, credo, se<br />

riusciremo a negoziare condizioni di insediamento adeguate alle<br />

nostre esigenze.»<br />

«Quali sono tali condizioni? Le hai definite?» chiese Dedalo.<br />

«Sì, in queste ultime ore. Abbiamo scelto questo luogo come<br />

prima tappa perché ci offre quello che cerchiamo: la sicurezza contro<br />

un attacco improvviso, al riparo come siamo delle montagne che ci<br />

circondano; canali aperti per comunicare con Athol e i suoi Scoti;<br />

una certa distanza tra noi e i nemici in Cornovaglia e in Cambria.»<br />

Tacqui aspettando che Dedalo parlasse.<br />

«Non sembri convinto.»<br />

Annuii. «Non lo sono, malgrado le garanzie di sicurezza di cui ho<br />

appena parlato. Ne avevamo altrettante, tranne le montagne alle<br />

spalle, a Camelot, la nostra patria, eppure i rischi erano troppo<br />

grandi per rimanervi. Come abbiamo imparato a caro prezzo,<br />

perfino in una comunità chiusa come Camelot il nemico può<br />

infiltrarsi. Non abbiamo saputo identificarlo; neppure tra la nostra<br />

gente abbiamo individuato coloro che erano stati corrotti. Adesso ci<br />

troviamo a Ravenglass, un porto franco, e siamo stranieri. I pericoli<br />

sono incommensurabilmente maggiori e quindi inaccettabili...»<br />

«Stai proponendo di andarcene?»<br />

«No... non lo so.»<br />

Levando le sopracciglia, Dedalo guardò gli altri prima di tornare a<br />

posare gli occhi su di me. Tossì, schiarendosi la gola. «Non lo sai...<br />

Avrei preferito sentire un netto "sì" o un netto "no".» Scosse la testa<br />

riflettendo. Gli altri rimasero immobili, gli occhi puntati su di me o<br />

su Dedalo. Alla fine riprese la parola. «Merlino, non fraintendere<br />

quello che dirò... Hai tutto il diritto di avere dei dubbi di tanto in<br />

tanto, anche se noi non siamo abituati a vederti incerto. Per<br />

consuetudine da te ci viene una guida ferma nelle cose importanti,


per lo più sotto forma di ordini diretti.»<br />

Si guardò di nuovo intorno quasi a cercare appoggio. Se era<br />

questo il suo desiderio, rimase inappagato. Donuil tossicchiò, l'unico<br />

suono che ruppe l'assoluto silenzio. Si volse a me. «Siamo qui perché<br />

qui siete tu e il giovane Artù. Ovunque andiate noi vi seguiremo. Tu<br />

sei la nostra guida e il nostro comandante. Dicci che cosa fare e sarà<br />

fatto. Non credo di poter essere più esplicito di così. Qualcuno è di<br />

contrario avviso? Lucano?» Lucano si limitò a scuotere la testa, gli<br />

occhi fissi nei miei; era evidente che nessuno aveva da obiettare.<br />

Sorrisi grato ancora una volta per le parole chiare e inequivocabili di<br />

Dedalo.<br />

«La mia non è indecisione, è esitazione. Abbiamo un'alternativa.<br />

Non ho avuto il tempo di valutarla, neppure di pensarci molto, ma<br />

presenta numerosi svantaggi anche se non mancano i vantaggi.<br />

Scegliere questa strada ci imporrebbe una grande quantità di lavoro,<br />

forse più di quanto abbiamo realisticamente la capacità o la voglia di<br />

affrontare. Non voglio prendere una decisione senza prima<br />

considerare con attenzione la realtà, chiedervi che cosa ne pensate<br />

ed esaminare la vostra risposta. La vita di tutti ne verrebbe<br />

radicalmente compromessa in modi che nessuno neppure immagina,<br />

se mai dovessimo adottare questa soluzione.»<br />

Rufio ammiccò, segno che voleva intervenire. «Uno<br />

sconvolgimento peggiore che andare nell'Eire o nelle isole<br />

settentrionali?»<br />

«Sì, forse assai peggiore» confermai.<br />

«Com'è possibile, in nome di Dio?»<br />

«C'è un forte romano, a parecchie miglia da qui, nell'interno.<br />

Nessuno ci abita.»<br />

Dedalo si sporse in avanti, accigliato. «È in rovina?»<br />

«Pare di no, da quanto mi è stato detto.»<br />

«Perché allora è disabitato?»<br />

«Sorge <strong>sul</strong>le montagne, su un altopiano. Perché vivere lì se si può<br />

vivere qui, vicino al mare, vicino alla gente, alle fattorie?»<br />

«Quanto dista?»


«Dodici, forse quindici miglia, non lo so. È a metà strada tra qui e<br />

il forte di Galava, dall'altra parte delle montagne. Fu costruito a<br />

difesa della strada che attraversa il passo.»<br />

Gli occhi di Dedalo si accesero. «Andiamoci! Daremo un'occhiata;<br />

probabilmente lo potremo rendere abitabile. Da quanto tempo è<br />

disabitato? Vent'anni?» Scossi la testa. «Quaranta? I Romani si<br />

ritirarono intorno a quell'epoca. <strong>Il</strong> tempo è molto, ma forse il luogo<br />

è recuperabile.»<br />

«Duecento.»<br />

«Cosa?»<br />

«Duecento anni, all'incirca. È abbandonato da lungo tempo.»<br />

«Duecento anni? Parli seriamente?»<br />

Annuii stringendomi nelle spalle. «Sì. Evidentemente duecento<br />

anni qui non sono la stessa cosa che duecento anni altrove, almeno<br />

stando a quanto mi ha detto Derek.» Mi accorsi che Lucano ed<br />

Hector aggrottavano la fronte e che gli altri scuotevano la testa.<br />

«Pensateci» insistetti. «<strong>Il</strong> forte fu costruito con la pietra del luogo; il<br />

tetto, almeno sui granai, è una massiccia volta di calcestruzzo. Le<br />

caserme hanno pavimenti che poggiano su solidi pilastri di legno.<br />

Forse questi sono marci, ma Derek mi assicura che reggono bene. Ha<br />

giovato al forte il suo isolamento. Sappiamo che dappertutto si<br />

abbattono i vecchi edifici e si usano i materiali per costruirne di<br />

nuovi. Ma lassù non c'è nessuno. I danni sono quelli provocati dalle<br />

intemperie, che non intaccano la pietra e il calcestruzzo. I pilastri<br />

possono essere sostituiti. Derek mi ha detto che, <strong>sul</strong> versante<br />

occidentale, la foresta arriva fino alle mura. La zona era stata<br />

disboscata per costruire il forte e procurarsi la legna per le terme, ma<br />

nel frattempo gli alberi sono ricresciuti. Probabilmente il luogo<br />

potrebbe essere recuperato oggi, a duecento anni da quando fu<br />

abbandonato, meglio che se fosse stato abbandonato quarant'anni<br />

fa. Lo sapremo soltanto quando lo avremo visto con i nostri occhi.»<br />

Ne seguì un silenzio che si protrasse a lungo; quindi Connor levò<br />

una mano. «Lo so che non mi riguarda direttamente, ma tu hai<br />

parlato di difficoltà forse insuperabili. Se ti preoccupa la quantità del<br />

lavoro da fare, ti dirò che a mio parere puoi contare su un gruppo di


gente per la quale forse niente è insuperabile. Hai fabbri, soldati,<br />

muratori, falegnami; ti serviranno braccia forti, ma credo che potrai<br />

trovarle a Ravenglass.»<br />

«Sì, ma ci interessa?» Era Hector a parlare. «Avete sentito quello<br />

che ci ha detto Merlino. Ce ne siamo andati da Camelot perché non<br />

sapevamo su chi della nostra gente potevamo fare affidamento.<br />

Adesso sappiamo di poter contare soltanto su noi stessi e su nessun<br />

altro. <strong>Il</strong> nuovo forte ci consente di restare pochi e fidati.»<br />

«Assurdo, Hector!» Connor scartò subito l'idea. «Io ho consigliato<br />

di chiedere aiuto, non di avviare un flusso di nuovi coloni. Niente vi<br />

impedisce di far venire lavoratori dalla città, e niente vi impone di<br />

lasciarli restare, una volta eseguito il lavoro. Hanno già dimostrato<br />

che non vogliono abitare lì; nulla li chiama lassù. Costruitevi un<br />

luogo nel quale vivere sicuri e comodi, poi popolatelo e difendetelo<br />

voi stessi. Vuoi un consiglio, Merlino?»<br />

«Naturalmente!»<br />

«Stiamo a vedere quale esito avrà la battaglia domani; se alla fine<br />

saremo ancora vivi, incontriamoci di nuovo. Avremo un'intera<br />

giornata per pensare a quello che ci aspetta. Poi qualcuno potrà<br />

recarsi al forte e osservare com'è.»<br />

«Mi sembra una proposta sensata. Ci sono obiezioni?» Nessuno<br />

ebbe altro da aggiungere. Fu allora che Donuil parlò per la prima<br />

volta.<br />

«<strong>Il</strong> forte ha un nome?»<br />

«Sì, si chiama Mediobogdum.»<br />

Contrasse le labbra e annuì. «"Alla curva del fiume". Vuol dire che<br />

almeno c'è acqua.»<br />

«In quantità, mi hanno detto.» Mi alzai. «È tardi, non so come la<br />

pensiate voi, ma per quanto mi riguarda gradirei riposarmi un po'.»<br />

La riunione si sciolse poco dopo tra reciproci scambi augurali per<br />

il giorno successivo. Sarebbe stata un'azione puramente difensiva<br />

senza il pericolo di uno scontro accanito. Al riparo dietro le mura di<br />

Ravenglass, che proteggevano l'unico accesso dal mare, non<br />

avremmo avuto difficoltà a respingere la flotta di Condran.


Non riuscii a dormire quella notte. Giacqui sveglio pensando alla<br />

gente che mi aveva seguito e come ciascuno di loro, a seconda delle<br />

sue capacità, avrebbe potuto contribuire a costruire la nuova piccola<br />

colonia. Dedalo, Rufio, Donuil, io stesso eravamo guerrieri e, salvo<br />

la perizia nell'uso delle armi, non avrei saputo dire che altro<br />

sapessimo fare. Avrei potuto cimentarmi a lavorare i metalli grazie a<br />

quanto mi aveva insegnato mio zio Varro, ma erano passati da<br />

allora molti anni. Forse sarei riuscito ad aiutare nel lavoro alla<br />

fornace, ma capivo che non sarei mai diventato un fabbro esperto.<br />

Mi rendevo conto che Donuil non avrebbe saputo svolgere altra<br />

attività che quella amministrativa che già aveva eseguito per me a<br />

Camelot. Dedalo e Rufio erano soldati, addestrati fin dall'infanzia<br />

nell'arte della guerra; dubitavo che avrebbero potuto dedicarsi a<br />

qualcosa di più utile che non fosse l'andare a caccia e trasportare<br />

carichi troppo pesanti per chiunque altro.<br />

Lucano, uomo di indiscutibile valore, si sarebbe guadagnato da<br />

vivere; Hector, agricoltore, sarebbe stato prezioso in futuro. Shelagh<br />

era Shelagh, pragmatica, sensata, esperta nella conduzione della casa;<br />

Turga, la balia di Artù, sapeva tra le tante cose anche conciare le<br />

pelli e farne vesti morbide e comode. A costoro andavano aggiunti i<br />

quattro ragazzi, Artù, Bedwyr, Gwin, Ghilleadh, e si raggiungeva il<br />

numero di dodici persone, due terzi del gruppo complessivo.<br />

Avevo molta fiducia negli altri sei, tutti bravi e ingegnosi. Lars e<br />

Joseph erano due dei tre figli superstiti di Equo, amico e socio di<br />

Publio Varro. A Camelot, Joseph era stato un fabbro provetto; per<br />

seguirci aveva lasciato la sua attività nelle mani di Carolus, o Carol,<br />

l'altro fratello. <strong>Il</strong> suo contributo sarebbe stato prezioso. Lars, il<br />

maggiore, era stato legionario. L'avevo incontrato che gestiva una<br />

locanda a nord di Isca quando mi ero recato a combattere in<br />

Cornovaglia. Credendolo morto, tutti avevano pensato a un<br />

miracolo al vederlo arrivare a Camelot e lo avevano accolto con<br />

entusiasmo. Da allora era cresciuta una profonda intesa tra Lars e<br />

Joseph tanto che quando Lars aveva deciso di seguirmi, anzi di<br />

seguire Artù e Bedwyr, nei quali vedeva i suoi due figli, impiccati<br />

anni prima dai soldati di Uther, Joseph aveva voluto unirsi al<br />

gruppo. Avevano portato le rispettive mogli, Esmeralda e Brunna. La<br />

bravura di Esmeralda come tessitrice non aveva nulla da invidiare a


quella di suo marito come fabbro. Dal canto suo Brunna superava<br />

Lars che era cuoco e panettiere di rara abilità: lei però sapeva anche<br />

fare scarpe e stivali.<br />

Gli altri due membri del gruppo univano la perizia dell'artigiano a<br />

quella dell'artista. Entrambi scapoli, si chiamavano Jonathan e Mark<br />

e fin dall'infanzia erano legati da profonda amicizia a Joseph.<br />

Jonathan era scalpellino, di una famiglia di scalpellini, l'ultimo di<br />

cinque figli. I quattro fratelli erano rimasti a Camelot. Mark faceva il<br />

falegname. Dire che era falegname è come dire che Omero era un<br />

cantastorie. La sua perizia andava ben al di là del solito uso degli<br />

strumenti e del legno; sapeva tornire mobili e bellissime suppellettili.<br />

A Camelot le sue creazioni ornavano le stanze e gli edifici più<br />

eleganti.<br />

Sei uomini, ciascuno esperto in un'arte, che avrebbero dovuto<br />

condurre su una lontana montagna una vita aspra d'inverno e dura<br />

anche d'estate. Diciotto anime. Sufficienti, speravo, con l'aiuto di Dio<br />

a sopravvivere anche in mezzo alle peggiori difficoltà. Con questi<br />

pensieri nella mente alla fine scivolai nel sonno.


V.<br />

Mi parve che quella notte, subito dopo essermi addormentato,<br />

qualcuno mi svegliasse con uno scossone. Mancava un'ora al sorgere<br />

dell'alba, ed ero atteso <strong>sul</strong>le mura dove già da tempo fervevano i<br />

preparativi.<br />

Esitai a indossare la corazza, ancora con il resto dei bagagli. Sulla<br />

nave avevo portato la veste di cuoio, che alla fine decisi di mettere,<br />

restando però a capo scoperto. Non avrei corso grandi rischi <strong>sul</strong>la<br />

cinta e non credevo che sarebbe stato di giovamento tradire la mia<br />

presenza con un elmo di foggia romana.<br />

Mentre salivo <strong>sul</strong> passaggio delle mura, osservai il bagliore giallo<br />

delle torce nella nebbia del mattino. Prima di mettermi alla ricerca di<br />

Derek e Longino, mi fermai a guardare il mare. Non si scorgeva<br />

niente nella baia e neppure nel cielo; le mura sembravano avvolte<br />

nel sudario di una fitta nebbia che ondeggiava in banchi densi<br />

quando passava qualcuno. A fatica distinguevo le sagome delle<br />

grandi catapulte che, a destra e a sinistra, distavano meno di<br />

venticinque passi da me. Non c'era modo di capire se la flotta di<br />

Condran si stava approssimando, ma sapevo che nessuna<br />

imbarcazione, tanto meno un'intera formazione navale, avrebbe<br />

osato avvicinarsi alla costa con quella nebbia. Se loro erano nascosti<br />

a noi, anche noi eravamo invisibili a loro.<br />

Trovai Derek e Longino con un capannello di altri uomini<br />

assiepati intorno alla più grande delle due baliste, intenti a<br />

controllare l'attacco di una pesante griglia di metallo a maglie sottili<br />

<strong>sul</strong> braccio di caricamento in legno posto quasi all'estremità<br />

dell'argano tenditore. Un paranco fornito di carrucola stava vicino al<br />

cavo che scendeva fino al sottostante cortile. Mi sporsi per guardare<br />

in basso le fiamme che avvampavano nella fornace di mattoni.<br />

Longino, che mi aveva visto arrivare, mi fece un cenno di saluto con<br />

la testa.<br />

«Carboni ardenti?» gli chiesi.


«Sì, non è la prima volta che vengono usati qui, ma sarà la prima<br />

volta che vengono utilizzati <strong>sul</strong> serio da quando se ne sono andati i<br />

Romani. Da anni quei forni non venivano accesi. Niente di meglio<br />

dei carboni ardenti da lanciare contro le navi una volta che arrivano<br />

a tiro. <strong>Il</strong> legno stagionato, le vele maltrattate dalle intemperie, le<br />

commessure impeciate avvampano come il fuoco dell'inferno. Non<br />

avranno il coraggio di avvicinarsi dopo il primo lancio di proiettili.»<br />

Ricambiai il saluto di Derek e continuai a discutere con Longino.<br />

«Ma la gittata delle frecce infuocate è limitata.»<br />

«Sì, ma non siamo a corto di pietre pesanti. Arriveranno<br />

abbastanza lontano da placare gli ardori degli assalitori.»<br />

«E le catapulte? Hai sufficienti punte di ferro?»<br />

«In abbondanza. Non credo che sarà necessario usarne più di una<br />

dozzina. Se <strong>sul</strong>la nave arriva una sola freccia, l'equipaggio continua a<br />

remare, ma se il dardo è il tronco di un albero grosso come una<br />

gamba, appuntito in cima e lanciato da una macchina più forte di<br />

mille uomini e dieci volte più precisa nel tiro, l'equipaggio reagisce in<br />

fretta. I primi sei colpi produrranno un danno decisivo. Sono lanci<br />

per bersagli fissi, come sai. Dovremo aggiustare il tiro subito dopo<br />

ma, calcolata la gittata, saranno devastanti. Dispongo di una ventina<br />

di punte di ferro, ma non credo che dovremo impiegarle tutte.»<br />

«E se non bastassero?»<br />

«Useremo i proiettili di legno.»<br />

Mi volsi a Derek. «Che mi dici degli uomini?»<br />

«Finché non sorgerà il sole, Connor li terrà lontani. Non c'è<br />

motivo di farli venire troppo presto <strong>sul</strong>le mura dove si<br />

intralcerebbero a vicenda. Sono tutti laggiù; i capitani sanno il da<br />

farsi e conoscono i segnali. Quando saliranno, arriveranno prima gli<br />

arcieri, poi i lancieri. Un bello spettacolo, molto più bello di quanto<br />

si aspetti chi oggi è al comando della flotta.»<br />

«Già» brontolò Longino. «Si schiereranno sui bastioni sopra la testa<br />

di Liam e del suo branco. Le vele si afflosceranno a tale vista, ne<br />

sono sicuro.»<br />

Levai la testa per guardare il cielo e mi parve che la nebbia si fosse


un po' diradata. «Quanto manca all'alba?»<br />

«Poco» rispose Derek levando anche lui gli occhi. «La nebbia non<br />

dura molto, una volta che comincia a soffiare la brezza. Conviene<br />

far salire gli uomini. Li voglio tutti ai loro posti prima che si dissolva<br />

la foschia.»<br />

«Da dove guarderai la battaglia?» mi chiese Longino.<br />

«Da dove starai tu, se non hai nulla in contrario.»<br />

«Vieni allora. Meglio trovarci ai nostri posti. Io stesso manovrerò<br />

la catapulta.»<br />

Non era passata un'ora che si levò il vento e in pochi istanti la<br />

nebbia si dileguò come un sipario che viene sollevato. <strong>Il</strong> mare era<br />

vuoto, non si vedeva una vela. Accanto a Longino fissavo le acque<br />

tranquille; dieci passi più in là, <strong>sul</strong>la sinistra, stava Derek. Oltre a noi<br />

tre, soltanto altri quattro uomini erano visibili, mentre circa<br />

quattrocento stavano accucciati sotto il bordo del parapetto. La voce<br />

lanciata dalle vedette, si sparse rapidamente, e dagli uomini nascosti<br />

si levò un sordo vocio.<br />

«Giù con la testa e in guardia!» La voce di Derek impose il silenzio.<br />

«Che cosa vi aspettavate? Non c'è niente lì, è naturale. Non<br />

potevano avvicinarsi in mezzo alla nebbia. Qualcuno su quell'isola<br />

laggiù cercherà di capire se le navi di Liam sono ormeggiate - come<br />

dovrebbero essere - vicino al molo. Ci vuole un po' di tempo; le<br />

loro galee sono nascoste dietro la punta. Saranno qui tra poco.»<br />

Non aveva finito di parlare che la prua del primo vascello spuntò<br />

da dietro la bassa riva dell'isola antistante. Avanzava velocemente<br />

spinta dai vigorosi colpi dei rematori. Seguivano le altre, diciotto in<br />

tutto, a meno di mezzo miglio dalle mura. Gli uomini erano tesi, ma<br />

rimasero nascosti dietro il parapetto.<br />

Trascorsero alcuni lunghi attimi mentre la flotta si avvicinava<br />

rapidamente. Arrivò il momento in cui ci giunse il brusio sempre più<br />

intenso delle voci: avevano visto i cadaveri che pendevano dai<br />

bastioni della fortezza. Mi rivolsi a Longino. «Credono che siano i<br />

cadaveri dei nostri.»


«Probabile, perché continuano ad avanzare.»<br />

«Diciotto navi. Connor pensava che sarebbero state almeno<br />

trenta. Secondo te, ne tengono qualcuna di riserva, dietro l'isola?»<br />

«Forse, ma non fa differenza. Non avranno modo di usarle.»<br />

Avanzavano, decisi e minacciosi, manovrando con destrezza. Pur<br />

osservando e ascoltando con attenzione, mi sfuggì l'istante in cui i<br />

nemici si accorsero che qualcosa non andava. Vidi una frenesia di<br />

segnali che venivano lanciati e sentii urla lontane; allora i remi si<br />

sollevarono dall'acqua e rimasero immobili, orizzontalmente.<br />

L'andatura delle imbarcazioni rallentò all'improvviso.<br />

Vicino a me Longino si sporgeva in avanti, il corpo teso nell'attesa<br />

che la nave ammiraglia si avvicinasse ulteriormente. «Avanti,<br />

smidollati!» sibilava. «Da dove siete non riuscite a distinguere di chi<br />

sono i cadaveri. Fatevi avanti!»<br />

Quasi in risposta al suo incitamento, i remi della galea di testa<br />

affondarono nell'acqua e l'imbarcazione avanzò, con cautela;<br />

seguivano altre due navi. Attento a non tradire precipitazione,<br />

Longino si ritrasse dal parapetto e si affrettò a raggiungere la<br />

catapulta.<br />

«Aspettano un qualche segnale che li avverta se ci sono pericoli a<br />

procedere. Forse si chiedono come mai ritardi. Pronti, ragazzi!» La<br />

sera prima aveva personalmente orientato le tre catapulte in modo<br />

che mirassero verso un punto astrattamente determinato,<br />

scommettendo con se stesso, come in seguito ammise, che la flotta si<br />

sarebbe avvicinata in quella precisa formazione: tre galee, disposte a<br />

punta di freccia, che precedevano le altre. Vedevo che più in là, i<br />

secchi di carboni ardenti, tolti dalla sottostante fornace, salivano<br />

verso di noi in un alone di vapore tremulo per l'intenso calore.<br />

«Adesso, Derek!» ruggì e Derek levò la mano dando il segnale<br />

convenuto. Quattro uomini, rimasti in attesa nel retrostante cortile<br />

tenendo la cima di una lunga fune, indietreggiarono di corsa di<br />

qualche passo e si fermarono. Allora il cadavere di Liam, attaccato<br />

all'altra estremità della fune, si issò di scatto, raggiungendo quasi la<br />

sommità della cinta esterna, e lì rimase appeso, rigido e<br />

riconoscibilissimo, davanti agli occhi dei suoi compatrioti attoniti. I<br />

remi si levarono di nuovo mentre lo sgomento e la confusione si


diffondevano tra l'equipaggio, e in quell'istante di caos Longino<br />

diede il suo segnale tirando la leva dell'argano.<br />

<strong>Il</strong> fragore del proiettile mi rimbombò nel petto. Con lo sguardo<br />

seguii la traiettoria verso la nave di destra e, prima che si abbattesse<br />

<strong>sul</strong> bersaglio, sentii il fragore del secondo lancio diretto verso la<br />

galea di sinistra. <strong>Il</strong> primo proiettile, centrando il vascello, provocò un<br />

disastro di uomini e di remi e s'incastrò <strong>sul</strong> fondo dello scafo. Si<br />

levarono grida e, non appena girai lo sguardo, vidi il secondo<br />

proiettile colpire la nave in testa. Abbattendosi con forza <strong>sul</strong>l'albero<br />

maestro, ne staccò dal fianco un'enorme scheggia; la velocità del<br />

colpo fu fatale e provocò un movimento rotatorio che fracassò<br />

l'albero e lo sparpagliò intorno in una pioggia di frammenti letali.<br />

Immediatamente tra la massa degli uomini massacrati sgorgarono<br />

schizzi di sangue.<br />

Non vidi l'impatto del terzo missile <strong>sul</strong>la terza nave, perché la mia<br />

attenzione fu attirata dalle volute di fumo che venivano dalle due<br />

baliste nel momento in cui scaricavano i carboni ardenti. Mi ero<br />

accorto che vicino a me gli uomini di Longino, impegnati in<br />

manovre frenetiche, sciamavano intorno alla macchina da guerra e la<br />

preparavano a scaricare un nuovo letale proiettile. All'improvviso<br />

tutto si placò; Longino controllò il congegno di scatto e, saltando<br />

all'indietro, lasciò andare la leva. Scricchiolò l'argano e stridettero le<br />

funi. La nave, che era il bersaglio della scarica, incapace di spostarsi,<br />

continuava a girare su se stessa, perché su un lato i rematori erano in<br />

numero maggiore che <strong>sul</strong>l'altro. <strong>Il</strong> proiettile disegnò una traiettoria<br />

nitida e precisa, abbattendosi come un fulmine nel mezzo della galea<br />

e conficcandosi nella chiglia. Fu allora che vidi qualcosa che mi lasciò<br />

attonito. <strong>Il</strong> corpo di un uomo si levò nell'aria dall'alto delle mura, le<br />

braccia e le gambe spalancate, vorticando come una trottola mentre<br />

si innalzava in una parabola e piombava quindi <strong>sul</strong>l'equipaggio che si<br />

era assiepato nella parte centrale della terza galea, nel tentativo di<br />

spegnere le fiamme ormai divampanti. Riconobbi in quella forma<br />

che, prima di ricadere, raggiunse il culmine della traiettoria la tunica<br />

gialla e verde del cadavere di Liam, figlio di Condran.<br />

Quel macabro finale era stato studiato con cura, ma nessuno me<br />

ne aveva parlato. <strong>Il</strong> cadavere era il segnale convenuto per i nostri<br />

che, levatisi, si affollarono sugli spalti delle mura, con urla di sfida,


mentre gli arcieri si mettevano all'opera.<br />

Mi avvicinai al bordo della cinta per vedere i danni provocati dai<br />

proiettili di Longino. Dalla prima galea, prossima ad affondare, gli<br />

uomini si gettavano in mare abbandonando il relitto che si inclinò su<br />

un lato mentre l'albero maestro oscillava violentemente. Si raddrizzò<br />

a un tratto e lentamente sprofondò nell'acqua appoggiandosi <strong>sul</strong><br />

fondo basso con la cima dell'albero che sporgeva dalle onde. Gli<br />

uomini si sparpagliarono in ogni direzione; alcuni, incapaci di<br />

nuotare, annegarono annaspando nelle acque agitate, in preda a un<br />

panico frenetico. Sulla sinistra la seconda galea, divorata dalle<br />

fiamme, fu presto abbandonata. I marinai evidentemente<br />

preferivano correre il rischio di morire annegati che bruciati. La terza<br />

galea si muoveva lentamente. I sopravvissuti dell'equipaggio<br />

decimato cercavano in tutti i modi di allontanarsi dalle mura. Ma<br />

prima di raggiungere la distanza di sicurezza, l'imbarcazione fu<br />

colpita due volte: un carico di carboni ardenti si abbatté <strong>sul</strong>la vela<br />

piegata e, subito dopo, dalla catapulta un proiettile piombò <strong>sul</strong>la<br />

destra dell'albero maestro, fracassando i remi e massacrando i<br />

rematori e, conficcatosi nel fianco del vascello, rimase a sporgere per<br />

un terzo della lunghezza attraverso le assi scardinate che<br />

galleggiavano <strong>sul</strong>la superficie dell'acqua.<br />

Subito dopo assistetti a una prova di coraggio e orgoglio che non<br />

ho mai dimenticato. Un uomo, con indosso un lungo mantello blu e<br />

un elmo ornato di corna, avanzò nel mezzo del ponte di comando,<br />

indifferente a noi e ai proiettili, e prese a incoraggiare i sopravvissuti<br />

del suo equipaggio. A quell'incitamento gli uomini si raccolsero in<br />

una specie di unità compatta, piegandosi all'unisono sui remi mentre<br />

lui ritmava il tempo battendo con la spada <strong>sul</strong>lo scudo, in una<br />

cadenza che giungeva sino a noi. Non fui l'unico a notare quel<br />

comportamento, e mentre tra noi si diffondeva la consapevole<br />

ammirazione per il suo agire, cadde il silenzio: nessun suono<br />

proveniva dai bastioni. Tutti rispettano gli audaci e lo spettacolo che<br />

si svolgeva davanti ai nostri occhi indicava grandissimo coraggio.<br />

Mentre regnava il silenzio, soltanto una freccia venne scagliata<br />

contro il capitano, e l'arciere, subito redarguito dai suoi compagni, si<br />

paralizzò per la vergogna.<br />

Cinque, sei, sette colpi di remo, poi il capitano impose di


smettere. Davanti alla prua nuotava un gruppo di uomini ai quali i<br />

compagni lanciarono corde.<br />

Non appena furono in salvo, il capitano si portò a poppa e<br />

impartì con voce possente altri ordini. La galea si girò e lentamente si<br />

volse verso un altro gruppo che annaspava in mare e lo caricò a<br />

bordo.<br />

Tutto ciò accadeva mentre erano ancora entro il raggio di gittata<br />

delle nostre catapulte, ma non ci muovemmo finché un altro<br />

vascello non tentò di avanzare dallo schieramento quasi immobile<br />

dietro a loro.<br />

Con un balzo Longino si avvicinò alla catapulta impartendo<br />

ordini a gran voce; gli uomini immediatamente alzarono la macchina<br />

puntando verso il cielo. Dopo avere calcolato la distanza, Longino<br />

apportò rapidamente qualche lieve aggiustamento e, non appena fu<br />

soddisfatto, con un salto all'indietro tirò il congegno di scatto<br />

facendo partire il proiettile. Lo guardammo disegnare una parabola e<br />

piombare a breve distanza dalla galea che avanzava, affondando in<br />

mare con un gran schizzo. <strong>Il</strong> messaggio fu subito compreso. <strong>Il</strong><br />

vascello cambiò rotta. Sull'altra galea, gli uomini, inconsapevoli<br />

dell'accaduto, continuavano l'opera di salvataggio. In qualche modo,<br />

il capitano sapeva di poter portare a termine il suo compito.<br />

A un certo punto dalla galea venne calata in mare una piccola<br />

imbarcazione su cui salirono tre uomini. Mentre uno manovrava la<br />

barca, gli altri due recuperarono un corpo senza vita. Gli abiti, intrisi<br />

d'acqua, avevano perduto il colore, ma capii che si trattava del loro<br />

ammiraglio, Liam, figlio di Condran. Fatto ciò, e ricostituito in parte<br />

l'equipaggio, la galea raggiunse il rimanente della flotta.<br />

Le sedici navi volsero le vele e doppiarono l'isola scomparendo<br />

alla vista.<br />

«Un farabutto coraggioso, quello. Chi è?» chiese Longino.<br />

Scossi la testa. «Non lo so; forse potrà dirtelo Connor. Credi che<br />

torneranno?»<br />

Mi guardò negli occhi, strinse le labbra e scosse la testa. «Ne<br />

dubito. Che cosa faresti tu? Secondo me, volgeranno le vele verso la<br />

patria, costituiranno una flotta più grande e torneranno assetati di


sangue. Torneranno insieme ad altri, desiderosi di vendetta» disse<br />

Longino in tono cupo. «Sanno quello che li aspetta.»<br />

«No, amico mio» dissi sorridendo. «Avranno rispetto delle tue<br />

armi, di questo non ne dubito. Ma quando torneranno, Connor Mac<br />

Athol se ne sarà andato. Ricordati: non sanno che è qui. Troveranno<br />

che a sbarrargli la rotta sarà una flotta pari alla loro.»<br />

Sgranò gli occhi, quindi sorridendo annuì. «Hai ragione, non ci<br />

avevo pensato. Beviamo qualcosa. Santo cielo, abbiamo sconfitto<br />

un'intera flotta.» Si volse e con un ruggito chiamò Derek.<br />

All'improvviso fummo circondati da una marea di uomini festanti il<br />

cui entusiasmo cresceva mano a mano che si rendevano conto della<br />

vittoria conseguita.<br />

Tutti notarono l'assenza di Connor e dei suoi uomini, che si erano<br />

affrettati ad andare a recuperare le galee nascoste nell'insenatura. Me<br />

ne diede conferma Donuil, venuto a cercarmi di lì a poco. In breve<br />

tempo si materializzarono al mio fianco, emergendo dalla folla,<br />

Lucano, Hector, Rufio e Dedalo. Fui sorpreso nel vedere che Dedalo<br />

teneva in mano un boccale perché sapevo che non beveva alcol.<br />

Notando la mia occhiata, sorrise e levandolo in un brindisi ne bevve<br />

un bel sorso che gli lasciò un alone bianco intorno alle labbra.<br />

«Latte» disse. «Freddo. Non hai l'aria contenta, amico e<br />

comandante. Che cosa non va?»<br />

«Niente. Abbiamo appena conseguito una vittoria incruenta per i<br />

nostri uomini. Che cosa potrebbe andare storto?»<br />

«Non lo so, ma non hai l'aria di credere alle tue parole.» Lo<br />

sguardo gli si indurì. «Dovremmo essere preoccupati?»<br />

«No, no.» Capivo di apparire ambiguo e scossi la testa. «Pensavo a<br />

Liam, figlio di Condran... a come è stato lanciato dalla catapulta.»<br />

Dedalo spalancò gli occhi stupito. «Non approvi? Dal canto mio<br />

mi è sembrata un'idea geniale; mi è dispiaciuto solo che quel<br />

farabutto fosse già morto. È stata un'iniziativa di Connor...<br />

splendida, mi è parso.»<br />

«Splendida? Perché? Io la ritengo barbara.»


«Barbara?» Sbatté le palpebre quasi avesse concluso che ero<br />

impazzito. «Certo che è barbara, ma Liam si è comportato da<br />

barbaro, Merlino. E lo è anche Connor, pur con tutta la sua grazia<br />

raffinata. Questi sono aggressori, non esteti di Camelot, educati al<br />

modo romano. Combattono continuamente tra loro e hanno leggi<br />

diverse dalle nostre. Vedendo Liam che, solcando il cielo piombava<br />

su di loro come un proiettile, l'equipaggio ha capito le intenzioni di<br />

Connor e il giudizio che dava dei metodi del loro infido<br />

comandante. Te lo ripeto, mi spiace solo che fosse già morto.»<br />

Non sapendo replicare a quelle parole, mi limitai ad annuire e gli<br />

porsi la coppa vuota. «Riempila. Vado a fare quattro passi. Ho molte<br />

cose cui pensare.»<br />

Poco dopo mi trovai fuori dalle mura, al limitare della piazza del<br />

mercato. Mi avvicinai a Shelagh, seduta su un muretto vicino a<br />

Turga. Guardavano Artù che giocava con gli altri tre ragazzi. Li stava<br />

osservando anche un capannello di giovani del posto, ma non<br />

presero l'iniziativa di partecipare al gioco che era in realtà un<br />

esercizio inventato da Rufio per addestrarli nell'arte di tirare la<br />

fionda.<br />

Accorgendosi di me, le due donne si volsero a salutarmi, ma io<br />

feci loro cenno di non muoversi. Mi sedetti <strong>sul</strong> muretto accanto a<br />

Shelagh e in silenzio restammo a osservare i ragazzi che non mi<br />

notarono, tanto erano concentrati.<br />

«Chi sta vincendo?» chiesi.<br />

«Bedwyr è in testa con dodici punti di vantaggio» rispose Shelagh<br />

senza guardarmi. «La battaglia si è conclusa con una vittoria?»<br />

«Sì, come previsto. Li abbiamo colti di sorpresa. Sono entrati nella<br />

baia e sono stati costretti ad andarsene; non hanno provocato<br />

perdite tra i nostri uomini. Tu dove ti trovavi?»<br />

«Nei nostri alloggi. Ho tenuto i ragazzi al riparo.»<br />

«Non ti sarà stato facile.»<br />

«Non ne erano entusiasti» confermò girandosi a guardarmi. «Ma<br />

sapevano che non c'era niente da fare e si sono rassegnati. Avete


affondato due galee?»<br />

«Sì» e le raccontai del coraggio del capitano di una delle tre galee.<br />

«Un mantello blu e un elmetto ornato di corna? Era un blu<br />

acceso?»<br />

«Sì, più acceso di ogni altro. Lo conosci? Sai chi è?»<br />

Scosse la testa. «C'è tra loro un capitano di nome Modrin, che ha<br />

fama di grande guerriero. Forse è lui. Si dice che indossi un mantello<br />

di un blu acceso e un elmetto con in cima le corna di un cervo. Le<br />

hai viste? Erano così?»<br />

«Non lo so; non ho notato. Era molto distante.»<br />

Shelagh si levò e, dopo avere detto a Turga qualcosa che non<br />

sentii, si volse a me, mettendosi in spalla un capace sacco di cuoio.<br />

«Vieni, Merlino, voglio fare quattro passi. Se i ragazzi notano la<br />

tua presenza, è finita.»<br />

Allontanandoci imboccammo il sentiero che conduceva alla<br />

foresta dove ero caduto nell'agguato. Sentii una voce infantile che mi<br />

chiamava e capii che si erano accorti di me.<br />

«Non voltarti; fingi di non sentirli. Ho avvertito Turga di dire loro<br />

che non possiamo essere disturbati e di trattenerli.»<br />

Nessuno dei due aveva voglia di parlare, e proseguimmo<br />

tranquillamente in un silenzio interrotto soltanto dal canto di un<br />

merlo. L'aiutai ad attraversare il fossato al margine della foresta,<br />

quindi le feci strada mentre scendevamo lungo il pendio.<br />

«Qui sono stato aggredito l'altro giorno.»<br />

Si guardò intorno osservando i fitti rovi che mi avevano lacerato<br />

la pelle delle mani e del viso. «Ehm!» mormorò. «Sii grato che Donuil<br />

ti abbia visto passare e ti sia venuto dietro. Che cosa c'è lassù?»<br />

Guardai il sentiero che si inerpicava su per la collina poco oltre la<br />

piccola radura. «Non lo so. Non sono arrivato fin lì.»<br />

«Andiamo a vedere. L'uomo dalla tunica gialla sarà andato da<br />

quella parte.»<br />

<strong>Il</strong> sentiero saliva così erto che a un certo momento, non potendo<br />

procedere diritti, fummo costretti a metterci quasi carponi, piegati in


avanti per avanzare.<br />

«Vale la pena fare tanta fatica?» chiesi.<br />

Mi sbirciò scostandosi dalla fronte un ricciolo che le era sceso sugli<br />

occhi, quindi guardò in alto davanti a sé. «Siamo quasi in cima.»<br />

Aveva ragione; poco dopo avevamo raggiunto i pochi alberi che<br />

coronavano la vetta della collina, quasi del tutto spoglia. Alle nostre<br />

spalle vedevamo la sommità delle mura orientali di Ravenglass,<br />

sorprendentemente vicine dietro una fila di bassi alberi. Nessuno si<br />

muoveva sui bastioni; <strong>sul</strong> versante occidentale le potenti catapulte di<br />

Longino ancora levavano in alto il loro braccio. Le strade della città<br />

erano affollate di gente.<br />

«Sembra un formicaio» disse Shelagh, quindi si volse per guardare<br />

nell'altra direzione. «Le colline.»<br />

Una fila di alture, che si perdeva in lontananza a oriente, stagliava<br />

i suoi picchi contro il cielo. «Si chiamano Fells» dissi assaporandone la<br />

placida bellezza. «Di che cosa volevi parlarmi?»<br />

Si voltò alla ricerca di un luogo dove sedersi. C'era un alberello<br />

morto, caduto di lato, la corteccia consumata dai piedi della gente<br />

che vi era passata. Si accomodò lì, e io mi appoggiai a un albero<br />

vicino.<br />

«Ho riflettuto <strong>sul</strong> nostro futuro» disse e tacque.<br />

«Anch'io. A che cosa hai pensato?»<br />

«Al tuo nome.»<br />

«Al mio nome?» sbattei le palpebre davanti a quella frase che mi<br />

parve insensata.<br />

«Qual è?» contrasse il viso in una smorfia e scosse la testa con<br />

impazienza, ignorando il mio stupore. «Oh, non importa. Te lo dico<br />

io. Tu hai quattro nomi.»<br />

«No, tre. Caio Merlino Britannico.»<br />

«No, ne hai quattro. Mi ha dato da pensare proprio il sentire il<br />

tuo quarto nome la notte scorsa.»<br />

«Che vuoi dire? Non capisco.»<br />

«Lucano ti ha chiamato Cay ieri notte.»


«Sì, lo fa spesso. Anche tu mi chiami così di tanto in tanto. I miei<br />

amici e familiari mi chiamano tutti Cay.»<br />

«Proprio così!» sorrise, quasi avesse dimostrato il suo<br />

ragionamento. «L'uomo dalla tunica gialla... pensi che sia venuto<br />

qui?»<br />

«Cosa?»<br />

«Cosa pensi? Accidenti, com'è scomodo stare seduta quassù.» Si<br />

levò rapida e si mise cavalcioni <strong>sul</strong> tronco, sistemandosi in fretta la<br />

veste prima di tornare a rivolgersi a me. «Quell'uomo è scappato<br />

perché ti conosceva e naturalmente credeva che anche tu l'avessi<br />

riconosciuto. Sapeva che tu eri Merlino di Camelot, ed è fuggito<br />

perché capiva che il saperlo era pericoloso. Pericoloso per te.<br />

Perché? Semplice. Perché voleva vendere l'informazione a qualcuno<br />

che l'avrebbe pagato per averla.<br />

Anche Derek ti conosceva, quando siamo arrivati. Merlino di<br />

Camelot, così si è rivolto a te, e non ha esitato a dirti che non<br />

potevamo fermarci, perché la notizia che Merlino si trovava a<br />

Ravenglass avrebbe portato qui orde di nemici dalla Cornovaglia e<br />

dalla Cambria e da ogni altro luogo in cui si è a conoscenza che<br />

Merlino è il tutore del piccolo Artù Pendragon. Quanta gente hai<br />

incontrato da quando siamo arrivati? Altri che conoscono il tuo<br />

nome?»<br />

«Parecchi.»<br />

«Come ti chiamano? Merlino?» Annuii.<br />

«Derek ti ha mai chiamato Caio?»<br />

«No.»<br />

«Neppure Cay?»<br />

«Assolutamente no.»<br />

«Bene. Allora è chiaro. Quando hai intenzione di andare a vedere<br />

il forte? Domani?»<br />

«Sì, domani mattina, ma non capisco quello che a te è tanto<br />

chiaro.»<br />

Scosse la testa lentamente, un lieve sorriso <strong>sul</strong>le labbra, gli occhi


sgranati su di me. «Merlino, Merlino... ecco che ti parlo come a uno<br />

pari a me, e tu rispondi da uomo cieco e stupido come tanti altri.» <strong>Il</strong><br />

sorriso si allargò. «Farò allora la maga e ti confiderò segreti che<br />

nessuno conosce.»<br />

«Tu sei una maga, e lo sai. Ma perché hai l'aria tanto<br />

compiaciuta?»<br />

«Davvero?»<br />

Per un attimo non capii a quale delle mie due osservazioni si<br />

riferisse, ma me lo chiarirono le successive parole e l'improvviso<br />

guizzo malizioso nei suoi occhi.<br />

«Lo so di essere una maga, ma avevo cominciato a credere di<br />

essere diventata immune ai miei stessi incantesimi. Da anni non<br />

percepisco in te l'impeto amoroso e voluttuoso della lussuria.»<br />

Mi sentivo la gola stretta per la tensione e il cuore mi martellava<br />

nel petto. Entrambi avevamo ammesso molto tempo prima che era<br />

forte in noi l'impeto del desiderio reciproco, ma doveva restare<br />

inappagato per lealtà verso Donuil. Erano passati anni da quando ne<br />

avevamo discusso e avevamo deciso di comune accordo di<br />

reprimere lo slancio della passione e non perseguirla, pur<br />

rimanendone consapevoli.<br />

Le sue due gravidanze e la scelta del celibato da parte mia<br />

avevano rafforzato la nostra amicizia e confidenza. Dall'attrazione,<br />

che persisteva, era scaturito il calore di un legame saldo. Ma<br />

all'improvviso il desiderio esplose dentro di me. Inghiottii il groppo<br />

che sentivo in gola.<br />

«Non si è mai spento» dissi sforzandomi di parlare in tono<br />

leggero. «Stai invecchiando, ecco tutto. Si è ottusa in te la percezione<br />

di tali sentimenti.»<br />

«Una maga non perde mai l'acutezza della percezione.»<br />

Levandosi in piedi, allontanandosi dal tronco e tendendo le mani<br />

verso di me, cominciò a canticchiare una melodia seducente e<br />

ammaliante.<br />

Mi raddrizzai contro l'albero al quale ero rimasto appoggiato, e<br />

mi lasciai condurre dove era stata seduta fino a quel momento.


«Siediti,» disse sorridendo «siediti e ascolta i miei incantesimi.<br />

Chiamerò a raccolta tutta la potenza della magia femminile per dirti<br />

come uomini rozzi e torpidi potranno vivere al sicuro e allevare figli<br />

sani tra queste colline. Sei pronto?» Annuii; avevo ripreso il controllo<br />

su me stesso. Sorrideva dolcemente: «Fa' attenzione».<br />

Rimase in piedi davanti a me, riprendendo a canticchiare lo stesso<br />

motivo cadenzato di prima. Levò le braccia e sciolse il nastro intorno<br />

ai capelli che le scesero <strong>sul</strong>le spalle.<br />

Mentre guardavo con occhi spalancati e increduli, cominciò a<br />

girare piano, continuando a canticchiare la sua nenia e tenendo gli<br />

occhi fissi su di me, torcendo il collo fino al punto in cui mi parve<br />

che le si sarebbe spezzato. Soltanto allora con un subitaneo moto<br />

volse la testa. Teneva le braccia tese lungo i fianchi e a poco a poco<br />

si mise a girare sempre più in fretta finché prese a vorticare come<br />

una trottola. Mentre i suoi movimenti da lenti e aggraziati<br />

acceleravano fino a diventare turbinosi, io continuavo a fissarla<br />

incantato guardando il viso e i capelli che roteavano, percependo<br />

appena che la gonna salendo lasciava vedere le gambe snelle e<br />

diritte. Non appena me ne accorsi, i miei occhi non si staccarono più<br />

dalla sua nudità forte e giovane.<br />

Mi aveva osservato, ne sono sicuro, con la stessa intensità con cui<br />

l'avevo osservata io; non appena notò che il mio sguardo aveva<br />

lasciato il suo viso, smise bruscamente, la voce interruppe il canto su<br />

una nota nitida e alta, le gonne ricaddero come un sipario<br />

ondeggiante.<br />

«Siediti» mi ordinò. «Una maga non cade mai. Ascolta. Chiudi gli<br />

occhi e tienili chiusi.» Così feci rivedendo nella mente l'immagine<br />

delle sue gambe che vorticavano nude nella danza.<br />

«Rifletti, Merlino di Camelot...» disse piano e prese a parlare con<br />

una cadenza ritmata, quasi un canto, che mi cullava costringendomi<br />

ad ascoltarla.<br />

«Immagina una schiera di uomini forti e anche di donne che arriva<br />

in un luogo <strong>sul</strong> mare. Si chiama Ravenglass, e da lì spariscono alla<br />

vista, nessuno sa dove siano andati. Immagina che ci siano dei nemici<br />

che li cercano per mare e per terra, che sguinzagliano spie in ogni<br />

direzione per dare loro la caccia ovunque siano. Immagina che


queste spie conoscano un nome, il nome di un uomo forte, il nome<br />

di un capo, e sappiano che rintracciando lui troverebbero quello che<br />

cercano e sperano di trovare. Immagina che su questa terra - ma<br />

anche ad Alba e nell'Eire - si creda che di quest'uomo forte si sia<br />

smarrito ogni indizio nei luoghi in cui si affollano gli uomini e le<br />

donne...»<br />

La voce si spense, ma io continuai a tenere gli occhi chiusi<br />

concentrandomi <strong>sul</strong>la visione che aveva evocato. Quando la guardai,<br />

era inginocchiata vicino a me: mi fissava con i suoi bellissimi occhi<br />

penetranti, ma l'espressione era grave, non scherzosa.<br />

«Io ho visto» disse. «La nostra speranza si realizza. Vuoi sapere<br />

dove sono spariti?»<br />

«Sì, se sai dove si volgono i miei pensieri.»<br />

«Non sono partiti. Sono partite le loro navi nel cuore della notte,<br />

ma loro sono rimasti e sono andati a vivere nel forte abbandonato.<br />

La loro guida, Merlino, ha cambiato il suo nome in Cay. Continua a<br />

essere un capo per quella gente, ma il titolo di capo l'ha conferito a<br />

un altro, non un guerriero ma un contadino, che sfama la sua gente.»<br />

«Hector.»<br />

«Sì. Cay è divenuto uno dei tanti, un uomo che attende al suo<br />

lavoro. Quando alla fine tornano le spie, la loro ricerca ri<strong>sul</strong>ta vana<br />

perché non esiste a Ravenglass nessuno che si chiami Merlino.»<br />

La fissavo stupito dalla lucida semplicità del suo consiglio,<br />

consapevole che aveva ragione. Pochi a Ravenglass conoscevano il<br />

mio vero nome e per loro tranquillità avrei potuto partire su una<br />

nave con Connor e il giovane Artù, farmi sbarcare a breve distanza<br />

<strong>sul</strong>la costa, poi tornare a Mediobogdum vitando di passare per la<br />

città. Sarei stato soltanto Cay; Merlino sarebbe svanito nel nulla.<br />

«Shelagh, è un ottimo piano!»<br />

«Naturale! Una maga non sbaglia mai, uomo di poca fede!»<br />

«Santo cielo! Come hai... Lo sapevi che saremmo venuti qui oggi?»<br />

«Non essere sciocco» disse gettandomi un'occhiata storta. «Come<br />

avrei potuto saperlo? Sapevo però che avrei tenuto i ragazzi lontano<br />

dalle mura per tutto il giorno per via della battaglia e dei


festeggiamenti che, mi auguravo sinceramente, sarebbero seguiti alla<br />

vittoria.»<br />

«Hai eseguito una danza meravigliosa.»<br />

«Un incantesimo. Efficace, vero?»<br />

«Certamente, in molti modi.»<br />

«Non avresti dovuto guardarmi sotto le gonne. Mi hai visto il<br />

sedere nudo?»<br />

Scossi la testa, sorridendo. «No, purtroppo. Ma mi sarei sforzato<br />

se avessi saputo che era nudo. Ero così affascinato dalla tua parte<br />

superiore, dalle braccia, dalla testa, dai capelli, che non ho notato<br />

altro.»<br />

«Bugiardo. Ti ho visto con la bocca aperta.»<br />

«Come hai potuto? Roteavi troppo in fretta.»<br />

«Mi è bastato un istante per cogliere quel guizzo nei tuoi occhi.<br />

Ho smesso per paura che ti venisse un colpo apoplettico.»<br />

«Improbabile, ma forse avrei infranto il mio voto di celibato se tu<br />

avessi continuato.»<br />

Mi fissò l'inguine apertamente e senza imbarazzo. «Si rizza ancora?<br />

Malgrado tutte le rinunce che ti imponi?» Non c'era traccia di falso<br />

pudore nella sua voce e nel suo atteggiamento.<br />

«Certamente.» Mi mossi appena, cercando una posizione più<br />

comoda, stranamente a mio agio malgrado la piega che aveva preso<br />

la conversazione. «Soprattutto nel cuor della notte. Grazie a Dio.»<br />

«Sogni erotici?»<br />

«Sì.»<br />

«Spesso?»<br />

«Sì, ogni settimana.»<br />

«Ogni settimana? Dopo tanto tempo?»<br />

«Forse proprio perché è tanto tempo. Non lo so e cerco di non<br />

pensarci. Perché non parliamo d'altro?»<br />

Continuava a osservarmi tra le gambe con aria perplessa. Levando


gli occhi, li fissò nei miei.<br />

«Chi vedi in sogno?»<br />

«Non lo so quasi mai» sospirai scuotendo la testa.<br />

Sollevò le sopracciglia incredula. «Devi saperlo! Se una donna ti<br />

piace al punto da provocarti un'erezione anche senza essere<br />

cosciente, di sicuro sai chi è.»<br />

Sorrisi della sua incredulità. «Non è una donna, è un sogno, una<br />

forma spettrale evocata dalle pulsioni del corpo e dagli stimoli della<br />

mente. Non so come faccia a evocarla, so soltanto che<br />

inaspettatamente, senza che me lo prefigga, tramite qualche<br />

meccanismo inconscio, mi avvalgo di questa presenza spettrale, un<br />

contenitore incorporeo nel quale riverso il mio seme senza che me<br />

ne renda conto. Quasi mai lo capisco al momento; lo arguisco da<br />

quello che vedo al risveglio.»<br />

«Donuil non fa mai sogni così» disse aggrottando la fronte.<br />

«Lo spero proprio. Neppure io li farei se tu mi giacessi accanto...»<br />

Mi trattenni ed evitai di completare la frase. Mi ascoltava appena, la<br />

fronte aggrottata pensosa.<br />

«Hai detto "quasi mai". <strong>Il</strong> che vuol dire che per lo più non sai chi è<br />

la donna del tuo desiderio, ma a volte lo sai. Chi è?»<br />

«Tu, Shelagh, tu. Mi hai dato licenza una volta di sognare di te, di<br />

desiderarti nella mente. Non te lo ricordi?»<br />

Era sorpresa.<br />

«Come? Non ti ho mai dato ragione...»<br />

«No, non mi hai incoraggiato per anni, sta' tranquilla. E io non ti<br />

ho desiderato di recente, non consciamente, almeno. Per nessuno di<br />

noi due è un moto volontario.»<br />

«Lo so. Ma come? Oh, quanto mi sento stupida!»<br />

«Non dire così. Tu sei una donna. Non provi l'urgenza del<br />

desiderio maschile, più prepotente, a quanto sembra, e più effimero<br />

di quello femminile. Sembra, ripeto. Non so se sia vero; nessuno lo<br />

sa.»<br />

«È abbastanza vero, credo. So che le donne si eccitano più


lentamente degli uomini. Negli uomini il desiderio è improvviso e<br />

imprevedibile; prevedibili sono soltanto la frequenza e<br />

l'imprevedibilità.» Tacque e riprese: «So che vuoi parlare d'altro, ma<br />

mi hai detto qualcosa di cui non so niente. Muoio dalla curiosità di<br />

sapere. Posso farti qualche domanda?».<br />

«Sì, naturalmente. Di che si tratta?»<br />

Rimase in silenzio per qualche momento, esitante all'audacia delle<br />

sue parole, poi sbottò a chiedermi: «Quando ti... quando fai quei<br />

sogni... che cosa ricordi?».<br />

Rimanemmo a fissarci, i visi vicini, ciascuno dei due contratto per<br />

la tensione delle cose che scopriva, eppure senza sentire lo stimolo<br />

del desiderio.<br />

Quando parlai, la mia voce era roca, le parole lente e calcolate.<br />

«Tutto di te, dalla percezione del tuo seno alla sensazione di<br />

affondare dentro di te.»<br />

«Non mi hai mai toccata.»<br />

Mi scostai leggermente. «Lo so. <strong>Il</strong> massimo che ho visto di te è<br />

stato oggi quando ti guardavo le gambe e le cosce.»<br />

<strong>Il</strong> viso le si illuminò, la ruga scomparve dalla fronte lasciando<br />

posto a un'espressione concentrata. «Quando in sogno mi stai<br />

accanto, l'immagine ti sembra reale? Mi è difficile capire.»<br />

«Neanch'io capisco, ma ringrazio il cielo che sembrino reali. Non<br />

portano offesa a Donuil e neppure a te.»<br />

«A me? Come potrebbero offendere me?»<br />

«Perché sei una moglie fedele. Ma non potrebbero... sono<br />

soltanto sogni. Involontari. Lo dice anche Lucano.»<br />

«Ne hai parlato con Lucano?» disse aggrottando di nuovo la<br />

fronte.<br />

«Non di te» la rassicurai ridendo. «Che cosa hai pensato? Abbiamo<br />

parlato della castità, ecco tutto, e delle polluzioni notturne. Cosi le<br />

chiama.»<br />

«Polluzioni notturne? Che paroloni!»


«A volte danno piacere, ma non quanto un rapporto reale.»<br />

«Perché no?»<br />

«Perché manca la cosa principale, un elemento cruciale: una<br />

donna vera, deliziosamente rorida.»<br />

La nostra conversazione si era svolta in latino - Shelagh lo aveva<br />

imparato con straordinaria facilità - ma in quel momento, come una<br />

bambina, si portò un dito alle labbra, e le si accentuò l'accento<br />

natale. «Gli dèi si metteranno a urlare sentendoci dire queste cose.<br />

Non ho mai parlato così con Donuil. Ti immagini la faccia che<br />

farebbe se ci ascoltasse?» Tacque e per qualche momento rimase<br />

pensosamente in silenzio, quindi ridendo con aria infantile riprese:<br />

«Sicché dormi della grossa quando fai questi sogni? Morto al mondo<br />

senza idea di quello che sta succedendo».<br />

«Sì, a livello conscio. Molte cose avvengono nella mente.»<br />

«E anche in altre parti.»<br />

«Ehm!»<br />

«Quanto mi piacerebbe vedere!» esclamò divertita. «Non sarebbe<br />

uno spettacolo guardare lo zampillo lucente che, all'improvviso,<br />

sgorga come un nastro?»<br />

«Sì» brontolai e feci per levarmi in piedi. «Se non ce ne andiamo,<br />

succederà qui nel bel mezzo del pomeriggio. Su, muoviamoci.»<br />

Le tesi la mano per aiutarla ad alzarsi, ma lei non si mosse.<br />

Teneva gli occhi fissi <strong>sul</strong>l'erezione che all'altezza del suo sguardo<br />

premeva contro la veste.<br />

«Perdonami, Merlino. È stato stupido da parte mia stuzzicarti.»<br />

«Tirati su; afferrati alla mia mano. Non è stato imperdonabile. Mi<br />

è piaciuto. Vuol dire che questa settimana sognerò due volte.»<br />

L'aiutai a sollevarsi e mi allontanai di un passo, volgendole la schiena<br />

per non cedere alla tentazione di prenderla tra le braccia e baciarla.<br />

Sapevo che si sarebbe avvicinata a me. Rimasi vicino a un albero,<br />

lo sguardo fisso finché la sua voce non mi giunse sottile e seducente.<br />

«Merlino, è vero? Non sei arrabbiato?»<br />

«No, Shelagh, non sono arrabbiato, te lo giuro» risposi sorridendo


nel voltarmi verso di lei.<br />

Tacque per un po'. «Due volte questa settimana? Vuoi dire che...»<br />

«Sì, è stato quattro notti fa, a bordo della galea. Non eri tu nel<br />

sogno.»<br />

«Lo spettro senza volto... sarò io stanotte?»<br />

«Sì, e anche molte altre notti a venire. Non pretenderai che ti<br />

ringrazi per avermi eccitato.»<br />

«No, ma...»<br />

«Che cosa?»<br />

Sorrise. «Voglio che tu sappia... non dovrei dirlo... sono eccitata<br />

quanto te.»<br />

La fissai, ben sapendo che correvamo un grave pericolo. «Buona<br />

fortuna a Donuil.»<br />

Mi afferrò per il polso. «Non parlare così, Merlino. Non è Donuil<br />

che ho in mente e non sarà lui a trarne beneficio. Non verrò a letto<br />

con te, ma questa notte non sarò neppure di Donuil.» Continuava a<br />

fissarmi intensamente. Scossi la testa. «È una follia. Andiamo!»<br />

Sulla via del ritorno parlammo di altre cose; quando fummo di<br />

nuovo in città, mi aveva già insegnato i primi versi della melodia che<br />

aveva cantato durante il suo rito magico.


VI.<br />

Alta sopra di me svettava la torre nella quale si apriva la porta<br />

principale di Mediobogdum; i battenti di quercia massiccia erano<br />

inariditi e screpolati dal tempo ma ancora solidi. Intorno agli stipiti<br />

correvano pesanti blocchi di pietra che, come mi aveva spiegato<br />

Derek, venivano dalle cave a nord, lungo la costa. Allungai il collo<br />

per decifrare le parole, sbiadite dal tempo e dalle intemperie, incise<br />

<strong>sul</strong>l'iscrizione del plinto sovrastante i doppi battenti.<br />

«Che cosa dice, Merlino?»<br />

Vicino a me, il giovane Artù stringeva le redini del suo pony e<br />

fissava la scritta. «Dimmelo tu, giovanotto. Sei tu che ti dedichi agli<br />

studi.»<br />

La fronte gli si corrugò nello sforzo di leggere. «Ci sono troppe<br />

parole che non conosco. Sono raggruppate all'inizio dell'iscrizione.»<br />

«Sono nomi» gli spiegai sorridendo. «Nomi che non hai mai<br />

sentito fino a ora, ma da vivi gli uomini che così si chiamavano<br />

erano conosciuti e temuti in tutto il mondo. Dice: "All'imperatore<br />

Cesare Traiano Adriano Augusto, figlio del divo Traiano,<br />

conquistatore dei Parti, nipote del divo Nerva, pontefice massimo,<br />

tre volte console, la quarta coorte dalmatica qui eresse alla presenza<br />

del propretore dell'imperatore".»<br />

Si volse a me sgranando gli occhi. «Cesare Augusto?»<br />

«Sì, ma non quello cui pensi tu. Questo era un Cesare, ma<br />

Augusto è solo un titolo per dire "il grande Cesare". Si chiamava in<br />

realtà Adriano, come io mi chiamo Merlino. <strong>Il</strong> mio nome per intero<br />

è Caio Merlino Britannico, ma Caio Britannico era mio nonno.»<br />

«<strong>Il</strong> vallo di Adriano? Fu lui a costruirlo?»<br />

«Sì, fu costruito durante il suo impero.»<br />

«Dice che suo padre e suo nonno erano di origine divina. Erano<br />

dèi?»<br />

Sorridendo gli scompigliai i capelli. «No. Ma erano imperatori. Era


costume dei Romani considerare dèi i loro imperatori per mostrare<br />

che erano superiori agli uomini comuni.»<br />

«Lo erano veramente?»<br />

«No, erano come la maggior parte di noi, anzi alcuni furono<br />

piccoli uomini. Ma il loro potere era tanto maggiore del nostro che<br />

si credeva fossero dèi.»<br />

Rimase a riflettere su quelle parole per qualche tempo, quindi,<br />

distogliendo lo sguardo, fissò le mura che si ergevano alla sua destra.<br />

«Rimarremo a vivere qui?»<br />

«Forse. Dobbiamo trovare un luogo, e questo potrebbe andare<br />

bene. Che ne dici?»<br />

Prima di rispondere Artù Pendragon si guardò intorno ancora una<br />

volta, prestando maggiore attenzione. Lo osservai, alto, forte, le<br />

spalle larghe, la testa orgogliosamente eretta mentre scrutava la<br />

scarpata erta e scoscesa a est e a sud. Si girò quindi, immemore del<br />

gruppo in attesa dietro a noi, per fissare la valle boscosa che iniziava<br />

a un centinaio di piedi da dove ci trovavamo e si perdeva in<br />

lontananza, verso ovest, in direzione di Ravenglass e della costa.<br />

«Farà freddo qui d'inverno.» Dal tono della voce capii che<br />

esprimeva un giudizio, non che poneva una domanda. Aspettai<br />

senza rispondere, osservando i suoi occhi che percorrevano la parte<br />

sinistra delle mura e tornavano a posarsi <strong>sul</strong>la porta centrale.<br />

«Possiamo entrare?»<br />

«Certamente. Non so che cosa ci troveremo. <strong>Il</strong> forte è disabitato<br />

da tempo.»<br />

«Da secoli, ha detto Lucano.»<br />

«Sì. Vuoi entrare?»<br />

«Esiste anche un'altra porta nel settore settentrionale delle mura?»<br />

Mi strinsi nelle spalle. «Ci sarà di sicuro. È una costruzione<br />

romana. Certamente ci saranno quattro uscite. Forse non tutte<br />

grandi come questa.»<br />

«Come mai?»<br />

«Guardati intorno. Questa è la porta principale, in faccia al


nemico. Gli aggressori potevano avvicinarsi soltanto dalla strada, o<br />

imboccandola dal passo lassù o dalla valle laggiù. Se fossero arrivati<br />

dalla valle a occidente per attaccare la porta su quel versante,<br />

avrebbero dovuto lasciare la strada, arrampicarsi su per un erto<br />

pendio e affrontare un terreno aspro: un'impresa ardua e pericolosa.<br />

L'unica alternativa, la stessa per chi avesse sferrato l'attacco dal passo,<br />

era di seguire la strada e aggredire la porta orientale dall'alto, dove si<br />

trova un campo di parata, come quello di Camelot. Quando era qui<br />

di stanza, la guarnigione, che di sicuro vigilava <strong>sul</strong>le alture su questo<br />

lato della strada, avrebbe rappresentato una minaccia per chiunque<br />

si fosse avvicinato. Dalla parte opposta le mura settentrionali<br />

costeggiano, per un tratto, una scarpata. Nessun esercito potrebbe<br />

superarla.» Tacqui notando l'attenzione con cui mi aveva ascoltato.<br />

«Che tipo di porte ti aspetti di trovare nella cinta?»<br />

<strong>Il</strong> ragazzo esitò, poi si volse a guardare gli altri che sui loro cavalli<br />

aspettavano.<br />

«Non preoccuparti, ragazzo. Ci aspetteranno; attendo la tua<br />

risposta.»<br />

Tornò a posare lo sguardo su di me, poi lo abbassò fissando un<br />

punto tra lui e il terreno, quindi levò i suoi straordinari occhi color<br />

dell'oro.<br />

«Le mura orientali di certo avranno una doppia porta grande<br />

come questa, visto che sono dalla parte del campo di parata. E su<br />

quel versante saranno ben fortificate. Ci saranno porte doppie anche<br />

<strong>sul</strong> lato occidentale della cinta, ma più piccole; da lì sicuramente si<br />

bloccavano le aggressioni di minore entità, sferrate da chi saliva dalla<br />

valle. <strong>Il</strong> lato settentrionale, lungo la roccia, non ha bisogno di porte,<br />

salvo una piccola per scaricare i rifiuti.»<br />

«Bravo!» esclamai mentre sentivo salirmi in gola un groppo di<br />

orgoglio. «È la risposta che avevo formulato alla domanda che ti<br />

avevo posto. Neanch'io sono mai stato qui. Andiamo a vedere se hai<br />

ragione.»<br />

«Posso farti un'altra domanda?»<br />

«Naturalmente.»<br />

Indicò la torre davanti a noi. «Perché le pietre delle mura sono


diverse da quelle della torre?»<br />

Gli sorrisi. «Sto imparando molte cose oggi. Sei un bravo<br />

insegnante, Artù. Guardati intorno e cerca di spiegarmelo. Non<br />

affrettarti, la risposta è davanti a te.»<br />

Venne rapida. Si guardò intorno, cominciando dal pilastro di<br />

arenaria lavorata tra i pesanti battenti, poi volse gli occhi allo stipite<br />

e da lì li portò alle mura turrite ai lati della torre centrale. Vedevo<br />

che il suo sguardo, interrogativo all'inizio, all'improvviso si faceva<br />

acuto e, mentre lo posava <strong>sul</strong>le pareti rocciose a sud e a est, colsi la<br />

luce dell'intelligenza brillare in loro.<br />

«È troppo tenera e non abbastanza spessa. Eccellente per costruire<br />

mura difensive, ma per reggere le porte era necessaria una pietra di<br />

altro tipo. Da dove viene? Non vedo quel materiale qui intorno.<br />

Devono averlo trasportato da qualche altra località. I blocchi<br />

saranno stati estratti da una cava, sagomati e portati fin qui.» Mi<br />

guardò sorridendo. «È così?»<br />

«Sì. Meriti i pieni voti.» Mentre mi volgevo verso gli altri per<br />

indicare loro di avanzare, fui contento di avere assecondato<br />

l'impulso che mi aveva spinto a dire loro di aspettare mentre io e il<br />

ragazzo li precedevamo. Avevamo percorso il decimum iter, una<br />

strada intatta, solida, larga otto passi che nell'ultimo tratto saliva per<br />

un'erta collina fino al passo sovrastante, per la cui difesa era stato<br />

costruito il forte. Emergendo dalla foresta nella quale ci eravamo<br />

addentrati subito dopo avere lasciato Ravenglass, ci eravamo trovati<br />

su un piccolo altopiano e da lì avevamo scorto la sommità della<br />

torre di Mediobogdum <strong>sul</strong>la sinistra, in parte nascosta da una cresta<br />

scoscesa. E dalla cresta, ad appena venti passi dalla strada, avevamo<br />

per la prima volta visto il forte disabitato e immerso nel silenzio. Era<br />

suggestivo da quella distanza, un centinaio di passi, cupo e<br />

invulnerabile come quando era stato costruito, appollaiato <strong>sul</strong>l'orlo<br />

di un precipizio; in lontananza si profilavano incerti i pendii della<br />

valle successiva.<br />

Mentre gli altri ci raggiungevano, scesi da cavallo e mi avvicinai ai<br />

battenti della porta sperando di riuscire ad aprirli quel tanto che<br />

bastava per fare passare il drappello. Con mia grande sorpresa<br />

cedettero con facilità e i cardini cigolarono nei fori. Mi volsi verso il


corteo con le braccia levate.<br />

«Amici...» Si immobilizzarono tutti a guardarmi, e sui volti lessi<br />

interesse e curiosità. «Varcare questa soglia è come superare uno<br />

spartiacque. Al di là forse ci aspetta un nuovo futuro. Siamo venuti<br />

perché sappiamo che qui potremo vivere per molti anni, se così<br />

vorremo fare. È una decisione che deve scaturire da una profonda<br />

riflessione. Le mura davanti a noi sono solide ma antiche. Non so<br />

che cosa troveremo all'interno; so soltanto che si tratterà comunque<br />

di cose che nessuno tocca da tempo. Vorrei che ciascuno di noi<br />

procedesse in solitudine, senza ascoltare i commenti del vicino.<br />

Difficile, lo so, perché è forte e naturale la tentazione di condividere<br />

le proprie impressioni e confrontare le proprie reazioni. Qualcuno di<br />

voi forse proverà un sentimento di ripulsa; qualcuno forse sentirà<br />

nascere l'entusiasmo dentro di sé. Vorrei che ciascuno riflettesse <strong>sul</strong>le<br />

impressioni avute, non reagisse d'impulso nell'impatto del primo<br />

momento. Mi capite?»<br />

Annuirono; fu Dedalo che, come al solito, diede una svolta.<br />

«Ciascuno di noi dovrà parlare da solo?»<br />

«Sì, ma soprattutto ciascuno parli da solo per conto proprio.<br />

Andate dove volete, una volta che sarete all'interno del forte, ma<br />

cercate la solitudine. Guardate, osservate, esaminate, riflettete, siate<br />

onesti con voi stessi, ma tenete presente quello che è il nostro<br />

obiettivo. Chiedetevi se siete disposti a considerare questo luogo<br />

come una meta temporanea o se invece siete pronti a farne per anni<br />

la vostra casa; se ritenete che sia adeguato alle esigenze vostre come<br />

individui e alle nostre come comunità.»<br />

«Quando potremo tornare a parlarci?» chiese Dedalo ridendo.<br />

«Non appena ciascuno avrà preso la propria decisione. Dopo che<br />

avrete visto tutto quello che vi sarà sembrato opportuno, uscite dal<br />

forte. Accenderemo un fuoco e discuteremo. Non c'è fretta. Che<br />

ciascuno abbia il tempo che gli sembra necessario. Anche tu, Shelagh.<br />

Siamo d'accordo?»<br />

Fu Lucano a parlare per tutti. «Entra tu per primo, Merlino. Noi ti<br />

seguiremo.»<br />

Attraversai la porta e mi addentrai nel forte mentre dentro di me


percepivo sentimenti contrastanti di trepidazione ed eccitazione. <strong>Il</strong><br />

ragazzo, che mi precedeva, mi si avvicinò non appena superata la<br />

soglia. Ero contento che fosse lì perché desideravo accompagnarlo<br />

nei suoi pensieri e forse anche vedere le cose con i suoi occhi.<br />

Sentivo alle mie spalle lo scalpiccio dei passi del seguito; mi misi di<br />

lato per lasciarlo passare, mentre con gli occhi rapidamente<br />

esaminavo gli edifici che sorgevano all'interno delle mura. Mi mossi<br />

accompagnato da Artù. Ci avviammo verso la via praetoria, la strada<br />

centrale, fiancheggiata da basse caserme. Erano costruite con pesanti<br />

tronchi di legno, verdi di muschio, forse marci, ma sapevo che non<br />

da lì desideravo cominciare a ispezionare il forte.<br />

Artù mi aveva superato, aveva raggiunto il primo ingresso<br />

dell'edificio <strong>sul</strong>la sinistra, sporgeva la testa nell'oscurità oltre lo spazio<br />

vuoto dove un tempo era stata la porta. Avvicinatomi, lo toccai<br />

<strong>sul</strong>la spalla; mi guardò.<br />

«Attento! Non mettere la testa in luoghi bui senza avere prima<br />

controllato che siano vuoti. Ricorda che questo luogo è<br />

abbandonato da anni. Potrebbero viverci degli orsi.»<br />

«Orsi? Lo credi davvero?» mi chiese spalancando gli occhi.<br />

Non aveva paura, era solo eccitato. Sorridendo scossi la testa. «Ne<br />

dubito, ma per quanto improbabile, potrebbe accadere. È sempre<br />

meglio essere cauti. Ma non da qui voglio iniziare la ricerca. Non<br />

qui, non ora. Andiamo dall'altra parte.»<br />

Lanciò ancora un'occhiata attraverso la soglia.<br />

«<strong>Il</strong> pavimento è di calcestruzzo, Merlino. È sporco, ma è asciutto e<br />

piatto, senza crepe.»<br />

«Sì, guarderemo meglio dopo. Andiamo da questa parte adesso.<br />

Seguiremo le mura.» Lo condussi <strong>sul</strong>la destra e insieme salimmo la<br />

breve rampa che ci portò nello stretto passaggio perimetrale rasente<br />

la base sassosa e ineguale della cinta.<br />

«Che te ne pare? Ti sembra una strada romana?» gli chiesi non<br />

appena l'imboccammo.<br />

Osservò la parete che in quel punto sopravanzava le nostre teste;<br />

con lo sguardo ne seguì lo sviluppo per circa venti passi fino a dove,<br />

abbassandosi, scompariva alla vista prima di risalire e raggiungere


infine la torre nell'angolo sudorientale. Guardò in direzione del<br />

nostro gruppo che cominciava a sparpagliarsi. <strong>Il</strong> terreno sotto di noi<br />

era di pietra massiccia, spoglia, non coperta dal muschio e da lì, la<br />

pianta del forte, tipica nel suo sviluppo, era chiaramente definibile;<br />

inequivocabile era il quartiere amministrativo con il suo alto tetto di<br />

calcestruzzo, in forma di cupola, a copertura dei granai.<br />

«È diverso» disse alla fine in tono pensoso.<br />

«Che vuoi dire? Sii più preciso.»<br />

«Tutto il forte è diverso» spiegò sorridendo. «Doveva esserlo.»<br />

Non replicai aspettando che precisasse quel concetto, e così fece<br />

dopo una pausa, guardandosi intorno mentre parlava.<br />

«Costruirono questo forte adattandolo al terreno. Non hanno<br />

cercato di spianarlo, come avrebbero fatto con un altro tipo di<br />

fortezza. La strada sale e scende seguendo l'andamento delle mura e<br />

il dislivello del suolo. Gli arcieri potevano attaccare da lì, da sotto le<br />

mura, e abbattere i difensori, ma lassù, in corrispondenza di questo<br />

punto, il passaggio lungo il parapetto è più ampio, per contenere<br />

probabilmente un maggior numero di uomini contro l'assalto degli<br />

arcieri. Non è una vera strada quella che percorriamo, ma un<br />

sentiero livellato, non costruito.»<br />

«Un sentiero? A chi serviva?» Quanto ero orgoglioso del ragazzo!<br />

A otto anni la sua mente intuitiva e ricca mostrava una capacità di<br />

ragionamento e un'acutezza che non avrei trovato in un giovane con<br />

il doppio della sua età.<br />

A sedici anni i ragazzi sono ancora ignoranti di cose militari, lui<br />

già mi dava risposte.<br />

«Alla guarnigione. Così gli uomini potevano recarsi dove si aveva<br />

bisogno di loro.»<br />

«Non potevano seguire il passaggio lungo il parapetto?»<br />

«Durante un attacco?» mi guardò sottecchi. «Sarebbero inciampati<br />

l'uno <strong>sul</strong>l'altro, con il rischio di cadere sui nemici. Lassù c'è spazio per<br />

uno, al massimo due, contemporaneamente.»<br />

«Hai ragione. Ho fatto un'obiezione sciocca.»<br />

Mi sorrise di nuovo. «Lo sapevi benissimo. Volevi capire se lo


sapevo io.»<br />

«Sì.» Gli scompigliai i capelli e in silenzio ci incamminammo per<br />

raggiungere l'angolo sudorientale con la torre d'angolo quadrata.<br />

Artù si fermò vicino alla scala stretta che portava al passaggio lungo<br />

il parapetto.<br />

«Non ci sono porte nella torre. Che cosa contiene?»<br />

«Niente, credo. Probabilmente serviva come deposito.»<br />

«Come entravano?»<br />

«Con una scala a pioli da quel foro nel soffitto.»<br />

«Possiamo salire?»<br />

«Certamente. Attento ai gradini.»<br />

Si arrampicò rapido muovendosi quasi carponi. Lo seguii<br />

lentamente mentre di corsa lui superava la distanza che ci separava<br />

dall'entrata alla torre.<br />

«Attento! Non entrare. <strong>Il</strong> pavimento è vecchio, forse pericolante.<br />

Se cadi, avremo un bel da fare a tirarti fuori.»<br />

«Credi che siano mai stati attaccati quassù, Merlino?» I suoi occhi<br />

dorati cercavano di penetrare l'oscurità sottostante.<br />

«Forse sì, di tanto in tanto, ma dubito che fossero attacchi violenti<br />

e che siano stati vittoriosi. <strong>Il</strong> luogo è troppo ben fortificato per essere<br />

una tentazione. Non credo che troveremo ossa umane laggiù.»<br />

«Che ne è stato del pavimento?»<br />

«Ha ceduto. <strong>Il</strong> forte esiste fin dai tempi dell'imperatore Adriano,<br />

ricordi? Duecento anni fa... molto prima che nascesse il tuo bisnonno<br />

Varro. Un pavimento di legno dura a lungo se si fa opera di<br />

manutenzione, ma se è lasciato alle intemperie, come è accaduto a<br />

questo, marcisce in fretta. Probabilmente i rimi a rovinarsi furono i<br />

battenti delle porte che, cadendo dai cardini arrugginiti, hanno<br />

lasciato passare il vento, la pioggia, l'umidità, che hanno compiuto la<br />

loro azione devastatrice.»<br />

Spostò lo sguardo per fissare dietro di me il punto in cui la spalla<br />

meridionale del brullo colle retrostante sembrava raggiungere il<br />

cielo. «E se i nemici avessero attaccato da lassù?»


Mi volsi a guardare. «Che ne pensi? È possibile che l'abbiano<br />

fatto?»<br />

Aggrottando la fronte, si avvicinò alle mura. La cima del colle era<br />

a mezzo miglio da noi, <strong>sul</strong>l'altro versante di una gola in fondo alla<br />

strada che veniva da Ravenglass. Rimase a osservare a lungo, in<br />

silenzio, mentre il vento gli scompigliava i capelli scuri con dei riflessi<br />

biondi.<br />

«No, non è possibile. Scendiamo?»<br />

«Fa' strada. Perché ritieni che sia impossibile?»<br />

«Troppo distante e troppo difficile. Chiunque fosse stato così<br />

stupido da attaccare da quel lato avrebbe meritato di essere<br />

sconfitto.»<br />

«In che senso stupido?»<br />

«Perché innanzitutto gli uomini avrebbero dovuto arrampicarsi<br />

lassù. Una mossa stupida, se non ce n'è bisogno. E nella discesa<br />

sarebbero stati troppo visibili... si sarebbero poi dovuti arrampicare<br />

lungo l'altro versante della gola prima di costituire un pericolo.<br />

Sarebbero stati certamente annientati.»<br />

Eravamo giunti in prossimità della torre della porta orientale che<br />

si stagliava davanti a noi con i suoi pilastri di arenaria. Con uno<br />

scatto balzò in avanti e scomparve dall'altra parte. Quando superai il<br />

portale, Artù, già a un centinaio di passi davanti a me, correva verso<br />

la strada, visibile malgrado la vegetazione, che portava a una zona<br />

pianeggiante sottostante la scarpata. In lontananza, in direzione sudest,<br />

vedevo il sottile nastro della strada che percorreva il crinale tra<br />

una vetta e l'altra e continuava fino alla città vicino al lago di cui mi<br />

aveva parlato Derek. Arrivato <strong>sul</strong> punto più alto della strada, il<br />

ragazzo si fermò a guardarsi intorno. Allungai il passo per<br />

raggiungerlo.<br />

«È pianeggiante, Merlino. Perché non hanno costruito lassù il<br />

forte?»<br />

Aveva ragione. Ci trovavamo al limitare di una distesa<br />

pianeggiante che, seppur più piccola, assomigliava al campo di<br />

addestramento ai piedi della collina di Camelot.


«È piatta perché fu livellata dagli uomini, ma non è abbastanza<br />

vasta da contenere il forte. Vedi quel pendio laggiù?» Volse lo<br />

sguardo verso uno stretto sentiero che inerpicandosi arrivava a un<br />

punto dal quale si poteva vedere lo spazio sottostante. Annuì<br />

lentamente, un'espressione perplessa in viso. «Anche quello è stato<br />

costruito. Sai dirmi perché?» Scosse la testa. «Ti metterò <strong>sul</strong>la buona<br />

strada. Pensa a Camelot.»<br />

«Non lo so, Merlino, a meno che non ti riferisca al campo di<br />

addestramento. Ma non ne vedo la ragione. Perché fare tanta fatica<br />

per livellare un'area di esercitazione? Perché non mettersi d'impegno<br />

all'inizio e costruire l'accampamento nella parte livellata?» Fu lui<br />

stesso a dare una risposta alle domande, illuminandosi<br />

improvvisamente di un sorriso. «Per via del tempo! Non potevano!<br />

<strong>Il</strong> livellamento fu eseguito molto dopo che il forte era stato<br />

costruito, quando ormai avevano tutto il tempo per realizzarlo. È un<br />

campo di esercitazione. E lassù c'è il palco da dove osservare le<br />

manovre, come a Camelot. Vivremo qui, Merlino? Questo posto è<br />

nostro?»<br />

Lo guardai. Camminava al mio fianco e intanto mi fissava con i<br />

suoi occhi dorati.<br />

«È possibile, ma ci piacerebbe? È questa la domanda che<br />

dobbiamo rivolgere a noi stessi. Ecco perché siamo venuti qui oggi...<br />

per rispondere a questo interrogativo.»<br />

«A me sì.»<br />

Sorrisi. «Lo so che a te piacerebbe, ma forse solo perché si tratta di<br />

un forte abbandonato che sorge su una montagna e il tempo è<br />

ancora buono. Ma sarà molto diverso con la pioggia e la neve. Ce<br />

ne accorgeremo quando i venti sibileranno attraverso le fessure e le<br />

brecce nei muri, e intorno a noi sarà tutto gelido, compresi i nostri<br />

piedi e le nostre mani. Le avventure che nella tua immaginazione<br />

potrai avere qui d'estate con i tuoi amici non sono una buona<br />

ragione per trasferirci qui a viverci permanentemente. Spero che<br />

sarai d'accordo.»<br />

Si incupì in viso e abbassò la testa. Tacque finché non rientrammo<br />

nel forte e prendemmo a destra, camminando lungo il perimetro<br />

delle mura fino alla porta a settentrione. Ma non era nella sua


natura rassegnarsi senza combattere. «Non potremmo tappare le<br />

fessure delle pareti?»<br />

Scoppiai a ridere. «Certamente, e potremmo anche montare<br />

nuove porte e stendere pelli di animali per proteggerci dagli spifferi.<br />

È fattibile, ma tutti noi, compresi tu e i tuoi amici, dovremo lavorare<br />

per mesi e mesi. E non avremmo ancora risolto il problema della<br />

sopravvivenza quotidiana.»<br />

Mi fermai e gli posai una mano <strong>sul</strong>la spalla, in attesa che levasse<br />

lo sguardo su di me. «Artù, non escludo che verremo a vivere qui.<br />

Forse faremo proprio così. Ma hai sentito quello che ho detto agli<br />

altri?» Annuì.<br />

«Allora sai quanto è importante che si decida in autonomia, visto<br />

che la scelta cambierà la vita di ciascuno di noi. Confronteremo le<br />

diverse opinioni, arriveremo a un consenso e <strong>sul</strong>la base di questo<br />

formuleremo una decisione. Un modo democratico di agire.»<br />

<strong>Il</strong> ragazzo mi fissò, socchiudendo gli occhi, poi il suo viso si<br />

dischiuse nel sorriso. «Lo so, ma <strong>sul</strong>la galea, qualche giorno fa mentre<br />

parlavi delle guerre in Cornovaglia, ti ho sentito dire a Dedalo e a<br />

Connor che la democrazia funziona bene soltanto se alla sua guida<br />

c'è un uomo illuminato e determinato.»<br />

Mi aveva messo con le spalle al muro. Distogliendo lo sguardo<br />

per non tradire l'imbarazzo, mi portai una mano <strong>sul</strong>la bocca a<br />

nascondere un sorriso mesto. «Sì, ho detto così, ma non sapevo che<br />

tu fossi in ascolto. Ma, malgrado quello che ho detto allora a Dedalo<br />

e a Connor, oggi ci ritroviamo in numero esiguo e siamo tutti amici.<br />

Voglio che sia la volontà degli altri a prevalere.»<br />

«Finché non riterrai che sono incerti nel loro agire, che sbagliano,<br />

che non sono capaci di prendere una decisione e di darti ragione.» <strong>Il</strong><br />

viso era grave, ma negli occhi brillava una luce divertita. Ancora una<br />

volta rimasi sorpreso che a parlare così fosse un ragazzo di otto anni.<br />

Se avesse continuato a ragionare in quel modo, quel bambino<br />

sarebbe diventato un adulto di grande levatura.<br />

Annuii, atteggiando il volto in un'espressione seria.<br />

«Un'osservazione assai impertinente, ragazzo mio. Nessuno nel<br />

nostro gruppo è incerto. Ma...» mi lasciai andare a un sorriso «hai


agione, naturalmente.»<br />

Rise, cosa che faceva di rado, e corse davanti a me verso il<br />

cancello settentrionale. Mentre lo seguivo, mi guardai oziosamente<br />

intorno. Vidi in lontananza Dedalo che sbucava da dietro un muro e<br />

scompariva dietro un altro, e Lucano che avanzava lungo la via<br />

principalis, l'asse est-ovest del forte, con le mani dietro la schiena,<br />

intento a osservare i muri e il tetto del granaio che gli torreggiava<br />

sopra. Come mi scorse, io lo salutai con la mano e lui si apprestò a<br />

raggiungermi.<br />

«Si può tornare a parlare, immagino?» disse con un sorrisino<br />

sardonico.<br />

«Certamente. Hai trovato qualche ragione di natura medica per<br />

cui non possiamo abitare qui?»<br />

«No, nessuna. Che ne dice il ragazzo?»<br />

«Che ti aspetti alla sua età? Gli piace. Gli sembra di essere nella sua<br />

fortezza.»<br />

«Sei contento che l'abbia presa in questo modo? Di che cosa avete<br />

parlato tanto a lungo mentre eravate davanti alle porte del forte?»<br />

Mi guardai ancora intorno. Dedalo era sparito e sembrava che<br />

non ci fosse nessuno in giro. «Di come è costruita la fortezza, delle<br />

torri e della pietra usata. È un ragazzo straordinario, Lucano. A che<br />

punto sono gli altri? Hanno finito?»<br />

«Ne dubito. Ho sentito, passando, delle voci nel granaio, perciò<br />

qualcuno ha violato la consegna del silenzio.» Sorrideva.<br />

«Litigavano?»<br />

«No, pareva che discutessero di qualcosa di importante.»<br />

«Merlino, vieni a vedere che cosa ho trovato!» Vicino alla porta<br />

settentrionale, Artù agitava la mano.<br />

Lanciai un'occhiata a Lucano, che si era girato a guardare il<br />

ragazzo. «Sapevo che se ci fosse stato qualcosa da trovare, lui<br />

l'avrebbe trovato. Cammina tenendo gli occhi fissi a terra fin da<br />

quando abbiamo superato la porta orientale. Andiamo a vedere<br />

quello che ha scoperto.»


