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JACK WHYTE<br />
Le crona<strong>che</strong> di Camelot<br />
LA SPADA<br />
CHE CANTA<br />
The Singing Sword<br />
Traduzione di<br />
SUSANNA BINI
L'Impero Romano è ormai avviato verso la sua fine e la<br />
Britannia sta per inabissarsi nella lunga notte dei secoli bui.<br />
Barbari venuti dalle fredde terre del Nord invadono l'isola<br />
con inaudita ferocia. Nel drammatico affresco <strong>che</strong> va<br />
dipingendosi, Publio Varrò e sua moglie Luceia, insieme<br />
all'amico Caio Britannico, si battono per costruire un ultimo<br />
baluardo di legge e civiltà di fronte al buio <strong>che</strong> avanza. Ma il<br />
sacrificio cui si sono votati non sarà stato vano poiché un<br />
giorno, molti anni dopo la loro morte, il rozzo fortino difeso<br />
a costo della loro stessa vita diverrà la leggendaria reggia di<br />
Camelot. E come una spada si forgia nel fuoco, così nel<br />
sangue e nella violenza, nel ferro e nella passione si va<br />
plasmando la Britannia di Artù, di Merlino e dei mitici<br />
Cavalieri della Tavola Rotonda.<br />
www.edizpiemme.it
Jack Whyte è poeta, regista cinematografico e romanziere.<br />
Nato in Scozia, vive da molti anni in Canada. Ha raggiunto<br />
uno straordinario successo con Le Crona<strong>che</strong> di Camelot,<br />
ormai considerate un bestseller in tutto il mondo. A questo<br />
ciclo appartengono an<strong>che</strong> i titoli <strong>La</strong> pietra del cielo, <strong>La</strong> stirpe<br />
dell'aquila, Il sogno di Merlino, Il forte sul fiume, Il segno di<br />
Excalihur, Le porte di Camelot e <strong>La</strong> donna di Avalon.<br />
L'autore sta lavorando a una nuova appassionante serie,<br />
presto in uscita an<strong>che</strong> in Italia.<br />
Della serie Le Crona<strong>che</strong> di Camelot hanno detto:<br />
«Una storia semplicemente straordinaria.»<br />
Rosamunde Pil<strong>che</strong>r<br />
«Uno splendido mix di realtà storica e leggenda.»<br />
<strong>La</strong> Stampa<br />
In sovraccoperta: Illustrazione di Silvia Fusetti
VOLUME 016
Titolo originale dell’opera: The Singing Sword<br />
© 1996, by Jack Whyte<br />
© 2005 – Edizioni Piemme Economica<br />
© 1999 – EDIZIONI PIEMME Spa<br />
15033 Casale Monferrato (AL) – Via del Carmine, 5<br />
Tel. 0142/3361 – Fax 0142/74223<br />
www.edizionipiemme.it<br />
Stampa Mondadori Printing Spa – Stabilimento NSM – Cles (TN)
A Beverley,<br />
la mia Jean Armour.
Nota introduttiva<br />
<strong>La</strong> spada <strong>che</strong> <strong>canta</strong> è un romanzo, ma la cornice storica nella quale<br />
si svolge è assolutamente reale e i principali fatti politici in esso<br />
descritti sono realmente accaduti. Oggi, <strong>che</strong> ci avviciniamo alla<br />
svolta di un nuovo secolo, pochi di noi sono in grado di<br />
comprendere ciò <strong>che</strong> accadde al momento della nascita del nostro<br />
secolo. <strong>La</strong> storia raccontata nella <strong>Spada</strong> <strong>che</strong> <strong>canta</strong> si colloca alla svolta<br />
del V secolo - vale a dire quindici secoli fa - e la maggior parte di noi<br />
non ha idea di come fosse la vita a quei tempi.<br />
Alcune circostanze, fatti, parole ed espressioni nella narrazione<br />
saranno poco familiari ai lettori moderni. Come autore avrei potuto<br />
cambiarle o "modernizzarle" tutte, ma ho preferito conservarle,<br />
nell'interesse dell'autenticità. Le misure, per esempio, non erano<br />
precise come quelle attuali: secondi e minuti, centimetri e metri<br />
erano sconosciuti ai Romani. Essi parlavano in termini di battiti del<br />
cuore e di attimi, di palmi e di passi. Un miglio romano, per<br />
esempio, era formato da mille passi, poco meno di un chilometro di<br />
oggi.<br />
Per comodità del lettore moderno, <strong>che</strong> poco sa della vita agli<br />
inizi del v secolo, ho aggiunto in coda al volume una sezione <strong>che</strong><br />
tratta dell'Impero Romano, del suo esercito e dei primi cristiani. Una<br />
cartina della Britannia romana si trova a pag. 11.<br />
JACK WHYTE
<strong>La</strong> leggenda della pietra caduta<br />
dal cielo<br />
Dal cielo notturno cadrà una pietra<br />
<strong>che</strong> cela una fanciulla nata da profondità tenebrose,<br />
una fanciulla i cui femminili misteri, nutriti dal fuoco,<br />
daranno vita a una spada scintillante, baluginante.<br />
Una spada fiammeggiante e splendente la cui potenza<br />
genera guerrieri. Ma quest'arma conterrà an<strong>che</strong><br />
le astuzie di una donna e traccerà terribili fatti di uomini;<br />
darà il nome a un'epoca; incoronerà un re,<br />
<strong>che</strong> prenderà il nome da un popolo della montagna,<br />
<strong>che</strong> crede di essere stato generato dal seme di un drago;<br />
uomini vigorosi e feroci, eroici, prodi e forti,<br />
e nelle loro anime vi è grandezza.<br />
Questo re, questo monarca, potente oltre l'immaginabile,<br />
forgiato nella gloria, <strong>canta</strong>ndo un canto di spade,<br />
confondendo i mortali con magica follia,<br />
darà vita a una leggenda, e tuttavia non lascerà nessuno<br />
a condurre al trionfo il suo esercito dopo di lui.<br />
Ma la morte non svilirà mai il suo destino <strong>che</strong>,<br />
non morendo, vivrà per sempre, per essere ricordato.
Nomi geografici<br />
<strong>La</strong> terra <strong>che</strong> i Romani chiamavano Britannia era soltanto la terra <strong>che</strong> noi<br />
oggi chiamiamo Inghilterra. <strong>La</strong> Scozia, l'Irlanda e il Galles erano separate e<br />
venivano chiamate rispettivamente Caledonia, Ibernia e Cambria. Esse non<br />
erano considerate parte della provincia della Britannia. Le anti<strong>che</strong> città della<br />
Britannia romana esistono ancora, ma oggi hanno nomi inglesi.<br />
Londinium Londra<br />
Verulamium St. Albans<br />
Al<strong>che</strong>ster<br />
Glevum Gloucester<br />
Aquae Sulis Bath<br />
Lindinis Il<strong>che</strong>ster<br />
Sorviodunum Old Sarum<br />
Venta Belgarum Win<strong>che</strong>ster<br />
Noviomagus Chi<strong>che</strong>ster<br />
Durnovaria Dor<strong>che</strong>ster<br />
Isca Dumnoniorum Exeter<br />
<strong>La</strong> Colonia (Camelot)<br />
Camulodunum Col<strong>che</strong>ster<br />
Lindum Lincoln<br />
Eboracum York<br />
Mamucium Man<strong>che</strong>ster<br />
Dolocauthi Miniere d'oro del Galles<br />
Durovemum Canterbury<br />
Regulbium Reculver<br />
Rutupiae Richborough<br />
Dubris Dover<br />
Lemanis Lympne<br />
Anderita Pevensey
Prologo: 387 d.C<br />
Il tribuno riconobbe i primi segni da più di un miglio di<br />
distanza, dove la strada cominciava a scendere dalla scarpata per<br />
entrare nella foresta: un vorticare spiraleggiante di falchi e di<br />
avvoltoi sopra le cime degli alberi davanti a lui. Dopo aver<br />
bruscamente ordinato al centurione di far accelerare il passo ai suoi<br />
uomini, l'ufficiale spronò il cavallo, senza preoccuparsi di lasciare<br />
indietro la fanteria di scorta. Gli uccelli vorticanti annunciavano<br />
morte, il loro numero indicava l'esistenza di una radura e il loro volo<br />
incessante significava <strong>che</strong> avevano paura di atterrare.<br />
"Probabilmente a causa dei lupi" pensò. Il tribuno abbassò la visiera<br />
dell'elmo per proteggersi dai rami <strong>che</strong> lo sferzavano e si tuffò al<br />
galoppo tra gli alberi, certo <strong>che</strong> il pericolo di un'imboscata o di<br />
qualsiasi resistenza fosse da tempo svanito.<br />
Sentì i lupi azzuffarsi <strong>che</strong> era ancora distante e spronò il cavallo<br />
a un'andatura maggiore, urlando con quanta voce aveva e facendo<br />
più rumore possibile per distrarli dal loro orribile pasto. Non aveva<br />
molti dubbi su cosa stessero divorando.<br />
Quando entrò nella radura i lupi si avvicinarono uno all'altro,<br />
ventre a terra, ringhiando e sbavando per fronteggiare il nuovo<br />
venuto. Li caricò senza esitare, sguainando la corta spada e vibrando<br />
fendenti, e lasciando <strong>che</strong> il cavallo si difendesse con gli zoccoli.<br />
<strong>La</strong> ringhiante furia del branco si trasformò rapidamente in un<br />
crescendo di guaiti di dolore e di paura sotto la carica di cavallo e<br />
cavaliere, e ben presto a uno a uno tutti i mangiatori di carogne,<br />
grigi e smagriti, smisero di lottare e fuggirono a ripararsi tra i<br />
cespugli <strong>che</strong> circondavano la radura.<br />
Quando gli animali furono scomparsi tra i cespugli, fuori vista e<br />
fuori portata, il tribuno si guardò intorno, osservando la scena nella
quale si trovava. <strong>La</strong> radura era dominata da una vecchia quercia<br />
massiccia; legato a uno dei grossi rami c'era un marchingegno di<br />
corde e pulegge. Una corda finiva con un anello assicurato a un<br />
pesante palo conficcato nel terreno. Le condizioni del terreno<br />
intorno al palo - l'erba completamente calpestata e disseminata di<br />
escrementi umani - mostravano <strong>che</strong> qualcuno era stato costretto lì<br />
per diversi giorni. I corpi di tre uomini, uno dei quali<br />
completamente nudo, giacevano al suolo, coperti di polvere e di<br />
sangue. Le mos<strong>che</strong> erano ovunque, attratte come gli uccelli e i lupi<br />
dall'odore del sangue scaldato dal sole. I volti dei due corpi vestiti<br />
erano stati devastati dai lupi, in particolare quello del più giovane,<br />
un uomo biondo quasi decapitato da una spada <strong>che</strong> gli aveva<br />
trapassato il collo e la gola.<br />
L'uomo nudo era a faccia in giù, con il braccio sinistro teso in<br />
avanti e squarciato nella parte inferiore, vicino alla spalla, dove uno<br />
dei lupi lo aveva azzannato. An<strong>che</strong> sul fianco destro del corpo si<br />
vedevano chiaramente i segni dei denti, ma la carne non era stata<br />
strappata. Il solo sangue visibile era in una pozza sotto il corpo.<br />
Senza logica apparente, sotto al braccio teso del corpo nudo era<br />
stata infilata una pergamena arrotolata, e il tribuno si chiese cosa<br />
potesse contenere. Sollevando la gamba sul collo del cavallo,<br />
l'ufficiale scivolò agilmente a terra, e raccolse il rotolo facendo<br />
attenzione a non macchiarlo di sangue. Poi rovesciò il cadavere sulla<br />
schiena e fissò l'ampia ferita mortale in mezzo al petto, proprio sotto<br />
lo sterno. Soffiò aria dalle narici, poi ruppe il sigillo della pergamena<br />
e cominciò a leggere, sussurrando le parole tra sé perché il loro<br />
senso gli fosse più chiaro nel decifrare i caratteri fitti. Dopo le prime<br />
po<strong>che</strong> frasi si irrigidì e alzò gli occhi a guardare il corpo ai suoi<br />
piedi, poi si accovacciò, gli prese il polso tra le mani e ne cercò il<br />
battito. Niente. Lo lasciò ricadere, si risollevò e continuò a leggere.<br />
Il rumore dei suoi uomini <strong>che</strong> si avvicinavano a grande velocità<br />
gli fece alzare la testa. Non appena i soldati sbucarono dal sentiero
alberato e si schierarono in due file davanti a lui, il tribuno ordinò<br />
loro di dividersi per cacciare i lupi nascosti nel sottobosco,<br />
promettendo una moneta d'argento per ogni lupo ucciso. Gli uomini<br />
si sparpagliarono con entusiasmo per dedicarsi a quella caccia<br />
insieme al loro centurione. Il tribuno li guardò fino a <strong>che</strong><br />
scomparvero dalla sua vista, poi riprese la lettura interrotta,<br />
muovendo silenziosamente le labbra nel percorrere l'intero<br />
documento. Giunto alla fine fece uno schiocco con la lingua, guardò<br />
una seconda volta il corpo nudo e poi lesse nuovamente l'intero<br />
documento, decifrando questa volta più in fretta le parole; sul suo<br />
volto non apparve espressione alcuna finché non ebbe finito, e allora<br />
un'ampia ruga gli solcò la fronte. Ripiegò con cura la pergamena,<br />
schiacciando gli angoli con forza in modo da ridurre l'ingombro del<br />
pac<strong>che</strong>tto, e poi se lo infilò al sicuro dentro la corazza. Quando gli<br />
uomini tornarono nella radura era già risalito a cavallo ed era<br />
immerso nei suoi pensieri.<br />
Con la coda dell'occhio vide avvicinarsi il centurione e gli chiese<br />
cosa volesse.<br />
Il centurione indicò con un cenno della testa il cadavere nudo,<br />
con uno sguardo incerto. «Cosa vuoi <strong>che</strong> facciamo dei corpi,<br />
tribuno?» Si schiarì la gola nervosamente. «È lui, signore? Il<br />
procuratore?»<br />
Il tribuno fece una pausa prima di rispondere, ma quando parlò<br />
alzò la voce in modo <strong>che</strong> tutti gli uomini <strong>che</strong> stavano sull'attenti in<br />
silenzio potessero sentirlo.<br />
«Devo qualcosa a qualcuno per quei lupi?»<br />
Molti tra gli uomini scossero la testa insieme al centurione. I lupi<br />
erano scappati tutti. Il tribuno si guardò attorno nella radura,<br />
invitando tacitamente gli uomini a fare altrettanto.<br />
«Per ora non ho idea di cosa sia successo qui» disse alla fine.<br />
«An<strong>che</strong> se ogni persona con un po' di cervello può arrivare da sé alla<br />
conclusione guardandosi intorno. L'uomo senza vestiti si è
palesemente liberato dalle corde sotto al grande albero laggiù.<br />
Potete vedere i segni sui suoi polsi e le corde e i paranchi con cui lo<br />
avevano legato, e l'erba calpestata dove era confinato. Potete an<strong>che</strong><br />
vedere dalla quantità di escrementi <strong>che</strong> chiunque fossero gli altri<br />
non hanno mostrato nessuna umanità. Mi pare evidente <strong>che</strong> il<br />
prigioniero è riuscito a sciogliersi, a liberarsi in qual<strong>che</strong> modo, <strong>che</strong><br />
ha afferrato una spada ed è riuscito a uccidere due dei suoi aguzzini<br />
prima di essere ammazzato a sua volta. Chiunque fossero, i suoi<br />
rapitori si sono permessi una fatale disattenzione.»<br />
«Scusami, tribuno!» Il centurione, il cui sguardo era rivolto al<br />
corpo nudo, aveva corrugato la fronte ed era andato in fretta a<br />
inginocchiarsi vicino al corpo. Stringendo gli occhi, infilò le dita<br />
sotto il mento, e premette leggermente con il pollice e l'indice un<br />
punto nel quale, contro ogni aspettativa, percepì una pulsazione<br />
molto debole, ma tuttavia regolare. L'uomo era ancora vivo.<br />
Spalancando gli occhi, il centurione informò il tribuno, <strong>che</strong> aggrottò<br />
la fronte sentendo quelle parole.<br />
«Vivo? Non è possibile! Sei sicuro?» Si voltò di scatto verso le<br />
truppe e indicò due uomini. «Voi due, usate le vostre lance e le<br />
tende per fare una lettiga, presto!»<br />
Mentre i soldati si precipitavano a eseguire l'ordine, il tribuno si<br />
girò di nuovo verso il centurione.<br />
«Risponderò alla tua domanda impertinente, ma solo per<br />
scoraggiarne altre. Non è per i tuoi pari essere curioso in questioni<br />
diplomati<strong>che</strong>, centurione, ma mi sembra <strong>che</strong>, date le circostanze, sia<br />
abbastanza comprensibile. <strong>La</strong> risposta è no. Siamo stati chiamati per<br />
cercare il procuratore della Britannia meridionale, ma questi<br />
rapitori, a quanto pare, erano tanto stupidi quanto distratti.<br />
Quest'uomo non è il procuratore scomparso. Non è Claudio Seneca,<br />
non gli somiglia nean<strong>che</strong>, a parte il naso rotto. Somiglio più io a<br />
Claudio Seneca di quest'uomo, cosa del resto naturale, suppongo,<br />
visto <strong>che</strong> Claudio Seneca è fratello di mio padre. Un errore di
identità. Degli stupidi, come ho detto. Hanno preso l'uomo<br />
sbagliato.»<br />
Poi si girò di nuovo verso i due soldati <strong>che</strong> stavano<br />
improvvisando la barella. «Non so chi sia quest'uomo, ma voglio<br />
<strong>che</strong> ci si prenda la massima cura di lui. Portatelo con delicatezza, un<br />
uomo a ogni braccio della lettiga; farò frustare chiunque gli farà<br />
prendere un colpo. Ha meritato di vivere, non fosse altro <strong>che</strong> per la<br />
foga con cui ha lottato.» Guardò gli uomini, valutando in silenzio la<br />
loro reazione alle sue parole. A parte l'espressione cupa dovuta alla<br />
minaccia, i loro sguardi erano disinteressati. Avevano accettato le<br />
sue affermazioni senza dubbi e senza curiosità.<br />
«Va bene, allora» tagliò corto. «Portiamo quest'uomo a<br />
un'infermeria militare il più in fretta possibile. Ma voglio an<strong>che</strong><br />
quegli altri due corpi, per l'identificazione. Andiamo!»<br />
Quando la barella fu pronta e la processione si fu messa in moto<br />
per il viaggio di ritorno agli alloggiamenti di Aquae Sulis, la località<br />
termale <strong>che</strong> i Celti locali chiamavano Bath, nessuno più ricordava<br />
<strong>che</strong> il tribuno stava leggendo una pergamena quando erano entrati<br />
nella radura.
LIBRO PRIMO<br />
I coloni
I.<br />
Un'imposta rotta sbatté da qual<strong>che</strong> parte. <strong>La</strong> sentii chiaramente<br />
nonostante l'ululare del vento e il sibilo scrosciante della pioggia.<br />
Era buio e riuscivo a stento a vedere le sagome dei due uomini<br />
appiattiti ai due lati della porta della casupola in pietra, una sola<br />
stanza, dall'altra parte della viuzza. Alla mia sinistra altri due<br />
uomini erano ai lati della porta della casa contro cui ero appoggiato<br />
io, e c'erano altri dodici uomini disposti in modo analogo contro<br />
altre sei costruzioni ai lati della strettoia. <strong>La</strong> mia scorta di trentasei<br />
uomini era divisa in due gruppi, uno a ogni estremità del villaggio.<br />
Avevo quarantotto anni. Ero troppo vecchio per quel genere di<br />
scioc<strong>che</strong>zze.<br />
Stavo in piedi con le spalle contro il muro, la tunica inzuppata<br />
d'acqua gelida appiccicata alla schiena. Alzai una mano nell'inutile<br />
tentativo di proteggere gli occhi dalla pioggia <strong>che</strong> vi scorreva<br />
dentro, ma il mantello inzuppato d'acqua era un peso morto sul mio<br />
braccio. <strong>La</strong>nciai una silenziosa imprecazione.<br />
Qualcuno accese una lampada nella casa di fronte, apparve un<br />
chiarore giallo pallido e un tremulo urlo di dolore si alzò nel vento.<br />
Diedi il segnale - soffiando una volta nel corno - e i miei uomini<br />
entrarono, irrompendo dalle porte, con le spade e i pugnali<br />
sguainati. Fare pulizia può essere un lavoro sporco e brutale.<br />
Guardai l'uomo morto ai miei piedi. <strong>La</strong> pioggia aveva lavato via<br />
la maggior parte del sangue, ma il suo aspetto era ancora orribile.<br />
Probabilmente era stato ucciso da un'ascia. Nella luce morente i suoi<br />
occhi spalancati apparivano vitrei.<br />
Uno dei miei uomini ricomparve, stagliandosi contro la luce nel<br />
vano della porta davanti a me, pulendo la spada con uno straccio.<br />
Uscì nella strada e an<strong>che</strong> se non sentii niente lo vidi irrigidirsi e
aprire la bocca in un urlo. Si mise a correre lungo la strettoia.<br />
Maledissi l'età e la gamba inferma e mi spinsi via dal muro,<br />
buttandomi in una corsa appesantita, solo ora conscio della lotta in<br />
corso a circa trenta passi da me. Il peso del mantello era terribile.<br />
Trafficai intorno al fermaglio e sentii il fardello cadermi di dosso,<br />
poi mi trovai in mezzo alla mischia.<br />
Ricordo poco dello scontro, ma per me non è insolito. Tutto ciò<br />
<strong>che</strong> mi rimane nella memoria sono alcune immagini: un collo nudo<br />
con un pomo d'Adamo sporgente e poi del sangue <strong>che</strong> sgorga<br />
mentre estraggo la spada, ma nessun ricordo del colpo inferto; la<br />
sensazione di un corpo vivo sotto ai piedi e poi il mio braccio<br />
bloccato e io immerso nel fango fino alla vita, perché la gamba<br />
storpia mi è mancata di nuovo e sono caduto; il sesso di un uomo<br />
con le gambe coperte da pelli di pecora strette da legacci di stoffa, e<br />
di nuovo la mia lama, <strong>che</strong> amputa la sua virilità; e una bocca<br />
spalancata e occhi sbarrati e mani senza forza <strong>che</strong> si avvinghiano<br />
alla mia spada cercando di strapparla dal petto dell'uomo al quale<br />
appartengono quelle stesse mani. Tutti questi ricordi sono avvolti<br />
nel silenzio. Non c'è rumore, non ci sono urla, nessun suono.<br />
Quando tutto fu finito ero completamente senza fiato e<br />
ansimavo come un vecchio. Mi piegai in avanti, con le mani sulle<br />
ginocchia, e lasciai penzolare la testa, rantolando per liberarmi i<br />
polmoni.<br />
«Comandante Varro? Stai bene?»<br />
Conoscevo quella voce; era del giovane Cirillo, uno dei miei<br />
luogotenenti. Feci un cenno di assenso con la testa, per quanto<br />
possibile da quella posizione, e lui mi lasciò e andò a controllare gli<br />
altri. A poco a poco presi coscienza delle mie mani, strette sulle<br />
ginocchia: nessuna delle due reggeva un'arma. Non avevo una<br />
spada e non ricordavo di averla lasciata cadere. Sbattei gli occhi per<br />
farne uscire la pioggia, vidi del sangue scuro sul polso e sulla mano<br />
destra e capii <strong>che</strong> ero ferito. Mi raddrizzai. Non sentivo male. Mi
tastai la mano destra con la sinistra. <strong>La</strong> mano reagì, ma in modo<br />
insolito. Il braccio era completamente insensibile. Spostai la mano<br />
sinistra lungo il braccio e sentii il taglio, proprio sopra al gomito, <strong>che</strong><br />
sanguinava molto. Allora mi si rivoltò lo stomaco e vomitai, la mia<br />
consueta reazione dopo una battaglia, una reazione <strong>che</strong> in genere mi<br />
faceva sentire meglio. Ma questa volta, mentre mi rialzavo dopo<br />
aver vomitato, mi sembrò di vedere da qual<strong>che</strong> parte davanti a me<br />
una luce, <strong>che</strong> roteava nel modo più strano e veniva verso di me a<br />
rombante velocità. E fu l'ultima cosa <strong>che</strong> vidi. Venni raccolto dal<br />
fango della strada e trasportato in una delle capanne, dove rimasi<br />
senza conoscenza per più di una settimana.<br />
<strong>La</strong> ferita in sé non era molto grave, an<strong>che</strong> se non esistono ferite<br />
di guerra trascurabili. Un figlio di puttana mi aveva colpito con<br />
un'ascia senza filo. Il peso dell'arma aveva fatto penetrare il poco filo<br />
esistente nella carne e mi aveva rotto il braccio destro, provocando<br />
quella <strong>che</strong> i medici chiamano una frattura composta. Alla mia età era<br />
già un miracolo <strong>che</strong> l'osso non si fosse sfracellato. Almeno questo è<br />
quello <strong>che</strong> pensai; ora so <strong>che</strong> in quei giorni stavo solo raggiungendo<br />
la maturità, il fiore dei miei anni. Comunque persi molto sangue,<br />
così mi fu detto in seguito: un'emorragia improvvisa e violenta <strong>che</strong><br />
spaventò tutti perché non voleva fermarsi. E inoltre mi era venuta<br />
una polmonite per essermi inzuppato sotto la pioggia. I miei uomini<br />
pensavano <strong>che</strong> mi avrebbero perso.<br />
Ricordo ancora il cadavere <strong>che</strong> vidi ai miei piedi quella notte. Se<br />
l'ascia <strong>che</strong> mi aveva colpito fosse stata affilata come quella <strong>che</strong> aveva<br />
colpito lui, oggi non potrei raccontare questa storia. E ovviamente<br />
gran parte di questa storia non sarebbe accaduta.<br />
Il mio nome è Gaio Publio Varro, sono un fabbro ferraio e un<br />
fabbricante di spade.<br />
Sono nato e cresciuto a Camulodunum, nella Britannia orientale,<br />
vicino a Londinium, il centro amministrativo della provincia della<br />
Britannia, e fu a Camulodunum <strong>che</strong> tornai per riaprire la fucina di
mio nonno, dopo essere rimasto storpiato in un'imboscata durante<br />
l'invasione del 367 ed essere quindi divenuto inabile a servire nelle<br />
legioni.<br />
Negli anni trascorsi come soldato avevo conosciuto Caio<br />
Britannico, un ricco nobiluomo, patrizio romano di antico lignaggio.<br />
Era entrato per la prima volta nella mia vita come giovane tribuno,<br />
quando mi aveva salvato la pelle, poi, più tardi, come ufficiale<br />
comandante a cui io avevo salvato la vita, e infine era divenuto<br />
senatore romano, proconsole di Roma e mio cognato, oltre <strong>che</strong> il mio<br />
amico più caro. <strong>La</strong> mia amicizia con Britannico, però, aveva fatto<br />
miei i suoi nemici, in particolare una famiglia, i ricchi e potenti<br />
banchieri imperiali, i Seneca, <strong>che</strong> per generazioni avevano<br />
intrattenuto con la famiglia di Britannico una faida sanguinosa e<br />
feroce.<br />
Questa inimicizia ereditata mi portò a uno scontro personale<br />
violento con Claudio, il più giovane dei sei fratelli Seneca.<br />
Lottammo e io gli lasciai una cicatrice indelebile. Perciò dovetti<br />
allontanare la mia persona e i miei affari per sempre e in fretta dalla<br />
vendetta di Claudio Seneca. Andai a ovest, verso le fertili terre<br />
coltivate a sud della cittadina termale di Aquae Sulis, per vivere<br />
nella villa di Caio. In quel luogo la mia vita cambiò. Incontrai e<br />
sposai Luceia Britannico, <strong>che</strong> mi mostrò dove trovare il sogno di<br />
quasi tutta la mia vita: una pietra composta di un metallo<br />
straordinario, <strong>che</strong> chiamavo "la pietra del cielo". Feci fondere la<br />
pietra, e dal metallo contenuto in essa ricavai una rozza statua di<br />
Coventina, la dea celtica delle acque, in memoria della lotta<br />
sostenuta per estrarre la pietra dal fondo di un lago. <strong>La</strong> chiamai la<br />
"Signora del <strong>La</strong>go". Il mio unico intento era quello di conservare il<br />
metallo in modo dignitoso, invece di lasciarlo arrugginire in un<br />
volgare lingotto fino al momento in cui avessi deciso come<br />
utilizzarlo. Un giorno o l'altro, lo sapevo, avrei fatto una spada con<br />
quel metallo, nr non ero ancora pronto.
Un giorno avremmo avuto bisogno di quella spada, di centinaia<br />
di spade, se l'idea di Caio sul disfacimento dell'Impero si fosse<br />
rivelata giusta. Credeva infatti <strong>che</strong> l'Impero stesse rapidamente<br />
morendo. Era convinto <strong>che</strong> in poco tempo - in un prevedibile futuro<br />
- le legioni sarebbero state richiamate dalla Britannia per difendere<br />
la madrepatria dalle invasioni. Quando questo fosse successo, noi,<br />
popolo di Britannia, saremmo stati lasciati soli e senza difesa, senza<br />
null'altro su cui contare se non le nostre forze.<br />
Ricordo <strong>che</strong> quando sentii per la prima volta Caio accennare a<br />
quest'idea, mi parve troppo assurda per essere espressa. <strong>La</strong> semplice<br />
verità più grande del mondo era <strong>che</strong> Roma era eterna! Non poteva<br />
cadere. Ma con il passare degli anni tutti i segnali nei confronti dei<br />
quali Caio ci aveva messo in guardia divennero più frequenti e più<br />
numerosi, cosicché alla fine cominciai a credere <strong>che</strong> l'Impero, come<br />
la sostanza di quasi tutte le cose anti<strong>che</strong>, diventasse sempre più<br />
fragile e marcio.<br />
Da quel momento, armato dello zelo dei nuovi convertiti, mi<br />
buttai a capofitto nei piani di Caio per fortificare e difendere le belle<br />
proprietà di campagna, le villae, nelle quali vivevano lui e i suoi<br />
amici. <strong>La</strong>voravo duro come tutti, anzi più duramente degli altri, per<br />
affrettare la costruzione in pietra di un forte sulla sommità della<br />
collina dietro a villa Britannico e per fare armi e armature per i<br />
giovani, le reclute dell'esercito della nostra piccola colonia privata.<br />
Sapevamo fin dall'inizio <strong>che</strong> quello <strong>che</strong> stavamo facendo era<br />
illegale. Costruire una fortezza privata e addestrare un esercito<br />
privato erano considerati tradimento, e se qualcuno l'avesse<br />
scoperto sarebbe stata la morte e la rovina di ognuno di noi, donne e<br />
bambini inclusi. In tutte le faccende militari e in tutti gli aspetti della<br />
vita <strong>che</strong> concernevano l'arruolamento di soldati per proteggere e<br />
servire la legge e l'ordine stabilito, ogni uomo e ogni ragazzo abile<br />
dell'Impero doveva la sua fedeltà soprattutto e solo all'imperatore.<br />
<strong>La</strong> volontà e i diritti dell'imperatore erano sovrani. Nessun privato
poteva sottrarsi al servizio nelle legioni, nessun uomo né gruppo -<br />
non importa di quali mezzi o di quale rango - poteva mantenere una<br />
forza armata privata all'interno dei confini dell'Impero. Noi<br />
sapevamo tutto questo e non ne tenevamo conto, perché sapevamo<br />
an<strong>che</strong> <strong>che</strong> l'Impero stava morendo e sapevamo <strong>che</strong> non c'era un<br />
imperatore solo, ma tre e a volte quattro contemporaneamente. E<br />
soprattutto sapevamo <strong>che</strong> le nostre vite, la nostra stessa<br />
sopravvivenza come popolo dipendevano dai nostri preparativi per<br />
affrontare il caos imminente. Perciò lavoravamo per costruire la<br />
nostra fortezza e addestravamo e armavamo i nostri uomini.<br />
Fu la ricerca di ferro per nuove armi a portarci fuori dalla<br />
colonia allo scontro nel quale rimasi ferito.<br />
Finalmente aprii gli occhi in una casupola piccola e puzzolente e<br />
mi resi conto <strong>che</strong> già da un po' di tempo sentivo il canto di<br />
un'allodola, an<strong>che</strong> se non lo stavo ascoltando. Rimasi a giacere<br />
supino per la durata di qual<strong>che</strong> battito del cuore, con occhi velati e<br />
dolenti; mi doleva tutto il corpo, compresa la faccia. Alzai una mano<br />
a grattarmi il mento e svenni per il dolore.<br />
Rimasi incosciente solo per pochi attimi. L'uccello <strong>canta</strong>va<br />
ancora quando riaprii gli occhi, la stanza non era cambiata. Io ero<br />
ancora dolorante e il mio braccio era in fiamme. Dio, come faceva<br />
male!<br />
Cercai di ricordare cosa era successo in quel tetro giorno<br />
invernale.<br />
Camminavamo sotto la pioggia scrosciante da molto prima<br />
dell'alba. Aveva piovuto per tutta la notte e l'alba aveva impiegato<br />
molto tempo a trapassare il cielo grigio ardesia. Avevamo fatto<br />
colazione con carne secca, grano secco e piselli secchi, marciando,<br />
curvi e miserabili, sotto il diluvio sferzante.<br />
Io montavo il mio stallone grigio, Germanico, così chiamato dal
nome di un cugino di Caio Britannico. Avevo scelto apposta quel<br />
nome, facendo notare a Caio <strong>che</strong> se lui poteva sferzarmi senza pietà<br />
e costringermi a eseguire qualunque suo desiderio, io potevo fare la<br />
stessa cosa a suo cugino. An<strong>che</strong> sei dei miei uomini erano a cavallo;<br />
il loro compito era di condurre in branco i cavalli <strong>che</strong> avevamo<br />
radunato durante il viaggio. Gli altri marciavano, da fanti quali<br />
erano, avanzando a fatica nel fango tra pazienti sospiri e<br />
imprecazioni a mezza voce. Avevamo sei carri a quattro ruote nella<br />
nostra carovana, tre carichi di lingotti di ferro del Weald, due di sale<br />
marino compresso in blocchi e uno di viveri. Eravamo lontani da<br />
casa e viaggiavamo da quattro settimane. Avevamo lasciato la<br />
Colonia, vicino alle colline Mendip, e ci eravamo diretti a est fino a<br />
raggiungere la strada <strong>che</strong> volgeva a nord, verso Aquae Sulis. Da<br />
allora, fino al punto in cui ci trovavamo, avevamo viaggiato sulle<br />
solide strade lastricate costruite dalle legioni di Cesare. A dodici<br />
miglia a sud di Aquae Sulis avevamo voltato nuovamente verso<br />
sud-est ed eravamo passati attraverso Sorviodunum e Venta<br />
Belgarum, fermandoci fuori da entrambe le città, senza entrarvi. Da<br />
Venta avevamo svoltato direttamente a sud verso Noviomagus,<br />
impiegando meno di due giorni per fare l'ultimo tratto del viaggio<br />
di andata.<br />
Il nostro passaggio suscitava molto interesse. Era la prima volta<br />
<strong>che</strong> venivamo in questa zona e la gente per strada ci scambiava per<br />
truppe regolari. Una notte di tempo addietro, a Stonehenge, seduti<br />
intorno al fuoco, Caio Britannico aveva detto <strong>che</strong> avrebbe cambiato<br />
il colore delle nostre uniformi. Lo aveva detto per s<strong>che</strong>rzo, ma i Celti<br />
presenti a quell'incontro non lo sapevano; gli avevano creduto e il<br />
loro re Ullic, in particolare, aveva preso questa affermazione molto<br />
sul serio e ci aveva dato niente meno <strong>che</strong> il suo reale permesso di<br />
usare la tintura rossa riservata dal suo popolo esclusivamente al suo<br />
uso personale. Assecondarlo era diventata una questione di<br />
diplomazia e ora i soldati della nostra colonia portavano vesti di un<br />
colore regale, <strong>che</strong> mi turbava per la somiglianza con la porpora delle
truppe personali dell'imperatore. Pochi, tra le persone <strong>che</strong><br />
incontravamo, sapevano la verità e questo mi preoccupava molto.<br />
Lungo il cammino però non avevamo avuto problemi. Chi mai<br />
avrebbe voluto creare dei problemi a un centinaio di soldati<br />
disciplinati e ben armati?<br />
Ci eravamo accordati di incontrare a Noviomagus un mercante<br />
di nome Stazio. Quell'uomo si era fatto la fama di onorare le proprie<br />
vanterie, secondo le quali era in grado di fornire qualsiasi cosa a<br />
chiunque in ogni momento e in ogni luogo, se il prezzo era giusto.<br />
Lo avevamo contattato tramite il vescovo Alarico e avevamo<br />
accettato di pagare in oro tutti i lingotti di ferro <strong>che</strong> ci avesse<br />
procurato entro la metà di novembre: una moneta d'oro ogni cento<br />
libbre di lingotti di ferro, se ce li avesse consegnati a Noviomagus.<br />
Questo significava oltre venti volte il prezzo corrente. Dal suo punto<br />
di vista era l'affare del secolo. Dal nostro stavamo rubando il suo<br />
ferro. L'oro non serviva a niente alla Colonia e il ferro era sempre<br />
più difficile da trovare da quando gli Iberni, troppo ignoranti per<br />
sapere <strong>che</strong> non c'è oro nelle miniere di ferro, avevano distrutto con<br />
le loro incursioni le miniere della Cambria. Poiché l'oro veniva<br />
estratto dalle miniere cambriane di Dolocauthi, agli scoti Iberni<br />
sembrava logico <strong>che</strong> ogni altro buco <strong>che</strong> si trovava nel suolo della<br />
Cambria contenesse oro.<br />
Rimasi deluso <strong>che</strong> Stazio avesse portato solo cinque carichi di<br />
ferro. Li caricammo su tre dei miei grandi carri. Mentre andavamo<br />
all'appuntamento, sognavo di caricare tutti e cinque i carri e di<br />
comprare dell'altro ferro oltre al suo per completare il carico.<br />
Quando ci incontrammo davanti a un boccale di birra in una taverna<br />
di Noviomagus, Stazio mi disse <strong>che</strong> aveva raschiato perfino il fondo<br />
delle fonderie di tutta la zona orientale della regione per racimolare<br />
le tremila libbre di ferro <strong>che</strong> mi aveva portato. Ma quando vide la<br />
borsa d'oro da cui prendevo i soldi per pagarlo, gli occhi gli caddero<br />
quasi fuori dalle orbite e di colpo si disse convinto di poterne<br />
trovare altrettanto, forse an<strong>che</strong> di più, se avesse avuto più tempo.
«Quanto tempo?» gli chiesi. Fece un rapido calcolo e stabilimmo<br />
di ritrovarci in giugno. Per solleticare la sua avidità gli dissi <strong>che</strong> i<br />
miei carri potevano facilmente trasportare mille libbre ciascuno, e<br />
<strong>che</strong> per ogni cento libbre oltre le cinquemila libbre avrei pagato il<br />
doppio se mi avesse dato in aggiunta i carri e i cavalli. Ci<br />
stringemmo la mano per sigillare l'accordo e quando ci separammo<br />
il giorno successivo Stazio era un mercante felice, convinto di aver<br />
trovato i più grandi stupidi dell'Impero.<br />
Scegliemmo per tornare a casa la strada lungo la costa sud per<br />
evitare le città attraversate all'andata. Raddoppiavamo quasi il<br />
tragitto, ma avevo delle buone ragioni: la principale era <strong>che</strong> non<br />
desideravo attirare l'attenzione sulla ric<strong>che</strong>zza della carovana <strong>che</strong><br />
stavamo scortando. Lungo la strada comprammo due carri di sale, e<br />
passammo per Durnovaria nelle ore buie prima dell'alba, cercando<br />
di non far rumore e di non farci notare.<br />
Proprio oltre quella città la strada corre lungo la costa per<br />
diverse miglia. Non ci sono altre città lungo quella strada, tranne<br />
Isca, nell'estremo occidente, e la strada già allora era poco trafficata,<br />
come dimostrava la quantità di erbacce <strong>che</strong> cresceva tra le pietre.<br />
Viaggiavamo adagio: i carri erano a pieno carico ed eravamo<br />
riusciti a procurarci una discreta mandria di cavalli di ogni razza. <strong>La</strong><br />
maggior parte era stata acquistata lungo la strada: l'oro è un buon<br />
persuasore. Altri li avevamo trovati e molti erano selvaggi.<br />
A un certo punto, dove la strada passa molto vicina al mare, i<br />
cavalli decisero di fermarsi a pascolare. Per cercare di farli muovere<br />
uno dei miei uomini li spaventò, disperdendoli. Con difficoltà li<br />
radunammo di nuovo, ma un grande castrato morello, il cavallo più<br />
bello del gruppo, decise di mostrarci le sue capacità e si diresse al<br />
galoppo sfrenato verso ovest. Tre di noi si misero a inseguirlo,<br />
un'impresa pericolosa a causa dell'erba bagnata, ed eravamo molto<br />
lontani dalla strada, <strong>che</strong> aveva svoltato verso nord, quando<br />
finalmente lo catturammo.
Gli legai una cavezza intorno al collo e tesi la corda a Basso, il<br />
giovane soldato <strong>che</strong> aveva concluso l'inseguimento con me. Stavamo<br />
tornando alla strada quando sentii un urlo <strong>che</strong> sembrò interrompersi<br />
all'improvviso. Restammo immobili, in ascolto. Ma c'era solo<br />
silenzio, rotto dal suono delle onde sulla riva sassosa cento passi più<br />
in là e dal picchiettare della pioggia, diminuita di intensità, sulle<br />
foglie vicino a noi. Eravamo in una conca erbosa, circondata da<br />
cespugli di biancospino. Mi girai per guardare il giovane Basso. «Da<br />
<strong>che</strong> parte veniva?»<br />
Scosse la testa, incerto. «Sembrava <strong>che</strong> venisse di là.» Indicò la<br />
spiaggia.<br />
«Dov’è il giovane <strong>che</strong> era venuto con noi?» Mi accorsi solo in<br />
quel momento <strong>che</strong> non c'era. «Come si chiama? Anicio. Che cosa gli<br />
è successo?»<br />
Basso scrollò le spalle. «L'ultima volta <strong>che</strong> l'ho visto era dietro di<br />
me, alla mia sinistra.»<br />
Cercai di convincermi <strong>che</strong> era solamente caduto da cavallo, ma<br />
sembrava una bugia alle mie stesse orecchie. «Lega i cavalli e<br />
seguimi» sussurrai, improvvisamente consapevole della necessità di<br />
rimanere in silenzio. «E non fare rumore.»<br />
Strisciai fuori dalla conca e cominciai a dirigermi con cautela<br />
verso la spiaggia. Il terreno era ruvido e pietroso sotto la torba e io<br />
maledissi la gamba zoppa <strong>che</strong> mi costringeva a muovermi più<br />
lentamente e più goffamente di quanto avrei voluto. Mi sudava il<br />
palmo delle mani; così la mia mente mi fa sapere <strong>che</strong> c'è qualcosa<br />
<strong>che</strong> non va. Guardai indietro e vidi <strong>che</strong> il giovane Basso mi seguiva,<br />
camminando in fretta. Gli feci segno di rallentare.<br />
Alla mia destra scorsi una fugace chiazza marrone. Era il cavallo<br />
di Anicio. Si era messo a pascolare. Mi diressi verso di lui,<br />
muovendomi molto lentamente adesso, e poi sentii dei rumori alla<br />
mia sinistra: un brontolio e un tintinnio metallico.
Si trovavano in un avvallamento simile a quello dal quale<br />
avevamo sentito l'urlo. Il corpo di Anicio giaceva scomposto<br />
nell'erba; la sua testa, ancora nell'elmo, era a cinque passi di<br />
distanza; stampata sul viso aveva un'espressione di stupore. Il figlio<br />
di puttana accovacciato sopra di lui lavorava in fretta, depredando il<br />
cadavere. Tutta l'erba, tra la testa e il corpo del ragazzo, era piena di<br />
sangue rosso vivo.<br />
Misi mano alla cintura per estrarre il pugnale di pietra del cielo,<br />
pensando di lanciarlo nella schiena dell'assassino, ma sentii vicino<br />
all'orecchio un suono sibilante e poi l'inconfondibile rumore sordo<br />
di una freccia <strong>che</strong> colpisce un torso umano. Penne color giallo<br />
lucente baluginarono tra le spalle dell'uomo, <strong>che</strong> inarcò la schiena,<br />
annaspando all'indietro con le mani e riuscendo quasi ad afferrare la<br />
freccia prima di ricadere a faccia in giù sul corpo del giovane Anicio,<br />
emettendo un rantolo di agonia.<br />
«Ben fatto, ragazzo,» dissi, e scesi con circospezione verso il<br />
punto dove si trovavano i due corpi, scivolando sull'erba bagnata.<br />
Quando alla fine li raggiunsi, sentii dietro di me Basso <strong>che</strong> vomitava.<br />
Era probabilmente la prima volta <strong>che</strong> uccideva qualcuno, pensai, e la<br />
prima volta <strong>che</strong> vedeva dei morti di morte violenta. Sapevo cosa<br />
provava.<br />
Mi chinai e spinsi il corpo dell'assassino giù da Anicio,<br />
rigirandolo nel farlo. Era grande e grosso. A poca distanza c'erano<br />
uno scudo rotondo e un'ascia insanguinata. Lo scudo era coperto di<br />
intrecci geometrici. Celtici, ma non britannici. Almeno non di quella<br />
parte della Britannia, perché conoscevo i disegni celtici della zona.<br />
Lo presi con entrambe le mani. Basso mi raggiunse.<br />
«Chi è, comandante Varro?»<br />
«Non so, ma puoi scommettere <strong>che</strong> non è solo. Non è di queste<br />
parti, a giudicare dai vestiti e dallo scudo. Penso <strong>che</strong> sia uno Scoto.»<br />
«Dell'Ibernia? E come è riuscito ad arrivare fin quaggiù?»
«Allo stesso modo in cui arrivano ovunque, figliolo. Con<br />
un'imbarcazione.»<br />
«Una galera?» Basso si guardò intorno come se si aspettasse di<br />
vedere l'imbarcazione legata a un cespuglio.<br />
«Sì, e se ho ragione, non è lontana da qui. Diamo un'occhiata.<br />
Ma stai attento, con gente come questa non ci si può permettere di<br />
sbagliare.» Mi guardai intorno e indicai alla mia destra. «Tu vai da<br />
quella parte, a ovest di quel promontorio. Io vado a sinistra. E stai<br />
attento!»<br />
Poco tempo dopo - avevo perso la nozione del tempo - una<br />
freccia con le penne gialle si piantò nel terreno davanti a me e mi<br />
spaventò a morte. Basso era a circa sessanta passi da me e faceva<br />
segno eccitato di raggiungerlo. Raccolsi la sua freccia e andai da lui.<br />
«È tirata in secco sotto al promontorio, comandante! Ho visto tre<br />
uomini. Uno di loro per poco non mi ha scorto.»<br />
«Sei sicuro <strong>che</strong> non ti abbia visto?» Gli porsi la freccia.<br />
«No.» Scosse rapidamente la testi e prese la freccia. «Grazie,<br />
comandante. Non volevo gridare.»<br />
«Giusto. Andiamo a dare un'occhiata, allora.»<br />
Avevano tirato in secco la galera sulla spiaggia sotto al<br />
promontorio, al riparo della scogliera, dove sarebbe stata al sicuro<br />
da osservatori indiscreti e da'le maree. Alla prima occhiata contai tre<br />
uomini di guardia, e ritirai la testa in fretta dopo averli visti un<br />
secondo e averli fissati nella mia mente. L'occhiata successiva fu più<br />
ardita, e strisciai sul ventre fino ad arrivare il più vicino possibile al<br />
bordo della scogliera, congelato fino all'osso per via dell'erba<br />
bagnata. Questa volta ne vidi sei: tre erano rimasti fuori dalla mia<br />
visuale. Sei uomini sembravano un numero ragionevole per fare la<br />
guardia a un'imbarcazione <strong>che</strong>, al completo, era in grado di ospitare<br />
circa trenta uomini. Quanti altri ce n'erano? Non ci sarebbe voluto<br />
molto tempo, pensai, prima <strong>che</strong> si accorgessero <strong>che</strong> uno mancava.
Tornai indietro strisciando e feci segno con la testa in direzione<br />
dei nostri cavalli.<br />
«Andiamo, ma tieni gli occhi aperti. In quell'imbarcazione c'è<br />
posto per altre due dozzine di uomini. Dio solo sa quanti sono e<br />
potremmo incontrarli in qualunque momento.»<br />
<strong>La</strong> testa mi ronzava mentre tornavamo verso i cavalli, ancora<br />
legati al cespuglio dove Basso li aveva lasciati. Quanti altri uomini<br />
c'erano giù alla spiaggia? Dove erano gli altri? Di quanti uomini<br />
avrei avuto bisogno per essere sicuro di avere la meglio senza<br />
rischiare gravi perdite? Maledizione! <strong>La</strong> perdita di un uomo era già<br />
troppo grave! Saltammo a cavallo e ce ne andammo al galoppo, di<br />
nuovo sulla strada, portando con noi il cavallo di Anicio e il castrato<br />
morello.<br />
<strong>La</strong> carovana si era fermata ad aspettarci dove la strada svoltava<br />
a nord. Severo, il mio luogotenente, aveva evidentemente deciso di<br />
concedere agli uomini una pausa; infatti si erano raccolti in piccoli<br />
gruppi e alcuni di loro si erano accovacciati contro i fianchi dei carri<br />
per trovare un riparo dal vento e dalla pioggia.<br />
Non ci misero molto, comunque, a capire <strong>che</strong> qualcosa era<br />
andato storto; infatti cominciarono a muoversi mentre eravamo<br />
ancora almeno a cento passi di distanza, e quando li raggiungemmo<br />
stavano già rientrando nei ranghi, in silenzio e sulla difensiva.<br />
Cominciai a dare ordini prima ancora <strong>che</strong> il mio cavallo si fermasse.<br />
<strong>La</strong>sciai di guardia ai carri Severo e cinquanta uomini, ora avvertiti<br />
del pericolo improvvisamente scoperto, e tornai a marcia forzata alla<br />
spiaggia, portando con me l'altra metà del distaccamento. Basso<br />
rimase indietro con i carri e i cavalli.<br />
Disposi una dozzina di arcieri lungo la cima della scogliera<br />
sovrastante l'imbarcazione e mandai ventiquattro uomini giù alla<br />
spiaggia a ovest del promontorio, ammonendoli di non far rumore,<br />
di non farsi vedere dagli uomini di guardia e di rimanere nascosti<br />
fino al mio segnale. Poi mandai i rimanenti quattordici sul lato
coperto del promontorio per bloccare ogni via di fuga da quella<br />
parte. Infine, quando ritenni <strong>che</strong> fosse il momento giusto, soffiai una<br />
volta nel mio corno.<br />
<strong>La</strong> sorpresa fu completa. Tre Scoti, i tre sotto la scogliera, corsero<br />
lungo la base della scogliera stessa verso la punta del promontorio.<br />
Una freccia ne colpì uno prima <strong>che</strong> facesse cinque passi, ma gli altri<br />
due riuscirono ad arrivare fino alla punta, dove furono uccisi dagli<br />
uomini <strong>che</strong> avevo mandato là per tagliare loro la strada. I tre<br />
sull'imbarcazione videro <strong>che</strong> la situazione era disperata, ci presero<br />
per Romani e buttarono le armi. Tutto finì molto in fretta.<br />
Nel tempo <strong>che</strong> mi fu necessario per arrivare fino alla spiaggia,<br />
un'avanzata lenta e scivolosa a causa della mia gamba storpia e del<br />
terreno sdrucciolevole, i miei uomini avevano radunato i tre<br />
prigionieri sulla spiaggia e li avevano legati insieme. Li ignorai, mi<br />
diressi direttamente alla loro imbarcazione, e salii la rozza scala <strong>che</strong><br />
uno dei miei uomini aveva appoggiato alla fiancata.<br />
L'imbarcazione era forte e robusta, asciutta all'interno, tranne<br />
<strong>che</strong> per l'umidità dovuta alla pioggia, ma non era una galera<br />
romana. Il bottino <strong>che</strong> la ciurma aveva raccolto giaceva in un<br />
mucchio al centro, intorno all'unico albero. Nel mucchio c'erano<br />
quattro botti e io ordinai di aprirne una. Era piena di olio. E così le<br />
altre. Le facemmo a pezzi e demmo fuoco alla nave. Era di legno<br />
stagionato e bruciò come una torcia, ma nuvole oleose di fumo nero<br />
si alzarono alte nell'aria. Guardandole fluttuare mi resi conto troppo<br />
tardi <strong>che</strong> si sarebbero potute vedere da molto lontano. Se il resto<br />
della ciurma fosse stato vicino sarebbe arrivato di corsa.<br />
«Forza, ragazzi!» urlai. «Tornate su! Più in fretta <strong>che</strong> potete.<br />
Tulio, tu e il tuo compagno rimanete qui con me. Gli altri facciano in<br />
fretta! Formate due ranghi e tenete gli occhi aperti. Forse avremo<br />
visite!»<br />
Si avviarono subito, ormai erano già a metà della scogliera.<br />
Erano bene addestrati. Tulio e il suo compagno rimasero ad
attendere gli ordini, fissando i tre prigionieri. Per la prima volta mi<br />
avvicinai ai tre Scoti. Erano un trio dall'aspetto sgradevole e<br />
sapevano <strong>che</strong> la loro vita era nelle mie mani. Mi chiesi se una volta i<br />
comandanti non cristiani avessero problemi di coscienza quando<br />
trattavano con i prigionieri, ma sapevo <strong>che</strong> era una domanda<br />
stupida.<br />
Se avessi lasciato andare quegli uomini, se mai avessi potuto<br />
lasciarli andare, avrebbero continuato a terrorizzare la costa, Dio sa<br />
per quanto tempo ancora. Non potevano fare altro. Avevo bruciato<br />
la loro nave, quindi dovevano rimanere e se fossero rimasti e fossero<br />
sopravvissuti, avrebbero potuto raggiungere i loro compagni.<br />
Dunque dovevo tenerli prigionieri o ucciderli. Non c'era scelta.<br />
Come cristiano ucciderli sarebbe stato un delitto. Ma se li avessi<br />
risparmiati avrei assunto la responsabilità dei loro omicidi, perché<br />
avrebbero certamente ucciso altre persone, sicuro come era sicuro<br />
<strong>che</strong> respiravano. Erano nemici, invasori, pirati. Guardai la sommità<br />
della scogliera e vidi il decurione a capo degli arcieri <strong>che</strong> mi<br />
guardava diritto negli occhi.<br />
Mi girai verso Tulio e il suo amico.<br />
«Ho cambiato idea. Raggiungete gli altri.»<br />
«Ma...»<br />
«Mi avete sentito?»<br />
Si allontanarono guardando, al di sopra delle spalle, i tre Iberni.<br />
Li vidi raggiungere il sentiero sul lato della scogliera e iniziare ad<br />
arrampicarsi. Mi girai di nuovo verso i prigionieri, guardandoli a<br />
uno a uno negli occhi. Lessero nel mio sguardo le intenzioni <strong>che</strong><br />
avevo e tutti insieme, pur legati com'erano, cercarono di scappare<br />
lungo la spiaggia. Il sibilo delle frecce <strong>che</strong> si infilavano nella carne fu<br />
molto forte. Nessuno di loro emise un suono. Morirono in silenzio.<br />
Due scalciavano ancora quando tagliai loro la gola.<br />
Mentre risalivo la scogliera pensavo a come risolvere il
problema degli altri. Dovevano esserci almeno ventiquattro uomini<br />
da qual<strong>che</strong> parte nelle vicinanze. Se avessero visto il fumo salire<br />
dalla loro imbarcazione in fiamme e fossero arrivati correndo, il<br />
problema si sarebbe risolto da solo. Se avessero visto la carovana<br />
sulla strada, invece, si sarebbero nascosti fino a <strong>che</strong> fossimo andati<br />
via, e poi solo Dio avrebbe potuto aiutare quei poveretti <strong>che</strong><br />
vivevano a pochi giorni di marcia da lì. Cercai di dire a me stesso<br />
<strong>che</strong> non erano fatti miei, ma lo erano. Li avevo fatti diventare tali<br />
bruciando la loro dannatissima imbarcazione. Ormai erano<br />
intrappolati lì. Non potevano più salpare verso la loro patria.<br />
Maledissi la collera <strong>che</strong> mi aveva fatto bruciare quell'imbarcazione<br />
senza pensare. Quando avevo visto l'olio spillare dalla botte rotta,<br />
l'unico mio pensiero era stato di impedire a quegli animali di partire<br />
per andare ad ammazzare un altro ragazzo come Anicio per i suoi<br />
vestiti.<br />
Quando arrivai in cima alla scogliera ansimavo. Il decurione al<br />
comando degli arcieri mi aspettava e mi porse il braccio per gli<br />
ultimi passi. Gliene fui grato.<br />
«Bene, ragazzo,» dissi dopo aver mormorato un grazie,<br />
«abbiamo un problema <strong>che</strong> non si risolverà da solo.»<br />
«Quale, comandante Varro?»<br />
«Gli altri, ragazzo, gli altri.»<br />
«Intendi i nostri uomini sulla strada?»<br />
Lo guardai, stupito <strong>che</strong> non avesse capito. «No, ragazzo. Non i<br />
nostri uomini, gli altri predoni. Non possono essere lontani.»<br />
«No, comandante. Certamente no.»<br />
Andava già meglio, ma lo sguardo stupito lo tradì. Scossi la<br />
testa.<br />
«Non parlare solo per compiacermi, ragazzo. Io lo so, perché ho<br />
visto, e tu non lo sai, perché non puoi saperlo. Il fuoco delle sentinelle<br />
sulla spiaggia non bruciava da molto. Non c'era quasi cenere.
Significa <strong>che</strong> sono sbarcati presto stamattina. Hanno lasciato sette<br />
uomini di guardia all'imbarcazione e sono andati nell'entroterra.<br />
Adesso non è ancora mezzogiorno. Almeno credo. Quindi non<br />
hanno avuto tempo di andare molto lontano. Mi segui? Ti pare<br />
logico?»<br />
«Sì, comandante, capisco.» Capiva davvero, i suoi occhi avevano<br />
perso quello sguardo smarrito.<br />
«Bene. Cammina con me fino al mio cavallo e aiutami. <strong>La</strong> mia<br />
gamba è in fiamme.»<br />
Mentre andavamo verso il cavallo continuavo a pensare. Non<br />
riuscivo a ricordare il suo nome e mi scervellavo per ricordarlo. Non<br />
sapere il nome dei propri uomini è una colpa imperdonabile per un<br />
comandante. Grazie a Dio potevo chiamarlo "ragazzo"!<br />
«Non gli ho lasciato scelta, come vedi,» continuai, «e adesso ho<br />
poca scelta su quello <strong>che</strong> mi resta da fare: anzi, non ne ho. Non<br />
possono andarsene via mare. Quindi dobbiamo trovarli e occuparci<br />
di loro, altrimenti terrorizzeranno tutta questa dannata regione. A<br />
proposito, come facevi a sapere <strong>che</strong> avrei dovuto uccidere quegli<br />
uomini sulla spiaggia?» Lo guardai diritto negli occhi mentre glielo<br />
chiedevo.<br />
Non ebbe esitazioni. «Come hai detto tu, comandante: scelte. Sei<br />
stato obbligato a farlo non appena hai mandato indietro Tulio e suo<br />
fratello. Eri solo. Non potevi liberarli e neppure tentare di portarli<br />
con te. Dovevi ucciderli tu, oppure lasciarli lì vivi o chiamare i miei<br />
uomini. In ogni caso avevi bisogno della nostra copertura e noi te<br />
l'abbiamo data.»<br />
Lo guardai con nuovo rispetto. «Semplice, vero?»<br />
«Sì, comandante.» Mi guardò sorpreso.<br />
Grugnii. Non volevo <strong>che</strong> capisse <strong>che</strong> non mi ero reso conto del<br />
pericolo <strong>che</strong> avevo corso mandando via Tulio e il suo compagno, <strong>che</strong><br />
poi era suo fratello. Mi presi mentalmente a calci per non avere
notato nessuna somiglianza.<br />
«Il fratello di Tulio, quanti anni ha?»<br />
«Ha la stessa età di Tulio, comandante. Sono fratellastri.»<br />
Grugnii di nuovo e poi il nome del decurione si affacciò di colpo<br />
alla mia mente.<br />
«Tuo padre, an<strong>che</strong> lui si è risposato, vero?»<br />
Mi guardò stupito. «Sì, comandante. L'anno scorso.»<br />
«Già. È un brav'uomo e un buon soldato. Sapevi <strong>che</strong> è stato il<br />
mio primo centurione, quando sono entrato nelle legioni?»<br />
«Lo so, comandante. Me lo ha raccontato.» Nella sua voce si<br />
sentiva l'orgoglio.<br />
Avevamo raggiunto il mio cavallo e mi aiutò a salire in groppa.<br />
«Grazie, ragazzo!» Mi accomodai sul cavallo, cercando di<br />
mettere ordine nei miei pensieri. «Dunque, per prima cosa,» dissi<br />
rivolto ai fanti schierati, «ho bisogno di quattro di voi per fare una<br />
barella per il corpo del giovane Anicio. Una delle vostre tende tesa<br />
tra due lance e un uomo all'estremità di ogni lancia. Sapete come si<br />
fa.» Mi voltai verso il giovane decurione a capo degli arcieri. «Ho<br />
bisogno <strong>che</strong> i tuoi uomini rimangano con loro, per scortarli e<br />
assicurarsi <strong>che</strong> tornino indietro salvi. Non perdete tempo, perché i<br />
nemici potrebbero essere ovunque e non sarete al sicuro fino a <strong>che</strong><br />
non sarete di nuovo con la carovana. Voglio gli altri uomini in strada<br />
il più in fretta possibile.»<br />
Mi fece il saluto militare e corse via con i suoi arcieri. Io girai il<br />
cavallo e feci segno al resto dei fanti di marciare a passo veloce, per<br />
tornare sulla strada. <strong>La</strong> pioggia, <strong>che</strong> era quasi cessata, ricominciò a<br />
cadere a scrosci, come una cappa gelata.<br />
Spronai Germanico e guardai i miei uomini avanzare<br />
lentamente a fatica tra i cespugli e l'erba alta. Dio! Stavo diventando<br />
vecchio e disattento. Ero lì con una preziosa carovana di carri e
cavalli, a meno di quattro giorni da casa, dopo essere stato via<br />
quattro settimane, e invece di lasciar perdere avevo agito come uno<br />
stupido irresponsabile, bruciando un'imbarcazione <strong>che</strong> non avevo<br />
bisogno di bruciare e imponendo a me e ai miei uomini, alcuni dei<br />
quali sarebbero certamente morti, il compito di trovare e uccidere<br />
una banda di pazzi scoti Iberni.<br />
Riconoscendo l'inutilità di rammaricarmi a cose fatte, mi chiesi<br />
invece come si sarebbe comportato Caio Britannico nelle stesse<br />
circostanze. Avrebbe potuto agire diversamente, risolvendo il<br />
problema in modo più razionale e ugualmente efficace, senza<br />
mettere in pericolo i suoi uomini? <strong>La</strong> risposta, lo sapevo, era <strong>che</strong><br />
Caio avrebbe fatto proprio come me, ma essendo Caio Cornelio<br />
Britannico avrebbe pensato a ogni dettaglio dell'azione, comprese le<br />
implicazioni del suo gesto, prima di mettere a rischio se stesso e i<br />
suoi uomini. Quella premeditazione, quel suo anticipare lo<br />
svolgimento, in contrasto con le mie riflessioni postume, avrebbero<br />
costituito l'unica differenza tra il mio e il suo comportamento, e<br />
accettai questa verità come un fatto normale.<br />
Gli uomini della famiglia Cornelia, una delle famiglie fondatrici<br />
di Roma, erano stati abituati ad accettare le loro responsabilità<br />
aristocrati<strong>che</strong>, con tutte le implicazioni, da oltre un millennio, e Caio<br />
era stato educato dalla fanciullezza ad apprezzare ed esercitare<br />
responsabilità di comando.<br />
Quell'addestramento prevedeva <strong>che</strong> rivolgesse uno sguardo<br />
analitico a ogni cosa <strong>che</strong> faceva, soppesando con cura ogni decisione<br />
prima di agire di conseguenza.<br />
Sapevo <strong>che</strong> Britannico, legato e generale, stratega e tattico, in<br />
quella situazione avrebbe percepito tutto quello <strong>che</strong> avevo percepito<br />
io attraverso occhi diversi, distaccato in virtù del suo rango dalle<br />
sofferenze personali e individuali del soldato di fanteria. Avrebbe<br />
preso in considerazione il benessere generale del suo comando<br />
prima della necessità di vendicare un ragazzo.
Una volta espletato il suo dovere, però, e considerate e<br />
riconosciute le sue responsabilità, il Britannico uomo, il soldato,<br />
l'amico e compagno d'armi, avrebbe agito come me, riconoscendo il<br />
bisogno di misure draconiane, e prendendo poi le sue decisioni<br />
rapidamente e con la totale accettazione delle conseguenze. Il<br />
conforto di tale constatazione mi riportò in me e alla situazione<br />
presente.<br />
Germanico andava al passo e mi accorsi di essere rimasto<br />
indietro rispetto alla colonna <strong>che</strong> marciava a passo di corsa. Spronai<br />
il cavallo al piccolo galoppo e raggiunsi la testa della colonna<br />
proprio quando arrivammo alla strada, dove Severo e il suo<br />
contingente erano di guardia ai carri e ai cavalli.<br />
«Disponetevi su quattro file!» Quando furono sull'attenti diedi<br />
loro l'ordine di riposo e parlai.<br />
«C'è tra voi qualcuno <strong>che</strong> conosca queste zone?»<br />
«Sì, comandante.» Uno dei soldati più giovani aveva alzato il<br />
pugno chiuso.<br />
«Le conosci bene, ragazzo?»<br />
«Sono nato qui vicino, comandante.»<br />
«Dove, esattamente?» Avrei voluto <strong>che</strong> quella maledetta pioggia<br />
cessasse.<br />
«A circa sei miglia da qui. Mio padre lavorava in una villa sulle<br />
colline, laggiù.» Il giovane, per l'esattezza ancora un ragazzo,<br />
indicò le basse colline ondulate alle mie spalle.<br />
«C'è una cittadina da quelle parti?»<br />
«No, comandante. Solo un villaggio.»<br />
«A <strong>che</strong> distanza?»<br />
Il ragazzo aggrottò la fronte e si strinse nelle spalle sotto il<br />
mantello inzuppato. «Sei miglia, forse sette, comandante.»<br />
«Quante persone?»
Si strinse nuovamente nelle spalle, palesemente incerto.<br />
«Coraggio, ragazzo. Quante possono essere? Fai una stima.<br />
Venti? Trenta? Di più?»<br />
«Non lo so, comandante. Non ci vengo da anni. Forse trenta o<br />
quaranta.»<br />
«Tutti contadini?» Annuì. «Bene» dissi. «Grazie. Ci puoi<br />
guidare?»<br />
«Sì, comandante.» I suoi occhi spalancati esprimevano stupore.<br />
Guardai gli altri. «Bene, ascoltate attentamente, voi tutti.»<br />
Indicai la spiaggia alle nostre spalle. «Abbiamo appena bruciato<br />
un'imbarcazione sulla spiaggia, laggiù. Di guardia c'erano sette<br />
uomini. Uno di loro ha ucciso Anicio, <strong>che</strong> era con noi. Non poteva<br />
sapere <strong>che</strong> eravamo in tre. Il giovane Basso ha ucciso lui e poi<br />
abbiamo trovato la nave alla spiaggia, l'abbiamo bruciata e abbiamo<br />
ucciso le altre sei guardie.» Feci una pausa perché digerissero meglio<br />
il significato delle mie parole, poi ripresi. «Su quell'imbarcazione<br />
c'era posto per trenta uomini, più o meno. Sette di loro sono già<br />
morti. Quindi restano tra venti e venticinque scoti Iberni ostili, <strong>che</strong> si<br />
aggirano qui intorno. Sono arrivati solo stamattina. Non c'era<br />
abbastanza cenere nel fuoco perché siano qui già da ieri.» Feci<br />
un'altra pausa perché riflettessero su questo punto, poi aggiunsi:<br />
«Non sono individui pacifici. Se sono penetrati nell'entroterra ci<br />
sono molte probabilità <strong>che</strong> trovino il villaggio, an<strong>che</strong> se non ci sono<br />
andati direttamente. Visto il tempo è possibile <strong>che</strong> restino lì al<br />
riparo. Capite cosa voglio dire?»<br />
Fecero segno di sì e così continuai.<br />
«Quando troveranno le ceneri della loro imbarcazione saranno<br />
furibondi. E solo Cristo potrà salvare chi incontreranno poi. An<strong>che</strong><br />
se volessero tornare a casa non potrebbero. Rimarranno qui e<br />
bruceranno, violenteranno, uccideranno e quando saranno stanchi si<br />
riposeranno per un po' e poi proseguiranno e ricominceranno.
Devono farlo, non hanno scelta.»<br />
Gli uomini apparivano tutti molto controllati, adesso, e lo<br />
sconforto della pioggia scrosciante era ormai dimenticato. Andai<br />
avanti.<br />
«Se riusciamo a prenderli in questo villaggio potremo spazzarli<br />
via prima <strong>che</strong> capiscano chi li sta attaccando. Non si aspettano di<br />
incontrare dei soldati. Questa gente vive sulle donne, sui bambini,<br />
sui vecchi e di tanto in tanto su un contadino. Sono animali feroci e<br />
hanno abbastanza coraggio, ma non sono abituati a un'opposizione<br />
organizzata e non hanno disciplina. Se li prendiamo di sorpresa<br />
possiamo raccoglierli come un mucchio di foglie sec<strong>che</strong> e seppellirli<br />
o bruciarli.» Feci un'altra pausa prima di continuare. «Ovviamente<br />
c'è an<strong>che</strong> la possibilità <strong>che</strong> non abbiano trovato il villaggio. Oppure<br />
potrebbero essere qui da più tempo di quanto io pensi e gli uomini<br />
sulla spiaggia potrebbero non aver acceso il fuoco. Potrebbero an<strong>che</strong><br />
essere un osso più duro di quello <strong>che</strong> credo. In qualunque caso non<br />
posso rischiare <strong>che</strong> tornino mentre noi siamo in cammino verso il<br />
villaggio, quindi lasceremo qui metà delle nostre forze a guardia dei<br />
nostri averi. Voglio cinquanta volontari <strong>che</strong> vengano con me al<br />
villaggio.»<br />
Cento uomini fecero un passo avanti. Sorrisi.<br />
«Pensavo <strong>che</strong> avrebbe potuto succedere. Bene! Prima e terza fila,<br />
quelli a sinistra non si muovano. Partendo da sinistra un uomo sì e<br />
uno no viene con me. File due e quattro, alternatevi rispetto agli<br />
uomini sulla sinistra. Aspettate.» Si bloccarono e rimasero nei<br />
ranghi, mentre io continuavo. «Severo, resta qui e assumi il<br />
comando della difesa. Abbiamo davanti a noi tre ore di marcia.<br />
Quando arriveremo a destinazione sarà buio. Torneremo alle prime<br />
luci. Seppellite il nostro giovane amico Anicio e preparate un<br />
accampamento con un fossato e un bastione. Scegliete il posto con<br />
cura.»<br />
Un grugnito si levò dagli uomini <strong>che</strong> sarebbero stati lasciati
indietro. Risposi loro con un sorriso.<br />
«Basta! L'esercizio vi distrarrà le menti dal brutto tempo e dal<br />
divertimento <strong>che</strong> ci aspetta dovendo arrancare per la campagna in<br />
mezzo a quest'erba alta e fradicia.» Li guardai un'ultima volta.<br />
«Ogni uomo della forza d'attacco prenda dal carro delle provviste<br />
razioni per due giorni. Partiamo tra mezz'ora. Rompete le righe!»<br />
Arrivammo in vista del gruppo di capanne, perché di questo si<br />
trattava, nel pomeriggio avanzato.<br />
Era ovvio, an<strong>che</strong> a distanza, <strong>che</strong> avevo indovinato. Alcune<br />
costruzioni bruciavano lugubremente sotto la fìtta pioggia e da dove<br />
eravamo, in un bos<strong>che</strong>tto a mezzo miglio di distanza, potevamo<br />
vedere gli uomini muoversi tra le case. I predoni erano ancora lì <strong>che</strong><br />
si riparavano dal maltempo.<br />
Pianificai le nostre mosse con cura e agimmo al calare della<br />
notte.<br />
E così ero sdraiato su un lettino dalla struttura in legno, chissà<br />
da quanto tempo. Se non altro la pioggia era cessata.<br />
Aprii la bocca per gridare, ma ne uscì solo un rauco gracchiare e<br />
improvvisamente mi accorsi <strong>che</strong> la sete mi consumava, mi sentivo<br />
come una foglia secca. Pensai di provare ad alzarmi. Decisi <strong>che</strong> avrei<br />
contato fino a dieci e <strong>che</strong> poi avrei cercato di rotolare sul fianco<br />
sinistro, irrigidendo il braccio, nella speranza di riuscire a mettere i<br />
piedi per terra e a sedermi.<br />
Al dieci scopersi <strong>che</strong> ero legato e <strong>che</strong> non potevo muovermi in<br />
nessuna direzione.<br />
Un'ombra oscurò di colpo la luce del sole <strong>che</strong> entrava dalla<br />
porta, e Severo rimase lì in piedi a guardarmi.<br />
«Comandante, sei sveglio! Come ti senti?»<br />
«Tremendamente. Mi prude dappertutto. Cosa stai facendo qui?
Ti avevo lasciato con i carri.»<br />
Mi rispose con un sorriso. «Bene. Se non altro il tuo cervello<br />
funziona ancora, comandante. I carri sono in salvo. Li ho portati con<br />
me quando sono venuto qui.»<br />
«Li hai portati con te? Quando sei venuto? Capisco. Bene, allora<br />
da quanto tempo siamo qui?»<br />
«Da nove giorni, comandante.»<br />
«Nove giorni?! Mio Dio, ma perché?»<br />
«Avevamo paura di muoverti, comandante.»<br />
«Allora potevate lasciarmi qui con una dozzina di uomini di<br />
scorta e far ritornare gli altri alla Colonia! Non hai proprio<br />
iniziativa?»<br />
«Sì, comandante. Qual<strong>che</strong> volta.»<br />
«Bene, allora cosa, in nome di Dio... bah!» Avevo realizzato<br />
l'inutilità di quello <strong>che</strong> volevo dirgli e cambiai argomento.<br />
«Quanti uomini abbiamo perso?»<br />
«Tre morti e cinque feriti. Un ferito è morto, tre sono di nuovo al<br />
loro posto e tu sei il quinto.»<br />
«Quanti Scoti?»<br />
«Tutti. Ventitré. Abbiamo preso la maggior parte nelle capanne,<br />
al primo rastrellamento. Ma ce n'erano nove insieme nel fienile<br />
grande. Sono loro <strong>che</strong> sono usciti in strada per cercare di radunare<br />
gli altri. Ma era troppo tardi. Gli altri erano già morti.»<br />
«Quindi nessun prigioniero?»<br />
«Nessuno, comandante.»<br />
«Quanti abitanti del villaggio sono sopravvissuti?»<br />
«<strong>La</strong> maggior parte delle donne. Alcuni uomini. Circa ventotto,<br />
nell'insieme, contando le donne e i bambini. Sei uomini erano<br />
lontani da casa e sono tornati in seguito.»
«Come stanno a provviste?»<br />
«Ce la faranno, comandante. Siamo arrivati prima <strong>che</strong> i nemici<br />
avessero il tempo di fare altro <strong>che</strong> maltrattare le donne.»<br />
«E quanti uomini abbiamo qui adesso?»<br />
«Dieci, comandante. Contando an<strong>che</strong> te.»<br />
«Dieci?» Sentii <strong>che</strong> la mia espressione tradiva il grande stupore.<br />
«Ma avevi detto... Dove sono gli altri?»<br />
«Li ho rimandati alla Colonia, comandante. Non volevo<br />
rischiare di muoverti, come ho detto, quindi ho tenuto qui pochi<br />
uomini capaci per assisterti, fino a quando sarai in grado di<br />
muoverti.»<br />
Non disse altro e io sentii un'ondata di rossore affluirmi al collo<br />
e alle guance. Mi schiarii la voce e gli feci le mie scuse.<br />
«Sono uno sciocco, Severo, e presto sarò un vecchio sciocco.<br />
Avrei dovuto sapere <strong>che</strong> avresti fatto la cosa giusta. Perché mi prude<br />
così tanto?»<br />
Sorrideva. «Perché sei sporco e hai bisogno di raderti.»<br />
«Mio Dio, sì! E an<strong>che</strong> di un bagno di vapore e di oli profumati.»<br />
Cercai di nuovo di muovermi. Avevo le braccia strettamente legate<br />
al busto. «Perché ho le braccia legate?»<br />
«Per impedirti di agitarti. Ti faccio slegare.»<br />
«Sì, per favore. E mettimi su un carro e portami alla Colonia, ma<br />
per prima cosa portami dell'acqua. Dell'acqua fredda da bere e<br />
dell'acqua calda per lavarmi!»<br />
Due giorni dopo eravamo a casa. Qualunque cosa mi avesse<br />
indebolito, l'aveva fatto nel modo più totale. Ero senza forze, così<br />
debole <strong>che</strong> non riuscivo neppure a stare seduto sul carro. Il rollio del<br />
suo normale, lento procedere mi metteva la nausea, e i miei muscoli,<br />
<strong>che</strong> sembravano essersi completamente trasformati in gelatina, non<br />
mi permettevano di controllare l'equilibrio; perciò, pur essendo
legato con una corda, oscillavo avanti e indietro come un pesce fuor<br />
d'acqua, completamente alla mercé dei sobbalzi della strada. Ero<br />
consapevole della follia della mia determinazione a stare seduto, ma<br />
rifiutavo di arrendermi e solo controvoglia alla fine accettai di<br />
rimanere supino per tutto il viaggio di ritorno a villa Britannico. In<br />
quella posizione, sdraiato su un mucchio di pelli sistemate sul<br />
pianale del carro, non feci altro per tutto il resto del viaggio <strong>che</strong><br />
guardare le nuvole <strong>che</strong> andavano e venivano nel cielo sopra di me.<br />
Fu una vera benedizione sapere finalmente <strong>che</strong> era questione prima<br />
solo di ore e poi di attimi per arrivare alla villa.<br />
Non incrociammo Britannico e i suoi dottori <strong>che</strong> erano usciti per<br />
venirci incontro. Arrivarono il giorno dopo e mi trovarono sulla via<br />
del ritorno all'umanità unto e profumato e massaggiato, sfregato e<br />
lucente e rilassato sotto le cure della mia cara moglie, <strong>che</strong> aveva<br />
mostrato solo una temporanea costernazione davanti alle mie<br />
condizioni, prima di mettersi immediatamente a risanarle.<br />
Ancora oggi, mentre scrivo queste pagine dopo trent'anni di<br />
matrimonio con Luceia Britannico, non riesco a non sorprendermi<br />
per la facilità con cui riesce ad abbandonare ogni sembiante della<br />
matrona ben educata, pur essendo naturalmente la più solare e<br />
pacifica delle creature, e a mutarsi nella matriarca minacciosa piena<br />
di implacabile furia. Da soldato e fabbro sono diventato nel corso<br />
degli anni uno scrittore e un pensatore e per tutto quel tempo avrei<br />
detto «Attento alla mia collera!» a chiunque avesse minacciato in<br />
qual<strong>che</strong> modo me o i miei. Oggi, però, mi rendo conto di quanto<br />
fosse assurdo. Le parole più forti e minacciose <strong>che</strong> avrei potuto dire<br />
dovevano essere «Attento a mia moglie!».<br />
In quell'occasione, vedendomi entrare nei terreni della villa<br />
trasportato a pancia all'aria, uscì di casa correndo come il vento di<br />
fine autunno, e con la violenza del suo arrivo tolse le parole di bocca<br />
a chi stava per parlare e lasciò senza fiato chi voleva dire qualcosa,<br />
aggredendoli e distribuendo ceffoni sulle orecchie.
In pochi istanti venni tirato giù dal carro e trasportato dentro<br />
casa, dove era già stato preparato un divano nonostante il trambusto<br />
di persone <strong>che</strong> si agitavano, accendevano grandi fuochi nei bracieri e<br />
disponevano rotoli di stoffa lungo i muri e le porte per bloccare le<br />
correnti d'aria. Invano cercai di protestare, dicendo <strong>che</strong> ero già in via<br />
di guarigione. Mi ignorarono e mi deposero dove voleva mia<br />
moglie, vicino al fuoco. Mi spogliarono dei panni sporchi, versarono<br />
acqua fumante in una vasca di metallo apparsa come per incanto<br />
vicino al divano; mentre mi immergevano nella vasca ero<br />
consapevole dello sguardo di disapprovazione di mia moglie e degli<br />
angoli della sua bella bocca piegati all'ingiù vedendo le mie<br />
condizioni. Ma avendo ormai imparato, già allora, <strong>che</strong> in simili casi<br />
protestare era inutile, rinunciai e mi arresi al piacere voluttuoso<br />
dell'acqua calda, profumata e avvolgente.<br />
Più tardi, quando fui di nuovo nel mio Ietto, caldo, pulito e<br />
piacevolmente conscio del sonno <strong>che</strong> stava per sopraffarmi, le bende<br />
logore e zuppe sostituite da nuove, fres<strong>che</strong>, strette e bian<strong>che</strong><br />
promesse di guarigione, mi scopersi così felice di essere di nuovo al<br />
sicuro a casa <strong>che</strong> non mi offesi quando Luceia, guardandomi con<br />
occhi colmi di rinnovata fiducia e di amore, scosse la testa e<br />
mormorò qualcosa a proposito del fatto <strong>che</strong> ero troppo vecchio per<br />
simili avventure. Era tempo, mi disse, <strong>che</strong> altri uomini più giovani si<br />
assumessero i rischi <strong>che</strong> io avevo sempre corso di essere ferito o<br />
ucciso. D'ora in poi il mio posto era a casa, alla Colonia, dove le mie<br />
capacità e il valore <strong>che</strong> esse avevano per la comunità non sarebbero<br />
state in pericolo. <strong>La</strong> giovinezza e la sua impulsiva tendenza al<br />
rischio e al pericolo erano ora alle mie spalle. Nella mia mente ormai<br />
immersa nel torpore ricordai di essermi detto le stesse cose solo<br />
pochi giorni prima, nell'attesa dello scontro, ma sentii <strong>che</strong> dovevo<br />
reagire, sapevo <strong>che</strong> dovevo, ma non ne avevo la forza e, in quel<br />
momento, non ne avevo neppure voglia. Eravamo soli, finalmente.<br />
Tutti gli altri, i servi, gli amici e i conoscenti, erano andati via. Luceia<br />
si abbassò gentilmente sul mio giaciglio e mi baciò teneramente,
premendomi le labbra sulle guance e il naso, sugli occhi e la fronte,<br />
seguendo con le dita il contorno del mio viso. <strong>La</strong> sua dolcezza mi<br />
trascinò nell'oblio.
II.<br />
Quando mi svegliai il giorno successivo cominciavo già a<br />
sentirmi normalmente. A colazione bevvi del brodo ristretto,<br />
speziato, e a mezzogiorno avevo fame. Ora di sera morivo di fame e<br />
per cena ricevetti una grossa fetta di pane e un pezzetto di carne<br />
insieme al brodo, an<strong>che</strong> se Luceia pensava <strong>che</strong> fosse prematuro<br />
assumere cibo solido dopo aver digiunato tanto a lungo durante la<br />
malattia. Riuscii a tenere giù il cibo, comunque, e da quel momento<br />
in poi il mio recupero fu rapido. <strong>La</strong> polmonite <strong>che</strong> mi aveva colpito<br />
aveva fatto il suo corso, ma sentivo, e lo dissi a mia moglie, <strong>che</strong> era<br />
stata messa in fuga dal piacere di essere di nuovo a casa insieme alle<br />
persone <strong>che</strong> amavo.<br />
Il terzo giorno dal mio ritorno a casa ero di nuovo in piedi, fuori<br />
dal letto, e facevo brevi passeggiate. Avevo perso molto peso,<br />
considerata la breve durata della mia malattia, e soprattutto avevo<br />
perso tono muscolare; mi meravigliai di ritrovarmi debole come un<br />
bambino e mi abbandonai al malumore quando il medico osservò<br />
<strong>che</strong> era evidentemente colpa della mezza età. Luceia si affaccendava<br />
intorno a me come una chioccia, an<strong>che</strong> se non avevo mai visto una<br />
chioccia così bella, e mi controllava, insistendo perché trascorressi la<br />
maggior parte del tempo <strong>che</strong> passavo fuori dal letto in una comoda<br />
seggiola, ben avvolto in panni caldi, vicino a un braciere nel quale si<br />
consumava un fuoco fatto con il mio carbone di legna, <strong>che</strong><br />
diffondeva intorno un confortevole calore.<br />
Alcuni giorni dopo ero seduto di fronte a Caio e stavo leggendo<br />
qualcosa di cui non ho nessun ricordo. So <strong>che</strong> si trattava di un libro,<br />
ma questo è tutto quello <strong>che</strong> so, perché non credo di aver più letto<br />
una parola dopo <strong>che</strong> Caio alzò gli occhi e disse: «Mi è venuto in<br />
mente <strong>che</strong> cosa avevo dimenticato di dirti prima <strong>che</strong> partissi per il<br />
tuo ultimo viaggio.»
