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La pietra del cielo

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JACK WHYTE<br />

Le cronache di Camelot<br />

Volume I<br />

LA PIETRA<br />

DEL CIELO<br />

Skystone


A mia moglie Beverley, che ha sempre<br />

creduto, ma ora non riesce proprio più a<br />

credere.<br />

DARKLIGHT_Books<br />

015<br />

By Abyssinian<br />

Nota introduttiva


Il termine “finzione storica” indica che vi è quanto meno una<br />

cornice di fatti storici nella storia raccontata in un romanzo. Quindi,<br />

a mio parere, chiunque legge un “romanzo storico” ha il diritto di<br />

sapere - o gli si dovrebbe accordare il privilegio di sapere - quanto di<br />

quello che sta leggendo sia storicamente corretto e preciso.<br />

Gaio Britannico e Publio Varro sono personaggi immaginari,<br />

come lo sono le loro famiglie, i loro amici, i loro parenti. Essi sono<br />

nati tutti dalla necessità <strong>del</strong>l'autore di rispondere alla domanda:<br />

«Come ha potuto succedere questo o quel fatto, come si è<br />

verificato?».<br />

Gli eventi all'interno dei quali le loro storie fittizie si svolgono,<br />

invece, sono assolutamente reali e i personaggi principali<br />

<strong>del</strong>l'ambiente imperiale - Valentiniano, Teodosio, Magno Massimo e<br />

Stilicone - hanno vissuto e si sono comportati nel modo che viene<br />

descritto. Il periodo nel quale sono vissuti, l'ultima parte <strong>del</strong> IV<br />

secolo e la prima parte <strong>del</strong> V secolo <strong>del</strong>l'era cristiana, è un'epoca di<br />

eventi che hanno scosso il mondo; ciò che ancora oggi, dopo sedici<br />

secoli, condiziona la nostra vita, deve le sue origini alle idee e agli<br />

eventi che si stavano sviluppando a quell'epoca.<br />

Il periodo di ottantuno anni che va dal 367 al 448 d.C. fu uno dei<br />

più intensi per la provincia che i Romani chiamavano Britannia.<br />

All'inizio di tale periodo, nel 367 d.C., la Britannia era ancora in<br />

saldo possesso dei Romani, e le autorità ne conservavano ancora gli<br />

archivi; ma quando esso si concluse, i quattrocento anni di<br />

occupazione <strong>del</strong>la Britannia erano finiti, tutto l'Impero Romano<br />

d'Occidente era in rovina e la Britannia stessa, il granaio più ricco<br />

<strong>del</strong>l'Impero d'Occidente, era stata interamente conquistata dagli<br />

Angli e dai Sassoni, così che da quel momento fu conosciuta come la<br />

terra degli Angli - l'Inghilterra.<br />

Nell'arco di quegli ottanta anni la vita civile, la cultura,<br />

l'educazione e la cristianità furono estromesse e gli anni bui calarono


sulla Britannia per durare due secoli e più; quando la luce <strong>del</strong>la<br />

cultura ritornò in Britannia, si erano verificati grandi cambiamenti<br />

ed erano nate le leggende. Il tipico arco lungo inglese era già una<br />

realtà e nelle lunghe, scure notti invernali, il popolo raccontava di<br />

un grande eroe che nei tempi antichi aveva valorosamente guidato il<br />

suo popolo, armato di una spada magica ricevuta dalle mani di una<br />

donna. Era il principio di quella che nel corso dei secoli sarebbe<br />

diventata la Leggenda di Artù.<br />

Per aiutare il lettore moderno che abbia poca dimestichezza con<br />

la vita <strong>del</strong> V secolo, ho aggiunto, alla fine <strong>del</strong> libro, una sezione che<br />

tratta <strong>del</strong>l'Impero Romano, dei suoi eserciti e dei nomi dei<br />

personaggi di questa storia. A pag. 10 c'è anche una carta geografica<br />

<strong>del</strong>la Britannia romana.


<strong>La</strong> leggenda <strong>del</strong>la <strong>pietra</strong> caduta<br />

dal <strong>cielo</strong><br />

Dal <strong>cielo</strong> notturno cadrà una <strong>pietra</strong><br />

che cela una fanciulla nata da profondità tenebrose,<br />

una fanciulla i cui femminili misteri, nutriti dal fuoco,<br />

daranno vita a una spada scintillante, baluginante.<br />

Una spada fiammeggiante e splendente la cui potenza<br />

genera guerrieri. Ma quest'arma conterrà anche<br />

le astuzie di una donna e traccerà terribili fatti di uomini;<br />

darà il nome a un'epoca; incoronerà un re,<br />

che prenderà il nome da un popolo <strong>del</strong>la montagna,<br />

che crede di essere stato generato dal seme di un drago;<br />

uomini vigorosi e feroci, eroici, prodi e forti,<br />

e nelle loro anime vi è grandezza.<br />

Questo re, questo monarca, potente oltre l'immaginabile,<br />

forgiato nella gloria, cantando un canto di spade,<br />

confondendo i mortali con magica follia,<br />

darà vita a una leggenda, e tuttavia non lascerà nessuno<br />

a condurre al trionfo il suo esercito dopo di lui.<br />

Ma la morte non svilirà mai il suo destino che,<br />

non morendo, vivrà per sempre, per essere ricordato.


Nomi geografici<br />

<strong>La</strong> terra che i Romani chiamavano Britannia era soltanto la terra che noi<br />

oggi chiamiamo Inghilterra. <strong>La</strong> Scozia, l'Irlanda e il Galles erano separate e<br />

venivano chiamate rispettivamente Caledonia, Ibernia e Cambria. Esse non<br />

erano considerate parte <strong>del</strong>la provincia <strong>del</strong>la Britannia. Le antiche città <strong>del</strong>la<br />

Britannia romana esistono ancora, ma oggi hanno nomi inglesi.<br />

Londinium Londra<br />

Verulamium St. Albans<br />

Alchester<br />

Glevum Gloucester<br />

Aquae Sulis Bath<br />

Lindinis Ilchester<br />

Sorviodunum Old Sarum<br />

Venta Belgarum Winchester<br />

Noviomagus Chichester<br />

Durnovaria Dorchester<br />

Isca Dumnoniorum Exeter<br />

<strong>La</strong> Colonia (Camelot)<br />

Camulodunum Colchester<br />

Lindum Lincoln<br />

Eboracum York<br />

Mamucium Manchester<br />

Dolocauthi Miniere d'oro <strong>del</strong> Galles<br />

Durovemum Canterbury<br />

Regulbium Reculver<br />

Rutupiae Richborough<br />

Dubris Dover<br />

Lemanis Lympne<br />

Anderita Pevensey


LIBRO PRIMO<br />

L'INVASIONE


I.<br />

Oggi è il giorno <strong>del</strong> mio sessantasettesimo compleanno, un<br />

caldo giorno d'estate nell'anno <strong>del</strong> Signore 410, secondo il nuovo<br />

sistema cristiano che data il passare <strong>del</strong> tempo. So di essere vecchio<br />

per gli anni che ho. Dopo sessantasette estati le mie ossa sono<br />

vecchie, ma la mente non è invecchiata insieme al corpo.<br />

Il mio nome è Gaio Publio Varro e sono forse l'ultimo uomo<br />

vivente in Britannia in grado di vantarsi di aver marciato sotto le<br />

aquile <strong>del</strong>l'esercito romano che occupava questa regione. Gli altri<br />

che hanno marciato con me non sono semplicemente morti: sono<br />

morti da molto tempo. Ma io riesco ancora a ricordare con chiarezza<br />

i giorni trascorsi nelle legioni.<br />

Ho conosciuto uomini che rifiutavano di ammettere di aver<br />

marciato con gli eserciti. Io considero questo rifiuto una perdita.<br />

Ricordo spesso con affetto e gratitudine i miei giorni di legionario,<br />

perché la maggior parte degli amici di tutta una vita provenivano<br />

dalle legioni e così anche, indirettamente, mia moglie, la madre dei<br />

miei figli e la compagna dei miei sogni.<br />

Ci sono anche momenti in cui ripenso all'esercito con l'eco di<br />

una risata incredula nel cuore. Ricordo la confusione e il caos e tutte<br />

le piccole debolezze e fallibilità umane che affiorano durante la vita<br />

militare, e le mie alternative sono chiare: ridere di esse o piangere.<br />

Ricordo, ad esempio, come passai il pomeriggio di un'altra<br />

giornata estiva, più di quarantanni fa, nel lontano 369. Quello fu il<br />

mio ultimo giorno come soldato romano e lo trascorsi guidando i<br />

miei uomini e il mio generale su per una montagna, diritti in<br />

un'imboscata.<br />

Non è mai piacevole trovarsi in trappola, lo sa Iddio, ma quella<br />

in cui finimmo quel giorno era la peggiore che avessi mai incontrato<br />

nella mia vita di soldato. I barbari che ci sorpresero sembrarono


materializzarsi dalla nuda roccia. Creature selvagge, terrificanti,<br />

mezzi uomini e mezzi caproni di montagna, ci colsero<br />

completamente alla sprovvista in una gola ripida e rocciosa proprio<br />

al centro <strong>del</strong>l'aspra dorsale montuosa che percorre tutta la<br />

lunghezza <strong>del</strong>la Britannia.<br />

Ci inerpicavamo da due giorni, scegliendo faticosamente e -<br />

almeno credevamo - in tutta segretezza un cammino attraverso valli<br />

e passi lontani dalle vie principali. Volevamo arrivare sul lato<br />

occidentale senza preavviso. I pochi ufficiali a cavallo - me<br />

compreso - procedevano appiedati per la maggior parte <strong>del</strong> tempo,<br />

guidando le loro cavalcature. Eravamo appena entrati nella gola ed<br />

eravamo risaliti a cavallo, contenti che il terreno fosse relativamente<br />

pianeggiante, quando ci trovammo sotto una valanga di enormi<br />

macigni.<br />

I tre uomini con i quali stavo parlando furono ridotti in poltiglia<br />

davanti ai miei occhi da un macigno caduto dal nulla. Non lo videro<br />

neppure. Dubito che qualcuno degli uomini uccisi nel primo<br />

apocalittico minuto abbia visto avvicinarsi la morte. Io so solo che<br />

ero impressionato da tanta subitaneità. Dapprima non mi resi<br />

nemmeno conto che eravamo stati assaliti, perché in più di una<br />

settimana non avevamo visto traccia di nemici e non ci aspettavamo<br />

di incontrarne a quell'altezza.<br />

I primi macigni fecero una carneficina tra gli uomini che si erano<br />

appena radunati sull'angusto piano roccioso, esausti dopo una<br />

lunga e difficile scalata. Le montagne che fino a quel momento<br />

avevano sentito solo ansimi, respiri affannosi e imprecazioni,<br />

echeggiarono d'un tratto <strong>del</strong> fragore di pietre che precipitavano e<br />

<strong>del</strong>le urla atterrite, agonizzanti degli uomini mutilati e moribondi. E<br />

poi comparve il nemico, calando dalle pareti sovrastanti come un<br />

branco di capre di montagna.<br />

Britannico, il mio generale, aveva appena lasciato la testa <strong>del</strong>la<br />

colonna per sollecitare gli uomini rimasti indietro; voltai il cavallo e,


grazie al pennacchio rosso <strong>del</strong> suo elmo che ondeggiava a circa<br />

trenta passi di distanza, lo vidi cercare di mantenere il controllo <strong>del</strong><br />

cavallo imbizzarrito. Le rocce direttamente sopra di lui brulicavano<br />

di uomini, avvolti in pelli di animali, e io mi diedi a frustare il mio<br />

cavallo, nel tentativo di costringere l'animale spaventato a balzare<br />

oltre gli uomini ammassati intorno a me, per raggiungere un punto<br />

da cui organizzare una resistenza efficace.<br />

Ma era un'impresa disperata. Non c'era spazio per fare niente.<br />

Nel giro di pochi secondi, l'intera gola era una calca di uomini<br />

ringhiosi e furiosi, impegnati in un combattimento corpo a corpo.<br />

Era una lotta che, comunque finisse, sarebbe stata vinta con i<br />

muscoli e il coraggio, non con la strategia.<br />

Usavo il mio cavallo come un ariete, cercando di aprirmi un<br />

varco nella massa di corpi che lottavano, menando colpi a destra e a<br />

sinistra con una lancia strappata a un caduto, ma era come uno di<br />

quei sogni angosciosi nei quali niente va per il verso giusto e tutto va<br />

a rilento, tranne le forze che ti minacciano.<br />

Il piano angusto <strong>del</strong>la gola nella quale ci trovavamo era<br />

attraversato per un terzo <strong>del</strong>la lunghezza da una cresta rocciosa<br />

tagliente come la lama di una spada; proprio nel momento in cui<br />

raggiunsi un'estremità <strong>del</strong>la cresta il cavallo crollò sotto di me, ferito<br />

a morte, ma la pressione dei corpi che lo circondavano gli impedì di<br />

accasciarsi subito al suolo. In qualche modo riuscii a saltare giù<br />

prima che cadesse e mi ritrovai in piedi sulla cresta a sovrastare la<br />

lotta, non sfidato da nessuno. Guardai alla mia destra e vidi<br />

Britannico, i denti stretti in una smorfia di dolore, con una freccia<br />

conficcata nella coscia poco sopra al ginocchio, a meno di una lancia<br />

di distanza da me. Era una freccia piumata, rossa, molto bella, e lo<br />

aveva trapassato di netto, inchiodandolo al cavallo, che nitriva per il<br />

dolore ma, come il mio, non aveva lo spazio per cadere. Mentre<br />

guardavo una mano si levò dalla calca e afferrò l'asta sporgente<br />

<strong>del</strong>la freccia, tirandola verso il basso. Britannico urlò, e il cavallo


arcollò e si abbatté sul fianco, schiacciando sotto di sé la gamba<br />

trafitta <strong>del</strong> suo cavaliere.<br />

Non ricordo di avere attraversato lo spazio che ci divideva.<br />

Ricordo solo di essermi trovato in piedi sul posteriore <strong>del</strong> suo<br />

cavallo, direttamente sopra Britannico, in cerca di uno spazio libero<br />

per saltare. <strong>La</strong> calca si divise e io mi lanciai, solo per ricevere a<br />

mezz'aria una freccia nel petto e ricadere all'indietro addosso a lui.<br />

<strong>La</strong> corazza aveva respinto la punta <strong>del</strong>la freccia, ma vidi il suo<br />

proprietario riprendere la mira; cercai goffamente di rotolare sulla<br />

destra, e questa volta sentii la punta <strong>del</strong>la lancia entrare tra le lamine<br />

<strong>del</strong>la corazza, vicino alla spalla. Rotolai ancora, buttando tutto il<br />

peso contro l'asta, e riuscii a strapparla dalla sua presa, mentre uno<br />

dei miei uomini gli infilava la spada sotto il braccio. L'uomo cadde<br />

in ginocchio e morì con uno sguardo di stupore negli occhi<br />

spalancati. Vacillò verso di me, ma io ero di nuovo in piedi; ignorai<br />

la lancia, che era caduta vicino a me, e sguainai il pugnale. <strong>La</strong> mia<br />

spada non c'era più. Una mano mi afferrò per la spalla sinistra,<br />

scuotendomi con violenza, prima che io riuscissi a riacquistare<br />

l'equilibrio. Barcollai alla cieca, la mia lama affondò in un collo nudo<br />

e caddi di nuovo, mentre sentivo nella mente una voce maledirmi<br />

perché non riuscivo a stare eretto.<br />

C'era sangue ovunque. Vidi come in un lampo Britannico vicino<br />

a me, con lo sguardo fisso, pallido come un morto, e poi qualcun<br />

altro mi cadde addosso, rantolando la propria agonia nelle mie<br />

orecchie. Persi il controllo, preso dal panico nel tentativo di stare in<br />

piedi. Mi allungai e annaspai e mi sollevai, spingendo da parte<br />

qualcuno - non so se amico o nemico - e riuscii a mettermi in piedi<br />

solo per rendermi conto che ero disarmato e che venivo nuovamente<br />

buttato a terra. Mi alzai su un ginocchio e questa volta non riuscii ad<br />

alzarmi. Una voce urlò: «Varro!» e una mano apparve alla mia<br />

sinistra con le dita protese verso di me. Afferrai quella mano e mi<br />

alzai di nuovo e mentre lo facevo vidi chiaramente una scure di<br />

bronzo dalla punta lunga e lucente tagliare all'altezza <strong>del</strong> polso la


mano che voleva aiutarmi. Vidi l'uomo che brandiva la scure girarsi<br />

verso di me facendo roteare l'arma e notai chiaramente quanto<br />

quella lama fosse affilata.<br />

I dettagli sono ancora vivi nella mia mente. L'uomo era grande e<br />

grosso, con una barba rossa, e il suo ghigno di rabbia lasciava<br />

intravvedere neri mozziconi di denti. Il petto nudo era protetto da<br />

una pelle di lupo e un'altra pelle, stretta da una cintura di cuoio<br />

nella quale era infilato il pugnale, gli copriva i lombi. Vide che dai<br />

miei occhi lo fissava un uomo morto. Una voce nella mia mente si<br />

disse d'accordo con lui e io mi disposi a morire, mentre lo stesso<br />

braccio monco, con un ultimo guizzo di vita, puntava verso di lui,<br />

spruzzandogli negli occhi il sangue rosso vivo e accecandolo per il<br />

tempo sufficiente a buttarmi contro di lui, facendolo barcollare sotto<br />

il mio peso, strappargli il pugnale dalla cintura e affondarlo fino<br />

all'impugnatura sotto le costole non protette dall'armatura.<br />

Mentre cadeva moribondo, però, riuscì, chissà come, a trovare la<br />

forza di roteare la scure all'indietro, e io sentii dal ginocchio<br />

all'inguine lo straziante fendente <strong>del</strong>la lama che penetrava stridendo<br />

nella mia coscia. Chinai la testa, contraendomi per la violenza <strong>del</strong><br />

colpo, e vidi il grosso manico, come un volgare, impossibile fallo<br />

ligneo, sporgere da sotto la mia tunica. Il dolore esplose in me,<br />

colpendomi con una furia inimmaginabile, e precipitai in un gorgo<br />

di urlante oscurità, stringendo ancora la mano amputata <strong>del</strong> mio<br />

soccorritore.<br />

Vincemmo noi, come non lo saprò mai. Ma quella fu la fine <strong>del</strong>la<br />

mia carriera tra le aquile legionarie. Per essere più precisi avrebbe<br />

potuto essere la fine assoluta. <strong>La</strong> punta <strong>del</strong>la scure aveva<br />

risparmiato i testicoli ed era penetrata in alto nella natica sinistra,<br />

ma, passando, aveva leso il tendine dietro al ginocchio e aperto la<br />

coscia fino all'osso. I medici avrebbero voluto amputarmi la gamba<br />

destra sul posto, alla fine <strong>del</strong> combattimento, prima di portarmi giù<br />

dalla montagna, perché pensavano che non sarei sopravvissuto al


viaggio. Grazie a Dio ripresi conoscenza rapidamente! Urlavo come<br />

un falco incollerito, ben sapendo che la percentuale di<br />

sopravvivenza dopo un'amputazione era quasi nulla. Ma non avrei<br />

ottenuto niente se non fosse stato per l'intervento di Gaio Britannico.<br />

Insistette che la ferita venisse cauterizzata e cucita e che mi fosse<br />

concessa la possibilità di guarire. Gli avevo salvato la vita molte<br />

volte, più di quante potesse contare, e se proprio dovevo morire,<br />

allora, per tutti gli dei <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>, meritavo di morire con due gambe.<br />

Ero il suo primus pilus, dichiarò, e un primus pilus aveva diritto a due<br />

gambe, da vivo come da morto.<br />

Aveva perfettamente ragione, è ovvio. Non so come entrambi<br />

abbiamo potuto sopravvivere al viaggio verso la pianura, ma<br />

quando arrivammo Britannico mi fece acquartierare nella sua tenda<br />

e mi fece curare da Mitros, il suo medico personale. Giacevamo<br />

ognuno nella sua branda, uno di fianco all'altro, e aspettavamo di<br />

guarire; nell'attesa ognuno di noi ebbe molto tempo per esplorare i<br />

propri pensieri, a quell'epoca un'esperienza per me completamente<br />

nuova. Forse fu allora che, per la prima volta, l'idea di questa storia<br />

mi si affacciò alla mente, ma non potrei sostenerlo con assoluta<br />

convinzione.<br />

Dove trova un uomo l'audacia di concepire il racconto di una<br />

storia come quella che sto per narrare? “Dentro di sé” potrebbe<br />

essere la risposta più adatta, ma in questo particolare caso non è una<br />

risposta né precisa, né adeguata. <strong>La</strong> mia attuale determinazione a<br />

raccontare questa storia - una determinazione che è spesso sembrata<br />

testardaggine e follia perfino a me, benché la stia scrivendo da anni -<br />

deriva dal fatto che nella persona di Gaio Britannico ho trovato<br />

l'amico di una vita e il mentore la cui visione profetica e integrità<br />

morale mi riempiono ancora oggi di ammirazione e rispetto. <strong>La</strong> sua<br />

forza di carattere, le sue capacità di percezione e di valutazione e la<br />

sua insistenza nel dichiarare di avere bisogno di me, mi hanno<br />

permesso di sopravvivere alla fine di un intero mondo e poi di<br />

iniziare una nuova vita a un'età alla quale altri uomini si preparano


a morire.<br />

Ora che sono davvero vecchio, la paura di lasciare non detta<br />

questa storia e di consegnare così per sempre il mio amico, non<br />

cantato e non riconosciuto, all'anonimato, mi spinge a scrivere.<br />

Avendo trovato questa forza, ho cercato poi un inizio come un<br />

bambino cerca perversamente il centro di una cipolla, accecandosi di<br />

lacrime mentre persevera nella sua follia. Ma un vero inizio non<br />

esiste, ora ne sono cosciente. Esiste solo la memoria, che scorre<br />

seguendo le asperità <strong>del</strong> terreno.<br />

Gaio Britannico non era un buon invalido. Soffriva nel restare<br />

bloccato a letto, ma fino a che il buco nella sua coscia non si chiuse,<br />

non potè fare diversamente. Purtroppo, come diretta conseguenza,<br />

quei primi giorni furono i peggiori che io abbia mai passato in sua<br />

compagnia. Gli ero grato, ma era un uomo difficile da sopportare a<br />

stomaco vuoto, e poiché passavo la gran parte di quei primi giorni a<br />

vomitare le medicine che Mitros mi cacciava in gola, il mio stomaco<br />

era decisamente vuoto. Sarei stato più contento di dividere il mio<br />

alloggio con un leopardo infuriato. Ma alla fine Britannico si calmò<br />

un po' e cominciò ad accettare la forzata inattività con maggiore<br />

filosofia. Da quel momento in poi parlammo, o, meglio, parlò lui,<br />

mentre io ascoltavo fornendo di tanto in tanto il mio contributo di<br />

bronzo all'oro e all'argento <strong>del</strong>la sua saggezza.<br />

Gaio Cornelio Britannico era un vero Cornelio, un discendente<br />

diretto <strong>del</strong>la pura stirpe patrizia appartenente alle famiglie<br />

fondatrici <strong>del</strong>lo stato romano. Durante quei primi giorni di<br />

confinamento, praticamente inchiodato al letto e incapace di fare<br />

qualsiasi cosa, Britannico parlò, a volte per ore e ore, <strong>del</strong>la sua vita in<br />

Britannia da civile, più che <strong>del</strong>la sua vita da militare. Ricordo che<br />

all'inizio ne fui sorpreso, in particolare perché fino a quel momento<br />

lo avevo conosciuto solo come il legato militare Britannico, il<br />

taciturno comandante, di grande professionalità, che d'abitudine se<br />

ne stava per conto suo e teneva per sé le proprie opinioni. Col


passare <strong>del</strong> tempo, invece, mi accorsi che lo conoscevo appena. Per<br />

quanto lui e io avessimo diviso una certa intimità come compagni<br />

d'armi, conoscevo solo qualche tratto <strong>del</strong>la sua personalità e <strong>del</strong> suo<br />

carattere. Ora, mentre lui parlava e io ascoltavo, cominciavano ad<br />

emergere sempre nuovi aspetti <strong>del</strong>la sua personalità. Un antenato<br />

paterno - il suo bis-bis-bisnonno - si era procurato il cognome di<br />

Britannico grazie agli sforzi prodigati a favore <strong>del</strong>la provincia<br />

all'epoca di Antonino, più di centocinquant'anni prima, e tutta la sua<br />

famiglia di generazione in generazione considerava ormai la<br />

Britannia come la propria casa, anche se doveva fe<strong>del</strong>tà sempre e<br />

principalmente a Roma. Da parte mia, ero nato in Britannia ed ero<br />

giunto alla maturità senza peraltro essere mai molto consapevole<br />

<strong>del</strong>la mia terra natale. Non l'avevo mai considerata un posto<br />

importante. Per me era semplicemente la Britannia, il luogo dove<br />

vivevo. Furono necessari alcuni anni in Africa, seguiti da anni di<br />

entusiasmo espresso da Britannico, per dimostrarmi che cosa la<br />

Britannia significasse realmente per me.<br />

Britannico parlò a lungo e con affetto profondo <strong>del</strong>la famiglia e<br />

<strong>del</strong>la casa, una villa vicino ad Aquae Sulis, la famosa stazione<br />

termale nel sudovest. Sentivo l'orgoglio vibrare nella sua voce<br />

quando parlava <strong>del</strong>la moglie Eraclita, per la quale aveva una palese<br />

venerazione e nelle cui vene scorreva il sangue imperiale dei<br />

Claudii, antico e nobile quanto il suo. Parlava con orgoglio anche <strong>del</strong><br />

suo primogenito, Pico, che, come lui e i suoi antenati, sarebbe<br />

entrato nei ranghi legionari una volta raggiunti i sedici anni. Allora<br />

il ragazzo aveva otto anni, quasi nove, mi disse, e quindi non c'era<br />

fretta di trovargli posto nei ranghi imperiali. Per i prossimi cinque<br />

anni, almeno, il giovane Pico sarebbe rimasto a casa con i fratelli e le<br />

sorelle: Meleia, una bambina di sette anni, la prediletta <strong>del</strong> padre, e<br />

due gemelli di quattro anni, Marco e Paolo. Parlava anche di una<br />

sorella, Luceia, e di un cognato di nome Varo, che possedeva una<br />

tenuta a ovest <strong>del</strong>le sue terre e faceva da sorvegliante e da fattore<br />

<strong>del</strong>la villa in sua assenza. Un giorno, giurò il legato, una volta


terminati i suoi doveri e qualora l'Impero non richiedesse più i suoi<br />

servigi, sarebbe ritornato e avrebbe assunto la gestione <strong>del</strong>le sue<br />

terre.<br />

Una mattina fui svegliato da una serie di brontolii e di<br />

movimenti, e vidi Britannico che veniva issato a sedere da due<br />

soldati chiamati appositamente da Mitros. Riuscirono a metterlo<br />

abbastanza comodo, malgrado le sue imprecazioni, che scemarono<br />

quando il medico precisò che si trattava di parte <strong>del</strong> processo di<br />

guarigione. Quando se ne andarono lasciandoci di nuovo soli, gli<br />

chiesi se aveva molto male. Mi guardò senza rispondere per un<br />

momento, poi spostò un po' di lato la gamba con le mani e scosse la<br />

testa.<br />

«No,» disse «fa molto meno male di prima. E tu?»<br />

Io gli sorrisi. «Non sento male finché non tento di muovermi.<br />

Ovviamente quando mi addormento sembra che il mio corpo cerchi<br />

di muoversi da solo. E allora sento male. Mi sveglio piuttosto<br />

spesso, di colpo, per questo.»<br />

Lui mi guardava intensamente, aggrottando leggermente la<br />

fronte. «Bene,» brontolò, «almeno cominci ad avere un aspetto<br />

migliore. Quelle borse violacee sotto agli occhi sono scomparse e la<br />

tua faccia sta rimettendosi in carne». Poi si schiarì la voce, le rughe<br />

sulla fronte si approfondirono e aggiunse: «Mitros mi ha detto che<br />

presto tornerai a funzionare».<br />

Fu il mio turno di aggrottare la fronte: «Funzionare? Vuoi dire<br />

che non potrò camminare di nuovo?».<br />

«No, certo che no. Sappiamo bene che potrai camminare di<br />

nuovo. Zoppicherai, ma potrai camminare perfettamente. No,<br />

intendo funzionare fisicamente, sessualmente.»<br />

Sembrava imbarazzato.<br />

«Oh, quello» dissi, mentre nella mente mi passava un'immagine<br />

<strong>del</strong> disagio che un'erezione mi avrebbe provocato. «Mio Dio,


preferisco non pensarci neppure, adesso.»<br />

Lui mi guardava in modo strano e io mi sentii arrossire sotto il<br />

suo sguardo.<br />

«Cosa c'è, generale? Che cosa succede?»<br />

Scosse la testa come se volesse abbandonare l'argomento.<br />

«Niente, assolutamente niente.» Fece una pausa, poi continuò:<br />

«Tu sei un tipo piuttosto sobrio di carattere, vero?»<br />

«Generale?»<br />

«Sobrio, rigoroso. Non sei un gran donnaiolo, vero?»<br />

«Direi di no» risposi, stupito e preso in contropiede dall'inattesa<br />

deviazione dal consueto tenore <strong>del</strong>le nostre conversazioni. Poi<br />

aggiunsi come soprappensiero: «Non sono meno normale di un<br />

qualunque uomo normale, però, anzi forse di più».<br />

«No, non credo.» Scosse di nuovo la testa con espressione<br />

insolita, quasi meditativa. «Ti ho osservato, sai, negli anni passati, e<br />

ho apprezzato la tua temperanza. È uno degli elementi fondamentali<br />

nella formazione di un soldato eccezionale.»<br />

Si accorse dalla mia espressione che non ero a mio agio per via<br />

di quella conversazione e aggiunse per rassicurarmi: «Oh, so che sei<br />

normale. Semplicemente non c'è in te niente di eccessivo, nel senso<br />

negativo <strong>del</strong> termine. Fai ogni cosa con moderazione, mi sembra,<br />

niente in eccesso. Non bevi troppo, non vai troppo a donne, non ti<br />

batti e nemmeno discuti senza motivo. Sei un buon esempio per i<br />

tuoi uomini».<br />

«Mio Dio, generale,» dissi, «mi fai sembrare troppo perfetto per<br />

essere vero.»<br />

«Per carità, al contrario, ma chiedo scusa comunque.» Per un po'<br />

rimase in silenzio, io richiusi gli occhi e mi domandai quando gli<br />

infermieri sarebbero arrivati con l'acqua calda per le abluzioni<br />

mattutine. Allora parlò di nuovo: «Varro, sei mai stato


innamorato?».<br />

Mi sentii irrigidire in tutto il corpo, mentre mi chiedevo che cosa<br />

gli fosse capitato per provocare in lui una tale inconsueta intimità.<br />

Britannico non indulgeva mai in quel tipo di curiosità oziosa su<br />

niente e su nessuno. «Mai, signore» risposi, cogliendo io stesso<br />

l'imbarazzo nella mia voce.<br />

«Mai, Varro? Non sei mai stato innamorato? Neppure una volta<br />

in tutta la tua vita?»<br />

Mi misi a pensare, tenendo gli occhi chiusi, e mentre diversi<br />

ricordi si susseguivano nella mia mente, sentii che un sorriso mi<br />

spuntava sulle labbra malgrado l'iniziale imbarazzo.<br />

«Beh, signore,» dissi alla fine, «ho conosciuto qualche giovane<br />

donna, ragazza per essere più preciso, che mi ha fatto battere il<br />

cuore più in fretta e ha fatto vacillare i miei sensi ogni tanto, in<br />

luoghi diversi.»<br />

«Ah!» <strong>La</strong> sua voce pareva soddisfatta. «E c'è qualcuno in<br />

particolare che ha ancora questo potere su di te?»<br />

Il mio sorriso era più sicuro ora che mi sentivo a mio agio con<br />

l'argomento di conversazione. «No» risposi. «Non oggi, non<br />

veramente. Nessuno ha quel potere su di me e se mi fermassi a<br />

pensarci lo rimpiangerei.»<br />

«Ah, Varro, amico mio, allora sei proprio sfortunato. Non c'è<br />

niente di più grande <strong>del</strong>l'amore di una brava donna. Esso può<br />

sostenere un uomo nel superamento di ogni problema, per<br />

qualunque periodo di tempo.»<br />

Il silenzio aumentò e si dilatò, finché io lo ruppi. «Sì, l'ho già<br />

sentito dire da molte persone.»<br />

«È vero.» <strong>La</strong> voce di Britannico si fece più calda e più entusiasta<br />

mentre mi onorava <strong>del</strong>la sua confidenza.<br />

«Sai che mi ricordo ancora di quando conobbi Eraclita per la


prima volta? Avevo circa tredici anni...» Si interruppe, poi si<br />

corresse. «In realtà la prima volta la vidi solo, non la conobbi. Non ci<br />

conoscemmo veramente per altri due anni. Ma io non l'avevo<br />

dimenticata da quella prima volta. Un giorno la conoscerai, Varro e<br />

allora capirai quello che intendo. Era - è ancora - la più bella creatura<br />

che abbia mai visto. Seppi subito, benché così giovane, che la mia<br />

vita sarebbe stata costruita con lei. Vivevamo in città diverse e fu<br />

quindi una fortuna che i nostri genitori fossero amici intimi. Dopo<br />

quel primo incontro, comunque, i nostri genitori decisero che ci<br />

saremmo sposati una volta cresciuti e noi due fummo d'accordo.<br />

Diventammo amici, io partii con le legioni e anni dopo diventammo<br />

amanti. Ma io mi ero innamorato di lei da quel primo giorno in cui la<br />

vidi giocare con un coniglietto tra i canneti gelati sulla riva di uno<br />

stagno ghiacciato, mentre il suo respiro saliva in nuvolette di vapore<br />

nell'aria fredda e le sue guance rosse facevano sembrare gli occhi<br />

azzurri più splendenti <strong>del</strong> solito. E ora siamo sposati da... da<br />

quanto?» Fece il conto ad occhi chiusi e rispose alla sua stessa<br />

domanda: «Da quindici anni. Ci siamo sposati il giorno <strong>del</strong> mio<br />

ventitreesimo compleanno. Lei ne aveva venti». <strong>La</strong> sua voce si<br />

spense per un momento, spinto dalle parole a raccogliersi in se<br />

stesso...<br />

«Il mio unico rimpianto nell'essere quello che sono» riprese<br />

infine, «è che ho così poco tempo da passare con mia moglie. Io<br />

faccio il soldato, mentre lei rimane a casa e tiene in ordine per me il<br />

mio mondo privato. Potrebbe accompagnarmi, ma la vita <strong>del</strong> campo<br />

non è una buona vita per la moglie di un soldato, e la famiglia di un<br />

ufficiale anziano può avere molti problemi, in particolare se il<br />

marito o il padre è severo nel comando. Ma l'amore, Varro, l'amore<br />

di una brava donna è un valore inestimabile.» Girò la faccia verso di<br />

me e scosse la testa con bonaria perplessità. «Mi riesce veramente<br />

difficile credere a quello che dici, che non sei mai stato innamorato.»<br />

«Credimi, generale» gli dissi, sorridendo. «Sono sicuro che me<br />

ne ricorderei se lo fossi stato.»


Nella mia mente scorrevano immagini confuse, e per una<br />

ragione che non seppi mai veramente, mi facevano sentire in<br />

qualche modo in colpa, forse perché in un certo senso lo stavo<br />

ingannando. Stavo per dirglielo, e forse poi la conversazione<br />

avrebbe preso un'altra piega, ma l'infermiere entrò in quel momento<br />

con l'acqua calda per le nostre abluzioni mattutine e il cambio <strong>del</strong>le<br />

bende e questo provocò un cambiamento di umore, che ci privò <strong>del</strong><br />

desiderio di proseguire la discussione. Malgrado ciò, durante tutto il<br />

processo di lavaggio, pulitura, asciugatura e cambio <strong>del</strong>le bende, io<br />

occupai i miei pensieri ricordando la ragazza la cui esistenza mi era<br />

stata riportata alla mente dalle parole di Britannico, la ragazza che<br />

mi aveva stregato l'estate prima che entrassi nella legione, quando<br />

avevo solo quindici anni. Era lei il mio amore fantastico, la mia<br />

speciale ispiratrice. Portavo con me il suo ricordo, l'eccitazione<br />

fisica, magica di lei ovunque andassi al servizio <strong>del</strong>l'Impero, e la<br />

memoria <strong>del</strong> suo volto, la flessuosa snellezza <strong>del</strong>la sua vita, l'azzurro<br />

profondo e lucente dei suoi occhi e il rosso <strong>del</strong>le sue labbra morbide<br />

e calde mi avevano conciliato dolcemente il sonno nelle fredde notti<br />

<strong>del</strong>le campagne militari.<br />

Quell'ultima estate <strong>del</strong>la mia fanciullezza era stata un periodo<br />

meraviglioso, un periodo destinato a rimanere per sempre con me.<br />

Ora so - o quanto meno sospetto - che mio nonno si era dato<br />

particolarmente pena per me quell'anno, sapendo che ben presto<br />

sarei entrato nella vita adulta e nell'esercito. Aveva un amico, ricco<br />

cliente e mecenate, che viveva in una splendida villa vicino a<br />

Verulamium e che ci invitò a passare l'estate con lui. Accettammo e<br />

io andai in quel paradiso per otto lunghe settimane. <strong>La</strong> villa era<br />

magnifica, ma non era niente rispetto alla campagna! I campi estivi<br />

erano gravidi, lussureggianti di vegetazione, e l'aria era piena di<br />

fragranze <strong>del</strong>le erbe, mescolate alla polvere secca e calda di sole,<br />

all'odore <strong>del</strong> concime e al profumo dei fiori. Le mie orecchie erano<br />

allietate dai ronzii <strong>del</strong>le mosche e degli insetti, dal cinguettio degli<br />

uccelli e dal fruscio <strong>del</strong>l'erba alta che si strofinava sulle mie gambe.


Mi feci dei nuovi amici lì, un ragazzo romano che aveva la mia età,<br />

di nome Mario, il cui padre era soprintendente <strong>del</strong>la fattoria e un<br />

ragazzo più giovane, di nome Noris, figlio di un artigiano celta che<br />

faceva tetti di paglia per case e altri edifici nell'arco di molte miglia.<br />

Eravamo tutti e tre senza preoccupazioni.<br />

E poi, un giorno, circa una settimana prima che mio nonno e io<br />

tornassimo a Camulodunum, venimmo a sapere di una festa che si<br />

doveva tenere nella villa più vicina, verso est. Il figlio <strong>del</strong><br />

proprietario <strong>del</strong>la villa si era sposato da poco. Il matrimonio si era<br />

svolto a casa <strong>del</strong>la sposa e lo sposo doveva condurre la moglie nella<br />

sua nuova casa. Tutti erano invitati alla festa. Ci sarebbero stati<br />

musicisti, suonatori, un orso ballerino, giochi, cibo e bevande per<br />

tutti.<br />

L'orso ballerino era il più grande che avessi mai visto, ma<br />

quando riuscii ad avvicinarmi a lui rimasi molto <strong>del</strong>uso. Era mezzo<br />

morto di fame e malaticcio, la pelle era sciupata e piagata per il<br />

continuo strofinarsi contro le sbarre <strong>del</strong>la gabbia troppo piccola, e la<br />

pelliccia era sporca, opaca e puzzolente. Ero indignato per quella<br />

povera bestia inerme e brutalizzata, e furioso nei confronti <strong>del</strong><br />

grasso gigante mezzo scemo che sembrava essere il suo proprietario.<br />

Andai subito a cercare i miei due amici, fermamente determinato a<br />

chiedere il loro aiuto per liberare l'animale quella notte stessa, una<br />

volta che tutti fossero andati a dormire. Li avevo visti poco prima,<br />

dirigersi verso la bancarella <strong>del</strong> venditore di torte, che faticava a<br />

soddisfare le richieste per la sua mercanzia, e mi diressi verso di<br />

loro, tagliando direttamente attraverso il prato alberato dove si<br />

svolgeva la festa. E lì, in mezzo al prato, in quel pomeriggio caldo e<br />

polveroso, mi incontrai faccia a faccia con i miei sogni futuri.<br />

Avevo appena girato intorno al tronco di un grande albero,<br />

pigliando la strada più breve verso la bancarella <strong>del</strong>le torte, quando<br />

i miei occhi furono attratti dall'azzurro brillante di un vestito<br />

indossato da una ragazza alta, all'incirca <strong>del</strong>la mia stessa età. Aveva


lunghi capelli neri e lisci, un viso dolce e bellissimo, abbronzato dal<br />

sole, zigomi alti, una bocca rossa e grandi occhi azzurri che<br />

sembravano venirmi incontro. <strong>La</strong> vidi, vidi tutto di lei con un unico<br />

sguardo, e rimasi come trafitto dove mi trovavo, immobile come se<br />

fossi stato colpito da una bastonata. Era così bella da togliere il fiato.<br />

Non avevo mai visto niente di così bello, da nessuna parte. Era<br />

insieme ad altre tre ragazze, tutte più basse di lei, e stavano tutte<br />

ridendo per qualcosa che una di loro aveva detto. Sapevo che<br />

c'erano anche le altre, potevo vederle muoversi e sentivo le loro<br />

risate, ma le percepivo solo come ombre. <strong>La</strong> ragazza vestita<br />

d'azzurro calamitava tutta la mia attenzione.<br />

Le quattro ragazze si accorsero di me tutte nello stesso istante, o<br />

così mi parve. Di colpo interruppero la loro conversazione e quattro<br />

paia di occhi divorarono, dalla pianta dei piedi alla cima <strong>del</strong>la testa,<br />

ogni dettaglio <strong>del</strong> fascino che subivo e che mi aveva bloccato<br />

goffamente a metà di un passo. Poi, in quel particolare modo tipico<br />

<strong>del</strong>le ragazze adolescenti, si voltarono contemporaneamente verso<br />

un centro comune, ridacchiando e parlottando, convinte che, in<br />

qualche modo, girandomi le spalle e stringendosi tutte insieme si<br />

sarebbero celate al mio sguardo.<br />

Ma la ragazza alta si differenziò dalle altre semplicemente<br />

alzando la testa e guardandomi direttamente. Non c'era un sorriso<br />

sul suo volto, né riuscii a leggere l'espressione dei suoi occhi. Si<br />

limitò a guardarmi e io la guardai e in qualche modo, attraverso la<br />

distanza di una decina di passi che ci separava, sentii il calore <strong>del</strong><br />

suo interesse attivo, eccitato. Il mio cuore accelerò i battiti e il mio<br />

respiro si fece rapido e agitato. Sapevo di avere riempito<br />

magicamente il suo universo come lei aveva invaso il mio. Mi parve<br />

che i suoi occhi diventassero più grandi mentre la guardavo: mi<br />

divoravano, colmando i miei sensi al punto che ogni altra cosa<br />

impallidiva e tutto quello che avrei voluto fare veramente era<br />

allungare una mano e toccare le sue morbide guance. E poi, di colpo,<br />

le sue amiche si misero a parlare a gran voce, a muoversi, a tirarla,


portandola via. Avevano perso ogni interesse per me e,<br />

miracolosamente, non si erano rese conto di quello che era accaduto<br />

tra me e la loro bella amica. Lei andò con loro, controvoglia, lo<br />

vedevo, e girava la testa mentre camminava, per continuare a<br />

guardarmi. Completamente dimentico di quello che stavo facendo<br />

prima, scordati i miei amici e l'orso, mi mossi per seguirla. Lei<br />

sorrise e si girò verso le sue compagne, sicura che io non sarei stato<br />

lontano.<br />

<strong>La</strong> seguii fino a che arrivò il momento - non so che cosa o chi ci<br />

condusse a ciò - che tutti gli altri erano come scomparsi e noi ci<br />

trovammo insieme, noi due soli, come naufraghi in splendido<br />

isolamento in mezzo a una folla di persone che non avevano<br />

nessuna importanza per le nostre vite. <strong>La</strong> fissavo senza parlare e lei<br />

fissava me. Sorrise con un sorriso perfetto che metteva in mostra<br />

denti simili a perle e che fece battere il mio cuore. So che parlammo,<br />

ma non ricordo le parole, e poi ci allontanammo insieme dalla festa,<br />

via dalla folla, lontano dagli occhi di tutti.<br />

Era alta. Era bella. Era mia. Nessuno dei due dubitava di ciò e<br />

non c'era bisogno di parlarne. Tra noi non c'era forzatura, né<br />

timidezza, né falso imbarazzo. Ci toccammo dolcemente il viso, i<br />

capelli, le orecchie, con mani tremanti per la recente scoperta. Toccai<br />

dolcemente con dita esitanti le sue labbra piene e sorridenti, ed esse<br />

si schiusero, baciando castamente le mie dita. Sentivo tra le mani la<br />

sua vita, snella e flessuosa, e ansimai quando il suo volto si avvicinò<br />

al mio e le nostre bocche si baciarono. Era tra le mie braccia,<br />

riempiva le mie braccia, mi stringeva con le sue e io ero sopraffatto<br />

dalla vicinanza e dalla pienezza e dalla morbidezza e dal profumo<br />

dolce e pulito di lei e ci divoravamo di baci, con avidità,<br />

selvaggiamente, nella innocente necessità e furia e meraviglia <strong>del</strong><br />

primo amore.<br />

Mi disse che il suo nome era Cassia, diminutivo di Cassiopea, la<br />

costellazione che sorse nel <strong>cielo</strong> <strong>del</strong>la sera prima che ci accorgessimo


che si era fatto tardi. Sapeva che il mio nome era Publio. Non seppi<br />

mai il suo nome completo, né lei il mio. Quando ritornammo alla<br />

festa qualcuno la stava cercando e un padre severo la portò via<br />

gelosamente e la sottrasse alla mia vista.<br />

Il giorno dopo dovetti tornare a Camulodunum e non la rividi<br />

più. Ma non la dimenticai. Mi aveva detto che suo padre era un<br />

soldato, un legato e che lei era una figlia <strong>del</strong>l'esercito, che viveva la<br />

vita dei militari, e si spostava da un campo all'altro e da un paese<br />

all'altro con la compagnia di suo padre. Durante tutti i miei viaggi<br />

con le legioni li cercai, lei e suo padre, ogni volta che visitavamo una<br />

nuova città o guarnigione, ma senza un nome non potevo cercarla<br />

sistematicamente. A poco a poco il suo ricordo era impallidito. Ma<br />

ancora adesso, dopo quindici anni, la cerco in ogni città in cui arrivo.<br />

E ora che Britannico aveva risvegliato i miei ricordi di lei, li<br />

abbracciai e li usai per mitigare il dolore che nemmeno le medicine<br />

di Mitros riuscivano a togliere dalle mie carni ulcerate.<br />

Il dolore era una presenza costante nella nostra stanza di<br />

invalidi, e così anche il sonno, i primi giorni in cui Mitros ci<br />

imbottiva di farmaci, e a dolore e sonno si univa una grande noia,<br />

perché quando uno dei due dormiva, l'altro spesso restava sveglio,<br />

isolato in compagnia <strong>del</strong> suo ozio forzato.<br />

Di tanto in tanto la monotonia <strong>del</strong> nostro isolamento veniva<br />

rotta da uno o dall'altro che riceveva una visita, ma gli uomini che<br />

venivano a trovarmi si trovavano in imbarazzo e a disagio alla<br />

presenza <strong>del</strong> mio augusto ospite e compagno. Per me era il mio<br />

legato, il mio compagno d'armi di tanti anni e un amico fidato, ma<br />

per i miei visitatori era “il vecchio Faccia d'Aquila”, il generale che li<br />

comandava e quindi il loro destino e il loro dio. Strascicavano i<br />

piedi, mormoravano, tergiversavano e si agitavano nervosamente e<br />

non vedevano l'ora di uscire.<br />

In una di quelle occasioni, dopo una breve visita di due miei<br />

subordinati, centurioni <strong>del</strong>le coorti, mi girai verso Britannico e lo


trovai addormentato, disteso sulla schiena, con il naso aquilino che<br />

si stagliava in controluce, e quell'immagine mi riportò alla mente<br />

una serie di ricordi.<br />

Africa, 365 d.C.<br />

Nessuno può passare due anni di servizio attivo in Africa senza<br />

imparare a ripararsi dal sole durante il periodo più caldo <strong>del</strong> giorno.<br />

Ero al riparo, abbastanza comodo, e sonnecchiavo pigramente,<br />

quando qualcosa mi svegliò di soprassalto. Rimasi a giacere<br />

immobile dove mi trovavo, trattenendo il respiro, con le orecchie<br />

tese, aspettando che il rumore si ripetesse. Poi, di colpo, da qualche<br />

parte dietro di me, proprio al limite <strong>del</strong>la mia soglia uditiva, un<br />

cammello tossì e questa volta il rumore mi fece scattare in ginocchio,<br />

con la testa bassa dietro la sommità <strong>del</strong>le rocce che mi<br />

nascondevano, nel tentativo di individuare la direzione dalla quale<br />

proveniva il rumore. Un soldato romano incontra pochi sconosciuti<br />

nel deserto che gli siano amici, e nessuno di loro monta un<br />

cammello.<br />

Si trattava di cinque uomini: quattro di loro erano in groppa a<br />

un cammello e indossavano i tipici abiti lunghi, neri e soffocanti dei<br />

barbari nomadi che infestavano quelle zone desertiche. Il quinto<br />

uomo camminava in mezzo a due cavalieri e qualcosa nella<br />

posizione <strong>del</strong> suo corpo, anche a quella distanza, mi disse che<br />

camminava con le mani legate dietro la schiena: il fatto stesso che<br />

fosse a piedi rendeva evidente che si trattava di un prigioniero. Il<br />

gruppo era a circa un miglio da me quando li vidi luccicare nella<br />

vampa <strong>del</strong> sole, e avvicinarsi con andatura decisa, ma lenta, finché<br />

l'uomo a piedi cadde in ginocchio, obbligando la piccola processione<br />

a fermarsi e ad aspettare che si rimettesse in piedi. Anche a quella<br />

distanza mi fu possibile vedere che era uno <strong>del</strong>la mia stessa razza,<br />

perché indossava la tunica corta in uso nell'esercito. Inoltre vedevo<br />

chiaramente che era allo stremo <strong>del</strong>le forze. Mi appiattii contro la


occia; i miei occhi superavano appena la sommità <strong>del</strong>la collinetta su<br />

cui mi trovavo e guardai quel poveretto ondeggiare e barcollare<br />

mentre il gruppo si avvicinava al mio nascondiglio. Era legato al<br />

collo con due corde, ognuna <strong>del</strong>le quali era tenuta da uno dei<br />

cavalieri che gli stavano a fianco.<br />

Non temevo che potessero trovarmi. Mi sarebbero passati vicini,<br />

sulla sinistra, diretti al pozzo, l'unica acqua nel raggio di miglia. Io<br />

c'ero già stato all'alba, avevo bevuto a sazietà e avevo riempito le<br />

mie borracce, poi mi ero guardato intorno e avevo scelto quella<br />

collinetta disseminata di macigni per ripararmi durante le lunghe<br />

ore <strong>del</strong> giorno. Ero protetto dal sole e da eventuali visitatori dalle<br />

alte rocce e da un mantello appeso in posizione strategica, e il mio<br />

cavallo era a posto e ben coperto. Non avevo lasciato tracce visibili<br />

<strong>del</strong> mio passaggio per nessun osservatore casuale o indagatore.<br />

Aspettavo che scendesse la notte per attraversare le cinque leghe di<br />

deserto che mi separavano dalla riva <strong>del</strong> mare, dove avrei preso una<br />

nave che mi avrebbe portato via dall'Africa, verso casa, in Britannia,<br />

costeggiando l'Iberia e la Gallia.<br />

Detesto l'Africa. <strong>La</strong> maledico dal più profondo <strong>del</strong>la mia anima<br />

di legionario e per le migliori ragioni <strong>del</strong> mondo, che condivido con<br />

ogni altro disperato che abbia mai trascinato il suo bagaglio militare<br />

per le sue maledette distese di sabbia. Ci ero andato come soldato.<br />

Per me questo è un paese che ha solo due facce, una <strong>del</strong>le quali è<br />

falsa. <strong>La</strong> faccia menzognera è una maschera da prostituta, dipinta<br />

per nascondere la corruzione e la decadenza. È la faccia <strong>del</strong>l'Africa<br />

cittadina, gaudente di lussi grossolani ed esotici. È la faccia che<br />

viene vista nella maggioranza dei casi dai diplomatici e dai ricchi<br />

mercanti di Roma nei loro viaggi. Lontano dal lusso e dai palazzi<br />

<strong>del</strong>le principali città, però, l'Africa mostra l'altra faccia, la sua vera<br />

faccia, ai soldati di Roma. Questa faccia ghignante è contorta<br />

dall'odio, avvelenata dall'ostilità.<br />

I soldati che a piedi controllano le mortali terre desertiche


africane non si fanno illusioni sulla sua vastità o sui suoi misteri: per<br />

loro l'Africa è l'Ade, un posto miserabile, che li opprime con doveri<br />

spiacevoli, temperature insopportabili e rigore senza sollievo. Sanno<br />

che è popolata da creature aliene e violente la cui natura brutale<br />

riflette il luogo in cui vivono, nomadi, spietate tribù <strong>del</strong> deserto<br />

sempre impegnate in contese sotto forma di interminabili guerre<br />

locali e faide violente e sanguinose. Si chiamano Berberi e la sola<br />

causa che abbiano mai avuto in comune è la guerra contro i soldati<br />

di Roma. Perciò i soldati di Roma da secoli li considerano con un<br />

misto di timore, odio e astioso rispetto, trattandoli come i guerrieri<br />

selvaggi più implacabili <strong>del</strong> mondo, e sono convinti che la parola<br />

“barbari” sia stata inventata in tempi remoti per descrivere i Berberi<br />

<strong>del</strong>l'Africa.<br />

Quelli erano gli uomini che stavo spiando. Mi dispiaceva per il<br />

loro prigioniero, ma non presi nemmeno in considerazione l'ipotesi<br />

di aiutarlo. Quei figli di puttana erano in quattro e avevano altri due<br />

cammelli per legare allo stesso modo anche me. Rimasi<br />

raggomitolato, mezzo in piedi, mezzo disteso, abbracciato alla mia<br />

roccia, osservandoli e aspettando che passassero.<br />

Il prigioniero cadde di nuovo in ginocchio pressapoco nel punto<br />

più vicino a me lungo il loro cammino, a meno di centocinquanta<br />

passi da dove ero appostato. Uno dei due che lo tenevano legato non<br />

gli prestava molta attenzione e non lo vide cadere, motivo per cui la<br />

corda che li univa si tese strattonando il prigioniero e facendolo<br />

cadere a faccia in giù nella sabbia irta di rocce. Rabbrividii<br />

immaginando il dolore lancinante di quel brusco impatto,<br />

insignificante però rispetto al dolore che seguì quando il cavaliere<br />

lanciò una maledizione e fece schioccare una lunga frusta sulle<br />

spalle <strong>del</strong>l'uomo a terra. Il suo gesto non provocò nessuna reazione.<br />

L'uomo doveva essere morto o privo di conoscenza. Con una<br />

imprecazione che esprimeva il suo disprezzo, quello che impugnava<br />

la sferza fece inginocchiare il cammello e scivolò al suolo,<br />

avvicinandosi al prigioniero e sollevandogli la testa per i capelli. Il


viso, una maschera imbrattata di sabbia, non dava segni di vita, ma<br />

l'uomo evidentemente era ancora vivo, poiché il suo rapitore lo<br />

lasciò ricadere a terra e si diresse verso il cammello, dove aprì un<br />

otre e fece cadere un po' d'acqua sul lembo <strong>del</strong>la stoffa che gli<br />

avvolgeva il capo pendendogli sulla sua fronte. Poi, con l'otre in<br />

mano, si diresse verso l'uomo privo di sensi, gli tirò su di nuovo la<br />

testa e lo ripulì in qualche modo dalla sabbia, così che io vidi<br />

apparire la sua pelle chiara, abbronzata dal sole.<br />

Ci volle un po' di tempo, ma alla fine il prigioniero riprese i<br />

sensi, con l'aiuto <strong>del</strong>la generosa quantità d'acqua che gli veniva<br />

offerta, lo sapevo, solo perché a poca distanza ce n'era altra. Non<br />

appena sembrò in grado di stare in piedi di nuovo il barbaro lo<br />

obbligò a rialzarsi e lo lascio lì solo, barcollante, mentre risaliva sul<br />

suo cammello. Nessuno dei suoi tre compagni si era mosso, né<br />

aveva parlato. Sentii il gutturale ordine “Hut Hut Hut” ai cammelli<br />

e poi, quando ripresero a muoversi, proprio prima di fare il primo<br />

passo incerto, il prigioniero si girò, con la faccia pulita, gli occhi<br />

socchiusi, e guardò verso il punto dove io mi nascondevo, senza<br />

tuttavia vedere niente.<br />

Quello sguardo ebbe su di me l'effetto di un tuffo improvviso<br />

nell'acqua gelata. Mi si accapponò la pelle e le mie bu<strong>del</strong>la si<br />

rimescolarono di orrore. Lo conoscevo. E di colpo, in quel momento,<br />

seppi che quel momento e quel posto erano stati predestinati, che il<br />

capriccio che mi aveva portato lì aveva un'origine soprannaturale.<br />

Non sono un uomo superstizioso, al contrario, ma seppi che quello<br />

era il mio destino, il mio fato. Ho sentito molte persone dire che<br />

avevano rivissuto in un istante tutta la loro vita quando pensavano<br />

di stare per morire. Non è esattamente quello che mi accadde, ma<br />

non avevo mai provato un'esperienza più strana di quel momento,<br />

quando odori, suoni, sensazioni e visioni mi assalirono senza<br />

preavviso, emergendo da un tempo lontano quattro anni.<br />

A quell'epoca ero di stanza ai confini orientali <strong>del</strong>l'Impero, per


una campagna militare, ma quando mi svegliai quel giorno, avrei<br />

potuto essere ovunque. Ero disteso sulla schiena, completamente<br />

disorientato, senza nozione alcuna di quello che mi era successo. E<br />

poi il ricordo riaffiorante di una battaglia, di facce di barbari urlanti<br />

che mi circondavano, mi aveva provocato un'ondata di panico e<br />

avevo cercato di alzarmi in piedi. Fu allora che nella mia mente<br />

compresi che ero stato ucciso, perché per quanto mi sforzassi non<br />

riuscivo a muovere un solo muscolo. Non riuscivo nemmeno a<br />

urlare. Non riuscivo a mordermi la lingua. Il panico crebbe in me<br />

fino all'inverosimile, e allora sentii il cuore che mi batteva come un<br />

tamburo nelle orecchie e mi assicurava che ero vivo. Repressi il<br />

panico e cercai di rilassarmi.<br />

Rimasi a giacere per un po', costringendomi a respirare adagio e<br />

profondamente e a considerare l'evidenza dei sensi che lavoravano<br />

ancora. Percepivo odori e rumori. Avevo una certa sensibilità,<br />

perché mi accorsi che una mosca si posava sulla mia guancia e si<br />

infilava nella mia bocca aperta. Cercai di sputarla fuori, ma non ci<br />

riuscii. Il terrore si insinuò di nuovo in me come una colonia di<br />

vermi. Non osavo aprire gli occhi, nel dubbio che fossero già aperti,<br />

e fossi cieco oltre che paralizzato. <strong>La</strong> mosca volò fuori dalla mia<br />

bocca: un secondo prima la sentivo sulla lingua, e d'un tratto era<br />

volata via. Cercai lentamente di aprire gli occhi. Almeno quelli<br />

funzionavano, ma la luce era accecante e sentivo i muscoli <strong>del</strong>le<br />

palpebre ribellarsi ai miei sforzi. Il resto <strong>del</strong> corpo era morto. Al di<br />

sotto <strong>del</strong>la bocca non sentivo assolutamente niente.<br />

Non saprei dire per quanto tempo rimasi lì, ma alla fine la forte<br />

luce contro le palpebre sembrò affievolirsi e avvertii una sensazione<br />

di freddo sulla faccia e poi una solitaria goccia di pioggia mi colpì<br />

sul naso con una forza e una subitaneità che mi fecero spalancare gli<br />

occhi. Giacevo ancora sul dorso, colla faccia rivolta verso il <strong>cielo</strong><br />

coperto da banchi di pesanti nuvole nere. Non avevo mai visto<br />

niente di più bello. Vicino, molto vicino alla mia faccia c'era qualcosa<br />

e cercai di voltare gli occhi quanto più possibile per vedere cosa


fosse. Era la faccia di un morto, orribilmente mutilato, a pochi<br />

centimetri dalla mia faccia. Il cranio era stato frantumato e la massa<br />

cerebrale fuoriusciva in un macabro spettacolo. Le mosche<br />

brulicavano su quella poltiglia. Sentii un conato di vomito e lo<br />

contenni terrorizzato, sapendo che altrimenti sarei soffocato. A poco<br />

a poco la nausea passò e io svenni.<br />

Mi risvegliai di colpo e vidi un uomo che mi sovrastava, col<br />

lembo <strong>del</strong>la tunica che mi toccava quasi la faccia. Ormai era quasi<br />

buio e io ringraziai Dio con fervore per avere mandato qualcuno ad<br />

aiutarmi prima che cadesse la notte. Cercai di emettere un lamento,<br />

di muovermi, ma non accadde nulla e nessun suono uscì dalla mia<br />

bocca. Urlando dentro di me, vedevo con orrore il suo sguardo<br />

posarsi su ogni cosa intorno a me, senza mai guardarmi. Sentii i miei<br />

occhi riempirsi di lacrime. Avevo solo diciotto anni, ero stato ferito<br />

nella mia prima battaglia ed ora avrei dovuto morire qui a pochi<br />

centimetri da un uomo che non poteva vedermi! Attraverso le<br />

lacrime lo vidi guardare giù e poi fermarsi di colpo fuori dalla mia<br />

visuale. Poi sentii un pesante brontolio e la mia intera prospettiva<br />

cambiò improvvisamente: forse un milione di mosche volò via<br />

nell'aria. Vidi che l'uomo alzava qualcosa fuori dalla mia vista e<br />

seppi che si era spostato alla mia destra. Il movimento aveva<br />

allontanato la faccia <strong>del</strong> cadavere prima così vicina alla mia.<br />

«Tribuno». <strong>La</strong> sua voce era profonda. «Ho trovato il loro<br />

stendardo. Era sotto questo mucchio». Distese il braccio e vidi che<br />

reggeva la grande aquila d'argento che avevo portato con tanto<br />

orgoglio, attaccata all'asta sopra le lettere SPQR, simbolo <strong>del</strong> Senato<br />

e <strong>del</strong> Popolo Romano. Un altro uomo, più giovane, entrò nel mio<br />

campo visivo, prese l'asta <strong>del</strong>lo stendardo, guardò l'aquila e poi si<br />

guardò intorno, scuotendo con rincrescimento la testa; i suoi occhi si<br />

posarono su di me. Anch'egli sembrava un'aquila, un potente rapace<br />

con occhi incavati, ardenti, colore <strong>del</strong>l'oro giallo, un naso adunco<br />

grande e sottile e la bocca stretta in un'unica linea senza labbra sopra<br />

un mento quadrato e volitivo. Mi fissava direttamente negli occhi


senza vedermi, il pensiero rivolto a qualcosa di diverso da ciò che<br />

stava vedendo. Ma poi vidi il suo sguardo farsi più intenso. Una<br />

ruga comparve tra le sue sopracciglia e divenne più profonda<br />

mentre concentrava su di me la sua attenzione. Fece un passo verso<br />

di me e vidi le sue dita, tese come artigli, raggiungere il mio collo. Il<br />

suo volto perspicace da predatore arrivò a pochi centimetri dalla<br />

mia faccia e quando con un dito mi toccò la guancia, umida di<br />

lacrime, sbattei le palpebre. Ero perfettamente cosciente <strong>del</strong>le rughe<br />

intorno ai suoi occhi, che potevano essere state provocate solo<br />

dall'averli troppo spesso socchiusi al sole; perfino nel momento in<br />

cui mi salvava, pensavo che quella faccia non poteva sorridere, né<br />

ridere.<br />

«Quest'uomo è vivo! Tiratelo fuori di qui, presto!»<br />

Due uomini comparvero dietro di lui, che si fece da parte perché<br />

mi potessero tirare fuori dal mucchio di cadaveri dov'ero sommerso.<br />

Il mio sollievo era così grande che svenni di nuovo.<br />

Alla fine mi ripresi dalla paralisi che mi aveva bloccato -<br />

conseguenza di chissà quale possente colpo alla base <strong>del</strong>la colonna<br />

vertebrale - e ritornai alla mia unità decimata, dove chiesi e ottenni il<br />

permesso di cercare di rintracciare il giovane ufficiale che mi aveva<br />

salvato la vita. Non lo trovai mai e la sua faccia caratteristica si era a<br />

poco a poco sbiadita nell'angolo più remoto dei miei ricordi, fino a<br />

quel momento dimenticata.<br />

Ora quegli occhi colore <strong>del</strong>l'oro guardavano di nuovo verso di<br />

me e mi ricordavano un debito in sospeso. Una strana forma di<br />

fatalismo mi invase in quel momento, mentre me ne stavo nascosto<br />

dietro a una roccia e guardavo i suoi rapitori trascinarlo, e passare<br />

oltre la curva <strong>del</strong>la collina. Nel tempo che ci volle perché passassero<br />

io avevo ormai preso coscienza di quello che dovevo fare; sapevo<br />

che le possibilità di successo erano molto esili contro quattro<br />

uomini, e <strong>del</strong> tutto inesistenti se erano arcieri.


Da ragazzo, in casa di mio nonno, ero affascinato da un enorme<br />

arco africano, appeso a una parete <strong>del</strong>la sua grande stanza <strong>del</strong><br />

tesoro, così chiamata perché conteneva tutte le armature e le armi<br />

antiche ed esotiche che aveva raccolto in una vita dedicata allo<br />

studio <strong>del</strong>le armi. Nonno Varro era considerato il migliore armaiolo<br />

e fabbro <strong>del</strong>la Britannia, ma era anche conosciuto come un<br />

insaziabile collezionista di antichi esemplari <strong>del</strong>la sua arte e i soldati<br />

gli portavano curiosità e vestigia da tutti gli angoli <strong>del</strong>l'Impero,<br />

sapendo che sarebbe stato ben felice di comprarli.<br />

Di tutta la sua collezione, quel grande arco era ciò che più mi<br />

affascinava. Era troppo grande perché riuscissi a tenderlo, ma<br />

questo lo rendeva ancora più affascinante.<br />

Una volta arrivato in Africa come soldato ne avevo comprato<br />

uno simile, anche se molto più piccolo, e mi ero divertito a imparare<br />

ad usarlo bene. Le lunghe ore di pratica mi offrivano ora l'unica<br />

possibilità di uscire vivo da quell'avventura, perché avevo portato<br />

alla perfezione l'arte di incoccare le frecce infisse a terra lungo una<br />

linea ideale, tirandole con maggiore rapidità e precisione di<br />

chiunque altro conoscessi. Però non c'era mai stato nessuno che mi<br />

tirasse addosso mentre mi esibivo. E speravo che anche stavolta non<br />

sarebbe stato diverso.<br />

Quando fui certo che il gruppo fosse a distanza di sicurezza,<br />

fuori dalla portata visiva e uditiva, incordai l'arco, presi otto frecce e<br />

mi misi a seguirli, tenendomi basso e avvicinandomi il più possibile<br />

al pozzo senza farmi vedere. Si erano fermati e stavano<br />

preparandosi a una sosta. Quando non potei avvicinarmi oltre, mi<br />

sdraiai sulla sabbia e mi coprii con il mio lungo mantello color<br />

sabbia. Adesso dovevo solo aspettare il buio, come <strong>del</strong> resto avevo<br />

fatto per tutto il giorno.<br />

Ormai avevo abbandonato la speranza di arrivare alla costa<br />

quella notte. In realtà dubitavo che dopo quell'incontro sarei andato<br />

da qualsiasi parte. Per distrarmi, passai il tempo cercando di


ignorare l'oggetto reale dei miei pensieri, facendomi domande sul<br />

prigioniero con il naso aquilino e discutendo con me stesso se avevo<br />

portato o no abbastanza frecce. Era una discussione <strong>del</strong> tutto sterile.<br />

Se avessi avuto bisogno di più di due frecce per ognuno dei miei<br />

bersagli, sarebbe stato certo troppo tardi per usarle.<br />

Ovviamente non riuscii a sfuggire ai pensieri che occupavano<br />

davvero la mia mente, e quindi smisi di fingere e lasciai che il<br />

vecchio dilemma si ripresentasse. Ero un soldato, un soldato di<br />

Roma. Cercavo di fare <strong>del</strong> mio meglio per essere un buon soldato.<br />

Questa era una metà <strong>del</strong> problema, ma l'altra metà, quella che<br />

realmente mi turbava, era che ero anche un cristiano e benché non<br />

mi sforzassi particolarmente di essere un buon cristiano ero un<br />

cristiano credente, per formazione giovanile e per convinzione mio<br />

malgrado. Credevo nel potere e nella giustizia dei comandamenti<br />

cristiani e soprattutto, temevo il comandamento che senza<br />

possibilità di equivoci dice: «Non uccidere!». Mai. Avevo imparato<br />

quella incontrovertibile verità sulle ginocchia di mia nonna. Era una<br />

donna anziana molto devota, che aveva in orrore l'attività <strong>del</strong> marito<br />

e il suo amore per le armi e le cose militari, e considerava suo dovere<br />

assicurarsi che sarei cresciuto nella consapevolezza <strong>del</strong>la santità di<br />

ogni creatura vivente. Non le sono mai stato grato. Né sono mai<br />

riuscito a eliminare i rimorsi per il fatto di essere un soldato, un<br />

assassino pagato. <strong>La</strong> parte di me che è stata educata dalla nonna<br />

odia uccidere. <strong>La</strong> parte di me che ama la vita militare gode <strong>del</strong>la<br />

violenza e <strong>del</strong>la furia <strong>del</strong> combattimento. E, ovviamente, devo<br />

combattere. Ma dopo il combattimento, dopo la violenza, viene la<br />

retribuzione: odio per me stesso, repulsione, agonia mentale e<br />

malessere fisico. Ogni volta, senza fallo. Ma solo dopo, mai prima.<br />

Quando cadde la notte fui contento di essermi avvicinato al<br />

pozzo durante il giorno, perché quella gente non aveva nessuna<br />

intenzione di passare la notte dormendo pigramente. Non appena si<br />

alzò la luna, piena, che inondava il deserto di una luce d'argento, si<br />

misero in movimento, pronti a ripartire. Avevo strisciato verso il


loro campo sulla pancia, sperando di sorprenderli nel sonno, ma la<br />

loro improvvisa attività mi colse quasi alla sprovvista. Mi<br />

immobilizzai dove mi trovavo, a venti passi da dove il primo degli<br />

uomini passò per andare dove erano legati i cammelli. Altri due<br />

stavano prendendo a calci e pugni il loro prigioniero, per obbligarlo<br />

ad alzarsi e controllare così le corde intorno al collo. Il quarto uomo<br />

si mosse venendo verso di me e proseguì. Avevo deciso di essermi<br />

ormai avvicinato il più possibile e avevo già messo in fila le mie otto<br />

frecce, di modo che sporgevano dalla sabbia come i pali di uno<br />

steccato. L'uomo era sul punto di vedere le frecce e me quando si<br />

fermò di colpo, ancora più vicino a me di quanto non lo fosse stato<br />

l'uomo che si occupava dei cammelli, e si liberò di un grande fiotto<br />

di urina che andò a poco a poco diminuendo in una serie di zampilli.<br />

Raccolsi le energie, calcolando che i miei movimenti<br />

coincidessero con il suo riassettarsi le vesti e poi mi alzai sulle<br />

ginocchia e tirai. <strong>La</strong> freccia lo colpì con precisione in mezzo allo<br />

sterno da circa quindici passi e la violenza <strong>del</strong>l'impatto lo sollevò da<br />

terra mentre stava ancora guardando in basso. Incoccai la seconda<br />

freccia che la prima non aveva ancora raggiunto il bersaglio, e<br />

stavolta la diressi sul cammelliere, nel dubbio che avesse sentito il<br />

rumore <strong>del</strong>la morte <strong>del</strong> suo compagno.<br />

Ma non aveva sentito niente. Tutta la sua attenzione era<br />

concentrata nel far rialzare il cammello su cui era montato. Mentre si<br />

inarcava all'indietro per adattarsi al goffo barcollamento <strong>del</strong><br />

cammello, lasciai partire la freccia e la vidi affondare fino alle piume<br />

nella carne morbida appena sotto la gabbia toracica. Anch'egli cadde<br />

senza emettere un suono, ma la sua caduta fu notata. Si udì una<br />

risata rauca, subito sostituita da un perplesso grido d'allarme.<br />

<strong>La</strong> luce <strong>del</strong>la luna era intensa, ma io ero molto lontano dai due<br />

uomini rimasti con il prigioniero. Non mi avevano ancora visto, ma<br />

si divisero istintivamente gettandosi uno a destra e uno a sinistra.<br />

Tirai in fretta su quello che si muoveva verso destra, ma fu un tiro


sprecato, e rimasi con sole cinque frecce. Allora le raccolsi tutte e<br />

corsi verso destra, perché l'uomo che si trovava in quella posizione<br />

mi sembrava più vicino. C'era una collinetta di sabbia, non più di<br />

un'onda <strong>del</strong> terreno, ma mi appiattii sotto di essa, drizzando le<br />

orecchie per cogliere qualunque suono che potesse rivelare dei<br />

movimenti. Il prigioniero rimaneva immobile nella posizione in cui<br />

era stato lasciato, con le mani legate dietro la schiena e le corde che<br />

dal collo ricadevano a terra. Non avrebbe potuto scappare da<br />

nessuna parte e per quello che ne sapeva avrei potuto essere un altro<br />

nomade <strong>del</strong> deserto. Se uccidevo i suoi rapitori, probabilmente avrei<br />

ucciso anche lui. Valutai che tra noi ci fossero circa cinquanta passi.<br />

Niente si muoveva. E adesso?<br />

I cammelli cominciarono a sfilare alla mia sinistra e quasi troppo<br />

tardi capii che cosa significasse. Girai la testa e feci appena in tempo<br />

a vedere un'ombra scura alzarsi da terra e rimanere in piedi<br />

immobile, coperta dai grossi corpi degli animali. Mirai con<br />

attenzione alla parte <strong>del</strong>l'uomo visibile sotto la pancia <strong>del</strong> cammello<br />

che lo riparava e lasciai andare la freccia; udii un urlo terrorizzato di<br />

dolore e di oltraggio, e la nera ombra senza forma che avevo<br />

trapassato cadde. Meno tre. Ne restava uno e sapevo cosa fare.<br />

«Romano» chiamai, tenendo la voce bassa. «Sono alla tua<br />

sinistra. Comincia a camminare verso di me. Io ti coprirò. C'è ancora<br />

uno dei tuoi ospiti vivo lì intorno. Se si muove verso di te o se senti<br />

qualcosa buttati a terra e lascialo a me.» Un'improvvisa inclinazione<br />

<strong>del</strong>la sua testa verso il suono <strong>del</strong>la mia voce fu il solo segno che<br />

rivelasse la sua sorpresa nell'udire una voce amica rivolgersi a lui in<br />

latino, e dovetti ammirare il suo freddo autocontrollo quando<br />

cominciò a camminare verso di me come se stesse facendo una<br />

passeggiata serale.<br />

Mi alzai, girando la testa di qua e di là, scrutando ogni ombra in<br />

vista, aspettando che il quarto uomo facesse un movimento, ma non<br />

accadde nulla. Quando Faccia d'Aquila mi raggiunse, lasciai andare


la corda <strong>del</strong>l'arco con la destra, tenendo la freccia incoccata tra l'asta<br />

<strong>del</strong>l'arco e l'indice e il medio <strong>del</strong>la mano sinistra.<br />

«Girati.» Estrassi la spada con la destra, continuando a<br />

guardarmi intorno per cogliere qualunque segno di movimento.<br />

«Metti i polsi avanti.» Fece quello che gli dissi e iniziai a tagliare le<br />

corde, ma era impossibile fare la guardia e tagliare le corde<br />

contemporaneamente.<br />

«Al diavolo,» dissi, «in che condizione è la tua vista?»<br />

«Perfetta.» <strong>La</strong> sua voce era fredda e calma.<br />

«Bene, allora usala, mentre io taglio queste corde per bene,<br />

altrimenti rischi di perdere una mano.»<br />

Appoggiai l'arco a terra e piantai la freccia nel terreno vicino alle<br />

altre tre, poi tagliai le corde in fretta, guidando la lama con l'indice<br />

sinistro. Era legato molto stretto. «Farà molto male quando il sangue<br />

ricomincerà a scorrere» gli dissi. «Abbassa la testa e lasciati togliere<br />

la corda che hai al collo.»<br />

Non so che cosa mi avesse messo in allarme, ma l'istinto militare<br />

prese il sopravvento. Gli diedi una spinta dicendogli: «Ventre a<br />

terra» mentre una freccia sibilava nel breve spazio che ci divideva.<br />

Ancora prima che le parole mi uscissero dalla bocca ero in<br />

ginocchio; afferrai l'arco con una mano e una freccia con l'altra. Poi<br />

continuai a rotolare con le braccia tese sopra la testa mentre un'altra<br />

freccia e poi una terza arrivarono sibilando verso di me. Vidi<br />

l'ombra nera stagliata contro il <strong>cielo</strong> illuminato dalla luna proprio<br />

mentre rotolavo in un piccolo avvallamento che divenne più<br />

profondo per il mio peso. Poi, sperando di essere al sicuro per<br />

qualche secondo, mi liberai <strong>del</strong> mantello che stava per strangolarmi,<br />

incoccai con cura la freccia, ruotai sui fianchi e mi alzai in piedi,<br />

tirando la corda <strong>del</strong>l'arco. Fui di nuovo fortunato. Lo sorpresi<br />

nell'atto di puntare contro Faccia d'Aquila e mentre spostava la mira<br />

su di me la mia freccia era già in viaggio. Lo colpii alla spalla destra,<br />

facendolo barcollare e cadere in ginocchio, mentre la sua freccia


volava da qualche parte nella luce <strong>del</strong>la luna. Mi misi a correre verso<br />

di lui, roteando la spada, ma inciampai in un punto inaspettato <strong>del</strong><br />

terreno con una forza che mi tolse completamente il respiro e mi<br />

mandò a rotolare in terra. Stavo ancora cercando di rialzarmi<br />

quando sentii la voce di Faccia d'Aquila sopra di me.<br />

«Rilassati. Il nostro amico è scappato nel deserto. Non tornerà<br />

indietro. Tu sei solo senza fiato e ti riprenderai. Lui è ferito<br />

malamente e non si riprenderà.»<br />

Guardai in su verso di lui. Si stava massaggiando il polso destro,<br />

muovendo le dita.<br />

«Hai ragione. Fa un male cane.»<br />

Mi accorsi allora che parlava a denti stretti, mentre indicava un<br />

punto alle sue spalle e continuava:<br />

«Non posso ancora tenere in mano la spada, altrimenti andrei là<br />

a finire quel povero disgraziato».<br />

Solo allora identificai l'orribile suono che mi arrivava alle<br />

orecchie, un gemito prolungato che proveniva dall'uomo che avevo<br />

ferito sotto alle zampe <strong>del</strong> cammello. Rimasi lì ancora qualche<br />

minuto, cercando di riprendere fiato, poi mi alzai e mi diressi verso<br />

l'uomo che gemeva al suolo. Anche senza guardarlo bene potevo<br />

vedere che lo avevo colpito al centro <strong>del</strong>l'osso pubico.<br />

Questa era la parte che temevo maggiormente. Tutti i miei<br />

vecchi fantasmi vennero ad assalirmi mentre lo finivo in fretta,<br />

cercando inutilmente di non sporcarmi le mani con il suo sangue<br />

caldo, inerme e dolorosamente intimo. Mi rialzai a fatica, con negli<br />

occhi l'immagine <strong>del</strong>la sua faccia e con le mani coperte dal suo<br />

sangue. Raccolsi una manciata di sabbia e cercai di ripulire il liquido<br />

appiccicoso, ma il sangue si stava già coagulando, e caddi carponi a<br />

vomitare la mia colpa in dolorosi spasmi.<br />

Dopo un po' riuscii ad alzarmi e a ritornare verso Faccia<br />

d'Aquila che stava ancora strofinandosi i polsi e mi guardava con


una strana espressione sul volto.<br />

«Chi sei?» mi chiese. «Come mai sei qui? E perché in nome dì<br />

tutti gli dei sei stato così pazzo da rischiare la tua vita contro ogni<br />

logica per un totale estraneo?»<br />

Sogghignai debolmente guardandolo. «Non proprio un totale<br />

estraneo, come dici» risposi. «Il mio nome è Varro. Publio Varro. Un<br />

fantasma <strong>del</strong> tuo passato, ritornato a pagare un debito.»<br />

Un leggero guizzo di apprensione gli apparve sulla faccia<br />

mentre gli veniva per un istante il dubbio che stessi dicendo la<br />

verità, poi si aperse in un sorriso e tese le mani verso di me. Mi resi<br />

conto <strong>del</strong>la forza <strong>del</strong>le sue dita quando strinse il mio braccio,<br />

alzando il sopracciglio destro a formare un arco, con un'espressione<br />

che mi sarebbe divenuta in seguito molto familiare.<br />

«Bene, Publio Varro,» disse. «È stato bello incontrarti stanotte,<br />

anche se so per certo di non averti mai visto prima. Mi scambi con<br />

qualcun altro, sono sicuro, ma sono contento <strong>del</strong> tuo errore.»<br />

«Nessun errore, tribuno. Hai già posato i tuoi occhi su di me<br />

prima di stasera. E le mani.»<br />

«Quando? Cosa vuoi dire?»<br />

«Solo quello che dico. È stato molto tempo fa e non c'è ragione<br />

perché tu te ne ricordi. È sufficiente che me ne ricordi io.»<br />

«Se questo ha fatto sì che tu mi salvassi la vita, allora ringrazio<br />

Dio per la tua memoria. Ma raccontami.»<br />

Mi guardai dietro le spalle verso le ombre che ci circondavano.<br />

«Volentieri, ma penso che questo non sia il posto adatto. È meglio<br />

che ci togliamo da qui. L'acqua attira troppi visitatori.»<br />

Si guardò intorno. «Penso che tu abbia ragione, amico. Ma<br />

vorrei dormire un'oretta prima di muoverci. Non ho riposato molto<br />

negli ultimi giorni e neanche un po' da quando i nostri amici mi<br />

hanno preso prigioniero ieri.»


«Non puoi resistere ancora un'ora? Ho lasciato il mio cavallo tra<br />

le rocce su una collina a circa mezza lega da qui. È un posto più<br />

sicuro di questo. Potrai dormire quanto vorrai quando saremo lì.»<br />

«Mezza lega?»<br />

«Non di più.»<br />

«Sai andare su un cammello?»<br />

Feci una smorfia, la migliore imitazione di un sorriso che potessi<br />

fare. «C'è qualcuno che ci riesce? Ci sono salito una volta e non<br />

posso dire di avere gradito molto l'esperienza.»<br />

«È meglio che camminare.»<br />

«Tribuno, in questo paese, qualsiasi cosa è meglio che<br />

camminare.»<br />

Durante la strada di ritorno alla collina rocciosa il mio stomaco<br />

si rimise finalmente a posto, e raccontai dove ci eravamo incontrati<br />

la prima volta. Mi fece piacere quando si ricordò il fatto; per prima<br />

cosa aveva notato le mie lacrime e il fatto che ero un ragazzo ancora<br />

imberbe.<br />

«Senza barba, è vero, e non era l'unica cosa che mi mancava» gli<br />

dissi. «Era la mia prima campagna e il mio primo combattimento. Se<br />

tu non mi avessi notato sarebbe stato anche l'ultimo.» Gli dissi che lo<br />

avevo cercato e non ero riuscito a trovarlo. «Dove eri andato? Perché<br />

non sono riuscito a trovarti?»<br />

Si strinse nelle spalle. «Mi muovevo. Non ero con il vostro<br />

gruppo quando ci incontrammo. Ero solo di passaggio con la mia<br />

legione. Il combattimento era finito quando capitammo lì e i miei<br />

uomini ti consegnarono ai medici. Ma credevo che fossi<br />

completamente paralizzato. Non pensavamo che saresti vissuto.»<br />

«Non lo credeva nessuno, ma la paralisi dopo un po'<br />

scomparve.»<br />

Rabbrividì e mi accorsi allora di quanto facesse freddo. «Ecco,»


dissi, «prendi il mio mantello. Ho qualche indumento di ricambio e<br />

<strong>del</strong>le coperte insieme al cavallo.»<br />

«Hai anche <strong>del</strong> cibo? Del vero cibo, intendo?»<br />

«Cibo legionario. Farina d'avena e granoturco, noci, uva secca e<br />

datteri. Un po' di carne secca, molta acqua che avevo preso prima e<br />

due borracce di vino che riportavo con me.»<br />

«Grazie al <strong>cielo</strong>! Hai un ospite per cena.»<br />

Stare in equilibrio su un cammello era più facile da dire che da<br />

fare. Ci sembrò che ci volessero anni per arrivare in cima alla collina<br />

dove avevo lasciato il cavallo. Parlammo a bassa voce durante la<br />

cavalcata, perché il suono viaggia lontano nel deserto di notte, e<br />

dissi che ero diretto in Britannia per raggiungere la Legione XX, la<br />

famosa Valeria Victrix, la mia prima assegnazione a casa da quando<br />

mi ero unito alle aquile legionarie sette anni prima. Volle sapere<br />

come ero riuscito ad ottenere il trasferimento e io sottolineai che non<br />

avevo avuto nessuna licenza lunga nei sei anni di servizio di<br />

frontiera. Tutto ciò era giusto, mi rispose, e avevo certamente<br />

meritato una lunga vacanza, ma questo non mi dava diritto a un<br />

trasferimento intercontinentale e interlegionario. Ovviamente aveva<br />

ragione e non mi parve un problema dirgli come ero riuscito a<br />

ottenerlo.<br />

«Sono un centurione, tribuno. Conosci la mia razza. Non ci sono<br />

molte cose che un centurione anziano non riesca a ottenere. Nel mio<br />

caso mi sono trovato in condizione di rendere certi servizi al mio<br />

comandante. Il tipo di servizio che egli ha ritenuto degno di una<br />

ricompensa.»<br />

Mi interruppe subito, spinto, come avrei scoperto in seguito,<br />

dall'onestà che era parte predominante <strong>del</strong> suo carattere. «Non sono<br />

sicuro di voler sentire di più. Mi pare comunque che la ricompensa<br />

per te, fosse anche una ricompensa per lui. Di sicuro al tuo ritorno in<br />

Britannia gli sarai grato, e difficilmente rivelerai cose che possano<br />

essere imbarazzanti per lui.»


Capii l'allusione e scossi la testa. «No, tribuno, con tutto il<br />

rispetto. Non c'era niente di scorretto. Il mio comandante, il legato<br />

Seneca, aveva un figlio che poteva diventare un peso per lui. Ho<br />

preso il ragazzo sotto la mia ala e l'ho fornito di penne. È tutto quello<br />

che c'è stato.»<br />

Si oscurò in viso. «Seneca? Sei un amico dei Seneca?»<br />

Scossi la testa, stupito per l'improvvisa ostilità nella sua voce.<br />

«No, tribuno, sono solo un semplice centurione. Il legato mi ha<br />

chiesto di dare un'occhiata a suo figlio e di raddrizzarlo: di fare di<br />

lui un soldato.»<br />

«E tu lo hai fatto?»<br />

«Certo» gli risposi. «L'ho fatto. È stato meno difficile di come mi<br />

era stato descritto. Ho solo dovuto tirare fuori da lui il meglio. Il<br />

legato mi è stato grato e ora io sono in viaggio verso la Britannia.»<br />

«Mmm. Devi essere un uomo di grande capacità per riuscire a<br />

tirare fuori qualcosa di buono da un Seneca.» <strong>La</strong> sua voce era piena<br />

di sarcasmo e di avversione. Io sentii una collera improvvisa.<br />

«Bene, tribuno» tagliai corto. «Mi spiace se ti ho offeso.»<br />

Agitò la mano verso di me, nell'inequivocabile ordine di tacere e<br />

continuammo per un po' senza parlare. Quando riprese a parlare il<br />

suo tono era dispiaciuto.<br />

«Perdonami, centurione. Non ho il diritto di rimproverarti. Non<br />

si può pretendere che tu scelga i tuoi comandanti. Da molto tempo<br />

c'è una feroce e lunga inimicizia tra la mia famiglia e quella dei<br />

Seneca. Il sangue è stato sparso per anni e non c'è amore tra di noi da<br />

una generazione all'altra.»<br />

Non c'era niente che potessi rispondere. Non erano fatti miei e<br />

non volevo sembrare curioso. Accettai le sue parole e non feci<br />

commenti. Dopo un po' fu lui a parlare di nuovo.<br />

«A casa in Britannia!» <strong>La</strong> sua voce sembrava piena di nostalgia.


«Tutto quel verde dopo tutta questa sabbia. Cosa sai <strong>del</strong>la<br />

Ventesima?»<br />

Scossi la testa. «Niente, tranne che sono famosi. Sono stati<br />

chiamati Valeria Victrix fin dall'epoca di Giulio Cesare e la loro<br />

fortezza è a Deva, nella Cambria, dall'epoca <strong>del</strong>la campagna di<br />

Agricola, circa trecento anni fa. A parte ciò so solo che sono con la<br />

Seconda Coorte Miliaria come sostituto pilus prior. Sembra che il mio<br />

predecessore sia morto e che non ci sia nessuno di veramente<br />

qualificato nella truppa locale. Fino al mio arrivo un comandante<br />

<strong>del</strong>la coorte occupa quel posto.» Feci una smorfia nel buio.<br />

«Francamente non so cosa significhi, quindi mi aspetto il peggio,<br />

sperando in qualcosa di sopportabile. <strong>La</strong> sola altra notizia che ho<br />

sentito è che adesso non sono a Deva; parlo <strong>del</strong>la Seconda Coorte.<br />

Sono nel nordest, a Eboracum.»<br />

«<strong>La</strong> Seconda Coorte <strong>del</strong>la Ventesima, eh?» Anche al buio<br />

riuscivo a vedere il suo sorriso, mentre scuoteva la testa.<br />

«Cosa c'è di così buffo? Di cosa ridi?»<br />

Rideva incomprensibilmente tra sé e sé. «Stavo solo riflettendo<br />

sulle circostanze. Tu sei qui a causa <strong>del</strong> mio nemico, anche se<br />

indirettamente, e mi hai salvato la vita. Però il tuo modo di rivolgerti<br />

a me manca veramente di rispetto militare e non so bene cosa dovrei<br />

fare.»<br />

Mi irrigidii per il tono di critica nella sua voce. Aveva ragione,<br />

ovviamente. Io ero solo un centurione e lui era un tribuno militare e<br />

il mio comportamento non era stato corretto militarmente. Ma in<br />

qualche modo, a causa <strong>del</strong>le circostanze non mi era sembrato<br />

necessario mostrare deferenza nei suoi confronti in mezzo al<br />

deserto, dove c'eravamo solo noi due. Era evidente che mi ero<br />

sbagliato a giudicarlo. Era più rigido di quanto avessi pensato.<br />

Doveva avermi letto nel pensiero, perché spinse il suo cammello<br />

vicino al mio, con un ampio sorriso.<br />

«Rilassati, Varro. Andremo d'accordo tu e io. Questo incontro


era palesemente voluto dal fato. Il mio nome è Gaio Britannico.<br />

Anche io ero in cammino per la Britannia quando sono stato preso.<br />

Diretto alla Seconda Coorte <strong>del</strong>la Legione Ventesima. Sono il tuo<br />

nuovo ufficiale comandante. Non ho forse il diritto di chiedermi<br />

cosa dovrò fare con te?»


II<br />

Per alcune settimane dopo l'imboscata nella gola il mio intero<br />

mondo consistette solo di dolore per la ferita. Ancora oggi mi è<br />

difficile descriverlo. Essendo un veterano e avendo già numerose<br />

ferite accumulate negli anni di servizio in luoghi selvaggi credevo<br />

che il dolore mi fosse familiare. Mi sbagliavo. Questa esperienza di<br />

muscoli e tendini e nervi distrutti dalla punta tagliente di una scure<br />

mi aveva insegnato quanto poco sapessi. Il dolore con cui dovevo<br />

convivere aveva una vasta gamma di intensità e ramificazioni e lo<br />

sentivo come uno spettro di diversi colori, che andavano da un<br />

bianco abbagliante a un rosso opaco, duro e vibrante.<br />

Ma di tutti i tormenti che dovetti subire il peggiore era di gran<br />

lunga quello causato dall'espletare le mie funzioni corporali.<br />

Divennero il mio peggiore nemico provocandomi inimmaginabili<br />

agonie. Mitros era <strong>del</strong>icato nelle sue somministrazioni, ma non<br />

sempre comprensivo. Una volta - era particolarmente impaziente -<br />

mi disse bruscamente che le donne dovevano tollerare dolori ben<br />

più forti durante il parto e che dovevo essere grato per il fatto di<br />

sentire male, perché significava che ero vivo. Furono comunque solo<br />

le sue capacità mediche e i suoi sedativi a base di oppio che mi<br />

impedirono di impazzire in quel primo mese.<br />

Il dolore, comunque, come ogni altra cosa nella vita, è<br />

transitorio. A poco a poco cominciai a guarire, giorno dopo giorno,<br />

respiro dopo respiro. Giunse anche il momento in cui riuscii a stare<br />

disteso immobile e sentire - quasi esplorare - il mio dolore, senza<br />

aver voglia di urlare come un bambino. E poi arrivò il giorno, molto<br />

più tardi, in cui potei rimanere disteso sulla schiena e pensare ad<br />

altre cose oltre al dolore che provavo. Da quel momento in poi<br />

cominciai a migliorare a vista d'occhio e a parlare e pensare di<br />

nuovo in modo razionale.


Trascorsi molte ore in silenzio passando in rivista e analizzando<br />

l'affinità tra Britannico e me che si era sviluppata ed era prosperata<br />

dopo il nostro incontro in Africa.<br />

Avevamo fatto insieme il viaggio di ritorno in Britannia e<br />

quando sbarcammo a Lemanis, nel sud <strong>del</strong>la Britannia, ognuno di<br />

noi aveva potuto farsi un'idea chiara <strong>del</strong>le capacità <strong>del</strong>l'altro. Io ero<br />

soddisfatto <strong>del</strong> tipo di rapporto che si era stabilito tra di noi, quello<br />

tra un ufficiale e un fe<strong>del</strong>e subordinato, ed ero certo che anche<br />

Britannico fosse soddisfatto.<br />

Da Lemanis noleggiammo dei cavalli e ci mettemmo in<br />

cammino verso nord, in direzione di Londinium, il centro<br />

amministrativo <strong>del</strong>la Britannia meridionale. Giunti lì ci<br />

presentammo a rapporto dal governatore militare per presentare le<br />

nostre carte e ricevere un riconoscimento ufficiale <strong>del</strong> nostro arrivo.<br />

A Londinium nessuno aveva tempo da perdere con noi. Fummo<br />

mandati via - quasi senza che potessimo fare una sosta - con un plico<br />

di dispacci personali, uno squadrone di cavalleria leggera di trenta<br />

uomini al comando di un decurione anziano, e un distaccamento di<br />

fanteria di centoventi rimpiazzi con sei giovani centurioni. Il tribuno<br />

ricevette istruzione di consegnare tutti questi uomini al legato<br />

anziano a Deva, la fortezza dove da oltre trecento anni si trovava il<br />

quartier generale <strong>del</strong>la Ventesima Valeria Victrix. Pensavamo che<br />

saremmo stati mandati direttamente a Eboracum, dove la Seconda<br />

Coorte <strong>del</strong>la XX Legione era stazionata in servizio temporaneo da<br />

diversi anni, ma i cervelli dei militari continuavano a funzionare a<br />

modo loro.<br />

<strong>La</strong> fortezza di Deva si trovava nella zona collinosa <strong>del</strong><br />

nordovest, in Cambria. Era stata costruita verso il 70 d.C., durante la<br />

campagna di Giulio Agricola destinata a completare la conquista<br />

<strong>del</strong>la Britannia. Era stata scelta quella sede poiché essa dominava il<br />

territorio dove si congiungevano le terre di tre bellicose tribù, i


Briganti, i Deceangli e gli Ordovici. Comunque dopo trecento anni<br />

di pax romana l'originaria importanza strategica di Deva era ormai<br />

da lungo tempo dimenticata. <strong>La</strong> sua posizione era ormai solo<br />

dannatamente scomoda. Per giungere fino lì da Londinium furono<br />

necessari cinque giorni di dura marcia.<br />

Deva si presentava come una fortezza impressionante e<br />

dall'aspetto imprendibile, esattamente come ci si poteva aspettare<br />

che fosse dopo oltre trecento anni di occupazione continuata da<br />

parte di una <strong>del</strong>le più valorose e vecchie legioni di Roma. Ci fu dato<br />

comunque meno di un giorno per notare tutto ciò, prima che gli<br />

ordini ci riportassero nuovamente in cammino.<br />

Appena arrivati apprendemmo che le informazioni iniziali,<br />

acquisite in Africa, erano precise. <strong>La</strong> Seconda Coorte <strong>del</strong>la<br />

Ventesima era di stanza a Eboracum, in servizio temporaneo con la<br />

Legione II, la Augusta, ad altri tre giorni di marcia verso nordest. Il<br />

legato a cui ci presentammo a rapporto era sgarbato e di cattive<br />

maniere e ci rimproverò aspramente per averci messo tanto ad<br />

arrivare quando ci aspettavano una settimana prima; poi ci spedì<br />

per la nostra strada con le orecchie in fiamme. <strong>La</strong> mia ammirazione<br />

per Britannico crebbe mentre osservavo la pazienza con cui<br />

accettava l'ingiustizia, l'inefficienza e la disorganizzazione che<br />

superiori incompetenti riversavano su di lui.<br />

Dagli inizi <strong>del</strong>la nostra relazione Britannico mi aveva sempre<br />

trattato con correttezza militare, un po' addolcita da cortesia e stima.<br />

Io lo ritenevo giusto, moderato e obiettivo nel modo di trattare gli<br />

uomini al suo comando. Ma sapeva essere tremendo nella sua<br />

collera se provocata da incompetenza o cattiva volontà. Rigido<br />

osservatore <strong>del</strong>la disciplina, età implacabile una volta deciso che la<br />

punizione era giusta. E non mi sembrò mai, in nessun momento,<br />

capace di tollerare serenamente gli stupidi.<br />

In quei giorni la Britannia era in pace da molti anni. I compiti dei<br />

legionari consistevano quindi per lo più nella costruzione di strade e


nella loro manutenzione, nel pattugliamento <strong>del</strong>la provincia e nel<br />

mantenimento <strong>del</strong>l'ordine tra i civili. L'esercito non era altro, come<br />

ovunque <strong>del</strong> resto, che il potere armato dietro la legge. Ben poche<br />

occasioni chiamavano le truppe stanziate in Britannia a spargere<br />

sangue: di tanto in tanto <strong>del</strong>le bande di Pitti dalla Caledonia o di<br />

Scoti dall'Ibernia venivano a fare scorrerie nel territorio <strong>del</strong>la<br />

provincia e dovevano essere respinte oppure, anche se meno spesso,<br />

bisognava sedare un ammutinamento originato da collera,<br />

insoddisfazione, mancanza di disciplina e noia, le conseguenze <strong>del</strong>la<br />

vita militare. <strong>La</strong> Seconda Coorte era stata inviata di stanza a<br />

Eboracum a causa di un ammutinamento. <strong>La</strong> ribellione era molto<br />

radicata e la Seconda Coorte <strong>del</strong>la Ventesima, forte di mille uomini,<br />

la sola coorte incontaminata dalla ribellione a Eboracum, era stata<br />

trattenuta lì per oltre due anni da un presidio preoccupato.<br />

Il tribuno Britannico ricevette l'ordine dal maleducato legato di<br />

Deva di assumere il comando <strong>del</strong>la Seconda Coorte, di portarla via<br />

da Eboracum, di condurla sessanta miglia più in giù, a Lindum, per<br />

dare il cambio a una unità <strong>del</strong>la Legione XIV di stanza lì.<br />

Così lui e io entrammo insieme nella vita <strong>del</strong>la Seconda Coorte,<br />

il nuovo tribuno, Gaio Britannico e il suo pilus prior, Publio Varro. E<br />

insieme cominciammo a plasmarla a immagine di Gaio Britannico.<br />

Era logico quindi che circa due anni più tardi ci trovassimo<br />

insieme a fronteggiare inimmaginabile, il fatto che diede inizio a una<br />

catena di eventi che avrebbe cambiato per sempre le nostre vite.<br />

Secondo i rapporti ufficiali questo accadde l'ora prima <strong>del</strong>l'alba<br />

nella prima notte di agosto nell'anno <strong>del</strong> Signore 367. Il bastione di<br />

confine noto come Vallo di Adriano nel nord <strong>del</strong>la Britannia fu<br />

travolto da una federazione di tribù ostili di Pitti <strong>del</strong>la Caledonia,<br />

aiutati a est da un'invasione dal mare di Sassoni e da ovest da una<br />

analoga invasione di Scoti dall'Ibernia. Questo è tutto. Gli storici<br />

romani non sprecano molta eloquenza per descrivere le disfatte di<br />

Roma.


Comunque sia le dimensioni <strong>del</strong> disastro erano terrificanti. Il<br />

Vallo di Adriano era lungo ottanta miglia. In nessun punto era alto<br />

meno di quindici piedi e per tutta la sua lunghezza correva un<br />

fossato profondo dieci piedi e largo trenta. A ogni miglio c'era un<br />

fortino di guardia, e tra un fortino miliario e l'altro c'erano due<br />

torrette di segnalazione, oltre a una serie di sedici forti o castella,<br />

ospitanti una guarnigione e posti a distanza di circa sei miglia uno<br />

dall'altro. Il vallo era difeso stabilmente da una forza di non meno di<br />

tremila uomini, a volte forze regolari ausiliarie di fanteria, a seconda<br />

<strong>del</strong>la situazione locale e <strong>del</strong>la disponibilità di uomini, ma<br />

soprattutto di coscritti locali, coloni e mercenari. Sempre mercenari.<br />

E tutto collassò in un'ora in quella nera notte di agosto.<br />

<strong>La</strong> dimensione, il coordinamento temporale e la rapidità<br />

<strong>del</strong>l'operazione sono difficili da visualizzare, ancor più da<br />

descrivere. Io sono arrivato a farmi un quadro degli eventi - un<br />

quadro personale e probabilmente falsato - solo molto tempo dopo,<br />

confrontando le testimonianze oculari dei pochi sopravvissuti che<br />

incontrai nel corso degli anni successivi. Senza eccezione tutti quegli<br />

uomini erano ancora stupefatti, sconcertati e confusi anni dopo<br />

quella notte. Erano anche stupiti di essere sopravvissuti e ognuno di<br />

loro riusciva a ricordare solo la propria reazione agli eventi, e le<br />

circostanze immediatamente legate alla propria situazione. Di tutti<br />

quegli uomini il più preciso fu Marco Galliface, il centurione di una<br />

guarnigione che era fuggito e si era ricongiunto a noi più tardi, come<br />

altri.<br />

Ho parlato con Galliface molte volte nei mesi che seguirono e i<br />

suoi ricordi di quella notte erano memorabili e precisi, e non<br />

variavano mai nei dettagli o nel racconto, di modo che, giacendo<br />

supino nella branda <strong>del</strong>l'infermeria, cercando un mezzo per<br />

rimediare al tedio <strong>del</strong>l'inattività, non feci fatica a richiamare alla<br />

memoria il suo volto o le sue parole...


Il Vallo di Adriano, 367<br />

Era il suo terzo turno di servizio al vallo e lo odiava più di<br />

quanto lo avesse odiato al momento <strong>del</strong> suo primo incarico. Marco<br />

Galliface strinse il mantello sotto il mento e si sporse dai bastioni,<br />

con gli occhi quasi chiusi per resistere alla violenza <strong>del</strong> vento mentre<br />

scrutava sotto e di fronte a sé nell'oscurità. Non vide né udì niente,<br />

se non il buio e il frastuono <strong>del</strong>le raffiche di vento. Il rumore nelle<br />

orecchie, mentre il vento sibilava tra i paraguance <strong>del</strong>l'elmo, gli<br />

rendeva impossibile sentire qualunque cosa; non riusciva neppure a<br />

vedere i movimenti che sapeva essere là fuori: il mulinello convulso<br />

e vorticoso <strong>del</strong>le zolle di terra, felci e ginestre che coprivano il suolo.<br />

Ben presto cominciarono a lacrimargli gli occhi e, mormorando una<br />

maledizione, si ritirò a sinistra dietro la protezione <strong>del</strong> bastione,<br />

strofinandosi gli occhi mentre il vento, fermato da quel riparo,<br />

ululava. Il vento che sembrava soffiare senza sosta da nord a<br />

quell'epoca <strong>del</strong>l'anno aveva una malignità, un'intensa ostilità che lo<br />

rendeva diverso da ogni altro vento al mondo. Giungeva a sud<br />

sferzante e tagliente dalle colline, la sua forza contorta e compressa<br />

dai loro contorni, e sbatteva con forza contro la superficie <strong>del</strong> vallo,<br />

alto quindici piedi, per essere risucchiato giù come una cascata nel<br />

fossato profondo dieci piedi che correva alla base <strong>del</strong> muro e poi<br />

ripiombare sopra e oltre e tra i bastioni con una violenza capricciosa<br />

che poteva gettare nel panico un uomo, strappandogli dalla bocca<br />

l'aria che cercava di inspirare.<br />

Galliface aveva saputo fare <strong>del</strong> suo odio una virtù, usandone la<br />

violenza per restare attivo, di modo che i suoi uomini fossero<br />

sempre vigili. Loro pensavano che lui li odiasse e che per questo<br />

cercasse sempre di trovarli in fallo. Si sbagliavano. Non li odiava.<br />

Odiava quella selvaggia frontiera senza dio, dove sembrava che<br />

niente mai si muovesse se non quel folle vento, che rendeva<br />

impossibile procedere lungo il vallo se non in una serie di balzi da<br />

un bastione all'altro, salti nei quali il viaggiatore doveva superare<br />

uno spazio aperto e poi fermarsi al riparo <strong>del</strong>la piccola protezione


offerta dal bastione successivo prima di proseguire. D'un balzo andò<br />

ad appiattirsi con le spalle al muro e individuò l'ombra di una<br />

sentinella schiacciata contro il vallo a meno di quattro piedi da lui.<br />

L'uomo lo stava aspettando e Galliface intuì, più che vedere, il suo<br />

saluto. Una folata particolarmente violenta passò tra i due e<br />

Galliface attese che la raffica si calmasse per superare la distanza tra<br />

sé e la sentinella.<br />

«Come va la notte?» Dovette urlargli nelle orecchie per farsi<br />

sentire, sapendo che le sue parole venivano portate via dal vento che<br />

urlava. «Qualcosa da segnalare?»<br />

«No, centurione. Tutto calmo, ma questa è...» Galliface pensò di<br />

aver sentito «...una perdita di tempo,» ma non poteva esserne certo,<br />

perché le parole <strong>del</strong>l'uomo erano attutite ancor più da una sciarpa di<br />

lana avvolta intorno alla parte bassa <strong>del</strong>la faccia, contro il<br />

regolamento. Quella contravvenzione non disturbò il centurione,<br />

che portava due paia di mutandoni lunghi sotto i calzoni di pelle e<br />

lunghe calze fatte a mano sulle gambe e sui piedi dentro ai sandali.<br />

Guardò in su verso il <strong>cielo</strong>, cercando <strong>del</strong>le stelle tra le masse<br />

<strong>del</strong>le nuvole rotolanti, ma tutto era nero. <strong>La</strong> sentinella urlò qualcosa<br />

a proposito <strong>del</strong>la neve. In effetti faceva freddo abbastanza da<br />

nevicare. Galliface fece cenno di sì con la testa e poi guardò verso<br />

destra dove poteva vedere in lontananza il baluginio giallo di una<br />

lampada dalla finestra di una torretta di guardia. «Grazie, Mitra, dio<br />

dei soldati» pensò. «Le necessità di un uomo sono poche e facili da<br />

soddisfare in una notte come questa. Aria ferma e calore lo fanno<br />

sentire felice.» <strong>La</strong> luce gialla segnava la fine <strong>del</strong>la prima metà <strong>del</strong><br />

suo giro di guardia. Annunciava una tazza di brodo caldo e, forse,<br />

un tiro o due ai dadi prima <strong>del</strong> ritorno alla fortezza. Batté una mano<br />

sulla spalla <strong>del</strong>la sentinella e le urlò nell'orecchio: «Il turno di<br />

guardia è a metà, ragazzo! Il cambio arriva all'alba!». Si tirò di nuovo<br />

il mantello sulla spalla sinistra, aumentò la presa sulla sua vitis, il<br />

bastone in legno di vite simbolo <strong>del</strong> rango di centurione, e si avviò


verso la torre. In una notte come quella capiva chiaramente perché<br />

un uomo poteva pensare che il servizio di guardia fosse una perdita<br />

di tempo. Ognuno dei quattro disperati figli di puttana che aveva<br />

ispezionato nell'ultima ora avrebbe potuto benissimo essere anche<br />

cieco e sordo, oltre a sentirsi gelato e infelice. Ogni movimento degli<br />

ultimi cento passi verso la luce gialla fu una lotta per l'equilibrio nei<br />

morsi di un vento che ora aveva raggiunto una furia maniacale, ma<br />

alla fine la raggiunse, spalancò la porta e si tuffò all'interno nel<br />

calore e nella luce.<br />

Quello che trovò invece furono orrore e confusione. Trebazio,<br />

suo amico da molti anni era disteso sul tavolo, con la faccia spaccata<br />

in due da una scure. Erode, un giovane mercenario ebreo, urlava in<br />

un angolo, schiacciato contro il muro da un uomo alto due volte lui,<br />

che brandiva ferocemente e fatalmente una spada. Galliface tentò di<br />

comprendere quello che stava accadendo davanti ai suoi occhi. Un<br />

altro sconosciuto altrettanto alto stava portando una ciotola fumante<br />

alle labbra con entrambe le mani. Rimase immobile per lo stupore,<br />

come <strong>del</strong> resto anche Galliface, e per un momento i due si fissarono<br />

con sorpresa e terrore. Il centurione era impossibilitato a fare<br />

qualunque cosa. Solo la sua mano sinistra era libera. L'altra,<br />

imbacuccata nel mantello strettamente avvolto, reggeva solo l'inutile<br />

bastone.<br />

Galliface fu il primo a riprendersi. Si precipitò di nuovo fuori<br />

dalla stanza, spingendo la porta con la mano libera. Nella sua mente<br />

c'era solo un'idea: dare l'allarme. Ritornò verso la sentinella urlando<br />

al massimo <strong>del</strong>le sue capacità, ma l'uomo non c'era più. Il vento era<br />

feroce, una belva ululante. Confuso Galliface si sporse dal bordo<br />

meridionale <strong>del</strong> parapetto, pensando che la sentinella potesse essere<br />

stata spinta giù dal vento, poi oltrepassò i bastioni e si sporse di<br />

nuovo. In quel momento gli parve di vedere qualcuno in piedi<br />

vicino a lui al di fuori <strong>del</strong> vallo, sospeso nel vuoto a quindici metri di<br />

altezza e poi <strong>del</strong>le dita lo afferrarono per l'elmo e si sentì<br />

scaraventare oltre il parapetto, mentre pensava: «Scale! Come hanno


potuto portare <strong>del</strong>le scale?». Stava ancora pensando questo quando<br />

andò a stramazzare al suolo in fondo al fossato venticinque piedi<br />

più sotto.<br />

A trenta miglia a est rispetto a Galliface e alla stessa ora precisa<br />

Lollio Malpace era in agonia. Non c'era vento nel suo settore, ma<br />

Malpace non lo avrebbe comunque notato. Malpace aveva la diarrea<br />

e l'aveva da due giorni. I suoi intestini erano un labirinto<br />

acquitrinoso di crampi che lo facevano contorcere e tutta la sua<br />

attenzione era dedicata solo al calcolo <strong>del</strong> tempo tra una crisi e l'altra<br />

di diarrea, in modo da ottenere il permesso di lasciare il suo posto<br />

per arrivare al cespuglio dietro al vallo che usava come latrina<br />

personale. Malpace era un pannone, veniva dall'Ungheria e il<br />

comandante <strong>del</strong>la sua squadra era un ibero che odiava i Pannoni.<br />

Dopo due giorni di sofferenza, Malpace aveva ormai raggiunto la<br />

fase nella quale avrebbe voluto cambiare nome, luogo di nascita e<br />

lealtà personali se questo avesse potuto soddisfare quel figlio di<br />

puttana <strong>del</strong> suo comandante e garantirgli qualche giorno in<br />

infermeria, ma non era così.<br />

Il comandante lo tratteneva ogni volta più a lungo quando<br />

Malpace chiedeva il permesso di andare a liberarsi, consapevole che<br />

prima o poi non sarebbe riuscito a raggiungere la latrina in tempo.<br />

Aveva ragione, ma per il motivo sbagliato. Il comandante lo lasciò<br />

andare ed egli corse, cercando la strada al buio nella pallida luce<br />

<strong>del</strong>la luna verso il gruppetto di cespugli, lottando con i vestiti<br />

mentre correva. E poi di colpo notò qualcuno che lo stava<br />

guardando e sentì un violento colpo alla spalla destra che lo girò di<br />

lato e lo sbatté a terra. Anni dopo ricordava ancora di aver pensato,<br />

un attimo prima di perdere conoscenza, che il suo comandante di<br />

squadra lo aveva preceduto aspettandolo in agguato solo per fargli<br />

pagare di essere un pannone.<br />

Tetrino, un mercenario sarmato presso una <strong>del</strong>le fortezze miliari


più vicine a Galliface, ma a ovest, ricordava solo di avere ripreso<br />

conoscenza e di avere visto una massa di corpi sul lato sbagliato <strong>del</strong><br />

portale, che sollevavano e spingevano la pesante sbarra che lo<br />

teneva chiuso. Di colpo vide la sbarra cedere, provocando la caduta<br />

di alcuni uomini, e poi vide i carri dei Pitti attraversare il portale<br />

spalancato; il primo carro gli spezzò l'osso <strong>del</strong>la gamba con la ruota<br />

destra cerchiata di ferro e lo rispedì nell'oscurità per il dolore.<br />

Apide Elpide, comandante <strong>del</strong>le guardie in una sezione molto<br />

più a ovest <strong>del</strong>le altre, aprì la porta e uscì dal fortino miliare per fare<br />

la sua ispezione. Si trovò faccia a faccia, quasi mento a mento, con<br />

uno straniero dalla barba nera. Nel descrivermi quell'incontro anni<br />

dopo Elpide ricordava di aver pensato: «Ma tu chi sei, per Ade?»<br />

prima che i suoi testicoli fossero ricacciati nell'addome da un calcio<br />

violento. Gli sembrò che il cervello gli esplodesse accecandolo,<br />

probabilmente perché aveva strizzato gli occhi in protesta e<br />

negazione <strong>del</strong>la subitaneità <strong>del</strong>la sua agonia, e sentì <strong>del</strong>le mani che<br />

afferravano le corregge di cuoio <strong>del</strong> suo corsaletto e lo sollevavano<br />

senza sforzo per buttarlo giù dal parapetto sul pavimento di <strong>pietra</strong><br />

molto più in basso. Questi erano i fortunati: i sopravvissuti. I soli<br />

sopravvissuti di quella notte che io abbia mai incontrato. Tutti loro<br />

ricordavano che l'attacco era avvenuto a metà <strong>del</strong>l'ultima guardia,<br />

prima <strong>del</strong>l'alba. Nessuno di loro aveva avuto nessun preavviso o si<br />

era aspettato quell'attacco. Nessuno di loro seppe quello che stava<br />

accadendo o ebbe il tempo di organizzarsi o di organizzare gli altri.<br />

Tutti loro persero conoscenza e giacquero come morti. Tutti furono<br />

in grado di scappare in seguito, perché il nemico non fece nessun<br />

tentativo di fermarsi a distruggere il vallo e neppure di tenerlo. Essi<br />

lo sfondarono simultaneamente in un'ondata lunga ottanta miglia,<br />

massacrarono i suoi difensori e dilagarono nella Britannia <strong>del</strong> sud.<br />

Erano bene organizzati, silenziosi, efficienti, e assolutamente<br />

devastanti. Il Vallo di Adriano, il tanto decantato bastione <strong>del</strong>la<br />

presenza romana in Britannia fu divorato nello spazio di un'ora.<br />

L'inimmaginabile era successo. <strong>La</strong> colonia più prospera e pacifica di


Roma era caduta davanti all'invasione.<br />

Britannico e io, per caso, fummo tra i primi ad accorgerci di<br />

quanto era successo. Eravamo a circa dieci miglia a sud <strong>del</strong> vallo<br />

proprio prima <strong>del</strong>l'alba, mentre ci dirigevamo verso nord per una<br />

breve licenza in visita a un amico di Britannico, Antonino, di stanza<br />

in una <strong>del</strong>le fortezze miliarie; ci fermammo in cima a una collina e<br />

fummo accolti da uno spettacolo quale nessuno di noi aveva mai<br />

visto. <strong>La</strong> valle sotto di noi ribolliva di guerrieri celti che sciamavano<br />

verso sud. Restammo seduti là per un'ora, guardando. Erano<br />

migliaia e dopo il primo shock provocato da quello che era successo,<br />

realizzammo che non era solo un gruppo che faceva un'incursione:<br />

si trattava di un esercito.<br />

Non avevamo idea di chi fossero, sapevamo solo che erano<br />

Celti, ma potevano provenire solo da nord e questo significava che<br />

dovevano aver superato il vallo. Il fatto che fossero così tanti e senza<br />

opposizione significava che le nostre guarnigioni sul vallo dovevano<br />

essere in ben cattive condizioni. Anche allora, guardando quelle<br />

migliaia di uomini, non potemmo credere che si trattasse di più di<br />

uno sfondamento localizzato. Io guardai verso Britannico per vedere<br />

che cosa pensasse di questo, ma la sua faccia era come fulminata.<br />

Avevamo lasciato la nostra coorte acquartierata al sicuro circa<br />

cinque miglia più in là ed era stata una saggia decisione. Altrimenti<br />

saremmo stati sorpresi nei nostri accampamenti come anitre in un<br />

pollaio o colti durante la marcia in ordine allentato, senza sapere che<br />

tutto era andato storto. Si dice che più di centomila persone<br />

passarono il vallo quel giorno. Non sapevamo neppure che là al<br />

nord ci fossero così tante persone! In ogni caso erano troppi perché<br />

potessimo attaccarli. Per fortuna erano diretti a sud, attraverso la<br />

valle che si stendeva a destra ai nostri piedi. <strong>La</strong> nostra coorte di mille<br />

uomini era a sudovest rispetto a noi, perciò ci allontanammo di lì e ci<br />

dirigemmo verso il campo.<br />

Cercammo in tutti modi di non farci notare, ma fummo scoperti


da un gruppo di uomini su carri - carri tirati da due cavalli, tranne<br />

uno con quattro - che scendeva da ovest lungo l'altro lato <strong>del</strong>la<br />

collina, e ci trovammo di colpo a correre per salvarci la vita.<br />

Ovviamente loro erano in fondo alla valle, dove il terreno era<br />

pianeggiante e più adatto ai carri. Capimmo che saremmo stati al<br />

sicuro finché fossimo rimasti sui fianchi <strong>del</strong>la collina.<br />

Mentre correvamo urlavamo uno all'indirizzo <strong>del</strong>l'altro:<br />

l'esistenza di carri da questo lato <strong>del</strong> vallo significava che avevano<br />

catturato almeno un castellum miliare e ne avevano aperti i portali al<br />

traffico su ruote. Non era una prospettiva piacevole per le persone<br />

che vivevano a sud e la massa di gente che avevamo visto ci faceva<br />

capire chiaramente che non avremmo potuto fare molto per aiutarli.<br />

Tentavo di non notare i macigni e le pietre che si staccavano<br />

sotto gli zoccoli <strong>del</strong> mio cavallo; cercavo di non pensare a cosa<br />

sarebbe successo se il cavallo fosse caduto; cercavo di aver fiducia<br />

nel mio cavallo più di quanto avessi mai avuto fiducia in qualcuno o<br />

qualcosa dopo la morte di mio nonno. Li sentivamo urlare, mentre si<br />

dirigevano verso di noi, guadagnando terreno. Per quello che<br />

potevo vedere nel carro con quattro cavalli c'erano tre o quattro<br />

uomini pigiati e due in ognuno degli altri.<br />

Avevamo fatto circa due miglia prima che io mi rendessi conto<br />

che eravamo sul lato sbagliato <strong>del</strong>la montagna. Per arrivare al nostro<br />

campo dovevamo scendere, attraversare la valle e salire dall'altro<br />

lato. In qualche modo la vista di quella gente ostile sul lato sbagliato<br />

<strong>del</strong> vallo non favoriva la mia fiducia nell'invincibilità di Roma.<br />

Britannico sembrò realizzare la stessa cosa nello stesso<br />

momento. <strong>La</strong> collina declinava verso est, allontanandoci dal campo,<br />

e la fine <strong>del</strong>la valle si avvicinava drammaticamente, costringendo i<br />

carri a procedere in fila indiana. Ora ci precedevano leggermente,<br />

cercando il modo di tagliarci la strada.<br />

«Vieni, Varro!» urlò Britannico, e spinse il cavallo a spron<br />

battuto giù per la collina. Il mio cavallo inciampò e mi spedì quasi a


terra, ma poi riacquistò l'equilibrio e scendemmo, in diagonale,<br />

ritornando lungo il cammino già percorso alle spalle dei carri.<br />

Piuttosto che guardare dove il cavallo mi portava preferivo<br />

osservare la reazione degli uomini sui carri.<br />

<strong>La</strong> nostra mossa li colse completamente alla sprovvista e potei<br />

sentire le loro maledizioni mentre cercavano di girare al galoppo<br />

senza rendersi conto di come fossero stretti dai pendii <strong>del</strong>la collina.<br />

Uno dei carri più piccoli si rovesciò, scagliando a terra i suoi<br />

cavalieri. Sentii l'inconfondibile nitrito di un cavallo.<br />

Gli altri due infine rallentarono e manovrarono a strette girate,<br />

frustando i cavalli con forza. Li avevamo colti di sorpresa e avevamo<br />

guadagnato un vantaggio, ma scendevamo in diagonale lungo una<br />

linea che convergeva con la loro, perdendo continuamente terreno,<br />

per cui non eravamo a più di trenta passi di distanza quando<br />

raggiungemmo lo stretto fondovalle e girammo a sinistra,<br />

attaccando l'altro pendio <strong>del</strong>la collina e superandoli per andare<br />

nell'altra direzione.<br />

Fu allora che il cavallo di Britannico cadde. Vidi il tribuno<br />

saltare letteralmente in aria e atterrare in piedi, ma lo slancio lo fece<br />

rotolare due volte prima di scomparire dalla mia vista.<br />

Bestemmiando come un sassone impazzito tirai le redini. Britannico<br />

era in piedi e correva verso di me, con i due carri a circa venticinque<br />

passi dietro di lui. Dal modo in cui il mio cavallo soffiava sapevo che<br />

non avrebbe retto il peso di tutti e due su quella collina, perciò saltai<br />

giù e sguainai la spada. A destra c'era un gruppo di grosse rocce, a<br />

meno di dieci passi da me e corsi lì, riparandomi tra i macigni,<br />

quando il tribuno mi raggiunse.<br />

«Bravo!» grugnì, senza neppure respirare affannosamente. Non<br />

vi era niente di effemminato in Britannico.<br />

Per fortuna avevamo fatto in modo che la collina fosse contro di<br />

loro. Non potevano avvicinarsi a noi con i carri finché eravamo tra le<br />

rocce. Uno di loro cominciò a tirare frecce su di noi, ma i suoi amici


sentivano l'odore <strong>del</strong> sangue e volevano finirci con le loro mani.<br />

Erano in sei, saltarono giù dai carri e si inerpicarono su per la collina<br />

come se stessero andando al Colosseo a vedere una lotta. Io avevo il<br />

mio scudo da parata attaccato alla schiena e mentre lo ruotavo per<br />

mettermelo davanti mi sarei augurato invece di avere il mio vecchio<br />

scudo <strong>del</strong>la fanteria di legno, cuoio e solido metallo. Dietro a uno di<br />

quelli un uomo si sentiva al sicuro.<br />

Non ricordo molto <strong>del</strong>la lotta, anche se ricordo che ognuno di<br />

noi uccise due uomini. A un certo punto Britannico ricevette un forte<br />

colpo sulla testa che intaccò in profondità il suo elmo facendogli<br />

perdere i sensi. Ricordo di essermi avvicinato a lui e di aver evitato,<br />

chinandomi, una sferzata che proveniva da dietro di me, mentre un<br />

grande celta di fronte a me assaggiava la punta <strong>del</strong>la mia spada.<br />

Cadde di fianco e non riuscii a liberare la spada. Sentii un rumore<br />

sibilante vicino all'orecchio e pensai: «Bene, ecco come va a finire».<br />

Poi di colpo la mia spada era libera e io mi girai per vedere il<br />

selvaggio vicino a me cadere con una freccia infilata nel collo mentre<br />

i suoi due amici guardavano verso la collina a bocca aperta.<br />

A quel punto mi scatenai. Salii sulla roccia di fronte a me e cercai<br />

di decapitare l'uomo che mi stava più vicino, vibrando il colpo con<br />

ogni oncia <strong>del</strong>la mia forza. Era un buon tentativo e riuscì quasi. <strong>La</strong><br />

mia spada si liberò facilmente questa volta, ma prima che potessi<br />

raggiungerlo, l'ultimo era morto, con le mani che stringevano<br />

inutilmente il giavellotto che lo aveva infilzato. Mi girai e mi parve<br />

che la collina si popolasse di soldati romani. <strong>La</strong>sciai cadere la spada<br />

e corsi a vedere come stava Britannico.<br />

Tito <strong>La</strong>uto, il nostro aiutante, aveva inviato una pattuglia di<br />

caccia a cercare carne fresca. Se fossero arrivati solo pochi istanti più<br />

tardi, la carne fresca saremmo stati noi. Ci avevano visto sulla<br />

collina dall'altro lato <strong>del</strong>la valle e anche se non sapevano perché<br />

stavamo correndo così forte erano venuti a spron battuto.<br />

Britannico era senza conoscenza, ma sanguinava solo dal naso e


per quello che potevo dire era stato abbattuto solo dal contraccolpo<br />

<strong>del</strong> suo elmo. Dio sa se il figlio di puttana che lo aveva atterrato era<br />

grande e grosso! Era quello che aveva assaggiato la mia spada.<br />

Due nemici erano ancora vivi, ma uno dei nuovi arrivati mise<br />

subito a posto la situazione. Iniziai a dire qualcosa al decurione in<br />

forza alla pattuglia di caccia, ma tutto divenne rosso e cominciai a<br />

vomitare. Era il risultato degli sforzi di mia nonna per conservarmi<br />

integro spiritualmente.<br />

Quando ebbi finito rivolsi di nuovo la mia attenzione al<br />

decurione. Ripensandoci adesso, a distanza di tempo, meritavano<br />

un premio per il controllo <strong>del</strong>le loro espressioni. Nessuno lasciò<br />

trasparire che fossero sorpresi di scoprire che un centurione <strong>del</strong>la<br />

loro coorte era abbastanza umano da sentirsi male.<br />

«In quanti siete?»<br />

«Due squadre, centurione. Venti, più io.»<br />

«Cavalleria?»<br />

«No, centurione.»<br />

«Bene, sono contento che siate qui. Ora dobbiamo tornare<br />

indietro. Quanto siamo lontani dal campo?»<br />

«Circa due miglia, centurione.»<br />

«Bene. Il tribuno è malconcio. Portatemi quel carro con i quattro<br />

cavalli, lo guiderò io. Fate in modo che il tribuno stia il più comodo<br />

possibile e mandate uno dei vostri uomini a recuperare i nostri<br />

cavalli. Il cavallo <strong>del</strong> tribuno è a posto?»<br />

«Sembra di sì, centurione. Niente di rotto. Sono tutti e due<br />

sfiatati però.»<br />

«Hanno tutti i diritti di esserlo. Bene, cerchiamo di andarcene di<br />

qui sani e in fretta.»<br />

Il giovane decurione aveva la fronte aggrottata. «Cosa sta<br />

succedendo, centurione? Chi è quella gente? Da dove sono venuti?»


Lo guardai sorpreso. Non aveva molti anni di esperienza. «Da<br />

dove pensi che vengano, per Ade, ragazzo? Vengono da oltre il<br />

bastardo vallo, è da lì che vengono!» Sembrava stravolto. «Come ti<br />

chiami?»<br />

«Stratone, centurione. Decio Stratone.»<br />

«Bene, decurione Stratone, il barbaro, il nemico che ti stai<br />

addestrando da anni a combattere è venuto in forza dal vallo. In<br />

grande forza. Siamo al centro di un'offensiva a sorpresa su larga<br />

scala. Un'invasione. E ci hanno colto con le braghe calate. Hai<br />

capito?» Fece segno di sì con la testa, mentre proseguivo. «<strong>La</strong> cosa<br />

migliore che possiamo fare adesso è tornare al campo e difenderlo,<br />

se ci riusciamo, finché il tribuno non ritornerà nel mondo dei vivi.»<br />

Ci sono molte cose che non riesco a ricordare di quel giorno, ma<br />

mi ricordo di aver visto in quel momento negli occhi <strong>del</strong> decurione<br />

che capiva di cosa stavo parlando.<br />

Piazzammo Britannico sul pianale <strong>del</strong> carro e mi misi alla guida,<br />

poi diressi i quattro cavalli al passo in cima alla collina cosicché i<br />

nostri soccorritori appiedati non ebbero problemi a seguirci.<br />

Tornammo al campo senza ulteriori contatti con il nemico.<br />

Britannico cominciò a dare segni di risveglio poco dopo che ci<br />

fummo messi in moto, ma soffriva molto e non aveva fretta di<br />

riprendere conoscenza. Non c'era molto spazio sul carro, così lo<br />

avevo lasciato a gambe divaricate mezzo disteso e mezzo seduto.<br />

Non appena cominciò a riprendersi, cercò di dibattersi e penso di<br />

avergli dato un pugno per farlo star giù. Comunque a poco a poco<br />

rinvenne e cominciò a fare degli sforzi per stare eretto e quando<br />

arrivammo in vista <strong>del</strong> campo era di nuovo padrone di sé. Quando<br />

attraversammo i cancelli teneva lui le redini.<br />

<strong>La</strong> notizia <strong>del</strong>l'attacco ci aveva preceduto. Flavinio, il secondo,<br />

aveva la consueta prontezza, e l'intera guarnigione era già sul chi<br />

vive. Mezza coorte al completo, cinquecento uomini, lavorava già<br />

duramente alle difese <strong>del</strong> campo, scavando per rendere più


profondo il fossato e fare terrapieni più alti con la terra di scavo.<br />

Britannico era bianco come un morto e doveva avere un mal di<br />

testa mostruoso, ma convocò una riunione immediata di tutti i<br />

centurioni e di tutti gli ufficiali e informò tutti come meglio poteva<br />

degli sviluppi <strong>del</strong>la giornata. Una <strong>del</strong>le prime cose che chiese, dopo<br />

averli informati <strong>del</strong>l'invasione, fu il numero dei soldati in fuga che si<br />

erano rifugiati dal vallo nel campo. Gli fu detto che non ce n'era<br />

nessuno. Rabbrividì, chiuse gli occhi un momento immerso nei<br />

pensieri, poi scrollò le spalle abbandonando quel pensiero,<br />

qualunque esso fosse stato, e si dedicò al suo dovere, e Britannico<br />

sapeva cos'era il suo dovere.<br />

Poiché eravamo in marcia esisteva un inventario dettagliato<br />

<strong>del</strong>le provviste disponibili: le quantità e i tipi di razioni, le armi, i<br />

carri e tutti i mille dettagli che fanno funzionare una unità<br />

<strong>del</strong>l'esercito, di qualunque formato essa sia. Organizzò la<br />

distribuzione <strong>del</strong>le riserve e diede gli ordini per le procedure di<br />

emergenza, compresi i turni di guardia intensificati che<br />

comprendevano un ciclo di quattro ore di guardia e quattro di<br />

riposo per ogni uomo <strong>del</strong> campo. Fece sì che ognuno dei suoi<br />

ascoltatori fosse cosciente che l'emergenza attuale richiedeva che<br />

fossero pronti ad adattarsi in ogni momento a nuovi ordini. Stava<br />

occupandosi di manovre difensive quando suonò l'allarme: una<br />

banda di nemici era stata segnalata dalle nostre sentinelle. Congedò<br />

la riunione, ordinando a me, che in quanto pilus prior ero il<br />

centurione anziano <strong>del</strong>la coorte, di fermarmi con i suoi quattro<br />

ufficiali.<br />

Non parlò finché tutti gli altri non ebbero lasciato la tenda e<br />

anche allora rimase in silenzio, mordendosi il labbro superiore,<br />

pensieroso, ignorandoci completamente. Alla fine uscì dalla sua<br />

meditazione e si raddrizzò dopo averci guardato attentamente e<br />

interrogativamente ad uno ad uno. Noi aspettavamo senza fare<br />

nessun tentativo di immaginare quello che aveva in mente.


Apparentemente soddisfatto di quello che aveva visto sulle nostre<br />

facce, annuì e sospirò, lasciando uscire fragorosamente il fiato che<br />

aveva trattenuto.<br />

«Signori,» disse, come se stesse per informarci dei suoi desideri<br />

per l'ispezione <strong>del</strong> giorno dopo, «ho la sensazione che quello di cui<br />

siamo testimoni sia solo l'inizio di un disastro più grande. Qualcosa<br />

è fuori posto qui, gravemente fuori equilibrio. Di questo non si deve<br />

discutere fuori da queste Pareti, ma ricordate le mie parole: saremo<br />

in gravi condizioni Per lungo tempo. Questa incursione è troppo<br />

grande, troppo forte per svanire in una notte.» Girò il suo sguardo<br />

su di me: «Per questo motivo intendo prendere alcune misure che<br />

più tardi potranno essere considerate uniche. Voglio un nuovo<br />

manipolo, Varro, e voglio che venga formato con i migliori uomini<br />

<strong>del</strong>la coorte. I tuoi migliori, non meno di cento, e qualcuno in più, se<br />

è possibile. Voglio gli uomini più in forma, più forti, più abili che<br />

puoi trovare e li voglio al più presto, hai capito?». Feci segno di sì,<br />

stupito, ed egli accolse il mio assenso e girò la testa per includere di<br />

nuovo anche gli altri nella conversazione. «Quei buffoni dipinti là<br />

fuori pensano di aver battuto l'esercito romano. Non conoscono la<br />

differenza tra mercenari, coscritti e truppe regolari. Faremo<br />

conoscere loro i livelli raggiunti dall'Impero Romano.»<br />

Fece un passo verso il tavolo pieghevole e raggiunse uno dei<br />

suoi cassetti, tirandone fuori un piccolo coltello da lancio, che infilò<br />

in una piega <strong>del</strong>la tunica. Poi si diresse verso l'uscita <strong>del</strong>la tenda e<br />

noi ci muovemmo per seguirlo. Ma prima che potessimo fare un<br />

passo, si fermò e aggiunse: «Questa coorte è la migliore <strong>del</strong>la<br />

Britannia, signori. Lo so, perché l'ho resa io così. <strong>La</strong> nostra disciplina<br />

è vecchia di duecento anni e più. Nei prossimi giorni la rimetteremo<br />

in vigore e faremo vedere a quegli uomini che il vallo non è stato<br />

costruito per proteggerci da loro, ma per proteggere loro da noi.<br />

Andiamo!».<br />

Uscimmo dalla tenda ed entrammo nei due anni più lunghi


<strong>del</strong>la mia vita.


III<br />

Mi duole ammetterlo, ma anche oggi mentre scrivo questa storia<br />

i giovani che costituiscono le nostre forze qui nella Colonia sono così<br />

presi dai cavalli e dalla cavalleria che sanno poco o niente <strong>del</strong>la<br />

composizione <strong>del</strong>la classica legione romana. Di conseguenza devo<br />

accettare il fatto che per chi legge queste parole negli anni a venire<br />

sarà necessaria qualche spiegazione per capire cosa avveniva in<br />

quegli anni negli eserciti di Roma.<br />

<strong>La</strong> Prima e la Seconda Coorte di ogni legione erano le Coorti<br />

Miliarie, doppie coorti da mille a milleduecento uomini con sessanta<br />

cavalieri aggiunti. Era il loro orgoglio e la loro responsabilità coprire<br />

l'intero fronte di battaglia <strong>del</strong>la legione. Solo veterani induriti dai<br />

combattimenti venivano assegnati a quelle coorti e i loro ufficiali e<br />

sotto-ufficiali erano i migliori, poiché avevano conquistato i loro<br />

posti con una condotta esemplare o una eccezionale abilità.<br />

<strong>La</strong> nostra era una cohors miliaria. Proprio prima <strong>del</strong>l'inizio di<br />

quella che poi si seppe essere la Grande Invasione, eravamo di<br />

servizio nella città di guarnigione di Luguvallium, piuttosto vicina<br />

al Vallo di Adriano. Alcune unità <strong>del</strong>la Legione XXIV di stanza lì<br />

avevano fomentato una rivolta violenta, ma di breve durata. Il<br />

nostro compito era eliminare gli ammutinati usando l'esperienza<br />

che ci eravamo fatti a Eboracum. L'esercizio era drastico e<br />

sgradevole, ma lo avevamo portato a termine e stavamo per<br />

raggiungere due <strong>del</strong>le nostre coorti ausiliarie a Mamucium quando<br />

il nemico passò il vallo. A tutt'oggi nessuno sa quanti soldati romani<br />

morirono quel giorno e quanti semplicemente disertarono<br />

rifugiandosi nelle montagne e unendosi ai barbari. Gli invasori<br />

erano dilagati in tutto il nord <strong>del</strong>la regione e nella maggior parte <strong>del</strong><br />

sudest. C'erano barbari persino a Londinium! <strong>La</strong> nostra fu una <strong>del</strong>le<br />

poche unità che sopravvisse e dobbiamo ringraziare per questo


Britannico e le sue idee antiquate, unite a più di un briciolo di genio<br />

militare.<br />

Britannico era uno di quei rari ufficiali che sono come un dio per<br />

i loro uomini. Era il più duro e sanguinario amante <strong>del</strong>la disciplina<br />

sotto il quale avessi servito e gli uomini sarebbero andati agli inferi<br />

per lui. Anche qui i futuri lettori non capiranno necessariamente che<br />

dire una cosa di questo genere di un comandante <strong>del</strong>le forze romane<br />

in quei giorni era già di per sé un fatto eccezionale. I vecchi giorni<br />

<strong>del</strong>la Repubblica e <strong>del</strong> trionfo <strong>del</strong>l'Impero erano passati. All'inizio<br />

<strong>del</strong> IV secolo <strong>del</strong>l'era cristiana, l'XI secolo di Roma, il rango di<br />

ufficiale era occupato in genere da stronzi abbastanza ricchi per<br />

poterselo comprare. E novanta ufficiali su cento avevano paura di<br />

contrastare gli uomini che ufficialmente comandavano.<br />

Il soldato medio <strong>del</strong>l'esercito imperiale era una barzelletta.<br />

Ognuno di loro era cittadino romano per decreto imperiale. Bianco,<br />

nero, giallo, marrone o dipinto di azzurro, ognuno di loro era<br />

cittadino romano. Erano Germani, Numidi, Egiziani, Armoricani,<br />

Fenici, Greci, Vandali, Unni, Traci, Daci, Franchi, Sassoni, Scoti,<br />

Levantini ed Ebrei. Noi insegnavamo loro come combattere, li<br />

istruivamo nella tattica militare e nella strategia, li equipaggiavamo<br />

e poi loro disertavano a migliaia e tornavano nei territori di cui<br />

erano originari per organizzare la resistenza contro il demonio<br />

romano.<br />

Tutti sapevano cosa stava succedendo. Sapevamo che stavamo<br />

addestrando <strong>del</strong>le vipere a morderci. Questa era una realtà, resa<br />

ancora più grave dal fatto che finché erano nell'esercito avevano i<br />

loro “diritti”. Era diventato abituale che le truppe di guarnigione<br />

fossero esonerate dal portare corazza e scudo tutto il tempo. Erano<br />

troppo pesanti per gli uomini! Il risultato era scontato. <strong>La</strong> disfatta<br />

<strong>del</strong> Vallo di Adriano non era che un microscopico esempio <strong>del</strong>lo<br />

stato <strong>del</strong>l'intero Impero.<br />

Britannico, seguendo le orme di suo padre, non accettava niente


di tutto ciò. All'inizio ebbe una gatta da pelare, perché i suoi metodi<br />

erano fuori moda, ma lui aveva il coraggio <strong>del</strong>le sue convinzioni ed<br />

era disposto a rischiare la vita. Pretendeva dai suoi uomini una<br />

marcia di venticinque miglia ogni settimana a pieno carico. Questo<br />

voleva dire settanta libbre di elmo, armatura, due lance, cinque<br />

giavellotti, scutum (il pesante scudo <strong>del</strong>la fanteria), schinieri, pentole<br />

per cuocere, razioni, tascapane e due pali (dei lunghi pali appuntiti<br />

da usare ogni notte per installare la difesa <strong>del</strong> campo).<br />

Ogni notte durante la marcia o le manovre gli uomini<br />

costruivano un campo fortificato, circondato da un fossato, da un<br />

muro a palizzata e da cancelli. Solo allora erano autorizzati a<br />

rilassarsi e a sedersi per mangiare il pasto serale. <strong>La</strong> colazione<br />

veniva sempre consumata in piedi o in movimento.<br />

Britannico faceva tutto quello che pretendeva dai suoi uomini.<br />

Marciava in testa alla colonna, a piedi e con il carico completo. Era in<br />

condizione di marciare più a lungo, di correre più in fretta, di saltare<br />

più lontano e di vincere qualunque uomo <strong>del</strong>la sua coorte in ogni<br />

momento <strong>del</strong> giorno e <strong>del</strong>la notte.<br />

Quando prese per la prima volta il comando <strong>del</strong>la coorte gli<br />

uomini erano terrorizzati. Essi si sentivano già truppe scelte,<br />

seconde solo alla Prima Coorte. Dal suo punto di vista, invece, erano<br />

feccia, che era ben deciso a far diventare soldati, secondi a nessuno.<br />

Loro odiavano la sua forza di carattere e lui li ripagava con il loro<br />

stesso vomito. Usava tutta l’autorità <strong>del</strong> suo rango e <strong>del</strong>l'Impero per<br />

punirli aspramente ogni volta che era necessario. Ogni volta che si<br />

credeva sfidato li metteva a faccia in giù nel fango. E quanto più gli<br />

uomini lo odiavano e provavano rancore verso di lui, tanto più egli<br />

era duro con loro. Alla fine si resero conto che dovevano batterlo sul<br />

suo terreno e così tentarono. E fallirono. E in quel tentativo<br />

svilupparono orgoglio in se stessi, nella loro durezza e nel loro<br />

maledetto, figlio di puttana, sanguinario e insopportabile<br />

comandante. E solo allora, e solo molto lentamente, cominciarono a


comprendere che per ogni difetto che potevano trovare in lui,<br />

qualcun altro, da qualche parte nella coorte, poteva indicare<br />

qualcosa che non era poi così male, o qualcosa che bisognava<br />

rispettare o che addirittura bisognava ammirare.<br />

Allora videro che non avevano cattivi ufficiali, almeno non in<br />

confronto a quello che le altre coorti dovevano tollerare. In poche<br />

settimane dal suo arrivo Britannico aveva ripulito il corpo ufficiali e<br />

ora ogni nuovo ufficiale nella Seconda Coorte veniva rapidamente<br />

forgiato o trasferito. Nessun ufficiale potè mai approfittare di un<br />

uomo arruolato nella Seconda Coorte: la punizione era rapida,<br />

severa e sicura, ma non c'erano punizioni ingiuste.<br />

Si accorsero che erano sempre nutriti bene, molto meglio di tutte<br />

le altre unità, dove gli ufficiali avevano altre cose da guardare che<br />

non la dieta dei loro uomini. Notarono che Britannico metteva il<br />

benessere dei suoi soldati, il loro cibo, il loro equipaggiamento e le<br />

loro licenze, sopra ogni cosa.<br />

Ci vollero due anni per raggiungere tutto questo, ma alla fine di<br />

quel secondo anno la magia era stata fatta. <strong>La</strong> Seconda Coorte era<br />

stata trasformata in una unità solida, compatta per l'onore e la<br />

soddisfazione di essere un gruppo, un'entità duramente,<br />

disciplinatamente e altamente addestrata. Era nata una forza da<br />

combattimento e nei successivi anni si sviluppò per diventare una<br />

<strong>del</strong>le unità di élite <strong>del</strong>la guarnigione in Britannia.<br />

E quattro anni dopo ci trovavamo a quel punto, una unità da<br />

combattimento di élite arenata in un campo provvisorio fortificato<br />

per la notte, circondati, solo Dio sa, da quante migliaia di selvaggi<br />

ululanti ubriachi di vittoria che sciamavano verso sud tutto intorno<br />

a noi come vino da una botte rotta.<br />

Al cadere <strong>del</strong>la notte quel primo giorno che seguì l'invasione,<br />

non eravamo in grado di fare una stima <strong>del</strong> numero di uomini<br />

radunati intorno al campo, appena fuori portata <strong>del</strong>le nostre frecce.


Il primo gruppo che aveva scoperto il nostro campo e che le nostre<br />

sentinelle avevano segnalato, causando il primo allarme dalla tenda<br />

<strong>del</strong> tribuno, aveva chiesto rinforzi, che erano arrivati come avvoltoi.<br />

Osservavamo le orde al sicuro dietro ai parapetti, chiedendoci<br />

quando ci avrebbero attaccato. Non ci illudevamo che avessero<br />

paura di noi. Dopo il Vallo di Adriano il nostro piccolo campo<br />

doveva sembrare loro un foruncolo sul culo di un elefante.<br />

Sapevamo che i Pitti avevano l'abitudine di battersi all'alba.<br />

Avrebbero dormito durante la notte e ci avrebbero attaccati al<br />

sorgere <strong>del</strong> sole. Pensavamo e pregavamo che gli Scoti fossero simili,<br />

e che perciò ci fosse la possibilità di avere una notte tranquilla prima<br />

che gli inferi cadessero sulla terra la mattina successiva.<br />

Britannico, da parte sua, aveva altre idee. Dopo aver lasciato la<br />

riunione avevo convocato tutti i centurioni <strong>del</strong>la coorte. Erano venti,<br />

senza contare me. A ognuno di loro chiesi di scegliere i cinque<br />

migliori soldati nella loro unità di cinquanta uomini (i tempi in cui<br />

un centurione comandava cento uomini erano passati da<br />

quattrocento anni!). Non tutto si svolse ordinatamente, perché<br />

alcuni di loro arrivarono con sei o sette uomini, ma entro mezz'ora<br />

avevo i nomi di centoventi dei nostri migliori elementi.<br />

Misi i funzionari a preparare un ruolino di servizio per quel<br />

nuovo manipolo e scelsi due centurioni per comandarlo: ognuno<br />

aveva sotto di sé sessanta uomini. Promossi dieci di quegli uomini al<br />

rango di decurioni, conservando due di loro che lo erano già, e poi<br />

diedi l'ordine a dieci centurioni di riunire tutti i gruppi in<br />

armamento completo contro la recinzione <strong>del</strong> campo nel punto più<br />

vicino alla mia tenda entro mezz'ora. Una volta fatto ciò, andai ad<br />

avvertire Britannico che la sua “unità speciale” era pronta.<br />

Mi stupì il vedere che aveva fatto preparare da uno dei fabbri<br />

<strong>del</strong>l'armeria <strong>del</strong>la coorte un'incudine e un martello sul luogo<br />

destinato all'assemblea. Rimasi con lui nella sua tenda, ascoltando le<br />

istruzioni che stava dando al giovane Catone, uno dei suoi


subalterni, che aveva promosso a comandante <strong>del</strong> nuovo manipolo.<br />

Quando un decurione infilò la testa nella tenda per dirci che gli<br />

uomini erano tutti riuniti, Britannico in persona venne a parlare con<br />

loro.<br />

Il nuovo distaccamento di centoventi uomini si irrigidì al nostro<br />

avvicinarsi. I due centurioni li avevano disposti in due divisioni di<br />

sessanta uomini ciascuna: dieci ranghi per sei file. A parte i versi e le<br />

urla <strong>del</strong> nemico che si sentivano in lontananza, fuori dal campo,<br />

regnava un assoluto silenzio. Britannico li guardò e, freddo come<br />

una brezza primaverile, li ispezionò uno per uno. Quando ebbe<br />

finito la sua ispezione tornò di fronte a loro, poi sollevò il martello<br />

dall'incudine e roteandolo sopra la testa lo mandò a picchiare sulla<br />

superficie liscia. Sapeva di avere l'attenzione di tutti.<br />

«Guardate il martello!» disse dando un altro colpo. «Rimbalza<br />

indietro dalla superficie. Guardate!» E picchiò di nuovo, forte.<br />

«Quanto più forte è il colpo, tanto più forte è il rimbalzo. E ogni<br />

cosa tra le due superfici viene spiaccicata. E adesso guardate<br />

questo!» Si tolse il mantello e lo resse di fronte a sé con la mano<br />

sinistra.<br />

«Potrei picchiarlo con il martello in questo modo per tutto il<br />

giorno e sarebbe una perdita totale di tempo e di fatica.»<br />

L'indumento sfuggì facilmente alla testa <strong>del</strong> martello. Ma poi<br />

Britannico mise giù il martello e cominciò a ripiegare l'indumento<br />

più e più volte, fino a che fu ridotto a un parallelepipedo di lana<br />

compatto, che resse con la sinistra, mentre con la destra riprendeva<br />

il martello. <strong>La</strong>sciò andare il fagotto, lo colpì con il martello e lo<br />

mandò a quindici piedi di distanza.<br />

«Come vedete, quando è ripiegato è abbastanza solido perché io<br />

lo colpisca e lo sposti.» Fece una pausa per permettere al messaggio<br />

di entrare nelle loro teste e poi continuò, senza alzare mai la voce,<br />

ma il suo tono era potente, perfettamente udibile da tutti i soldati<br />

<strong>del</strong> nuovo manipolo.