Si trattava di qualcosa di piccolo perché Artù lo scrutava<br />

attentamente tenendolo tra le dita, di tanto in tanto occhieggiando il<br />

terreno tra sé e le mura, in attesa che lo raggiungessimo. Non<br />

appena gli fummo abbastanza vicino da poter vedere quello che era,<br />

tese la mano verso di me.<br />

«È oro. Ho trovato un tesoro. Ho visto brillare la moneta sotto le<br />

mura. Ce ne sono anche di nere.»<br />

Aveva trovato un gruzzolo di monete, una era d'oro. Mi avvicinai<br />

al punto da lui indicato e, chinandomi, scrutai tra alcune pietre che<br />

non erano saldate come le altre. Vi trovai diverse monete. Le nere<br />

erano d'argento, ormai scurite dal tempo, le brune di rame. Di certo<br />

era marcita la borsa che le aveva contenute. Nessuno le avrebbe<br />

notate, se lo sguardo acuto del ragazzo non avesse colto lo scintillio<br />

dell'unico pezzo d'oro. Erano undici e, raccogliendole, cercai di<br />

capire l'immagine che portavano incisa, ma erano troppo brunite per<br />

distinguerla. Non così per Artù, tuttavia. Mentre mi alzavo, me la<br />

lanciò e io, afferratala, la fissai alla luce.<br />

«Di chi è il viso che si vede su un lato? Di un imperatore?»<br />

La moneta era piccola e consunta, e dovetti aguzzare la vista nel<br />

tentativo di leggere la rozza scritta che correva intorno al bordo.<br />

Quando ci riuscii, mi sentii percorrere da un brivido. «No, Artù,»<br />

mormorai in preda allo stupore «non è un imperatore... ma avrebbe<br />

potuto esserlo, perché aveva grandi sogni.» Con reverenza porsi la<br />

moneta a Lucano che la scrutò aggrottando la fronte: i suoi occhi<br />

erano più deboli dei miei. «È Marco Antonio» continuai. «Amico o,<br />

come sostengono alcuni, figlio di Giulio Cesare. Marco Antonio che<br />

ebbe come concubina Cleopatra, la regina d'Egitto. In Egitto avrà<br />

coniato monete per poter pagare le legioni, e una di queste è<br />

arrivata fin qui perché tu la prendessi.»<br />

<strong>Il</strong> ragazzo continuava a fissare la moneta che Lucano ancora<br />

stringeva tra le dita. «Marco Antonio!» La voce era un sussurro<br />

sommesso. Sapeva di Marco Antonio perché lo aveva studiato nelle<br />

sue lezioni. «Venne mai in Britannia?»<br />

Fu Lucano a rispondere restituendogli la moneta. «No.<br />

Marco Antonio morì in Egitto combattendo contro il nipote di


Giulio Cesare, Ottaviano, che era stato suo amico, l'uomo che si<br />

proclamò imperatore e prese il nome di Cesare Augusto.»<br />

«Cesare Augusto? È il suo nome che si legge sopra la porta<br />

principale del forte?»<br />

Lucano, incerto, si volse verso di me a chiedere conferma. «Non<br />

lo so, non ho guardato. Merlino?»<br />

«La risposta è sì e no» dissi sorridendo, rivolgendomi al ragazzo.<br />

«Ottaviano Cesare Augusto fu il primo imperatore; fu anche il primo<br />

a essere chiamato "divo". Tutti quelli che seguirono adottarono lo<br />

stesso nome. Quello sopra la porta principale è Adriano Cesare<br />

Augusto, ricordi?» Annuì e io proseguii. «Prova a pensare alla moneta<br />

in questo altro modo. In ogni battaglia c'è chi vince e chi perde. Lo<br />

stabilisce il fato, spesso a capriccio. Se il fato avesse deciso altrimenti<br />

il giorno in cui Marco Antonio combatté contro Ottaviano, tu ora<br />

stringeresti in mano l'immagine del primo imperatore romano.»<br />

Serrò il pugno intorno alla moneta. «Posso tenerla?»<br />

«Certamente, l'hai trovata tu.»<br />

«Hai detto che non era un dio, ma come pensavano di fare<br />

dell'imperatore un dio?»<br />

«Non potevano. Gli dèi sono immortali. Lo chiamavano divo per<br />

pura adulazione, ma era un uomo e lo dimostrava morendo come<br />

tutti gli altri uomini. Avevi ragione <strong>sul</strong>la porta. Ce n'è soltanto una di<br />

grande.» Ignorai le sopracciglia levate di Lucano.<br />

«Andiamo a vedere.» <strong>Il</strong> ragazzo, messosi in mezzo tra noi, ci prese<br />

per mano e, tirandoci impaziente, ci condusse fuori, oltre la porta<br />

del forte. Dopo pochi passi eravamo <strong>sul</strong>l'orlo della roccia dove ci<br />

fermammo attoniti davanti allo spettacolo che si apriva ai nostri<br />

occhi. Sotto di noi la parete rocciosa scendeva a precipizio, spoglia<br />

di vegetazione; da un lato e dall'altro si perdeva nella foresta che<br />

avevamo attraversato quella mattina, ma vista dall'alto sembrava<br />

una coltre verde e spessa che ricopriva ogni cosa tranne quel tratto<br />

di terreno scabro ai nostri piedi. Non si scorgevano neppure la<br />

strada e il fiume Esk; eppure sapevamo che erano lì. Artù, che per<br />

avvicinarsi al bordo aveva lasciato andare la mano di Lucano,<br />

istintivamente si ritrasse e si strinse più forte a me sebbene non ci


fosse pericolo di cadere. Quando levò il viso per guardarmi, aveva<br />

gli occhi sbarrati.<br />

«Quant'è il dislivello?»<br />

«Non lo so.» Cercai di parlare con un tono disinvolto perché non<br />

era necessario spaventarlo. «<strong>Il</strong> grande vantaggio è che nessuno può<br />

minacciare questa postazione. Non esiste esercito che potrebbe salire<br />

quassù e non conosco uomo che riuscirebbe ad arrampicarsi.»<br />

«Quelle pietre laggiù... si sono staccate dalla roccia?» chiese<br />

avvicinandosi di nuovo al bordo e sporgendosi cautamente.<br />

«Sì. Per questo la parete è così spoglia, senza neppure un albero.<br />

Ma l'erba è cresciuta sugli spuntoni e in alcuni punti è spessa. <strong>Il</strong> che<br />

dimostra che non si sgretola più.»<br />

«È bello, no? Così diverso da Camelot.»<br />

«Sì. Ti piace di più?»<br />

«No... eppure sì. Le montagne...»<br />

«Non hai mai visto la Cambria, vero?»<br />

Mi lanciò un'occhiata - degna di un giovanotto di diciotto anni<br />

più che di un ragazzo di otto - a significarmi che entrambi, io e<br />

Lucano, sapevamo benissimo che non vi aveva mai messo piede.<br />

Sorrisi.<br />

«Ci andrai un giorno, te lo prometto, e vedrai che anche lì le<br />

colline sono bellissime e molto, molto diverse da queste.»<br />

«Diverse da queste? Come può essere?»<br />

Scossi la testa. «Capirai quando le vedrai. Anzitutto sono più alte,<br />

vere e proprie montagne. Su alcune la neve non si scioglie mai. Le<br />

loro cime sono bianche tutto l'anno.»<br />

Mi guardò incredulo. «Impossibile. <strong>Il</strong> sole dell'estate porta il<br />

disgelo.»<br />

«Non nella Cambria e su nessuna montagna che raggiunga una<br />

certa altezza.»<br />

«Una certa altezza? Per sfuggire al sole?»<br />

Mi strinsi nelle spalle. «Sì, forse puoi metterla così. Non sfuggono


alla luce, ma sfuggono al calore. È un fatto noto. Ovunque tu sia, più<br />

sali al di sopra del livello in cui la terra incontra l'acqua del mare, più<br />

si raffredda l'aria. A un certo punto arrivi a un'altitudine in cui anche<br />

d'estate invece di piovere nevica. Chiedi a Lucano. Insieme, io e lui,<br />

ci siamo trovati ad affrontare un temporale estivo e mano a mano<br />

che salivamo la pioggia diventava neve. E girando i cavalli siamo<br />

tornati dove ogni traccia di neve era scomparsa e cadeva la pioggia.<br />

Non ti sei accorto di come si è rinfrescata l'aria mentre dalla valle<br />

salivamo <strong>sul</strong>la collina?»<br />

Annuì. «Ma come succede? Perché?»<br />

«Non lo so, ragazzo mio. Forse Lucano può spiegartelo.»<br />

«No, non so spiegartelo,» disse Lucano «ma è così. È come se il<br />

caldo fosse più pesante del freddo. Eppure succede che il calore del<br />

fuoco va in alto, sicché in una stanza è vicino al soffitto che si<br />

concentra il calore. Contraddittorio quanto vuoi, ma vero.»<br />

<strong>Il</strong> ragionamento era troppo complicato per il ragazzo che,<br />

cambiando argomento, chiese: «Come si chiama questa valle? Lo<br />

sapete?».<br />

«No» risposi. «So soltanto che il fiume che abbiamo attraversato si<br />

chiama Esk. Deve essere quindi la valle dell'Esk.»<br />

Fissava l'orizzonte a occidente dove la terra visibilmente si<br />

appiattiva dietro l'ultima corona di colline. «Si vede il mare da qui<br />

nelle giornate serene?»<br />

Seguii il suo sguardo. «Probabilmente sì. Quella linea piatta laggiù<br />

è la costa, credo.»<br />

Si volse a guardare le mura del forte. «Che cosa c'è dall'altra parte<br />

del passo?»<br />

«Un'altra valle, immagino, e poi un'altra, e poi alla fine della<br />

strada un'altra città come Ravenglass.»<br />

«Anche lì c'era un forte?»<br />

«Sì, e un borgo come Ravenglass.»<br />

«Cumbria...» Con voce sommessa pronunciò l'antico nome della<br />

regione intorno a noi. «Che differenza passa tra la Cambria e la<br />

Cumbria?»


Sorridendo guardai Lucano che, stringendosi nelle spalle, fece una<br />

smorfia a indicare che non lo sapeva. «Sono due nomi antichi.<br />

Probabilmente non c'era differenza una volta; forse soltanto la<br />

pronuncia era diversa. E prima che mi chieda il significato del nome<br />

ti dico subito che non lo so. Ma sono tutte Britannia, Artù.» "E forse<br />

un giorno sarà tutto tuo" pensai. «Su, vieni. Rientriamo nel forte.<br />

Sono sicuro che avrai molte cose da chiedermi.»<br />

Fu una breve visita la mia perché mi interessava soltanto<br />

constatare in che condizioni fossero gli edifici e accertarmi<br />

dell'esistenza della latrina. Era situata in una piccola costruzione di<br />

pietra nel quadrante nordorientale del forte, contigua alla cinta in<br />

prossimità della torre di guardia. Mi affacciai alla porta. Artù si<br />

avvicinò e, sporgendosi a osservare, levò su di me uno sguardo<br />

perplesso.<br />

Entrammo e gli indicai la lavorazione del pavimento di pietra e<br />

un muricciolo, alto fino al ginocchio, che correva lungo tre lati del<br />

locale. Un canaletto, leggermente inclinato per far scendere l'acqua<br />

convogliata da una conduttura che sbucava da una parete, solcava il<br />

pavimento di calcestruzzo. In un angolo scorsi alcuni bastoni corti e<br />

parecchi oggetti che sembravano ciottoli. Quando ne presi uno,<br />

notai, come mi ero aspettato, che era leggerissimo.<br />

«Guarda! Lo sai che cos'è?»<br />

<strong>Il</strong> ragazzo esaminò attentamente quello che tenevo in mano, ma<br />

scosse la testa. Raccolsi uno dei bastoni, mi avvicinai al muricciolo e<br />

inserii il bastone in una fessura a forma di serratura, una delle tante<br />

praticate nella pietra.<br />

«Assomiglia alla latrina che avevamo a Camelot, ma questa è più<br />

funzionale. La buca dietro il muretto era coperta da sedili di legno,<br />

tre su ciascun lato, posti in corrispondenza di queste fessure.» Gli<br />

mostrai il ciottolo. «Ecco una spugna che ha almeno due secoli, più<br />

piccola forse di quella che usiamo oggi a Camelot. Le nostre sono<br />

preziose perché sono merce rara, ma al tempo dei Romani, ce<br />

n'erano in abbondanza. Erano padroni del mondo, non<br />

dimenticarlo. Lucano - lo hai sentito, no? - spesso dice che all'igiene e<br />

alla pulizia ci tenevano molto. Ecco un esempio. Le spugne,<br />

imbevute dell'acqua che scorre nel canaletto <strong>sul</strong> pavimento,


venivano attaccate ai bastoni inseriti nei fori del muretto. I soldati si<br />

passavano i bastoni tra le gambe e si pulivano; quindi tornavano a<br />

lavare la spugna nell'acqua. Pratico ed efficiente. Su, andiamo a<br />

vedere il resto del forte.»<br />

Ispezionammo i granai, i magazzini e fui contento di constatare<br />

che il soffitto era ancora solido, i contrafforti non davano segni di<br />

cedimento, la calcina era quasi intatta. In buone condizioni erano<br />

anche la casa del comandante e il quartier generale. Sebbene<br />

mancassero i battenti delle porte, perché nessun accessorio di legno<br />

era sopravvissuto al tempo, gli ambienti erano stranamente ben<br />

conservati.<br />

Eravamo rimasti gli ultimi nel forte; ci affrettammo quindi a<br />

raggiungere gli altri raccoltisi nel frattempo intorno a uno dei tre<br />

fuochi che avevano acceso fuori della porta principale. Sui due che<br />

accudivano Lars e Rufio, si cucinava. Mancava soltanto Dedalo.<br />

«Dov'è Dedalo?» Mi guardarono stupiti, alcuni scossero la testa. Fu<br />

Shelagh a rispondere.<br />

«Ho parlato con lui poco fa. Era diretto alle terme.»<br />

Pochi attimi dopo entravo nelle terme, notando compiaciuto che<br />

anche qui il soffitto era solido. In un angolo giacevano i resti di una<br />

porta; il pannello di vetro colorato che aveva chiuso la parte<br />

superiore dell'anta era intatto sotto lo strato di sporco. Sorpreso di<br />

vedere qualcosa di tanto raffinato in quel luogo, mi chinai e con la<br />

lama della daga grattai il pavimento. Subito emerse una striscia di<br />

mosaico dai vivaci colori.<br />

Più curioso che mai mi chiedevo che tipo di uomo fosse stato<br />

l'ufficiale che aveva supervisionato la costruzione di quegli edifici.<br />

Quei tocchi di lusso non avrebbero potuto essere installati senza la<br />

sua autorizzazione, e non era consueta tanta sollecitudine verso i<br />

soldati di una guarnigione. Mi mossi per guardarmi meglio intorno.<br />

Pur senza essere spaziose, le terme erano sufficientemente vaste e<br />

parevano progettate con cura. Lo spogliatoio, Vapodyterium, era<br />

comodo; dietro si susseguivano varie vasche che finivano nel<br />

calidarium, la vasca di acqua calda. Uno stretto corridoio <strong>sul</strong>la destra<br />

portava al sudatorium, il locale sovrastante la fornace per i bagni di<br />

sudore. Se non fosse stato per la sporcizia depositatasi nei secoli,


tutto era in buone condizioni, tranne il pavimento del calidarium<br />

che in un angolo aveva ceduto. Sentii un rumore seguito da una<br />

sonora imprecazione.<br />

«Dedalo? Sei laggiù?» Mi avvicinai all'angolo dove il pavimento<br />

era crollato e cercai di scrutare nella sottostante oscurità.<br />

«Sì, per poco non mi sono spaccato la testa!» Lo sentii che si<br />

avvicinava all'apertura e mi chinai per aiutarlo a risalire.<br />

«Santo cielo! Che cosa sei andato a fare laggiù?»<br />

«A controllare la fornace.» Si grattò il viso sporco di fuliggine.<br />

«Quella maledetta è in grado di funzionare. Non è ostruita e la<br />

muratura non ha ceduto salvo intorno alla bocca di alimentazione.<br />

Sono intatte anche le cisterne di raccolta dell'acqua piovana, le<br />

condutture che la convogliano e i canali di scolo. Una volta<br />

ricostruito qualche tubo, dato che i vecchi sono ostruiti, l'impianto<br />

può funzionare.»<br />

«Dedalo, che ne sai di terme?» gli chiesi perplesso.<br />

«Tutto». Mi fissò; il bianco degli occhi risaltava nel viso nero<br />

fumo. «Non lo sapevi, eh? Da soldato giovane mi misero tra i<br />

genieri. Per tre anni ci rimasi prima di andare sotto tuo padre. Un<br />

quattordicenne - mi mancavano due anni per avere l'età regolare -<br />

ma grande e grosso. Cominciai nel genio, ed ero portato per quel<br />

mestiere. Poi quando passai sotto tuo padre, da geniere diventai<br />

soldato. Mi è tornato tutto in mente non appena sono arrivato qui.<br />

A suo tempo, in Asia Minore, costruii un impianto proprio come<br />

questo, in funzione di vice del mio capo che era un vero ingegnere e<br />

architetto. Sapeva tutto quel che c'era da sapere su come si<br />

costruisce.»<br />

«Mi stai dicendo che potresti riattivare questi impianti? Le terme?»<br />

La perplessità era diventata stupore.<br />

«Facile come pisciare, capo.» <strong>Il</strong> viso esprimeva una feroce<br />

determinazione, un misto di convinzione ed entusiasmo. «A<br />

condizione che ci sia un fiume o un torrente nei pressi, che riusciamo<br />

a trovare un bravo muratore per costruire una conduttura nella<br />

quale convogliare l'acqua verso le cisterne... e che queste non<br />

abbiano crepe. Non ne ho viste, ma da troppo tempo sono asciutte.


Potrei sbagliarmi. Non avremo difficoltà a procurarci il combustibile.<br />

Di legna nei dintorni ce n'è a sufficienza per alimentare una fornace<br />

per i prossimi mille anni. A queste condizioni, sì, credo di poter<br />

riattivare le terme.»<br />

«Magnifico, Dedalo!» Sorridevo. «Credo che potremo fare di<br />

questo luogo la nostra casa... purché gli altri siano d'accordo.<br />

Lascia che ti aiuti. Raggiungeremo il gruppo, mangeremo qualcosa<br />

e vedremo che cosa decideranno.»<br />

<strong>Il</strong> giudizio di Dedalo <strong>sul</strong>la riattivazione delle terme bastò a<br />

convincere i dubbiosi, che in verità erano pochi. In meno di un'ora<br />

avevamo convenuto di togliere gli accampamenti da Ravenglass - era<br />

chiaro che Derek avrebbe dato la sua benedizione alla nostra<br />

partenza - e di stabilirci lì nel punto più alto di quelle terre. <strong>Il</strong><br />

vecchio forte era un rudere e ciascuno aveva un'idea diversa da dove<br />

cominciare ma convenivamo tutti che avevamo le capacità di<br />

riattivarlo e riportarlo in efficienza per garantire condizioni di vita<br />

decenti. Ci servivano tempo e ingenti forniture da Ravenglass, la<br />

clemenza del clima e sufficiente determinazione. Shelagh non prese<br />

parte alla discussione. Per ragioni sue era stata favorevole a stabilirsi<br />

nel forte ancora prima di vederlo.


VII.<br />

Quando l'inverno cominciò a sussurrare tra le foglie brune delle<br />

vallette di montagna, eravamo già a buon punto nel compito che ci<br />

eravamo ripromessi e che pochi mesi prima ci era apparso immane.<br />

Settembre era stato così mite e benigno che gli alberi non si<br />

decidevano ad abbandonare le foglie <strong>sul</strong> terreno. Ottobre era<br />

venuto e se ne era andato senza gelate; soltanto <strong>sul</strong> finire di<br />

novembre l'aria del mattino cominciò a condensarci il fiato e ad<br />

annunciare i rigori dell'inverno.<br />

Ma nel frattempo ci eravamo ben premuniti: dappertutto entro il<br />

forte, di giorno e di notte, si levava il fumo della legna che bruciava<br />

riempiendo le lunghe serate autunnali di una diffusa sensazione di<br />

piacere, tepore, benessere. Intorno si percepiva il profumo resinoso<br />

del legno tagliato e piallato di fresco. Erano state ricostruite tre delle<br />

lunghe caserme: abbattuti i vecchi muri e dati alle fiamme, li<br />

avevamo sostituiti con nuovi di tronchi squadrati, cementati con<br />

malta per essere impermeabili ai venti e alle intemperie.<br />

Le finestre, grandi e larghe, avevano due serie di imposte: una<br />

esterna di quercia massiccia che si chiudeva come una porta e si<br />

serrava ermeticamente; e una interna, costruita da Mark, il mastro<br />

falegname, con stretti pannelli di sottile betulla lavorati a mano, che<br />

si potevano regolare in su e in giù per lasciar entrare, filtrare o<br />

bloccare la luce, ed essendo incardinati sui due lati, anche spalancare<br />

nei giorni d'estate. Una serie di doppie pareti divisorie, costruite con<br />

massicce assi di legno tra loro incastrate e solidamente inchiodate a<br />

una struttura portante centrale, divideva lo spazio in unità comode e<br />

capaci, ciascuna fornita di un ingresso e una finestra. L'intercapedine<br />

tra le doppie pareti era stata riempita di paglia e trucioli per<br />

conservare il calore e attutire i rumori. I pavimenti di calcestruzzo<br />

originali, ancora robusti e solidi, erano coperti di stuoie di paglia<br />

intrecciata.<br />

Dalla circostante foresta avevamo preso quasi tutto quello che ci<br />

serviva per costruire, ma Derek e la sua gente ci erano stati di


grandissimo aiuto, fornendoci in quantità il materiale e mettendo a<br />

nostra disposizione un piccolo esercito di uomini e donne.<br />

In cambio era stato garantito l'aiuto dell'Eire, per loro di grande<br />

importanza. Avevano già ricevuto il carico di tre convogli, da<br />

dividere con noi, inviati da Athol, comprendenti animali, armi, merci<br />

catturate nelle ultime guerre.<br />

All'inizio dell'inverno, poco prima che cominciasse a nevicare,<br />

tenemmo una grande festa per celebrare la nuova comunità.<br />

In una fredda giornata Dedalo, con un sorrisone soddisfatto <strong>sul</strong><br />

viso, mi si avvicinò e, conducendomi oltre le mura, indicò senza<br />

parlare un filo di fumo che saliva dal comignolo della fornace delle<br />

terme, alla quale i suoi uomini avevano lavorato infaticabilmente<br />

per mesi, senza mai lagnarsi né compiacersi. Avevano completato<br />

l'opera: l'acqua si scaldava sopra l'ipocausto e il vapore cominciava a<br />

filtrare dalle condutture del sudatorium. Dopo un silenzio di secoli,<br />

tra poco nelle terme di Mediobogdum sarebbero nuovamente<br />

risuonate voci, risa, canzoni.<br />

Per la prima volta nell'arco di parecchi mesi mi avventurai al<br />

seguito di Dedalo nel nuovo impianto, e non lesinai le lodi e le<br />

espressioni di ammirazione che mi salivano alle labbra per lui e i suoi<br />

uomini. Era stato riparato il pavimento che aveva ceduto<br />

nell'angolo, e ogni superficie luccicava, dipinta a vivaci colori. Per<br />

dare portata simbolica alla mia soddisfazione dichiarai che il giorno<br />

successivo sarebbe stato di festa e mandai a Derek l'invito a<br />

prendervi parte con tutta la sua gente, o almeno con quelli del suo<br />

popolo che avrebbero accettato di correre il rischio di essere tagliati<br />

fuori dalla prima tempesta di neve.<br />

Compiaciuto più di ogni altro dal completamento dei lavori nelle<br />

terme fu Lucano, perché la sua anima di medico per mesi era stata<br />

turbata dall'inevitabile cedimento dei rigorosi principi igienici nella<br />

nostra piccola comunità. Per lui la pulizia non si riduceva<br />

all'abolizione degli odori sgradevoli, ma significava salute e vigore.<br />

Quando ci raggiunse fuori delle mura per scoprire le ragioni di tanto<br />

viavai, parve che il petto gli si espandesse dalla gioia e si adoperò<br />

perché tra i festeggiamenti del giorno successivo ci fosse anche<br />

l'inaugurazione ufficiale delle terme.


Ritornai con lui al quartier generale, divertendomi all'insolito<br />

cicaleccio dell'austero medico che per tutta la strada non smise di<br />

entusiasmarsi, elencando tutte le migliorie apportate da Dedalo. Una<br />

volta che mi trovai nel suo alloggio, rifiutai la coppa di vino che mi<br />

offriva e subito sbollì la sua eccitazione. Con uno sguardo acuto mi<br />

osservò attentamente.<br />

«Che cosa ti preoccupa, Caio? Sembri in ansia.»<br />

Esitavo a parlare, mi stringevo nelle spalle e scuotevo la testa, ma<br />

Lucano mi conosceva troppo bene per demordere e lasciarmi andare<br />

senza spiegazioni. «Scusami, ma sono all'improvviso invecchiato e mi<br />

sono indebolito di mente al punto da perdere ogni capacità di<br />

raziocinio?» insistette pronunciando ogni parola in modo chiaro e<br />

distinto quasi si rivolgesse a un bambino. «Vedo che sei turbato: è<br />

evidente come il colore dei tuoi capelli; quindi te lo chiedo di nuovo<br />

e confido che mi farai l'onore di rispondere con sincerità: Che cosa ti<br />

preoccupa?»<br />

Stringendomi nelle spalle, mi sfregai le mani quasi me le lavassi.<br />

«Niente, Lucano» protestai. «Non c'è niente che non vada. Sono solo<br />

invidioso, ecco tutto.»<br />

Sgranò gli occhi guardandomi come se fossi ammattito. Mentre<br />

cercava una risposta, mi sorpresi stranamente a osservare le mani di<br />

entrambi: le mie, in preda al nervosismo, si agitavano<br />

convulsamente; le sue, immobili, reggevano due coppe di vino e una<br />

era tesa verso di me nel gesto di porgermela. Quando riprese a<br />

parlare, la sua espressione era cupa.<br />

«Invidioso? Che razza di parola ti è saltata in mente? Che cosa in<br />

nome di Esculapio ti fa provare invidia?»<br />

Avevo trattenuto il respiro e in quel momento espirai attraverso<br />

le labbra contratte con un sibilo sommesso. «La compagnia nelle<br />

terme. Mi mancherà.»<br />

«Che cosa stai dicendo, Caio?»<br />

«Sto parlando di me, Lucano!» Si dileguò d'un tratto lo stretto<br />

controllo che avevo fino ad allora esercitato su me stesso e alla<br />

superficie emerse un vortice di paura e amarezza che, almeno a<br />

giudicare dall'espressione <strong>sul</strong> viso del mio amico, lo lasciò attonito.


«Sto parlando di me! Della mia malattia... di questo maledetto,<br />

pesante groppo che sento in petto. Sto parlando della lebbra!<br />

Lebbra, Lucano, e la maledizione che porta con sé. Se questo segno<br />

su di me, se questa macchia è la lebbra, e tu non mi hai assicurato<br />

che non lo sia, allora non potrò mai entrare nelle terme perché<br />

sarebbe come seminare morte. Non ho altre parole per dirlo.<br />

Sarebbe un assassinio diffondere il contagio. Ecco di che cosa sto<br />

parlando. Mi stupisce che tu...»<br />

«Che stupidaggini stai dicendo!»<br />

La sua interruzione accompagnata da un'imprecazione sonora,<br />

aspra, sferzante, mi svuotò di ogni slancio e rimasi lì a bocca aperta.<br />

In tutti gli anni dacché lo conoscevo Lucano non era mai sbottato in<br />

quel modo.<br />

«Stammi a sentire, amico! Ascoltami e dimmi come hai potuto<br />

avere tanta sfrontatezza. Hai davvero così poca considerazione di<br />

me, della mia esperienza e della mia capacità di medico? Sarei così<br />

indifferente alla tua malattia, così noncurante, che ti lascerei a<br />

tormentarti nell'ignoranza e nella paura?»<br />

Vergognandomi e d'un tratto consapevole che il mio scoppio d'ira<br />

era stato uno sfogo aggressivo e inutile, scossi la testa borbottando,<br />

incapace di sostenere il suo sguardo. «Io... perdonami, Lucano, non<br />

pensavo...» La voce, che mi vibrava di infelicità e di qualcosa di<br />

molto simile alla commiserazione, mi si strozzò in gola. Si avvicinò a<br />

me e mi ficcò in mano la coppa di vino che teneva tra le dita.<br />

«Non pensavi... in molte cose non sai pensare con lucidità, amico<br />

mio. Questo l'ho capito. Prendi e bevi. Siediti lì.» Indicò una sedia<br />

vicino alla parete.<br />

Quando mi fui seduto, levò la coppa e la tenne in alto finché io,<br />

ripetendo il gesto, non levai anche la mia. Bevemmo entrambi. Non<br />

mi accorsi neppure del sapore del vino mentre lo guardavo che<br />

avvicinava una sedia e vi si metteva dietro. Bevve ancora, un piccolo<br />

sorso, poi si chinò per appoggiare la coppa <strong>sul</strong> sedile, dopo di che<br />

rimase a fissarmi, chino in avanti, le mani strette <strong>sul</strong>lo schienale. La<br />

luce, che si posava <strong>sul</strong>la sua fronte arcuata sotto il folto ciuffo di<br />

capelli, illuminava l'infossatura all'altezza delle tempie e le guance<br />

scavate. Per la prima volta mi rendevo conto che Lucano non era più


giovane. <strong>Il</strong> silenzio tra noi si prolungava finché divenne insostenibile.<br />

«Lucano...» presi a dire, ma con un gesto della mano mi invitò a<br />

tacere. Quando parlò, la sua voce esprimeva il freddo distacco del<br />

medico. In quel momento taceva l'amico e parlava il dottore.<br />

«Una volta, per la precisione l'ultima volta che abbiamo avuto<br />

occasione di stare insieme, ci siamo detti che tra noi non ci sarebbe<br />

stato bisogno di scuse se fossero insorte divergenze di vedute. <strong>Il</strong><br />

principio si applica ora. Ho mancato nei tuoi confronti: sono stato<br />

sbadato e negligente a non accorgermi quanto ti tormentasse il tuo<br />

stato di salute. So che ne sei spaventato, ma hai nascosto così bene la<br />

tua angoscia che l'ho persa di vista. Occupiamocene subito. Togliti la<br />

tunica.»<br />

«Perché? Hai visto la macchia questa mattina.»<br />

«Sì, ma ora ti chiedo di esaminarla insieme a me. Svestiti.»<br />

Feci come mi era stato chiesto e scoprii il petto sicché il Segno -<br />

ormai così lo chiamavo nei miei pensieri - fu esposto al suo sguardo<br />

e al mio, sebbene io lo vedessi da un'angolazione deformante.<br />

Lucano avanzò e, pizzicandomi la pelle, la tese stringendola tra il<br />

pollice e l'indice al punto che la cute intorno al Segno si schiarì fino<br />

ad assumere lo stesso colore bianco della parte centrale della<br />

macchia.<br />

«Ti fa male?» Scossi la testa. «La sensibilità è intatta oppure è<br />

scomparsa? Senti che ti pizzico?»<br />

«No.»<br />

«Pensa bene prima di rispondere. È cambiata in qualche modo -<br />

nella forma, nel colore, nella sensibilità - in questi mesi?»<br />

Trattenni il diniego che mi era salito d'impulso alle labbra per<br />

riflettere. La macchia non si era allargata da quando era comparsa.<br />

Riuscivo ancora a coprirla completamente con il polpastrello del<br />

pollice. «No,» dissi alla fine «non è cambiata.»<br />

«Lo so che non è cambiata, ma questo interrogatorio è per<br />

convincere te, non per dare indicazioni a me. Nessun cambiamento<br />

quindi: non ha proliferato, non si è estesa, non è dolente né<br />

purulenta, non ha screpolato la pelle; non dà prurito, non spurga.


Dico bene?» Annuii. Si raddrizzò. «Ora ricopriti e ascolta quello che<br />

ho da dirti.» Mentre mi ricomponevo la tunica, lui si avvicinò alla<br />

sedia di fronte alla mia e, presa la coppa, mi si sedette davanti.<br />

«Come sai, conosco i sintomi della malattia che tanto ti spaventa:<br />

la lebbra, l'idea stessa della lebbra. Ho visto i lebbrosi, ho lavorato in<br />

mezzo a loro per molti anni. Credo, ne sono convinto, che il tuo<br />

sintomo non sia una lesione da lebbra. Non so di che si tratta;<br />

potrebbe essere centinaia di altre cose, alcune conosciute, altre<br />

sconosciute. Ne saprò di più quando avrò letto quel documento di<br />

cui ti ho parlato. Credo che si trovi nel baule che consegnai a tua zia<br />

Luceia. Ho scritto ad Ambrogio e gli ho chiesto di cercarlo. Se lo<br />

troverà, mi spedirà l'intero contenuto con il prossimo vascello di<br />

Connor.» Si alzò in piedi e venne a porsi davanti a me, guardandomi<br />

dall'alto in basso. «Le tue paure, amico mio, quelle paure che mi hai<br />

appena confessato, sono infondate. Ascoltami. Se anche quello che<br />

hai dovesse in futuro degenerare in lebbra, sappi che al momento è<br />

del tutto innocuo. Capisci, Caio? Innocuo. Per diffondere il contagio<br />

dovrebbe essere una ferita aperta... spurgare, secernere pus. Non è il<br />

tuo caso.<br />

Non ti ho mai mentito, Caio, e non incomincerò a farlo adesso.<br />

La macchia che hai <strong>sul</strong>la pelle ha qualche vaga e discutibile<br />

somiglianza con le lesioni da lebbra. La parola chiave è lesioni... al<br />

plurale. Hai soltanto una macchia, ed è rimasta identica da quando è<br />

comparsa più di un anno fa. È mia ferma convinzione, basata su<br />

un'intera vita dedicata allo studio e alla pratica della medicina, che<br />

non ci sia la minima possibilità che tu possa rappresentare una<br />

minaccia di contagio. E questo si riferisce in particolare all'uso delle<br />

terme. Sono stato chiaro?»<br />

«Sì.»<br />

«Ancora più importante: mi credi?»<br />

Riandai alle cose che mi aveva detto, soppesando non soltanto le<br />

sue parole e la sua credibilità ma anche il suo tono e il suo<br />

atteggiamento, e mi sentii sopraffare dal sollievo e dalla gratitudine;<br />

per la contentezza un sorriso mi salì alle labbra e mi si allargò il<br />

petto. Mi osservava attentamente mentre io annuivo con ritrosia<br />

all'inizio e poi con crescente convinzione e riconoscenza.


Levai la coppa di nuovo, questa volta gustando la piena rotondità<br />

del vino.<br />

«Sì, Lucano, ti credo. Così sia.»<br />

Prima che si arrivasse alla sera del giorno successivo, il verdetto di<br />

Lucano fu insidiato dal dubbio. Ero insieme a lui, Donuil e Derek,<br />

tutti e tre sdraiati e rilassati nel silenzio del sudatorium, dopo il<br />

trambusto e l'eccitazione della giornata di festa che aveva visto gli<br />

atleti impegnati nelle gare e noi occupati a fare discorsi. Cullati dal<br />

vapore caldo, eravamo quasi in letargo, poco inclini a chiacchierare.<br />

Fu Donuil che alla fine, riscuotendosi con un sospiro, si offrì di<br />

andare a vedere dove sarebbe stata servita la cena. Lucano, quasi<br />

addormentato, giaceva <strong>sul</strong>la panca di marmo alla mia destra, mentre<br />

io pigramente osservavo snodarsi le volute di vapore,<br />

compiacendomi in quell'ozio. Fu allora che Derek volgendosi verso<br />

di me mi gettò nel panico.<br />

«Che cos'è quel segno che hai <strong>sul</strong> petto? Una cicatrice?» Serrai gli<br />

occhi, trassi un profondo respiro e, cercando di non irrigidirmi, mi<br />

sforzai di guardare in basso con indifferenza. <strong>Il</strong> Segno risaltava nitido<br />

contro la carnagione naturalmente scura della mia pelle; il biancore<br />

era accentuato dai peli bianchi del petto che crescevano lungo il suo<br />

bordo. Lo fissai, acutamente consapevole della presenza di Lucano<br />

immobile <strong>sul</strong>la panca di marmo.<br />

«No,» mi sentii dire con voce quasi divertita «non è una cicatrice.<br />

E una malattia della pelle. Lucano l'ha studiata... ne sembra<br />

affascinato perché non fa altro che punzecchiare la macchia e<br />

tastarla. Non duole, non prude, non si allarga. Secondo lui, un<br />

giorno o l'altro sparirà come una verruca.»<br />

Notai che Derek non era interessato; la sua curiosità si era esaurita<br />

nel notare la piccola anomalia. «Una volta avevo una verruca che mi<br />

dava fastidio. Era grandissima e vi crescevano dei peli; disgustosa da<br />

vedere. Ci credete che un'escrescenza simile possa essersi formata su<br />

un corpo come il mio? Alle donne non piaceva, ve lo garantisco. Me<br />

la sono tenuta per anni, qui.» Si tirò su e indicò un punto sotto la<br />

pancia proprio sopra il pube. Non si vedeva niente. «Poi un giorno<br />

eccola sparita, da un momento all'altro.» Tentò di schioccare le dita


umide. «Non so né come né perché né quando se ne sia andata. Un<br />

giorno guardo e non c'è più. Hector ci è riuscito eh?»<br />

«Che cosa dici?» gli chiesi. «Che c'entra Hector con le verruche?»<br />

Derek si stiracchiò sbadigliando, quindi si levò in piedi e cominciò<br />

a detergersi il sudore dal corpo muscoloso. Mi vide che oziosamente<br />

gli guardavo i genitali e, tirando su la pancia con le mani,<br />

sghignazzò.<br />

«Faccio fatica a vederlo ormai» disse con voce strascicata. «E<br />

neanche lo uso come una volta. Invecchio e non mi sembra più<br />

tanto importante.»<br />

Lasciò andare la pancia e prese un asciugamano dietro a lui. «Ho<br />

detto che Hector ci è riuscito, nient'altro. Le verruche non c'entrano.<br />

Mi dicevo che eri stato bravo a farti così diverso da come eri prima.<br />

E bada che non mi riferisco solo alla barba e al colore dei capelli.»<br />

Poco dopo esserci trasferiti a Mediobogdum, mi ero lasciato<br />

crescere una folta barba e scurito artificialmente i capelli. Era passato<br />

da allora abbastanza tempo perché non pensassi più alla mia<br />

trasformazione. Derek non mi guardò neanche i capelli mentre<br />

continuava.<br />

«Ti sei annullato, cancellato completamente. Me ne sono accorto<br />

oggi durante i festeggiamenti. Tutti sanno chi sei, ma ti chiamano<br />

Cay, e trattano Hector alla stregua di capo del gruppo. Ci crede lui<br />

stesso, o almeno lo dà a vedere. Perfino per me ormai sei Cay,<br />

eppure ti conosco bene. Quando arrivaste, tre o quattro mesi fa,<br />

avrei giurato che sarebbe stato impossibile... inattuabile. Ma ci sei<br />

riuscito. Merlino di Camelot è scomparso.»<br />

«Bene. Così deve essere. Più se ne sta nell'ombra, meglio è per il<br />

ragazzo.»<br />

Avevo seguito il consiglio di Shelagh e organizzato la mia<br />

scomparsa, assicurandomi che tutti a Ravenglass mi vedessero partire<br />

con Artù su una galea di Connor. Soltanto noi sapevamo che<br />

Connor ci aveva sbarcati poche miglia più a nord, lungo la costa,<br />

dove nessuno di Ravenglass ci aveva visti. Eravamo quindi tornati,<br />

mastro Clay, un uomo senza figli, e un giovane apprendista.<br />

Ero rimasto in questo frattempo davanti a lui, e ora mi detersi il


copioso sudore dalla fronte e dagli occhi, convinto che fossimo<br />

rimasti troppo a lungo nel sudatorium. Quando riaprii le palpebre,<br />

Derek era ancora lì, in piedi, intento a fissarmi; Lucano, che si era<br />

riscosso, era seduto <strong>sul</strong>la panca e con la salvietta usata come cuscino<br />

si asciugava il viso.<br />

«Che cosa c'è?» chiesi. «Che c'è da guardare?»<br />

«Posso farti una domanda?»<br />

Sbirciai Lucano, sorpreso che a Derek potesse saltare in mente di<br />

chiedermi il permesso prima di sbottare in una richiesta.<br />

«Ti fidi di me? Non è questa, ti avverto, la domanda.»<br />

Sorridendogli, mi alzai in piedi. «Usciamo di qui prima di<br />

liquefarci. Sicuro che mi fido di te. Come ti salta in mente di<br />

chiedermi una cosa del genere dopo tanto tempo?»<br />

Lucano in piedi ci lasciò passare, quindi ci seguì nell'aria fresca e<br />

asciutta della piscina. Ci tuffammo tutti e tre nell'acqua fredda che sui<br />

nostri corpi surriscaldati ebbe l'effetto del ghiaccio. Uscimmo in fretta<br />

per asciugarci finché la pelle non parve lucida tanto era pulita e sana.<br />

Per comune consenso nessuno aprì bocca finché non fummo asciutti;<br />

quindi ci dirigemmo verso gli spogliatoi. Fu Lucano a rompere il<br />

silenzio, le sue prime parole da quando avevamo messo piede nelle<br />

terme.<br />

«Non riesco a credere che nessun altro sia venuto qui.»<br />

Derek gli lanciò un'occhiata da sotto le sopracciglia levate.<br />

«Credici o no, si stanno tutti abbuffando. Ci andrà bene se<br />

troveremo qualcosa da mettere sotto i denti quando li<br />

raggiungeremo.» Si avviò alla porta.<br />

Mi sentivo in pace, non provavo il morso della fame. Mi<br />

avvicinai a Derek per parlargli senza che nessuno ci ascoltasse. «Pochi<br />

momenti fa volevi farmi una domanda. Perché mi hai chiesto se mi<br />

fidavo di te?»<br />

Si fermò con la mano <strong>sul</strong>la porta, quindi, girandosi, tornò indietro<br />

e si sedette davanti a me. «Perché la tua risposta a quel primo<br />

interrogativo ha determinato la formulazione che darò alla<br />

successiva domanda. Ti sei fidato di me mettendomi a parte del tuo


segreto... il segreto della tua identità e del luogo in cui vivi perché<br />

sapevi di poterlo fare. Da questa fiducia dipendono la mia esistenza<br />

oltre che quella della mia gente. Ma sei disposto ad andare oltre? Sei<br />

disposto a darmi altra fiducia?»<br />

Capivo dall'espressione del viso che parlava seriamente, che si<br />

aspettava una risposta e mi scrutava per saggiare la sincerità delle<br />

mie parole. Gli restituii lo sguardo. Aspettava, mentre io sceglievo<br />

con quali parole rispondergli.<br />

«Sì, Derek, la mia fiducia va ben oltre. Mi sono sempre fidato di<br />

te, seppure per ragioni non logiche. L'ho fatto, ecco tutto. Per questo<br />

sono venuto a Ravenglass. Sono venuto seguendo un sogno che mi<br />

diceva che potevo fidarmi di te. Ammetto che ci sono stati momenti<br />

in cui ho dubitato di me stesso e della saggezza dei miei sentimenti,<br />

ma ho scelto di rimanere e non me ne sono pentito. In questi mesi<br />

abbiamo trovato in te un amico leale e fidato. Lucano è del mio<br />

stesso avviso. Ne abbiamo discusso poche sere fa... Che succede? Ti<br />

ho offeso?»<br />

Inspiegabilmente il viso gli si era incupito in una espressione mista<br />

di perplessità e riprovazione. Scosse la testa. «No, ma mi è difficile<br />

crederti» borbottò. «La tua lealtà va al ragazzo e io sono l'uomo che<br />

uccise suo padre. Come puoi fidarti a tal punto di me dopo quello<br />

che ti dissi il giorno stesso in cui arrivasti a Ravenglass?»<br />

«Perché dovrei diffidare di te? Ti darò la misura della mia<br />

fiducia...» Mi interruppi fissandolo con la stessa intensità con cui lui<br />

fissava me. Gli avevo taciuto una verità. Sapevo ormai che era un<br />

uomo giusto e degno e fino a quel momento ero stato riluttante a<br />

dirgli qual era stato il suo ruolo nel destino di Artù: come la sua<br />

effimera libidine aveva reso il ragazzo orfano anche di madre. Era<br />

venuto, a mio avviso, il momento di dirglielo. Forse avrebbe<br />

rinsaldato il legame che aveva con noi e con il buon esito della<br />

nostra impresa.<br />

«Non uccidesti soltanto suo padre; uccidesti anche sua madre.»<br />

Fece un balzo all'indietro quasi lo avessi schiaffeggiato; gli occhi<br />

gli luccicavano per la rabbia e l'incredulità. Levai una mano per<br />

trattenerlo dal rispondere. «È vero, Derek.» Si controllò, quindi si<br />

sedette e rimase immobile, impietrito; perfino lo sguardo era fisso.


Continuai con voce ferma. «La donna <strong>sul</strong> bordo del mare... quella<br />

con la quale ti... stavi intrattenendo quando arrivai. Ricordi?»<br />

«La donna dai capelli rossi...» Lanciò un'occhiata di sbieco, con<br />

aria colpevole, verso Lucano che, in piedi, ascoltava.<br />

«Sì, la donna dai capelli rossi...» confermai sommessamente. «Era<br />

Ygraine di Cornovaglia, moglie di Lot e amante di Uther... la madre<br />

di Artù.»<br />

Mi parve che si sgonfiasse come se dai polmoni gli fosse uscita<br />

tutta l'aria. Mi accorsi dal suo sguardo che credeva alle mie parole.<br />

Ma scosse la testa, un piccolo moto di stupore. «Non la uccisi. Era<br />

viva! La gettai di lato quando tu arrivasti, ma non era ferita.»<br />

«È vero, Derek» dissi continuando a parlare con voce pacata. «Ma<br />

poi montasti in sella per affrontarmi da uomo a uomo, e così<br />

facendo gli zoccoli del tuo cavallo la colpirono o forse la<br />

calpestarono. Quando la trovai, stava morendo, il cranio fracassato.<br />

<strong>Il</strong> piccolo Artù era in un'imbarcazione lì vicino.»<br />

Nel silenzio che seguì, Lucano, avvicinatosi a Derek, gli pose una<br />

mano <strong>sul</strong>la spalla. «Fu volontà di Dio, amico mio... che sia morta. Lo<br />

sappiamo. Nessuno ti accusa. Prendesti la donna come bottino di<br />

guerra contro la sua volontà... è consueto in simili circostanze. Non<br />

avevi intenzione di ucciderla.»"<br />

Derek scosse la testa; nei suoi occhi smarriti mi parve di cogliere<br />

una punta di rammarico, perfino di dolore. «No» mormorò con voce<br />

appena percepibile. «Era una donna matura, desiderabile e<br />

voluttuosa. La volevo, ma non pensavo di ucciderla... eppure uccisi<br />

le altre... una che mi affrontò per impedirmi di avvicinarmi a quella<br />

dai capelli rossi. Afferrò la mia daga e mi assalì. Le afferrai il polso e<br />

glielo torsi, la spinsi contro la punta della lama...»<br />

«Legittima difesa» intervenne Lucano. La sua propensione a<br />

soprassedere a un fatto del genere mi colse di sorpresa, ma subito mi<br />

accorsi che era una mossa diplomatica. «Parlavamo di Ygraine. Non<br />

intendevi ucciderla, non volevi darle la morte.» Derek scosse la testa,<br />

e Lucano continuò.<br />

«Non sapevi che era morta fino a questo momento? Non sapevi<br />

che il tuo cavallo l'aveva colpita quando in gran fretta montasti in


sella vedendo Cay che arrivava per sfidarti avendoti scambiato per<br />

Uther?» Ancora una volta la risposta tacita di Derek fu un cenno di<br />

assenso con la testa. «Bene. È chiaro che non ti si può imputare la<br />

volontà di uccidere la donna. Ma c'è dell'altro. Ascolta Cay e presta<br />

attenzione alle sue parole.»<br />

Derek si ricompose e con un profondo sospiro levò la testa<br />

guardandomi diritto negli occhi. «Dell'altro? Dimmelo subito. Che<br />

cosa ci può essere ancora?»<br />

«Non molto, ma è di vitale importanza. Soltanto noi due, io e<br />

Lucano, ne siamo al corrente. Tu sarai il terzo e l'ultimo a conoscere<br />

tutti i fatti... a sapere come il cerchio si chiude. Giuro che né Artù né<br />

alcun altro verrà a saperlo dalle nostre labbra.» Mi interruppi e<br />

guardai Lucano che all'improvviso sembrava a disagio. «Accertati,<br />

Lucano, che siamo soli.» Si mosse per controllare che non ci fosse<br />

nessuno a portata di voce. Aspettammo che tornasse e ci<br />

confermasse con un cenno della testa che non c'erano intrusi. Mi<br />

rivolsi a Derek.<br />

«Ygraine era figlia del tuo più stretto alleato, il re dell'Eire, Athol<br />

Mac Iain. Era sorella di Connor e di Donuil, sorella anche di mia<br />

moglie Deirdre. <strong>Il</strong> ragazzo, come vedi, è nipote di Athol, erede del<br />

regno degli Scoti dell'Eire. E anche erede della Cornovaglia di Lot,<br />

perché Lot lo ha riconosciuto come figlio e non ha mai saputo chi<br />

fosse il padre del ragazzo. Erediterà anche i miei domini a Camelot<br />

perché è mio pupillo: nipote e cugino. Quanti appartengono alla<br />

stirpe di Ygraine sanno che lei morì nel conflitto tra Lot e Uther, ma<br />

nessuno, neppure Donuil, sa come morì e per mano di chi. Così sia e<br />

che riposi in pace. Ygraine è morta; fu pianta. Suo figlio è al sicuro e<br />

a lui si provvede nel migliore dei modi.<br />

Ecco il fondamento della fiducia che ti porto, se ti piace fare il<br />

cinico, e della fiducia che tu devi avere in me. Sono arrivato a<br />

conoscerti meglio e ti credo quando dici che di tutto questo non<br />

sapevi niente. Se avessi voluto, avrei potuto usare i fatti di cui sono a<br />

conoscenza per rovinarti. Non lo farò mai, credimi; non ho mai<br />

pensato di farlo.» Tacqui per dargli la possibilità di recepire le mie<br />

parole. «Allora? Siamo in pace?»<br />

Ancora una volta Derek di Ravenglass si lasciò sfuggire un


profondo sospiro, quindi levatosi in piedi mi tese la mano. Mi alzai<br />

anch'io e gliela strinsi. Sentii un groppo salirmi in gola al vedere le<br />

lacrime che gli velavano lo sguardo duro. Sbatté le palpebre per<br />

ricacciarle, quindi inspirando a fondo per controllare la voce che<br />

tuttavia gli uscì di gola incerta e tremula, parlò.<br />

«Così sia» sussurrò. «Giuro su quanto mi è di più caro che, finché<br />

avrò respiro, al ragazzo non verranno mai a mancare la sicurezza, la<br />

protezione, l'affetto familiare.»<br />

Lucano, che aveva posato la sua mano <strong>sul</strong>le nostre, ruppe la<br />

stretta a simboleggiare che il patto era stato concluso e sigillato.<br />

«Così sia» disse ridendo. «Che ne dite di andare a mangiare? Sto<br />

morendo di fame.»<br />

<strong>Il</strong> terzo giorno dopo questi avvenimenti, svegliandoci all'alba ci<br />

accorgemmo che la neve si era impossessata del nostro nuovo regno<br />

e nell'oscurità della notte si era posata come un mantello di silenzio<br />

su ogni cosa. L'avevo aspettata con trepidazione, e con me gli altri.<br />

Era ancora vivo il ricordo dell'inverno precedente, malefico per tutti<br />

e tra quelle aspre colline ci eravamo preparati ad affrontare ogni<br />

difficoltà. Dalla gente di Ravenglass comprammo il grano e<br />

provvedemmo a fare ampie provviste di cibo, legna, foraggio per gli<br />

animali e a mettere ogni cosa al sicuro sotto un solido tetto.<br />

La nevicata fu un episodio passeggero, e poco dopo l'aria tornò a<br />

essere mite. Soltanto l'anno nuovo portò altra neve. Questa volta<br />

tuttavia non si sciolse e l'aria rimase fredda, ma non mortalmente<br />

gelida.<br />

Per i ragazzi quello era un mondo incantato e si lanciavano come<br />

su uno scivolo giù per la strada in pendenza lungo il fianco della<br />

collina. Dopo che Dedalo e Rufio avevano insegnato loro la tecnica,<br />

passavano giornate intere a trascinare pesanti scudi di metallo fino al<br />

passo sovrastante il forte e quindi a lasciarsi andare appollaiati su<br />

quelle precarie slitte fino a un tumulo di neve, innalzato di proposito<br />

da alcuni uomini per frenare la discesa.<br />

Turga rimase scandalizzata quando seppe quello che i due<br />

avevano insegnato ai ragazzi, e Rufio, che trascorreva molto tempo


in sua compagnia, si sentì bistrattare non poco, tanto che per<br />

qualche giorno si tenne a cauta distanza da lei.<br />

Ricordo di avere condiviso l'opinione di Turga per qualche<br />

tempo. La prima volta che vidi Artù volteggiare come una trottola, i<br />

capelli al vento, su uno scudo rotondo che roteava <strong>sul</strong>la neve,<br />

ridente nell'eccitazione della corsa, inorridito aprii la bocca in un<br />

urlo muto. Finì contro un mucchio di neve, fu catapultato dall'altra<br />

parte e mentre mi precipitavo nella sua direzione chiamando aiuto,<br />

lo vidi saltare su, gioioso, mentre incitava Gwin, Ghilly e Bedwyr,<br />

ancora in cima alla discesa, a lanciarsi.<br />

Bedwyr si buttò immediatamente, disteso a pancia in giù su uno<br />

scudo romano rettangolare; seguirono immediatamente, a<br />

rompicollo, Gwin e Ghilly. Avevano scudi rettangolari più<br />

maneggevoli e controllabili di quello rotondo di Artù. Li raggiunsi in<br />

fondo alla discesa e nascondendo l'ansia li salutai affettuosamente.<br />

Avevano il viso arrossato e gli occhi luccicanti di entusiasmo. Non<br />

appena chiesi loro dove avessero trovato quelle "slitte", vidi che i tre<br />

più giovani si incupivano, ma Artù fu rapido a rispondere.<br />

«Gli scudi non sono di nessuno. Ce li hanno dati Ded e Rufio, e ci<br />

hanno mostrato come usarli.»<br />

<strong>Il</strong> ragazzo mi aveva battuto, lo sapevo. Se avessi impedito loro di<br />

giocarci, sarebbe stato come rivolgere un rimprovero ufficiale a<br />

Dedalo e Rufio: Artù lo aveva capito. Indicai lo scudo rotondo.<br />

«Quello non è romano. Da dove viene?»<br />

«Era di uno dei Figli di Condran» spiegò Gwin. «Adesso è il mio<br />

turno di usarlo.»<br />

«Vuoi dire che lo preferisci all'altro?»<br />

Artù sorrise. «Tutti lo preferiamo. È più divertente, più eccitante.<br />

Vuoi provare, Cay? Ded è bravissimo.»<br />

«No, credo di non averne voglia. Dubito che il mio stomaco<br />

reggerebbe a una prova simile. Mi sembra un gioco pericoloso.» Non<br />

riuscii a trattenere un'ultima raccomandazione. «State attenti, ragazzi.<br />

Se sbattete contro una pietra, rischiate di farvi male.»<br />

«Puoi sempre saltare giù dallo scudo.» Era Bedwyr a parlare. «E<br />

poi non ci sono pietre grosse <strong>sul</strong>la strada. Le hanno tolte tutte.»


Mi arresi e li lasciai al gioco.<br />

Meno di un mese dopo cominciò il disgelo e per quell'anno la<br />

primavera giunse in anticipo.<br />

Sebbene fosse stato breve e mite, l'inverno, fin dalla prima<br />

nevicata, ci aveva impedito ogni contatto con Derek e la sua gente,<br />

sicché quando prese a spuntare la nuova erbetta, eravamo stufi di<br />

vedere sempre le stesse facce. L'annuncio da me dato che diciotto di<br />

noi sarebbero andati a Ravenglass fu quindi accolto tra l'entusiasmo<br />

generale.<br />

Alla vigilia della partenza, nel breve crepuscolo prima che calasse<br />

il sole, convocai, in attesa della cena, il gruppo e rammentai loro la<br />

necessità di continuare nella finzione una volta che fossimo arrivati a<br />

Ravenglass il giorno successivo: io avrei continuato a essere Cay per<br />

tutti; a Hector andava tributata la deferenza che era stata<br />

tradizionalmente riservata a me come Caio Merlino. Era mia<br />

speranza che quell'avvertimento fosse diventato nel frattempo<br />

superfluo, ma conveniva ribadirlo perché la nostra attuale sicurezza<br />

dipendeva in buona parte dal fatto che fossero tutti convinti che<br />

Merlino di Camelot era salpato un anno prima con Connor Mac<br />

Athol e il piccolo Pendragon.<br />

Una volta scioltasi la riunione fra un coro di augurali buona notte<br />

e di previsioni eccitate <strong>sul</strong> viaggio del giorno seguente, mi accinsi a<br />

ritornare da solo verso il mio alloggio. Avevo fatto dieci passi<br />

quando mi si affiancarono Donuil e Shelagh che, presomi<br />

sottobraccio, mi accompagnarono fino alla porta. Entrato che fui, mi<br />

affaccendai intorno al fuoco attizzando i carboni prossimi a spegnersi<br />

e accendendo una fiammella per portare la luce alle lampade.<br />

Sebbene fuori fosse ancora il crepuscolo, le ombre si erano allungate<br />

ed era quasi buio all'interno. Mentre ero chino <strong>sul</strong>la lampada per<br />

accendere lo stoppino con la fiammella, mi accorsi che Shelagh si era<br />

fermata non appena varcata la soglia e si guardava intorno con<br />

esagerata curiosità.<br />

Quell'alloggio era più che sufficiente per me. Vi aveva abitato in<br />

origine il centurione che controllava le caserme, ma era stato<br />

ampliato all'epoca della ristrutturazione dell'edificio che ora, invece


di ottanta o cento legionari, accoglieva meno di dieci persone,<br />

alcune delle quali erano marito e moglie. Lo spazio abitabile<br />

sembrava più angusto di com'era in realtà perché vi erano accatastati<br />

i cassoni che mi ero portato da Camelot. Molti erano stati depositati<br />

negli horrea, gli edifici destinati a granaio e magazzino, che un solido<br />

tetto proteggeva dal freddo e dalla pioggia. Mi ero portato<br />

nell'alloggio soltanto le cose più care, e tra queste naturalmente il<br />

fodero che conteneva Excalibur e le armi che venivano dall'armeria<br />

di Publio Varro. Non sopportavo il pensiero di staccarmene. Non<br />

avrei potuto dormire se non avessi saputo che i libri di Camelot<br />

erano al sicuro a portata di mano. Avevo anche due pesanti bauli<br />

rinforzati con borchie di ferro che una volta erano appartenuti a<br />

Gaspare e Memmone, gli stregoni egizi di Lot, di tragica memoria.<br />

Me li portavo dietro non tanto per amore del loro contenuto ma<br />

perché era troppo pericoloso lasciarli in giro, accessibili a persone<br />

che avrebbero potuto essere tentate di leggerli, se non altro per<br />

curiosità.<br />

Shelagh era ancora incerta vicino alla porta. «Non vuoi entrare?»<br />

le chiesi. «Hai paura della mia casa?»<br />

«No, non paura, ma sgomento. Cay, si sente visibilmente la<br />

mancanza del tuo domestico.»<br />

Donuil, che era stato mio domestico e aiutante finché, all'arrivo<br />

nel nuovo insediamento, avevo rifiutato i suoi servigi, arrossì e si<br />

levò dalla sedia <strong>sul</strong>la quale si era lasciato andare non appena<br />

entrato. Con un cenno della mano lo invitai a rimettersi seduto,<br />

tenendo gli occhi su sua moglie e sorridendo perché sapevo che<br />

aveva qualcosa da ridire.<br />

«Mancanza del mio domestico? Aiutante, vorrai dire. Non ho<br />

bisogno di un domestico; sono in grado di provvedere a quanto mi<br />

serve.»<br />

Mi gettò un'occhiata di scherno che mostrava il suo fiero<br />

temperamento. «Non lo metto in dubbio, Caio Merlino. Mi<br />

preoccupano la tua concentrazione e il tuo concetto di priorità.»<br />

Aggrottando la fronte, le sorrisi per prendere in giro la sua grinta.<br />

«Che vuoi dire, donna? Devo ricordarti che soltanto con tuo marito<br />

puoi usare la lingua tagliente, non con me? Che cosa non va nel mio


modo di intendere le priorità?»<br />

Lanciò qualche rapida occhiata intorno, brevi sguardi che<br />

indicavano profonda disapprovazione. «Quello che non va con le<br />

priorità di tutti gli uomini: sono priorità maschili.»<br />

Levai le mani e presi ad applaudire lentamente, sapendo che<br />

l'avrei esasperata fino a farla scoppiare in una risata. Mi fissò a lungo<br />

stringendo gli occhi, ma poi avanzò nella stanza e si fermò per far<br />

scorrere un dito <strong>sul</strong> ripiano del tavolo. Comparve <strong>sul</strong>la superficie una<br />

riga lunga e lucente dove era stata levata la polvere.<br />

«Ecco! Hai mai visto una cosa simile nell'alloggio del comandante<br />

Caio Britannico?»<br />

«No, Shelagh. Ma qui non ci sono comandanti militari; questo è<br />

l'alloggio di mastro Cay, un contadino privo di terre, che al<br />

momento dimora in un antico forte romano abbandonato. Chi è il<br />

comandante Caio Britannico?»<br />

«Uno che conoscevo.» Passò ancora una volta il dito <strong>sul</strong>lo strato<br />

di polvere che copriva la superficie liscia e lucida del tavolo. «<strong>Il</strong><br />

contadino Cay non ha terre ma ha mobili bellissimi, lo ammetto.» Si<br />

guardò intorno con un sospiro. «Ti serve aiuto, Cay, nella vita di<br />

ogni giorno, come serve a quasi tutti noi di questa operosa comunità<br />

che abbiamo costruito e che ha bisogno di mille e mille cose. Non sei<br />

il solo. Ma siccome rifiuti l'aiuto mio, di Donuil e di ogni altro, ho un<br />

suggerimento da darti.»<br />

Appoggiai la lampada <strong>sul</strong> tavolo con cura esagerata e le rivolsi un<br />

inchino, indicandole con la mano una sedia vuota. «Siediti, Shelagh.<br />

Vedrai che potremo parlare da seduti con la stessa chiarezza che se<br />

restiamo in piedi, e ti accorgerai che ascolto con maggiore<br />

attenzione un interlocutore seduto.»<br />

Lanciandomi un'occhiata in tralice, prese posto vicino a suo<br />

marito che le sorrideva in silenzio. Quando si fu accomodata, mi<br />

appoggiai allo schienale della mia sedia sorridendo.<br />

«Dicevi che, come a molti altri, anche a me serve aiuto e che puoi<br />

darmi un consiglio. Quale?»<br />

«D'accordo. La nostra comunità ha bisogno di sangue nuovo e<br />

nuovi stimoli. Siamo diciotto in questo forte appollaiato su un picco:


quattro ragazzi, tre coppie sposate, una donna nubile e sette uomini<br />

celibi: tu, Lucano, Hector, Dedalo, Jonathan, Rufio, Mark. Dieci<br />

uomini contro quattro donne: sono proporzioni malsane. Lasciamo<br />

fuori Rufio che si può considerare sposato con Turga perché è<br />

sempre con lei; rimangono comunque sei uomini dei quali ci si deve<br />

prendere cura.»<br />

«Che cosa proponi, Shelagh?» la incoraggiai sorridendo. «Che ci<br />

mettiamo a cercare disperatamente moglie?»<br />

«Non sarebbe una cattiva idea, se fosse praticabile. No, non è<br />

quello che propongo. La mia idea è che domani, quando saremo a<br />

Ravenglass, dovremo cercare di aumentare il nostro numero con un<br />

saggio reclutamento...» Levò la mano per impedirmi di interloquire.<br />

«Lo so che per comune decisione abbiamo stabilito di essere<br />

sufficienti a noi stessi e che dobbiamo prudentemente evitare di farci<br />

notare. Ma, pensaci, Cay: esiste modo migliore di nascondersi nel<br />

mucchio che mimetizzarsi con il mucchio?»<br />

Rimasi a fissarla, ascoltandola ma senza capirla. Le lanciai<br />

un'occhiata dubbiosa per manifestarle il mio disorientamento.<br />

«Che cosa?»<br />

«Pensaci, Cay! Conduciamo una vita parallela alla loro, separati<br />

da loro, non in mezzo a loro. Ecco quello che intendo dire:<br />

portiamo qualcuno di quella gente quassù a vivere e lavorare con<br />

noi. Derek si lamenta che la sua città è sovraffollata e noi ci siamo<br />

accorti, nel corso di un inverno mite, di essere pochi e che ci<br />

piacerebbe che altri fossero con noi nelle corte giornate e nelle<br />

lunghe nottate. C'è la possibilità di aiutarci a vicenda con vantaggio<br />

di tutti. Perché non chiediamo a Derek di mandare un po' della sua<br />

gente a vivere con noi, riservandoci il diritto di scegliere chi<br />

accogliere?»<br />

«Messa così, sembra ragionevole.» Capivo che diceva cose sensate<br />

e mi volsi a Donuil. «Che ne pensi?»<br />

Stiracchiandosi, Donuil sorrise e aprì la bocca in un enorme<br />

sbadiglio. «Penso che è ora di cena e che ho fame. Penso anche che<br />

mia moglie sia una donna assai in gamba e che la sua proposta sia<br />

saggia. Io non ci sarei mai riuscito a tirarla fuori.»


Tornai a guardare Shelagh che mi fissava e annuii. «Sono<br />

d'accordo con Donuil. Ne parlerò a Derek non appena arriveremo a<br />

Ravenglass. Quanti della sua gente potremmo accogliere, secondo<br />

te?»<br />

«Ci servono artigiani e donne pratiche. Le coppie, se entrambi i<br />

coniugi sanno lavorare, potrebbero essere considerati come un'unità.<br />

Ci servono falegnami, boscaioli e conciatori; sarebbe utile anche un<br />

bottaio. Noi siamo diciotto ma in realtà quattordici perché quattro<br />

sono ragazzi. Potremmo facilmente essere in cinquanta. Non ci<br />

mancano né lo spazio né gli alloggi; c'è abbondanza di acqua e<br />

cacciagione.»<br />

«Credi che ci sarà riconosciuto il diritto di scegliere solo quelli che<br />

ci servono secondo i nostri criteri?»<br />

«Sì, il nostro insediamento piacerà a chi vive in una città<br />

affollata... soprattutto in primavera, in estate e autunno. Non credo<br />

che mancheranno i volontari e i giovani robusti.»<br />

«Ci saranno anche le giovani robuste?»<br />

Mi guardò con occhi sgranati e un'espressione di innocenza.<br />

«Naturalmente ci saranno anche le giovani robuste. Ce n'è di lavoro<br />

quassù per chi ha braccia forti! I nostri giovanotti, Jonathan e Mark,<br />

hanno bisogno di avere qualche rivale.»<br />

«Rivali, sì.» Sospirai consapevole di essere stato scartato dal<br />

numero. «D'accordo, Shelagh. Così sia. Ne parlerò con Hector<br />

stasera. Ha diritto di conoscere questo piano prima di ogni altro.<br />

Andiamo a cenare; lo incontrerò lì.»<br />

C'era aria di festa nel nostro gruppo mentre, il giorno dopo, si<br />

avviava verso Ravenglass. Alcuni di noi - io stesso, Dedalo, Donuil,<br />

Shelagh e Rufio - procedevamo singolarmente <strong>sul</strong>le nostre<br />

cavalcature; i ragazzi montavano i loro pony pezzati, gli altri nove<br />

occupavano i quattro carri tirati da cavalli, carri che, quasi vuoti<br />

nell'andata, ci auguravamo sarebbero stati carichi nel ritorno. Era<br />

una tiepida giornata di sole primaverile sicché la nostra esaltazione si<br />

accentuò mentre scendevamo lungo il pendio della collina fino alla<br />

valle dell'Esk tra i canti degli uccelli che sembravano distendersi sopra


la valle come una seta lieve e frusciante.<br />

Procedevo a capo della colonna e a un certo punto mi misi di<br />

lato per veder sfilare il gruppo, scuotendo la testa in cenno di<br />

diniego ogni volta che qualcuno mostrava di volersi fermare per<br />

parlarmi e facendo segno con la mano di proseguire perché<br />

desideravo restare da solo per qualche tempo. I ragazzi sui loro<br />

pony andavano avanti e indietro; a volte sopravanzavano di un bel<br />

pezzo il gruppo dei cavalieri adulti più lenti e tranquilli, poi<br />

ritornavano indietro per vedere a che punto eravamo, sapendo che<br />

non dovevano staccarsi troppo.<br />

Come uscimmo dalla foresta e raggiungemmo la distesa dei campi<br />

coltivati, sopra di noi il cielo si dilatò, gli alberi rimasero alle nostre<br />

spalle e lo spettro dei colori passò dal verde scuro e dai pacati bruni<br />

delle querce coperte di muschio al verde brillante delle piante che<br />

rinascevano nella primavera e si stagliavano contro il terreno nero.<br />

Mano a mano che ci avvicinavamo alla città incontravamo uomini<br />

intenti a lavorare nei campi lungo i margini della strada, da soli o in<br />

coppia. Molti ci salutavano con la mano; di tanto in tanto qualcuno<br />

si avvicinava per rivolgerci la parola, desiderosi di rivedere il viso di<br />

persone che da tempo non incontravano e curiosi di sapere come<br />

fosse stato l'inverno in quella nostra regione sperduta.<br />

Con quella specie di magica premonizione che sembra sempre<br />

accompagnare l'arrivo di gente come noi, Derek ci venne incontro<br />

prima ancora che arrivassimo in città. Di umore allegro quel giorno,<br />

esuberante e chiassoso, ci accolse rumorosamente e mandò avanti<br />

alcuni dei suoi ad avvertire che si predisponessero gli alloggi del<br />

forte per ospitarci. Donuil e Shelagh, Hector e io avremmo<br />

soggiornato nella sua casa. Artù, gli altri tre ragazzi e Turga, che si<br />

era autoproclamata sorvegliante, avrebbero alloggiato presso una<br />

famiglia che aveva dieci figli: tra quella massa di ragazzini si<br />

sarebbero appena notate le facce nuove. Dedalo, Rufio e gli altri si<br />

sarebbero arrangiati da soli.<br />

Prima che il gruppo si dividesse, Derek volle mostrarci dove<br />

sarebbero stati sistemati i cavalli e i carri alla cura dei quali era stato<br />

nominato il taciturno Ulf.<br />

La reazione di Ulf al vedere le nostre bestie non fu meno


clamorosa della volta precedente. Le sue erano molto più piccole, e<br />

per prudenza portò i nostri cavalli in un recinto fuori vista.<br />

Sul tardi quella sera, stanco e piacevolmente rilassato dopo un'ora<br />

lieta trascorsa a sentire le canzoni di un druido di passaggio, un<br />

artista di eccezionale bravura, scorsi superando una porta aperta<br />

Shelagh, Donuil e Derek seduti intorno a un fiammeggiante braciere.<br />

Mi fermai <strong>sul</strong>la soglia per augurare loro la buona notte, intuendo<br />

immediatamente dall'espressione dei loro visi che stavano parlando<br />

di me. Non dissi niente e mi allontanai immediatamente, portando<br />

con me l'immagine dello sguardo pensoso di Shelagh e del suo seno<br />

fasciato nella veste. Dormii pesantemente quella notte, senza<br />

sognare.


VIII.<br />

Le galee di Connor, entrate in porto all'alba, erano già<br />

saldamente ormeggiate al molo quando, ancora assonnato, vi arrivai<br />

uscendo dalla porta occidentale. Alla fine della stagione invernale,<br />

periodo in cui navigare era più agevole, aveva deciso di gettare di<br />

nuovo l'ancora a Ravenglass. La sua presenza, che non ci colse del<br />

tutto di sorpresa, fu un motivo in più per festeggiare.<br />

«Testa Gialla!»<br />

Levai lo sguardo dove lui, sospeso in aria, si apprestava a sbarcare<br />

al suo solito modo inusitato, il piede ancorato in un laccio della<br />

fune, la gamba di legno puntata nella mia direzione, una mano<br />

stretta intorno alla corda, mentre gli uomini dell'equipaggio<br />

cautamente lo calavano a terra.<br />

«Testa Gialla! Hai la barba come i celti. Cosa ti sei fatto ai capelli?<br />

Dovrò chiamarti Testa Bruna. Sei stato malato?» Rideva e sapevo che<br />

non era sorpreso di vedere in me tutti quei cambiamenti. Prima che<br />

potessi rispondergli, si voltò facendo perno <strong>sul</strong>la gamba di legno e,<br />

appoggiando un braccio <strong>sul</strong>la mia spalla per girare anche me, indicò<br />

il ponte di poppa. «Guarda lassù! Ti ho portato ospiti.»<br />

Rimasi attonito al vedere Ambrogio e Ludmilla che agitavano la<br />

mano per salutarmi, i visi sorridenti. Sentii la gioia invadere il mio<br />

cuore mentre rivolgevo loro un silenzioso benvenuto. Si<br />

allontanarono dal ponte e sapendo che sarebbero apparsi <strong>sul</strong>la<br />

passerella, mi volsi a Connor.<br />

«Cosa ci fa qui Ambrogio? Come è riuscito a fuggire da Camelot?»<br />

Connor rise e portando il dito alle labbra con un'elaborata<br />

pantomima mi invitò alla prudenza. «Ssst! Di quale Ambrogio stai<br />

parlando, Testa Bruna? L'uomo che hai salutato è Merlino<br />

Britannico, comandante delle forze armate di Camelot. Non sai<br />

niente? È venuto fino qui per rendere visita al re Derek di<br />

Ravenglass. Sono alleati di vecchia data.»<br />

Che potevo fare se non scuotere la testa e accettare le


improvvisazioni fantasiose di Connor? «Sì, lo so. Lo stesso Derek mi<br />

ha parlato dell'amicizia che li lega. Non vedo l'ora di accogliere<br />

Merlino Britannico. Possibile che intraprenda un viaggio così lungo<br />

solo per salutare un vecchio amico?»<br />

«Perché no?» Connor continuava a sorridere, ma i suoi occhi si<br />

muovevano senza posa per controllare le operazioni di scarico dalle<br />

galee. «Quando ricevette e lesse la tua ultima lettera, quella in cui gli<br />

parlavi della tua intenzione di sparire dalla vista, Ambrogio diede<br />

un'incondizionata approvazione. Eccitato com'era al pensiero di<br />

quello che avresti fatto, si accinse a leggermela: un'impresa da non<br />

prendere alla leggera, come avrebbe detto mio padre. Tuo fratello<br />

non conosce bene la lingua dell'Eire. Ci divertimmo molto, io e lui, a<br />

tradurre dal latino, ostico ai miei orecchi, in gaelico irlandese, ostico<br />

ai suoi. Grazie a Dio, sappiamo entrambi la lingua che si parla lungo<br />

la costa. Discutemmo l'intera faccenda, esaminando anche i dettagli,<br />

concordi nel ritenere che le tue misure di precauzione contribuivano<br />

a mettere al sicuro il ragazzo.<br />

Poco dopo, partii da Camelot per trascorrere l'inverno sotto il<br />

tetto di mio padre nell'Eire. Durante il viaggio mi venne in mente<br />

che se la tua manovra diversiva fosse riuscita, cioè sparire senza<br />

andartene lontano, Ambrogio avrebbe dato maggiore credibilità al<br />

tuo progetto facendosi vedere qui nei tuoi panni. Nessuno lo<br />

conosce in questa regione, nessuno sa della sua esistenza, ma tutti ti<br />

hanno visto prima che "tu salpassi" con il ragazzo a bordo della mia<br />

galea. Ora ti vedranno in Ambrogio. Siete identici. Vedranno<br />

arrivare Merlino Britannico e lo vedranno ripartire tra dieci giorni<br />

<strong>sul</strong>la mia nave. Nessuno avrà dubbi, ma, cosa ancora più<br />

importante, nessuno qui penserà che sei tu Merlino Britannico... a<br />

meno che tu non decida di svelare in futuro la tua vera identità. Ecco<br />

che arrivano!»<br />

Raggiunsi i piedi della passerella prima che Ambrogio e Ludmilla<br />

l'avessero percorsa tutta; li abbracciai sopraffatto da un'emozione<br />

che mi impediva di parlare. Ludmilla era bella come sempre, un po'<br />

più paffuta e matronale di quanto la ricordassi; mi chiese subito<br />

notizie di Shelagh, di Lucano, di Turga, dei quattro ragazzi. Le risposi<br />

come meglio potei, ma in quel momento, avendo già constatato che<br />

era soddisfatta e felice, mi stava a cuore osservare mio fratello.


Aveva un aspetto magnifico: un comandante, un vero capo sotto<br />

ogni punto di vista. Chissà cosa pensava di me mi chiesi, vedendo<br />

che mi fissava con la stessa intensità con cui io fissavo lui. La folla si<br />

affaccendava in ogni direzione mentre noi, dimentichi di tutti,<br />

assaporavamo quello squisito momento di vicinanza in un silenzio<br />

affettuoso, intimo, familiare.<br />

Sorridendo, ma con atteggiamento critico, Ambrogio alla fine<br />

commentò il mio aspetto.<br />

«I capelli scuri... meglio non parlarne, fratello. Ti preferivo<br />

quando mi assomigliavi di più.»<br />

Gli sorrisi e strinsi sua moglie afferrandola per la vita morbida.<br />

«Questo lo dici tu, Testa Gialla, in nome del tuo narcisismo. Chiedi a<br />

una donna che a quest'ora ne avrà abbastanza di chiome bionde<br />

quello che pensa degli uomini belli e bruni. Scommetto che riceverai<br />

una risposta ben diversa. Non ho ragione, Ludmilla?»<br />

Scostandosi leggermente dal mio fianco, mi sorrise e mi scrutò.<br />

«Parlandoti con la saggezza e la tenerezza di una cognata, dovrei<br />

dire che se tu, quando eri più giovane, avessi l'aspetto che hai oggi,<br />

forse ti avrei preso in maggior considerazione... Ma chissà? Come<br />

cognato, confesso che non hai pari e che sopravanzi tutti in ogni<br />

qualità.»<br />

Ammiccai verso di lei che mi guardava a occhi sgranati, con aria<br />

solenne, e componendo l'espressione del viso all'imperscrutabilità mi<br />

volsi a mio fratello. «Ho sentito bene? Tua moglie ha detto che sono<br />

unico?»<br />

«Forse sì, fratello, visto che sei il suo unico cognato. Non lo so.<br />

Ma di rado so quello che le passa per la mente. Essere sposato con<br />

una dea non è facile per un semplice mortale, che spesso si trova a<br />

dover affrontare un compito al di sopra delle proprie forze. Per<br />

esempio, capire l'eccezionale eccezionalità della consorte... cose del<br />

genere...»<br />

«Sì.» Tesi il braccio per bloccare il pugno di Ludmilla prima che<br />

potesse farsi male appioppandolo <strong>sul</strong>la corazza. «Meglio allontanarci<br />

da qui e raggiungere gli altri. Shelagh sarà felice di vedervi. Non<br />

sapevamo che sareste arrivati...» Mi interruppi e li scrutai prima


l'uno, poi l'altra. «Perché siete venuti? Va tutto bene a Camelot?»<br />

Ambrogio mi bloccò subito. «Credi che saremmo qui se qualcosa<br />

non andasse per il suo verso? Siamo venuti perché potevamo farlo,<br />

soltanto per questa ragione. Va tutto bene in patria, anzi più che<br />

bene. Abbiamo avuto una stagione ricca e copiosa, cui è seguito un<br />

inverno mite e breve; da quando ci siamo sposati è la prima volta<br />

che io e mia moglie ci allontaniamo da Camelot. Connor, diretto a<br />

Ravenglass, aveva spazio <strong>sul</strong>le sue galee e io avevo messaggi per te e<br />

Lucano. Così siamo partiti. Rimarremo finché Connor non tornerà a<br />

prenderci, cioè, secondo le sue stime, tra due settimane. Sopporterai<br />

fino ad allora la nostra compagnia?»<br />

«Con gioia e anche per molto più a lungo.» Mi girai verso<br />

Connor. «Soltanto due settimane? Non è molto per fare una doppia<br />

traversata.»<br />

«Perché no?» disse stringendosi nelle spalle e aggrottando la<br />

fronte. «Bastano e avanzano... tanto più che le navi saranno vuote<br />

<strong>sul</strong>la via del ritorno.»<br />

«Vuote? Dall'Eire?»<br />

«Eire? Non siamo diretti nell'Eire. Te l'ho detto: lì abbiamo<br />

passato l'inverno, poi abbiamo raggiunto i nostri possedimenti vicino<br />

a Camelot. Ora con dodici galee cariche del bestiame di Liam il<br />

gobbo, mi recherò ad Alba nelle isole nord-occidentali.» Vedendo la<br />

mia espressione, scoppiò a ridere e agitò la mano in direzione del<br />

mare. «Sono laggiù al sicuro, nascoste dietro l'isola. Che senso aveva<br />

portarle qui? Avrebbero creato solo confusione. A Derek sarebbe<br />

venuto un colpo apoplettico quando le avesse viste sbucare da<br />

dietro la punta dell'isola. Avrebbe pensato che era tornata la flotta<br />

dei Figli di Condran. Sulle navi ho lasciato Logan e Feargus, che<br />

fanno da pastori delle greggi e da custodi delle navi. Voglio parlare<br />

con Derek, questione di un'oretta, e poi via di nuovo prima che<br />

cambi la marea. Quello che devo scaricare qui, sarà <strong>sul</strong> molo entro<br />

mezz'ora.»<br />

Lanciò un'occhiata alla galea, quindi, controllando che il lavoro<br />

procedesse bene, raggiunse Ambrogio per salutarlo.<br />

«Addio, Ambrogio, e possano gli dèi esserti benevoli mentre sarai


inchiodato qui con questi selvaggi fino al mio ritorno.» Prendendo la<br />

mano di Ludmilla si inchinò. «Gentile signora, spero che vorrete<br />

portare i miei saluti a mia cognata Shelagh. A presto.»<br />

Voltatosi verso di me, mi appioppò una possente manata <strong>sul</strong><br />

braccio, quindi mi strinse in un abbraccio prima di scostarsi e<br />

osservarmi sorridendo.<br />

«Prenditi cura di queste brave persone, Cay dalle chiome brune, e<br />

bada che non succeda loro niente di male, altrimenti richiamerai<br />

<strong>sul</strong>la tua testa incolore l'ira di Camelot.»<br />

Così dicendo se ne andò e noi restammo <strong>sul</strong> molo ad ascoltare il<br />

tonfo cadenzato della sua gamba di legno che si perdeva in<br />

lontananza.<br />

Sapendo che gli uomini di Connor avrebbero avuto cura di<br />

recapitare i bagagli, feci strada ai miei ospiti fino agli alloggi situati<br />

nel forte. Appena giunti uno strillo di gioia di Shelagh mi disse che ci<br />

aveva avvistati. Da quel momento tutto degenerò nel caos che<br />

continuò ininterrotto fino alla partenza di Connor e proseguì a cena.<br />

Dovetti rassegnarmi ad aspettare che l'eccitazione dell'incontro si<br />

spegnesse per poter avere qualche informazione su quanto accadeva<br />

a sud. E anche allora dovetti scavare a fondo per riuscire mettere<br />

assieme le notizie strappandole a mio fratello convinto, e a ragione,<br />

che non c'era niente di importante.<br />

Prima che avessimo avuto il tempo di discutere con calma e in<br />

privato degli avvenimenti di Camelot, si era fatto tardi e molti si<br />

erano ritirati per la notte. Non era ancora ora di cena che già Lucano<br />

era scomparso stringendo gli ambiti rotoli che Ambrogio gli aveva<br />

portato, e tra questi il prezioso testo che forse avrebbe gettato un<br />

po' di luce <strong>sul</strong>la mia malattia. Mi sforzavo di non pensarci. Dopo<br />

cena Shelagh e le altre donne avevano seguito Jessica, la prima tra le<br />

mogli di Derek, e non erano ancora tornate. Noi uomini, una<br />

ventina, eravamo soli in una stanza dell'alloggio privato di Derek,<br />

ben fornita di lampade e candele e ben riscaldata dai fuochi che<br />

ardevano nei bracieri aperti.<br />

Era piena notte ormai, avevamo esaurito le chiacchiere fatue;<br />

quasi tutti erano andati a coricarsi; alcuni ce l'avevano fatta a<br />

rincasare con i propri piedi, altri avevano dovuto ricorrere all'aiuto


degli amici. Io e Ambrogio eravamo gli unici svegli, distesi sui letti<br />

romani davanti al fuoco che ancora ardeva. Parlavamo in latino, la<br />

lingua che entrambi padroneggiavamo meglio. In precedenza<br />

avevamo usato la lingua che si parlava <strong>sul</strong>la costa, che a mio avviso<br />

era il volgare britannico, una mescolanza di dialetti celtici e<br />

intonazioni tribali, di tanto in tanto indecifrabili. Le varianti locali, in<br />

particolare, avevano lasciato mio fratello a bocca aperta. La gente di<br />

Derek aveva un suo modo di masticare i suoni vocalici che a me<br />

sembrava assai insolito.<br />

Sapevo che il piccolo Artù, sperando di passare inosservato, era<br />

scivolato nella stanza per mettersi dietro a me, contro la parete in<br />

fondo. Quella notte sarebbe rimasto nella mia camera, un privilegio<br />

che gli avevo concesso per la sera dell'arrivo degli zii. Sapevo che si<br />

era coricato almeno quattro ore prima; l'eccitazione gli aveva<br />

evidentemente impedito di sprofondare nel sonno. Come un'ombra<br />

aveva seguito lo zio Ambrogio fin dal momento in cui, quella<br />

mattina, gli si erano illuminati gli occhi alla vista inattesa del suo<br />

eroe. Ricordando come da ragazzo mi avevano entusiasmato i<br />

racconti di chi tornava da una spedizione, decisi di non mandarlo via<br />

ma di avvicinarlo a noi indicandogli una sedia accanto al fuoco.<br />

Mentre passando il ragazzo sfiorava Ambrogio con un timido<br />

sorriso, questi gli prese una mano, lo trasse a sé e lo trattenne<br />

mentre con l'altra mano fingeva di colpirlo nelle costole; con<br />

riluttanza lo lasciò poi andare verso la sedia che gli avevo indicato.<br />

Una volta che il ragazzo si fu seduto, Ambrogio prese a rispondere<br />

alle mie domande su Camelot.<br />

La vita nella Colonia procedeva uguale e tranquilla, ci raccontò,<br />

giorno dopo giorno mentre cresceva la prosperità e si consolidava la<br />

pace. A coronamento di un anno che in ogni senso era stato<br />

fruttuoso, allietato anche dalla nascita di numerosi bambini, il<br />

raccolto era stato ottimo, più copioso del precedente, il quale a sua<br />

volta aveva superato la quantità della stagione ancora precedente,<br />

sicché i granai della Colonia, compresi i sei nuovi costruiti per<br />

immagazzinarvi le eccedenze, erano pieni zeppi. Dal tempo della<br />

nostra partenza non si erano avute scorrerie neppure nelle zone<br />

limitrofe. Fui lieto di sentire quelle notizie perché voleva dire che la<br />

pace ormai regnava da sei anni. È tentazione naturale in tali


circostanze sperare che duri per sempre, ma è folle presunzione. Era<br />

un miracolo, lo sapevo, avere evitato scontri per un periodo così<br />

lungo. Era vero che la presenza di una forza armata, e la conoscenza<br />

che di questa avevano i nemici, ci metteva in vantaggio, perché<br />

soltanto un esercito ben provvisto poteva scoraggiare, al pensiero<br />

dei costi proibitivi, chi avesse voluto mettere il naso negli affari della<br />

Colonia. Ma serpeggiavano forze sempre più minacciose perché<br />

uomini forti, ambiziosi signori della guerra abituati alla vittoria,<br />

aspiravano al potere e raccoglievano intorno a sé combattenti leali.<br />

Quanto alle tensioni che trovavano origine nelle terre a sud di<br />

Camelot, disse Ambrogio, prevalevano in ogni iniziativa gli indugi e<br />

la ponderatezza. Non era accaduto niente di significativo nel sudovest,<br />

mi raccontò con evidente soddisfazione, e la Cornovaglia,<br />

all'apparenza in pace, se ne stava tranquilla, malgrado fosse noto che<br />

Peter Ironhair si trovava lì. <strong>Il</strong> silenzio su quel fronte, spiegò, era il<br />

regalo più grande che si potesse sperare e auspicare. In Cambria<br />

sembrava che tutto procedesse bene. Dergyll ap Gryffyd, diventato<br />

re e ora accettato e solidamente insediato <strong>sul</strong> trono, si adoperava<br />

per riportare l'ordine e incrementare la prosperità del suo popolo. Si<br />

costruivano di nuovo i lunghi archi di Pendragon, in numero ancora<br />

maggiore di prima, e le terre a nord e a ovest di Camelot erano<br />

piene di giovani che si esercitavano a diventare arcieri.<br />

Non avendo avuto notizie dalla terra di Vortigern nel lontano<br />

nord-ovest, non credeva che qualcosa fosse cambiato lì. Sebbene si<br />

acuissero le tensioni con le genti che da altre regioni Vortigern aveva<br />

portato nel regno perché lo aiutassero a proteggere il suo popolo, lo<br />

scettro doveva essere ancora in sua mano - così riteneva Ambrogio -<br />

altrimenti gli sarebbe giunta qualche notizia in contrario. <strong>Il</strong> che<br />

significava anche che Hengist il Danese era abbastanza forte da<br />

tenere a bada il suo riottoso figlio Horsa.<br />

Artù ascoltava in silenzio le cose che si dicevano, prestando la<br />

massima attenzione come dimostrava il suo sguardo fisso e<br />

concentrato. Mi accorsi che al nome di Vortigern levava di scatto la<br />

testa, e dalla luce nei suoi occhi mi resi conto che desiderava parlare,<br />

sebbene sapessi che non si sarebbe mai sognato di interromperci.<br />

«Che cosa c'è, Artù? Si direbbe che hai voglia di dire qualcosa?»