Cambiai posizione, cercando di mettermi più comodo e<br />
strattonando un lembo della coperta nel tentativo di liberarne una<br />
parte. Ma era fatica inutile e rinunciai seccato; parte di<br />
quell'irritazione doveva essere penetrata nel mio tono di voce<br />
quando, in risposta alla frase di Caio, dissi: «Che cosa?»<br />
Caio colse l'inflessione sgarbata e mi guardò sorpreso,<br />
chiedendosi evidentemente cosa aveva detto per provocare una<br />
reazione così brusca; il sopracciglio patrizio si inarcò talmente <strong>che</strong> la<br />
fronte si riempì di rughe sopra l'occhio destro. Mi sentii molto<br />
stupido.<br />
«Scusa, Caio» dissi. «Non volevo essere scortese. Il tono non era<br />
indirizzato a te, era solo il risultato della mia frustrazione.»<br />
«Frustrazione?» Il sopracciglio non accennò a scendere. «Per <strong>che</strong><br />
cosa?»<br />
Fui costretto a ridere, per la mia collera infantile e per la sua<br />
espressione. «Per questa dannatissima coperta. Ci sto seduto sopra e<br />
vorrei liberarla per mettermela sulle spalle, ma non ci riesco e non<br />
posso alzarmi per come Luceia mi ci ha avvolto.»<br />
Immediatamente scattò in piedi, e si chinò su di me tendendo le<br />
braccia per aiutarmi ad alzarmi. Una volta in piedi fu una cosa<br />
relativamente facile liberare le pieghe della coperta e rimetterla<br />
come volevo. Quando tutto fu a posto ci sedemmo di nuovo.<br />
«Allora» dissi. «Che cos'era?»<br />
«Che cos'era cosa?»<br />
«Quello <strong>che</strong> hai dimenticato di dirmi prima <strong>che</strong> partissi per<br />
andare a prendere il ferro.»<br />
Aveva ormai perso interesse in quello <strong>che</strong> si era accinto a dire<br />
poco prima e stava di nuovo guardando il suo libro, chiaramente<br />
desideroso di riprenderne lo studio. «Ah, quello.» <strong>La</strong> sua voce<br />
rifletteva l'interesse ormai sfumato. «Non era niente di importante,<br />
una faccenda di scarso interesse. Ho ricevuto una lettera di Marcello
Prellone, un mio amico in Gallia. Grazie a Dio arriva ancora qual<strong>che</strong><br />
nave postale imperiale. Comunque mi ha scritto <strong>che</strong> è stato a Roma<br />
qual<strong>che</strong> mese fa e ha visto per strada il tuo vecchio nemico Claudio<br />
Seneca. Tu non lo sai, ma Marcello Prellone è uno degli amici a cui<br />
avevo chiesto informazioni su Seneca poco dopo il tuo arrivo qui...<br />
Quanto tempo fa?» <strong>La</strong> domanda era retorica, perché stava già<br />
facendo il conto. «Santo cielo, Publio, ti rendi conto <strong>che</strong> vivi qui da<br />
oltre dieci anni?»<br />
Annuii. «Sì, lo so. Sono sposato con tua sorella da quasi undici.<br />
Ma il tuo amico si è sbagliato.»<br />
Il sopracciglio di Caio si alzò appena. «Cosa intendi dire?»<br />
Alzai le spalle. «Semplicemente quello <strong>che</strong> ho detto. Il tuo amico<br />
deve essersi sbagliato. Non può aver visto Claudio Seneca.»<br />
Rise. «Non essere sciocco. Certo <strong>che</strong> può averlo visto. Era a<br />
Roma, Publio.»<br />
Scossi di nuovo la testa. «No. Non era lui. Sarà stato un Seneca,<br />
mi hai detto <strong>che</strong> sono prolifici. Ma certo non si trattava di Claudio.»<br />
Rimpiansi quelle parole non appena le ebbi pronunciate. Caio<br />
era stupito per la mia reazione a un'osservazione così banale e mi<br />
resi conto di avere commesso un errore tattico. Avrei dovuto<br />
limitarmi ad accettare la sua osservazione e a non dire niente. Avevo<br />
un solo segreto, su questa sola faccenda. Ma avevo risvegliato la sua<br />
curiosità e si girò verso di me.<br />
«Ne sembri convinto, Publio. Come puoi essere così sicuro?»<br />
Fece una pausa, non abbastanza lunga da permettermi di escogitare<br />
una risposta, e continuò, con un'ombra di sospetto nella voce. «Da<br />
quando sei così informato su dove si trova e cosa fa Claudio<br />
Seneca?»<br />
«Non lo sono» risposi deciso. «Ma so <strong>che</strong> il tuo amico si è<br />
sbagliato. È stato un errore di persona, ecco tutto.»<br />
Una piccola ruga gli comparve tra le sopracciglia. «Ma come fai
a saperlo, Publio? Sai per certo <strong>che</strong> Claudio Seneca non era a Roma<br />
in quel momento?»<br />
Una voce profonda dentro di me mi urlava di stare attento a<br />
quello <strong>che</strong> stavo per dire. Decisi di ignorarla. «Sì» dissi,<br />
rimpiangendo più <strong>che</strong> mai di avere risposto al primo commento di<br />
Caio.<br />
Quasi balzò in piedi alla mia risposta, e fu come se mi<br />
aggredisse. «Capisco. Allora dov'era, Publio? E quando era il<br />
momento in questione? Quando era a Roma Marcello Prellone?»<br />
Arrossii e sentii un'ondata di panico per essere stato colto in<br />
fallo. Guardai altrove, nelle profondità del braciere <strong>che</strong> mi stava<br />
davanti, perché non volevo <strong>che</strong> Caio leggesse i pensieri riflessi nei<br />
miei occhi.<br />
Lui non mollò la presa.<br />
«Publio? Mi hai sentito?»<br />
«Ti ho sentito. Sei davvero deciso ad avere una risposta? Perché?<br />
Perché è così importante, Cai?»<br />
<strong>La</strong> mia domanda lo colse di sorpresa; la sua espressione rivelava<br />
stupore e incredulità <strong>che</strong> gli facessi una simile domanda. Quando<br />
rispose il tono della sua voce era quello del maestro <strong>che</strong> spiega<br />
l'evidenza a uno studente <strong>che</strong> fatica a capire.<br />
«È importante proprio per quello <strong>che</strong> hai detto e perché lo hai<br />
detto. Ti conosco, Publio Varro. Non sei un uomo malvagio. So <strong>che</strong><br />
cosa pensavi di Claudio Seneca e so <strong>che</strong> non hai fatto il suo nome per<br />
anni. Adesso io lo nomino per caso, dicendo <strong>che</strong> qualcuno l'ha visto,<br />
e tu neghi immediatamente e categoricamente la possibilità <strong>che</strong> una<br />
cosa simile sia accaduta. Ho l'impressione <strong>che</strong> ci sia qualcosa <strong>che</strong><br />
non va, e poiché sono un vecchio soldato, ho imparato a fidarmi del<br />
mio istinto.»<br />
Sospirai e capitolai. «Bene, Cai. Ti dirò il mio segreto. Il tuo<br />
amico non può aver visto Claudio Seneca perché Claudio Seneca è
morto.»<br />
Toccò a Caio fissarmi senza parole, prima me e poi il fuoco. Si<br />
prese il mento in una mano, massaggiandosi le guance con la punta<br />
delle dita mentre rifletteva.<br />
Quando parlò la sua voce era quasi inespressiva.<br />
«Morto, hai detto? Posso immaginare <strong>che</strong> tu ne sia sicuro. Ne sei<br />
sicuro, vero?»<br />
Annuii. «Sì, sicurissimo.»<br />
«Quanto sicuro?»<br />
«Completamente, senza ombra di dubbio.»<br />
«Come? Chi te lo ha detto? Come fai a essere sicuro <strong>che</strong> è vero?»<br />
«Nessuno me lo ha detto, Cai. Lo so perché l'ho ucciso io.»<br />
Caio respirò profondamente, si alzò, girò sui tacchi e si<br />
allontanò da me, così <strong>che</strong> la sua voce mi giunse da sopra la sua<br />
spalla.<br />
«Quando?»<br />
«Cinque anni fa, proprio quando facemmo alleanza con Ullic e i<br />
suoi Celti e arrivò la notizia <strong>che</strong> Teodosio aveva sconfitto e fatto<br />
giustiziare Magno Massimo.»<br />
Si girò verso di me e rimase a guardarmi dall'altro lato della<br />
stanza. «Cinque anni fa? E non hai detto niente? Perché? Come lo<br />
hai ammazzato? E quando? Non sei mai stato via dalla Colonia per<br />
periodi lunghi e Seneca non è mai stato vicino alla Colonia. Una<br />
simile uccisione avrebbe richiesto o un'attenta pianificazione e<br />
un'assenza <strong>che</strong> avrebbe richiesto una giustificazione, o l'esatto<br />
opposto, un confronto improvviso e folgorante. Non voglio neppure<br />
pensare <strong>che</strong> tu lo abbia ucciso a tradimento. Sono certo <strong>che</strong> gli hai<br />
concesso una morte decorosa, malgrado ai tuoi occhi avesse perso<br />
ogni diritto all'onore... Ma come hai potuto organizzare la sua morte<br />
senza <strong>che</strong> né io né Luceia ce ne accorgessimo, e perché non hai detto
niente a nessuno in tutto questo tempo?»<br />
Annuii, riconoscendo la verità delle sue parole e tutti i<br />
commenti impliciti. «Dopo averlo fatto, ho deciso di non dirlo a<br />
nessuno» dissi, schiarendomi la voce. «Pensavo <strong>che</strong> sarebbe stato<br />
meglio, per non mettere in pericolo te e Luceia con la conoscenza di<br />
quello <strong>che</strong> avevo fatto, an<strong>che</strong> se,» misi una mano avanti, con il<br />
palmo in fuori, per farlo tacere prima <strong>che</strong> potesse interrompermi,<br />
«an<strong>che</strong> se ero convinto <strong>che</strong> quello <strong>che</strong> avevo fatto era giusto e<br />
onorevole, e non ritenevo di aver fatto niente di disdicevole. Ero<br />
stato solo lo strumento della giustizia, pensavo, ma non avevo<br />
nessun desiderio di vantarmene.»<br />
«Capisco.» Caio tornò indietro e si sedette di nuovo sulla<br />
seggiola di fronte a me. «È meglio <strong>che</strong> mi racconti tutto quello <strong>che</strong> è<br />
successo, Publio. Pensaci bene e non dimenticare nessun dettaglio.<br />
Ricorda <strong>che</strong> io non so assolutamente niente di quello <strong>che</strong> stai per<br />
dirmi. Fai conto <strong>che</strong> non abbia mai sentito parlare di Seneca.<br />
Potrebbe essere estremamente importante.»<br />
Impressionato dalla sua evidente sincerità e dalla sua<br />
preoccupazione, rimasi per un po' in silenzio, raccogliendo i pensieri<br />
prima di iniziare un racconto non certo breve, e gli raccontai tutto<br />
quello <strong>che</strong> ricordavo degli eventi <strong>che</strong> avevano portato alla morte di<br />
Claudio Seneca. Avevo organizzato la morte di Seneca da solo,<br />
affrontandolo e uccidendolo con selvaggia soddisfazione per le sue<br />
azioni passate e per la morte di due dei miei più cari amici.<br />
Iniziai dal primo incontro - e dalla prima lotta - tra me e Seneca,<br />
quasi quindici anni prima, quando mi trovavo in compagnia del mio<br />
buon amico Plauto, allora centurione anziano della guarnigione di<br />
Camulodunum, e finii con lo scontro finale, durante il quale avevo<br />
costretto Seneca a firmare la pergamena nella quale confessava i suoi<br />
crimini e gli avevo dato una spada con la quale avrebbe potuto<br />
uccidermi se ci fosse riuscito.<br />
Ma aveva commesso uno sbaglio. E io gli avevo infetto il colpo
mortale; avevo lasciato la sua confessione dove non avrebbe potuto<br />
non essere vista, e avevo lasciato il luogo della lotta prima<br />
dell'arrivo della pattuglia militare <strong>che</strong> era stata avvertita dai miei<br />
uomini.<br />
Mentre raccontavo la mia lunga e sgradevole storia, Caio rimase<br />
seduto in silenzio, fissando le braci. Non alzò gli occhi neppure una<br />
volta a guardarmi. Quando finii di parlare il silenzio tra noi<br />
aumentò, quasi dilatandosi. Il carbone crepitò e cedette con uno<br />
scricchiolio lieve, uno sbuffo di fumo e di cenere leggera. Finalmente<br />
Caio si mosse e mi guardò, emettendo un grande sospiro attraverso<br />
le labbra serrate.<br />
«E non hai detto una parola in tutto questo tempo.»<br />
Scrollai le spalle. «Come ti ho detto, non serviva a niente <strong>che</strong> tu<br />
lo sapessi. Non ne ero fiero.»<br />
«Ci credo. Ma eri soddisfatto della tua vendetta?»<br />
Di nuovo scrollai le spalle. «Non lo so con certezza. Certo non ne<br />
ho ricavato piacere, questo posso dirlo.»<br />
«Ma sei sicuro di averlo ucciso?»<br />
«È ovvio <strong>che</strong> lo sono! Che domanda è questa? Non uccido molta<br />
gente. Ma se lo faccio in genere so di averlo fatto.»<br />
Scosse la testa, con espressione controllata ma leggermente<br />
infastidita. «Non intendevo questo. Intendevo dire se sei sicuro <strong>che</strong><br />
fosse morto quando te ne sei andato.»<br />
«Ne sono certo come del fatto <strong>che</strong> tu sei vivo. Ho tenuto quel<br />
figlio di puttana infilzato sulla punta della mia spada abbastanza a<br />
lungo, e ho sentito la vita uscire dal suo corpo. Avrei voluto<br />
tagliargli la testa, per giustiziarlo in modo più formale, penso, ma<br />
ero troppo disgustato, perciò l'ho lasciato lì. Ma era morto, Caio.»<br />
«Mmm... E hai lasciato la confessione firmata da lui lì, sul<br />
posto?»
«Proprio lì. Infilata sotto il suo braccio.»<br />
«E non hai mai sentito niente a proposito di quello <strong>che</strong> avevi<br />
fatto?»<br />
«No. Niente.»<br />
«E non ti è sembrato strano?»<br />
«No, perché avrebbe dovuto? Sapevo il fatto mio e sapevo cosa<br />
sarebbe successo quando lo avessero trovato. <strong>La</strong> sua famiglia<br />
sarebbe stata informata della disgrazia e avrebbe preso ogni misura<br />
per assicurarsi <strong>che</strong> la verità non si sapesse. Avrebbero comprato il<br />
silenzio a qualunque costo per proteggere se stessi e il nome della<br />
famiglia.»<br />
«Te lo aspettavi? Quindi non ti interessava disonorarlo<br />
pubblicamente?»<br />
«No, per niente. A cosa sarebbe servito? Lo volevo<br />
semplicemente morto e volevo <strong>che</strong> la sua perfidia fosse dimostrata e<br />
resa nota a coloro <strong>che</strong> conoscevano la situazione.»<br />
«Mmm.» Caio si alzò e scosse le pieghe della veste<br />
drappeggiata, tagliata in modo da ricordare la toga classica, ma<br />
molto più leggera e più pratica, aperta davanti dal collo ai fianchi,<br />
chiusa da una serie di piccoli ganci e stretta in vita da una cintura di<br />
morbida pelle. Rimase in piedi, chino in avanti a guardare verso<br />
terra mentre sistemava con cura la veste e si stringeva di nuovo la<br />
cintura in vita.<br />
Sapevo <strong>che</strong> stava pensando intensamente e compiva quei piccoli<br />
gesti per mas<strong>che</strong>rare le sue riflessioni. Infine, soddisfatto dei suoi<br />
sforzi, si girò verso il braciere, stendendo soprappensiero le mani<br />
verso il calore tremolante dei carboni.<br />
Aspettai <strong>che</strong> parlasse.<br />
Finalmente mi fece una domanda <strong>che</strong> mi stupì.<br />
«Publio, ricordi la conversazione <strong>che</strong> avemmo la prima volta <strong>che</strong>
ci incontrammo, quella notte nel deserto africano?»<br />
«Sì, ricordo. Parlammo di molte cose.»<br />
«Sì, e tra quelle di una faccenda di cui non volevo sapere niente.<br />
Ricordi?»<br />
Gli sorrisi. «Me ne ricordo chiaramente. Il tipo di favore <strong>che</strong><br />
avevo fatto al mio legato in comando, il favore <strong>che</strong> mi aveva<br />
procurato - come lo avevi definito? - quel trasferimento<br />
intercontinentale e interlegionario. All'inizio hai pensato <strong>che</strong> fossi<br />
stato coinvolto in qualcosa di illegale.»<br />
«Ma sbagliavo. Eri stato premiato solo per avere "raddrizzato" il<br />
figliol prodigo del tuo comandante. Il giovane Seneca. Come si<br />
chiamava?»<br />
«Il ragazzo? Giacobbe. Lo chiamavo Giaco.»<br />
«Giacobbe? Era il nome di mio fratello. Cosa gli è successo dopo<br />
<strong>che</strong> sei partito, lo sai?»<br />
Scossi la testa. «Non ne ho idea. Non ho più pensato a lui da<br />
quella notte in cui abbiamo parlato di lui. Era solo l'ultimo dei<br />
Seneca. Immagino <strong>che</strong> sarà cresciuto e <strong>che</strong> sarà diventato tribuno,<br />
aveva il carattere del buon ufficiale, malgrado la sua famiglia.<br />
Rammenta <strong>che</strong> allora non pensavo <strong>che</strong> i Seneca fossero diversi da<br />
chiunque altro.»<br />
«Rammento.» Emise un profondo sospiro. «Si imparano molte<br />
cose nella vita.»<br />
<strong>La</strong> pausa <strong>che</strong> seguì fu così lunga <strong>che</strong> pensai <strong>che</strong> avesse finito di<br />
parlare, ma non appena apersi bocca, riprese: «Cosa diresti se ti<br />
dicessi <strong>che</strong> è in Britannia?»<br />
Adesso era il mio turno di accigliarmi, e mi chiesi dove volesse<br />
arrivare. «Giaco? Ne sarei sorpreso.»<br />
«In <strong>che</strong> senso? Sorpreso <strong>che</strong> io abbia una simile informazione?»<br />
Esitai, studiando attentamente la mia risposta prima di
esprimerla, perché ero sorpreso di sentire la rabbia crescermi dentro.<br />
In realtà sapevo <strong>che</strong> Britannico era attento a tutti i movimenti dei<br />
Seneca - di tutti loro - quanto un uomo a piedi scalzi nel deserto sta<br />
attento ai serpenti e agli scorpioni. <strong>La</strong> sua vigilanza era rivolta in<br />
ogni direzione, e nasceva da lunghi anni di inimicizia personale e da<br />
generazioni di odio e di sanguinose faide tra la sua famiglia e la loro.<br />
«No,» risposi alla fine, «sorpreso <strong>che</strong> tu sappia queste cose e non<br />
me ne abbia parlato.»<br />
Mi rispose con un sorriso. «An<strong>che</strong> se avessi pensato <strong>che</strong> questa<br />
informazione poteva esserti sia sgradita sia inutile?»<br />
«Come potevi presumere <strong>che</strong> sarebbe stata sgradita, Caio? Io e lui<br />
eravamo amici una volta. Ma è davvero tornato?»<br />
«Sì, Publio, è tornato. È arrivato insieme all'esercito mandato da<br />
Teodosio a ristabilire l'ordine dopo la ribellione di Magno<br />
Massimo.» Non c'era traccia di sorriso sul volto di Caio. «Adesso è il<br />
comandante incaricato della guarnigione di Venta Belgarum; come<br />
vedi l'ho tenuto d'occhio. È un Seneca, in fin dei conti. Giacobbe ha<br />
iniziato il suo lavoro in Britannia come comandante di squadrone ad<br />
Aquae Sulis e tra i suoi primi compiti c'è stato quello di rispondere a<br />
una misteriosa chiamata <strong>che</strong> riguardava lo scomparso procuratore<br />
della Britannia meridionale.»<br />
«Cosa?» Sentii il sangue defluirmi dal volto e un rombo<br />
crescermi nelle orecchie. «Giacobbe? Un Seneca ha trovato Seneca?<br />
Come fai a saperlo? E perché non me lo hai detto prima?»<br />
Alzò la mano per farmi tacere. «Te lo avrei detto subito se la<br />
storia <strong>che</strong> avevo sentito avesse avuto qual<strong>che</strong> fondamento. I dettagli<br />
sono arrivati in una lettera da un amico di Glevum, Decio Lepido.<br />
Lo hai mai conosciuto?»<br />
Scossi la testa e continuò: «Comunque ormai è confinato a lavori<br />
amministrativi, come la maggior parte dei vecchi soldati prossimi<br />
alla pensione. Secondo Lepido si era trattato di un falso allarme. Un
messaggio misterioso era giunto al comandante della guarnigione di<br />
Aquae Sulis, per informarlo <strong>che</strong> lo scomparso procuratore, Claudio<br />
Seneca, poteva essere ritrovato in un luogo specifico, indicato in una<br />
cartina disegnata a mano. Una pattuglia era partita immediatamente<br />
per cercarlo, ma avevano trovato solo il luogo e tre corpi, uno dei<br />
quali ancora vivo, e nessuno dei tre era il procuratore scomparso. Il<br />
rapporto ufficiale sull'episodio arrivò sul tavolo di Lepido il mese<br />
successivo. Me ne parlò nella lettera successiva, diversi mesi dopo, e<br />
la sola ragione per cui faceva riferimento all'accaduto era <strong>che</strong> a capo<br />
della pattuglia c'era Giacobbe Seneca, nipote del procuratore<br />
scomparso. Disse <strong>che</strong> questo lo aveva fatto pensare al vecchio<br />
proverbio <strong>che</strong> per prendere un ladro ci vuole un ladro». Fece<br />
un'altra pausa.<br />
«Ricordo <strong>che</strong> allora pensai <strong>che</strong> potesse interessarti la ricomparsa<br />
del giovane <strong>che</strong> ti era stato affidato in Africa, oltre alle notizie su<br />
Seneca, ma eri via in uno dei tuoi viaggi quando la lettera arrivò e<br />
non era una notizia molto importante. Quando ritornasti avevo già<br />
dimenticato la notizia. Quando ci pensai di nuovo, molto tempo<br />
dopo, non mi sembrò più degna di essere menzionata. Sembrava <strong>che</strong><br />
tu avessi dimenticato tutta la tribù dei Seneca e pensavo <strong>che</strong> fosse<br />
meglio non svegliare il cane <strong>che</strong> dormiva. Così non ho detto niente.<br />
Ora vedo <strong>che</strong> ho sbagliato.»<br />
Avevo ascoltato l'ultima parte della spiegazione senza capirla<br />
realmente. <strong>La</strong> mia mente era assorta nel significato delle sue parole<br />
precedenti: «Tre corpi, uno dei quali ancora vivo, e nessuno dei tre era il<br />
procuratore scomparso».<br />
«Ma è impossibile!» <strong>La</strong> mia voce era soffocata dal catarro. Caio<br />
alzò un sopracciglio e mi guardò, senza dire niente. Mi schiarii la<br />
voce e ricominciai. «Hai detto... il tuo amico ha detto, nella sua<br />
versione della storia, <strong>che</strong> nessuno dei tre uomini era Seneca.» Caio<br />
attese <strong>che</strong> continuassi. «Ma non è vero. Deve essersi sbagliato.»<br />
Caio scosse la testa brevemente. «No. Citava il rapporto
ufficiale, Publio Lepido non si sarebbe sbagliato su questo. Un<br />
rapporto ufficiale è ipso facto la verità formale.»<br />
«C'erano tre uomini morti in quella radura, Cai. Nessuno era<br />
vivo.» Mi venne un altro pensiero. «E la confessione? Non ha detto<br />
niente di quella?»<br />
«Quale confessione? Il rapporto ufficiale non menzionava<br />
nessuna confessione.»<br />
«L'ho lasciata sotto il braccio di quel maiale!»<br />
«Ti credo. Ma ufficialmente non esiste nessuna confessione, né è<br />
mai esistita.»<br />
Incapace di rimanere seduto più a lungo, ribollente di collera e<br />
di frustrazione, saltai in piedi e mi misi a camminare a grandi passi<br />
per la stanza, picchiando il pugno destro contro la mano sinistra.<br />
Caio si girò per seguirmi con lo sguardo, senza dire niente,<br />
lasciandomi il tempo di tener dietro all'insorgere caotico dei miei<br />
pensieri. Alla fine smisi di camminare e lo affrontai di nuovo.<br />
«Così, in fin dei conti, crescendo Giaco è diventato un Seneca.»<br />
L'unica reazione di Caio fu quella di alzare un sopracciglio nel<br />
vecchio, sardonico modo <strong>che</strong> gli era abituale e io continuai.<br />
«Pensavo <strong>che</strong> fosse diverso... pensavo <strong>che</strong> avesse i numeri per<br />
diventare una persona per bene... ma è contorto e malvagio come il<br />
resto della famiglia. Ha trovato il corpo, ha eliminato la confessione<br />
e ha coperto l'intera faccenda. Ma in <strong>che</strong> modo? Come può aver<br />
tenuto nascosta l'identità di Seneca? Non ha senso.»<br />
Caio si passò la mano sui capelli corti e grigi, dalla sommità del<br />
capo alla fronte, appiattendoli con le dita aperte; sospirò di nuovo.<br />
«Sì, ce l'ha. Ce l'ha, Publio. Pensaci e ricorda chi è la gente di cui<br />
stiamo parlando. <strong>La</strong> ribellione di Magno era terminata. Ovunque<br />
c'erano truppe nuove, tutte di indubbia lealtà a Teodosio, e tutte<br />
provenienti da oltremare. Probabilmente nean<strong>che</strong> un'anima nella<br />
guarnigione aveva mai visto Claudio Seneca, così quando il nipote
stesso dell'uomo ha negato <strong>che</strong> quello fosse suo zio chi poteva<br />
contraddirlo? Ufficialmente Giaco ha riportato indietro un<br />
sopravvissuto senza nome, <strong>che</strong>...»<br />
«È impossibile! Te l'ho detto, Cai, non c'erano altri sopravvissuti<br />
all'infuori di me.»<br />
Mi fissò in silenzio. «E allora perché prendersi tutta quella pena<br />
di negare l'identità del cadavere?»<br />
«Cosa vuoi dire? Ovviamente per proteggere la reputazione di<br />
quel maiale.»<br />
«Da <strong>che</strong> cosa, Publio? Tutto quello <strong>che</strong> Giaco doveva fare era<br />
distruggere la confessione scritta, e Seneca era senza macchia.<br />
Sarebbe stata una tragica fine per una figura eroica: il nobile<br />
procuratore, assassinato dai suoi rapitori dopo una lotta titanica nel<br />
tentativo di fuggire. Questo avrebbe an<strong>che</strong> messo fine al mistero<br />
sulla sua scomparsa in maniera molto decisa, davanti agli occhi di<br />
chiunque tranne <strong>che</strong> ai tuoi.»<br />
«Dannazione, non basta, Caio.» Stavo mentalmente rigirando il<br />
coltello nella piaga, perché sapevo di avere ragione. «Deve esserci<br />
un'altra spiegazione. Quel figlio di puttana era morto quando me ne<br />
sono andato. Te lo giuro.»<br />
Caio scosse lentamente la testa, non volendo darmi ragione su<br />
quel punto. «Allora quale altra spiegazione è possibile secondo te,<br />
Publio?»<br />
Picchiai il pugno chiuso contro il palmo dell'altra mano. «Non lo<br />
so, non lo so. Ma ci deve essere qualcosa, qualcosa di infido, viscido<br />
e malvagio come un serpente. Qualcosa <strong>che</strong> potrebbe venire in<br />
mente solo a un Seneca e <strong>che</strong> ci sfugge!»<br />
Caio arrivò a una decisione. Lo vidi nei suoi occhi e poi nel<br />
cenno della testa, un cenno breve e deciso.<br />
«D'accordo, ti concedo <strong>che</strong> puoi avere ragione, solo per quanto<br />
riguarda i rettili. Ma noi non siamo del tutto privi di risorse. <strong>La</strong>
verità è verificabile, an<strong>che</strong> se non immediatamente. Stasera scriverò<br />
di nuovo al mio amico Marcello Prellone e lo pregherò di essere più<br />
preciso riguardo alla sua pretesa di aver visto Claudio Seneca a<br />
Roma. Ci vorrà un mese o più per sapere se ha qualcosa da<br />
aggiungere al suo rapporto originario, ma alla fine sapremo, con<br />
discreta certezza, se Prellone nella sua lettera ha detto il vero o se era<br />
solo un pettegolezzo.»<br />
Mi sentivo già meglio. «Bene. Facciamo così. Ma è morto, Cai, e<br />
il tuo amico Prellone ha fatto un errore di identificazione. Ci<br />
scommetterei. Non so cosa abbia spinto Giaco Seneca a nascondere<br />
la morte del suo spregevole zio, ma so <strong>che</strong> lo ha fatto. Claudio<br />
Seneca, <strong>che</strong> possa essere maledetto dal Dio degli antichi Ebrei, è<br />
morto e sta bruciando nell'Ade.»<br />
Non c'era altro da dire per il momento, pensai, ma malgrado la<br />
mia sicurezza, la serenità della mia mente era stata scossa, e finii per<br />
dormire la maggior parte del pomeriggio, cullato da una tisana<br />
preparata per me dal medico di Caio.<br />
Nel giro di pochi giorni, però, sarebbe accaduta una serie di<br />
eventi <strong>che</strong> avrebbe cancellato dalla mia mente tutti i ricordi e i<br />
pensieri riguardanti Claudio Seneca.
III.<br />
In ogni uomo <strong>che</strong> respira è nascosta una bestia, una bestia <strong>che</strong> è<br />
nata insieme a lui e <strong>che</strong> vive con lui per tutta la vita, nella costante<br />
lotta per predominare su quello <strong>che</strong> egli preferisce considerare "il<br />
meglio di sé". Dico questo con grande convinzione perché ho dovuto<br />
fare i conti con la mia bestia personale, <strong>che</strong> ora dorme dentro di me;<br />
dorme, ma non è morta. A volte si agita ancora, ricordandomi la sua<br />
presenza e il suo veleno. Le catene della mia bestia sono forti. Tanto<br />
forti quanto potevo fabbricarle io, <strong>che</strong> fabbrico catene. So a mie<br />
spese, però, <strong>che</strong> sono an<strong>che</strong> paurosamente fragili.<br />
Non ho sempre saputo queste cose, perché non è nella mia<br />
natura perdere molto tempo con questioni <strong>che</strong> non posso prendere<br />
in mano e piegare o raddrizzare con un martello. Ho imparato la<br />
verità sull'animale <strong>che</strong> vive dentro ogni uomo solo quando ero<br />
ormai un uomo nella piena maturità, e l'ho appresa dal mio amico<br />
vescovo Alarico, quando insieme vedemmo la distruzione operata<br />
dalla "bestia" di un pover'uomo, <strong>che</strong> lo aveva spinto a correre<br />
all'impazzata, preso da follia sanguinaria, tra vicini e amici,<br />
storpiando e mutilando prima <strong>che</strong> si riuscisse a immobilizzarlo.<br />
Alarico disse allora <strong>che</strong> quell'uomo, <strong>che</strong> entrambi conoscevamo<br />
bene, «era posseduto dalla bestia». Sentendo queste cose dalla voce<br />
di Alarico, uomo di Dio, immaginai <strong>che</strong> alludesse alla Bestia per<br />
eccellenza, il diavolo, e glielo dissi. Ma Alarico mi fece subito capire<br />
<strong>che</strong> lo avevo frainteso.<br />
Era troppo comodo - mi disse con quella semplicità di<br />
linguaggio <strong>che</strong> tanto ammiravo in lui - dare tutta la colpa dei peccati<br />
e delle afflizioni umane a Lucifero. Così facendo sfuggiamo alla<br />
responsabilità delle nostre azioni, mentre la colpa» in realtà, era da<br />
attribuire a una bestia meno importante e più umana, <strong>che</strong> a volte<br />
dormiva e a volte si agitava selvaggiamente dentro ognuno di noi,
uomini e donne. Quanto ognuno di noi riusciva a soggiogare la sua<br />
bestia personale determinava il bene e la grandezza <strong>che</strong> riusciva a<br />
raggiungere in questa vita.<br />
Era una nozione nuova per me, un'idea molesta e sconfortante<br />
con la quale, devo confessarlo, non mi affrettai a fare i conti. Ma a<br />
quell'epoca non avevo ancora veramente incontrato la mia bestia e,<br />
per quanto mi sforzassi di vederla o di sentire la sua presenza, era<br />
solo nel freddo piacere <strong>che</strong> provavo a uccidere in guerra, il crudele<br />
gioire in battaglia e il malessere e la repulsione <strong>che</strong> seguivano, ma<br />
questa non era la bestia, decisi, era solo il senso di colpa.<br />
Molti anni dopo, sotto la minaccia della pioggia, un tardo<br />
pomeriggio nuvoloso e pieno di mos<strong>che</strong> e di presagi funesti, mi<br />
tornarono alla mente con chiarezza quell'occasione e quella<br />
discussione, mentre guardavo, pietrificato dall'orrore, i segni della<br />
vittoria della bestia su un altro uomo ancora, e vi riconobbi<br />
pienamente il volto orrendo della mia.<br />
Riportare alla mente quell'episodio mi ha messo a dura prova,<br />
una prova nuova e preoccupante, perché adesso devo scrivere della<br />
bestia <strong>che</strong> è nell'uomo e della bestia <strong>che</strong> è in me. Ho paura di questo<br />
compito e lo aborrisco, ma il mio cammino è chiaro: non posso<br />
occuparmi delle colpe degli altri se prima non mi sono pienamente<br />
occupato delle mie gravi colpe, confessandole e riconoscendole. E<br />
così ora devo parlare del mio amico Domizio Titente e dell'inganno<br />
con cui io ho ricambiato la sua amicizia.<br />
Domizio Titente era nostro vicino ed an<strong>che</strong> pro-pronipote, come<br />
Caio Britannico, di uno degli originari costruttori delle ville della<br />
regione, <strong>che</strong> noi avevamo sviluppato facendone la nostra Colonia.<br />
Era an<strong>che</strong> mio amico e avido studioso dell'arte del fabbro ferraio.<br />
Non sarebbe mai diventato un armatolo, ma aveva imparato in<br />
fretta la destrezza artistica necessaria a mutare il ferro battuto in<br />
forme piacevoli, robuste e decorative.
Era nelle legioni nello stesso periodo mio e di Caio e aveva<br />
svolto la maggior parte del servizio militare nelle mar<strong>che</strong> orientali<br />
dell'Impero. Aveva servito per molti anni in Asia Minore e aveva<br />
concluso il servizio a Costantinopoli, presso la corte imperiale, dove<br />
aveva conosciuto e sposato Cilla, la sua consorte rossa di capelli, e<br />
l'aveva portata con sé nella sua grande tenuta in Britannia al termine<br />
del servizio.<br />
Cilla Titente fece per molto tempo parte della mia vita, una parte<br />
<strong>che</strong> non riuscii mai ad affrontare. Al principio pensavo a lei come a<br />
"Scilla" e immaginavo <strong>che</strong> possedesse tutti gli attributi del mostro<br />
mitologico. Rese infelice la mia vita per molti anni, ma non me la<br />
presi mai con lei. <strong>La</strong> colpa era mia. Cilla era soltanto se stessa.<br />
Qualunque fosse il potere, buono o malvagio, <strong>che</strong> esercitava su di<br />
me, ciò avveniva solo perché io glielo permettevo, e questa sua dote<br />
mi rendeva incapace di affrontarla come avrei voluto.<br />
Esercitava un oscuro potere con la determinatezza di un despota<br />
e io non fui mai capace di spezzare la sua presa.<br />
Cilla e io non andammo mai a letto insieme. Mai. Se ci fossi<br />
andato an<strong>che</strong> una sola volta avrei tradito mia moglie e il mio onore<br />
ai miei occhi per sempre. Posso affermare con certezza <strong>che</strong> Luceia mi<br />
avrebbe perdonato se mi fossi smarrito, perché me lo disse e so <strong>che</strong><br />
diceva la verità. Ma io non mi sarei mai perdonato una simile<br />
atrocità.<br />
Cilla Titente incarnava tutto quello <strong>che</strong> disprezzavo e <strong>che</strong> mi<br />
disgustava in una donna, tutto mellifluamente nascosto sotto una<br />
forma <strong>che</strong> qualunque uomo avrebbe ammirato.<br />
Cilla mi affascinava. Era bella e aveva per la propria bellezza<br />
una totale, consacrata devozione <strong>che</strong> non lasciava spazio per niente<br />
e per nessuno.<br />
Il suo corpo era il suo tempio e lavorava faticosamente per<br />
mantenerlo sodo a lungo. <strong>La</strong> bellezza era il sangue della vita per<br />
Cilla, e lei era interamente dedicata a proteggerla. Non sedeva, né
camminava mai al sole, perché pensava <strong>che</strong> il sole seccasse la pelle e<br />
favorisse le rughe. E non si poteva neppure nominare Cilla con i<br />
bambini nella stessa frase. Lei era la sola cosa <strong>che</strong> contava e la sola<br />
cosa a cui si dedicava.<br />
Sapevo quanto Cilla fosse infedele; ne avevo le prove. E lei<br />
sapeva <strong>che</strong> la consideravo una sgualdrina senza pudore. Non tentò<br />
mai di confutare l'accuratezza o la validità della mia opinione. Non<br />
ne sentiva il bisogno. Io la desideravo e lei incoraggiava il mio<br />
desiderio, sfidando di proposito la bestia <strong>che</strong> era in me, portandola<br />
sempre più vicina alla superficie con il mio tacito consenso.<br />
C'era in me una perversità <strong>che</strong> mi faceva godere<br />
quell'esperienza fino in fondo, per quanto essa mi tormentasse. Il<br />
ricordo di alcune situazioni <strong>che</strong> abbiamo condiviso riesce ancora di<br />
tanto in tanto a soffocarmi di desiderio, an<strong>che</strong> se sono passati<br />
almeno venti anni dall'ultima volta <strong>che</strong> l'ho vista. Quella donna era<br />
la tentazione personificata e ogni sua lusinga conteneva una sfida,<br />
pensavo, alla mia suprema forza morale. Questo ero solito dirmi.<br />
Nella mia arroganza mi illudevo di essere in ultima istanza<br />
invulnerabile alla sua attrazione, ma c'era sempre la possibilità <strong>che</strong><br />
soccombessi.<br />
<strong>La</strong> nostra perversa relazione era un segreto tra noi due,<br />
colpevole da parte mia, dichiarato ed eccitante da parte di Cilla. Tra<br />
noi due non c'era simulazione. Le motivazioni di Cilla erano<br />
solamente sue, come lo era l'innegabile soddisfazione <strong>che</strong> ricavava<br />
dall'intera situazione; le mie motivazioni erano altrettanto personali.<br />
Non le discutemmo mai, tranne <strong>che</strong> nei termini più volgari e<br />
grossolani, e solo nelle occasioni consentite da un particolare<br />
insieme di circostanze. Allora ci esprimevamo soprattutto in<br />
sussurri, e solo Cilla agiva, anzi recitava è il termine più indicato. Io<br />
non facevo altro <strong>che</strong> guardare e reagire con un rigido controllo <strong>che</strong> a<br />
volte era un agonia. Mantenemmo il nostro rapporto entro questi<br />
vincoli, perché essi erano il mio controllo e perché io stesso avevo
dettato le regole in apertura di quello <strong>che</strong> doveva diventare un gioco<br />
lungo ed elaborato.<br />
Iniziò quando ci incontrammo la prima volta, la prima notte <strong>che</strong><br />
passai a villa Britannico, quando avevo appena incontrato Luceia e<br />
mi ero innamorato di lei. Cilla era entrata nel mio letto quella notte e<br />
mi aveva risvegliato nel bel mezzo di un sogno erotico. Se Luceia,<br />
conoscendo Cilla e quello <strong>che</strong> era in grado di fare, non fosse giunta<br />
tempestivamente in mio soccorso, avrei preso Cilla lì, in quel<br />
momento, senza nemmeno preoccuparmi di chi fosse. Ma non<br />
accadde nulla. Luceia bloccò quella situazione sul nascere e io non<br />
rividi Cilla per almeno un anno.<br />
Ci incontrammo di nuovo a una riunione di amici, un<br />
festeggiamento per rendere grazie per l'abbondanza del raccolto. Di<br />
nuovo Cilla mi fece capire, senza parole, <strong>che</strong> mi considerava un<br />
potenziale compagno di letto, da avere entro breve tempo. In<br />
quell'occasione e per molto tempo in seguito riuscii a sfuggire alle<br />
sue mire, grazie al semplice espediente di non rimanere mai solo con<br />
lei. E così continuammo per un altro anno o più, riunendoci in<br />
quattro, Luceia, io, Cilla e suo marito Domizio, <strong>che</strong> lei chiamava<br />
Dom, almeno cinque volte in occasione di analoghi incontri.<br />
È bene a questo punto chiarire <strong>che</strong> Cilla Titente era, come ho già<br />
detto, più <strong>che</strong> semplicemente attraente. Già da lontano si vedeva <strong>che</strong><br />
era meravigliosa, e irradiava un'aura di disponibilità sessuale di cui<br />
ogni uomo in qualunque riunione era consapevole e a cui ogni<br />
uomo rispondeva, con la sola eccezione di Domizio, suo marito.<br />
Solo conoscendola più intimamente si scoprivano i suoi tratti<br />
meno attraenti, ed è possibile <strong>che</strong> solo io li avessi notati; molti<br />
uomini sembravano dimentichi dei suoi difetti, e distinguevano solo<br />
il dolce miele distillato tra le sue cosce. Innanzitutto aveva una voce<br />
aspra. Quando parlava con calma non era troppo arduo ascoltarla,<br />
ma quando si animava la sua voce acquistava un tono acuto e<br />
stridente <strong>che</strong> era molto sgradevole. Sgradevole era an<strong>che</strong> il suo
atteggiamento nel trattare o nel discutere su persone, cose e<br />
argomenti <strong>che</strong> non le recavano direttamente nessun vantaggio.<br />
Sapeva essere, e spesso lo era, bisbetica, sprezzante, antipatica e<br />
saccente su ogni cosa di cui parlava, sapesse o no di cosa stava<br />
parlando. Cilla declamava sempre il suo punto di vista, presumendo<br />
di avere in ogni campo una competenza raramente giustificata. In<br />
breve la sua personalità era veramente detestabile e preferivo<br />
mantenermi a distanza da lei.<br />
Da parte sua Domizio era letteralmente plagiato dalla moglie.<br />
Baciava il terreno su cui camminava e la sua venerazione era tale <strong>che</strong><br />
non la considerò mai meno <strong>che</strong> perfetta. Era un cristiano devoto,<br />
assolutamente privo di malizia e di diffidenza e la sua carità era<br />
sconfinata. Era cosciente della vanità di sua moglie, del fatto <strong>che</strong> lei<br />
si preoccupasse solo di se stessa e del suo aspetto, e delle sue<br />
oltraggiose spese per mantenere tutto ciò. Ma questo non lo turbava.<br />
Ne rideva e si considerava fortunato di essere in grado di<br />
provvedere a tutte le sue necessità. Fortunatamente per Cilla<br />
accettava an<strong>che</strong> come parte della vita e della felicità <strong>che</strong> sua moglie<br />
dovesse passare almeno una settimana su tre ad Aquae Sulis, a fare<br />
le cure termali. A volte l'accompagnava, con grande, sia pure<br />
inespresso, fastidio di Cilla.<br />
Più sovente, però, Domizio si accontentava di restare a casa a<br />
mandare avanti le sue tenute e a occuparsi dei suoi passatempi,<br />
lasciando l'amata moglie a piaceri ragionevolmente discreti.<br />
Fu durante la primavera del mio terzo anno a villa Britannico,<br />
quando muovevamo i primi cauti passi per espandere la nostra<br />
Colonia, <strong>che</strong> Domizio Titente un giorno visitò la mia fucina e ne<br />
rimase affascinato.<br />
Era venuto a discutere una questione di famiglia con Caio, e fece<br />
visita alla mia fucina per pura cortesia, e per passare una parte della<br />
sua giornata.<br />
Mi chiese a <strong>che</strong> cosa stessi lavorando e io glielo mostrai, e poi mi
fece sempre nuove domande, mostrando un vero interesse.<br />
Io risposi con entusiasmo, come avrebbe fatto qualunque<br />
artigiano, e il risultato imprevisto fu <strong>che</strong> acquisii nel breve spazio di<br />
un pomeriggio un ricco e appassionato apprendista <strong>che</strong> rideva della<br />
fuliggine sulle sue vesti immacolate.<br />
Mi sono chiesto spesso se le cose sarebbero andate diversamente<br />
per la nostra Colonia se quel giorno mi fossi limitato a rispondere<br />
gentilmente e mi fossi liberato di lui, dicendo <strong>che</strong> avevo troppo<br />
lavoro per evitare le sue domande. Ma, ovviamente, ogni<br />
recriminazione è inutile.<br />
Comunque Dom nel giro di pochi mesi allestì e mise in funzione<br />
la sua fucina. Non è importante il fatto <strong>che</strong> non sia mai diventate un<br />
buon fabbro - per lui era solo un passatempo - è importante <strong>che</strong> per<br />
anni abbia ricavato da quell'attività un grande piacere. Lui e io<br />
diventammo amici e cominciai a passare diverso tempo nella sua<br />
casa, entrando così nel disegno bizzarro e grottesco <strong>che</strong> era il gioco<br />
di Cilla.<br />
Ho sempre pensato <strong>che</strong> fosse il gioco di Cilla, ma io ero un<br />
giocatore attivo come lei da molti punti di vista. Ricordo con<br />
precisione come si svilupparono le mosse palesi del gioco, ma le<br />
manovre preliminari e le valutazioni <strong>che</strong> le accompagnarono furono<br />
solo di Cilla; io ne ero completamente all'oscuro. Fin dall'inizio,<br />
molto prima di sapere <strong>che</strong> esisteva un gioco, ero deciso a far sì <strong>che</strong><br />
Cilla non riuscisse mai a cogliermi da solo; doveva sempre esserci<br />
qualcuno nelle vicinanze, qualcuno a distanza di orecchio. Cilla<br />
accettò in fretta queste regole basilari e ne accettò an<strong>che</strong> il corollario<br />
di cui io non ero ancora consapevole: <strong>che</strong> chiunque ci fosse intorno a<br />
noi ci sarebbero sempre stati degli intervalli, sia pur brevi, durante i<br />
quali lei e io ci saremmo trovati insieme inosservati. Fu<br />
sull'accettazione di queste regole <strong>che</strong> costruì la sua strategia e su<br />
questa premessa mosse le pedine con autorità crescente, imparando<br />
in fretta cosa avrei tollerato da lei e cosa no. Come poi accadde, non
c'era niente, dal punto di vista stretto delle regole del gioco, <strong>che</strong> non<br />
avrei tollerato.<br />
Cilla decise di rendersi attraente ai miei occhi, personalmente,<br />
intimamente e come ospite e, malgrado la mia evidente<br />
disapprovazione, ci riuscì. Non serve descrivere quello <strong>che</strong> fece; fa<br />
parte dell'arsenale di qualunque donna <strong>che</strong> aspiri a un uomo, e ogni<br />
adulto le conosce. Ma Cilla utilizzò queste armi con una sottigliezza<br />
supplementare, affilandole per renderle strumenti di un'incredibile<br />
potenza e alla fine usandole per colpire a fondo, con cura e con<br />
oltraggiosa sfrontatezza, nei momenti più strani. Chiunque<br />
guardando avrebbe detto <strong>che</strong> per la maggior parte del tempo mi<br />
ignorava completamente, ma quando si rivolgeva a me era sempre<br />
gentile, cortese e ospitale. Nemmeno un'occhiata di sbieco per<br />
Publio Varro! Nessuno avrebbe mai potuto sospettare <strong>che</strong> tra noi<br />
esistesse un qualunque legame, una qualunque attrazione.<br />
Senza contraddirmi, devo riconoscere <strong>che</strong> Luceia ebbe qual<strong>che</strong><br />
fugace sospetto, proprio all'inizio, prima <strong>che</strong> la sciarada si<br />
sviluppasse e prima <strong>che</strong> io avessi capito cosa Cilla stava facendo.<br />
Essendo una donna e mia moglie, le sembrava <strong>che</strong> la conversione di<br />
Cilla nei miei confronti, da predatrice sessuale a simpatica amica,<br />
fosse troppo completa e me lo fece notare una sera <strong>che</strong> cenavamo da<br />
soli. Parlò solo perché era perplessa: non voleva in nessun modo<br />
accusarmi e la mia risposta fu cristallina, conclusiva e assolutamente<br />
veritiera: «Sa di non piacermi». Luceia l'accettò e non fece più<br />
menzione della cosa, e di ciò le sono estremamente grato.<br />
E così Cilla mi disarmò quasi al punto <strong>che</strong> stavo prendendo in<br />
considerazione l'idea di abbassare la guardia. Cominciavo a sentirmi<br />
tranquillo con lei. Cominciavo a rilassarmi, ad accettare <strong>che</strong> non<br />
sarebbe stata aggressiva, non mi avrebbe messo in imbarazzo: a<br />
quell'epoca era una delle po<strong>che</strong> persone nella cui compagnia io ero<br />
ancora conscio della mia gamba zoppa. A poco a poco, però, questa<br />
consapevolezza si affievolì, grazie al trattamento coerente e
premuroso <strong>che</strong> mi riservava, e al suo estremo rispetto. Cominciai a<br />
sentirmi a mio agio in sua presenza. Non appena se ne accorse mise<br />
in atto la mossa successiva. Lentamente e con molta gradualità,<br />
nell'arco di alcuni mesi, inserì nel gioco il toccarsi. Non parlo del<br />
toccarsi reciproco: a parte un'unica fugace occasione, Cilla non mi<br />
toccò mai, né io toccai mai lei. Lei si toccava, però, e lo faceva solo<br />
per me, sapendo <strong>che</strong> io la guardavo.<br />
<strong>La</strong> prima volta <strong>che</strong> mi sorprese con un gesto dichiarato, la mia<br />
reazione fu quella di pensare <strong>che</strong> il suo gesto non fosse stato<br />
intenzionale, <strong>che</strong> avevo semplicemente visto qualcosa <strong>che</strong> non avrei<br />
dovuto vedere. Dom mi aveva portato alla villa per mostrarmi a<br />
cosa stava lavorando e si era diretto a un armadio chiuso dalle<br />
tende, sotto la curva della scala principale, alla ricerca del suo<br />
progetto. Cilla attraversava il vestibolo quando noi entrammo.<br />
Sorrise amabilmente, scambiò con noi qual<strong>che</strong> parola senza fermarsi<br />
e poi cominciò a salire le scale. Io rimasi nell'ingresso aspettando<br />
Dom.<br />
Cilla vestiva sempre in modo meraviglioso ed era famosa per<br />
questo. Il suo abito era disegnato in modo <strong>che</strong> i drappeggi<br />
coprissero, ma insieme sottolineassero al massimo le sue forme: i<br />
seni, il ventre piatto, le cosce, i fianchi, le nati<strong>che</strong> e la lunga e nitida<br />
linea delle gambe snelle. Le scale erano illuminate da un lucernario a<br />
vetri; Cilla si fermò circa otto gradini più in su per chiamare Dom e<br />
ricordargli <strong>che</strong> quel pomeriggio avrebbero avuto ospiti. Si era<br />
fermata con il piede destro due gradini più in alto del sinistro sulla<br />
scala, e si era piegata in avanti e a sinistra per chiamare Dom, <strong>che</strong> si<br />
trovava quasi direttamente sotto di lei. Notai le soffici pieghe del<br />
vestito drappeggiate intorno alla coscia alzata, perfettamente<br />
evidenziata dalla stoffa <strong>che</strong> vi aderiva.<br />
Cilla rimase in quella posizione, con il capo inclinato per sentire<br />
la risposta di Dom, senza fare attenzione a me; rimase lì in equilibrio<br />
per un tempo <strong>che</strong> misurai in diversi battiti del cuore, e in questo
tempo la mano destra le cadde sulla coscia e strofinò il morbido<br />
tessuto color ambra, in un modo <strong>che</strong> mi parve quasi inconsapevole;<br />
ma il gesto durò un istante di troppo.<br />
Quel tocco distratto divenne un'inconfondibile carezza, un<br />
invito a guardare e ammirare, un lascivo piccolo segreto da portare<br />
via con me, poiché avevo visto l'incredibile intimità con cui le sue<br />
dita si piegavano a premere il tessuto contro la morbida e piena<br />
curva della coscia sopra il ginocchio, fino alla giuntura delle gambe.<br />
Poi Dom le rispose e lei riprese a salire, senza lanciare neppure uno<br />
sguardo verso di me. Sentii il mio sesso indurirsi e il cuore pulsarmi<br />
nelle orecchie, e mi mossi in fretta per raggiungere Dom, nella<br />
speranza <strong>che</strong> non notasse la mia evidente eccitazione.<br />
Questa fu la prima mossa palese nel gioco di Cilla e da quel<br />
momento fece rapidi progressi. <strong>La</strong> seconda mossa non tardò molto.<br />
In piedi vicino a Dom, con le braccia conserte, mentre entrambi<br />
guardavano sul tavolo dove avevo srotolato la pergamena <strong>che</strong> gli<br />
avevo portato per mostrargliela, Cilla si grattò pigramente il seno<br />
con l'unghia del pollice, facendo ergere in turgida prominenza un<br />
capezzolo incredibilmente grande, mentre io ero a meno di un<br />
braccio da lei. Vidi la pienezza morbida e docile del seno e l'urgenza<br />
dell'eccitazione di quel capezzolo, ma non notai niente <strong>che</strong> indicasse<br />
<strong>che</strong> lei fosse cosciente del mio sguardo. Dom, ovviamente, non vide<br />
nulla.<br />
In un'altra occasione, ci trovavamo a una riunione di una<br />
ventina di persone, compresa Luceia, nella sala principale della casa.<br />
Ormai potevo prevedere <strong>che</strong> Cilla avrebbe trovato il modo, chissà<br />
come, di fare qualcosa, e avevo indossato una lunga sopravveste <strong>che</strong><br />
speravo nascondesse qualunque stato di eccitazione. Stavamo<br />
aspettando <strong>che</strong> i servitori annunciassero la cena. Era una serata<br />
informale e tutti si divertivano.<br />
Luceia era immersa in una conversazione con un gruppo di<br />
anziani parenti di Dom, <strong>che</strong> erano venuti in visita da Sorviodunum e
la cui presenza era l'occasione di quella riunione. Io mi ero<br />
allontanato per prendere dalle mani di un servitore una seconda<br />
coppa dell'eccellente vino germanico di Dom, quando di colpo mi<br />
accorsi <strong>che</strong> Cilla mi guardava. Era seduta su un divano profondo e<br />
con lo schienale alto, dov'era rimasta a conversare con due<br />
giovinette <strong>che</strong> in quel momento stavano attraversando la stanza<br />
dirette verso Dom. Non appena vide <strong>che</strong> la guardavo distolse gli<br />
occhi, poi si guardò intorno per la stanza e capii <strong>che</strong> controllava se<br />
qualcuno ci stava osservando. Contemporaneamente un servitore<br />
batté forte sul gong di rame e annunciò <strong>che</strong> la cena stava per essere<br />
servita. Tutti i presenti, tranne me, girarono la testa verso la fonte di<br />
quella voce e Cilla si alzò.<br />
Vorrei saper descrivere in modo adeguato i suoi movimenti. Il<br />
suo tempismo fu perfetto e i suoi gesti furono così deliberati, e così<br />
rapidi, <strong>che</strong> mi parve di ricevere un colpo all'inguine. In meno tempo<br />
di quello necessario a dirlo afferrò il bordo del divano davanti a sé,<br />
spalancò le gambe in modo <strong>che</strong> le pieghe della veste caddero<br />
immediatamente e artisticamente in mezzo a esse e spinse in avanti<br />
il corpo in una lunga scivolata prima di alzarsi e rimanere per un<br />
breve istante a gambe divaricate, con la veste fluttuante intorno alle<br />
caviglie. Era la mossa di un'atleta, ma il gesto di aprire le gambe e di<br />
sporgersi deliberatamente in avanti mi sconvolse, prendendomi di<br />
sorpresa come facevano sempre le sue manovre. Per un istante non<br />
vi fu nulla nel mio mondo se non l'urgenza di quelle gambe<br />
divaricate e di quel ventre di sgualdrina spinto in avanti e poi la<br />
coscienza ritornò e mi guardai intorno in modo colpevole, per<br />
vedere se qualcuno mi aveva visto vedere. Nessuno faceva attenzione,<br />
tutti si stavano dirigendo all'ingresso del triclinium, la sala da pranzo<br />
principale.<br />
Mi unii al gruppo, con il sangue in ebollizione, nella speranza<br />
<strong>che</strong> il tumulto del mio cuore cessasse, ma mi accorsi <strong>che</strong> Cilla, nella<br />
cui direzione prima non avevo osato guardare, stava proprio di<br />
fronte a me, troppo vicina, tra la folla. Mi fermai di colpo, pronto ad
allontanarmi da lei, ma prima di riuscirci sentii la sua mano<br />
sfiorarmi, trovarmi, sentii il dorso della sua mano premere con<br />
decisione sul mio fallo sporgente. Mi allontanai di scatto, ma Cilla<br />
non mi toccò più e mi ignorò completamente per il resto della serata.<br />
Finalmente mi calmai, ma immagini lascive continuarono a fluttuare<br />
nella mia mente per ore dopo quel fatto.<br />
Ora Cilla sapeva oltre ogni possibile dubbio <strong>che</strong> le sue mosse<br />
avevano successo e sapeva an<strong>che</strong>, con altrettanta sicurezza, <strong>che</strong><br />
poteva contare sul mio silenzio. Inoltre sapeva di poter contare sulla<br />
mia complicità nel gioco <strong>che</strong> adesso cominciava sul serio.<br />
Non ho mai avuto nessun rispetto per Cilla come persona e<br />
adesso questo mi rattrista. L'ho sempre considerata una perfetta<br />
sgualdrina - del resto lo pensavano tutti, tranne Dom - ed ero<br />
onestamente convinto, nella mia superbia, <strong>che</strong> non le importasse la<br />
mia opinione. In realtà sembrava dilettarsi della mia avversione nei<br />
suoi confronti, forse perché sapeva <strong>che</strong> malgrado ciò sarei ritornato.<br />
Piacere o dispiacere, mi sembrava, non avevano niente a <strong>che</strong> fare<br />
con il gioco.<br />
Non dubitai mai del suo godimento; né, del resto, lei dubitò del<br />
mio. Ma Cilla aveva un vantaggio su di me: sapeva <strong>che</strong> mi sentivo<br />
colpevole perché, malgrado la mia arrogante nobiltà d'animo, ero<br />
attratto dal suo comportamento sfrontato e non riuscivo a<br />
padroneggiare il mio desiderio. Lei sapeva di avere i miei occhi,<br />
an<strong>che</strong> se non altre parti di me, sempre fissi tra le sue cosce lascive, e<br />
godeva dell'agonizzante profondità del mio senso di colpa, e<br />
provava piacere nel sapere <strong>che</strong> la sua depravazione mi costringeva a<br />
liberarmi da solo del mio seme frustrato, poiché il mio contorto<br />
senso dell'onore non mi permetteva di sfogare in Luceia il mio<br />
desiderio per Cilla.<br />
Come sono codardi gli uomini! Sono qui a scrivere della<br />
depravazione di Cilla mentre si trattava della mia. Infine, prima <strong>che</strong><br />
le cose finissero in un modo imprevedibile, mi trovai in una
condizione molto vicina all'insanita mentale; ho pensato spesso<br />
negli anni successivi <strong>che</strong> la demenza del mio desiderio mi riduceva<br />
in effetti a un comportamento quale avrei potuto attendermi da<br />
Claudio Seneca, l'uomo <strong>che</strong> più detestavo al mondo.<br />
Per diversi anni, all'inizio del gioco, scambiammo a stento<br />
qual<strong>che</strong> parola. Il gioco consisteva interamente nell'azione: Cilla<br />
prendeva l'iniziativa e io reagivo, entrambi senza parlare.<br />
<strong>La</strong> fine di quello stadio capitò un mattino d'autunno, molto<br />
presto, quando arrivai a casa loro con alcuni attrezzi per Dom e fui<br />
invitato a colazione.<br />
Eravamo seduti tutti e tre a un tavolo nei loro appartamenti<br />
privati. Avevamo mangiato con parsimonia e stavamo parlando del<br />
più e del meno, quando notai in Cilla un indizio <strong>che</strong> avevo imparato<br />
a riconoscere quando preparava qualcosa di temerario e pericoloso.<br />
Quando si eccitava i suoi occhi scintillavano. Non c'è un'altra parola<br />
per descrivere il suo sguardo in quelle occasioni; i suoi occhi<br />
prendevano un'intensità luminosa e si inumidivano, quasi stesse per<br />
piangere, tranne <strong>che</strong> in essi non c'era traccia di dolore, anzi,<br />
luccicavano ed emanavano un'aura di gaiezza a stento trattenuta.<br />
In quella circostanza an<strong>che</strong> Dom se ne accorse. Si chinò in avanti<br />
e le strofinò la guancia in una carezza affettuosa, maritale, e Cilla si<br />
girò e gli sorrise, un sorriso di totale dolcezza, <strong>che</strong> poi concesse<br />
an<strong>che</strong> a me.<br />
«Publio,» disse Dom, «non la trovi radiosa? Ringrazio Iddio<br />
ogni giorno per questo tesoro. Lui me lo ha dato. Ma raramente ha<br />
questo aspetto felice, deve essere la tua presenza <strong>che</strong> le fa così<br />
piacere. Devo farti venire più spesso. Non sei d'accordo, cara?»<br />
Cilla non parlò. Si limitò a sorridermi con quel sorriso radioso e<br />
luminoso e io mi mossi a disagio perché entrambe le sue mani erano<br />
fuori vista, sotto la tavola, e io sapevo <strong>che</strong> si stava accarezzando.<br />
Arrossii per la colpa e per la paura <strong>che</strong> Dom potesse allungare la
mano a prenderne una delle sue e mi alzai in fretta per congedarmi.<br />
«No,» disse lei, rimettendo le mani sul tavolo. «Non puoi andare<br />
adesso, Publio. Dom ha qualcosa da farti vedere.» <strong>La</strong> faccia di Dom<br />
divenne inespressiva. «Non ti ricordi, caro?» Lui batté le palpebre e<br />
lei continuò, come se parlasse a un bambino piccolo. «I tuoi progetti<br />
per il nuovo pavimento intarsiato?»<br />
«Ah! Certo, <strong>che</strong> stupido!» <strong>La</strong> sua faccia divenne nuovamente<br />
inespressiva. «Ma dove sono, cara? Lo sai?»<br />
«Oh, Dom! Sono nel tuo cubiculum o in una delle cassepan<strong>che</strong><br />
nella tua camera da letto. Portali giù, così possiamo distenderli su<br />
quell'altro tavolo.»<br />
«Sì, certo. Scusami, Publio. Non ci metto molto.»<br />
Le mani di Cilla erano di nuovo sotto il tavolo e, quando Dom<br />
lasciò la stanza, fece un movimento <strong>che</strong> mi fece capire <strong>che</strong> aveva<br />
spostato la veste per scoprire le gambe.<br />
«Guarda!»<br />
«No, dannazione!» Mi alzai in piedi e mi allontanai furibondo<br />
dal tavolo, arrabbiato con lei e con me stesso. «Cilla, come puoi far<br />
questo a Dom?»<br />
«A Dom? Non sto facendo niente a Dom! Lo sto facendo a te,<br />
guarda!»<br />
Guardai. Le sue gambe nude erano divaricate sotto il tavolo.<br />
«Per amore del dolce Signore! Uno di questi giorni ti scoprirà!»<br />
«Forse. Ma non oggi. Ho nascosto quei progetti troppo bene.<br />
Abbiamo tempo.»<br />
Le voltai le spalle, lottando per diminuire il gonfiore del mio<br />
fallo traditore. <strong>La</strong> sentii alzarsi e muoversi verso di me fino a <strong>che</strong> mi<br />
si trovò davanti, la perfetta immagine della moglie romana<br />
dignitosa e ligia al dovere. Andò alla porta della stanza, guardò nel<br />
corridoio, poi tornò indietro e si mise tra me e la porta aperta del
giardino, in modo <strong>che</strong> il suo corpo si stagliasse chiaramente<br />
attraverso l'abito leggero contro la luce del sole del primo mattino.<br />
Stava a gambe aperte.<br />
«Guarda, Publio.» Nella mia mente continuo a sentire la sua<br />
voce, i suoi sospiri sibilanti. «Vuoi solo guardare, allora guarda e<br />
godi. Senti <strong>che</strong> ti indurisci e immagina cosa potresti fare dentro di<br />
me, come ti ergeresti spargendo il tuo seme se solo la tua volontà di<br />
ferro te lo permettesse.» Aprì le pieghe della veste, rivelando la<br />
bellezza delle sue carni calde, soffici e sode e mostrandomi<br />
apertamente per la prima volta il fitto cespuglio rosso dorato dei peli<br />
al centro del suo corpo. Guardai e mi eccitai, tendendo l'orecchio per<br />
cogliere i primi rumori del ritorno di Dom. Quel sorriso scintillante<br />
non lasciò mai i suoi occhi.<br />
«Per quanto tu lo desideri non infilerai mai il tuo duro membro<br />
di fabbro dentro di me, vero, Publio? Questo sarebbe peccato nei<br />
confronti di tua moglie. Ma tua moglie è tua moglie da anni, ormai.<br />
È bella, ma è territorio familiare, vero?»<br />
Volevo dirle di non infangare il nome di mia moglie con la sua<br />
bocca, ma, il Signore mi aiuti, potevo solo restare a guardarla,<br />
mentre lei penetrava con un dito nelle sue profondità, lo rigirava e lo<br />
estraeva di nuovo, stendendolo poi per farmi vedere come luccicava<br />
dei suoi umori.<br />
«Questo non è terreno familiare, Publio. È la cosa proibita.<br />
Questo succo a cui aspiri è il frutto proibito <strong>che</strong> mantiene giovani gli<br />
uomini.» Si infilò il dito in bocca, succhiandolo lentamente per<br />
pulirlo, e poi lo tese di nuovo verso di me. «Questo è il motivo per<br />
cui mi guardi, per cui guardi Cilla, perché ti mostro tutte le delizie<br />
della terra, tutti gli eccessi del peccato <strong>che</strong> non si commette con le<br />
mogli.»<br />
«Falli vedere a tuo marito» gracchiai, con la gola<br />
improvvisamente stretta da un groppo.<br />
Inarcò le sopracciglia, ma non per disprezzo, né per derisione.
«A lui non interessa.» Non dissi niente e lei sorrise. «Non mi credi,<br />
vero? Ma perché dovrei mentire? Cosa ci guadagnerei? Forse <strong>che</strong><br />
questo mi farebbe apparire meno sfrontata ai tuoi occhi? Niente lo<br />
potrebbe, non è vero? Ma è la sfrontatezza ciò <strong>che</strong> ti fa venire qui,<br />
perciò accetto la tua disapprovazione. Ti piace questo?» Mosse le<br />
dita nel cespuglio d'oro rosso.<br />
«Fallo ancora» sussurrai, quasi soffocando.<br />
«Cosa? Questo?» Lo fece di nuovo, indugiando a lungo con il<br />
dito infilato nelle sue profondità prima di estrarlo e di offrirmelo.<br />
Quando scossi la testa in segno di rifiuto, sentii <strong>che</strong> Dom ritornava.<br />
<strong>La</strong> guardai succhiarsi di nuovo il dito, e seppi esattamente come<br />
sarebbe stato sentire intorno a me quella calda bocca, e poi Dom<br />
rientrò nella stanza, con la testa già china sul foglio <strong>che</strong> portava<br />
srotolato tra le mani. Cilla si allontanò con disinvoltura dalla luce<br />
rivelatrice e io mi piegai sui disegni <strong>che</strong> Dom stendeva sul tavolo,<br />
senza riuscire a vedere altro <strong>che</strong> la bocca di Cilla <strong>che</strong> si succhiava le<br />
dita.<br />
Quell'immagine e il ricordo del suo pube rosso dorato rimasero<br />
in me per giorni.<br />
L'ultima mossa del gioco, lo stadio finale della sua depravazione<br />
avvenne a primavera inoltrata, l'anno della scorreria nella quale<br />
rimasi ferito, solo po<strong>che</strong> settimane dopo <strong>che</strong> Caio mi aveva parlato<br />
della stupefacente e impossibile lettera secondo la quale Claudio<br />
Seneca era stato visto a Roma.<br />
Cilla arrivò all'ingresso della mia fucina una mattina e mi chiese<br />
se poteva parlarmi da sola. Era un fatto senza precedenti. Non mi<br />
aveva mai avvicinato prima così apertamente.<br />
Tremai di apprensione mentre uscivo alla luce del sole per<br />
parlare con lei, ma lei mi tranquillizzò subito porgendomi un pacco<br />
di disegni, i disegni per un forno da fusione <strong>che</strong> avevo prestato a<br />
Dom poco tempo prima e <strong>che</strong> lui aveva promesso di restituirmi quel<br />
giorno.
«Dom mi ha chiesto di restituirti questi. È andato ad Aquae<br />
Sulis.»<br />
<strong>La</strong> fissai, con gli occhi ancora accecati dalla luce del sole. «Aquae<br />
Sulis? Perché non sei andata con lui? Di solito ci vai, non è vero?»<br />
«Sì, ma non questa volta. Non ne ho bisogno.»<br />
<strong>La</strong> guardai meglio, ma nei suoi occhi non c'erano scintillii. Mi<br />
rilassai, e lei proseguì.<br />
«Publio, ho da farti una proposta. So <strong>che</strong> tu non vuoi fare altro<br />
<strong>che</strong> guardare. Ti piace guardare. Lo sappiamo tutti e due. Adesso mi<br />
piacerebbe <strong>che</strong> tu guardassi in un altro modo. Ti piacerebbe? Io<br />
penso di sì.»<br />
Sentii la mia fronte aggrottarsi e feci un passo avanti sulla soglia<br />
della fucina, guidandola per il gomito dietro l'angolo in uno stretto<br />
passaggio lastricato tra due magazzini.<br />
Quando fui certo <strong>che</strong> eravamo abbastanza lontani dalla porta<br />
per non essere sentiti, le chiesi, tenendo bassa la voce. «Cilla, di cosa<br />
stai parlando? Cosa potrebbe essere differente? Cosa c'è da guardare<br />
ancora? Ti conosco tanto bene quanto lo può fare un uomo usando<br />
solo gli occhi. Cosa può esserci di più?»<br />
«Cilla.»<br />
«Cosa?»<br />
«Cilla. Il mio nome. Lo hai detto. Non lo usi mai.»<br />
«No, non lo uso.»<br />
«Usalo di nuovo, adesso.» Sorrise, ma era un sorriso strano. Se<br />
non l'avessi conosciuta bene avrei detto <strong>che</strong> era un sorriso incerto,<br />
quasi tremulo. Non dissi niente e lei riprese.<br />
«Qui siamo sul tuo terreno, Publio e non stiamo giocando.»<br />
«E allora?» Ero confuso, incapace di capire cosa stesse dicendo.<br />
«Allora, dopo - quanti? - sette anni durante i quali non hai mai
detto il mio nome, vorresti farmi in questo giorno d'estate il piacere<br />
di ripetere il mio nome? Solo un'altra volta?»<br />
Ero sorpreso e, di conseguenza, più crudele di quanto mi piaccia<br />
ricordare. «Mmm!» grugnii, sentendomi a disagio per quella<br />
deviazione dalla norma. «Stavamo parlando di guardare, Cilla...<br />
Bene, Cilla, ti ho guardato fare l'amore da sola in ogni modo, con<br />
ogni cosa, dai vegetali alle candele di cera. Cosa c'è ancora da<br />
vedere?»<br />
Lei mi fissò in silenzio per un lungo istante e io cercai di<br />
indovinare dalla strana espressione sul suo viso a cosa stava<br />
pensando, ma poi lei rise con la sua tipica risata e i suoi occhi<br />
scintillarono.<br />
«Sento un tono di censura nella tua voce, Publio? Di disgusto?<br />
Coraggio, tutto questo ti piace. Cilla, la tua sfrontata Cilla, ti eccita<br />
più di quanto ti disgusti, non è vero? No.» Rispose da sola alla sua<br />
domanda, con la voce velata di ironia. «No, forse non più di quanto<br />
ti disgusti, ma in modo più violento, e molto più piacevole. Ti ho<br />
visto eccitarti malgrado il disgusto e l'avversione per quella <strong>che</strong><br />
consideri la tua debolezza, Publio, e ti ho guardato mentre spargevi<br />
con la mano il seme <strong>che</strong> non avresti mai sparso in altro modo. Ma c'è<br />
di più.»<br />
«Come? Cosa potrebbe esserci di più? Cosa?»<br />
«Vieni a casa mia oggi e guarda.»<br />
«No. Non mentre Dom è via.»<br />
Mi fissò di nuovo. «Mi chiedo sempre se ti rendi conto della<br />
follia di tutto questo, Publio. Non tradiresti un amico in sua assenza.<br />
Preferisci farlo quando è presente.»<br />
«Questo è troppo, Cilla! Troppo.»<br />
Lei fece una pausa e annuì.<br />
«Bene, allora sceglieremo un altro luogo per l'appuntamento.
Fuori di casa. Nei boschi.»<br />
«No. È contro le regole. Non da soli.» Stavo lottando contro la<br />
tentazione.<br />
«Io non sarò sola. Lo sarai tu.»<br />
«Cosa? Cosa vuoi dire?»<br />
«Quello <strong>che</strong> ho detto. Io sarò accompagnata.»<br />
«Mio Dio, tu sei pazza! Accompagnata da chi? E cosa ti rende<br />
così certa <strong>che</strong> prenderò in considerazione una simile proposta?»<br />
«Sarò accompagnata da un uomo, da un adorabile adolescente<br />
<strong>che</strong> non può sentire, né parlare, ma a cui non manca nient'altro.»<br />
«Tu sei pazza!»<br />
Lei rise di nuovo. «Pazza? Perché? Perché ti invito a guardare?<br />
Mi piace averti lì a guardare i miei giochi, Publio! Nessun altro<br />
guarda meglio di te, più attentamente e più avidamente. Ho<br />
davvero pensato <strong>che</strong> ti sarebbe piaciuto guardare qualcuno <strong>che</strong> si<br />
prendeva i piaceri <strong>che</strong> tu neghi a te stesso. Pensaci, Publio. Il ragazzo<br />
è sordo. Non ti sentirà avvicinarti e nasconderti tra i cespugli e non<br />
emetterà nessun suono e io gli benderò gli occhi in modo <strong>che</strong> sia<br />
cieco a tutto tranne <strong>che</strong> ai piaceri di cui lo inonderò per il tuo<br />
piacere.»<br />
Fece una pausa, guardandomi attentamente, e poiché io non<br />
dicevo niente continuò. «È solo un ragazzo, Publio, an<strong>che</strong> se le sue<br />
prestazioni sono quelle di uno stallone. Sarà uno strumento di<br />
piacere, nient'altro, uno strumento silenzioso, <strong>che</strong> non vede e non<br />
sente, manipolabile come tutti quelli <strong>che</strong> ho usato in passato. Tranne<br />
<strong>che</strong> lui mi userà come una giumenta e io lo userò fino a esaurimento.<br />
Pensaci, Publio. Lui non vedrà <strong>che</strong> sei lì, ma io ti vedrò e tu mi<br />
vedrai, finalmente usata come la puttana <strong>che</strong> sono ai tuoi occhi,<br />
sbattuta e montata, stretta e strattonata, mentre sudo e mi contorco,<br />
inginocchiata su un fallo vivente, penetrante, <strong>che</strong> impalo me stessa e<br />
ti guardo al di sopra della sua testa, guardo te <strong>che</strong> guardi me, mentre
entrambi vorremmo <strong>che</strong> tu fossi dentro di me.»<br />
<strong>La</strong> sua voce si addolcì. «Non romperemo le regole, Publio, non<br />
ci scosteremo dal gioco. Saremo sempre solo tu e io. Ma io coprirò i<br />
suoi occhi per bene, quando avrà finito, perché voglio <strong>che</strong> tu, Publio<br />
Varro, guardi il seme di un uomo colare almeno una volta dal corpo<br />
della tua compagna di giochi. Pensaci, Publio. Solo per i tuoi occhi e<br />
per il tuo desiderio, e nessuno lo saprà tranne me.»<br />
«Dolce Signore!»<br />
Lei mi interruppe. «Niente predi<strong>che</strong>, Publio! Io sarò lì con il<br />
ragazzo all'ora terza dopo mezzogiorno. Conosci la pietra eretta<br />
all'angolo sudorientale delle nostre terre. Un sentiero porta da lì nei<br />
boschi. Conta i passi e fai <strong>che</strong> siano coni come i miei. A centoventi<br />
passi dal limitare della foresta troverai un albero cavo a sinistra del<br />
sentiero. Proprio dietro quell'albero, a circa quaranta passi dal<br />
sentiero, c'è una radura con un pendio muschioso adatto al letto di<br />
un dio. Non temere di fare rumore. Ricorda <strong>che</strong> il ragazzo è sordo e<br />
muto. Io starò in ascolto del tuo arrivo, ma non aspetterò a lungo.<br />
Con un ragazzo nudo e un fallo lungo e forte vicino a me mi ecciterò<br />
molto in fretta e dovrò dare sollievo ai miei pruriti.»<br />
Fece una pausa e si piegò verso di me annusando<br />
profondamente. «Sei sudicio e fuligginoso, sudato e puzzolente. Mi<br />
piace. I miei umori sgorgano da me, scendono lungo la mia coscia,<br />
proprio adesso. Voglio appoggiarmi o sedermi da qual<strong>che</strong> parte e<br />
fare dei giochi per noi. C'è un posto qui vicino?»<br />
«No, per amore di Dio!»<br />
«No, per amore del piacere. Cosa ne dici della tua fucina?<br />
Sembra buio lì dentro.»<br />
«Sei pazza? Ci sono Equo e una dozzina di altre persone.»<br />
«Cos'è quel posto?» Indicò una porta.<br />
«Niente. Un magazzino.»
«Fammelo vedere.»<br />
«No! Cilla, per...»<br />
«Allora guarderò da sola.»<br />
Aprì la porta. Il locale era piccolo, c'era appena lo spazio per<br />
entrare e raggiungere gli scaffali <strong>che</strong> ne tappezzavano le pareti. Lei<br />
entrò e si girò verso di me, sollevando l'orlo della bella veste azzurro<br />
pallido sulle lunghe gambe, lisce e ben modellate. Io grugnii di<br />
disperazione e di eccitazione. Questa volta era veramente troppo,<br />
ma io avevo visto all'interno delle sue cosce il luccicore <strong>che</strong><br />
dimostrava la sua eccitazione. Non aveva esagerato. Le sue dita<br />
erano già occupate e le ginocchia le cedevano mentre scivolava con<br />
la schiena contro il muro coperto di scaffali. Nella penombra<br />
dell'interno i suoi occhi splendevano, tanto intensa era la sua<br />
eccitazione. Mi tese la mano, bagnata del fluido del suo corpo. Non<br />
ho mai conosciuto una donna <strong>che</strong> potesse bagnarsi così in fretta. Mi<br />
guardai intorno impaurito, ma non vidi nessuno. E allora Cilla<br />
cominciò a gemere, dalla profondità della gola, una cosa <strong>che</strong> non le<br />
avevo mai sentito fare. «Smettila!» sibilai.<br />
«Non posso» gemette. «È perché sono qui, così vicino a casa tua.<br />
Vieni più vicino. Fammi annusare il fumo <strong>che</strong> hai addosso.»<br />
Terrorizzato all'idea di essere scoperto, ma completamente<br />
incapace di resistere, feci un passo avanti e lei chiuse gli occhi,<br />
inspirando profondamente e poi gemendo nella gola, mentre<br />
veniva. Io caddi su un ginocchio, noncurante di quello <strong>che</strong> poteva<br />
succedere. «Fammi vedere! Fammi vedere come sei bagnata!»<br />
«Quanto bagnata mi vuoi?»<br />
«Tanto quanto puoi esserlo.»<br />
Sporse la lingua tra le labbra e sorrise, poi si accovacciò e<br />
schizzò un lungo getto di orina sul pavimento della baracca. Mentre<br />
io guardavo completamente affascinato, Cilla si raddrizzò<br />
lentamente, sollevando la veste intorno alla vita e lasciando <strong>che</strong> il
fiotto di urina le scorresse lungo le gambe e le inzuppasse i sandali.<br />
«Sono abbastanza bagnata per te? Vedi? Ci sono ancora cose<br />
nuove da guardare. Dammi la mano.» Scossi la testa. «Allora dammi<br />
qualcosa, uno straccio.»<br />
Mi rialzai e le porsi il fazzoletto <strong>che</strong> portavo intorno al collo, e lei<br />
si asciugò le cosce, e si strofinò accuratamente l'inguine prima di<br />
restituirmelo. Lo avvicinai al volto per sentirne l'odore. Cilla uscì<br />
dalla baracca.<br />
«Tocca a te. Hai bisogno di farlo. Io invece guarderò. Se viene<br />
qualcuno ti avvertirò e tu potrai far finta di prendere qualcosa per<br />
me da uno scaffale.» I suoi occhi erano fissi sul mio membro. «Fallo,<br />
Publio. Adesso!»<br />
Lo feci e mi bastarono pochi attimi, con i suoi occhi bramosi fissi<br />
su di me e con in mente le immagini di lei <strong>che</strong> avevo appena visto.<br />
Quando ebbi finito lei annuì.<br />
«<strong>La</strong> terza ora. Ma non prima. Non ti farebbe piacere incontrarci<br />
accidentalmente sul sentiero. Io starò in attesa del tuo arrivo.<br />
Ricorda: quaranta passi dietro l'albero cavo.»<br />
Poi si girò e se ne andò, lasciandomi a cercare di rimettere<br />
insieme la mia giornata, e a lottare contro la tentazione <strong>che</strong> mi aveva<br />
fatto intravedere per quel pomeriggio.
IV.<br />
Quel pomeriggio spronai il mio cavallo per tutta la strada verso<br />
l'appuntamento con Cilla, maledicendo me stesso e dubitando della<br />
mia sanità mentale a ogni battito di zoccoli; alla fine del tragitto legai<br />
l'animale a un alberello appena dentro la foresta, a circa cinquanta<br />
passi dall'inizio del sentiero <strong>che</strong> mi avrebbe portato alla radura. Il<br />
sole era entrato nella quarta ora del suo viaggio pomeridiano e<br />
proiettava la mia ombra dritta di fronte a me.<br />
Mi sentivo come paralizzato; sapevo solo <strong>che</strong> mi ero perso in<br />
qualcosa di travolgente, al di là della mia comprensione e<br />
completamente al di là del mio controllo, ma fu quest'ultimo<br />
pusillanime pensiero <strong>che</strong> mi fece reagire e mi diede la forza di<br />
fermarmi e di tornare indietro. Sapevo <strong>che</strong> se fossi entrato nel bosco<br />
e in quella radura, se avessi fatto an<strong>che</strong> un solo passo lungo quel<br />
sentiero avrei perduto ciò <strong>che</strong> restava del mio orgoglio e del mio<br />
onore; se fossi caduto così in basso da guardare Cilla fare l'amore<br />
con un altro avrei tradito non solo la mia famiglia e tutto ciò <strong>che</strong> mi<br />
era caro, ma la mia dignità umana, e avrei abbandonato il possesso<br />
della mia anima immortale alla bestia <strong>che</strong> era in Cilla e alla bestia<br />
<strong>che</strong> era in me.<br />
Il cavallo brucava l'erba rada sotto gli alberi dove lo avevo<br />
legato; mi appoggiai al suo fianco con tutto il mio peso, sentendo il<br />
suo odore equino e pulito.<br />
Sapeva di cavallo, proprio come doveva, sapeva di sudore e di<br />
salute e in lui non c'era niente di falso e niente di equivoco. Era un<br />
cavallo, e aveva la forza di un cavallo; non c'era niente in lui <strong>che</strong> non<br />
fosse giusto per un cavallo. Quando andava in calore, ci andava<br />
semplicemente, senza sotterfugi e solo con una puledra in calore; in<br />
tutto e per tutto si comportava come ogni cavallo.<br />
Per un istante ebbi la visione grottesca del mio cavallo <strong>che</strong>
fissava affascinato un altro stallone impegnato a montare una<br />
giumenta, e mi misi a ridere, prima piano e poi con sempre maggior<br />
abbandono e meno controllo quando mi resi conto della ridicola<br />
follia di quello <strong>che</strong> stavo immaginando, e vidi chiaramente cosa ero<br />
diventato.<br />
Finii seduto a terra tra le zampe dell'animale, a ridere<br />
fragorosamente e poi di colpo a piangere; poiché era un animale<br />
sensibile, il cavallo si allontanò, a disagio, e il modo in cui mi<br />
guardava mi fece ridere e piangere ancora di più.<br />
Alla fine ritornai in me e mi sentii come non mi sentivo da<br />
tempo e seppi an<strong>che</strong>, con assoluta certezza, <strong>che</strong> il gioco di Cilla era<br />
finito. Avevo ritrovato la mia rotta, dopo anni di perdizione, e la via<br />
giusta mi era stata indicata da un cavallo. Quante volte Equo mi<br />
aveva chiamato culo di cavallo? Adesso sapevo <strong>che</strong> Equo aveva<br />
torto, ma c'era voluto proprio un cavallo per mostrarmi chi ero, o<br />
meglio chi avrei dovuto essere: un uomo e un fabbricante di armi,<br />
un fabbro e un soldato. Non avevo niente a <strong>che</strong> fare con cose<br />
meschine e indegne di un uomo, e a partire da quel giorno le avrei<br />
evitate e avrei riconquistato la forza della mia dignità.<br />
Vidi l'albero caduto <strong>che</strong> avevo notato in precedenza, il motivo<br />
per cui avevo legato il mio cavallo proprio in quel punto. Quando si<br />
ha una gamba come la mia si cerca sempre un mezzo facile per<br />
risalire a cavallo. Guidai l'animale lì vicino, salii in groppa e lo<br />
condussi lontano dalla foresta, giù verso il ruscello tra i cespugli in<br />
fondo alla valle. Gli alberi in quel punto erano distanziati e bassi,<br />
poco più <strong>che</strong> arboscelli, e si poteva quasi andare al galoppo.<br />
Lungo le rive del ruscello smontai di nuovo, stavolta vicino a un<br />
vecchio ceppo coperto di muschio, tolsi i sandali e i leggeri gambali<br />
e mi sedetti a dondolare i piedi nudi nell'acqua gorgogliante. Rimasi<br />
a guardare i pesciolini guizzanti nella quiete di un pigro riflusso al<br />
mio fianco, e lasciai <strong>che</strong> il rumore e il tocco rassicurante dell'acqua<br />
mi purificassero. Poi mi rivestii e mi diressi verso casa, senza
impianti per Cilla o per il gioco <strong>che</strong> stava facendo nella radura della<br />
foresta.<br />
Ero acutamente consapevole della bellezza di quella giornata e<br />
dello scenario <strong>che</strong> mi circondava. Le foglie appena germogliate,<br />
ancora informi, non avevano perso la loro fragile fres<strong>che</strong>zza e il<br />
muschio dell'inverno e della primavera era verde, tenero e umido; i<br />
fiori sbocciavano in mezzo all'erba ovunque guardassi e l'aria era<br />
piena di farfalle e di api.<br />
D'un tratto sentii uno schianto tra i cespugli e il cavallo scartò<br />
nervosamente sentendo l'odore di un orso, <strong>che</strong> però aveva già<br />
sentito il nostro e si stava allontanando. Lo calmai e poi lo spronai al<br />
trotto per lasciare quella zona al povero orso. Ero in pace con tutti<br />
gli animali quel giorno, ma così, per arrivare a casa, impiegai molto<br />
più tempo del dovuto.<br />
Mentre mi preparavo a smontare davanti alla fucina, sentii<br />
chiamare il mio nome e vidi un domestico correre verso di me<br />
agitando le braccia.<br />
Rimasi a cavallo e attesi <strong>che</strong> mi arrivasse davanti; ansimando mi<br />
disse <strong>che</strong> Luceia mi cercava "da ore" e <strong>che</strong> lo aveva mandato alla<br />
fucina ad aspettarmi per essere sicuro <strong>che</strong> al mio ritorno andassi<br />
subito da lei.<br />
Mi diressi verso la villa chiedendomi cosa potesse essere<br />
successo; Luceia mi corse incontro, pallida in volto, e io mi preparai<br />
a sentire cattive notizie delle bambine o di Caio.<br />
«Grazie a Dio, sei qui! Hai visto Domizio?»<br />
Mi colse di sorpresa. «Domizio? Dom? No, è ad Aquae Sulis. È<br />
partito stamattina. Perché?»<br />
Luceia si accigliò, perplessa. «Cosa vuol dire ad Aquae Sulis?<br />
Era qui meno di un'ora fa e ti cercava.»<br />
Il mio cuore sobbalzò e sembrò perdere un colpo. «Dom? No,<br />
non può essere stato qui. È via.»