«Ci sono migliaia di nemici a culo nudo proprio fuori da questo<br />

campo che sognano solo di tagliarci la gola. Sono feccia, una folla<br />

indisciplinata. Ma amano lottare e pensano di sapere come si fa.<br />

Invece non lo sanno. Glielo insegneremo noi. Voi glielo insegnerete.<br />

Io ve l'ho già insegnato. Voi, uomini, martellerete quella gente finché<br />

i colpi li accecheranno. Colpirete forte, comprimendoli e piegandoli<br />

su se stessi finché la forza dei vostri assalti sarà moltiplicata per<br />

cento dalla loro densità. Stringeteli abbastanza vicini e toglierete<br />

loro la possibilità di rispondere ai vostri colpi. Una volta che li<br />

avrete compattati insieme, come il mio vecchio mantello, li colpirete<br />

e rimbalzerete proprio come questo martello per colpirli di nuovo.»<br />

Nei ranghi c'era un silenzio assoluto mentre parlava. «Prima che<br />

Giulio Cesare riorganizzasse le sue legioni in coorti, il manipolo era<br />

la principale forza d'urto <strong>del</strong>la legione. Il manipolo. Centoventi<br />

uomini, come voi, che combattevano in dodici gruppi di dieci<br />

uomini ognuno. Ogni squadra di dieci uomini operava e manovrava<br />

proprio come un manipolo moderno, solo che era un dodicesimo<br />

<strong>del</strong>la sua misura.» Fece una pausa e aspettò che il messaggio si<br />

insinuasse nelle menti degli uomini che lo ascoltavano. «Stasera<br />

faremo risorgere quella tattica. Non preoccupatevi. Vi siete<br />

addestrati a farlo per i tre anni passati. Semplicemente non lo<br />

sapevate. Quei selvaggi pagani là fuori non sapranno cosa li<br />

colpisce.»<br />

Fece un'altra pausa calcolata prima di continuare.<br />

«Combatterete in tre file di quattro squadre ognuna, una dietro<br />

all'altra, con degli intervalli tra le squadre <strong>del</strong>la prima linea<br />

abbastanza larghi da farci entrare le squadre <strong>del</strong>la seconda linea<br />

quando avanza e la prima indietreggia. Quando la prima linea<br />

indietreggia, la terza linea avanza con il compito di riempire i vuoti<br />

<strong>del</strong>la prima linea. <strong>La</strong> prima linea, ora ultima, si porterà allora a<br />

destra e a sinistra per formare i fianchi di una scatola e allora farete<br />

una ritirata combattendo, protetti dagli arcieri a cavallo che<br />

usciranno dal campo per coprire la vostra ritirata. Niente di nuovo,


lo avete fatto altre volte, negli addestramenti. Ma ricordatevi: il<br />

vostro scopo è quello di martellare. Di sferrare attacchi duri,<br />

inaspettati, di breve durata da ognuna <strong>del</strong>le quattro entrate <strong>del</strong><br />

campo. Il vostro scopo deve essere quello di terrorizzare e<br />

demoralizzare il nemico.<br />

«Ricordate anche che la vostra disciplina vi rende invincibili e<br />

unici. Il nemico lotta in combattimenti singolari. Ognuno di loro è<br />

solo. Voi uomini, invece, combattete come una macchina. C'è poco<br />

di umano in voi. Io mi aspetto da voi che piombiate nei loro ranghi,<br />

li colpiate duramente e poi ritorniate indietro al sicuro nel campo.<br />

Intatti.» I suoi occhi si mossero da una faccia all'altra.<br />

«Dopo essere rientrati nel campo ognuno di voi si riposerà per<br />

un'ora e poi colpirà di nuovo da un altro lato.» Fece un'altra pausa e<br />

poi riprese. «Questo non è un compito facile, ma ognuno di voi è<br />

stato scelto perché è il migliore su dieci uomini. All'alba sarete<br />

stanchi, ma sarete sollevati dagli impegni quotidiani. Ricordate, il<br />

primo scopo di questo esercizio è quello di confondere il nemico e di<br />

seminare il panico, di minare la sua sicurezza.» Si fermò e li guardò<br />

attentamente.<br />

«C'è qualcuno che non accetta questo incarico?»<br />

Silenzio.<br />

«È la vostra ultima possibilità.»<br />

Niente.<br />

«Molto bene. Martellateli!» Girò sui tacchi e se ne andò.<br />

Il nuovo comandante si schiarì la voce. Britannico non lo aveva<br />

presentato. Gli uomini lo stavano guardando. Egli tossì di nuovo.<br />

«Il mio nome è Catone e assumo il comando di questo manipolo.<br />

Ci ritroveremo qui in armamento completo mezz'ora prima <strong>del</strong>la<br />

mezzanotte. Centurione, lascia liberi gli uomini.»<br />

Obbedii ed essi si allontanarono a poco a poco, parlando tra di


loro. Nel giro di cinque minuti ero rimasto solo a guardare<br />

l'incudine e il martello. Ebbene, i piani di Britannico per il<br />

martellamento funzionarono. Funzionarono così bene che quella<br />

notte perdemmo soltanto tre uomini, tutti e tre solo feriti e nessuno<br />

seriamente. Gli uomini erano esausti e dormirono tutta la mattina,<br />

gli impiegati <strong>del</strong>la compagnia avevano ridistribuito i ruolini di<br />

servizio per tenerli liberi per gli incarichi speciali. Quando il nemico<br />

attaccò all'alba i “Martelli” erano già sotto le coperte e lì rimasero. Il<br />

resto <strong>del</strong>la coorte fece poca fatica a sostenere gli attacchi. Le<br />

recinzioni erano alte e i fossati abbastanza profondi da scoraggiare<br />

anche i più audaci assalitori, che inoltre erano un facile bersaglio per<br />

gli arcieri.<br />

<strong>La</strong> seconda notte, circa un'ora prima di mezzanotte, Britannico<br />

divise la nostra cavalleria in due gruppi di trenta e li mandò fuori in<br />

direzioni opposte dai cancelli est e ovest <strong>del</strong> campo, con l'ordine di<br />

galoppare a tutta velocità attraverso le linee nemiche, rimanendo<br />

vicini alla recinzione <strong>del</strong> campo. L'effetto fu magnifico. Ogni gruppo<br />

caricò nell'oscurità, schiacciando corpi e creando una confusione che<br />

faticava a calmarsi prima che un secondo squadrone arrivasse dalla<br />

stessa direzione. Ogni squadrone faceva un giro e un quarto <strong>del</strong><br />

campo e rientrava dal cancello opposto a quello da cui era uscito.<br />

Perdemmo quattro uomini.<br />

Non appena la quiete si fu ristabilita dopo questa manovra, “i<br />

Martelli” uscirono simultaneamente dai quattro cancelli, silenziosi e<br />

determinati, in gruppi di trenta. Creavano il panico, colpendo<br />

duramente e rientrando prima che il nemico potesse organizzare<br />

una resistenza.<br />

Un'ora dopo uscirono di nuovo, dal cancello nord, in forze.<br />

Un'ora prima <strong>del</strong>l'alba uscirono di nuovo, sempre dal cancello<br />

nord.<br />

<strong>La</strong> terza notte <strong>del</strong>l'assedio il nemico cercò di vincere le tenebre<br />

con dei falò. Ma non c'era legna nelle brughiere e per alimentare le


fiamme dovevano lavorare duro. Quella notte li colpimmo con una<br />

sola uscita di quattro gruppi da tutti i cancelli, nel buio proprio<br />

prima <strong>del</strong>l'alba.<br />

Britannico puntava tutto sulla mancanza di disciplina nei ranghi<br />

<strong>del</strong> nemico. Erano in tanti, ma non avevano un comando coordinato.<br />

Nessun generale, nessun Britannico. Alla fine <strong>del</strong> quarto giorno<br />

partivano in centinaia alla ricerca di un bersaglio più facile. Quando<br />

spuntò l'alba il quinto giorno eravamo soli e vittoriosi sulla<br />

brughiera. Grazie a Dio quel giorno non sapevamo di essere la sola<br />

forza combattente <strong>del</strong>le nostre dimensioni ancora attiva nel nord<br />

<strong>del</strong>la Britannia.<br />

Britannico, comunque, sospettava che altrove le cose fossero<br />

andate molto male. Il sospetto iniziale che quell'incursione fosse<br />

foriera di una lunga e dura battaglia si dimostrò tragicamente<br />

preciso. <strong>La</strong> prima sera tranquilla, il generale chiamò Luscar, lo scriba<br />

anziano <strong>del</strong>la coorte, e gli ordinò di tenere un diario di tutto quello<br />

che capitava e di conservare quella registrazione come un giornale<br />

di bordo da quel momento in poi. Questo ordine si rivelò più facile<br />

da dare che da osservare per il povero Luscar. Ci volle almeno un<br />

anno per raggiungere un vero forte romano a Dervenzio e ci toccò<br />

lottare metro dopo metro. Quando ci arrivammo avevamo mangiato<br />

buoi e cavalli. Avevamo un traballante carretto a mano per le nostre<br />

magre provviste e Luscar aveva usato ogni frammento di papiro<br />

disponibile per registrare la nostra odissea. Aveva con sé centinaia<br />

di fogli strettamente arrotolati nel far<strong>del</strong>lo che portava sulla schiena<br />

errando per la campagna alla ricerca di qualche segno <strong>del</strong>l'autorità<br />

di Roma.<br />

Per oltre un anno non trovammo niente se non villaggi, città e<br />

installazioni militari abbandonati e in rovina. I pochi abitanti rimasti<br />

ci venivano incontro inizialmente nella speranza che potessimo<br />

aiutarli, ma poi, man mano che il nostro aspetto degenerò e la nostra<br />

condizione divenne più disperata ci evitavano, correndo a


nascondersi quando arrivavamo.<br />

Una mattina di luglio <strong>del</strong>l'anno successivo, dopo aver tolto il<br />

campo su una collina, ci stavamo radunando, quando le sentinelle<br />

avvistarono uno squadrone di cavalleria romana nella valle sotto di<br />

noi.<br />

Delle millecento anime <strong>del</strong>la II Coorte Miliaria <strong>del</strong>la Legione XX,<br />

trecentosettantuno erano ancora vive e quarantaquattro tra loro<br />

erano uomini trovati lungo la strada, sopravvissuti di diverse unità.<br />

A parte me e Britannico avevamo altri quattro ufficiali e dodici<br />

centurioni.


IV.<br />

<strong>La</strong> pattuglia di cavalleria serrò immediatamente le fila alle<br />

nostre urla di richiamo dalla cima <strong>del</strong>la collina. Vedemmo i pallidi<br />

ovali <strong>del</strong>le loro facce che ci scrutavano e poi, con nostra grande<br />

costernazione, girarono i cavalli e galopparono via nella direzione<br />

dalla quale erano venuti. Le grida di benvenuto e di gioioso<br />

riconoscimento si mutarono in ululati offesi e increduli, che<br />

continuarono fino a che Britannico non ebbe attirato l'attenzione di<br />

tutti salendo su un macigno e fronteggiandoli con calma. Quando<br />

tra gli uomini cadde il silenzio assoluto parlò, con il tono di una<br />

quieta conversazione.<br />

«Io so che siete dei soldati.» <strong>La</strong> sua enfasi provocò smorfie di<br />

confusione. Aspettammo mentre faceva una lunga pausa, fissandoci<br />

prima di proseguire. «E voi sapete chi siete.» Alzò un braccio e<br />

indicò verso la valle, ora deserta, che cominciava a riempirsi di<br />

ombre al salire <strong>del</strong> sole mattutino. «Ma quegli uomini sono corsi a<br />

chiedere rinforzi. Sono corsi a riferire la presenza di un grosso<br />

gruppo di uomini ostili e, a seconda di quanto lontano è il loro<br />

campo, entro poche ore ritorneranno in forze schierati per dare<br />

battaglia.»<br />

Fece una nuova pausa, lasciando che il suo messaggio venisse<br />

registrato nel silenzio, e poi la sua voce divenne più torte, e martellò<br />

su di noi le parole come se fossero chiodi.<br />

«Quando torneranno, che sia tra un'ora o tra dieci, troveranno -<br />

e vedranno - i soldati <strong>del</strong>la Seconda Coorte <strong>del</strong>la XX Legione.»<br />

Quando divenne chiaro quello che intendeva dire,<br />

cominciammo a guardarci l'un l'altro, vedendoci per la prima volta<br />

come eravamo certamente apparsi alla pattuglia sotto di noi.<br />

Vedemmo uomini che somigliavano ben poco a dei soldati romani.<br />

Ciò che restava <strong>del</strong>la nostra armatura era opaco, eroso, logorato e da


tempo non lucidato. Le nostre tuniche e i nostri mantelli erano<br />

infeltriti e macchiati. Solo le nostre armi erano affilate e lucenti - le<br />

nostre armi e le nostre aquile.<br />

Uno degli uomini, più audace dei suoi compagni, alzò la voce<br />

per sottolineare che i cavalieri non potevano non aver visto le nostre<br />

aquile, ma fu interrotto subito.<br />

«Soldato» replicò Britannico, «quanti romani morti hai visto<br />

nell'anno trascorso? Quante aquile pensi che siano state trafugate<br />

dai Celti in questo territorio?» Incluse tutti noi nel discorso. «Quello<br />

che quegli uomini laggiù hanno visto è stato un'accozzaglia di<br />

pagani celti che portavano degli stendardi presi ai Romani... trofei di<br />

guerra! Questo è quello che credono fermamente. Quando<br />

torneranno, troveranno noi e per allora noi avremo ritrovato noi<br />

stessi!. Non avremo forse le raffinatezze, le uniformi o le decorazioni<br />

che ci si aspetta dalle truppe romane, ma per il Dio vivente, abbiamo<br />

l'orgoglio e la disciplina e la dignità di apparire come quello che<br />

siamo, dei soldati <strong>del</strong>l'Impero!»<br />

E gli uomini furono d'accordo con lui. Sentivo ferocia, offesa e<br />

vergogna irritata nei loro mormorii, sentimenti che condividevo,<br />

perché anch'io mi sentivo umiliato e offeso da quella mancanza di<br />

riconoscimento. Britannico diede nuovi ordini sovrastando il<br />

mormorio <strong>del</strong>le voci e in risposta ad essi scendemmo dalla sommità<br />

<strong>del</strong>la collina a tutta velocità e passammo più di un'ora in abluzioni<br />

accurate nel fiume che scorreva nella valle. Lucidando le parti di<br />

armatura che rimanevano in condizioni decenti fummo in grado di<br />

equipaggiare quasi una squadra completa di uomini riconoscibili<br />

come porta stendardi e questi formarono un'avanguardia dietro a<br />

Britannico, me e gli altri ufficiali, mentre il resto degli uomini si<br />

riuniva in ranghi disciplinati per attendere il ritorno <strong>del</strong>la pattuglia<br />

e <strong>del</strong>le forze che avrebbe portato con sé.<br />

Non dovemmo attendere a lungo. Poco più di un'ora dopo<br />

esserci schierati nel fondovalle in posizione di riposo, prima che


avessimo avuto il tempo di sentirci a disagio sotto la vampa<br />

crescente <strong>del</strong> sole di luglio, i nostri avamposti segnalarono<br />

l'avvicinarsi <strong>del</strong>le truppe romane.<br />

Erano due coorti complete, più di mille uomini in assetto di<br />

battaglia, e ci volle quasi mezz'ora perché la loro avanguardia<br />

arrivasse abbastanza vicina a noi per vederci chiaramente. Fu subito<br />

evidente che erano sorpresi per il nostro posizionamento nel<br />

fondovalle e sconcertati dalla nostra evidente disciplina. Era ovvio<br />

che sospettavano qualche elaborata imboscata e questo era evidente<br />

per i continui andare e venire di ufficiali e messaggeri tra<br />

l'avanguardia e il corpo principale <strong>del</strong>le truppe. Non potevamo<br />

neppure calmare le loro menti segnalando con una tromba, perché<br />

avevamo perso il nostro ultimo trombettiere e il suo strumento in<br />

una scaramuccia due mesi prima. Sentii che Britannico aspirava<br />

l'aria tra i denti in un'espressione silenziosa di fastidio per la<br />

sovreccitazione a cui assistevamo, ma non disse niente e restammo<br />

immobili.<br />

Finalmente in risposta alla nostra mancanza di reazioni, un<br />

piccolo gruppo di ufficiali a cavallo, accompagnati da uno<br />

squadrone di arcieri a cavallo si avvicinò con esitazione e si fermò a<br />

distanza di voce, da dove ci chiesero di identificarci.<br />

Britannico si girò verso di me, la sua faccia immobile in un<br />

espressione che mascherava qualunque segno di disgusto o<br />

disapprovazione. «Varro» mormorò. «Fammi la cortesia di andare<br />

dai nostri amici e dir loro chi siamo. Non ho intenzione di urlare<br />

come un venditore al mercato per alleviare le paure di un<br />

sempliciotto.»<br />

Ridevo tra me e me mentre avanzavo, ma quando arrivai più<br />

vicino mi sentii sempre più consapevole <strong>del</strong> mio miserabile aspetto,<br />

spettinato, non sbarbato e con pochi stracci di quella che una volta<br />

era la mia uniforme di centurione. Non avevo l'aspetto di un<br />

centurione romano e, mentre mi avvicinavo a loro, potevo vedere


l'ostilità e il sospetto negli sguardi che mi catalogavano e<br />

analizzavano. Finalmente mi fermai di fronte a loro, ammirandone il<br />

meraviglioso splendore, e dovetti impormi di non salutarli. Non ero<br />

un giovane supplice, ero un centurione anziano, pilus prior, <strong>del</strong>la<br />

Seconda Coorte Miliaria e tutti quei giovani erano dei pivelli per me.<br />

Mi misi sull'attenti e parlai.<br />

«Publio Varro, pilus prior, Seconda Coorte, XX Legione, al<br />

comando di Gaio Britannico, che aspetta il vostro riconoscimento.»<br />

Le loro facce esprimevano la loro confusione e l'evidente fatto che<br />

non sapevano quale mossa fare. Tolsi loro l'incertezza <strong>del</strong>la<br />

decisione chiedendo: «Chi comanda qui?».<br />

Uno dei giovani, presumibilmente il più anziano, indicando<br />

dietro le sue spalle, in direzione <strong>del</strong>l'avanguardia rispose: «Terzio<br />

Lucca. È lui il tribuno anziano qui... Pensavamo che foste nemici».<br />

Sorrisi, sottolineando così la mia anzianità. «Non lasciate che il<br />

nostro misero aspetto influenzi il vostro giudizio. Siamo romani, e<br />

siamo felici di vedervi. Purtroppo siamo rimasti senza uniformi<br />

pulite prima che voi arrivaste - un anno e mezzo fa, per l'esattezza -<br />

ma vorrei farvi presente che il nostro comandante può diventare<br />

ostile se ci pensa. È meglio che tu vada a informare il tribuno Lucca<br />

di venire a salutarci in modo formale per darci il bentornato alla<br />

civiltà, prima che Britannico decida che lo state insultando.<br />

Suggerirei anche che sarebbe tatticamente vantaggioso che uno di<br />

voi offrisse al mio comandante l'uso di un cavallo. Abbiamo dovuto<br />

mangiare il suo qualche mese fa e non gli piace camminare.»<br />

Il giovane era ancora confuso e mi guardava come se fossi stato<br />

uno strano uccello.<br />

«Come ti chiami?» gli chiesi.<br />

«Placido. Barate Placido. Tribuno, Terza Coorte, XLI Legione.»<br />

«Da quanto tempo siete in Britannia, tribuno? Non sapevo che la<br />

XLI fosse qui.»


«Da tre mesi.» Si schiarì la voce. «Siamo sbarcati con l'arcata<br />

consolare di Teodosio, conte di Britannia su incarico <strong>del</strong>l'imperatore<br />

Valentiniano.»<br />

Non feci nessun sforzo per nascondere la mia sorpresa.<br />

«Teodosio è qui in Britannia? E nominato comes di Britannia?<br />

Perché?»<br />

Il giovane aggrottò la fronte. «Perché l'Imperatore ha ordinato<br />

così.»<br />

Scossi la testa. «Ma cosa è successo degli altri governatori<br />

militari, il conte <strong>del</strong>la Costa Sassone a sud e il duca di Britannia?<br />

Cosa ne è stato di loro?»<br />

Mi fissò sbalordito. «Sono morti, ammazzati durante<br />

l'invasione.»<br />

Mi girai a guardare Britannico e i nostri uomini, poi riportai lo<br />

sguardo sul giovane ufficiale. «Invasione? L'incursione è stata così<br />

estesa?»<br />

«È stata completa e quasi totalmente vittoriosa. <strong>La</strong> provincia è<br />

stata invasa da una alleanza di Pitti, Scoti e Sassoni. Tutti gli abitanti<br />

<strong>del</strong>le terre <strong>del</strong> nord e <strong>del</strong> centro sono calati su di noi. Solo la base di<br />

Londinium è stata conservata. Ma come potete non saperlo?»<br />

Scossi la testa, cercando di rimettere ordine nei miei pensieri.<br />

«Siamo stati occupati in combattimenti locali, cercando di tornare<br />

indietro. Non abbiamo avuto contatto con nessuno dal giorno in cui<br />

il vallo è stato superato. E adesso mi dici che Teodosio è qui,<br />

ovviamente per riconquistare la provincia. È già in campagna?»<br />

«Sì.»<br />

«Bene. Con successo?»<br />

«Ovviamente.»<br />

«Ovviamente.» Non avevo voluto fare <strong>del</strong>l'ironia. Avevo sentito<br />

parlare molto di Teodosio e sapevo che non era uno da prendere in


giro. Mi chiesi quali sarebbero state le reazioni di Britannico a quelle<br />

novità.<br />

«Bene, tribuno Placido» dissi sentendo il cuore più leggero.<br />

«Porti buone notizie insieme alle cattive. Torno dal comandante<br />

Britannico a dirgli che sei andato a riferire la nostra identità al tuo<br />

superiore e che lui verrà a darci il benvenuto non appena lo avrai<br />

informato. E non dimenticare i cavalli. Abbiamo sei ufficiali.» Feci il<br />

saluto formale e mentre stavo tornando da Britannico li sentii<br />

spronare le loro cavalcature e galoppare via alle mie spalle.<br />

Quando Britannico sentì quello che avevo da dire aggrottò la<br />

fronte e si morsicò l'interno <strong>del</strong> labbro. Credevo che stesse pensando<br />

alla portata <strong>del</strong>l'invasione, ma mi sbagliavo.<br />

«<strong>La</strong> XLI Legione? Sei sicuro di questo, Varro?»<br />

«Sì, comandante» risposi. «Non pensavo che fossero in Britannia<br />

prima <strong>del</strong>l'invasione e perciò gliel'ho chiesto e lui mi ha confermato<br />

che sono qui da tre mesi, come parte <strong>del</strong>l'esercito consolare di<br />

Teodosio.»<br />

«Sì, ti ho sentito. Un esercito consolare di quattro, forse sei<br />

legioni, e noi veniamo salvati proprio dalla XLI. Ce n'è abbastanza<br />

per fare dubitare a un uomo <strong>del</strong>l'esistenza di Dio.»<br />

A questa frase sbattei le palpebre, ma non dissi nulla, sapendo<br />

per lunga esperienza che se Britannico avesse voluto spiegarsi lo<br />

avrebbe fatto.<br />

Si guardò intorno, palesemente per controllare se qualcuno lo<br />

sentiva. Non c'era nessuno, ma comunque preferì chinare la testa<br />

per farmi segno di camminare con lui. Quando fummo abbastanza<br />

lontani dalle orecchie di eventuali ascoltatori indiscreti, osservò:<br />

«Varro, ti ricordi la notte in cui ci siamo incontrati per la prima<br />

volta?».<br />

«Nel deserto, sì, comandante. Mi ricordo.»<br />

«Abbiamo parlato dei Seneca. Ricordi?»


«Ricordo. Il mio vecchio legato.»<br />

«Sì, il tuo vecchio legato. Bene, se le cose non sono cambiate<br />

negli ultimi due anni, anche il legato <strong>del</strong>la XLI Legione è un Seneca.<br />

Il fratello maggiore <strong>del</strong> tuo ex-legato. Il suo nome è Tito Probo<br />

Seneca ed è il maggiore di sei fratelli, per cui tutti lo chiamano<br />

Primo.»<br />

Si fermò e io aspettai, cercando di trarre le conseguenze da<br />

quello che mi aveva detto. Sapevo che non c'era amicizia tra le<br />

famigli di Seneca e di Britannico, ma non riuscivo a vedere nessuna<br />

importanza capitale nell'identità <strong>del</strong> legato che comandava la<br />

legione che ci aveva trovato. Britannico, nel frattempo, era immerso<br />

nei suoi pensieri e aveva dimenticato la mia presenza. Diedi un<br />

colpo di tosse per farmi notare.<br />

«Chiedo scusa, comandante, ma il significato di tutto questo non<br />

mi è chiaro.»<br />

«Il significato? Questo ha un grande significato, Varro, per me,<br />

ma è ancora più grave per te e per tutti i nostri uomini. Primo Seneca<br />

è uno dei due uomini al mondo che posso definire miei nemici<br />

mortali. Odia me e tutti i miei, ma l'essenza <strong>del</strong> suo odio è riservata a<br />

me, alla mia persona. Ormai mi conosci bene. Non sono uno che<br />

esagera. Io ho cercato di ucciderlo e lui ha cercato di uccidermi o di<br />

farmi uccidere varie volte nel passato. Solo l'intervento benevolo <strong>del</strong><br />

fato ha frustrato i nostri sforzi. Ci detestiamo. Mi turba dovere fare<br />

rapporto a lui oggi, dato che siamo stati assenti dal servizio per un<br />

tempo così lungo. Non ho paura <strong>del</strong>l'uomo, ma non ho neppure<br />

un'ombra di fiducia nella sua umanità. Ti garantisco che se esiste la<br />

possibilità per Primo Seneca di creare dei guai a me e a chiunque mi<br />

sia collegato, lui non se la farà sfuggire.»<br />

Cominciavo a capire confusamente quello che gli passava nel<br />

cervello. «Così» azzardai, controllando le parole con attenzione<br />

prima di pronunciarle, «così tu pensi che questo Primo Seneca potrà<br />

crearci dei guai? Ora. Da cosa lo deduci, tribuno?»


Britannico mi sorrise, un sorriso di compassione, quasi di<br />

condiscendenza. Poi fece un movimento con la testa. «Varro»<br />

sussurrò, «sei quasi troppo ingenuo per essere vero. Pensa alla<br />

nostra situazione. Siamo stati assenti, senza una licenza o una<br />

notizia o una comunicazione con l'esercito per oltre un anno. Dati<br />

per dispersi, creduti morti. O forse, per qualcuno meno benevolo di<br />

te, dati per dispersi, ritenuti disertori.» Alzò la mano in fretta per<br />

bloccare la mia prevedibile reazione. «No, aspetta. Non sto dicendo<br />

che dovremo affrontare qualcosa di questo tipo, ma è una possibilità<br />

e voglio che almeno tu ne sia consapevole. Quello che sto dicendo è<br />

che devi essere pronto a ogni possibilità, ogni tipo di cosa<br />

sgradevole, ed essere anche pronto a informare gli uomini di quello<br />

che sta accadendo e perché. Questo è tutto. Io spero che i miei<br />

sospetti siano infondati e so che faccio male a confidarteli, perché<br />

potrebbero pregiudicare una buona disciplina. Ma conosco anche<br />

l'animale con cui tra poco dovrò avere a che fare e voglio che tu<br />

conosca le implicazioni politiche e personali a cui andiamo incontro.<br />

Mi capisci adesso?»<br />

Scossi la testa, ancora non riuscivo a credere a quello che mi era<br />

stato detto. Inarcò un sopracciglio guardandomi, con un mezzo<br />

sorriso sul volto. «Forza, parlo solo di possibilità, non di certezze.»<br />

Finalmente ritrovai la parola e la capacità di comprendonio. «Ho<br />

sentito, comandante, e capisco quello che dici, ma...»<br />

«Ma cosa, Varro?»<br />

«Niente, comandante. Possiamo solo sperare che ti sbagli e che il<br />

comando <strong>del</strong>la XLI abbia cambiato di mano.»<br />

«Esattamente. Vedo che siamo d'accordo.»<br />

«Sì, comandante. Ma cosa faremo se hai ragione? Cosa faremo se<br />

quell'uomo è ancora al comando? E se decide di usare la situazione<br />

per il suo vantaggio personale? Cosa faremo in quel caso?»<br />

Mi fissò a lungo, morsicandosi l'interno <strong>del</strong> labbro, prima di


ispondere.<br />

«In quel caso, centurione Varro, dobbiamo sperare che sia<br />

accompagnato da altri che possano costringerlo a comportarsi come<br />

un legato romano e non come un Seneca vendicativo.»<br />

«È possibile questo, comandante?»<br />

«Non ho idea. Immagino che non dovremo attendere molto per<br />

saperlo. Ecco che arrivano i nostri salvatori.» Mi girai per vedere gli<br />

ufficiali <strong>del</strong>la XLI Legione che tornavano, accompagnati questa volta<br />

dal tribuno anziano, Terzio Lucca. Mentre si avvicinavano<br />

tornammo alla testa <strong>del</strong> nostro comando e io dovetti urlare per<br />

mantenere il silenzio nei ranghi, poiché il comprensibile sollievo e<br />

l'eccitazione minacciavano di esplodere.<br />

Terzio Lucca cavalcava alla testa dei suoi ufficiali verso di noi; in<br />

risposta a un segnale che noi non potevamo vedere, tirarono le<br />

reclini e presero posizione esattamente a cento passi da noi,<br />

lasciando che Lucca avanzasse in compagnia di un altro, il giovane<br />

tribuno Barate Placido, con cui avevo parlato prima. Quando furono<br />

arrivati a metà <strong>del</strong>la distanza che ci separava, si fermarono e<br />

smontarono da cavallo. Guardai in tralice Britannico, ma lui non<br />

reagì.<br />

«Penso che stiano aspettando che ci avviciniamo a loro,<br />

comandante.»<br />

«Mi pare ovvio. Bene, è inutile ostinarsi. Almeno non hanno<br />

gridato per dircelo. Vieni con me.»<br />

Mossi qualche passo dietro a lui, alla sua destra, e avanzammo<br />

incontro ai nostri soccorritori fermandoci a tre passi da loro. Lucca e<br />

Britannico si fronteggiavano, impassibili: nessuno dei due lasciava<br />

trapelare in nessun modo il suo pensiero. Un nodo di angoscia mi<br />

strinse lo stomaco. Britannico aveva ragione. Eravamo nei guai con i<br />

nostri stessi uomini. Dovetti lottare per mantenere un'espressione<br />

cordiale.


Terzio Lucca era un bell'uomo di nemmeno trent'anni, dalla<br />

carnagione scura, e la sua uniforme sembrava lussuosa vicino ai<br />

nostri stracci. Portava una corazza di lamine di bronzo brunito,<br />

abilmente attaccate l'una all'altra, in modo da sovrapporsi e pendere<br />

libere, e l'elmo era <strong>del</strong>lo stesso bronzo lucente e il corsaletto di cuoio<br />

aveva la tonalità lucida e intensa che solo i servi riescono a ottenere.<br />

Il mantello e la tunica erano di lana color crema, decorata con una<br />

greca verde scuro, e la cresta <strong>del</strong>l'elmo era di piume bianche di<br />

egretta. Notai anche che sotto ai calzari portava dei coprimuscoli<br />

bianchi, fatti <strong>del</strong>la stessa splendida lana. Fu lui a rompere il silenzio.<br />

«Non mi saluti?»<br />

Britannico alzò le spalle. «Mi farebbe piacere farlo, se pensassi<br />

che risponderai al mio saluto, ma penso che non lo farai.»<br />

«Sei molto perspicace.» Il tribuno si morsicò le labbra. «E hai<br />

ragione. Potrei non rispondere.»<br />

«Potresti. E per quali motivi?»<br />

«Per il motivo che siete ritenuti colpevoli di diserzione e perciò<br />

indegni <strong>del</strong> riconoscimento dovuto a dei soldati.»<br />

«Capisco.»<br />

Mi morsi la lingua. <strong>La</strong> freddezza di Britannico era incredibile.<br />

«Diserzione. Non morte in battaglia. Nemmeno morte presunta,<br />

anche se nessuno mi ha più visto dopo la caduta <strong>del</strong> Vallo di<br />

Adriano. Ho disertato. Con tutti i miei uomini. Guardami, uomo!»<br />

<strong>La</strong> sua voce si incrinò per un attimo. «Pensi che io sia un disertore?»<br />

«Quello che io credo o non credo non ha importanza. Sei stato<br />

condannato...»<br />

«In absentia!»<br />

«In absentia, come dici. Non è un fatto raro, nei casi di<br />

diserzione.»<br />

«Allora,» Britannico continuava a mantenere un tono piatto e


calmo, «quale sarà la tua prossima mossa, tribuno?»<br />

«Sono incerto...» Gli occhi di Lucca si abbassarono incontrando<br />

quelli di Britannico e poi si fissarono su di me. «So quale sarebbe<br />

stata... quale avrebbe dovuto essere. Parlandoti così mi rendo<br />

colpevole, anche in questo momento, di comportamento improprio,<br />

ma questo incontro e la forma nella quale si svolge, sono...<br />

imprevisti.» Britannico taceva e Lucca continuò: «Se i tuoi uomini<br />

fossero stati disposti in modo diverso da come li ho trovati<br />

arrivando, avrei attaccato battaglia istantaneamente. Immagino che<br />

tu lo sapessi?». Di nuovo non ricevette risposta. Il suo commento<br />

successivo fu inaspettato.<br />

«Devi questa cortesia, benché piccola, a uno dei tuoi ex ufficiali,<br />

un mio amico che ha servito con te in Africa, anni fa, Giuliano<br />

Simmaco. Lui non è qui oggi, ma ricordo il fervore con cui ha difeso<br />

il tuo nome e il tuo onore quando scoprì che eri stato proscritto come<br />

disertore. Giurò che dovevi essere morto, che eri incapace di<br />

diserzione. Giurava troppo e combatteva con troppa foga in tua<br />

difesa, finché si rese sgradito e fu trasferito.»<br />

Britannico stava sorridendo. «Ricordo bene Giuliano e lo<br />

ringrazio per questo. Dov'è adesso?»<br />

«È morto. È stato ammazzato in una scaramuccia con una banda<br />

di Scoti.»<br />

Non c'era nulla da rispondere a questo. Britannico si limitò ad<br />

abbassare il mento sul petto.<br />

Una grossa ape apparve improvvisamente da non si sa dove e<br />

cominciò a ronzare sonnolenta intorno al mento di Lucca, attirata<br />

dal sudore che gli colava sulla faccia nel crescente calore <strong>del</strong> sole<br />

estivo. L'uomo cacciò l'insetto senza neanche guardare, con una<br />

mossa così rapida che l'abbatté; se cadde a terra o no, non so. Poi<br />

sfece il nodo sotto il mento e si tolse l'elmo, appoggiandoselo al<br />

fianco e asciugandosi il sudore con la mano libera.


«<strong>La</strong> difesa di Giuliano è stata la prima cosa di cui mi sono<br />

ricordato oggi, quando Barate mi ha detto che Gaio Britannico mi<br />

aspettava. Perciò ho deciso, a ragione o a torto, di parlarti prima di<br />

intraprendere qualunque azione contro di te e di farlo, in forza <strong>del</strong>la<br />

mia autorità, con un solo testimone al nostro colloquio. Questo è<br />

stato un tributo a Giuliano Simmaco, capisci. Non voglio procurarmi<br />

<strong>del</strong>le noie per causa tua, ma non voglio neppure condannarti senza<br />

controllare l'esattezza <strong>del</strong> mio giudizio. Sei disposto a consegnare te<br />

stesso e i tuoi uomini alla mia autorità?»<br />

«In che veste?» Britannico rialzò la testa e guardò Lucca dritto<br />

negli occhi. «Intendi trattarci come disertori?»<br />

«Non ho altra scelta. Devo.»<br />

Sentii di nuovo il sibilo <strong>del</strong>l'aria aspirata tra i denti, un suono<br />

che rivelava la perplessità <strong>del</strong> mio comandante.<br />

«Tu pensi, Terzio Lucca, come soldato di professione e uomo di<br />

buon senso che, conoscendo l'accusa, avrei consegnato così<br />

mitemente me stesso e il mio comando alla vendetta di Roma?»<br />

«Potresti.» Lucca stava quasi per sorridere, pensai. «Simmaco<br />

parlava spesso <strong>del</strong>la sfrontatezza che avevi sempre dimostrato<br />

nell'essere un capo pieno di risorse. Una mossa come questa<br />

potrebbe essere un colpo da maestro di doppiezza.»<br />

Il nodo nel mio stomaco si stava rapidamente stringendo, ma le<br />

parole seguenti di Britannico mi stupirono. «E se ti dicessi che posso<br />

provare la totale lealtà mia e dei miei uomini a Roma?» Si teneva ben<br />

diritto e sembrava voler guardare al di sopra <strong>del</strong>la testa di Lucca.<br />

«Come reagiresti?»<br />

«Con meraviglia.» Lucca adesso sorrideva apertamente, ma non<br />

c'era cattiveria nei suoi occhi. «Lo puoi fare? Puoi provare la tua<br />

lealtà?»<br />

«Penso di sì, se me ne viene data l'opportunità. Perfino a Primo<br />

Seneca.»


Lucca fece una smorfia. «Ne dubito. Il legato non ha pazienza<br />

con i condannati per fellonia.»<br />

«E ancor meno con me. Siamo vecchi nemici. Nemici personali.»<br />

«Oh, non lo sapevo. È una sfortuna.»<br />

«Sarà Seneca il mio giudice?»<br />

«Sì. È il legato. Durante una campagna è come dio. Lo sai.»<br />

«Potrebbe rifiutare di analizzare le mie prove.»<br />

Lucca annuì, lentamente. «Potrebbe e sarebbe nel suo diritto. Sei<br />

già stato condannato.»<br />

Nella breve pausa che seguì mi girai a guardare i nostri uomini.<br />

Un'altra ape ronzava forte vicino al mio orecchio e io cercai<br />

inutilmente di allontanarla. Britannico ricominciò a parlare.<br />

«Dov'è acquartierato il legato?»<br />

«Ufficialmente? A Lindum, a circa trenta miglia da qui. Ma oggi<br />

è accampato molto più vicino, in un campo base fortificato a circa sei<br />

miglia da qui. Ha con sé degli ospiti importanti, un gruppo di<br />

senatori <strong>del</strong>la corte <strong>del</strong>l'Imperatore mandati a ispezionare i<br />

progressi <strong>del</strong>la nostra campagna. Li ha portati a visitare il campo<br />

base ieri. Torneranno a Lindum domani.»<br />

Britannico alzò un sopracciglio. «Senatori? Sai i loro nomi?»<br />

Lucca aggrottò leggermente la fronte. «Il più anziano è Flavinio<br />

Tesca. Non ricordo i nomi degli altri.»<br />

«Flavinio Tesca! L'ho conosciuto in tempi migliori. È un uomo<br />

onesto e onorato.» Britannico fece un lungo respiro e si alzò sulla<br />

punta dei piedi, prima di riappoggiarsi sui calcagni. «Tribuno<br />

Lucca, se puoi garantirmi di portare me e i miei uomini davanti al<br />

legato Seneca mentre è assieme a Flavinio Tesca, mi arrenderò a te e<br />

mi affiderò a Tesca per avere giustizia.»<br />

«Non posso garantire niente, tribuno.» Lucca aveva la fronte<br />

aggrottata, adesso, ma tutti noi avevamo sentito il titolo con cui si


era rivolto a Britannico. «È mio dovere prendere in custodia te e i<br />

tuoi uomini. Se tutto ciò si svolgerà in fretta e senza problemi ti<br />

porterò oggi di fronte al legato Seneca. Ma devo avvisarti che il<br />

senatore Flavinio Tesca non ha autorità sul legato Seneca in materia<br />

di disciplina e di legge militare.»<br />

«Ne sono consapevole, tribuno.» Il tono risoluto nella voce <strong>del</strong><br />

mio comandante mi fece capire che aveva preso la sua decisione.<br />

«Ma Flavinio Tesca è un senatore imperiale e perciò rappresenta<br />

direttamente l'Imperatore qui in Britannia riguardo agli affari<br />

imperiali. Se mi concedi un momento per parlare ai miei uomini, che<br />

non hanno idea di essere sotto accusa, addirittura già condannati, ci<br />

arrenderemo, noi e loro, a te. È ironico che i miei soldati stiano<br />

aspettando festeggiamenti e un premio per avere combattuto e<br />

mantenuto il loro orgoglio romano, non trovi? Mi chiedo: con che<br />

fervore avrebbero lottato nello scorso anno se avessero saputo che li<br />

aspettavano la corte marziale e la morte al ritorno in patria?»<br />

«Bene.» Era sconcertato. «Parla con loro. Intanto farò portare dei<br />

cavalli per te e per i tuoi ufficiali.»<br />

«Grazie, tribuno.» Britannico colse il mio sguardo, e ci eravamo<br />

già voltati per andarcene, quando Lucca ci fermò, chiamando<br />

Britannico per nome. Ci girammo di nuovo, leggendo nei suoi occhi<br />

il desiderio di credere.<br />

«Pensi davvero di poter dimostrare la tua innocenza?»<br />

«L'ho detto.»<br />

«Renditi conto che sembra impossibile.»<br />

Ero d'accordo con Lucca. A questo punto ero quasi convinto che,<br />

tornando dai suoi uomini, Britannico avrebbe detto loro quello che<br />

era successo e poi avrebbe cercato di aprirsi un varco fuori dalla<br />

valle. Ma per andare dove? <strong>La</strong> mia mente non riusciva ad andare<br />

così lontano. Mi ritrovai a fissare Britannico, aspettando la sua<br />

risposta con tanta ansia quanto Lucca.


Britannico mi guardò e vide che non capivo. Mi sorrise e guardò<br />

di nuovo Lucca.<br />

«Impossibile? Avrebbe potuto esserlo se non avessi deciso di<br />

tenere un diario <strong>del</strong>la nostra campagna dal giorno in cui crollò il<br />

vallo. Ho testimonianze scritte, fe<strong>del</strong>i, compilate giorno dopo giorno<br />

dal nostro scriba, datate e firmate da me. I rapporti scritti di almeno<br />

cinquecento giorni, firmati e datati da me ogni giorno. Ho<br />

cominciato per capriccio, ho continuato a farlo per abitudine e<br />

disciplina, ora mi pare di averli conservati e protetti per volontà di<br />

Dio nell'attesa di questo giorno e di queste accuse.»<br />

Lucca spalancò gli occhi per la sorpresa e scosse la testa<br />

meravigliato. «Questa per me sarebbe una prova, se sapessi leggere»<br />

disse.<br />

«Amico,» rispose cortesemente Britannico, «questa sarà una<br />

prova per Flavinio Tesca, qualunque cosa dica il legato Seneca.»<br />

<strong>La</strong> menzione <strong>del</strong> nome <strong>del</strong> suo comandante tolse il sorriso dalla<br />

faccia di Lucca. Si mise sull'attenti e fece un saluto, che gli<br />

rendemmo. «Tribuno» disse con voce piena di forza e risolutezza,<br />

«tu e i tuoi uomini potete conservare le armi per il momento. Le mie<br />

coorti vi scorteranno.»<br />

«Sei sicuro che è quello che vuoi, tribuno Lucca?» Britannico<br />

parlava a voce molto bassa. «Seneca non ti ringrazierà per aver<br />

mancato di disarmare dei traditori condannati.»<br />

«Sì, tribuno. Ne sono certo. Il legato vorrà la mia testa, ma solo<br />

se non riuscirai a dimostrare la tua innocenza.» Lucca sorrise di<br />

nuovo. «Questo è il mio tributo, un tributo personale a Giuliano. Ti<br />

credo e credo in lui. Inoltre...» si girò a sorridere per la prima volta al<br />

suo compagno, il giovane Barate placido «... potrebbe anche essere il<br />

solo modo di prendervi in custodia. I tuoi uomini sono dei veterani,<br />

dei sopravvissuti, mentre i miei sono poco più che giovani reclute.<br />

Non è forse così, Barate Placido?»


A giovane ammiccò. «Sì, tribuno.»<br />

«E così sia» mormorò Britannico. «Non lo dimenticheremo,<br />

Terzio Lucca.»<br />

Tornammo dai nostri uomini e Britannico li informò <strong>del</strong>la<br />

conversazione che aveva avuto luogo. Con la faccia scura lo<br />

ascoltarono in silenzio spiegare la situazione ed enfatizzare<br />

l'importanza <strong>del</strong> diario tenuto da Luscar, lo scriba. Terminò il<br />

discorso rassicurandoli e facendoli ridere, malgrado la gravità <strong>del</strong>la<br />

nostra situazione.<br />

«Vi ho portato fin qui salvi,» disse loro, «e non intendo<br />

abbandonarvi adesso. Ho parlato a lungo con ognuno di voi per<br />

molte volte da quando è iniziata questa nostra odissea. Voi sapete<br />

bene che siete tutti importanti per me. Adesso dovete fidarvi di me.<br />

Non vi abbandonerò. Ma, per l'amore <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>, curatemi Luscar<br />

nelle prossime ore! Lui sarà l'eroe di questa giornata, ma se lo<br />

perdiamo adesso, siamo perduti!»<br />

Quasi due ore dopo raggiungemmo il campo. Lucca aveva<br />

avvertito che saremmo arrivati e ci aspettavano. Seguendo l'esempio<br />

di Britannico i nostri uomini erano seri e non sorridevano. I cancelli<br />

<strong>del</strong> campo si aprirono in silenzio e vedemmo in fila i ranghi dei<br />

legionari immobili. Non ci fu un solo cenno o una parola di<br />

benvenuto mentre attraversavamo i cancelli; avevo i crampi allo<br />

stomaco dalla paura e dal terrore.<br />

L'intera guarnigione era schierata in assetto di guerra, disposta<br />

in un quadrato aperto, dentro il quale marciavamo. A un’estremità,<br />

di fronte a noi, c'era un legato in magnifica uniforme, circondato dai<br />

suoi ufficiali. Britannico cavalcò direttamente verso il gruppo e tirò<br />

le redini <strong>del</strong> cavallo, alzando la mano destra per segnalare l'alt, cosa<br />

che facemmo, scattando sull'attenti. Il silenzio nel quadrato era<br />

assoluto. Io ero consapevole <strong>del</strong>la presenza di civili sullo sfondo, tre<br />

uomini alti e uno basso, tutti portavano vestiti incredibilmente<br />

puliti, a colori vivaci.


Il legato, una visione di argento e porpora e nero, parlò con voce<br />

acuta, stridula, che trasudava disprezzo e una sorta di trionfo.<br />

«Il prigioniero smonti.»<br />

Prigioniero? Sentii la tensione degli uomini alle mie spalle<br />

crescere immediatamente. Perfino a me venne la pelle d'oca a sentire<br />

quell'orribile parola, anche se me l'aspettavo. Mi girai e urlai: «State<br />

fermi!» da sopra la spalla. Le poche facce che vidi in quel breve<br />

attimo erano confuse e incredule.<br />

«State fermi, maledizione.»<br />

Britannico non accennò a smontare. Rimase immobile e in<br />

silenzio.<br />

«Smonta, ho detto, o muori.» Il legato alzò il braccio per dare il<br />

segnale e improvvisamente file di arcieri salirono sui gradini e lungo<br />

le piattaforme dei parapetti <strong>del</strong> campo, dove incoccarono le frecce e<br />

le puntarono contro di noi. Britannico si girò da un lato all'altro e<br />

guardò gli arcieri, poi i soldati radunati che ci attorniavano. <strong>La</strong> sua<br />

faccia era priva di espressione. Infine guardò verso Seneca, nel cui<br />

volto riuscivo a vedere la somiglianza con il fratello, mio ex-legato<br />

in Africa.<br />

«In mancanza di criminali, posso solo presumere che tu ti stia<br />

rivolgendo a me, legato Seneca?» L'espressione sul volto di Seneca<br />

era di trionfo.<br />

«Vedo una massa di criminali, Britannico. Tu e la tua gente.»<br />

Mi girai di nuovo per far tacere gli uomini, ma stavolta non fu<br />

necessario. Erano sbiancati in volto, la maggior parte di loro, e<br />

cercavano di vedere oltre le teste degli uomini che stavano di fronte<br />

a loro, ma i loro occhi erano diretti verso Britannico, la cui voce<br />

risuonò di nuovo, tagliente.<br />

«È meglio che ti spieghi, Seneca.»<br />

«Non ce n'è bisogno. Tu e la feccia che hai con te siete stati


condannati come disertori un anno fa. Nessuno si immaginava che<br />

sareste tornati strisciando per chiedere clemenza, ma il tuo carattere<br />

è tale che in realtà ciò non mi sorprende.»<br />

Riuscivo a vedere la tensione in ogni linea dei tratti di<br />

Britannico, ma la sua voce rimase calma.<br />

«Sulla base di che autorità sono stato condannato, e per quale<br />

motivo?»<br />

«Per quale motivo?» Seneca esplose apertamente. «Per quale<br />

motivo? <strong>La</strong> perdita di una provincia non è forse motivo sufficiente?<br />

<strong>La</strong> tua incompetenza e quella dei tuoi pari hanno causato la perdita<br />

di quasi tutto il territorio a favore dei barbari invasori, e rendendoti<br />

conto <strong>del</strong>le tue responsabilità hai scelto di fuggire la giustizia<br />

imperiale per nasconderti sulle colline. Ora che state morendo di<br />

fame tornate strisciando e sperate di ottenere clemenza. Basta!<br />

Ordina ai tuoi uomini di gettare le armi e di arrendersi oppure<br />

ordinerò ai miei di sterminare loro e te!»<br />

Britannico alzò la voce. «Flavinio Tesca! Potresti venire avanti<br />

per favore? E anche il senatore Opio?» Ci fu un'agitazione inquieta,<br />

mentre tutti e quattro i civili dietro ai soldati cominciarono ad<br />

avanzare. Seneca non ne fu soddisfatto e fu palesemente colto alla<br />

sprovvista dall'appello di Britannico.<br />

«Non serve!» intervenne. «I senatori non hanno autorità qui sul<br />

campo di battaglia.»<br />

I civili continuavano ad avvicinarsi, senza ascoltare le sue<br />

parole. Quando ebbero raggiunto la prima linea si fermarono e il più<br />

alto dei quattro fece un cenno di saluto a Britannico, senza<br />

compromettersi. Vedendolo agire così, anche un altro dei suoi<br />

compagni fece al tribuno un cenno di riconoscimento. Britannico<br />

parlò.<br />

«Tesca, tu sei a conoscenza <strong>del</strong>la situazione tra la mia famiglia e<br />

i Seneca. Devo essere preso prigioniero e ammazzato con tutti i miei


uomini? Per aver servito l'Impero ed essere riuscito a tornare alla<br />

civiltà? Dobbiamo essere tutti condannati? Da un Seneca? Alla<br />

presenza di senatori imperiali?»<br />

Tesca era a disagio. «<strong>La</strong> condanna non proviene da Seneca, Gaio<br />

Britannico. Ha ragione lui. Sei stato condannato per diserzione in<br />

absentia.»<br />

«Perché? Sulla parola di chi?» Per la prima volta Britannico<br />

lasciò che la sua voce rivelasse irritazione. Tesca si strinse nelle<br />

spalle. Britannico continuò a parlare a voce alta, modo che tutti nel<br />

campo potessero sentirlo.<br />

«Flavinio Tesca, io mi appello a te come un romano di rango<br />

senatorio a un altro. Forse i disertori marciano in un campo armato,<br />

in perfetta disciplina, per arrendersi pacificamente come abbiamo<br />

fatto noi? Chiedo di poter far venire avanti uno dei miei uomini.<br />

Posso?»<br />

«No! Non puoi!» Questa volta era Seneca a parlare.<br />

Britannico lo ignorò. «Senatore Tesca? Il mio appello è rivolto a<br />

te.»<br />

Tesca annuì.<br />

«Luscar. Vieni avanti.»<br />

Citrullo Luscar, il più anziano e il solo sopravvissuto tra gli<br />

scribi <strong>del</strong>la nostra coorte, venne avanti e salutò sull'attenti.<br />

«Porta i tuoi diari, Luscar e falli vedere al senatore.»<br />

Mentre Luscar eseguiva l'ordine, i miei occhi fissavano la faccia<br />

di Seneca, sulla quale si leggevano sospetto e perplessità. Il sacco di<br />

Luscar era immenso, ma conteneva pochi oggetti militari. L'intero<br />

spazio <strong>del</strong> rigido zaino di cuoio dalle pareti spesse era pieno di<br />

papiri strettamente arrotolati sui quali, durante l'intera durata <strong>del</strong><br />

nostro errare, aveva tenuto meticolosa nota di ogni azione, facendo<br />

inchiostro con fuliggine e urina, e riempiendo il retro di ogni


documento che aveva portato con la sua scrittura minuta. Britannico<br />

indicò la pila di papiri per terra.<br />

«Ho fatto registrare a Luscar ogni evento seguito all'attacco <strong>del</strong><br />

vallo avvenuto l'anno scorso. Da allora ha registrato ogni cosa,<br />

scrivendo sul retro <strong>del</strong>le sue preziose note quando è rimasto senza<br />

carta. È uno scriba per natura e formazione e mi accorgo ora che Dio<br />

stesso è intervenuto nel conservarlo in vita. Io chiedo che queste<br />

note vengano studiate. Esse proveranno la lealtà di ogni uomo che è<br />

con me. <strong>La</strong> lealtà a Roma che ci ha portato salvi qui dopo un anno di<br />

lotte.»<br />

Fissò con sfida Tesca, che si schiarì la voce per indicare il suo<br />

disagio e poi prese uno dei documenti dalla pila dei rotoli di papiri.<br />

Nessun altro si mosse. Dopo pochi istanti, Tesca alzò la testa, si<br />

schiarì di nuovo la voce, girandosi verso Seneca per la prima volta.<br />

«Legato Seneca, il documento che ho qui sembra indicare che<br />

forse è stata commessa un'ingiustizia.» Sollevò la mano per bloccare<br />

un'interruzione. «Sto solo dicendo: forse. Questo è un brano di<br />

rapporto militare, datato otto mesi fa e firmato dal tribuno<br />

Britannico come ufficiale comandante <strong>del</strong>la coorte.» Seneca<br />

farfugliò, pieno di rabbia: «È un trucco, maledizione, Tesca! Non lo<br />

vedi?».<br />

<strong>La</strong> faccia di Tesca divenne di <strong>pietra</strong>. «No, legato, non lo vedo.<br />

Quello che vedo mi sembra militarmente corretto, anche se<br />

altamente inusuale.» Si girò, guardò Britannico e poi tutti noi prima<br />

di continuare. «Voglio fare una raccomandazione molto forte. Una<br />

doppia raccomandazione: che il tribuno Britannico consegni se<br />

stesso e i suoi uomini per essere tenuto sotto custodia finché io<br />

stesso insieme ai miei tre compagni e a quattro tuoi ufficiali avremo<br />

avuto il tempo di esaminare con cura queste note.»<br />

«Allora dobbiamo essere trattati come criminali?»<br />

Tesca guardò dritto negli occhi di Britannico senza cercare di<br />

sfuggirli: «Davanti all'Impero siete dei criminali. Ma devo


ammettere però che questo» - e indicava il rotolo che aveva in mano<br />

- «questi appunti come li chiami tu, sollevano qualche dubbio nella<br />

mia mente. In considerazione di ciò, se acconsenti a una semplice<br />

detenzione, sarai alloggiato comodamente, sotto guardia finché<br />

avremo avuto il tempo di arrivare a una decisione a questo livello,<br />

che riguarda la tua colpevolezza o innocenza rispetto alle accuse in<br />

base alle quali sei stato condannato».<br />

«E poi?» chiese Britannico che aveva di nuovo alzato la voce.<br />

«Hai detto a questo livello.»<br />

«Poi, se siamo convinti <strong>del</strong>la vostra innocenza riguardo al<br />

crimine di diserzione, sarete portati al quartiere militare a Lindum<br />

per essere presentati al governatore militare per l'esonero formale.»<br />

«Tutti e quattrocento?»<br />

Tesca aggrottò la fronte. «Ovviamente no. Tu, i tuoi ufficiali e il<br />

tuo scriba.»<br />

Britannico sospirò profondamente e guardò gli arcieri sui<br />

parapetti.<br />

«Seneca,» mormorò, «ai tuoi arcieri verranno i crampi per una<br />

settimana se non si rilassano in fretta.»<br />

Seneca, con la faccia inondata di rabbia e frustrazione, alzò il<br />

braccio e io mi sentii prudere lo scalpo, ma poi lo riabbassò<br />

lentamente e le frecce minacciose furono abbassate. Sentii un<br />

sussurro di sollievo uscire dalla bocca degli uomini alle mie spalle.<br />

«Così va già meglio.» C'era quasi un sorriso nella voce di<br />

Britannico. «Flavinio Tesca, ti ringrazio per il tuo sangue freddo.<br />

Centurione Varro, passa parola tra gli uomini di mettere giù le armi<br />

e di andare a radunarsi... dove vuoi che vadano, legato, a parte<br />

ovviamente dove ti piacerebbe che andassero?»<br />

«Al diavolo te e loro, Britannico. Staranno dove sono,<br />

sull'attenti.»


Non mi mossi. Non era ancora finita. <strong>La</strong> voce di Britannico si<br />

abbassò, rivolta ora solo a un paio di orecchie. «Seneca, i miei<br />

uomini sono dei duri. I tuoi sono dei mocciosi. Non voglio che i miei<br />

uomini stiano sotto il sole per addolcire il tuo malumore. Voglio che<br />

si radunino fuori dai cancelli e tu puoi fare mettere <strong>del</strong>le guardie<br />

intorno, se vuoi, ma per il Dio vivente, se cerchi di sfogare la tua<br />

rabbia meschina nei miei confronti su di loro, allora li farò scatenare<br />

e pochi uomini tuoi o miei arriveranno a domani.»<br />

Seneca quasi soffocò. «Mi minacci? Tu, stronzo, osi<br />

minacciarmi?» <strong>La</strong> sua voce era un velenoso sibilo soffocato.<br />

Britannico si girò verso di me. «Fa' come ho comandato. Fai<br />

riunire gli uomini fuori dai cancelli. Vai con loro e non permettere<br />

che infrangano la disciplina.» Passò la gamba sul collo <strong>del</strong> cavallo e<br />

saltò a terra. Guardai ancora da lui verso gli altri mentre due soldati<br />

si avvicinavano per mettersi al suo fianco e poi mi girai per obbedire<br />

al suo ordine.<br />

Gli uomini passarono la notte e la maggior parte <strong>del</strong> giorno<br />

successivo sotto guardia in un recinto temporaneo per i cavalli fuori<br />

dal campo. Nominalmente erano prigionieri, ma vennero trattati<br />

bene e nutriti bene, per la prima volta da mesi.<br />

Io passai la notte nel campo, sotto controllo, dopo essermi lavato<br />

con acqua calda ed essere stato fornito di vestiti<br />

decenti che mi fecero sentire di nuovo un essere umano.<br />

<strong>La</strong> mattina successiva, sul tardi, fui condotto a una riunione<br />

nella grande tenda <strong>del</strong> legato circondata da un muro. Flavinio Tesca,<br />

gli altri tre civili e quattro ufficiali avevano passato la maggior parte<br />

<strong>del</strong>la notte a leggere il diario di Luscar ed erano sinceramente<br />

soddisfatti di vedere che non eravamo colpevoli di nessun crimine.<br />

Ai loro occhi eravamo già riabilitati da ogni accusa e furono<br />

d'accordo che i nostri uomini fossero rilasciati subito. Un centurione<br />

anziano <strong>del</strong>la guardia di Seneca fu mandato ad occuparsi di ciò e<br />

Tesca chiese <strong>del</strong> vino per celebrare la nostra salvezza.


Il legato Seneca lasciò la tenda infuriato.<br />

Nel tardo pomeriggio il quartiermastro di Seneca consegnò<br />

nuove uniformi ed equipaggiamento per i nostri uomini, che<br />

avrebbero mantenuto la loro unità sotto ufficiali provvisori;<br />

Britannico con gli altri ufficiali ed io eravamo in cammino verso sud<br />

per avere udienza dal governatore militare. Uno squadrone <strong>del</strong>la<br />

cavalleria di Seneca ci scortava, insieme ai quattro senatori la cui<br />

presenza tra gli uomini di Seneca era stata per noi un'insperata<br />

fortuna.<br />

V.<br />

Teodosio, il nuovo governatore militare, si rivelò essere un<br />

magniloquente e pomposo stronzo, con tutto il fascino di una vipera


irritata, ma di una vipera aveva anche la forza e l'elasticità, e<br />

soprattutto aveva successo.<br />

Era anche una specie di uomo di spettacolo - se non fosse stato<br />

un soldato avrebbe potuto essere un lanista, produttore e<br />

presentatore di spettacoli pubblici per il divertimento <strong>del</strong> popolino.<br />

Questo fu chiaro quando Britannico e io entrammo nella sala <strong>del</strong>le<br />

udienze <strong>del</strong> suo quartiere generale a Lindum. Teodosio non era<br />

ancora arrivato e dovemmo aspettarlo. <strong>La</strong> nostra scorta, un tribuno e<br />

due soldati di cavalleria, si misero sull'attenti dietro di noi e due<br />

altre guardie rimasero rigidamente in piedi di fronte a noi, ai lati di<br />

una grande tavola di legno lucidato al centro <strong>del</strong>la stanza. Una<br />

cathedra, una seggiola con braccioli e schienale alto, stava dietro<br />

quella tavola e quattro sellae, le tradizionali sedie senza schienale,<br />

erano disposte una a fianco <strong>del</strong>l'altra di fronte al tavolo. Noi non<br />

accennammo a sederci.<br />

Sul tavolo, con la lama nuda che sembrava fiammeggiare nella<br />

luce filtrata <strong>del</strong> tardo pomeriggio, era appoggiata la spada di<br />

Teodosio.<br />

Quell'arma era famosa, giustamente rinomata per la sua lama<br />

affilata, argentea, coperta di intricati disegni. Quando non la<br />

portava, Teodosio la teneva fuori dal fodero, sempre in mostra con<br />

ostentazione perché uomini da meno di lui la ammirassero. Il<br />

respiro mi si fermò in gola: la guardai e la riconobbi nella sua<br />

magnificenza, e dovetti farmi forza per non commentare. Non osavo<br />

parlare, comunque. Fino a quando Teodosio non avesse<br />

formalmente ritirato la protrazione sui nostri nomi eravamo ancora,<br />

de facto, criminali condannati. Fino a quel momento ci era<br />

formalmente proibito parlare senza permesso.<br />

Teodosio entrò nella grande stanza solo pochi secondi più tardi.<br />

Ascoltò il nostro caso, presentato dal tribuno che ci accompagnava,<br />

ed esaminò brevemente i dati scritti. Annuì, poi ci disse che aveva<br />

discusso a lungo il nostro caso con il senatore Tesca e che era


convinto <strong>del</strong>la nostra innocenza. Si congratulò perfino con<br />

Britannico per la sua previdenza, la sua guida, il suo esempio e la<br />

sua forza di sopportazione e ordinò la distruzione di ogni accusa<br />

contro di noi.<br />

Da parte mia ero affascinato dall'uomo come dalla sua spada.<br />

Ero cosciente dei suoi difetti, ma incantato dall'aura di potere che la<br />

sua presenza emanava. Era sbarcato in Britannia con un esercito<br />

consolare di quattro legioni - da cinquanta a sessanta mila uomini<br />

contando tutto il personale - solo verso la fine <strong>del</strong>l'anno 368 e, nel<br />

giro di pochi mesi, aveva ricreato la pax romana dal caos che regnava.<br />

Aveva rinnovato il corpo diplomatico <strong>del</strong>la provincia, nominando<br />

un nuovo Comes Britanniorum, o conte di Britannia per sostituire<br />

l'incompetente Fullofaude, il cosiddetto Dux Britanniorum o duca di<br />

Britannia, che era stato ucciso durante l'invasione. Aveva anche<br />

nominato un nuovo Vicarius <strong>del</strong>la Britannia, un governatore civile<br />

romano che rappresentava l'imperatore a Londinium. Entrambi i<br />

posti erano <strong>del</strong>le sinecure e nessuno dei nominati fece niente di<br />

significativo durante o dopo il breve periodo nel quale Teodosio<br />

rimase residente in Britannia.<br />

Incontrai personalmente Teodosio poco dopo il nostro ritorno<br />

ed esonero, quando mandò a chiamare Britannico, in quanto era uno<br />

dei pochi ufficiali anziani non in disgrazia sopravvissuti nel paese,<br />

per assistere a una riunione prima <strong>del</strong> lancio <strong>del</strong>la sua nuova<br />

campagna principale. L'imperatore Valentiniano aveva dato a<br />

Teodosio il titolo di Comes Rei Militaris, conte militare, e in quella<br />

veste era deciso ad accertarsi che tutti lo conoscessero. Non era un<br />

individuo particolarmente gradevole, ma era un buon soldato e<br />

amministratore e le sue armate erano spettacolari. Suppongo che<br />

nessuno possa essere perfetto. Lui stesso sarebbe diventato<br />

imperatore nel giro di dieci anni.<br />

Come conte militare, comunque, Teodosio fece alcuni<br />

miglioramenti importanti nella difesa generale <strong>del</strong>la provincia.


Ricostruì e fortificò un certo numero di forti gravemente<br />

danneggiati e migliorò enormemente le difese di molte città,<br />

un'impresa importante che portò a termine in un tempo<br />

impressionantemente breve.<br />

Le città <strong>del</strong>la Britannia avevano mura di mattoni, rinforzate da<br />

rampe di terra e fronteggiate da profondi fossati a V. Teodosio<br />

ordinò che quei fossati fossero riempiti e poi fece aggiungere <strong>del</strong>le<br />

torri al di fuori <strong>del</strong>le mura, torri costruite espressamente per<br />

sopportare le pesanti macchine da lancio - catapulte di diverse<br />

misure che potessero scagliare proiettili - che andavano dalle<br />

mortali ballistae per scagliare frecce e giavellotti, alle catapulte per il<br />

lancio di massicce rocce e pietre e di contenitori di olio accesi. Fatto<br />

questo fece scavare nuovi fossati più profondi, a U, ma questa volta<br />

posti abbastanza lontano da fermare una forza attaccante fuori dalle<br />

mura <strong>del</strong>le città, ma entro la gittata <strong>del</strong>le macchine belliche <strong>del</strong>le<br />

nuove torri.<br />

Il suo contributo più importante e immediato al benessere <strong>del</strong>la<br />

provincia, comunque, fu un esteso rinnovamento <strong>del</strong> Vallo di<br />

Adriano, che comprendeva la ricostituzione di guarnigioni nei forti<br />

e nei castelli miliari lungo tutta la lunghezza.<br />

Questi cambiamenti furono enormi e coinvolsero un'intricata e<br />

contorta ridistribuzione <strong>del</strong>le forze militari al suo comando. I resti<br />

<strong>del</strong>la nostra vecchia coorte furono dispersi e distribuiti tra le nuove<br />

legioni e quelle riformate.<br />

Gaio Britannico fu promosso legato, comandante di una di<br />

queste unità. Egli mi prese con sé come suo primus pilus, il suo capo<br />

centurione e secondo in comando in ogni materia relativa alle<br />

operazioni quotidiane <strong>del</strong>la legione, come era sua prerogativa. Le<br />

cose non erano più le stesse dopo l'invasione, però. Britannico aveva<br />

la reputazione, ma i suoi nuovi uomini non avevano le palle per fare<br />

niente di grande e noi non avevamo il tempo di addestrarli prima di<br />

entrare in azione. E allora, nei mesi finali <strong>del</strong>la campagna di


Teodosio, mentre il nemico era finalmente in fuga, diretto a nord di<br />

nuovo verso il vallo, ci infilammo in quella gola e ci guadagnammo<br />

un lungo e non voluto riposo.<br />

Mitros, medico personale di Britannico e ora, per amicizia,<br />

anche di Varro, iniziò le sue operazioni giornaliere per allungarmi la<br />

vita, peggiorando la mia miseria. Britannico era ancora<br />

addormentato e dopo un breve sguardo Mitros ignorò lui e me e si<br />

mise al lavoro. Lo guardavo con un po' di paura. Ero già abituato a<br />

quella procedura, ma sapevo che non mi sarei mai abituato al dolore<br />

ad essa connesso, malgrado la miracolosa portata dei suoi effetti<br />

curativi. Mitros versò da una fiala <strong>del</strong>la polvere bianca, cristallina, in<br />

un recipiente che stava già bollendo sul suo piccolo braciere e poi<br />

tolse il recipiente dalla brace quasi subito, versando il suo contenuto<br />

in una ciotola poco profonda per lasciarlo raffreddare fino al<br />

momento in cui lo avrei bevuto. Il grande catino sul braciere più<br />

grande conteneva un liquido viscoso, grigio, che ribolliva con forza,<br />

quasi come il fango a cui somigliava. Entrambi i composti, lo<br />

sapevo, contenevano degli oppiacei che avrebbero dovuto intontire i<br />

miei sensi contro il dolore che Mitros avrebbe cominciato tra poco a<br />

infliggermi. Per prima cosa avrei dovuto bere il miscuglio <strong>del</strong>la<br />

tazza non profonda, quando fosse stato abbastanza freddo.<br />

Nonostante l'aggiunta di menta fresca tritata sapeva di marcio, ma<br />

era magico. Mitros mi aveva detto che veniva fatto con una sostanza<br />

ricavata dal lattice dei papaveri che crescevano nel lontano oriente,<br />

vicino a Bisanzio. Vinceva il dolore nella misura <strong>del</strong>la sua forza:<br />

ogni giorno Mitros faceva un miscuglio più forte e ogni giorno la<br />

mia percezione <strong>del</strong> dolore diminuiva.<br />

Quando l'oppio mi aveva intontito a sufficienza, Mitros<br />

disfaceva i miei bendaggi e lavava e puliva le ferite che si<br />

raccoglievano al centro <strong>del</strong> mio corpo, usando acqua calda e<br />

detergenti astringenti che non avrei tollerato senza l'aiuto <strong>del</strong>la


pozione. Poi, quando aveva finito, copriva di nuovo le ferite,<br />

facendo un impacco per il bendaggio interno con la poltiglia, calda<br />

in modo quasi intollerabile, <strong>del</strong> miscuglio puzzolente simile ad<br />

argilla che ribolliva sul braciere. Anche la poltiglia conteneva un<br />

calmante, più potente <strong>del</strong>l'altro a modo suo, così quando l'effetto<br />

<strong>del</strong>la pozione era finito, la poltiglia magica aveva addormentato<br />

completamente la mia gamba, consentendomi di dormire fino al<br />

giorno successivo.<br />

Mitros provò la pozione nella tazza con la nocca <strong>del</strong> dito<br />

mignolo, ma era ancora troppo calda perché la bevessi. Inghiottii<br />

nervosamente la saliva, inspirai e guardai verso Britannico.<br />

Dormiva, disteso sulla schiena, con il suo grande naso a becco<br />

puntato verso il tetto <strong>del</strong>la tenda. Mi ricordai di nuovo le parole che<br />

aveva detto la prima notte che ci eravamo incontrati, sul fatto di<br />

dover decidere cosa fare di me, e sogghignai al ricordo. Negli anni<br />

che erano trascorsi dopo quella notte Gaio Britannico aveva dovuto<br />

pensare su cosa fare di se stesso più che di me. Il mio sorriso si<br />

allargò e mi chiesi cosa avrebbe fatto senza di me.<br />

«Ecco, adesso beviamo e poi staremo meglio.» Mitros era in<br />

piedi vicino a me, con la tazza nella sinistra, mentre con la destra mi<br />

sorreggeva la testa.<br />

«Staremo davvero meglio, Mitros? Bene, visto che lo faremo<br />

insieme, ho un'idea. Perché oggi non lo bevi tu e io sto a vedere,<br />

come fai tu di solito? In questo modo ci dividiamo il dolore e il<br />

piacere.»<br />

«Non è divertente. Forza.»<br />

Gli obbedii, calmo e tranquillo, visto che non avevo alterava. Il<br />

preparato aveva un sapore orribile. Ricordo ancora decenni di<br />

distanza l'acido sapore amaro che aveva.<br />

Quando la tazza fu vuota Mitros mi riappoggiò la testa sul<br />

cuscino e mi asciugò la fronte con un panno umido. «Ecco fatto.<br />

Presto dormirai.»


Avrei dormito tra poco, ma non subito. Il sonno arrivava molto<br />

lentamente dopo quella pozione e a volte non arrivava affatto: la<br />

coscienza restava in una specie di dormiveglia, nel quale la<br />

consapevolezza funzionava ancora, ma i problemi terreni come il<br />

dolore e lo sconforto scomparivano <strong>del</strong> tutto.<br />

Mitros era ritornato ai suoi bracieri per togliere dal fuoco l'altra<br />

pentola, usando un robusto manico di legno per distribuire il peso<br />

<strong>del</strong> pesante recipiente. Lo portò sul tavolo ai piedi <strong>del</strong> letto e lo<br />

lasciò lì, prima di attraversare la soglia <strong>del</strong>la tenda per fare segno a<br />

due soldati di entrare e portare via i bracieri. Guardavo tutto questo<br />

nel mio intontimento, realizzando alla fine che tutti avevano lasciato<br />

la tenda e che ero solo, eccezion fatta per Britannico.<br />

All'inizio <strong>del</strong> nostro sodalizio, Britannico e io avevamo scoperto<br />

di essere nati tutti e due a Colchester, il più vecchio insediamento<br />

romano in Britannia. <strong>La</strong> sua famiglia lo aveva lasciato presto,<br />

durante la sua infanzia, per trasferirsi nella regione a sud di Aquae<br />

Sulis, nella villa di famiglia, ma egli aveva sempre conservato dei<br />

ricordi felici di Colchester. Tradizionalista come era, comunque<br />

aveva sempre continuato a chiamarlo con il suo nome originario di<br />

Camulodunum. Colchester, sosteneva, era un nome bastardo, celtico<br />

e romano insieme, che significava solo “il campo sulla collina” e<br />

come nome mancava di carattere.<br />

Nel corso di una discussione venne fuori che suo padre aveva<br />

avuto un amico a Colchester che era un fabbro proprietario <strong>del</strong>la<br />

propria fucina. Anche quell'uomo si chiamava Varro. Britannico non<br />

aveva collegato il nome con me, personalmente, perché nessun<br />

cittadino romano <strong>del</strong> suo ceto avrebbe fatto volentieri un lavoro<br />

manuale. Quando gli dissi che Varro era mio nonno, i suoi occhi si<br />

spalancarono per la sorpresa e volle sapere come Varro Senior era<br />

giunto a dedicare la sua vita a un lavoro manuale.<br />

<strong>La</strong> risposta era breve e semplice, e non ebbi problemi a<br />

raccontargli la storia di mio nonno, che in realtà era stato Varro


Junior, il figlio minore di un ramo laterale <strong>del</strong>la famosa famiglia dei<br />

Varo. Nel corso dei secoli il nostro ramo <strong>del</strong>la famiglia aveva<br />

acquisito una erre in più nel nome e, nello stesso processo, aveva<br />

perso quasi tutta la ricchezza associata ai Vari con una sola erre. Mio<br />

nonno era stato allevato da schiavi, cosa non insolita nelle case<br />

romane, ma era stato particolarmente affascinato da un giovane che<br />

lavorava nella fucina collegata alla casa. Attirato dall'atmosfera di<br />

fumo e calore che vi regnava e dal frastuono <strong>del</strong> martello <strong>del</strong> fabbro,<br />

mio nonno era sempre lì. Il fabbro, da parte sua, prese a benvolere il<br />

giovane patrizio e gli insegnò tutto quello che sapeva sull'arte di<br />

forgiare e lavorare i metalli. Era un amore che non doveva mai<br />

abbandonarlo e alla fine, quando aveva lasciato l'esercito, aveva<br />

messo su una sua fucina.<br />

All'inizio si era trattato di un passatempo, ma quando la fucina<br />

aveva cominciato ad assorbire una fetta sempre crescente <strong>del</strong> suo<br />

tempo, il padre si era seccato. Le discussioni si erano trasformate in<br />

liti aperte e il giovane Varro alla fine aveva lasciato la casa per<br />

realizzare il suo sogno di lavorare il metallo. Aveva pochi soldi,<br />

ricavati dalla vendita <strong>del</strong>la fucina, e si era avviato verso la Britannia,<br />

dove ne aveva impiantata un'altra e aveva iniziato a fare gli attrezzi<br />

e le armi per fornire l'esercito di occupazione. Poiché era romano e<br />

aristocratico di nascita, poiché era un veterano <strong>del</strong>le legioni e poiché<br />

faceva le più belle spade sul mercato, era riuscito a mettere in piedi<br />

un fiorente commercio.<br />

Aveva sposato la figlia di un ricco mercante, anche lei di pura<br />

razza romana e aveva avuto un solo figlio che, a sua volta, aveva<br />

sposato un'altra romana e messo al mondo me. Ma mio padre era<br />

stato ammazzato durante una campagna e mia madre era morta di<br />

una febbre l'anno successivo. Da quel momento in poi mi avevano<br />

allevato i nonni; mio nonno aveva portato a termine il compito alla<br />

morte <strong>del</strong>la sua amata moglie. Era morto mentre io ero di stanza in<br />

Africa.


Quando ebbi terminato la mia storia Britannico mi fissò per<br />

alcuni minuti prima di chiedere: «Cosa farai quando te ne andrai da<br />

qui, Varro? Non mi pare che potrai dedicarti più alla vita militare<br />

grazie a quella» e indicò la mia gamba maciullata.<br />

Gli sorrisi di rimando. «Farò il fabbro, come mio nonno,<br />

ritornerò a Colchester a lavorare nella vecchia fucina. Adesso è<br />

mia.»<br />

Le sopracciglia patrizie si inarcarono in segno di sorpresa: «Il<br />

fabbro? Ma non è un po' tardi per cominciare? Tu sei un soldato,<br />

Varro. Cosa sai <strong>del</strong> mestiere <strong>del</strong> fabbro, in nome di tutti gli dei<br />

antichi?».<br />

Risi, pregustando la sensazione che stavo per produrre.<br />

«Probabilmente ne so di più <strong>del</strong>la maggioranza dei sedicenti fabbri<br />

che fanno soldi attualmente con le forniture all'esercito, legato. Il<br />

vecchio mi ha insegnato tutto quello che sapeva. Ero un apprendista<br />

vivace e bravo, come lo era stato lui a suo tempo. A tredici anni ero<br />

già in grado di gestire da solo la fucina. A quattordici anni facevo<br />

già le spade per gli ufficiali locali.»<br />

«Buon Dio, non riesco a crederci!» Ma ci credeva, si sentiva dalla<br />

voce. «Vuoi dire che veramente sei un fabbro? Che lavori il ferro?»<br />

Annuii lentamente. «Sì, legato. Credimi. Lo sono.» Abbassai la<br />

voce. «Conosco anche il segreto <strong>del</strong> ferro bianco.»<br />

Sollevò la testa dal cuscino, cercando di stare seduto diritto.<br />

«Del ferro bianco? Vuoi dire di quella magica sostanza, di quella di<br />

cui si è perso il segreto? Mi prendi in giro.»<br />

Scossi la testa. «No, legato, che io possa morire in questo<br />

momento, ti dico la verità. Per alcuni di noi il segreto non è andato<br />

perso; per la maggioranza degli uomini, invece, deve ancora essere<br />

scoperto. Hai visto la spada di Teodosio?»<br />

«E allora?»<br />

«Ti ha impressionato?»


«Certo. A te no? Era magnifica. Se fossi superstizioso penserei<br />

che l'ha fatta Vulcano in persona. Non ho mai visto niente di simile.<br />

Brilla perfino al buio. E quei disegni sulla lama! Penso che siano<br />

egiziani. Quanto meno Teodosio pensa che lo siano.»<br />

Distesi la schiena contratta e soffocai un rutto. Poi quando fui<br />

certo che non aveva altro da aggiungere, dissi; «Sono britannici,<br />

generale, non egiziani. I disegni sono celti, <strong>del</strong>la montagna. E la<br />

lama non è stata fatta da Vulcano, ma da Varro. Mio nonno fece la<br />

spada per mio padre quando entrò nelle legioni. Non l'aveva ancora<br />

finita quando mio padre partì, così la conservò per quando fosse<br />

venuto a casa in licenza. Ma non tornò mai. Morì in Iberia. Ho<br />

giocato con quella spada quando ero un ragazzo. Poi un giorno un<br />

ufficiale romano la vide e chiese a mio nonno di comprarla. Non era<br />

in vendita. Una settimana più tardi la nostra fucina era stata<br />

scassinata e non ho più visto la spada fino a quando la vidi in mostra<br />

come proprietà di Teodosio».<br />

«Buon Dio, Varro. Stai insinuando che Teodosio...»<br />

«No, generale, naturalmente no. Dio solo sa come è arrivata<br />

nella sue mani. Probabilmente non ha prezzo. È forse la spada più<br />

bella che sia mai stata fatta. Molti uomini darebbero tutti i loro averi<br />

per quell'unica arma.»<br />

Rimanemmo lì a giacere per un po', ognuno pensando alla bella<br />

spada. Poi Britannico interruppe i miei pensieri.<br />

«Cosa la rende così diversa, Varro? Cosa la rende più dura e<br />

tagliente e pulita di una spada di comune ferro? E così lucente?»<br />

Riflettei a lungo prima di rispondergli. «Non lo so, generale.<br />

Onestamente non lo so. So come è stata fatta, il vecchio mi ha<br />

insegnato come ripetere il procedimento e abbiamo fatto insieme<br />

molte belle lame di un colore leggermente grigio, ma non siamo mai<br />

stati in grado di fare una copia di quella accecante lucentezza. Mio<br />

nonno giurava che era la <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong> a fare la differenza.»


«Cosa?»<br />

«<strong>La</strong> <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>, una <strong>pietra</strong> caduta dal <strong>cielo</strong>.» Sorrisi per<br />

l'espressione <strong>del</strong> suo volto. «È vero. Un pastore che lavorava per un<br />

amico di mio nonno sentì una notte un terribile rumore nel <strong>cielo</strong>,<br />

seguito da uno schianto che scosse la terra, lo terrorizzò a morte e lo<br />

tenne sveglio sul letto, tremante tra le pelli per ore. Quando uscì la<br />

mattina vide un enorme buco in terra, vicino alla sua capanna. In<br />

fondo al buco c'era una <strong>pietra</strong>, quasi sepolta nel terreno. Il pastore<br />

cercò di tirarla fuori, ma era così pesante per la sua grandezza che<br />

riuscì appena a muoverla. Si spaventò nello scoprire che era calda,<br />

perciò la lasciò dov'era e riferì il fatto al suo padrone, che andò a<br />

esaminarla, ma non ne capì molto. Quel pomeriggio, nel corso <strong>del</strong>la<br />

conversazione, raccontò il fatto a mio nonno, che mandò mio padre<br />

a prendere la <strong>pietra</strong>. Era pesante come ferro. Per qualche motivo la<br />

conservò per anni e poi, una notte, incuriosito dal peso <strong>del</strong>la cosa,<br />

decise di tentare di fonderla, di estrarne il metallo. L'impresa si<br />

rivelò difficile e il nonno stava per rinunciare quando notò nella<br />

<strong>pietra</strong> un aspetto vetroso, come se stesse per liquefarsi. Allora<br />

continuò a tentare. Per fonderla, qualsiasi cosa fosse, doveva usare<br />

una temperatura più elevata. Alla fine ci riuscì e da quel metallo<br />

forgiò la spada che ora appartiene a Teodosio, mescolando un po'<br />

<strong>del</strong> metallo <strong>del</strong>la <strong>pietra</strong> celeste con una uguale quantità di ferro<br />

normale. Quando la lama fu finita la lucidò con la <strong>pietra</strong> abrasiva,<br />

ottenendo la lucentezza che trovi così ammirevole. Qualunque sia il<br />

materiale di cui la <strong>pietra</strong> era fatta, è quello che rende la <strong>pietra</strong> così<br />

lucida.»<br />

Quando rispose, la sua voce risuonava di ammirazione:<br />

«Lucente! Quella cosa è soprannaturale! Sono mai state trovate altre<br />

pietre favolose? Trovo strano che nessun altro ne abbia mai parlato».<br />

Espressi la mia frustrazione su quell'argomento scuotendo<br />

rapido la testa. «Non lo so. Se una di esse non fosse caduta dove è<br />

caduta e in quel momento, avrebbe potuto non essere mai trovata.


Chi sa quante altre ce ne sono come quella?»<br />

«Mmm. Capisco quello che vuoi dire. Ma tu pensi veramente<br />

che sia caduta dal <strong>cielo</strong>, Varro? È impossibile. Voglio dire, credo che<br />

sia caduta, ma deve essere caduta da qualche altro posto.»<br />

«Mi rendo conto che sembra impossibile. Mio nonno la pensava<br />

allo stesso modo. Ma era ancora calda quando l'uomo la trovò, ore<br />

dopo che era caduta, e conteneva un materiale che non era noto a<br />

nessun fabbro e allora il nonno finì col credere che fosse veramente<br />

caduta dal <strong>cielo</strong>.»<br />

Alzò il sopracciglio e scosse la testa. «Incredibile! Hai mai<br />

cercato di trovare altre di queste cose miracolose? Queste pietre<br />

celesti? Voglio dire, come fai a essere sicuro che non ce ne siano a<br />

migliaia che giacciono intorno aspettando di essere trovate?»<br />

«Che giacciono intorno, generale?» Gli sorrisi, scuotendo la testa<br />

per la follia <strong>del</strong> pensiero che mi era venuto. «Un uomo potrebbe<br />

passare tutta una vita inutilmente solo girando a cercare pietre.»<br />

Aspirò l'aria tra i denti. «Sì, suppongo che tu abbia ragione. Ma<br />

se trovassi un'altra <strong>pietra</strong> di quel tipo, potresti fare una spada come<br />

quella?»<br />

Pensai un po'. «Sì, potrei. So come è stata fatta. Sono certo che<br />

potrei farne un'altra.»<br />

Britannico giacque in silenzio, pensando. Forse voleva dire di<br />

più, ma Mitros entrò a cambiare le bende e farci bere le pozioni,<br />

perché secondo lui dormire ci faceva guarire. E noi dormimmo.<br />

Quel giorno in particolare e la discussione che avemmo sembra<br />

essere stata, nella mia ricostruzione dei fatti, un punto centrale.<br />

Durante le settimane successive migliorammo entrambi più in<br />

fretta, anche se Britannico si riprese molto prima di me. Venne il<br />

giorno che potè lasciare la stanza e uscire, mentre io giacevo ancora<br />

sulla schiena. Nel mese seguente si esercitò con foga per rimettersi


in forma e tornare al servizio. Per una triste contraddizione, quanto<br />

più lui migliorava, tanto più io mi sentivo depresso. E poi, un<br />

giorno, se ne andò.<br />

Il giorno che partì venne a farmi visita e mi augurò una rapida<br />

guarigione, promettendo che se mai fosse passato da Colchester<br />

sarebbe venuto a trovarmi nella mia fucina. Ci stringemmo la mano<br />

e ci separammo da amici.<br />

Ritornai alla normale infermeria, a farmi curare da medici<br />

regolari e mi sentivo triste per me stesso, suppongo. Il fatto che<br />

Britannico fosse andato via, comunque, mi obbligò a prendere<br />

coscienza dei miei problemi. Potevo languire e morire a letto, o<br />

cercare di fare <strong>del</strong> mio meglio con una gamba storpia. Decisi di<br />

superare la mia menomazione e vinsi.<br />

<strong>La</strong> maggior parte dei medici e dei chirurghi che studiarono le<br />

mie ferite - e furono molti durante i molti mesi da quando ero stato<br />

ferito - erano <strong>del</strong>l'opinione professionale che non avrei mai più<br />

camminato in posizione eretta. Ero determinato a dar loro torto ed<br />

ero immensamente contento che ce ne fossero altri, ugualmente<br />

qualificati, che non condividevano il loro parere. Uno dei più<br />

mordaci era Comio Attribato, un brillante chirurgo di sangue misto<br />

celtico e romano, anche lui veterano con la barba grigia che aveva<br />

militato nel corpo medico <strong>del</strong>l'esercito per trent'anni. Non c'era<br />

niente che non avesse visto nel campo <strong>del</strong>le ferite in quei tre<br />

decenni, mi disse, e giurò di avere visto uomini con ferite peggiori<br />

<strong>del</strong>le mie che avevano costretto i loro corpi alla loro volontà e<br />

avevano imparato a camminare di nuovo, mentre la ragione e la<br />

logica dicevano che sarebbero rimasti degli storpi per sempre.<br />

Divorai le sue parole: non ero mai stanco di sentire storie di quel<br />

tipo e scelsi di credere a lui perché lo volevo più di ogni altra cosa al<br />

mondo. Sotto il suo rigido controllo iniziai a riaddestrare i muscoli<br />

straziati e devastati.<br />

Fu un lavoro lungo, frustrante e angoscioso, e i miei progressi


furono molto lenti. Ma ben presto cominciai a ottenere progressi<br />

visibili e anche il più scettico degli osservatori iniziò a credere che<br />

avrei vinto, offrendo così sostegno ai miei sforzi. Bruciai ogni traccia<br />

di grasso dal mio corpo e gradualmente, tremando per il notevole<br />

sforzo, lo sostituii con sani, robusti strati di muscolo. <strong>La</strong> mia gamba<br />

sinistra era stata frantumata, ovviamente, i muscoli stirati si erano<br />

malamente ricostruiti, malgrado l'ottimo lavoro dei medici, e questa<br />

era una limitazione che ero costretto ad accettare, ma dopo sei mesi<br />

di esercizi e di sforzi, la gamba funzionava. Potevo camminare. Era<br />

una camminata zoppicante, a volte esitante, ma era reale.<br />

Otto mesi dopo il ritorno di Gaio Britannico in servizio, in pieno<br />

inverno, arrivai a casa a Colchester, con un bell'aspetto finché ero a<br />

cavallo, ma zoppicando come un'anatra zoppa quando cercavo di<br />

camminare.


LIBRO SECONDO<br />

COLCHESTER


VI.<br />

<strong>La</strong> fucina di mio nonno - ora mia - era vuota quando vi arrivai.<br />

Non c'erano catenacci alle porte che pendevano malferme e annoiate<br />

sui loro cardini. Ispezionai i locali e non vi trovai nulla: nessuna<br />

incudine, nessun attrezzo, niente. <strong>La</strong> fornace era fredda, le griglie<br />

coperte di ruggine. Lungo i muri nudi scaffali di legno penzolavano<br />

vuoti e sbilenchi, cedendo stancamente sotto uno spesso strato di<br />

polvere. Sembrava che quel posto non fosse stato usato per anni,<br />

anche se avevo dato disposizione che uno dei fratelli di mia madre<br />

rilevasse la fucina dopo la morte di mio nonno, tanto per<br />

conservarla fino al mio ritorno. Chiusi le porte e mi diressi verso la<br />

casa <strong>del</strong> nonno, dove trovai una famiglia di cugini.<br />

Dire che furono sorpresi di vedermi sarebbe minimizzare. Dire<br />

che furono felici di vedermi sarebbe decisamente una menzogna. Mi<br />

avevano creduto provvidenzialmente morto nell'invasione, come lo<br />

erano stati mio zio e sua moglie. Ora ero sull'uscio, vivo e in buona<br />

salute, in attesa di riprendere possesso <strong>del</strong>la mia casa, e questo<br />

significava che si trovavano spodestati. Ripensandoci adesso avrei<br />

anche potuto lasciarli rimanere se avessero dato qualche segno di<br />

benvenuto al mio arrivo, ma mancarono perfino <strong>del</strong>l'educazione di<br />

nascondere il loro disappunto per il fatto che ero sopravvissuto.<br />

Ammetto comunque che con il dolore alla gamba, il dispiacere di<br />

vedere la fucina abbandonata e il lungo viaggio che avevo fatto, non<br />

ebbi difficoltà ad arrabbiarmi.<br />

Comunque se ne andarono. In fretta. E io fui di nuovo a casa. <strong>La</strong><br />

casa era sporca, ma io conservavo dei bei ricordi di quel luogo. Era<br />

spaziosa, secondo lo stile <strong>del</strong>le case romane di città e io decisi di<br />

assumere il giorno dopo un paio di servi per le pulizie; in cambio <strong>del</strong><br />

loro lavoro li avrei mantenuti insieme a me.<br />

Il giorno successivo mi presentai alla sede <strong>del</strong> magistrato locale


e stabilii rapidamente la mia identità e i miei diritti sulla proprietà<br />

lasciatami da nonno Varro. Avevo preso la precauzione di fare<br />

scrivere una lettera di presentazione a Britannico in veste di<br />

comandante <strong>del</strong>la legione. Poi, una volta dimostrati la mia identità e<br />

il mio diritto, tornai alla fucina deserta per trovarla ora occupata da<br />

tre monelli che giocavano al buio all'interno <strong>del</strong>l'edificio. Al mio<br />

arrivo scapparono, guardando da sopra le spalle lo zoppo deforme<br />

che li aveva spaventati.<br />

Solo e abbandonato com'ero fantasticavo che i muri di quel<br />

luogo recassero ancora traccia degli odori che lo avevano reso<br />

magico quando ero bambino. L'odore di fuliggine e di fumo era<br />

ancora imprigionato nelle pietre; mi appoggiai al muro dietro alla<br />

forgia e inspirai profondamente, cercando di catturare scene e<br />

immagini <strong>del</strong>la mia passata fanciullezza. Il fondo <strong>del</strong>la fucina era<br />

lastricato di pietre massicce. Una di esse era una porta dietro alla<br />

quale vi era un locale scavato nella terra. All'interno di quel locale, la<br />

cui esistenza era nota solo a me e a mio nonno, erano conservati i<br />

tesori che lui voleva fossero miei dopo la sua morte. Nel profondo<br />

<strong>del</strong> cuore avevo paura che la stanza segreta fosse stata scoperta<br />

mentre il luogo era abbandonato.<br />

Attraversai la stanza adagio in direzione <strong>del</strong> focolare <strong>del</strong>la<br />

forgia. Solo poche ceneri giacevano abbandonate sul fondo,<br />

frammenti degli ultimi tizzoni <strong>del</strong> fuoco che un tempo aveva sciolto<br />

una <strong>pietra</strong> celeste.<br />

«Chi c'è là dentro?»<br />

<strong>La</strong> voce veniva dalla soglia. Mi girai e vidi la sagoma di un<br />

uomo alto stagliata in controluce. Anche senza vederne i lineamenti<br />

lo riconobbi e sentii il mio cuore farsi più leggero.<br />

«Ho detto, chi c'è là dentro? Chi sei?»<br />

Risposi alla domanda con una domanda: «Di chi è questa<br />

fucina?».


«Cosa te ne importa?» L'uomo fece un passo nella stanza.<br />

«Sono curioso. Di chi è questa fucina? O di chi era? È in<br />

vendita?»<br />

«No, non è in vendita. Appartiene alla famiglia di Quinto<br />

Varro.»<br />

«E dov'è la famiglia di Quinto Varro?»<br />

Adesso riuscivo a vederlo. Mio nonno lo aveva sempre chiamato<br />

Equo, “cavallo”, perché era forte come un cavallo. Era stato un buon<br />

amico per me quando ero bambino.<br />

«Chi lo vuole sapere?»<br />

«Io, ovviamente.»<br />

«E tu chi sei, per l'Ade?» stava cominciando a irritarsi.<br />

«Il mio nome è Publio. Publio Varro. Salve, Equo.»<br />

«Publio.» In un balzo attraversò la stanza e mi sollevò in aria,<br />

dove potè vedere la mia faccia ed assicurarsi che si trattasse proprio<br />

di me.<br />

«Publio, per Minerva, sei davvero tu! Da dove vieni? Quando<br />

sei arrivato?»<br />

Ridevo per la sua evidente gioia. «Mettimi giù, Equo, mettimi<br />

giù. Non sono più un bambino. Pensa alla mia dignità! Alla dignità<br />

di Roma. Sono un ufficiale di una legione imperiale!»<br />

«Ci piscio sulla dignità di Roma!» Però smise di farmi girare per<br />

tutta la stanza. «Hai ragione. Sei cresciuto. Quindi ti metterò giù e<br />

salverò la tua dignità e la mia schiena. Publio! Come stai? Stai bene?<br />

Sei venuto per fermarti?» E così via con una sfilza di domande,<br />

finché dovetti mettergli la mano sulla bocca per farlo tacere.<br />

«Basta, Equo, basta! Sto bene, anche se storpiato da una scure<br />

dei barbari e mi fermerò, almeno finché avrò scoperto cosa è<br />

successo alla fucina.»


«Storpiato? Cosa ti è successo? Fammi vedere.» Adesso era<br />

preoccupato.<br />

«Non c'è niente da vedere. Ho fermato una scure con la parte<br />

sbagliata <strong>del</strong> corpo. Ha intaccato la gamba, ma posso ancora<br />

camminare.»<br />

«Fammi vedere.» Adesso aveva la fronte aggrottata. Gli feci<br />

vedere.<br />

«Ma non è niente! Insomma zoppichi un po'. Mi avevi<br />

spaventato.» Mi mise le mani sulle spalle e rise con gioia<br />

mangiandomi con gli occhi. «Per la f... di tutte le vergini vestali, hai<br />

un ottimo aspetto, Publio! Sei il doppio di tuo nonno quando lo<br />

incontrai per la prima volta, anche se lui era più vecchio di te<br />

quando gli sono venuti i capelli bianchi. Non hai ancora trent'anni e<br />

la tua testa è argentata come una vecchia volpe! Cosa diavolo hai<br />

fatto laggiù, ragazzo? Dove sei stato dall'ultima volta che ti ho visto?<br />

Per le poppe di Minerva, ti rendi conto che saranno undici anni?»<br />

Uscimmo al sole. Guardai di nuovo verso l'interno <strong>del</strong>la fucina e<br />

chiesi: «Da quanto tempo è chiuso questo posto, Equo?».<br />

Mi guardò negli occhi.<br />

«Da circa due anni.»<br />

«Perché?»<br />

«Perché no? Quei maledetti Sassoni erano ovunque e tuo nonno<br />

era morto. Non aveva senso lasciare un bersaglio così allettante per i<br />

saccheggiatori, così l'ho chiusa.»<br />

«L'hai chiusa tu?»<br />

«E chi se no?»<br />

«E cosa è successo di tutti gli arnesi che c'erano dentro?»<br />

«Li ho tolti. Li ho nascosti. Non sapevo quando saresti tornato,<br />

ma avevo deciso di concederti ancora cinque anni. Se tu non fossi<br />

tornato per allora avrei dissotterrato la roba e l'avrei usata io.


Pensavo che allora non ti sarebbe importato, perché saresti morto.»<br />

Malgrado un crampo improvviso allo stomaco, mi venne da<br />

ridere.<br />

«L'avresti dissotterrata? Vuoi dire che hai sotterrato tutto?<br />

Attrezzi di ferro sotto terra?»<br />

Ora era il suo turno di ridere. «Publio, quando mi chiamano<br />

Equo, si riferiscono ai miei muscoli, non alla mia somiglianza con il<br />

culo di un cavallo. Li ho nascosti. Nella cantina segreta di tuo<br />

nonno.»<br />

«Sotto il pavimento?»<br />

Annuì, sogghignando. «Sotto il pavimento. Non sono riuscito a<br />

trovare un posto migliore. Ce n'era forse uno? Sapevo che se mi<br />

fosse successo qualcosa e tu fossi tornato avresti cercato lì prima o<br />

poi. E sapevo che nessun altro conosceva la stanza segreta.»<br />

«E come facevi tu a sapere che c'era? Te lo ha detto il nonno?»<br />

«Detto? L'ho aiutato a scavarla. Abbiamo dovuto farlo di notte<br />

perché nessuno se ne accorgesse. Quando decisi di nascondere tutto<br />

lì dentro, impacchettai tutti i tesori con cura e poi impilai tutto il<br />

resto davanti. Se vuoi andare giù adesso, dobbiamo spostare tutto<br />

dalla porta verso l'interno, perché la stanza è piena.» Stava<br />

scoppiando per l'eccitazione. «È tutto lì, ogni singolo pezzo. Se<br />

veramente sei deciso a fermarti tireremo fuori tutto stanotte e in una<br />

settimana possiamo ricominciare a lavorare. Vieni, guarda tu<br />

stesso!»<br />

Si diresse sul retro e si accucciò, cercando con le dita sul<br />

pavimento una scanalatura nascosta, pulì la fessura dal terriccio e<br />

sollevò con forza stendendo le gambe. <strong>La</strong> porta di <strong>pietra</strong> nascosta si<br />

aprì facilmente sui cardini controbilanciati. Lo raggiunsi e guardai<br />

giù. Il buco nel pavimento era pieno di attrezzi, incudini e altri<br />

aggeggi assortiti - l'intero contenuto di una fucina. Sorrisi con gioia.<br />

«Equo, sei un genio e un amico onesto!» Gli picchiai un pugno


sulla spalla. «E adesso, dimmi dov'è la taverna più vicina. Abbiamo<br />

una doppia occasione da celebrare: il mio ritorno a casa e la nostra<br />

società!»<br />

<strong>La</strong> sua faccia si oscurò per l'imbarazzo. «Società? Cosa dici?<br />

Come è possibile? Non ho soldi, Publio. Non posso permettermi di<br />

comprare la metà di una fucina.»<br />

«E chi ti ha detto che devi comprarla? L'hai guadagnata<br />

conservandola per me. Non hai mai sentito la storia <strong>del</strong>l'intendente<br />

fe<strong>del</strong>e? Andiamo a bere <strong>del</strong> vino, socio!»<br />

Ci ubriacammo completamente e gioiosamente insieme per tutta<br />

la notte e il giorno dopo cominciammo a disfare i pacchi nella<br />

cantina. C'era tutto quello di cui avevamo bisogno. Il pomeriggio <strong>del</strong><br />

terzo giorno il fuoco bruciava di nuovo con forza nella fornace e il<br />

mio spirito si librava insieme alle scintille <strong>del</strong> ferro incandescente<br />

sotto il mio martello. L'odore <strong>del</strong> fumo scatenò i ricordi come<br />

bambini lasciati in libertà dal loro tutore e riscoprii la tensione quasi<br />

sessuale che un tempo era la compagna <strong>del</strong>la mia vita, mentre davo<br />

forma al metallo e lo piegavo alla mia volontà e alla mia abilità. <strong>La</strong><br />

sensazione <strong>del</strong>le tenaglie tra le mani mi ridonò destrezza, vecchie<br />

abitudini e movimenti non usati e dimenticati da anni e l'amore e la<br />

tradizione <strong>del</strong>l'arte <strong>del</strong> nonno riportarono la sua presenza e la sua<br />

voce nella mia mente.<br />

«Attento al ferro nero!» mi aveva detto un giorno, e<br />

quell'ammonimento mi era sembrato senza senso fino a quando<br />

avevo preso in mano un pezzo di metallo qualunque vicino alla<br />

fornace e avevo dolorosamente scoperto che il rossore era appena<br />

svanito. Ricordando quel giorno di tanto tempo fa, inspirai<br />

profondamente, gustando l'odore <strong>del</strong> carbone e il sapore metallico<br />

<strong>del</strong> fumo e godendo <strong>del</strong>la familiare, acre durezza, <strong>del</strong> lacrimare<br />

degli occhi e <strong>del</strong> piacevole stridore <strong>del</strong>la sabbia sotto i denti.<br />

Cominciai facendo dei chiodi, consapevole <strong>del</strong>la necessità di<br />

riparare gli scaffali che rivestivano la stanza. Il legno era secco,


piegato e sbriciolato intorno ai chiodi originali, molti dei quali erano<br />

completamente consumati dalla ruggine. Stavo lottando e<br />

borbottando, morsicandomi la lingua tra i denti per la<br />

concentrazione e reggendo due angoli di legno vicini per poterli<br />

fissare, quando sentii dei passi dietro di me. Pensando che fosse<br />

Equo che era andato a comprare <strong>del</strong>l'olio per la lampada non mi<br />

girai neppure.<br />

«Qui» grugnii. «Reggi, mentre metto a posto questo pezzo.»<br />

Due mani comparvero vicino a me, facendo come avevo chiesto,<br />

ma non appartenevano a Equo. Sorpreso feci per rialzarmi, ma lo<br />

sconosciuto stava già sostenendo il peso e mi fece segno di<br />

proseguire. Lo ringraziai con un mezzo sorriso, misi in posizione il<br />

cuneo e lo inchiodai solidamente con due grosse punte.<br />

«Ecco fatto!» dissi. «Questo dovrebbe bastare per un po'.» Mi<br />

rialzai e porsi una mano al mio aiutante che l'afferrò. «Grazie» dissi.<br />

«Non avevo visto chi eri o non ti avrei messo al lavoro. Credevo che<br />

fosse il mio socio, Equo. Io sono Publio Varro.»<br />

Mi sorrise brevemente e annuì. «Mi chiamano Cuno, diminutivo<br />

di Cunobelino. Sono sposato con Febe, la sorella di Equo.»<br />

«Il marito di Febe? Allora sei davvero un re. Cunobelino era un<br />

re, vero?»<br />

«Sì, molto tempo fa. O quanto meno così si dice.» I suoi occhi si<br />

muovevano per la stanza, osservando tutto. «Così tu sei il nipote.<br />

Equo ci ha detto che eri tornato e che avevi riaperto il vecchio<br />

posto.»<br />

Non mi guardava e questo mi diede la possibilità di esaminarlo.<br />

Era di altezza media, con le spalle larghe e il torace ampio, portava<br />

un grembiule di cuoio su abiti da lavoro, una tunica grossolana e dei<br />

gambali incrociati. I capelli e la barba erano folti e biondi, cosa<br />

inusuale nel paese, e pieni di segatura e trucioli di legno. Anche i<br />

suoi abiti erano pieni di segatura e aveva un modo di guardare


socchiudendo gli occhi come se volesse ripararli dalle schegge che<br />

saltavano via.<br />

«Hai conosciuto mio nonno?»<br />

«No. Sono arrivato qui solo da due anni. È allora che ho sposato<br />

Febe. A quell'epoca questo posto era chiuso.»<br />

«Che lavoro fai? Sei un segantino?»<br />

Rise brevemente, mettendo in mostra lunghi denti marroni. Non<br />

era un uomo gradevole e sembrava che avesse difficoltà a sostenere<br />

il mio sguardo.<br />

«No. Niente affatto. Fabbrico ruote. Ruote e carri.» Questo<br />

spiegava i trucioli di legno, venivano dai mozzi.<br />

«Fai ruote, eh? Devi essere bravo. E a giudicare dai trulli nei<br />

capelli devi avere tanto lavoro.»<br />

«Sì.» Il sorriso rimase sulla sua faccia. «Sono bravo. Devo<br />

esserlo. Le ruote quadrate sono difficili da vendere.»<br />

«Penso proprio che tu abbia ragione.» Pur desiderando accettare<br />

quell'uomo in quanto cognato di Equo, scoprivo che istintivamente<br />

non mi piaceva e mi sentivo vagamente colpevole, perché lui non<br />

me ne aveva dato motivo. Avevo sempre creduto al valore <strong>del</strong>la<br />

prima impressione e non so perché mi aveva dato la sensazione di<br />

non essere affidabile. Cercai di soffocare quel sentimento,<br />

attribuendolo alla poca piacevolezza dei suoi tratti - cosa di cui non<br />

era colpevole -, e mi sforzai di essere amichevole.<br />

«Bene, sei il mio primo visitatore e prima che tu arrivassi stavo<br />

proprio pensando a un bel bicchiere di birra. Cosa ne dici?»<br />

Il suo sguardo si aggirò per la fucina e poi ritornò su di me. «È<br />

una buona proposta. D'accordo.»<br />

«Bene.» Versai due bicchieri dalla brocca di Equo e brindammo<br />

insieme, in silenzio, prima di bere una buona sorsata di birra<br />

fermentata. Leccai via un po' di schiuma dalla punta <strong>del</strong> naso.


«Benvenuto nella nostra fucina. Posso fare qualcosa per te o sei<br />

capitato qui per caso?»<br />

«No. Sono venuto di proposito, per salutare e per vedere cosa<br />

stavi facendo.»<br />

Indicai la forgia. «Non molto come vedi.»<br />

«Sì, ma non hai avuto molto tempo.» Andò vicino alla forgia e<br />

tirò su qualcuno dei nuovi chiodi che giacevano in pila. «Li hai fatti<br />

tu questi?»<br />

«Sì.»<br />

«Ne farai altri?»<br />

«Sì.» Sorridevo mentre mi chiedevo dove volesse arrivare.<br />

«Dove li conserverai?»<br />

Adesso ero incuriosito. «Conservarli? Li venderò. Non intendo<br />

conservarli.»<br />

«No. Ovviamente. In cambio di cosa li venderai? Di denaro?»<br />

«Cos'altro? Non è normale?»<br />

Mi guardò con il suo sorriso da coniglio dai denti marroni<br />

buttando in aria i chiodi e riprendendoli nella grande mano- «Stavo<br />

pensando che potrei portartene via un po', ma non in cambio di<br />

denaro.»<br />

Adesso era il mio turno di sorridere, socchiudendo gli occhi, «In<br />

cambio di cosa, allora?»<br />

«Per il vantaggio che ti procuro evitandoti di riporli su questi<br />

ripiani.» Si era mosso di nuovo e stendeva una mano per afferrare il<br />

bordo <strong>del</strong>lo scaffale più vicino. Diede uno strattone e il vecchio<br />

legno secco scricchiolò con rumore minaccioso.<br />

«Ehi, attenzione! Non sono tanto solidi!»<br />

«Lo vedo.» Si girò e mi guardò quasi negli occhi, ma il suo<br />

sguardo scivolò via di nuovo, verso il bicchiere, un attimo prima che


il contatto si stabilisse.<br />

«Ti propongo un affare» disse. «Ho un'ordinazione per sei<br />

pesanti carri da carico. Per l'esercito.» Sorrise di nuovo. «L'esercito<br />

paga ancora in denaro, ma solo alla consegna.»<br />

Mi scopersi a rispondere al suo sorriso. «Allora? Qual è<br />

l'affare?»<br />

«Chiodi e parti in metallo. Me ne servono di buoni e ne ho<br />

bisogno in fretta. Il mio fornitore è morto un mese fa, per un calcio<br />

<strong>del</strong> cavallo che stava ferrando. I suoi due figli non sono capaci di<br />

fare un ferro di cavallo in due. Tu mi fornisci quello che mi serve e io<br />

in cambio ricostruisco i tuoi scaffali di legno. Poi, quando l'esercito<br />

mi paga, liquido i miei debiti con te in contanti.»<br />

Non cavillai. Era sposato con la sorella <strong>del</strong> mio socio. Ci<br />

sputammo sulle mani e battemmo i palmi per sigillare l'accordo, e<br />

così ebbi il mio primo cliente.<br />

Equo entrò nella fucina pochi momenti dopo e non mi<br />

dispiacque notare che anche lui non era molto soddisfatto di quel<br />

fratello acquisito. Tra i due non c'era aperta ostilità, ma era evidente<br />

che a Equo non piaceva Cuno. Menzionai l’affare concluso con Cuno<br />

ed Equo si limitò ad annuire, senza approvare, né disapprovare<br />

l'accordo.<br />

Più tardi, quando Cuno se ne fu andato, chiesi a Equo cosa<br />

pensasse di lui e seppi che era arrivato in città qualche anno prima e<br />

aveva lavorato per qualche mese con il vecchio carraio la cui attività<br />

aveva poi rilevato. Il vecchio era morto senza eredi e Cuno aveva<br />

assunto la posizione di carraio in città, sposando Febe poco tempo<br />

dopo. Era bravo nel suo lavoro, Equo mi disse, ma beveva troppo e<br />

aveva picchiato brutalmente Febe in diverse occasioni. Equo l'aveva<br />

avvertito di quello che sarebbe successo se sua sorella gli avesse<br />

mostrato un altro livido sulla pelle chiara. Fu a questo punto che mi<br />

disse che non riusciva ad apprezzare Cuno o ad avere fiducia in lui.<br />

Gli chiesi subito se pensava che avessi fatto un errore ad accordarmi


con quell'uomo, ma Equo mi rassicurò dicendo che l'accordo<br />

sarebbe stato onorato. Il denaro era scarso, spiegò. Solo l'esercito<br />

pagava in contanti. Equo pensava che non appena Cuno avesse<br />

parlato con i suoi vicini <strong>del</strong> nostro accordo ci sarebbero arrivate più<br />

offerte di baratto.<br />

Aveva ragione. <strong>La</strong> notizia si sparse in fretta. Entro una settimana<br />

ci era stata garantita la fornitura di pane fresco per sette giorni in<br />

cambio di quattro pa<strong>del</strong>le per il forno col manico lungo; il<br />

fabbricante di mantici in fondo alla strada ci fornì dei mantici nuovi<br />

in cambio di chiodi corti e diversi contadini locali ci promisero<br />

prodotti freschi e grano in cambio di attrezzi di ferro. Gli affari<br />

aumentarono rapidamente e in un periodo relativamente breve ci<br />

trovammo a parlare di assumere degli aiuti.<br />

Nel frattempo, nell'attesa di trovare dei lavoratori con le<br />

capacità tecniche di cui avevamo bisogno, Equo portò sua sorella<br />

Febe ad aiutarci nella quotidiana gestione <strong>del</strong> lavoro. Iniziò<br />

cucinando per noi e ideò un sistema per inventariare le merci<br />

derivateci dal baratto, registrando le merci e i servizi che dovevamo<br />

dare in cambio. Poi, una volta divenuta esperta <strong>del</strong> nostro lavoro e<br />

<strong>del</strong>le nostre necessità, cominciò a svolgere un ruolo più attivo come<br />

intermediaria tra noi e la crescente rete dei nostri clienti. Nel giro di<br />

pochi mesi si era resa indispensabile.<br />

Quando Cuno aveva nominato Febe per la prima volta» non ero<br />

stato in grado di ricordare la sua faccia. Sapevo chi era ovviamente.<br />

Mi ricordavo anche che un tempo mi piaceva, che era molto più<br />

giovane di Equo - più vicina alla mia età, in effetti, forse addirittura<br />

più giovane - e che io e lei avevamo passato molto tempo insieme<br />

nell'infanzia. Ricordavo che da bambino era sempre capace di farmi<br />

ridere, anche quando ero di cattivo umore. Mi ricordavo anche<br />

chiaramente che pur non essendo affatto sgradevole d'aspetto, non<br />

era neppure una bellezza. <strong>La</strong> casuale amicizia che avevamo<br />

condiviso in quei giorni era basata su una simpatia reciproca, e sulla


necessità di compagnia, ma in nessun modo sull'attrazione sessuale.<br />

Malgrado ciò fui contento e fu gratificante vedere il suo piacere<br />

quando mi salutò la prima mattina che comparve alla fucina; la<br />

riconobbi immediatamente. Febe era cresciuta ed era diventata una<br />

bella donna, con i capelli rossi, lo sguardo deciso, sensibile, bei<br />

fianchi rotondi e sodi, seni pieni, e aveva mantenuto il senso<br />

<strong>del</strong>l'umorismo che l'aveva sempre resa diversa dalle altre sue<br />

amiche.<br />

Una sera mi stupì, mentre stavamo per chiudere e andare a casa.<br />

Equo era da qualche parte per incontrare un cliente e io mi ero<br />

appena tolto il grembiule e stavo lavandomi via la polvere e il<br />

sudiciume accumulati dal lavoro di una giornata. Febe stava<br />

mettendo <strong>del</strong>le piccole scatole di legno piene di chiodi su uno<br />

scaffale nel retro <strong>del</strong>la fucina e io avevo quasi dimenticato di non<br />

essere solo. <strong>La</strong> sua voce mi spaventò.<br />

«L'hai mai trovata, mastro Varro?»<br />

Avevo appena cominciato ad asciugarmi la faccia e parlai<br />

attraverso l'asciugamano. «Cosa? Trovato chi?» Misi giù<br />

l'asciugamano. «Di cosa stai parlando Febe? Trovato chi?»<br />

«Perbacco, il tuo perduto amore. Cassia, Cassiopea. Era questo il<br />

suo nome, vero?»<br />

Rimasi a bocca aperta. «Buon Dio, Febe, come fai a conoscere<br />

questa storia?»<br />

Girò la faccia verso di me, con le sopracciglia alzate in segno di<br />

sorpresa.<br />

«Come? Me l'hai detto tu, mastro Varro. Non ricordi?»<br />

«Te l'ho detto io? No, Febe. Non ricordo. Quando te l'ho detto?»<br />

«Quando sei tornato a casa quella volta che sei stato a<br />

Verulamium. Eri stato via tutta l'estate quell'anno ed era la prima<br />

volta che andavi via. Quando tornasti eri cambiato. Ti eri


innamorato. L'avevi incontrata a una festa di nozze e l'avevi persa<br />

quella stessa notte. Non ricordi?»<br />

<strong>La</strong> sua voce era cambiata leggermente, ritornando quasi<br />

impercettibilmente la voce <strong>del</strong>la Febe che ricordavo, con l'accento<br />

segnato dalla lenta, ferma, confortevole flemma dei Celti locali. Ora<br />

che me l'aveva riportato alla memoria con la sua pronuncia<br />

gradevolmente storpiata, me lo ricordavo, ma ero stupefatto che lei<br />

ricordasse e glielo dissi.<br />

«Beh» disse. «Non è tanto che mi ricordi quanto che mi è stato<br />

fatto ricordare, se capisci quello che voglio dire.»<br />

«No, non capisco cosa vuoi dire. Dimmelo.»<br />

«Bene, è proprio qui.» Accennò al muro di fronte a lei. «Proprio<br />

qui l'hai scritto, non ricordi? Mi hai insegnato a leggerlo e per anni e<br />

anni è stata la sola cosa che sapevo leggere.»<br />

Feci un passo in avanti, senza capire, e fissai con meraviglia<br />

quello che stava guardando. Due lettere, una P e una C intrecciate,<br />

erano incise nella superficie di gesso <strong>del</strong> muro, con gli angoli<br />

ingialliti e smussati, ma ancora leggibili dopo quindici anni di<br />

esposizione al fumo e alla fuliggine. Ora mi ricordavo di aver inciso<br />

le lettere nel gesso mentre Febe mi osservava, e di averle detto <strong>del</strong><br />

mio amore che non sarebbe mai morto per la bella ragazza vestita di<br />

azzurro con i lunghi capelli neri. Non riuscivo a credere di aver<br />

completamente dimenticato tutto questo. Allungai la mano e toccai<br />

le lettere, seguendo i loro contorni con la punta <strong>del</strong>le dita, mentre<br />

sentivo in gola un gonfiore inconsueto, come un groppo in ricordo<br />

<strong>del</strong> bambino che ero stato e <strong>del</strong>le speranze, dei sogni e <strong>del</strong>le fantasie<br />

che mi avevano portato a incidere un tributo a una ragazza che<br />

conoscevo solo come Cassia. In verità non sapevo neppure se Cassia<br />

fosse davvero il suo nome. Avevamo flirtato insieme, stuzzicandoci<br />

l'un l'altro senza mai un pensiero per la realtà e la vita che avremmo<br />

vissuto con gli altri.<br />

Febe mi osservava attentamente.


«No, Febe» le dissi con un sospiro, «non l'ho mai trovata. L'ho<br />

cercata in ogni posto in cui sono stato, ma non l'ho più vista. È<br />

strano come abbia dimenticato, però, di aver inciso il suo nome qui e<br />

di averti raccontato di lei. Avevo proprio dimenticato.»<br />

Febe sospirò e si voltò a cercare lo scialle e la borsa. «<strong>La</strong> troverai<br />

di nuovo se aspetti e cerchi.»<br />

Risi forte. «Febe,» la presi in giro, «non ti rendi conto di quello<br />

che stai dicendo! Sono passati quindici anni. È certamente sposata<br />

da tempo e madre di una tribù di bambini. <strong>La</strong> sua bellezza, per<br />

quanto grande, sarà appassita da tempo...» Ma anche se ridevo, la<br />

mia voce si affievolì.<br />

«E allora? Cosa faresti, mastro Varro, se un giorno, magari<br />

domani, tu ti girassi e la vedessi che ti guarda, appassita e quindici<br />

anni più vecchia, circondata dai suoi bambini? Cosa faresti?»<br />

Rimasi in silenzio, tentando di visualizzare la ragazza Cassia,<br />

alta, vestita di azzurro, cercando invano di aggiungere al mio<br />

ricordo di lei quindici anni e i loro effetti. <strong>La</strong> voce di Febe mi<br />

richiamò alla realtà.<br />

«Mastro Varro?»<br />

«Febe cara. Vorrei che tu mi chiamassi Publio. Tu e io siamo stati<br />

amici troppo a lungo per queste formalità.»<br />

Sorrise e piegò la testa. «Grazie, ma mi sento più a mio agio<br />

dicendo mastro Varro. Troverai qualcun altro, sai. L'amore è in te.<br />

Quello che hai provato per quella ragazza era troppo forte perché<br />

potesse appassire o andare perso. Ricordati le mie parole. E a<br />

quest'ora dovrei essere a casa. Cuno vuole avere i suoi pasti in<br />

tempo. Buona notte, mastro Varro.»<br />

Dopo che se ne fu andata, rimasi a sedere vicino alla forgia<br />

rialzata che continuò a fumare lentamente per molto tempo,<br />

pensando alla mia vita e ai cambiamenti che vi avrei potuto fare.<br />

Uno di questi cambiamenti sarebbe stato di per sé un'assoluta


necessità se mai avessi incontrato di nuovo la ragazza in azzurro o<br />

un'altra simile a lei: da quando ero stato ferito non avevo mai più<br />

avuto un'erezione cosciente. Paradossalmente avevo avuto<br />

emissioni notturne regolari, perciò sapevo che il mio corpo<br />

funzionava ancora, ma il desiderio mi era estraneo durante la veglia.<br />

Infine mi alzai e mi diressi verso casa.<br />

Fu presto chiaro che Equo e Cuno erano stati entrambi precisi<br />

quando mi avevano detto che solo l'esercito pagava in contanti da<br />

quelle parti e così mi diedi da fare per cercare di mettere le mani su<br />

un po' di quel denaro. Il fatto che ci riuscissi piuttosto in fretta fu in<br />

parte questione di fortuna.<br />

Un nome udito per caso in una taverna dove sedevo con Equo<br />

dopo aver chiuso la fucina mi indusse a presentarmi all'ingresso <strong>del</strong><br />

quartier generale militare <strong>del</strong> luogo all'inizio <strong>del</strong> mio secondo mese<br />

a Colchester, la prima settimana di marzo. I due giovani soldati di<br />

guardia al cancello mi guardarono con la muta, quasi con l'insolente<br />

indifferenza che i loro simili riservano ai civili, anche quando quei<br />

civili sono palesemente dei veterani. Rimasi fermo in piedi,<br />

ricambiando il loro sguardo senza rancore, aspettando che uno di<br />

loro mi rivolgesse la parola. Non ero vestito come un fabbro, ma<br />

d'altra parte niente in me segnalava un ufficiale o un uomo di nobili<br />

origini.<br />

«Allora? Cosa vuoi? Questo è un campo militare. Se hai degli<br />

affari qui, dillo e sarà fatto. Altrimenti vattene.»<br />

Praticamente parola per parola quello che mi aspettavo. A quel<br />

punto parlai io, lasciando sentire il ferro nella mia voce.<br />

«Ponzio Aulo Plauto. Il vostro primus pilus.»<br />

Si guardarono l'un l'altro cautamente, con il dubbio di essere<br />

stati scortesi con uno che pronunciava il nome <strong>del</strong> loro centurione<br />

capo con tanta autorità. Quello che mi aveva rivolto la parola parlò


di nuovo con un tono di voce meno abrasivo, più conciliatorio, più<br />

incerto.<br />

«Cosa vuoi da lui?»<br />

«Digli che c'è uno straniero al cancello che si chiede se<br />

insaporisce ancora lo stufato di montone con letame di cammello.»<br />

Una volta ci eravamo trovati insieme nell'Africa <strong>del</strong> Nord, tre<br />

giovani centurioni, e oltre a noi c'era uno sgradevole tribuno che<br />

aveva sofferto a lungo e dolorosamente di disturbi cronici di<br />

stomaco. Solo noi tre sapevamo perché. Come avevo immaginato<br />

l'accenno a una buona storia li provocò. Uno dei soldati girò sui<br />

tacchi con gli occhi pieni di domande e scomparve attraverso la<br />

postierla.<br />

Passò <strong>del</strong> tempo. <strong>La</strong> sentinella rimasta non guardò più verso di<br />

me, ma rimase lì a fissare l'infinito. Poi si udì il rumore dei calzari<br />

chiodati sulle pietre, i battenti si riaprirono e una vera e propria<br />

visione di cuoio lucido e di bronzo lucente apparve e mi guardò con<br />

gli occhi incavati, e una smorfia di scontento sulla faccia.<br />

«Publio Varro.» <strong>La</strong> voce che ricordavo, profonda, grave e capace<br />

di ispirare paura agli ufficiali come alle reclute. «Stronzo figlio di<br />

una puttana di Alessandria! Ti credevo morto.»<br />

«No, Plauto. Stavo solo cercando di evitarti, come sempre.»<br />

Attraversò lo spazio che ci divideva in due passi e mi uncinò il<br />

collo con un braccio, iniziando a tirarmi verso terra, poi si ricordò<br />

chi era e dov'era e trasformò il movimento in un abbraccio,<br />

tenendomi stretto al petto senza parole mentre i secondi<br />

diventavano minuti. L'odore di pulito che ben ricordavo mi riportò<br />

indietro di anni a periodi se non più felici, con meno<br />

preoccupazioni. Finalmente ci separammo e lui mi allontanò un po'<br />

per guardarmi, lasciando che vedessi le lacrime che gli erano scese<br />

dagli occhi fieri.<br />

«Credevo che fossi morto, sai» mormorò e poi si raschiò la gola,


sputò e si girò di fronte alle sentinelle che lo fissavamo, tenendomi<br />

un braccio intorno alle spalle.<br />

«Guardate quest'uomo, voi due. Guardatelo bene. È lui il<br />

colpevole di tutti i vostri problemi. Questo è Gaio Publio Varro, il<br />

genere di soldato figlio di puttana che voi non diventerete mai.<br />

Quest'uomo mi ha salvato il culo in più di un'occasione e ha salvato<br />

la mia inutile vita più volte di quante voi possiate contare. E se<br />

resterete nell'esercito abbastanza a lungo forse riuscirete un giorno a<br />

trovare un amico come lui. Forse, dico, ma ne dubito.»<br />

Quel giorno finì con una lunga notte di bevute.<br />

Il pomeriggio successivo mi vide seduto nell'ufficio di Antonio<br />

Cicerone, discendente diretto <strong>del</strong> celebre oratore e legato<br />

comandante <strong>del</strong> distretto militare di cui Colchester era il punto<br />

centrale. Lo conoscevo dai vecchi tempi, ovviamente, perché avevo<br />

servito sotto di lui in Africa e con lui, dopo la mia promozione, nella<br />

Britannia settentrionale. Era un buon amico di Britannico ed era<br />

appena stato nominato al comando da Teodosio. Nella stanza con<br />

noi c'erano Triface, l'armaiolo <strong>del</strong>la guarnigione e Lucio Lucullo,<br />

l'ufficiale pagatore; li avevo già conosciuti e apprezzati entrambi<br />

prima <strong>del</strong>l'invasione. Anche Plauto era lì in piedi rigido contro la<br />

parete, a disagio nella informale compagnia degli ufficiali. Era<br />

gratificante essere ricordato con tanta simpatia ed essere così<br />

palesemente bene accolto in loro compagnia e perciò ero rilassato<br />

quando raccontai loro quello che facevo.<br />

Cicerone aspettò che avessi finito e poi parlò. «E così adesso sei<br />

qui a Colchester e fai il fabbro?» Sentivo una sfumatura di<br />

incredulità nella sua voce, malgrado un educato tentativo di<br />

nasconderla.<br />

«Sì, legato, è così.»<br />

«Incredibile. Cosa fai esattamente?»


Li guardai uno per uno e poi mi alzai. «<strong>La</strong>sciate che vi faccia<br />

vedere». Aprii la fibbia <strong>del</strong>la cintura e la appoggiai sul tavolo<br />

insieme alla corta spada e al pugnale che vi erano infilati. «Questo è<br />

un esempio <strong>del</strong> mio lavoro.» Si chinarono tutti in avanti mentre<br />

Cicerone sollevava la spada e la esaminava da vicino.<br />

«L'hai fatta tu?»<br />

«Sì, e anche il pugnale e i foderi. Sono in coppia.»<br />

«Sì, vedo.» <strong>La</strong> sua voce a questo punto si affievolì. «Sono molto<br />

belli, molto belli.» Non aveva parole, incerto com'era <strong>del</strong> mio scopo,<br />

e aveva paura di offendermi. Aspettai che passasse la spada a<br />

Triface, l'armaiolo, e il pugnale a Lucullo «Fammi capire, Varro. Li<br />

stai offrendo in vendita?»<br />

Gli sorrisi. «Sì. Questi e molti altri se ottengo <strong>del</strong>le ordinazioni. È<br />

il mio lavoro.»<br />

Il povero Cicerone era come un pesce fuor d'acqua. Guardò<br />

Triface: «Cosa ne pensi Triface?».<br />

Triface era ottuso come un pugnale arrugginito. «Non devo<br />

pensare, generale. Questa spada non ha difetti. Se riuscissi a farne<br />

fare di questo livello dai miei uomini lo farei. Ma è impossibile. Ne<br />

comprerò tante quante ne posso avere. Lucullo?»<br />

L'ufficiale pagatore strinse le sue spalle patrizie. «Io mi limito a<br />

pagare. Accetto la tua parola sulla qualità, anche se questa volta la<br />

vedo da solo.» Mi guardò. «Dando per scontata la qualità, Publio,<br />

cosa mi dici <strong>del</strong>la quantità? Puoi produrne abbastanza da<br />

giustificare il lavoro di contabilità?»<br />

«Se ne vuoi cento al giorno a cominciare da domani no. Se però<br />

le vostre richieste sono ragionevoli e pagate regolarmente,<br />

continuerò a fornirvi armi di qualità.»<br />

«Sii preciso. Come sei organizzato adesso, quante ne puoi<br />

produrre in una settimana?»


«In questo momento, due al giorno. Entro un mese, otto al<br />

giorno. Se mi pagate prontamente posso espandermi per adeguarmi<br />

alle vostre necessità senza cali di qualità. L'espansione costa<br />

denaro.»<br />

Annuì. «Paghiamo subito. Ma cosa mi dici <strong>del</strong>la corporazione<br />

dei fabbri? Hai la loro approvazione?»<br />

«Per che cosa? Non appartengo a nessuna corporazione.»<br />

«Capisco. Potrebbe essere imbarazzante.»<br />

Corrugai la fronte. «In che modo? Non capisco quello che vuoi<br />

dire.»<br />

Si schiarì la voce. «<strong>La</strong> legge, Publio. <strong>La</strong> legge pretende che<br />

trattiamo solo con fornitori civili che siano in buoni apporti con la<br />

corporazione.»<br />

«Merda!» Mi alzai mentre la collera mi invadeva. «Voi mi<br />

scuserete signori. Sembra che vi abbia fatto perdere tempo. Io non<br />

appartengo a nessuna corporazione, come ho detto. Né vi<br />

apparteneva mio nonno. Non avevo bisogno <strong>del</strong> permesso di<br />

nessuna corporazione per rischiare le mie palle per l'Impero e che io<br />

sia dannato se chiedo il loro permesso per guadagnarmi il pane.»<br />

«Siediti, Publio.» <strong>La</strong> voce di Cicerone era tranquilla. Si rivolse<br />

direttamente all'ufficiale pagatore. «Stai dicendo la verità? Vuoi dire<br />

che non possiamo comprare le spade di Varro perché non<br />

appartiene a una qualche ridicola organizzazione di commercianti<br />

civili?»<br />

Lucullo si schiarì di nuovo la gola. «Questa è la legge, generale.»<br />

«E come possiamo aggirarla?»<br />

«Non possiamo, generale.»<br />

«Merda un'altra volta!» Quella volgarità sembrò strana,<br />

pronunciata nel tono colto di Cicerone. «Io voglio le spade di Varro<br />

per i miei uomini. Mi stai dicendo che non posso averle?»


Il povero Lucullo era molto a disagio. «No, generale, non io.<br />

Tutti i contratti di questo tipo devono essere disposti dall'ufficio <strong>del</strong><br />

procuratore.»<br />

«Ah! L'ufficio <strong>del</strong> procuratore. Ora comincio a capire. E<br />

certamente il dipartimento <strong>del</strong> procuratore guadagna una<br />

commissione sui servizi?»<br />

Una breve pausa, poi: «Sì, generale».<br />

«Quanto?»<br />

«Dal dieci al quindici per cento, a seconda <strong>del</strong>l'entità <strong>del</strong><br />

contratto.»<br />

«Maledetto ladro.» Cicerone si girò verso di me. «Publio, se il<br />

nostro eccellente Lucullo qui presente riesce a trovare il modo di<br />

aggirare questa assurdità, ovviamente in modo legale, saresti<br />

disposto a cedere al procuratore la tassa percentuale richiesta?»<br />

Adesso sorridevo. «Ovviamente, generale. Ne sarei felice.»<br />

Soprattutto perché non avevamo ancora negoziato il prezzo, che<br />

avevo appena alzato mentalmente <strong>del</strong> venti per cento.<br />

«Eccellente! Lucullo, si può fare?»<br />

Lucullo non era uno stupido. Mi guardò e sorrise: «Sono certo di<br />

sì, generale».<br />

«Splendido. A proposito, Lucullo, questo mi fa venire in mente<br />

una cosa. Quando dobbiamo sottoporre il nostro bilancio al<br />

procuratore?»<br />

«Il mese prossimo, generale.» L'espressione sul suo volto diceva:<br />

«Come ben sai».<br />

«Bene, Publio Varro, è bello sapere che saremo di nuovo bene<br />

armati e ben forniti in futuro. A questo punto penso che una brocca<br />

di vino sarebbe indicata.»<br />

Mi sentivo leggero come una piuma sulla via <strong>del</strong> ritorno quella<br />

notte, e un mese dopo avevamo un contratto di ferro per fornire


armi alla guarnigione locale.


VII.<br />

Fu solo il giorno <strong>del</strong>l'equinozio d'estate che mi concessi di aprire<br />

i tesori <strong>del</strong> nonno e di ammirarli. Avevo aspettato, mese dopo mese,<br />

con impazienza, fino a che sentii che mi ero guadagnato la<br />

ricompensa di passare <strong>del</strong> tempo ad esaminare quelle meraviglie<br />

che ora erano mie legalmente e di diritto.<br />

Dal modo in cui sto parlando di tesori qualche lettore potrebbe<br />

forse immaginare un tesoro di monete e di gioielli. Ma non è così.<br />

Mio nonno era un armaiolo, un mastro costruttore di spade e anche<br />

un serio storico e uno studioso di armi e di armamenti. Durante i<br />

suoi primi anni nelle legioni aveva raccolto diversi esemplari<br />

assortiti di armi e altri oggetti che gli avevano provocato eccitazione<br />

e dato grande piacere. Negli anni successivi, quando forniva le armi<br />

alle diverse legioni di stanza in Britannia, aveva incoraggiato i<br />

legionari a raccoglierne altri esemplari per lui. Il risultato finale di<br />

quarant'anni era perciò una collezione di armi antiche ed esotiche<br />

quale non esisteva in nessun luogo di cui fossi a conoscenza. Questi<br />

erano i tesori di mio nonno, ognuno avvolto in una custodia<br />

protettiva di stoffa, accompagnata da un rotolo che ne descriveva la<br />

storia secondo le sue conoscenze. Quando la storia <strong>del</strong>l'oggetto era<br />

oscura, consultava tutte le fonti disponibili e avanzava qualche<br />

ipotesi acuta.<br />

Riconobbi alcuni oggetti solo dalla forma e mi sentii di nuovo<br />

bambino quando le aprii una per una. C'era un pezzo in particolare<br />

che mi gelò fino all'osso per la soggezione. Era una testiera di ferro<br />

opaco, nero, fatta per adattarsi alla fronte e al muso di un cavallo,<br />

con dei paraocchi sporgenti. Era stata decorata con rozzi disegni che<br />

raffiguravano un uomo a cavallo alla carica con una lunga, pesante<br />

lancia bilanciata in spalla e sotto il disegno la parola greca che<br />

significava “I Compagni”. L'amore per la storia mi fece deglutire


mentre guardavo quel pezzo di armatura, perché sapevo che aveva<br />

protetto il muso di uno dei cavalli dei Compagni <strong>del</strong> re, i pochi amici<br />

<strong>del</strong> re, che avevano cavalcato in battaglia a fianco di Filippo di<br />

Macedonia e più tardi con suo figlio, il grande Alessandro,<br />

settecento lunghi anni prima che io nascessi. “I Compagni”! Quante<br />

volte da bambino li avevo sognati, immaginando di conquistare la<br />

gloria sotto il più grande comandante militare dei tempi antichi.<br />

Ad accompagnare la testiera c'erano i resti, malamente<br />

arrugginiti, di una sarissa, la lancia lunga sedici piedi utilizzata dalla<br />

cavalleria macedone. Fissata sotto la lama, la sarissa aveva una<br />

lunga traversa, presumibilmente per impedire che la lancia<br />

penetrasse tutta nel corpo <strong>del</strong> nemico contro cui veniva lanciata e<br />

per dare al cavaliere almeno una possibilità di estrarla e di<br />

allontanarsi al galoppo dalla sua vittima. Mio nonno aveva studiato<br />

a fondo quell'arma in gioventù. Come la lancia che si vedeva nel<br />

disegno sulla testiera <strong>del</strong> cavallo, la sarissa veniva portata a punta in<br />

giù, con l'asta appoggiata alla spalla <strong>del</strong> cavaliere e veniva affondata<br />

verso il basso. In origine veniva lasciata nel corpo <strong>del</strong>la prima<br />

vittima e il resto <strong>del</strong> combattimento si svolgeva con la spada. <strong>La</strong><br />

cavalleria vittoriosa - e la cavalleria di Alessandro era sempre<br />

vittoriosa - sarebbe ritornata in seguito a riprendere le sarissae dai<br />

corpi degli uomini che avevano massacrato nella carica. <strong>La</strong> traversa,<br />

aggiunta in seguito, significava che avevano la possibilità di usare la<br />

lancia per una seconda vittima.<br />

In una cassa larga e lunga che ricordavo molto bene c'era la<br />

collezione di autentiche lance da combattimento <strong>del</strong>le antiche<br />

legioni, il famoso pilum. Lunga sette piedi, l'asta di quelle lance<br />

originali era di legno per metà <strong>del</strong>la lunghezza, mentre il resto era in<br />

metallo con una terribile punta. Una volta penetrata nello scudo di<br />

un nemico, l'asta, di ferro morbido, si sarebbe piegata e<br />

l'ingombrante peso avrebbe trascinato lo scudo fino a renderlo<br />

inutilizzabile per l'uomo che cercava di proteggersi dietro di esso.


Un altro pacco avvolto con cura conteneva il grande arco<br />

africano che avevo tanto ammirato da bambino. Era composto da<br />

strati successivi di legno, di corno di animale e di nervo, ed era<br />

davvero una temibile arma di cui non avevo mai visto l'uguale in<br />

quella parte <strong>del</strong> mondo. Lo lasciai da parte per esaminarlo meglio in<br />

futuro.<br />

C'erano anche diversi oggetti che non avevo mai visto prima e<br />

una pergamena avvolta in pelle di cervo con l'istruzione a me<br />

indirizzata di leggere con attenzione e studiarne il contenuto e i<br />

metodi descritti. Incuriosito, misi da parte anche quel pacco, con<br />

cura. Un secondo pacco, che sembrava abbastanza recente,<br />

conteneva una magnifica camicia di pelle morbida, sulla quale erano<br />

stati cuciti con precisione quasi incredibile, migliaia di piccoli anelli<br />

di metallo lungo righe che si sormontavano, secondo il sistema <strong>del</strong>la<br />

lorica, la nostra corazza coperta da lamine metalliche, ma in una<br />

forma molto più leggera e più elastica. <strong>La</strong> nota che l'accompagnava<br />

diceva che era stata riportata dal territorio a nord <strong>del</strong> Danubio e che<br />

era il tipo di armatura portato da molti capi germani e sassoni.<br />

L'ultimo pacco era una splendida scatola di legno forte, ben<br />

ingrassato, lunga non più di un piede, larga circa un palmo e<br />

profonda mezzo palmo. All'inizio non riuscii neanche ad aprirla, ma<br />

alla fine scoprii che il coperchio e la base erano stati intagliati in<br />

modo da entrare a incastro uno nell'altra. Sapevo che quell'imballo<br />

era speciale dal modo in cui era stato riposto in fondo al tesoro.<br />

Tremavo di eccitazione e di anticipazione mentre lo aprivo, ma<br />

quando vidi cosa conteneva lo feci quasi cadere. Era un coltello, un<br />

pugnale, ma che pugnale! <strong>La</strong> lama scintillava come argento lucidato<br />

e in effetti all'inizio pensai che lo fosse. L'impugnatura sembrava<br />

d'oro. L'arma era coperta tutta da un leggerissimo strato di olio.<br />

Lo presi in mano con reverenza. Nella mia mano sembrava vivo.<br />

Provai la lama con il polpastrello <strong>del</strong> pollice e ne trassi sangue!<br />

Meravigliato, perché avevo appena sfiorato la lama, portai il coltello


di sopra e poi fuori dalla fucina, alla luce <strong>del</strong> sole, dove si accese<br />

nelle mie mani come mia torcia. Sentii dei passi dietro di me e vidi<br />

Equo al mio fianco.<br />

«Vedo che lo hai trovato! Stavo per morire di impazienza!<br />

Pensavo che non saresti mai sceso là sotto. Per le natiche di Budicca,<br />

ragazzo, a volte penso che tu non sia umano. Come hai potuto non<br />

scendere là sotto per tutto questo tempo?»<br />

Non mi diedi neanche la pena di rispondere. Ero troppo<br />

occupato ad ammirare la meraviglia che avevo in mano.<br />

«Gli dispiaceva non poter fare una spada, ma questo era tutto il<br />

metallo rimasto dalla <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong> e non voleva inquinarlo con <strong>del</strong><br />

metallo ordinario come per la spada che aveva fatto per tuo padre.<br />

Non sapeva cosa fosse, ma comunque riteneva che le si addicesse<br />

essere caduta dal <strong>cielo</strong>. Mantiene il filo come niente al mondo.<br />

Riuscirebbe a rasarti i peli <strong>del</strong> braccio. Prova.»<br />

Provai e i peli sottili <strong>del</strong> polso caddero in un mucchietto sul<br />

bordo <strong>del</strong> tavolo.<br />

«Hai mai visto niente di simile?»<br />

Mi limitai a scuotere la testa, tenendo ben saldo in mano il<br />

coltello. Aveva un'impugnatura inusuale, a croce, le cui braccia<br />

penetravano per circa un pollice sopra e sotto la lama.<br />

«Perché la traversa?»<br />

«Per bilanciare e dare ulteriore peso. Puoi lanciarlo. Vola come<br />

se avesse le ali, è magico.»<br />

«L'impugnatura è d'oro?»<br />

Equo scosse la testa. «No. Però è dorata. Sotto è di ottone. L'oro è<br />

troppo pesante e troppo morbido.»<br />

«E anche troppo caro. Sembra fatta in un unico pezzo,<br />

l’impugnatura intendo. Come l'ha fatta?»<br />

«L'ha colata.» Equo ghignò vedendo i miei occhi spalancarsi.


«Non hai trovato il rotolo che ha lasciato per te? È tutto là dentro. Il<br />

vecchio pensava che si trattasse di una tecnica nuova,<br />

rivoluzionaria, ha detto, se usata propriamente.»<br />

«Come ha ottenuto la finitura <strong>del</strong>la lama, Equo?»<br />

Si strinse nelle spalle massicce. «Non l'ha ottenuta. C'era già.<br />

Tutto quello che ha dovuto fare è stato lucidare e lucidare e lucidare.<br />

Ma ne valeva la pena. E quanto più diventava brillante, tanto era più<br />

facile lucidarla. L'abbiamo bagnata nell'olio per proteggerla dalla<br />

ruggine, anche se in realtà non sappiamo se la <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong> può<br />

arrugginire o no. Ma meglio essere sicuri e non rischiare.»<br />

Reggevo lo splendido oggetto vicino agli occhi. Alla sommità<br />

<strong>del</strong>la lama, proprio sotto l'incrocio <strong>del</strong>l'impugnatura mio nonno<br />

aveva inciso una piccola V per il suo nome e il mio: Varro. Sentii un<br />

groppo in gola e dovetti deglutire.<br />

«Equo, adesso mi porto a casa il rotolo e questo. Potresti<br />

chiudere tutto tu?»<br />

Sorrise di nuovo. «Pensavo proprio che avresti voluto farlo. È<br />

chiaro. Vai a casa. Vai!»


VIII.<br />

«Quanto era grave quella tua ferita?»<br />

Plauto e io eravamo seduti in una <strong>del</strong>le taverne locali<br />

frequentate dai centurioni <strong>del</strong>la guarnigione, aspettando Equo che<br />

doveva raggiungerci, e guardavamo tutte le buffe caratteristiche<br />

degli altri frequentatori <strong>del</strong> locale. <strong>La</strong> sua domanda giunse inattesa.<br />

«Abbastanza. Perché me lo chiedi?»<br />

«Solo per curiosità. Stavo guardando quella donna con le grandi<br />

poppe là davanti e qualcosa in lei mi ha ricordato quella puttana che<br />

gestiva una grande casa ad Alessandria, sai cosa intendo. Quella<br />

grande.»<br />

«Il bor<strong>del</strong>lo grande o la puttana grande?»<br />

Rise. «Tutte e due.»<br />

«Vuoi dire Fazia?»<br />

«Esattamente. Fazia. Che puttana era quella! Avrebbe potuto<br />

succhiare via il pomo di una spada! Perbacco, ma cosa sta<br />

succedendo là fuori?»<br />

Mi girai per guardare la confusione che era scoppiata in rondo<br />

alla taverna. Qualcuno era stato sorpreso a barare ai dadi e si<br />

vedevano spade sguainate. Ma i litiganti erano dei civili e Plauto<br />

non era obbligato a intervenire. Eravamo troppo lontani per vedere i<br />

dettagli, ma un tafferuglio improvviso e un urlo ci dissero che era<br />

stato versato <strong>del</strong> sangue prima che il proprietario <strong>del</strong>la taverna e i<br />

suoi aiutanti arrivassero sul luogo <strong>del</strong>la lite. Ma in pochi secondi<br />

furono lì e ricostituirono l'ordine con mani e bastoni pesanti.<br />

Plauto si rimise a sedere. «Maledetti civili, mi danno la nausea.<br />

Non uno di loro adatto al servizio militare, ma di notte fanno più<br />

casino di tutti i veterani che vengono qui. Se questo posto fosse mio


lo dichiarerei vietato a tutti i civili.»<br />

«Grazie. Così io non ci potrei venire più.»<br />

<strong>La</strong> nostra birra era finita e feci segno alla ragazza che serviva di<br />

portarcene ancora. <strong>La</strong> guardammo in silenzio mentre girava verso di<br />

noi il suo corpo carnoso, versando birra dalle brocche che reggeva<br />

con le grandi mani. Mentre si piegava verso di noi potei sentire il<br />

suo sudore caldo e acido. Ammiccò a Plauto, che tese la mano a<br />

palparle un capezzolo prominente; lei rise e se ne andò.<br />

«Puzza come un caprone» dissi io. «Cosa in lei ti ricorda Fazia?<br />

Fazia almeno era pulita.»<br />

«Sì, pulita, ma vorace. Che bocca!» Scosse la testa con nostalgica<br />

ammirazione. «Che bocca aveva quella puttana!»<br />

«Plauto, sei ubriaco?»<br />

Mi guardò con stupore. «Non più <strong>del</strong> solito a quest'ora <strong>del</strong>la<br />

notte. Perché? Tu lo sei?»<br />

«Non credo, ma dici cose senza senso. Mi hai chiesto <strong>del</strong>la mia<br />

gamba e poi hai cominciato a parlare di Fazia. Non vedo il<br />

rapporto.»<br />

Si agitò sulla sedia e mi guardò diritto negli occhi. «Un tempo<br />

eri un puttaniere più di me. Sei tu che mi hai portato da Fazia,<br />

ricordi? Ora sono, diciamo, due mesi buoni che ci siamo ritrovati,<br />

giusto? E in tutto questo tempo non ti ho mai visto guardare una<br />

donna. Mi è venuto in mente questa notte, che forse...» <strong>La</strong> sua voce<br />

si spense. «Sai... ho pensato che forse... maledizione, devo proprio<br />

essere ubriaco.»<br />

Gli sorrisi gentilmente. «Ho ancora tutto il mio armamento, se è<br />

quello che ti preoccupa. Però ci sono andato vicino. Mancato per un<br />

dito.»<br />

«Una scure, vero?» Sembrava affascinato.<br />

«Sì, con una punta dietro. È stata la punta a beccarmi. Quel figlio


di puttana l'ha scagliata dal basso in alto, dritta all'inguine.»<br />

«Ahi!» <strong>La</strong> sua faccia esprimeva dolore e comprensione alla sola<br />

idea. «Fa male solo a pensarci.»<br />

«Dovresti essere al mio posto. A volte mi sveglio ancora di notte<br />

sudando freddo, quando ci penso.»<br />

Rabbrividì, ma non riuscì a cambiare argomento. «E non hai<br />

perso tutto?»<br />

Sorrisi al terrore che aveva dipinto in faccia. «Ti ho detto di no.<br />

Tranne la capacità di camminare diritto. Tutto il resto è ancora lì al<br />

suo posto e funziona. Scarico regolarmente mentre dormo e quindi<br />

lo so. Però...» Sospirai rassegnandomi a raccontargli tutto, ma<br />

guardandomi intorno per essere sicuro che nessun altro sentisse.<br />

«Non so, Plauto. Mi sembra che quando sono sveglio non funzioni.<br />

Non riesco a farlo alzare. Non sento più la necessità. Non ho più<br />

avuto una donna da quando è successo e ormai è più di un anno.»<br />

«Hai provato?»<br />

Cercai di ridere. «No, non posso dirlo. Come dire, non ho lo<br />

stimolo.»<br />

«Forse se tu pagassi una puttana andrebbe tutto a posto? Voglio<br />

dire, se funziona mentre dormi, perché non dovrebbe quando sei<br />

sveglio? Intendo dire, se senti il bisogno quando dormi dovresti<br />

sentirlo anche in altre circostanze.»<br />

«Forse, ma non stanotte, Plauto.»<br />

«No. Non stanotte. È troppo tardi. Che ora è?»<br />

«Quasi il coprifuoco.»<br />

«È ora che vada. Mi chiedo cosa è successo a Equo?»<br />

«Oh, arriverà, prima o poi. Ma tu faresti meglio ad andare. Vedo<br />

che i tuoi amici là in fondo sono pronti a muoversi. Io resto qui e<br />

prendo un'altra birra nell'attesa.»<br />

«Non è ridicolo? Un uomo <strong>del</strong>la mia età che deve essere a letto a


mezzanotte?»<br />

«Questo è l'esercito, Plauto. Se io non fossi tornato in città, tu te<br />

ne staresti là nelle baracche tutta la notte.»<br />

«É vero. È una bella vita. Bene. Adesso devo andare.» Si alzò<br />

dondolando leggermente e mi sorrise. «Di' a Equo che è uno stronzo<br />

civile con cattive maniere a mancare a un appuntamento con un<br />

primus pilus. Buona notte amico. Non preoccuparti per il tuo uccello.<br />

Lo rimetteremo a posto. <strong>La</strong>scialo al vecchio Plauto.»<br />

Mi inchinai, restando seduto. «Ne sarò lieto. Quando muoio è<br />

tutto tuo.»<br />

Mi fissò perplesso di rimando, senza capire la battuta, e mi<br />

lanciò un saluto. Rimasi lì sorridendo, guardandolo allontanarsi con<br />

altri tre centurioni, che mi fecero cenno mentre uscivano.<br />

Bevvi un'altra birra, chiedendomi cosa fosse successo a Equo.<br />

Avrebbe dovuto essere lì da un'ora almeno. Due birre dopo non era<br />

ancora arrivato e io ero circondato da una folla puzzolente di clienti<br />

appena arrivati. Mi si rivoltava lo stomaco per il puzzo. Essere un<br />

romano a volte ha degli svantaggi e la costante esigenza di pulizia è<br />

uno di essi. <strong>La</strong>sciai la birra non finita sul tavolo e mi avviai<br />

traballante all'esterno, dove l'aria fresca mi risvegliò quel tanto da<br />

farmi ritrovare l'orientamento; mi diressi verso casa.<br />

Ero più ubriaco di quanto pensassi e la strada si rivelò lunga e<br />

difficile nella notte insolitamente fredda per quel periodo <strong>del</strong>l'anno.<br />

<strong>La</strong> strada mi portò davanti alla fucina; mi dissi, come per<br />

un'ispirazione, che forse Equo era lì e lavorava fino a tardi. In effetti<br />

la mezzanotte era ormai passata e fu solo una specie di sdolcinato,<br />

ubriaco sentimentalismo che mi riportò nel calore <strong>del</strong>la fucina simile<br />

al grembo materno invece che nel mio letto. Trovai la chiave sotto la<br />

<strong>pietra</strong>, con una certa facilità, ma mi ci volle un po' prima di riuscire a<br />

inserirla nella toppa al buio.<br />

Non appena entrai nella fucina, però, chiudendo


coscienziosamente la porta alle mie spalle, mi resi conto che c'era<br />

qualcuno. Una lampada bruciava su uno degli scaffali e avvertivo<br />

una presenza in quel posto.<br />

«Equo? Sei qui?»<br />

Non ebbi risposta, ma sapevo di non essere solo. Non sono<br />

superstizioso, ma la fucina era evidentemente vuota e quando<br />

compresi che avevo dovuto aprire la porta con la chiave per entrare<br />

mi sentii drizzare i capelli. Mi diressi verso la lampada scrutando<br />

nell'oscurità mentre avanzavo, ma non vidi nulla di allarmante. E<br />

poi, quando sollevai la lampada, vidi una faccia spettrale che mi<br />

fissava con grandi occhi dal pavimento vicino alla fornace. Feci un<br />

salto di paura e feci quasi cadere la lampada, ma in quell'attimo<br />

stesso riconobbi Febe. Giaceva sul pavimento, avvolta in una<br />

coperta che si confondeva con le ombre scure nell'angolo.<br />

«Febe» dissi, cercando di nascondere la paura che mi aveva<br />

provocato, «cosa fai qui, in nome di tutti gli dei? E a quest'ora <strong>del</strong>la<br />

notte?»<br />

Con mio orrore cominciò a piangere, mettendomi subito in<br />

svantaggio. Rimasi lì muto, guardandola costernato mentre i suoi<br />

singhiozzi aumentavano e riempivano la stanza. Sono in grado di<br />

tenere in pugno quasi ogni situazione, ma le lacrime di una donna<br />

mi hanno sempre lasciato senza risorse. Non riuscii a fare altro che<br />

aspettare che si calmasse, cosa che alla fine avvenne e poi, tra una<br />

serie di sospiri e di singhiozzi soffocati uscì la sua storia.<br />

Cuno aveva bevuto di nuovo. Un baccanale durato quattro<br />

giorni che era finito con un'esplosione di violenza durante la quale<br />

aveva cercato di ucciderla. Lei era scappata e si era rifugiata da Equo<br />

per chiedere protezione e Equo l'aveva calmata, dandole <strong>del</strong>le<br />

coperte, poi l'aveva chiusa nella fucina perché fosse al sicuro ed era<br />

andato a cercare Cuno. Lei aveva pianto fino a che si era<br />

addormentata e non si era accorta <strong>del</strong> mio arrivo fino a che avevo<br />

parlato, svegliandola e spaventandola.