Irrigidendosi e arrossendo per l'imbarazzo di essere stato notato, il<br />

ragazzo scosse la testa. Si dimenava per il disagio e si capiva che<br />

avrebbe voluto che il pavimento si spalancasse e lo inghiottisse.<br />

Osservandolo, intuii immediatamente la ragione di tanta<br />

inquietudine, e mi ritrovai a mordermi le labbra distrattamente,<br />

sentendomi in colpa per avergli insegnato fin troppo bene la lezione<br />

nell'inverno passato.<br />

Fin da quando, parecchi mesi prima, lui e i suoi amici avevano<br />

fatto irruzione rumorosamente e inaspettatamente mentre stavo<br />

discutendo con Derek e i suoi consiglieri i patti e le condizioni<br />

dell'uso da parte nostra delle terre di Mediobogdum, di proprietà di<br />

Derek, mi ero dato la briga di insegnare al ragazzo la necessità di<br />

comportarsi dignitosamente con gli adulti. Mi ero infuriato in un<br />

primo momento, e Artù aveva capito di essersi comportato in modo<br />

sconveniente quel giorno e intuito di avermi seccato e disturbato con<br />

la sua irresponsabilità e sconsideratezza.<br />

Vedendolo come reagiva alla mia domanda casuale, mi resi conto<br />

che il suo comportamento di allora, che mi aveva davvero<br />

infastidito, era stato una ragazzata. Avevo dimostrato un'eccessiva<br />

severità, e adesso si agitava, schivo e ritroso, non appena gli si<br />

rivolgeva la parola.<br />

Ambrogio guardò attonito me e il ragazzo, levando le<br />

sopracciglia quasi a chiedere che cosa succedeva. Sentendomi<br />

codardo, mi limitai a stringermi nelle spalle. Ambrogio fissò il<br />

ragazzo che teneva la testa bassa.<br />

«Che hai?»<br />

Rosso in viso, Artù levò lo sguardo a incontrare quello di<br />

Ambrogio. «Niente, zio Ambrogio.»<br />

«Sei sicuro? Non hai sentito quello che ti ha chiesto lo zio Cay?»<br />

«Sì. Mi ha chiesto se desideravo dire qualcosa.»<br />

«E allora? Hai qualcosa da dire?» Artù scosse appena la testa in<br />

modo nient'affatto convincente. «Che c'è? Non hai niente da dire?»<br />

«No, zio.»<br />

«Ecco una novità! Te ne sei stato seduto lì ad ascoltarci per


quanto... un'ora? e non hai niente da dire, nessuna domanda da<br />

porre, nessun commento da esprimere? Non sei forse Artù<br />

Pendragon? Non sei stato lì a fissarmi? Ti ho rivolto una domanda.<br />

Pensavo che fossi mio nipote, ma comincio a dubitarne. Sei Artù<br />

Pendragon?»<br />

Sulla bocca apparve e subito scomparve l'ombra di un sorriso. «Sì,<br />

zio Ambrogio, sono Artù Pendragon.»<br />

«Certo che lo sei! Ne ero sicuro. Allora dimmi che cosa ti succede.<br />

Come mai non hai nessuna domanda da pormi? Sei diventato muto?<br />

Le formiche ti hanno mangiato il cervello? Parla, ragazzo!<br />

Dimostrami che sei vivo, che non sei cambiato!»<br />

Artù sorrideva apertamente, divertito dall'impeto e dalla foga<br />

dello zio, ma abbassando la testa, disse: «Lo zio Cay dice che nei<br />

discorsi dei grandi non c'è spazio per quello che pensano i ragazzi».<br />

«No, Artù, non è vero...» sbottai notando l'incredulità nei suoi<br />

occhi. Mi alzai e avvicinatomi a lui, gli posi una mano <strong>sul</strong>la spalla e<br />

mi sedetti vicino. «Tuo zio Ambrogio non sa di che cosa parlavamo<br />

qui, ma noi due, tu e io, lo sappiamo benissimo.» Raccontai quindi<br />

ad Ambrogio come Artù e i suoi amici avessero interrotto l'incontro<br />

con Derek e i suoi consiglieri, e come avessi cercato in<br />

quell'occasione di impartirgli una lezione.<br />

Mi levai e sospirando guardai Artù che contraccambiò il mio<br />

sguardo fissandomi negli occhi.<br />

«Ti ho insegnato allora che non c'è posto negli affari dei grandi<br />

per la voce dei ragazzi quando il loro contributo si limita a<br />

schiamazzi e maniere villane. Vedo che lo hai imparato. Ma mi<br />

accorgo che forse lo hai capito soltanto in parte. Non comprendi che<br />

sarebbe ben diverso se stasera tu parlassi e che non recheresti offesa<br />

né a tuo zio né a me? Pensa, ti prego, a quanto ti ho detto. So che<br />

puoi farlo.» Non avevo ancora finito di parlare che già vedevo la sua<br />

fronte rasserenarsi. «Hai capito allora che in questo momento le cose<br />

sono diverse?»<br />

«Sì.»<br />

«Bene. Ripeti allora.»<br />

«Nelle faccende dei grandi non c'è posto per la voce dei ragazzi


quando il loro unico contributo si limita a schiamazzi e maniere<br />

villane. Ne consegue che la voce dei ragazzi ha posto, se sono seri e<br />

bene informati.» Guardò mio fratello e me. «È così?»<br />

«Sì.» Tornando a sorridere gli posai una mano <strong>sul</strong>la testa. «Seri:<br />

ecco la parola chiave, cioè attenti, rispettosi, riguardosi. Un ragazzo<br />

serio non necessariamente è bene informato. Bene intenzionato è<br />

forse un'espressione più adatta. Una domanda opportuna, posta al<br />

momento giusto, può condurre a una buona conoscenza<br />

dell'argomento... Se ti ricordi come volevi contribuire alla nostra<br />

discussione, chiedi pure.»<br />

<strong>Il</strong> ragazzo si immobilizzò, lo sguardo gli si acuì mentre corrugava<br />

la fronte per mettere ordine nei suoi pensieri.<br />

«Non tanto una domanda quanto un dubbio» cominciò. «Perché si<br />

ha l'impressione che ogni grande sovrano porti in sé il seme della<br />

sconfitta? Perché alcuni riescono a impedire che quei semi<br />

germoglino, mentre altri soccombono a causa loro?»<br />

Era il mio turno di essere stupefatto. Di tanto in tanto quel<br />

ragazzo, che viveva e si comportava come un bambino, sfrenato e<br />

spensierato, saltava fuori con le considerazioni, le osservazioni e le<br />

conclusioni più complicate.<br />

«Era di questo che discutevamo?»<br />

«No, ma parlavate di Vortigern.»<br />

«Sì. In che modo la tua osservazione riguarda la nostra<br />

discussione?»<br />

Quella mia tranquilla domanda suscitò nell'uomo dentro di lui,<br />

che era una personalità decisa sebbene solo a tratti percepibile,<br />

un'occhiata sprezzante e una reazione fulminante. «Non è chiaro?<br />

Vortigern impiantò i semi della propria rovina quando chiese ai<br />

danesi di Hengist di aiutarlo contro gli invasori. Di questo<br />

argomento trattò nei suoi libri il mio bisnonno, Publio Varro, e lo<br />

stesso faceste tu, nei tuoi scritti, e lo zio Pico. Per tenere lontane le<br />

volpi dalle anatre si portò in casa il lupo. Ha commesso lo stesso<br />

fatale errore commesso dai Romani, quando addestrarono i popoli<br />

soggiogati nelle tecniche di combattimento da loro usate. Così<br />

insegnarono come distruggere l'impero. Alessandro il Grande fu più


fortunato; nessuno si accorse della sua debolezza.»<br />

«Alessandro il Macedone?» Ambrogio sorrideva da un orecchio<br />

all'altro. «Qual era la sua debolezza? Niente di grave, immagino,<br />

visto che non gli impedì di conquistare il mondo.»<br />

«Oh no, zio Ambrogio! Avrebbe potuto essergli fatale.»<br />

Mio fratello aggrottò la fronte quasi si fosse sentito offeso, poi mi<br />

guardò. Rimasi imperturbabile, senza lasciar trapelare che la mia<br />

ignoranza non era inferiore alla sua. Nel frattempo Artù ci guardava,<br />

ora l'uno ora l'altro; non si rendeva conto, l'avrei giurato, che<br />

nessuno di noi due aveva capito quello che aveva in mente. Alla fine<br />

Ambrogio si piegò all'inevitabile.<br />

«Ammetto che mi hai battuto. Quale debolezza, secondo te,<br />

aveva Alessandro... salvo la cavalleria?» Scherzava naturalmente, ma<br />

il ragazzo scosse la testa.<br />

«Era quella.»<br />

«Che cosa stai dicendo? Una debolezza? La cavalleria?» Ambrogio<br />

aveva assunto un tono di ironica incredulità.<br />

«I cavalieri lo erano.»<br />

«I suoi...?» Levando le braccia in un gesto di esasperazione,<br />

Ambrogio si volse verso di me alla ricerca di appoggio. Da parte<br />

mia, stupito com'ero, mi schiarii la gola, cercando di assumere<br />

un'aria tranquilla e serenamente consapevole. Artù mi guardava<br />

aspettando di sentire quello che avevo da dire.<br />

«Artù... i cavalieri... c'è chi direbbe...» Mi sentivo ridicolo e, di<br />

nuovo schiarendomi la gola, ricominciai. «Senti, ragazzo, non ho<br />

voglia di discutere con te, ma si ritiene da parte dei maggiori studiosi<br />

di quel periodo storico che i cavalieri costituissero il più forte<br />

manipolo combattente del mondo antico. Erano stati scelti uno a<br />

uno dal re, Filippo di Macedonia, si erano esercitati con lui e con lui<br />

erano andati in battaglia a spese proprie; ciascuno comprava il suo<br />

equipaggiamento: cavalli, corazze, armi. Tutti erano individualmente<br />

guerrieri di fama, campioni di coraggio e destrezza. Quando Filippo<br />

morì in un attentato, i cavalieri offrirono la loro lealtà al figlio, il<br />

giovane Alessandro, e sotto la sua guida conquistarono il mondo,<br />

molto prima che Roma cominciasse a imporsi. Come puoi pensare


che fossero un punto debole?»<br />

«Hai ragione, zio» rispose con una smorfia. «Ho commesso lo<br />

stesso errore di prima: l'imprecisione. Ma se mi è consentito di dirlo<br />

senza sembrare impertinente, lo avete commesso anche voi, tu e lo<br />

zio Ambrogio. Come ho detto all'inizio, sembra che ogni grande<br />

sovrano porti in sé il seme della sconfitta. <strong>Il</strong> concetto importante è<br />

quello del seme. I cavalieri di Alessandro lo portavano.»<br />

«A cosa ti riferisci?»<br />

«Alla loro principale arma di attacco, la sarissa.»<br />

«La sarissa?» Capivo che anche <strong>sul</strong> mio viso si leggeva lo stupore<br />

attonito che traspariva su quello di Ambrogio. «Perdonami, ragazzo,<br />

ma non capisco quello che vuoi dire. Abbiamo cercato di migliorare<br />

a Camelot la sarissa di Alessandro, fin da quando abbiamo<br />

cominciato ad addestrare i nostri soldati a usare i cavalli.»<br />

«Lo so, e lo zio Ambrogio è ancora impegnato a farlo. Ma il<br />

progetto è diverso. Le armi che usano le truppe di Camelot non<br />

sono le sarisse e quindi non sono altrettanto pericolose. Inoltre lo<br />

zio Ambrogio ha elaborato un mezzo per controbilanciarne<br />

l'eventuale minaccia.»<br />

«Congratulazioni» dissi rivolgendomi ad Ambrogio.<br />

Scuotendo la testa, Ambrogio mosse la mano per richiamare<br />

l'attenzione di Artù. Avvicinatosi quindi al fuoco, si rivolse al<br />

ragazzo. «Dimmi, Artù, dove hai imparato queste cose <strong>sul</strong>la sarissa?»<br />

«Dai libri di Publio Varro e Caio Britannico. Li abbiamo portati<br />

con noi partendo da Camelot.»<br />

«Lo so. Credevo di averli letti tutti, ma, da quanto ricordo, in<br />

nessuno dei volumi si afferma che la sarissa fu una debolezza, o<br />

anche solo il germe di una debolezza. Evidentemente non li ho letti<br />

tutti.»<br />

«Be', no...»<br />

«Che vuoi dire?»<br />

<strong>Il</strong> ragazzo si strinse nelle spalle. «Non viene detto esplicitamente in<br />

alcun libro. Mi è venuto in mente durante la lettura, e me lo sono<br />

posto come dubbio. Ho pensato che fosse un punto debole molto


più tardi, circa un anno fa, mentre riflettevo <strong>sul</strong>le cause che<br />

portarono al crollo dell'impero e ai punti deboli del sistema che ne<br />

produssero la caduta.»<br />

Mi mossi per interromperlo, ma Ambrogio con un gesto della<br />

mano mi invitò a tacere. «Lascialo finire, Caio. È importante, credo.<br />

Intuisco il punto debole dell'impero, Artù, il suo vizio, o difetto, ma<br />

non quello di Alessandro. Come sei arrivato alla conclusione che la<br />

sarissa fosse un punto debole? Nessun altro l'ha mai sostenuto, da<br />

quanto mi ri<strong>sul</strong>ta. Ti pare, Cay?»<br />

Mi limitai a scuotere la testa. Artù guardò prima l'uno poi l'altro<br />

sgranando gli occhi, poi il suo viso si schiuse nel sorriso mentre nello<br />

sguardo dorato guizzava una punta di divertita incredulità.<br />

«Mi state prendendo in giro. Conoscete la risposta. Solo così avete<br />

potuto trovare la soluzione a Camelot.»<br />

«No, Artù, nessuno di noi due ti prende in giro. Non riesco a<br />

capire il nocciolo del problema... come avrei potuto trovare la<br />

soluzione? Spiegaci con parole semplici quello che hai osservato,<br />

quello che pensi. Noi non lo sappiamo; illuminaci tu.»<br />

«Ma...»<br />

«Nessun "ma". Spiegacelo! Dove germogliava il seme della<br />

sconfitta?»<br />

«Nella lunghezza dell'arma e nella tecnica dei cavalieri quando la<br />

usavano in battaglia.» Si interruppe, ma riprese ben presto, vedendo<br />

che nessuno di noi due interloquiva. «Si trattava di una lancia lunga<br />

sei passi, pesante e poco maneggevole. La impiegavano nella carica,<br />

un'estremità appoggiata <strong>sul</strong>la spalla, l'altra con la punta di metallo<br />

inclinata verso il basso per colpire i fanti. Infilzavano gli uomini delle<br />

prime file e lasciavano la sarissa nei corpi degli uccisi...» Ebbe un<br />

attimo di incertezza. «Non è così?»<br />

«Sì» disse piano Ambrogio. «Deve essere stato uno spettacolo<br />

tremendo la carica contro uno schieramento di fanteria. Una parete<br />

compatta di uomini a cavallo con le lance puntate verso il basso.<br />

Non sorprende che fossero invincibili.»<br />

«Ma pensaci, zio! Le lance... lunghe, pesanti. Che cosa sarebbe<br />

accaduto se un uomo, un nemico coraggioso, intelligente,


lungimirante, avesse deciso di raccoglierle o ne avesse costruite di<br />

simili, le avesse date alla sua fanteria, organizzando gli uomini in una<br />

schiera compatta come un muro? Pensaci! Un muro di guerrieri,<br />

spalla a spalla, con le sarisse capovolte, cioè l'estremità posteriore<br />

saldamente conficcata nel terreno e la punta in alto, inclinate contro<br />

i cavalieri lanciati alla carica?»<br />

A quelle parole che rivelavano una strabiliante intuizione<br />

strategica seguì un silenzio che si protrasse a lungo. Ambrogio e io<br />

eravamo attoniti cercando di figurarci quello che il ragazzo aveva<br />

descritto: l'utilizzo di un'arma che nessuno in sette secoli aveva<br />

immaginato. La cavalleria di Alessandro aveva conquistato il mondo,<br />

ma se fosse vissuto allora, Artù avrebbe escogitato il sistema per<br />

sopraffare il grande generale macedone. Trovandosi ad affrontare<br />

truppe disciplinate che usavano le loro stesse armi, i cavalieri di<br />

Alessandro sarebbero stati impotenti e avrebbero conosciuto la<br />

sconfitta. Era quello un concetto che nessuno studioso in tanti secoli<br />

aveva elaborato; l'intuizione era venuta, senza l'aiuto di alcuno, a un<br />

ragazzo, in timida attesa che i suoi due imponenti zii gliela<br />

mettessero in ridicolo.<br />

Rimasi a fissare le fiamme così a lungo che cominciarono a<br />

lacrimarmi gli occhi; Ambrogio dopo qualche attimo si avvicinò<br />

incerto alla tavola <strong>sul</strong>la quale erano posate le brocche di birra e<br />

idromele. Immerso nei suoi pensieri, si riempì un boccale che tenne<br />

stretto in mano, senza portarlo alle labbra, prima di rivolgersi ancora<br />

al ragazzo.<br />

«A Camelot usiamo la tecnica di Alessandro.»<br />

«Sì, zio, ma non la sarissa. Le nostre lance sono più corte, adatte a<br />

un uomo in sella, ma non così lunghe da poter essere usate contro di<br />

lui da un fante nel modo che ti ho detto.»<br />

«Sì, ma hai espresso in parole la tua idea e una volta che ciò<br />

accade, la voce si sparge. Hai detto che io ho trovato la soluzione.<br />

Se l'ho fatto, è stato inconsapevolmente. Qua! è?»<br />

«I nostri arcieri, naturalmente! Se i nemici dovessero usare le lance<br />

contro la nostra cavalleria, dovrebbero assieparsi in una fitta schiera,<br />

un muro umano; gli uomini non si limiterebbero a reggere la lancia<br />

ma dovrebbero imbracciarla, e ciò li metterebbe alla mercé dei nostri


arcieri. L'azione congiunta degli arcieri e dei cavalieri distruggerebbe<br />

una simile formazione prima che potesse intervenire efficacemente.<br />

Pensavo che lo sapessi. Ero sicuro che tu fossi stato così irremovibile<br />

nella strategia di combinare l'intervento dei due corpi militari<br />

proprio perché ti proponevi di sostenere la fanteria.»<br />

Sorridendo Ambrogio scosse la testa e con un'occhiata mi fece<br />

capire che condivideva il mio orgoglio per le capacità del ragazzo.<br />

«Sì, adesso lo so, e non lo dimenticherò, sta' sicuro.» Posò <strong>sul</strong>la<br />

tavola il boccale ancora pieno. «Signori, credo che andrò a coricarmi.<br />

Farò almeno il tentativo di dormire. Se vincerò o sarò sconfitto<br />

dipenderà dalle cose che mi hai piantato nella mente stanotte, Artù.<br />

È tardi, anche tu dovresti andare a letto.» Mi lanciò un'occhiata, il<br />

viso imperscrutabile. «Avremo molte cose cui pensare, no?... Scatole<br />

dentro altre scatole.» Annuii senza replicare. «Sì, molte cose cui<br />

pensare. Ne riparleremo domani.»<br />

Ci separammo da Ambrogio, mentre Artù mi accompagnò fino<br />

alla camera che mi era stata assegnata. Procedevamo piano; io<br />

tenevo la mano intorno alla candela per proteggerne la fiammella<br />

che doveva rischiararci la strada. La camera era a una certa distanza,<br />

e non conoscevo a sufficienza la casa di Derek per orientarmi<br />

facilmente nell'oscurità, se la candela si fosse spenta. Ero così<br />

immerso nei miei pensieri che trasalii alla voce del ragazzo.<br />

«Che cosa intendeva dire lo zio Ambrogio quando ha parlato di<br />

"scatole dentro altre scatole"?»<br />

Tossicchiai cercando di prendere tempo: non volevo mentire<br />

dicendo che non lo sapevo. «Si riferiva alla portata delle tue parole...<br />

a quello che hai scoperto. Lodava l'acutezza della tua intelligenza,<br />

Artù, e io concordo con lui. È straordinario che tu abbia intuito quel<br />

punto debole nella strategia di Alessandro: nessun altro lo ha capito.<br />

E ancora più sorprendente è che tu ci sia arrivato alla tua età senza<br />

l'aiuto di alcuno, basandoti soltanto <strong>sul</strong>le tue letture e<br />

<strong>sul</strong>l'osservazione. Chissà quante altre cose potrai intuire, cose su cui si<br />

sono arrovellati per anni, forse per decenni o addirittura secoli,<br />

uomini più avanti di te negli anni e da tutti ritenuti molto capaci.<br />

Sembra che un'unica intuizione possa aprire la strada a mille<br />

possibilità. Ecco che cosa intendeva dire lo zio parlando di "scatole


dentro altre scatole". Mi capisci?»<br />

«Sì, credo di sì.»<br />

Eravamo arrivati alla camera nella quale, vicino al mio letto, era<br />

stata messa una branda per il ragazzo. Pochi minuti dopo eravamo<br />

entrambi sotto le coperte. Artù si addormentò subito, io rimasi<br />

sveglio a lungo, pensando a quello che avrei detto ad Ambrogio il<br />

mattino dopo.<br />

<strong>Il</strong> mattino dopo, tuttavia, ebbi occasione di intrattenermi assai<br />

poco con Ambrogio riguardo ad Artù e alle sue eccezionali capacità<br />

deduttive. Shelagh non era rimasta in ozio e, dopo essersi assicurata<br />

l'appoggio di Jessica, moglie di Derek, lo aveva abilmente circuito<br />

perché ci consentisse di avvicinare la sua gente con l'intento di<br />

trovare qualcuno disposto a seguirci nel forte tra le colline. Derek<br />

non aveva in linea di principio obiezioni ad aiutarci; era prontissimo<br />

a farlo. Lo induceva a esitare - e all'inizio ne fui sorpreso finché non<br />

colsi il ragionamento sottinteso - il fatto che ci riservassimo di<br />

scegliere tra chi si offriva di partire. A suo avviso, tutti coloro che lo<br />

chiedevano avrebbero dovuto essere liberi di venire; Shelagh invece<br />

era irremovibilmente contraria a tale progetto. Potevamo accogliere<br />

artigiani provetti in mestieri specifici, e li indicò. Sarebbe stata data la<br />

preferenza alle coppie sposate che sapevano eseguirli; avremmo poi<br />

dato priorità alle donne senza gravami familiari o di altra natura,<br />

pratiche nei lavori femminili e disposte a sanare lo squilibrio sessuale<br />

della nostra comunità. Ne conseguiva logicamente che queste donne<br />

dovessero essere relativamente giovani, pulite e attraenti, perché<br />

avrebbero adempiuto a una funzione sociale.<br />

Testimone distaccato e blandamente divertito dello scontro di<br />

volontà tra quelle due personalità aggressive, intuii all'improvviso<br />

qual era il vero motivo dell'intrattabilità di Derek. Shelagh, chiara,<br />

logica e coerente, diceva le sue ragioni, le difendeva e le ribadiva;<br />

Jessica stava in silenzio ma assentiva con vigore; Derek, che si sentiva<br />

manovrato e spodestato delle sue prerogative, reagiva con stizzosa<br />

caparbietà.<br />

Presa Shelagh in disparte, le sussurrai qualche consiglio<br />

nell'orecchio. Mi guardò altezzosamente con espressione severa.


Abbassò quindi la testa e, avvicinatasi al re, chiese scusa per<br />

l'eccessiva esuberanza mostrata e gli disse che si sarebbe rimessa al<br />

suo giudizio e alla sua saggezza. Andò a finire che Derek le concesse<br />

tutto quello che lei aveva chiesto fin dall'inizio, senza neppure<br />

rendersene conto. Trascorremmo il resto della giornata e la notte<br />

selezionando una quarantina di nuovi residenti tra oltre duecento<br />

richiedenti che, entro un'ora da quando Derek aveva annunciato lo<br />

scopo della nostra missione, erano confluiti per mettere a nostra<br />

disposizione le loro capacità artigianali.<br />

Ci fu possibile procedere con tanta sveltezza perché in città<br />

vivevano coloro di cui avevamo bisogno. La popolazione che viveva<br />

fuori delle mura era composta di contadini che, attaccati ai loro<br />

campi, non avrebbero avuto molto da fare nel nostro forte<br />

appollaiato sotto la cresta di un monte. Non disponevamo di terra<br />

arabile, sebbene avessimo in mente di destinare alla coltivazione<br />

degli ortaggi i piccoli appezzamenti di terreno disboscato vicino al<br />

forte. Ci servivano invece artigiani che potessero aiutarci a<br />

sopportare l'isolamento: bottai, vasai, calzolai capaci di fare scarpe e<br />

stivali adatti a quella regione montagnosa, ciabattini per tenere in<br />

buone condizioni le calzature, conciatori, pastori di greggi di capre e<br />

pecore; falegnami, muratori e fabbri, stallieri per curare i cavalli;<br />

gente in grado di trasformare il legname in carbonella per alimentare<br />

le fucine. Ogni volta che pensavo di avere terminato l'elenco, mi<br />

venivano in mente altre necessità che non avevo preso in<br />

considerazione.<br />

Shelagh dal canto suo aveva una lista che non assomigliava alla<br />

mia. Le interessava trovare fornai, cuochi, macellai; scuoiatori per<br />

recuperare le pelli degli animali macellati; apicoltori, birrai e gente<br />

che sapesse fermentare l'idromele, donne capaci di cucire e lavorare<br />

a maglia, cardare la lana appena tosata; filatrici, tessitrici, tintori. Se<br />

avessimo trovato tutti questi artigiani, la vita a Mediobogdum<br />

sarebbe stata assai più facile perché fino a quel momento avevamo<br />

dovuto adattarci a fare tutti quei mestieri con un'attrezzatura<br />

inadeguata.<br />

Decisi di non partecipare alla procedura di selezione, contento di<br />

lasciare quel compito a Shelagh e Donuil, Hector e Brunna, la moglie<br />

di Lars. Vedendo che mi tenevo a distanza da quell'incombenza,


Derek mi chiamò in disparte, desideroso di consolazione dopo essere<br />

stato strapazzato da Shelagh. Lo commiserai, concordando con lui<br />

<strong>sul</strong> fatto che la nostra Shelagh aveva una lingua tagliente come un<br />

rasoio, ma sottolineando che era tenuta in gran considerazione da<br />

chi la conosceva, per ragioni che avrebbe presto conosciuto.<br />

Pacificato dalla mia solidarietà e ovviamente desideroso di porre<br />

rimedio alla precedente ostinazione, esitò quel tanto che bastava per<br />

avere da me la rassicurazione che la sua gente sarebbe rimasta la sua<br />

gente e che non solo l'avrebbe riavuta ma si sarebbe anche trovato<br />

con i frutti del loro lavoro sotto forma di un forte abitabile, dato che<br />

in un futuro abbastanza vicino, noi ce ne saremmo andati da<br />

Mediobogdum. Subito dopo, rassicurato, si dedicò al processo di<br />

selezione. Fu per me motivo di ironico divertimento che fosse<br />

proprio lui a trovare gli individui più idonei alle nostre esigenze.<br />

Conosceva i suoi sudditi, i loro punti di forza e di debolezza.<br />

L'operazione si concluse nel tardo pomeriggio, e i nostri ranghi si<br />

erano ingrossati al di là di ogni aspettativa. Con soddisfazione di<br />

Shelagh, avevamo artigiani per tutti i settori di maggiore importanza.<br />

Sarebbero partiti con noi trentotto adulti, ventisei erano coppie<br />

sposate, tra le quali un birraio e sua moglie, e un abile apicoltore.<br />

Dei rimanenti dodici nove erano donne, di cui cinque giovani, e tre<br />

uomini. Le coppie sposate avrebbero portato i loro figli, in tutto<br />

quattordici bambini e ragazzi, dall'infanzia alla preadolescenza.<br />

Shelagh era felice; io ero contento, Derek era soddisfatto di avere<br />

completato il lavoro. Quella notte ci fu un banchetto per celebrare<br />

l'avvenimento.<br />

Nel mezzo della festa Shelagh mi si avvicinò mentre, appoggiato a<br />

una parete, osservavo compiaciuto l'allegria generale. Ambrogio si<br />

era appena allontanato per raggiungere Ludmilla che lo aveva<br />

chiamato con un cenno da dove se ne stava seduta con Jessica;<br />

dall'altra parte della stanza Donuil parlava con Dedalo.<br />

«Lucano e Derek se ne stanno a confabulare laggiù. Che cosa<br />

complottano quei due?»<br />

Non l'avevo vista arrivare e alle sue parole mi raddrizzai<br />

immediatamente e volsi lo sguardo nel punto da lei indicato. Sorrisi.<br />

«Che tipi! Ti assicuro che non complottano niente. Si conoscono


da molto tempo.»<br />

«Già.» Aveva puntato gli occhi su un altro obiettivo e seguendone<br />

la direzione scorsi i due più giovani del nostro gruppo, Mark e<br />

Jonathan, che sembravano in ammirazione di una giovane donna. Si<br />

chiamava, ricordai, Tressa; qualche ora prima, in quella stessa<br />

giornata, mi aveva portato un boccale di birra fredda. Era una<br />

ragazza che si notava, non una bellezza classica ma dotata dello<br />

splendore della giovinezza; sotto gli zigomi alti, le gote erano<br />

paffute; gli occhi splendevano, i denti luccicavano candidi e forti.<br />

Sorrideva spesso con spontaneità. Mi erano piaciute le sue forme.<br />

Indossava una semplice tunica bianca, modellata <strong>sul</strong>la stola romana,<br />

che metteva in risalto il collo snello e aggraziato, le spalle ampie e<br />

diritte sotto le quali il seno pieno sporgeva turgido e magnifico. Una<br />

donna che colpiva l'attenzione, avevo pensato allora, ed ero<br />

contento adesso di constatare che i due giovanotti condividevano la<br />

mia opinione... almeno a giudicare dalle attenzioni che le<br />

prestavano. Tressa gettò indietro la testa e rise per qualcosa che le<br />

aveva detto Mark; sopra il brusio della festa mi giunse il trillo<br />

spontaneo della risata.<br />

«È Tressa» disse Shelagh.<br />

«Lo so, l'ho già conosciuta.» Mi volsi a guardarla. «Stavi<br />

dicendo...?»<br />

«È dei nostri? Approvi?»<br />

Tornai a guardare la giovane. «Non serve la mia approvazione.<br />

Mark e Jonathan approvano. Si capisce subito.»<br />

«Sì. Fa la cucitrice ed è brava. Le altre donne sono gelose. Quelle<br />

più anziane di lei, che la invidiano perché è brava, hanno cercato di<br />

metterle i bastoni tra le ruote. È molto motivata a seguirci. Avremo<br />

modo di apprezzare le sue capacità senza pentircene. Ti aiuterà.»<br />

«Aiutare me? Come? In che modo? Non mi serve il suo aiuto.»<br />

«No?» Tese la mano e infilò l'indice in un piccolo strappo nella<br />

stoffa della manica. Non me ne ero accorto, ma sapevo che era<br />

recente. Ricordavo vagamente di essermi impigliato in qualcosa<br />

poco prima. «Chiaro che non ne hai bisogno, neppure di una che<br />

potrebbe aggiustare i tuoi vestiti senza che te ne accorga.»


«Posso sbrigarmela da solo.»<br />

Sorridendo con dolcezza si accinse ad allontanarsi. «Certo che<br />

puoi farlo, Caio. Sappiamo entrambi come la pensi al riguardo: non<br />

ti serve niente. Ma questa è una tua idea. Io non la condivido.»<br />

Prima che riuscissi a risponderle si era allontanata per raggiungere<br />

suo marito che le sorrideva. Disturbato in qualche modo da quelle<br />

parole, mi volsi a guardare Tressa, ma anche lei se ne era andata. In<br />

quel momento mi accorsi che era lì, vicino a me, a meno di un passo<br />

di distanza. Sorrideva.<br />

«Volete bere, mastro Cay?»<br />

Turbato dalla sua vicinanza, riuscii a ringraziarla con garbo,<br />

rifiutando l'offerta, furente dentro di me per il rossore che mi si era<br />

diffuso in viso. Non parve notarlo; rimase a fissarmi e a sorridermi<br />

mentre balbettavo qualche parola. Chinò il capo con grazia, e io<br />

dovetti lottare con me stesso per controllare il desiderio di guardarla<br />

mentre si allontanava.<br />

Poco dopo la vidi all'altro capo della sala, intenta a chiacchierare<br />

con Jonathan; mentre l'osservavo, lei levò la testa e i suoi occhi si<br />

fissarono nei miei. Prima che potessi distogliere lo sguardo, lei riprese<br />

a sorridere, abbassò la testa in un breve cenno di assenso e tornò a<br />

volgere l'attenzione a Jonathan. Un attimo più tardi, mentre ancora<br />

fissavo Tressa, sentii Donuil che mi chiamava e girandomi, notai che,<br />

dietro a lui, sua moglie mi scrutava con un lieve sorriso <strong>sul</strong>le labbra.<br />

Mi sentii avvampare dalla rabbia, ma subito la soffocai, consapevole<br />

di quanto fosse una reazione irragionevole. Me ne andai ben presto<br />

a dormire e mi addormentai mentre nella mia mente ancora<br />

aleggiava lo sconcertante sorriso di Tressa.<br />

La mattina successiva, all'alba, ci preparammo ad accomiatarci da<br />

Ravenglass e volgere i nostri passi verso le colline dell'interno.<br />

Vennero con noi quanti erano liberi da impegni: poco più della metà<br />

dei nuovi reclutati; gli altri ci avrebbero raggiunti di lì a qualche<br />

giorno. Ci seguirono anche Ambrogio e Ludmilla, desiderosi di<br />

vedere il nostro insediamento.<br />

Mentre osservavo il gruppo che si raccoglieva in vista della


partenza, i miei pensieri andavano in due direzioni: gran parte della<br />

mia attenzione si volgeva a organizzare il corteo dei quattro carri,<br />

vuoti nell'andata e ora traboccanti <strong>sul</strong>la via del ritorno. A contrastare<br />

la necessità di concentrarmi sui preparativi era il bisogno, di pari se<br />

non più forte intensità, di riflettere <strong>sul</strong>la breve discussione<br />

intervenuta circa un'ora prima con Lucano. Non mi ero ancora<br />

adattato alla notizia che mi aveva dato, e mentre me ne stavo in<br />

sella a Germanico, mi sentii pervadere da un'ondata di vertigini che<br />

mi avrebbe fatto cadere al suolo, se non mi fossi stretto alla sella e<br />

non avessi tirato qualche sospiro profondo.<br />

Lucano mi si era avvicinato mentre nella cucina di Derek rompevo<br />

il digiuno con un piatto di cereali: frumento e avena bolliti misti a<br />

latte e miele. Restituitomi il cenno di saluto e spalmato su una fetta<br />

di pane appena tolto dal forno un po' di miele denso, mi si era<br />

seduto di fronte e per qualche attimo eravamo rimasti entrambi in<br />

silenzio, tutti presi dal cibo. Alla fine Lucano si era appoggiato allo<br />

schienale della sedia, si era sfregato le mani e, levatosi con la punta<br />

del mignolo una goccia di miele che gli si era attaccata all'angolo<br />

della bocca, era rimasto a fissarmi muto finché non mi ero sentito a<br />

disagio, percependo che aveva qualcosa di importante da dirmi.<br />

«Che cos'è?»<br />

«Si tratta della macchia che hai <strong>sul</strong> petto.»<br />

Mi si era stretto lo stomaco e mi era venuta la pelle d'oca.<br />

«Che cosa hai scoperto?»<br />

«Quello che ho sempre pensato, un difetto della pelle,<br />

sicuramente innocuo.»<br />

«Hai letto il rotolo che viene da Camelot?»<br />

«Sì, non conteneva niente di nuovo... niente che possa<br />

confermare le tue paure. È una macchia cutanea, non una lesione e,<br />

a mio avviso, non ha niente a che fare con la lebbra.»<br />

Mi ero sentito rombare le orecchie e la stanza aveva preso a<br />

vorticarmi intorno tanto che mi ero aggrappato al bordo della<br />

tavola, respirando a fondo. Lucano mi aveva fissato, un lieve sorriso<br />

<strong>sul</strong>le labbra. Non appena riprese le forze, con il respiro che era<br />

tornato regolare, mi ero levato con un ultimo sospiro. <strong>Il</strong> suo sorriso


si era allargato e aveva battuto le mani.<br />

«Vedo che stai già meglio.»<br />

Avevo annuito in silenzio sapendo che non sarei riuscito a tenere<br />

salda la voce.<br />

«Ottimo. Adesso ascoltami. Normalmente ti avrei prescritto<br />

l'esposizione al sole e all'aria, ma i tuoi timori, che hanno ingigantito<br />

una semplice imperfezione dell'epidermide, mi hanno sconsigliato<br />

finora di indicarti tale terapia, senza contare che d'inverno fa troppo<br />

freddo per andare in giro a petto nudo. La situazione è diversa oggi<br />

e stanno arrivando i tepori primaverili. Vorrei che d'ora innanzi, nei<br />

limiti del possibile, tu restassi scoperto dalla cintola in su. L'effetto<br />

del sole probabilmente guarirà la macchia o almeno la renderà meno<br />

visibile.»<br />

«Posso farlo?»<br />

«Certamente. Non sei malato, Caio. La prima diagnosi che ho<br />

formulato era giusta. La mia esperienza, unita a quella di tanti medici<br />

nei secoli, mi dicono che tu non sei mai stato a contatto con lebbrosi<br />

abbastanza a lungo da contrarre la malattia. Sei convinto<br />

finalmente?»<br />

Avevo annuito, consapevole di una meravigliosa sensazione di<br />

sollievo e scampato pericolo che prepotentemente mi aveva<br />

riempito il cuore e la mente. «Grazie, amico mio» avevo detto con<br />

voce appena percettibile. «Non sai quanta gratitudine ti devo per<br />

confermarmi che non porto il contagio con me. Che cosa dice il tuo<br />

rotolo <strong>sul</strong> sangue e <strong>sul</strong>la malattia?»<br />

«Niente che riguardi un sintomo come il tuo. Lo scrisse un medico<br />

che si chiamava Quintilio Oppio, celebre e stimato diagnostico<br />

vissuto ad Alessandria all'epoca dell'imperatore Galeno, circa un<br />

secolo fa. Oppio teneva in grande considerazione l'opera di<br />

Galeno... ne hai sentito parlare? <strong>Il</strong> più grande medico che sia mai<br />

esistito, superiore anche a Esculapio. Nacque a Pergamo, suo padre<br />

era architetto, studiò anatomia ad Alessandria prima di andare a<br />

Roma dove visse per quarant'anni. Fu il medico dell'imperatore<br />

Marco Aurelio e, dopo la sua morte, degli imperatori Lucio Vero,<br />

Commodo e Settimio Severo. Autore prodigiosamente prolifico,


Galeno descrisse le scoperte che aveva fatto e le teorie che aveva<br />

formulato <strong>sul</strong>la pratica della medicina. <strong>Il</strong> suo trattato Sulla procedura<br />

anatomica è il maggiore testo di medicina che sia stato scritto, ma si<br />

occupò anche dell'arte di curare nel De methodo medendi, delle<br />

facoltà naturali, del movimento dei muscoli. Galeno era morto da<br />

un secolo allorché Oppio si accinse alla propria opera, seguendo il<br />

metodo e le procedure del grande predecessore. Si trovava in Asia<br />

Minore quando un'impresa militare coincise con lo scoppio di<br />

un'epidemia che i servizi sanitari non riuscirono a fronteggiare. In<br />

quelle circostanze notò che il contagio si diffondeva tra legionari le<br />

cui ferite non avrebbero mai dovuto infettarsi. Oppio ipotizzò che<br />

l'infezione potesse derivare dall'uso errato di bende già impiegate<br />

per avvolgere altre ferite. Le bende naturalmente erano state lavate<br />

prima di essere riutilizzate, ma evidentemente non erano state<br />

bollite, come sarebbe stato d'obbligo in epoche meno movimentate.<br />

Da secoli sappiamo che l'acqua bollente elimina le impurità. Oppio,<br />

che volle approfondire la teoria, finì per scrivere un trattato in cui<br />

confutava che l'incauta applicazione <strong>sul</strong>le ferite di bende macchiate<br />

di sangue e pus, inadeguatamente lavate, portava a infezioni<br />

epidemiche.»<br />

«Ti sembra una conclusione accettabile?»<br />

Si strinse nelle spalle. «Non sono in grado di formulare un<br />

giudizio. <strong>Il</strong> pus fa parte del processo di guarigione; è la normale<br />

reazione del corpo che spurga le tossine di una ferita infetta.<br />

Sapendo che è un flusso contaminato nessun medico si sognerebbe di<br />

immettere il pus di una ferita in un'altra.»<br />

«Di proposito, vuoi dire.»<br />

«Sì. Ma le bende che Oppio usò nelle sue ricerche erano pulite e<br />

lavate.»<br />

«Alcune immerse in acqua bollente, altre no.»<br />

«Sì. Capisco dove vuoi arrivare. Abbiamo soltanto le parole di<br />

Oppio, scritte più di un secolo fa. Sarò esplicito: le sue scoperte nel<br />

caso specifico e la proposta che l'applicazione del calore, durante la<br />

bollitura, possa alterare sostanzialmente le bende mi sembrano<br />

assurde.»


«Sono d'accordo ma...» Ero perplesso e consapevole che mi<br />

avventuravo su un terreno a me estraneo, eppure mi era venuto in<br />

mente qualcosa che mi sembrava degno di interesse. «Sappiamo,<br />

Lucano, cioè lo sanno quelli di noi che hanno qualche nozione<br />

<strong>sul</strong>l'arte di fondere i metalli, che l'applicazione del calore, a<br />

temperature elevatissime, ha <strong>sul</strong> ferro, il più duro dei metalli<br />

conosciuti dall'uomo, un effetto sempre benefico.<br />

È praticamente impossibile lavorare il ferro freddo, ma puoi<br />

lavorarlo come vuoi quando è incandescente, perfino annodarlo...»<br />

Mi interruppi per cercare le parole più adatte. «Lo so che le bende<br />

non hanno nulla in comune con il metallo, ma il calore cui vengono<br />

sottoposte è sempre calore. Non è possibile che l'anello di<br />

congiunzione, se esiste, sia proprio il calore, la temperatura, più che<br />

il materiale che viene riscaldato?»<br />

Lucano si era levato sorridendo e stringendosi la cintura. «Non lo<br />

so» aveva risposto. «Forse hai ragione, amico mio, e io forse sbaglio.<br />

Nessuno di noi due ha i mezzi per arrivare alla verità. Mi piace<br />

tuttavia il tuo modo di pensare; ha una insolita lucidità tra quanti ci<br />

circondano. Ti prometto che ci penserò e cercherò di andare a fondo<br />

alla questione senza mettere in pericolo la salute del prossimo. Ho<br />

promesso a Shelagh di aiutarla prima che lasci le sue stanze per<br />

raggiungere gli altri. Ne riparleremo dopo. Nel frattempo ricorda<br />

che non hai niente; sei in perfetta salute, tranne una macchia che il<br />

sole farà sparire. Addio.» Se ne era andato lasciandomi ad assaporare<br />

il sollievo di sapermi sano.<br />

Pochi istanti più tardi, Dedalo aveva fatto irruzione nella cucina<br />

alla ricerca di Rufio. Ero uscito nella frescura dell'alba e mi ero<br />

accodato al corteo che già sfilava nella strada affollata davanti al<br />

vecchio praesidium. Sorgendo, il sole brillò <strong>sul</strong>la mia nuova,<br />

immacolata visione della vita.<br />

Strinsi gli speroni contro i fianchi di Germanico e, facendolo<br />

indietreggiare, lo portai in un punto da dove si vedeva la strada<br />

davanti a noi. Shelagh e Lucano cavalcavano l'uno vicino all'altra<br />

dirigendosi verso la porta orientale; davanti a loro venivano Dedalo<br />

e Rufio, in mezzo ai due procedeva Ambrogio. Ludmilla se ne stava<br />

comodamente seduta <strong>sul</strong>la panca del carro più grande, insieme a


Turga ed Hector, che reggeva le redini; i quattro ragazzi erano sui<br />

loro pony. Salutai con un ultimo gesto della mano Derek che<br />

guardava dal cortile della sua massiccia casa, quindi levando il<br />

braccio in alto diedi il segnale della partenza. A dodici miglia da lì,<br />

alto <strong>sul</strong>le colline, si ergeva Mediobogdum.


IX.<br />

«Mi dichiaro sconfitto prima ancora che tu mi sfidi. Mi hai<br />

battuto, lo confesso, manipolato, raggirato. Non riuscirò mai a<br />

indovinare di che si tratta; posso quindi chiederti: che cos'è?»<br />

Avevo smesso di muovermi non appena avevo sentito alle mie<br />

spalle la voce di Ambrogio, e ora stavo immobile, leggermente<br />

piegato in avanti, le braccia tese e le mani intorno a un'estremità del<br />

bastone che avevo fatto oscillare. Ansimavo ancora per lo sforzo.<br />

Sorrisi mentre mi figuravo le possibili reazioni di mio fratello a<br />

quello che gli avrei detto. Inspirai profondamente e mi raddrizzai,<br />

girandomi lentamente per trovarmi faccia a faccia con lui<br />

lanciandogli l'oggetto che tenevo in mano. Lo afferrò con facilità e<br />

lo tenne davanti a sé, impugnandolo con il braccio teso.<br />

«Che cos'è a tuo avviso?» gli chiesi.<br />

«Pare un pesante pezzo di legno, un ramo strappato a un vecchio<br />

albero, senza corteccia e lasciato seccare, forse in un forno, quindi<br />

ricoperto di incisioni. Ho la tentazione di definirlo un bastone lungo<br />

e inutile, ma so che il fervido e onesto fratello Merlino non<br />

perderebbe tempo con un'inezia del genere. Ti chiedo quindi di<br />

nuovo: che cos'è?»<br />

«Un bastone come hai detto.»<br />

«Ah!» annuì con aria saputa. «Ma un bastone solido, un bastone<br />

eccezionale, ti pare? Un bastone lungo e pesante.»<br />

«Concordo su tutto. Ecco perché lo uso.»<br />

«Capisco.» Annuì ancora, il viso grave, quasi sapesse quello di cui<br />

parlavamo e la nostra conversazione fosse assolutamente razionale.<br />

«Sì, capisco che un uomo di grande intelletto possa volere un<br />

bastone così eccellente, solido e robusto, così fondamentalmente<br />

utile. Ci si può appoggiare nel cammino, se si è infermi o vecchi.»<br />

«Sì, se fosse più lungo, ma è troppo corto. È un bastone dopo<br />

tutto, non una stampella. Non pensavo di usarlo per aiutarmi nel


cammino.»<br />

«Sì, capisco. Te lo facevi roteare <strong>sul</strong>la testa, no?»<br />

«Sì.»<br />

«Ti getterebbe nello sgomento se ti chiedessi perché?»<br />

«No. Mi esercitavo... esercitavo le braccia e ancor più le spalle.»<br />

Mio fratello mi fissò sforzandosi di non sbottare in<br />

un'imprecazione. Cercava di stare al gioco per capire quello che<br />

avevo in mente senza dovermelo chiedere ancora. Teneva il bastone<br />

in modo strano, incerto su che farne, e decisi di aiutarlo. Mi piegai<br />

<strong>sul</strong>le ginocchia e dall'erba recuperai un altro pezzo di legno quasi<br />

identico.<br />

«Ne ho due. Vuoi imparare a usarli?»<br />

<strong>Il</strong> viso gli si illuminò di un largo sorriso. «Sì» rispose.<br />

«Ti mostrerò, ma togliti il mantello. Ti insegnerò le cose<br />

essenziali.»<br />

Mentre con il bastone sottobraccio per avere le mani sgombre si<br />

ingegnava a togliersi il mantello, io mi liberai dell'elmo, indicandogli<br />

di fare lo stesso. Alcuni istanti dopo, eravamo l'uno di fronte<br />

all'altro, con le corazze di cuoio a protezione del petto e del dorso,<br />

indossate <strong>sul</strong>le tuniche romane.<br />

«Fa' quello che faccio io. È facile.» Tesi le braccia verso di lui, le<br />

mani strette alle estremità del bastone. Dopo che fu nella mia stessa<br />

posizione, gli feci cenno di avvicinarsi finché i nostri pugni si<br />

toccarono, nocche contro nocche. Alzai quindi le braccia<br />

verticalmente portandomele sopra la testa; sentivo che lo stomaco si<br />

appiattiva e che si tendevano i muscoli flessori delle spalle.<br />

Controllavo che Ambrogio eseguisse con precisione i miei stessi<br />

movimenti. Era un esercizio di contrazione e rilassamento che mi<br />

riusciva più facile di qualche mese prima, quando avevo iniziato<br />

quella pratica ginnica. Dapprincipio mi era capitato spesso di avere<br />

dei crampi perché i muscoli non erano ancora abituati alle<br />

contorsioni alle quali avevo iniziato a sottoporli all'improvviso. Ora,<br />

dopo qualche mese, ero più flessibile, più morbido; sapevo che<br />

Ambrogio già probabilmente accusava nelle spalle gli effetti dello


sforzo.<br />

«Tutto bene?»<br />

Annuì, mentre un guizzo di perplessità gli attraversava lo sguardo.<br />

Teneva la testa ancora lievemente abbassata nel cenno di assenso<br />

che mi aveva rivolto quando io, staccando la mano sinistra, con uno<br />

schiocco come di frusta abbassai con forza il bastone <strong>sul</strong>la destra<br />

colpendolo <strong>sul</strong> vestimento di cuoio e mandandolo a terra, senza<br />

fargli male, e strappandogli dalla sinistra l'estremità del bastone,<br />

sicché reggeva la sua "arma" solo con la destra che oscillava inerme.<br />

Prima che potesse riaversi, con un balzo gli fui di lato e lo colpii di<br />

nuovo, questa volta con un fendente assestato di rovescio da sinistra<br />

a destra che lo colse perfidamente sotto la spalla destra, buttandolo<br />

a terra per la seconda volta. Ero di nuovo pronto ad attaccarlo,<br />

tenendo ancora una volta il bastone con le due mani e volgendo<br />

contro di lui un'estremità con forza e sveltezza, bilanciandomi <strong>sul</strong>le<br />

gambe, per colpirlo sopra lo sterno. Alla fine, perdendo l'equilibrio,<br />

cadde <strong>sul</strong> deretano. Saltai all'indietro e mi accucciai, di fronte a lui, i<br />

pugni stretti intorno al bastone, una estremità fermamente puntata<br />

contro la sua testa.<br />

Si mise seduto e cominciò a indietreggiare, appoggiandosi <strong>sul</strong>le<br />

mani dietro la schiena. Dopo un lungo momento di silenzio,<br />

contrasse le labbra e fece per mettersi in piedi, con un'espressione<br />

decisa nello sguardo mentre cercava e raccoglieva il bastone che gli<br />

era caduto. Impugnandolo strettamente con entrambe le mani come<br />

facevo io, cominciò a girarmi intorno con circospezione, aspettando<br />

l'occasione per sferrare un colpo.<br />

Mi mossi all'unisono, indietreggiando, in equilibrio sui talloni;<br />

quindi simulando uno slancio in avanti a sinistra, tornai nel punto in<br />

cui ero. Ambrogio, il mio scaltro fratello, non si lasciò ingannare e<br />

rimase in attesa. Avevamo combattuto tante volte e conosceva il<br />

mio stile, come io conoscevo alcune sue mosse. In quel momento<br />

ero però certo di vincere perché da mesi praticavo quella nuova<br />

tecnica, mentre per lui era del tutto inedita. Ma Ambrogio non era<br />

stupido. Capii subito che avrebbe potuto continuare a girare per<br />

tutto il giorno e che non si sarebbe impegnato ad attaccarmi senza<br />

avere prima elaborato una tattica adatta. Schiarendomi la gola, gli


feci un cenno con la testa, smettendo il combattimento.<br />

«Molto bene. Continua. Colpiscimi.»<br />

Mi guardò con aria interrogativa, un'espressione scettica, gli occhi<br />

luccicanti. «Non ti muoverai?»<br />

«Non mi muoverò finché non avrai deciso dove colpirmi. Dopo<br />

mi scanserò e tu non riuscirai a centrarmi.»<br />

Si raddrizzò, roteò il bastone in basso con una mano, stringendo<br />

un'estremità sotto l'ascella. Capii istintivamente quale sarebbe stata la<br />

sua mossa successiva.<br />

Ambrogio era solito portare una spada lunga e sottile simile a<br />

quella dei cavalieri romani che, stando in sella, l'affondavano nel<br />

nemico a piedi. Un'arma eccezionale per certi scopi, ma inutile negli<br />

aspri combattimenti corpo a corpo. La lama lunga e leggera rischiava<br />

di piegarsi o addirittura spezzarsi se impiegata contro un ferro<br />

meglio temprato. Nella fase iniziale del processo di conversione alla<br />

cavalleria avvenuto a Camelot, il mio prozio Publio Varro, mastro<br />

armaiolo della Colonia, aveva progettato una spada più lunga<br />

dell'originaria versione romana, con una lama più larga, più robusta<br />

e meglio temprata. Era questa l'arma che Ambrogio preferiva. La<br />

lunghezza e la fattura imponevano di usarla in un certo modo,<br />

secondo una tecnica ben precisa per chi combatteva a piedi: ecco<br />

perché ero in grado di prevedere la successiva mossa di Ambrogio.<br />

Mio fratello si rimise in posizione: afferrò con le mani l'arma,<br />

piegò leggermente le ginocchia, avanzò un po' il piede destro, la<br />

"lama" puntata contro il mio sterno. Si immobilizzò, gli occhi fissi e<br />

concentrati, quindi con un brontolio si scatenò in un vortice di<br />

azioni velocissime, sollevando l'arma e roteandola <strong>sul</strong>la mia testa,<br />

abbassandola di rovescio con forza nell'intenzione di colpirmi nelle<br />

gambe. Conoscevo la parabola del suo fendente; sapevo in quale<br />

punto avrebbe cambiato direzione per diventare una stoccata di<br />

punta prima di sollevarsi di nuovo e abbattersi di taglio dall'alto in<br />

basso, verticalmente.<br />

Senza distogliere lo sguardo dal suo, lasciai cadere la "punta" e<br />

presi a muovere la "lama" impugnando l'arma al rovescio per parare<br />

il colpo dall'alto. Poi, prima che cambiasse direzione, bloccai il colpo


di punta e, sollevando le braccia, lasciando tra le mani la larghezza<br />

del petto, trascinai in alto la sua "lama". In quel frattempo cambiai<br />

l'impugnatura della destra in modo da tenere l'arma di rovescio e,<br />

lasciando cadere le braccia e le spalle, gliela puntai contro il petto<br />

mandandolo a terra per la terza volta. E, prima che finisse di<br />

rotolare, gli fui addosso bloccandolo con un ginocchio, l'estremità<br />

del bastone contro la sua gola.<br />

Non tentò di muoversi; rimase fermo ad ansimare finché il respiro<br />

non riprese il ritmo normale. Eravamo in silenzio da tempo.<br />

«Merda!» esclamò alla fine mettendosi seduto. Lo aiutai ad alzarsi e<br />

lo guardai ricomporsi le vesti.<br />

«Adesso sai tutto.»<br />

«Sì.» Mi guardò di sottecchi. «Armi da allenamento, come quelle<br />

usate dai Romani, ma nuove e migliori. Quando ti è venuta l'idea?»<br />

«Vieni, ti mostrerò.»<br />

Gli feci strada su per il ripido pendio della collina verso la porta<br />

occidentale del forte, un tratto non più lungo di trenta passi, e da lì<br />

raggiungemmo il mio alloggio. Quando arrivammo, Shelagh e<br />

Ludmilla se ne stavano andando dopo avere depositato, a detta di<br />

Ludmilla, nella mia stanza un baule di fogli di papiro fattimi<br />

pervenire dal mio fornitore a Camelot. Le invitai cortesemente a<br />

trattenersi, ma fui segretamente contento che rifiutassero. Non<br />

appena furono uscite, mi accinsi ad aprire un cassone posto contro la<br />

parete, e da lì estrassi una cassa di legno che racchiudeva Excalibur.<br />

L'aprii, afferrai la spada e la tesi ad Ambrogio, porgendogli<br />

l'impugnatura.<br />

«Mi serve il tuo aiuto. Roteala un paio di volte per abituarti al<br />

peso e per maneggiarla. Voglio dimostrarti una cosa.»<br />

Mentre faceva vorticare la massiccia arma e <strong>sul</strong>la lunga lama<br />

splendente si rifletteva la luce del lume, tolsi dalla cassa una spada di<br />

tipo romano. C'era un tallone tra l'elsa e la lama come nel corto<br />

gladium; era priva di guardamano. Una bella arma, perfetta, salvo<br />

un lieve rivestimento rossiccio troppo sottile per essere ruggine; la<br />

lama, leggermente curva e affilatissima, si allargava e allungava,<br />

simile nella forma a una foglia. Ambrogio si interruppe e, tenendo


Excalibur verticalmente, guardò me e la spada che impugnavo. Gliela<br />

porsi e simultaneamente tesi l'altra mano per afferrare Excalibur.<br />

Scambiammo le armi, e subito lui si accinse a esaminare da vicino la<br />

nuova spada, osservandola minuziosamente, tastando il filo della<br />

lama con il polpastrello del pollice.<br />

«Non l'ho mai vista? Da dove viene?»<br />

«Dall'armeria di Camelot. E uno dei prototipi disegnati da Varro<br />

quando con Equo riprogettava la vecchia spada romana da<br />

cavalleria. Prima che io nascessi e che si scoprisse il segreto degli<br />

speroni, Caio Britannico voleva una nuova arma, più forte della<br />

precedente versione romana, una specie di incrocio tra la lancia e<br />

l'ascia, che i cavalieri potessero utilizzare contro i fanti.»<br />

«È una buona arma» disse piano Ambrogio, soppesandola e<br />

muovendo piano il braccio. «Una bella arma.»<br />

«Successivamente ho fatto una scoperta su questa spada, ovvero<br />

su un esemplare simile e voglio che tu mi aiuti a scoprire se quello<br />

che sospetto è vero. Se è come credo, dovremo fare qualcosa, tu e<br />

io, in segreto.»<br />

Ambrogio mi guardava divertito, un lieve sorriso <strong>sul</strong>le labbra.<br />

Scosse la testa. «Non ti chiedo di che si tratta. So che me lo dirai al<br />

momento opportuno. Come posso aiutarti ad arrivare a questa<br />

verità?»<br />

«Prendi questa e dammi quella.» Di nuovo ci scambiammo le<br />

spade. Roteai la lunga lama ricurva e mi fermai tenendola tesa a<br />

destra, non orizzontale ma leggermente inclinata, e impugnandola<br />

con entrambe le mani. Ambrogio si limitava a guardare, aspettando<br />

direttive.<br />

«È una delle migliori lame di Varro. Lui stesso fuse il metallo e lo<br />

temprò. Un'opera splendida. Naturalmente quella che reggi tu<br />

adesso probabilmente è la più grande lama mai costruita dall'uomo.<br />

Ti chiedo di cercare di usarla per scalzare dal mio pugno questa che<br />

ho io. È importante che tu lo faccia di taglio, non di piatto. Nessun<br />

trucco, te lo assicuro. Colpisci stando lontano da me perché, non<br />

avendo io un guardamano, Excalibur potrebbe staccarmi il braccio di<br />

netto. Non mi muoverò, non cercherò di scansare il tuo colpo. Mi


limiterò a stare qui fermo e tendere questa spada. Cercherò di non<br />

farla cadere sotto il tuo fendente. Ti è chiaro?»<br />

Annuì, indietreggiò di un passo, si raccolse in posizione accucciata,<br />

concentrandosi <strong>sul</strong>la mossa successiva. Quando si dispiegò in tutta la<br />

sua altezza e potenza brandendo nell'attacco Excalibur, io trattenni il<br />

fiato allo scintillio della grande lama che roteando sibilava e<br />

lampeggiava nel grigiore del mio alloggio. Ambrogio si appoggiò <strong>sul</strong><br />

tallone del piede sinistro e abbassò l'arma mortale <strong>sul</strong>la lama che io<br />

tenevo nella mia destra. Mi ero aspettato quell'impatto e mi ero<br />

preparato a riceverlo, i muscoli tesi per parare il colpo, ma l'arma mi<br />

schizzò dalla mano in un attimo. La forza dell'assalto mi fece<br />

indietreggiare e io caddi <strong>sul</strong>le ginocchia contro una parete mentre la<br />

spada tintinnando rimbalzava <strong>sul</strong> pavimento.<br />

Ambrogio rimase immobile, stupito, il viso vuoto di espressione<br />

per la sorpresa, guardando alternativamente la spada che teneva in<br />

mano e me che ero finito a terra. Mentre mi muovevo per<br />

rimettermi in piedi, appoggiandomi al muro con la sinistra tesa e<br />

scuotendo il braccio destro indolenzito, mi si avvicinò continuando a<br />

impugnare l'arma e tenendo la punta verso il pavimento.<br />

«Merlino, ti sei fatto male? Che cos'era? Che cosa è successo?»<br />

Con la mano destra mi massaggiai il braccio indolenzito,<br />

stringendolo sopra il gomito, intorpidito e insensibile. «Sto bene,<br />

fratello, e per niente sorpreso. È successo quello che avevo previsto.»<br />

Indicai con un cenno della testa la lunga spada finita a terra contro la<br />

parete opposta. «Guarda.»<br />

Volse gli occhi in quella direzione e mi giunse il sibilo di un<br />

respiro trattenuto. La lunga spada di Varro si era piegata e intaccata;<br />

la lama finemente lavorata si era sformata e contorta. Prima che<br />

potesse aprire bocca, ripresi a parlare.<br />

«Controlla la lama di Excalibur. È danneggiata?»<br />

La sollevò per esaminarla minuziosamente. Sapevo che non<br />

avrebbe trovato il minimo difetto. «No» disse alla fine. «Non ha<br />

alcuna intaccatura.»<br />

Mi chinai e presi con la destra la spada di Varro, provando un<br />

lieve pizzicore nelle dita che si chiudevano intorno all'impugnatura.


Una dentellatura profonda a forma di "V" aveva inciso la lama.<br />

Excalibur era penetrata in profondità tagliando il metallo quasi fosse<br />

stato legno o piombo, alterandone la forma. Lasciai cadere a terra la<br />

spada di Varro.<br />

«Era questo il motivo del combattimento con i bastoni. La<br />

necessità di esercitarsi nella spada... una particolare spada» dissi.<br />

«Non capisco.»<br />

«Lo so, ma capirai. Quello che hai fatto definisce i termini del<br />

problema e nello stesso tempo li acuisce. Non esiste al mondo una<br />

lama che sia pari a Excalibur. Taglia i metalli, senza deformarsi. È<br />

unica ed è questa anche la sua tragedia.»<br />

«Tragedia!» L'esclamazione risuonò come una risata. «Che c'è di<br />

tragico? È un'arma magica, di incredibile potenza. Non c'è niente di<br />

tragico in questo.»<br />

«Neanche nelle sarisse di Alessandro c'erano punti deboli.»<br />

<strong>Il</strong> sorriso gli morì <strong>sul</strong>le labbra. «Non ci sono affinità. Dov'è il<br />

punto debole di Excalibur? Chiunque, vedendo che riesce a spezzare<br />

in due una lama, sarebbe disposto a dire che è magica e ne sarebbe<br />

intimorito. <strong>Il</strong> guerriero che la impugna è invincibile; lo invidieranno<br />

tutti.»<br />

«<strong>Il</strong> re, vuoi dire... il re che la impugna.»<br />

«Sì...» si interruppe lanciandomi un'occhiata obliqua. «Sarà il<br />

giovane Artù, no? Non hai cambiato idea su questo punto, vero?»<br />

«No. È figlio di suo padre, erede delle terre e del regno di<br />

Pendragon. I miei sentimenti sono quelli di sempre. Ma sono<br />

preoccupato su come addestrarlo e farne un uomo in grado di<br />

affrontare il suo compito e il suo destino. Siamo chiusi tra queste<br />

colline, lontano da Camelot e da chi potrebbe valorizzarlo. Per<br />

imparare a usare Excalibur e non solo a rotearla per gioco, deve<br />

trovare qualcuno che possa contrastarlo con un'arma adatta e<br />

addestrarlo.»<br />

«Lo farai tu, no? Combatterà con te, Dedalo, Rufio, gli altri. Non<br />

mi sembra che vi manchino gli istruttori.»<br />

«No, ma non mi hai ascoltato. L'invincibilità di Excalibur è il suo


punto debole. Non ho nessuno strumento adeguato per addestrare il<br />

ragazzo... non ho un'altra Excalibur da contrapporre a Excalibur.»<br />

Con un gesto della testa indicai la spada spezzata nell'angolo della<br />

stanza. «Una bella spada con una lama modellata da Varro. Un<br />

unico colpo l'ha quasi tagliata in due. Non sarà sufficiente<br />

addestrarlo con una spada qualunque, di inferiore qualità, perché in<br />

tal modo non apprenderà a mettere a frutto la forza, la raffinatezza,<br />

il bilanciamento di questa spada, l'eccellenza della sua lama.»<br />

Mentre parlavo, capivo dalla luce del suo sguardo che si rendeva<br />

conto delle mie perplessità. Quasi subito cominciò a sorridere, e il<br />

sorriso si allargò mentre si sedeva su una sedia, tenendo Excalibur tra<br />

le ginocchia, la punta in basso tra i piedi.<br />

«Che cos'hai?» gli chiesi. «Che cos'hai da ridere?»<br />

Appoggiò in grembo l'impugnatura della spada e ne sollevò la<br />

punta che sopravanzò la testa di un buon tratto. La luce della<br />

lampada giocava <strong>sul</strong>la lama possente mandando dei bagliori.<br />

«Excalibur. Qualcuno lavorò con Publio Varro nel costruirla?»<br />

«Sì, il suo amico Equo. La modellarono insieme, alternandosi al<br />

lavoro finché non l'ebbero finita.»<br />

«Esiste nessuno che sappia come la forgiarono?»<br />

«Sì, i figli di Equo, Joseph e Carol. Non parteciparono al lavoro,<br />

ma sono fabbri entrambi. So che appresero l'arte di plasmare e<br />

battere il metallo al modo del loro padre e di Varro, e sanno<br />

trasformare il normale ferro in un'opera di ineguagliabile eccellenza.<br />

Lavorano ancora così. Ti dirò di più: è ormai prassi comune a<br />

Camelot l'uso degli stampi per modellare e saldare l'elsa al codolo.»<br />

«Saprebbero produrre un'altra Excalibur?»<br />

«Sì. Non solo: non sei stato tu a dirmi che per fare la spada Varro<br />

fuse la statua e che poi, con il metallo avanzato, la ricostruì più<br />

piccola e leggera? <strong>Il</strong> metallo avanzato, Cay, quello della Pietra del<br />

Cielo! Possiamo fare la tua spada da allenamento: un'altra Excalibur,<br />

meno ornata, ma dalle caratteristiche altrettanto magiche, una lama<br />

semplice per mettere alla prova la prima.»<br />

«Per Dio!» Ero attonito. La sua soluzione era così chiara, perfetta,<br />

ovvia che non capivo come non mi fosse venuta in mente prima.


«Joseph è qui con te, vero? Non importa. Chiederemo a Carol di<br />

farne un'altra a Camelot, perché lì si trova la statua. <strong>Il</strong> modello sarà<br />

Excalibur, ma non sarà così preziosa e neppure così bella. Ci serve<br />

un'arma semplice e funzionale, resistente e durevole, che possa stare<br />

alla pari con l'originale. Abbiamo le misure; basta che Carol ne faccia<br />

un duplicato senza badare alla decorazione. Che ne pensi?»<br />

Sedevo scuotendo la testa, sopraffatto dalla meravigliosa<br />

semplicità con cui aveva risolto un cruccio che da mesi mi<br />

tormentava. Ambrogio mi fissava con sguardo luminoso.<br />

«Sei d'accordo?»<br />

«D'accordo? Naturalmente. È una soluzione brillante, Ambrogio!<br />

Cominceremo preparando una serie di disegni che terranno conto<br />

delle notazioni e degli schizzi di Publio Varro: li ho tutti qui.<br />

Tornerai a casa portandoti dietro le indicazioni per iscritto, le<br />

dimensioni e ogni altro particolare che Joseph vorrà aggiungere su<br />

come lavorare il metallo, fondere la statua e modellare un'altra<br />

lama. Dovremo naturalmente mostrare Excalibur a Joseph.»<br />

Ambrogio mi guardò corrugando la fronte. «Ti preoccupa? Sento<br />

il dubbio nella tua voce.»<br />

Mi strinsi nelle spalle. «Non dubbio, ma trepidazione. Non ho<br />

voglia di farlo. Soltanto tu, Shelagh, Donuil e io sappiamo<br />

dell'esistenza di Excalibur. Troppi. Ogni persona in più che viene a<br />

saperlo aumenta le probabilità che il segreto sia scoperto.»<br />

Rimase in silenzio, riflettendo su quell'osservazione, poi si strinse<br />

nelle spalle. «Occorre mostrarla a Joseph? Hai le misure e Joseph è<br />

un fabbro. Dovrebbe poter lavorare <strong>sul</strong>la base di questi dati. Una<br />

spada è una spada e quella che chiediamo a Carol di costruire sarà<br />

soltanto più larga, più lunga, più pesante di qualsiasi altra che<br />

abbiano forgiato finora. Non occorre che vedano l'esemplare<br />

originale.»<br />

«Come può Joseph figurarsi l'oggetto concretò, descriverlo con<br />

minuziosa precisione se non l'ha mai visto?» Scossi la testa. «No, non<br />

mi va, ma credo che dovremo mostrargliela. È uno di noi, fedele e<br />

leale; suo padre partecipò a costruire l'originale e noi gli chiediamo<br />

di aiutarci a farne una copia. Gli mostreremo Excalibur stasera, dopo


che avrà giurato di non parlarne con nessuno. Una volta vista la<br />

spada, capirà l'importanza dell'impegno. Quanto ci metterà Carol a<br />

produrla?»<br />

Sorridendo Ambrogio andò a riporre Excalibur nella sua custodia.<br />

«L'unico dubbio riguardava le capacità di Carol come fabbro, ma tu<br />

mi hai tranquillizzato.»<br />

«Sì, i due fratelli sono ugualmente bravi; Varro ha insegnato loro<br />

il mestiere. Se mai dovessi scegliere tra i due, direi che Carol è<br />

migliore, ma non lo ammetterei mai davanti a Joseph.»<br />

«Carol sarà lusingato che ti rivolga a lui e gli chieda aiuto. Non<br />

perderà tempo e capirà l'esigenza di non parlare con nessuno. <strong>Il</strong> mio<br />

consiglio è che Carol, soltanto lui, sappia da dove proviene il<br />

metallo e che abbia libertà di muoversi come crede per fondere la<br />

statua e ricavarne un lingotto al riparo da occhi indiscreti.<br />

Successivamente il metallo sarà come ogni altro pezzo di ferro, ma<br />

solo lui dovrà lavorarlo. Sei d'accordo?» Annuii e lui proseguì.<br />

«Una verità rimane invariata, fratello. Che ci voglia molto o poco<br />

a costruire questa seconda spada, tu avrai nel frattempo un bel da<br />

fare ad allenare il ragazzo. Ma non c'è fretta. Artù dovrà crescere di<br />

un bel pezzo prima di avere la stazza e la forza per usare Excalibur,<br />

senza contare che dovrà imparare anche quel tuo trucchetto che mi<br />

ha mandato col deretano per terra. È grande e forte per la sua età, e<br />

non ho mai visto un ragazzo che avesse mani e piedi delle sue<br />

dimensioni. Ha i tratti di famiglia e diventerà come noi, ma quel<br />

giorno è ancora lontano.» Tacque e riportò la custodia di legno dove<br />

era contenuta Excalibur lì da dove l'avevo presa. Una volta che ebbe<br />

ben chiuso il coperchio, si voltò spolverandosi le mani.<br />

«Adesso che abbiamo prospettato la soluzione al nostro<br />

problema, andrò a cercare Rufio. È andato nel bosco a tagliare legna<br />

con Dedalo, Donuil e qualche altro. Gli ho promesso che l'avrei<br />

raggiunto e mi sarei sporcato le nobili mani a segare. Vieni con me e<br />

cammin facendo mi racconterai come ti è venuta l'idea di usare una<br />

spada di legno.»<br />

Sapevo che quasi tutti gli uomini erano impegnati nel bosco, in un<br />

querceto, ad abbattere gli alberi indicati da Mark, il falegname.<br />

Facevamo eccezione io, deciso a completare alcuni testi scritti nel


silenzio e nella solitudine, e Lucano, ancora occupato con le sue<br />

pergamene. Avendo finito prima del previsto, mi sentivo ora attratto<br />

dall'idea di dedicarmi per un po' alla dura fatica fisica. Troppo<br />

tempo era passato da quando mi ero concesso una bella sudata in un<br />

lavoro manuale. D'un tratto euforico, scoppiai a ridere e diedi una<br />

pacca <strong>sul</strong>la spalla di mio fratello.<br />

Ci dirigemmo subito verso le stalle.<br />

La gualdrappa invernale di Germanico, lunga e pesante,<br />

cominciava a mostrare i segni dell'usura sebbene negli ultimi giorni<br />

Ulf si fosse dedicato a porvi rimedio.<br />

Montato a cavallo, superai la porta principale del forte, seguendo<br />

Ambrogio e quindi voltando subito a destra per condurlo dove<br />

sapevo che gli uomini erano al lavoro. Mi ci volle qualche momento<br />

per rendermi conto che lui non mi aveva seguito. Voltandomi, lo<br />

vidi che, seduto eretto in sella, fissava lo sguardo verso oriente dove<br />

la strada arrivava al passo per scomparire alla vista dietro la<br />

montagna. Girai il cavallo e lo raggiunsi.<br />

«Che cosa guardi?» gli chiesi.<br />

«Laggiù. Non è mai venuto nessuno da quella parte?»<br />

«Non da quando siamo qui e, stando a Derek, neppure da molti<br />

anni prima.»<br />

«Che cosa si trova laggiù?»<br />

«Una valle come quella ai nostri piedi. La strada scende da quella<br />

cresta là in fondo, attraversa la valle e all'estremità opposta risale le<br />

pendici di un colle fino a raggiungere un altro valico.»<br />

«È una valle grande? L'hai vista?»<br />

Ridacchiai. «Sì, l'ho vista, ma soltanto da quella cresta. Non c'è<br />

niente da vedere. Sarà lunga tre miglia, non di più. È tutta ricoperta<br />

di alberi come questa che vedi sotto di te. Non mi ci addentrai solo<br />

perché, se l'avessi fatto, avrei dovuto poi arrampicarmi per tornare<br />

indietro. Sul fondo scorre il fiume e passa la strada.»<br />

«Dove va la strada? A che cosa serve?»<br />

Mi sorprese scoprire che mio fratello non sapeva nulla di quella<br />

regione e della sua storia; ma fino a pochi mesi prima anch'io avevo


ignorato ogni cosa. Da allora tuttavia molto era cambiato. La nostra<br />

gente si era adattata a vivere nel vecchio forte, anzi ne era contenta,<br />

e si dedicava anima e corpo a renderlo accogliente e piacevole. Si<br />

era data un'organizzazione efficiente, suddividendosi in squadre e<br />

unità di lavoro, e si era adoperata in tutti i modi per avviare e<br />

completare i progetti che era necessario condurre a termine prima<br />

dell'inverno. Poiché non esisteva terra coltivabile, avevamo<br />

abbattuto le più belle querce e con cura ne avevamo ricavato<br />

legname pregiato da vendere a Ravenglass in cambio di frumento e<br />

altri prodotti agricoli. Mano a mano che mi abituavo a vivere nel<br />

forte, desideravo saperne di più su Mediobogdum, <strong>sul</strong>le sue origini e<br />

<strong>sul</strong>la strada per vegliare la quale era stato costruito.<br />

«Hai mai sentito parlare del decimum iter?»<br />

«No.»<br />

«Era molto conosciuto a suo tempo perché era l'unica strada<br />

romana che dalla costa raggiungesse l'entroterra nord-occidentale<br />

della Britannia. Sotto di te, puoi vedere il decimum iter, da<br />

Ravenglass si sviluppa per venti miglia, supera questo valico e<br />

prosegue fino al forte di Galava vicino al lago.»<br />

«Non sei mai stato a Galava? Non sai se sia abbandonato come lo<br />

era Mediobogdum?»<br />

«Non ci sono stato, ma non è abbandonato. Vi si è insediata una<br />

comunità di gente del posto e di mercanti come a Ravenglass. La<br />

strada prosegue ancora - un'altra strada in realtà costruita da altri<br />

legionari in tempi diversi - ma da qualche parte, stando a quello che<br />

si dice, si congiunge in prossimità del vecchio forte di Brocavum con<br />

il troncone viario principale che attraversa fino a sud l'intera<br />

Britannia.»<br />

«L'intera Britannia? Vuoi dire che potresti arrivare su una buona<br />

strada romana fino a Londinium?»<br />

«Sì così mi hanno detto, o anche a Glevum, ad Aquae Sulis e da lì<br />

a Camelot, a seconda della direzione che imbocchi al bivio di<br />

Brocavum. Un troncone punta direttamente a sud e, passando per<br />

Glevum e Aquae, arriva a Isca; l'altro troncone, che si dirama verso<br />

est, porta quasi direttamente nel centro di Londinium. Lo conosci di


sicuro perché attraversa Lindum.»<br />

«So che a Lindum convergono due strade - una da nord che volge<br />

subito a sud, l'altra da nord-ovest - ma io non sono mai stato più che<br />

a un centinaio di miglia a nord di Lindum. Non sapevo che la strada<br />

avesse origine nel cuore della regione nord-occidentale.» L'itinerario<br />

via mare da lui percorso per arrivare lì era più rapido, più diretto e<br />

assai più sicuro di quello via terra. Ero incuriosito.<br />

«Perché mi fai tante domande? Hai voglia di sferrare un attacco<br />

contro Lindum da qui?»<br />

«No, e neppure contro altri bersagli. È incoraggiante sapere che<br />

esiste una strada viabile da qui, se mai fosse precluso il passaggio via<br />

mare.»<br />

«Che vuoi dire?» Percepì nella mia voce un tono allarmato e<br />

voltandosi verso di me levò la mano in un gesto rassicurante.<br />

«Niente, Caio. Ti giuro che non c'è da aver paura. Non sono<br />

pessimista. Non ci sono pericoli o catastrofi che ti minacciano dal<br />

mare. Pensavo a una conversazione avuta con Connor durante il<br />

viaggio. Mi disse che non aveva più saputo nulla dei Figli di Condran<br />

dopo la morte di Liam e la sconfitta che avete inflitto alla loro flotta<br />

nel mare antistante Ravenglass. Ne è preoccupato. Si aspettava da<br />

Condran una qualche reazione di rancore. Gli do ragione. È<br />

sconcertante che non sia accaduto niente, che niente sembri<br />

muoversi <strong>sul</strong> mare, neppure a nord. Di' pure che sono sciocco, ma<br />

ho il presentimento che una enorme flotta di vele straniere, così<br />

enorme da oscurare l'orizzonte, si diriga a distruggere il regno di<br />

Derek. Adesso so che se dovesse accadere, se dovessero dimostrarsi<br />

vani i tentativi di soccorso, tu e i tuoi avreste una via di fuga<br />

attraverso questo valico fino a sud e alla salvezza.»<br />

«Capisco...» Lo guardai negli occhi, cercando di nascondere il mio<br />

disagio. «Hai davvero il presentimento di questa enorme flotta?»<br />

Sorridendomi mi diede una pacca <strong>sul</strong>la spalla. «No, non nel senso<br />

che credi tu. Non è uno dei tuoi sogni, non ci sono apparizioni<br />

magiche e figure spettrali. No, mi limito a figurarmi quello che forse<br />

potrebbe prepararsi... A proposito di prepararsi... ci aspetta il<br />

lavoro, un duro e sano lavoro manuale. Dove sono gli uomini?»


«Dietro a noi, a circa un miglio da qui.» Tirai le redini, Germanico<br />

indietreggiò e posandosi <strong>sul</strong>le due zampe posteriori invertì la<br />

direzione. Era una mossa che da anni adottavamo e che piaceva a<br />

entrambi, se non altro per la perizia che richiedeva nell'esecuzione.<br />

Vidi Ambrogio annusare una folata che portava l'odore di legna<br />

fresca bruciata. «Se seguiamo il naso, li troveremo» dissi e spronai il<br />

cavallo.<br />

Ci volle una buona mezz'ora per coprire la distanza dalla porta<br />

del forte alla radura dove gli uomini erano intenti al lavoro.<br />

Parlammo di varie cose, non ultima delle quali era l'insolita e<br />

straordinaria intelligenza del ragazzo affidato alle nostre cure.<br />

Accennai di nuovo ad Ambrogio il timore - da qualche tempo ne ero<br />

intermittentemente assalito - che quel forte solitario e isolato, una<br />

comunità minuscola e in embrione, potesse rivelarsi inadeguato per<br />

il compito che mi ero proposto. Non era Mediobogdum,<br />

apparentemente lontano dallo sguardo e dalle armi dei potenziali<br />

assassini, il posto nel quale allevare un futuro re. Ero arrivato<br />

riluttante a tale conclusione. Non ci avevo pensato nell'urgenza di<br />

fuggire al pericolo e di insediarci nell'antico forte. Soltanto mentre le<br />

settimane diventavano mesi avevo cominciato a rendermi conto di<br />

come fosse angusto quel nostro avamposto ai confini del nulla e di<br />

come non potesse rappresentare il modello di base per costruire e<br />

governare un regno. Era necessario che il ragazzo arrivasse a<br />

conoscere il vasto mondo degli uomini.<br />

Ambrogio mi ascoltò con attenzione e quando ebbi finito, sfilato<br />

un piede dalla staffa, piegò il ginocchio agganciandolo <strong>sul</strong> davanti<br />

della sella e si girò a guardarmi.<br />

«Secondo te, Mediobogdum è troppo isolato per il compito che ti<br />

sei prefisso? Eppure sei venuto qui proprio per questo motivo, e sei<br />

riuscito a scomparire da Camelot, dalla tua vita precedente, dai<br />

pericoli per il ragazzo.»<br />

«Lo so, Ambrogio, e per mesi ho creduto di avere agito con<br />

saggezza. Ma vedendo il ragazzo che cresce a vista d'occhio come un<br />

giovane virgulto, sopraggiunge il timore che stia buttando via il suo<br />

tempo e che altrove, senza rinunciare alla sicurezza, potrebbe


imparare molto di più.»<br />

«Perché? Che cosa potrebbe imparare di meglio altrove che non<br />

possa apprendere qui?»<br />

«La vita, la vita tra uomini di ogni tipo, venali e nobili!»<br />

Consapevole della portata di quelle parole, mi affrettai a smentire<br />

l'offesa implicita nei confronti dei miei amici. «La nostra gente è<br />

buona e gentile, generosa e sensibile, e tra i Celti di Derek nessun<br />

danno verrà al ragazzo. Ma non è come gli altri, questo è il nocciolo<br />

delle mie ansie. Artù Pendragon non sarà un uomo come tanti,<br />

Ambrogio; nostro intento è di farne un guerriero, un sovrano<br />

illuminato. Detto così, sembra presuntuoso ed esagerato, ma è la<br />

verità. Se è destinato a regnare a Camelot, in Cambria o in<br />

Cornovaglia, deve imparare a essere re, guerriero e sovrano, più<br />

grande di Vortigern, capace di evitare i suoi errori. Non credo che<br />

potrà imparare tante cose se rimarrà qui, isolato. Per imparare gli ci<br />

vogliono esempi delle debolezze degli uomini e della loro forza e<br />

per trovarli deve cercare altrove, nel vasto mondo, dove le<br />

esperienze quotidiane dell'ambizione, dell'avidità, della<br />

spregiudicatezza, della meschinità, dell'inganno e del furto sono<br />

smascherate e messe in evidenza dalla nobiltà, dall'onore,<br />

dall'integrità. Soltanto vedendo queste cose, imparerà ad affrontarle<br />

e a innalzarsi al di sopra di esse. Io le ho imparate al seguito di<br />

Uther, instaurando la pace a Camelot, avendo contatto con uomini<br />

al di là del nostro dominio. Tu le hai imparate combattendo una<br />

guerra contro tuo zio e tutore a Lindum, e con Vortigern,<br />

mantenendo la pace e vegliando sugli interessi del re. Artù può<br />

apprendere qui la teoria, ma gli mancherà un'educazione pratica.<br />

Non ci sono traditori venali nel nostro gruppo, non ci sono malvagi<br />

come Lot di Cornovaglia o dementi come il deforme Carthac; non<br />

abbiamo neppure un Peter Ironhair.»<br />

«Mi sembri eccessivamente ansioso, Cay.» La voce pacata di<br />

Ambrogio mi fece capire quanto fosse stata stridula la mia. «Mi<br />

rendo conto che tu possa essere preoccupato. Conduci una vita<br />

solitaria e isolata quassù, e immagino che gli svantaggi appaiano con<br />

maggior evidenza d'inverno, ma credo che tu ti agiti senza che ce ne<br />

sia bisogno. Secondo il nostro progetto, Artù verrà a Camelot non<br />

appena lui e i suoi amici avranno raggiunto l'età di unirsi alle nostre


truppe. Ne abbiamo già discusso e siamo d'accordo, questione di tre<br />

o quattro anni, forse prima se il ragazzo continuerà a crescere e a<br />

maturare come ha fatto finora. Nel frattempo la nostra maggiore<br />

cura sarà di proteggerlo, di dargli un ambiente stabile e sicuro, di<br />

insegnargli tutto quello che può imparare. Forse, dopo quanto lui ha<br />

insegnato a noi un paio di sere fa, sarebbe più corretto dire che<br />

imparerà tutto quello che noi saremo in grado di trasmettergli.<br />

Credo che alla fine il discente saprà molte più cose del docente. Tra<br />

queste montagne puoi insegnargli a combattere da guerriero, da<br />

cavaliere e da fante, a vivere da uomo bastando a se stesso. Puoi<br />

impartirgli le lezioni che ti hanno insegnato coloro che le avevano<br />

apprese anni prima che nascesse il padre del giovane Artù, e che tu<br />

stesso hai appreso. Puoi illuminarlo, dargli il potere di leggere e<br />

scrivere, un potere che purtroppo pochi hanno in questa nazione. Lo<br />

hai affidato a ottimi maestri e il ragazzo è molto dotato. Alla loro<br />

scuola impiegherà il tempo nel modo migliore. Che impari da loro;<br />

tu offrigli ulteriori stimoli.<br />

Perché non lo porti in Gallia dal tuo amico, il vescovo Germano?<br />

Perché non fargli conoscere gente che vive in altri climi? Portalo<br />

nell'Eire dove non ci sono strade, e nelle isole settentrionali rette da<br />

suo nonno; mostragli come può essere primitiva la vita in luoghi così<br />

remoti e ostili. Portalo in Britannia... non ancora in Cambria o in<br />

Cornovaglia, neppure a Camelot, ma nel resto del paese, seguendo<br />

la strada romana di cui mi hai parlato, fino alle terre di Vortigern,<br />

sperando che continui a regnare la pace nelle regioni nord-orientali.<br />

<strong>Il</strong> ragazzo non ha nemici lì, e Vortigern nutre benevolenza nei tuoi<br />

confronti; lo stesso si può dire di Hengist. Ricordati: non sei più<br />

Merlino di Camelot, sarai un viaggiatore come tanti altri che si<br />

muove con un paio di compagni e di ragazzi, anche tutti e quattro se<br />

vuoi. Suo zio Connor sarà felice di darti una scorta fino in Gallia.»<br />

Ascoltando mio fratello, capivo quanta verità e saggezza ci<br />

fossero nei suoi consigli. Raddrizzandomi <strong>sul</strong>la sella, mi parve che,<br />

simili a foglie d'autunno, cadessero le tensioni accumulate in quegli<br />

ultimi mesi e che subentrasse un'ondata di entusiasmo. Sarebbe stato<br />

bello, pensavo, rivedere il mio amico Germano dopo tanto tempo.<br />

Come può essere strana l'amicizia! Lo avevo visto una volta sola,<br />

dodici anni prima, e allora non avevamo avuto nulla in comune -


certamente nessun motivo per riuscirci vicendevolmente simpatici -<br />

eppure eravamo diventati amici stretti. Era l'unica persona al mondo<br />

al quale continuassi a scrivere con una certa regolarità, per non dire<br />

frequenza. Era diventato vescovo, il vescovo di Auxerre in Gallia.<br />

Aveva anche la carica di ex legato dell'esercito imperiale di Onorio e<br />

aveva conquistato vasta fama comandando un intero reparto<br />

dell'esercito nella Renania. Da sempre uomo di profonda fede, una<br />

volta ritiratosi dal servizio militare, aveva sostituito la ferrea<br />

disciplina delle armi con il rigore altrettanto severo della teologia e si<br />

era dedicato alla vita ecclesiastica con la stessa devozione univoca e<br />

lo stesso impegno incondizionato che lo avevano distinto tra i<br />

soldati.<br />

Lo avevo conosciuto quando, in veste di difensore della Chiesa,<br />

era venuto in Britannia mandato dal papa, il vescovo della Santa<br />

Sede di Roma, per partecipare nella città di Verulamium al dibattito,<br />

aperto a chiunque desiderasse prendervi parte, circa gli insegnamenti<br />

di Pelagio, il teologo eretico di nazionalità britannica. Gli erano<br />

avversari nella discussione quasi tutti i vescovi che avevano sposato<br />

la dottrina di Pelagio, il pelagianesimo. Mi ero recato a Verulamium<br />

attraversando l'intera Britannia spinto dalla paura di quello che<br />

sarebbe potuto derivare da quel confronto. Tutta la mia famiglia,<br />

ancora prima che io nascessi, era stata profondamente influenzata da<br />

Alarico, vescovo di Verulamium. Uomo timorato di Dio, esempio<br />

luminoso di virtù e integrità per quanti lo conoscevano, Alarico<br />

dopo molta riflessione si era accostato alla dottrina di Pelagio,<br />

secondo la quale Dio aveva creato l'uomo a propria immagine e gli<br />

aveva trasmesso una particella della propria essenza divina. Alarico<br />

aveva insegnato al suo gregge, e naturalmente ai suoi amici e<br />

compagni di fede, che ogni individuo aveva la possibilità di<br />

comunicare con Dio personalmente tramite la scintilla divina che<br />

convogliava la preghiera dall'animo del singolo all'orecchio del<br />

creatore.<br />

La tragedia per Pelagio e i suoi seguaci, compreso il vescovo<br />

Alarico, che naturalmente non poteva immaginare quali furori<br />

sarebbero esplosi dopo la sua morte, era stata che quella dottrina in<br />

ultima istanza negava la necessità della presenza degli uomini di<br />

Chiesa quali intermediari tra l'individuo e Dio. <strong>Il</strong> comune mortale


non aveva bisogno del sacerdote: ecco il motivo del contendere che<br />

si era rivelato chiaramente non appena la Chiesa cristiana, affrancata<br />

dalla clandestinità e sotto Costantino, riconosciuta dapprima come<br />

portatrice di una religione ufficiale e poi della religione ufficiale<br />

dell'Impero, aveva cominciato ad affermare una propria gerarchia. I<br />

prelati di Roma, soddisfatti del recente privilegio ottenuto di poter<br />

organizzare se stessi, le proprie attività e dogmi, non avevano<br />

gradito sentirsi dire che erano inutili. Avevano ricevuto non soltanto<br />

il riconoscimento ufficiale, ma un rango nell'ambito dell'Impero.<br />

L'immagine del povero falegname era stata obliata nell'arco di pochi<br />

decenni e sostituita dalle ricchezze e dai fasti della corte imperiale; il<br />

papato romano aveva ereditato l'opulenza e lo sfarzo della Città<br />

eterna.<br />

In quello stesso periodo Agostino, il grande vescovo di Ippona in<br />

Africa, aveva cominciato a diffondere la propria dottrina, secondo la<br />

quale l'uomo era incapace di raggiungere la salvezza eterna in<br />

quanto privo della grazia divina che da Dio scendeva sui suoi figli<br />

tramite la preghiera. Senza la grazia, predicava Agostino, l'uomo era<br />

condannato a peccare in eterno. Portando tale ragionamento alle<br />

sue estreme conseguenze, si poteva concludere che le leggi erano<br />

inutili perché ogni azione riprovevole poteva essere imputata a Dio,<br />

che non aveva dato al trasgressore bastante grazia per combattere la<br />

tentazione.<br />

Tali dottrine erano evidentemente destinate a scontrarsi, perché<br />

l'una metteva in discussione la necessità di una Chiesa, l'altra negava<br />

la necessità di una legge umana contrapposta a quella divina. Si<br />

erano scontrate nelle sembianze di due uomini, Pelagio e Agostino,<br />

ed era stato Pelagio a perdere, condannato dai poteri congiunti della<br />

Chiesa ufficiale e dei suoi Padri fondatori. La gerarchia lo aveva<br />

scomunicato e bandito dalla comunità religiosa; i suoi insegnamenti<br />

erano stati giudicati eretici e dichiarati anatema.<br />

Proprio quell'anatema aveva scatenato le mie paure. In quanto<br />

soldato, non avevo familiarità con la teologia e non nutrivo<br />

interesse per la politica, ma la mia intelligenza mi aveva detto che<br />

quel conflitto era diventato politico, anzi forse lo era sempre stato.<br />

Con la scomunica di Pelagio erano stati scomunicati anche i suoi<br />

seguaci, e questo mi aveva lasciato attonito. L'idea che il reverendo


vescovo Alarico potesse essere scomunicato e sconsacrato dopo la<br />

morte per ordine di uomini che non lo avevano conosciuto mi era<br />

parsa assurda. Ecco perché, avendo avuto notizia del concilio che si<br />

sarebbe tenuto a Verulamium, avevo deciso di andarci<br />

accompagnato dalle truppe scelte di Camelot. Durante il tragitto<br />

avevamo incontrato il vescovo e lo avevamo salvato dall'assalto di<br />

una banda di fuorilegge sassoni. Eravamo diventati amici e mi aveva<br />

rimandato a casa tranquillo nella consapevolezza che Alarico e il suo<br />

gregge di anime, compresi i miei familiari e amici, non erano stati<br />

toccati dalla scomunica.<br />

Tutti questi pensieri mi passarono nella mente in un tempo<br />

minore di quello necessario a descriverli. Ambrogio procedeva calmo<br />

vicino a me, inconsapevole che la mia mente si era volta ad altro nel<br />

breve intervallo di tempo da quando avevo pronunciato l'ultima<br />

parola. Gli sorrisi ricordando che a quello stesso periodo risaliva il<br />

legame che avevo con lui. Anche lui era venuto a Verulamium per il<br />

concilio, inconsapevole che la sua vita sarebbe cambiata per sempre.<br />

Ci era arrivato convinto di essere Ambrogio Ambrosiano, ma<br />

constatando, non appena ci fummo conosciuti, che eravamo come<br />

due gocce d'acqua, era stato facile accertare che lui era in realtà<br />

Ambrogio Britannico, un fratellastro concepito da mio padre<br />

convalescente circa tre decenni prima. <strong>Il</strong> sorriso mi si allargò <strong>sul</strong>le<br />

labbra, ricordando che non era stato affatto compiaciuto<br />

nell’apprendere quella nuova, ma vi si era poi adattato rapidamente.<br />

In quel momento accorgendosi che sorridevo, levò le sopracciglia.<br />

«Che hai? Hai l'aria divertita.»<br />

«No, non proprio» dissi scuotendo la testa. «Ricordavo Germano e<br />

come tu e io ci incontrammo a Verulamium. Mi piace quella tua idea<br />

di un viaggio, e forse sarà buona cosa rivedere Germano. Grazie del<br />

suggerimento.» Annuì senza replicare e spronò il cavallo verso il<br />

bosco che si profilava di lontano.<br />

Da quel momento procedemmo in silenzio, apprezzando la<br />

bellezza della giornata e pensando a come il destino stesso avrebbe<br />

fissato il ritmo dell'educazione di Artù.<br />

Nella radura non tutti erano occupati a tagliare gli alberi. Da


lontano, ben prima di raggiungerli, ci era giunto il suono<br />

inequivocabile delle spade che si incrociavano con i colpi sonori e<br />

forti che soltanto uomini maturi potevano infierire. <strong>Il</strong> tonfo delle<br />

accette ci diceva che altri tuttavia erano intenti ad abbattere qualche<br />

tronco e più in là altri ancora segavano il legno fresco come indicava<br />

lo stridio asmatico delle lame.<br />

Uscendo dal fitto degli alberi e arrivando alla radura vedemmo<br />

che i duellanti erano Dedalo e Rufio, come del resto mi ero<br />

immaginato dal ritmo dei colpi inferti. Dietro a loro, a una certa<br />

distanza, lavorava Mark, il mastro falegname, che per esperienza e<br />

conoscenza era a capo della squadra dei boscaioli. Sulla sua destra<br />

una pariglia di quattro cavalli tirava un carico he non vedevo dal<br />

punto in cui mi trovavo; la guidava un uomo di Derek. Fui sorpreso<br />

nel riconoscere in lui Longino, il comandante delle macchine da<br />

guerra di Ravenglass, che evidentemente non si adontava di lavorare<br />

agli ordini altrui quando non doveva misurarsi con catapulte e<br />

baliste.<br />

Sulla mia sinistra Joseph ed Hector, il fabbro e l'agricoltore,<br />

lavoravano insieme, lasciando cadere con movimenti fluidi e<br />

impeccabili l'accetta nel tronco della maestosa quercia. Sapevo che<br />

nelle vicinanze c'erano Lars, Jonathan e numerosi altri intenti a<br />

tagliare e preparare scorte di legna che sarebbero bastate per qualche<br />

anno.


X.<br />

Nella settimana successiva al nostro ritorno da Ravenglass pensai<br />

a lungo e intensamente alla lettera che avevo intenzione di inviare a<br />

Germano in Gallia. Scostando i numerosi fogli di note e<br />

appoggiandomi allo schienale della sedia, mi sfregai gli occhi e mossi<br />

le spalle. Quante ore erano passate da quando, prima dell'alba ero<br />

saltato giù dal letto e, acceso un lume, avevo cominciato ad andare<br />

avanti e indietro nella stanza, cercando di mettere ordine nei miei<br />

pensieri. Invece di scrivere una lettera mi ero trovato a buttar giù<br />

appunti sugli argomenti che desideravo esporre al mio amico.<br />

Contando oziosamente i fogli, mi accorsi che già sei erano<br />

fittamente ricoperti, ma avevo appena toccato il tema che più mi<br />

stava a cuore: l'educazione di Artù. Le grandi capacità del ragazzo, la<br />

sua intelligenza, la mente viva, così matura rispetto alla giovane età,<br />

mi facevano venir meno le parole per descriverle. Accingendomi a<br />

leggere quelle copiose annotazioni, mi sentii sopraffare da un'ondata<br />

di frustrazione. Le scostai da me e, levandomi impulsivamente dalla<br />

sedia, ripresi il mio andirivieni nella stanza come avevo fatto qualche<br />

ora prima dell'alba. La tensione mi rodeva il petto e mi irrigidiva la<br />

nuca.<br />

Passando nella più vasta delle due stanze che componevano il<br />

mio alloggio, mi volsi a lanciare uno sguardo alla camera attraverso<br />

la porta aperta. Vedendo il letto sfatto mi immobilizzai: per la prima<br />

volta constatavo con i miei occhi come fossi cambiato da quando<br />

ero arrivato a Ravenglass e Mediobogdum.<br />

Allevato a una disciplina militare, da tutta la vita avevo<br />

l'abitudine di cominciare la giornata rifacendomi il letto prima di<br />

dedicarmi a qualsiasi altro compito. Era un gesto naturale, qualcosa<br />

che facevo automaticamente, senza pensarci. In quel momento la<br />

vista delle coperte in disordine mi diede la misura dei mutamenti<br />

enormi che negli ultimi anni e mesi erano intervenuti nella mia vita.<br />

La mia vita, me ne rendevo conto, non mi apparteneva più nel<br />

modo spensierato e intenso di una volta. Ora vivevo per altre


persone, prima tra queste Artù, che esigevano attenzione e<br />

dedizione. Le loro priorità erano le mie; i loro affanni erano i miei; i<br />

miei doveri riguardavano soltanto loro. Non appena tale pensiero<br />

mi si affacciò alla mente, mi dissi che sempre i doveri riguardano il<br />

prossimo, ma una differenza era chiara e lampante: a Camelot i miei<br />

compiti erano stati rigorosamente strutturati, di natura militare,<br />

definiti con precisione; erano prevedibili, commisurati alla natura<br />

della prestazione e alla qualità del ri<strong>sul</strong>tato: la ricompensa nella<br />

forma di un riconoscimento o di una lode, la spartizione delle<br />

responsabilità, di tanto in tanto il sollievo dal fardello degli impegni<br />

in cambio di un'azione meritoria. Tutto questo era cambiato. Oggi il<br />

peso dei doveri non mi abbandonava mai.<br />

Consapevole che in tal modo non facevo che compiangermi e<br />

commiserarmi, avanzai risolutamente nella cameretta e proprio<br />

mentre afferravo le coperte, qualcuno bussò alla porta.<br />

«Entra, è aperto» gridai e, curioso di sapere chi fosse il visitatore,<br />

allungai il collo. Fui sorpreso di vedere Shelagh che metteva la testa<br />

dentro e mi chiamava.<br />

«Cay? Posso entrare?»<br />

«Certamente, Shelagh. È da molto che bussi?»<br />

<strong>Il</strong> piacere che mi davano il vederla e il sentire la sua voce dissipò<br />

ogni ansia, eppure non mi mossi per raggiungerla nell'altra stanza.<br />

L'occasione di poterla osservare senza essere visto era troppo<br />

preziosa; rimasi quindi a scrutarla attraverso la porta aperta della<br />

camera da letto ancora buia. Avanzò nella stanza, tenendo la mano<br />

<strong>sul</strong>la maniglia e guardandosi intorno; poi non appena i suoi occhi si<br />

posarono <strong>sul</strong>la soglia oltre la quale stavo io nascosto nell'ombra, mi<br />

accorsi che non era sola, che qualcuno le stava alle spalle.<br />

Avanzai sorridendo nel benvenuto a lei e a chi l'accompagnava.<br />

Mi bloccai nel riconoscere la persona che la seguiva. Era Tressa, la<br />

giovane donna che mi aveva sorriso la sera della festa, la donna che<br />

mi aveva turbato con lo sguardo ridente e il seno pieno. Di nuovo<br />

mi trovai davanti quegli occhi che mi fissavano, attenti e spalancati,<br />

quasi in un'espressione di stupore. Mi accorsi che non era impossibile<br />

ignorare il suo seno alto e sodo che tendeva la stoffa dell'abito.<br />

Shelagh non si accorse di quello scambio di sguardi. Provavo


gratitudine per la ragione, qualunque essa fosse, che l'aveva spinta a<br />

venire da me con Tressa. Lanciò un'occhiata intorno alla stanza.<br />

«È buio qui dentro e pieno di polvere. Merlino, ti presento...»<br />

«Tressa. La ricordo da Ravenglass. Benvenuta, Tressa.»<br />

La giovane arrossì e nel sorridere il viso le si riempì di fossette.<br />

Con un sussurro disse: «Mastro Cay». Mi volsi a Shelagh,<br />

ridicolmente consapevole della presenza dell'altra e con una strana<br />

sensazione di colpa come se, ricordandomela così bene, avessi<br />

peccato verso di lei.<br />

«In che cosa posso esservi utile? Dovete perdonarmi. Temo di non<br />

essere abituato a ricevere signore nel mio rozzo alloggio.»<br />

«Questo lo si vede bene.» Shelagh sorrideva e il suo sguardo era<br />

malizioso. «Ho portato Tressa perché si renda conto di quelli che<br />

saranno i suoi compiti. Si occuperà di te e di Lucano, pulendo i vostri<br />

alloggi, arieggiandoli, aggiustandovi gli abiti... insomma avendo cura<br />

di tutto quanto vi serve.»<br />

«Ma...»<br />

«Nessun "ma". Cay. Così ho stabilito io, Shelagh, e tu ci<br />

risparmierai fastidi e preoccupazioni se ti adeguerai all'ordine. Voi<br />

uomini siete grandi nel legiferare, ma a volte le leggi delle donne<br />

sono migliori e più sensate. Questa è una delle tante. Tu baderai alle<br />

tue cose, e Tressa si preoccuperà di tenere pulite le stanze e di<br />

rendertele gradevoli. D'accordo?»<br />

«Ma...»<br />

«Ma? Scusa, Cay, noi siamo venute qui con uno scopo. Ora se ti<br />

metti in disparte, mostrerò a Tressa il da farsi.»<br />

A bocca aperta rimasi a guardarle mentre scrutavano ogni angolo<br />

della mia abitazione, parlottando e prendendo nota di quello che,<br />

secondo loro, andava cambiato e migliorato. <strong>Il</strong> fastidio iniziale<br />

passò, e ben presto cominciai a trovare divertente quell'andirivieni.<br />

Tressa non era una bellezza, ma era giovane, vigorosa, sprizzante<br />

salute, non meno affascinante di Shelagh, dotata di una grazia più<br />

matura. Entrambe erano piene nei posti femminilmente giusti, e di<br />

tanto in tanto ridacchiavano sommessamente. Poco dopo,


completata la ricognizione, si avvicinarono a dove stavo io.<br />

«Ho mostrato a Tressa quello che l'aspetta. Cercherà di non starti<br />

tra i piedi e di fare ogni cosa mentre tu sei fuori a occuparti delle tue<br />

faccende. Ti accorgerai di lei soltanto perché avrai modo di notare<br />

che vivi in un ambiente più piacevole. Buona giornata a te.»<br />

Con un timido sorriso si accomiatò anche Tressa, lasciandomi con<br />

l'impressione di essere stato ispezionato, studiato e valutato: il che<br />

era vero. Rimasi a guardarle dalla finestra mentre si allontanavano, e<br />

quando scomparvero alla vista, restai per qualche tempo a fissare il<br />

cielo. Vedevo un lembo di azzurro racchiuso tra il cornicione del<br />

tetto della mia casa e il muro esterno del forte, e scorgevo piccole<br />

nuvole bianche che lo attraversavano rapide, spinte dal vento.<br />

All'improvviso la stanza mi parve buia e fredda, innaturalmente<br />

tranquilla ora che non risuonavano più le voci delle donne. Mi<br />

avvicinai alla porta, afferrai il mantello e uscii nella luce intensa del<br />

mattino.<br />

Non mi accorsi di niente di insolito nel silenzio che mi accolse.<br />

Pur con il recente incremento degli abitanti che ne aveva triplicato il<br />

numero, la presenza di cinquanta persone era appena percepibile in<br />

un forte costruito per alloggiarne seicento, senza contare che erano<br />

rare e tra loro distanziate le volte in cui tutti si trovavano<br />

simultaneamente entro le mura. Sapevo che quel giorno, come<br />

ormai da una settimana, almeno dieci, o addirittura venti uomini<br />

incaricati di raccogliere la legna sarebbero stati lontano, nella foresta.<br />

Ambrogio era uscito in compagnia di Dedalo e Rufio a esercitarsi<br />

nell'uso dei bastoni; Shelagh e Tressa erano probabilmente intente ai<br />

soliti lavori delle donne; i ragazzi, ormai finite le ore di studio,<br />

certamente giocavano fuori delle mura. Mi parve che da qualche<br />

parte, a una certa distanza, provenisse il suono di acute voci di<br />

giovinette; molti nuovi venuti si erano portati le famiglie appresso, e<br />

ora abitavano a Mediobogdum bambini e adolescenti di entrambi i<br />

sessi, non soltanto i quattro ragazzi di Camelot. Avviandomi verso la<br />

porta occidentale, incontrai soltanto una persona, un nuovo venuto,<br />

il cui nome ancora ignoravo. Ci scambiammo un cenno di saluto nel<br />

passarci accanto, e poi mi ritrovai da solo in prossimità del precipizio<br />

alle spalle del forte.