Luceia stava per irritarsi, spazientita dalla mia lentezza e<br />
ottusità. «Publio, mi ascolti? Devi trovarlo. È fuori di sé. È successo<br />
qualcosa di terribile. Non so cosa, ma ho paura per Dom. Era come<br />
impazzito, Publio, e c'era del sangue sui suoi abiti.»<br />
«Sangue?» Facevo fatica ad afferrare le sue parole. «Sangue, cosa<br />
vuoi dire? Quanto sangue? Di chi? Dimmelo, Luceia, per l'amor di<br />
Dio.»<br />
Spalancò le braccia in un gesto di impotenza. «Non lo so, Publio!<br />
Non so niente, tranne <strong>che</strong> c'era qualcosa di strano, di molto strano, e<br />
non ho potuto far niente per lui. Non voleva parlare con me. Voleva<br />
solo te e nessun altro. Era fuori di sé, Publio, completamente<br />
sconvolto. È entrato in casa come una furia e l'ho sentito gridare il<br />
tuo nome. Quando sono uscita a vedere cos'era tutta quella<br />
confusione, lui era di sopra, <strong>che</strong> correva da una stanza all'altra e ti<br />
chiamava urlando.<br />
Sono andata da lui e gli ho detto <strong>che</strong> eri fuori, ma credo <strong>che</strong> non<br />
mi abbia neppure sentito. Aveva un aspetto spaventoso, Publio. I<br />
capelli erano ritti sulla testa e i suoi occhi erano...» Si interruppe e si<br />
portò una mano alla bocca come se volesse fermare le parole <strong>che</strong><br />
stavano per uscirne. «Oh, Publio, non ho mai visto occhi simili, così<br />
pieni di dolore, di rabbia e di lutto.»<br />
Avevo la bocca secca e il cuore batteva allo stesso ritmo delle<br />
terribili ali <strong>che</strong> mi frullavano nello stomaco.<br />
«Poi cosa? Cosa ha detto?»<br />
«Niente. O quasi niente. Ha smesso di urlare e si è guardato<br />
intorno, strizzando gli occhi come se non sapesse dov'era. Poi mi ha<br />
guardato e la sua faccia - non so come descriverlo, Publio - si è<br />
rabbuiata e mi ha chiesto: "Lo sapevi?". Poi si è guardato ancora<br />
intorno, ha guardato verso il lucernario ed è corso giù per le scale, e<br />
se n'è andato urlando il tuo nome.»<br />
«E nessuno lo ha seguito? Lo hai semplicemente lasciato andare
via?»<br />
«All'inizio sì. Eravamo tutti stupefatti e fuori aveva un cavallo.<br />
Poi ho ripreso il controllo e gli ho mandato dietro Paolo, lo stalliere,<br />
ma era troppo tardi; Paolo non è riuscito a trovarlo.»<br />
«Sangue, Luceia. Hai detto <strong>che</strong> c'era del sangue. Quanto e dove?<br />
Era il suo?»<br />
Lei scosse la testa decisa, come per respingere la mia domanda.<br />
«Non lo so. Aveva un mantello, chiuso al collo, <strong>che</strong> lo copriva<br />
completamente. Ho visto per un attimo la sua tunica e mi è sembrata<br />
nera. È stato solo quando ho visto le sue gambe e i piedi, mentre<br />
usciva alla luce del sole, <strong>che</strong> ho capito di cosa si trattava. Publio,<br />
aveva le gambe coperte di sangue!»<br />
«Dov'era Cai durante tutto questo tempo? E dov'è adesso?»<br />
Scosse la testa di nuovo. «Non è qui. È uscito presto con un<br />
uomo, un suo vecchio amico, <strong>che</strong> è arrivato verso mezzogiorno. Non<br />
so chi fosse. Io ero occupata con le bambine e non l'ho visto. In ogni<br />
caso i servitori hanno detto <strong>che</strong> era uno straniero, ma <strong>che</strong> Cai lo<br />
conosceva da tanto tempo. Sono usciti insieme e non sono ancora<br />
tornati.»<br />
«Mio Dio!» Stavo già zoppicando verso la porta e urlai al di<br />
sopra della spalla: «Chiama Equo e riunisci una pattuglia a cavallo e<br />
assicurati <strong>che</strong> portino an<strong>che</strong> dei carri e un medico. Di' loro di venire<br />
a villa Titente il più presto possibile, e tu rimani qui!»<br />
Il mio cavallo era ancora nel cortile dove l'avevo lasciato; gli<br />
saltai in groppa e lo feci partire ancor prima di essermi seduto. Era<br />
un animale forte ed era già pronto per un'altra corsa. Lo spronai al<br />
galoppo e presi la via più breve verso la casa di Dom e della sua<br />
infedele moglie.<br />
Mi ci volle mezz'ora, a tutta velocità, per arrivare, e ormai non<br />
mi curavo più della povera bestia sotto di me, <strong>che</strong> nel mio terrore<br />
sfruttavo crudelmente. Lottavo contro la mia stessa immaginazione,
e mi ripetevo <strong>che</strong> non poteva essere terribile come temevo.<br />
I primi segni della tragedia mi attendevano ai cancelli della villa:<br />
Carlos, il cameriere personale di Dom da molti anni, giaceva morto,<br />
scomposto e sventrato, in mezzo al passaggio. Dietro di lui a pochi<br />
passi di distanza c'era un altro cadavere, <strong>che</strong> non conoscevo.<br />
Guardai più in là e ne vidi altri nel cortile d'ingresso, quattro in<br />
tutto. Sembrava di vedere il risultato di una scorreria e mi dissi <strong>che</strong><br />
Dom doveva essere rimasto sconvolto scoprendo inaspettatamente<br />
quella scena. Ma non appena formulai quel pensiero seppi <strong>che</strong> mi<br />
stavo ingannando deliberatamente.<br />
Era stato Dom, il mio gentile amico, preso nella morsa della<br />
follia.<br />
L'ultimo cadavere, quello di una giovane donna, era scomposto<br />
e irrigidito nel suo stesso sangue raggrumato, sui gradini <strong>che</strong><br />
conducevano al portico della casa. Mi fermai fuori dalla porta, senza<br />
osare entrare, paventando quello <strong>che</strong> avrei trovato. Invece di<br />
guardare la donna morta ai miei piedi, guardai in cielo. <strong>La</strong> notte si<br />
avvicinava e pesanti nuvole erano giunte da occidente, gravide di<br />
pioggia. "Perfetto" pensai. "Avrai bisogno di tutta la tua pioggia per<br />
lavare via il sangue da questa casa". Sguainai la spada, non so per<br />
quale motivo, aprii la porta, e mi ritrovai nell'Ade.<br />
Un soldato si abitua alla vista del sangue, fa parte della sua vita.<br />
Farlo sgorgare è uno dei suoi compiti; e se accetta il sangue e il fatto<br />
di doverlo spargere accetta an<strong>che</strong> le esalazioni e gli escrementi <strong>che</strong><br />
vanno di pari passo con l'improvviso e violento distacco dalla vita.<br />
Impara ad accettare e ignorare il puzzo di viscere e vesci<strong>che</strong><br />
svuotate, vede senza vederlo il luccichio livido, il bianco bluastro<br />
delle interiora, e l'acuto e pungente fetore dei fluidi corporei <strong>che</strong> gli<br />
aggredisce le narici al solo passaggio. Il soldato viene dotato di<br />
questo distacco come il ferro viene temprato: prima viene immerso<br />
nel fuoco e poi viene battuto con pesanti colpi di martello. Il soldato<br />
viene temprato nella furia e nel terrore della battaglia, dove non
esiste altro nella sua mente <strong>che</strong> possa distrarlo dalla più sacra e<br />
consacra a necessità, quella di sopravvivere,<br />
Ma se gli si toglie lo stimolo della lotta selvaggia e frenetica e lo<br />
si trasporta con tutta la caotica carneficina de! campo di battaglia nei<br />
quieti confini familiari di una casa, spaziosa e illuminata, si<br />
amplificano diecimila volte tutti gli orrori accumulati <strong>che</strong> ha<br />
ignorato per tutta la vita, e il risultato e un incubo a occhi aperti:<br />
orrore e disgusto indescrivibili.<br />
Malgrado tutta la mia esperienza non mi ero mai reso conto<br />
veramente di quanto sangue può uscire da un corpo umano, sembrò<br />
<strong>che</strong> ogni muro all'interno di quella casa fosse lordato di sangue: ce<br />
n'era ovunque, sparso e schizzato in macchie dense e scure da cui<br />
sinistri rivoli scorrevano sul pavimento, completamente inondato di<br />
strati vischiosi, neri, e di pozze di sangue rappreso. Sembrava una<br />
scena del Tartaro, mancavano solo i demoni malvagi e farfuglianti.<br />
Non mi sarei stupito di vedere i demoni. Li cercai, ma erano presenti<br />
solo i loro servi, le mos<strong>che</strong>. Belzebù in persona, il Signore delle<br />
Mos<strong>che</strong>, era stato lì, ma ora se n'era andato e rimanevano solo i suoi<br />
servi, il loro ronzio riempiva l'aria come il gemito delle anime<br />
tormentate.<br />
Rimasi in piedi sulla soglia, con i piedi nel sangue, come se fossi<br />
inchiodato al pavimento; la pelle mi formicolava e respiravo a fatica,<br />
mentre la scena sembrava ruotarmi lentamente intorno. Contai sette<br />
cadaveri, tutti domestici, tutti orrendamente straziati. L'ampio<br />
scalone della casa, quello sul quale per la prima volta avevo visto<br />
Cilla <strong>che</strong> si toccava, era un fiume di sangue coagulato. Feci uno<br />
sforzo mostruoso e riuscii ad allentare le dita <strong>che</strong> stringevano la<br />
spada così forte da farmi male, e poi mi diressi verso le scale,<br />
guardando con attenzione dove mettevo i piedi, tentando di<br />
ignorare la carneficina intorno a me.<br />
In cima alle scale giaceva il corpo di un'altra giovane donna. <strong>La</strong><br />
testa le era stata staccata quasi completamente dal collo; il sangue
<strong>che</strong> copriva i gradini era suo. <strong>La</strong> camera da letto di Cilla era lungo il<br />
corridoio alla mia destra, quella di Dom alla mia sinistra. Per prima<br />
cosa mi diressi verso la stanza di Dom, girai la maniglia con cautela<br />
e spinsi la porta con il piede. <strong>La</strong> porta si aprì lentamente, rivelando<br />
una camera vuota, pulita e miracolosamente senza tracce di sangue.<br />
Sembrò <strong>che</strong> mi ci volesse un secolo per ritornare sui miei passi,<br />
al di là della giovane donna morta in cima alle scale, e per andare<br />
verso la stanza di Cilla, dove trovai la porta spalancata. Di fronte<br />
alla porta c'era una finestra aperta; le tende si muovevano<br />
pigramente, troppo appesantite dal sangue per ondeggiare alla<br />
brezza <strong>che</strong> all'esterno stava aumentando. Entrai e vomitai<br />
immediatamente, mentre tutto il mio essere si rivoltava alla vista<br />
<strong>che</strong> mi si parò dinanzi.<br />
Cilla e qualcun altro - immaginai <strong>che</strong> si trattasse del giovane<br />
sordomuto - erano stati massacrati nel letto, tagliati e sfregiati in<br />
modo da rendere quasi impossibile riconoscerli, e i loro corpi<br />
smembrati erano stati ammucchiati uno sull'altro. Al primo sguardo<br />
vidi braccia e gambe, un torso maschile sventrato e la testa di Cilla,<br />
con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata in un urlo, gli splendidi<br />
capelli incollati alla testa dal sangue, le labbra arricciate sui denti<br />
macchiati di sangue in una smorfia di stupore per quello <strong>che</strong> le stava<br />
succedendo. Vidi tutto questo e vomitai, piegandomi con le mani<br />
sulle ginocchia, stringendo la spada fino allo spasimo. Vacillai per la<br />
nausea e temetti di cadere nel sangue, barcollai all'indietro<br />
brancolando alla ricerca di qualcosa <strong>che</strong> mi sostenesse, e trovai<br />
Dom. Con la mano toccai la sua faccia, calda e viva, e la ritrassi con<br />
un urlo di paura, mentre il braccio <strong>che</strong> reggeva la spada roteava in<br />
alto per colpire il supposto assalitore.<br />
Ma non colpii, perché vidi subito i suoi occhi, poi la sua faccia e<br />
le sue condizioni. Era incuneato in posizione quasi eretta, curvo in<br />
avanti, le ginocchia semiflesse, in un angolo dietro la porta e stava<br />
morendo. <strong>La</strong> mano sinistra, praticamente mozzata, gli penzolava dal
polso appesa a un lembo di pelle, ed era ormai dissanguato. I suoi<br />
occhi sembravano quelli di un fantasma nel biancore della faccia, ma<br />
erano chiari e lucidi. Mi riconobbe. Rimanemmo lì, immobili come<br />
statue, per un tempo <strong>che</strong> sembrò lunghissimo, prima <strong>che</strong> io<br />
abbassassi la spada. <strong>La</strong> spada di Dom, una bella spada affilata <strong>che</strong><br />
avevo fatto apposta per lui, giaceva ai suoi piedi. Quando mi mossi,<br />
si mosse an<strong>che</strong> lui, indicando il letto e il suo orrido contenuto con un<br />
gesto della mano <strong>che</strong> ciondolava in modo grottesco. Quel<br />
movimento schizzò un debole getto di sangue nella mia direzione e<br />
mi riportò alla memoria un altro braccio senza mano <strong>che</strong> mi aveva<br />
salvato la vita in battaglia tanto tempo prima, facendo sì <strong>che</strong><br />
rimanessi storpio invece <strong>che</strong> ucciso.<br />
«Cilla...» <strong>La</strong> sua voce era poco più di un sibilo. «Cilla mi<br />
ingannava, Publio...» Rimasi immobile e lui proseguì. «Si prendeva<br />
gioco di me... Rideva... Mi ha colpito... Ha cercato di uccidermi.» I<br />
suoi occhi guardarono il letto e poi di nuovo verso di me. «Ha detto<br />
<strong>che</strong> lo sapevano tutti, Publio... <strong>che</strong> lo sapevano tutti... servitori...<br />
amici... tutti lo sapevano. Tu lo...» Chinò la testa, poi la risollevò con<br />
un ultimo sforzo, fissandomi con occhi <strong>che</strong> rapidamente<br />
diventavano vitrei. «Tu lo...?» Roteò gli occhi e crollò in avanti. Non<br />
mi abbassai a sentirgli il polso. Dom era morto ed era meglio così.<br />
Ricordo di essere uscito da quella casa in uno stato di calma<br />
assoluta, cercando di evitare il sangue. Attraversai il cortile fino al<br />
cancello dove il mio cavallo aspettava, abbastanza lontano da non<br />
sentire l'odore del sangue, ma tuttavia nervoso e facile agli scarti. Le<br />
prime pesanti gocce di pioggia caddero e divennero uno scroscio,<br />
mentre mi accucciavo sui calcagni, appoggiando la schiena contro il<br />
muro, fuori da quel luogo orribile. E nella mia mente non vidi di<br />
quella carneficina nient'altro <strong>che</strong> il mio buon amico Dom <strong>che</strong> mi<br />
guardava con la sua domanda inespressa: «Tu lo...?».<br />
Trovammo in cantina una sopravvissuta <strong>che</strong> balbettava in preda<br />
all'isteria, una donna <strong>che</strong> era riuscita a scappare con una piccola
ferita. Ci raccontò della violenza di Dom, di come gridava: «Lo<br />
sapevate?» prima di ammazzare ogni creatura vivente <strong>che</strong> incontrava,<br />
e quando non aveva trovato più nessuno da ammazzare, era<br />
scappato urlando dalla villa.<br />
Bruciammo villa Titente e tutto quello <strong>che</strong> conteneva, portammo<br />
via le pietre e interrammo le ceneri, affinché sulle nostre terre non<br />
restasse alcun segno della sua esistenza.<br />
Soltanto molto tempo dopo mi venne in mente <strong>che</strong> quel<br />
pomeriggio Cilla non si trovava nella radura della foresta.
V.<br />
Il caso Titente aveva impressionato tutti nella Colonia; era una<br />
nube sulla nostra piccola società, un drappo funebre <strong>che</strong> tinse a<br />
lungo di nero ogni aspetto della nostra vita. Adesso mi pare strano,<br />
però, <strong>che</strong> Caio e io, una volta scemata la violenza del primo<br />
turbamento, affrontassimo appena la questione. Ne parlammo<br />
dettagliatamente nei giorni <strong>che</strong> seguirono quel tremendo<br />
pomeriggio, ma poi, di comune accordo, relegammo quel fatto nel<br />
passato insieme ai suoi protagonisti. C'erano troppe faccende <strong>che</strong><br />
reclamavano la nostra attenzione, ognuna delle quali riguardava lo<br />
svolgersi della vita intorno a noi, vita della quale eravamo<br />
responsabili.<br />
Luceia, invece, continuò a pensare ai Titente e alla situazione<br />
<strong>che</strong> si era verificata in quella casa e, come accadeva per tutte le cose<br />
<strong>che</strong> rimuginava nella mente, considerò il fatto in modo logico,<br />
analitico ed esauriente, arrivando a tempo debito a una conclusione<br />
<strong>che</strong> volle condividere con me.<br />
Questa condivisione si trasformò in una discussione <strong>che</strong> durò<br />
tutta una notte fino alle ore buie prima dell'alba, seduti ai lati di un<br />
braciere nella nostra camera mentre tutti gli altri dormivano. Parlò<br />
quasi sempre Luceia. Io per la maggior parte del tempo mi limitai ad<br />
ascoltare; tentai di dichiarare il mio disaccordo su alcuni punti, ma<br />
lei demolì le mie po<strong>che</strong> obiezioni con argomenti irrefutabili,<br />
implacabili, basati su una solida logica, e infine ebbi il buon senso di<br />
rimanere in silenzio ad ascoltare e assimilare tutto quello <strong>che</strong> aveva<br />
da dire.<br />
Ricordo <strong>che</strong> tutto cominciò in modo piuttosto innocuo, da<br />
diversi giorni ero consapevole <strong>che</strong> qualcosa stava preoccupando<br />
profondamente mia moglie, sempre distratta e insolitamente<br />
taciturna; non <strong>che</strong> fosse di cattivo umore o aggressiva in alcun
modo, ma era decisamente diversa dalla sua natura solare. Me ne<br />
rendevo conto, ma questa consapevolezza era in qual<strong>che</strong> modo<br />
mitigata dal sapere <strong>che</strong> tutti alla Colonia subivano gli effetti della<br />
catastrofe dei Titente.<br />
Quella sera in particolare ci eravamo ritirati un po' più tardi del<br />
solito. L'aria era stata fredda tutto il giorno e Luceia aveva dato<br />
ordine <strong>che</strong> venisse messo un braciere nella nostra camera da letto,<br />
nel focolare lastricato in un angolo della stanza.<br />
Rimanemmo un momento in piedi alla luce del fuoco, senza<br />
toccarci, ma scaldandoci solo accanto al braciere. Poi, mentre ci<br />
preparavamo ad andare a letto, la nostra pace fu brutalmente<br />
disturbata da un coro di ubriachi schiamazzanti, fuori nel buio della<br />
notte.<br />
Quell'interruzione improvvisa e inusuale mi spinse a infilarmi<br />
un mantello e a uscire immediatamente al freddo alla ricerca dei<br />
responsabili, imprecando tra me.<br />
Li trovai senza difficoltà e riversai su di loro tutta la mia<br />
irritazione, spedendoli a casa nonostante l'infinità di stupide scuse e<br />
qual<strong>che</strong> borbottio di malumore.<br />
Quando alla fine rientrai pronto per andare a letto fui molto<br />
sorpreso di trovare Luceia ancora sveglia e completamente vestita,<br />
seduta vicino al braciere.<br />
«Sono andati via. Perché non sei a letto, cara?»<br />
«Non potrei dormire.»<br />
<strong>La</strong> fraintesi. «Perché no? Erano ubriachi e rumorosi, ma, come ti<br />
ho detto, li ho mandati via. Non ci disturberanno più. Vieni,<br />
andiamo a letto.»<br />
«Te l'ho detto, Publio, non riuscirei a dormire. Ho troppe cose in<br />
mente.»<br />
Feci per andare verso di lei e mi fermai, esitai un momento e mi
sedetti sul letto, con il mantello ancora ripiegato sul braccio destro.<br />
«Cosa c'è <strong>che</strong> non va, Luceia?»<br />
Scosse la testa in un breve gesto di esasperazione. «Niente e<br />
tutto. Stavo pensando a Cilla Titente e a tutta quella triste storia.»<br />
Non era quello <strong>che</strong> avrei voluto sentire, né allora, né in un altro<br />
momento. Non avrei mai avuto la coscienza a posto sulla questione<br />
riguardante me e Cilla Titente, e la mia apprensione si risvegliò,<br />
rendendomi conto <strong>che</strong> Luceia aveva identificato la causa della<br />
tragedia in Cilla, la moglie, e non in Dom, l'assassino. Aveva<br />
ragione, ovviamente, ma non avevo sentito nessun'altra donna<br />
parlarne così apertamente, an<strong>che</strong> se tra gli uomini era ormai un<br />
commento abituale. Prima <strong>che</strong> potessi riprendermi però, e tentare di<br />
rispondere, Luceia riprese a parlare.<br />
«Questo è stato semplicemente un altro episodio. E la situazione<br />
sta peggiorando.»<br />
Ero confuso. Non avevo idea di <strong>che</strong> cosa stesse parlando.<br />
«Cosa intendi dire? Un episodio di cosa?»<br />
Luceia mi fulminò con uno sguardo composto in uguale misura<br />
di commiserazione e di disprezzo. «Degenerazione, Publio! Immagino<br />
<strong>che</strong> tu riesca a vedere cosa sta succedendo qui intorno a noi, vero?»<br />
Potei solo alzare la spalle e scuotere la testa, con gli occhi<br />
spalancati di fronte alla sua preoccupazione e alla sua collera.<br />
«Oh!» A questo punto, chiaramente esasperata, si girò dall'altra<br />
parte a fissare i carboni, lasciandomi a decifrare il significato delle<br />
sue parole. Dopo un certo tempo, durante il quale io rimasi seduto<br />
in stupefatto silenzio, si raddrizzò e tirò un lungo sospiro prima di<br />
girarsi nuovamente verso di me.<br />
«Molto bene, allora giochiamo a domanda e risposta. Due giorni<br />
fa, l'altro ieri, sei tornato a casa arrabbiato e scombussolato.<br />
Ricordi?»
«Certamente. E allora?»<br />
«Che cosa ti aveva irritato?»<br />
«Qualcuno aveva rubato degli attrezzi dalla fucina.»<br />
«Perché hai supposto <strong>che</strong> fossero stati rubati? Forse un lavorante<br />
li aveva semplicemente messi altrove.»<br />
«No, non mi è nemmeno passato per la testa. <strong>La</strong> serratura del<br />
capannone dove vengono riposti era stata forzata e la stessa cosa era<br />
successa al deposito del vino. Era stato rubato an<strong>che</strong> del vino e ho<br />
avuto l'impressione <strong>che</strong> gli attrezzi rubati fossero serviti a spezzare<br />
la serratura del deposito del vino.»<br />
«Ah, capisco. E, dimmi, quando è stata l'ultima volta <strong>che</strong> siamo<br />
stati disturbati qui in casa nostra di notte da zotici rumorosi e<br />
ubriachi?»<br />
«Mai. Questa è la prima volta <strong>che</strong> succede...» Cominciavo a<br />
capire, an<strong>che</strong> se ero stupefatto da quello <strong>che</strong> credevo di capire.<br />
«Luceia, vuoi dire <strong>che</strong> quegli uomini, stanotte...»<br />
«Erano gli stessi <strong>che</strong> hanno rubato i tuoi attrezzi e il vino? No,<br />
certamente no. Sarebbe assurdo.»<br />
«E allora cosa... in nome di...»<br />
«Publio, sto dicendo <strong>che</strong> qui, nella nostra Colonia, stanno<br />
accadendo cose <strong>che</strong> non dovrebbero accadere; cose <strong>che</strong> non sono<br />
mai successe prima; cose <strong>che</strong> mi irritano e mi spaventano. Il furto è<br />
sempre stato sconosciuto. Ho vissuto qui tutta la vita e non ho mai<br />
saputo di nessuno <strong>che</strong> rubasse, a meno <strong>che</strong> non si trattasse di furti<br />
compiuti da stranieri, da estranei <strong>che</strong> rubavano solo perché se ne<br />
presentava l'occasione. Ma nessuno di questa villa ha mai rubato<br />
niente a un altro. Non c'è bisogno di rubare, Publio! Ma il furto è<br />
diventato comune. E così gli schiamazzi e le risse: gli uomini si<br />
azzuffano per piccole, stupide discussioni indegne di qualsiasi tipo<br />
di violenza. Sei libero di pensare <strong>che</strong> io sia pazza, e fino a stanotte<br />
non avrei espresso questi commenti, ma mi sembra - e sembra a
molte altre donne qui intorno - <strong>che</strong> gli uomini bevano più del<br />
solito.»<br />
«Questa è una scioc<strong>che</strong>zza, Luceia. Gli uomini hanno sempre<br />
bevuto e berranno sempre.»<br />
Si infuriò. «Questo lo so, Publio Varro, e non trattarmi come una<br />
stupida! Non sminuirmi e non darmi della sciocca, perché questa è<br />
l'ultima cosa <strong>che</strong> potresti dire di me. Sono Luceia Varro per<br />
matrimonio, ma sono sempre stata e sarò sempre una Britannico<br />
nella mente e nel corpo e non siamo Mai stati degli sciocchi!»<br />
Rimasi seduto, sbattendo le palpebre, un po' stupito per la<br />
rivelazione di quel lato di mia moglie, <strong>che</strong> già continuava con voce<br />
più dolce: «Mi riferivo a ubria<strong>che</strong>zza pubblica, non al semplice fatto di<br />
bere. Stiamo assistendo - e lo vedresti an<strong>che</strong> tu, se volessi -<br />
all'insorgere di una licenziosità pubblica senza precedenti». Vide la<br />
protesta nascere nei miei occhi e tagliò corto prima <strong>che</strong> potessi<br />
esprimerla. «Sì, ho detto licenziosità. Domizio Titente non avrebbe<br />
mai ammazzato nessuno se sua moglie non fosse stata una puttana<br />
spudorata, costantemente in calore. Dio sa se ci ha messo del tempo<br />
a notarlo, ma quando l'ha visto, ha reagito nell'unico modo <strong>che</strong> la<br />
sua natura gli consentiva. <strong>La</strong> sua vita, la sua stessa nozione di onore,<br />
di dignità e di valore personale erano stati distrutti, eppure avrebbe<br />
potuto imparare a convivere con tutto ciò, a sopportarlo con una<br />
certa dose di stoicismo, se fosse stato più forte. Ma è stato corrotto e<br />
completamente annientato dal carattere pubblico della sua vergogna.<br />
Se avesse ammazzato la moglie e an<strong>che</strong> il suo amante nessuno<br />
avrebbe pensato male di lui. Ma vedendo il suo atteggiamento<br />
scandaloso deve aver percepito an<strong>che</strong> la propria miopia riguardo a<br />
tutto quello <strong>che</strong> era accaduto in passato. È stato trascinato a forza<br />
fuori di sé, Publio, dalla spudoratezza pubblica <strong>che</strong> lei ostentava e<br />
dalla consapevolezza di quanto pubblica fosse la sua umiliazione.»<br />
Luceia fece una pausa, tirando un lungo respiro simile a un brivido.<br />
«Ma la spudoratezza di Cilla non era altro <strong>che</strong> un sintomo di
quello <strong>che</strong> ci sta davanti. E riflesso e rispecchiato da altri fatti, minori<br />
ma non meno odiosi, <strong>che</strong> stanno tuttora accadendo: le liti, i furti,<br />
l'ubria<strong>che</strong>zza, il male <strong>che</strong> si insinua nelle nostre vite... C'è un uomo<br />
qui, nella nostra Colonia, <strong>che</strong> è una belva feroce, e vive<br />
incestuosamente con le sue stesse figlie.»<br />
«Luceia!» Non potei impedire alla disapprovazione di entrare<br />
nella mia voce. «Non puoi dire cose come queste senza averne le<br />
prove! Sei certa <strong>che</strong> sia vero? Lo puoi provare?»<br />
«Non ho bisogno di provarlo! Lo so! Le donne <strong>che</strong> me lo hanno<br />
detto sono tutte mie ami<strong>che</strong> e nessuna di loro mentirebbe su una<br />
cosa del genere, ma sanno <strong>che</strong> gli uomini non farebbero niente in<br />
proposito.»<br />
Mi mossi a disagio, improvvisamente poco disposto a indagare<br />
la differenza di punti di vista <strong>che</strong> aveva sottolineato, e per<br />
mas<strong>che</strong>rare la mia preoccupazione mi alzai e appesi il mantello a un<br />
gancio. Luceia osservò i miei movimenti e poi parlò di nuovo,<br />
questa volta con un tono molto più gentile. «Porta qui l'altra<br />
seggiola e siediti vicino a me.» Quando ebbi fatto come mi diceva,<br />
mi sorrise e si chinò verso di me, accarezzandomi la mano e<br />
coprendola con la sua.<br />
«Publio Varro, tu sei mio marito e sei un brav'uomo. Ma la tua<br />
stessa bontà ti impedisce di vedere <strong>che</strong> altri uomini sono meno<br />
benintenzionati di te. Tu ritieni <strong>che</strong> tutti gli uomini siano buoni, per<br />
natura, ma questo non è vero. Già da alcune settimane, dopo il<br />
massacro di Titente, pensavo a come richiamare la tua attenzione su<br />
tutte queste cose <strong>che</strong> mi preoccupano e mi terrorizzano. Adesso ho<br />
incominciato.» Sorrise e si sedette più diritta. «Quando avrò finito<br />
potrai andare a letto a pensare a quello <strong>che</strong> ho detto.»<br />
Scossi la testa in segno di perplesso accordo e mi preparai ad<br />
ascoltare quella <strong>che</strong> si rivelò essere la più stupefacente, logica e<br />
inconfutabile analisi <strong>che</strong> avessi mai sentito. <strong>La</strong> mia incredibile<br />
moglie mi turbò con una dissertazione sulla moralità pubblica, sulla
struttura civica e sociale, e sulla responsabilità individuale, <strong>che</strong> mi<br />
lasciò turbato nel profondo e incapace di dormire. Quando alla fine<br />
andammo a letto, quella notte, poco prima dell'alba, ero convinto<br />
<strong>che</strong> la sua analisi fosse precisa e corretta sotto ogni punto di vista,<br />
an<strong>che</strong> se la cosa non mi garbava. <strong>La</strong> mia totale accettazione del suo<br />
punto di vista, però, condusse a uno dei pochi alterchi <strong>che</strong> abbia mai<br />
avuto con il suo nobile fratello.<br />
Accadde improvvisamente due giorni più tardi, dopo due<br />
lunghe giornate di riflessione e una buona notte di sonno, quando<br />
gli stavo riferendo la lunga conversazione avuta con sua sorella. Ero<br />
molto preoccupato per alcune cose <strong>che</strong> aveva detto e per alcune<br />
conclusioni <strong>che</strong> aveva tratto, e suppongo <strong>che</strong> la profondità della mia<br />
desolazione e della mia angoscia fosse evidente. Caio ascoltò quello<br />
<strong>che</strong> avevo da dire, educatamente come sempre, almeno all'inizio.<br />
Mentre proseguivo, però, notai <strong>che</strong> si alterava sempre più, finché,<br />
incapace di ascoltare oltre, alzò una mano per fermarmi. Mi<br />
interruppi a metà di una frase, sorpreso dalla sua reazione. «Vuoi<br />
dire qualcosa?»<br />
Mi fissò. «No, niente. Non ora. Non prima di avere avuto il<br />
tempo di ordinare i miei pensieri e di considerare le tue parole.»<br />
Ero stupito. «Allora cosa c'è <strong>che</strong> non va? Sembra <strong>che</strong> tu voglia<br />
scorticarmi vivo.»<br />
Allora esplose in una collera tremenda, picchiando il pugno sul<br />
tavolo con violenza e alzandosi in modo così repentino <strong>che</strong> la<br />
seggiola su cui era seduto cadde all'indietro.<br />
«Dannazione, Publio, non posso credere alle mie orecchie! Sai<br />
cosa mi stai dicendo? Riesci ad ascoltarti? Hai afferrato le tue<br />
parole?» Girò sui tacchi e attraversò la stanza, aprendo e chiudendo<br />
le mani per l'agitazione, mentre io rimanevo a fissarlo stupefatto.<br />
Le mie preoccupazioni erano profonde, ma avevo riflettuto a<br />
lungo e intensamente prima di parlarne con Caio, e avevo cercato di<br />
esporle nel modo più spassionato possibile. Ora assistevo a una
eazione assolutamente sproporzionata all'entità di quello <strong>che</strong> avevo<br />
detto, soprattutto perché non mi aveva lasciato finire. Si girò di<br />
nuovo per affrontarmi, con la faccia contorta da una collera <strong>che</strong> in<br />
tanti anni non avevo mai visto in lui, e mi chiesi cosa potesse averla<br />
causata. Ma non mi lasciò nell'incertezza per molto tempo, e le<br />
parole <strong>che</strong> pronunciò furono come una doccia gelida.<br />
«Dove è finito il tuo addestramento, per Dio? Hai perso la tua<br />
virilità? Una volta eri un soldato, Varro! Un ufficiale! Un<br />
comandante di uomini presumibilmente intelligente! Non farmi<br />
dubitare di questo, adesso! Le parole, le emozioni e le suppli<strong>che</strong><br />
delle donne non ti si confanno. Hai bisogno di passare più tempo tra<br />
i tuoi pari e meno tra le donne ad ascoltare le favole e le paure delle<br />
vecchie. Stai diventando una donnicciola!»<br />
L'ingiustizia di quelle parole mi fece infuriare; il sangue mi salì<br />
agli occhi per la collera e mi venne voglia di scagliarmi contro di lui,<br />
in preda al folle desiderio di buttarlo a terra. Non feci nemmeno un<br />
passo, però, perché la disciplina di anni mi fermò. Con uno sforzo<br />
trattenni il violento impeto di rabbia, mi chinai lentamente e<br />
raddrizzai la seggiola <strong>che</strong> aveva rovesciato, tenendola stretta con<br />
entrambe le mani e rimettendola a posto con cura; solo allora mi<br />
concessi di rialzare lo sguardo verso di lui. Il suo volto era ancora<br />
stravolto dalla collera, ma sapevo <strong>che</strong> an<strong>che</strong> il mio lo era. Le sue<br />
labbra si mossero per articolare nuove parole, ma lo interruppi con<br />
un gesto della mano, e qualunque cosa stesse per dire rimase non<br />
detta. Sentivo il sangue pulsarmi nella testa e aspettai <strong>che</strong> si placasse<br />
prima di parlare. Ci volle molto tempo e nessuno dei due si mosse.<br />
Finalmente, quando mi parve di poter parlare senza gridare e senza<br />
<strong>che</strong> mi tremasse la voce, deglutii e mi costrinsi a sussurrare: «Queste<br />
non sono parole <strong>che</strong> mi aspettavo da te, amico mio». E dopo aver<br />
detto ciò mi voltai e uscii lentamente dalla stanza, lasciandolo solo<br />
con la sua collera inspiegabile.<br />
Per un'ora camminai da solo per i boschi, ripensando a quello
<strong>che</strong> gli avevo detto e cercando di capire la ragione dello stupefacente<br />
effetto delle mie parole. Cosa avevo detto? Certamente nulla <strong>che</strong><br />
potesse essere considerato sovversivo o avvilente; nulla <strong>che</strong> potessi<br />
definire pusillanime o effemminato, an<strong>che</strong> se gli argomenti <strong>che</strong><br />
avevo presentato avevano avuto origine da mia moglie. E allora,<br />
continuavo a chiedermi, cosa poteva avere sconvolto Caio in quel<br />
modo?<br />
Gli avevo detto <strong>che</strong> Luceia era preoccupata perché i nostri coloni<br />
stavano perdendo la moralità necessaria alla vita di una comunità.<br />
Erano parole <strong>che</strong> suonavano ampollose alle mie stesse orecchie, ora<br />
<strong>che</strong> ci ripensavo, ma poteva essere stata questa la causa della sua<br />
furia? L'ampollosità? O era la presa di posizione sulla moralità? Si<br />
era offeso per questo, perché aveva interpretato le mie parole come<br />
un attacco difetto alla sua moralità? Certamente no, decisi.<br />
Avevo solo descritto le preoccupazioni di Luceia. Lei aveva<br />
parlato in termini generali, ma a sostegno delle sue affermazioni<br />
aveva portato un certo numero di fatti particolari, alcuni dei quali<br />
mi erano già noti, mentre di altri non sapevo niente. Tutti mi<br />
avevano preoccupato, ma molti mi avevano veramente spaventato.<br />
<strong>La</strong> situazione della famiglia Titente, per quanto possa sembrare<br />
strano a causa della parte <strong>che</strong> vi avevo avuto, era per me la più facile<br />
da accettare, perché rappresentava in miniatura la situazione<br />
generale. E Luceia mi aveva assicurato <strong>che</strong> i casi particolari da lei<br />
citati erano solo esempi di una malattia diffusa e pervasiva <strong>che</strong> si<br />
andava estendendo nella nostra Colonia.<br />
Avevo detto a Caio alcune di queste cose e inoltre <strong>che</strong>, secondo<br />
Luceia e adesso an<strong>che</strong> secondo me, noi, i capi della Colonia,<br />
avevamo la responsabilità morale di assicurare non solo la<br />
prosperità e il benessere fisico della nostra gente, ma an<strong>che</strong> il<br />
benessere morale, se non quello spirituale; una responsabilità<br />
scomoda, certo, se accettata, ma una responsabilità indiscutibile.<br />
Gli avevo detto <strong>che</strong> Luceia mi aveva convinto del fatto <strong>che</strong> le
anti<strong>che</strong> leggi e i costumi di Roma non erano abbastanza flessibili e<br />
versatili per i nostri tempi.<br />
Il contesto era cambiato, e stava ancora cambiando, e le regole<br />
della società <strong>che</strong> stavamo creando richiedevano un insieme di leggi<br />
e di regole più semplici, più personali e più individuali.<br />
Era stato a questo punto <strong>che</strong> Caio mi aveva interrotto irritato,<br />
ma per quanto esaminassi la cosa non riuscivo a giustificare la<br />
violenza della sua reazione.<br />
Dopo un'ora mi ero calmato abbastanza per tornare alla villa.<br />
Non vidi traccia di Caio, né provai a cercarlo. Mi scusai con Luceia,<br />
dicendo <strong>che</strong> avevo del lavoro da fare, e me ne andai nella fucina con<br />
un po' di selvaggina arrosto fredda, un pezzo di pane e una<br />
borraccia di vino. Mangiai da solo e lavorai fino al cadere della<br />
notte: solo allora tornai a casa, e trovai Caio <strong>che</strong> mi aspettava nella<br />
stanza destinata alle riunioni familiari. Si alzò al mio ingresso, e io<br />
mi fermai sulla soglia, guardandolo e tentando di indovinare il suo<br />
umore. Alzò le spalle e girò in su il palmo delle mani, con<br />
un'espressione stranamente impacciata e confusa.<br />
«Dobbiamo parlare, Publio. Da amici.»<br />
Misi giù il sacco <strong>che</strong> portavo e mi diressi al divano accanto al<br />
fuoco, e Caio si girò verso di me quando gli passai davanti. <strong>La</strong> mia<br />
collera era svanita da tempo, e la stanza era calda e accogliente con<br />
la luce tremolante e le ombre <strong>che</strong> danzavano sulle pareti.<br />
«Dov'è Luceia?» chiesi.<br />
Si sedette di fronte a me. «Con le bambine. Ci lascerà da soli per<br />
un po'. Le ho raccontato <strong>che</strong> sono stato scortese e offensivo con te<br />
questo pomeriggio, e non ci raggiungerà finché non sarò stato a<br />
macerare nel mio brodo e non ti avrò fatto le mie scuse per la mia...»<br />
«<strong>La</strong>scia perdere, Caio» lo interruppi.<br />
Mi alzai e andai al tavolo dove avevo visto il sac<strong>che</strong>tto di pelle<br />
con ghiaccio e sale e un'anforetta in pietra piena del mio vino
germanico preferito. Ogni primavera gli uomini di Ullic ci<br />
portavano dalle montagne interi carri di ghiaccio tagliato in grandi<br />
blocchi isolati nella paglia <strong>che</strong>, sistemati con cura nella stanza<br />
frigorifera imbiancata a calce della villa, proteggevano le nostre<br />
riserve di carne e pollame dal calore dell'estate, e mantenevano<br />
freschi i nostri vini migliori per le grandi occasioni.<br />
«Tra noi non c'è bisogno di scuse, Caio. Siamo amici da troppo<br />
tempo. Io ti ho irritato e tu hai irritato me. Cose di questo tipo<br />
succedono, a volte.» Sollevai la brocca del vino, controllando <strong>che</strong><br />
fosse ghiacciata, e presi due coppe. «Perché il vino migliore? Questa<br />
è roba da festeggiamenti. Cosa festeggiamo?»<br />
Caio sorrise, un po' ironicamente. «Le mie scuse, credo. <strong>La</strong> mia<br />
cara sorella pensa <strong>che</strong> dovrei ammettere le mie colpe più sovente.<br />
Crede <strong>che</strong> mi renda più umano.»<br />
«Le hai detto per <strong>che</strong> cosa abbiamo litigato?»<br />
«Sì. Mi ha sorpreso <strong>che</strong> non l'avessi già fatto tu.»<br />
«Non ero pronto.» Versai il vino per me e per lui e gli porsi una<br />
coppa. «Glielo avrei detto prima o poi, ma era troppo presto e non<br />
avevo avuto il tempo di pensare bene a tutta la faccenda.» Assaggiai<br />
il vino. Era perfetto. Freddo e delizioso. «Che cosa ha detto?»<br />
«Non molto all'inizio.» Alzò la sua coppa verso di me e<br />
bevemmo. «Buon Dio, è un nettare! No, all'inizio non aveva molto<br />
da dire. Sapevo <strong>che</strong> si vergognava di me perché ti avevo assalito<br />
verbalmente, ma è stata molto paziente e mi ha dimostrato la solita<br />
tolleranza.»<br />
«Già» mormorai. «Tua sorella è una donna notevole. Te l'ho<br />
detto più di una volta. Allora hai discusso le sue opinioni?<br />
Civilmente?»<br />
«Civilmente e a fondo.»<br />
«E...?»
«E ovviamente ha ragione. Abbiamo un problema di una certa<br />
entità, un problema di cui ci si deve occupare.»<br />
«Mmm...» Mi sedetti di nuovo sulla mia seggiola preferita. «Chi<br />
se ne deve occupare?»<br />
«Tutti noi, Publio. Tu e io, suppongo, insieme a Luceia. Poi,<br />
però, sarà necessario l'impegno di tutti i componenti della nostra<br />
piccola società.»<br />
Mi misi più comodo, tenendo la coppa con attenzione per non<br />
versare nean<strong>che</strong> una goccia di vino.<br />
«Perché ti sei arrabbiato tanto con me?»<br />
«Non lo so.» Fece una smorfia, riconoscendo tacitamente <strong>che</strong><br />
mentiva. «Sì, lo so. Suppongo <strong>che</strong> fosse per paura.»<br />
«Paura?» Non potei nascondere la sorpresa.<br />
«Sì, Publio, paura!» Si sedette di nuovo di fronte a me e rimase<br />
in silenzio per un poco fissando il fuoco, poi riprese. «Da tempo mi<br />
sono reso conto <strong>che</strong> stanno avvenendo dei cambiamenti, Publio, <strong>che</strong><br />
non riusciamo a controllare; cambiamenti <strong>che</strong> non mi piacciono, nel<br />
modo di pensare e di agire della gente.» Fece una pausa e sorseggiò<br />
il vino. «Considerati con superficialità molti cambiamenti non<br />
sembrano gravi né profondi, ma lo sono. E i rimedi sono pericolosi.»<br />
«Non ti seguo.»<br />
Mi rivolse un sorriso lieve ed enigmatico. «Oh, mi seguirai<br />
quando comincerai a pensarci.»<br />
«A <strong>che</strong> cosa? A <strong>che</strong> pericolo? Non c'è nessun pericolo in tutto<br />
questo.»<br />
«Davvero, Publio?» Caio si sedette più eretto e si sporse in<br />
avanti, guardandomi dritto negli occhi e puntando il gomito destro<br />
sul ginocchio. «Allora considera le tue riserve da questo punto di<br />
vista: i fatti <strong>che</strong> hai sottoposto alla mia attenzione oggi pomeriggio<br />
riguardavano ciò <strong>che</strong> la gente fa ogni giorno. Luceia ha notato... Che
parola ha usato? <strong>La</strong>ssismo? Ha detto così. Un certo lassismo nella<br />
struttura della vita. E tu sei d'accordo con lei, perché te lo ha fatto<br />
notare. E sono d'accordo anch'io. Ha assolutamente ragione. Ma non<br />
solo qui» Publio. Non solo alla villa. Ovunque. Nelle città <strong>che</strong><br />
visitiamo, nelle cittadine e nei villaggi, e continua a crescere. Gli hai<br />
già dato un nome?»<br />
Scossi la testa. Ero affascinato, perché mi aveva già portato oltre<br />
i confini dei miei pensieri. Proseguì senza aspettare una risposta. «Si<br />
chiama anarchia, Publio.»<br />
Allora gli risposi, ridendo incredulo. «Anarchia. Cai, non puoi<br />
dirlo seriamente!»<br />
Ma Caio non stava ridendo. «Sì, Publio, posso. Oh, a questo<br />
punto è un grado minimo di anarchia, ma si diffonderà come una<br />
pestilenza.»<br />
Risi di nuovo, cercando di distoglierlo da quel pensiero, ma non<br />
si lasciò distrarre e mi fece tacere con un cenno della mano.<br />
«Per favore, Publio, lasciami finire. Non ci trovo nulla da ridere,<br />
adesso <strong>che</strong> tu e mia sorella mi avete obbligato ad affrontare il<br />
problema.»<br />
«Ma insomma, Caio!» Stavo ancora cercando di accantonare<br />
quel pensiero con una risata, di liquidarlo come una banalità. «Non<br />
abbiamo parlato di anarchia. Luceia era turbata a causa di uno dei<br />
carpentieri, un ubriacone <strong>che</strong> terrorizza la moglie e i figli. Sai come<br />
reagisce a cose del genere.»<br />
Caio annuì, addolorato. «Sì, lo so» sussurrò, cambiando umore<br />
di colpo. Scosse la testa dispiaciuto. «Non si è ancora ripresa dalla<br />
morte delle bambine, vero? Quanto tempo è Passato? Quattro anni?»<br />
Dovetti pensare un momento per rispondere alla domanda. «Sì,<br />
sono passati quattro anni, ma non si è ripresa del tutto, Cai. Quel<br />
dolore è profondo dentro di lei. Non penso <strong>che</strong> si riprenderà mai... Si<br />
considera responsabile... si prende tutta la colpa e non riesce a
perdonarsi per non aver visto come si sviluppavano le cose. Crede<br />
veramente <strong>che</strong> sarebbe stato possibile prevenire la disgrazia.»<br />
«Ma è assurdo!»<br />
«Certo <strong>che</strong> è assurdo. Io lo so... Lo sappiamo tutti. Grazie a Dio<br />
lo sa perfino Luceia, di solito. Ma ogni tanto ridiventa com'era<br />
subito dopo la morte delle bambine... qualcosa la riporta indietro, le<br />
fa ricordare... di solito succede quando sente di qual<strong>che</strong> bambino<br />
maltrattato o malato.»<br />
Per un po' restammo in silenzio, immersi ognuno nei propri<br />
ricordi.<br />
Durante il lungo inverno dell'anno nel quale avevo ucciso<br />
Claudio Seneca, una malattia mortale aveva percorso le nostre terre.<br />
Al principio sembrava un normale raffreddamento invernale, ma<br />
era una malattia assassina, e si sviluppava con febbre alta, polmoni<br />
congestionati, spasmi muscolari e paralisi. Molti bambini piccoli e<br />
molti vecchi sembravano non avere la forza di resisterle e nella<br />
nostra regione erano morti in gran numero. <strong>La</strong> nostra casa era stata<br />
una delle prime a essere colpita e Luceia si era convinta di essere<br />
responsabile, per aver portato il contagio di ritorno da un viaggio ad<br />
Aquae Sulis poco prima dello scatenarsi della malattia.<br />
Tre delle nostre quattro figlie si erano ammalate e le due<br />
maggiori, Vittoria e Rebecca, nate a undici mesi di distanza una<br />
dall'altra, erano morte, Vittoria solo pochi giorni dopo il suo nono<br />
compleanno. <strong>La</strong> nostra terza bambina, Veronica, a quell'epoca aveva<br />
solo sei anni, e tememmo di perdere an<strong>che</strong> lei. Ma sopravvisse e<br />
l'anno seguente lei e la sua sorellina minore, Lucilla, si trovarono in<br />
compagnia di una nuova sorellina, Dorotea, il "dono degli dei"<br />
mandatoci quando più ne avevamo bisogno. Veronica, <strong>che</strong> ora era la<br />
nostra figlia maggiore, era stata chiamata come la zia, Veronica<br />
Varo, moglie di Quinto Varo, cognato di Cai, <strong>che</strong> era stata la prima<br />
donna a darmi il benvenuto al mio arrivo, l'anno <strong>che</strong> ero fuggito<br />
dalla vendetta dei Seneca.
«Pare <strong>che</strong> Ligno maltratti i suoi figli» dissi, riprendendo la<br />
conversazione dove era stata interrotta. «È questo <strong>che</strong> l'ha sconvolta.<br />
Lo sospetta di incesto con le figlie. E inoltre è preoccupata per il<br />
recente aumento dei furti. Fino a poco tempo fa non si sentiva<br />
parlare di furti in questa zona, e capisco la sua apprensione. Ora, è<br />
vero <strong>che</strong> tutte queste cose sono preoccupanti, Cai, ma non direi <strong>che</strong><br />
siano segni di anarcoidi»<br />
«Sbagli, Publio. Lo sono. Ognuna di esse e tutte insieme ne sono<br />
i sintomi.» Fece un breve, profondo sospiro di frustrazione. «Non lo<br />
vedi? Fa parte di tutto quello a cui ci dobbiamo preparare, Publio: il<br />
crollo. Gli eserciti hanno abbandonato completamente questa parte<br />
della Britannia. Le guarnigioni sono andate via, a Londinium, Venta<br />
e Lindum, perché era richiesta la loro presenza per tenere a bada il<br />
nemico. Il nemico aumenta ovunque per numero e ferocia e i rinforzi<br />
<strong>che</strong> dovrebbero arrivare da oltremare non arrivano! Ogni soldato<br />
abile è sul chi vive, in servizio attivo senza sosta. L'amministrazione<br />
militare non può permettersi di lasciare gli uomini in località non<br />
prioritarie, perciò ha svuotato le guarnigioni locali e provinciali e li<br />
ha mandati dove possono essere utilizzati meglio. Questo è giusto, è<br />
logico, è inevitabile, ma... Ma, Publio, questo comporta un altro<br />
fatto, senza precedenti: quando le guarnigioni lasciano i centri<br />
provinciali, per qualunque motivo, l'organizzazione <strong>che</strong> applica la<br />
legge parte con loro.»<br />
Sbattei le palpebre e lo fissai, ma non dissi niente e lui continuò.<br />
«I magistrati continuano a governare, nominalmente, ma senza i<br />
militari non hanno la forza. Riesci a capirlo?»<br />
Considerai quel fatto per qual<strong>che</strong> momento e poi alzai le spalle.<br />
Mi sembrava <strong>che</strong> esagerasse un inconveniente temporaneo, così gli<br />
risposi in modo piuttosto reciso.<br />
«No, veramente no. I criminali continuano a essere trasferiti<br />
dove possono essere puniti, esattamente come accadeva nei tempi<br />
passati, non è forse vero?»
<strong>La</strong> sua risposta fu sprezzante. «Criminali! Ma noi non stiamo<br />
parlando di criminali, adesso, Publio, stiamo parlando di gente<br />
comune <strong>che</strong> commette trasgressioni minori. Evasione di tasse,<br />
inosservanza dell'autorità, aggressioni, riunioni turbolente,<br />
ubria<strong>che</strong>zza pubblica, è lì <strong>che</strong> la ruggine lavora. Gli assassini e gli<br />
incendiari continuano a essere scortati alla più vicina base militare<br />
per essere puniti, ma i piccoli, meschini trasgressori rimangono<br />
impuniti e incontrastati, perché è troppo complicato cercarli. Come<br />
diretta conseguenza i confini tra ciò <strong>che</strong> è male e ciò <strong>che</strong> è bene sono<br />
divenuti labili. An<strong>che</strong> tra la gente normale, comune, l'enfasi si è<br />
spostata da "Non farlo, o sarai punito" a "Non farti prendere a farlo".<br />
Questo costituisce un cambiamento importante nell'atteggiamento<br />
della gente, Publio, e va di pari passo con la corruzione. I giudici e i<br />
magistrati cominciano a farsi corrompere. Alcuni di loro sono<br />
sempre stati corrotti, ma si limitavano per la presenza dell'esercito.<br />
Ho ricevuto una lettera in proposito da un vecchio amico di Aquae<br />
Sulis. <strong>La</strong> situazione lì è disastrosa. In diversi luoghi intorno alla città<br />
si organizzano fazioni armate, per sostenere le forze militari nella<br />
guerra contro bande di briganti estremamente efficienti. Questi<br />
briganti sono diventati così audaci e le forze militari di Aquae così<br />
impotenti nei loro confronti, <strong>che</strong> la gente ha paura per la propria<br />
vita. Non c'è certezza di giustizia, non c'è più riparazione per i torti<br />
<strong>che</strong> subiscono.»<br />
«Calma, Caio, calma.» Si interruppe. Mi mordicchiai il labbro,<br />
scegliendo con cura le parole. «Non dubito <strong>che</strong> quello <strong>che</strong> dice il tuo<br />
amico sia vero, ma questo succede ad Aquae Sulis.»<br />
«Sta accadendo an<strong>che</strong> altrove.»<br />
«Ne sono certo, ma cosa ha a <strong>che</strong> fare tutto questo con noi, qui<br />
alla Colonia? Non vedo il rapporto. Non è forse questo il motivo per<br />
cui siamo qui? Per isolarci dal resto del paese e dalla dissoluzione<br />
quando tutto crollerà?»<br />
«Certo <strong>che</strong> è per questo, ma nessun isolamento può mai essere
veramente completo, Publio. <strong>La</strong> nostra gente continua ad avere<br />
contatti con il mondo esterno. E stiamo discutendo un modo<br />
comportamentale. È un'astrazione, ma pervade tutto e sta<br />
cominciando a colpire an<strong>che</strong> noi, nella nostra riserva. Stiamo<br />
affondando nell'illegalità.»<br />
Continuavo a pensare <strong>che</strong> reagisse in modo eccessivo, ma non<br />
avevo nessun dubbio sulla sua sincerità. «Illegalità!» risposi.<br />
«Questa è una parola grossa, Cai, e non credo <strong>che</strong> le cose siano così<br />
serie. Hai detto tu stesso <strong>che</strong> comincia solo ora a interessare an<strong>che</strong><br />
noi.»<br />
«Questo è vero, l'ho detto. E allora?»<br />
«Allora cosa?»<br />
«Allora cosa suggerisci?»<br />
Mi aveva colto di sorpresa. «Io? Non suggerisco niente. L'unico<br />
suggerimento è <strong>che</strong> dobbiamo fare qualcosa in proposito, trovare un<br />
modo di fermarla.»<br />
«Capisco.» Il sorriso enigmatico era ricomparso. «E come si<br />
ferma l'illegalità?»<br />
Sbattei le palpebre, cominciando improvvisamente a capire<br />
dove voleva arrivare e rendendomi conto solo ora della necessità di<br />
valutare bene quello <strong>che</strong> dicevo. «Facendo nuove leggi, suppongo...<br />
per sostituire quelle vecchie.»<br />
«Esattamente. E non pensi <strong>che</strong> sia pericoloso?» Il suo sorriso era<br />
più ampio, adesso, ma privo di allegria.<br />
Ero perplesso, incerto del terreno su cui mi trovavo, conscio<br />
delle acque profonde <strong>che</strong> mi stavano di fronte. «Pericoloso? Non<br />
particolarmente. Che cosa c'è di tanto pericoloso?»<br />
«Dimmi, Publio, <strong>che</strong> differenza c'è tra una regola, un<br />
regolamento e una legge?»<br />
Adesso mi aveva messo in difficoltà, e non potevo rispondergli
perché conoscevo troppo bene la differenza. Scossi le spalle e lui si<br />
impietosì, ma il sorriso cupo rimase immutato mentre proseguiva.<br />
«Saresti d'accordo nell'affermare <strong>che</strong> una regola è una direttiva<br />
relativamente blanda e informale creata, diciamo, da una società o<br />
una corporazione per governare i suoi membri? Niente di<br />
eccessivamente ufficiale o esigente, tranne <strong>che</strong> il rifiuto di accettarla<br />
da parte di un membro potrebbe comportare la sua punizione con<br />
pene miti o perfino, in ultima istanza, la richiesta da parte dei suoi<br />
pari di ritirarsi dalla società?» Annuii.<br />
«Inoltre, essendo un soldato, sai <strong>che</strong> un regolamento è qualcosa<br />
di più costrittivo di una regola, <strong>che</strong> viene deciso dall'esercito, e <strong>che</strong><br />
la disobbedienza al regolamento comporta la punizione fisica del<br />
colpevole sotto legge marziale. E la garanzia della punizione è<br />
fornita dall'autorità delle legioni imperiali. Sei d'accordo?»<br />
Annuii di nuovo.<br />
Continuò. «Una legge, d'altra parte, è una regola assoluta,<br />
imposta dallo stato, e la disobbedienza a essa comporta una<br />
punizione assoluta, amministrata risolutamente e con pieno potere e<br />
sovranità da parte dello stato <strong>che</strong> l'ha originata.»<br />
«D'accordo. Questo riassume i tre casi.» <strong>La</strong> mia voce era calma.<br />
«Bene, allora, Publio. Dicevi di fare nuove leggi per la nostra<br />
Colonia. Atteniamoci alle definizioni <strong>che</strong> abbiamo appena stabilito.<br />
Che cosa intendevi? Regole? Regolamenti? O parlavi veramente di<br />
leggi? Ma qualunque cosa intendessi, hai pensato a come potrebbero<br />
essere redatte? O rese effettive? O fatte rispettare?»<br />
«Mio Dio, Cai» sussurrai. «Capisco cosa intendi dire.»<br />
«Davvero, fratello?» Bevve un lungo sorso dalla sua coppa.<br />
«Spero <strong>che</strong> sia vero.»<br />
Bevvi e di colpo il vino mi sembrò scialbo e senza sapore. «Noi<br />
non abbiamo quel tipo di autorità, vero?»
«No, Publio, non l'abbiamo. E non la vogliamo neppure, credo.<br />
Abbiamo un potere in quanto possediamo questa terra, in comune<br />
con gli altri proprietari. Come proprietari controlliamo la Colonia e<br />
siamo accettati come capi dalla gente <strong>che</strong> vive qui, ma vogliamo<br />
forse <strong>che</strong> questi poteri si estendano fino a comprendere il potere di<br />
vita e di morte? Immagino <strong>che</strong> né tu, né io, né altri vorremmo o<br />
potremmo sentirci a nostro agio con quel tipo di potere.»<br />
«Perché?» Ero nuovamente sorpreso. «Abbiamo avuto tutti quel<br />
potere, nelle legioni.»<br />
«Sì, ma solo come delegati.»<br />
«Questo è vero, hai ragione. Ma dobbiamo fare qualcosa, se<br />
quello <strong>che</strong> sospetti è vero. Allora cosa possiamo fare? Da dove<br />
cominciamo?»<br />
Caio si alzò e andò verso il braciere per alimentare il fuoco.<br />
«Abbiamo già cominciato. Tutto, quello <strong>che</strong> possiamo fare è<br />
parlarne e cercare di trovare un modo per compilare un insieme di<br />
regole secondo le quali tutti noi possiamo vivere. Dobbiamo<br />
assumerci la responsabilità di essere la forza catalizzatrice dietro al<br />
movimento, perché se ho motivo di temere quello <strong>che</strong> ci aspetta,<br />
dentro di me sono sicuro <strong>che</strong> abbiamo ragione. E non riusciremo a<br />
farlo da soli. <strong>La</strong> superbia di una simile pretesa sarebbe distruttiva.»<br />
Si girò a guardarmi. «Le leggi esistono già, non serve dirlo. Non c'è<br />
bisogno di inventarne di nuove, ma ci mancano i mezzi per<br />
applicarle. Dobbiamo trovare i mezzi per far rispettare le leggi,<br />
Publio... e sarà una responsabilità temibile, e un compito improbo e<br />
scoraggiante.»<br />
«Dobbiamo costituire un nuovo corpo dirigente.»<br />
«Certo. Ma deve essere an<strong>che</strong> rappresentativo. Non possiamo<br />
essere solo tu e io. I coloni non lo accetterebbero mai, né io lo vorrei.<br />
Però potremmo estendere i poteri dell'assemblea esistente fino a<br />
comprendere an<strong>che</strong> l'attività legislativa.»
«Intendi dire fondare un vero e proprio Senato, secondo le<br />
tradizioni romane?»<br />
Fece una smorfia. «Forse. Qualcosa del genere. Questo era il<br />
nostro intento originario, quando parlammo per la prima volta di<br />
costituire un'assemblea per governare la Colonia.»<br />
Mi alzai e andai più vicino al braciere, tendendo le mani al<br />
calore del fuoco. «Ricordo, ma avevamo deciso di non raggiungere<br />
un livello così impegnativo. Credi davvero <strong>che</strong> adesso dovremmo<br />
tornare all'idea originaria? Signifi<strong>che</strong>rebbe allontanarsi<br />
notevolmente da tutto quello <strong>che</strong> abbiamo fatto da allora, Cai, un<br />
cambiamento veramente grande. Pensi <strong>che</strong> sia fattibile?»<br />
«È ovvio <strong>che</strong> sia fattibile, ma deve essere fatto nel modo giusto,<br />
con la preparazione e lo spirito adatti.»<br />
«Ma con quale sostegno? Dobbiamo ancora stabilire una forma<br />
di forza adatta a mantenere la disciplina. I nostri soldati?»<br />
«Difficilmente, Publio. Una dittatura militare?»<br />
«E allora cosa?»<br />
«Non ne ho idea. Come ho detto, ci vorranno molte discussioni e<br />
molte gravi riflessioni ma la risposta potrebbe essere un'assemblea<br />
rafforzata, dotata di un'autentica autorità senatoria per punire i<br />
trasgressori... soprattutto se fossimo sostenuti da una sorta di<br />
tribunale...»<br />
Potevo praticamente sentire il lavorio della sua mente <strong>che</strong><br />
analizzava i pro e i contro delle sue parole.<br />
«Sì, potrebbe essere, Publio... un tribunale... un metodo<br />
sistematico per esprimere l'opinione e il giudizio dei coloni, insieme<br />
all'assemblea. Processi pubblici, e responsabilità per le persone<br />
accusate di crimini pubblici, e an<strong>che</strong> privati. Ma nessun potere di<br />
vita e di morte, niente di queste scioc<strong>che</strong>zze. Solo il bando. <strong>La</strong><br />
massima punizione dovrebbe essere il bando.»
Ero dubbioso. «Pensi davvero <strong>che</strong> sarebbe un deterrente<br />
sufficiente per il comportamento criminale?»<br />
Mi sorrise. «Oggi probabilmente no, ma tra cinque o dieci anni a<br />
partire da oggi, quando il mondo sarà finito nell'Ade, chi lo sa?<br />
Facciamo entrare Luceia adesso. Il suo buonsenso potrebbe<br />
servirci.»<br />
Credo <strong>che</strong> nessuno di noi immaginasse veramente <strong>che</strong> quella<br />
discussione, iniziata una sera tra noi tre, sarebbe diventata la base<br />
dell'intero sistema di leggi introdotte nel nostro territorio negli anni<br />
a venire; eppure accadde proprio così.<br />
Luceia si unì a noi e definì premature le nostre preoccupazioni<br />
legiferatone. Cai, sottolineò, era il proprietario della villa e dei suoi<br />
terreni e quindi deteneva ipso facto il diritto assoluto di determinare il<br />
codice di condotta di ogni persona <strong>che</strong> viveva sulle sue terre, e<br />
questo stesso diritto lo avevano an<strong>che</strong> gli altri proprietari terrieri.<br />
L'assemblea era un organismo relativamente nuovo e funzionava<br />
piuttosto bene nella sua forma attuale. Era meglio lasciarla com'era e<br />
lasciare <strong>che</strong> la sua autorità e le sue funzioni si definissero da sole con<br />
il passare del tempo. Mano a mano <strong>che</strong> la popolazione della Colonia<br />
fosse cresciuta, le funzioni dell'assemblea si sarebbero ampliate<br />
naturalmente per adeguarsi a tale crescita. Cai e io ci scambiammo<br />
un'occhiata e fummo d'accordo con lei: aveva di nuovo ragione.<br />
D'un tratto Luceia smise di parlare e rimase a lungo immersa nei<br />
suoi pensieri, lanciando occhiate penetranti a suo fratello e poi a me.<br />
«Siete entrambi preoccupati all'idea di interferire nei diritti degli<br />
altri, vero? Non riuscite a vedere con chiarezza dove la supervisione<br />
morale, in mancanza di un'espressione migliore, finisce e iniziano la<br />
pura intromissione e l'interferenza. Ho ragione?»<br />
Aveva ragione, per quello <strong>che</strong> mi riguardava, ma mentre mi<br />
schiarivo la gola per parlare, Caio rispose.<br />
«Sì, Luceia, hai ragione, come sempre. In particolare sono
preoccupato per il carpentiere <strong>che</strong> Publio ha nominato. È un caso<br />
esemplare di questa problematica. Tu dici <strong>che</strong> è un ubriacone. Lui<br />
probabilmente risponderebbe <strong>che</strong> è un uomo <strong>che</strong> lavora duro e <strong>che</strong><br />
si gode una brocca di birra o di vino o entrambi quando la giornata<br />
di lavoro è finita. Lo faccio anch'io. E an<strong>che</strong> tuo marito. Forse<br />
sappiamo solo reggere quello <strong>che</strong> beviamo meglio del carpentiere.<br />
Dovremmo condannarlo per questo? Possiamo farlo? Tu dici <strong>che</strong><br />
tiranneggia e terrorizza la sua famiglia e <strong>che</strong> commette incesto con le<br />
figlie. È solo una diceria, vero? Non c'è nessuna prova?»<br />
Luceia scosse la testa.<br />
«Proprio come pensavo. Quindi non ci si può fare niente per ora.<br />
Non possiamo fare niente se nessuno si lamenta. Niente. Per quanto<br />
riguarda picchiare e terrorizzare la sua famiglia, potrebbe<br />
rispondere <strong>che</strong> li punisce. Come potrei ribattere a una risposta<br />
simile?» Cai si era accigliato, un profondo solco scavato dai suoi<br />
pensieri gli attraversava la fronte tra le sopracciglia. «Io credo nella<br />
disciplina e credo <strong>che</strong> la disciplina debba essere dura se vuole avere<br />
qual<strong>che</strong> effetto. Chi sono io, <strong>che</strong> diritto ho di dire a chiunque come<br />
governare la propria famiglia? Avrei potuto dire a Domizio Titente<br />
di punire sua moglie? O di badare alla sua castità? Con quale diritto<br />
se non quello di un vicino intrigante e ficcanaso? Avrebbe messo<br />
mano alla spada, e chi avrebbe potuto biasimarlo? <strong>La</strong> sua vita<br />
familiare non era affar mio; non avrebbe mai potuto esserlo, perché<br />
era sua e solo sua. Conosci le leggi <strong>che</strong> regolano l'adulterio. Avrebbe<br />
potuto frustarla fino all'osso, impunemente, e nessun uomo avrebbe<br />
pensato male di lui... Ma la furia cieca lo portò alla pazzia e<br />
massacrò tutti quelli <strong>che</strong> trovò in casa.»<br />
«Qualcuno avrebbe dovuto fermarlo, Cai.»<br />
«Luceia, è assurdo. Qualcuno avrebbe dovuto fermarlo, se<br />
qualcuno avesse immaginato cosa avrebbe fatto. Ma nessuno poteva<br />
saperlo, nemmeno lui stesso, fino al momento del massacro, e a quel<br />
punto ormai aveva perso il senno.»
Luceia scosse la testa con decisione. «Questo è esattamente il<br />
punto a cui volevo arrivare. Ci sarà sempre l'ignoto, <strong>che</strong> trascenderà<br />
le leggi e le regole. Ma ci sono an<strong>che</strong> segnali e indicazioni <strong>che</strong><br />
preannunciano l'ignoto, Caio. Avvertimenti, se li sappiamo leggere.<br />
Dobbiamo essere in sintonia con essi, in qual<strong>che</strong> modo. Dobbiamo,<br />
dovremo guardarci da tutto ciò <strong>che</strong> non è normale, e fermare le cose<br />
prima <strong>che</strong> vadano troppo oltre. Devono esserci regole, Caio, e<br />
devono esserci persone, persone come te e Publio, con il compito di<br />
far rispettare le regole e di prendere decisioni oculate in merito a<br />
quando e come e da parte di chi quelle regole sono state infrante.»<br />
«Questo è...» <strong>La</strong> voce di Cai si affievolì per un attimo e poi<br />
riprese. «Questo non è lavoro per un uomo, Luceia.»<br />
«Scioc<strong>che</strong>zze! Certo <strong>che</strong> lo è.» <strong>La</strong> voce di Luceia era sprezzante.<br />
«Non solo: è lavoro per uomini straordinari, uomini al di sopra della<br />
meschinità, <strong>che</strong> non si lascino influenzare. Ed è un lavoro necessario,<br />
fratello. Ma perché non potrebbe essere an<strong>che</strong> lavoro da donne?<br />
<strong>La</strong>voro per donne straordinarie?»<br />
Entrambi la fissammo, ma fui io a chiederle: «Cosa intendi<br />
dire?»<br />
Luceia mi fissò con gli occhi spalancati. «Cosa pensi <strong>che</strong> intenda<br />
dire? Ammettete le donne nella vostra assemblea e lasciate <strong>che</strong><br />
dividano con gli uomini i doveri dei custodi della legge. Scoprirai<br />
<strong>che</strong> sono più coscienziose e più giudiziose nel riportare le faccende<br />
<strong>che</strong> riguardano tutti noi, e non saranno influenzate dalle tante<br />
preoccupazioni <strong>che</strong> influenzano gli uomini.»<br />
«E quali sarebbero?» Sorridevo, divertito dalla novità <strong>che</strong> Luceia<br />
suggeriva. Mi rivolse uno sguardo sprezzante.<br />
«Suvvia, marito, tu e io ne abbiamo parlato spesso. Le cose <strong>che</strong><br />
contano - <strong>che</strong> contano realmente - per le donne costituiscono un<br />
mondo a parte rispetto a quelle <strong>che</strong> contano per gli uomini. I nostri<br />
sistemi di valori sono completamente differenti. Gli uomini si<br />
preoccupano della conquista e del commercio. Le donne si
preoccupano di altre cose: l'armonia familiare, l'economia, la forza<br />
domestica e l'educazione dei figli, affinché diventino adulti integri,<br />
robusti, sani. Se riconosci <strong>che</strong> questi sono dei valori, devi riconoscere<br />
<strong>che</strong> l'inserimento delle donne nel governo della Colonia potrà avere<br />
solo effetti benefici.»<br />
«Sorella.» <strong>La</strong> voce di Cai era rispettosa. «Penso <strong>che</strong> avremo<br />
qual<strong>che</strong> difficoltà a fare accettare questa idea ai coloni, ma hai<br />
concluso questa discussione con un'idea affascinante. Ora parliamo<br />
d'altro, e meditiamo a lungo e a fondo su quello <strong>che</strong> hai appena<br />
detto. Credo <strong>che</strong> tu ci abbia condotto per un tratto notevole di strada<br />
verso la soluzione del nostro problema. Non conosco molti giudici<br />
di carattere migliori di te e sosterrei il tuo giudizio contro quello di<br />
ogni uomo. Se avessimo tre o quattro donne come te, saremmo in<br />
mani molto capaci.»<br />
«Fratello,» disse Luceia, «te ne posso presentare almeno dieci<br />
domani e sarò lieta di farlo...» Il tono della sua voce, quando si<br />
interruppe, indicava chiaramente <strong>che</strong> c'era un “ma” ancora<br />
inespresso.<br />
«Bene. Voglio <strong>che</strong> tu lo faccia. Non vedo l'ora.» Il solco sulla<br />
fronte di Cai si distese e il suo volto si aprì in un grande sorriso. «Ma<br />
mentre riunisci le tue delegate, potresti darmi qual<strong>che</strong> idea sul<br />
modo di convincere i consiglieri del valore della tua innovazione?»<br />
«Certamente lo farò.» An<strong>che</strong> lei sorrise, del suo sorrisetto deciso.<br />
«<strong>La</strong>scia fare a me. Troverò un modo, forse non domani, ma lo<br />
troverò.» Luceia vuotò la coppa e la girò sotto-sopra perché capissi.<br />
Mi alzai e versai per tutti dell'altro vino dalla brocca, lasciandola<br />
così tristemente vuota. Nel frattempo Luceia continuò.<br />
«Ma non ho ancora finito quello <strong>che</strong> stavo dicendo. Voglio <strong>che</strong><br />
ascoltiate quello <strong>che</strong> ho da dire sul carpentiere.» Il sopracciglio di<br />
Cai si alzò minaccioso, ma lei lo ignorò e continuò, implacabile, a<br />
parlare. «Quello è un uomo malvagio e so <strong>che</strong> voi due preferireste<br />
non pensarci, ma credo <strong>che</strong> dovreste considerarlo un caso speciale.»
Alzò una mano per bloccare la mia interruzione. «Per favore,<br />
lasciami finire. Ha un bambino piccolo <strong>che</strong> a volte gioca con<br />
Veronica e con gli altri bambini.» Ci fissò con intensità, prima uno e<br />
poi l'altro, fermando alla fine il suo sguardo sul fratello, sapendo <strong>che</strong><br />
era lui quello <strong>che</strong> doveva convincere. «Caio, i bambini<br />
continueranno a giocare insieme, an<strong>che</strong> se diremo loro di non farlo.<br />
E siccome giocano insieme, imparano insieme. Questo è il sistema<br />
dell'infanzia e della natura. E imparano tanto il male quanto il<br />
bene.» Si interruppe, pallida per le emozioni trattenute. «Io amo le<br />
mie bambine, Caio, e amo i bambini.» L'accento era chiaro e<br />
inequivocabile. «L'infanzia, lo sa Iddio, è breve. Io voglio <strong>che</strong> le mie<br />
bambine ne godano il più possibile. Avranno tutta la vita per vedere<br />
lo squallore e l'ingiustizia del mondo in cui devono vivere. Ma mi<br />
rende furiosa vedere mia figlia Veronica piangere disperata e<br />
terrorizzata per quello <strong>che</strong> è successo al suo piccolo amico, <strong>che</strong> ha le<br />
gambe contuse e ferite da quel bruto ubriacone <strong>che</strong> lo ha messo al<br />
mondo. Mia figlia non ha bisogno di vedere certe cose, e non ne<br />
hanno bisogno neppure gli alto bambini. Né hanno bisogno di<br />
vedere la madre e le sorelle di un loro amico brutalizzate e picchiate<br />
da una belva feroce» Luceia fece una nuova pausa e guardò Caio e<br />
me, e poi di nuovo suo fratello. «Non ti sto dicendo cosa devi fare,<br />
ma certamente capirai <strong>che</strong> quell'uomo necessariamente costituisce<br />
un esempio. Ci deve pure essere un modo per obbligarlo a<br />
comportarsi diversamente.»<br />
«Quale?» <strong>La</strong> voce di Cai era bassa e severa. «Cosa suggerisci?<br />
Come possiamo agire? Che diritto abbiamo?»<br />
«Che diritto?» <strong>La</strong> voce di Luceia tremava di freddezza. «Di <strong>che</strong><br />
dritti stiamo parlando, Cai? Chi ha ragione in questo caso? Quei<br />
bambini non hanno dei diritti? Non ne ha sua moglie?»<br />
«Questo non c'entra, Luceia» la interruppe suo fratello. «Sto<br />
dicendo <strong>che</strong> Publio e io non possiamo arrogarci l'autorità di punire<br />
un altro uomo per come tratta la sua famiglia. Non ne abbiamo il
diritto.»<br />
«E allora <strong>che</strong> diritti avete? Non è forse un tuo affittuario?»<br />
«No, non lo è. È un colono e contribuisce alla Colonia con il suo<br />
lavoro. È un uomo libero.»<br />
«Allora dimmi. Che cosa faresti se fosse uno dei tuoi legionari e<br />
si comportasse così?»<br />
<strong>La</strong> risposta di Cai fu immediata: «Lo farei frustare».<br />
«E allora fallo frustare adesso, Caio, o rischi di vedere altri<br />
seguire il suo esempio.»<br />
«Scioc<strong>che</strong>zze! Stai dando troppa importanza a questo fatto,<br />
Luceia.»<br />
Allora intervenni, vedendo <strong>che</strong> la collera stava prendendo il<br />
sopravvento in entrambi. Suggerii <strong>che</strong> riflettessimo su quello <strong>che</strong><br />
Luceia aveva appena detto e <strong>che</strong> considerassimo le nostre scelte alla<br />
luce della gravità delle sue accuse. Dissi an<strong>che</strong> <strong>che</strong> avrei fatto visita<br />
al carpentiere in questione e avrei parlato con lui.<br />
Mi sembrarono entrambi soddisfatti, e proseguimmo parlando<br />
di altre cose finché il fuoco si consumò senza <strong>che</strong> nessuno lo<br />
alimentasse, e andammo tutti a letto. L'ultima cosa <strong>che</strong> Luceia mi<br />
disse prima di addormentarsi fu <strong>che</strong> era contenta <strong>che</strong> andassi a<br />
parlare con quell'uomo.
VI.<br />
Avevo veramente l'intenzione di parlare al carpentiere Ligno il<br />
giorno seguente, come avevo promesso a Luceia, ma<br />
nell'entusiasmo della discussione mi ero scordato la precedente<br />
promessa di andare ad Aquae Sulis con Vittore, un colono della villa<br />
di Terra. Doveva visitare il mercato locale, dove sperava di<br />
comprare uno stallone <strong>che</strong> si diceva sarebbe stato in vendita, e mi<br />
ero offerto di accompagnarlo. Era un viaggio lungo e noioso da fare<br />
da solo, e io avevo degli affari nella cittadina <strong>che</strong> rimandavo già da<br />
tempo.<br />
Viaggiammo su un carro leggero e veloce, tirato da due cavalli, e<br />
fu un viaggio piacevole; parlammo per tutto il tempo di cavalli,<br />
poiché Vittore sembrava non avere altri interessi. Quando<br />
arrivammo, però, Vittore scoprì con grande disappunto <strong>che</strong> lo<br />
stallone <strong>che</strong> aveva sperato di comprare era introvabile. Ma non si<br />
rassegnò all'idea di aver fatto quel viaggio inutilmente, si informò e<br />
venne a sapere <strong>che</strong> la vendita era stata rimandata, perché quel<br />
giorno il proprietario non aveva potuto venire in città. Vittore allora<br />
partì alla ricerca della villa del proprietario, deciso a comprare lo<br />
stallone a seguito di una trattativa privata, e mi lasciò da solo a fare<br />
il viaggio di ritorno alla Colonia sul carro, dicendomi <strong>che</strong> sarebbe<br />
tornato indietro a cavallo del suo nuovo stallone. Io passai la notte<br />
ad Aquae Sulis e partii diretto verso casa il mattino successivo, non<br />
appena il sole si alzò all'orizzonte. Il viaggio di ritorno richiese<br />
l'intera giornata. Il tempo era bello e feci un viaggio ottimo, ma ero<br />
ancora a quasi sette miglia dalla Colonia quando scese l'oscurità,<br />
costringendomi a diminuire l'andatura. Normalmente preferisco<br />
accamparmi piuttosto <strong>che</strong> viaggiare di notte, ma era una notte<br />
tiepida, il cielo era limpido e illuminato dalla luce della luna, e io ero<br />
ormai su un terreno familiare, perciò decisi di proseguire, rimasi<br />
sulla strada principale diretta a sud per altre tre miglia, e mantenni
un'andatura sostenuta fino al punto in cui la strada arrivava più<br />
vicina alla Colonia. Lì svoltai per i campi, andando molto più<br />
adagio, ma viaggiando a volo d'uccello invece di prendere il sentiero<br />
più lungo e tortuoso <strong>che</strong> portava dalla strada principale alla villa.<br />
Gli unici rumori <strong>che</strong> sentii nell'ora successiva, passando tra zolle<br />
e roveti alla ricerca di un passaggio inerbito e solido, furono lo<br />
scricchiolio delle molle e dell'assale del carro e i tonfi soffocati degli<br />
zoccoli dei cavalli.<br />
Quando vidi il riflesso della luna luccicare sulle acque dello<br />
Stagno del Drago, seppi <strong>che</strong> ero a casa, e la mia mente si colmò dei<br />
piacevoli pensieri di un bagno caldo e di cibi caldi; all'improvviso<br />
sentii un grido sinistro e lamentoso provenire dai giunchi lungo la<br />
riva. Il sangue mi si gelò nelle vene, come a un bambino <strong>che</strong> ha<br />
ascoltato troppe storie di fantasmi e di apparizioni mostruose, e per<br />
l'orrore i capelli mi si rizzarono sulla testa. Non sono mai stato<br />
superstizioso, ma ci sono state delle occasioni nella mia vita in cui<br />
avrei potuto diventarlo, e una fu quella. <strong>La</strong> notte <strong>che</strong> solo un attimo<br />
prima era così chiara e lucente, illuminata dalla luna, divenne<br />
subitamente oscura e minacciosa.<br />
Perfino questa notte, mentre scrivo queste parole a molte miglia<br />
e a molti anni di distanza dalla sua vista, so <strong>che</strong> lo Stagno del Drago<br />
è profondo e oscuro, circondato da falaschi e canne e salici stentati, e<br />
<strong>che</strong> la sua superficie è probabilmente nascosta da una coltre di<br />
nebbia. Le storie <strong>che</strong> si raccontano intorno al fuoco durante le buie<br />
notti invernali parlano ancora di antichi massacri e di confusione, e<br />
delle anime degli affogati e degli assassinati <strong>che</strong> si sollevano dalle<br />
acque nere e profonde per piangere la loro vita perduta sulla terra.<br />
Il cuore disse alla mente dubbiosa <strong>che</strong> avevo sentito davvero<br />
quel suono. An<strong>che</strong> i cavalli lo avevano avvertito e questo mi atterrì;<br />
si fermarono e nitrirono sommessamente, e drizzarono le orecchie<br />
per localizzare la fonte di quello strano rumore. Io rimasi seduto<br />
immobile, cercando di placare il battito del mio cuore, dicendo a me
stesso <strong>che</strong> ero troppo vecchio per lasciarmi spaventare dai rumori<br />
della notte, per quanto strani fossero.<br />
Ma il rumore si ripetè e questa volta, an<strong>che</strong> se il mio cuore<br />
sussultò per la paura, riconobbi un suono naturale e umano: una<br />
voce di donna o di bambino. <strong>La</strong> paura passò, eppure esitai a<br />
chiamare, non volendo rompere il silenzio, e attesi <strong>che</strong> il suono si<br />
ripetesse ancora.<br />
Si ripetè per la terza volta, spezzando la tensione <strong>che</strong> mi<br />
stringeva. Vedevo solo la nebbia sull'acqua e i falaschi, ma avevo<br />
sentito abbastanza chiaramente il suono per sapere <strong>che</strong> la voce<br />
proveniva da un punto vicino alla riva. Mi alzai e guardai, ma vidi<br />
solo la nebbia, tanto fitta sul lago e sulla riva da impedirmi di<br />
scorgere altro; allora, prima di avviarmi in una qualunque<br />
direzione, andai nel retro del carro e presi l'esca e l'acciarino e il<br />
fondo vaso d'argilla pieno di stracci intrisi d'olio e legati stretti<br />
intorno a bastoni secchi, <strong>che</strong> mi portavo sempre appresso per fare<br />
torce o accendere il fuoco. In pochi istanti accesi del muschio secco,<br />
alimentai la fiamma e vi immersi il lembo di uno straccio oleoso<br />
avvolto intorno a un bastone. Solo a quel punto mi allontanai dal<br />
carro, reggendo la fiaccola sopra la testa per far luce mentre mi<br />
avvicinavo al bordo dell'acqua. Durante il cammino, la luna piena<br />
alle mie spalle mi proiettava davanti un'ombra grottesca. Non c'era<br />
nessun rumore adesso, a parte il sibilo della torcia <strong>che</strong> bruciava.<br />
Gridai: «Chi è là? Dove sei?» ma non udii nulla. Nessun suono.<br />
Mi avvicinai di più all'acqua, con cautela, ricominciando a<br />
pensare di essere impazzito, perché qualunque essere umano in<br />
difficoltà avrebbe risposto a un'offerta di aiuto. Ma non accadde<br />
niente. Sempre più esitante trasferii la torcia nella mano sinistra e<br />
sguainai la spada, ricavando una certa soddisfazione dal suono<br />
strisciante <strong>che</strong> fece scivolando fuori dal fodero.<br />
Chiamai molte altre volte, fermandomi ogni volta ad spettare<br />
una risposta <strong>che</strong> non venne, e alla fine i miei piedi affondarono nel
fango in riva al lago e non potei andare oltre, le canne fitte e alte mi<br />
circondavano come un mare <strong>che</strong> mi arrivava alla vita. Se davanti a<br />
me c'era qualcuno, doveva essere affogato e quindi fuori dalla mia<br />
portata. Mi girai e vidi il carro e i cavalli dove li avevo lasciati, e<br />
ritornai sui miei passi. <strong>La</strong> mia ombra adesso veniva proiettata alle<br />
mie spalle, e non avevo fatto sei passi <strong>che</strong> vidi quello <strong>che</strong> prima mi<br />
era sfuggito. In mezzo alle canne, dove qualcuno o qualcosa si era<br />
trascinato, si vedeva una traccia <strong>che</strong> partiva dalla mia sinistra e<br />
andava verso destra. Al chiarore della luna vedevo perfettamente<br />
dove il sentiero aperto dal mio ingresso incrociava le canne rotte e<br />
piegate. Deglutii, strinsi le dita intorno all'elsa della spada e mossi<br />
pochi passi sul sentiero alla mia destra, poi, terrorizzato, vidi la luce<br />
della torcia riflettersi in un occhio luccicante, e mi acquattai pronto<br />
alla lotta, facendo vibrare la spada in un arco sibilante e abbassando<br />
la torcia con un movimento rapido e roboante. Quello <strong>che</strong> vidi in<br />
quell'istante mi sbalordì, e rimasi lì, paralizzato, a fissare un<br />
bambino piccolo, nudo e incredibilmente sporco e macchiato di<br />
sangue, un maschio, il cui unico occhio mi fissava pieno di terrore<br />
nella certezza della morte imminente.<br />
In un attimo fui in ginocchio accanto a lui, annaspando per<br />
rinfoderare la spada e contemporaneamente piantare la base della<br />
torcia nel fango. Il bambino indietreggiò, allontanandosi da me, e un<br />
lamento di terrore gli uscì dalle labbra lacerate mentre cercava di<br />
scappare, affondando inutilmente il tallone destro nel fango<br />
vischioso, e spingendosi freneticamente all'indietro per nascondersi<br />
di nuovo tra i giunchi. Gli ferrai una gamba per trattenerlo, e<br />
immediatamente avvertii tra le dita l'estremità insanguinata di un<br />
osso rotto. Tutto il suo corpo si inarcò per il dolore, il respiro<br />
divenne un rantolo di agonia, e si accasciò privo di sensi.<br />
Afferrai di nuovo la torcia e l'avvicinai a lui, guardando<br />
attentamente quello <strong>che</strong> la luce ora rivelava. Non aveva più di sette<br />
od otto anni, ed era stato brutalizzato, picchiato selvaggiamente al<br />
punto <strong>che</strong> avrebbe dovuto essere morto. Sconvolto da una simile
constatazione, mi chinai sul corpicino e cercai un palpito di vita, ma<br />
tutto quello <strong>che</strong> sentivo era il rumore della torcia <strong>che</strong> bruciava.<br />
Cercai ancora e sentii un battito, debole ma regolare, sotto la<br />
mascella. Ma il bambino era freddo, intirizzito e nudo. Imprecando<br />
ad alta voce, mi alzai e tornai più in fretta possibile al carro, dove<br />
aprii il pacco del mio mantello nuovo e condussi il cavallo giù fino al<br />
bordo del canneto. Avvolsi il bambino, ancora svenuto, nel<br />
mantello, ripiegandogli la stoffa sotto i piedi in modo <strong>che</strong> fosse<br />
doppia, poi gettai la torcia nelle acque del lago e portai il bambino in<br />
braccio fino al carro; rovesciai a terra il contenuto della lunga<br />
cassetta degli attrezzi e foderai il fondo con tutta la stoffa <strong>che</strong> avevo.<br />
Il bambino era un fagotto piccolissimo e stava perfettamente nella<br />
cassetta. Risalii al posto di guida e ripartii verso casa, alla massima<br />
velocità possibile, cercando di non scuotere la scatola e il suo<br />
occupante più di quanto fosse necessario.<br />
Mi ci volle un'ora per terminare il viaggio. Corsi in casa<br />
portando il bambino e chiamando aiuto a squarciagola. <strong>La</strong> famiglia<br />
aveva appena finito di mangiare e i servi stavano portando via gli<br />
avanzi dalla sala da pranzo, ancora vivacemente illuminata dal<br />
fuoco di legna e da una dozzina di lanterne e candele. Posai il mio<br />
patetico fagotto sul tavolo, <strong>che</strong> sgombrai buttando ogni cosa sul<br />
pavimento, e svolsi le pieghe del mantello nel quale avevo avvolto il<br />
piccolo. Solo allora, nella chiara luce del triclinium, vidi fino a <strong>che</strong><br />
punto il bambino era stato maltrattato. Era coperto dalla testa ai<br />
piedi di uno spesso strato di fango limaccioso e del suo stesso<br />
sangue. <strong>La</strong> gamba sinistra era visibilmente rotta almeno in due<br />
punti, e il braccio destro era slogato in una posizione innaturale. Un<br />
grande lembo di pelle e carne era stato strappato dal fianco sinistro,<br />
e le piccole costole bian<strong>che</strong>ggiavano all'interno dello squarcio. <strong>La</strong><br />
bocca era spaccata; i denti avevano lacerato le labbra e il labbro<br />
inferiore era aperto in due. <strong>La</strong> cute era lacerata in profondità e il<br />
sangue raggrumato incrostava i capelli.<br />
A Luceia era bastata un'occhiata per vedere <strong>che</strong> avevo tra le
accia un essere umano, piccolo e ferito, e poi era immediatamente<br />
scomparsa in direzione degli appartamenti in cui vivevamo,<br />
gridando ordini mentre andava a chiamare i medici e a prendere<br />
acqua calda, panni e asciugamani puliti. I servi si affrettarono a<br />
eseguire i suoi ordini; Caio si avvicinò al tavolo e rimase<br />
ammutolito, scosso come non lo avevo mai visto. Impallidì e si<br />
aggrappò al tavolo per sostenersi mentre guardava il bambino, poi<br />
si girò e uscì dalla stanza e io sapevo <strong>che</strong> andava a vomitare l'orrore<br />
<strong>che</strong> provava. Io non avevo tempo per l'orrore e per la collera. C'era<br />
troppo da fare se volevamo salvare la vita del bambino, precipitato<br />
in un coma profondo. Solo più tardi, quando non ci fu più niente da<br />
fare se non attendere, la furia cominciò a ribollirmi dentro.<br />
Il nostro medico, Cleto, <strong>che</strong> aveva curato per anni uomini feriti<br />
in battaglia, lavò accuratamente il bambino con sapone dolce e<br />
acqua calda, poi cosparse le ferite e gli arti fratturati di erbe curative<br />
e rimise a posto le ossa rotte fissandole con assicelle rigide. Il<br />
bambino, del tutto privo di sensi, durante queste operazioni non<br />
mostrò alcun segno di dolore. Poi Cleto gli rasò la testa con il mio<br />
pugnale forgiato dalla pietra celeste, la lama più affilata della<br />
Colonia, e scoprì le lacerazioni sulla cute per poterle lavare e pulire a<br />
fondo. Ripulì con mano leggera la bocca rotta e fissò il labbro<br />
inferiore spaccato, con due piccoli nodi chirurgici, riunendo i lembi<br />
con la delicatezza di una donna. Solo allora prestò attenzione alla<br />
ferita sul fianco: rimise al suo posto il lembo di pelle strappata e lo<br />
cucì con una gugliata di filo robusto. Quand'ebbe fatto tutto ciò,<br />
Cleto fasciò il piccolo paziente con bende pulite e lo adagiò su un<br />
giaciglio nei suoi appartamenti, dove poteva vegliarlo per il resto<br />
della notte.<br />
Per tutto il tempo Luceia era rimasta in silenzio, reagendo solo<br />
alle richieste di Cleto di passargli questo o quello strumento della<br />
sua arte medica. Io non avevo niente da dire: tutta la mia attenzione<br />
era focalizzata sul bambino e sul medico.