Non so come, mentre raccontava mi ritrovai seduto sul<br />

pavimento vicino a lei e cercavo di confortarla tenendole un braccio<br />

intorno alle spalle, mentre lei sussurrava la sua storia, con la testa<br />

china piegata nell'incavo <strong>del</strong> mio braccio. Se fossi stato sobrio, sarei<br />

stato sconvolto dalla sua storia, ma poiché non lo ero, ascoltai senza<br />

esserne molto impressionato fino a che ebbe finito, e commentai<br />

“mmm”, o qualcosa di altrettanto intelligente.<br />

I suoi singhiozzi si erano placati adesso e mi sembrò naturale<br />

restare dov'ero fino a che non si fosse calmata completamente.<br />

Fissavo come una civetta la sommità <strong>del</strong>la sua testa, notando la cute<br />

chiara sotto i capelli, quando mi resi conto che non stava più<br />

piangendo, non si muoveva più. Sentivo le palpebre diventare<br />

pesanti e le sbattei in fretta, spalancandole con uno sforzo di<br />

volontà. Mi sentivo molto comodo, con il muro dietro la schiena e il<br />

pavimento sotto le natiche e il calore <strong>del</strong> corpo di Febe contro il mio<br />

petto. Si raddrizzò appena sotto il mio braccio, sollevando la testa<br />

per guardarmi in faccia e la sua voce era un sospiro gentile alle mie<br />

orecchie.<br />

«Posso rimanere, allora?»<br />

Poteva rimanere! Era chiaro che poteva rimanere. Non avevo<br />

alzato la testa insieme a lei e ora mi ritrovavo a guardare il corsetto<br />

<strong>del</strong> suo abito, immaginando il calore emanante dai suoi bianchi seni<br />

pieni, pesanti, annidati lì dentro, soffici e vulnerabili, esposti ai miei<br />

occhi. Improvvisamente la mano che era rimasta appoggiata in<br />

modo così casuale intorno al suo collo le strinse la spalla, e mi fece<br />

sapere che lì c'era molta carne femminile. <strong>La</strong> carne di una spalla,<br />

certo, ma era un inizio, perché di colpo seppi che se volevo potevo<br />

averla, adesso, lì. Si sentiva trascurata e abbattuta, vulnerabile e<br />

disponibile e sarebbe anche stata grata. Quella consapevolezza mi<br />

riportò alla coscienza di chi ero e dove ero. Tolsi il braccio,<br />

sentendomi colpevole e mi sedetti dritto.<br />

«Rimanere qui. Certo che puoi rimanere qui.» Sentivo l'ira nella


mia stessa voce. «Equo tornerà presto, ormai deve aver finito con<br />

Cuno e aspetterà fino a domani per lasciarti riposare un po'. Torna a<br />

dormire. Vedrai, domani andrà tutto bene.»<br />

Volevo alzarmi in piedi, ma la mia gamba zoppa mi tradì. Non<br />

la sentivo più. Appoggiai le mani contro la parete dietro di me per<br />

cercare di sollevarmi.<br />

«Cosa succede? Non riesci ad alzarti?»<br />

«<strong>La</strong> gamba. Quella malata. Sembra addormentata. Non ho<br />

sensibilità.»<br />

«Aspetta, lascia che ti aiuti.» In un secondo era in piedi, fuori<br />

dalle coperte e mi aiutava ad alzarmi. Era una donna alta e le fui<br />

grato per la sua forza. Una volta in piedi lasciai andare le sue mani e<br />

mi appoggiai di nuovo al muro per avere un sostegno, sentendomi<br />

dondolare un po'.<br />

«Grazie, Febe. Adesso va bene. Torna sotto le coperte. Qui è<br />

freddo.»<br />

«No, non lo è. Fa caldo qui dentro. Sei sicuro di stare bene<br />

adesso?»<br />

«Sì, sto bene. Ogni tanto la mia gamba fa cose strane, se mi siedo<br />

male. Mi si addormenta in qualche modo.»<br />

«Ti fa molto male?»<br />

«Di solito no.»<br />

«E adesso?»<br />

«No, adesso no. È solo addormentata.»<br />

«Riesci a camminare?»<br />

«Ci riuscirò tra un minuto, quando mi ritornerà la sensibilità. Mi<br />

è successo qualche volta. È una strana sensazione, come se tanti aghi<br />

mi pungessero.»<br />

Era molto vicina e mi guardava in faccia con una strana


espressione, con le braccia strette sotto al seno, che si gonfiò<br />

visibilmente nella scollatura. Guardai altrove. «Ecco» dissi, «ora va<br />

meglio.» Piegai il ginocchio e poi feci qualche passo lontano dal<br />

muro, ma caddi di lato. Febe mi prese tra le forti braccia, con la<br />

faccia contro il suo seno, e mi rimise in piedi, contro al muro, dove<br />

rimasi, sentendomi debole e stupido e notevolmente sobrio, di<br />

colpo.<br />

«Non va affatto meglio, vero?»<br />

«No.» Scossi la testa, sorridendo stupidamente. «Non ancora.»<br />

Ma poi cominciò ad andare “meglio” e la improvvisa, brutale,<br />

inaspettata ferocia di ciò mi fece inspirare con un sussulto, mentre i<br />

muscoli contorti nella mia coscia si annodavano e contraevano, e mi<br />

sentii cadere di nuovo. <strong>La</strong> donna sostenne tutto il mio peso nelle sue<br />

braccia e un po’ portandomi, un po’ trascinandomi mi sistemò<br />

sull'unica seggiola <strong>del</strong>la stanza, sulla quale mi fece cadere poco<br />

cerimoniosamente. Ero fuori di me per un dolore maggiore di<br />

quanto avessi mai provato. Tutta la gamba, dalla natica in giù era un<br />

urlante, contorto nodo di agonia. Malgrado la nebbia in cui ero<br />

avvolto sentii la sua voce insistente ed esigente che mi sibilava<br />

all'orecchio: «Basta contorcerti, o non posso aiutarti! Solleva, su. Stai<br />

fermo, maledizione!». E poi alla fine, gradualmente, nello spazio di<br />

quelle che mi sembrarono innumerevoli frazioni di tempo, il<br />

terribile, disumano dolore cominciò a diminuire, sostituito da una<br />

pulsione ferma, ritmica, alleviarne e dalla pressione di forti dita che<br />

lavoravano i muscoli <strong>del</strong>la gamba, facendoli rilassare, alleviando la<br />

loro tensione e calmando il loro tremito spastico fino a che<br />

scomparve <strong>del</strong> tutto. Aprii gli occhi, cosciente che stavo sudando.<br />

Ero disteso sul pavimento <strong>del</strong>la fucina, vicino alla seggiola<br />

rovesciata su cui Febe mi aveva buttato. Non ricordavo di essere<br />

caduto. Febe era in ginocchio su di me, a cavallo <strong>del</strong>la mia gamba<br />

malata, con i capelli che le ricadevano sul viso mentre si concentrava<br />

nell'atto di massaggiare i miei muscoli irrigiditi. Avvertivo una


sensazione inusuale, piacevole, in qualche modo familiare, anche se<br />

non identificabile. E poi la riconobbi. Era il calore morbido di cosce<br />

nude contro il mio piede nudo. Rimasi paralizzato. Lei avvertì il mio<br />

irrigidimento e ritornò ad appoggiarsi sulle anche per guardarmi,<br />

tirandosi indietro i capelli dagli occhi con la mano. Il movimento<br />

riportò l'incredibile calore <strong>del</strong> suo centro sui miei calcagni, ma lei<br />

sembrava non accorgersene.<br />

«Brutto» disse. «Questo è stato proprio brutto. Ti capita spesso?»<br />

Scossi la testa, senza parlare, mentre i miei pensieri correvano<br />

veloci a quello che il mio piede stava provando, chiedendomi come<br />

era successo. Lei continuava a guardarmi, con la faccia preoccupata.<br />

«Ti senti meglio adesso? Ti fa ancora male?»<br />

Scossi nuovamente la testa e inghiottii, schiarendomi la voce.<br />

«No» sussurrai, «grazie.»<br />

«Sono contenta di averti potuto aiutare. Dovevo fare qualcosa,<br />

per un po' ho creduto che saresti morto.»<br />

«Era così grave? Non ricordo.»<br />

«Ringrazia il <strong>cielo</strong>. Eri fuori di te per il male. Guarda dove mi hai<br />

graffiato.» Mi mostrò il braccio destro, cerchiato dai segni rossi<br />

lasciati dalle mie dita. «Sei forte, anche per essere un fabbro.»<br />

«Sono stato io? Davvero?» <strong>La</strong> mia gola adesso era arida e secca.<br />

«Mi dispiace. Non me ne ricordo.»<br />

«Lo so. Ti ho detto che eri fuori di te per il dolore. Ho dovuto<br />

colpirti sulla testa. Ti fa male?»<br />

«No. Dove?»<br />

«Qui.» Mi toccò sul lato <strong>del</strong>la testa e di colpo, mentre mi toccava,<br />

sentii male. Faceva male, ma non quanto i crampi nella gamba. Non<br />

era più di un semplice fastidio. Toccai il punto con cautela e sentii<br />

un grosso bozzo.<br />

«Con che cosa mi hai colpito?»


«Con un pezzo di legno.»<br />

Abbassò di nuovo la testa e sentii le sue mani che cominciavano<br />

di nuovo a massaggiare. Si sporse in avanti per avere più presa di<br />

modo che sentii <strong>del</strong>l'aria relativamente fresca sulle dita dei piedi.<br />

«Ah! Dove hai imparato a farlo?»<br />

Mi guardò di nuovo, continuando a lavorare con le dita e i<br />

polpastrelli. «Sono una massaggiatrice, o almeno lo ero prima di<br />

sposarmi. <strong>La</strong>voravo nelle terme <strong>del</strong>le donne, presso le baracche.<br />

Soprattutto mogli di ufficiali.»<br />

«Parli molto bene.» Mi resi conto in ritardo <strong>del</strong>l'arroganza <strong>del</strong>le<br />

mie parole. «Volevo dire...»<br />

«Lo so cosa vuoi dire, ma grazie. Sì, parlo bene. Ho avuto un<br />

tutore. Me lo sono pagato con quello che guadagnavo alle terme. Ho<br />

deciso che non aveva senso restare analfabeta.»<br />

«Analfabeta?»<br />

«Sì. So leggere e scrivere, anche. Perché no? Non fa danno. Non<br />

dà neanche dei vantaggi, peraltro.»<br />

«Capisco.» Desideravo stendere la gamba, rimettere il piede<br />

contro il calore <strong>del</strong> suo corpo. Chinò la testa per rimettersi al lavoro<br />

e realizzai allora che il suo viso, che avevo sempre ritenuto comune<br />

e non interessante, non lo era affatto. Cercai una domanda per farla<br />

guardare in su di nuovo,<br />

«Cuno sa leggere e scrivere anche lui?»<br />

Il trucco funzionò. «Mio marito? Cunobelino? Il discendente dei<br />

re? Sa sì e no parlare. Preferisce bere e poi picchiarmi.»<br />

«E allora perché resti con lui? <strong>La</strong>scialo!»<br />

«<strong>La</strong>sciarlo?» <strong>La</strong> sua voce era piena di scherno. «È facile dirlo.»<br />

Chinò di nuovo la testa, mentre le sue dita lavoravano leggere, senza<br />

esitazioni, muovendosi lungo la mia coscia, avanzando sulle<br />

ginocchia, stringendo la mia gamba tra le cosce per tenerla ferma.


«<strong>La</strong>sciare quel bruto. E dove potrei scappare? E per fare cosa?<br />

Dove?»<br />

Gemetti di nuovo quando lei trovò un nodo. «Fai quello che sei<br />

addestrata a fare. Ovunque. Ci sono altre città. Vai a Londinium. Sei<br />

una massaggiatrice. Puoi sfruttare la tua abilità. Non ti seguirà.<br />

Avete bambini?»<br />

Le sue dita smisero di impastare. «No. Non ho bambini.» Si<br />

appoggiò riportando il fuoco <strong>del</strong> suo centro sulla mia gamba, ma in<br />

modo diverso questa volta, così che il mio ginocchio sollevato<br />

trovava spazio nella sua morbidezza. Vidi gli occhi di lei spalancarsi<br />

quando si rese conto <strong>del</strong>l'immodestia <strong>del</strong> contatto fisico. Il suo tirarsi<br />

indietro fu istintivo e sarebbe stato totale se io non l'avessi fermata<br />

con un involontario: «Non smettere». Lei si irrigidì.<br />

«Cosa?»<br />

«Non smettere. Non ancora. Ho ancora <strong>del</strong> dolore lì.»<br />

«Dove?»<br />

«Lì, nella coscia. Un crampo. Più in giù, proprio sopra al<br />

ginocchio.»<br />

Anche nella fioca luce <strong>del</strong>l'unica lampada vidi il suo collo<br />

arrossarsi. Era stata sul punto di alzarsi e una <strong>del</strong>le sue gambe non<br />

mi toccava più. Lentamente, ancora in ginocchio, indietreggiò<br />

facendo scivolare l'interno <strong>del</strong>le sue ginocchia lungo la mia gamba;<br />

sentii la sua gonna sfiorarmi i piedi e poi l'orlo davanti avanzò lungo<br />

la mia gamba. I suoi polpacci mi toccarono leggermente, cercando<br />

sopra il ginocchio.<br />

«Dov'è questa rigidità?»<br />

<strong>La</strong> sua voce era diversa, adesso. Era rauca, quasi un sussurro. Mi<br />

alzai sui gomiti e vidi che le mie gambe erano nude, la tunica<br />

abbassata con decenza a coprire il mio sesso. <strong>La</strong> gonna si era<br />

arrotolata e lasciava scoperte le rotule bianche e tonde.


«Lì» dissi, «dove hai i pollici.» Fece una forte pressione e io<br />

sussultai.<br />

«Distenditi. Qui sopra.» Tese un braccio per prendere le braghe<br />

che mi aveva tolto e ne fece una palla. «Metti questo sotto la testa.»<br />

Feci come diceva, confuso. Volevo che tutto ciò andasse avanti<br />

tanto quanto volevo che si fermasse, eppure avevo paura. Avrei<br />

dovuto essere eccitato, esuberante per quello che mi passava per la<br />

testa e per la tensione nei visceri, ma la mia virilità giaceva lì<br />

immobile e flaccida. Le sue dita palparono ancora, immerse nel<br />

muscolo sopra il mio ginocchio. Non c'erano indurimenti lì, ma la<br />

sensazione era piacevole e, dopo tutto quel dolore, ero ancora un po'<br />

ubriaco.<br />

Parlò di nuovo con lo stesso tono sommesso. «Rilassa la gamba.<br />

<strong>La</strong>scia andare completamente.» Provai. «Riesci a stenderla <strong>del</strong><br />

tutto?»<br />

Scossi la testa. «No. Il tendine è stato danneggiato. Si è<br />

accorciato. Non posso stenderlo <strong>del</strong> tutto.»<br />

«Puoi flettere ed estendere? Prova!»<br />

Lo piegai lentamente, più di quello che avrei voluto, finché<br />

sentii l'orlo <strong>del</strong>la gonna cadere dalle dita dei piedi, lasciando il piede<br />

libero sotto la tenda <strong>del</strong> suo abito. Sentivo una pulsazione nel collo.<br />

«Così va bene. E adesso stendilo di nuovo.»<br />

Lo feci, strisciando la pianta <strong>del</strong> piede contro la stoffa ruvida<br />

<strong>del</strong>l'interno <strong>del</strong>la sua gonna. Lei ne era cosciente? Se lo era non lo<br />

diede a vedere. Stava respirando profondamente e questo faceva sì<br />

che i suoi seni emergessero di nuovo dal corsetto.<br />

«Bene» disse e si mise al lavoro d'impegno, incidendo e<br />

scavando, impastando e strizzando, muovendosi nel frattempo<br />

avanti e indietro lentamente in modo che di nuovo sentii il suo<br />

calore, ma non un contatto diretto e la sensibile pelle <strong>del</strong> mio piede<br />

sentì un accenno di peli ispidi e solleticanti.


Giacevo godendo le sensazioni che provocava in me quando si<br />

fermò di colpo.<br />

«Adesso basta! Sono stanca. Devo smettere.»<br />

«No. Per favore, non smettere.»<br />

Sospirò. «Cosa vuoi da me, mastro Varro? Non è piacere. Non<br />

mostri desiderio.»<br />

«Vorrei, Febe, ma non posso. Però godo per il tuo calore e il tuo<br />

tocco.»<br />

«Non puoi?» Fece una pausa che mi sembrò molto lunga. «E la<br />

tua ferita? Queste cicatrici? Ti hanno tolto la virilità?» C'era solo<br />

tenerezza nella sua voce.<br />

«Sì. Sembra che lo abbiano fatto, in qualche modo.»<br />

Sospirò di nuovo. «Poveretto.» Le sue mani ripresero a<br />

muoversi sulla mia coscia, ma adesso erano le sue palme ad<br />

accarezzarmi e dopo qualche minuto si riappoggiò sulle anche,<br />

questa volta aperte, appoggiandosi molto <strong>del</strong>iberatamente con la<br />

vulva, calda e nuda, contro il mio piede.<br />

Non provavo vergogna, ma solo piacere e accettazione mentre le<br />

sue mani si muovevano su per la mia gamba e all'inguine, e a<br />

strofinare il mio flaccido sesso; allora io distesi il piede contro la sua<br />

nudità, sentendone la morbida docilità e lei si riappoggiò contro di<br />

me, muovendosi contro il collo <strong>del</strong> piede. Si chinò in avanti<br />

lentamente e appoggiò il viso nell'incavo tra la mia coscia e il ventre.<br />

Il calore <strong>del</strong> suo respiro mi solleticava mentre lei continuava a<br />

strofinarsi lentamente contro il mio piede, palpandomi con una<br />

mano la natica e con l'altra il sesso. Appoggiai la mano nel morbido<br />

incavo <strong>del</strong> suo collo e con il piede sentii l'umido <strong>del</strong> suo desiderio.<br />

Poi, di colpo nei miei lombi sentii un fremito di eccitazione.<br />

Trattenni il respiro, non osando muovermi e mi sentii riportato alla<br />

vita sotto la sua gentile presa. E mentre crescevo e crescevo lei<br />

interruppe il movimento e mi fissò in silenzio e poi disse:


«Splendido bugiardo» e si mosse in fretta per montare su di me e<br />

impalarsi da sola lentamente sul miracolo che aveva appena<br />

compiuto.<br />

Fu un amplesso grande e appassionato, come non ebbi mai più.<br />

Mi sentivo come il cieco curato da Gesù e l'estasi <strong>del</strong> mio sollievo era<br />

indescrivibile, aumentato com'era dall'avere riguadagnato quello<br />

che credevo perduto. È inutile tentare di descrivere le sensazioni e i<br />

pensieri che mi trasportavano. Era come se una diga si fosse rotta da<br />

qualche carte dentro di me e i succhi che uscivano dalle brecce erano<br />

quasi inesauribili. Ero insaziabile, ricominciavo di nuovo e di nuovo,<br />

quasi senza riposo. Quando, ore dopo, Febe sussurrò: «Basta, basta.<br />

Mi fa male. Non posso più!» le credetti. Ci eravamo spostati sopra le<br />

coperte vicino alla forgia ed era quasi l'alba. Rotolai lontano da lei e<br />

mi alzai in piedi. «Dove stai andando?»<br />

Mi fermai e la baciai. «A casa. Equo può arrivare da un<br />

momento all'altro. Ma torno, non avere paura.» Andai verso il<br />

secchio per la tempera e mi buttai <strong>del</strong>l'acqua gelata in faccia e sulla<br />

testa, asciugandomi con un asciugamano ruvido appoggiato allo<br />

scaffale, e poi cominciai a infilarmi la tunica. Non mi accorsi che si<br />

era avvicinata fino a che mi parlò vicino all'orecchio, con voce bassa.<br />

«Mastro Varro? Sei arrabbiato?»<br />

<strong>La</strong> guardai stupito. «Arrabbiato? Con te?» E poi vidi lo sguardo<br />

nei suoi occhi, l'apprensione, l'incertezza e le sorrisi e la presi tra le<br />

braccia, tenendola stretta e sussurrandole nell'orecchio: «Mia bella,<br />

bellissima Febe, come potrei essere arrabbiato con te? Mi hai<br />

restituito la mia virilità. Avevo creduto che non avrei mai più fatto<br />

l'amore con una donna. Mai arato un'altra zolla». <strong>La</strong> baciai, sentendo<br />

la morbidezza <strong>del</strong>le sue labbra tumide. «No. Non sono arrabbiato<br />

con te. Non posso immaginare di esserlo. Ma tuo fratello sarà qui tra<br />

poco e potrebbe anche arrivare con tuo marito. Non sarebbe bene<br />

che ti trovasse qui con me e con quello sguardo palesemente<br />

soddisfatto. Non credi?»


Lei mi guardava con gli occhi bassi, soppesando la mia sincerità<br />

e adesso sorrideva, con un sorriso malizioso. «Soddisfatta? Ecco una<br />

parola per persone che sanno cosa significa. Mio marito non<br />

noterebbe niente. Non mi ha mai fatta sentire in questo modo,<br />

quindi non potrebbe riconoscere il mio piacere.» <strong>La</strong> sua mano cadde<br />

di nuovo sul mio sesso e lo strinse con garbo. «Sono contenta di<br />

averlo riportato in vita. Sii buono con lui ora che sta di nuovo bene.»<br />

Le sorrisi. «Lo sarò, Febe, lo sarò.» Le strinsi un seno. «Ma hai<br />

appena finito di dirmi che non vuoi più e mi provochi di nuovo?»<br />

«Oh, non oserei mai provocarlo, è troppo bravo.» Mosse il<br />

ventre verso di me, alzandosi sulla punta dei piedi e io me la<br />

premetti contro, entrando facilmente nella lubrificata apertura<br />

proprio quando Equo arrivò alla porta <strong>del</strong>la fucina. Restammo<br />

immobili, senza osare muoverci o emettere un suono e io sogghignai<br />

immaginando come gli saremmo sembrati indecenti, lì in piedi come<br />

la statua <strong>del</strong>la fornicazione. Lo sentii cercare la chiave, ma io l'avevo<br />

portata dentro con me. Febe tentò di allontanarmi da lei, ma io tenni<br />

strette le sue natiche, restando dentro di lei, scuotendo la testa. Mi<br />

piegai verso di lei e le sussurrai nell'orecchio: «È chiuso a chiave. <strong>La</strong><br />

chiave l'ho io. Non può entrare». I suoi occhi si dilatarono, mentre<br />

sentivamo Equo che borbottava fra sé e sé. Poi arrivò la sua voce:<br />

«Febe, Febe fammi entrare. Sono Equo!». Scossi la testa nella sua<br />

direzione, ammonendola a non fare rumore. <strong>La</strong> chiamò ancora un<br />

paio di volte, poi lanciò un'imprecazione e sentimmo i suoi passi che<br />

si allontanavano mentre andava a casa a cercare la chiave.<br />

Quando andò via, Febe ridacchiò. «Povero Equo. Sarà così<br />

arrabbiato.»<br />

«Sì e tornerà presto. Devo andare. Ma adesso ascoltami. Tornerò<br />

portandoti dei soldi. Monete d'oro. Non dire niente.» Lei stava per<br />

protestare. «Ascolta e basta. È un regalo da parte mia. Non ne ho<br />

bisogno. Tu sì. Tu mi hai restituito una vita che credevo morta per<br />

sempre e io voglio fare lo stesso per te. Capisci? Una vita per una


vita. Usali per andare lontano da qui e lontano da tuo marito. Ti<br />

meriti di meglio. Equo sarà qui quando tornerò. Quando arriva non<br />

mentirgli, digli che io sono venuto qui a cercarlo ieri sera e che ti ho<br />

trovata qui e che tu mi hai detto quello che era successo. Non dirgli<br />

altro. Non penserà mai che mi sono fermato. Ti passerò i soldi<br />

quando lui non starà guardando, non discutere. Prendili.» Piegai la<br />

testa, guardandola con intenzione. «Lo farai, vero?»<br />

Lei mi stava guardando con gli occhi pieni di lacrime. Annuì<br />

lentamente e poi disse con enfasi: «Sì, lo farò e Dio ti benedica».<br />

«Dio potrebbe, ma ne dubito. Tu lo hai fatto. Fammi sapere dove<br />

andrai, per favore. Forse ci rivedremo.» Annuì, con le lacrime agli<br />

occhi. «Bene» dissi, «e adesso, dove eravamo rimasti? Mi piaceva.<br />

Non ho mai conosciuto una cura migliore per l'impotenza.»<br />

Lei mi sorrise allora, lentamente e pigramente, appoggiandosi<br />

alle mie palme e abbassando la mano tra di noi mentre si alzava<br />

sulle punte dei piedi.<br />

«Credo,» sussurrò, prendendomi gentilmente, fermamente, e<br />

guidandomi, «se mi ricordo bene,» fece una pausa, piena di<br />

concentrazione, <strong>del</strong>iziosi movimenti tattili, che cercavano la<br />

posizione, «che eravamo proprio,» piccoli aggiustamenti, che mi<br />

facevano impazzire, «pressappoco» una lunga, bruciante scivolata<br />

«...qui!»<br />

Tornai dopo un'ora con i soldi per la sua fuga, come avevo<br />

promesso e riuscii a darglieli senza che Equo vedesse. L'uomo era<br />

distratto, dopo aver perso la maggior parte <strong>del</strong>la notte a cercare<br />

invano Cuno, il marito <strong>del</strong>inquente. Ma Cuno evidentemente non<br />

era così ubriaco da non ricordare quello che Equo gli aveva<br />

promesso se avesse maltrattato di nuovo Febe. Era svanito per<br />

sempre e non tornò più a Colchester. Immaginammo che fosse<br />

scappato per sfuggire a Equo, ma non potevamo provare niente e<br />

nessuno voleva Perdere tempo prezioso a cercare quell'individuo.


Anche Febe se ne andò dopo una settimana, lasciando una<br />

lettera per suo fratello dove spiegava perché se ne era andata, ma<br />

senza menzionare la sua destinazione e dicendo solo che gli avrebbe<br />

mandato un messaggio per fargli sapere che stava bene una volta<br />

che avesse iniziato una nuova vita. Passò la notte prima <strong>del</strong>la<br />

partenza con me e mi scrisse parecchie volte da Verulamium, dove<br />

si era stabilita. All'inizio Equo era sconvolto per la sua partenza, ma<br />

poi si calmò quando ricevette notizie da lei e seppe che stava bene.<br />

Non sospettò mai <strong>del</strong>la mia complicità nella sua fuga.


IX.<br />

Era una giornata torrida di mezza estate e io ero infelice,<br />

rinchiuso da tutto il giorno nell'oscurità <strong>del</strong>la fucina mentre facevo<br />

un lavoro urgente per un'ordinazione di picche per dei mercenari<br />

germani <strong>del</strong>la guarnigione locale. Era una consegna che aveva<br />

dovuto passare in secondo ordine per altre priorità e adesso<br />

richiedeva un lavoro di emergenza. L'interno <strong>del</strong>la fucina mi<br />

sembrava nero come la pece. <strong>La</strong> verità era che mi sentivo pigro e non<br />

avevo voglia di lavorare in un giorno come quello. Finii di<br />

martellare una testa di picca che si stava raffreddando e la immersi<br />

nella tinozza per la tempera guardando la porta attraverso la nuvola<br />

di vapore e mentre lo facevo vidi Britannico seduto in sella a un<br />

meraviglioso cavallo bianco. <strong>La</strong> sua uniforme di gala era un trionfo<br />

di porpora, bianco e oro. Sbattei in terra tenaglie e martello e corsi<br />

con la velocità che la mia gamba mi permetteva verso la porta, dove<br />

mi fermai in preda a un'improvvisa timidezza.<br />

Mi guardò con sarcasmo, con gli occhi fissi sulla mia barba, la<br />

faccia e le braccia fuligginose e il grembiule di cuoio.<br />

«Per il divino Augusto! Vulcano in persona! Dimmi buon uomo,<br />

sto cercando un amico, probabilmente il tuo padrone, Varro, il<br />

romano. Dove posso trovarlo?»<br />

«Vulcano era zoppo dalla nascita!» dissi. «Io mi sono beccato<br />

questa zoppicatura di recente, mentre perdevo tempo ad aiutare un<br />

collega ingrato.»<br />

<strong>La</strong> sua faccia si distese in un grande sorriso. Poi passò la gamba<br />

sopra il collo <strong>del</strong> cavallo e saltò a terra, con le braccia aperte,<br />

nell'apparente intenzione di buttarmele al collo. Saltai indietro con<br />

orrore. Sarebbe bastato che mi sfiorasse e la fuliggine avrebbe<br />

distrutto la sua uniforme per sempre. Tesi la mano per tenerlo<br />

lontano.


«Per l'amor di Dio, generale, non toccarmi. Non torneresti pulito<br />

mai più!»<br />

Si fermò appena in tempo e rimase fermo a guardarmi dalla<br />

testa ai piedi, mentre continuava a sorridere. «Forse hai ragione,<br />

vecchio mio. Forse hai ragione! Hai un aspetto piuttosto...<br />

fuligginoso. Ma almeno posso stringerti la mano.»<br />

Ci stringemmo il braccio col braccio, secondo l'uso romano,<br />

guardandoci con piacere. Erano passati quasi due anni da quando ci<br />

eravamo separati. Sembrava in ottima forma, anche se ormai doveva<br />

avere quarantini anni. Era slanciato, abbronzato e robusto. Il<br />

mantello scarlatto, la piuma, l'elmo e l'armatura d'oro facevano<br />

sembrare damasco la pregiata lana bianca <strong>del</strong>la tunica militare.<br />

«Cosa ti porta a Colchester, generale? E perché vestito in modo<br />

così formale? Sei una visione per degli occhi stanchi. Hai un ottimo<br />

aspetto!»<br />

«Grazie, Varro, anche tu. Ma Colchester? Credevo di essere a<br />

Camulodunum.»<br />

Gli sorrisi, avevo dimenticato l'arcaica compunzione che gli<br />

faceva chiamare ogni luogo in Britannia con il nome originario<br />

romano invece che con i nomi celtizzati usati dalla popolazione.<br />

«Come va, Varro? <strong>La</strong> vita ti tratta bene? Sei felice?»<br />

«Cos'è la felicità, generale? Ho una bella vita, un posto dove<br />

vivere e un luogo dove lavorare. Sono contento. Cosa può volere di<br />

più un uomo?»<br />

«Come va la gamba?»<br />

«Va bene.» Guardai giù. «Non sarà mai più diritta e d'inverno fa<br />

male, ma cammino, come vedi.»<br />

«Eccellente!» Si guardò intorno. «Non hai una brocca di da<br />

offrire a un assetato?»<br />

«No, ma ho qualcosa di meglio.» Guardai indietro nel buio <strong>del</strong>la


fucina. «Equo! Vieni fuori. Voglio farti conoscere una persona.»<br />

Equo uscì alla luce <strong>del</strong> sole, pulendosi le mani nella tunica. Lo<br />

presentai a Britannico come mio socio e gli chiesi di offrirci un po'<br />

<strong>del</strong>la sua birra fatta in casa. Nel cortile c'era una panca. Mentre ci<br />

accomodavamo Equo andò a prenderci da bere.<br />

«Non hai risposto alla mia domanda, generale. Qual è<br />

l'occasione per tanta raffinatezza?» Indicai la sua uniforme e lui alzò<br />

le spalle in modo spregiativo.<br />

«Sembra che la Britannia sia finalmente in pace. Sono in<br />

cammino per Verulamium insieme a Teodosio. Stanotte mangeremo<br />

con Antonio Cicerone e tutta la guarnigione. Siamo arrivati questa<br />

mattina e abbiamo passato in rassegna le truppe a mezzogiorno.<br />

Arrivo direttamente dopo la cerimonia.»<br />

«Ah, ecco cos'era tutto quel trambusto! Ho sentito le trombe, ma<br />

ero troppo occupato e non ci ho fatto caso. Sapevo che se fosse stato<br />

importante Plauto me l'avrebbe detto fin troppo presto. Resti in città<br />

stanotte?»<br />

«Sì. E parto domattina all'alba. Sono venuto per invitarti a<br />

cenare con me al forte stanotte. Verrai? Conosci molti degli<br />

ufficiali.»<br />

Sbattei gli occhi per la sorpresa. Sarebbe stato un banchetto<br />

ufficiale. Passai mentalmente in rassegna il mio guardaroba in un<br />

secondo. Non avevo niente di adatto a un banchetto.<br />

«Mi dispiace, comandante» risposi. «Mi dispiace, ma non ho<br />

niente di neppure lontanamente adatto per un'occasione di questo<br />

tipo. Non ho più comprato nuovi vestiti, nessuno elegante almeno,<br />

da quando sono venuto qui. Non ne ho bisogno, di solito.»<br />

Scosse la testa. «Non regge. Rimediata troppo in fretta e troppo<br />

debole come scusa. Inaccettabile. Ti farò dare uno dei miei vestiti. Ti<br />

andranno bene e io ne ho troppi per le mie necessità. Faremo il<br />

bagno insieme nel pomeriggio e vedremo se i massaggiatori


<strong>del</strong>l'esercito riusciranno a far uscire la fuliggine dai tuoi pori con<br />

vapore, acqua, oli profumati e forza dei muscoli. Devi puzzare come<br />

un caprone!»<br />

Risi forte. «Comandante, lo sporco è solo un travestimento.<br />

Faccio il bagno di tanto in tanto.»<br />

«Ringrazio Dio per questo!»<br />

Si era tolto l'elmo quando si era seduto e ora sganciò la fibbia <strong>del</strong><br />

mantello militare, lasciandolo cadere; Equo arrivò portando due<br />

enormi caraffe di birra fredda che faceva in casa. Ne tenevamo<br />

sempre una botte, giù nel fresco <strong>del</strong>la cantina, e toglieva la sete come<br />

nessun'altra bevanda. Britannico accettò con un sorriso di<br />

ringraziamento e la portò subito alle labbra. Equo stava in piedi e lo<br />

guardò bere per un momento, poi si girò e ci lasciò.<br />

Dopo qualche minuto Britannico smise di bere e si pulì le labbra<br />

con il braccio, respirando profondamente.<br />

«Questa roba è <strong>del</strong>iziosa, Varro. Equo... Equo? È questo il suo<br />

vero nome?»<br />

«È quello con cui viene chiamato. Non credo che conosca<br />

neppure il suo vero nome. Lo ha dimenticato anni fa.»<br />

«<strong>La</strong> fa lui?»<br />

«Sì, comandante. È molto fiero <strong>del</strong>la sua birra.»<br />

«Ha ragione di esserlo.» Poi bevve ancora. «Quanti schiavi hai<br />

che lavorano per te, Varro?»<br />

Fu il mio turno di scuotere la testa. «Nessuno, comandante,<br />

come sai. <strong>La</strong> schiavitù non è producente.»<br />

Sorrise gentilmente. «Ah, già. Mi ricordo <strong>del</strong>la tua personale<br />

eresia. <strong>La</strong> schiavitù ha costruito l'Impero, Varro.»<br />

«Queste sono sciocchezze, comandante, e lo sai. I liberi coloni e i<br />

cittadini di Roma hanno costruito la Repubblica e la Repubblica è<br />

diventata l'Impero e la schiavitù finirà entrambi.»


Ora stava sogghignando. «Questo è tradimento, Varro;<br />

Valentiniano ti farebbe tagliare la lingua per aver espresso simili<br />

pensieri. Come puoi negare i vantaggi <strong>del</strong>la schiavitù?<br />

«Allo stesso modo in cui l'ho fatto l'ultima volta che hai<br />

sollevato l'argomento. È una questione di comune buon senso.<br />

Quello che mi sembra sorprendente è che un uomo dotato di<br />

cervello possa difenderla.»<br />

Britannico si alzò in piedi e si allontanò per guardare il<br />

cespuglio di altee che cresceva selvatico nell'angolo <strong>del</strong> cortile-.<br />

Parlai alle sue spalle.<br />

«Io so che in linea di principio sei d'accordo con quello che sto<br />

dicendo. Te l'ho sentito dire. Non sono tanto stupido da pensare che<br />

tutti gli schiavi dovrebbero essere liberati o potrebbero esserlo. Ma<br />

penso veramente che privare un uomo <strong>del</strong>la sua umanità sia un<br />

modo di negargli i benefici <strong>del</strong>la vita. Uno schiavo non ha incentivo<br />

a migliorare. È per questo che non ci sono mai stati schiavi nelle<br />

legioni. Torna indietro ai giorni <strong>del</strong>la Repubblica, quando Roma era<br />

forte come non è più stata. Tutte le migliori idee, le decisioni<br />

migliori, i passi avanti più importanti nella conoscenza, nella<br />

strategia, nello spiegamento <strong>del</strong>le truppe, in tutto quello che vuoi,<br />

sono stati sviluppati e messi in pratica da uomini liberi. Nessuno di<br />

essi è venuto da uno schiavo. Non uno. Questo è quello che sto<br />

dicendo. A me non importa che altra gente abbia degli schiavi. Il<br />

mio parere è che un uomo che lavora per me o con me deve<br />

migliorare la propria vita e le proprie condizioni. Faccio in modo che<br />

gli convenga dare il meglio di sé.»<br />

Si era girato verso di me e mi guardava. «Cosa mi dici <strong>del</strong>le<br />

città-stato greche?»<br />

«Cosa vuoi che ti dica, comandante? Ne abbiamo già parlato.<br />

Sono solo una dimostrazione <strong>del</strong> mio assunto.»<br />

«No, Varro. Ad Atene, uno stato di schiavi, la mente umana è<br />

stata portata ai massimi raggiungimenti <strong>del</strong>la storia.»


«È vero, e poi sono morti. Necessariamente. Comandante, come<br />

puoi essere un cristiano e credere che Dio abbia fatto l’uomo a sua<br />

immagine e insieme sostenere che ogni uomo a il diritto di<br />

possedere un altro uomo?»<br />

«Filosofia religiosa? Proveniente da te, Varro?» Stava di nuovo<br />

sorridendo.<br />

«Questa non è filosofia!» Sentii il sangue montarmi alla testa.<br />

«Quella roba è troppo profonda per me! <strong>La</strong> democrazia in Atene era<br />

costruita su una base falsa: solo i cittadini erano autorizzati a<br />

pensare e solo gli schiavi erano autorizzati a lavorare. Gli schiavi<br />

non avevano una vera vita, ma ci si aspettava da loro che<br />

producessero tutto quello di cui i pensatori parassiti avevano<br />

bisogno per vivere. Doveva fallire. In questo modo si alimentano<br />

odio da una parte e pigrizia dall'altra.»<br />

Britannico ritornò verso la panca e sollevò il bicchiere e io vidi in<br />

quel gesto un'illustrazione <strong>del</strong> mio pensiero.<br />

«Da dove pensi che venga la birra che stai bevendo?»<br />

Il suo sopracciglio si inarcò. «Mi hai detto che l'ha fatta Equo.»<br />

«L'ha fatta lui, ma con cosa?» Lessi il divertimento nei suoi<br />

occhi. «Conosciamo un colono, generale, che ci fornisce la materia<br />

prima con cui Equo fa la sua birra. Equo mi fornisce la sua birra,<br />

perché io gli do la fucina per fare i chiodi e gli attrezzi con i quali<br />

paga il colono per le sue piante. Se il colono smette di far crescere le<br />

sue piante o se io privo Equo <strong>del</strong> suo posto di lavoro o se lui smette<br />

di fare i suoi chiodi e i suoi attrezzi, questa catena si romperà. Il<br />

colono andrà altrove con i suoi prodotti ed Equo cercherà un altro<br />

colono per rifornirsi di luppolo. Nel frattempo io non avrò la birra.<br />

Qualcuno ci perde.»<br />

Sorrise e annuì a metà, con un sopracciglio alzato in un gesto che<br />

interpretai come derisione. Ma proseguii.<br />

«Può forse sembrare un esempio forzato, ma non lo è. È


semplice e reale, come la vita. Bisogna che qualcosa venga prodotto<br />

prima che qualcuno lo consumi e io non credo che un uomo abbia il<br />

diritto di vivere se non produce niente. I parassiti sono dannosi.<br />

Eppure la nostra società, il nostro stato romano non ha mai sentito la<br />

necessità di incoraggiare la gente a produrre con buon senso o a<br />

controllare la propria produzione. E questo è tutto quello che<br />

intendo dire sull'argomento. Altrimenti mi arrabbio.»<br />

Sorrise per la mia veemenza. «Basta. Mi dispiace. Adesso fammi<br />

vedere la tua fucina.»<br />

«Ne sarò felice, ma dimmi perché mi hai trascinato in questo<br />

argomento appena sei arrivato? Siamo praticamente allo stesso<br />

punto dove lo avevamo lasciato due anni fa.»<br />

Fece un ghigno. «È esatto. È esattamente al punto di quando ci<br />

siamo lasciati. Ero solamente curioso di vedere se ricordavi ancora i<br />

tuoi magniloquenti argomenti. Anche se non ne ho mai dubitato<br />

seriamente per un solo momento.»<br />

Lo feci entrare e passammo la successiva mezz'ora guardando i<br />

lavori in corso. Britannico fece un sacco di domande intelligenti e io<br />

cercai di fornirgli <strong>del</strong>le risposte intelligenti. Sembrò impressionato<br />

per il modo in cui eravamo organizzati e ne fui soddisfatto. Poi,<br />

dopo essere stato un po' a guardare Equo che stava finendo l'ultima<br />

picca <strong>del</strong>la nostra ordinazione, tirò fuori la spada dal fodero al suo<br />

fianco e me la porse dalla parte <strong>del</strong>l'impugnatura.<br />

«Cosa ne pensi di questa?»<br />

<strong>La</strong> presi e la esaminai. Non era una buona arma, malgrado i<br />

gioielli e l'intarsio <strong>del</strong>l'impugnatura. <strong>La</strong> lama era piatta e mal<br />

bilanciata. <strong>La</strong> sollevai e la soppesai.<br />

«Ebbene?» Chiaramente voleva da me una valutazione e io non<br />

volevo ferire i suoi sentimenti.<br />

«Dove l'hai presa, comandante?»<br />

«Non preoccupartene per il momento. Tu la compreresti?»


Lo guardai diritto negli occhi. «No, comandante, non la<br />

comprerei. <strong>La</strong> lama è mal bilanciata, il metallo non reggerà a lungo il<br />

filo e il codolo sta cominciando a ballare dentro l'impugnatura.»<br />

«Mmm. Non ballava nell'impugnatura quando l'ho comprata un<br />

anno fa. Cosa ha causato questo?»<br />

«Probabilmente è stata fatta da uno schiavo.» Non riuscii ad<br />

evitare quella provocazione.<br />

«Nessun armaiolo che si rispetti permetterebbe che una cosa<br />

così scadente uscisse dalle sue mani. Mi spingerei a dire che<br />

probabilmente è stata comprata a buon mercato da un gioielliere che<br />

le ha dato un aspetto lussuoso e l'ha venduta per il suo valore<br />

decorativo, piuttosto che per la sua utilità.»<br />

Scosse la testa tristemente per la mia sincerità e riprese l'arma,<br />

rimettendola nel fodero ornato. «Hai qualche spada in vendita?»<br />

Scossi la testa. «No. Non avrei mai in vendita una spada da<br />

parata. Quelle cose si fanno su ordinazione. Ho una spada, ma è un<br />

oggetto sperimentale a cui sto lavorando da alcuni mesi. Non è<br />

ancora stata provata.»<br />

«Posso vederla?»<br />

Andai a prendere la spada. <strong>La</strong> guardò con cura e la soppesò,<br />

notando immediatamente l'impugnatura.<br />

«Come l'hai fatta? È di bronzo, vero?» Annuii. «Ma è compatta!<br />

Non ci sono giunture. In che modo?»<br />

«Una tecnica nuova, o meglio, l'adattamento di una tecnica<br />

molto antica. Penso che funzionerà molto bene. L'intera<br />

impugnatura viene colata in un solo pezzo e fissata al codolo di ferro<br />

che vi penetra.»<br />

Fece con la spada dei rapidi fendenti. «Me ne farai una come<br />

questa?»<br />

«Con piacere. Ti darei questa, ma non sono ancora soddisfatto


<strong>del</strong> peso e <strong>del</strong>l'equilibrio. Te ne farò una perfetta. Non di lusso,<br />

comandante, ma tanto vicina quanto mi sarà possibile al peso ideale<br />

per te.»<br />

Appoggiò di piatto la spada sulla panca. «Falla, amico mio, e<br />

dimmi il tuo prezzo.»<br />

Mentre uscivamo di nuovo al sole mi veniva da ridere all'idea di<br />

far pagare Gaio Britannico perché usasse una spada fatta da me.<br />

Il suo cavallo stava brucando l'erba che cresceva tra le pietre <strong>del</strong><br />

cortile. Britannico si fermò con le mani appoggiate al collo<br />

<strong>del</strong>l'animale. «Varro, hai mai sentito parlare dei Bagaudi?»<br />

Pensai per un momento. «Non erano quei ribelli in Gallia che<br />

erano diventati banditi circa cent'anni fa? Avevano creato dei grossi<br />

guai all'amministrazione locale per molto tempo, se non ricordo<br />

male. Perché ne parli?»<br />

Accarezzava gentilmente il muso <strong>del</strong> cavallo. Il grosso animale<br />

bianco nitrì piano e gli appoggiò il muso sulla spalla.<br />

«Hai buona memoria, amico. Sono proprio loro. Io non li<br />

chiamerei banditi, ma nominalmente erano dei ribelli. Sono ancora<br />

attivi e le legioni laggiù non fanno niente. Gente affascinante, Varro.<br />

In pratica hanno retto la Gallia meridionale per quasi cento anni.»<br />

Lo fissai con meraviglia. «Cosa vuol dire reggere?» Si limitò a<br />

stringersi nelle spalle. «Vuol dire che governano la provincia? E che<br />

le legioni li lasciano fare? Perché non li hanno spazzati via?»<br />

Si strinse di nuovo nella spalle. «Codardia, Varro. Semplice<br />

codardia.»<br />

«Da parte di chi? Delle legioni?»<br />

«No. Dell'Impero.»<br />

Aggrottai la fronte. «Comandante, quello che dici non ha<br />

senso.»<br />

«Oh, sì, lo ha, Varro. Ha assolutamente senso.»


«Non per me.»<br />

«Solo perché sei nato e cresciuto qui, Varro, protetto dall'esercito<br />

e dal mare che circonda l'isola. <strong>La</strong> vera burocrazia <strong>del</strong>l'Impero non è<br />

mai riuscita a imporsi in Britannia come si è imposta altrove. Prendi<br />

te stesso come esempio. Sai che né a te, né a tuo nonno, sarebbe mai<br />

stato permesso di vivere e di lavorare nel modo in cui fate se foste<br />

vissuti in un'altra parte <strong>del</strong>l'Impero? Le regole e le restrizioni vi<br />

avrebbero ucciso.»<br />

«Intendi dire le regole <strong>del</strong>le corporazioni? Sì, mi ci sono<br />

scontrato.»<br />

Il suo sopracciglio si alzò di nuovo. «Ti ci sei scontrato? E qual è<br />

stato il risultato?»<br />

«Sono ancora qui e non sono entrato nella corporazione.»<br />

«Buon per te. Avrei dovuto immaginarlo. Ma le regole <strong>del</strong>le<br />

corporazioni non toccano solo i fabbri, sai. Sono ovunque e stanno<br />

soffocando il commercio in tutto l'Impero. <strong>La</strong> Britannia è forse il solo<br />

posto dove c'è sempre stato un modo di aggirare le regole, di restare<br />

liberi, nel senso di un mercante libero di condurre i propri affari<br />

senza interferenze. Ma tu sai tutto questo, vero?»<br />

«In parte. Gran parte. Ma dove vuoi arrivare, comandante?» Ero<br />

confuso.<br />

«A questo, Varro: i Bagaudi in Gallia si sono ribellati cento anni<br />

fa, ma non sono dei banditi. Sono persone semplici e coraggiose che<br />

hanno deciso che non potevano più continuare a vivere sotto le<br />

regole <strong>del</strong>l'Impero.»<br />

Aggrottai la fronte. «Per esempio?»<br />

«Per esempio: immagina tasse paralizzanti, leggi ingiuste e utili<br />

solo a se stesse, inflazione costante, regole restrittive che governano<br />

le loro vite e costante interferenza <strong>del</strong> governo.»<br />

Su questo non avevo niente da dire e lo lasciai continuare. «Se ne


andarono, fuori dall'Impero. Via dalle loro case, dai loro affari, dal<br />

loro impiego. Via dalle tasse e dai doveri e dagli impegni. Se ne<br />

andarono sulle colline e nelle foreste e si rifiutarono di tornare<br />

indietro. Costruirono <strong>del</strong>le capanne e vissero di quello che potevano<br />

coltivare e cacciare da soli.» <strong>La</strong> sua voce era diventata monotona. «È<br />

cominciato come un rigagnolo alla fine <strong>del</strong> III secolo ed è diventato<br />

un torrente. Adesso siamo alla fine <strong>del</strong> IV secolo e il torrente scorre<br />

ancora. Da oltre cento anni ormai questi Bagaudi non pagano tasse,<br />

non ubbidiscono a leggi romane e non risparmiano la vita dei soldati<br />

romani che li braccano. <strong>La</strong> maggior parte di loro vive in comunità in<br />

grandi fattorie e insediamenti. Ogni uomo contribuisce alla vita<br />

<strong>del</strong>la comunità con le sue capacità e abilità. Non usano denaro, ma il<br />

baratto. E tra di loro ci sono medici, magistrati, architetti, avvocati,<br />

amministratori e un gran numero di soldati di professione.»<br />

«È incredibile» dissi. «E l'Impero non fa niente?»<br />

Allargò le mani in un gesto molto celtico. «Cosa può fare<br />

l'Impero? Gli amministratori temono che la storia si diffonda. <strong>La</strong><br />

politica ufficiale è non fare niente che attragga l'attenzione sul<br />

problema. Lo si ignora, nella speranza che finisca da solo. Roma<br />

lascia i Bagaudi in pace, perché fare diversamente provocherebbe un<br />

furore che potrebbe riempire l'Impero di Bagaudi.»<br />

«Come fai a sapere tutto questo?»<br />

Mi sorrise. «Parlo, leggo e faccio un sacco di domande a sacco di<br />

gente. Ti piacerebbe venire a fare il fabbro nella mia comunità di<br />

Bagaudi?» <strong>La</strong> sua domanda così inattesa mi fece ridere forte, ma lui<br />

tagliò corto prima che potessi rispondere. «Non ci sono schiavi,<br />

Varro.»<br />

Era serio, lo vedevo, ma non avevo idea di dove volesse<br />

arrivare. Sapevo che mi si leggeva in faccia la mia incomprensione.<br />

Continuò con un tono di voce più basso. «Pensaci, Varro, sono<br />

molto serio. Saresti una grande risorsa nei miei piani per gli anni a<br />

venire. Ti voglio con me.»


Scossi la testa. «Quali piani, comandante? Io non ho idea di cosa<br />

stai parlando. <strong>La</strong> tua fattoria dov'è? Vicino ad Aquae Sulis? È a cento<br />

miglia da qui. Perché dovrei chiudere il mio lavoro e spostarmi là, se<br />

non per il piacere di esserti più vicino? A quale proposito dovrei<br />

servire? Qui sono conosciuto. Il mio lavoro è qui e va bene. Non sarò<br />

mai ricco, ma finché avrò salute non mi mancherà niente.»<br />

«È la tua decisione finale sull'argomento?»<br />

«No, naturalmente no. Ma vorrei sapere dove vuoi arrivare.»<br />

Il largo sorriso che conoscevo così bene comparve di nuovo. «Un<br />

altro giorno, Varro, mi spiegherò <strong>del</strong> tutto. Nel frattempo dovrei<br />

tornare al forte. Vieni con me adesso?» Guardai alle mie spalle dove<br />

Equo stava ancora lavorando da solo.<br />

«No, comandante, ho ancora alcune cose da fare qui e poi andrò<br />

a casa a cambiarmi e a mettermi qualcosa che mi faccia superare le<br />

guardie al cancello. Ci troviamo ai bagni tra circa due ore.»<br />

«Va bene. Farò preparare dal mio uomo qualcosa di speciale per<br />

te. Come eroe <strong>del</strong>le legioni devi apparire al meglio, anche se con la<br />

faccia che hai...» Mi picchiò sul braccio. «Allora a dopo, amico. È<br />

stato bello rivederti.»<br />

Rimasi in piedi a guardarlo, mentre girava il cavallo e<br />

galoppava fuori dal cortile, un'apparizione di splendore militare in<br />

scarlatto e oro. Un eroe <strong>del</strong>le legioni, mi aveva chiamato. Mi chiesi<br />

cosa avevo fatto per meritarmelo. In effetti mi avevano distrutto una<br />

gamba ed ero sopravvissuto, cosa di per sé inusuale. Forse questo<br />

mi qualificava come giovane eroe. Risi per la mia follia e tornai al<br />

lavoro.


X.<br />

<strong>La</strong> cena di quella sera era un tipico banchetto per ufficiali, molto<br />

maschile, nonostante ci fossero più ragazze di quante ne avessi mai<br />

viste in un solo posto contemporaneamente. Plauto era lì,<br />

ufficialmente per controllare la guardia e ufficiosamente per<br />

adocchiare le ragazze.<br />

Teodosio era presente, ovviamente. Fece finta di sapere chi ero<br />

quando Britannico mi presentò, ma sono sicuro che non si ricordava<br />

affatto di me, né aveva idea di chi o cosa fossi, né la cosa lo<br />

interessava. Non lasciai che le sue cattive maniere turbassero il mio<br />

umore, era sempre stato uno stronzo ed era coerente con il proprio<br />

comportamento in ogni momento.<br />

Non ebbi alcun dubbio invece che il legato Primo Seneca mi<br />

riconoscesse. Ci trovammo faccia a faccia poco dopo essere entrati<br />

nella sala <strong>del</strong> banchetto, prima che io avessi il tempo di abituarmi<br />

alla raffinatezza degli abiti che il servo <strong>del</strong> comandante mi aveva<br />

fornito. Si girò, ignorando completamente Britannico, ma non prima<br />

di avermi squadrato dalla testa ai piedi con il più gelido e velenoso<br />

sguardo che mai avessi ricevuto. Guardai Britannico, con le<br />

sopracciglia alzate interrogativamente, ma lui si limitò a sorridere e<br />

continuò a dirigersi verso il centro <strong>del</strong>la stanza come se noi due<br />

fossimo le sole persone presenti.<br />

Accettammo un bicchiere di vino da un legionario che passava e<br />

ce ne stemmo in silenzio amichevole per qualche momento,<br />

osservando le altre persone nella grande stanza affollata. Un<br />

ufficiale in armatura lucente mi sembrava vagamente familiare, ma<br />

non riuscivo a identificarlo. Evidentemente anche Britannico l'aveva<br />

notato e aveva interpretato giustamente la mia espressione<br />

corrucciata.


«Umnace,» disse, «tribuno nella XLII. Il factotum di Seneca.<br />

Detto “il Sorridente”, perché non sorride mai.»<br />

«Mmm» grugnii. «È un brutto figlio di puttana, vero? Adesso<br />

me lo ricordo. Mi stupisce averci messo tanto.» Guardai Britannico<br />

prima di posare di nuovo gli occhi su Umnace. «Sapevi che<br />

sarebbero stati qui stanotte, generale. Seneca e i suoi uomini?»<br />

«Sì, certo. Perché?»<br />

«Oh, per nessun motivo in particolare.» Mi schiarii la voce. «Le<br />

vostre strade si sono incrociate di recente?»<br />

Sorrise. «Spesso. Sono riuscito a fare diverse cose per bloccarlo<br />

nei suoi piani. Quell'uomo è un ragno, Varro. Un maligno, intrigante<br />

ragno che sta sempre tessendo ragnatele.»<br />

«Cosa intendi dire, comandante?»<br />

«Penso che sia ora che tu la smetta di chiamarmi così. Il mio<br />

nome è Gaio e siamo amici da abbastanza tempo perché tu lo usi.»<br />

Sentii un'ondata di disagio cadere su di me, ma lui continuò a<br />

parlare. «Seneca e la sua famiglia sembrano non avere altro scopo<br />

nella vita che quello di aumentare la loro ricchezza, che, come<br />

certamente saprai, è già favolosa. E non hanno nessun scrupolo nel<br />

farlo. Il mese scorso sono riuscito a usare la mia influenza per far<br />

fallire il suo ultimo piano per ingrassare con l'esercito. Suo cugino,<br />

Quintilio Nesca, ha cercato di farsi nominare quartiermastro<br />

<strong>del</strong>l'esercito, lo conosci?»<br />

«No.» Scossi la testa, sperando che non avrebbe notato che non<br />

riuscivo a chiamarlo per nome.<br />

«Un rospo. Grasso, unto, avido e inumano. Una creatura<br />

disgustosa.» Si interruppe per sorridere a una bella giovane donna<br />

che si era avvicinata a noi, ma rifiutò di assaggiare i dolci sul vassoio<br />

che ci veniva presentato. Avevano un aspetto eccellente e io mi presi<br />

una piccola pera in pasta di mandorle. Quando la ragazza si fu<br />

allontanata, Britannico continuò: «Primo è quasi riuscito a far


vincere il contratto a Nesca. Te lo immagini, questo avrebbe<br />

significato che ogni fornitura sarebbe passata per le sue mani sudate<br />

e l'esercito ne avrebbe sofferto, mentre lui e la sua famiglia<br />

sarebbero diventati sempre più ricchi. Per fortuna l'ho saputo in<br />

tempo e sono riuscito a impedirlo. Da allora il nostro caro Seneca è<br />

molto triste».<br />

Feci un ghigno e guardai Seneca per scoprire il suo sguardo fisso<br />

su di me. Sapeva che stavamo parlando di lui. Da quel momento in<br />

poi ogni volta che incontravo lo sguardo di Seneca i suoi gelidi occhi<br />

erano fissi su di me o su Britannico e ogni volta che io coglievo il suo<br />

sguardo, lo vedevo dirigere gli occhi altrove. Non vi era dubbio che<br />

Primo Seneca aveva esteso a Publio Varro il suo odio per Gaio<br />

Britannico.<br />

<strong>La</strong> serata comunque andava avanti e io mi scordai di Seneca<br />

mentre la festa diventava più rumorosa e più rilassata. C'erano<br />

lottatori e gladiatori e danzatrici provenienti da ogni parte<br />

<strong>del</strong>l'Impero. Il vino era abbondante e il cibo eccellente ed entrambi<br />

lasciarono il segno sui convitati: tutti si rilassarono e si sviluppò<br />

rapidamente un umore conviviale. Mi divertii molto.<br />

Alcuni degli ufficiali più giovani si fecero coinvolgere in gare di<br />

forza con i lottatori e un robusto giovanotto sfidò perfino un<br />

gladiatore al combattimento. Furono portate <strong>del</strong>le spade di legno da<br />

allenamento e i due si misero al centro in uno spazio liberato per<br />

loro. Il giovane ufficiale diede un'ottima prestazione. Non era certo<br />

un incapace con la spada e ci furono dei momenti nei quali sembrò<br />

che il gladiatore professionista dovesse faticare non poco per<br />

proteggersi. Le scommesse aumentarono, mentre le puntate<br />

andavano a vantaggio ora <strong>del</strong>l'uno, ora <strong>del</strong>l'altro contendente di<br />

questo rituale combattimento romano.<br />

Alla fine, però, la professionalità e l'esperienza <strong>del</strong> gladiatore<br />

prevalsero e il giovane ufficiale pareva sempre più stanco. Gli<br />

costava palesemente molto tenere teso il braccio con la spada. Quelli


che avevano puntato contro di lui stavano già contando i loro<br />

guadagni, quando all'improvviso, e, secondo me, in modo molto<br />

brillante, gettò lo scudo e si buttò avanti con una capriola sul<br />

pavimento, cogliendo di sorpresa il gladiatore e togliendogli un<br />

piede da sotto con un calcio rapidissimo. L'uomo cadde a terra e la<br />

spada <strong>del</strong>l'ufficiale fu contro la sua gola in un batter d'occhio. <strong>La</strong><br />

sala sembrò impazzire, mentre vincitori e perdenti urlavano lodi e<br />

imprecazioni all'indirizzo <strong>del</strong> giovane vincitore. Subito iniziarono<br />

discussioni sull'ortodossia <strong>del</strong>la mossa: ovunque c'erano liti, mentre<br />

qualcuno cercava di annullare la propria scommessa per via <strong>del</strong><br />

modo in cui la lotta era terminata.<br />

Nel frattempo il gladiatore guardava con attenzione il suo<br />

vincitore che gli mostrava la mossa con la quale aveva avuto la<br />

meglio su di lui. Era chiaro che era rimasto impressionato da quella<br />

mossa e intendeva tenerla a mente per occasioni future.<br />

Dalla tavola principale risuonò una tromba e il silenzio si<br />

ristabilì istantaneamente nella sala. Teodosio si alzò in piedi, con le<br />

braccia spalancate.<br />

«Amici! Ricordiamo che siamo qui stasera per comportarci con<br />

dignità e cameratismo. Io stesso ho perso una scommessa in questo<br />

frangente e non mi piace perdere, come non piace a nessuno. Ma<br />

l'obiettivo di un conflitto armato, di qualunque conflitto armato, è la<br />

vittoria, la propria sopravvivenza e l'eliminazione <strong>del</strong>l'avversario.<br />

Questo è ciò a cui abbiamo assistito. Perciò dichiaro il tribuno Druso<br />

vincitore e le scommesse vanno in suo favore.»<br />

Un rinnovato coro di saluti e lazzi risuonò, ma durò poco. Da<br />

parte mia fui gradevolmente sorpreso che Teodosio avesse preso<br />

quella decisione e fui costretto ad ammirarlo per questo, dato che<br />

dichiarando non valida la mossa di Druso avrebbe vinto la posta.<br />

Più tardi, quella sera, Britannico mi presentò a tre uomini, due<br />

dei quali ho già dimenticato, come avviene nella maggioranza dei<br />

casi. Non ho più scordato, invece, il nome <strong>del</strong> terzo uomo. È


diventato uno dei miei più cari amici, amici di una vita. Il suo nome<br />

era Alarico ed era - è ancora - un vescovo cristiano.<br />

Non avevo mai sentito il nome Alarico prima di quella sera, ma<br />

oggi che scrivo, quarant'anni più tardi, è tra i nomi più famosi <strong>del</strong><br />

mondo. Un altro Alarico, guerriero e capo <strong>del</strong> popolo dei Visigoti,<br />

minaccia oggi di vincere il duello finale contro Roma e di mettere la<br />

parola satis alla leggenda <strong>del</strong>l'Impero invincibile.<br />

Anche i compagni <strong>del</strong> vescovo Alarico erano vescovi e la loro<br />

triplice presenza fu quella che più di ogni altra cosa impedì a quella<br />

serata di degenerare in un saturnale.<br />

Il vescovo Alarico mi piacque subito. Era vestito con semplicità,<br />

con una veste bianca simile a una toga, e si muoveva come un<br />

soldato. Parlava con tale assoluta semplicità e chiarezza, che mi<br />

sembrava parlasse un'altra lingua: niente retorica, niente<br />

esagerazioni, nessuna frase fiorita. Rifletteva su quello che voleva<br />

dire e poi lo diceva con il minimo spreco di parole. Stranamente<br />

questo faceva sì che lo si ascoltasse con attenzione. E io lo posso dire,<br />

visto che parlammo a lungo. Britannico era stato trascinato via da<br />

qualcun altro dopo le presentazioni, perciò rimanemmo soli.<br />

Dapprima, sapendo che era un uomo di chiesa, pensai che<br />

sarebbe stato difficile fare conversazione, ma niente avrebbe potuto<br />

essere più lontano dalla verità. Lo trovai affascinante. Mi parlò dei<br />

problemi che lui e la sua gente avevano nel portare la parola di<br />

Cristo ai barbari e alla gente comune in Britannia, per la<br />

maggioranza pagani. Da lì si addentrò nell'analisi <strong>del</strong>le ragioni che<br />

stavano dietro il recente aumento di culti pagani e idolatri in<br />

Britannia nel corso degli ultimi trenta o quaranta anni, e <strong>del</strong><br />

disastroso effetto sulla fede dei cristiani che dovevano convivere con<br />

essi. Mi disse onestamente che non c'erano abbastanza preti<br />

disponibili per combattere in modo efficace la rinascita <strong>del</strong><br />

paganesimo.<br />

I contadini sembravano essere la categoria più colpita dal


itorno ai vecchi culti. Gli abitanti di città e cittadine, più sofisticati o<br />

almeno più illuminati, erano molto meno impressionabili e più<br />

ortodossi nella loro aderenza al cristianesimo.<br />

Gli chiesi quale fosse secondo lui la soluzione <strong>del</strong> problema e mi<br />

assicurò che il paganesimo non avrebbe potuto reggere contro la<br />

lenta, paziente istruzione e l'illuminazione offerte dalla Chiesa.<br />

Ascoltando la sua serena fiducia e la convinzione nella sua voce non<br />

avevo difficoltà a credere che avesse ragione.<br />

Gli chiesi se avesse mai avuto dei problemi con i Druidi. Non<br />

erano loro i sacerdoti <strong>del</strong>la vecchia religione? Sembrò divertito dalla<br />

mia domanda e mi disse che aveva grandi speranze per i Druidi.<br />

Erano persone gentili, mi disse, molto lontane dalle loro origini<br />

sanguinarie e brutali. Vivevano ancora nelle zone montagnose <strong>del</strong>la<br />

Britannia, ma erano seguaci <strong>del</strong>la luce, facilmente convertibili agli<br />

insegnamenti <strong>del</strong> mite Cristo.<br />

A questo punto la nostra conversazione scivolò naturalmente<br />

sulle diverse usanze <strong>del</strong>le tribù che aveva incontrato nei primi tempi<br />

<strong>del</strong> suo sacerdozio durante i viaggi in Gallia e gli chiesi subito se<br />

aveva mai avuto dei contatti con i Bagaudi. Dal modo in cui mi<br />

guardò e sorrise, capii che avevo fatto la domanda giusta all'uomo<br />

giusto e per il successivo quarto d'ora mi spiegò perché pensava che<br />

il sistema di fattoria comunitaria prescelto da quei notevoli<br />

individui - così li definì - fosse un sistema destinato a divenire<br />

l'unità rurale <strong>del</strong> futuro. Ovviamente, mentre ne parlava, io vidi<br />

chiaramente che un'unità di quel tipo avrebbe costituito un veicolo<br />

perfetto alla propagazione e alla sopravvivenza <strong>del</strong>la fede cristiana,<br />

ma molte sue idee enfatizzavano e sottolineavano quello che<br />

Britannico aveva detto quello stesso pomeriggio. Fui molto<br />

dispiaciuto quando uno dei suoi compagni vescovi venne a<br />

ricordargli che era ora di andare.<br />

Non appena i tre uomini di chiesa furono usciti e dopo che<br />

Teodosio, Cicerone e gli altri ufficiali anziani si furono ritirati nei


loro acquartieramenti, il decoro <strong>del</strong>la sera cominciò a degradare<br />

rapidamente. Io personalmente sarei stato lieto di fermarmi a<br />

provare le mercanzie di alcune danzatrici di oltraggiosa bellezza,<br />

che sembravano pronte a passare ad affari più seri, ma dovetti andar<br />

via con Britannico che, oltre ad essere un ufficiale anziano e quindi<br />

persona non grata quell'ora <strong>del</strong>la notte, era sempre stato difficile fino<br />

al fanatismo per quanto riguardava le donne. Venne a casa con me<br />

dopo aver lasciato libera la sua scorta, e parlammo per tutta notte.<br />

Fu nel corso di quella conversazione che tirai fuori dal suo astuccio il<br />

pugnale di <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>.<br />

«Cosa pensi di questo?» chiesi, porgendogli l'astuccio. A pari di<br />

me non riuscì subito ad aprirlo. <strong>La</strong>sciai che lo scoprisse da solo e nel<br />

giro di pochi minuti ci riuscì. Quando vide cosa conteneva non disse<br />

parola e non diede segno di emozione. Prese il pugnale dal suo<br />

giaciglio e appoggiò l 'astuccio sul tavolo vicino; per i successivi<br />

minuti non disse nulla. Poi chiese: «L'hai fatto tu, Varro?»<br />

«No. Mio nonno. Ricordi la storia <strong>del</strong>la <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>? » Annuì<br />

senza distogliere gli occhi dal pugnale. «Questo è stato fatto con gli<br />

avanzi <strong>del</strong> metallo di quella <strong>pietra</strong>. L'ha usata com'era. Non voleva<br />

mescolarlo con ferro normale come aveva fatto con la spada fatta per<br />

mio padre. Riuscirebbe a tagliare i peli <strong>del</strong> tuo braccio.»<br />

«Varro» sussurrò. «È di una bellezza incredibile. Basta questo<br />

perché un uomo creda alla magia. Non ho mai visto una lama così<br />

pura, così perfetta. Né un'impugnatura così senza pecca, anche se<br />

impeccabile è una parola che di solitosi riserva alle lame. Questo fa<br />

sembrare volgare la spada di Teodosio.» Lo rimise con reverenza<br />

nell'astuccio, scuotendo la testa con stupore e lasciando il coperchio<br />

aperto in modo da poter continuare ad ammirarlo. «È un'arma<br />

degna di un imperatore.» Mi guardò con un ghigno. «Anche se non<br />

c'è mai stato un imperatore degno di un'arma simile. Cosa rende la<br />

lama così argentea?» <strong>La</strong> sollevò in modo che riflettesse la luce <strong>del</strong>le<br />

lampade.


Lo fissai scuotendo la testa. «Non lo so, generale, ma penso che<br />

ci sia dentro un altro metallo a parte il ferro.»<br />

Mi guardò con attenzione, il suo interesse catturato di colpo.<br />

«Che tipo di metallo è? Cos'è?»<br />

Scossi la testa. «Non lo so, generale. Non ho idea.»<br />

Prese di nuovo il pugnale dall'astuccio tenendolo con la punta<br />

rivolta verso di me, con uno sguardo interrogativo negli occhi.<br />

«Devi pure avere un'idea. Non puoi provare a indovinare?»<br />

Sorrisi, più a me stesso che a lui. «Generale, se avessi un modo<br />

per saperlo sarei un uomo molto ricco.»<br />

«Publio, in nome di tutti i Cesari, non ci sono così tanti metalli?<br />

Dovresti poterne indicare uno.»<br />

Mi strinsi nelle spalle e diedi voce a un pensiero che era rimasto<br />

inespresso fino a quel momento. «Sì, dovrebbe essere semplice e io<br />

sarei d'accordo con te se fossi convinto che non ci siano altri metalli.<br />

Ma non ne sono convinto. Io penso che ci siano centinaia di metalli<br />

che non abbiamo ancora scoperto.»<br />

«Centinaia?»<br />

Esitai. «Beh, forse decine. Conosciamo l'oro e l'argento, il<br />

piombo e lo zinco, il rame, lo stagno e il ferro. Forse pochi altri.»<br />

«E il bronzo e l'ottone?»<br />

Fui sorpreso per l'ingenuità <strong>del</strong>la sua domanda. «Quelle sono<br />

leghe, comandante, unioni dei metalli che ho appena nominati.»<br />

«Oh, sì, certo, è ovvio. Lo sapevo. Non ne puoi citare altri?»<br />

«Non ora. No. E il ferro è quello che abbiamo scoperto più di<br />

recente.»<br />

«Il ferro? Ma lo si conosce da secoli.»<br />

«Sì, è vero. Ma solo ora stiamo imparando a lavorarlo. È il più<br />

duro dei metalli. Almeno di quelli che conosciamo.»


<strong>La</strong> sua faccia si oscurò. «Non sono sicuro di capire quello che<br />

dici, Publio.»<br />

Sorrisi. «Neanch'io, comandante, ma ho una mezza teoria sulla<br />

durezza dei metalli. Quanto più duri sono per natura, tanto più sono<br />

difficili da trovare. Difficili da estrarre, per prima cosa.»<br />

«Estrarre? Come, fondere?»<br />

«È la stessa cosa, poiché estrarre significa ricavare per fusione<br />

dalla roccia greggia.»<br />

«Affascinante! Dimmi di più sul ferro, Publio.»<br />

«Cosa vuoi sapere?»<br />

«Tutto.»<br />

Risi forte, mentre la fiamma <strong>del</strong>la lampada vicina vacillò,<br />

indicando che bisognava aggiungere olio.<br />

Quando ci eravamo seduti era piena. Indicai con un cenno la<br />

fiamma tremolante.<br />

«Un'altra volta. Temo, generale, che sia molto tardi e avrei molto<br />

da raccontare. Non hai detto che parti domani all'alba? Non<br />

dormirai molto stanotte.»<br />

«Non sarebbe una novità. Voglio veramente sapere tutto <strong>del</strong>la<br />

tua teoria sulla durezza dei metalli, <strong>del</strong> ferro in particolare.»<br />

«Va bene, allora» dissi, «come vuoi. Ma prima devo riempire la<br />

lampada.»<br />

Mentre portavo olio per la lampada e vino fresco per noi<br />

analizzavo i miei pensieri e quando mi risedetti sapevo con<br />

chiarezza cosa volevo dire. Indicai con un gesto il pugnale di <strong>pietra</strong><br />

<strong>del</strong> <strong>cielo</strong> che giaceva sul tavolo.<br />

«Supponiamo che il mio postulato sia vero. Qualunque cosa sia<br />

questa - intendo parlare <strong>del</strong> metallo <strong>del</strong>la lama - non è ferro. Bene,<br />

allora diremo che si tratta di qualcos'altro, ma cosa?» Lo fissai, poi<br />

mi chinai a muovere le braci nel braciere. «Capisci quello che voglio


dire?»<br />

Mi fissò e mi rispose: «No».<br />

«Come lo chiamiamo se non è ferro?»<br />

«Mi spiace, Publio, non capisco.»<br />

«Allora ti faccio vedere. Aspetta qui, per favore. Torno subito.»<br />

Tornai qualche minuto dopo, portando una pesante scatola di<br />

legno. Mi guardò senza parlare mentre ne estraevo il contenuto e lo<br />

disponevo sul tavolo al suo fianco: tre lingotti di ferro, più o meno<br />

uguali, lunghi come il mio avambraccio e spessi come un dito, e una<br />

semplice lama di spada.<br />

«Cosa vedi?» gli chiesi ritornando a sedere. «Tre lingotti di ferro<br />

e una lama di spada.»<br />

«Vedi una differenza tra i lingotti?»<br />

«No, sembrano uguali.»<br />

«Giusto. Adesso guarda.» Presi il primo lingotto e lo piegai<br />

facilmente con le mani fino a fargli prendere quasi la forma di un<br />

ferro di cavallo. Lo rimisi sul tavolo, presi il secondo lingotto, lo<br />

piegai, ma non così facilmente e non tanto quanto il primo.<br />

Britannico mi guardava attentamente, senza parlare. Per piegare il<br />

terzo dovetti appoggiarlo sul bordo <strong>del</strong> tavolo e spingere con forza<br />

con entrambe le mani. <strong>La</strong> spada si flette solo un poco e non si piegò.<br />

«Sono tutti di ferro, ma sono tutti diversi. Il primo è quello che<br />

noi chiamiamo ferro dolce. È ferro puro, appena estratto e non<br />

lavorato, morbido, come hai visto, e malleabile. Il secondo è stato<br />

riscaldato e martellato un po' di volte. Il terzo è stato messo a fuoco e<br />

sotto il martello più volte. E la lama <strong>del</strong>la spada è stata riscaldata in<br />

una forgia a carbone di legna, alimentata ad aria, martellata in<br />

forma, poi affilata, riscaldata di nuovo e temperata in acqua mentre<br />

era ancora incandescente. È la più dura di tutti. Questa spada verrà<br />

portata da uno dei soldati <strong>del</strong>la guarnigione quando sarà finita. E


adesso guarda.»<br />

Presi la lama e ne usai la punta per incidere <strong>del</strong>le tacche nei tre<br />

lingotti. Come prima la resistenza variava da lingotto a lingotto. Poi<br />

usai i lingotti per tentare di imprimere un segno nel ferro <strong>del</strong>la<br />

spada. Nessuno di loro riuscì neppure a scalfirla.<br />

«Ora capisci?»<br />

«Penso di sì.» Aveva ancora l'aria dubbiosa. Ripresi in mano la<br />

lama. «Questo metallo, questa lama, sono il ferro più duro che io<br />

riesco a fare, comandante, e non conosco nessuno che riesca a fare di<br />

meglio. In tutto il mondo, per quello che ne so, non troverai <strong>del</strong> ferro<br />

più duro, tranne la spada di Teodosio e questo.» Presi il pugnale di<br />

<strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong> nella destra e con la sinistra appoggiai la lama <strong>del</strong>la<br />

spada tra di noi.<br />

«Tienila con forza e non lasciare che si muova.» Poi mi chinai<br />

sulla lama, puntando il pugno stretto sul pugnale di <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong><br />

contro la spalla, e premetti la punta contro la lama <strong>del</strong>la spada.<br />

Penetrò in profondità, tagliando perfino un ricciolo di ferro. Lo<br />

raddrizzai e ressi la punta <strong>del</strong> pugnale davanti agli occhi di<br />

Britannico perché la ispezionasse.<br />

«Guarda. Nessun danno.»<br />

«Buon Dio!» Prese il coltello e lo guardò, mentre io continuavo a<br />

parlare.<br />

«Questo non è ferro, ma finché non so cosa sia, lo chiamerò<br />

ferro. E questa è la teoria che volevi sentire. Io so che un elevato<br />

calore estrae il ferro dalle rocce che lo contengono. Una volta che<br />

abbiamo ricavato <strong>del</strong> ferro puro, temperature più elevate e<br />

variazioni nel modo in cui applichiamo il calore e trattiamo il<br />

metallo producono <strong>del</strong> ferro più duro. E il ferro è il metallo più duro<br />

che conosciamo. Qualunque altro metallo è più morbido, più facile<br />

da fondere e più facile da lavorare. Penso che la quantità di calore<br />

che possiamo generare e applicare abbia anch'essa a che fare con la


durezza <strong>del</strong> metallo. I fuochi con cui lavoriamo oggi, alimentati con<br />

carbone di legna e scaldati dai mantici sono i più caldi con cui i<br />

fabbri abbiano mai lavorato.»<br />

Presi dalle sue mani il pugnale. «Nonno Varro dovette lavorare<br />

più duramente <strong>del</strong> solito per estrarre questo, qualunque cosa sia. E<br />

io non ho mai visto la <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>. Forse non è neppure la roccia<br />

metallifera che conosciamo. Forse se avessi visto la roccia, sarei in<br />

grado di riconoscerla, chissà. Ma una cosa so. Qui c'è un segreto, in<br />

questo metallo, che aspetta di essere scoperto. Se potessi scoprire il<br />

segreto di ciò che rende questo... ferro - devo continuare a chiamarlo<br />

ferro - così differente, così superiore rispetto al ferro che abbiamo,<br />

allora gli uomini mi chiamerebbero mago vedendo le spade che<br />

produrrei. E lo sarei. In fondo la magia non è altro che il prodotto di<br />

conoscenze che altri non hanno.»<br />

Britannico scuoteva la testa con meraviglia, le spalle basse per lo<br />

scoraggiamento. «Publio,» disse, «credo a ogni parola che hai detto.<br />

Ma dove possiamo trovare un'altra <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong> sulla terra e come<br />

facciamo a riconoscerla?»<br />

Mi alzai e cominciai a ributtare i pezzi di ferro nella scatola.<br />

«Questo è il problema, comandante. Penso di avere tante possibilità<br />

di trovare un'altra <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong> quanto ne ho di trovare moglie<br />

alla mia età.»<br />

Quella notte non avevamo altro da dirci e Britannico mi lasciò<br />

poco dopo, camminando alto e diritto sotto la luce <strong>del</strong>la luna piena,<br />

promettendo di tornare a trovarmi presto. Depresso e scontento<br />

andai a letto, dove intendevo spudoratamente rimanere fino a<br />

mezzogiorno.<br />

Ma non era destino. Mi ero appena messo a letto quando sentii<br />

avvicinarsi un rumore di zoccoli per la strada, un rumore quasi<br />

sovrannaturale nel silenzio <strong>del</strong>la notte. Ancor prima che si fosse<br />

fermato davanti a casa ero fuori dal letto, oppresso dalla sensazione<br />

di un disastro imminente.


Era Plauto, spettinato, scarmigliato e senza uniforme.<br />

«Britannico è ancora qui?»<br />

«No. Perché?» Mi stavo ancora infilando i vestiti, la spada nella<br />

sinistra. L'avevo presa scendendo, per una improvvisa decisione.<br />

«Quando se n'è andato?»<br />

«Circa cinque minuti fa. Cosa succede?»<br />

«Da che parte è andato? Uno dei miei uomini mi ha avvertito.<br />

C'è un complotto. Sapevano che era qui e sono fuori a cercarlo.»<br />

«Dannazione! Da che parte sei venuto?»<br />

«Per la via diretta, ma non l'ho incontrato. Potrebbe aver preso<br />

l'altra strada all'incrocio.»<br />

«Vai a vedere e controlla, Plauto. Io vado dall'altra parte.»<br />

Non ebbi bisogno di chiedere chi erano. Mi maledissi per non<br />

aver notato da che parte Gaio era andato. Qualunque direzione a<br />

destra o a sinistra <strong>del</strong>la mia casa lo avrebbe riportato al forte. Ci<br />

dividemmo: Plauto, a cavallo, andò a sinistra e io, a piedi, a destra.<br />

Avevo sviluppato una tecnica di corsa che mi permetteva di<br />

ottenere il meglio dalla mia gamba malata. Avanzavo con una serie<br />

di balzi, prendendo lo slancio con la gamba buona e usando quella<br />

cattiva solo per atterrarvi sopra. Funzionava bene e mi permetteva<br />

di avanzare in fretta con brevi salti. Ma in quell'occasione lo sforzo e<br />

l'angoscia mi stancarono presto. Prima di aver percorso al massimo<br />

duecento passi, edifici bui mi sovrastavano da ogni parte; quando<br />

girai un angolo un gatto spaventato soffiò e sibilò, scappandomi<br />

davanti e facendomi quasi cadere. Mi fermai ad ascoltare, ma non<br />

riuscivo a sentire nulla tranne il battito <strong>del</strong> mio cuore e il rantolo <strong>del</strong><br />

mio respiro. Mi fermai per la durata di venti battiti, obbligandomi a<br />

calmarmi prima di ricominciare a correre, maledicendo il fatto che<br />

ogni strada <strong>del</strong>la città portasse verso il forte.<br />

Superai un bivio guardando a destra e a sinistra lungo


l'intersezione. <strong>La</strong> pallida luce <strong>del</strong>la luna piena mi permetteva di<br />

vedere che entrambe le strade erano deserte. Avevo quasi percorso<br />

tutta la lunghezza <strong>del</strong>la successiva strada in salita quando qualcuno<br />

tentò di uccidermi.<br />

Il mio modo sbilenco di correre mi salvò. <strong>La</strong> pendenza e la fatica<br />

crescenti mi costringevano a quel punto ad avanzare con una serie<br />

di balzi dondolanti, a tuffo. Mentre mi rannicchiavo prima <strong>del</strong> balzo,<br />

la punta di una lama sibilò vicino alla mia testa, infilandosi nel lobo<br />

<strong>del</strong>l'orecchio destro. Istinto e allenamento ebbero subito il<br />

sopravvento e senza doverci pensare lasciai che la gamba sinistra si<br />

piegasse sotto di me. Rotolando lontano dal mio assalitore,<br />

mantenni lo slancio e brandii la spada. Misi la lama davanti alla<br />

faccia appena in tempo per bloccare un altro colpo che per poco non<br />

mi disarmò. Mi girai sul fianco disperatamente e riuscii a sbilanciare<br />

la figura avvolta in un mantello nero, che mi sovrastava. Lo colpii su<br />

un ginocchio nudo e sentii il filo <strong>del</strong>la spada mordere in profondità,<br />

finendo contro l'osso. Nello stesso attimo compresi che avrebbe<br />

potuto trattarsi di Gaio Britannico che mi trattava come un<br />

potenziale assalitore.<br />

Non era Britannico e lo seppi appena cadde, maledicendomi con<br />

voce acuta nell'agonia. Ci avvinghiammo lì, sul bordo <strong>del</strong>la strada<br />

lastricata. Ero grato ai miei muscoli da fabbro mentre gli<br />

immobilizzavo le braccia e infilavo la punta <strong>del</strong>la spada nella<br />

morbida carne sotto al collo, conficcandola in fretta su verso il<br />

cranio, in modo che morisse di colpo; la sua frenetica vitalità si mutò<br />

in peso morto dopo un secondo di brividi spastici.<br />

Mi rialzai e liberai la spada, tremando come un vecchio<br />

paralitico e lottando per fare entrare aria fresca nei polmoni. Non<br />

c'era nessun altro per strada, solo io e il mio assalitore morto. E poi<br />

sentii il tintinnio <strong>del</strong> ferro e i rumori di una lotta provenire da una<br />

via laterale alla quale stavo passando vicino quando ero stato<br />

attaccato. Ignorai il cadavere steso a terra e corsi in direzione dei


umori, e vidi un capannello di uomini che lottavano in mezzo alla<br />

strada.<br />

Britannico aveva la schiena contro il muro e lottava contro<br />

cinque uomini armati. Urlai buttandomi su di loro e costringendoli a<br />

girarsi per vedere chi fossi. Mentre così facevano, il comandante ne<br />

ferì uno, che cadde in ginocchio e si abbatté in avanti<br />

sull'acciottolato. Allora mi lanciai, picchiando e colpendo con la<br />

spada in una mano e il pugnale nell'altra. Dovevo essere una visione<br />

paurosa, perché il primo avversario si fece prendere dal panico e si<br />

girò per scappare. Saltai su di lui e lo presi per il collo con il braccio<br />

sinistro, tirandolo verso di me e contro la mia lama sguainata. Lo<br />

sentii inarcarsi e morire e lo buttai verso i suoi compagni, liberando<br />

la spada. Mentre cadeva lontano da me, mi sentii afferrare e<br />

spingere e poi, per la seconda volta quella sera nel giro di pochi<br />

minuti, ero di nuovo a terra a tentoni, lottando per la vita con un<br />

nemico sconosciuto grande e grosso. Una spada cadde<br />

rumorosamente al suolo vicino alla mia testa e il mio assalitore, che<br />

mi era sopra e stava per finirmi, si irrigidì e cadde su di me. Sentii<br />

rumore di passi e poi di zoccoli e molte grida e urla e mi accorsi che<br />

non avevo la forza di sollevare il corpo che mi era caduto addosso.<br />

Plauto era arrivato con gli altri e due dei nostri assalitori furono<br />

presi vivi. Britannico mi aiutò a sollevarmi in piedi e io mi appoggiai<br />

al muro esausto, cercando di riprendere fiato nella confusione di<br />

voci intorno a me. Sentii Plauto che diceva: «Erano cinque quei<br />

maiali. Erano determinati ad averti, legato».<br />

Dovetti schiarirmi la voce prima di riuscire a parlare e a dire:<br />

«Erano sei».<br />

«No, cinque. Nessuno ci è sfuggito, Varro. Erano cinque.»<br />

«Sei.» Ripetei, mentre la mia voce si indeboliva e il mio stomaco<br />

diventava più pesante. «Ce n'è un altro qui sopra nella strada. Mi ha<br />

assalito mentre passavo.» Poi mi appoggiai al muro dietro di me e<br />

vomitai.


«<strong>La</strong>rte e Pettore, andate su a vedere. Portate qui il corpo.» Sentii<br />

la mano di Plauto sulla nuca, fredda e forte. «Cristo, Publio! Non ho<br />

mai conosciuto nessuno come te che vomitasse dopo che il bello è<br />

finito. Stai bene? Sei ferito? Non distinguo il sangue. Ce n'è di tuo?»<br />

Riuscii a scuotere la testa, ma ovviamente, come scoprii dopo,<br />

un po' di quel sangue era mio. L'orecchio tagliato sanguinava molto.<br />

Quando tornai in me, i due uomini che Plauto aveva mandato a<br />

recuperare il corpo nella strada soprastante erano ritornati,<br />

trascinando il corpo per i talloni. Un altro soldato aveva trovato un<br />

carretto a mano e gli altri corpi vi furono buttati sopra. Mentre<br />

buttavano i corpi sul carro Plauto esaminava le facce alla luce di una<br />

lanterna. «Bene, bene» disse. «Guardate chi abbiamo qui.»<br />

L'ultimo uomo, quello che era stato portato lì dalla strada<br />

soprastante era “il Sorridente”, il tribuno factotum di Primo Seneca.<br />

Nessuno di noi ne fu sorpreso e nessuno commentò. Gli altri erano<br />

tutti sconosciuti, ovviamente dei balordi da strada, assoldati per<br />

l'occasione. I due prigionieri furono essi al lavoro a spingere il<br />

carretto carico verso il forte, o camminavo tra Plauto e Britannico,<br />

entrambi indenni.<br />

Non è necessario dire che Britannico non lasciò Colchester<br />

all'alba. Fece un rapporto formale <strong>del</strong>l'incidente e denunciò<br />

ufficialmente Seneca come istigatore <strong>del</strong> tentativo di assassinio.<br />

Nessuno, compreso Teodosio, aveva dubbi sulla veridicità <strong>del</strong>le<br />

accuse, ma non si poteva provare niente contro Seneca. <strong>La</strong> sua difesa<br />

fu che il suo subordinato, in uno slancio di male indirizzata lealtà<br />

nei confronti <strong>del</strong> superiore, aveva cercato di vendicare quelli che<br />

considerava come una serie di insulti al suo comandante e aveva<br />

assoldato degli assassini che eseguissero i suoi ordini. Gli assassini<br />

stessi avevano trattato solo con “il Sorridente”. Furono giustiziati<br />

quello stesso giorno, e in assenza di una prova decisiva, Seneca fu<br />

legalmente prosciolto dall'accusa di complicità nel fatto.<br />

Quando Britannico partì, ventiquattr'ore in ritardo sul


programma, l'amore tra i due non era aumentato. Nel frattempo ero<br />

riuscito a farmi bendare l'orecchio e a godere di una buona notte di<br />

sonno.


XI.<br />

<strong>La</strong> madre <strong>del</strong> mio servo morì circa un mese dopo la visita di<br />

Britannico. Quel fatto non aveva un significato per me<br />

personalmente e non me lo ricorderei se non avessi ricevuto una<br />

visita inaspettata la prima notte che passai da solo in casa senza il<br />

servo e sua moglie. <strong>La</strong> gamba mi aveva tormentato di nuovo quel<br />

giorno, anche se meno ferocemente <strong>del</strong>la volta precedente, ma già<br />

con sufficiente cattiveria da spedirmi a casa dalla fucina per tutto il<br />

giorno. Avevo passato il pomeriggio disteso su un divano con la<br />

gamba sostenuta da una pila di cuscini leggendo i rotoli che il nonno<br />

mi aveva lasciato. Il rotolo che trattava <strong>del</strong> nuovo metodo<br />

perfezionato per colare impugnature compatte per spade mi aveva<br />

affascinato, e stavo rileggendolo per la decima volta quando sentii<br />

qualcuno bussare alla porta di casa. Mi alzai dal divano,<br />

constatando con piacere che la gamba andava di nuovo meglio e<br />

andai alla porta, dove rimasi accecato senza riconoscere l'alta figura<br />

che mi stava di fronte, stagliata contro il sole <strong>del</strong> tardo pomeriggio.<br />

«Publio? Mastro Varro? Non mi riconosci?»<br />

Strizzai gli occhi contro il bagliore, piegando la testa da una<br />

parte, e lo riconobbi.<br />

«Vescovo Alarico!»<br />

Lo feci entrare e gli feci strada nella camera che usavo come<br />

soggiorno. «Non ti ho riconosciuto perché eri controluce. Non ti<br />

aspettavo. Siediti, prego.» Si sedette su una <strong>del</strong>ie grandi seggiole<br />

imbottite con braccioli che mio nonno amava. «Bevi un po' di vino<br />

con me?»<br />

«Sì,» disse sorridendo, «con piacere.»<br />

Dopo avergli servito il vino, mi sedetti di fronte a lui,<br />

chiedendomi il motivo <strong>del</strong>la sua visita. Bevemmo in silenzio per


qualche minuto, mentre cercavo qualcosa da dire che non suonasse<br />

troppo stupido e curioso. Mi tolse d'imbarazzo parlando per primo.<br />

«Ho provato molto piacere dal nostro incontro <strong>del</strong> mese scorso,<br />

mastro Varro, e ho pensato a te di tanto in tanto dopo di allora.»<br />

Ero perplesso. «Davvero?» dissi. «E perché? Perché pensare a<br />

me? O ricordarsi di me?»<br />

Sorrise. «Perché no? Pensi di non essere degno di essere<br />

ricordato?» Non reagii e lui continuò. «Mi sono ricordato di te per<br />

prima cosa a causa <strong>del</strong>la tua vocazione e poi per alcuni particolari<br />

che mi ha detto di te Gaio Britannico durante il nostro viaggio a<br />

Verulamium dopo l'attentato alla sua vita. Tu sei un artigiano <strong>del</strong><br />

metallo, mi ha detto. Più di un semplice fabbro.»<br />

Stavo per dire una frase modesta, ma mi ricordai quello che<br />

avevo tanto ammirato in quell'uomo, la sua semplicità nel parlare. E<br />

gli risposi semplicemente: «Sì. È vero. Sono un artigiano <strong>del</strong> ferro».<br />

«Solo <strong>del</strong> ferro?»<br />

«Soprattutto <strong>del</strong> ferro. È il metallo che preferisco tra tutti. A<br />

volte lavoro anche con il bronzo e l'ottone e il rame. Ma preferisco il<br />

ferro. Trovo che ha più...»<br />

«Più cosa?»<br />

«Stavo per dire che ha più carattere, ma penso che sarebbe più<br />

preciso dire che costituisce una sfida.»<br />

«Ti piacciono le sfide?»<br />

«Sì. Non le amano forse tutti?»<br />

Sorrise di nuovo. «No, mastro Varro. Non tutti. Cosa mi dici<br />

<strong>del</strong>l'argento?»<br />

«Argento?» Indicai con disprezzo una piccola anfora. «Un bel<br />

metallo per i gioiellieri. Perché?»<br />

«Hai mai lavorato l'argento?»


«No. Fare l'argentiere è un'arte a sé. È più arte che disciplina, se<br />

capisci cosa intendo dire.» Non disse niente, aspettando<br />

palesemente che continuassi. «L'argento è troppo morbido, troppo<br />

malleabile per attirare un fabbro. Ha una fragilità, una <strong>del</strong>icatezza<br />

che mal si addice al tipo di forza e franchezza che un fabbro usa<br />

nella sua arte. Perché mi chiedi <strong>del</strong>l'argento?»<br />

In risposta infilò una mano tra le pieghe <strong>del</strong>la veste e ne estrasse<br />

un foglio di papiro ripiegato.<br />

«Hai mai visto cose simili prima?»<br />

Presi il foglio e lo aprii; la superficie interna era coperta da<br />

<strong>del</strong>icati intrecci di curve e forme complesse.<br />

«Sono celtici» dissi. «Fatti molto bene. Chi li ha fatti?»<br />

«Li ho fatti io.» Prese il papiro e vidi i suoi occhi seguire i<br />

disegni mentre parlava. «Li ho copiati da varie fonti mentre ero<br />

nell'ovest, sulle montagne.»<br />

«E perché l'hai fatto?»<br />

«Per il piacere che ne ricavo. Questa è arte dei Celti di Britannia.<br />

Io sono un vescovo <strong>del</strong>la Chiesa in Britannia. Ho deciso che mi<br />

piacerebbe avere una semplice croce pettorale in argento, decorata<br />

secondo questo mo<strong>del</strong>lo celtico. Una vanità, forse, ma una vanità<br />

pratica o se non altro meno pretenziosa di questa.»<br />

Infilò di nuovo la mano nella veste e tirò fuori una croce d'oro<br />

coperta di gemme rosse e verdi. Me la porse e la esaminai,<br />

consapevole <strong>del</strong> sorprendente peso e <strong>del</strong>la tecnica di lavorazione.<br />

«È magnifica.»<br />

«È barbarica. Sibaritica. <strong>La</strong> trovo volgare» disse lui.<br />

<strong>La</strong> graffiai con l'unghia, saggiandone la sostanza. «Dove l'hai<br />

presa? Posso chiedere?»<br />

<strong>La</strong> guardò pensosamente. «A Roma, l'ultima volta che ci sono<br />

stato. È orientale, fatta a Costantinopoli.»


«Sì.» Girai l'oggetto. Il verso era coperto da decorazioni<br />

orientali. «Ho già visto questo tipo di lavorazione, ma mai su una<br />

croce.»<br />

«<strong>La</strong> Chiesa sta diventando ricca. È di moda per i vescovi portare<br />

queste cose.»<br />

«Ma tu la trovi volgare.»<br />

«Sì.»<br />

Gliela restituii. «È un regalo?»<br />

«Sì.»<br />

«Perché l'hai accettato se lo trovavi così di cattivo gusto?»<br />

Mi guardò come se avessi perso il cervello. «Per il suo valore,<br />

ovviamente. Ho visto il suo valore. Intendo venderla a Londinium.<br />

Il denaro che ne ricaverò mi aiuterà nella mia opera.»<br />

«L'opera di Dio?»<br />

«È la stessa cosa.» Non c'era traccia di biasimo nella sua voce in<br />

risposta al cinismo <strong>del</strong>la mia. «Capisco. Quando sei stato a Roma?»<br />

«Tre anni fa.»<br />

«Perché non l'hai ancora venduta?»<br />

«Non ne avevo bisogno. Adesso ho bisogno di denaro.»<br />

«Per la tua opera?»<br />

«Per la mia opera.»<br />

Mi schiarii la voce, e decisi che stava dicendo l'assoluta verità.<br />

«Dimmi <strong>del</strong>la croce d'argento che hai in mente. Perché la vuoi?»<br />

Si morsicò le labbra. «Come un emblema. Un simbolo.»<br />

«Di cosa? Scusa se sono così diretto, ma non capisco. Perché hai<br />

bisogno di un simbolo? Di cosa? Della tua fede? Della tua<br />

posizione?»<br />

«Di entrambe, ma anche di altro.» Prese in mano la coppa <strong>del</strong>


vino e ci guardò dentro, poi si alzò in piedi e cominciò a muoversi<br />

per la stanza bevendo un sorso di tanto in tanto.<br />

«<strong>La</strong> Chiesa qui in Britannia, mastro Varro, manca di identità, di<br />

sapore locale se preferisci, che la renderebbe più accettabile alla<br />

gente <strong>del</strong> luogo. <strong>La</strong> croce pettorale è un ottimo simbolo <strong>del</strong> mio<br />

ufficio. Non ho dubbi su questo. È grande, facilmente visibile e<br />

inconfondibile. L'appariscenza di quella d'oro e <strong>del</strong>le altre che ho<br />

visto, però, suggerisce qualcosa di estraneo e una preoccupazione di<br />

ricchezze mondane e di potere che mi offende. Vedi? Parlo di vanità<br />

e sono qui, con la mia vanità, a criticare la vanità degli altri.<br />

Comunque la mia idea è che una semplice croce d'argento, forte e<br />

liscia, ornata solo da disegni celtici, come quelli che ti ho fatto<br />

vedere, servirebbe al doppio proposito di definire la mia funzione al<br />

popolo e di dedicare la loro arte, le loro tradizioni e la loro abilità<br />

alla gloria di Dio. Non trovi che tutto ciò abbia senso?»<br />

Presi di nuovo in mano la croce d'oro che aveva appoggiato sul<br />

bracciolo <strong>del</strong>la seggiola. «Sì, vescovo. Ha senso, suppongo» gli<br />

risposi. «Ma perché d'argento? Perché non semplicemente d'oro? O<br />

perché non di legno?»<br />

«Perché no? Capisco quello che intendi. Diciamo semplicemente<br />

che c'è implicata un po' di vanità. Il legno non mi piace. L'argento sì.<br />

Ha una sua bellezza, una purezza che è unica. È arcaico.»<br />

Alzai la mano, con il palmo in fuori. «Non posso argomentare<br />

contro questo.» Gli restituii la croce e stavolta se la rinfilò nell'abito.<br />

«Ma perché sei venuto da me? Io non sono l'uomo che fa per te. Ci<br />

sono legioni di argentieri a Londinium e ognuno di loro potrebbe<br />

farlo anche dormendo.»<br />

«No, Varro. Qui ti sbagli.» Appoggiò la coppa vuota sul tavolo.<br />

«Non ti porterò via altro tempo, ma lascia che ti dica ancora questo<br />

prima di partire. Forse tu non hai mai lavorato con l'argento e forse<br />

non ti interessa molto per la sua fragilità, come dici, ma tu sei un<br />

uomo che rispetta l'integrità, sia che essa si trovi in un uomo che in


un metallo. Ho chiesto di te a molta gente. E inoltre tu sei per tua<br />

propria ammissione un uomo che ama le sfide. Io sono in viaggio<br />

per Londinium. Mentre sarò lì cambierò questa bazzecola d'oro in<br />

denaro. Se vuoi, per favore, pensa a che cosa significherebbe fare<br />

questa croce per me, rispettando l'integrità <strong>del</strong> metallo, il disegno<br />

<strong>del</strong>la croce stessa e la decorazione che dovresti aggiungerci.<br />

Considera anche la sfida <strong>del</strong>l'argento. Ritornerò entro un mese. Se<br />

per allora mi dirai che non accetti questa commissione, rispetterò la<br />

tua decisione. Ti sembra giusto?»<br />

Mi strinsi nelle spalle, sconcertato. «Sì, suppongo di sì. Ci<br />

penserò. Ma non faccio promesse.»<br />

«Non ne voglio. Adesso devo andare.» Si mosse per alzarsi e,<br />

d'impulso, lo fermai. Aspettò, guardandomi in silenzio, mentre<br />

lottavo con le domande che mi erano venute, spontanee, sulla punta<br />

<strong>del</strong>la lingua. Dopo qualche secondo, trovai le parole per esprimerle.<br />

O, per essere più preciso, trovai una domanda meno importante che<br />

mi avrebbe permesso di manovrare verso la domanda che mi<br />

angustiava.<br />

«Per favore,» dissi, «se hai ancora qualche minuto, vorrei<br />

chiederti qualcosa che riguarda il tribuno, il comandante<br />

Britannico.»<br />

Si risedette appoggiandosi allo schienale e incrociò le mani sullo<br />

stomaco. «Cosa vorresti sapere, mastro Varro?»<br />

«Niente che possa metterci in imbarazzo, vescovo, ma mi<br />

servirebbe un'illuminazione su una cosa che mi ha sempre lasciato<br />

perplesso. Conosci da molto tempo il tribuno?»<br />

Fece segno di sì. «Da tutta la vita. <strong>La</strong> mia famiglia e la sua sono<br />

amiche e lo sono da anni.»<br />

«Lo pensavo. Sei romano di nascita?»<br />

«No. Sono nato qui in Britannia, come Gaio.»<br />

«Cosa mi puoi dire sull'inimicizia tra lui e Primo Seneca? So che


è profonda e aspra, ma non sono mai stato in grado di scoprirne la<br />

causa.»<br />

«L'hai chiesto a Gaio?»<br />

«Al comandante Britannico? No. Non gliel'ho chiesto. Non<br />

penso che i nostri rapporti me lo permettano.»<br />

Alarico sorrise. «In questo penso che tu abbia torto, mastro<br />

Varro, ma apprezzo i motivi per cui la pensi così. Tu considereresti<br />

la domanda come impertinente, ma Gaio Britannico non sarebbe<br />

d'accordo. Lui ti considera un amico, non un subordinato. Penso che<br />

ti racconterebbe volentieri la storia lui stesso se glielo chiedessi.»<br />

Ci pensai per un secondo e poi risposi: «Non potrei farlo».<br />

Alarico sorrise. «Come preferisci. <strong>La</strong> loro è una faida di sangue,<br />

una faida familiare le cui origini sono state dimenticate, mentre la<br />

sua violenza resta e sembra aumentare.»<br />

«Tutti i Seneca odiano tutti i Britannici? È questo che vuoi dire?»<br />

«Più o meno.» Aveva la fronte aggrottata e rifletteva. «Gaio<br />

Britannico è quasi l'ultimo <strong>del</strong>la sua linea. Ha una sorella, Luceia, e<br />

un figlio, Pico, di cui è molto fiero e tre altri figli piccoli. Non ci sono<br />

altri membri <strong>del</strong>la famiglia Britannico in vita, neppure cugini con lo<br />

stesso nome. I Seneca da parte loro sono una banda molto prolifica.<br />

Primo è il primo di sette fratelli, tutti soldati, tranne il minore che è<br />

un buono a nulla. <strong>La</strong> famiglia è favolosamente ricca, capisci, e lo è<br />

sempre stata dai giorni di Giulio Cesare, quando Seneca il Vecchio, il<br />

banchiere, era considerato l'uomo più ricco <strong>del</strong> mondo.» Annuii, per<br />

indicare che conoscevo la leggenda di Seneca.<br />

«Come ho detto,» continuò Alarico, «nessuno sa quando questa<br />

guerra tra le famiglie sia cominciata, ma è cresciuta come un'erba<br />

grama e ha fatto appassire entrambe le famiglie, in particolare quella<br />

di Britannico. Gaio aveva un fratello maggiore, Giacomo, che è stato<br />

assassinato insieme ai suoi genitori quasi vent'anni fa a Roma. Le<br />

circostanze nelle quali si è svolto il crimine indicavano Primo Seneca


come l'istigatore, anche se niente è stato provato. Del caso si è<br />

occupato il Senato, ma la legge non ha potuto fare niente. Gaio la<br />

pensò diversamente, però. A quell'epoca era un uomo molto<br />

giovane, con la testa più calda <strong>del</strong> dovuto e desideroso di vendetta.<br />

Sfidò Primo Seneca accusandolo pubblicamente <strong>del</strong> <strong>del</strong>itto e<br />

combatterono, ognuno dei due usando dei mercenari assoldati alla<br />

propria causa. <strong>La</strong> faccenda provocò uno scandalo. Nelle strade c'era<br />

uno stato di guerra tra gli aderenti a entrambe le famiglie e vi furono<br />

molti morti. <strong>La</strong> simpatia pubblica era per il giovane Gaio, ma non<br />

c'erano prove <strong>del</strong>la colpevolezza di Primo, perciò le autorità<br />

intervennero e misero fine alla lotta trasferendo i due uomini -<br />

entrambi soldati, ricordi -agli angoli opposti <strong>del</strong>l'Impero. <strong>La</strong><br />

famiglia Seneca continuò a vivere a Roma e a Costantinopoli, mentre<br />

Luceia, la sorella minore di Gaio, fu mandata a vivere nella tenuta di<br />

famiglia qui in Britannia dove si trova ancor oggi.»<br />

«Il comandante è ricco?»<br />

«Molto. Ovviamente non hai mai visto la sua villa nell'est?»<br />

«No.» Scossi la testa. «Ma credo che gli farebbe piacere che ci<br />

andassi e vivessi come uno dei suoi Bagaudi.»<br />

«Ah, sì, la Colonia. Credo proprio che voglia fondarla, sai. Lo<br />

spero proprio.»<br />

«Perché, se posso chiedere?»<br />

Sorrise. «Perché non dovrei? Gaio è un uomo che ha bisogno di<br />

tenersi occupato. <strong>La</strong> sua mente è capace di grandezza. Sai che ha<br />

previsto la fine <strong>del</strong>l'Impero nel prossimo futuro?»<br />

Ero stupefatto. «Di cosa stai parlando?» <strong>La</strong> sorpresa era<br />

palpabile nella mia voce.<br />

«Proprio quello che ho detto. Gaio crede che l'Impero, come noi<br />

lo conosciamo, sia condannato.»<br />

«Roma condannata? Da che cosa?»


«Dai suoi propri eccessi.»<br />

«Ma non ha senso! È impossibile. È... un pensiero osceno!»<br />

«Lo è? Davvero? Ne dubito. Nostro Signore ha detto che sarebbe<br />

ritornato dopo un periodo di tempo per il giudizio finale e che<br />

quando l'avrebbe fatto sarebbe stata la fine <strong>del</strong> mondo. Egli è morto<br />

per redimere le anime degli uomini. Per dare all'umanità<br />

un'opportunità di crescere nello spirito e di mettere da parte le cose<br />

<strong>del</strong>la terra. A me sembra che l'Impero sia una cosa terrestre. C'è ben<br />

poco di celeste in esso.»<br />

Rimasi a sedere, confuso, con la testa china. «Devi perdonarmi»<br />

dissi. «Siamo arrivati troppo lontano e troppo in fretta in questa<br />

conversazione. È al di là <strong>del</strong>la mia comprensione. Abbiamo<br />

cominciato parlando <strong>del</strong> comandante e dei suoi nemici e di colpo<br />

stiamo parlando di metafisica e <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong>l'Impero. Non sono<br />

qualificato per parlare di queste cose.»<br />

Mi sorrise. «Sono io che dovrei chiedere il tuo perdono, mastro<br />

Varro. Tu mi hai chiesto solo <strong>del</strong>la faida. Le mie convinzioni<br />

personali sono un'altra cosa. Ma lascia che ti riassuma il mio<br />

pensiero su Gaio Britannico e sui Seneca in un modo che non mi<br />

porterà molto lontano da quello che ho appena detto e che insieme<br />

mi permetterà di essere più chiaro con te. Io so che tu non dubiti<br />

<strong>del</strong>la coesistenza <strong>del</strong> Bene e <strong>del</strong> Male e nessuno può dubitare <strong>del</strong>la<br />

forza <strong>del</strong>l'Impero, quanto meno in apparenza. Nella mia mente,<br />

mastro Varro, Gaio Britannico e uomini come lui rappresentano<br />

tutto quello che c'è di buono nel sistema romano: onore, onestà,<br />

integrità, probità e rispetto per la legge e l'ordine, sia spirituale che<br />

temporale sono il loro motto. L'altra faccia <strong>del</strong>la medaglia è<br />

rappresentata da eccessi, venalità, corruzione e il disprezzo per<br />

l'umanità e la divinità che caratterizza i peggiori elementi e,<br />

purtroppo, gli elementi più potenti <strong>del</strong>l'Impero oggi. Bianco e nero.<br />

Giusto e sbagliato. Giorno e notte. Britannico e Seneca. Non voglio<br />

aggiungere altro, perché adesso devo andare. Grazie per la tua


ospitalità e ci parleremo di nuovo tra un mese quando ritornerò da<br />

Londinium.»<br />

I miei pensieri quella notte fluttuarono in due diverse direzioni:<br />

da una parte il foglio di papiro che Alarico, partendo, aveva lasciato<br />

sul mio tavolo, dall'altra lo scenario spaventoso e apparentemente<br />

impossibile a cui aveva fatto riferimento e sul quale sembrava che<br />

anche il comandante Britannico fosse d'accordo. <strong>La</strong> fine di Roma. <strong>La</strong><br />

fine <strong>del</strong>l'Impero. Le pergamene <strong>del</strong> nonno furono messe da parte e<br />

dimenticate per il tempo che seguì.<br />

<strong>La</strong> mia mente non riusciva ad afferrare tutte le terrificanti<br />

implicazioni di quel nuovo pensiero. Nessun uomo riesce a<br />

visualizzare la fine <strong>del</strong> mondo in termini personali e Roma era il<br />

mondo. Gli stati barbarici al di fuori <strong>del</strong>le frontiere <strong>del</strong>l'Impero<br />

erano l'Ultima Thule, al di là <strong>del</strong>l'inimmaginabile. Cercai di ignorare<br />

quel pensiero terrificante, senza molto successo e senza fare nessun<br />

progresso nel cercare di ottenere una prospettiva razionale su come<br />

le nostre vite qui in Britannia sarebbero state colpite dalla fine di<br />

Roma. Alla fine ingannai me stesso accettando l'impossibilità <strong>del</strong>la<br />

premessa e accettando la tesi che questa era una semplice<br />

eccentricità da parte di Gaio Britannico. Ogni persona, decisi, ha<br />

diritto a una sua personale follia.<br />

Dopo una settimana mi ritrovai a comprare <strong>del</strong>l'argento per<br />

familiarizzarmi con le caratteristiche di quel metallo.<br />

Dopo il ritorno di Alarico - un mese dopo come aveva promesso<br />

- mi ritrovai a passare ore senza fine a studiare le proporzioni e l'arte<br />

celtica.<br />

Dopo quel periodo non mi liberai più dall'impulso di fabbricare<br />

croci d'argento di tutte le forme e le dimensioni.<br />

Una sera, circa un mese dopo il ritorno di Alarico da<br />

Londinium, mentre stavo lavorando al disegno <strong>del</strong>la prima croce<br />

pettorale che dovevo fare per lui, il mio servo venne ad annunciarmi<br />

che c'era un soldato alla porta che voleva parlarmi, e lo pregai di


farlo entrare.<br />

Vidi immediatamente dai suoi distintivi che il visitatore era un<br />

aiutante <strong>del</strong> comandante militare Antonio Cicerone. Si mise<br />

sull'attenti.<br />

«Centurione Publio Varro?» Annuii. Il suo saluto era preciso e<br />

perfetto. «Il legato Cicerone ti manda i suoi saluti, signore. Questo<br />

papiro gli è stato consegnato oggi per corriere militare con la<br />

richiesta di fartelo avere.»<br />

Lo ringraziai e presi il rotolo che mi porgeva, notando subito il<br />

peso. Quando il soldato andò via vidi che era già buio. Accesi molte<br />

lampade contro l'incombente oscurità e poi decisi di fare un salto in<br />

cucina finché c'era ancora abbastanza luce. Riempii un vassoio con<br />

pane, carne fredda e cipolle sottaceto, mi versai un boccale <strong>del</strong>la<br />

birra di Equo e tornai ad esaminare il pesante rotolo. Era chiuso con<br />

il sigillo di Britannico. Sorpreso, perché non avevo mai ricevuto da<br />

lui in precedenza una comunicazione di quel genere aprii il sigillo<br />

<strong>del</strong>icatamente con l'unghia, facendo attenzione a non rompere la<br />

ceralacca e srotolai il messaggio. Rimasi ancora più sorpreso nello<br />

scoprire che la pesante pergamena era solo l'involucro di quattro<br />

fogli di sottile papiro coperti con la caratteristica scrittura minuta di<br />

Britannico. Dimenticando per un momento cibo e bevande tirai più<br />

vicina una lampada e cominciai a leggere.<br />

Gaio Britannico<br />

a<br />

Publio Varro<br />

Salute. Questo scritto è destinato solo a te.<br />

Negli ultimi tempi ho ricordato la storia <strong>del</strong>la spada che tuo nonno ha<br />

fatto per tuo padre, che è morto lontano senza averla mai vista. Spero che<br />

farne una per me ora non sia troppo di cattivo auspicio.


Mi sorprende sempre sapere che gli affari <strong>del</strong>l'Impero procedono senza<br />

rapporto con i nostri affari privati qui in Britannia e che i poteri che<br />

comandano i destini degli uomini e dei popoli rimangono coscienti<br />

<strong>del</strong>l'esistenza dei piccoli funzionari <strong>del</strong>le province. Ho ricevuto l'incarico<br />

dal Senato e dal Popolo di Roma di recarmi immediatamente a Roma e da lì a<br />

Costantinopoli, dove mi verrà assegnato il proconsolato <strong>del</strong>la Numidia<br />

dall'imperatore Valentiniano in persona. E dove mi verranno forniti i mezzi<br />

e l'autorità per eseguire tutte le funzioni consolari adatte all'interno <strong>del</strong>la<br />

provincia di Numidia nel giusto stile e modo.<br />

Tale incarico, che è in genere considerato come il culmine <strong>del</strong>la carriera<br />

militare, è ovviamente un grande onore e io sospetto che Teodosio abbia a che<br />

fare con il suo conferimento. Se mi fosse successo cinque anni fa, ne sarei<br />

stato felice. Ora però lo vedo più come una benedizione mista, un insieme di<br />

doveri fastidiosi e di doverosi fastidi. Tu, comunque, e mia moglie siete le<br />

sole persone alle quali potrei mai confidare simili pensieri.<br />

Altri cinque anni sotto il sole <strong>del</strong>l'Africa! <strong>La</strong> prospettiva non mi attrae.<br />

Altri cinque anni a trattare con i litigiosi e ribelli indigeni mi attirano<br />

ancora di meno, considerando che l'odio e il disonore ricadranno su di me se<br />

le cose non dovessero andare bene durante il periodo <strong>del</strong> mio incarico. E<br />

quando mai le cose sono andate bene per cinque anni di fila in Africa? Solo<br />

Scipione è riuscito a uscire da quel paese con una vera gloria e l'esercito<br />

consolare che ha conquistato con lui il nome di “Africano” era costituito da<br />

quattro vere legioni! I miei soldati saranno coscritti e mercenari.<br />

Questo è comunque il lato negativo. L'altro lato <strong>del</strong>la medaglia è<br />

differente. Alla fine <strong>del</strong> periodo di servizio sarò libero di abbandonare<br />

l'esercito, avendo completato l'intero corso degli onori militari e civili e<br />

ritirarmi nella provincia di mia scelta - in altre parole di ritornare a casa -<br />

con tutti gli stipendi relativi al rango consolare e senatorio. Questo<br />

significa, caro amico, che all'età di cinquantanni sarò un proprietario<br />

terriero in pensione e sarò abbastanza ricco da realizzare i miei sogni.<br />

Ricorda la mia richiesta!<br />

Un altro vantaggio - mi dicono - <strong>del</strong>la posizione di proconsole è che


posso portarmi appresso la famiglia e tenerla con me tra gli agi e la<br />

ricchezza. Io continuo a non essere convinto <strong>del</strong>la saggezza <strong>del</strong>la cosa, ma<br />

Eraclita è irremovibile. È stanca di rimanere indietro, vittima rassegnata<br />

<strong>del</strong>la vita militare e pensa che farà bene a mio figlio Pico vedere Roma,<br />

l'Africa e la corte imperiale di Bisanzio (Costantinopoli è un nome troppo<br />

nuovo per una città così antica!), lo tendo a consentire ai suoi desideri in<br />

questo, anche se una voce dentro di me mi dice che ho ragione io.<br />

Se tu dovessi avere dei motivi per andare a ovest mentre noi non ci<br />

siamo, sei il benvenuto nella mia villa, vicino ad Aquae Sulis. In nostra<br />

assenza sarà amministrata da mio cognato, Quinto Varo. Troverai in lui un<br />

gradevole e utile amico, se ne avessi bisogno. È proprietario <strong>del</strong>la villa vicino<br />

alla mia e le nostre terre sono contigue. Gli ho parlato di te. Ti farà sentire il<br />

benvenuto, come anche mia sorella, Luceia, che era sposata con il fratello di<br />

sua moglie.<br />

Ho scritto queste righe memore <strong>del</strong>la mia promessa di venire presto a<br />

farti visita. Ahimè! Dovrà passare molto tempo prima che si verifichi quello<br />

che avevamo previsto. Tienimi in serbo la mia nuova spada e trovami una<br />

<strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong> mentre sono via.<br />

Il tuo amico per sempre<br />

Britannico<br />

Proconsole di Numidia! Ero onorato per lui e allo stesso tempo<br />

preoccupato per la sua accurata diagnosi dei problemi che avrebbe<br />

dovuto affrontare. Rilessi molte volte la lettera, pensando che cinque<br />

anni senza vederlo sarebbero stati un periodo lungo e solitario. Lui e<br />

io eravamo stati buoni compagni per un periodo molto più lungo e<br />

due anni erano stati il solo periodo nel quale eravamo stati divisi.<br />

Cinque anni! Il mio naturale orgoglio e piacere per l'onore che<br />

veniva fatto al mio amico lasciarono il posto allo scoraggiamento e<br />

mi ritrovai a guardare sospirando i rotoli <strong>del</strong> vescovo Alarico.<br />

Cominciai a mangiare il cibo che avevo preparato, ma sapeva di<br />

segatura e anche la birra di Equo non aveva sapore. Depresso, mi


uttai sulle spalle il mantello e uscii per andare a cercare Plauto e<br />

annegare il mio lutto in una taverna insieme a lui.


XII.<br />

Negli anni che seguirono la campagna di Teodosio contro gli<br />

invasori ci fu in Britannia uno spirito di rinascita, di rinnovato<br />

ottimismo ed Equo e io ne approfittammo. I nostri affari crebbero in<br />

fretta; fummo costretti a ingrandire più <strong>del</strong> doppio i nostri locali e<br />

ad assumere nuovi lavoranti in pianta stabile. Verso la fine <strong>del</strong><br />

quinto anno di attività avevamo quattro apprendisti, uno dei quali<br />

era <strong>La</strong>nnio, il figlio di Equo, e sei fabbri oltre a noi. Equo aveva<br />

rivelato un'attitudine naturale per mandare avanti i nostri affari,<br />

mantenendo un ritmo di produzione severo, ma flessibile e tenendo<br />

l'amministrazione giornaliera. <strong>La</strong> mia principale funzione ormai era<br />

quella di procurare i contratti per le nuove forniture e mantenere<br />

relazioni cordiali con i clienti già presenti, il maggiore dei quali era<br />

l'esercito di occupazione. <strong>La</strong> vita era stata buona con noi.<br />

<strong>La</strong> mia amicizia con Alarico, vescovo di Verulamium, si era<br />

approfondita nel corso degli anni, di modo che ero ormai giunto a<br />

considerarlo come Equo e Plauto, quasi un fratello. Raramente<br />

pensavo a lui come a un uomo di Dio, tranne quando il lavoro che<br />

facevo per lui mi ricordava la sua vocazione. <strong>La</strong> prima croce che<br />

avevo fabbricato era esattamente come la voleva e nel farla mi ero<br />

innamorato <strong>del</strong>l'argento, traendo grande piacere nel lavorarlo per la<br />

sua duttilità, la sua Purezza, la sua struttura e la sua lucente<br />

ricchezza. Era un amore che non mi distraeva dall'amore per il ferro,<br />

ma piuttosto lo rifletteva, perché solo nella lucentezza <strong>del</strong>l'argento<br />

nuovo potevo trovare una somiglianza con la lucentezza <strong>del</strong> mio<br />

pugnale di <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>.<br />

Plauto, rivelando la vera natura che stava sotto al personaggio<br />

pubblico, apparentemente dotato di una lingua abrasiva e rude,<br />

traeva un grande piacere dai miei lavori in argento e credeva senza<br />

riserve alla storia <strong>del</strong>la <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>. Anch'egli mi chiese se fosse


possibile che nei dintorni ci fossero altre pietre cadute dal <strong>cielo</strong> e<br />

ricevette la stessa risposta data a Britannico. Senza farsi scoraggiare<br />

Plauto affrontò in modo pragmatico la questione. Senza dare<br />

spiegazioni ordinò alle pattuglie di fare domande ovunque<br />

andassero su strani rumori, esplosioni, pietre cadenti e cose simili, e<br />

se erano cadute di giorno o di notte. In risposta ci vennero fatti<br />

alcuni rapporti da posti lontani che in due occasioni portarono me e<br />

Plauto ad andare a controllare, nella speranza di trovare un'altra<br />

<strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>. In un posto trovammo una grande quercia, morta da<br />

molto tempo, abbattuta da qualche cataclisma avvenuto in passato e<br />

nell'altro nient'altro che una grande pila di rocce frastagliate che<br />

erano crollate da una parete e avevano cancellato una valle che vi<br />

giaceva sotto. L'ordine di Plauto rimase comunque attuale e le<br />

inchieste continuarono, cosa di cui gli ero grato.<br />

In un caldo pomeriggio, nella primavera <strong>del</strong> mio sesto anno a<br />

Colchester, ero seduto da solo nel retro <strong>del</strong>la mia casa ed esaminavo<br />

l'ultima di una serie di croci fatte per Alarico, mentre aspettavo che<br />

Equo e Plauto arrivassero per cena. Le mie croci diventavano<br />

sempre più artistiche e questa era certamente unica. Ma non ero<br />

proprio sicuro che mi piacesse, adesso che era finita.<br />

L'anno precedente mi era venuta la fantasia di combinare la<br />

croce su cui Cristo era morto con un altro simbolo <strong>del</strong>la sua<br />

degradazione, la corona di spine messagli in capo dagli aguzzini<br />

romani. Il risultato era stato un oggetto bello ma non pratico, perché<br />

le punte <strong>del</strong>le realistiche spine si impigliavano così spesso e<br />

malamente nelle vesti di chi la indossava che l'oggetto non era<br />

assolutamente portabile. Era decorativa, ma inutile, perciò la feci<br />

fondere di nuovo per riutilizzare l'argento. Adesso, mesi più tardi,<br />

stavo guardando il pezzo che le era succeduto. Questa volta avevo<br />

rappresentato la corona come un ampio e piatto cerchio di argento,<br />

tagliato in quadranti dai quattro bracci <strong>del</strong>la croce e all'interno <strong>del</strong><br />

cerchio avevo inciso una rappresentazione grafica <strong>del</strong>le spine<br />

intrecciate, adattando il disegno <strong>del</strong> roveto stilizzato così comune


nell'arte celtica. Per bilanciare la centralità <strong>del</strong> cerchio avevo<br />

aggiunto ai bracci <strong>del</strong>la croce dei prolungamenti a forma di cuneo.<br />

L'effetto era differente da ogni altra cosa che avessi mai visto, ma<br />

essendo io il suo creatore potevo solo sperare che piacesse ad<br />

Alarico. Ero disposto a lasciare che il mio giudizio attendesse il suo.<br />

Mentre me ne stavo seduto lì a guardare, senza che me ne<br />

accorgessi il <strong>cielo</strong> coperto di nuvole si aprì di colpo in uno scroscio<br />

torrenziale. Corsi verso la porta e mi fermai sotto l'arco per vedere<br />

l'effetto <strong>del</strong>la forte pioggia sulle piante che crescevano in giardino. Il<br />

suo peso era così grande che i giovani fiori appena spuntati si<br />

abbatterono sotto di essa, schiacciati al suolo. Rimasi lì finché la sua<br />

forza calò e poi rimasi ancora a fissare qualcosa che avevo già visto<br />

in precedenza, qualcosa di anomalo che mi aveva in qualche modo<br />

turbato per tutto il tempo che avevo trascorso in quella casa dopo il<br />

mio ritorno, ma a cui non avevo fatto veramente attenzione. Erano<br />

un paio di picche militari che mio nonno aveva inchiodato in<br />

diagonale per decorare le mura opposte <strong>del</strong> giardino. Guardandole<br />

di nuovo adesso, con le loro teste arrugginite che ruscellavano di<br />

acqua piovana, ebbi come un lampo di comprensione. Erano molto<br />

vecchie e arrugginite, almeno le teste erano molto vecchie. Le aste in<br />

confronto erano nuove. In base alla logica quelle picche avrebbero<br />

dovuto essere insieme a tutte le altre armi nella collezione <strong>del</strong><br />

nonno, protette da ulteriore degrado. Perché allora erano lì,<br />

all'aperto, esposte alle intemperie, montate come una inutile, quasi<br />

frivola, decorazione sul muro?<br />

Mi venne la pelle d'oca quando realizzai che ci doveva essere<br />

uno scopo, perché di colpo seppi con assoluta certezza che era <strong>del</strong><br />

tutto estraneo al carattere di mio nonno trattare <strong>del</strong>le armi antiche in<br />

questo modo. Ma a quale scopo? Sapevo solo che aveva a che fare<br />

con me, che doveva avere a che fare con me. Non c'era altra<br />

spiegazione possibile.<br />

Eccitato senza sapere da cosa, uscii sotto la pioggia e andai verso


la picca più vicina per esaminarla. Era come avevo pensato: la testa<br />

era ormai quasi completamente arrugginita, ma l'asta di legno<br />

sembrava forte, nuova in effetti. Tentai di staccarla dal muro, ma era<br />

stata fissata con tre grandi chiodi a U a doppia punta. Sicuro adesso<br />

di avere un mistero a portata di mano andai a cercare un piede di<br />

porco e feci leva per staccare con cura i chiodi dal muro. <strong>La</strong> picca<br />

cadde pesantemente al suolo quando staccai l'ultimo gancio. Era<br />

almeno dieci volte più pesante di quello che avrebbe dovuto: riuscii<br />

a fatica a sollevarla dal suolo. Perplesso mi inginocchiai sull'erba<br />

bagnata e presi il pugnale con cui ben presto penetrai il mistero.<br />

L'asta era fatta di strisce di legno legate insieme sopra un tubo<br />

centrale di stagno. Non appena me ne accorsi tagliai in fretta il<br />

rivestimento esterno e misi a nudo il tubo interno che occupava<br />

l'intera lunghezza <strong>del</strong>l'asta. Preso da impazienza a questo punto<br />

tagliai lo stagno sottile con la lama <strong>del</strong> pugnale e portai alla luce<br />

<strong>del</strong>l'oro lucente. Mi alzai di scatto, misi la pianta di un piede sul<br />

centro <strong>del</strong>l'asta e ne piegai in su l'estremità. Il morbido stagno si<br />

ruppe nel punto in cui lo avevo infilzato e una pioggia di monete<br />

d'oro cadde sull'erba bagnata. Rimasi a guardarle con incredulità e<br />

poi corsi verso il muro opposto per fare a pezzi l'altra picca, e<br />

liberare una analoga pioggia di monete d'oro. Ero ricco! Rimasi lì<br />

nella pioggia, fissando con occhio vacuo la pila d'oro ai miei piedi.<br />

Poi mi girai ed entrai lentamente in casa.<br />

Equo mi veniva incontro dalla porta principale mentre io<br />

entravo. Aggrottò la fronte non appena vide l'espressione sul mio<br />

volto e mi chiese cosa c'era che non andava. Io scossi la testa,<br />

incapace di parlare, e indicai con un dito oltre la spalla verso il<br />

giardino. Con il viso ancora aggrottato si diresse determinato verso<br />

la porta e scomparve dalla mia vista. L'espressione sul suo volto<br />

mentre mi passava davanti mi sembrò molto buffa e cominciai a<br />

ridere. Le mie risate crebbero fino a farmi male quando tornò dal<br />

giardino, la faccia vuota e stravolta come doveva essere stata anche<br />

la mia. A quel punto io stavo con le mani sui fianchi, tremando nella


mia irrefrenabile ilarità e l'incredulità sulla sua faccia mi tolse ogni<br />

resto di forza, di modo che le gambe mi mancarono e caddi a terra.<br />

<strong>La</strong> sua espressione passò dall'incredulità all'incomprensione, poi<br />

alla perplessità e infine a una debole, incerta risata. Quando Plauto<br />

arrivò, diversi minuti dopo, stavamo rotolandoci sul pavimento<br />

senza riuscire a smettere e la vista <strong>del</strong>la sua faccia finì di prostrarci.<br />

Infine inevitabilmente ritornò il senno e portammo Plauto fuori<br />

a vedere cosa giaceva luccicante nell'erba alta e bagnata. Erano in<br />

tutto più di quattrocento monete d'oro, ognuna <strong>del</strong>le quali valeva<br />

più o meno una carrettata <strong>del</strong>le monete d'argento attuali. <strong>La</strong><br />

maggioranza <strong>del</strong>le monete datava dall'epoca dei primi Cesari: alcuni<br />

aurei avevano la testa di Claudio, alcuni di Nerone, anche se la<br />

maggioranza era di Tiberio, ma ce n'era anche qualcuno con la testa<br />

di Augusto. C'erano anche oltre duecento monete degli imperatori<br />

più recenti.<br />

Tutti e tre rimanemmo stupefatti dalla ricchezza <strong>del</strong> tesoro, ma<br />

fu Plauto, pragmatico come sempre, a fare per primo <strong>del</strong>le<br />

domande.<br />

«Ma perché nasconderle in quel modo?» mi chiese, e io avevo<br />

già una risposta per lui.<br />

«È tipico di mio nonno. Quale posto migliore avrebbe potuto<br />

scegliere?» dissi. «Ha lasciato lì le picche sapendo che prima o poi<br />

avrei notato che c'era qualcosa di sbagliato. Sapeva che lo conoscevo<br />

abbastanza da capire che non avrebbe mai profanato un'arma antica<br />

come quella senza un motivo. Tutto quello che dovevo fare era<br />

notarlo e rifletterci»<br />

«Ma avresti potuto non notarlo mai!»<br />

Non volevo essere contraddetto. «Plauto,» dissi, «prima o poi lo<br />

avrei notato, credimi. Oggi è la prima volta che sono uscito in<br />

giardino quando pioveva e l'ho visto.»<br />

Fu la volta di Equo di fare una domanda. «Cosa sarebbe


successo se tu non fossi tornato dalla guerra?»<br />

«Tu cosa pensi? Mio zio avrebbe continuato a vivere qui, o uno<br />

dei miei cugini. In realtà non avrebbe importato chi fosse vissuto<br />

qui. Lo stagno dei tubi si sarebbe arrugginito in altri due o tre anni e<br />

le monete sarebbero cadute in terra trascinate dal loro stesso peso. E<br />

per questo che sono state montate in diagonale. Se io non fossi<br />

tornato a casa qualcun altro ne avrebbe beneficiato alla fine. Penso<br />

che questo fosse il volere <strong>del</strong> nonno. Era fatto così.»<br />

«Ma dove ha preso tutti quei soldi?» Questo era Plauto. «Non ti<br />

ha lasciato una spiegazione?»<br />

«Probabilmente lo ha fatto. Non ho neppure guardato.» Raccolsi<br />

uno dei tubi di stagno e lì, infilato in cima c'era un piccolo foglio di<br />

pergamena arrotolato. Lo srotolai e lo lessi ad alta voce.<br />

«Lettore. Spero che tu sia Publio Varro. Se lo sei, allora hai<br />

risolto il mio indovinello, dimostrando che la mia fiducia in te era<br />

giustificata e meritandoti la ricompensa collegata. Le monete sono<br />

tue di diritto. Alcune le ho guadagnate durante i miei anni qui,<br />

lavorando nella mia fucina. Le altre, le monete più vecchie, le ho<br />

trovate in modo onesto, nella terra dove ho scavato la cantina sotto<br />

la forgia.»<br />

Guardai Equo con aria interrogativa, ma lui si strinse nelle<br />

spalle e fece una smorfia che indicava la sua estraneità a quella<br />

scoperta. Continuai a leggere.<br />

«Le monete più recenti sono state coniate sotto il regno di<br />

Claudio, perciò ritengo che siano state seppellite qui a Colchester<br />

all'epoca <strong>del</strong> suo regno, quando Colchester fu costruita sulle rovine<br />

di Camulodunum. Se è così, sono rimaste sepolte per almeno<br />

trecento anni. Usale come vorrai. Se stai leggendo questo, vuol dire<br />

che sei salvo e le mie preghiere no state esaudite. Vivi a lungo e sii<br />

felice.» Sentii che i miei occhi si inumidivano mentre leggevo e<br />

nessuno di noi parlò per diversi minuti. Poi Plauto parlò di nuovo.


«Cosa ne farai?»<br />

«Di cosa, <strong>del</strong>le monete?»<br />

«Sì, <strong>del</strong>le monete. Ci sono più monete qui, sparse attorno<br />

incustodite, di quante ce ne siano in tutto il resto <strong>del</strong>la Britannia. È<br />

un invito al furto, Publio.»<br />

Guardai il tesoro ammucchiato sul tavolo: «Hai ragione. Bene,<br />

dovremo fare qualcosa. Ma cosa?».<br />

«Seppelliscile di nuovo.»<br />

«Dove?»<br />

«Cosa importa? L'importante è toglierle dalla vista.»<br />

Alla fine mettemmo le monete in una grande anfora<br />

provvisoriamente finché Equo e io avessimo fabbricato una cassetta<br />

robusta in cui custodirle. Ci volle la forza combinata di tutti e tre per<br />

spostare l'anfora nel mio studio, dove più tardi quella notte sigillai il<br />

collo <strong>del</strong>l'anfora con <strong>del</strong>la cera. Nel frattempo riempii di monete una<br />

borsa di pelle per ognuno di loro, e poi impiegai un'ora o più a<br />

convincerli ad accettare. Non so come riuscimmo a passare la serata<br />

senza che i servi si accorgessero di cosa stava succedendo, ma non<br />

sospettarono mai di nulla. Ormai si erano abituati a vedere noi tre<br />

gozzovigliare insieme almeno un giorno alla settimana e penso che<br />

fossero lieti di potersi occupare dei loro affari senza doversi<br />

occupare di me.<br />

Mi ci volle molto tempo per apprezzare il fatto che ormai ero un<br />

uomo ricco e mi ci volle la morte di un uomo per farmelo capire.<br />

Una mattina stavo ritornando con Plauto dal forte, dove mi ero<br />

incontrato con Lucullo, l'ufficiale pagatore e stavamo passando<br />

davanti al cancello principale di una grande e lussuosa casa di città,<br />

più simile a una villa che ad altro, quando udimmo <strong>del</strong>le grida e dei<br />

pianti di lutto provenire dall'altro lato <strong>del</strong> muro. Curiosi ci<br />

fermammo e guardammo dentro al cancello e Plauto cominciò a fare<br />

<strong>del</strong>le domande. Venne fuori che l'uomo che aveva vissuto lì per


anni, un generale in pensione, era stato trovato morto nel suo letto<br />

quella mattina. Il pianto era dei suoi servi, ed era dovuto più a paura<br />

per se stessi che al lutto per il loro padrone, visto che il vecchio era<br />

morto senza eredi.<br />

Plauto prese il comando <strong>del</strong>la situazione, e poiché il morto era<br />

stato un generale tornò a riferire il fatto alle autorità militari e a<br />

prendere i primi accordi per il funerale. Io continuai il mio cammino<br />

verso casa e dimenticai l'incidente fino a quella sera quando Plauto<br />

arrivò inatteso alla mia porta. Vidi subito che aveva bevuto. Si servì<br />

una coppa di vino e si lasciò cadere su una seggiola.<br />

«Bene, è fatta. Ho portato il vecchio alle baracche per il funerale.<br />

Alla tua salute!» Bevve a grandi sorsi e proseguì. «Non c'era ragione<br />

di lasciarlo a casa, poveretto! Secondo i suoi servi non ha più un<br />

parente al mondo, né amici che lo piangano. Sai, Publio, un uomo<br />

può anche vivere troppo.»<br />

«Cosa vuoi dire?»<br />

«Quello che ho detto. Quel povero figlio di una nobile puttana<br />

romana è vissuto più dei suoi contemporanei. Tutti i suoi amici. È<br />

morto da solo. Non è bello. Io spero di morire giovane.»<br />

«Giovane? Tu?» Gli risi in faccia. «Plauto, sei già vecchio. E<br />

inoltre forse non ha mai avuto molti amici. Forse lo odiavano tutti.»<br />

«No.» Scosse la testa come fanno gli ubriachi. «I suoi servi non lo<br />

odiavano e se non lo odiavano doveva essere un buon uomo. Sono<br />

disperati perché non sanno cosa succederà loro adesso.»<br />

«In che senso cosa succederà loro?»<br />

«Niente, ma devono andarsene domani. Sono finiti. Non<br />

possono restare lì. Non è casa loro, quindi fuori.»<br />

«Troveranno qualcosa d'altro, Plauto. Non è la fine <strong>del</strong> mondo.»<br />

«Lo è per loro. Chi li prenderà?» Fece un verso. «Non possono<br />

neppure saccheggiare il posto. Il procuratore pubblico si è stabilito lì


oggi.»<br />

«E perché lo ha fatto?»<br />

«Per fare l'inventario. Doveva farlo. Il vecchio non ha eredi.<br />

Tutto va allo Stato.»<br />

«E lo Stato cosa ne farà?»<br />

Scosse la testa. «Non lo so. Probabilmente la venderà.»<br />

«A chi? È molto grande. Chi potrebbe permettersela? Non<br />

conosco nessuno in questa città che potrebbe.»<br />

«Io sì.» Sorrise, compiaciuto di se stesso. «Perché non la compri<br />

tu?»<br />

Lo guardai stupito. «E perché dovrei comprarla, in nome di tutti<br />

gli dei?»<br />

Mi guardò ghignando. «Perché andrebbe bene per te e te la puoi<br />

permettere. <strong>La</strong> potresti avere a metà prezzo, oltretutto, perché sei<br />

quello giusto. Non riusciranno a venderla a nessun altro e non gli<br />

serve.»<br />

Ero un po' interessato. «Perché dici che mi si adatta?»<br />

Stava ancora sogghignando. «Perché, amico mio, c'è un locale in<br />

quella casa che ti farebbe uscire gli occhi dalla testa. Il vecchio era<br />

ricco. Molto ricco. Ha preso uno dei cortili interni, hai in mente, un<br />

cortile? Aperto al <strong>cielo</strong>? Ebbene lui lo ha coperto completamente di<br />

vetro! Vero vetro! Tutto quanto. Deve essergli costato una fortuna. E<br />

adesso c'è una grande stanza lucente, come se fosse all'aperto, con<br />

un tetto di vetro... la luce a giorno, c'è la luce <strong>del</strong> giorno per tutto il<br />

giorno. Tranne la notte, ovviamente. Tutto il locale è pieno di piante.<br />

Appena l'ho visto mi sono detto: è il posto adatto per i tesori di<br />

Publio. È perfetto. Sarebbe come averli fuori in piena luce, tranne<br />

che sarebbero dentro, alla luce <strong>del</strong> giorno, se capisci quello che<br />

intendo, al caldo e all'asciutto.»<br />

Lo stavo fissando. «Credo che... quanto meno... vorrò vederlo


quel locale.»<br />

Il giorno dopo, essendomi innamorato <strong>del</strong>la stanza, cercai di<br />

comprare la casa. Ma per motivi legali non mi fu permesso. Grazie<br />

però all'influenza di Antonio Cicerone mi fu permesso di affittarla<br />

per un prezzo oltraggioso. I termini <strong>del</strong>l'affitto erano eccellenti: per<br />

ogni intento e proposito, in ogni senso, tranne che nella proprietà, la<br />

casa era mia. Mi fu spiegato dal procuratore pubblico che se<br />

l'imperatore avesse deciso di venire da quella parte <strong>del</strong>l'Impero in<br />

quella particolare città, avrei dovuto lasciarla libera.<br />

Iniziai a vivere nel modo in cui immaginavo potesse vivere un<br />

uomo ricco, anche se a volte mi sembrava di girare in un posto<br />

troppo grande, come un povero pisello in un baccello secco.<br />

Essendomi costruito un nido, però, decisi di fermarmici e<br />

controbilanciai i dubbi per la mia impulsiva decisione di assumere<br />

la locazione <strong>del</strong>la casa con il piacere di avere i miei tesori esposti.


XIII.<br />

<strong>La</strong> vecchiaia è un fenomeno affascinante e la prospettiva da cui<br />

un uomo la guarda cambia rapidamente mentre gli inverni si<br />

accumulano. Io sono ormai giunto a quell'età <strong>del</strong>la vita in cui i<br />

nipotini danno alla gente il diritto di pensare che sono vecchio, ma<br />

sono ancora giovane nella mia mente e prevedo con piacere una<br />

lunga serie di anni soddisfacenti e pieni prima di diventare tanto<br />

vecchio da morire.<br />

Ma non è sempre stato così. Quando ero più giovane, più<br />

giovane di decenni, attraversai un periodo nel quale avevo il terrore,<br />

che a stento ammettevo davanti a me stesso, di diventare vecchio<br />

prima di aver vissuto. Suppongo che ogni uomo abbia a un certo<br />

punto quella paura, ma che nasconda i suoi incubi. A quell'epoca<br />

non avevo ancora quarant'anni e la tensione dei pensieri che mi<br />

agitavano portava alla luce, di tanto in tanto, dentro di me<br />

un'avventatezza, un'impulsività e spesso un'intransigenza di cui<br />

non avrei sospettato la presenza.<br />

Circa tre mesi dopo che mi ero spostato nella nuova casa, al<br />

culmine di una magnifica estate accadde un evento che introdusse il<br />

fetore dei Seneca nelle nostre narici con una forza che mi fece<br />

chiedere come mai non lo avessi sentito prima. Ora so che era<br />

destino comportarmi come mi sono comportato, e oggi rifarei la<br />

stessa cosa. Ho semplicemente reagito a stimoli specifici, senza<br />

pensare alle conseguenze a lungo termine.<br />

Era stato un giorno lungo, il secondo <strong>del</strong>la settimana che dovevo<br />

passare in giro, per diletto, con Plauto che era in licenza. Lo scopo<br />

ufficiale era recarci a Verulamium per far visita ad Alarico e<br />

consegnargli un'altra croce, questa volta una grande croce astile da<br />

mostrare ai fe<strong>del</strong>i durante il servizio. Avevamo lasciato Equo in<br />

carica alla fucina e ci eravamo lentamente diretti verso sud,


preparati a far durare tre giorni un viaggio che avrebbe potuto<br />

durare uno solo. Portavamo con noi tende legionarie di cuoio, frecce<br />

e archi per cacciare e ami con barbigli di ferro per pescare. Il tempo<br />

era meraviglioso. Avevo trentasette anni e pensavo di averne venti,<br />

fino a che non incontrammo due giovani donne nei campi. Plauto, di<br />

tre anni più vecchio di me, ma con i capelli neri tagliati cortissimi e<br />

la faccia sbarbata aveva avuto successo con quella che aveva scelto,<br />

io no. <strong>La</strong> ragazza che mi aveva attirato guardò i capelli grigi, la<br />

barba brizzolata e la zoppicatura e mi trattò come se fossi stato un<br />

nonno sdentato, ridendo di me e facendomi vergognare come se<br />

avessi avuto progetti incestuosi. Mi fece sentire vecchio, e la bellezza<br />

<strong>del</strong>la giornata per me era svanita.<br />

A metà pomeriggio eravamo seduti nel cortile anteriore di una<br />

ricca mansio, separata dalla strada principale da un basso muro con<br />

ampi cancelli aperti. Avevamo mangiato di gusto un pasticcio di<br />

carne, con verdure fresche, pane appena sfornato, dolci, e squisite<br />

prugne e Plauto aveva finalmente smesso di vantarsi <strong>del</strong>la sua<br />

conquista. Io ero ancora di cattivo umore, ferito per la cru<strong>del</strong>e<br />

ingiustizia fatta ai miei anni.<br />

Il padrone <strong>del</strong>la mansio, un veterano <strong>del</strong>l'esercito, aveva appena<br />

portato una caraffa di vino fresco alla nostra tavola e si disponeva a<br />

trascorrere la fine <strong>del</strong>la giornata con noi quando sentimmo <strong>del</strong>le<br />

voci rauche in lontananza, e tutti e tre cercammo pigramente la fonte<br />

di quei suoni. Vedemmo diversi uomini, raggruppati intorno a due<br />

carri a uno dei quali era attaccato un trio di cavalli. Notai che la<br />

faccia <strong>del</strong> nostro oste si scuriva.<br />

«Chi sono?» gli chiesi. «Vivono qui vicino?»<br />

«No, signore.» I suoi occhi avevano uno sguardo spaventato<br />

mentre proseguiva. «Per lo più, vivono qui, ma non sempre, per<br />

grazia di Dio. Vengono in visita di tanto in tanto.»<br />

«<strong>La</strong> loro presenza non sembra riempirti di gioia. Chi sono?»<br />

«Conosco solo due di loro. Nipoti di Quintilio Nesca, il


prestadenaro. Ha una grande villa a sud da queste parti. Gli altri<br />

sono loro... amici.»<br />

Quintilio Nesca. Dove avevo già sentito quel nome? Mi era<br />

familiare e l'avevo sentito di recente. Prima che potessi commentare<br />

Plauto intervenne.<br />

«Ti hanno fatto dei danni in passato?»<br />

Il gestore <strong>del</strong>l'osteria lo guardò di traverso. «Danni? Sì, signore,<br />

puoi dirlo. Ogni tanto. In verità quasi sempre. Sono molto ricchi e<br />

viziati. Non conoscono disciplina. Sembra che pensino di non<br />

averne bisogno, con le persone qui intorno, quanto meno.»<br />

Guardava sempre il piccolo gruppo ancora distante. «Vi chiedo<br />

perdono, signori, ma devo fare dei preparativi.» Corse via in fretta e<br />

io mi girai verso Plauto che stava mangiando una <strong>del</strong>le poche<br />

prugne rimaste.<br />

«Dovremmo andare. Sei pronto?»<br />

Sputò il nocciolo <strong>del</strong>la prugna, si stirò e lasciò partire un peto.<br />

«Perché? Non abbiamo fretta. È una bella giornata, il sole è caldo,<br />

abbiamo ancora una brocca di vino e io non ho voglia di muovermi.»<br />

Gli sorrisi, dimenticando per un momento il mio cattivo umore.<br />

«Plauto, a volte sei un maiale. Guardati: non ti sei sbarbato, sei<br />

spettinato e fai rutti e ti gratti e sputi come se non avessi mai visto<br />

un campo di parata. Se le tue reclute potessero vederti fuori servizio,<br />

senza uniforme, tutta la paura che hanno di te finirebbe in una<br />

risata.»<br />

Fece un altro peto, apposta. «Le licenze sono fatte per questo,<br />

amico, per dare a un uomo l'opportunità di ripulirsi da tutta la<br />

ruggine che si accumula con il disuso.»<br />

«È come ho detto. Sei un maiale.»<br />

Fece un rutto e io risi forte.<br />

«Bene, se non altro sono un maiale placido e pago per quello che


mangio e bevo. Non vorrei essere il nostro oste e dover dipendere da<br />

quei caproni perché facciano lo stesso.»<br />

Indicò un punto al nostro fianco e io vidi i due carri arrivare<br />

lanciati verso di noi. Attraversarono rumorosamente la strada e si<br />

fermarono nel cortile proprio dove eravamo seduti. I sei occupanti<br />

scesero vociando e ridendo tra loro e gridando che qualcuno<br />

badasse ai cavalli. Facevano un sacco di baccano. O almeno cinque<br />

di loro lo facevano. Il sesto, che era rimasto sul carro, si distingueva<br />

dai suoi compagni in ogni senso. Era più alto degli altri, con spalle<br />

larghe e massicce, ma ben mo<strong>del</strong>late, folti capelli biondi e un bel viso<br />

abbronzato. Taceva e pensai che stesse sorridendo, perché mostrava<br />

bianchi denti scintillanti e occhi azzurri molto luminosi. Ma non<br />

sorrideva. Non c'era allegria nella sua espressione e stava fissando<br />

Plauto. Sentii un fremito di apprensione alla bocca <strong>del</strong>lo stomaco.<br />

«Vieni» dissi a Plauto, che non si era accorto di essere fissato.<br />

«Smetti di bere e andiamo. Ci porteremo via la brocca. Qui non<br />

rimarrà tranquillo per molto.»<br />

«Rilassati, amico. Sono solo dei ricchi marmocchi viziati. Si<br />

stancheranno e se ne andranno in fretta. Non ci daranno fastidio, se<br />

noi non daremo fastidio a loro.» Parlando li guardava, e il giovane<br />

taciturno capì che stavamo parlando di loro. Diede un colpo alle<br />

redini e spinse avanti i cavalli contro il nostro tavolo. Di colpo i suoi<br />

cinque compagni smisero di parlare. Plauto e io non reagimmo in<br />

nessun modo, limitandoci a guardare i tre cavalli bianchi che<br />

potevamo quasi toccare. Il carro si inclinò mentre il conducente<br />

scendeva e io vidi i suoi piedi calzati in sandali avvicinarsi dal lato<br />

più vicino a Plauto. Plauto mi guardò, inespressivo, e prese una<br />

boccata di vino, senza inghiottirla, tenendola nella bocca chiusa.<br />

«Tu! Occupati dei cavalli!» Le parole erano state pronunciate in<br />

tono piatto, offensivo, pieno di minaccia e di violenza. Plauto si<br />

sciacquò i denti col vino, deglutì e fece una smorfia, schioccò le<br />

labbra e poi le risucchiò tra i denti, le redini di cuoio caddero sul


tavolo. Alzai gli occhi e guardai l'uomo che aveva parlato e che mi<br />

ignorava completamente. I suoi occhi erano fissi su Plauto, che<br />

sedeva immobile e continuava a guardarmi come se noi due fossimo<br />

soli.<br />

«Ti ho dato un ordine, sacco di letame.» Nessun cambiamento<br />

nel tono di voce. Nessuno degli altri cinque fece l'atto di avvicinarsi.<br />

«Frustalo, Deus.»<br />

Deus? Dio? Guardai meglio il tizio che chiamavano “Dio”. Così<br />

vicino faceva ancora più impressione, ma c'era qualcosa nella sua<br />

faccia che mi disse che era più vecchio di quanto sembrasse, e la sua<br />

espressione mi fece venire in mente il giovane tribuno che aveva<br />

mangiato lo stracotto al letame di Plauto tanto tempo prima in<br />

Africa. Era lo stesso sguardo di intollerante, autocratica durezza, di<br />

implacabile arroganza e intrattabilità. E i suoi occhi mi<br />

disturbavano. Erano in qualche modo familiari.<br />

Plauto parlò. «Sbagliavo. A proposito <strong>del</strong> fastidio. Sono stato<br />

stupido. Non ho collegato.» Mise giù il bicchiere con fredda<br />

determinazione. «Tutto sommato ne voglio <strong>del</strong>l'altro.»<br />

Io provavo in quel momento la strana sensazione di essere<br />

coinvolto in una tragedia greca, come se fosse stato deciso dal fato<br />

che noi dovessimo eseguire una inesorabile danza, senza poter<br />

cambiare il corso <strong>del</strong>le cose. Quando cominciai a versare, lo<br />

straniero fece un movimento per fermare la brocca, ma le successive<br />

parole di Plauto lo fermarono.<br />

«Senti, straniero,» disse con voce imperturbabile, ma sommessa<br />

perché fosse udita solo dalle nostre orecchie, «se proprio ci tieni ti<br />

rompo il braccio destro e te lo infilo nel retto, ma preferirei di no.»<br />

Per la prima volta si girò e guardò il giovanotto che lo sovrastava.<br />

«Adesso, io capisco che tu ti sei messo in una situazione nella quale i<br />

tuoi amici si aspettano che tu faccia succedere qualcosa, perciò ti<br />

faccio una proposta. Tu ti allontani da noi, adesso, torni dai tuoi<br />

amici e ci lasci bere il nostro vino in pace. Io bevo e poi prendo i tuoi


cavalli e vedo che qualcuno se ne occupi. Poi torno, finiamo il nostro<br />

vino e ce ne andiamo. In questo modo farai una bella figura con i<br />

tuoi amici e nessuno si farà male. D'accordo?»<br />

Il giovane non disse niente. Si limitò a rimanere lì, guardando<br />

Plauto con uno strano sguardo selvaggio che continuava a<br />

sembrarmi stranamente conosciuto. Mi parlava di follia e tuttavia di<br />

familiarità. Poi, senza una parola, girò sui tacchi e si allontanò,<br />

stretto nella sua tunica greca. Sentii i suoi passi arrestarsi dietro al<br />

carro e poi continuare.<br />

«Bello, non trovi?» <strong>La</strong> voce di Plauto era carica di ironia.<br />

«Sì. Pazzo come Caligola.» Si mosse per alzarsi. «Non appena<br />

avrò spostato questi cavalli è chiaro che porteranno qui l'altro carro.<br />

<strong>La</strong>sciali fare. Non dire una parola, non ti fare coinvolgere. Rimani lì<br />

seduto.»<br />

Lo fissai stupito. «E poi?»<br />

«Poi tornerò indietro e sposterò anche l'altro.»<br />

«Dici sul serio? Perché preoccuparsi? Sbattiamoli a terra e<br />

finiamola. Se sposti i due carri non la smetteranno. Quel figlio di<br />

puttana sta cercando la rissa.»<br />

«<strong>La</strong>scia che la cerchi. Da me non la troverà. E non sfidarlo. È me<br />

che vuole.»<br />

«Perché, Plauto? Ti conosce?»<br />

«No. Ma non importa.»<br />

«Allora sodomizzalo! Affrontiamoli adesso e facciamola finita.»<br />

Feci per alzarmi, ma mi obbligò a risedermi.<br />

«Scordatelo. Non ne vale la pena. In ogni caso il sodomita è lui.<br />

Guarda bene i suoi due amichetti. Mettigli <strong>del</strong>le tette e ci andrei a<br />

letto anch'io! Resta lì e non eccitarti.»<br />

Prese le redini dei cavalli e li portò via.<br />

Quando il carro scomparve dalla mia vista fissai il gruppo


dall'altra parte <strong>del</strong> cortile. Erano tutti in fila, e guardavano Plauto.<br />

Nessuno di loro mi guardava, fino a quel momento si erano<br />

comportati come se io non ci fossi. <strong>La</strong> cosa cominciava ad<br />

offendermi.<br />

Il capo stava lì in piedi, con in mano un paio di cinture con tanto<br />

di spada penzolante. Non appena Plauto scomparve dietro l'angolo,<br />

tirò una cintura a un compagno e si mise l'altra a tracolla. Da dietro<br />

l'altro carro comparvero altri due foderi. Ora quattro su sei erano<br />

armati e io ero spaventato. Il mio primitivo desiderio di sfidarli era<br />

svanito. Plauto e io eravamo disarmati. Le nostre armi erano sui<br />

cavalli. Cullati dalla dolcezza <strong>del</strong> pomeriggio estivo, non avevamo<br />

pensato alla violenza, in quella tranquilla mansio. Il solo oggetto che<br />

avevo portato con me a tavola era la croce di Alarico, perché era<br />

troppo di valore per lasciarla fuori vista. Ora era posata di fronte a<br />

me, avvolta in un quadrato di stoffa.<br />

Li guardavo stringersi uno contro l'altro, parlando tra loro,<br />

ghignando e meditando qualche cattiveria. Uno di loro esplose in<br />

una gran risata e poi buttò le braccia al collo di uno degli altri e<br />

rimasero lì abbracciati, ignorati dal resto <strong>del</strong> gruppo che continuava<br />

ad ascoltare quello più alto. Se non fosse stato per il contegno<br />

maligno <strong>del</strong> loro capo avrebbe potuto essere un qualunque gruppo<br />

di giovani che si divertivano.<br />

Alla fine Plauto ritornò, prendendosela comoda, e si sedette. <strong>La</strong><br />

sua coppa era ancora piena e ci guardò dentro mentre la sollevava.<br />

«I ragazzi sono armati.»<br />

«Sì» dissi. «E noi no. Da quanto tempo siamo soldati?»<br />

«Da abbastanza tempo per non farci fregare in questo modo. Ma<br />

potremmo lo stesso cavarcela.»<br />

«Ne dubito.» Guardai alle mie spalle la mansio. <strong>La</strong> porta era<br />

chiusa. «Hai notato che nessuno è uscito a salutare questa gente?»<br />

«Sì. L'ho notato. Ti hanno disturbato mentre non c'ero?»