Sulla mia destra le pareti rocciose del versante nordorientale della<br />

valle torreggiavano alte, ma ad attrarre la mia attenzione era il<br />

fondo, brulicante di movimento e di vita, perché le querce enormi<br />

che lo ricoprivano fittamente erano agitate dai forti venti che<br />

soffiavano dal mare occidentale, a oltre dodici miglia di distanza,<br />

all'estremità della valle dell'Esk. Mi avvicinai ancora di più al bordo<br />

del burrone, consapevole di fare una cosa sciocca, ma incapace di<br />

sopprimere il desiderio di fissare lo strapiombo sotto ai miei piedi.<br />

<strong>Il</strong> vento crebbe di intensità, diventando una forza costante e<br />

irruenta, sicché dovevo oppormi per contrastarlo mentre la mente<br />

mi consigliava di allontanarmi dal bordo, di smettere di fare<br />

sciocchezze. Era una strana sensazione restarmene in bilico lassù,<br />

opponendomi con il mio peso alle folate. Se si fossero placate<br />

all'improvviso, sarei caduto nell'abisso.<br />

Pensai per un attimo che se avessi spalancato le braccia e mi fossi<br />

lanciato, mi sarei librato nell'aria come un uccello e sarei planato<br />

sugli alberi sottostanti. Avevo addirittura levato le braccia e<br />

percepivo il vento che, ingrossando le pieghe del mio mantello, le<br />

agitava come ali. Sbattendo le palpebre, indietreggiai, lasciando<br />

cadere le braccia sui fianchi. Al riparo di uno spuntone di roccia il<br />

mantello mi si afflosciò intorno, i capelli agitati si ricomposero <strong>sul</strong>la<br />

testa. In quel momento il vento tacque all'improvviso, come pochi<br />

attimi prima avevo temuto potesse fare. Per pochi istanti l'aria<br />

rimase immobile e io ebbi un fremito di orrore al pensiero che il mio<br />

corpo si sarebbe potuto schiantare nell'abisso. Poi le folate ripresero<br />

con un ululato sordo, via via più forte. Mi allontanai con risolutezza,<br />

volsi le spalle alla valle e, rientrato nel forte, mi avviai verso le<br />

scuderie dove era accudito Germanico.<br />

Pochi attimi più tardi, uscendo di nuovo dal forte attraverso la<br />

porta meridionale, salutai con un gesto della mano Lucano, che<br />

camminava lungo il passaggio perimetrale interno. Superata la porta,<br />

mi diressi verso lo stradone, passando sotto le terme e percorrendo il<br />

crinale che nascondeva la vista del forte. Mentre osservavo il nastro<br />

che si snodava fino al passo per proseguire quindi nella valle<br />

successiva, ebbi la rapida visione di qualcosa di bianco. Trattenendo<br />

il cavallo per scrutare meglio, mi accorsi che il biancore era uno dei<br />

pony dei ragazzi, ma di questi non si vedeva traccia. Punto dalla


curiosità, non appena raggiunta la strada, spronai Germanico ad<br />

andare a destra, in direzione del passo.<br />

Sapevo che i ragazzi ci andavano spesso, soprattutto d'inverno,<br />

quando potevano usare le slitte. Quanto a me, dopo essermi spinto<br />

fino al valico <strong>sul</strong> finire dell'autunno, prima delle nevicate, non ci ero<br />

più tornato. Mi ero dimenticato come fosse erta la salita. Per<br />

avanzare, Germanico si spingeva facendo forza a ogni passo mentre<br />

gli zoccoli scivolavano <strong>sul</strong>la superficie dura e acciottolata del manto<br />

stradale, lottando a ogni curva per procedere di poco <strong>sul</strong> tornante.<br />

Mi sorpresi a immaginare la fatica e le sofferenze dei legionari e dei<br />

conducenti dei pesanti carri trainati dai muli e dai buoi che, arrivati<br />

in cima, si sarebbero trovati davanti a un'impresa ancora più ardua<br />

nella discesa <strong>sul</strong>l'altro versante del valico.<br />

Giunto <strong>sul</strong>la sommità del crinale, protetto ora contro il vento<br />

dalle rocce svettanti <strong>sul</strong>la mia sinistra, tirai le redini e, spinto dalla<br />

pietà per il cavallo, smontai per percorrere a piedi il tratto che<br />

restava. <strong>Il</strong> pony che aveva attratto la mia attenzione era lì vicino,<br />

legato con le redini a una pesante pietra. Lo riconobbi subito per<br />

Primo, la cavalcatura di Artù. Le zampe, la coda e il ventre chiazzati<br />

di fango indicavano che aveva percorso un terreno difficile. Non<br />

c'era la minima traccia del ragazzo.<br />

«Merlino, che cosa fai? Che cosa cerchi?»<br />

Levai la testa e scorsi Artù Pendragon che mi fissava dall'alto di<br />

una roccia <strong>sul</strong>la sinistra.<br />

«Sono venuto a cercarti perché ho visto il tuo pony. Che cosa stai<br />

facendo?»<br />

«Niente.» Flettendo le ginocchia cominciò a scendere, tenendosi in<br />

equilibrio con le braccia allargate.<br />

Mi girai per tornare dove aspettava Germanico che con un<br />

sommesso nitrito mi appoggiò il muso <strong>sul</strong>la spalla. Guardandomi<br />

intorno vidi il forte sotto di noi, imprendibile e all'apparenza<br />

disabitato, cosa che non corrispondeva alla realtà. Dalle terme si<br />

levava, come sempre, il fumo della fornace che si raggrumava in una<br />

nuvoletta prima di disperdersi nel vento.<br />

Ci fu un piccolo tonfo quando Artù saltò <strong>sul</strong>la strada e, non


appena mi fu vicino, notai una ferita <strong>sul</strong>la tempia destra e tracce di<br />

sangue incrostate <strong>sul</strong> naso. Non me ne ero accorto prima perché lo<br />

avevo visto dal basso e dall'altro lato. L'occhio destro era tumefatto,<br />

il labbro gonfio. Intuendo che me ne ero accorto, arrossì, a disagio.<br />

Mi avvicinai e gli presi il mento rovesciandogli la testa all'indietro.<br />

«La tua unica consolazione è che tra un mese sarà sparito tutto.<br />

Nei prossimi giorni invece avrai un viso che sarà uno spettacolo.<br />

Spero almeno che tu abbia avuto la meglio.»<br />

<strong>Il</strong> cenno di diniego e lo sguardo che cercava di sfuggire al mio mi<br />

dissero che non era andata così.<br />

«Chi è stato? Gwin? Bedwyr?»<br />

«No.» Continuava a evitare di fissarmi negli occhi sebbene gli<br />

tenessi sollevato il mento. Lo lasciai andare e indietreggiai.<br />

«Chi allora?» Nel momento stesso in cui gli posi la domanda capii<br />

che non mi avrebbe risposto. C'era nella sua espressione<br />

un'ostinazione insolita. Mi strinsi nelle spalle a dimostrargli che la<br />

cosa non mi interessava. «Non ho intenzione di andare a fondo,<br />

Artù. Te l'ho chiesto per curiosità. Ormai il danno è stato fatto. Sono<br />

affari di ragazzi, non miei... gli uomini non c'entrano in queste<br />

faccende.»<br />

«Ma a volte le prendono a cuore.» Le parole borbottate con forza<br />

mi indussero a osservarlo con attenzione.<br />

«Che cosa vuoi dire? Chi sono quelli che se la prendono a cuore?»<br />

«Gli uomini. A volte si interessano alle contese tra ragazzi.»<br />

«Artù, che stai dicendo? Sono parole insensate le tue.» Sul suo viso<br />

leggevo la rabbia. «È stato un uomo a picchiarti, non un ragazzo?»<br />

«No. Ci siamo scontrati io e Droc, e lui me le ha date.»<br />

«Ovvio.» Droc era uno dei figli di Derek, di almeno tre anni più<br />

grande di Artù, e cresciuto per la sua età, così simile a suo fratello<br />

maggiore Landroc che i due venivano spesso presi per gemelli ed<br />

erano inseparabili. Anche Artù era grande per la sua età, ma in lui la<br />

prestanza era una promessa, e al momento era ancora lungo e<br />

allampanato. Calcolai che Droc doveva pesare almeno il doppio di<br />

Artù.


Aspettai, ma era comunque chiaro che il ragazzo non mi avrebbe<br />

detto altro.<br />

«Che cosa ti è saltato in mente di venire alle mani con Droc? È<br />

grande e grosso quasi come me.» <strong>Il</strong> ragazzo restava in silenzio. «Non<br />

vuoi dirmelo? Sarò costretto a concludere che hai fatto una pazzia,<br />

anche se fino a oggi non avevi dato segno di essere fuori di testa.<br />

Hai parlato di uomini che mettono il naso negli affari dei ragazzi.<br />

Qualcuno è venuto a interrompervi?»<br />

«No.»<br />

«Peccato. Su, torneremo insieme al forte. Dove sono gli altri?<br />

Bedwyr, Gwin, Ghilleadh?»<br />

«Non lo so» rispose scuotendo la testa. «Me ne sono andato dopo<br />

lo scontro. Non li volevo con me.»<br />

«Vi siete azzuffati tra di voi?»<br />

Scosse la testa in silenzio: fu questa l'unica risposta che ebbi. Mi<br />

raddrizzai, all'improvviso spazientito dall'insolita reticenza del<br />

ragazzo.<br />

«Bene, torniamo. Non conviene montare in sella per questo<br />

primo tratto; lo percorreremo a piedi.»<br />

Afferrò le redini del pony e in silenzio tornammo, attenti a dove<br />

posavamo i piedi, perché i chiodi di ferro degli stivali non trovavano<br />

appigli <strong>sul</strong>la strada lastricata e ogni passo era un gioco di difficile<br />

equilibrio per evitare una rovinosa caduta.<br />

Montammo in sella solo dopo essere arrivati in fondo al crinale, e<br />

proseguimmo curvi per difenderci dalle sferzate del vento. Avevamo<br />

quasi raggiunto il bivio dove avremmo imboccato la strada per il<br />

forte, quando rompendo il silenzio Artù disse: «Ghilleadh ha trovato<br />

una spada corta... una spada romana... un gladium».<br />

Lo guardai sorpreso. «Davvero? Dove? Come sai che si trattava di<br />

un'arma romana?»<br />

«Era tra l'erba, <strong>sul</strong> pendio sotto la porta occidentale del forte.<br />

Deve essere rimasta lì molto, molto tempo. Distrutta quasi del tutto<br />

dalla ruggine, ma romana. L'elsa era di bronzo. Ne ho viste di simili<br />

nell'armeria a Camelot. Qualche soldato l'avrà lasciata cadere o


l'avrà buttata chissà quanti anni fa, probabilmente buttata, perché<br />

era distante dalla porta e dalla strada.»<br />

«Mi piacerebbe vederla. Puoi chiedere a Ghilleadh di<br />

mostrarmela.»<br />

«L'ha presa Droc.»<br />

Mi chiesi come mai un ragazzone come Droc si interessasse a una<br />

spada romana arrugginita, ma avvertito dalla tensione che percepivo<br />

in Artù capii che il ragazzo l'aveva presa per dimostrargli di essere il<br />

più forte. Un gesto di prepotenza.<br />

«Per questo hai bisticciato con Droc. Ha portato via la spada di<br />

Ghilleadh.»<br />

«Ehm.»<br />

<strong>Il</strong> silenzio durò fino a quando non fummo quasi dentro il forte.<br />

Non appena tirai le redini, alzò lo sguardo su di me con aria di<br />

attesa. Rimasi seduto per un po' prima di parlare.<br />

«Artù, non giudicarmi un ficcanaso che si intromette nelle tue<br />

faccende personali. So che non mi riguardano...» Annuì e un solco gli<br />

comparve tra i sopraccigli. «Detto questo, ammetto di essere curioso.<br />

Prima hai fatto un accenno che mi induce a sospettare che qualcuno<br />

- un uomo - si sia immischiato nei tuoi affari. Credo che tu mi<br />

nasconda qualcosa.»<br />

Tacqui per lasciargli il tempo di dire quello che aveva in mente,<br />

ma Artù continuò a restare in silenzio, la bocca leggermente<br />

imbronciata, sebbene <strong>sul</strong> suo viso non apparissero altri segni di<br />

insofferenza. Traendo un profondo sospiro, completai quello che<br />

avevo da dire.<br />

«A volte ho l'impressione che tu e io siamo qualcosa di più che un<br />

maestro e un discepolo, più che semplici cugini, più che un uomo e<br />

un ragazzo. In tali momenti mi piace pensare che siamo amici nel<br />

vero senso della parola: due persone che condividono la mentalità e<br />

il temperamento, con gusti comuni e opinioni che si completano a<br />

vicenda, due persone che possono discutere apertamente senza<br />

acrimonia e senza sottintesi. La pensi anche tu così?»<br />

Mi disprezzavo per quel mio tentativo di manipolare il ragazzo


che mi fissava e annuiva. <strong>Il</strong> viso esprimeva chiaramente il bisogno di<br />

parlare del cruccio che lo assillava. Tossicchiò, si guardò intorno,<br />

levando rapidamente gli occhi <strong>sul</strong>la cima della torre davanti a noi e<br />

poi abbassandoli per scrutare la strada.<br />

«Sì» disse con voce che era appena un sussurro. «Vorrei dirti quello<br />

che è successo... ma non qui.»<br />

«No, naturalmente. Andremo nel mio alloggio. Ho del succo di<br />

mela fatto questa mattina nelle cucine e un po' di pane fresco.<br />

Raggiungimi non appena avrai tolto la sella e i finimenti al pony e lo<br />

avrai ripulito. Gli gioverà una bella strigliata.»<br />

Portai Germanico nella stalla, gli tolsi le bardature, lo ripulii con<br />

uno straccio ruvido, sebbene in quella breve uscita non si fosse<br />

coperto di sudore. Artù avrebbe faticato di più per togliere il fango<br />

dal suo pony, e sapevo che non avrebbe scansato quel suo compito,<br />

perché avevamo inculcato nei ragazzi la disciplina di accudire i<br />

propri animali. Al minimo indizio di trascuratezza seguiva la<br />

paventata punizione: il divieto di montare a cavallo per un periodo<br />

variabile da un giorno a una settimana. Non appena mi fui accertato<br />

che Germanico aveva da bere e da mangiare a sufficienza,<br />

lentamente mi avviai verso il mio alloggio, fischiettando una<br />

marcetta e chiedendomi che cosa avesse potuto turbare il ragazzo.<br />

Me lo chiedevo ancora, cercando di resistere alla tentazione di<br />

non correre con il pensiero a Tressa e al suo seno pieno, quando<br />

Artù bussò alla porta ed entrò. Era passata mezz'ora circa da quando<br />

ci eravamo salutati, ma subito capii dalla sua espressione che il<br />

cruccio non aveva cessato di tormentarlo. Accettò la tazza di succo<br />

di mela non fermentato e si abbandonò senza aprire bocca in una<br />

delle due poltrone accanto al caminetto di pietra ricavato nella<br />

lunga parete <strong>sul</strong> fondo della stanza. Osservandolo mentre mi<br />

riempivo di vino una coppa, notai che aveva la fronte aggrottata.<br />

Mi sedetti davanti a lui.<br />

Vicino al braciere stavano impilati trucioli secchi per attizzare il<br />

fuoco. La stanza era fresca, quasi buia; dalla finestra aperta<br />

entravano i raggi obliqui del sole di mezzogiorno. Mi levai per<br />

andare a prendere dall'unica lampada <strong>sul</strong>la scrivania un accenditoio e<br />

avviare il fuoco nel braciere. Non appena mi parve che avvampasse,


tornai <strong>sul</strong>la sedia e sedutomi allungai i piedi verso le fiamme. Artù<br />

sedeva fissando la brace.<br />

«Allora,» cominciai «che cosa ti ha indotto a lasciare i tuoi amici<br />

così presto oggi?»<br />

<strong>Il</strong> ragazzo si accigliò, poi volse su di me uno sguardo perplesso e<br />

ribelle. «Che cosa dà a Droc il diritto di credere di poter prendere la<br />

spada di Ghilleadh?»<br />

«La stazza, direi.» Mi accorsi subito, non appena uscirono dalla<br />

mia bocca, che le mie parole erano poco appropriate. Almeno non<br />

me le fossi fatte scappare! Non era quello né il momento né il luogo<br />

per facezie del genere. Con mia sorpresa Artù non reagì.<br />

«Non basta» disse. «La stazza gli permette di prendere la spada,<br />

ma cosa lo persuade a prenderla come suo diritto?»<br />

Sbatté le palpebre sorpreso e io fui attento a scegliere le parole.<br />

«Perdonami, Artù, non ti capisco. Che cosa vuoi sapere?»<br />

«Non lo so con precisione, ma so che la risposta è importante.<br />

Ghilly ha trovato una spada che stava in quel luogo da anni e anni.<br />

Chi la buttò è morto da moltissimo tempo, sicché apparteneva a<br />

Ghilly che l'aveva trovata. Poi Droc la vede e se la prende. Era<br />

vecchia, sporca, corrosa dalla ruggine, inutilizzabile. Ma Droc l'ha<br />

voluta e se l'è tenuta. Perché? Perché si è comportato così?»<br />

Mi strinsi nelle spalle, confuso. «Per la ragione cui ho accennato<br />

prima, probabilmente. Perché voleva e poteva.»<br />

«Ma perché?» Lo chiese quasi urlando, sopraffatto dalla<br />

frustrazione. «Droc possiede una spada, una vecchia arma che<br />

apparteneva a suo padre. Non gliene serve un'altra, non gli serve in<br />

particolare quella vecchia e inutile di Ghilly. Eppure l'ha presa perché<br />

convinto che era suo diritto impossessarsene. Non è giusto, Merlino.<br />

Nessuno ha il diritto di agire così. È ingiusto.»<br />

«Non capisco perché te la prenda tanto. Per tua stessa ammissione<br />

non è altro che un pezzo di metallo vecchio, brutto, arrugginito,<br />

privo di valore.»<br />

«Ghilly ci teneva! Era sua. L'aveva trovata lui.» La rabbia e lo<br />

sdegno nel suo sguardo acceso mi fecero esitare. Capii in quel


momento che quanto io, come uomo, accettavo perché mi<br />

sembrava naturale seppur deplorevole, era un oltraggio al senso di<br />

giustizia del ragazzo. Tossii per mascherare l'imbarazzo.<br />

«Che cosa ne ha fatto Droc della spada, una volta presa?»<br />

«Non lo so; se l'è portata via.»<br />

«Dopo che vi siete azzuffati?»<br />

«Sì.»<br />

«Perché hai deciso di venire alle mani con lui?»<br />

«Non è che l'abbia deciso. Mi sono trovato a picchiarlo prima di<br />

sapere ciò che facevo. Aveva assestato a Ghilly un colpo di piatto<br />

con la lama di quella vecchia spada. Ghilly si era messo a piangere.<br />

So solo che subito dopo mi sono trovato a terra e Droc mi dava<br />

calci.»<br />

«Lo hai colpito?»<br />

Un lieve sorriso gli fremette <strong>sul</strong>le labbra. «Credo di sì; gli<br />

sanguinava il naso.»<br />

«E gli altri? Bedwyr e Gwin? Ti hanno aiutato?»<br />

«Non potevano. Landroc li teneva lontano. Droc me le ha date di<br />

santa ragione. E poi se ne è andato con suo fratello ridendo. L'ha<br />

fatto perché aveva la forza di- farlo. Non credo che ci sia altro da<br />

capire.»<br />

«Cioè che è un prepotente?»<br />

L'occhiata che mi lanciò era di pura commiserazione. «Cioè che è<br />

il figlio del re.»<br />

Ero attonito; non volevo credere a quelle parole.<br />

«Che c'entra? Credi che Derek, il re, assolverebbe il<br />

comportamento di suo figlio in questo caso?»<br />

«C'entra con molte cose, Merlino. È cominciato la settimana<br />

scorsa.» Ignorando l'espressione che mi si era disegnata in faccia,<br />

parlò come se io fossi il discepolo e lui il maestro, e io rimasi ad<br />

ascoltarlo affascinato dal suo trasporto. «Una settimana fa, il giorno<br />

dopo l'arrivo dello zio Ambrogio, ho trovato qualcosa di molto più<br />

prezioso della vecchia spada di Ghilly. Ho trovato una spilla nel


osco, all'esterno delle mura di Ravenglass, una vecchia spilla grande<br />

con una pietra gialla nel mezzo. Era d'argento, diventato verde e<br />

nero con il tempo. Scioccamente l'ho mostrata a Kesler, che ha<br />

cercato di prendermela. Ce le siamo date.»<br />

Kesler era anche lui uno dei numerosi figli di Derek e aveva la<br />

stessa età di Artù ma era più piccolo di statura.<br />

«Ve le siete date. E poi?»<br />

«Un capitano di Derek è intervenuto a separarci e ha voluto<br />

sapere perché litigavamo.»<br />

«Chi era? Lo sai? Che cosa gli avete detto?»<br />

«Era Longino, l'addetto alle catapulte, e gli abbiamo raccontato la<br />

verità.»<br />

«E poi?»<br />

«Mi ha costretto a consegnare la spilla a Kesler, perché è il figlio<br />

del re e la spilla, trovata nelle terre del re, era sua.»<br />

«Che ne hai pensato?»<br />

Si concentrò nella risposta.<br />

«Mi sono arrabbiato in un primo momento, poi mi è passata... un<br />

po'.»<br />

«Come mai?»<br />

«Perché non credevo davvero che la spilla potesse essere mia.<br />

Non era mai stata mia, era appartenuta a un'altra persona. Qualcuno<br />

l'aveva perduta... tanto tempo fa. Era una cosa preziosa... lo si<br />

capiva anche se era sporca. La dimensione e il colore della pietra, il<br />

modo come era lavorata, la montatura... non era il tipo di gioiello<br />

che porta uno qualunque. Di sicuro era appartenuta a una persona<br />

di alto rango, qualcuno di Ravenglass, forse il re stesso o una<br />

persona della sua cerchia...»<br />

«Ma?»<br />

Contrasse il viso in una smorfia. «Ma se così fosse stato, Longino<br />

avrebbe dovuto consegnarla al re; non si sarebbe dovuto limitare a<br />

lasciarla al figlio del re. Non l'ho intuito subito, ma ci ho riflettuto<br />

dopo. Ho ragione?»


Non risposi immediatamente. «Ehm. Dunque Droc ha preso la<br />

spada. Capisco che tu ti ponga qualche domanda.»<br />

«Davvero?» <strong>Il</strong> viso gli si illuminò.<br />

«Certamente. L'ingiustizia di cui sei stato testimone oggi ha tirato<br />

fuori la rabbia che fin dalla precedente occasione cova dentro di te.»<br />

«No!» Fu quasi un grido, che rispecchiò il fulmineo cambiamento<br />

di espressione intervenuto <strong>sul</strong> suo viso mentre parlavo. Si controllò<br />

subito moderando il tono della voce. «No, è più complicato di così,<br />

Merlino. Non capisci? Droc viene a sapere la storia della spilla e<br />

quello che ne segue, e non appena vede la spada di Ghilly, decide lì<br />

per lì che è sua, di diritto, perché è stata trovata nelle terre di suo<br />

padre. Allora gonfia il petto, mostra i muscoli, la prende anche se<br />

per lui non ha valore. Ecco l'ingiustizia.»<br />

Era arrivato al nocciolo della questione. <strong>Il</strong> dilemma si profilava in<br />

modo netto. <strong>Il</strong> ragazzo si era opposto a un'ingiustizia che ai suoi<br />

occhi era chiaramente definita e ora se la doveva vedere con le<br />

astrazioni della giustizia e il difficile rapporto con la forza fisica, con i<br />

concetti intangibili e filosofici della forza e del potere, e<br />

dell'influenza che entrambi avevano <strong>sul</strong>la morale. Traendo un<br />

profondo sospiro, levai una mano per imporgli il silenzio mentre<br />

cercavo di dare un ordine ai miei pensieri caotici. Ecco un momento<br />

- lo capivo bene - cruciale del rapporto tra me, il tutore, e Artù, il<br />

pupillo, un momento che non potevo ignorare o posporre. Come<br />

dovevo comportarmi? Fissandomi con attenzione in attesa che<br />

parlassi, si appoggiò allo schienale della sedia, le braccia conserte <strong>sul</strong><br />

petto.<br />

«Ascolta» cominciai e subito tacqui sfregandomi un dito contro<br />

l'ispida peluria che mi cresceva <strong>sul</strong> mento. Senza tentare di farmi<br />

fretta, il ragazzo rimase a fissarmi. Lasciai cadere la mano che mi ero<br />

portato al viso e mi raddrizzai <strong>sul</strong>la sedia.<br />

«Artù, ci sono cose... aspetti della vita... che sembrano cambiare<br />

mano a mano che si cresce. Così accadde a me, accade a tutti. Credo<br />

che tu abbia avuto un'esperienza di questo tipo. Agli occhi di un<br />

ragazzo i colori sono facilmente identificabili: il nero è nero, il<br />

bianco è bianco.» Vedendo che una nube di incomprensione gli<br />

offuscava lo sguardo, mi affrettai a spiegarmi. «Quando si è ragazzi,


ecco quello che voglio dire, il buono è buono, il cattivo è cattivo, e<br />

non è difficile tracciare una netta linea divisoria e comportarsi di<br />

conseguenza. Credo per esempio che quasi tutti i ragazzi assegnino<br />

gli uomini adulti a tre categorie. Uomini che apprezzano, ammirano,<br />

cercano di imitare; sono contenti di stare con loro. Poi ci sono i<br />

mediocri, la massa degli anonimi, gli sconosciuti... a questi i ragazzi<br />

reagiscono con indifferenza, li ignorano perché sono insignificanti, e<br />

continuano a vivere come prima. <strong>Il</strong> terzo tipo è rappresentato dai<br />

prepotenti, dai misantropi, persone sgradevoli e odiose. Costoro i<br />

ragazzi sensati schivano e si premurano di sfuggire. Sei d'accordo?»<br />

Artù annuì lentamente e pensosamente.<br />

Riprendendo a parlare, mi accorsi che stavo usando un tono<br />

solenne.<br />

«Bene. La capacità di evitare gli individui di quest'ultimo tipo è<br />

una delle cose che cambiano nei ragazzi mano a mano che crescono.<br />

Finché sono piccoli, non si curano di scansarli, non ci badano. Li<br />

evitano forse, si nascondono, li rifuggono, ma da questa fuga non<br />

deriva loro alcun danno perché ci sono gli adulti a vegliare. Un<br />

grande vantaggio, anche se i ragazzi non se ne rendono conto. Ma<br />

quando crescono e diventano a loro volta adulti, le cose cambiano.<br />

Sono ancora gli stessi nel cuore, ma il loro corpo è quello di un<br />

uomo e sono da uomo i loro pensieri. Non è possibile fuggire senza<br />

mettere a repentaglio l'onore, una volta raggiunta la virilità. Mi<br />

capisci?»<br />

«Sì. Stai dicendo che un uomo deve resistere e combattere certi<br />

individui, se non vuole perdere l'onore.»<br />

«No, non proprio. Voglio dire che un uomo deve imparare a<br />

vivere con costoro, avere un certo grado di tolleranza per i loro<br />

difetti, adoperarsi per comportarsi con rispetto e onore malgrado<br />

questi individui. Non occorre che li combatta sempre, anzi non può<br />

farlo.»<br />

«Perché no?»<br />

«Perché... perché ce ne sono troppi, se vuoi sapere la verità.»<br />

«Troppi? Vuoi dire che esistono più uomini così che uomini<br />

onesti?»


Era quello che intendevo dire? Dovevo fare attenzione a come<br />

rispondere.<br />

«No, Artù. Non intendevo questo. Mi induci a pensare a fondo<br />

<strong>sul</strong> significato delle mie parole e mi è difficile essere preciso. Lasciami<br />

riflettere per un po'.» Rimase a guardarmi finché non fui pronto a<br />

riprendere la parola.<br />

«La realtà è che i mediocri, la massa degli uomini cui ho<br />

accennato, sono indolenti quando il nocciolo si riduce a una<br />

questione di onore e disonore. Preferiscono la vita tranquilla, senza<br />

complicazioni; non hanno voglia di pensare a cose di cui non<br />

capirebbero il significato. Non che siano privi del senso dell'onore,<br />

capisci? Vuol dire solo che sono...»<br />

«... deboli.» Quell'unica parola, che rivelava la profondità di<br />

pensiero del ragazzo, mi lasciò attonito. Sbattei le palpebre e<br />

tossicchiai per nascondere la sorpresa, ma non vedevo ragione per<br />

criticare l'adeguatezza della parola da lui scelta.<br />

«Deboli... sì. Credo che sia l'aggettivo più adatto a qualificarli. Gli<br />

uomini sono nella gran massa deboli, contenti di lasciare la loro<br />

sorte nelle mani di altri più risoluti.»<br />

«Più forti, buoni e cattivi.»<br />

«Sì. Ricordi qual è stato il punto di partenza di questa discussione?<br />

Tu vedi le cose con i tuoi occhi, gli occhi di un ragazzo, in termini di<br />

bianco e nero, mentre nel mondo, il mondo nel quale dobbiamo<br />

vivere, è raro poter distinguere con chiarezza questi colori. <strong>Il</strong> tuo<br />

pony, Primo, è bellissimo; il suo mantello è pezzato: chiazze bianche<br />

e chiazze nere. Secondo te, è un cavallo nero con macchie bianche, o<br />

un cavallo bianco con macchie nere?»<br />

Sorrise. «Ci ho pensato spesso, ma non sono mai riuscito a<br />

stabilirlo. Che ne pensi tu?»<br />

«Non mi serve pensare, lo so già. Non è né l'uno né l'altro. È un<br />

cavallo bianco e nero, raro e pregiato. Pochi sono gli esemplari in<br />

natura con simili colori. Pochi uccelli, una razza di bovini, alcuni<br />

maiali, pochissimi pony. Spesso i colori sono mescolati, e questo ci<br />

riporta al punto dove eravamo... uomini e ragazzi. <strong>Il</strong> nero misto al<br />

bianco dà il grigio. <strong>Il</strong> nero e il bianco, nel senso di un'assoluta


malvagità e di un'assoluta bontà negli uomini, di un loro essere<br />

angeli o diavoli, non sono spesso in questo mondo. In vita mia ho<br />

incontrato un solo uomo che considero autenticamente buono, e<br />

solo due che giudico autenticamente malvagi.»<br />

«Credo che nella maggioranza gli uomini siano stupidi.»<br />

«Cosa?»<br />

«Ho detto che devono essere stupidi... gli uomini in generale...<br />

pecore. È stupido lasciare che siano gli altri a governare la nostra vita<br />

solo perché non abbiamo la volontà o il desiderio di pensare e<br />

decidere. Sono così anche le donne?»<br />

«Le donne?» Scoppiai a ridere. «Certamente. Come ti viene in<br />

mente di chiedermi una cosa simile? Le donne, da questo punto di<br />

vista, non sono diverse dagli uomini. Si comportano<br />

fondamentalmente nello stesso modo. Le donne sanno essere deboli<br />

e forti come gli uomini, altrettanto generose o malvagie, generose e<br />

buone o crudeli, meschine, perfide. In generale desiderano condurre<br />

una vita semplice, non oppressa dalla necessità di prendere decisioni<br />

su temi che conoscono poco. Crescendo imparerai molte cose <strong>sul</strong>le<br />

donne e vedrai come per tanti versi sono uguali agli uomini.<br />

Troverai che ci sono donne la cui compagnia e amicizia sono più<br />

piacevoli di quella degli uomini.»<br />

«Ehm.» <strong>Il</strong> ragazzo preferiva non esprimere un giudizio per il<br />

momento su tale argomento. Aveva la fronte corrugata, lo sguardo<br />

concentrato.<br />

«Secondo te, allora, gli uomini preferiscono che venga loro detto<br />

che cosa fare. È così?»<br />

Mi strinsi nelle spalle. «Mettila pure così. Personalmente andrei<br />

più in là: la maggior parte degli uomini preferisce che si dica loro che<br />

cosa fare nella maggioranza dei casi.»<br />

<strong>Il</strong> solco <strong>sul</strong>la fronte si accentuò. «Perché?» Non tentò di<br />

contraddire la mia affermazione; ne accettò la verità nella forma in<br />

cui l'avevo espressa. Sospirai a fondo.<br />

«Non lo so, Artù, ma così vanno le cose del mondo. C'è sempre<br />

chi comanda e non manca un nutrito corteo di gregari. Gli uomini<br />

costruiscono le società - imperi, regni, città grandi e piccole - e


dappertutto, invariabilmente, numerosi sono i gregari, e pochi sono i<br />

capi. Anche i piccoli gruppi di amici hanno un capo.»<br />

«Me.»<br />

«Quando lasciate i pony liberi di brucare in un campo, che<br />

succede? Si disperdono?»<br />

Si raddrizzò <strong>sul</strong>la sedia. «No, rimangono insieme.»<br />

«E?»<br />

«Seguono Primo. È il capo.»<br />

Annuii. «Così avviene tra le bestie. La mandria segue il toro più<br />

forte, il cervo dominante conduce il branco; il montone guida il<br />

gregge.»<br />

«Dominante. I più forti dominano dappertutto.»<br />

«Tra gli animali sì, è vero: il più forte domina per diritto di<br />

conquista e conserva il primato con la forza e la capacità di<br />

combattere. Ma gli uomini sono diversi. Hanno la ragione, sanno<br />

unire la forza con l'intelligenza e la capacità di pensare al bene<br />

comune. Così costituiscono gli stati, che altro non sono che sistemi di<br />

comportamento regolati da norme formali che chiamiamo leggi.»<br />

Osservavo, mentre parlavo, il mutevole succedersi delle espressioni<br />

<strong>sul</strong> viso del ragazzo, riflesso dei pensieri che gli passavano per la<br />

mente. Contrastavo dentro di me la tentazione di continuare per<br />

paura di dire troppo, e mi imponevo di aspettare la sua replica.<br />

Quando parlò, disse quello che più o meno mi ero aspettato.<br />

«Chi all'inizio stabilisce le norme?» Rispose lui stesso prima che<br />

potessi farlo io. «I capi...» Scosse la testa. «Ma se non vogliono farlo?<br />

Se non emanano leggi, ma usano la forza e la paura che la forza<br />

incute? Oppure se sfruttano le leggi per perseguire i propri fini? Che<br />

succede allora, Merlino?»<br />

«Allora, Artù, si tratta di una società crudele, nella quale non<br />

esistono vere leggi e gli uomini non sono che schiavi alla mercé dei<br />

capi che si circondano di gente malvagia e spietata, attratta dalla<br />

promessa di ricevere l'anarchia quale ricompensa.»<br />

«Anarchia?» Conosceva quella parola, lo sapevo, perché<br />

l'avevamo discussa precedentemente in quello stesso mese. «Anarchia


significa la mancanza di un'autorità, così ci hai spiegato la scorsa<br />

settimana.»<br />

«Sì. Poniti questa domanda. Se l'uomo dominante in una<br />

comunità è un brigante, un fuorilegge, che cerca sfrenatamente la<br />

propria convenienza, che cosa se non l'anarchia può esistere in<br />

quella comunità? E questo ci riporta al punto di partenza. Ti ricordi<br />

qual è?»<br />

«Sì.» Non c'era la minima esitazione nella sua voce. «<strong>Il</strong> passaggio<br />

dall'adolescenza alla maturità. Un uomo che ha il senso dell'onore<br />

non può fuggire a nascondersi quando si trova davanti al nemico.»<br />

«Bravo! Hai capito quello che ho detto.»<br />

«Comincio a capire, Merlino. Gli uomini che hanno il senso<br />

dell'onore devono unire intelligenza e capacità per debellare chi<br />

calpesta gli altri, i più deboli.»<br />

«Sì, questo è il loro dovere, ma la verità va ancora più in là, Artù.<br />

Gli uomini che ritengono di avere il senso dell'onore devono<br />

continuamente cercare di migliorare loro stessi, il loro modo di<br />

vivere, e di estendere tali miglioramenti a beneficio del prossimo.<br />

Sono loro che fondano e costruiscono le società.»<br />

«Ti riferisci al bisnonno Varro e Caio Britannico?»<br />

«Sì, mi riferisco a loro e a quanti li aiutarono a edificare la Colonia<br />

a Camelot.»<br />

«Camelot è una democrazia, vero?»<br />

«Nel senso greco, per indicare una comunità governata dal<br />

popolo? No, non direi che lo è in questo senso. Ma a Camelot la<br />

gente ha la libertà di vivere senza il giogo della paura. Sanno che<br />

nessuno li priverà dei loro beni per un capriccio passeggero. Sanno<br />

che i familiari, mogli, mariti, figli, possono muoversi senza pericolo;<br />

sanno che nessuno li costringerà a commettere azioni inique o<br />

malvagie. Non c'è un re a Camelot, nessuno la cui volontà sia<br />

illimitata e dominante: a questo provvede il Consiglio. Credo che in<br />

tal senso si possa affermare che Camelot è una democrazia.»<br />

«Non come qui. Questo è un regno.»<br />

Sorrisi. «Vero, ma non un cattivo regno.»


«Ha un re.»<br />

Qualcosa nella sua voce mi fece aggrottare la fronte. «Che<br />

intendi? Pensi che Derek di Ravenglass sia un uomo ingiusto, un<br />

cattivo re?»<br />

«No.» Lo disse con tono risentito. «Ma a Camelot nessuno mi<br />

avrebbe portato via la spilla che avevo trovato o preso la spada di<br />

Ghilly.»<br />

«Neppure Derek, Artù. Non ti ha portato via la spilla.»<br />

«No, ma mi è stata portata via in suo nome, in nome delle sue<br />

leggi, in modo ingiusto.»<br />

«Perché fu data a Kesler? Forse hai ragione, ma non fu colpa di<br />

Derek. Che cos'hai? Sbaglio?»<br />

<strong>Il</strong> viso di Artù aveva assunto un'espressione caparbia. Dopo essere<br />

rimasto a fissarmi per un po', prese a parlare con quel tono formale<br />

e quella sconcertante maturità che avevo già avuto modo di notare<br />

nelle rare occasioni in cui si sentiva sufficientemente forte da<br />

contrapporre alle mie le sue opinioni e scelte e decideva quindi di<br />

esporle e subire le eventuali conseguenze.<br />

«Uno di noi due sbaglia, comandante. Gli insegnamenti di logica<br />

che mi avete impartito tu e mastro Lucano mi dicono che uno di noi<br />

sbaglia, sbaglia gravemente, nel recepire quelli che sono i principali<br />

articoli di fede.»<br />

Lo fissavo cercando di mantenere un'espressione neutrale in attesa<br />

che completasse le cose che aveva da dire.<br />

«Mi sembra che se qualcuno, specie se si tratta di un ufficiale o di<br />

un funzionario di grado elevato, prende una decisione o dirime una<br />

disputa, e lo fa in nome del re, deve agire nella ferma convinzione<br />

che il re stesso approverà quella decisione e sarà pronto a ratificarla.<br />

Ne consegue quale logico ri<strong>sul</strong>tato che la responsabilità ultima è<br />

del re perché autorizza che si parli e si agisca in suo nome. Se così<br />

non fa, se ignora tale evenienza oppure ne è indifferente, allora è un<br />

abuso invocare il suo nome e la sua autorità, e il re è re solo di<br />

nome. Gli è stata sottratta l'autorità.»<br />

Fui costretto a sorridere, ammirato dall'intelligenza del ragazzo e


felice, ma cercai ancora una volta di difendere entrambi. «Anche se<br />

l'azione è stata compiuta senza malevolenza nella convinzione di<br />

tutelare al meglio gli interessi del re? Longino è un suddito leale di<br />

Derek.»<br />

«Sì, tanto più in un caso come questo nel quale il suddito ha<br />

dimostrato massima arroganza e impertinenza osando pensare per il<br />

re e parlare in nome suo.»<br />

L'impatto delle parole di Artù fu così forte che, balzando in piedi,<br />

mi avvicinai rapido al caminetto e qui accucciandomi e volgendogli<br />

la schiena, mi premurai di accatastare legna e alimentare le fiamme<br />

senza che ve ne fosse bisogno. Che ragazzo era e che intelligenza!<br />

Che uomo sarebbe diventato! Dovetti inghiottire più volte per<br />

dissolvere il groppo di commozione che mi si era formato in gola,<br />

mentre cercavo di reprimere gli intensi sentimenti che mi riempivano<br />

il petto: orgoglio, amore, ammirazione, consapevolezza timorosa di<br />

un'intelligenza più acuta della mia. Sentivo le lacrime salirmi agli<br />

occhi e mi dissi che erano causa del forte calore delle fiamme. Poi mi<br />

ricordai che il ragazzo era ancora lì, seduto in silenzio, forse<br />

timoroso. Traendo un profondo sospiro, mi levai lentamente,<br />

voltandomi verso di lui. Mi fissava, gli occhi spalancati e inquieti.<br />

«Sono stato avventato. Io...»<br />

«No, non lo sei stato. Hai ragione in tutto e per tutto; sono io che<br />

ho sbagliato.» Mi avvicinai di un passo, le mani strette dietro la<br />

schiena e lo guardai. «Soltanto una cosa di quelle che hai detto mi<br />

preoccupa. Sai di che si tratta?»<br />

«No.» La voce era acuta.<br />

«<strong>Il</strong> tuo giudizio condanna Derek tacciandolo di debolezza. Ne sei<br />

convinto?»<br />

Distolse lo sguardo e lo fissò <strong>sul</strong>le fiamme; quando riprese a<br />

parlare, la voce era pacata. «Non credo che Derek sia debole. La sua<br />

gente, la gente comune, lo ama; i suoi figli non lo temono. Ma il re<br />

deve essere al di sopra di ogni altro. Se permette, seppure<br />

ignorandolo, che in suo nome si commettano dei soprusi, manifesta<br />

una debolezza che mina la sua autorità, la indebolisce e di<br />

conseguenza espone al rischio la sicurezza e l'incolumità del suo


popolo. Se di questo se ne accorge un ragazzo come me, se ne<br />

accorgerà chiunque si prenda la briga di osservare.»<br />

Tornai a sedermi sospirando e, presa la coppa di vino, bevvi fino<br />

in fondo. «La debolezza si presenta in molte guise, Artù, ma temo<br />

che tu abbia ragione. Prego che nessuno abbia la tua capacità di<br />

giudizio. L'autorità di Derek non conosce ancora oppositori ed è<br />

benvoluta. Speriamo che così sia a lungo.»<br />

Artù sorrise con espressione fanciullesca. «In quanto uomo con il<br />

senso dell'onore, è tuo dovere, comandante Merlino, adoperarti a<br />

che nulla cambi.»<br />

«Sì, c'è voluto un bambino per farmelo capire e di questo non ti<br />

ringrazio. Bene, abbiamo finito o hai ancora qualche prezioso<br />

insegnamento da impartirmi?»<br />

Sorrideva ancora. «No, abbiamo finito. Grazie per avermi<br />

ascoltato, Merlino.»<br />

«Non mi hai quasi lasciato aprire bocca: che altro potevo fare?<br />

Che cosa passa in quella tua possente mente?»<br />

«Merlino, sarò mai un capo?»<br />

«Lo sai bene che sarà così. Comanderai sugli uomini di Camelot e<br />

di Cambria, il regno di tuo padre. Perché me lo chiedi?»<br />

«Perché voglio decidere come garantirmi che nessuno si arroghi il<br />

diritto di usare il mio nome e di invocare la mia autorità ai propri<br />

fini senza che io ne sia al corrente. Sarà difficile.»<br />

«Sì, molto difficile.»<br />

«Se sarò un capo a Camelot e un re in Cambria, lo sarò di fatto<br />

non solo di nome. Emanerò leggi e ne esigerò l'osservanza; il mio<br />

popolo dovrà vivere senza paura, così come oggi a Camelot.»<br />

Mi trovai a sorridere quando finì di parlare. «Credo che ci<br />

riuscirai, Artù, a condizione che ti circondi di uomini di valore. Ti<br />

riprometti anche che vivano nella fiducia della giustizia?»<br />

«Certamente.» Non c'era traccia di sorriso <strong>sul</strong> suo viso in quel<br />

momento.<br />

«Ottimo! Magnifico! Spero di poter essere lì ad aiutarti. Andiamo


adesso a mangiare. <strong>Il</strong> vino mi ha messo fame.»<br />

Mentre mangiavamo, mi fu difficile concentrarmi su altre cose che<br />

non fossero gli argomenti dibattuti con Artù, e verso la fine del<br />

pranzo mi accorsi che intorno a me tutti avevano accettato il mio<br />

silenzio e deciso di lasciarmi riflettere in pace. Neppure la<br />

consapevolezza di essere scontroso e scostante riuscì a distogliermi<br />

dai miei pensieri. Mi trovai così a comporre mentalmente una lettera<br />

al vescovo Germano in Gallia per chiedere il suo appoggio nel<br />

compito di educare il giovane Artù.<br />

Ricordo chiaramente che, all'inizio, prima di decidere di stendere<br />

la lettera, ero quasi arrivato a convincermi che sarebbe stato<br />

pericoloso e avventato mettere per iscritto quello che intendevo dire<br />

a Germano, perché la semplice scrittura avrebbe potuto dare a occhi<br />

diversi dai suoi, occhi nemici, l'occasione di identificare il ragazzo e,<br />

ancora più rischioso, di rintracciarlo. Nell'arco di pochi momenti<br />

tuttavia l'avvedutezza e il senso di realtà mi persuasero che l'istinto<br />

mi aveva suggerito la giusta decisione e che dovevo scrivergli. In<br />

primo luogo avrei usato il latino: erano ormai passati cinquantanni<br />

da quando i Romani se ne erano andati dalla Britannia e<br />

rimanevano pochi nelle nostre terre che parlavano la lingua dei<br />

conquistatori, tanto meno la leggevano e la scrivevano. Un testo era<br />

non solo indecifrabile alla gente analfabeta, ma inintelligibile. Le<br />

lingue celtiche, che pure avevano forma scritta nell'Eire, erano orali<br />

in Britannia. Da noi, dove il latino era stato la lingua dominante,<br />

uno su diecimila sapeva leggerlo e scriverlo, ma forse era una<br />

percentuale troppo bassa. C'era a Camelot una scuola dove i ragazzi<br />

migliori imparavano a leggere e a scrivere il latino, una scuola retta<br />

dagli anacoreti di Glastonbury, e non ero a conoscenza dell'esistenza<br />

di un'altra uguale in Britannia.<br />

Proprio l'idea che per molti sarebbe stato inconcepibile scrivere,<br />

alla fine mi convinse a farlo. La lettera sarebbe stata affidata a un<br />

prete itinerante che senza suscitare curiosità o attrarre l'attenzione<br />

avrebbe percorso il suo tragitto e se la sarebbe portata con sé:<br />

pacchetto insignificante <strong>sul</strong> fondo della sua bisaccia. I banditi non<br />

molestavano i viandanti squattrinati; non ci badavano neppure i<br />

signori della guerra e i loro lacchè. Veniva derubato solo chi dava<br />

mostra di essere ricco e quindi una preda da inseguire e catturare; in


ogni caso che valore avrebbe attribuito un analfabeta a un foglio<br />

pieno di scarabocchi? Peter Ironhair sapeva leggere, di questo ero<br />

certo e sicuramente avrebbe gradito venire in possesso della mia<br />

lettera, ma minime erano le probabilità che il nostro prete itinerante,<br />

prima della traversata alla volta della Gallia, venisse a contatto con<br />

qualcuno che conosceva Ironhair. Perfino in un'evenienza del<br />

genere, era quasi inconcepibile che la lettera potesse capitare nelle<br />

mani di chi non solo sapeva leggere ma capiva anche l'importanza<br />

che quel messaggio avrebbe avuto per Ironhair in Cornovaglia. Era<br />

questa possibilità l'unica mia paura. Ironhair, l'unica persona che<br />

avesse attentato alla vita del mio pupillo, era quasi riuscito nel suo<br />

intento, minando la fiducia che avevo nei miei amici e compagni a<br />

Camelot, perché tutti i dettami della logica dicevano che non<br />

sarebbe arrivato così vicino alla meta se non avesse avuto l'aiuto di<br />

qualcuno all'interno della Colonia, qualcuno che conosceva bene e<br />

da vicino la mia famiglia. Dopo avere passato in rassegna tutte<br />

queste considerazioni con rigore e metodo, mi resi conto che si<br />

trattava di paure in gran parte immaginarie. Le probabilità erano<br />

dalla mia parte.<br />

La lettera sarebbe finita in mani sicure, mi dissi, e quindi potevo<br />

comporla con chiara coscienza.<br />

Germanus Pontifex - Auxerre, Gallia<br />

Da Caio Merlino Britannico<br />

Salute a te, amico negletto, a lungo sono rimasto seduto a fissare<br />

la facciata immacolata di questo foglio di papiro, penosamente<br />

consapevole che è passato molto tempo da quando per l'ultima<br />

volta presi lo stilo in mano per rivolgermi a te. Sembra che ormai il<br />

compito di tenere il diario sia l'unica cosa per la quale trovo, spesso<br />

a fatica, il tempo.<br />

Da mesi intendo scriverti. Due ragioni mi spingono: chiedere il<br />

tuo consiglio su un tema che mi sta a cuore e aggiornarti su quanto è<br />

accaduto in Britannia, e nella nostra Colonia di Camelot, da quando<br />

te ne diedi notizia l'ultima volta. Ora che mi accingo a questo<br />

compito mi sembra impossibile racchiudere in un'unica missiva tutto<br />

ciò che desidero dire.


Ci sono stati di recente grandi sconvolgimenti nella nostra terra,<br />

come di sicuro saprai. Nella tua ultima lettera esprimevi la speranza<br />

che non fossimo stati coinvolti nelle guerre in corso nella Cambria, il<br />

regno che apparteneva a mio cugino Uther. Quel conflitto invero<br />

non ci toccò quasi e da tempo si è pacificato. Ma ne derivarono<br />

brutte complicazioni e un clima politico pericoloso che mise a<br />

repentaglio la vita del giovane Artù Pendragon. Fare di lui un uomo<br />

è oggi il mio maggior impegno.<br />

Come sai, il ragazzo è il figlio di mio cugino Uther Pendragon che<br />

morì nove anni fa, all'epoca in cui nacque il bambino. Ora Artù è<br />

l'erede legittimo al trono di Cambria, il regno di suo padre. E anche<br />

erede della Cornovaglia per via di madre, sebbene la questione sia<br />

irta di difficoltà: Gulrhys hot, il precedente duca autoproclamatosi<br />

re, padre apparente del ragazzo e ignaro dell'identità del padre vero,<br />

lo riconobbe ufficialmente come erede legittimo. Ho in mio possesso<br />

il sigillo personale di hot e lo custodisco per conto del ragazzo. Con<br />

maggiore legittimità, ancora dal ramo materno, il ragazzo è anche<br />

erede del regno e dei beni di suo nonno, Athol Mac lain, re del<br />

popolo dell'Ibernia: gli Scoti nella lingua dei Romani e i Gaeli nella<br />

loro lingua. È inoltre bisnipote di Publio Varro e bis-bisnipote di<br />

Caio Britannico, e pertanto successore nelle principali proprietà di<br />

Camelot.<br />

Per tutte queste ragioni, per proteggere il ragazzo dalle sfrenate<br />

ambizioni di chi ha già tentato di ucciderlo, l'ho portato via da<br />

Camelot e condotto in questa località, nel nord-ovest della<br />

Britannia, in una regione montuosa che si chiama Cumbria, vicino<br />

all'estremità occidentale del grande vallo costruito dall'imperatore<br />

Adriano per difendere la provincia dai Pitti, il popolo che si<br />

dipingeva il corpo e veniva da settentrione, dai territori della<br />

Caledonia.<br />

Arrivando qui, mi adoperai per scomparire alla vista degli uomini.<br />

Davanti a tutti lasciai, insieme ad Artù, il rifugio di Ravenglass<br />

imbarcandomi alla volta dell'Eire. Nessuno, soltanto la mia gente e<br />

pochi amici fidati sapevano che il capitano della nave, Connor Mac<br />

Athol, era fratello della madre di Artù, morta. Ci sbarcò a poche<br />

miglia a nord di Ravenglass, dove alcuni amici ci aspettavano con i<br />

cavalli. Da lì segretamente raggiungemmo il nostro insediamento tra


i monti. Successivamente mi sono cambiato il colore dei capelli, mi<br />

sono lasciato crescere una barba folta alla maniera dei Celti, ho<br />

cambiato il nome, e da Caio Merlino britannico sono diventato<br />

mastro Cay, un agricoltore. Un altro del gruppo, un brav'uomo di<br />

nome Hector, che era stato consigliere a Camelot, ha assunto in via<br />

ufficiale il governo della nostra nuova patria. E qui siamo rimasti.<br />

Pochi giorni fa, inoltre, per rafforzare la convinzione che io non<br />

sono Merlino, mio fratello Ambrogio, che come sai mi assomiglia<br />

come una goccia d'acqua, è arrivato a Ravenglass su una nave di<br />

Connor e si fa passare per me. Tutti hanno creduto che fosse<br />

Merlino di Camelot.<br />

Gli sono andato incontro e grazie ai capelli di diverso colore e al<br />

mutato aspetto fisico nessuno ha notato la somiglianza tra noi.<br />

Ambrogio ha assunto il comando delle nostre forze a Camelot e<br />

la piena responsabilità dell'amministrazione della Colonia, lo<br />

incontrai per la prima volta in occasione, come ricorderai, del<br />

grande dibattito che portò te e me a Verulamium. Poco dopo<br />

cambiò luogo e modo di vivere, e da Lindum, dove era capitano di<br />

Vortigern, venne a Camelot. In questo momento è da noi in visita<br />

ma presto tornerà nella Colonia portando con sé questa lettera, la<br />

consegnerà a un vescovo itinerante di passaggio, che provvederà a<br />

fartela pervenire.<br />

Quanti lo hanno visto sanno che in primavera Merlino di<br />

Camelot trascorse qui parecchi giorni e che prima della fine del mese<br />

prese di nuovo il mare su una galea irlandese. Sapranno anche e così<br />

verrà riferito a chi chiede notizie, che non era accompagnato da un<br />

ragazzo né nel viaggio di andata né in quello di ritorno.<br />

Nessuno che sia alla ricerca di Artù penserà di cercarlo presso un<br />

contadino quale sono io adesso. È quindi al sicuro per l'immediato<br />

futuro, e ho grandi speranze che la sua educazione possa proseguire<br />

senza interruzioni.<br />

Proprio l'educazione di Artù e la sua portata mi danno profondo<br />

cruccio. Ecco perché mi rivolgo a te per aiuto e guida.<br />

Sono molto orgoglioso e sempre più compiaciuto dei progressi e<br />

della capacità del mio giovane pupillo. Sono fermamente convinto


che un giorno si troverà ad affrontare un destino ben più grande di<br />

quello in serbo per molti ragazzi e uomini, la mia mente e la mia<br />

anima e<strong>sul</strong>tano davanti ai suoi progressi. Appena poche ore fa mi ha<br />

dato prova della sua straordinaria abilità e capacità intellettuale. Ciò<br />

ha rafforzato in me la decisione di istruirlo adeguatamente per<br />

quanto sta in mio potere, di dargli tutti gli strumenti necessari al<br />

compito che lo aspetta. Conosce già molte delle cose che gli saranno<br />

utili; ininterrotta è l'opera di educazione, cui ci dedichiamo io e i<br />

miei buoni amici.<br />

In breve, ha solide basi di filosofia, logica, retorica, dialettica; con<br />

gli stessi criteri gli abbiamo insegnato la matematica, l'ingegneria e<br />

l'arte militare, la disciplina, la tattica, la strategia non sono mera<br />

teoria e astrazione, ma esperienze reali. Malgrado gli ottimi ri<strong>sul</strong>tati<br />

conseguiti, nutro grandi dubbi circa la mia capacità di istruirlo in un<br />

particolare campo. Perché questo ragazzo diventi l'uomo che sono<br />

convinto diventerà, dovrà ricevere - è mia profonda convinzione -<br />

insegnamenti illuminati e attenti <strong>sul</strong>l'essenza del cristianesimo e non<br />

limitarsi a conoscerne i principi fondamentali. Questi già li possiede;<br />

deve ora maturare una concezione cristiana della vita sotto tutti gli<br />

aspetti. Sono conoscenze che comportano l'apprendimento della<br />

filosofia e della morale cristiane, io non sono all'altezza di impartirgli<br />

questo insegnamento. Sono quello di sempre: un uomo che dubita<br />

quando gli viene proposta l'interpretazione, elaborata da altri, della<br />

volontà di Dio. Artù ha bisogno di maggiori conoscenze in questo<br />

campo, di sapere di più, più a fondo e in modo più illuminato.<br />

Nessuno di noi è in grado di dargliele, la forza della fede di<br />

Ambrogio e la sua devozione lo renderebbero un meraviglioso<br />

maestro, ma il suo posto è a Camelot. Sono convinto che il ragazzo<br />

trarrà beneficio dagli strumenti che ci consiglierai di usare per<br />

istruirlo: testo, lettera, trattato, dissertazione filosofica. Se tu potessi<br />

inviargli questo materiale, ne intraprenderei io stesso lo studio in<br />

vista di diventare per lui un orecchio comprensivo e attento nel<br />

quale potrà riversare le sue riflessioni. Ritengo questo obiettivo<br />

fondamentale alla formazione del mio pupillo. Tra poco sarò tenuto<br />

a rientrare nel mondo insieme a lui. Quando verrà il momento,<br />

dovrà avere sufficienti strumenti per riconoscere quel mondo per<br />

come è. Dovrà capire, da guerriero cristiano, che la bontà, la forza,


l'ordine esistono per controbattere il male, la debolezza, il caos<br />

anche nella nostra piccola Britannia. Ti sarò grato per la<br />

considerazione che darai al mio dilemma. Confido che la mia lettera<br />

ti trovi in buona salute e che i doveri della tua vocazione ti lascino,<br />

di tanto in tanto, il tempo per viaggiare. Assaporo il piacere della<br />

tua risposta.<br />

Merlino Britannico.


XI.<br />

Alla vigilia della partenza di Ambrogio e Ludmilla, l'alba portò<br />

una brutale grandinata mista a neve e pioggia, con folate irregolari e<br />

violente di tale intensità che per tutta la mattina caddero alberi e<br />

rami, mettendo in pericolo gli uomini che lavoravano nel bosco. Per<br />

paura che qualcuno potesse essere ferito, Hector diede ordine di<br />

interrompere ogni attività all'aperto, e di conseguenza tutti si<br />

diedero a sbrigare le piccole faccende trascurate che si potevano<br />

svolgere al riparo nelle case.<br />

Di tutti i luoghi del forte il più gradevole e accogliente erano le<br />

terme, e lì ci recammo in buon numero sicché verso la metà del<br />

pomeriggio vi era convenuta una folla di gente e vi risuonavano le<br />

voci acute e felici dei ragazzi che di regola non avevano accesso alla<br />

vasca, ma quel giorno ebbero il privilegio di poter giocare nella<br />

grande piscina di acqua tiepida.<br />

Quando mi avviai al calidarium, superando la zona dei bagni,<br />

scoprii che molti avevano avuto la stessa idea ed erano arrivati<br />

prima di me. Guardandomi intorno nella penombra, mentre le nubi<br />

di vapore si diradavano o infittivano, riconobbi molti amici.<br />

Individuai subito Lucano. Teneva gli occhi chiusi e la testa<br />

appoggiata all'indietro contro la parete; il sudore lo irrorava<br />

scorrendogli dal viso e dal corpo; i capelli radi erano appiccicati al<br />

cranio. Alla sua destra sedeva Hector, che mi sorrise e fece un cenno<br />

della testa, e alla sinistra stava Dedalo, accovacciato, con la testa in<br />

avanti mentre il sudore gli gocciolava dal mento e dalla punta del<br />

naso. Scorsi Rufio, Mark, Ambrogio. Mentre sentivo il calore<br />

avvolgermi e la pelle cominciava a pizzicarmi per il sudore, mi<br />

appoggiai alla parete assaporando il piacere delle piastrelle fresche<br />

contro le spalle. Inspirai profondamente l'aria umida e calda. Le<br />

spirali di vapore si agitarono annunciando che qualcuno aveva<br />

aperto la porta esterna. Nel biancore incerto delle volute intravidi la<br />

sagoma di Ambrogio. Mi guardava con occhi divertiti.<br />

«Ti ho svegliato? Che razza di uomo sei ad addormentarti a metà


pomeriggio? Dobbiamo lavorare noi due; voglio che tu sia ben<br />

sveglio.»<br />

«Lavorare?»<br />

L'espressione <strong>sul</strong> suo viso si fece seria. «La copia della spada.<br />

Voglio discuterne ancora una volta con te e Joseph per accertarci di<br />

non avere trascurato alcun particolare. Gli ho parlato circa un'ora fa.<br />

Ha lavorato ai disegni e adesso sono pronti. Mi ha detto di avere<br />

passato quattro giorni e due notti nella fucina. Ora insiste perché ci<br />

incontriamo tutti e tre un'ultima volta per mettere a punto ogni<br />

dettaglio. Ha ragione. Abbiamo affidato in buone mani la<br />

realizzazione del progetto, ma la responsabilità ultima sarà di Carol.<br />

Sarebbe stolto da parte nostra, perfino iniquo, non assicurarci di<br />

avere perfezionato e discusso ogni particolare. Ci accingiamo a un<br />

compito di grande impegno. Ecco perché sono qui: dobbiamo<br />

vedere Joseph.»<br />

Mandammo uno dei ragazzi ad avvertirlo di raggiungerci nel mio<br />

alloggio nel tardo pomeriggio; avremmo potuto lavorare, data la<br />

scorta di candele che avevo a disposizione. Ne erano accese una<br />

dozzina quando il fabbro entrò reggendo due fagotti voluminosi e<br />

imprecando contro il tempo da sotto il mantello che lo avvolgeva.<br />

«Maledizione!» sbottò non appena la porta si fu chiusa alle sue<br />

spalle. «Pensavo che l'inverno fosse finito.»<br />

«Anche noi. Vieni a scaldarti vicino al fuoco.»<br />

Mentre batteva i piedi e si toglieva il mantello, Ambrogio lo<br />

sollevò dell'ingombrante fardello; nel frattempo io preparai un<br />

bricco di quel vino caldo e mielato che chiamiamo "dolci fiamme".<br />

Joseph si era portato dietro due pacchi stringendoli<br />

protettivamente sotto il mantello perché non si bagnassero: uno<br />

lungo, avvolto nella stoffa, contenente stanghe di ferro, a giudicare<br />

dal rumore sferragliante che ne veniva, e un pesante rotolo di<br />

pergamena. Mi ringraziò prendendo tra le mani il boccale di vino<br />

fumante e si avvicinò al fuoco, lasciando che io e Ambrogio<br />

esaminassimo i disegni. Mentre Ambrogio stendeva i fogli <strong>sul</strong> tavolo<br />

e disponeva dei pesi agli angoli perché non si riavvolgessero, colsi<br />

l'occasione per scrutare a lungo quel Joseph che, dopo un'intera vita


passata a Camelot, aveva deciso di seguirci e ricominciare daccapo in<br />

una regione sconosciuta del settentrione. Non avevo idea di quanti<br />

anni avesse, ma sapevo che ne aveva almeno dieci più di me. Joseph<br />

era già grande e lavorava nell'officina di suo padre quando io avevo<br />

appena cominciato a notare le persone che non facevano parte della<br />

mia cerchia familiare.<br />

<strong>Il</strong> padre di Joseph era conosciuto con il nome di Equo, dalla<br />

parola latina equus, cioè "cavallo", perché era grande e forte; anche i<br />

suoi tre figli avevano rispettabili dimensioni, ma non la massiccia<br />

stazza che aveva determinato quel soprannome. Lars, il primogenito,<br />

non intenzionato a passare la vita in una fucina, era scappato dalla<br />

sua casa a Colchester quando era ancora ragazzo per arruolarsi nelle<br />

legioni. Per oltre vent'anni nessuno ne aveva sentito più parlare<br />

finché non l'avevo incontrato io, per puro caso, che gestiva una<br />

taverna <strong>sul</strong>la strada per Isca, mentre inseguivo mio cugino Uther.<br />

Sollecitato da me, Lars era venuto a Camelot e aveva rivisto i due<br />

fratelli Joseph e Carol, nel frattempo diventati i fabbri della Colonia.<br />

Ricordavo che i capelli di Joseph, ora tutti bianchi ma ancora folti<br />

e belli, erano stati neri e ricciuti. Doveva essere fiero della sua<br />

capigliatura perché ne aveva cura lavandola spesso; la portava lunga,<br />

in una foggia che non avevo visto in nessun fabbro. Publio Varro, il<br />

mio compianto zio, era solito portare capelli e barba corti perché a<br />

suo avviso era rischioso tenerli lunghi in una fucina. Per un qualche<br />

miracolo Joseph era riuscito a conservare i denti a un'età in cui gli<br />

altri li avevano persi quasi tutti; la pelle bruna, che d'estate si scuriva<br />

ancora di più, metteva in risalto gli azzurri occhi celtici. Era un<br />

bell'uomo, con un viso sottile e intelligente, un naso elegante dalla<br />

linea tipicamente romana, malgrado il sangue celtico. Inconsapevole<br />

del mio sguardo se ne stava a fissare il fuoco e io, squadrandolo<br />

dalla testa ai piedi, notavo la stazza solida e forte, e osservavo come<br />

la fatica della sua arte aveva ridotto al minimo i segni dell'età.<br />

Mentre stringeva il boccale tra le mani, muscoli robusti gli<br />

guizzavano negli avambracci ed era facile intuire che le spalle erano<br />

altrettanto poderose. Indossava una semplice tunica di pesante lana<br />

grezza, disadorna, che gli scendeva fino alle ginocchia; una veste<br />

funzionale, stretta in vita da una cintura, utile a nascondere i danni<br />

derivanti dal lavorare tra il fumo e i tizzoni ardenti per tutto il


giorno, ogni giorno. Ai piedi indossava robusti stivali di cuoio che gli<br />

avvolgevano anche i polpacci, una calzatura da soldato, con una<br />

grossa suola composta da diversi strati di pelle conciata, indurita e<br />

rinforzata dai chiodi che lui stesso aveva costruito nella sua fucina; la<br />

parte superiore era allacciata fin quasi all'altezza del ginocchio. Sotto<br />

indossava calzettoni pesanti della stessa lana grigia della tunica, che,<br />

piegati in alto, ricadevano, coprendolo, oltre l'orlo superiore degli<br />

stivali.<br />

Accorgendosi di essere osservato, si volse verso di me, con un<br />

sopracciglio levato per la curiosità, ma in quel momento Ambrogio,<br />

concluso un rapido esame dei disegni, mi chiamò per andarli a<br />

controllare.<br />

Erano stati eseguiti con grande precisione, ma alcuni mi erano<br />

quasi incomprensibili. Fui stupito dall'esattezza del tratto di Joseph.<br />

«Ottimi, Joseph. Perché ne hai eseguito due serie?»<br />

Brontolando e soffiando, appoggiò il boccale prima di<br />

rispondere. «Per un confronto. Useremo soltanto una serie, quella<br />

semplice e lineare. L'altra che mostra Excalibur la bruceremo non<br />

appena avremo accertato la corrispondenza.» Si allontanò dal fuoco<br />

e si avvicinò a noi. In una mano teneva il boccale, con l'altra<br />

indicava i particolari del disegno. Mentre mi stava vicino, percepii<br />

l'odore della fucina che veniva dai suoi abiti, una nostalgica miscela<br />

di fumo e di qualcos'altro che mi parve "l'odore del ferro" e mi<br />

richiamò alla memoria l'infanzia. Joseph parlava con sicurezza<br />

indicando ora questo o quel dettaglio <strong>sul</strong> foglio. «Ecco Excalibur così<br />

com'è nella realtà. Per tutti gli dèi non ho mai visto niente di simile.<br />

Sapevo che l'avevano forgiata Publio Varro e mio padre, ma<br />

nient'altro. Mio padre ne parlava con orgoglio ma con reticenza -<br />

me ne rendo conto ora - perché non accennò mai alla sua bellezza e<br />

potenza, al suo colore. Sapevo che era più lunga del gladium, ma<br />

credevo che si trattasse dello stesso tipo di spada, in una versione più<br />

bella, con una lama lunga quanto un braccio. Niente mi aveva<br />

preparato alla perfezione di Excalibur, al suo splendore e alle sue<br />

dimensioni. Da quanto diceva a volte mio padre, avevo intuito che<br />

era senza difetti, ma non avevo capito la portata della parola<br />

"perfetta". Una bellezza innaturale...» Tacque scuotendo la testa per


l'ammirazione.<br />

«Ecco le dimensioni, prese con tutta la precisione di cui sono<br />

capace: l'angolo di rastremazione per lunghezza e spessore, il grado<br />

forte, il grado medio, il grado debole; la lunghezza del codolo,<br />

triplo codolo, lo sapevate?» Mi lanciò un'occhiata. «Sì, lo sapevate di<br />

sicuro. Me l'avete illustrata voi. A ogni modo, come sapete, un<br />

pezzo del codolo, la striscia centrale, sembra come tanti, ma gli altri<br />

due si piegano ad angolo retto per formare lo scheletro, potremmo<br />

dire, dell'elsa cruciforme. Ho poi indicato la lunghezza e lo spessore<br />

dell'impugnatura, la lunghezza e il diametro dell'elsa, le dimensioni<br />

del pomo, e naturalmente nel caso di Excalibur, la saldatura e il<br />

rivestimento dell'impugnatura: filo d'oro e d'argento intrecciati sopra<br />

un materiale scuro e ruvido, una specie di cuoio, credo.» Si<br />

interruppe e si mosse su un lato del tavolo da dove poteva vederci<br />

entrambi.<br />

«Per questo ho eseguito due serie di disegni. Avrei potuto usare<br />

l'originale per mettere in luce le differenze che ci saranno con la<br />

copia, ma in vista di questo incontro, ho preferito fare i disegni per<br />

confrontarli.»<br />

Con l'indice indicò il disegno dell'elsa cruciforme ornata e<br />

decorata di Excalibur. «Una lavorazione splendida, tipicamente<br />

celtica. Volute e rami intrecciati, spine e foglie... particolari perfetti.<br />

Opera di un grande maestro. Non credo però che sia necessario<br />

riprodurre questa decorazione <strong>sul</strong>la nuova spada. Basta una semplice<br />

sbarra lineare e disadorna, sostanzialmente un allungamento laterale<br />

del calcagno. Lo stesso vale per l'impugnatura e il pomo. Ne faremo<br />

un'unica fusione, che esteriormente non avrà niente a che fare con la<br />

forma a conchiglia dell'originale. C'è però una difficoltà. L'avete<br />

capito?»<br />

Guardai Ambrogio ed entrambi scuotemmo la testa. «Quale?»<br />

chiesi.<br />

«<strong>Il</strong> peso e forse la bilanciatura, perché l'uno compromette l'altra. <strong>Il</strong><br />

peso è il fattore che mi preoccupa. Abbiamo pesato la spada, ma<br />

non sappiamo quanto pesino i singoli elementi, la lama per esempio,<br />

senza l'impugnatura, ma soprattutto l'elsa cruciforme. Quella di<br />

Excalibur è solida, pesante, funzionale, adatta a proteggere dalle


stoccate. Le decorazioni sembrano incise in profondità; sappiamo<br />

invece che il metallo fu colato in uno stampo già sagomato. Ce ne<br />

sono a profusione; non ci vuole un occhio addestrato per vederle.<br />

Non c'è centimetro che non sia decorato, davanti e dietro. Se<br />

sostituiamo l'elsa con una semplice sbarra di ferro, sbilanciamo<br />

l'intero pezzo, perché tutti questi solchi tra una figura e l'altra<br />

saranno di metallo massiccio.»<br />

Levai una mano per fermarlo. «Non occorre che sia una copia<br />

perfetta, Joseph.»<br />

«Davvero? Mi avete detto che volevate un duplicato. <strong>Il</strong> duplicato<br />

è una replica perfetta dell'originale. Se le differenze sono troppe, è<br />

facile che la bilanciatura sia gravemente compromessa. Se la nuova<br />

arma deve servire a qualcosa, allora è bene che sia gemella dell'altra.<br />

Ed è nostra intenzione che il lavoro riesca bene fin dalla prima volta<br />

perché ci vogliono mesi per costruirla e altri mesi per ricostruirla, se<br />

qualcosa non è stato ben calcolato. Non si possono correggere gli<br />

errori, bisogna ricominciare daccapo. Capite?»<br />

«Sì, hai ragione. Ma a noi serve una copia funzionale, non un<br />

duplicato perfetto. Pensi che tuo fratello sarà in grado di produrlo?»<br />

Joseph ci squadrò. «Vi dirò la verità. Vorrei forgiare questa spada<br />

più di ogni altra cosa al mondo e credo che potrei eseguire il lavoro<br />

non meno bene di mio fratello a Camelot. Ma il buon senso lo nega.<br />

Le fucine di Camelot, costruite da Publio Varro e da mio padre, sono<br />

le meglio attrezzate che conosca. Inoltre la statua di ferro è lì, non<br />

qui, e voi, Ambrogio ci tornerete domani, sicché si potrebbe avviare<br />

l'opera nell'arco di una settimana. Detto questo, aggiungerò che<br />

Carol è il solo uomo in tutta la Britannia a cui affiderei tale<br />

compito.»<br />

«Eccellente! Mi sta bene. Ci sono altre domande? Altri argomenti<br />

che desideri dibattere?»<br />

«Sì, un particolare. <strong>Il</strong> colore della spada. Sembra d'argento. Come<br />

lo si è ottenuto?»<br />

Scossi la testa. «Non lo so con certezza. Publio Varro non lasciò<br />

alcuna descrizione su quella fase della costruzione della spada. Ho<br />

sempre pensato che fosse della stessa natura del luccichio del pugnale


fatto con la Pietra del Cielo.»<br />

«Di che cosa?»<br />

«Del pugnale di Pietra del Cielo. Così Publio Varro chiamava la<br />

daga che lo portò a cercare la Pietra del Cielo, il misterioso masso<br />

dal quale trasse il metallo che gli servì per modellare la statua che<br />

noi chiamiamo la Signora del Lago. Suo nonno, Varro il Vecchio,<br />

l'aveva costruita con il metallo fuso da un'altra Pietra del Cielo, più<br />

piccola, che aveva trovato quando Publio era appena bambino, più<br />

di cento anni fa. Publio mise il pugnale nella tomba di Caio<br />

Britannico: un gesto di commiato dall'amico più caro. Nelle sue carte<br />

Publio Varro scrisse di avere chiesto a tuo padre, Equo, come fosse<br />

riuscito suo nonno a dare quello splendore alla lama, ed Equo aveva<br />

risposto che era di per sé lucente, lo era il metallo. Per ottenerlo si<br />

erano limitati a ripulirlo, e più lo brunivano, più brillava. Non so<br />

altro.»<br />

«Se è così, vale anche per il resto del metallo della statua. Per<br />

tenerlo opaco, basta evitare di brunire la lama. Non ho mai visto<br />

questa statua. Splende come la spada?»<br />

«No, no. È di un colore più chiaro del ferro e non arrugginisce;<br />

be', questo forse non posso affermarlo. Non è stata mai messa in<br />

condizione di arrugginire. È sempre rimasta, fin dal giorno del<br />

ritrovamento, nell'armeria di Publio Varro. Fu spostata soltanto<br />

quando venne fusa per trarne il metallo che poi fu utilizzato per<br />

Excalibur. In seguito Publio modellò un'altra statua e la ripose di<br />

nuovo nell'armeria. È tanto importante?»<br />

Joseph si strinse nelle spalle. «Solo voi potete dirlo, perché sarete<br />

voi a usare la nuova spada. Vi sta a cuore la lucentezza?»<br />

«No, ma sospetto che la lama avrà un suo splendore intrinseco, se<br />

le nostre congetture sono vere. Dovremmo avvertire Carol di non<br />

farla brillare a specchio come l'originale. <strong>Il</strong> nostro intento è di non<br />

attirare l'attenzione, tutt'altro.» Mi volsi ad Ambrogio. «Ti ricorderai<br />

di raccomandarlo a Carol? Preferisci che lo scriviamo?»<br />

Scosse la testa. «Non occorre. Mi bastano i disegni. Non<br />

dimenticherò una parola di quanto abbiamo discusso oggi e in<br />

precedenza. La testa mi funziona bene.»


«Ho ancora una domanda» intervenne Joseph. «Forse la più<br />

importante. Quanto è grande la statua della Signora? Contiene<br />

sufficiente metallo per fondere un'altra spada?»<br />

Lo fissai ammutolito, sgomento tutto d'un tratto. «Non lo so»<br />

dissi. «So dire quanto è grande la statua attuale, ma non ho mai visto<br />

l'originale, sicché non sono in grado di precisare quanto metallo<br />

Varro usò per Excalibur. Ho sempre creduto che ne avesse utilizzato<br />

la metà, ma è una semplice supposizione. Che cosa faremo se il<br />

metallo non basta?»<br />

«Lo sapremo ben presto, non appena cominceremo a fonderla per<br />

ricavarne le barre. Sappiamo quante ce ne servono, di quale peso e<br />

dimensione. Potremo farne una versione in scala. Potrebbe bastare<br />

allo scopo?»<br />

Mi strinsi nelle spalle. «Immagino di sì, ma forse non sarà<br />

necessario. La statua pesa almeno tre volte, forse cinque, più di<br />

Excalibur. Non la sollevo da molti anni... da quando ero ragazzo,<br />

ma ricordo che era pesante.»<br />

«Certamente lo era per la forza di un ragazzo.» Joseph emise un<br />

borbottio. «Deve avere almeno il doppio del peso della spada che si<br />

vuole ottenere, perché vi garantisco che metà del materiale andrà<br />

disperso. Se hai ragione, e la statua è cinque o sei volte il peso di<br />

Excalibur, allora di spade potrete ricavarne due.»<br />

«Assai improbabile, credo.» Guardai Ambrogio. «Che ne dici?»<br />

«Sono l'ultima persona cui chiederlo. Ho visto la statua, ma non vi<br />

ho mai prestato attenzione. Non è la più bella scultura del mondo. È<br />

grande, questo sì.» Tacque, quindi indicò <strong>sul</strong> foglio un disegno che<br />

anche a me era sembrato strano e incomprensibile. «Che cosa sono<br />

questi simboli?»<br />

Joseph mi lanciò un'occhiata sorridendo. «Lo sai che significano,<br />

Cay?»<br />

Scossi la testa, e Joseph si accinse a svolgere il pacco avvolto nella<br />

stoffa che aveva sferragliato quando Ambrogio l'aveva appoggiato a<br />

terra. Lo fissammo incuriositi mentre estraeva una spada lunga con<br />

l'elsa a tazza nella forma della spada romana da cavalleria e una serie<br />

di barre sottili di metallo, lunghe quanto un braccio dal polso alla


spalla. Alcune avevano una sezione rotonda inferiore alla punta di<br />

un dito, altre erano piatte.<br />

Joseph porse la spada ad Ambrogio. «È la migliore lama che abbia<br />

costruito.» Indicò con un cenno della testa le barre di ferro. «Lo<br />

sapete che cosa sono?»<br />

Ambrogio sorrise levando lo sguardo dall'arma che teneva in<br />

mano.<br />

«Non ti sorprenderai, ne sono sicuro, se ti dico che non ne ho<br />

idea.»<br />

«Sono le barre che mi serviranno a forgiare la prossima spada.»<br />

Dal fagotto estrasse una massa pastosa informe di una sostanza<br />

biancastra che aveva la consistenza del gesso e la posò accanto alle<br />

barre. «Mi servirà a costruirla.»<br />

Ambrogio toccò quell'impasto con la punta della spada. «Che<br />

cos'è?»<br />

«Escrementi di uccelli, per lo più... di piccioni, impastati con<br />

farina, miele, latte e un po' di olio di oliva.»<br />

Scoppiai a ridere perché all'improvviso mi si era affacciato alla<br />

mente il ricordo di quando, nella piccionaia della villa dello zio<br />

Varro, avevo passato molti lunghi pomeriggi d'estate a raccogliere in<br />

un recipiente di metallo gli escrementi dei piccioni, grattandoli dai<br />

muri. Lo zio mi aveva sempre fatto qualche regalino per<br />

compensarmi della fatica. Ambrogio mi guardò storto, pensando che<br />

ci prendessimo gioco di lui, ma io levai le mani in un gesto di resa<br />

innocente scuotendo la testa per escludere ogni complicità.<br />

«È vero» protestò Joseph. «È uno dei più antichi segreti dei fabbri.<br />

Se si applica <strong>sul</strong> ferro nella fornace un impasto fatto con questi<br />

ingredienti, il metallo si indurisce.» Si capiva dalla espressione della<br />

faccia di Ambrogio che non ne era rimasto convinto. Joseph<br />

continuò ridendo: «Non vi mentirei, mastro Ambrogio. Considerate<br />

un impasto composto da cento parti uguali: quaranta sono<br />

escrementi di piccione, ventuno di semplice farina, quattordici di<br />

miele, ventitré di latte, due di olio di oliva. Cento in tutto. Se<br />

credete che l'abbia inventato io, mi sopravvalutate...». Si interruppe<br />

e tese le mani verso le sottili barre di metallo. «Posso dare


un'occhiata a Excalibur? Mi sarà più facile spiegare se avrò la spada.»<br />

La presi e gliela porsi.<br />

Impugnandola con le due mani, la tese davanti a sé lasciandosi<br />

scappare un fischio di meraviglia.<br />

«Mi è difficile credere che esista un simile capolavoro. Guardate le<br />

dimensioni! Non un difetto, perfetta! Se non la vedessi con i miei<br />

occhi, non crederei che sia possibile modellare un'arma simile. Pochi<br />

uomini sono per statura lunghi come Excalibur; nessun guerriero,<br />

nessuna armatura potrebbero resistere.» La sollevò diritta finché la<br />

punta toccò il soffitto, poi rapidamente l'abbassò, portandosi vicino<br />

al viso l'elsa cruciforme e indicando la lama nel grado forte, il punto<br />

di massima larghezza. Si rivolse ancora ad Ambrogio.<br />

«Guardate! <strong>Il</strong> grado forte, la sezione più robusta della spada, è<br />

larga tre o quattro dita. E guardate dove hanno inizio le scanalature<br />

parallele e notate la profondità di ciascuna. Osservate anche le linee<br />

ondulate nel metallo.»<br />

«A cosa sono dovute?»<br />

«Alla lavorazione. Vedete il disegno? Ecco i segni che hanno<br />

attratto la vostra attenzione.» Indicò le strane forme stilizzate che ci<br />

avevano incuriositi.<br />

«Dieci sono le fasi di lavorazione di una spada. Una<br />

semplificazione naturalmente che, non rende l'idea della quantità di<br />

fatica necessaria, ma per l'occhio di un fabbro è una procedura<br />

semplice e lineare. <strong>Il</strong> trucco sta nel capire che state esaminando il<br />

grado forte, subito sotto l'elsa. Osservate la base. Se si decidesse di<br />

segare la lama qui, sotto la guardia, si vedrebbero diciassette sottili<br />

verghe di semplice ferro. Come andare a ritroso nella lavorazione.<br />

Mi seguite, Cay?»<br />

Annuii perché le sue parole venivano a colmare il divario tra le<br />

notazioni teoriche dello zio Varro e l'esperienza pratica quale veniva<br />

descritta da Joseph. Ambrogio, che non aveva mai conosciuto Publio<br />

Varro e forse non aveva mai messo piede in una fucina, osservava<br />

perplesso i disegni sotto lo sguardo vigile di Joseph.<br />

«Mi sembra che desideriate pormi una domanda, mastro<br />

Ambrogio? Fatemela.»


«I tre grandi tondi neri: che cosa vogliono dire? Vedo che le<br />

diciassette barre della prima fila si appiattiscono e diventano<br />

squadrate nella seconda, ma da dove vengono questi tre?»<br />

«Eccoli» spiegò Joseph puntando un dito <strong>sul</strong>la seconda fila.<br />

«Vedete, ci sono tre serie di cinque barre nere divise l'una dall'altra<br />

da due serie di barre bianche. Ciascuna di queste serie di barre nere -<br />

tre piatte, nel mezzo, e due squadrate, una su ciascuno dei due lati -<br />

viene modellata e forgiata in modo da saldarsi in un'unica verga a<br />

spirale. Le copriamo una a una con gli escrementi di uccello, le<br />

leghiamo con filo di ferro, le mettiamo <strong>sul</strong>la fiamma, saldiamo<br />

un'estremità per tenerle insieme e quindi stringiamo tale estremità in<br />

una morsa. Poi, usando le tenaglie, pieghiamo le altre estremità fino<br />

a ottenere una barra a spirale. Ci vuole tempo perché il metallo va<br />

messo al fuoco più volte e va lavorato quando è molle. <strong>Il</strong> calore si<br />

disperde in fretta. <strong>Il</strong> ri<strong>sul</strong>tato, se tutto fila liscio, è un'unica verga di<br />

metallo costituita da diversi strati di ferro, strettamente saldati e<br />

avvoltolati a spirale. È a questo punto che si formano i segni che<br />

avete osservato lungo i bordi della lama e nella scanalatura centrale.<br />

Torcendo cinque bande piatte di metallo, si ottiene una verga con<br />

venti scanalature che corrono per tutta la sua lunghezza, i quattro<br />

bordi di ogni banda. Si espone il tutto al calore e lo si martella con<br />

un maglio fino ad appiattirlo. Questi segni nel metallo indicano<br />

dove i bordi sono stati fusi e battuti.»<br />

Fu Ambrogio a parlare. «Perché tanta fatica, Joseph? Perché non<br />

lavorare con un unico pezzo di ferro? A che scopo usare gli<br />

escrementi di piccione?»<br />

Incrociai le braccia <strong>sul</strong> petto e mi sedetti comodamente. Non<br />

avevo fretta di intervenire, sebbene conoscessi la risposta alla prima<br />

domanda. Joseph prese una delle barre sottili e rotonde, come se<br />

nulla fosse, la piegò a mani nude in forma di cerchio, quindi la porse<br />

ad Ambrogio.<br />

«Allo stato naturale il ferro è malleabile. Non chiedetemi il<br />

perché, e neppure perché tale caratteristica cambia quando lo si<br />

forgia a strati in strisce multiple. So però che se cercate di torcere un<br />

singolo pezzo di ferro, prima o poi si spezza... prima piuttosto che<br />

poi. Poniamo quindi le strisce l'una <strong>sul</strong>l'altra, stratificate, e le


torciamo con il ri<strong>sul</strong>tato che si rafforzano a vicenda. Mentre così<br />

facciamo, anzi prima, ricopriamo con l'impasto ciascuna striscia, una<br />

a una. È efficace e da centinaia di anni i fabbri procedono in questo<br />

modo. La barra così modellata e trattata è più resistente e robusta di<br />

una identica che non sia stata sottoposta a questo processo.<br />

Naturalmente anche l'applicazione dell'impasto richiede grande<br />

esperienza e attenzione. Non basta ricoprire le barre e metterle tra i<br />

carboni ardenti perché il materiale brucerebbe subito. Bisogna<br />

distribuirlo <strong>sul</strong>la superficie delle barre, avvolgerle in un tessuto e<br />

legarle strettamente. Avvoltoliamo il tutto ancora una volta nella<br />

sabbia e lo esponiamo al calore - un fuoco di legna di un'intensità<br />

che arriva al rosso arancione - per un paio d'ore, poi lo lasciamo<br />

raffreddare. Credetemi: queste barre sono molto più resistenti di<br />

quelle che non sono state sottoposte a tale procedura.»<br />

«Come si fa a saldarle?» chiese Ambrogio.<br />

«Esponendole al calore. Portiamo il metallo a un calore di luce<br />

gialla e lo lavoriamo a martello. Così i componenti si saldano<br />

perfettamente.»<br />

«Che cos'è stato?»<br />

Ci irrigidimmo, tendendo l'orecchio. Non c'era niente. Joseph mi<br />

lanciò un'occhiata corrugando la fronte.<br />

«Che cosa hai sentito?»<br />

«Non lo so ma....» Mentre così dicevo, capii quello che avevo<br />

percepito. «<strong>Il</strong> vento è calato. Mi sono accorto che all'improvviso è<br />

calato il silenzio.»<br />

Levatosi, Ambrogio si avvicinò alla porta, l'aprì e guardò fuori.<br />

Notai che era già l'ora del crepuscolo. Si raddrizzò e richiuse la<br />

porta.<br />

«Hai ragione. Ha smesso di piovere. Mangeremo stasera?»<br />

Joseph scoppiò in una risata che pareva un latrato. «Sì, ma non<br />

prima di un paio d'ore. È ancora presto. Non è ancora buio; sono le<br />

nuvole del maltempo che nascondono il sole. Ci vuole un bel po'<br />

prima che sia ora di cena. I fuochi non erano neppure accesi nelle<br />

cucine quando vi sono passato per venire qui.»