Alla fine, quando il bambino fu a letto, circondato da bottiglie di<br />
acqua calda avvolte nella stoffa, Luceia e io ci ritirammo insieme<br />
nella nostra stanza. Qualcuno, sapendo <strong>che</strong> eravamo ancora alzati,<br />
aveva tenuto il fuoco acceso, e accese erano an<strong>che</strong> le lanterne e le<br />
candele. Caio era andato a letto. Mi avvicinai alla ghiacciaia in<br />
pietra, versai per entrambi un boccale della birra fredda di Equo, e li<br />
portai al divano dove Luceia si era seduta a fissare il fuoco. Prese il<br />
boccale dalle mie mani, ma non accennò a bere.<br />
Mi sedetti al suo fianco e bevvi lunghe sorsate, senza neppure<br />
sentire il sapore della bevanda, ma apprezzandone la fres<strong>che</strong>zza.<br />
<strong>La</strong> mia mente non riusciva ancora ad accettare la gravità di ciò<br />
<strong>che</strong> avevo visto quella notte.<br />
Non mi facevo illusioni sull'infanzia: pochi bambini erano amati<br />
e felici come i nostri. Per la maggior parte delle persone l'infanzia<br />
non era un periodo felice. Era un periodo <strong>che</strong> bisognava passare in<br />
fretta; un periodo di dura disciplina come anticipo della vita ancor<br />
più dura <strong>che</strong> aspettava al varco; un periodo di addestramento alla<br />
maturità. Era un periodo in cui il bambino doveva apprendere<br />
lezioni difficili, in cui doveva imparare bene e in fretta le prati<strong>che</strong><br />
essenziali se voleva sopravvivere e diventare adulto, mettere al<br />
mondo e crescere bambini propri finché era ancora abbastanza<br />
giovane da ricordare e trasmettere loro le lezioni apprese. <strong>La</strong><br />
disciplina e le punizioni nell'infanzia erano severe e dovevano<br />
esserlo; solo i ricchi potevano permettersi di nutrire e proteggere la<br />
loro progenie dalla vita stessa. I bambini <strong>che</strong> non imparavano a<br />
lottare erano rovinati, nel peggior senso della parola, e raramente<br />
sopravvivevano.<br />
Ma ciò <strong>che</strong> aveva subito quel bambino era infame. Se avessi<br />
saputo <strong>che</strong> un adulto aveva trattato così un altro adulto e lo aveva<br />
lasciato in quelle condizioni, senza essere stato provocato nel modo<br />
più grave, lo avrei fatto frustare. Maltrattare un bambino,<br />
qualunque fosse stata la provocazione, era imperdonabile. Avrei
dato non so cosa per trovare il nomade crudele <strong>che</strong> aveva fatto una<br />
cosa simile. Bevvi di nuovo e rimasi a fissare le fiamme, vedendo<br />
davanti a me il povero volto devastato del bambino.<br />
«Mi chiedo chi sia» dissi ad alta voce, e sentii Luceia irrigidirsi al<br />
mio fianco.<br />
«Stai dicendo <strong>che</strong> non lo sai, Publio? Non sai chi è quel<br />
bambino?»<br />
Nella sua voce c'erano meraviglia e incredulità. Mi girai a<br />
guardarla.<br />
«No, certo <strong>che</strong> no. Come potrei? L'ho trovato vicino al lago. Era<br />
stato abbandonato da qualcuno. Vorrei proprio sapere da chi.»<br />
Luceia mi fissò con gli occhi spalancati e la sua espressione<br />
divenne dura come la pietra. Sentii nascere in me un assurdo senso<br />
di colpa e una vergogna indefinita.<br />
«Luceia? Ma cosa c'è, in nome di Dio? Te l'ho detto, non so chi<br />
sia il bambino. Non mi credi?»<br />
Lei continuava a fissarmi, senza vedermi veramente, il viso<br />
pietrificato in quella strana espressione, e io pensai <strong>che</strong> veramente<br />
non mi credesse.<br />
«Luceia? Cosa c'è <strong>che</strong> non va? Ti dico <strong>che</strong> non so chi sia il<br />
bambino. Perché dovrei mentirti?»<br />
Finalmente distolse lo sguardo, e lo rivolse al boccale <strong>che</strong><br />
stringeva e <strong>che</strong> portò alle labbra, ma aveva appena cominciato a bere<br />
<strong>che</strong> lo allontanò con una smorfia di disgusto e me lo porse<br />
scuotendo la testa. Stupito, presi il boccale dalle sue mani, e la<br />
guardai alzarsi e andare distrattamente dal divano al tavolino dove<br />
bruciavano le lanterne più forti. Si chinò e prese una lanterna, poi si<br />
girò verso di me.<br />
«È Simeone» disse. «Ti avevo avvertito <strong>che</strong> sarebbe successo.»<br />
«Cosa?» Ero attonito e confuso.
Non sapevo di <strong>che</strong> cosa stesse parlando.<br />
«Chi è Simeone? Di cosa parli, Luceia? Noi... io non conosco<br />
nessuno <strong>che</strong> si chiami Simeone. Simeone chi? E quale avvertimento?<br />
Mi avevi avvertito? Di <strong>che</strong> cosa?»<br />
«Il carpentiere.» <strong>La</strong> sua voce era un sussurro, privato di ogni<br />
emozione. «Ligno, quel pazzo. L'ubriacone. Ti avevo raccontato<br />
delle mie paure. A te e a Cai. Avevi promesso di andare a trovarlo e<br />
di parlargli. Ti avevo detto <strong>che</strong> avevo paura per la sua famiglia, per<br />
quello <strong>che</strong> avrebbe potuto fare. Il ragazzo è suo figlio, Simeone.<br />
Viene a giocare con i nostri bambini, Publio, e dici di non<br />
conoscerlo?»<br />
«Signore Gesù!» Mi alzai in piedi, tremando in tutto il corpo.<br />
«Tu pensi <strong>che</strong> io lo sapessi? E <strong>che</strong> non avrei fatto niente?» Mi<br />
guardai intorno per la stanza, incerto su come reagire, e mi sembrò<br />
<strong>che</strong> tutti i soprammobili familiari, tutti gli oggetti della casa mi<br />
fossero divenuti estranei; poi ripresi a ragionare con lucidità e la mia<br />
furia si concentrò su nuove, tremende paure. Ricordai di essermi<br />
tolto il cinturone con la spada entrando nell'infermeria, e andai a<br />
prenderlo. Quando ritornai, affibbiandolo, Luceia era ancora in<br />
piedi dove l'avevo lasciata, e teneva in mano la lanterna. Mi guardò<br />
perplessa.<br />
«Dove vai? Esci?»<br />
«Sì. Dove vive esattamente quell'uomo, il carpentiere?»<br />
Scosse la testa, come se volesse schiarirsi le idee. «Dietro l'ultima<br />
delle case di pietra, verso sud, in una capanna di legno in una radura<br />
della foresta.»<br />
«Abbiamo bisogno dei cavalli o possiamo andarci a piedi?<br />
Quanto è lontano?»<br />
Sbatté le palpebre, poi scosse nuovamente la testa. «Non è<br />
lontano. È solo una breve passeggiata attraverso il villaggio, alla sua<br />
estremità, verso il forte sulla collina. Ma è buio, ci vuoi andare
adesso?»<br />
«È ovvio <strong>che</strong> ci voglio andare adesso, e vieni an<strong>che</strong> tu. Dio<br />
solo sa quale scena infernale ci aspetterà quando arriveremo,<br />
ma ho bisogno di te in caso ci sia lavoro per una donna. Ha<br />
moglie e figlie, vero?»<br />
Annuì, con espressione più attenta.<br />
«Bene» proseguii. «Adesso dimmi esattamente come arrivarci e<br />
poi sveglia qualcuno <strong>che</strong> ci aiuti e seguimi lungo la strada. Io non<br />
posso aspettare. Tu hai un po' di tempo per fare i preparativi, ma<br />
non ce n'è troppo da perdere.» Feci una pausa, colpito da un<br />
pensiero improvviso, e continuai non appena mi resi conto della sua<br />
giustezza. «Per prima cosa andrò alle barac<strong>che</strong> a cercare qual<strong>che</strong><br />
soldato <strong>che</strong> venga con me. Voglio <strong>che</strong> tutto questo abbia un carattere<br />
ufficiale, più <strong>che</strong> personale. Il nostro uomo potrebbe essere ancora li<br />
e potrebbe scegliere di combattere. Spero proprio <strong>che</strong> lo faccia.<br />
Sveglia Caio. Vorrà certo sovrintendere. Pregalo di convocare alcuni<br />
membri anziani dell'assemblea e di attendere qui il mio ritorno. Nel<br />
frattempo, quando vieni, porta Gallo e altri due servi, i più forti, e<br />
un carro, uno grande. Potremmo averne bisogno per trasportare i<br />
corpi. Ma fa' in fretta, cara, abbiamo già perso abbastanza tempo e<br />
potrebbe essere troppo tardi.»<br />
Poco tempo dopo mi fermai a circa quindici passi dalla capanna<br />
del carpentiere, proprio al riparo dei cespugli e degli alberelli <strong>che</strong><br />
circondavano la radura nella quale si trovava la costruzione.<br />
Tenendo alta la torcia nella mano destra, feci segno di fermarsi con<br />
la sinistra ai sei giovani soldati <strong>che</strong> avevo fatto venire con me. Li<br />
avevo trovati <strong>che</strong> giocavano a dadi nelle barac<strong>che</strong> della villa. Avevo<br />
già detto loro di cosa si trattava e <strong>che</strong> non ero certo di quello <strong>che</strong><br />
avremmo trovato. A prima vista però non vedevo niente di insolito.<br />
<strong>La</strong> capanna era solida come ci si poteva aspettare <strong>che</strong> fosse la<br />
capanna di un carpentiere. Era buia e tranquilla, e il fumo di un<br />
fuoco quasi spento per la notte si disperdeva adagio dallo sfiato
appositamente aperto sulla sommità del tetto. <strong>La</strong> costruzione aveva<br />
due rudimentali finestre, entrambe chiuse con spessi scuri di legno,<br />
e una pesante porta in legno di larice <strong>che</strong> sembrava sbarrata<br />
dall'interno. Rimasi per qual<strong>che</strong> istante a fissarla chiedendomi <strong>che</strong><br />
cosa nascondesse. Un soldato si schiarì la gola esitante e io lo<br />
interpretai correttamente come un invito a muoversi o a lasciarli<br />
tornare al gioco interrotto. Mi rivolsi al decurione in comando.<br />
«Resta qui con i tuoi uomini e aspetta. Tienili tra i cespugli e<br />
fuori dalla vista della capanna. Vado dentro da solo. Sembra <strong>che</strong> non<br />
ci sia nessun pericolo, ma non si può mai essere veramente sicuri.<br />
Po<strong>che</strong> situazioni sono più fatali di un grave problema domestico.<br />
Aspetta <strong>che</strong> ti chiami e poi sii rapido e pronto ad afferrare<br />
quell'uomo e a prenderlo prigioniero. Mi hai capito? Prendilo<br />
prigioniero. Qualunque cosa accada e per quanto violento diventi, lo<br />
voglio vivo. È chiaro?»<br />
Annuì; uscii dal nascondiglio e avanzai verso la capanna,<br />
fermandomi proprio davanti alla porta.<br />
Ascoltai per sentire se dall'interno provenivano dei rumori, ma<br />
non udii nulla. Trassi un lungo respiro. Spostai la torcia nella mano<br />
sinistra e picchiai alla porta.<br />
Sentii un balbettio immediato di voci all'interno, tutte femminili<br />
e poi una rozza, furiosa voce maschile <strong>che</strong> diceva loro di stare zitte,<br />
dopo di <strong>che</strong> ci fu subito silenzio. Bussai di nuovo, con sollievo<br />
profondo e inatteso, sapendo <strong>che</strong> le donne, almeno, erano vive, e<br />
rendendomi conto solo allora <strong>che</strong> avevo temuto di trovare una<br />
carneficina simile a quella di villa Titente il giorno in cui Dom era<br />
impazzito. Poi sentii del movimento all'interno, uno sferragliare e<br />
una serie di imprecazioni quando qualcuno buttò a terra qualcosa di<br />
pesante. Pochi istanti dopo una luce si accese, tremolando dietro gli<br />
scuri delle finestre, e la stessa rozza voce maschile si levò a gridare<br />
chi ero e cosa volevo, per l'Ade, a quell'ora della notte.<br />
Mantenni un tono di voce moderato, ma abbastanza alto per
essere udito al di là della porta.<br />
«Sono Publio Varro e vengo dalla villa. Voglio parlare a Ligno il<br />
carpentiere.»<br />
Un altro sibilo di conversazione soffocata e un'altra<br />
imprecazione da parte dell'uomo <strong>che</strong> la zittiva. Rimasi ad aspettare.<br />
Finalmente la voce si rivolse di nuovo a me.<br />
«Cosa vuoi da lui?»<br />
«Parlargli. E non voglio gridare attraverso una porta chiusa.<br />
Apri.»<br />
Ci fu una pausa, poi la voce riprese: «Fai un passo indietro,<br />
lontano dalla porta. Come faccio a sapere <strong>che</strong> sei davvero chi dici di<br />
essere? Fai un passo indietro e lascia <strong>che</strong> ti veda dalla finestra».<br />
Feci due passi indietro e rimasi allo scoperto, con un nodo allo<br />
stomaco all'idea della freccia o del pugnale <strong>che</strong> avrebbero potuto<br />
colpirmi. Uno degli scuri a destra della porta si socchiuse e vidi<br />
un'ombra <strong>che</strong> mi scrutava, e sentii il suo grugnito di riconoscimento.<br />
Lo scuro si aprì di più e l'uomo si sporse in avanti, girando la testa a<br />
destra e a sinistra per vedere tutta la radura fino a dove poteva.<br />
«Sei solo?»<br />
«Vedi qualcun altro?»<br />
«Mmm. Cosa vuoi? Dovresti essere a letto come ogni altro uomo<br />
onesto.»<br />
«Ci sarò tra poco, ma voglio parlarti ed è una questione<br />
importante.»<br />
«Allora parla, ti ascolto.»<br />
Sapevo di dovere agire con cautela. Era fondamentale <strong>che</strong> si<br />
allontanasse dalla finestra e <strong>che</strong> aprisse la pesante porta, altrimenti<br />
ogni tentativo di prenderlo prigioniero sarebbe stato sanguinoso e<br />
inutile. Mi raddrizzai e feci in modo <strong>che</strong> le mie parole esprimessero<br />
tutto il mio disgusto.
«Ho urgente necessità di un carpentiere. Una necessità urgente<br />
per la quale sono disposto a pagare bene. Mi è stato detto <strong>che</strong> tu sei il<br />
migliore. Ma <strong>che</strong> io sia dannato se ho intenzione di rimanere qui a<br />
urlare come un venditore ambulante in mezzo alla strada mentre tu<br />
te ne stai al caldo nella tua capanna come un cinghiale pigro.<br />
Tornatene a letto, Ligno, troverò un altro carpentiere.»<br />
Girai sui tacchi e feci per allontanarmi, ma la sua voce mi fermò<br />
prima <strong>che</strong> avessi fatto due passi.<br />
«Aspetta! Aspetta, dannazione! Aprirò la porta.»<br />
Rimise a posto gli scuri e un momento dopo sentii <strong>che</strong> la pesante<br />
sbarra della porta veniva rimossa. Feci un passo avanti mentre la<br />
porta veniva aperta, ma la tenne solo parzialmente socchiusa con il<br />
peso del suo corpo sporgendo la testa attraverso l'apertura. Quando<br />
parlò la sua voce era più calma, quasi un sussurro.<br />
«Allora cosa c'è? Cos'è questa necessità così urgente? Non ti sei<br />
mai rivolto a me prima.»<br />
An<strong>che</strong> da quel poco <strong>che</strong> era visibile vedevo <strong>che</strong> era un enorme<br />
pezzo d'uomo, un orso di mezza testa più alto di me, con una gran<br />
barba folta e cespugliosa e un grosso ventre gonfio. Non mi<br />
sembrava ubriaco, ma gli ero abbastanza vicino per notare la puzza<br />
di sudore acido e di sudiciume, e il fiato fetido di qualcosa <strong>che</strong><br />
sembrava olio di pesce; mi sentii rivoltare lo stomaco, in parte per il<br />
disgusto, ma soprattutto per la rabbia nei suoi confronti. Mi<br />
avvicinai di più. «Posso entrare?»<br />
«Eh?» Evidentemente lo avevo preso alla sprovvista. Non si<br />
aspettava <strong>che</strong> entrassi, né <strong>che</strong> volessi entrare. Si guardò di nuovo<br />
intorno nella radura prima di schiarirsi la voce e dirmi di no. «No!<br />
No! Esco io. Dammi un momento.»<br />
Mi chiuse la porta in faccia e sentii <strong>che</strong> borbottava qualcosa a<br />
qualcuno, un'altra voce e poi un colpo e una voce femminile in un<br />
grido di dolore soffocato. <strong>La</strong> mia rabbia esplose di nuovo. Abbassai
la mano sull'impugnatura della spada e agitai la torcia sopra la testa<br />
per fare aumentare le fiamme. Quando aprì la porta per uscire gli<br />
sbattei in faccia l'estremità accesa della torcia, facendolo rimanere<br />
senza fiato per la sorpresa e costringendolo a indietreggiare e a<br />
coprirsi la faccia con le mani per proteggere gli occhi.<br />
Spalancai la porta con una spallata e lo seguii all'interno,<br />
sguainando la spada.<br />
Il calore all'interno della capanna toglieva il respiro. Notai due<br />
lanterne <strong>che</strong> languivano, un grande fuoco di braci e diversi corpi <strong>che</strong><br />
arretravano per la paura provocata dalla mia intrusione, ma tenni<br />
per tutto il tempo gli occhi fissi sul carpentiere. <strong>La</strong> sorpresa fu di<br />
breve durata; si rabbuiò per la collera e si raccolse per balzarmi<br />
addosso. Gli puntai alla gola la punta della spada.<br />
«Non farlo» lo ammonii, e il veleno nella mia voce lo fermò.<br />
«Non pensare neppure di aggredirmi, o ti sbudello.» Mi avvicinai<br />
ancora, spingendolo contro il muro; vidi la paura nei suoi occhi.<br />
«Stai pensando <strong>che</strong> sono fuori di me?» Lo pungolai con la punta<br />
della spada. «Stai pensando <strong>che</strong> l'uomo <strong>che</strong> hai di fronte ha perso la<br />
ragione? Ebbene, forse è vero. Ho trovato tuo figlio stanotte,<br />
ubriacone figlio di puttana, fuori, vicino al lago.»<br />
Sbatté le palpebre, sulla sua faccia la confusione si alternava alla<br />
paura. «Chi? Simeone?»<br />
«Sì, Simeone. Mi hanno detto <strong>che</strong> questo è il suo nome.»<br />
<strong>La</strong> ferocia apparve nei suoi occhi e gli deformò il volto.<br />
«Simeone? È questo <strong>che</strong> ti porta qui?»<br />
«No, le percosse <strong>che</strong> gli hai infetto mi portano qui.»<br />
«E allora <strong>che</strong> tu sia dannato! È mio figlio e lo tratto come voglio<br />
quando ha bisogno una lezione di buone maniere...» Avrebbe detto<br />
di più, ma lo interruppi puntandogli di nuovo alla gola la punta<br />
della spada.<br />
«Maniere? Ha davvero tanto bisogno una lezione di buone
maniere alla sua età? Quanti anni ha? Otto? Sette? Pezzo di letame<br />
puzzolente! Il ragazzo è alla villa e forse è morto. Nessuno pensa <strong>che</strong><br />
possa sopravvivere dopo le botte <strong>che</strong> gli hai dato. Ha una gamba a<br />
pezzi e an<strong>che</strong> se vivrà non riuscirà più a camminare bene. E an<strong>che</strong><br />
un braccio è rotto e le costole e forse an<strong>che</strong> il cranio. I denti sono rotti<br />
e forse ha perso un occhio e il labbro inferiore è strappato e ha,<br />
quanti anni? sette, otto? Ha lottato molto, brutto maiale? Ha messo<br />
alla prova la tua forza? O ha implorato pietà? Guardami negli occhi,<br />
figlio di una puttana di strada, e domandati se ci vedi un briciolo di<br />
pietà e poi chiediti cosa potrei farti se me ne dai una mezza ragione.»<br />
Mi fermai, con gli occhi sempre fissi nei suoi, e vi lessi ancora<br />
paura e un principio di panico. Senza smettere di guardarlo parlai al<br />
di sopra della spalla alle donne <strong>che</strong> erano nella stanza, una delle<br />
quali piangeva a dirotto. «Voi donne, andate fuori e gridate alle<br />
guardie di entrare. Muovetevi! Svelte!»<br />
Non ebbi risposta e perciò lanciai un'occhiata verso di loro.<br />
Erano in tre, tutte rannicchiate su un enorme letto di legno, in un<br />
immondezzaio di strame maleodorante.<br />
«Mi avete sentito? Uscite, subito!»<br />
«Non possiamo!» Quella <strong>che</strong> aveva parlato mosse una gamba, e<br />
sentii il tintinnio delle catene. Sorpreso da quel suono commisi<br />
l'errore di guardare nella loro direzione; Ligno spettava solo questo.<br />
Era grande e grosso come un orso, ma mi accorsi in quel momento<br />
<strong>che</strong> era an<strong>che</strong> veloce come un gatto. Lo vidi balzare di lato, lontano<br />
da me, lungo il muro verso l'angolo della capanna, ed ebbi appena il<br />
tempo di ruotare goffamente la spada per salvarmi dalla robusta<br />
sbarra di ferro <strong>che</strong> d'un tratto gli era apparsa in mano, e <strong>che</strong> mi<br />
avrebbe spezzato in due se mi avesse colpito. Invece riuscì solo a<br />
farmi saltare via la spada di mano, a intorpidirmi tutto il braccio e a<br />
farmi barcollare attraverso la stanza contro una seggiola di legno, e a<br />
mandarmi poi lungo disteso sul pavimento coperto di paglia.<br />
Toccando il suolo rotolai su me stesso, ma non avevo slancio <strong>che</strong> mi
aiutasse a rialzarmi e il gigante mi fu subito addosso, pronto a<br />
calarmi sulla testa la sua arma terribile. Mi mancò e l'impatto del<br />
colpo sul pavimento gli fece perdere la presa. Riuscii a colpirlo su un<br />
lato della testa, con un rovescio della mano sinistra, <strong>che</strong> chissà come<br />
stringeva ancora la torcia. Persi la torcia, ma il colpo era stato<br />
sufficiente a stordirlo e a farlo crollare a terra; gli stracci unti d'olio<br />
subito appiccarono il fuoco alla barba e ai capelli, propagando le<br />
fiamme a tutta la testa. Si diede a urlare e a lottare contro le fiamme<br />
e io unii le mie grida alle sue per chiamare i soldati.<br />
An<strong>che</strong> le tre donne si misero a strillare, e mentre mi alzavo in<br />
piedi ne compresi il motivo. <strong>La</strong> torcia era atterrata su un mucchio di<br />
paglia e di trucioli in un angolo della stanza e lunghe fiamme<br />
stavano già guizzando sulle pareti di legno. <strong>La</strong> testa di Ligno era un<br />
bozzolo di fiamme ondeggianti. Afferrai un vaso pieno d'acqua<br />
vicino al focolare e glielo rovesciai sulla testa, mentre i primi soldati<br />
facevano irruzione dalla porta. Presi per un braccio i primi due<br />
uomini e li spinsi verso il gigante prostrato al suolo.<br />
«Voi due! Portatelo fuori e tenetelo d'occhio. Legatelo per bene.<br />
Voialtri portate in salvo le donne.» Vidi il decurione al comando<br />
togliersi il mantello per cercare di placare la furia delle fiamme, ma<br />
ormai era troppo tardi. Lo afferrai e lo trascinai lontano dal fuoco.<br />
«Scordatelo, è tardi adesso. Quelle donne sono incatenate al letto.<br />
Portatele fuori di qui o bruceranno vive. Fate a pezzi il letto se è<br />
necessario.»<br />
Andai ad aiutarli e dovemmo davvero fare a pezzi il letto, an<strong>che</strong><br />
se solo due donne erano incatenate. <strong>La</strong> terza donna, <strong>che</strong> supposi<br />
fosse la madre, non era legata, ma ostacolava i nostri movimenti,<br />
aggrappandosi alle due figlie per proteggere la loro nudità. Il letto<br />
era massiccio, solido e incredibilmente pesante, costruito da un<br />
carpentiere <strong>che</strong>, qualsiasi fossero le sue colpe, conosceva la sua arte e<br />
si preoccupava delle proprie comodità materiali. Per terra, sotto a<br />
una finestra, qualcuno trovò un maglio pesante e un'ascia, ma
quando finalmente riuscimmo a sfondare il telaio del letto,<br />
frantumando le giunture d'angolo con il robusto martello, la piccola<br />
stanza era già in fiamme, piena di fumo accecante e soffocante, e<br />
correvamo il rischio di essere sopraffatti. Finalmente le donne<br />
furono portate fuori e ci ritirammo tutti, ma mentre mi voltavo per<br />
essere sicuro <strong>che</strong> fossero usciti tutti, qualcosa esplose, eruttandomi<br />
in faccia fumo e scintille. In quel momento stavo inspirando e mi<br />
parve di inalare una boccata di fuoco puro prima di essere travolto<br />
da un accesso incontrollabile di tosse <strong>che</strong> mi causò un dolore<br />
lacerante, togliendomi completamente il senso dell'orientamento.<br />
Preso dal panico, girai due volte in tondo, cercando la porta, ormai<br />
del tutto incapace di superare i vortici di fumo, poi il ginocchio<br />
cedette e caddi in avanti battendo la testa sul pavimento a un passo<br />
dalla soglia, dalla quale ormai uscivano ruggendo fumo e lunghe<br />
lingue di fuoco. Mani sconosciute mi abbrancarono e mi<br />
trascinarono fuori, nella fredda aria della notte, dove tossii e vomitai<br />
e mi contorsi tra gli spasimi per un tempo <strong>che</strong> mi sembrò eterno.<br />
Quando riacquistai una parvenza di controllo e aprii gli occhi,<br />
scoprii <strong>che</strong> la testa e le spalle erano appoggiate in grembo a mia<br />
moglie, <strong>che</strong> mi stava pulendo il viso con uno straccio umido. <strong>La</strong><br />
guardai sbattendo le palpebre e scossi la testa, sorpreso di non<br />
essermi reso conto <strong>che</strong> venivo cullato e lavato.<br />
Luceia aggrottò la fronte e si chinò per essermi più vicina.<br />
«Publio? Sei svenuto. Senti male?»<br />
Scossi la testa di nuovo e tentai di rassicurarla, ma la voce non<br />
volle uscire. Mi sollevai dal suo grembo, appoggiandomi su un<br />
gomito, e mi guardai intorno. Nella radura c'erano dozzine di<br />
persone, soldati e coloni di ogni età. Dietro di me la capanna del<br />
carpentiere era un inferno, ma nessuno tentava di spegnere il fuoco.<br />
Sentii su di me un'infinità di occhi e mi tirai su a sedere. Tossii di<br />
nuovo, cercando di ritrovare la voce, e Luceia mi offrì una tazza<br />
d'acqua. Inghiottire faceva male, ma valse la pena sopportare tanto
dolore. Svuotai tutto il contenuto della tazza, e mi sentii penetrare<br />
dalla benefica frescura dell'acqua.<br />
«Grazie» dissi con un rantolo. Poi mi alzai e mi guardai intorno<br />
con più attenzione. An<strong>che</strong> Luceia si alzò, reggendomi il gomito, e<br />
sostenendomi perché barcollavo.<br />
«Dov'è Ligno?»<br />
«Lo hanno in custodia i soldati. È malamente ustionato e soffre<br />
molto.»<br />
«An<strong>che</strong> suo figlio. Dove sono le donne?»<br />
«Nel carro. Ho portato qual<strong>che</strong> vestito e delle coperte.»<br />
«Qualcuno si è ustionato? Le donne?»<br />
«No, sono al caldo e qualcuno si occupa di loro, an<strong>che</strong> se sono<br />
sconvolte dal terrore.»<br />
Aggrottai la fronte. «Terrore? Perché? È stato fatto loro del<br />
male?»<br />
«No di certo, Publio. Ma sono spaventate per tutto quello <strong>che</strong> è<br />
successo. Non sono abituate a essere viste e ora sono al centro della<br />
pubblica attenzione. Sono turbate. E hanno il terrore di dover<br />
tornare a vivere con lui domani, dopo <strong>che</strong> tutto questo sarà finito.»<br />
«Di' loro <strong>che</strong> non devono temere niente del genere, moglie.<br />
Assolutamente.»<br />
«Gliel'ho detto. Ma non mi credono. È stato tutto troppo<br />
improvviso e hanno vissuto nel terrore troppo a lungo. Una delle<br />
figlie è incinta.»<br />
<strong>La</strong> guardai, il suo volto era immobile. «Di Ligno?»<br />
«Non puoi esserne sorpreso, Publio. Te l'ho detto molto tempo<br />
fa. Questo conferma solo i miei sospetti.»<br />
Ero inspiegabilmente senza parole, e mi ritrovai a discolpare<br />
quell'uomo, suggerendo <strong>che</strong> forse era incinta di qualcun altro e <strong>che</strong>
lo stavamo accusando ingiustamente, ma Luceia non aveva<br />
pazienza.<br />
«In nome di Dio, Publio, e di chi altri potrebbe esserlo? Le<br />
teneva incatenate al letto, no?»<br />
Sospirai e le concessi <strong>che</strong> aveva ragione. «Sì, è vero. E l'incesto è<br />
piuttosto comune, lo sa Iddio, nonostante sia proibito. Ma tenere le<br />
figlie incatenate in una stalla come animali... credo <strong>che</strong> lo frusterò<br />
personalmente in pubblico.»<br />
«No, marito, non farai niente del genere. Lo affiderai al giudizio<br />
del tribunale della Colonia. Il tribunale <strong>che</strong> abbiamo detto di volere<br />
istituire. Verrà giudicato dai suoi concittadini e bandito dalla<br />
Colonia, sotto pena di morte se ritorna. Il suo processo segnerà la<br />
nascita del nostro nuovo sistema e susciterà nella collettività una<br />
tale dose di risentimento da rendere indiscutibili le sue leggi. Forse<br />
avremo motivo di essere grati a Ligno, l'ubriacone.»<br />
«Ligno è un assassino, se suo figlio non si riprende. Come sta<br />
quel povero bambino?»<br />
Luceia scrollò le spalle e una ruga le attraversò la fronte.<br />
«Non lo so. Le sue condizioni erano immutate quando siamo<br />
andati via da casa.»<br />
«Bene,» dissi, guardandomi di nuovo intorno, «andiamo a<br />
vedere come sta adesso. <strong>La</strong>sceremo qui qual<strong>che</strong> soldato per essere<br />
sicuri <strong>che</strong> il fuoco non si diffonda, ma penso <strong>che</strong> non ci sia pericolo.<br />
Grazie a Dio stanotte non c'è vento, i boschi sono umidi dopo la<br />
pioggia degli ultimi giorni e non ci sono altre case vicine. Dovrebbe<br />
essere sicuro. <strong>La</strong>sciami organizzare le cose e mandare a casa questa<br />
gente.»<br />
Ligno sarebbe stato uno spettacolo pietoso, se avessi avuto<br />
un'oncia di pietà nel mio cuore. Luceia non aveva esagerato, la faccia<br />
e la testa erano malamente ustionate. Lo feci rinchiudere in una<br />
capanna di pietra, guardato a vista, e tornammo alla villa, dove con
la malagrazia dettatami dal risentimento andai a cercare Cleto e lo<br />
indirizzai verso un altro paziente in grande bisogno delle sue cure.<br />
Allora, e solo allora, andai a cercare Caio.<br />
Mi aspettava nel triclinium, seduto di fronte a un fuoco<br />
scoppiettante con dieci dei ventidue consiglieri, più di quanti<br />
immaginavo <strong>che</strong> riuscisse a radunare, raggruppati intorno a lui.<br />
Stavano parlando animatamente, ma cadde il silenzio quando entrai<br />
zoppicando nella stanza.<br />
«Ah, eccoti qua, Publio!» Cai si alzò in piedi immediatamente e<br />
indicò un posto vuoto vicino al suo.<br />
Intuii dal tono della voce <strong>che</strong> nell'attesa aveva già affrontato il<br />
discorso. <strong>La</strong> sua voce risuonava del tono magniloquente, lievemente<br />
esagerato, <strong>che</strong> usava con risultati sublimi quando trattava argomenti<br />
sui quali voleva imporre il proprio pensiero.<br />
«Devi aver sentito il profumo del miscuglio <strong>che</strong> Gallo ci sta<br />
servendo. Il tuo tempismo è eccellente, e probabilmente hai bisogno<br />
di una bevanda calda, per il suo calore, se non per lo stimolo.»<br />
Mentre mi dirigevo al mio posto due dei servi entrarono<br />
portando vassoi carichi di boccali fumanti della speciale ricetta di<br />
Gallo per le lunghe notti buie: latte caldo generosamente insaporito<br />
con idromele forte. Ne scolai subito un boccale e me ne servii un<br />
altro, mentre Caio tornava a sedersi e riprendeva a parlare con tono<br />
ufficiale, governatoriale.<br />
«Stavo riferendo ai nostri amici la discussione <strong>che</strong> tu e io<br />
abbiamo fatto di recente a proposito dell'illegalità <strong>che</strong> sembra<br />
dilagare sempre più intorno a noi.» Notai <strong>che</strong> ignorava di proposito<br />
il ruolo avuto da Luceia. «E mi sono scusato per averli buttati giù dal<br />
letto in un'ora così poco cristiana, an<strong>che</strong> se la gravità degli eventi di<br />
questa notte giustifica certamente un gesto tanto estremo.»<br />
Lo interruppi, qualsiasi cosa avesse in mente di dire. «Giustifica<br />
ben più di questo.» Passai in rassegna i volti degli uomini radunati
nella stanza, ma parlai direttamente a Cai. «Come sta il bambino?»<br />
Cai si schiarì la voce. «Penso <strong>che</strong> le sue condizioni siano stabili.»<br />
«Nessun miglioramento? È ancora in coma?»<br />
«Sì, temo di sì. Non c'è stato nessun miglioramento, <strong>che</strong> io<br />
sappia.»<br />
«Hai detto loro <strong>che</strong> cosa gli è successo?»<br />
«Sì.»<br />
«Lo hanno visto?»<br />
«No, non l'ho ritenuto necessario. Non c'era niente da<br />
guadagnarci, se non vedere un bambino piccolo avvolto nelle<br />
bende.»<br />
«Mmm.» Feci mostra di contare i presenti, an<strong>che</strong> se fin dal<br />
primo istante sapevo benissimo quanti fossero. «Abbiamo qui<br />
dodici consiglieri, su ventidue. Questo ci fornisce il quorum. Penso<br />
<strong>che</strong> dovremmo convocare una riunione straordinaria dell'assemblea<br />
qui e subito. Sono stati invitati an<strong>che</strong> tutti gli altri?»<br />
«Sì, ma per una ragione o per l'altra non sono potuti venire.»<br />
Caio si schiarì la voce, con un certo imbarazzo, mi parve. «Devo<br />
confessare, però, <strong>che</strong> la mia convocazione non è stata comunicata<br />
con forza sufficiente a indicare una riunione dell'assemblea.»<br />
«Come avrebbe potuto? Nessuno ci aveva pensato. L'idea mi è<br />
venuta in questo momento. Ma ritengo necessario <strong>che</strong> ci riuniamo<br />
qui, ufficialmente, adesso. Abbiamo ampie e sufficienti ragioni e ci<br />
sono alcuni imperativi <strong>che</strong> si sono imposti nell'ultima ora. Se li<br />
affrontiamo in modo risoluto finché la situazione è ancora aperta,<br />
possiamo risolverli e risparmiarci un lungo e faticoso compito nel<br />
tempo a venire. Qualcuno ha qualcosa da obiettare?»<br />
I consiglieri si limitarono a stringersi nelle spalle e bisbigliare,<br />
ma erano piuttosto disponibili. Dovevano esserlo, perché non<br />
sapevano ancora realmente quali fossero i punti in discussione.
L'unica obiezione venne da Caio. «È molto tardi, Publio. Potremmo<br />
rimanere qui tutta la notte.»<br />
Mi accorsi <strong>che</strong> si trattava di una pura formalità. Ma non riuscivo<br />
a stabilire il motivo del sorriso divertito <strong>che</strong> gli aveva sollevato gli<br />
angoli della bocca prima <strong>che</strong> iniziasse a parlare, e presi mentalmente<br />
nota di chiedergli più tardi <strong>che</strong> cosa lo avesse provocato.<br />
«Ne dubito. Vorrei tratteggiare qui la situazione <strong>che</strong> abbiamo<br />
davanti, come la vedo io, e dare alcune indicazioni specifi<strong>che</strong> per<br />
una linea di azione. Se i consiglieri presenti approvano queste<br />
indicazioni, saremo tutti a letto entro un'ora Se vengono espresse<br />
serie obiezioni voterò l'aggiornamento affinché domani possiamo<br />
convocare un'assemblea plenaria, nel qual caso saremo a letto entro<br />
un'ora.»<br />
Caio alzò le spalle. «A me sta bene. Qualcuno si oppone?»<br />
Nessuno si oppose, e iniziammo direttamente una seduta<br />
formale sotto la direzione di Caio. Mi diede la parola, e io iniziai<br />
subito il racconto della scoperta di Simeone vicino al lago,<br />
descrivendo in termini molto suggestivi le ferite del bambino,<br />
tentando deliberatamente di risvegliare il loro orrore e risentimento.<br />
Poi, mentre avevano ancora gli occhi spalancati per il disgusto,<br />
proseguii descrivendo gli eventi successivi: la scena nella capanna,<br />
le donne incatenate al letto, la lotta di Ligno per sfuggire all'arresto e<br />
l'incendio <strong>che</strong>, se la capanna di Ligno fosse stata più vicina agli altri<br />
edifici, avrebbe potuto essere disastroso per la Colonia.<br />
Dopo aver fissato saldamente nella mente dei miei ascoltatori<br />
l'immagine delle possibili conseguenze, descrissi ancora una volta il<br />
lieve, ma continuo e avvertibile declino verso l'anarchia ormai<br />
visibile nelle città della regione e perfino nella nostra piccola<br />
Colonia. Parlai del dilemma <strong>che</strong> avremmo dovuto affrontare come<br />
legislatori e applicatoli della legge, nel modo in cui Caio lo aveva<br />
descritto a me, ripetendo la sua distinzione tra regole, regolamento e<br />
leggi, e sottolineai con enfasi la necessità di un atteggiamento
autoritario e di supporto da parte del Consiglio nell'esporre questi<br />
argomenti a tutti i coloni, per ottenere il loro sostegno morale in<br />
quello <strong>che</strong> ci disponevamo a fare.<br />
Dissi loro <strong>che</strong> se, come immaginavo, erano d'accordo con le mie<br />
preoccupazioni e i miei sentimenti, e se accettavano l'analisi mia e di<br />
Caio di quanto non andava, e se riconoscevano con chiarezza le<br />
difficoltà <strong>che</strong> si prospettavano per la nostra Colonia se<br />
quell'atmosfera di lassismo morale avesse continuato a espandersi,<br />
allora nella nostra qualità di consiglieri dovevamo vedere dove tutto<br />
ciò ci avrebbe inevitabilmente condotti. Li esortai a prendere ferma<br />
posizione al riguardo, e a farlo immediatamente, quella stessa notte.<br />
Ligno il carpentiere, sostenni, ci aveva fornito una perfetta<br />
opportunità per agire con decisione nell'intento di garantire una vita<br />
sicura a ogni membro della Colonia. <strong>La</strong> nostra era palesemente una<br />
comunità cristiana. <strong>La</strong> legge cristiana era semplice, osservai: aveva<br />
solo dieci regole fondamentali, i comandamenti, e Ligno li aveva<br />
violati quasi tutti. Se suo figlio fosse morto, sarebbe stato colpevole<br />
dell'assassinio del proprio figlio. <strong>La</strong> sua crudeltà era così orrenda, e<br />
il suo disprezzo per tutte le leggi basilari della società era così<br />
profondo, <strong>che</strong> conia sua condotta danneggiava tutti coloro <strong>che</strong><br />
vivevano vicino a lui, an<strong>che</strong> se fino a quel momento aveva causato<br />
danno solo alla propria famiglia. Ma - e inchiodai questo argomento<br />
nella mente di tutti assestando un pugno sullo schienale di una<br />
seggiola - se un uomo banalizzava la propria famiglia, potevamo<br />
essere tanto sciocchi da sperare <strong>che</strong> il rimorso gli avrebbe impedito<br />
di fare del male alle famiglie altrui? Ligno non aveva solo agito<br />
male, dissi, aveva superato di molto i limiti della decenza umana.<br />
L'intera popolazione si sarebbe sollevata, oltraggiata, contro i suoi<br />
crimini. Noi, il Consiglio, potevamo sfruttare quel risentimento<br />
come un'opportunità, <strong>che</strong> speravamo non si sarebbe più ripetuta,<br />
per favorire i nostri scopi nella protezione dei coloni e dei cittadini.<br />
Parlai per quasi mezz'ora e nessuno mi interruppe, e quando<br />
ebbi finito ci fu un momento di silenzio. Mi ero alzato in piedi spinto
dalla mia stessa eloquenza, la mia lingua si era sciolta e fluidificata<br />
per la potenza dell'idromele, e i miei pensieri erano stati acuiti<br />
dall'insaziabile collera per l'accaduto. E in piedi rimasi, aspettando<br />
una reazione alla mia arringa.<br />
Fu Vegezio Sulla a rompere il silenzio. Era il figlio maggiore del<br />
vecchio Tarpone Sulla, un membro vigoroso e schietto del nostro<br />
primo Consiglio, morto da diversi anni. A differenza del suo<br />
determinato padre, Vegezio parlava raramente, e mai senza avere<br />
prima riflettuto, così <strong>che</strong> la gente ascoltava sempre quello <strong>che</strong> aveva<br />
da dire.<br />
«Le tue argomentazioni sono possenti, Publio, e io sono<br />
d'accordo con te, ma cosa proponi esattamente di dire e di fare? Sii<br />
più preciso. Votiamo. Dubito comunque <strong>che</strong> andremo a letto<br />
stanotte. Se sosteniamo le tue proposte dovremo prepararci a<br />
presentarle domani per una ratifica almeno al Consiglio Plenario, se<br />
non alla Colonia al completo in un'assemblea generale. Credo <strong>che</strong><br />
domani sarà un giorno troppo importante per questa Colonia da<br />
affrontare senza un piano e una strategia adeguati.»<br />
Le parole di Sulla provocarono un mormorio di assenso da parte<br />
di tutti e io guardai Caio, passandogli in silenzio la parola. Caio<br />
scrollò appena le spalle e mi fece cenno di continuare. Ma continuare<br />
era l'ultima cosa <strong>che</strong> volevo fare. Gli avevo preparato la strada e<br />
sapevo <strong>che</strong> lui avrebbe riferito le nostre discussioni e le nostre<br />
intenzioni con molta più precisione, concisione e autorità di quanto<br />
avrei saputo fare io.<br />
«Bene, allora passo la parola a Caio Britannico. Nel frattempo,<br />
chiedo il vostro permesso per allontanarmi un momento. Voglio<br />
controllare le condizioni del prigioniero e vedere se la moglie e le<br />
figlie stanno bene. È malamente ustionato, ma spero <strong>che</strong> le sue ferite<br />
non siano tanto gravi da consentirgli di sfuggire a un processo e a un<br />
pubblico tribunale. Tornerò presto a riferirvi notizie più precise.<br />
Caio?»
<strong>La</strong>sciai la stanza mentre lui si alzava per parlare, e mi diressi<br />
immediatamente alla casupola di pietra nella quale Ligno era<br />
rinchiuso. Era ben guardata e illuminata. Quando arrivai Cleto stava<br />
uscendo; lo presi in disparte, perché le guardie non ci sentissero.<br />
«Allora? Come sta? Vivrà?»<br />
«Sì, vivrà.» Cleto mi guardò in modo strano. «Te ne importa<br />
qualcosa, Publio?»<br />
«Sì, Cleto, mi importa, ma solo perché abbiamo bisogno <strong>che</strong> ci<br />
aiuti nel governare questa Colonia. Voglio <strong>che</strong> stia abbastanza bene<br />
da restare in piedi, diritto e visibile, per essere condannato da un<br />
tribunale pubblico.»<br />
«Ah! Capisco...»<br />
<strong>La</strong> voce di Cleto si spense e poi riprese. «Quando?»<br />
«Domani? È possibile?»<br />
«Mio caro Publio, tutto è possibile secondo il buon vescovo<br />
Alarico. <strong>La</strong> legge delle probabilità, però, è una cosa diversa.<br />
Comunque penso <strong>che</strong> starà abbastanza bene da reggersi in piedi per<br />
un po' di tempo domani. Cosa gli succederà dopo?»<br />
«Probabilmente verrà bandito, esiliato dalla Colonia, e gli sarà<br />
vietato di tornare sotto pena di morte.»<br />
«Niente esecuzione?»<br />
Cercai di cogliere l'espressione sul volto del medico, ma era<br />
troppo buio e così mi limitai a scuotere la testa. «Niente esecuzione.<br />
A meno <strong>che</strong> il bambino muoia. Allora dovrà morire an<strong>che</strong> il padre. Il<br />
bambino morirà?»<br />
«Potrebbe. Non lo so. Solo il tempo ce lo dirà. Ma se Ligno non<br />
morirà domani, sarà in grado di subire il processo. Non sarà<br />
abbastanza forte però da lasciare la Colonia immediatamente,<br />
almeno non per una settimana, più probabilmente due. A meno <strong>che</strong>,<br />
ovviamente, tu non lo porti ai confini del territorio e lo lasci lì, nel
qual caso morirà domani o il giorno dopo.»<br />
Sputai, cercando invano di pulirmi la bocca dal sapore metallico<br />
della collera. «È lui il barbaro, Cleto, non io. Quanto sono gravi le<br />
sue ustioni?»<br />
Cleto sbadigliò e si strofinò gli occhi con il dorso delle mani.<br />
«Non gravi come sembrava quando l'ho visto. I capelli e la barba<br />
sono spariti, ma le fiamme sono state spente prima <strong>che</strong> le bruciature<br />
penetrassero in profondità. Su un lato della faccia gli rimarrà una<br />
cicatrice. Gli è caduto addosso dell'olio?»<br />
Grugnii. «No, però l'ho colpito con una torcia inzuppata d'olio.»<br />
«Ovviamente. È stata questa la causa. Un orecchio è gravemente<br />
ustionato e forse lo perderà.»<br />
«Se un orecchio è tutto quello <strong>che</strong> perderà si può ritenere<br />
fortunato. Dove sono sua moglie e le figlie, lo sai?»<br />
Cleto scosse la testa. «No. Le ho viste con Luceia, ma prima di<br />
venire qui. Devono essere su alla villa.» Sbadigliò di nuovo, più<br />
forte, e mormorò qualcosa a proposito di andare a vedere come<br />
stava il bambino e poi cercare di dormire prima dell'alba.<br />
Lo ringraziai e andai a cercare Luceia, accorgendomi per via di<br />
avere le palpebre pesanti, e gli occhi <strong>che</strong> mi pungevano come se<br />
fossero stati pieni di sabbia.<br />
Per schiarirmi le idee aspirai qual<strong>che</strong> boccata dell'aria pulita<br />
della notte, grato <strong>che</strong> la leggera brezza soffiasse dalla villa verso le<br />
rovine, ancora ardenti, della capanna di Ligno.<br />
Luceia era con il bambino, le cui condizioni erano immutate. Mi<br />
disse <strong>che</strong> aveva fatto lavare le donne e le aveva alloggiate nei<br />
quartieri della servitù, dove ora dormivano profondamente, grazie a<br />
una pozione sonnifera di Cleto, vicino a chi poteva occuparsi di loro.<br />
Le raccontai <strong>che</strong> cosa stava accadendo nell'improvvisata riunione<br />
del Consiglio nel triclinium, la baciai e la mandai a letto, e tornai alla<br />
riunione dove il dibattito si era ormai concluso. Caio aveva fornito le
sue indicazioni, <strong>che</strong> erano state approvate all'unanimità. Ormai<br />
rimanevano solo quattro o cinque ore di buio, e fummo tutti<br />
concordi nel ritrovarci all'ora decima nella sala delle assemblee.<br />
Era già stata sparsa la voce <strong>che</strong> il giorno seguente sarebbe stato<br />
festivo; le squadre di lavoro non sarebbero uscite, e verso metà<br />
pomeriggio si sarebbe riunita un'assemblea generale dei coloni. Il<br />
Consiglio avrebbe proposto nuove leggi per il benessere della<br />
Colonia, e quando si fosse ottenuto l'accordo sulla loro necessità e<br />
sulla necessità di approntarle, e fossero state adottate, un tribunale<br />
pubblico si sarebbe riunito per discutere il caso di Ligno il<br />
carpentiere.<br />
Quando l'ultimo dei nostri ospiti ebbe dato la buona notte ero<br />
stremato per la stan<strong>che</strong>zza, disfatto dall'allentarsi della tensione <strong>che</strong><br />
mi aveva sostenuto fino ad allora. Caio mi venne vicino e mi mise un<br />
braccio intorno alle spalle.<br />
«Bene, fratello,» disse, «questa è stata una buona notte di lavoro.<br />
Siamo andati molto lontano, in una sola breve seduta. Forse<br />
dovremmo essere grati al nostro carpentiere ubriaco.»<br />
«Mmm. Gli mostrerò la mia gratitudine domani, quando voterò<br />
per commutare la sentenza di morte in una di esilio.» Lo interruppi<br />
rammentando una cosa. «Ridevi di me, stasera. O perlomeno<br />
sorridevi. All'inizio, appena sono arrivato, prima <strong>che</strong> cominciassi a<br />
parlare. Perché? Ero in qual<strong>che</strong> modo divertente?»<br />
Rise forte. «Ah, te ne sei accorto! No, non eri divertente, ero solo<br />
sorpreso, piacevolmente sorpreso, per il tuo cambiamento<br />
improvviso, Publio. Tutto qui.»<br />
«Cambiamento? Quale cambiamento? Che tipo di<br />
cambiamento?»<br />
«In meglio. Al tuo ingresso nella riunione consiliare hai preso il<br />
mio posto con assoluta correttezza e sicurezza, e di colpo mi sono<br />
reso conto di quanta strada hai fatto dal tuo arrivo qui tanti anni fa.
Quel Publio Varro non avrebbe mai pensato di togliere la parola al<br />
proconsole Caio Britannico. Avrebbe potuto farlo in qualunque<br />
momento, ma non era pronto; non era ancora abbastanza in pace con<br />
se stesso. Quel Publio Varro non si sarebbe mai neppure sognato di<br />
affrontare o arringare o influenzare o addirittura tiranneggiare gli<br />
augusti membri del Consiglio della Colonia.» Stava ridendo di<br />
nuovo. «Stanotte ho visto <strong>che</strong> ti accetti e <strong>che</strong> accetti il tuo ruolo qui<br />
per la prima volta, Publio. Ti ho visto esercitare il tuo potere in<br />
questa Colonia e sono stato ancora più fiero di te. E questo mi ha<br />
fatto sorridere, ma di piacere e a buon diritto.»<br />
Lo fissavo sbalordito, ma quando sentii le sue parole compresi<br />
<strong>che</strong> aveva ragione. Avevo assunto il mio incarico, completamente,<br />
non come il centurione Varro diventato tribuno, ma come Publio<br />
Varro, consigliere, cittadino e capo. «Sì,» dissi, «ma ero ancora<br />
indignato. Adesso devo andare a letto, Caio.»<br />
«Anch'io, amico mio. Ma spero <strong>che</strong> la tua indignazione duri. Se<br />
non durerà dovrò trovare il modo di risvegliarla regolarmente. Mi<br />
piace quello <strong>che</strong> provoca in te.»<br />
Pensavo <strong>che</strong> Luceia dormisse quando mi infilai nel letto, ma era<br />
sveglia e mi aspettava, an<strong>che</strong> se non fece nessun rumore mentre mi<br />
spogliavo e mi infilavo sotto le coperte adeguando il corpo tremante<br />
al profilo della sua schiena, rannicchiandomi contro la sua calda,<br />
confortevole morbidezza e passandole delicatamente il braccio<br />
sopra alla vita per annidarmi in mezzo al caldo promontorio del suo<br />
seno. Solo un marito soddisfatto può apprezzare il privilegio di tali<br />
momenti. I suoi simili meno fortunati, gli scapoli, non conoscono<br />
pari beatitudine, perché il celibato preclude loro la semplice intimità<br />
familiare e famigliare necessaria a sensazioni come quelle. Uomini<br />
meno fortunati, soli e non sposati, troppo spesso devono dormire<br />
soli, e quando hanno una compagna con cui dividere il letto, la<br />
bramosia e la necessità di dimostrare la loro prodezza congiurano<br />
per derubarli del puro piacere di dividere lungamente il letto e il
calore dei corpi. Il tempo <strong>che</strong> trascorrono a letto con le donne <strong>che</strong><br />
possono avere solo di tanto in tanto è troppo esigente, troppo<br />
atletico, troppo pieno di novità, di imperativi e di richieste. Solo un<br />
uomo felicemente sposato conosce il lusso, semplice eppure<br />
impagabile, di infilarsi in un letto, esausto per la fatica, in una notte<br />
fredda, e di trovarlo occupato dall'accogliente e meraviglioso calore<br />
senza pretese di una sposa addormentata, profumata,<br />
morbidamente docile, <strong>che</strong> gli si avvolge intorno e gli si accoccola<br />
vicina, si stringe a lui, e gli si offre come sollievo e premio alle sue<br />
fati<strong>che</strong>.<br />
Questo pensavo prima di accorgermi <strong>che</strong> Luceia era sveglia. <strong>La</strong><br />
mia stan<strong>che</strong>zza era tale <strong>che</strong> la beatitudine mi sopraffece, ma poi<br />
sentii la sua mano chiudersi sulla mia <strong>che</strong> giaceva inerte sul suo<br />
seno, e stringere le mie dita chiuse.<br />
«Sono andati tutti a casa?»<br />
<strong>La</strong> trassi a me e le parlai premendole il naso tra le spalle,<br />
baciando la sua pelle e odorando il leggero profumo dei suoi capelli.<br />
«Sì. Caio aveva già finito quando sono tornato. Ci incontreremo di<br />
nuovo in mattinata con gli altri consiglieri, in una riunione plenaria.<br />
È tutto predisposto. Domani sarà un giorno festivo. Nessuna<br />
squadra di lavoro. Convocazione generale nel pomeriggio e poi<br />
giudi<strong>che</strong>remo il carpentiere...»<br />
<strong>La</strong> sua voce mi svegliò di nuovo. «Dormi?»<br />
«Mmm? Penso di sì, cara... Stanchissimo...»<br />
Luceia si mosse contro di me, sporgendo i glutei e alzando il<br />
ginocchio destro in modo <strong>che</strong> la mia coscia riempisse l'incavo tra le<br />
sue gambe. «Troppo stanco per questo?» mormorò, spingendosi più<br />
vicina. «Mmm» mormorai, cosciente del suo calore contro la coscia,<br />
della sua mano <strong>che</strong> guidava la mia via dal seno per appoggiarla<br />
nella piega del suo ventre e tra le sue gambe raccolte, prima di<br />
muoversi di nuovo per scivolare nel breve spazio tra di noi, con le<br />
dita aperte contro la mia pelle. E mentre la consapevolezza
aumentava, la sonnolenza diminuiva rapidamente, con languore e<br />
lascivia, e senza apparente urgenza.<br />
Più tardi, nel piccolo spazio di tempo tra quello stato di veglia<br />
vibrante ed estatico e l'abbandono del sonno, Luceia si chinò su di<br />
me e mi baciò il naso, sistemandosi con comoda voluttà tra le mie<br />
gambe e strofinandomi il petto con la punta dei suoi seni.<br />
«Adesso suppongo <strong>che</strong> tu voglia dormire! Bene, prima <strong>che</strong> tu lo<br />
faccia, mastro Varro, voglio <strong>che</strong> tu sappia quanto sono stata fiera di<br />
te stanotte e come sono felice di essere tua moglie... Hai notato <strong>che</strong><br />
mi piace darti piacere?» Mi limitai a sorriderle al chiarore della luna,<br />
perché mi mancava l'energia per risponderle con delle parole. Mi<br />
baciò di nuovo, atteggiando le labbra a cuscinetti morbidi e umidi, e<br />
imprimendo come una benedizione sul mio volto: labbra, naso,<br />
occhi e fronte. «Adesso dormi» sussurrò, sollevandosi per farmi<br />
sentire l'aria fresca della notte contro il corpo umido e caldo; poi<br />
riprese la posizione <strong>che</strong> aveva quando ero arrivato. Ricordo, an<strong>che</strong>,<br />
<strong>che</strong> si sedette di nuovo, per tirare le coperte più su nel letto.<br />
Almeno mi sembra.<br />
VII.
Ligno il carpentiere ebbe il suo momento di pubblica infamia<br />
all'ora terza del pomeriggio seguente, quando fu chiamato in<br />
giudizio e portato davanti al tribunale della Colonia Britannico al<br />
completo, dritto in piedi tra due soldati alti quanto lui.<br />
<strong>La</strong> testa era quasi interamente avvolta nelle bende ed era<br />
evidente per tutti coloro <strong>che</strong> si erano radunati nel cortile principale<br />
della villa - una folla <strong>che</strong> comprendeva ogni uomo, donna e<br />
bambino della Colonia - <strong>che</strong> soffriva molto.<br />
Le sue sofferenze tuttavia gli procurarono po<strong>che</strong> simpatie, dal<br />
momento <strong>che</strong> suo figlio giaceva in coma nell'infermeria della tenuta,<br />
e lo spettacolo della moglie contusa e maltrattata e delle figlie incinte<br />
e battute aveva scandalizzato l'intera comunità.<br />
<strong>La</strong> giustizia venne rapidamente amministrata e riassunta.<br />
Poiché era responsabile di avere maltrattato e picchiato<br />
selvaggiamente suo figlio, storpiandolo e abbandonandolo in uno<br />
stato più prossimo alla morte <strong>che</strong> alla vita, e poiché il figlio tuttora si<br />
trovava in pericolo di morte per gli abusi <strong>che</strong> aveva subito; poiché<br />
aveva messo in catene, violentato e ingravidato incestuosamente<br />
una delle sue figlie e convissuto incestuosamente con l'altra,<br />
contrariamente alle leggi di Dio e degli uomini; e poiché le sue<br />
azioni e le conseguenze di quelle azioni avevano provocato una<br />
conflagrazione <strong>che</strong> aveva messo in pericolo e avrebbe potuto<br />
danneggiare l'intera Colonia, Ligno il carpentiere era proscritto e<br />
bandito dalle terre della Colonia sotto pena di morte immediata, da<br />
eseguire all'istante se in futuro fosse stato scoperto dentro i confini<br />
della Colonia o in una delle terre da essa possedute o a essa<br />
collegate. <strong>La</strong> moglie e le figlie furono assolte da ogni colpa o<br />
complicità volontaria nella sua atroce condotta, e fu loro offerta la<br />
possibilità di rimanere nella Colonia e di vivere del lavoro <strong>che</strong><br />
sarebbe stato loro garantito dopo la sua partenza. Accettarono<br />
l'offerta senza esitare.
A questo verdetto ci fu però un corollario, a riconoscimento del<br />
fatto <strong>che</strong> il condannato non era fisicamente in grado di viaggiare al<br />
momento della sentenza. Doveva quindi essere alloggiato nella<br />
Colonia, sotto custodia, per un massimo di ventuno giorni oppure<br />
fino a quando Cleto, il medico, non avesse dichiarato <strong>che</strong> era in<br />
condizioni di viaggiare; comunque sarebbe stata scelta l'alternativa<br />
più breve. Dopo di <strong>che</strong> sarebbe stato scortato ai confini della Colonia<br />
lungo la strada maestra per Aquae Sulis, e lì esiliato.<br />
<strong>La</strong> seduta del tribunale durò meno di mezz'ora e fu la<br />
conclusione appropriata di una giornata <strong>che</strong> aveva visto progressi<br />
miracolosi nel governo della nostra Colonia.<br />
Il Consiglio Plenario si era radunato all'ora decima, come<br />
programmato. Per quell'ora i membri <strong>che</strong> non erano stati presenti la<br />
notte precedente erano stati avvertiti, e le nuove idee erano cadute<br />
in terra fertile. Erano pochi i consiglieri <strong>che</strong> non avessero già<br />
riflettuto, con diversi gradi di inquietudine, sul peggioramento della<br />
situazione nelle città e nelle cittadine della Britannia sudoccidentale.<br />
In una tempestosa seduta durata due ore i consiglieri avevano<br />
accettato immediatamente e all'unanimità le decisioni raggiunte la<br />
notte precedente durante la riunione improvvisata; c'era voluto più<br />
tempo però perché accettassero di analizzare ed esaminare il<br />
suggerimento di Caio di ampliare e cambiare il Consiglio per<br />
includere la guida e i suggerimenti delle donne in settori specifici,<br />
<strong>che</strong> riguardavano soprattutto la morale, la guida e il benessere dei<br />
coloni, e le loro condizioni domesti<strong>che</strong>. Per i consiglieri era un<br />
boccone <strong>che</strong> richiedeva una masticazione laboriosa, ma la<br />
maggioranza finì per ammettere <strong>che</strong> se i principi ispiratori di un<br />
simile coinvolgimento erano ben pensati, regolamentati e gestiti,<br />
l'idea poteva essere buona.<br />
Luceia e altre tre donne furono elette dai consiglieri per<br />
consultarsi con il Consiglio Plenario sul modo in cui la questione<br />
poteva essere concepita e resa operativa.
L'assemblea dei coloni, invece, approvò per acclamazione ogni<br />
proposta avanzata dal Consiglio, e quando Cleto fece un rapporto<br />
sulle condizioni del piccolo Simeone, ancora privo di conoscenza, un<br />
silenzio pieno di simpatia pervase la folla e durò a lungo. Quando<br />
dopo il giudizio la pubblica assemblea finalmente si aggiornò, po<strong>che</strong><br />
persone lasciarono il luogo di riunione. Tutti volevano parlare di<br />
quello <strong>che</strong> era successo e di quello <strong>che</strong> era stato deciso quel giorno, e<br />
ben presto furono accesi i fuochi e venne preparato del cibo, e le<br />
attività della giornata assunsero un'aria di festa <strong>che</strong> durò per tutta la<br />
sera.<br />
Il piccolo Simeone riprese conoscenza appena prima del<br />
tramonto, tra il sollievo e la gioia di tutti, in particolare della madre,<br />
e Cleto si arrischiò a fare una ponderata prognosi di guarigione,<br />
an<strong>che</strong> se la gamba del bambino era così malamente frantumata <strong>che</strong><br />
probabilmente avrebbe zoppicato per tutta la vita peggio di me.<br />
Quella notte, dopo una cena tarda, mentre Luceia badava <strong>che</strong> la<br />
maggiore delle nostre figlie andasse a letto all'ora stabilita, Caio e io<br />
ci sedemmo comodamente in ami<strong>che</strong>vole silenzio ai due lati del<br />
fuoco <strong>che</strong> bruciava nel suo studio. Caio leggeva una lettera arrivata<br />
il giorno prima da parte del nostro amico, il vescovo Alarico, <strong>che</strong> si<br />
trovava a Verulamium. Io meditavo sui pensieri <strong>che</strong> mi erano venuti<br />
dopo aver letto quella stessa missiva. Alarico scriveva del recente<br />
intensificarsi delle scorrerie nemi<strong>che</strong> in tutte le regioni del paese.<br />
Con quella <strong>che</strong> sembrava essere la risposta generale all'improvviso<br />
taglio dei fondi da parte dell'Erario Imperiale - ci informava Alarico<br />
- l'alto comando coloniale della Britannia meridionale era stato<br />
costretto di recente a ridurre drasticamente i suoi presidi. <strong>La</strong> notizia,<br />
an<strong>che</strong> se non mi stupiva, mi irritava. Questa scioc<strong>che</strong>zza di ritirare le<br />
truppe e mandarle in nuove sedi andava avanti da diversi anni<br />
ormai e ne eravamo ben coscienti. Non era un segreto <strong>che</strong> le<br />
guarnigioni erano state evacuate da molti forti minori, e sapevamo<br />
<strong>che</strong>, malgrado le dichiarazioni ufficiali secondo Cui «si trattava solo<br />
di misure temporanee, fino al ritorno delle forze vittoriose sul
continente» questi spostamenti erano in realtà permanenti.<br />
Dal mio punto di vista la cosa peggiore - a parte le conseguenze<br />
giuridi<strong>che</strong> derivanti dalla perdita del braccio punitivo della legge,<br />
cosa <strong>che</strong> ci aveva causato tante preoccupazioni - era <strong>che</strong> molti dei<br />
forti ritenuti piccoli si trovavano in punti strategici ed essenziali per<br />
difendere le zone esterne del paese. Quando i soldati si ritiravano,<br />
non si poteva fare più niente per prevenire le incursioni di pirati e<br />
razziatori.<br />
L'esempio più evidente era stato la chiusura del forte principale<br />
di Cicuzio, nella Cambria centromeridionale, e il ritiro delle truppe<br />
da Dolocauthi, nel nord-est. Dolocauthi era la miniera d'oro più<br />
importante dell'Impero d'Occidente, e quando le truppe si ritirarono<br />
la voce si sparse in fretta. Una linea di forti, collegati da una strada<br />
in ottimo stato lungo il lato meridionale della penisola cambrica,<br />
veniva ancora mantenuta per tenere lontani gli Scoti dalla zona<br />
costiera di Dolocauthi, ma era una soluzione di second'ordine<br />
rispetto a un forte con una grossa guarnigione.<br />
Dolocauthi personalmente non mi interessava, e non mi avrebbe<br />
interessato nemmeno se fosse stata mille volte più grande, ma era<br />
diventata il simbolo di due cose: la stupidità dell'Alto Comando <strong>che</strong><br />
aveva deciso di ritirare la guarnigione senza chiudere le miniere -<br />
senza dubbio nel tentativo di placare i cavillosi funzionari di medio<br />
rango del governo - e la colossale stupidità degli scoti Iberni <strong>che</strong> non<br />
capivano la differenza tra una miniera d'oro e un giacimento di<br />
ferro.<br />
Caio depose la lettera di Alarico e sospirò, spostando di nuovo il<br />
candeliere al centro del tavolo. Io lo guardai per un momento prima<br />
di interrompere i suoi pensieri. «A cosa stai pensando?»<br />
«Oh, non so. <strong>La</strong> lettera di Alarico mi deprime. Stavo pensando<br />
alle guarnigioni e alla loro assenza. Per quello <strong>che</strong> fa in questi giorni,<br />
amico, la guarnigione della Britannia potrebbe an<strong>che</strong> non esserci.<br />
Non ci sono mai abbastanza uomini in nessun luogo e mai
abbastanza tempo per arrivare dove dovrebbero essere prima <strong>che</strong><br />
sia troppo tardi.» Fece una pausa. «Sai, Publio, c'è qualcosa <strong>che</strong><br />
volevo chiederti da molto tempo. Ti ricordi lo stallone <strong>che</strong> hai<br />
riportato da Glevum?»<br />
«Certo.» <strong>La</strong> sua domanda mi sorprese. Ero stupito <strong>che</strong> se ne<br />
ricordasse.<br />
Cinque anni prima avevamo cominciato a mandare i nostri carri<br />
a nord verso Glevum due volte all'anno per comprare lingotti di<br />
ferro e stagno. Da Glevum tornavamo alla Colonia passando per<br />
Corinium e, a sud, per Aquae Sulis, recuperando quegli articoli di<br />
lusso <strong>che</strong> sarebbero altrimenti mancati nella nostra Colonia. Il<br />
ritorno della carovana da Glevum era diventato ben presto un<br />
evento semestrale atteso con impazienza da tutti, fino a quando si<br />
era sparsa la voce, tre anni dopo il primo di quei viaggi, <strong>che</strong> le<br />
guarnigioni erano state ritirate completamente dai forti dell'interno<br />
e ridotte ai soli forti costieri. Già a partire dall'anno seguente gli<br />
Iberni arrivavano a frotte in Cambria sulle loro imbarcazioni, alla<br />
ricerca delle favolose miniere d'oro di Dolocauthi. Per quanto ne<br />
sapevo non avevano mai trovato il luogo, ma terrorizzavano ogni<br />
minatore del paese al punto <strong>che</strong> l'afflusso di ferro sui mercati di<br />
Glevum si era arrestato.<br />
Era stato un duro colpo per noi; particolarmente per me.<br />
Significava <strong>che</strong> dovevo cercare altrove il mio ferro. Era stato durante<br />
uno di quei viaggi a Glevum, circa un anno prima, <strong>che</strong> avevo trovato<br />
il cavallo a cui Caio si riferiva.<br />
Eravamo stati a nord di Glevum, a cercare zone di produzione<br />
del ferro, e un pomeriggio di primavera ci trovavamo a passare sulla<br />
cresta di una collina, quando vedemmo svolgersi una scorreria in<br />
una fattoria nella valle sotto di noi. I razziatori erano ovunque e le<br />
fiamme cominciavano in quel momento a diffondersi tra le<br />
costruzioni. Suonai il corno e condussi gli uomini alla carica giù<br />
dalla collina. I razziatori ci videro arrivare e scapparono. Tre di noi
erano a cavallo quel giorno e li inseguimmo, distanziando<br />
facilmente i nostri soldati, <strong>che</strong> non avevano nessuna speranza di<br />
raggiungerli. In breve tempo fummo a distanza di tiro dai razziatori<br />
in fuga e riuscimmo ad abbatterne una dozzina senza correre rischi,<br />
prima di finire le frecce ed essere costretti a tornare.<br />
Il solo essere vivente rimasto nella fattoria era uno stallone, un<br />
robusto morello dagli occhi ardenti, ed era ancora vivo grazie alla<br />
sua selvati<strong>che</strong>zza. Gli altri cavalli giacevano a terra sventrati. Era<br />
l'unico <strong>che</strong> aveva mantenuto gli uomini a distanza. Lo inseguimmo,<br />
quelli di noi <strong>che</strong> erano a cavallo, e alla fine riuscimmo a mettergli<br />
una corda intorno al collo e a riportarlo con noi.<br />
«Cosa gli è successo? Era uno stallone, vero?»<br />
«Sì, e molto bello. Ce l'ho ancora, ma è troppo selvaggio per<br />
montarlo.»<br />
«Intendi dire <strong>che</strong> è qui, nella stalla?»<br />
«Beh, certo! Dove altro dovrebbe essere?»<br />
«Mmm.» <strong>La</strong> sua faccia aveva assunto una di quelle strane<br />
espressioni britanni<strong>che</strong> <strong>che</strong> avevo imparato a conoscere così bene e<br />
<strong>che</strong> sapevo per esperienza risolversi in un aumento di lavoro per<br />
qualcuno, in genere per me. Le parole successive rivelarono in modo<br />
eloquente tutto un fermentare e un lievitare di pensieri nel suo<br />
cervello. «Uno stallone. Publio, cosa sai dell'allevamento dei<br />
cavalli?»<br />
«Niente. A parte l'ovvio. Hai bisogno di uno stallone e di a<br />
giumenta e loro fanno il resto.»<br />
«Nient'altro?»<br />
«Cos'altro dovrebbe esserci, Caio? È naturale.»<br />
«Publio, se voglio un buffone, posso pagarmene uno,» risi<br />
bruscamente. Alzai le spalle, sogghignando per la sua suscettibilità,<br />
perdonami. Cos'hai in mente?»
«Adrianopoli,» disse con la voce leggermente addolcita e pronte<br />
scuse. «Adrianopoli e Alessandro il Macedone.» Aspettai <strong>che</strong><br />
aggiungesse altro, e poiché taceva, lo incitai: «Mi dispiace, ma non ti<br />
seguo. Che rapporto c'è tra Adrianopoli e Alessandro il<br />
Macedone?».<br />
«Nessuno, Publio, non ce n'è nessuno. Non ancora. A parte<br />
l'ovvio, come hai detto. Ma la mente mi dice <strong>che</strong> dovrebbe essercene<br />
uno. Hai fame? Io vorrei mangiare qualcosa.»<br />
«Ci sono delle pere sul tavolo. Permettimi.» Mi alzai e gli portai<br />
la ciotola, poi lo guardai sceglierne una, estrarre un coltellino<br />
pieghevole e cominciare a sbucciarla. Era palesemente immerso nei<br />
suoi pensieri, come lo ero io, <strong>che</strong> mi chiedevo quali fossero le ovvie<br />
connessioni tra Adrianopoli e Alessandro <strong>che</strong> evidentemente mi<br />
sfuggivano.<br />
«Varro,» mi chiese lui dopo qual<strong>che</strong> momento di silenzio,<br />
usando il vecchio tono militare, «qual è la differenza principale tra la<br />
cavalleria e la fanteria?»<br />
Non avevo bisogno di pensarci. «<strong>La</strong> velocità,» risposi, «la<br />
velocità e la facilità di manovra.»<br />
«E quali sono le truppe migliori?»<br />
«<strong>La</strong> fanteria, naturalmente.»<br />
Guardò verso di me e mi fece uno strano sorriso. «Perché? E<br />
perché "naturalmente"?»<br />
Pensai <strong>che</strong> mi volesse prendere in giro. «Dici seriamente, Cai?<br />
Sono più affidabili, più adattabili, più compatti sotto ogni punto di<br />
vista.»<br />
«Perché?»<br />
Lo fissai sbattendo le palpebre, chiedendomi dove potesse<br />
portarci quella discussione. «Per molte ragioni. Dove vuoi arrivare,<br />
generale?»
«Limitati a rispondere alla domanda, Varro. Perché più<br />
compatti?»<br />
Ci pensai un momento. «Ebbene, da un lato la fanteria è più...<br />
permanente. Rimane sul campo più a lungo e può preparare le<br />
proprie difese. Fortificazioni. È più stabile. Ha meno necessità. Un<br />
soldato a piedi deve guardare solo se stesso. Un cavaliere deve<br />
occuparsi an<strong>che</strong> dell'animale e in ultima analisi la fanteria è una<br />
forza compatta, unitaria. I cavalieri sono individualisti.»<br />
Mi diede appena il tempo di finire. «Ma hai appena finito di<br />
dirmi <strong>che</strong> le truppe a cavallo hanno il vantaggio della velocità e la<br />
possibilità di manovrare più in fretta.»<br />
«Sì... è vero, in certe condizioni. Sui terreni collinosi un fante è<br />
più affidabile.»<br />
«Se riesce a tenere il terreno collinoso.»<br />
«Già.» Annuii.<br />
«Allora cosa mi dici di Adrianopoli? Una forte concentratone di<br />
cavalleria ha spazzato via una intera armata romana.»<br />
Scossi la testa. «No, quello è stato un caso fortuito, un inganno. Il<br />
comandante dell'armata deve avere trascurato qualcosa.»<br />
Caio si andava accigliando, e scuoteva la testa. «Sei sicuro,<br />
Publio? Davvero? Ne dubito. Non ci sono casi fortuiti in guerra.<br />
L'inganno è una strategia legittima in guerra.» i Scrollai le spalle,<br />
cominciando a sentirmi leggermente esasperato. «Non vedo dove<br />
tutto ciò ci può condurre.»<br />
«Lo vedrai. Dimmi quello <strong>che</strong> sai della differenza tra la<br />
cavalleria di Alessandro e la nostra.»<br />
Di nuovo feci una pausa prima di rispondere. «<strong>La</strong> disciplina,<br />
suppongo, soprattutto. È lo spiegamento tattico. Alessandro raffinò<br />
la tattica di suo padre, Filippo, <strong>che</strong> era già superba. Ma la differenza<br />
principale è <strong>che</strong> la cavalleria macedone era una cavalleria pesante,
<strong>che</strong> oggi non usiamo. Grandi cavalli, <strong>che</strong> portavano uomini<br />
pesantemente armati. Tutti addestrati per operare di concerto.»<br />
«Come martelli, Varro?»<br />
Mi aveva sorpreso di nuovo. <strong>La</strong> mia mente fece un balzo<br />
indietro, un balzo di venti lunghi anni, all'unità speciale, i Martelli,<br />
<strong>che</strong> Caio e io avevamo creato per ricacciare i Caledoni dopo<br />
l'invasione del 367. Annuii, lentamente. «Sì, suppongo <strong>che</strong> si possa<br />
dire così. Come martelli. O come un unico grande martello.»<br />
Sulle sue labbra c'era l'ombra di un sorriso. «Adesso capisci a<br />
cosa sto pensando, Varro?»<br />
«Credo di cominciare a capire.»<br />
«Immagina l'effetto, Publio.» <strong>La</strong> sua voce era eccitata.<br />
«Immagina l'effetto di uno squadrone, o an<strong>che</strong> di più, di una coorte<br />
di soldati con armamento pesante, montati su grandi cavalli e<br />
addestrati a cavalcare come un'unità. Niente scaramucce, Publio, né<br />
arcieri a cavallo, ma truppe di linea truppe d'assalto! Immagina una<br />
linea compatta di lancieri a cavallo, <strong>che</strong> cavalcano al galoppo contro<br />
l'intero equipaggi di una nave di sassoni sorpresi a terra. Riesci a<br />
vederlo?»<br />
Ci riuscivo. Lo vedevo chiaramente e qualcosa mi si agitò nelle<br />
viscere, ma dovevo essere certo <strong>che</strong> stavo vedendo la stessa cosa <strong>che</strong><br />
stava vedendo lui. «<strong>La</strong>ncieri? Intendi dire con le sarissae? <strong>La</strong> lunga<br />
lancia di sedici piedi <strong>che</strong> usavano i compagni di Alessandro?»<br />
«Perché no? O an<strong>che</strong> uomini armati di asce. Ma addestrati a<br />
combattere insieme, come una sola forza, come un mani, polo di<br />
fanteria. Si potrebbe fare?»<br />
Stavo visualizzando un muro compatto di uomini <strong>che</strong><br />
caricavano su cavalli enormi. «Perché no? Richiederebbe molto<br />
addestramento, ma si potrebbe fare, se avessimo i cavalli.» Mi<br />
fermai mentre il disappunto mi cresceva nel cuore allo spegnersi<br />
dell'improvviso entusiasmo. «Sfortunatamente, non li abbiamo. Non
il tipo di cavalli di cui avremmo bisogno, bestie grandi, pesanti.<br />
Dovrebbero essere massicci per reggere uomini in armamento<br />
pesante. I nostri non sono abbastanza grandi. E ce ne servirebbero<br />
tanti! Centinaia.»<br />
Caio rise forte e si alzò in piedi. «Li avremo, Publio! Li<br />
alleveremo! Cavalli grandi! A centinaia!»<br />
«Un momento, Caio, fermati!» Sentivo <strong>che</strong> era mio dovere<br />
interromperlo, riportarlo sulla terra. «Ci vorranno anni!»<br />
«Ovviamente. Non c'è dubbio su questo, nessun dubbio!»<br />
<strong>La</strong> sua voce era fiera e giubilante. «Ma noi abbiamo anni a<br />
disposizione, Publio! Cominceremo domani. E la prima cosa <strong>che</strong><br />
faremo sarà trovare qualcuno <strong>che</strong> abbia le opportune conoscenze sui<br />
cavalli, e io conosco la persona adatta. Ricordi il fattore <strong>che</strong> si<br />
occupava della villa di Terra quando lui la comprò? Un tizio di<br />
nome Vittore, o qualcosa di simile? Terra mi ha detto <strong>che</strong> suo padre<br />
gestiva un ippodromo in Gallia. Il figlio ha imparato tutto sui<br />
cavalli, fin da bambino, ed era una specie di veterinario per cavalli.<br />
Dirò a Terra di mandarcelo domani, e gli chiederemo <strong>che</strong> cosa sa<br />
dell'allevamento. In ogni caso si intende di cavalli. Potrebbe essere il<br />
nostro uomo. Tu, nel frattempo, occupati di scoprire tutto quello <strong>che</strong><br />
puoi sui metodi di Alessandro.»<br />
Feci una smorfia. «Come è possibile? Conosco le sue campagne e<br />
le sue battaglie e qualcosa della sua strategia. Ma c'è poco o niente<br />
nei nostri libri sulla sua tattica effettiva, su come spiegava o<br />
addestrava i suoi uomini. Noi Romani non ci siamo mai occupati di<br />
una tattica di cavalleria di quel genere.»<br />
«Non ancora, amico, non ancora.»<br />
«Comunque sia,» proseguii, «non mi piace l'idea della sarissa.<br />
Quelle cose erano troppo grandi, lunghe sei passi e inutilizzabili<br />
dopo la prima carica. Dovevano lasciarle a terra e usare la spada.<br />
Non mi piace affatto.»
Caio annuì. «Nemmeno a me. Trovami una lancia <strong>che</strong> possa<br />
essere usata an<strong>che</strong> dopo il primo attacco. I nostri uomini dovrebbero<br />
poter uccidere ancora e ancora, per tutto il tempo <strong>che</strong> è richiesto<br />
dalla battaglia.»<br />
«Mmm,» dissi. «Sembra <strong>che</strong> tu voglia una lancia corta.»<br />
«Non so cosa voglio. Ma potresti avere ragione. Una lancia corta<br />
a doppio taglio. Qualcosa <strong>che</strong> possa tagliare e infilzare allo stesso<br />
tempo. Qualcosa <strong>che</strong> consenta ai nostri cavalieri di combattere a<br />
cavallo senza dover smontare. Questo è quello di cui abbiamo<br />
bisogno e questo è il tuo campo. Occupatene, e fammi sapere<br />
quando avrai risolto il problema.»<br />
Il ponte tra la fanteria e la cavalleria era già stato costruito nella<br />
mente di Caio Britannico.<br />
«Fammici pensare» gli dissi. «Ne parlerò an<strong>che</strong> con Equo. Forse<br />
insieme riusciremo a trovare qualcosa.»<br />
«Bene». Era in piedi vicino a me, chino su di me, con le mani<br />
giunte sul petto, e produceva piccoli rumori esplosivi battendo<br />
insieme continuamente l'incavo delle mani, senza rendersene conto.<br />
«Eccellente, eccellente. E adesso andiamo a cercare del cibo. <strong>La</strong> pera<br />
era eccellente, ma voglio della carne. Pensare mi mette fame. Nel<br />
frattempo voglio <strong>che</strong> tu pensi a quella lancia.»<br />
Risi e mi alzai, stiracchiandomi. «Lo farò. Non so cosa riuscirò a<br />
fare, ma ci penserò. Mi hai appena fatto venire mente un'altra cosa,<br />
però.»<br />
«Cosa?»<br />
«Devo incontrare di nuovo quel mercante, Stazio, quello <strong>che</strong> mi<br />
procura il ferro nel nord-est. Mi sono accordato con lui di<br />
incontrarlo a Noviomagus il mese prossimo. Me ne ero dimenticato.<br />
Me lo hai fatto venire in mente quando hai parlato dei viaggi <strong>che</strong><br />
eravamo soliti fare a Glevum.»<br />
«È importante?»