«No. Mi hanno ignorato.»<br />

«Bene, speriamo che continuino a farlo. Ma ricordati di<br />

controllarti.» Mentre diceva così il mio sguardo cadde sul grande<br />

giovane biondo che stava salendo sull'altro carro.<br />

«Ecco che arriva l'altro» dissi.<br />

«Va bene. Me lo aspettavo.» Non alzò lo sguardo. Invece disse:<br />

«Non lo hai riconosciuto? Claudio Cesario Seneca. Non ti dice<br />

niente, a parte il fatto che conosci i suoi fratelli?».<br />

Lo guardai stupefatto. «Vuoi dire il fratello minore? Il poco di<br />

buono?»<br />

«Proprio lui. Una vera bellezza. L'orgoglio <strong>del</strong>la famiglia. A che<br />

distanza siamo da Londinium? Dici che ce la facciamo entro domani<br />

sera?»<br />

Stavo per chiedermi se dava i numeri, ma poi realizzai che il<br />

nostro tormentatore era abbastanza vicino da sentire quello che<br />

dicevamo e allora annuii. «Se partiamo presto da qui potremmo<br />

farcela facilmente.» Rimasi in silenzio mentre aspettavamo la<br />

ripetizione <strong>del</strong>la bravata. Le reclini caddero di nuovo sul tavolo. Il<br />

bellimbusto stava in piedi e ci fissava in silenzio, con la mano bene<br />

in mostra sull'elsa <strong>del</strong>la spada, poi si girò e se ne andò. Quando si fu<br />

allontanato continuai: «È chiaro. Quintilio Nesca era il cognato che<br />

Primo voleva far nominare quartiermastro. Il comandante ha messo<br />

un freno ai suoi piani, ma l'oste ha detto che questi erano nipoti di<br />

Nesca».<br />

«Forse due di loro, ma quel giovane figlio di puttana è un<br />

Seneca, non un Nesca. Ed è il peggiore <strong>del</strong> gruppo. Pazzo come un<br />

prete egiziano ubriaco e ingovernabile, perfino da parte dei suoi<br />

fratelli.» Il labbro inferiore di Plauto copriva quello superiore, un<br />

segno che conoscevo bene e indicava che stava pensando<br />

profondamente e in fretta. «Credimi, Publio, ho sentito parlare di<br />

quel maiale. È peggiore di Nerone e di Caligola combinati ed il


peggiore figlio di puttana di tutta la famiglia Seneca, anzi di tutto<br />

l'Impero. Ha la faccia di un dio, la personalità di una vipera cornuta<br />

e il desiderio di conquistare la fama di maiale più degenerato <strong>del</strong>la<br />

storia.»<br />

«Suvvia, esageri. Non può essere così malvagio. Avrà al<br />

massimo vent'anni.»<br />

«Venticinque ed è molto peggio di quello che dico.» Guardò<br />

verso il giovane. «Sì, è proprio così.» Si alzò. «Torno presto. Tieniti<br />

pronto a partire. Quanto tornerò avrò i cavalli e una freccia<br />

incoccata. Puoi immaginare su chi punterò? Non rischieranno<br />

contro una freccia incoccata, ma non perdere tempo. Sii pronto a<br />

saltare sul tavolo e sul tuo cavallo. Io ho già staccato un carro e<br />

disperso i cavalli. Farò lo stesso con questo. Resta tranquillo e spera<br />

che ti ignorino. Faccio più in fretta che posso.»<br />

Prese un'altra volta le reclini e guidò i cavalli dietro l'angolo<br />

<strong>del</strong>l'edificio, mentre io fissavo con un misto di stupore e<br />

fascinazione il capo <strong>del</strong> gruppo che mi stava di fronte. Claudio<br />

Cesario Seneca, il figlio più giovane <strong>del</strong> casato che odiava il mio<br />

migliore amico e discendeva dal sangue più nobile e dalle famiglie<br />

più ricche di Roma. Ricordavo che Britannico mi aveva detto che<br />

aveva ereditato la favolosa ricchezza <strong>del</strong> vecchio padre. Secondo i<br />

termini <strong>del</strong> testamento era il solo erede. I fratelli erano già ricchi e<br />

non c'erano state discussioni per quella clausola. Il comandante<br />

aveva aggiunto che quelli veramente ricchi, i pochi la cui ricchezza<br />

ha <strong>del</strong>l'incredibile, hanno le loro leggi e non si lasciano turbare dalle<br />

leggi degli uomini comuni.<br />

Di colpo mi accorsi che tutti e sei mi stavano fissando e mi sentii<br />

lo stomaco in bocca. Uno di loro, uno di quelli senza spada, veniva<br />

verso di me, ondeggiando le anche in modo oltraggioso, parodiando<br />

la camminata di una donna. Si fermò, con una mano sul fianco e<br />

guardò biecamente verso di me. Quel miserabile aveva scritto<br />

“pervertito” dappertutto e io guardai con disgusto le labbra e le


guance dipinte e gli occhi ombreggiati di nero. Ma dovetti<br />

ammettere che Plauto aveva ragione: con dei seni quel ragazzo<br />

sarebbe stato irresistibile.<br />

Si girò a metà e fece segno con un dito ai suoi compagni e<br />

anch'essi cominciarono a camminare verso di me. Io sedevo<br />

immobile, guardandoli avvicinarsi, sentendo nello stomaco<br />

un'insolita e irrazionale paura. E poi, di colpo, mi sentii di nuovo<br />

irritato. Chi erano questi Seneca perché io dovessi avere paura anche<br />

<strong>del</strong> più giovane di loro? Quei giovani rappresentavano il potere, o<br />

quanto meno uno di loro lo rappresentava, ma cosa valeva<br />

realmente quel potere qui, nel quieto cuore <strong>del</strong>la Britannia rurale?<br />

Non mi conoscevano e se io non avessi conosciuto il nome <strong>del</strong> loro<br />

capo e la reputazione <strong>del</strong>la sua famiglia, li avrei messi a terra da<br />

solo. Quattro giovinastri e un paio di castrati effeminati.<br />

Si fermarono a circa cinque passi da me guardandomi con<br />

sogghigni stranamente apprensivi mentre il loro capo si avvicinava.<br />

Si fermò esattamente di fronte a me e mi guardò dritto negli occhi<br />

per la prima volta. Vidi di nuovo la strana ostile sensazione di vuoto<br />

dietro l'azzurro chiaro degli occhi, in una faccia che adesso mi era fin<br />

troppo familiare.<br />

«Togliti. Vogliamo questo tavolo.» Si fece avanti lentamente,<br />

prese la coppa di Plauto e in un gesto paradossalmente formale stese<br />

rigidamente il braccio e mandò il bicchiere a fracassarsi in terra. Non<br />

mi mossi. Fece per prendere la brocca <strong>del</strong> vino. Lo feci anch'io.<br />

«Non essere sciocco!» L'avvertimento era un ringhio<br />

animalesco.<br />

Ritirai la mano e gli lasciai ripetere il gesto con la brocca mezza<br />

piena e poi con la mia coppa e con la ciotola vuota <strong>del</strong>le prugne.<br />

Continuai a non muovermi, chiedendomi perché Plauto ci mettesse<br />

tanto.<br />

Seneca sospirò. «Ti ho detto di toglierti, vecchio.»


Non avrebbe potuto scegliere una frase peggiore. Tutto il<br />

risentimento che avevo accumulato durante il giorno ribollì e<br />

traboccò per il disprezzo contenuto nella parola “vecchio”. Avevo i<br />

palmi <strong>del</strong>le mani appoggiati sul tavolo e stavo per saltare in piedi<br />

incollerito, quando le sue mani si chiusero sulla croce avvolta nella<br />

stoffa. Pensando a ciò che quella croce significava per me, mi sentii<br />

invadere dalla furia alla sola idea che quell'animale osasse toccarla.<br />

Feci ricadere la mano sulla forma coperta, strappandola dalle sue<br />

dita e rimettendola sul tavolo. Dopo avere preso in mano l'oggetto,<br />

però, dal peso e dalla forma credette che si trattasse di un'arma e le<br />

cose cominciarono ad accadere molto in fretta.<br />

Sentii il sibilo <strong>del</strong>la spada che usciva dal fodero, e l'espressione<br />

sulla sua faccia mi disse che avevo poco tempo. Mi buttai indietro<br />

ribaltando la seggiola, e cercando di rimanere in piedi, e sentii il<br />

sibilo <strong>del</strong>la sua spada fendere l'aria nel punto dove prima era la mia<br />

testa. Venne verso di me, girando intorno al tavolo, e io continuai a<br />

indietreggiare, reggendo nella mano destra la croce avvolta nella<br />

stoffa. Un altro colpo, di rovescio, portò il suo braccio in alto per il<br />

colpo mortale che si abbatté su di me come una mazzata. Parai<br />

istintivamente con la croce di Alarico. <strong>La</strong> forza <strong>del</strong> colpo quasi mi<br />

strappò la croce di mano e vidi i suoi occhi spalancati per lo stupore<br />

e la sorpresa. Si era aspettato il suono <strong>del</strong> ferro e non quel colpo<br />

sordo. Aveva immaginato che la sua spada tornasse indietro libera!<br />

Invece la lama temperata si era infilata in profondità nel braccio<br />

<strong>del</strong>la croce d'argento e ci era rimasta bloccata. Rimase confuso<br />

abbastanza da permettermi di capire cosa fosse successo e di reagire<br />

prima di lui. Sapendo quello che lui non sapeva, mi buttai su di lui,<br />

girandomi in modo da colpirlo con la spalla destra allo sterno, spinsi<br />

il braccio destro diritto in fuori, lontano da lui, torcendo il mio forte<br />

polso da fabbro per afferrare la spada e liberare l'elsa dalla sua<br />

presa. Barcollò quando gli strappai la spada con la sinistra liberando<br />

la lama dalla sua trappola d'argento.<br />

I suoi amici non avevano avuto il tempo di reagire, ma adesso


arrivavano in tre con le spade sguainate. Allora Plauto urlò: «Stai<br />

fermo!» e una freccia mi passò davanti sibilando e si infilò nella<br />

spalla di uno di loro, sbattendolo a terra. Tutti gli occhi si volsero<br />

verso Plauto che stava sul suo cavallo a meno di sei passi, con una<br />

nuova freccia già incoccata e le piume di una faretra piena che gli<br />

spuntavano da sopra la spalla.<br />

«Penso che non abbiamo bisogno di altro spargimento di<br />

sangue. Buttate le spade, ragazzi. Lontano. Tu! Bello! Raccogli le<br />

spade dei tuoi amici e buttale là!» Mi guardò e indicò il mio cavallo.<br />

«Sali. Nessun nome, nessuna recriminazione. Andiamo.»<br />

Sapevo che stava ammonendomi, ma io ero ormai troppo<br />

furioso per ascoltare.<br />

«No,» dissi, ringhiando. «Non ancora. Questo cane mi ha<br />

chiamato vecchio. Voglio fargli sentire il sapore <strong>del</strong>le sue viscere.»<br />

«Scordatelo. <strong>La</strong>scia perdere. Sali.»<br />

Lo ignorai, fissando il nostro tormentatore. Che faccia vedere la<br />

sua forza adesso. Mi spostai di lato e misi giù la spada e la croce<br />

fianco a fianco e poi mi allontanai.<br />

«Ecco, caprone» dissi. «<strong>La</strong> sola cosa tra te e la tua spada è un<br />

vecchio. Adesso o la prendi e la usi, o mi dai la cintura e il fodero e io<br />

ti lascio nuotare nel vomito dei tuoi amici.»<br />

Mi fissò e mi sputò in faccia, costringendomi a chiudere<br />

istintivamente gli occhi mentre si buttava su di me, le dita simili ad<br />

artigli per graffiarmi gli occhi. Pensava veramente che fossi un<br />

vecchio. Feci un salto indietro, afferrando la sua mano destra con la<br />

mia sinistra, intrecciando le dita con le sue e usando ancora una<br />

volta la mia forza da fabbro per spingerlo avanti e poi in giù,<br />

facendogli perdere l'equilibrio. Mentre strisciava verso di me spostai<br />

tutto il mio peso sulla gamba malata e colpii con il ginocchio destro<br />

la sua bella, depravata giovane faccia da pazzo, e sentii che il suo<br />

naso cedeva. <strong>La</strong>sciai andare in fretta la mano e feci un salto di fianco,


mettendomi di nuovo fra lui e il tavolo.<br />

<strong>La</strong>nciai uno sguardo a Plauto. Sedeva in sella senza muoversi, lo<br />

sguardo puntato sugli altri, l'arco semiteso. Il mio antagonista non<br />

aveva fretta di alzarsi. Si mise carponi, a testa bassa, mentre sangue<br />

e saliva gli colavano dalla faccia rotta.<br />

«Già finito?» Lo sfidai e lui alzò lentamente la testa per<br />

guardarmi con più odio di quanto avessi mai visto su un volto<br />

umano. Avrei potuto sbatterlo in terra in qualunque momento<br />

mentre si rialzava lentamente, ma aspettai.<br />

«Forza, Deus! Ammazza il vecchio maiale.» Questo, sibilato da<br />

uno dei suoi amici, fu il primo commento. Dio! Pensai di nuovo!<br />

Diminutivo di Claudio? Se il caprone è un dio, è pronto per l'Ade.<br />

Venne di nuovo verso di me, con più circospezione e io sentii<br />

l'effetto dei suoi muscoli. Era evidentemente abituato a lottare con i<br />

cestes, i guantoni corazzati dei gladiatori, perché usava i pugni nudi<br />

come martelli. Presi un colpo così forte sulla spalla che mi avrebbe<br />

decapitato se avesse mirato meglio. Barcollai e lui mi venne sopra<br />

come un gatto selvatico, intento a strappare ogni parte di me su cui<br />

riusciva a mettere le mani. Era bene addestrato, ma lo ero anch'io e a<br />

una scuola molto più rude di quella che aveva frequentato lui!<br />

Decisi di pestarlo in modo sistematico, abbastanza per distruggere<br />

per sempre la sua bellezza, e ci riuscii. Non riesco a ricordare<br />

nessuna altra occasione nella quale la mia rabbia sia arrivata agli<br />

eccessi di quel giorno. A un certo punto, mentre mi stava davanti<br />

oscillante e senza difesa, la tunica coperta di sangue e di sputo, la<br />

faccia una poltiglia sanguinante, mi resi conto che stavo esagerando,<br />

ma ero in preda a una specie di furia elementare. Sentii Plauto<br />

urlarmi di lasciarlo, che ne aveva avuto abbastanza, ma di nuovo lo<br />

ignorai e sferrai un ultimo colpo come una mazzata. Tutto il mio<br />

risentimento, la mia collera, la mia paura e il mio disgusto si<br />

concentrarono in quel colpo e l'uomo andò a terra come se avessi<br />

usato un vero maglio di ferro, ed ero ancora arrabbiato. Presi la


spada dalla tavola e ne provai il filo con la mano. Era molto affilata.<br />

<strong>La</strong> usai per tagliare la sua tunica dal collo all'orlo e poi i bei<br />

pantaloni di lana che portava sotto, di modo che restò nudo e poi,<br />

che il signore mi perdoni, incisi sul suo petto senza peli una grande<br />

V.<br />

«Ti ricorderai di questo incontro, progenie di puttana»<br />

mormorai. «E ringraziami che non ti taglio l'uccello e non te lo infilo<br />

in bocca.» Guardai tutt'intorno gli altri, sbiancati in volto. «Bene? Vi<br />

ricorderete di me? Imparerete a lasciare in pace i vecchi in futuro?»<br />

Indietreggiarono e di colpo mi sentii male. Sputai ai loro piedi e<br />

li lasciai lì; presi la croce ancora avvolta nella stoffa e montai a<br />

cavallo per seguire Plauto lontano da quel luogo. Le porte <strong>del</strong>la<br />

mansio rimanevano chiuse. Nessuno pensò di impedire la nostra<br />

partenza.<br />

Cavalcammo in silenzio per più di un'ora e per la maggior parte<br />

di quel tempo tremai come se fossi stato di colpo paralizzato. E poi<br />

ebbi la solita reazione, scesi da cavallo e stetti male. Quando smisi di<br />

vomitare mi sentivo ancora miserabile, ma per un diverso tipo di<br />

malore. Mi sentivo sporco, contaminato dentro.<br />

Plauto aspettò, a cavallo, che io avessi finito. Portai il cavallo<br />

vicino a un rialzo adatto e risalii in groppa, facendogli segno di<br />

prendere la guida. Cavalcammo di nuovo in silenzio e quando egli<br />

frustò il suo cavallo spingendolo al galoppo, lo seguii senza<br />

chiedergli perché.<br />

Molto tempo dopo giungemmo a un corso d'acqua; Plauto<br />

smontò da cavallo e bevve. Io rimasi in sella, guardandolo senza<br />

vederlo realmente, finché non mi resi conto di avere un sapore<br />

amaro in bocca. Allora scivolai a terra e piegai la testa verso l'acqua<br />

corrente, pulendomi la bocca e sciacquandola e sputando finché fu<br />

di nuovo pulita. Sentii che dentro di me non sarei mai più stato<br />

pulito. Mi rialzai e guardai il corso d'acqua, che era piuttosto<br />

grande. Il sole era ancora caldo sulle mie spalle, ma l'intensità <strong>del</strong>


suo calore era sparita. Camminai lentamente nell'acqua fino a che mi<br />

arrivò alle ginocchia e poi mi ci lasciai cadere, lasciando che il<br />

freddo mi penetrasse.<br />

Quando mi rialzai vidi che Plauto era seduto e mi guardava, con<br />

la schiena appoggiata a un albero. I suoi occhi non lasciarono i miei<br />

mentre mi dirigevo verso la riva e mi fermavo davanti a lui.<br />

«Vuoi parlarne?»<br />

Scossi la testa. Lui si strinse nelle spalle. «Penso che dovremmo<br />

accamparci qui stanotte. Nessuno che ci cerchi verrà in questa<br />

direzione.»<br />

Mi guardai intorno. «Dove siamo?»<br />

«Me lo chiedi? Ci siamo persi, ecco dove siamo. Non potevamo<br />

certo andare a sud. È lì che si trova la villa <strong>del</strong>lo zio, ricordi? E in<br />

ogni caso ci hanno sentito dire che eravamo diretti a sud. Perciò ho<br />

girato a est appena siamo stati fuori vista. Siamo andati a est per<br />

circa un'ora e poi a nord. Ecco dove siamo adesso. Chiunque ci stia<br />

cercando dovrebbe sapere dove stavamo andando. E non può<br />

saperlo, perché non lo sappiamo neanche noi. Ci dovrebbe essere<br />

<strong>del</strong> pesce in quello stagno. Vado a vedere se abboccano.»<br />

Si alzò e se ne andò e io mi distesi, godendo la sensazione degli<br />

abiti freddi e bagnati. Ma pochi minuti dopo, almeno mi sembrò, mi<br />

svegliai, gelato fino alle ossa e mi spogliai e strofinai con il mantello.<br />

Plauto stava ancora pescando. Quando tornò, portando quattro<br />

pesci di media grandezza, avevo acceso il fuoco; pulimmo il pesce e<br />

poi lo cucinammo. Avevo più fame <strong>del</strong> dovuto e il pesce era buono.<br />

Mangiammo in silenzio. Alla fine, comodamente sdraiato in un<br />

avvallamento <strong>del</strong>la riva, sentii che potevo parlare di quanto era<br />

successo.<br />

«Come facevi a sapere chi era?»<br />

«Non lo sapevo, all'inizio.» <strong>La</strong> risposta di Plauto fu immediata,<br />

come se ne avessimo parlato per tutto il tempo. «Mi è venuto in


mente quando qualcuno lo ha chiamato Deus. È un nome inusuale<br />

per un essere vivente. Lo avevo sentito una volta, quando qualcuno<br />

parlava di lui. Poi mi sono ricordato che la stessa persona aveva<br />

detto che era parente di Quintilio Nesca. Mi ricordo di aver pensato<br />

che era molto logico. Hai mai incontrato Nesca?»<br />

«No. Non l'ho mai visto.»<br />

«Bene, questa è una fortuna per te. È un individuo malvagio. <strong>La</strong><br />

maggior parte <strong>del</strong> tempo vive a Costantinopoli a corte, ma ha <strong>del</strong>le<br />

proprietà fuori Roma, una tenuta qui, ovviamente e un'isola<br />

nell'Egeo, dove si dice che tiene solo pederasti e pervertiti.<br />

Comunque non donne. Si dice che ami mangiare carne umana.<br />

Bambini, cotti interi e conditi con spezie e cannella.»<br />

«Ah!» dissi con un brivido. «Questo è osceno! Come puoi<br />

prestare credito a simili idiozie?»<br />

Si strinse nelle spalle. «Non mi sorprenderebbe che fosse<br />

assolutamente vero, ogni parola. Non mi sorprenderebbe affatto. Te<br />

l'ho detto che è un uomo malvagio.»<br />

«Come fai a conoscerlo?»<br />

«Non lo conosco. Mio fratello lo conosce. Ha lavorato per lui<br />

prima di morire.»<br />

«E questo Dio è suo nipote?»<br />

«No, non un nipote, ma un parente in qualche modo, forse un<br />

cugino.»<br />

«Ma l'uomo <strong>del</strong>la mansio ha detto che due di quella banda<br />

erano nipoti di Nesca.»<br />

«E allora? Saranno stati due degli altri. Questo probabilmente<br />

spiega perché quei figli di puttana sono qui in Britannia. A far visita<br />

alla famiglia.»<br />

«Famiglia?» Ebbi di nuovo un tremito. «A me una famiglia<br />

suggerisce casa e sentimenti. Dei valori...»


«Oh, anche loro hanno dei valori. Semplicemente sono diversi<br />

da quelli <strong>del</strong>l'altra gente. Uno dei loro antenati, ho dimenticato il suo<br />

nome, è stato rimosso da governatore di una provincia per cru<strong>del</strong>tà.<br />

Un fatto con innumerevoli precedenti, suppongo, tranne che è stato<br />

Caligola a richiamarlo. Caligola! Te lo immagini? Cosa deve aver<br />

fatto?»<br />

«Pensi che ci cercheranno?»<br />

«I Seneca? Puoi immaginartelo. Hai inciso le tue iniziali su uno<br />

di loro, il cocco di famiglia, con la sua stessa spada! È ovvio che ci<br />

cercheranno. Ma non sanno dove cominciare. Non hanno un'idea di<br />

chi siamo, visto che non abbiamo fatto nomi. Tu hai detto il tuo<br />

nome mentre non c'ero?»<br />

Scossi la testa.<br />

«Bene, allora. Come potranno trovarci? Non penserà mai a<br />

cercarmi in un gruppo di centurioni e dubito che visiti spesso le<br />

fucine. Ti conosce per i capelli e la barba. Tagliateli per un mese o<br />

due. Vai in giro calvo e sbarbato. Probabilmente sembrerai anche<br />

più giovane. Ricordati che pensa che tu sia vecchio.»<br />

«Cosa mi dici di te, Plauto? Perché ce l'aveva con te?»<br />

Plauto sputò nel fuoco. «Chi sa? Te l'ho detto, è matto. È uno dei<br />

suoi attributi più noti. Gli piace ammazzare la gente. Dormiamo un<br />

po' e poi ci metteremo in cammino prima <strong>del</strong>l'alba. C'è ancora molta<br />

strada per Verulamium.»<br />

«Verulamium?» Mi sentivo a disagio. «Pensi che dovremmo<br />

andarci?»<br />

«Perché no? È lì che siamo diretti.»<br />

«Solo per consegnare la croce, che è rovinata. Io penso che<br />

dovremmo andare a casa, a Colchester.»<br />

Mi guardò interrogativamente. «Sei sicuro?»<br />

Riflettei. «Sì, sono sicuro. Penso che tu abbia ragione. Lui e la


sua gente ci cercheranno e se è così ricco come dici può permettersi<br />

di pagare un sacco di gente. Voglio rasarmi i capelli e la barba.»<br />

Plauto sorrise e scosse la testa. «Normalmente sei già abbastanza<br />

brutto da spaventare un bambino, ma quando sarai calvo farai<br />

orrore.»<br />

Feci una smorfia. «Mi spiace. Ho rovinato la tua licenza.»<br />

«Non sei stato tu. È stato quel figlio di puttana. Come lo hai<br />

chiamato? Progenie di puttana?» Rise. «Hai mescolato i generi, ma<br />

non tanto quanto lui.»<br />

Ammiccai, meravigliato, e non dissi nulla.


XIV.<br />

Ero stato parzialmente corretto nel mio giudizio sulla reazione<br />

dei Seneca, ma non si limitarono ad assumere un gruppo di soldati<br />

per cercarci: assunsero l'esercito romano. Per una settimana dopo il<br />

nostro ritorno inaspettatamente rapido a Colchester non accadde<br />

niente e noi non dicemmo niente a nessuno, tranne a Equo. Poi, una<br />

mattina presto, lasciando la mia casa per andare alla fucina, fui<br />

rapito. Ricordo un panno buttato sulla mia testa e <strong>del</strong>le braccia che<br />

mi afferravano e poi più niente.<br />

Quando riapersi gli occhi ero disteso su un divano<br />

nell'appartamento privato di Antonio Cicerone, il comandante <strong>del</strong><br />

distretto militare. All'inizio non sapevo dove fossi, ma poi vidi<br />

Cicerone in piedi davanti a me in grande uniforme. Lo fissai<br />

sorpreso. «Cicerone?»<br />

Annuì. «Sì, Varro. Come stai?»<br />

Come stavo? Ero confuso. Mi mossi per mettermi a sedere e la<br />

mia testa mi informò immediatamente che non stava affatto bene.<br />

Trasalendo e gemendo riuscii a tirarmi su.<br />

«Cosa mi è successo? Dove sono? Cosa sta succedendo?»<br />

«Tieni, bevi questo.» Mi porse una coppa che conteneva<br />

qualcosa di caldo e fumante. «Sei nel mio appartamento. Sei sotto<br />

custodia.»<br />

Presi quella roba, senza nemmeno tentare di berla. «Sotto<br />

custodia? Per che cosa? Sei serio? Sotto custodia per quale crimine?<br />

Per autorità di chi?»<br />

«Mortalmente serio. Io ho dato l'ordine. Sei qui in arresto.»<br />

Meraviglioso. <strong>La</strong> testa mi pulsava. Mi tastai a caso e trovai una<br />

zona molto dolente alla base <strong>del</strong> cranio.


«C'era proprio bisogno di picchiarmi così forte? Cos'è questa<br />

storia? Sono considerato troppo pericoloso per essere<br />

semplicemente avvicinato e preso in custodia? Cosa si suppone che<br />

abbia fatto?»<br />

Si girò e si allontanò da me, prendendo un'altra tazza fumante<br />

dal tavolo e sedendosi sulla seggiola di fronte a me. Da lì mi guardò<br />

per un po' in silenzio, mentre sorseggiava il contenuto <strong>del</strong>la sua<br />

tazza. Io aspettavo. Alla fine parlò.<br />

«Cosa diresti se ti raccontassi una storia di un attacco brutale e<br />

non provocato a un importante visitatore in Britannia? Un giovane<br />

venuto qui a visitare la sua famiglia - una famiglia molto importante<br />

- e che era impegnato in affari personali con l'Imperatore al<br />

momento <strong>del</strong>l'attacco? Cosa diresti se aggiungessi che quel giovane<br />

non solo è senatore e amico <strong>del</strong>l'Imperatore, ma è anche una <strong>del</strong>le<br />

persone più ricche e più influenti <strong>del</strong>l'intero Impero e che i suoi<br />

parenti più intimi, i fratelli in particolare, sono tra gli ufficiali di<br />

rango più elevato nell'esercito di Britannia? Cosa diresti se ti dicessi<br />

che quell'uomo è stato attaccato selvaggiamente e mutilato qui, nella<br />

mia giurisdizione, a meno di cinquanta miglia, in una normale<br />

mansio, in pieno giorno, mentre andava a far visita a dei parenti<br />

altrettanto ricchi e altolocati, anche se un po' lontani? Dimmi, Varro,<br />

come mi risponderesti?»<br />

Stavo palpandomi il bozzo alla base <strong>del</strong> cranio, pensieroso, ma<br />

la mia mente correva. Con poca convinzione cercai di fare il furbo.<br />

«Che tipo di risposta vuoi? Di cosa stai parlando a parte potere e<br />

influenza?»<br />

«Non fare il furbo, Varro. Sai benissimo di cosa sto parlando.<br />

Voglio una risposta.»<br />

«A cosa? Il mio cranio si sta spaccando. Non ho sentito<br />

nemmeno la metà di quello che hai detto. Ripetimi tutto.»<br />

Bevvi la bevanda calda - era vino speziato - mentre lui ripeteva


la storia. Feci una smorfia.<br />

«Direi che potresti trovarti indirettamente nei guai, perché è<br />

successo nel tuo distretto militare, ma non vedo come tu possa<br />

essere considerato responsabile di ogni pazzo nella zona. Assalto<br />

non provocato e mutilazione di un senatore? Chiunque abbia fatto<br />

qualcosa di simile deve essere pazzo. E questo cosa ha a che fare con<br />

me?»<br />

«Bevi, Publio e te lo dirò.» Bevve anche lui un sorso di vino<br />

speziato prima di continuare. «L'intera città viene setacciata in<br />

questo momento alla ricerca di un uomo con i capelli grigi, la barba<br />

grigia e una pronunciata zoppicatura. Un uomo molto forte. <strong>La</strong><br />

ricerca viene effettuata di casa in casa, da una coorte <strong>del</strong>le truppe<br />

personali <strong>del</strong>l'Imperatore di stanza a Londinium. Sono arrivate ieri<br />

sera, nel tardo pomeriggio e il loro comandante era qui, in questa<br />

stanza ieri sera e mi ha informato <strong>del</strong>la sua missione e mi ha chiesto<br />

formalmente il permesso di setacciare la città. I suoi ordini sono di<br />

trovare quell'uomo, non importa quanto tempo ci vorrà o quanto<br />

lontano questa ricerca li porterà.»<br />

«Capisco. Hanno un nome per quell'uomo?»<br />

«No, solo una descrizione.»<br />

«Chi era l'uomo che è stato aggredito?»<br />

«Cesario Claudio Seneca.»<br />

«Oh.»<br />

«È tutto quello che hai da dire?»<br />

«Cos'altro devo dire? Mi hai arrestato per via <strong>del</strong>la<br />

descrizione?»<br />

«Per quello e perché sapevo che tu eri in quella zona quando c'è<br />

stata l'aggressione, accompagnato dal mio primus pilus, la cui<br />

descrizione si adegua perfettamente a quella <strong>del</strong> secondo uomo.»<br />

«Plauto.»


Mi venne freddo per la paura. «Dov'è adesso?»<br />

«È dove deve essere. Fuori, per le strade <strong>del</strong>la città con le truppe<br />

imperiali a coordinare la ricerca.»<br />

Inghiottii un grande sorso di vino per nascondere la mia<br />

confusione. «Non capisco.»<br />

«Perché no? È molto semplice.» Si alzò in piedi e si diresse verso<br />

la porta <strong>del</strong>la stanza, aprendola casualmente e guardando fuori nel<br />

corridoio nelle due direzioni, prima di richiuderla decisamente<br />

dietro di sé e di ritornare a sedere. «Plauto mi ha raccontato tutta la<br />

storia stamattina. Non sono riuscito a trovargli un posto più sicuro<br />

di quello di coordinatore ufficiale <strong>del</strong>la ricerca, in piena uniforme.<br />

Sei tu quello con cui ho dei problemi.» Scosse la testa. «Buon Dio,<br />

Varro. Una cosa è arrabbiarsi con un uomo, ma dovevi proprio<br />

incidergli le tue iniziali sul petto? Sapendo che è un Seneca? Come si<br />

metterebbero le cose per Gaio Britannico se tu fossi accusato di<br />

questo crimine? Questo lo metterebbe sullo stesso piano di Primo<br />

Seneca: uno che assolda degli assassini per fare quello che non osa<br />

fare da solo. Gaio non ti ringrazierebbe per questo.»<br />

Ero confuso. <strong>La</strong> sua affermazione era assolutamente esatta, ma<br />

fino a quel momento non avevo pensato di mettere a rischio la<br />

reputazione <strong>del</strong> comandante. Mi difesi attaccando.<br />

«Quello non è un uomo» mormorai. «È un animale malato. E poi<br />

era solo una lettera: V. Sta per Vae Victis. Non pensi che sia giusto?<br />

Che debba portare quell'ammonimento: Guai ai vinti?»<br />

Per un po' ci fu silenzio, finché continuai: «Però hai ragione. È<br />

stato imperdonabilmente stupido da parte mia. Ho agito senza<br />

pensare».<br />

«Mmm. Comunque per il momento sei al sicuro. Non ti<br />

cercheranno qui.»<br />

«No? Non ne sono sicuro, Antonio. Se cercano e fanno<br />

domande, verranno a sapere dove vivo e dove lavoro.»


Si alzò bruscamente. «Ce ne siamo occupati. Ti troveranno e ti<br />

lasceranno andare. Sei stato portato qui senza conoscenza in un<br />

carro coperto e sotto la scorta di uomini fidati di Plauto. Staranno<br />

zitti. Nessun altro ti ha visto. Il tuo socio alla fucina è stato avvertito<br />

di mandarli a casa tua. E lì troveranno Publio Varro. Gli faranno<br />

<strong>del</strong>le domande e poi lo lasceranno in pace.»<br />

«Come, chi?»<br />

Sorrise per la prima volta. «Hai mai incontrato Leone, il mio<br />

maggiordomo?» Scossi la testa, senza capire. Sorrise. «Lo<br />

incontrerai. È con me da quando sono nato. E prima ha servito mio<br />

padre per tutta la vita. È un uomo vecchio, ha i capelli grigi, la barba<br />

grigia e zoppica dalla gamba sinistra, come te. Ma è troppo vecchio,<br />

troppo debole per essere capace <strong>del</strong> crimine per cui ti cercano. Oggi<br />

sta fingendo di essere te, a casa tua.»<br />

Ero stupito. «Perché?» Era la sola domanda che riuscissi a<br />

formulare e significava tutto.<br />

Sorrise di nuovo. «Come hai detto tu, un uomo dovrebbe essere<br />

pazzo per fare quello di cui sei stato accusato senza provocazione.<br />

Lo so. E conosco Plauto. Non conosco il giovane Seneca, ma da tutto<br />

quello che ho sentito dire di lui è pazzo, è un animale.»<br />

«Non parliamo male degli animali. Quell'uomo è un mostro.»<br />

«Esattamente. Perciò non ti troverà e non troverà Plauto e dovrà<br />

presto riportarsi la sua rabbia mostruosa e il suo potere, entrambi<br />

insoddisfatti, da dove è venuto. È in missione per l'Imperatore,<br />

apparentemente, e questo significa che ha poco tempo per cercare<br />

vendette personali. Nel frattempo tu dovrai star qui per una<br />

settimana circa.»<br />

«Una settimana?»<br />

«Come minimo. Fino a che questa follia non sia finita e non sia<br />

stata dimenticata. Mi dispiace per la tua testa, ma non avevo scelta.<br />

Non si poteva sapere se c'era qualcuno in strada che facesse la spia


per Seneca. Ha offerto oro per la tua cattura. Non c'era tempo di dirti<br />

qualcosa o di discutere con te. Volevo portarti qui non visto. Mi è<br />

sembrato il modo più rapido e più sicuro.»<br />

Scossi la testa con attenzione. «E così è. Ti sono grato e sono in<br />

debito nei tuoi confronti, Antonio Cicerone. Ma adesso cosa<br />

facciamo?»<br />

«Adesso incontrerai una donna che conosco. Fa <strong>del</strong>le magie per<br />

le donne e farà lo stesso per te.»<br />

Lo fissai senza capire. «Che tipo di cose?»<br />

«Ti trasformerà. Ti tingerà di biondo i capelli e la barba, poi ti<br />

accorcerà la barba lasciandoti solo due lunghi baffi celtici. Ti scurirà<br />

anche la pelle. Quando avrà finito non ti riconoscerà neanche Equo.»<br />

Mi alzai in piedi e cominciai a muovermi per la stanza,<br />

dimenticandomi che mi faceva male la testa, nell'urgenza <strong>del</strong>la<br />

situazione. «No» dissi. «No, Antonio, non funziona. Il giovane<br />

Seneca non mi conosce, ma suo fratello maggiore sì ed è la volpe<br />

<strong>del</strong>la famiglia. Devo lasciare Colchester. Devo andarmene da qui.»<br />

«Ma perché, è ridicolo. <strong>La</strong> mia amica ti trasformerà, credimi,<br />

Varro. Sarai al sicuro. Nessuno ti scoprirà. Farà diventare biondi i<br />

tuoi capelli, ti raserà la barba, ti scurirà la pelle e ti benderà la<br />

gamba. Sarai un ufficiale veterano, un mercenario germanico, ferito<br />

in una campagna nel nord.»<br />

<strong>La</strong> mia risposta fu sommessa, mentre pensavo ad alta voce. «Sì,<br />

e il trucco funzionerà per un po'. Fino a che non mi troveranno e<br />

Primo Seneca si ricorderà di conoscere un uomo che corrisponde<br />

esattamente alla descrizione e che è un amico di Gaio Britannico e<br />

che lo ha visto qui a Colchester, insieme a lui, quando Britannico ha<br />

accusato Seneca pubblicamente di usare dei mercenari assoldati per<br />

uccidere a suo nome.» Sentii una grande amarezza invadermi<br />

mentre realizzavo la precarietà <strong>del</strong>la mia situazione. «No, Antonio,<br />

la tua valutazione iniziale era corretta. Ho messo in pericolo Gaio e


la mia sola speranza di salvare qualcosa da questa palude è di<br />

andarmene. <strong>La</strong> truppa imperiale può essere ingannata dal tuo<br />

Leone, ma l'inganno reggerà solo se me andrò. Se Primo Seneca<br />

torna qui e mi trova tutto finisce.»<br />

Mi stava fissando preoccupato. «E allora dove andrai, Varro?<br />

Dove potrai essere al sicuro dalle spie dei Seneca?»<br />

Gli sorrisi, perché avevo risposto in quel momento alla stessa<br />

domanda nella mia mente. «A ovest. Britannico mi ha sempre<br />

chiesto di trasferirmi dalle sue parti, di aiutarlo ad avviare la sua<br />

Colonia quando si ritirerà. È in Africa da quasi cinque anni. Tra poco<br />

sarà a casa. Quando arriverà mi troverà lì installato ad aspettarlo.<br />

Nel frattempo nessuno sospetterà che io sia andato lì in sua<br />

assenza.»<br />

Cicerone alzò le sopracciglia e inclinò il capo in segno di<br />

approvazione. «Bene, suppongo che tu abbia ragione. Mi sembra<br />

ragionevole. Ma la tua fucina? I tuoi affari?»<br />

«Equo può tenerla aperta per me. Lo fa anche adesso, quasi<br />

sempre. Ma hai ragione. Per quanto tempo deve sparire un uomo<br />

prima di essere dichiarato ufficialmente morto?»<br />

Aggrottò la fronte. «È una strana domanda. Perché me lo<br />

chiedi?»<br />

«Penso che dovrei morire» dissi. «Come possiamo fare?»<br />

Impallidì quando capì cosa stavo dicendo e rimase in silenzio,<br />

immerso nei pensieri per un lungo momento. «Si può fare» disse alla<br />

fine. «Ogni tanto si trovano dei cadaveri e alcuni sono irriconoscibili.<br />

Immagino che sia questo che intendi?»<br />

Annuii. «Se io, come amico, ti lasciassi un testamento, tu potresti<br />

produrre il documento dopo la mia morte, non credi?» Annuì<br />

lentamente. «Bene. Scriverò un testamento, lasciando tutto quello<br />

che possiedo a Equo, come mio solo erede e socio. A quel punto la<br />

fucina diventerà legalmente sua e nessuno potrà togliergliela. Potrei


anche lasciarti qualcosa di mio da mettere sul corpo giusto.»<br />

Si schiarì la voce. «Cosa ad esempio?»<br />

«Non so» dissi scrollando le spalle, «non ci ho ancora pensato,<br />

ma troverò qualcosa.»<br />

«Varro, questo è altamente irregolare...»<br />

«Sì, Antonio, e lo sono anche i Seneca. Funzionerà. Io<br />

scomparirò. Morto presunto. Troverai un corpo decomposto che<br />

faccia al caso nostro e dichiarerai ufficialmente la mia morte. Ci<br />

vorranno mesi, ma non importa. Equo nel frattempo si occuperà dei<br />

nostri affari e si unirà a me in seguito se vorrà, quando sarà sicuro<br />

farlo. In ogni caso Gaio Britannico sarà al sicuro dalle calunnie dei<br />

Seneca per causa mia.»<br />

«Ti fidi tanto di lui? Di Equo?»<br />

Sorrisi. «Certo. Fino ad oggi erano solo tre le persone alle quali<br />

avrei affidato il mio futuro: Equo, Plauto e Gaio Britannico. Ora tu<br />

hai fatto sì che siano quattro.»<br />

«Mmm. Mi metti in buona compagnia. Ti ringrazio. Quando<br />

andrai via?»<br />

«Presto, ma non troppo presto. <strong>La</strong> caccia è al suo apice adesso.<br />

Aspetterò che si calmi. Forse due settimane, non di più. Meno, se<br />

Primo Seneca viene qui. Se arriva, me ne andrò subito.»<br />

Diede un profondo colpo di tosse. «Bene, allora starai qui al<br />

forte fino a che le truppe imperiali lasceranno Colchester. Dovrebbe<br />

essere domani o dopo, visto che ti cercheranno invano. Resta nei<br />

miei quartieri personali. Ti farò preparare da Plauto un lettino da<br />

campo nella stanza qui a fianco. Ma devi stare nascosto finché ti dirò<br />

che puoi uscire e Leone rimarrà fino a quel momento in casa tua.»<br />

Piegai la testa accettando e ringraziandolo per la sua generosità.<br />

Passai solo una notte nel suo alloggio, perché le truppe<br />

<strong>del</strong>l'imperatore partirono il giorno dopo. Antonio mi informò che


avevano visitato la mia casa e che avevano scambiato Leone per me<br />

e lo avevano ritenuto troppo vecchio e debole per essere l'uomo<br />

giusto. Avevano anche assolto Equo dall'essere mio complice perché<br />

era troppo grosso e chiaro di capelli per adattarsi alla descrizione <strong>del</strong><br />

secondo uomo che cercavano.<br />

Passai le successive due settimane a fare i preparativi per il mio<br />

viaggio a ovest e lasciai una barretta d'argento con il mio nome a<br />

Cicerone, in modo che potesse usarla per provare la mia morte se e<br />

quando i suoi uomini avessero trovato un corpo adatto. Le mie<br />

ultime volontà erano brevi ed essenziali e anche quelle furono<br />

lasciate nelle sue mani. Il testamento diceva:<br />

Da quando c'è stato l'attacco notturno a Gaio Britannico, quando avrei<br />

potuto perdere la vita senza preparazione o preavviso, ho pensato molto alla<br />

morte. Sono cosciente <strong>del</strong> fatto che, in caso di morte, il mio amico e socio,<br />

conosciuto da tutti come Equo, non avrebbe modo di dimostrare che la fucina<br />

che mandiamo avanti insieme è di diritto e legalmente di sua proprietà,<br />

poiché io non ho altro uso per essa e non ho eredi. Se, e quando morirò, se<br />

Equo è ancora vivo, la fucina e tutto quello che contiene appartengono a lui,<br />

e può farne quello che vuole.<br />

<strong>La</strong>scio questo documento al sicuro nelle mani <strong>del</strong> mio nobile amico<br />

Antonio Cicerone, governatore militare di questo distretto.<br />

Gaio Publio Varro<br />

Tre giorni prima <strong>del</strong>la partenza andai nella stanza <strong>del</strong>le anni e<br />

tolsi dal muro il grande arco africano <strong>del</strong> nonno. Quando non era<br />

teso misurava cinque piedi e mezzo da una punta all'altra.<br />

Gli avevo fatto diverse corde di bu<strong>del</strong>lo e una serie di frecce con<br />

i rami diritti di un giovane abete. Li avevo scortecciati e asciugati<br />

nella forgia, legandoli prima stretti in un fascio in modo che non si<br />

piegassero. Equo mi aveva sorpreso con le sue conoscenze sull'arte<br />

di mettere le piume alle frecce e aveva passato ore lavorandoci,


facendo la punta con amore all'estremità di ogni freccia e incollando<br />

piume d'aquila ai lati <strong>del</strong>la cocca. Le frecce finite erano lunghe un<br />

braccio ed erano fornite di una punta con barbigli <strong>del</strong> ferro migliore,<br />

<strong>del</strong>la mia forgia.<br />

L'arco era composto da tre strati: legno, corno e nervo, con il<br />

legno al centro e il nervo sulla curva esterna. All'inizio, malgrado la<br />

forza <strong>del</strong>la mie braccia, non ero riuscito a tenderlo, ma Equo mi<br />

aveva insegnato il trucco per farlo, e le mie braccia si erano in fretta<br />

adattate all'insolita tensione muscolare richiesta. Una volta imparato<br />

a padroneggiare il trucco scoprii che quell'arma poteva lanciare<br />

frecce con forza sufficiente a trapassare un albero a più di duecento<br />

Passi.<br />

Per due settimane dopo l'incidente con Seneca non avevo più<br />

teso l'arco, ma decisi di portarlo ugualmente con me in viaggio,<br />

insieme con il pugnale e una buona spada, fatta con le mie mani.<br />

Comprai dalla guarnigione tre buoni cavalli, due da sella e il<br />

terzo per caricarci la mia roba. <strong>La</strong> vendita era assolutamente illegale,<br />

ovviamente, ma i miei amici al forte, Cicerone e Plauto, furono<br />

d'accordo che come ex primus pilus e fornitore di valore avevo diritto<br />

a un noleggio a lungo termine.<br />

Finalmente una bella giornata di tardo autunno fui pronto a<br />

partire. Uno squadrone di cavalleria leggera doveva scortarmi per il<br />

primo terzo <strong>del</strong> viaggio da Colchester a Verulamium, dove<br />

dovevano rilevare un distaccamento che era stato in quella città in<br />

servizio prolungato. Equo mi disse addio e Plauto venne a<br />

prendermi alla fucina e cavalcò con me fino al forte per incontrare la<br />

mia scorta. Mentre mi augurava buon viaggio sorrise, più a se stesso<br />

che a me e io ne fui incuriosito.<br />

«Perché stai ghignando?»<br />

Il suo ghigno aumentò. «Oh, pensieri passeggeri» disse. «Un<br />

caro saluto a Febe.»


«Febe? Cosa vuoi dire?»<br />

«Passerai da Verulamium, vero? Dalle una botta da parte mia.»<br />

Non sapevo se ridere o arrabbiarmi. «Plauto, sei un maiale»<br />

dissi, «sei un vero maiale. Te l'ho già detto.»<br />

«Sì.» Rise, con quel suo riso sporcaccione. «E Febe è un piccione<br />

grasso che aspetta di essere mangiato, e il tuo viaggio a ovest sarà<br />

lungo. E un cuscino soffice lungo la strada sarà un piacere, almeno<br />

per una notte.»<br />

Aggrottai la fronte. «Dormirò da Alarico a Verulamium.»<br />

«Ovviamente e io rispetterò per sempre la tua castità. Ma se<br />

dovessi vedere Febe, ricorda i miei saluti.»<br />

Sorrisi e lo abbracciai e poi partii, cavalcando alla testa <strong>del</strong>la<br />

colonna con il giovane comandante.<br />

<strong>La</strong> prima parte <strong>del</strong> viaggio passò in fretta e in modo piacevole,<br />

anche se ci accampavamo ogni notte nei campi e nelle radure al lato<br />

<strong>del</strong>la strada. Non riuscivo ad abituarmi a dormire in un campo<br />

militare che non fosse circondato da una recinzione e da un fossato.<br />

Mi preoccupava molto, anche se nessuno sembrava badarci.<br />

Britannico e le sue idee mi avevano forse reso eccessivamente<br />

critico, lo ammettevo, ma c'era una logica dietro la mia sfiducia. Il<br />

campo circondato da una recinzione e da un profondo fossato era<br />

stato la salvezza e la forza dei soldati romani per quasi<br />

milleduecento anni. Solo nel secolo passato quell'abitudine era stata<br />

abbandonata, specialmente qui in Britannia, dove regnava la pace<br />

da oltre trecento anni. <strong>La</strong> rilassatezza nei regolamenti aveva radici<br />

nella generale, pericolosa rilassatezza <strong>del</strong>la disciplina: significava<br />

ledere i diritti <strong>del</strong> soldato moderno aspettarsi che scavasse un<br />

fossato ed erigesse <strong>del</strong>le fortificazioni intorno al campo notturno in<br />

tempo di pace! <strong>La</strong> mia mente ritornò alla brughiera nel primo giorno<br />

<strong>del</strong>l'invasione. Le fortificazioni intorno al nostro campo avevano<br />

salvato migliaia di vite. Grazie a Gaio Britannico e al suo rifiuto


testardo di accettare qualcosa di inferiore al massimo in tutto quello<br />

che faceva! Mi guardai intorno, nell'aperta campagna nella quale<br />

stavamo dormendo, e decisi di tenere chiusa la bocca e di non fare<br />

commenti.<br />

Uno squadrone di cavalleria leggera non era altro che uno<br />

squadrone di arcieri a cavallo e quindi il mio grande arco africano<br />

fece sensazione tra gli uomini. Ogni notte, dopo cena, nell'ora o poco<br />

più che rimaneva prima che cadesse l'oscurità, fissavamo dei<br />

bersagli lungo la strada e facevamo <strong>del</strong>le gare con l'arco. Ero<br />

contento di poter dire in tutta modestia che il mio arco rispetto al<br />

loro era come una ballista rispetto alla fionda di un bambino.<br />

Febe fu felice di vedermi. Non mi lasciò dubbi quando arrivai<br />

dove lavorava. Era molto occupata in quel momento, mi fu detto, a<br />

fare la manicure alla moglie di un magistrato cittadino, ma lasciò<br />

subito il suo posto quando le dissero che ero lì. Venne correndo a<br />

salutarmi, buttandomi le braccia al collo e baciandomi in un modo<br />

che mise a rischio la rettitudine <strong>del</strong>la mia anima. Le dissi che ero in<br />

città solo una notte e che dovevo visitare il vescovo Alarico, e mi<br />

accordai di andare a trovarla più tardi, quando fosse stata libera.<br />

In realtà sapevo che Alarico non era a Verulamium. Ero andato a<br />

casa sua al mio arrivo, solo per sentirmi dire che stava facendo la<br />

volontà <strong>del</strong> suo Padrone. <strong>La</strong> notizia non mi aveva sorpreso. Alarico<br />

passava poco tempo a Verulamium. Quello che mi sorprese fu la<br />

mia reazione, un misto di sollievo e liberazione. <strong>La</strong>sciai i miei saluti<br />

all'intendente di Alarico e andai subito da Febe.<br />

Non sapevo perché avevo mentito a Febe, ma avevo tutto il<br />

pomeriggio per scoprirlo. Comprai un po' di pane fresco, <strong>del</strong><br />

formaggio e una piccola brocca di vino da un mercante e uscii dalla<br />

città per rimanere solo a pensare. Trovai una comoda panca sotto un<br />

albero e lasciai libero il cavallo a pascolare e mentre mangiavo mi<br />

concessi di pensare ai miei sentimenti per Febe. Il mio desiderio per<br />

lei era forte come sempre. Non mi ingannavo su quello. Quando mi


aveva buttato le braccia al collo il desiderio che avevo sentito era<br />

stato violento e profondo. Più che altro, però, Febe era un'amica. Più<br />

che altro? Dovetti sorridere mentre lo pensavo. Niente ha più<br />

pretese di un fallo eretto e nelle braccia di una donna disponibile<br />

poche altre considerazioni possono coesistere con la necessità di<br />

compiere e prolungare la copula. Febe era mia amica, questo era<br />

vero, una cara, leale e affezionata amica. Troppo affezionata. Questo<br />

era il dilemma. Io ero un fuggitivo e, se fossi stato preso, sarei stato<br />

un uomo morto. Sapendo questo Febe, essendo la donna che era,<br />

avrebbe voluto condividere la mia odissea, il mio giaciglio lungo la<br />

strada e il mio pericolo. E questo non potevo permetterlo in tutta<br />

onestà perché, per almeno due ragioni - la sua posizione sociale e il<br />

suo matrimonio con Cuno - non potevo pensare a lei come a una<br />

moglie e perciò non potevo esporla a dei rischi per la sola<br />

gratificazione dei desideri <strong>del</strong>la mia carne.<br />

Tutto questo era altamente filosofico, ovviamente, e io apprezzai<br />

la discussione con me stesso, ma al momento di alzarmi per<br />

andarmene avevo deciso che non le avrei detto niente <strong>del</strong> motivo <strong>del</strong><br />

mio viaggio, né <strong>del</strong>la mia destinazione.<br />

Quando la incontrai di nuovo al punto e all'ora<br />

<strong>del</strong>l'appuntamento, Febe danzava letteralmente per l'eccitazione.<br />

All'anfiteatro davano un dramma quella sera e lei non aveva mai<br />

visto una recita. Naturalmente ci andammo insieme.<br />

L'anfiteatro, che era stato costruito pochi decenni prima sulle<br />

alture circostanti la città, era enorme. Non ricordo il nome <strong>del</strong>la<br />

commedia che vedemmo perché passai la maggior parte <strong>del</strong> tempo<br />

godendo <strong>del</strong> piacere di Febe, ma ricordo di essere rimasto<br />

impressionato dal numero di persone che quel posto poteva ospitare<br />

e dalla facilità con cui le voci si sentivano dal palcoscenico, anche se<br />

noi eravamo seduti molto in alto sulle gradinate. Qualcuno mi disse<br />

che quel luogo poteva accogliere fino a settemila spettatori a sedere.<br />

Alla fine <strong>del</strong>lo spettacolo, mentre ce ne stavamo andando,


scoppiò una rissa vicino a me e io sentii urlare la parola “ladro!”.<br />

Guardai alla mia destra e vidi venire verso di me il ladro in<br />

questione, un tagliaborse, con ancora in mano il suo bottino. Vide<br />

che lo avevo notato e deviò verso la folla prima che io pensassi di<br />

mettergli le mani addosso. <strong>La</strong> folla era troppo compatta per dargli la<br />

caccia e quindi lo lasciai andare. Rivolsi invece la mia attenzione a<br />

Febe che stava chiacchierando e non pensai più a lui.<br />

Vicino all'anfiteatro c'era una quantità di negozi, di bancarelle di<br />

cibi cotti per soddisfare l'appetito <strong>del</strong>la folla che accorreva agli<br />

spettacoli e Febe e io riuscimmo a trovarne uno il cui cibo, rispetto<br />

agli altri, era molto buono. Lì, durante il nostro pasto e dopo che le<br />

sue chiacchiere sullo spettacolo si furono esaurite, le dissi che stavo<br />

partendo per un lungo viaggio e che probabilmente non ci saremmo<br />

incontrati mai più. <strong>La</strong> pregai di non farmi domande e poi mi<br />

addolcii e le dissi, in risposta alle sue suppliche, che non potevo<br />

portarla con me.<br />

Per un momento rimase accasciata e io caddi in silenzio,<br />

lasciandola ai suoi pensieri: per una volta nella vita avevo avuto il<br />

buon senso di fare la cosa giusta. Rimasi a sedere bevendo il mio<br />

vino, cercando di non farmi vedere mentre guardavo la sua<br />

espressione. C'erano pena, <strong>del</strong>usione, risentimento? Non avrei<br />

potuto dirlo. Non esprimeva assolutamente niente di quello che le<br />

passava per la testa. Solo il suo silenzio mi diceva che stava<br />

pensando intensamente.<br />

Quando arrivammo a breve distanza dalla sua casa, tenne la mia<br />

mano tra le sue e non fece altro riferimento al mio viaggio. Invece<br />

parlò di nuovo <strong>del</strong>lo spettacolo <strong>del</strong>la sera e <strong>del</strong> piacere che aveva<br />

avuto. Se non avessi sospettato altrimenti, avrei detto che era la<br />

stessa allegra silfide che mi aveva buttato le braccia al collo quel<br />

mattino.<br />

Ci fermammo fuori <strong>del</strong>l'edificio in cui aveva il suo alloggio e mi<br />

guardò con calma. Poi si alzò e mi prese per la barba, facendomi


abbassare in modo da potermi baciare con gentilezza e castità.<br />

«Buona notte, Publio. Viaggia in fretta e sicuro e torna presto da<br />

me. E nel frattempo pensami ogni tanto con affetto.»<br />

Mi girai per partire e lei mi tenne stretto per la barba, ridendo.<br />

Durante la notte rotolò su di me e mi montò, cavalcandomi<br />

lentamente e sollevandosi così in alto e ritirandosi da me così<br />

lentamente che mi aspettavo in ogni momento che perdesse la presa.<br />

Fu un'esperienza indimenticabile. Era così sicura <strong>del</strong>le mie reazioni<br />

che poteva fermarsi esattamente, anticipando il mio sfogo per un<br />

mezzo battito, rimanendo immobile finché la tempesta era tornata<br />

indietro e lei poteva ricominciare.<br />

«Credimi, uomo magico. Il piacere che tu provi non può<br />

neanche paragonarsi a quello che sto provando io. Se potessi<br />

tagliarti via e tenerti dentro di me per il resto <strong>del</strong>la vita, morirei<br />

felice e mi seppellirebbero con il sorriso sulla faccia.» Si fermò e si<br />

alzò, per poi chinarsi a bisbigliare un forte, appassionato sussurro<br />

pieno di tensione nel mio orecchio: «Questa potrebbe essere l'ultima<br />

volta che ti ho qui nel mio corpo, Publio Varro! Voglio ricordarlo e<br />

voglio che tu non te lo dimentichi più. Puoi anche avere altre donne<br />

dopo questa volta, ma non ne avrai mai una con cui godrai di più,<br />

perciò sono egoista. <strong>La</strong> notte è mia. Il tuo corpo è mio stanotte.»<br />

Era troppo. Mugolai e nelle convulsioni, buttando le mie braccia<br />

intorno a lei, la strinsi così vicino da perdere il controllo e mi riversai<br />

violentemente nelle profondità <strong>del</strong> suo corpo.<br />

<strong>La</strong> mattina, prima che il sole nascesse, mi fece il bagno e mi nutrì<br />

e poi si imbandì come pasto per me un'altra volta, di modo che<br />

quando ripresi la strada ero ancora umido di lei e il profumo dei<br />

suoi succhi aderiva alla mia faccia e riempiva le mie narici.


LIBRO TERZO<br />

VERSO OCCIDENTE


XV.<br />

Ero a due giorni di distanza da Verulamium e percorrevo con<br />

una certa facilità la strada verso la città che i Britanni chiamano<br />

Alchester, quando mi trovai nei guai. Mi sentivo ancora euforico per<br />

la maratona <strong>del</strong> mio incontro con Febe e sognavo ad occhi aperti. In<br />

effetti ero immerso nelle mie fantasie al punto che reagii quasi<br />

troppo tardi accorgendomi di un gruppo di cinque uomini schierati<br />

in strada a circa settantacinque passi di distanza. Capii subito che<br />

ero nei guai. Avevano un che di minaccioso che li faceva riconoscere<br />

immediatamente come dei malintenzionati.<br />

Fermai il cavallo e mi guardai intorno. Su entrambi i lati c'era<br />

brughiera aperta e non ci si poteva rifugiare da nessuna parte per<br />

cercare salvezza. Guardai dietro di me e non fui stupito di vedere<br />

altri tre uomini poco più lontani di quelli che mi stavano davanti.<br />

Una volta cosciente <strong>del</strong> pericolo, la mia mente ritornò<br />

automaticamente ai giorni nelle legioni. Senza neanche fermarmi a<br />

pensare, passai la gamba sulla groppa <strong>del</strong> cavallo e balzai a terra,<br />

tirando giù il mio arco dalle spalle con una mano e prendendo una<br />

freccia con l'altra. Non persi tempo a maledirmi per la mia<br />

distrazione. Incoccai la freccia, tesi l'arco, mirai e lasciai andare in<br />

una sola mossa. Considerando la velocità dei miei movimenti, fui<br />

fortunato. <strong>La</strong> freccia prese in piena fronte l'uomo al centro tra i<br />

cinque e lo ribaltò all'indietro.<br />

<strong>La</strong> rapidità <strong>del</strong>la sua morte seminò la confusione tra gli altri.<br />

Due di loro avevano degli archi, però, e sapevo che mi avrebbero<br />

reso le cose difficili non appena si fossero ripresi dallo spavento.<br />

Preoccupato all'idea che potessero colpire i miei cavalli, corsi<br />

zoppicando al lato <strong>del</strong>la strada e così facendo corsi quasi incontro<br />

alla loro prima freccia, che mi passò a fianco, a circa un piede di<br />

distanza: ricordo di aver pensato che se tiravano così male forse


avrei dovuto rimanere fermo e lasciare che sprecassero le loro frecce!<br />

<strong>La</strong>nciai una freccia ai tre dietro di me e fui di nuovo fortunato;<br />

uno di loro cadde con un gemito di dolore. A quel punto decisero di<br />

trattarmi con rispetto. Uno dei loro arcieri si inginocchiò per<br />

prendere meglio la mira. Feci un tiro da fermo, tirando la corda fino<br />

a dietro l'orecchio e tenendola ferma un istante prima di lasciarla<br />

andare. I muscoli di un fabbro, avevo scoperto, valevano spesso più<br />

<strong>del</strong>l'oro. <strong>La</strong> freccia lo infilzò prima che potesse lasciare andare il suo<br />

arco e malgrado fosse in ginocchio lo fece ruzzolare, dimostrando la<br />

potenza <strong>del</strong>l'arma che reggevo.<br />

Mi girai di nuovo per controllare i due uomini che rimanevano<br />

alle mie spalle. Si erano separati, uno su ogni lato <strong>del</strong>la strada, e<br />

correvano verso di me con tutta la velocità consentita dalle loro<br />

gambe. Uno di loro era a non più di venti passi quando il mio arco<br />

scattò di nuovo. Lo colpii in pieno movimento e tesi la mano<br />

automaticamente per prendere un'altra freccia, ma il suo compagno<br />

urlò, si girò e corse via come una lepre per la strada dalla quale era<br />

venuto. Lo lasciai andare e mi girai verso gli altri solo per scoprire<br />

che anche loro erano scappati. Feci un respiro di sollievo e tornai ad<br />

appoggiarmi ai cavalli che erano ancora dove li avevo lasciati. Ma,<br />

come era prevedibile, vidi la faccia triste di mia nonna e cominciai a<br />

tremare e poi a vomitare.<br />

Quattro uomini morti in meno di quattro minuti! Sputai per<br />

togliermi di bocca il cattivo sapore <strong>del</strong>la bile e andai a raccogliere le<br />

mie frecce, così utili. Ne pulii tre con un po' di erba, ma dovetti<br />

lasciare la quarta piantata nella fronte <strong>del</strong> primo uomo che avevo<br />

colpito. Fu un compito spiacevole recuperare quelle frecce, una cosa<br />

che non avrei voluto fare, ma non potevo permettermi di lasciarle lì.<br />

Il paesaggio davanti a me era fittamente coperto di boschi e<br />

disseminato di colline digradanti e vallate dense di vegetazione. Sia<br />

ringraziato Dio per le strade romane! Continuai il mio viaggio per<br />

altre due ore senza incontrare anima viva, anche se adesso guardavo


con molta più attenzione e non sognavo più ad occhi aperti.<br />

Al tramonto stavo seriamente cercando un punto adatto a<br />

bivaccare quando vidi un gruppo di uomini venire verso di me. Si<br />

vedeva un leggero luccichio di metallo e io li riconobbi per quello<br />

che erano, un manipolo di fanteria. Quando giunsero più vicino a<br />

me vidi il vessillo <strong>del</strong>la XX legione, il mio reggimento, mi misi<br />

sull'attenti e li aspettai. Il centurione a cavallo venne trottando verso<br />

di me e si fermò a qualche passo. Gli feci il saluto a pugno chiuso<br />

<strong>del</strong>le legioni. Rimase lì a fissarmi.<br />

«Centurione? Comandante Varro?»<br />

Avvicinai il mio cavallo al suo. «Sì. Sono Varro. E tu chi sei?»<br />

«Stratone, Stratone Pompeo, comandante. Ero con i “Martelli”<br />

nel '67.»<br />

«Stratone! Per tutti i Cesari! Ragazzo, sei cresciuto!»<br />

Rise e ci abbracciammo. Era davvero cresciuto. Quando i<br />

“Martelli” erano stati formati lui era il più giovane tra loro, un<br />

ragazzetto di diciassette anni, ma era già decurione.<br />

«Dove sei stato da allora?» Si girò e mi guardò e potei vedere<br />

genuina ammirazione e piacere nel suo sguardo.<br />

«Sempre con la XX, signore. Sono stati riformati dopo<br />

l'invasione. Sono centurione, adesso, primus pilus, come vedi. E devo<br />

dire che speravo che tu avessi smesso di dire “Per tutti i Cesari!” a<br />

ogni Pompeo che incontri! Ho sempre pensato che ti saresti messo<br />

nei guai prima o poi. Noi Pompei siamo una brutta banda e non<br />

amiamo il nome di Cesare, neppure oggi.» Rise timidamente,<br />

consapevole <strong>del</strong>l'audacia di un simile discorso al suo ex<br />

comandante. Ma adesso anche lui era primus pilus. Il giovane<br />

Stratone era scomparso da tempo. «Stavamo giusto per accamparci<br />

per la notte. C'è una radura un po' elevata a poco più di un miglio.<br />

Vuoi unirti a noi?»<br />

«Volentieri, amico. Ho passato quel posto poco fa. Mi ci sarei


fermato volentieri, ma ho avuto qualche problema con alcuni locali<br />

poco prima e speravo di trovare un posto più facile da difendere da<br />

solo. Hai ragione comunque sui Cesari. Alcuni di loro sono persone<br />

altamente spiacevoli.»<br />

Aggrottò la fronte. «Che tipo di problemi hai avuto? Dove?»<br />

Feci segno alle mie spalle. «Là dietro. Circa otto, dieci miglia più<br />

in là. Dei tizi volevano privarmi dei cavalli e <strong>del</strong>la vita.»<br />

«Stai bene?»<br />

«Oh, sì, ma ne ho lasciati quattro per la strada. Li troverete<br />

domattina, suppongo, se i loro amici non sono tornati indietro a<br />

prenderseli.»<br />

I suoi occhi si spalancarono. «Quattro di loro?»<br />

«Quattro.» Ghignai. «Non in corpo a corpo. Li ho colpiti a<br />

distanza. Con questo.» Mostrai l'arco.<br />

Lo guardò e fece un fischio molto eloquente. «È un bel numero<br />

comunque! Quattro!»<br />

Mentre parlavamo il suo manipolo era andato avanti e noi<br />

eravamo ormai cento passi indietro sulla strada.<br />

«Andiamo, comandante. È meglio che li raggiungiamo o<br />

supereranno il punto dove ci dobbiamo accampare.»<br />

Spinsi il mio cavallo vicino al suo. «Dove siete diretti, Stratone?»<br />

«Da nessuna parte in particolare, signore. Solo un servizio di<br />

pattuglia. Abbiamo avuto dei problemi con dei banditi in questo<br />

distretto. Non sappiamo chi siano, ma fanno danni e dobbiamo<br />

pattugliare la zona regolarmente. E tu?»<br />

«Ah...» ero stato sul punto di dirgli dove stavo andando, e la mia<br />

esitazione mi sembrò molto evidente. «Sto solo girando, Stratone,<br />

guardando il paesaggio e godendomi il tempo. Un po' di riposo<br />

dalla vita per qualche giorno.»<br />

Rise con piacere e stava ancora ridendo quando raggiungemmo


il manipolo che stava già iniziando a sparpagliarsi per il campo. Di<br />

nuovo non vidi accenni di fortificazione, ma stavolta mi sentii libero<br />

di commentare.<br />

«Un campo non fortificato, Stratone? Credevo che ti avessimo<br />

insegnato di meglio!»<br />

<strong>La</strong> sua fronte si aggrottò. «Lo hai fatto e io non mi sento mai a<br />

mio agio così. Ma questo è il sistema adesso nella XX. E anche nelle<br />

altre, <strong>del</strong> resto. Il legato che comanda la legione non vuole problemi<br />

con gli uomini e li avrebbe se li costringesse a scavare un fossato e a<br />

costruire una recinzione ogni notte.»<br />

«Anche in territorio ostile?»<br />

Annuì. «Temo di sì, comandante. Non è più come ai vecchi<br />

tempi.»<br />

«Mi pare evidente.» Mi guardai intorno. Il campo veniva<br />

preparato nel modo ordinato che conoscevo bene. Ma non c'erano<br />

fortificazioni. «Non siete mai stati sorpresi con le braghe calate?»<br />

Si strinse nelle spalle. «Non ancora, grazie a Dio. Usiamo più<br />

sentinelle di prima.»<br />

«Vuoi dire che gli uomini preferiscono fare più guardie che<br />

allestire un campo sicuro?»<br />

«È così.»<br />

Fu la mia volta di alzare le spalle. «Bene, Stratone, spero che non<br />

ti trovi mai nella situazione di desiderare di aver insistito per fare<br />

quello che sai essere giusto.»<br />

«Lo spero anch'io, comandante.»<br />

«Dove posso mettermi? Nella zona degli ufficiali?»<br />

«Come? Proprio qui, signore, nella zona <strong>del</strong> tribuno. Incarico un<br />

uomo di montarti una tenda.»<br />

«No, Stratone, non lo farai. Monterò la mia. In questo modo sarò<br />

sicuro che non cadrà nel pieno <strong>del</strong>la notte. Tu occupati dei tuoi


compiti. Io mi installo e poi ti aspetto. Torna quando avrai il tempo<br />

di rilassarti.»<br />

Mi lanciò un saluto e se ne andò a visionare i preparativi per la<br />

sera.<br />

A cena quella sera mi presentò ai suoi compagni centurioni e ai<br />

giovani ufficiali e la sera passò in modo molto piacevole, con molti<br />

ricordi <strong>del</strong>la ritirata dal vallo nel '67 e nel '68 e dei combattimenti. Mi<br />

buttai a letto verso le dieci e dormii come un ghiro fino a che suonò<br />

la tromba.<br />

Mi alzai presto la mattina per fare l'ultimo pezzo di strada fino<br />

ad Alchester. Trovai che era un posto carino, poco più di un campo<br />

permanente con una piazza <strong>del</strong> mercato, ma aveva anche una<br />

mansio, dove riuscii a fare un bagno caldo e vaporoso e mangiare un<br />

pasto eccellente. Poi, rinfrescato e rinvigorito, andai a visitare il<br />

mercato dove trovai alcune belle ceramiche, fatte da un artigiano<br />

locale. C'era un bel vaso decorato in smalto azzurro su un fondo<br />

nero giaietto che per qualche strano motivo mi fece pensare con una<br />

tale forza a Britannico che dovetti comprarlo per lui, sapendo che gli<br />

sarebbe piaciuto. Aveva un collo lungo e sottile e una pancia di<br />

<strong>del</strong>icata fattura, ma era pesante e ben fatto.<br />

Ormai era tardo pomeriggio, perciò mi recai al campo principale<br />

di Alchester e mi presentai all'ufficiale in comando. Era un estraneo<br />

per me, ma lui sapeva chi ero, sempre grazie ad Antonio Cicerone, e<br />

mi invitò a cenare con lui e i suoi ufficiali quella sera. Accettai con<br />

gioia e passai con loro una piacevole serata, riuscendo ad eludere la<br />

loro curiosità sulla mia destinazione e lasciandoli con la netta<br />

impressione che mi sarei diretto verso sudovest, a Portus Adurni o<br />

Portchester come veniva chiamato, dove avrei preso una nave per la<br />

Gallia alla pigra ricerca di armi esotiche come usano fare i ricchi in<br />

tutto il mondo. Quando lasciai la tavola per tornare alla mansio era<br />

buio.<br />

L'entrata principale <strong>del</strong>la mansio era in una strettoia, più un


vicolo che una via, ma era ben illuminata con <strong>del</strong>le torce, cosa che mi<br />

sorprese. Ero a circa quaranta passi dall'ingresso <strong>del</strong>la mansio<br />

quando vidi due ubriachi avvicinarsi barcollando, abbracciati. Feci<br />

per scansarmi per farli passare quando la luce di una torcia li<br />

illuminò, e una serie di cose accaddero una dopo l'altra. Riconobbi la<br />

faccia <strong>del</strong> tagliaborse <strong>del</strong> teatro di Verulamium e riconobbi anche il<br />

suo compagno come uno degli uomini che mi avevano attaccato per<br />

strada, quello che era fuggito urlando quando avevo colpito il suo<br />

compagno a meno di venti passi da me. E sapevo anche senza girare<br />

la testa che altri due erano alle mie spalle, semplicemente perché<br />

erano rimasti vivi in quattro.<br />

Stringevo ancora in mano il vaso dal collo lungo che avevo<br />

comprato al mercato. Senza fermarmi a pensare, sapendo di avere<br />

perfettamente ragione e certo che sarei morto se non avessi fatto<br />

immediatamente qualcosa, corsi verso i due “ubriachi” roteando il<br />

vaso come una clava. Il vaso colpì il tagliaborse su un lato <strong>del</strong>la testa<br />

e lo mandò ad abbattersi privo di sensi contro il muro opposto. Il<br />

suo amico fu preso completamente alla sprovvista e si bloccò, a<br />

bocca aperta, dandomi il tempo di spostare il mio peso e di colpirlo<br />

nei testicoli con la gamba sana. Mentre si ripiegava su se stesso, gli<br />

sbattei il vaso, che non si era rotto, sulla testa e sentii le vertebre<br />

scricchiolare. Mantenni la spinta <strong>del</strong>lo slancio e mi girai in fretta per<br />

affrontare la situazione alle mie spalle, dove gli altri due assassini<br />

erano paralizzati dal terrore. Roteai il vaso come una clava e caricai<br />

con un ruggito. Si girarono e fuggirono e io li inseguii pur sapendo<br />

di non avere speranze di prenderli. Io sapevo di essere zoppo, ma<br />

loro sembravano averlo dimenticato.<br />

Alla fine mi fermai tremante di rabbia e tornai dai due che avevo<br />

atterrato. Il secondo che avevo colpito giaceva al centro <strong>del</strong>la<br />

strettoia, morto sul colpo, con la base <strong>del</strong> cranio spezzata.<br />

Attraversai la strada e guardai l'altro, quello che avevo creduto un<br />

tagliaborse. Era privo di conoscenza, ma era ancora vivo e il suo<br />

polso era forte. Guardai su e giù lungo la strada. Non si vedeva


un'anima. Chi era quella gente? Era chiaro che non era un incidente<br />

se li avevo incontrati tre volte in tre giorni a distanza di cinquanta<br />

miglia.<br />

Mi chinai verso l'uomo incosciente e lo tirai a sedere. Poi<br />

cominciai a schiaffeggiarlo, cercando di riportarlo in sé. Non mi<br />

preoccupavo di essere scoperto: nessuno avrebbe fatto domande a<br />

un uomo che era stato ospite negli alloggiamenti degli ufficiali.<br />

L'uomo non reagì ai miei schiaffi. Tirai fuori il Pugnale e mi<br />

inginocchiai, prendendogli la mano e pungendogli i polpastrelli con<br />

la punta <strong>del</strong> pugnale. A questo reagì in fretta. Non appena vidi che<br />

stava riprendendo conoscenza, lasciai che aprisse gli occhi<br />

spontaneamente. Quando lo fece e vide la mia faccia china su di lui, i<br />

suoi occhi si riempirono di terrore.<br />

«Tu mi conosci, vero?» Lo presi per i capelli e gli infilai la punta<br />

<strong>del</strong> pugnale in una narice. «Bene, io non ti conosco. Ma so che hai<br />

cercato di ammazzarmi e non mi piace. Riesco a immaginare modi<br />

migliori di morire che per mano di un ammasso di letame come te.»<br />

<strong>La</strong> mia voce era calma e moderata e non mostrava la paura,<br />

l'orrore e la repulsione che mi assalivano ora che il pericolo era<br />

passato. Torsi la mano che stringeva i capelli unti tirando in modo<br />

da farlo contorcere per il male nel tentativo di allontanare la testa<br />

dalla punta <strong>del</strong> coltello infilata nella sua narice.<br />

«Sei un brutto figlio di puttana, ma non diventerai più bello se ti<br />

apro il naso su entrambi i lati. E lo farò, amico, se non mi dici quello<br />

che voglio sapere. Se sei veramente forte e sai sopportare il dolore e<br />

continui a non parlarmi, allora ti taglierò le orecchie, prima una e<br />

poi l'altra. E poi ti inciderò una nuova bocca. Una senza labbra.»<br />

Premetti e tagliai e la lama <strong>del</strong> pugnale attraversò di netto la<br />

sensibile carne <strong>del</strong>la narice, provocando uno schizzo di sangue e un<br />

urlo di dolore. Infilai la punta nell'altra narice. «Ho imparato questo<br />

scherzetto dai nativi <strong>del</strong>l'Africa. Funziona bene, non trovi?»<br />

Gli occhi gli uscivano dalle orbite e si morsicava la lingua per il


terrore. Tolsi il coltello e gli scossi brutalmente la testa per i capelli,<br />

poi rimisi la punta al suo posto.<br />

«Allora? Perché stai cercando di uccidermi? Perché me?»<br />

<strong>La</strong> sua bocca si muoveva freneticamente, ma niente ne usciva.<br />

<strong>La</strong>sciai i capelli e lo presi per il davanti <strong>del</strong>la tunica, tirandolo verso<br />

di me e sentendo il puzzo <strong>del</strong> suo fiato rancido.<br />

«Conto fino a tre e poi il tuo naso parte e cominciamo con le<br />

orecchie. Uno.»<br />

Non ebbi bisogno di proseguire. Stava balbettando. «Assoldato.<br />

Assoldato. Ci hanno assoldato per ucciderti. Dieci monete d'oro!»<br />

«Assoldato da chi? Come mi conoscete?»<br />

«Non ti conosciamo! Stavamo cercando un uomo con i capelli<br />

grigi e zoppo. Un uomo forte. Ti abbiamo visto a Verulamium.»<br />

«Mi avete visto?» Lo ripresi per i capelli, torcendoli<br />

violentemente. «Mi stai dicendo che potrei anche non essere l'uomo<br />

che siete stati pagati per uccidere?»<br />

Era terrorizzato, fece segno di sì con la testa e fece una smorfia,<br />

come se ammettere l'errore di identità avrebbe potuto farlo uscire da<br />

quella situazione. Sentii che il disgusto mi saliva alla gola. Torsi<br />

ancora di più.<br />

«Da quanto tempo state cercando quell'uomo?»<br />

«Una settimana! Di più.»<br />

«Una settimana? Devi essere matto oltre che assassino.» Lo<br />

lasciai andare di colpo. «Una settimana, dici? E chi vuole tanto la<br />

morte di quell'uomo da mettere un prezzo così alto sulla sua testa?»<br />

chiesi, anche se lo sapevo già. «Dici che non sai il suo nome? Della<br />

vittima?»<br />

Scosse la testa, sollevato che lo lasciassi. «No. Nessun nome.<br />

Solo una descrizione. Come ho detto. Capelli grigi, barba grigia,<br />

gamba storpia. Come te.»


«Come me. Sai quanti uomini come me ci sono in Britannia,<br />

imbecille? Devono essercene centinaia! Tutti veterani. Tutti capaci di<br />

mangiare vivi quelli come te, e vomitarvi nel canale di scolo.» Toccai<br />

il filo <strong>del</strong> pugnale con il polpastrello. «Ho voglia di ucciderti,<br />

animale, e non mi sento così da anni. Farò un favore al mondo,<br />

oltretutto.» Gli misi la punta alla gola, guardando i suoi occhi<br />

diventare piccoli Per la paura. «Hai una possibilità di vivere. Chi ha<br />

offerto la taglia?»<br />

Sapevo che avrebbe mentito anche prima che parlasse. Glielo<br />

lessi negli occhi. «Non lo so.»<br />

Lo ripresi, in fretta, afferrandolo per un orecchio e<br />

tagliandogliene via metà, e mettendogli poi davanti il pezzo<br />

tagliato. Lo fissò come se non ci credesse.<br />

«Vuoi conservare l'altra metà? Ti aspetti che io creda che non sai<br />

da chi andare a prendere la tua sporca ricompensa? Chi ha fatto<br />

l'offerta?»<br />

Respirò profondamente e sussurrò un nome. Non lo intesi.<br />

Quando stavo per prendere l'altro orecchio, gridò. «Quintilio<br />

Nesca!»<br />

«Quintilio Nesca!» Il sangue mi salì alle orecchie. Sentii la<br />

tensione che se ne andava, per essere sostituita da una fredda<br />

collera. «Avresti potuto salvarti l'orecchio se avessi parlato prima.»<br />

Lo lasciai andare e poi lo spinsi in piedi contro il muro. Sanguinava<br />

abbondantemente dal naso e dall'orecchio, ma non accennò a<br />

fermare il flusso. Non staccava gli occhi dai miei.<br />

«Non mi ucciderai?»<br />

Lo guardai dalla testa ai piedi. «Perché dovrei ucciderti? Ti<br />

consegno all'esercito. Loro ti impiccheranno.» Lo spinsi via dal<br />

muro e lo feci avanzare davanti a me con la punta <strong>del</strong> pugnale fino<br />

alla mansio, dove mandai il figlio <strong>del</strong> proprietario a chiamare una<br />

pattuglia al campo.


Poi, quando l'inchiesta fu finita, venni fermato da un giovane<br />

soldato mentre stavo per andare a letto.<br />

«Comandante Varro?»<br />

Lo guardai stancamente. Sembrava molto giovane. «Sì, cosa<br />

c'è?»<br />

«Scusa, ma questo è tuo? Lo abbiamo trovato fuori, nella<br />

strada.»<br />

Il mio vaso era ancora intatto, a testimoniare l'abilità con cui era<br />

stato fatto. Pensai di riportarlo indietro il giorno dopo e di cambiarlo<br />

con un altro, uno senza sangue sopra. Ma poi cambiai idea. Mi era<br />

servito e senza di lui Britannico avrebbe perso un amico e la sua<br />

reputazione.<br />

Andai a letto quella notte depresso e abbattuto per la violenza<br />

<strong>del</strong>l'odio <strong>del</strong>la famiglia Seneca e per il potere personale di cui<br />

ognuno di loro godeva. Un uomo che tramite la sua famiglia poteva<br />

uccidere ovunque in Britannia era un uomo di cui avere paura.<br />

Trascorsi altri dieci giorni in viaggio dopo quell'episodio, stando<br />

attento ora a sembrare solo un semplice viaggiatore, disfeci il mio<br />

arco e avvolsi l'asta e la faretra con le frecce in un panno e poi lo<br />

portai appeso alla sella di uno dei cavalli, in modo che sembrasse<br />

parte <strong>del</strong>l'equipaggiamento per montare la tenda. Per i primi<br />

quattro giorni viaggiai in fretta, percorrendo molte miglia e poi,<br />

quando ritenni di essermi allontanato da quelli che potevano<br />

riconoscermi, mi concessi di rilassarmi e di godermi la strada.<br />

Mentre mi avvicinavo alla regione in cui viveva Britannico, lo<br />

scenario cambiò. Le massicce, impenetrabili terre boscose,<br />

cambiarono carattere. Gli alberi persero in altezza e in ampiezza e le<br />

foreste divennero più cespugliose. Alla mia sinistra, verso sud, le<br />

colline degradavano verso la zona costiera, mentre alla mia destra<br />

crescevano da semplici rilievi a colline alte, che poi seppi chiamarsi<br />

Mendips. E a sud e a ovest <strong>del</strong>le Mendips le fattorie diventavano più


abbondanti e prosperose mentre mi avvicinavo alla mia<br />

destinazione.<br />

Quando raggiunsi la città di Aquae Sulis ero pronto a godere<br />

<strong>del</strong>le famose acque da cui la città prendeva il nome. Arrivai in un<br />

tranquillo giorno <strong>del</strong>la settimana e la trovai molto affollata.<br />

Sembrava che tutti gli abitanti <strong>del</strong>la zona occidentale fossero ad<br />

Aquae Sulis per i bagni e per i mercati che abbondavano dei prodotti<br />

<strong>del</strong>la regione. Quando lodai la qualità dei prodotti a un venditore,<br />

quello si vantò che nessuna regione agricola al mondo poteva<br />

rivaleggiare con la sua e io mi resi conto ben presto che aveva<br />

ragione.<br />

Presi una camera privata in una <strong>del</strong>le osterie locali e passai i<br />

pomeriggi dei miei primi tre giorni in città semplicemente<br />

passeggiando per il mercato e guardando la merce in vendita. Ora<br />

che ero qui, dopo avere attraversato tutta la Britannia, di colpo non<br />

ero più sicuro che sarei stato il benvenuto. Gaio non era in Britannia<br />

e non conoscevo né sua sorella Luceia, né suo cognato Varo. I miei<br />

pensieri tornavano, ogni tanto, al poco entusiasmo mostrato dalla<br />

mia stessa famiglia quando ero arrivato, inatteso, a Colchester, per<br />

rivendicare la mia eredità.<br />

Stavo pensando esattamente a questo mentre tornavo ai miei<br />

alloggi il pomeriggio <strong>del</strong> terzo giorno in città. Avevo fatto un bagno<br />

al mattino presto, e avevo mangiato bene sulle bancarelle nella<br />

piazza <strong>del</strong> mercato, e mi ero comprato una nuova tunica, piuttosto<br />

bella, <strong>del</strong>le braghe di pelle e un paio di sandali nuovi. Il giorno<br />

prima avevo comprato un bel mantello foderato <strong>del</strong>la soffice<br />

pelliccia di molti conigli e bordato con pelli di ermellino. Portandolo<br />

quella sera, anche se solo per poco, avevo notato come erano<br />

miserabili gli altri miei vestiti. Ora, in un tentativo di liberarmi dalla<br />

depressione che mi opprimeva, misi gli abiti nuovi e andai nella<br />

taverna comune <strong>del</strong>la mansio per bere un boccale di birra.<br />

Il posto era rumoroso e affollato, ma non appena entrai nella


stanza un improvviso silenzio cadde sui presenti e io sentii cento<br />

paia di occhi cogliere ogni dettaglio <strong>del</strong> mio aspetto. Esitai per un<br />

attimo, sentendo il silenzio in modo palpabile e poi, mentre mi<br />

facevo strada verso il bancone in fondo alla stanza, la conversazione<br />

riprese e io venni ignorato. Tre uomini erano occupati a versare<br />

birra agli avventori che affollavano il locale. Pagai per un grande<br />

boccale di birra e mi girai verso la stanza, guardando le varie facce.<br />

Solo un uomo mi stava guardando, con la fronte aggrottata. Quando<br />

colsi il suo sguardo, scosse leggermente la testa, come stupito, e le<br />

sue rughe si approfondirono. Poi si alzò senza che gli altri al tavolo<br />

lo notassero, e si diresse verso di me, palesemente intenzionato a<br />

parlarmi.<br />

Lo guardai avvicinarsi, mentre cercavo freneticamente di<br />

collocare la sua faccia pur sapendo che era un assoluto sconosciuto e<br />

mi chiedevo cosa volesse da me. Mi confondeva con qualcun altro?<br />

Sembrava incredibile. <strong>La</strong> sola possibile alternativa era che fosse una<br />

spia di Seneca e che mi stesse cercando. Ma allora perché avrebbe<br />

dovuto avvicinarmi cosi apertamente? Mi tenni pronto a tutto.<br />

Mentre si avvicinava vidi che era di media altezza, ben vestito,<br />

robusto e rosso in faccia, calvo con un ciuffo di capelli grigio ferro<br />

corti e pettinati all'uso romano. Vidi che portava una tunica di bella<br />

lana pesante sotto un mantello di pelle senza maniche, i cui lati si<br />

sormontavano davanti ed erano tenuti stretti da un'alta cintura di<br />

cuoio con una fibbia di argento finemente lavorata.<br />

Alla fine ci trovammo faccia a faccia, a guardarci negli occhi in<br />

silenzio per quello che sembrò un tempo molto lungo. Poi piegò la<br />

testa leggermente da un lato e parlò con una voce profonda,<br />

burbera. «Scusa, ma il tuo nome è Publio Varro?»<br />

Sbattei gli occhi, cercando di nascondere il mio stupore. «Sì.<br />

Come fai a conoscermi? Chi sei?»<br />

«Per tutti gli dei, lo sapevo! Ti ho riconosciuto appena sei<br />

entrato.» <strong>La</strong> ruga era scomparsa lasciando il posto a un ampio


sorriso; afferrò la mia mano e la strinse con forza. «Varo. Quinto<br />

Varo. Gaio è mio cognato. Mi ha raccontato tutto di te. Parla sempre<br />

di te. Ha detto che un giorno forse saresti venuto e mi ha fatto<br />

giurare di accoglierti bene. Benvenuto! Benvenuto ad Aquae Sulis.<br />

Sei venuto per restare? Luceia sarà furiosa con me perché sono stato<br />

il primo a incontrarti. Una donna decisa, Luceia. Hai già mangiato?<br />

Per tutti gli dei! Sei esattamente come Gaio ti ha descritto.<br />

Incredibile. Quando sei arrivato? Cosa stai bevendo? Della birra? Io<br />

preferisco il vino. Vieni, unisciti a me. Ho un ottimo rosso <strong>del</strong>la<br />

Gallia centrale che ti piacerà e la casa serve il manzo migliore. Che io<br />

sia dannato se non hai esattamente l'aspetto che Gaio ha descritto!<br />

Vieni. Ho un tavolo.»<br />

Attraverso quel torrente di parole rimasi lì a fissarlo, a bocca<br />

aperta, assorbendo tutte le sue domande, senza riuscire a rispondere<br />

a nessuna, dato che le faceva tutte insieme. Senza aspettare che<br />

parlassi, mi afferrò saldamente per le braccia e cominciò a spingermi<br />

in direzione <strong>del</strong> tavolo al quale lo avevo visto seduto. Lo seguii<br />

tenendo stretto il mio boccale di birra e chiedendomi cosa avevo<br />

perché Britannico fosse stato in grado di descrivermi in modo così<br />

chiaro e, evidentemente, così accurato. Quando raggiungemmo il<br />

tavolo mi presentò agli uomini che erano già lì con il migliore amico<br />

di suo cognato e tutti annuirono e mi parlarono, facendomi sentire il<br />

benvenuto e facendomi posto perché mi unissi a loro. Poi<br />

ritornarono alle loro conversazioni, lasciando cortesemente che noi<br />

due facessimo conoscenza. Erano tutti coloni, venuti in città per<br />

l'annuale fiera <strong>del</strong> bestiame.<br />

Dopo un'ora mi sentivo come se conoscessi e apprezzassi<br />

Quinto Varo da tutta la vita. Lui e Luceia Britannico avevano<br />

sposato un fratello e una sorella. Il fratello era morto qualche anno<br />

prima, lasciando vedova Luceia. Il nome <strong>del</strong>la moglie di Varo era<br />

Veronica e, come già sapevo, le loro tenute confinavano con quelle<br />

di Gaio e Luceia. Quando lo interrogai sulla capacità di Luceia di<br />

condurre la tenuta di Gaio in sua assenza, Quinto non mi lasciò


dubbi. Anche se parlava di lei con genuino ed evidente affetto,<br />

secondo lui Luceia non era toccata da debolezze femminili. Era una<br />

bella donna, mi disse, ma in realtà avrebbe dovuto nascere uomo,<br />

perché in lei c'era poco di femminile. Reggeva la tenuta con polso di<br />

ferro e conosceva il fatto suo. In effetti, disse, sapeva più di ogni tipo<br />

di affari di quanto una donna avesse il diritto di sapere.<br />

Io catalogai mentalmente Luceia Britannico come una donna<br />

con cui essere gentile, ma da evitare, e la nostra conversazione si<br />

spostò verso altri argomenti, tra cui la terribile notizia che Gaio<br />

aveva perso la moglie Eraclita e i figli minori durante una pestilenza<br />

il loro primo anno in Africa. Non avevo mai incontrato la famiglia<br />

<strong>del</strong> comandante, ma sapevo <strong>del</strong> suo amore per ognuno di loro e in<br />

particolare per la moglie Eraclita e soffrii per il suo lutto, anche se<br />

ormai era superato. Ricordavo chiaramente e nei dettagli l'amore<br />

con il quale aveva parlato, mentre giacevamo immobilizzati insieme,<br />

<strong>del</strong>la sua famiglia e <strong>del</strong>la sua fede nella necessità per ogni uomo di<br />

avere una buona moglie. Mi chiesi come avesse potuto accettare<br />

quella perdita e chiesi a Quinto Varo più dettagli. Ma non era in<br />

grado, scoprii, di darmi altre risposte, non avendo dettagli su quello<br />

che era successo, ed evidentemente era sottosopra nel ricordarlo.<br />

Con voce esitante, riluttante, mi disse che Luceia, la sorella di<br />

Britannico, aveva ricevuto una lettera da un certo Nonio Nomena,<br />

l'attendente di suo fratello, che la informava che la Numidia era<br />

stata devastata da una violenta pestilenza che aveva decimato<br />

l'intero esercito e fatto strage nella popolazione civile. Anche Gaio<br />

Britannico era stato colpito, ma era sopravvissuto. <strong>La</strong> sua famiglia<br />

era stata meno fortunata, apparentemente la moglie, la figlia Meleia<br />

e i due figli gemelli Marco e Paolo erano morti nel giro di pochi<br />

giorni, mentre il legato era debolissimo. Solo il figlio maggiore, Pico,<br />

era sopravvissuto, in qualche modo indenne al contagio. Quando<br />

era arrivata comunicazione scritta, era sembrato a Varo che<br />

Britannico non fosse stato ancora informato <strong>del</strong>la perdita. Sconvolto<br />

al pensiero <strong>del</strong>l'orrore che doveva aver accompagnato la guarigione


<strong>del</strong> generale, tenni per me le mie considerazioni, e quando Varo finì<br />

il suo racconto cercai di distoglierlo da quello che lo avevo costretto<br />

a ricordare.<br />

Bevemmo molto e a lungo quella notte, piangendo Gaio e i suoi<br />

lutti e celebrando il nostro incontro. Varo dormiva nel mio stesso<br />

alloggio e non ho idea di quando andammo a dormire, ma ci<br />

accordammo di fare colazione insieme la mattina dopo e poi di<br />

partire insieme verso la sua casa e da lì verso la villa di Gaio.


XVI.<br />

<strong>La</strong> villa che Quinto Varo definiva la sua casa era enorme, molto<br />

più grande di qualunque casa io avessi mai visto nei dintorni di<br />

Colchester. In effetti quando la vidi dall'alto di una piccola collina<br />

mentre ci stavamo avvicinando da est, la presi per un piccolo<br />

villaggio fortificato. Avrei scoperto poco dopo, comunque, che Villa<br />

Varo era in effetti piccola per quella zona.<br />

Più tardi, quando presi confidenza con i concetti <strong>del</strong> valore e<br />

<strong>del</strong>le dimensioni che venivano applicati nella regione, capii che la<br />

villa ben si adattava al suo proprietario. Quinto Varo era un uomo<br />

onesto, aperto, di gusti semplici e di idee non sofisticate. Era un<br />

colono che un tempo era stato un soldato e il fatto di essere un<br />

cittadino romano nobile era una cosa che lo interessava poco e solo<br />

di tanto in tanto, quando visitatori che si davano importanza<br />

chiedevano di essere intrattenuti e corteggiati. <strong>La</strong> sua villa era un<br />

luogo familiare, adatto a coltivare la terra e allevare bambini in<br />

un'atmosfera di amore. Era un complimento nei miei confronti che<br />

non mi trattasse come un semplice visitatore, ma scegliesse di<br />

onorarmi accettandomi come un collega soldato e un onesto ospite<br />

senza pretese nella sua casa.<br />

Avevamo cavalcato verso sud e a est di Aquae Sulis in una<br />

nebbiosa ma bella mattina che mitigava i danni <strong>del</strong>le bevute <strong>del</strong>la<br />

sera prima. Nel momento in cui il sole era salito abbastanza da<br />

asciugare la nebbia mi sentivo euforico. Accompagnati dal canto di<br />

centinaia di uccelli diversi facemmo un gradevole viaggio lungo<br />

strade diritte come frecce e penetrammo in profondità nelle più<br />

ricche terre coltivabili che avessi mai visto. <strong>La</strong> prospera pienezza<br />

<strong>del</strong>le piantagioni quasi mature di orzo e avena era evidente<br />

ovunque e oltre a quelle vidi piantagioni sconosciute ai miei occhi.<br />

Grassi e sani buoi pascolavano in pascoli ricchi che arrivavano alle


ginocchia ed enormi spighe si arrostivano e scurivano nella calda<br />

luce autunnale. Per tutto il giorno Quinto Varo non stette mai in<br />

silenzio e non una volta desiderai che rimanesse. Parlava senza fine<br />

e in modo affascinante <strong>del</strong>la regione, <strong>del</strong>la sua famiglia, <strong>del</strong>la tenuta,<br />

<strong>del</strong>le piantagioni e di suo cognato. E quando non parlava cantava<br />

con voce forte, profonda e gradevole.<br />

Infine, verso metà pomeriggio, lasciammo la strada lastricata e<br />

passammo tra i campi lungo una strada carrabile che ci portò in<br />

cima alla collina dalla quale vidi la villa di Varo per la prima volta.<br />

Come ho detto era enorme ed era disposta come un grande<br />

rettangolo di edifici collegati tra di loro, con la villa vera e propria<br />

inserita in una L nell'angolo nordovest ed edifici più piccoli -<br />

abitazioni secondarie, laboratori, magazzini e ripari per il bestiame -<br />

che partivano da ogni ala <strong>del</strong>la casa sui lati sud ed est girando ad<br />

angolo retto per incontrarsi a sudest. Il cortile centrale doveva essere<br />

circa trecento passi in diagonale e, da quanto potevo vedere, lì c'era<br />

un unico ingresso nel massiccio recinto. Al primo sguardo mi<br />

sembrò che tutti gli edifici fossero fatti di <strong>pietra</strong> e coperti da tetti di<br />

paglia, anche se in seguito scoprii che i muri erano fatti di fango e<br />

legno, coperti fittamente da una specie di gesso secco e finiti ad arte<br />

in modo che sembrassero di <strong>pietra</strong>. L'area centrale, molto<br />

somigliante a un foro romano, era piena di animali e di gente.<br />

Al mio fischio di stupore Varo mi lanciò uno sguardo<br />

interrogativo, a cui mi sentii obbligato a rispondere.<br />

«È enorme, Quinto! Molto più grande di quanto mi aspettassi. E<br />

molto...,» cercai la parola, «... bello!»<br />

Fece una specie di grugnito, mezzo sorriso, mezzo scherno. «È<br />

una fattoria, Varro, solo una fattoria. Aspetta finché avrai visto<br />

quella di Gaio. Quella sì che è bella. Mia moglie e io non abbiamo né<br />

i suoi mezzi, né il suo gusto. Ma è la casa adatta a me e ti garantisco<br />

che è inespugnabile per quanto è possibile.»<br />

«Inespugnabile?» <strong>La</strong> parola mi sorprese. «Che bisogno c'è che


sia inespugnabile? Certo non temete un attacco. Non qui.»<br />

Tirò le redini e io feci fermare il mio cavallo vicino al suo.<br />

Insieme facemmo una pausa, guardando la scena sotto di noi. Indicò<br />

una densa colonna di fumo che saliva in lontananza alla nostra<br />

destra, la cui origine era fuori dal nostro campo visivo verso<br />

nordest.<br />

«Sto liberando più terra in quella zona. Non perché abbiamo<br />

bisogno di terreno da arare. <strong>La</strong> zona boscosa è solo troppo<br />

dannatamente vicina agli edifici.» Tossì rumorosamente, facendo<br />

venire in superficie un po' di catarro che sputò. «Non siamo<br />

preoccupati di un attacco oggi. E neppure domani. Ma se tu credi a<br />

quello che dice Gaio, allora è meglio essere pronti per dopodomani.<br />

Preferisco essere deriso, ma pronto a qualunque evenienza, che<br />

essere colto impreparato. In ogni caso è terra di cui potremo aver<br />

bisogno. Si trova sempre il modo di usare <strong>del</strong>la buona terra da<br />

coltivare.»<br />

Essendosi tolto un peso spinse il cavallo al galoppo e io lo seguii<br />

giù nella valle, dove girò per un sentiero ampio, pieno di solchi<br />

profondi che portava all'ingresso principale <strong>del</strong>la villa. Lungo il<br />

cammino superammo diversi carri, alcuni a due ruote, alcuni a<br />

quattro, tutti tirati da buoi. Tutti i guidatori e tutti i pedoni che<br />

incontrammo salutarono Quinto Varo cortesemente e con allegria e<br />

notai che si rivolgevano a lui chiamandolo Dominus, padrone, cosa<br />

che mi fece rendere conto <strong>del</strong> fatto, di cui peraltro non avevo mai<br />

dubitato, che Villa Varo fosse un luogo amichevole, felice e ben<br />

diretto.<br />

Il nostro arrivo e la visita inaspettata mise in agitazione l'intera<br />

casa di Varo, ma nel caos che avevo provocato dovetti ammirare la<br />

moglie di Varo, Veronica, e il controllo che aveva sulla numerosa<br />

famiglia e la schiera dei servitori, un enorme numero di bambini da<br />

un ragazzo di quindici anni a un vacillante cosino di diciotto mesi<br />

mi furono presentati individualmente e poi scomparvero in un


soffio. Veronica non perse tempo nel dare ordini in cucina e ai<br />

domestici per preparare un pasto di benvenuto e una stanza per me.<br />

Fatto ciò rivolse la sua attenzione al mio immediato conforto e alle<br />

mie necessità, anche se cercavo inutilmente di dirle che non era<br />

necessario.<br />

Veronica non era una bella donna, ma aveva la carnagione<br />

chiara e un aspetto sano e attraente, e la prova di una abbondante<br />

fertilità e <strong>del</strong>le frequenti gravidanze era lì nella sua figura<br />

matronale. Era ancora giovane di viso e di spirito e aveva un<br />

carattere dolce e allegro che mi fece sentire subito a mio agio e<br />

benvenuto. Come suo marito sapeva benissimo chi ero e molto di<br />

quello che avevo fatto, compresa la storia <strong>del</strong> mio primo incontro<br />

con suo cognato in Africa e le nostre campagne insieme dopo di<br />

allora. Trovai le sue attenzioni lusinghiere e gratificanti, anche se ero<br />

un po' in imbarazzo, non essendo abituato ad avere una forza<br />

femminile materna focalizzata personalmente su di me.<br />

Varo e io ci godemmo una lunga e <strong>del</strong>iziosa pausa nel suo<br />

opulento bagno, sotto le cure e l'attenzione di un eccezionale<br />

massaggiatore di nome Nemo, che con il vapore e l'olio e la forza<br />

<strong>del</strong>le mani eliminò le centinaia di miglia di polvere di strada dai<br />

miei pori e dai miei muscoli. Quando emergemmo dal bagno un<br />

servitore era pronto per dirci che la cena sarebbe stata servita in<br />

un'ora e Varo mi batté sulla spalla.<br />

«Questo ci darà il tempo di apprezzare qualche buon vino... uno<br />

o due sorsi esploratori. Immagino che tu non abbia obiezioni?»<br />

Feci un sorriso e mi inchinai verso di lui. «Nessuna degna di<br />

essere menzionata» dissi. «E parlo come un uomo nuovo, pulito,<br />

coccolato e profumato. Un sorso di buon vino sarebbe il tocco<br />

finale.»<br />

Rise e mi guidò attraverso due massicce, magnifiche porte di<br />

quercia lucidata nel triclinium, la sala da pranzo <strong>del</strong>la villa, dove due<br />

anforette di vino <strong>del</strong>la Gallia - uno forte e rosso <strong>del</strong> sud e l'altro uno


pallido, dorato nettare <strong>del</strong>le zone centrali - aspettavano la nostra<br />

attenzione. Il rosso era stato raffreddato leggermente, il bianco<br />

molto. Scelsi il secondo che era stupendo, morbido e leggermente<br />

dolce. Veronica ci raggiunse dopo pochi minuti e bevve un po' di<br />

vino godendo insieme a noi la luce <strong>del</strong> tardo pomeriggio. I servitori<br />

evidentemente non erano in difficoltà, perché non c'era traccia, né<br />

rumore di bambini.<br />

Il sole declinante versava lunghi raggi di luce dorata dalle<br />

imposte aperte nella stanza spaziosa e cadeva in rettangoli sul<br />

pavimento lucido e sul mobilio solido, dall'aspetto confortevole;<br />

provavo una sensazione di benessere. Vidi, senza pensarci, che<br />

quattro posti erano stati preparati sulla tavola e mentre accettavo<br />

una seconda coppa di vino da Veronica passai distrattamente, ma<br />

con ammirazione, le mani sulla superficie incisa e lucente di una<br />

<strong>del</strong>le alte seggiole imbottite disposte intorno al tavolo.<br />

Quinto notò il mio gesto e sorrise. «Ti piacciono?» Non si poteva<br />

non notare la nota di orgoglio nella sua voce.<br />

Annuii, guardando con più cura l'incisione <strong>del</strong>l'intelaiatura di<br />

legno. «Sì» dissi. «Sono magnifiche. L'uomo che le ha scolpite è un<br />

genio.»<br />

Il riso di Veronica era come il suono di un'arpa. «No!» gridò.<br />

«L'uomo che le ha scolpite è un uomo <strong>del</strong> suo tempo, che non<br />

avrebbe tollerato di giacere supino a mangiare i suoi pasti come un<br />

uomo dei vecchi tempi. È un uomo che ama stare eretto mentre<br />

mangia, perché pensa che aiuti la digestione tenere diritta la schiena<br />

e alta la testa. Ma tu ti sei fatto un amico per la vita con questa<br />

osservazione. È mio marito che le ha fatte e intagliate con le sue<br />

mani.»<br />

Ero stupito e non feci niente per nasconderlo. «Davvero? Le hai<br />

fatte tu, Quinto?»<br />

Annuì, mentre il suo sorriso si allargava. «Sì, le ho fatte io. Mi<br />

piace lavorare il legno. È il mio passatempo favorito. <strong>La</strong>


maggioranza dei miei amici pensa che io sia un po' strano.»<br />

Alzai il bicchiere in suo onore. «Qui c'è uno che non lo pensa. So<br />

esattamente cosa intendi, perché la mia mente lavora allo stesso<br />

modo. <strong>La</strong> mia passione è il metallo. Soprattutto il ferro, ma negli<br />

ultimi anni ho cominciato a lavorare anche l'argento. Richiede<br />

capacità diverse, ma ricompensa gli sforzi che si fanno in un modo<br />

che il ferro fa raramente. L'argento ha una bellezza unica.»<br />

Passammo i minuti successivi discutendo le diverse arti. Venni a<br />

sapere che Quinto aveva fatto letteralmente l'intera stanza, dalle<br />

pareti alle porte, con le proprie mani. Le porte erano impressionanti:<br />

ognuna di esse era ricavata da due massicce assi di solida quercia<br />

unite da un abile incastro. Dal lato interno, che guardava la stanza,<br />

erano state meticolosamente scavate in pannelli, sei per porta, che<br />

illustravano le fatiche di Ercole. L'altro lato era liscio, di quercia<br />

lucidata, ornato solo da una maniglia. Non dovetti far finta di essere<br />

impressionato dall'arte contenuta in esse; spinsi le porte per aprirle e<br />

chiuderle, godendo <strong>del</strong>la facilità con cui il loro enorme peso girava<br />

sui cardini. Rifiutai una terza coppa di vino prima di cena e chiesi il<br />

permesso di salire in camera a cambiarmi. Era passato molto tempo<br />

dall'ultima volta che qualcuno mi aveva fatto sentire così a mio agio,<br />

e mi scopersi a fischiettare mentre mi infilavo i vestiti migliori. Mi<br />

passai una mano sul mento per controllare di essermi rasato bene,<br />

passai le dita tra i capelli per essere sicuro che fossero asciutti e in<br />

ordine e poi, ancora fischiettando dentro di me, mi avviai a<br />

raggiungere il mio ospite e sua moglie. Avevo appena iniziato a<br />

scendere le scale dalle camere da letto al secondo piano quando<br />

divenni conscio di una sensazione di azzurrità. Ci sono momenti<br />

nella vita di ognuno, in cenere spontanei, raramente pianificati, che<br />

sono embrionali. In un breve lasso di tempo accadono eventi che<br />

cambiano o status quo, immediatamente, drasticamente, per<br />

sempre.<br />

Uno di quei momenti mi aveva afferrato e sommerso prima che


avessi il tempo di realizzare che qualcosa stava accadendo. Ho<br />

cercato per anni di ricordare l'esatta sequenza degli eventi, azioni e<br />

reazioni che accaddero in me nei pochi momenti che seguirono su<br />

quella scala, ma non sono mai stato in grado di ricostruire<br />

chiaramente i miei pensieri o le mie reazioni a quello che credevo di<br />

vedere.<br />

Ricordo di aver provato una sensazione di azzurrità: mi<br />

sembrava che l'intera parete sotto e davanti a me avesse preso una<br />

tonalità azzurra, come se una fiamma azzurra tremolasse lì vicino.<br />

Penso anche di aver girato leggermente la testa per cercare la fonte<br />

di quella luce, prima di vedere la donna che camminava nell'atrio<br />

sotto di me. Mi girava le spalle ed era a tre o quattro passi dalle<br />

porte aperte <strong>del</strong> triclinio. Ebbi un'istantanea e opprimente<br />

impressione di fantastico, di familiarità che faceva quasi paura. Vidi<br />

lunghi capelli neri e lisci, un'alta graziosa figura vestita di azzurro<br />

che camminava scivolando in un modo che sembrava <strong>del</strong> tutto<br />

indipendente dai piedi o dalle gambe.<br />

Sentii un suono nella mia mente e mi resi conto di essere<br />

attaccato al corrimano <strong>del</strong>la scala per sostenermi, mentre il suo<br />

nome risuonava prima nella mia mente e poi nel silenzio<br />

<strong>del</strong>l'androne.<br />

«Cassia?»<br />

<strong>La</strong> donna si fermò di colpo, chinando la testa in avanti, come in<br />

ascolto, e poi si girò e guardò il punto in cui mi trovavo, come<br />

paralizzato in cima alle scale.<br />

«Cassia?» ripetei con voce gracchiarne. Non parlò, né si mosse.<br />

Con uno sforzo cosciente di volontà cominciai a scendere le scale<br />

verso di lei.<br />

Mi ricordo di aver pensato che sembrava molto più giovane di<br />

quello che doveva essere e per niente matronale. E poi, mentre mi<br />

avvicinavo, vidi che non era Cassia. Era un'assoluta estranea che<br />

aveva solo una minima somiglianza con la ragazza conosciuta tanti


anni prima. Aveva gli stessi capelli neri e grandi occhi azzurri e<br />

portava un abito <strong>del</strong>lo stesso colore. Ma quella donna non era<br />

Cassia. Mi fermai ai piedi <strong>del</strong>le scale e la guardai e seppi che Cassia<br />

era sempre rimasta una ragazza nella mia mente e nel mio cuore.<br />

Questa affascinante creatura che mi guardava in silenzio era una<br />

donna in tutti i sensi, e la sua bellezza mi fece salire il cuore in gola.<br />

Scossi la testa, non so se per allontanare l'ultimo esitante pensiero<br />

<strong>del</strong>la povera Cassia o per chiedere scusa di averla confusa con lei,<br />

non so, ma lei mi venne incontro.<br />

Ero cosciente di molte impressioni che mi colpivano<br />

contemporaneamente, di altezza, dignità, movimento senza sforzo,<br />

bellezza mozzafiato e di azzurro. Era una visione, alta e sottile,<br />

controllata e piena di grazia. Camminava con il capo eretto, la<br />

schiena così diritta che la curva dei seni pieni era evidente anche<br />

sotto la stola azzurro scuro che portava sopra ai lunghi drappeggi<br />

più chiari <strong>del</strong> vestito. Gli abiti facevano risaltare l'azzurro luminoso<br />

dei suoi occhi anche nella luce fioca <strong>del</strong> corridoio, così che li vedevo<br />

sfavillare sopra la prominenza degli zigomi. Lunghi capelli neri,<br />

senza riccioli o altri artifici cadevano in cascate a incorniciare il viso<br />

ricadendole sulle spalle.<br />

Non sapevo chi fosse, ma sapevo che era la donna che volevo<br />

sopra ogni cosa. I miei pensieri correvano tanto che quando fece due<br />

passi verso di me avevo deciso che doveva essere una <strong>del</strong>le<br />

cameriere personali di Veronica, anche se non avevo mai visto una<br />

cameriera così bella. Comunque non aveva importanza. Padrona o<br />

cameriera era meravigliosa. <strong>La</strong> sua bellezza, grazia e dignità<br />

meritavano un omaggio. Strinsi involontariamente la mano sul petto<br />

in un saluto militare e mi inchinai a lei facendo un passo indietro e<br />

tenendo gli occhi bassi mentre si avvicinava. Vidi la punta dei suoi<br />

piedi dentro ai sandali avanzare e fermarsi proprio di fronte a me. In<br />

un silenzio agonizzante che pareva interminabile, decisi che dovevo<br />

alzare la testa e guardarla negli occhi.


E quando lo feci scoprii che era ancora più bella di quello che<br />

avevo pensato a distanza. L'azzurro dei suoi occhi era<br />

incredibilmente profondo e la gentilezza e il calore di benvenuto nel<br />

suo sorriso mi seccarono la lingua. Disse il mio nome e io mi stupii,<br />

non perché lo conoscesse, ma per il tono e il timbro <strong>del</strong>la sua voce,<br />

calda e morbida, matura e più profonda di come l'avrei immaginata.<br />

Avanzò e mi prese per i polsi e le sole cose al mondo erano il suo<br />

viso e il calore e la morbidezza <strong>del</strong>le sue mani.<br />

«Luceia, sei qui! Perché ci hai messo tanto?» <strong>La</strong> voce di Veronica<br />

sembrò provenire da grande distanza e le sue parole aumentarono la<br />

mia confusione. Non potevo vederla perché era in piedi sulla soglia<br />

<strong>del</strong>la sala da pranzo e stava ovviamente parlando alla donna che mi<br />

stringeva i polsi. Ma l'aveva chiamata Luceia! Poteva essere Luceia<br />

Britannico? <strong>La</strong> donna che Quinto Varo aveva descritto come non<br />

femminile? Non femminile!<br />

Luceia ignorò il commento di Veronica e continuò a tenere i suoi<br />

occhi e il suo sorriso su di me. «Benvenuto» disse. «Pensavamo che<br />

non saresti mai arrivato nelle nostre terre occidentali. Stavo<br />

discutendo con me stessa se non fosse il caso di farti rapire e portare<br />

qui, per averti vicino quando Gaio torna a casa.»<br />

Deglutii a fatica e feci lavorare la lingua per inumidire la bocca.<br />

So di aver detto qualcosa di banale e stupido, ma non ricordo le<br />

parole. Dovevano essere appropriate però, perché lasciò andare i<br />

miei polsi e camminò con me verso la stanza da pranzo, dove<br />

abbracciò Veronica e Quinto. Nel seguito <strong>del</strong>la conversazione ebbi il<br />

tempo di rientrare in me e di riprendermi dall'incredibile impatto.<br />

Ciononostante, benché il ricordo di quella prima visione di lei sia<br />

confusa ma immortale, il trascorrere <strong>del</strong>l'ora successiva è un vuoto<br />

nella mia memoria, un velo di calore e di piacere tinto di azzurro.<br />

Ora so, da conversazioni successive con Quinto e Veronica, che<br />

il mio stato era evidente e procurava loro una grande ilarità, che<br />

durante la cena cercarono educatamente di nascondere. In seguito


Quinto ammise che era stato ammonito da Veronica a non parlare<br />

<strong>del</strong>la bellezza di Luceia. Volevano osservare l'effetto che avrebbe<br />

avuto su di me se l'avessi incontrata senza preavviso.<br />

Dopo cena il maggiordomo di casa Varo ruppe l'incantesimo<br />

annunciando che il fuoco era acceso nel cortile esterno e che se<br />

volevamo accomodarci stava per cominciare l'intrattenimento.<br />

Quinto lo ringraziò e ci fece strada verso il cortile sul retro <strong>del</strong>la<br />

casa. Un grande fuoco bruciava in un braciere, gettando vacillanti<br />

ombre sui muri, e una dozzina di persone, che ritenni essere il<br />

personale di servizio, erano sedute in silenzio su un lato <strong>del</strong> fuoco e<br />

ascoltavano un giovane, appollaiato su un ceppo nell'angolo <strong>del</strong><br />

cortile, che stava accordando una specie di lira. Ci sistemammo<br />

intorno al fuoco ed egli cantò per noi per oltre un'ora,<br />

accompagnandosi con il suo strumento. <strong>La</strong> sua voce era forte e<br />

limpida e le sue canzoni esprimevano la bellezza <strong>del</strong> paese in cui<br />

viveva. Non avrebbe potuto scegliere un tema migliore e non<br />

avrebbe potuto avere un pubblico più interessato. Quinto Varo mi<br />

sorprese rimanendo estasiato dall'inizio alla fine e applaudendo con<br />

entusiasmo e incoraggiamento al termine di ogni canzone.<br />

Mentre la voce <strong>del</strong> ragazzo saliva e si abbassava spargendo su di<br />

noi un incantesimo di bellezza, io bevevo la bellezza lambita dalle<br />

fiamme <strong>del</strong>la donna che sedeva davanti a me al di là <strong>del</strong> fuoco.<br />

L'emozione che sentivo in petto era una meraviglia al di là di ogni<br />

esperienza. Nessuna donna, né la Cassia <strong>del</strong>la mia gioventù, e<br />

neppure Febe nell'ora <strong>del</strong> mio massimo desiderio, mi avevano<br />

colpito così. Non avevo mai visto niente di paragonabile alla curva<br />

di quegli zigomi, o alla perfezione di quella bocca o alla spiritualità<br />

di quel volto screziato dalla luce <strong>del</strong> fuoco.<br />

Alla fine il giovane esaurì il repertorio <strong>del</strong>le canzoni e gli fu<br />

permesso di andarsene, dopo essere stato ricompensato con una<br />

moneta da Quinto e una da me. <strong>La</strong> sua partenza fu il segnale per<br />

tutti gli altri servitori di andare e presto rimanemmo nel cortile solo


noi quattro, Quinto, Veronica, Luceia e io.<br />

Per alcuni minuti dopo che se ne fu andato regnò un caldo<br />

silenzio, interrotto solo dal crepitare <strong>del</strong> fuoco. Alzai gli occhi per<br />

vedere ancora Luceia, e scoprii che anche lei mi guardava. Confuso,<br />

riportai lo sguardo immediatamente sul fuoco.<br />

Quando osai alzare gli occhi di nuovo, i suoi occhi erano ancora<br />

su di me e sorrise, un piccolo sorriso segreto.<br />

Quinto si schiarì la voce. «Publio, non ricordo una serata così<br />

piacevole da anni, ma adesso sono stanco e devo dormire. Tu parti<br />

domattina e prima voglio avere la mia giornata di lavoro ben<br />

definita e sotto controllo. Buona notte amico. Vieni Veronica.»<br />

Mi alzai per andare, ma lui mi fece cenno di sedermi. «No, no.<br />

Non c'è bisogno che tu vada. Stai qui e goditi il fuoco con Luceia.<br />

Luceia, tu ormai sai dov'è la tua camera. Buona notte a tutti e due.<br />

Dormite bene. Ci vediamo domattina prima che partiate.»<br />

Dopo che furono andati via, rimasi a sedere muto, non osando<br />

guardare Luceia. Fu lei a rompere il silenzio.<br />

«Il povero Quinto non è molto sottile, vero?»<br />

<strong>La</strong> guardai, bevendo abbastanza bellezza in un solo sguardo per<br />

sostenermi finché non avessi osato guardarla di nuovo. «Sottile?<br />

Cosa intendi?»<br />

«Cosa intendo?» <strong>La</strong> sua risata era come il suono <strong>del</strong>la lira <strong>del</strong><br />

ragazzo. «Intendo che è oltraggioso come paraninfo.»<br />

«Paraninfo?» Sentii che la mia voce era un po' stridula e la<br />

abbassai immediatamente in un sussurro, in modo che le mie parole<br />

sembrassero solamente stupide. «Oh, davvero?»<br />

«Non credi? Non posso immaginare che mi lasci sola con nessun<br />

altro uomo di notte in circostanze analoghe.»<br />

Inghiottii, sentendomi molto a disagio. «Capisco. Preferiresti<br />

andare a dormire? Intendo dire, invece di fermarti qui? Con me,


voglio dire?» Mi maledissi per essere stato così stupido da fornirle<br />

una scusa per andarsene.<br />

«No, grazie, mi trovo benissimo. È stata una bella serata. Non ho<br />

nessun desiderio che finisca adesso.»<br />

Questo mi fece sentire meglio, ma il silenzio cadde di nuovo,<br />

pesante e non interrotto dai miei sforzi.<br />

«Il mio nome è Luceia.»<br />

<strong>La</strong> fissai sorpreso. «Lo so.» Sorrideva in modo strano. Doveva<br />

essermi sfuggito qualcosa. «Perché dici questo?»<br />

«Cosa? Che mi chiamo Luceia? Perché è vero e perché mi piace e<br />

tu non hai mai pronunciato il mio nome da quando ci siamo<br />

incontrati. Anche se mi sembra che all'inizio tu mi abbia chiamata<br />

con un altro nome. Che nome era?»<br />

Mi schiarii la voce nervosamente. «Cassia» gracchiai, poi mi<br />

schiarii la voce di nuovo. Il nome suonava strano sulle mie labbra,<br />

come da un'antica favola. Cassia avrebbe potuto essere il<br />

personaggio di un sogno, uno spettrale presagio <strong>del</strong>la donna che<br />

vedevo davanti a me. «Quando ti ho visto la prima volta nell'atrio di<br />

spalle mi hai ricordato lei. Era una persona che conoscevo molto<br />

tempo fa, quando ero solo un ragazzo.»<br />

«Deve essere stata importante per te.»<br />

«Sì e no. L'ho incontrata solo una volta, un pomeriggio.»<br />

«Ma te la ricordi ancora.»<br />

Ero più a mio agio adesso, più sicuro dei ricordi di ragazzo a<br />

lungo custoditi che confrontavo con le normali valutazioni di un<br />

uomo. Scossi la testa al commento di Luceia.<br />

«Non veramente. Ricordo i sentimenti che ha risvegliato in me,<br />

l'atmosfera che ha creato. Ma nella mia mente ha ancora quindici<br />

anni. È un ricordo, niente di più. Aveva il tuo tipo di bellezza, capelli<br />

neri come i tuoi ed era vestita di azzurro.»


«Eri triste quando hai visto che non ero lei?» Questa volta i suoi<br />

occhi non guardavano i miei e io sorrisi alla sua testa.<br />

«No. Per niente. Come avrei potuto? Cassia era una bambina, e<br />

anch'io.»<br />

Per lo spazio di qualche secondo ci fu silenzio, poi disse: «È un<br />

nome inusuale, Cassia».<br />

«Diminutivo di Cassiopea. Non so neppure se era il suo vero<br />

nome.»<br />

«Cassiopea... È un bel nome.»<br />

«Non più di Luceia. Questo è un bel nome.»<br />

Mi guardò e sorrise. «Ripetilo.»<br />

«Luceia.»<br />

Adesso rideva. «Così va meglio. Molto meglio. Adesso mi<br />

sembra che siamo stati davvero presentati.» Mi scopersi a<br />

rispondere al suo sorriso. «Sei un uomo affascinante, Publio Varro»<br />

continuò. «Mi sembra di averti conosciuto da sempre e adesso che ci<br />

siamo davvero incontrati il sentimento non è cambiato. <strong>La</strong> sola cosa<br />

che non sapevo era che aspetto avessi.»<br />

«E?»<br />

«E cosa?»<br />

«Ho l'aspetto che avevi immaginato?»<br />

Sorrise e in quel sorriso c'era una provocante malizia. «Vediamo.<br />

Come posso rispondere a questo?» Io aspettavo. «Potrei dirti che<br />

avevo immaginato che tu fossi così bello che la realtà mi ha<br />

<strong>del</strong>uso...»<br />

Non ero abituato alle schermaglie con le donne e il mio volto<br />

deve aver rivelato l'insicurezza che provavo, perché di colpo la<br />

presa in giro scomparve dal suo sorriso e la sua espressione era di<br />

totale sincerità mentre continuava.


«Gaio parlava di te senza sosta. “Varro qui”, “Varro là” e “Varro<br />

avrebbe” dalla mattina alla sera e mio fratello non parla così di<br />

nessun altro. Non è nel suo stile. Naturalmente ero curiosa di questo<br />

mo<strong>del</strong>lo di tutte le virtù militari e di solidi valori, e gli facevo<br />

domande che mi dessero un'idea <strong>del</strong> tuo aspetto. Il quadro che<br />

avevo di te era quasi perfetto. Sapevo che eri alto, con le spalle<br />

larghe e molto forte nelle braccia e nel corpo. Sapevo che i tuoi<br />

capelli erano castani scuri e tagliati corti secondo l'uso militare e che<br />

avevi barba corta e baffi. Sapevo che c'era abbastanza grigio nella<br />

tua barba e sulla tua testa da darti a distanza un riflesso argentato.<br />

Sapevo che avevi tutti i denti e che ridevi spesso e facilmente e<br />

sapevo che avevi ricevuto un colpo terribile al servizio di mio<br />

fratello, che ti aveva lasciato storpio o almeno per sempre zoppo.»<br />

Provai un breve senso di mortificazione al suo casuale<br />

riferimento alle mie condizioni, subito sostituito da una crescente<br />

meraviglia provocata dal fatto che lei non era imbarazzata in nessun<br />

modo nel menzionarle. Non riteneva neppure necessari ulteriori<br />

commenti. Le accettava come parte di me e continuava a parlare.<br />

«<strong>La</strong> sola cosa che non sapevo, non potevo sapere, era l’equilibrio<br />

dei tuoi tratti, la loro forma, la tua espressione. Perciò la tua faccia<br />

era sempre incognita per me. Fino ad oggi. Fino ad ora.»<br />

Mi alzai e misi un altro pezzo di legno sul fuoco tremolante, non<br />

volendo perdere la visione <strong>del</strong> suo volto a causa <strong>del</strong>l'oscurità che<br />

stava avendo la meglio sulle fiamme morenti. Non mi sentivo più<br />

così scioccamente giovane da quando avevo smesso di essere<br />

scioccamente giovane e non volevo che lei smettesse di parlare. <strong>La</strong><br />

sua voce era bassa e piacevolmente rauca in un modo che non avevo<br />

mai sentito prima in una donna. Una fontana di scintille zampillò<br />

dal braciere e io sentii come <strong>del</strong>le punture di spillo bruciarmi la<br />

mano. Mi sedetti di nuovo di fronte a lei, aspettando che riprendesse<br />

a parlare, ma lei aspettava che parlassi io. Avrei voluto chiederle se<br />

era soddisfatta <strong>del</strong>le risposte ai suoi interrogativi, ma avrei dovuto


estare lì tutta la notte per avere il coraggio di esprimere a parole il<br />

mio pensiero.<br />

Lei rise di nuovo, con il suo riso così piacevole. «E adesso te ne<br />

stai seduto lì e ti chiedi se quello che vedo mi piace, ma sei troppo<br />

insicuro di te stesso per chiedermelo. Ho ragione?» Alzò un<br />

sopracciglio esattamente come avrebbe fatto suo fratello e fui<br />

costretto a sorridere e ad annuire. «Bene, signore, puoi andare avanti<br />

a chiedertelo. Ci sono cose che una signora romana non fa e una di<br />

queste è lusingare uno sconosciuto.» Dovetti pensare un po' su<br />

quella frase, prima di capire e era un complimento.<br />

«Ci siamo!» disse. «E adesso che ci siamo occupati di te, penso<br />

che dovremmo parlare di me. Non pensi che sarei un argomento<br />

<strong>del</strong>izioso?»<br />

Non potei fare a meno di ridere, sentendomi meglio e ogni<br />

minuto più rilassato con questa meravigliosa donna.<br />

«Assolutamente» risposi. «Cosa pensi che dovrei sapere di te, visto<br />

che non ho avuto il beneficio <strong>del</strong>la costante descrizione di tuo<br />

fratello per prepararmi?»<br />

I suoi sopraccigli si alzarono. «Vuoi dire che Gaio non ti ha<br />

messo in guardia contro la mia bellezza? <strong>La</strong> mia intelligenza? Il mio<br />

brio?»<br />

«Sapevo solo il tuo nome.» Sorrisi, sentendomi adesso<br />

miracolosamente a mio agio. Lei fece finta di essere fuori di sé,<br />

sporgendo leggermente il labbro inferiore e aggrottando la fronte.<br />

«Ma gli sono grato» continuai. «Se avessi saputo la verità, non avrei<br />

mai potuto tollerare l'attesa prima di conoscerti. Mi ha detto però<br />

che sei la sua sorella preferita.»<br />

«Beh, questo è già qualcosa, suppongo. Peccato che io sia la sua<br />

unica sorella.»<br />

«Seriamente» dissi, ridendo di gusto. «Cosa dovrei sapere di<br />

te?»


«Me lo chiedo» disse e fece una pausa, simulando<br />

concentrazione. «Cosa dovresti sapere di me?» Si morsicò le labbra,<br />

dandomi molto tempo per ammirare il loro contorno e la loro<br />

morbidezza. «Per prima cosa dovresti sapere che sono molto felice<br />

che tu sia qui. Sono anni che desidero incontrarti. Inoltre dovresti<br />

sapere che vengo considerata stravagante perché rifiuto di<br />

comportarmi come una donna, nel senso che l'unica cosa che accetto<br />

<strong>del</strong>la condizione femminile è di avere dei bambini. Ho una testa e mi<br />

piace imparare. Fremo dall'impazienza che tu mi racconti <strong>del</strong>la tua<br />

<strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>.» Fece una pausa, pensando a quello che doveva<br />

dire, poi proseguì: «Dovresti anche sapere che sono molto sfortunata<br />

per quanto riguarda i mariti. Finora ne ho persi due, cosa che spiega<br />

perché a venticinque anni sono qui vedova nella casa di mio fratello,<br />

mentre dovrei essere felice in una casa mia allevando tanti piccoli<br />

Britannici».<br />

Stupito per quell'informazione, mi alzai, poi andai a sedermi<br />

accanto a lei. «Due?»<br />

Annuì. «Due.»<br />

«Ma come?»<br />

«Non so. Forse per disattenzione. No, perdonami. È una frase<br />

stupida. Forse ero colpevole di hubris, di orgoglio eccessivo. Non<br />

so.»<br />

«Due! Io sapevo solo di uno.»<br />

«Come? Te ne ha parlato Quinto? Che domanda stupida, è<br />

ovvio. Veronica è la sorella di Giulio.» Per qualche secondo rimase<br />

in silenzio, guardando nel fuoco. <strong>La</strong> sua stola aveva cominciato a<br />

scivolarle dalle spalle e io la presi e la rimisi a posto,<br />

meravigliandomi per il mio improvviso coraggio. Era molto vicina e<br />

io avrei voluto averla ancora più vicina. Un piccolo sorriso sfiorò il<br />

suo viso per ringraziarmi di volerla proteggere dal freddo.<br />

«Ho conosciuto appena il mio primo marito. Era un ragazzo di


diciassette anni quando fu ucciso da un cinghiale selvatico durante<br />

una caccia. Io avevo quindici anni allora. Sembra secoli fa e mi<br />

ricordo di lui come di un fratello amato. <strong>La</strong> sua famiglia e la mia<br />

erano state amiche per generazioni, anche se noi vivevamo qui in<br />

Britannia e loro si erano spostati a Costantinopoli, con la corte<br />

imperiale. Rimanemmo sposati meno di tre mesi.» Non dissi niente,<br />

sapendo che non aveva finito. «E poi c'è stato Giulio, il fratello di<br />

Veronica. Un bell'uomo, un uomo onesto. Anche in questo caso mio<br />

padre aveva combinato il matrimonio. Vivemmo insieme per un<br />

anno abbastanza felici, scoprendoci reciprocamente, e poi per tre<br />

anni infelicemente, essendoci scoperti l'un l'altro troppo bene. È<br />

morto quattro anni fa e io l'ho pianto poco, anche se non era certo un<br />

uomo cattivo. Ma amo sua sorella più di quanto abbia amato<br />

Giulio.» Mi guardò con aria interrogativa: «Trovi scandalizzante che<br />

ti dica queste cose?».<br />

Scossi la testa e lei proseguì.<br />

«Ho idee molto precise su questi argomenti e suppongo che<br />

questo non sia bene per una donna romana. Ma ho fatto il mio<br />

dovere di figlia obbediente. Mio padre è morto adesso e d'ora in poi<br />

deciderò io la mia vita. Non sono più una ragazza. Sono una donna e<br />

sono ricca. Una donna ricca e giovane. A venticinque anni non si è<br />

vecchi e mi lusingo di potere ancora attrarre un marito di mia scelta,<br />

se l'idea mi piace.» Fece una pausa. «Ti ho scandalizzato, vero?» In<br />

effetti mi aveva scandalizzato, ma scossi la testa di nuovo,<br />

mentendo.<br />

Scelse di credermi. «Bene» disse in tono di approvazione, avevo<br />

una zia, zia Liga. Una donna notevole. Era fermamente convinta che<br />

gli uomini governano il mondo solo per difetto, perché le donne si<br />

accontentano di non sfidare la loro supremazia. Si è dedicata al<br />

commercio. Ha comprato immobili e accumulato una fortuna. Da<br />

giovane dava scandalo perfino a Roma, che è lo scandalo<br />

personificato, ma al momento <strong>del</strong>la sua morte aveva raggiunto una


certa rispettabilità attraverso la semplice notorietà e una ricchezza<br />

incommensurabile. Ha lasciato tutto, il suo denaro e le sue terre e i<br />

suoi edifici, a me.» Si fermò, guardandomi fisso negli occhi alla<br />

breve distanza che ci separava.<br />

«Sono una donna molto ricca, Publio. Possiedo gran parte di<br />

Roma e una bella fetta di Costantinopoli, sotto forma di terreni e<br />

immobili.» Fece un'altra pausa e mi guardò con serietà prima di<br />

proseguire. «Amo mio fratello teneramente, ma adesso che ho le mie<br />

proprietà, ho anche il coraggio di seguire le mie proprie idee.<br />

Suppongo che quello che davvero intendo è che adesso sono<br />

d'accordo con le idee di zia Liga sulla vita e sul modo di viverla. Se<br />

mi sposerò di nuovo, sceglierò mio marito, anche se questo non<br />

piacerà a Gaio. Non voglio essere trattata come una proprietà di cui<br />

si dispone semplicemente perché sono nata in un corpo femminile.<br />

Ho una testa. So leggere, scrivere, pensare e gestisco i miei affari<br />

tramite i miei avvocati.»<br />

A questo punto ero davvero confuso sui motivi che la<br />

spingevano a raccontarmi tutto questo. «Hai detto queste cose a<br />

Gaio?» In sua compagnia, stranamente non riuscivo più a pensare a<br />

lui come al generale.<br />

«No. Non ne ho avuto l'opportunità.» Rise. «Sto facendo pratica<br />

con te. Gaio può essere formidabile quando si offende la sua<br />

sensibilità. È molto tradizionalista. So che disapprovava molto zia<br />

Liga. Gli verrà un colpo apoplettico quando saprà che la zia mi ha<br />

lasciato tutta la sua fortuna mal acquistata. È morta l'anno dopo la<br />

partenza di Gaio per l'Africa e solo dopo un altro anno ho saputo<br />

che mi aveva nominata sua erede. Da allora ho imparato a mandare<br />

avanti i miei affari con l'aiuto dei miei avvocati, due qui e cinque a<br />

Roma. Sono stata a Roma e li ho incontrati tutti e ho passato molto<br />

tempo studiando la situazione. So che mi derubano in modo<br />

oltraggioso, ma uno di questi giorni me ne occuperò. Avranno una<br />

brutta sorpresa. Nel frattempo non ho ancora avuto occasione di


dire tutto questo a Gaio.»<br />

Guardò di nuovo lontano, nel centro <strong>del</strong> fuoco, e di nuovo cadde<br />

il silenzio. Questa volta però non c'era un senso di disagio, perché<br />

entrambi pensavamo a quello che mi aveva detto. Una sacca di<br />

resina in un ceppo scoppiò, e l'intero fuoco crollò ripiegandosi su se<br />

stesso; un milione di scintille sembrò sciamare dai legni che<br />

bruciavano, segnalando il passaggio da combustibile a cenere. Mi<br />

stavo chiedendo se dovevo aggiungere altra legna, quando lei decise<br />

per me.<br />

«Metti <strong>del</strong>l'altra legna e raccontami <strong>del</strong>la tua <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>.»<br />

Questa volta mi fu facile sorridere. «Cosa vorresti sapere?»<br />

«Tutto. Mi affascina. Prima di partire per l'Africa, Gaio mi ha<br />

raccontato <strong>del</strong>la spada di Teodosio, che era stata fatta in origine da<br />

tuo nonno per tuo padre dal metallo di una <strong>pietra</strong> che lui credeva<br />

caduta dal <strong>cielo</strong>. Ora vorrei sentire questa storia da te. Tu credi che<br />

la <strong>pietra</strong> sia caduta dal <strong>cielo</strong>, vero?»<br />

Ero in piedi. «Sì, lo credo» dissi. «Ma la spada di Teodosio non è<br />

niente. Guarda questo!» Da dietro la schiena tirai fuori il pugnale.<br />

«Stai attenta» dissi porgendoglielo, «È più affilato di qualunque<br />

lama che tu abbia mai visto.»<br />

Quando ebbi finito di aggiungere legna al fuoco, mi girai e la<br />

vidi interessata a guardare la lama.<br />

«Cosa rende la lama così argentea?» Reggeva alta la lama in<br />

modo che riflettesse le fiamme <strong>del</strong> fuoco.<br />

Mi sedetti vicino a lei e tesi la mano. Lei girò il pugnale,<br />

mettendomi la pesante impugnatura sul palmo aperto. Tendendo il<br />

braccio verso il fuoco potevo vedere chiaramente la leggera<br />

impronta <strong>del</strong> suo pollice sulla lama lucente. Mossi la punta di lato,<br />

guardando i riflessi <strong>del</strong>la luce che percorreva la lama.<br />

«Non lo so, Luceia, ma penso che ci sia un altro metallo dentro,<br />

oltre al ferro.»


«Mrnm. Gaio me lo ha detto. Ma dimmi <strong>del</strong> ferro. Mi ha detto<br />

anche che tu gli avevi detto che era un nuovo studio.»<br />

«È vero» dissi, la sorpresa evidente nel tono <strong>del</strong>la mia voce. «Ma<br />

ho detto che era solo relativamente nuovo. Perché vuoi sapere <strong>del</strong><br />

ferro?»<br />

«Te l'ho detto. Ho una testa. Voglio sapere tutto quello che posso<br />

su ogni cosa che mi interessa e non so niente sul ferro. Niente.»<br />

«Va bene» dissi. «D'accordo. Da dove vuoi che cominci?»<br />

«Dall'inizio. E per favore parla come se io fossi Gaio. Cerca di<br />

non pensare a me come a una donna.»<br />

Resistetti alla tentazione di guardare i suoi seni e il modo nel<br />

quale il tessuto <strong>del</strong> suo abito le mo<strong>del</strong>lava la coscia. Cercai<br />

disperatamente di non vedere i suoi capelli o la curva dei suoi<br />

zigomi. Lottai per ignorare la pienezza <strong>del</strong>le sue labbra. Cercai,<br />

<strong>del</strong>iberatamente, di ignorare tutto quello che non poteva essere<br />

ignorato e di pensare a cosa avrei detto a un uomo in risposta alla<br />

stessa richiesta.<br />

«Bene» mormorai. «<strong>La</strong>sciami pensare un minuto. Ho già cercato<br />

di spiegarlo a Gaio e non è facile. Non voglio confonderti e non<br />

voglio annoiarti.» Raccolsi i miei pensieri nell'approssimazione di<br />

una sequenza logica. «Per iniziare. Io non so molto più di te su<br />

questo soggetto. Nessuno ne sa di più. Tu sai la storia <strong>del</strong>la <strong>pietra</strong><br />

<strong>del</strong> <strong>cielo</strong>, ma sai anche che mio nonno aveva quasi rinunciato a<br />

fonderla?»<br />

Annuì. «Sì. Mi è sembrato strano che qualcuno volesse cercare<br />

di fondere una <strong>pietra</strong>, ma non volevo dimostrare a Gaio la mia totale<br />

ignoranza, così l'ho lasciato parlare. Cosa vuol dire?»<br />

«Dunque» proseguii. «Quasi tutto il metallo proviene<br />

originariamente da rocce, ma non tutte le rocce contengono metallo.<br />

Le rocce che lo contengono si chiamano rocce minerali; il minerale è,<br />

se vuoi, il metallo crudo.»


«Intendi crudo, come non cotto?»<br />

Annuii. «Esattamente. Il minerale di ferro è rosso. Hai mai visto<br />

durante i tuoi viaggi colline che sembrava fossero arrugginite?» Lei<br />

mosse la testa in segno di assenso. «Bene, questo è esattamente<br />

quello che sono. <strong>La</strong> roccia che produce l'effetto <strong>del</strong>la ruggine è il<br />

minerale di ferro. Noi prendiamo quella roccia e la spacchiamo e la<br />

laviamo e poi la facciamo asciugare. <strong>La</strong> lavatura la libera dal<br />

normale terriccio e da altro materiale solubile. Bruciamo quello che<br />

rimane a grande calore in un altoforno di cottura o fornace per un<br />

lungo tempo. Durante questo riscaldamento, o estrazione come la<br />

chiamiamo, il metallo si scinde dalla <strong>pietra</strong> minerale e gocciola in un<br />

crogiolo alla base <strong>del</strong> forno di cottura. Alla fine ci troviamo, quando<br />

il forno di cottura si è raffreddato, con quello che è puramente un<br />

pezzo di puro ferro mescolato a scorie, il residuo <strong>del</strong>la fornace. A<br />

quel punto cominciamo a lavorare con i martelli e attraverso la<br />

semplice battitura di quella massa - che è come una grande spugna<br />

sporca - martelliamo fuori la maggior quantità possibile di scorie. Le<br />

scorie cadono fuori e alla fine <strong>del</strong> processo rimaniamo con un pezzo<br />

di ferro. Lo chiamiamo ferro battuto perché è stato letteralmente<br />

battuto fuori dalla <strong>pietra</strong> dal sudore dei nostri corpi e dal<br />

martellamento dei nostri martelli. Mi segui fin qui?»<br />

Annuì, con gli occhi spalancati, palesemente interessata.<br />

«Bene. Adesso le cose si complicano. Questo ferro battuto è ferro<br />

solido e adatto a ogni uso. È facile dargli forma ed è facile da<br />

lavorare. Ma è troppo morbido per conservare il filo. Una mediocre<br />

lama di bronzo martellato è molto più affilata e più resistente di una<br />

lama di ferro battuto. Ovviamente il ferro non è lavorabile quando è<br />

freddo. Bisogna scaldarlo fino a che diventa incandescente per<br />

potergli dare forma.» Annuì, come per confermare che conosceva<br />

questo fatto ovvio.<br />

«Bene» continuai. «Ora facciamo il passo successivo. Qualcuno,<br />

da qualche parte, molto tempo fa, nessuno sa quando, ha fatto


un'importante scoperta. Chiunque lavora il ferro sa da secoli che,<br />

per tenere il filo, una lama di ferro deve essere martellata e poi<br />

lasciata raffreddare lentamente, Se si raffredda troppo in fretta il filo<br />

non regge. Ma qualcuno, un giorno, deve aver deciso di riaffilare<br />

una lama e per caso deve aver lasciato la lama nel fuoco di<br />

carbonella troppo a lungo. Poi deve aver martellato il filo <strong>del</strong>la lama<br />

e l'ha riscaldata di nuovo. Quando ha compreso quello che aveva<br />

fatto deve aver pensato di aver sprecato il suo lavoro e ha immerso<br />

la lama nell'acqua per raffreddarla in fretta, in modo da poter<br />

ricominciare. Nessuno sa come la scoperta sia avvenuta. È stato un<br />

caso. Ma resta il fatto che il ferro, riscaldato una seconda volta in un<br />

fuoco di carbone di legna e poi immerso nell'acqua a raffreddarsi in<br />

fretta, prende un filo che è incredibilmente più duro, mentre lo<br />

stesso ferro, scaldato senza carbone di legna e poi immerso nella<br />

stessa acqua non regge quel filo.»<br />

«Sembra impossibile.»<br />

«Lo so. Ma è vero.»<br />

«C'è qualche magia nel carbone di legna?»<br />

«Forse.» Scossi la testa come avevo fatto altre volte di fronte allo<br />

stesso problema. «Deve essere magico, in qualche modo. Ma io non<br />

credo alla magia, e mi rifiuto di credere che con tutte le cose al<br />

mondo che si suppongono magiche e non lo sono, ci sia una sola<br />

cosa, il legno carbonizzato, che non si suppone sia magica e lo è. No,<br />

Luceia, non è magia. È solo qualcosa che non capiamo ancora.»<br />

Mi sorrise, un sorriso caldo e ammirato, e io mi stirai di gioia<br />

come un gatto.<br />

«Non è da stupirsi, Publio, che tu passi il tuo tempo sopra una<br />

fornace. È assolutamente affascinante. Non può essere l'acqua che<br />

rende morbido il filo, quindi deve essere il carbone di legna.»<br />

«No, il contrario. È la mancanza <strong>del</strong> carbone di legna che rende<br />

tenero il ferro.»