La cena, che si consumava tutti insieme, era servita in uno degli<br />

stanzoni della caserma, una volta calata l'oscurità. L'orario cambiava<br />

in piena estate. Ma l'accenno al pasto era bastato a ricordarmi che<br />

avevo fame. Non mangiavo dal mattino.<br />

Presi dal braciere la brocca, contento di quanto avevamo appreso<br />

e apprezzando il fatto che avevamo tutto il tempo di assaporare il<br />

vino.<br />

Rimanemmo a chiacchierare tranquillamente, colmando di tanto<br />

in tanto i boccali e crogiolandoci al calore del fuoco e del vino. A<br />

poco a poco la conversazione languì e alla fine tacemmo; per lungo<br />

tempo si sentì soltanto il crepitio delle fiamme nel braciere e lo<br />

sfrigolio dei carboni che si assestavano. Dormicchiavo <strong>sul</strong>la sedia,<br />

quando Ambrogio mi scosse di botto facendomi sobbalzare.<br />

«Che cos'era?»<br />

«Cosa? Non ho sentito niente.»<br />

Mi scoccò un'occhiata, quindi piegò la testa all'indietro. «Ascolta.»<br />

Tendemmo l'orecchio, e all'improvviso la porta e le persiane<br />

tremarono sotto l'impeto del vento.<br />

«Maledizione!» esclamò Joseph balzando in piedi e, avvicinatosi<br />

alla porta, l'aprì. Era buio pesto fuori. Dovevamo essere rimasti<br />

davanti al fuoco per almeno due ore. Mentre così pensavo, la porta<br />

si spalancò con forza e il battente andò a sbattere contro la parete.<br />

Una folata di vento gelido irruppe nella stanza, spegnendo le<br />

candele, sollevando uno degli angoli del foglio di pergamena <strong>sul</strong><br />

tavolo e scatenando una nube di scintille nel braciere. Joseph tirò<br />

con forza la porta e la chiuse saldamente. Voltandosi a guardarci e<br />

pulendosi le mani <strong>sul</strong>la tunica, i capelli arruffati e l'abito bagnato da<br />

goccioloni di pioggia borbottò: «Chi ha detto che la tempesta era<br />

passata? Non si allontanava, si preparava a scatenarsi».<br />

Scorsi Tressa quella sera a cena, e come ogni volta che la vedevo,<br />

restavo poi a lungo sconcertatamente consapevole della sua<br />

presenza.<br />

Con quel tempaccio, erano venuti tutti nello stanzone della


mensa. Ogni tavola era occupata e i bambini facevano più chiasso<br />

del solito. Lo feci notare a Shelagh che mi spiegò che il brutto tempo<br />

aveva impedito ai ragazzi di scatenarsi all'aperto secondo la loro<br />

abitudine e di conseguenza, all'ora in cui normalmente andavano a<br />

letto, erano irrequieti e rumorosi.<br />

Ambrogio, cui era stato lasciato un posto tra sua moglie e Artù, li<br />

raggiunse. Seduti vicino erano anche Donuil, Shelagh, Bedwyr, Gwin<br />

e il piccolo Ghilleadh. In compagnia di Joseph andai a un tavolo<br />

accanto dove stavano Lucano, Rufio, Dedalo e Mark.<br />

Lucano, che quella sera era di buon umore, si invischiò in una<br />

lunga discussione con Dedalo sui meriti dei cavalli da tiro rispetto a<br />

quelli da cavalleria. Lucano, che data la sua vocazione amava tutte le<br />

creature viventi, non nutriva uno slancio particolare per i cavalli da<br />

equitazione, e il dibattito, vivace e benevolmente accanito, attirò<br />

altri alla nostra gioviale tavolata. Ben presto non ci fu più posto.<br />

Ambrogio, arrivato dopo qualche tempo, si sedette vicino a me,<br />

incoraggiandomi con una spinta del fianco a stringermi contro<br />

Joseph, seduto alla mia sinistra, e a fargli spazio.<br />

In quel momento, mentre scherzosamente mi lamentavo della<br />

rude insistenza di mio fratello, notai di nuovo Tressa che ci portava<br />

un cesto di pagnotte fresche.<br />

Da quell'istante non prestai più attenzione a quello che si diceva. I<br />

miei occhi la seguirono mentre si aggirava nella sala occupata a<br />

vedere se il cibo era bastante nei piatti e a riempirli mano a mano<br />

che si svuotavano. Non era impegnata come domestica, ma era<br />

ormai una consuetudine che le donne, a turno, servissero in tavola<br />

alla sera.<br />

Uno scoppio di risa particolarmente rumoroso dei miei compagni<br />

mi richiamò al momento presente e guardandomi intorno vidi che<br />

tutti mi fissavano. La mia reazione immediata fu di arrossire,<br />

pensando che mi avessero notato con gli occhi puntati su Tressa, ma<br />

subito capii che aspettavano da me una risposta a qualcosa che mi<br />

era stato chiesto mentre ero distratto.<br />

«Perdonatemi» dissi scuotendo la testa quasi volessi schiarirmi le<br />

idee. «Pensavo ad altro. Qualcuno mi ha posto una domanda?»


«Sì» rispose Dedalo, le labbra increspate in un sorriso. «Ti ho<br />

chiesto che cosa farai quando quel tuo grosso cavallo nero schiatterà<br />

sotto il tuo peso.» Seguì un altro scoppio di risa. Capivo di avere<br />

davvero perduto il filo del discorso perché non avevo idea di che<br />

cosa ci fosse di tanto divertente. Mi rifugiai dietro una smargiassata.<br />

«Se ti riferisci a Germanico, mastro Dedalo, ti insegnerò a<br />

mostrare maggiore rispetto. Da più di dieci anni mi porta in groppa<br />

senza tradire il minimo segno di stanchezza.»<br />

«Certo, certo, mastro Cay, ma non è qui in discussione la forza<br />

della cavalcatura, bensì la stazza del cavaliere.»<br />

«Che dici?» mi guardai la pancia per vedere se ci fossero tracce che<br />

la cintura si era allargata. «Sono ingrassato?»<br />

Un altro scoppio di ilarità, e Lucano, seduto all'estremità del<br />

tavolo, si sporse in avanti. «No, Cay, Ded ti sta prendendo in giro<br />

perché è chiaro che non ascoltavi. Stavamo dicendo che da quando<br />

siamo entrati in cavalleria le armi delle truppe sono proliferate. La<br />

quantità di armi, e di conseguenza, il peso, ha continuato ad<br />

aumentare, mentre i nostri cavalli più di così non possono crescere. È<br />

stato allora che Ded ha osservato che tu, con la tua mole, il peso<br />

della cotta, dei gambali, della corazza, delle calzature, più la sella, i<br />

finimenti, le armi, prima o poi ucciderai il tuo Germanico.»<br />

Li guardai uno a uno seduti intorno al tavolo. Tacevano. «Poiché<br />

la morte sopraggiunge a tempo debito per ogni essere vivente,<br />

troverò un altro cavallo come lui. Forse non suo pari, perché non ce<br />

ne sono di uguali, ma simile.»<br />

«Non lo troverai qui» brontolò Ded. «Non a Ravenglass e da<br />

nessun'altra parte che non sia Camelot. Gli animali che qui si fanno<br />

passare per cavalli vanno bene a un nano, non a un gigante come te<br />

e non sono animali da combattimento.»<br />

Osservai il mio amico, accettando la verità delle sue parole. Non<br />

avrei infatti potuto sostituire Germanico. Una carenza cui bisognava<br />

provvedere. Mi venne in mente un'altra questione che di tanto in<br />

tanto, pensando al nostro insediamento a Mediobogdum, mi<br />

turbava. Cinque anni era il periodo massimo di permanenza nei miei<br />

piani. Nel frattempo Artù sarebbe diventato tredicenne, quasi <strong>sul</strong>la


soglia di assumere il ruolo che lo aspettava nella vita. Troppo<br />

grande, inoltre, per cavalcare il suo delizioso pony bianco e nero.<br />

Non era questo che contava. Contava invece quanto sarebbe potuto<br />

accadere prima di quei cinque anni. Isolati nel nostro forte di<br />

montagna, non eravamo pronti ad affrontare un attacco concertato<br />

che in qualche modo fosse sfuggito alla sorveglianza dei nostri vicini<br />

di Ravenglass. Feci un cenno di assenso a Dedalo, d'accordo con lui.<br />

«Hai ragione, ed è una questione grave <strong>sul</strong>la quale non si può<br />

scherzare. Sarà necessario trovare un modo di cambiare le cose.»<br />

Dedalo annuì, serio ormai, e rivolse la sua attenzione all'uomo<br />

che sedeva di fronte. Volsi loro le spalle per parlare ad Ambrogio.<br />

«Ricordi che abbiamo parlato di una via di fuga attraverso le valli<br />

fino alle grandi strade romane che da nord conducono a meridione?<br />

Ho pensato che, prima di usarla come via di fuga, dovremmo usarla<br />

come via di accesso. Hai sentito di che si è parlato? Cose giuste e<br />

sacrosante. Ci serviranno altri cavalli quassù, e non sarà impresa<br />

facile trasportarli <strong>sul</strong>le galee di Connor nel numero da noi richiesto.»<br />

«Quanti te ne potrebbero servire?»<br />

Mi strinsi nelle spalle. «Non lo so, ma tra poco potrebbe esserci la<br />

necessità di una ventina, se fosse possibile, e non sarebbe male avere<br />

anche qualche paio di braccia in più. Sarebbe, a tuo avviso, fattibile<br />

mandare via terra uno squadrone di truppe a scorta di una piccola<br />

mandria di bestiame?»<br />

«Bestiame?» Mi guardò sottecchi. «Intendi bestie da allevamento?»<br />

«Cavalli da combattimento. Non ci serve avviare un allevamento;<br />

anche se lo volessimo, non avremmo i pascoli.»<br />

Ambrogio tacque per un momento, rimuginando su quanto<br />

avevo detto, e mentre aspettavo una sua risposta, mi ritrovai a<br />

cercare Tressa con lo sguardo. Era a un tavolo vicino, piegata in<br />

avanti per pulire il mento di uno dei bambini. Mentre osservavo la<br />

gonna che le modellava i fianchi, Ambrogio interruppe il corso dei<br />

miei pensieri.<br />

«Niente male, eh? Fortunato l'uomo che si stringerà a lei nelle<br />

notti fredde! È legata a qualcuno?»


«No, non ancora. È una delle nuove venute da Ravenglass,<br />

nubile.» Non c'era motivo per negare che sapevo a chi si riferiva.<br />

«Chi la conquisterà? Scommetto che ci tenteranno tutti. A te<br />

piace?»<br />

«Come potrebbe? Ha la metà dei miei anni.»<br />

Mi guardò con stupore, le sopracciglia levate. «Che c'entra in<br />

nome di tutti gli dèi? Ha l'età per essere montata, di che altro ti<br />

preoccupi? E sono sicuro che tu hai l'età per montarla.»<br />

Tagliai corto. «Lasciamo stare. Che ne pensi del nostro fabbisogno<br />

di cavalli?»<br />

Dubbioso davanti alla mia reazione alle sue parole su Tressa, ebbe<br />

un attimo di esitazione, ma cambiò espressione quando<br />

evidentemente si convinse a lasciar cadere quell'argomento.<br />

«Uno squadrone di uomini armati. Ci saranno quasi duecento<br />

miglia da qui a Camelot; troppo lontano per mandare una<br />

quarantina di soldati a scortare una ventina di cavalli nel fior dell'età<br />

attraverso un territorio ostile e sconosciuto. Avrebbero già fin<br />

troppo da fare a occuparsi delle bestie; se qualcosa andasse storto e<br />

se incontrassero qualche grave ostacolo per strada, rischieremmo di<br />

perdere tutto, uomini e animali.»<br />

Sospirai. «Era solo un'idea che mi è venuta. Hai ragione; sarebbe<br />

una follia. Chiederemo a Connor di portarci qualche bestia per<br />

volta. Ci vorrà tempo, ma finiremo con averne un numero<br />

sufficiente.»<br />

«No, Cay, mi hai frainteso. Non volevo dire che non si può o non<br />

si debba farlo. Dicevo solo che una squadra di uomini è troppo<br />

poco. Ci vorranno almeno due squadre e l'appoggio di un manipolo<br />

di fanti.»<br />

«Un manipolo? Centoventi uomini? Non parli <strong>sul</strong> serio.»<br />

«Sì, invece. Pensaci: la guarnigione è oggi al completo a Camelot e<br />

siamo in tempo di pace. I nostri soldati hanno bisogno di mettersi in<br />

azione. Quale esercitazione più adatta che esplorare il territorio e<br />

l'ambiente - insediamenti, strade, centri urbani - tra qui e Camelot?<br />

Se saranno in numero sufficiente, non avranno difficoltà ad arrivare


a destinazione, e nel tragitto dovranno procacciare il cibo per loro e<br />

il foraggio per gli animali. Mi sembra un'idea eccellente che risponde<br />

a molteplici scopi. Metterà alla prova gli uomini e gli ufficiali, sarà<br />

una sfida per tutti e ci fornirà preziose informazioni <strong>sul</strong> cuore di<br />

questa terra, comprese le condizioni in cui versano le strade<br />

principali. Camelot ha molto da guadagnare da una simile impresa e,<br />

da come la vedo, poco da perdere. Gli uomini che vi saranno<br />

destinati la considereranno una licenza: due mesi lontano dal<br />

servizio nella guarnigione. Non intraprenderanno una marcia, ma<br />

una spedizione per raccogliere informazioni. Li accompagneranno<br />

alcuni funzionari per annotare i ri<strong>sul</strong>tati delle loro scoperte.<br />

Manderemo tre squadroni di cavalleria: due torneranno alla base,<br />

uno rimarrà qui, e tornerà a Camelot con la spedizione successiva.<br />

Una volta avviato questo programma di esplorazione, ci converrà<br />

tenerlo in funzione. Sono sicuro che ci sarà di vantaggio. Hai avuto<br />

una pensata geniale. La metterò in atto non appena arriverò a<br />

Camelot, anzi sarò io a condurre il primo corpo di spedizione.<br />

Scommetto che il compito più arduo sarà per me scegliere i pochi tra<br />

i molti volontari.»<br />

«Ottimo! Così sia. Aspetterò con ansia l'arrivo del primo<br />

contingente.»<br />

Ero assurdamente compiaciuto di me stesso, e con il petto gonfio<br />

mi guardai apertamente intorno alla ricerca di Tressa. Non appena la<br />

scorsi, notai che Shelagh mi osservava con un lieve sorriso <strong>sul</strong>le<br />

labbra. Ero così preso che quel piccolo segno di intesa non mi turbò.<br />

Mi sentivo euforico, spensierato, immemore di ogni freno e<br />

dimentico del comune buon senso. Per ragioni che non so precisare,<br />

neppure oggi dopo averci riflettuto numerose volte negli anni che<br />

seguirono a quella notte, la mia mente era tutta concentrata a<br />

guardare senza ritegno una donna seducente e provocante. Una<br />

donna - mi diceva l'intelligenza - più accessibile di Shelagh e più<br />

disponibile a un approccio.<br />

In tutta onestà credo di avere combattuto una breve battaglia con<br />

quella parte di me che, per mesi e anni, aveva tanto contribuito alla<br />

mia esigenza di conseguire il dominio dell'istinto e osservare la<br />

castità. Se mai ci fu, quella battaglia fu breve. In quel momento mi<br />

sentivo giovane e virile, carico del desiderio di un uomo nel fior


degli anni. Mi giunse la voce di Lucano seduto più in là, e decisi di<br />

parlargli di nuovo e presto. Mi unii alla conversazione; Tressa si<br />

allontanò dal mio sguardo ma non dai miei pensieri.


«Allora, fratello, che ne pensi?»<br />

XII.<br />

Sotto i cornicioni del tetto della stalla, ci proteggevamo dal vento<br />

e dalla pioggia. La tempesta aveva infuriato per tutta la notte. Era<br />

già trascorsa un'ora dall'alba, ma non ci si accorgeva quasi che il sole<br />

si fosse levato. In quel momento eravamo avvolti da una fitta<br />

nebbia: nubi basse e pesanti agitate dal vento impetuoso<br />

impedivano di vedere a più di venti passi di distanza.<br />

Ambrogio rimase a lungo in silenzio, e quando rispose, mi parve<br />

che le parole contraddicessero la sua palese intenzione. «Dico che<br />

siamo pazzi a partire per Ravenglass con questo tempo. Connor non<br />

riuscirà mai ad attraccare, neanche se arriverà puntualmente; il vento<br />

lo terrà lontano dall'approdo. Sarà costretto ad aspettare al largo<br />

che la tempesta si plachi e potrà accostarsi soltanto una volta tornata<br />

la calma. Lo verremo a sapere perché siamo ad appena venti miglia<br />

nell'entroterra. Avremo tutto il tempo di arrivare prima che getti<br />

l'ancora.»<br />

«Ma...?»<br />

«Ma che cosa? Mi hai chiesto che cosa ne pensavo, e io te l'ho<br />

detto.»<br />

«Sì, capisco le tue riserve.» Mi strinsi a lui urlando nel vento che<br />

ruggiva intorno a noi. «Stai pensando che tutto è pronto per la<br />

partenza e che in questi preparativi abbiamo passato buona parte<br />

della notte. Sai che molti di noi si sono alzati e si stanno dando da<br />

fare, equipaggiati per affrontare la tempesta, più o meno di buona<br />

voglia. Per di più te la prendi con il tempo, deciso a non farti<br />

scoraggiare. Non vuoi sentirti costretto a una decisione che, con il<br />

senno di poi, forse considereresti una debolezza.»<br />

Mentre finivo di parlare, mio fratello si volse verso di me tenendo<br />

la bocca esageratamente aperta in un atteggiamento di derisoria<br />

incredulità. «Eccoti di nuovo! Tu e le tue predizioni! Come fai a<br />

sapere che cosa penso e penserò?»


Risi apertamente dandogli una pacca <strong>sul</strong> braccio armato. «Perché<br />

ti accompagnerò e sai benissimo, come lo so io, che entrambi la<br />

pensiamo nello stesso modo. Scommetto che sono dello stesso<br />

parere anche gli altri, o molti di loro. Ti diranno, se glielo chiedi, che<br />

avrebbero preferito starsene al calduccio nel letto invece di uscire ad<br />

affrontare un lungo viaggio nel maltempo senza che sia necessario.»<br />

Protetti dalla tettoia della stalla eravamo ancora abbastanza<br />

asciutti. In casa, Ludmilla e Shelagh attendevano che venisse l'ora<br />

della partenza. In gran numero avevano deciso di accompagnare<br />

Ludmilla e suo marito al molo dove una galea li avrebbe riportati da<br />

Ravenglass fino alla costa all'altezza di Camelot. Ci avrebbero<br />

accompagnati Dedalo, Rufio, Donuil, Lucano, avvolti al pari di me e<br />

Ambrogio in pesanti mantelli di lana, resi impermeabili da un sottile<br />

strato di cera secondo le precisazioni in vigore a Camelot<br />

<strong>sul</strong>l'attrezzatura militare.<br />

Queste mantelle erano state confezionate, come prevedibile, su<br />

quelle che per secoli avevano usato i Romani, ma perfezionate nella<br />

forma per coprire completamente un uomo a cavallo e riparare<br />

anche la sella.<br />

Sarebbe venuto Longino, il capitano dell'artiglieria di Derek, che<br />

in quel momento stava sotto la tenda del carro <strong>sul</strong> quale sarebbe<br />

salita Ludmilla. Esaurito il suo lavoro nella foresta, se ne tornava a<br />

casa, in famiglia, per attendere ai soliti doveri; avrebbe viaggiato a<br />

cassetta con Lars, il cocchiere. Erano pronti a partire Artù e Bedwyr,<br />

cui era stato concesso di venire a salutare lo zio e la zia. In verità,<br />

pochi giorni prima, tutti e quattro i ragazzi avevano avuto il<br />

permesso di partire per Ravenglass, ma nel frattempo Gwin e<br />

Ghilleadh avevano cominciato a starnutire e sarebbero rimasti a casa,<br />

malgrado le proteste. <strong>Il</strong> brutto tempo avrebbe trattenuto anche gli<br />

altri due, se Lucano non avesse deciso che era meglio per loro stare<br />

alla larga dai due amici malati.<br />

Mentre osservavo i ragazzi sui loro pony, avvolti in mantelli simili<br />

ai nostri ma naturalmente adatti alle loro dimensioni, vidi Dedalo<br />

che si avvicinava a me.<br />

«Cay, caricherò <strong>sul</strong> carro, dato che di spazio ce n'è in abbondanza,<br />

qualche rotolo di corda robusta e credo che sia bene portare anche


qualche cavallo in più.» Levò gli occhi verso il tetto quasi potesse<br />

scorgere il cielo plumbeo. «Potrebbero tornarci utili. Troveremo<br />

alberi sradicati, forse in alcuni punti la strada sarà bloccata e<br />

dovremo aprire un varco per il carro.»<br />

«Dedalo ha ragione. Potrebbe essere un brutto viaggio, ma la<br />

decisione spetta a te, fratello, ed è ora che tu la prenda. Ci avviamo<br />

o aspettiamo che si plachi la tempesta?»<br />

Ambrogio sospirò e si coprì la testa con il cappuccio. L'elmo era<br />

appeso alla sella.<br />

«Andiamo. È tutto pronto, anche Ludmilla. Ho promesso a<br />

Connor che saremmo arrivati oggi. Nessuno prese allora in<br />

considerazione l'eventualità del maltempo. Una promessa è una<br />

promessa. Andrò ad avvertire le donne. Di' agli altri di tenersi<br />

pronti.»<br />

Feci con la testa un cenno a Dedalo che immediatamente si avviò<br />

a dare l'ordine di mettersi in moto; Ambrogio si avviò alla volta<br />

dell'alloggio che aveva condiviso con Donuil e Shelagh. Pochi istanti<br />

dopo era già di ritorno accompagnato dalle due donne, e in breve<br />

tempo, superata la porta nelle mura del forte, ci avviavamo in fila<br />

ordinata verso la strada che scendeva fino <strong>sul</strong> fondo della valle<br />

dell'Esk e proseguiva per Ravenglass a dodici miglia di distanza.<br />

Quattro volte fummo costretti a fermarci per sbloccare la strada<br />

ostruita dai tronchi degli alberi abbattuti o dai grossi rami spezzati<br />

dalla furia del vento e ogni volta la fatica di attaccare i cavalli per<br />

trascinare quei grossi carichi ci induceva a scambiarci occhiate di<br />

perplessità <strong>sul</strong> perché dovessimo esporci quel castigo in una giornata<br />

simile. Per qualche ragione, che più tardi attribuimmo a una sorta di<br />

pazzia comune provocata dalla tempesta, nessuno si lamentò o<br />

protestò apertamente.<br />

Ci imbattemmo nel primo e più gravoso ostacolo a metà dello<br />

scosceso pendio, in un punto esposto a violente raffiche. Non si<br />

trattava di un tronco abbattuto da spostare per mezzo dei cavalli<br />

ancora freschi di forze, ma di un intrico di rami attorcigliati l'uno<br />

all'altro che ricopriva l'intera strada, una barriera insormontabile che


sembrava prendersi beffe di noi. Mentre imprecando aspettavamo<br />

che Dedalo decidesse come affrontare l'ostacolo, il giovane Artù,<br />

allontanatosi dalla strada, scoprì un itinerario alternativo che,<br />

secondo lui, ci avrebbe consentito di oltrepassare il groviglio<br />

limitandoci a tagliare pochi arboscelli per dare spazio al carro.<br />

Andai con lui a controllare e notai che aveva ragione. Esisteva<br />

una specie di corridoio, stretto e serpeggiante, tra il pendio della<br />

collina e un terrapieno artificiale formato dal pietrisco spostato dagli<br />

ingegneri romani quando avevano costruito la strada. Ci vollero<br />

circa due ore prima che, fradici di pioggia e gelati fino alle ossa<br />

malgrado i nostri mantelli, potessimo ritornare <strong>sul</strong>la carreggiata<br />

dopo esserci lasciati alle spalle, sopra di noi, il groviglio di rami.<br />

Avevamo lavorato tutti insieme; perfino le donne erano venute ad<br />

aiutare gli uomini che tiravano le corde per impedire che il carro<br />

rotolasse giù dal pendio e si fracassasse sbattendo contro gli spuntoni<br />

di roccia. Non perdemmo tempo a compiacerci dell'impresa, ma<br />

rimontati in sella continuammo il viaggio. Al confronto di quel<br />

primo ostacolo, gli altri tre in cui ci imbattemmo erano insignificanti.<br />

Soltanto al crepuscolo di quella giornata grigia scorgemmo i<br />

campi che fiancheggiavano la strada nelle ultime tre miglia fino a<br />

Ravenglass e per ricevere una notizia che nessuno di noi si era<br />

aspettato.<br />

Le prime avvisaglie ci vennero da Artù e Bedwyr che cavalcavano<br />

davanti a noi di un buon tratto. Nella pioggia battente li vedemmo<br />

tornare di gran carriera, diritti <strong>sul</strong>le staffe, gridando a perdifiato per<br />

richiamare la nostra attenzione.<br />

«Uomini! Pirati!»<br />

Recepii istantaneamente la notizia e senza esitazione, non<br />

concedendo un attimo alla curiosità e alla sorpresa, affondai gli<br />

speroni nei fianchi di Germanico. Mentre sentivo sotto di me<br />

guizzare e tendersi i muscoli del grande cavallo nero e i suoi zoccoli<br />

mandare scintille <strong>sul</strong>la strada lastricata, mi accorsi che mio fratello e<br />

almeno due altri uomini mi seguivano. A un certo momento tirando<br />

le redini e costringendo Germanico, fermato all'improvviso, ad<br />

accucciarsi quasi <strong>sul</strong>le zampe posteriori, aguzzai lo sguardo per<br />

cercare di capire quello che vedevo attraverso il velo di pioggia.


Ambrogio mi era di fianco; Donuil, Dedalo, Rufio stavano un po'<br />

avanti <strong>sul</strong>la mia destra. Artù e Bedwyr erano dietro, discosti per<br />

paura che, notandoli, ordinassi loro di andare al riparo <strong>sul</strong> carro.<br />

A una certa distanza, appena distinguibili attraverso la pioggia e<br />

irriconoscibili a causa del fango che li ricopriva, alcuni uomini - una<br />

ventina - procedevano attraverso i campi, in ordine sparso, verso<br />

sud, da destra a sinistra. Perfino dal nostro punto di osservazione<br />

capivamo che erano troppo sfiniti per riuscire a correre. Voltandosi<br />

verso di me Dedalo, urlando per farsi sentire sopra il boato del<br />

vento, mi disse: «Sono dell'Eire. Che cosa ci fanno qui?».<br />

«Come fai a sapere che sono dell'Eire?» gli urlò di rimando<br />

Ambrogio ponendo la domanda che avrei posto io.<br />

«Gli scudi. Donuil, ho ragione?»<br />

Donuil annuì. «Gli scudi sono dell'Eire, ma non gli uomini. Ho<br />

pensato per un attimo che fossero dell'equipaggio di Connor, tenuto<br />

conto che le sue galee erano attese per oggi, ma non è così. Da qui si<br />

direbbero gente di Condran. Ma da dove arrivano? Come mai<br />

vengono da nord? Potrebbero essere l'equipaggio di una nave; non è<br />

possibile che abbiano pensato di attaccare Ravenglass, prendendola<br />

alle spalle.»<br />

«Sono feccia allo sbando. Attacchiamoli!»<br />

«No, aspetta!» Levai una mano per trattenere Dedalo. «Hai<br />

ragione, Dedalo, non hanno l'aria minacciosa, ma prima di<br />

sterminarli, riflettiamo un attimo. Anche Donuil ha ragione. Come<br />

mai vengono da nord? Come potrebbero attaccare nelle condizioni<br />

in cui sono? Capirei una massa di armati che approdano a nord con<br />

l'intenzione di circondare la città, e Condran potrebbe avere un<br />

comandante sufficientemente audace o disperato da tentare una<br />

manovra simile, ma avrebbe mobilitato un esercito non l'equipaggio<br />

di una sola nave.»<br />

«La tempesta!» Rufio annuiva così dicendo. «La tempesta.<br />

Scommetto che il vento ha spinto la loro galea contro la costa. Sono<br />

naufraghi.»<br />

«Sì, stanno puntando su Ravenglass perché pensano che lì si<br />

metteranno al sicuro. La flotta sta attaccando la città malgrado la


tempesta.» Mi levai <strong>sul</strong>le staffe e mi volsi a guardare il carro,<br />

immobile dietro di noi, a circa cinquanta passi.<br />

«Artù, Bedwyr! Tornate al carro e assicuratevi che Lars e Longino<br />

lo mettano al riparo e veglino <strong>sul</strong>le donne. Di corsa!» Mentre<br />

riluttanti i ragazzi si allontanavano, mi rivolsi agli altri. «Non li<br />

perderemo d'occhio, ma restate <strong>sul</strong>la strada finché non saremo tra<br />

loro e la città. Soltanto allora torneremo indietro e ingaggeremo<br />

battaglia. Se resteranno disordinatamente sparsi come sono adesso,<br />

ci sarà facile sopraffarli. Avanti!»<br />

Nessuno di noi si trovò mai in pericolo. Come avevo previsto, la<br />

vista di cinque uomini pesantemente armati in sella a possenti cavalli<br />

gettò lo sgomento tra quegli sconosciuti allo sbando e spense ogni<br />

ardore che potessero avere in petto. Prima ancora che li<br />

affiancassimo, con ancora una buona metà di un campo tra loro e la<br />

strada <strong>sul</strong>la quale procedevamo al galoppo, gli uomini esitarono e si<br />

bloccarono, stringendosi insieme e guardandoci a bocca aperta. <strong>Il</strong><br />

vento che da ore ci sferzava si placò all'improvviso. Quando fummo<br />

abbastanza vicino, ci fermammo e ordinai a tutti di indossare gli<br />

elmi. Al vederci seduti in sella, intenti con tutta calma a levarci il<br />

cappuccio e indossare l'elmo, cominciarono a retrocedere. <strong>Il</strong> cavallo<br />

di Rufio si impennò e nitrì: un richiamo impaziente nel silenzio<br />

subentrato al ruggito del vento.<br />

«Che facciamo?» chiese Dedalo con voce che risuonò stranamente<br />

calma e pacata.<br />

«Affianchiamoli senza movimenti frettolosi. Regolate la velocità<br />

<strong>sul</strong>la mia. Daremo loro il tempo di capire che stiamo avanzando, ma<br />

sappiate che procederemo piano. I cavalli affonderanno nel fango<br />

non appena lasceremo la strada. Teniamoci pronti. Affronteremo<br />

prima il gruppo più consistente, quello dei dodici uomini <strong>sul</strong>la<br />

destra, poi vireremo a sinistra e attaccheremo il secondo manipolo e<br />

tutti quelli abbastanza stolti da mettersi in mezzo. Se decideranno di<br />

combattere così sia. Se si dessero alla fuga, lasciamoli andare, non<br />

inseguiamoli. Meglio raggiungere Ravenglass senza perdere tempo.»<br />

Sganciai il pesante mazzafrusto di ferro appeso al pomo della sella<br />

e infilai la mano nel laccio di cuoio per afferrare l'impugnatura corta<br />

e grossa, flettendo il polso sotto il peso dell'arma, ben consapevole


dell'efficacia letale della palla di ferro che oscillava all'estremità della<br />

breve catena. Osservai la nostra piccola schiera: Rufio <strong>sul</strong>la sinistra,<br />

Dedalo, Ambrogio, io stesso e Donuil. Rufio e Donuil erano armati<br />

di lancia; io avevo il mazzafrusto, Dedalo e Ambrogio impugnavano<br />

le lunghe spade da cavalleria. Abbandonai la strada e, in<br />

quell'attimo, la pioggia cessò e una striscia di luce perforò la grigia<br />

coltre di nuvole. <strong>Il</strong> silenzio non più interrotto neppure dal fruscio<br />

della pioggia diede all'intera scena, per un rapido istante, l'aspetto di<br />

una calma sovrumana. Avanzavamo, il rimbombo degli zoccoli <strong>sul</strong><br />

selciato si spense non appena i cavalli affondarono nel fango dei<br />

campi.<br />

I dodici uomini del primo gruppo si strinsero insieme,<br />

addossandosi l'uno all'altro mentre ci guardavano sopraggiungere.<br />

Ma quando la distanza tra noi si fu dimezzata, poco prima che<br />

mettessi Germanico al piccolo galoppo, mentre cominciavo a<br />

pensare che forse si sarebbero sparsi e dati alla fuga, il gruppo si<br />

spaccò e gli uomini cominciarono a correre verso di noi in una<br />

manovra a tenaglia, le armi in mano, con l'evidente intenzione di<br />

circondarci. Subito accorsero gli altri che fino a quel momento erano<br />

rimasti a guardare. Spronai Germanico.<br />

«Vogliono combattere! Attraversate il gruppo e tornate indietro<br />

attaccandolo alle spalle. Non resisteranno a lungo.»<br />

Così fu. Tre morirono: due trafitti dalle lance dei miei compagni,<br />

uno colpito dal mio mazzafrusto; avevo già scelto il bersaglio<br />

successivo quando l'uomo, vedendo che giravo il cavallo nella sua<br />

direzione, si voltò e si diede alla fuga, scivolando <strong>sul</strong> difficile terreno<br />

e affondando nel fango. Lo raggiunsi in pochi istanti; torreggiandogli<br />

sopra, potevo leggere il terrore nel modo in cui correndo cercava di<br />

accucciarsi per evitare il colpo. Sentivo il desiderio di risparmiargli la<br />

vita, ma dentro di me era prepotente l'esigenza di dimostrare che<br />

eravamo lì di proposito e che la serietà del nostro intento andava<br />

riconosciuta. La clemenza in quel momento sarebbe stata<br />

interpretata come debolezza. Feci oscillare con forza il mazzafrusto,<br />

la palla roteava con impeto e l'abbattei con tutto lo slancio del<br />

braccio colpendo l'uomo tra le spalle, sollevandolo e strappandogli il<br />

respiro e la vita. Un rantolo gli uscì dalle labbra, per qualche istante<br />

rimase sospeso a mezz'aria prima che lo gettassi nel fango dove


piombò a braccia spalancate.<br />

Diedi di redini a Germanico, mentre vedevo gli uomini dell'Eire<br />

che si sparpagliavano intorno, allo sbando. Ritornai <strong>sul</strong>la strada e gli<br />

altri mi seguirono. Sapevamo quello che ci restava da fare:<br />

raggiungere Ravenglass il prima possibile e sperare di non arrivare<br />

troppo tardi o essere troppo pochi. Nel frattempo bisognava tenere<br />

presente che avevamo donne e bambini. Che decisione prendere ora<br />

che sapevamo di trovarci in una situazione pericolosa? Due erano le<br />

possibilità, e nessuna mi sembrava idonea. La prima era di lasciare lì<br />

il carro, mentre noi ci saremmo avvicinati alla città: in tal modo però<br />

sarebbero rimasti del tutto indifesi e vulnerabili se qualcuno dei<br />

nemici si fosse avventurato in quella direzione. Non era possibile.<br />

La seconda, altrettanto improponibile, era di portare le donne e i<br />

bambini a Ravenglass, nell'assoluta ignoranza di quanto avremmo<br />

trovato lì. Avrebbero potuto essere uccisi, lo saremmo stati anche<br />

noi, ma accompagnandoli avremmo almeno potuto sperare di<br />

difenderli fino in fondo. Dovevo accettare l'inevitabile. Levandomi<br />

<strong>sul</strong>le staffe, feci segno a Lars <strong>sul</strong> carro di avanzare e seguirci.<br />

Riprendemmo di nuovo la via, cinque uomini che procedevano di<br />

fianco al carro.<br />

Guardandoci intorno circospetti, attenti al pericolo di una<br />

trappola e di arcieri in agguato, percorremmo il breve tratto di<br />

bosco tra i primi campi coltivati e l'estremo lembo della città che si<br />

estendeva al di là delle mura, intorno alla fortezza prospiciente il<br />

mare. Arrivati nei pressi della cinta ci fermammo. Niente si<br />

muoveva, nessun suono si levava finché non sentimmo il tonfo degli<br />

zoccoli di un cavallo alle nostre spalle. Pallido e teso, apparve<br />

Longino <strong>sul</strong> cavallo di Shelagh. Non ebbi bisogno di chiedergli<br />

perché fosse lì. Ravenglass era la sua patria; la sua postazione di<br />

combattimento era a capo delle macchine da guerra.<br />

«Sono andati tutti a rifugiarsi dentro le mura» disse Rufio con voce<br />

roca.<br />

«Perché? Non ci sono nemici qui, non ci sono pericoli.»<br />

Così dicendo, Longino si guardò intorno. Sembrava che avesse<br />

ragione. Eravamo soli da quella parte. Avanzammo, pronti a cogliere<br />

ogni segno minaccioso, e mentre ci avvicinavamo alle mura del


forte, cominciammo a percepire i suoni della città che venivano<br />

dall'interno della cinta. Notai qualche movimento sopra di noi, e mi<br />

accorsi che le mura orientali erano protette da uomini armati. Le<br />

sentinelle erano all'erta, ma non sembrava che il pericolo fosse<br />

imminente. Aprirono la porta, non appena riconobbero Longino<br />

che, smontato da cavallo, mi affidò le redini e a passo rapido si<br />

diresse - non avevo dubbi su questo - verso le mura occidentali e le<br />

sue amate catapulte.<br />

Confortato dal fatto che non pareva ci fosse un pericolo<br />

incombente, Ambrogio si avviò per raggiungere Ludmilla e<br />

ragguagliarla; Donuil lo accompagnò per andare a rassicurare<br />

Shelagh. Io, Dedalo e Rufio entrammo nel forte insieme e ci<br />

mettemmo alla ricerca di Derek, mentre ci giungevano da varie parti<br />

brandelli di conversazioni e congetture <strong>sul</strong>la tempesta, <strong>sul</strong>le galee<br />

naufragate, sugli uomini annegati.<br />

Trovammo Derek <strong>sul</strong>le mura occidentali, intento a osservare la<br />

baia e, salendo le scale, scorsi Longino accanto a lui che, piegato in<br />

avanti, dai bastioni guardava sotto di sé. Fui sorpreso che ci fossero<br />

così pochi difensori ma, prima che potessi parlare, Derek con un<br />

cenno della testa indicò il molo.<br />

«Gli dèi ci hanno protetti la notte scorsa. Guardate laggiù.»<br />

Ci sono stati nella mia vita momenti in cui mi sono sentito<br />

sopraffatto e pervaso da forti impressioni. Uno di quei momenti fu<br />

quando mi avvicinai al bordo delle mura per guardare il sottostante<br />

porto. Lo spettacolo rimane ancora nei miei occhi in vivide immagini<br />

che da allora mi sfidano a trovare le parole per descriverlo.<br />

Caos, follia, devastazione sfrenata: metà, forse più, del pontile di<br />

pesanti tronchi di quercia che si protendeva in mare era stato<br />

distrutto, ridotto in rovina, divelto da una confusione orribile di<br />

galee capovolte, sommerse, affondate in tutta la baia; il fondo delle<br />

navi coperto di sedimenti galleggiava <strong>sul</strong>l'acqua, gli scafi dilaniati,<br />

l'alberatura abbattuta; gomene spezzate e attorcigliate, cavi rotti e<br />

sciolti; decine di cadaveri di annegati, vortici di acqua che<br />

ingoiavano i detriti, mucchi di alghe lucenti e scivolose strappate<br />

dalle onde e gettate con furia <strong>sul</strong>la riva ai piedi delle mura, corpi<br />

spinti dai marosi <strong>sul</strong>la costa e contro i bastioni, uomini che


correvano con le spade sguainate: dappertutto i segni di un'immane<br />

tragedia e della rabbia indomita della natura.<br />

E dappertutto remi che galleggiavano <strong>sul</strong>le onde come rami inerti;<br />

<strong>sul</strong> ponte di poppa di una galea che spuntava <strong>sul</strong>l'acqua si vedeva<br />

una moltitudine di frecce, l'unica traccia che in quel massacro erano<br />

stati travolti degli uomini.<br />

Incapace di aprire bocca, con mani tremanti sciolsi le cinghie<br />

dell'elmo e me lo tolsi. Derek mi fissava muto. Alla fine trovai<br />

qualcosa da fare: mi misi a contare le galee distrutte. Arrivato a<br />

quattordici e perso a quel punto il conto, emisi un profondo sospiro.<br />

«Quante sono naufragate?»<br />

Si strinse nelle spalle. «Ne abbiamo contate venti, ma forse sono<br />

di più.»<br />

«Quanti morti! Ce ne saranno ancora un centinaio nell'acqua.»<br />

«Sì, quelli leggeri, senza armatura; gli altri, pesanti, sono affondati<br />

e non più riemersi.»<br />

«Che cosa è successo? Lo so, è stata la tempesta, ma che cosa ha<br />

indotto il loro capitano ad accostarsi a riva in quelle condizioni?<br />

Avrebbe dovuto ordinare alle sue navi di puntare verso l'alto mare.»<br />

«L'avidità lo ha spinto, e il desiderio di vendetta. Ha pensato che<br />

la tempesta fosse finita e che avrebbe potuto sorprenderci non<br />

appena placatasi. C'è stato un momento la scorsa notte in cui il<br />

vento è caduto e la tempesta ha taciuto. Abbiamo creduto che si<br />

fosse sfogata. Ne eravamo convinti. Per tutto il giorno aveva<br />

infuriato.»<br />

Annuii alle sue parole. «Sì, lo abbiamo creduto anche noi nel<br />

forte. Per parecchie ore il vento si è placato, è subentrata la calma e<br />

tutto è stato tranquillo.»<br />

Derek mi ascoltava appena e teneva gli occhi fissi <strong>sul</strong>la piatta isola<br />

che nella baia si frapponeva tra Ravenglass e il mare aperto. Riprese<br />

a raccontare a voce bassa, quasi parlasse a se stesso.<br />

«Ripensando a quanto è avvenuto, ho la sensazione che tutti noi<br />

abbiamo vissuto nell'intervallo tra due tempeste, e quando la prima<br />

se ne è andata, la seconda ha riacquistato forza ed è esplosa più


furibonda di quanto fosse mai stata la precedente nei momenti di<br />

maggiore intensità. Non ricordo venti più rabbiosi. Abbiamo perso<br />

due uomini spinti dal vento giù dalle mura. Nessuno ricorda niente<br />

di simile. Grazie agli dèi, il comandante ha creduto, come tutti noi,<br />

che il pericolo fosse passato. Nell'oscurità ha tentato di avvicinarsi<br />

alla riva, preparandosi ad attaccarci all'alba, e quando la tempesta ha<br />

ripreso, le onde hanno spinto le sue navi contro la costa<br />

sfracellandole.» Si avvicinò al parapetto. «Non so quante galee siano<br />

andate perdute, forse non lo sapremo mai, ma non avremo più da<br />

temere dai Figli di Condran. Due spedizioni disastrose, l'una dopo<br />

l'altra, dovrebbero bastare a placare ogni appetito su Ravenglass.»<br />

Si voltò a guardarmi ed era la prima volta che incontravo il suo<br />

sguardo da quando ero arrivato. «Amico mio, sei inzuppato e livido<br />

di freddo, e io sono qui dall'alba. Andiamo a riscaldarci davanti a un<br />

bel fuoco. Dubito che Connor arriverà oggi. Un marinaio con la sua<br />

esperienza di navigazione probabilmente sarà al sicuro con le galee<br />

in qualche baia sottovento. Forse laggiù, nell'Isola di Man.»<br />

Guardai nella direzione da lui indicata e, sebbene non vedessi<br />

niente, sapevo che si riferiva al vasto lembo di terra che si profilava<br />

al largo della costa della Britannia. Per quanto inesperto di mare, gli<br />

diedi ragione. Sembrava ragionevole pensare che Connor, vedendo<br />

avvicinarsi la tempesta da occidente, avesse deciso, valutato il<br />

rischio, di ripararsi al sicuro nei pressi dell'isola.<br />

Con un sospiro lanciai un ultimo sguardo alla baia piena di morte,<br />

quindi mi volsi per avviarmi in città.<br />

Ed eccoli i due ragazzi, Artù e Bedwyr, che mi fissavano; in mezzo<br />

alla folla affaccendata, sembravano avvolti da un alone di calma<br />

immobile.<br />

Derek si era allontanato di pochi passi e lo trattenni afferrandolo<br />

per la manica. Si fermò e mi guardò incuriosito mentre con l'indice<br />

facevo cenno ai due ragazzi di avvicinarsi. Si guardarono<br />

scambiandosi un gran sorriso che riuscivo a distinguere da lontano,<br />

poi di corsa si precipitarono verso la prima scala.<br />

«Che cosa fai? Pensi che sia uno spettacolo da mostrare a due<br />

ragazzi?» La sua voce esprimeva dissenso.


«No,» risposi mentre vedevo sbucare le teste dei due «non glielo<br />

mostrerei se fossero ragazzi come tanti altri, ma sarà una lezione per<br />

due futuri guerrieri e condottieri di uomini.»<br />

Derek brontolò in tono di disapprovazione, ma non protestò<br />

oltre. Quando Artù e Bedwyr mi furono vicino, posai una mano<br />

<strong>sul</strong>la spalla di ciascuno.<br />

«Ascoltatemi ora. Sentite nel cuore il desiderio di muovere guerra<br />

un giorno o l'altro, di vincere e conquistare gloria?»<br />

«Sì, Cay, non appena saremo grandi» disse Artù spalancando gli<br />

occhi. Bedwyr si limitò ad annuire, troppo esaltato dalla prospettiva<br />

per riuscire a parlare.<br />

«Non appena sarete grandi» feci eco aggrottando la fronte. Mi<br />

misi in ginocchio per guardarli negli occhi alla loro altezza. «Forse<br />

non ci credereste se non lo vedeste di persona, ma ci sono spettacoli<br />

che nessuno è mai abbastanza grande da contemplare senza orrore e<br />

dolore. Uno di questi è ai nostri piedi, sotto le mura. Ho deciso che<br />

vediate. Venite.»<br />

Li condussi al parapetto e rimasi in mezzo a loro, continuando a<br />

tenere una mano <strong>sul</strong>la spalla di ciascuno. Percepii i loro corpi che si<br />

irrigidivano non appena capirono quello che era accaduto lì sotto.<br />

Sapevo di essere stato crudele, ma da maestro e guida sapevo anche<br />

che nessuna lezione sarebbe stata più efficace. Eppure, nonostante<br />

tutto, vedevano la morte da lontano. <strong>Il</strong> sangue, le ferite, la<br />

carneficina li scorgevano, ma a distanza, lavati dalle onde,<br />

confusamente. Troppo lontani per notarle erano le viscere lucide, gli<br />

escrementi, le secrezioni corporee; per questa volta sarebbe stato<br />

loro risparmiato l'odore nauseabondo della morte violenta. Quella<br />

vista tuttavia li cambiò per sempre nell'arco di pochi istanti e mai più<br />

avrebbero provato l'eccitazione infantile avida di gloria. Quando<br />

ebbero guardato a sufficienza, mi rivolsi a loro e parlai, consapevole<br />

del pallore delle loro gote e dello sgomento doloroso nei loro occhi.<br />

«Come vedete, non c'è gloria nella guerra. Di questa verità avete<br />

la prova: morte e disperazione, vergogna e costernazione, squallore,<br />

miseria, follia; devastazione, rovina, spreco, distruzione; nessuna<br />

grandezza, soltanto l'incredulità e la voglia di vomitare, di piangere.<br />

Nessuno muore bene in battaglia, e nessuno muore gloriosamente.


Se non imparate altro oggi, imparate almeno questo: i morti non<br />

vincono la guerra. I morti perdono ogni cosa, compresa la dignità, e<br />

prima di tutto perdono la vita. Soltanto i vivi possono essere<br />

vittoriosi. Nessuno, mai, vince nella morte.<br />

Quegli uomini che vedete laggiù, gettati dalle onde <strong>sul</strong>la riva o<br />

ancora galleggianti <strong>sul</strong>l'acqua, sono morti perché erano al seguito di<br />

un capo pazzo, incapace di valutare il rischio. Precipitoso e<br />

avventato, ha esposto a un mortale pericolo e portato alla rovina i<br />

suoi uomini e le sue navi; ha perduto tutto. Se fosse vivo, dovrebbe<br />

essere impiccato per essersi abbandonato alla follia omicida.<br />

Comandare significa assumersi la responsabilità degli uomini che si<br />

affidano a noi. La loro vita è nelle nostre mani da sacrificare in una<br />

guerra vittoriosa, ma sacrificare con giudizio, con prudenza, con<br />

riluttanza; bisogna adoperarsi perché nessuno, non uno, sia<br />

sacrificato inutilmente. È responsabilità del capo mandare gli uomini<br />

in battaglia ed esporli al rischio di morire, ma è un assassinio<br />

mandarli al massacro. Tenete a mente queste parole d'ora innanzi, e<br />

ricordate le centinaia di morti inutili, le centinaia di uomini<br />

assassinati. Andate a cercare la zia Ludmilla. Dite a lei e a Shelagh che<br />

io sono con il re Derek e presto le raggiungerò. Su, andate, di corsa.»<br />

Derek, che era rimasto a guardare e ascoltare in silenzio, non<br />

lasciò trapelare né con un gesto né con un'occhiata quello che<br />

pensava, e non aprì bocca mentre dalle mura ci dirigevamo verso la<br />

sua grande casa.


XIII.<br />

Ricordo che la tempesta e la nostra visita a Ravenglass segnarono<br />

due importanti eventi: l'inizio della fine di un'epoca della mia vita,<br />

imposto da una decisione che presi mentre ero ospite nella casa di<br />

Derek, e il primo vero passo verso la maturità del piccolo Artù<br />

Pendragon nel momento in cui osservò, valutò e venne a patti con<br />

quanto aveva visto in quel porto, una sintesi di morte e distruzione.<br />

Due giorni dopo il nostro arrivo apparve Connor con le sue galee<br />

a vele spiegate nella luce luminosa di un'alba che si annunciava di<br />

sole, confermando l'ipotesi di Derek secondo la quale il bravo<br />

capitano, in previsione della tempesta, aveva messo la sua flotta al<br />

riparo in una delle insenature della grande isola al largo, nota come<br />

Man. Non appena si era schiarito il cielo, aveva ripreso il mare e nel<br />

tragitto si era imbattuto nelle poche galee sopravvissute e ormai allo<br />

sbando della flotta dei Figli di Condran, affondandole tutte.<br />

Preoccupato per il ritardo, sapeva che gli rimaneva ben poco tempo<br />

per depositare sani e salvi i suoi passeggeri a sud, quindi volgere la<br />

prua di nuovo verso nord-ovest per riunirsi alla sua flotta di ritorno<br />

dal nord e diretta nell'Eire. Affrettatosi quindi a imbarcare Ambrogio,<br />

Ludmilla e i loro averi, salpò ben presto, a fatica aprendosi un<br />

passaggio tra i relitti che ancora ingombravano il porto.<br />

Li guardammo partire salutandoli dai bastioni finché non ebbero<br />

doppiato il promontorio davanti a noi. Trascorremmo quindi tre<br />

giorni ad aiutare la gente di Derek nell'erculea impresa di togliere i<br />

detriti del naufragio, recuperandoli o distruggendoli perché non<br />

ostacolassero l'accesso al porto e seppellendo i cadaveri che<br />

trovavamo, ben sapendo che le onde ne avrebbero spinti altri <strong>sul</strong>la<br />

spiaggia chissà per quanti mesi.<br />

Una volta fatto quel che si poteva, riprendemmo la strada per<br />

Mediobogdum sotto un cielo benigno, tra il cinguettio di<br />

innumerevoli uccelli e il verde lussureggiante del nuovo fogliame,<br />

lucente negli angoli protetti, tra il quale brillavano le gemme<br />

inebrianti e profumate dei meli, dei peri, dei biancospini bianchi e


osa.<br />

Quel viaggio di ritorno ci vide per lo più immersi in riflessioni,<br />

intenti, ciascuno di noi a seconda della sua natura, a considerare ciò<br />

che sarebbe potuto accadere a Ravenglass se la tempesta non avesse<br />

per breve tempo ingannato il nemico. Trovammo ancora al suo<br />

posto, <strong>sul</strong> fianco della collina, il groviglio di rami e alberi caduti che<br />

bloccava l'erta salita della strada. Accettammo quella presenza con<br />

stoicismo e un vago senso di sorpresa nel vedere che non era<br />

cambiato niente in quella settimana.<br />

Nei giorni successivi per prima cosa avremmo provveduto a<br />

sbloccare la strada, utilizzando corde, asce, seghe, squadre di cavalli.<br />

Avendo lasciato a Ravenglass Lars e il carro con l'intesa che lo<br />

avremmo avvertito non appena la strada fosse stata di nuovo<br />

transitabile, superammo la barriera senza sostare; impiegammo<br />

meno di un'ora a girarvi intorno, procedendo uno a uno, contenti di<br />

non essere ostacolati dai torrenti di acqua che nell'andata si erano<br />

rovesciati addosso a noi dagli alberi.<br />

Cavalcavo a disagio accanto a Lucano <strong>sul</strong>la parte più aspra della<br />

salita perché avevo notato poco prima che pareva sofferente e<br />

cercava in tutti i modi di non darlo a vedere. Era pallido, smunto;<br />

intorno agli occhi e alla bocca aveva solchi profondi quali non<br />

avevo mai visto. Non gli espressi la mia ansia, ben sapendo che si<br />

sarebbe affrettato a negare come se l'avere contratto una malattia o<br />

il provare malessere fossero un in<strong>sul</strong>to alla sua arte. Invece di<br />

rivelargli i miei sospetti mi limitai a cavalcare al suo fianco, parlando<br />

poco ma tenendomi pronto a sorreggerlo se avesse dato segno di<br />

non riuscire a stare più in sella. Soltanto quando avemmo superato il<br />

punto più difficile della salita, mi allontanai per raggiungere Donuil e<br />

Shelagh che davanti a noi procedevano l'uno accanto all'altra,<br />

parlando quietamente tra loro. Avvertendoli di non voltarsi indietro<br />

a guardare Lucano, li misi da parte delle mie preoccupazioni e con<br />

Shelagh mi accordai di accompagnarlo subito a letto non appena<br />

fossimo arrivati al forte.<br />

Poco dopo affrontammo l'ultimo tratto della scoscesa salita e<br />

vedemmo sopra di noi, <strong>sul</strong>la sinistra, luminoso nel sole di<br />

mezzogiorno il tratto delle mura verso occidente. Dedalo suonò il


corno di rame per annunciare il nostro arrivo, e quando, lasciando la<br />

strada, ci dirigemmo verso la porta principale del forte, Hector e<br />

parecchi altri già ci venivano incontro. Mi sorpresi a sorridere nel<br />

vedere i loro volti lieti, ma gran parte della mia attenzione era<br />

rivolta al pennacchio di fumo che si levava sopra le terme. Salutai<br />

tutti, tolsi l'elmo e la spada dalla sella, vi posai sopra il mantello e,<br />

affidato Germanico a Donuil, mi diressi alle terme.<br />

Quando vi arrivai, nel sudatorium c'era un altro occupante. Ne<br />

percepii immediatamente la presenza sebbene le nuvole ondeggianti<br />

di vapore me lo nascondessero alla vista. Rispose al mio saluto la<br />

voce di Mark, il giovane falegname. Lo vidi in piedi vicino alla<br />

parete e, mentre mi avvicinavo, abbassò le braccia che aveva tenuto<br />

alte <strong>sul</strong>la testa, quindi si lanciò a farmi tutta una sfilza di domande<br />

<strong>sul</strong> nostro viaggio. Riluttante a lanciarmi in un resoconto lungo e<br />

sgradevole, lo trattenni con un gesto della mano, scuotendo la testa<br />

e chiedendogli venia adducendo come scusa la stanchezza e il<br />

desiderio di stirarmi e rilassarmi. Si strinse nelle spalle, sorrise e<br />

annuì, accettando la mia reticenza, e riprese l'esercizio cui si era<br />

dedicato prima. Nessun altro venne a turbare la mia solitudine. Feci<br />

il bagno, mi infilai la tunica, indossai i sandali e mi avviai verso il<br />

mio alloggio portando gli altri indumenti ammucchiati nella corazza<br />

che usavo a mo' di cesto. Pregustavo la gioia di indossare vesti<br />

fresche e odorose di bucato, ma questi pensieri si dileguarono<br />

quando scorsi Tressa nella mia casa. Aveva spalancato le persiane per<br />

arieggiare le stanze; vedendo questo, notai anche che in quel<br />

momento, con la schiena verso di me, stava spazzando.<br />

Non appena la scorsi, istintivamente, senza soffermarmi a<br />

pensare, mi girai sui talloni e mi affrettai ad allontanarmi, temendo<br />

che potesse voltarsi e cogliermi nell'atto di fissarla. Imprecavo contro<br />

la mia viltà, arrabbiato con me stesso per scappare in quel modo da<br />

una giovane donna innocua. Non sarei del tutto sincero se dicessi<br />

che ero sgomento e smarrito nel trovare Tressa nel mio alloggio,<br />

eppure ero... ero attonito. La violenza di quella mia reazione mi<br />

colse di sorpresa inducendomi a chiedermene il perché. E quando lo<br />

feci, mi accorsi che dentro di me, stranamente nascoste nel più<br />

profondo dell'animo, c'erano cose che non mi piacquero molto.


Non c'era dubbio che una parte di me aveva sperato di trovarla in<br />

casa, un'altra parte aveva sdegnato con sconcertante<br />

disapprovazione quella stessa speranza, e un'altra parte ancora,<br />

preponderante, superficiale, inconsapevole, sembrava a un attento<br />

esame del tutto ignara di ogni pensiero che riguardasse la giovane.<br />

Quest'ultima "verità" era naturalmente una menzogna, e mi<br />

seccava accorgermi che sapevo mentire a me stesso. Tressa, la sua<br />

seducente bellezza, le fossette del viso quando sorrideva, il seno alto<br />

e orgoglioso, la vita sottile, i fianchi rotondi erano stati quasi sempre<br />

nei miei pensieri dalla notte della tempesta, quando l'avevo fissata<br />

così a lungo durante la cena. Soltanto tenendone conto avrei potuto<br />

valutare con attenzione la reazione di censura e disapprovazione<br />

insorta in me verso le istanze recondite del mio animo. Da dove<br />

emergevano? Perché si manifestavano con tanta intensità?<br />

Mi accorsi che a grandi passi percorrevo la strada principale del<br />

forte quasi avessi un compito da svolgere. Mi costrinsi a rallentare<br />

fino al punto che mi trovai a ciondolare. Parecchi mi superarono,<br />

salutandomi con un silenzioso cenno della testa, prima che arrivassi<br />

alla porta posteriore e da lì mi portassi <strong>sul</strong>l'orlo del precipizio dove<br />

mi ero librato, poco tempo prima, a braccia spalancate come<br />

un'aquila nel vento. Trovata una pietra ricoperta di muschio in un<br />

punto dal quale potevo guardare la valle sottostante, mi sedetti<br />

lasciando che i miei pensieri corressero a briglia sciolta.<br />

I lunghi anni di assidua riflessione su me stesso mi avevano<br />

abituato a identificare i motivi che mi inducevano ad agire in un<br />

certo modo. Avevo cominciato a pormi domande e ad analizzare le<br />

motivazioni per reagire a una sferzante critica di mio cugino Uther,<br />

che mi aveva accusato di essere presuntuoso, moralistico, pronto a<br />

giudicare con severità e con sufficienza. Deciso, con l'arroganza della<br />

giovinezza, a cambiare atteggiamento, mi ero abituato a<br />

interrogarmi ed esaminarmi spietatamente, arrivando così a<br />

conoscermi troppo bene per potermi ingannare anche solo<br />

momentaneamente.<br />

Ora utilizzavo questa capacità di autoanalisi per sviscerare la<br />

questione di Tressa e capire la mia reazione al vederla. Evitai<br />

brutalmente di fingere a me stesso o abbandonarmi a dinieghi, e


quando dagli occhi cadde l'ultimo velo, accettai ciò che vedevo<br />

come verità incontrovertibile: Tressa era per me inequivocabilmente<br />

attraente, ero deciso a cedere all'inevitabile e a comportarmi in<br />

conformità a quel richiamo. Rimaneva tuttavia un conflitto interiore<br />

circa il celibato che mi aveva fatto passare in quegli anni ore<br />

tormentose. Qualcosa dentro di me, una molesta voce della<br />

coscienza, si struggeva per la rinuncia a un ideale che mi era parso<br />

luminoso. <strong>Il</strong> desiderio, genuino e acutamente sentito, di vivere<br />

castamente aveva radici profonde, comprensibili seppure non del<br />

tutto encomiabili e logiche. <strong>Il</strong> desiderio per Shelagh era un fardello<br />

che mi portavo addosso da anni, inappagato e inammissibile, in<br />

quanto avrebbe portato al perfido tradimento di un caro amico. <strong>Il</strong><br />

voto di astinenza a quel riguardo non aveva conosciuto cedimenti;<br />

avevo sperato che la castità fisica si sarebbe estesa ai pensieri<br />

inconsci. <strong>Il</strong> senso di colpa e il conflitto suscitato dai ricordi di mia<br />

moglie morta, seppur inesplicabili, erano reali, e una parte profonda<br />

di me aveva cercato una via d'uscita nel celibato, sebbene non<br />

sapessi dire e precisare perché dovessi sentirmi in colpa. L'altra<br />

donna, che mi aveva attratto oltre a Shelagh, la deliziosa Ludmilla, si<br />

era innamorata e aveva sposato mio fratello Ambrogio. Nessun<br />

senso di colpa e nessun desiderio a questo riguardo, e di ciò ero<br />

lieto. Ludmilla era come una sorella e nei suoi confronti nutrivo<br />

sentimenti fraterni. Eppure anche lei aveva influito <strong>sul</strong>la mia<br />

decisione di votarmi alla castità: avevo osato amarla e l'avevo<br />

perduta prima che i miei sentimenti potessero maturare. <strong>Il</strong> celibato<br />

avrebbe eliminato quel pericolo dal mio futuro.<br />

Era poi subentrato il terrore di avere contratto la lebbra e la<br />

maledizione del contagio. Una ragione imprescindibile che mi<br />

vincolava al celibato! Ma anche questo momento era passato<br />

quando Lucano aveva ricevuto la pergamena e la macchia <strong>sul</strong>la pelle<br />

era rimpicciolita.<br />

E in mezzo a tutto c'erano stati l'amore e l'orgoglio per il giovane<br />

Artù Pendragon e la responsabilità di dargli quanto stava nelle mie<br />

possibilità e capacità. Avevo creduto che il celibato avrebbe svuotato<br />

la mia mente di ogni pensiero profano e mi avrebbe lasciato libero<br />

di imparare e di insegnare al ragazzo. Poi era arrivata la deliziosa,<br />

seducente Tressa.


Mi bastava all'inizio vederla per sgomentarmi; poi avevo<br />

cominciato a perdere i miei timori e a riconoscerli per quello che<br />

erano: la paura di essere respinto e di essere, a quarantanni troppo<br />

vecchio per piacere a una giovane donna.<br />

Oltre a ciò avevo il terrore irragionevole che la semplice<br />

ammissione di essere fisicamente attratto da una donna potesse in<br />

qualche modo darle un potere su di me, e il terrore persisteva<br />

sebbene la parte razionale mi dicesse che non era vero: lo<br />

dimostrava Shelagh. Sapevo anche che l'essere attratto da Tressa non<br />

significava esserne istupidito e abbrutito. Ero consapevole di<br />

possedere una forza intellettuale che mi avrebbe protetto dalle sue<br />

trame di seduzione e sapevo che da quel punto di vista non mi stava<br />

alla pari. Parlava lentamente e con semplicità, si comportava con<br />

umile soggezione, i modi erano deferenti e rispettosi. La sua presenza<br />

era una piacevole distrazione, in nessun modo minacciosa, ora che<br />

avevo fissato le condizioni entro le quali gestire la relazione.<br />

Tranquillizzato, mi girai e lentamente mi avviai verso casa dove<br />

Tressa era ancora affaccendata a riordinare. La salutai con calma<br />

notando con quale piacere mi accoglieva; cercai quindi di ignorarla<br />

per il momento, tentativo questo destinato a fallire perché ero<br />

acutamente consapevole del grembiule giallo che indossava e della<br />

vicinanza fisica.<br />

Una volta rassicuratala che la sua presenza non mi era di disturbo,<br />

mi sedetti a un tavolino accanto a una delle finestre, e mentre lei<br />

continuava a sbrigare i compiti che le aveva assegnato Shelagh, presi<br />

a leggere uno dei libroni dello zio Varro. Spesso, intenta alle<br />

faccende, mi passava vicino e allora io percepivo il profumo della<br />

sua persona nell'aria intorno. Era un buon odore, tiepido e lindo,<br />

leggermente muschiato dal sudore appena stillato. Cercai di<br />

ignorarlo, ma si risvegliò in me la consapevolezza di essere nudo<br />

sotto la tunica. Mi trovai a essere sgradevolmente congestionato dal<br />

desiderio e svuotato mentalmente.<br />

Tressa naturalmente non sospettava l'effetto che la sua vicinanza<br />

mi provocava, e fu quella innocenza che mi aiutò a superare la<br />

tensione e a recuperare un'apparenza di calma. Come si rese conto<br />

che la sua presenza non mi irritava e disturbava, cominciò a


chiacchierare, ciarlando di cose innocue; dal canto mio trovavo<br />

piacevole e rilassante starmene seduto ad ascoltare il suo cicaleccio.<br />

Non si era aspettata che tornassi così presto, disse. Quando ero<br />

arrivato, aveva da poco cominciato a sbrigare le faccende, spiegò a<br />

voce alta dalla camera da letto dove era intenta a cambiare le<br />

lenzuola. Avrebbe presto finito e se ne sarebbe andata lasciandomi il<br />

tempo di riprendermi dal viaggio.<br />

Girato a metà per prestare orecchio alle sue parole che mi<br />

arrivavano sommesse e confuse attraverso la porta, scorsi <strong>sul</strong>l'altro<br />

tavolo - il tavolo più grande - una pila di indumenti assortiti, tutti<br />

miei, posti vicino a un cesto coperto. Curioso mi avvicinai per<br />

vedere che cosa ci fosse nel cesto. <strong>Il</strong> coperchio, una volta levato, mi<br />

rivelò un cuscinetto con appuntati almeno venti aghi di varie<br />

dimensioni, una profusione di gomitoli, fili, cordoni, mescolati a<br />

brandelli di tessuto colorato.<br />

Sentendola rientrare nella stanza e avvicinarsi a me, mi girai<br />

confuso quasi mi avesse colto a spiare. Parve non accorgersi del mio<br />

imbarazzo, limitandosi a lanciare un'occhiata alla pila di indumenti e<br />

dicendo che era stata sua intenzione rammendare quelli più<br />

consumati, ma che avrebbe aspettato un momento più propizio,<br />

quando fossi stato occupato altrove nel forte. Si accostò al tavolo e<br />

all'improvviso fui sopraffatto dalla sua presenza. Incapace di aprire<br />

bocca, mi scostai, rapido, rigido, goffo, quasi temessi di essere<br />

aggredito. Così facendo, non so come, rovesciai il cestino e i<br />

gomitoli colorati rotolarono <strong>sul</strong> tavolo e <strong>sul</strong> pavimento.<br />

Rapida, senza una parola di protesta, Tressa si chinò e<br />

accovacciata per terra prese a raccoglierli in grembo con movimenti<br />

che, evidenziando le sue forme, mi parvero molto erotici. Sentendo<br />

in gola un groppo di desiderio, paralizzato, osservai le caviglie nude,<br />

le gambe rotonde, i glutei sodi sotto la stoffa della veste, incapace di<br />

distogliere lo sguardo dalla scollatura e dal seno pieno e vibrante.<br />

Sentii tendersi i lombi e gonfiarsi il fallo. In quel momento il piede le<br />

si aggrovigliò in qualche modo nella veste e lei vacillò lì lì per<br />

perdere l'equilibrio vicino a me. Mi girai bruscamente e mi allontanai<br />

verso la camera da letto; mi chiusi la porta alle spalle e mi appoggiai<br />

allo stipite, con il cuore che palpitava forte. Mi chiedevo se si fosse<br />

accorta della mia erezione.


Sembrava che da mesi avessi atteso quel momento, soltanto per<br />

essere devastato dall'imprevisto scontro tra il desiderio e la sua<br />

negazione. Fui sopraffatto, quasi fosse un demone vendicatore, dal<br />

timore di perdere l'occasione, di spaventarla mostrandomi<br />

importuno. Qualche istante più tardi, ancora in preda al panico, con<br />

l'orecchio appoggiato alla porta e il cuore martellante in petto, colsi<br />

il suono di lei che se ne andava e chiudeva l'uscio esterno. Rimasi a<br />

lungo lì appoggiato, in attesa che il batticuore si attenuasse e con la<br />

vana speranza di svuotarmi la mente del tumulto di pensieri che<br />

sciamavano. Quando dalla camera da letto passai nell'altra stanza,<br />

provai simultaneamente piacere e rimpianto: ero riuscito a non<br />

mettere in allarme Tressa e a non bruciare le mie possibilità, ma<br />

avevo perduto un'occasione che forse non si sarebbe ripresentata.<br />

Tressa se ne era andata, era per il momento uscita dalla mia vita.<br />

Qualche tempo dopo, quando avevo ripreso la calma e con essa<br />

l'equanimità del giudizio e il senso delle proporzioni, Shelagh, dopo<br />

avere bussato con forza, entrò guardandomi curiosamente.<br />

«Stai bene?»<br />

«Entra» dissi strizzando gli occhi per vederla meglio contro la<br />

violenta luce pomeridiana che entrava dalla porta. «Sto bene. Era<br />

Lucano quello che non stava bene. Ricordi? Che ne è di lui?»<br />

Lasciando l'uscio socchiuso, si avvicinò alla finestra. Mi ero<br />

cambiato la tunica e indossavo abiti puliti. Shelagh portava ancora le<br />

vesti da viaggio, una tunica di pelle che le scendeva alle caviglie, con<br />

due lunghi spacchi laterali che arrivavano alla vita, e sotto un paio di<br />

morbidi pantaloni. Aveva lo stesso taglio dell'abito che portavo<br />

anch'io in viaggio, a sua volta modellato su una veste di Publio<br />

Varro che gli aveva confezionato, prima ancora del matrimonio, la<br />

futura moglie Luceia. Alcuni si erano scandalizzati a vedere Shelagh<br />

che montava a cavallo come un uomo, ma lei si era dimostrata<br />

indifferente alla loro pudibonda suscettibilità, e nel frattempo tutti,<br />

oramai abituati a lei in quella foggia, avevano dimenticato, almeno<br />

da quel punto di vista, che era una donna.<br />

Mi guardò socchiudendo gli occhi, la testa piegata di lato.<br />

«Lucano sta bene. Era soltanto stanco del viaggio. Non è più un<br />

giovanotto e, come sai, non è mai stato un bravo cavaliere. Si stanca


ad andare a cavallo, si stanca anche a stare in sella. Appena<br />

smontato, ha ripreso colore. Ho cercato di convincerlo a distendersi<br />

<strong>sul</strong> letto, ma non ha voluto saperne. L'ho visto poco fa, seduto al<br />

sole, intento a chiacchierare con Joseph. Sembrava a suo agio. Come<br />

ti senti tu?»<br />

«Io? Come dovrei sentirmi? Non sono diverso da com'ero quando<br />

siamo arrivati... in ottima forma.»<br />

«Tressa mi ha detto che non avevi l'aria di stare bene, che<br />

sembravi affranto.»<br />

L'attimo in cui pronunciò il nome dell'altra donna fu per me una<br />

rivelazione. Nell'andarsene dal mio alloggio Tressa si era subito<br />

recata da Shelagh. Tressa agiva ai suoi ordini. Fremetti, ma fui<br />

attento a nascondere a Shelagh ogni segno che avevo capito. Sentii<br />

un tumulto di pensieri ed emozioni, ma fu per breve tempo; ripresi<br />

subito il controllo di me stesso e per la prima volta in vita mia anche<br />

di Shelagh. Mi trovai a sorriderle calorosamente.<br />

«Tressa! Si è sbagliata. Sto bene e non sono affranto. Ma adesso<br />

che hai fatto il suo nome, parleremo di lei.»<br />

Shelagh, che si era avvicinata alla finestra, si profilava nitidamente<br />

nel chiarore pomeridiano. Rimase lì a lungo a guardarmi, la testa<br />

alta; la luce alle sue spalle mi impediva di leggere l'espressione dei<br />

suoi occhi.<br />

Attesi contando mentalmente fino a dieci prima che lei con voce<br />

dolcissima dicesse: «D'accordo, parliamone. Che cosa c'è da<br />

discutere?».<br />

Sì, che cosa c'era da discutere? Prima che me ne rendessi conto, mi<br />

trovai sbilanciato. La semplicità e l'immediatezza della reazione di<br />

Shelagh mi avevano colto impreparato. Non potevo darle una<br />

risposta diretta senza tradire, forse in modo offensivo, che avevo<br />

intuito le sue intenzioni, o senza rischiare di apparire sciocco e<br />

ingrato, esprimendo su Tressa un giudizio aspro che non meritava.<br />

Tossicchiai, schiarendomi la gola per prendere tempo; alla fine<br />

decisi di essere sincero.<br />

«Tressa» dissi e mi fu facile sorridere. «Mi hai teso una trappola, e<br />

l'esca è stata Tressa.»


Vidi che per un attimo si irrigidiva, quasi fosse sorpresa, ma la sua<br />

voce, quando riprese a parlare, era inalterata. «Una trappola? Non<br />

sono tua nemica, Caio. Perché dovrei farlo?»<br />

«Per deviarmi dalla retta via?» Parlavo in tono cordiale e leggero,<br />

in parte timoroso di offenderla, il che non era nelle mie intenzioni.<br />

«Deviarti da che cosa?»<br />

«Dal mio proposito di non avere vincoli sessuali. Che altro?»<br />

Di nuovo quel fuggevole irrigidimento, seguito da una risata, alta,<br />

chiara, divertita. Vedevo soltanto la sua sagoma scura, contro la luce<br />

abbagliante che veniva da fuori; non riuscivo a cogliere la sua<br />

espressione.<br />

«Senza vincoli? Una giovane donna come Tressa, bella come lei,<br />

sarebbe un vincolo?»<br />

Attesi, ma lei non disse altro. Quando fui sicuro che non avrebbe<br />

proseguito, stringendomi nelle spalle risposi: «Lo considererebbero<br />

tale tutti coloro che ritengono la castità un valore».<br />

«Già, il tuo voto di celibato.»<br />

«Che cosa vuoi dire?»<br />

«Solo quello che ho detto, e con una punta di disprezzo. <strong>Il</strong><br />

celibato è per ogni uomo l'ammissione di non essere riuscito a vivere<br />

all'altezza delle aspettative degli dèi. Ma questo è ridicolo nel tuo<br />

caso.» Si raddrizzò bruscamente e si allontanò dalla finestra. Riuscivo<br />

a distinguere la sua faccia ora e mi fu di sollievo. Ridendo, andò a<br />

sedersi al tavolo dove poco prima ero stato seduto io.<br />

«Perché ridi di me?»<br />

«Non rido di te.» Ma pur così dicendo continuava a ridere. La<br />

sentivo però amica e sapevo che la sua risata non era sprezzante.<br />

«Vieni a sederti qui, vicino a me.» Presi l'altra sedia e mi misi di<br />

fronte a lei. Per qualche istante rimase immobile, sorridendo e<br />

scuotendo la testa. «Ammetto, Cay, di avere portato Tressa nella tua<br />

casa di proposito. L'ho vista in sogno una notte insieme a te, e tu<br />

sorridevi.» Levò una mano. «Non chiedermelo: non so se si trattasse<br />

di un sogno profetico, ma era nitido, inequivocabile, ricco di<br />

promesse. Ho agito spinta da quelle impressioni.» Scosse la testa con


gesto impaziente e scostò una ciocca di capelli che le era scesa sugli<br />

occhi. «Caio, questo tuo discorso <strong>sul</strong> celibato è assurdo per quanto ti<br />

riguarda. Non mi interessa discutere le tue ragioni. Non sei votato<br />

alla castità. Sì, hai voluto farmi credere di esserlo, almeno così ha<br />

voluto la tua mente con il suo amore per la logica. Ci credo. Ma che<br />

ne è dell'altra parte della tua mente, quella che cerca uno sbocco<br />

sognando donne con o senza volto? Lo sfogo, l'eiaculazione,<br />

dimostra che c'è vita in te, Caio, una vita che esige di essere vissuta.<br />

Negarlo davanti al tuo dio, al mio o al dio di chiunque è peccato, è<br />

sicuramente peccato. Guardami, non voltare il viso.»<br />

Tornai dunque a fissarla, ma non le dissi niente e lei strinse gli<br />

occhi.<br />

«La ragazza? Non ti piace?»<br />

Scossi la testa. «Nient'affatto. È attraente, pulita, sana.»<br />

«Allora? Qualcosa non va. Che cosa le manca?»<br />

«Non le manca niente, almeno <strong>sul</strong> piano fisico.»<br />

«E neanche su quello mentale. Le hai parlato?»<br />

Sollevai sorpreso le sopracciglia. «Certamente. Le ho parlato oggi.<br />

Ha chiacchierato raccontando quello che faceva.»<br />

«Non questo tipo di cose. Aveva paura di te, era nervosa, credo.<br />

Hai parlato con lei, Cay? Vi siete scambiati qualche idea?»<br />

«Su quali argomenti?»<br />

Levando le mani in un gesto di rassegnazione, emise un sospiro<br />

profondo. «Su qualsiasi cosa! Caio, con quella ragazza puoi discutere<br />

di ogni cosa che ti passa per la testa. Non lasciarti ingannare da<br />

quella che tu, da uomo, consideri la sua semplicità, forse rozzezza, di<br />

linguaggio. È una cucitrice brava, non ne ho mai conosciuta una<br />

altrettanto esperta; il suo cervello funziona bene quanto il mio o<br />

quello di Ludmilla o di altre donne.» Si buttò all'indietro <strong>sul</strong>la sedia,<br />

fissandomi a occhi spalancati e scuotendo piano la testa in segno di<br />

stupore per la mia insipienza.<br />

«Che cos'hai, Shelagh? Credo che tu voglia dirmi qualcosa.»<br />

«Sì. Te lo ricordi?» Lasciò cadere le mani in grembo e allargò le<br />

dita <strong>sul</strong>le cosce ricoperte dalla tunica di cuoio, che segnava la forma


delle gambe. La guardai confuso, mentre il cuore mi batteva<br />

all'impazzata in petto.<br />

«Ricordo che cosa, Shelagh?» Inequivocabile era la tensione nella<br />

mia voce, greve e sensuale.<br />

«<strong>Il</strong> corpo avvolto da queste vesti, il corpo che molto tempo fa,<br />

decidemmo di comune accordo, per ottime ragioni, che tu non<br />

avresti mai avuto. In tutti questi anni non abbiamo mai fatto niente<br />

di cui vergognarci agli occhi di nessuno.»<br />

Inghiottii cercando di liberarmi del groppo che sentivo in gola.<br />

«Lo so. Perché me lo dici, Shelagh?»<br />

«Perché so quanto può fare male il desiderio, Cay, sebbene abbia<br />

un marito che amo, che mi ama e può soddisfare ogni mia voglia.<br />

Mi addolora - e da molti anni provo questo dispiacere - sapere che<br />

tu non hai altre risorse salvo i tuoi sogni.»<br />

La voce si spense e ne seguì un lungo silenzio. Alla fine annuii.<br />

«Così hai scelto Tressa perché fosse il mio passatempo?»<br />

«Ho scelto Tressa, sciocco, ma non perché fosse il tuo passatempo.<br />

L'ho scelta per te. E, credimi, l'ho fatto con grande cura.»<br />

«Come mai?» le chiesi sorridendo. «Non hai forse detto che l'avevi<br />

vista in sogno?»<br />

«Sì. La vidi in sogno. Ma i sogni sono sogni e la vita è reale: chi<br />

può saperlo meglio di te? Ho studiato la ragazza prima di compiere<br />

il primo passo. Ho setacciato, alla ricerca di pecche e difetti, tutto di<br />

lei... la giovinezza, la salute, la famiglia, il carattere. Non ho trovato<br />

che un'unica imperfezione. È fatta per te, Cay.»<br />

«Non desidero sposarmi, Shelagh. Se non posso avere te, non<br />

avrò nessun'altra.» Non dissi nulla del giuramento che, dopo la<br />

morte di Cassandra, avevo fatto a me stesso di non prendere una<br />

nuova moglie. Non vedevo alcun motivo per parlarne e non mi<br />

passava per la testa di sposare Tressa.<br />

«Parole stolte, che non possono essere tue. Non ho parlato di<br />

matrimonio. Non ho mai pensato di trovarti una moglie.»<br />

«Forse è vero, Shelagh, ma contrasta con il mio concetto di<br />

responsabilità. Oggi mentre le ero vicino e la guardavo intenta a


accogliere i gomitoli che avevo lasciato cadere a terra, me la figurai<br />

gravida, incinta di mio figlio; la percepii minacciosa. Fu la fine di<br />

tutto in quell'istante.»<br />

«Non è niente! Un ultimo rigurgito di coscienza e un impulso ad<br />

autopunirti.»<br />

La fissai con stupore. «Tu parli così? Non potevi essere più<br />

convincente. Basta così; so che se la tocco, finirà con il trovarsi<br />

incinta. Di questa complicazione non ho la minima necessità. Non<br />

ho intenzione di procreare figli bastardi. Se rimanesse gravida, dovrei<br />

sposarla e questo, senza alcuna avversione per Tressa, non può<br />

essere. Ho un preciso compito nella vita, ben chiaro e definito da<br />

tempo: Artù Pendragon, davanti a tutto. Abbi fede nel mio giudizio<br />

e lasciamo stare.»<br />

«È sterile.»<br />

«Cosa?» Le sue parole mi lasciarono senza fiato. Rimasi a bocca<br />

aperta per lo stupore. Shelagh era tornata a sorridere.<br />

«Tressa è sterile. Ecco l'unica imperfezione che ho trovato in lei.<br />

Aveva un marito che circa un anno fa la cacciò per prendere una<br />

nuova moglie che già gli aveva dato due figli mentre era ancora<br />

sposato con Tressa. <strong>Il</strong> che dimostra che sterile era lei, non suo<br />

marito. Da allora Tressa vive soltanto perché è più brava di ogni<br />

altra a usare l'ago e il filo. Come vedi, ha bisogno di aiuto quanto<br />

te.»<br />

«Mi lasci esterrefatto, Shelagh.» Mi accasciai <strong>sul</strong>la sedia, del tutto<br />

smarrito. «Hai macchinato in tutti i modi per cambiarmi la vita.»<br />

«L'iniziativa è stata solo mia. Tressa non ha idea di quello che mi<br />

passava in mente.» Mi sorrideva senza mostrare segno di contrizione.<br />

«Pensaci, Cay; pensa che cosa potrebbe significare per te un semplice<br />

segno di assenso con la testa: la vicinanza di una donna, uno spirito<br />

pronto che ti tiene agile e vigile, una giovane brava con un bel<br />

sorriso, una compagna di letto allegra che ti riscalda nelle notti<br />

fredde e buie... e anche in quelle tiepide e buie. Di tutto questo hai<br />

bisogno, Caio Merlino Britannico, e tutto questo lo trovi nella<br />

giovane Tressa. Senza paura di generare figli.» Tacque e il volto le si<br />

fece serio. «Ne trarrebbe vantaggio anche Artù, perché in Tressa è


prepotente la vocazione materna.» Con voce più pacata aggiunse:<br />

«Credi che ti darei un consiglio avventato a questo proposito? O che<br />

ti consiglierei male? O che mi profonderei in lodi per una donna<br />

indegna?».<br />

Mi levai lentamente con la testa in subbuglio. Ma prima di<br />

trovare le parole per rispondere a quella serie di affermazioni,<br />

domande, rivelazioni, la porta si aprì ed entrò Dedalo. Fu lì lì per<br />

immobilizzarsi quando vide l'espressione del viso di Shelagh e del<br />

mio.<br />

«Santo cielo! Perdonami, Merlino... cioè Cay... per esserti<br />

piombato addosso in questo modo senza neppure bussare o chiedere<br />

il permesso. Non sapevo che eri occupato. Shelagh, ti chiedo<br />

perdono...»<br />

«Dedalo, per favore, basta così.» Si levò in piedi zittendolo con un<br />

sorriso e levando la mano. «Stavo per andarmene; ci siamo detti<br />

quello che dovevamo dirci.» E con un sorriso verso di me aggiunse:<br />

«Pensaci, Cay, pensaci bene. Non occorre essere precipitosi. Quando<br />

sarai pronto a riprendere l'argomento, vieni a trovarmi». Rivolse un<br />

cenno di saluto a Dedalo e con un sorriso a entrambi se ne andò.<br />

Dedalo si avvicinò alla finestra per guardarla mentre si<br />

allontanava, quindi si rivolse a me. «Ti chiedo di nuovo scusa, Cay.<br />

Sono entrato soprappensiero.»<br />

Ascoltavo appena quello che mi diceva: la mia mente era ancora<br />

scossa dalle parole di Shelagh; ma, accorgendomi di essere sgarbato,<br />

mi costrinsi a prestare attenzione al nuovo visitatore.<br />

«Non pensarci più, Ded! Lo sai che la mia porta è sempre aperta<br />

per te. Come ha detto Shelagh, ci eravamo già detti quel che c'era da<br />

dire. Quando sei arrivato, ormai chiacchieravamo del più e del<br />

meno. Che cosa succede?»<br />

Sotto un braccio teneva due lunghi pezzi di legno. Si avvicinò a<br />

una sedia e si sedette, appoggiando le due assicelle contro la sua<br />

gamba e un'estremità a terra; si profuse quindi in una lunga<br />

descrizione di come le aveva trovate e a che cosa servivano. Ma<br />

avrebbe potuto parlare una lingua sconosciuta perché ero ancora<br />

tutto preso da quanto mi aveva raccontato Shelagh: Tressa era


sterile. Probabilmente il mio viso manifestava un certo interesse a<br />

quanto diceva perché Dedalo continuò a parlare. Ma mentre<br />

proseguiva, il suo tono cambiò mostrando irritazione per la mia<br />

confusione e alla fine, alzai una mano indicandogli di tacere con<br />

gesto perentorio. Smise di colpo.<br />

«Dedalo, amico mio, ti chiedo di perdonarmi, ma non ho prestato<br />

attenzione a quello che hai detto. Ho altri pensieri in testa.»<br />

Mi guardò aggottando la fronte, preoccupato per me.<br />

«Stai bene, Cay? Qualcosa non va?»<br />

Scossi la testa e riuscii a sorridere seppur con aria mesta. «No,<br />

Ded, non c'è niente che non vada... almeno niente che si possa<br />

cambiare. È che... ho troppe cose in testa, piccole cose, che vanno<br />

sistemate. E Shelagh ha contribuito, seppur in misura minima, a<br />

creare una nuova complicazione. Tu adesso vieni ad aggravare il<br />

fardello. Mi scusi la mancanza di cortesia?»<br />

«Che cosa dici?» Si levò sorridendo. «Sono stato io a irrompere<br />

nella tua casa senza pensarci. Devo vedere Mark e passando di qui,<br />

ho voluto mostrarti queste cose che ho trovato.» Sollevò le due<br />

assicelle e se le ficcò di nuovo sotto il braccio. «Sono solide, vedi,<br />

non seccheranno e non spariranno. Risolvi le cose che hai in mente e<br />

quando avrai finito, ti sarà facile trovarmi. Posso esserti di aiuto?»<br />

Scossi la testa senza parlare, e Dedalo stringendosi nelle spalle se ne<br />

andò. «Ti lascio alle tue preoccupazioni. A più tardi.»<br />

Quando se ne fu andato, rimasi a fissare la porta, la mente<br />

svuotata di ogni pensiero razionale. Ma poi mi si riaffacciò al ricordo<br />

l'immagine di Tressa, immediatamente sostituita dal viso sorridente<br />

di Shelagh e dal suono della sua voce. Andai a sedermi nella<br />

poltrona più comoda lasciando che i pensieri mi turbinassero nella<br />

mente. Ma erano troppo irruenti e inquietanti perché potessi<br />

starmene seduto, e ben presto presi a camminare avanti e indietro,<br />

sempre lo stesso percorso, mentre cercavo di sbrogliarmi nel tumulto<br />

dei sentimenti e delle emozioni. Mi fermai alla fine davanti alla<br />

finestra dove era stata Shelagh e mi sporsi di fuori nel pomeriggio<br />

ancora luminoso. D'un tratto capii quello che nelle parole di Shelagh<br />

mi aveva turbato: una piccola incoerenza, così sottile da essere quasi<br />

impercettibile, eppure si imponeva ed esigeva una spiegazione.