«Molto importante.» Ridacchiai, ricordando l'espressione del<br />
mercante quando aveva visto la borsa piena di monete d'oro.<br />
«Avresti dovuto vedere la sua faccia quando ho tirato fuori le<br />
monete per pagarlo! Adesso <strong>che</strong> sa per certo <strong>che</strong> sono così pazzo da<br />
scambiare l'oro con il ferro, probabilmente avrà dieci carri carichi da<br />
scoppiare. Spero <strong>che</strong> li abbia. Sarò ben lieto di toglierglieli dalle<br />
mani.»<br />
Cai aggrottò la fronte. «Così tanto? Ne abbiamo bisogno così<br />
tanto?» Il suo tono mi fece sorridere di nuovo, ma tornai serio<br />
quando gli risposi.<br />
«Tutto quello <strong>che</strong> posso trovare, Cai, e an<strong>che</strong> dieci volte di più.<br />
Sei stato tu a mettermi paura per ciò <strong>che</strong> sarebbe successo in futuro.<br />
Adesso mi sono convinto <strong>che</strong> le tue profezie erano troppo<br />
ottimisti<strong>che</strong>. Se la situazione continua a peggiorare, il ferro varrà<br />
cento volte più del suo peso in oro, e ci sarà poca o nessuna<br />
possibilità di estrarlo e di portarlo qui, ovunque sia. Un deposito<br />
pieno di lingotti d'oro non può procurarti altro <strong>che</strong> mal di stomaco,<br />
se devi coltivare e produrre il cibo perché non ci sarà più nessuno da<br />
cui comprare, Cai. Ma con un deposito pieno di lingotti di ferro<br />
posso fare tutti gli attrezzi di cui abbiamo bisogno per far crescere e<br />
raccogliere il nostro cibo, e per combattere chiunque ce lo voglia<br />
rubare.»<br />
Mentre parlavo Caio annuiva per indicare il suo assenso. «Hai<br />
ragione, come sempre, Publio. A volte posso essere molto ottuso.»<br />
«No, non ottuso, fratello. Semplicemente non sei stato educato<br />
in modo da capire <strong>che</strong> il ferro un giorno potrebbe valere più dell'oro,<br />
ecco tutto.»<br />
«Dio mio! C'è forse qualcuno <strong>che</strong> lo è stato?»<br />
«Certo, io!»<br />
«Oh, <strong>che</strong> stupido. Avrei dovuto saperlo. Allora quando parti?»<br />
«Tra circa tre settimane.»
«Proprio in tempo per portarti appresso Ligno.»<br />
Scossi la testa in segno di disgusto. «Cristo, spero di no! Già,<br />
probabilmente hai ragione e se devo farlo lo farò. Ma sarà meglio<br />
<strong>che</strong> si comporti bene, almeno finché non sarà sparito dalla mia<br />
vista.»<br />
«Lo farà, amico, lo farà.» Caio sbadigliò e si stirò. «Ah! penso <strong>che</strong><br />
rinuncerò a mangiare, dopo tutto. Sono pronto per andare a letto.<br />
Ho dormito solo tre ore la notte scorsa e sono troppo vecchio per<br />
queste cose. Buona notte a te e non dimenticarti di pensare alla mia<br />
lancia a doppio taglio.»
VIII.<br />
Pensai molto a quella lancia. Per parecchio tempo non pensai<br />
quasi ad altro. Ci lavorai e me ne preoccupai giorno e notte per mesi<br />
dopo quella sera, senza sapere <strong>che</strong> ci sarebbero voluti altri dieci anni<br />
prima di fare la scoperta <strong>che</strong> avrebbe rivoluzionato il nostro modo<br />
di combattere, e molti di più prima di riconoscerne il vero valore.<br />
Vittore, il fattore della tenuta di Terra, fece sue le idee di Caio<br />
prima ancora <strong>che</strong> avesse finito di illustrargliele, perché i cavalli<br />
erano la sua vita. Lui stesso sembrava un cavallo. Era alto e calvo,<br />
tranne <strong>che</strong> per una folta corona di capelli grigiastri, ruvidi e dritti,<br />
<strong>che</strong> gli correvano intorno alla testa e sopra le orecchie come una<br />
criniera tosata. Aveva lunghe orecchie appuntite, grandi occhi chiari<br />
un po' troppo vicini e una faccia <strong>che</strong> sembrava occupare tutta la<br />
testa. Il naso era lungo e piatto e i grossi denti oblunghi sembravano<br />
schiacciati insieme sul davanti della bocca. Non aveva mento.<br />
Nell'insieme era un personaggio dallo strano aspetto. <strong>La</strong> prima volta<br />
<strong>che</strong> Equo lo vide esclamò: «Mio Dio! E poi chiamano me Equo!»<br />
Vittore era l'uomo perfetto da mettere a capo del nuovo progetto<br />
di Caio, e non vedeva l'ora di cominciare. <strong>La</strong> prima cosa <strong>che</strong> fece,<br />
dopo aver trasferito i suoi effetti personali dalla tenuta di Terra alla<br />
nostra, fu esaminare ogni capo in nostro possesso. Nel giro di una<br />
settimana li aveva divisi per sesso, peso e colore e aveva cominciato<br />
a ideare complicati piani e prospetti per le sue «linee di sangue»,<br />
come le chiamava lui, e per le sue stalle di riproduzione. In tutto,<br />
compresi i cavalli delle altre proprietà della Colonia, avevamo<br />
ventisette stalloni, una cinquantina di giumente e una quantità di<br />
castrati, muli e cavalli troppo vecchi per servire allo scopo. Vittore<br />
scelse i tre stalloni migliori e le dieci giumente più grosse e forti<br />
come capi da riproduzione da tenere alla villa. Il resto fu<br />
ridistribuito tra le varie fattorie <strong>che</strong> costituivano la Colonia. Caio
aveva informato tutta la nostra gente dei suoi piani, e se ci furono<br />
malumori per questa ridistribuzione, non vennero espressi. Si sparse<br />
la voce <strong>che</strong> ogni spedizione <strong>che</strong> lasciava la Colonia doveva tenere<br />
sempre gli occhi aperti per trovare nuovi capi. Non volevamo vecchi<br />
ronzini, né animali con la schiena insellata, ma solo cavalli giudicati<br />
adatti a scopi riproduttivi, <strong>che</strong> dovevano essere acquistati a un<br />
giusto prezzo e riportati alla Colonia.<br />
<strong>La</strong> prima opportunità fu la mia spedizione a Noviomagus per<br />
l'appuntamento con Stazio, ma nel corso di quel viaggio non<br />
trovammo altri cavalli <strong>che</strong> le nove coppie <strong>che</strong> comprammo da lui,<br />
complete dei carri carichi di lingotti di ferro. Caio aveva avuto<br />
ragione, come sempre, sul tempismo di quel viaggio. I ventuno<br />
giorni di tempo accordati a Ligno il carpentiere scaddero mentre ci<br />
preparavamo a lasciare la Colonia, e gli furono concessi altri due<br />
giorni di prigionia in modo <strong>che</strong> potessimo scortarlo fuori dalle terre<br />
della Colonia. Suo figlio Simeone si riprendeva lentamente, ma non<br />
c'era motivo per cui non dovesse riprendersi completamente, an<strong>che</strong><br />
se la gamba era rotta e storpiata in una tale maniera <strong>che</strong> nemmeno<br />
Cleto avrebbe potuto aggiustarla. Le ustioni di Ligno, invece, erano<br />
per lo più superficiali e stavano guarendo in fretta, a parte la<br />
bruciatura all'orecchio provocata dall'olio, e i capelli avevano<br />
ricominciato a crescere sul resto della testa, conferendogli un aspetto<br />
rognoso e scabbioso <strong>che</strong> mi sembrava gli si adattasse perfettamente.<br />
Puzzava ancora come un caprone e ordinai <strong>che</strong> venisse lavato a viva<br />
forza prima di avvicinarsi alla mia carovana.<br />
Portavamo con noi solo due carri, per caricare il sale e le altre<br />
provviste <strong>che</strong> intendevamo acquistare lungo il tragitto, e Ligno<br />
venne incatenato sul fondo di uno di essi. Nessuno venne a vederlo<br />
partire o ad augurargli buona fortuna. Lo portammo lontano dai<br />
confini della Colonia e lo lasciammo libero, alla fine, dalle catene,<br />
appena fuori dalla piccola città di Sorviodunum, dove si<br />
intersecavano quattro strade principali.
Da lì in poi, finalmente sollevati dalla sua compagnia, il viaggio<br />
per e da Noviomagus proseguì senza complicazioni, e riuscimmo a<br />
passare vicino alle città inosservati. Concludemmo i nostri affari con<br />
Stazio in fretta e con sua enorme soddisfazione, e ci accordammo di<br />
rivederci prima dell'inizio del nuovo anno. Avendo avuto la prova<br />
della nostra pazzia e della nostra ric<strong>che</strong>zza - il secondo esorbitante<br />
pagamento in oro al sicuro tra le sue mani - Stazio sarebbe stato ben<br />
felice di portare il successivo carico di ferro per tutta la strada fino<br />
alla nostra Colonia, ma preferii <strong>che</strong> non sapesse dove trovare noi e il<br />
nostro oro. Gli dissi perciò <strong>che</strong> avrei comunque dovuto tornare a<br />
Noviomagus per altri affari.<br />
Cinque giorni dopo aver lasciato Stazio a Noviomagus eravamo<br />
di ritorno nelle nostre terre, dove fui piacevolmente stupito di<br />
vedere <strong>che</strong> il mio vecchio amico, il vescovo Alarico, si era installato<br />
in casa come ospite durante la mia assenza. Fu la prima persona <strong>che</strong><br />
vidi, nel piccolo gruppo <strong>che</strong> aspettava per darmi il bentornato a<br />
casa; stava lì in piedi, alto, bianco di capelli, vicino a Caio. Aveva<br />
portato con sé notizie gioiose, ma in quel momento non me ne fu<br />
data nessuna. Luceia si perse il mio arrivo, poiché era fuori a<br />
sbrigare alcune questioni connesse all'emergente Consiglio delle<br />
Donne, ma Caio mi assicurò <strong>che</strong> sarebbe tornata presto; sovrintesi<br />
allo scarico dei carri e all'immagazzinamento delle merci, e poi mi<br />
diressi ai bagni per ripulirmi dalla tensione del viaggio.<br />
Quando rientrai in casa, trovai Caio seduto vicino alla finestra<br />
dello studio, assorto nel paziente studio di una pila di pergamene<br />
arrotolate, sigillate con la cera, sul tavolo davanti a lui. Incuriosito<br />
gli chiesi cosa stesse leggendo e lui reagì con l'euforia di un uomo<br />
<strong>che</strong> ha appena scoperto un tesoro nascosto. Le pergamene erano<br />
tutte lettere di suo figlio Pico, scritte nell'arco di vari anni e spedite<br />
da innumerevoli corrieri militari da ogni parte dell'Impero alla<br />
guarnigione di Camulodunum, all'attenzione di Plauto. Ma Plauto<br />
era stato trasferito a Londinium dopo <strong>che</strong> Pico aveva lasciato la<br />
Britannia, e i funzionari delle poste di Camulodunum non si erano
preoccupati di inoltrare le lettere. Finalmente, però, le numerose<br />
lettere erano state recapitate a Plauto tutte insieme, e lui le aveva<br />
debitamente affidate ad Alarico, sapendo <strong>che</strong> a suo tempo sarebbero<br />
arrivate a Caio.<br />
Dopo avere aspettato per anni di riceverle, senza neppure<br />
sapere della loro esistenza, Caio era ora ben determinato - mi disse -<br />
ad aspettare ancora un poco prima di concedersi il piacere di<br />
leggerle, tormentandosi con grande disciplina per resistere<br />
all'impulso di aprirle e crogiolarsi in esse. Adesso, però, aveva<br />
ceduto, e si era permesso di leggerne una. Ridacchiai e lo lasciai alla<br />
sua gioia, sapendo <strong>che</strong> poi me le avrebbe fatte leggere, e<br />
rallegrandomi molto, poiché sapevo quanto significasse per lui<br />
quell'improvvisa abbondanza di notizie.<br />
Pico era l'unico figlio superstite di Caio, il primogenito, e Caio lo<br />
adorava, an<strong>che</strong> se l'aveva nominato di rado negli ultimi anni. Aveva<br />
avuto altri due figli, Marco e Paolo, due gemelli, ma li aveva persi,<br />
insieme all'amata moglie Eraclita, e all'unica figlia, Meleia, a causa di<br />
una pestilenza sconosciuta <strong>che</strong> aveva rischiato di uccidere an<strong>che</strong> lui,<br />
e <strong>che</strong> aveva decimato il suo intero reparto, agli esordi del suo ultimo<br />
incarico di proconsole comandante in capo delle guarnigioni<br />
imperiali in Numidia. Solo Pico era sopravvissuto indenne a quella<br />
strage, risparmiato dalla pestilenza. Dopo il ritorno in Britannia alla<br />
fine di quei cinque terribili anni, Pico, all'età di sedici anni, era<br />
entrato nelle legioni come soldato semplice, rispettando le tradizioni<br />
di famiglia, anti<strong>che</strong> di centinaia di anni.<br />
Il rango del padre e il nome della famiglia non significavano<br />
niente a quello stadio. Qualunque avanzamento nella carcera<br />
militare sarebbe stato dovuto ai suoi soli meriti.<br />
Poco dopo, però, con grande dolore del padre, Pico si era<br />
lasciato affascinare da Magno Massimo, l'imperatore apparso in<br />
Britannia dal nulla, ed era salpato con lui diretto in Gallia, ancora<br />
semplice legionario, per aiutare quell'ambizioso soldato ad
assicurarsi la corona imperiale. Da allora, da parte di Pico non era<br />
più giunta notizia; Magno era morto da tempo, le sue armate erano<br />
state disperse e i suoi seguaci proscritti. Ora si spiegava la ragione di<br />
quel silenzio durato anni, e Caio Britannico era come ringiovanito<br />
per le notizie ricevute da suo figlio.<br />
Dopo la cena di quella sera, quando Luceia e le due donne, <strong>che</strong><br />
sarebbero rimaste alla villa quella notte, si furono ritirate nel nuovo<br />
cubiculum di Luceia per discutere le questioni relative al loro<br />
Consiglio, Caio, Alarico e io ci sedemmo da soli nello studio di Caio<br />
e io venni messo al corrente di tutto quello <strong>che</strong> era accaduto in mia<br />
assenza. Caio non era ancora pronto a parlare delle lettere di Pico.<br />
<strong>La</strong> gioia <strong>che</strong> gli avevano procurato era troppo recente, troppo<br />
personale, troppo preziosa per poter essere condivisa, e Alarico e io<br />
capivamo il suo stato d'animo. Nessuno di noi gli fece pressioni, e di<br />
conseguenza la conversazione fu un po' discontinua.<br />
«Filippo Ascano è stato qui, proprio alla Colonia» disse Caio<br />
improvvisamente, durante una pausa. «È arrivato il giorno dopo la<br />
tua partenza.»<br />
«Chi?» Avevo sentito bene, ma le sue parole erano state così<br />
impreviste <strong>che</strong> dovetti chiedergli di ripetere il nome. «Filippo<br />
Ascano. Ti ricordi di lui?»<br />
«Ricordarlo? Naturalmente. Come potrei dimenticarlo? Cosa<br />
faceva qui?»<br />
«È venuto a reclamare il suo patrimonio.» <strong>La</strong> voce di Caio era<br />
secca come il vento del deserto; io cercavo un punto d'appoggio per i<br />
miei pensieri turbinosi.<br />
«Patrimonio? Quale patrimonio? Hai parlato con lui? Sono<br />
stupito <strong>che</strong> osi avvicinarsi a te, dopo il modo in cui l'hai trattato<br />
l'ultima volta. Quando è stato? Mio Dio, Cai, saranno vent'anni,<br />
forse addirittura trenta!»<br />
Caio grugnì. «Stai diventando vecchio, amico, e come ogni
vecchio esageri. Purtroppo non ti sbagli di molto, ma no, non sono<br />
ancora vent'anni.» Fece una pausa e si schiarì la voce riuscendo a<br />
esprimere perfino così il suo disgusto e la sua avversione.<br />
«Quell'uomo non è migliorato affatto col tempo, né immagino <strong>che</strong><br />
potrebbe, neppure in altri dieci anni. È ancora un ciarlatano e un<br />
fanfarone, ma più audace e più insolente di quanto avrebbe osato<br />
essere vent'anni fa. Ma già allora l'audacia non gli mancava.»<br />
Alarico ci guardava con la curiosità stampata in volto, e gli<br />
spiegai: «Filippo Ascano è stato in servizio con noi per un breve<br />
periodo prima dell'invasione, nel lontano '67. Era un cattivo<br />
ufficiale, del tipo peggiore. Un tiranno brutale e un omosessuale<br />
torturatore. Faceva morire di fame i suoi uomini e spendeva il<br />
denaro destinato alle loro razioni. Caio lo ha raddrizzato nel solo<br />
modo possibile, lo ha sottoposto alla corte marziale, <strong>che</strong> l'ha privato<br />
dei gradi e l'ha espulso dalle legioni.»<br />
«Avrei dovuto farlo impiccare.» Caio strascicò la voce piena di<br />
amarezza.<br />
«Non capisco» dissi, girandomi verso di lui. «Cosa faceva qui, in<br />
nome di tutti gli antichi dei? Cosa cercava?»<br />
Il sopracciglio si alzò per la sorpresa <strong>che</strong> gli facessi una simile<br />
domanda. «Cosa voleva? Ovviamente le sue proprietà. Riteneva di<br />
essere un nostro vicino.»<br />
Ero stupefatto. «Davvero? E in <strong>che</strong> modo?»<br />
Caio si esibì in un grugnito senza parole, aspirò rumorosamente<br />
e poi rispose: «Sembra <strong>che</strong> una delle ville a nord fosse stata comprata<br />
da un suo zio, <strong>che</strong> è morto improvvisamente lasciandola al nipote<br />
favorito.»<br />
«Buon Dio! E adesso Filippo Ascano è qui?»<br />
«Era qui. Non si è fermato.»<br />
«Quale villa? È vicina alla nostra?»
«Abbastanza vicina» disse Cai. «Ho pensato dì contestare le sue<br />
pretese davanti a una corte, quando mi ha detto perché era qui. Ma<br />
poi ci ho riflettuto e ho capito <strong>che</strong> era solamente un puntiglio<br />
meschino. Lo zio non ha mai preso formalmente possesso, ma ha<br />
pagato l'acquisto e quindi la villa e le terre vanno all'unico erede.»<br />
«Filippo Ascano!»<br />
«Filippo Ascano. A quanto pare vive vicino a Glevum. È lì <strong>che</strong><br />
ha ricevuto la notizia della morte di suo zio, dal tuo amico, il tribuno<br />
di quella città.»<br />
«Scala?» Avevo incontrato il tribuno Mario Scala durante uno<br />
dei miei viaggi a Glevum qual<strong>che</strong> anno prima. Era una persona<br />
gradevole e la nostra amicizia, seppur breve, era stata piacevole.<br />
«Proprio lui.»<br />
«Mio Dio.» Mi venne un altro pensiero. «Come l'hai scoperto?<br />
Vuoi dire <strong>che</strong> è venuto qui direttamente, sapendo <strong>che</strong> era casa tua?»<br />
Un freddo sorriso guizzò sulle labbra di Caio, e l'aristocratica<br />
pronuncia strascicata si accentuò. «No, non proprio. Mi sembrò<br />
sinceramente sorpreso di vedermi. Molto sconcertato, in effetti.<br />
Senza parole. Sembrava <strong>che</strong> lo avessi colto di nuovo in flagrante di<br />
sodomia. Ci sarebbe stato da ridere se non fosse per il fatto <strong>che</strong><br />
niente di quello <strong>che</strong> fa quell'uomo mi diverte. Ero l'ultima persona<br />
sulla terra <strong>che</strong> avrebbe immaginato di trovare qui ed era<br />
scombussolato nel ritrovarsi come supplicante alla mia porta.<br />
Pensava <strong>che</strong> avrebbe avuto a <strong>che</strong> fare con te, capisci. Il tuo amico<br />
Scala gli aveva dato l'impressione <strong>che</strong> questa fosse la tua tenuta.»<br />
«Con me? <strong>La</strong> mia tenuta? E perché Scala avrebbe dovuto farlo?»<br />
Mi fermai e pensai un momento. Scala poteva benissimo aver<br />
ricevuto una falsa impressione. Dopo tutto avevo passato meno di<br />
una settimana in sua compagnia ed erano accadute molte cose, tra le<br />
quali alcune sostanziose bevute. Scrollai le spalle a quel pensiero e<br />
continuai. «Comunque sono sorpreso <strong>che</strong> Ascano avesse il fegato di
affrontarmi, sapendo quello <strong>che</strong> so di lui. Perché voleva vedermi?»<br />
Caio scosse la testa, mentre il sorrisetto si allargava. «Non ne ho<br />
idea. Probabilmente voleva informazioni sulla zona e sul distretto. Il<br />
tuo era il solo nome <strong>che</strong> conosceva e lo aveva avuto dal tuo amico<br />
Scala. Ma non si tratta di fegato. Non pensava certo di conoscerti, e<br />
probabilmente non ti avrebbe mai riconosciuto se ti avesse<br />
incontrato. Ricorda quello <strong>che</strong> hai appena detto. Ascano era un<br />
cattivo ufficiale, del tipo peggiore. Uomini come lui non conoscono i<br />
loro sottoposti, né pensano a loro come esseri umani di qual<strong>che</strong><br />
importanza. Gli era stato detto di cercare il proprietario della villa,<br />
Publio Varro. Comunque, se an<strong>che</strong> si fosse ricordato quel nome dai<br />
tempi dell'esercito, trascorsi e dimenticati, sarebbe stato solo il nome<br />
di un modesto centurione. I centurioni non possiedono tenute,<br />
Publio. Dimentichi <strong>che</strong> è stato con la nostra unità prima <strong>che</strong> tu fossi<br />
promosso sul campo, e prima <strong>che</strong> diventassi ricco grazie a tuo<br />
nonno. Filippo Ascano non avrebbe mai associato il nome di un<br />
soldato semplice di vent'anni fa, un subalterno elevatosi dai ranghi,<br />
a un uomo benestante e potente come sei tu oggi.»<br />
«In ogni caso,» continuò sogghignando, «adesso sa chi sei. Gli<br />
ho detto tutto di te e l'ho avvertito <strong>che</strong> non ti avrebbe fatto piacere<br />
vedere di nuovo la sua faccia. Sa di non essere il benvenuto in queste<br />
terre e non tornerà senza invito. Credimi.»<br />
Tentai di distendere le rughe sulla fronte. «Non vorrai dire <strong>che</strong><br />
sei disposto ad accettarlo come colono, vero?»<br />
Caio sorrise di nuovo. «Certamente no. Penso <strong>che</strong><br />
quell'eventualità sia minima. Anzi, non credo proprio <strong>che</strong> esista.<br />
Ritengo <strong>che</strong> il fascino della vita rurale abbia cominciato a svanire nel<br />
momento in cui si è trovato faccia a faccia con me e <strong>che</strong> sia sparito<br />
del tutto quando ha saputo <strong>che</strong> vivevi qui an<strong>che</strong> tu. Il pensiero di<br />
abitare vicino a due persone <strong>che</strong> sanno la verità su di lui - e <strong>che</strong> non<br />
avrebbero scrupoli ad accusarlo - deve essere insopportabile.»<br />
«Così non credi <strong>che</strong> si stabilirà nella Colonia?» Anch'io stavo
sogghignando adesso.<br />
«Non penso, ma credo invece <strong>che</strong> i miei agenti dovrebbero<br />
riuscire a comprare la sua tenuta a un prezzo ragionevole, adesso<br />
<strong>che</strong> non ha più dei progetti al riguardo.»<br />
Scossi la testa. «Non te la venderà mai, Caio.»<br />
«Non saprà mai <strong>che</strong> io sono coinvolto. Prenderà i contanti e se<br />
ne dimenti<strong>che</strong>rà.»<br />
«Mmm.» Rimuginai sulla faccenda, cercando, senza riuscirvi, di<br />
concentrarmi su ricordi vecchi di vent'anni; di Filippo Ascano<br />
ricordavo soltanto un corpo vagamente panciuto e dissoluto e una<br />
faccia debole e molliccia con un principio di doppio mento e la bocca<br />
imbronciata. Non ricordavo i suoi occhi, né un particolare definito,<br />
nemmeno il colore dei capelli. Compresi <strong>che</strong> Caio aveva ragione.<br />
Ascano avrebbe venduto e noi avremmo acquistato nuova terra.<br />
«Com'è quel posto, la sua tenuta?»<br />
«Eccellente. Non grande come tante altre, ma con un'ottima<br />
servitù, e ben gestita. Sono andato a vederla non appena ho saputo<br />
<strong>che</strong> Filippo era tornato a Glevum.» Caio si alzò in piedi. «No, resta<br />
seduto. Voglio solo sgranchirmi le gambe» disse ad Alarico <strong>che</strong> si<br />
era mosso per alzarsi insieme a lui. Alarico si sedette di nuovo e<br />
Caio si diresse verso il grande camino dove buttò un ceppo sul fuoco<br />
prima di guardare verso di me.<br />
Ero ancora accigliato. «E questo è tutto? Non aveva altre ragioni<br />
per venire alla nostra villa?»<br />
«Scala gli aveva dato il tuo nome e lui era venuto a cercare<br />
Publio Varro.»<br />
Caio si allontanò dal fuoco e tornò a sedersi al tavolo, posando<br />
una mano sulla spalla di Alarico mentre passava. Si inumidì la<br />
punta di un dito e la intinse in un vasetto di sale al centro del tavolo,<br />
poi si infilò il dito in bocca leccando il sale soprappensiero. Alzò gli<br />
occhi in direzione di Alarico <strong>che</strong> ascoltava in silenzio.
«Alarico? Cosa pensi di questa conversazione?» Il vescovo batté<br />
le palpebre lentamente e pensò qual<strong>che</strong> istante prima di parlare.<br />
«Ebbene, amici miei,» disse infine nel suo tono moderato e<br />
deciso, «sento parole insolite e inattese e una grande amarezza<br />
provenire da due persone <strong>che</strong> amo e rispetto. Sento <strong>che</strong> considerate<br />
degno dell'eterna dannazione un uomo <strong>che</strong> non vedete, e di cui non<br />
sapete nulla, da più di vent'anni, e riconoscete entrambi tra voi e<br />
davanti a me <strong>che</strong> ne sono testimone, di non avere altro motivo se<br />
non una vecchia avversione.<br />
«Non sento carità in voi, amici, e non sento un briciolo di quel<br />
perdono <strong>che</strong> Gesù Benedetto ci ha pregato di offrire ai nostri<br />
nemici.»<br />
Caio e io ci guardammo incerti.<br />
«Alarico ha ragione, Cai» dissi.<br />
Caio trasse un gran sospiro. «Lo so» rispose. «So <strong>che</strong> ha<br />
ragione.» Scosse la testa, sospirò di nuovo e si alzò in piedi.<br />
«Accetteremo il suo tacito consiglio e parleremo d'altro. Volete<br />
un'altra coppa di vino?» Mentre versava disse, quasi a se stesso:<br />
«Domani avvertirò i miei agenti a Glevum e a Londinium <strong>che</strong> voglio<br />
comprare anonimamente la sua villa, a un prezzo onesto». Posò con<br />
decisione la brocca del vino. «Manderò il nostro corriere più rapido,<br />
come prima cosa domattina.»<br />
E così fu deciso <strong>che</strong> la nostra Colonia si sarebbe ingrandita della<br />
tenuta di Ascano, e passammo il resto della serata a parlare<br />
piacevolmente di altre cose.<br />
Il pomeriggio successivo partii per il mio giro mensile di<br />
ispezione alle tenute della Colonia. <strong>La</strong> giornata trascorse lenta e<br />
priva di eventi significativi, una faticosa giornata rurale<br />
caratterizzata solo da lavori ingrati, duri e meticolosi, e da penosi<br />
sforzi per aggiornare l'inventario delle piantagioni in crescita, delle
iserve di grano a disposizione e di quella moltitudine di dettagli<br />
<strong>che</strong> mantiene viva e ben nutrita una comunità in espansione. Nel<br />
tardo pomeriggio mi diressi verso casa, e quando entrai nei confini<br />
delle terre <strong>che</strong> appartenevano ai Britannico cominciò a piovere a<br />
grosse gocce. Guardando il cielo improvvisamente plumbeo<br />
benedissi la previdenza di Luceia <strong>che</strong> mi aveva convinto a portare il<br />
mantello. <strong>La</strong> giornata era cominciata bene, ma ben presto le sparse<br />
nuvole scure si erano raccolte e spinte avanti da occidente, e io<br />
avevo capito <strong>che</strong> mia moglie la sera prima aveva avuto ragione<br />
prevedendo forte pioggia per il pomeriggio. Adesso gli squarci tra le<br />
nuvole si erano chiusi e non sembrava certo un acquazzone<br />
destinato a finire presto.<br />
Stavo viaggiando su un carro, perché avevo consegnato un<br />
carico di attrezzi nuovi alle fattorie più lontane, ma il giorno prima<br />
Equo aveva tolto la copertura di pelle per riparare uno strappo e non<br />
l'aveva ancora rimessa a posto. Mi ci volle solo un momento per<br />
togliere il pesante mantello dalla cassa sul retro e per avvolgermi<br />
completamente, tirando il cappuccio ben sopra la testa e infilando le<br />
mani negli appositi spacchi, prima di riprendere le reclini. Fredde<br />
raffi<strong>che</strong> di vento cominciarono a percuotermi con rovesci di pioggia,<br />
ma io ero al riparo mentre vento e pioggia picchiavano con forza,<br />
rovesciandosi vanamente contro il tessuto spesso, fitto, a prova di<br />
acqua e di vento, del mio caldo mantello. Ma la pioggia era gelida e<br />
le mani nude <strong>che</strong> reggevano le reclini erano fredde e intirizzite<br />
quando arrivai finalmente ai cancelli della villa e, con un respiro di<br />
sollievo, svoltai nel cortile.<br />
Avevo guidato in fretta, spinto dal cattivo tempo, e il povero<br />
cavallo era coperto di fango e fumava come un sudarium. A un certo<br />
punto del tragitto la pioggia cessò e le nuvole si diradarono<br />
mostrando ampi squarci di cielo azzurro. Buttai le redini a uno<br />
stalliere e il mantello bagnato a Gallo, il maggiordomo di Caio, e<br />
corsi in casa, chiamando Caio ad alta voce. Non c'era. E non c'erano<br />
neppure Alarico e Luceia. <strong>La</strong> casa era vuota, eccezion fatta per la
servitù. Frustrato mi diressi alla fucina, ma an<strong>che</strong> Equo era andato<br />
via, in visita al fabbro di un'altra villa. Depresso tornai alla villa,<br />
dove Gallo mi informò cortesemente, adesso <strong>che</strong> ero disposto ad<br />
ascoltarlo, <strong>che</strong> un carro era venuto a prendere Caio e Alarico per<br />
condurli a una villa di amici, i gemelli Terrice e Fermace, meglio<br />
conosciuti come Terra e Firma. Quella sera sarebbero stati ospiti dei<br />
gemelli e sarebbero ritornati alla villa la mattina dopo. Mia moglie,<br />
mi informò, era andata con altre donne in una missione di aiuto alla<br />
casa di un vicino, la cui moglie aveva difficoltà nel dare alla luce il<br />
quarto figlio. An<strong>che</strong> le mie bambine erano fuori per tutto il giorno,<br />
in visita a certi amici di un'altra villa, accompagnate dalla nutrice<br />
Annica. Chiesi notizie del bambino, Simeone: era stato lasciato solo?<br />
No, mi fu risposto. Il bambino era ormai fuori pericolo, e si era<br />
trasferito a casa della madre, <strong>che</strong> insieme alle figlie si era<br />
confortevolmente sistemata in una nuova casa. Sconfitto, decisi di<br />
fare un bagno e chiesi a Gallo di prepararmi un pasto leggero e di<br />
riempire il braciere nello studio di Cai.<br />
Un'ora più tardi, dopo aver fatto il bagno, essermi nutrito e<br />
rivestito con abiti caldi, più comodi e adatti alla casa, mi sedetti al<br />
tavolo di Cai vicino alla finestra e feci appello a tutta la mia pazienza<br />
nell'attesa <strong>che</strong> qualcuno tornasse a casa.<br />
Era ormai buio quando sentii un rumore <strong>che</strong> mi annunciava <strong>che</strong><br />
le bambine erano finalmente tornate dalla loro gita con la nutrice;<br />
andai a cercarle, insolitamente eccitato all'idea di poter passare un<br />
po' di tempo con loro, senza altri affari urgenti <strong>che</strong> richiedessero la<br />
mia attenzione. Luceia e io eravamo considerati un po' stravaganti<br />
da alcuni nostri amici, perché passavamo molto tempo con le nostre<br />
figlie, cercando di godere il più possibile della loro compagnia. Ma<br />
sembrava <strong>che</strong> altre priorità si imponessero sempre più spesso, e<br />
accadeva troppo raramente di trascorrere del tempo con le bambine.<br />
Come sempre un'ondata di piacere mi sommerse notando la gioia<br />
<strong>che</strong> provavano alla mia vista: Veronica, la maggiore, aveva dieci<br />
anni, e Lucilla a sette era una piccola ammaliatrice; Dorotea, a
quattro anni, era bella da togliere il fiato, ma quella sera era<br />
raffreddata e febbricitante.<br />
Eravamo ancora insieme quando Luceia tornò, dopo avere<br />
assistito al parto, con la notizia <strong>che</strong> Margherita Lupido, una nuova<br />
colona, aveva dato alla luce due bambine gemelle in buona salute,<br />
<strong>che</strong> sembravano proprio identi<strong>che</strong>.<br />
Non era una buona notizia. I gemelli maschi erano sempre stati<br />
apprezzati a Roma, fin dalla nascita di Romolo e Remo, ma due<br />
gemelle erano un peso per qualunque famiglia e non erano accolte<br />
con favore. Quando le bambine furono a letto, Luceia e io ci<br />
dividemmo una coppa di vino, e bevemmo commiserando la<br />
famiglia Lupido, ora composta da cinque femmine, sopravvissute a<br />
sette parti nessuno dei quali aveva prodotto un figlio maschio.<br />
Amavamo molto le nostre bambine, ma po<strong>che</strong> famiglie<br />
potevano permettersi come noi una covata di femmine. C'erano<br />
momenti in cui mi mancava un figlio maschio, ma mi imponevo di<br />
non dirlo mai a Luceia.<br />
Quando la coppa di vino in comune fu vuota, la riempii di<br />
nuovo e raccontai a Luceia la storia della mia giornata in campagna,<br />
divertendola con i commenti e le osservazioni dei contadini, <strong>che</strong><br />
come tutti i contadini tendono a vedere la vita da punti di vista<br />
diversi da quelli degli altri uomini e spesso con risultati di grande<br />
comicità. Alla fine mi chinai su di lei e la baciai.<br />
«È abbastanza presto per commettere atti peccaminosi. Vieni a<br />
letto con me.»<br />
«Perché? Sei stanco?»<br />
Il tono della sua voce mi fece ridere. «No, ma è una notte fredda<br />
e umida e voglio il tuo calore.»<br />
Sospirò sdegnata. «Calore ne ho e in abbondanza, ma è una bella<br />
nottata e non è affatto fredda.»<br />
«<strong>La</strong> pioggia cade a rovesci!»
«Scioc<strong>che</strong>zze, la pioggia è cessata ore fa. Il tempo è bello e il cielo<br />
limpido. Sarà una notte di luna.»<br />
Le strizzai l'occhio. «Da qual<strong>che</strong> parte è sicuramente umido»<br />
dissi.<br />
«Lo sarà. Vieni.»<br />
Ci alzammo insieme; avevo la gola stretta per il desiderio, ma la<br />
decenza mi imponeva un certo controllo.<br />
«Cosa facciamo per la cena?» chiesi.<br />
«Che problema c'è? Siamo soli. Tutti gli altri sono andati via. Ho<br />
detto a Gallo <strong>che</strong> avrei cucinato per noi nelle nostre stanze. Cosa<br />
vorresti per cena?» <strong>La</strong> sua voce era bassa e roca, intima.<br />
«Te.»<br />
«Bene, padrone,» rispose, «la cena è quasi pronta, mancano solo<br />
gli ultimi ritocchi.»<br />
Ben presto ci ritrovammo ansimanti sul letto come una coppia di<br />
sposi novelli, troppo impazienti uno dell'altra per perdere tempo a<br />
spogliarci. Io ero più <strong>che</strong> pronto e quando penetrai nel caldo<br />
amoroso corpo di mia moglie, la mia mente era dominata dalla<br />
necessità di trattenere il mio seme impetuoso. Luceia mi prese con<br />
dolcezza e io giacqui in lei al sicuro, lottando per vuotare la mente<br />
dalla nozione di dove mi trovavo, cercando di rilassarmi e di non<br />
fare nessun movimento. Ma sapevo <strong>che</strong> non sarei riuscito; la mente e<br />
il corpo si erano uniti per sconfiggermi e sentii la pressione salire,<br />
stimolata dalla pura sensazione di quel rifugio caldo e umido. E poi<br />
fui salvato e insieme frustrato dal lamento infantile proveniente da<br />
qual<strong>che</strong> parte all'interno della casa. Luceia restò improvvisamente<br />
immobile, con la testa inclinata, trasformata d'un tratto da amante in<br />
madre.<br />
«È Dora.»<br />
«Lo so» dissi, sperando <strong>che</strong> lei la ignorasse. «Ci penserà
Annica.»<br />
«No, la bambina è malata. Ha la febbre.»<br />
«Ha il raffreddore, ecco tutto. Il mio problema è più urgente.»<br />
Per un momento mi ignorò, allungando il collo per sentire, ma il<br />
pianto non si ripetè; si rilassò e rivolse a me tutta la sua attenzione.<br />
«Problema? Hai un problema? Quale problema?» Si mosse in un<br />
modo delizioso. «Oh, questo problema!»<br />
Percepivo il suo sorriso mentre si muoveva sotto di me.<br />
«Beh, amore, questo è un problema <strong>che</strong> si risolve facilmente.»<br />
Fece scivolare le mani fino alla vita e alzò le gonne più in alto, poi<br />
sembrò flettere l'intero corpo per avvolgermi, mi strinse tra le cosce<br />
e mi afferrò per le orecchie, tirandomi giù e riempiendomi la bocca<br />
con la lingua calda e insinuante. Sentii il suo ventre fremere e<br />
sollevarsi incontro a me, il suo corpo aprirsi e sommergermi come<br />
l'acqua calda di un bagno, e allora esplosi, perdendo la coscienza di<br />
tutto, tranne <strong>che</strong> del rombo fragoroso dell'estasi. Poi, mentre ero<br />
ancora sfatto e ansimante, sentii Luceia muoversi sotto di me per<br />
liberare il suo corpo dal mio.<br />
«Non addormentarti, ne ho ancora voglia» sussurrò. Mi girai su<br />
un fianco. «Dove stai andando?» Ma lo sapevo già, e lei se n'era già<br />
andata. L'amante aveva solo messo provvisoriamente in disparte,<br />
ma non sostituito, la madre.<br />
Rimasi sdraiato a lungo per riprendere il controllo e poi rotolai<br />
giù dal letto, rimettendo a posto gli abiti per potermi alzare<br />
comodamente e andare alla finestra ad aprire gli scuri. Era una calda<br />
e piacevole notte di fine giugno, e non c'era traccia della pioggia<br />
torrenziale del pomeriggio. Sollevai la veste, appoggiai una gamba<br />
oltre il davanzale e rimasi lì a cavalcioni, con la pelle contro il freddo<br />
della pietra, ascoltando i rumori della notte e ripensando ai piaceri<br />
<strong>che</strong> avevo trovato in mia moglie. I miei lombi erano esausti, così<br />
vuoti da farmi quasi male, e mi crogiolavo nella soddisfazione,
tentando oziosamente di ricordare le sensazioni forti <strong>che</strong> poco prima<br />
avevano eccitato il mio desiderio. Ma era inutile, ovviamente,<br />
perché la mente e il corpo non ricordano un piacere fugace più di<br />
quanto ricordino un dolore improvviso, e subito mi lasciai distrarre<br />
dai rumori della notte. Sentivo delle voci vicine, un uomo e una<br />
donna, ma, nonostante mi sforzassi, si allontanarono prima <strong>che</strong><br />
riuscissi a distinguere le parole, e una cacofonia di latrati si alzò a<br />
riempire la notte di confusione e di conforto.<br />
E poi, in lontananza, un usignolo cominciò a <strong>canta</strong>re e io mi<br />
lasciai rapire dalla bellezza di quel suono, perdendomi in un mondo<br />
di fantasia sconclusionata finché la voce di un ubriaco ruppe<br />
l'incantesimo e mi fece trasalire, tant'era stata improvvisa,<br />
mugghiando una canzone stonata <strong>che</strong> si spense farfugliando seguita<br />
dal tonfo di un corpo <strong>che</strong> cadeva e poi ancora dal silenzio.<br />
L'usignolo ricominciò a <strong>canta</strong>re e mi mossi irrequieto, strisciando le<br />
nati<strong>che</strong>, ora gelide, sulla dura pietra del davanzale.<br />
Non avevo sentito Luceia tornare, ma d'un tratto era dietro di<br />
me e mi passava le dita tra i capelli e mi alitava dolcemente sulla<br />
pelle glabra del collo. E improvvisamente la passione <strong>che</strong> avevo<br />
cercato invano di richiamare mi pervase e mi sopraffece nella sua<br />
urgenza. Ritirai la gamba dalla fredda aria della notte e ritornai<br />
verso il letto, con le mani, le labbra, la coscienza pieni di Luceia; e<br />
questa volta indugiammo a spogliarci, prima di donarci la reciproca<br />
nudità. <strong>La</strong> nostra unione era meravigliosa e piena di amore e di<br />
piacere, era la congiunzione di due amanti <strong>che</strong> godevano di perfetta<br />
familiarità nel corpo e nello spirito. Ci fondemmo uno nell'altra,<br />
muovendoci in amorosa consonanza e raggiungendo insieme quella<br />
vetta <strong>che</strong> lascia gli amanti sospesi tra la vita e la morte, consci <strong>che</strong> la<br />
felicità è raggiungibile da entrambi i lati del divisorio.<br />
E di colpo fui io, teso, a sollevarmi su un gomito, con la testa<br />
inclinata per sentire di nuovo un suono estraneo <strong>che</strong> mi aveva<br />
richiamato dal primo sonno.
«Publio? Cosa c'è? Cosa c'è <strong>che</strong> non va?»<br />
«Sst! Ascolta! Cos'è questo rumore?»<br />
«Che rumore?»<br />
Mi sedetti, rivolto alla finestra aperta. «Questo rumore! Senti!»<br />
Il rumore si sentì di nuovo, la voce di un uomo, levata in un urlo<br />
di panico e di terrore, debole e lontana, soffocata dalla distanza, ma<br />
ora ripresa e ripetuta da un'altra, più vicina, e poi da un'altra ancora<br />
e poi da molte. Saltai giù dal letto e corsi alla finestra, sporgendomi<br />
con le orecchie tese, e sentii la parola temibile: «Fuoco!».<br />
«Fuoco» dissi, voltandomi verso Luceia. «Stanno dando<br />
l'allarme. C'è un incendio.» Non riuscivo a vedere niente, non<br />
sentivo odore di fumo, ma le viscere mi ribollivano per l'angoscia.<br />
«Presto! Accendi una lampada.» Corsi a cercare gli abiti al buio, li<br />
infilai in qual<strong>che</strong> modo e mi precipitai fuori dalla stanza prima <strong>che</strong><br />
Luceia riuscisse a trovare l'esca e l'acciarino.<br />
Uscii dalla porta principale e vidi il cortile già pieno di persone<br />
<strong>che</strong> correvano, e un uomo a cavallo arrivare nel cortile come un<br />
fulmine e dirigersi verso di me. Balzò a terra cadendo quasi ai miei<br />
piedi. Lo afferrai e lo aiutai a rialzarsi.<br />
«Che cosa c'è? Cosa succede? Dov'è il fuoco?»<br />
«I granai.» Deglutì e trasse un respiro profondo. «I granai»<br />
comandante, sulla collina! Quattro sono in fiamme.»<br />
«Quattro? Dannazione! Ma dov'erano le guardie? Sono tutti<br />
ciechi lassù?»<br />
Un granaio bruciato era una tragedia; quattro significava una<br />
catastrofe. Sarebbe stata dura mettere da parte abbastanza cibo per<br />
l'inverno. Gli strinsi forte una spalla e afferrai le briglie del suo<br />
cavallo con l'altra mano.<br />
«Prendo il tuo cavallo. Aiutami, svelto.»<br />
Mi sollevò facilmente; lottai qual<strong>che</strong> istante per prendere il
controllo dell'animale, risentito <strong>che</strong> qualcuno gli saltasse in groppa<br />
quando si era appena liberato del cavaliere. Finalmente riuscii a<br />
prendere il controllo e lo voltai nella direzione voluta.<br />
«Chiama a raccolta tutti gli uomini della Colonia» urlai al<br />
cavaliere. «Ogni soldato, ogni colono. Portali sulla collina il più<br />
presto possibile. Chi c'è a combattere l'incendio?»<br />
«Solo i soldati <strong>che</strong> erano di servizio lassù. Non c'è nessun altro<br />
vicino.»<br />
«Dannazione! Vado lassù. Metti tutti in moto appena possibile e<br />
di' loro <strong>che</strong> si preparino a un inverno di fame se sono lenti.» Piantai i<br />
talloni nei fianchi del cavallo, e quando fummo sul sentiero <strong>che</strong><br />
correva intorno al lato sudoccidentale della villa vidi il bagliore<br />
minaccioso e fumoso del fuoco in cima alla collina.<br />
Le ore seguenti sono confuse nella mia memoria, tanto intensa<br />
fu la frenesia con cui lottammo contro l'incendio. Bruciava con furia<br />
orrenda e improvvisa, rifiutava di lasciarsi sconfiggere, affondavano<br />
le radici della combustione nei mucchi di grano essiccato. Ricordo<br />
chiaramente, però, di aver trovato, all'inizio della nostra battaglia<br />
contro il fuoco, le prove <strong>che</strong> il grano era stato inzuppato d'olio prima<br />
di essere acceso; ai margini della conflagrazione c'era del grano<br />
sparpagliato, allontanato dai primi <strong>che</strong> avevano scoperto la<br />
catastrofe, e i grani erano incollati in blocchi, tenuti insieme dal<br />
materiale viscoso e infiammabile versato dal pazzo incendiario <strong>che</strong><br />
aveva commesso quell'abominio.<br />
Sapere <strong>che</strong> in mezzo a noi c'era un pazzo mi spaventò;<br />
probabilmente non erano rimasti uomini alla villa e quel pazzo,<br />
chiunque fosse, non era certamente lì a lottare contro l'incendio.<br />
L'uomo <strong>che</strong> combatteva al mio fianco era Erasmo Sita, un<br />
giovane gigante, decurione nelle nostre forze coloniali. Sita era<br />
enorme e forte, più alto di me di tutta una testa e aveva spalle<br />
straordinariamente ampie. Gli battei sul braccio e gli feci cenno di<br />
camminare con me, lontano dal rombo dell'incendio e dal fumo. Si
chinò per sentire quello <strong>che</strong> gli dovevo dire. Gli ordinai di<br />
selezionare i dieci soldati più giovani e forti <strong>che</strong> poteva trovare e di<br />
ricondurli alla villa a marcia forzata, il più in fretta possibile.<br />
Doveva trovare Luceia e assicurarsi <strong>che</strong> stesse bene, e poi lui e i suoi<br />
uomini dovevano rimanere di guardia alla villa, e tenersi pronti per<br />
qualunque evenienza. Vidi lo stupore e la curiosità nei suoi occhi e<br />
indicai l'incendio.<br />
«È stato intenzionale, Sita. C'erano quattro fuochi separati, <strong>che</strong><br />
adesso minacciano di unirsi in un solo enorme incendio. Qualcuno<br />
gli ha dato fuoco deliberatamente. Non so chi e non so perché, ma<br />
non voglio essere colto di sorpresa se quel figlio di puttana ha altri<br />
piani per stanotte. Perciò vai subito giù alla villa, ma prendi la via<br />
più lunga, non il sentiero principale; in questo modo eviterai la<br />
gente <strong>che</strong> sta salendo. Se vedono <strong>che</strong> tornate giù potreste causare<br />
confusione. Ma vai giù di corsa. Hai capito?» Partì a grandi balzi e lo<br />
vidi scegliere i suoi uomini.<br />
Ricordo <strong>che</strong> lo lasciai al suo incarico e rivolsi tutta la mia<br />
attenzione a organizzare una catena di secchi dalle cisterne ancora<br />
incomplete del forte, e ricordo <strong>che</strong> non c'erano abbastanza uomini<br />
disponibili per coprire tutta la distanza. Rammento an<strong>che</strong> l'arrivo<br />
dei primi soccorsi, un rigagnolo <strong>che</strong> diventava un fiume, mentre le<br />
fiamme si alzavano sempre più alte e il vento si levava a far<br />
turbinare scintille infuocate verso i quattro granai più piccoli <strong>che</strong><br />
non erano ancora stati toccati dal fuoco.<br />
I granai non erano altro <strong>che</strong> robusti cassoni di legno, recipienti<br />
impeciati lungo i bordi, alzati su trampoli per proteggere il<br />
contenuto dall'umidità della terra e coperti di pesanti tetti spioventi.<br />
Bruciavano disgustosamente bene. Non so quando mi resi conto <strong>che</strong><br />
non potevamo vincere, ma credo <strong>che</strong> tale consapevolezza mi abbia<br />
conquistato con estrema lentezza. Il fumo denso e orrendo turbinava<br />
dappertutto, alzandosi in oscene spire. Si insinuava ovunque<br />
distruggendo il nostro cibo, an<strong>che</strong> prima <strong>che</strong> i pannelli laterali
uciassero completamente riversando il grano sul terreno. In breve<br />
tutta la nostra attenzione fu dedicata solo a proteggere i quattro<br />
granai rimasti.<br />
A un certo punto mi allontanai barcollando, lontano dal calore<br />
ustionante, alla ricerca di un po' d'aria pulita per i miei polmoni<br />
scorticati e bruciati <strong>che</strong> avevano inalato l'aria fumosa troppo vicino<br />
al fuoco. Trovai un cavalletto per segare la legna a cui appoggiarmi,<br />
e qualcuno mi porse una brocca d'acqua. Dio! Ricordo ancora il suo<br />
buon sapore. Bevvi avidamente e rimasi un poco lì seduto,<br />
guardando l'attività <strong>che</strong> si svolgeva intorno a me. Ero esausto, come<br />
tutti gli altri.<br />
Troppo stanco per muovermi, rimasi a guardare, chiedendomi<br />
chi potesse avere appiccato il fuoco. Li conoscevo tutti e dovevo<br />
accettare quella possibilità, ma era difficile credere <strong>che</strong> uno di loro<br />
avesse deliberatamente provocato un simile disastro. Eppure<br />
qualcuno era stato. Allora ci fu un fragoroso boato, mischiato a urla<br />
di agonia, quando un granaio crollò tra le fiamme, mandando<br />
scintille in ogni direzione e cogliendo alla sprovvista uno degli<br />
uomini <strong>che</strong> lottavano contro le fiamme. Mi ributtai nel fumo e persi<br />
di nuovo il senso del tempo.<br />
Poi giunse il momento, finalmente, in cui non c'era più niente da<br />
fare. Il fuoco era sotto controllo come più non si poteva. Non c'era<br />
speranza di spegnerlo del tutto; i mucchi sparsi di grano lo<br />
avrebbero alimentato per giorni, a meno <strong>che</strong> non avesse piovuto di<br />
nuovo. Delegai una squadra di soldati a sorvegliare la zona per<br />
controllare eventuali nuove esplosioni, e promisi loro <strong>che</strong> sarebbero<br />
stati sostituiti dopo quattro ore. Nel frattempo stava spuntando<br />
l'alba e tutti cominciarono ad andare a casa per dormire un po'. Salii<br />
su un carro affollato di uomini affaticati, incrostati di fuliggine e<br />
sudiciume, con il bianco degli occhi e dei denti <strong>che</strong> risaltava sul nero<br />
dei volti. Avevo le narici chiuse dalla fuliggine e dal puzzo di<br />
bruciato. Non so chi ci fosse sul carro né di chi fosse la schiena
contro cui ero appoggiato. Prima <strong>che</strong> il carro arrivasse in fondo alla<br />
collina dormivo e penso <strong>che</strong> dormissero tutti.<br />
L'uomo al quale mi ero appoggiato mi svegliò scendendo dal<br />
carro, ma cambiai posizione e mi riaddormentai immediatamente, e<br />
poi sentii qualcuno scuotermi per una spalla e dire il mio nome.<br />
Aprii gli occhi e guardai il mio tormentatore. <strong>La</strong> sua faccia era nera e<br />
ignota, e appena colse il mio sguardo mi fece segno con la testa,<br />
senza dire niente. Brontolando mi sollevai e vidi <strong>che</strong> ero a casa, e<br />
cominciai rigidamente a scendere dal carro. Misi i piedi a terra, alzai<br />
lo sguardo per ringraziare il carrettiere e solo allora mi accorsi <strong>che</strong><br />
tutti stavano fissando al di sopra della mia testa un punto alle mie<br />
spalle. Mi girai e mi si contorsero le budella quando vidi, nella<br />
penombra dell'alba, ai piedi della scalinata d'ingresso, un corpo<br />
disteso a faccia in giù, con braccia e gambe divaricate. <strong>La</strong> porta era<br />
aperta e non si sentiva nessun rumore. <strong>La</strong> stan<strong>che</strong>zza svanì<br />
all'improvviso, ma le gambe non volevano muoversi, mi sentivo<br />
oppresso dalla paura e dal panico.<br />
In qual<strong>che</strong> modo feci il primo passo e la paralisi scomparve.<br />
Camminai in fretta verso il corpo scomposto e prima di aver<br />
percorso metà strada seppi chi aveva appiccato il fuoco. Lo<br />
riconobbi, lo lasciai dov'era e mi diressi in casa. Mentre salivo<br />
l'ultimo gradino, il giovane Sita uscì dalla porta e si fermò, sorpreso<br />
di vedermi così vicino.<br />
«Comandante» disse. «Non ti ho sentito arrivare.»<br />
«Mia moglie, dov'è?»<br />
Alzò un sopracciglio. «Nei suoi appartamenti, comandante.»<br />
Deglutii sollevato. «E le mie figlie?»<br />
«Dormono.» Indicò il cadavere. «Hai visto?»<br />
«Sì.» Tornai indietro verso il corpo e lo girai sulla schiena. Ligno<br />
il carpentiere non avrebbe mai più appiccato un fuoco. Era stato<br />
avvertito <strong>che</strong> sarebbe morto se fosse tornato. Tragicamente era
iuscito a sfuggire alla morte sufficientemente a lungo da riuscire a<br />
fare quello <strong>che</strong> aveva fatto. Indignazione, collera e odio profondo<br />
per quell'uomo e per ciò <strong>che</strong> rappresentava mi sommersero, e<br />
dovetti chiudere gli occhi e respirare a fondo per controllare<br />
l'insopprimibile desiderio di prendere a calci il suo cadavere. E poi<br />
notai <strong>che</strong> il sangue sembrava venire tutto dalla schiena. Non c'erano<br />
ferite sul petto. Guardai Sita. «Lo hai ucciso tu?»<br />
Scosse la testa. «No, comandante, ma ho trascinato qui il corpo.»<br />
«Trascinato qui da dove?»<br />
«Da dove è morto. <strong>La</strong> capanna dove sono alloggiate la moglie e<br />
le figlie. Ha cercato di ammazzarle.» Fece un ghigno, un sorrisetto<br />
nervoso. «Senza riuscirci.»<br />
I miei pensieri stavano galoppando. «Come avete fatto a sapere<br />
dove cercarlo?»<br />
«Non lo sapevamo. Abbiamo sentito il rumore mentre<br />
arrivavamo al villaggio. Donne <strong>che</strong> urlavano e piangevano. Ho<br />
pensato <strong>che</strong> fosse meglio andare a vedere cosa stava succedendo e<br />
lui era lì, morto.»<br />
«Era solo? Senza complici?»<br />
«Era lì da solo, signore, senza complici; abbiamo controllato<br />
tutta la zona e non abbiamo trovato nessuno.»<br />
«Chi lo ha ammazzato?»<br />
Si schiarì la voce. «Tua moglie, comandante. Donna Luceia. Era<br />
tutto finito quando siamo arrivati.»<br />
«Cosa?» Guardai di nuovo il cadavere, incapace di credere alle<br />
mie orecchie. «È stata Luceia?»<br />
Il giovane decurione annuì, senza parole di fronte al mio<br />
stupore. Scrollai il capo per schiarirmi le idee e poi mi ricordai degli<br />
uomini sul carro, <strong>che</strong> stavano lì a guardare.<br />
«Grazie amici» dissi loro. «Adesso potete andare a casa. È tutto
finito.» Indicai il cadavere. «Questo è Ligno, il carpentiere. Ha<br />
appiccato il fuoco ed è morto per questo.» Poi mi girai verso il<br />
giovane Sita, guardai di nuovo il cadavere di Ligno e mi chiesi come<br />
la mia dolce moglie avesse potuto fare una cosa simile. «Devo<br />
andare da mia moglie. Sta bene?»<br />
«Perfettamente, comandante. Assolutamente controllata. Non<br />
ha mostrato segni di crollo nervoso, e nessun rimorso per quello <strong>che</strong><br />
ha dovuto fare.»<br />
«Mmm.» Non c'era altro <strong>che</strong> potessi dire. Feci per andarcene,<br />
poi ricordai. «Un'altra cosa.» Toccai i resti di Ligno con un piede. «È<br />
meglio <strong>che</strong> mandi qualcuno a seppellire questo rifiuto nei campi o<br />
nei boschi; non si può lasciarlo qui a puzzare. E ora buona notte.<br />
Parleremo più a lungo domani, più tardi oggi, voglio dire. Buona<br />
notte, Sita.»<br />
«Buona notte, comandante.» Mi fece un perfetto, meticoloso<br />
saluto militare e andò a svolgere i suoi compiti.<br />
Quando il giovane Sita scomparve dalla vista, entrai in casa e mi<br />
diressi subito in camera da letto, sentendo voci di donne da qual<strong>che</strong><br />
parte sul retro della casa.<br />
Luceia non era nei nostri appartamenti. In quello stato di<br />
emergenza aveva certo molte cose da sbrigare. Dovetti farmi forza<br />
per non andare a cercarla subito, per sapere da lei cosa era successo<br />
e perché e come era riuscita a uccidere Ligno, ma sapevo <strong>che</strong> avrei<br />
interrotto le faccende sicuramente importanti a cui si stava<br />
dedicando a quell'ora poco cristiana. Avrei saputo tutto la mattina.<br />
Di colpo mi accorsi <strong>che</strong> era già abbastanza chiaro per vedermi<br />
riflesso, an<strong>che</strong> se debolmente, nel grande specchio di bronzo<br />
lucidato di Luceia <strong>che</strong> era appoggiato al muro; mi avvicinai allo<br />
specchio e cercai di vedere la mia immagine. Ero sudicio; gli abiti, la<br />
pelle e i capelli erano neri, appesantiti dalla fuliggine e dalla cenere e<br />
le mie narici mi rivelarono <strong>che</strong> puzzavo di fumo in modo<br />
insopportabile. Non ero in condizioni di entrare nel letto di mia
moglie, ma non ero neppure in condizioni di andare a cercare<br />
dell'acqua calda. Tirai fuori una coperta di lana dalla cassapanca ai<br />
piedi del letto e mi disposi a cercare un divano comodo su cui<br />
dormire.<br />
Luceia aprì la porta della camera da letto proprio insieme a me e<br />
fu sorpresa di trovarmi lì.<br />
Mi buttò le braccia al collo, ignorando la mia sporcizia e i miei<br />
deboli tentativi di salvarla dalla contaminazione. Parlò attraverso un<br />
bacio. «Dove stavi andando?»<br />
«A trovare un posto su cui crollare.» Le mostrai la coperta. «Non<br />
sono in condizioni di sdraiarmi in un letto pulito. Dove sei stata?»<br />
Mi disse <strong>che</strong> aveva radunato tutte le donne e le aveva messe a<br />
preparare cibo e bevande per gli uomini <strong>che</strong> sarebbero tornati dopo<br />
aver spento il fuoco. Allora le chiesi di Ligno, e <strong>che</strong> cosa era<br />
successo.<br />
Il suo primo istinto, mi disse, era stato quello di unirsi al gruppo<br />
<strong>che</strong> saliva verso la collina, ma poi si era resa conto <strong>che</strong> era un<br />
incendio di grandi proporzioni e <strong>che</strong> ci sarebbe stato bisogno di cibo,<br />
bende e assistenza medica. Aveva riunito le sue donne e le aveva<br />
incaricate di dividersi in gruppetti e andare a chiamare tutte le<br />
donne dei coloni rimaste nelle case intorno alla villa. An<strong>che</strong> lei<br />
aveva preso parte alla ricerca e una delle sue visite l'aveva portata<br />
alla casa <strong>che</strong> ora ospitava la moglie e le figlie di Ligno. Luceia era<br />
accompagnata da due donne, e da lontano avevano sentito delle urla<br />
e dei rumori di lotta. Senza sapere <strong>che</strong> cosa stava succedendo erano<br />
sbucate nella radura di fronte alla casetta e avevano trovato una<br />
delle figlie di Ligno, quella incinta, sanguinante sulla soglia della<br />
capanna, mentre dall'interno proveniva il rumore di una lotta.<br />
Luceia era entrata nella capanna e in un angolo aveva visto Ligno,<br />
<strong>che</strong> le voltava la schiena. Stava lottando furiosamente con l'altra<br />
sorella, mentre la madre giaceva a terra sanguinante e gemente.<br />
L'uomo aveva buttato a terra la spada per avere le mani libere e
stava sferrando pugni contro il corpo <strong>che</strong> lottava sotto di lui. Luceia<br />
aveva intuito <strong>che</strong> doveva essere stato lui ad appiccare il fuoco sulla<br />
collina, per avere l'opportunità e il tempo di vendicarsi sulle donne.<br />
Senza neppure pensare a quello <strong>che</strong> faceva, tanto grande era la sua<br />
collera, aveva raccolto da terra la spada e, tenendola con due mani<br />
con l'impugnatura contro il petto, si era buttata contro Ligno e<br />
gliel'aveva infilata tra le costole, nel cuore, e Ligno era caduto morto<br />
ai suoi piedi, senza avere il tempo di girarsi a vedere chi l'aveva<br />
ucciso. Poco dopo Sita e i suoi soldati erano arrivati correndo.<br />
Quando ebbe finito, la fissai per qual<strong>che</strong> minuto, pensando a<br />
quanto poco conosciamo le persone <strong>che</strong> amiamo. Quello <strong>che</strong> aveva<br />
fatto era consono al suo carattere e non avrebbe dovuto stupirmi; era<br />
sorella di Caio Britannico, un'imperiosa aristocratica di antico<br />
stampo, abituata ad assumersi responsabilità, a prendere decisioni e<br />
a essere obbedita. Ma era an<strong>che</strong> mia moglie e io l'amavo<br />
profondamente come donna, cosicché raramente mi accorgevo della<br />
tempra d'acciaio <strong>che</strong> si celava sotto il suo aspetto femminile.<br />
Luceia mi guardava, aspettando <strong>che</strong> parlassi. <strong>La</strong> baciai sulla<br />
punta del naso e le sussurrai: «Bene. Come ti senti?»<br />
Toccò con un dito il punto <strong>che</strong> avevo baciato. «Come dovrei<br />
sentirmi? Sono stanca e ho fame, ma mi sento come se potessi<br />
continuare per sempre, o almeno per tutto il tempo necessario a<br />
rimettere a posto i disastri provocati da Ligno.» Fece una pausa e mi<br />
guardò socchiudendo gli occhi. «Ma se vuoi sapere come mi sento<br />
per avere ucciso Ligno, allora posso dirti <strong>che</strong> non mi dispiace. Lo<br />
rifarei senza pensarci, come schiaccerei un animale <strong>che</strong> minaccia la<br />
mia famiglia o questa Colonia. Ligno non era un uomo. Era una<br />
bestia feroce, era pazzo e pericoloso. E tu? Cosa provi?»<br />
«A proposito di Ligno niente. A proposito del fuoco, collera e<br />
preoccupazione, ma non una grande inquietudine ora, an<strong>che</strong> se<br />
avremo un lungo inverno quest'anno, se non facciamo un buon<br />
raccolto. Riguardo a te mi sento meravigliosamente e sono fiero. Per
quel <strong>che</strong> riguarda il sonno, non sono in condizioni di sentire niente.<br />
Stavo andando a cercare un angolo tranquillo dove la fuliggine e il<br />
sudiciume non possano fare molto danno, e poi collasserò e<br />
scivolerò in uno stato comatoso.»<br />
Luceia premette il viso nell'incavo del mio collo e inspirò<br />
profondamente. «In effetti puzzi di fumo.» Mi allontanò e mi sorrise.<br />
«So <strong>che</strong> non vuoi sentirtelo dire, ma dormiresti molto meglio dopo<br />
un buon bagno e un massaggio. So <strong>che</strong> sembra troppo faticoso, ma<br />
la vita ti apparirà migliore con un po' di vapore e di olio profumato e<br />
un vigoroso massaggio. Non credi?»<br />
Annuii, strofinandomi gli occhi con il palmo delle mani. «Bene,<br />
cara» mormorai. «Hai ragione, come sempre. Vado, vado.»<br />
Non ricordo di essere entrato nel bagno, né di essermi svestito,<br />
ma ricordo di avere attraversato il tepidarium, di essermi versato<br />
addosso dell'acqua tiepida per togliere un po' della fuliggine <strong>che</strong> mi<br />
ricopriva, e poi di essere entrato nella stanza del vapore dove, per il<br />
quarto d'ora successivo, rimasi a godere del calore intenso, sentendo<br />
<strong>che</strong> lo sporco e il sudiciume venivano lavati via dai rivoli naturali<br />
del mio sudore. Terminai con una serie di tuffi nella piscina calda e<br />
in quella fredda prima di arrendermi e di sdraiarmi a faccia in giù<br />
sul plinto del massaggiatore, rimpiangendo la sua assenza e<br />
immaginando come si sarebbe messo all'opera senza pietà sul mio<br />
corpo bistrattato.<br />
Ma sapevo <strong>che</strong> era stato a spegnere l'incendio come tutti gli altri<br />
e <strong>che</strong> adesso dormiva.<br />
Avrei potuto farlo chiamare - per un momento ci pensai - ma<br />
alla fine non ebbi il coraggio di disturbare il suo riposo.<br />
Mi appisolai e mi risvegliai afflitto dalla scomodità del plinto.<br />
Mi sentivo più pulito e presentabile, ma ero stanco morto; andai in<br />
camera. Luceia non era ancora a letto, ma la piccola malata, Dora, la<br />
nostra bambina di quattro anni, era nel nostro letto, tranquillamente<br />
addormentata, con il pollice infilato nella boccuccia.
Mi chinai su di lei e le sfiorai la guancia, meravigliandomi come<br />
sempre della straordinaria morbidezza della sua pelle e della sua<br />
totale fiducia, innocente e assolutamente indifesa. <strong>La</strong>sciai scivolare a<br />
terra i miei abiti e salii nel letto vicino a lei, cullando il suo corpicino<br />
prima di cadere addormentato.
LIBRO SECONDO<br />
Il reggente
«Padre,<br />
IX.<br />
saluti da un figlio errante, <strong>che</strong> hai probabilmente da lungo<br />
tempo condannato alla perdizione per mancanza di amor filiale, se<br />
pure non mi credi già morto.<br />
Sono vivo e in buona salute, sto bene e spero, con colpevole<br />
ottimismo, <strong>che</strong> lo stesso valga per te. Con quale follia trattiamo il<br />
precipitoso trascorrere del tempo! Rimpiango profondamente di<br />
aver lasciato <strong>che</strong> passassero tanti anni senza fare un serio tentativo<br />
di scriverti. Ricordo <strong>che</strong> mi dicevi, in molte occasioni, come sia<br />
difficile mettere per iscritto i propri pensieri in modo <strong>che</strong> riflettano,<br />
con accuratezza, i sentimenti su qualunque argomento e in<br />
qualunque momento. Le parole, dicevi, sono solo strumenti<br />
grossolani, inadatti a essere usati da uomini seri e intelligenti.<br />
Ricordo, con amara ironia, lo scetticismo con cui ho trascurato, nella<br />
mia giovanile onniscienza, la portata di quelle parole. Adesso so,<br />
dopo lunghe ore di sforzi, quant'era precisa la tua osservazione.<br />
Questa missiva, <strong>che</strong> spero leggerai un giorno, ti impressionerà<br />
certo per la sua chiarezza e per l'apparente facilità con la quale è<br />
stata scritta. Non farti illusioni, padre, e abbandona ogni erronea<br />
concezione. Sono goffo nei miei tentativi di scrittura oggi come<br />
sempre. <strong>La</strong> lettera <strong>che</strong> leggi non è altro <strong>che</strong> la faticosa copia<br />
dell'ultima delle tante scribacchiate, corrette e sudate su ritagli di<br />
pergamena e carta, elaborate in tante notti al tremolante chiarore di<br />
una fioca lampada.<br />
So <strong>che</strong> non c'è bisogno <strong>che</strong> ti ricordi quanto sia disagevole<br />
scrivere una lettera durante una campagna militare. Sono in<br />
campagna senza interruzione da anni, ormai, da quando ho lasciato<br />
la Britannia con Magno Massimo, e per tutto quel tempo è stato<br />
sempre facile trovare ragioni <strong>che</strong> giustificassero l'eterna mancanza
di tempo per scrivere. Sono passati molti mesi ormai da quando ho<br />
deciso di porre fine a questa situazione e ho dovuto attendere fino a<br />
oggi per produrre qualcosa <strong>che</strong> mi sembrasse adatto e abbastanza<br />
sostanzioso da inviare dopo un silenzio così lungo.<br />
Mi trovo a Costantinopoli, faccio parte dello stato maggiore<br />
personale di Flavio Stilicone, conte degli Interni, comandante delle<br />
Truppe Imperiali. Ti divertirà forse sapere <strong>che</strong> ho incontrato<br />
Teodosio in diverse occasioni e <strong>che</strong> ho accolto nella mia mente il<br />
giudizio di Publio Varro, <strong>che</strong> dichiarava Teodosio, "malgrado tutte<br />
le sue colpe e i suoi limiti personali, un abile amministratore e un<br />
buon soldato". A quei tempi Teodosio era conte di Britannia, ora è<br />
l'imperatore e, per citare ancora le parole di Varro è "un<br />
magniloquente e pomposo rompiballe!", ma soprattutto, è un abile<br />
Imperatore e un notevole giudice di uomini...<br />
Il fatto <strong>che</strong> io possa scrivere parole come queste in una lettera ti<br />
darà un'idea dell'importanza del mio incarico e della sicurezza di<br />
cui godiamo nelle comunicazioni. Tutto ciò è dovuto alla personalità<br />
e all'influenza del mio comandante, Flavio Stilicone. Il privilegio di<br />
cui gode e il suo sigillo personale su questa lettera mi consentono di<br />
scrivere apertamente il mio pensiero; è stato lui a infondermi<br />
finalmente il desiderio di scriverti, per molte ragioni, ma soprattutto<br />
per raccontarti dello stesso Flavio Stilicone e del privilegio e<br />
dell'onore di cui godo nell'essergli accanto.<br />
Padre, stringeresti Stilicone al petto! Egli è tutto quello <strong>che</strong> tu<br />
consideri onorevole nella tradizione romana! È per metà vandalo,<br />
suo padre era un capitano dei mercenari, di umili origini. Eppure,<br />
malgrado ciò, grazie alla forza del suo intelletto e alle straordinarie<br />
capacità <strong>che</strong> ha dimostrato nella sua breve carriera - ha solo<br />
vent'anni, sette meno di me! - ha conquistato completamente<br />
l'affetto e la stima di Teodosio e si è sposato con la nipote favorita<br />
dell'imperatore, Serena. An<strong>che</strong> lei è rimasta vittima del fascino di<br />
Stilicone.