«Sì, la mancanza di... è questo che intendevo. Quindi il carbone<br />

di legna ha il segreto <strong>del</strong> filo resistente. E nessuno sa perché. È<br />

affascinante.»<br />

«Vero?» dissi, godendo <strong>del</strong>la sua approvazione. «Ovviamente<br />

puoi capire come nessuno sia arrivato subito a questo. Il processo di<br />

indurimento è stato un processo di tentativi ed errori durato secoli.<br />

Ma gradualmente un metodo per indurire il ferro entrò nell'uso<br />

generale e i fabbri impararono come aumentare il calore dei loro<br />

fuochi, la qualità <strong>del</strong> ferro aumentò dal nero al pallido grigio <strong>del</strong><br />

ferro dei nostri giorni.»<br />

«Aspetta un momento. Cosa vuol dire che hanno aumentato il<br />

calore dei loro fuochi? Cosa può essere più caldo <strong>del</strong> fuoco?»<br />

«Un fuoco più caldo.» Risi per l'espressione <strong>del</strong>la sua faccia. «È<br />

per questo che forziamo aria nei nostri carboni con i mantici. L'aria<br />

aumenta il calore <strong>del</strong> carbone. Nessuno sa come o perché. E alcuni<br />

combustibili bruciando producono più calore di altri. Alcuni<br />

bruciano più lentamente. È per questo che usiamo carbone di legna.<br />

Sviluppa temperature più elevate e brucia più adagio <strong>del</strong> normale<br />

legno. Può arrivare a temperature enormi. Mio nonno stava quasi<br />

per rinunciare a fondere la <strong>pietra</strong> celeste, come ho detto. Aveva<br />

tentato con diversi combustibili, diversi tipi di carbone di legna e<br />

aumentato il flusso d'aria nella fornace a un livello mai tentato<br />

prima, ma niente era servito. E poi, alla fine, quando la fornace si<br />

raffreddò, dopo quello che aveva giurato a se stesso che sarebbe<br />

stato l'ultimo tentativo di fondere la <strong>pietra</strong>, si accorse che, benché<br />

non si fosse fusa, la superficie <strong>del</strong>la <strong>pietra</strong> aveva un aspetto<br />

differente come se avesse iniziato a cambiare. Perciò decise di fare<br />

un ultimo tentativo e di trovare il modo di aumentare davvero la<br />

temperatura <strong>del</strong>la sua fornace. A quel punto aveva passato ormai<br />

sette mesi perdendo tempo con quella cosa, ma era il suo hobby e lo<br />

considerava tempo ben speso.»<br />

Notai di nuovo l'espressione rapita sulla sua faccia. Sembrava


en lungi dall'annoiarsi, ma io ebbi il dubbio che stesse solo<br />

fingendo interesse. Permisi alla mia voce di cadere in silenzio,<br />

dandole la possibilità di cambiare soggetto se avesse voluto.<br />

«Bene? E allora? So che ha avuto successo, ma come ha fatto?»<br />

<strong>La</strong> curiosità nella sua voce era genuina. Sorrisi e continuai.<br />

«Nei suoi appunti menziona che un suo socio - un mercante di<br />

combustibili e oli - aveva trovato un deposito di carbone che non<br />

riusciva a usare. Sembrava che il carbone che aveva trovato fosse<br />

troppo fragile. Si rompeva in pezzetti e non faceva fiamma. Mio<br />

nonno se ne ricordò. L'uomo non aveva detto che non bruciava,<br />

ricordi? Aveva solo detto che non faceva fiamma. Mio nonno sapeva<br />

che neppure il carbone di legna faceva fiamma, eppure bruciava<br />

producendo più calore <strong>del</strong> legno di cui era fatto. Si incuriosì. Chiese<br />

al suo amico di vendergli un po' di quel carbone. L'amico fece una<br />

smorfia di disgusto e disse a mio nonno di andarselo pure a<br />

prendere dov'era e gli augurò buona fortuna. Nonno Varro raccolse<br />

un po' di quel carbone e lo mescolò con un po' <strong>del</strong> suo miglior<br />

carbone di legna per vedere se avrebbe raggiunto una temperatura<br />

superiore. Lo fece. Bruciò forte e pulito e quando ebbe finito di<br />

sperimentare le proporzioni di carbone e carbone di legna aveva<br />

preparato un fuoco abbastanza caldo da fondere la <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>. Il<br />

resto lo sai. Ne ricavò abbastanza metallo per fare la spada per mio<br />

padre e il pugnale per me.»<br />

«Ma ha mescolato la lama <strong>del</strong>la spada con ferro normale?»<br />

«No» dissi, «non normale. Il migliore che aveva. Ma la spada di<br />

Teodosio non è neppure lontanamente brillante come il pugnale di<br />

<strong>pietra</strong> celeste.»<br />

Luceia aveva una strana espressione pensosa. Aspettavo di<br />

sentire cosa avrebbe detto. Quando parlò, però, mi fece una<br />

domanda che mi stupì.<br />

«Quando è successo, Publio?»


«Non ne ho idea. Dev'essere stato subito dopo la mia nascita.<br />

Mio padre è partito per l'ultima volta poco dopo. Trentatré anni?<br />

Trentaquattro? Qualcosa <strong>del</strong> genere, suppongo. Presumo che potrei<br />

dedurlo dagli appunti <strong>del</strong> vecchio.»<br />

«Era meticoloso nelle sue note, vero?»<br />

«Sì. Scriveva appunti su tutto quello che aveva a disposizione,<br />

dalle tavolette di cera al papiro, ai pezzi di pergamena.»<br />

Sorrise di nuovo, un sorriso tranquillo, spirituale. «Era un uomo<br />

saggio, tuo nonno. Potresti ricostruire esattamente quando è<br />

successo? Sarebbe possibile?»<br />

«Suppongo di sì. Perché? È importante? Per che motivo?» <strong>La</strong>sciò<br />

cadere tutte le mie domande. «Oh, non so. Ma c'è stato qualcosa di<br />

recente che mi ha incuriosito, qualcosa che ho sentito. Non voglio<br />

dire niente fino a che non l'abbia verificato, ma potrebbe essere<br />

molto interessante. È qualcosa che ho sentito o credo di aver sentito<br />

l'ultima volta che sono stata ad Aquae Sulis. Sai che la gente qui<br />

crede ai draghi?» Le diedi la mia versione <strong>del</strong> sopracciglio di<br />

Britannico. «Draghi?»<br />

Annuì.<br />

Le sorrisi. «Capisco. Ho attraversato la Britannia per trovare<br />

gente che crede nei draghi.»<br />

Il suo sorriso rispose al mio. «Non prenderli in giro, amico.<br />

Accettali per quello che sono. Penso che siano i tuoi draghi.»<br />

Capivo dalla sua espressione che c'era qualcosa che non mi<br />

diceva, ma non avevo idea di cosa fosse. Non volevo fornirle<br />

un'arma per prendermi in giro. <strong>La</strong> mia mente cercò di capire a cosa<br />

si riferisse e perché quei draghi dovessero essere miei, ma non c'era<br />

speranza.<br />

«Molto bene, mi hai battuto» dissi, alzando le braccia in segno di<br />

resa. «Non so di cosa stai parlando. Come e perché sono i miei<br />

draghi?»


«Perché li adotterai non appena ne sentirai parlare e ne sentirai<br />

parlare domani. Il fuoco è quasi spento e mi sento di colpo stanca.»<br />

Il fuoco era ormai quasi morto. Non avevo notato il suo<br />

spegnersi. Mi alzai in piedi controvoglia: non volevo lasciarla<br />

andare, sia pure per dormire qualche ora.<br />

«Scusa» dissi, «non ero cosciente <strong>del</strong> passare <strong>del</strong> tempo.»<br />

«Lo so. Neanch'io, e ho gradito ogni minuto.» Si alzò mentre<br />

parlava e di nuovo notai come era alta. Era abbastanza vicina a me<br />

perché io potessi sentire il suo calore e il suo profumo.<br />

Avrei potuto mettere il mio braccio intorno alla sua vita senza<br />

neppure sporgermi in avanti. Ma ovviamente non lo feci. Lei mi<br />

guardò diritto negli occhi per un lungo momento e la mia mente mi<br />

suggerì quanto morbide e <strong>del</strong>iziose quelle labbra dovevano essere<br />

contro le mie. Poi lei sorrise di nuovo, dolcemente e in qualche<br />

modo con intenzione, si aggiustò la stola intorno alle spalle. Poi si<br />

girò per allontanarsi da me, ma sembrò ripensarci e si girò.<br />

«Cosa c'è?» le chiesi. «Posso fare qualcosa per te?»<br />

Di nuovo lo stesso sorriso. Lei tese la mano destra e sfiorò, molto<br />

gentilmente, con il dorso <strong>del</strong>la mano, la mia guancia destra. Sentii<br />

appena la pressione, ma mi sentii bruciare. «Buona notte, Publio»<br />

sussurrò. «Grazie.» E si voltò.<br />

<strong>La</strong> fermai con un tocco <strong>del</strong>la mano sul gomito. Si girò, il mento<br />

alzato mentre guardava sopra la sua spalla, e io rimasi di nuovo<br />

senza parola.<br />

«Sì, Publio?»<br />

Dovevo dire qualcosa. «Domani» balbettai, «ti vedrò? Prima che<br />

tu parta?»<br />

«Prima che io parta?» C'era una risata nella sua domanda. «Sì e<br />

anche dopo. Tu vieni con me. Non ricordi? Ne abbiamo parlato a<br />

cena. Villa Britannico è la tua casa d'ora in poi.» Non mi ricordavo


affatto di quella conversazione a tavola. Rise di nuovo, ovviamente<br />

per l'espressione <strong>del</strong>la mia faccia. «Non aver paura, Varro.» C'era un<br />

<strong>del</strong>izioso tono di presa in giro nella sua voce. «È abbastanza grande<br />

per tutti e due.»<br />

Era ormai completamente buio nel cortile interno, ma io guardai<br />

lo splendido oscillare <strong>del</strong>le sue anche prima che l'oscurità la<br />

inghiottisse. Non poteva avere sentito il mio sussurro: «Buona notte,<br />

amore mio».<br />

Rimasi a fissare il fuoco morente per un po', con i pensieri in<br />

tumulto e poi andai come in sogno a letto.


XVII.<br />

Dormii poco quella notte, torturato da fantasie e desideri sensi<br />

di colpa. Quella donna era la sorella <strong>del</strong> mio migliore amico,<br />

mentore e comandante. <strong>La</strong> mia era una famiglia di cavalieri, ma la<br />

sua era patrizia di sangue antico, aveva conquistato la nobiltà prima<br />

<strong>del</strong> tempo dei Cesari e discendeva direttamente dalle famiglie che<br />

avevano fondato Roma. Luceia era ricca personalmente e lo era<br />

ancora di più grazie al patrimonio familiare. Io possedevo solo una<br />

piccola fucina. Lei era una nobildonna di grande intelligenza e<br />

valore, mentre io ero un artigiano, un fabbro con le unghie sporche e<br />

l'odore <strong>del</strong> fumo e <strong>del</strong>la fuliggine negli abiti, nonostante il tesoro di<br />

mio nonno. Era vero che lei si degnava di parlarmi sinceramente e di<br />

mostrare interesse al mio benessere, ma io sapevo nel profondo <strong>del</strong><br />

cuore che lo faceva per gratitudine nei confronti <strong>del</strong>l'uomo che<br />

aveva salvato la vita al suo amato fratello. Era vero che aveva anche<br />

mostrato interesse al mio amore per il ferro, ma solo perché Gaio era<br />

stato affascinato da esso e il suo racconto aveva sollecitato la sua<br />

mente vivace e la sua sete di conoscenza. Ma sapevo anche che ero<br />

condannato per sempre ad aria e fui in piedi prima che le allodole<br />

cominciassero a tare, aspettando con impazienza di rivederla.<br />

Dovetti aspettare a lungo. Luceia dormì fino a tardi e poi, dopo<br />

avermi solo concesso un sorriso e un saluto, scomparve nelle<br />

profondità <strong>del</strong>la casa con Veronica e alcuni dei bambini. Feci<br />

colazione con Quinto prima <strong>del</strong>l'alba e parlai con lui di quello che<br />

aveva da fare quel giorno e poi anch'egli scomparve per dedicarsi ai<br />

suoi affari, lasciandomi ai miei.<br />

Esplorai gli edifici <strong>del</strong>la fattoria mentre la luce aumentava e il<br />

luogo cominciava a riempirsi di vita. Trovai il fabbro che si<br />

occupava <strong>del</strong>l'equipaggiamento <strong>del</strong>la fattoria e mi presentai. Era un<br />

uomo taciturno, abbastanza amichevole, ma troppo occupato per<br />

lasciarsi distrarre dai suoi compiti. Rimasi a girellare vicino alla


forgia finché fui certo che sapeva il suo mestiere e poi andai a<br />

controllare le mie cose e i miei cavalli, per essere sicuro che sarei<br />

stato pronto quando Luceia avesse deciso di partire.<br />

In seguito, non sapendo cosa fare, presi il mio arco africano e<br />

alcune frecce e mi allontanai dagli edifici, cercando un posto dove<br />

esercitarmi. Con mia grande sorpresa trovai non solo un posto<br />

adatto, ma anche un bersaglio molto usato. In una zona molto<br />

calpestata dietro a uno dei capannoni le cui mura in <strong>pietra</strong><br />

formavano la recinzione esterna <strong>del</strong> cortile, trovai una rozza sagoma<br />

di paglia di forma e dimensioni umane, legata con <strong>del</strong>la corda e<br />

avvolta in una vecchia tunica, bucata da diversi fori circolari. Dopo<br />

essermi guardato intorno e non avere visto nessuno, accettai il dono<br />

<strong>del</strong>l'arciere sconosciuto e tesi il mio arco.<br />

Il primo tiro rivelò un ceppo nascosto che formava l'ossatura <strong>del</strong><br />

bersaglio sotto la paglia. <strong>La</strong> mia freccia vi si conficcò saldamente e<br />

feci fatica a rimuoverla. Da quel momento in poi usai solo frecce da<br />

esercizio senza punta di metallo.<br />

Dopo un po' mi abituai al bersaglio e scoprii che non avevo<br />

bisogno di tendere l'arco con la forza a cui ero abituato. Ero così<br />

concentrato a colpire il bersaglio esercitando solo una minima<br />

tensione che non notai l'avvicinarsi di un uomo, la cui voce mi<br />

spaventò.<br />

«Un arco ben grande per un bersaglio così piccolo! Direi che è<br />

uno spreco di tempo e di fatica!»<br />

Mi girai, sorpreso di trovarmi davanti un uomo piccolo con<br />

<strong>del</strong>le spalle enormi e una gobba sulla schiena. <strong>La</strong> gobba spingeva la<br />

testa in avanti e di lato, così che tutto il corpo sembrava contorto,<br />

anche se in realtà solo un lato, il sinistro, era deformato. Aveva<br />

un'aria molto forte malgrado la deformità e non si poteva non notare<br />

il disprezzo sulla sua faccia abbronzata mentre guardava il mio<br />

grande arco. Gli sorrisi, notando il piccolo arco che reggeva, già teso,<br />

nella mano destra.


«Uno spreco?» chiesi. «Come può essere uno spreco se la freccia<br />

trova il bersaglio ogni volta?»<br />

«Puah!» Il tono era carico di disprezzo. «Colpisce il bersaglio? Se<br />

il bersaglio fosse grande abbastanza un bambino potrebbe colpirlo<br />

con un sasso. Quello a cui stai mirando è il giocattolo di mio figlio.<br />

Vieni con me, che ti faccio vedere un vero bersaglio.»<br />

Senza aspettare risposta girò sui tacchi e si allontanò con una<br />

strana andatura a balzi che giudicai tristemente non troppo diversa<br />

dalla mia. Lo seguii per un centinaio di passi fino a che si fermò e<br />

indicò in lontananza con un cenno.<br />

«Quello è un bersaglio.»<br />

Guardai. A circa centoventicinque passi dal punto in cui<br />

eravamo, una grande conifera era stata abbattuta da un forte vento,<br />

e la base piatta <strong>del</strong>le radici formava una sorta di enorme pezza<br />

circolare marrone contro gli alberi sullo sfondo. Proprio di fronte<br />

alla conifera distinsi un bastone bianco verticale.<br />

«Il bastone bianco? Cos'è?»<br />

Mentre parlavo tese il suo arco e fece partire una freccia. Il colpo<br />

sfiorò il palo bianco e deviò a destra; vidi il rosso vivo <strong>del</strong>le piume<br />

infilarsi nella terra tra le radici che facevano da fermo.<br />

«È il manico di una vanga. Infilata nella terra. Fammi vedere se<br />

lo colpisci, allora, con quel grande coso che hai lì.»<br />

<strong>La</strong> mia freccia mancò il bersaglio, anche se non di molto, e così<br />

pure la seconda. L'ometto non disse nulla, accontentandosi di<br />

rimanere in un silenzio che sapeva irritarmi. Rivolsi contro me<br />

stesso la mia collera e mi chiesi cosa stessi facendo di sbagliato. E la<br />

risposta arrivò subito. Stavo ancora contenendo la tensione,<br />

concentrandomi sulla <strong>del</strong>icatezza più che sulla forza. Tenendo<br />

questo in mente feci le dovute correzioni e mirai di nuovo. <strong>La</strong> freccia<br />

colpì l'angolo superiore <strong>del</strong> palo, deviò e atterrò vicino alla sua<br />

prima freccia. Non dissi nulla.


«Così è meglio» disse, tendendo di nuovo il suo arco e<br />

scoccando una freccia all'apparenza senza mirare. Questa volta colpì<br />

dritto il bersaglio ed entrambi vedemmo il palo bianco dividersi.<br />

Grugnì. Ero stupefatto. O era un tiro incredibile o una fortuna<br />

altrettanto incredibile.<br />

Mi sforzai di sembrare indifferente. «Non male» dissi. «Potresti<br />

rifarlo?»<br />

Lo fece immediatamente e io rimasi senza parole, mentre la sua<br />

prima freccia, che era rimasta incastrata nel manico <strong>del</strong>la vanga,<br />

roteava in aria e cadeva a terra. Il bersaglio era distrutto. Tentare di<br />

colpire adesso sarebbe stato follia e lo dissi.<br />

«Prova lo stesso» grugnì.<br />

Mirai con attenzione e tirai. Il mio tiro era preciso, ma non<br />

potevo giudicare quanto.<br />

Si girò verso di me con un altro dei suoi versi. «Delicatezza,<br />

ragazzo, ecco cosa ti manca. Quel tuo grande coso ti obbliga a<br />

tendere troppo. Non puoi essere accurato con un coso così grande.<br />

<strong>La</strong> <strong>del</strong>icatezza è quello che ti manca. Chi sei?»<br />

Gli sorrisi e mi inchinai. «Varro è il mio nome. Publio Varro.<br />

Sono un ospite di Gaio Britannico.»<br />

Emise un sibilo. «Ospite, dici. Sei un romano.» Pronunciò la<br />

parola come un altro avrebbe detto “rospo” o “serpente”. Risi. «Sì,<br />

sono un romano. Cosa pensavi che fossi? E chi sei tu?»<br />

«Cimric. Ti avevo preso per uno di noi, che cieco sono stato!»<br />

Il suo modo di parlare era diverso da tutti quelli che avevo<br />

sentito. Decisi che doveva essere uno dei celti locali. «Sei dei<br />

dintorni, allora?»<br />

«No.» I suoi occhi mi soppesavano secondo una personale unità<br />

di misura. Alla fine ricominciò a parlare. «No. Vivo qui. Qui attorno.<br />

Ma vengo dalle colline. <strong>La</strong> zona montagnosa. <strong>La</strong>ggiù.» E indicò il


lontano orizzonte verso nordovest, dove non riuscivo a vedere<br />

nessuna montagna e poi socchiuse gli occhi e io guardai e vidi un<br />

uomo avvicinarsi a noi dalla casa.<br />

«Mastro Varro» mi disse quando fu più vicino. «Donna Luceia si<br />

prepara a partire.»<br />

«Grazie» dissi. «Di' per favore alla signora che arrivo subito.»<br />

Mentre andava via parlai di nuovo a Cimric. «Aspetta qui.»<br />

Misurai la distanza da dove eravamo fino al manico frantumato<br />

<strong>del</strong>la vanga infilzata nel terreno di fronte alle radici <strong>del</strong> grande<br />

albero caduto. Avevo valutato correttamente. Erano centoventisei<br />

passi fino alla vanga, che tirai fuori dal terreno, notando che la lama<br />

era ancora piuttosto lucente dove era rimasta sepolta e altri dodici<br />

passi fino alla torreggiante superficie <strong>del</strong>le radici. Mi avvicinai alla<br />

base e incuneai saldamente la vanga con la lama in su contro l'argilla<br />

sabbiosa <strong>del</strong>la superficie. Fatto ciò tornai dove Cimric era rimasto<br />

fermo a guardare.<br />

«Adesso, amico Cimric,» dissi con un sorriso, «ho aggiunto<br />

dodici passi alla distanza, ma il bersaglio è più grande e più basso.<br />

Vediamo se lo colpisci. Sei frecce.» Mi guardò con uno sguardo di<br />

commiserazione e iniziò a tirare. Quattro <strong>del</strong>le sue frecce<br />

risuonarono con forte clangore per annunciare il loro arrivo sulla<br />

lama <strong>del</strong>la vanga, ma l'avevo incuneata bene e rimase al suo posto.<br />

Io stavo in piedi dietro a lui mentre tirava, e disponevo sei <strong>del</strong>le mie<br />

migliori frecce con la punta nel terreno. Quando la sua ultima<br />

freccia, il suo quarto centro, suonò indicando il suo arrivo, si girò<br />

verso di me e vide quello che avevo fatto. Non riuscii a leggere<br />

l'espressione sulla sua faccia mentre gli facevo cenno di mettersi di<br />

fianco. Si mosse senza parlare, fissando gli occhi sullo scintillio <strong>del</strong>la<br />

lama distante <strong>del</strong>la vanga.<br />

«Ben fatto, Cimric» dissi. «Quattro su sei è un bel risultato. Un<br />

tiro <strong>del</strong>icato, come dici tu. Adesso guarda questo e nota la mancanza<br />

di <strong>del</strong>icatezza.»


Mi avviai a eseguire la morbida manovra più volte praticata,<br />

tirando completamente l'arco fino a dietro l'orecchio e facendo<br />

partire tutte e sei le frecce così in fretta che ce n'era sempre una in<br />

volo quando facevo partire quella dopo. Sentimmo cinque suoni,<br />

uno, un rumore metallico simile al suono fatto dalle sue frecce e<br />

quattro <strong>del</strong> tutto diversi. «Cinque» grugnii. «Andiamo.»<br />

Lo sentii camminare dietro di me, mentre raggiungevo il<br />

bersaglio, sapendo cosa avrei trovato, e mi misi in posizione tale da<br />

nascondere il bersaglio ai suoi occhi. Mi fermai a circa due passi da<br />

esso.<br />

«Allora, Cimric?»<br />

Ebbi la mia rivincita sul suo scherno e sulla sua derisione<br />

quando mi superò e si fermò in silenzio guardando il bersaglio. Le<br />

sue sei frecce e due <strong>del</strong>le mie erano bene conficcate nella base<br />

argillosa <strong>del</strong> pane di radici, intorno alla testa <strong>del</strong>la vanga. <strong>La</strong><br />

superficie <strong>del</strong>la vanga mostrava quattro graffi dove le sue punte<br />

avevano colpito ed erano state deviate e un'incisione profonda dove<br />

una <strong>del</strong>le mie aveva fatto lo stesso. Quattro <strong>del</strong>le mie frecce, però,<br />

avevano bucato il metallo <strong>del</strong>la vanga ed erano penetrate<br />

nell'argilla.<br />

«Non <strong>del</strong>icato, Cimric, ma efficace» dissi.<br />

Si girò verso di me e guardò con occhi spalancati me e il mio<br />

arco. Alla fine annuì e io accettai il riconoscimento <strong>del</strong>la superiorità<br />

<strong>del</strong>la mia arma. Feci un passo avanti e cominciai a raccogliere le mie<br />

frecce, tirandole fuori dai buchi che avevano fatto nel ferro.<br />

«Sarò a Villa Britannico. Se hai voglia di farmi visita sarò felice<br />

di vederti.» Misi le frecce nella faretra. «Fino ad allora, addio.» Gli<br />

porsi la mano ed egli la strinse, sempre senza dire una parola. Fui<br />

consapevole dei suoi occhi sulla mia schiena per tutta la strada di<br />

ritorno alla villa.<br />

Quando entrai nel cortile vidi Luceia, Veronica e Quinto in piedi


fuori dall'entrata principale <strong>del</strong>la casa vicino a un carro a quattro<br />

ruote decorato a colori brillanti, attaccato a un tiro di cavalli grigi.<br />

Non c'erano servitori in vista, nemmeno un guidatore per il carro e<br />

lo trovai sorprendente anche se non persi tempo a pensarci. Tutti<br />

sorrisero mentre io andavo loro incontro.<br />

«Dovete perdonarmi se vi ho fatto aspettare» dissi<br />

avvicinandomi a loro. «Ma ero coinvolto in una gara di ingegno e<br />

frecce con uno dei tuoi uomini, Quinto.»<br />

«Non ci hai fatto aspettare» rispose Luceia. «Non c'è fretta. Chi<br />

era il tuo rivale?»<br />

Li raggiunsi e strinsi la mano che Quinto mi porgeva. «Cimric»<br />

dissi. «Cosa fa?»<br />

Quinto rise. «Cimric non fa niente che non voglia fare. Cimric è<br />

semplicemente Cimric. Viene dalla Cambria, dalle montagne, e fa<br />

tutto quello di cui c'è bisogno, finché si stanca e se ne va.»<br />

«Capisco.» Guardai Luceia, cercando di non sembrarle troppo<br />

condiscendente. «Gli ho chiesto di visitarmi alla tua villa. Spero di<br />

non aver fatto male.»<br />

Lei rise. «No, affatto. Può venire se gli piaci. Sono pochi i romani<br />

che gli piacciono.»<br />

«Ho avuto questa impressione. Quanto meno mi rispetta,<br />

almeno mi pare.»<br />

«Bene. Ed è giusto che sia così.» Mi prendeva in giro, pensai.<br />

Mi guardai intorno. «Sei già pronta a partire. I miei cavalli e la<br />

mia roba sono nella stalla. Vado a prenderli.»<br />

«No. Sono già andati. Ho mandato avanti Giacomo con loro,<br />

sperando che tu preferissi cavalcare con me.»<br />

Mi sentii arrossire di piacere e cercai di nascondere la mia<br />

confusione ringraziando Veronica e Quinto per la loro gentilezza e<br />

la loro ospitalità.


Alla fine tra sorrisi e saluti lasciammo Villa Varo e partimmo per<br />

Villa Britannico che, mi era stato detto, si trovava a sole sei miglia a<br />

sud e poi a ovest. <strong>La</strong> nostra strada correva lungo un sentiero,<br />

visibilmente frequentato e segnato da solchi, che costeggiava il<br />

perimetro esterno <strong>del</strong>la fattoria di Varo e girava intorno al grande<br />

albero sradicato che aveva visto il mio trionfo su Cimric. Come<br />

prevedevo Cimric era ancora lì e ci guardò passare. Io gridai e<br />

salutai e lui mi rispose con quello che sembrò un cenno scontroso.<br />

Luceia teneva le reclini e guidava bene. Il carro era stato<br />

costruito perché i passeggeri stessero comodi, aveva posto per sei<br />

persone e aveva un baldacchino di morbida pelle che poteva essere<br />

srotolato in caso di pioggia per chiudere i lati. Il sedile <strong>del</strong> guidatore<br />

era imbottito e comodo quanto può esserlo un sedile, e io ero più<br />

contento di quanto non lo fossi mai stato. Per un po' viaggiammo<br />

senza parlare; Luceia era concentrata sul sentiero scavato, io su di<br />

lei, ma cercavo di non fissare troppo avidamente la perfezione <strong>del</strong><br />

suo profilo. Era una bella giornata e gli uccelli cantavano ovunque, e<br />

io ero felice e tanto pieno di gioia quanto può esserlo un uomo.<br />

Ben presto, però, sentendo che la osservavo, girò la faccia verso<br />

di me con un piccolo sorriso. «Sei molto silenzioso stamattina,<br />

mastro Varro. Va tutto bene?»<br />

Trassi un lungo respiro. «Perfettamente bene, grazie, domina»<br />

risposi. «In effetti stavo proprio congratulandomi con me stesso per<br />

essere vivo in un giorno come questo.»<br />

Il suo sorriso diventò più ampio e chiese: «Allora non senti la<br />

necessità di parlare?».<br />

«No, affatto.»<br />

«Bene, allora divideremo il silenzio e la giornata.»<br />

Viaggiammo in silenzio e lei mi offrì il perfetto piacere di<br />

guardarla. Sapevamo entrambi che il modo in cui la fissavo era<br />

molto maleducato, ma era abbastanza gentile da non prendersela e


abbastanza sicura di sé da non sentirsi imbarazzata.<br />

Aveva mani lunghe e <strong>del</strong>icate, ma abbronzate e forti, e le sue<br />

braccia, che non erano coperte <strong>del</strong> tutto dalle maniche <strong>del</strong> lungo<br />

abito bianco che portava, erano <strong>del</strong>icatamente ambrate. Lo stile <strong>del</strong><br />

suo vestito era il classico abbigliamento romano: lunghe, sobrie,<br />

diritte linee di morbida stoffa drappeggiata, strette alla vita; la parte<br />

superiore <strong>del</strong>l'abito si intrecciava sul seno mettendolo in evidenza<br />

ed era raccolta sulla spalla da una spilla gioiello. Era bellissima e io<br />

sentivo la necessità di dirglielo, ma me ne mancò il coraggio. Caddi<br />

in un sogno a occhi aperti nel quale mi immaginavo di dirglielo e<br />

che lei mi sorridesse e mi porgesse la mano da baciare. E io la<br />

baciavo, nei miei sogni, strofinando leggermente la sua pelle dorata<br />

contro le mie labbra e sentendone la dolcezza. <strong>La</strong> sua voce mi<br />

riportò alla realtà.<br />

«Questo è il confine <strong>del</strong>le due proprietà. Al di là <strong>del</strong> corso<br />

d'acqua c'è la tua nuova casa.» Si girò verso di me con il sopracciglio<br />

alzato, come suo fratello. «Sempre che tu voglia restare.»<br />

Sorrisi e non dissi niente, ma il mio cuore diceva: «Voglio<br />

restare. Voglio restare».<br />

Il corso d'acqua era poco profondo, non più di un ruscello; il<br />

nostro sentiero lo attraversava e poi si divideva in tre, uno<br />

proseguiva diritto e due seguivano l'argine nelle due direzioni. Mi<br />

aspettavo che Luceia continuasse lungo il sentiero principale, ma il<br />

carro svoltò a destra e seguì la corrente fino a giungere a un ampio<br />

stagno circondato dai salici, sotto i quali i cavalli si fermarono.<br />

«Ora, signore, se vuoi prendere il cesto dietro a noi e aiutarmi a<br />

scendere, mangeremo qui prima di andare a casa e ti parlerò di<br />

draghi.»<br />

Deliziato saltai giù dal sedile, dimenticandomi la gamba malata,<br />

ma fortunatamente atterrando bene. Poi la aiutai a scendere e sentii<br />

la stupenda morbidezza <strong>del</strong>la sua vita tra le mie mani per la prima<br />

volta.


Il cesto conteneva una varietà di cibi e una caraffa di vino, e<br />

tazze e coltelli e anche una tovaglia da distendere sull'erba, e<br />

mangiammo insieme in perfetta serenità lungo la riva <strong>del</strong> ruscello<br />

gorgogliante.<br />

Poi arrivò il momento in cui non potei mangiare di più e mi misi<br />

più comodo, appoggiandomi al tronco di un albero.<br />

Lei mi sorrise. «Adesso sei comodo? C'è qualcos'altro che posso<br />

fare per te?»<br />

«Solo una cosa» dissi con un sorriso che era di assoluta euforia.<br />

«Dimmi tutto sui tuoi draghi e sul perché li dovrei adottare.»<br />

<strong>La</strong> sua faccia divenne seria. Strappò un ciuffo d'erba,<br />

guardandolo con concentrazione mentre lo divideva attentamente<br />

nel senso <strong>del</strong>la lunghezza con l'unghia <strong>del</strong> pollice destro. «Cosa sai<br />

dei Druidi, Publio?»<br />

Pensai un momento prima di rispondere. «Non molto. Quello<br />

che mi ha detto di loro il vescovo Alarico. Conosci Alarico?» Annuì.<br />

«Dice che sono i sacerdoti dei Celti. Che sono di una religione antica<br />

e che avevano il potere qui prima che arrivassimo noi. Usavano fare<br />

sacrifici umani e si supponeva che avessero poteri magici. Adorano<br />

gli alberi e in particolare la quercia, e considerano il suo parassita, il<br />

vischio, una pianta sacra. Le loro idee oggi sono comunque molto<br />

più moderate e non molto diverse dai dogmi fondamentali <strong>del</strong><br />

cristianesimo, come l'affermazione che tutte le cose sono state create<br />

da un Dio benevolo per uno scopo preciso. Questo è più o meno<br />

tutto. Perché me lo chiedi?»<br />

Mi stava guardando con un'espressione inintelligibile sul suo<br />

bel viso, il sopracciglio destro più in alto <strong>del</strong> sinistro. In risposta alla<br />

mia domanda chinò la testa leggermente come per approvare le mie<br />

parole.<br />

«Ero semplicemente curiosa di scoprire quanto sai di loro. Credi<br />

che abbiano dei poteri magici?»


«No. Te l'ho detto, credo che neppure il carbone di legna abbia<br />

poteri magici.»<br />

Le sue sopracciglia si alzarono, nello stesso modo ironico tipico<br />

<strong>del</strong> fratello. «Bene, Publio. Hai torto. Possiedono poteri magici. Vera<br />

magia, ma puramente naturale. <strong>La</strong> magia <strong>del</strong>la memoria<br />

addestrata.»<br />

Respinsi quella frase con un brontolio. «Non c'è niente di<br />

magico nell'addestramento <strong>del</strong>la memoria, Luceia. È la prima<br />

funzione che si insegna nelle legioni. Se un uomo è analfabeta, è<br />

meglio che tu addestri la sua memoria se vuoi che si ricordi<br />

qualcosa, dalle manovre a qualunque importante messaggio.»<br />

Accettò la mia risposta senza sollevare obiezioni. «È vero. Ma i<br />

Druidi ce l'hanno su una scala diversa. L'hanno portata molto al di là<br />

di quello che i Romani ritengono possibile. Hanno nel cuore e nella<br />

memoria tutta la loro storia, Publio. Sono veramente un popolo<br />

meraviglioso. Ho molti amici tra di loro che stimo più di molti<br />

Romani di valore.»<br />

Respinsi anche quei sentimenti, classificandoli mentalmente<br />

come “femminili”, e le parole seguenti tradirono il mio pensiero.<br />

«Presumo che siano stati loro a parlarti dei draghi?»<br />

«Non essere acido, Publio Varro, non ti si addice. Comunque, sì,<br />

hai ragione, sono stati loro.»<br />

«Capisco. Bene. Cosa hanno a che fare con me quei draghi?»<br />

«Per ora niente, ma forse molto. Come ti ho detto li adotterai<br />

come tuoi.»<br />

Sospirai. Avevo mangiato bene ed ero più che soddisfatto <strong>del</strong>la<br />

sua compagnia, ma non ero <strong>del</strong>l'umore adatto per quei giri di<br />

parole. Comunque mi sforzai di togliere dalla voce ogni traccia di<br />

impazienza; c'era una parte di me, una grande parte che sarebbe<br />

stata contenta di oziare in quel luogo tutto il giorno insieme a Luceia<br />

anche se avesse balbettato scempiaggini.


«Posso chiederti di spiegarti?»<br />

«Certo! I Celti che vivono qui nell'ovest chiamano se stessi “il<br />

popolo <strong>del</strong> drago”, Pendragon, per essere esatti. Io li rispetto molto<br />

e, come ti ho detto, mi sono fatta molti amici tra i loro Druidi. I<br />

cristiani, come hai notato, hanno fatto molto cammino nella vecchia<br />

religione negli ultimi anni, ma i Druidi sono ben lungi dal perdere il<br />

posto d'onore che hanno nel paese. Uno di loro mi ha raccontato la<br />

storia dei Pendragon e di come ricevettero quel nome. Era tutto<br />

molto mistico e ho ascoltato soprattutto per educazione, capendo<br />

ben poco. Ma poi tu mi hai messo all'erta con qualcosa che hai detto<br />

a Gaio, parlando di tuo nonno. Lui lo ha ripetuto a me e io da allora<br />

ho continuato a pensarci.»<br />

Aspettai. Era evidente che stava cercando di mettere ordine nei<br />

suoi pensieri.<br />

«Mi hai chiesto se avevo visto <strong>del</strong>le colline con pietre rugginose<br />

e ovviamente ne ho viste, senza sapere cosa significassero. Ne ho<br />

viste molte sulle colline verso nordest, le Mendips. Il popolo dei<br />

Pendragon, devi sapere, era celebre per l'arte di lavorare il metallo.<br />

<strong>La</strong>voravano lo stagno, l'argento, il piombo e il ferro. I maggiori<br />

segreti <strong>del</strong>la tribù erano i segreti dei metalli.»<br />

A questo punto aveva tutta la mia attenzione. «Vai avanti.»<br />

«Bene, è abbastanza comprensibile che volessero preservare il<br />

loro sapere segreto da occhi non amici. Perciò usavano estrarre il<br />

metallo, come dici tu, in caverne nelle colline, soprattutto di notte.<br />

Lo scintillio <strong>del</strong>le loro fornaci, il rumore e il fumo diedero origine a<br />

una leggenda, attivamente alimentata da loro stessi, secondo cui le<br />

colline erano la dimora di draghi che sputavano fuoco, mostri che di<br />

notte facevano versi e rumori udibili da chiunque fosse stato<br />

abbastanza pazzo da avvicinarsi ai loro covi. E il loro sotterfugio<br />

funzionò. Era il deterrente perfetto per spie e incursori e i loro<br />

segreti furono salvi per secoli.»<br />

«Fino a che arrivarono i Romani.»


«Esattamente, Publio. Fino a che arrivarono i Romani. I Romani,<br />

con il loro insaziabile appetito per le materie prime e il loro rifiuto a<br />

credere in draghi e in ogni altra cosa che non si possa tenere a bada<br />

con spada, scudo e lancia. Allora le fornaci furono abbandonate<br />

nelle caverne e così rimasero per oltre quattrocento anni.»<br />

«Dunque,» dissi, «tutti i tuoi draghi sono morti?» Annuì. «E<br />

allora come posso adottarli? E perché dovrei volerli adottare?»<br />

Sorrise, con un sorriso dolce e consapevole. «Tra i Pendragon c'è<br />

la leggenda che i draghi ritorneranno un giorno sulle colline,<br />

quando i Romani se ne andranno.»<br />

«E allora?»<br />

Il sorriso scomparve, per lasciare il posto a una leggera smorfia<br />

di fastidio. «Cosa vuol dire e allora? Pensa a quello che ho detto.»<br />

Appoggiai la schiena al tronco <strong>del</strong>l'albero, cercando una<br />

posizione più comoda. «Luceia, non voglio offenderti, o sembrare<br />

cinico, come dici tu, ma da quando sono entrato nelle legioni ho<br />

sentito migliaia di storie e di leggende simili. Cosa c'è di diverso in<br />

questa?»<br />

«L'evidenza. Questa è molto specifica, Publio. I draghi<br />

ritorneranno alle colline dei Pendragon quando i Romani lasceranno<br />

la Britannia. Gaio pensa che non ci vorrà più molto tempo.»<br />

«Intendi la sua teoria che i Romani dovranno andarsene a casa<br />

per difendere la madre patria?»<br />

«Sì.»<br />

Annuii. «Bene. Sto pensando. Questo è il motivo per cui tuo<br />

fratello vuole che io viva qui ad Aquae Sulis, vero? Per essere<br />

pronti?»<br />

Annuì e il seguito <strong>del</strong>le sue parole era inequivocabile. «Sì e per<br />

aiutarci a costruire la nostra nuova vita mentre aspettiamo che i<br />

draghi ritornino.»


Sorrisi. «Bene, perché no?»<br />

«Perché no, davvero? Guarda che hanno già cominciato a<br />

tornare, sembra.»<br />

«Cosa intendi dire?»<br />

Ora era lei a sorridere, apertamente, godendo l'effetto <strong>del</strong>le sue<br />

parole prima ancora di pronunciarle. «Hanno cominciato a tornare.<br />

Sulle colline. I draghi. Sono stati visti. Da testimoni.»<br />

«Quando? Da chi? Dai tuoi Druidi?»<br />

Invece di rispondere direttamente, adottò un'altra tattica. «<strong>La</strong><br />

notte scorsa mi hai detto che tuo nonno ha fuso ed estratto la sua<br />

<strong>pietra</strong> celeste circa trent'anni fa?» Annuii e lei proseguì. «Bene,<br />

secondo i miei amici Druidi, c'è stata una visita dei draghi alle<br />

colline circa trentasei anni fa. <strong>La</strong> popolazione locale ne fu<br />

terrorizzata. Non c'è dubbio. I draghi vennero di notte, con fuoco e<br />

tuoni e fumo, volando nell'oscurità a grande velocità e atterrando<br />

con grande impatto e frastuono tra le colline ad est. Le Mendips. Le<br />

colline dei draghi.» Fece una pausa per lasciarmi digerire quello che<br />

aveva detto per qualche minuto, prima di continuare.<br />

«Non sapevo niente di quel fatto. È accaduto undici anni prima<br />

che io nascessi e la mia famiglia viveva ancora a Roma o a<br />

Costantinopoli. In ogni caso la storia di tuo nonno mi fa pensare che<br />

ci possa essere un rapporto tra i due eventi. Forse i “draghi” erano<br />

una pioggia <strong>del</strong>le tue pietre celesti? L'epoca sembrerebbe andare<br />

bene, se la tua ricostruzione <strong>del</strong>la data è precisa. Non sei d'accordo?<br />

O ti sembro matta? Le speculazioni di una donna folle?»<br />

A quel punto, senza rendermene conto, ero in piedi per<br />

l'eccitazione, quasi saltavo. Era più che sensato, era addirittura<br />

remotamente probabile. Avrebbe potuto essere quello che aveva<br />

terrorizzato la popolazione. Una pioggia di pietre celesti! Mi sembrò<br />

di vederle cadere dal <strong>cielo</strong>, incandescenti e rombanti!<br />

«Buon Dio, Luceia!» dissi, sentendomi la gola improvvisamente


secca. «È ovvio che sono collegate! È evidente! Hai assolutamente<br />

ragione, lo so. Una pioggia di pietre celesti!»<br />

Ora che mi aveva portato dalla sua parte, però, sembrò perdere<br />

di colpo tutta la sua sicurezza. «Publio» disse quasi in un sussurro,<br />

«credi davvero a questa teoria?» Sembrava come stordita. «Pensi<br />

davvero che sia successo così?»<br />

«Potrebbe! Ovviamente deve essere così! Ne sono convinto,<br />

assolutamente convinto.»<br />

«Oh, mio Dio. Anch'io ne ero convinta, prima, quando mi è<br />

venuta l'idea, ma poi Gaio mi ha fatto sentire stupida e io ho ceduto<br />

alla sua logica.»<br />

<strong>La</strong> fissai con uno sguardo vuoto, il fatto che avesse menzionato<br />

la logica di Gaio fu per me come una doccia fredda. «Quale logica?»<br />

Arrossì e guardò verso il pavimento. «Oh, Publio. Mi sento<br />

colpevole. Tu sei qui, tutto eccitato e Gaio mi ha confuso in modo<br />

tale che non riesco proprio a credere, con la migliore volontà <strong>del</strong><br />

mondo, che le pietre cadano dal <strong>cielo</strong>. A meno che qualcuno non le<br />

lanci con una catapulta.»<br />

Mi lasciai cadere a terra vicino a lei, senza osare toccarla.<br />

«Luceia, non è importante. Tuo fratello è un generale romano e la<br />

sua mentalità positiva di ufficiale non gli permette di credere a<br />

quello che i sensi gli dicono essere impossibile. So che hai ragione<br />

nelle tue deduzioni. Non so perché lo so, ma lo so. Il mio istinto mi<br />

dice che hai ragione. Erano pietre <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>.»<br />

«Allora cosa vuoi fare in proposito?»<br />

«Dipende da te e dai tuoi Druidi. Tu sai o loro sanno dove<br />

esattamente sono atterrate quelle cose?»<br />

«Sì, lo sanno. Sembra che ci fosse una piccola mandria di<br />

bestiame che brucava in quel punto. Il giorno dopo gli animali erano<br />

tutti morti. Alcuni di loro erano bruciati. Altri sembravano come<br />

divorati.»


Stavo ribollendo per l'eccitazione. «Luceia, puoi scoprire dove<br />

esattamente è quel posto? E puoi trovare qualcuno che mi porti lì?<br />

Per tutti gli dei <strong>del</strong>l'universo, Luceia, sai come sono eccitato?»<br />

Il suo volto era radioso. «Penso proprio di sì. Ti vedo.»<br />

«Pensa, Luceia! Trovare un'altra <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>!» Battei le mani<br />

per l'eccitazione. «D'accordo, riporterò i draghi su quelle maledette<br />

colline, se ci sono davvero le pietre <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>!»<br />

«Vedi, Publio? Non ti avevo detto che li avresti adottati?»<br />

<strong>La</strong> guardai e seppi che, anche se non l'avessi già amata, in quel<br />

momento mi sarei innamorato di nuovo di lei.<br />

XVIII.<br />

Villa Britannico mi umiliò. Mi ritrovai davanti a una tale<br />

dimostrazione di ricchezza che mi sentii nuovamente povero,


malgrado il mio piccolo tesoro e il buon successo <strong>del</strong>la mia fabbrica<br />

d'armi a Colchester. Avevo sempre saputo che la famiglia di<br />

Britannico era ricca, ma l'evidenza <strong>del</strong>le dimensioni e <strong>del</strong>l'eleganza<br />

<strong>del</strong>la villa e di ciò che la circondava dimostrava una ricchezza al di là<br />

<strong>del</strong>la mia comprensione.<br />

Il primo giorno, dopo che mi fu fatta vedere la mia camera ed<br />

ebbi sfatto i pochi bagagli, Luceia mi portò nella stanza che definiva<br />

il suo cubiculum, pur ammettendo che in realtà apparteneva a suo<br />

fratello, e mi mostrò una pianta <strong>del</strong> luogo, indicandomi le varie<br />

sezioni e spiegandomene la destinazione. <strong>La</strong> casa era una enorme H,<br />

costruita sull'asse est-ovest. I quartieri principali dove viveva la<br />

famiglia chiudevano l'estremità più occidentale <strong>del</strong>l'H a formare un<br />

quadrilatero. Tutti e quattro gli edifici che stavano di fronte al cortile<br />

interno <strong>del</strong> quadrilatero erano edifici di servizio, che<br />

comprendevano gli alloggi dei servitori e i locali di servizio, i bagni,<br />

la lavanderia, il forno, le cucine eccetera. <strong>La</strong> barra trasversale <strong>del</strong>la H<br />

era un portico che dava su un secondo cortile verso l'estremità<br />

orientale. Il cortile era protetto su tre lati dalla barra e dalle ali nord e<br />

sud, dove si trovavano le stalle, i granai, i depositi dei viveri, una<br />

spaziosa fucina con diverse forge, un laboratorio di carpentiere con<br />

annessi un bottaio, un vasaio e una conceria.<br />

Luceia mi portò a fare un giro di ispezione. L'intera villa era su<br />

due piani e i muri che circondavano il cortile interno erano di solida<br />

<strong>pietra</strong>: massiccio granito, smussato e arrotondato, legato da forte<br />

cemento. Le estese ah che fiancheggiavano il cortile esterno avevano<br />

muri con intelaiature di legno e gesso frammisto a pietre<br />

frantumate.<br />

<strong>La</strong> famiglia Britannico era giustamente fiera <strong>del</strong>la sua villa.<br />

Avevano due serie separate di bagni, una per la famiglia e l'altra, più<br />

grande, per i servitori e gli affittuari che lavoravano il terreno<br />

circostante. Luceia sottolineò che in tutti gli edifici che si trovavano<br />

lungo il cortile interno si entrava dal cortile stesso. Questo non mi


sorprese e non mi sembrò degno di nota, fino a che non mi disse che<br />

tutti gli edifici che si trovavano lungo il cortile esterno si aprivano<br />

sui campi che circondavano la villa. Solo quattro piccole porte<br />

permettevano ai pedoni l'accesso da quegli edifici al cortile esterno.<br />

E questo mi sorprese.<br />

Luceia notò la mia sorpresa e mi disse che solo lei doveva essere<br />

criticata per quell'anomalia. Quando Gaio era partito per l'Africa,<br />

aveva deciso di abbellire quel posto. Aveva trasformato il cortile,<br />

bloccando gli ingressi a tutti gli edifici posti intorno ad esso e<br />

aprendone di nuovi sull'altro lato. Adesso l'aia per trebbiare il<br />

grano, l'ingresso per il bestiame, i covili per le pecore e gli stazzi per<br />

i maiali erano nascosti agli occhi <strong>del</strong> visitatore occasionale. Dopo<br />

aver mascherato la facciata <strong>del</strong>l'edificio aveva costruito un grande<br />

maestoso arco sulla strada di ingresso che conduceva al portico<br />

principale. Aveva seminato l'intero cortile con erba nuova e l'aveva<br />

riempita di attenzioni, e quando era diventata rigogliosa vi aveva<br />

piantato eleganti piante da giardino, rose, viole, violette e papaveri.<br />

Le sole cose rimaste dai giorni precedenti i suoi cambiamenti erano<br />

dodici maestosi alberi che c'erano sempre stati: quattro querce, tre<br />

olmi e cinque grandi faggi rossi.<br />

«Vieni, Publio» mi disse, dopo che ebbi ammirato la scena. «Ora<br />

hai un'idea <strong>del</strong>la disposizione di questo posto. Adesso possiamo<br />

vederlo più da vicino.»<br />

Allora iniziò il processo di umiliazione. Avevo pensato,<br />

ascoltandola parlare <strong>del</strong>la pianta <strong>del</strong>la villa, di averne ormai un'idea,<br />

ma mi sbagliavo. <strong>La</strong> realtà superava la descrizione. I locali destinati<br />

alla famiglia a pianterreno, ad esempio, erano come quelli di un<br />

palazzo e ogni stanza aveva un pavimento diverso. I pavimenti<br />

erano a mosaico nella maggioranza <strong>del</strong>le stanze, in una moltitudine<br />

di colori, e illustravano miti e leggende greche: vidi una<br />

raffigurazione di Europa e <strong>del</strong> Toro, di Leda e <strong>del</strong> Cigno e di Teseo e<br />

<strong>del</strong> Minotauro. <strong>La</strong> stanza meno importante su quel piano aveva


semplicemente un mosaico a scacchiera, disposto secondo disegni<br />

geometrici e motivi che abbagliavano gli occhi con la loro<br />

brillantezza e i loro colori.<br />

Il triclinium, la grande sala da pranzo, aveva numerose tavole in<br />

quercia, disposte in modo da lasciare un'apertura, che potevano<br />

ospitare comodamente sessanta ospiti, e i muri erano coperti da<br />

pannelli con lastre di marmo verde e giallo così lucido che mi ci<br />

potevo riflettere. Lungo i muri, uno accanto all'altro, c'erano armadi<br />

con profondi ripiani, alcuni aperti, altri con sportelli, che<br />

contenevano le ricche stoviglie di famiglia: piatti e tazze e piatti da<br />

portata e coltelli e utensili d'oro e d'argento e di bronzo e di stagno e<br />

di rame. Stupendi vasi di Samo, riccamente invetriati e dipinti,<br />

coppe e bicchieri e vasi di vetro lucido e due enormi coppe per bere<br />

di corno di uro, lucidate e consumate, lustre per l'età e ornate con<br />

montature d'oro ben lavorato.<br />

<strong>La</strong> famiglia dormiva al piano superiore, che si poteva<br />

raggiungere con una doppia rampa di spaziosi gradini di marmo.<br />

Anche di sopra trovai motivo di stupore. I pavimenti erano di legno,<br />

ma di un legno che non avevo mai visto prima. Chiesi a Luceia cosa<br />

fosse e lei mi disse che erano di pino, importato in Britannia dal suo<br />

bis-bisnonno anni prima e levigati e poi lucidati fino a ottenere quel<br />

profondo riflesso lucido dato da più di cento anni di cure.<br />

<strong>La</strong> cosa più impressionante, comunque, era che ognuna <strong>del</strong>le<br />

dieci stanze da letto <strong>del</strong> piano superiore aveva una finestra e perciò<br />

era piena di luce. Le finestre erano piccole e coperte da imposte di<br />

legno fornite di stecche, con feritoie che potevano essere chiuse<br />

completamente o aperte per lasciare entrare luce e aria. Avevo<br />

sentito parlare di cose <strong>del</strong> genere e ne avevo viste alcune, ma mai<br />

con tanta abbondanza. Le normali camere da letto romane erano<br />

solamente piccoli cubicoli senza luce che contenevano un letto e al<br />

massimo un tavolo. Grazie alla profusione di luce, invece, ognuna<br />

<strong>del</strong>le dieci stanze era arredata con un colore diverso: le pareti e i


tendaggi alle finestre e i tappeti armonizzavano i loro colori per dare<br />

a ogni stanza un carattere <strong>del</strong> tutto diverso dall'altra. <strong>La</strong> mia stanza,<br />

separata da quella di Gaio da un piccolo corridoio laterale con una<br />

finestra all'estremità orientale e la porta di una camera su ogni lato,<br />

era decorata in oro pallido, mentre la sua spaziosa camera era verde<br />

chiaro. <strong>La</strong> camera di Luceia era bianca e argento, con tappeti e<br />

tendaggi azzurri e un copriletto di seta argento e azzurro il cui<br />

valore doveva essere incalcolabile, visto che proveniva dalle lontane<br />

terre orientali oltre Costantinopoli.<br />

<strong>La</strong> temperatura era uniforme in tutta la casa, grazie all'aria<br />

riscaldata portata in tutte le stanze dagli ipocausti, condotti di aria<br />

calda alimentati dalla fornace che bruciava in permanenza vicino al<br />

bagno, e che veniva caricata due volte al giorno dal personale di<br />

servizio. Luceia mi accompagnò dal piano superiore al bagno di<br />

famiglia attraverso una scala che scendeva nel cortile interno da un<br />

corridoio lungo il lato esterno <strong>del</strong> piano superiore.<br />

Ancora una volta fui impressionato oltre ogni aspettativa. Il<br />

bagno di famiglia non mancava di nessuna <strong>del</strong>le comodità che ci si<br />

sarebbe potuti aspettare in un grande bagno pubblico. C'era uno<br />

spogliatoio spazioso, diviso da cortine per garantire la dovuta<br />

intimità e con una parete piena di nicchie per riporvi le vesti. Subito<br />

fuori da quel locale c'erano tre stanze nelle quali si succedevano tre<br />

piscine, una fredda, una tiepida e una calda, e oltre ancora, chiuso<br />

da pesanti tende impermeabili, c'era il sudarium o camera <strong>del</strong><br />

vapore, con basamenti in <strong>pietra</strong> e un attendente esperto in massaggi<br />

e depilazione.<br />

Non ci fermammo nel bagno, ma le feci alcune domande sulle<br />

piastrelle che rivestivano i muri e le piscine, e mi disse che anch'esse<br />

erano state importate da oltremare.<br />

Fu un sollievo riemergere nella profumata frescura <strong>del</strong> cortile<br />

interno, dove, anche in quell'epoca <strong>del</strong>l'anno, l'aria profumava di<br />

vegetazione in crescita. Il cortile era diviso in quattro quarti da


sentieri che si intersecavano. Le due aiuole più vicine ai quartieri di<br />

residenza erano ornamentali, bordate da siepi di ligustro e<br />

rigogliose di una profusione di papaveri rossi, alcuni dei quali<br />

stavano ancora fiorendo. Le aiuole più lontane erano tutte destinate<br />

a verdura e frutta. Era evidente dall'orgoglio con cui Luceia<br />

descriveva le piante che quell'orto era la sua creatura speciale.<br />

Indicò due alberi di prugne, un ciliegio e due meli, tutti vigorosi e<br />

potati con cura.<br />

All'intersezione dei sentieri girò a destra e mi condusse in cucina<br />

e nel locale dove si faceva il pane, informandomi che la maggior<br />

parte <strong>del</strong>la servitù viveva sopra quei locali. Entrambi i locali erano<br />

enormi, perfettamente puliti e abbastanza ben equipaggiati da poter<br />

servire duecento persone con un breve preavviso.<br />

All'estremità opposta <strong>del</strong> cortile, lontano dalla fornace che<br />

riscaldava la casa, Gaio aveva collocato il locale in cui conservava i<br />

vini. Spalancai gli occhi mentre Luceia mi mostrava i tesori<br />

contenuti in quella stanza. Dal pavimento al soffitto era pieno di<br />

scaffali, separati da passaggi abbastanza ampi da permettere<br />

l'installazione e la rimozione anche <strong>del</strong>l'anfora più grande, di botti,<br />

barili e giare di ogni forma e dimensione allineati sugli scaffali. I<br />

diversi contenitori erano etichettati e numerati in bell'ordine, e il<br />

loro contenuto andava dal denso, ricco vino dolce <strong>del</strong>la Grecia al<br />

vino rosso scuro e intenso fatto con i grappoli che crescevano lungo<br />

le pendici <strong>del</strong> Vesuvio. C'erano anfore di prelibato vino di Aminea e<br />

un'ampia selezione di vini <strong>del</strong>la Gallia, compreso il leggero vino<br />

dolce <strong>del</strong> sud che non era né rosso, né bianco, pia una mescolanza<br />

dei due.<br />

Un'intera sezione di scaffali conteneva vini diversi, tutti in<br />

orcioli che un uomo poteva portare facilmente alla bocca piegando il<br />

gomito, e Luceia ne aprì uno e me lo porse. Era ambrosia! Fresca e<br />

dolce come il nettare, importata dalle terre abitate dalle tribù<br />

germaniche contro cui avevo combattuto anni prima. Se avessi


saputo che sapevano produrre vini superbi come quelli, mi sarei<br />

fermato più a lungo e in pace. Attraversammo di nuovo il cortile<br />

verso il muro settentrionale, e io non abbandonai il mio orciolo<br />

aperto; mi mostrò le lavanderie e gli essiccatoi che occupavano<br />

quell'ala e la stanza di raffreddamento, anch'essa lontana dalla<br />

fornace. Questa era l'unica altra stanza <strong>del</strong>l'edificio a non avere<br />

ipocausti. Era separata dagli altri locali da muri di <strong>pietra</strong> grossa,<br />

ricoperti all'interno con fango denso mischiato a paglia, ed era<br />

dipinta di bianco. Notai che il pavimento era di calcestruzzo ed era<br />

percorso da canaletti di scolo. Durante i mesi estivi veniva riempita<br />

di ghiaccio e sale e paglia per mantenere il fresco, e carcasse di bue,<br />

pecore, maiali, cervi e altra selvaggina venivano appese ai ganci<br />

attaccati alle travi <strong>del</strong> soffitto. Non c'erano ragnatele negli angoli, né<br />

tracce di sporco sui muri o sul pavimento.<br />

Il giro era terminato, era finita anche la giornata e io ero senza<br />

parole. Dopo aver visitato ogni piede quadrato di Villa Britannico ci<br />

fermammo in una larga e spaziosa fucina; osservai intorno a me le<br />

forge vuote e i bracieri e gli attrezzi che pendevano in perfetto<br />

ordine ovunque.<br />

«Ebbene?» mi chiese Luceia. Era la prima parola che veniva<br />

pronunciata tra noi da molto tempo. «Cosa ne pensi?»<br />

Strofinai il piede sul pavimento. Niente sabbia. Niente cenere.<br />

Guardai di nuovo il braciere più vicino a me e le tenaglie e i martelli<br />

appoggiati di fianco.<br />

«Sembra tutto nuovo.»<br />

Le sopracciglia di Luceia si sollevarono in una risata. «Tutto qui<br />

dentro è nuovo, Publio. Questo è il tuo locale personale, la fucina di<br />

Publio Varro, progettata da Gaio e fornita ed equipaggiata da<br />

entrambi in quella che sembrava la vana speranza che tu venissi qui<br />

un giorno. Eravamo d'accordo che non ti sarebbe piaciuto rimanere<br />

senza far niente sotto il nostro tetto.»<br />

Avevo immaginato qualcosa di simile. Mi girai verso di lei,


mettendomi in una posizione tale da poterla vedere chiaramente<br />

alla luce <strong>del</strong> tardo pomeriggio.<br />

«Vi aspettavate davvero che sarei venuto? Perché?»<br />

Mi concesse il suo più bel sorriso. «Perché no? Sei l'amico più<br />

intimo di mio fratello. E lui sperava da molto tempo, da quando hai<br />

lasciato l'esercito, che tu un giorno venissi all'ovest per dividere con<br />

lui il suo sogno. Lo speravamo tutti e due, anche se io non ti<br />

conoscevo. Speravamo che se fossi almeno venuto a farci visita,<br />

questa fucina ti avrebbe incoraggiato a fermarti o a tornare spesso.»<br />

Alzò la mano mentre stavo per interromperla e attesi che finisse di<br />

parlare. Si fece seria. «Publio» disse, «so che ti sei fatto una tua vita e<br />

che hai avviato un'impresa a Camulodunum.»<br />

«Colchester» risi.<br />

Mi restituì il sorriso. «Se proprio vuoi, Colchester. Ma Gaio sarà<br />

presto a casa e non farà più il soldato. Tutta la sua vita sarà<br />

differente e sono anni che si prepara a viverla. Lo farebbe felice<br />

trovarti qui ad aspettarlo. Dio sa se c'è spazio abbastanza per tutti,<br />

ma Gaio ha in progetto un posto speciale per te, di cui so già<br />

qualcosa. Prima che passino molti giorni ne saprai di più.»<br />

Mi appoggiai, sorridendo, al bordo <strong>del</strong> braciere più vicino;<br />

Luceia vide lo sguardo nei miei occhi e si affrettò a proseguire.<br />

«In ogni caso, sia che tu scelga di restare, sia che tu decida di<br />

ripartire, andrai sulle colline a cercare le pietre celesti. Non ho forse<br />

ragione?» Annuii. «Bene, allora,» continuò con un ardore che mi<br />

sorprese e mi commosse, «se trovi una di quelle pietre,<br />

probabilmente vorrai cercare di estrarne il metallo subito. E adesso<br />

lo puoi fare. Qui.» Si guardò intorno e di colpo somigliò più a una<br />

ragazza giovanissima che a una bella donna. «Può darsi che tu non<br />

trovi qui tutto quello che ti serve. Se abbiamo trascurato qualcosa,<br />

possiamo facilmente comprarlo ad Aquae Sulis.»<br />

Sospirai e sorrisi di nuovo, scuotendo la testa, e poi mi mossi


verso una pila di lingotti coperti di ruggine in un angolo. Vicino alla<br />

pila c'era un grande recipiente chiuso. Alzai il coperchio e guardai<br />

dentro. Il recipiente era pieno di carbone di legna. Ne provai un<br />

pezzo tra l'indice e il pollice. Era I carbone di legna di grande<br />

qualità. <strong>La</strong> guardai di nuovo.<br />

«Dove avete trovato tutto questo tu e Gaio?»<br />

Aveva un'aria perplessa. «Ho fatto comprare dal fabbro <strong>del</strong>la<br />

villa di Quinto Varo tutto quello che ti poteva servire. Perché? Non<br />

ha fatto bene?»<br />

Risi incredulo. «No, Luceia, ha fatto tutto in modo superlativo.<br />

Questo posto è meglio organizzato e meglio equipaggiato <strong>del</strong>la mia<br />

fucina a casa. Sono solo stupito, ecco tutto. Stupito e grato. È un<br />

gesto degno di un imperatore... e di un'imperatrice.»<br />

«No, Publio.» Scosse la testa sorridendo con aria di biasimo.<br />

«Ma degni di un amico, spero. Sono contenta che ti piaccia.»<br />

«Mi piace? <strong>La</strong> adoro!» Mi chinai e sollevai un pesante lingotto.<br />

«E se mancasse qualcosa, anche se ne dubito, ho tutto quello che<br />

serve per fabbricarlo.» <strong>La</strong>sciai cadere il lingotto con un sonoro<br />

clangore.<br />

«Bene» disse. «Eccellente. Adesso dovremmo tornare a casa.<br />

Dobbiamo prepararci per gli ospiti.»<br />

«Ospiti? Chi viene?»<br />

«Amici e vicini, ansiosi di conoscere il temibile Varro.»<br />

Mi prese sottobraccio e mi condusse di nuovo all'aperto, lungo il<br />

sentiero che correva lungo i muri esterni <strong>del</strong> retro <strong>del</strong>la villa. In<br />

lontananza alla nostra destra, in direzione nordest, il profilo <strong>del</strong>le<br />

colline si stagliava nel <strong>cielo</strong> <strong>del</strong>la sera, i fianchi coperti dalle ombre<br />

<strong>del</strong> tramonto, mentre le pendici più alte raccoglievano ancora i raggi<br />

<strong>del</strong>l'ultimo sole. I Indicai in quella direzione.<br />

«Sono quelle le colline dei draghi, le Mendips?»


«Sì. Lì ci sono le tue pietre celesti.»<br />

Fissai le loro forme scure, sentendo aumentare l'eccitazione e<br />

perdendo il coordinamento dei miei passi.<br />

«So che lo hai detto, ma davvero conosci qualcuno che può<br />

accompagnarmi nel luogo esatto?»<br />

<strong>La</strong> sua mano era appoggiata al mio braccio, che tenevo piegato<br />

per sostenerla; mi pizzicò con fare rassicurante, anche se quel<br />

contatto mi fece quasi fermare il cuore.<br />

«È già tutto predisposto. Meric, uno dei Druidi locali, sa dove<br />

portarti e cosa mostrarti. Lo incontrerai stasera.»<br />

«Inviti a cena i Druidi?»<br />

«Certo. Sono esseri umani, proprio come noi. Mangiano anche le<br />

stesse cose, perciò è facile intrattenerli, anche se in realtà nella<br />

maggior parte dei casi sono loro che intrattengono me. Ti<br />

piaceranno i Druidi, Publio, te lo garantisco.»<br />

Cominciammo a camminare lungo il sentiero e il canto<br />

armonioso di un tordo mi rammentò di colpo il confronto con i sicari<br />

di Nesca. Evidentemente Luceia mi stava guardando con attenzione,<br />

perché si accorse <strong>del</strong> mio brusco cambiamento di umore e mi chiese<br />

che cosa non andasse.<br />

«Niente» risposi. «Il canto di quell'uccello mi ha ricordato dei<br />

problemi che ho avuto lungo la strada, è tutto. Niente di cui tu ti<br />

debba preoccupare.»<br />

«Mi preoccupa, se preoccupa te.» <strong>La</strong> sua voce era bassa e seria e<br />

mi girai verso di lei per vedere l'espressione sul suo volto. E,<br />

vedendola, decisi, d'impulso, di confidarmi con lei.<br />

«Ebbene,» ammisi, «devo confessare che sono un po'<br />

preoccupato. Si tratta <strong>del</strong> motivo per cui sono venuto qui.»<br />

Aggrottò la fronte. «Sembra di cattivo auspicio. Dimmi la verità:<br />

qual è stato il motivo <strong>del</strong>la tua venuta? Non ne hai addotto nessuno.


Non che faccia differenza» si affrettò a precisare. «Sono felicissima<br />

che tu sia venuto, ma ora sento in te un turbamento che prima non<br />

sentivo.»<br />

Riflettei per qualche secondo, poi le chiesi: «Conosci un uomo<br />

chiamato Quintilio Nesca?».<br />

Guardò verso di me, distogliendo gli occhi dalla strada. Quando<br />

mi rispose il suo tono era calmo e neutro.<br />

«Sì, ma non bene. L'ho incontrato una volta o due. Perché me lo<br />

chiedi?»<br />

«Che tipo di uomo è?»<br />

Gettò indietro la testa, scuotendo all'indietro i lunghi capelli<br />

neri, e questa volta il suo tono era deciso. «È assolutamente odioso.<br />

Grasso e repellente e disgustoso. Un banchiere. Un prestadenaro.<br />

Ma non è questo che intendi, vero?» Si morsicò le labbra<br />

<strong>del</strong>icatamente e camminammo in silenzio per pochi passi, prima che<br />

dicesse: «Quintilio Nesca è un uomo la cui compagnia Gaio non<br />

tollererebbe a lungo, né cercherebbe. Come lo conosci?».<br />

«Non lo conosco.» Trassi un lungo respiro, chiedendomi mentre<br />

lo facevo se potevo essere sincero con quella donna che<br />

ventiquattr'ore prima era un'assoluta estranea. Poi cominciai<br />

dall'inizio e le raccontai l'intera storia di Cesario Claudio Seneca e<br />

<strong>del</strong> risultato <strong>del</strong> nostro scontro sulla strada da Colchester. Luceia mi<br />

ascoltò senza interrompermi; quand'ebbi finito eravamo ritornati<br />

all'ingresso principale <strong>del</strong>l'alloggio <strong>del</strong>la famiglia. Mi condusse<br />

direttamente al suo cubiculum e mi fece cenno di sedere e di<br />

aspettare che versasse a me e a se stessa una coppa di vino. Bevvi in<br />

silenzio, mentre lei meditava ciò che le avevo detto. Alla fine parlò.<br />

«Tutto questo è successo dopo che Gaio aveva lasciato il paese?»<br />

«Sì. Tutto negli ultimi mesi.»<br />

«E tu hai visto questo Seneca solo quella volta?»


«Quel particolare esemplare dei Seneca, sì. Una volta mi è<br />

bastata.»<br />

«Sì, sono d'accordo. Ma ha in comune con tutta la sua genia<br />

<strong>del</strong>le doti particolari per conquistare la popolarità.» Fece una pausa.<br />

«Quanto tempo fa esattamente?»<br />

«Due mesi... al massimo tre.»<br />

«E ti stanno ancora cercando?» Scosse la testa. «Peccato Per la<br />

tua zoppicatura.»<br />

«Sì. E per i capelli grigi.»<br />

Un'altra breve pausa e poi: «Sei ancora furioso con Seneca,<br />

vero?».<br />

Bevvi un sorso di vino. «Sì, lo sono.»<br />

«Perché?»<br />

«Perché no?»<br />

«Te lo posso dire io» rispose. Ero stupito per quanto mi<br />

ricordava suo fratello. Anche lui mi avrebbe detto esattamente le<br />

stesse cose, con lo stesso tono di voce. «Tu hai vinto la lotta. Lui è<br />

stato il perdente. Tu non hai sofferto per le sue mani. Solo per la sua<br />

lingua e avresti ormai dovuto dimenticarlo. Almeno questo avrebbe<br />

dovuto sparire dalla superficie dei tuoi ricordi.»<br />

«Luceia» le dissi, sapendo che la sua analisi era esatta, «potresti<br />

avere ragione.» Mi grattai un improvviso prurito sotto il braccio.<br />

«Forse avrei dovuto. Ma non riesco a dimenticare, né a perdonare<br />

quell'uomo o quell'occasione.»<br />

<strong>La</strong> sua voce era insistente. «Te lo chiedo di nuovo: perché?»<br />

«Non so perché, Luceia!» Sentii nella mia voce una nota di<br />

irritazione. «Scusami, ma questo è quello che provo. Ho fatto <strong>del</strong>le<br />

domande su di lui. Quell'uomo è tristemente noto, è un infame. E<br />

più cose so di lui più lo detesto. Offende tutto quello che io stimo. A<br />

volte penso...»


«Vai avanti, finisci.» Di nuovo la voce di suo fratello. «A volte<br />

pensi cosa?»<br />

Scossi la testa. «Non so, di colpo sembra pazzesco anche a me.<br />

Stavo per dire che è la personificazione di tutto quanto c'è di<br />

corrotto nell'Impero, ma significherebbe dargli troppa importanza.<br />

È semplicemente un piccolo uomo malvagio con troppo potere e<br />

troppo denaro.»<br />

Luceia si alzò e andò verso il tavolo dove si trovava il vino.<br />

Prese di nuovo la brocca e riempì la mia coppa.<br />

«<strong>La</strong> famiglia Seneca è immensamente ricca, Publio, e la<br />

ricchezza è potere. Noi Britannici l'abbiamo imparato a nostre spese<br />

per diverse generazioni. Ma perché lo definisci un piccolo uomo<br />

malvagio? Mi hai detto che era un bruto grande e grosso, massiccio e<br />

sgraziato!»<br />

«Infatti. È grande e forte, muscoloso e in forma. Ma non è questo<br />

che intendevo dicendo “piccolo”. Intendevo ignobile, meschino.»<br />

Lei si sedette di nuovo. «Non fare mai questo errore, Publio.<br />

Quell'uomo non è meschino. Nessun Seneca è meschino. Ignobile,<br />

maligno, malevolo e cru<strong>del</strong>e, sì, ma non meschino. E il tuo pensiero<br />

non era pazzesco. Lui e la sua famiglia sono la personificazione di<br />

tutto quello che c'è di malato in Roma. È stato cresciuto così.<br />

Sfortunatamente come famiglia non sono gli unici. Ho sentito Gaio<br />

dire molte volte che sono queste caratteristiche che tu descrivi che<br />

hanno trascinato in basso il nostro paese e l'Impero. Tutta la<br />

corruzione e tutti i vizi, tutti gli errori e tutte le debolezze di Roma<br />

sono concentrate nella cosiddetta nobiltà, e la famiglia Seneca è<br />

l'esempio dei suoi eccessi peggiori. Temo che tu ti sia fatto un<br />

nemico terribile. Dici che è ritornato a Costantinopoli?» Annuii.<br />

«Bene» disse con enfasi. «Speriamo che stia lontano dalla Britannia<br />

in futuro. In ogni caso non è facile che tu ti trovi faccia a faccia con<br />

Quintilio Nesca da queste parti.»<br />

Stava finendo di parlare quando il maggiordomo entrò ad


annunciare che avevamo solo mezz'ora di tempo per prepararci per<br />

i nostri ospiti. Luceia si scusò e se ne andò immediatamente,<br />

lasciandomi tornare in camera mia.<br />

Camminavo adagio, pensando all'incredibile profondità che<br />

avevo scoperto in quella donna notevole in così breve tempo, e<br />

camminando colsi il mio riflesso sulle pareti di marmo. Mi fermai a<br />

guardare la mia immagine, cercando di alzare il sopracciglio come lo<br />

alzavano Luceia e suo fratello.<br />

«Questa, amico mio,» dissi al mio riflesso, «è la donna di cui<br />

devi imparare a fare a meno per il resto <strong>del</strong>la tua vita. Per sempre. A<br />

meno che tu non compia il miracolo di conquistarla.» Ma il senso di<br />

colpa lottava con il desiderio e l'amore crescente nello stomaco e nel<br />

cuore, e io mi rifiutavo di analizzare la reazione di Gaio se mai<br />

avesse scoperto la mia presunzione nell'osare ambire alla sua<br />

sorellina.<br />

<strong>La</strong> cena di quella sera fu insieme una gioia e una prova. Io ero<br />

“in mostra” e venivo sottoposto a un'ispezione così accurata e severa<br />

da ricordare quelle subite sotto il comando di Gaio nell'esercito.<br />

Lottai contro la mia naturale avversione a incontrare degli estranei e<br />

cercai con tutto il cuore di essere gentile e affabile. Con mia sorpresa,<br />

mi parve di avere successo e scoprii che apprezzavo le attenzioni di<br />

cui venivo fatto oggetto e reagivo in un modo in cui non ero mai<br />

stato capace.<br />

Va da sé che dovevo ringraziare Luceia per la nuova sensazione<br />

di agio. Sembrava risplendere di entusiasmo per ogni cosa che io<br />

avevo fatto; guidava la conversazione con un'abilità incredibile nel<br />

fare di me e <strong>del</strong>le mie opinioni il centro <strong>del</strong>la serata e la misura con<br />

la quale tutte le. altre opinioni ed esperienze dovevano essere<br />

confrontate. E per tutto il lungo, formale pranzo, fui consapevole<br />

<strong>del</strong>la sua presenza, <strong>del</strong>la sua scintillante bellezza all'altro capo <strong>del</strong><br />

tavolo.<br />

C'erano sedici persone a quel tavolo e ho dimenticato chi


fossero, anche se le ho poi conosciute tutte bene nel corso degli anni.<br />

Solo tre persone si stagliano nella mia memoria: Meric, il druido, che<br />

era molto meno esotico e barbaro di quanto avrei immaginato;<br />

Domizio Titente, un proprietario terriero locale ed ex tribuno con cui<br />

poi diventammo amici intimi, e Glia, la sua bella e collerica moglie,<br />

che cercò allora e per sempre in seguito fino alla morte di portarmi a<br />

letto.<br />

Il fallimento di tale impresa non è per me fonte di grande<br />

orgoglio, perché non fu la mia fermezza a tenermi lontano dal suo<br />

corpo voglioso, ma solo il caso al principio e la lealtà in seguito.<br />

Iniziò i suoi assalti al nostro primo incontro quando, nel modo<br />

tipico <strong>del</strong>le donne, mi fece sapere inequivocabilmente e non solo con<br />

lo sguardo che sarebbe stata mia a un mio cenno. Suo marito era<br />

distratto. Non così Luceia, però, e io assistetti in seguito a una serie<br />

di acide battute, espresse sorridendo, che avrebbero sviscerato un<br />

uomo. Mi persi l'inizio di quello scambio di spirito selvaggio e<br />

veleno femminile, e potei solo immaginare in seguito, alla luce <strong>del</strong>le<br />

parole di Luceia, che Glia aveva fatto un commento salace sulla<br />

sconvenienza <strong>del</strong>la sistemazione che Luceia e io dividevamo, da<br />

soli, nella stessa casa. Luceia dapprima fece pochi commenti,<br />

trascurandoli come indegni di risposta. Ma Cilla insisteva con una<br />

tenacia tanto invidiosa che Luceia decise di averne avuto abbastanza<br />

e glielo disse. Fu a questo punto che mi avvicinai a loro,<br />

inconsapevolmente, e sentii il loro scambio di cortesie prima che mi<br />

notassero. Finsi di allontanarmi senza aver sentito niente, e loro<br />

abbandonarono la disputa quando, poco dopo, fummo chiamati a<br />

tavola.<br />

Entro la fine <strong>del</strong>la cena io ero di nuovo irretito dalla bellezza di<br />

Luceia e avevo perso ogni coscienza <strong>del</strong> fascino di Cilla. Non pensai<br />

più a lei fino a quando venne nel mio letto a tarda notte,<br />

svegliandomi e gettandomi nel panico.<br />

Stavo sognando Luceia, sentendola vicino a me nel letto, calda e


forte e morbida come seta e poi di colpo non stavo più sognando. Il<br />

seno che stavo palpando era caldo e reale e il corpo premuto contro<br />

il mio pene turgido era eccitato e vivo. Mi svegliai molto in fretta e<br />

devo aver chiamato il nome di Luceia, perché una voce ridendo<br />

sussurrò nel mio orecchio: «No, non Luceia, Luceia non è qui».<br />

E mentre cercavo di alzarmi su un gomito, agitandomi in preda<br />

al panico, sentii la voce di Luceia dire: «Certo che c'è e tu, mia cara,<br />

sei nel letto sbagliato».<br />

A quel punto mi ero messo a sedere e mi ero riscosso ed ero<br />

ormai <strong>del</strong> tutto sveglio. Cilla se ne era andata e Luceia parlava dalla<br />

soglia <strong>del</strong>la mia porta.<br />

«Torna a dormire, Publio, e dormi bene.»<br />

Vidi la sua forma, <strong>del</strong>ineata dalla luce <strong>del</strong>la luna, girarsi per<br />

andare.<br />

«Aspetta! Aspetta, Luceia!» Si girò verso di me mentre mi<br />

strofinavo gli occhi insonnoliti. «Cosa sta succedendo?» le chiesi,<br />

anche se a questo punto avevo capito. «Cos'è tutto questo chiasso?»<br />

<strong>La</strong> sua voce era bassa. «Ho mandato via Cilla. È una donna<br />

stupida e pericolosa. Suo marito non è così stupido come lei pensa.<br />

Se si fosse svegliato e avesse scoperto che lei non c'era sarebbe<br />

venuto dritto qui. Ci sono solo due letti che potrebbe visitare, a parte<br />

il suo, e Meric è troppo vecchio e troppo santo per attrarla.»<br />

«Mmm» grugnii a corto di parole. Poi ritrovai la lingua. «Grazie.<br />

Ero addormentato e ho pensato che si trattasse di un sogno.»<br />

«Lo so.» Avrei potuto giurare che c'era un sorriso nella sua voce.<br />

«Ti ho sentito.»<br />

«Ma... come facevi a essere qui? Che ora è?»<br />

«È tardi, Publio, ma conosco Cilla da tutta la vita. Sapevo che<br />

sarebbe venuta da te. Così l'ho aspettata. Avresti preferito che non<br />

l'avessi fatto?»


«No! No! Ti ringrazio per la tua premura. Forse mi hai salvato la<br />

vita. Era un gesto stupido e pericoloso. E non richiesto.»<br />

«Allora non sognavi Cilla quando sei stato interrotto?» Di nuovo<br />

c'era quel sorriso profondo nella sua voce.<br />

«Non ricordo» mentii. «No, no. Certo non sognavo Cilla.»<br />

«Bene. Allora torna a dormire. Non tornerà stanotte e dobbiamo<br />

alzarci presto domani. Meric non è una guida paziente. Buona notte,<br />

Publio.»<br />

Chiuse gentilmente la porta quando andò via e io feci fatica a<br />

riguadagnare il sonno perduto.


XIX.<br />

So che ci sono persone che amano le colline e le montagne. Io le<br />

odio. Sanno di sangue e di morte e di imboscate. Nascondono<br />

nemici. Ho perso troppi buoni amici tra le colline per essere<br />

impressionato dalla loro bellezza. Le colline sono un rischio per la<br />

vita dei viaggiatori e dei soldati. Mettetemi in cima a una collina con<br />

una vista aperta sulla regione in ogni direzione e potrò forse essere<br />

tentato di rilassarmi per un po', ma non potrei mai distendermi a<br />

dormire su una collina, né potrei essere allegro e loquace durante un<br />

percorso che si snodasse lungo una valle. Come ho detto, odio le<br />

colline.<br />

Le Mendips non sono diverse da qualunque altra catena<br />

collinosa in Britannia. Hanno tutte lo stesso aspetto. Ma le Mendips<br />

albergavano la promessa <strong>del</strong>le pietre <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>, e poiché le esperienze<br />

dal mio arrivo in quella parte <strong>del</strong> territorio erano state felici, ero<br />

pronto a trattare le Mendips come un territorio amichevole per<br />

l'immediato futuro; per la prima volta nella vita non mi sentivo<br />

minacciato o claustrofobico. Ma me ne resi conto solo quando<br />

fermammo i cavalli sulla cresta di un'alta collina e guardammo<br />

l'altro versante <strong>del</strong>la valle che era stata visitata dai draghi.<br />

«Bene, cosa ne pensi?»<br />

<strong>La</strong> voce era quella di Meric. Non gli risposi subito. Ero troppo<br />

occupato a scrutare il fondo <strong>del</strong>la valle. Anche dalla sommità <strong>del</strong>la<br />

collina vedevo che l'erba era folta e lussureggiante, già screziata dal<br />

marrone e dal giallo <strong>del</strong>l'inverno. Tutto quello che vedevo aveva<br />

l'aspetto bagnato, freddo e scostante che annuncia il mese di<br />

dicembre, e non vedevo niente di promettente, anche se potevo<br />

contare circa trenta grandi macigni sparsi sul fondo <strong>del</strong>la valle. <strong>La</strong><br />

superficie <strong>del</strong> lago in lontananza era fredda e ostile, opaca e<br />

increspata dal vento, e l'eccitazione <strong>del</strong> viaggio si mutò di colpo in


<strong>del</strong>usione e depressione. Guardai i miei due compagni. Entrambi<br />

erano seduti sui loro cavalli, avvolti in mantelli per proteggersi dal<br />

vento forte che soffiava in aspre raffiche.<br />

«Non so cosa pensare, Meric» risposi. «Sei sicuro che il posto sia<br />

questo?»<br />

Stava per rispondermi bruscamente, ma si trattenne e distolse<br />

gli occhi, guardando giù nella valle. Era ovvio che aveva deciso di<br />

non abbassarsi al livello <strong>del</strong> mio scortese tono di voce.<br />

«Sì, Varro, sono sicuro che il posto è questo. Ci sono stato molte<br />

volte e non è cambiato.» Fece segno verso il fondovalle. «Quei<br />

macigni sono le pietre che tu pensi cadano dal <strong>cielo</strong>?»<br />

«È possibile. Ma ne dubito. Penso che siano troppo grandi. Ti<br />

rendi conto che io non ho mai visto una <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>? Non ho<br />

nessuna idea <strong>del</strong> loro aspetto.» C'era una durezza nella mia voce che<br />

cercai di nascondere, ma troppo tardi. Non era colpa di Meric se<br />

quel posto era diverso dalle mie aspettative. A dire la verità non<br />

avrei saputo cosa aspettarmi. «Dimmi di nuovo cosa accadde quella<br />

notte, Meric» chiesi più gentilmente.<br />

Rabbrividì e si strinse il mantello sulle spalle, e quando parlò la<br />

sua voce non indicava in nessun modo che fosse irritato per la<br />

richiesta.<br />

«Bene, ma ti prego di ricordare che io sto solo riportando quello<br />

che mi è stato detto. Il fatto ha avuto luogo durante la mia infanzia,<br />

prima che io entrassi nella fratellanza. Sembra che quella notte fosse<br />

una notte selvaggia, nuvolosa e ventosa, con grandi squarci tra le<br />

nuvole attraverso i quali le stelle erano visibili chiaramente. Verso la<br />

seconda ora prima di mezzanotte molte luci furono viste nel <strong>cielo</strong>.<br />

Ognuna di quelle luci era separata dalle altre all'inizio, ma mentre si<br />

avvicinavano a grande velocità divennero di una lucentezza<br />

accecante e furono accompagnate da un grande rumore roboante.<br />

Esse si abbatterono sulla terra tra le colline con fuoco e fiamme che<br />

accesero la parte inferiore <strong>del</strong>le nuvole, facendole diventare rosse


come il fuoco stesso, e il fumo oscurò le stelle. Tutto questo fu visto<br />

da centinaia di persone che vivono su queste colline o nei dintorni e<br />

tutti compresero che i draghi <strong>del</strong>la leggenda erano ritornati. Il<br />

giorno dopo alcuni dei più avventurosi vennero sulle colline a<br />

vedere cosa fosse accaduto. Tra loro c'era Athyr, il vecchio che<br />

divenne mio maestro. Fu lui che mi disse quello che aveva visto con<br />

i suoi occhi. Mi condusse qui e cercò di descrivermi la devastazione<br />

prodotta dall'evento.»<br />

Fece una pausa e per un po' di tempo non ci fu nessun suono<br />

sulla collina, tranne il sibilare <strong>del</strong>le folate di vento e il pesante<br />

incedere degli zoccoli quando il cavallo di Luceia si allontanò un po'<br />

dai nostri. Meric si schiarì la voce e riprese la sua storia.<br />

«C'era una piccola mandria di bestiame che brucava nella<br />

vallata quella notte, l'unica ricchezza <strong>del</strong> villaggio. L'intera mandria<br />

era morta, e agli abitanti <strong>del</strong> villaggio non rimase nulla. Alcuni<br />

animali erano stati fatti a pezzi e sparpagliati. Alcuni erano<br />

completamente spariti. Svaniti senza lasciare tracce. Altri erano stati<br />

arrostiti vivi. Tutta la valle era sommersa dal fango, profondo in<br />

certi punti vari piedi. Athyr disse che il fango raggiungeva la<br />

sommità <strong>del</strong>le colline circostanti.» Indicò una parete verso est.<br />

«L'intera parete di quella collina era crollata. Puoi vedere le rocce ai<br />

piedi <strong>del</strong> pendio, anche se adesso sono quasi coperte dalla<br />

vegetazione.» Guardai e, in effetti, la base <strong>del</strong>la collina sul lago che,<br />

data la distanza, avevo supposto essere un dolce pendio, era una<br />

disordinata confusione di rovine coperte da rigogliose erbacce a<br />

ciuffi e arbusti scabri.<br />

«Tutto era coperto di fango, eppure Athyr disse che il bestiame<br />

era stato arrostito vivo. Tuttora non capisco come sia successo e<br />

come sia stato possibile.» Si strinse nelle spalle. «Non posso fare<br />

altro che accettarlo per fede. Athyr non avrebbe mai mentito. Non<br />

ho mai conosciuto un uomo più sincero. Mi disse che cosa aveva<br />

visto, perciò questo è quello che vide. Credeva a quello che mi disse


e io credo a lui. Quando mi condusse qui erano passati più di dieci<br />

anni e l'erba aveva cominciato a coprire di nuovo tutto, anche se non<br />

fittamente come ora.»<br />

Lo interruppi. «Cosa mi dici <strong>del</strong> lago?»<br />

Mi guardò sorpreso. «Che cos'ha il lago?»<br />

«Non lo so. E per questo che chiedo. Athyr ha detto qualcosa <strong>del</strong><br />

lago?»<br />

Aggrottò la fronte, ricordando quel giorno. «No. No. Athyr non<br />

disse nulla <strong>del</strong> lago. Perché me lo chiedi?»<br />

«Non lo so.» Stavo esaminando la valle molto più attentamente<br />

adesso. «Questa valle è completamente chiusa. Come ci è arrivato il<br />

bestiame?»<br />

Aveva un'aria disorientata. «Non lo so. Deve aver superato la<br />

collina.»<br />

Cercai di mantenere un tono di voce paziente. «Perché<br />

avrebbero dovuto farlo? Non mancava il foraggio dall'altra parte<br />

<strong>del</strong>la collina. Perché gli abitanti <strong>del</strong> villaggio avrebbero dovuto<br />

prendersi tutto il disturbo di portare il bestiame per tutta quella<br />

strada su e giù dalle colline per farlo brucare in una valle chiusa?»<br />

«Per proteggerlo forse?»<br />

«Da chi? Avevate dei problemi con i razziatori a quell'epoca?»<br />

«Non che io sappia.»<br />

«E sei sicuro che non abbia detto niente <strong>del</strong> lago?»<br />

«Niente. Ne sono sicuro.»<br />

«Il lago c'è sempre stato?»<br />

«Che domanda è questa? Ovviamente.»<br />

«Allora da dove veniva tutto quel fango?»<br />

«Non lo so, ragazzo.»<br />

«Cos'altro ti ha detto? Pensa bene, Meric, è importante. C'era


qualcos'altro che ti ha detto su questo posto che potrebbe esserti<br />

sfuggito? Qualcosa che potresti non aver considerato importante?<br />

Qualunque cosa?»<br />

Divenne pensieroso voltandosi verso la valle sotto di noi. Lo<br />

guardavo con attenzione, non gli toglievo gli occhi di dosso<br />

nemmeno per un secondo. Il suo sguardo passò su tutta la valle da<br />

destra a sinistra e poi vidi un rapido tic tra le sue sopracciglia.<br />

Trattenni il respiro perché era evidente che stava cercando nei<br />

ricordi <strong>del</strong>la sua prima visita qualcosa di vago che era rimasto lì,<br />

incompreso e dimenticato per anni.<br />

«C'era qualcosa. Qualcosa che disse riguardo quel lato <strong>del</strong>la<br />

collina.» Poi fu come se di colpo una luce splendesse nei suoi occhi.<br />

«Ora mi ricordo. Disse che la faccia <strong>del</strong> Dio Sole era lì nel fango sul<br />

fianco <strong>del</strong>la collina.»<br />

«Cosa? Cosa vuol dire questo, per Ade?»<br />

Fece un sorriso e mi guardò. «Mi sono domandato la stessa cosa<br />

e gli ho chiesto di spiegarmelo. Mi disse che nel fango sul fianco<br />

<strong>del</strong>la collina là di fronte c'era un incavo circolare dove non c'era<br />

neanche un po' di fango. Disse che era come se un drago avesse<br />

scavato nel fango una perfetta immagine <strong>del</strong> Dio Sole. Un circolo<br />

perfetto di roccia grigio argento, disse, al centro di un mare di<br />

fango.»<br />

Per un po' rimasi in silenzio. C'era qualcosa che pulsava in un<br />

angolo buio <strong>del</strong>la mia mente. Sentivo quell'irritante senso di<br />

anticipazione che accompagna qualcosa che sta per affiorare e poi<br />

ricade nel buio. Sbattei gli occhi e scossi la testa per chiarirmi le idee.<br />

«Dove?» chiesi. «Dov'era?»<br />

Fece un gesto. «Là in fondo, sul fianco <strong>del</strong>la collina.» Fissai<br />

attentamente il punto che indicava, ma non vidi niente.<br />

«Quanto era grande quel cerchio?»<br />

«Non lo so. Athyr non lo disse e io non pensai di chiederglielo.»


Mormorai una maledizione, scrutando il fianco <strong>del</strong>la collina,<br />

augurandomi di vedere il ritratto <strong>del</strong> Dio Sole. E allora mi ribollì lo<br />

stomaco ricordando cosa provocava quella pulsazione in fondo alla<br />

mia mente: una calda, polverosa estate in Germania, oltre vent'anni<br />

prima. Avevamo marciato per tutto il giorno e ci eravamo fermati<br />

per una pausa di dieci minuti. Non avevo nemmeno la forza di<br />

togliermi il sacco militare dalle spalle. Sedevo ingobbito su una<br />

<strong>pietra</strong> miliare al lato <strong>del</strong>la strada, fissando senza vederla la polvere<br />

che copriva la superficie lastricata.<br />

I tuoni avevano rumoreggiato per tutto il pomeriggio, ma la<br />

pioggia non si era ancora vista. Mentre me ne stavo lì seduto, di<br />

colpo cadde uno scroscio di gocce grosse e pesanti. Era proprio solo<br />

uno scroscio di gocce e ognuna di esse lasciò il suo segno nella<br />

polvere: un cerchio perfetto, una bolla d'acqua al centro di un<br />

cerchio perfetto di polvere con i bordi sollevati come un muretto. Se<br />

non fossi stato così stanco non lo avrei visto. <strong>La</strong> prima goccia cadde<br />

proprio sulla <strong>pietra</strong> che stavo fissando. Fui un po' sorpreso per la<br />

perfezione <strong>del</strong>la sua forma e guardai la successiva per fare un<br />

paragone. Ed erano tutte uguali! Tutte <strong>del</strong>la stessa misura e tutte<br />

<strong>del</strong>la stessa forma perfetta, non solo sulle pietre che formavano la<br />

pavimentazione <strong>del</strong>la strada, ma anche sulla polvere. Ero seduto in<br />

mezzo a un campo di piccoli cerchi perfetti. E poi il centurione<br />

cominciò a urlare e io dimenticai tutto nella rinnovata agonia <strong>del</strong>la<br />

lunga marcia.<br />

Me ne ricordai di nuovo, però, qualche giorno dopo, quando<br />

arrivammo alla fine <strong>del</strong>la marcia e ci installammo nel campo. <strong>La</strong><br />

polvere era spessa ovunque e il centurione aveva distaccato un paio<br />

di uomini, uno dei quali ero io, per pulire intorno alla tenda <strong>del</strong><br />

tribuno. Allora cercai di riprodurre l'effetto di quelle gocce di<br />

pioggia, buttando <strong>del</strong>l'acqua in aria e guardandola cadere. A volte<br />

funzionava e a volte no. Credo che dipendesse dalla dimensione<br />

<strong>del</strong>le gocce d'acqua. Le gocce grosse si spargevano ovunque. Ma non<br />

era importante, era solo una curiosità, e quando gli altri


cominciarono ad accorgersi di quello che stavo facendo e a<br />

prendermi in giro, mi sentii stupido e smisi. Per mesi, però, in<br />

seguito divenni consapevole degli effetti <strong>del</strong>la pioggia. <strong>La</strong> osservavo<br />

cadere nell'acqua, creando cerchi concentrici. Alla fine persi<br />

interesse nel fenomeno e dimenticai tutto, finché un giorno, cinque<br />

anni più tardi, fummo sorpresi dalla coda di un temporale estivo e<br />

notai lo stesso effetto nella polvere <strong>del</strong> campo che stavamo<br />

attraversando.<br />

Per anni non ci avevo più pensato, però era rimasto in fondo alla<br />

mia coscienza, aspettando di essere ricordato. Ora mi era tornato in<br />

mente e mi eccitava. Ricordai che mio padre aveva trovato la <strong>pietra</strong><br />

<strong>del</strong> <strong>cielo</strong> in una buca, una buca scavata dalla violenza <strong>del</strong>la sua<br />

caduta. E il vecchio Athyr aveva visto un cerchio nel fango sul fianco<br />

<strong>del</strong>la collina, un cerchio abbastanza grande da attirare la sua<br />

attenzione.<br />

I miei sogni a occhi aperti furono interrotti da Luceia, che era<br />

rimasta a lungo in silenzio. «Non dovremmo andare giù a dare<br />

un'occhiata ai macigni, Publio?»<br />

Sorrisi per la sua <strong>del</strong>icatezza nel non sottolineare che stava<br />

morendo di freddo, seduta sul suo cavallo sulla cresta di una collina<br />

esposta al vento.<br />

«Possiamo andare giù adesso e dare un'occhiata, ma dubito che<br />

troveremo o vedremo qualche <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong> oggi.»<br />

<strong>La</strong> sua espressione si scurì. «Come fai a saperlo?»<br />

«Non lo so. Non lo so affatto. Ma ho la sensazione che quei<br />

macigni non siano pietre <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>. Comunque andiamo a vedere,<br />

potrei sbagliarmi.»<br />

Cominciammo a scendere lungo il fianco <strong>del</strong>la collina, ma<br />

vedevo dalla sua espressione che aveva dei dubbi.<br />

«Hai un'aria preoccupata, Luceia. Qual è il problema?»<br />

Scosse la testa in un cenno di diniego. «Niente in realtà. Stavo


solo chiedendomi come puoi capire se una <strong>pietra</strong>, una <strong>pietra</strong><br />

qualunque, è una <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong> oppure no.»<br />

Risi per la serietà <strong>del</strong>la sua espressione. «Sembra che oggi sia la<br />

sola cosa che dico, ma non lo so. Non ho idea di come lo saprò, né se<br />

lo saprò. A meno che non ne trovi una che sia di metallo puro. Non<br />

lo saprò finché non cercherò di sollevarne una, suppongo.»<br />

«Publio Varro! Mi stai dicendo che non hai nessuna idea<br />

<strong>del</strong>l'aspetto di una <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>?»<br />

Scossi la testa. «Non ne ho idea. Ne ho solo sentito parlare. Non<br />

ne ho mai vista una.»<br />

«Hai detto che non lo saprai fino a che non ne avrai sollevata<br />

una. Stavi scherzando? Quei massi in fondo alla valle sono enormi.<br />

Nessun uomo potrebbe sollevarne uno.»<br />

«È vero, Luceia, ma un uomo con un po' di sale in zucca<br />

dovrebbe essere in grado di staccarne un pezzetto, non credi?»<br />

Arrossì, pensando che la prendessi in giro.<br />

«No, sono serio, Luceia. Dovrò spaccare ogni <strong>pietra</strong> per vedere<br />

cosa c'è dentro. Il minerale è facile da vedere all'interno di una <strong>pietra</strong><br />

appena spaccata. L'esterno è in genere dilavato e scolorito e le vene<br />

di minerale sono difficili da vedere al primo sguardo. Ti farò vedere<br />

quando saremo giù.» Mi girai verso Meric, che stava scendendo<br />

proprio dietro di me. «Hai già visto dei draghi, Meric?»<br />

Rispose con un grugnito, senza staccare gli occhi dal suolo sul<br />

quale il cavallo appoggiava incerto gli zoccoli. Mi rilassai e lasciai<br />

che il cavallo trovasse la strada, ricordando il giorno <strong>del</strong>la grande<br />

invasione, molti anni prima, quando Britannico e io avevamo<br />

affidato la nostra vita agli zoccoli e alla bravura dei nostri cavalli.<br />

Durante la discesa le nuvole si aprirono, permettendo al pallido<br />

sole di dicembre di brillare, seppure con raggi troppo deboli per<br />

contrastare il gelo <strong>del</strong> vento. Il fondovalle era esattamente il tipo di<br />

luogo che mi procurava una crisi da soldato professionista: era


completamente circondato dalle colline. Il terreno scendeva<br />

gradualmente a occidente sulla nostra destra, e l'estremità<br />

occidentale <strong>del</strong>la valle era chiusa dalle acque <strong>del</strong> lago. Era facile<br />

immaginare un'intera legione intrappolata lì, con le spalle al lago e<br />

volta all'inevitabile massacro dalle colline sovrastanti. «Questo lago<br />

ha un nome, Meric?»<br />

«Non che io sappia. È semplicemente un lago. Ce n'è un altro<br />

nella valle più sotto, a ovest. Molto più piccolo. Ma non ha un nome,<br />

è solo un altro lago.»<br />

Passammo la mezz'ora seguente a esaminare i macigni più vicini<br />

che avevamo scorto dalla sommità <strong>del</strong>la collina. Staccai un pezzo da<br />

ognuno di essi e mostrai a Luceia le striature <strong>del</strong>la <strong>pietra</strong>, ma non<br />

c'era niente che indicasse la presenza di metallo. Fu Luceia a notare<br />

che l'interno <strong>del</strong>le rocce non era molto diverso dall'esterno, e aveva<br />

ragione. Quei macigni erano recenti, non avevano più di trenta o<br />

quarant'anni. Non erano altro che grossi pezzi <strong>del</strong>la roccia franata<br />

dall'inospitale parete nord, nella notte dei draghi.<br />

Il terreno era molto irregolare per i nostri cavalli, con erba alta<br />

ed esuberante, che cresceva in ciuffi e dune che arrivavano alle<br />

ginocchia. Prima ancora che fosse passata mezz'ora ero certo che<br />

tutti i macigni <strong>del</strong>la valle fossero <strong>del</strong>lo stesso materiale. Erano solo<br />

pietre e il lago era solo un lago, ma Luceia con l'entusiasmo <strong>del</strong><br />

dilettante voleva controllare ogni <strong>pietra</strong>, per essere sicura che non ce<br />

ne fosse una diversa dalle altre. Non aveva idea di cosa stava<br />

cercando, ma percorreva la valle da un punto all'altro con<br />

entusiasmo, esaminando la superficie di tutti i macigni nella<br />

speranza di una qualsiasi rivelazione. Meric e io alla fine<br />

avvicinammo i cavalli e rimanemmo a guardarla cavalcare intorno,<br />

chinandosi dal cavallo per esaminare da vicino ogni nuova <strong>pietra</strong> e<br />

rimanendo ogni volta più <strong>del</strong>usa quando la vedeva uguale alle altre.<br />

Io mi godevo lo spettacolo senza dare troppo nell'occhio. Mi<br />

aveva lasciato stupefatto quella mattina presentandosi con dei


pantaloni di pelle da legionario sotto una tunica che le arrivava alle<br />

ginocchia. <strong>La</strong> tunica mi mozzava il fiato, perché aveva degli spacchi<br />

lungo i fianchi. Era un indumento molto pratico per una donna che<br />

volesse cavalcare come un uomo, ma il modo in cui mostrava le<br />

curve <strong>del</strong>le gambe e <strong>del</strong>le cosce era travolgente. Ero riuscito a non<br />

tradire i miei pensieri, anche se con molta difficoltà, ma ora che era a<br />

distanza di sicurezza potevo godermi la vista di lei.<br />

L'ombra di una nuvola passò veloce lungo il fianco <strong>del</strong>la collina<br />

di fronte a Luceia, e oziosamente la guardai avanzare, cercando di<br />

valutarne la velocità, quando Meric disse:<br />

«È strano».<br />

Lo guardai. Aveva girato il cavallo e stava fissando le colline alle<br />

mie spalle. Una nuvola coprì il sole e una violenta folata di vento<br />

fece sobbalzare nervosamente il mio cavallo.<br />

«Cosa?» chiesi.<br />

Scosse la testa, con un'espressione di vaga perplessità. «Per un<br />

momento ho pensato di vedere un cerchio sul fianco <strong>del</strong>la<br />

montagna.»<br />

«Cosa?» Girai anch'io, strattonando il mio cavallo per spingerlo<br />

vicino al suo, cosa che lo fece nitrire in protesta. «Dove?»<br />

Indicò la collina. «<strong>La</strong>ssù, proprio dove Athyr ha detto di averlo<br />

visto. Ma non c'è niente. Devo essermelo immaginato.»<br />

Aveva ragione. Non c'era niente da vedere sul fianco nudo <strong>del</strong>la<br />

collina. Passai in rassegna, con occhi che chiedevano solo di poter<br />

vedere quel cerchio, l'intero fianco <strong>del</strong>la collina, ma senza risultato.<br />

Non c'era niente. Rigirai il cavallo seccato.<br />

«<strong>La</strong> vista ti gioca degli scherzi, amico. È meglio che andiamo. Si<br />

sta facendo tardi.» Misi le mani a imbuto davanti alla bocca e urlai a<br />

Luceia di tornare.<br />

«Guarda, Varro! Là, guarda!»


Girai di nuovo il cavallo e colsi con la coda <strong>del</strong>l'occhio la<br />

suggestione di una forma circolare, che svanì non appena la guardai;<br />

ma l'avevo identificata per quello che era. Il cuore mi balzò in gola.<br />

«È un'ombra, Meric. Un'ombra! Guarda, il sole è andato via di<br />

nuovo.» Una grande nuvola stava oscurando il sole. «Riapparirà tra<br />

pochi minuti.» Fremevo per l'eccitazione. «Non appena ritorna,<br />

segna la posizione esatta <strong>del</strong> cerchio sulla collina. Io salgo e tu<br />

rimani qui a indicarmi la direzione se per caso non lo trovassi.»<br />

Sembrò che ci volessero anni perché il sole ritrovasse la via da<br />

dietro la nuvola, ma quando risplendette, vedemmo stampata sul<br />

fianco <strong>del</strong>la collina, leggera, ma chiaramente definita, l'impronta <strong>del</strong><br />

cerchio. Spronai il cavallo e mi diressi al galoppo fino alla base <strong>del</strong>la<br />

collina. Il sole continuava a brillare, ma dopo nemmeno cinquanta<br />

passi persi di vista la forma <strong>del</strong> cerchio. Avevo preso nota <strong>del</strong>la<br />

posizione rispetto a uno spuntone di roccia, e continuai a salire.<br />

Ci volle un po' di tempo per arrampicarmi fino a dove pensavo<br />

che si trovasse il cerchio, ma finalmente tirai le redini e guardai giù<br />

verso Meric, al quale si era unita Luceia. Il sole splendeva ancora,<br />

ma non vedevo traccia <strong>del</strong> cerchio. <strong>La</strong> voce di Meric arrivò<br />

fluttuando dal basso, accompagnata da ampi gesti <strong>del</strong>le braccia. «A<br />

destra! Alla tua destra!»<br />

Avanzai lentamente verso destra per un tempo che mi parve<br />

lunghissimo, finché Meric mi gridò di fermarmi. «Non in quella<br />

direzione! Verso di me!»<br />

Scesi un poco.<br />

c«Basta. Fermati!»<br />

Mi sedetti e aspettai che mi raggiungessero. Meric arrivò un po'<br />

prima di Luceia, che continuava a scrutare il fianco <strong>del</strong>la collina.<br />

Meric ansimava leggermente.<br />

«Bene» disse col fiato corto. «Qualunque cosa sia, ci sei in<br />

mezzo.»


«A che distanza sono dalla circonferenza?»<br />

«Secondo i calcoli che ho potuto fare dal basso, a giudicare dalla<br />

tua altezza al centro <strong>del</strong> cerchio e dalla lunghezza <strong>del</strong>la tua ombra, il<br />

bordo esterno dovrebbe essere a quattro o cinque passi da ogni<br />

lato.» Guardai dove indicava. <strong>La</strong> mia ombra si stendeva sull'erba.<br />

«Ho perso di vista il cerchio appena ho cominciato a salire»<br />

dissi. «E tu?»<br />

«Lo vedevo chiaramente mentre salivi e per questo sono riuscito<br />

a guidarti. Ma l'ho perso anch'io appena ho cominciato a salire. Ci<br />

deve essere qualcosa di magico in questo posto.»<br />

«C'è.» Scivolai a terra e mi diressi a destra, con gli occhi fissi a<br />

terra davanti a me, e dopo aver compiuto cinque passi, esattamente<br />

come aveva detto Meric, trovai il bordo <strong>del</strong> cerchio. Nessuno<br />

avrebbe mai potuto trovarlo se non lo avesse cercato di proposito.<br />

Non era altro che un leggero profilo di terra rialzata, alto al massimo<br />

una spanna nel punto più alto, ma consentiva di tracciare l'intera<br />

circonferenza. Anch'io respiravo a fatica adesso, quasi incapace di<br />

trattenermi intuendo dove mi trovavo. Superai la linea esterna e feci<br />

altri venti passi intorno alla collina prima di girarmi. Era evidente:<br />

c'era una leggera, ma definita depressione a forma di ciotola<br />

all'interno <strong>del</strong> cerchio. Ritornai in mezzo al cerchio con il petto in<br />

fuori per il trionfo.<br />

«Cosa vuol dire, Varro?» Meric era completamente sconcertato.<br />

«È importante?»<br />

Risi forte. L'eccitazione fece risuonare falsa la mia risata alle mie<br />

stesse orecchie. «Importante?» Guardai Luceia, che era ancora a<br />

cavallo e mi guardava come se fossi un ossesso. «Luceia, tu pensi<br />

che sia importante?» Il suo sguardo era perplesso e confuso. «Voglio<br />

che veniate qui, tutti e due, dove ero io pochi minuti fa, e che mi<br />

diciate cosa vedete. Per favore.»<br />

Si scambiarono uno sguardo di educata incomprensione, ma


ubbidirono. Nel frattempo condussi il mio cavallo fuori dal cerchio e<br />

poi ritornai nel mezzo.<br />

«Adesso, ditemi cosa vedete.»<br />

Si guardarono l'un l'altro e poi mi guardarono e Luceia disse:<br />

«Niente, Publio».<br />

«Il terreno, Luceia! Guarda il terreno. Meric! Io sono in piedi al<br />

centro <strong>del</strong>l'anello. Non noti niente? Qualcosa di diverso? Qualunque<br />

cosa?» Le sopracciglia di Meric si alzarono per la concentrazione e<br />

poi per lo stupore quando vide quello che io volevo che vedesse.<br />

«Ha la forma di una ciotola! Come se fosse stato scavato,<br />

svuotato. C'è un avvallamento.»<br />

«Sì, Meric. Luceia? Lo vedi adesso?» Luceia annuì senza parlare.<br />

«Bene. Adesso possiamo tornare.» .<br />

Mi raggiunsero a piedi, lasciando i cavalli fuori dal cerchio. Tutti<br />

e due avevano un'espressione interrogativa.<br />

«Sapete dove siamo in questo momento?» chiesi loro.<br />

Meric aggrottò la fronte. «Noi Druidi abbiamo un tempio<br />

circolare <strong>del</strong> sole nella grande pianura, ma questo è troppo piccolo<br />

per essere un tempio.»<br />

«Ah!» esclamai. «Il tempio <strong>del</strong> sole! Niente di così domestico,<br />

Meric! Questo è un nido di drago! Siamo nel nido di un drago!»<br />

Non era una cosa gentile da dire, e mi strozzai quasi dalle risa<br />

quando il colore svanì di colpo dalle loro facce e si guardarono<br />

intorno istintivamente, come se si aspettassero di essere afferrati e<br />

divorati. Lessi nei loro occhi una credulità immediata e totale e,<br />

sempre ridendo, estrassi la spada e la piantai nel terreno sondando<br />

la presenza di eventuali pietre. Praticamente non c'era terriccio,<br />

tranne al centro <strong>del</strong>la depressione, dove la lama penetrò quasi<br />

completamente fino all'elsa. Mi rialzai e rinfoderai la spada.<br />

«Andiamo» dissi. «È tardi. <strong>La</strong> prossima volta porteremo <strong>del</strong>le


vanghe e dissotterreremo le uova <strong>del</strong> drago.»<br />

C'era ancora paura sulle loro facce e una folle risata trattenuta<br />

nel mio ventre mentre raccoglievo alcune pietre per innalzare un<br />

tumulo nel centro <strong>del</strong>l'anello. Poi aiutai Luceia a montare a cavallo,<br />

prima di montare a mia volta, e ci dirigemmo verso la cresta <strong>del</strong>la<br />

collina con il sole ora basso alla nostra sinistra. Avevo segnato bene<br />

il posto. Il tumulo puntato verso l'alto, un'indicazione per il giorno<br />

dopo, segnava il luogo in cui, secondo il mio istinto, giaceva sepolta<br />

una <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>.<br />

«Faremo un lungo viaggio al buio stanotte» dissi, sentendo di<br />

nuovo, per la prima volta in un'ora, il morso pungente <strong>del</strong> vento.<br />

«Publio, Guarda!» disse Luceia, e la sua voce era piena di<br />

reverenza; tirai le reclini e frenai il cavallo. Il sole era quasi<br />

tramontato ormai e, inondati dalla luce morente, si vedevano i<br />

profili di altri cinque cerchi sulle colline e sul fondovalle. Rimasi a<br />

fissarli stupito prima di parlare rompendo il religioso silenzio.<br />

«Draghi, amici. Questo posto è una colonia di draghi.»


XX.<br />

Avevo interrogato Luceia sulla durata <strong>del</strong> nostro viaggio alle<br />

Mendips molto prima di metterci in marcia. Mi aveva risposto che,<br />

secondo Meric, l'intero viaggio era facilmente fattibile in un giorno.<br />

A nessuno venne in mente che Meric, essendo un druido,<br />

considerasse tempo, clima e distanza in modo diverso dalla gente<br />

comune. Avrebbe potuto camminare tutta la notte e tutto il giorno e<br />

poi ancora tutta la notte, e non lo avrebbe considerato un viaggio di<br />

due giorni se fosse arrivato prima che il sole sorgesse un'altra volta.<br />

Eravamo in cammino da molte ore ormai, trascinati<br />

dall'eccitazione <strong>del</strong>la giornata, quando avevo iniziato a nutrire<br />

qualche apprensione sulla distanza e sul tempo che mancavano alla<br />

meta. I miei dubbi erano stati fugati dalle risposte imprecise ma<br />

ottimistiche di Meric a domande come: «Per quanto dobbiamo<br />

andare avanti ancora?».<br />

Alla fine fu chiaro che la distanza - malgrado le proteste <strong>del</strong><br />

vecchio druido - era semplicemente troppo grande per consentirci di<br />

andare e tornare in un solo giorno. Quando me ne ero reso<br />

definitivamente conto, però, ci eravamo allontanati troppo dalla<br />

villa per far ritorno a prendere <strong>del</strong>le provviste in più. A quel punto<br />

si trattava di ritornare a casa e di ripartire il giorno dopo o di<br />

accettare l'inconveniente di un lungo viaggio di andata e ritorno in<br />

un giorno. Luceia aveva preso la decisione finale. Era ancora una<br />

bella mattina, senza una nuvola in vista nel <strong>cielo</strong> di dicembre. Il<br />

tempo era cambiato però nell'arco di due ore. Il <strong>cielo</strong> era diventato<br />

sempre più tenebroso e coperto e capimmo di avere sottovalutato la<br />

fatica di quell'escursione. Personalmente non me ne sarei<br />

preoccupato molto, ma Luceia poteva difficilmente essere definita<br />

un veterano indurito dai viaggi. Meric, palesemente, era indifferente<br />

a tutto.


Tuttavia, pur sapendo quello che sapevamo, ci eravamo fermati<br />

troppo a lungo nella valle, assorti nella ricerca. L'oscurità cadde in<br />

fretta mentre tornavamo verso casa e la pioggia che ci aveva<br />

minacciato per tutto il giorno cominciò a cadere davvero,<br />

aumentando il gelo <strong>del</strong> vento implacabile. Il senso <strong>del</strong>l'orientamento<br />

di Meric venne meno di colpo e passammo un'ora a girare intorno<br />

alla collina, correndo il grave pericolo di precipitare in burroni<br />

molto più profondi di quelli incontrati all'andata.<br />

Quando finalmente scendemmo il fianco <strong>del</strong>l'ultima collina era<br />

buio pesto ed eravamo tutti e tre bagnati fino alle ossa e gelati fino al<br />

midollo. <strong>La</strong> pioggia era uno scroscio costante e il vento ululava a<br />

tratti con una violenza tale che il nostro mondo era ridotto a<br />

un'oscurità infernale e a un fragore assordante. Quella notte in<br />

Britannia non avrebbero potuto esserci tre persone più miserabili di<br />

noi ed eravamo ancora ad almeno dodici miglia da Villa Britannico.<br />

Luceia mi afferrò per un braccio e si chinò verso di me<br />

urlandomi qualcosa all'orecchio, ma il vento era così forte e violento<br />

che le sue parole si persero nel buio senza raggiungermi. Scossi la<br />

testa per indicare che non l'avevo sentita e mi chinai ancora di più,<br />

voltando il cavallo e portandolo così vicino al suo che le nostre<br />

gambe premettero una contro l'altra. Questa volta le sue labbra mi<br />

toccarono l'orecchio e sentii sulla pelle il suo alito caldo che mi<br />

provocò brividi intensi di calore per tutto il corpo, malgrado il<br />

freddo.<br />

«Riparo!» gridò. «Dobbiamo trovare riparo in fretta! Siamo<br />

lontani ore da casa.»<br />

«Lo so!» urlai di rimando. «Ma dove? Sai dove siamo?»<br />

Dal modo in cui scuoteva la testa capii che non lo sapeva.<br />

Avevamo percorso almeno altre tre miglia, bagnati e doloranti e<br />

mezzi congelati, quando Meric comparve di colpo alla mia destra<br />

indicando con fare agitato un cambiamento di direzione. Notare di<br />

colpo la sua presenza mi fece capire di essermi appisolato, e quella


consapevolezza balenò nella mia mente come un segnale di pericolo.<br />

Scossi la testa con forza, cercando di chiarire i miei pensieri, e<br />

cominciai a fare più attenzione a quello che accadeva intorno a me.<br />

Non avevo mai visto una notte più ostile in tutti gli anni<br />

trascorsi nelle legioni. L'oscurità era assoluta, né una minuscola luce<br />

né uno squarcio nella nuvola nera che ci sovrastava, e la pioggia<br />

acuminata come punte di lancia era sospinta da un vento gelido che<br />

ululava come un branco di lupi famelici. Mi chiesi da quanto tempo<br />

stavamo viaggiando in quelle condizioni, e sentii la paura calarmi<br />

addosso come una cappa di piombo quando realizzai che avremmo<br />

potuto morire anche tutti e tre, rimanendo all'aperto in una notte<br />

come quella, chissà dove, senza calore né riparo. E<br />

improvvisamente, proprio mentre meditavo quel lugubre pensiero,<br />

il vento cessò di colpo per la prima volta da ore, e io riuscii di nuovo<br />

a sentire.<br />

«Cosa c'è, Meric?» gridai, troppo forte nel subitaneo silenzio.<br />

«Penso di sapere dove siamo, ma non ci vedo abbastanza per<br />

esserne sicuro. Se ho ragione dovrebbe esserci una capanna che ci<br />

offrirà riparo almeno dal vento. Non ha tetto.»<br />

«Dove? A che distanza?»<br />

«Non lo so esattamente. Non posso essere sicuro. Se vedessi le<br />

colline potrei essere più sicuro.» Il suo profilo stava diventando più<br />

nitido. Mi girai e guardai verso il punto in cui avrebbe dovuto<br />

trovarsi Luceia, e difatti era lì, fioca e indistinta, ma visibile. Mentre<br />

guardavo la sua sagoma la pioggia cominciò gradatamente a<br />

diminuire. Alzai gli occhi al <strong>cielo</strong> e vidi le nuvole muoversi sopra di<br />

me.<br />

«Guardate!» dissi. «Il <strong>cielo</strong> si sta aprendo.»<br />

Uno squarcio si aprì tra le nuvole proprio sopra la testa di Meric,<br />

e scorgemmo la luna per un secondo prima che fosse oscurata di<br />

nuovo. <strong>La</strong> pioggia era cessata e tutti e tre restammo immobili,


fissando le nuvole. D'un tratto avvertii un rumore strano nel silenzio<br />

che ci circondava. Mi misi subito in allarme, cercando di identificare<br />

quel rumore, finché con un moto di compassione e simpatia<br />

compresi che era il tremito dei denti di Luceia. Sapevo quanto stavo<br />

male io, che pure avevo passato anni di campagna all'aperto con<br />

tutti i climi. Potevo immaginare in che stato fosse Luceia.<br />

Un altro squarcio apparve in quel momento tra le nuvole e la<br />

luce <strong>del</strong>la luna filtrò fino a noi, splendente dopo lunghe ore buie<br />

come la pece. Meric girò la testa in tutte le direzioni per cercare un<br />

punto riconoscibile.<br />

«Ho trovato!» Nella sua voce sentii sollievo e decisione. «Adesso<br />

so esattamente dove siamo.»<br />

«Bene» risposi. «Siamo vicini alla capanna?»<br />

«No.» Il suo sguardo era fisso lontano. «È a molte miglia da qui.<br />

Ma qui vicino c'è un agglomerato di quattro famiglie, laggiù dove il<br />

terreno sembra fare una piega. A meno di mezzo miglio. Andiamo.»<br />

I cavalli erano esausti e dal modo in cui si muoveva il mio era<br />

vicino al collasso. Scesi a terra e camminai vicino a Meric, guidando<br />

il mio cavallo con una mano e quello di Luceia con l'altra e<br />

richiamando la gamba malandata alla vita.<br />

Il piccolo villaggio in cui arrivammo ci sembrò più lussuoso di<br />

Villa Britannico. Tutte e quattro le famiglie furono svegliate dal<br />

rumore <strong>del</strong> nostro arrivo e la presenza di Meric fu sufficiente a<br />

garantirci il massimo <strong>del</strong>la loro ospitalità. I fuochi addormentati<br />

furono richiamati in vita e Luceia fu accolta in casa da due donne<br />

che le tolsero i vestiti inzuppati e la fecero asciugare al calore <strong>del</strong><br />

focolare. Meric e io conducemmo i tre cavalli al riparo di un<br />

capannone adiacente a una casa, e li asciugammo con panni asciutti<br />

prima di entrare anche noi al riparo, lasciando gli animali a<br />

mangiare insieme a quattro mucche.<br />

L'interno <strong>del</strong>la casupola di <strong>pietra</strong> era caldo e pieno di ombre che


danzavano sospinte dalle fiamme. Luceia era seduta accanto al<br />

fuoco, con indosso un lungo vestito scuro e informe, e stringeva tra<br />

le mani una tazza fumante. Andai direttamente verso di lei e le posai<br />

una mano sulla spalla chiedendole se stava bene. Ero acutamente<br />

consapevole <strong>del</strong>la prima volta che la toccavo spontaneamente. Mi<br />

guardò e annuì lentamente, ma non parlò. Mi regalò, invece, un<br />

breve sorriso incerto, molto simile a quello di un bambino. Sollevato,<br />

entrai nell'oscurità <strong>del</strong> retro <strong>del</strong>la stanza, lontano dalla luce <strong>del</strong><br />

fuoco, e cominciai a togliermi gli abiti inzuppati, convinto che non<br />

avrei mai più provato il piacere di sentirmi caldo.<br />

Venti minuti più tardi, però, seduto su uno sgabello a tre gambe<br />

vicino alle fiamme con in mano la mia tazza di brodo di coniglio, mi<br />

sentivo meravigliosamente bene; fissavo sereno il fuoco e godevo<br />

<strong>del</strong> confortevole peso <strong>del</strong> corpo di Luceia, seduta sul pavimento ai<br />

miei piedi con la schiena appoggiata alla mia gamba. Io non avevo<br />

una tunica che coprisse le mie nudità, ma ero avvolto in una enorme<br />

pelle d'orso presa dal mucchio di pelli che servivano da letto per<br />

tutta la famiglia.<br />

Luceia cominciò a ciondolare, ma raddrizzò di colpo la testa. Io<br />

sorrisi accarezzandole i capelli con lo sguardo. Era stanca morta.<br />

Misi giù la tazza di brodo e mi guardai intorno. Eravamo soli. <strong>La</strong><br />

famiglia si era spostata nella casa dei vicini e così aveva fatto Meric,<br />

lasciando la casupola tutta per noi. Il fuoco crepitò rumorosamente e<br />

Luceia si raddrizzò di nuovo. Il mio sorriso sembrava eterno nella<br />

contemplazione <strong>del</strong>la sua nuca, dove i lunghi capelli lisci si<br />

dividevano in due cascate per ricaderle sul petto verso il calore <strong>del</strong><br />

fuoco. Mi sentii colmare da una sensazione di amore e di protezione<br />

mai conosciuti prima.<br />

Mi alzai e mi chinai verso di lei, aiutandola ad alzarsi in piedi e<br />

ignorando le sue incoerenti, assonnate obiezioni. <strong>La</strong> adagiai sul<br />

mucchio di pelli calde e la copersi con una <strong>del</strong>le più grandi. Sorrise<br />

ad occhi chiusi e si immerse nel calore e nella morbidezza <strong>del</strong>le pelli,


e si addormentò profondamente. Aspettai qualche secondo e poi mi<br />

appoggiai sui gomiti vicino a lei, guardando da vicino la perfezione<br />

<strong>del</strong>la sua bellezza alla tenue luce tremolante <strong>del</strong> fuoco. Per cinque<br />

minuti, dissi fra me, mi rallegrerò la vista guardandola, poi andrò a<br />

dormire vicino al fuoco.<br />

A un certo punto <strong>del</strong>la notte mi svegliai, di nuovo infreddolito<br />

perché il fuoco si era spento e la pelle d'orso era caduta. Mentre la<br />

raccoglievo, sentii Luceia stiracchiarsi e compresi con un brivido di<br />

timore di essermi addormentato al suo fianco. Immediatamente teso<br />

e perfettamente sveglio, scivolai lontano da lei, spaventato all'idea<br />

che potesse svegliarsi e trovarmi nel suo letto. Ma mentre mi<br />

muovevo il suo braccio uscì dall'oscurità e mi strinse alla vita sotto<br />

la pelle d'orso; il palmo <strong>del</strong>la sua mano pareva bruciarmi la carne<br />

mentre mi accarezzava il fianco e premeva sui reni tirandomi più<br />

vicino. Teso com'ero non mi mossi, e allora si mosse lei e io trattenni<br />

il respiro mentre strisciava contro di me, appoggiando la testa<br />

nell'incavo <strong>del</strong>la mia spalla e sollevando una lunga, morbida e calda<br />

gamba nuda sopra le mie. Il profumo dei suoi capelli mi riempì le<br />

narici, sentii la calda pienezza <strong>del</strong> suo seno sinistro contro le costole.<br />

Cercai di respirare senza muovermi, aspettando che si rilassasse per<br />

potermi allontanare. Questa volta quando mi mossi reagì con<br />

violenza. Rimase abbracciata a me e rifiutò di lasciarmi e poi<br />

cominciò a strusciarsi e a tirare e a rintanarsi contro di me,<br />

emettendo <strong>del</strong>iziosi piccoli suoni di gola, finché il mio braccio<br />

sinistro fu sotto la sua testa e le mie dita si appoggiarono leggere e<br />

timide sulla sua schiena.<br />

Giacevo fissando il tetto scuro, sentendo ogni centimetro <strong>del</strong> suo<br />

corpo disteso attraverso la stoffa <strong>del</strong>l'abito che le si era arrotolato<br />

intorno alla vita. Non potevo rilassarmi. Un desiderio <strong>del</strong>izioso e<br />

spaventoso insieme pulsava nelle mie vene e ondate alterne di gioia<br />

e colpa si agitavano in me. Poi d'un tratto Luceia rimase immobile.<br />

«Publio Varro» disse. «Non crederai veramente che io stia


dormendo, vero?»<br />

Mi sentii gelare per lo stupore e l'incapacità di rispondere, e per<br />

pochi istanti non accadde nulla, finché sentii la morbida e umida<br />

bocca di lei baciarmi il petto prima di continuare.<br />

«Perché sono sveglia e preferirei baciare la tua bocca...»<br />

Anche se non desidero affatto descrivere la meravigliosa<br />

intimità che condividemmo quella notte, e le notti degli anni<br />

successivi, confesserò che avemmo poco da dirci in quelle prime ore<br />

di esplorazione e scoperta. Ci fu un momento, però, in cui, malgrado<br />

la volontà <strong>del</strong> nostro spirito, la debolezza <strong>del</strong>la carne pretese il suo<br />

riconoscimento e giacemmo insieme, avvinghiati, spartendo la gioia<br />

che avevamo trovato l'umo nell'altra. Fu allora che cominciammo a<br />

parlare. Iniziò lei e il suono <strong>del</strong>la sua voce, quieto come un sussurro<br />

nel mio orecchio, sembrava un sogno nella mia euforia.<br />

«Publio? Vorresti pronunciare il mio nome?»<br />

«Mmm? Cosa intendi dire?» Ero mezzo addormentato.<br />

«Il mio nome. Qual è?»<br />

«Luceia.»<br />

«Esatto. Dillo ancora.»<br />

«Luceia. Luceia Britannico. Perché vuoi che dica il tuo nome?<br />

Non lo conosci?»<br />

«Mmm.» Potevo quasi sentire le fusa nella sua voce. «Ma mi<br />

piace il modo in cui lo dici. Quando lo dici così sembra un esotico<br />

nome straniero, il nome di una famosa eroina di qualche grandiosa,<br />

tragica storia.»<br />

«Ebbene,» dissi sorridendo, «un giorno sarai famosa. Sei la<br />

sorella di Gaio Britannico, dopotutto, e se riuscirà a fare quello che<br />

vuole tutti lo conosceranno negli anni a venire come il padre dei<br />

Bagaudi di Britannia.»<br />

«Ah, mi piacerebbe essere famosa, penso, Publio. Ma non


desidero essere tragica.»<br />

<strong>La</strong> baciai sulla fronte. «Non ci sono tragedie nel tuo futuro,<br />

signora. Lo so. Ho chiesto ai tuoi amici druidi e mi hanno assicurato<br />

che sei stata benedetta da Dio.»<br />

Lei si stirò pigramente, muovendosi contro di me. «Publio<br />

Varro, questa è blasfemia. Di' il mio nome di nuovo.» Lo dissi e lei<br />

sospirò. «E pensare che solo pochi giorni fa non avevi mai detto<br />

queste parole.»<br />

«È vero.» Mi feci più vicino a lei. «È vero. Non le avevo mai<br />

dette. Avevo sentito il tuo nome, ma non immaginavo di poterlo<br />

sognare. Adesso non smetterò mai di sognarlo.»<br />

«Perché?»<br />

«Perché adesso ti conosco e il mio mondo è cambiato per<br />

sempre.»<br />

«Ti piace il cambiamento?»<br />

«Sì, mi piace.»<br />

«Bene. Anche a me piace.» Si mosse voluttuosamente contro di<br />

me, distendendo la sua gamba lungo la mia. «Sei un uomo<br />

affascinante, Publio Varro. Te l'ho già detto? Bene, lo sei molto più<br />

di quanto avessi immaginato, e avevo immaginato molto di te.<br />

Anche prima che tu venissi qui sentivo di conoscerti da sempre, e<br />

ora che ti conosco di persona, il sentimento non è cambiato. Tranne<br />

che ora che ti conosco con il mio corpo sento che tutto è cambiato.<br />

Ha senso per te quello che dico?»<br />

«Penso di sì» dissi. «Ma sii gentile con me. Non sono abituato a<br />

lodi così copiose. Potrei diventare vanitoso.»<br />

Le sue dita affondarono piano nei muscoli <strong>del</strong> mio ventre. «E<br />

cosa mi dici <strong>del</strong>le donne? Sei abituato ad averne molte intorno?»<br />

«Non più di dieci per volta.»<br />

«Ah, il soldato è un arbitro di donne!»


«Non proprio» dissi. «Penso che dovremmo parlarne<br />

seriamente, uno di questi giorni.»<br />

«Seriamente?» Si girò su un fianco e si rannicchiò contro di me.<br />

«Seriamente» dissi, allungando il braccio su di lei, sentendo di<br />

nuovo la pienezza dei suoi seni e carezzando la sua morbidezza con<br />

la punta <strong>del</strong>le dita. «Io so poco <strong>del</strong>le donne, Luceia, anche <strong>del</strong> tipo di<br />

donne che i soldati conoscono di solito. Di gran dame non so niente.<br />

E di te so solo che sono qui e che tu sei qui e ancora non riesco a<br />

credere che siamo insieme. Cosa ho fatto per meritare questa sorte?»<br />

«Intendi buona sorte, spero? Non è strano? Stavo pensando di<br />

essere io la fortunata. Dimmi di più sulle tue donne, soldato.»<br />

«Sai già tutto quello che c'è da sapere. Ero un fabbro, vivevo una<br />

monotona esistenza con poca eccitazione e poi tu sei entrata nella<br />

mia vita e io ho cominciato a capire quanto poco sapevo <strong>del</strong>la vita e<br />

<strong>del</strong>le donne. Ora parlami di te, di Luceia Britannico. Abbiamo<br />

parlato un po' di te quando sono arrivato, ma non abbastanza. Non<br />

abbastanza. Io sono un uomo inaridito, che anela a bere la tua vita<br />

dopo una vita da assetato. Quindi dimmi, cosa dovrei sapere di te?»<br />

«Ah! Le mie meraviglie! Cosa si può dire di me? Fammi<br />

pensare.» Fece una pausa, e poi si girò verso di me nell'oscurità.<br />

«Cosa dovresti sapere di me?» Rimase in silenzio mentre la mia<br />

mano si chiudeva sulla sua natica sinistra, dandomi tutto il tempo di<br />

ammirarne la consistenza, i morbidi contorni e la soffice forza.<br />

«Per prima cosa, dovresti sapere che Gaio pensa che sarei una<br />

buona moglie per te e che tu saresti un buon marito per me. Poi<br />

dovresti sapere che anch'io penso la stessa cosa. Sono arrivata a<br />

questa conclusione durante la cena con Varo, prima che Cilla<br />

cercasse di sedurti.»<br />

Per un istante rimasi come fulminato, stravolto dall'inatteso<br />

significato <strong>del</strong>le sue parole. Finalmente recuperai l'uso <strong>del</strong>la voce.<br />

«Vuoi dire... intendi dire che il comandante... tuo fratello... Gaio


approverebbe?»<br />

«Assolutamente, è ovvio che approverebbe! Ma questo non ha la<br />

minima importanza. Mio fratello non ha importanza, né potere in<br />

questo, Publio Varro!»<br />

Feci per mettermi a sedere, ma Luceia mise una mano dietro la<br />

mia testa e mi trasse a sé e appena prima che le nostre labbra si<br />

toccassero sussurrò: «Io sono la sola che deve approvare gli accordi<br />

matrimoniali che mi riguardano».<br />

Non potei prolungare il bacio, per quanto <strong>del</strong>izioso fosse. Mi<br />

sottrassi a lei e cercai di parlare di nuovo, ma le sue dita chiusero le<br />

mie labbra interrompendomi prima che potessi pronunciare il suo<br />

nome.<br />

«Sei preoccupato per i sentimenti di mio fratello, lo so, ma solo<br />

perché sei un uomo, con tutta la lealtà e nobiltà e stupidità di un<br />

uomo. Non hai sentito quello che ho detto? L'approvazione di mio<br />

fratello non influenzerebbe la mia decisione di averti o di rifiutarti.»<br />

Il tono <strong>del</strong>la sua voce aveva un'intensità che riconobbi e che mi<br />

trattenne dall'insistere. Decisi di restare in silenzio a pensare per un<br />

momento e Luceia allungò una mano, incredibilmente dolce e<br />

soffice e calda, fino al mio collo e al petto e poi parlò, sussurrando<br />

frasi senz'ombra di canzonatura.<br />

«Gaio, il mio caro fratello, è un idealista. È ovvio che approva un<br />

matrimonio tra di noi. Lui pensa che tu sia una specie di <strong>pietra</strong> di<br />

paragone e perciò ha deciso anni fa che non avrei potuto fare niente<br />

di meglio che diventare tua moglie. L'idea che io potessi avere voce<br />

in capitolo non gli è mai venuta. Lo amo molto, ma lui crede di poter<br />

applicare la sua indubitabile intelligenza strategica in ogni<br />

situazione con lo stesso successo che sul campo di battaglia. Non sa<br />

però che ci sono circostanze e condizioni nelle quali non può<br />

funzionare. Io non gli avrei permesso di decidere <strong>del</strong>la tua vita, così<br />

come non gli permetto di decidere <strong>del</strong>la mia. Prima che ci<br />

incontrassimo, pochi giorni fa, tu non sapevi nemmeno che io


esistessi: avevi vissuto, quanto? Trentasette anni? Trentasette anni<br />

senza di me. Avresti potuto viverne altri trentasette nello stesso<br />

modo, e altrettanto felicemente. Per me sono stati organizzati due<br />

matrimoni, a proposito dei quali non sono stata consultata. Non è<br />

stata colpa di nessuno se entrambi i matrimoni sono stati infelici. Ma<br />

adesso basta. Te l'ho già detto una volta, quando ci siamo conosciuti:<br />

io ho fatto il mio dovere di figlia ubbidiente. Due mariti sono morti.<br />

Ne ho bisogno un altro? Me lo sono chiesta e mi sono detta che la<br />

risposta era no. Non avevo bisogno di un uomo, giurai, che mi<br />

aiutasse a esistere e ad essere me stessa.» Fece una pausa. «Ma poi, ti<br />

ho incontrato e ho scoperto che l'idea di tornare ad essere moglie mi<br />

attira molto. E ho visto, essendo una donna, l'effetto che ti ho fatto<br />

quando mi hai incontrata. So che sarò una buona moglie per te e so<br />

che ti renderò felice, perché tu, Publio Varro, sei l'uomo che il fato e<br />

gli dei e il buon Gesù hanno deciso dovesse essere il mio signore e<br />

padrone. Questo ti scandalizza?»<br />

Mi scandalizzava, ma mentii. «No. Ma mi sorprende. Parli<br />

molto.»<br />

«Solo se ho qualcosa da dire. Adesso baciami.»<br />

Passò un po' di tempo prima che parlassimo di nuovo. Alla fine,<br />

non volendo lasciare le sue braccia, ma avendo bisogno di un po'<br />

d'aria, mi sedetti e rimasi con i gomiti appoggiati alle ginocchia.<br />

L'oscurità nella stanza era totale.<br />

«Abbiamo lasciato spegnere il fuoco» dissi. «Adesso dovranno<br />

accenderlo di nuovo.»<br />

«Non fa niente» sussurrò vicino a me. «Porteranno le braci da un<br />

altro fuoco. Publio?»<br />

«Sì?»<br />

«Mi sono resa ridicola? Pensi che io sia sfacciata e troppo<br />

ardita?»<br />

Mi distesi e appoggiai la mano sul suo seno. «Non sarebbe


possibile, Luceia.»<br />

«Allora perché sei così silenzioso? Non hai voglia di sposarmi?<br />

Perché se non vuoi...»<br />

«Sssh. Luceia, lascia parlare me un momento. Mi hai dato molto<br />

su cui pensare e mi hai quasi fatto impazzire dalla gioia, ma adesso<br />

devi darmi il tempo di dire quello che c'è nella mia mente e prima di<br />

farlo devo mettere ordine nei miei pensieri. Mi concedi il tempo di<br />

farlo?»<br />

«Sì, Publio.»<br />

Per un po' di tempo ci fu silenzio, durante il quale io mi sorpresi<br />

ad ascoltare il suo respiro. Alla fine mi distesi contro la pelle<br />

arrotolata che avevamo usato come cuscino e la tenni in modo che<br />

appoggiasse di nuovo la testa sul mio petto, il viso nell'incavo <strong>del</strong>la<br />

mia spalla. Mentre parlavo pettinava con le dita i suoi lunghi capelli<br />

neri.<br />

«Luceia» dissi. «Io posso solo pensare quello che la mia mente<br />

mi spinge a pensare. Io non sono mai stato innamorato. Non so cosa<br />

sia l'amore. Non ho mai avuto il tempo o il desiderio di scoprire cosa<br />

fosse. Ho conosciuto fisicamente poche donne e la maggioranza a<br />

pagamento. E non ho mai conosciuto nessuna come te prima d'ora.<br />

<strong>La</strong> tua bellezza mi ha spaventato quando ti ho visto per la prima<br />

volta, perché pensavo che tu mi considerassi uno storpio. Ora so che<br />

quel pensiero non era degno di te. Ma la tua mente, Luceia! <strong>La</strong> tua<br />

indipendenza, il modo in cui ti esprimi, il modo in cui sorridi e ridi e<br />

ti muovi, il colore dei tuoi occhi, la forma <strong>del</strong>la tua bocca sono tutte<br />

cose nuove per me e mi eccitano. Tu sei costantemente nei miei<br />

pensieri, in ogni momento, quando sono sveglio e anche quando<br />

dormo, pare...<br />

Non avevo pensato di dormire vicino a te stanotte. È successo<br />

per caso, perché ero così stanco. Dio sa che non ho mai sperato di<br />

poter possedere il tuo corpo. Ma ora è successo ed è la cosa più<br />

meravigliosa che abbia mai conosciuto e io mi sento come se fossi


itornato un ragazzino vergine. Nessuna altra donna ha mai<br />

conosciuto quello che ti ho dato di me stanotte. Hai avuto la mia<br />

anima e la possiedi ancora e quel possesso non cesserà mai. Io sono<br />

tuo, corpo e anima da questo momento in poi, qualunque cosa<br />

accada.<br />

Ora, se questo è amore, e io penso che possa esserlo, finalmente<br />

l'ho scoperto. Posso guardarti qui, in questa oscurità e vedere ogni<br />

tratto <strong>del</strong> tuo viso e ogni sfumatura <strong>del</strong> tuo sorriso e posso dirti che<br />

ti amo e so che è vero. E se, come hai detto, sei contenta di diventare<br />

mia moglie, di dividere la mia vita e di portare in grembo i miei figli<br />

e creare per me una casa che io possa chiamare mia e tua, allora<br />

nessun uomo vivente sarà più felice di me. Perché mi sembra che<br />

una simile felicità si possa trovare solo nel <strong>cielo</strong> di cui parlano i<br />

preti.»<br />

Mi fermai, trassi un profondo respiro, soppesando con cura le<br />

parole prima di affidarle al mio discorso.<br />

«Ma c'è una sola cosa che temo. Tuo fratello, Gaio. Lui ha<br />

significato per me più di ogni altra persona dopo la morte di mio<br />

nonno. Non avrei mai osato sperare che lui benedicesse un<br />

matrimonio tra me e sua sorella. Stanotte tu mi dici e lui lo sperava e<br />

io ti credo, malgrado tutto, e ne sono felice. Però, amore mio, devo<br />

dirti sinceramente che dopo stanotte sono disposto a sfidare la sua<br />

volontà - non con gioia, ma lo farò - se dovesse rifiutarci il suo<br />

consenso. Abbandonerei il mio amico per tenere te. Ti amo. Non<br />

posso dire di più.»<br />

Mi sentivo più che sorpreso e compiaciuto per la mia stessa<br />

eloquenza e il calore <strong>del</strong> trattamento che lei mi riservò durante i<br />

successivi fantastici minuti mi convinsero che ero riuscito a dire le<br />

cose giuste.<br />

Poco tempo dopo aprii gli occhi e vidi il chiarore <strong>del</strong>l'alba alla<br />

finestra. Luceia era già in piedi e io ero solo nella piccola stanza che<br />

avevamo condiviso. Scesi dal letto e mi infilai i vestiti, mentre i miei


pensieri correvano a separare i sogni dalla realtà. Stavo<br />

allacciandomi i sandali quando Luceia tornò nella stanza. Interruppi<br />

di colpo quello che stavo facendo, e cercai di leggere la sua<br />

espressione nella penombra.<br />

Lei venne diritta dove stavo e si mise di fronte a me, con le mani<br />

sui fianchi. Era abbastanza alta da potermi guardare negli occhi e io<br />

fui sollevato nel vedere il suo sorriso.<br />

«Allora, Publio Varro, ora che il giorno è spuntato, ho il diritto<br />

di pensare a te come a un marito?»<br />

<strong>La</strong> presi e la tirai contro di me. «Sì, amore mio, mia amata» dissi.<br />

«Fino a che avrò fiato e vita per chiamarti moglie.»<br />

Il nostro bacio fu breve, però. Si liberò dalla stretta e si lisciò la<br />

gonna sulle gambe.<br />

«Così sia. Non lo rimpiangerai, amore mio. Ma ci sono cose da<br />

preparare. Dobbiamo ritornare alla villa e io devo cominciare i<br />

preparativi per il nostro matrimonio. Tu, nel frattempo, servirai<br />

meglio tutti noi se ti dedichi a dissotterrare la tua <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>. In<br />

questo modo nessuno dei due distrarrà l'altro da quello che deve<br />

essere fatto. Scriverò a Gaio oggi stesso e gli manderò la lettera con<br />

la posta militare domani.» Si fermò bruscamente, come<br />

soprappensiero e poi tornò verso di me, prendendo le mie mani tra<br />

le sue e premendo la sua bocca contro la mia.<br />

«Quasi dimenticavo di dirtelo» sussurrò. «<strong>La</strong> notte scorsa è stato<br />

come il paradiso sulla terra e ti amo. E non ci sono pulci nel mio<br />

letto, vedrai!»


LIBRO QUARTO<br />

IL NIDO DEL DRAGO


XXI.<br />

Nel mese seguente Luceia fu molto occupata con i preparativi per le<br />

nozze. Da parte mia mantenni la parola e per rimanere fuori dai<br />

piedi andai a dissotterrare pietre celesti. Con mio grande<br />

disappunto trovai sette pietre - che pensavo fossero pietre <strong>del</strong> <strong>cielo</strong> -<br />

la più grande <strong>del</strong>le quali era poco più grande <strong>del</strong> cranio di un<br />

neonato. <strong>La</strong> mia esperienza nell'estrazione dei metalli, per quanto<br />

scarsa, mi dava la certezza che, se anche fossi riuscito a fonderle,<br />

non ne avrei ricavato abbastanza metallo da compensare la fatica.<br />

L'aspetto più scoraggiante era che avevo scavato prima nei<br />

“nidi” più grandi. Se quelle che avevo trovato erano le pietre <strong>del</strong><br />

<strong>cielo</strong> più grandi <strong>del</strong>la regione, allora tutti i miei sogni e miei sforzi<br />

non valevano nulla. Eppure c'era qualcosa che mi sfuggiva. <strong>La</strong><br />

<strong>pietra</strong> di mio nonno cadendo aveva fatto tanto rumore da svegliare<br />

un solo uomo. Non avevo mai visto la <strong>pietra</strong>, ma sapevo che era<br />

abbastanza pesante da contenere diverse libbre di metallo grezzo.<br />

Quello che mi disorientava era che la discesa di queste era stata<br />

seguita - vista e sentita -da centinaia di persone, per un raggio di<br />

molte miglia. Qualcosa mi sfuggiva. Dovevano esserci altre pietre<br />

<strong>del</strong> <strong>cielo</strong> più grandi sepolte altrove; evidentemente stavo cercando<br />

nel punto sbagliato, forse addirittura nella valle sbagliata.<br />

Scoraggiato e frustrato decisi di interrompere gli scavi per un<br />

po' e di cercare di estrarre il metallo dalle pietre che avevo già<br />

recuperato. Avrei dovuto costruire una fornace da estrazione, un<br />

forno di cottura, da qualche parte sul terreno <strong>del</strong>la villa, perciò levai<br />

le tende e mi diressi verso quella che ormai consideravo la mia casa.<br />

Luceia mi aspettava in ogni caso di ritorno per quel giorno. Ero stato<br />

via cinque giorni e stavo ormai per finire le provviste. Malgrado il<br />

piacere di rivederla, il mio umore però non era felice quando iniziai<br />

il viaggio di ritorno.


Eravamo ormai a metà gennaio e benché l'inverno fosse stato<br />

abbastanza mite, c'era nell'aria minaccia di neve. Fermai il cavallo<br />

sulla sommità <strong>del</strong>la collina e gettai un ultimo sguardo nella valle dei<br />

draghi. Era sterile e ostile, fredda e inospitale. I segni dei miei scavi<br />

erano invisibili da quell'altezza e la superficie <strong>del</strong> lago all'estremità<br />

<strong>del</strong>la valle sembrava un letto di ardesia sotto il <strong>cielo</strong> corrucciato. Mi<br />

avvolsi meglio nel mantello e decisi di non ritornare per almeno tre<br />

mesi. Allora, speravo, la primavera avrebbe reso quel posto più<br />

accogliente.<br />

Quando raggiunsi la villa ero di umore cupo. <strong>La</strong> temuta neve<br />

aveva iniziato a cadere mista a pioggia mentre ero ancora per strada,<br />

a otto miglia da casa. Ero infreddolito e affamato, ma ebbi<br />

abbastanza buon senso da andare direttamente al bagno prima di<br />

cercare Luceia. Acqua calda e vapore caldo avrebbero migliorato il<br />

mio umore.<br />

Non avevo ancora finito il bagno quando fui interrotto dal<br />

cameriere personale di Luceia, un greco di nome Diomede, che<br />

portava degli abiti puliti. Mi diede il benvenuto a casa e mi informò<br />

che la signora Luceia stava intrattenendo degli ospiti e che la cena<br />

sarebbe stata servita entro mezz'ora. Nel frattempo potevo, appena<br />

fossi stato pronto, recarmi nell'atrio dove gli ospiti stavano bevendo<br />

una coppa di vino. Lo ringraziai e abbreviando la mia permanenza<br />

in piscina infilai in fretta gli abiti che vidi essere tra i migliori<br />

confezionati dai sarti di Luceia durante il mese appena trascorso. In<br />

breve, strofinato e rinfrescato e quasi splendente nei miei nuovi abiti<br />

eleganti, mi affrettai attraverso il portico dall'edificio dei bagni verso<br />

l'edificio principale, curioso di scoprire chi fossero gli ospiti. Erano<br />

tre, tutti giovani, tutti belli e tutti soldati. Erano vestiti secondo la<br />

moda in “uniforme informale”, tuniche decorate abilmente in modo<br />

da sembrare armature. Sentii un'ondata di irrazionale gelosia al<br />

pensiero che avrebbero potuto essere lì con Luceia mentre io sarei<br />

stato ancora sulle colline se non fosse stato per un attacco di<br />

frustrazione. Repressi quel sentimento, però, riconoscendo che era


meschino, e costrinsi i muscoli <strong>del</strong> viso in un sorriso; andai per<br />

prima cosa a salutare e baciare Luceia, concedendo loro solo un<br />

cortese e impersonale cenno.<br />

Luceia era radiosa alla luce di forse mille <strong>del</strong>le migliori can<strong>del</strong>e<br />

di cera d'api <strong>del</strong>la casa. Non l'avevo mai vista così bella e glielo dissi,<br />

ma i suoi occhi splendevano di una gioia che non era dovuta<br />

solamente alla mia presenza. Mi strinse il braccio con forza, in preda<br />

a un'inspiegabile eccitazione, e mi presentò i suoi ospiti, tutti quanti<br />

di guarnigione nel sud, a Portus Adurni, oggi Portchester. Li salutai<br />

personalmente, dando loro il benvenuto a Villa Britannico, poi presi<br />

una coppa di vino da Diomede prima di voltarmi di nuovo verso di<br />

loro, con Luceia al mio fianco.<br />

«Signori, alla vostra salute! Posso chiedere cosa vi porta qui?»<br />

«Io, Publio!» <strong>La</strong> voce, che proveniva da dietro le mie spalle, mi<br />

fece girare così in fretta che versai il vino; di fronte a me c'era Gaio<br />

Britannico, che entrava a grandi passi dalla porta con le braccia<br />

aperte per abbracciarmi, la bocca spalancata in un grande sorriso. Mi<br />

buttò le braccia al collo e mi sollevò completamente da terra,<br />

facendomi fare un giro completo prima di lasciarmi andare.<br />

«Per tutti gli dei, Varro, hai un ottimo aspetto. E sei pulito!<br />

Nessun segno di Vulcano in quest'uomo. Mia sorella mi dice che<br />

non c'è stato modo di sbatterti fuori da quando hai sentito <strong>del</strong>le<br />

nostre pietre celesti.»<br />

Ammutolito nella vana ricerca <strong>del</strong>le parole adatte, muovevo lo<br />

sguardo da lui a Luceia; allora Luceia, il cui sorriso era grande<br />

quanto quello <strong>del</strong> fratello, fece un passo avanti e ci strinse entrambi<br />

in un abbraccio.<br />

«Scusami caro» disse attraverso le risate. «Gaio è arrivato ieri,<br />

scortato da questi tre ufficiali. Voleva venire subito a cercarti nella<br />

tua valle, appena ha sentito che eri là, ma io non gliel'ho permesso.<br />

Sapevo che saresti arrivato a casa oggi o domani e volevo farti una<br />

sorpresa e vedere la tua espressione quando vi sareste incontrati.