Shelagh aveva scelto Tressa perché fosse la mia amante, e una<br />

parte di me ne era scandalizzata. Aveva cercato, come aveva<br />

ammesso lei stessa, con cura diligente vagliando altre donne e alla<br />

fine prediligendo Tressa avanti a tutte. Poi, una volta selezionata,<br />

aveva dato seguito al suo progetto e io avevo rifiutato l'offerta.<br />

Soltanto davanti a quel rifiuto aveva ammesso la sua intenzione e<br />

dichiarato di avere manipolato gli eventi a mio beneficio privato e<br />

personale. Era all'apparenza il gesto di un'amica leale e sincera.<br />

Altruista, generosa, di nobile animo. Eppure... eppure qualcosa non<br />

andava.<br />

Non potevo sposare Tressa per una miriade di ragioni compreso il<br />

giuramento che avevo fatto di non riprendere più moglie. Shelagh,<br />

che pur non sapeva niente del giuramento non mi aveva cercato una<br />

moglie, aveva invece trovato una potenziale amante che non<br />

sarebbe mai stata una minaccia né per me né per Artù né per quel<br />

luogo sacro, dentro il mio cuore, consacrato a Cassandra, morta da<br />

lungo tempo, alla sua memoria, e a lei, Shelagh. E soprattutto la<br />

donna che aveva scelto non avrebbe mai potuto legarmi a sé con il<br />

vincolo dei figli.<br />

Sapevo con certezza che Shelagh si era sempre adoperata per il<br />

mio vantaggio, ma capivo che non lo aveva fatto con assoluto<br />

altruismo e totale abnegazione. L'amore fisico che lei non poteva<br />

darmi me lo dava in altro modo; ma salvaguardava gelosamente<br />

l'attrazione reciproca stranamente appassionata, inerte e segreta che<br />

ci legava. Da mezzana... da ruffiana. Nel momento in cui capivo<br />

pienamente quello che era accaduto, l'ammissione tacita, forse<br />

inconsapevole dell'amore di Shelagh per me, sorrisi con gioia<br />

stavolta e, riempiendomi i polmoni dell'aria aromatica dell'autunno<br />

e sentendomi come un ragazzo che ha finito la lezione, uscii di casa e<br />

mi avviai verso il laboratorio di Mark.<br />

Vi trovai Dedalo e Lucano; quest'ultimo se ne stava seduto su un<br />

barile capovolto nel cortile antistante la falegnameria. Parlavano di<br />

mobili e lodavano la bella decorazione del ripiano di un tavolo al<br />

quale Mark stava lavorando. Furono contenti di vedermi e, finiti i<br />

convenevoli, mi volsi a Dedalo.<br />

«Adesso posso concentrarmi su quello che volevi discutere. Mi


stavi mostrando qualcosa. L'hai ancora con te?»<br />

«Sì» mormorò sorridendo. Andò a prendere i due pezzi di legno,<br />

me ne tese uno. Lo osservai attentamente e lo tastai con il pollice.<br />

Era levigato, pesante, di quercia; non era piallato ma squadrato per<br />

una larghezza di quattro dita. Arrivava all'altezza del petto. L'altro<br />

pezzo era identico.<br />

«Quercia stagionata» dissi. «Dove li hai trovati?»<br />

«Nelle terme, sopra la fornace, qualche mese fa. Mentre riparavo<br />

l'ipocausto, Mark si mise a cercare un posto dove asciugare alcune<br />

travi. Non gli occorreva molto spazio, ma voleva che fosse un<br />

angolo caldo, asciutto, impermeabile all'acqua. Sapevo che sotto il<br />

pavimento delle terme c'era un vano adeguato alle sue esigenze.<br />

Gliene parlai, e poi me ne dimenticai, ma da allora lui se ne serve<br />

abitualmente. Ci sono andato oggi, circa un'ora prima che passassi da<br />

te, e ho trovato questi pezzi e un centinaio di altri simili. Mark ne ha<br />

usati un bel numero per fare le gambe dei nostri letti.» Lesse<br />

l'incomprensione nel mio sguardo mentre mi giravo verso Mark che<br />

ascoltava e sorrideva lievemente. «Non capisci, Cay?» Percepivo<br />

l'entusiasmo nella voce di Dedalo. «Quercia di prima qualità, seccata<br />

nel forno, più pesante e resistente del frassino. Possiamo lavorarla al<br />

tornio e farne delle spade da addestramento, del tipo di cui abbiamo<br />

già parlato, tutte della stessa lunghezza.»<br />

«Hai ragione, Ded!»<br />

«Lo so bene. Sono contento di essere sceso fino alle terme oggi.<br />

Non avremmo altrimenti saputo di avere a portata di mano un<br />

materiale così bello, stagionato e lavorato. Credi che la quercia sia<br />

all'altezza del frassino?»<br />

«Anche meglio!» e guardai Mark che annuì sorridendo.<br />

«Credo che possa andare altrettanto bene,» disse con la sua voce<br />

strascicata «ma non so quale sia il suo indice di usura. Se i bastoni si<br />

rompono, possiamo farne altri con il frassino.»<br />

Sollevai il pezzo di legno afferrandolo nel mezzo. «I Romani si<br />

esercitavano con spade di frassino; le nostre saranno di quercia.<br />

Quale lunghezza dovranno avere?»<br />

Mark guardò Dedalo che si strinse nelle possenti spalle. «Faremo


due modelli sperimentali e li perfezioneremo al punto giusto. Sei<br />

d'accordo?»<br />

«Certamente.»<br />

«Te le porterò non appena saranno pronte. Quanto ci vorrà,<br />

Mark?»<br />

«Capisco che la cosa vi sta a cuore. Almeno per oggi smetto di<br />

lavorare a questo tavolo. Posso cominciare subito. Mostratemi che<br />

cosa volete con precisione: la lunghezza e l'angolazione della<br />

rastrematura. Ci vorrà un'ora per prepararle a essere lavorate al<br />

tornio, ma poi si andrà in fretta. Se tutto va bene, saranno pronte<br />

domani a quest'ora.»<br />

Mettendosi in punta di piedi e levando in aria le braccia Dedalo<br />

esclamò: «Che aspettiamo? Al lavoro, Mark».<br />

Mi allontanai per andarmi a sedere su un basso ciocco vicino alla<br />

botte capovolta <strong>sul</strong>la quale stava Lucano.<br />

«Come stai, Lucano? Ti ho visto pallido mentre ci inerpicavamo su<br />

per la collina.»<br />

«C'è stato un momento, lo ammetto, in cui ho creduto che quel<br />

cavallo sarebbe stato la mia morte. Qualcosa in quell'andatura<br />

altalenante mi fa venire il mal di mare. Come si fa a sopportarla?»<br />

Lo guardai: possibile che non si rendesse conto di essere l'unico a<br />

sentirsi sballottato come su un'altalena stando su una sella? Quel<br />

movimento oscillante era la conseguenza della sua imperizia<br />

nell'equitazione. Lucano non aveva mai imparato l'arte di rilassarsi<br />

stando <strong>sul</strong> dorso di un cavallo. Se ne stava rigido sicché invece di<br />

assecondare il movimento dell'animale, si aggrappava contratto su<br />

quel suo trespolo precario. Non capivo come gli riuscisse così<br />

difficile; andava tuttavia detto che io avevo cominciato a salire in<br />

sella da giovanissimo e non ricordavo quell'avventura altalenante.<br />

«Sei stato meglio quando hai sentito il terreno sotto i piedi?»<br />

«Eccome! Preferisco muovermi su un carro. Lì almeno ci sono<br />

mille appigli cui afferrarsi.»<br />

Scossi la testa ridacchiando. «Che cosa farai adesso?»<br />

«Adesso? In questo momento? Volevo andare a vedere Mark al


lavoro. Ma se hai altro in mente, starò con te.»<br />

«Ti va una passeggiata lungo le mura?»<br />

Mi lanciò un'occhiata scrutatrice. «Con te? Certamente. Aiutami a<br />

scendere. Mi sono issato quassù, ma sembra un bel salto per ossa<br />

come le mie.»<br />

Gli tesi una mano e l'aiutai a scendere dalla botte. Ci dirigemmo<br />

verso il primo tratto di mura, quello a nord, antistante il precipizio<br />

dietro il forte. Una volta lì, girammo a destra e a passo svelto<br />

imboccammo l’intervallum, il circuito perimetrale interno lungo le<br />

mura. Affrontai subito l'argomento che mi stava a cuore.<br />

«Devo farti una domanda.»<br />

«Avanti» rispose, ma subito si fermò e si volse a guardarmi,<br />

preoccupato forse da qualcosa che aveva percepito nella mia voce.<br />

Sul suo viso si disegnò un'espressione di sgomento. «Oh, Esculapio!»<br />

esclamò con una specie di grugnito. «Hai un'aria che puzza di castità.<br />

Non oggi, Merlino, ti prego. Preferisco saltare giù da queste mura<br />

che parlare di castità in un pomeriggio bello come questo.»<br />

«Ascoltami, Lucano. Forse ti sarà gradito quello che sto per dirti.»<br />

Levò un sopracciglio. «Ne sei convinto?»<br />

«Sì, ho deciso che la castità non mi si addice.»<br />

Gettando la testa all'indietro e stendendo le braccia all'altezza<br />

delle spalle, si girò lentamente, gli occhi chiusi e un'espressione<br />

estatica <strong>sul</strong> suo viso sottile e ascetico.<br />

«Grazie a tutti gli dèi della medicina e alla loro idea di<br />

illuminazione... Come sei arrivato a questa straordinaria decisione?<br />

Perché? Chi è la donna?»<br />

«Tressa» risposi a voce bassa.<br />

«Benedetta sia la prosperosa Tressa. Sarò felice di vederti<br />

soddisfatto e sorridente, coniugalmente appagato.»<br />

«Coniugalmente? Non sto parlando di matrimonio.»<br />

«Non è necessario, non a questo punto, ma stai parlando <strong>sul</strong>le ali<br />

di un rinfrescante vento di buon senso. Su, muoviamoci. Trovo che il<br />

discorso <strong>sul</strong> celibato sia molto meno opprimente. Ho da dirti


qualche cosa; mi sembri intenzionato ad ascoltarmi.»<br />

Camminammo avanti e indietro ai piedi delle mura dell'antico<br />

forte; Lucano mi teneva stretto il braccio sotto il suo mentre parlava<br />

dell'inquietudine suscitata in lui dalle richieste che gli avevo rivolto in<br />

un passato lontano e recente. Era da sempre convinto che io fossi in<br />

errore nell'assecondare la castità e avessi imboccato una strada<br />

destinata a portarmi al fallimento e alla frustrazione. Adesso che<br />

avevo abbandonato quell’irrealistico desiderio sperava che avrei<br />

tratto maggiore soddisfazione dai pochi insegnamenti che poteva<br />

impartirmi <strong>sul</strong> celibato. Era pronto, più di quanto lo fosse stato un<br />

tempo, a dirmi quello che sapeva <strong>sul</strong>la filosofia sottesa alla disciplina<br />

dell'astinenza.<br />

A sentirlo parlare in quel modo, gli chiesi di essere più chiaro.<br />

In origine, mi ricordò, volevo arrivare alla castità con<br />

l'autodisciplina, sperando che tale regola mi avrebbe aiutato<br />

nell'educazione di Artù. Non c'era nulla di arcano in questo. Alla<br />

disciplina ero già avvezzo data la vita che avevo condotto. Arrivare<br />

all'arcana scienza dei maghi che avevano praticato l'ascetismo e<br />

l'abnegazione era un passo in avanti verso una disciplina che non si<br />

limitava all'astinenza sessuale; era una scienza, disse, superflua, di cui<br />

non avevo bisogno. Per mettere a frutto i doni e le capacità che<br />

possedevo erano necessarie una serenità dello spirito e<br />

un'equanimità che avevano radice nella fiducia in se stessi. Una volta<br />

deciso chi e che cosa ero, una volta accettato il ruolo che volevo<br />

svolgere nella vita, i doni e le capacità di cui ero dotato sarebbero<br />

fioriti senza costrizioni.<br />

Avevamo da poco superato metà del percorso, quando ci corse<br />

incontro, rumoroso e turbolento, simili a foglie al vento, un gruppo<br />

di bambini. Ci fermammo per farci superare da loro che, quasi<br />

fossimo invisibili, ci sfiorarono tra grida gioiose e acute. Lucano si<br />

voltò a guardarli mentre si allontanavano, quindi dopo un silenzio<br />

piuttosto prolungato che non intendevo interrompere, disse: «Lo sai,<br />

Caio, non mi ricordo di avere mai corso con la foga e l'allegrezza di<br />

questi bambini. Ma l'avrò certamente fatto. Anch'io ho avuto<br />

un'infanzia».<br />

«È passato tanto tempo che non te ne ricordi neppure?»


«Oh, sì, me lo ricordo bene... alcune cose almeno. I momenti<br />

felici, soprattutto, che sono stati pochi. Ricordi la tua infanzia?»<br />

«Sì, vividamente e con piacere. Io e Uther avemmo un'infanzia<br />

che non molti hanno, piena di gioia per essere quello che eravamo.<br />

Trascorrevamo l'autunno e l'inverno nella romana Camelot; la<br />

primavera e l'estate nella celtica Cambria. I lividi che ci facevamo<br />

erano gli stessi in entrambe le località.»<br />

«Sono sicuro che erano tanti. Ma parlando di lividi che ne è stato<br />

di quella lesione <strong>sul</strong> petto? L'hai esposta all'aria come ti avevo<br />

suggerito?»<br />

«Sì, ma senza effetto, adesso che ci penso. Da quando è arrivata la<br />

tua pergamena e mi hai rassicurato che la lesione non era quella che<br />

temevo, me ne sono dimenticato. Grazie al clima mite di questi<br />

ultimi tempi sono spesso andato in giro a torso nudo.»<br />

«Mostramela» disse fermandosi.<br />

Indossavo una semplice tunica a girocollo, stretta da un cordone<br />

ornato. Me lo slegai per esporre la parte destra del petto. Lucano la<br />

osservò. «Come pensavo. Si è rimpicciolita. Ricordo che era più<br />

estesa. Tra un mese sarà sparita.»<br />

Riprendendo a camminare, borbottò qualcosa <strong>sul</strong>la bella giornata<br />

e io, aggiustandomi la tunica, mi misi al suo fianco.<br />

A quel punto, completato il circuito delle mura e ormai arrivati in<br />

prossimità dei nostri alloggi dove indugiava un capannello di<br />

persone, Lucano si fermò e, mettendomisi di fronte, mi afferrò per<br />

una spalla dimostrando di essere più forte e giovanile di quanto<br />

lasciasse trasparire il suo viso. Con tutta serietà mi disse che avevo<br />

preso una saggia decisione; quindi con mio imbarazzo aggiunse che<br />

ero l'uomo migliore che avesse conosciuto, più ancora di mio padre,<br />

e che a suo parere nessuno meglio di me avrebbe potuto adempiere<br />

al compito che mi ero proposto. Artù, oggi un ragazzo, sarebbe<br />

diventato re sotto la mia guida, e tenuto conto del precettore e del<br />

discepolo, che sapeva essere dotato di grandi qualità, era convinto<br />

che sarebbe diventato un re quale la Britannia non aveva mai avuto.<br />

Non un imperatore come Alessandro, ma un re; non un<br />

conquistatore di nuove terre ma un sovrano capace di governare


quelle che già aveva, un uomo che si sarebbe meritato fama e gloria<br />

imperiture.<br />

Quando finì di parlare, aveva le lacrime agli occhi, e io dovetti<br />

inghiottire più volte per dissolvere il nodo che mi si era addensato in<br />

gola. Rimanemmo in silenzio fino a quando, davanti alla porta del<br />

suo alloggio, ci separammo. Non c'era altro da dire.<br />

Quella sera, quando tutti si furono raccolti per la cena, mi<br />

avvicinai alla giovane Tressa che stava insieme ai nuovi arrivati da<br />

Ravenglass e mi sedetti accanto a lei. Parve che nessuno avesse da<br />

commentare il mio arrivo, pur così insolito, e Tressa non diede<br />

segno di essere curiosa o nervosa. Mi accolse con simpatia e passò il<br />

resto della cena a chiacchierare piacevolmente del più e del meno<br />

con gli altri, conversazione alla quale partecipai senza riserve. Mi<br />

piacque immensamente.<br />

Finita la cena, mentre tutti si dirigevano ai propri alloggi, mi<br />

incamminai insieme a lei. L'aria fredda prometteva una gelata.<br />

Vedendo che rabbrividiva e si portava le braccia <strong>sul</strong> petto, presi il<br />

mantello che portavo <strong>sul</strong> braccio e glielo avvolsi intorno. Si fermò<br />

sorpresa e mi lanciò un'occhiata attenta e perplessa.<br />

«Non offendetevi, mastro Cay, ma che intenzioni avete?»<br />

«Che ne dici, Tressa?» chiesi a mia volta sorridendo.<br />

Scosse la testa con lentezza, sorridendo leggermente. «Non lo so.<br />

Come potrei? È la prima volta che vi prendete cura di me; oggi per<br />

poco non siete scappato al vedermi. E adesso d'un tratto vi sedete<br />

vicino a me, mi guardate, mi parlate e arrivate ad avvolgermi nel<br />

vostro mantello.»<br />

Mi resi conto di non badare più al suo accento; la voce mi<br />

sembrava del tutto normale. Annuii. «Hai ragione; sono quasi<br />

scappato da te oggi, ma da allora ho avuto modo e tempo di<br />

pensarci. Mi perdoni?»<br />

«Perdonarvi?» Rise, un mormorio delizioso, profondo. «Che cosa<br />

avete fatto da dovermene chiedere perdono? Non ho notato<br />

niente.»<br />

«Avevo paura di te.»


«Cosa?» Si irrigidì. «Perché parlate così, mastro Cay? Vi burlate di<br />

me? Se è così, e credo proprio che sia così, allora andatevene. Non<br />

merito di essere trattata in questo modo.»<br />

«Taci!» Levai piano la mano quasi volessi toccarle la bocca e lei si<br />

immobilizzò istantaneamente, fissandomi a occhi spalancati. Le<br />

accarezzai le gote, le sfiorai le labbra con il polpastrello del pollice.<br />

«Non avevo intenzione di prenderti in giro. Ti ho detto la verità.<br />

Avevo paura di te, scioccamente, perché avevo paura di me stesso e<br />

di come avrei reagito alla tua presenza... ai sentimenti che suscitavi<br />

in me.» Mi chinai su di lei, abbassando la testa per guardarla negli<br />

occhi. «Hai idea di quello che provo per te?»<br />

Se anche fosse stata cieca e non avesse potuto vedermi, sarebbe<br />

bastato il tono della mia voce a suggerirle la risposta. Annuì esitante,<br />

parlando attraverso il dito che ancora le tenevo <strong>sul</strong>le labbra. «Sì,<br />

credo di sì.»<br />

«Ti dispiace?»<br />

«No... ma...»<br />

«Che cosa?»<br />

«Che cosa volete da me, adesso che lo so?»<br />

Percepivo <strong>sul</strong> polpastrello il suo fiato tiepido e sorrisi di nuovo,<br />

sorpreso di come mi sentissi tranquillo e a mio agio in quella<br />

situazione insolita. Mi sembrava di conoscerla da anni, e con il<br />

magico potere della prossimità il suo viso si sovrapponeva a quello<br />

di Shelagh e perfino a quello di mia moglie Cassandra.<br />

«Che cosa voglio da te? Che vuoi darmi? Io chiedo il tuo calore e<br />

la tua amicizia, il tuo sorriso, la tua allegria, la tua lingua pronta.»<br />

Non si era mossa e non aveva fatto il gesto di allontanare la gota<br />

dal contatto delle mie dita. Tacqui e lei spostò la testa quel tanto che<br />

bastava per accentuare la pressione della guancia contro la mia<br />

mano.<br />

«E?» sussurrò.<br />

«Se vorrai concedermelo, Tressa, ti chiedo di darmi la tua<br />

vicinanza, la tua dolcezza, te stessa.»<br />

«Che altro, mastro Cay?» La sua voce era un debole mormorio.


Mi resi conto che c'era qualcuno nelle vicinanze, ma non me ne<br />

occupai. Le accarezzai le labbra con il dito, poi le piegai il labbro in<br />

basso per sentire l'umidore tiepido della gengiva.<br />

«Non chiamarmi più mastro Cay; per te sarò Cay, solo Cay, come<br />

per gli amici. Lascia che ti dia un bacio...»<br />

«Venite!» In un attimo mi aveva afferrato la mano<br />

allontanandomi da dove ci trovavamo, vicino alla sala da pranzo.<br />

«Cominciano a tendere l'orecchio» disse, quando fummo a una certa<br />

distanza, ma la sua mano continuava a tenere ben stretta la mia. «È<br />

acceso il fuoco nel vostro alloggio?»<br />

«Se non si è spento nel frattempo. L'ho acceso prima di uscire, ma<br />

la legna che usiamo è ben secca e brucia rapidamente.»<br />

«Avete un po' di vino? Possiamo insaporirlo con le spezie?»<br />

«Sì, ne ho.»<br />

«Allora andate a prepararlo; io vado a prendere il mio cesto da<br />

lavoro.»<br />

«Perché? Non avevo intenzione di chiederti di cucire per me,<br />

seduta davanti al fuoco... non stasera.»<br />

Sorridendo mi strinse le dita e perfino al debole chiarore della<br />

luna mi accorsi che la gioia splendeva nei suoi occhi. «Neppure io<br />

avevo intenzione di cucire stanotte. Non ci riuscirei tenendo in<br />

mano una coppa di vino caldo... o altro liquido tiepido.» L'ambiguità<br />

di quelle parole mi fece palpitare, ma lei allontanandosi aggiunse:<br />

«Voglio però avere il mio cesto; non mi piace lasciarlo incustodito<br />

troppo a lungo. Contiene tutti gli strumenti del mio lavoro e i miei<br />

tesori».<br />

Mi parve che il sangue mi si ispessisse nelle vene e lo percepii<br />

pulsare nelle tempie. «L'hai lasciato incustodito per andare a cena.»<br />

«Non c'erano rischi; erano tutti a cena. Adesso torneranno, tranne<br />

me, e la tentazione di mettere le mani nel mio cesto può essere<br />

troppo forte per alcuni. È sciocco proteggersi dalla tentazione<br />

quando un altro, cedendovi, mi farebbe soffrire...» Continuava a<br />

sorridere e a guardarmi, la testa china da un lato. «Non vi pare<br />

saggio?» Annuii incapace di parlare. Mi fissava il pomo di Adamo,


en consapevole del mio nervosismo; poi annuì anche lei e la voce<br />

divenne un sussurro. «Bene! Allora vado a prenderlo. Non appena<br />

sarò di ritorno, avrete un bacio per avermi concesso di dividere con<br />

voi il calore del fuoco e il vino.» Si voltò per allontanarsi, ma la<br />

trattenni con dita frementi.<br />

«Non ti va di dividere anche il mio letto, Tressa?»<br />

Sorrise, gli occhi splendenti di malizia nel chiarore della luna.<br />

«Ecco una tentazione cui merita cedere. Perché secondo voi sento la<br />

necessità di recuperare il mio cesto? Andate ad attizzare il fuoco.»<br />

Alcuni tizzoni ardevano ancora e, dopo avere acceso diverse<br />

candele di cera, ravvivai le fiamme aggiungendo dapprima qualche<br />

ramoscello e poi ceppi grossi. Versai quindi il vino in un vaso di<br />

terraglia e lo appoggiai <strong>sul</strong>la grata, insaporendolo con una generosa<br />

presa delle spezie che Luceia Varro aveva portato d'oltremare tanti<br />

anni prima. Mi rimaneva troppo poca di quella mistura di essenze<br />

esotiche disseccate e polverizzate per consentire di sperperarne, era<br />

letteralmente insostituibile, e io la usavo soltanto nelle occasioni più<br />

solenni e importanti. Ne avevo usato un po' con Ambrogio e Joseph<br />

appena una settimana prima, e non avevo dubbi che quella notte<br />

meritava di essere celebrata ancora meglio.<br />

Ero ancora intento a preparare l'infuso quando bussando piano<br />

alla porta Tressa entrò. Indossava un lungo mantello sopra quello<br />

che le avevo lasciato e reggeva il prezioso cesto. Lo posò a terra non<br />

appena entrata, si chiuse la porta alle spalle assicurandosi che fosse<br />

ben serrata con il paletto. Appese il mio e il suo mantello<br />

<strong>sul</strong>l'appendiabiti alla parete. Le persiane erano già chiuse.<br />

«<strong>Il</strong> vino sarà pronto tra poco. Lo hai mai assaggiato prima?»<br />

«Sì, più volte. Me lo ha offerto Shelagh.»<br />

«Hai bevuto il vino di Shelagh mescolato al miele. Questo è<br />

diverso; vi ho aggiunto le spezie venute dai confini orientali<br />

dell'Impero. Shelagh ci aggiunge erbe raccolte in Britannia... o<br />

nell'Eire. Forse non ti piacerà.»<br />

Si avvicinò a me vicino al braciere e rimase a guardare il liquido<br />

che cominciava a bollire piano nel recipiente. La riga tra i capelli<br />

bruni e lucenti era di un bianco perlaceo. Levò la testa a guardarmi;


il suo viso fresco non mostrava traccia di ritrosia o falso pudore. «Mi<br />

avete promesso un bacio» disse avvicinandosi a me.<br />

Non dimenticherò mai l'intensità di quel bacio, il primo di mille e<br />

mille altri che ci saremmo scambiati. Dovetti chinarmi per<br />

appoggiare le mie labbra <strong>sul</strong>le sue e lo feci ancora incerto se<br />

accarezzarla con le mani. Accadde così che soltanto le nostre labbra<br />

si toccarono, e che nessun altro contatto ci fosse tra i nostri corpi.<br />

Quel primo incontro delle nostre bocche dissolse d'un tratto la<br />

percezione del calore delle fiamme <strong>sul</strong>le gambe nude; la morbidezza<br />

delle sue labbra e la cedevolezza con cui si adeguavano alla forma e<br />

alla pressione delle mie allontanarono ogni altra sensazione.<br />

In quei primi istanti fu incerta ed esitante non meno di me, ma a<br />

ogni battito del cuore crescevano in entrambi la forza e la sicurezza;<br />

il piacere e l'eccitazione del bacio aumentavano la pressione delle<br />

nostre labbra e delle nostre bocche. Mossi la testa di lato e lei fece lo<br />

stesso. All'improvviso il tiepido umore all'interno del labbro inferiore<br />

della sua bocca acuì in me il desiderio. Trattenni il respiro e aprii la<br />

bocca, succhiandoglielo, ricco e succulento. Levò il braccio e me lo<br />

posò <strong>sul</strong> collo, tirandomi a sé; le mie mani si riempirono del suo<br />

corpo, l'una posata <strong>sul</strong>la schiena, l'altra <strong>sul</strong> ventre pieno e sodo,<br />

mentre il seno si appiattiva contro le mie costole. Mi pareva di<br />

vacillare per l'intensità del desiderio. D'improvviso si allontanò da<br />

me, respirò a fondo e allontanò i capelli che le erano ricaduti <strong>sul</strong><br />

viso.<br />

«Occupatevi del vino, mastro Cay.» La voce suonava tremante,<br />

affannosa.<br />

«Mi chiamo Cay, soltanto Cay, te l'ho detto.»<br />

«Lo so. E quelli che mi conoscono mi chiamano Tress, non Tressa.»<br />

Si guardò intorno. «<strong>Il</strong> vino, versamene un po'.»<br />

Mentre toglievo il recipiente dal caminetto, la sentii entrare nella<br />

mia camera e lì muoversi. Versai il vino in due coppe. Stavo per<br />

chiederle che cosa facesse quando tornò stringendo tra le braccia le<br />

pelli di animali che usavo durante le campagne militari. Mentre la<br />

guardavo sbalordito reggendo le coppe, lei lasciò cadere il suo carico<br />

e lo stese per terra in doppio strato. Quindi, avvicinando un basso<br />

sgabello, lo posò da una parte e si sedette <strong>sul</strong> morbido tappeto di


pelliccia.<br />

«Siediti, Cay, bevi con me e insieme godiamoci il calore del<br />

fuoco.»<br />

Mi venne in mente in quel momento, sentendola dire Cay, che lei<br />

sola, di tutti i sudditi di Derek, conosceva la mia identità. Ero<br />

contento che sapesse che ero Merlino di Camelot, sebbene mi fosse<br />

dispiaciuto quando Shelagh mi aveva avvertito di averglielo detto. In<br />

quel momento mi parve del tutto naturale che fosse a parte del<br />

segreto. Sorridendo mi sedetti e lei assaggiò il vino speziato levando<br />

le sopracciglia al sapore insolito.<br />

«Che cos'è?»<br />

«Nettare. Sembra che sia afrodisiaco.»<br />

«Afrodisiaco? Che vuol dire?»<br />

Lo sorseggiai rumorosamente di proposito. «Una pozione d'amore<br />

che stimola il desiderio e allunga i tempi dell'amore.»<br />

Volse gli occhi intorno sorpresa e leggermente diffidente. «È<br />

efficace? Mi pentirò di averlo bevuto?»<br />

«Non lo so. Che ne dici?»<br />

«Soltanto se non sarà efficace con noi.» Cominciò a ridere piano<br />

all'inizio, poi sempre più irresistibilmente, finché alla fine anch'io mi<br />

trovai a ridere insieme a lei, e<strong>sul</strong>tante, con un senso di sollievo. Mi<br />

parve che gli anni mi cadessero di dosso. Ci rotolammo abbracciati<br />

l'uno all'altra <strong>sul</strong> letto che aveva preparato, parlando, ridendo,<br />

raccontandoci della nostra vita, liberi da ogni restrizione. E mentre<br />

parlavamo, ridevamo, ci raccontavamo, continuavamo a baciarci, e<br />

baciandoci osavamo di più finché alla fine ci togliemmo le vesti e<br />

restammo abbracciati, appagati della bellezza che ciascuno trovava<br />

nell'altro, incuranti che l'afrodisiaco fosse efficace o no. Non ne<br />

avevamo bisogno. Di tanto in tanto attizzavo il fuoco. E quando il<br />

sole sorse ci trovò ancora svegli, felici insieme, con il pensiero<br />

spensieratamente rivolto a un futuro che si prospettava lungo<br />

davanti a noi.


PARTE SECONDA<br />

MEDIOBOGDUM


XIV.<br />

Verso la fine dell'estate di quel primo anno al forte, giunse da<br />

Camelot la prima spedizione via terra, che veniva a rifornirci di<br />

cavalli. Con grande eccitazione di tutti i presenti nel forte, li<br />

vedemmo superare la sella del passo sopra Mediobogdum, verso<br />

oriente.<br />

Sapendo che sarebbero arrivati in quei giorni, avevo dislocato<br />

qualche settimana prima delle sentinelle <strong>sul</strong>la cima che sormontava il<br />

passo, così che i corni che annunciavano il loro arrivo erano<br />

risuonati nella valle fin dal primo avvistamento. Questo ci aveva<br />

dato il tempo di raccogliere gli uomini nel campo e di indossare le<br />

uniformi, cosa che facevamo di rado, in quel pacifico periodo di<br />

costruzione e rafforzamento, per riceverli in modo dignitoso.<br />

Erano una visione davvero emozionante: armi e armature<br />

brillavano alla luce del sole ormai basso a occidente, mentre<br />

scendevano zigzagando dal passo verso il forte, un percorso che<br />

richiedeva circa un terzo di un'ora. Marciavano in fila per quattro, in<br />

una colonna che sembrava non avere fine. Due squadroni di<br />

cavalleria aprivano e chiudevano la colonna, e nel centro c'erano i<br />

fanti e i cavalli per noi, legati quattro a quattro con la cavezza. <strong>Il</strong><br />

cavallo più esterno di ogni fila, alternando tra destra e sinistra, aveva<br />

un cavaliere in groppa.<br />

Ambrogio cavalcava davanti a tutti, sotto il suo grande stendardo<br />

bianco e nero fregiato dell'orso grigio, che era divenuto il vessillo di<br />

Camelot. Io mi trovavo <strong>sul</strong>la torre di sud-est del forte e guardandolo<br />

avanzare sentii il cuore battermi più veloce e il respiro farsi<br />

stranamente più corto: era come guardare me stesso cavalcare verso<br />

me stesso, il che naturalmente, mi dissi subito, era esattamente<br />

l'effetto che Ambrogio aveva cercato di ottenere. Agli occhi della<br />

gente comune, chi guidava quel distaccamento era Merlino di<br />

Camelot, e persino io avrei potuto lasciarmi convincere che fosse<br />

così. L'effetto che quella vista ebbe <strong>sul</strong> giovane Artù e sui suoi tre<br />

amici fu invece molto più salutare.


Artù era sempre stato affascinato dagli aspetti più eroici della<br />

personalità di "zio Ambrogio", come era solito chiamarlo. Ma questa<br />

volta il ragazzo rimase letteralmente ammutolito dall'arrivo<br />

spettacolare degli uomini di Camelot. Non ho dubbi che la sua<br />

reazione fosse dovuta a molte e diverse ragioni. Di sicuro lo<br />

emozionò perché tutti noi, dopotutto, eravamo lontani da Camelot<br />

da più di un anno. Lo colpì probabilmente anche perché in quel<br />

periodo a Mediobogdum portavamo di rado le armature, e<br />

somigliavamo ormai più a dei contadini o degli artigiani, quanto<br />

meno nell'aspetto esteriore, che a combattenti o addirittura soldati.<br />

O forse si trattava solo dell'improvvisa comparsa di una compagine<br />

di uomini e cavalli in formazione, disciplinati e pesantemente armati,<br />

in un posto dove ci eravamo abituati a vedere i guerrieri locali<br />

muoversi da soli, a piedi, o tutt'al più su piccoli pony dal pelo lungo.<br />

Qualunque ne fosse il motivo, quando l'avanguardia delle truppe<br />

di Camelot raggiunse lo spiazzo davanti al forte e Ambrogio si<br />

fermò, sorridendoci dall'alto della sua cavalcatura, il capo<br />

sormontato dalla cresta imponente dell'elmo romano, l'armatura<br />

pesante e lucidata che splendeva al sole e i suoi tre aiutanti di campo<br />

al fianco, il giovane Artù si fece avanti da solo, senza una parola, gli<br />

occhi lucidi e le braccia protese a liberare Ambrogio dal suo pesante<br />

scudo. Mio fratello borbottò qualcosa, guardando il ragazzo, poi<br />

con un movimento rapido ed elegante scese dalla sella, allungando<br />

lo scudo ad Artù con una mano mentre accennava ad arruffargli i<br />

capelli con l'altra. Si fermò però a metà del gesto, come se ci avesse<br />

ripensato, e gli strinse solo una spalla con cordialità, per poi venire<br />

ad abbracciarmi.<br />

«È troppo grande ormai, per essere salutato come un ragazzino»<br />

mi bisbigliò mentre ci stringevamo. Io non risposi, facendomi da<br />

parte per lasciar venire avanti gli uomini dietro di me. Quando<br />

furono completati i saluti, Ambrogio mandò i suoi tre comandanti a<br />

sorvegliare l'installazione dell'accampamento <strong>sul</strong>lo spiazzo delle<br />

parate, davanti alla porta orientale.<br />

Laggiù i fanti stavano già montando le tende e accatastando le<br />

armi secondo le procedure tradizionali di un esercito romano.<br />

Rientrai nel forte con il nostro gruppetto e salimmo subito <strong>sul</strong><br />

bastione orientale, dal quale si godeva una splendida vista di quello


spettacolo.<br />

Lucano osservò che quel vecchio forte non aveva probabilmente<br />

mai visto un simile dispiegamento di forza militare. Poco dopo la sua<br />

costruzione, all'apice dell'attività romana nel settentrione, forse<br />

aveva avuto cinque o seicento uomini di guarnigione - anche se<br />

Lucano ne dubitava - ma sicuramente non aveva mai ospitato più di<br />

cento cavalleggeri armati.<br />

Mentre Lucano sottolineava quello strano aspetto dell'evento,<br />

Derek, che era al forte con noi da una settimana, lo ascoltava in<br />

silenzio, le braccia incrociate e il mento barbuto appoggiato alla<br />

piastra di cuoio <strong>sul</strong> petto, osservando il distaccamento di cavalleria<br />

che occupava lo spiazzo delle parate. Era la prima volta, e io lo<br />

sapevo, che vedeva il genere di forze che Camelot poteva dispiegare<br />

in tempo di pace, e ne era impressionato. Sapeva bene che quella<br />

era solo una pattuglia spedita al nord qualche mese prima, della<br />

quale Camelot stava facendo a meno senza sforzo.<br />

Quando gli avevo detto di quella spedizione via terra da<br />

Camelot, mesi prima, il re era parso turbato, preoccupato<br />

dall'esempio che l'uso di quell'approccio a Ravenglass da oriente<br />

avrebbe potuto dare ad altri, più ostili visitatori. Tuttavia, dopo che<br />

gli ebbi spiegato che lo scopo era di lasciare al forte una guarnigione<br />

a cavallo permanente, che sarebbe stata rilevata da forze fresche due<br />

volte all'anno, aveva convenuto che una simile guardia a protezione<br />

delle sue spalle rendeva ingiustificate le paure di un'invasione da<br />

quella direzione.<br />

Più tardi, quando Ambrogio fu finalmente sicuro che tutto era<br />

sotto controllo, riuscii a sottrarlo ai suoi doveri e trascinarlo nel<br />

sudatorium delle nostre terme, sincerandomi prima che nessuno ci<br />

avrebbe disturbato. Quando gli ebbi concesso il piacere di rilassarsi<br />

in quell'ambiente e togliersi di dosso lo sporco e la stanchezza del<br />

lungo viaggio, potei interrogarlo su ciò che aveva trovato lungo il<br />

tragitto, <strong>sul</strong>le novità di Camelot e <strong>sul</strong>la cosa che più mi stava a<br />

cuore: la nuova spada che doveva venire forgiata con il metallo<br />

della Signora del Lago.<br />

Mi rassicurò subito su quell'ultima questione. Le mie paure che il<br />

metallo residuo fosse insufficiente erano ingiustificate, disse, poiché


un esame della grezza figura, mai completata, aveva rivelato che<br />

Publio Varro non poteva aver usato per forgiare Excalibur più di un<br />

terzo del metallo della statua. Joseph e Carol avevano sviluppato il<br />

calcolo che portava a quella conclusione. Excalibur, una volta<br />

rifinita, doveva pesare circa metà del suo peso alla fusione, la<br />

differenza essendo lo sfrido e la limatura della lavorazione del<br />

metallo dalla fusione sino alla sua forma finale. Stando così le cose, il<br />

metallo della statua doveva essere sufficiente a forgiare non una ma<br />

due spade identiche, se così avessi voluto.<br />

Era una notizia splendida e insperata, che mi fece però riflettere:<br />

volevo davvero due doppioni di Excalibur?<br />

Non appena formulata la domanda, la risposta fu subito ovvia. Le<br />

spade sarebbero state rappresentazioni di Excalibur, non doppioni;<br />

sarebbero state spade d'addestramento e come tali avrebbero subito<br />

un utilizzo troppo frequente e un trattamento impietoso. Meglio<br />

perciò averne due, tanto più che questo avrebbe permesso di tenere<br />

nascosta Excalibur. Risolta quella questione, chiesi subito a mio<br />

fratello quanto tempo ci sarebbe voluto per averle. Scrollò le spalle.<br />

Non sarebbe tornato a Camelot prima dell'inizio dell'inverno, disse,<br />

e finché non fosse rientrato, Carol non avrebbe messo in lavorazione<br />

la seconda lama. Forse la prima sarebbe già stata pronta per allora,<br />

ma anche se lo fosse stata non avrebbe lasciato Camelot fino a<br />

primavera.<br />

Dovetti accontentarmi di quelle considerazioni, e per un bel po'<br />

non parlammo più di questioni politiche, poiché Ambrogio<br />

desiderava solo immergersi e sudare, gli occhi e la mente chiusi a<br />

tutto fuorché alle sensazioni e al piacere di quel caldo umido che si<br />

portava via stanchezza, dolori e rigidità. Questo non gli impedì<br />

comunque di aggiornarmi <strong>sul</strong>la sua vita privata a Camelot. Nella<br />

tarda estate dell'anno precedente, Ludmilla gli aveva dato due<br />

gemelline meravigliose, una bionda come il sole e l'altra nera come<br />

un corvo: Ambrogio era semplicemente pazzo di loro, e non si<br />

curava minimamente dell'opinione corrente che le figlie potessero<br />

solo complicare la vita di un uomo. Le aveva chiamate Luceia e<br />

Octavia, in onore delle sue antenate della stirpe dei Britannico, di cui<br />

aveva scoperto di far parte solo un anno prima, quando mi aveva<br />

incontrato a Verulamium. Credo davvero che sarebbe stato capace


di parlare di quelle bambine anche nel sonno.<br />

Ludmilla era in piena salute e salutava amorevolmente tutti<br />

quanti, in particolar modo il suo amato maestro Lucano.<br />

Quest'ultimo, prima di partire, aveva insistito perché fosse lei ad<br />

assumersi la responsabilità della salute della Colonia in sua assenza e<br />

aveva fatto bene, poiché le questioni mediche e igieniche, sotto<br />

l'attenta sorveglianza di Ludmilla, erano tutte perfettamente sotto<br />

controllo. Un valido aiuto le era venuto dall'arrivo di un giovane<br />

cerusico, addestrato dall'esercito imperiale ad Antiochia, che aveva<br />

intrapreso il viaggio a Camelot dopo aver sentito parlare di Lucano<br />

da innumerevoli persone nelle sue peregrinazioni in Britannia.<br />

Giunto fin là, dopo aver valutato le capacità di Ludmilla e<br />

l'infermeria di Lucano, superbamente attrezzata secondo il suo metro<br />

di giudizio, aveva deciso di rimanere a Camelot e assisterla nel suo<br />

lavoro.<br />

Di lì in avanti la conversazione vagò piacevolmente per altri temi,<br />

tutti abbastanza innocui e tutti capaci di scatenare in me la nostalgia<br />

per la vita e i personaggi di Camelot. Quando Ambrogio emerse dal<br />

suo torpore e si sentì all'altezza di discutere altre questioni<br />

«importanti», fui io a suggerire di soprassedere, avendo deciso che<br />

era scorretto non condividere quelle notizie con gli altri, come lo era<br />

negare agli ufficiali di mio fratello i piaceri delle terme. Così ci<br />

rivestimmo e lasciammo il posto ad altri, che non ne avevano meno<br />

bisogno di noi.<br />

Meno di un'ora più tardi ci eravamo ricongiunti al resto del<br />

gruppo, compresi Donuil e Shelagh, ed eravamo usciti dal forte,<br />

verso il precipizio <strong>sul</strong> retro; ci sedemmo tutti comodamente per<br />

ascoltare il resoconto di Ambrogio <strong>sul</strong> suo viaggio. Artù<br />

naturalmente era presente, come lo erano i suoi tre amici del cuore,<br />

Bedwyr, Gwin e Ghilleadh, tutti e quattro appollaiati su un tronco,<br />

immobili come colonne di pietra, preoccupati che qualcuno si<br />

ricordasse di loro e li mandasse via. Ma nessuno sembrò far loro<br />

caso e alla fine si misero ad ascoltare, tranquilli.<br />

Mio fratello portava notizie sorprendenti e gradite. Le città che<br />

aveva attraversato <strong>sul</strong> cammino erano di nuovo quasi degne di quel<br />

nome. Dopo anni e anni di abbandono e incuria, stavano tornando


a essere abitate, non certo da comunità bene organizzate o<br />

governate da leggi, si affrettò ad aggiungere, ma i segnali di vitalità<br />

erano inconfondibili. Glevum e Aquae Sulis, in particolare, avevano<br />

ormai qualche centinaio di abitanti ciascuna, anche se molti, non<br />

fidandosi delle indifendibili rovine romane, preferivano costruire le<br />

loro case nelle immediate vicinanze, contando su una rapida fuga<br />

dentro la foresta vicina in caso di attacco. <strong>Il</strong> ponte <strong>sul</strong> fiume Severn,<br />

appena fuori Glevum, riparato e rinforzato, era tornato a essere<br />

come un tempo un crocevia naturale per i viandanti e per il<br />

commercio tra il nord e il sud dell'estuario. Anche lungo la grande<br />

strada romana che la gente ora chiamava Foss Way - per via dei<br />

canaloni, o fossae, che la fiancheggiavano - piccoli centri erano<br />

spuntati nei punti dove i sentieri naturali più trafficati incrociavano la<br />

grande strada rialzata. La gente si andava riorganizzando in piccole<br />

comunità, trovava modi per difendersi, piantava raccolti con fiducia<br />

e persino rubava terra alla foresta, visto che quella parte del paese<br />

sembrava immune dalla piaga delle guerre continue. Sinora nessuna<br />

banda di Sassoni era penetrata così a ovest e così a nord, e le<br />

scorrerie dall'Eire si erano molto diradate. Non dubitai per un<br />

attimo, ascoltandolo, che il merito di quell'ultimo sviluppo fosse<br />

principalmente dovuto alla nostra alleanza con gli Scoti di Athol e ai<br />

rovesci subiti dai Figli di Condran nell'ultimo anno.<br />

Ambrogio e i suoi, preceduti dalla voce, sparsasi come per magia,<br />

che non erano intenzionati a conquiste o scorribande, furono bene<br />

accolti ovunque. La vista di una nutrita e disciplinata pattuglia di<br />

uomini armati, che non solo non minacciavano la popolazione ma<br />

che promettevano di passare di lì regolarmente, aveva rincuorato<br />

tutte le piccole comunità lungo la strada. In risposta a una domanda<br />

di Dedalo, Ambrogio riferì che la strada, sorprendentemente, era in<br />

ottime condizioni, ancora libera dalla vegetazione selvatica e dalla<br />

corrosione degli elementi. Sorrisi a Ded, sapendo che aveva fatto<br />

quella domanda pensando al nostro commilitone Benedetto il quale,<br />

tornando dall'Eire dieci anni prima, aveva a torto sentenziato che gli<br />

alberi avrebbero divelto le strade romane di Britannia entro poco<br />

tempo.<br />

Poi Ambrogio descrisse il distaccamento che aveva guidato: tre<br />

squadroni di cavalleria, ciascuno di quaranta uomini, e un intero


manipolo romano di fanti, cioè dieci plotoni di dodici uomini<br />

ciascuno. Rivolgendosi a me, disse che aveva pensato di lasciare<br />

quattro di quei plotoni con noi, oltre allo squadrone di cavalleria di<br />

cui avevamo parlato. Eravamo in grado di sfamare una simile<br />

truppa? Guardai Derek, invitandolo con lo sguardo a rispondere per<br />

me, visto che quell'onere sarebbe ricaduto su di lui. Noi non<br />

avevamo campi coltivati lassù <strong>sul</strong>l'altopiano e le nostre provviste,<br />

meno la selvaggina e il pesce d'acqua dolce, ci venivano dalla gente<br />

di Derek, in cambio del nostro lavoro nei loro campi e nella foresta,<br />

oltre che dell'impegno a combattere in difesa della città in caso di<br />

necessità. Derek rifletté per qualche istante poi scrollò le spalle,<br />

accennando un sorriso. Quarantotto guerrieri addestrati con i loro<br />

ufficiali, ammise, erano una presenza che valeva il sacrificio in più<br />

che avrebbero dovuto fare per mantenerli.<br />

Ambrogio annuì, sorridendo. La nostra nuova guarnigione<br />

sarebbe rimasta con noi per cinque mesi, disse, passati i quali sarebbe<br />

stata rilevata da un altro contingente in arrivo da Camelot, e questo<br />

ricambio sarebbe andato avanti due volte l'anno finché ne avessimo<br />

avuto bisogno.<br />

Ambrogio passò poi a riferire delle notizie che giungevano da altri<br />

luoghi. La Cornovaglia era tranquilla e si rimetteva dai suoi disastri.<br />

Non c'erano notizie di guerre nel sud-ovest, né di Peter Ironhair:<br />

qualche tempo prima si era saputo che Ironhair viveva laggiù e noi<br />

tutti avevamo la certezza che l'attentato ad Artù era partito dalla<br />

Cornovaglia, ma gli ultimi rapporti non confermavano più la sua<br />

presenza e a Camelot non si sapeva con certezza dove si trovasse.<br />

Accantonai quell'informazione, per rifletterci meglio in un altro<br />

momento.<br />

Anche la Cambria era, tutto sommato, in pace. Sotto la guida di<br />

Dergyll ap Griffyd continuavano i buoni rapporti con Camelot e<br />

crescevano la forza e la stabilità del regno.<br />

La sola notizia preoccupante riguardava un grosso esercito che,<br />

secondo voci raccolte da Connor nei suoi viaggi per mare, andava<br />

assemblandosi nel lontano nord-est, di là del Vallo antico, nelle terre<br />

di un re chiamato Crandal, che personalmente non avevo mai<br />

sentito nominare. Si diceva avesse intenzione di espandersi verso sud


invadendo la Northumbria, il che lo avrebbe messo in conflitto con<br />

Vortigern e i suoi mercenari danesi. Nessuno dei presenti dubitava<br />

che l'invasione si sarebbe arrestata lì. I danesi di Hengist gli<br />

avrebbero dato sufficiente filo da torcere, anzi, gli avrebbero fatto<br />

desiderare di esser rimasto nel suo brumoso nord. A Camelot non si<br />

avevano nuove di Vortigern e Hengist, e Ambrogio ne desumeva<br />

perciò che fossero entrambi vivi e vegeti. Se così non fosse stato,<br />

ragionò, gli uomini del giovane Horsa, non più trattenuto dal pugno<br />

di ferro di suo padre Hengist, si sarebbero già riversati verso sud e<br />

verso ovest.<br />

Ho il sospetto che con un pubblico che pendeva dalle sue labbra<br />

in quel modo, Ambrogio avrebbe potuto facilmente andare avanti<br />

per molto più a lungo di quanto fece, ma aveva altro per la testa e il<br />

pomeriggio avanzava inesorabile, perciò si accomiatò dai suoi<br />

ascoltatori. Le sue truppe non conoscevano né il forte né il loro<br />

nuovo accampamento, disse, e voleva sincerarsi che tutto stesse<br />

andando per il meglio e che fosse bene organizzato il loro primo<br />

pasto a Mediobogdum. Si allontanò, lasciandoci tutti a rimuginare<br />

<strong>sul</strong>le notizie che ci aveva dato a eccezione di Artù e dei tre ragazzi,<br />

che gli trottarono subito dietro come cani bene addestrati. Poco<br />

dopo trovai anch'io una scusa per ritirarmi nei miei quartieri e me ne<br />

rimasi per un bel po', nella penombra che avanzava, a riflettere su<br />

tutto ciò che avevo sentito in quella giornata.<br />

La cosa cui dedicai la maggior parte dei miei pensieri fu la<br />

questione delle spade da addestramento. <strong>Il</strong> modo di usarle era un<br />

problema che mi assillava già da tempo, anche se prima pensavo di<br />

poter disporre di una sola nuova spada, oltre alla stessa Excalibur. In<br />

teoria, Artù avrebbe usato la spada da addestramento per imparare<br />

più tardi a maneggiare Excalibur e a trarne il meglio. Ma la cosa non<br />

era così semplice e il primo problema era il pericolo che chiunque<br />

usasse una simile arma, esperto o novellino che fosse, si ferisse<br />

accidentalmente. Una lama che poteva tagliare il ferro avrebbe<br />

attraversato carne e ossa come fossero burro. Dovevo assolutamente<br />

familiarizzare io stesso con i trucchi e le particolarità di quelle armi, e<br />

ben prima che Artù ne prendesse in mano una.<br />

Ricordavo perfettamente che lo stesso Publio Varro si era ferito<br />

all'avambraccio con la prima delle spade lunghe forgiate da Equo.


Avevano subito scoperto che due lame di quel metallo, se impiegate<br />

l'una contro l'altra, si comportavano in modo diverso da qualunque<br />

altra spada avessero mai visto prima. Le due lingue di metallo<br />

temperato, ciascuna incapace di intaccare l'avversaria, rimbalzavano<br />

e saltavano gridando, fameliche e potenti, il vigore accentuato dal<br />

lungo arco che percorrevano, dato che erano più lunghe. E quelle<br />

lame erano di mero ferro temperato, prive del magico componente -<br />

il misterioso metallo della Pietra del Cielo - che dava a Excalibur la<br />

sua terribile forza e il suo filo incorruttibile. L'elsa di Excalibur, mi<br />

consolavo, avrebbe compensato in parte il pericolo, deviando i colpi<br />

che scivolavano lungo la lama e che potevano altrimenti giungere<br />

<strong>sul</strong>l'avambraccio, ma non potevo certo affidarmi solo alle else per la<br />

protezione del ragazzo.<br />

Ora però avremmo avuto due doppioni di Excalibur. Ben presto<br />

giunsi alla conclusione che avrei dovuto includere Dedalo, Rufio e<br />

Donuil nella sperimentazione del piano di addestramento. Noi<br />

quattro avremmo studiato le proprietà e il comportamento delle<br />

spade, e determinato ciò che chi le usava avrebbe dovuto aspettarsi<br />

o non aspettarsi da loro. Nel frattempo i ragazzi avrebbero affinato<br />

la loro perizia nel battersi con i bastoni di legno, accumulando nel<br />

contempo la forza muscolare e la velocità di riflessi che servivano.<br />

Poi, man mano che noi adulti scoprivamo le tecniche necessarie per<br />

dominare le nuove spade, le avremmo trasmesse ai ragazzi sotto<br />

forma di movimenti da eseguire con bastoni sempre più pesanti, in<br />

modo che imparassero a usare al meglio le lunghe spade prima<br />

ancora di averle mai viste. Una volta formulato quel progetto riuscii<br />

finalmente a rilassarmi, sentendo nel mio cuore che quella era la<br />

strada giusta.<br />

Più tardi quella notte, quando tutti erano a letto da tempo,<br />

Ambrogio, che aveva srotolato il suo giaciglio nella mia stanza, mi<br />

svegliò, per portarmi con sé a ispezionare la guardia. Era la prima<br />

notte del nuovo ordine di Mediobogdum e mi avrebbe fatto bene<br />

familiarizzare subito con la routine. Era una splendida notte d'estate,<br />

senza nuvole e piena di stelle. Inspiravo profondamente l'aria<br />

notturna, godendomi la passeggiata lungo tutto il perimetro delle<br />

mura. Parlammo con ognuna delle sentinelle, trovandole tutte


sveglie e all'erta. Poi uscimmo dal forte e ci addentrammo nello<br />

spiazzo delle parate, che in un solo pomeriggio si era trasformato in<br />

un accampamento da guerra.<br />

<strong>Il</strong> primo ufficiale di guardia che incontrammo era un giovane che<br />

non conoscevo. Scoprii però subito che il suo nome era Decio Falvo<br />

e che si trattava del figlio di un mio compagno nella spedizione in<br />

Eire. Ambrogio lo considerava uno dei più promettenti tra i suoi<br />

comandanti di fanteria e la cosa non mi sorprese, giacché suo padre,<br />

che io chiamavo semplicemente Falvo, era uno dei soldati più<br />

affidabili che avessi mai avuto il privilegio di conoscere. Decio ci<br />

disse che aveva mandato delle sentinelle <strong>sul</strong>la cima che sormontava il<br />

passo e che c'era un comodo sentiero per arrivarvi, il che attestava<br />

come i romani avessero già usato quell'osservatorio secoli prima.<br />

Ambrogio mi gettò un'occhiata. «Hai voglia di un'arrampicata?<br />

Non possiamo certo ispezionare la guardia interna e lasciare quella<br />

esterna al suo destino!»<br />

Fummo fermati più volte lungo il ripido tragitto fino alla vetta, e<br />

ogni volta ci fu chiesto di identificarci. In cima c'era un gruppetto di<br />

quattro uomini, che scrutavano giù nell'oscurità della notte più<br />

fonda, senza nemmeno un lume visibile a qualsiasi distanza. Per<br />

contrasto, sopra di noi il cielo era una massa di luci sfavillanti, con<br />

una fetta di luna crescente, appena nata, sopra le vette dei monti a<br />

nord-est.<br />

Io e Ambrogio restammo lì per un po', uno accanto all'altro, a<br />

guardare tutto e niente senza sentire bisogno di parlare. Stare lassù,<br />

in piena notte, mi faceva sentire a un tempo potente e privilegiato.<br />

Mi voltai verso il forte, seminascosto <strong>sul</strong> buio altopiano sotto di noi,<br />

e mi sorprese il fatto che, a eccezione di qualche piccolo fuoco<br />

interrato, non c'era movimento o segno di vita là dove sapevo che<br />

dormivano in realtà più di duecento uomini.<br />

La logica conclusione - cioè che avrebbe potuto esserci una simile<br />

forza accampata sotto di noi, <strong>sul</strong>l'altro lato, senza che ne<br />

percepissimo la presenza - mi sembrò al momento troppo banale per<br />

meritare una menzione. Dopo aver scambiato qualche parola con le<br />

guardie, ci accingemmo a scendere di nuovo nell'accampamento.<br />

Quando fummo in vista delle guardie alla porta principale del


forte, ma ancora abbastanza lontani da non essere uditi, Ambrogio si<br />

fermò accanto a un fuoco che si andava spegnendo e lo ravvivò,<br />

prima con qualche ramoscello, poi con due o tre ciocchi più grossi.<br />

Io scelsi il lato libero dal fumo e mi sedetti su un tronco, e Ambrogio<br />

mi raggiunse dopo qualche istante, trascinando un altro ciocco su cui<br />

sedersi. Non avevamo avuto occasione di conversare durante il giro<br />

di ispezione, presi come eravamo a seguire un sentiero pietroso e<br />

infido nell'oscurità. Per un po' parlammo di Tressa e della mia<br />

relazione con lei, e io fui totalmente franco con mio fratello. Era<br />

curioso, naturalmente, ma non voleva sembrare indiscreto. Io invece<br />

ero così sereno e soddisfatto della mia vita con lei, che gli dissi tutto<br />

ciò che avevo nel cuore, ed egli mi ascoltò e ne fu felice per me. Gli<br />

parlai anche del rapporto che era nato tra Artù e Tressa, basato <strong>sul</strong>la<br />

simpatia, <strong>sul</strong>la profonda fiducia reciproca e sui bisogni inconsapevoli<br />

e umani di entrambi: quello di lui di una madre e quello di lei di un<br />

figlio.<br />

Mentre commentavo quell'aspetto dell'intimità tra Artù e Tressa,<br />

Ambrogio mi chiese che fine avesse fatto Turga, che era stata la balia<br />

e la madre surrogata del ragazzo fin quasi dalla nascita, allattandolo<br />

quando rischiava di morire di fame e rimanendo con lui, protettiva<br />

come una leonessa, anche dopo lo svezzamento.<br />

Dall'aggrottare di sopracciglia di mio fratello compresi<br />

l'apprensione che si celava in quella domanda e fui contento di<br />

poterlo rassicurare: Turga era cresciuta e sbocciata negli anni<br />

dell'infanzia di Artù. Ora era una giovane donna bella e intelligente,<br />

niente a che vedere con il relitto umano, muto e quasi dissennato<br />

che avevamo trovato, circondata dai cadaveri dei suoi familiari, fra<br />

le rovine di quella casa in una Cornovaglia dilaniata dalla guerra.<br />

Aveva avuto rapporti con altri uomini, ma non aveva mai preso<br />

un altro marito, né avuto altri figli, ma in qualche modo,<br />

discretamente e forse senza neanche rendersene conto, aveva<br />

adottato una nidiata di quattro piccoli: Artù e i suoi amichetti.<br />

Nessuno, neppure i genitori degli altri tre, avrebbe saputo spiegare<br />

come fosse successo, ma Turga era diventata la responsabile ufficiale<br />

delle condizioni dei quattro ragazzi, trasferendosi addirittura in casa<br />

di Donuil e Shelagh e dedicandosi totalmente allo sfamare, tener<br />

puliti e sorvegliare i ragazzi. Un aspetto fortunato di quello strano


intreccio era stato il modo in cui, avendo ampliato le sue<br />

responsabilità all'intero gruppetto, Turga non aveva sofferto di<br />

gelosia o senso di esclusione quando un rapporto più esplicitamente<br />

materno era sbocciato tra Artù e Tressa. <strong>Il</strong> suo ruolo era diverso, e<br />

non aveva percepito Tressa come una minaccia.<br />

Noi tre, Tressa, Artù e io, avevamo praticamente creato un<br />

nucleo familiare nel giro di pochi mesi, anche se mi rendevo conto<br />

che a un osservatore esterno la cosa potesse sembrare inusuale.<br />

Sebbene fossimo amanti e non ne facessimo un segreto, Tressa e io<br />

continuavamo a vivere ciascuno a casa propria, così come Artù<br />

continuava a vivere, come aveva sempre fatto, in casa dei suoi amici<br />

Gwin e Ghilleadh, accudito da Turga in ogni cosa e trattando<br />

Shelagh come una madre adottiva. Ma nonostante tutto ciò, Artù,<br />

Tressa e io eravamo divenuti una famiglia solida, unita e affiatata,<br />

che condivideva ideali, forze e debolezze senza inganni, e senza<br />

quelle gelosie e quegli egoismi personali che sembravano invece<br />

contraddistinguere così tante famiglie tradizionali.<br />

Dopo quel lungo discorso <strong>sul</strong>la mia vita privata, sedemmo un po'<br />

in silenzio. Poi Ambrogio riportò il discorso <strong>sul</strong> giovane Artù.<br />

«<strong>Il</strong> ragazzo mi sembra in ottima forma» disse. «Sta diventando<br />

alto, e mi sembra di vedere le spalle cominciare ad allargarsi come<br />

fecero le mie e le tue. Però mi sembra un po' poco in carne, non<br />

trovi?»<br />

«<strong>Il</strong> ragazzo è nella fase più rapida della crescita, Ambrogio, ed è<br />

del tutto normale. Anch'io ero alto e magro come lui a quell'età.<br />

Tutto quello che mangia - e credimi, mangia come un cavallo - lo<br />

usa per arrivare alla sua altezza definitiva. Quando ci sarà arrivato, si<br />

riempirà anche in largo e metterà su più muscolatura, vedrai».<br />

Ambrogio mi guardò divertito, gli occhi che brillavano. «Sembri<br />

Lucano» disse.<br />

«Lo credo. Quelle parole sono state le sue, quando qualche mese<br />

fa gli ho fatto lo stesso ingenuo commento che hai appena fatto tu.<br />

<strong>Il</strong> corpo del ragazzo si riempirà, non ti preoccupare. Dobbiamo solo<br />

pensare a tenerlo sano e forte nel frattempo.»<br />

«E questo come si fa?»


«Artù ha quasi dieci anni, e nell'ultimo anno la sua educazione ha<br />

preso una svolta importante. Meno studio sui libri, meno teorie<br />

ascoltate al chiuso e più cavalcate, più pratica con le armi e lezioni di<br />

combattimento. Lui e i suoi amichetti hanno cominciato a usare le<br />

spade di legno, da quando tu e Connor siete partiti per Camelot<br />

l'ultima volta...» mi interruppi, vedendo <strong>sul</strong> suo viso allargarsi un<br />

ampio sorriso. «Cosa c'è?»<br />

«No, niente. È solo che ricordo il peso di quelle spade. Le fate<br />

ancora di quercia? I poveretti faranno fatica a sollevarle, per non<br />

parlare di menare colpi.»<br />

Annuii. «Be', sì, non hai torto. Per adesso usano legni più corti e<br />

leggeri, adatti alla loro forza attuale, e anche quelli maneggiati a due<br />

mani. Ma stanno crescendo in fretta e i muscoli delle spalle e delle<br />

braccia sono sempre più grossi. Dedalo e Rufio mi stanno dando una<br />

mano e tu sai che sono i due migliori esperti di queste nuove spade<br />

che ci siano e sono molto esigenti! Dammi tempo, Ambrogio, e<br />

vedrai. Ti prometto che sarai sorpreso.»<br />

Mio fratello annuì e cambiò discorso. «C'è ancora una cosa di cui<br />

ti vorrei parlare, Cay, ed è solo per le tue orecchie, anche se poi farai<br />

ciò che vorrai dell'informazione.»<br />

Mi voltai a guardarlo, allertato da qualcosa nel tono della sua<br />

voce.<br />

«Di che si tratta?»<br />

«Artù potrebbe avere un fratello in Cornovaglia.»<br />

«Cosa?» Rimasi lì seduto, immobile, le palpebre che sbattevano<br />

incredule, incapace di assorbire le implicazioni di ciò che aveva<br />

detto. «Non è possibile» dissi infine. «Uther e Ygraine sono morti<br />

entrambi subito dopo la nascita di Artù.»<br />

«Cay, anche tua madre è morta da quando sei nato, eppure io e<br />

te siamo fratelli.»<br />

«Noi abbiamo avuto madri diverse.»<br />

«Precisamente.»<br />

Lo fissai in silenzio, mentre nel mio cervello si faceva strada la<br />

consapevolezza di ciò che voleva dire. «Oh mio dolce, amato Gesù!


Stai forse dicendo che Uther ha ingravidato un'altra donna prima di<br />

morire?»<br />

«No, sto solo dicendo che mi è stata riferita una voce - una voce,<br />

niente di più - secondo la quale Uther ebbe una relazione con una<br />

dama della corte di Ygraine, prima di sedurre la regina stessa. Non<br />

ho modo di sapere se sia vero, è una leggenda narrata tra i soldati,<br />

capisci? È come la storia della magia che facesti nella stanza vuota, e<br />

questa leggenda riguarda le conquiste di Uther tra le cortigiane di<br />

Ygraine. Sai come sono fatti i soldati: attribuiscono ai loro eroi,<br />

soprattutto a quelli morti, un fascino e una personalità che farebbero<br />

invidia agli dèi. Di Uther si dice che i suoi lombi abbiano lasciato una<br />

lunga scia in tutta la Cornovaglia, e che il reame pulluli di bastardi il<br />

cui vero padre è lui.»<br />

«Be', questo non si fatica a crederlo» risposi. «Gli appetiti di Uther<br />

in quel campo erano già leggendari quand'era in vita, e molti dei<br />

suoi fidi si sono rovinati il fisico tentando di superarlo. Ma tu sai<br />

bene che lo stupro e il saccheggio fanno parte della guerra e della<br />

ricompensa dei soldati che hanno rischiato la vita in battaglia. Se<br />

penso a quanto tempo è durata quella guerra, non posso dubitare<br />

che la Cornovaglia sia piena di figli degli uomini di Uther. È<br />

paradossale, ma è certamente vero che mio cugino deve aver<br />

contribuito a ripopolare quelle terre, dopo che i suoi eserciti le<br />

avevano svuotate...»<br />

«Sì, questo è certo.» Ambrogio si chinò in avanti e con un piede<br />

spinse dentro il fuoco un ciocco di legno in bilico. «Ma uno di quei<br />

suoi bastardi è figlio di sangue nobile da entrambi i lati, e questo<br />

potrebbe significare una futura pretesa degli stessi diritti di Artù, un<br />

giorno. La voce dice che la donna in questione era una nobildonna<br />

del nord, spedita alla corte di Lot dal fratello, un re chiamato<br />

Crandal.»<br />

Quel nome mi sorprese: dal non averlo mai udito in vita mia,<br />

ecco che lo sentivo nominare due volte in un giorno. Ambrogio mi<br />

disse che era un re importante delle Genti Pitturate a nord del<br />

Grande Vallo, un uomo la cui fama stava crescendo con le sue<br />

conquiste. Pareva non fosse solo un guerriero, ma un campione, un<br />

eroe imbattibile per il quale i suoi morivano con gioia. Non aveva


mai subito una sconfitta in battaglia e aveva ormai conquistato tutti<br />

regni intorno al suo, così che dominava l'intera Caledonia orientale,<br />

dal Vallo sino alle alte montagne a nord e quelle a ovest.<br />

Lo ascoltai in silenzio, consapevole solo della sua voce e del<br />

crepitare del fuoco. Quando finì di parlare capii che non ero<br />

soddisfatto di quanto mi aveva raccontato e volevo approfondire la<br />

questione.<br />

«E perché hai menzionato questo personaggio proprio adesso?»<br />

Mi guardò, sorpreso. «Perché? Be', perché ora sembra che stia<br />

progettando di muoversi verso sud, di passare il Vallo, insomma di<br />

invadere la Britannia. E questa storia di sua sorella e di un possibile<br />

figlio di Uther ci riguarda da vicino. Se non l'ho menzionata prima è<br />

stato perché il ragazzo era presente...»<br />

Adesso era il mio turno di fissare le fiamme, sovrappensiero. «E<br />

dove si troverebbe ora questa nobildonna?»<br />

Ambrogio scosse il capo. «Non so nulla di lei. Secondo la storia<br />

che mi è giunta all'orecchio, se ne andò a partorire altrove quando si<br />

seppe della relazione di Uther con la regina Ygraine.»<br />

«Fu bandita dalla corte di Lot?»<br />

«No, pare di no. Per quello che ne so, pare che avesse ceduto alle<br />

smanie di Uther su istigazione della regina, in una sorta di tranello<br />

sentimentale che doveva procurare vantaggi alla regina. Che sia<br />

rimasta ingravidata non era previsto, ma non fu nemmeno un gran<br />

problema. Fu solo più tardi che Uther sedusse anche la regina.»<br />

«Dannazione! Allora questa storia potrebbe essere vera? Potrebbe<br />

davvero esserci un altro pretendente al trono che era di Uther<br />

Pendragon?»<br />

«Temo di sì, e per giunta sarebbe un primogenito. Un bastardo,<br />

d'accordo, ma non più bastardo di Artù...»<br />

«E dove sarebbe adesso, questo fratellastro?»<br />

«E chi può saperlo? Potrebbe essere dovunque, nascosto per la<br />

propria sicurezza, come il nostro ragazzo. Ma non dimenticare,<br />

Caio, che ti ho solo riportato una voce, niente di più. Potrebbe<br />

essere tutta una montatura.»


«Facciamo pure questa ipotesi. Nel peggiore dei casi<br />

significherebbe che Artù potrebbe rischiare di perdere il regno di<br />

Pendragon, in Cambria. È vero, fa parte della sua legittima eredità,<br />

ma non credo che quella perdita scompaginerebbe i nostri piani.<br />

Avrebbe ancora Camelot e le sue forze, la parentela con gli Scoti<br />

dell'Eire e la legittima pretesa al trono di Cornovaglia. Più che<br />

sufficiente a tenere impegnato anche un ragazzo dotato come lui per<br />

una cinquantina d'anni, non trovi? E poi comunque, a mio modesto<br />

avviso, preoccuparsi inutilmente di questo ignoto rivale non porta a<br />

nulla ed è prematuro. Se quel ragazzo è là fuori da qualche parte,<br />

prima o poi si farà vivo per reclamare ciò che è suo, e quand'anche<br />

lo facesse, non avrà il sigillo di Uther <strong>sul</strong>la mano destra, né<br />

l'armatura di Uther <strong>sul</strong>le spalle, né i cugini di Uther che governano<br />

Camelot dalla sua. A proposito, hai parlato con Derek della<br />

questione dell'armatura?»<br />

«Sì, più di una volta. Sono convinto che la darà al ragazzo<br />

quando sarà il momento, ma penso che lo farà attraverso di me.<br />

Non vuole assolutamente che il ragazzo venga a sapere, o diventi<br />

anche solo curioso di sapere, chi abbia ucciso suo padre. Però so che<br />

conserva l'armatura con tutte le cure necessarie. L'ho vista. Non è<br />

minimamente arrugginita e le fibbie di cuoio sono morbide e<br />

regolarmente ingrassate...» Fissai le fiamme per qualche istante in<br />

silenzio, poi con un lungo sospiro mi alzai.<br />

«Hai ragione tu, fratello, c'è poco da guadagnare a scervellarsi su<br />

un figlio di Uther che forse non è mai nato e che, se è nato e<br />

costituisce un pericolo per noi, ce lo farà sapere quando sarà il<br />

momento. Ma noi non scopriremo certo nulla di più stando qui a<br />

parlarne questa notte. Andiamo a dormire.»<br />

Quella volta Ambrogio rimase a Mediobogdum con noi per due<br />

settimane, e poi rientrò a Camelot seguendo la strada per cui era<br />

venuto. Ma fin dal primo giorno di quella sua visita, il giovane Artù<br />

si dedicò al proprio addestramento con rinnovate energie,<br />

esercitandosi senza sosta con le spade di legno e spingendo i suoi<br />

compagni a impegnarsi quanto lui. <strong>Il</strong> ricordo della visione dello zio<br />

Ambrogio che scendeva dal passo verso il forte alla testa delle sue


truppe lo spingeva a non risparmiarsi. Artù non si sarebbe più dato<br />

pace finché non avesse avuto la certezza che anche lui, un giorno,<br />

alla guida dei suoi uomini, avrebbe offerto uno spettacolo<br />

altrettanto impressionante. Io fui felice di quel rinnovato entusiasmo<br />

e ne approfittai per spingere il ragazzo ancora più vicino ai limiti<br />

delle sue possibilità. Mi riempiva di gioia vedere con quale velocità<br />

assorbiva tutto ciò che gli insegnavo, il modo in cui il suo corpo<br />

iniziava ad appesantirsi e la sua forza muscolare ad avvicinarsi a<br />

quella di un uomo fatto.<br />

Mi sorprende, a volte, che la mia memoria abbia conservato così<br />

poche immagini di quel periodo breve, ma intensamente felice. Le<br />

estati e gli inverni si susseguivano con ritmo naturale e spensierato,<br />

in una sorta di idilliaco isolamento. Sicuramente quel compiacimento<br />

per il distacco di Mediobogdum dal mondo, dai suoi pericoli e<br />

affanni, era in parte dovuto alla sensuale novità della presenza di<br />

Tressa nella mia vita. Con questo non voglio dire che la nostra vita<br />

insieme fosse paragonabile a una routine matrimoniale, era tutt'altro,<br />

ma la profonda amicizia, cementata da un'intimità sessuale che non<br />

dovevamo nascondere, favoriva una rara serenità in entrambi.<br />

Certo, anche durante quei bucolici anni nel settentrione ci furono<br />

eventi che mi rimasero impressi nella memoria, ma furono singoli<br />

episodi isolati, brevi interruzioni nel tessuto della nostra vita<br />

quotidiana, molti piacevoli, altri no. Vi furono matrimoni tra i nostri<br />

e la gente di Derek, nacquero bambini, alcuni dei quali - pochi,<br />

grazie alle attenzioni del nostro Lucano - morirono in tenera età.<br />

Una volta un uomo del forte, una recluta giunta da Ravenglass, uscì<br />

dalla porta a nord, una notte, con troppo alcol in corpo e cadde nel<br />

baratro, trascinando con sé i due compagni che avevano pensato,<br />

viste le sue condizioni, di accompagnarlo.<br />

Ambrogio tornò ogni volta che poté, e comunque almeno una<br />

volta l'anno, come fece anche Connor dall'Eire. Ricordo chiaramente<br />

che alla sua terza visita, o forse era la quarta, Ambrogio ci sorprese<br />

tutti annunciando che Camelot aveva dislocato una guarnigione<br />

nella città abbandonata di Lindinis, o <strong>Il</strong>chester, come cominciano a<br />

chiamarla, l'insediamento più vicino a Camelot lungo la grande<br />

strada verso sud che porta a Isca. La notizia scatenò domande e<br />

discussioni interminabili <strong>sul</strong>la opportunità di quell'iniziativa.


Ambrogio rimase lì sorridente a godersi il coro di voci altercanti,<br />

senza intervenire, mentre il suo sguardo passava da un volto all'altro.<br />

<strong>Il</strong>chester, gli fu spiegato - come se lui non lo sapesse - era decaduta in<br />

fretta dopo la partenza delle legioni, trasformandosi in un lugubre,<br />

squallido luogo di rovine, desolazione e agguati. Era del tutto<br />

inadatta allo stazionamento di una guarnigione di truppe di<br />

Camelot. Era troppo lontana dalla Colonia per essere difendibile e<br />

sarebbe caduta in mano a qualsiasi invasore che si avvicinasse dal<br />

nord o dal sud. La stessa strada romana offriva agli aggressori il<br />

perfetto accesso alle sue mura malridotte. Che diamine era saltato in<br />

testa al Consiglio, non avevano nessuna considerazione per il morale<br />

dei soldati che sarebbero stati di guardia in un luogo simile?<br />

Avendo notato sin dal primo momento il sorriso <strong>sul</strong>le labbra di<br />

mio fratello, mi ero astenuto dal partecipare al coro di proteste,<br />

aspettando di udire quello che avrebbe detto una volta sgonfiatasi<br />

l'eccitazione iniziale. Notai che anche Dedalo sedeva senza parlare, e<br />

mi sorprese che nessuno si fosse accorto del suo atteggiamento. La<br />

sua avrebbe dovuto essere la voce che condannava quella scelta con<br />

più veemenza, ma nessuno notò il suo silenzio. I commenti si<br />

esaurirono e alla fine anche le ultime voci indignate si spensero<br />

lentamente, con imbarazzo, per lasciare il posto a un lungo silenzio<br />

che nessuno pareva disposto a rompere. Incrociai lo sguardo di mio<br />

fratello e intervenni.<br />

«Non sei pentito di averci comunicato quella notizia?»<br />

«No. Mi aspettavo quella reazione e mi ha divertito ascoltarla.»<br />

«Allora hai anche le risposte.»<br />

Ambrogio si guardò attorno. «Certo, e ve le darò volentieri,<br />

anche se non credo di poter rispondere a tutte le questioni sollevate<br />

qui.» Fece una pausa. «Prima di tutto devo dirvi che Lindinis, o<br />

<strong>Il</strong>chester, se vi pare, non è più il luogo desolato e malfamato che<br />

ricordate. Le rovine sono sparite e hanno lasciato un ampio spazio<br />

libero intorno al forte. Le mura si ergono più alte di quando<br />

riparavano le legioni, in tre strati e con nuove palizzate di tronchi<br />

all'esterno. Dentro le mura, tutte le case sono state ricostruite e sono<br />

piene di abitanti, e non si tratta solo degli uomini della guarnigione e<br />

delle loro famiglie. Abbiamo costruito nuove difese, nuovi parapetti


e torri munite di macchine da guerra, tre fossati che circondano il<br />

forte, attraversati da tre ponti levatoi controllati da postazioni nelle<br />

torri. La città è oggi praticamente inespugnabile, e il morale della<br />

guarnigione è molto alto. Nel breve spazio di un anno, anche se vi<br />

sembrerà incredibile, la <strong>Il</strong>chester da evitare che ricordate è diventata<br />

una destinazione ambita fra i nostri soldati.» Si fermò, guardandoli<br />

uno per uno. «E adesso ditemi, perché abbiamo fatto tutto questo?<br />

Perché abbiamo investito uomini, lavoro e ricchezze per restaurare<br />

una città derelitta a più di trenta miglia dalla nostra base?»<br />

Hector si fece sentire. «Camelot è sovraffollata. Doveva succedere,<br />

prima o poi.»<br />

«Esattamente, Hector. Sovrappopolazione.» <strong>Il</strong> suo sguardo corse<br />

nuovamente sui loro volti. «Eravate lì l'anno del Grande Inverno,<br />

quando accogliemmo tutti quei soldati per rimpiazzare le perdite<br />

delle guerre in Cornovaglia. Lavoraste anche voi alla costruzione dei<br />

quartieri per ospitarli, mentre si decideva quali delle nostre terre<br />

arabili sarebbero state destinate a sfamarli. Sono passati gli anni,<br />

amici, e ogni anno ha visto giungere a Camelot altre reclute, perché i<br />

soldati sono la nostra linfa vitale. Camelot fu fondata con un unico<br />

scopo: la sopravvivenza! Essere pronti a combattere e vincere contro<br />

qualsiasi invasore è l'unico modo per sopravvivere. Se dovessimo<br />

mai permettere alla nostra guarnigione di indebolirsi, tanto varrebbe<br />

sdraiarci a terra e lasciarci morire, perché non sopravviveremmo<br />

comunque.» Fece un'altra pausa per raccogliere l'approvazione dei<br />

capi, prima di proseguire.<br />

«Ma i soldati devono mangiare e anche se Camelot è benedetta<br />

da un suolo fertile, ci sono limiti a ciò che si può coltivare e allevare.<br />

Già un anno fa ci siamo resi conto che presto avremmo raggiunto<br />

quel limite e un consigliere, Lucio Varo, suggerì che avremmo potuto<br />

sfruttare nuovamente i campi abbandonati intorno a <strong>Il</strong>chester. L'idea<br />

sembrò plausibile e una pattuglia di ricognizione fu spedita a<br />

compiere un sopralluogo. La comandavo io stesso e il mio rapporto<br />

fu entusiastico, perché vidi due distinte potenzialità: una nuova fonte<br />

di cibo e una minore pressione dei numeri crescenti nella Colonia.<br />

Inoltre mi venne in mente che il lavoro necessario per ripristinare il<br />

vecchio forte avrebbe dato ai nostri uomini qualcosa da fare quando<br />

non si stavano addestrando alla guerra, qualcosa di utile e di


permanente, della cui realizzazione avrebbero potuto andare fieri.<br />

Avevo ricevuto dei documenti, qualche anno fa, che descrivevano<br />

nei minimi dettagli la costruzione di un forte molto sofisticato in<br />

Gallia, e decisi che avremmo applicato quelle tecniche anche qui in<br />

Britannia. Ci è voluto un anno per portare a termine l'opera, e quasi<br />

mille uomini vi hanno lavorato ininterrottamente. Lo abbiamo<br />

inaugurato due mesi fa, ed è magnifico. Tommaso Atribato, l'ufficiale<br />

che porta quel nome per la quarta generazione, è il comandante<br />

della guarnigione e Lucio Varo è il governatore civile, che risponde<br />

al Consiglio e organizza la coltivazione delle terre. I nostri nuovi<br />

castella non sono di pietra, e non dureranno certo in eterno, ma<br />

serviranno ai nostri scopi per i prossimi cent'anni almeno.»<br />

Ci fu ancora qualche residua discussione, ma il fuoco che aveva<br />

alimentato i pareri contrari si era spento, inondato dalla ferrea logica<br />

dell'esposizione di Ambrogio.<br />

Trovo curioso che decenni più tardi io riesca a ricordare<br />

chiaramente momenti come quello mentre altri sono completamente<br />

scomparsi. Giunsero lettere da Germano, in Gallia, giunsero spade e<br />

altre armi da Camelot; molti soldati vennero e rimasero a lungo,<br />

altri se ne andarono; la vita si snodava senza sobbalzi. Mi piaceva la<br />

novità di far parte di una piccola comunità spartana ed operosa, ma<br />

restavo comunque per prima cosa un militare e non me ne<br />

dimenticai. Mi allenavo quotidianamente per ore, o con i ragazzi o<br />

mettendomi alla prova con Dedalo, Rufio o Donuil, brandendo le<br />

armi come avevo fatto per tutta la vita, tenendomi fisicamente in<br />

forma e con i riflessi sempre all'erta. Ora capisco che in quel periodo<br />

fui davvero in pace, per la seconda volta in vita mia: gustavo il duro<br />

lavoro, la stanchezza e la gioia di tornare a casa e trovare il calore<br />

della compagnia di Tressa. E mentre mi saziavo di quella vita serena<br />

e appagante, gli anni passarono, inesorabili ed invisibili.<br />

Ripensandoci oggi, trovo ironico che tra tutti sia toccato proprio a<br />

Derek scuotermi da quel soddisfatto torpore e riportarmi alla realtà<br />

della vita.<br />

Era stata un'estate caldissima e quel giorno non ero riuscito a<br />

concentrarmi su nessuno dei compiti che mi ero assegnato. Così<br />

avevo sellato Germanico e mi ero avviato giù per la valle, verso<br />

Ravenglass. Non avevo alcuna destinazione, stavo solo


concedendomi un piacevole diversivo. A essere sincero, Tressa non<br />

aveva tempo per me, i miei compagni erano tutti impegnati altrove<br />

e il mio umore quel giorno era incline all'autocommiserazione.<br />

Tressa era chiusa in casa di Shelagh con altre tre donne: dovevano<br />

assolutamente finire di ricamare le decorazioni di una splendida<br />

veste destinata a festeggiare il primo parto di Salindra, la<br />

giovanissima seconda moglie del figlio di Derek, così vicina al parto<br />

che le donne temevano di non finire in tempo. Ero stato nella stanza<br />

alla base della torre di pietra dove lavoravano, cucendo nella fresca<br />

semioscurità, apparentemente più al tatto che a vista.<br />

Lucano era assente da più di una settimana, impegnato a<br />

Ravenglass in questioni che riguardavano le provviste di medicinali<br />

per l'infermeria, e per le quali aveva deciso di frequentare i capitani<br />

e gli equipaggi delle navi che attraccavano nel porto. Anche Rufio,<br />

Dedalo e Donuil erano laggiù per diverse faccende e avevano<br />

portato con loro i ragazzi, ritenendo l'esperienza educativa. Di<br />

conseguenza, solo e senza problemi impellenti da risolvere, mi ero<br />

messo in strada verso la valle, più che altro nella speranza di<br />

incontrare della piacevole compagnia.<br />

Uscendo dalla foresta, all'inizio di quelle ultime miglia lungo i<br />

campi prima di giungere alla città, mi tornò in mente il luogo che<br />

Derek mi aveva mostrato il primo giorno che ero arrivato a<br />

Ravenglass. Guidai Germanico attraverso la pietraia che cingeva i<br />

campi e su per la ripida collina boscosa, fino alla piccola cresta <strong>sul</strong>la<br />

quale ci eravamo seduti a parlare quel giorno. <strong>Il</strong> posto era come me<br />

lo ricordavo, una sorta di trono naturale che dominava sia la città<br />

circondata dai boschi, sia un tratto di mare scintillante a occidente.<br />

Smontai e mi accomodai dove si era piazzato Derek, un sedile<br />

naturale comodo e rivestito di morbido muschio, che offriva la<br />

miglior veduta della vallata sotto di me. Rimasi lì una mezz'ora a<br />

guardare il mare, senza pensare a nulla in particolare, finché d'un<br />

tratto riconobbi l'inconfondibile rumore di qualcuno che saliva a<br />

cavallo verso di me. La logica mi disse che doveva trattarsi di Derek,<br />

ma la forza delle buone abitudini mi fece comunque scattare in piedi<br />

e nascondermi tra gli alberi finché non avessi visto chi era il<br />

visitatore.


Era lui. Quando lo riconobbi uscii dal nascondiglio e lo chiamai<br />

per nome. Fu sorpreso di trovarmi là ma non infastidito, e io provai<br />

un certo sollievo alla vista del suo sorriso, perché mi era venuto in<br />

mente nel frattempo che avrebbe potuto essere geloso di quel posto<br />

privato come lo ero io della mia piccola valle segreta vicino a<br />

Camelot. Dopo i convenevoli del caso, si piazzò nel posto dove ero<br />

seduto prima del suo arrivo e mi fece cenno di mettermi accanto a<br />

lui. Parlammo di questioni banali e rassicuranti per un po', come le<br />

stranezze del clima o l'imminenza del raccolto, poi restammo lì in<br />

silenzio a goderci il sole, a tratti sonnecchiando, entrambi a nostro<br />

agio, cullati dal ronzio delle api, dallo spettacolo delle libellule che<br />

saettavano verdi e blu nell'aria del pomeriggio e dalla delicata danza<br />

delle farfalle. Una di queste, un esemplare enorme dalle ali marroni,<br />

bianche e rosse, si posò <strong>sul</strong>la gamba tesa di Derek e rimase lì,<br />

vibrando impercettibilmente, aprendo e chiudendo le splendide ali<br />

alle carezze del sole.<br />

Derek mi lanciò uno sguardo per vedere se l'avessi notata, poi<br />

emise un basso grugnito. «Hai mai visto una di quelle creature<br />

quando nasce?»<br />

Feci cenno di sì. «Più di una volta. È una cosa miracolosa a<br />

vedersi, non è vero?»<br />

«Lo è per certo, anche se io l'ho vista una sola volta. Ricordi<br />

ancora come ti successe la prima volta?»<br />

Sorrisi. «Mi fu mostrato, altrimenti credo che non me ne sarei mai<br />

accorto. Avevo un maestro, un druido di nome Daffyd, che un<br />

giorno, io ero poco più che un bambino, trovò una parete di roccia<br />

alla quale si erano attaccati svariati bruchi. Li seguì attentamente da<br />

quel giorno, e quando giudicò che stessero per schiudersi mi riportò<br />

<strong>sul</strong> posto e mi ordinò di osservarli attentamente.»<br />

Quel ricordo mi riempì di gioia e scoppiai a ridere. «Ci volle un<br />

bel po' di tempo, quasi tutta la giornata, se ricordo bene, e lui si<br />

rifiutava di dirmi cosa stessimo aspettando. Avevo già deciso che<br />

Daffyd doveva avere semplicemente escogitato un nuovo modo di<br />

tenermi lontano dai miei giochi preferiti: costringermi a rimanere<br />

immobile a fissare una cosa marrone, inanimata e del tutto priva di<br />

qualsiasi interesse. Sì, potevo vedere che era un insetto di qualche


tipo, ma era decisamente un insetto morto.»<br />

Sorrisi. «Sopportai stoicamente la cosa per quasi tutto il giorno,<br />

ma quando divenni troppo irrequieto, il mio maestro rinunciò a<br />

sorprendermi e mi disse cosa stava per succedere. Mi sembrò<br />

impossibile che un grosso bruco peloso si fosse rinchiuso in quel<br />

minuscolo guscio: una crisalide, la chiamò, e ora che ci penso mi<br />

piacerebbe chiedergli dove avesse sentito quella parola, perché è in<br />

greco, l'unica parola in greco che gli abbia mai sentito pronunciare.<br />

Più incredibile ancora mi sembrò l'idea che di lì sarebbe uscita una<br />

farfalla, ma poi successe! <strong>Il</strong> bozzolo cominciò a muoversi, a incrinarsi<br />

lentamente e alla fine ne uscì questa cosina tremolante, che si<br />

dispiegò fino a diventare una farfalla stupenda. Non ho mai visto<br />

niente di più bello o di più commovente di quelle ali che si<br />

srotolavano e si asciugavano, tremando. Perché sorridi?»<br />

Derek scosse leggermente il capo. «Stavo solo ricordando la mia<br />

emozione, che fu simile alla tua. Quella vista mi scosse fin nel<br />

profondo dell'anima, e io ero un uomo adulto quando la vidi. Anzi,<br />

fu proprio poco dopo averti incontrato, durante le guerre di Lot. Mi<br />

stavo nascondendo, inseguito dagli uomini di tuo cugino Uther, e mi<br />

stavano quasi addosso. Ero accucciato contro una roccia e questo<br />

coso, quella parola greca che hai detto, mi stava proprio davanti agli<br />

occhi. Cominciò a dischiudersi e io non riuscivo a credere a quello<br />

che vedevo. Voglio dire, era così vicino alla mia faccia, così brutto<br />

che ne fui disgustato. Mi venne la pelle d'oca e volevo vomitare, ma<br />

udivo le voci degli uomini che mi cercavano - se avessero allungato<br />

un braccio mi avrebbero toccato - e dovetti rimanere immobile. E<br />

poi la nuova creatura uscì fuori e srotolò e dischiuse le sue ali, e<br />

sembrò che si asciugassero, ed era la cosa più bella che avessi mai<br />

visto. Quando alla fine se ne volò via, lasciandosi dietro il guscio<br />

abbandonato, mi sentii derubato. Non l'ho mai né rivisto né<br />

dimenticato, ma mi ha insegnato che a volte le cose più belle saltano<br />

fuori dai posti dove meno te le aspetti.»<br />

Tacqui, e dopo qualche istante Derek proseguì. «Ma non so<br />

proprio se sono disposto a credere che quelle creature comincino la<br />

vita come bruchi pelosi. È un'idea che sembra venire da qualcuno<br />

che ha bevuto un po' troppo vino. Voglio dire, pensaci un<br />

momento. Nemmeno tu credi a quella storia, vero? Le farfalle


vengono dalle uova, uova insolite, te lo concedo, ma uova. Anche<br />

gli uccelli escono dalle uova. Rompono il guscio e se ne vengono<br />

fuori, già con il becco, le ali, le piume e tutto quanto. Ma sono altri<br />

uccelli che hanno deposto quelle uova. Hai mai sentito qualcuno<br />

sostenere che un qualche verme si costruisca intorno un guscio<br />

d'uovo e che poi ne venga fuori un uccello? Su, è ridicolo!»<br />

Sorrisi. «Non ho intenzione di mettermi a discutere con te, Derek,<br />

ma le farfalle non sono uccelli ed è proprio così che accade. Si<br />

chiama metamorfosi.»<br />

«Che?»<br />

«Metamorfosi. Un'altra parola greca. Significa un cambiamento di<br />

forma. La farfalla depone uova che diventano bruchi. I bruchi<br />

crescono fino alla maturità e poi tessono un filo che si avvolgono<br />

attorno girando su loro stessi, un materiale non dissimile da quello<br />

che producono i ragni per fare le loro tele. Quando si sono avvolti<br />

completamente vanno a dormire per un tempo molto lungo, e<br />

quando si svegliano ed escono dal guscio, sono farfalla.»<br />

«Stupidaggini!»<br />

Alzai le mani, ridendo. «Va bene! Come vuoi, io non discuto<br />

perché non te lo posso dimostrare, ma ti giuro che è così.»<br />

Mi concesse un lungo sguardo intriso di scetticismo, poi rimase in<br />

silenzio per un po'. Quando parlò di nuovo, le sue parole mi colsero<br />

di sorpresa.<br />

«Come quel tuo ragazzo, allora, come il giovane Artù.»<br />

Mi voltai a guardarlo. «Non ti seguo.»<br />

«La meta-come-diavolo-l'hai-chiamata. Anche lui si sta<br />

trasformando in qualcosa di completamente diverso.»<br />

«Che vuoi dire? Ti ho perso per strada.»<br />

«Che Artù sta cambiando e sta cambiando in fretta. Sta crescendo.<br />

Ha fatto quasi a pezzi il mio Droc, stamattina, e davanti alla porta di<br />

casa mia. Gli ha incrinato il cranio, credo, e ha rotto qualche osso<br />

anche a due o tre dei suoi scagnozzi.»<br />

«Per l'amore di Cristo! Stai dicendo <strong>sul</strong> serio?»


«Certo che dico <strong>sul</strong> serio. C'è da dire che se l'erano cercata, e forse<br />

meritavano di peggio. Ho dovuto spiegare a quel gruppetto di bulli<br />

quale fosse la legge in casa mia, ma si vede che Droc non mi ha<br />

ascoltato. Quando sono arrivato <strong>sul</strong> posto era svenuto. Meno male<br />

che Lucano era in città. Lo ha portato via e l'ha fasciato tutto, dal<br />

petto in su.»<br />

Ero esterrefatto. «Non posso crederci. Droc è due volte più grosso<br />

di Artù e qualche anno più vecchio. Come può averlo ridotto in<br />

quello stato? È poco più di un bambino!»<br />

Derek scrollò le spalle, ma poi si voltò a guardarmi.<br />

«Un bambino? Quand'è l'ultima volta che lo hai visto?»<br />

«Chi, Artù? Qualche giorno fa, il mattino che è partito per<br />

Ravenglass.»<br />

«Allora tu hai visto un altro ragazzo, non quello che ho visto io.<br />

Io sto parlando di Artù di Pendragon.»<br />

«Lo so. Anch'io sto parlando di lui.»<br />

«Be', in questo caso uno di noi ha problemi alla vista e quello non<br />

sono io. Fammi provare a ripetere la domanda con altre parole:<br />

quand'è l'ultima volta che lo hai guardato?»<br />

Lo fissai, considerando la domanda nella nuova formulazione.<br />

Quando, ultimamente, avevo guardato Artù da vicino, esaminato<br />

analiticamente il ragazzo? Lo feci nella mia mente e ben presto mi<br />

resi conto che Derek aveva ragione. Artù non era più un bambino da<br />

molto tempo e io non mi ero accorto dell'enormità di quei<br />

cambiamenti.<br />

A tredici anni, vicino ai quattordici, Artù era già quasi alto quanto<br />

i più alti tra noi, Derek e me. Era ancora dinoccolato, un po' magro,<br />

ma era ormai forte e proporzionato, le spalle sempre più larghe e un<br />

inizio di peluria su mento e guance. Pensai alle sue mani, affusolate<br />

ma forti, i polsi grandi, percorsi da muscoli e tendini sviluppati<br />

dall'esercizio costante coi bastoni. Pensai al viso liscio e abbronzato,<br />

gli occhi di quell'incredibile giallo-bronzo, penetranti, i lineamenti<br />

affilati e la grande bocca sorridente con la perfetta fila di denti<br />

squadrati, la criniera di lunghi capelli castani, venati d'oro, che<br />

circondava il viso, le spalle che mostravano già i fasci di muscoli che


salivano verso il collo robusto. Era vero, Artù stava crescendo molto<br />

in fretta. Annuii in silenzio per fare capire a Derek che aveva<br />

ragione.<br />

«Dimmi com'è successo.»<br />

Derek affondò una mano nella camicia ed estrasse un lungo<br />

coltellino e un pezzo di canna che stava evidentemente lavorando,<br />

forse per farne un fischietto.<br />

«Be', in un certo senso è stata solo una sfida a lungo rimandata tra<br />

due ragazzi. Succede di continuo. Però uno dei due non è più un<br />

ragazzo, e per giunta è un bullaccio viziato. Sfortunatamente si tratta<br />

di mio figlio e la cosa non mi rende affatto fiero, ma gli ho sferrato<br />

abbastanza calci nel culo da sapere che picchiarlo non lo cambierà<br />

più, ormai. Forse ciò che gli è accaduto stamane avrà più effetto<br />

delle cinghiate di suo padre. Vedremo.»<br />

Segnò la canna con dei taglietti, preparandosi a scavare i solchi.<br />

«Stava prendendosela con Artù?»<br />

«No, no. Pare che ci abbia provato, ma non riusciva a far<br />

funzionare la cosa. No, se la stava prendendo con il piccolino,<br />

Ghilly, e i suoi amici lo stavano aiutando. Lo hanno pestato<br />

selvaggiamente. Io non ero presente, capisci, ma mi sono fatto dire<br />

ogni cosa dalla donna che mi aveva fatto chiamare. Per come ho<br />

capito la faccenda, stavano infierendo <strong>sul</strong> piccolo quando Artù è<br />

entrato in città <strong>sul</strong> suo cavallo. Ho scoperto che da mesi volevano<br />

dimostrare la loro superiorità su Artù, ma lui si rifiutava di battersi,<br />

qualunque provocazione tentassero. Avevano provato a minacciarlo,<br />

a in<strong>sul</strong>tarlo, persino a spintonarlo, ma lui li ignorava. Non capivano<br />

quel comportamento e diventavano ancora più pazzi di rabbia.<br />

Sapevano che non li temeva, perché non tentava mai di evitarli, ma<br />

non riuscivano a farlo reagire, fino a oggi. Uno di loro ebbe la bella<br />

idea di sfogarsi <strong>sul</strong> piccolo Ghilly, sperando in quel modo di<br />

strappare una reazione ad Artù.»<br />

Sollevò la canna davanti a un occhio, guardandola in tralice.<br />

«E ci sono riusciti, ma la reazione è andata al di là di quello che si<br />

aspettavano. Artù ha visto Ghilly riverso <strong>sul</strong> lastricato, sanguinante.<br />

L'ha aiutato ad alzarsi e l'ha accompagnato via di lì. Non ha aperto


occa e non ha guardato né Droc né i suoi. Ma dopo qualche istante<br />

è tornato indietro da solo, e con in mano uno di quei tuoi bastoni. Si<br />

è avvicinato al gruppetto e ha detto solo: "Bene. Eccomi qua", poi si<br />

è scatenato l'inferno. Tre di loro erano a terra prima ancora di capire<br />

che era tornato per battersi, e quando l'ebbero capito non riuscirono<br />

a toccarlo, nonostante siano tutti più grossi di lui. Non l'ho mai visto<br />

usare quel bastone, ma mi hanno detto che le cose che gli fa fare<br />

sono quasi una magia.»<br />

Io sorridevo da un orecchio all'altro. «Quanti erano?»<br />

«Otto, e lui è andato lì come se ci fosse un solo avversario. Senza<br />

esitazioni, senza nervosismo. E li ha massacrati tutti, compreso il mio<br />

grande, impavido Droc, che gli dèi proteggano la sua inutile,<br />

scervellata massa di muscoli. Non è stato Artù, tra l'altro, a spaccargli<br />

il cranio. Lui gli ha solo fatto lo sgambetto, e Droc è finito dritto<br />

contro un muro. È un genere di cosa che gli riesce piuttosto bene.<br />

Cos'è che ti rende così contento?»<br />

«Ho l'aria contenta? Be', sì, suppongo di esserlo. Mi fa piacere che<br />

il ragazzo si sia dimostrato così maturo. Abbastanza maturo da<br />

evitare di battersi quando non lo riteneva necessario o giustificato, e<br />

altrettanto maturo da battersi senza esitazioni, anche contro ragazzi<br />

più grossi e più vecchi di lui, e batterli, quando ha deciso che era<br />

necessario. Ora però devo lasciarti. Devo andare a discutere certe<br />

questioni con Dedalo e Rufio.»<br />

«Riguardo al ragazzo?»<br />

«Sì, riguardo alla sua educazione. È chiaramente tempo di farlo<br />

andare avanti.»<br />

«Avanti verso dove?»<br />

«Verso il diventare un uomo.»<br />

Derek sorrise e scosse il capo, tornando a concentrarsi <strong>sul</strong><br />

fischietto. «Ci arriverà comunque tra breve, amico mio. Ma se pensi<br />

di doverlo aiutare ad arrivarci più in fretta, allora è meglio che tu lo<br />

faccia.»<br />

Prima di rientrare al forte parlai a lungo con Dedalo e Rufio e,


quella sera, discussi con Donuil e Shelagh della successiva fase<br />

dell'addestramento del ragazzo. Chiesi consiglio anche a Tressa, le<br />

cui opinioni avevo ormai imparato a rispettare. Era una fase cruciale,<br />

e volevo accertarmi personalmente che fosse pronto ad affrontarla.<br />

<strong>Il</strong> primo passo doveva farlo Artù da solo. Non c'era posto, almeno<br />

all'inizio, per le distrazioni che la presenza dei suoi amici avrebbero<br />

causato, anche se non dubitavo che lo avrebbero seguito<br />

nell'addestramento con le nuove armi, come lo seguivano in ogni<br />

cosa.<br />

Artù comparve all'ingresso della mia stanza a metà mattina del<br />

giorno successivo, chiaramente curioso del motivo per cui era stato<br />

convocato e con un sorriso leggermente diffidente <strong>sul</strong> viso. «Tressa<br />

ha detto che mi volevi parlare.»<br />

«Sì, entra, Artù.»<br />

Entrò, guardandosi intorno, sempre con quel mezzo sorriso. <strong>Il</strong> suo<br />

sguardo indugiò <strong>sul</strong>la spada di quercia appoggiata al tavolo al quale<br />

ero seduto.<br />

«Ho fatto qualcosa che non va?»<br />

«Perché mai mi fai una domanda simile?»<br />

<strong>Il</strong> suo sorriso si aprì un poco, ma senza perdere l'incertezza.<br />

«Perché non dovrei? È molto tempo che non mi convochi in questo<br />

modo, e l'ultima volta che lo facesti fu perché ero rimasto fuori dal<br />

forte la sera, dopo l'orario consentito.»<br />

«È vero, me n'ero scordato. No, Artù, non sei nei guai, perciò<br />

tranquillizzati, e siediti.»<br />

Si sedette, l'ombra <strong>sul</strong> viso subito dissolta, e attese che continuassi.<br />

Passai qualche istante a guardarlo.<br />

«Ieri Derek mi ha detto che hai avuto uno scontro con suo figlio.»<br />

«Oh, Droc. Sì, è vero.»<br />

«E che lo hai conciato ben bene.»<br />

Parve imbarazzato. «Sì.»<br />

«Hai usato la spada di quercia. Come?»<br />

«In che senso?»