Se, come sospetto, tu e Publio Varro vi siete appena scambiati<br />
sbuffanti commenti quali: "Nepotismo! Privilegiato!", dovete<br />
ritirarli, perché ti giuro <strong>che</strong> Stilicone è un vero uomo, malgrado la<br />
sua gioventù, un genio militare del livello di Alessandro.<br />
L'ho incontrato oltre un anno fa, verso la fine dell'estate, durante<br />
il secondo anno della campagna di Magno nella Gallia meridionale.<br />
Le cose erano andate bene per Magno (come vanno ancora adesso,<br />
mi dicono) e avevamo riportato molte vittorie contro tutti i nostri<br />
avversari. Ma la mia mente non era tranquilla, per come stavano<br />
andando le cose nel nostro esercito; il Magno <strong>che</strong> avevo conosciuto e<br />
ammirato nella Britannia del Nord non era l'uomo, né l'imperatore<br />
<strong>che</strong> seguivo ora in Gallia. Il potere aveva provocato grandi<br />
cambiamenti in lui, e nessuno in meglio.<br />
Un pomeriggio, mentre il resto dell'armata procedeva a un<br />
normale pattugliamento, la mia squadra aveva inaspettatamente<br />
incontrato un nutrito gruppo di nemici, soldati e ufficiali. Per<br />
fortuna fummo i primi a scoprirli e io ebbi la possibilità di prenderli<br />
prigionieri. Nel corso dello scontro mi trovai a lottare contro un<br />
giovane tribuno, appena uscito dall'adolescenza, riccamente<br />
equipaggiato e con una fastosa uniforme, <strong>che</strong> combatteva come un<br />
pazzo; un pazzo molto dotato, a dire il vero. <strong>La</strong> fortuna era con me.<br />
Lui scivolò sull'erba e io avevo la sua vita in pugno e la spada<br />
pronta. Grazie a Dio non riuscii a ucciderlo in quel momento! Dopo<br />
avergli detto <strong>che</strong> poteva vivere un altro giorno lo colpii con l'elsa<br />
della spada e lo lasciai svenuto. Poco dopo fummo circondati e<br />
sopraffatti da un esercito di uomini appena arrivati, come scopersi<br />
poi, per incontrare e scortare la squadra <strong>che</strong> avevamo attaccato. Io<br />
fui preso prigioniero con tutti i miei uomini e fui portato al campo<br />
del proconsole Glauco Mamilia. Come avrai capito il ragazzo a cui<br />
avevo risparmiato la vita era Flavio Stilicone.<br />
In seguito mi mandò a chiamare e mi fece molte domande. Sentii<br />
subito, an<strong>che</strong> se non so spiegarla, un'affinità per quell'uomo, benché
fosse così giovane. Mi disse <strong>che</strong> era appena tornato dalla Persia,<br />
dalla corte di re Shapur III, dove si era recato come ambasciatore<br />
personale di Teodosio. Al suo ritorno a Costantinopoli era stato<br />
immediatamente distaccato in Gallia perché si facesse un'idea del<br />
ribelle Magno e del suo modus operandi e per trovare il modo di<br />
sconfiggerlo.<br />
Puoi immaginarti il mio stupore mentre lo ascoltavo, an<strong>che</strong> se<br />
devo dire <strong>che</strong> non mi passò mai per la mente di dubitare delle sue<br />
parole. Il rispetto <strong>che</strong> gli veniva tributato era fin troppo evidente. Il<br />
proconsole stesso era deferente davanti a quel giovane!<br />
In breve, Flavio Stilicone mi ringraziò per avergli risparmiato la<br />
vita e mi offrì la manumissione - per me e per tutti i miei uomini - se<br />
fossi passato al suo servizio, promettendogli fedeltà. Mi assicurò <strong>che</strong><br />
avrei potuto farlo con onore, perché non avrebbe preteso <strong>che</strong> gli<br />
fornissi informazioni sui piani di Magno, né <strong>che</strong> impugnassi le armi<br />
contro i soldati con i quali avevo combattuto per tutta la Gallia.<br />
Padre, non esitai neppure un istante prima di accettare la sua offerta.<br />
Sapevo, in un angolo della mia anima, <strong>che</strong> ero nato per combattere a<br />
fianco di Flavio Stilicone e già da tempo ero insoddisfatto nei ranghi<br />
di Magno Massimo. Scelsi di essere un uomo di Stilicone e tutti i<br />
miei soldati decisero di seguirmi.<br />
Da quel giorno non ho mai cambiato idea. Quando mi è stata<br />
data la possibilità di andarmene e di aspettare Stilicone altrove,<br />
lontano da Magno, ho scelto di rimanere con lui. Tre mesi dopo<br />
eravamo in Asia Minore e per i successivi nove mesi andammo a<br />
combattere ovunque ci fosse bisogno di Stilicone.<br />
Poi, tre mesi fa, Teodosio lo promosse comandante delle Truppe<br />
Imperiali e da allora siamo a Costantinopoli. Ma sospetto <strong>che</strong> non<br />
staremo qui a lungo. Stilicone vive a cavallo e detesta essere<br />
confinato in una città e inoltre ci sono troppe battaglie da combattere<br />
in tutto l'Impero.<br />
Il mio rango è ora quello di prefetto. Sono un soldato di
cavalleria, per convinzione. Ma questa è un'altra storia e sto<br />
preparando un'altra lettera - questa è già troppo lunga - nella quale<br />
ti dirò degli sviluppi nella mente di Stilicone e nella mia.<br />
Addio, padre.<br />
Il mio affetto a zia Luceia e alla tribù di piccoli Varro <strong>che</strong>, ne<br />
sono certo, comandano tutta la vostra vita. Mando questa mia<br />
all'attenzione di Ponzio Aulo Plauto, l'amico di Publio Varro a<br />
Camulodunum, per corriere militare. Lui farà in modo <strong>che</strong> vi<br />
raggiunga.<br />
Il tuo figlio affezionato, Pico.»<br />
Quando Caio finalmente me la diede, lessi la prima lettera i Pico<br />
quattro volte senza fermarmi, dall'inizio alla fine. Avevo aspettato a<br />
lungo e con impazienza, sforzandomi di restare calmo. Caio aveva<br />
ricevuto non meno di quattordici lettere, nessuna delle quali era<br />
breve e nessuna delle quali mostrava all'esterno un segno<br />
progressivo, di numerazione o di data.<br />
Una volta terminata la loro lettura Pico si rivelava un<br />
corrispondente coscienzioso e abile, ma impulsivo, poiché<br />
raramente dava indicazioni sulla data in cui stava scrivendo. Di<br />
conseguenza suo padre aveva dovuto leggere tutte le lettere in<br />
ordine casuale, come gli capitava, e solo dopo aveva potuto metterle<br />
in un approssimativo ordine temporale.<br />
A quel punto estese an<strong>che</strong> a me il privilegio di leggerle in ordine<br />
cronologico. Ed erano affascinanti. <strong>La</strong> prima fu ovviamente la più<br />
commovente, dal punto di vista emotivo, ma la seconda mi stupì,<br />
richiamandomi istantaneamente alla memoria un commento del<br />
nostro amico Alarico sul fatto <strong>che</strong> Dio ha voluto <strong>che</strong> nessuna grande<br />
idea nascesse da un uomo solo.<br />
Quando nel progresso dell'umanità avvengono sviluppi<br />
davvero importanti, appaiono sempre simultaneamente in molti
paesi, promossi da persone intelligenti e capaci di grandi visioni.<br />
«Padre, salve!<br />
Dopo avere compiuto il primo passo sembra <strong>che</strong> il compi, to di<br />
scrivere diventi più facile. Suppongo <strong>che</strong> questo sia dovuto alle<br />
difficoltà <strong>che</strong> ho avuto nel mio primo tentativo, quando la lista delle<br />
cose da riferire e da trattare sembrava senza fine. Questa lettera, in<br />
confronto, è molto più semplice. Ha solo un argomento principale.<br />
Padre, voglio parlarti di cavalli e di cavalleria, e del modo in cui<br />
l'intuizione di un solo uomo può mutare la storia. L'uomo in<br />
questione è Flavio Stilicone, niente di ciò <strong>che</strong> ti scriverò in futuro<br />
sarà immune dalla sua influenza, an<strong>che</strong> se dovesse morire domani,<br />
<strong>che</strong> Dio non voglia!<br />
So <strong>che</strong> sei a conoscenza della disfatta di Adrianopoli del 378.<br />
Quello fu l'anno in cui entrai nelle legioni. Qualunque sia però il tuo<br />
personale giudizio sull'evento, devo ripetere qui i fatti, perché sono<br />
direttamente collegati all'argomento di questa lettera.<br />
<strong>La</strong> versione ufficiale di quell'insuccesso, come sono certo <strong>che</strong><br />
ricorderai, è <strong>che</strong> l'imperatore Valente, a quell'epoca coimperatore di<br />
Valentiniano, era stato tanto negligente e stupido da far marciare un<br />
esercito consolare di otto legioni - quarantamila uomini! - attraverso<br />
il territorio nemico senza prendere le più elementari precauzioni. <strong>La</strong><br />
sua armata, di conseguenza, in linea estesa di marcia lungo il bordo<br />
di un lago, era stata sorpresa da una tribù di Ostrogoti in<br />
migrazione, i quali, a cavallo per il viaggio, avevano colto<br />
l'occasione per caricare in massa l'esercito di Valente, in un assalto<br />
indisciplinato ma mortale. Il loro attacco, del tutto inaspettato, era<br />
passato sulle legioni di Valente srotolandole come una pergamena,<br />
prima <strong>che</strong> i soldati avessero il tempo an<strong>che</strong> solo di pensare a<br />
schierarsi in linea di combattimento.<br />
Fu una trappola, ci è stato detto, uno di quegli sviluppi
imprevedibili <strong>che</strong>, in guerra, devono essere semplicemente accettati<br />
e subiti.<br />
Flavio Stilicone non accetta questa versione. E nessuno <strong>che</strong> lo<br />
ascolti può discutere le sue tesi e la sua logica, secondo cui è<br />
inconcepibile <strong>che</strong> l'attacco casuale di una moltitudine indisciplinata,<br />
non importa quanto numerosa e quanto compatta, possa<br />
demoralizzare e distruggere un intero esercito consolare romano di<br />
quarantamila uomini e ucciderli tutti, impreso l'imperatore e l'intero<br />
corpo ufficiali. Che una cosa simile sia accaduta è innegabile. Come<br />
sia accaduta, come abbia potuto accadere, è una questione aperta<br />
alle congetture più svariate. Come è probabile <strong>che</strong> sia accaduto,<br />
però, è una congettura <strong>che</strong> si può analizzare in modo pragmatico e<br />
Stilicone ha idee e opinioni chiare e concise al riguardo. Da queste<br />
idee e considerazioni ha tratto delle conclusioni e su queste ha<br />
costruito uno stupefacente calendario di eventi futuri. Essendo a<br />
conoscenza dei suoi pensieri, lealmente e senza paura di essere<br />
censurato ho deciso di metterti al corrente, certo <strong>che</strong> ti<br />
interesseranno sia in generale <strong>che</strong> in particolare, e conscio <strong>che</strong> lo<br />
sforzo di spiegarli a te in dettami aiuterà ad assimilarli meglio<br />
personalmente. Seguono qui categoricamente le sue meditate<br />
riflessioni e le sue scoperte, ma devo informarti, con rincrescimento,<br />
<strong>che</strong> linguaggio e la chiarezza dei pensieri sono solo di Stilicone.<br />
I. Valente e il suo esercito, benché colpevoli di negligenza,<br />
non possono avere collettivamente dimostrato quel grado di<br />
razionale e suicida inettitudine così chiaramente addotta nella<br />
versione ufficiale dell'incidente. Valente aveva generali eccellenti,<br />
legati e ufficiali anziani capaci, assegnati al suo stato maggiore.<br />
An<strong>che</strong> se Valente fosse stato manifestamente insano di mente al<br />
livello di Nerone o di Caligola, i suoi comandanti avrebbero<br />
comunque conservato la loro competenza militare e la<br />
responsabilità dell'esercito.<br />
II. Roma ha conquistato il mondo con l'eccellenza delle
le legioni, la più grande forza militare <strong>che</strong> la storia abbia mai visto.<br />
L'esercito romano - la fanteria di Roma - è stato invincibile fin dai<br />
tempi di Caio Mario e di Giulio Cesare; le sole disfatte subite da un<br />
esercito romano sono state per mano di altri eserciti romani.<br />
III. <strong>La</strong> catastrofe di Adrianopoli, perciò, è epocale: la più<br />
grande disfatta di un esercito romano da parte di una forza non<br />
romana in più di cinquecento anni. Classificarla come qualcosa di<br />
diverso da uno spiacevole colpo di sfortuna equivarrebbe ad<br />
ammettere <strong>che</strong> le forze barbari<strong>che</strong> <strong>che</strong> minacciano l'Impero sono<br />
capaci di ripetere l'impresa di Adrianopoli quando e dove vogliono.<br />
Ovviamente una tale ammissione è inimmaginabile. <strong>La</strong> capacità di<br />
infliggere una simile sconfitta è stata perciò attribuita al caso e alla<br />
sfortuna, al fatto cioè <strong>che</strong> i barbari si siano semplicemente trovati a<br />
cavallo al momento dell'incidente, un'eventualità senza precedenti<br />
negli annali romani dell'arte della guerra.<br />
IV. Roma non si è mai affidata alla cavalleria, se non per<br />
fornire uno s<strong>che</strong>rmo mobile di esploratori e arcieri a cavallo<br />
per proteggere le legioni mentre vengono spiegate in ordine<br />
di battaglia. <strong>La</strong> funzione della cavalleria è sempre rimasta,<br />
più o meno, in mano agli alleati di Roma, sia in Germania<br />
sia in Africa. Per la mente militare romana, infatti, la cavalle<br />
ria è sempre stata una presenza militare inferiore, <strong>che</strong> opera<br />
senza la rigida disciplina e l'addestramento richiesti alle grandi<br />
formazioni di fanteria. Fino a oggi, dalla nascita di Roma,<br />
c'è sempre stato qualcosa di poco "romano" nella cavalleria e<br />
nelle truppe a cavallo.<br />
Queste sono le scoperte di Flavio Stilicone; da esse ha sviluppato<br />
le seguenti affermazioni.<br />
V. Che ogni romano degno di questo nome, dopo un periodo<br />
an<strong>che</strong> breve di riflessione analitica, sarà in grado di capire da solo i<br />
quattro punti sovraesposti e dovrà accettare la verità della<br />
situazione e il pericolo incombente <strong>che</strong> essa implica, vale a dire:
VI. Che nessun romano degno di questo nome <strong>che</strong> abbia<br />
la minima conoscenza delle questioni militari può seriamente<br />
dubitare <strong>che</strong> tra i barbari esistano brillanti generali, capaci di<br />
pensare con chiarezza e capaci di analisi e di azione. Ne consegue<br />
logicamente e inevitabilmente, perciò, <strong>che</strong> l'azione contro l'armata di<br />
Valente ad Adrianopoli deve essere riconosciuta per quello <strong>che</strong> è<br />
stata: una schiacciante vittoria contro una forza ritenuta<br />
invulnerabile, vinta con il semplice espediente di precipitarsi sulle<br />
coorti romane a velocità sufficiente per intrappolarle prima <strong>che</strong><br />
possano spiegarsi su un terreno favorevole nel loro ordine di<br />
battaglia, e poi di sopraffarle con una semplice onda d'urto di<br />
uomini e di cavalli. Una volta capito questo, in qual<strong>che</strong> momento nel<br />
futuro, se non adesso, Adrianopoli verrà emulata e ripetuta, e i<br />
giorni delle legioni romane come esistono ora saranno finiti.<br />
Questa frase, padre, "come esistono ora", contiene un pensiero<br />
fecondo. Flavio Stilicone ha il tipo di mente <strong>che</strong> affronta i possibili<br />
disastri e li previene. Le sue affermazioni continuano così:<br />
VII. Che, accettando l'inevitabilità di un simile sviluppo, è<br />
imperativo per i legati anziani dello stato maggiore imperiale<br />
iniziare immediatamente a cercare i mezzi efficaci per eliminare una<br />
simile eventualità, non limitandosi a guardare a bocca aperta il<br />
futuro, ma cercando diligentemente una risposta nel passato.<br />
VILI. Che il più grande genio militare dei tempi antichi è stato<br />
Alessandro il Macedone, chiamato Magno, <strong>che</strong> ha raffinato le<br />
tecni<strong>che</strong> della cavalleria pesante di suo padre, Filippo di Macedonia,<br />
e ha usato quella cavalleria pesante per conquistare il mondo.<br />
IX. Che, poiché la cavalleria generalmente in uso oggi è<br />
costituita da s<strong>che</strong>rmitori leggeri, montati su cavalli leggeri,<br />
e i grandi, pesanti cavalli montati da Alessandro e dalle sue<br />
truppe sono sconosciuti nella vita militare romana, ogni sforzo deve<br />
essere teso, immediatamente e senza indugi, a raccogliere cavalli di<br />
quella stazza, ovunque si trovino in tutto l'Impero, e a iniziare un
programma di allevamento selettivo contemporaneamente<br />
all'addestramento e all'equipaggiamento di nuove, numerose<br />
truppe <strong>che</strong> costituiranno il nucleo di una nuova forma di strategia<br />
nel mondo romano. E...<br />
X. Che entro dieci anni, o venti al massimo, un buon<br />
venticinque per cento della forza combattente di ogni legione<br />
imperiale sul campo dovrà consistere di una cavalleria pesante di<br />
questo tipo, severamente disciplinata e altamente manovrabile.<br />
Padre, io ho avuto il privilegio di essere presente quando<br />
Stilicone tratteggiava queste sue scoperte, le sue conclusioni e le<br />
indicazioni all'imperatore. Teodosio lo ha guardato, ha aggrottato la<br />
fronte e poi ha chiesto: "Credi davvero a tutto ciò?" Stilicone si è<br />
limitato a chinare il capo. "Così sia," ha detto l'imperatore. "Che sia<br />
fatto." E il mondo come noi lo conosciamo, mille anni di storia<br />
militare e di tradizione, è cambiato.<br />
Questa è una lunga lettera, padre, ma mi ha fatto piacere<br />
scriverla e penso di non avere molto da aggiungere. So di darti<br />
qualcosa di serio su cui riflettere e so <strong>che</strong> ne capirai la portata. Ci<br />
siamo accinti al compito di mutare la cavalleria quella stessa notte,<br />
an<strong>che</strong> se finora si è trattato di un compito svolto soprattutto sulla<br />
carta. Io sono coinvolto e stiamo già facendo dei progressi. <strong>La</strong><br />
maggiore difficoltà consiste nel trovare gli uomini - ufficiali di<br />
sufficiente anzianità e flessibilità (strano come queste due cose si<br />
trovino raramente insieme!) - da capire quello <strong>che</strong> vogliamo fare.<br />
Ti scriverò di nuovo non appena avrò qualcosa di sostanziale da<br />
riferire. Prendi cura di te stesso, padre, e porgi i miei rispetti e i miei<br />
auguri a tutti quelli <strong>che</strong> mi sono cari.<br />
Pico.»<br />
"Strano come queste due cose si trovino raramente insieme..." Mi<br />
fece molto piacere notare <strong>che</strong> Pico era così palesemente figlio di suo
padre. Quell'unica piccola osservazione, bizzarra e pungente allo<br />
stesso tempo, dimostrava, più chiaramente di qualsiasi altra cosa<br />
<strong>che</strong> avevo letto, <strong>che</strong> il nostro ragazzo aveva sulle spalle una testa<br />
prammatica e vagamente cinica. Il pragmatismo è una buona cosa di<br />
per sé, trovo, ma troppo spesso è privo di spirito. Quando è condito<br />
da una moderata e sana dose di cinismo, però, ne risultano spesso<br />
spirito, ingegno e ironia. Coloro <strong>che</strong> possiedono una simile miscela<br />
di spezie nel loro carattere sono raramente noiosi.<br />
Stavo rileggendo questa seconda lettera di Pico mentre mi<br />
recavo a incontrare Vittore, il nostro capo delle scuderie, e sorridevo<br />
dei miei pensieri quando girai nel grande cortile di fronte alle stalle<br />
principali. Lì mi trovai davanti a uno spettacolo <strong>che</strong> rese ancora più<br />
ampio il mio sorriso e più grande il mio piacere e mi appoggiai a un<br />
pilastro del cancello per osservarlo.<br />
Vittore, a causa soprattutto del suo strano aspetto e del quasi<br />
completo disinteresse per le preoccupazioni di uomini e donne<br />
normali (era ossessionato da tutto ciò <strong>che</strong> era "equipe," al punto da<br />
escludere ogni altra cosa) si era fatto pochi veri amici nella nostra<br />
Colonia, e ne sembrava più <strong>che</strong> soddisfatto. Ma a villa Britannico, in<br />
brevissimo tempo dal suo arrivo, si era creato due ami<strong>che</strong> devote<br />
<strong>che</strong> condividevano il suo ardente amore per i cavalli e <strong>che</strong> non<br />
sembravano accorgersi nemmeno lontanamente del suo strano<br />
aspetto.<br />
Una di queste due persone era mia figlia Veronica, e l'altra era<br />
mia moglie. Veronica, <strong>che</strong> ormai era una bella e vivace bambina di<br />
dieci anni, era stata presa dall'amore per i cavalli da quando aveva<br />
scoperto la differenza tra un cavallo e un cagnolino. Sua madre<br />
aveva avuto da bambina la stessa passione, ma l'aveva del tutto<br />
scordata quando si era fatta donna. Negli ultimi anni, però, al calore<br />
dell'entusiasmo di nostra figlia, il suo amore giovanile si era<br />
riacceso, e da quando Vittore si era incaricato del nostro programma<br />
di allevamento trascorrevano entrambe tutto il loro tempo libero con
lui e con i suoi cavalli.<br />
Sotto le loro cure e attenzioni Vittore fioriva. Era ancora burbero<br />
e sgarbato come prima con i comuni mortali, del tutto privo di<br />
pazienza per le loro triviali preoccupazioni, ma pensava<br />
chiaramente <strong>che</strong> mia moglie e mia figlia godessero di quello stato<br />
straordinario condiviso solo da lui e dai suoi amati cavalli. E perciò,<br />
grazie a questo riconoscimento, si sottometteva a loro in un modo<br />
<strong>che</strong> aveva del miracoloso. Il suo contegno e tutto il suo<br />
comportamento erano cambiati in modo impressionante nei pochi<br />
mesi trascorsi dal suo trasferimento alla villa. Adesso si<br />
preoccupava del suo abbigliamento e della sua igiene personale...<br />
cose <strong>che</strong> prima delle visite quotidiane di Veronica e di Luceia erano<br />
totalmente al di sotto dei suoi interessi. Era vero <strong>che</strong> dormiva ancora<br />
nelle stalle, ma non puzzava più in modo così acuto e pungente delle<br />
stalle.<br />
Ora si trovava in mezzo al circuito di addestramento, ruotava<br />
adagio su se stesso, tenendo in mano l'estremità di una lunga<br />
cavezza attaccata alla briglia di un bellissimo pony morello <strong>che</strong><br />
girava al piccolo galoppo, portando sulla groppa mia figlia. Il viso<br />
della piccola risplendeva di piacere e le grandi lastre dei denti di<br />
Vittore erano esposte in un largo sorriso mentre le gridava le sue<br />
istruzioni. Sotto i miei occhi, Veronica piegò le gambe sotto il corpo<br />
e si alzò diritta, restando perfettamente in equilibrio in piedi sulla<br />
groppa del pony, con le reclini allentate nella mano sinistra, la mano<br />
destra leggermente staccata dal corpo. Era bello vederla. I suoi<br />
movimenti, il suo controllo e la sua posa erano così perfettamente<br />
corretti e naturali, <strong>che</strong> il pericolo implicito in quello <strong>che</strong> avevo visto<br />
mi fu chiaro solo in seguito, e a quel punto ormai sapevo <strong>che</strong> se ci<br />
fosse stato un vero pericolo Vittore non glielo avrebbe mai<br />
permesso. Sapendo <strong>che</strong> la stavo guardando, Veronica fece due volte<br />
il giro del circuito, poi ricadde in groppa alla sua cavalcatura e la<br />
condusse fuori dal recinto, dirigendola senza fatica dove mi trovavo.<br />
Si fermò e scivolò leggera al suolo, abbracciò brevemente il collo
dell'animale e corse da me, con gli occhi danzanti per l'eccitazione.<br />
Mentre la stringevo in un abbraccio lei mi parlò all'orecchio.<br />
«Papà, non è meraviglioso? Il suo nome è Bucefalo, come il<br />
cavallo di Alessandro Magno, e Vittore dice <strong>che</strong> vuole darmelo,<br />
perché sia mio. Non è meraviglioso?»<br />
Lo era davvero, ed era an<strong>che</strong> sorprendente. Per quanto amasse i<br />
suoi cavalli Vittore non ne possedeva alcuno. Essi erano proprietà<br />
comune e perciò non ne poteva disporre. Mentre inspiravo<br />
affettuosamente il caldo odore di pulito dei capelli di mia figlia<br />
prima di rimetterla giù, mi accorsi <strong>che</strong> Vittore si avvicinava con la<br />
testa un po' inclinata da un lato come se fosse in ascolto.<br />
Avvicinandosi aveva raccolto la cavezza in lunghi anelli <strong>che</strong> adesso<br />
stringeva nella mano destra. Aveva interpretato correttamente<br />
l'espressione sul mio volto e parlò per anticiparmi.<br />
«Mastro Varro.» Accompagnò il saluto con un cenno del capo.<br />
«Una bella giornata.»<br />
Gli restituii il cenno. «Vittore. È quello <strong>che</strong> pensavo anch'io fino<br />
a quando ho sentito <strong>che</strong> hai fatto a mia figlia un dono comunitario.»<br />
Lui aggrottò la fronte e scosse la testa, cercando di<br />
interrompermi. Veronica fece un passo indietro e guardò me e<br />
Vittore, con il volto turbato.<br />
«Cosa c'è <strong>che</strong> non va, papà? Cos'è un dono comunitario?»<br />
Le rispose Vittore. «È un dono da parte di molte persone, piccola<br />
Gazza.»<br />
Gazza? Questa era una novità, ma poi guardai la mia bambina<br />
con i capelli neri e la pelle immacolata e vidi immediatamente <strong>che</strong><br />
era un soprannome perfetto. Veronica aveva la fronte aggrottata e si<br />
rivolgeva direttamente a Vittore.<br />
«Ma tu hai detto <strong>che</strong> il regalo era tuo, tuo per me.»<br />
«E così è. Adesso porta dentro Bucefalo e striglialo bene. Devo
parlare con tuo padre. E assicurati di non dimenticarne nean<strong>che</strong> un<br />
pezzetto. Si merita il meglio <strong>che</strong> gli puoi dare.»<br />
«Lo so e lo avrà e lui lo sa. Non è vero, bello?» Il pony nitrì e le<br />
diede un colpetto con il muso e lei rise, an<strong>che</strong> se la sua espressione<br />
era ancora incerta. «Sa <strong>che</strong> ho del miele per lui, ma non sa dov'è.<br />
Sarai ancora qui quando avrò finito, papà?»<br />
Le feci un cenno d'assenso. «Fai con comodo. Ho delle cose di<br />
cui parlare con Vittore, ma se finiamo prima ti aspetterò, così<br />
andremo a casa insieme.»<br />
Vittore e io la guardammo condurre via il pony e mi ritrovai ad<br />
ammirare la grazia agile di lei, e a meravigliarmi di come cresceva in<br />
fretta.<br />
«Bucefalo... un bel pony» dissi alla fine, quando lei fu scomparsa<br />
nella stalla.<br />
Vittore aspirò rumorosamente col naso. Evidentemente non<br />
facevo parte della sua ristretta cerchia di amici. «Ricordi lo stallone<br />
<strong>che</strong> ero andato a comprare per Terra quando siamo andati insieme<br />
ad Aquae Sulis?»<br />
Mi girai a guardarlo. «Sì.»<br />
«Bene, l'ho trovato e l'ho comprato, ma ho trovato an<strong>che</strong> un altro<br />
cavallo, nello stesso posto e nello stesso momento.<br />
Una giumenta, bella. Era in vendita e così l'ho comprata, con i<br />
miei soldi. Il primo cavallo <strong>che</strong> abbia mai comprato, Ma mi sono<br />
innamorato di lei.»<br />
Non mi sembrava strano <strong>che</strong> si esprimesse così.<br />
«Dov'è adesso?»<br />
Indicò la stalla. «È lì, con gli altri.» Si schiarì la gola, «Adesso<br />
prendi il piccolo Bucefalo. Quel cavallo è perfetto. Forma perfetta,<br />
colore perfetto, proporzioni perfette, temperamento perfetto. Un bel<br />
cavallino. In effetti quel cavallino è perfetto per tutto quello <strong>che</strong>
vuoi, tranne <strong>che</strong> per lavorare e per far razza. È dannatamente troppo<br />
piccolo. Eppure è perfetto. Ed è perfettamente inutile, an<strong>che</strong>, a meno<br />
<strong>che</strong> tu non conosca una bambina di dieci anni <strong>che</strong> gli si adatti<br />
perfettamente.» Tirò su col naso e io sentii l'imbarazzo crescere<br />
dentro di me. Sapevo cosa stava per dire e mi sentivo piccolo e<br />
meschino mentre proseguiva.<br />
«Adesso la situazione è questa, mi è stato dato un lavoro da fare<br />
e mi è stato detto di essere implacabile. Non c'è spazio in<br />
quest'operazione per passeggeri in sovrappiù. Se un cavallo non<br />
può lavorare e non può far razza devo liberarmene, mi segui?<br />
Questo significa ucciderlo.» Si raschiò la gola e sputò.<br />
«Non mi piace uccidere i cavalli. Della gente non mi importa, di<br />
solito, ma i cavalli sono importanti. <strong>La</strong> maggior parte di loro vale<br />
più della maggior parte della gente. E in particolare sono contrario a<br />
uccidere i bei cavalli. Quel cavallino non era mio, ma la piccola<br />
Gazza si era innamorata di lui. Come potevo ucciderlo? Così ho dato<br />
la mia giumenta in cambio del piccolo e adesso è mio e nessuno mi<br />
può dire cosa devo farne, e io lo regalo alla piccola Gazza.»<br />
Fu il mio turno di schiarirmi la voce. Mi sentivo stupido e<br />
maldestro. «Perdonami, Vittore» dissi. «Ti ho mal giudicato. Avrei<br />
dovuto immaginare.»<br />
Lui rise. «In <strong>che</strong> modo? Tu non mi conosci affatto, mastro Varro.<br />
Al tuo posto avrei pensato la stessa cosa. Solo non volevo <strong>che</strong> tu<br />
mettessi sottosopra la piccola Gazza.»<br />
«<strong>La</strong> piccola Gazza.» Assaporai quel nome, era perfetto, come il<br />
cavallino, perfettamente adatto alla mia amata figlia, da dove viene<br />
quel nome?»<br />
«Non da me. Così la chiamano i suoi amici, non lo sapevi? È…»<br />
«Perfetto.»<br />
Ridemmo entrambi. «Senti,» gli dissi allora, «lascia almeno <strong>che</strong><br />
ti rimborsi per la tua giumenta. Non è giusto <strong>che</strong> tu debba perdere il
prezzo di acquisto.»<br />
Mi guardò con un'espressione di puro piacere e le sue parole gli<br />
procurarono un terzo amico a villa Britannico.<br />
«Perdere il mio prezzo? Sei cieco, mastro Varro? <strong>La</strong> felicità sulla<br />
faccia di quella bambina mi ha ripagato già dieci volte, e non le ho<br />
ancora dato il cavallo! Non voglio denaro e <strong>che</strong> bisogno ho di un<br />
cavallo? Ne ho centinaia e ne sto allevando altri!» Scosse la testa.<br />
«No, mastro Varro. Tu ti tieni i tuoi soldi e mi lasci fare quello <strong>che</strong><br />
voglio, nel modo migliore <strong>che</strong> posso. Tu ami quella bambina, lo so,<br />
ma anch'io la ritengo qualcosa di speciale. E lei non ha paura di me.<br />
E questo ha un grande valore. Non hai idea di quanta gente pensa<br />
<strong>che</strong> io sia matto o pericoloso.»<br />
Gli tesi la mano. «Bene, qui c'è una persona <strong>che</strong> non lo pensa.<br />
Grazie. D'ora in poi tu mandi avanti le tue scuderie come vuoi e io<br />
mi accontenterò delle tue informazioni. Il mio lavoro è addestrare<br />
gli uomini a montare i tuoi cavalli e quindi insieme possiamo creare<br />
qualcosa di nuovo: gli uomini migliori, montati sui cavalli migliori<br />
<strong>che</strong> si siano mai visti. So <strong>che</strong> tu non mi dirai come fare la mia parte e<br />
così io ti prometto di non interferire nella tua. Siamo d'accordo?»<br />
Eravamo d'accordo.<br />
Poco tempo dopo, mentre tornavo alla villa con Veronica, le<br />
chiesi del suo nuovo nome. Mi vergognavo un po' di non avere<br />
saputo <strong>che</strong> ne avesse uno. Per tutti quegli anni avevo pensato a lei<br />
come a mia figlia, troppo accecato dal mio amore paterno per vedere<br />
<strong>che</strong> era an<strong>che</strong> una persona perfettamente formata con una sua<br />
identità.<br />
«Allora, signorina,» le chiesi, «da quando ti chiami Gazza?»<br />
«Oh, da sempre, papà. Prima ero "<strong>La</strong> Gazza", ma poi sono<br />
diventata semplicemente "Gazza", molto tempo fa.»<br />
«E perché la Gazza?»<br />
«Perché sono nera e bianca e perché mi piace vestirmi di verde e
i miei occhi sono verdi e lucenti, ovviamente! E poi perché ero una<br />
ladra terribile quando ero piccola.»<br />
«Una ladra? E cosa rubavi?»<br />
«Oh, di tutto... o meglio, ogni cosa <strong>che</strong> fosse lucente o lucida e<br />
bella, proprio come una vera gazza. Ma restituivo sempre le cose...<br />
in genere perché dovevo.»<br />
«Capisco. Non sapevo <strong>che</strong> avessimo una ladra in famiglia.»<br />
Lei guardò in su sorridendomi e il mio cuore si sciolse. «Beh,<br />
non una vera ladra. Intendo dire non un rapinatore o un brigante.<br />
Non avrei mai rubato del denaro e le cose <strong>che</strong> prendevo erano solo<br />
in prestito. Sai, quando qualcosa di bello scompariva, tutti sapevano<br />
dove era finito. Non ho mai potuto cavarmela.»<br />
«Hai cercato?»<br />
«Cercato cosa? Di tenermi le cose?» Lei fece una pausa,<br />
aggrottando le sopracciglia. «Intendi dire se ho mai veramente<br />
cercato di rubare qualcosa?» Scosse la testa, allontanando quel<br />
pensiero. «Non credo, non realmente. Forse l'ho fatto quando ero<br />
molto piccola, non ricordo. Ma un giorno la mamma è venuta e ha<br />
preso uno dei miei tesori più amati, il mio pettine più bello, con dei<br />
vetri colorati sul manico. Me lo ha semplicemente preso. Ha detto<br />
<strong>che</strong> lo voleva e <strong>che</strong> se lo teneva. Io ero molto arrabbiata e poi molto<br />
triste. Mi mancava davvero...» <strong>La</strong> sua voce si spense e mi prese la<br />
mano. Mi fece fermare, poi mi fece acquattare in modo da potermi<br />
guardare direttamente negli occhi. «E poi, il giorno dopo, la mamma<br />
mi ha restituito il pettine e mi ha detto <strong>che</strong> quando portavo via una<br />
cosa qualunque a un'altra persona, facevo sentire quella persona<br />
come lei aveva fatto sentire me.» <strong>La</strong> sua espressione era molto<br />
solenne e seria. «Non ho mai più rubato niente, da allora, e per<br />
molto tempo non ho nean<strong>che</strong> preso niente a prestito da nessuno dei<br />
miei amici, nemmeno con il loro permesso.»<br />
Gli strinse la mano, facendo segno <strong>che</strong> voleva continuare a
camminare, e concluse: «Hanno smesso di chiamarmi <strong>La</strong> Gazza. Ma<br />
Gazza non è mai scomparso e ne sono felice, perché mi piace.<br />
Ovviamente solo i miei amici speciali mi chiamano così. Gli altri mi<br />
chiamano Veronica.»<br />
Mi sentii quasi geloso, escluso. «Non lo avevo mai sentito prima<br />
di oggi» dissi. «Suppongo <strong>che</strong> questo significhi <strong>che</strong> non sono<br />
davvero un amico speciale...»<br />
«Oh, papà!» Si fermò e mi guardò con quello <strong>che</strong> avrei definito<br />
all'istante uno sguardo di amorosa esasperazione. «Tu sei mio<br />
padre, per l'amor di Dio! Tu sei il mio amico più speciale, perfino<br />
più di Vittore. Puoi chiamarmi Gazza quando vuoi.»<br />
«Grazie, Gazza» le risposi. Mi sentivo assolutamente euforico.<br />
Dopo due anni trascorsi nel suo nuovo incarico, Vittore era a<br />
capo di un'operazione autonoma il cui solo scopo era quello di<br />
allevare cavalli. Aveva cinque stalloni felici e almeno settanta<br />
giumente in vari stadi di gravidanza, oltre a un notevole numero di<br />
puledri, e aveva già cominciato a operare una selezione per il suo<br />
futuro gruppo di capi da riproduzione. Solo due puledri di quel<br />
primo raccolto, uno per sesso, furono giudicati degni di essere<br />
conservati. Gli altri vennero marchiati come animali da lavoro non<br />
appena furono in grado di camminare. Vittore riteneva <strong>che</strong> entro<br />
dieci anni avrebbe cominciato a produrre cavalli grandi e forti. Entro<br />
vent'anni sarebbe stato in grado di produrne in quantità.<br />
Lui sapeva quello <strong>che</strong> faceva. Noi no, perciò lo lasciavamo fare.<br />
Nel frattempo con gli animali <strong>che</strong> Vittore mi lasciava usare<br />
cominciai a lavorare alle nuove tecni<strong>che</strong> di addestramento e<br />
spiegamento degli uomini a cavallo. Sembrava facile quando ne<br />
parlavamo, ma far sì <strong>che</strong> funzionasse era un'altra cosa.<br />
Avevo già messo insieme un corpo di uomini addestrati a<br />
operare a cavallo, il nucleo centrale della mia nuova forza. Ogni
ecluta era esperta nel volteggiare a cavallo, completamente armata.<br />
Questo avrebbe dovuto essere un vantaggio lo era, ma solo entro<br />
limiti ben precisi. Tutto quello <strong>che</strong> dovevo fare ora era addestrare<br />
quegli uomini, a fondo e in ogni: dettaglio. Dovevo far loro<br />
dimenticare tutto quello <strong>che</strong> ave, vano imparato, tranne come stare a<br />
cavallo una volta <strong>che</strong> ci erano saliti... e an<strong>che</strong> quello, pensavo, era<br />
più facile dirlo <strong>che</strong> farlo.<br />
Gli uomini <strong>che</strong> dovevo riaddestrare erano arcieri, truppe leggere<br />
adatte alle scaramucce. Io dovevo cercare di trasformarli in<br />
cavalleria pesante. Questo significava <strong>che</strong> la leggera corazza di pelle<br />
<strong>che</strong> portavano non era più abbastanza resi, stente per il lavoro <strong>che</strong><br />
avrebbero dovuto fare. Quindi bisognava togliere la corazza leggera<br />
e sostituirla con un elmo regolare di ferro o bronzo, una corazza e un<br />
pesante gonnellino di pelle con borchie di ferro. Si sarebbero trovati<br />
in un combattimento ravvicinato con un nemico appiedato; le loro<br />
parti più vulnerabili, dunque, erano le gambe. Bisognava perciò<br />
sostituire le gambe nude e i sandali leggeri con gambali di metallo e<br />
stivali rinforzati, abbastanza robusti da sopportare un colpo di<br />
spada o d'ascia. Complessivamente avevo aumentato il peso di ogni<br />
uomo di circa trenta libbre.<br />
In aggiunta a tutto quel peso dovevo considerare an<strong>che</strong> gli<br />
scudi; tutti i cavalieri portavano oggetti piccoli e poco consistenti di<br />
cuoio indurito, adatti a deviare una freccia lanciata o una pietra<br />
scagliata, ma di nessuna utilità per fermare un'ascia lanciata con<br />
forza o una freccia o una lancia scagliate da vicino. Così cambiai lo<br />
scudo leggero con uno scudo pesante, pratico, adattato<br />
specificamente per un uomo a cavallo piuttosto <strong>che</strong> per un<br />
legionario appiedato.<br />
Inoltre dovevo tenere presente <strong>che</strong> stavamo cercando di ottenere<br />
cavalli più grossi. Non semplicemente cavalli più alti, ma più grossi.<br />
Espresso nei termini più semplici il problema <strong>che</strong> dovevo<br />
affrontare era il seguente: dovevo prendere degli uomini normali,
abituati al normale compito di salire su un cavallo con un volteggio,<br />
appesantirli con quaranta o cinquanta libbre di peso morto e<br />
chiedere loro di portare quel peso su cavalli <strong>che</strong> erano più grandi e<br />
più grossi di qualunque altro avessero mai contato prima.<br />
E questo era solo l'inizio. Chiedevo loro an<strong>che</strong> di dimenticare<br />
tutti i vantaggi tradizionalmente associati con il montare a cavallo di<br />
un animale veloce, nervoso, in grado di rispondere a un'oscillazione<br />
del corpo o alla pressione di un ginocchio, e di portare<br />
immediatamente il cavaliere lontano dal pericolo. Io chiedevo<br />
invece a ognuno di loro di diventare, consapevolmente e<br />
individualmente, un mattone immobile, un'unità non manovrabile<br />
all'interno di un solido muro di carne equina vivente. Chiedevo a<br />
ognuno di loro di avanzare, girare, cambiare direzione e in generale<br />
di agire come una parte inanimata di un unico meccanismo<br />
compatto. Un'unità vivente. Non uomini, bensì un muro di cavalieri.<br />
Questo significava <strong>che</strong> in ultima analisi se Caio Britannico o Publio<br />
Varro fossero stati ammazzati da una freccia ben tirata o fortunata,<br />
essi sarebbero morti, ma il loro cavallo avrebbe continuato ad avere<br />
la sua funzione come parte di una forza d'urto, mantenuto in<br />
posizione dai suoi vicini su entrambi i lati. Molti dei miei uomini<br />
trovavano questo pensiero agghiacciante e innaturale. Ai loro occhi i<br />
cavalieri erano improvvisamente diventati materiale di scarto, e il<br />
cavallo era .diventato la sola cosa importante.<br />
Questo ovviamente era assurdo. Ma almeno all'inizio la<br />
vedevano così, e io dovevo lottare contro questa loro percezione.<br />
Perseverai, comunque, e presto scoprii <strong>che</strong> alcuni uomini<br />
mostravano, durante l'addestramento, chiare capacità di comando<br />
nelle nuove tecni<strong>che</strong>. Quando ne scoprivo uno lo promuovevo sul<br />
posto, istituendo in questo modo, an<strong>che</strong> se dapprima non me ne resi<br />
conto, una nuova gerarchia di capi, ufficiali di cavalleria.<br />
Nulla <strong>che</strong> cambi l'ordine delle cose radicalmente come<br />
volevamo fare noi può realizzarsi di colpo. Il processo <strong>che</strong> descrivo
qui in po<strong>che</strong> parole richiese anni per giungere a compimento. <strong>La</strong> vita<br />
nella nostra piccola Colonia fluì in genere tranquillamente in quegli<br />
anni, e solo occasionalmente le lotte del mondo esterno penetravano<br />
a turbare la nostra pace sotto forma di notizie su quello <strong>che</strong> accadeva<br />
nel resto del mondo, riportate da Alarico o da un prete <strong>che</strong> veniva a<br />
farei visita. In questo modo venimmo a sapere della morte di<br />
Valentiniano e della ribellione di Eugenio, un altro aspirante<br />
imperatore uscito dai ranghi dell'esercito per sfidare Teodosio. Ma<br />
questi aveva dalla sua Stilicone, abilmente assistito dal nostro Pico<br />
Britannico, ed Eugenio fu sconfitto da un potente esercito<br />
radunatosi in Occidente.<br />
Poi, due anni dopo, arrivò la notizia <strong>che</strong> ci stupì tutti e,<br />
logicamente, la ricevemmo da Pico, le cui lettere ora arrivavano<br />
regolarmente.<br />
«Padre, i miei saluti.<br />
Questa lettera ti giungerà spero prima delle notizie <strong>che</strong> contiene.<br />
Sono stato coinvolto in quella <strong>che</strong> da alcuni è stata definita una<br />
guerra civile tra i due più forti e abili uomini dell'Impero e le<br />
informazioni <strong>che</strong> devo darti in questa lettera ti stupiranno e ti<br />
turberanno, non ne dubito. Teodosio è morto. È morto stanotte,<br />
meno di un'ora fa e la sua morte ha gettato l'Impero in uno scisma<br />
<strong>che</strong> farà tremare il mondo.<br />
Non l'ho detto in nessuna mia lettera precedente, ma la<br />
meteorica carriera di Flavio Stilicone è stata influenzata,<br />
condizionata e stranamente accompagnata parallelamente, an<strong>che</strong> se<br />
in dimensioni molto inferiori a mio giudizio, da un altro Flavio, un<br />
certo Flavio Rufino, di cui sono certo <strong>che</strong> non avrai mai sentito<br />
parlare. Flavio Stilicone e Flavio Rufino sono stati rivali da quando il<br />
giovane Stilicone ha fatto i suoi primi passi verso una posizione di<br />
preminenza. Fino ad allora Flavio Rufino aveva goduto dell'intero,<br />
incontrastato favore imperiale. Rufino definì immediatamente
Stilicone un rivale e da allora fece tutto quello <strong>che</strong> era in suo potere,<br />
tranne dichiarare apertamente la sua ostilità, per contrastare il suo<br />
avanzamento. Di recente, però, solo pochi mesi fa, tutto è cambiato.<br />
<strong>La</strong> rivalità tra i due è diventata aperta animosità e diretta inimicizia<br />
e Teodosio, da astuto e abile manipolatore qua! era, ha sfruttato<br />
questa situazione per il suo unico vantaggio. Tutto ciò è giunto al<br />
culmine in un proclama imperiale - sei giorni fa, dal giorno in cui ti<br />
scrivo questa lettera - <strong>che</strong> è esploso nel mondo della corte romana<br />
come un tuono.<br />
Essendo tuo figlio so <strong>che</strong> mi perdonerai, malgrado la tua<br />
impazienza e la tua curiosità, se gioco a fare l'oratore e differisco<br />
l'annuncio del contenuto di questo proclama a più tardi. È più<br />
importante, credimi, <strong>che</strong> tu capisca prima il retroscena dell'antipatia<br />
tra i due Flavi.<br />
Essi sono diametralmente opposti in quasi ogni aspetto della<br />
loro personalità e alcuni sostengono <strong>che</strong> Flavio Rufino è il migliore<br />
dei due. Io non sono d'accordo con questa opinione, né potrei<br />
esserlo, neppure se conoscessi Stilicone solo di fama. Mentre<br />
Stilicone afferra qualunque concetto nuovo o estraneo quasi prima<br />
<strong>che</strong> esso venga espresso ed è subito pronto ad agire di conseguenza,<br />
Rufino deve faticare a lungo e duramente per definirlo e assimilarlo.<br />
Una volta completato questo esercizio, però, Rufino agisce in ogni<br />
cosa altrettanto fermamente e decisamente di Stilicone... solo <strong>che</strong> ha<br />
lasciato passare più tempo. Entrambi sono per natura capi di<br />
immensa abilità e ognuno di loro è idolatrato dalle truppe <strong>che</strong><br />
comanda; ma mentre Stilicone è sagace, ponderato, logico e<br />
coscienzioso nel suo modo di trattare con tutti, indipendentemente<br />
dal rango, Rufino è emozionale, precipitato, illogico e impulsivo.<br />
Tutte le altre differenze sono insignificanti, tranne il fatto <strong>che</strong> Flavio<br />
Stilicone possiede un profondo e costante senso della giustizia e<br />
un'umanità innati, attributi <strong>che</strong> semplicemente non esistono in<br />
Flavio Rufino.
E quest'ultima sostanziale differenza <strong>che</strong> ha causato la rottura<br />
aperta tra i due e an<strong>che</strong> se i dettagli della scintilla <strong>che</strong> ha causato la<br />
conflagrazione variano radicalmente a seconda della fonte, esiste<br />
una sufficiente convergenza tra le due storie da renderne chiaro e<br />
comprensibile lo svolgimento.<br />
Flavio Stilicone, come sai, è vandalo di nascita: suo padre è un<br />
capitano dei mercenari vandali e sua madre una donna romana di<br />
discendenza impeccabile. Flavio Rufino è un gallo, Proveniente<br />
dagli antichi territori noti come Gallia Cisalpina.<br />
Stilicone ha assorbito le prime conoscenze militari da suo padre<br />
e ha cominciato la sua carriera, per un periodo di tempo molto<br />
breve, come tribuno militare. Rufino è entrato da ragazzo nei<br />
Pretoriani, quando Stilicone era ancora bambino e ha percorso<br />
inarrestabile la sua strada fino a diventare il prefetto pretoriano<br />
nell'Illirico, sull'Adriatico settentrionale. Le eccezionali abilità di<br />
entrambi li hanno portati ben presto all'attenzione di Teodosio... nel<br />
caso di Rufino molto prima <strong>che</strong> Teodosio diventasse imperatore.<br />
Si dice <strong>che</strong>, circa un anno fa, Rufino sia venuto a sapere <strong>che</strong> una<br />
guarnigione di mercenari, a quanto pare nella sua giurisdizione<br />
territoriale, si era ammutinata e <strong>che</strong> teneva in mano la città, in aperta<br />
rivolta contro l'Impero. <strong>La</strong> stessa storia arrivò an<strong>che</strong>, più di un mese<br />
dopo, all'attenzione di Flavio Stilicone, ma la versione di Stilicone -<br />
<strong>che</strong> io ho letto - conteneva differenze significative rispetto alla<br />
versione riportata da Rufino. Nel dispaccio mandato personalmente<br />
a Stilicone da parte dell'ufficiale pagatore del distretto (a proposito,<br />
il fatto è avvenuto nelle zone di confine dell'Illirico, infestate da<br />
banditi), lo si informava <strong>che</strong> una guarnigione locale, sostenuta da<br />
una legione dello stesso Stilicone, era in servizio senza paga da oltre<br />
due anni. In tre diverse occasioni i convogli dell'ufficiale pagatore,<br />
ognuno sotto una scorta più numerosa del precedente, erano stati<br />
presi in un agguato e distrutti prima di poter raggiungere la<br />
guarnigione. Alla fine i mercenari avevano annunciato alle autorità
locali <strong>che</strong>, fino a quando non fossero stati interamente pagati, non<br />
avrebbero più prestato servizio e non avrebbero permesso alle merci<br />
di lasciare la regione. Stilicone agì rapidamente, ordinando<br />
all'ufficiale pagatore di risolvere la situazione a qualunque costo e di<br />
pagare la guarnigione. Ma, ahimè, era troppo tardi.<br />
<strong>La</strong> guarnigione, mercenaria come ho detto, era costituita da<br />
vandali e il significato di ciò non sfuggì a Flavio Rufino. Assediò la<br />
città, ne prese possesso e massacrò immediatamente l'intera<br />
guarnigione e la popolazione, dopo di <strong>che</strong> rase al suolo la città, come<br />
esempio, disse, per tutti i potenziali ammutinamenti e per i loro<br />
eventuali sostenitori. Apparentemente incapace di lasciar passare<br />
l'occasione di umiliare il suo rivale, portò egli stesso la notizia a<br />
Costantinopoli diversi mesi dopo.<br />
Io ero presente nella sala delle udienze con Stilicone, quando<br />
Rufino riferì le sue azioni all'imperatore, e nessuno di noi due ne<br />
aveva ancora avuto notizia. Padre, non immagini la furia di<br />
Stilicone. Non lo avrei mai creduto capace di una simile intensità di<br />
sentimenti, irruenti e incontrollati, eppure pensavo di conoscerlo<br />
bene. Fu necessario bloccarlo fisicamente per impedirgli di attaccare<br />
Rufino alla presenza dello stesso imperatore! E an<strong>che</strong> così<br />
trattenuto, affrontando la collera di Teodosio e il suo appoggio a<br />
Flavio Rufino, e pur sapendo di mettere a rischio la propria vita,<br />
Stilicone disse a Rufino <strong>che</strong> era indegno di vivere e di definirsi un<br />
soldato, lo avvertì <strong>che</strong> quando fosse morto, sarebbe stato per mano<br />
sua, qualunque cosa o persona ne fosse lo strumento.<br />
Ovviamente, come puoi immaginare, l'imperatore redarguì<br />
aspramente Stilicone, ma an<strong>che</strong> un cieco avrebbe potuto vedere <strong>che</strong><br />
Teodosio godeva di quello scontro. Li ammonì severamente a<br />
rimanere lontani uno dall'altro, sotto pena del suo dispiacere, e<br />
terminò l'udienza con una moderata critica a Rufino per le atrocità<br />
<strong>che</strong> avevano fatto infuriare Stilicone.<br />
Poi, sei giorni fa, Sua Astuzia Imperiale emise un proclama.
Teodosio non si sentiva bene da mesi, an<strong>che</strong> se questo era stato<br />
tenuto segreto, e non era più un giovanotto, ma era abile e astuto.<br />
Annunciava la sua parziale abdicazione a favore dei suoi due figli<br />
gemelli, Onorio e Arcadie. I ragazzi sono solo dei bambini,<br />
ovviamente, troppo giovani per governare. Perciò, per il bene<br />
supremo dell'Impero, Teodosio decretò <strong>che</strong> ognuno dei gemelli<br />
avrebbe regnato, alla sua morte, su metà dell'Impero, Onorio da<br />
Roma sulla metà occidentale, e Arcadio da Costantinopoli sulla<br />
metà orientale. Durante la loro minore età i due ragazzi e le due<br />
metà dell'Impero sarebbero state governate da due reggenti: Flavio<br />
Stilicone con Onorio a Roma e Flavio Rufino con Arcadio a<br />
Costantinopoli! Nel frattempo, fino a quando Stilicone e Rufino non<br />
fossero diventati esperti negli affari di governo, Teodosio avrebbe<br />
continuato a reggere l'Impero.<br />
Che mente, padre! Con un solo colpo Teodosio aveva preservato<br />
la successione dei suoi figli e raddoppiato le possibilità di<br />
sopravvivenza dell'Impero in caso di un'invasione, an<strong>che</strong> se gli<br />
indovini subito cominciarono a predire lamentosamente la fine<br />
dell'Impero, come se potessero saperlo. Né Stilicone, né Rufino<br />
rimarranno passivi sotto l'usbergo dei loro incarichi, e ognuno di<br />
loro controllerà l'altro con la massima attenzione. L'Impero è in<br />
mani forti, ma nemi<strong>che</strong>. Ovviamente Teodosio non pensava di<br />
morire così in fretta. Ma è morto e ora noi dobbiamo vivere con le<br />
conseguenze della sua trama.<br />
Vorrei poter ricevere delle lettere di risposta, ma devo chiederti<br />
di non scrivermi o pregarti di non dire nelle tue lettere niente <strong>che</strong><br />
possa essere interpretato come tradimento o ribellione. <strong>La</strong> sicurezza<br />
di cui godo nello scrivere è ora garantita in un solo senso.<br />
Qualunque cosa arrivi a me è sottoposta all'esame dei nemici di<br />
Stilicone e dell'Impero d'Occidente.<br />
Addio, scriverò presto di nuovo. Pico.»
X.<br />
Stupefatti per le ultime notizie ricevute da Pico, accelerammo la<br />
nostra preparazione, disponendoci a grandi eventi. Ma niente<br />
accadde. <strong>La</strong> vita nella nostra Colonia isolata proseguì al suo ritmo<br />
tranquillo e io continuai a lavorare pazientemente e<br />
coscienziosamente con il mio novello esercito. Per l’estate seguente,<br />
nel 394, le parole di Pico ci furono chiare in tutta la loro gravità.<br />
Giunse voce dal regno di Ullic <strong>che</strong> i pirati stavano sbardo in forze<br />
lungo la sponda meridionale dell'estuario, a nord rispetto a noi, e<br />
ricevemmo tre separate delegazioni città e villaggi a sud e a ovest<br />
<strong>che</strong> chiedevano il nostro aiuto per difendere le loro terre dai<br />
razziatori sassoni e franchi e scendevano lungo la costa come sciami<br />
di mos<strong>che</strong>. Sapevo an<strong>che</strong> da fonti sicure, il vescovo Alarico e i suoi<br />
preti, e squadre di razziatori sassoni avevano svernato gli ultimi due<br />
anni nelle zone costiere sudorientali, senza nemmeno tornare in<br />
patria e cogliendo così il vantaggio dei mesi primaverili per razziare<br />
e sac<strong>che</strong>ggiare approfittando della scarsità di guarnigioni militari.<br />
<strong>La</strong> situazione si deteriorava rapidamente e noi eravamo la sola oasi<br />
di resistenza organizzata in tutto il sud-ovest della Britannia.<br />
Ironicamente la nostra maggiore difficoltà consisteva ora nel<br />
mantenere un ruolo difensivo. <strong>La</strong> tentazione di andare in guerra era<br />
molto forte; anch'io fremevo, con la mia testa calda. Solo<br />
l'equilibrato ragionare di Caio Britannico ci tenne a freno. Sua era la<br />
voce <strong>che</strong> continuava a ricordarci quali erano i primi scopi della<br />
Colonia: autosufficienza e sopravvivenza.<br />
Malgrado ciò, appena era possibile mandavamo delle forze per<br />
aiutare i nostri vicini e fu questo atteggiamento di buon vicinato <strong>che</strong><br />
ci portò alla fine sotto gli occhi delle autorità militari.<br />
Sapevamo fin dall'inizio <strong>che</strong> mantenendo una forza militare<br />
privata (an<strong>che</strong> se noi la definivamo paramilitare) ci mettevamo fuori
dalla legge. A termine di legge tutti gli uomini abili dell'Impero<br />
erano automaticamente soldati e dovevano la loro lealtà<br />
all'imperatore. Il fatto <strong>che</strong> potessero esserci tre o an<strong>che</strong> quattro<br />
imperatori alla volta era ininfluente e non aveva importanza di<br />
fronte alla legge. Ne conseguiva, perciò, <strong>che</strong> qualunque privato<br />
cittadino equipaggiasse o mantenesse una banda armata di soldati,<br />
an<strong>che</strong> se erano privati dipendenti, stava, ipso facto, usurpando la<br />
lealtà di quegli uomini dovuta solo all'imperatore. Stava privando<br />
l'Impero di truppe.<br />
Il ricco aveva, ovviamente, mantenuto per secoli delle "forze di<br />
sicurezza" private. Questo era un fatto noto e accettato. Nello spazio<br />
di pochi anni, però, nella nostra piccola, tranquilla Colonia avevamo<br />
radunato e addestrato, equipaggiato e rifornito un vero e proprio<br />
esercito di quasi mille uomini. Tre cose ci avevano permesso di farlo<br />
in tutta sicurezza. <strong>La</strong> prima, ovviamente, era <strong>che</strong> i nostri piani<br />
originari erano stati studiati con la piena conoscenza e il supporto di<br />
molti ufficiali anziani dell'esercito in Britannia. <strong>La</strong> seconda era<br />
legata direttamente alla prima ed era perfettamente compresa da<br />
tutti gli interessati: il nostro "esercito" veniva preparato secondo un<br />
piano: non doveva essere mobilitato o diventare reale se non dopo<br />
<strong>che</strong> le legioni regolari fossero state ritirate dalla Britannia, se una<br />
simile catastrofe fosse mai accaduta. <strong>La</strong> terza cosa <strong>che</strong> ci aveva<br />
protetto per anni era stata il nostro isolamento. Eravamo al di fuori<br />
delle strade battute e nei primi anni, soprattutto, ci eravamo dati<br />
molta pena per mantenere il segreto e la sicurezza.<br />
Con il passare degli anni, però, le circostanze erano cambiate.<br />
<strong>La</strong>voravamo sodo con le nostre reclute e il loro addestramento<br />
richiedeva <strong>che</strong> fossero in uniforme, per dare loro il necessario senso<br />
di appartenenza a un'unità militare. Poi, come gesto diplomatico per<br />
far cosa gradita al nostro valido aliato nel nord-ovest, re Ullic<br />
Pendragon, Britannico aveva cambiato il colore delle uniformi da<br />
quello della lana naturale a un rosso militare, rendendo così i nostri<br />
uomini molto più vistosi di prima. <strong>La</strong> loro appariscenza divenne
ancora più pronunciata quando le autorità militari cominciarono a<br />
portare via le guarnigioni dai forti occidentali per concentrarli nella<br />
zona sudorientale della Costa Sassone, nell'area a sud del Vallo nel<br />
nord della Britannia e intorno a Londinium, <strong>che</strong> era stata per anni il<br />
centro amministrativo della regione chiamata Britannia<br />
Meridionale. <strong>La</strong> rimozione di queste guarnigioni portò a un<br />
aumento delle razzie e ci costrinse a una difesa sempre più aperta,<br />
aumentando il rischio di essere notati ufficialmente. Prima o poi<br />
doveva accadere. Accadde nel 396.<br />
Un attento giovane ufficiale di stanza a Londinium aveva sentito<br />
parlare delle nostre imprese, e vide in esse un'opportunità per<br />
impressionare i superiori con la sua efficienza. Preparò un rapporto<br />
su «un gruppo ribelle di banditi e disertori nell'Ovest, <strong>che</strong> opera a<br />
sud di Glevum». Grazie a Plauto, <strong>che</strong> al momento era in servizio e<br />
aveva visto il documento, noi ricevemmo quel rapporto quasi prima<br />
dei suoi superiori. Una piccola spedizione venne distaccata da una<br />
guarnigione della Cambria per investigare su quel rapporto e non<br />
trovò traccia di banditi organizzati a sud di Glevum.<br />
Fu semplice sfortuna <strong>che</strong> il giovane ufficiale al comando di<br />
quella spedizione si trovasse a cenare con un magistrato a Glevum.<br />
Nel corso di quella cena raccolse informazioni precise su di noi e<br />
sulla nostra attività e incluse quelle informazioni nel rapporto ai<br />
suoi superiori di Londinium. Questa volta ricevemmo<br />
l'informazione prima ancora <strong>che</strong> la missiva partisse. Uno dei preti di<br />
Alarico ci avvertì, direttamente per mano dell'impiegato <strong>che</strong> aveva<br />
steso il rapporto. In esso il giovane tribuno diceva <strong>che</strong> aveva «ogni<br />
motivo di credere <strong>che</strong> le dicerie su banditi organizzati <strong>che</strong><br />
operavano a sud olì Glevum fossero in realtà riferimenti a una<br />
comunità di civili <strong>che</strong> vivevano a sud di Aquae Sulis, dove si erano<br />
organizzati secondo direttive quasi militari per difendere se stessi e<br />
le loro famiglie dai razziatori Iberni». Proseguiva dicendo <strong>che</strong><br />
nessuno sosteneva <strong>che</strong> quella gente fosse coinvolta in attività<br />
illegali, se si escludeva l'illegalità connessa al fatto di impugnare
armi in modo quasi organizzato. Diceva <strong>che</strong> non era riuscito a<br />
ottenere chiare indicazioni sulla forza numerica di quelle persone,<br />
ma aveva sentito stime <strong>che</strong> andavano da cento fino a diverse<br />
migliaia di uomini. <strong>La</strong> sua opinione personale era <strong>che</strong> già la cifra di<br />
un centinaio fosse notevolmente esagerata. Raccomandava però di<br />
investigare, nell'interesse del Senato e del popolo romano, sui<br />
cittadini residenti in quella regione, al di fuori della sua immediata<br />
giurisdizione.<br />
Nell'insieme era un rapporto eccellente, presentato da un uomo<br />
di insolite qualità per quell'epoca, perché era un ufficiale<br />
dell'esercito e, contemporaneamente, era preciso, onesto e<br />
coscienzioso nello svolgimento del suo dovere. <strong>La</strong> notizia del suo<br />
rapporto colpì la Colonia come la mia pietra celeste doveva aver<br />
colpito il suolo. Britannico convocò immediatamente una riunione<br />
di emergenza del Consiglio, e fu una riunione tempestosa.<br />
Caio aveva una convinzione molto forte, e stranamente poco<br />
conforme al suo carattere, alla quale si atteneva durante le riunioni<br />
del Consiglio, e sorprendentemente non la tradiva mai. Credeva in<br />
modo assoluto nella necessità di lasciare <strong>che</strong> il Consiglio risolvesse<br />
da solo i suoi problemi. Lui restava seduto e in genere si estraniava<br />
dal dibattito, interferendo solo quando era necessario per amore<br />
dell'ordine. Sosteneva <strong>che</strong>, qualunque fosse il problema in<br />
discussione, i membri del Consiglio avevano la capacità di<br />
risolverlo. <strong>La</strong> decisione finale del Consiglio non partiva mai da lui;<br />
era lui però <strong>che</strong> sceglieva i membri del Consiglio, e provava un<br />
piacere quasi spudorato nel coordinare le loro separate abilità<br />
affinché lavorassero insieme per il bene della Colonia. Una sola<br />
regola governava quelle sessioni, e stabiliva <strong>che</strong> nessuno poteva<br />
lasciare la riunione se il problema in esame non era stato risolto con<br />
soddisfazione di due terzi più uno dei membri presenti.<br />
<strong>La</strong> sessione <strong>che</strong> affrontava il rapporto del tribuno fu la più lunga<br />
a cui presi parte e durò dieci ore.
In quell'occasione le parole di buon senso e risoluzione vennero<br />
da Vegezio Sulla, il figlio maggiore di Tarpone Sulla, <strong>che</strong> era morto<br />
diversi anni prima. Vegezio era un uomo di circa quarantotto anni, e<br />
aveva servito per venticinque anni nelle legioni in Gallia, in Africa e<br />
alla frontiera con la Germania. Era un uomo di po<strong>che</strong> parole e di<br />
grande esperienza <strong>che</strong> parlava raramente al Consiglio, ma quando<br />
lo faceva veniva sempre ascoltato. <strong>La</strong> discussione durava da ore,<br />
degenerando a volte quasi in uno scontro. Gli animi erano molto<br />
eccitati e nella sala conciliare regnava una totale confusione. In più<br />
di sei ore non era stato fatto nessun progresso.<br />
Vegezio si alzò, si diresse verso il posto vuoto in un angolo della<br />
stanza e si mise a frugare nella borsa di pelle <strong>che</strong> teneva appesa al<br />
fianco; lo guardai, incuriosito, e lo vidi estrarne una pietra attaccata<br />
a una corda. Sciolse i nodi formatisi nella corda e poi, tenendo<br />
l'estremità della corda nella destra, cominciò a far ruotare la pietra<br />
sopra la testa. Quando la pietra prese velocità cominciò a produrre<br />
un suono melodioso e sibilante <strong>che</strong> crebbe fino a diventare uno<br />
strido acuto e lamentoso <strong>che</strong> rompeva i timpani.<br />
Ogni rumore nella stanza cessò, e tutti si girarono stupefatti a<br />
guardarlo a bocca aperta; allora abbassò il braccio e con un<br />
rumoroso schiocco fermò la pietra roteante nel palmo della mano<br />
sinistra. Mi scopersi a sogghignare, con un sorriso <strong>che</strong> andava da un<br />
orecchio all'altro, an<strong>che</strong> se non avevo idea di <strong>che</strong> cosa volesse fare. Il<br />
silenzio nella stanza era impressionante.<br />
Vegezio guardò intorno a sé i volti <strong>che</strong> lo fissavano e aprì la<br />
mano sinistra lasciando <strong>che</strong> la pietra cadesse a ciondolare<br />
all'estremità della corda.<br />
«L'ho presa quando ero in servizio in Germania» disse. «Le<br />
fanno i barbari oltre le frontiere. I bambini le usano come giocattoli.<br />
Di notte si sente spesso il rumore incessante di sei o sette di queste, e<br />
mette paura. Ma è inoffensiva.» Ricominciò a farla roteare, sempre<br />
più forte, finché qualcuno si tappò le orecchie con le mani. Poi lasciò
andare la pietra, <strong>che</strong> volò attraverso la stanza e ruppe il vaso <strong>che</strong> si<br />
trovava sul tavolo vicino al muro. Nel silenzio stupefatto i<br />
frammenti del vaso caddero come gocce di pioggia. Vegezio riprese<br />
a parlare.<br />
«Sembra inoffensiva, in realtà uccide. Quando è stata l'ultima<br />
volta <strong>che</strong> avete visto le nostre navi da guerra?» Nessuno gli rispose e<br />
lui continuò. «Sono azzurre, sapete. E azzurre sono an<strong>che</strong> le<br />
uniformi dell'equipaggio. Con una certa luce non si riesce a vederle.<br />
Ma ci sono, credetemi, in piena vista ed estremamente pericolose.»<br />
«Vegezio,» disse gentilmente Britannico, «credo <strong>che</strong> tu abbia<br />
qualcosa da dire. Se ci sediamo tutti ce lo spiegherai?»<br />
Vegezio sorrise. «Ne sarò lieto» disse. Ci sedemmo. Sempre<br />
sorridendo, Vegezio attraversò la stanza e raccolse il suo missile.<br />
Fece una pausa e si guardò intorno prima di parlare.<br />
«Abbiamo un problema. Per la precisione ne abbiamo parecchi.<br />
Abbiamo un esercito <strong>che</strong> non avremmo dovuto radunare né<br />
addestrare; uniformi <strong>che</strong> non dovrebbe portare; fortificazioni <strong>che</strong><br />
non dovrebbero esistere; una cavalleria <strong>che</strong> non dovremmo<br />
possedere; e una spedizione militare in cammino dall'Est per<br />
scoprire chi siamo e <strong>che</strong> cosa abbiamo.» Adesso il silenzio era<br />
assoluto.<br />
«Il mio suggerimento è questo. Le cose non sono sempre quello<br />
<strong>che</strong> sembrano. Dovremmo approfittare del tempo <strong>che</strong> ci rimane<br />
prima dell'arrivo dei nostri visitatori per far vedere loro quello <strong>che</strong><br />
abbiamo e lasciare <strong>che</strong> vedano da soli <strong>che</strong> cosa non abbiamo.»<br />
Questo discorso provocò un vero e proprio tumulto. Alcuni<br />
pensarono <strong>che</strong> avesse perso la ragione, perché non c'era logica<br />
apparente nelle sue affermazioni. Poi qualcuno gli chiese <strong>che</strong> cosa<br />
proponeva di fare.<br />
«Semplice» rispose Vegezio. «Cominciamo con la cosa più<br />
semplice. Congediamo il nostro esercito. Mandiamolo via.»
«Mille uomini?» <strong>La</strong> domanda dell'assemblea fece sembrare<br />
l'idea ridicola, ma Vegezio si lanciò alla sua difesa.<br />
«Perché no? Se li mandiamo via adesso, le tracce della loro<br />
presenza qui saranno sparite quando i nostri visitatori arderanno.»<br />
«Ma dove potremmo mandare un migliaio di uomini?» volle<br />
sapere un altro.<br />
«Ovunque, amico! Ma non in grandi gruppi. Li sparpaglieremo,<br />
li manderemo fuori per esercitazioni. Ullic potrebbe aver bisogno di<br />
un gruppo sulle sue colline contro gli Iberni per un mese. Duecento<br />
o trecento, immagino. Altri duecento potrebbero disperdersi nelle<br />
brughiere verso sud-ovest. Altri cento nelle pianure intorno a<br />
Stonehenge.»<br />
«Sono solo cinquecento o seicento. E gli altri?» Tutti facevano<br />
domande adesso.<br />
Vegezio scosse la testa disgustato. «Quanti di loro vivono<br />
davvero qui? Nelle fattorie e nelle case? Cento? Duecento? Sono<br />
meno di due uomini per miglio quadrato nella Colonia. E con ciò?!<br />
Saremo ben forniti di personale! Se staremo attenti a dissimulare, a<br />
essere invisibili, potremo lasciarne altri quattrocento in piena vista.»<br />
Caio intervenne. «Rimangono ancora cento uomini e una<br />
fortificazione ben visibile sulla collina.»<br />
Vegezio ridacchiò. «Sì, Caio, è così, per ora. Ma non dimenticare<br />
le galere da guerra.»<br />
«Perdonami, Vegezio, ma non so cosa vuoi dire.»<br />
«Voglio dire <strong>che</strong> se lo facciamo bene possiamo nasconderla.»<br />
«Nasconderla?» <strong>La</strong> voce di Britannico era stupefatta.<br />
«Nascondere la fortificazione?»<br />
«Perché no? Se la marina può nascondere una flotta di galere in<br />
piena vista, perché un esercito non potrebbe nascondere un forte?»<br />
«Dio dei cieli!» disse Britannico. «E come si può fare?»
Vegezio guardò Britannico, ma sembrò non vederlo, aveva la<br />
fronte corrugata nella riflessione, gli occhi guardavano lontano da<br />
quella stanza. «Ho un'idea, Caio, <strong>che</strong> funzionerà, so <strong>che</strong> funzionerà,<br />
se solo riesco a trovare la chiave giusta. Non è difficile. Richiede solo<br />
immaginazione, convinzione e fortuna.» <strong>La</strong> voce si affievolì nel<br />
nulla e Vegezio si grattò il mento con un polpastrello. Tutti gli<br />
uomini presenti nella sala osservarono quel gesto, in attesa <strong>che</strong> lui<br />
continuasse. «Una volta abbiamo nascosto un'intera legione in<br />
Gallia, in pieno giorno, e un esercito è passato a un quarto di miglio<br />
da noi e non ci ha visto.» <strong>La</strong> voce si spense di nuovo per alcuni<br />
istanti, prima <strong>che</strong> Vegezio scuotesse la testa bruscamente.<br />
«No. Non funzionerebbe. Abbiamo usato delle reti con rametti e<br />
rami intrecciati nelle maglie. Quelle mura sono troppo alte e sono in<br />
cima a una collina... Caio, si vedono le mura e le fortificazioni da<br />
dietro la collina?»<br />
Caio scosse la testa. «Non ne ho idea. Non credo di essere mai<br />
stato dietro quella collina. Perché? È importante?»<br />
«Potrebbe esserlo. Qualcuno lo sa?»<br />
«Sì, io.» Era Terra <strong>che</strong> parlava. «Firma e io stavamo cacciando da<br />
quelle parti circa un mese fa e lui ha notato <strong>che</strong>, dal fondo della<br />
valle, da quella parte non si vede nessuna traccia di una costruzione<br />
sulla collina. Abbiamo parlato di come sarebbe stato difficile salire o<br />
scendere quel lato della collina. Vero Firma?» Il fratello annuì.<br />
«Bene.» Vegezio era soddisfatto. Aprì la borsa e ci buttò la pietra<br />
sibilante e poi attraversò di nuovo la sala verso il tavolo su cui si<br />
trovava il vaso andato in frantumi. Sul tavolo era appoggiato un<br />
codice, le cui pagine erano coperte di frammenti di ceramica. Li<br />
spazzò via con la mano e rimase a guardare il libro, voltando le<br />
spalle alla sala. Tutto nel suo atteggiamento indicava <strong>che</strong> era<br />
immerso nei suoi pensieri. Alla fine girò la faccia verso il Consiglio<br />
riunito e si appoggiò con le nati<strong>che</strong> al bordo del tavolo.<br />
«Padre Andros è alla villa oggi?»
«C'era, prima» risposi io. «Ho parlato con lui proprio prima di<br />
venire qui, ma è stato diverse ore fa.» Mi chiesi <strong>che</strong> cosa avesse in<br />
mente. Con una pergamena e un bastoncino di carbone Andros<br />
riusciva a fare cose <strong>che</strong> sapevano di magia.<br />
«Bene, comunque non è lontano. Caio Britannico, ho una<br />
proposta da fare a te e al Consiglio. Se l'accettate, creerete un<br />
precedente. Non lo suggerisco alla leggera. Siamo di fronte a una<br />
crisi di importanza particolare. Il fatto <strong>che</strong> questo Consiglio sia in<br />
riunione da... da quanto? da sette ore? senza polvere niente serve<br />
solo a indicare la gravità della situatone.<br />
Io ho un'idea e credo <strong>che</strong> possa funzionare. Ma ho bisogno di un<br />
po' di tempo da solo e dell'aiuto di padre Andros per definirne<br />
alcuni aspetti. Perciò suggerisco <strong>che</strong> si aggiorni il Consiglio per,<br />
diciamo, due ore. Garantisco <strong>che</strong> tra due ore potremo ritrovarci con<br />
una ragionevole possibilità di ratificare i miei piani.»<br />
Si creò un'atmosfera improvvisa di disagio quando gli altri venti<br />
uomini nella sala presero atto della sua proposta, e alla fine gli occhi<br />
di tutti si volsero verso Britannico. Non c'era mai stata tanta quiete<br />
nella sala del Consiglio.<br />
Caio si schiarì la voce e si rivolse a tutti i presenti. «Quello <strong>che</strong><br />
Vegezio dice è vero. Accettare il suo suggerimento creerebbe un<br />
precedente <strong>che</strong> potrebbe diventare pericoloso. Dobbiamo chiedere a<br />
noi stessi di violare la regola <strong>che</strong> governa la partecipazione a questo<br />
Consiglio. Fin dal principio abbiamo stabilito <strong>che</strong> nessuno potesse<br />
lasciare una riunione del Consiglio prima <strong>che</strong> tutte le questioni a<br />
esso sottoposte fossero state affrontate e risolte. Questo ci ha<br />
permesso di evitare con successo il pericolo della procrastinazione.<br />
Con successo e finora in modo efficace. Dobbiamo osare fare<br />
diversamente adesso?<br />
D'altra parte...» fece una pausa, analizzando i suoi pensieri,<br />
«d'altra parte, quello <strong>che</strong> Vegezio propone non è la completa<br />
negazione del principio <strong>che</strong> governa questa regola. Sta solo
chiedendo più tempo e più intimità per alimentare e sviluppare<br />
un'idea <strong>che</strong>, qualunque sia la sua sostanza, è assolutamente<br />
pertinente con il problema <strong>che</strong> affrontiamo oggi. Non sta chiedendo<br />
un aggiornamento a domani, ma solo un momento per pensare.<br />
Tutti noi siamo stati incapaci, in sette ore, di esprimere un'idea. Non<br />
siamo semplicemente privi di idee: prima <strong>che</strong> Vegezio lo formulasse<br />
in modo così sintetico, non eravamo neppure arrivati alla<br />
definizione del problema. Vegezio Sulla è andato più avanti di noi<br />
nel definire, capire e, spero, risolvere questo problema. Quello <strong>che</strong> ci<br />
sta dicendo è <strong>che</strong> tutte le nostre discussioni gli impediscono di<br />
pensare in modo costruttivo. Ci sta dicendo <strong>che</strong> in queste due ore<br />
possiamo rifocillarci e rinfrescarci, e tornare a questo Consiglio<br />
riposati e in grado di valutare la validità del piano <strong>che</strong> ci proporrà.<br />
Allora, come votate?»<br />
<strong>La</strong> riunione fu aggiornata di due ore all'unanimità.
XI.<br />
Vegezio entrò in ritardo nella sala del Consiglio e il fatto <strong>che</strong> gli<br />
altri ventuno membri parlassero tranquillamente tra 'oro mentre<br />
aspettavano il suo arrivo diede la misura dell'alta considerazione<br />
<strong>che</strong> si era conquistata tra i nostri coloni. Finalmente, con un buon<br />
quarto d'ora di ritardo, irruppe nella stanza e si diresse in fondo alla<br />
sala, seguito da vicino da padre Andros, il nostro artista la cui abilità<br />
nel disegno ci aveva tutti stupiti nel corso degli anni. Andros<br />
stringeva una bracciata di rotoli di pergamena e Vegezio cominciò a<br />
parlare prima ancora di avere raggiunto il capo della stanza.<br />
«Chiedo scusa per il ritardo, amici, ma vedrete <strong>che</strong> non siamo stati<br />
inattivi da quando vi ho lasciato. Padre Andros e io vi mostreremo<br />
alcuni disegni, ma per prima cosa voglio ricordarvi tutto ciò di cui vi<br />
ho parlato prima: la pietra sibilante, un gioco per bambini e un'arma<br />
mortale per gli esperti nell'uso; la galera della flotta, <strong>che</strong> dipinta di<br />
azzurro può scomparire dalla vista an<strong>che</strong> in pieno giorno; la legione<br />
romana in pieno assetto di guerra, rimasta completamente invisibile<br />
agli occhi di un nemico <strong>che</strong> si trovava a meno di un quarto di miglio<br />
di distanza, anch'essa alla luce del giorno.»<br />
Fece una pausa, mentre tutti nell'assemblea pendevano dalle sue<br />
labbra, aspettando <strong>che</strong> continuasse.<br />
«A determinate condizioni - e con questo voglio dire a<br />
condizioni attentamente progettate e preparate - nessuna delle cose<br />
<strong>che</strong> ho descritto sembra quello <strong>che</strong> è realmente.<br />
I loro contorni diventano invisibili. Non solo perché sono fatti<br />
per sembrare meno definiti, ma perché sono stati riarrangiati... travestiti in<br />
modo tale <strong>che</strong> le persone <strong>che</strong> li guardano semplicemente non li vedono.» Si<br />
fermò, aspettando una reazione, ma non ce ne fu alcuna.<br />
«Capite quello <strong>che</strong> sto dicendo?»
Torquilio Lino, <strong>che</strong> era stato un avvocato di gran successo ed era<br />
ancora uno degli uomini più distinti del Consiglio, tossì a disagio e<br />
parlò sommessamente nel suo profondo tono baritonale.<br />
«Io credo di capire, Vegezio. Penso <strong>che</strong> tu ci stia dicendo <strong>che</strong><br />
puoi nascondere un'intera collina, quasi una montagna, dalla vista<br />
umana. Devo aggiungere <strong>che</strong> non credo <strong>che</strong> sia possibile.»<br />
Vegezio batté forte le mani insieme. «Hai assolutamente<br />
ragione, Torquilio. Ma questo non è quello <strong>che</strong> stavo dicendo! Stavo<br />
dicendo <strong>che</strong> con sforzo, determinazione e pianificazione attenta<br />
riusciremo ad alterare l'apparenza della collina per ingannare gli<br />
occhi umani, rompendo e nascondendo alla vista i contorni della<br />
fortezza, almeno da qui, a un miglio di distanza.» Si girò verso<br />
padre Andros. «Posso avere il primo disegno? <strong>La</strong> panoramica<br />
attuale.»<br />
Andros gli porse una grossa pergamena e Vegezio la srotolò e la<br />
resse in modo <strong>che</strong> potessimo vederla tutti. Trattenemmo tutti il<br />
respiro davanti al realismo del paesaggio dipinto sulla pergamena.<br />
Stavamo vedendo una resa perfetta del forte sulla collina visto dal<br />
cortile della villa. Andros aveva un dono <strong>che</strong> sconfinava nella<br />
magia; con pochi tocchi di carboncino aveva colto perfettamente la<br />
scena, in modo <strong>che</strong> le mura delle nuove fortificazioni risaltavano<br />
perfettamente definite sullo sfondo della collina.<br />
Vegezio ce la fece ammirare per pochi istanti prima di lasciare la<br />
base della pergamena arrotolandola nuovamente come un tubo.<br />
Senza parlare Andros gli porse un secondo rotolo, <strong>che</strong> Vegezio<br />
spiegò allo stesso modo. Era una copia quasi esatta del primo<br />
disegno, tranne <strong>che</strong> era attraversata da centinaia di strisce verticali, e<br />
allora capii <strong>che</strong> cosa c'era di sbagliato nel primo disegno.<br />
«Qualcuno riesce a vedere la differenza?» <strong>La</strong> voce di Vegezio era<br />
tagliente.<br />
«Sì» dissi io. «Nel primo disegno non c'erano le impalcature.» Le
impalcature erette da poco intorno alle mura <strong>che</strong> crescevano in fretta<br />
avevano alterato l'aspetto del forte in modo radicale nei mesi<br />
precedenti. Esitai, incerto di me stesso, «Ma an<strong>che</strong> questo non è<br />
proprio esatto. Manca qualcosa, credo.»<br />
«Hai ragione, Varro. Ma <strong>che</strong> cosa?»<br />
«Le orizzontali!» <strong>La</strong> voce di Firma arrivò da dietro la mia testa.<br />
«Mancano le piattaforme delle impalcature.»<br />
«Bravo, Fermace!» Vegezio lasciò andare la base e lasciò <strong>che</strong> il<br />
rotolo si arrotolasse da solo, mentre già allungava la mano a<br />
prenderne un terzo, <strong>che</strong> Andros teneva pronto per lui. «E cosa dite<br />
di questo?»<br />
<strong>La</strong> pergamena <strong>che</strong> reggeva adesso aveva delle righe verticali<br />
disseminate irregolarmente per la collina, molto più in basso di dove<br />
apparivano prima.<br />
<strong>La</strong> perplessità nella stanza era palpabile.<br />
Senza parlare Vegezio lasciò andare an<strong>che</strong> quella pergamena e<br />
ne prese una quarta dalle mani di Andros. Questa volta, mentre la<br />
srotolava e la reggeva in alto, ci fu un mormorio stupefatto di<br />
reazione.<br />
L'intera scena era cambiata. <strong>La</strong> collina c'era ancora, ma a partire<br />
da circa due terzi in su i suoi fianchi erano mas<strong>che</strong>rati da una cortina<br />
verde. Cespugli e alberi coprivano completamente le mura dalla<br />
vista.<br />
«Vedete, amici? Magia. Ma ogni buon romano sa <strong>che</strong> la magia<br />
non esiste.» Riavvolse il rotolo e ne prese un altro. «E adesso,» disse<br />
con voce profonda per aumentare la drammaticità, «guardate<br />
attentamente!»<br />
C'erano sei oggetti - come definirli? Cilindri ? - disposti a caso<br />
sulla pergamena. Nient'altro, solo sei cilindri verticali. Vegezio<br />
piegò la pergamena e aprì il rotolo successivo, <strong>che</strong> mostrava un<br />
cilindro, visto da vicino, con rami e cespugli di cui si vedevano le
estremità tagliate, legati come un fascio intorno al manico di<br />
un'ascia.<br />
«Questa è la nostra magia, amici.» Non c'era da dubitare della<br />
convinzione e della soddisfazione nel tono di voce di Vegezio. <strong>La</strong><br />
sua voce risuonava chiaramente attraverso la sala, convincendo i<br />
suoi ascoltatori con il suo stesso rimbombare. «Prendete abbastanza<br />
uomini e abbastanza corda, tagliate abbastanza rami, legateli<br />
intorno a un numero sufficiente di supporti verticali, mettetevi<br />
abbastanza lontano e vedrete una foresta dove non ce n'era nessuna.<br />
Poiché le verticali discendono il pendio, i rami legati intorno a quelle<br />
inferiori mas<strong>che</strong>rano la nudità di quelle superiori. Mettete dei<br />
cespugli alla base, indietreggiate di un miglio circa e, fino a <strong>che</strong> i<br />
rami non avvizziranno, avrete quella <strong>che</strong> sembrerà una foresta<br />
vivente.»<br />
Tacque, lasciando <strong>che</strong> le sue parole si facessero strada in noi.<br />
Alla fine Britannico ruppe il lungo silenzio.<br />
«Vegezio, dovrebbe funzionare! Per quanto tempo i rami<br />
resteranno verdi?»<br />
Vegezio scrollò le spalle e scosse la testa. «Non lo so di preciso,<br />
Caio Britannico. Due giorni? Tre al massimo, penso. Dopo di <strong>che</strong><br />
forse cominceranno a sembrare molto secchi. Ma an<strong>che</strong> allora si<br />
potrebbe non notarli da lontano. Saranno tutti morti, ma potrebbero<br />
sembrare ancora verdi da quaggiù. Non li lascerei per più di una<br />
settimana, comunque.»<br />
Caio si tormentava il mento, le sopracciglia corrugate mentre<br />
meditava. «E la sommità del muro? Cosa facciamo se non puoi<br />
portare i tuoi "alberi" tanto in alto quanto vorresti?»<br />
«Altereremo la forma della cima del muro con del fango.» Si<br />
guardò intorno per avere informazioni. «Quanto è spessa la cima?<br />
Sei piedi?»<br />
«Quasi nove» disse Tulio, uno dei muratori.
Vegezio annuì con approvazione. «Perfetto, tre passi<br />
abbondanti. C'è tutto lo spazio per costruire dei dossi e<br />
interrompere la linea diritta. A tempo debito potremo an<strong>che</strong><br />
riportare delle zolle erbose e coprire il fango.»<br />
Tutti nella stanza sedevano in attonito silenzio. Poi, esitando, un<br />
membro del Consiglio alzò la mano per chiedere la parola.<br />
Britannico annuì. «Parla, Orazio.»<br />
Orazio si raschiò la gola e quando si rivolse a Vegezio la sua<br />
voce era forte. «Credo <strong>che</strong> l'idea possa funzionare. Ma mi sembra<br />
<strong>che</strong> ci voglia un sacco di organizzazione e <strong>che</strong> molto dipenda dal<br />
tempismo. Sei d'accordo?»<br />
«Sì, sono completamente d'accordo» rispose Vegezio. «Come la<br />
vedo io, l'intera operazione dipende dal tempismo. Qual è il punto,<br />
Orazio?»<br />
«Le fronde e il tempo necessario per raccoglierle. Ci vogliono un<br />
sacco di alberi per fare una foresta. An<strong>che</strong> una foresta finta. E tu hai<br />
detto <strong>che</strong> una volta tagliate non dureranno più di una settimana.»<br />
Guardò in faccia i membri del Consiglio. «Stiamo parlando di<br />
mandare via i nostri uomini, ma ne avremo bisogno per raccogliere<br />
fronde in quantità sufficiente per mas<strong>che</strong>rare la cima della collina.<br />
Specialmente se devono essere raccolte e sistemate in pochi giorni.»<br />
Un brusio di consenso e di riflessione passò tra gli ascoltatori e<br />
Orazio alzò la voce sopra al rumore, facendo tacere tutti. «Non sto<br />
cercando di trovare un difetto! Credo <strong>che</strong> la cosa possa funzionare.<br />
Sto solo dicendo <strong>che</strong> dovremo pianificare tutto con cura. Si può fare!<br />
Dobbiamo soltanto essere certi <strong>che</strong> saremo noi a controllare i tempi<br />
dell'intero piano.»<br />
«Orazio, pensa a quello <strong>che</strong> stai dicendo! È impossibile!» Questo<br />
sfogo era di Varo. «Non abbiamo nessuna possibilità di controllo sui<br />
tempi. O suggerisci <strong>che</strong> chiediamo a quelli di Londinium di dirci<br />
quando ci manderanno i loro ispettori?»
<strong>La</strong> risposta di Orazio fu immediata. «No, affatto! Non lo sto<br />
suggerendo! Ma sto dicendo <strong>che</strong> nessuno, nemmeno Vegezio, ha<br />
pensato <strong>che</strong> abbiamo quasi cento cavalli da nascondere, oltre a mille<br />
uomini. Io dico, nascondiamo i soldati nel forte e usiamo i cavalli<br />
per attuare il nostro piano. Possiamo nasconderli e nello stesso<br />
tempo usarli!» Orazio si volse verso di me. «Varro! Avrebbe senso<br />
mandare la nostra cavalleria lungo le strade <strong>che</strong> portano alla<br />
Colonia e preparare dei fuchi per controllare l'arrivo di chiunque<br />
stia venendo qui?»<br />
Annuii, senza impegnarmi troppo. «Sembra interessante<br />
continua.»<br />
«Bene» adesso il suo tono era entusiasta. «Ci sono solo tre strade<br />
per avvicinarsi a noi. Da nord, via Glevum e Aquae Sulis, da est via<br />
Sorviodunum e da sud per la strada costiera. Se mandiamo la nostra<br />
cavalleria con l'ordine di distribuirsi sulle strade e approntare<br />
segnali di fuoco abbastanza vicini da essere visibili alla postazione<br />
successiva della fila, allora potremmo andare incontro a questi<br />
"investigatori". <strong>La</strong> notizia del loro arrivo ci raggiungerebbe con la<br />
rapidità <strong>che</strong> ci mette un uomo a vedere un fuoco e ad accenderne un<br />
altro.»<br />
«Sì» annuii. «Questo ha senso. Ma perché mandare dei<br />
cavalieri?»<br />
«Perché possono rimanere qui più a lungo a lavorare e poi<br />
andare dove devono più in fretta. E possono an<strong>che</strong> allontanarsi più<br />
in fretta, sparire nella campagna e ritornare qui lentamente e<br />
sicuramente dopo <strong>che</strong> i nostri visitatori se ne saranno andati. In<br />
questo modo non dovremo nascondere i cavalli.»<br />
«Per Efesto, Orazio, hai ragione!» Ero in piedi e zoppicavo per la<br />
stanza. «I segnali di fuoco ci darebbero tre, forse quattro giorni di<br />
preavviso sul loro avvicinarsi, se li avvistiamo con sufficiente<br />
anticipo. E mentre stiamo aspettando il segnale possiamo tenere<br />
ogni uomo della Colonia impegnato in questo lavoro. Possiamo
an<strong>che</strong> tenere qui i soldati, perché se non siamo in grado di<br />
nascondere il forte, è inutile nascondere loro. Dovremmo finire tutto<br />
in due giorni di duro lavoro, sparpagliare i nostri uomini e poi<br />
sembrare innocenti come bambini sotto la nostra collina mas<strong>che</strong>rata<br />
dagli alberi quando arrivano i nostri amici. Vegezio, Orazio, vi<br />
meritate una lode!»<br />
<strong>La</strong> mia personale eccitazione si trasmise agli altri, provocando<br />
un coro di acclamazioni. Fu Vegezio a ristabilire l'ordine tirando<br />
fuori di nuovo la pietra sibilante e costringendo tutti al silenzio per<br />
fargli smettere quel diabolico sibilo.<br />
«D'accordo» disse alla fine, quando tutti furono di nuovo calmi<br />
«Sto pensando <strong>che</strong> abbiamo davanti a noi più lavoro nelle prossime<br />
settimane, se pure avremo tanto tempo, di quanto ne abbiamo mai<br />
avuto in tutta la storia della Colonia, abbiamo un sacco di<br />
preparativi da fare. Quindi muoviamoci. Britannico, a te la parola.»<br />
Britannico si alzò con un sorriso. «Ti ringrazio ancora, Vegezio<br />
Sulla, a nome di tutti.» Si guardò intorno nella sala. «Siamo tutti<br />
d'accordo <strong>che</strong> il piano <strong>che</strong> Vegezio propone è quello <strong>che</strong> vogliamo<br />
adottare?»<br />
«Sì.» All'unanimità.<br />
«E siete an<strong>che</strong> d'accordo <strong>che</strong> l'emendamento di Quinto Orazio è<br />
sensato?»<br />
«Sì.» Di nuovo all'unanimità.<br />
«Così sia. E adesso dobbiamo pianificare i dettagli.»<br />
Verso mezzanotte il piano era finito. Caio convocò per il giorno<br />
successivo una riunione generale dell'intera Colonia alla villa<br />
principale, per spiegare esattamente cosa stava succedendo.<br />
Immediatamente dopo l'assemblea il lavoro cominciò su diversi<br />
fronti. Furono messi al lavoro uomini per costruire rampe di accesso<br />
alla sommità delle mura, e altri furono mandati a scavare fango e
accumularlo sulla sommità delle mura del forte per interrompere il<br />
profilo troppo regolare. Altri portavano zolle erbose per mas<strong>che</strong>rare<br />
il fango appena ammucchiato e altri ancora piantavano alti tronchi<br />
d'albero diritti sul lato della collina. Tutti quelli <strong>che</strong> non erano<br />
coinvolti in questo lavoro sfiancante - donne e bambini e vecchi -<br />
perlustravano la campagna in cerca di boschi cedui e alberi <strong>che</strong><br />
potessero essere sac<strong>che</strong>ggiati, al momento opportuno, in modo tale<br />
<strong>che</strong> il disboscamento non fosse evidente agli occhi di un estraneo.<br />
Britannico ammise <strong>che</strong> avevamo almeno dieci giorni a<br />
disposizione per prepararci prima <strong>che</strong> le autorità di Londinium<br />
avessero il tempo di ricevere il rapporto, digerirlo, consultarsi su di<br />
esso, arrivare a una decisione e alla fine inviare una squadra<br />
investigativa. Significava <strong>che</strong> la cavalleria poteva essere messa al<br />
lavoro per una settimana, prima di venir mandata fuori di guardia.<br />
In pratica, invece, le autorità ci misero tre settimane per definire<br />
il loro parere e la loro linea di azione. Occupammo le due settimane<br />
in più aggiungendo altri supporti verticali alla collina. Alcune<br />
squadre furono messe al lavoro per espiantare interi alberelli e<br />
trapiantarli, così <strong>che</strong> il fianco della collina cominciò realmente a<br />
sembrare una foresta <strong>che</strong> riprendeva a vivere anni dopo un grande<br />
incendio. I cespugli divelti e trascinati fino alla collina dai cavalli,<br />
cominciarono a trasformare il posto. An<strong>che</strong> a meno di un miglio<br />
divenne difficile riconoscere il profilo delle mura.<br />
In meno di tre settimane i nostri coloni riuscirono in un'impresa<br />
quasi magica; furono aiutati dai Celti, <strong>che</strong> vennero a centinaia,<br />
quand'ebbero avuto notizia di quella follia, a vedere con i loro occhi<br />
cosa stava succedendo. Sotto sotto c'era un senso di isterica<br />
anticipazione <strong>che</strong> tutto questo avrebbe an<strong>che</strong> potuto essere inutile.<br />
Se le autorità avessero deciso di non investigare sul rapporto del<br />
giovane ufficiale ci saremmo rotti la schiena per rovinare una collina<br />
perfetta!<br />
Ero a cena con la famiglia, una sera, all'inizio della quarta
settimana dei nostri preparativi, quando l'intendente di Britannico ci<br />
interruppe con la notizia <strong>che</strong> il segnale di fuoco più vicino era<br />
acceso, e <strong>che</strong> i messaggeri erano già stati mandati ad avvertire le<br />
altre ville della Colonia. <strong>La</strong> nostra gente si riunì alla villa principale,<br />
dove rimase per tutta la notte, e all'alba l'ultimo stadio<br />
dell'operazione era varato; ogni persona abile si dispose al compito<br />
finale di tagliare i rami verdi e legarli ai tronchi d'albero<br />
improvvisati.<br />
Britannico era finalmente di nuovo in piedi, dopo essere stato<br />
confinato a letto per oltre una settimana, con un grave strappo<br />
muscolare alla schiena per aver cercato di sollevare un tronco<br />
d'albero troppo pesante. Non appena vidi <strong>che</strong> tutti lavoravano con<br />
ordine, tornai a riferirglielo, ma mentre stavo entrando nel cortile<br />
dal cancello principale sentii lo scalpitio di un cavallo, e vidi uno dei<br />
miei uomini, su un cavallo stremato, arrivare al galoppo. Frenò<br />
quando mi vide e saltò giù dal cavallo ansimante. Ma le ginocchia<br />
gli mancarono mentre toccava terra, e lo dovetti afferrare. Era senza<br />
fiato, come il suo cavallo, e dovetti sostenerlo fino a quando si fu<br />
ripreso.<br />
«Cosa succede, ragazzo? Cosa c'è <strong>che</strong> non va?»<br />
«Cavalleria, comandante! Cavalleria pesante.» Rabbrividì.<br />
Vengono da Londinium. Attraverso i campi. Non sono sulla strada e<br />
stanno per arrivare!»<br />
«A <strong>che</strong> velocità? Quanto tempo ci metteranno?»<br />
«Un giorno, comandante. Forse due. Non di più. Saranno qui la<br />
mattina di dopodomani. Abbiamo acceso i fuochi appena li abbiamo<br />
visti, ma poi abbiamo dovuto passare parola da uomo a uomo.<br />
Abbiamo quasi ammazzato i cavalli.»<br />
«A <strong>che</strong> distanza eravate disposti?»<br />
«Tre, quattro miglia. A seconda del terreno. Dovevamo essere in<br />
grado di vedere il fuoco dell'uomo più vicino.»
<strong>La</strong> mia mente stava correndo. «Quanti uomini c'erano nella tua<br />
catena?»<br />
«Trentanove. Io sono l'ultimo.»<br />
«Quanto ci ha messo la notizia per arrivare fino a te?»<br />
Scosse la testa. «Non lo so, comandante. Gli uomini sono partiti<br />
appena hanno acceso i fuochi, come d'accordo. Uno ha dovuto<br />
correre per tre postazioni prima di trovare un uomo con un cavallo<br />
fresco. Siamo corsi tutti ventre a terra!»<br />
«Dannazione! Hai fatto bene. Qual è il tuo nome?»<br />
«Settimio Severo, comandante.»<br />
«Siamo in debito con te, Settimio. Adesso prenditi un po' di<br />
riposo. Te lo sei meritato. Dove sono gli altri?»<br />
«Tutti dispersi, comandante, come è stato ordinato.»<br />
«E gli uomini sulle altre strade? Ne sai qualcosa?»<br />
«No, comandante. Ma l'ordine era <strong>che</strong> non appena si vedevano i<br />
segnali di fuoco avvicinarsi alla Colonia, gli uomini dovevano<br />
mandare segnali all'esterno, verso le altre strade. Perciò ormai tutti<br />
dovrebbero sapere <strong>che</strong> il gioco è iniziato.»<br />
Annuii. «Bene. Vai a cercare un letto e dormi un po'. Io devo<br />
avvertire gli uomini <strong>che</strong> rimane solo oggi per finire il lavoro.<br />
Ringraziamo Dio per le due settimane <strong>che</strong> ci ha concesso.»<br />
Corsi in casa per avvertire Britannico e poi portai agli uomini<br />
nei campi la notizia <strong>che</strong> i visitatori si stavano avvicinando. Passai<br />
una giornata lunga e faticosa, preoccupato della velocità con cui<br />
arrivavano e dubitando di avere abbastanza uomini per finire il<br />
lavoro in tempo. Non avrei dovuto preoccuparmi. I nostri uomini<br />
superarono se stessi e molto prima del crepuscolo stavano dando gli<br />
ultimi ritocchi a un'incredibile prova di stregoneria umana. <strong>La</strong><br />
collina era diventata una foresta. Il forte era scomparso. Non c'era<br />
traccia di influenza umana sulla collina dietro la villa.