Perciò ho fatto giurare a tutti di mantenere il segreto finché non vi<br />

foste visti. Sono stata cru<strong>del</strong>e?»<br />

Alla fine ritrovai la voce. «No, non è stato cru<strong>del</strong>e. Piuttosto<br />

femminile, e perciò incomprensibile. In ogni caso hai avuto<br />

successo. Sono... sorpreso... in realtà, sbalordito.» Sorrisi a Gaio.<br />

«Benvenuto a casa, proconsole. Com'era l'Africa?»<br />

«Calda, puzzolente, infestata da mosche e pestilenziale. È<br />

cambiata poco da quando tu e io l'abbiamo vista l'ultima volta. Ma<br />

ho lasciato il proconsolato nelle mani <strong>del</strong> mio successore. Adesso<br />

sono solo Gaio Britannico, colono di poche occupazioni.»<br />

«Certo» sogghignai, «e proconsole di Numidia, senatore di<br />

Roma, generale <strong>del</strong>le legioni e magistrato. Nessuno di questi titoli<br />

può essere abbandonato.»<br />

«No, amico, ma ormai sono solo titoli e ne ho avuto abbastanza<br />

per tutta la vita. Da adesso in poi sono solo Gaio Britannico.» Mise<br />

un braccio intorno alle mie spalle e si girò verso gli altri. «Signori,<br />

adesso andiamo a cena. Ma prima voglio un brindisi. A Publio<br />

Varro, il mio amico più caro, a cui devo la vita innumerevoli volte e<br />

al matrimonio che si celebrerà presto tra lui e la mia amata sorella.»<br />

Luceia prese la mia mano mentre gli altri bevevano al nostro<br />

futuro e quando ebbero finito Diomede venne avanti per<br />

accompagnarci nel triclinio. Ma Gaio ci trattenne, appoggiando una<br />

mano sulla spalla di ognuno, fino a che gli altri furono entrati nella<br />

sala da pranzo. Poi mi fece girare verso di lui gentilmente e mi parlò<br />

a voce bassa, guardandomi dritto negli occhi.<br />

«Luceia mi dice che dubiti <strong>del</strong>la mia approvazione per questo<br />

matrimonio?» Fece un sospiro e scosse la testa in segno di ironico<br />

dispiacere. «Publio Varro, mi stupisci, ma vorrei che ce ne fossero di<br />

più come te. Stammi a sentire una volta per tutte. Non potrei<br />

pensare a una unione migliore per nessuno di voi. Siete tutti e due di<br />

puro sangue romano e siete i miei favoriti al mondo. Vi amo allo<br />

stesso modo. Insieme sarete una coppia formidabile e mi fornirete


una tribù di notevoli nipoti, che sarà mio piacere viziare in modo<br />

vergognoso. Hai la mia assoluta e incondizionata benedizione e te la<br />

do volentieri, sapendo che questo farà di noi dei fratelli di fatto oltre<br />

che di spirito.»<br />

<strong>La</strong> gola mi si chiuse <strong>del</strong> tutto e lo abbracciai in silenzio, come un<br />

fratello, per la prima volta.<br />

Mentre ci avvicinavamo alla tavola notai che c'erano sette posti<br />

per sei persone. Non feci commenti, ma anche Gaio lo notò.<br />

«Dov'è Pico?» chiese, proprio nel momento in cui un bel ragazzo<br />

di circa sedici anni entrava nella stanza. «Ah, sei qui, sei in ritardo.»<br />

Il ragazzo annuì, venendo avanti. «Lo so, scusatemi, padre, zia<br />

Luceia, signori.» I suoi occhi incontrarono i miei e sostennero il mio<br />

sguardo mentre veniva verso di me e si inchinava.<br />

«Publio» disse Gaio, «questo è mio figlio Pico. Pico, il mio amico<br />

Publio Varro. Hai sentito parlare di lui per anni e finalmente è<br />

arrivato il momento di conoscerlo. Sarà presto tuo zio.»<br />

«Lo so.» Il sorriso <strong>del</strong> ragazzo era aperto e fiducioso ed<br />

esprimeva una gradevole sicurezza. Gli offrii il braccio come a un<br />

pari e lui lo strinse, mentre chiedeva: «Posso chiamarti zio Varro?».<br />

«Zio Varro?» Annuii, tenendo gli occhi fissi su di lui. «Suona<br />

bene. D'accordo.»<br />

<strong>La</strong> cena fu il festeggiamento di molte cose. <strong>La</strong> conversazione fu<br />

ampia e spesso allegra. Notai però che Gaio si rifiutava di parlare<br />

<strong>del</strong> periodo passato in Africa. Parlò liberamente <strong>del</strong>le sue visite a<br />

Roma e alla corte imperiale di Costantinopoli e il suo spirito caustico<br />

ci fece ridere più volte. Ma non una parola sulla sua permanenza in<br />

Numidia.<br />

Il tempo passò in fretta e nel corso <strong>del</strong> pranzo venni a sapere che<br />

i giovani ufficiali dovevano tornare immediatamente alla<br />

guarnigione: sarebbero partiti all'alba e Pico avrebbe viaggiato con<br />

loro fino a dove fosse stato possibile, poi da lì sarebbe andato a


Londinium dove doveva iniziare il servizio militare dalla gavetta,<br />

come avevamo fatto anch'io e suo padre. Cominciando come soldato<br />

semplice avrebbe dovuto conquistarsi il rango di centurione grazie<br />

ai suoi meriti. Solo in seguito avrebbe potuto ambire alla carriera di<br />

ufficiale.<br />

Non appena ne fui informato, mi allontanai un momento da<br />

tavola e mandai Diomede nella mia camera a prendere un pacco. Lui<br />

me lo portò senza dare nell'occhio, come gli avevo detto di fare, e io<br />

posai il pacco ai miei piedi aspettando il momento adatto.<br />

Quando il momento venne, mi schiarii la voce, intenzionato a<br />

dire quello che volevo in modo semplice e preciso, proprio come il<br />

mio amico Alarico.<br />

«Pico» iniziai, «ho da dirti due parole, visto che sei il mio nipote<br />

più recente.» Questo suscitò una risata generale che alleviò un po' il<br />

mio imbarazzo. Pico mi guardava con una certa trepidazione<br />

dall'altro lato <strong>del</strong>la tavola. «Presto entrerai nelle legioni. Domani,<br />

per la precisione, visto che lasciare la casa a tale scopo ne segna già<br />

l'ingresso. Ho un regalo per te e mi farai un onore se lo accetterai.»<br />

Il ragazzo spalancò gli occhi chiedendosi cosa potesse essere. Io<br />

allungai una mano sotto il tavolo e presi il pacco che Diomede mi<br />

aveva portato, aprendolo mentre continuavo a parlare.<br />

«Prima che tuo padre partisse per l'Africa, mi chiese di fargli<br />

questa spada. Non era ancora pronta quando andò via, perché non<br />

avevo idea che stesse per partire fino a che non fu troppo tardi. E<br />

adesso lui giura che non sarà mai più un soldato. In ogni caso io l'ho<br />

fatta per il generale Britannico ed è una bella arma, penso.<br />

L'impugnatura è fatta in un solo pezzo, grazie a una nuova tecnica<br />

che ho sperimentato. Adesso che il generale non ha più bisogno di<br />

una spada penso che il posto più appropriato per appenderla sia il<br />

fianco di suo figlio.» <strong>La</strong> estrassi dal fodero rivestito di bronzo. «I<br />

disegni sul fodero e sull'impugnatura sono celtici - lo stile dei popoli<br />

<strong>del</strong>la Britannia - appropriati per un Britannico quanto il suo nome. Il


ferro con cui è stata forgiata la lama è stato estratto e lavorato qui in<br />

Britannia. Credimi, Pico, puoi portare e usare questa spada con<br />

assoluta fiducia. Ti servirà ugualmente bene in battaglia che in<br />

parata.» Sguainai l'arma e gliela porsi.<br />

Nessuno parlò mentre Pico prendeva la spada dalle mie mani e<br />

la guardava con reverenza, seguendo con gli occhi le spirali e le<br />

decorazioni dei disegni celtici che la ricoprivano. Il fodero era di<br />

pelle di pecora, foderato con la lana naturale <strong>del</strong>l'animale; l'avevo<br />

raschiata e rasata fino a togliere quasi completamente il vello, per<br />

proteggere la lama dalla ruggine e per pulire il ferro ogni volta che<br />

la lama veniva sguainata o riposta. <strong>La</strong> superficie esterna era coperta<br />

da una lamina di bronzo, sottile come la pergamena più fine, battuta<br />

e decorata a mano da me. Avevo voluto il meglio di cui ero capace<br />

per il mio amico.<br />

Pico sguainò la spada con rispetto, saggiandone il peso e<br />

fendendo l'aria per provarla.<br />

«Zio Varro» disse, «non ho mai posseduto, né impugnato, né<br />

visto niente di così bello. Ti ringrazio per l'onore che hai fatto a mio<br />

padre forgiando questa spada per lui, e per l'onore che fai a me<br />

considerandomi degno di riceverla.» Si girò verso suo padre.<br />

«Padre, ti giuro che cercherò di portare questa spada con tutto<br />

l'onore che tu le avresti conferito.»<br />

Proprio un bel discorso per un ragazzo di quell'età. Vidi che<br />

Britannico era commosso. Si alzò e si avvicinò a suo figlio e lo<br />

abbracciò senza parlare. Sentii su di me gli occhi di Luceia e quando<br />

guardai erano umidi di lacrime. Britannico si girò verso di me e lessi<br />

l'approvazione nei suoi occhi. Si schiarì la voce e mi chiesi cosa<br />

stesse per dire.<br />

«Un'altra coppa di vino, Publio, per bagnare la testa <strong>del</strong>la nuova<br />

recluta <strong>del</strong>l'Impero.»<br />

Mentre Pico mostrava agli ufficiali il suo dono, noi bevemmo<br />

alla sua salute e alla vecchia XX Legione e poi a Varro, il fabbricante


di spade. Quando le nostre coppe furono vuote, Britannico guardò<br />

di nuovo suo figlio con le sopracciglia alzate, e disse in tono<br />

imperioso: «E ora, giovanotto, puoi ritirarti. Sei ancora un civile e<br />

non hai ancora l'età legale per portare armi. Ti auguriamo la buona<br />

notte».<br />

Quando il ragazzo fu andato via, ci sedemmo di nuovo.<br />

«È un bel giovane, Gaio» dissi. «Sembra un dio greco.»<br />

«Sembra un dannatissimo unno, ecco cosa sembra. Tutti i<br />

membri <strong>del</strong>la famiglia di sua madre hanno quell'aspetto.<br />

Sostengono di essere di pura stirpe romana, ma una <strong>del</strong>le loro nonne<br />

deve essersi incapricciata di uno schiavo nordico, se vuoi sapere<br />

cosa penso.»<br />

<strong>La</strong> partenza di Pico sembrò essere il tacito segnale <strong>del</strong>la fine<br />

<strong>del</strong>la cena. Poco dopo i tre giovani ufficiali chiesero il permesso di<br />

ritirarsi. Dovevano essere in cammino prima <strong>del</strong>l'alba e li aspettava<br />

un lungo viaggio. Luceia lasciò Gaio e me soli per qualche momento<br />

e andò a parlare con Diomede e il personale di cucina dei<br />

preparativi per una leggera colazione e le provviste per i viaggiatori,<br />

e quando tornò ci augurò la buona notte e ci raccomandò di non<br />

rimanere alzati troppo a lungo a chiacchierare.<br />

Gaio prese la brocca <strong>del</strong> vino, che ne conteneva ancora molto, e<br />

andammo insieme nella sua stanza, dove un servitore aveva<br />

preparato un braciere per il nostro agio.<br />

Restammo seduti in silenzio per un po', ognuno occupato con i<br />

propri pensieri. Gaio ruppe il silenzio per ringraziarmi di nuovo per<br />

il gesto <strong>del</strong>la spada e io scrollai le spalle dicendo che non potevo<br />

immaginare destinazione migliore per quell'arma.<br />

«Comunque,» insistette lui, «è stato un gesto degno di un nobile<br />

amico.»<br />

«Bene,» dissi con un piccolo sorriso. «Ero un po' preoccupato -<br />

non molto, ma un po' - che tu potessi obiettare perché gliela davo


senza consultarti. L'ho fatto impulsivamente, ma la spada era stata<br />

fatta per te in prima istanza.»<br />

Scosse la testa. «No, Varro. Come potrei avere <strong>del</strong>le obiezioni? È<br />

una spada magnifica che sarei stato fiero di portare. Ma io non ho<br />

più bisogno di una spada e a Pico piacerà molto. Non ce ne sarà una<br />

simile nella sua legione. E inoltre so che te l'ho già chiesto, ma come<br />

fai a rendere il ferro <strong>del</strong>la spada così chiaro? È il metallo <strong>del</strong>la <strong>pietra</strong><br />

<strong>del</strong> <strong>cielo</strong>?»<br />

Risi, scuotendo la testa. «No, niente pietre <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>, niente<br />

magia, solo uno dei trucchi di mio nonno, comandante. Mescoliamo<br />

il carbone di legna al ferro durante il processo di estrazione e di<br />

tempera. Questo rende più dura e forte la lama e la mette in grado di<br />

mantenere meglio il filo. Come effetto collaterale il colore diventa<br />

più chiaro.»<br />

«Ah, già, estrarre e fondere. Avevi cominciato a raccontarmi<br />

qualcosa, l'ultima volta che ci siamo visti. Domani voglio parlarne<br />

più a lungo. E cosa mi dici <strong>del</strong>la decorazione celtica sul fodero? È la<br />

stessa che c'è sulla spada fatta da tuo nonno, vero? Quella che<br />

adesso ha Teodosio?»<br />

«Sì, più o meno. È stato il tuo amico Alarico che mi ha fatto<br />

interessare a questo... tra le altre cose.»<br />

Sorrise. «Alarico è un catalizzatore. Nessuno rimane lo stesso<br />

dopo averlo incontrato. Ma Luceia mi ha detto che adesso sei un<br />

uomo ricco, grazie all'eredità di tuo nonno, se ho capito bene.<br />

Sembra una storia affascinante, mi piacerebbe sentirla, se hai<br />

tempo.»<br />

«Non c'è molto da dire, comandante.» Sedetti in silenzio per<br />

qualche minuto raccogliendo i miei pensieri. Poi, in poche parole, gli<br />

raccontai la storia <strong>del</strong> ritrovamento <strong>del</strong> tesoro dentro le picche <strong>del</strong><br />

nonno.<br />

Mi ascoltò con attenzione, come sempre, e poi cominciò a farmi


domande che partivano dall'oro e toccavano tutto quello che avevo<br />

fatto in quei cinque anni. A tutto risposi brevemente, sperando di<br />

liberarmi alla svelta per potergli chiedere <strong>del</strong>le sue avventure, ma<br />

per quanto cercassi non riuscivo a evitare le sue domande e a<br />

formularne qualcuna io.<br />

Alla fine gli raccontai l'intera storia <strong>del</strong> mio incontro con Seneca,<br />

<strong>del</strong>la mia fuga da Colchester e dei miei guai sulla strada per Aquae<br />

Sulis.<br />

«Così» disse alla fine, «è ai Seneca che dobbiamo il piacere <strong>del</strong>la<br />

tua compagnia. Da quanto tempo sei qui ormai? Un mese, due? E il<br />

tuo incontro iniziale con il rampollo dei Seneca a quando risale? Un<br />

mese prima, più o meno?»<br />

«Meno» dissi. «Circa due settimane, forse tre.»<br />

«Quintilio Nesca ti conosce di vista?»<br />

«No, per niente. Nessuno di loro sa veramente chi sono. <strong>La</strong><br />

gentaglia che ho incontrato per strada cercava un uomo con i capelli<br />

grigi e zoppo. È tutto quello che sanno. Non mi troveranno mai.»<br />

«Mmm, a meno che Primo Seneca non si ricordi che avevo un<br />

amico con i capelli grigi e zoppo l'ultima volta che mi ha visto, cosa<br />

non improbabile. Non sottovalutare mai i Seneca, Publio. Non sono<br />

come gli altri uomini. Hanno una disposizione al male che è quasi<br />

soprannaturale.»<br />

«In questo caso, comandante» dissi, turbato dal tono inquietante<br />

<strong>del</strong>la sua voce e dall'accertamento di un punto che era venuto in<br />

mente anche a me mesi prima, «è meglio che me ne vada. Non vedo<br />

il motivo di attirare guai in casa tua.»<br />

«Non essere ingenuo, Publio, non risolverebbe niente. Se<br />

vogliono venire qui, ci verranno. Non sarà la tua assenza a bloccarli.<br />

Tu e io dovremmo dormire un po'. È tardi e domani dobbiamo<br />

alzarci presto. Ne riparleremo alla luce <strong>del</strong> giorno. Ma non c'è<br />

bisogno di preoccuparsi, amico. Ho <strong>del</strong>le risorse. <strong>La</strong> prima cosa che


faremo è controllare il loro umore; faremo qualche domanda e<br />

scopriremo se la caccia è ancora attiva. È possibile che Primo non<br />

abbia mai collegato me e te, con la scarsa descrizione che aveva a<br />

disposizione. Io sono stato via a lungo, lontano dagli occhi e,<br />

possiamo sperare, lontano dal cuore. Altrimenti lo sapremo entro<br />

quindici giorni. Ora faremo bene ad andare a letto.»<br />

«Comandante» stavo lottando con i miei pensieri. «Prima di<br />

andare, comandante, ho una domanda.»<br />

Il mento gli ricadde sul petto e io ebbi l'impressione precisa che<br />

non mi stesse ascoltando. «Comandante.»<br />

«Comandante! Sono tre dannati comandanti in un solo respiro!»<br />

Sbattei gli occhi per quell'esplosione inaspettata e Gaio sospirò<br />

esasperato prima di girarsi verso di me e continuare.<br />

«Varro, tu e io ci conosciamo, come uomini e come camerati, da<br />

oltre undici anni. Non posso immaginare un altro uomo che io<br />

ammiri o stimi di più. Mi ritengo privilegiato, credimi, a chiamarti<br />

amico. So che c'è una parte di te che non ha mai smesso di pensare a<br />

se stesso come al centurione e a me come all'ufficiale anziano, ma io<br />

ti ho nominato mio primus pilus, Varro, e non l'ho mai rimpianto,<br />

nemmeno per un momento. Né l'ho fatto per amicizia. Ti eri<br />

meritato la promozione. Il tuo talento e le tue abilità naturali<br />

esigevano che tu avessi quel rango. In molti modi tu, amico mio, sei<br />

l'incarnazione di tutto quello che io ritengo degno di onore nel<br />

termine “romano”. Ho conosciuto ufficiali di carriera a centinaia,<br />

politici, senatori e imperatori che non reggono il confronto con te.<br />

Non guardarmi così. Lo so che ti mette in imbarazzo sentire certe<br />

cose, ma ascoltami e capiscimi bene. Il mio nome è Britannico per<br />

tutti i colleghi e i soci d'affari. I miei amici mi chiamano Gaio.<br />

Nessuno mi chiama più comandante, tranne te. Il mio nome è Gaio.<br />

Adesso fammi sentire come lo dici.»<br />

«Gaio.»


«Esatto. E io ti chiamerò Publio. Tranne quando ce ne<br />

dimenticheremo, nella foga <strong>del</strong> momento, ci rivolgeremo l'uno<br />

all'altro come amici e fratelli. D'accordo?»<br />

Annuii. «D'accordo.»<br />

«Bene! E so che ti prenderai cura di mia sorella. È una brava<br />

ragazza, Publio. Sarà un'ottima moglie e ti riempirà la casa di<br />

bambini. Figli, Publio, figli! Questo è ciò di cui un uomo ha bisogno.<br />

Non se ne hanno mai abbastanza. Guarda cosa è successo a me. Ne<br />

ho persi tre in un mese e adesso il mio maggiore entra nell'esercito.<br />

Se si fa ammazzare il mio nome morirà con me.»<br />

Tacque, e io approfittai <strong>del</strong>la pausa per versare <strong>del</strong> vino dopo di<br />

che rimanemmo qualche minuto in silenzio, prima che lui parlasse<br />

di nuovo.<br />

«Allora? Qual era la tua domanda?»<br />

«Era a proposito <strong>del</strong>la tua famiglia.» Esitai un momento e poi mi<br />

buttai. «Non ti ho espresso il mio cordoglio, da quando sei tornato a<br />

casa, e tu non hai voluto fare riferimento a quello che è successo.<br />

Cosa è successo in Africa, Gaio?»<br />

Gli tremava la mano mentre fissava il fondo <strong>del</strong>la sua coppa, e<br />

rimase senza rispondere alla mia domanda per un tempo così lungo<br />

che io cominciai a chiedergli scusa per avere osato chiedere, ma lui<br />

mi fece cenno di tacere.<br />

«È stato brutto, Varro. Molto, molto brutto.» <strong>La</strong> sua voce era<br />

spenta e sommessa, ma non facevo fatica a sentirlo. «Sapevo fin<br />

dall'inizio che non sarebbe stato piacevole e avrei voluto lasciare la<br />

mia famiglia qui in Britannia, dove sarebbe stata al sicuro, ma<br />

Eraclita non ha voluto. Aveva deciso che la Britannia non era sicura,<br />

a causa <strong>del</strong>le incursioni di quei maledetti Sassoni, e devo ammettere<br />

che a quell'epoca tendevo a darle ragione.<br />

In ogni modo insistette che per una volta partissimo come una<br />

famiglia. Sono sempre andato da solo, lo sai, lasciandola con i


ambini, e lei non si era mai lamentata. Te l'ho detto nella lettera che<br />

ti ho scritto prima di partire, ricordi?» Annuii. «Ebbene, mio<br />

malgrado, cedetti alle sue argomentazioni. <strong>La</strong> Numidia era ormai<br />

colonizzata da secoli e non ci sarebbe stato pericolo, diceva. Come<br />

un pazzo ho accettato, perché sarebbe stato piacevole, per una volta,<br />

avere la mia famiglia vicina. È stato puro egoismo. Ho<br />

razionalizzato ogni obiezione che mi veniva in mente e ho chiuso gli<br />

occhi alle mille e una possibilità che potevano esserci contro di noi.<br />

Nel viaggio di andata, come sai, ci fermammo a Roma e poi a<br />

Costantinopoli. Eraclita trovò Roma odiosa. E anch'io. Ormai è un<br />

luogo molto deprimente. Da quando la corte si è spostata è quasi<br />

deserta. C'è ancora una corte, nominalmente, mantenuta dal<br />

cosiddetto imperatore di Occidente, ma e una barzelletta. Chi è<br />

qualcuno ormai vive a Costantinopoli. Solo il popolino vive a Roma,<br />

e i funzionari civili cercano di soddisfarlo per quanto possibile. È<br />

orribile. Costantinopoli è molto diversa. Diversa e misteriosa in un<br />

modo tutto orientale. Ci sarebbe piaciuto fermarci più a lungo.»<br />

<strong>La</strong> sua voce si incrinò, ripensando palesemente al piacere<br />

provato in quella città, e poi ritornò al suo racconto.<br />

«Infine arrivammo in Numidia e all'inizio era sopportabile. <strong>La</strong><br />

mole <strong>del</strong> mio lavoro era notevole e avevo poco tempo da passare con<br />

la famiglia, anche se era vicina. E poi, sei mesi dopo il nostro arrivo,<br />

mi ammalai per quella pestilenza. I nostri medici migliori non<br />

sapevano cosa fare e la malattia si diffondeva come le increspature<br />

nell'acqua. Niente riusciva a fermarla. Sai come sono i medici<br />

<strong>del</strong>l'esercito. <strong>La</strong> prima cosa che fanno è vietare di bere acqua, ma in<br />

questo caso non servì a niente. I nostri uomini cadevano come foglie<br />

in autunno. A centinaia morivano, a centinaia. E quelli che non<br />

morivano non miglioravano, sembrava che resistessero e poi<br />

peggioravano di nuovo proprio quando sembrava che facessero<br />

progressi. E io ero uno di loro. C'erano momenti in cui pensavo di<br />

stare per morire e c'erano momenti in cui pensavo di guarire. Era


indescrivibile. Mi indebolii quasi fino a morire, ma mi salvai.<br />

Ma la pestilenza prese mia moglie, mia figlia Meleia e i miei figli<br />

minori, Marco e Paolo. Tutti nel mese in cui io stavo peggio, e<br />

decisero di non dirmelo per paura che la notizia mi uccidesse. I<br />

medici si aspettavano che morissi da un giorno all'altro, ma Dio<br />

aveva deciso, per ragioni sue, che mi salvassi, e mi salvai. Il resto <strong>del</strong><br />

tempo passò come un castigo, senza distinzioni civili o militari, ma<br />

senza ulteriori disastri. E adesso sono qui.»<br />

«Mi dispiace, amico» dissi. «Non sapevo niente prima di<br />

arrivare qui, poche settimane fa. E sono rimasto inorridito.»<br />

«Eh sì.» Tirò su col naso. «Sono passati anni e mi ci sono<br />

abituato, quasi. Tranne quando i ricordi mi riassalgono <strong>del</strong> tutto<br />

inaspettati.»<br />

«E Pico, generale? Non è stato malato?»<br />

«No. <strong>La</strong> malattia non lo ha mai toccato e grazie a Dio ha la forza<br />

<strong>del</strong>la gioventù che lo preserva dal dolore e dai ricordi.»<br />

Non potevo dire altro senza rischiare di sembrare stupido, così<br />

tacqui. Gaio cambiò bruscamente argomento di conversazione.<br />

«Mi sarebbe piaciuto che tu fossi qui ieri quando siamo arrivati.<br />

Sarei stato interessato ad assistere alle tue reazioni in merito alla<br />

conversazione che si è svolta a tavola durante la cena. Una<br />

discussione affascinante su un argomento terrificante. Mi sarebbe<br />

piaciuto che tu la sentissi.»<br />

«Qual era l'argomento? Dimmi.»<br />

«Parlavamo di morale.»<br />

«Morale? Ed è un argomento terrificante?»<br />

«Sì, lo è». <strong>La</strong> serietà <strong>del</strong> suo tono di voce non bastò a spegnere il<br />

mio sorriso di sufficienza, che scomparve però rapidamente mentre<br />

lui proseguiva.<br />

«Ti dico, Publio, che il morale <strong>del</strong>le legioni non è mai stato così


asso, nemmeno durante l'invasione, anche se l'invasione<br />

riguardava solo la Britannia. C'è una malattia che colpisce tutto<br />

l'Impero. Il marciume è ovunque. <strong>La</strong> ribellione è ovunque: nessuna<br />

disciplina, nessun ordine, nessuna struttura di qualche rilevanza. Ci<br />

sono più mercenari barbari nell'esercito di quanti ce ne siano mai<br />

stati prima, anche se ognuno di loro si definisce oggi cittadino<br />

romano. Tu sai come la penso in proposito, ma sono le strutture che<br />

mancano, Varro. I fondamenti. Non ci sono più mo<strong>del</strong>li. Nessun<br />

simbolo di rispettabilità con cui i giovani <strong>del</strong> mondo romano<br />

possano identificarsi. Nessun valore accettabile per fede su cui<br />

basarsi. L'intero mondo sta crollando nel caos.» Rimase in silenzio<br />

per un po'. «Sai, Publio» proseguì, «che ho dovuto fare uno sforzo in<br />

Africa prima che la pestilenza mi colpisse? Avrei potuto farmi<br />

eleggere imperatore romano dalle mie legioni. Ti rendi conto di<br />

quello che significa?»<br />

Lo fissai ad occhi spalancati, chiedendomi come sarebbe finito<br />

quel monologo. Non lo avevo mai visto così depresso.<br />

«Io, Gaio Britannico, che ora siedo di fronte a questo fuoco, avrei<br />

potuto essere nominato o eletto imperatore di Roma dai miei soldati.<br />

E ne avevo cinquantamila sotto il mio diretto comando in Africa, con<br />

molte altre migliaia che avrebbero marciato sotto i miei stendardi.»<br />

Non mi venne nemmeno il dubbio che potesse esagerare.<br />

Sapevo che quello che mi diceva era la verità assoluta. Aspettai che<br />

proseguisse.<br />

«I soldati di Roma non sono leali a Roma, Publio. Lo Stato li ha<br />

privati di troppe cose e ha tradito i loro interessi e la loro fiducia<br />

troppo spesso. Non c'è un centro in cui i soldati possano focalizzare<br />

la loro lealtà, perciò essi trovano un'autorità con cui si possono<br />

identificare, aderiscono ad essa con devozione totale, quasi suicida.<br />

Io stesso sono stato avvicinato con cautela da alcuni dei miei<br />

ufficiali. Non sono state fatte chiare dichiarazioni di tradimento, ma<br />

mi è stato fatto capire che gli eserciti erano pronti in qualunque


momento a mettere al potere qualcuno che badasse alle loro<br />

necessità e si occupasse <strong>del</strong> rinnovamento dei confini. Avrei potuto<br />

farlo, Publio, se non mi fossi ammalato.»<br />

«Vuoi dire che lo hai preso in considerazione?»<br />

Stava esaminando la propria coscienza. «Preso in<br />

considerazione? Suppongo di sì. Certo. Ci ho pensato.»<br />

«E lo avresti fatto?»<br />

«Se avrei accettato l'Impero?» I suoi occhi passarono da me al<br />

fuoco. «Non lo so. Forse sì. Ero tentato, all'inizio, ma vidi la<br />

tentazione per quello che era e resistetti fino a che mi ammalai. Ero<br />

stato a Roma, ricordi, e a Costantinopoli, e non avevo visto niente<br />

che mi ispirasse lealtà per nessuno. E quando guardavo i miei<br />

uomini e il modo in cui venivano trattati dallo stesso governo mi<br />

sentivo sleale e colpevole nei loro confronti.» Fece un'altra pausa.<br />

«Roma non è niente senza le sue legioni, Varro. Eppure con<br />

determinazione le tratta come rifiuti da duecento anni e più, ormai. I<br />

pochi buoni imperatori che abbiamo avuto erano tutti soldati, tranne<br />

Claudio, che, malgrado ciò, fu il migliore di tutti, penso. I soldati<br />

capiscono le necessità <strong>del</strong>l'Impero, apprezzano le esigenze <strong>del</strong>la<br />

disciplina. Capiscono la logistica e le leggi <strong>del</strong>la domanda e<br />

<strong>del</strong>l'offerta. E capiscono anche la necessità di comunicazioni stabili<br />

su lunghe distanze, e l'importanza di lasciare le decisioni primarie<br />

alla discrezione <strong>del</strong> comandante di turno in periodi di emergenza.<br />

Forse sarei stato un buon imperatore.»<br />

<strong>La</strong> mia risposta fu enfatica. «Non esiste il forse per me, Gaio.<br />

Avrei scommesso sulla tua capacità di resistenza alla tentazione. Ma<br />

non è questo che conta, vero? Cosa pensi che succederà?»<br />

Scosse la testa. «Non lo so. Ma non succede niente di buono da<br />

molto tempo. Se i miei soldati erano disposti a farmi imperatore,<br />

allora è ipotizzabile che altri soldati vogliano eleggere altri<br />

imperatori tra i loro ufficiali, e Dio sa se i precedenti non mancano.»


«Ma...» mi interruppi.<br />

«Ma cosa?»<br />

«Ebbene, anche se ciò accade, non vedo pericoli per lo Stato<br />

romano in sé. So che gli eserciti hanno eletto imperatori anche in<br />

passato. Sono stati i pretoriani a mettere Claudio sul trono, anche se<br />

lo hanno fatto per scherno e non avevano idea che sarebbe stata una<br />

grande occasione per l'Impero. Ci sono state rivolte e guerre civili,<br />

ma l'Impero è sempre sopravvissuto. E non vedo in che modo una<br />

guerra civile a Roma potrebbe avere conseguenze per noi in<br />

Britannia.»<br />

«Probabilmente non ne avrebbe» rispose Gaio. «Non una guerra<br />

civile. Ma io ho paura di un'invasione, non di una guerra civile. Il<br />

punto che volevo cercare di chiarire prima di questa digressione è<br />

che non esiste più lo spirito <strong>del</strong>le legioni. Ai soldati non interessa più<br />

niente di Roma. Ovunque i popoli barbari sono amareggiati e<br />

affamati di sopravvivenza, Publio. Di fuga dai loro paesi sterili<br />

verso un luogo dove la vita sia più facile. Dove non si muoia di gelo<br />

a migliaia ogni inverno. Dove i bambini non muoiano di fame. E<br />

tutti vedono l'Impero come la terra promessa. Ricordati le mie<br />

parole, Publio: un giorno, probabilmente presto, quelle orde<br />

penetreranno nel cuore <strong>del</strong>l'Impero, e quando ciò accadrà sarà<br />

troppo tardi per salvare Roma. Ma il primo effetto <strong>del</strong>l'invasione<br />

sarà il panico. E gli eserciti, anche le legioni, saranno richiamati dalle<br />

frontiere per difendere la città e la campagna di Roma.»<br />

Mi alzai e andai verso il braciere acceso, tendendo le mani al suo<br />

calore. Quando Britannico esprimeva così chiaramente i suoi timori,<br />

mi sentivo sottosopra. Non avrei voluto proseguire quella<br />

conversazione, eppure dovevo farlo.<br />

«Pensi che accadrà presto?»<br />

«Troppo presto, Publio. Sì, lo penso. Tra i ranghi in Britannia già<br />

si dice che le legioni vogliano eleggere un imperatore qui.»


«Qui in Britannia?» Quel pensiero mi giunse come una totale e<br />

sgradevole sorpresa. «Pensi che lo faranno?»<br />

«Chi lo sa? Potrebbero. Ci sono alcuni uomini di servizio qui in<br />

Britannia che sono abbastanza ambiziosi per tentare.»<br />

«Davvero? E chi per esempio?»<br />

«Oh, ho sentito fare qualche nome. Magno Massimo, ad<br />

esempio.»<br />

«Chi è?»<br />

Mi guardò stupito. «Chi è...? Mio Dio, Publio, sei veramente<br />

all'oscuro di tutto. È l'idolo <strong>del</strong>le legioni! I suoi uomini pensano che<br />

sia in grado di camminare sulle acque. Punterei su di lui, come<br />

possibile partecipante alla corsa.»<br />

«Gli daresti il tuo sostegno?»<br />

Fece un breve sorriso notando la mia costernazione. «Non ho<br />

detto questo. Ho detto che se c'è qualcuno che può tentare la corsa<br />

all'Impero qui in Britannia, questo è lui.»<br />

«Allora non lo sosterresti?»<br />

«Mai. Quell'uomo è un politico. È completamente spietato ed<br />

egocentrico. Si preoccupa di essere amato dalle sue truppe perché ha<br />

bisogno <strong>del</strong> loro sostegno, ma se mai i soldati gli daranno quel<br />

potere dovrebbero poi stare attenti a se stessi.»<br />

«Potrebbe vincere l'Impero se venisse eletto?»<br />

Britannico scosse la testa dubbioso. «Una cosa è essere<br />

imperatore in Britannia, ma andare a Roma, liberarsi <strong>del</strong>l'imperatore<br />

di Occidente e poi prendere anche l'Impero d'Oriente? Sarebbe<br />

un'impresa enorme. Dovrebbe mettersi contro ogni legittimo<br />

interesse <strong>del</strong>l'Impero, ad eccezione <strong>del</strong>le sue truppe. Verrebbe<br />

combattuto in ogni altra parte <strong>del</strong>l'Impero da qualunque<br />

comandante militare che abbia gli stessi sogni di grandezza.»<br />

Ormai ero depresso. «Dio mio, Gaio! Fai sembrare tutto senza


speranza! Quando ti aspetti che le legioni vengano ritirate per far<br />

fronte a queste minacce di invasione?»<br />

«Il prossimo mese. Il prossimo anno. Tra dieci anni. Venti.<br />

Davvero non ho idea. Ma penso che prima o poi accadrà.»<br />

«E allora noi cosa faremo?»<br />

«Niente, Publio. Noi non faremo niente.» Il suo sorriso era<br />

sincero. «Rimarremo qui in Britannia, proprio qui nella villa, e ci<br />

godremo la vecchiaia, guardando i bambini crescere intorno a noi,<br />

occupandoci dei nostri affari e vivendo la nostra vita qui in questo<br />

bel paese.»<br />

Non riuscii a impedirmi di sorridere. «Indisturbati?»<br />

«Perché no? Se ci prepariamo in anticipo.»<br />

«Intendi dire isolando la villa e fortificandola?»<br />

«Sì, più o meno. Avremo bisogno dei mezzi per difenderci.»<br />

Scossi la testa. «Mi fai paura, Gaio, anche se sto sorridendo.<br />

Perché finiamo sempre a fare queste discussioni di notte? Volevo<br />

portarti alla fucina domani. Ho alcune cose da farti vedere. Ma mi<br />

sembra che sia già domani.»<br />

Gaio si stirò e sbadigliò come se gli avessi ricordato io di farlo.<br />

«Hai ragione, amico» mormorò. «È troppo tardi per risolvere i<br />

problemi <strong>del</strong>l'Impero. Troppo tardi in tutti i sensi. Andiamo a letto.»<br />

Ci alzammo, ognuno di noi prese una lampada, e io spensi<br />

quella che restava.<br />

Mi spogliai lentamente, assaporando il ricordo <strong>del</strong>la sensazione<br />

dei baci di Luceia. Sapevo che adesso avrei potuto andare da lei, ma<br />

la semplice presenza di Gaio nella villa mi bloccava. Sarebbe stato<br />

sleale nei suoi confronti, anche se forse era solo una mia idea. Ma era<br />

sufficiente.<br />

Grazie a tutti gli dei <strong>del</strong>l'antichità, Luceia leggeva in me come in<br />

un libro aperto, e si infilò nel mio letto prima che io mi fossi


spogliato.


XXII.<br />

Gaio era a casa già da due settimane quando mi resi conto che<br />

era un impostore. In realtà era un impostore innocuo, che ingannava<br />

se stesso più che gli altri, ma indubbiamente era un impostore e lo<br />

amai ancora di più per questo. Solo molto tempo dopo mi accorsi di<br />

essere stato consapevole per anni <strong>del</strong>le sue finzioni, ma poiché erano<br />

una parte integrante di lui le avevo accettate senza fare domande e<br />

quasi senza riconoscerle.<br />

<strong>La</strong> sua finzione consisteva nel chiamare se stesso romano e nel<br />

pensare a se stesso come l'incarnazione di tutte le virtù di Roma nei<br />

giorni <strong>del</strong>la sua vera grandezza. A dire la verità incarnava davvero<br />

quelle virtù, ma Gaio Britannico era anche un britanno, sia per<br />

nascita che per convinzione. Era nato in Britannia a seguito di una<br />

catena di eventi iniziata con il primo dei suoi antenati che fu<br />

chiamato Britannico, il primogenito <strong>del</strong>la terza generazione <strong>del</strong>la<br />

sua famiglia ad essere nato e cresciuto in Britannia. In tutte le sue<br />

peregrinazioni come soldato <strong>del</strong>l'Impero, amava dire, non aveva<br />

mai visto un luogo né un paese che potesse essere paragonato al suo<br />

per bellezza o piacevolezza di clima o per la stabilità, la forza e la<br />

semplicità <strong>del</strong> suo popolo.<br />

Quando feci questa scoperta l'oscurità andava aumentando, e gli<br />

uomini di Diomede avevano acceso le lampade e plesso molta legna<br />

nei bracieri contro il freddo <strong>del</strong>l'inverno, anche se la giornata era<br />

stata molto bella rispetto alla norma stagionale. Gaio non trovava<br />

pace quella sera e stava cercando freneticamente qualcosa che lo<br />

distraesse. Trovò un coiex appoggiato sul mio tavolo. Era un libro<br />

piuttosto semplice, rilegato rozzamente, ma era una novità. Lo<br />

guardai sollevarlo ed esaminarlo con cura. <strong>La</strong> copertina recava una<br />

complicata versione di complesse decorazioni celtiche; aprì il libro a<br />

caso e ne trovò <strong>del</strong>le altre. Neanche una parola, solo una collezione


di disegni, tutti palesemente opera <strong>del</strong>la stessa mano.<br />

«Ebbene, cosa ne pensi?» gli chiesi.<br />

«È meraviglioso!» disse, esaminando il modo in cui i singoli<br />

fogli erano stati fissati insieme. «Lo ha fatto il prete? Andros?»<br />

«Sì» gli dissi. «Lo ha fatto lui. Mi ha detto che si era stancato di<br />

portare in giro rotoli di pergamena poco maneggevoli. Un giorno mi<br />

ha visto con in mano un codex e mi ha chiesto di fargliene vedere<br />

qualcun altro, e poi ha cominciato a fare il suo. Niente male, vero?<br />

Ha tagliato tutte le pergamene nello stesso formato e adesso dice che<br />

la sua vita è dieci volte più semplice.»<br />

Andros era un prete errante che un giorno si era presentato alla<br />

porta di Gaio e non se ne era più andato. Fe<strong>del</strong>e al suo nome,<br />

“uomo”, era un uomo molto semplice e aveva lo stupefacente dono<br />

di riprodurre perfettamente qualsiasi cosa con un carboncino. I suoi<br />

disegni erano magnifici, eppure non sapeva né leggere, né scrivere.<br />

«Ma è meraviglioso! Guarda!» Gaio scuoteva la testa con<br />

ammirazione. «Chi altro in questo paese oggi avrebbe pensato a<br />

usare una striscia di legno come copertina davanti e dietro e poi a<br />

legare tutto insieme con <strong>del</strong>le cinghie? È anche facile aggiungere<br />

fogli con questo sistema, in qualunque ordine si voglia! E il legno<br />

conferisce rigidità e rende facile trasportarlo. Questo è davvero<br />

stupefacente, Varro!» <strong>La</strong> sua ammirazione era enorme e sincera. «E<br />

questa pergamena è superlativa. Dove l'ha trovata Andros?»<br />

«L'ha fatta.»<br />

Mi fissò sbalordito. «Sa fare la pergamena? Andros? Lui?»<br />

«Lui.» Scrollai le spalle. «Lui e i suoi due fratelli, per essere<br />

precisi. Ma io trovo più eccitante che sappiano produrre<br />

<strong>del</strong>l'eccellente papiro.»<br />

«Ma dove hanno imparato, in nome di Dio?»<br />

«Glielo ha insegnato il padre, che ha imparato a Roma, o a


Costantinopoli. Forse in tutti e due i posti. Ha vissuto lì per anni<br />

come artigiano. È tornato qui con il suo maestro prima che i suoi<br />

figli nascessero. Ha insegnato loro quest'arte mentre li cresceva. Era<br />

nordafricano, credo, egiziano. Vivevano in una grande villa fuori da<br />

Aquae Sulis. Andros dice che solevano rifornire i funzionari di tutto<br />

il paese.»<br />

«E perché hanno smesso?»<br />

Scrollai le spalle. «Chissà! In ogni caso Andros divenne prete,<br />

ma non imparò mai a leggere o a scrivere. Voleva solo disegnare.<br />

Hai mai visto una simile abilità?»<br />

«No. Questi disegni non sono esattamente classici, ma sono<br />

superbi.»<br />

«Classici?» Ero stupefatto. «Non sono classici? Generale, mi<br />

stupisci.» Mi guardò in modo strano e io proseguii. «Se guardi<br />

meglio, intendo dire se guardi davvero, vedrai che questi disegni<br />

sono classici in ogni senso, tranne che in senso romano. Sono<br />

perfette, esatte trascrizioni di puri disegni celtici antichi. Non le<br />

banalità senza valore che i venditori ambulanti hanno sparso per<br />

tutto l'Impero. Quella che stai guardando è la storia <strong>del</strong>la tua amata<br />

Britannia. Pensavo che saresti andato in estasi vedendoli.»<br />

Allora li guardò con più attenzione e si accorse che il codice,<br />

classificato alla prima occhiata semplice e rozzo, era tutto tranne<br />

quello.<br />

«Hai ragione, ovviamente, Varro. Dovrei ammirarli. Sono<br />

magnifici.»<br />

«Gaio, tu e io abbiamo visto affreschi e mosaici nelle più belle<br />

case <strong>del</strong>l'Impero, creati da artisti celebri che non hanno confronto<br />

con quello che quest'uomo fa senza pensare. Giuro che è in grado di<br />

tracciare un cerchio perfetto con un solo movimento <strong>del</strong>la mano.»<br />

Gaio stava meditando, ovviamente pensava a qualcosa che il<br />

codice gli aveva suggerito. «Hai ragione, amico. Hai assolutamente


agione. Digli di venire a trovarmi, la prossima volta che lo vedi,<br />

d'accordo?»<br />

«Perché?» chiesi, immediatamente sulla difensiva. «Non starai<br />

pensando di privarmi dei suoi servigi, vero? Io trovo i suoi disegni<br />

molto utili per il mio lavoro.»<br />

Mi sorrise. «No, Varro, non lo farò, quindi rilassati. Ho solo<br />

bisogno <strong>del</strong>la sua pergamena e <strong>del</strong> suo papiro, non <strong>del</strong>la sua penna.<br />

Penso che il tempo potrebbe essere un peso adesso che non sono più<br />

in servizio attivo, e ho spesso pensato di scrivere le mie teorie di<br />

strategia militare. È stato un mio sogno per anni, ma niente più di un<br />

sogno, perché il materiale per scrivere non era disponibile in tale<br />

quantità, e non ho mai avuto né la pazienza, né il tempo di<br />

assemblare rotoli. Ma il talento di Andros potrebbe fornirmi la<br />

pergamena, e un modo semplice di legare i fogli insieme per<br />

proteggerli dallo smarrimento e dal logorio.»<br />

Sollevai un'obiezione, forse per la prima volta da quando ci<br />

conoscevamo.<br />

«Perché, Gaio? Intendo dire, perché scrivere <strong>del</strong>le memorie<br />

militari? Per emulare Cesare? Per lasciare a Roma il vantaggio <strong>del</strong>la<br />

tua esperienza? Perché non scrivere invece <strong>del</strong>la tua villa, qui, e<br />

<strong>del</strong>la tua vita in Britannia?»<br />

Mi lanciò uno sguardo di annichilita sorpresa, pensando che lo<br />

stessi sminuendo. <strong>La</strong> sua risposta fu lenta e misurata.<br />

«Vorrei scrivere una storia <strong>del</strong> mio servizio militare nell'Impero<br />

perché sono un soldato. È ciò che conosco meglio. Lo è stato per<br />

tutta la vita. Trovi che sia sorprendente o di cattivo gusto?»<br />

Scossi la testa. «No. Nient'affatto. Ma mi sembra una perdita di<br />

tempo se quello a cui hai alluso è vero e l'Impero sta per cadere.»<br />

Il suo corruccio rivelava impazienza. «Suvvia, Publio. Il tempo<br />

speso in modo costruttivo non è sprecato. Scriverò per il vantaggio<br />

di chi verrà dopo di me. Qualcuno ci sarà per quanto male vadano le


cose.»<br />

«Oh» dissi. «Bene, questo è diverso.»<br />

«Ma?»<br />

«Perché dici ma?»<br />

«Hai una riserva.» Il suo tono era freddo. «<strong>La</strong> sento nella tua<br />

voce.»<br />

Alzai una mano in un gesto di diniego. «No, Gaio. Ti sbagli.<br />

Penso che dovresti scrivere. Ma dovresti scrivere per la Britannia.<br />

Per tuo figlio Pico e anche per i miei figli. Sarai il loro zio. Sarebbe<br />

importante per loro sapere che i loro antenati erano più che dei nomi<br />

e basta.»<br />

Sorrise, raddolcito. «È un pensiero divertente, ma utile, Publio.<br />

Ebbene, scriverò per i futuri cittadini <strong>del</strong>la Britannia. Sei un<br />

persuasore in gamba.»<br />

Gli sorrisi. «Non avevi bisogno di essere persuaso. Non vorresti<br />

tornare di nuovo a Roma, vero, adesso che ne hai il tempo?»<br />

<strong>La</strong> sua faccia passò da un'espressione di divertimento a una di<br />

disgusto. «No, non vorrei. Quel posto è una fogna.»<br />

Mi divertivo, perché finalmente avevo compreso quello di cui<br />

ho parlato prima.<br />

«Una fogna?» chiesi, «Roma?»<br />

Mi guardò incerto, intuendo che lo prendevo in giro. «Publio, mi<br />

stai stuzzicando? Perché? Non sei mai stato così prima.»<br />

Risi. «No, Gaio, mai. Avevo un senso di soggezione nei tuoi<br />

confronti. Ma adesso che siamo fratelli sono meno riluttante a<br />

discutere apertamente con te.»<br />

«Discutere cosa?»<br />

«Per esempio il modo in cui inganni te stesso.»<br />

«Inganno chi?» <strong>La</strong> sua voce era vibrante di offesa.


«Inganni te stesso. Parli <strong>del</strong>la tua romanità, ma in realtà non sei<br />

più romano di Meric. <strong>La</strong> tua lealtà è per questo posto, questo paese,<br />

questa gente che chiami i Pendragon. Questa è la tua casa, Gaio. Il<br />

solo pensiero di andare a Roma ti ripugna. Lo hai appena<br />

ammesso.»<br />

«Forse sì.» Il suo sopracciglio adesso era inarcato per la<br />

perplessità. «Forse sì. Ma questo non muta in nessun modo i miei<br />

obblighi nei confronti <strong>del</strong>l'Impero.»<br />

Misi giù il libro che tenevo in mano. «Quali obblighi, Gaio? Tu li<br />

hai già assolti e lo hai fatto onestamente, apertamente e con buona<br />

volontà, malgrado tutte le tue riserve. Ma è un rispetto non sentito<br />

quello che provi per ciò che hai fatto. Non hai ancora accettato il<br />

fatto che i tuoi debiti siano stati ripagati interamente.»<br />

Il suo volto si rasserenò. «È proprio vero, non è così? È la verità,<br />

Publio. Io ho adempiuto a tutti i miei obblighi nei confronti<br />

<strong>del</strong>l'Impero.»<br />

«Sì, Gaio» dissi con enfasi. «Lo hai fatto. E adesso prendi <strong>del</strong><br />

tempo per analizzare i tuoi obblighi nei confronti di te stesso. Scrivi<br />

la tua storia, se vuoi, ma scrivila per il tuo popolo, la tua famiglia, e<br />

non per i sibariti di Roma.»<br />

Fece schioccare le dita. «Adesso mi viene in mente! C'è una<br />

lettera di cui ti devo parlare. È arrivata presto oggi, con il corriere.<br />

Sembra che il tuo amico a Roma sia entrato in collisione con<br />

Teodosio.»<br />

Aggrottai la fronte. «Quale amico a Roma? Non ne ho.»<br />

«Lo so. Era una battuta. Intendevo il giovane Seneca.»<br />

«Seneca?» Annuì. «Pensavo che fosse a Costantinopoli. Quando<br />

si è trasferito a Roma? E in che modo ha offeso Teodosio? E come lo<br />

hai scoperto?»<br />

Scosse la testa, sorridendo. «Ho le mie fonti. Hai dimenticato che<br />

ho fatto qualche indagine? A questa, per una fortunata coincidenza,


ho già avuto risposta da emissari militari che vanno e vengono da<br />

Roma. <strong>La</strong> fonte è un vecchio amico che conosco da anni. Ha poco di<br />

buono da riferire su Cesario Claudio Seneca. Sembra che i suoi<br />

eccessi siano diventati inopportuni perfino per un Seneca, e<br />

offendono le narici di Teodosio. Il nostro imperatore è sobrio e<br />

veramente un devoto cristiano, malgrado l'ambizione che lo ha<br />

portato al trono.»<br />

Accantonai l'argomentazione che ritenni irrilevante. «Anche<br />

Costantino lo era. Ma cosa è successo tra Seneca e Teodosio?»<br />

Gaio scosse la testa. «Nessuno lo sa veramente, pare, ma Seneca<br />

era molto vicino a Valentiniano, e questo non lo rende molto<br />

simpatico a Teodosio.» Fu interrotto dal frastuono di un turbinio di<br />

cornacchie che scesero volando sul tetto lottando ferocemente per<br />

un pezzo di carogna che una stringeva nel becco. Le guardammo<br />

fino a che non volarono via, perché nessuno era disposto a<br />

rivaleggiare con il loro rauco gracchiare.<br />

«In ogni caso» continuò poi, «l'imperatore ha emesso un<br />

ultimatum che trovo interessante. Ha reso pubblico che Seneca e<br />

molti altri come lui fanno poco per il bene comune. Come si è<br />

espresso? “Privano lo Stato dei benefici derivanti dalla loro<br />

posizione, esperienza ed estrazione sociale”. Così ha detto. <strong>La</strong><br />

conseguenza di ciò è che Seneca deve intraprendere un periodo di<br />

servizio pubblico, con implicita minaccia <strong>del</strong>la perdita di tutti i suoi<br />

beni terreni. Mi è sembrato molto ingegnoso.»<br />

«Come? Cosa intendi per ingegnoso?»<br />

Le sue sopracciglia si alzarono. «Pensaci. Seneca può rifiutare un<br />

editto imperiale solo pagando con la confisca di tutte le sue<br />

ricchezze. L'alternativa - accettare - mette ugualmente le sue<br />

ricchezze a disposizione <strong>del</strong>l'imperatore, per tutti gli scopi e i<br />

propositi che riterrà convenienti. Puoi essere certo che Teodosio gli<br />

troverà un posto in cui poter fare ottimo uso <strong>del</strong>le sue possibilità<br />

finanziarie, e che Seneca brigherà per aumentare la sua ricchezza


mentre è al servizio <strong>del</strong>l'imperatore. Ma qualunque cosa Seneca<br />

faccia - a parte un furto assoluto e proditorio su larga scala -<br />

Teodosio ne trarrà beneficio. Sii certo che l'Impero terrà un occhio<br />

meticoloso e attento sul suo più ricco cittadino e servitore.»<br />

«E Seneca ha accettato?»<br />

«Cos'altro avrebbe potuto fare? Non ha il coraggio di vivere da<br />

povero e se mai dovesse provarci, il mio amico a Roma dice che non<br />

sopravviverebbe un giorno.»<br />

Feci un fischio quando le implicazioni <strong>del</strong>le sue parole mi<br />

furono chiare. «Allora starà al guinzaglio <strong>del</strong>l'imperatore per un po'.<br />

Mi chiedo come ne uscirà.»<br />

Gaio si schiarì la voce con disgusto. «Probabilmente molto bene.<br />

È pur sempre un Seneca. Ma avrà qualche freno. Teodosio lo<br />

controllerà da vicino, come ho detto, ma non c'è dubbio che Cesario<br />

Claudio Seneca riuscirà in qualche modo ad aumentare la sua<br />

fortuna.»<br />

L'esattezza <strong>del</strong>la sua profezia si rivelò prima che il mese fosse<br />

finito.<br />

Poco dopo la nostra conversazione Gaio invitò i due fratelli di<br />

Andros a venire a vivere alla villa in cambio dei loro servigi di<br />

fabbricanti di pergamene. Essi accettarono il suo invito e iniziarono<br />

a produrre pergamene apposta per noi, e Gaio iniziò a scrivere. Al<br />

principio non fu facile. Aveva il senso <strong>del</strong>la disciplina per<br />

controllare il proprio tempo, ma non, come scoprì rapidamente, i<br />

propri pensieri. C'erano troppe cose di cui voleva scrivere e si<br />

accorse in fretta che il pericolo maggiore consisteva nello scrivere<br />

troppo su troppo poco. Alla fine, però, prese l'abitudine di scrivere<br />

tutto quello che risvegliava il suo interesse in un determinato<br />

momento, e alla fine cominciò ad abituarsi a discutere le sue idee<br />

con me.


Scriveva i suoi pensieri e le sue teorie sulla vita in generale e sul<br />

passato <strong>del</strong>la Britannia. Parlavamo dei re di Roma e di come Roma<br />

avesse cacciato simili uomini. Parlavamo <strong>del</strong>la nascita <strong>del</strong>la<br />

Repubblica e <strong>del</strong>la sua gloria fino all'avvento dei Cesari, Giulio e suo<br />

cugino Ottavio, che divenne poi Cesare Augusto. Da quel momento,<br />

nel vero senso <strong>del</strong>la parola, i re erano tornati. Si erano chiamati<br />

imperatori, ma erano re, in tutti i poteri dei despoti, e avevano<br />

assassinato Roma. Parlavamo anche a lungo <strong>del</strong>la Britannia e <strong>del</strong><br />

suo futuro, perché Gaio credeva sinceramente ai grandi piani di Dio<br />

per quel verde paese. In molte occasioni Luceia si fermava con noi, e<br />

il suo contributo alla discussione era sensato e rinvigorente. Durante<br />

le lunghe notti invernali imparai ad apprezzare l'intelligenza vivace<br />

che c'era dietro la sua bellezza.<br />

Mi stupì in modo particolare una sera, quando azzardò che<br />

Roma affamava il mondo e sostenne la sua tesi. <strong>La</strong> terra madre,<br />

sottolineò, è per lo più sterile. Non potrebbe mai produrre<br />

abbastanza cibo per i suoi cittadini, perciò si è volta a conquistare<br />

terre fertili. Ovviamente le terre fertili non sono abbastanza ricche<br />

da poter nutrire i propri abitanti e anche Roma, e quindi la conquista<br />

è proseguita ad abbracciare il mondo intero.<br />

<strong>La</strong> Britannia, così pensa il mio amore, non morirà mai di fame. Il<br />

suo suolo è ricco e fertile. A mano a mano che la popolazione<br />

aumenta, abbatte le foreste e ne dissoda il terreno. Io credo che abbia<br />

ragione, perché il popolo è forte. I Celti sono un nobile popolo,<br />

industriosi per la maggior parte, fieri, certo rapidi all'ira, ma<br />

ugualmente pronti a perdonare, e grandi amanti <strong>del</strong>la musica e <strong>del</strong>le<br />

arti. <strong>La</strong> qualità che Luceia trova più ammirevole - e io sono<br />

d'accordo con lei -è il rispetto reciproco. <strong>La</strong> madre e la moglie per un<br />

celta non sono una proprietà. <strong>La</strong> donna combatte come l'uomo,<br />

facendo di una famiglia celtica una unità da trattare con rispetto.<br />

Nessuna decisione famigliare viene presa senza il suo parere e il suo<br />

concorso. <strong>La</strong> donna ha dignità e orgoglio come le donne <strong>del</strong>la Roma<br />

repubblicana ed è esperta come le matrone romane dei vecchi tempi


nella tessitura e nella lavorazione <strong>del</strong>la ceramica, e nell'arte di<br />

allevare figli nel rispetto di tutto ciò che un bambino deve rispettare.<br />

Quando Luceia ne parlò per la prima volta ricevetti una botta<br />

furiosa sulla testa per aver notato con un sorriso che quattrocento<br />

anni di occupazione romana avevano conferito molta romanità a<br />

quei Celti.<br />

Furono giorni idilliaci, ma ben presto furono guastati da uno<br />

sviluppo che a prima vista non sembrava contenere allusioni o<br />

minacce di sfacelo.<br />

Gaio ricevette una missiva da Antonio Cicerone, che gli dava il<br />

benvenuto in Britannia e lo avvertiva di tre cose, la prima <strong>del</strong>le quali<br />

era la mia morte ufficiale. Ero stato ritrovato in un fossato molto a<br />

sud di Verulamium, la mia identità era stata stabilita grazie a una<br />

losanga d'argento con il mio nome che era stata trovata nella<br />

bisaccia. <strong>La</strong> seconda informazione era che la mia casa era stata<br />

restituita allo Stato e sarebbe stata occupata dal nuovo procuratore<br />

Claudio Seneca, che era stato nominato al posto vacante <strong>del</strong> titolare<br />

in ritiro. Era atteso a Colchester ben presto, compatibilmente con le<br />

condizioni dei mari tra la Britannia e la Gallia.<br />

Questo era un ironico scherzo <strong>del</strong> destino che ci riguardava tutti.<br />

Ma la terza notizia era ancora più strana, almeno per me. Equo, il<br />

mio beneficiario, aveva ereditato tutte le mie proprietà e,<br />

apparentemente desolato per la mia scomparsa e la mia morte,<br />

aveva chiuso la fucina, aveva caricato tutto su un paio di carri e<br />

aveva lasciato Colchester per andare a stabilirsi in un'altra città. Ero<br />

perplesso. Dove poteva essere andato? Sapeva che non ero morto?<br />

Stava venendo qui? Per ridarmi le mie cose? Allora perché Antonio<br />

non lo diceva?<br />

Gaio mi calmò, rimproverandomi per l'interpretazione troppo<br />

letterale. Ovviamente Equo era diretto da noi. Ma la lettera di<br />

Antonio era quasi ufficiale, portata da un corriere militare e perciò<br />

soggetta alla censura. Come avrebbe potuto Antonio fare qualunque


iferimento, non importa se indiretto, alla mia sopravvivenza se<br />

c'era anche il più piccolo dubbio che la lettera potesse essere<br />

controllata? Antonio, insistette, era abbastanza intelligente ed<br />

esperto per sapere che Gaio avrebbe letto la lettera e tratto le sue<br />

conclusioni. Nel frattempo ci faceva sapere che io ero ormai<br />

considerato morto e perciò non più perseguibile. Inoltre ci<br />

informava nel modo più semplice e in forma impeccabile che il mio<br />

nemico era di nuovo in Britannia in una posizione di potere, e che il<br />

mio amico era in viaggio per portarmi i miei beni.<br />

Rassicurato e di colpo liberato da un grave peso psicologico, mi<br />

resi conto allora di quanto grande fosse il mio debito nei confronti di<br />

Antonio Cicerone.<br />

«Qual era il nome che ti aveva dato dopo il rapimento simulato<br />

per salvare la tua pelle priva di valore?» <strong>La</strong> sua espressione era<br />

imperscrutabile.<br />

Dovetti pensare un momento prima che il nome mi tornasse alla<br />

mente. «Gratente. Publio Gratente. Perché me lo chiedi?»<br />

«Oh, mi è solo venuto in mente che Antonio potrebbe volersi<br />

prendere una vacanza, una licenza, per assistere alle nozze <strong>del</strong> suo<br />

vecchio amico Publio Gratente, visto che conosce la sposa e che io e<br />

lui siamo amici da tempo.»<br />

Luceia scattò in piedi e lo baciò. «Gaio, fratello adorato so che sei<br />

un grande soldato, ma ci sono momenti nei quali sei assolutamente<br />

geniale. Mi piacerebbe rivedere Toni, a te no, Publio?»<br />

Io ero entusiasta come lei. «Sì, mi piacerebbe.» Feci un ghigno.<br />

«Sono ancora in debito con lui di un gran mal di testa. Sarebbe<br />

appropriato ricambiarlo con una sbornia di vino nuziale.» Ebbi<br />

un'altra idea. «In particolare se ha l'abominevole idea di portarsi<br />

Plauto come parte <strong>del</strong>la scorta.»<br />

Ma Gaio buttò rapidamente acqua sul fuoco.<br />

«No! Se viene, deve venire da solo. Nessuna scorta. Nessuno qui


ti chiamerà Publio Gratente, ricordalo, e Publio Varro è morto.<br />

Nessuno che non sia un buon amico deve sospettare diversamente.<br />

È troppo pericoloso. E Antonio lo sa. Gli scriverò stanotte e domani<br />

manderò un uomo ad Aquae Sulis, al comandante <strong>del</strong>la<br />

guarnigione, con la richiesta di far proseguire il mio messaggio<br />

immediatamente.»<br />

Ovviamente aveva ragione, come sempre, ma sentii un acuto<br />

senso di disappunto all'idea che Plauto non avrebbe potuto<br />

celebrare la mia ritrovata virilità e il mio buon gusto nella scelta<br />

<strong>del</strong>la moglie.<br />

<strong>La</strong> risposta di Antonio arrivò dopo dieci giorni esatti, cosa che<br />

costrinse Gaio a chiedersi come mai le comunicazioni tra le<br />

guarnigioni si fossero intensificate in quel modo. I messaggi inviati<br />

attraverso i normali canali militari andavano da Aquae Sulis a<br />

Londinium e da lì alle altre guarnigioni. <strong>La</strong> velocità <strong>del</strong>la risposta<br />

significava che i messaggi prioritari venivano inviati direttamente<br />

da un quartiere generale di un distretto militare all'altro. Ancor<br />

prima di aprire la lettera aveva deciso di andare di persona a far<br />

visita alla guarnigione di Aquae Sulis per capire cosa ci fosse<br />

nell'aria.<br />

<strong>La</strong> lettera di Antonio era più lunga e meno formale <strong>del</strong>la<br />

precedente e anticipava, almeno in parte, le nostre preoccupazioni.<br />

Sarebbe stato felice di venire a trovarci in maggio, in parte per<br />

rinnovare la conoscenza con la <strong>del</strong>iziosa futura sposa, e in parte per<br />

rivedere i suoi due amici Gaio Britannico e Publio Gratente, ma<br />

soprattutto per essere presente all'unione di due famiglie così<br />

speciali e nobili, la cui futura progenie avrebbe procurato all'Impero<br />

solo benefici. Aveva da tempo diritto a una lunga licenza, poiché,<br />

non avendo famiglia, raramente aveva il bisogno o il desiderio di<br />

assentarsi dal suo posto e dai suoi incarichi. Ma questa era una<br />

gioiosa occasione, e sarebbe stato ben felice di chiedere un intero<br />

mese di licenza per poterla celebrare degnamente.


Si era preso la libertà di informare <strong>del</strong> matrimonio il buon amico<br />

di Gaio, il vescovo Alarico di Verulamium, perché Alarico era a<br />

Colchester quando la lettera di Gaio era arrivata, e questi aveva<br />

deciso immediatamente di invitarsi al matrimonio. Speravano di<br />

poter viaggiare insieme, ma sarebbe stato possibile solo se lui avesse<br />

trovato un sostituto adatto per il suo primus pilus, un certo Ponzio<br />

Aulo Plauto, che con orgoglio e disperazione di Antonio stesso era<br />

stato nominato primus pilus presso la scuola di formazione degli<br />

ufficiali <strong>del</strong>le truppe imperiali a Londinium. Un grande onore per<br />

Plauto, ma un grande inconveniente per Antonio Cicerone. Plauto<br />

aveva già lasciato Colchester per approfittare di un periodo di<br />

licenza di tre mesi, accumulatisi durante il servizio, prima di<br />

assumere il nuovo incarico, e nel frattempo sembrava che non ci<br />

fosse nessuno a Colchester per sostituirlo in quella posizione<br />

cruciale e molto elevata.<br />

Concludendo, Cicerone ricordava che il nuovo procuratore era<br />

arrivato e si era installato nella casa che era stata <strong>del</strong> povero Varro.<br />

Lo aveva già incontrato ufficialmente, ma non aveva avuto<br />

particolari contatti con lui prima <strong>del</strong>la sua lettera. Antonio aspettava<br />

con ansia il momento in cui ci avrebbe rivisto e sperava che<br />

avremmo avuto un po' di tempo per parlare, tra la folla di tanti<br />

amici cari che sarebbero giunti a Villa Britannico per le nozze.<br />

Meno di due settimane dopo, alle Idi di Marzo, mentre stavo<br />

lavorando senza successo nella fucina al progetto di una fornace per<br />

l'estrazione, arrivò ai cancelli una lunga e inzaccherata processione<br />

di carri. Avevano viaggiato con il tempo più schifoso in un inverno<br />

particolarmente ingrato. C'erano tre grandi carri e due carri più<br />

piccoli, ognuno tirato da una coppia di cavalli, e la vista dei loro<br />

occupanti mi <strong>del</strong>iziò e mi commosse.<br />

Equo guidava il carro di testa, e aveva portato con sé l'intera<br />

famiglia. Plauto reggeva le reclini <strong>del</strong> secondo carro, e all'inizio non<br />

lo riconobbi, senza uniforme, avvolto in un mantello e con la barba


lunga. Il terzo carro era guidato dal figlio <strong>del</strong> mio maggiordomo di<br />

Colchester, mentre il padre e la madre erano in uno degli altri carri.<br />

Ero stupito e lusingato insieme per quella dimostrazione di lealtà,<br />

anche se tutti si premurarono di assicurarmi che erano venuti solo<br />

per i festeggiamenti e poi se ne sarebbero andati. Dove? Nessuno<br />

sapeva dirmelo.<br />

Ci volle poco tempo, quando finalmente ci sedemmo a parlare<br />

dei loro piani per il futuro, a convincerli che c'era posto e futuro per<br />

tutti a Villa Britannico; Luceia e io avremmo messo su casa, una<br />

volta sposati, e avremmo avuto bisogno di personale. Inoltre avevo<br />

enorme bisogno di Equo e <strong>del</strong> suo aiuto professionale per disegnare<br />

la mia nuova fornace per l'estrazione <strong>del</strong> metallo dalle pietre <strong>del</strong><br />

<strong>cielo</strong>. Non fu difficile convincerli, e sapevo che tutti speravano che li<br />

invitassi a fermarsi. Quando ne furono sicuri, la nostra riunione<br />

divenne una festa.<br />

Quella notte, dopo cena, tutti se ne andarono per lasciare Equo,<br />

Plauto e me soli a chiacchierare. Equo era ovviamente ansioso di<br />

raccontarmi <strong>del</strong>la sua decisione di chiudere la fucina e di portare<br />

tutto a ovest. Per un certo periodo dopo la mia partenza da<br />

Colchester aveva sperato che tanto scalpore si sarebbe quietato, e<br />

che io sarei tornato a condurre la fucina insieme a lui, ma il rapporto<br />

di Cicerone sulla mia “morte”, dopo un mese o più, aveva spento<br />

quella speranza, e l'annuncio <strong>del</strong>l'incarico di Seneca quale<br />

procuratore aveva messo la parola finis a tutto.<br />

Equo aveva allora iniziato a raccogliere l'equipaggiamento e il<br />

materiale di cui pensava avessi bisogno, compresa la collezione di<br />

tesori <strong>del</strong> nonno. Aveva venduto la fucina a un fabbricante di carri<br />

in cambio di tre grandi carri, e aveva comprato i carri più piccoli e il<br />

cibo necessario con un po' <strong>del</strong>l'oro che gli avevo dato. Aveva usato<br />

Antonio Cicerone e Plauto come intermediari, non volendo che si<br />

sapesse che possedeva <strong>del</strong>l'oro. Mentre caricava sui carri tutti i<br />

nostri beni, compresa l'anfora contenente l'oro <strong>del</strong> nonno, aveva


anche reclutato gli altri compagni di viaggio. Plauto aveva lasciato la<br />

città per conto suo e si era unito a loro lungo la strada.<br />

Potei solo abbracciare Equo e ringraziarlo calorosamente per la<br />

sua previdenza e la sua lealtà. Lui prese il mio braccio e lo strinse in<br />

silenzio, con le lacrime che gli brillavano negli occhi.<br />

Io ricacciai indietro le lacrime e mi girai verso Plauto.<br />

«E tu, amico? Antonio Cicerone ci informa che dobbiamo<br />

congratularci con te.»<br />

«Per che cosa? Per il mio posto?» Fece un grugnito. «Cicerone ha<br />

fatto qualche pressione. Devo diventare primus pilus alla scuola di<br />

addestramento ufficiali. Una posizione onorata.»<br />

«Lo so» dissi con un sorriso. «Antonio ce lo ha detto. È un onore<br />

per un soldato che se lo merita. Felicitazioni, amico!»<br />

Si infuriò. «Per cosa? Io sono un soldato, Varro, non un<br />

cortigiano, non una balia asciutta per cuccioli vomitanti di giovani<br />

ufficiali. Tieni per te le congratulazioni, per quando sarai sposato.»<br />

Fui colto di sorpresa. «Non sei contento?»<br />

Mi fulminò con lo sguardo. «Contento? Publio, sei sempre stato<br />

brutto, ma non stupido! È ovvio che non sono contento. È una<br />

vergogna di posto!»<br />

«Ma...» Non trovavo più parole. «Ma allora perché hai accettato?<br />

Antonio Cicerone sembrava orgoglioso che tu avessi ottenuto quel<br />

posto.»<br />

«Oh, sì, lo è e io gli sono grato.» Ma il tono <strong>del</strong>la sua voce<br />

suggeriva che la realtà fosse diversa. «Non l'avrei avuto se Antonio<br />

non avesse esercitato le dovute pressioni. Ma avrei preferito restare<br />

dove sono stato per gli ultimi dieci anni.»<br />

«Oh.» In ritardo realizzai la causa <strong>del</strong>la sua collera. «Seneca!»<br />

«Sì, Seneca, quel figlio di una puttana artritica! Il nuovo<br />

procuratore! Chi o cosa avrebbe potuto farmi rinunciare al migliore


alloggio che abbia mai avuto?»<br />

«Pensi davvero che ti avrebbe riconosciuto?» Ero incredulo.<br />

«Sono io che ho lottato con lui, ricordi, che l'ho marchiato. Sono io<br />

l'uomo che cerca. Tu sei stato solo uno spettatore. Hai avuto poco a<br />

che fare con tutta quella storia. E comunque, non si sarebbe mai<br />

sognato di vedere un bandito guardando un primus pilus.»<br />

Plauto grugnì. «Se ripensi a quella storia, amico, ti ricorderai che<br />

sono io quello con cui il maiale ha litigato inizialmente. Io ho il tipo<br />

di faccia che lui odia. Non appena Cicerone ha saputo chi sarebbe<br />

stato il procuratore, mi ha mandato a chiamare e me l'ha detto.<br />

Abbiamo deciso che sarei stato più al sicuro a Londinium. Avevo<br />

diritto a una licenza. Abbastanza per permettermi di rimanere qui<br />

ad assistere al tuo matrimonio e poi di andare diritto a Londinium al<br />

mio nuovo posto.»<br />

«Capisco.» C'era poco che potessi aggiungere, ma sentii che<br />

dovevo provare. «Plauto, mi dispiace molto. Lo so che il rimorso<br />

non serve a niente, ma vedo che la nostra amicizia ti è costata cara.»<br />

Mi guardò come se avessi cominciato a parlare in una lingua<br />

straniera. «Cosa vorresti dire con questo, per Ade?»<br />

«<strong>La</strong> verità. Ti è costata il tuo bell'alloggio. Se io non avessi<br />

reagito eccessivamente quel giorno, non sarebbe successo niente.»<br />

«Oh, merda! Era destino. Se tu non avessi irritato quel figlio di<br />

puttana, lui avrebbe trovato un modo per costringermi a bucargli la<br />

trippa. E io lo avrei fatto. Ero pronto. Lo avrei ammazzato. E allora<br />

saremmo stati nella merda tutti e due. Non ci avrebbero lasciato<br />

andar via così facilmente con un cadavere tra le mani. Tu lo hai<br />

lasciato vivere e questo ci ha salvato, i suoi amici erano troppo<br />

occupati a badare a lui per dare la caccia a noi. Quindi non avere<br />

sensi di colpa. Capito?»<br />

Annuii. «Suppongo che tu abbia ragione. Bene, beviamo un'altra<br />

coppa al tuo nuovo posto, anche se indesiderato, e al rapido


ichiamo di Seneca presso la corte imperiale.»<br />

«Io berrò a una prematura e penosa morte di quel maiale e che<br />

possa marcire nell'Ade fino a che le sue ossa diventino gelatina.»<br />

Vuotò la coppa d'un fiato e fece un rutto. «Penso che questa coppa<br />

fosse di troppo, amici. Sono stanco e la mia testa risuonerà come un<br />

gong domattina. Varro, tieni lontani i tuoi servitori dalla mia porta<br />

fino a mezzogiorno. Poi forse potrò alzarmi per affrontare la<br />

giornata.» <strong>La</strong> voce gli si incrinò; fissò la sua coppa. «Forse non hai<br />

<strong>del</strong> tutto torto, sai? Ho cenato con lui.»<br />

«Con chi?»<br />

«Cosa?»<br />

Mi fissò e realizzai solo allora che era completamente ubriaco.<br />

Fissai Equo, che sogghignò affermativamente. Riformulai la<br />

domanda.<br />

«Hai detto che hai mangiato con lui? Di chi stavi parlando? Di<br />

Antonio?»<br />

«Dannazione, no! Di Seneca!»<br />

«Hai cenato con Seneca?» Non potevo crederci. «Quando?<br />

Perché?»<br />

Annuì gravemente. «<strong>La</strong> notte prima di lasciare Colchester. Una<br />

cena ufficiale. Il legato Cicerone mi aveva ordinato di esserci e<br />

quindi c'ero. Sono andato e ho guardato quell'animale di Seneca<br />

insozzare la dignità <strong>del</strong>la nostra tavola militare. Non mi ha<br />

riconosciuto.» <strong>La</strong> sua voce si abbassò tanto che facevamo fatica a<br />

sentirlo. «Bada, non mi sarei aspettato che mi riconoscesse, come hai<br />

detto tu. Ero in alta uniforme, tutto coperto di bronzo e ottone e<br />

cuoio lucido. Mi ha guardato e ha visto cosa ero, non chi ero. Ma non<br />

potevo stare in uniforme tutto il tempo e prima o poi mi avrebbe<br />

riconosciuto e allora sarei stato un uomo morto.»<br />

Lo raggiunsi e lo scrollai per le spalle. Scosse la testa e tentò di<br />

aprire gli occhi, cercando di contrastare gli effetti <strong>del</strong> vino.


«Plauto» insistetti. «Torna in te! Voglio sapere tutto di questa<br />

storia.»<br />

Fece un verso che sembrava un nitrito, ma i suoi occhi tornarono<br />

limpidi e la sua voce divenne normale.<br />

«Allora, Publio, amico mio, devi portarmi fuori all'aria <strong>del</strong>la<br />

notte. Se devo parlare ancora devo liberarmi la testa. Il calore <strong>del</strong><br />

braciere mi sta distruggendo.»<br />

Lo condussi nell’atrium, che, secondo lo stile classico, era a <strong>cielo</strong><br />

aperto. Faceva freddo e io cominciai subito a tremare. Plauto, invece,<br />

sembrava insensibile al gelo e respirava profondamente, facendo<br />

penetrare l'aria <strong>del</strong>la notte nei polmoni e trattenendo ogni respiro a<br />

lungo prima di espirare una nuvola di vapore fumoso. Alla fine,<br />

proprio quando stavo pensando di ritirarmi vicino al braciere e di<br />

lasciarlo da solo lì fuori, abbaiò una breve risata soffocata, mezzo<br />

grugnito e mezza bestemmia.<br />

«Cristo, Varro. Ho avuto raramente tanta paura. Se mi avesse<br />

riconosciuto sarei stato un uomo morto, primus pilus o no. Torniamo<br />

dentro prima che tu muoia. Luceia mi ucciderebbe in modo ancora<br />

più doloroso di Seneca se tu dovessi morire di freddo prima <strong>del</strong><br />

matrimonio.»<br />

Quando fummo di nuovo seduti davanti al braciere, continuò.<br />

«Era la notte prima <strong>del</strong>la mia partenza. Ero stato fuori a<br />

ispezionare la guardia sul vallo meridionale per l'ultima volta quel<br />

pomeriggio, e quando sono tornato al forte ho trovato il cortile pieno<br />

di soldati venuti da fuori. Seneca era arrivato! Sono stato<br />

terrorizzato a morte varie volte nel corso degli anni, Publio, ma mai<br />

tanto come quando ho visto i suoi soldati. Ho pensato - ero sicuro -<br />

che stessero per arrestarmi e trascinarmi davanti a quel maiale, e che<br />

sarei stato giudicato, condannato e ammazzato prima <strong>del</strong> tramonto.<br />

Mi sono diretto verso il mio alloggio, a testa bassa, ma ero<br />

appena arrivato che un soldato si è presentato alla porta con una


nota <strong>del</strong> legato Cicerone. Era un invito - un ordine - a cenare con lui<br />

quella sera, per conoscere i suoi ospiti. Non potevo far altro che<br />

accettare.<br />

Mi sono vestito con cura per quella cena, puoi starne certo.<br />

Seneca mi aveva visto una sola volta, vestito in abiti rozzi da<br />

paesano e con una barba di tre giorni. Quella sera sarei stato in alta<br />

uniforme, formale. Ma nemmeno vestito come un damerino, come<br />

un perfetto soldato romano, mi sentivo sicuro e, prima di andare<br />

negli alloggi <strong>del</strong> legato, sono andato ai bagni e mi sono guardato nel<br />

grande specchio di bronzo appeso al muro. Questo mi ha fatto<br />

sentire un po' meglio. Per riconoscere in me l'uomo <strong>del</strong> cortile <strong>del</strong>la<br />

mansio Seneca avrebbe dovuto avere dei poteri magici. Ho sentito<br />

molte storie su quel figlio di puttana, ma nessuna diceva che fosse<br />

uno stregone. Mi sono fatto forza e sono andato a cena. Tutti gli altri<br />

erano già lì quando sono arrivato e Antonio ha fatto una grande<br />

cerimonia nel presentarmi come l'orgoglio <strong>del</strong>la guarnigione, il suo<br />

primus pilus che aveva ricevuto l'onore <strong>del</strong> trasferimento a<br />

Londinium, alla locale scuola di addestramento ufficiali. Seneca<br />

all'inizio mi voltava la schiena, ricordo, ma quando lo<br />

raggiungemmo si girò e mi guardò da capo a piedi con<br />

un'espressione sulla faccia che mi fece sentire come un cumulo di<br />

letame. Stringevo i denti, cercando di non guardare niente e<br />

nessuno, cercando di non pensare a cosa sarebbe successo se mi<br />

avesse riconosciuto. Annuì e mi tese la mano e io la strinsi e quando<br />

la nostra pelle si toccò sorrise. Ti giuro, Publio, per lo spazio di un<br />

battito quel sorriso mi ha fatto credere che fosse un altro. Ma solo<br />

per un secondo. I suoi denti non avevano subito danni permanenti,<br />

ma il naso era un disastro, piatto e storto e pieno di cicatrici. Poi ha<br />

detto una frase educata - non ricordo cosa, ma non era importante - e<br />

io ho mormorato qualcosa in risposta. E poi è stato presentato a<br />

qualcun altro.»<br />

Equo e io eravamo affascinati e Plauto guardava dall'uno<br />

all'altro sapendo che aveva in pugno l'auditorio. Non c'era più


traccia di ubriachezza in lui mentre continuava il suo racconto.<br />

«Cercai di tenere gli occhi lontani da lui per tutta la cena ma non<br />

ci riuscii. Un paio di volte mi sorprese a fissarlo e ogni volta feci<br />

finta di guardare sopra la sua testa. Ma non avevo più paura di lui,<br />

perché sapevo chi pensava che fossi. Quando mi guardava vedeva<br />

solo l'uniforme, il primus pilus. Cominciai a rilassarmi anche se non<br />

ero mai stato a tavola con Antonio Cicerone e i suoi ufficiali prima.<br />

Sapevo che mi osservava, Cicerone, voglio dire, per vedere come me<br />

la cavavo. Deve aver notato che cominciavo a rilassarmi, perché<br />

dopo un po' non mi ha più guardato molto.<br />

E poi ha cominciato a provocare Seneca. Ovviamente nessuno<br />

sapeva che lo stava facendo, tranne lui e io. Ma gli è andato dritto<br />

alla gola. “Sai, procuratore - disse - sono curioso di sapere come è<br />

finita la tua disavventura qui in Britannia qualche mese fa. Abbiamo<br />

avuto il piacere di ospitare le truppe imperiali che erano in città per<br />

il tuo problema. Stavano cercando quei ruffiani che ti hanno<br />

attaccato mentre eri in servizio per l'imperatore. Quando è stato? Tre<br />

mesi fa? Quattro?”<br />

Ti giuro a quel punto Seneca si è irrigidito sulla sedia.» <strong>La</strong> voce<br />

di Plauto era esultante. «Ovviamente Antonio ha fatto finta di non<br />

notarlo e ha continuato a parlare. “Perdonerai la mia curiosità,<br />

spero, procuratore, ma non ho mai saputo come è finita la storia.<br />

Cosa è successo? Li avete trovati? È incredibile che certe cose<br />

possano succedere a un inviato <strong>del</strong>l'imperatore. Specialmente nel<br />

mio distretto. Ovviamente il fatto che siano state usate le truppe<br />

imperiali per cercare quei criminali mi ha tolto la possibilità di<br />

seguire la faccenda, anche se era una questione locale”.<br />

Ti assicuro, Publio, che Seneca era viola. Io lo guardavo con<br />

tanta attenzione che ci ho messo un po' a capire che la conversazione<br />

intorno a noi si era interrotta. Tutti stavano fissando Seneca. Mentre<br />

lo guardavo la sua faccia passava dal viola al bianco, come la<br />

maschera di un morto. Si attaccava al bordo <strong>del</strong> tavolo in un modo


che pensavo che ne avrebbe staccato un pezzo. Le sue nocche erano<br />

bianche come la sua faccia.<br />

In ogni caso Antonio ha aspettato quel tanto che poteva per non<br />

destare sospetti e poi ha ricominciato a recitare la parte <strong>del</strong> soldato<br />

ingenuo e ottuso. Ha inarcato le sopracciglia e ha cominciato a<br />

guardare da una faccia all'altra come se cercasse di capire che cosa<br />

avesse detto per suscitare una simile reazione. Ma mentre<br />

cominciava a scusarsi, Seneca lo interruppe.<br />

“No, non è stato preso”, disse come se stesse parlando con la<br />

bocca piena di sabbia. “Ma lo sarà. Credimi, quel figlio di puttana<br />

dovrà rispondere a me un giorno dei suoi peccati.” Antonio facendo<br />

l'innocente gli disse: “Lo sarà? Intendi dire che era un uomo solo? E<br />

pensi di trovarlo? Dopo tutto questo tempo?”<br />

Se uno sguardo potesse ammazzare un uomo, ti giuro che<br />

Antonio sarebbe caduto morto all'istante. “Erano in due,” ringhiò<br />

Seneca. “Ma almeno uno di loro morirà un giorno per la mia gioia.<br />

Lo troverò, legato, credimi.”<br />

“Ah, erano in due,” disse Antonio. “Mi sembrava di averlo<br />

sentito dire. E quale dei due stai cercando?”<br />

“Il più vecchio.” Io facevo fatica a sentirlo. <strong>La</strong> sua voce era un<br />

bisbiglio, come se qualcuno lo stesse strangolando. “Erano due. Ma<br />

è uno solo quello che mi ha marchiato! Guarda!” A questo punto<br />

gridò come un pazzo e scattò in piedi, strappandosi la tunica per<br />

mostrare la cicatrice che tu gli hai fatto. “Mi ha marchiato come un<br />

animale!” gridava e tutti a tavola erano in totale imbarazzo, tranne<br />

Antonio e me.»<br />

Qui Plauto fece una pausa e sia Equo che io aspettammo finché<br />

non ne potemmo più.<br />

«E poi, cosa è successo dopo, Plauto?»<br />

«Oh, è cambiato di colpo. Con la stessa rapidità con cui aveva<br />

perso il controllo, lo ha riacquistato. Come se una luce gli si fosse


accesa dietro gli occhi. Ha smesso di muoversi e di tenere aperta la<br />

tunica e si è guardato intorno, fissandoci a uno a uno. E poi ha riso,<br />

ha richiuso la tunica e si è seduto, prendendo un bicchiere come se<br />

nulla fosse accaduto. “Il tuo vino è eccellente, Cicerone,” ha detto in<br />

tono <strong>del</strong> tutto normale. “E così anche la tua cucina. Signori,<br />

propongo un brindisi al nostro ospite.” Ti giuro, Varro, è pazzo.»<br />

Equo e io sedevamo in silenzio ascoltando quello strano<br />

racconto, e per una volta non fui io a chiedere la conclusione.<br />

«È tutto?» chiese Equo. «Non c'è stato un seguito?»<br />

Plauto scosse la testa, mordendosi le labbra. «È tutto. Io me ne<br />

sono andato il più in fretta possibile, però. Ero pronto per una notte<br />

di sonno e dovevo partire presto la mattina. Ma c'è stata un'altra<br />

cosa. Quella però mi ha fatto ridere.» Si girò e mi sorrise, mentre le<br />

ombre <strong>del</strong> braciere morente gli tracciavano segni neri sulla faccia.<br />

«Uno dei commensali zoppicava malamente. Nessuno se n'è<br />

accorto, finché il poveretto si è alzato per andare a fare i propri<br />

bisogni. Era quasi arrivato alla porta quando Seneca al notarlo, gli<br />

disse: “Ehi, tu, laggiù!”<br />

“Procuratore?” Il poveretto non sapeva neanche se stesse<br />

chiamando proprio lui.<br />

“Dove ti sei procurato quella zoppicatura?”<br />

A questo punto è intervenuto Antonio. “Il tribuno Scala è stato<br />

ferito in combattimento, procuratore. Durante la grande invasione,<br />

anni fa.”<br />

Seneca non è rimasto impressionato. E non è stato cortese. Era<br />

ubriaco e ostile e minaccioso. “Non mi piacciono gli zoppi”, ringhiò.<br />

“Mi offendono. Dove stai andando?”<br />

“A liberarmi, procuratore.” <strong>La</strong> risposta di Scala si è sentita a<br />

malapena. Non sapeva in che modo avesse offeso quel figlio di<br />

puttana, ma sapeva di averlo offeso.<br />

Seneca ha sogghignato beffardo e io avrei voluto tirargli una


pugnalata. “Liberati anche <strong>del</strong>la tua zoppicatura, pezzo di letame!”<br />

ha detto. “O te ne liberi o non tornare.”<br />

Non ama gli storpi, Publio. Io potrei fare un brindisi agli storpi,<br />

ma ho già bevuto abbastanza e sono stanco. Dove dormo?»<br />

Anche Equo era stravolto dalla stanchezza, incapace di<br />

nascondere gli sbadigli, e decisi di concedere loro un po' di riposo.<br />

«A proposito» chiesi a Equo quando ci alzammo. «Hai fatto<br />

visita a Febe a Verulamium lungo il cammino?»<br />

Equo stava grattandosi la testa e la barba. «No» disse. «Siamo<br />

andati a cercarla, ma aveva cambiato casa e la vecchia non sapeva<br />

dove fosse andata. Ho lasciato una lettera per lei al vescovo Alarico.<br />

Se torna saprà dove trovarmi.»<br />

Dopo che furono andati a letto sedetti da solo vicino al braciere<br />

per un po' di tempo, pensando alla mia vita e ai cambiamenti che<br />

avevano avuto luogo e anticipando altri piacevoli cambiamenti che<br />

mi riservava il futuro: la riunione di tutti gli ospiti per il nostro<br />

matrimonio e la vita in compagnia di Luceia. Il giorno era vicino<br />

ormai; mancavano meno di tre settimane alla data <strong>del</strong>le nostre<br />

nozze. Mi sentivo piacevolmente rilassato e pronto a dormire, e me<br />

ne andai a letto.


XXIII.<br />

L'arrivo di Plauto e di Equo e <strong>del</strong> loro gruppo sembrò essere il<br />

segnale per gli ospiti che cominciarono ad arrivare ogni giorno in<br />

numero sempre maggiore. Erano in gran parte estranei per me,<br />

vecchi amici di Gaio e di Luceia, ma trovai comunque qualche viso<br />

familiare e gradito. Tutti, però, volevano conoscermi, per valutare<br />

l'uomo che aveva conquistato Luceia Britannico.<br />

Rimasi con Luceia per l'intero periodo di tre settimane che<br />

precedette le nozze, ma era tale la confusione <strong>del</strong>la gente e il numero<br />

<strong>del</strong>le cose da fare che non ricordo di aver passato un momento solo<br />

con lei. Quanto a Equo e Plauto, li trascurai completamente. In tutto<br />

il crescendo di eccitazione e nella costante ridda di incontri con<br />

persone nuove non riuscii nemmeno a portarli nella valle <strong>del</strong>le<br />

pietre celesti. Sapevo che a Plauto non importava niente, ma sentivo<br />

ogni tanto dei rimorsi nei confronti di Equo, che era <strong>del</strong>uso anche se<br />

non lo dava a vedere.<br />

Antonio Cicerone e il vescovo Alarico arrivarono quindici giorni<br />

dopo il gruppo di Colchester, sette giorni prima <strong>del</strong>le nozze, e<br />

furono subito risucchiati nel vortice di ospiti che si erano già<br />

riversati fuori dalla villa e si erano accampati numerosi per tutta la<br />

tenuta. Persi completamente il loro arrivo. Arrivarono tardi quel<br />

giorno, mentre io ero a caccia di cervi; all'ultimo momento Luceia<br />

aveva cominciato a temere che non avessimo abbastanza provviste<br />

per la moltitudine che continuava ad arrivare. <strong>La</strong> vista di Antonio e<br />

Alarico insieme a Equo e Plauto fu una bella sorpresa quando<br />

ritornai il giorno dopo con mezzo carro pieno di cacciagione, ma<br />

non ci fu la possibilità di scambiare altro che poche frasi<br />

convenzionali. Solo più tardi quella sera, in risposta alla diretta<br />

richiesta di Alarico, li sottrassi alla baldoria intorno al fuoco e li<br />

condussi nella saletta di Gaio, illuminata a giorno da una profusione


di lampade a olio e dal braciere acceso. Dopo aver chiuso la porta<br />

per scoraggiare eventuali intrusi, mi buttai esausto sul divano.<br />

«E adesso ditemi» chiesi con un sorriso, «cosa c'è di così<br />

importante che mi fate rischiare la collera <strong>del</strong> mio amore per aver<br />

abbandonato gli ospiti prima che siano sbronzi? O semplicemente vi<br />

sono mancato a tal punto che eravate gelosi <strong>del</strong>la folla e volevate<br />

avermi tutto per voi?»<br />

Si guardarono l'un l'altro con un'apprensione così evidente e<br />

inequivocabile che il mio buon umore scomparve immediatamente,<br />

sostituito da un gelido brivido di paura che sembrò annullare anche<br />

il calore <strong>del</strong> braciere. Mi drizzai a sedere, preparandomi alle brutte<br />

notizie, anche se non sapevo da dove potessero arrivare. Antonio<br />

era seduto di fronte a me. Alarico rimase in piedi vicino al cesto<br />

<strong>del</strong>la legna.<br />

«In nome di Dio, Alarico» chiesi, «cosa succede?»<br />

«Varro.» Fu Antonio a rispondere e i miei occhi fissarono il suo<br />

volto preoccupato. «Abbiamo cattive notizie per te. Notizie che non<br />

si convengono a una festa di nozze.»<br />

«E allora al diavolo le vostre notizie!» risposi. «Non le voglio<br />

sentire.» <strong>La</strong> mia mente aveva immediatamente evocato lo spettro di<br />

Seneca, ma non riuscivo a visualizzare la possibilità di una sua<br />

minaccia in quel momento. Antonio tentò di dire qualcos'altro, ma<br />

lo interruppi con un cenno <strong>del</strong>la mano.<br />

«No, Antonio, amico mio. Ascolta quello che devo dirti. <strong>La</strong> mia<br />

mente è chiara. Tutti i miei amici sono qui, tutti quelli che mi sono<br />

cari al mondo. Nessuno di loro è minacciato e io sono soddisfatto.<br />

Per questo qualunque brutta notizia portiate da un altro distretto<br />

non può avere nessun effetto su di me tra oggi e la mia festa di<br />

nozze. Sono sicuro che lo capite, vero? È per questo che non voglio<br />

sentire le vostre notizie. Almeno finché non mi sia sposato.»<br />

Antonio fece una smorfia di sconforto e guardò Alarico


cercando aiuto. Così feci io, senza trovarne.<br />

«Publio» disse il vescovo. «Antonio e io pensiamo che Febe sia<br />

stata uccisa. Assassinata. Pensiamo che sia stata rapita e uccisa nel<br />

tentativo di cercarti.»<br />

Per un momento la mia mente fu incapace di afferrare quello che<br />

diceva, tanto inaspettato mi giungeva il suo sospetto. Febe? Morta?<br />

Ammazzata per causa mia? L'idea era pazzesca. Sapevo che era<br />

pazzesca, perché nessuno avrebbe collegato Febe a me. Nemmeno<br />

suo fratello Equo. <strong>La</strong> sola persona che sapeva <strong>del</strong> mio passeggero<br />

legame con Febe era Plauto e non ne avrebbe mai fatto parola. Alla<br />

fine riuscii a parlare.<br />

«Non è possibile» dissi con voce stranita. «Vi sbagliate. Febe non<br />

può essere stata colpita per causa mia, non sa neppure dove sono. Vi<br />

sbagliate. Dovete sbagliarvi.»<br />

«Prego il nostro Salvatore che sia così, Publio, ma non riesco a<br />

trovare nella mia anima la fede per credere che sia viva.» <strong>La</strong> voce di<br />

Alarico era bassa e turbata. «Ci sono molte prove <strong>del</strong> contrario e<br />

sono state raccolte da due fonti inconfutabili, da me e da Antonio.»<br />

«Cosa...» dovetti schiarirmi la voce per continuare. «Cosa sono<br />

queste prove... ditemelo.»<br />

Alarico me lo disse senza giri di parole. Equo gli aveva lasciato<br />

una lettera da consegnare a Febe al suo ritorno a Verulamium. Il<br />

giorno dopo un uomo <strong>del</strong>la sua congregazione gli aveva fatto una<br />

confessione che l'aveva turbato. Il penitente aveva ammesso di aver<br />

ricevuto <strong>del</strong> denaro da alcuni sconosciuti in cambio di informazioni<br />

su una giovane donna. Si era ritenuto fortunato allora, perché la<br />

donna non era famosa per essere una santa e quelli l'avrebbero<br />

trovata comunque, rossa di capelli e bella com'era.<br />

Poi, qualche settimana più tardi, aveva sentito che la donna era<br />

stata ritrovata morta, pugnalata e mutilata, il giorno dopo che aveva<br />

venduto l'informazione. <strong>La</strong> sua coscienza aveva cominciato a


imordergli da allora e adesso chiedeva l'assoluzione. Lui, Alarico,<br />

gliela aveva concessa, pur pensando che non si trattasse di un<br />

peccato vero e proprio, ma sapeva che Febe era rossa di capelli e<br />

attraente, e aveva cominciato a preoccuparsi. Aveva fatto varie<br />

domande e aveva saputo, con immensa gioia, che non si trattava di<br />

Febe. Comunque aveva deciso di fare visita alla vecchia zia di Febe e<br />

di parlare con tutti quelli che l'avevano conosciuta.<br />

Alle terme presso le quali lavorava gli avevano detto che non la<br />

vedevano da più di un mese, dalle Calende, il primo giorno di<br />

febbraio. <strong>La</strong> vecchia sdentata proprietaria <strong>del</strong>l'edificio dove abitava<br />

gli aveva detto solo che Febe era sparita, scappata senza pagare<br />

l'affitto. Le stanze che aveva occupato adesso erano affittate a<br />

qualcun altro. Scontento e sempre più allarmato aveva pagato<br />

l'affitto arretrato, ma era convinto che Febe fosse troppo intelligente<br />

e responsabile per sparire volontariamente in modo così strano,<br />

senza lasciare una parola di avvertimento per suo fratello o i suoi<br />

amici. Si era detto che stava diventando sospettoso, ma aveva messo<br />

in moto i suoi fe<strong>del</strong>i per scoprire cosa fosse successo veramente alla<br />

donna “venduta” dal suo penitente.<br />

E quello che aveva scoperto non era piacevole. Due donne erano<br />

state ritrovate la mattina in questione e tutte e due avevano i capelli<br />

rossi ed erano di bell'aspetto. Entrambe erano scomparse la notte<br />

precedente le calende di febbraio, la stessa notte nella quale era<br />

sparita Febe, che rispondeva alla stessa descrizione. Immediate<br />

inchieste presso le autorità militari romane, però, avevano stabilito<br />

che nemmeno la seconda donna era Febe. Ma, a parte che le due<br />

donne - tre con la scomparsa di Febe - erano state rapite per motivi<br />

sconosciuti, non avevano saputo dirgli altro. Questo era accaduto<br />

solo due settimane prima che lasciasse Verulamium diretto a ovest.<br />

A questo punto si fermò e sembrò esitare e poi disse che<br />

Antonio avrebbe continuato la cronaca. Io tacqui. Mi limitai ad<br />

attendere che parlasse Antonio. Ma Antonio era immerso nei suoi


pensieri e io sospettai che stesse cercando il modo migliore per<br />

affrontare la sua parte <strong>del</strong>la storia. Alla fine iniziò con una<br />

domanda.<br />

«Plauto ti ha raccontato <strong>del</strong>la cena a cui ha partecipato insieme a<br />

Seneca?» Annuii, e Antonio continuò. «Ti ha raccontato <strong>del</strong>lo sfogo<br />

di Seneca contro di te?»<br />

«Sì. E mi ha anche raccontato che Seneca se l'è presa con uno dei<br />

tuoi ospiti che zoppicava.»<br />

«Scala. Sì, è vero. Il povero Scala gli ha offerto un altro pretesto<br />

per sfogarsi. Seneca ha vaneggiato e <strong>del</strong>irato per più di un'ora dopo<br />

che il poveretto se n'era andato, senza sapere che cosa avesse fatto<br />

per offenderlo. È il tipico comportamento di Claudio Seneca: follie e<br />

scempiaggini da ubriaco. Ha insultato tutti, me incluso, e ha<br />

mandato via umiliandoli anche i suoi amici intimi. E dopo lo<br />

spettacolo siamo rimasti soli io e lui.» Fece una smorfia. «Un grande<br />

onore di cui avrei fatto volentieri a meno.»<br />

«Beh» dissi, «presumo che fossi ben corazzato. A quel punto<br />

dovevi essere piuttosto sbronzo.»<br />

Antonio scosse la testa. «Lui lo era. Io no. Avevo bevuto<br />

abbastanza, ma penso che la paura <strong>del</strong>la sua capacità di causare<br />

dolore e guai mi mantenesse sobrio.»<br />

Mi chiedevo dove volesse arrivare. «Allora?»<br />

Fece un'altra smorfia, di disgusto e ripugnanza. «Malvagità»<br />

disse. «È la sola parola a cui riesco a pensare quando mi viene in<br />

mente quell'uomo. Malvagità. Sì, ma ancora peggio di questo,<br />

Publio. Malevolenza. <strong>La</strong> malevolenza di quell'uomo è senza fine. Sta<br />

ancora cercandoti attivamente, o meglio, sta dando la caccia<br />

all'uomo che ritiene essere te. Il suo spregevole parente Nesca ha<br />

messo i segugi alle calcagna di ogni zoppo con i capelli grigi da<br />

quando è successo il fattaccio.»<br />

Sollevai la testa in segno di assenso. «Lo so.»


«Da quanto ho sentito, perché come sai non lo conoscevo, era<br />

piuttosto notevole fisicamente prima che tu distruggessi la sua<br />

bellezza.» Diedi la mia non richiesta conferma e Antonio proseguì.<br />

«Ebbene, non lo è più e non ti perdonerà mai per questo. Non sapere<br />

chi è stato peggiora solo il suo stato d'animo.»<br />

Feci un grugnito. «Non era bello. Per niente. Era deforme anche<br />

allora, molto prima che lo incontrassi. Forse pensava di essere bello,<br />

ma era ben lontano dall'esserlo.»<br />

«D'accordo. Ti credo. Credeva di essere bello. Ma questo è tutto<br />

quello che conta. Per un uomo con i suoi... gusti, la bellezza fisica è<br />

molto importante. Tu lo hai sfigurato, Varro, per sempre e senza<br />

rimedio. Se ti trova, ti uccide. Spiacevolmente.»<br />

«Lo so.» Si stava facendo tardi e io mi agitai, sentendo che<br />

dovevo muovermi. «Ma cosa ha a che fare questo con Febe?»<br />

Antonio scosse la testa con estrema impazienza. «Non lo so.<br />

Forse sono solo pessimista. Ma il nostro nobile procuratore tra un<br />

bicchiere e l'altro ha lasciato cadere un riferimento ad almeno una<br />

donna morta sotto interrogatorio nel caso <strong>del</strong>l'uomo zoppo con i<br />

capelli grigi.»<br />

«Febe?»<br />

Scosse la testa. «Non lo so. Come ti ho detto il riferimento gli è<br />

sfuggito e se ne è pentito subito. Non ne ha parlato più. Non sapevo<br />

niente di Febe allora e non volevo discutere l'argomento<br />

apertamente. Non volevo neppure rischiare di risvegliare la sua<br />

collera o i suoi sospetti ritirando in ballo la faccenda. Ho lasciato<br />

cadere l'argomento, ma mi ha spaventato. Come governatore<br />

militare, il mio compito è già abbastanza difficile e non ho nessun<br />

desiderio di essere coinvolto nelle azioni <strong>del</strong> nostro inestimabile<br />

procuratore. Se avessi ottenuto più informazioni sarei stato<br />

obbligato a iniziare un'inchiesta, senza sapere da dove iniziare e<br />

cosa certe.»


Indignato, guardai Alarico. Ascoltava attentamente, con la<br />

faccia priva di emozioni. Le mie emozioni erano invece sul punto di<br />

esplodere.<br />

«Dannazione, Antonio ! Ma è abominevole. Cosa ha detto?»<br />

«Non ho inteso tutto. Anch'io avevo bevuto molto, ricorda. L'ho<br />

sentito farfugliare qualcosa che aveva quasi preso quel figlio di<br />

puttana. Aveva preso la sua puttana, ma la troia era testarda. Morta<br />

senza dire una parola. Quello che ho sentito era il brontolio di un<br />

ubriaco, Publio. Quando ho cominciato ad ascoltare quello che stavo<br />

sentendo, se capisci cosa voglio dire, aveva già finito di parlare. Ci<br />

ho pensato per qualche momento e poi ho deciso che non volevo<br />

sentire di più. Ma mi è rimasto in mente. Non riuscivo a cacciare<br />

quel pensiero.»<br />

«Non ne sono sorpreso. L'assassinio è contrario alla legge<br />

romana, legato!»<br />

«Forse. Ma stava davvero parlando di omicidio? Non lo so,<br />

Varro. E anche se lo avessi saputo con certezza, non avrei potuto<br />

fare molto. Il mio unico informatore avrebbe difficilmente ripetuto<br />

la sua autocondanna una volta sobrio, non credi?»<br />

Ribollivo d'impazienza. «Allora? È tutto quello che ha detto?»<br />

Antonio annuì. Io non feci nessuno sforzo per contenere la<br />

collera. «Allora cosa ti fa pensare che si tratti di Febe, in nome di<br />

Dio? Un ubriaco ti parla di una donna che è morta e che forse è stata<br />

<strong>del</strong>iberatamente uccisa nella caccia a uno zoppo. Questo non mi dice<br />

che è Febe!»<br />

Antonio si alzò in piedi. «Lo dice a me, Publio. Sii serio. Lo<br />

zoppo di cui stiamo parlando sei tu. E la donna era di Verulamium.<br />

Questo è tutto quello che ho sentito. Io non ho pensato a Febe perché<br />

non sapevo <strong>del</strong>la sua esistenza. È stato solo quando Alarico mi ha<br />

detto <strong>del</strong>le sue preoccupazioni al suo riguardo che ho collegato i due<br />

fatti.»


Non ero arrabbiato con Antonio, ma con la situazione. Sapevo<br />

che doveva essere una coincidenza. Nella mia frustrazione mi alzai<br />

in piedi ed esposi al calore <strong>del</strong> fuoco le palme <strong>del</strong>le mani.<br />

«Dannazione, Antonio, nessuno a Verulamium, a parte Alarico,<br />

sa chi sono, o che conoscevo Febe! Quello che voi due suggerite è<br />

impossibile! Non c'è nessun modo, assolutamente nessuno...» Ma mi<br />

fermai a metà <strong>del</strong>la frase e il mio corpo fu percorso da gelidi sussulti<br />

mentre mi vedevo davanti una faccia, la faccia <strong>del</strong> tagliaborse in<br />

mezzo alla folla che lasciava l'anfiteatro di Verulamium, la faccia<br />

<strong>del</strong>l'uomo che avevo consegnato perché fosse giustiziato ad<br />

Alchester. Aveva una spada in mano e veniva verso di me.<br />

Qualcuno era stato derubato e aveva urlato e io avevo guardato e<br />

avevo visto l'uomo che credevo essere il ladro. Quella era stata una<br />

coincidenza. Ma lì finivano tutte le coincidenze. Lui mi aveva già<br />

individuato nella folla. Mi stava guardando e questo significava che<br />

aveva visto Febe insieme a me. Era morto ad Alchester, ma per<br />

strada viaggiava con sette compagni, due dei quali erano ancora<br />

vivi. Uno o due di loro avrebbero potuto essere stati con lui nella<br />

folla. O forse aveva detto loro di avermi già visto la sera prima a<br />

teatro con una donna. E forse aveva descritto la donna.<br />

Mi si rivoltava lo stomaco. Non era necessario altro che uno dei<br />

due assassini sopravvissuti si fosse ricordato che io ero stato visto in<br />

compagnia di una bella donna con i capelli rossi. Verulamium non è<br />

una città grande e io non avevo fatto nessuno sforzo per<br />

nascondermi mentre ero con Febe. Centinaia di persone avrebbero<br />

potuto ricordarsi di averci visto insieme e qualcuno poteva averla<br />

riconosciuta. Tutto questo mi attraversò la mente come un lampo, e<br />

seppi di colpo oltre ogni ragionevole dubbio che Antonio e Alarico<br />

avevano ragione e che Febe era morta, e il peso <strong>del</strong>la colpa cadde su<br />

di me e mi spezzò le gambe.<br />

Alarico mi prese prima che cadessi contro il braciere, e lui e<br />

Antonio mi dovettero quasi portare sul divano, dove rimasi a sedere


a lungo come un uomo in <strong>del</strong>iquio prima che potessero ottenere una<br />

risposta da me.<br />

Non ricordo niente <strong>del</strong> resto. Ricordo solo di essermi reso conto<br />

che avevo ammazzato Febe con la mia lussuria. Se io quel giorno<br />

non fossi andato a farle visita a Verulamium, sarebbe stata ancora in<br />

vita. Poi nella mia memoria ci fu solo un buco nero, finché vidi<br />

Alarico seduto di fronte a me, chino in avanti a fissarmi<br />

attentamente negli occhi con il viso scavato dalla preoccupazione.<br />

Più tardi, molto più tardi, accettai il fatto che il rimorso era futile<br />

e ingiustificato, ma questo non rese il dolore più facile da<br />

sopportare. Accettai anche il fatto che Claudio Cesario Seneca e io<br />

eravamo votati a un incontro mortale. Uno di noi avrebbe ucciso<br />

l'altro e io ero deciso a sopravvivere al giudizio finale.<br />

Quella stessa notte raccontai a Luceia cosa era successo, e pianse<br />

con me per la sfortunata giovane donna, morta semplicemente<br />

perché io ero suo amico. Durante quella notte insonne decisi di<br />

nascondere il mio lutto agli ospiti e giurai di piangere Febe in<br />

seguito, quando ci sarebbe stato il tempo di piangere. Giurai anche<br />

di vendicare la sua morte e fantasticai su quello che avrei fatto a<br />

Seneca quando me lo fossi trovato di fronte.


XXIV.<br />

I festeggiamenti per il matrimonio continuarono per altre due<br />

settimane. Dignitari civili e amministratori provinciali si<br />

mescolavano a ufficiali e soldati di ogni rango e aspetto, compreso il<br />

giovane Pico. C'erano vescovi e druidi e preti, mercanti, proprietari<br />

terrieri, coloni, muratori, fabbri, sarti, calzolai, tessitori, indovini e<br />

musici. C'erano Romani di origine romana e Romani di origine<br />

britannica, Greci, Nordafricani, Britanni di ogni tipo, Galli<br />

provenienti d'oltremare e Celti <strong>del</strong>la regione montagnosa alle nostre<br />

spalle. Furono festeggiamenti così gioiosi da rivaleggiare con i<br />

Saturnali dei tempi andati, e ognuno ne godette pienamente.<br />

Il giorno <strong>del</strong> matrimonio il sole brillava caldo e luminoso e io ero<br />

più espansivo di quanto uno sposo abbia il diritto di essere. Avevo<br />

passato la notte precedente tra le braccia <strong>del</strong> mio amore e gli ultimi<br />

semi di dubbio su Febe erano stati purgati dallo spargimento <strong>del</strong><br />

mio stesso seme e dall'amore e dalla comprensione <strong>del</strong>la donna che<br />

dovevo sposare il giorno seguente. <strong>La</strong> primavera era finalmente<br />

arrivata. <strong>La</strong> terra era verde e coperta di fiori. Non c'era vento e l'aria<br />

era ricca dei profumi <strong>del</strong>la primavera e <strong>del</strong> canto degli uccelli. <strong>La</strong><br />

mia sposa risplendeva di bellezza nel suo abito di stoffe africane, e<br />

io sapevo in tutta modestia di avere un aspetto magnifico nel mio<br />

abito di pelle cucito dalle mani di Luceia.<br />

Mentre ci scambiavamo i voti che ci avrebbero legato l'uno<br />

all'altra, sembrò che anche gli uccelli smettessero di cantare affinché<br />

noi potessimo sentire il suono <strong>del</strong>le nostre voci, la voce di Luceia<br />

chiara e dolce e la mia sorprendentemente timida. Il nostro contratto<br />

fu sigillato con un bacio e i festeggiamenti iniziarono per davvero.<br />

Ogni splendido giorno primaverile era pieno di giochi, gare di<br />

atletica di ogni tipo, partite di caccia e cose simili. C'era cibo in<br />

abbondanza e tutti potevano saziarsi a piacimento non appena lo


desideravano. Le serate erano rallegrate da canti e danze e<br />

amoreggiamenti, e penso di non essere stato il solo a consumare una<br />

relazione durante quel periodo.<br />

So che Gaio si divertì in quelle due settimane, anche se le sue<br />

motivazioni non erano certo matrimoniali; vedeva nella riunione di<br />

tutti i suoi amici più fidati un'opportunità unica per sondare le loro<br />

opinioni sullo stato <strong>del</strong>l'Impero e promuovere le sue personali<br />

convinzioni.<br />

Durante quelle due settimane fui testimone e levatrice di una<br />

nascita miracolosa. Sarei rimasto in seguito per sempre la balia <strong>del</strong>la<br />

creatura che nacque allora. Forse qualcuno riderà <strong>del</strong>le mie parole e<br />

le giudicherà fantasiose, ma io sono pronto a sostenerne la verità. <strong>La</strong><br />

celebrazione <strong>del</strong>le mie nozze fu occasione <strong>del</strong>la nascita spirituale di<br />

quella che cominciammo a chiamare la nostra Colonia, e io ricordo<br />

chiaramente le circostanze che avviarono la catena di eventi<br />

destinata a dare una nuova forma al destino di tutti noi.<br />

Gaio parlava da anni <strong>del</strong>le sue idee sull'Impero e <strong>del</strong>le sue paure<br />

riguardo al futuro, non solo con me, ma con ognuno dei suoi amici e<br />

conoscenti. Alcuni erano d'accordo con le sue opinioni, altri le<br />

contestavano; altri ancora le tolleravano allegramente, facendoci<br />

<strong>del</strong>lo spirito e lanciando sguardi di insofferenza al soffitto quando<br />

lui si lanciava in uno dei suoi monologhi. Tutti però, se messi sotto<br />

pressione, avrebbero ammesso che, almeno in parte, aveva ragione.<br />

Non era tutto in perfetto ordine nel mondo romano. Tuttavia pochi<br />

riuscivano veramente a credere che la situazione fosse così disperata<br />

come Gaio amava dipingerla, e io ero tra quelli.<br />

Terra e Firma Atribato cambiarono tutto ciò nel corso di una<br />

sera.<br />

I due fratelli erano gemelli identici, e i loro veri nomi erano<br />

Terrice Polonio e Arpio Fermice Atribato. Erano diventati<br />

favolosamente ricchi come proprietari associati <strong>del</strong>la più ricca flotta<br />

di navi mercantili <strong>del</strong>la Britannia, ed era inevitabile che le loro


attività marittime li rendessero noti agli amici come Terra e Firma. Io<br />

non li conoscevo personalmente, ma erano amici stretti <strong>del</strong>la<br />

famiglia Britannico fin dall'infanzia. I loro nomi erano molto in alto<br />

nella lista degli invitati, perciò quando alla fine dalla prima<br />

settimana di festeggiamenti non erano ancora arrivati, la loro<br />

assenza era stata notata da tutti. Finalmente arrivarono, una sera<br />

quando era già buio, e l'accoglienza loro riservata fu tanto più<br />

calorosa in quanto ormai non li si aspettava più.<br />

Li incontrai brevemente e diedi loro il benvenuto insieme a<br />

Gaio, poi tornai vicino al fuoco all'aperto, lasciando che Gaio li<br />

accompagnasse ai loro alloggi.<br />

Avevo apprezzato quelle riunioni serali più di ogni altra cosa, a<br />

parte mia moglie, perché in quelle occasioni Gaio e i suoi amici<br />

davano il meglio, riuniti intorno al fuoco scoppiettante con una<br />

coppa di vino o di idromele celtico o una brocca <strong>del</strong>la birra locale.<br />

Allora nascevano conversazioni e discussioni, e ognuno ne godeva.<br />

Da una sera all'altra la conversazione poteva riguardare la politica o<br />

la filosofia, la religione o la poesia, ma era sempre gradevole. In<br />

quella seta particolare, prima <strong>del</strong>l'arrivo dei tanto attesi gemelli,<br />

avevamo parlato <strong>del</strong>la grande Repubblica e <strong>del</strong>lo stile di vita<br />

romano, dei vecchi tempi e <strong>del</strong>le vecchie usanze. Gaio era nel suo<br />

elemento e anche Plauto era entrato nello spirito <strong>del</strong>la discussione,<br />

dimenticando la normale reticenza nella disinvolta compagnia di<br />

Antonio, il suo comandante. Senza la presenza catalizzatrice di<br />

Gaio, però, la conversazione languiva, e io stavo pensando di andare<br />

a cercare mia moglie e di trascinarla a letto, quando Quinto Varo<br />

commentò che Gaio ci metteva un tempo dannatamente enorme a<br />

portare intorno al fuoco i nuovi arrivati. Io mi alzai e mi stirai,<br />

sbadigliando rumorosamente e sollevando così un coro di risate e di<br />

commenti lascivi. Gaio Gallo, un altro intimo amico di Britannico, si<br />

sporse elegantemente e buttò tra le fiamme un pezzetto di legno.<br />

«Di nuovo stanco, Publio? Così presto? Non ti ha mai detto


nessuno che i letti servono anche per dormire?»<br />

Io sogghignai, intimidito, e negai l'evidenza.<br />

«Chi è stanco, Gaio? Sono annoiato, ecco tutto. Vado a cercare<br />

Gaio e i nuovi ospiti. Abbiamo bisogno di un po' di menti nuove per<br />

animare la conversazione.» Mi allontanai tra un coro di lazzi e<br />

battute e andai a cercare Gaio. Lo trovai nella sua saletta privata,<br />

immerso in una profonda conversazione con i gemelli. Vedendo il<br />

loro modo di fare e l'intensità <strong>del</strong> tono di voce, mi fermai sulla soglia<br />

non volendo interromperli. Stavo girandomi per andarmene quando<br />

Gaio, che mi aveva visto con la coda <strong>del</strong>l'occhio, mi fermò con un<br />

gesto perentorio <strong>del</strong>la mano. Mentre esitavo voltò a metà la faccia<br />

verso di me, tenendo gli occhi fissi sul gemello che stava parlando.<br />

Non appena il discorso scivolò verso una pausa naturale, con un<br />

altro gesto <strong>del</strong>la mano lo interruppe.<br />

«Scusami, Terra.» Si girò verso di me. «Publio, devi perdonarmi<br />

anche tu. Non volevo essere scortese, ma non volevo che te ne<br />

andassi. Terra, Firma, questo è il mio nuovo cognato, Publio Varro.<br />

Lo avete incontrato prima, ma il vostro arrivo è stato un po' agitato.<br />

Publio, questi sono due dei miei più vecchi e cari amici. Mi hai<br />

sentito parlare di loro molte volte. Questo è Terra... nota la tunica<br />

azzurra. Questo è Firma... tunica bianca. Domani cambieranno abito<br />

e ci confonderanno entrambi.»<br />

Ci salutammo, sorridendo, poi guardai Gaio scuotendo la testa.<br />

«Mi dispiace, Gaio, ma non avevo niente di importante da dirti e<br />

non volevo interromperti. Stavo andando a letto e gli altri si<br />

chiedevano cosa ti fosse successo, così ho detto che avrei dato<br />

un'occhiata mentre passavo e ti avrei mandato a raggiungerli. Ma è<br />

evidente che state parlando di cose importanti e quindi vi lascio, e<br />

dirò a tutti di non aspettarvi.» Feci per andarmene.<br />

«No, voglio che ascolti anche tu, Publio.» Fece una pausa. «Ma<br />

penso che anche gli altri dovrebbero sentire. Quanta gente c'è<br />

ancora?»


Passai mentalmente in rivista il gruppo che avevo lasciato vicino<br />

al fuoco. «Gaio, Varo, Antonio, Plauto e pochi altri, circa cinque. È<br />

tutto. Gli altri sono andati via prima di me.»<br />

«Bene. Proprio quelli che volevo.» Si girò verso i gemelli. «Penso<br />

che dovremmo finire la nostra discussione qui e poi riferire a Varro e<br />

agli altri quello che mi avete detto. Siete d'accordo?»<br />

I gemelli fecero gli identici gesti di conferma e Gaio si girò verso<br />

di me.<br />

«Porta agli altri i miei rispetti e chiedi loro per favore di<br />

aspettarci.»<br />

Sorrisi. «Sono incluso anch'io? Credo che mia moglie mi stia<br />

aspettando da qualche parte.»<br />

Non rispose al mio sorriso. «Sì, voglio che ti fermi anche tu.<br />

Abbiamo molte cose da discutere.»<br />

Mi strinsi nelle spalle, la mia curiosità ormai desta. «Come<br />

desideri» dissi. «Vado a dire agli altri di aspettare.»<br />

Raggiunsi gli altri e passammo vari minuti chiedendoci cosa<br />

potesse esserci di così importante da tenere uno sposo novello<br />

lontano dai suoi doveri.<br />

Gaio e i suoi nuovi ospiti giunsero vicino al fuoco poco dopo,<br />

con grave danno per una storiella indecente che Quinto Varo stava<br />

raccontando. Le facce di tutti e tre erano abbastanza cupe da calare<br />

una cappa di gravità anche sui saluti che vennero scambiati da una<br />

parte all'altra <strong>del</strong> fuoco; non appena si furono seduti, Gaio Gallo fece<br />

la domanda che tutti stavano pensando.<br />

«Cosa sta succedendo, Gaio?»<br />

Gaio ci guardò tutti ad uno ad uno prima di rispondere. «Terra e<br />

Firma vogliono comprare una villa nella zona. Qualcuno di voi sa se<br />

ce n'è una in vendita, o due?»<br />

Ci fu un breve silenzio, poi Varo chiese: «Due? Parli


seriamente?». Guardò Terra e Firma, con uno sguardo che<br />

esprimeva un'educata incredulità. «State cercando un luogo dove<br />

ritirarvi, qui? In mezzo ai contadini? E la vostra villa di Londinium?<br />

E la vostra casa di Aquae Sulis? E la vostra isola nell'Egeo? Il vostro<br />

palazzo a Costantinopoli? Se avessi i vostri soldi e la vostra età,<br />

ragazzi, me ne starei a scaldarmi al sole, non cercherei di<br />

imbrogliare la gente, facendo credere che siete interessati a vivere in<br />

un'acqua stagnante come questa.»<br />

Firma fece una smorfia. «È sparito tutto, Quinto.»<br />

«Sparito?» intervenne Gaio Gallo. «Cosa intendi con sparito?»<br />

«Proprio quello che ho detto. Non abbiamo più niente.»<br />

«Vuoi dire che li avete dovuti vendere?»<br />

«No.» Quel monosillabo era stato pronunciato con un tono di<br />

voce che richiedeva attenzione alle parole che seguivano. «Ci sono<br />

stati confiscati.»<br />

«Confiscati!» Il tono scandalizzato di Gaio Gallo rifletteva lo<br />

stupore di tutti i presenti. «Vuoi dire che siete falliti? Rovinati?»<br />

Fu Terra a rispondere. «No, nient'affatto. Ma abbiamo lasciato<br />

gli affari.» Si schiarì la voce e continuò: «Di recente abbiamo perso<br />

molte navi per colpa dei pirati. Troppe».<br />

«Quante?» Questa volta era Varo a parlare.<br />

«Sette navi negli ultimi due mesi.»<br />

«Sette?»<br />

«Sette. Una nave, un equipaggio e un carico ogni otto giorni, e<br />

ogni volta è peggio. Una di quelle navi era una quadriremi. Le altre<br />

erano quattro triremi e due biremi, navi grandi, carichi grandi e<br />

grandi perdite.»<br />

«Cristo!» Varo era fuori di sé. «Nessuno può sostenere <strong>del</strong>le<br />

perdite <strong>del</strong> genere. Ma dov'era la marina?»<br />

«Dove è sempre. In mare.» Il sospiro che seguì fu breve e


frustrato. «Non è colpa <strong>del</strong>la marina, Quinto. Non possono fare<br />

niente. Sono impotenti. Troppo poche navi, troppo mare e troppi<br />

pirati.» Fece una pausa e poi guardò ognuno di noi. «Diglielo,<br />

Firma.»<br />

Suo fratello si alzò e andò più vicino al fuoco, tendendo le piani<br />

al calore e parlando al cuore <strong>del</strong>le fiamme.<br />

«Non è un'esagerazione. Non è rimasta una sola rotta navale<br />

sicura in tutto il mondo. Non una. Non è una faccenda di dominio<br />

pubblico, ovviamente, perché i porti sono ancora pieni di navi che<br />

caricano e scaricano. Centinaia di navi riescono ancora a passare. Ma<br />

ce ne sono centinaia che vengono catturate e ognuna di loro<br />

appartiene a un mercante come noi, che non si può più permettere il<br />

rischio. I prestadenaro e i banchieri hanno chiuso i forzieri e si sono<br />

concentrati nella riscossione dei debiti. Perfino i Seneca hanno<br />

chiuso le loro operazioni marittime, e loro erano i nostri banchieri in<br />

tutto il mondo.»<br />

Mi si drizzarono i capelli sul collo sentendo pronunciare il nome<br />

di Seneca, e guardai Gaio, ma lui aveva altre idee per la testa.<br />

«Perciò,» continuò Terra, «adesso abbiamo chiuso i nostri affari<br />

mercantili, come la maggior parte dei nostri concorrenti.» Si<br />

risedette e suo fratello riprese la parola.<br />

«In altri termini, amici, l'Impero non commercia più e voi sapete<br />

cosa questo voglia dire.»<br />

Plauto, che era rimasto in silenzio per tutto il tempo, batteva le<br />

palpebre perplesso, con una profonda ruga di preoccupazione in<br />

mezzo alla fronte. «Io non lo so. Cosa vuol dire?»<br />

Firma lo guardò dritto negli occhi. «Significa dissoluzione,<br />

amico, dapprima graduale: una netta, progressiva disintegrazione. Il<br />

collasso. <strong>La</strong> fine.»<br />

Il povero Plauto era confuso. «Ma la fine di cosa, in nome di<br />

Dio?»


Firma sbuffò con disgusto. «Di tutto! <strong>La</strong> fine <strong>del</strong>la catena di<br />

forniture che nutre e veste il popolo di Roma. <strong>La</strong> fine <strong>del</strong>la rete<br />

commerciale che impedisce all'Impero di disfarsi. <strong>La</strong> fine <strong>del</strong>lo<br />

status quo. <strong>La</strong> fine <strong>del</strong> dominio di Roma. Devo proseguire? Gaio, qui<br />

presente, lo prevede da anni e noi abbiamo riso di lui, chiamandolo<br />

un allarmista.»<br />

«Ma cosa fa il governo?» <strong>La</strong> voce era quella di Quinto Varo.<br />

«Non possono fare qualcosa per aiutarvi?»<br />

Il sopracciglio alzato di Terra denotava sarcasmo. «Oh, sì, certo.<br />

Il governo. Parlano molto di aiutarci. Per prima cosa stanno<br />

gentilmente permettendoci di rimanere operativi - completamente<br />

operativi e completamente responsabili - a dispetto <strong>del</strong> fatto che noi<br />

abbiamo scelto di chiudere. Il governo ci ha ordinato di continuare a<br />

commerciare, di continuare a perdere i nostri investimenti, e<br />

minaccia di prendere e confiscare tutte le nostre proprietà se ci<br />

rifiutiamo di obbedire.» Un silenzio perplesso accolse quella<br />

affermazione.<br />

«Una settimana prima che partissimo diretti qui,» continuò,<br />

«abbiamo saputo da un amico fidato che un distaccamento militare<br />

era in cammino per venire a farci visita, “per aiutarci a proteggere i<br />

nostri interessi”. Abbiamo liquidato i nostri affari come meglio<br />

abbiamo potuto in una settimana, raccolto tutti i beni che potevamo,<br />

svuotato le nostre cantine, firmato un trasferimento legale <strong>del</strong>la<br />

nostra flotta al governo imperiale e lasciato la città prima che i<br />

militari arrivassero. Tutto quello che non abbiamo potuto vendere o<br />

portare con noi è stato confiscato come punizione per il nostro<br />

crimine di inadempienza. Ormai siamo dei fuorilegge, dei<br />

fuggiaschi. Questo risponde alla tua domanda, Quinto?»<br />

«Ma per le stimmate di Dio, è infernale!» Varo era in piedi e si<br />

guardava intorno sdegnato; alla fine posò gli occhi su Antonio, il<br />

solo militare presente. «È vero, Cicerone?»<br />

«Non sputare fuoco su Antonio, Varo» disse Terra. «Non siamo


neppure <strong>del</strong> suo distretto.»<br />

Antonio si alzò e andò a prendere un nuovo ceppo da mettere<br />

sul fuoco prima di rispondere alla domanda di Varo.<br />

«Diciamo che non mi sorprende, Quinto. Suppongo che dovesse<br />

succedere qualcosa di simile, anche se non avevo mai visto niente di<br />

paragonabile a questo prima d'ora.» Si guardò intorno. «Devono<br />

dare la colpa <strong>del</strong> crollo a qualcuno, e per questo danno la colpa ai<br />

mercanti. Ma non sono solo le rotte marittime a essere chiuse. Le<br />

carovane sono praticamente un fenomeno estinto. Sono passati i<br />

tempi in cui potevamo distaccare un manipolo per scortare una<br />

grossa carovana e proteggerla. Adesso ci vuole un esercito, e anche<br />

allora non ci sono garanzie.»<br />

Gaio Gallo intervenne. «È vero. Interessa tutti. Io ho tre<br />

magazzini pieni di tegole che aspettano di essere spedite da almeno<br />

sei mesi. Per la Gallia. Solo al di là <strong>del</strong>lo stretto. Ma non ci sono navi<br />

disponibili, né disposte a fare il viaggio. Tegole. Tegole per i tetti.»<br />

Il povero Varo farfugliava nel vano sforzo di capire quello che si<br />

stava dicendo. «Ma... ma... cosa vuol dire tutto questo? Volete dire<br />

che il governo è impotente? Che vittimizza mercanti innocenti, ne fa<br />

dei capri espiatori e non c'è nessuno che possa fare qualcosa? Cosa<br />

fa l'esercito?» Guardava stravolto da Antonio a me. «Perché<br />

l'esercito non fa niente? L'hanno già fatto altre volte, di eleggere un<br />

nuovo imperatore e formare un nuovo governo. Perché non ora?»<br />

Gaio Gallo scosse la testa. «Non va bene, Varo. Non<br />

funzionerebbe. È troppo tardi. Nessun nuovo governo potrebbe<br />

riparare al male che è stato fatto. Anche l'idea che un esercito possa<br />

eleggere un imperatore è un'ammissione <strong>del</strong>la futilità di tutto.»<br />

Puntò un dito verso Gaio. «Chiedi a Britannico.»<br />

Gli occhi di tutti si volsero verso Gaio, che sospirò<br />

profondamente, come se di colpo sentisse tutto il peso dei suoi anni.<br />

«Cosa vuoi che ti dica, Quinto?» chiese. «Che hanno torto? Che<br />

nell'Impero e nel mondo è tutto giusto? Vuoi che cambi il mio parere


dopo tanti anni che mi conosci?» Scosse la testa. «No, amico. Hanno<br />

ragione. I segni sono intorno a noi, ovunque, in tutto il mondo. Non<br />

avevo idea che fossero così gravi, così forti, così definitivi. Ma l'ho<br />

visto arrivare. Lo abbiamo visto tutti, anche se non volevamo<br />

ammetterlo. Roma alla fine ha affamato il mondo intero spingendolo<br />

alla ribellione, e il crollo è avvenuto oggi.»<br />

«Ma non qui in Britannia» disse Plauto.<br />

«No, Plauto. Non qui in Britannia. Ma la Britannia è l'unica ad<br />

esserne fuori.»<br />

«<strong>La</strong> Britannia sarà sempre unica!» disse Antonio Cicerone, e<br />

Gaio lo interruppe.<br />

«In che senso, Antonio?»<br />

«Perché la Britannia è un'isola, circondata dall'acqua,<br />

difendibile.»<br />

«Contro chi?»<br />

«Contro chiunque arrivi.» C'era collera nella voce di Cicerone.<br />

«Anche i Romani?» Gaio lo prendeva in giro con garbo. «Anche<br />

i Romani!» Ancora incollerito, ora sembrava a disagio.<br />

«Questi ragionamenti implicano tradimento, amico mio. Potresti<br />

rimetterci la vita.»<br />

Cicerone arrossì. «Tutta questa conversazione è tradimento,<br />

Gaio. Secondo quelle larve a Roma e a Londinium, Terra e Firma<br />

commettono tradimento rifiutando di finire in bancarotta, buttando<br />

moneta buona contro moneta cattiva. Rifiutando di distruggere se<br />

stessi per dare un'illusione di normalità a ladri senza volto che<br />

vivono nel terrore <strong>del</strong> popolo, un popolo che vuole tutto senza dare<br />

niente. Perché pensate, voialtri, che l'imperatore e la sua corte<br />

vivano a Costantinopoli? Hanno deciso molto tempo fa che non<br />

volevano avere niente a che fare con Roma e i suoi cittadini, sudati,<br />

malvagi, puzzolenti. Pensateci!» Guardò sdegnato i volti che lo


guardavano, come se avesse voluto sfidarci tutti a contraddirlo.<br />

«Secondo quelle larve, nessuno di noi che siamo qui intorno al fuoco<br />

ha il diritto di vivere. Esistiamo solo per il loro vantaggio. E il loro<br />

piacere. Che schifo! Mi viene voglia di sputare se penso che una<br />

volta SPQR, il simbolo <strong>del</strong> Senato e <strong>del</strong> Popolo di Roma, era il più<br />

grande simbolo di libertà e dei diritti degli uomini liberi di tutta la<br />

storia! Il popolo di Roma è una mandria di animali assassini e<br />

carnivori e il Senato è un eunuco. Se è tradimento rifiutarsi di<br />

sacrificare tutto quello che riteniamo nobile alle mascelle rammollite<br />

<strong>del</strong>la popolazione romana, allora sono un traditore!»<br />

Alla fine di questo sfogo ci fu un'altra pausa di silenzio. Antonio<br />

si era alzato in piedi, e adesso si era rimesso a sedere, rosso in volto,<br />

incollerito e con aria provocante. «Ben detto, Antonio» disse Gaio<br />

adagio nel silenzio.<br />

«Non troverai tra di noi nessuno che dissenta da te, almeno<br />

penso. Ma devo ricordarti che sei un generale <strong>del</strong>l'esercito di<br />

Britannia e sei legato al sacro giuramento di mantenere il suo status.<br />

Questa tua opinione ti mette chiaramente in un conflitto di<br />

interessi.»<br />

«No.» Cicerone si era proteso in avanti, e l'intensità dei suoi<br />

sentimenti era evidente in ogni linea <strong>del</strong> suo corpo. «No, non è vero,<br />

Gaio. Per niente. Io sono un generale <strong>del</strong>l'esercito di Britannia, è<br />

vero. Comandante di un distretto militare. Per quanto ancora, lo sa<br />

Dio, dal momento che il favore imperiale è volubile come sempre.<br />

Posso essere già stato sostituito per quello che ne so, ma per Dio,<br />

fino a che ho quel rango e quei privilegi dedicherò tutte le mie<br />

energie a occuparmi <strong>del</strong>le mie responsabilità, e cioè di tutte le<br />

questioni militari e civili sotto la mia giurisdizione. Svolgerò i miei<br />

doveri con onestà e al meglio <strong>del</strong>le mie capacità secondo le antiche<br />

leggi di Roma che sono le sole leggi in cui credo. E il mio dovere è<br />

quello di mantenere la pax romana nel mio distretto e in questo<br />

paese. E da nessun'altra parte.» Si guardò intorno.


«Avete sentito Varo dire che l'esercito può nominare un nuovo<br />

imperatore. Non sarebbe la prima volta, ma questa volta potrebbe<br />

essere l'ultima. Ho sentito dire che l'esercito in Spagna lo ha appena<br />

fatto. Un generale, ho dimenticato il suo nome. Se è vero, dovrà<br />

lottare per il suo titolo e si metterà contro molti altri con ambizioni<br />

pari alle sue. È questo che rende senza speranza la situazione<br />

<strong>del</strong>l'Impero. È diventato oggetto di conquista per il più forte, per il<br />

suo proprio vantaggio!» Tutti erano attenti e lui proseguì.<br />

«Mi avete sentito tutti chiaramente, penso. Questa nostra isola è<br />

ancora un'isola di pace. Ma io so che qui in Britannia ci sono alcune<br />

persone che vorrebbero vedere qui un imperatore di Roma. E in un<br />

certo qual modo posso essere d'accordo con loro. Ma solo fino a un<br />

certo punto. Quando qualcuno cercherà di imporsi come imperatore<br />

romano in Britannia, si troverà in conflitto con me. Perché questo è<br />

tradimento. Roma ha già un imperatore, tre per l'esattezza, tutti<br />

eletti e consacrati secondo la legge. Ma se, d'altra parte, venissi a<br />

sapere di imperatori che appaiono come per magia dai ranghi di<br />

eserciti di altri paesi, usurpatori che come avvoltoi volessero nutrirsi<br />

<strong>del</strong>la carogna <strong>del</strong> mondo, allora quel giorno sceglierei a favore di un<br />

giusto governo che governi la Britannia sulla base di regole romane<br />

e repubblicane. Ma solo la Britannia! Non tutto il mondo. Un<br />

governo in Britannia, per la Britannia, con un senato per stabilire le<br />

leggi secondo i mo<strong>del</strong>li repubblicani dei nostri antenati!»<br />

«Bravo, Antonio Cicerone! Se ci sarà un giorno così nella nostra<br />

vita mi vedrai al tuo fianco a sostenere la tua ribellione.» Gaio si<br />

piegò verso di lui. «Ma cosa farai nel caso <strong>del</strong>l'altra eventualità?»<br />

«Quale altra eventualità?»<br />

«Che l'imperatore non abbia rivali. E che un giorno tutti gli<br />

eserciti di tutti gli avamposti più lontani vengano richiamati a Roma<br />

agli ordini <strong>del</strong>l'imperatore per difendere la madrepatria.» Gaio<br />

continuò a parlare nel silenzio che aveva provocato. «Succederà,<br />

amici. Abbiamo affamato tutto il mondo per nutrire le mascelle <strong>del</strong>la


popolazione di cui ha parlato Antonio. Adesso il mondo è pieno di<br />

gente irritata che non sa dove vivere, che non ha cibo da mangiare. E<br />

tutti possono vedere che Roma ha quello che a loro manca. Adesso<br />

vogliono la loro parte, la parte che è loro di diritto. I loro figli sono<br />

morti per Roma, morti a milioni, nel corso dei secoli. A milioni! E<br />

quelli che non sono morti sono tornati a casa addestrati come soldati<br />

romani. Queste persone sanno che le legioni romane oggi sono un<br />

mito. Lo sappiamo tutti. Solo che non vogliamo ammetterlo.»<br />

Varo lo interruppe. «Gaio, Gaio! Stai esagerando per dimostrare<br />

le tue convinzioni. <strong>La</strong> situazione non può essere così grave! A sentire<br />

te mi sembra quasi di sentire le urla dei selvaggi che vengono a<br />

bruciare questa casa! Parli così per provocarci. Ammettilo!»<br />

«No!» negò con enfasi. «Non è vero, Quinto. Non sto<br />

esagerando. Ci sono solo pochi avamposti <strong>del</strong>l'Impero dove le<br />

legioni hanno ancora una forza reale, e la loro esistenza è dovuta<br />

quasi esclusivamente al caso. Antonio sarà d'accordo con me.»<br />

Cicerone fece un cenno di assenso e Gaio proseguì: «Quest'isola è<br />

uno di quei casi, perché la gente come noi, come te, come Varro,<br />

come me, è tenuta lontana dal potere, da Roma e da Costantinopoli.<br />

Le persone come noi sono troppo scabrose, Quinto, troppo<br />

inflessibili per la Roma di oggi. Offendiamo la loro sensibilità tanto<br />

quanto loro offendono la nostra. Perciò noi e altri come noi restiamo<br />

negli avamposti e conserviamo le nostre forze. E noi, Quinto e gli<br />

altri come noi, siamo la sola speranza di Roma».<br />

Gaio si girò di nuovo verso Cicerone. «Quando la crisi verrà,<br />

Antonio - e verrà - quando Roma stessa starà per essere invasa, le<br />

nostre legioni verranno richiamate in sua difesa.» Fece una pausa<br />

perché le sue parole colpissero bene nel segno. «E allora cosa farai?»<br />

«Darò le dimissioni.» Era un ringhio profondo, inconsueto per<br />

quella gola aristocratica.<br />

Gaio sorrise. «No, Antonio, non ti sarà permesso. Questo<br />

sarebbe tradimento. Il rifiuto diretto di obbedire a un ordine


imperiale. Morte istantanea.»<br />

Cicerone si infiammò di nuovo. «Meglio morire in quel modo<br />

che portare i miei uomini nell'Ade per una causa in cui non credo e<br />

poi stare a guardare mentre li ammazzano.» Fece una pausa, sputò<br />

nel fuoco e proseguì: «In ogni caso non succederà. Almeno non<br />

domani e non dopodomani. So per certo che il comando supremo si<br />

sta mettendo in un gran trambusto. Stiamo per assistere a una<br />

rinascita <strong>del</strong>lo spirito e dei valori militari in tutto il mondo. Almeno<br />

per un po'. Ricordate le mie parole. Tutti quelli che cercheranno di<br />

spuntare il becco <strong>del</strong>l'aquila imperiale in futuro avranno <strong>del</strong>le brutte<br />

sorprese»<br />

«È ufficiale? Cosa sta succedendo?» chiesi. Mi guardò e grugnì.<br />

«Sì, posso dire che è ufficiale. Abbastanza ufficiale. Il reclutamento è<br />

in aumento ovunque e i vecchi mo<strong>del</strong>li vengono ripristinati e rivisti.<br />

Valentiniano ha commissionato uno studio <strong>del</strong>le forze armate<br />

qualche anno fa. È stato fatto da un tizio di nome... ho dimenticato il<br />

nome, ma ho letto il libro. È buono. Non c'è niente di nuovo<br />

ovviamente, ma loda il modo in cui si facevano le cose una volta, i<br />

vecchi sistemi.»<br />

«Dell'arte militare» la voce di Gaio era calma. «Flavio Vegezio<br />

Renato. L'ho letto e mi è piaciuto. Pensi che servirà a qualcosa?»<br />

«Adesso è obbligatoria la sua lettura da parte di tutti i giovani<br />

ufficiali. È stato accettato, anche se non come manuale militare; è il<br />

testo ufficiale su armi, metodi e tattica.»<br />

«Bene. Questo segnerà il ritorno ai campi fortificati?»<br />

«Campi fortificati? Difficilmente. Tu chiedi i miracoli, Gaio.<br />

Campi fortificati! Siamo troppo civilizzati oggi per quel genere di<br />

follie. I nostri poveri soldati non ce la farebbero.»<br />

«Ce la facevano sotto il mio comando.»<br />

«Ah, Gaio, ma tu eri un maniaco. Tu eri quel figlio di puttana di<br />

Britannico i cui uomini erano in preda al santo zelo e si


comportavano come macchine e non come uomini. Oggi i nostri<br />

maledetti ufficiali hanno troppa paura <strong>del</strong>l'ammutinamento per<br />

imporre la disciplina. Riesci a crederci? Ufficiali romani che hanno<br />

paura dei loro uomini!?»<br />

Io scrutavo i volti di ognuno nel cerchio intorno al fuoco; tutti<br />

tradivano un vasto spettro di reazioni, ma tutti erano rapiti,<br />

completamente assorti nella discussione.<br />

A questo punto Gaio sospirò ad alta voce. «Sì, ci credo, Antonio.<br />

L'ho visto. E quindi tu pensi che il nuovo grande spirito sia<br />

condannato?»<br />

«Ovviamente è condannato. Come hai detto tu il marciume è<br />

troppo avanzato. Funzionerà per qualche anno, però. Forse dieci, o<br />

forse venti, anche se ne dubito. Ma non può durare. Non c'è niente a<br />

sorreggerlo. Tutto quello che posso augurarmi nel frattempo è un<br />

onorevole pensionamento.»<br />

Smise di parlare e fissò di nuovo le braci. Il fuoco era quasi<br />

spento. Gaio guardava i suoi ospiti. Senza eccezione avevano tutti<br />

espressioni di depressione e scoraggiamento.<br />

«Amici,» disse, alzandosi e distendendo le membra, «è tardi e<br />

siamo tutti stanchi. Domani è un altro giorno. Al mattino ci sono in<br />

programma dei giochi per i bambini. Propongo di lasciarli ai loro<br />

divertimenti e che ci ritroviamo di nuovo prima di mezzogiorno.»<br />

Lo guardammo incuriositi, chiedendoci cosa avrebbe aggiunto,<br />

e lui non ci fece aspettare.<br />

«Ho pensato a lungo e attentamente a questo problema prima di<br />

stanotte, come molti di voi sanno, e ho dei piani. Domani ve ne farò<br />

partecipi. Forse si collegano ai vostri. Sicuramente vi daranno<br />

qualcosa da pensare per i prossimi mesi. Intanto lasciate che vi<br />

consigli di non farvi deprimere troppo dalla discussione di stanotte.<br />

Abbiamo molti punti a nostro favore, credetemi. Niente è mai così<br />

grave come sembra. Buona notte. Ci vediamo domani mattina.»


Gaio Gallo, però, non era <strong>del</strong>l'umore di andare a letto, e<br />

neanch'io.<br />

«Tieni duro, Gaio» disse. «Non è troppo tardi, a meno che tu<br />

non sia troppo stanco per continuare.» Si guardò intorno. «E voi,<br />

gente? Io da parte mia vorrei avere un assaggio di questi piani prima<br />

di provare a dormire.»<br />

Ci fu un coro di assenso da parte di tutti e vidi Plauto sedere più<br />

dritto e incrociare le braccia sul petto, come per disporsi a una lunga<br />

guardia.<br />

Gaio osservò il gruppo, con il sopracciglio alzato, e sorrise<br />

leggermente. «Volete tutti che vada avanti?» Batté le mani. «Vi<br />

avverto che vi attende una lunga notte.» Guardò Terra e Firma.<br />

«Avete fame? State parlando da quando siete arrivati e nessuno vi<br />

ha offerto un boccone. Qui intorno c'è un sacco di cibo. Io berrei<br />

volentieri un altro po' di birra prima di ricominciare.»<br />

Gallo, il cameriere, era rimasto in piedi ad ascoltare; al cenno di<br />

Gaio si allontanò in fretta per preparare <strong>del</strong>l'altro cibo.<br />

«Sentite, facciamo una pausa. È molto che parliamo e penso che<br />

prima di proseguire sia saggio fermarci un momento e lasciare che<br />

la nostra mente riordini le idee. Per favore alzatevi e fate un giro.<br />

Mangiate o bevete qualcosa. Parlate tra di voi o pensate per conto<br />

vostro. Se avete <strong>del</strong>le domande, pensateci e preparatele per la<br />

discussione.»<br />

«Io ho una domanda.» L'uomo che aveva parlato era di Glevum,<br />

un amico di famiglia il cui nome ora mi sfugge.<br />

Gaio lo guardò. «Chiedi.»<br />

«So che c'è una latrina, là fuori, da qualche parte, ma non riesco<br />

a ricordarmi dove, e la mia vescica sta per scoppiare. Dov'è?»<br />

<strong>La</strong> riunione si sciolse tra le risate mentre Gaio rispondeva.


XXV.<br />

Mi alzai, massaggiandomi le natiche, e colsi lo sguardo di Plauto<br />

che mi passava davanti diretto nel cortile <strong>del</strong>l'edificio principale,<br />

dove c'era un'altra latrina più piccola. Inclinò la testa per indicarmi<br />

di seguirlo e mi misi a camminare al suo fianco.<br />

«Bene, cosa ne pensi?» mi chiese. «Di cosa, di tutto?»<br />

«Sì, di tutto, <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong>l'Impero. Un po' eccessivo, non trovi?<br />

All'inizio non riuscivo a credere alle mie orecchie. Ti dico che se lo<br />

avessi sentito dire da chiunque altro che non fosse Britannico, in<br />

qualunque altro posto o momento, avrei chiamato la guardia e dato<br />

istruzioni per muovere un'accusa di sedizione.» Scosse la testa<br />

incredulo e si fece da parte perché facessi da guida verso le latrine<br />

nell'angolo opposto <strong>del</strong> cortile. «Non ho mai sentito niente di<br />

simile,» continuò, parlando adesso alle mie spalle. «E tu? Non ti ha<br />

turbato?»<br />

«No.» Lo guardai. «Veramente no. Ne avevo già sentito parlare.<br />

Gaio, Luceia e io ne abbiamo parlato spesso.» Mi fermai e mi girai<br />

per averlo di fronte. «Ma tu è la prima volta che ne senti parlare.<br />

Dimmi, hai creduto a quello che dicevano? A quello che hai<br />

sentito?»<br />

Plauto era turbato. Distolse lo sguardo, dirigendolo verso gli<br />

edifici illuminati alla nostra destra, atteggiando la bocca a una<br />

smorfia. Io aspettai senza dire niente, fino a che si voltò di nuovo<br />

verso di me.<br />

«Sì, dannazione, ci ho creduto» disse, e la sua voce era rauca e<br />

tesa, «e mi ha fatto paura.»<br />

Annuii e ricominciammo a camminare, arrivando finalmente<br />

alla latrina in muratura dove facemmo i nostri bisogni in fretta,<br />

impazienti di abbandonare quell'odorosa umidità.


Quando ci ritrovammo nella fredda aria <strong>del</strong>la notte io mi fermai.<br />

«Ascolta,» gli dissi, «devo dare la buonanotte a mia moglie. Non l'ho<br />

vista molto oggi, e non voglio che pensi che preferisco la vostra<br />

compagnia alla sua. Vi raggiungo intorno al fuoco. Ma prima voglio<br />

dirti questo, solo tra te e me. Dici che hai paura. Io penso che tu<br />

abbia dei buoni motivi per averla. Li abbiamo tutti. Io credo a Gaio,<br />

Plauto. Credo che abbia assolutamente ragione. L'Impero è finito.<br />

Tutto sta crollando. Lo so che sembra inconcepibile. Anche a me lo è<br />

sembrato, per anni, ma ci sono prove che non si possono ignorare.<br />

Quello che dicono Terra e Firma è vero, ed erano tra i maggiori<br />

mercanti marittimi <strong>del</strong> mondo. Adesso sono rovinati, e non perché<br />

erano incompetenti, ma semplicemente perché il sistema è crollato.<br />

E i loro affari sono solo un aspetto di tutto questo pasticcio. Il resto<br />

<strong>del</strong> mondo è nelle stesse condizioni.»<br />

Da qualche parte nell'oscurità, molto vicino a noi, una donna<br />

rise forte e poi la risata si spense in risolini e sospiri. Presi Plauto per<br />

il gomito e mi incamminai verso le torce che bruciavano all'ingresso<br />

principale <strong>del</strong>la casa. Plauto camminava in silenzio, a testa bassa,<br />

lottando mentalmente con l'idea <strong>del</strong> caos incombente.<br />

«Ehi!» gli dissi, obbligandolo a fermarsi di colpo in modo che mi<br />

guardasse negli occhi. «Non voglio che ti suicidi, soldato! Non è<br />

tutto così deprimente. Credimi. Gaio ha un piano per sopravvivere<br />

al caos. Non so esattamente cosa comporti, ma sono sicuro che ha<br />

<strong>del</strong>le proposte concrete. E per quanto stanotte possa sembrare<br />

pazzesco, funzionerà, credimi. Ti ho mai mentito, Plauto?» Mi<br />

guardò ed emise un grande, ventoso sospiro, sorridendo<br />

timidamente <strong>del</strong>le sue stesse paure. «No, camerata, mai. Non su<br />

qualcosa di importante.»<br />

«Giusto. E non intendo cominciare adesso. Il mondo che<br />

conosciamo non finirà domani e neppure l'anno prossimo. Possono<br />

volerci decenni. Vai e ascolta cosa ha da dire Gaio. Io ti raggiungerò<br />

presto. Ascolta bene e considerati incluso in qualsiasi sua proposta.»


Rimasi a guardarlo mentre si allontanava per raggiungere il<br />

cerchio intorno al fuoco, e mi interrogai sulle invisibili ma<br />

terrificanti dimensioni <strong>del</strong>la notizia che aveva avuto un effetto così<br />

profondo su un uomo onesto e con i piedi per terra come Plauto. Lo<br />

conoscevo dal mio primo incarico. Plauto era un toro. Niente lo<br />

intimidiva e non temeva nessuno. Quando non lo vidi più, andai da<br />

mia moglie a dirle che avrei fatto tardi.<br />

Era già tardi. Dormiva profondamente e voluttuosamente calda<br />

sotto le coperte e fui molto tentato di unirmi a lei; invece la baciai<br />

dolcemente senza svegliarla e mi accontentai di giacere al suo fianco<br />

per pochi istanti. Quando fui certo che non si sarebbe svegliata,<br />

infilai cautamente una mano sotto le coperte per accarezzarla, e mi<br />

rifugiai col viso nell'incavo <strong>del</strong>la sua spalla, godendo <strong>del</strong> caldo e<br />

profumato odore di lei. Quei pochi istanti divennero un tempo<br />

piuttosto lungo, e quasi mi addormentai; dovetti farmi forza e<br />

alzarmi di nuovo. Mi allontani con riluttanza, stringendo nel palmo<br />

<strong>del</strong>la mano il ricordo <strong>del</strong> calore <strong>del</strong> suo seno.<br />

Quando tornai vicino al fuoco, Gallo aveva già portato quello<br />

che mi sembrò un carro di cibo fresco e bevande e tutti erano lì<br />

intorno. <strong>La</strong> riunione era ricominciata di comune accordo, ancora<br />

prima <strong>del</strong>l'arrivo <strong>del</strong> cibo, e la discussione era già così avanti che<br />

Plauto dovette aggiornarmi mentre gli altri mangiavano.<br />

«Hai ragione. Il tuo amico Gaio ha già tessuto la sua tela.»<br />

«Come? Qual è il piano?»<br />

Grugnì, strappando la coscia di un grosso volatile con uno<br />

schiocco talmente <strong>del</strong>izioso che mi fece venire l'acquolina in bocca.<br />

Appoggiò la coscia su un piatto di legno e prese mezza pagnotta,<br />

pulendosi le dita unte sulla mollica prima di mangiare un boccone e<br />

parlare con la bocca piena. «Bagaudi. Ti ha mai parlato di loro?» Risi<br />

e guardai Gaio, che era in piedi da solo e si versava un po' di sidro.<br />

«Sì, spesso. Gaio li ammira. Pensa che sia un buon sistema di vita.»<br />

«Mmm.» Plauto meditava, inghiottendo il cibo. «Buono?