«Come hai usato il bastone, con una mano o con due mani?»<br />

«Ehm... non lo so. In tutt'e due i modi, credo. Non ho avuto il<br />

tempo di pensarci.»<br />

«Hmm. Dov'è, adesso?»<br />

«Qui fuori, legato alla mia sella.»<br />

«Va' a prenderlo, e poi seguimi. <strong>Il</strong> mio carro è qui dietro.»<br />

Legò il suo cavallo dietro al carro e montò <strong>sul</strong>la panca accanto a<br />

me. Sbattei le redini e ci avviammo in silenzio attraverso il forte,<br />

verso la porta orientale, oltre la quale c'era il campo di<br />

addestramento. Quando raggiungemmo la casamatta accanto alla<br />

torre di guardia, dove tenevamo le armature di cuoio, gli dissi di<br />

saltare giù e indossarne una. Io avevo già indossato le mie pesanti<br />

piastre protettive, comprese quelle che avevamo disegnato per<br />

coprire le braccia dalle spalle ai polsi. Artù saltò giù dal carro e sparì<br />

dentro la torre, mentre io proseguivo senza aspettarlo. Fermai il<br />

carro alla base della salita che portava <strong>sul</strong>lo spiazzo delle parate, e<br />

scesi. Mentre salivo verso lo spiazzo, cominciai a menare fendenti<br />

nell'aria con la mia pesante spada di legno, per scaldare i muscoli di<br />

braccia e spalle. Poco dopo lo sentii arrivare di corsa per<br />

raggiungermi, ma giunsi in cima al terrapieno prima che lo facesse e<br />

mi voltai, sollevando l'arma orizzontalmente nelle due mani.<br />

«Prima, gli esercizi.»<br />

Si fermò davanti a me, senza nemmeno il fiato corto per la corsa,<br />

poi sollevò anche lui il bastone a due mani e chiuse gli occhi,<br />

concentrandosi. Fece un respiro profondo e si lanciò nella sequenza<br />

di esercizi che avevamo progettato per sciogliere e rinforzare i<br />

movimenti delle braccia e dei polsi.<br />

Rimasi lì immobile a guardarlo, senza dire nulla e senza perdere<br />

un solo movimento della sua routine. Ero consapevole che erano<br />

passati almeno sei mesi dall'ultima volta che lo avevo visto eseguire<br />

quegli esercizi: avevo un po' trascurato quell'aspetto del mio ruolo<br />

nella crescita del ragazzo, forse impigrito dalla placida somiglianza di<br />

ogni giorno a quello precedente, nella mia vita a Mediobogdum.<br />

Sapevo che si stava addestrando con vigore e disciplina grazie a<br />

Dedalo e Rufio, che lo sottoponevano quotidianamente a quella e


molte altre routine, e che mi avevano tenuto aggiornato sui suoi<br />

progressi, ma in realtà non avevo idea di quanto il ragazzo fosse<br />

migliorato. Sei mesi prima la sua esecuzione era ottima, ma adesso<br />

era spettacolare.<br />

I suoi occhi restavano chiusi per non perdere la concentrazione e<br />

il bastone turbinava nelle sue mani sempre più in fretta, finché il<br />

movimento dell'arma divenne un indistinto disco marrone nell'aria<br />

davanti a lui: i contorni del legno erano visibili solo nei brevissimi<br />

istanti in cui lo passava da una mano all'altra, o dalle due mani a una<br />

sola, facendolo salire dietro la testa e passare sotto una gamba, per<br />

poi passarlo nell'altra mano e compiere il giro inverso. Continuò la<br />

sequenza con velocità strabiliante fino all'ultimo passo della danza,<br />

in cui girò su se stesso su una gamba, fece un passo avanti con l'altra<br />

e portò il bastone verso il basso con un colpo che, se si fosse trattato<br />

di una spada affilata, avrebbe spaccato in due chi gli stava davanti.<br />

L'arma si fermò invece a un palmo da terra e Artù aprì gli occhi e mi<br />

guardò, senza alcuna espressione <strong>sul</strong> volto. Dovetti riprendermi dalla<br />

sorpresa.<br />

«Impressionante» dissi, pacatamente. «Dedalo e Rufio mi avevano<br />

detto che eri molto migliorato. «Ma ora, a parte gli esercizi e gli<br />

assalti ad altri ragazzi disarmati, pensi di poter usare quell'oggetto<br />

con efficacia contro un avversario addestrato?»<br />

I suoi denti scintillarono in un ampio sorriso e mi accorsi di<br />

nuovo, nonostante l'avessi sempre accanto a me, della naturale e<br />

radiosa bellezza di quel viso.<br />

«Vuoi che ci provi?»<br />

Be', ci provò, e confesso che riuscii a batterlo solo a stento. La sua<br />

forza e la sua velocità mi colsero di sorpresa, e l'impeto furibondo<br />

dell'assalto mi fece subito dimenticare che stavo battendomi con un<br />

ragazzo di nemmeno quattordici anni, "poco più di un bambino",<br />

come lo avevo definito il giorno prima. Mi fece indietreggiare una<br />

prima volta quasi subito, sviando un mio fendente e facendo un<br />

passo avanti dentro alla mia guardia, costringendomi così a fare un<br />

passo indietro per proteggermi le costole. Avendomi messo <strong>sul</strong>la<br />

difensiva mi ci tenne, costretto com'ero a parare i suoi continui<br />

attacchi da ogni direzione, tanto che non trovavo il tempo di


sferrarne uno a mia volta.<br />

Alla fine riuscii a ingannarlo, facendo un salto indietro davanti a<br />

un suo affondo e lasciando che l'impeto del colpo mancato lo<br />

sbilanciasse verso un lato, esponendo un fianco al mio attacco. Mi<br />

gettai su di lui e sfruttai a fondo il mio vantaggio, come se stessi<br />

giostrando con Dedalo o con Rufio, senza pensare ormai neppure<br />

per un attimo a trattenere la forza dei colpi perché l'avversario era<br />

più giovane o meno forte di me. Lo costrinsi a fare un passo<br />

indietro, poi un altro, e un terzo, il che lo portò <strong>sul</strong>l'orlo della brusca<br />

discesa dal terrapieno. Poi bloccai un colpo del suo bastone<br />

mettendo il mio di traverso e sollevandolo, mi avvicinai di scatto e<br />

lo spinsi violentemente con il petto, facendolo scivolare con un<br />

piede oltre la scarpata e cadere su un ginocchio.<br />

Posai subito a terra il mio bastone, profondamente grato<br />

dell'opportunità di farlo, e gli offrii la mano per risalire <strong>sul</strong>lo spiazzo,<br />

dove si mise subito a gambe larghe, chiaramente pronto a<br />

continuare. Dovetti sforzarmi di respirare lentamente, invece di<br />

ansimare come avrei voluto, come il vecchio che in quel momento<br />

mi sembrava di esser diventato. Dopo qualche momento, quando fui<br />

sicuro di poter eliminare il tremito dalla voce, dissi: «Bene. Ora<br />

penso che tu sia pronto per il prossimo stadio».<br />

Mi fissò come in trepida attesa, sicuro che quello era un momento<br />

importante, ma senza sapere né perché lo fosse né in cosa consistesse<br />

lo stadio successivo.<br />

Già da qualche anno avevamo ricevuto le due spade forgiate a<br />

Camelot ma in tutto quel tempo solo io, Dedalo, Rufio, Lucano,<br />

Shelagh e Donuil le avevamo viste, e Shelagh e Lucano solo perché si<br />

trovavano lì quando le spade erano arrivate. Ci era parso più saggio<br />

tenere segreta l'esistenza delle spade ed eravamo stati molto attenti<br />

nel trasportarle, nell'aver cura di loro e nello scegliere tempi e luoghi<br />

per provarle. Fin dal primo giorno avevamo scoperto che usandole<br />

l'una contro l'altra, risuonavano di un clangore metallico unico e<br />

sorprendente, udibile a grande distanza, e avevamo dovuto trovare<br />

un luogo fuori mano in cui fare pratica, lontano da orecchie<br />

indiscrete che potessero essere attratte dal canto di un ferro così<br />

puro.


<strong>Il</strong> luogo dove esercitarci lo trovammo più per un colpo di fortuna<br />

che per una ricerca sistematica. Dedalo ci era quasi caduto dentro la<br />

mattina che erano arrivate le spade. Si trattava di una fenditura nella<br />

parete di roccia <strong>sul</strong> lato a nord dello sperone sopra il quale era<br />

costruito il forte. In fondo alla spaccatura c'era uno slargo il cui<br />

fondo era coperto d'erba e di muschio, largo e lungo giusto quanto<br />

bastava per un combattimento, e le cui pareti di roccia, verticali e<br />

altissime, attutivano i suoni in modo quasi perfetto. Per raggiungerlo<br />

dal forte, però, ci voleva una marcia di oltre un'ora, prima giù per la<br />

strada fino a valle e poi lungo la pietraia alla base dello sperone,<br />

sino al punto dove una macchia di verde nascondeva l'ingresso della<br />

fenditura.<br />

La maggior parte del tempo tenevamo le spade nascoste lì, in situ.<br />

Quando dovevano essere portate al forte o riportate laggiù, lo<br />

facevamo sotto gli occhi di tutti, avvolgendole in alcune pelli e<br />

infilandole <strong>sul</strong> fondo del carro, che era comunque sempre pieno di<br />

attrezzi e cianfrusaglie. Nessuno si era mai accorto di nulla. Ora<br />

portai Artù dietro il carro e sfilai il lungo fardello dal fondo. Svolsi le<br />

pelli e sollevai una delle spade, porgendone l'impugnatura ad Artù.<br />

Rimase ammutolito, rapito dalla letale bellezza dell'arma nelle sue<br />

mani. Non era certo la prima spada che maneggiava, ma era la più<br />

perfetta e pericolosa, e si vedeva. Da due anni ormai lui, Gwin,<br />

Bedwyr e Ghilly si allenavano con corte spade romane, gladi<br />

tradizionali, forgiati decenni prima da Publio Varro.<br />

Tutti e quattro i ragazzi erano ormai provetti nell'uso del gladio,<br />

avendo appreso fino in fondo le tecniche di base, guardia, fendente<br />

e affondo, "battendosi" contro un robusto palo di legno infisso nel<br />

terreno, protetti da un pesante scudo da fanteria. A<br />

quell'addestramento si aggiungeva, nel caso del solo Artù, l'esercizio<br />

quotidiano con il bastone, che usava ormai in modo così devastante.<br />

<strong>Il</strong> motivo era che i bastoni di faggio o di quercia erano lunghi<br />

esattamente come le spade che rappresentavano, ma erano due e<br />

anche tre volte più pesanti, per far sì che quando Artù avesse tenuto<br />

in mano una copia di Excalibur in un vero combattimento, il suo<br />

peso gli sarebbe sembrato irrisorio in confronto all'arma alla quale<br />

era abituato.<br />

Lo guardai rigirarsi la spada nella mano. Dopo qualche istante


sollevò lo sguardo prima su di me, poi verso i quattro pali di legno<br />

all'altra estremità dello spiazzo.<br />

«No» dissi, leggendo nel suo pensiero. «Non su quelli. Quei pali<br />

sono inutili per imparare a usare queste spade. Sono troppo lunghe,<br />

e il loro arco è troppo ampio. Le spade da cavalleria necessitano di<br />

strumenti del tutto diversi per fare pratica, ed è questo che farai<br />

d'ora in avanti. A dire il vero, sono già un po' di anni che lo fai.»<br />

Guardò di nuovo l'arma nelle sue mani, tenendo l'impugnatura<br />

nella destra e l'ultimo terzo della lama poggiato <strong>sul</strong> palmo aperto<br />

della sinistra. Mi guardò di nuovo. «Questa non somiglia a<br />

nessun'altra spada da cavalleria che abbia mai visto. Da dove viene?»<br />

«Da Camelot» risposi. «L'ha forgiata Carol, ed è una spada da<br />

cavalleria come tutte le altre, ma è anche molto diversa. È più lunga,<br />

più pesante e soprattutto più affilata e più pericolosa. Scoprirai che è<br />

necessaria più disciplina nell'uso di questa spada che di qualsiasi altra.<br />

Valgono tutte le regole che hai appreso nell'usare altre spade, ma ce<br />

ne sono di nuove, supplementari, che valgono solo per queste armi<br />

particolari. Ded e Rufio continueranno a essere i tuoi maestri e ogni<br />

tanto ti addestrerai anche con me e con Donuil.»<br />

Artù impugnò la spada con due mani e la sollevò, muovendola<br />

lentamente da un lato all'altro, fissando la lunga lama che teneva in<br />

pugno.<br />

«C'è ancora una cosa da dire, Artù, che dovrebbe esserti evidente.<br />

Non potrai usare questa spada in così tanti modi diversi come fai<br />

con il tuo bastone. L'unico momento in cui la userai a due mani sarà<br />

quando sono entrambe <strong>sul</strong>l'impugnatura. Prova solo a chiudere un<br />

pugno attorno a qualsiasi punto di questa lama, e ti ritroverai senza<br />

dita.» Feci una pausa. «E ora fammi vedere di nuovo quegli esercizi,<br />

usando però la spada.»<br />

Artù eseguì nuovamente l'intera routine di movimenti, dapprima<br />

molto lentamente, mentre si familiarizzava con il peso, le reazioni e<br />

la sensazione della nuova spada, poi sempre più disinvoltamente,<br />

finché nei punti dove aveva eliminato un movimento che gli<br />

avrebbe fatto toccare la punta della lama con la mano sinistra, per<br />

parare un colpo dall'alto verso il basso, non percepii più alcuna<br />

esitazione. Non disse nulla, ma si vedeva che era tremendamente


affascinato dal compito che lo aspettava: controllare e dominare la<br />

sua nuova spada. Resistetti alla tentazione di incrociare subito le<br />

lame con il ragazzo. Ci sarebbe stato tempo a sufficienza nei giorni a<br />

venire.<br />

Quel pomeriggio stesso ordinai a Mark di fabbricare quattro<br />

"tronchi di cavallo" di legno. Artù, come mi aspettavo, aveva insistito<br />

molto perché i suoi tre amici passassero al successivo stadio insieme a<br />

lui, e le motivazioni che mi aveva presentato per quella richiesta mi<br />

avevano fatto molto piacere. Che senso aveva, mi aveva chiesto, far<br />

proseguire lui solo alla fase dell'uso della spada? Senza l'aiuto e la<br />

partecipazione dei suoi amici avrebbe solo fatto più fatica a imparare<br />

le nuove tecniche, e per di più la loro amicizia ne avrebbe sofferto,<br />

mentre la loro presenza avrebbe ridotto di molto il lavoro degli<br />

adulti, giacché i ragazzi avrebbero giostrato anche fra di loro. Lo<br />

avevo ascoltato, dandogli ragione alla fine con una scrollata di<br />

spalle.<br />

I "tronchi di cavallo" erano letteralmente pezzi di tronco, fissati in<br />

cima a montanti di legno a simulare una montatura, abbastanza<br />

grossi per potervi assicurare anche selle, staffe, e briglie. Li feci<br />

erigere vicino ai pali, in fondo allo spiazzo: dato che anche gli altri<br />

ragazzi avrebbero partecipato alle esercitazioni, non aveva più senso<br />

nascondersi quando usavamo le spade. Entro sera i cavalli di legno<br />

erano montati e quando Mark mi chiamò a vederli li trovai tozzi e<br />

ineleganti, ma adatti allo scopo.<br />

La sera stessa - all'imbrunire, prima di cenare - portai i quattro<br />

ragazzi a vederli, e per far loro comprendere l'importanza di quella<br />

novità chiesi a Dedalo, Donuil e Rufio di accompagnarci. Quando<br />

l'eccitazione dei giovani nel montare in sella a quei mostri inanimati<br />

si fu sfogata, spiegammo loro che a cavallo di quei tronchi di legno<br />

avrebbero imparato tutto ciò che dovevano sapere <strong>sul</strong>le nuove armi.<br />

Naturalmente avrebbero imparato a usarle anche a piedi, ma non<br />

così spesso, e non così a lungo. Come il mazzafrusto con palla e<br />

catena inventato da Uther Pendragon, anche queste spade erano<br />

principalmente armi da cavalleria.<br />

Da quel momento ebbe inizio un periodo in cui il canto del ferro<br />

della Pietra del Cielo, da un leggero tintinnio fino a un clamore


come di campane, era udibile <strong>sul</strong>lo spiazzo delle parate a tutte le ore<br />

del giorno. Avevamo quattro alunni e quattro maestri, ma solo due<br />

spade, e così fummo costretti a disegnare una tabella di turni a<br />

rotazione, affinché ciascun ragazzo avesse l'opportunità di allenarsi<br />

con tutti e quattro i maestri. Ciò che noi avevamo appreso usando le<br />

spade erano perlopiù tecniche nuove ma comuni a tutti e quattro e<br />

adatte alle caratteristiche di quelle spade. Vi erano però alcuni<br />

trucchi e abilità particolari che ciascuno di noi aveva sviluppato in<br />

sintonia con il proprio stile di combattimento, e che in questo modo<br />

vennero trasmessi a tutti e quattro gli allievi.<br />

Quando l'eccitazione e la novità di quel lavoro si furono un po'<br />

attenuate, la mente curiosa e il naturale senso di giustizia di Artù lo<br />

fecero venire da me con delle domande precise. Perché i quattro<br />

ragazzi di Camelot erano gli unici a imparare le nuove tecniche di<br />

combattimento? Qui la risposta era facile: c'erano solo due spade e<br />

solo un certo numero di ore in una giornata. Ma perché c'erano solo<br />

due spade? Non poteva Joseph forgiarne delle altre, visto che erano<br />

armi così evidentemente superiori a tutte?<br />

Per rispondere a quest'ultima domanda, dovetti spiegargli che le<br />

spade erano state forgiate con il metallo della Signora del Lago, la<br />

statua che Publio Varro aveva fuso dal metallo della Pietra del Cielo.<br />

Naturalmente Artù conosceva bene soltanto la prima parte di quella<br />

storia. Non aveva idea dell'esistenza di Excalibur, ed ero deciso a far<br />

sì che non ne venisse a conoscenza finché non fosse stato il<br />

momento, anche se ero certo più che mai che se c'era un uomo<br />

destinato a usare quella spada, era lui. Publio Varro mi aveva<br />

affidato il segreto di Excalibur e io lo avevo conservato a dovere.<br />

Artù l'avrebbe posseduta, un giorno, ma solo quando fosse stato<br />

pronto, e per ora era solo un ragazzo.<br />

Mi stette a sentire mentre spiegavo l'origine delle due spade e<br />

l'unicità del metallo di cui erano forgiate e quando ebbi terminato<br />

annuì lentamente, non del tutto convinto della correttezza del mio<br />

ragionamento. Io lo guardai.<br />

«Cosa ti turba, Artù? C'è qualcos'altro che mi vuoi chiedere? Parla<br />

pure, ragazzo.»<br />

Scrollò le spalle. «Be', Merlino, capisco quello che vuoi dire, ma


continua a non sembrarmi giusto che Gwin, Bedwyr, Ghilly e io<br />

dobbiamo essere i soli a imparare a usare le nuove armi. E tutti gli<br />

altri miei amici? Così noi sembreremmo differenti, in qualche modo<br />

migliori, privilegiati.»<br />

«Lo siete.» Artù sbatté le palpebre per la sorpresa e io mi morsi il<br />

labbro inferiore, imbarazzato. «Quando alludi ad altri tuoi amici, ti<br />

riferisci ai giovani che vivono qui a Mediobogdum, o stai<br />

comprendendo anche quelli che sono di Ravenglass? Ricordati che i<br />

Romani hanno perso il mondo perché hanno insegnato ai barbari il<br />

modo romano di fare la guerra. Ti piacerebbe che Droc e i suoi<br />

scagnozzi imparassero a sottometterti meglio di quanto non<br />

sappiano già fare?»<br />

«Non intendevo loro!»<br />

«No, ne ero certo, ma dove tiri la riga, dove poni il confine?<br />

Dobbiamo forse dire a re Derek che non vogliamo insegnare nulla di<br />

utile a suo figlio? Non ci ha chiesto di farlo, ma se tu ti metti a<br />

insegnare l'uso di simili armi a tutti quei tuoi amici che sono suoi<br />

sudditi, non ti pare che avrà il diritto di esigere che i suoi figli non<br />

vengano lasciati fuori?»<br />

Quest'ultima considerazione lo zittì, e io lo osservai mentre, con<br />

lo sguardo abbassato sui piedi, rimuginava la questione. Dopo un po'<br />

mi fece pena.<br />

«Ascolta, Artù. C'è una sola cosa che devi tenere a mente. Tu sei il<br />

motivo centrale e lo scopo finale di tutte le attività di questo luogo.<br />

Tu sei Artù di Pendragon, figlio del nipote di Publio Varro e di re<br />

Ullic Pendragon, pronipote di Caio Britannico, fondatore di<br />

Camelot. Sei figlio di Uther Pendragon e perciò legittimo erede al<br />

trono di Cambria, e da parte di tua madre sei erede al trono degli<br />

Scoti d'Ibernia. Forse verrà il giorno in cui dovrai combattere per far<br />

valere i tuoi diritti su una o su tutte queste eredità. Quel giorno, se<br />

continueremo a seguire il piano che stiamo seguendo, ti troverà<br />

pronto ad affrontare chiunque ti voglia sfidare, anzi più pronto di<br />

chiunque altro potrebbe esserlo. Gwin, Ghilly e Bedwyr si allenano<br />

con te perché sono i tuoi amici più intimi, e lo sono fin dalla più<br />

tenera infanzia. Un giorno saranno i tuoi comandanti più fidati,<br />

anch'essi armi micidiali nelle tue mani, perciò meritano di imparare


tutto ciò che devono sapere per svolgere al meglio i compiti che li<br />

aspettano, per ottenere i ri<strong>sul</strong>tati che chiederai loro di ottenere. Senti<br />

e comprendi ciò che ti vado dicendo, Artù?»<br />

«Sì, Merlino, lo sento e lo comprendo» annuì finalmente con<br />

convinzione, i grandi occhi dorati spalancati e solenni. «Però vorrei<br />

almeno che i miei amici imparassero a usare i bastoni.»<br />

Risi divertito. «Allora credo proprio che dovrai insegnarglielo tu,<br />

perché nessuno di quelli che sono qui per addestrarti ne avrebbe il<br />

tempo. Sei disposto a farlo? Pensi davvero di esserne capace?»<br />

Mi guardò tranquillo, gli occhi fermi e pieni di fiducia in se stesso.<br />

«Sì, penso di sì, se me ne darai il permesso.»<br />

Scossi le spalle, sorridendo. «Non mi verrebbe neanche in mente<br />

di impedirtelo. Dirò a Mark di distribuire i bastoni necessari. Quanti<br />

dei tuoi amici vogliono imparare subito, fin da oggi?»<br />

«Sette.» Non ebbe alcun bisogno di contare.<br />

«Benissimo. Avrai sette spade di legno entro domani, o al<br />

massimo dopodomani, secondo il tempo a disposizione di Mark per<br />

metterle <strong>sul</strong> suo tornio. Ora va' via, e lasciami lavorare.»<br />

Ci misi poco più di una settimana ad abituarmi alla vista di Artù e<br />

dei suoi tre "satelliti" che insegnavano ai loro amici meno privilegiati<br />

l'uso dei bastoni che gli altri ragazzi avevano loro invidiato così a<br />

lungo. Sulle prime pensai che fosse un gioco passeggero, che si<br />

sarebbero ben presto stancati - sia gli allievi, sia i maestri - della dura<br />

disciplina e della fatica quotidiana necessarie per ottenere dei<br />

ri<strong>sul</strong>tati, soprattutto se aggiunte alla normale routine dei ragazzi. Ma<br />

mi sbagliavo, e osservai con crescente ammirazione i sette ragazzini<br />

diventare sempre più efficienti nel battersi con i bastoni. <strong>Il</strong> loro<br />

numero salì da sette a tredici, poi a diciassette, e Artù era infaticabile<br />

nelle attenzioni che dedicava a ciascuno di loro.<br />

Ripensandoci oggi, capisco che il valore di Artù, gli incredibili<br />

ri<strong>sul</strong>tati che ottenne in seguito, provenivano dalle forze esterne che<br />

contribuirono a forgiarne il carattere, ma forse ancor di più dai<br />

talenti sepolti dentro di lui. Negli anni a venire avrebbe incontrato<br />

molti potenti - re e principi, capi-tribù e generali - che gli avrebbero<br />

sottoposto svariati modelli diversi di come trattare i suoi uomini,


come addestrare un esercito, come condurre le sue campagne<br />

militari, come fare leggi e governare un popolo. Ciononostante Artù<br />

portava dentro di sé fin dall'infanzia, direi quasi nel sangue, un senso<br />

innato di ciò che era giusto, della differenza fra giustizia e mero<br />

potere. Fu quel senso innato a porlo sopra gli uomini del suo tempo,<br />

a far sì che le genti di Britannia lo amassero in quel modo.<br />

Più di una volta vidi quel dono operare in lui fin dall'infanzia,<br />

come quando decise immediatamente di condividere con i suoi amici<br />

i pony che Connor gli aveva portato in dono, prima di sapere che<br />

quella era stata l'intenzione di Connor nel donarglieli, oppure in<br />

questa vicenda della condivisione con ragazzi qualsiasi di ciò che<br />

stava imparando a fare con le armi. Fu un'impresa difficile e faticosa,<br />

che gli costò tempo e sacrifici, ma non vi avrebbe mai rinunciato. La<br />

vedeva come un obbligo naturale, una conseguenza dei suoi privilegi<br />

da accettare senza esitazione e da rispettare come meglio gli riusciva.<br />

Innumerevoli volte, nelle lunghe serate estive quando avrebbe<br />

potuto andarsene a pescare, a nuotare o a fare una bella cavalcata,<br />

lo vidi fornire istruzioni supplementari ai ragazzi che erano rimasti<br />

indietro, o che non riuscivano nei trucchi che aveva loro insegnato.<br />

Io lo osservavo senza farmi notare, come facevano anche Ded e gli<br />

altri, fiero della sua dedizione e della sua generosità. Eppure, anche<br />

se ne ero orgoglioso, confesso di non essermi mai soffermato a<br />

pensare quanto fosse straordinaria l'evoluzione che stavo<br />

osservando.<br />

Vedevo e ammiravo il giovane coscienzioso. Non mi accorsi mai<br />

del futuro guerriero e campione, del grande re.


XV.<br />

Poco tempo dopo la costruzione dei cavalli di legno, i giorni pigri<br />

e spensierati di quegli ultimi anni sembrarono un sogno lontano. <strong>Il</strong><br />

tempo si era rimesso a marciare come al ritmo di un tamburo. Meno<br />

di un mese dopo l'inizio dell'addestramento di Artù all'uso delle<br />

nuove spade, fummo chiamati tutti quanti, a Mediobogdum come a<br />

Ravenglass, a partecipare al raccolto secondo un piano ben definito.<br />

Ma entro una settimana il ritmo di marcia del tamburo si era già<br />

tramutato in uno staccato irregolare, a causa della successione di<br />

tempeste che si abbatterono <strong>sul</strong>la costa, ognuna più violenta della<br />

precedente. I primi temporali furono accettati con filosofia, ma man<br />

mano che il tempo peggiorava ogni altra attività a Ravenglass fu<br />

interrotta e chiunque ne fosse fisicamente in grado uscì nei campi,<br />

per tentare di salvare il salvabile del raccolto. Le tempeste<br />

infuriarono per quasi tre settimane e alla fine fummo costretti a<br />

lasciare un quarto del raccolto dove si trovava, a marcire nei campi,<br />

inzuppato e inutile.<br />

Le settimane del raccolto portarono anche la visita di Connor -<br />

accompagnato dal piccolo Feargus - le cui navi erano state costrette<br />

a cercare un riparo durante le terribili tempeste. Connor recava<br />

notizie che ben si adattavano all'umore cupo e pessimistico di quel<br />

malaugurato mese. L'Eire era nuovamente dilaniato dalla guerra e le<br />

tribù pagane del nord-ovest, conosciute come i Figli di Gar, si erano<br />

impossessate della maggior parte del vecchio reame di Athol, <strong>sul</strong>la<br />

costa orientale. Non ne avevano ancora conquistato un ultimo<br />

lembo, difeso dall'unica guarnigione del clan di Athol rimasta<br />

nell'Eire.<br />

Le donne, i vecchi e i bambini erano già stati tutti trasferiti senza<br />

incidenti nei nuovi territori del clan, <strong>sul</strong>le isole lungo la costa<br />

occidentale della Caledonia. L'ultima, feroce campagna si<br />

combatteva in realtà solo perché i difensori avevano le spalle al<br />

mare, e nessuna via di scampo. Avrebbero dovuto essere evacuati<br />

appena le navi necessarie fossero state disponibili, ma la cosa si era


ivelata più complicata del previsto. Anche se alcune galee erano<br />

arrivate, nessuno era disposto ad abbandonare i compagni in<br />

numero insufficiente a difendersi, e perciò la ritirata definitiva non<br />

sarebbe stata possibile fin quando le navi non fossero state in<br />

numero sufficiente ad allontanare l'intera guarnigione in una notte.<br />

Ma quando Connor e Feargus erano partiti, qualche settimana<br />

prima, con l'ultimo carico di bestiame, quel giorno era già molto<br />

vicino. Connor era fiducioso che l'operazione fosse già stata<br />

completata e che il popolo degli Scoti avesse ormai abbandonato<br />

per sempre l'Eire, che da tempo non sentiva più come la sua terra.<br />

Lui avrebbe portato le sue galee direttamente al nord, dove la sua<br />

flotta e quella di suo fratello Brander avrebbero instaurato la loro<br />

nuova base.<br />

Alla fine il maltempo si attenuò, e tornò finalmente il sereno.<br />

Connor issò le vele e salpò verso nord, e qualche giorno dopo la sua<br />

partenza giunse la colonna autunnale da Camelot, al comando di tre<br />

nostri vecchi amici: Benedetto, Filippo e Falvo, tutti e tre veterani<br />

della spedizione nell'Eire di dieci anni prima. Anche loro, nella<br />

marcia da Camelot, avevano subito la collera impetuosa del dio del<br />

vento e della pioggia e le loro truppe presentavano uno spettacolo<br />

ben diverso dalle colonne precedenti. Nessuna attenzione a pompa e<br />

fanfara: gli uomini erano <strong>sul</strong>le strade aperte da un mese e ognuno<br />

aveva dormito solo in piccole tende di cuoio. Molti erano così<br />

malconci che non si sarebbe potuto contare su di loro in caso di<br />

necessità, squassati com'erano da febbri, reumatismi, dolori,<br />

congestioni e piaghe causate dal continuo sfregamento <strong>sul</strong>la pelle<br />

delle armature di cuoio gelide e bagnate.<br />

<strong>Il</strong> povero Lucano si mise all'opera praticamente dal momento in<br />

cui arrivarono, e per i primi giorni quasi non lo vedemmo più. Poco<br />

dopo il nostro arrivo a Mediobogdum, Lucano aveva adibito<br />

un'intera costruzione all'interno del forte a infermeria e vi si era<br />

addirittura trasferito, dormendo nei vecchi quartieri del centurione<br />

anziano, all'estremità occidentale dell'edificio. Usciva di rado da lì<br />

dentro, e i pasti gli venivano portati dovunque si trovasse, sempre in<br />

compagnia di numerosi pazienti, intento a palparli, a parlare con<br />

loro e a guarirli quasi con la mera forza della sua volontà.


Dedalo, Rufio e io reagimmo alla vista dei nostri vecchi camerati<br />

come a una sorsata di vino speziato, e i festeggiamenti per la<br />

rimpatriata furono una faccenda quasi esagerata, anche se molto<br />

esclusiva, essendo noi sei gli unici invitati. Solo il giorno successivo,<br />

quando i fumi nella mia testa si furono dissolti e il mio cranio ebbe<br />

smesso di pulsare come un gong di bronzo a ogni battito del mio<br />

cuore, Benedetto mi consegnò la lettera che recava da parte di mio<br />

fratello.<br />

<strong>Il</strong> giorno prima gli avevo chiesto che cosa avesse trattenuto<br />

Ambrogio a Camelot. Lui aveva scrollato le spalle, dicendo che<br />

Ambrogio aveva deciso che non era giusto tenere per sé il privilegio<br />

di quelle lunghe cavalcate su e giù per il paese, e che era tempo di<br />

concedere anche ad altri quella responsabilità e quell'onore. Mi era<br />

sembrato giusto, ma il contenuto della lettera aveva poi gettato<br />

un'altra luce su quell'assenza. Ero uscito, da solo, dalla porta <strong>sul</strong> retro<br />

del forte e avevo trovato un angolo appartato, dove avevo rotto il<br />

sigillo <strong>sul</strong>la lettera di mio fratello, immaginando il suono della sua<br />

voce mentre leggevo:<br />

Salute a te, fratello<br />

«Ambrogio Ambrosiano<br />

A Caio Merlino Britannico<br />

Mi giungono notizie dalla Cornovaglia - che un druido di quella<br />

regione mi ha chiesto di trasmetterti - di nuove guerre che affliggono<br />

quelle sfortunate terre. Principi e re, compreso quel Dumnoric che<br />

era salito al potere dopo la morte di Gulrhys hot, sono passati a<br />

miglior vita, e tutta la regione è contesa e messa a ferro e fuoco da<br />

un gran numero di turbolente bande armate. Uno dei capi che si<br />

disputano la supremazia nel reame è il tuo vecchio nemico Ironhair,<br />

del quale speravamo di non sentir più parlare. Ahimè, egli non solo<br />

è riaffiorato, ma dopo essersi assicurato un seguito e aver<br />

conquistato il controllo di svariate fortezze, sembra ora deciso a<br />

eliminare tutti gli altri contendenti al trono di Cornovaglia. Pare che<br />

in questo sia sostenuto da quel Carthac che è ormai conosciuto a<br />

tutti più come un mostro depravato che come un uomo, e la cui<br />

mera presenza <strong>sul</strong> campo di battaglia incute il terrore nei nemici.


Ho chiesto al druido il motivo di una simile reputazione, e la sua<br />

risposta mi ha ricordato il tuo racconto della discesa di Carthac<br />

nell'abisso della follia, in seguito a un colpo alla testa ricevuto da<br />

ragazzo. Sembra che la sua perversione sia ormai tale da non poterlo<br />

più considerare un essere umano. È dotato della forza di un gigante<br />

e uccide per il piacere fisico che prova nel versare sangue e causare<br />

dolore. <strong>Il</strong> druido ha detto che il suo valore in battaglia è<br />

straordinario, e la sua presenza equivale a quella di dieci uomini<br />

normali. Questo Carthac adora uccidere con lente torture e lo fa<br />

anche come miglior modo di passare una serata, scegliendo le sue<br />

vittime a caso, anche tra i suoi stessi uomini. Può darsi che siano<br />

esagerazioni, ma di certo si tratta di un uomo pericoloso.<br />

Ma in realtà la cosa più orribile, il vero motivo del terrore<br />

suscitato da questa creatura mostruosa, è il suo cannibalismo.<br />

Arrostisce le carni dei suoi nemici e le mangia, ed è stato visto<br />

indossare collane di orecchie umane. Tutti attorno a lui si muovono<br />

in preda alla paura, eccetto Ironhair, al quale il mostro sembra essere<br />

stranamente devoto. <strong>Il</strong> nostro amico druido era venuto qui in cerca<br />

del tuo aiuto per liberare dall'incubo le genti di quelle terre, e <strong>sul</strong>le<br />

prime mi ha scambiato per te. È stato molto deluso quando ha<br />

saputo della tua assenza e mi ha pregato di trasmetterti queste<br />

notizie, e di augurarti ogni bene. <strong>Il</strong> suo nome è Tumac e dice di<br />

averti conosciuto bene, una volta, molto tempo fa».<br />

Tumac! Lasciai andare l'estremità della pergamena, che si<br />

riarrotolò repentinamente su se stessa, e mi levai in piedi,<br />

mettendomi a camminare su e giù nervosamente. Tumac era il<br />

secondo, e il più giovane, dei due apprendisti del mio vecchio<br />

maestro, il druido Daffyd. Quando li incontrai, erano poco più che<br />

due bambini ed erano di una decina d'anni più giovani di me. Molto<br />

prima di scoprire che avevo un fratello di nome Ambrogio, Tumac e<br />

Mod erano stati a tutti gli effetti dei fratelli per me. Daffyd era stato<br />

barbaramente ucciso da quello stesso Carthac per la sua lealtà nei<br />

miei confronti, e nella stessa occasione Mod era stato trafitto da una<br />

lancia e lasciato per morto, mentre tentava inutilmente di difendere<br />

il suo tutore.


La vista del nome di Tumac nella lettera dissolse all'istante<br />

qualsiasi dubbio avessi avuto <strong>sul</strong>la veridicità delle voci <strong>sul</strong>la pazzia e<br />

<strong>sul</strong>le tremende atrocità commesse da Carthac. Cannibale e assassino<br />

per tortura! Perché qualcuno non aveva già liberato il mondo da<br />

quell'immonda presenza? Nonostante la fama di mostro<br />

sovrannaturale era comunque un uomo, e persino un cane rabbioso<br />

sarebbe stato ucciso da tempo per crimini meno efferati di quelli di<br />

cui era accusato Carthac. Non dubitavo che incutesse terrore nella<br />

maggior parte degli uomini di Cornovaglia, ma ricordavo anche la<br />

storia narrata da Dergyll di come i suoi eccessi, da ragazzo, avessero<br />

già convinto i suoi coetanei a unirsi in una banda, rapirlo e<br />

massacrarlo di botte, lasciandolo <strong>sul</strong> cocuzzolo di una collina con<br />

l'avvertimento di non tentare mai più di infastidire qualcuno di loro<br />

in vita sua. All'epoca il deterrente aveva funzionato ma chissà, forse<br />

adesso la follia di Carthac lo aveva reso incontrollabile. Eppure mi<br />

ritrovai a chiedermi come mai non lo si fosse semplicemente<br />

abbattuto di nascosto, da lontano, con una freccia ben tirata.<br />

Turbato da quei pensieri, e scosso dal disgusto e dalla rabbia che<br />

quelle notizie mi suscitavano, mi costrinsi a respirare profondamente<br />

e rimuovere dalla mia mente ogni pensiero di Carthac e di Ironhair.<br />

Marciai più volte su e giù per l'orlo della scarpata dietro al forte,<br />

fissando le cime degli alberi nel vallone, molto sotto di me, cercando<br />

di pensare solo a quello che vedevo. Infine, quando i miei turbolenti<br />

pensieri si furono un po' calmati, mi sedetti nuovamente <strong>sul</strong> mio<br />

masso preferito e ripresi la lettura della lettera.<br />

«Caio, non ho idea dell'effetto che queste notizie avranno su di te,<br />

ma ho il sospetto che sarai non poco turbato dal racconto di Tumac.<br />

Se è così, ti prego di tranquillizzarti. La Cornovaglia è lontana dalla<br />

tua attuale residenza quanto può esserlo un luogo della Britannia<br />

occidentale, e Tumac è certo che le ambizioni di Ironhair si limitino<br />

al diventare re di Cornovaglia. Non vedo motivo di non<br />

condividere la sua opinione, e ne consegue che essendo un ribelle<br />

che mira al trono, un usurpatore, Ironhair non è in grado di<br />

costituire una minaccia per te a Ravenglass, dove per giunta nessuno<br />

conosce la tua vera identità. Ciononostante, uomo avvisato mezzo<br />

salvato. Ironhair è vivo, e ora sappiamo dove si trova.


Quanto alla situazione qui a Camelot, tutto è tranquillo. Non ho<br />

nessuna nuova di Vortigern e anche se mi accuserai di essere un<br />

ottimista, scelgo di prendere quel silenzio per una conferma che il re<br />

sta bene, e che il fido Hengist esercita il suo controllo <strong>sul</strong> figlio<br />

Horsa. Dergyll regna sempre in Cambria e ci siamo incontrati più<br />

volte nell'ultimo anno. È un uomo amabile e saggio, e governa la<br />

sua gente con benevolenza, seppure nascosta dentro un guanto di<br />

ferro. Mi ha chiesto di augurarti felicità e salute, dovunque tu ti<br />

trovassi.<br />

Saluti e auguri anche da parte di Owain delle Grotte, che continua<br />

ad addestrare le nostre truppe nell'uso dell'arco lungo dei Celti.<br />

Qualche anno fa si è assunto la responsabilità di mantenere due<br />

sorelle che non avevano mai trovato marito, e da allora le conserva<br />

entrambe costantemente gravide e apparentemente contente. Aveva<br />

solo parole lusinghiere per te quando gli ho parlato l'ultima volta, e<br />

mi ha raccomandato di salutarti da parte sua quando ti avessi visto.<br />

Lì per lì mi ha sorpreso che sapesse qualcosa di dove ti trovi, o che io<br />

avevo occasione di vederti, ma poi mi sono reso conto che con il<br />

movimento di così tanti soldati tra Camelot e Ravenglass era poco<br />

realistico pensare che la cosa potesse davvero essere ancora un<br />

segreto. Ciononostante ho trattato i suoi approcci con diffidenza,<br />

anche se si tratta di un tuo amico, e dopo aver parlato con me non<br />

ne sapeva più di prima. Ma non ha mai menzionato il ragazzo,<br />

perciò potrebbe anche essere sincero.<br />

Spero che tu abbia goduto come credo nel vedere Falvo,<br />

Benedetto e Filippo scendere dal passo verso Mediobogdum.<br />

Ludmilla ti abbraccia e manda il suo amore a tutti. Stammi bene,<br />

Ambrogio.»<br />

Ciò che mio fratello mi scriveva di Owain delle Grotte mi<br />

preoccupò quasi quanto le notizie su Ironhair e Carthac, e il fatto<br />

che un dettaglio così apparentemente insignificante mi facesse<br />

quell'effetto non fece che aumentare la mia inquietudine. Per<br />

liberarmi dalla sensazione che vi fosse qualcosa di stonato in<br />

quell'ultima parte della lettera ricostruii l'intera vicenda nella mia<br />

mente, con tutta l'obiettività di cui ero capace, alla ricerca di un non


sequitur. Trovai ben presto la frase che mi aveva messo in allarme:<br />

"ho trattato i suoi approcci con diffidenza, anche se si tratta di un<br />

tuo amico"...<br />

Owain aveva fatto parte di un gruppo di comandanti celti di<br />

Uther, che dopo molte esitazioni avevano scelto di trasferirsi a<br />

Camelot, non potendo più rimanere in Cambria dopo la morte di<br />

Uther. Erano stati tutti fanaticamente fedeli a Uther, amici oltre che<br />

seguaci, e al loro ritorno dalle guerre di Cornovaglia, due sole<br />

settimane dopo la sua morte, non se l'erano sentita di schierarsi con<br />

l'uno o con l'altro dei pretendenti al trono di Cambria.<br />

Sfortunatamente, ognuno dei pretendenti aveva interpretato quella<br />

neutralità come un pericolo per la propria scalata, e i comandanti di<br />

Uther si erano trovati a essere personae non gratae nella loro stessa<br />

terra.<br />

Quattro di loro erano stati assassinati a tradimento, e i quattordici<br />

che restavano avevano deciso di scendere dalle montagne e venire a<br />

offrire la loro lealtà a me, che fui felice di accettarla, insieme alla<br />

loro presenza a Camelot. Per anni avevamo combattuto fianco a<br />

fianco, e la fiducia che questo crea tra gli uomini è cosa risaputa, ma<br />

in realtà consideravo uno solo tra loro un vero amico: Huw<br />

Strongarm, figlio del costruttore di archi Cymric, che per primo<br />

aveva costruito un arco lungo di legno di tasso. Anche se Owain e io<br />

avevamo marciato insieme sotto i vessilli di Uther e combattuto<br />

insieme in qualche battaglia, e anche se sapevo che Uther si fidava di<br />

lui, per me era sempre rimasto un uomo di Uther come tutti gli altri.<br />

Certo, non potevo escludere che avesse nutrito per me sentimenti<br />

più profondi di quelli che nutrivo per lui, ma il vero motivo per cui<br />

quella sua dichiarata amicizia mi aveva insospettito aveva a che fare<br />

con un mistero che mi assillava da qualche anno: qualcuno aveva<br />

tradito il segreto dell'identità di Artù, rivelandolo a Ironhair, il quale<br />

era riuscito ad introdurre i suoi sicari a Camelot e attentare alla vita<br />

del ragazzo. In quell'attacco, che era fallito solo grazie alla prontezza<br />

di spirito di Shelagh e alla sua mira infallibile con i coltelli da lancio,<br />

era stata violentata e uccisa la moglie di Hector, e i ragazzini erano<br />

scampati a stento alla morte. Qualcuno dei nostri, qualcuno a<br />

Camelot di cui ci fidavamo, ci aveva traditi, e per di più era riuscito<br />

a conservare l'anonimato. Quella consapevolezza aveva seminato la


paura e il sospetto tra noi, che non li avevamo mai conosciuti prima,<br />

e aveva finito per precipitare la mia fuga, perché di questo s'era<br />

trattato, con i ragazzi da Camelot a Mediobogdum.<br />

E ora Owain delle Grotte, che era stato in Cambria quando<br />

Ironhair aveva tentato di instaurare Carthac <strong>sul</strong> trono di quel reame,<br />

e che si trovava a Camelot all'epoca dell'ignobile attentato ad Artù,<br />

andava chiedendo notizie su dove mi trovassi e definendomi un suo<br />

vecchio amico. Forse stavo leggendo troppo nei dettagli della<br />

lettera, ma che ci fosse un traditore al soldo di Ironhair dentro le<br />

mura di Camelot era certo. Owain non aveva menzionato il<br />

ragazzo. Ma non ne aveva bisogno, sapeva bene che se avesse<br />

trovato me, avrebbe trovato anche Artù. E inoltre l'ammissione di<br />

Ambrogio che il nostro nascondiglio non era più un segreto<br />

all'interno di Camelot mi costringeva ad accettarne anche le logiche<br />

conseguenze: poteva trattarsi di Owain o meno, ma se il traditore si<br />

trovava ancora a Camelot - e non avevo motivo di dubitarne -<br />

allora il ragazzo non era più completamente al sicuro quassù, e io<br />

non potevo farci nulla se non fuggire nuovamente, questa volta<br />

verso le isole della Caledonia.<br />

Ero incerto <strong>sul</strong> da farsi. Forse i miei sospetti erano infondati,<br />

basati su congetture troppo soggettive, ma in ogni modo - una volta<br />

rientrato - mi sedetti al mio tavolo e vergai una risposta per mio<br />

fratello. Gli dissi della mia reazione alle sue parole e gli chiesi di<br />

tenere sotto sorveglianza Owain delle Grotte, discretamente,<br />

prendendo nota di quando sembrava eccessivamente curioso a mio<br />

proposito. Quando ebbi finito la missiva la rilessi più volte, poi la<br />

sigillai con la cera e la spedii a Camelot, affidandola alla colonna di<br />

truppe in partenza che avevano ultimato la corvé nel nord-ovest.<br />

Durante quella settimana condussi a Ravenglass i nostri tre amici e<br />

i giovani ufficiali della nuova guarnigione, e Derek fece loro<br />

un'accoglienza degna della visita formale di nobiltà straniere,<br />

organizzando un sontuoso banchetto e una visita alla città e alla<br />

zona circostante.<br />

Invitammo Derek a salire al forte perché potessimo presentargli<br />

l'intera nuova guarnigione; poi, mentre i miei compagni andavano<br />

alla scoperta delle eccezionali birre che si distillavano a Ravenglass, il


e e io ci appartammo e gli narrai della lettera di Ambrogio, dei miei<br />

sospetti su Owain e delle paure che mi avevano fatto nascere <strong>sul</strong>la<br />

sicurezza di Artù qui a Ravenglass, nonché della stessa Camelot.<br />

Non prese le mie apprensioni alla leggera. Mi ascoltò, serio, e<br />

tentò di tranquillizzarmi. A Ravenglass, mi fece notare, si erano visti<br />

ben pochi stranieri in quegli anni, dopo la morte di Liam figlio di<br />

Condran e la cacciata dei suoi seguaci. Quasi tutte le navi che<br />

attraccavano nel porto erano locali, soprattutto barche da pesca, e le<br />

poche galee e navi più pesanti erano o dei miei amici dell'Eire o di<br />

altri clan pacifici più a nord, lungo la costa. Non più di una persona<br />

su venti di quelle che giungevano a Ravenglass era uno straniero, ma<br />

Derek mi promise che quei pochi, da allora in poi, sarebbero stati<br />

discretamente sorvegliati dai suoi uomini.<br />

Rasserenato dalla sua reazione pragmatica e ragionevole, lo<br />

ringraziai e mi appoggiai all'indietro, accorgendomi subito che<br />

continuava a guardarmi e non mi aveva detto tutto quello che<br />

voleva dirmi.<br />

«Che c'è? Hai una domanda da farmi? Sputala fuori» dissi.<br />

«Quando pensi di andartene?»<br />

«Cosa?» La sua domanda era semplice e diretta, ma mi colse così<br />

di sorpresa che il suo significato, lì per lì, mi sfuggì del tutto.<br />

«Tu e la tua gente, quando pensate di partire? Non dirmi che non<br />

ci stai pensando. Ormai sei qui da più di sei anni. Quando sei<br />

arrivato hai detto che saresti rimasto per cinque o sei anni, finché il<br />

ragazzo non fosse cresciuto. Be', è cresciuto.»<br />

«No, non ci ho pensato. E il ragazzo non è cresciuto, non del<br />

tutto.»<br />

«Sciocchezze! Da tutti i punti di vista, quello che ti ostini a<br />

chiamare "il ragazzo" è un uomo fatto. Ha quasi quindici anni.<br />

Se non ha già iniziato a sbattersi le giovinette è solo perché<br />

Shelagh lo tiene a bada con un guinzaglio cortissimo e lo fa rientrare<br />

prima del buio, ma non durerà a lungo. A meno di non mettere<br />

delle sbarre alle finestre non sarà possibile tenerlo entro di notte se<br />

lui vuole essere fuori, a ululare alla luna.


Personalmente, non ho dubbi che già adesso abbia allargato le<br />

gambe a qualcuna delle mie giovani. Dio sa che da queste parti sono<br />

molto poche quelle che gli direbbero di no. È un ragazzo troppo<br />

affascinante.»<br />

Rimasi lì seduto a fissarlo, riconoscendo la verità di ciò che<br />

diceva. Artù era quasi un uomo, ma io non avevo mai dedicato un<br />

singolo pensiero al suo risveglio sessuale. Appena Derek ne fece<br />

menzione, mi resi conto della mia cecità. Come avevo potuto essere<br />

in sintonia con i bisogni del ragazzo e allo stesso tempo rimanere<br />

così inconsapevole di tutto ciò? Tressa se n'era accorta, ne ero sicuro,<br />

ma non ne aveva parlato. Decisi di chiederglielo quella sera stessa,<br />

poi cercai di svuotare la testa da quei pensieri e riprendere il filo<br />

della domanda di Derek.<br />

«Dove pensi che ce ne potremmo andare, se lasciassimo<br />

Mediobogdum ? »<br />

«Dove?» chiese lui, spalancando gli occhi con finta sorpresa. «Be',<br />

vediamo un po'... a Camelot? Sarebbe un buon punto di partenza,<br />

non trovi? O forse in Cornovaglia? O magari in Cambria...»<br />

Scossi il capo, ignorando il suo sarcasmo. «Non ci crederai, Derek,<br />

ma è da anni che non penso all'idea d'andar via di qui.»<br />

«Se è così, dovresti vergognarti. Passi troppo tempo con la testa<br />

tra le gambe di Tressa, amico mio. Ti concentri <strong>sul</strong>l'estremità<br />

sbagliata delle cose. Per i glutei di Budicca! Mi hai parlato così spesso<br />

del possente destino di quel ragazzo che ormai ci credo anch'io,<br />

Derek di Ravenglass! E ora mi vuoi far credere che te ne sei<br />

dimenticato? Dovrei esserne contento?»<br />

Alzai le mani, agitandole per zittirlo. «Ma no, no, no. Non è<br />

affatto questo che sto dicendo, Derek. Non ho dimenticato<br />

proprio...»<br />

«E allora cosa c'è che non va, nella tua testa? Hai portato il<br />

ragazzo quassù per proteggerlo e addestrarlo. È addestrato, Merlino.<br />

Ed è un uomo, ormai. Ora deve mettere in pratica e affinare ciò che<br />

ha imparato. Diventerà più grosso, e più vecchio, ma se lo farà qui a<br />

Ravenglass vorrà dire che il mondo gli sta passando accanto. Lui<br />

deve andare là fuori adesso, Merlino, e deve vedere come funziona


il mondo, quello vero. Non ha più niente da imparare qui, te<br />

l'assicuro, se non appunto l'arte di far allargare le gambe alle giovani<br />

donne, e quello può farlo ovunque. Ora ha bisogno di viaggiare, di<br />

vedere altre regioni e altre genti, di incontrare altri uomini e formare<br />

le proprie opinioni, che lo sosterranno o lo faranno cadere. Deve<br />

incontrare stranieri e conterranei e combatterli o farne degli amici,<br />

forse dei seguaci. Mi hai parlato spesso di come Artù governerà<br />

Camelot, un giorno. Quel giorno si avvicina, amico mio. È giunta<br />

l'ora di andargli incontro.»<br />

Inspirai profondamente, pensando a come era vero tutto ciò che<br />

aveva appena detto. E provai vergogna. Non avevo mai perso di<br />

vista le cose che aveva descritto, ma mi ero volutamente rifiutato di<br />

pensare a quanto fosse vicino il giorno della partenza, l'inizio della<br />

successiva fase della nostra avventura. Ora capivo che la mia vita<br />

nell'angolo di paradiso di Derek di Ravenglass era diventata troppo<br />

comoda, e che la presenza di Tressa mi aveva mentalmente<br />

rammollito.<br />

Mi alzai in piedi e svuotai il resto del mio vino in un sorso. «Hai<br />

ragione, amico mio. Mi sono impantanato in questo posto, e il<br />

mondo sta andando per la sua strada altrove. C'è un mostro in<br />

Cornovaglia che dev'essere annientato a tutti i costi, e il suo padrone<br />

è un cane non meno pazzo o pericoloso di lui. È giunto il tempo che<br />

Artù vada alla guerra.»<br />

Derek mi fissò intensamente. «Chi è mai questo mostro in<br />

Cornovaglia?»<br />

Gli narrai brevemente di Carthac e di Ironhair. Quando ebbi<br />

finito si rizzò a sedere.<br />

«Sarà fin troppo tranquillo, da queste parti, quando ve ne sarete<br />

andati voialtri.»<br />

«Sì, suppongo che sia così. Ma che mi dici della guarnigione? Pensi<br />

che la sua partenza possa crearti dei problemi?»<br />

«E perché? La città è praticamente inespugnabile. È rimasta in piedi<br />

per centinaia di anni prima del vostro arrivo, e continuerà a esserci<br />

molto dopo la vostra partenza.»<br />

A quelle parole sollevai un sopracciglio. «Inespugnabile? Se non


icordo male una mia vecchia conoscenza, che si faceva chiamare il<br />

re di Ravenglass, mi implorò qualche anno fa di restare nei paraggi,<br />

per aiutarlo a contenere attacchi che i suoi non potevano respingere<br />

da soli.»<br />

<strong>Il</strong> mio sarcasmo lo lasciò del tutto indifferente. «Era diverso,<br />

allora, e tu lo sai bene. Eravamo in pace da tempo, senza sospettare<br />

alcun tradimento, e al largo c'era un'intera flotta che non aveva<br />

nessuna intenzione di esplorare o di trattare. Erano qui per<br />

conquistare e massacrare, e quel figlio di puttana del loro<br />

comandante pensava che fossimo già stati sconfitti da un esercito di<br />

terra. Mi servivano gli uomini di Connor da mettere sugli spalti, per<br />

fare numero. Era semplicemente per lanciare un messaggio a quelle<br />

navi, di andarsene e stare lontani da qui.»<br />

Annuii, riconoscendo la verità di quello che diceva, poi lo fissai.<br />

I miei pensieri corsero a tutto ciò che era successo dal giorno che<br />

eravamo approdati a Ravenglass.<br />

«Mi mancherai, amico mio.»<br />

«No, non ti mancherò. Io vengo con voi. Voglio dire, se mi<br />

volete. Le mie ossa sono un po' fradice, ma non molto più delle tue,<br />

e so ancora tenere in mano uno scudo e menare colpi con una spada<br />

o con un'ascia. Mi prenderete?»<br />

«Se ti prenderò?» Ero sbalordito. «Certo che ti porterei con me,<br />

Derek, e con gioia, ma quando sono arrivato a Ravenglass tu hai<br />

detto che speravi di non dover menare mai più colpi d'ascia. Che<br />

avevi visto guerre e massacri a sufficienza per più di una vita.»<br />

«Sì, è vero, e credevo fermamente in ogni parola che ti ho detto.<br />

Allora. Ora però ho cambiato idea. E vengo con voi.»<br />

«E la tua gente?»<br />

«Qual è il problema? Ci penseranno i miei figli. Sono lì che<br />

aspettano che io tolga il disturbo e muoia, mi guardano ingrassare in<br />

attesa dell'attacco di bile o di cuore che mi porterà all'altro mondo.<br />

Sembrano corvacci neri che mi schiamazzano attorno, aspettando di<br />

poter litigare per ciò che resta del mio regno. Be', che litighino prima<br />

del previsto, allora, e buon pro gli faccia. E poi ti dirò, non vedo<br />

l'ora di vederlo andare alla guerra, quel tuo ragazzo, e non vedo


l'ora di vedere finalmente anche la tua Camelot, vedere se davvero<br />

non ha niente da invidiare alla stessa Roma...»<br />

Sorrisi felice e allungai la mano destra. «Anch'io non vedo l'ora,<br />

Derek.»<br />

Mi accomiatai, raggiunsi gli altri che erano scesi a Ravenglass con<br />

me e in meno di un'ora ci trovavamo già lungo la via di<br />

Mediobogdum, un gruppetto ilare e spensierato formato da Donuil,<br />

Lucano, Dedalo, Rufio, Filippo, Falvo, Benedetto e me. Quando<br />

fummo a metà strada e le reciproche prese in giro si furono calmate,<br />

feci il mio annuncio.<br />

Saremmo partiti per Camelot in primavera.<br />

Chiesi loro di non farne parola con nessuno finché non avessimo<br />

riunito l'intera popolazione del forte.<br />

Sottolineai che la decisione di rientrare a Camelot era solo mia, e<br />

che non l'avrei imposta a nessun'altro membro del nostro gruppo<br />

che preferisse invece restare qui. Ero certo che nessuno sarebbe<br />

rimasto, ma a mio avviso tutti dovevano essere liberi di fare la loro<br />

scelta.<br />

Una volta al forte, dopo aver lasciato i compagni e<br />

accompagnato Germanico nella stalla, andai dritto a casa da Tressa.<br />

Ero molto in anticipo <strong>sul</strong> previsto e la trovai nel centro della mia<br />

stanza, gli occhi larghi per lo spavento, una mano davanti alla bocca.<br />

«Cay, che succede?»<br />

«Niente, non c'è niente che non va, amore mio. Calmati.» Mi<br />

avvicinai e la presi tra le braccia. «È venuta a galla una cosa, a<br />

Ravenglass, una cosa imprevista, e abbiamo deciso di rientrare<br />

prima. Domani devo convocare una riunione, per parlare a tutti i<br />

nostri insieme.»<br />

Sollevò lo sguardo, appoggiandosi all'indietro contro il mio<br />

braccio.<br />

«Cos'è venuto a galla di imprevisto?»<br />

«Nulla, in realtà, ho solo avuto una conversazione con Derek che<br />

rimandavo da molto. Mi ha fatto capire che mi avvicinavo al<br />

momento in cui quassù avrei solo perso tempo.»


Tressa s'incupì immediatamente. «Come sarebbe, "perso tempo"?»<br />

«Esitando. Cercando di evitare l'inevitabile. In realtà è tempo che<br />

io me ne vada, che noi ce ne andiamo, voglio dire. Che torniamo a<br />

Camelot. Anzi, è passato. Ehi!»<br />

Si era sottratta al mio abbraccio repentinamente, il corpo rigido di<br />

ansia e risentimento. Rimasi lì, sbattendo gli occhi, consapevole che<br />

era addolorata e arrabbiata, ma incapace di comprenderne il perché.<br />

Poi, essendo un uomo, feci la domanda che fanno gli uomini.<br />

«Cosa c'è che non va, Tressa?»<br />

«Niente». <strong>Il</strong> gelo nella sua voce avrebbe rovinato la frutta sugli<br />

alberi.<br />

Sentii la rabbia montarmi in petto. «Ma è ridicolo! C'è qualcosa di<br />

così grave che a guardarti non si sa nemmeno se sopravviverai, e che<br />

io sia dannato se so che cos'è! Cos'ho detto per provocare una simile<br />

reazione? Ho detto che ce ne andiamo, tutto qui.»<br />

Mi lanciò un'occhiata obliqua e infuocata e quando parlò, per la<br />

prima volta da anni, udii nella sua voce acida e sarcastica l'accento<br />

dei locali. «Tutto qui? Tutto qui? Dopo cinque, quasi sei anni, decidi<br />

di andartene e me lo fai sapere in quel modo, ed è tutto qui? Be',<br />

scusami se l'ho presa troppo a cuore. Cercherò di controllarmi. Sono<br />

certa, come si dice, che mancherai molto a tutti noi».<br />

In un istante, come accecato da una luce, compresi il motivo della<br />

sua rabbia. Con un passo fui di nuovo accanto a lei, le mani <strong>sul</strong>le sue<br />

spalle. «Tressa, ho detto che ce ne andiamo. Noi. Tu e io. Noi<br />

significava te per prima, e Artù, e poi tutti gli altri. Non mi interessa<br />

tornare a Camelot senza te al mio fianco. Ho solo fatto l'errore di<br />

dare per scontato che saresti partita con me, e così non te l'ho<br />

chiesto prima. Verrai con me?»<br />

Mi guardò, gli occhi grandi e due grosse lacrime che tremavano,<br />

in bilico <strong>sul</strong>le ciglia. «Cosa?» chiese con voce incerta.<br />

«Verrai a Camelot con me?»<br />

«Sei sicuro di volermi, laggiù, in mezzo a tutta quella gente<br />

importante?»<br />

Risi. «Volerti? Ma sei impazzita? E poi cos'è questo delirio <strong>sul</strong>la


gente importante? <strong>Il</strong> posto in cui vivono sarà anche lussuoso, lo<br />

ammetto, ma si tratta di persone come tutte le altre. Be', forse alcune<br />

effettivamente sono alquanto straordinarie, ma non vedo perché ti<br />

dovrebbe preoccupare, anzi, tu vali quanto chiunque di loro, anzi<br />

più della maggior parte di loro. Certo che ti voglio lì accanto a me, e<br />

non m'interessa se come moglie, amante o concubina. Anzi, vorrei<br />

che tu fossi mia moglie, ma che restassi anche la mia amante e la mia<br />

lasciva concubina.»<br />

Un pensiero che non riuscii a decifrare passò nei suoi occhi e la<br />

allontanò nuovamente. «Cos'è questa storia di essere tua moglie?<br />

Sono anni che viviamo insieme e non mi hai mai parlato di<br />

matrimonio. Pensavo che tra noi due non fosse necessario, e credevo<br />

che lo pensassi anche tu.»<br />

«Sì, lo pensavo, ma ora è diverso...» risposi. In realtà le cose erano<br />

cambiate in quel preciso istante, dopo aver provato l'improvvisa<br />

paura che Tressa non volesse seguirmi. <strong>Il</strong> voto che avevo preso di<br />

non risposarmi mai più, in quel breve istante, era stato riesaminato,<br />

trovato stupido e infantile, e rifiutato.<br />

«Diverso? Come? E come mai così di colpo? Non sarà che la<br />

nostra vita quassù non sarebbe presentabile a Camelot? Non sarà che<br />

i tuoi amici potenti sarebbero scandalizzati di vederti vivere con una<br />

popolana, che per giunta non è nemmeno tua moglie?»<br />

«O potenti dèi! Ma la sentite, questa donna? Tressa! Non è questo<br />

che intendevo! Volevo solo dire che il mio amore per te è cresciuto<br />

al punto che non voglio più starti accanto senza essere tuo marito.<br />

Sei la mia amica, la mia amante, la mia confidente. Che tu giaccia<br />

con me per poi alzarti e tornartene a casa a dormire da sola, questo,<br />

d'ora in avanti, non lo accetterò più.» La ripresi fra le braccia,<br />

sentendo l'esitazione con cui si lasciò abbracciare. «C'è una casa che ti<br />

aspetta, a Camelot, amore mio» sussurrai nei suoi capelli. «<strong>Il</strong> tuo<br />

posto è quello di padrona della casa che fu del mio prozio Varro e<br />

della mia prozia Luceia, e questo comporta che tu diventi non solo<br />

la mia amica e amante dichiarata, ma anche la mia sposa.» Mi<br />

guardò, gli occhi nuovamente gonfi di lacrime. Poi la sua mano si<br />

posò dolcemente <strong>sul</strong>la mia nuca e abbassò la mia bocca verso la sua.<br />

Ciò che seguì, per un tempo tutt'altro che breve, è cosa di cui non c'è


isogno che io scriva, né che altri ne sappiano alcunché.<br />

<strong>Il</strong> giorno dopo parlai ai residenti di Mediobogdum, raccolti nello<br />

slargo al centro del forte, e annunciai la mia decisione di tornare a<br />

Camelot, ripetendo più volte che non consideravo nessuno di loro<br />

vincolato alla mia volontà. Chiunque avesse deciso - a primavera,<br />

quando l'ultima guarnigione avrebbe abbandonato il forte - di<br />

rimanere lassù, lo avrebbe fatto con la mia benedizione e il mio<br />

appoggio, e chiunque fosse venuto a vivere nel forte da Ravenglass e<br />

avesse deciso di venire a Camelot con noi, sarebbe stato il<br />

benvenuto.<br />

Quando finii di parlare ci fu un lungo silenzio, rotto alla fine da<br />

un possente rutto di Dedalo. Quando le risate si furono quietate,<br />

Ded disse: «Bene, ora che ci siamo liberati di quell'aria viziata,<br />

occupiamoci di problemi più concreti. La mia proposta è di<br />

compilare un inventario di tutto ciò che possediamo: nei magazzini,<br />

in armeria, in infermeria, nelle case e in qualsiasi altro posto. Tutto<br />

ciò che decideremo di non portare con noi, lo lasceremo alla gente<br />

di Derek, e saranno certamente molti carri di materiale. Che scribi e<br />

funzionari si mettano al lavoro dunque, e noi, come facciamo<br />

sempre, troveremo poi il modo di migliorare il ri<strong>sul</strong>tato dei loro<br />

sforzi. A te, Cay, dico che se sei sicuro di voler partire dopo<br />

l'inverno, dovresti farlo sapere ai nostri compatrioti a Camelot, e<br />

farlo subito, prima che cada la prima neve, altrimenti Ambrogio<br />

organizzerà la partenza del prossimo contingente di primavera. Se<br />

fossero in perlustrazione, potremmo anche non incrociarli lungo la<br />

strada, il che sarebbe comico e tragico allo stesso tempo».<br />

Così ci mettemmo al lavoro. Dopo una settimana, un plotone di<br />

dieci uomini a cavallo partì per Camelot recando una mia lettera per<br />

Ambrogio, che annunciava il nostro arrivo sotto le mura entro un<br />

mese dalla scomparsa delle ultime nevi. Ci accingemmo a smontare<br />

sistematicamente il rifugio che ci eravamo costruiti a Mediobogdum.<br />

<strong>Il</strong> forte era rimasto vuoto per duecento anni prima del nostro arrivo,<br />

e dopo la nostra dipartita ne sarebbero forse passati altri duecento,<br />

prima che qualcuno vi abitasse di nuovo.<br />

Tressa cominciò subito a imballare gli oggetti che ci circondavano<br />

nella vita di tutti i giorni. Mi accorsi dopo qualche giorno che ogni


utensile, ogni mobile, tutto era stato contrassegnato legandovi<br />

pezzetti di filo di lana di colori diversi. Non dissi nulla, contando su<br />

di lei per quell'organizzazione, ma non potei fare a meno di<br />

confrontare i diversi oggetti contrassegnati da fili dello stesso colore.<br />

Ero sicuro che Tressa avesse seguito una qualche logica<br />

nell'assegnazione dei colori, ma mi sfuggiva completamente.<br />

Artù mi trovò nella mia stanza, in un pomeriggio grigio e<br />

nuvoloso non molto tempo dopo, assorto per la prima volta in non<br />

ricordo quanti anni, nella meticolosa ispezione dei contenuti della<br />

cassa più grande. Le due casse, la grande e la piccola, entrambe di<br />

legno finemente lavorato e bordato di borchie di ferro battuto,<br />

erano appartenute a Caspar e Memnon, i due stregoni, morti da<br />

tempo, che avevano causato la morte di mio padre e gettato<br />

Camelot nell'abisso delle guerre contro Gulrhys Lot di Cornovaglia.<br />

Le avevo sempre tenute entrambe vicino a me, sempre sprangate dai<br />

loro pesanti chiavistelli, fin da quando erano entrate in mio<br />

possesso, anni prima della nascita del ragazzo.<br />

Mi ero sempre ripromesso che un giorno avrei scoperto i segreti<br />

delle centinaia di sostanze conservate nei numerosi cassettini, fiale e<br />

involucri di ogni tipo e dimensione. In effetti, nei primi tempi, ne<br />

avevo esaminate molte e preso appunti <strong>sul</strong>le funzioni che avevo<br />

ipotizzato potessero avere. Dal poco che avevo potuto capire, un<br />

solo scopo accomunava ogni articolo lì dentro: infliggere la morte in<br />

modi misteriosi, certamente sconosciuti e aborriti da qualsiasi soldato<br />

con un minimo di onore. Le sostanze erano meravigliosamente<br />

ordinate negli scomparti di vassoi che scomparivano uno sotto<br />

l'altro, in un intrigante disegno di malevola simmetria. I tipi di morte<br />

che potevano dare rappresentavano una gamma infinita di caos e<br />

rovina che superava di gran lunga le intenzioni, la comprensione e<br />

persino l'immaginazione di uomini solo occasionalmente violenti,<br />

insomma di uomini normali.<br />

Ciascuna cassa conteneva vari strati di vassoi, di profondità<br />

diverse, ognuno foggiato in modo da fungere da coperchio per<br />

quello sottostante, e ognuno provvisto di lunghi laccetti di cuoio per<br />

essere sollevato dalla sua sede. Ben presto avevo compreso che tutto<br />

ciò che contenevano serviva alle pratiche dell'assassinio politico,<br />

della magia nera, della stregoneria e della negromanzia, e alla fine


avevo semplicemente abbandonato quei nefasti studi. Non potevo<br />

tollerare l'idea che le casse cadessero in mani pericolose, ma d'altro<br />

canto non potevo nemmeno distruggerne il contenuto. <strong>Il</strong> buon senso<br />

mi diceva che non vi avrei mai trovato neppure una foglia che<br />

servisse a qualcosa di benefico, ma finché non ne avessi avuto la<br />

certezza, non me la sentivo di distruggerle.<br />

Erano stati i fili colorati di Tressa a riaccendere il mio interesse per<br />

le casse. Una logica come quella che seguiva nel contrassegnare gli<br />

oggetti doveva esser stata applicata anche all'ordinata disposizione<br />

dei contenuti dei vassoi. Li fissavo, cercando quell'ordine.<br />

«Che stai facendo, Cay? Oh, scusa... posso entrare?»<br />

Gli feci cenno di entrare e mi appoggiai allo schienale della sedia<br />

con un sospiro, guardando l'ordinato disordine che regnava <strong>sul</strong> mio<br />

tavolo. <strong>Il</strong> contenuto dei due vassoi superiori della cassa più grande<br />

era sparso alla mia sinistra e alla mia destra, ciascun contenitore<br />

accanto alla sua casella vuota. <strong>Il</strong> terzo vassoio, composto di dodici<br />

scomparti in quattro file di tre, ciascuno largo quanto una mano e<br />

contenente una boccetta di creta, compariva in cima alla cassa come<br />

il successivo strato.<br />

Quando udii la voce del ragazzo diversi pensieri mi<br />

attraversarono la mente, il primo dei quali fu che avrei dovuto<br />

subito cacciarlo di lì, e bruscamente, prima che vedesse cosa stavo<br />

facendo. Abbandonai quel pensiero prima ancora di finire di<br />

formularlo.<br />

«Porta qui uno sgabello e siediti accanto a me. E non toccare<br />

nulla, capito?»<br />

Fece come gli avevo ordinato e si chinò, gli occhi scintillanti di<br />

pagliuzze d'oro che correvano su tutto l'armamentario, dentro e<br />

fuori dalla cassa. Io tacevo, aspettando che ponesse le sue domande,<br />

ma anche lui rimase in silenzio per un bel po'. Infine mi guardò.<br />

«Cosa contengono?»<br />

«Morte, e un dilemma.»<br />

Mi lanciò uno sguardo obliquo, gli occhi spalancati per la<br />

sorpresa. «Che vuoi dire?»


Mi girai verso di lui. «Ricordi la storia di come morì mio padre?»<br />

Annuì. «Fu assassinato nel suo letto da due maghi. Come si<br />

chiamavano?» <strong>Il</strong> suo sguardo si assentò nei ricordi. «Caspar, Caspar e<br />

Memnon.»<br />

«Sì, erano quelli i loro nomi. Caspar e Memnon. Maghi, come dici<br />

tu. Io preferisco chiamarli stregoni.»<br />

«Che differenza c'è?»<br />

«All'apparenza molto poca, ho il sospetto. Ma secondo me un<br />

mago è qualcuno che tenta di usare la magia, i poteri sovrannaturali,<br />

per influenzare il mondo degli uomini. Se lo fa per fini buoni o<br />

malvagi dipende, naturalmente, dalla natura del mago, o della<br />

maga. Ma siccome io non credo né alla magia né ai poteri<br />

sovrannaturali, trovo i maghi una categoria abbastanza penosa, a<br />

volte ridicola e generalmente innocua, una volta che i loro trucchi<br />

sono stati esposti.»<br />

«Le donne possono essere maghi?» Era sorpreso, e io risi.<br />

«Artù, le donne possono essere qualunque cosa un uomo può<br />

essere, eccetto padri. Te ne accorgerai presto, vedrai.»<br />

Ma il ragazzo non intendeva farsi distrarre dall'oggetto della sua<br />

curiosità.<br />

«Ma spiegami, se i maghi sono penosi, è questo che li rende<br />

diversi dagli stregoni?»<br />

«Sì. Gli stregoni sono tutt'altra cosa, Artù. Sono reali e terrificanti.<br />

Cercano e a volte ottengono poteri che le persone comuni non<br />

possono comprendere, e li usano sempre per scopi malvagi. Non<br />

utilizzano incantesimi o formule magiche, ma mille tipi di magia<br />

fisica e tangibile, di pozioni e veleni, come le sostanze che vedi qui.<br />

Gli stregoni portano solo la morte, dovunque si rechino.» Fui<br />

sorpreso dalle mie stesse parole, non avendo mai articolato quelle<br />

verità così chiaramente prima di allora.<br />

<strong>Il</strong> ragazzo mi fissava, affascinato. «Bene» disse dopo un po'.<br />

«Questa è la parte della morte. E il dilemma, che cos'è? Capisco la<br />

morte, se tutte le fiale e le scatolette contengono veleni, come dici.<br />

Ma proprio tutte?»


«Quasi. Non conosco l'uso di ogni cosa che si trova qui dentro,<br />

ma tutte le sostanze che ho identificato portano la morte in un<br />

modo o nell'altro, e di solito dopo lunga agonia.»<br />

«Mi mostrerai come si usano?»<br />

«In parte. Ti mostrerò quelle che ho identificato, ma non<br />

dimostrerò certo il loro effetto mortale per il tuo divertimento.<br />

Dovrai accontentarti della mia parola.»<br />

«E dici che molte cose non le hai ancora esaminate? Ma come hai<br />

fatto a trattenerti? Non sei curioso? Io le avrei già tirate fuori tutte<br />

fino all'ultima. Come fai a essere così disciplinato? Sei davvero<br />

incredibile, Merlino.»<br />

«Devi sempre chiamarmi Cay, ricordi?»<br />

Mi guardò, leggermente irritato. «Sì lo ricordo, ma adesso siamo<br />

soli, e tu per me sei sempre stato Merlino.» Abbassò il capo. «Mi è<br />

scappato. Non succederà più. Ma non mi hai ancora detto cos'è il<br />

dilemma.»<br />

«Non lo indovini? Non riesco a decidere se distruggerle o<br />

continuare a studiarle.»<br />

Non esitò un istante. «Dovresti studiarle, naturalmente. E poi,<br />

anche se volessi distruggerle, come faresti?»<br />

«Alcune le brucerei, anzi, a dire il vero la maggior parte. Altre<br />

potrei decidere di seppellirle, o diluirle fino a che diventino<br />

innocue.»<br />

Artù avvicinò lo sgabello al tavolo. «Mostramele, ti prego.»<br />

Una alla volta, gli mostrai le sostanze della cassa più grande che<br />

avevo identificato. Cominciai dalle scatole di creta con la pasta<br />

verde, che uccideva tra bruciori atroci chi venisse ferito da una lama<br />

spalmata di quella crema mefitica. Era quello il veleno, gli spiegai,<br />

che i guerrieri di Lot avevano spalmato <strong>sul</strong>le punte delle loro frecce<br />

nell'agguato a suo padre in Cornovaglia, e che io avevo poi usato<br />

per giustiziare lo stregone Caspar, facendogli un taglio <strong>sul</strong>la fronte<br />

con la stessa punta di freccia.<br />

Artù ascoltava rapito, seguendo ogni movimento delle mie mani<br />

mentre aprivo fiale, scatole e foglie più volte ripiegate, estraendone


decine di polveri sconosciute dei colori più strani, miscele di cristalli,<br />

unguenti e paste oleose probabilmente distillate a fuoco lento,<br />

minuscoli fogli di corteccia arrotolati, erbe seccate e poi bacche, semi<br />

e strane nocciole. Guardando il ragazzo, mi tornò in mente<br />

l'entusiasmo con cui mi ero addentrato in quei misteri, anni prima.<br />

«Ora ti farò vedere una cosa che da sola costituisce un buon<br />

motivo per non distruggere tutto quanto. È l'unica sostanza qui<br />

dentro che non sia velenosa, anche se è comunque pericolosa.»<br />

Estrassi tutti i vassoi dalla cassa, cercando in un angolo del fondo<br />

una scatola di legno, la più grossa della collezione, strettamente<br />

legata con delle fibre intrecciate. Aprendola, mostrai ad Artù una<br />

polvere grossa, nerastra, che sapevo non gli avrebbe fatto alcuna<br />

impressione. Era inodore e insapore, se non per un vago, pungente<br />

retrogusto che ricordava l'aria di una palude. Sapevo che non era<br />

velenosa, avendola somministrata a tre conigli senza che soffrissero<br />

alcun danno. Avevo anche scoperto che quella polvere era insolubile<br />

nell'acqua, ma quando - una volta deciso che non serviva a niente -<br />

avevo provato a gettarne un po' nel fuoco, ero quasi morto per lo<br />

spavento. La combustione, violenta, improvvisa e rumorosa, mi<br />

aveva accecato. Ne era uscita una nube di fumo denso e nero, che<br />

mi aveva fatto tossire, ma non aveva lasciato altri segni. Quando mi<br />

ero ripreso, avevo fatto altri mille esperimenti e accertato che quella<br />

sostanza era la più volatile e pericolosa che avessi mai incontrato:<br />

prendeva fuoco persino da una scintilla vagante. A cosa potesse<br />

servire era al di là delle possibilità della mia fantasia, ma sospettavo<br />

fosse qualcosa di tremendo. L'idea che una scintilla del braciere<br />

potesse cadere nella scatola con il resto di quel materiale mi aveva<br />

fatto tremare di paura, e da allora avevo trattato quella che<br />

chiamavo "polvere di fuoco" con la massima cura.<br />

Ora ne presi un pizzico tra pollice e indice e l'avvolsi strettamente<br />

in un angolo di stoffa. Richiusi bene la scatola e lo diedi ad Artù.<br />

«Ecco, non c'è altro da dedurre da come appare alla vista. Non ha<br />

odore, né sapore, il colore è tra il nero e il marrone scuro, e non ho<br />

mai scoperto che scopo possa avere. Non si scioglie nell'acqua, né<br />

nel vino, e non è velenosa. Gettala nel fuoco, là dietro di te.»<br />

Si voltò e lo fece, aspettando di vedere cosa sarebbe successo. <strong>Il</strong>


fagottino atterrò su una brace non incandescente, e si mise a fumare<br />

lentamente. Artù si girò verso di me ma io gli accennai con lo<br />

sguardo di continuare a guardare. Poi d'un tratto ci fu un lampo di<br />

luce accecante, il fortissimo whuff della conflagrazione e grandi,<br />

spesse nuvole di fumo nero invasero la stanza, piene di scintille<br />

impazzite che volavano come proiettili. Persino io, che me<br />

l'aspettavo, fui scosso dalla violenza del fenomeno. <strong>Il</strong> ragazzo balzò<br />

in piedi terrorizzato, la faccia pallida mentre combatteva il panico<br />

che gli montava dalle viscere.<br />

Rimase lì qualche istante, come incerto tra la fuga e l'accettazione<br />

della cosa, poi si buttò in ginocchio, afferrò dei rametti accanto al<br />

braciere e si mise a spazzare via i pezzetti di brace che erano volati<br />

<strong>sul</strong> tappeto, e che rischiavano di appiccare il fuoco all'intera stanza.<br />

Mi gettai ad aiutarlo, inorridendo alla vista dei focolai in più punti<br />

del tappeto che Tressa aveva tessuto per me con le sue mani.<br />

Riuscimmo, freneticamente, a spazzare via tutto prima che<br />

comparissero dei buchi evidenti e rimanemmo lì accovacciati, il fiato<br />

corto, ridendo un po' nervosamente.<br />

«Che cos'è quella roba?» chiese infine Artù. «Ne hai idea?»<br />

Scossi la testa. «No. Sembra una sorta di carbone macinato, ma<br />

non si comporta come nessun carbone che io abbia mai visto.»<br />

«Brucia così velocemente che... nessun preavviso, solo un whoosh!<br />

e non c'è più. Avevi mai sentito parlare di una cosa simile?»<br />

«Assolutamente no. Ma gli stregoni che la portarono in Britannia<br />

venivano dagli estremi confini orientali dell'Impero. I loro nomi<br />

suonavano egizi, ma ho il sospetto che venissero da ancora più<br />

lontano, oltre quella che chiamano l'India, da una terra dove si dice<br />

che la gente abbia la pelle gialla. Sono certo che anche se non<br />

venivano da laggiù, c'erano comunque stati. Allora, Artù, ora che hai<br />

visto come funziona questa polvere, cosa pensi che dovrei farne?»<br />

Scosse la testa, poi sorrise. «Potresti usarla per spaventare i nemici,<br />

mi sembra che lo faccia molto bene.»<br />

Risi con lui, poi mi alzai e rimisi la scatola nel fondo della cassa.<br />

Artù mi aiutò a riavvolgere, sigillare e riporre i contenitori delle<br />

sostanze. Rimase lì a guardarmi mentre chiudevo il chiavistello della


cassa.<br />

«Quelle cose sono molto pericolose, Cay.»<br />

«Sì, lo sono. Ma qui dentro sono al sicuro, per il momento. Le<br />

sole chiavi delle due casse sono in mio possesso. So che prima o poi<br />

dovrò esaminare tutto con la dovuta attenzione, per decidere cosa<br />

sia meglio fare di ogni singola sostanza. Non potrei mai distruggere<br />

tutto senza aver prima tentato di scoprire di cosa si tratti. Lo capisci,<br />

questo?»<br />

«Certo. Quelle sostanze rappresentano una conoscenza. Tu non lo<br />

sai, ma qualcuno, da qualche parte, conosce il modo di usare<br />

ciascuna di esse, e la conoscenza è potere.»<br />

La conoscenza è potere. Sorrisi, contento di sentirlo citare una<br />

frase che gli avevo ripetuto innumerevoli volte. Gli misi un braccio<br />

attorno alle spalle e c'incamminammo verso la casa di Shelagh e<br />

Donuil. «Stanotte pioverà» dissi, annusando l'aria. Alzò lo sguardo<br />

verso le nuvole sempre più basse e poi grugnì, esattamente come<br />

avrebbe fatto mio cugino.<br />

C'era un altro oggetto in quelle casse il cui utilizzo non era<br />

necessariamente malefico, e lo scoprii il giorno successivo. Lo<br />

menziono qui perché, per quanto a quel tempo possa essermi<br />

sembrato innocuo e quasi insignificante, divenne in realtà una delle<br />

due cose più potenti dell'intera, mefitica collezione.<br />

Trovai l'oggetto in fondo alla cassa più piccola, avvolto in una<br />

morbidissima pelle di daino. Quando aprii l'involucro, con grande<br />

cautela, rimasi dapprima inorridito da ciò che conteneva, al punto<br />

da non riuscire a toccarlo. Era una faccia umana, senza occhi ma<br />

perfettamente conservata, completa di capelli <strong>sul</strong>la testa che non<br />

c'era. Mi venne la pelle d'oca al pensiero di come doveva esser stata<br />

ottenuta: strappata a un cranio vivente e trattata poi con una tecnica<br />

che aveva conservato alla pelle la consistenza, la superficie e il colore<br />

di quando era viva, e infine riposta amorevolmente in<br />

quell'involucro.<br />

Dopo averla fissata per qualche minuto, cominciai però a notare<br />

dei particolari che contraddicevano quella mia ipotesi. Anche allora,


mi ci volle del tempo per riuscire ad allungare una mano e toccarla,<br />

ma appena lo feci mi resi conto che avevo toccato un qualche tipo<br />

di cera. Era una maschera, divisa in due metà, ma come nessun'altra<br />

maschera che avessi mai visto prima.<br />

I capelli erano veri, ma erano stati applicati con infinita pazienza<br />

a una base di tessuto, il più fino e trasparente immaginabile, che<br />

riconobbi subito come lo stesso che mia zia Luceia si faceva arrivare<br />

fin dall'Asia Minore. La maschera era stata formata dalle successive<br />

applicazioni di molteplici strati di quel delicatissimo materiale,<br />

chiaramente appoggiati addosso a una vera faccia e spalmati, uno<br />

alla volta, di qualche colla o pasta. Sollevandola davanti alla luce,<br />

potevo vedere chiaramente dove gli strati si accavallavano e dove<br />

non coincidevano precisamente. Poi, quando i lineamenti del volto<br />

erano stati ottenuti in quel modo, l'esterno della maschera era stato<br />

coperto di una cera, solida ma malleabile, e infine lo stregone che<br />

l'aveva creata ne aveva dipinto la superficie, imitando i colori della<br />

vita stessa.<br />

La metà superiore andava calcata sopra gli occhi e il naso,<br />

coprendo completamente i lineamenti di chi la indossava, insieme<br />

alla parrucca di capelli lunghi e castani - cuciti addosso a una calotta<br />

sottile, dello stesso materiale che formava la base della maschera - i<br />

quali ricadevano sopra i capelli del mascherato, nascondendoli alla<br />

vista. I bordi superiori dei buchi per gli occhi esibivano due folte,<br />

minacciose sopracciglia, mentre i bordi inferiori erano così sottili da<br />

sembrare inconsistenti, e si adagiavano <strong>sul</strong>la pelle sotto gli occhi<br />

dell'indossatore, simulando alla perfezione persino le sacche di pelle<br />

che si formano sopra gli zigomi con l'età. <strong>Il</strong> naso era grosso,<br />

sporgente e butterato. Da pori realistici e visibili nella pelle delle<br />

guance spuntavano poi i peli, che cadevano uno sopra l'altro fino a<br />

formare dei lunghi baffi scuri.<br />

La seconda metà della maschera era costruita allo stesso modo ma<br />

portava una folta barba. Si adattava alla parte inferiore del viso, da<br />

sotto le orecchie fino a coprire mascella e mento, aderendo alla pelle<br />

del portatore appena sotto le sue labbra. Mi resi subito conto che<br />

quella metà andava indossata per prima, e che la seconda parte vi si<br />

doveva adagiare sopra. Compresi anche che la sua struttura di base<br />

non era molto malleabile, e poteva adattarsi solo alle sporgenze del


volto su cui era stata modellata: insomma quella maschera così<br />

perfetta poteva in realtà essere indossata solo dalla persona sui cui<br />

lineamenti era stata modellata - ma in quel caso, mi chiesi subito, a<br />

che scopo? - oppure da qualcuno che gli somigliasse molto da vicino.<br />

Naturalmente, una volta raggiunta quella conclusione, la sollevai,<br />

portandomela <strong>sul</strong> viso.<br />

Mi aspettavo di sentire creste e sporgenze che non si sarebbero<br />

adattate alla struttura ossea del mio volto, ma provai invece una<br />

morbida, inquietante comodità, che si tramutò rapidamente in una<br />

specie di terrore superstizioso, man mano che mi accorgevo della<br />

perfezione con cui quella membrana aderiva al mio volto,<br />

coprendolo come una seconda pelle naturale, fresca e onnipresente.<br />

Allontanai le mani con cui l'avevo premuta in sede, aspettandomi<br />

che cadesse, ma rimase al suo posto, scaldandosi gradualmente a<br />

contatto con la mia pelle, finché praticamente non ne percepii più la<br />

presenza.<br />

<strong>Il</strong> pensiero di quanto quella coincidenza fosse improbabile mi fece<br />

battere il cuore a un ritmo accelerato e mi sollevò i morbidi peli <strong>sul</strong><br />

retro del collo. La mia mente produsse decine di ragioni per cui ciò<br />

che era appena successo doveva essere semplicemente impossibile.<br />

Delle centinaia di uomini che conoscevo, nessuno - salvo forse mio<br />

fratello Ambrogio - avrebbe potuto indossare quella maschera con la<br />

stessa, aderente perfezione. Di chi era? Ero certo che non potesse<br />

essere appartenuta, originalmente, né a Caspar né a Memnon. I loro<br />

volti erano profondamente diversi dal mio e da quello della<br />

maschera che indossavo. Memnon era addirittura sfigurato, gli occhi<br />

grossi, sporgenti e non allineati. La memoria mi diceva che forse<br />

Caspar avrebbe potuto indossarla, ma di certo non era stata fatta per<br />

il suo viso. Le sue guance erano troppo piatte, il suo naso troppo<br />

lungo, il mento troppo sfuggente. Chi era dunque il destinatario<br />

della maschera, e perché proprio io, fra tutti gli uomini, ne ero<br />

venuto in possesso? Era dotata di qualche potere magico? O forse<br />

Dio stesso l'aveva indirizzata verso le mie mani per qualche Suo<br />

inafferrabile disegno? <strong>Il</strong> fatto era che essa, sfidando ogni probabilità<br />

naturale, si adattava perfettamente al mio volto, e la cosa mi scosse<br />

sin nel profondo, al punto che per la prima volta in vita mia, andai<br />

alla ricerca di uno specchio.