Nessuno dormì quella notte. Il deposito viveri lavorò al<br />
massimo delle sue capacità dal tramonto fino all'alba, e non appena<br />
furono riforniti di provviste, i nostri soldati scomparvero<br />
nell'oscurità per nascondersi nel forte appena occultato. All'alba<br />
tutto il possibile era stato fatto. Il nostro esercito era sparpagliato o<br />
nascosto e le tracce dei nostri frenetici preparativi erano state<br />
coperte e cancellate. Non c'era più niente da fare se non aspettare e<br />
cercare di comportarci normalmente.<br />
<strong>La</strong> mattina passò e il mezzogiorno divenne pomeriggio.<br />
Britannico e io eravamo seduti su una panca nel cortile, godendo<br />
insieme il calore del sole pomeridiano e facendo del nostro meglio<br />
per sembrare indifferenti, tentando di far credere <strong>che</strong> eravamo<br />
entrambi contenti e a perfetto agio.<br />
Non avevamo idea di chi fossero i nostri ospiti, né di quando<br />
sarebbero arrivati. Avevamo deciso, dopo aver ricevuto il primo<br />
segnale, di non spiare la loro avanzata; era sufficiente sapere <strong>che</strong><br />
erano in arrivo. Vittore era venuto nel tardo pomeriggio a chiederci<br />
quando volevamo <strong>che</strong> iniziasse a fare uscire i cavalli dalle stalle:<br />
avevamo acquartierato lì un grande numero di cavalli da lavoro, per<br />
non correre il rischio <strong>che</strong> i recinti vuoti attirassero l'attenzione.<br />
Vittore pensava di liberarli affinché la cavalleria potesse<br />
acquartierare lì i suoi cavalli, ma aveva dimenticato <strong>che</strong> noi non<br />
dovevamo sapere del loro arrivo. Fu molto umiliato quando glielo<br />
feci notare, ma il suo comprensibile errore ci fece capire quanto<br />
sarebbe stato facile tradirsi e tradire la nostra attesa di quella visita.<br />
Sì, in quel lungo pomeriggio occupammo il nostro tempo<br />
vedendo ogni cosa <strong>che</strong> avrebbe potuto andare storta.<br />
Eravamo consapevoli <strong>che</strong> il successo o il fallimento del nostro<br />
programma dipendeva dal calibro dell'uomo incaricato<br />
dell'investigazione. Potevamo supporre <strong>che</strong>, chiunque fosse, sarebbe<br />
stato preciso nella sua inchiesta, ma confidavamo di avere buone
possibilità di smantellare i suoi sospetti, con un'oncia di fortuna e se<br />
lui fosse stato una persona di un certo livello. Confidavamo an<strong>che</strong><br />
<strong>che</strong> sarebbe venuto direttamente da noi. Non c'era un altro posto<br />
lungo la strada dove avrebbe potuto fermarsi. Non si sarebbe<br />
interessato alle città, e comunque non ce n'era nessuna più vicina di<br />
Aquae Sulis. I pochi villaggi della zona erano abitati dalla nostra<br />
gente, <strong>che</strong> avrebbe indirizzato a noi ogni straniero, e tutte le ville<br />
confinanti erano controllate da noi. Il visitatore avrebbe dovuto<br />
venire a trattare con Caio Britannico, proconsole e senatore di Roma.<br />
Nessuno nella regione ci avrebbe tradito, perché nel raggio di<br />
molte miglia tutti dipendevano dalla nostra benevolenza e dal<br />
nostro sostegno. Se la lealtà all'Impero suggeriva a ogni uomo<br />
invidioso della nostra forza di denunciarci, la paura di perdere la<br />
nostra presenza militare e la nostra assistenza avrebbe frenato i suoi<br />
dubbi. Almeno lo speravamo.<br />
A metà pomeriggio, incapace di rimanere seduto più a lungo, mi<br />
diressi verso le stalle di Vittore per controllare di persona <strong>che</strong> tutto<br />
fosse in ordine, e passò quasi un'ora prima <strong>che</strong> tornassi. I nostri<br />
ospiti erano già stati annunciati. Poco prima <strong>che</strong> arrivassi, Caio<br />
aveva sentito in lontananza lo squillo di una tromba e il rumore di<br />
una squadra di uomini a cavallo lungo la strada <strong>che</strong> portava ai<br />
cancelli principali della villa. Mi disse in seguito <strong>che</strong> aveva tirato un<br />
lungo respiro e poi si era diretto a incontrarli.<br />
L'avanguardia era costituita da cinque uomini: un centurione<br />
dalla barba grigia, un trombettiere, un vessillifero e due battistrada.<br />
Arrivarono al galoppo ai cancelli dove Caio li attendeva e si<br />
fermarono. Il centurione non smontò, e guardò giù verso Caio da un<br />
cavallo alto diverse spanne più di quelli <strong>che</strong> avevamo ottenuto nelle<br />
nostre selezioni.<br />
«Proconsole Caio Britannico?» Sembrava insicuro di se.<br />
Caio parlò. «Sono io. È abitudine al giorno d'oggi <strong>che</strong> un<br />
centurione parli dall'alto in basso a un senatore di Roma?»
«Ti chiedo perdono, proconsole!» L'uomo non aveva voluto<br />
mancargli di rispetto. Arrossì e i suoi occhi passarono da Caio alle<br />
sue truppe, poi di nuovo a Caio. «Scorta! Smontare!» Tutti e cinque<br />
scivolarono pesantemente al suolo dalle groppe dei loro cavalli.<br />
Il vessillifero riuscì in quel compito con una certa difficoltà,<br />
secondo Caio, a causa della grandezza e della lunghezza dello<br />
stendardo scarlatto.<br />
Quando l'uomo si irrigidì di nuovo sull'attenti Caio guardò lo<br />
stendardo.<br />
«Che emblema è questo?» chiese. «Mi è nuovo.»<br />
Il centurione fece il saluto. «È nuovo per il mondo intero,<br />
proconsole. <strong>La</strong> nostra è una nuova unità. Cavalleria pesante.<br />
Appena arrivata dall'Armorica attraverso la Gallia.»<br />
«Come vi chiamate? <strong>La</strong> vostra unità, intendo.»<br />
«Prima Coorte Equestre, appoggiata dalla trentaquattresima<br />
legione in servizio speciale, proconsole!»<br />
«Prima Coorte Equestre! Capisco. <strong>La</strong> trentaquattresima legione,<br />
dici? Benvenuto. Cosa possiamo fare per te, centurione?»<br />
L'uomo si schiarì la voce. «Siamo stati mandati a chiedere la tua<br />
ospitalità, proconsole. Veniamo da Londinium e siamo in cammino<br />
da cinque giorni, e il nostro comandante vorrebbe riposare un<br />
momento da te, se puoi ospitarci.»<br />
«In cinque giorni da Londinium?» Caio parve sorpreso. «Avete<br />
tenuto un buon ritmo. Dove siete diretti?»<br />
Il centurione si schiarì la voce di nuovo. «Mi spiace, ma non<br />
sono libero di dirlo, proconsole.»<br />
«No, suppongo di no. Un'unità di cavalleria pesante, dici? E da<br />
quando Roma ha una cavalleria pesante?»<br />
«Da pochissimo, proconsole. Pochi anni.»<br />
«Mmm.» Il grugnito di Britannico suonava poco impressionato.
«Chi è il tuo comandante e in quanti siete? Non una intera coorte,<br />
spero? Quanto vi fermerete?»<br />
«No, proconsole, solo tre squadroni. Marcello Viceré è il nostro<br />
tribuno e abbiamo centotrentotto uomini e cavalli, proconsole.»<br />
«Cento...?» Britannico mi disse dopo <strong>che</strong> si era sentito come un<br />
attore in una commedia. Spalancò gli occhi e fece in modo <strong>che</strong> la sua<br />
voce riflettesse quello <strong>che</strong> lui chiamava un singolare stupore. «Avete<br />
il fieno per i vostri cavalli?»<br />
«Sì, proconsole, nelle salmerie. E cibo per gli uomini.»<br />
«Ah! Capisco.» Caio si permise di apparire placato. «Bene, allora<br />
non è un gran problema, suppongo. Penso di potermi occupare di<br />
voi. Per una notte almeno.» Si girò verso uno dei servi <strong>che</strong><br />
guardavano fisso. «Nestore, trova Gallo e digli di preparare<br />
abbastanza carne da servire centocinquanta uomini in più stanotte.<br />
Digli <strong>che</strong> non mi interessa dove la trova, an<strong>che</strong> se deve prenderla a<br />
prestito dai nostri vicini. Li ripagheremo più tardi. Digli <strong>che</strong><br />
abbiamo compagnia da Londinium, e pregalo di far montare dai<br />
suoi uomini dei tavoli nei campi vicino alla villa di Terrice e<br />
Fermace.» Alzò una mano per trattenere l'uomo e si girò di nuovo<br />
verso il centurione. «Hai detto centotrentotto cavalli?»<br />
L'uomo scrollò le spalle e annuì contemporaneamente.<br />
«Centoquarantaquattro, proconsole, con i cavalli del carro.»<br />
Britannico si girò di nuovo verso Nestore. «Avverti an<strong>che</strong><br />
Vittore <strong>che</strong> avremo bisogno dei suoi pascoli recintati. Se ha dentro<br />
dei cavalli da lavoro, <strong>che</strong> li mandi nelle fattorie per stanotte.»<br />
Nestore si inchinò e partì di corsa.<br />
Caio si girò verso il centurione. «Quanti ufficiali ci sono con te in<br />
tutto?»<br />
«Cinque, proconsole. Quattro regolari e un... ospite.»<br />
«Un ospite? In una pattuglia? E chi è questo gentiluomo?»
Il centurione arrossì e guardò lontano. «Io... non conosco il suo<br />
nome, proconsole.»<br />
Secondo Caio questa era una evidente bugia, ma la ignorò «E tu?<br />
Qual è il tuo rango in queste truppe?»<br />
L'uomo sorrise, palesemente contento <strong>che</strong> si cambiasse<br />
argomento. «Quello <strong>che</strong> è sempre stato, signore. Ufficiale anziano.<br />
Prima <strong>La</strong>ncia della Coorte. Pilus prior.»<br />
«Bene. I miei saluti al tuo comandante. Lui e i suoi ufficiali sono<br />
i benvenuti. Starete sotto il nostro tetto stanotte e cenerete con noi.<br />
Quando arriveranno i tuoi uomini, Rollone qui, vi mostrerà dove<br />
acquartierarvi.» Fece con il capo un cenno di congedo e si girò come<br />
se volesse andarsene, ma si voltò di nuovo verso il centurione.<br />
«Quanto tempo ci vorrà perché arrivino?»<br />
L'uomo alzò le spalle. «Due ore, proconsole, forse più; noi siamo<br />
venuti per avvertirvi, per darvi il tempo di prepararvi. In verità non<br />
ho idea di quanto siano indietro, ma saranno qui prima di notte.»<br />
Caio annuì di nuovo e li lasciò sulla strada, circondati dai<br />
curiosi. Non aveva fatto ancora tre passi, però, <strong>che</strong> il pilus prior lo<br />
chiamò di nuovo.<br />
«Proconsole, chiedo scusa, signore, sono imbarazzato. Potrei<br />
usare le vostre latrine?»<br />
Il sopracciglio di Caio si alzò per quella stupefacente richiesta,<br />
ma era troppo educato per esprimere un rimprovero. «Certamente.<br />
Rollone, fai vedere al centurione dove può andare.»<br />
Caio attraversò i cancelli della villa congratulandosi con se<br />
stesso per aver condotto l'incontro senza far nascere sospetti.<br />
Sentiva, mi disse, di essere riuscito a mostrare il giusto misto di<br />
sorpresa e indignazione, temperato da un tocco di impazienza bene<br />
educata, e credeva <strong>che</strong> se tutti noi avessimo mantenuto il tono <strong>che</strong><br />
lui aveva stabilito, saremmo stati in grado di uscire da quel<br />
frangente controllando la situazione. Sapeva <strong>che</strong> il pilus prior aveva
mentito quando gli era stato chiesto chi era l'ospite, ma sapeva<br />
an<strong>che</strong> la ragione di quella bugia, perché l'ospite era l'ispettore<br />
imperiale. Non era sorpreso <strong>che</strong> l'uomo avesse chiaramente ricevuto<br />
l'ordine di non dire niente sul vero scopo della visita.<br />
Ritornai alla villa più o meno in quel momento, emergendo dai<br />
boschi a est appena in tempo per vedere la sagoma di Caio<br />
scomparire attraverso i cancelli. Notai il gruppetto con lo stendardo,<br />
ma non mi affrettai, e quando fui a cento passi vidi il loro<br />
comandante allontanarsi, saltare sul suo grande cavallo e poi far<br />
girare i suoi uomini e cavalcare via alla loro testa. Non mi notarono<br />
neppure.<br />
Trovai Caio in piedi sui gradini di fronte alla villa, <strong>che</strong> fissava<br />
perplesso qualcosa <strong>che</strong> teneva in mano. Stava per rientrare in casa<br />
quando mi vide, e rimase dov'era fino a quando lo raggiunsi, dopo<br />
aver legato a un palo le redini del mio cavallo. L'oggetto nelle sue<br />
mani era un quadrato di papiro piegato più volte, e lo stava<br />
battendo con irritazione sul dorso del polso sinistro, accigliato e<br />
perplesso. Lo indicai con un cenno del capo.<br />
«Cos'hai lì? L'hanno consegnato loro?»<br />
«Sì» disse. «Ma in modo strano e la cosa non ha senso.»<br />
Risi. «Non ce l'ha nemmeno quello <strong>che</strong> hai detto. Come è<br />
andata?»<br />
«Mmm?» Mi guardò come se parlassi greco.<br />
«Il tuo incontro con loro. Come è andato?»<br />
«Oh, molto bene, penso. Non avevano idea <strong>che</strong> li aspettassimo,<br />
ma questo...» Agitò il papiro ripiegato. «Non capisco. È una cosa<br />
strana.»<br />
Gli misi una mano sulla spalla e lo condussi verso casa. «Vieni.<br />
Ho la gola secca. Andiamo a bere una coppa di vino mentre ne<br />
parliamo.»
Qual<strong>che</strong> istante dopo, avendo saziato almeno in parte la mia<br />
sete, riempii di nuovo la coppa e mi accomodai su un divano.<br />
«Allora, dimmi cosa è successo.»<br />
Mi riferì l'intera conversazione con il pilus prior. Quando mi disse<br />
della richiesta dell'uomo di usare la latrina, risi forte, ma Caio<br />
interruppe la mia risata.<br />
«No, Publio. È stata un'astuzia, per un oscuro proposito.<br />
Guarda.» Mi mostrò di nuovo il papiro. «Rollone lo ha<br />
accompagnato alla latrina e poi è tornato portandomi questo.<br />
L'uomo voleva <strong>che</strong> io lo avessi senza <strong>che</strong> nessun altro lo sapesse.<br />
Il messaggio <strong>che</strong> contiene è senza senso. Rollone mi ha riferito <strong>che</strong> il<br />
pilus prior gli ha detto di aver portato questo di nascosto, solo per me,<br />
come un favore da parte di un amico. Ma chi possa essere questo<br />
amico e per quale scopo mi di questo messaggio, mi sfugge.»<br />
«Cosa dice?» Mi alzai e tesi la mano e Caio mi passò messaggio.<br />
Lo aprii e lessi le parole ad alta voce. «Quando il primus pilus parla di<br />
Dio, ricorda Dio e stai attento. Egli cavalca con il pilus prior.» Era<br />
firmato "PPPP", una firma ben nota ai miei occhi, e la lessi per esteso:<br />
«Ponzio Plauto primus pilus».<br />
Caio era disorientato. «Plauto? Ma cosa significa? Il tuo amico<br />
gioca agli indovinelli, Publio.»<br />
Poi improvvisamente spalancò gli occhi allarmato, e mi afferrò<br />
prontamente mentre barcollavo e rischiavo di cadere. Sentii il<br />
sangue defluirmi dal volto e avvertii un grande rombo nelle<br />
orecchie.<br />
«Publio! In nome di Dio, cosa succede?»<br />
<strong>La</strong> sua voce sembrava giungere da molto lontano; mi fece<br />
sdraiare sul divano. Finalmente, dopo un tempo <strong>che</strong> mi sembrò<br />
un'eternità, la turbinosa e rombante sensazione <strong>che</strong> mi sconvolgeva<br />
il cervello si attenuò; scossi la testa per schiarirmi le idee, ma quando<br />
parlai la mia voce era quasi un gracidio. «In nome di Dio, dici... e hai
agione, an<strong>che</strong> se non lo sai. Questo è quello <strong>che</strong> Plauto ci vuole dire.<br />
Dio cavalca con il pilus prior. Quella creatura del demonio, quel figlio<br />
di puttana è vivo! Il tuo amico a Roma aveva ragione! È Seneca. È<br />
Claudio Seneca! Deus, così lo chiamavano i suoi amici, quel giorno<br />
<strong>che</strong> abbiamo incrociato le nostre spade, e Plauto era lì. Deus! Dio!<br />
Era un diminutivo blasfemo per Claudio. Plauto era con me e lo ha<br />
sentito. Cesario Claudio Seneca cavalca con il pilus priori. È lui<br />
l'ispettore imperiale.»<br />
Caio sembrava colpito dal fulmine. «No. Non è possibile. È<br />
morto. Tu lo hai ammazzato, mi avevi convinto! Non è possibile <strong>che</strong><br />
sia lui. Seneca? Qui? Quell'animale? No, ti sbagli. Non può essere.»<br />
Rabbrividii, riprendendo il controllo. «No. È lui. Deve essere lui,<br />
Cai, Plauto non è smaliziato, ma questo è un messaggio criptato.<br />
Quel figlio di puttana è vivo. Ho rifiutato di accettare l'evidenza <strong>che</strong><br />
era ancora vivo perché non volevo <strong>che</strong> così fosse. Ma deve essere<br />
sopravvissuto, come non lo so, e adesso sta venendo qui. Quel<br />
messaggio non ha altra spiegazione possibile, Cai. Plauto<br />
ovviamente lo ha mandato con il pilus prior perché era l'unico mezzo<br />
per avvertirci. Nessun altro lo avrebbe capito, ma per me è<br />
inequivocabile e Plauto lo sapeva.»<br />
Caio era accigliato e si morsicava un labbro, riflettendo<br />
furiosamente mentre andava a chiudere la porta dello studio per<br />
evitare interruzioni. «Molto bene» disse infine, accettando la mia<br />
interpretazione del messaggio e facendomi segno di stare calmo e di<br />
lasciarlo pensare. «Non ha senso discutere con te, soprattutto di<br />
questo. Avrei dovuto proseguire le indagini, ma non l'ho mai fatto.<br />
Dannazione! Adesso dobbiamo pensare bene a tutto e abbiamo solo<br />
un'ora.»<br />
Quando cominciò a camminare su e giù per la stanza lo seguii<br />
con lo sguardo.<br />
Mi abbattei sul divano, mentre la mia mente tumultuava come<br />
una cascata, senza però riuscire a fermare un pensiero a causa della
mia indignata incredulità. D'un tratto Caio smise di camminare.<br />
«Non ci sono alternative. Devi semplicemente restare nascosto<br />
fino a quando questa gente se ne andrà. È un inconveniente<br />
sgradevole, ma la situazione materialmente non cambia. Niente<br />
deve cambiare, tranne <strong>che</strong> tu devi scomparire. Mi occuperò di tutto<br />
da solo.»<br />
Scossi la testa sconsolato. «Tutto è già cambiato, Caio. Tu non<br />
conosci quell'uomo.»<br />
«Scioc<strong>che</strong>zze. Quell'uomo è un Seneca e io conosco quella gente<br />
molto meglio di te. Può forse essere più pericoloso e meno<br />
prevedibile degli altri della sua progenie, ma non è invulnerabile<br />
alla presenza di un Britannico. Lo avvolgerò nelle spire di una serica<br />
ospitalità, <strong>che</strong> lo confonderà perché non si aspetta un simile<br />
trattamento da parte mia.»<br />
«No, Caio! Tutto il nostro piano era basato sulla presunzione <strong>che</strong><br />
avremmo trattato con un normale soldato, un ufficiale e un uomo<br />
educato, un professionista! Niente di tutto ciò ha più senso, perché<br />
stiamo trattando con un pazzo. Seneca è pazzo. È capace di<br />
qualunque cosa. Potrebbe farti giustiziare solo per soddisfare il suo<br />
istinto malato. Lo vedrai, nessuna regola gli va bene, tranne la sua, e<br />
lui inventa le regole mano a mano <strong>che</strong> procede. Ho imparato molte<br />
cose su di lui nel corso degli anni. È un pazzo, non è umano.»<br />
Caio interruppe il mio balbettio sollevando una mano con<br />
irritazione. «Non importa! Per quel rifiuto umano io sono un<br />
proconsole di Roma e un senatore anziano, non fosse altro <strong>che</strong> per<br />
anzianità. Ti aspetti <strong>che</strong> sia intimorito da lui? Da un Seneca? Adesso<br />
stai calmo per favore e lasciami pensare.»<br />
Ricominciò a camminare e io mi costrinsi a rimanere calmo e<br />
immobile nella mia disordinata paura. Conosco la paura in tutte le<br />
sue varianti, ma quella mi scioglieva le budella. Fissai gli occhi su<br />
Caio, cercando di vuotare la mente, e mentre lo guardavo mi sembrò<br />
<strong>che</strong> i suoi anni diminuissero visibilmente, trasformandolo nel
Britannico <strong>che</strong> avevo conosciuto un tempo.<br />
«Varro,» mi disse alla fine, e l'uso del mio vecchio nome sembrò<br />
confermare la sua trasformazione, «ho un piano e penso <strong>che</strong> sia<br />
buono. Abbi pazienza ancora solo un momento.» I suoi occhi erano<br />
di un giallo ardente e io aspettai, pensando <strong>che</strong> sarebbe stato meglio<br />
<strong>che</strong> il suo piano fosse davvero buono. Smise di camminare e si girò<br />
verso di me, guardandomi con occhi <strong>che</strong> sembravano volermi<br />
trapassare l'anima. «Pensi <strong>che</strong> si ricorderà di te?»<br />
«Ricordarsi? Mi farà crocifiggere appena mi vedrà.»<br />
«Scioc<strong>che</strong>zze!» Il suo immediato cipiglio e la sua espressione<br />
priva di ironia non mi lasciarono dubbi sul fatto <strong>che</strong> Caio Britannico<br />
non era disposto a prendere quella situazione alla leggera. «Sii serio,<br />
Publio! Da quello <strong>che</strong> mi hai detto sul vostro ultimo scontro, era<br />
confuso e quasi cieco per aver passato una settimana bendato. Non è<br />
così?»<br />
Dovetti ripensarci un momento. Sapevo <strong>che</strong> quello <strong>che</strong> diceva<br />
Caio era giusto, ma avevo an<strong>che</strong> la sgradevole sensazione <strong>che</strong> lui<br />
volesse sperimentare una qual<strong>che</strong> arcana teoria nella quale la mia<br />
vita era appesa a un filo. Gli diedi ragione lasciando però <strong>che</strong><br />
l'esitazione riflettesse la mia mancanza dì fiducia.<br />
«Più o meno» dissi, non volendo sembrare troppo entusiasta.<br />
«Ma mi ha visto abbastanza chiaramente mentre lottavamo. Non<br />
dimenticare <strong>che</strong> cercava di uccidermi.»<br />
Caio annuì, mentre il suo volto esprimeva una preoccupazione<br />
determinata da pensieri ovviamente gravissimi. <strong>La</strong> mia apprensione<br />
aumentò. Anch'io stavo immaginando eventi tremendi.<br />
«Mi hai detto an<strong>che</strong> <strong>che</strong> non ha mai saputo il tuo nome. Sostieni<br />
ancora <strong>che</strong> questa è la verità?»<br />
«Sì.»<br />
«Ne sei sicuro?»
Annuii. «Sì, Cai. Sono sicuro, ma ero an<strong>che</strong> sicuro di averlo<br />
ucciso.»<br />
«Mmm. Acqua passata, Varro.» Strinse le labbra, palesemente<br />
considerando e scartando diversi argomenti <strong>che</strong> avrebbe potuto<br />
espormi per attuare il suo proposito. Alla fine annuì bruscamente.<br />
«Ottimo. Funzionerà. Ho un piano <strong>che</strong> funzionerà, purché il tuo<br />
nome non gli dica niente.»<br />
«Qual è?»<br />
«È l'essenza stessa della semplicità. Ti consegneremo a lui.»<br />
Battei le palpebre, sentendo <strong>che</strong> mi sfuggiva qual<strong>che</strong> elemento<br />
essenziale di quella logica. «Ti chiedo scusa, Caio,» dissi nel tono più<br />
indifferente possibile, «ma ti è venuto in mente <strong>che</strong> potrebbe<br />
decidere di farmi giustiziare non appena poserà gli occhi su di me?»<br />
«No, non mi è venuto in mente semplicemente perché l'idea è<br />
grottesca» disse bruscamente. «Tu sarai mio prigioniero e perciò al<br />
di fuori della sua giurisdizione.»<br />
«Tuo prigioniero? Cosa significa?»<br />
Adesso sorrideva. «Pensaci, Publio. E venuto qui in cerca di<br />
banditi, fuorilegge, ribelli armati. Si suppone <strong>che</strong> noi non sappiamo<br />
niente della sua missione. E se...» Fece una pausa e poi continuò,<br />
eccitandosi palesemente all'idea le cui possibilità diventavano più<br />
chiare ai suoi occhi. «E se arrivasse qui e scoprisse <strong>che</strong> i torbidi sono<br />
finiti? E mi trovasse pronto a partire per Londinium, per occuparmi<br />
dei miei affari e per trasportarvi un prigioniero, un prigioniero<br />
importante, il Capo dei banditi le cui scorrerie hanno terrorizzato<br />
l'intera regione? Tu sarai quel prigioniero.»<br />
Non rimasi affatto impressionato. «Cai,» dissi, «non riesco a<br />
condividere il tuo entusiasmo per questo progetto. Ai miei occhi la<br />
prima mossa di Seneca è così ovvia <strong>che</strong> mi sento un cappio al collo<br />
solo a pensarci. Ti porterà immediatamente via il prigioniero, con la<br />
sua autorità, e mi farà giustiziare sul posto per i miei crimini, a
prescindere dal nostro odio personale.»<br />
«Assoluta assurdità, Varro! E quale sarebbe questa autorità di<br />
cui parli? Da dove gli deriva? Lui era il procuratore imperiale, una<br />
volta, e sappiamo entrambi come ha usato quell'incarico. Adesso<br />
non è altro <strong>che</strong> un messaggero esaltato, mandato in missione per<br />
svolgere l'incarico di qualcun altro. Non gli permetterò di usurpare i<br />
miei diritti. Io sono più importante di lui agli occhi di tutti.»<br />
Scossi la testa, scettico. «Ai suoi occhi non lo sarai.»<br />
«Che i suoi occhi siano dannati! Ti voglio ricordare una cosa,<br />
Publio.» <strong>La</strong> voce di Caio scricchiolava come ghiaccio. «I suoi occhi<br />
sono gli occhi di un Seneca, cosa <strong>che</strong> certo non li rende infallibili. Io<br />
sono più anziano di lui agli occhi di chiunque sia sano di mente e<br />
quel pilus prior non è uno sciocco. Ti garantisco <strong>che</strong> Seneca non avrà<br />
scelta. Se devo esercitare la mia influenza sul comandante delle<br />
truppe, su questo Marcello Viceré, per aggirarlo, non esiterò. Seneca<br />
non avrà altra scelta <strong>che</strong> quella di accompagnarmi a Londinium e di<br />
permettermi di fare il viaggio personalmente, con il mio prigioniero.<br />
E mi porterò una squadra dei nostri uomini migliori perché mi<br />
scortino lungo la strada di andata e di ritorno. Naturalmente la loro<br />
unica funzione sarà provvedere al tuo benessere. Non ti sarà fatto<br />
alcun male, amico, te lo prometto.»<br />
Ero ben lungi dal sentirmi rassicurato. «Bene, e cosa accade<br />
quando arriviamo a Londinium? Tieni a mente, se ci riesci, <strong>che</strong> io<br />
sono sempre proscritto per il presunto assassinio Quintilio Nesca, ad<br />
Aquae Sulis, e per il massacro dei suoi bravacci. Mi impic<strong>che</strong>ranno<br />
per quello, come minimo.»<br />
Caio scartò quell'ipotesi con un gesto. «Scioc<strong>che</strong>zze! È proprio<br />
questo il punto di tutta la situazione. Porteremo la nostra<br />
testimonianza per provare <strong>che</strong> non eri vicino a Nesca quella notte, e<br />
io userò ogni prerogativa del mio rango in tua difesa, compreso il<br />
mio personale giuramento e la mia garanzia come senatore di Roma<br />
e proconsole. Tutte le accuse contro di te saranno smantellate, te lo
assicuro. Saranno la mia parola e la mia reputazione contro quella di<br />
Seneca. Dubiti della riuscita?»<br />
Feci una smorfia di disappunto. «Cai,» dissi, «ti conosco da<br />
molto tempo ormai e non ti sei mai sbagliato su niente di<br />
importante. Non ancora.»<br />
«E questo non è il momento di iniziare a dubitare di me, Publio.<br />
Questa opportunità potrebbe essere mandata da Dio. Potrebbe<br />
risolvere tutti i nostri problemi. Aspetta e vedrai. Seneca sarà così<br />
contento di averti sotto custodia <strong>che</strong> accetterà la mia storia<br />
completamente. Non avrà la minima idea delle mie reali intenzioni e<br />
sarà fuori di qui e sulla via del ritorno senza sospettare niente delle<br />
nostre fortificazioni. Poi, quando saremo in salvo a Londinium, farò<br />
un voltafaccia nei suoi confronti <strong>che</strong> lo lascerà sbigottito. Cosa ne<br />
pensi?»<br />
Non potevo dire cosa ne pensavo. Sbuffai rumorosamente,<br />
gonfiando le guance, e scossi la testa,<br />
«Allora?» insistette. «Lo farai? Signifi<strong>che</strong>rà un trattamento rude<br />
per le prossime settimane, ma salverà la Colonia e ripulirà il tuo<br />
nome.»<br />
Mi alzai e mi versai una coppa di vino dalla brocca <strong>che</strong> era sul<br />
tavolo, rimanendo a fissare pensierosamente la mia bevanda,<br />
mentre passavo in rassegna quello <strong>che</strong> aveva detto. «Il mio nome<br />
non è mai stato macchiato, Cai. Non è mai stato noto ai miei nemici.<br />
Tutto quello <strong>che</strong> avevano era la mia descrizione. A dire la verità non<br />
mi sento pieno di gioia alla tua idea.» Vuotai la coppa in un sorso.<br />
«Contemporaneamente, però, guardando il tuo piano da ogni altro<br />
punto di vista tranne <strong>che</strong> dal mio, mi rendo conto <strong>che</strong> la cosa<br />
funziona. È brillante. Vorrei solo <strong>che</strong> qualcun altro potesse recitare<br />
la parte al mio posto. Ma hai ragione, bisogna fare così. Nessun altro<br />
andrebbe bene per Seneca a parte me... Spero <strong>che</strong> tu abbia ragione<br />
an<strong>che</strong> su tutto il resto.»<br />
Mi buttò le braccia al collo. «Ho ragione. Fidati.»
«Mi fido.» Trovai un sorriso per lui da qual<strong>che</strong> parte. «Ma tua<br />
sorella vorrà le tue palle per questo.»<br />
Lui fece un breve sorriso, un po' forzato. «<strong>La</strong>scia a me Luceia. È<br />
mia sorella e sa cosa vuol dire il dovere e cosa a volte comporti. Nel<br />
frattempo dovrai metterti degli altri vestiti. Vestiti vecchi e sporchi.<br />
Dovrai avere l'aspetto sgradevole <strong>che</strong> comporta la tua nuova<br />
professione.»<br />
Lo guardai diritto negli occhi, sorridendo. «Non è molto difficile<br />
per un fabbro. Carbone, fuliggine, fumo e cenere e vecchi vestiti<br />
sudati e puzzolenti. Avrò un aspetto sconveniente perfino per te.»<br />
Improvvisamente il mio sorriso si spense, il mio stomaco si strinse e<br />
la mia voce perse tutta la sua superficiale allegria. «Sarà dura, non è<br />
vero?»<br />
Lui mi afferrò una mano. «Sì, dura, ma temporanea.»<br />
Feci una smorfia, poi cercai di trasformarla in un sorriso, ma<br />
trasalii mentre, a malincuore, riconoscevo la spiacevole circostanza<br />
<strong>che</strong> era rimasta a gingillarsi nella mia coscienza per qual<strong>che</strong> tempo.<br />
«Fratello» dissi. «Adesso ti dirò qualcosa, una cosa <strong>che</strong> non sai. <strong>La</strong><br />
prospettiva <strong>che</strong> hai delineato, per quanto seria, non mi spaventa<br />
tanto quanto il compito <strong>che</strong> mi aspetta ora, perché sbagli in quello<br />
<strong>che</strong> dici, almeno su un punto. Devo essere io a dirlo a Luceia, non tu.<br />
E quando saprà cosa sta succedendo qui, preferirei non assistere alla<br />
sua reazione. Per una volta ti garantisco <strong>che</strong> il senso del dovere e i<br />
suoi obblighi non avranno nessun effetto.»<br />
Quando finii di parlare Caio aveva la fronte aggrottata. «Cosa<br />
intendi dire?»<br />
«Intendo dire <strong>che</strong> mia moglie, <strong>che</strong> in questa situazione è solo<br />
incidentalmente tua sorella, sarà infuriata oltre ogni dire e avrà tutte<br />
le ragioni di esserlo. Sarà offesa, scandalizzata e desiderosa di<br />
vendetta, amareggiata e profondamente ferita da quello <strong>che</strong><br />
considererà un tradimento.»
«Tradimento? Non ti seguo. Tradimento da parte di chi?»<br />
«Da parte mia, Caio, da parte mia! Lei attribuisce una grande<br />
importanza all'onestà e alla sincerità tra lei e me, lo ha sempre fatto,<br />
fin dall'inizio della nostra vita insieme. E adesso ho tradito la sua<br />
fiducia, con il silenzio e con un segreto non necessario. Luceia non è<br />
a conoscenza del mio tentativo di uccidere Seneca, Cai, non sa<br />
niente. Ne abbiamo parlato tu e io, ma lo credevamo morto, come<br />
hai detto poco fa. Non ho mai raccontato quella storia a Luceia,<br />
perché il massacro di Titente e i maltrattamenti di Ligno a suo figlio<br />
sono stati di una violenza indicibile. Ho dimenticato quell'episodio...<br />
volutamente, lo ammetto, e completamente. Ma ci sbagliavamo.<br />
Quel figlio di puttana è vivo e adesso è qui e il nostro unico piano<br />
contro di lui è quello di consegnarmi prigioniero. Tua sorella non lo<br />
accetterà facilmente.»<br />
Caio era impallidito comprendendo il significato delle mie<br />
parole; si coprì gli occhi con le mani e parlò attraverso i pugni. «Non<br />
ci avevo pensato, Publio. Dio mi aiuti, non ci avevo pensato e hai<br />
ragione. Non ci perdonerà mai.»<br />
«Oh, sì, ti perdonerà, Cai, purché il tuo piano riesca, ma<br />
potrebbe non perdonare me, qualunque sia il risultato.» Si tolse le<br />
mani dalla faccia. «Cosa le dirai?» Mi strinsi nelle spalle. «Quello <strong>che</strong><br />
devo. Prega Dio per me <strong>che</strong> mi mandi le parole giuste, an<strong>che</strong> se<br />
dubito <strong>che</strong> an<strong>che</strong> Lui le possa trovare. Adesso è meglio <strong>che</strong> vada.<br />
Ogni attimo <strong>che</strong> passa divento più codardo e apprensivo.»<br />
Trovai Luceia nella stanza di famiglia <strong>che</strong> disponeva fiori secchi<br />
in un cestino.<br />
Mi guardò sorpresa, aggrottò la fronte, poi abbassò rapidamente<br />
le mani da quello <strong>che</strong> stava facendo, e socchiuse leggermente gli<br />
occhi contro il sole del pomeriggio per guardarmi attentamente.<br />
«Cosa c'è <strong>che</strong> non va, Publio? Perché sei qui? Sono arrivati?»
Scossi la testa. «No, non ancora, ma sono per strada.» Mi diressi<br />
verso un divano con tutta la risolutezza di cui disponevo. «Ma ho<br />
qualcosa da dirti e te lo devo dire adesso. Vieni a sederti.»<br />
Mi venne vicino, senza dire niente, limitandosi a scrutarmi con<br />
gli occhi socchiusi. Esitai prima ancora di parlare, gesticolando<br />
inutilmente, poi trassi un profondo respiro e mi buttai, determinato<br />
a farmi largo attraverso quello <strong>che</strong> avevo da dire. Riuscii solo a<br />
essere prolisso, impreciso e pomposo.<br />
«Luceia, è successo qualcosa... una cosa <strong>che</strong> non ti piacerà, uno<br />
sviluppo imprevisto di grande importanza. Un fatto inquietante e<br />
spaventoso e <strong>che</strong> diventa ancora peggiore a causa di una cosa <strong>che</strong><br />
non ti ho detto.»<br />
<strong>La</strong> sua espressione era divenuta molto più intensa, i suoi occhi<br />
acuti. «Dimmi quello <strong>che</strong> vuoi dire, Publio. Qualcuno è stato ferito?<br />
Caio?»<br />
«No, no, niente di simile. Ha a <strong>che</strong> fare con l'ispezione; qualcosa<br />
<strong>che</strong> non avremmo mai sospettato... e con me, e con te...»<br />
«In nome di Dio, marito, dimmi cos'è! <strong>La</strong> tua agitazione e la tua<br />
reticenza mi stanno facendo paura! Che cosa non mi hai detto? Ha a<br />
<strong>che</strong> fare con l'ispezione, e allora dimmi!»<br />
Trattenni il respiro, poi parlai tutto d'un fiato. «L'ispettore è<br />
Claudio Seneca, <strong>che</strong> io credevo morto. Plauto ci ha mandato un<br />
avvertimento del suo arrivo, un messaggio <strong>che</strong> è stato consegnato a<br />
Caio in segreto dal pilus prior <strong>che</strong> faceva parte dell'avanguardia.»<br />
Si premette il dorso della mano contro le labbra, costernata. «Ne<br />
sei certo?»<br />
«Completamente. Assolutamente. Non possono esserci<br />
fraintendimenti, il messaggio era destinato a me. Plauto dice <strong>che</strong> Dio<br />
cavalca con il pilus prior. Gli amici di Seneca lo chiamavano Dio:<br />
Deus, il diminutivo blasfemo per Claudio.<br />
Plauto era con me quando l'ho incontrato la prima volta e li
abbiamo sentiti usare quel nome. Non posso sbagliarmi. Seneca è<br />
l'ispettore mandato a scoprire tracce di tradimento nella nostra<br />
Colonia. Pensi <strong>che</strong> non ne troverà, vizioso e pazzo com'è, appena<br />
sentirà il nome Britannico?»<br />
Rimase seduta a guardarmi in silenzio per lo spazio di pochi<br />
attimi, poi mi chiese cosa intendevamo fare Io mi strinsi nelle spalle<br />
e le dissi <strong>che</strong> Caio aveva ideato un piano per impedirglielo, ma<br />
prima di parlargliene dovevo dirle un'altra cosa. Strinse le labbra<br />
come per mandare un bacio, ma la sua bocca non era né morbida né<br />
invitante.<br />
«Allora hai un segreto, marito!»<br />
Annuii, sentendomi malissimo.<br />
«E lo vuoi condividere con me adesso?» Potei solo annuire di<br />
nuovo. «Questo è... spiacevole,» disse Luceia, con una voce<br />
stranamente gentile e gli occhi pieni di preoccupazione, «perché<br />
devo presumere <strong>che</strong> è solo l'emergenza <strong>che</strong> ti costringe a<br />
liberartene... E questo mi porta a chiedermi, e se ci pensi sarai<br />
d'accordo con me, ne sono sicura, quanti altri segreti puoi<br />
nascondere in petto, in attesa <strong>che</strong> si presentino simili emergenze.<br />
Mmm?»<br />
Mi agitai. «Non ce ne sono altri, nessuno.» Che bugiardo ero, la<br />
faccia di Cilla Titente rideva di me, dentro la mia mente, mentre<br />
proseguivo in fretta prima <strong>che</strong> Luceia potesse scoprire an<strong>che</strong> quel<br />
tradimento. «E non ho mai avuto intenzione di dirtelo<br />
semplicemente perché pensavo <strong>che</strong> avrebbe causato inutile dolore e<br />
litigi...»<br />
«Farai meglio a dirmelo.»<br />
Deglutii. «Seneca. Ho cercato di ucciderlo e lui mi ha visto in<br />
faccia.»<br />
«E allora? Questo lo sapevo, Publio, ma è stato molto tempo fa,<br />
prima <strong>che</strong> tu venissi qui.»
Alzai la mano per interromperla. «No. Intendo un'altra volta,<br />
pochi anni fa, qui, nell'Ovest, vicino ad Aquae Sulis, proprio la<br />
prima volta <strong>che</strong> incontrammo Ullic, quando tu volevi<br />
accompagnarci, ricordi?»<br />
Aggrottò la fronte perplessa.<br />
«Ricordo chiaramente, ma non so di cosa stai parlando, an<strong>che</strong> se<br />
hai detto <strong>che</strong> lo credevi morto.»<br />
Dapprima lentamente, facendo delle pause, poi con sempre<br />
maggiore eloquenza, le raccontai l'intera storia di quella <strong>che</strong> avevo<br />
creduto essere la morte di Seneca, e di come ne avevo denunciato la<br />
colpa: avevo inviato degli uomini per rapirlo dal suo nascondiglio di<br />
Aquae Sulis, lo avevo tenuto prigioniero nella radura nella foresta e<br />
alla fine lo avevo ammazzato, pensavo, e poi ero stato troppo<br />
disgustato per tagliargli la testa. Luceia ascoltò in completo silenzio,<br />
pallida, ma senza tradire i suoi pensieri nemmeno quando le spiegai<br />
le ragioni del mio silenzio allora e in seguito.<br />
Quando ebbi finito rimase a sedere rigida come una pietra,<br />
meditando per quello <strong>che</strong> mi sembrò un tempo senza fine.<br />
«E Caio lo sapeva?»<br />
Mi strinsi nelle spalle, sentendomi ancora peggio. «Lo ha saputo<br />
solo di recente, subito prima <strong>che</strong> l'affare Titente deviasse ogni nostro<br />
pensiero su altre cose... Volevo dirtelo allora, an<strong>che</strong> a te...» <strong>La</strong> mia<br />
voce tremò, quelle rutili, inutili parole mi fecero odiare me stesso.<br />
«Avresti dovuto decapitarlo, marito,» disse Luceia finalmente,<br />
«e avresti dovuto dirmelo subito. Oppure avresti potuto dirmelo<br />
dopo. In qualunque momento, ma non adesso.»<br />
Annuii, pieno di angoscia e di vergogna, sentendomi infantile e<br />
inferiore, ma Luceia non aveva ancora finito, e il quadro della mia<br />
ignominiosa caduta non aveva neppure iniziato a delinearsi.<br />
«Ne siamo stati gravemente danneggiati, tu e io» continuò<br />
lentamente, prima <strong>che</strong> io potessi trovare una sola parola. «E io non
so ancora quanto grande sia il danno.» Trasse un enorme respiro e<br />
raddrizzò le spalle, spingendo in avanti il petto, prima di buttare<br />
fuori il fiato, mentre un profondo solco compariva sulla sua fronte.<br />
Batté un dito tra i seni, contro lo sterno. «Qualcosa si è rotto, qui<br />
dentro, penso... e senza <strong>che</strong> fosse necessario, Publio... Qualcosa <strong>che</strong><br />
era prezioso e fragile... Non ho mai pensato di vederti inferiore al<br />
gigante <strong>che</strong> avevo sposato... Immaturità... insicurezza... erano parole<br />
<strong>che</strong> non avrei mai applicato a te prima d'oggi, e questo triste piccolo<br />
segreto con un migliaio di piccoli uncini... Capisci <strong>che</strong> quello <strong>che</strong> hai<br />
fatto fisicamente a Seneca non è importante, Publio? Capisci dove è<br />
la vera tragedia? Claudio Seneca è a stento un essere umano. <strong>La</strong> sua<br />
morte sarebbe stata una benedizione agli occhi di tutti. Ma <strong>che</strong> lui,<br />
tra tutti quanti, dovesse essere la causa, per aver taciuto, è<br />
incredibile...»<br />
«Luceia...»<br />
«Taci!» Alzò la mano con gesto perentorio, facendomi tacere, e<br />
rimasi a sedere in silenzio, avvilito, mentre lei mi guardava con<br />
occhi assenti e turbati. «Ne parleremo più tardi, Publio, solo tu e io»<br />
sussurrò alla fine. «Devo riflettere se esiste la possibilità <strong>che</strong> le nostre<br />
vite continuino a essere quello <strong>che</strong> erano.»<br />
Nella sua voce c'era un tono spento, stranamente senza vita, <strong>che</strong><br />
improvvisamente mi raggelò e mi terrorizzò. Per la prima volta<br />
valutai veramente, con un certo grado di obiettività e di precisione,<br />
quanto gravemente avessi sbagliato; quanto gravemente avessi<br />
danneggiato la verità centrale della mia vita, la sua chiave di volta:<br />
l'amore <strong>che</strong> dividevo con quella donna. E tutto ciò <strong>che</strong> sentivo era<br />
amplificato dal senso di colpa <strong>che</strong> mi divorava a causa di Cilla<br />
Titente. Che cosa sarebbe successo, mi chiesi, se quello spettro fosse<br />
venuto alla luce un giorno?<br />
Quell'atroce terrore aveva allontanato dalla mia mente ogni<br />
pensiero di Seneca e dell'ispezione. Il cuore mi batteva all'impazzata<br />
nella gabbia toracica, e mi sembrava di avere in bocca un ramo secco
al posto della lingua. E come se non bastasse Luceia si alzò e parlò<br />
come il comandante <strong>che</strong> avrei dovuto essere io.<br />
«Ma adesso ci sono cose più impellenti <strong>che</strong> ci riguardano. Hai<br />
detto <strong>che</strong> Cai ha preparato un piano per affrontare quel rifiuto<br />
umano. Dimmelo.»<br />
Deglutii, mi succhiai la lingua nello sforzo di inumidirla e cercai<br />
di parlare, paventando le parole <strong>che</strong> stavo per dire, ma Luceia mi<br />
interruppe di nuovo prima <strong>che</strong> potessi cominciare.<br />
«No, fermo! Non posso ascoltarti adesso.» Si raddrizzò ancora,<br />
senza guardarmi. «Posso sembrarti molto calma ma dentro voglio<br />
solo urlare, dare in escandescenze e picchiarti. Ho bisogno di<br />
tempo... di rimanere sola. Hai detto <strong>che</strong> il piano è di Caio. Bene,<br />
voglio sentirlo dalle sue labbra. Adesso vai e portalo qui. Mentre<br />
sarai lontano cer<strong>che</strong>rò di controllarmi. Vai!»<br />
Sentendomi in colpa, incapace di far altro, mi inchinai<br />
formalmente e la lasciai in piedi davanti al divano; la mia anima era<br />
invasa dal freddo, impersonale distacco del suo congedo.<br />
Nel quarto d'ora <strong>che</strong> mi ci volle per trovare Caio ripresi una<br />
sufficiente compostezza per nascondere ai suoi occhi la disperazione<br />
della mia miseria. In risposta alle sue domande sulla reazione di<br />
Luceia nei confronti della mia confessione, mormorai qualcosa su un<br />
vulcano <strong>che</strong> non aveva ancora avuto il tempo di caricarsi per<br />
l'eruzione, e Caio accettò le mie parole senza obiezioni né commenti.<br />
Quando però lo informai <strong>che</strong> Luceia non sapeva ancora quale fosse<br />
il suo piano, e <strong>che</strong> lo stava aspettando per sentirselo esporre di<br />
persona, la sua calma si alterò visibilmente e provai un piacere<br />
egoistico e maligno nel vedere <strong>che</strong> nemmeno il proconsole era<br />
insensibile alla collera della sorella.<br />
Entrammo nella stanza e subito Luceia gli si avvicinò. Il suo<br />
comportamento era ancora freddo e distaccato, e non potei dire se il
suo tentativo di padroneggiarsi aveva avuto successo. I suoi<br />
commenti iniziali, però, non furono incoraggianti.<br />
«Publio mi dice <strong>che</strong> Seneca è in arrivo, a po<strong>che</strong> ore da qui, e <strong>che</strong><br />
tu hai ideato un piano per ostacolarlo. Questo piano metterà in<br />
pericolo me o la mia famiglia?»<br />
Caio si schiarì la voce, evidentemente decidendo di procedere<br />
con circospezione. «Questa è un'accoglienza brusca, mia cara, ma<br />
capisco cosa ti preoccupa. Tu e le bambine sarete al sicuro, an<strong>che</strong> se<br />
la presenza di un Seneca comporta sempre un certo pericolo per<br />
tutti.»<br />
«E allora fallo ammazzare appena arriva.»<br />
«Fallo cosa...?» Per la prima volta da quando lo conoscevo Caio<br />
Britannico era senza parole. Si girò verso di me, cercando un<br />
sostegno <strong>che</strong> non trovò. «Ma, Luceia, sorella cara, questo non è né<br />
possibile, né pratico...»<br />
Luceia lo aggredì come una leonessa. «Balle, fratello! È entrambe<br />
le cose. Anzi è molto di più, è la sola cosa ragionevole da fare. In<br />
termini di possibilità mio marito, qui presente, può abbatterlo da<br />
mezzo miglio di distanza con un'unica freccia del suo arco. E dal<br />
punto di vista pratico questo risolverebbe tutti i nostri problemi,<br />
proteggerebbe la nostra gente e libererebbe il mondo da una<br />
pestilenza. Quello di cui stiamo parlando è un animale rabbioso,<br />
non un uomo.»<br />
«Luceia...»<br />
«Non ti appellare a me, Caio. Ordina <strong>che</strong> sia fatto. Dubito e<br />
qualcuno nella sua scorta ti biasimerà.»<br />
«In nome di Dio, Luceia, pensa a quello <strong>che</strong> stai dicendo! Un<br />
inviato imperiale. Fargli del male sarebbe un tradimento, <strong>che</strong><br />
comporterebbe morte e proscrizione.»<br />
«E cos'altro esiste per noi se viene lasciato in vita e libero di<br />
guardarsi intorno, uomo senza senno? Una fortezza! E un esercito
privato con una bella uniforme! Un tradimento, <strong>che</strong> comporta morte<br />
e proscrizione! Tutto il nostro modo di vivere è un tradimento delle<br />
leggi di Roma. Per l'amor di Dio, fratello, non riesci a vedere la<br />
necessità di battere il ferro finché è caldo? Uccidilo da lontano, poi<br />
dai la colpa ai fuorilegge e affronta la situazione! <strong>La</strong> tua influenza è<br />
grande quanto la sua. Più grande, in effetti, perché tu hai il rispetto<br />
della gente. Uccidilo, Caio, sfrutta il tuo titolo di proconsole, prima<br />
<strong>che</strong> possa causare la morte di tutti noi.»<br />
«Questa è una follia. Non ti ho mai sentito parlare in questo<br />
modo, Luceia. Faccio fatica a crederci.»<br />
«Non sono mai stata minacciata in questo modo prima! E trovo<br />
<strong>che</strong> an<strong>che</strong> la tua stupidità sia difficile da credere. Quest'uomo è tuo<br />
nemico e tu lo tratti con maschia nobiltà. Dio ti aiuti, ma se lui porta<br />
la sua verminosa esistenza sulle mie terre, minacciando di<br />
spodestare e rovinare me e la mia famiglia...»<br />
Interruppe la sua invettiva, facendo un palese sforzo per<br />
calmarsi, e poi riprese con un tono di voce più normale «Questo tuo<br />
piano, posso sentirlo?»<br />
«Certamente, se prometti di ascoltarmi e di non interrompermi<br />
come una pescivendola, mentre te ne parlo.»<br />
Luceia strinse le narici inspirando a fondo, ma annuì e Caio<br />
procedette a delineare la sua idea, schiarendosi di nuovo la voce<br />
prima di cominciare e aspettandosi palesemente di essere attaccato<br />
in ogni punto. Luceia invece rimase seduta e ascoltò in silenzio come<br />
aveva promesso, mentre il suo viso diventava più duro a ogni<br />
dettaglio.<br />
«Allora,» disse quando suo fratello ebbe finito di parlare, a voce<br />
bassa ma tremante, «tu salverai la mia vita e quella delle mie figlie,<br />
salverai la vita di tutti, offrendo mio marito a quel mostro, per finta<br />
ovviamente, come un prigioniero inerme, confidando nella tua<br />
probità e nella tua forza per controbilanciare e sconfiggere la sua<br />
pazzia? È questo <strong>che</strong> mi stai dicendo?»
Caio fece una smorfia e annuì. «Lo esprimi in termini crudi, ma,<br />
sì, è quello <strong>che</strong> sto dicendo.»<br />
«E tu <strong>che</strong> cosa ne pensi, marito? Sei pronto a dare la tua fiducia a<br />
questo piano, a offrirti inerme e in catene a Claudio Seneca?»<br />
Annuii, sentendomi più controllato. «Penso <strong>che</strong> funzionerà.»<br />
«Lo pensi? Allora sei uno sciocco, mio caro, ancora più sciocco<br />
del mio nobile fratello, perché è la tua vita <strong>che</strong> sarà a rischio.» I suoi<br />
occhi ritornarono su Caio. «Ci sarà un momento in cui saprai se<br />
questo piano può funzionare o no. Quando sarà?»<br />
«Stasera, pochi istanti dopo l'apparire di Publio.»<br />
«Cosa accadrà allora?»<br />
«Ci sarà uno scontro di volontà, di personalità, tra me e Seneca,<br />
e una scelta di lealtà da parte degli ufficiali della squadra imperiale.<br />
Si schiereranno con me o con lui.»<br />
«Mmm. Cosa accadrà se Seneca assalirà Publio appena lo vedrà?<br />
È abbastanza pazzo da cercare di farlo.»<br />
«Morirà, prima di potersi an<strong>che</strong> solo avvicinare. Questa crebbe<br />
la cosa migliore <strong>che</strong> possa succedere. Perché sarebbe colpevole di<br />
violazione flagrante di tutte le leggi sulla condotta e sull'ospitalità.»<br />
«E cosa ti convincerà <strong>che</strong> il tuo piano può avere successo?»<br />
«<strong>La</strong> scelta degli uomini della scorta di Seneca di essere leali a<br />
me, e la loro accettazione del mio rango e del mio stato.»<br />
«E se restano dalla parte di Seneca?»<br />
«Publio scapperà durante la notte e la squadra imperiale sarà<br />
uccisa il giorno successivo.»<br />
«In <strong>che</strong> modo?»<br />
«Richiamerò stanotte le nostre forze e li attac<strong>che</strong>remo. Saremo<br />
superiori di numero nella proporzione di cinque a uno.»<br />
«E quando non faranno ritorno a Londinium?»
«Allora dovremo assumerci il rischio. Niente sarà cambiato dal<br />
tuo prospetto. Affronteremo la morte e la proscrizione. Ma non<br />
credo <strong>che</strong> succederà.»<br />
«Ah, non credi. Capisco.» Io stesso non riuscivo a credere<br />
quanto la voce di mia moglie fosse stata fredda e scostante durante<br />
quello scambio di opinioni. «Ancora una domanda. Cosa accadrà se<br />
Seneca accetta per salvare le apparenze, e poi uccide Publio lungo la<br />
strada?»<br />
«Non è possibile, no, lascia <strong>che</strong> mi esprima meglio. È possibile,<br />
lo ammetto, ma altamente improbabile. <strong>La</strong> decisione di procedere o<br />
meno nel piano si baserà sulla mia valutazione del livello e della<br />
affidabilità degli ufficiali di scorta. Se non sono convinto non<br />
andremo; e se andremo Publio sarà guardato notte e giorno dai<br />
nostri uomini... I nostri uomini migliori.»<br />
Sua sorella gli aveva voltato le spalle e aveva attraversato la<br />
stanza diretta al braciere, dove rimase a lungo, guardando i carboni<br />
spenti per un lungo momento. Alla fine si girò e ci guardò, prima<br />
uno e poi l'altro.<br />
«Sai <strong>che</strong> c'è stato un momento, Caio, in cui io ho temuto <strong>che</strong> tu<br />
scoprissi <strong>che</strong> ero diventata ricca ereditando la fortuna di zia Liga?<br />
Sapevo <strong>che</strong> la disapprovavi come donna, donna romana <strong>che</strong> non si<br />
era mai sposata e aveva guadagna tutti quei soldi con il commercio.»<br />
Scosse la testa. «Avevo paura <strong>che</strong> tu, un uomo, disapprovassi me,<br />
una donna... Adesso so <strong>che</strong> la differenza tra noi, tra uomini e donne,<br />
non è una differenza di sesso, ma di specie. Siamo animali diversi. E<br />
voi uomini, adesso lo so, siete creature deboli in confronto a noi in<br />
situazioni come questa. Disapprova pure, fratello.» A quel punto<br />
guardò me. «Andate a giocare il vostro stupido, inutile, gioco<br />
d'onore e ballate la danza del destino secondo le vostre regole. Per<br />
quanto tempo starete via?»<br />
Scossi la testa, guardando Caio. Lui si strinse nelle spalle<br />
«Tre settimane, forse quattro.»
Luceia annuì. «Molto bene. Ho bisogno di quel tempo per le mie<br />
decisioni. Ho molto su cui pensare. Ma sappiate questo, voi due.<br />
Non prenderò parte a questa scioc<strong>che</strong>zza. Non voglio essere<br />
coinvolta in nessun modo, oltre <strong>che</strong> a dover sopportare le cose come<br />
sono. Non cercate di farmi partecipare a nessuna fase di questa<br />
follia. Andate con Dio, entrambi, ma senza la mia benedizione. E,<br />
Caio, se fallisci, se perdi mio marito, non tornare.»<br />
Uscì dalla stanza e ci lasciò a fissarla con gli occhi sbarrati.
XII.<br />
Era quasi buio quando Vegezio Sulla aprì la porta della casupola<br />
di pietra <strong>che</strong> era diventata la mia prigione. Giacevo sul pavimento<br />
coperto di paglia, con le braccia e le gambe <strong>che</strong> mi dolevano per le<br />
catene. Avevo l'occhio sinistro gonfio, completamente chiuso e<br />
incrostato di sangue dove Vegezio mi aveva colpito poco prima con<br />
l'elsa della spada. Entrò e si acquattò vicino a me.<br />
«Sono pronti, Publio. Il pubblico è raccolto e il circo è preparato.<br />
Caio ha detto loro di come ti abbiamo catturato e dei suoi progetti.<br />
Adesso stanno aspettando di vederti. Come ti senti?»<br />
Cercai di umettare le labbra sec<strong>che</strong>, spaccate da un manrovescio<br />
quando mi avevano chiuso nella casupola. «Dammi da bere.» Mi<br />
sembrò nettare. Mi sciacquai la bocca e sputai. «Come mi sento? È<br />
una domanda dannatamente stupida. Che aspetto ho?»<br />
Vegezio rabbrividì. «Orribile, e puzzi come un caprone.<br />
Esattamente come uno sporco bandito cattivo <strong>che</strong> è stato<br />
giustamente pestato dopo essere stato catturato.»<br />
«Bene, questo è l'aspetto <strong>che</strong> devo avere.»<br />
«Riesci a stare in piedi?»<br />
Cercai di farlo. «No. Dovrai aiutarmi.»<br />
<strong>La</strong>nciò un comando e un giovane soldato entrò e si fermò con gli<br />
occhi spalancati a fissarmi con orrore.<br />
«Aiuta il prigioniero ad alzarsi.»<br />
Il giovane si chinò per obbedire, trattandomi come se fossi<br />
fragile, con evidente rispetto. Quando fui in piedi Vegezio infilò<br />
l'asta di una lancia nello spazio tra i gomiti piegati la schiena,<br />
immobilizzandomi e tendendo sul ventre la catena <strong>che</strong> mi stringeva<br />
i polsi.
Lo sguardo negli occhi del giovane soldato mi faceva paura.<br />
«Aspettate!» Si fermarono e mi rivolsi al giovane, articolando a<br />
fatica le parole attraverso le labbra riarse. «Senti, ragazzo, questo è<br />
stato fatto con uno scopo. Te lo hanno spiegato?» Annuì. «Bene.<br />
Allora togliti quell'espressione dalla faccia. Se ti vedono ci tradirai<br />
tutti. Questa è solo una mas<strong>che</strong>rata, ma deve sembrare autentica.<br />
Ricorda, io non sono Publio Varro, sono un ribelle catturato, un<br />
assassino e un bandito. Sono un prigioniero e se provi qualcosa nei<br />
miei confronti deve essere indifferenza mista a odio. Hai capito?»<br />
Annuì di nuovo. «Bene, allora cambia quell'espressione e dammi un<br />
gran colpo. Poi tirami su e trascinami dentro da Caio Britannico.»<br />
Guardò Vegezio per avere conferma.<br />
Vegezio annuì. «Colpiscilo, forte, e trattalo come una bestia<br />
d'ora in poi. Se la gente sospetta i nostri propositi è un uomo<br />
morto.»<br />
Il giovane strinse la mascella e mi diede un colpo con la spada,<br />
sbattendomi a terra e facendomi perdere i sensi.<br />
Quando mi ripresi mi stavano trascinando di fronte a Caio e ai<br />
suoi visitatori. Ero in mezzo a due guardie, una per parte, <strong>che</strong> mi<br />
reggevano ognuna per l'estremità dell'asta infilata sotto i gomiti,<br />
portandola sulle spalle in modo <strong>che</strong> i miei piedi ciondolavano sul<br />
pavimento e tutto il peso pendeva dalle torturate giunture delle<br />
spalle. Non facevo fatica a recitare la mia parte e il dolore <strong>che</strong><br />
sentivo era perfettamente reale. Sentii qualcuno dare bruscamente<br />
l'ordine di fermarsi e le due guardie si fermarono di colpo e mi<br />
misero giù. Le ginocchia mi si piegarono e sarei caduto se le guardie<br />
non mi avessero sorretto.<br />
Mi morsicai forte le labbra, cercando di controllarmi, e sentii un<br />
lamento lontano. "Luceia," pensai, "sii forte! Non fare <strong>che</strong> vedano la<br />
tua pena!" Ma il lamento continuava e mi resi conto <strong>che</strong> proveniva<br />
da me. Lo interruppi e rimasi lì appeso, sostenuto dalle guardie.
«E questo sarebbe un generale?» <strong>La</strong> voce era carica di disprezzo.<br />
Era profonda e aveva un timbro piuttosto piacevole, non riuscivo ad<br />
associarla al Seneca <strong>che</strong> ricordavo.<br />
«No,» rispose Caio, «non un generale, Claudio Seneca, soltanto<br />
un capo di ribelli.»<br />
<strong>La</strong> voce di Caio, comodamente seduto sulla sua seggiola,<br />
sembrava rilassata. «Ammetto <strong>che</strong> ha un aspetto un po' logoro e<br />
molto meno marziale di quando lo abbiamo preso. Senza l'armatura,<br />
le armi e i suoi ribelli è sceso a proporzioni umane. Una settimana fa,<br />
però, ti posso assicurare <strong>che</strong> la sua reputazione era temibile e le sue<br />
scorrerie formidabili.»<br />
<strong>La</strong> voce profonda sembrava annoiata. «Formidabile forse qui, in<br />
queste acque stagnanti. Altrove sarebbe stato solo una zanzara da<br />
schiacciare distrattamente. Quest'uomo è palesemente un disertore.<br />
Impiccalo, ti dico, e falla finita.»<br />
«No.» Caio parlò di nuovo. Ero sorpreso dalla facilità con cui li<br />
udivo discutere. Ero molto vicino al loro tavolo. «No. Sarà portato in<br />
una gabbia aperta fino a Londinium, per servire di esempio, come ti<br />
ho detto. È un ribelle. <strong>La</strong> sua umiliazione deve essere pubblica e<br />
spettacolare e deve servire a scoraggiare negli altri l'emulazione.<br />
Impiccarlo subito non sarebbe di nessuna utilità.»<br />
«Non sono d'accordo.» C'era una nota di petulanza adesso in<br />
quella voce profonda. «Dovrebbe essere già morto. I disertori<br />
devono essere giustiziati immediatamente, appena catturati.»<br />
«Questo non è un disertore, senatore. Almeno, non credo. È un<br />
veterano, certo, ma dubito <strong>che</strong> abbia disertato. Quest'uomo è<br />
storpio. Ha una ferita vecchia e grave; deve aver messo fine al suo<br />
servizio.»<br />
«Scioc<strong>che</strong>zze, Caio Britannico! Potrebbe avere ricevuto una<br />
ferita in qualsiasi momento.»<br />
«Non quella ferita, senatore, non se è un disertore. L'avrebbe
ucciso. Non sarebbe guarito da una ferita simile se non fosse stato<br />
ricoverato in un ospedale militare.»<br />
Un lungo silenzio fece seguito a queste parole. Nessuno parlava<br />
e io mi sentivo addosso gli occhi di tutti. Poi la stessa voce parlò di<br />
nuovo, petulante, come quella di un bambino viziato <strong>che</strong> parla con<br />
la bocca di un adulto.<br />
«Per tutti gli antichi dei, Caio Britannico, sei un uomo tedioso! I<br />
miei uomini hanno viaggiato con me attraverso queste terre per far<br />
scorrere un po' di sangue e tu togli loro questa soddisfazione! Come<br />
hai potuto fare quello <strong>che</strong> hai detto, combattere la battaglia <strong>che</strong> hai<br />
descritto e aver preso un solo prigioniero?» Fece una pausa come se<br />
aspettasse una risposta e poiché non ne ricevette alcuna continuò<br />
con quella voce bassa, stranamente piagnucolosa e petulante. «Non<br />
rispondi? Allora lascia <strong>che</strong> ti dica cosa penso. Penso <strong>che</strong> tu ne stia<br />
facendo un caso molto più grande di quello <strong>che</strong> è. Penso <strong>che</strong> vorresti<br />
farci credere di avere ottenuto una vittoria importante, mentre è<br />
stato solo uno scontro minore. Penso <strong>che</strong> domani vorrò venire con te<br />
a prendere visione delle rovine di quell'accampamento di ribelli e<br />
contare i corpi dei suoi compagni massacrati e penso <strong>che</strong><br />
dovremmo...»<br />
«Claudio Seneca!» <strong>La</strong> voce di Caio schioccò come una frusta.<br />
«Penso <strong>che</strong> sarò felice di fare come suggerisci, ma penso an<strong>che</strong> <strong>che</strong><br />
quando lo avrò fatto tu dovrai essere pronto a farmi le tue scuse per<br />
ogni macchia <strong>che</strong> avrai gettato sul mio onore! E penso an<strong>che</strong> <strong>che</strong> tu sia<br />
molto stanco, anzi esausto per il lungo viaggio. Non penso <strong>che</strong> tu<br />
voglia <strong>che</strong> io pensi <strong>che</strong> metti in dubbio la veridicità delle mie<br />
parole.»<br />
Non c'era nessun tentativo di nascondere la sfida nascosta in<br />
tanta enfasi. Seneca rimase in silenzio e Caio continuò. «E già <strong>che</strong><br />
stiamo discutendo così liberamente, rifletti. I miei uomini non sono<br />
soldati di Roma. Sono fattori e artigiani, robusti ma raramente<br />
violenti. Quando sono minacciati, però, reagiscono. Quando sono
offesi, vogliono vendicarsi. E quando sono stati provocati<br />
abbastanza da cercare vendetta non pensano a prendere prigionieri!<br />
Noi non abbiamo prigioni, né carcerieri qui. Io ho preteso solo il<br />
capo dei banditi. L'uomo crie vedi davanti a te è il solo prigioniero, il<br />
loro generale, come l'hai chiamato tu. Il loro dio storpio e<br />
zoppicante, il loro selvaggio Vulcano dai capelli grigi! Sarà<br />
impiccato, ma a Londinium, e ce lo condurrò io stesso. Portatelo<br />
via!» Quest'ultima frase era rivolta alle mie guardie, <strong>che</strong><br />
cominciarono a trascinarmi via.<br />
«Aspetta!» <strong>La</strong> voce risuonò stridula.<br />
L'esca era stata mangiata. Trassi un profondo respiro di dolore.<br />
«Cosa hai detto, Britannico? Come lo hai chiamato?»<br />
«Come l'ho chiamato? L'ho chiamato Vulcano, come il dio<br />
zoppo.»<br />
«È questo il suo nome? Vulcano?» Quel sibilo velenoso adesso<br />
mi ricordava un serpente. «Alzategli la faccia! Fatemi vedere la sua<br />
faccia!»<br />
Sentii delle dita tirarmi per i capelli e forzarmi dolorosamente la<br />
testa all'indietro. Attraverso le lacrime <strong>che</strong> mi sgorgarono<br />
istantaneamente dagli occhi lo vidi avvicinarsi a me, quasi<br />
scivolando di lato, pronto a balzare via, al sicuro, al minimo segnale<br />
di minaccia. Venne più vicino, sempre più vicino, scrutando la mia<br />
faccia incrostata di sporcizia e di sangue, cercando un ricordo.<br />
«Potrebbe essere» sussurrò. «Allontanatevi da lui!» Adesso<br />
stava urlando alle guardie. «<strong>La</strong>sciatelo stare in piedi da solo!» Sentii<br />
il mio sostegno allontanarsi e appoggiai tutto il peso sui piedi.<br />
Seneca si allontanò da me, con le braccia tese, gesticolando. Sbattei le<br />
palpebre per vedere meglio. Caio era in piedi dietro di lui, contratto,<br />
pronto a intervenire. Tutti gli altri nella stanza guardavano la scena<br />
increduli. Fissai gli occhi in quelli lampeggianti di Seneca <strong>che</strong><br />
diceva: «Tu! Sei tu, vero? Vieni, cammina verso di me, figlio di<br />
puttana!».
Barcollai, ma non avanzai verso di lui, ricordando le parole di<br />
Plauto la prima volta <strong>che</strong> lo avevamo incontrato: la faccia di un dio e<br />
la personalità di una vipera cornuta. Oggi era un dio con il naso<br />
malamente rotto. Cominciò a girarmi intorno da sinistra, fuori dal<br />
mio campo visivo; lo ignorai, guardando invece gli sconosciuti<br />
raggruppati intorno al tavolo. Erano quattro, tutti giovani, e tutti<br />
guardavano Seneca come dei bambini avrebbero guardato un nuovo<br />
tipo di lucertola molto brutta. Improvvisamente Seneca afferrò<br />
un'estremità dell'asta, la torse con violenza e mi diede un calcio,<br />
urlando: «Cammina, figlio di puttana!» Io incespicai e caddi a faccia<br />
in giù. Mentre giacevo a terra mi sferrò un calcio in un fianco e sentii<br />
Caio urlare il suo nome. Un'ondata di nausea mi assali e quasi<br />
svenni. Lo sentivo ringhiare sopra di me. Due guardie mi rimisero in<br />
piedi. Seneca mi voltava le spalle, gesticolando in modo sfrenato, e<br />
urlava rivolto al gruppo intorno al tavolo. Deglutii la saliva,<br />
cercando di inghiottire il dolore.<br />
«Seneca!» Non fu necessario dirlo più forte. Rimase paralizzato<br />
a metà di un gesto e si girò lentamente verso di me, con<br />
un'espressione quasi comica di riconoscimento nell'udire la mia<br />
voce. Mi sforzai di sorridere. «Miserabile pederasta. L'ultima volta<br />
<strong>che</strong> ci siamo incontrati ho ceduto al disgusto, e ti ho lasciato ad<br />
attendere la morte, invece di ucciderti come avrei dovuto. <strong>La</strong><br />
prossima volta <strong>che</strong> ti avrò sulla punta della spada stai sicuro <strong>che</strong> ti<br />
taglierò la testa, come si fa con i serpenti.»<br />
I suoi occhi mandarono lampi e lanciò un urlo, poi un coltello<br />
apparve nelle sue mani come per magia. Si scagliò su di me, ma per<br />
quanto rapido fosse, Vegezio Sulla lo fu di più e lo trattenne per un<br />
braccio prima <strong>che</strong> mi si potesse avvicinare. L'intera sala esplose, e<br />
sentii Caio urlare: «Portate quest'uomo fuori di qui! Nella sua cella!<br />
E incatenatelo al pavimento!»<br />
Fui trascinato via.
Ore dopo, sul finire della notte, poco prima dell'alba, Caio venne<br />
da me e si sedette sul pavimento, strofinandomi i capelli e<br />
appoggiandomi una mano sul collo.<br />
«Allora?» gracchiai. «Come siamo andati?»<br />
Scosse la testa. «Non avrebbe potuto andare meglio per noi,<br />
Publio. Il mio solo dispiacere è <strong>che</strong> tu debba sopportare tutto<br />
questo.»<br />
Grugnii. «Se questo può servire a confondere quel rabbioso<br />
figlio di una vacca rognosa, farò an<strong>che</strong> dieci volte di più. Non te<br />
l'avevo detto? Non è impressionante da guardare?»<br />
«È un cane impazzito. I suoi soldati hanno terrore di lui.» Scosse<br />
la testa. «Publio, è molto peggio di come lo avevi descritto e non hai<br />
mai mancato di calore nel condannarlo.»<br />
Raddrizzai la gamba, gemendo per il dolore. «Cosa è successo<br />
dopo <strong>che</strong> mi hanno portato via?»<br />
Caio sospirò. «Alla fine lo abbiamo calmato, ma lui e io ci siamo<br />
scambiati male parole. Per fortuna si era messo così chiaramente<br />
dalla parte del torto <strong>che</strong> perfino i suoi ufficiali hanno dovuto<br />
schierarsi dalla mia parte. Ho agitato il bastone di comando del mio<br />
proconsolato e mi sono imposto su di lui. Adesso mi odia, forse più<br />
di un qualunque Britannico. Mi odia quasi quanto odia te.»<br />
«Già, non gli ci vuole molto per odiare, da quello <strong>che</strong> ho sentito<br />
dire. Stai attento, Cai. È un uomo pericoloso.»<br />
«Lo sono anch'io, Publio, lo sono anch'io. Ma non sono uno<br />
stupido e perciò sarò prudente, per il bene mio e tuo. Era furioso<br />
quando ha lasciato la sala da pranzo, ma poi è andato a letto e<br />
dormirà bene, aiutato dall'ultima coppa di vino <strong>che</strong> ha bevuto.»<br />
«Lo hai drogato?»<br />
Annuì. «Così possiamo essere certi <strong>che</strong> non farà niente di<br />
avventato.» Si interruppe e mi strinse una spalla. «Ma non hai
sentito le buone notizie! Seneca è venuto in Britannia a preparare la<br />
strada per l'arrivo di Stilicone! C'è stata una grande invasione a nord<br />
e il giovane ufficiale mi ha detto <strong>che</strong> Stilicone verrà di persona a<br />
sedarla. Dovrebbe essere a Londinium quando ci arriveremo noi.<br />
Questo significa <strong>che</strong> an<strong>che</strong> Pico dovrebbe essere lì. In qualità di<br />
reggente e di comandante in capo, Stilicone ascolterà il tuo caso<br />
dietro mia insistenza. Abbiamo vinto ancora prima di cominciare,<br />
Publio!»<br />
Cercai di muovermi e sussultai di nuovo. «Non recitare<br />
prematuramente tutte le tue preghiere di ringraziamento, Cai. Devi<br />
ancora riuscire a portarmici vivo. Non perdere di vista neppure per<br />
un momento il fatto <strong>che</strong> quel pazzo figlio di puttana ha un sacco di<br />
vendette da prendersi su di me, per aver rovinato la sua bella faccia,<br />
e poi per averlo rapito, per aver denunciato il suo tradimento e per<br />
averlo costretto a confessare. Tutte queste cose per lui sono più gravi<br />
dell'avere cercato di ucciderlo.»<br />
«Arriverai vivo, amico. Adesso cerca di dormire. Domattina ti<br />
farò portare davanti a me per accusarti formalmente dell'assassinio<br />
di Quintilio Nesca e dei suoi uomini, per l'assalto e la mutilazione di<br />
Seneca nella sua funzione di ambasciatore di Valentiniano, e per<br />
ribellione e banditismo. Ognuna di queste accuse è sufficiente a<br />
garantirti un salvacondotto fino a Londinium per esservi processato<br />
e giustiziato.»<br />
«Grazie, Caio» dissi. «Questo mi fa sentire molto meglio. Adesso<br />
posso dormire tranquillo.»<br />
Il viaggio fino a Londinium fu lungo e brutale, e io lo vidi dal<br />
peggiore punto di vista.<br />
Seneca rifiutò recisamente la proposta di Caio <strong>che</strong> mi fosse<br />
permesso di andarci legato su un cavallo. Insistette <strong>che</strong> ci andassi a<br />
piedi o <strong>che</strong> fossi trascinato dietro a un cavallo.
Caio obiettò <strong>che</strong> questo avrebbe rallentato l'intera colonna in<br />
modo intollerabile e <strong>che</strong> lui aveva degli affari da trattare a<br />
Londinium <strong>che</strong> non permettevano ritardi di nessun tipo. Inoltre,<br />
argomentò, io ero suo prigioniero e voleva <strong>che</strong> fossi in condizione di<br />
essere giudicato e impiccato alla fine del viaggio. Propose <strong>che</strong><br />
venisse costruita una gabbia sul pianale di un carro e <strong>che</strong> io vi fossi<br />
rinchiuso.<br />
Seneca obiettò a quello <strong>che</strong> definì il lusso di un simile trasporto.<br />
Io ero un criminale preso sul fatto e perciò ero già sotto sentenza di<br />
morte. Dovevo costituire un esempio per tutti coloro <strong>che</strong> ci<br />
incontravano lungo la strada - l'argomento iniziale di Caio - per cui<br />
non doveva esserci ombra di mollezza nel mio trattamento. Su<br />
questo punto Caio non poteva ragionevolmente dichiararsi in<br />
disaccordo e così arrivarono a un compromesso.<br />
Avrei viaggiato su un carro, ma in un modo scelto da Seneca.<br />
Caio me lo disse verso la fine della notte prima <strong>che</strong> partissimo.<br />
Soffriva, lo capivo, per il modo nel quale sarei stato costretto a<br />
trascorrere la settimana seguente, ma io mi strinsi nelle spalle e gli<br />
dissi di rilassarsi. Sarei stato trasportato, sia pure su un carro, e<br />
sarebbe stato sempre meglio <strong>che</strong> andare a piedi fino a Londinium.<br />
Dovevo essere pazzo a pensarlo, sapendo <strong>che</strong> Seneca aveva la<br />
gestione del mio trasporto.<br />
Malgrado ciò dormii bene quella notte, perché gli uomini <strong>che</strong> mi<br />
avrebbero fatto la guardia sarebbero stati i miei. Sapevano tutti cosa<br />
stava succedendo e io avrei affidato la mia vita nelle loro mani senza<br />
pensarci due volte. Proprio prima di addormentarmi mi venne in<br />
mente <strong>che</strong> era proprio quello <strong>che</strong> stavo facendo.<br />
Fui portato fuori prima dell'alba e mi fu permesso di lavarmi<br />
con l'acqua fredda prima di avvicinarmi al carro. Lo fissai nella luce<br />
incerta <strong>che</strong> precede l'alba, e vidi solo l'unico palo infisso nelle assi<br />
del fondo e saldamente assicurato con dei tiranti.<br />
Lì intorno c'erano solo i miei uomini, <strong>che</strong> mi aiutarono a salire
sul carro e rimasero con me ad aspettare. Infine Dragone, il capo<br />
delle guardie, parlò a voce bassa.<br />
«Non mi piace tutto questo, comandante. Nean<strong>che</strong> un po' e<br />
nean<strong>che</strong> agli altri. Di' solo una parola e ti tiriamo fuori di qui in un<br />
baleno.»<br />
Gli sorrisi nella luce grigiastra e tesi le braccia in giù, per non<br />
sembrare troppo rilassato nel caso <strong>che</strong> ci osservassero. «Non<br />
preoccuparti, Dragone. È meglio <strong>che</strong> dover camminare. Starò bene.»<br />
«Credi?» <strong>La</strong> sua voce era un ringhio furioso. «Io ne dubito.<br />
Stiamo aspettando le catene. Quel figlio di puttana vuole <strong>che</strong> tu stia<br />
in piedi per tutto il tempo fino a Londinium.»<br />
«E allora? Starò in piedi. Ho passato metà della mia vita in piedi,<br />
davanti a una forgia.»<br />
«Sì, ma non incatenato a quella dannata cosa. Dovrai rimanere<br />
incatenato a quel palo. Non potrai cadere neppure se perderai i<br />
sensi.»<br />
«Allora non morirò. Saremo a Londinium in una settimana.<br />
Dopo di <strong>che</strong> andrà tutto bene.»<br />
«Mmm. Spero <strong>che</strong> tu abbia ragione. Ma una settimana è lunga<br />
da passare in piedi.»<br />
«Ce la farò.»<br />
Lo vedevo chiaramente in faccia adesso. Sui suoi tratti erano<br />
impressi dubbio e preoccupazione. «Lo spero, comandante Varro, lo<br />
spero. Ma ti avverto <strong>che</strong> se perdi i sensi o se uno di quei bastardi<br />
paramenti da sella comincia a maltrattarti sarà la fine. Faremo<br />
scorrere il sangue.»<br />
Mi sporsi e gli appoggiai la mano sul braccio, rapidamente e con<br />
prudenza. «No, non lo farai. Ma ti ringrazio per la tua<br />
preoccupazione, Dragone. Penso <strong>che</strong> il solo momento in cui dovrai<br />
preoccuparti per la mia sicurezza sarà di notte, e an<strong>che</strong> allora
dovrebbe esserci poco pericolo.»<br />
«Già. Ecco <strong>che</strong> arriva il loro armaiolo.»<br />
Sentii un clangore di catene e il rumore di sandali chiodati <strong>che</strong> si<br />
avvicinavano, e un centurione di Seneca venne direttamente verso<br />
di me e saltò sul carro dove io aspettavo.<br />
Guardai incuriosito il congegno <strong>che</strong> teneva nelle mani enormi,<br />
ma non riuscii a farmene un'idea chiara, perché rovesciò le catene<br />
sull'assito e lasciò tutto lontano dalla mia vista.<br />
«Bene. Adesso vediamo se riesci a liberarti di queste, ribelle.»<br />
Il congegno era formato da un paio di spesse e alte cinghie di<br />
cuoio, una molto più lunga dell'altra, unite da due corte catene. Le<br />
catene erano attaccate a ognuna delle cinghie con robusti anelli<br />
infilati nella pelle. Il centurione mi strinse alla vita la cinghia più<br />
lunga, poi attaccò la più corta al palo dietro di me. Rimasi immobile<br />
fino a quando ebbe finito, poi provai la solidità dei miei legami.<br />
Erano solidi. Non potevo muovere il corpo più di due spanne a<br />
destra o a sinistra e non potevo sperare di sedermi. Provai a<br />
rilassarmi e piegai le ginocchia, lasciando <strong>che</strong> tutto il corpo pesasse<br />
sulla cinghia, <strong>che</strong> era spessa e rigida e premeva dolorosamente sotto<br />
la gabbia toracica. Non c'era nessuna speranza di sollievo.<br />
«Bene, toglietegli i ferri dai polsi.»<br />
Alzai le mani e Dragone aprì le manette.<br />
Il centurione fece una risata chioccia e saltò giù di nuovo dal<br />
carro. «Questo ti piacerà, ribelle.»<br />
Lo guardai senza capire mentre alzava un grosso e pesante<br />
anello di ferro, <strong>che</strong> era stato assicurato all'angolo destro del carro, e<br />
ci faceva passare attraverso un'estremità della lunga catena.<br />
Era un anello abbastanza grande perché l'estremità della catena<br />
ci passasse facilmente, eppure all'estremità c'era un grosso ferro,<br />
molto più grosso delle manette <strong>che</strong> Dragone mi aveva appena tolto.