Quando ne parla sembra che possiedano l'universo.»<br />

«Tu pensi che il suo piano sia di istituire una comunità di<br />

Bagaudi qui?» chiesi.<br />

«Questa è l'impressione. Pare che possa funzionare, finché<br />

qualche figlio di puttana non decida di intervenire e di ribaltare il<br />

carretto. Questo è l'unico inconveniente, ma è grosso. Mi chiedo se ci<br />

ha pensato. Alla possibilità di difendere questo posto.»<br />

Gli sorrisi. «Plauto, se non ci avesse pensato sarebbe la prima<br />

volta da quando lo conosco che gli sfugge qualcosa di importante.<br />

Gaio è un animale meticoloso quando si tratta di dettagli.»<br />

Vuotò mezza coppa di vino e addentò un altro boccone <strong>del</strong>la<br />

succulenta selvaggina prima di ricominciare a parlare con la bocca<br />

piena. «Bene, lo vedremo. È la prima cosa che gli voglio chiedere.<br />

Adesso.»<br />

Gli altri stavano ritornando ai loro posti intorno al fuoco;<br />

riempii il mio piatto in fretta con l'altra coscia di quel volatile<br />

dall'aspetto così appetitoso e la salai generosamente. Intanto che mi<br />

versavo un boccale di birra e tornavo indietro, la discussione era<br />

ricominciata, e Plauto stava parlando con Gaio.<br />

«Non fraintendermi» diceva, «io penso che il tuo concetto sia<br />

buono. Mi piace l'idea che tutti facciano la propria parte e diano il<br />

proprio contributo. Niente parassiti. È una buona cosa. Ma - e penso<br />

che sia un grosso ma - dove troverai le persone per farlo funzionare?<br />

E come definirai le priorità nella tua comunità?»<br />

Sorpreso per l'inconsueta eloquenza <strong>del</strong> normalmente taciturno<br />

Plauto, guardai il gruppo e notai che tutti condividevano le sue<br />

domande.<br />

«D'accordo, Gaio» pensai. «Me lo stavo chiedendo anch'io.»<br />

Gaio stava sorridendo. «Sono domande valide, Plauto, e<br />

cercherò di dare risposte valide.» Si guardò intorno. «Ma lasciate che<br />

chiarisca una cosa: quello che stiamo facendo ora non è solo parlare


di sopravvivenza. <strong>La</strong> stiamo pianificando! Tutto questo è reale.<br />

Stiamo parlando <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong> mondo che conosciamo. Noi<br />

crediamo, ognuno di noi crede, che ci piaccia o no, che la fine verrà,<br />

e che quando questo succederà, quando cadrà l'Impero, niente di<br />

quello che conosciamo sarà più lo stesso. Niente! Le legioni<br />

scompariranno per sempre e questo significa l'assenza totale <strong>del</strong>la<br />

legge. Pensateci. <strong>La</strong> legge non ci sarà più. Significa nessun sistema<br />

giudiziario sostenuto dalla forza <strong>del</strong>le armi o dal governo. Nessuna<br />

legge civile, perché le città e i paesi non avranno guarnigioni né<br />

sistemi per far rispettare la legge. Il lato positivo è che non<br />

pagheremo tasse e non ci saranno burocrati a pretenderle. Nessuna<br />

strada verrà costruita e quelle che esistono adesso andranno presto<br />

in rovina. Non ci saranno truppe nei forti <strong>del</strong>la costa sassone per<br />

difenderci dalle incursioni via mare.»<br />

Fece una pausa e guardò tutti i presenti ad uno ad uno. «E non ci<br />

sarà cibo per chi non lo produce. Pensate a questo, amici. Niente<br />

cibo, se non lo si produce. Le città moriranno di fame. Avete sentito<br />

Terra e Firma. Sta già succedendo.»<br />

Le parole successive ci colpirono con la forza di una mazzata,<br />

minacciando la nostra incredulità.<br />

«L'intero mondo cadrà nel caos quando Roma cadrà e il pericolo<br />

maggiore oggi è la tentazione di credere che questo non possa<br />

accadere, che non accadrà. Credetemi, amici, i soli che<br />

sopravviveranno al disastro saranno quelli che si saranno preparati.<br />

Allestendo le difese. Accumulando riserve di cibo. Pianificando la<br />

continuazione e la strutturazione <strong>del</strong>la propria esistenza prima <strong>del</strong><br />

caos.»<br />

Estrasse di tasca una moneta e la lanciò in aria, afferrandola<br />

mentre cadeva. «Potrete forse pensare che drammatizzi, ma qui c'è<br />

un'altra considerazione.» Strinse forte la moneta. «Nessuno farà più<br />

monete. Nessuno. Già oggi sono quasi inutili! Il prezzo <strong>del</strong>l'oro è<br />

salito incredibilmente. E cosa faremo senza monete? Chi ne possiede


le conserverà, ma senza nuovi rifornimenti presto le scorte non<br />

avranno più valore, perché gli uomini avranno smesso di usare il<br />

denaro. Tutti torneranno al baratto. Tra noi, nella nostra comunità,<br />

dobbiamo smettere subito di usare il denaro.» <strong>La</strong> sua pausa ci tenne<br />

in sospeso quanto le sue parole e l'automatica presunzione che tutti<br />

saremmo stati d'accordo con le sue proposte. «Dico<br />

“immediatamente” perché voglio che siate coscienti <strong>del</strong> fatto che<br />

noi, la gente riunita qui, con le nostre famiglie, abbiamo la volontà,<br />

l'intelletto, le capacità necessarie, l'abilità e la tenacia, e il vantaggio<br />

<strong>del</strong>la previdenza. Noi sopravviveremo. E prospereremo. E<br />

preserveremo un'isola di vere virtù romane, di valori romani, e di<br />

mo<strong>del</strong>li romani di libertà e dignità qui nell'isola di Britannia.»<br />

Era una retorica commovente. Quando ebbe finito si sedette<br />

guardando dall'uno all'altro, ma nessuno si mosse né parlò. Il<br />

silenzio si estese e crebbe, e finalmente Gaio riprese a parlare da<br />

dove aveva smesso.<br />

«Ovviamente, come avete sentito dire da Antonio, la fine non<br />

sarà domani o dopodomani. Ma avete anche sentito parlare Terra e<br />

Firma, e sapete che hanno ragione. Ci possono volere dieci anni,<br />

forse venti o anche più, ma la fine verrà, amici.»<br />

Un altro silenzio, poi Gaio Gallo chiese: «Allora da dove<br />

cominciamo a organizzare la comunità di cui parli? E come? Non hai<br />

ancora risposto alle domande di Plauto».<br />

Gaio si morsicò le labbra. «Lo farò adesso e risponderò anche<br />

alle tue. Abbiamo cominciato. Abbiamo cominciato stanotte. Hai<br />

chiesto quali sono le priorità, Plauto. Bene, partiamo dalla difesa.<br />

Antonio? Ho forse torto ad affrontare la difesa per prima?»<br />

Plauto e Antonio sorrisero. Plauto mi guardò, e Antonio disse:<br />

«No, Gaio, avrei dubitato <strong>del</strong>la tua sanità mentale se non lo avessi<br />

fatto».<br />

«Bene, allora. Come vedi il nostro caso?»


Antonio, ora nel ruolo <strong>del</strong> legato Cicerone, generale<br />

<strong>del</strong>l'esercito, scrollò le spalle. «Non ho idea. Quanto è grande il<br />

territorio che vuoi tenere?»<br />

«Questa valle.»<br />

«Tutta?» C'era sorpresa nella sua voce.<br />

«Perché no? È una enclave romana.»<br />

«Ma sarà almeno dodici miglia per lato, Gaio!»<br />

«Quattordici per undici, l'ho misurata.»<br />

«È un sacco di terra da difendere.»<br />

«Non è più grande <strong>del</strong>l'Impero, Antonio. L'intera pianura è<br />

quattro volte più larga. Alla fine spero di poterla coprire tutta.»<br />

«Tutto questo è molto bello, Gaio.» Era di nuovo Plauto che<br />

parlava. Sembrava aver completamente dimenticato il suo timore<br />

reverenziale nei confronti degli ufficiali. «Ma dove troverai gli<br />

uomini?»<br />

«Li troveremo, Plauto, non aver paura. A tempo opportuno li<br />

alleveremo. Li coltiveremo.» Questo provocò una bene accetta<br />

raffica di risate. «Nel frattempo ogni cittadino abile <strong>del</strong>la nuova<br />

colonia porterà le armi come hanno fatto i nostri antenati nei tempi<br />

antichi. Fare il soldato e fare l'agricoltore sarà tutt'uno. Sarà una<br />

caratteristica <strong>del</strong> nostro stile di vita. A mano a mano che il nostro<br />

numero crescerà, le nostre forze armate cresceranno. Antonio, dove<br />

stabiliresti la base <strong>del</strong>le nostre forze quando ne avremo a<br />

sufficienza?»<br />

Ci fu una pausa, mentre Cicerone rifletteva. «Sulle colline. Ci<br />

sono dei forti celtici sulle colline più alte <strong>del</strong>la regione, senza andare<br />

sulle montagne. Li rimetterei a nuovo. Sono ben disposti.»<br />

«Sì.» Gaio annuì. «Guardano sulle pianure sottostanti. Ho già<br />

preso la stessa decisione. Il fatto che appoggi la mia scelta sistema la<br />

questione. Ce n'è uno a meno di un miglio da dove siamo seduti


adesso. Quando era in uso doveva essere portentoso. L'ho<br />

esaminato e credo che possa venire adattato alle nostre necessità con<br />

poca fatica. Relativamente poca, è ovvio.»<br />

Plauto fece un sorriso malizioso. «Generale Britannico, sei fe<strong>del</strong>e<br />

alla vecchia disciplina?»<br />

«Completamente. »<br />

«Allora sono con te.» Fece di nuovo quel sorriso malizioso.<br />

«Dunque, questa è la nostra priorità. <strong>La</strong> difesa. Quanti forti pensi<br />

che ci serviranno?»<br />

Il tono di Gaio era più sicuro adesso. «Uno ci basterà per ora. Gli<br />

altri verranno più tardi. Con la crescita.»<br />

Plauto annuì. «Quindi pensi che cresceremo?»<br />

«Ne sono certo.»<br />

«Bene. E poi?»<br />

«Dopo la difesa?» Gaio si guardò intorno, scrutando negli occhi<br />

di ognuno prima di continuare. «Persone. Dobbiamo pianificare<br />

tutto quello che serve alle necessità future. Avremo bisogno di<br />

costruttori, tagliapietre, panettieri, tessitori, fabbricanti di tetti,<br />

bottai e centinaia di altri artigiani.»<br />

Antonio Cicerone lo interruppe. «Cosa mi dici <strong>del</strong> controllo? Nel<br />

senso <strong>del</strong>la legge, intendo dire. Il governo. Ci hai pensato?»<br />

«Ci ho pensato. Vorrei stabilire un Consiglio, proprio come<br />

l'antico senato.»<br />

Ci fu un mormorio di approvazione. Avevamo incominciato<br />

bene. Il resto <strong>del</strong>la notte trascorse in pianificazioni più dettagliate.<br />

Più parlavamo e più prevedevamo problemi, eppure la nostra<br />

visione cresceva insieme ad essi e il nostro progetto diventava più<br />

ambizioso.<br />

Furono fatti piani per comprare le ville confinanti e per<br />

collegarle tutte con un sistema di difesa appena fosse stato possibile.


Sapevamo di poter misurare il tempo in anni, ma non potevamo<br />

contare neppure su un decennio.<br />

Furono compilati elenchi di tutte le persone <strong>del</strong>la cui perizia<br />

avremmo avuto bisogno per renderci autosufficienti, e ogni uomo<br />

presente da quel momento avrebbe tenuto gli occhi aperti per<br />

trovare uomini <strong>del</strong> calibro che cercavamo. Prima che finisse la<br />

discussione tutti i presenti avevano giurato di mantenere il segreto,<br />

nella consapevolezza che finché le legioni non fossero partite, il<br />

nostro progetto era tradimento. Parlarne sconsideratamente avrebbe<br />

potuto comportare la morte di tutte le persone interessate.<br />

Quando la festa di nozze si concluse, quattro giorni più tardi,<br />

altre persone erano state reclutate, e chiunque conoscesse i nostri<br />

piani riportò a casa un sogno di speranza per il futuro, e la<br />

consapevolezza che la salvezza e il benessere <strong>del</strong>la sua famiglia<br />

erano nelle sue mani. E già cominciava a pensare come avrebbe<br />

unito le sue proprietà alla Colonia di Gaio quando fosse stato tempo.<br />

Al momento di separarsi ci furono sinceri sorrisi e strette di mano.


XXVI.<br />

<strong>La</strong> mattina successiva alla partenza <strong>del</strong>l'ultimo dei nostri ospiti<br />

mi alzai con le allodole e partii da solo verso le Mendips, senza voler<br />

condividere quella visita neppure con Equo. <strong>La</strong>sciai mia moglie a<br />

letto, sorridente di compiaciuta soddisfazione, mentre la mia mente<br />

si concentrava esclusivamente sulla ricerca <strong>del</strong>le pietre <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>.<br />

Adesso che i festeggiamenti erano finiti ero frustrato e<br />

impaziente. Le pietre che avevo trovato erano tutte troppo piccole.<br />

Non che fossero minuscole, ma nessuna era grande abbastanza da<br />

lasciarmi molte speranze di riuscire a estrarne metalli celesti.<br />

Sentivo prepotentemente che qualcosa mi sfuggiva nella Valle dei<br />

Draghi, come la chiamavamo, qualcosa che rimaneva al di fuori<br />

<strong>del</strong>la mia vista e <strong>del</strong>la mia comprensione. Erano passati più di tre<br />

mesi dalla mia ultima visita e speravo che il tempo trascorso mi<br />

avrebbe reso capace di vedere la valle con occhi nuovi.<br />

<strong>La</strong> mia speranza si realizzò quel giorno in un modo che non<br />

avrei mai sognato. L'informazione che i miei occhi inviarono al<br />

cervello era così stupefacente, e io ne fui talmente sopraffatto, che<br />

non mi fidai <strong>del</strong>le prove fornitemi dai miei stessi sensi. Ritornai alla<br />

villa a spron battuto, quasi tremando per l'eccitazione.<br />

Era buio quando arrivai. Saltai giù da cavallo prima che i suoi<br />

zoccoli smettessero di battere sull'acciottolato <strong>del</strong> cortile, e lanciai un<br />

saluto a mia moglie, che mi correva incontro per darmi il benvenuto.<br />

Luceia avvertì immediatamente la mia eccitazione, ma essendo la<br />

donna che era, non mi permise di parlarne finché fu sola con me<br />

nell'intimità <strong>del</strong> nostro bagno. Dopo avere eliminato dal mio corpo il<br />

sudiciume e la stanchezza <strong>del</strong>la lunga assenza, uscii dalla stanza <strong>del</strong><br />

vapore ed entrai nella piscina d'acqua calda, dove Luceia si dedicò a<br />

distrarmi da ogni pensiero, secondo l'uso degli sposi novelli,<br />

intrecciandosi <strong>del</strong>iziosamente a me, e sfruttando i numerosi


vantaggi <strong>del</strong>l'acqua calda, <strong>del</strong>la nudità e <strong>del</strong> desiderio acuito dalla<br />

lontananza. Poi, quando fu assolutamente certa di poter godere<br />

<strong>del</strong>la mia incondizionata attenzione, si abbandonò languidamente<br />

tra le mie braccia e mi chiese cosa avessi scoperto nella Valle dei<br />

Draghi.<br />

L'entusiasmo e la paura di una <strong>del</strong>usione mi sommersero di<br />

colpo e le raccontai tutto: l'anomalia che avevo notato, il potenziale<br />

significato <strong>del</strong>l'idea che mi era balzata in mente, la mia<br />

interpretazione dei segni che mi ero trovato davanti<br />

improvvisamente rivelati, e la mia motivata apprensione per<br />

l'eventualità che stessi solo fantasticando, costruendo castelli di<br />

speranze e vedendo possibilità prive di solida sostanza.<br />

Quando ebbi finito mi guardò in silenzio per un lungo<br />

momento, agitando pigramente con la mano la superficie <strong>del</strong>l'acqua<br />

fumante, e poi mi chiese cosa intendessi fare. C'era una sola cosa che<br />

potevo fare, le dissi. Sarei tornato immediatamente nella valle e<br />

avrei guardato di nuovo quello che pensavo di aver trovato. Poi, se i<br />

segni fossero stati ancora lì, ancora chiaramente visibili, avrei<br />

rischiato di chiamare altri a confermare le mie teorie. Ma nella mia<br />

prossima visita avrei voluto che lei si unisse a me, lei che conosceva<br />

le mie paure, in modo da aggiungere la sua opinione alla mia. Anche<br />

se non fosse stata d'accordo, le dissi, sapevo che non avrebbe riso di<br />

me.<br />

Luceia rifletté per un momento, sporgendo leggermente labbra,<br />

con la fronte appena aggrottata, poi mi sorrise e mi baciò, avendo<br />

palesemente risolto il problema con sua soddisfazione. Dubitava di<br />

potermi essere di aiuto, mi disse, in particolare da quando le avevo<br />

detto cosa dovesse cercare. Sapendo quanto importante quella<br />

conferma sarebbe stata per me, non voleva avere la tentazione di<br />

dichiararsi d'accordo solo per amore e simpatia. Ma suggeriva che io<br />

portassi suo fratello con me, e che resistessi alla tentazione di dirgli<br />

cosa dovesse cercare, limitandosi a istruirlo in modo che potesse


vedere da solo quello che speravo esistesse realmente. L'idea era<br />

così semplice e così perfetta che rimasi a guardarla senza parole, e<br />

allora Luceia agitò ancora l'acqua, scivolando sulle mie ginocchia, e<br />

poi per molto tempo facemmo ben poco rumore.<br />

Doveva essere circa l'ora decima quando entrai nel cubiculum di<br />

Gaio e lo trovai che leggeva alla luce di due forti lampade. Fui<br />

sorpreso di trovarlo alzato, perché presumevo che fosse a letto da<br />

tempo. Era immerso nella lettura <strong>del</strong>l’Ars amandi di Ovidio e<br />

provava, come mi disse poi, una vaga nostalgia per gli svaniti<br />

piaceri <strong>del</strong>la gioventù.<br />

«Gaio, ti disturbo?»<br />

Sollevò lo sguardo con piacere e sorpresa. «No, per niente! È un<br />

piacere vederti di nuovo in piedi.»<br />

L'incomprensione si manifestò sul mio volto. «Cosa?»<br />

«Ho detto che è bello vederti alzato e di nuovo in giro. Il<br />

matrimonio costringe gli uomini a letto più di qualunque malattia.»<br />

«Oh» sorrisi, comprendendo di colpo. «Capisco cosa vuoi dire.»<br />

«Vieni. Siediti e non badare a me. Stavo solo prendendoti in<br />

giro. Forse sto diventando invidioso <strong>del</strong>la tua gioventù.»<br />

«Sei così vecchio, generale? D'un tratto?»<br />

«Non chiamarmi così. Sono abbastanza vecchio da sapere cosa<br />

posso fare e cosa non farò più, amico. Cosa hai fatto oggi?»<br />

«Gaio...»<br />

Stavo per dire quello che mi premeva, ma mi morsi la lingua e<br />

inspirai a fondo attraverso le narici. Poi lasciai andare il respiro,<br />

soffiando l'aria dalla bocca, come un cavallo. Gaio aspettava,<br />

paziente come sempre, che io mettessi ordine nei miei pensieri<br />

prima di parlare. Alla fine cominciai a parlare sentendo che le parole<br />

erano quelle giuste.<br />

«Volevo venire da te appena sono tornato, ma poi sono stato


distratto, come avrai notato.»<br />

Sorrise. «Dov'è lei, adesso che la tua distrazione è svanita?»<br />

«Dorme. Gaio, hai in programma qualcosa per domani?»<br />

«Niente che non possa essere rimandato. Cosa mi proponi?»<br />

«Potresti sopportare il viaggio fino alle colline? C'è qualcosa che<br />

vorrei mostrarti. Ho bisogno <strong>del</strong> tuo parere.»<br />

«Non posso pensare a niente che mi rallegri di più. Cosa vuoi<br />

farmi vedere?»<br />

Scossi la testa. «È meglio che non te lo dica per ora. Potresti<br />

pensare che ho perso la ragione. Ma è importante. Io penso di aver<br />

ragione. In realtà so di avere ragione. Ma non ho il coraggio di<br />

sostenere la mia tesi. E per questo che voglio che tu veda per conto<br />

tuo e poi mi dica che cosa ne pensi. Se avessi torto, e potrei anche<br />

averlo, mi sentirei molto stupido.»<br />

Il sopracciglio di Britannico si era alzato. «Mi incuriosisci,<br />

Publio. Sembra una proposta affascinante. Non vedo l'ora di vedere<br />

di cosa si tratta. Lo riconoscerò?»<br />

«Lo spero, Gaio. Lo spero proprio.»<br />

«Ha a che fare con le tue pietre celesti, ovviamente.»<br />

«Sì, infatti.»<br />

Appoggiò il pollice e l'indice ai lati <strong>del</strong>la bocca e strinse il labbro<br />

inferiore tirandolo in fuori e verso il basso come per togliere le<br />

briciole rimaste dal pasto appena concluso. «Ne ho viste alcune<br />

stamattina, alla fucina. Equo mi ha detto cos'erano. Speravo che me<br />

ne avresti parlato.»<br />

«Cosa facevi nella fucina? Non ci vai spesso.» Gaio sorrise e mi<br />

disse cosa aveva fatto quella mattina. <strong>La</strong> villa sembrava quieta come<br />

una tomba quel giorno, dopo tutta la confusione dei giorni<br />

precedenti, e Gaio aveva faticato a convincersi che ciò fosse normale.<br />

Aveva percorso la tenuta come un'anima in pena, arrabbiato con se


stesso per aver dormito più a lungo <strong>del</strong> solito e aver perso ore<br />

preziose. Poi aveva scoperto che io ero uscito fin dall'alba e che ero<br />

andato sulle colline, e questo aveva peggiorato in qualche modo il<br />

suo cattivo umore. Luceia, disse, aveva cercato di essere gentile con<br />

lui durante la colazione, ma lo conosceva abbastanza da sapere che<br />

quand'era di un umore così impossibile era meglio lasciarlo solo.<br />

Aveva passato due ore inutili e frustranti tentando di scrivere,<br />

ma si era scoperto troppo distratto per concentrarsi a lungo su<br />

quello che scriveva e alla fine, poco dopo mezzogiorno, si era<br />

ritrovato nella fucina a guardare Equo che martellava un lingotto<br />

incandescente.<br />

Equo aveva alzato gli occhi e lo aveva visto, e lo aveva salutato<br />

chiamandolo “generale”. Un'abitudine presa da me.<br />

Per un po' si erano scambiati educate facezie, poi Equo era<br />

tornato al suo lavoro, lasciandolo libero di girare per la fucina. Gaio<br />

allora era andato nel retro e aveva pigramente esaminato le strane<br />

pietre allineate sugli scaffali lungo il muro.<br />

«Strane cose, vero?» <strong>La</strong> voce di Equo lo aveva spaventato.<br />

«Cosa sono?» aveva chiesto.<br />

«Sono pietre celesti.»<br />

Solo allora Gaio aveva capito cosa stesse guardando, perché il<br />

mio disappunto per la loro piccolezza era tale che avevo mantenuto<br />

il segreto anche con lui. Le aveva esaminate più da vicino. Erano<br />

sette, ordinate dalla più piccola, che aveva la dimensione <strong>del</strong>la testa<br />

di un neonato, alla più grande, che aveva la dimensione <strong>del</strong>la testa<br />

di un ragazzo. Erano tutte lo stesso tipo di <strong>pietra</strong>, di un grigio<br />

intenso tendente al nero, opaco. Erano tutte lisce: non avevano la<br />

levigatezza consumata dei ciottoli slavati, ma piuttosto una struttura<br />

vetrosa. Ne aveva presa in mano una di misura intermedia e l'aveva<br />

sollevata, pensando che, se avessi avuto ragione, quelle cose<br />

dovevano essere cadute dal <strong>cielo</strong>! <strong>La</strong> sua mente logica di romano gli


diceva che era impossibile. Tutto doveva venire da qualche parte e<br />

allora quelle da dove erano cadute? Gaio sapeva, come sa bene<br />

anche un bambino, che perché qualcosa cada dall'alto, deve prima<br />

essere stata lanciata in aria. Ma il peso di quelle cose, come poteva<br />

intuire tenendole in mano, rendeva grottesco il solo pensiero che<br />

potessero essere state scagliate dalla terra in <strong>cielo</strong>. Era impossibile.<br />

Sapeva bene a che altezza e a che distanza la più forte <strong>del</strong>le catapulte<br />

poteva buttare una <strong>pietra</strong> come quella. Aveva visto i suoi eserciti<br />

lanciarle. E non scomparivano mai dalla vista. Quindi come<br />

potevano essere cadute infuocate dal <strong>cielo</strong> - secondo la mia<br />

convinzione - e avere colpito la terra con una tale violenza da<br />

penetrarvi e scavare nel terreno una semisfera di più di dodici piedi<br />

di diametro?<br />

Eppure, doveva ammettere che dalla superficie sembravano già<br />

state fuse una volta. E sapeva che io le avevo dissotterrate dal centro<br />

dei miei “nidi di drago”. O almeno, credeva di saperlo.<br />

A questo punto <strong>del</strong> suo racconto Gaio si fermò e mi guardò,<br />

aspettando che dicessi qualcosa. Io non sapevo cosa si aspettasse,<br />

così alzai le spalle.<br />

«È vero. Le ho dissotterrate dai nidi di drago. Che cosa ti<br />

angustia, Gaio?»<br />

Scosse la testa sconcertato. «Non lo so, Publio. <strong>La</strong> mia<br />

educazione mi dice che quello che mi chiedi di credere è impossibile.<br />

Eppure te ne stai qui davanti a me e mi affronti con la sicurezza di<br />

un indovino che ha appena tirato fuori un cuore marcio da un pollo<br />

sano. Fino a quando non vedrò il metallo di queste pietre non<br />

crederò alla tua affermazione che sono cadute dal <strong>cielo</strong>. E anche<br />

allora, mi sento costretto a dirtelo, il credito che darò alla faccenda<br />

sarà basato solo sulla mia fiducia nella tua peculiare forma di follia.»<br />

Fece una breve pausa. «Ma, come dico, i tuoi risultati positivi mi<br />

hanno sconcertato. Cosa vuoi farmi vedere domani?»


<strong>La</strong> mattina seguente ci vide in cima alla collina che guardavamo<br />

giù nella valle dei miei draghi. Eravamo in tre - Gaio, Equo e io - e<br />

Gaio, se non altro, si era goduto la cavalcata fino alle colline.<br />

«Così, Publio, questa è la valle dei famosi nidi di drago. Avevo<br />

dimenticato come fosse bella.» Indicò un buco recente sul pendio<br />

<strong>del</strong>la collina. «Immagino che sia uno dei tuoi nidi?»<br />

«Sì. E ce n'è un altro laggiù alla tua sinistra e uno più a destra, là<br />

in fondo. Sette in tutto, generale.»<br />

«Sette. Io ne vedo solo quattro. E ognuno di loro conteneva una<br />

<strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>.»<br />

«Sì.»<br />

«Allora cosa ti preoccupa? Non ce ne sono altri?»<br />

«Oh, sì che ce ne sono altri. Ne ho trovati dieci che non ho<br />

ancora scavato, ma sono troppo piccoli.» Mi raschiai la gola e sputai.<br />

«<strong>La</strong> <strong>pietra</strong> più grande <strong>del</strong>le sette è venuta dal “nido” più grande che<br />

ho trovato. I nidi sono gli anelli determinati dall'impatto, scavati<br />

dalla forza di atterraggio <strong>del</strong>le pietre. <strong>La</strong> più grande ha dodici passi<br />

di diametro.»<br />

«Dodici passi?» Gaio cominciò a morsicarsi il labbro inferiore.<br />

«Varro» disse alla fine. «Devo essere sincero. So che te l'ho già detto<br />

e so che probabilmente sei stanco di sentirlo, ma anche se la tua<br />

<strong>pietra</strong> è caduta dal <strong>cielo</strong> la mia mente non può accettare l'idea di una<br />

<strong>pietra</strong> che cada con tanta forza da provocare una depressione di<br />

quest'ampiezza.»<br />

«Neanche la mia, generale.» Cercai di mantenere la voce<br />

impassibile. «Però il fatto rimane: è successo. Credimi. È caduta. E<br />

ha creato questo anello. Solo Dio sa da dove viene. Forse è caduta da<br />

una stella. Forse era una stella!»<br />

Gaio espresse la sua disapprovazione. «Le stelle sono luce,<br />

Publio. Queste tue pietre sono nere.»


«Lo sono adesso, Gaio. Ma sono cadute come fuoco. Il ferro è<br />

nero quando è freddo, ma quando è caldo acquista una bianchezza e<br />

un chiarore abbaglianti. E noi siamo intralciati dal combustibile che<br />

dobbiamo usare! I fuochi <strong>del</strong> <strong>cielo</strong> chissà quale lucentezza possono<br />

dare?»<br />

Sapevo che non c'era una risposta a una simile domanda. Gaio<br />

mi guardò perplesso.<br />

«Ad ogni modo» proseguii, «questo è il cerchio più grande che<br />

c'è qui, a meno che la mia ipotesi oggi si riveli corretta. <strong>La</strong> <strong>pietra</strong> che<br />

trovò mio nonno era grande più <strong>del</strong> doppio, e quando la ebbe fusa<br />

ottenne a stento il metallo per un pugnale e per la maggior parte di<br />

una spada. Ecco tutto.»<br />

Comprese in fretta il mio dispiacere. «Ma se le fondi tutte e sette<br />

insieme? Non produrrebbero abbastanza per le tue necessità? E cosa<br />

mi dici <strong>del</strong>le altre?»<br />

Scrollai le spalle. «Forse. Chi lo sa? Non ho mezzo di sapere<br />

quanto metallo c'è in pietre così piccole. Forse niente.»<br />

Gaio guardò giù nella valle di nuovo. «Cosa volevi che<br />

vedessi?»<br />

«Un nido di drago, Gaio, più grande di tutti gli altri messi<br />

insieme. Un enorme nido di drago.»<br />

«Dove? Nella valle?»<br />

«Sì. In bella vista. Ma devi vederlo da solo, con i tuoi occhi. Io<br />

non posso aiutarti. Se lo facessi non mi convincerei mai che l'hai<br />

visto davvero. L'ho guardato per mesi, senza saperlo. Tu adesso sai<br />

che c'è. Cercalo per me, Gaio. E anche tu, Equo.»<br />

Sentendo l'implorazione nella mia voce cominciarono a<br />

esaminare la valle e mentre guardavano io guardavo attentamente<br />

loro. Li vidi notare ognuno degli anelli che io avevo già trovato e<br />

segnato con un tumulo di pietre, ma nessuno dei due riusciva a<br />

vedere un grande anello, per quanto cercassero. Osservavo in


particolare Gaio, che passava in rassegna tutta la valle, dalla ripida<br />

scarpata da un'estremità fino al lago inserito nell'ansa <strong>del</strong>la collina<br />

all'altra estremità. Fece passare ogni collina dalla sommità alla base.<br />

Niente.<br />

Alla fine parlò di nuovo: «sei sicuro che quello che sto cercando<br />

sia qui, Publio?».<br />

«Sì» dissi con più sicurezza di quella che provavo. «Quello di cui<br />

non sono certo è che sia quello che penso.»<br />

«E io dovrei riuscire a vederlo? Adesso?»<br />

«Esatto.»<br />

Tentò di nuovo, muovendo rapidamente lo sguardo da nord a<br />

sud, da est a ovest, e di nuovo non sapendo cosa guardare. E poi lo<br />

vidi cogliere con la coda <strong>del</strong>l'occhio una forma o l'impressione di<br />

una forma. Guardò ancora, ma non la vide più. Però c'era stata, io lo<br />

sapevo, perché mi era capitata la stessa cosa il giorno prima. Lo<br />

guardai muovere gli occhi lentamente e trattenni il respiro,<br />

pregando che la vedesse di nuovo. Poi dall'accelerazione <strong>del</strong> suo<br />

sguardo capii che l'aveva ritrovata e riconosciuta per quello che era.<br />

Adesso guardava diritto verso quel punto e lo vedeva chiaramente.<br />

Non un cerchio, ma la nitida parte di un cerchio. Vidi i suoi occhi<br />

stupiti mettere a fuoco le dimensioni <strong>del</strong> cerchio e il mio cuore<br />

cominciò a battere più in fretta.<br />

«Il lago, Varro» sussurrò infine con voce piena di meraviglia. «Il<br />

lago è un nido di drago! Ma è grandissimo, enorme!»<br />

Scesi da cavallo e lo tirai giù dal suo, stringendolo al petto e<br />

facendolo trionfalmente girare in tondo e urlando a squarciagola.<br />

«Lo sapevo, Gaio! Sapevo che lo avresti visto! È il lago! Una<br />

grossa ciotola piena d'acqua! Non perfettamente circolare, perché le<br />

colline hanno assorbito buona parte <strong>del</strong>l'urto. I detriti e i macigni<br />

hanno bloccato il flusso <strong>del</strong>l'acqua verso le vallate più basse, e hanno<br />

creato un lago nel cerchio scavato dall'impatto!»


Lo rimisi a terra e insieme rimanemmo a guardare.<br />

«E questo spiega anche il bestiame» aggiunsi, realizzando di<br />

colpo la verità.<br />

Gaio mi guardò. «Quale bestiame? Cosa vuoi dire?»<br />

«Il bestiame morto.» Poi mi resi conto che non aveva mai sentito<br />

quella parte <strong>del</strong>la storia. «Pare che nella valle ci fosse una mandria<br />

di bestiame la notte in cui caddero le pietre celesti. Il bestiame<br />

rimase ucciso, ovviamente, ma c'era qualcosa che non aveva senso.<br />

Che mi disturbava. Pensavo che fosse assolutamente improbabile<br />

che qualcuno conducesse quegli animali attraverso le colline fino<br />

nella valle, visto che dall'altra parte ci sono pascoli altrettanto<br />

buoni.» Indicai di nuovo il lago.<br />

«Ma ecco la risposta. <strong>La</strong> valle doveva avere un'apertura a<br />

un'estremità prima <strong>del</strong> cataclisma, che la rendeva accessibile al<br />

bestiame, offrendo un riparo dai venti. L'inondazione causata dalla<br />

<strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong> ha bloccato l'accesso e scavato il cerchio che adesso<br />

contiene il lago.»<br />

«Ma Meric non ha detto che c'è sempre stato un lago in quel<br />

punto?»<br />

«Sì, e probabilmente è vero. Ma deve essere stato più piccolo e<br />

meno profondo. Ecco da dove è venuto tutto il fango che copriva le<br />

colline. <strong>La</strong> <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong> deve avere buttato fuori dal lago ogni<br />

goccia d'acqua e di fango, e scavato per lui un letto più profondo.»<br />

Mi girai verso Equo che ci stava fissando come se fossimo<br />

diventati matti. Anche Gaio se ne accorse e scoppiammo a ridere.<br />

«Equo» gli chiesi, «qual è il problema? Non riesci a vedere,<br />

amico mio?»<br />

«Sì. Lo vedo. È un vero lago! E allora a cosa è dovuta tutta<br />

questa eccitazione? Come pensi di trovare una <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong> sul<br />

fondo di un lago? Questo è quello che vorrei sapere.»


«Allo stesso modo in cui ha trovato le altre, Equo!» Gaio era<br />

giubilante. «<strong>La</strong> dissotterrerà.»<br />

Adesso Equo era certo che fossimo impazziti. Glielo si leggeva<br />

in faccia.<br />

Ci spanciammo dalle risate vedendolo ormai completamente<br />

confuso. Alla fine mi impietosii e cercai di ricompormi abbastanza<br />

per spiegargli tutto.<br />

«Equo» dissi senza fiato, «è semplicemente una questione di<br />

ingegneria militare. Prosciugheremo il lago, facendo scorrere l'acqua<br />

nell'altra valle. Poi, quando il fango sul fondo <strong>del</strong> lago si sarà<br />

asciugato, dissotterreremo la <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>.»<br />

Povero Equo! Si sentì enormemente sollevato, e potemmo<br />

sederci a mangiare il cibo che ci eravamo portati. Non avevamo<br />

portato molto vino, ma eravamo così storditi che quel poco fu più<br />

che sufficiente.


XXVII.<br />

Il cervo era magnifico, snello, stupendo, aggraziato e ancora<br />

giovane. Era emerso senza che quasi lo si notasse dalla boscaglia<br />

nella luce <strong>del</strong>l'alba, materializzandosi come per magia nella nebbia<br />

bassa, e avanzava adagio, come in punta di piedi, facendosi strada<br />

nell'erba alta <strong>del</strong>la radura umida di rugiada. Il suo flato si<br />

condensava in vapore nell'aria immobile, tanto che sembrava che<br />

fosse lui a produrre la nebbia; attraverso lo schermo di foglie tenere<br />

che mi nascondevano a lui, vedevo le goccioline d'acqua aderire alle<br />

sue corna come pietre preziose. Lentamente, attento a non fare<br />

rumori improvvisi, tesi la corda <strong>del</strong>l'arco dietro l'orecchio, sentendo<br />

la tensione <strong>del</strong> nervo intrecciato sui polpastrelli callosi e il lungo,<br />

letale scivolare <strong>del</strong>l'asta <strong>del</strong>la freccia con la punta di ferro contro il<br />

pollice. Il pollice toccò la guancia, e il cervo si irrigidì, con la testa<br />

ritta, le orecchie tese, un bersaglio perfetto. Chiusi un occhio,<br />

mirando con cura.<br />

«No, Publio, no!»<br />

Il grido spaventò me quanto il cervo, mandando in fumo la mia<br />

concentrazione e facendomi indietreggiare alzando l'arco e<br />

bloccando i muscoli contro l'istinto di scoccare la freccia. Quando<br />

guardai di nuovo, il mio bel cervo era svanito. Lentamente,<br />

digrignando i denti, lasciai andare la tensione sull'arco. Poi mi girai<br />

a guardare Luceia che mi fissava, con le dita di una mano premute<br />

sulle labbra e gli occhi spalancati pieni di paura. Con l'altra mano<br />

teneva una coperta avvolta intorno al corpo contro il gelo <strong>del</strong><br />

mattino. Non mi mossi e lei restò dov'era, aspettando che la mia<br />

collera esplodesse contro di lei per la prima volta.<br />

«Perché lo hai fatto?» le chiesi con calma.<br />

Mi fissò con i suoi begli occhi da cerbiatta. «Io... era troppo bello.<br />

Non volevo che tu lo uccidessi.»


«Questo lo avevo capito, Luceia. Ma ti sembrava necessario<br />

spaventarmi a morte per farmi perdere una bestia di un anno e la<br />

cena di stasera?»<br />

«Cosa? Spaventarti? Come è possibile...?» L'espressione dei suoi<br />

occhi mutò leggermente e i suoi lineamenti si incresparono in un<br />

sorriso. «Ti ho spaventato a morte?»<br />

Annuii lentamente, seriamente, bevendo la sua meravigliosa<br />

bellezza, mentre lei stava lì senza rendersi conto che la sua nudità<br />

era perfettamente visibile sotto la coperta.<br />

«Quasi a morte» dissi. «Cosa avresti fatto se fossi caduto morto?<br />

Come ti saresti sentita? Il cervo ti avrebbe confortata?»<br />

<strong>La</strong> sua mano si alzò a coprire la bocca, per mascherare la risata<br />

che ora danzava nei suoi occhi. «Non sei arrabbiato?»<br />

«Ti ho chiesto come ti saresti sentita se fossi morto per lo<br />

spavento, donna. Rispondimi.»<br />

Invece di parlare rabbrividì, si lasciò sfuggire qualche risatina e<br />

si girò per tornare nella tenda di pelli nascosta tra gli alberi. Io la<br />

inseguii e la presi sulla soglia, e la adagiai sul mucchio di pelli<br />

all'interno.<br />

Ore dopo, mentre cavalcavamo in una dorata mattina di<br />

primavera, Luceia pensava ancora al cervo a cui aveva salvato la<br />

vita, e sottolineava che se l'avessi ucciso avrei dovuto perdere tempo<br />

a pulirlo, scuoiarlo e macellarlo, e avremmo perso la meraviglia di<br />

quella giornata. Inoltre, diceva, il cervo era così giovane, troppo<br />

giovane per avere sperimentato la vita e i piaceri<br />

<strong>del</strong>l'accoppiamento. Ero forse così stanco e indifferente alla vita da<br />

negare quei piaceri a un altro, fosse pure un cervo?<br />

Il sole primaverile brillava caldo e forte, e gli occhi di Luceia<br />

brillavano di salute e buonumore. Il profilo lungo e armonioso <strong>del</strong>le<br />

sue gambe riempiva le morbide braghe di pelle che indossava per<br />

cavalcare. Il cuore mi batteva in gola mentre la seguivo con gli occhi,


soddisfatto di cavalcarle accanto, di ascoltare con piacere le sue<br />

chiacchiere e di godere <strong>del</strong>la sua cristallina bellezza. Quella era mia<br />

moglie! Anche dopo un mese intero di matrimonio dovevo<br />

continuare a ricordarmelo. Era mia! Potevo averla e goderla ogni<br />

volta che volevo per il resto dei miei giorni.<br />

«Non stai ascoltando, Publio.»<br />

Le note cantilenanti <strong>del</strong> suo commento mi riportarono<br />

all'attenzione di soprassalto.<br />

«Stavo sognando a occhi aperti, perdonami. Cosa stavi<br />

dicendo?»<br />

«Stavo dicendo, caro marito, che provo un dolore, una<br />

compassione per quei poveri animali.»<br />

«Quali animali? I cervi? Perché?»<br />

«Non solo i cervi. Tutti gli animali.» Mi sorrise, con una luce<br />

maliziosa negli occhi. «Per come sono legati alle stagioni e perché<br />

non hanno le mani.»<br />

Mi scoprii ad aggrottare le sopracciglia. «Non ti seguo.»<br />

«Lo so, perché non mi hai ascoltato. Ma mi seguiresti se<br />

scivolassi giù da cavallo e fuori dai miei abiti in quest'erba alta e<br />

lussureggiante, vero?»<br />

«Cosa?» Sentii il mio ventre indurirsi per l'anticipazione e mi<br />

guardai intorno involontariamente. «Vuoi dire qui? Allo scoperto<br />

sulla collina?»<br />

«Allo scoperto?» <strong>La</strong> sua risata era come un suono di campanelle.<br />

«Siamo a miglia di distanza da qualunque cosa, marito, e io ti voglio.<br />

Voglio sentire le tue mani e il tuo corpo e la verde frescura di questa<br />

erba sotto di noi.»<br />

«Sei una scostumata senza pudore» mormorai con voce roca.<br />

«Assolutamente, con te.»<br />

Rise di nuovo e sembrò volare giù dal dorso <strong>del</strong> cavallo nell'erba


alta, e io caddi quasi dal mio nella fretta di unirmi a lei.<br />

I nostri cavalli brucarono contenti vicino a noi per più di un'ora,<br />

mentre noi ci gingillavamo al calore intenso <strong>del</strong> sole; poi<br />

improvvisamente Luceia si rialzò e cercò i suoi vestiti.<br />

«Mi sono persa, marito» disse. «A che distanza siamo dalla<br />

valle?»<br />

Rimasi dov'ero, supino, a braccia e gambe aperte, e puntai un<br />

dito sopra la testa in direzione <strong>del</strong>la cresta <strong>del</strong>la collina che ci<br />

sovrastava.<br />

«Esattamente dall'altra parte di quella cima» le dissi. «Circa<br />

un'ora di cavallo e ci guarderemo dentro.»<br />

Luceia si chinò a baciarmi il petto.<br />

«Bene, allora» disse, «solleva quel tuo pigro deretano e andiamo<br />

a vedere.»<br />

Feci per alzarmi, ma poi rimasi sdraiato a guardare il <strong>cielo</strong>.<br />

«Guarda lassù, proprio sopra di noi.»<br />

Seduta com'era non riusciva a vedere niente, perciò la tirai giù<br />

di nuovo vicino a me e giacemmo fianco a fianco per qualche<br />

minuto, guardando due minuscole croci volare nel <strong>cielo</strong> un miglio e<br />

più sopra di noi.<br />

«Cosa sono, Publio? Draghi?» Intuivo il sorriso nella sua voce.<br />

«No» dissi. «Sono aquile. Una coppia.»<br />

«Una coppia. Vuoi dire che si stanno accoppiando?»<br />

«Sarebbe difficile, amore. Intendo dire maschio e femmina.»<br />

«Come fai a saperlo? Come fai a sapere che sono aquile?<br />

Potrebbero essere falchi.»<br />

«No, sono troppo in alto. E guarda l'apertura <strong>del</strong>le ali, anche da<br />

qui.» Mi allungai e presi la sua mano appoggiata vicino a me.<br />

«Quelle sono aquile. E probabilmente ci stanno guardando mentre


noi guardiamo loro.»<br />

«Vuoi dire che ci possono vedere da quell'altezza?»<br />

«Probabilmente meglio di noi. L'occhio <strong>del</strong>l'aquila è il più acuto<br />

al mondo.»<br />

Mi strinse le dita. «Pensi che siano innamorate?»<br />

«È possibile. Amore di aquile. Si accoppiano per tutta la vita.»<br />

Si appoggiò a un gomito, e mi guardò. «Davvero? Non lo<br />

sapevo.»<br />

<strong>La</strong> fissai con gli occhi socchiusi. «Suvvia. Credevo che tu sapessi<br />

tutto.»<br />

«No.» Abbassò la testa sul mio petto. «Non tutto. Solo le cose<br />

che ho bisogno di sapere e le cose che voglio sapere.» Fece una<br />

pausa e poi chiese: «Dove pensi che sia il loro nido?».<br />

Alzai una mano per accarezzarle i capelli. «Non lo so, ma deve<br />

essere qui intorno da qualche parte. Questa è la stagione <strong>del</strong>la cova.<br />

Devono avere dei piccoli. Ovunque sia è in un luogo elevato.<br />

Probabilmente in cima a una collina, su un lato scosceso. Fanno il<br />

nido ogni anno nello stesso posto, sai?»<br />

«Lo stesso compagno e lo stesso nido per tutta la vita? Sembra<br />

quasi umano.»<br />

Non avevo distolto gli occhi dalle due forme solitarie che si<br />

libravano sopra di noi. «Non sminuirle, Luceia. Solo alcuni esseri<br />

umani, pochissimi a dire il vero, raggiungono la dignità e l'onore,<br />

vorrei quasi dire la purezza <strong>del</strong>le aquile. Pochissimi.»<br />

«Cosa intendi dire, Publio?» <strong>La</strong> sua voce era molto calma.<br />

«Intendo dire che solo le aquile possono essere aquile, amore<br />

mio, e che le aquile possono solo essere aquile. Sono uniche. Non<br />

sminuiscono né disonorano se stesse. <strong>La</strong> loro purezza è assoluta<br />

perché sono incapaci di imperfezione volontaria.»<br />

Mi baciò. «Come te, vuoi dire?»


Le restituii il bacio. «No, Luceia, non come me. Io sono troppo<br />

umano.»<br />

«Allora, marito, se tu sei troppo umano, nessun uomo potrà mai<br />

sperare di essere un'aquila.»<br />

Mi misi a sedere e allungai la mano per prendere i miei vestiti.<br />

«Non è vero, amore» dissi. «Hai mai guardato con attenzione tuo<br />

fratello?»<br />

Rimase distesa e sbatté le palpebre in silenzio.<br />

I grandi uccelli volavano ancora in cerchio sopra di noi quando<br />

arrivammo alla sommità <strong>del</strong>la collina e guardammo giù nella Valle<br />

dei Draghi. Le mostrai dove avevamo dissotterrato le pietre celesti e<br />

poi le indicai la parte di cerchio sul fianco <strong>del</strong> lago. Mentre stavamo<br />

per scendere lungo il pendio <strong>del</strong>la collina, parlò di nuovo.<br />

«Sembra strano che quelle pietre massicce là in fondo siano<br />

pezzi staccatisi dalla montagna.» Guardò la parete di roccia opposta<br />

a noi. «Potrebbe essere lì che le aquile hanno il loro nido?»<br />

Mi girai e guardai dall'altra parte <strong>del</strong>la valle. «È probabile. È<br />

abbastanza ripido e inaccessibile.»<br />

Luceia cavalcava in silenzio mentre ci avvicinavamo al lago e<br />

ben presto fermammo i nostri cavalli proprio sulla riva, guardando<br />

nella sua profondità. Vicino al lago ogni traccia <strong>del</strong> segmento di<br />

cerchio visibile da lontano scompariva. Il <strong>cielo</strong> limpido e il sole<br />

davano alla sua superficie un aspetto molto più amichevole<br />

<strong>del</strong>l'ultima volta che l'avevo visto, e fui contento che Luceia lo<br />

vedesse al massimo <strong>del</strong>la sua bellezza.<br />

«Bene» le dissi. «Cosa ne pensi? Ti ho fatto perdere tempo<br />

trascinandoti qui e facendoti passare la notte in una tenda?»<br />

«No.» <strong>La</strong> sua voce era sommessa. «È molto grande, Publio.<br />

Molto più grande di quanto ricordassi. Quanto è profondo?»<br />

Avvicinai il cavallo e le misi una mano sulla spalla; mi piaceva


sentire la sua forza.<br />

«Non lo so proprio. Non c'è modo di saperlo. Ma è profondo.<br />

Calcolerei circa cento piedi nel punto più profondo, a giudicare<br />

dalla pendenza <strong>del</strong> fondovalle, ma potrei sbagliare di metà o forse<br />

più.»<br />

«Centocinquanta piedi? E tu vorresti prosciugarlo? Come? Dove<br />

lo vuoi prosciugare? Dove andrà tutta l'acqua?»<br />

«Vieni, ti faccio vedere.» <strong>La</strong> condussi per altro mezzo miglio<br />

lungo la sponda occidentale <strong>del</strong> lago, dove poteva vedere da sola la<br />

ripida discesa <strong>del</strong> terreno nella valle sottostante. «Riesci a capire che<br />

cosa è successo? L'impatto <strong>del</strong>le pietre che cadevano ha rialzato<br />

questo bordo oltre la valle, elevando la diga naturale e<br />

rafforzandola. Qui, in questo punto, la cascata è recente. Vedi?»<br />

Luceia annuì e io proseguii. «Il lago è come <strong>del</strong> vino in una coppa.<br />

Tutto quello che dobbiamo fare è rompere il bordo <strong>del</strong>la coppa, qui<br />

sotto, scavandoci dentro un buco, e il vino spillerà nella valle<br />

sottostante e poi nella successiva e così via fino a raggiungere la<br />

pianura e scorrere in ruscelli e fiumi.»<br />

«Sarà pericoloso, Publio, non credi?»<br />

«Cosa?»<br />

«Scavare un buco nel fianco <strong>del</strong>la ciotola, come la chiami tu.<br />

Potrebbe essere pericoloso. Cosa succede se scavi troppo?»<br />

«No.» Scossi la testa in tono sprezzante. «È semplice idraulica,<br />

Luceia. Non è difficile.»<br />

Mi fissava attentamente. «Forse no, per un ingegnere. Ma tu non<br />

sei un ingegnere.»<br />

«E allora? Che problema c'è? Gli ingegneri si possono comprare,<br />

amore.»<br />

«Dove?»<br />

Alzai le spalle. «Ovunque.»


«Dove?» <strong>La</strong> domanda esprimeva la sua determinazione.<br />

«In molti posti.»<br />

«Dove?»<br />

«Santo <strong>cielo</strong>! Non lo so. Non ho ancora cominciato a cercare,<br />

Luceia.»<br />

«Da dove intendi cominciare?»<br />

Scrollai nuovamente le spalle, sentendomi di colpo a disagio<br />

sotto quella inquisizione. Sembrava che fosse decisa a crearmi <strong>del</strong>le<br />

difficoltà. Ma mi sbagliavo, come mi mostrarono subito le sue<br />

parole.<br />

«Questo è molto importante per te, Publio, e perciò è molto<br />

importante anche per me. Ma io non voglio che tu venga qui a<br />

scavare e zappare da solo, quindi pensaci! Se volessi trovare un<br />

ingegnere con urgenza, per qualunque motivo, da dove<br />

cominceresti a cercarlo?»<br />

<strong>La</strong> fissai, sentendo la sorpresa dipingersi sul mio volto.<br />

«Nell'esercito.»<br />

«Esattamente. Nell'esercito. Di certo tu e Gaio avete abbastanza<br />

amici e influenza per riuscire a prendere in prestito un buon<br />

ingegnere. Cosa pensi di Antonio Cicerone? Non potrebbe<br />

organizzare qualcosa lui?» Per lo spazio di un secondo mi sentii<br />

eccitato, poi il mio buonumore crollò di nuovo. Luceia mi guardava<br />

attentamente e lo notò. «Cosa c'è che non va?»<br />

«Niente» dissi. «È tutto. È una bella idea, ma non funzionerebbe.<br />

Gaio non approverebbe mai l'utilizzo di truppe imperiali per<br />

un'operazione privata come questa, e neanch'io»<br />

«Perché no, se l'esercito se ne avvantaggia? Durante i<br />

festeggiamenti per il matrimonio, ho sentito Antonio dire che sono<br />

sempre alla ricerca di qualcosa da dare da fare agli uomini per<br />

aumentare la loro esperienza in diversi settori. Direi che questa


operazione potrebbe essere un addestramento eccitante, un esercizio<br />

tattico di rimozione materiale di grandi volumi d'acqua.»<br />

Non riuscivo ad andarle abbastanza vicino da baciarla, ma fu lei<br />

ad avvicinarsi. «Amore» le dissi, «sei proprio la sorella di tuo<br />

fratello!»<br />

«No, sono la moglie di Publio Varro.»<br />

<strong>La</strong> strinsi a me con un braccio e guardai i due uccelli silenziosi<br />

che si libravano sopra le nostre teste.<br />

Le aquile erano ancora lì quando tornai, esattamente un mese<br />

dopo, e mi sedetti nello stesso punto con un piccolo gruppo di<br />

ufficiali di servizio, una squadra speciale richiamata da Glevum, da<br />

Venta Belgarum e dalle grandi miniere d'oro di Dolocauthi sulle<br />

montagne <strong>del</strong>la Cambria. Ognuno di quegli uomini era un<br />

professionista in manovre idriche, e Verecundio Secondo, il più<br />

anziano, era direttamente responsabile <strong>del</strong> drenaggio e <strong>del</strong>lo<br />

scorrimento <strong>del</strong>l'acqua proprio a Dolocauthi, dove due grandi<br />

acquedotti a canale scoperto - uno dei quali lungo sette miglia -<br />

fornivano dodici milioni di litri d'acqua al giorno per lavare la<br />

polvere aurifera. Secondo provvedeva alla manutenzione <strong>del</strong>le<br />

grandi ruote di legno che eliminavano l'acqua in eccesso dagli scavi<br />

a <strong>cielo</strong> aperto e dalle gallerie <strong>del</strong>la miniera, alcune <strong>del</strong>le quali<br />

arrivavano a una profondità di oltre cento piedi.<br />

Il gruppo rimase in silenzio per un po'; ognuno si guardava<br />

intorno, notando la pendenza <strong>del</strong> terreno sotto di noi, la ripidezza<br />

dei gradienti e l'angolo <strong>del</strong> muro di contenimento <strong>del</strong>la struttura<br />

simile a una diga sulla quale eravamo seduti.<br />

«Allora, Secondo? Cosa ne pensi?»<br />

«Cicerone aveva ragione.» Non mi guardò, i suoi occhi erano<br />

ancora occupati a valutare e stimare. «Un esercizio interessante.<br />

Abbastanza semplice, ma di un grado di difficoltà che terrà le nostre


eclute in tensione.» Mi guardò, poi guardò Rufo Seculo, il suo<br />

collega di Venta. «Mi piace. Penso che dovremmo farlo. Rufo?»<br />

Rufo Seculo grugnì. «Sì. Come dici tu, però, ci sono dei<br />

problemi. Non sarà lavoro di una notte. Ci vorrà molta<br />

progettazione. Colpisci nel modo sbagliato questa collina e rischi di<br />

spazzare via una moltitudine di uomini quando l'acqua schizza<br />

fuori. Soprattutto visto che useremo reclute e non genieri esperti.<br />

Qual è la tua opinione, Rasmo?»<br />

Erasmo Lecione era il terzo membro <strong>del</strong> gruppo, un uomo grigio<br />

di capelli, veterano di molte guerre. Aveva ascoltato quello scambio<br />

a labbra serrate, e con una ruga di concentrazione in mezzo alla<br />

fronte. Sputò un grumo di catarro e parlò.<br />

«Penso che se affrontiamo questo problema senza almeno un<br />

grosso contingente di veterani rischiamo la corte marziale. È un<br />

buon progetto di addestramento - su questo non ho obiezioni - ma<br />

potrebbe essere più pericoloso di una puttana con i denti aguzzi.<br />

Non mi piacerebbe dovermi affidare a dei genieri principianti. Hai<br />

ragione, Seculo. Questa diga è nuova, dall'aspetto, e non è stata<br />

costruita dai Romani. Nessuno può dire che cosa ci sia sotto o<br />

quanto sia instabile. Ogni palata di terra che togliamo potrebbe<br />

essere quella che tiene in scacco questo lago. Non vorrei essere il<br />

solo responsabile se qualche recluta che non distingue il suo sedere<br />

dalla sua faccia fa uno sbaglio e svuota tutta la fogna al momento<br />

sbagliato. Facciamolo pure, ma accertiamoci di sapere quello che<br />

stiamo facendo minuto per minuto.»<br />

Seculo si girò verso di me. «Perché hai detto che vuoi<br />

prosciugare questo lago?»<br />

Risi. «C'è una <strong>pietra</strong> sepolta nel fango in fondo allago. E la<br />

voglio.»<br />

«Mi sembrava che avessi detto così. Una <strong>pietra</strong>. Nel fango. Ce<br />

l'hai buttata tu?»


«No.» Risi. «Ci è caduta da sola.»<br />

«Capisco. E adesso tu la vuoi tirare fuori. È grande?»<br />

«Credo.»<br />

«Credi.»<br />

Gli leggevo in faccia che credeva che avessi perso la ragione, ma<br />

non intendeva insultarmi apertamente.<br />

«Hai idea di quanto fango ci sia in fondo a un lago, mastro<br />

Varro?»<br />

Annuii, continuando a sorridere. «Molto, immagino.»<br />

«E questo non ti sgomenta?» Scossi la testa e i suoi occhi si<br />

strinsero mentre chiedeva: «Cosa stai cercando in realtà?».<br />

«Te l'ho detto. Una <strong>pietra</strong>. Una grossa <strong>pietra</strong> nel fango che c'è sul<br />

fondo. Ascolta, Seculo. Lo so che non mi credi, ma è la verità, e se ti<br />

dicessi di più crederesti che sono malato di mente. Io credo che la<br />

<strong>pietra</strong> ci sia e per me ha valore, ma solo per me. Almeno, penso che<br />

abbia valore. Forse non ne ha. Ma devo trovarla per saperlo.» Le loro<br />

espressioni erano mirabili, e risi forte. «Vi giuro che sto dicendo la<br />

verità. Forza, torniamo alla villa. Arriveremo che sarà già buio. A<br />

cena stasera vi giuro che Gaio Britannico vi racconterà tutta la storia.<br />

Tanto, anche se non mi credete e anche se la <strong>pietra</strong> non c'è, i vostri<br />

apprendisti ingegneri avranno fatto l'esperienza di prosciugare un<br />

lago e non ci saranno stati danni, tranne che ai miei sogni.»<br />

Accettarono le mie parole e in seguito accettarono anche la<br />

storia di Britannico sulla mia ricerca di pietre <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>, e poiché<br />

fecero domande intelligenti cercai di rispondere meglio possibile.<br />

Poi si occuparono di pianificare e organizzare l'impresa come se<br />

fosse stata la cosa più naturale <strong>del</strong> mondo, che milioni di litri di<br />

acqua e fango che stavano tra me e la mia <strong>pietra</strong> celeste dovessero<br />

essere rimossi il più in fretta possibile.<br />

I tre militari ritornarono con un esercito di ingegneri e genieri


prima <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong> mese seguente e nel giro di pochi giorni dal loro<br />

arrivo era già stato organizzato un campo militare, e i lavori nella<br />

valle erano iniziati. Si procedeva con tutta la necessaria cautela<br />

poiché, come Erasmo Lecione aveva sottolineato durante la prima<br />

ispezione, non era possibile determinare lo spessore <strong>del</strong>la diga dalla<br />

parte <strong>del</strong> lago, o per quanto l'acqua fosse penetrata nel pietrisco<br />

<strong>del</strong>la diga stessa. Fu un lavoro pericoloso fin dall'inizio, ma solo<br />

dopo la metà di luglio ebbe luogo la prima infiltrazione. Da quel<br />

momento in poi fu solo questione di tempo, di altri scavi cauti e di<br />

aspettare che l'acqua <strong>del</strong> lago trovasse la strada per uscire.<br />

Nelle prime ore di una mattina estiva i genieri furono svegliati<br />

da un boato e da un rombo e durante tutta la settimana successiva il<br />

lago si rovesciò giù per il pendio <strong>del</strong>la collina, svuotandosi come la<br />

ciotola rotta a cui somigliava. Ci sono poche cose o luoghi meno<br />

attraenti <strong>del</strong> fondo di un lago improvvisamente prosciugato: fango e<br />

fetore e vapori nocivi che evaporano sotto il calore <strong>del</strong> sole. Non<br />

c'era altro da fare che andarsene e sperare che il sole asciugasse tutto<br />

in fretta.<br />

Arrivò agosto e passò, e il sole splendette anche nel mese di<br />

settembre. Un forte vento autunnale ci venne in aiuto e io guardavo<br />

e aspettavo, fremendo in preda a una febbre di frustrazione e<br />

impazienza. Il mese di ottobre rimase secco e limpido e alla fine,<br />

esasperato dall'attesa, decisi che il momento era venuto. Avevo fatto<br />

dei disegni prima che si aprisse la breccia nel lago, e avevo calcolato<br />

con un'approssimazione di dieci passi dove si trovava il mio tesoro.<br />

Per tutta l'estate, non appena il fango si era seccato abbastanza da<br />

reggere un uomo, avevo fatto scavare dei fossati per incanalare<br />

l'acqua residua dal centro, in modo che per il tardo autunno il lago<br />

era un intrico di canali di drenaggio, alcuni ampi e profondi.<br />

Tenni anche occupata una squadra di uomini e di cavalli ad<br />

accumulare montagne di combustibile sulle rive <strong>del</strong> lago, arbusti,<br />

erba secca e vischio, legna secca, perfino alberi interi. Poi cominciai a


uciarlo in una pira mostruosa sopra al punto in cui pensavo e<br />

speravo che si trovasse la <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>. Tenemmo acceso il fuoco<br />

per due giorni e poi lasciammo che le ceneri si raffreddassero, e<br />

quando le raschiammo via l'argilla sottostante era cotta. Allora<br />

martellammo l'argilla cotta con zappe, asce e vanghe finché<br />

trovammo di nuovo l'umidità. Ripetemmo l'intera operazione. Fu<br />

un lavoro faticoso, duro e sporco, ma venne il giorno, verso la fine<br />

<strong>del</strong>l'anno, che la picca di un uomo urtò la roccia e un urlo di trionfo<br />

mi disse che avevamo trovato quello che stavamo cercando. <strong>La</strong><br />

<strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong> era li. <strong>La</strong> mia ipotesi era giusta. Le sue dimensioni,<br />

però, mi lasciarono senza fiato. Gaio non ci crederà mai, pensai.


XXVIII.<br />

Con la prospettiva concessami dal tempo trascorso sono tentato<br />

di dire che scelsi il giorno sbagliato per portare a casa in trionfo la<br />

mia <strong>pietra</strong> celeste, ma questo non sarebbe né vero, né esatto.<br />

L'arrivo a casa con la <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong> fu un trionfo per me e, in<br />

uno strano modo, anche per Gaio. Giustificando me stesso con la<br />

scoperta <strong>del</strong>la <strong>pietra</strong> avevo anche giustificato la sua fiducia nella mia<br />

strana ossessione. Gaio aveva voluto per anni che io trovassi una<br />

<strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong> e questo significava molto per lui. Solo di tanto in<br />

tanto la sua brillante intelligenza lottava con l’impossibilità di tutto<br />

ciò che era coinvolto in quella ricerca. Il giorno in cui trovai la <strong>pietra</strong><br />

e la riportai alla villa avrebbe dovuto essere un'occasione di cui<br />

rallegrarsi per tutto il giorno. Ma non lo fu. L'arrivo <strong>del</strong>la <strong>pietra</strong> <strong>del</strong><br />

<strong>cielo</strong> alla villa fu un evento la cui luce fu ben presto eclissata da altri<br />

eventi. Quel particolare giorno fu indimenticabile per tutti noi,<br />

anche se le nostre umane debolezze ci impedirono di identificare la<br />

direzione nella quale venivamo trascinati.<br />

Avevamo avuto un anno fruttuoso ed eccellente alla villa che<br />

avevamo già cominciato a chiamare la Colonia. I nostri raccolti<br />

erano stati abbondanti, e avevamo più terra sotto l'aratro di quanta<br />

non ne avessimo mai avuta in passato. Quinto Varo, il nostro vicino<br />

a nord, aveva lavorato i suoi campi insieme ai nostri, come avevano<br />

fatto anche Terra e Firma, che avevano comprato due ville una a est<br />

e una a ovest rispetto a noi. In tutto era un blocco di nove tenute<br />

contigue, che formavano un uniforme appezzamento romboidale di<br />

terreno arabile lungo circa dodici miglia e largo cinque, e<br />

confidavamo di poter aggiungere altre proprietà l'anno seguente.<br />

C'erano almeno tre ville di cui Gaio sapeva, a sud e a nord, e<br />

molte altre a nord e a est, i cui proprietari vivevano fuori dalla<br />

Britannia, uno sull'isola imperiale di Capri, uno fuori Roma e uno


nella Gallia meridionale. Sapevamo che avremmo potuto averle per<br />

abbandono se le cose fossero successe troppo in fretta. Le ville erano<br />

gestite e coltivate da personale di fiducia <strong>del</strong> migliore livello,<br />

esattamente il tipo di persone che volevamo per i nostri progetti.<br />

Nei mesi estivi e autunnali giunsero frotte di nuovi venuti, tutti<br />

artigiani, tutti con le loro famiglie, selezionati dai membri <strong>del</strong><br />

Consiglio appena costituito.<br />

<strong>La</strong> prima ad arrivare fu una famiglia di Verulamium. Il padre e i<br />

due figli maschi adulti erano conciai; la madre, la figlia e le mogli dei<br />

due figli lavoravano il cuoio ad altissimo livello. Gaio li accolse a<br />

braccia aperte. Un mese dopo furono seguiti da una famiglia di<br />

bottai, mandata da Antonio Cicerone da Londinium. Domo, il padre<br />

di famiglia, era anche un carpentiere provetto, e il figlio Andronico<br />

aveva il talento <strong>del</strong> padre.<br />

In agosto arrivò una famiglia di birrai dalla regione <strong>del</strong> luppolo<br />

verso est, e il mese successivo vide l'arrivo di un'altra famiglia di<br />

carpentieri e di fabbricanti di carri, e di un uomo proveniente da<br />

nord che, con la moglie e le figlie, aveva portato l'arte di intrecciare<br />

canestri a nuovi virtuosismi. Entro una settimana dal loro arrivo<br />

stavano già fabbricando canestri che avrebbero potuto contenere<br />

acqua! Poco dopo arrivò un vasaio, portando con sé la sua ruota, un<br />

enorme attrezzo su cui torniva anfore e grandi vasi e giare in<br />

abbondanza.<br />

Gaio aveva iniziato a tenere una lista di tutte le risorse che<br />

avevamo a disposizione e <strong>del</strong>le persone più capaci di sfruttarle, e<br />

l'agitazione causata dal mio arrivo lo distolse dal suo lavoro. Stava<br />

aspettando con Luceia vicino ai cancelli quando feci con il mio carro<br />

carico l'ultima curva <strong>del</strong>la strada, e mi fu facile vedere i suoi denti<br />

che luccicavano in un sorriso a cento passi di distanza. L'eccitazione<br />

generata dal mio arrivo avrebbe potuto sembrare strana a un occhio<br />

estraneo, più indicata all'arrivo di un visitatore importante che a un<br />

pezzo di roccia, ma tutti alla Colonia sapevano da mesi l'importanza


che davo a quella <strong>pietra</strong> trovata tanto faticosamente.<br />

Ero in piedi sul timone <strong>del</strong> carro, con in mano le reclini, e la mia<br />

faccia stava per aprirsi in due da tanto sorridevo. Giunsi di fronte a<br />

loro e mi fermai, e scesi a terra per baciare Luceia e abbracciare Gaio.<br />

«Allora l'hai trovata!» disse Gaio. Luceia non disse niente,<br />

sorrideva godendo <strong>del</strong> mio evidente piacere.<br />

«Sì. L'ho trovata. Proprio dove supponevo che fosse.» Eccitato<br />

oltre ogni dire, lo trassi a me, stringendogli il collo nell'incavo <strong>del</strong><br />

gomito destro con un'insolita dimostrazione di affetto, senza<br />

rendermi conto che stavo mettendo in pericolo la sua dignità. Gaio si<br />

liberò con garbo dall'inconsueto abbraccio e gettò uno sguardo al<br />

cumulo coperto da un telo sul pianale <strong>del</strong> carro. «Allora? Facci<br />

vedere questo prodigio! <strong>La</strong>sciaci dare un'occhiata!»<br />

Saltai sul pianale <strong>del</strong> carro e strappai via la copertura. Era<br />

enorme. O piuttosto erano enormi. Erano quattro. Quattro pietre<br />

massicce, la più piccola <strong>del</strong>le quali era grande quanto il torace di un<br />

uomo robusto e la più grande quanto il posteriore di un cavallo da<br />

tiro.<br />

Avevo previsto in anticipo l'espressione di Gaio. Vidi tutti i suoi<br />

dubbi tornare a galla. Come potevano quelle pietre enormi essere<br />

cadute da un <strong>cielo</strong> vuoto? Si morsicò le labbra. Tutti tacevano.<br />

Le rocce luccicavano al sole. Sembravano quattro normali grosse<br />

pietre, ma avevano in alcuni punti quell'aspetto lucido, vetroso, che<br />

distingueva anche le altre sette pietre più piccole.<br />

Gaio si schiarì la voce, sapendo che sia io che gli altri<br />

aspettavamo una sua parola.<br />

«Sono... sono molto pulite.»<br />

Risi forte. «È giusto che lo siano! Le abbiamo lavate.»<br />

«Tu... le hai lavate?»<br />

«Sì, certo, è ovvio che le ho lavate. Sono state sotto tonnellate di


terra per anni. Ho dovuto lavarle per essere sicuro di quello che<br />

erano. Il loro peso mi aveva detto che erano pietre <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>, ma non<br />

potevo esserne sicuro solo guardandole, perciò ci siamo fermati al<br />

primo ruscello e le abbiamo pulite. Ed eccole qui!»<br />

Ed erano proprio lì da vedere!<br />

Negli occhi di Gaio c'era ancora un dubbio. «Ma non ti aspettavi<br />

di trovarne una sola, Varro?»<br />

Battei con la mano destra su una <strong>del</strong>le superfici lisce. «Sono una<br />

sola, Gaio. Almeno penso. Suppongo che si sia spezzata al momento<br />

<strong>del</strong>l'impatto. Se guardi da vicino vedrai che ognuna di loro ha <strong>del</strong>le<br />

superfici lisce e dei piani frastagliati. Io penso che se uno avesse il<br />

tempo e la forza di giocare con loro potrebbe rimetterle insieme<br />

come una noce rotta.»<br />

«Vedo.» Il tono <strong>del</strong>la sua voce mi diceva che non vedeva affatto.<br />

«E adesso cosa farai?»<br />

«Le spaccherò in tanti frammenti e ne estrarrò il metallo.»<br />

«Ci vorrà molto?»<br />

«Chi lo sa?» dissi. «Spero di no. Dipende molto dal forno di<br />

cottura che costruiamo, dal grado di calore che otteniamo, dalla<br />

durezza <strong>del</strong>le pietre e dalla qualità <strong>del</strong> ferro che contengono.<br />

Potrebbe volerci un mese. Forse di più. So solo che lo farò,<br />

indipendentemente dal tempo che ci vorrà.»<br />

Vedevo il dubbio pulsare nella mente di Gaio. «Varro» disse.<br />

«Publio... cosa farai se le pietre non contengono metallo?»<br />

Balzai di nuovo a terra. «Lo contengono, Gaio!» Mi resi conto di<br />

colpo che tutti quanti ci stavano ascoltando, e mi rivolsi anche a loro<br />

con le braccia alzate, acutamente consapevole <strong>del</strong> loro esame, <strong>del</strong>la<br />

loro curiosità e <strong>del</strong>lo scetticismo che pochi di loro erano in grado di<br />

nascondere bene come Gaio.<br />

«Amici» dissi parlando in mezzo al loro educato e attento


silenzio, «queste sono le pietre celesti di cui avete sentito tanto<br />

parlare.» Scrutai le facce dei presenti ad una ad una, sorridendo per<br />

la studiata mancanza di espressione di alcune. «Non sono un gran<br />

che da vedere, vero? Ma sono grandi e questo è quello che speravo.»<br />

Saltai sul timone <strong>del</strong> carro e strofinai la mano contro la<br />

curvatura liscia <strong>del</strong>la più grande.<br />

«Non lasciate che la loro semplicità vi tragga in errore. Sono<br />

reali e sono state trovate dove mi aspettavo di trovarle e la loro vera<br />

magia è ancora da scoprire nei prossimi mesi.» Tirai fuori il mio<br />

pugnale di <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong> e lo tenni in alto, in modo che tutti<br />

potessero vedere la sua lama luccicante colore <strong>del</strong>l'argento liquido.<br />

«Contengono <strong>del</strong> metallo» dissi, alzando la voce in modo da farmi<br />

sentire da tutti, «metallo come questo, e reale come questo. Io non so<br />

che tipo di metallo sia, ma è più <strong>del</strong> semplice ferro. E qualunque<br />

cosa sia lo tirerò fuori.»<br />

Vidi sulle loro facce - e in un paio di teste scosse educatamente,<br />

ma con scetticismo - che erano pronti ad accettare e compatire la mia<br />

stranezza. Erano tornati al lavoro interrotto ancor prima che io<br />

saltassi giù di nuovo dal carro. Mi girai verso Equo che ormai da<br />

settimane non lasciava il mio fianco.<br />

«Porta il carro alla fucina e prendi un paio di uomini che ti<br />

aiutino a scaricarle. Ricordati di avvertirli che queste cose sono<br />

molto più pesanti di quello che sembrano. Non lasciare che nessuno<br />

si faccia male spostandole.»<br />

Poi mi girai verso Luceia. «Amore mio, devo fare un bagno e ho<br />

fame come tre uomini affamati. Potresti farmi preparare un bagno e<br />

un po' di cibo mentre parlo con Gaio?»<br />

Mi sorrise e mi strinse un braccio, alzandosi in punta di piedi<br />

per baciarmi sulla guancia, anche se era sporca.<br />

«Con piacere, mio signore e marito» disse sorridendo.<br />

«Benvenuto a casa. Ti stavo aspettando.» E poi si allontanò.


<strong>La</strong> guardai allontanarsi verso casa, poi mi girai verso Gaio con<br />

un sospiro di contentezza, mettendogli un braccio intorno alle<br />

spalle. Ci incamminammo insieme.<br />

«Gaio, ti ho mai ringraziato per tua sorella?»<br />

«Solo diecimila volte. Basta, per favore!»<br />

«Va bene!» Risi di nuovo, buttando indietro la testa. «Gaio, mi<br />

sento così bene che potrei ballare! C'è <strong>del</strong> ferro in quelle pietre. So<br />

che c'è. Ricordi di quando ti ho detto <strong>del</strong>la fatica di mio nonno per<br />

estrarre il metallo dalla <strong>pietra</strong>?» Annuì e io continuai. «Ti ricordi,<br />

allora, che al suo ultimo tentativo, proprio mentre stava per<br />

abbandonare la lotta per la disperazione, si accorse che c'era stato un<br />

cambiamento nella struttura superficiale <strong>del</strong>la <strong>pietra</strong>?»<br />

«Sì, mi ricordo. Ma cosa...?»<br />

«Quello che aveva notato, Gaio» lo interruppi, «era un effetto<br />

vitreo, come se la <strong>pietra</strong> avesse iniziato a fondersi proprio mentre il<br />

fuoco si spegneva. Lo stesso effetto vitreo che è presente nelle nostre<br />

pietre.»<br />

Scosse la testa, disorientato.<br />

«Ma non capisci, Gaio? Quando queste pietre sono cadute dal<br />

<strong>cielo</strong> in fiamme, il calore di quel fuoco deve essere stato sufficiente<br />

per iniziare il processo di fusione.»<br />

Ma significava pretendere troppo dalla fantasia di Gaio, che<br />

cercò rifugio nel ridicolo.<br />

«Davvero? Stai dicendo che non hai bisogno di un forno di<br />

cottura? Che ti limiterai a buttarle in aria e si fonderanno da sole?»<br />

Lo fermai di colpo e mi girai a guardarlo, leggendo l'incredulità<br />

nei suoi occhi. Restammo lì in piedi per un po', poi riprendemmo il<br />

nostro cammino. Quando parlai di nuovo la mia voce era più seria.<br />

«Gaio» dissi, «vorrei poterti dimostrare adesso la verità <strong>del</strong>le<br />

mie parole. Ma non posso. Non posso nemmeno spiegare come mi


sento, eppure so di avere ragione. È qualcosa dentro di me. Tu pensi<br />

che io sia pazzo e ti conosco abbastanza da sapere che soffriresti a<br />

lungo prima di rischiare di ferirmi dicendolo. Ma so anche che di<br />

tutte le persone che conosco tu sei quella che più desidera credere<br />

che io abbia ragione e vuoi capire. Tu hai visto il pugnale e hai<br />

sentito la mia storia e credi a ciò che i tuoi occhi ti dicono essere<br />

vero. Tutto in te vuole solo credere che io abbia ragione e che<br />

estrarrò <strong>del</strong> ferro da quelle pietre. Non è forse così?» Gaio annuì e io<br />

proseguii. «<strong>La</strong> sola nota falsa in tutto questo è che la tua ragione,<br />

razionale com'è, non ti permette di accettare che rocce di qualunque<br />

dimensione cadano in fiamme dal <strong>cielo</strong>. A meno che siano state<br />

riscaldate e lanciate da catapulte.»<br />

Eravamo arrivati davanti alla porta <strong>del</strong> bagno e uno dei servi mi<br />

aspettava già per aiutarmi. Gli feci cenno che sarei arrivato subito e<br />

poi guardai di nuovo Gaio, sorridendo.<br />

«Bene, generale. Non ti posso dare un testimone oculare, ma ti<br />

garantisco una cosa: concedimi di indulgere per un po' nella mia<br />

follia e uno di questi giorni ti darò il metallo di quelle pietre celesti.<br />

Te lo giuro. Nel frattempo se farai in modo di rassicurare tutti gli<br />

altri che non sono malato di mente, ti sarò grandemente debitore.»<br />

Mi guardò dritto negli occhi e sbatté le palpebre in fretta, e per<br />

un incredibile momento, pensai di vedere il luccichio di una lacrima.<br />

Poi deglutì a fatica, mi batté una mano sul braccio, annuì e disse:<br />

«D'accordo». Poi mi lasciò andare a fare il mio bagno.<br />

Quand'ebbi finito di fare il bagno e di mangiare Gaio era di<br />

nuovo immerso nelle sue liste e non lo vidi più fino all'ora di cena.<br />

Avevamo appena iniziato il nostro pasto quando fummo interrotti<br />

dal nostro vecchio amico Alarico, accompagnato da due dei suoi<br />

preti. Gaio insistette perché si unissero immediatamente a noi,<br />

polverosi e sfiniti per il viaggio com'erano, e dopo aver scambiato i<br />

saluti, si misero a mangiare con la famelica concentrazione di<br />

uomini che non mangiano da giorni. Lo notammo tutti, ma a parte


qualche sguardo tra noi, nessuno commentò.<br />

Alla fine Alarico mise giù il coltello e si lavò via l'unto dalle<br />

mani.<br />

«Gaio, in nome dei miei fratelli qui presenti, ti ringrazio per il<br />

pasto. Siamo digiuni dall'altro ieri.»<br />

«In nome di Dio, perché?» chiesi io, stupefatto.<br />

«In nome di Dio non potevamo perdere tempo, Publio, e sapevo<br />

che avremmo potuto mangiare qui prima di proseguire.»<br />

Gaio aveva la fronte aggrottata. «Proseguire per dove? Sei fuori<br />

di te, amico. Cosa sta succedendo là fuori, nel mondo?»<br />

Alarico rispose aggrottando a sua volta la fronte. «Non avete<br />

saputo niente? No, ovviamente non avete saputo niente. Ci sono<br />

cattive notizie su ogni fronte, Gaio. Invasioni al nord, attraverso il<br />

vallo. Niente di organizzato, ma pesanti scorrerie che arrivano<br />

molto a sud, distruggendo e saccheggiando intere città. I gruppi di<br />

invasori si sono tenuti lontani uno dall'altro, e così le legioni<br />

settentrionali hanno dovuto dividersi per combatterli.»<br />

«Nessuno ha mandato aiuto da sud?»<br />

«No. <strong>La</strong> guarnigione di Arboricum si è rivoltata a causa <strong>del</strong><br />

malcontento, si dice, dovuto a nuovi severi provvedimenti<br />

disciplinari. Non avrebbe potuto capitare in un momento peggiore.<br />

<strong>La</strong> guarnigione è confinata in città e le forze armate che la tenevano<br />

d'assedio hanno dovuto affrontare la scelta se marciare verso nord<br />

per bloccare i Pitti o restare lì e sedare l'ammutinamento. È il caos.<br />

Ovviamente hanno deciso di rimanere. Così le devastazioni e le<br />

scorrerie a nord sono state massicce e più o meno incontrastate.»<br />

Tacque, ma si vedeva che non aveva finito. «C'è <strong>del</strong>l'altro<br />

Alarico, vero?»<br />

I suoi occhi passarono da Gaio a me. «Sì, c'è <strong>del</strong>l'altro. Una flotta<br />

di barcacce sassoni ha preso terra nel sudest, sulla costa sassone, e


ha saccheggiato la zona. Sono riusciti a ingannare e a far cadere in<br />

un'imboscata le forze mandate a contrastarli, e li hanno massacrati<br />

tutti.»<br />

«Quanti?»<br />

«Una coorte completa <strong>del</strong>la XVII.»<br />

Sentii rizzarmisi i capelli. «Buon Dio!» sibilai. «Cinquecento<br />

uomini?»<br />

«Mille! Era la Prima Coorte. I Miliari.»<br />

Balzai in piedi. «È impossibile! Una banda di Sassoni<br />

indisciplinati? Mai!» <strong>La</strong> mia reazione era involontaria, dovuta allo<br />

sconcerto, perché sapevo che Alarico non era un bugiardo.<br />

Ignorò l'insulto implicito e mi guardò dritto negli occhi.<br />

«Non impossibile, Publio. Improbabile, forse, ma è successo.»<br />

«Ma come, in nome di tutti gli dei di Roma?» Alzò le spalle,<br />

scuotendo la testa. «Non lo sa nessuno. Quello che si sa è che sono<br />

stati sorpresi durante la marcia. I Sassoni hanno dato fuoco all'erba.<br />

È stata un'estate secca e il vento era forte quel giorno. Da come sono<br />

stati trovati i cadaveri, è chiaro che sono stati spinti dalle fiamme<br />

fino a uno stretto passo nelle colline. Lì sono stati presi in trappola e<br />

massacrati.»<br />

«Continua a sembrarmi impossibile» disse Gaio, la cui voce<br />

tradiva uno sconcerto pari al mio. «Dovevano avere <strong>del</strong>le sentinelle!<br />

Cavalleria leggera! Nessun esercito romano, coorte o legione, marcia<br />

alla cieca!»<br />

Alarico si strinse nelle spalle, incapace di commentare.<br />

«Allora, Alarico, dove stai andando adesso?» gli chiesi.<br />

«A sud. Verso la costa. Hanno bisogno di noi. Sembra che<br />

un'altra flotta abbia toccato terra dove gli incursori non erano mai<br />

arrivati prima. <strong>La</strong> popolazione era impreparata e c'è molta<br />

sofferenza.»


Fu la volta di Gaio di interrompere. «Una flotta? A sud di qui?<br />

Ma come è possibile? Non avrebbero potuto navigare lungo la costa<br />

sassone senza essere intercettati dalle nostre forze navali. Cosa è<br />

successo?»<br />

«Sembra che siano arrivati d'oltremare, Gaio. Dalla Gallia.»<br />

«No!» Gaio scosse la testa incredulo. «Come può essere? <strong>La</strong><br />

Manica, potrei capire, ma una flotta da guerra attraverso una parte<br />

di mare così ampia? All'inizio <strong>del</strong>l'inverno? Chi potrebbe rischiare a<br />

quest'epoca <strong>del</strong>l'anno? I Galli non hanno né il coraggio, né le navi.»<br />

«Mi hanno detto che erano pirati franchi.»<br />

«Franchi? Dio! Osano molto, quei miserabili briganti!»<br />

Alarico fu rapido nel contraddirlo. «Non sono più miserabili,<br />

Gaio. E i Franchi oggi sono molto più di quello che credi. Hanno<br />

dato vita a re guerrieri. Le notizie che arrivano dalla Gallia<br />

affermano che sono organizzati e che stanno diventando una forza<br />

che pretenderà di essere riconosciuta. Le legioni hanno dei problemi<br />

laggiù.»<br />

Guardai dall'altra parte <strong>del</strong> tavolo, dove Gaio e mia moglie,<br />

stupiti, sembravano stregati dalla cronaca <strong>del</strong> disastro. Per un tempo<br />

che parve lunghissimo il silenzio calò su di noi, quasi soffocante per<br />

la sua densità. Fui io a spezzarlo alla fine.<br />

«Bene, Gaio» dissi con voce sorda, dura e pesante alle mie stesse<br />

orecchie, «potrebbe essere l'inizio di quello che preannunci da anni.»<br />

Mi guardò come se non capisse, con una minuscola ruga tra le<br />

sopracciglia.<br />

«Cosa?»<br />

Proseguii, senza cambiare tono. «Sembra che la tua famosa fine<br />

sia iniziata. Per agire così i Franchi devono essere affamati. E questo<br />

significa che non avranno il senso <strong>del</strong>l'umorismo e sarà difficile<br />

discutere con loro, perché chi ha fame raramente si ferma a farsi una


isata. Se davvero, come dice Alarico, sta emergendo una forza<br />

combattente organizzata - dannazione, se sono abbastanza pazzi da<br />

sfidare il mare dalla Gallia a qui in quest'epoca <strong>del</strong>l'anno -<br />

potrebbero distruggere l'intero equilibrio <strong>del</strong>l'Impero. Potrebbero<br />

essere la goccia che fa traboccare il vaso e manda in rovina il mondo<br />

intero.»<br />

Annuì senza parlare, riflettendo sul mio commento prima di<br />

rivolgersi ad Alarico.<br />

«Dimmi cosa sai d'altro su questi Franchi, amico. Perché sono<br />

diventati di colpo così importuni?»<br />

Il vescovo scosse la testa. «Non posso dirti la verità, Gaio, perché<br />

davvero non la conosco.»<br />

«Hai parlato di re guerrieri. Chi sono?»<br />

Alarico scosse la testa. «Non so i loro nomi. So solo che esistono,<br />

nati dai problemi <strong>del</strong> loro popolo. Anche i Visigoti hanno dei capi,<br />

oggi. Capi con un grande talento per la guerra.»<br />

«Bastardi pagani!» interloquii.<br />

«No, Publio.» Alarico scosse nuovamente la testa. «Non pagani.<br />

Molti di loro sono cristiani, spinti alla guerra dalle ingiustizie contro<br />

i loro popoli. Questo so che è vero. Abbiamo vescovi e preti tra loro<br />

che predicano la parola di Dio con grande successo, tranne per<br />

quello che riguarda la guerra. Questo popolo non vuole più stare<br />

buono a lasciarsi sfruttare come bestiame secondo il piacere di<br />

Roma. Hanno scelto di combattere e lottare per la sopravvivenza<br />

<strong>del</strong>la loro razza.»<br />

«Sì, e sono stati addestrati dai Romani!» dissi.<br />

«Questa è ancora la cosa meno grave.» <strong>La</strong> voce di Alarico era<br />

solenne. «I Franchi hanno imparato a cavalcare. Sono mobili, capaci<br />

di coprire grandi distanze molto più velocemente <strong>del</strong>le legioni. E<br />

questo rende difficile contrastarli.»


«Anche i Franchi, adesso?» <strong>La</strong> voce di Gaio era piena di<br />

disgusto. «Roma ha avuto abbastanza problemi con gli Ostrogoti in<br />

Asia Minore quando hanno cominciato a cavalcare! Quando è stato?<br />

Cinque anni fa? Un intero esercito consolare spazzato via! Sei<br />

legioni, totalmente distrutte! Quarantamila uomini! Non riesco<br />

ancora a crederci dopo tutto questo tempo.»<br />

«Un esercito imperiale, Gaio.» <strong>La</strong> mia interruzione era quasi<br />

sussurrata. «Lo stesso Valente era lì, ricordatelo.»<br />

«Valente. Non era un imperatore. Era un burattino che<br />

pretendeva di governare l'Occidente, con Valentiniano sul trono a<br />

Costantinopoli che glielo permetteva perché lo trovava comodo.<br />

Due imperatori in una volta! Che schifo! E adesso ne abbiamo tre.<br />

Graziano e il suo ganimede, Valentiniano - coimperatori si fanno<br />

chiamare! - e Teodosio. Mi viene la nausea!»<br />

Gaio si stava arrabbiando davvero, e si lasciava trasportare dalla<br />

collera.<br />

«Ma stavamo parlando di cavalleria. <strong>La</strong> cavalleria ostrogota, pur<br />

essendo un'accozzaglia male equipaggiata, ha distrutto il mito<br />

<strong>del</strong>l'invincibilità di Roma.» Gaio si girò verso Alarico: «Dove hanno<br />

trovato i Franchi così tanti cavalli?».<br />

L'alzata di spalle di Alarico fu eloquente. «Li allevano. Lo fanno<br />

da anni. Alcuni di loro, la maggior parte, viene dall'Asia. Li hanno<br />

comprati o rubati in grandi mandrie. Allevare cavalli è diventata<br />

un'arte per loro.»<br />

«Strano che non ne abbia mai sentito parlare» disse Gaio.<br />

«Sciocchezze, Gaio Britannico. L'hai avuto davanti agli occhi per<br />

anni. Hai semplicemente deciso di non badarci finché rimanevano<br />

pacifici. Roma non ha avuto un gran bisogno di cavalli, tanto meno<br />

dei piccoli rozzi cavalli dei Franchi.»<br />

Gaio espirò l'aria compressa con un sibilo acuto. «Hai ragione,<br />

amico. Sembra che Roma non voglia imparare. I Franchi a cavallo


sono una minaccia! Una grande minaccia! Se un popolo a cavallo ha<br />

distrutto sei legioni in un solo brutto giorno, spianando le coorti<br />

come tappeti, lo rifaranno, ricordatelo. Ma cosa fa l'imperatore in<br />

tutto questo? Roma sta addestrando dei cavalieri?»<br />

«Quale imperatore, Gaio?» Alarico sorrideva gentilmente. «Un<br />

momento fa mentre sbraitavi a proposito di tre imperatori ho esitato<br />

a interromperti. Ma devo avvisarti che non sei aggiornato. Ci sono<br />

quattro imperatori adesso.»<br />

Il mio cuore cominciò a battere forte. Gaio era seduto, come<br />

folgorato.<br />

«Cosa vuoi dire?» chiesi io.<br />

Alarico scrollò nuovamente le spalle. «Le legioni qui in<br />

Britannia hanno eletto Magno Massimo imperatore per<br />

acclamazione. In questo momento sta radunando un esercito per<br />

andare in Gallia a pacificare la regione e rafforzare le sue pretese.»<br />

«Sangue di Dio! Avevo ragione a temere le oscure ambizioni di<br />

quell'uomo. Varro, non ti avevo forse fatto il suo nome?» Il volto di<br />

Gaio era serio quando si rivolse di nuovo ad Alarico. «Cosa ha fatto<br />

Antonio Cicerone? Dov'è?»<br />

«Antonio è morto.» <strong>La</strong> voce di Alarico era piena di dolore.<br />

«Leale a Teodosio è morto, Gaio. Quando ha sentito la notizia ha<br />

marciato contro Massimo, ma i suoi uomini lo hanno abbandonato e<br />

sono passati dall'altra parte. Cicerone è stato giustiziato.»<br />

Dovetti lottare contro la nausea a quella notizia. Il nobile<br />

Antonio. Era stato fe<strong>del</strong>e alle parole espresse durante la festa di<br />

nozze, ed era morto per la sua lealtà. Ero affranto.<br />

«Quando è successo?»<br />

«Non è molto. Io l'ho saputo solo pochi giorni fa.»<br />

«Alarico,» gli chiesi stancamente, «come fai a essere così bene<br />

informato e così in fretta?»


«<strong>La</strong> Chiesa ha molti occhi e orecchie, Publio, e non minaccia<br />

nessuno. <strong>La</strong> notizia mi è stata portata da padre Catone, qui presente,<br />

che lo ha saputo da un prete che ha visto Cicerone morire.»<br />

«Il legato Cicerone!» lo corressi.<br />

«Il legato Cicerone. Possa Dio accogliere la sua anima!»<br />

Sentii il peso <strong>del</strong>la depressione sulle spalle, ricordando Antonio<br />

la notte che aveva giurato di opporsi a un imperatore che si fosse<br />

proclamato tale in Britannia. Povero Cicerone. Era stato profetico.<br />

Quanti altri lo erano stati quella notte, mi chiedevo?<br />

Un pensiero mi balenò alla mente. «E cosa fa Seneca? Dov'è?»<br />

Alarico scosse la testa. «Non so, Publio, ma non è più a<br />

Colchester. È scomparso poco prima <strong>del</strong>l'insurrezione di Magno.»<br />

Aggrottai la fronte, messo in avviso da qualcosa nel suo tono di<br />

voce. «Scomparso? Prima? Cosa intendi dire?»<br />

«Solo quello che ho detto. È scomparso.»<br />

«Ma hai anche detto “prima”, vero? Prima <strong>del</strong>l'insurrezione? E<br />

c'era qualcosa nel modo in cui lo hai detto. Hai una tua idea, penso.»<br />

Alarico sospirò. «Publio» disse, «io espongo solo i fatti. Non mi<br />

occupo <strong>del</strong>le dicerie e in questo caso ho sentito solo dicerie. Non mi<br />

interessa Claudio Seneca. Non è il tipo di uomo per cui scelgo di<br />

perdere il mio tempo.»<br />

«Quale diceria, Alarico? Per favore, è importante!»<br />

Sospirò di nuovo per la mia insistenza. «Dovresti toglierti<br />

Seneca dalla mente, Publio. È un uomo malvagio. Non può venirti<br />

niente di buono rimuginando su di lui o sulle sue azioni.»<br />

«Lo so, Alarico, ma è in debito con me di una vita.»<br />

«Non ti deve niente.» <strong>La</strong> sua voce sembrava priva di vita. «Si<br />

dice che sia stato lui a finanziare Magno Massimo nel suo tentativo<br />

di salire al trono.»


Picchiai un pugno sul tavolo per sfogare la mia frustrazione.<br />

«Sia maledetto quell'uomo nel più profondo <strong>del</strong>l'Ade! Ha<br />

ammazzato due miei amici. Febe e Antonio!»<br />

«Publio!» Il tono di Alarico era di condanna. «Non puoi<br />

affermare una cosa simile. Ti ho detto che è solo una diceria.»<br />

«Sì, Alarico, me lo hai detto. Ma io ti dico che non hai mai sentito<br />

una diceria più fondata di questa. L'azione si adatta perfettamente<br />

all'uomo. Ha il fetore dei suoi complotti e <strong>del</strong>la sua mente malata. Se<br />

Magno Massimo riesce nella sua rivendicazione, spodesterà<br />

Teodosio e questo non avvantaggerà nessuno più di Seneca. Il<br />

serpente ha trovato una <strong>pietra</strong> perfetta per arrotolarcisi sotto. <strong>La</strong><br />

rivolta distoglierà gli occhi <strong>del</strong>l'imperatore da Seneca e dalla sua<br />

malvagità di ladro intrigante. Se Magno vince, Seneca vince. Se<br />

Magno perde, Seneca vince lo stesso. Puoi star certo che non resterà<br />

anima viva a riferire che Seneca ha aiutato Magno a raccogliere i<br />

fondi per radunare un esercito. E Teodosio potrà difficilmente<br />

rimproverare al suo procuratore di non aver compiuto i suoi doveri<br />

in una provincia che è stata usurpata da un imperatore venuto dal<br />

nulla. No, ricorda le mie parole. Quando la polvere di questa rivolta<br />

si sarà posata, in un modo o nell'altro, Claudio Seneca ne emergerà<br />

indenne e più ricco di prima.»<br />

Ero fuori di me. Luceia mi fissava ad occhi spalancati. Alarico<br />

era privo di qualsiasi espressione. Guardai Gaio. Si era preso la testa<br />

tra le mani. Alarico vide il mio sguardo e si rivolse a Gaio.<br />

«Mi spiace di essere il latore di notizie così brutte, Gaio. Non<br />

avevo immaginato che ignorassi tutto. Tendo sempre a immaginare<br />

che gli altri abbiano le stesse mie fonti.»<br />

<strong>La</strong> voce di Gaio era sommessa. «Non dovresti, Alarico. Qui<br />

siamo in una pozza d'acqua stagnante, lontani dalle notizie.»<br />

Era troppo. «Dannazione, Gaio» esplosi. «È tutto quello che hai<br />

da dire? Stiamo parlando di Claudio Seneca, non di un pivello di cui<br />

non abbiamo mai sentito parlare. Credevo che avessi qualche


motivo più di me per agitarti!»<br />

«Mi credi morto, allora?» interruppe bruscamente Gaio<br />

costringendomi al silenzio. Fece un respiro profondo e si strinse il<br />

naso tra l'indice e il pollice. Quando parlò di nuovo la sua voce<br />

aveva ripreso il consueto tono calmo e spassionato.<br />

«Publio, io so meglio di chiunque quanto sia facile odiare i<br />

Seneca, l'intera tribù. Ma non posso farmi trascinare in una reazione<br />

convulsa ogni volta che uno di loro mostra la sua natura bestiale. Ci<br />

sono cose più importanti in gioco nella nostra vita. Né tu, né io<br />

abbiamo il tempo di occuparci <strong>del</strong> tradimento personale di un<br />

Seneca. <strong>La</strong>sciali al tempo, alla storia e a Dio! Noi abbiamo <strong>del</strong>le<br />

priorità. Quello che dobbiamo fare qui in questa Colonia è molto più<br />

importante di qualunque cosa un Seneca possa fare, mentre il<br />

mondo sta crollando. I nostri successi decreteranno la nostra<br />

sopravvivenza... e sarà la nostra rivincita contro una famiglia<br />

destinata all'estinzione. Non parlare di conti e debiti, Publio. Non<br />

devi preoccuparti di cose simuli. Il tempo vi provvederà molto<br />

presto.»<br />

Non c'era niente che potessi rispondere e per un po' intorno al<br />

tavolo ci fu silenzio. Luceia chiese scusa e lasciò la stanza. Alla fine<br />

fui io a parlare.<br />

«Hai ragione, Gaio, ovviamente. Mi dispiace. Mi sembra che più<br />

divento vecchio, più divento emotivo. Il tempo si incaricherà di<br />

Seneca e di quelli come lui... Ma se posso cambiare argomento,<br />

ritengo difficile credere che, data la gravità <strong>del</strong>la situazione, Magno<br />

voglia lasciare la Britannia e andare in Gallia.»<br />

«Perché no?» L'amarezza nella voce di Gaio doveva bruciargli in<br />

gola come vomito. «Stiamo parlando di ambizione, qui, amico, non<br />

di dovere! Il nuovo imperatore di Roma deve farsi un nome fuori da<br />

queste terre. È conosciuto qui in Britannia. Adesso deve far<br />

conoscere la sua divina presenza altrove.»<br />

«Ma come possono permetterglielo i suoi generali?»


«Non essere ingenuo, Varro! Ognuno di loro si vede già<br />

comandante <strong>del</strong>la nuova Guardia Pretoriana, <strong>del</strong>la guardia<br />

personale <strong>del</strong> nuovo imperatore. Lotteranno come demoni per non<br />

restare indietro.»<br />

«Ma qualcuno rimarrà qui, sicuramente. Non lasceranno la<br />

regione sguarnita?»<br />

<strong>La</strong> collera di Gaio lasciò posto al disgusto. «No, puoi essere<br />

sicuro che lascerà forze sufficienti a garantirsi un buco dove<br />

rifugiarsi se i suoi piani falliscono. Per ora terrà la Britannia. Non è<br />

stupido, il nostro nuovo nobile imperatore!»<br />

«Publio, Luceia è malata?» Alarico era preoccupato. «Era<br />

mortalmente pallida quando è andata via.»<br />

«Davvero?» mi allarmai. «Non me ne sono accorto. Scusatemi.<br />

Vado a vedere se è tutto a posto.» Mi alzai in fretta e andai a<br />

cercarla.<br />

Quando rientrai nella stanza dovevo avere uno strano aspetto,<br />

perché Gaio mi chiese subito cosa ci fosse che non andasse. Andai al<br />

tavolo e sollevai la brocca <strong>del</strong> vino.<br />

«Che giorno è oggi?»<br />

Alarico rispose: «Le Calende erano due giorni fa, quindi oggi è il<br />

terzo giorno <strong>del</strong> mese».<br />

«Di che anno?»<br />

«È l'anno 1136 di Roma» disse. «È anche il 383 <strong>del</strong>l'era di Nostro<br />

Signore. Perché lo vuoi sapere?»<br />

«Perché è stato un giorno memorabile.» Mi versai una coppa di<br />

vino e feci il giro <strong>del</strong> tavolo a riempire anche le loro. «Per prima cosa<br />

ho portato a casa le pietre celesti. Poi sei arrivato tu, Alarico, un<br />

evento importante di per sé. Poi abbiamo saputo di invasioni,<br />

tradimenti, ammutinamenti e guerre, di un nuovo imperatore e<br />

<strong>del</strong>la morte di un nobile e valoroso amico. E adesso mia moglie mi


dice che aspetta un bambino. È un giorno memorabile.»<br />

Alzai la coppa e i miei amici la levarono con me in un brindisi<br />

silenzioso.


XXIX.<br />

Invecchiando capisco che la vita è come una campagna militare:<br />

lunghi periodi di quiete e di noia in cui sembra che non accada<br />

niente e poi brevi, intensi spasimi, durante i quali tutto ciò che è<br />

importante si comprime in azione caotica.<br />

L'anno che era appena trascorso, l'anno 383 <strong>del</strong> calendario<br />

cristiano, fu un anno caotico, soprattutto nei suoi mesi finali. Al<br />

confronto i quattro anni che seguirono furono sonnolenti.<br />

Molte cose accadevano nella regione e in tutto l'Impero, ma<br />

nessuna toccò la nostra quieta Colonia. Per noi fu un'epoca di<br />

costruzione e di consolidamento, con pochi incidenti traumatici.<br />

Il figlio di Gaio, Pico, ci mandò un messaggio in cui diceva che<br />

stava marciando con il nuovo imperatore Magno Massimo, per<br />

aiutarlo nella rivendicazione <strong>del</strong>l'Impero, e poi non avemmo più sue<br />

notizie. Gaio fu ferito profondamente dal fatto che il ragazzo non<br />

avesse notato le evidenti imperfezioni di quell'uomo, ma Pico era<br />

giovane, compiva solo diciotto anni quell'anno. Avrebbe dovuto<br />

imparare da solo, come ogni altro uomo.<br />

Gaio e io discutemmo di questo e di molti altri argomenti una<br />

fresca mattina, dopo avere attivamente discusso di tecniche di<br />

combattimento con tre forti giovani reclute. A quell'epoca non<br />

avevamo ancora sviluppato un programma regolare di<br />

addestramento dei giovani futuri combattenti; quello sviluppo<br />

doveva aspettare ancora un intero anno. Avevamo però iniziato un<br />

programma di addestramento informale per giovani dai quindici<br />

anni in su, riconoscendo la necessità di cominciare da qualche parte<br />

se volevamo che tutti i coloni portassero le armi e fossero in grado di<br />

difendersi in modo intelligente.<br />

Nessuno conosce le origini <strong>del</strong>la spada da esercitazione romana:


il nome <strong>del</strong> suo creatore e la sua storia si sono perduti nel tempo.<br />

L'efficacia e la praticità <strong>del</strong>la sua linea, però, non sono mai cambiate<br />

e non possono essere migliorate. È fatta di legno - pesante massello<br />

di frassino - ed è a sezione circolare, più simile a un bastone che a<br />

una spada. È tagliata nella stessa lunghezza di un gladium, la classica<br />

spada corta romana, ma possiede due volte il suo peso, cosa che la<br />

rende poco maneggevole da portare e difficile da usare. Il peso in<br />

più aumenta la forza <strong>del</strong> braccio di chi la usa, cosicché quando è<br />

necessaria la violenza, quando le lame sono sguainate davvero, il<br />

peso reale <strong>del</strong>la spada sembra nullo tra le mani di un soldato bene<br />

addestrato.<br />

Attratto dal rumore <strong>del</strong>le spade da esercitazione, Gaio arrivò nel<br />

piccolo cortile dai ciottoli sporchi di sterco dove stavo combattendo<br />

a distanza ravvicinata con tre giovani reclute vigorose. Mi stavano<br />

attaccando tutte insieme, nel tentativo di affondare la spada oltre il<br />

mio scudo, sopra o sotto la guardia, ma non ci riuscivano e io mi<br />

divertivo, consapevole <strong>del</strong> vantaggio che avevo su di loro, giovani e<br />

senza esperienza, avventati e indisciplinati. Nel giro di pochi mesi<br />

avrebbero imparato ad avere facilmente la meglio su di me in quel<br />

gioco. Ma intanto approfittavo <strong>del</strong>la loro gioventù, forza e<br />

goffaggine, incoraggiandoli ad attaccarmi sempre più forte e con<br />

sempre meno successo mentre la loro frustrazione aumentava. Non<br />

appena notai che Gaio ci stava a guardare, però, affrettai la<br />

conclusione, colpendo vigorosamente ognuno di loro con un<br />

pesante, efficace colpo di spada - uno sull'elmo, uno sul gomito e<br />

uno nelle costole - prima di fare un passo indietro e abbassare la<br />

guardia per congedarli. Abbacchiati e sottomessi uscirono dal<br />

cortile, convinti che non sarebbero mai stati in grado di battere quel<br />

vecchio figlio di puttana di Varro. Sganciai il sottogola e tolsi l'elmo,<br />

asciugandomi la fronte sudata con il fazzoletto che tenevo dentro la<br />

corazza.<br />

Gaio mi guardava con attenzione e per un po' non disse niente.<br />

Poi commentò: «Sembrava che ti divertissi molto».


Mi alzai in punta di piedi, allungai le braccia sopra la testa, feci<br />

un gran respiro e piegai la schiena fino a toccarmi la punta dei piedi.<br />

«Difatti mi stavo divertendo» risposi, ansimando leggermente; mi<br />

raddrizzai e cominciai a strofinare la fascia <strong>del</strong>l'elmo. «Amo<br />

l'attività. Mi tiene in forma. Non è facile fare una bella sudata al<br />

giorno d'oggi. Inoltre fa bene ai giovani. Bruciano un po' di energia e<br />

mandano giù una bella dose di autorità e nessuno ci vede una<br />

lezione di sconsideratezza.» <strong>La</strong> correggia di cuoio <strong>del</strong> sottogola era<br />

asciutta; rimisi il pesante elmo, e lo regolai mentre continuavo:<br />

«Bada, sappiamo entrambi che io non oserei rifare quel trucco<br />

quando avranno imparato qualcosa di più, ma adesso incute loro un<br />

sano rispetto per le persone che li comandano.»<br />

Gaio sorrise e si girò. «Passeggia un po' con me» disse da sopra<br />

la spalla.<br />

<strong>La</strong>sciai le mie cose dov'erano e lo seguii. Attraversammo il<br />

cancello principale <strong>del</strong>la villa e camminammo in silenzio per quasi<br />

mezzo miglio, finché la vista e i rumori <strong>del</strong>la fattoria e degli edifici<br />

annessi svanirono, nascosti alla nostra vista da cespugli e<br />

sottobosco.<br />

Direttamente davanti a noi c'era il solo grande albero che si<br />

ergeva in quella parte dei terreni <strong>del</strong>la villa, un solitario faggio<br />

rosso, massiccio e bello, che sembrava dovere la sua sopravvivenza<br />

esclusivamente al suo aspetto. Era lì da molto tempo e nessuno<br />

aveva mai pensato a tagliarlo. Adesso nessuno avrebbe mai voluto<br />

farlo. Era parte <strong>del</strong> posto. Ognuno si riferiva a lui semplicemente<br />

dicendo “il grande albero”. Gaio si diresse verso l'albero e si fermò a<br />

dieci passi dal tronco, che svettava diritto per trenta e più piedi fino<br />

alla prima diramazione. Guardò il lussureggiante fogliame grigio<br />

verde, poi si girò verso di me.<br />

«Hai il tuo pugnale?»<br />

Annuii. «Sì. Perché?»<br />

«Equilibrato per il lancio, vero?»


«Sì. Perché?»<br />

«Puoi lanciarlo da dove sei e colpire l'albero?»<br />

Guardai l'albero, valutai la distanza, visualizzai il volo<br />

acrobatico <strong>del</strong> coltello e vidi il risultato. «Facilmente» gli dissi, «ma<br />

preferirei di no.»<br />

«Perché no?» Dal modo in cui alzò il sopracciglio, capii di averlo<br />

sorpreso.<br />

Scrollai le spalle, illuminandolo sulla ragione <strong>del</strong>la mia<br />

riluttanza. «Comodità, suppongo, e pulizia... o pigrizia. <strong>La</strong> linfa<br />

degli alberi fa strane cose al pugnale di <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>. Macchia la<br />

lama. Non la rovina, ma la scolora un po' e poi è difficile pulirla, a<br />

meno che non lo si faccia subito.» Mi interruppi e lo fissai: «Perché<br />

vuoi che lo lanci?».<br />

Si schiarì la voce e sostenne il mio sguardo. «Non voglio<br />

esattamente che lo lanci» rispose. «Speravo solo che mi avresti<br />

insegnato a lanciarlo.»<br />

«Allora ovviamente ne sarò felice.» Pieno di improvviso piacere,<br />

estrassi il coltello dal fodero che tenevo sulla schiena, contro i reni,<br />

lo portai in alto dietro le spalle prendendo la mira e lo feci volare con<br />

forza e precisione verso l'albero. Girò su se stesso una volta e andò a<br />

infiggersi al centro <strong>del</strong> tronco con un profondo, soddisfacente colpo.<br />

Andai a vedere, lo estrassi dal tronco e asciugai immediatamente la<br />

linfa dalla punta, poi lo mostrai a Gaio affinché vedesse la<br />

scoloritura.<br />

«Vedi cosa intendo?» Inclinai la lama verso la luce. «Questo non<br />

succede a nessun'altra lama, almeno a nessuna che io abbia visto...<br />

Ma come ho detto viene via abbastanza facilmente se lo si strofina<br />

subito. Se però lasci che asciughi apparirà una macchia nera che<br />

quasi non si riesce a togliere. Tieni.»<br />

Gli porsi il pugnale e Gaio lo esaminò attentamente, tenendolo<br />

morbidamente tra le dita come mi aveva visto fare prima di


lanciarlo. Gli feci vedere l'impugnatura più adatta per effettuare il<br />

lancio e gli diedi una breve lezione su come lanciarlo bene, con<br />

abbastanza forza da far ruotare il pugnale e conficcarlo nel<br />

bersaglio. Infine gli permisi di tentare un tiro, e la punta si infilò nel<br />

tronco a un buon pollice di profondità. Riprovò per cinque volte, poi<br />

aumentammo la distanza e dovette riprendere le misure. Sbagliò tre<br />

tiri, mandando il pugnale longitudinalmente contro la corteccia,<br />

prima di aggiustare il peso, e da quel momento i suoi tiri furono<br />

perfetti. Quando pensai che ne avesse avuto abbastanza, ritirai il<br />

pugnale, asciugai la lama e lo infilai nel fodero.<br />

«Allora» gli dissi, «che cosa ti ha fatto decidere di diventare un<br />

lanciatore di coltelli?»<br />

Prima di rispondere passò un braccio sotto il mio e mi costrinse<br />

a camminare mentre parlava, lasciandosi il grande albero alle spalle.<br />

«Non volevo veramente lanciare coltelli, Publio. Volevo<br />

semplicemente fare qualcosa di diverso. Capisci?»<br />

Feci un gesto di assenso, anche se mi aveva lasciato perplesso.<br />

Ma non fece attenzione a me. Le mie reazioni non erano importanti<br />

per lui in quel momento. Parlava per la voglia di parlare.<br />

«Non trovo pace» proseguì, «e non so perché...» Potevo quasi<br />

sentire il ronzio dei suoi pensieri. «Non mi piace il modo in cui mi<br />

sento, Publio... Non mi piace sentire di non essere riuscito a<br />

dominare la mia vita e i miei desideri. Sai cosa voglio dire? Sento che<br />

qualcosa mi sfugge. Ti senti mai così?»<br />

Consapevole <strong>del</strong>l'impossibilità di rispondergli in modo<br />

intelligente, ma volendo che chiarisse come si sentiva, dissi: «Non<br />

so, Gaio. Forse sì, di tanto in tanto, ma non sono certo che stiamo<br />

parlando <strong>del</strong>la stessa cosa. Cosa ti manca? Hai un'idea?».<br />

Mi lanciò un'occhiata di sbieco e poi riportò gli occhi sul sentiero<br />

ai suoi piedi. «Sì, mi manca mio figlio, per prima cosa. Non sono<br />

contento <strong>del</strong>la sua decisione di seguire Magno.»


A quel proposito gli risposi con fermezza. «Perché tu non avresti<br />

mai deciso di farlo, Gaio. Tu non ne avresti avuto bisogno. Tu sei<br />

Gaio Britannico, legato, senatore e proconsole di Roma. Ma stiamo<br />

discutendo la decisione di Pico, che è solo un ragazzo, un soldato,<br />

neppure un centurione per ora. Deve fare quello che gli viene detto,<br />

come qualunque altro soldato. Più semplicemente non ha scelta.<br />

Non ha senso crucciarsi, in ogni caso, perché non ci possiamo fare<br />

niente.»<br />

Diede un calcio a una zolla d'erba. «Dannazione, Publio, lo so.<br />

Ma non mi piace lo stesso. Avrei dovuto tenere il ragazzo qui alla<br />

Colonia.»<br />

«Come? Vuoi dire che gli avresti negato il privilegio di servire<br />

nelle legioni? Di seguire le orme dei suoi antenati? Quanto tempo è<br />

passato da quando un Britannico è rimasto a casa e non ha servito<br />

l'Impero?»<br />

«Non è mai successo e lo sai.»<br />

«E allora perché cominciare adesso? Sai che il ragazzo sta<br />

facendo la sua esperienza.»<br />

«Certo che lo so. Ma cosa succederebbe se...?»<br />

«Cosa succederebbe se cosa? Vuoi dire cosa succederebbe se<br />

venisse ucciso?»<br />

<strong>La</strong> sua voce era un sussurro: «Sì».<br />

Lo presi per le spalle. «Allora il tuo nome morirà con te, amico.<br />

Ma non accadrà. Pico non morirà. Tornerà a casa, perché sa che c'è<br />

bisogno di lui. Avrà il suo posto nella nostra Colonia e la sua<br />

esperienza e la sua abilità ci saranno necessari. I ragazzi che stanno<br />

con noi impareranno un lavoro. Saranno buoni soldati, ma sono<br />

cresciuti in casa loro. Il nostro Pico porterà con sé l'addestramento e<br />

l'esperienza per perfezionarli e fare di loro dei veri combattenti, dei<br />

veri Romani.»<br />

«Immagino che sia così.» Fece un grande sospiro. «So che hai


agione, amico» disse. «<strong>La</strong> mia mente sa che hai ragione, ma il mio<br />

cuore...»<br />

Lo interruppi: «Che cosa ti disturba davvero, generale?».<br />

Si fermò di botto, a metà di un passo. «È questo, Publio, quello<br />

che hai appena detto.»<br />

Lo fissai. «Cosa ho detto?»<br />

«Mi hai chiamato generale ed è questo che mi manca. Fare il<br />

soldato, Publio! L'eccitazione, la sfida, il movimento, lo stimolo<br />

incessante e la necessità di essere sempre pronto. <strong>La</strong> costante<br />

esigenza di pensare rapidamente, di marciare con i tempi e<br />

anticipare gli eventi.»<br />

Anch'io avevo smesso di camminare e lo guardavo stupefatto.<br />

Lui scambiò il mio silenzio stupito per il riconoscimento <strong>del</strong><br />

problema.<br />

«Non sei d'accordo?»<br />

«D'accordo?» dissi, sentendo la meraviglia nella mia voce. «Non<br />

riesco neppure a credere a quello che sento! Generale, sei in grado di<br />

riconoscere <strong>del</strong>la merda di cavallo se la vedi?»<br />

Il suo sguardo perse ogni espressione. «Cosa vuoi dire? È ovvio<br />

che la riconosco.»<br />

«Anch'io.» Annuii. «Sì, e la sento quando cade per terra, appena<br />

fatta. Ma raramente la sento cadere dalla bocca <strong>del</strong> cavallo.»<br />

Il vecchio Britannico tornò subito a galla. «Varro, per Ade, ma<br />

cosa stai dicendo?»<br />

«Quello che stavi dicendo tu, stronzate! Non ho mai sentito<br />

niente di simile. Tu eri quello che amava parlare per ore <strong>del</strong>la<br />

meschinità e inutilità <strong>del</strong>la vita militare, l'inattività, la noia, la<br />

frustrazione, la burocrazia, l'inettitudine e la follia generale nutrita<br />

dalla mentalità “sbrigati e aspetta” <strong>del</strong>l'esercito.» Mi fermai per<br />

riprendere fiato e Gaio non mi interruppe. «Se non sapessi chi sei


sarei tentato di dire che ti stai commiserando. Ma non è il caso. Devi<br />

fare un lavoro enorme qui alla Colonia e lo stai facendo bene. Quello<br />

che provi adesso passerà. È solo nostalgia per un modo di vivere che<br />

è finito. L'hai già vissuto. Cercare di ripetere una qualunque parte di<br />

quella vita ti farebbe impazzire. Il lavoro che hai da fare oggi<br />

significa di più e richiede di più di qualsiasi cosa tu abbia mai<br />

intrapreso prima.»<br />

Ora toccava a Gaio fissarmi a bocca aperta. «Per il Cristo<br />

vivente, Varro» sussurrò, spalancando gli occhi per lo stupore, «non<br />

hai mai osato parlarmi in questo modo. Non ti ho mai sentito parlare<br />

così a nessuno. Sei proprio eloquente nella collera... Devo aver<br />

pisciato sul fuoco <strong>del</strong>la tua cena per farti arrabbiare così!»<br />

Vedevo il riso danzare nei suoi occhi, e cercai di restare serio.<br />

«L'hai fatto» ringhiai. «E non mi stupisce!» Cercai di mimare le<br />

sue parole, ma quanto più tentavo, tanto più Gaio rideva, e tanto più<br />

stupida sembrava tutta la conversazione. «L'attività <strong>del</strong> soldato. Dei,<br />

non giudicatelo! L'eccitazione! <strong>La</strong> necessità di essere pronti a tutto...<br />

<strong>La</strong> merda e il letame nello stufato di montone... Dio! Potrei<br />

vomitare!»<br />

Dopodiché non riuscii più a parlare. Gaio sghignazzava<br />

apertamente senza riuscire a smettere, come un ragazzo, e anch'io<br />

scoppiai in una risata fragorosa; la nostra ilarità crebbe a dismisura e<br />

barcollammo qua e là, sostenendoci l'uno all'altro finché le ginocchia<br />

ci mancarono come la dignità, entrambe indebolite dall'isteria, e<br />

cademmo sull'erba. Da quel giorno in poi non ci furono più discorsi<br />

di scontento o di nostalgia per i giorni passati. <strong>La</strong> nostra amicizia si<br />

arricchì <strong>del</strong>l'esperienza condivisa e dedicammo il nostro tempo e le<br />

nostre energie allo sviluppo <strong>del</strong>la Colonia.<br />

Anche Luceia e io avevamo imparato a conoscerci meglio


durante quei giorni tranquilli, e con l'estate arrivò il nostro primo<br />

figlio: una bambina, Vittoria. Un angioletto che diventava più bello<br />

ogni giorno, come la madre mentre l'aspettava. Oggi, decenni più<br />

tardi, ricordo ancora chiaramente lo stupore con cui guardavo<br />

Luceia diventare ogni giorno più bella con il procedere <strong>del</strong>la<br />

gravidanza; quando arrivò il momento era radiosa, risplendente di<br />

salute e di maturità, ostentava la sua femminilità e sporgeva il<br />

ventre con orgoglio come simbolo <strong>del</strong>la supremazia femminile. Il<br />

parto fu straordinariamente semplice e richiese poco tempo e -<br />

secondo mia moglie - poco dolore, cosicché la maternità in tutti suoi<br />

aspetti le risultava facile, e tale era il suo piacere in tutto il processo<br />

che meno di un anno dopo era di nuovo incinta. Per tutto il periodo<br />

<strong>del</strong>le due gravidanze io lottavo con le mie pietre <strong>del</strong> <strong>cielo</strong> che,<br />

malgrado tutto quello che Equo e io facevamo, rimanevano<br />

inespugnabili e si rifiutavano di fondere, conservando i loro segreti.<br />

Quell'estate Gaio ebbe molto da fare e anche l'estate seguente,<br />

per imparare ad amministrare la Colonia. <strong>La</strong> morte di Antonio<br />

Cicerone e la conseguente perdita dei suoi consigli, <strong>del</strong>la sua<br />

influenza e <strong>del</strong> suo potere per trovare e reclutare nuovi coloni era<br />

stata un duro colpo per i nostri piani, ma continuavamo come<br />

prima, stimolati a provvedere a nuove impellenze dalla subitaneità<br />

degli sviluppi <strong>del</strong>l'anno appena trascorso.<br />

Gaio e io insieme cominciammo ad addestrare seriamente i<br />

coloni. Sottoponevamo le nostre reclute, specialmente i giovani, a<br />

esercitazioni brutali, formandoli e indurendoli all'antica maniera,<br />

facendoli correre e marciare e camminare con carichi pesanti e lance<br />

e il vero scudo pesante da combattimento dei legionari, lo scutum. E<br />

gli uomini rispondevano magnificamente, perché condividevano i<br />

nostri sogni e sapevano che la nostra sopravvivenza poteva<br />

dipendere in qualunque momento dalla loro capacità di respingere<br />

un attacco.<br />

Nelle lunghe sere d'estate Gaio metteva tutti al lavoro a


innovare il vecchio forte sulla collina alle nostre spalle. Non aveva<br />

nome, perché prima che Gaio Britannico dicesse che cosa fosse,<br />

nessuno aveva mai notato che fosse un forte. Era solo una collina ed<br />

era sempre stata lì, completamente ignorata, fino a un chiaro<br />

pomeriggio estivo di quell'anno tra la nascita <strong>del</strong> mio primo figlio e<br />

il concepimento <strong>del</strong> secondo. Quel giorno Gaio caricò una ventina<br />

dei più autorevoli coloni su un paio di carri e li portò attraverso i<br />

campi fino alla base <strong>del</strong>la collina, a circa un miglio da Villa<br />

Britannico. Scesero dai carri e vennero informati che i cuochi <strong>del</strong>la<br />

villa di Gaio erano già arrivati e avevano preparato un pasto per loro<br />

sulla cima <strong>del</strong>la collina. A quel punto, ovviamente c'era molta più<br />

gente di quella che era partita con Gaio. <strong>La</strong> vista dei due carri carichi<br />

che si dirigevano chissà dove, ma ovviamente con uno scopo<br />

preciso, aveva attratto molti seguaci, e quel giorno quasi cento<br />

persone salirono insieme sulla collina.<br />

In cima, i servitori di Gaio li aspettavano con pane e birra, noci e<br />

grano arrostito, crema di bacche dolci e una pecora arrostita alla<br />

perfezione su uno spiedo. Terminato il pasto, Gaio spiegò il motivo<br />

per cui aveva fatto salire tanta gente fino a lì. Aveva preparato un<br />

mo<strong>del</strong>lo in miniatura <strong>del</strong>la sommità <strong>del</strong>la collina, e se ne servì per<br />

dimostrare il genio difensivo degli antichi Celti, il popolo che aveva<br />

costruito quel posto mille anni prima.<br />

L'intera sommità <strong>del</strong>la collina era coperta da bastioni<br />

concentrici, separati da profondi fossati e l'ultimo cerchio, un'area<br />

pianeggiante rozzamente circolare <strong>del</strong> diametro di circa cento passi,<br />

evidentemente costituiva l'ultimo rifugio dei difensori. <strong>La</strong><br />

disposizione era semplice, e praticamente inespugnabile.<br />

Qualunque forza attaccante doveva prima salire i ripidi pendii <strong>del</strong>la<br />

collina e poi iniziare una lotta ardua e sanguinosa verso il centro,<br />

costretta a farsi strada attraverso ogni fossato e poi oltre ogni<br />

bastione prima di scendere nel fossato seguente. E per tutto questo<br />

tempo i difensori sui bastioni avevano sempre la supremazia, e<br />

potevano ritirarsi da una cresta all'altra dopo avere arrecato il


massimo danno agli attaccanti che avanzavano.<br />

Quando Gaio ebbe puntualizzato questo, sottolineò un<br />

importante corollario: ogni difensore preparato a dedicarsi alla<br />

difesa <strong>del</strong> forte doveva anche essere pronto a morire, se la forza<br />

attaccante era abbastanza forte o caparbia da accettare le perdite<br />

inflittele. Questo, diceva Gaio, non era però inevitabile. Questo forte<br />

era difendibile, aggiunse, ma sarebbe stato dieci, cento volte più<br />

sicuro se fosse stato circondato da una palizzata di legno. Sarebbe<br />

stato mille volte più sicuro se fosse stato circondato da mura di<br />

<strong>pietra</strong>. <strong>La</strong> sua eloquenza era tale che nessuno obiettò.<br />

Praticammo <strong>del</strong>le feritoie nei bastioni e ben presto<br />

cominciammo a edificare robuste fortificazioni di legno in punti<br />

strategici. E infine, mentre i lavori progredivano, cominciammo a<br />

erigere una citta<strong>del</strong>la con mura di <strong>pietra</strong>. Divenne la regola che, oltre<br />

ai doveri quotidiani e alle normali attività di raccolta di pietre<br />

eseguita dalle squadre di lavoro, ognuno prendesse ogni giorno una<br />

<strong>pietra</strong> e la portasse sulla collina; i nostri muratori si misero così al<br />

lavoro per costruire un possente vallo.<br />

I primi due anni fu un lavoro lento e tedioso. E Gaio lavorava<br />

duro per tenere alto l'entusiasmo <strong>del</strong>la gente per quel progetto.<br />

Ricordava loro costantemente la leggenda <strong>del</strong>le mura di Roma,<br />

trovando mille diversi modi per ricordare loro come erano state forti<br />

quelle mura, lungo tutti i secoli, sottolineando spesso come Remo<br />

avesse irritato Romolo attraversando con un salto le “mura” <strong>del</strong>la<br />

città. Li spronava continuamente, ogni giorno di ogni settimana di<br />

ogni mese, a guardare i progressi <strong>del</strong> loro personale lavoro e a<br />

guardare i progressi <strong>del</strong>l'intero lavoro come un tutto. E infatti,<br />

mentre un giorno seguiva l'altro e una <strong>pietra</strong> si aggiungeva all'altra,<br />

la forma <strong>del</strong> nostro vallo diventava più evidente, più pronunciata, e<br />

già si poteva capire cosa sarebbe diventato.<br />

A parte gli sforzi per fondere la <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong> e per addestrare<br />

nuovi soldati, i miei giorni erano occupati nella lavorazione <strong>del</strong>


ferro. Ormai avevo molti apprendisti e insegnavo loro come fondere<br />

e come forgiare nuovi attrezzi e armi. Avevo convinto alcuni Celti a<br />

trovare le scarse pietre ferrose sulle colline, e a portarle ai nostri<br />

fonditori. In cambio facevo per loro degli oggetti e insegnavo loro le<br />

tecniche romane per lavorare il ferro. Alcuni tra i loro fabbri<br />

divennero miei amici, spinti, ritengo, dal mutuo rispetto che si<br />

stabilisce tra professionisti di ogni genere, e una sera Gaio notò con<br />

un sorriso che la mia fucina era diventata il luogo più animato <strong>del</strong>la<br />

Colonia.<br />

Cimric, l'arciere celtico che avevo incontrato al mio arrivo,<br />

divenne un visitatore abituale, e grazie a lui facevo pratica con il<br />

grande arco africano di corno e nervo. <strong>La</strong> fama di quell'arco si sparse<br />

in fretta, perché la gente <strong>del</strong>le colline era appassionata di archi, e i<br />

Pendragon in particolare avevano per l'arco una venerazione. Un<br />

giorno uno di loro mi donò diverse dozzine di frecce, di bellissima<br />

fattura, con piume colorate e punte di ferro con barbigli. Erano fatte<br />

apposta per il mio arco, perché quelle usate dai Pendragon erano<br />

lunghe la metà. Ne fui felice e ricambiai il dono con una robusta<br />

scure di bronzo, dopo di che divenni amico <strong>del</strong> fabbricante di frecce,<br />

che era fratello di Cimric, e permisi a entrambi l'uso <strong>del</strong> mio arco.<br />

Cimric era solito passare ore con il grande arco sulle ginocchia a<br />

studiarne la fattura.<br />

Verso la fine <strong>del</strong> terzo anno, il 386, ci eravamo stabiliti.<br />

Avevamo un esercito privato di seicento soldati bene addestrati, che<br />

potevano marciare tutto il giorno e prima di notte scavare un campo<br />

fortificato, ripartire il giorno dopo e riempire il fossato prima di<br />

marciare di nuovo tutto il giorno.<br />

Con il passare <strong>del</strong> tempo aumentò anche il nostro numero. Non<br />

passava mese senza qualche nuovo arrivo: carpentieri e ciabattini,<br />

bottai e ramai. Tutti erano i benvenuti e si mettevano subito al<br />

lavoro. Ben presto ci furono tra noi sei calzolai che passavano tutto il<br />

loro tempo a fare pesanti calzature, che venivano bullettate con


chiodi di ferro forgiati in una piccola fucina costruita vicino alla<br />

fucina grande. Un argentiere di Glevum si unì a noi con tre figli<br />

adolescenti dotati di discreta forza, uno dei quali era un artista come<br />

il padre. Gli altri due non desideravano altro dalla vita che essere<br />

soldati. Erano le nostre reclute più giovani. Altri due muratori<br />

arrivarono dall'est e furono ben presto al lavoro sulle nostre<br />

fortificazioni.<br />

Un armatolo, che aveva lavorato nel sud, arrivò a nome di<br />

Plauto, e ci disse che Plauto era con la guarnigione di controllo in<br />

Britannia, apparentemente d'accordo con Magno. Trovai la cosa<br />

difficile da credere, ma non riuscii a trovare un'altra spiegazione sia<br />

<strong>del</strong> fatto che Plauto fosse ancora vivo, sia <strong>del</strong>la sua presenza in<br />

Britannia. Se si fosse espresso francamente all'epoca <strong>del</strong>la rivolta di<br />

Magno, di certo avrebbe fatto la fine di Antonio Cicerone. Ringraziai<br />

Dio che non avesse fatto né una cosa, né l'altra. Ma mi chiesi come<br />

avesse potuto evitare di andare in Gallia con Magno. Certamente a<br />

un soldato <strong>del</strong>la sua esperienza non sarebbe mai stato concesso di<br />

rimanere a casa in un alloggio sicuro mentre si stava combattendo,<br />

ma Plauto, da vecchio soldato quale era, aveva trovato il modo. Nel<br />

frattempo, avendo messo in pratica il suo stratagemma, qualunque<br />

esso fosse, Plauto aveva scovato il nuovo armatolo durante una<br />

<strong>del</strong>le sue pattuglie e ce lo aveva mandato. Avevo già <strong>del</strong> lavoro per<br />

lui prima che il poveretto avesse avuto tempo di mangiare.<br />

In breve tempo dovemmo costruire altre case per alloggiare tutti<br />

i nuovi arrivati, e una piccola città crebbe fuori dai cancelli principali<br />

<strong>del</strong>la villa. Le case erano fatte con pietre estratte dalle colline e<br />

trasportate con i carri. Era arrivata anche una famiglia di artigiani<br />

esperti nel fare tetti di paglia, e così ogni casa fu coperta da un<br />

robusto tetto di cannicci intrecciati, di paglia o fieno, secondo la<br />

stagione.<br />

Di tanto in tanto sentivamo parlare <strong>del</strong>le incursioni in aumento<br />

lungo la costa sassone. <strong>La</strong> partenza di Magno con molte truppe non


era passata inosservata. Le forze lasciate di guarnigione all'isola<br />

erano disposte troppo poco densamente per fare un buon lavoro, e<br />

in una <strong>del</strong>le sue visite Alarico ci disse che il morale dei soldati era<br />

molto basso, perché erano costantemente alle prese con il problema<br />

di fare troppo poco e troppo tardi.<br />

Come i Franchi con i loro cavalli, questi incursori sassoni erano<br />

un nuovo tipo di guerrieri. Arrivavano di notte, approdavano al<br />

buio e attaccavano all'alba. Spesso si muovevano con un'unica<br />

barcaccia che conteneva da trenta a cinquanta uomini. Potevano<br />

attaccare un gruppo di capanne, bruciarle, rubare tutto quello che<br />

potevano, saziare la loro sete di carne e sangue ed essere di nuovo in<br />

mare prima che la notizia <strong>del</strong> loro attacco raggiungesse le truppe di<br />

guarnigione che avrebbero dovuto fermarli. Il solo rischio che<br />

dovevano affrontare era l'eventualità di imbattersi in una pattuglia<br />

navale, ma il mare era grande e le pattuglie navali poche.<br />

Nell'autunno <strong>del</strong> 387 una nave di Sassoni imboccò l'estuario <strong>del</strong><br />

fiume a nordest rispetto al nostro insediamento. <strong>La</strong>sciarono la<br />

barcaccia e penetrarono all'interno, attenti ad evitare le città nella<br />

zona e chissà come riuscendo a non farsi scoprire.<br />

Attaccarono la villa più a nord. Per fortuna la maggior parte<br />

degli uomini era fuori nei campi a quell'ora. Uno squadrone dei<br />

nostri soldati era in quella zona e sentì nel vento l'odore <strong>del</strong> fumo di<br />

un tetto che bruciava. Anch'io ero nella zona, diretto con una piccola<br />

scorta di uomini e carri verso Aquae Sulis per fare provviste. Fu<br />

Lorca, il conducente, ad avvertirmi che qualcosa non andava. Le sue<br />

narici erano sensibilissime, e se non fosse stato per lui avremmo<br />

proseguito senza accorgerci di niente. Notò il familiare odore di<br />

bruciato e indovinò di cosa si trattava. Pur dubitando <strong>del</strong> suo<br />

odorato, mandai due rapidi corridori a controllare e a scoprire da<br />

dove veniva il fumo.<br />

Meno di due ore dopo ero nascosto dietro a un poggio boscoso,<br />

affacciato su uno stretto sentiero infossato, con la speranza che il


mio frettoloso esame <strong>del</strong>la zona e <strong>del</strong>le strade esponibili fosse stata<br />

accurata. Lo era stata, e il nemico finì dritto nelle nostre mani.<br />

Avevamo la sorpresa dalla nostra e la lotta fu breve e aspra. Avevo<br />

diviso le nostre forze, e mi ritrovai a combattere insieme con la parte<br />

più numerosa <strong>del</strong>le truppe contro l'avanguardia nemica, una<br />

temibile banda di brutali guerrieri. <strong>La</strong> maggioranza degli incursori<br />

fu respinta dal nostro primo attacco e si trovò la strada tagliata dal<br />

secondo gruppo. Io ero smontato e combattevo a piedi e uno degli<br />

incursori in fuga trovò il mio cavallo e lo prese. Fu il solo<br />

sopravvissuto <strong>del</strong> gruppo, e spero che avesse muscoli di ferro<br />

perché deve aver remato sulla barcaccia da solo fino a casa.<br />

L'omicidio fu perpetrato molto più indietro di dove combattevo<br />

io, dove il nemico in fuga incontrò il nostro secondo gruppo. Benché<br />

gli uomini <strong>del</strong>la loro avanguardia avessero lottato fino alla morte e<br />

ognuno di loro fosse caduto combattendo, quelli che erano sfuggiti<br />

al nostro attacco erano fatti di una pasta più morbida. Quando<br />

tornai indietro per controllare la retroguardia trovai il sentiero<br />

coperto di cadaveri nemici impilati uno sull'altro come legna da<br />

ardere. Lungo la via <strong>del</strong>la fuga tutti i nemici erano morti.<br />

Cosa dovevo fare? Era un dilemma che avevo già dovuto<br />

affrontare. Il nemico era stato vinto, ma non era stata fatta giustizia.<br />

Avremmo dovuto avere dei prigionieri, dei feriti. Qualcuno avrebbe<br />

dovuto sopravvivere. Mi trovai a guardare i morti accatastati e a<br />

ricordare le parole di condanna lanciate secoli prima da un capo dei<br />

Pitti: «Fanno un deserto e lo chiamano pace» descrivendo le atrocità<br />

commesse dall'esercito di Giulio Agricola durante la conquista degli<br />

altipiani <strong>del</strong>la Caledonia; mia nonna aveva adottato quelle parole<br />

per esprimere la disumanità <strong>del</strong> comportamento militare.<br />

Sospirai e mandai a chiamare il centurione che comandava la<br />

retroguardia, solo per scoprire che era morto, e morti erano anche i<br />

suoi due decurioni; non era rimasto in vita un solo responsabile tra i<br />

soldati sopravvissuti. Allora capii cosa era successo: paura,


eccitazione, desiderio di sangue e necessità di vendetta si erano<br />

tramutati in violenza tra i giovani soldati non ancora provati dalla<br />

guerra.<br />

Sentendomi un ipocrita li radunai e li rimproverai aspramente,<br />

rivelando loro un paio di brucianti verità sulla responsabilità e<br />

sull'omicidio. Certamente erano soldati, ma erano anche cristiani, e<br />

ognuno di loro aveva giurato fe<strong>del</strong>tà alla croce e il comandamento<br />

cristiano era preciso: «Non uccidere». Nel fervore <strong>del</strong>la battaglia,<br />

dissi, c'era la remissione dei peccati: uccidere o essere uccisi aveva la<br />

precedenza sul comandamento. Ma dopo, quando il pericolo era<br />

passato, la regola riacquistava il suo potere. Uccidere un uomo che<br />

non stava più lottando era un omicidio.<br />

Feci attenzione a non guardare nessuno troppo a lungo durante<br />

la mia arringa e a non fare accuse specifiche, perché questa<br />

incombenza toccava i miei più profondi problemi, e conoscevo<br />

troppo bene la disperazione che mi prendeva di tanto in tanto per<br />

volere insinuare la stessa angoscia nell'animo di quei giovani. Tutto<br />

sommato si erano comportati bene nel loro primo combattimento. Li<br />

giustificai per la mancanza di esperienza e li lasciai andare con il<br />

severo ammonimento che, in futuro, sarebbero stati ritenuti<br />

responsabili di simili atroci massacri. Quando ebbi finito assegnai<br />

loro uno dei miei uomini in qualità di centurione e li rimandai alla<br />

Colonia con la notizia <strong>del</strong>l'incursione, mentre proseguivo con il resto<br />

degli uomini verso Aquae Sulis.


LIBRO QUINTO<br />

L'ALITO DEL<br />

DRAGO


XXX.<br />

Due giorni dopo, un pomeriggio tetro e uggioso ad Aquae Sulis,<br />

stavo ancora ponderando quello che chiamavo il “dilemma <strong>del</strong><br />

soldato”. Quando è lecito uccidere e quando no? In passato avevo<br />

discusso quell'argomento con Gaio e con il vescovo Alarico e non<br />

ero mai riuscito a raggiungere una conclusione soddisfacente.<br />

L'esistenza <strong>del</strong> soldato è basata sul riconoscimento <strong>del</strong>la necessità di<br />

uccidere, per molte ragioni, eppure la legge cristiana è categorica e<br />

assoluta: Non uccidere.<br />

Avevo appena comprato un carro di canapa per cordame e<br />

avevo lasciato i miei attendenti a caricarlo mentre mi dirigevo verso<br />

la mansio pubblica per mangiare. Ero immerso nei miei pensieri e<br />

più o meno incosciente di ciò che mi circondava, quando cominciai a<br />

poco a poco a rendermi conto <strong>del</strong>l'agitazione che regnava intorno a<br />

me nella strada affollata. Se fossi stato meno preoccupato forse me<br />

ne sarei accorto prima e avrei preso un'altra strada, ma quando me<br />

ne resi conto ero nella piazza <strong>del</strong> mercato circondato da una fitta<br />

folla. Mi feci strada con qualche difficoltà fino al bordo <strong>del</strong>la strada e<br />

salii precariamente su un marciapiede rialzato in mezzo al canale di<br />

scolo, appoggiandomi con le mani alle spalle <strong>del</strong>l'uomo che mi stava<br />

di fronte per vedere cosa stesse succedendo.<br />

Un cocchio tirato da un cavallo, il mezzo di trasporto di un<br />

uomo facoltoso, occupava quasi l'intero transito proprio davanti al<br />

punto in cui mi trovavo e, mentre guardavo, il suo grasso occupante<br />

stava issandosi dai sedili imbottiti per prepararsi a scendere.<br />

Un'espressione di fastidio era stampata sul suo volto mentre<br />

guardava la folla che gli si addensava intorno, incantata ad<br />

ammirare la sua ricchezza. I domestici gli si agitavano intorno,<br />

formando un cuneo e liberando un passaggio attraverso la folla fino<br />

all'ingresso <strong>del</strong>l'edificio verso il quale evidentemente si dirigeva, a


meno di quattro passi da dove mi trovavo, appollaiato sul mio<br />

piccolo rialzo. Uno dei suoi domestici, un bruto dall'aspetto stupido<br />

con la faccia da scimmia, spinse da parte in malo modo una donna<br />

anziana gridando: «<strong>La</strong>rgo! Fate strada a Quintilio Nesca!». Il nome<br />

mi giunse così inaspettato, in quel luogo, che la mia mente ne fu<br />

sconvolta e istintivamente riportai lo sguardo sull'occupante <strong>del</strong><br />

cocchio. Quintilio Nesca stava proprio per scendere e, a causa <strong>del</strong><br />

grottesco peso, mani volonterose si sporgevano per aiutarlo.<br />

Quando mi girai verso di lui i nostri sguardi si incontrarono.<br />

Doveva essere stata la mia espressione di sorpresa e di sconcerto a<br />

metterlo in allarme, perché non c'era nient'altro che distinguesse la<br />

mia faccia in quella folla. Strinse gli occhi e rimise la mano sulla<br />

cornice <strong>del</strong> cocchio aperto, rimanendo mezzo dentro e mezzo fuori<br />

dal carro a fissarmi con il principio di un sospetto. Troppo tardi<br />

maledissi la vanità che mi aveva fatto tenere la barba brizzolata,<br />

perché in una città romana una barba ben curata spicca in mezzo a<br />

tutte quei volti glabri e ai cespugli incolti. Rimasi come paralizzato<br />

dov'ero, gli occhi fissi su di lui, incapace di guardare altrove; vidi la<br />

sua mano alzarsi e puntare verso di me, e la sua bocca articolare le<br />

parole: «Ehi tu! Vieni qui!».<br />

<strong>La</strong> pelle mi si accapponò per il panico, perché sapevo che stavo<br />

guardando in faccia la morte e non riuscivo a muovermi. Pensai<br />

quasi di rischiare il confronto, ma sapevo che il mio primo passo<br />

zoppicante mi avrebbe tradito. Tutto quello che aveva visto finora<br />

era la mia barba grigia, ma qualcosa nel mio sguardo l'aveva messo<br />

in guardia: se avesse visto la mia andatura zoppicante, sarei stato un<br />

uomo morto. Stava urlando, per attirare l'attenzione dei suoi uomini<br />

sul punto dove io stavo appollaiato e guardavo giù verso di loro.<br />

«Portatemi quell'uomo!» gridava, indicandomi. «Quello! Quello<br />

con la barba grigia!» Il bruto con la faccia da scimmia, che era più<br />

vicino, si era girato e mi aveva visto e iniziò a muoversi nella mia<br />

direzione facendosi strada tra i corpi accalcati che ci separavano,<br />

allungando le dita artigliate per afferrarmi. <strong>La</strong> vista dei denti marci


nella bocca aperta in un ghigno mi riportò alla ragione. Buttai nella<br />

sua presa l'uomo alle cui spalle ero appoggiato, mandandoli<br />

entrambi a ruzzolare, e mi buttai indietro tra la folla. Mentre<br />

scomparivo sentii esplodere un ululato e mi resi conto che stavo<br />

correndo per salvarmi la vita. Usai le spalle come arieti, solcando la<br />

folla, consapevole <strong>del</strong>la paura e <strong>del</strong>l'incomprensione <strong>del</strong>le persone<br />

che abbattevo al mio passaggio. Poi di colpo fui libero dalla ressa e<br />

mi infilai nello stretto vicolo tra due edifici. Era una viuzza corta che<br />

portava a un letamaio comune dietro le costruzioni che davano sulla<br />

strada. Ci arrivai davanti e mi buttai a destra, lungo il muro,<br />

sentendo rumore di passi che correvano nel vicolo dietro di me.<br />

Correvo in fretta nello stile che avevo gradualmente acquisito, una<br />

serie di balzi zoppicanti in equilibrio sulla gamba storpia che mi<br />

consentiva di appoggiarmi per il balzo successivo sulla gamba<br />

buona. Era imbarazzante e per nulla estetico, ma mi permetteva di<br />

coprire brevi distanze a un buon ritmo.<br />

Quasi immediatamente apparve alla mia destra una porta, e io<br />

mi ci infilai, nell'oscurità quasi totale. Era una stalla piena di paglia e<br />

di odori di animali. Davanti a me vidi la sagoma di una scala che<br />

saliva nel buio a un piano rialzato, ma non mi attirava. Non ero<br />

andato abbastanza lontano per potermi nascondere, e la caccia era<br />

ancora troppo incandescente. Mi buttai in un angolo buio vicino alla<br />

porta, appiattendomi contro il muro dietro a un disordinato<br />

accumulo di forche e vanghe, e sguainai la spada.<br />

Ascoltai i passi avvicinarsi correndo e fermarsi fuori dalla porta<br />

aperta, proprio al di là <strong>del</strong> muro che ci divideva. Erano due uomini,<br />

entrambi col respiro affannoso. Trattenni il fiato, col cuore in gola,<br />

sentendo il silenzio <strong>del</strong>la loro sosta crescere ed estendersi per un<br />

impossibile lasso di tempo. Come se li vedessi sapevo che erano in<br />

piedi uno vicino all'altro e cercavano di scrutare nell'oscurità oltre la<br />

porta. A poco a poco il loro respiro si calmò e uno di loro parlò.<br />

«Cosa pensi? È qui dentro?»