Scoprii ben presto che la maschera non sarebbe rimasta incollata<br />

al mio volto senza la frequente pressione delle mie mani, così tornai<br />

a frugare nel fondo della cassa, alla ricerca di ciò che lo stregone<br />

doveva aver usato per fissarla al suo volto. Infatti trovai una<br />

boccetta di una pasta incredibilmente adesiva, tanto da incollare<br />

insieme le mie dita, ma in modo elastico e non permanente, in<br />

modo che la maschera potesse venire anche sfilata con facilità.<br />

Trovai anche alcune scatolette cilindriche di papiro cerato contenenti<br />

creme di vari colori, chiaramente cosmetici che dovevano servire a<br />

rifinire il travestimento.<br />

Mi chiusi a chiave nella mia stanza e, piazzatomi davanti allo<br />

specchio di zia Luceia, giocai per qualche ora con quello strano<br />

oggetto, meravigliato dalla completa e complessa trasformazione che<br />

era in grado di operare. Infine, la pelle un po' irritata dalla ripetuta<br />

applicazione dell'adesivo, riavvolsi tutto quanto, lo riposi nella cassa<br />

e mi avviai verso le terme.


XVI.<br />

In seguito avrei pensato sempre a quell'autunno come<br />

all’”Autunno delle Belve”. Prima vennero i lupi, indotti a scendere<br />

fino al forte, a detta di Lucano, da qualche epidemia che doveva<br />

aver decimato le loro prede abituali. Credo che avesse ragione,<br />

perché quell'anno si videro pochissimi daini nella foresta e persino le<br />

lepri e gli scoiattoli, che di solito quasi si calpestavano, erano<br />

diventati rari.<br />

I lupi - come anche gli orsi e gli altri animali selvatici di una certa<br />

taglia - evitano, normalmente, ogni contatto con gli esseri umani.<br />

Ma in quell'autunno i lupi vennero più vicino al forte e in numero<br />

più considerevole di quanto non avessero mai fatto. I loro ululati<br />

appena fuori dalle nostre mura divennero una costante di quasi tutte<br />

le notti dalla fine di quell'estate in avanti, e dopo aver perduto non<br />

pochi capi del nostro bestiame, fummo costretti a trasferire ogni sera<br />

gli animali al sicuro dentro il forte. Con tutto ciò, non eravamo<br />

affatto pronti all'idea di venire assaliti in pieno giorno.<br />

La piccola mandria di maiali che Shelagh aveva cominciato ad<br />

allevare fin dal nostro arrivo era cresciuta e aveva prosperato. Anche<br />

loro, al tramonto, venivano portati dentro le mura e rinchiusi in un<br />

recinto addossato ai bastioni settentrionali, il più lontano possibile<br />

cioè dalle nostre abitazioni. In un bellissimo tardo pomeriggio di<br />

quell'autunno, quando gli alberi avevano ormai perso quasi del tutto<br />

le loro chiome dorate, un branco di lupi affamati e disperati aveva<br />

sfidato la vicinanza degli uomini e si era avventato <strong>sul</strong> recinto dei<br />

maiali appena rinchiusi.<br />

L'allarme scattò immediatamente, ma in realtà le urla di terrore<br />

dei suini ci avrebbero fatto accorrere anche se nessuno avesse<br />

assistito alla scena. Dopo qualche minuto, una ventina di uomini,<br />

tutti armati, erano già <strong>sul</strong> luogo. Io fui tra i primi ad arrivare,<br />

avendo sentito le grida mentre tornavo dalle terme, ma proprio per<br />

quel motivo ero uno dei pochi a trovarsi senza armi. Dedalo giunse<br />

subito dopo di me, con una lancia, un arco lungo e una faretra piena


di frecce <strong>sul</strong>la spalla. Vedendomi disarmato, mi gettò la lancia e si<br />

mise ad armare l'arco.<br />

<strong>Il</strong> frastuono era terrificante, e in mezzo alle grida dei maiali ci<br />

sembrò di sentir ringhiare dei cani. Ma quei cani erano lupi, ed<br />

erano in numero sorprendente, decisi ad attaccare tutto e tutti con<br />

una ferocia suicida. Ne contai quattordici, prima di rinunciare a<br />

sapere quanti fossero e gettarmi nella mischia. Questi lupi erano<br />

davvero disperati e non mostrarono la benché minima propensione<br />

a correre via a coda bassa, come fanno di solito i lupi che<br />

s'imbattono negli uomini. Si voltarono e ci attaccarono senza<br />

esitazione.<br />

Un esemplare enorme saltò verso il mio collo, le fauci spalancate,<br />

e fu solo per una felice intuizione che riuscii ad abbassarmi, piegando<br />

un ginocchio, e trafiggerlo con la lancia mentre mi passava sopra. <strong>Il</strong><br />

peso morto del lupo che trascinava la lancia mi rovesciò all'indietro.<br />

Mi rialzai febbrilmente, estrassi la lancia dalla carcassa e mi voltai in<br />

tempo per vedere un'altra belva contorcersi <strong>sul</strong>l'erba accanto a me,<br />

trafitta da una freccia. Dedalo si era piazzato su un dosso, pochi passi<br />

alla mia sinistra, e stava estraendo e tirando frecce una dopo l'altra,<br />

con metodica precisione, abbattendo un lupo con ogni freccia senza<br />

curarsi di finirli, perché sapeva che eravamo abbastanza numerosi<br />

per completare il lavoro. D'un tratto vidi Hector cadere alla mia<br />

destra, travolto da due animali, il più grosso dei quali era riuscito ad<br />

azzannarlo al polso che reggeva la spada.<br />

Ero a due passi da lui, ma non osavo gettare la lancia per paura di<br />

colpire il mio amico. Fu Rufio a salvare la vita a Hector, balzandogli<br />

accanto con un'enorme ascia che non gli avevo mai visto usare<br />

prima e disintegrando letteralmente i crani dei due lupi con due<br />

colpi, accompagnati da urla più selvagge di quelle di un orso<br />

inferocito. Incredibilmente, un altro lupo smagrito stava strisciando<br />

verso l'uomo a terra ferito, e Rufio l'affrontò con l'ascia. La belva<br />

ringhiò, mostrando i denti e schiumando dalla bocca, ma Rufio<br />

ignorò l'avvertimento e lo colpì di piatto facendolo volare ai miei<br />

piedi, dove io lo trafissi immediatamente con la lancia.<br />

Lo scontro sembrò durare un tempo lunghissimo, ma in realtà<br />

dovevano essere stati pochi minuti, finché il primo lupo, lanciando


qualcosa a metà tra un guaito e un ululato, scelse la fuga, seguito dai<br />

pochi sopravvissuti del branco.<br />

Persino allora, però, le belve si ritirarono solo di qualche decina<br />

di passi, girandosi poi a guardarci, ringhiando, da quella che doveva<br />

sembrare loro una distanza di sicurezza. Ma l'arco lungo dei Celti che<br />

Dedalo aveva in mano era letale a una portata ben superiore a<br />

quella distanza, e in breve altri quattro lupi caddero trafitti. Gli altri,<br />

finalmente, rinunciarono e si diedero alla fuga verso la foresta,<br />

inseguiti da altre frecce di Dedalo.<br />

Trovammo dodici lupi morti dentro e fuori il recinto e le opinioni<br />

<strong>sul</strong> numero degli scampati variavano tra sei e dodici. Trovammo<br />

anche cinque maiali di un anno dilaniati, e altri due così malridotti<br />

che dovemmo ucciderli. Fortunatamente nessuna delle scrofe era<br />

morta. Tutta Mediobogdum mangiò carne di maiale per più di una<br />

settimana.<br />

Poi, neanche dieci giorni dopo l'episodio dei lupi, il cavallo di<br />

Rufio tornò al forte senza cavaliere in pieno giorno, la schiuma<br />

intorno al morso e il pelo madido di sudore. Organizzammo<br />

immediatamente le pattuglie di perlustrazione e partimmo alla<br />

ricerca del nostro compagno. Non sapevamo con che intenzioni<br />

fosse uscito dal forte, ma potevamo escludere che fosse sceso verso<br />

Ravenglass, perché era una sorta di regola non scritta che chiunque si<br />

recasse in città, doveva prima comunicarlo a qualcuno. Ma poteva<br />

essere salito <strong>sul</strong> fianco della collina a sud-ovest, verso la cava dove ci<br />

procuravamo la pietra calcare. O poteva essere sceso a cacciare nella<br />

foresta <strong>sul</strong> fondo della valle, alla ricerca di daini o altra selvaggina.<br />

Avevamo ottanta uomini validi disponibili per le ricerche, metà di<br />

loro fanti addestrati. Ne mandai quaranta giù nella valle e presi il<br />

resto con me verso le colline. Ci restavano solo cinque o sei ore di<br />

luce e scandagliammo i dintorni fino all'ultimo istante utile, quando<br />

non si distingueva più una roccia da un cespuglio, così che<br />

rientrammo al forte molto dopo il tramonto, ostacolati dalla<br />

difficoltà del percorrere i sentieri nell'oscurità.<br />

Quella notte fu una delle prime volte che Tressa rimase a dormire<br />

con me. La feci quasi svenire di paura nel bel mezzo della notte,


izzandomi a sedere nel letto con un grido, una parola che lei non<br />

capì e io, in seguito, non riuscii a ricordare. Mi abbracciò subito,<br />

portandosi la mia testa <strong>sul</strong> petto ed emettendo bisbigli rassicuranti,<br />

come avrebbe fatto con un fanciullo in preda a un incubo. Alla fine,<br />

quando mi fui calmato e ridisteso <strong>sul</strong>la schiena, lo sguardo fisso al<br />

soffitto, si sporse sopra di me, i morbidi seni schiacciati contro il mio<br />

fianco.<br />

«Cos'è stato?» mi chiese dopo un po'; la sua voce era un mero<br />

sussurro.<br />

«Un sogno», risposi. «Rufio. Ho visto Rufio.» Facevo una fatica<br />

enorme ad articolare le parole. La prospettiva di dover ammettere,<br />

soprattutto a me stesso, di aver fatto un altro dei miei sogni, mi<br />

terrorizzava. Avevo visto morire troppe persone, in passato, in sogni<br />

esattamente come quello. Pensavo che quel talento inquietante fosse<br />

svanito, essendo passati molti anni dall'ultima volta che mi era<br />

accaduto, quando avevo sognato l'assassinio di un fratello di Donuil,<br />

in Eire.<br />

Ci fu una pausa, poi Tressa disse: «Dov'era?». Non c'era traccia di<br />

dubbio o incredulità nella sua voce.<br />

La mia gola era secca come sabbia al sole. Deglutii, con difficoltà.<br />

«In un incavo di roccia... c'era uno spiazzo in mezzo agli alberi, <strong>sul</strong><br />

fianco di una collina... aveva una parete di roccia dietro alle spalle.»<br />

«Era vivo?» Non risposi. Mi afferrò una spalla. «Cay! Rufio era<br />

vivo?»<br />

Cercai di sottrarmi al suo abbraccio, ma mi trattenne.<br />

«Come faccio a saperlo? Era un sogno, Tressa, solo un sogno.»<br />

«No!» Mi attirò a sé, sibilando nella sua urgenza. «Era uno dei tuoi<br />

sogni, Cay, e io so tutto dei tuoi sogni. Ora cerca di concentrarti,<br />

prima che il velo si richiuda. Hai visto nient'altro? Rufio ti è<br />

sembrato vivo?»<br />

Repressi l'impulso di chiederle chi le avesse narrato dei miei sogni<br />

e tentai di ricordare la scena che mi aveva fatto uscire dal sonno<br />

gridando. Respirai profondamente, svuotando la mente da ogni<br />

altro pensiero, e dopo qualche minuto la scena mi tornò davanti,


tremolante ma riconoscibile.<br />

«È immobile, tutto sporco di sangue... non so dire se è vivo o<br />

morto... non ha più l'elmo... sangue dappertutto, <strong>sul</strong>l'erba, <strong>sul</strong>le<br />

pietre... è incastrato tra due alberi... c'è muschio sui tronchi, e sangue<br />

<strong>sul</strong> muschio. Vedo dove le sue dita hanno strappato il muschio dalla<br />

corteccia...»<br />

L'immagine pareva muoversi mentre la descrivevo, come se i miei<br />

occhi si abituassero a una luce strana, e d'un tratto vidi qualcosa fra<br />

gli alberi, seminascosta nell'ombra dietro Rufio. La mia mente si<br />

ribellò, incredula, e l'intera scena si dissolse lentamente, lasciandomi<br />

esausto, a guardare il soffitto, gli occhi spalancati. Trattenni il respiro<br />

per un po', preso in un turbine di pensieri contraddittori, poi espirai<br />

lungamente.<br />

«È tutto. La visione se ne è andata. È tutto quello che ho visto.»<br />

«Hmm.» Mi lasciò andare e si alzò dal letto. Seguii con lo sguardo<br />

il suo corpo nudo che attraversava la stanza. «Vieni, Cay. Ora<br />

riaccendo il fuoco. Forza, vestiti. Svelto.»<br />

«Cosa? Perché? A cosa servirà star seduti davanti al fuoco? Non<br />

sappiamo dove si trova, Tressa.»<br />

«Ma potremmo scoprirlo. Anzi, lo scopriremo. Avanti, indossa<br />

qualcosa.»<br />

Poco dopo, seduto nell'altra stanza, vedendola ancora nuda<br />

armeggiare intorno al braciere, allungai una mano e le carezzai un<br />

gluteo. Ma Tressa non aveva di quei pensieri e allontanò decisa la<br />

mia mano, andando poi di là a buttarsi una coperta <strong>sul</strong>le spalle. Si<br />

sedette accanto a me e mi fissò, come in attesa.<br />

«Cosa?» chiesi. «Cosa c'è. È ovvio che ti aspetti che io dica<br />

qualcosa di significativo.» Non rispose. «Be', non mi viene in mente<br />

niente. Dovrai farmi delle domande.»<br />

«Rufio. Ora sappiamo dove si trova».<br />

«No che non lo sappiamo, Tressa. Era un sogno, e non ho visto<br />

iscrizioni con il nome del luogo.»<br />

«Sì che le hai viste, uomo privo di senno che non sei altro. Certo,<br />

non sappiamo esattamente dov'è, ma sappiamo molto più di quello


che sapevamo oggi.»<br />

«E come?»<br />

«Perché lo hai visto in un incavo nella roccia, in uno spiazzo <strong>sul</strong><br />

fianco di una collina. Non è così? Ed era incastrato tra due alberi,<br />

con del muschio sui tronchi, che lui aveva grattato via.»<br />

«E allora?»<br />

«Cay, questo ci dice molto, o almeno lo dice a me. Era anche<br />

disteso contro una parete di roccia, e questo ci dice dell'altro.»<br />

«Non ti seguo, Tressa.»<br />

Scosse la testa come per zittirmi mentre pensava. «Era incastrato<br />

fra due alberi, hai detto, con dietro una parete di roccia. Come fai a<br />

sapere che si trova <strong>sul</strong> fianco di una collina? E com'era la posizione<br />

del corpo, rispetto agli alberi?»<br />

Chiusi gli occhi e mi sforzai di rievocare l'immagine. «È perché il<br />

terreno è in discesa, e anche abbastanza ripido. Lui è <strong>sul</strong>la schiena, la<br />

testa che ciondola verso il fondovalle. Gli alberi sono vicinissimi,<br />

forse sono le due propaggini di un solo tronco biforcuto. La sua<br />

schiena è arcuata su uno dei due. Ha tentato di tirarsi su per uscire<br />

dall'incastro. È per questo che ha grattato il muschio.»<br />

«Perciò il muschio è dalla parte della sua testa.»<br />

«Sì.»<br />

«E la parete di roccia? Dov'era esattamente? Hai detto dietro di<br />

lui, ma più <strong>sul</strong>la sua sinistra o <strong>sul</strong>la sua destra?»<br />

Mi concentrai nuovamente. «Sulla sinistra, parallela al senso in cui<br />

giace il suo corpo.»<br />

«Aha! Tu hai guardato nei posti sbagliati, mentre sognavi.»<br />

La guardai con un certo sussiego. «Questa poi è assurda quasi<br />

quanto il sogno.»<br />

«Sì, forse a te sembra davvero così. Ma pensaci, Cay! <strong>Il</strong> muschio<br />

cresce <strong>sul</strong> lato a nord dei tronchi: ogni bambino lo impara la prima<br />

volta che entra in un bosco. Quindi tu hai visto Rufio giacere con i<br />

piedi verso sud, incastrato tra due alberi che guardano a nord, con la<br />

testa che pende a valle verso nord e con una parete di roccia <strong>sul</strong>la


sua sinistra, <strong>sul</strong> lato a est, una parete cioè che guarda a ovest. L'unico<br />

posto dove tutto è disposto in quel modo è il fianco della collina<br />

sotto il passo, ma non dove lo avete cercato oggi, bensì giù in<br />

fondo, lungo il letto del fiume.»<br />

«Che cosa ti fa dire che può trovarsi solo giù in fondo?»<br />

«Perché il muschio sui tronchi era spesso. <strong>Il</strong> muschio non è mai<br />

spesso sugli alberi, sopra una certa altezza.»<br />

Annuii, ammettendo la mia ingenuità, ma poi scrollai le spalle.<br />

«Cosa c'è? Cos'è che non ti torna?» disse subito lei.<br />

«Niente, Tressa. È tutto molto logico. Ammiro davvero il modo in<br />

cui hai trovato un senso alla mia visione, ma era comunque solo un<br />

sogno, e per giunta incompleto.»<br />

«Che vuol dire, "incompleto"? Non capisco.»<br />

«Non ti ho detto tutto ciò che ho visto,» mormorai «e la parte che<br />

non ti ho detto rende tutto privo di senso.»<br />

Si raddrizzò <strong>sul</strong>la sedia e la coperta le cadde dalle spalle. Rimase lì<br />

immobile, in attesa che io proseguissi.<br />

«Ho visto un uomo che mi guardava appena al di là dello spiazzo,<br />

un uomo che si chiama Peter Ironhair.»<br />

«Peter Ironhair?» Aggrottò le sopracciglia. «Vuoi dire il fabbro che<br />

tentò di uccidere Artù a Camelot e poi fuggì, prima in Cambria e poi<br />

in Cornovaglia?»<br />

La fissai, sorpreso. «Sai, Tressa,» dissi infine «sono sempre più<br />

sorpreso dal numero di cose che sai, e che io non ti ho mai detto.»<br />

«Shelagh mi ha detto tutto di te. So tutto quello che c'è da<br />

sapere.» Si alzò e venne verso di me, sistemandosi <strong>sul</strong>le mie ginocchia<br />

e mettendomi le braccia attorno al collo. Mosse il sedere di qua e di<br />

là finché non fu comoda. <strong>Il</strong> braciere illuminava debolmente la<br />

stanza. Tressa appoggiò la mia testa al suo petto e mi sussurrò in un<br />

orecchio: «Caio Merlino Britannico, lo sai». Fece una pausa: la voce<br />

era rauca e il suo caldo respiro mi sfiorava l'orecchio. «Lo sai che ti<br />

amo, vero?» Attese una risposta, e io annuii senza parlare. «Be', devi<br />

sapere anche che io credo in te, credo nel tuo talento, o dono, o<br />

come lo vuoi chiamare, quello che tu pensi sia una sorta di


maledizione. Credo che tu abbia il dono della profezia, o meglio,<br />

come le ha chiamate Lucano? Premonizioni. Si dice così?» Aspettò<br />

nuovamente, e io annuii di nuovo. «Bene. Io credo che tu abbia<br />

visto Rufio, ferito, forse morto - gli dèi non vogliano - in un posto<br />

dove non lo avete ancora cercato. Perciò domani manderai le<br />

pattuglie dove avevi deciso di mandarle, ma tu e i tuoi uomini più<br />

fidati andrete giù lungo la parete di roccia, <strong>sul</strong> fondo della valle.»<br />

Mi prese una mano tra le sue. «Per quanto riguarda la faccia di<br />

Ironhair, questa è una cosa che né tu né io possiamo comprendere.<br />

Shelagh mi ha detto che a volte non capisci il significato di tutto ciò<br />

che vedi. È vero?»<br />

«Sì, anche troppo spesso.»<br />

«Allora questa è una di quelle volte, amore mio. Accettalo, ma<br />

ricorda bene quello che hai visto, la faccia di Ironhair dove la<br />

semplice ragione ci dice che non poteva trovarsi. Un giorno o l'altro<br />

ne comprenderai il significato e quando accadrà, saprai cosa fare.<br />

Prima però devi trovare Rufio. Ci andrai?»<br />

«Sì. Prenderò Donuil e Dedalo. Lucano è troppo anziano per una<br />

ricerca in quei luoghi. Filippo, Falvo e Benedetto dovrebbero stare<br />

con gli altri, ma sono gli amici più cari di Rufio.»<br />

«Allora porta anche loro. Hanno sottufficiali che possono<br />

comandare i loro soldati. E Shelagh verrà con te di sicuro, perché<br />

anche lei considera Rufio uno dei suoi uomini. Prendi anche i<br />

quattro ragazzi. Uno di voi lo troverà.»<br />

«E sia.» La tirai a me e la baciai a lungo, trasportato dal sollievo,<br />

dalla determinazione e dal crescente desiderio. Tornammo a letto,<br />

impazienti.<br />

Fu Shelagh, in effetti, a trovarlo. E lo trovò esattamente nel luogo<br />

e nella posizione in cui lo avevo sognato, su un dosso ai piedi di un<br />

burrone, all'estremità più lontana del fondo della valle, in una zona<br />

dove non mi sarebbe mai nemmeno venuto in mente di cercarlo. Per<br />

un colpo di fortuna in più, Shelagh era accompagnata da Lucano,<br />

che si era rifiutato di restare al forte, sostenendo, a ragione, che se<br />

Rufio era vivo avrebbe avuto bisogno delle sue cure per rimanerlo.<br />

L'orecchio acuto di Artù, che cercava con me, afferrò le urla di


Dedalo, a centinaia di passi da noi.<br />

Riconobbi immediatamente lo spiazzo.<br />

Shelagh e Lucano erano accovacciati accanto a Rufio, e<br />

lavoravano veloci e concentrati. Dedalo era in piedi vicino a loro, il<br />

volto contratto dall'ansia e dalla rabbia. Accanto a lui Gwin e Ghilly<br />

fissavano, inorriditi e affascinati, la chirurgia d'emergenza praticata<br />

<strong>sul</strong> povero Rufio.<br />

«Come sta?» chiesi urlando da lontano ancor prima di<br />

raggiungerli.<br />

«È vivo, ma per un pelo» rispose Ded.<br />

Ordinai ai ragazzi di aspettarmi più indietro e mi avvicinai a<br />

Rufio. Bianco e nero. <strong>Il</strong> pensiero mi colpì senza preavviso, mentre<br />

riaffiorava il ricordo della scena dopo l'ultima battaglia di Uther.<br />

Come allora, il bianco era il pallore della pelle dei morti e il nero il<br />

sangue rappreso dappertutto. Rufio, malgrado le parole di Dedalo,<br />

sembrava morto.<br />

Lucano aveva già tagliato via l'armatura di cuoio e i vestiti che<br />

indossava, esponendo le spaventose ferite che avevano lacerato il<br />

corpo così pallido del nostro amico. Avevo pensato a un incidente,<br />

non avevo escluso nemmeno la possibilità di un agguato, ma niente<br />

mi aveva preparato alla vista delle ferite di Rufio. Era stato<br />

squarciato in più punti da graffi paralleli, profondi tre o quattro dita,<br />

e la sua faccia era quasi invisibile per lo strato di sangue rappreso e<br />

di capelli, che la rendevano simile a un cranio nero e lucidato.<br />

«Mio Dio, ma cosa ha?»<br />

«È stato un orso. Guarda lì.» Ded fece un cenno verso qualcosa<br />

che giaceva <strong>sul</strong>l'erba, non lontano dai miei piedi.<br />

Abbassai lo sguardo e vidi una zampa di orso nera, enorme,<br />

troncata di netto all'altezza di quello che in un essere umano sarebbe<br />

stato il polso.<br />

Aveva gli artigli lunghi come le mie dita.<br />

Incredulo, la bocca involontariamente spalancata, guardai Rufio e<br />

poi di nuovo la zampa. Dedalo mi lesse nel pensiero.<br />

«Sì, Rufio doveva aver portato con sé una delle due spade. Non


conosco nessun'altra arma capace di fare una cosa simile.»<br />

Mi guardai subito intorno, ma non vidi niente. «E dov'è, allora, la<br />

spada?»<br />

«Conficcata nella belva, scommetto. Non vedo in quale altro<br />

modo spiegare perché non sia rimasta qui a mangiarsi Rufio.»<br />

Inspirai profondamente, tentando di calmare il mio stomaco e la<br />

mia mente. Dedalo aveva ragione. Una volta persa la zampa, l'orso<br />

sarebbe stato abbastanza inferocito da non lasciare che brandelli di<br />

Rufio. Solo una ferita ancora più grave e più dolorosa avrebbe<br />

potuto farlo fuggire senza uccidere l'uomo.<br />

Udii la voce di Lucano, come in lontananza, dare istruzioni per la<br />

costruzione di una barella, ma la mia mente era ormai presa da<br />

un'altra emergenza.<br />

«Dobbiamo trovarla» dissi.<br />

«Che cosa, la spada o la belva?»<br />

«Tutt'e due. La prima ci serve, la seconda ci serve morta.»<br />

«Sì, questo è vero, ma non ho intenzione di inseguire quel mostro<br />

ferito senza almeno venti lance intorno a me.»<br />

«Dovrebbe essere già morto, a quest'ora.»<br />

«Sì, anche Rufio, eppure lui - sia lode a Dio - è vivo.»<br />

«Hai ragione.» Mi voltai verso i ragazzi. «Artù, prendi il giovane<br />

Ghilly con te e corri a cercare la pattuglia di perlustrazione più<br />

vicina. Dirai loro che abbiamo trovato Rufio, e che ci serve aiuto per<br />

eliminare un orso, un grosso orso. Ci servono uomini armati di<br />

lance, almeno una ventina. E di' loro di mandare qualcuno al forte,<br />

per far rientrare le altre pattuglie e per allertare l'infermeria<br />

dell'arrivo del ferito. Devono preparare grandi quantità di acqua<br />

bollente, Lucano ha sempre bisogno di acqua bollente. Ora vai,<br />

svelto, e porta qui quelli che troverai. E stai attento a come ti muovi!<br />

Non sappiamo dove si trovi quell'orso. Se lo vedi, o lo senti, stanne<br />

ben lontano. Va'!»<br />

Poco dopo, Dedalo e io guardammo partire anche il gruppo con<br />

la barella, e avemmo modo di ammirare il sistema che Lucano aveva<br />

escogitato, passando una cinghia sotto la barella con una quantità di


gioco sufficiente per assorbire il contraccolpo anche se uno dei<br />

quattro barellieri - Donuil, Filippo, Falvo e Benedetto - fosse<br />

scivolato durante la pericolosa discesa dalla scarpata. Quando se ne<br />

furono andati, Ded e io ci accingemmo a seguire le tracce di sangue<br />

lasciate dall'orso.<br />

Dalla scia di distruzione che la bestia aveva lasciato dietro di sé,<br />

capimmo che si era lanciata in una folle corsa dentro la foresta<br />

circostante, accecata dalla furia e dal dolore. Non ci allontanammo<br />

più di venti passi dallo spiazzo, poi tornammo ad aspettare gli altri,<br />

guardandoci intorno nervosamente, in silenzio, per più di un'ora. Mi<br />

ritrovai a fissare gli alberi spruzzati di sangue, cercando quello dietro<br />

al quale avevo visto comparire il volto di Ironhair, ma non lo<br />

riconobbi.<br />

«Che c'entra Ironhair?»<br />

«Chi?»<br />

«Ironhair. Hai appena pronunciato il suo nome.»<br />

Non mi ero accorto di aver parlato. «L'ho sognato ieri notte. Ho<br />

visto anche lui, qui.»<br />

Ded si voltò lentamente e mi fissò. «Ironhair era qui, nel tuo<br />

sogno? Insieme a Rufio? Dici <strong>sul</strong> serio?»<br />

Scrollai le spalle. «No, non con Rufio. Più indietro, in mezzo agli<br />

alberi. Ma era solo un pezzo del sogno, Ded, un pezzo senza senso,<br />

come lo sono spesso i sogni.»<br />

«Hmm.» Per un bel po', sembrò non voler dire più di quel<br />

grugnito, poi però aggiunse: «Io non ne so gran che di questo tuo<br />

potere, Merlino, ma a me sembra che se così tante parti dei tuoi<br />

sogni sono potenti, è probabile che nessuna parte sia mai del tutto<br />

priva di senso. Se tu hai sognato che Ironhair era qui, allora in<br />

qualche modo doveva trovarsi qui».<br />

«Tressa la pensa come te. Dice che il significato di quella parte mi<br />

diverrà chiaro, un giorno.»<br />

«Cos'è stato?»<br />

Inclinai la testa, invidiando per la centesima volta l'incredibile<br />

udito di Dedalo. «Io non ho sentito niente.»


«Io sì. Eccolo di nuovo. Sono loro, finalmente.»<br />

Infatti, dopo qualche istante, vedemmo arrivare Filippo con una<br />

quarantina di fanti.<br />

Li dividemmo in gruppi di sei uomini e ci addentrammo nella<br />

foresta in una formazione a ventaglio, di qua e di là della scia<br />

lasciata dall'orso. Ci estendevamo in ampiezza almeno per cento<br />

passi, anche se la natura selvaggia di quel fianco del burrone<br />

impediva ai gruppi di procedere di pari passo.<br />

«Cos'è quello?» Filippo aveva visto qualcosa, e mi girai subito a<br />

guardare dove stava indicando. Vidi un balenare di metallo in un<br />

grosso cespuglio che l'orso aveva attraversato correndo, e la spada fu<br />

subito di nuovo nelle nostre mani. L'elsa doveva essersi impigliata<br />

nel cespuglio, e la spada si era sfilata dal corpo della belva.<br />

«Dev'essere morto per forza» borbottò Filippo. «Non può aver<br />

perso tutto questo sangue ed essere ancora vivo. Guarda, dopo il<br />

cespuglio perdeva molto più sangue. La spada deve avergli lacerato<br />

la ferita nell'uscire dal corpo.» Mi guardò. «Non sei d'accordo?»<br />

Annuii. Filippo lanciò un grido ai suoi uomini.<br />

«State all'erta da qui in avanti! La bestia è qui vicino. Logica vuole<br />

che sia morta, ma finché non l'avremo scuoiata, non date nulla per<br />

scontato!»<br />

Lo trovammo meno di cinquanta passi più su, ed era morto da<br />

tempo. Era enorme, con una gobba <strong>sul</strong>la schiena, grosso almeno<br />

quanto quello che avevo affrontato davanti al fortino di Athol, in<br />

Eire. Ed era vecchio. Aveva perso un occhio in un combattimento e<br />

portava decine di altre cicatrici. <strong>Il</strong> pelo era argentato in più punti,<br />

solo le tre zampe rimaste erano ancora nere. Lo fissai a lungo,<br />

circondato dai commenti esterrefatti dei soldati che si avvicinavano a<br />

turno, per vedere il mostro da vicino.<br />

Constatammo che era morto da troppo tempo perché valesse la<br />

pena scuoiarlo. <strong>Il</strong> pelo sarebbe venuto via subito, dato che non era<br />

stato trattato immediatamente dopo la morte, e così decidemmo di<br />

lasciare lì la carcassa e tornare allo spiazzo dove avevamo legato i<br />

cavalli. Durante il tragitto, tutti parlavano di Rufio e delle sue<br />

possibilità di farcela, ma i miei pensieri erano fissi su Ironhair, e su


come quel vecchio orso canuto potesse in qualche modo<br />

rappresentarlo.<br />

L'ultimo, e forse il più sorprendente, degli incidenti dell'Autunno<br />

delle Belve avvenne il giorno successivo. Persino oggi, se ci ripenso,<br />

come ho fatto spesso negli anni trascorsi da allora, il ricordo mi<br />

riempie di meraviglia e di soggezione quasi religiose.<br />

L'estate precedente, avevamo cominciato a estrarre la friabile<br />

pietra locale da una cava scoperta <strong>sul</strong> fianco di una collina, sopra e<br />

dietro il forte. Usavamo le pietre per riparare parti del forte che<br />

erano rimaste cadenti ma che, essendo dentro le mura, non ci era<br />

mai sembrato urgente ripristinare. <strong>Il</strong> vero motivo di quel progetto<br />

era molto semplice: gli uomini addestrati alla guerra e lasciati<br />

inattivi, con le mani in mano, si annoiano ben presto e divengono<br />

difficili da governare. <strong>Il</strong> lavoro pesante nella cava li teneva lontano<br />

dai guai e in buona forma fisica. Ho il sospetto che fosse stato<br />

quello, secoli prima, il vero motivo anche della costruzione del<br />

grande Vallo di Adriano, che attraversa il nord della Britannia da<br />

una costa all'altra.<br />

<strong>Il</strong> giorno in cui avvennero i fatti che sto per narrare, ero salito alla<br />

cava con Benedetto e Filippo, un po' per verificarne le condizioni e<br />

un po' per tenere alto il morale dei nostri uomini con un<br />

interessamento diretto a quello che stavano facendo. Era una<br />

giornata cristallina e bellissima, con quel primo morso di gelo<br />

nell'aria assolata che arriva a un certo punto dell'autunno.<br />

Parlavamo delle condizioni di Rufio. L'eccezionale bravura di<br />

Lucano ci dava motivo di sperare che il nostro amico sarebbe<br />

sopravvissuto a ferite che avrebbero ucciso qualsiasi uomo, anche<br />

forte come lui. Nessuno se la sentiva di affermarlo con certezza,<br />

però, e l'intera vicenda ci sembrava avere qualcosa di miracoloso. La<br />

spalla e il braccio destro erano stati maciullati dagli artigli della<br />

belva, in certi punti i muscoli erano stati staccati dalle ossa, mentre<br />

<strong>sul</strong>la spalla sinistra c'erano quattro fori spaventosi, due davanti e due<br />

dietro, dove l'orso aveva tentato di staccargli un braccio con un<br />

morso. Le costole erano acciaccate e il femore destro spaccato di<br />

netto, ma il cranio sembrava intatto. Lucano era sicuro che Rufio ce


l'avrebbe fatta, anche se probabilmente non avrebbe mai più<br />

brandito una spada.<br />

Benedetto e io ci allontanammo da Filippo e dagli uomini che<br />

lavoravano nella cava, avventurandoci cautamente <strong>sul</strong>la pietraia<br />

scoscesa. Non avevamo ancora attraversato l'intera larghezza della<br />

cava. La faccia esposta dello spacco nella montagna - la macchia<br />

biancastra che, essendo visibile dal forte, ci aveva fatto salire fin qui<br />

a cercare pietra - era <strong>sul</strong>la nostra sinistra, e la bassa erba di montagna<br />

ricominciava una ventina di passi più in basso rispetto a dove<br />

eravamo arrivati. D'un tratto Benedetto si fermò, e mi posò una<br />

mano <strong>sul</strong> petto per fermare anche me.<br />

«Ehi, guarda laggiù» disse.<br />

Mi girai a guardare dove aveva accennato e lì per lì, finché un<br />

allarme interiore non mi fece battere forte il cuore in petto, non<br />

riuscii a capire ciò che vedevo. Quello che accadde poi fu molto<br />

veloce ma ogni volta che ci ripenso, l'azione, nei miei ricordi, è<br />

stranamente rallentata, e tutto sembra accadere con dei tempi<br />

lunghissimi. C'era un animale, una piccola volpe, che trotterellava su<br />

per la collina venendo dritta verso di noi, la lingua penzoloni fuori<br />

dalla bocca.<br />

Io pensai che non ci avesse visto, giacché le volpi meritano<br />

sicuramente la loro fama di bestie molto intelligenti, e uno dei modi<br />

in cui lo dimostrano è il fatto che si guardano bene dall'avvicinare<br />

l'uomo. Ma cambiai subito idea, perché l'animale guardava dritto<br />

verso di noi.<br />

«Strana volpe, vero? Sembra addomesticata...»<br />

Le parole di Benedetto mi gelarono il sangue. Guardai meglio<br />

l'animale, che aveva già coperto metà della distanza che lo separava<br />

da noi, e mi accorsi che dalle fauci aperte colava uno spesso rivolo di<br />

saliva.<br />

Poi sentii il ringhio costante che emetteva.<br />

«No, Ben, non è addomesticata, è impazzita: è rabbiosa! Ci sta<br />

attaccando e se morde uno di noi, è la morte certa! Svelto, su per la<br />

collina. Muoviti!»<br />

Benedetto esitò per un istante, lo sguardo <strong>sul</strong>la volpe e la mano


<strong>sul</strong>la corta spada alla sua cinta. Gli afferrai un braccio mentre gli<br />

passavo accanto, trascinandolo verso l'alto.<br />

«Arrampicati, maledizione! Non estrarla, ti serviranno entrambe le<br />

mani per salire più in fretta!»<br />

Quando lo vidi salire spedito, mi voltai e tentai di tirare qualche<br />

grossa pietra contro la volpe, che era ormai a meno di venti passi da<br />

me. Le evitò senza sforzo e continuò a salire. Ripresi la fuga,<br />

gridando a Benedetto: «Se ne avrà la forza, si arrampicherà anche lei.<br />

Sii pronto ad ucciderla quando arriva in cima. Non tentare di<br />

pugnalarla, mozzala in due!».<br />

Lo strapiombo che incominciammo a risalire era alto forse una<br />

quindicina di passi in quel punto, e non era troppo difficile da<br />

scalare, né per noi né per la volpe.<br />

«Quella figlia di puttana ci segue ancora!» disse Benedetto,<br />

ansimando.<br />

«Lasciala venire! Pensa a salire» risposi, anch'io con il fiato corto.<br />

Poi afferrai una sporgenza di roccia, che si staccò nella mia mano<br />

nel momento stesso in cui vi caricai la maggior parte del peso. Seppi<br />

subito, istintivamente, che stavo per cadere, e che l'animale<br />

contagiato dalla rabbia era direttamente sotto di me. Per un lungo<br />

momento rimasi aggrappato alla pietraia con la sola forza della<br />

disperazione, poi un piede perse l'appoggio. Riuscii in qualche modo<br />

a girarmi subito, in modo da scivolare lungo la pietraia <strong>sul</strong>la schiena:<br />

una caduta dolorosa ma che, perlomeno mi permetteva di vedere<br />

dove sarei andato a finire.<br />

Non feci a tempo e girarmi che la volpe mi comparve davanti agli<br />

occhi, le fauci aperte e un cordone di saliva che scendeva ad<br />

avviluppare il mio braccio. Ritirai istintivamente il braccio e sentii il<br />

colpo delle mascelle della bestia che si chiudevano a vuoto, mentre<br />

con una gamba scalciavo via le sue zampe posteriori dal loro<br />

appoggio, così che rotolammo giù insieme, anch'essa incapace di<br />

frenare la caduta.<br />

Riuscii ad atterrare in piedi in fondo alla scarpata, pieno di graffi e<br />

lividi, e trovai la forza di buttarmi in avanti in un tuffo a ruzzoloni,<br />

come quelli che si fanno per evitare il colpo di un'arma che non si


può più parare. In un attimo ero di nuovo in piedi e correvo<br />

all'impazzata, guardandomi dietro le spalle. La volpe mi era già alle<br />

calcagna. Udii vagamente delle voci concitate sopra di me mentre<br />

facevo una decina di lunghi passi, quasi dei salti. Poi inciampai su<br />

una pietra sporgente e volai a terra violentemente. Mi girai, un po'<br />

rintronato, e mi sollevai su un gomito, appoggiato alla schiena,<br />

rassegnato ad affrontare il mio destino.<br />

La volpe aveva già spiccato il balzo verso la mia gola, i denti<br />

giallastri scoperti, quando un'ombra passò sopra di me. Ci fu un<br />

forte tonfo di corpi in collisione, come il rumore di un pugno su un<br />

corpo nudo, poi un'aquila enorme comparve, sospesa a mezz'aria<br />

davanti ai miei occhi, il corpo della volpe stretto nei possenti artigli.<br />

Per un attimo rimase lì ferma, le ali che sbattevano lentamente<br />

con le punte che quasi sfioravano il terreno. Tre, quattro colpi d'ala,<br />

quindi uccello e preda iniziarono a sollevarsi nell'aria. L'aquila<br />

sembrò gettarmi uno sguardo e poi si allontanò, colpo dopo colpo,<br />

verso le cime degli alberi. Mi tirai su in ginocchio, ansimando, e poi<br />

in piedi, senza mai smettere di seguire con lo sguardo i colpi di<br />

quelle ali.<br />

La mia salvezza, la maestosa magnificenza dell'aquila, il miracolo<br />

del suo intervento, tutto contribuì a paralizzarmi come sotto l'effetto<br />

di un incantesimo, e rimasi lì per vari minuti, seguendo i cerchi<br />

sempre più grandi che l'uccello tracciava nel cielo, fino a divenire<br />

piccolo come un passero. Poi l'aquila lasciò cadere la volpe, e io<br />

guardai l'animale precipitare a terra fino a quando lo sentii<br />

schiantarsi <strong>sul</strong>le rocce dietro di me. L'aquila era ormai un puntino che<br />

si allontanava nel cielo.<br />

Che cosa aveva portato lì quell'aquila proprio in quel momento?<br />

Forse Dio sorveglia davvero le vite di ogni singolo essere umano,<br />

come insegna la Chiesa. Quell'aquila era stata mandata per salvare<br />

me? La parte sana e razionale di me rifiutava quel pensiero, ma non<br />

potei fare a meno di chiedermi se ero stato salvato da morte certa<br />

per poter compiere la mia missione.<br />

L'arrivo degli altri interruppe quel mio stato trasognato. Erano<br />

pieni di meraviglia quanto me per ciò che avevano appena visto e io<br />

non dissi nulla, rimuginando queste cose nel mio cuore.


Quella sera, quando eravamo tutti all'assemblea generale prima<br />

della cena, seduti intorno al fuoco davanti alla porta del forte,<br />

Shelagh e Donuil vennero dove ero seduto con un braccio attorno<br />

alla vita di Tressa.<br />

«È una splendida serata, Cay. Vi va di fare due passi?»<br />

Tressa era già in piedi e si aggiustava lo scialle <strong>sul</strong>le spalle. Mi fu<br />

subito chiaro che avevano qualcosa da dirmi, che non volevano<br />

fosse udito da altri. Annuii in silenzio e mi alzai in piedi.<br />

Camminammo per un pezzo lungo le mura, le donne che<br />

chiacchieravano animatamente davanti mentre Donuil e io le<br />

seguivamo in silenzio. Quando fummo abbastanza lontani, Shelagh<br />

venne a infilare il suo braccio sotto il mio.<br />

«Allora, cosa riguarda questa storia?» le chiesi.<br />

Sorrise sorniona. «I sogni, Caio. Cos'altro?»<br />

«Vai avanti.» Shelagh si fece correre la lingua sui denti, spingendo<br />

in fuori più volte le labbra, come se pensasse da dove cominciare.<br />

«Ricordi il primo sogno che tentammo di interpretare insieme?»<br />

Annuii. «Certo. Eravamo in Eire, e fu la prima notte che ci<br />

conoscemmo, quando tuo padre e gli altri se ne andarono alla<br />

ricerca di quel tale, quel Rud, che era scomparso nella foresta.»<br />

In quell'occasione Shelagh aveva avuto paura che avrei tradito il<br />

suo segreto - cioè che anche lei "soffriva" di sogni premonitori - e che<br />

la sua gente l'avrebbe ripudiata, additandola come una strega. Non<br />

era stato facile convincerla che il suo segreto era al sicuro con me,<br />

ma quando ci fui riuscito mi raccontò il suo sogno, senza omettere<br />

nessun particolare.<br />

Aveva sognato un orso, un cinghiale e un drago che facevano<br />

battaglia. Solo l'orso era sopravvissuto. Poi l'orso cavalcò in piedi su<br />

un toro bianco e incontrò un altro orso, e i tre si batterono al centro<br />

di un cerchio di lupi. Quando il primo orso fu gravemente ferito e<br />

sembrò <strong>sul</strong> punto di soccombere, una grande aquila entrò in scena su<br />

un raggio di luce e attaccò i lupi, disperdendoli. Uccise il gigantesco<br />

capobranco e gli strappò il pelo, rivelando le sottostanti rosse scaglie


di un drago. Infine Shelagh aveva visto me, che guardavo la scena<br />

dall'ombra <strong>sul</strong>lo sfondo. Aveva visto il drago rosso riprodotto <strong>sul</strong><br />

mio petto, e l'aquila venire a posarsi <strong>sul</strong>la mia spalla.<br />

Narrai tutto questo a Shelagh, senza tralasciare nulla. Seguì un<br />

lungo silenzio.<br />

«Hmm» disse infine lei. «La tua memoria è incredibilmente precisa,<br />

dopo dieci anni.»<br />

La contraddissi con un sorriso. «Non dovrebbe sorprenderti. Eri la<br />

sola persona che avessi mai incontrato che faceva sogni come i miei,<br />

e per giunta io stesso comparivo nel tuo sogno. Certo che mi ricordo<br />

ogni minimo dettaglio. Ma perché me ne parli adesso?»<br />

Questa volta l'avevo davvero sorpresa. «E me lo chiedi? È mai<br />

possibile che tu non veda alcun nesso tra quel sogno e quello che è<br />

successo oggi?»<br />

Mi sforzai di non sembrare sarcastico. Non volevo ferire i suoi<br />

sentimenti, visto che in tutta sincerità, persino in quel momento,<br />

quel nesso non lo vedevo. L'aquila nel suo sogno aveva ucciso un<br />

lupo gigantesco, la mia aveva ucciso solo una piccola volpe.<br />

«Mi sembra di capire che tu invece lo vedi» dissi infine.<br />

«Certo che lo vedo, e dovresti vederlo anche tu. Ma c'è un altro<br />

motivo. Devi sapere che ho rifatto quel sogno, due notti fa, e questa<br />

volta era cambiato.»<br />

Aggrottai la fronte, chiedendomi dove mi volesse portare con<br />

quei discorsi. <strong>Il</strong> romano razionale e civilizzato - la parte cinica e<br />

incredula di me, così riluttante a riconoscere l'esistenza di una<br />

potenza sovrannaturale dei sogni - combatteva quella che<br />

considerava la parte celtica, superstiziosa e pericolosamente<br />

credulona. Ma sentendo l'intensità della sua voce, decisi di<br />

assecondarla.<br />

«Cambiato? In che modo?»<br />

Fece una pausa, guardandomi, poi continuò. «Quel sogno fu<br />

molto importante per me, Cay. Era troppo simbolico, per essere<br />

ignorato. Negli anni che sono trascorsi da allora, sono sicura di aver<br />

capito alcune delle cose che profetizzava.»


«Ah sì? Io non ne ho mai decifrato nessuna parte, se non le cose<br />

che sarebbero ovvie a chicchessia. Ma non è che ci abbia pensato<br />

così spesso, lo confesso...»<br />

Inclinò il capo. «Le cose ovvie? E quali sarebbero?»<br />

«Be', la cosa più ovvia ero io. L'orso è il mio emblema, l'emblema<br />

di Camelot, se vuoi, così come il drago era l'emblema di Uther e<br />

della Cambria. Insieme, Camelot e la Cambria distruggevano Lot, il<br />

cinghiale di Cornovaglia. Fin qui, con il senno di poi, la cosa fu<br />

ovvia persino per me. Ma il cerchio di lupi e il loro capo gigantesco?<br />

Lì ti confesso che ho perso di vista il senso del sogno... e anche il<br />

toro bianco non significa nulla per me. O l'aquila, se è per questo, se<br />

non per il fatto che una volta simboleggiava le legioni di Roma, che<br />

se ne sono andate da molto tempo, per non tornare mai più.»<br />

Shelagh annuì, guardando Tressa e Donuil, che ci ascoltavano con<br />

grande attenzione. «Tra ieri e oggi, credo anche di aver compreso<br />

qualcosa di più di prima» disse poi.<br />

«Cosa, per esempio? Forza, dimmelo, ora che mi hai costretto ad<br />

ascoltarti.»<br />

«Be', credo di aver compreso a cosa alludono il toro bianco, e<br />

forse anche l'aquila.»<br />

Ripensai agli emblemi delle forze in campo in Britannia, schierate<br />

con me o contro di me, e improvvisamente compresi anch'io.<br />

«Ma certo! Come ho potuto non accorgermene? L'aquila è di<br />

Pendragon! <strong>Il</strong> loro capo, in guerra, indossa l'elmo sormontato<br />

dall'aquila! Ricordo Ullic Pendragon, il nonno di Uther, con l'aquila<br />

<strong>sul</strong>la testa.»<br />

«Sì, Caio, ma c'è di più. Parecchi dei guerrieri celti di Pendragon,<br />

come tutti i guerrieri dell'antico impero, sono seguaci della religione<br />

di Mitra, il cui simbolo è il Toro Bianco.»<br />

Stavo per obiettare, ma mi zittì con una mano alzata. «No,<br />

aspetta! So cosa vuoi dire, ma Mitra non era una divinità romana. I<br />

soldati romani lo veneravano, ma lui era già un dio quando Roma<br />

non esisteva ancora, ha avuto molti nomi in molte epoche e terre<br />

diverse, ma sempre il significato di quel nome è stato "il Toro<br />

Bianco".»


«Frena, Shelagh.» Non avevo nulla da ridire su ciò che aveva<br />

detto della religione di Mitra, ma nutrivo ancora dei seri dubbi.<br />

«Così mi confondi. Come può Pendragon essere rappresentato sia<br />

dall'aquila sia dal toro bianco, in uno stesso sogno?»<br />

«Non ho detto che lo fosse. Sei tu che sostieni l'identità dell'aquila<br />

con Pendragon. Ma non è incompatibile con la mia interpretazione,<br />

perché io penso che l'aquila sia Artù. Sta' a sentire in che modo è<br />

mutato il mio sogno. Anche questa volta l'orso e il drago<br />

combattono insieme e sconfiggono il cinghiale, ma solo l'orso<br />

sopravvive. Questo, come dici tu, è ovvio, giacché Uther e Lot sono<br />

morti entrambi. L'orso va poi, in groppa al toro bianco, a<br />

combattere un'altra bestia, qualcosa di simile a un orso, ma non è<br />

proprio un orso, è qualcosa di più spaventoso e selvaggio, come se<br />

un orso fosse stato incrociato con un lupo, o qualche altra belva<br />

tremenda. Era un...» Esitò, cercando una parola che non conosceva.<br />

«Una chimera» dissi io.<br />

«Una che?»<br />

«Una mostruosa creatura mitica, formata da parti diverse di belve<br />

diverse.»<br />

«Sì, allora era una... chimera.»<br />

«E cosa accadde quando si scontrarono queste creature?»<br />

Shelagh sollevò il mento e mi guardò negli occhi. «Si batterono<br />

nel cerchio di lupi, tra fiumi di sangue e quando fu finito, l'orso era<br />

gravemente ferito. Pensò di appartarsi per morire, ma<br />

improvvisamente calò l'oscurità e, come lanciata dalle spalle del toro<br />

bianco su un raggio di luce, giunse l'aquila a salvarlo, la chimera si<br />

ritirò, e i lupi furono sbaragliati.»<br />

Annuii, trattenendo l'impulso di sorridere quando mi accorsi<br />

dell'espressione rapita con cui Donuil seguiva i pronunciamenti<br />

profetici di sua moglie. Purtroppo, invece di sorridere, insinuai nella<br />

mia voce più ironia di quella che intendevo.<br />

«Così l'orso sopravvisse. Insomma vivrò...»<br />

Ma Shelagh non aveva sorrisi, né <strong>sul</strong> viso né nella voce. «No, Cay.<br />

L'orso non si riprese. Cadde morto. Eppure, alla fine del sogno, lo


vidi alzarsi di nuovo dalla propria forma inanimata. Un orso che<br />

giaceva morto e un altro, identico, che si alzava dal cadavere,<br />

integro e vivo, e si allontanava. E poi ecco di nuovo te, come<br />

nell'altro sogno, il drago <strong>sul</strong> petto e l'aquila <strong>sul</strong>la spalla, che ti<br />

allontani recedendo nell'ombra...»<br />

«Capisco» mormorai dopo qualche istante, anche se in realtà non<br />

capivo gran che. Qualunque fosse il significato che Shelagh si<br />

aspettava di sentirmi attribuire a quella visione, mi rimaneva oscuro.<br />

«Insomma mi stai dicendo che il tuo sogno farebbe di me una sorta<br />

di novello Gesù Cristo, che risorge dalla morte...»<br />

Scosse il capo, non in segno di diniego, ma per manifestare la<br />

propria ignoranza in proposito, e per un po' tacemmo tutti. Infine<br />

Donuil, pragmatico come sempre, disse che moriva di fame e che<br />

stavamo per mancare la cena. Shelagh mi guardò.<br />

«In ogni modo, questo è ciò che volevo dirti. <strong>Il</strong> mio sogno era<br />

diverso, la seconda volta, e anche se non capisco il significato dei<br />

cambiamenti sento, dentro di me, che sono importanti. E poi le<br />

coincidenze tra alcune parti del sogno e gli avvenimenti di oggi sono<br />

troppo evidenti per essere ignorate. <strong>Il</strong> tuo emblema è sempre stato<br />

l'orso. <strong>Il</strong> pericolo che hai corso oggi non veniva da lupi, ma veniva<br />

comunque da una creatura canina e rabbiosa, e l'aquila ti ha salvato<br />

la vita, distruggendo la creatura nel farlo. Non sono coincidenze,<br />

credimi, Cay.»<br />

«E allora cosa sono, Shelagh, magia?»<br />

Inclinò la testa e mi guardò di sbieco. «Forse. Chi siamo tu o io<br />

per saperlo?»<br />

«Non fa nulla» disse Tressa, che non aveva ancora aperto bocca.<br />

«Non importa cosa sia, magia o altro. Qualcosa è cambiato, e a me<br />

sembra chiaro che tu ne sei emerso vincitore, Cay, visto che l'aquila<br />

ti ha salvato la vita. Ciò che tutto questo significa diverrà chiaro col<br />

tempo.»<br />

«Tu quoque?» Le sorrisi. «E va bene. Accetterò le vostre parole,<br />

donne, e presterò attenzione agli avvertimenti del sogno. E seguirò<br />

anche il tuo consiglio Donuil, perché anch'io sto morendo di fame.<br />

Andiamo a cena.»


Sarebbero passati alcuni anni prima che io scoprissi che Horsa<br />

chiamava i suoi selvaggi danesi "Lupi di Mare", e che si vantava di<br />

essere il loro Re Lupo. Se quel giorno avessimo posseduto quella<br />

semplice informazione avremmo potuto facilmente interpretare la<br />

"chimera" del sogno di Shelagh. Ma se lo avessimo saputo allora,<br />

forse il terrore ci avrebbe impedito di seguire le scelte e i<br />

comportamenti che qualche potenza invisibile voleva che seguissimo.<br />

La settimana dopo l'episodio della volpe e dell'aquila cominciò a<br />

piovere, e per i quindici giorni che seguirono il nostro intero mondo<br />

fu grigio, bagnato e ammuffito. Grossi banchi di nebbia entravano<br />

nella valle e vi si spingevano come nuvole disperse che cercassero di<br />

ricongiungersi alle nuvole sopra le nostre teste.<br />

La nostra gente, per la prolungata assenza della luce del sole, finì<br />

per calare in una malinconia collettiva, vittima delle giornate sempre<br />

più grigie e corte e dell'oscurità sempre più precoce. Persino i cavalli,<br />

il bestiame e i maiali cercavano riparo dove potevano, troppo<br />

abbacchiati per cercare erba da mangiare. Ogni tanto udivamo<br />

lunghi tuoni srotolarsi in lontananza, ma sempre senza alcun lampo.<br />

Ci abituammo al silenzio ovattato che ci circondava, rotto soltanto<br />

dal picchiettare costante e dall'interminabile gocciolio della pioggia.<br />

Poi, nel pomeriggio del quindicesimo giorno, uscendo da uno<br />

degli edifici del forte, guardai in alto e intravidi un colore giallastro e<br />

luminoso nel cielo sopra le colline, a occidente. Mi appoggiai a uno<br />

stipite, non credendo ai miei occhi, con un gradevole brivido nel<br />

petto. Pensai di tornare dentro per annunciare agli altri la lieta<br />

novella, ma poi decisi di concedere anche a loro la gioia di scoprirlo<br />

da soli.<br />

<strong>Il</strong> breve periodo di giornate miti e soleggiate che seguì la pioggia<br />

fu l'ultimo colpo di coda dell'estate. Finite quelle, la temperatura<br />

crollò e le mattine si fecero rigide di gelo, che durava a volte quasi<br />

fino a mezzogiorno. Ben presto cominciò a cadere qualche fiocco di<br />

neve ogni tanto, e la gente si affrettò a terminare la cura delle carni<br />

salate ed essiccate, a sciogliere il grasso che ci sarebbe servito per<br />

cucinare e fare sapone e ad ammassare la legna e le provviste per i<br />

lunghi mesi dell'inverno.


Poco dopo l'inizio delle nevicate, giunse il tempo dei Saturnalia<br />

romani, la settimana del 25 dicembre. Solo Lucano, io e pochi altri a<br />

Mediobogdum sapevamo che l'imperatore Costantino, meno di<br />

cent'anni prima, aveva trasformato l'antica festa dei Saturnalia<br />

romani nella data provata della nascita di Cristo. Nessuno lo aveva<br />

contraddetto - pare non fosse cosa saggia - e anche se la coincidenza<br />

parve a tutti un po' forzata, la cristianità strappò quella data ai riti<br />

dei pagani, la cristianizzò e la santificò, rendendola rispettabile quasi<br />

da un giorno all'altro. Ma per i più anziani e per quelli che<br />

ricordavano le celebrazioni pagane in tutto l'Impero, il mese di<br />

dicembre rimase il mese dei Saturnalia, quando tutti celebravano il<br />

superamento del giorno più corto dell'anno, il completamento delle<br />

preparazioni per l'inverno e la certezza di poterlo affrontare senza<br />

paura.<br />

I nostri Saturnalia di quell'inverno furono allietati dalla piacevole<br />

sorpresa di una missione di sei uomini da Camelot che recavano<br />

lettere da casa, per me e per molti degli altri. Erano scesi dal passo<br />

nelle prime ore della prima vera bufera di neve di quell'inverno, e in<br />

seguito avevano espresso la loro gratitudine agli dèi per aver<br />

compiuto l'intero viaggio, così tardi nell'anno, senza guai seri. <strong>Il</strong> fatto<br />

stesso che fossero arrivati in quel momento mi fece capire che mio<br />

fratello doveva avere cose urgenti, forse gravi, da comunicarmi e mi<br />

assentai immediatamente per leggere la sua missiva. Era lunga, e la<br />

lessi con preoccupazione crescente, notando con perplessità che non<br />

c'era un saluto iniziale che riportasse il mio nome.<br />

«Fratello,<br />

Spero che questa mia ti trovi in buona salute, anche se temo che<br />

leggerla non contribuirà alla tua serenità, dovendo essa riflettere le<br />

mie preoccupazioni attuali. So già che il suo arrivo così avanti<br />

nell'anno avrà già suscitato in te cattivi pensieri e la paura che non<br />

tutto a Camelot vada come dovrebbe. Lascia che ti tranquillizzi<br />

subito a questo riguardo. Camelot sta bene. Qui tutto procede per il<br />

meglio.<br />

Altrove, però, le cose non vanno affatto bene e degenerano<br />

precipitosamente. È tardi, e ho poco tempo per scrivere anche


perché devo dormire almeno un poco e poi alzarmi prima dell'alba,<br />

per guidare una colonna dei nostri migliori cavalieri, a tappe forzate,<br />

fino alla fortezza di Dergyll ap Griffyd, in Cambria. Ci affretteremo,<br />

anche se in realtà sappiamo di partire troppo tardi.<br />

Dergyll è morto. <strong>Il</strong> come e il perché ti diverranno chiari nel<br />

proseguire la lettura. Peter Ironhair è ricomparso, dopo lunghi anni<br />

di silenzio. Poche, confuse notizie delle sue attività ci erano giunte<br />

qualche mese fa, poco prima della partenza del contingente<br />

autunnale verso il vostro rifugio.<br />

Devi sapere che ho preso le misure del caso appena ho sentito<br />

nuovamente parlare di Ironhair. Ho costretto il Consiglio ad<br />

approvare una nuova campagna di reclutamento, la più estesa da<br />

quando esiste Camelot. Ho chiesto un aumento delle nostre forze di<br />

duemila uomini, metà subito e metà entro un anno, la nostra<br />

capacità di armare e addestrare un simile numero di nuove truppe<br />

non è il problema, lo è invece trovare loro dove abitare e sfamarli,<br />

comprese le mille persone che si porterebbero dietro. Manderemo a<br />

<strong>Il</strong>chester quelli non del tutto privi di esperienza, anche se la<br />

guarnigione laggiù è già a corto di spazio e non osiamo far<br />

accampare nessuno fuori dalle mura. Ma dovremo reclutarli e<br />

sfamarli, non abbiamo scelta, e se fossimo attaccati tu sai quanto<br />

rapidamente persino quei grandi numeri si ridurrebbero. <strong>Il</strong> dilemma<br />

di Camelot sembra non cambiare mai, e le soluzioni di oggi fanno<br />

parte dei problemi di domani. Ma quello che volevo sottolineare è<br />

che le nostre forze saranno ormai vicine ai diecimila uomini.<br />

Nel frattempo, dopo l'arrivo di Benedetto da voi, mi è giunta la<br />

tua lettera che annuncia il vostro rientro subito dopo le nevi. Quella<br />

notizia, e soprattutto la determinazione nel tuo tono, mi hanno<br />

molto sollevato. Abbiamo bisogno di te, quaggiù. Cercherò di essere<br />

breve, perché le cose da dire sono molte.<br />

Sembra proprio che i tuoi sospetti su Owain delle Grotte fossero<br />

giustificati, giacché quest'ultimo è scomparso, e ci è giunta voce che<br />

abbia trovato un posto tra gli uomini di Ironhair in Cornovaglia.<br />

Temo che si sia accorto che lo avevo messo sotto sorveglianza e un<br />

giorno, più di un mese fa, è semplicemente uscito dalla porta<br />

principale e non è più stato visto, almeno non nei nostri


possedimenti. Non ho le prove che si trovi in Cornovaglia, ma dati i<br />

tuoi sospetti, le voci che giungono a riguardo paiono credibili.<br />

La Cornovaglia è nel caos da più di un anno ormai, lacerata dai<br />

capi-tribù agli ordini di Ironhair, il più disgustoso dei quali è quella<br />

creatura dissennata, Carthac. Ora sembra che le guerre laggiù siano<br />

finite, perché ogni oppositore della supremazia di Ironhair e Carthac<br />

è stato sottomesso oppure ucciso.<br />

Un mese fa, Carthac ha mandato una spedizione via mare dalla<br />

Cornovaglia alla Cambria, giungendo vicino alla vecchia città<br />

romana di Venta Silurum, chiamata Caerwent dai Celti del luogo. Da<br />

lì ha guidato attacchi feroci verso l'interno, bruciando e<br />

massacrando, ed è arrivato a minacciare il forte di Dergyll a Cardiff.<br />

Dergyll ha raccolto i suoi guerrieri e gli è andato incontro vicino<br />

al forte e nella battaglia si è trovato faccia a faccia con il suo parente,<br />

Carthac, venuto fin lì per trovarlo e ucciderlo. Ci è giunto il<br />

racconto, insieme a una disperata richiesta di aiuto, di come lo abbia<br />

fatto. In un assalto degno degli eroi dell'antichità, si è letteralmente<br />

aperto la strada, quasi solo, attraverso la guardia personale scelta di<br />

Dergyll e ha ucciso il re, decapitandolo, smembrandolo dopo averlo<br />

ucciso e infine togliendogli il cuore dal petto e mangiandolo davanti<br />

a tutti i suoi uomini.<br />

Come puoi immaginare, quella vista è stata troppo per i soldati di<br />

Cambria. Sono fuggiti dal campo di battaglia e si sono dispersi in<br />

tutte le direzioni, inseguiti dalle furie scatenate di Carthac. Cymbric,<br />

il primogenito di Dergyll, è riuscito a ricomporre una parte delle<br />

forze dopo un po', ma i sopravvissuti non ne volevano sapere di<br />

affrontare di nuovo l'invasore pazzo, che consideravano maledetto<br />

dai loro dèi e perciò immune da qualsiasi essere, umano o divino.<br />

Cymbric mi ha mandato una richiesta urgente di assistenza per<br />

riconquistare il reame di suo padre, e siccome si tratta, in realtà, del<br />

reame di Artù, ho deciso che non possiamo sottrarci alle nostre<br />

responsabilità. Inoltre, se proprio deve succedere che Ironhair e<br />

Carthac vengano sfidati da truppe di Camelot, e comincio a credere<br />

che sia inevitabile, preferisco almeno che accada lontano dalle nostre<br />

terre.<br />

Ma non è ancora tutto. Mi è giunta voce dall'estremità opposta


della Britannia che anche Hengist è morto di morte innaturale, in<br />

Northumbria, e anche quelle lande sono piombate nella guerra. Non<br />

ho ancora ricevuto notizie di Vortigern, cosi temo il peggio anche lì.<br />

Queste notizie dal nord mi preoccupano ancor più di quelle dalla<br />

Cornovaglia e dalla Cambria.<br />

<strong>Il</strong> nemico quaggiù lo conosciamo, ma nel nord-est potremmo<br />

trovarci davanti degli stranieri, diversi da noi nel linguaggio, negli usi<br />

e soprattutto, come tu sai, nel modo di combattere. Ho il timore che<br />

possano lanciarsi attraverso tutta la Britannia e giungere fino a noi.<br />

Perciò, caro fratello, non perdere tempo nel partire una volta che<br />

le nevi si saranno sciolte. Se Connor si rifacesse vivo prima della tua<br />

partenza, vieni a sud con le sue navi e lascia che i tuoi uomini<br />

seguano la via di terra. Abbiamo bisogno della tua presenza a<br />

Camelot. Qui tutto è come l'hai lasciato e continua a crescere e a<br />

prosperare, ma chi può sapere per quanto tempo ancora?<br />

Attendo con ansia di abbracciarti e rivedere il tuo sorriso.<br />

Dopo aver letto la lettera per la terza volta, chiamai una guardia<br />

e feci convocare Lucano, Donuil, Dedalo, Benedetto, Filippo e Falvo<br />

nella mia stanza. <strong>Il</strong> primo ad arrivare fu Lucano, come mi aspettavo,<br />

giacché l'infermeria era accanto ai miei quartieri e Rufio, che<br />

migliorava a vista d'occhio, era il suo unico paziente. Ma il Lucano<br />

che comparve <strong>sul</strong>la mia soglia non era quello che mi aspettavo di<br />

vedere. Era pallido e consunto, gli occhi cerchiati e iniettati di<br />

sangue. Si fermò appena entrato, incerto <strong>sul</strong>le gambe, e dovette<br />

allungare una mano <strong>sul</strong>lo stipite per tenersi dritto.<br />

Mi precipitai accanto a lui e gli presi un braccio, sconvolto dal suo<br />

aspetto, ma mi spinse via, borbottando che aveva solo preso un po'<br />

di freddo e che non era niente di serio. Lo accompagnai alla mia<br />

poltrona e gli versai un po' del vino che avevo preparato. Lo accettò<br />

e ne bevve un lungo sorso lentamente, posandolo poi con un<br />

sospiro <strong>sul</strong> tavolino che gli avevo subito avvicinato. Lo guardai<br />

attentamente, cercando di nascondere la mia preoccupazione,<br />

perché sapevo che qualsiasi mia attenzione lo avrebbe offeso.<br />

A.»


Lucano non aveva mai avuto pazienza per le proprie infermità e si<br />

rifiutava semplicemente di ammalarsi come chiunque altro.<br />

Sembrava trovare una sua malattia o debolezza un in<strong>sul</strong>to alle sue<br />

capacità di medico, ed era forse l'unica sua forma di vanità. Questa<br />

volta però era malato davvero, e non aveva neppure la forza di<br />

negarlo.<br />

Quando riprese in mano il calice di vino mi accorsi di come<br />

tremava la sua mano. Rimasi lì a mordermi l'interno di una guancia,<br />

pensando a come fare per occuparmi di lui senza sollevare le sue ire.<br />

Decisi che non appena fosse terminata la riunione, lo avrei affidato<br />

alle cure di Shelagh e Tressa, che avrebbero ignorato tranquillamente<br />

le sue lamentele e i suoi rimbrotti con la stessa naturalezza con cui<br />

ignoravano i miei o quelli di Donuil.<br />

Guardai la testa di Lucano sotto di me, vedendo per la prima<br />

volta il pallore del suo scalpo sotto i capelli radi. <strong>Il</strong> mio amico era<br />

invecchiato spaventosamente, e in un tempo molto breve. Era<br />

sempre stato una figura alta e dinoccolata, ma ora era smagrito fino<br />

a sembrare emaciato, e i suoi movimenti erano lenti ed esitanti. Lo<br />

informai che avrei mandato Shelagh e Tressa a trovarlo, per<br />

somministrargli qualche brodo medicinale caldo. Borbottò qualcosa<br />

ma non si oppose.<br />

Quando furono arrivati tutti, lessi loro la lettera di Ambrogio ad<br />

alta voce, chiedendo loro di dirmi cosa ne pensavano. Prima Dedalo<br />

mi chiese di rileggerla, cosa che feci, poi seguì un silenzio che sembrò<br />

confermare la mia impressione che Ambrogio avesse detto tutto ciò<br />

che c'era da dire.<br />

Poi però Filippo parlò.<br />

«Se Connor comparirà prima della partenza, seguirai il consiglio di<br />

tuo fratello e ti imbarcherai con lui?»<br />

«Sì, credo che sia un'idea ragionevole. Mi porterò via quelli che<br />

giunsero qui con me, e tu riporterai i tuoi lungo la strada. Se le cose<br />

stanno come dice Ambrogio, e potrebbero essere già peggiorate,<br />

prima saremo di nuovo a Camelot e meglio sarà per tutti, non sei<br />

d'accordo?»<br />

Filippo scosse il capo, perplesso. «Sì, certo. Pensavo solo a quello


che dice Ambrogio della spedizione di Carthac in Cambria. Potrebbe<br />

esserci una flotta di navi della Cornovaglia tra noi e la costa più<br />

vicina a Camelot, e allora la tua sicurezza dipenderebbe dal numero<br />

di navi di Connor. Non sappiamo quante navi abbia portato con sé<br />

Carthac, ma se sono bastate per trasportare un esercito, potrebbero<br />

bastare anche per darti fastidio mentre ti sposti verso sud. Potresti<br />

addirittura essere più sicuro <strong>sul</strong>le strade.»<br />

Guardai Dedalo, che annuì in segno di approvazione. Poi guardai<br />

Donuil.<br />

«Che ne pensi, Donuil?»<br />

«Che Filippo ha ragione, ma che finché non sapremo quante navi<br />

Connor avrà con sé non possiamo prendere alcuna decisione.<br />

Potrebbe anche non venire del tutto: è una perdita di tempo<br />

discuterne ora.»<br />

«Sì, hai ragione. Dovremo aspettare e vedere. Ma una cosa è<br />

cambiata, rispetto a prima. Ora abbiamo la certezza di dover<br />

affrontare una guerra, almeno su un fronte. Se anche la minaccia dal<br />

nord-est non si materializzasse, non ci sarà pace in Cambria finché<br />

Ironhair e Carthac non saranno stati eliminati. Voglio che<br />

quest'inverno a Mediobogdum venga passato a prepararsi alla<br />

guerra. Non mi interessa se la neve raggiunge i tetti, dovrete trovare<br />

un posto dove gli uomini si possano allenare e tenersi in forma per il<br />

combattimento. E questo vale anche per i quattro ragazzi.<br />

Potrebbero vedere la loro prima campagna prima della prossima<br />

estate. Voglio che l'addestramento proceda più velocemente e più<br />

intensamente, in ogni campo.»<br />

Annuirono tutti e aggiornammo la riunione.<br />

Non feci sogni che annunciassero la morte di Lucano, anche se la<br />

notte che Tressa mi svegliò in seguito all'allarme per la sua fuga,<br />

saltai su in preda a un terrore che avevo conosciuto solo in<br />

occasione delle mie visioni profetiche.<br />

Nei giorni e nelle settimane che seguirono quell'ultima riunione<br />

nella mia stanza, la salute di Lucano precipitò. La tosse lo squassava e<br />

aveva cominciato a sputare un po' di sangue ogni tanto, come se<br />

qualcosa si fosse smosso nelle profondità del suo corpo. La pelle


sembrava cadergli dalla carne, e divenne così magro che a volte<br />

sembrava di vedergli le ossa. Le febbri lo afferravano e lo lasciavano<br />

a intermittenza, facendolo sudare e delirare per notti intere.<br />

Sulle prime era abbastanza forte per mangiare da solo, e per<br />

qualche settimana fece anche un po' di scena, protestando per il<br />

fatto che Shelagh non lo faceva scendere dal letto, ma man mano<br />

che si faceva più debole e il tremito delle mani aumentava, sfamarlo<br />

divenne un compito per le donne o per qualsiasi altra persona<br />

passasse di là, e tutti lo facevano con grande amore e infinita<br />

pazienza. Infine anche mangiare in quel modo gli fu impossibile, e la<br />

sua dieta si ridusse a un po' di miele diluito nell'acqua, che succhiava<br />

da un pezzo di stoffa, come un gattino appena nato, e ci rendemmo<br />

conto che per il nostro coraggioso e meraviglioso Lucano la fine si<br />

avvicinava.<br />

Ero sconvolto dal dolore e rifiutai, per un tempo lunghissimo di<br />

accettare l'evidenza di quella morte imminente. Divenni così<br />

ossessionato dall'idea che Lucano dovesse sopravvivere da divenire<br />

inavvicinabile, aggredendo tutti quelli che mi sembravano troppo<br />

pessimisti. La gente cominciò a starmi lontano per non subire il mio<br />

umore intrattabile e solo Tressa e Shelagh mostravano una pazienza<br />

sovrumana nei confronti della mia disperazione, e furono loro a<br />

trasportarmi nel mio letto, la notte che Lucano se ne andò.<br />

Ero sveglio da tre giorni e tre notti - come lo erano anche loro,<br />

ma dandosi il cambio - passando il tempo seduto accanto al letto di<br />

Lucano. Quando Tressa mi scosse per svegliarmi, aveva gli occhi<br />

spiritati e invasi dal terrore, che mi contagiò in un istante. Lucano era<br />

fuggito, gridò, fuori nella neve, semi-nudo. Ricordo che mentre mi<br />

gettavo addosso qualcosa pensai che fosse stato rapito. Non sarebbe<br />

mai riuscito a camminare da solo, pensai. Shelagh era ormai sveglia,<br />

e il suo sguardo calmo e determinato mi infuse la forza che non<br />

provavo. La mandai a svegliare gli altri poi corsi fuori, seguito da<br />

Tressa, e mi misi a seguire le orme di Lucano nella neve.<br />

Le seguii per più di settanta passi, fino alla scalinata che portava<br />

<strong>sul</strong> parapetto, e lì lo trovai, raccolto dove era caduto lateralmente<br />

sui primi, scivolosi gradini innevati. Donuil e Benedetto, i primi ad<br />

arrivare, mi trovarono seguendo i miei ululati di pianto


incontrollato. Furono loro a riportare dentro quella leggera forma<br />

infagottata, nel calore inutile dell'infermeria, dove aveva passato così<br />

tante ore a curare i mali altrui.<br />

Ho visto e conosciuto molte, troppe morti nella mia lunga vita, e<br />

tutti coloro che ho amato se ne sono andati prima di me, ma una<br />

sola morte in tutti i miei anni ebbe un effetto su di me paragonabile<br />

a quello della tragica morte del mio più caro e più vecchio amico.<br />

Quando venne il momento di seppellirlo, avevo ormai<br />

riacquistato il controllo di me stesso e riuscii a condurre il rito<br />

funebre in modo quasi dignitoso. Salutai Lucano un'ultima volta,<br />

quella mattina, piangendo sopra il suo corpo mentre toccavo le sue<br />

mani gelide. Guardando le guance incavate e le ossa del suo cranio<br />

sporgere attraverso la pelle diafana, mi accorsi che il corpo davanti a<br />

me non conteneva più nulla del mio amico, dell'uomo la cui empatia<br />

aveva guarito migliaia di ferite e malattie. Quel cadavere non<br />

conteneva più nessuna traccia del viso sorridente e gentile. Dov'era<br />

andato quel calore umano, quella generosità, tutto a un tratto?<br />

Ricordo d'aver parlato a lungo al cadavere, ma non ho idea di cosa<br />

gli dissi.<br />

Lo seppellimmo <strong>sul</strong>la soglia della sua infermeria, e lo coprimmo<br />

con una semplice lapide di pietra della cava, incassata nel terreno, su<br />

cui il nostro tagliapietre aveva inciso un caduceo, il simbolo che<br />

amava così tanto e di cui andava così fiero, con sotto semplicemente<br />

il nome "LUCANUS".<br />

Mentre il tagliapietre rifiniva i bordi della lapide, vidi le lacrime<br />

che scorrevano lungo le guance di Artù, e posai una mano <strong>sul</strong>la sua<br />

spalla, portandolo via di lì. Camminò accanto a me per un po', poi si<br />

fermò e si girò a guardare la tomba. La neve tutt'intorno era stata<br />

ridotta a melma dai nostri piedi, ma nevicava ancora, e la pietra<br />

spiccava, scura contro il manto bianco.<br />

«È così brutto» disse il ragazzo, più a se stesso che a me.<br />

«Sì, ragazzo, lo è, non c'è dubbio» risposi, la voce bassa, sapendo<br />

che parlava della morte e non della lapide. «Ma è il destino di tutti<br />

noi. Ci arriviamo tutti, prima o poi.»


Si voltò verso di me, furibondo. «Perché, Merlino? Perché<br />

dobbiamo finire così?»<br />

Non possedevo nessuna buona risposta.<br />

«Perché dobbiamo andare nella tomba? È troppo... definitivo,<br />

troppo totale!»<br />

Lo guardai, perplesso. «Cosa vuoi dire, Artù? È inevitabile, lo sai.<br />

La tomba aspetta ogni uomo e ogni donna che nasce.»<br />

«E molti non meritano più di una tomba. Ma ce ne sono alcuni<br />

come Lucano che meriterebbero qualcosa di più. Ora lui è lì, in un<br />

buco nel terreno. Identificabile. Finito. Chiuso. Pietra sopra. Non c'è<br />

nessuna speranza che un giorno possa... ottenere...»<br />

«Ma come potrebbe, ragazzo mio?» chiesi con un sussurro.<br />

«Lucano è morto.»<br />

«Questo lo so, Merlino!» Stava quasi sputando fuori le parole, per<br />

la frustrazione di non riuscire a spiegare ciò che voleva dire. «Ma<br />

questo non vuol dire che sia giusto che la sua vita finisca in questo<br />

modo, così pubblicamente, definitivamente, proprio qui...» La voce<br />

gli si spense in gola e scosse il capo, gli occhi chiusi, i pugni stretti<br />

lungo i fianchi.<br />

«Non è la morte che mi fa infuriare, Merlino. È questo annuncio<br />

visibile che facciamo che tutto ciò che ha mai fatto Lucano - tutte le<br />

sue più belle imprese - sono finite qui, in una buca ben<br />

contrassegnata nel terreno. Non c'è bisogno di questo finale, se non<br />

il nostro bisogno di onorarlo. Ma il suo onore in realtà vive nei<br />

nostri cuori e nei nostri ricordi. Dovremmo erigere il suo santuario<br />

nella nostra mente, ma tenere nascosto agli occhi degli uomini il<br />

luogo in cui giace il suo corpo. In primavera noi non saremo più qui,<br />

e lui sarà qui da solo, dimenticato e abbandonato. Quando gli<br />

uomini passeranno di qui e vedranno la pietra, non sapranno chi<br />

fosse. Passeggeranno sopra il suo corpo, senza sapere niente di più<br />

del fatto che è morto e che ora marcisce qui sotto! Meglio sarebbe<br />

seppellirlo in un posto segreto, e senza alcuna indicazione. Almeno<br />

sarebbe al sicuro dalla volgarità degli sguardi degli stolti che passano,<br />

e lasciato solo a vivere nei nostri ricordi.»<br />

La mia bocca era spalancata per la sorpresa, ma non per


l'eloquenza del ragazzo, ma per ciò che aveva detto. Non avevo mai<br />

udito nessun uomo dire cose così giuste e così vere, così<br />

incontestabili e chiare, e la mia sorpresa davanti alla saggezza di Artù<br />

mi lasciò senza parole. Non c'era più nulla che potessi fare, a quel<br />

punto. Provai a immaginare la reazione degli altri se avessi divelto<br />

quella pietra, preparata con tanto amore per contrassegnare la<br />

tomba di Lucano. Per dissimulare la confusione che provavo, afferrai<br />

le spalle del ragazzo.<br />

«Ascoltami bene, Artù. Dove un uomo riposa dopo che è morto<br />

non è la cosa importante. La cosa importante è la sua vita e ciò che<br />

ne ha fatto. La vita di Lucano è stata esemplare. Credo che fosse il<br />

miglior uomo che ho mai conosciuto. In tutto ciò che faceva era un<br />

gigante fra gli uomini, la quintessenza dell'intelligenza, della<br />

compassione e del coraggio. Ha sempre difeso la nobiltà della gente<br />

comune. Se proverai a seguire il suo esempio solamente in questo,<br />

nel sapere chi sei e in che cosa credi, avrai vissuto una vita<br />

onorevole.» Artù mi ascoltava, serio e non del tutto convinto.<br />

«<strong>Il</strong> compito che Lucano si era assegnato era di essere un medico, il<br />

miglior medico che gli riusciva di essere, ed era fiero di quella scelta.<br />

Come dici tu giustamente, egli vivrà a lungo nella memoria di tutti<br />

quelli che hanno avuto la fortuna di conoscerlo. Perciò accetta la sua<br />

morte, adesso, e vai a salutarlo un'ultima volta. Poi torna qui, e<br />

andremo a fare due passi. E dopo andremo a trovare Rufio, perché<br />

sarà deluso di non esser stato presente per l'ultimo saluto al suo<br />

vecchio amico.»<br />

Lo seguii con lo sguardo mentre tornava accanto alla tomba.<br />

Rimase lì per qualche momento con il capo chino. Mi avviai verso lo<br />

spiazzo delle parate; Artù mi raggiunse e camminò accanto a me. Gli<br />

parlai a lungo.<br />

«Che Dio dia pace alla sua anima, come si merita l'anima di un<br />

uomo che ha fatto sempre tutto ciò che gli è stato chiesto e che ha<br />

chiesto a se stesso. <strong>Il</strong> suo compito è terminato, il mio è ancora in<br />

corso e il tuo sta per avere inizio. <strong>Il</strong> tuo compito sarà di guidare gli<br />

uomini, di essere un guerriero e forse un giorno un re, nelle terre di<br />

tuo padre.»<br />

Mi fermai, costringendolo a guardarmi. «A cominciare da questa


primavera, il tuo campo di addestramento saranno i campi di<br />

battaglia. Verrai a Camelot con me, e andrai alla guerra, come<br />

scudiero e apprendista guerriero, sotto il mio comando o sotto<br />

quello di tuo zio Ambrogio. Terrai le nostre armi asciutte, lucide e<br />

taglienti. Terrai i nostri cavalli asciutti, puliti e sazi. Eseguirai tutti gli<br />

ordini che riceverai, porterai dispacci da un ufficiale all'altro e<br />

imparerai da ogni piccola cosa che farai. Poi, un giorno, quando te<br />

ne sarai conquistato il diritto, avrai anche tu un tuo scudiero, e<br />

messaggeri, e forse un tuo esercito. È questo che viene adesso il tuo<br />

vero addestramento. Hai imparato molte cose quassù, eppure non<br />

hai ancora cominciato a imparare. La guerra è una maestra<br />

intransigente, Artù. Le sue lezioni sono dure e umilianti, e le sue<br />

punizioni sono la morte e la distruzione.»<br />

Vidi come una fiamma accendersi nel suo sguardo. Si raddrizzò<br />

fino alla sua ormai imponente altezza, il petto gonfio d'orgoglio, e<br />

vidi una domanda formarsi nei suoi occhi.<br />

«Avrò una mia spada?»<br />

«Sì, prima una spada corta, solo per la tua difesa personale. Te la<br />

darò oggi stesso. La forgiò il tuo bisnonno, Publio Varro, e non ne<br />

troverai una migliore in tutta la Britannia. È completa del pugnale<br />

che l'accompagna, e delle guaine di cuoio per entrambe le lame. Ma<br />

ricorda che d'ora in avanti il tuo compito e di imparare, seguire e<br />

obbedire, non ancora di combattere. Obbedirai agli ordini e seguirai<br />

il tuo comandante dovunque ti guidi. Nell'anno che ti aspetta, Artù,<br />

sarai ancora considerato un ragazzo, eppure ci si aspetterà che tu ti<br />

comporti in tutto e per tutto come un uomo. Obbedendo imparerai<br />

a comandare, e seguendo imparerai a guidare, e a meritarti il<br />

rispetto degli uomini che combatteranno con te e per te.»<br />

Feci una pausa, ricordando le frustrazioni della vita dello<br />

scudiero, che avevo subito in gioventù. Chiusi il pugno e glielo<br />

appoggiai scherzosamente al mento.<br />

«Credimi ragazzo, il momento oggi ti sembra lontano, ma più<br />

presto di quanto credi comanderai una squadra di cavalieri. Ora<br />

guardami negli occhi, da uomo a uomo.»<br />

Sollevò quei suoi occhi unici, macchiati d'oro. La gola mi si strinse<br />

davanti a quella bellezza e quella gioventù, così pure e splendide.


«Ascolta anche quest'ultima cosa. Io ti prometto solennemente che<br />

il giorno che accetterai le responsabilità di un uomo fatto, sarò io a<br />

darti la tua spada, e sarà un'arma come nessun uomo ne ha mai<br />

viste. No, non sono solo parole, Artù» dissi, vedendo un dubbio<br />

passargli per lo sguardo. «La tua sarà un'arma che farà restare gli<br />

uomini di sasso al solo vederla. Non sarà solo la tua spada, ma una<br />

spada che sarà la meraviglia del mondo intero. Questo te lo<br />

prometto.»


Nota dell'autore<br />

Mi sgomenta sempre il compito di ringraziare chi mi ha aiutato<br />

nel lavoro e nelle ricerche. Sono tante le persone cui devo<br />

riconoscenza per l'incoraggiamento e la collaborazione, che mi è<br />

impossibile nominarle tutte. In questo caso, tuttavia, alcuni apporti<br />

predominano su ogni altro perché, in loro mancanza, questa storia<br />

non sarebbe così com'è.<br />

<strong>Il</strong> disegno della spada con i segni della saldatura che si vede a<br />

pagina 254 è frutto del lavoro del britannico John Anstee che di<br />

fatto, dopo ricerche durate decenni, forgiò un'arma simile usando<br />

tecniche e materiali antichi. Ho trovato il disegno, e informazioni<br />

altrettanto utili, nell'ottimo libro di Hilda Ellis Davidson, The Sword<br />

in Anglo-Saxon England. Sebbene fosse stato pubblicato per la prima<br />

volta nel 1962 dalla Boydell Press di Woodbridge, Suffolk, venni a<br />

conoscenza dell'opera soltanto nel 1995. Se l'avessi scoperta un<br />

decennio prima, la mia vita sarebbe stata più facile e meno<br />

tormentata dai dubbi. Ho faticato a lungo per mettere a fuoco il<br />

concetto che mi ero fatto di Excalibur: sapevo approssimativamente<br />

come doveva essere, ma ero incerto che fosse realizzabile il progetto<br />

rozzamente elaborato nel corso delle mie vagabonde ricerche.<br />

Entrambe queste persone mi hanno chiarito le idee e gratificato nel<br />

confermare le mie ipotesi.<br />

Fu mio fratello Michael a farmi conoscere l'ambientazione del<br />

forte alla curva del fiume. Nel maggio del 1993, mentre era in<br />

vacanza nel Lake District con sua moglie Kate, lo raggiunsi con<br />

Beverley, eravamo in viaggio in Inghilterra, per trascorrere alcuni<br />

giorni nel bel mezzo di una splendida ondata di calura estiva.<br />

Sapendo che non ero pienamente convinto di ambientare <strong>sul</strong>la costa<br />

orientale quella fase dell'educazione di Artù, mi condusse nella<br />

brughiera - dieci minuti di macchina - lungo una strada che<br />

costeggiava un burrone, desolata e paurosamente stretta quale non<br />

avevo mai visto, e mi indicò un angolo che da allora sono arrivato a<br />

conoscere molto bene.


<strong>Il</strong> forte alla curva del fiume, ancora lì, è diventato, grazie al suo<br />

splendido isolamento nella bellissima regione dei laghi, uno dei più<br />

famosi forti ausiliari romani. I visitatori oggi sanno che è il forte del<br />

passo di Hardknott, ma Hardknott è un nome moderno. In origine si<br />

chiamava Mediobogdum, cioè "situato alla curva (del fiume)".<br />

Sorge a nove miglia da Ravenglass, un'antica cittadina costiera il<br />

cui nome (Yr-afon-[g]las) è anteriore ai Romani e significa "la baia<br />

azzurra" nella lingua celtica degli abitanti locali, che i Romani<br />

chiamavano Briganti, una popolazione fiera e ribelle, mai del tutto<br />

romanizzata. <strong>Il</strong> nome latino di Ravenglass era Glannaventa.<br />

Da qui i Romani, per poter trasportare i rifornimenti, costruirono<br />

una strada fino ad Ambleside, cittadina <strong>sul</strong> lago Windermere,<br />

collegando i due desolati passi di Hardknott e Wrynose. Lunga<br />

appena trenta miglia, era l'unico itinerario che dalla costa nordoccidentale<br />

a sud di Carlyle si avventurasse nella regione interna.<br />

Attestano la sua importanza i tre forti costruiti per controllarla:<br />

Glannaventa <strong>sul</strong>la costa, Mediobogdum nel punto più alto, Galava<br />

(Ambleside) che concludeva il tragitto nell'entroterra. Intorno a<br />

Glannaventa e a Galava sorsero città che ancora esistono. Nessuna<br />

comunità invece fiorì in prossimità del passo di Hardknott, bellissimo<br />

ma inospitale e sterile. La guarnigione lì di stanza era isolata.<br />

La cosa più straordinaria di questo forte è che rimase<br />

abbandonato, indisturbato e immune da vandalismi per quasi<br />

quindici secoli. Fu riscoperto nel Seicento quando vennero devastati i<br />

querceti di Eskdale per costruire le navi da guerra della flotta reale.<br />

Alla distruzione delle foreste seguirono lo sgombro del terreno e il<br />

conseguente afflusso sempre maggiore di contadini che presero a<br />

utilizzare i blocchi di arenaria delle grandi porte per costruirsi le case.<br />

All'inizio dell'Ottocento William Wordsworth allude al forte in un<br />

sonetto: «Quel solitario accampamento <strong>sul</strong>le alture di Hardknott, <strong>sul</strong><br />

quale vegliavano uomini che si inginocchiavano a Giove e a Marte».<br />

Da allora, nel secolo scorso, orde di cacciatori di souvenir hanno<br />

strappato le splendide piastrelle rosse che decoravano l'ipocausto<br />

delle terme fuori delle mura. Chissà quanto altro è sparito nello<br />

stesso modo!<br />

<strong>Il</strong> forte, ora affidato a un'associazione locale che provvede alla


sua conservazione, è un luogo affascinante. È così intriso di passato<br />

che si ha la sensazione di essere afferrati alla gola dalla storia.<br />

Ritornato lì nel 1995 per un periodo di qualche settimana<br />

alloggiando nella deliziosa locanda Bridge Inn a Santon Bridge,<br />

Wasdale, passai ore e ore ogni giorno a imbevermi dell'atmosfera<br />

del luogo e della circostante campagna, grato dell'incoraggiamento e<br />

dell'aiuto che mi davano gli abitanti del posto, molti dei quali<br />

conoscevano moltissime cose <strong>sul</strong> forte e i suoi dintorni. La prima<br />

guarnigione che vi fu di stanza nel forte era di Dalmati, della regione<br />

che oggi è la Serbia e la Croazia. Cercavo di figurarmi come si<br />

fossero sentiti in quella postazione isolata tra cime piovose e<br />

nebbiose centinaia di anni fa, senza nessuna accogliente taverna ad<br />

attenderli <strong>sul</strong> fondo della valle. Nella storia qui raccontata si<br />

troveranno molte mie impressioni su Mediobogdum e <strong>sul</strong>le scoperte<br />

che vi ho fatto. La descrizione del forte e di come era costruito sono<br />

precise. La strada che controllava - soltanto di recente identificata<br />

con il decimum iter dell'epoca di Antonino - sale dal fondo valle fino<br />

al passo di Hardknott con un'inclinazione di oltre trenta gradi, ed è<br />

un'impresa percorrerla perfino <strong>sul</strong>le macchine moderne. <strong>Il</strong> fiume<br />

nella cui ansa si annida il forte, sebbene scorra <strong>sul</strong> fondo della valle a<br />

notevole distanza, è l'Esk.<br />

Alcuni aspetti della mia descrizione indurranno il lettore a<br />

corrugare perplesso la fronte, ma sono reali anche i dettagli più<br />

sorprendenti. I Romani usavano il calcestruzzo, e di questo materiale<br />

erano costruiti i tetti a cupola dei magazzini del forte, e ogni parete<br />

laterale aveva cinque contrafforti per sostenerne il peso. Sono tetti<br />

che hanno resistito per secoli, forse per un millennio. Negli alloggi i<br />

pavimenti erano coperti di malta. La guarnigione aveva anche una<br />

sofisticata latrina provvista di acqua corrente. L'iscrizione sopra la<br />

porta principale è stata recuperata e restaurata. Le terme erano come<br />

le ho descritte: trentatré metri di lunghezza per otto di larghezza;<br />

l'acqua veniva convogliata dal vicino torrente oggi noto come<br />

Campsike. Poiché dal momento in cui fu abbandonato il forte è<br />

rimasto intatto per quindici secoli, è ragionevole ipotizzare che<br />

all'epoca di Merlino, meno di duecento anni dopo la partenza della<br />

guarnigione, fosse possibile riadattarlo e abitarlo.


Jack Whyte.<br />

Kelowna, British Columbia,<br />

giugno 1997

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