<strong>La</strong> voce <strong>del</strong>l'altro era un basso grugnito. «Certo. Non può essere<br />

in nessun altro posto. Non ha avuto il tempo di andare altrove. È qui<br />

dentro.»<br />

«Vado a chiedere aiuto.»<br />

«No!» Il comando fu un ringhio e io immaginai senza fatica<br />

l'espressione di sorpresa sulla faccia <strong>del</strong> primo. «Non vai a chiamare<br />

nessuno. Ce ne occupiamo da soli.»<br />

«Perché? Gli altri sono qui intorno. Ci vorrà meno di un minuto<br />

a chiamarli.»<br />

«Non abbiamo bisogno di aiuto, stupido! Usa la testa per una<br />

volta nella vita! Non sai chi è questo figlio di puttana?»<br />

«No.» <strong>La</strong> voce era vagamente lamentosa. «Chi è?»<br />

«Non conosco il suo nome. Non lo sa nessuno. Ma ti ricordi che<br />

qualche anno fa ci è stato detto di trovare un figlio di puttana con la<br />

barba grigia e una gamba storta? Nesca offriva dieci monete d'oro<br />

per lui. Ricordi? Deve essere stato circa cinque anni fa.»<br />

«Sì, mi ricordo. Non lo ha mai trovato nessuno. Pensi che sia<br />

lui?»<br />

«Non lo so, ma quel figlio di puttana ha la barba grigia e una<br />

gamba storta e scappa. Vuoi dividere dieci monete d'oro con gli<br />

altri?»<br />

Ci fu un breve silenzio, poi: «E se non fosse quello giusto?».<br />

«Se quando lo riportiamo è morto, è quello giusto. O pensi che<br />

potranno fare <strong>del</strong>le domande a un cadavere? Andiamo a prenderlo!»<br />

Trassi un profondo respiro silenzioso, mentre loro entravano<br />

dalla soglia e si fermavano, così vicini che potevo sentire il loro<br />

odore. Avrei potuto sporgermi e toccarli da dietro le forche.<br />

«È buio» sussurrò il più basso dei due.<br />

Il suo compagno avanzò di un passo e si accovacciò nel buio, e<br />

vidi la sua testa muoversi scrutando lo spazio buio. Aveva la spada


in una mano e un pugnale nell'altra. Avanzò anche il più basso e<br />

notò la scala che saliva nell'oscurità. Toccò il braccio <strong>del</strong>l'altro,<br />

indicandola. Nessuno dei due guardò nella mia direzione. Erano<br />

convinti che avessi cercato la salvezza nell'oscurità sopra di loro.<br />

Li guardai bene alla luce che entrava dalla porta. Il più alto era<br />

quello con la faccia da scimmia. Nessuno dei due indossava<br />

protezioni di alcun genere.<br />

Faccia da scimmia indicò la scala e fece segno al suo compagno<br />

di salire, spiegandogli a cenni che lui sarebbe rimasto lì, a<br />

pianterreno, poi entrambi si mossero in avanti con cautela,<br />

scrutando nell'ombra. Poi, apparentemente convinti che io fossi di<br />

sopra, il più alto ordinò con maggiore foga al compagno di salire la<br />

scala. Il più basso cominciò a salire, lentamente, aiutandosi solo con<br />

la mano destra, la spada stretta nella sinistra, con gli occhi che si<br />

sforzavano di vedere nell'oscurità dove pensava che fosse in<br />

agguato il pericolo. Faccia da scimmia rimase dov'era in mezzo<br />

all'ingresso, a circa quattro passi da me.<br />

Spostai la spada nella mano sinistra e afferrai con la destra<br />

l'impugnatura <strong>del</strong> pugnale di <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>, tendendo il braccio di<br />

traverso al torace; non osavo sguainarlo per timore che il rumore lo<br />

mettesse in allarme prima che fossi pronto. Quando il più basso<br />

ebbe raggiunto l'ottavo piolo pensai che fosse il momento giusto e<br />

mi scagliai come una lancia, con il braccio sinistro teso per diminuire<br />

la distanza tra me e faccia da scimmia, mentre con la destra<br />

sguainavo il pugnale. <strong>La</strong> punta <strong>del</strong>la spada affondò nella sua<br />

schiena spinta da tutto il mio peso, e mentre l'uomo si inarcava<br />

tentando di sfuggire alla lama penetrante, compii con la destra un<br />

movimento ad arco e gli piantai il pugnale nella carne morbida sotto<br />

il mento, fino ad arrivare al cervello, uccidendolo sul colpo. Liberai<br />

immediatamente il pugnale e ricaddi sul ginocchio destro mentre il<br />

braccio destro ritornava dietro la testa, pronto al lancio.<br />

L'uomo sulla scala era un bersaglio perfetto. <strong>La</strong> morte <strong>del</strong> suo


compagno era giunta così improvvisa e inaspettata che fu colto<br />

completamente di sorpresa. Se ne stava lì in bilico, guardandomi,<br />

senza neanche la presenza di spirito di urlare, e presentando l'intera<br />

ampiezza <strong>del</strong> suo petto alla mia mira. Il pugnale tracciò una scia<br />

argentea e andò a infiggersi nella cavità alla base <strong>del</strong>la gola,<br />

togliendogli per sempre la possibilità di urlare. Il mento ricadde<br />

contro l'impugnatura; gli occhi divennero vacui e la bocca si mosse<br />

senza scopo, producendo un suono umido, gorgogliante e soffocato.<br />

Poi cadde in avanti, verticalmente, schiantandosi a testa avanti sul<br />

pavimento. Ero al suo fianco praticamente nel momento in cui<br />

toccava terra, per estrargli il pugnale dalla gola. Pulii<br />

sommariamente la lama nella sua tunica e poi corsi verso il corpo<br />

<strong>del</strong>l'amico con la faccia da scimmia, che ribaltai senza tante<br />

cerimonie per recuperare la mia spada. Il cuore mi martellava nelle<br />

orecchie ed ero pronto a tutto, certo che il rumore <strong>del</strong>le due uccisioni<br />

fosse stato sentito. Ma i minuti passavano e nessuno appariva sulla<br />

soglia. Non sentii grida di allarme.<br />

I miei occhi ormai si erano abituati all'oscurità, le ombre non<br />

erano più così nere e i corpi scomposti sembravano adesso<br />

illuminati dalla luce <strong>del</strong> sole. Mi guardai intorno con attenzione.<br />

C'erano covoni di fieno ammucchiati in un angolo <strong>del</strong>la stalla e un<br />

alto cumulo di paglia nell'altro. A parte ciò il locale era vuoto. Passai<br />

in rassegna le possibilità che avevo e scopersi, senza peraltro<br />

sorprendermene, che non ne avevo. Potevo rimanere lì o potevo<br />

scappare. I miei compagni erano a meno di due strade da me, che<br />

stavano caricando la canapa sul carro, ma era come se fossero stati a<br />

venti miglia. Ero condannato. L'intera città stava cercando un uomo<br />

zoppo con la barba grigia e c'era gente ovunque. Avrei anche potuto<br />

nascondere in qualche modo il volto, ma non potevo camminare<br />

senza zoppicare. Dovevo rimanere lì e sperare per il meglio, e<br />

questo significava che dovevo nascondere i corpi di faccia da<br />

scimmia e <strong>del</strong> suo amico.<br />

Mi ci vollero diversi minuti di strenuo spingere e tirare per


portarli fino ai covoni di fieno e ridisporre le biche per coprirli, e ad<br />

ogni secondo mi aspettavo che qualcuno entrasse dalla porta che si<br />

apriva sul letamaio. Alla fine li misi vicini e fuori vista. Ruppi il<br />

legaccio di due covoni e sparsi <strong>del</strong> fieno sulle loro forme scomposte,<br />

poi attraversai il pavimento e sparsi paglia sulle pozze di sangue<br />

rimaste dove erano caduti, schiacciandola per assorbire il sangue e<br />

spargendovi sopra altra paglia. C'era molto sangue, e mentre<br />

cercavo di nasconderlo pensavo ironicamente al mio dibattito sulla<br />

moralità <strong>del</strong>l'assassinio. Soddisfatto alla fine di aver fatto tutto<br />

quello che potevo per nascondere i segni <strong>del</strong>la lotta e più cosciente<br />

che mai <strong>del</strong>la porta spalancata verso il letamaio, mi ritirai<br />

nell'angolo opposto a quello in cui avevo celato i cadaveri e mi<br />

raggomitolai dietro al cumulo di paglia, con gli occhi fissi sul bianco<br />

rettangolo di luce. Non presi neppure in considerazione l'idea di<br />

salire in soffitta. Ero già abbastanza in trappola lì a pianterreno.<br />

Questa fu una <strong>del</strong>le poche situazioni in cui non sperimentai la<br />

necessità di vomitare dopo un'azione violenta. Sarebbe accaduto in<br />

seguito, solo dopo che il pericolo fosse passato. Avevo una<br />

sensazione allo stomaco che mi diceva che avrei dovuto attendere a<br />

lungo.<br />

Non pensai neppure per un momento alla possibilità che uno<br />

dei miei uomini mi consegnasse a Nesca. I miei soldati erano<br />

accampati a poche miglia, in una radura in vista <strong>del</strong>la città, ma ben<br />

nascosti dalla strada. I sei uomini che erano venuti con me erano<br />

tutti coloni e tutti taciturni. Non amavano la città e non si fidavano,<br />

né avevano comprensione per gli uomini che vi vivevano. Se un<br />

estraneo avesse chiesto loro se avessero visto uno zoppo con i capelli<br />

grigi avrebbero automaticamente presunto che io fossi nei guai e<br />

avrebbero negato di conoscermi. Sperai che si sarebbero messi a<br />

cercarmi.<br />

Ero quasi riuscito a calmare il battito <strong>del</strong> mio cuore quando un<br />

nuovo pericolo lo accelerò di nuovo. Non avevo notato che la porta<br />

era stata spalancata di colpo, spargendo luce nella stalla buia e


facendomi battere il cuore all'impazzata per la paura. <strong>La</strong> porta era<br />

rasente il muro contro il quale stavo acquattato, ed era fatta <strong>del</strong>lo<br />

stesso rozzo tavolato. Fu aperta con una tale violenza che andò a<br />

sbattere contro il muro, mancandomi per un pelo, poi rimbalzò<br />

nascondendomi alla vista <strong>del</strong>l'uomo che era entrato borbottando tra<br />

sé e sé. L'uomo attraversò il locale in otto grandi passi e si occupò di<br />

chiudere e sbarrare la porta esterna sul retro, sempre lanciando una<br />

serie di maledizioni e imprecazioni.<br />

Con molta calma ma con il cuore che continuava a battermi in<br />

gola sapendo che avrebbe potuto girarsi e vedermi in qualunque<br />

momento, mi alzai e girai intorno alla porta aperta, attraversai un<br />

corto corridoio e sperai contro ogni speranza di entrare in una<br />

stanza vuota. Era vuota, e quasi buia. <strong>La</strong> sola luce proveniva da due<br />

lampade e da un paio di strette fessure tra i bordi degli scuri che<br />

sigillavano l'unica finestra. <strong>La</strong> porta che dava sulla strada era<br />

robusta e solidamente sbarrata.<br />

Era il negozio di un venditore di lucerne, pieno di lampade di<br />

terracotta di ogni forma e misura e di anfore e di fiaschette di olio.<br />

C'era un odore pungente e aromatico di olio e di canfora. A sinistra<br />

una fila di gradini dall'aria pericolante portava a un'altra soffitta,<br />

dove evidentemente viveva il proprietario. Attraversai in fretta la<br />

stanza e premetti l'occhio contro una <strong>del</strong>le fessure. Fuori regnava il<br />

caos: la gente correva in tutte le direzioni in preda al panico. Mentre<br />

guardavo vidi un vecchio con la barba grigia trascinato via da due<br />

bruti panciuti. Non ebbi tempo di vedere di più, perché alle mie<br />

spalle giunse la voce roboante <strong>del</strong> proprietario <strong>del</strong> negozio, che<br />

litigava con qualcuno. Mi mossi in fretta e cercai di nascondermi<br />

dietro ai gradini traballanti proprio nel momento in cui l'uomo<br />

tornava nella stanza.<br />

Era grande e grosso, alto e con le spalle larghe, e dovette<br />

piegarsi per oltrepassare la soglia. Quando fece per raddrizzarsi<br />

vide i miei piedi e per un momento rimase immobile, poi si


addrizzò completamente e mi guardò con cautela.<br />

Non disse una parola e io vidi che non portava armi. Mi guardò<br />

diritto negli occhi e poi il suo sguardo sfiorò il mio ginocchio<br />

sinistro. Io rimasi immobile, con la mano sull'elsa <strong>del</strong>la spada. Senza<br />

fretta chiuse la porta dietro a sé, fece due passi all'interno <strong>del</strong><br />

negozio, e si fermò davanti a me appoggiando le natiche contro il<br />

bancone che conteneva la sua mercanzia. Non c'era paura nei suoi<br />

occhi. I soli rumori venivano dalla strada, dove una donna urlava<br />

sovrastando il rumore generale con una voce simile al verso di una<br />

civetta impazzita. Quando parlò, la voce <strong>del</strong>l'uomo era profonda e<br />

più limpida di quanto avrei pensato.<br />

«C'è parecchia afflizione là fuori» disse. «Spero che tu ne valga<br />

la pena.»<br />

Infilai nella tunica la mano sinistra e tirai fuori una pesante<br />

borsa. <strong>La</strong> buttai sul banco vicino a lui, dove atterrò con un suono<br />

pieno e compatto.<br />

«<strong>La</strong> taglia sulla mia testa è di dieci monete d'oro» dissi. «In<br />

questa borsa ce ne sono almeno altrettante, forse di più. Questo ti<br />

mette di fronte a una scelta importante. Puoi gridare e chiedere aiuto<br />

e morire adesso, o puoi far finta di aiutarmi e chiedere poi la<br />

ricompensa, sperando di averla. <strong>La</strong> mia idea è che non ne sentirai<br />

neppure l'odore quando mi avranno preso, e non ti lasceranno<br />

neppure il contenuto di questa borsa.»<br />

<strong>La</strong> sua faccia era priva di espressione. «Ci deve essere una terza<br />

ipotesi: quella per cui mi tengo il denaro. Qual è?»<br />

Glielo dissi. «C'è un canapificio a due strade da qui. Lo<br />

conosci?»<br />

Annuì. «Lo conosco.»<br />

«Bene, i miei uomini sono lì a caricare un carro di canapa. Non<br />

sanno che cosa è successo. Conducili qui, alla porta sul retro, quella<br />

che hai appena chiuso. Quando sarò in salvo sul carro, ben coperto,


noi partiremo e tu terrai il denaro.»<br />

«Dieci monete d'oro? Mi hai preso per matto? Mi lasceresti a<br />

terra nel mio sangue per un decimo <strong>del</strong> valore. Un ventesimo!»<br />

Alzai le spalle. «No, non lo farei. I soldi non sono importanti.<br />

Non mi aspetto che tu mi creda, comunque è vero. Li porto con me<br />

nell'eventualità di trovare da comprare <strong>del</strong> ferro.»<br />

Mi guardava con scetticismo. «Ferro? Compri il ferro con l'oro?»<br />

Annuii. «Proprio così. Ferro non lavorato. Lingotti di ferro. O<br />

meglio, lo farei se potessi. Ma i lingotti di ferro sono più difficili da<br />

trovare <strong>del</strong>le monete d'oro.» Vedevo ancora dubbio e diffidenza sul<br />

suo volto e scrollai le spalle «Credimi. Dobbiamo fidarci uno<br />

<strong>del</strong>l'altro, temo.»<br />

Rimase in silenzio per un po', guardandomi dritto negli occhi<br />

con uno sguardo inquisitorio, poi disse: «Ascolta, straniero, io non<br />

so chi tu sia e non voglio saperlo, ma nessuno vale dieci monete<br />

d'oro, è ridicolo».<br />

Indicai la borsa: «Contali».<br />

«Oh, non dubito che li contenga. È una borsa pesante e non l'hai<br />

certo riempita di pietre piatte sapendo che mi avresti incontrato. Ma<br />

sto pensando a questo: cosa hai fatto a Quintilio Nesca per valere<br />

dieci monete d'oro?»<br />

Avrei potuto mentirgli, ma qualcosa nella sua espressione mi<br />

spinse a dirgli la verità.<br />

«Ho spaccato la faccia al suo nipote preferito e ho inciso le mie<br />

iniziali sul suo petto.»<br />

«Tu cosa?» Adesso sul suo volto c'era una sogghignante<br />

incredulità.<br />

«Mi hai sentito.»<br />

«Sì, ti ho sentito.» Scosse la testa. «Chi era quel nipote?»<br />

«Lo è ancora, non l'ho ammazzato. Gli ho solo messo il mio


marchio. Cesario Claudio Seneca.»<br />

Spalancò gli occhi. «Quello matto? Lui? È nipote di Nesca?»<br />

Annuii. «Sì, o forse cugino. Sono parenti.»<br />

Aggrottò la fronte. «Ma non è il procuratore?»<br />

«Lo era. È scomparso. Ma prima era qui, circa sei anni fa. In<br />

visita per incarico <strong>del</strong>l'imperatore. È allora che ci siamo incontrati.»<br />

Scosse di nuovo la testa e d'un tratto andò alla finestra.<br />

Mi irrigidii e tirai fuori il pugnale preparandomi a lanciarlo, ma<br />

si limitò a mettere un occhio alla fessura come avevo fatto io, senza<br />

accennare ad aprire i battenti. Mi rilassai leggermente e dopo un<br />

poco si girò verso di me.<br />

«Non hai nessuna speranza di andartene da questa città oggi.<br />

Nessuna possibilità. Stanno cercando porta a porta e cercheranno<br />

tanto più assiduamente quanto meno fortuna avranno. Nesca è un<br />

uomo potente ed è brutto incontrarlo. Non smetterà di cercarti fino a<br />

che non avrà rivoltato tutta la città. Qui sei al sicuro, almeno per ora.<br />

Sono già stati qui. E per questo che ho chiuso il mio negozio e per<br />

questo ho saputo immediatamente chi fossi. Come hai fatto a<br />

entrare?»<br />

«Mi hai superato andando a chiudere la porta sul retro. Mi sono<br />

infilato qui mentre eri girato.»<br />

«Hai fatto bene. Anche loro sono venuti qui mentre stavo<br />

chiudendo, gli stessi che hanno cercato prima in questo locale<br />

davanti. Li ho mandati al diavolo.»<br />

«Hanno frugato la stalla?»<br />

«Non bene. Hanno dato solo un'occhiata. Gli ho detto che non<br />

c'era nessuno ed ero ancora arrabbiato con loro per la prima volta,<br />

perciò mi hanno creduto. Perché lo chiedi?»<br />

Decisi di tacere.<br />

«Mmm» disse, battendosi un dito contro i denti. «Sei un uomo


fortunato.»<br />

Feci una smorfia. «Fortunato? Credi? Perché?»<br />

«Perché gli sei sfuggito, no? E perché sei finito qui.»<br />

«E questo mi rende fortunato? Forse sì.»<br />

«Sì, amico. Ti rende fortunato.» Stava alludendo a qualcosa, ma<br />

non sapevo a cosa. «In che modo? Non ti seguo.»<br />

Prese in mano la borsa <strong>del</strong>l'oro, rovesciando una striscia di<br />

monete sul banco. Ne prese una e tenendola tra due dita me la<br />

mostrò, dicendo: «Per questi e perché a causa di questi io odio le<br />

viscere di Quintilio Nesca». Non dissi niente, aspettando che<br />

continuasse. Fece saltare la moneta. «Se ne avessi avute dieci di<br />

queste, sei anni fa, avrei potuto tenere aperti gli affari che<br />

prosperavano prima che quel grasso fannullone entrasse nella mia<br />

vita. Ho preso <strong>del</strong> denaro a prestito da lui e poi ho avuto sfortuna. Si<br />

è preso tutto quello che avevo. Perfino mia moglie. Non che sia<br />

andata con lui. Mi ha semplicemente lasciato. Non poteva adattarsi<br />

alla vita da poveri.» Chiuse improvvisamente il pugno sulla moneta<br />

d'oro e aggrottò la fronte. «Quel Seneca, il cugino di Nesca. Non mi è<br />

mai venuto in mente che il procuratore potesse essere lo stesso<br />

uomo. Che aspetto ha?»<br />

«Perché lo chiedi? Lo hai mai visto?»<br />

L'omone scosse la testa. «Non so. Forse. Dici che sei anni fa era<br />

in Britannia. È allora che ho avuto quei problemi con Nesca e lui<br />

aveva un amico con sé a quell'epoca che provocò qui intorno un<br />

gran turbamento. Non lo avevo mai visto prima e neanche gli altri.<br />

Ma era uno sgradevole bastardo, bello come un dio e malvagio come<br />

un serpente.» Distolse gli occhi dai miei e andò verso la finestra.<br />

«Sembra proprio la descrizione di Seneca» dissi. «È sempre stato<br />

di bell'aspetto, sempre che non lo si guardasse troppo attentamente.<br />

Ti ha offeso personalmente?»<br />

«Sì, puoi dirlo.» <strong>La</strong> sua voce era bassa e profonda, di gola. «Puoi


proprio dirlo.» Tornò al banco e cominciò a lisciare il legno,<br />

concentrandosi attentamente sulla struttura granulosa <strong>del</strong>la<br />

superficie. «Avevo un figlio, un bambino di cinque anni. Scomparve<br />

e non lo vedemmo più. I lupi, mi hanno detto, o un orso nei boschi.<br />

Una cosa stupida, il bambino sapeva che era proibito andare nel<br />

bosco. Se ne è andato. Anche mia moglie se ne è andata, poco<br />

dopo...» Nel silenzio la sua voce era soffocata e vidi le sue spalle<br />

scuotersi, ma proseguì. «Più tardi, mesi dopo, scoprii che<br />

quell'estate erano scomparsi cinque bambini. Cinque. E risultò che<br />

erano scomparsi mentre l'impopolare ospite di Quintilio Nesca era<br />

qui. E ci furono testimoni che avevano visto quell'ospite con due dei<br />

ragazzi prima che sparissero... Seneca. Il suo nome era Seneca...<br />

Quando andammo a cercarlo era andato via, tornato alla corte di<br />

Costantinopoli. Nesca rise di noi e ci buttò fuori dalle sue terre. E i<br />

testimoni contro il suo ospite scomparvero, allo stesso modo dei<br />

ragazzi.»<br />

«Capisco.» Era tempo di cambiare argomento. L'autocontrollo<br />

<strong>del</strong> mio ospite diminuiva rapidamente. «Di che cosa ti occupavi?»<br />

Sbatté rapidamente gli occhi, ricacciando le lacrime che vi si<br />

raccoglievano, e fece di nuovo saltare la moneta d'oro.<br />

«Ero un importatore di vino. Non grosso, ma con i mezzi adatti.<br />

Avevo imparato tutti i trucchi <strong>del</strong>le spedizioni mentre ero in marina.<br />

Ho cominciato in piccolo, quando mi sono congedato, e mi è andata<br />

bene. Poi ho visto la possibilità di lavorare su scala più grande e ho<br />

preso in prestito il denaro per farlo.»<br />

«E poi?»<br />

«<strong>La</strong> nave andò a fondo. O i pirati la presero. In ogni modo non fa<br />

differenza per me. Nesca si è preso tutto quello che avevo.»<br />

«Per quanto tempo sei stato in marina?»<br />

«Quindici anni. Me ne sono andato a trenta.»<br />

«E dopo quindici anni hai rischiato tutto su un solo carico?»


Sorrise tristemente. «No, su due, ma il secondo dopo tre mesi<br />

dalla data in cui era atteso non era ancora arrivato. E quando è<br />

arrivato era di Nesca.»<br />

Sentii un moto di simpatia. «Non ha voluto aspettare di più?»<br />

«Non ha voluto aspettare per niente, quel figlio di puttana. Ha<br />

pagato il secondo capitano perché andasse a farsi un giro. L'ho<br />

saputo dopo. Questo è stato sette anni fa, quindi puoi tenerti i soldi.<br />

È troppo tardi perché mi servano. Mi prendo la mia soddisfazione<br />

fregando quel grasso maiale. Hai fame?»<br />

Di colpo mi accorsi che stavo morendo di fame. Annuii.<br />

«Bene» disse. «Mangiamo. Non c'è molto e non è epicureo, ma<br />

riempie la pancia. Sono Terzio Pella.»<br />

Strinsi il suo braccio teso. «Publio Varro.»<br />

Tirò fuori pane e formaggio e cipolle conservate in vino acido e<br />

li divorammo, poi portò <strong>del</strong> vino veramente meraviglioso, ricco e<br />

rosso come sangue e io mi fermai di colpo con la coppa a metà<br />

strada verso le labbra.<br />

«Cosa succede?»<br />

Abbassai la coppa. «Rimorso. Tu mi stai offrendo ospitalità e io<br />

ti reco più sconvolgimento di quello che pensi.»<br />

«In che modo?»<br />

«Ci sono due uomini morti nella stalla, sotto al fieno.»<br />

«Mio Dio!» Fece una smorfia. «Questo è imbarazzante. Due<br />

uomini di Nesca?»<br />

Annuii. «Mi dispiace.»<br />

«Anche a me! Torneranno certo indietro e cercheranno di nuovo.<br />

Dobbiamo spostarli.»<br />

«Spostarli? Dove?»<br />

«Sbatterli in cantina sotto il pavimento e coprire la porta con la


paglia. In seguito li seppellirò.»<br />

«E le macchie di sangue? Se cercano le vedranno.»<br />

«Sono grandi?»<br />

Annuii. «Sanguinavano come maiali.»<br />

«Definizione appropriata. Ma dove sono? Non li ho visti.»<br />

«Non hai guardato bene, altrimenti non ti sarebbero sfuggiti.»<br />

«Dannazione! Non potrei sostenere che non lo sapevo, anche se<br />

è la verità. Non crederanno mai che non sapevo dei corpi perché non<br />

li ho lasciati cercare. Mi trascineranno di fronte a Nesca e appena<br />

vedrà la mia faccia sarò fregato. Lui sa che io so che lui mi ha<br />

derubato. Sarà l'occasione perfetta per farmi tacere per sempre.»<br />

Si fermò e mi guardò con uno strano sguardo.<br />

«Dove andrai quando andrai via da qui? Dove vivi?»<br />

«In una villa, a circa quaranta miglia a sud di qui.»<br />

«Una villa, eh? Tua?»<br />

Scossi la testa. «No, appartiene a un amico. Ti piacerebbe.»<br />

«Posso venire con te?»<br />

Mi aveva sorpreso di nuovo. «Venire con me? Vuoi dire sul<br />

serio? E i tuoi affari?»<br />

Si guardò intorno. «Quali affari? Se li può tenere Nesca, come<br />

santuario per i corpi nella stalla. Sono stufo.»<br />

Risi sommessamente. «Terzio Pella» dissi, «se esco da qui vivo,<br />

sei il benvenuto alla nostra villa.»<br />

«Eccellente!» Alzò la coppa in un brindisi. «Questa è ai nuovi<br />

amici, al nuovo futuro e a una lenta e cattiva morte per i ladri<br />

grassi!»<br />

Vuotammo le coppe, poi si alzò e andò di nuovo alla finestra, e<br />

rimase lì un momento guardando attraverso le fessure. I rumori per<br />

la strada si erano spenti quasi completamente. Alla fine parlò al di


sopra <strong>del</strong>la spalla.<br />

«Hai detto che avevi un carro carico di canapa. Il conducente è<br />

grosso, con i capelli rossi, e porta una tunica azzurra?»<br />

In un secondo fui al suo fianco e lì c'era il mio carro, fuori sulla<br />

strada.<br />

«È lui! Portalo qui! Puoi farlo? Si chiama Cerdic.»<br />

«Cerdic. Aspetta qui.»<br />

Ci mise poco tempo e tornarono insieme. Cerdic era contento di<br />

vedermi come io di vedere lui. I miei uomini mi avevano<br />

riconosciuto dalla descrizione, ma non avevano detto niente a<br />

nessuno. Si erano separati e adesso stavano setacciando la città alla<br />

mia ricerca. Cerdic era rimasto sul carro, per non abbandonarlo. Si<br />

erano accordati di trovarsi al nostro campo fuori città e di passarvi la<br />

notte prima di ricominciare la ricerca il mattino seguente.<br />

Cerdic fremeva di portarmi sul carro e di nascondermi. Il carro<br />

era appena stato controllato, mi disse, in fondo alla strada, e se ci<br />

muovevamo in fretta pensava che avrebbe potuto rifare la stessa<br />

strada senza essere perquisito di nuovo. Era tempo di prendere una<br />

decisione rapida e pericolosa. Terzio gli mostrò l'entrata sul retro e<br />

io li aspettai lì, aprendo la porta quando sentii che tornavano. Cerdic<br />

entrò immediatamente con il carro e io mi infilai in profondità nella<br />

canapa che puzzava come il demonio. Sentii Terzio Pella rimettere a<br />

posto il carico per nascondere ogni traccia <strong>del</strong> mio passaggio.<br />

Partimmo immediatamente e in un quarto d'ora eravamo di nuovo<br />

al posto di blocco dove Cerdic era stato controllato. Udii la guardia<br />

intimargli di fermarsi.<br />

«Suvvia, amico!» tuonò Cerdic. «Mi hai appena frugato! Hai<br />

fatto passare tutto il maledetto carro. Sono andato in fondo alla<br />

strada a prendere il mio amico alla mansio. Vuoi che ci spogliamo<br />

per te? Desideri che vuotiamo questo carro sulla strada? Se vuoi<br />

cercare, accomodati! Io ho di meglio da fare che perdere tempo


seduto qui mentre tu mi butti addosso i tuoi pidocchi.»<br />

Non riuscii a sentire la risposta, ma rimanemmo lì per molto,<br />

molto tempo. Sentii il peso di qualcuno che si muoveva lungo il<br />

pianale <strong>del</strong> carro, in piedi sul carico impilato sopra di me.<br />

Immaginai che chiunque fosse stesse infilando la lancia a caso nella<br />

canapa, e la bocca mi si seccò. Aspettavo che la punta mi trovasse.<br />

Avevo caldo ed ero scomodo lì sotto e cominciavo a far fatica a<br />

respirare. Avevo la gola secca e irritata e mi veniva da tossire. Agitai<br />

freneticamente la lingua per tentare di produrre un po' di saliva per<br />

combattere l'aridità. E poi il carro avanzò di nuovo, per qualche<br />

passo. Sentii Cerdic che urlava qualcos'altro, ma non riuscii a sentire<br />

cosa dicesse. Dopo qualche istante ci muovemmo. Fui sopraffatto<br />

dal sollievo e mi passò lo stimolo urgente di tossire.<br />

Il carro passava rumorosamente sulle strade lastricate, ma<br />

l'elasticità <strong>del</strong>la canapa mi proteggeva dalle vibrazioni e quasi mi<br />

venne voglia di dormire. Stranamente non venimmo più fermati, e<br />

quando ci fermammo fu solo per un secondo. Sentii Cerdic gridare<br />

addio a qualcuno e mi chiesi cosa stesse succedendo là fuori. Terzio<br />

Pella aveva alla fine cambiato parere sulla partenza? Sapevo che<br />

Cerdic mi avrebbe chiamato appena fossimo stati in salvo e non<br />

prima, perciò impiegai il mio ozio forzato facendo una lista mentale<br />

<strong>del</strong>le cose che questa volta non avrei riportato alla Colonia.<br />

Di colpo ci fermammo. C'era molta agitazione sopra di me e<br />

sentii l'aria fredda sulla faccia.<br />

«Publio? Stai bene?»<br />

Sputai canapa dalla bocca e mi misi a sedere. «Sto bene. Siamo in<br />

salvo?»<br />

Cerdic rise. «Sì. Siamo fuori. Grazie a Dio hai tenuto la bocca<br />

chiusa. Non sapevo se la prima guardia ti avesse ammazzato con la<br />

lancia, ma non c'era niente che potessi fare finché non fossimo stati<br />

in salvo fuori città, al di là <strong>del</strong>le porte.»


«Cosa è successo a Terzio Pella? Perché se ne è andato?»<br />

Mi fissò stupito, e rimase a guardarmi. «Andarsene? Non se n'è<br />

andato. È qui.»<br />

«E allora chi è saltato giù dal carro?»<br />

«Oh, quello» rise. «Quello era un centurione che viaggiava con<br />

noi. Ci ha accompagnato attraverso tutti i posti di guardia e lo<br />

abbiamo lasciato scendere ai cancelli. È per questo che sono stato<br />

contento che tu tenessi la bocca chiusa. Se avessi gridato avrei<br />

dovuto ammazzarlo e allora saremmo stati veramente nei guai.<br />

<strong>La</strong>scia che ti tiri fuori di lì.»<br />

Mezz'ora dopo eravamo al campo. Tutti gli altri carri erano<br />

arrivati prima di noi e mancavano solo due uomini. Erano rimasti ad<br />

Aquae Sulis, alloggiati alla mansio, nella speranza di sentire notizie<br />

<strong>del</strong>la mia fuga o <strong>del</strong>la mia cattura. Ci avrebbero raggiunti la mattina<br />

seguente.<br />

Presentai Terzio Pella ai suoi nuovi vicini. Quando raccontai le<br />

mie disavventure di quel giorno e come mi aveva aiutato lo<br />

accolsero come uno di loro.<br />

I due dei nostri che mancavano ci raggiunsero poco dopo l'alba<br />

e furono stupefatti di vedermi. Risi per la loro espressione.<br />

«Cosa vi ha trattenuto?» chiesi. «Vi abbiamo aspettato tutta la<br />

notte.»<br />

«Tutta la notte?» Tarpone Siila, il più vecchio dei due, appariva<br />

confuso e perplesso. «Cosa intendi dire, tutta la notte? Quando siete<br />

arrivati?»<br />

Guardai Cerdic, sorpreso per la veemenza di Tarpone. «Che ora<br />

era, Cerdic? L'ottava? Poco dopo il tramonto. Perché?»<br />

«Allora non sei stato tu.»<br />

«A fare cosa non sono stato io? Tarpone, non ha senso quello che<br />

dici.»


«Oh, sì, ce l'ha.» Tarpone parlò con voce roca. «Quel figlio di<br />

puttana di Nesca è stato assassinato la notte scorsa. Strangolato.<br />

Proprio dopo cena, mentre andava a letto. Qualcuno lo ha aggredito<br />

nella latrina e gli ha quasi tagliato via la testa con una corda sottile.<br />

Accusano te.»<br />

Mi sedetti pesantemente sul ceppo dietro di me. Gli sguardi di<br />

tutti erano puntati su di me, in attesa <strong>del</strong>la mia reazione. Nessuno<br />

sospettava di me. Ero rimasto seduto con loro intorno al fuoco fino a<br />

mezzanotte circa. Il semplice collegamento <strong>del</strong> mio nome con<br />

Quintilio Nesca, però, era una cosa grave. Il mio nome!<br />

«Accusano me, hai detto? Sanno il mio nome? Cercano Publio<br />

Varro?»<br />

«No. Cercano un uomo robusto con la barba grigia che cammina<br />

con una forte zoppicatura alla gamba sinistra. Non sanno il tuo<br />

nome. Ma ci deve essere un sacco di gente in città che lo sa. <strong>La</strong> gente<br />

con cui facciamo affari, tanto per cominciare. Presto o tardi uno di<br />

loro farà il tuo nome e punterà il dito.»<br />

Aveva ragione. Sarei stato ricercato per un triplice omicidio<br />

quando fossero stati scoperti gli altri due corpi. Cercai<br />

freneticamente di pensare quante persone c'erano ad Aquae Sulis<br />

che potevano identificarmi, e per quanto cercassi non riuscivo a<br />

trovarne. Ero stato in città solo una volta prima di allora. Avevo<br />

passato lì tre giorni, da straniero, sulla strada per andare alla villa di<br />

Gaio al mio arrivo. Mi girai verso Cerdic.<br />

«Cerdic. Pensa bene. Quando eravamo al canapificio ieri gli ho<br />

detto il mio nome? Ti ricordi?»<br />

Aggrottò un momento la fronte. «Non so. Credo di no.» Pensò<br />

ancora. «No. Ne sono sicuro. Non lo hai fatto. Era un tipo sgarbato e<br />

hai discusso il prezzo con lui, ma non sei stato amichevole. Lo hai<br />

pagato in contanti e poi hai parlato con me. Mi hai detto che saresti<br />

andato alla mansio e poi te ne sei andato.»


«Hai ragione, Cerdic. Non gli ho detto il mio nome. Tu gli hai<br />

detto il tuo? Lo sa?»<br />

Scosse la testa. «No. Non l'ho mai visto prima. Credo che sia<br />

nuovo: Non gli avrei detto l'ora, figuriamoci il mio nome. Perché? È<br />

importante?»<br />

Mi guardai intorno. «Sì» risposi. «È molto importante. Voi siete<br />

conosciuti in città, ma io no. Questa è la seconda volta che ci vengo e<br />

la prima volta ci sono soltanto passato. Nessuno mi conosce e la sola<br />

persona che mi ha visto insieme a uno di voi è il fabbricante di<br />

corda. Questo significa che non scopriranno il mio nome e non mi<br />

collegheranno a nessuno di voi. Significa anche che per un po' non<br />

potrò tornare in città.» Ci fu una scarica di risate, dopodiché<br />

proseguii. «Io non so chi ha ammazzato Quintilio Nesca, ma un<br />

uomo come quello non è mai a corto di nemici. So però, e lo sapete<br />

anche voi, che non è stato Publio Varro. Adesso è meglio che<br />

andiamo alla Colonia più rapidamente possibile. Sarò contento se ci<br />

andremo in fretta.»<br />

Mi fermai quando mi venne in mente uno strano pensiero, e mi<br />

girai di nuovo verso l'uomo che mi aveva dato la notizia.<br />

«Dici che Nesca è stato aggredito e ammazzato durante la notte.<br />

Chi ha trovato il corpo e dove?»<br />

Tarpone Silla aggrottò la fronte, riflettendo. «Non so. Stava<br />

andando al bagno, questo è quello che so. E chiunque lo abbia fatto<br />

gli ha tagliato di netto la testa. Willy ha sentito qualcuno dire che<br />

suo cugino ha trovato il corpo, vero, Willy?»<br />

Suo cugino! Seneca? Immediatamente cominciai a chiedermi se<br />

avessi localizzato lo scomparso procuratore, e il pensiero non<br />

sembrava poi tanto assurdo. Nesca avrebbe potuto offrire al ricco<br />

cugino un luogo dove nascondersi, un rifugio sicuro dove attendere<br />

la sorte di Magno nel suo tentativo di conquista <strong>del</strong>l’Impero. E poi<br />

feci un salto intuitivo. Se tra i due ci fosse stato cattivo sangue, se ci<br />

fosse stato <strong>del</strong> malumore, Seneca avrebbe potuto cogliere al volo


l'occasione di liberarsi <strong>del</strong> suo grasso cugino scaricando la colpa<br />

sullo stesso assassino zoppo che aveva già cercato di uccidere lui.<br />

Era pura supposizione da parte mia, ma aveva senso. Non<br />

incontrammo nessuna difficoltà lungo la strada e fummo di ritorno<br />

alla Colonia due giorni più tardi. Gaio ascoltò attentamente la storia<br />

che avevo da raccontargli, scosse la te sta sconsolato per l'idiozia e la<br />

meschinità degli uomini, e poi accantonò l'argomento per dirmi<br />

<strong>del</strong>la strana ambasciata che aveva ricevuto da Ullic, il grande capo<br />

dei Celti Pendragon. Sembrò non dare nessun credito alla mia teoria<br />

riguardo all'assassinio di Nesca e alle attività di Claudio Seneca,<br />

scartandole come pure congetture, irrilevanti e non importanti<br />

rispetto alle sue notizie. Rammento di essermi sentito ferito e offeso<br />

dalla sua indifferenza, ma compresi subito l'importanza<br />

<strong>del</strong>l'ambasciata di Ullic, e riconobbi che potevano esserci <strong>del</strong>le<br />

buone ragioni per l'evidente eccitazione che aveva causato durante<br />

la mia assenza.<br />

Subito dopo la mia partenza per Aquae Sulis, Cimric e suo<br />

fratello, il mio amico arciere, avevano ufficialmente avvicinato Gaio<br />

per conto <strong>del</strong> loro capo, Ullic Pendragon. Ullic, avevano detto,<br />

voleva incontrare Gaio per discutere di questioni di mutuo interesse.<br />

Questo era un grande onore, Cimric aveva aggiunto, perché mai<br />

prima un pendragon aveva incontrato un romano.<br />

Incuriosito, Gaio aveva naturalmente invitato Ullic a essere suo<br />

ospite alla Colonia, ma l'invito non era accettabile. <strong>La</strong> riunione, gli<br />

era stato detto, doveva essere ufficiale e svolgersi in un luogo sacro.<br />

Gaio aveva domandato quale potesse essere, e gli era stato risposto:<br />

Stonehenge.<br />

Ovviamente sapevo dov'era Stonehenge. Era un tempio aperto,<br />

sacro ai Druidi, antico come il tempo stesso, e si trovava, o meglio le<br />

sue rovine si trovavano, sul punto più elevato <strong>del</strong>la grande pianura<br />

a sud, a più di un'ora di marcia dalla villa. Gaio all'inizio aveva<br />

rifiutato di andare così lontano, ma Luceia, che era con lui in quel


momento, era stata abbastanza saggia da consigliarlo di accettare<br />

l'incontro. Aveva chiesto che tipo di scorta gli fosse permesso<br />

portare e gli era stato detto che Ullic sarebbe stato accompagnato dai<br />

Druidi e da una scorta di guerrieri, e quindi sarebbe stato giusto che<br />

anche Gaio avesse una sua scorta.<br />

Gaio aveva insistito per posporre l'incontro affinché io potessi<br />

accompagnarlo, e l'incontro era stato fissato per due settimane dopo.<br />

Significava sei giorni a partire dal mio previsto rientro da Aquae<br />

Sulis. <strong>La</strong> prospettiva di incontrare il capo celta mi interessava, ma<br />

ero ancora preoccupato per la ricomparsa dei Seneca nella mia vita.<br />

Cercai ancora di interessare Gaio ai miei sospetti su Seneca e sul<br />

luogo in cui poteva trovarsi ora, ma mi accorsi che era una perdita di<br />

tempo. Era completamente assorto nella pianificazione<br />

<strong>del</strong>l'imminente riunione e aveva così tante cose in mente che non<br />

poteva lasciarsi distrarre da un Seneca che non fosse una immediata<br />

fonte di pericolo.<br />

Da parte mia, però, era vero il contrario. Non avevo nessun<br />

interesse a incontrare un selvaggio celta mentre il mio arcinemico<br />

era raggiungibile dalla mia vendetta. Deluso e leggermente irritato<br />

per la mancanza di interesse di Gaio decisi di compiere i miei passi<br />

per scoprire se Seneca fosse ad Aquae Sulis. Feci i miei progetti e<br />

non li rivelai a nessuno, né a Gaio, né a mia moglie, sapendo che<br />

entrambi sarebbero stati in totale disaccordo con quello che mi<br />

proponevo. Nella mia arroganza e collera temo di aver perso di<br />

vista, come facevo spesso, le possibili ripercussioni <strong>del</strong>le mie azioni<br />

avventate. Sicuro <strong>del</strong>la giustizia dei miei propositi, soffiavo nuova<br />

vita in un vecchio odio e davo inizio a una catena di eventi che<br />

avrebbe ossessionato me e i miei anni successivi.<br />

A mio avviso la classe dei Seneca era un'abominazione creata<br />

solo per causare turbamento e disperazione al mio amico Gaio e, di<br />

conseguenza, a me. Il mio primo contatto con la famiglia, all'epoca<br />

in cui ero ancora legionario in Africa, era stato abbastanza piacevole


e mi ero meritato la gratitudine, se non l'apprezzamento, di due<br />

membri <strong>del</strong>la famiglia. Da allora, però, ogni riferimento a quella<br />

famiglia e ogni nostro rapporto con essa erano cambiati. Offesi in<br />

qualche modo per la temerarietà che avevo dimostrato nel farmi<br />

amico di un loro nemico, i Seneca avevano deciso di farmela pagare<br />

cara. Mi erano costati la mia vita a Colchester, perché mi avevano<br />

costretto a fuggire all'ovest - non pensavo allora, né pensai mai in<br />

seguito, di doverne essere loro grato - e avevano tentato in varie<br />

occasioni di farmi ammazzare. Inoltre avevano ucciso la mia amica<br />

Febe, semplicemente perché mi conosceva, e avevano fatto dei<br />

vistosi tentativi di uccidere Gaio. Tutte queste cose, mi dicevo, erano<br />

motivi per una collera giusta e duratura, e inoltre Claudio, il più<br />

giovane <strong>del</strong>la famiglia, era in pratica l'apoteosi di tutto ciò che<br />

ritenevo offensivo. Degenerato, falso, sregolato e pazzo, aveva<br />

perduto ogni diritto alla vita ai miei occhi, e l'opportunità di fare<br />

personalmente giustizia era troppo grande perché potessi resistere.<br />

<strong>La</strong> decisione, e il diritto di prenderla, spettavano solo a me, mi dissi<br />

con indignazione, e senza ulteriori riflessioni decisi, sopprimendo<br />

irosamente tutti gli impulsi che risvegliavano in me sensi di colpa<br />

per avere ingannato Luceia e Gaio semplicemente lasciandoli<br />

all'oscuro.


XXXI.<br />

Cinque giorni dopo Equo portò da me Terzio Pella. Ero al lavoro<br />

dietro la villa, dove avevamo costruito la fornace per estrarre il<br />

metallo <strong>del</strong>la <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>. Quando arrivarono stavo lavorando<br />

con l'argilla speciale che intendevo usare come rivestimento per la<br />

fornace e, mentre mi lavavo le mani e mi asciugavo con uno straccio,<br />

Equo intratteneva Terzio con la descrizione di quello che speravamo<br />

di ottenere dal nuovo forno di cottura. Alla fine, quando le mie mani<br />

furono pulite e asciutte, tolsi il grembiule di cuoio e diedi il<br />

benvenuto a Terzio. Era una giornata calda e polverosa e Equo versò<br />

a ciascuno un boccale di birra fresca dalla riserva che sembrava<br />

avere sempre a portata di mano, conservata al fresco, lontano dal<br />

calore <strong>del</strong> sole. Mentre bevevamo il primo lungo sorso esaminai di<br />

nuovo Terzio Pella, confermando la prima opinione che avevo avuto<br />

di lui.<br />

Era un uomo alto, ben messo, come dicono i Celti, alla fine <strong>del</strong>la<br />

trentina, con spalle larghe e un torace che aveva appena iniziato ad<br />

appesantirsi, mentre la maggior parte degli uomini <strong>del</strong>la sua età<br />

erano già panciuti per il troppo cibo. <strong>La</strong> sua faccia scura, saturnina,<br />

con gli occhi circondati da una fitta rete di rughe, rivelava i lunghi<br />

anni passati a strizzare gli occhi contro il riverbero <strong>del</strong> sole<br />

sull'oceano, perché Terzio Pella era un vero uomo di mare, un<br />

soldato che aveva vissuto su una nave la maggior parte degli anni<br />

trascorsi sotto le Aquile. Avevo già capito che era forte, perspicace e<br />

solido, affidabile come una <strong>del</strong>le sue amate quadriremi, e la<br />

sporgenza <strong>del</strong> suo mento mi ricordava i becchi sporgenti di quelle<br />

stesse navi.<br />

«Allora» gli chiesi. «Cosa hai scoperto?»<br />

Fece un ghigno, un sorriso volpino in cui non c'era allegria.<br />

«Quello che ero andato a cercare. È qui, in una casa di città affittata


per tutto l'anno dal non compianto sacco di lardo Nesca.»<br />

«Lo hai visto?» Volevo esserne sicuro.<br />

«Sì, una volta. Solo per pochi minuti, ma è stato più che<br />

sufficiente. È venuto alla porta aperta a meno di quindici passi da<br />

dove mi trovavo. Nessuna possibilità di errore: era lui. Cesario<br />

Claudio Seneca, senatore di Roma e procuratore <strong>del</strong>la Britannia<br />

meridionale, che si riparava dalla luce <strong>del</strong> sole in una casa buia. È<br />

piuttosto indicato per lui, se ci penso. Dio, avrei voluto avere un<br />

arco in mano! Avrei potuto ficcargli una freccia in ogni occhio, così<br />

in fretta...»<br />

«Ti ha visto qualcuno? Qualcuno ti ha riconosciuto?»<br />

«No. Ovviamente no. Mi hai detto di fare in modo di non essere<br />

visto.»<br />

«Bene, bene. Allora!» Lo interruppi, eccitato dalla conferma di<br />

quanto, fino a quel momento, era stato solo un sospetto e una<br />

speranza. «È qui, e ovviamente si nasconde, come dici tu!» Stavo<br />

parlando in parte con me stesso e in parte con lui, pensando ad alta<br />

voce. «Ma perché nascondersi? Da chi si nasconde? Da tutto il<br />

mondo e in particolare da Teodosio, dalle sue spie e dai suoi<br />

informatori, perché le voci devono essere vere. È lui che ha<br />

finanziato Magno! Lui ha usato le rendite imperiali per armare ed<br />

equipaggiare gli eserciti di un usurpatore e adesso si nasconde,<br />

aspettando i risultati <strong>del</strong>la sua scommessa!»<br />

«Aspetta! Non capisco!» Era Equo che parlava. «Che bisogno ha<br />

di nascondersi? <strong>La</strong> Britannia appartiene a Magno. Se Seneca è un<br />

sostenitore di Magno non ha niente da temere.»<br />

«Per due ragioni, Equo» gli risposi. «<strong>La</strong> prima è che Magno è<br />

imperatore solo in Britannia. Potrebbe fallire nel tentativo di<br />

prendere l'Impero. Se ciò accade allora chi lo ha aiutato sarà<br />

proscritto sotto sentenza di morte. E questo ci porta alla seconda<br />

ragione: Seneca non è uno stupido. Stanne certo, ha un piano di


copertura in caso Magno fallisca. Ha provveduto a qualcosa per<br />

salvarsi se il disastro dovesse succedere. Come procuratore<br />

imperiale <strong>del</strong>la Britannia meridionale deve dimostrarsi leale a<br />

Teodosio, per la sua stessa salvezza non può sembrare<br />

diversamente. Perciò è “scomparso”, presumibilmente per condurre<br />

gli affari <strong>del</strong>l'imperatore da un luogo sicuro. Ovviamente non è in<br />

grado di comunicare con Roma, perché la Britannia è in mano ai<br />

ribelli. Se Magno ha successo, Seneca sarà trionfante, come<br />

sostenitore <strong>del</strong>l'imperatore. E se Magno viene sconfitto, Seneca<br />

uscirà dal suo nascondiglio con la reputazione intatta. Coprirà ogni<br />

ammanco dei fondi con le sue ricchezze. Dio sa se sono abbastanza<br />

vaste! Questo è il solo rischio in gioco. Ma deve stare nascosto.»<br />

Equo non era ancora convinto. «Come può rimanere nascosto in<br />

una città? Qualcuno potrebbe riconoscerlo. Ci sono ancora in giro<br />

persone leali a Teodosio e all'Impero.»<br />

«È ovvio che ce ne sono, Equo, hai ragione.» Mi girai verso Pella.<br />

«Come era vestito quando lo hai visto?»<br />

Pella sembrò sorpreso. «Niente di speciale, aveva una tunica.»<br />

«Una tunica elaborata? A colori vivaci?»<br />

«No, non elaborata. Era una tunica qualunque, semplicemente<br />

bianca.»<br />

«Ah! Era lucente, di un bianco intenso?»<br />

«No!» Cominciava ad avere l'aria seccata. «Era comune, come<br />

quella che ho addosso io. Una qualunque tunica per tutti i giorni.»<br />

«Bravo, Terzio. Hai occhio per i dettagli. Quante guardie di<br />

servizio alla porta?»<br />

Guardò da Equo a me e fece segno di no con la testa. «Nessuna,<br />

e questo mi ha sorpreso all'inizio.»<br />

«All'inizio?»<br />

«Sì, finché non ho visto cosa accadeva.»


«E cioè?» Guardai Equo, sulla cui fronte era comparsa una ruga<br />

di concentrazione nel tentativo di non lasciarsi sfuggire nessun<br />

dettaglio. «Cosa stava succedendo?»<br />

Pella mi guardò e alzò le spalle. «Niente, in realtà. Niente di<br />

notevole. Niente che qualche vicino potesse notare, a meno che non<br />

stesse veramente guardando. Ma c'erano almeno otto uomini in<br />

quella casa con Seneca, e tutti avevano l'aspetto di gladiatori<br />

professionisti. Ne ho contati otto con certezza e forse erano in nove.<br />

Ci ho messo due giorni a fare il conto.»<br />

«Stai dicendo che erano tutti nascosti?»<br />

«Sì» disse. «<strong>La</strong> maggior parte di loro stava nascosta. Ce ne sono<br />

tre che vanno avanti e indietro tutto il tempo, ma gli altri tengono la<br />

testa bassa. Tranne che di notte a tarda ora. Ne ho visti quattro<br />

scivolare fuori la seconda notte. Ma sono tornati molto prima<br />

<strong>del</strong>l'alba.»<br />

«Equo, capisci cosa ci sta dicendo Terzio?» chiesi. Equo scosse la<br />

testa, aggrottando la fronte. «Pensa a Seneca. È il procuratore<br />

imperiale <strong>del</strong>la Britannia meridionale, uno dei più influenti e<br />

altamente affidabili amministratori <strong>del</strong>l'intera provincia. È anche<br />

uno degli uomini più ricchi <strong>del</strong>l'Impero. E soprattutto è Claudio<br />

Cesario Seneca, senatore di Roma, noto per il suo sperpero e la sua<br />

dissolutezza. <strong>La</strong> gente si aspetta molte cose da Seneca, Equo. Si<br />

aspetta abiti scandalosi, eleganti, e tutti gli ornamenti <strong>del</strong> potere e<br />

<strong>del</strong>la ricchezza, carrozze sontuose, magnifici cavalli, servi personali<br />

in uniforme, assoluta sicurezza fisica. Quello che non si aspettano<br />

sono silenzio, reclusione e l'apparenza <strong>del</strong>la povertà. Adesso<br />

capisci?»<br />

«Guardie e soldati!» Vidi la comprensione illuminare gli occhi di<br />

Equo. «Nessuna guardia! Quindi si nasconde sotto le spoglie di un<br />

uomo comune!»<br />

«Esattamente! Completamente indegno di nota, completamente<br />

introvabile. Nessuno lo riconoscerà ad Aquae Sulis, Equo, nessuno!


Perché nessuno pensa di vederlo! Quell'uomo è un tale porco che<br />

può sfuggire all'attenzione <strong>del</strong> mondo semplicemente cessando di<br />

essere se stesso.» Rivolsi la mia attenzione a Terzio che stava<br />

versandosi <strong>del</strong>l'altra birra. «Puoi prendere quel posto?»<br />

«Sì» annuì. «Penso di sì.»<br />

«Di quanti uomini hai bisogno?»<br />

«Dodici.» Ci aveva già riflettuto, ma il loro numero mi sorprese.<br />

«Così tanti?»<br />

«Sì, per fare le cose per bene. Quattro per mettere le mani sul<br />

figlio di puttana e assicurarsi che non gli succeda niente e otto per<br />

occuparsi dei suoi sicari.»<br />

«E tu? Dove sarai?»<br />

«Io sarò di riserva» rispose, con un nuovo ghigno. «Però ti<br />

avverto. Io penso che il tuo piano sia uno spreco e un pericolo. Se<br />

dobbiamo comunque entrare là dentro sarebbe più facile farlo fuori<br />

sul posto. Ammazza quel figlio di puttana e falla finita. Così non<br />

dovremmo preoccuparci di portarlo fuori, o di nasconderlo, o<br />

nessuna di quelle sciocchezze. Portarlo fuori di casa e nasconderlo<br />

sarà la parte più rischiosa <strong>del</strong>l'impresa!»<br />

Conoscevo già l'opinione di Pella in proposito. Avrebbe voluto<br />

vedere Seneca morto prima possibile, quale risarcimento per la<br />

morte di suo figlio. Ma pensava di essere l'unico ad avere il diritto di<br />

uccidere Seneca. Lo contraddissi prima che potesse sviluppare<br />

l'argomento.<br />

«Scordatelo, Terzio» gli dissi. «Ne abbiamo già parlato. Una<br />

morte rapida e pulita è troppo poco per quell'uomo. Noi vogliamo<br />

che soffra. Vogliamo che si chieda chi e perché lo ha fatto. Vogliamo<br />

che urli chiedendo pietà. E vogliamo che sappia, oltre a ogni dubbio,<br />

che da noi non può comprare la sua vita. Prima che abbiamo finito<br />

deve sapere che la Giustizia sta facendo i conti con lui.»


«Ah!» L'interiezione conteneva una nota di disgusto. Pella non<br />

era minimamente impressionato. «Al diavolo la giustizia!<br />

Ammazzalo e finiamola, ti dico, solo il tempo che veda la mia faccia<br />

prima che la lama lo infilzi! Quel figlio di puttana non<br />

riconoscerebbe la Giustizia neppure se la vedesse togliersi la benda e<br />

usarla per lucidare la bilancia.» Si interruppe e sorrise. «Ma forse hai<br />

ragione, Publio. Finora non hai avuto torto su niente. Faremo a<br />

modo tuo, nella speranza di farci quattro risate.»<br />

«Bene» dissi, non sapendo cos'altro rispondere. «Tra due giorni<br />

devo partire per il sud con Gaio. Pensiamo di stare via sei giorni e<br />

poi ne trascorrerò altri due a casa con mia moglie prima di venire a<br />

cercarti. Sei assolutamente sicuro <strong>del</strong> posto che useremo?»<br />

«Assolutamente. Sono andato lì stamattina sulla via <strong>del</strong> ritorno.<br />

Andrà benissimo.»<br />

«Eccellente. Non appena torno da Stonehenge, Equo ti<br />

consegnerà un messaggio e tu mi aspetterai, dove il sentiero entra<br />

nella foresta, a mezzogiorno <strong>del</strong> secondo giorno dopo il mio ritorno.<br />

Equo, tu sai dove trovare Terzio?» Equo fece un grugnito di assenso<br />

e io mi rivolsi di nuovo a Pella. «Hai scelto i tuoi uomini?» Annuì.<br />

«Sono tutti degni di fiducia e hanno giurato di mantenere il<br />

segreto?» Un altro cenno di assenso. «Bene. Quando puoi partire?»<br />

«Stanotte. Ho predisposto ogni cosa.» Passai mentalmente in<br />

rassegna l'intero piano, e ancora oggi ricordo come mi sentivo e cosa<br />

pensavo in quel momento. Ero preda di un potente piacere,<br />

completamente governato da una irresistibile sete di vendetta, e il<br />

cuore mi batteva nel petto con forza sapendo che stavo per ottenerla.<br />

Per varie notti ero stato tormentato da sogni di Febe, e mi ero<br />

convinto che il suo spirito chiedeva giustizia. Non avevo il minimo<br />

scrupolo per quello che volevo fare. Non c'era pietà nel mio cuore.<br />

Seneca doveva morire di mio pugno e lo avrei ammazzato come un<br />

serpente, uno scorpione o qualunque altra creatura ostile e<br />

pericolosa.


Non avevo mai conosciuto una costrizione, una sete di sangue<br />

prepotente e violenta come quella a cui ero sottoposto in quel<br />

momento. Forse è stato il culmine <strong>del</strong>la mia intera vita in termini di<br />

giudizio freddo e implacabile e di condanna. <strong>La</strong> mia collera furiosa<br />

era spontanea come la pioggia. Dubito che potrei provare oggi una<br />

simile rabbia, qualunque fosse la provocazione. Finii di rivedere i<br />

dettagli <strong>del</strong> piano.<br />

«Perfetto» dissi, facendo segno a Pella. «Per quello che posso<br />

vedere tutto è a posto. Quando lo avrai preso, fai in modo che sia<br />

disorientato. Tienilo in catene e tienigli sempre gli occhi bendati.<br />

Controlla spesso la sua benda, almeno ogni ora, e assicurati che non<br />

riesca ad arrivarci con le mani. Non essere gentile con lui, ma non<br />

fargli neppure male senza necessità. E soprattutto non parlargli.<br />

Non una parola. Resta con lui e tieni con te altri due uomini. Manda<br />

gli altri a casa appena lo hai fermamente in tua custodia. Nutrilo<br />

regolarmente, ma non bene. Deve sentire con tutti i suoi sensi che è<br />

prigioniero in mani nemiche.» Feci una pausa, pensando se avevo<br />

detto tutto prima di continuare. «Non lasciargli sentire se parli con<br />

gli altri. Puoi farlo?»<br />

«Certo! È solo questione di disciplina!»<br />

«Bene. Quanto più riusciamo a tenerlo nell'incertezza, tanto<br />

meglio sarà per i nostri scopi. Questo mi fa venire in mente una cosa.<br />

Fallo stare nudo. Ma non lasciare che muoia di freddo. Devi<br />

buttargli una coperta se il tempo peggiora. In quel caso, fai in modo<br />

che sia vecchia, ordinaria, ruvida e puzzolente.» <strong>La</strong> mia mente stava<br />

correndo. «Un'altra cosa. Dopo che lo avrai preso e sarai certo di non<br />

essere inseguito, legagli i polsi e fallo correre dietro al tuo cavallo, ad<br />

occhi bendati. Penso che possa essere un'interessante introduzione<br />

alla sua nuova vita. Ma guardalo con attenzione, Terzio. Se cade,<br />

non lo trascinare. Rimettilo in piedi. E soprattutto non parlare con<br />

lui! Quando sarai arrivato al punto che abbiamo scelto, accampati e<br />

aspettami. Legalo a un palo sotto al grande ramo <strong>del</strong>la quercia e


assicurati che passi ore appeso con le braccia sopra la testa, legate ai<br />

polsi. Voglio che passi almeno una settimana così prima <strong>del</strong> mio<br />

arrivo. Avrai abbastanza tempo?»<br />

Pella grugnì. «Più che abbastanza. Partiremo stanotte e<br />

controllerò la sua casa per un giorno o due prima di entrare, tanto<br />

per vedere se ci sono dei moduli di comportamento di cui possiamo<br />

approfittare. Se quattro di loro escono regolarmente questo ci<br />

renderà più facile il lavoro.»<br />

Io annuii e Equo parlò di nuovo. «Probabilmente lo fanno uscire<br />

regolarmente quando è buio, intendo. Probabilmente fanno dei<br />

turni, come un servizio di guardia regolare. Altrimenti<br />

impazzirebbero chiusi in quella casa giorno e notte. Intendo dire,<br />

non è che possano portare dentro <strong>del</strong>le donne, vero? Non senza<br />

provocare chiacchiere. Io mi immagino che ci sia sempre qualcuno<br />

fuori servizio di notte, dopo che la gente normale è andata a dormire<br />

e la città si è quietata. Probabilmente vanno ogni volta nello stesso<br />

posto, qualche locale dove possono bere qualcosa e avere una<br />

donna. Scopri dov'è e li potrai prendere in qualunque momento e<br />

questo renderà più facile il tuo lavoro alla casa.» Pella stava<br />

ghignando di nuovo. Era già stato dove Equo gli diceva di andare.<br />

Gli diedi una pacca sul braccio e mi alzai dalla <strong>pietra</strong> su cui ero<br />

seduto.<br />

«Così sia» dissi. «Il <strong>cielo</strong> non approverebbe quello che stiamo<br />

preparando, ma non credo che sentirò dei tuoni di protesta. E non<br />

molti uomini mi giudicheranno.»<br />

«Gaio Britannico non approverebbe.» <strong>La</strong> voce di Equo era di<br />

condanna.<br />

«No» dissi, d'accordo con lui. «Almeno non i mezzi. Il fine<br />

potrebbe approvarlo.»<br />

«Tu pensi che il fine giustifichi i mezzi, Varro?» Mi girai e<br />

guardai Terzio negli occhi. «Non me ne importa niente. Voglio solo<br />

fermare Seneca e non voglio che Gaio Britannico ne senta una parola


finché non sarà tutto finito. Avere capito tutti e due?»<br />

Entrambi annuirono e Pella si grattò pensosamente il labbro<br />

superiore con il polpastrello.<br />

«Sai» disse con calma, «io ho buone ragioni per odiare Seneca,<br />

sapendo che quell'animale ha ucciso mio figlio, ma a te, Publio<br />

Varro, proprio non piace quell'uomo, vero?»<br />

«Questo è proprio un bel modo di esprimersi, amico» risposi<br />

accennando un sorriso. «Vai con Dio, Terzio. Aspetto buone notizie<br />

al mio ritorno dal sud.»<br />

Pella stava guardando sopra la mia spalla. «Ecco che arriva Gaio<br />

Britannico. Dimmi cosa pensi di riuscire a ottenere a Stonehenge?<br />

Perché poi ci andate? E chi è questo celta che crede di poter mandare<br />

a chiamare dei Romani con un gesto detta mano?»<br />

Quando Gaio ci raggiunse stavamo discutendo animatamente<br />

<strong>del</strong>l'escursione a Stonehenge, e la conversazione fluì senza problemi<br />

su quell'argomento. Provai solo un lieve senso di rimorso perché<br />

ingannavo il mio amico Gaio, ma sapevo che il mio successo<br />

l'avrebbe fatto contento. Inoltre la mia anticipazione <strong>del</strong>la vendetta<br />

su Seneca lasciava poco spazio al rimorso o al senso di colpa.<br />

Trovai più difficile mettere a tacere la coscienza nei confronti di<br />

mia moglie. Scoprii che mentirle, anche solo non dirle qualcosa, mi<br />

risultava oltremodo disgustoso e inconsueto. Riuscivo a controllare<br />

le mie apprensioni solo impedendomi di pensarci. Sfortunatamente<br />

Luceia stessa rendeva questo fatto ancora più difficile, mostrando<br />

segni di caparbietà intrattabile per la prima volta da quando la<br />

conoscevo. Non capivo quali fatti o eventi avessero contribuito a<br />

creare l'umore che la governava in quel particolare periodo, ma, dal<br />

mio punto di vista, questo non avrebbe potuto accadere in un<br />

momento peggiore e io lottavo contro il senso di colpa e di infe<strong>del</strong>tà,<br />

di tradimento <strong>del</strong>la fiducia che aveva riposto in me.<br />

Luceia aveva deciso, in modo <strong>del</strong> tutto arbitrario, di


accompagnarci all'incontro con re Ullic, e quando vide la<br />

costernazione con cui veniva accolto il suo annuncio sia dal fratello<br />

che da me, la sua decisione si rafforzò e divenne, senza preavviso,<br />

un rifiuto ferreo e assolutamente inconcepibile ad ascoltare ogni<br />

argomentazione contraria. Sarebbe venuta con noi, asseriva. Non era<br />

disposta a discutere. Era capacissima di badare a se stessa come<br />

qualunque stupido, arrogante, autoritario maschio. Era una donna<br />

adulta, con il proprio cervello, e nessun impedimento poteva<br />

escluderla dalla nostra missione all'infuori dei bambini, che peraltro<br />

sarebbero stati ben curati in sua assenza.<br />

Per tre volte nell'arco di due giorni affrontò Gaio e me con la sua<br />

richiesta, e alla terza occasione ci informò che se non avesse potuto<br />

venire con noi ci avrebbe seguito. A questo punto Gaio perse la<br />

pazienza e, nel gentile ma inutile tentativo di esonerarmi dal dover<br />

prendere partito, dichiarò che come capofamiglia l'avrebbe fatta<br />

mettere sotto custodia fino al nostro ritorno, piuttosto che esporla al<br />

pericolo di ciò che vedeva come un concreto rischio. Poi se ne andò,<br />

chiedendomi di accompagnarlo. Io lo seguii, sentendomi stupido e<br />

impotente, arrabbiato con Luceia perché ero d'accordo con suo<br />

fratello e pensavo che lei si stesse comportando in modo prepotente<br />

e petulante.<br />

Quella notte, nell'intimità <strong>del</strong>la nostra camera, tutta<br />

l'indignazione <strong>del</strong>la sua insoddisfazione fu rovesciata sulla mia testa<br />

in una marea velenosa che non riuscii ad arginare. Non era affatto<br />

piacevole - soprattutto perché era la prima volta che vedevo la mia<br />

tranquilla moglie con un umore <strong>del</strong> genere - ma quando la tempesta<br />

si placò compresi se non altro l'origine di tutto, anche se la sua logica<br />

mi sfuggiva. Luceia era di nuovo incinta, agli inizi <strong>del</strong>la gravidanza,<br />

e si era improvvisamente spaventata all'idea che la sua vita fosse<br />

finita, tranne che come madre e schiava di una crescente tribù di<br />

bambini, legata al loro minuscolo, costrittivo mondo, e ai loro<br />

immediati e sempre urgenti bisogni. Gaio e io potevamo aspettarci<br />

dei viaggi, <strong>del</strong>le interruzioni alla monotonia, escursioni nello


straordinario, lontano dalle abitudini quotidiane, avevamo persone<br />

da incontrare e sempre nuovi affari da gestire. Lei, invece, non<br />

aveva niente da aspettarsi se non lavori ingrati e una indigesta,<br />

solitaria domesticità.<br />

Quando cominciai a capire la causa <strong>del</strong>la sua disperazione, il<br />

mio cuore si riempì di sofferto amore e simpatia per lei e la presi tra<br />

le braccia, tenendola stretta, parlandole con dolcezza e baciando i<br />

suoi occhi per asciugarne le lacrime, stringendola e sussurrandole<br />

parole di consolazione e tenerezza. All'inizio resistette con forza,<br />

picchiandomi con i pugni sul petto, ma poi lentamente,<br />

gradatamente, si addolcì, piangendo senza freni e abbandonandosi a<br />

poco a poco al mio abbraccio. Dopo molto tempo le lacrime<br />

lasciarono il posto prima a dei dolorosi sospiri e più tardi a <strong>del</strong>iziosi,<br />

impacciati, piccoli tremiti, mentre si nascondeva sempre più nel mio<br />

abbraccio, accoccolandosi nella mia ombra e ridiventando la donna<br />

che riempiva il mio universo. Alla fine cadde addormentata, con i<br />

capelli sparsi sul mio petto, una coscia nuda appoggiata al mio<br />

ventre. Mentre le distendevo sopra gentilmente una coperta per<br />

proteggerla dal freddo <strong>del</strong>la notte, decisi di fare tutto quello che<br />

potevo per ampliare la sua vita. L'avrei portata con me il più<br />

possibile da adesso in poi, ogni volta che avessi viaggiato. Ma mi<br />

sentii di nuovo sulle spine per l'infelicità, perché al mio ritorno<br />

dall'incontro con Ullic, il re celta, avrei dovuto andare via di nuovo<br />

per occuparmi di Seneca. Ma dopo, mi dissi, una volta messo a posto<br />

Seneca, avrei cambiato la vita di Luceia e la mia.<br />

Quattro giorni più tardi ricordavo con nostalgia il mio ultimo<br />

incontro con Pella e il pigro calore estivo di quel pomeriggio. Avevo<br />

freddo ed ero bagnato. E il fatto che la grande colonna di <strong>pietra</strong><br />

incrostata di licheni contro cui riposavo la schiena fosse in quel<br />

posto da migliaia di anni non mi faceva la minima impressione. Di<br />

fronte a me le colline ondulate <strong>del</strong>la grande pianura di Sarum si


allontanavano digradando oltre il velo <strong>del</strong>la pioggerella che<br />

offuscava l'orizzonte e sfidava lo sguardo a decidere dove finiva il<br />

<strong>cielo</strong> e iniziava la terra. C'erano momenti in cui la Britannia tanto<br />

amata da Gaio lasciava a desiderare. Eravamo lì da ore e non si<br />

vedeva ancora traccia di Ullic e dei suoi Celti.<br />

Suppongono che fossimo un bello spettacolo mentre ci<br />

avvicinavamo a Stonehenge, ma non c'era nessuno a vederci, tempio<br />

massiccio era deserto e si stagliava contro il sole <strong>del</strong> tardo<br />

pomeriggio. Gaio e io eravamo a cavallo, alla testa di due carri<br />

carichi di doni per Ullic, ed eravamo accompagnati da un intero<br />

manipolo di uomini adorni <strong>del</strong>le loro migliori decorazioni. Eravamo<br />

arrivati tardi di proposito, ma quando vedemmo il grande tempio<br />

deserto Gaio si indispettì e si dispose all'ira. Notai il suo malumore e<br />

riuscii a farglielo passare sottolineando spiritosamente che ci<br />

avevano battuto sul tempo, così ci accampammo per la notte vicino<br />

al tempio mettendo <strong>del</strong>le guardie lungo tutta la sua circonferenza.<br />

Gaio aveva preso la consapevole decisione, malgrado<br />

l'addestramento e il buon senso, di non scavare fossati intorno al<br />

campo. In fin dei conti eravamo in missione diplomatica, ed era<br />

convinto <strong>del</strong>la necessità di essere discreti, sia nell'aspetto che nel<br />

comportamento.<br />

Quando finalmente Ullic Pendragon e la sua gente arrivarono,<br />

all'alba, fecero un ingresso spettacolare. Arrivarono in un silenzio<br />

rotto solo dal rumore degli zoccoli dei loro cavalli e dal cigolio <strong>del</strong>le<br />

ruote <strong>del</strong> carro primitivamente magnifico di Ullic.<br />

Doveva avere con sé almeno cinquecento guerrieri, molti a<br />

piedi, qualcuno su cavallini di collina dal pelo lungo e ispido, con i<br />

piedi che quasi toccavano terra. Sembravano tutti vestiti per la<br />

guerra, in una confusione di colori vivaci.<br />

Ullic, il grande capo celta, era un gigante, alto una testa più di<br />

me; portava un elmo di pelle guarnito di borchie di ferro con tese<br />

corazzate che gli scendevano sulle spalle. Ma fu la decorazione <strong>del</strong>


suo elmo a richiamare la mia attenzione. <strong>La</strong> testa di un'aquila reale<br />

ne incoronava la fronte e i suoi occhi, lucenti e che sembravano vivi,<br />

guardavano il mondo al di sopra <strong>del</strong> becco cru<strong>del</strong>e. Mi chiesi come<br />

fossero riusciti a conservarla con un aspetto così realistico, e come<br />

fosse attaccata all'elmo sotto le piume arruffate <strong>del</strong> collo. Le ali<br />

spiegate erano attaccate ai lati e quando Ullic girò la testa per<br />

guardare uno dei suoi uomini vidi le penne <strong>del</strong>la coda aperte a<br />

ventaglio sulla sua nuca.<br />

Gaio fece mettere sull'attenti i nostri uomini, schierati su due<br />

file, e io mi lusingavo vedendo in loro i Romani di sempre. Ognuno<br />

di loro portava un semplice elmo di bronzo e una corazza di pelle<br />

indurita. Dalla vita pendevano una cintura per la spada e un<br />

gonnellino di strisce di pene guarnite di borchie di ferro. Sotto la<br />

corazza indossavano una semplice tunica bianca che arrivava fino<br />

alle ginocchia, e <strong>del</strong>le braghe di morbida pelle. Le gambe erano<br />

protette dai gambali e ai piedi avevano pesanti calzature a sandalo,<br />

chiodate. Indossavano un pesante mantello di lana filata in casa e<br />

tenevano in mano una lancia e un pesante scudo, lo scutum dei<br />

soldati romani.<br />

Ullic smontò dal carro e si avvicinò, lasciandoci così vedere il<br />

suo abbigliamento. Era avvolto in un grande mantello, foderato di<br />

pelliccia. Sgargianti gioielli gli rilucevano sul petto e le gambe erano<br />

coperte da lunghe braghe, strette da legacci di cuoio incrociati. <strong>La</strong><br />

tunica era stretta in vita da una grossa corda intrecciata con fili che<br />

sembravano d'oro, e sia la tunica che le braghe erano rosse come il<br />

mantello. Era assolutamente splendido... e scalzo. Si fermò a tre<br />

passi da dove io mi trovavo con Gaio, e ci squadrò entrambi dall'alto<br />

in basso, dalla testa ai piedi.<br />

Gaio portava un mantello tagliato come una toga, e d'un tratto<br />

desiderai di avere indossato il mio. Poi Ullic guardò più<br />

attentamente i miei abiti e io mi sentii meglio. Indossavo un abito di<br />

pelle splendidamente lavorata che, malgrado la lavorazione,


conservava ancora un aspetto militare. Al braccio sinistro portavo<br />

un bracciale d'argento massiccio, fissato da legacci, un ornamento,<br />

certo, ma un ornamento utile, perché proteggeva il braccio dalla<br />

corda <strong>del</strong>l'arco. Ullic lo guardò, poi percorse con lo sguardo i ranghi<br />

dei nostri uomini. I suoi occhi erano azzurri e la barba e i baffi erano<br />

neri, screziati di bianco.<br />

Guardò di nuovo Gaio e poi ruppe il silenzio. <strong>La</strong> sua voce<br />

sembrava il rombo <strong>del</strong>l'acqua in una caverna. Non capii una parola.<br />

Alzò una mano e schioccò le dita e Cimric si fece avanti dai ranghi<br />

dei Celti e venne verso di noi. Ullic parlò di nuovo. Cimric mi<br />

guardò come se noi due non ci fossimo mai incontrati e poi si girò<br />

verso Gaio.<br />

«Il re dice: parliamo.»<br />

«Re?» replicò Gaio, sorpreso. «Non sapevo che si facesse<br />

chiamare re.»<br />

Ullic alzò un sopracciglio e Cimric tradusse nella lingua celtica.<br />

Il re aggrottò leggermente la fronte, parve riflettere, pronunciò<br />

imperiosamente una parola o due e poi si girò e si incamminò verso<br />

il tempio.<br />

«Venite!» Cimric ci fece un cenno. «<strong>La</strong>sciate qui i vostri uomini.»<br />

Gaio si girò verso i soldati. «Restate nei ranghi!»<br />

Ci superavano quattro a uno per numero, perciò facemmo come<br />

ci veniva chiesto e seguimmo Ullic, che si fermò per consentirci di<br />

raggiungerlo. Avanzammo in silenzio dentro Stonehenge e io mi<br />

accorsi che, a parte Ullic, Cimric e Gaio, nessuno dei seicento e più<br />

uomini radunati là fuori aveva detto una sola parola.<br />

Ci fermammo al centro <strong>del</strong> grande tempio e Ullic si girò faccia a<br />

faccia con noi. Mai mi erano mancate le parole come in quel<br />

momento, neppure con l'imperatore Teodosio, e mi sorpresi a<br />

pensare che mai mi ero trovato in compagnia di un uomo come<br />

quello. <strong>La</strong> sola parola che mi venne in mente fu “maestoso”:


quell'uomo era davvero regale.<br />

«Allora, romano!» guardava Gaio a occhi socchiusi. «Sei<br />

sorpreso che io sia un re? Perché?»<br />

Parlava in latino. Gaio mi guardò sorpreso e poi si girò verso di<br />

lui. Non conoscevo la tempra di quell'uomo, ma sperai che Gaio<br />

sarebbe stato schietto e sincero.<br />

«Noi...» iniziò Gaio con voce roca. Si schiarì la voce e parlò di<br />

nuovo, stavolta con il suo normale tono di voce. «Una volta<br />

avevamo dei re a Roma. Ma li abbiamo cacciati, aboliti.»<br />

«Li avete aboliti? Perché?» <strong>La</strong> voce di Ullic era sommessa.<br />

Gaio lo guardò diritto negli occhi. «Erano indegni. Usavano il<br />

potere reale per soggiogare il popolo.»<br />

«Per soggiogare il popolo! Questo è bene.» Fece una pausa, poi<br />

riprese: «Il tuo popolo ha soggiogato il mondo, romano».<br />

Gaio rifletté un momento. «Questo è vero.»<br />

«Ma questo è diverso? Quando è stata l'ultima volta che avete<br />

avuto un re, romano?»<br />

«Molto tempo fa.»<br />

«Prima <strong>del</strong>l'Impero?»<br />

«Prima <strong>del</strong>la Repubblica.»<br />

«Ma prima <strong>del</strong>l'Impero?» <strong>La</strong> sua voce era piena di sarcasmo.<br />

«Sì. Molto prima.»<br />

«E ritieni che fossero indegni perché hanno cercato di<br />

dominarvi. Perciò ve ne siete liberati. Come hai detto? Li avete...<br />

aboliti. E poi vi siete dedicati alla dominazione di tutti gli altri<br />

uomini.»<br />

Era ben detto e Gaio non aveva una risposta adeguata. Decisi di<br />

rimanerne fuori. Il grande celta parlò di nuovo.<br />

«Romano, da quattro anni stai disponendo tutte le tue forze


lungo i miei confini. Perché?»<br />

Gaio scrollò le spalle. «Il mio nome è Gaio Britannico. Chiamami<br />

così, oppure Britannico.»<br />

«Perché? Non ti piace “romano”? Non mi hai risposto. Perché<br />

stai costituendo una forza militare contro le mie frontiere?»<br />

«Non sapevamo che aveste <strong>del</strong>le frontiere. O che la nostra<br />

Colonia fosse vicina ad esse.»<br />

«Colonia? Cos'è questa Colonia? Stai cercando di irritarmi,<br />

romano?»<br />

Il re era scortese con un proposito. Ne ero sicuro. E sentii che lo<br />

sapeva anche Gaio. Se era in collera, la nascondeva bene.<br />

«Hai mai incontrato un re prima d'ora, romano?»<br />

<strong>La</strong> risposta di Gaio fu tagliente. «Molti. E non me ne è piaciuto<br />

nessuno. Erano tutti dei tiranni meschini. Tutti.»<br />

Dentro di me sussultai, stringendo i denti. <strong>La</strong> tensione mi<br />

procurava un nodo allo stomaco.<br />

«E io? Sono un tiranno? Hai mai sentito parlare <strong>del</strong>la mia<br />

tirannide?»<br />

«No. Non ho neppure sentito parlare <strong>del</strong> tuo regno, come sai.<br />

Cosa vuoi da me?»<br />

«Molto, romano.» Ullic guardava Gaio fisso negli occhi. «Il mio<br />

popolo dice che stai addestrando un esercito a pochi passi da casa<br />

mia. Perché? Cosa o chi vuoi conquistare adesso?»<br />

«Quando Roma cadrà, il mondo cadrà, re Ullic.» Gaio parlava<br />

lentamente e con grande determinazione. «<strong>La</strong> legge cesserà di<br />

esistere. L'esercito non ci sarà più. Le città moriranno di fame. I<br />

cittadini impazziranno. Non ci sarà niente a proteggere la terra di<br />

Britannia dall'invasione di popoli al cui confronto gli invasori<br />

romani sembreranno bambini che giocano. Niente. Tranne le forze<br />

che la gente si costruirà da sola. Questo è il motivo per il quale ci


siamo avvicinati ai tuoi confini. Non sapevamo che tu avessi dei<br />

confini, ma sappiamo che possiamo conservare la nostra terra, e che<br />

possiamo difenderla contro i saccheggiatori per il tempo<br />

necessario.»<br />

Ullic rimase in silenzio per lo spazio di un minuto, guardando<br />

Gaio negli occhi. Lentamente girò la testa per guardare me, e mi resi<br />

conto che non avevo mai parlato da quando ci eravamo incontrati.<br />

Poi si girò verso Gaio e sorrise, e si trasformò da figura minacciosa<br />

in uomo di grande fascino e attrazione. Era incredibile. Tese la mano<br />

a Gaio, e Gaio, disorientato, la strinse.<br />

«Gaio Britannico» disse Ullic, «tu sei forse il primo uomo di una<br />

nuova razza. I Britanni non celti. Difendi la tua terra e coprimi le<br />

spalle. Coprimi le spalle e io proteggerò le tue. Cimric! Manda il<br />

segnale di preparare una festa! <strong>La</strong> nostra riunione qui è terminata.<br />

Adesso dobbiamo dire agli altri quello che abbiamo concluso.»<br />

Pochi secondi più tardi sentii il suono di un corno e poi grida di<br />

gioia. Ero confuso, e anche Gaio lo era. Sentivo di avere dipinto sulla<br />

faccia un sorriso idiota quando Ullic venne verso di me, con la mano<br />

tesa. <strong>La</strong> strinsi, sentendo la gigantesca forza <strong>del</strong>le sue potenti dita.<br />

«Publio Varro» disse. «Dovremo cambiare il tuo nome. Dovresti<br />

essere un celta considerato l'amore che hai per il ferro.»<br />

«Re Ullic...» dissi con la voce roca per la tensione.<br />

«Ullic è sufficiente. Il “re” è solo per la scena. Sarò di nuovo re<br />

più tardi. Adesso è ora di mangiare...» Si fermò, guardando oltre la<br />

mia spana. «Britannico, addestri troppo bene i tuoi uomini. Sono<br />

ancora sull'attenti. Non vuoi concedere loro un po' di riposo?»<br />

«Tra un momento. Dimmi, Ullic, perché hai voluto giocare con<br />

me? È ovvio che conoscevi già le risposte alle tue domande prima di<br />

farle. Ti sembra leale?»<br />

Ullic sorrideva liberamente adesso. «Leale? Intendi giusto?<br />

Britannico, non ti conoscevo. Dovevo prendere la misura <strong>del</strong>l'uomo.


Varro lo conoscevo. Ma non conoscevo Gaio Britannico. Tu prendi le<br />

tue decisioni da solo. E così faccio io. Perciò se volevo conoscerti<br />

dovevo incontrarti faccia a faccia e metterti in una posizione di<br />

svantaggio.» Fece un sorriso gigantesco. «Ho incontrato dei Romani<br />

che non mi piacevano proprio, sai.»<br />

Gaio rispose al suo sorriso e io sentii il sollievo scorrermi<br />

addosso come acqua fresca.<br />

«Possiamo essere amici, signor re» disse Gaio attraverso un<br />

sorriso.<br />

«Possiamo essere amici, signor britanno.» Mise un braccio sulla<br />

spalla a ciascuno di noi e ci condusse attraverso le pietre di<br />

Stonehenge nel chiarore di un nuovo giorno.<br />

Permisi agli uomini di rompere i ranghi e di sedersi non appena<br />

emergemmo dal tempio. Gli uomini di Ullic avevano già acceso dei<br />

fuochi e stavano preparando il cibo. Vidi che scaricavano <strong>del</strong>le botti<br />

dai carri e sentii <strong>del</strong>le voci che si alzavano in un canto. Una parte dei<br />

Druidi si era unita all'incontro e i loro bianchi abiti rilucevano nella<br />

forte luce <strong>del</strong> sole.<br />

Il resto <strong>del</strong>la giornata trascorse in festeggiamenti. Ci furono gare<br />

di corsa e gare di ogni tipo, compresa una dimostrazione di parata<br />

romana fatta dai nostri uomini, sfide con le spade e tiri con la lancia.<br />

Anche i Celti erano dei lanciatori, tanto quanto erano arcieri, e la<br />

vittoria andò a uno di loro, un ometto ossuto che scagno il pilum<br />

romano quindici passi più in là <strong>del</strong> suo rivale più vicino.<br />

Quando cominciò a far buio venne acceso un grande fuoco con<br />

la legna che i Celti avevano portato sui carri, perché non c'erano<br />

alberi nella pianura vuota. Uno dei Celti tirò fuori uno strumento a<br />

corde molto simile a una lira romana e cominciò a suonare, e un<br />

druido si fece avanti e cantò al suono <strong>del</strong>lo strumento a corde. <strong>La</strong><br />

sua voce era magica, chiara, vibrante e possedeva una forza enorme.<br />

Ne restammo incantati e, a un certo punto <strong>del</strong> canto, tutti si unirono<br />

ad esso e la musica si librò in un crescendo, per poi morire di colpo e


lasciare che la voce <strong>del</strong> druido proseguisse da sola. Cantavano nella<br />

loro lingua e nessuno di noi capiva una parola, ma non avevamo<br />

mai sentito una simile bellezza uscire da gole umane. Di nuovo il<br />

druido arrivò a quello stesso punto e di nuovo tutti si unirono a lui.<br />

«Cosa stanno cantando?» chiesi a Ullic.<br />

«Un canto sulla nostra terra, le nostre montagne e i nostri laghi.»<br />

«È magnifico. Devo vedere le vostre montagne un giorno.»<br />

«Le vedrai.»<br />

«Quel druido canta troppo bene per essere un prete.»<br />

Mi guardò e scoppiò a ridere. «Troppo bene per essere un<br />

prete?» Esplose in una risata. «È per questo che è prete! È la loro<br />

arte! I Druidi sono addestrati dall'infanzia a custodire la storia <strong>del</strong><br />

nostro popolo nelle canzoni. Sono la nostra storia, Varro... i Druidi<br />

sono la nostra storia! Sono il nostro orgoglio, i nostri bardi, la nostra<br />

canora gioia di vivere. Ecco perché sono Druidi. Ecco perché<br />

esistono!»<br />

Fui preso alla sprovvista dalla foga <strong>del</strong>le sue affermazioni.<br />

«Intendi dire che conoscono le vostre leggende? Tutte?»<br />

«No, uomo! Non leggende! Storia!» Il tono cantilenante <strong>del</strong>la<br />

lingua celtica aveva profondamente contagiato il suo latino, facendo<br />

<strong>del</strong>la nostra lingua romana una lingua musicale, cosa non da poco.<br />

«Le leggende sono quelle che avete voi. Una leggenda è una storia<br />

raccontata da stranieri, che cambia mentre passa da una bocca<br />

all'altra nel corso degli anni, fino a quando il popolo a cui è accaduta<br />

non potrebbe neppure riconoscerla. Ascolta» disse. «E lascia che ti<br />

spieghi. Ogni volta che succede qualcosa di grande, qualcosa di<br />

eccezionale, anche qualcosa di divertente che sia degno di essere<br />

ricordato, uno dei nostri Druidi ne fa una canzone.<br />

E poi quella canzone viene imparata perfettamente, parola per<br />

parola, e viene tramandata. È intatta, capisci, i suoi dettagli non<br />

cambiano mai. Questo è il sacro incarico dei Druidi. Sono i portatori


<strong>del</strong>la nostra storia.»<br />

«Ma... tutta? Quanti canti ci sono?»<br />

Scrollò le spalle. «Chi lo sa? Migliaia, immagino. Forse migliaia e<br />

migliaia.»<br />

«E come si può ricordarli tutti? Una mente umana non può<br />

contenere tanto.»<br />

«Sciocchezze, Varro! Chi sa di cosa è capace la mente umana?<br />

Hai mai conosciuto un uomo la cui mente fosse piena?»<br />

«No, non credo proprio.» Sorrisi al pensiero. «Eppure... hai detto<br />

migliaia di canti?»<br />

«Sì, e centinaia di Druidi. Non cantano tutti gli stessi canti, sai.<br />

Ci sono alcuni grandi canti, canti che ogni druido conosce, ma<br />

ognuno ha il suo canto, che gli viene insegnato nella fanciullezza,<br />

forse anche qualcuno composto da lui, che insegnerà agli altri,<br />

tramandandoli a loro. È la loro arte, capisci.»<br />

Scossi la testa ammirato e seguitai ad ascoltare il canto: le voci<br />

raggiunsero un nuovo crescendo e poi tacquero.<br />

Era diventato buio e un altro druido si fece avanti nella luce <strong>del</strong><br />

fuoco portando il suo strumento. Si fece silenzio e lui cominciò a<br />

cantare. C'era una spettrale, fragile bellezza nel canto e, verso dopo<br />

verso, mi sentii perso nella struttura <strong>del</strong>la melodia. <strong>La</strong> sua voce e il<br />

potere <strong>del</strong>la sua voce variavano grandemente, in toni ora morbidi e<br />

lamentosi, ora vivaci e forti, ora irritati, adattandosi alle espressioni<br />

<strong>del</strong> viso e all'umore. E poi notai le facce <strong>del</strong>le persone sedute ad<br />

ascoltare e fui stupito vedendo che molti di loro piangevano senza<br />

vergogna. Alla fine la sua voce si spense e il silenzio che seguì<br />

sembrò innaturale. Nessuno parlava, si muoveva o applaudiva.<br />

Ullic si alzò in piedi e avanzò nel chiarore <strong>del</strong> fuoco. Guardò<br />

intorno a sé i suoi uomini e i miei e cominciò a parlare. Cimric, il<br />

nostro interprete ufficiale, si sedette tra Gaio e me e tradusse per noi;<br />

molti guerrieri di Ullic fecero la stessa cosa per i nostri uomini.


Parlava loro come a degli eguali, ma con grande autorità. Disse loro<br />

i dettagli <strong>del</strong>l'incontro a Stonehenge e continuò dicendo che, da quel<br />

giorno in poi, non eravamo più Romani. Eravamo Britanni, nati in<br />

questo paese come loro, orgogliosi di questa terra e pronti a<br />

difenderla dai loro nemici e dai nostri. Disse loro che se e quando le<br />

legioni si fossero ritirate, avrebbero potuto lasciarsi alle spalle<br />

uomini che forse si sarebbero dati al banditismo, e noi saremmo stati<br />

pronti a combatterli, anche se nominalmente erano Romani.<br />

Avevamo parlato a lungo quel giorno, disse, Britannico, lui e io.<br />

L'alleanza che formavamo tra noi non doveva essere una semplice<br />

alleanza di convenienza. Dovevamo cercare una vera fratellanza, e<br />

se i nostri popoli avessero scelto di legarsi in matrimonio tali unioni<br />

sarebbero state le benvenute. Questo era nuovo per me e anche per<br />

Gaio, ma ammirai la lungimiranza di quell'uomo. Non era uno<br />

stupido. Disse ai suoi uomini che avrebbe mandato i nostri soldati<br />

sulle loro montagne, per addestrare il loro popolo nell'arte romana<br />

<strong>del</strong>la guerra, e che in cambio loro ci avrebbero addestrato secondo i<br />

modi celtici. Concluse chiedendo loro di accoglierci come fratelli e<br />

vicini nella nuova terra di Britannia che presto sarebbe stata libera<br />

<strong>del</strong> giogo straniero di Roma.<br />

Non appena ebbe finito uno dei suoi uomini balzò in piedi ed<br />

esplose in un canto che fu ripreso da tutti prima <strong>del</strong>la seconda<br />

strofa. Era ovviamente un canto di benvenuto e di celebrazione e la<br />

sua commovente melodia ci cullò a lungo. Quando il canto finì, essi<br />

ci salutarono con gioia e, proprio mentre sentivo che avremmo<br />

dovuto ricambiare in qualche modo, Gaio si alzò e andò vicino al<br />

fuoco. Mi chiesi che cosa avesse in mente, ma non avrei mai<br />

immaginato, nemmeno dopo lo sfogo di quella mattina, che avrebbe<br />

detto o fatto quello che fece. Si fermò di fronte al fuoco e fissò i volti<br />

che lo guardavano in attesa.<br />

«Grazie!» disse. «Oggi ho smesso di essere romano.» Dicendo<br />

così, di fronte a loro, si strappò di dosso la bella toga e la buttò nel


fuoco. Ci fu un silenzio stupito e poi un boato di approvazione,<br />

durante il quale Ullic avanzò e mise il suo manto reale sulle spalle di<br />

Gaio. Gaio lo ringraziò, sorrise e alzò le braccia per chiedere silenzio.<br />

Quando tutti tacquero, urlò: «Chiunque si provi a fare come ho fatto<br />

io, subirà all'istante la corte marziale». Ci furono saluti e risate e<br />

fischi da parte dei nostri uomini. Gaio chiese di nuovo il silenzio.<br />

«Seriamente, amici. L'uomo che non impara dalla storia è uno<br />

stupido. Le armi e le armature romane sono le migliori mai create<br />

per affrontare una guerra. Le conserveremo. Forse cambieremo i<br />

colori. Mi piace questo rosso.» Indicò il mantello che indossava. Ci<br />

furono altre grida e urla e un'altra botte di birra fu trascinata alla<br />

luce <strong>del</strong> fuoco. Ma prima che venisse aperta, Ullic parlò di nuovo<br />

alzando la voce.<br />

«Bevete e divertitevi quanto volete stanotte. Ma voglio essere in<br />

cammino prima <strong>del</strong>l'alba! Thyrrwygg, sei tu di turno stanotte.<br />

Occupati <strong>del</strong>le sentinelle.» Fece un cenno e lasciò il posto vicino al<br />

fuoco, facendo cenno a Gaio e a me di unirci a lui.<br />

«Gaio» gli dissi, scuotendo la testa con ammirazione, «è stato un<br />

gesto ispirato quello di bruciare la toga! In che modo lavora la tua<br />

mente? Io non avrei mai pensato di fare una cosa simile!»<br />

Si limitò a sorridere e mi strinse la spalla. Fu solo anni dopo che<br />

mi disse che il gesto non era stato per niente premeditato. Come<br />

ogni uomo, gli piaceva ispirare soggezione.<br />

Un'ora dopo, dormivo profondamente.


XXXII.<br />

Mi è sembrato spesso che il vescovo Alarico avesse un'abilità<br />

quasi mistica, datagli da Dio, di anticipare i nostri festeggiamenti<br />

alla Colonia e poi di svuotarli di significato con notizie di portata<br />

superiore. Lo fece di nuovo in questa occasione: arrivò alla Colonia<br />

prima di noi e si fece trovare lì al nostro ritorno, recando notizie che<br />

eclissavano le nostre. Magno Massimo, elettosi imperatore di<br />

Britannia, Gallia e Iberia, era morto. <strong>La</strong> rivolta era finita. Teodosio<br />

era di nuovo al potere.<br />

Per essere sincero, devo confessare che Alarico si trattenne fino<br />

all'ora di cena, tenendo per sé le sue notizie eccezionali finché non<br />

avevamo finito di esultare per le nostre. Quando, alla fine <strong>del</strong> pasto,<br />

parlò, le sue notizie mi colpirono.<br />

«Come è morto?» chiesi ad Alarico. «È stata la cavalleria dei<br />

Franchi?»<br />

Scosse la testa. «No, Publio. Lo ha fatto giustiziare Teodosio<br />

stesso. <strong>La</strong> notizia è appena arrivata. Quali sono le ultime notizie che<br />

avevate di lui? Di Massimo intendo.»<br />

«Che si era installato nelle terre dei Germani e che sperava di<br />

rivendicare l'Ulyricum. Deve essere stato due anni fa» rispose Gaio.<br />

«Come minimo.» Alarico fece un cenno con la testa,<br />

notevolmente incanutita dall'ultima volta che lo avevo visto.<br />

«L'anno scorso ha invaso l'Italia e Valentiniano è scappato a<br />

Tessalonica. Viveva nel terrore da quando Magno aveva ammazzato<br />

Graziano, l'altro coimperatore fantoccio, in Gallia. Alla partenza di<br />

Valentiniano, Magno aveva nominato suo figlio coimperatore,<br />

perché governasse con lui, così che c'erano quattro imperatori in una<br />

volta. Una follia! Ma era una vera minaccia, e lo prendevano sul<br />

serio. Non solo Valentiniano, ma anche Teodosio aveva conosciuto il


agazzo.»<br />

«Quattro imperatori.» Il disgusto di Gaio era palpabile. «Dio! È<br />

un'oscenità.»<br />

«Sì. Comunque Magno divise il suo esercito e assalì di nuovo<br />

l'Ulyricum. Entrambi gli eserciti furono sconfitti. Magno fu preso e<br />

ammazzato sul posto.» Gaio era improvvisamente preoccupato.<br />

«Entrambi gli eserciti sconfitti? E suo figlio? È ancora vivo?» Sapevo<br />

che Gaio stava pensando a Pico, che avrebbe potuto morire con uno<br />

dei due eserciti.<br />

Alarico scrollò le spalle. «Sembra che nessuno lo sappia. Si<br />

presume che sia morto. Ma ho notizie di tuo figlio Pico.»<br />

«Pico!» <strong>La</strong> voce di Gaio rivelava tutta la sua ansia. «Sì, Gaio, è<br />

vivo e sta bene. Marcia con Stilicone.»<br />

Gaio aggrottò la fronte e io con lui. «Stilicone? Chi è?»<br />

Alarico scosse la testa quietamente. «Ma cosa sapete voi qui?<br />

Stilicone è la stella più lucente che rimane sulla logora corona<br />

<strong>del</strong>l'Impero. Un brillante giovane generale. Sembra che Pico sia uno<br />

dei suoi protetti. Ho sentito associare i loro nomi per la prima volta<br />

solo una settimana fa a Glevum, anche se nessuno collegava a te il<br />

nome di Pico.»<br />

Gaio brontolò. «No, non potrebbero, non ora. Sono lontano da<br />

troppo tempo perché ci si ricordi dei soldati <strong>del</strong> passato.» Vidi il<br />

dolore nei suoi occhi. «Ma dimmi qualcosa di più su Stilicone. Mio<br />

figlio è suo amico, dici?»<br />

«Uno dei suoi migliori comandanti di cavalleria, questo è<br />

quello che ho sentito.»<br />

Gaio era disorientato. «Ma come è possibile?» chiese<br />

aggrottando la fronte. «Pico era con Magno. È partito con Magno.»<br />

«Sì, ma lo ha lasciato.» Alarico sorrideva dolcemente. «Pico è<br />

figlio di suo padre. Non ci ha messo molto a vedere chiaramente


Magno e la sua falsa ipocrisia. Possiamo solo presumere che, avendo<br />

visto il proprio errore, si sia arreso a Stilicone e sia stato perdonato.<br />

Stilicone è un uomo molto intelligente o non sarebbe al posto in cui è<br />

adesso. Avrà certo riconosciuto subito Pico per quello che è e non<br />

avrà voluto perdere i suoi servizi e la lealtà di un tale uomo.»<br />

Solo allora, con molto ritardo, le parole di Alarico furono<br />

registrate dal cervello di Gaio.<br />

«Cavalleria?» chiese. «Hai detto cavalleria?»<br />

«Sì, Gaio, ho detto cavalleria.» Adesso il vescovo rideva<br />

apertamente. «Mi hai chiesto una volta se Roma stava addestrando<br />

dei cavalieri. Ebbene sì. Ne sta addestrando legioni. Cavalleria<br />

pesante. Con armamento pesante e disciplina pesante. Tuo figlio, da<br />

quello che ho sentito dire, è una personalità nelle nuove tecniche di<br />

combattimento a cavallo.»<br />

«Pico? Ma è solo un ragazzo!»<br />

Sentii l'orgoglio paterno in quell'affermazione e sorrisi tra me,<br />

mentre Alarico chiedeva: «Quanti anni ha?»<br />

«Ventitré o ventiquattro.»<br />

«Allora non è più un ragazzo, Gaio. Stilicone ha solo<br />

ventiquattro anni e comanda già le truppe imperiali <strong>del</strong>la corte di<br />

Costantinopoli. Si dice che sarà nominato comandante in capo<br />

<strong>del</strong>l'esercito entro la fine <strong>del</strong>l'anno.»<br />

«Comandante in capo? A venticinque anni? Teodosio ha perso<br />

la testa?»<br />

«No, solo la sua nipote preferita, Serena. È sposata con<br />

Stilicone.»<br />

«Mio Dio!» grugnii. «Favoritismo imperiale!»<br />

«No, Varro, non proprio.» Alarico alzò una mano per bloccare il<br />

mio sfogo. «Le truppe che servono con Stilicone dicono che è la più<br />

grande mente militare dall'epoca di Alessandro.»


«Mmm.» Mi riservai di esprimere un giudizio più tardi.<br />

«Stilicone. Che strano nome.»<br />

«È vandalo per metà.»<br />

L'interruzione di Gaio fu violenta. «Vandalo per metà? Un altro<br />

barbaro! Essere vandalo per metà mi sembra improbabile come<br />

essere incinta per metà.»<br />

Il sollievo per la certezza che Pico stava bene lo rendeva diverso,<br />

e le parole di Alarico furono una bonaria presa in giro.<br />

«Gaio, non ti ho mai sentito così querulo. Ti senti bene?»<br />

«Benissimo, grazie. Il comandante in capo un vandalo! Che io<br />

sia dannato.»<br />

Alarico mi sorrise. «Se muore con quell'umore potrebbe anche<br />

esserlo!»<br />

Mi venne da ridere vedendo che Gaio veniva rimproverato, sia<br />

pure bonariamente, alla sua stessa tavola.<br />

«Ringrazia tutti i santi che Pico si stia facendo onore, Gaio» dissi,<br />

«e non essere così critico. Se è in gamba come si dice, potrebbe<br />

ricordare le nostre conversazioni su Alessandro e insegnare qualche<br />

tattica efficace al suo capo Stilicone.» Stilicone. Quel nome mi aveva<br />

colpito. Mi sentivo eccitato, ma non minacciato. In qualche modo<br />

sentivo che era un nome di grande prestigio.<br />

<strong>La</strong> notizia <strong>del</strong>la sconfitta e <strong>del</strong>la morte di Magno giungeva al<br />

momento giusto. Immaginai l'effetto demoralizzante che avrebbe<br />

avuto su Seneca quando glielo avrei detto. Lo status quo in Britannia<br />

sarebbe tornato quello che era prima <strong>del</strong>la rivolta, e il procuratore<br />

imperiale <strong>del</strong>la Britannia meridionale sarebbe stato obbligato a<br />

spiegare la sua lunga assenza alla luce <strong>del</strong>le prove che intendevo<br />

fornire alle forze imperiali di Teodosio. Dovetti sforzarmi per<br />

resistere alla tentazione di dire a Gaio quello che avevo deciso di<br />

fare con Seneca, ma sapevo che non ci avrei guadagnato niente se<br />

non discussioni e opposizioni. Stetti zitto e mi immersi quella sera e


il giorno successivo nell'eccitazione provocata dall'esito <strong>del</strong> nostro<br />

viaggio a Stonehenge.<br />

Era chiaro che dal giorno di quell'incontro le nostre vite<br />

sarebbero cambiate, e ci fu uno spirito di sfrenato ottimismo tra i<br />

coloni per diversi giorni. Per la prima volta avevamo dei veri alleati<br />

che erano pronti a difendere i nostri interessi in cambio <strong>del</strong> nostro<br />

sostegno.<br />

<strong>La</strong> mattina <strong>del</strong> secondo giorno dopo il nostro ritorno mi alzai<br />

presto e scivolai fuori dalla villa prima che tutti gli altri si<br />

svegliassero. <strong>La</strong> sera prima avevo detto a Luceia che sarei andato ad<br />

Aquae Sulis quel giorno. Non era esattamente una bugia, perché la<br />

mia destinazione era a sole cinque miglia a sud <strong>del</strong>la città. Quando il<br />

sole sorse nel <strong>cielo</strong> avevo già fatto più di dieci miglia e il mio cavallo<br />

divorava la distanza rimanente sulla strada diritta e compatta che<br />

correva per miglia senza una curva.<br />

Malgrado la partenza mattutina era passato mezzogiorno<br />

quando arrivai al luogo dove avevo predisposto di incontrare Terzio<br />

Pella, che aspettava con pazienza insieme a uno dei suoi uomini,<br />

nascosto tra gli alberi lungo la strada. Ci scambiammo un breve<br />

saluto e mi guidò fuori dalla strada e nella foresta, lungo un sentiero<br />

tracciato dalle ruote dei carri dei contadini. Solo quando fummo<br />

nascosti dalla vista di ogni passante fermammo i cavalli per parlare.<br />

«Come sta il nostro prigioniero?» chiesi.<br />

«Sano e salvo, mi spiace dirlo, tranne qualche graffio e un po' di<br />

freddo.»<br />

«Hai avuto dei problemi?»<br />

«Qualcuno, ma non molti. Uno dei nostri uomini è rimasto ferito<br />

leggermente, non più di un graffio. Starà bene in una settimana.»<br />

«E gli altri?»<br />

«Quali altri? I nostri o i loro?»


«I loro, ovviamente.»<br />

Mi guardò con un ghigno. «Tre di loro sono morti. Abbiamo<br />

lasciato i cinque sopravvissuti legati e imbavagliati. Se a qualcuno<br />

capita di passare da quella casa li troverà.»<br />

Preferii non pensare all'alternativa. «E Seneca, da quanto lo<br />

avete preso?» chiesi.<br />

«Da sei giorni. Lui probabilmente direbbe sei lunghi giorni.<br />

Abbiamo fatto in modo che fossero molto spiacevoli per lui. Volevi<br />

che fosse confuso, disorientato e spaventato. Lo è.»<br />

«Bene. A che distanza è da qui?»<br />

«Due miglia» disse, indicando la direzione. «Un miglio diritto e<br />

un altro miglio lungo un sentiero di cervi fino alla piccola radura.»<br />

Tirai fuori un pacchetto dalla tunica. «Hai fatto un buon lavoro,<br />

Terzio. I tuoi uomini saranno ricompensati bene. Adesso dobbiamo<br />

cercare di far coincidere i tempi.» Mi girai verso il suo compagno e<br />

gli diedi il pacchetto. «Porta questo al comandante <strong>del</strong>la guardia alla<br />

guarnigione di Aquae Sulis. Digli che ti è stata data una moneta<br />

d'argento per consegnarlo. Eccola.» Gli buttai una moneta d'argento<br />

e lui la mise nel tascapane che gli pendeva al fianco. «Il messaggio<br />

dice che il procuratore scomparso Claudio Seneca può essere trovato<br />

in questo luogo. C'è anche una mappa per trovarlo. Non appena lo<br />

avrai consegnato potrai tornare alla Colonia, ma assicurati che<br />

nessuno sappia dove stai andando e che nessuno ti segua. È chiaro?»<br />

L'uomo annuì. «Bene. Dovresti metterci un'ora, forse di più a<br />

raggiungere la guarnigione» continuai. «Loro ci metteranno almeno<br />

mezz'ora per organizzare una battuta e un'altra ora per arrivare qui<br />

usando la mappa che ho disegnato. Da quel momento dovrebbero<br />

essere in grado di trovare la strada nella radura. Nel frattempo,<br />

Terzio, tu e io dobbiamo finire il nostro lavoro e andarcene prima<br />

che arrivino, verso metà pomeriggio. Quindi andiamo.»<br />

Terzio girò il cavallo sul sentiero e io lo seguii, chinandomi sul


collo <strong>del</strong> cavallo per evitare i rami più bassi degli alberi.<br />

<strong>La</strong>sciammo i cavalli a una certa distanza dalla radura e ci<br />

inoltrammo in essa, e io mi fermai al limitare <strong>del</strong> campo che avevano<br />

montato. Il campo consisteva in due tende legionarie di pelle, una<br />

tavola su cavalletti con un sedile pieghevole e un fuoco. Il fuoco<br />

bruciava luminoso, emettendo fiamme quasi invisibili alla luce <strong>del</strong><br />

giorno. Sentivo il rumore di acqua corrente provenire da una<br />

sorgente alla mia destra.<br />

Al di là <strong>del</strong>la tenda una quercia massiccia dominava la radura e<br />

faceva sembrare minuscoli gli uomini che le stavano ai piedi. Uno di<br />

essi, la guardia, di nome Randall, dormicchiava appoggiato al<br />

tronco <strong>del</strong>l'albero. L'altro, Seneca, era in piedi nudo vicino a un<br />

grosso palo piantato nel terreno. Era bendato e aveva i ferri alle<br />

caviglie, e la catena attaccata ai ferri era infilata nel più basso dei due<br />

grandi anelli di ferro fissati al palo. I polsi erano legati sul davanti e<br />

una corda, infilata nell'anello più alto, gli teneva le braccia tese verso<br />

terra. Al di sopra di quell'anello, non attraverso di esso, una seconda<br />

corda legata alla prima era stata fatta passare su un grosso ramo,<br />

proprio sopra la testa <strong>del</strong> prigioniero. Allentando una corda e<br />

tirando l'altra, la guardia di Seneca poteva regolare la posizione dei<br />

suoi polsi legati.<br />

Rimasi a lungo a fissare Seneca, pieno di repulsione,<br />

assaporando il momento e la vendetta che mi ero ripromesso di<br />

prendere a nome di Febe. Aveva un aspetto orribile. I capelli erano<br />

arruffati e spettinati e le guance erano coperte da una ispida barba di<br />

un biondo sporco. Lo guardai crollare e rialzarsi ergendosi quel<br />

tanto che la corda gli permetteva. Non riusciva a stare<br />

completamente eretto e perciò teneva la schiena piegata. <strong>La</strong> guardia<br />

aveva ricevuto ordine di rimetterlo in piedi ogni volta che cercasse<br />

di distendersi. Mentre lo guardavo ero cosciente <strong>del</strong> fatto che la vista<br />

di chiunque altro nelle stesse condizioni mi avrebbe mosso a pietà, e<br />

a collera nei confronti dei suoi rapitori, ma avevo negli occhi il dolce


viso di Febe e riuscii a soffocare ogni sentimento di compassione che<br />

potesse agitarsi nel mio cuore. Feci avvicinare Pella a me e gli<br />

sussurrai all'orecchio: «Qualcuno gli ha parlato?».<br />

Scosse la testa e sussurrò: «Non una parola da quando lo<br />

abbiamo preso sei giorni fa».<br />

Annuii e gli feci segno di avanzare, e Pella entrò nella radura<br />

dirigendosi verso il tavolo di fronte alla tenda. <strong>La</strong> testa di Seneca si<br />

alzò rapidamente sentendo il fruscio dei piedi di Pella sull'erba alta,<br />

ma non parlò. Anche la guardia sentì il rumore e si raddrizzò<br />

lentamente, facendomi un cenno di riconoscimento. Io mi misi un<br />

dito sulle labbra, per ricordargli di rimanere in silenzio.<br />

Nel frattempo Pella aveva allentato la tensione <strong>del</strong>la corda che<br />

teneva le braccia <strong>del</strong> prigioniero tese verso il basso. Seneca sentì<br />

immediatamente l'allentamento <strong>del</strong>la tensione, ma prima che<br />

potesse reagire le sue braccia si erano già allungate sopra la sua<br />

testa, mentre Pella tirava l'altra corda. Un momento più tardi Seneca<br />

era appeso per i polsi, così in alto da essere costretto ad appoggiare<br />

il proprio peso sulla punta dei piedi. Si lamentava come un animale,<br />

ma Pella lo ignorò, concentrato a stringere il nodo che regolava la<br />

tensione <strong>del</strong>la corda. Quando fu certo che il nodo avrebbe tenuto<br />

Seneca nella giusta posizione si diresse verso il tavolo e prese un<br />

oggetto.<br />

Questa era la parte peggiore. Dovetti resistere al desiderio di<br />

fermarlo, e mi sforzai di rimanere immobile, mentre Pella andava<br />

verso il prigioniero e faceva scivolare su e giù sulle spalle di Seneca<br />

le corde con la punta di metallo <strong>del</strong>la frusta che teneva in mano.<br />

Seneca gemette quando riconobbe il tocco <strong>del</strong>la sferza e aprì la bocca<br />

per urlare. Come lo fece Pella gli infilò in bocca uno straccio sporco.<br />

Chiusi gli occhi per non vedere, ma mi costrinsi a riaprirli. Il passo<br />

successivo era necessario, un assaggio di quello che lo aspettava.<br />

Pella fece un passo indietro e fece schioccare la frusta; Seneca<br />

arcuò il corpo muscoloso nel vano tentativo di evitarlo. Era ancora


più grande e più forte di quanto ricordassi. <strong>La</strong> frusta sibilò nell'aria e<br />

si schiantò sul torace di Seneca, che si contorceva urlando malgrado<br />

il bavaglio. Mi girai e vomitai sull'erba, tremando, incapace di<br />

credere che avevo potuto pianificare tutto questo a sangue freddo e<br />

permettere che accadesse. Quando mi rialzai, asciugandomi la saliva<br />

dal mento con la manica, Seneca era incosciente e perdeva sangue<br />

dalle ferite <strong>del</strong>le sferzate che gli segnavano tutta la parte superiore<br />

<strong>del</strong> corpo. Deglutii.<br />

«Tiragli fuori quella roba dalla bocca e togligli la benda.»<br />

Mentre Pella ubbidiva andai verso il tavolo e mi sedetti, in modo<br />

che Seneca mi vedesse non appena avesse ripreso conoscenza. Presi<br />

il rotolo che era sul tavolo e lo svolsi.<br />

«Hai trovato il suo sigillo?»<br />

«Sì, l'aveva intorno al collo appeso a una catena d'oro. Eccolo!»<br />

Pella mi buttò il sigillo di Seneca e io lo appoggiai vicino al rotolo e<br />

al bastoncino di ceralacca. Non c'era altro da preparare.<br />

«Buttagli addosso <strong>del</strong>l'acqua.»<br />

Seneca riprese i sensi, lottando contro il trauma <strong>del</strong>l'acqua<br />

gelida e <strong>del</strong> sole abbagliante che gli feriva gli occhi dopo sei giorni di<br />

oscurità obbligata. Lo guardai prendere coscienza <strong>del</strong>la mia<br />

presenza e lottare per riacquistare il controllo, poi lo vidi lottare di<br />

nuovo, questa volta invano, per riuscire a mettermi a fuoco.<br />

«Mi conosci, Seneca?»<br />

Lo vedevo sforzarsi fisicamente di parlare, cercando di<br />

controllare il tremito violento che percorreva il suo corpo devastato.<br />

Quando alla fine mi rispose, la sua voce era spezzata e rauca e i suoi<br />

occhi mi guardavano quasi senza vedermi socchiusi contro il<br />

chiarore <strong>del</strong> pomeriggio.<br />

«No» sussurrò. «Chi sei?»<br />

<strong>La</strong> mia voce era dura e atona. «Sono un vecchio, con la barba


grigia e zoppo. Questo ti ricorda qualcuno?»<br />

Scosse bruscamente la testa, come per allontanare un pensiero<br />

sgradito.<br />

«No. Chi sei?» chiese di nuovo.<br />

«Forza, Seneca, mi conosci di certo. Avevo un'amica a<br />

Verulamium. Una giovane donna dalla carnagione chiara e i capelli<br />

rossi. Il suo nome era Febe. È morta mentre era tua ospite. Non ti<br />

ricordi? Lo hai raccontato ad Antonio Cicerone.»<br />

Tentava faticosamente di aprire gli occhi contro la luce <strong>del</strong> sole,<br />

girando la testa per vedermi più chiaramente in faccia. Strofinò la<br />

guancia destra contro il braccio per asciugare il liquido che gli<br />

colava nell'occhio e stavolta, quando parlò, la sua voce era molto più<br />

forte e il coraggio stava cominciando a tornargli.<br />

«Maledetto!» gridò. «Ma che follia è questa? Cosa vuoi da me?<br />

Chi sei? Non so di cosa stai parlando.»<br />

Continuai, mantenendo lo stesso tono duro e prepotente.<br />

«Non ti ricordi di Antonio Cicerone? Era legato <strong>del</strong>la<br />

guarnigione di Colchester. È morto perché era leale a Teodosio<br />

mentre tutti gli altri si ribellavano insieme a Magno. Non ti ricordi,<br />

Seneca? Gli hai raccontato <strong>del</strong>la morte di Febe. Di certo devi<br />

ricordarlo. Gli hai detto che l'uomo che cercavi, l'invalido con la<br />

barba grigia, ti era sfuggito. Ma che avevi trovato la sua puttana. Ma<br />

la puttana è morta senza dirti niente e tu eri seccato. Non puoi certo<br />

aver dimenticato, vero?»<br />

Adesso non parlava più. I suoi occhi si erano abbassati e il suo<br />

volto aveva assunto un'espressione astuta. Un rivolo di sangue<br />

cominciò a colare da sotto l'ascella destra, dove la sferza aveva<br />

colpito in profondità. <strong>La</strong> posizione in cui era appeso enfatizzava la<br />

grande V bianca sul suo petto. Di colpo balzai in piedi, ribaltando la<br />

sedia, e girai intorno al tavolo per affrontarlo. I suoi occhi si<br />

spalancarono e poi si chiusero quando mi avvicinai. Chiusi il pugno


e gli diedi un colpo sullo sterno.<br />

«Guardami, figlio di puttana! Sono quello che ti ha marchiato e<br />

che ha distrutto il tuo bel naso!»<br />

Spalancò gli occhi, ma non potevo sapere se mi vedesse o no, poi<br />

fece un rapido movimento verso di me e non riuscendo a<br />

raggiungermi mi sputò in faccia, veloce come un serpente. Poi<br />

cominciò a urlare, vomitando oscenità e imprecazioni in una<br />

concatenazione che avrebbe scandalizzato perfino Plauto. Ma in<br />

tutto questo c'era sempre un ritornello. «Chi sei?»<br />

Mi pulii lo sputo dalla faccia e aspettai che si quietasse. Alla fine<br />

il fiume di veleno si calmò. «Chi sei?» sussurrò di nuovo.<br />

«<strong>La</strong> tua nemesi» gli risposi. «Per te non ho altro nome, tranne<br />

che Morte e Vendetta, da cui la V sul petto. Ti ricordi <strong>del</strong> mio<br />

amico?» Feci cenno a Pella, che fece un passo avanti in modo che<br />

Seneca potesse vederlo.<br />

Seneca fissò Pella, poi scosse la testa. «Non ti conosco.»<br />

«No, non mi conosci, ma hai conosciuto mio figlio, ad Aquae<br />

Sulis, sei anni fa. Aveva solo cinque anni. Cinque. E tu lo hai<br />

ammazzato, pazzo, pervertito figlio di puttana, lui e altri quattro e ti<br />

sei creduto al sicuro. Ma sei stato visto. E adesso è ora che paghi con<br />

la tua vita malata, piaga purulenta che sei!»<br />

«Cesario Claudio Seneca, devi fare una scelta» lo interruppi,<br />

richiamando su di me lo sguardo di Seneca, ora allarmato e<br />

timoroso, che tuttavia continuò a lanciare frequenti occhiatacce a<br />

Pella per tutto il tempo che parlai.<br />

«Ascolta e non mi interrompere. Se lo fai, Pella ti farà tacere di<br />

nuovo con la sua frusta.» Presi il rotolo e cominciai a leggere.<br />

«<strong>La</strong> mia è stata una vita <strong>del</strong>la quale non posso essere orgoglioso.<br />

Ho abusato <strong>del</strong> mio potere da quando ho avuto la possibilità di<br />

farlo. Ho ucciso per capriccio, di persona, e costringendo assassini<br />

prezzolati a farlo per mio ordine.


Ho anche abusato <strong>del</strong>la mia posizione qui in Britannia<br />

meridionale. Irritato con Teodosio e pensando solo ai miei futuri<br />

progetti ho scelto di aiutare e sostenere le ambizioni <strong>del</strong>l'usurpatore<br />

Magno Massimo, proclamatosi imperatore di Britannia. Per fare ciò<br />

ho sottratto fondi dalle rendite raccolte a beneficio di Teodosio, e ho<br />

usato quei fondi per equipaggiare e fornire Magno e i suoi eserciti.<br />

Facendo così sono stato causa diretta <strong>del</strong>la morte <strong>del</strong> legato<br />

Antonio Cicerone, comandante <strong>del</strong>la guarnigione di<br />

Camulodunum. Leale al suo imperatore ha marciato contro Magno<br />

ed è morto.<br />

Non appena Magno si è dichiarato, mi sono nascosto e da allora<br />

sono rimasto nascosto, aspettando il risultato <strong>del</strong>l'avventura di<br />

Magno e sapendo che se avesse fallito avrei potuto ripresentarmi<br />

come un leale funzionario che aveva tenuto celati i propri affari per<br />

proteggerli.<br />

Ora vengo giudicato per un crimine che non consideravo<br />

nemmeno degno di essere ricordato: una donna senza volto, uccisa<br />

nel corso <strong>del</strong>la caccia all'uomo che mi ha mutilato. Viveva a<br />

Verulamium e il suo nome, ora lo so, era Febe. In memoria di Febe<br />

accuso me stesso e vengo condannato dalla mia mano e dal mio<br />

sigillo.»<br />

Alzai la testa e guardai Seneca. «Qui c'è la tua scelta» dissi.<br />

«Puoi firmare o rifiutarti di firmare. In ogni caso questo rotolo verrà<br />

ritrovato vicino al tuo cadavere.»<br />

<strong>La</strong> sua faccia aveva il pallore <strong>del</strong>la morte e i suoi occhi erano<br />

furiosi. «Sei un pazzo» bisbigliò. «Credi veramente che firmerò?»<br />

«Terzio Pella spera che tu non lo faccia» gli risposi, «perché se<br />

rifiuti di firmare ti potrà frustare a morte e godrà di ogni colpo <strong>del</strong>la<br />

sferza. Trenta colpi. Non sopravviverai, né ti augurerai di<br />

sopravvivere.» Lo vidi trasalire al pensiero di trenta frustate. Quelle<br />

che aveva già ricevuto gli avevano fatto molto effetto. «Io, invece,<br />

sono pronto ad offrirti la possibilità di lottare per la tua vita. Non


che ti odi meno di Pella. Potremmo litigare, Pella e io, per stabilire<br />

chi ti ama meno.»<br />

Feci una pausa aspettando che reagisse alle mie parole. Seneca si<br />

tese in avanti cercando un po' di sollievo dall'agonia <strong>del</strong>la posizione,<br />

mantenendo il volto privo di espressione.<br />

«Se rifiuti di firmare» continuai, «come ti ho detto morirai sotto<br />

la sferza. Questo è sicuro quanto la morte di Febe che tu hai ucciso.<br />

Se, invece, scegli di firmare la confessione, avrai un'opportunità di<br />

vivere. Non è una grande opportunità, ma è più di quello che hai<br />

concesso ad altri. Ti darò una spada e potrai combattere. Se mi<br />

uccidi sei libero di andartene, ammesso che tu riesca a uccidere<br />

anche Pella, perché penso che si opporrà a lasciarti andare. Se vinci<br />

avrai il documento e soddisfazione per le tue cicatrici. Ma se muori,<br />

e ti ucciderò con piacere, la tua confessione, con la tua firma e il tuo<br />

sigillo, verrà trovata vicino al tuo cadavere, meritata condanna<br />

finale e irrefutabile. Ho già mandato ad avvertire la guarnigione di<br />

Aquae Sulis. Verranno a cercarti, tra non molto.»<br />

Nei suoi occhi comparve forse un lampo, ma lo spensi.<br />

«Non c'è altra via di scampo per te, Seneca, neppure se i soldati<br />

arrivassero in tempo per salvarti la vita. Non sono più sotto la tua<br />

influenza. Magno è morto mesi fa e la notizia è ormai diffusa. <strong>La</strong><br />

Britannia è ritornata a Teodosio.» Gli diedi il tempo di pensare, poi<br />

gli chiesi: «Allora? Sei pronto a decidere?».<br />

«Cosa succederà se firmo? Mi ucciderai prima che abbia finito.»<br />

<strong>La</strong> rabbia mi salì nel petto e mi allontanai da lui. Mi girai solo<br />

quando riuscii a controllarmi.<br />

«Questo non mi renderebbe in nessun modo migliore di te, e<br />

sono migliore di te, in ogni senso. Ma quand'anche ti ammazzassi?<br />

Sarebbe sempre meglio che essere flagellato da Terzio Pella. Una<br />

volta morto la tua confessione non potrà più nuocerti. Per una volta<br />

nella tua vita corrotta, Seneca, devi fidarti che qualcuno sia più leale


di te. Se avessi semplicemente voluto ucciderti, saresti morto da<br />

giorni. Io voglio ucciderti con la spada in mano, per batterti e perché<br />

tu sappia che puoi essere battuto da uno zoppo con la barba grigia.»<br />

Feci segno a Pella. «Tiralo giù e togli quelle catene.»<br />

Pella tagliò la corda e Seneca cadde ai miei piedi.<br />

«Faccia in giù» comandai, pungolandolo con la punta <strong>del</strong>la<br />

spada. Seneca rotolò su se stesso e giacque a faccia in giù, mentre<br />

Pella apriva i ferri alle caviglie. «Adesso girati.» Ubbidì e io gli tenni<br />

la punta <strong>del</strong>la spada alla base <strong>del</strong>la gola finché le sue mani furono<br />

libere. Quando ebbe finito Pella andò a prendere un pezzo di corda e<br />

gli legò un cappio intorno al collo. A un mio cenno lo trascinò senza<br />

cerimonie ai miei piedi.<br />

«Adesso scegli» dissi faticando a mantenere inespressiva la mia<br />

voce, «firma o sarai flagellato.»<br />

In un pozzo profondo dentro di sé Seneca aveva trovato nuove<br />

risorse che lo sostenevano. Lo sguardo che mi lanciò era quasi un<br />

ghigno di sfida e, malgrado il mio odio per lui, sentii <strong>del</strong> rispetto per<br />

il suo ardimento.<br />

«Posso firmare» disse, con calma. «Ma dov'è la spada con cui<br />

devo combattere?»<br />

Guardai Pella. «Dammi la tua spada.»<br />

<strong>La</strong> sua faccia divenne scura come una nuvola temporalesca.<br />

«No, Cristo! Non voglio! Se quel figlio di puttana deve avere la mia<br />

spada, l'avrà solo tra le costole!»<br />

Allora mi rivolsi alla guardia che era rimasta in piedi, tranquilla,<br />

guardando quello che accadeva. «Randall, dammi la tua spada.»<br />

<strong>La</strong> guardia sguainò la spada e me la porse. Io la presi e la infissi<br />

nel terreno, a circa cinque passi dal tavolo, feci lo stesso con la mia<br />

spada e ripercorsi i cinque passi per stare tra le due spade. «Ecco»<br />

dissi. «Nessun vantaggio per nessuno dei due. Terzio Pella mi dirà<br />

quando avrai firmato. Dopo di che combatteremo e tu morirai.»


Questa volta sogghignò. «Il tuo coraggio è ammirevole, storpio.<br />

Non mangio adeguatamente e non faccio movimento da sei giorni.»<br />

Alzai le spalle. «Piagnucola quanto vuoi, Seneca. Sei già<br />

fortunato ad avere questa possibilità.»<br />

Si morsicò le labbra, vedendo che nei miei occhi non c'era<br />

nessuna pietà. «Così sia» disse, «firmo.» Avanzò verso il tavolo e<br />

prese lo stilo che avevo messo di fianco a un vasetto di inchiostro<br />

aperto. Pella si mosse insieme a lui, per evitare che la corda intorno<br />

al collo si allentasse troppo. «Portami un tizzone» chiese Seneca.<br />

Pella guardò lui e poi me. Feci segno a Randall, che andò al fuoco,<br />

prese un legno incandescente e lo portò a Seneca che stava leggendo<br />

il rotolo.<br />

Seneca fece cenno alla guardia di avvicinarsi e sorrise, un sorriso<br />

spaventosamente affascinante, considerata la situazione. «Reggerò<br />

la pergamena» disse. «Tu scioglici sopra la ceralacca.» Guardò la<br />

cera gocciolare e formare un grumo, poi impresse il suo sigillo sul<br />

grumo che andava raffreddandosi. «Ecco» disse. «E adesso il mio<br />

nome.» Intinse lo stilo nell'inchiostro e firmò con uno svolazzo.<br />

Anche da lontano il suo nome era chiaramente visibile. Terzio Pella<br />

esaminò il rotolo e poi mi fece cenno.<br />

«Bene» dissi. «Adesso sciogli il nodo, Terzio, e allontanati.»<br />

Mentre eseguiva il mio ordine mi incamminai verso la spada. Non<br />

appena ebbe la testa fuori dalla corda, Seneca fece un balzo avanti e<br />

afferrò l'altra spada. Si acquattò, ansimando e fissandomi con un<br />

ghigno animalesco. «E adesso, storpio, muori!»<br />

Lo guardai, ancora nudo, con il fallo penzolante tra le gambe, e<br />

mi sentii invincibile.<br />

Ci muovemmo in circolo cautamente per un momento,<br />

studiandoci a vicenda, e raggiungemmo insieme il centro <strong>del</strong> cerchio<br />

che avevamo descritto. Le nostre spade cozzarono fragorosamente<br />

in un fendente brutale, ognuno sperando di finire rapidamente la<br />

questione. Non c'era tecnica, né ce n'era bisogno. Nessuno dei due


aveva lo scudo. <strong>La</strong> faccenda sarebbe stata risolta con la forza, con la<br />

rapidità e con la fortuna. Lo guardai negli occhi cercando<br />

un'indicazione <strong>del</strong>la sua prossima mossa, e quasi mi colpì,<br />

muovendosi di nuovo all'attacco rapido come una vipera e senza<br />

preavviso. <strong>La</strong> punta <strong>del</strong>la sua spada passò a un pollice dalla mia<br />

faccia mentre mi buttavo all'indietro senza avere la possibilità di<br />

rispondere al suo colpo. Mi seguì in fretta, la spada brandita come<br />

un bastone, e non mi venne per niente da ridere <strong>del</strong>la sua nudità.<br />

Ero consapevole solo <strong>del</strong>la sua ferocia e <strong>del</strong> fatto che lo avevo<br />

sottovalutato in ogni campo. Avevo cercato in lui codardia e<br />

debolezza e l'effemminata insufficienza <strong>del</strong>l'omosessuale afflosciato.<br />

Ma dove avevo immaginato debolezza trovai forza e aspra<br />

determinazione, e ben presto persi ogni sensazione di invincibilità<br />

nell'affannoso tentativo di stare lontano dalla sua spada.<br />

Seneca rideva forte mentre mi faceva indietreggiare, e la mia<br />

zoppicatura diventò più pronunciata di quanto non fosse mai stata<br />

da quando me la ero procurata. Di nuovo la punta <strong>del</strong>la sua spada<br />

calò sul mio petto, sfiorandomi. Avanzò ancora, e ancora io mi tirai<br />

indietro, aspettando che dichiarasse la sua mossa successiva.<br />

Affondò; io lo schivai e tentai di colpirlo, ma fallii e lui continuò ad<br />

avanzare. Avanzò fino a dove Randall, la guardia, era in piedi e<br />

guardava a mani conserte. <strong>La</strong> violenza <strong>del</strong> colpo a tradimento che<br />

seguì ci colse tutti alla sprovvista. Randall cadde all'indietro,<br />

stringendosi la gola squarciata dalla quale il sangue sprizzava<br />

formando come una nuvola intorno al suo corpo che cadeva.<br />

Prima che potessi muovermi o reagire Pella si precipitò nella<br />

mischia con una feroce imprecazione, sguainando la spada e<br />

tuffandosi su Seneca che sembrava sbilanciato dopo il colpo mortale<br />

infetto a Randall. Quando il corpo di Pella nel suo slancio arrivò tra<br />

di noi, togliendomi una perfetta visuale di Seneca, scorsi Seneca<br />

girarsi e scansarsi e poi di colpo Pella si irrigidì, distendendosi sulla<br />

punta dei piedi, esprimendo con l'intero corpo l'offesa e la morte<br />

violenta. Sentii lo stridore <strong>del</strong> colpo mortale e il suono raschiante


<strong>del</strong>la spada di Seneca che penetrava nello sterno. Come un gatto<br />

Seneca avanzò, puntò un piede contro il corpo inerte di Pella e con<br />

un calcio allontanò il cadavere liberando la spada.<br />

Stupefatto per l'inattesa svolta degli eventi, ero consapevole solo<br />

<strong>del</strong> mio cervello che urlava “no!” e dei miei due compagni che<br />

ancora sussultavano e si agitavano pur essendo già morti.<br />

Ora Seneca doveva affrontare soltanto me e rideva; i suoi occhi<br />

risplendevano <strong>del</strong>l'insana gioia di combattere e di ammazzare.<br />

«Meno due, barba grigia» disse. «Adesso prima di morire mi dirai il<br />

tuo nome?»<br />

Mi piantai saldamente sulle gambe leggermente divaricate,<br />

raccogliendo le forze per incontrarlo a testa alta. «Te l'ho detto»<br />

ringhiai. «Per te il mio nome è Morte, Morte e Vendetta.» Balzò di<br />

nuovo all'attacco, attento a vedere da che parte avrei cercato di<br />

schivarlo, ma io rimasi immobile, proteso in avanti per reggere<br />

all'impatto, e affondai con forza la spada, sentendo la lama entrare<br />

in profondità nel colpo letale. Il mento gli ricadde sul petto e gli<br />

occhi divennero vacui, e per lo spazio di un battito sentii il suo<br />

intero peso sulla punta <strong>del</strong>la spada. Un sentimento di sfrenata<br />

esultanza cominciò a scorrere dalla testa ai muscoli tesi <strong>del</strong> braccio.<br />

«Vendetta» sussurrai. «Vendetta e Morte.»<br />

Torsi il braccio con forza, strappandogli la spada dal petto, e lo<br />

guardai cadere, prima sulle ginocchia e poi in avanti sulla faccia.<br />

Rimasi lì ancora a lungo, a guardarlo. Non sussultava, né si agitava,<br />

e respirava ancora, ma io sapevo di avere avuto la mia vendetta.<br />

Alzai di nuovo il braccio per tagliargli la testa e scoprii d'un tratto<br />

che non desideravo vibrare quel colpo. Aprii la mano e lasciai<br />

cadere la spada nell'erba, e poi mi guardai intorno sul campo <strong>del</strong><br />

massacro. I soldati sarebbero arrivati tra poco. Presi il rotolo dal<br />

tavolo, lo arrotolai e glielo infilai tra il braccio destro e il petto,<br />

sentendo così la morte inflaccidirgli i muscoli.<br />

Mi pulii la mano nella tunica, girai sui tacchi e mi allontanai


verso il luogo dove avevamo lasciato i cavalli, lasciandomi alle<br />

spalle per sempre la radura e la sua carneficina.


XXXIII.<br />

A tempo debito confessai i miei peccati e fui assolto dal vescovo<br />

Alarico. Ma non dissi mai a Gaio o a Luceia cosa avevo fatto. Non<br />

che mi vergognassi <strong>del</strong>le mie azioni, ma non ne ero neppure<br />

orgoglioso, e decisi che non c'era scopo a diffonderne la conoscenza<br />

tra coloro che amavo. Il come e il quando <strong>del</strong> tradimento e <strong>del</strong>la<br />

morte di Seneca sarebbero stati presto resi noti. Il catalizzatore che<br />

aveva provocato la sua morte non aveva bisogno di un nome.<br />

Il buon vescovo alla fine ripartì e la vita <strong>del</strong>la Colonia riprese<br />

normalmente. Continuavamo ad essere isolati dal resto <strong>del</strong>la<br />

Britannia, e perciò non ritenni strano che la notizia <strong>del</strong>la morte di<br />

Seneca non ci raggiungesse. <strong>La</strong> famiglia, congetturai, avrebbe fatto<br />

di tutto per celare la sua perfidia agli occhi <strong>del</strong> popolo. Nel<br />

frattempo i nostri raccolti miglioravano di anno in anno e Ullic ci<br />

aiutava, ordinando che ogni persona <strong>del</strong> suo popolo che ci facesse<br />

visita dovesse portare una <strong>pietra</strong> per contribuire a innalzare le<br />

nostre mura. Questo operò una grande differenza nel ritmo <strong>del</strong>le<br />

nostre attività costruttive, perché tra la sua terra e la nostra c'era<br />

molto traffico. Alcuni muratori lavoravano ormai su impalcature,<br />

tanto erano alte le mura, e il vecchio forte all'interno dalla citta<strong>del</strong>la<br />

era diventato un campo permanente che ospitava in solidi<br />

capannoni il nostro esercito in crescita.<br />

Anche il nostro Consiglio aveva subito qualche cambiamento.<br />

Tutti i suoi membri vivevano ora nella Colonia e si riunivano una<br />

volta al mese. Nessuno di loro era stato scelto per la sua timidezza,<br />

per cui vi furono riunioni un po' burrascose, ma nel complesso la<br />

nostra vita si svolgeva pacificamente.<br />

Durante la mia prima visita al regno di Ullic sulle montagne, lui<br />

e io discutemmo la strategia da usare in caso di incursioni sassoni. I<br />

suoi uomini avrebbero controllato l'accesso dal fiume e avrebbero


presidiato degli avamposti sulla strada principale da nord. Noi<br />

avremmo controllato chiunque si avvicinasse da est, sud e sudovest.<br />

Eventuali minacce da ovest avrebbero dovuto attraversare le sue<br />

terre. Ero soddisfatto.<br />

Tra i suoi Celti e i nostri Britanni romani erano anche stati<br />

celebrati alcuni matrimoni, pochi, ma felici. <strong>La</strong> vita era buona con<br />

noi.<br />

In una piovosa sera di marzo, l'ottavo anno <strong>del</strong>la mia<br />

permanenza nella Colonia, mandai mia figlia Vittoria a prendere<br />

Gaio per portarlo nella fucina. Era la sua favorita, la sua prima<br />

nipotina. Essendo piccola, incapace di pronunciare il suo nome, lo<br />

chiamava “zio Cai”. Quinto Varo lo aveva chiamato “Cai” per anni,<br />

ma ora, grazie al nuovo impulso dovuto all'amore <strong>del</strong>la bambina, il<br />

nome gli rimase attaccato e da allora in poi tutta la famiglia lo<br />

chiamò Cai.<br />

Gaio entrò nella fucina con la mano sul capo <strong>del</strong>la piccola. Io lo<br />

stavo aspettando, con Luceia al mio fianco, in piedi al banco di<br />

lavoro. Mi feci avanti per salutarlo e lo sorpresi buttandogli le<br />

braccia al collo in una stretta affettuosa, e facendolo barcollare.<br />

Inarcò il sopracciglio e lanciò alla sorella uno sguardo eloquente<br />

di tolleranza e lunga sopportazione. «Grazie, Publio» disse con<br />

dignità mentre lo rimettevo a terra. «Ora mi vuoi spiegare il motivo<br />

di questa convocazione? E di questo saluto? Vittoria dice che hai<br />

qualcosa di importante per me.» Sorrise con indulgenza, ripetendo<br />

la pronuncia <strong>del</strong>la nipotina.<br />

«Certamente, Gaio» dissi. «Hai diritto a una spiegazione. Fammi<br />

pensare.» Finsi di dover riflettere. «Luceia, perché ho chiesto a Cai<br />

di venire qui?» Lei non disse niente, e mi fissò con indulgenza.<br />

Schioccai le dita. «Ah. Adesso ricordo. Cai, volevo farti conoscere<br />

qualcuno.»<br />

Si guardò intorno. A parte noi tre la fucina era vuota. Mia figlia<br />

era andata via.


«Farmi conoscere qualcuno. Capisco. E dov'è questo qualcuno?»<br />

«Qui.»<br />

Parlava gentilmente, assecondandomi come se fossi stato un<br />

matto. «Publio, amico mio, qui siamo soli, tu, Luceia e io.»<br />

«No, Cai» dissi sorridendo. «C'è qualcun altro.»<br />

«Davvero?» disse trascinando languidamente la parola. «Dove?<br />

Dov'è questo tizio?»<br />

«Dov'è questa tizia. È una donna, Cai. Una signora.»<br />

«Una signora. Bene, dov'è allora?»<br />

«Là in fondo.» Indicai il retro <strong>del</strong>la fucina.<br />

«Dove? Non vedo nessuno.»<br />

«Allora avvicinati! È lì, Cai!»<br />

Stava per protestare quando la vide. Ci guardò, sorridendo<br />

incerto.<br />

«Vai avanti» lo spronai. «Avvicinati!»<br />

Disorientato e perplesso, fece come gli dicevo.<br />

Era una statua, una figura femminile alta due piedi, con seni<br />

generosi, un ventre pronunciato, natiche prosperose e senza volto.<br />

Una donna di ferro rozzamente scolpita su un plinto di metallo che<br />

si scioglieva in una pozza dalle sue gambe senza piedi.<br />

«Chi è, Varro? Che cosa è?» C'era ammirazione nella sua voce,<br />

perché non aveva mai visto niente di simile.<br />

«Il suo nome è Coventina, Cai. È celtica» gli dissi. «<strong>La</strong> dea celta<br />

<strong>del</strong>le acque. È una ninfa acquatica e il suo spirito vive da secoli in<br />

ogni corso d'acqua di questo paese. È la ragione per cui i Celti<br />

buttano monete e offerte nelle fonti. L'ho battezzata la Signora <strong>del</strong><br />

<strong>La</strong>go.»<br />

«<strong>La</strong> Signora <strong>del</strong> <strong>La</strong>go.» E allora capì e si girò verso di me. «Del<br />

lago? Vuoi dire...?»


«Sì, Gaio. Voglio dire!» Non riuscii più a controllare l'ampio<br />

sorriso che mi si diffondeva sulla faccia. «È fatta con il ferro <strong>del</strong>la<br />

<strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong>. L'ho estratto il mese scorso.»<br />

I suoi occhi si spalancarono. «Il mese scorso? E non hai detto<br />

niente? Per tutto questo tempo? Come hai potuto? E tu, Luceia,<br />

come hai potuto permetterglielo?»<br />

Luceia scosse la testa, guardandomi. «Non dare la colpa a me,<br />

fratello. Io non ne sapevo niente. Mio marito, che ama fare il<br />

misterioso, mi ha mandato a chiamare solo poco fa, prima di<br />

chiamare te. Fino a quel momento non aveva detto niente, neanche<br />

un accenno.»<br />

Sorrisi e scrollai le spalle, senza parlare.<br />

Gaio era un po' confuso. «Ma perché una statua, Publio?<br />

«Perché no?»<br />

Guardò di nuovo la Signora. Era fatta rozzamente, ma ciò<br />

nonostante aveva una certa bellezza.<br />

«In effetti, perché no?» disse. Mi avvicinai a lui, stringendogli<br />

una spalla mentre la guardavamo insieme.<br />

«Cos'altro potevo fare con lei, Cai?» gli chiesi. «Non volevo<br />

farne un semplice lingotto, dopo tutto. Sette anni di sforzi meritano<br />

un simbolo più grande di un lingotto, e in realtà non ho urgente<br />

necessità di usare il metallo. Un giorno lo farò. Un giorno troverò il<br />

modo di utilizzarlo per uno scopo perfetto. Ma fino ad allora penso<br />

di lasciarlo in tua custodia. Ti ho promesso che se mi avessi dato il<br />

tempo avresti avuto <strong>del</strong> ferro da quelle pietre. Così, fino a che non<br />

troverò per lei un uso migliore, è tua.»<br />

Passò la mano su di lei, per sentirne la sostanza. «<strong>La</strong> Signora <strong>del</strong><br />

<strong>La</strong>go! Perché non brilla, Publio?»<br />

«Brillerà, Cai» lo rassicurai. «Brillerà. Lo splendore è lì, nel<br />

metallo greggio. Un giorno brillerà, quando avrò trovato lo scopo


perfetto per cui usarla.»<br />

«Che cosa significa questo, Varro?» <strong>La</strong> sua voce era un sussurro.<br />

«Che cosa significa?» Sospirai e sfiorai la testa <strong>del</strong>la statua,<br />

accarezzandone la fredda e solida durezza. «Non so che cosa<br />

significa, Cai. Forse non significa niente, tranne che la mia teoria era<br />

giusta. Ma forse significa che malgrado la tua mente creda che sia<br />

impossibile, pietre piene di ferro cadono dal <strong>cielo</strong>.» Stavo<br />

strofinando il polpastrello <strong>del</strong> pollice sulla superficie levigata <strong>del</strong><br />

volto <strong>del</strong>la Signora, quando sentii un sorriso incresparmi il viso e<br />

aggiunsi: «Significa, amico mio, che Dio ha ancora qualche segreta<br />

meraviglia che decide di nascondere agli uomini».<br />

«Sì, è vero» sussurrò. Poi si sporse in avanti per sollevarla.<br />

«Attento, Cai» lo avvertii. «È più pesante di quello che pensi.<br />

Aspetta che ti aiuti.»<br />

Insieme, con Luceia che ci faceva strada, la sollevammo e la<br />

portammo con qualche difficoltà attraverso il cortile e dentro casa.<br />

<strong>La</strong> posammo nel suo cubiculum, sul tavolo vicino alla finestra.<br />

«Torno subito.» Lo lasciai solo con la statua; tornai poco dopo<br />

con il pugnale di <strong>pietra</strong> <strong>del</strong> <strong>cielo</strong> e lo appoggiai sul basamento di<br />

metallo <strong>del</strong>la statua.<br />

«Ecco!» dissi. «Il simile con il simile! <strong>La</strong>scia che si tengano vivi a<br />

vicenda.»<br />

«E adesso, Publio?» <strong>La</strong> voce di Gaio era leggera. «Forgerai <strong>del</strong>le<br />

spade dalla tua Signora <strong>del</strong> <strong>La</strong>go?»<br />

«Spade?» risposi, scuotendo leggermente la testa. «No. Non<br />

credo, Gaio. Non spade. Ma forse una sola spada. Credo che questa<br />

Signora possa avere dentro di sé una grande spada.»


L'esercito romano<br />

Nota <strong>del</strong>l'autore<br />

Le differenze tra l'esercito romano antico e un esercito moderno<br />

sono soprattutto differenze di nomi. Le strutture sono confrontabili.<br />

Una brigata moderna, costituita da diversi reggimenti, è<br />

l'equivalente approssimativo <strong>del</strong>la classica legione romana.<br />

L'ufficiale che comanda la brigata moderna si chiama brigadiere<br />

generale o generale di brigata ed è assistito da un aiutante o<br />

sostituto oltre che da uno staff di ufficiali anziani costituito da<br />

colonnelli e maggiori di ogni reggimento. Essi sono assistiti a loro<br />

volta dai loro comandanti di compagnia (capitani) e subalterni<br />

(tenenti), assistiti dai loro sottufficiali.<br />

Nell'esercito romano, l'ufficiale che comandava una legione era<br />

chiamato legato. Il legato era assistito da un aiutante o sostituto,<br />

chiamato prefetto <strong>del</strong> campo e da uno staff di sei ufficiali<br />

amministrativi anziani chiamati tribuni. <strong>La</strong> funzione originaria <strong>del</strong><br />

tribuno era quella di comunicare la chiamata alle armi e di<br />

assicurarsi che i cittadini si radunassero sotto le Aquile in tempo per<br />

marciare e combattere. In seguito il tribunato divenne sempre più<br />

una carica politica, terreno di addestramento per i giovani nobili che<br />

aspettavano di entrare nei servizi consolari o civili. Ogni volta che<br />

un tribuno sceglieva di distinguersi militarmente piuttosto che<br />

seguire il periodo di servizio amministrativo e congedarsi, il suo<br />

successo era quasi garantito.<br />

Normalmente c'erano ventotto legioni perennemente armate e<br />

ogni legione era divisa in dieci coorti. Alla fine <strong>del</strong> terzo secolo la<br />

Prima e la Seconda Coorte di ogni legione vennero raddoppiate,<br />

raggiungendo così la condizione di Miliaria. Ognuna di esse


comprendeva dieci manipoli e ogni manipolo comprendeva dieci<br />

squadre con dieci, undici o dodici uomini per squadra. Perciò una<br />

Coorte Miliaria conteneva da 1.000 a 1.200 uomini, i veterani migliori<br />

<strong>del</strong>la legione e i più forti e temprati dalle battaglie ed era<br />

approssimativamente l'equivalente di un moderno battaglione. Le<br />

altre otto coorti erano unità standard di cinque manipoli, da 500 a<br />

600 uomini, così che una legione a piena forza non aveva meno di<br />

6.000 uomini.<br />

Il grosso <strong>del</strong> comando <strong>del</strong>la legione era fornito dai centuriati, dal<br />

cui rango uscivano i centurioni, tutti gli ufficiali di rango medio e<br />

basso <strong>del</strong>la legione. C'erano sei centurioni per ogni coorte dalla<br />

Terza alla Decima, e cioè quarantotto, e cinque centurioni anziani,<br />

chiamati primi ordines in ognuna <strong>del</strong>le due Coorti Miliarie. Ogni<br />

legione aveva un primus pilus, il centurione anziano, una specie di<br />

super incaricato sergente maggiore di reggimento. Il primus pilus era<br />

a capo <strong>del</strong>la Prima Coorte, la Seconda Coorte era guidata dal<br />

princeps secundus e le altre Coorti dalla Terza alla Decima erano<br />

comandate ognuna da un pilus prior.<br />

Quello di primus pilus, che letteralmente significa “prima lancia”<br />

era il rango più esaltato ed esclusivo a cui un soldato comune<br />

potesse ambire all'interno <strong>del</strong>la sua legione. Ogni legione aveva solo<br />

un primus pilus, il che significava che se l'Impero aveva in ogni<br />

momento ventotto legioni in armi, ogni primus pilus era uno dei<br />

ventotto soldati professionisti meglio addestrati <strong>del</strong>l'esercito<br />

imperiale.<br />

Ogni primus pilus, durante tutti i mille anni di potere di Roma,<br />

doveva meritarsi ogni singolo passo <strong>del</strong>la sua promozione per<br />

essere il migliore tra i suoi pari ad ogni stadio <strong>del</strong>la sua carriera.<br />

Chiunque poteva progredire, senza deviazioni né macchie, e<br />

frequentemente dai ranghi più bassi, attraverso l'intero centuriato<br />

<strong>del</strong>la legione fino all'estrema carica di Prima <strong>La</strong>ncia. Tutti, inclusi gli<br />

ufficiali politici e incaricati, i legati juniores, stato maggiore e tribuni,


ispondevano al primus pilus in materia di tattica, disciplina,<br />

disposizione <strong>del</strong>le truppe e per l'amministrazione giornaliera degli<br />

affari <strong>del</strong>la legione. Da parte sua il primus pilus rispondeva<br />

direttamente e solo al generale che comandava la legione.<br />

Il centurione romano si distingueva per la sua uniforme:<br />

l'armatura era argentea, portava la spada a sinistra invece che a<br />

destra e la cresta <strong>del</strong>l'elmo era disposta in senso inverso,<br />

attraversandolo lateralmente come un'aureola.<br />

Ogni centurione aveva il diritto, o l'opzione di nominare per sé<br />

un secondo in comando e questi uomini, equivalenti di ufficiali<br />

esentati dai servizi ordinari, erano per questo chiamati optiones. Altri<br />

ufficiali giovani (principales) erano i porta insegne, uno dei quali,<br />

l’aquilifer, portava l'aquila <strong>del</strong>la legione. C'era inoltre un signifer per<br />

ogni centuria, che portava lo stendardo che identificava l'unità e<br />

fungeva da banchiere. Ogni legione aveva anche una completa<br />

assegnazione di medici e chirurghi, veterinari, quartiermastri e<br />

impiegati, trombettieri, comandanti <strong>del</strong>le guardie, informatori,<br />

torturatori e boia.<br />

<strong>La</strong> cavalleria<br />

Alla fine <strong>del</strong> II secolo d.C. la cavalleria ricopriva un ruolo<br />

importante nella tattica legionaria e rappresentava fino a un quinto<br />

di tutte le forze coinvolte in molte azioni militari. Malgrado ciò, fino<br />

alla fine <strong>del</strong> V secolo, la cavalleria fu l'anello più debole <strong>del</strong>l'esercito.<br />

I Romani non furono mai grandi cavalieri e la cavalleria romana<br />

fu raramente davvero romana. Essi preferivano lasciare la cavalleria<br />

alle nazioni alleate e soggette, perciò la storia racconta <strong>del</strong>la<br />

magnifica cavalleria mista germanica che Giulio Cesare ammirava e<br />

che diede vita alle cohortes equitates, le coorti miste di cavalleria e<br />

fanteria attive nei secoli I, II e III d.C. Gli storici romani ricordano


anche con ammirazione gli splendidi cavalleggeri <strong>del</strong> Nord Africa<br />

che cavalcavano senza briglie.<br />

Fondamentalmente e con poche eccezioni le truppe di cavalleria<br />

venivano usate per scaramucce diversive ed erano costituite<br />

soprattutto da arcieri a cavallo con lo scopo di pattugliare, andare in<br />

ricognizione e fornire uno schermo mobile difensivo quando la<br />

legione si radunava in assetto di battaglia.<br />

<strong>La</strong> cavalleria romana <strong>del</strong> primo e <strong>del</strong> medio periodo imperiale<br />

era organizzata in alae, unità da 500 a 1.000 uomini, divise in<br />

squadroni o turmae, di 30 o 40 cavalieri al comando di decurioni.<br />

Sappiamo che i Romani usavano una specie di sella, con quattro<br />

corni per attaccarvi il bagaglio, ma non conoscevano le staffe, anche<br />

se usavano gli speroni. Usavano anche ferri da cavallo e morsi<br />

snodati e alcuni dei loro cavalli portavano coperte, cataphractae o<br />

corazzate, di scaglie di bronzo, anche se non ci sono prove che<br />

questa forma di armatura, o di cavalleria corazzata, sia stata<br />

ampiamente usata.<br />

Fino al V secolo e dopo la sconfitta di Adrianopoli, sembra che<br />

non sia stato fatto praticamente nessun tentativo di studiare le<br />

tecniche <strong>del</strong>la cavalleria pesante usate nel IV secolo a.C. da Filippo<br />

di Macedonia e da suo figlio Alessandro Magno. Fu questa rinascita,<br />

insieme all'arrivo <strong>del</strong>le staffe in Europa nella prima metà <strong>del</strong> V<br />

secolo, a cambiare per sempre l'arte <strong>del</strong>la guerra. In termini di<br />

impatto militare, il significato <strong>del</strong>la sella con le staffe fu<br />

probabilmente più importante di quello <strong>del</strong>l'invenzione <strong>del</strong> carro<br />

armato.<br />

I nomi propri


Molti dei nomi usati per i personaggi di questo romanzo erano<br />

comuni in epoca romana.<br />

I nomi dei Romani erano in tempi antichi costituiti da un solo<br />

nome, poi da due nomi e infine da tre, per ritornare nel tardo<br />

Impero alla forma di due nomi o di un nome solo.<br />

Preanomen. In origine l'unico nome <strong>del</strong> cittadino. Corrisponde<br />

al nostro nome proprio (Publius, Caius, ecc.).<br />

Nomen. È il gentilizio, vale a dire indica la gens o famiglia di<br />

appartenenza. Corrisponde al nostro cognome (Cornelius, Claudius,<br />

ecc.).<br />

Cognomen. Il terzo elemento di un nome derivava la sua origine<br />

da un soprannome individuale, relativo a peculiarità fisiche o<br />

caratteriali (Longus, Pius, ecc.), a incarichi (Censorius, Senator, ecc.),<br />

all'adozione (Aemilianus), o a una vittoria militare (Africanus).<br />

Le donne portavano il gentilizio paterno e di regola lo<br />

conservavano anche dopo il matrimonio.<br />

I personaggi di origine romana di questo romanzo, ambientato<br />

tra la fine <strong>del</strong> IV sec. d.C. e l'inizio <strong>del</strong> V sec. d.C, sono tutti<br />

identificati da un praenomen e un nomen.

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