«Ti piacerà questo» disse ancora, parlando più a se stesso <strong>che</strong> a<br />
me, e saltò di nuovo sul carro respirando un po' più pesantemente.<br />
Guardai la catena. Era lunga circa sei passi ed era robusta. Lo sapevo<br />
perché l'avevo forgiata io stesso, an<strong>che</strong> se qualcuno ci aveva<br />
aggiunto le manette. Si accovacciò ai miei piedi e fece passare l'altra<br />
estremità attraverso un anello uguale sul lato opposto del carro,<br />
tirandola forte per tutta la lunghezza, poi si rialzò e mi squadrò.<br />
«A posto» disse, sorridendo in un modo <strong>che</strong> mi faceva venire<br />
voglia di dargli un calcio nelle palle. «Dammi i polsi. Tienili in<br />
avanti.»<br />
Obbedii. Non avevo scelta. Le manette erano strette e mi<br />
penetravano nella carne dei polsi, <strong>che</strong> erano sempre stati piuttosto<br />
grossi.<br />
«Fai una mossa falsa e ti sfascio» grugnì, tastandosi la cintura<br />
con una mano mentre nell'altra teneva i cardini della manetta chiusa<br />
intorno al mio polso destro. Prese un pezzo di fil di ferro, an<strong>che</strong><br />
quello di mia fattura, sospettai, e lo tenne tra i denti mentre sfilava<br />
dalla cintura un paio di pinze a tenaglia. Poi, con il respiro sempre<br />
più affannoso con l'aumentare della concentrazione, fece passare il<br />
fil di ferro attraverso i fori praticati nei cardini della chiusura e ne<br />
torse le estremità con le pinze, avvicinando l'una all'altra le due<br />
metà del bracciale fino a <strong>che</strong> emisi un sibilo per il dolore. Quando fa<br />
soddisfatto di averle strette abbastanza ripetè il procedimento con<br />
l'altro polso. Strinsi i denti in silenzio, ma compresi <strong>che</strong> il viaggio<br />
sarebbe stato molto lungo.<br />
«Bene!» Fece un passo indietro e contemplò il risultato. «E<br />
adesso!» Si inginocchiò ai miei piedi e afferrò le catene facendole<br />
passare in entrambe le direzioni attraverso gli anelli fissati ai lati del<br />
carro, fino a <strong>che</strong> le mie braccia furono tese. Valutò la tensione delle<br />
braccia e poi l'allentò in modo <strong>che</strong> le catene cedessero leggermente.<br />
«Così va meglio! Non vogliamo <strong>che</strong> siano troppo tirate, vero?»<br />
«No?» chiesi, cercando di mantenere un tono di voce
indifferente. «E perché no?»<br />
«Beh, ribelle, vogliamo <strong>che</strong> tu abbia un po' di spazio per<br />
ondeggiare insieme al carro.»<br />
Poi mi ignorò e ritornò al suo lavoro e io lo osservai<br />
meravigliato tirare con cura ogni catena, valutando e regolando,<br />
finché rimase con due anelli <strong>che</strong> si toccavano, ognuno dei due stretto<br />
in un pugno, e il resto della catena, la parte centrale, arrotolato in<br />
mezzo.<br />
«Ehi, tu. Dammi una mano.»<br />
Dragone era rimasto a guardare in silenzio per tutto quel tempo<br />
e io capivo dalla sua espressione <strong>che</strong> stava per esplodere. Aggrottai<br />
la fronte incontrando il suo sguardo, e scossi la testa in segno di<br />
ammonimento, indicandogli di fare come il centurione gli chiedeva.<br />
Si inginocchiò vicino all'uomo, con la faccia piena di disgusto.<br />
«Cosa vuoi?»<br />
«Reggi questi anelli mentre io li lego insieme.» Unì gli anelli con<br />
il filo di ferro, e io non riuscivo a capire lo scopo recondito. <strong>La</strong> catena<br />
era troppo lunga. Sarebbe stato più semplice misurare la lunghezza<br />
necessaria e accorciarla. Dragone pensò la stessa cosa e chiese:<br />
«Perché non accorciamo semplicemente la catena?»<br />
«Ah!» disse il centurione. «Questo è quello <strong>che</strong> avevo pensato<br />
anch'io. Ma poi il mio capo Seneca mi ha spiegato cosa voleva.<br />
Guarda attentamente questa giuntura. Cosa c'è sotto?»<br />
«I suoi piedi.»<br />
«Esattamente! Ben detto, ragazzo! I suoi piedi. Ma non<br />
resteranno lì, vero? Noi gli chiederemo di muoverli, vero?» dicendo<br />
così estrasse un piccolo pesante martello da dietro la cintura e mi<br />
diede un bel colpo sul collo del piede. Il male improvviso mi fece<br />
allontanare i piedi, goffamente perché riuscivo a stento a muovermi,<br />
e poi rimasi a fissare perplesso il centurione <strong>che</strong> infilava due lunghi<br />
chiodi nel piano del carro e li batteva, finché bloccarono saldamente
la catena al suo posto, proprio nel punto in cui si trovavano prima i<br />
miei piedi. Lo scopo divenne mortalmente chiaro quando<br />
ammucchiò la catena avanzata proprio sotto di me, colpendomi di<br />
nuovo un piede con il martello; sarei caduto se non fossi stato legato<br />
in quel modo.<br />
«Vogliamo <strong>che</strong> abbia qualcosa su cui stare in piedi, così non gli<br />
entreranno delle s<strong>che</strong>gge nei piedi per colpa di queste rozze assi.<br />
Eccoti pronto, ribelle. Sei a posto. Goditi il viaggio.»<br />
Dragone guardava con la bocca aperta, afferrando solo allora il<br />
significato di quello <strong>che</strong> il centurione aveva fatto, ma io avevo già<br />
capito. Avrei dovuto stare in piedi su quella catena per tutto il<br />
viaggio fino a Londinium. I piedi mi dolevano solo all'idea.<br />
Tutto il personale della villa uscì per vederci partire, e rimase a<br />
guardare in solenne silenzio lo spettacolo: ero incatenato in piedi,<br />
più sudicio di come mi avessero mai visto. Tenni alto il mento e<br />
cercai di non guardare nessuno direttamente. Luceia non si vedeva<br />
da nessuna parte, né mi aspettavo <strong>che</strong> ci fosse. Malgrado ciò mi<br />
guardai intorno cercandola, sperando contro ogni speranza,<br />
rendendomi conto con dolore di quello <strong>che</strong> le avevo fatto con il mio<br />
segreto detestabile e caparbio, e di come avevo distrutto la sua<br />
fiducia nella mia sincerità. Incapace di tollerare il pensiero del suo<br />
risentimento e della sua collera mi sforzai di rivolgere la mia<br />
attenzione ad altre cose, svuotando la mente per quanto possibile da<br />
ogni pensiero di commiserazione, e guardando col volto teso<br />
l'ordinato trambusto della folla radunata davanti a me. Caio venne e<br />
guardò me e il modo in cui ero legato, e le sue labbra si chiusero<br />
quasi scomparendo in una sola linea. Spaventato <strong>che</strong> potesse<br />
tradirsi, gli sputai addosso, recitando la mia parte e costringendolo a<br />
tacere, e lui scosse la testa in un breve gesto di furioso disgusto<br />
prima di salire sul suo carro.<br />
Quando il guidatore del carro salì al suo posto e il corteo si<br />
formò, mi guardai attorno per un'ultima volta, levando gli occhi
sulla collina coperta di alberi in lontananza. <strong>La</strong> cima, avvolta da<br />
pesanti nuvole basse, aveva un aspetto magnifico e niente indicava<br />
altro <strong>che</strong> una foresta. E a causa dello scalpore provocato dalla mia<br />
cattura non c'era più pericolo <strong>che</strong> venisse scoperta per quello <strong>che</strong><br />
era. Mentre la guardavo mi cadde sulla faccia una pesante goccia di<br />
pioggia, e cominciò a piovere. Qualcuno urlò un ordine dall'inizio<br />
della fila e l'intero corteo cominciò a muoversi. Il mio guidatore fece<br />
schioccare la frusta e prendemmo il nostro posto al centro della<br />
colonna, con le truppe di Seneca davanti a noi e i miei uomini al<br />
seguito. Partimmo tra lo scalpitio degli zoccoli e il cigolio delle ruote<br />
dei carri sui ciottoli. Ma nessuno disse una parola. Nemmeno<br />
Seneca, <strong>che</strong> mi sarei aspettato gioisse.<br />
Non appena fummo partiti scoprii la vera entità della mia<br />
situazione. Finché la strada era piana la posizione era tollerabile,<br />
almeno all'inizio. Su terreno scabroso, però, mi era impossibile<br />
mantenere l'equilibrio. L'irregolarità e la durezza delle catene <strong>che</strong><br />
avevo proprio sotto i piedi erano un'agonia, e io avevo motivo<br />
costante di rimpiangere <strong>che</strong> le mie gambe fossero così diverse per<br />
lunghezza e forza. Cercai di scostare la massa delle catene, ma erano<br />
inchiodate al loro posto così <strong>che</strong> an<strong>che</strong> con tutto il mucchio spostato<br />
in avanti, le due catene diritte provenienti da destra e da sinistra mi<br />
tormentavano crudelmente la pianta dei piedi. Dopo poco tempo il<br />
dolore per non poter abbassare le braccia divenne insopportabile; i<br />
muscoli erano contratti per gli spasimi. Cominciai a cadere, tanto<br />
quanto le catene me lo consentivano, e a risollevarmi. I polsi<br />
sanguinavano e si coprivano di piaghe e ricominciavano a<br />
sanguinare per gli strattoni dei ferri ogni volta <strong>che</strong> il carro<br />
ondeggiava tanto da togliermi l'equilibrio.<br />
Per i primi due giorni e le prime due notti piovve quasi<br />
ininterrottamente, e io dormii attaccato al palo. Urinavo dov'ero,<br />
incapace di dirigere il flusso, ma per due giorni riuscii a controllare<br />
l'intestino. A un certo punto, durante il terzo giorno, sentendomi<br />
morire per il mio stesso tanfo e per il dolore, persi conoscenza.
Il dolore ai polsi mi risvegliò; aprii gli occhi e mi trovai disteso al<br />
lato della strada, a guardare in su verso quel dannato carro con il<br />
suo palo verticale. Non si muoveva, né mi muovevo io. Sentivo <strong>che</strong><br />
qualcuno mi sollevava la testa, e delle voci irose urlare poco lontano.<br />
Lo stomaco mi si contorse in uno spasmo, e vomitai senza avere<br />
nemmeno la forza di girare la testa. Sentii <strong>che</strong> qualcuno mi voltava<br />
in fretta, e il movimento provocò un'improvvisa vertigine <strong>che</strong> mi<br />
fece ripiombare nell'oscurità.<br />
Quando aprii di nuovo gli occhi mi trovavo in una prigione:<br />
un'enorme stanza di pietra con il soffitto a volta, chiusa da porte<br />
munite di pesanti sbarre; solo un filo di luce penetrava da una<br />
finestrella molto alta. Rimasi sdraiato e mi guardai intorno<br />
lentamente, senza fare movimenti improvvisi. Una torcia, infilata in<br />
un braciere di ferro, bruciava sopra la mia testa, e le sue fiamme<br />
danzavano selvaggiamente nella corrente <strong>che</strong> doveva provenire<br />
dalla finestrella. Ero solo in quella grande stanza. Non c'era nessun<br />
altro prigioniero. Mossi un braccio adagio, aspettandomi di sentire il<br />
peso delle catene, ma non le avevo. Non ero legato.<br />
Lentamente, senza nessuna fretta di alzarmi poiché non sapevo<br />
dov'ero, né chi fossero i miei ospiti, esplorai il luogo con gli occhi e le<br />
mani. Giacevo su un pagliericcio sottile, su una panca di pietra.<br />
Proprio sopra la mia testa, ciondolavano come per deridermi delle<br />
manette, all'estremità di catene arrugginite <strong>che</strong> pendevano da un<br />
grande anello conficcato nel muro. Sul pavimento in fondo allo<br />
stanzone, di fianco alla porta sbarrata, era stato buttato un mucchio<br />
di paglia <strong>che</strong> sembrava fresca. Vicino alla paglia c'erano una scodella<br />
di metallo e una brocca <strong>che</strong> forse conteneva dell'acqua. Vidi altre<br />
manette appese alle pareti. <strong>La</strong> fiamma di altre sei torce gocciolanti<br />
proiettava sui muri ombre irregolari. Il crepitio delle loro fiamme<br />
vacillanti era l'unico rumore. Aspirai profondamente, cercando<br />
degli odori, e sentii solo un fetore stagnante e spiacevole, <strong>che</strong><br />
sembrava far parte dei muri un misto di corpi non lavati e degli<br />
odori prodotti da quei corpi.
Mi alzai cautamente su un gomito e un'ondata di nausea mi<br />
avvolse, facendomi rabbrividire e stringere i denti per tenere lo<br />
stomaco al suo posto. Lottai contro l'impulso di vomitare, mentre gli<br />
occhi mi si incrociavano, annebbiandomi la vista. Con<br />
determinazione rimasi dov'ero, obbligando il corpo ribelle a<br />
sottomettersi alla mia volontà. Ovviamente ero stato molto male, se<br />
ero arrivato in quel posto senza ricordare niente dopo l'ultima<br />
vivida immagine del carro torreggiarne sopra di me. Non volevo più<br />
stare male. <strong>La</strong> panca di pietra su cui giacevo correva lungo tutto lo<br />
stanzone, tranne <strong>che</strong> lungo la parete dove c'era la porta. Era un<br />
locale molto grande. Non sapevo dov'ero, ma cominciavo a<br />
sospettare <strong>che</strong> si trattasse di Londinium. Mi sedetti, brontolando per<br />
lo sforzo, e questo mi procurò un'altra ondata di nausea,<br />
accompagnata da un dolore pulsante dentro la testa. Cercai di far<br />
scivolare le gambe giù dalla panca, per potere appoggiare la schiena<br />
al muro, e le gambe caddero giù, sbilanciandomi quasi con il loro peso<br />
improvviso, incontrollabile. <strong>La</strong> paura divampò in me come un fuoco<br />
appena acceso. Ero debole come un bambino!<br />
Rimasi a sedere inerme, emettendo lunghi, rauchi respiri,<br />
timoroso di sottopormi ad altre prove. Sapevo con certezza <strong>che</strong> se<br />
avessi cercato di alzarmi in piedi sarei caduto sul pavimento. <strong>La</strong> mia<br />
mente si agitava inutilmente, cercando di arrivare a un<br />
compromesso con quella debolezza, cercando di spiegarla, cercando<br />
di ricostruire cosa fosse successo. Non c'era speranza e finii con lo<br />
spaventarmi ancora di più. Sapevo solo <strong>che</strong> se ero così debole<br />
dovevo essere stato prossimo alla morte. Mi costrinsi a chiudere gli<br />
occhi e a respirare più profondamente e regolarmente, combattendo<br />
il senso di panico e cercando di raccogliere le forze. Infine cominciai<br />
a tossire, e non riuscii più a smettere. <strong>La</strong> tosse mi sconquassava,<br />
dura e dolorosa, strappandomi i polmoni e i muscoli dello stomaco.<br />
Per poco non caddi dalla panca e riuscii a fermarmi golo afferrando<br />
il bordo di pietra. Grandi masse di catarro mi gorgogliavano nel<br />
petto e mi salivano in gola, e io avevo a stento la forza di sputarle,
così <strong>che</strong> la saliva mi gocciolava lungo il mento. Finalmente gli<br />
spasmi si indebolirono e si spensero e io rimasi a sedere,<br />
indifferente, sollevato per la diminuzione di quel tormento.<br />
«Allora sei sveglio.»<br />
<strong>La</strong> voce veniva dalla porta. Alzai la testa per vedere chi parlava,<br />
sbattendo le palpebre per schiarirmi la vista. Era un soldato,<br />
ovviamente una guardia. Uno sconosciuto. Provai a mettere a fuoco<br />
la sua uniforme, in cerca di un indizio della sua identità, ma non ne<br />
vidi alcuno. Portava la semplice, disadorna uniforme di pelle della<br />
truppa delle guarnigioni. Lo guardai avanzare verso di me, senza<br />
nemmeno accennare a chiudersi la porta alle spalle. Si fermò a due<br />
passi da me, guardandomi da quella <strong>che</strong> sembrava una grande<br />
altezza. Mi leccai le labbra <strong>che</strong> parevano di gomma e tentai di<br />
parlare per chiedergli dove eravamo, ma non emisi nessun suono.<br />
<strong>La</strong> guardia arricciò le labbra e risucchiò rumorosamente un pezzo di<br />
cibo rimasto tra i denti. Io aspettavo.<br />
«Sei un osso duro, per essere un ribelle. Pensavamo tutti <strong>che</strong><br />
saresti morto, ma tu sei troppo dannatamente abietto per morire,<br />
vero?» Non pretendeva una risposta e non ne attese fina. «Tieni.» Si<br />
girò e riattraversò la stanza, prese la brocca e me la portò. «Cerca di<br />
bere questo.»<br />
Presi la brocca e, mezza piena com'era, la portai subito alla<br />
bocca. Conteneva acqua mista a vino e mi sembrò un nettare. Mi<br />
sciacquai la bocca con la lingua e sentii <strong>che</strong> la bevanda mi ripuliva.<br />
«Adesso basta! Non voglio <strong>che</strong> vomiti tutto sul pavimento.» Mi<br />
tolse la brocca, ma la lasciò dove potevo raggiungerla. Adesso<br />
potevo parlare, pensai.<br />
«Dove sono?»<br />
«A Londinium. Nella prigione imperiale, in attesa di processo e<br />
impiccagione.»<br />
Non erano belle notizie. «Dove sono i miei amici?»
«Quali amici? Non ne hai. Alcune delle tue guardie hanno<br />
passato qui un po' di tempo, però. Sei un prigioniero di valore, a<br />
quanto pare. Non vogliono perderti. Non per malattia e non per<br />
mano della gente di Seneca.»<br />
«Seneca è qui? Perché non sono in catene?»<br />
«Perché non sei in catene? Dannazione, non siamo dei barbari!<br />
Noi non incateniamo i cadaveri. Quanto all'altra domanda, no,<br />
Seneca non è qui. Questa è una prigione, non hai sentito? Seneca<br />
vive in una villa. Dormi finché puoi. Le tue guardie saranno presto<br />
di ritorno. Mi hanno detto di avvertirli se davi segni di vita. Hai<br />
fame?» Scossi la testa. «Bene, comunque c'è del cibo nella scodella<br />
laggiù. Te la porto più vicino.» Il tono della sua voce non era<br />
scortese. «Ti aiuterà a riprendere le forze, adesso <strong>che</strong> sei ritornato<br />
alla vita. E non cercare di scappare. Non potresti andare oltre questa<br />
stanza.»<br />
Si girò per andarsene e io lo fermai. «Da quanto tempo sono<br />
qui?» Fece una smorfia, scuotendo la testa. «Non lo so. Eri qui<br />
quando ho preso servizio una settimana fa. Ed eri già qui da almeno<br />
una settimana.»<br />
Due settimane! Dov'era Caio? Cosa stava succedendo? Rimasi<br />
disteso sul pagliericcio e cercai di obbedire al suo suggerimento, ma<br />
non potevo dormire.<br />
<strong>La</strong> cosa successiva di cui mi ricordo, però, fu <strong>che</strong> mi svegliai e<br />
vidi Dragone <strong>che</strong> mi guardava. Prima <strong>che</strong> potessi aprire bocca per<br />
salutarlo, si girò verso i due uomini <strong>che</strong> erano con lui e ringhiò.<br />
«Avevate ragione. Il figlio di puttana è vivo. Non credevo <strong>che</strong> ce<br />
l'avrebbe fatta.» Poi disse all'uomo al suo fianco: «Visitalo. Con cura.<br />
Caio Britannico non ti sarà grato se gli prometti un'esecuzione e poi<br />
lasci morire questo maiale.»<br />
L'uomo a cui si rivolgeva, un medico ovviamente dall'aspetto e<br />
dall'abbigliamento, fece un passo avanti e cominciò a palparmi,<br />
rigirandomi gentilmente per raggiungere la parte posteriore della
cassa toracica. Le sue dita erano fredde sulla pelle e mi palpavano<br />
senza molto garbo. Finì l'esame mettendomi una mano sulla fronte,<br />
rivoltandomi le palpebre e guardandomi negli occhi.<br />
«Ebbene?» <strong>La</strong> voce di Dragone era proprio un ringhio di<br />
malumore. «Allora?»<br />
Il medico si rialzò con un sospiro. «Vivrà, per morire a vostro<br />
piacimento. Ma è estremamente debole. Dovreste cercare di non<br />
muoverlo per almeno due giorni. E da adesso in poi dovrà essere<br />
nutrito bene. Brodo caldo e pozioni di erbe forti. Porterò le erbe.»<br />
«Al diavolo le tue erbe. Non ne avrà bisogno!»<br />
«Ne ha bisogno! Se volete avere il vostro processo, la vostra<br />
esecuzione e il vostro divertimento con quest'uomo, dovete<br />
rimetterlo in forze. Se provate a muoverlo adesso, se lo maltrattate,<br />
non mi assumo responsabilità. Dovrebbe essere già morto e lo sarà<br />
se non fate quello <strong>che</strong> dico. Brodo di carne caldo e tisane di erbe.<br />
Altrimenti la responsabilità è vostra.»<br />
Dragone mi lanciò uno sguardo così pieno di odio <strong>che</strong> non<br />
riuscivo a crederci nemmeno io. Il medico guardò l'altro uomo, un<br />
semplice soldato, e poi guardò di nuovo Dragone. «Perché odi tanto<br />
quest'uomo?» chiese.<br />
«Odiarlo? Questo figlio di puttana ha ucciso mia moglie. Fuori<br />
di qui voi due. Fuori!»<br />
I due se ne andarono immediatamente e Dragone restò con me,<br />
guardandoli finché il cancello della cella non si fu richiuso<br />
pesantemente. Io giacqui lì a guardarlo, senza muovermi, fino a<br />
quando i suoi occhi rimasero fissi sulla schiena dei due uomini.<br />
Quando fu sicuro <strong>che</strong> se n'erano andati, si chinò, raccolse la brocca e<br />
me la portò alle labbra, sorreggendomi la testa con un braccio.<br />
«Il tuo odio è intenso, Dragone!» dissi. «Non sapevo neppure<br />
<strong>che</strong> tu avessi una moglie.» <strong>La</strong> mia voce era normale adesso.<br />
Fece un mezzo sorriso e si strinse nelle spalle. «È colpa di
Britannico. Ci ha fatto diventare tutti dei guitti.»<br />
«Guitti? Perché, cosa sta succedendo?»<br />
Venne a sedersi ai miei piedi sulla sponda <strong>che</strong> sosteneva il<br />
pagliericcio, appoggiandosi al muro e tenendo gli occhi fissi sulla<br />
porta nella parete opposta.<br />
«Stai disteso e tieni gli occhi chiusi, come se ti fossi<br />
addormentato. Ma ascolta attentamente. Non voglio parlare troppo<br />
forte. Quanto ricordi del nostro viaggio?»<br />
«<strong>La</strong> pioggia» dissi. «Ricordo pioggia e dolore. È tutto.»<br />
«È tutto? Non ricordi niente dopo <strong>che</strong> ti abbiamo sciolto dalle<br />
catene?»<br />
«Dragone,» gli dissi, «non ricordo nemmeno quello. L'ultima<br />
cosa <strong>che</strong> ricordo è <strong>che</strong> giacevo sulla strada, <strong>che</strong> guardavo in su verso<br />
il carro e <strong>che</strong> stavo male. Non ricordo più niente fino a quando mi<br />
sono risvegliato qui.»<br />
«Bene, stavamo per scioglierti e abbiamo quasi scatenato una<br />
guerra con gli uomini di Seneca. Quasi gli sono venute le<br />
convulsioni quando abbiamo cominciato a tirarti giù dal carro.<br />
Voleva ammazzarmi. Poi è arrivato Britannico e quei due sono quasi<br />
venuti alle mani. Seneca ha cercato di attaccare Britannico, e ha fatto<br />
per sguainare la spada.»<br />
«Contro Britannico? Cosa è successo? Caio è stato ferito?»<br />
«No!» Scosse la testa, gli occhi fissi sulla porta di fronte a noi.<br />
«Torno subito.»<br />
Si alzò e attraversò in fretta la grande cella.<br />
Mi voltai a guardarlo; raggiunse la porta e si appoggiò alle<br />
sbarre, per controllare <strong>che</strong> nessuno stesse origliando. Poi tornò<br />
indietro e si risedette.<br />
«L'ufficiale. Il comandante regolare. Ha fermato lui Seneca<br />
prima ancora <strong>che</strong> tirasse fuori la spada. Gli ha salvato la vita. Lo ha
afferrato e ha lottato contro di lui. L'ha minacciato di metterlo in<br />
catene al tuo posto se non si comportava come un ufficiale romano e<br />
un patrizio. Lo ha fatto riportare sotto scorta al suo posto nella<br />
carovana e ha fatto le sue scuse a Britannico.»<br />
«Dici <strong>che</strong> gli ha "salvato la vita"? In <strong>che</strong> modo? Britannico lo<br />
avrebbe ammazzato?»<br />
Dragone scosse la testa. «No. Ma lo avrei fatto io. Ero<br />
abbastanza arrabbiato da ammazzarlo. Ti ho detto <strong>che</strong> se l'era presa<br />
con me quando è arrivato Britannico. Ho tirato fuori il pugnale<br />
appena si è girato contro il vecchio. Glielo avrei piantato tra le<br />
costole fino al cuore se l'altro ufficiale, il tribuno Viceré, non si fosse<br />
messo in mezzo.»<br />
«Capisco.» Ripensai a tutto quanto. Ricordavo le voci irose<br />
mentre riprendevo i sensi al lato della strada. «E allora cosa è<br />
successo?»<br />
«È allora <strong>che</strong> abbiamo cominciato a recitare. Vuoi bere ancora?»<br />
Scossi la testa e bevve lui un sorso di acqua e vino, poi mentre<br />
rimanevo disteso ad ascoltarlo attentamente mi raccontò il resto<br />
della storia.<br />
Dragone era stato fedele al suo nome. Mi aveva fatto la guardia<br />
da vicino in quella situazione pazzesca, bloccato com'ero in<br />
posizione eretta, nell'impossibilità di rilassarmi e di difendermi<br />
dalla gelida pioggia sferzante <strong>che</strong> era caduta incessante per due<br />
giorni e una notte. Quando infine avevo rovesciato indietro gli occhi<br />
ed ero collassato sulle cinghie <strong>che</strong> mi legavano, Dragone si trovava a<br />
meno di tre passi da me e aveva correttamente previsto <strong>che</strong> quella<br />
volta non mi sarei ripreso. Era saltato subito sul pianale del carro e<br />
aveva cominciato a segare le cinghie di cuoio <strong>che</strong> mi tenevano<br />
prigioniero senza fare attenzione se qualcuno lo osservava. Il suo<br />
gesto venne notato solo quando l'ultimo pezzo di cuoio aveva<br />
ceduto, lasciandomi crollare come un mucchio di stracci sul pianale<br />
del carro, trattenuto dai ferri e dalle catene ai polsi. Erano stati il
umore e la mia caduta ad attrarre l'attenzione dei soldati regolari e<br />
a indurre Seneca, fumante di rabbia, ad attaccare Dragone.<br />
All'inizio aveva completamente ignorato le imprecazioni di<br />
Seneca. Aveva sollevato una pesante mazza dal fondo del carro e si<br />
era messo a battere l'anello di ferro, piantato nel fianco del carro,<br />
attraverso il quale passavano le catene. Dopo averlo aperto a<br />
martellate aveva lanciato la mazza a uno dei suoi uomini sul lato<br />
opposto, <strong>che</strong> si era messo a battere l'altro anello. Era stato questo<br />
flagrante rifiuto di riconoscere la sua presenza e la sua autorità <strong>che</strong><br />
aveva fatto scattare qualcosa dentro Seneca, e Dragone avrebbe<br />
an<strong>che</strong> potuto rimetterci la pelle se non fosse intervenuto Caio. Ma<br />
Seneca non era disposto a lasciarsi contraddire. <strong>La</strong> sua vendetta su<br />
di me stava correndo dei rischi, e non voleva assolutamente <strong>che</strong> ciò<br />
succedesse. An<strong>che</strong> il secondo anello era saltato, e Dragone mi aveva<br />
trascinato giù dal carro e mi aveva disteso a terra sul bordo della<br />
strada. Seneca gli aveva assestato un calcio e Caio si era intromesso.<br />
Seneca era fuori di sé. Aveva quasi estratto la spada dal fodero,<br />
determinato ad attaccare Caio, e a quel punto era stato scavalcato<br />
dall'ufficiale in comando, Viceré, <strong>che</strong> lo aveva prontamente messo<br />
sotto vigilanza allontanandolo dalla scena sotto scorta armata. Era<br />
stato durante quel furioso confronto <strong>che</strong> avevo brevemente ripreso<br />
conoscenza prima di svenire di nuovo.<br />
Marcello Viceré, a quanto sembrava, era un uomo d'onore,<br />
senza spirito di vendetta fine a se stesso. Dopo avere<br />
temporaneamente messo Seneca agli arresti, aveva considerato<br />
obiettivamente la mia situazione dal punto di vista di Caio, <strong>che</strong> non<br />
smetteva di dire <strong>che</strong> dovevo sopravvivere al viaggio per essere<br />
processato per i miei crimini davanti a un tribunale militare. Aveva<br />
fatto fermare il convoglio e permesso <strong>che</strong> un medico mi visitasse.<br />
Ma era troppo tardi. Il medico non era stato in grado di farmi<br />
riprendere conoscenza e mi era venuta la febbre alta. Tutto quello<br />
<strong>che</strong> potevano fare era tenermi al caldo e abbastanza comodo per il
esto del viaggio, e sperare <strong>che</strong> sarei sopravvissuto.<br />
Due notti dopo, mentre eravamo accampati, un altro dei nostri<br />
uomini, per puro caso al posto giusto al momento giusto, era stato in<br />
grado di bloccare un attentato alla mia vita. Mentre era fuori<br />
servizio si era trovato a passare davanti alla tenda nella quale venivo<br />
tenuto, appena in tempo per vedere una figura mas<strong>che</strong>rata infilarsi<br />
furtiva attraverso l'apertura della tenda. Era entrato a controllare e<br />
aveva scoperto l'intruso nell'atto di soffocarmi. Dopo una breve lotta<br />
l'intruso era riuscito a fuggire. Il soldato <strong>che</strong> avrebbe dovuto essere<br />
di guardia non c'era e non l'avevano più trovato; il mattino<br />
successivo, un'accurata ricerca in tutta la zona non aveva rivelato<br />
sue tracce, così avevano concluso <strong>che</strong> il mio assassino mancato era<br />
lui.<br />
Tutti sapevano chi l'aveva istigato, ma non c'erano indizi a<br />
sostegno di quel sospetto, né una prova.<br />
Da quel momento in poi, erano stati gli uomini di Caio<br />
Britannico a farmi la guardia. Caio aveva detto ai suoi uomini <strong>che</strong><br />
doveva sembrare a tutti e in ogni momento <strong>che</strong> mi odiassero con<br />
una tale violenza <strong>che</strong> solo la lealtà verso Caio impediva loro di<br />
ammazzarmi.<br />
Ero sopravvissuto alla febbre e alla congestione polmonare e mi<br />
avevano portato in quella prigione, dove da due settimane ormai<br />
lottavo contro la malattia. Caio era disperato all'idea <strong>che</strong> morissi e<br />
aveva distaccato i suoi uomini in modo <strong>che</strong> almeno uno di loro fosse<br />
sempre di servizio, di guardia, an<strong>che</strong> se il pericolo da parte di<br />
Seneca sembrava passato, ora <strong>che</strong> eravamo a Londinium ed ero<br />
ufficialmente prigioniero dell'Impero.<br />
Quando Dragone ebbe finito il suo racconto, vi fu qual<strong>che</strong><br />
istante di silenzio e sentii le palpebre chiudersi malgrado gli sforzi<br />
<strong>che</strong> facevo per tenerle aperte. Mi disse di dormire, <strong>che</strong> sarebbe stato<br />
ancora lì quando mi fossi svegliato, e mi addormentai.<br />
Un po' di tempo dopo, non so quanto, mi svegliai sentendolo
litigare con qualcuno, an<strong>che</strong> se non riuscivo a capire cosa dicevano.<br />
Alla fine sentii dei passi <strong>che</strong> si avvicinavano e lo sentii brontolare<br />
sullo spreco di buon cibo e bevande per un maledetto figlio di<br />
puttana. Rimasi disteso con gli occhi chiusi e aspettai pazientemente<br />
<strong>che</strong> lui mi svegliasse. Lo fece. Eravamo di nuovo soli.<br />
«Ecco, comandante. Bevi questo. Ti rimetterà a posto.» Reggeva<br />
una scodella fumante di brodo di carne con erbe e spezie, e al primo<br />
sorso mi venne l'acquolina in bocca. Stavo morendo di fame.<br />
Quand'ebbi finito mi sentivo molto meglio, già più forte.<br />
«Te ne darò dell'altro più tardi. Come ti senti?»<br />
«Meglio» dissi. «Hai avvertito il generale Britannico <strong>che</strong> mi sto<br />
riprendendo?»<br />
Annuì. «Sì, ma non può avere già ricevuto il messaggio. È<br />
andato via a cavallo con il reggente Stilicone questa mattina e non è<br />
ancora ritornato.»<br />
«Stilicone? Stilicone è qui?»<br />
Dragone sorrise. «Sì, comandante. Stilicone è qui. Qui là e in<br />
ogni luogo. Non ha trascorso due giorni di fila a Londinium, mi<br />
dicono, da quando è sbarcato in Britannia un mese fa. Il generale<br />
Britannico ha aspettato una settimana il suo ritorno. Stilicone è<br />
tornato quattro giorni fa e il generale è riuscito ad avere un'udienza<br />
solo stamattina. È andato a fargli visita poco dopo l'alba, è rimasto<br />
chiuso con lui per tre ore e poi è andato via con lui a cavallo, verso<br />
sud. Non so dove sono andati, né quando torneranno.»<br />
Pensai a tutto questo per un po'. «Bene» decisi alla fine. «Quanto<br />
più staranno via, tanto più avrò tempo per guarire.» Mi venne un<br />
altro pensiero e gli feci subito la domanda. «E il mio caso? Ne hai<br />
sentito parlare?»<br />
Sorrise nuovamente e poi scosse la testa. «No, comandante.<br />
Nessuno parla di te. Non sei il più famoso brigante di tutti i tempi.<br />
Po<strong>che</strong> persone sanno <strong>che</strong> sei qui, a parte noi e la gente di Seneca. E
Stilicone adesso, suppongo.»<br />
Mi guardai intorno nella grande cella. «Perché sono qui da solo?<br />
Lo sai?»<br />
«Sì, lo so. Quando Stilicone è arrivato questo posto era pieno. Lo<br />
ha svuotato. Ha processato tutti, ha impiccato la maggior parte e ha<br />
rimesso gli altri in libertà. Nessun altro sembra propenso ad<br />
accettare la sua ospitalità.»<br />
Un'ombra fredda sembrò scendere su di me, raggelandomi per<br />
un momento. «Che aspetto ha, Dragone, questo Stilicone? Lo hai<br />
visto?»<br />
Lui scosse la testa. «No. È il reggente dell'imperatore,<br />
comandante. <strong>La</strong> gente normale come noi non vede mai uomini di<br />
quel livello, nemmeno da lontano; ed è logico. Non voglio an<strong>che</strong><br />
vederlo, né lui né l'imperatore. Mi farebbe solo pensare quanto mi<br />
infastidisce la ric<strong>che</strong>zza altrui.»<br />
Trovai la forza di sorridere a quella innocua battuta «Adesso,»<br />
gli chiesi, «cosa succederà? Caio verrà qui, pensi?»<br />
«Di sicuro, comandante. I suoi ordini sono chiari. Doveva essere<br />
informato sulle tue condizioni non appena avessi ripreso<br />
conoscenza. Da quel momento, almeno due di noi sono in servizio<br />
ogni momento per la tua protezione.»<br />
«Due più due soldati regolari fuori?»<br />
«Sì, da adesso in poi.»<br />
Cercai di mettermi a sedere, ma mi sentivo ancora molto debole.<br />
Sapevo <strong>che</strong> la cosa migliore era riposare fino a <strong>che</strong> non fosse<br />
giunto il successivo pasto caldo, per conservare le energie e<br />
rimettermi in forza. Ringraziai Dragone per la sua gentilezza e lo<br />
pregai di lasciarmi riposare.
XIII.<br />
Dragone si sbagliava. Caio non venne a vedermi. Adesso <strong>che</strong><br />
avevo ripreso conoscenza, tuttavia, il mio miglioramento fu rapido.<br />
Le mie forze aumentavano di ora in ora, aiutate prima dai brodi<br />
nutrienti e poi dal nutriente cibo solido <strong>che</strong> Dragone e gli altri<br />
fingevano di lesinarmi.<br />
Sapevo <strong>che</strong> Caio era ritornato a Londinium con Stilicone tardi<br />
quella prima sera, perché mi aveva mandato un messaggio nel quale<br />
mi informava del suo ritorno e della sua contentezza nel sapere <strong>che</strong><br />
stavo meglio, ma lui non venne.<br />
Il giorno successivo Dragone mi portò una lettera scritta dalla<br />
mano familiare di Caio. <strong>La</strong> lessi immediatamente, stando seduto,<br />
ormai senza sforzo, sulla panca. Era concisa e non firmata.<br />
«Mi rallegro <strong>che</strong> tu stia meglio e migliori rapidamente. Per un<br />
po' ci hai spaventato tutti. Non potrò venire da te. Il pericolo è<br />
troppo grande. Sii certo <strong>che</strong> non sono stato pigro nel lavorare per te.<br />
Molto è stato fatto. Molto rimane da fare. Sarai processato tra breve.<br />
Non ho timori. Ci occuperemo presto di quel sodomita e potremo<br />
dimenticarlo. Rufino è morto. Il tuo nemico non ha amici<br />
nell'Impero adesso. Non lasciarti tentare di tenere questo messaggio.<br />
Ridallo al messaggero in modo <strong>che</strong> me lo riporti.»<br />
Lessi la missiva tre volte prima di arrotolarla e ridarla a<br />
Dragone. «Quale pericolo è troppo grande?» gli chiesi.<br />
Si strinse nelle spalle. «Il pericolo è Seneca. Ha uomini ovunque.<br />
Se Caio Britannico venisse a trovarti, glielo riferirebbero e non<br />
sarebbe opportuno. Pensiamo di essere riusciti a ingannare Seneca<br />
completamente. Non ha idea di quello <strong>che</strong> proviamo per te in realtà.<br />
Crede <strong>che</strong> tu sia davvero il ribelle <strong>che</strong> gli abbiamo detto.»<br />
«E allora? Questo lo capisco, ma chi è Rufino? Conosco quel
nome, ma non riesco a ricordare chi è.»<br />
«Il reggente in Oriente, come Stilicone lo è in Occidente.»<br />
Non appena ebbe detto quelle parole, rammentai. Pico ci aveva<br />
scritto in una lettera <strong>che</strong> Teodosio aveva diviso la tutela dei suoi due<br />
figli tra i suoi migliori comandanti, Flavio Stilicone e Flavio Rufino.<br />
Divide et impera. Fino a <strong>che</strong> i due reggenti fossero vissuti non c'era<br />
rischio <strong>che</strong> uno dei due usurpasse il trono dei ragazzi.<br />
Meditai su questo. «Ma <strong>che</strong> cosa ha a <strong>che</strong> fare con Seneca?»<br />
Dragone sogghignò e si strinse nelle spalle. «Niente e tutto. Pare<br />
<strong>che</strong> Seneca fosse una spia di Rufino, incaricato di controllare<br />
Stilicone. E adesso Rufino è morto.»<br />
Lo fissai sbalordito. «Come fai a saperlo?»<br />
Sorrise. «Me lo ha detto il generale. Glielo ha detto Stilicone.»<br />
Non ero l'unico veterano di Caio <strong>che</strong> continuava a chiamarlo<br />
generale.<br />
«Stilicone lo sapeva? E non ha fatto niente?»<br />
«Non poteva. Motivi complicati, mi dicono. Troppe persone<br />
sarebbero state coinvolte. Così si è adattato a questo, e a Seneca.»<br />
«Britannico ti ha detto questo? Perché tu me lo dicessi?»<br />
«E perché se no? Non sono fatti miei.»<br />
«Come è morto Rufino?»<br />
Dragone fece una smorfia e scosse la testa, per indicare <strong>che</strong> non<br />
lo sapeva e <strong>che</strong> non gli importava. «E Seneca non lo sa?»<br />
«Non sa niente. Lo sa solo Stilicone. E Britannico e io e tu<br />
adesso.»<br />
Ero perplesso. «Perché me lo ha detto? Devo essere processato<br />
presto. Quanto presto? Lo sai?» Scosse la testa.<br />
«Britannico lo sa?» Scosse la testa di nuovo. Frustrato gli chiesi<br />
di allontanarsi e lui mi lasciò solo a esercitarmi a camminare e a
lottare con i miei pensieri, <strong>che</strong> non erano per niente tranquilli.<br />
Due giorni dopo fui svegliato dalle guardie regolari e mi fu<br />
detto <strong>che</strong> era stato convocato un tribunale militare per quella stessa<br />
mattina. Mi obbligarono ad alzarmi, mi misero delle catene alle<br />
caviglie e mi legarono le mani dietro la schiena. Mi sentivo male per<br />
il terrore e fui più <strong>che</strong> cosciente della debolezza delle mie gambe<br />
quando mi fecero uscire dalla cella e salire lungo una ripida scala a<br />
chiocciola, incerto e barcollante davanti alle sue vertiginose<br />
profondità. Un lungo corridoio in cima alla scala conduceva a un<br />
cortile interno, e il chiarore del sole mattutino mi accecò dopo<br />
l'oscurità e la penombra a cui ero abituato. Ma camminando mi<br />
sentivo più forte e ben presto riuscii a camminare quasi<br />
normalmente; a ogni passo <strong>che</strong> facevo sentivo il tonfo delle catene e<br />
il loro tintinnio metallico. L'abbagliamento diminuì e cessò, e<br />
cominciai a vedere di nuovo; la prima cosa <strong>che</strong> vidi fu la mia tunica<br />
insozzata di sporcizia e poi, alla luce e all'aria aperta, sentii il fetore<br />
<strong>che</strong> emanavo, e <strong>che</strong> mi fece quasi vomitare. Il tribunale, pensai<br />
amaramente, sarebbe stato veramente impressionato dal mio<br />
aspetto.<br />
C'era una sorpresa in serbo per me, però, perché le guardie mi<br />
portarono direttamente a un bagno dove mi tolsero le catene, mi<br />
spogliarono e mi fecero lavare con acqua fredda. Quando ebbi finito,<br />
mi buttarono un fagotto di abiti, puliti rispetto a quelli <strong>che</strong> avevo<br />
scartato. Nessuno dei sei uomini di scorta mi tolse gli occhi di dosso<br />
per un momento. Quando fui vestito mi incatenarono di nuovo e<br />
continuammo il nostro viaggio verso il complesso centrale degli<br />
edifici sede del quartiere generale militare. Dopo il bagno e il<br />
cambio degli abiti mi sentivo meglio di come mi ero sentito per<br />
settimane e cercai di dire a me stesso <strong>che</strong> mi fidavo del giudizio di<br />
Caio. Ma non era facile crederci.<br />
Non c'erano dubbi sulla presenza imperiale a Londinium.<br />
An<strong>che</strong> nei passaggi e nei corridoi di servizio, c'erano truppe
Imperiali ovunque. <strong>La</strong> sicurezza era assoluta. <strong>La</strong> mia scorta<br />
attraversò una serie di posti di controllo, uno più accurato dell'altro,<br />
poi entrammo in un edificio, in una specie di anticamera dove le mie<br />
sei guardie mi affidarono formalmente a un centurione e a due<br />
soldati delle truppe imperiali, tutti risplendenti nelle uniformi<br />
cremisi e azzurre delle guardie personali dell'imperatore. I due<br />
soldati mi presero in mezzo e proseguimmo lungo un buio<br />
passaggio <strong>che</strong> terminava bruscamente davanti a una porta<br />
massiccia. Le guardie mi si strinsero più vicine e ognuna di loro mi<br />
afferrò per un braccio, mentre il centurione apriva la porta e ci<br />
faceva entrare.<br />
Eravamo nel tribunale, un locale ampio simile a un anfiteatro,<br />
con una gradinata a ferro di cavallo rivolta verso una pedana in<br />
fondo alla quale c'erano una lunga tavola e tre sedili con lo schienale<br />
alto. Tutti i presenti si girarono a guardarmi quando entrai.<br />
Dovevano esserci almeno cinquanta ufficiali, tutti in alta uniforme, e<br />
ognuno reggeva il proprio elmo come prescritto, nell'incavo del<br />
braccio sinistro. L'assemblea dei tribuni in servizio nella capitale<br />
della provincia della Britannia meridionale. All'inizio le facce mi<br />
sembrarono tutte uguali, impossibili da distinguere le une dalle<br />
altre, ma poi alcune, quelle dei più anziani, cominciarono a<br />
diventarmi familiari. In prima fila, vicino al posto riservato per me,<br />
direttamente di fronte alla tribuna, sedevano Caio Britannico e<br />
Cesario Claudio Seneca. Quando i miei occhi misero a fuoco Seneca,<br />
un'ondata di odio e di disprezzo mi sommerse completamente,<br />
facendomi perdere del tutto la consapevolezza di chi ero e dove mi<br />
trovavo. Stranamente la vista di Caio non ebbe nessun effetto su di<br />
me, nemmeno un effetto di sollievo.<br />
<strong>La</strong> scorta mi spinse innanzi e io avanzai nella stanza, con le<br />
catene <strong>che</strong> tintinnavano nel silenzio assoluto. Ignorai le facce intorno<br />
a me - la loro arroganza, la curiosità, l'ostilità e il disprezzo - e mi<br />
costrinsi a guardare un punto del muro di fronte a me. Cosciente<br />
dell'aspetto <strong>che</strong> dovevo avere con indosso quegli stracci da
prigioniero, incrociai le braccia e rimasi in piedi più eretto <strong>che</strong><br />
potevo.<br />
Evidentemente qualcuno aspettava in osservazione, perché non<br />
appena mi fui fermato davanti alla tribuna, una porta si aprì nel<br />
muro dietro la pedana, e un gruppo di tribuni anziani,<br />
elegantemente vestiti, salirono sulla tribuna. Mi ritrovai faccia a<br />
faccia con Flavio Stilicone, comandante in capo degli eserciti di<br />
Roma imperiale e ora reggente del giovane imperatore Onorio.<br />
Non potevo sbagliare, benché fosse vestito in modo identico ai<br />
suoi compagni. Mi ricordai di colpo l'osservazione fatta da Caio anni<br />
prima, <strong>che</strong> l'abito perdeva significato sotto l'aura di un uomo<br />
veramente grande, di qualunque età, e l'intero comportamento di<br />
quell'uomo appariva unico. Avevamo parlato di grandezza e Caio<br />
aveva detto <strong>che</strong> uomini di grande destino portano in sé le qualità<br />
originarie dei predatori, a cui spesso somigliano. Quella ne era una<br />
prova vivente. Teodosio sembrava una grossa tigre. Giulio Cesare<br />
era sempre stato raffigurato con l'aspetto di un'aquila. Flavio<br />
Stilicone era un falco vandalo. Quell'immagine mi balzò in mente<br />
vedendolo. Era robusto e compatto e dava un'impressione di grande<br />
forza e agilità. Le braccia scoperte erano forti, sode e muscolose. Il<br />
volto era sottile e triste, con grandi occhi scuri, quasi neri. <strong>La</strong> bocca<br />
era piccola e ben disegnata, le labbra ferme e piene sopra a un mento<br />
forte, con una fossetta. Il volto era dominato da un naso piccolo e<br />
incredibilmente aquilino. Quel naso, in effetti, dominava il suo<br />
intero aspetto, con quegli occhi e quella fronte alta, spaziosa e senza<br />
rughe. Malgrado la giovane età - aveva solo ventinove anni - i<br />
capelli avevano già cominciato ad arretrare dalle tempie, lasciando<br />
al centro della fronte una punta sottile; an<strong>che</strong> da dove mi trovavo io,<br />
costretto a guardare la sua eminente figura dal basso in alto con un<br />
certo disagio, potevo notare sotto quelle ciglia l'intelligenza <strong>che</strong><br />
sfolgorava attraverso gli occhi scuri.<br />
Il gruppo dei sette si dispose in modo <strong>che</strong> quattro rimasero in
piedi, con le braccia piegate sul petto, dietro a tre seggi. Stilicone<br />
venne avanti e prese la sedia centrale, affiancato dagli altri due<br />
tribuni. Ma non si sedette. I suoi occhi si rivolsero a me, <strong>che</strong> mi<br />
trovavo in piedi sotto di lui, e vidi qualcosa agitarsi nella loro<br />
profondità, an<strong>che</strong> se non avrei saputo degenere cosa fosse. Mi<br />
guardò a lungo e profondamente, con occhi ora inespressivi, poi<br />
girò lo sguardo lungo tutto il tribunale, riportandolo alla fine su<br />
Seneca e Caio. Non si sentiva un solo rumore nella grande sala.<br />
Quando infine si sedette, fecero altrettanto an<strong>che</strong> tutti gli altri,<br />
tranne me, le guardie e i quattro tribuni in piedi dietro a lui.<br />
Stilicone strinse le labbra, poi si rivolse a tutta la sala.<br />
«Questo è un tribunale militare; siedo a giudizio in qualità di<br />
comandante in capo. Questo è an<strong>che</strong> un tribunale civile e lo presiedo<br />
in qualità di reggente della Sua Imperiale Maestà, Onorio. Le<br />
complesse questioni presentate oggi a questa corte sono sia civili <strong>che</strong><br />
militari. Il prigioniero davanti a noi è accusato di gravi crimini.»<br />
Guardò la pergamena <strong>che</strong> aveva di fronte e la srotolò. «Questo è il<br />
loro elenco.<br />
Primo: È stato dichiarato da Cesario Claudio Seneca <strong>che</strong> il<br />
prigioniero, di cui egli non conosce il nome, quattordici anni fa, in<br />
compagnia di un altro uomo, anch'egli sconosciuto al querelante,<br />
commise un'aggressione non provocata contro Claudio Seneca in<br />
una mansio pubblica, mentre Claudio Seneca era impegnato in affari<br />
privati in nome di Valentiniano, l'imperatore. È stato inoltre<br />
dichiarato <strong>che</strong> nel corso di tale aggressione il prigioniero ruppe il<br />
naso del querelante e gli sfregiò il corpo incidendogli sul petto la<br />
lettera V.<br />
Secondo: È stato dichiarato da Cesario Claudio Seneca <strong>che</strong> il<br />
prigioniero, il cui nome era sempre sconosciuto al querelante, venne<br />
riconosciuto due anni più tardi nella città di Aquae Sulis, e <strong>che</strong><br />
Quintilio Nesca, zio del querelante e magistrato di quella provincia,<br />
gli ordinò di arrendersi. È stato dichiarato inoltre <strong>che</strong> nel tentativo di
evitare la cattura per le accuse sopra citate, il prigioniero provocò la<br />
morte di due dipendenti di Quintilio Nesca e uccise il magistrato<br />
stesso strangolandolo la notte seguente.<br />
Terzo: È stato dichiarato da Cesario Claudio Seneca <strong>che</strong> al<br />
momento del suo arrivo nella casa di Caio Britannico, ex proconsole<br />
di Numidia e senatore di Roma, egli trovò il prigioniero, con il nome<br />
di Vulcano, nelle mani del proconsole, in attesa di essere condotto<br />
qui a Londinium per essere sottoposto a processo con l'accusa di<br />
brigantaggio e ribellione armata.» Si fermò e guardò verso Caio,<br />
annuendo. «Il senatore Caio Britannico è qui presente. Queste sono<br />
le accuse come sono state presentate a questo tribunale. Ci sono<br />
commenti?»<br />
«Sì, reggente!» Seneca si era alzato, con la faccia leggermente<br />
arrossata e un ghigno arrogante. «È un fatto secondario, ma richiede<br />
una precisazione. Hai trascurato di specificare <strong>che</strong> il senatore<br />
Britannico sostiene le accuse.»<br />
Stilicone lo fissò in silenzio per qual<strong>che</strong> istante prima di<br />
rispondere, con volto privo di espressione. «Non ho trascurato<br />
niente, senatore Seneca.» Abbassò brevemente lo sguardo, esitò un<br />
attimo e poi sollevò di nuovo gli occhi. «No, questo non è del tutto<br />
esatto, an<strong>che</strong> se la mia dimenticanza non ha alcun rapporto con la<br />
questione trattata in questa sede. Ho trascurato di menzionare,<br />
prima dell'inizio di questo processo, <strong>che</strong> sono stato informato della<br />
morte improvvisa del reggente dell'Impero d'Oriente, Flavio Rufino.<br />
Lo rimpiangeremo.»<br />
Allora si udì il rumore collettivo dei respiri trattenuti, e io voltai<br />
rapidamente il capo per vedere l'effetto di quell'annuncio su Seneca.<br />
Fui felice di vederlo impallidire e cominciai a sentirmi più sicuro del<br />
risultato di tutta la faccenda, an<strong>che</strong> se ero ancora perplesso.<br />
Stilicone ignorò l'effetto del suo annuncio su Seneca e continuò a<br />
parlare con una voce chiara e cristallina <strong>che</strong> risuonava per tutto il<br />
tribunale.
«Come rappresentante personale e reggente dell'imperatore<br />
Onorio sono qualificato, in caso volessi farlo, a decidere su questa<br />
materia a mia sola discrezione e a decretare il mio giudizio. Ma ho<br />
scelto di non fare così per alcune ragioni. Ho incaricato i legati<br />
<strong>La</strong>rrente e Titanio, qui presenti, di assistermi nel compilare e<br />
valutare le prove e le testimonianze raccolte su queste accuse, alcune<br />
delle quali molto vecchie. Siamo stati occupati in questa ricerca per<br />
le trascorse quarantotto ore. I nostri risultati congiunti sono i<br />
seguenti.»<br />
Rimase in silenzio per un momento, guardando attentamente il<br />
documento <strong>che</strong> teneva ancora aperto davanti a sé, poi alzò la testa e<br />
parlò di nuovo nel silenzio generale. «Per quanto riguarda l'accusa<br />
di aggressione, quattordici anni fa, il legato <strong>La</strong>rrente ha condotto<br />
l'istruttoria. Legato?»<br />
<strong>La</strong>rrente si alzò in piedi e con mia totale meraviglia procedette a<br />
una dettagliata testimonianza, fornita e ufficialmente confermata da<br />
Plauto, <strong>che</strong> riguardava i particolari dell'aggressione e le<br />
provocazioni <strong>che</strong> l'avevano causata. Seneca rimase in piedi per tutto<br />
quel tempo come una statua. Quando <strong>La</strong>rrente ebbe finito la sua<br />
esposizione, Stilicone fissò Seneca con espressione severa.<br />
«Ora,» disse, «c'è un'altra testimonianza di cui questo tribunale<br />
non dispone, ma mi è stato detto <strong>che</strong> può essere prodotta entro<br />
pochi giorni se il senatore Seneca lo desidera.»<br />
Mi scopersi a trattenere il fiato, chiedendomi di <strong>che</strong> cosa potesse<br />
trattarsi.<br />
Proseguì, tenendo gli occhi fissi su Seneca.<br />
«Il proprietario della mansio, la moglie e i due figli vivono ancora<br />
lì. Questo tribunale non ha alcun dubbio <strong>che</strong> essi ricorderanno<br />
l'eccitazione provocata dagli eventi qui in discussione. Senatore<br />
Seneca, è tuo desiderio <strong>che</strong> essi vengano convocati sub poena?»<br />
Il silenzio nella sala era assoluto. Il volto di Seneca era colore
della cenere. Finalmente, dopo un prolungato silenzio, Seneca scosse<br />
la testa. «No!» Deglutì a fatica. «Accetto... accetto il giudizio del<br />
tribunale.»<br />
«E così sia. Il tribunale giudica il prigioniero innocente di ogni<br />
atto criminale in questa faccenda. L'aggressione era giustificata e<br />
provocata. Ora, per l'omicidio del magistrato Quintilio Nesca.<br />
Legato Titanio?»<br />
Quasi mi mancarono le gambe per il sollievo!<br />
Mentre lottavo per respirare normalmente, il legato Titanio si<br />
alzò in piedi e riferì sulla faccenda di Aquae Sulis la meticolosa<br />
testimonianza dei testimoni <strong>che</strong> avevamo portato dalla Colonia.<br />
Quando ebbe finito e si fu seduto, Stilicone si guardò intorno e<br />
poi parlò di nuovo.<br />
«Rammentate, tutti voi presenti, <strong>che</strong> la caccia all'uomo nei<br />
confronti del prigioniero non era giustificata... Non aveva commesso<br />
nessun crimine punibile. Nell'anno <strong>che</strong> seguì all'aggressione<br />
originaria il prigioniero intraprese un viaggio verso Occidente, per<br />
sposarsi. Nel corso di quel viaggio egli sopravvisse a tre attentati<br />
alla sua vita, tutti compiuti da assassini prezzolati. Nell'ultima di<br />
queste occasioni il prigioniero catturò vivo uno di quegli uomini e lo<br />
consegnò alle autorità militari di Al<strong>che</strong>ster. L'assassino, prima di<br />
essere impiccato, rese una piena confessione. Disse di essere stato al<br />
soldo di Quintilio Nesca, <strong>che</strong> aveva offerto una ricca ricompensa in<br />
oro per la testa di un uomo - qualunque uomo - <strong>che</strong> corrispondesse<br />
alla descrizione del prigioniero. L'ufficiale <strong>che</strong> raccolse la<br />
confessione è stazionato ora nel nord della provincia, ad Arboricum.<br />
Senatore Seneca, desideri <strong>che</strong> prima di emettere la sentenza questo<br />
tribunale richiami quell'ufficiale per interrogarlo?»<br />
Di nuovo vi fu quel terribile, tormentato silenzio prima <strong>che</strong><br />
Seneca facesse un cenno negativo col capo e mormorasse: «No».<br />
«Così sia. È giudizio di questo tribunale <strong>che</strong> il prigioniero,
Publio Varro, è innocente di complicità nell'assassinio di Quintilio<br />
Nesca. Questo tribunale ritiene inoltre il prigioniero giustificato per<br />
avere ucciso due uomini di Nesca per proteggere la propria vita.»<br />
Fece una pausa. «Ora, per quanto riguarda la ribellione armata e<br />
il banditismo.» Mi guardò direttamente. «Il senatore Caio Britannico<br />
desidera rivolgersi a questo tribunale.»<br />
Caio si alzò, e le mie guardie non fecero nessun tentativo di<br />
trattenermi quando girai la testa per guardarlo.<br />
«Spiega le circostanze dell'arresto di quest'uomo, di nome<br />
Varro, sotto queste accuse.» <strong>La</strong> voce di Stilicone era priva di enfasi.<br />
Caio si guardò intorno, verso gli ufficiali riuniti, verso di me e<br />
infine verso Seneca, prima di rivolgersi nuovamente a Stilicone e ai<br />
suoi due legati.<br />
«Le accuse sono speciose, reggente» disse. «Sono totalmente<br />
prive di sostanza. Le ho inventate io stesso un'ora prima dell'arrivo<br />
di Claudio Seneca.» Sapevo <strong>che</strong> Caio aveva ignorato di proposito<br />
l'uso del titolo senatorio di Seneca. «Ero stato avvertito del suo<br />
arrivo e conoscevo tutte le circostanze legate al suo odio per<br />
quest'uomo, il mio amico Publio Varro. Perciò ideai il sotterfugio di<br />
portare Varro a Londinium sotto scorta, come l'unico mezzo <strong>che</strong><br />
avevo a disposizione per garantirgli salva la vita.»<br />
Sentivo su di me gli occhi di Seneca, l'odio nel suo sguardo mi<br />
corrodeva la pelle come un acido.<br />
Stilicone parlò di nuovo. «Da quanto tempo conosci il<br />
prigioniero, senatore?»<br />
«Da tre decadi ormai, reggente.»<br />
«E lo hai sempre ritenuto persona d'onore?»<br />
«Completamente.»<br />
«Fino a <strong>che</strong> punto?»<br />
Caio mi guardò prima di continuare e poi si girò verso la
tribuna. «Publio Varro serviva con me come centurione prima del<br />
primo attacco contro il Vallo, reggente. Dopo l'invasione lo elevai al<br />
rango di tribuno per la sua condotta sul campo. Ricevette la ferita<br />
<strong>che</strong> lo ha storpiato alla fine della campagna condotta dall'imperatore<br />
Teodosio contro gli invasori, e in quell'occasione ha avuto il merito<br />
di salvarmi la vita, in un'imboscata tra le montagne. In tutto il tempo<br />
<strong>che</strong> l'ho conosciuto si è sempre comportato con onore, lealtà,<br />
integrità e tutte le migliori qualità <strong>che</strong> siamo fieri di definire<br />
romane.»<br />
«Grazie, proconsole.» Caio si sedette, mentre Stilicone si alzava<br />
in piedi e picchiava il suo bastone di avorio sul rostrum. «Che tutti gli<br />
uomini presenti ascoltino. In nome di Onorio imperatore, questo<br />
tribunale dichiara l'accusato, Publio Varro, innocente di tutte le<br />
accuse e discolpato completamente agli occhi di Dio e degli uomini.<br />
E così sia. Togliete le catene al prigioniero e badate <strong>che</strong> sia nutrito e<br />
vestito come è dovuto al suo rango e come gli è dovuto per le<br />
ingiustizie <strong>che</strong> ha subito. Questo tribunale si aggiorna. Tribuno<br />
Seneca! Nei miei appartamenti, per favore. Immediatamente.»<br />
Mentre le conversazioni si intrecciavano intorno a me, io rimasi<br />
in piedi da solo dove mi trovavo, e pensavo <strong>che</strong> certamente tutti i<br />
nemici <strong>che</strong> Caio si era fatto, riuniti insieme, non potevano covare nei<br />
suoi confronti un decimo dell'odio <strong>che</strong> si era meritato quel giorno da<br />
Cesario Claudio Seneca.<br />
Fino a quel momento l'ossessione di Seneca per me era stata,<br />
sembrava, la forza motrice della sua vita, seconda forse<br />
all'accumulare denaro. Ma ora aveva un altro bersaglio per il suo<br />
odio. Caio Britannico. E sentivo dentro di me <strong>che</strong> Claudio Seneca era<br />
capacissimo di nutrire un duplice odio.
XIV.<br />
An<strong>che</strong> dopo <strong>che</strong> i ferri mi erano caduti dai polsi e dalle caviglie,<br />
mi sentivo male e tremavo dentro. Contai <strong>che</strong> avevo vissuto ventuno<br />
giorni incatenato in una gabbia o in una cella e il fatto di sapere <strong>che</strong><br />
tutto questo era per finta non mi aveva dato nessun conforto.<br />
Proprio nessuno. Era stata un'esperienza devastante, e quando, sotto<br />
custodia in quel tribunale, avevo sentito Stilicone leggere le accuse<br />
nei miei confronti, avevo veramente creduto di essere perduto. Le<br />
accuse suonavano molto gravi ed ero convinto <strong>che</strong> Seneca fosse<br />
riuscito alla fine, dopo quattordici anni, a liberarsi di me. Quando<br />
avevo sentito il verdetto di assoluzione da ogni accusa, penso <strong>che</strong><br />
sarei svenuto o avrei vomitato o entrambe le cose; avevo sentito<br />
come un rombo nelle orecchie e poi non avevo più visto una faccia,<br />
né sentito una delle parole <strong>che</strong> mi venivano rivolte.<br />
Mi portarono in una fucina e mi liberarono dalle catene, poi mi<br />
accompagnarono in un bagno, dove venni lavato con acqua e con<br />
vapore e poi strofinato per togliere la sporcizia di tre settimane, e<br />
infine mi condussero alla mensa degli ufficiali e mi diedero da<br />
mangiare, e per tutto il tempo la gente mi parlava. Ma non registrai<br />
niente di tutto ciò. Nella mia mente, nella mia anima, ero stato<br />
privato della dignità di uomo.<br />
Trovai la redenzione ad aspettarmi, però, al risveglio il mattino<br />
seguente. <strong>La</strong> catarsi, l'astratta purgazione dell'anima, viene di solito<br />
raggiunta dall'abilità dei tragici e dei drammaturghi facendo leva<br />
sulle emozioni degli spettatori. Nel mio caso, invece, fu incarnata da<br />
Plauto. Aprii gli occhi e lo scoprii pigramente appoggiato alla porta<br />
della stanza da letto, <strong>che</strong> mi fissava con le braccia conserte. Sbattei le<br />
palpebre incredulo e lui mi disse: «Sei sempre stato un brutto figlio<br />
di puttana, Varro, ma ora stai an<strong>che</strong> diventando pigro! Hai deciso di<br />
rimanere in quel giaciglio pulcioso per tutto il giorno?» Mi sedetti,
gettai le gambe giù dal letto, gli sorrisi con tutto me stesso e mi sentii<br />
di nuovo bene!<br />
Un'ora dopo eravamo seduti alla mensa, uno di fronte all'altro,<br />
indifferenti all'andirivieni degli ufficiali intorno a noi.<br />
«Allora,» gli chiesi, «come va la tua destinazione? Sei in eccelsa<br />
compagnia con tutte queste truppe imperiali.»<br />
Si incupì e parlò con voce bassa e ringhiosa. «Cosa intendi dire,<br />
in buona compagnia? Mi stai prendendo in giro? Quale<br />
destinazione? Guardami per l'amor di Dio! Sono un civile! Sono<br />
fuori!»<br />
«Fuori?» Avevo notato il suo abbigliamento da civile, ma avevo<br />
immaginato <strong>che</strong> fosse semplicemente fuori servizio, e sapevo <strong>che</strong><br />
non si sarebbe mai presentato volontariamente in uniforme nella<br />
zona riservata agli ufficiali. «Cosa intendi dire "fuori"? Non è<br />
possibile! Devi fare altri cinque anni!»<br />
«No.» Scosse la testa. «Trentacinque anni. Questo è il massimo.<br />
Adesso ho cinquantatré anni.»<br />
Lo fissai stupefatto. «Buon Dio, Plauto. Non ne avevo idea.<br />
Perché non me lo hai fatto sapere? Sapevi dove trovarmi. Se non<br />
fosse stato per il tuo avvertimento probabilmente sarei morto. Sarei<br />
andato incontro a quel maiale malnato di Seneca e avrebbe avuto le<br />
mie palle su un vassoio nel giro di un minuto.»<br />
Liquidò le mie parole con un gesto della mano. «<strong>La</strong>scia<br />
perdere.» Era evidente <strong>che</strong> non voleva aggiungere altro.<br />
«Non mi hai risposto. Perché non mi hai fatto sapere <strong>che</strong> eri<br />
fuori?»<br />
Il tono amaro della sua voce mi disse più delle sue parole. «A<br />
<strong>che</strong> scopo? Cosa dovevo dirti? Che ero finito? Fuori gioco? Che<br />
l'esercito non aveva più bisogno di me? Che sono troppo vecchio per<br />
dare il mio contributo? No, me ne sono andato e ho deciso di<br />
rimanere qui per un po'... finché sarà finita.»
«Finché sarà finita cosa? <strong>La</strong> vita?» Lo fissai incredulo, sorpreso<br />
di scoprire un lato di lui <strong>che</strong> non avevo mai sospettato. «Plauto,» gli<br />
dissi, «ho visto opinioni più valide di questa galleggiare nelle<br />
latrine! Cosa fai adesso?»<br />
Tirò su col naso. «Ti ricordi l'oro <strong>che</strong> mi hai dato? Beh, è servito<br />
in fin dei conti. L'ho usato per comprare una taverna, insieme a un<br />
altro <strong>che</strong> aveva finito insieme a me.»<br />
«Una taverna?» Ero sorpreso e felice per lui. «Va bene? Sei<br />
contento?»<br />
«È una fogna, come tutte le altre.» Mi lanciò uno sguardo<br />
disgustato. «Ero solito dire <strong>che</strong> se avessi mai posseduto una taverna<br />
l'avrei vietata ai civili. Beh, ho scoperto <strong>che</strong> non lo puoi fare. Non<br />
puoi stare fuori dall'esercito se non ti appoggi ai civili, perché<br />
quando attraversi uno di questi cancelli per l'ultima volta senza<br />
uniforme sei uno di loro. Puoi an<strong>che</strong> parlare come un soldato e<br />
pensare e agire come un soldato, ma sei un civile. Fine della storia, e<br />
fine della bella vita.»<br />
Quello <strong>che</strong> diceva mi sconcertava. Non sapevo cosa ribattere, a<br />
parte le ovvietà. «E la Colonia, Plauto? Il tuo posto è lì. Eri lì quando<br />
è cominciata, al mio matrimonio.»<br />
«Sì, e se ci fossi venuto cinque anni fa, invece di farmi<br />
riconfermare, sarebbe stato bello. Adesso è troppo tardi.»<br />
Lo aggredii, irritato. «Balle, Plauto! Di cosa stai parlando?»<br />
Mi interruppe con un gesto della mano. «Non ha senso<br />
discutere, Varro. È così, e basta. L'esercito non è stupido, l'esercito sa<br />
quello <strong>che</strong> fa. L'esercito si prende tutto quello <strong>che</strong> vale finché un<br />
uomo ha qualcosa da dare e poi, quando non serve più a niente,<br />
quando gli ha succhiato tutto quello <strong>che</strong> vale, è fuori, finito. Questa è<br />
una realtà della vita militare! Se sei inutile, sei fuori e se sei fuori, sei<br />
inutile.»<br />
«Brutto stupido...» mi fermai esasperato, guardandomi intorno
per essere sicuro <strong>che</strong> fossimo completamente soli e non ci sentisse<br />
nessuno. «Plauto, ti conosco da molti anni e credevo di conoscere<br />
tutti i tuoi difetti. So <strong>che</strong> sei un libertino, <strong>che</strong> hai un cattivo carattere,<br />
<strong>che</strong> sei uno sboccato figlio di puttana <strong>che</strong> preferisce combattere<br />
piuttosto <strong>che</strong> fornicare e a ogni buona occasione dice "bere" invece di<br />
"pensare", ma non ti avevo mai ritenuto lo stupido <strong>che</strong> mi sembri<br />
adesso. "L'esercito non è stupido! L'esercito sa quello <strong>che</strong> fa!" E da<br />
quando in nome di Dio? Che razza di vomito è questo? L'esercito è il<br />
peggiore casino dell'Impero. Lo hai sempre saputo. Non ci sono<br />
abbastanza cervelli in tutto l'alto comando per pianificare un<br />
itinerario di marcia da un capo all'altro di una strada diritta. Se<br />
l'esercito sapesse quello <strong>che</strong> fa, non ne servirebbe nemmeno la metà.<br />
E allora cosa sono tutte quelle balle di cui vai blaterando come una<br />
pecora ammalata? Ti stai piangendo addosso, ecco tutto!»<br />
Plauto mi fissava con gli occhi spalancati, preso in contropiede<br />
dalla mia veemenza. Continuai il mio assalto, senza dargli il tempo<br />
di ritrovare la parola. «Vuoi qualcosa di utile da fare? Ti darò io<br />
qualcosa di utile.» Abbassai la voce per prudenza e continuai in tono<br />
confidenziale. «A casa ho un esercito mio, <strong>che</strong> ha disperatamente<br />
bisogno di un addestramento decente. È un esercito piccolo, ma<br />
cresce ogni giorno. Stiamo inventando nuove tecni<strong>che</strong>, applicando<br />
idee <strong>che</strong> non sono mai state pensate prima e non abbiamo un solo<br />
anello inutile in tutta la catena del comando! Ho delle reclute <strong>che</strong><br />
non hanno mai sentito parlare dei diritti dei soldati. Sono abituati a<br />
costruire accampamenti fortificati e a marciare e a manovrare come<br />
lo facevano le legioni mille anni fa e pensano <strong>che</strong> sia tutto quello <strong>che</strong><br />
un soldato deve fare. Pensi <strong>che</strong> non mi serva la tua esperienza? Pensi<br />
davvero di essere troppo vecchio? Di non essere più utile?»<br />
Mi fermai e lo guardai. Mi fissava senza parole.<br />
«Adesso hai qualcosa a cui pensare, Plauto. Tra un paio di giorni<br />
noi partiamo per tornare a casa. Non usiamo denaro alla Colonia.<br />
Non ne abbiamo bisogno. E nean<strong>che</strong> tu. Non mi sembri troppo
contento di fare il taverniere, perciò pensaci. Perché non lasci la<br />
taverna al tuo socio e non torni con noi? Ti metterò al lavoro così in<br />
fretta <strong>che</strong> non avrai neppure il tempo di pensare se sei vecchio o<br />
inutile.»<br />
Mi fissava sempre, e mentre lo osservavo vidi luccicare nei suoi<br />
occhi la speranza.<br />
«Lo pensi davvero, Varro?»<br />
Scossi la testa con commiserazione. «Se hai bisogno di chiederlo,<br />
allora vuol dire <strong>che</strong> sei andato più in là di quello <strong>che</strong> pensavo. Cosa<br />
ne dici? Abbiamo un primus pilus?»<br />
Annuì, dapprima molto lentamente e poi con un grande sorriso<br />
<strong>che</strong> si estendeva su tutta la faccia e cancellava gli anni. «Puoi<br />
scommetterci le palle, Publio Varro. Hai un primus pilus.» <strong>La</strong> sua<br />
eccitazione cresceva visibilmente a ogni battito del cuore. «Per i<br />
testicoli di Tolomeo! Quando partiamo?»<br />
Sorrisi contento. «Non lo so con precisione. Domani o il giorno<br />
dopo. Comunque presto. Caio dovrebbe saperlo. Ha qualcosa da<br />
fare con la gente di Stilicone. Mi ricordo <strong>che</strong> ha detto qualcosa di<br />
simile la notte scorsa. Appena ha finito partiamo. Sei sicuro adesso<br />
<strong>che</strong> vuoi venire? Nessun rimpianto per la tua taverna?»<br />
Si sporse attraverso il tavolo e mi afferrò un polso e io fui molto<br />
commosso vedendo le lacrime nei suoi occhi. «Nessun rimpianto,<br />
amico, nessun rimpianto. Mai. <strong>La</strong> vita è troppo breve.» Socchiuse gli<br />
occhi. «Dindone, il mio socio, se la farà nelle bra<strong>che</strong> quando glielo<br />
dirò. Non ci crederà. Penserà <strong>che</strong> ho perso la testa. Gli piace il lavoro,<br />
ma i soldi erano i miei. Fa lui tutto il lavoro. Quando gli dirò <strong>che</strong> è<br />
tutto suo, se la farà addosso. Vieni con me adesso. Andiamo a<br />
dirglielo! Non vedo l'ora di vedere la faccia <strong>che</strong> farà.»<br />
Sogghignai e bevvi il mio succo di frutta. «D'accordo. Non ho<br />
altro da fare. Andiamo a dirglielo.»
Più tardi, quello stesso pomeriggio, Caio venne a farmi visita e<br />
parlammo per ore, soprattutto di tutto quello <strong>che</strong> era successo nelle<br />
settimane precedenti e della mia malattia. Logicamente la<br />
conversazione si spostò ben presto su Stilicone, e io volli sapere tutto<br />
di lui.<br />
«Come hai fatto a trovarlo?» chiesi a Caio. «È stato difficile avere<br />
un'udienza?»<br />
Sorrise. «No,» disse, «al contrario. Mi ha mandato a chiamare<br />
appena ha ricevuto la mia comunicazione.»<br />
«E poi?»<br />
«Mi ha dato il benvenuto.»<br />
«È tutto quello <strong>che</strong> hai intenzione di dirmi? Ti ha dato il<br />
benvenuto? In <strong>che</strong> modo? Cosa ti ha detto? E tu cosa gli hai detto?»<br />
Caio finse un atteggiamento annoiato, appoggiando<br />
languidamente il mento al palmo delle mani. «Bene, se davvero vuoi<br />
saperlo, suppongo <strong>che</strong> dovrò cercare di ricordare.» Unì le<br />
sopracciglia. «Ma adesso non c'è tempo. Vuole parlare con te questo<br />
pomeriggio. Adesso ha in corso una riunione con gli ufficiali<br />
anziani, e vuole <strong>che</strong> lo incontriamo subito dopo.»<br />
«Incontrarlo, dove?»<br />
«Nei suoi appartamenti. Dove altro?»<br />
Sentii le sopracciglia inarcarsi sulla mia fronte. «Chi ci sarà?»<br />
«Non so, Pico, forse. Tu e io. Forse pochi altri. Non è<br />
un'occasione formale. Stilicone ti piacerà.»<br />
«Mi piace già. L'ho amato quando ha emesso il suo verdetto<br />
ieri.»<br />
Caio sorrise. «Anch'io, devo ammetterlo.»<br />
Sentii i miei occhi spalancarsi per la sorpresa. «Intendi dire <strong>che</strong> ti<br />
ha sorpreso? Non sapevi quale sarebbe stato il suo verdetto?»
Di nuovo quel sorriso. «No. Confesso <strong>che</strong> non lo sapevo, an<strong>che</strong><br />
se immaginavo quale sarebbe stato e ci avrei, in realtà, scommesso.<br />
Ma non era proprio una certezza.»<br />
Non dissi niente, mentre Caio raccontava del suo primo<br />
incontro con Stilicone, quando aveva accennato alla mia presenza a<br />
Londinium e ai crimini di cui Seneca mi accusava. Ne aveva ricavato<br />
l'impressione inequivocabile, mi disse, <strong>che</strong> Stilicone non<br />
apprezzasse troppo Seneca, an<strong>che</strong> se il reggente non si era espresso<br />
chiaramente. Infine, quando aveva rivelato a Stilicone la mia vera<br />
identità, Caio era rimasto stupefatto di scoprire <strong>che</strong> Stilicone mi<br />
conosceva bene di fama, grazie a Pico, <strong>che</strong> era il più stretto<br />
collaboratore e confidente di Stilicone. Caio aveva subito provato<br />
simpatia per Stilicone e l'attrazione era stata reciproca, preparata<br />
dall'intimità di Pico con il reggente e dal rispetto <strong>che</strong> i due avevano<br />
uno per l'altro pur senza conoscersi. Caio aveva esposto il mio caso<br />
nei dettagli e Stilicone aveva incaricato i suoi due assistenti più<br />
fidati di raccogliere le informazioni e le prove per il processo.<br />
Era stato Stilicone a insistere di mantenere il sotterfugio grazie al<br />
quale Seneca non era consapevole dei veri rapporti tra me e gli altri<br />
accusatori. Caio sospettava <strong>che</strong> Stilicone volesse farlo sudare freddo,<br />
e non aveva ritenuto giusto intervenire. Era stato rassicurato<br />
dall'incontro con Stilicone ed era assolutamente fiducioso, an<strong>che</strong> se<br />
non certo, <strong>che</strong> il mio destino fosse in buone mani.<br />
Quando Caio ebbe finito di raccontarmi tutto questo era ora di<br />
mettersi in moto verso gli appartamenti di Stilicone, e io mi resi<br />
nuovamente conto della potenza e magnificenza della Roma<br />
imperiale, evidente nelle misure di sicurezza e nella pompa magna<br />
<strong>che</strong> circondavano la nostra semplice visita.<br />
Lo avevo notato an<strong>che</strong> in precedenza, quando ero stato<br />
prelevato dalla mia cella per affrontare il processo, ma ora,<br />
camminando da uomo libero tra Romani, l'ironico controsenso di<br />
quello <strong>che</strong> vedevo risaltava ancora di più nella mia coscienza.
Mi trovavo, ci trovavamo lì, a causa della convinzione di Caio,<br />
alla quale io avevo aderito inizialmente con riluttanza ma in seguito<br />
con dedizione totale, <strong>che</strong> tutta quella incredibile ric<strong>che</strong>zza e<br />
organizzazione ed efficienza <strong>che</strong> ci circondavano avrebbero presto<br />
cessato di esistere... <strong>che</strong> la stessa Roma, eterna padrona<br />
dell'universo, sarebbe morta.<br />
Percorrendo quei corridoi, però, sentendo la disciplinata,<br />
regolare cadenza degli stivali chiodati militari battere sui pavimenti<br />
di marmo, osservando la vigilanza discreta, inespressiva,<br />
concentrata delle guardie schierate e sapendo <strong>che</strong> ci avevano<br />
valutato e ci stavano ignorando, e <strong>che</strong> tutta la loro attenzione era<br />
rivolta a identificare e respingere qualsiasi minaccia al reggente<br />
imperiale, mi sembrava incredibile <strong>che</strong> una simile presenza, un così<br />
formidabile e inesorabile potere potessero mai cadere, e tanta<br />
supremazia vacillare.<br />
Mi ritrovai a chiedermi, per un istante, come Britannico avesse<br />
potuto essere così privo di buon senso, così completamente folle da<br />
dubitare di quella realtà. Ma poi il mio discernimento mi ricordò <strong>che</strong><br />
Caio non aveva mai parlato di morte immediata.<br />
Il destino <strong>che</strong> aveva previsto per l'Impero sarebbe iniziato con<br />
l'inevitabile ritiro delle armate imperiali per autodifesa, con una<br />
convulsione, una rimozione determinata dalla paura da luoghi come<br />
quello e dalla pacifica Britannia innanzitutto, lasciando <strong>che</strong> a tale<br />
ritirata seguissero la confusione e il vuoto. Quella era la vera ironia,<br />
il vero paradosso di quello <strong>che</strong> stava accadendo. Quando tutta la<br />
magnificenza fosse stata smantellata per ordine del servizio civile<br />
imperiale, terrorizzato e preoccupato solo di se stesso, tutto quello<br />
<strong>che</strong> stavo vedendo sarebbe divenuto unicamente un sogno e un<br />
ricordo per la gente come noi <strong>che</strong> avrebbe dovuto difendersi da sola,<br />
usando i mezzi a sua disposizione.<br />
Brillanti uniformi, ranghi serrati di guardie e armi lucenti pronte<br />
all'uso, in grado di proteggere e di tenere saldamente in pugno
ampie oasi di sicurezza, sarebbero rimasti in Britannia solo dove la<br />
gente rimasta fosse stata in grado di procurarseli da sé. Per poco<br />
tempo ancora, riflettei, erano qui, visibili e tangibili, e dovevano<br />
essere accettati per quello <strong>che</strong> erano. I loro sostituti li stavamo<br />
addestrando nella nostra Colonia. Spinsi indietro le spalle e<br />
camminai deciso tra gli uomini della nostra scorta.<br />
Il nostro avvicinamento finale al sancta sanctorum del reggente<br />
imperiale, nonché legato comandante della provincia di Britannia, si<br />
svolse lungo un corridoio lastricato di marmo <strong>che</strong> faceva e<strong>che</strong>ggiare<br />
i miei pensieri, insieme al rumore dei nostri passi e al passo chiodato<br />
del terzetto <strong>che</strong> ci scortava, un uomo davanti e uno per parte.<br />
Venticinque guardie erano in piedi sull'attenti su ogni lato del<br />
corridoio, a tre passi di distanza una dall'altra, risplendenti nella<br />
loro uniforme con mantello color porpora imperiale e le piume, la<br />
tunica ceste e l'armatura di bronzo. Le porte massicce in fondo al<br />
corridoio erano protette da un quintetto di sentinelle, spalla contro<br />
spalla. Fummo fatti passare oltre quelle porte, la presenza dell'uomo<br />
più potente <strong>che</strong> avessi mai visto di persona.<br />
Oltre quella porta l'enorme stanza era luminosa e sfarzosa,<br />
addobbata di fiori freschi, cosa <strong>che</strong> mi sorprese molto, dei quali<br />
aspirai con forza i profumi mescolati. Cercai subito la ragione di<br />
tutta quella luce e vidi grandi finestre con vetri dipinti in vari colori<br />
<strong>che</strong> consentivano alla luce del sole un notevole accesso alle stanze.<br />
Quelle furono le mie prime impressioni, immediate e subito<br />
dimenticate quando mi trovai sottoposto all'esame di un gruppo di<br />
ufficiali in splendide uniformi, radunati intorno a un tavolo sotto le<br />
finestre. Ne contai sette al primo sguardo, ma trascurai gli altri sei<br />
quando individuai nel gruppo l'uomo <strong>che</strong> eravamo venuti a vedere:<br />
Flavio Stilicone, comandante in capo degli eserciti imperiali romani,<br />
reggente del giovane imperatore Onorio. Quando Caio e io eravamo<br />
entrati si era fatto silenzio. Il centurione <strong>che</strong> ci aveva guidato salutò<br />
educatamente, girò sui tacchi e ci lasciò lì in piedi. Stilicone fece un<br />
cenno cortese per mostrare <strong>che</strong> aveva notato la nostra presenza, alzò
due dita per chiedere la nostra indulgenza per qual<strong>che</strong> istante<br />
ancora, e poi si rivolse ai suoi ufficiali, chiedendo loro con calma se<br />
era stato chiaro.<br />
Come un solo uomo gli ufficiali si irrigidirono sull'attenti e gli<br />
assicurarono <strong>che</strong> lo era stato e lui fece un altro cenno, cortesemente,<br />
per indicare <strong>che</strong> l'udienza era terminata. Gli ufficiali salutarono, si<br />
girarono e uscirono, e ognuno di loro trovò modo mentre usciva di<br />
guardarmi e valutarmi.<br />
Prima ancora <strong>che</strong> le porte si richiudessero Stilicone attraversò la<br />
stanza e mi venne incontro, fissandomi con i suoi grandi occhi di<br />
falco. Io mi irrigidii, chiedendomi improvvisamente quale sarebbe<br />
stato il modo corretto di rivolgersi a un uomo <strong>che</strong> aveva il potere,<br />
ma non il nome di imperatore.<br />
Non mi era venuto in mente di domandare a Caio come avrei<br />
dovuto chiamarlo se mi fossi trovato faccia a faccia con lui.<br />
Si fermò davanti a me e mi guardò con un'espressione, mi parve,<br />
beffarda. Non disse niente, mi venne solo incontro, e non accennò a<br />
salutarmi. Innervosito, a disagio, mi schiarii la voce e mi inchinai,<br />
cercando freneticamente parole cortesi <strong>che</strong> non mi facessero<br />
sembrare uno stupido.<br />
«Eminenza,» dissi, «ti chiedo perdono, ma non conosco il<br />
protocollo da usare. Non mi aspettavo di essere ricevuto in modo<br />
così personale e così diretto. Speravo di poter imitare gli altri.»<br />
Torse leggermente un angolo della bocca, una piccolissima<br />
contrazione involontaria, poi mi tese lentamente la mano destra. Il<br />
sigillo imperiale sul suo anulare era enorme. Mi chinai per baciarlo.<br />
«No! È da stringere, non da baciare.»<br />
Stupefatto gli strinsi la mano, sentendo sul polso l'agile forza<br />
delle sue dita. Lui portò la mano sinistra al mio gomito, facendo così<br />
il saluto a doppia presa, e io ne fui ancora più stupito. Non mi lasciò<br />
andare, invece si sporse in avanti e mi guardò negli occhi, con lo
stesso sguardo insolito.<br />
«Mi chiedo se sai, Varro, quanto è raro incontrare un uomo per<br />
la prima volta e sapere <strong>che</strong> mi posso fidare di lui e del suo onore in<br />
modo incondizionato. Credimi, è molto raro. E adesso ho avuto<br />
questo piacere due volte in due settimane.»<br />
Lo fissai sbattendo le palpebre. «Eminenza?»<br />
«Eminenza!» Sorrise e il suo volto subì una metamorfosi totale:<br />
vi lessi comprensione, spirito e un'apertura <strong>che</strong>, intuii<br />
immediatamente, riservava a pochi. «An<strong>che</strong> quel termine suona<br />
estraneo alla tua bocca. Eminenza! Chiamami generale. È quello <strong>che</strong><br />
sono, un semplice soldato come te e come il tuo amico qui presente e<br />
come suo figlio.»<br />
«Pico.»<br />
«Sì, Pico Britannico.» Spostò lo sguardo su Caio. «È la luce dei<br />
miei giorni tempestosi.» I suoi occhi scuri tornarono a posarsi su di<br />
me. «Mi ha parlato molto di te.»<br />
Sentii una vampata di orgoglio per Caio, e sapevo <strong>che</strong> era niente<br />
rispetto a quello <strong>che</strong> provava lui per il figlio. «Ti serve bene,<br />
generale?»<br />
«Mi serve bene? Sì, suppongo <strong>che</strong> si possa dire così. Gli affido la<br />
mia vita e quella dell'imperatore. È il mio migliore comandante di<br />
cavalleria e il mio amico più intimo.» Si girò e indicò alla sua sinistra<br />
un grande paravento con incisioni ornamentali. «Venite, possiamo<br />
sederci qui dietro in privato. Vi ho riservato un po' di tempo, perché<br />
ci sono molte cose di cui voglio discutere. Possiamo bere un po' di<br />
vino mentre conversiamo, ma poi devo fare delle convocazioni.<br />
Potete venire con me, se volete, se il momento arriva prima <strong>che</strong><br />
abbiamo finito di parlare.»<br />
Ci spostammo dietro al paravento in un cubiculum arredato, con<br />
il pavimento coperto da tappeti per rendere il locale più accogliente,<br />
e lui stesso ci servì del vino da una brocca d'argento. Mentre lo
versava continuò a parlare. «Senatore Britannico, sono stato franco<br />
con te e non mi aspetto di meno in cambio. Ho avuto anni di sincero<br />
rapporto con tuo figlio e mi sono abituato all'oasi di fres<strong>che</strong>zza e di<br />
buon senso <strong>che</strong> mi offre ogni giorno.» Si sedette e fece con la sua<br />
coppa un silenzioso brindisi prima di bere un sorso. Assaggiai il<br />
vino. Era eccellente, come ci si sarebbe aspettati da una brocca<br />
imperiale. Stilicone inclinò leggermente il capo. «Voglio parlare<br />
della vostra Colonia, ma prima <strong>che</strong> cominciamo vi avverto <strong>che</strong> so<br />
tutto. Lo so da anni. Ovviamente è illegale, ma conosco an<strong>che</strong> la<br />
ragione della sua esistenza e lo scopo della sua nascita. O è<br />
cambiato? Aspettate sempre l'evacuazione della Britannia per<br />
proclamare la vostra indipendenza?»<br />
Vidi <strong>che</strong> Caio deglutiva a fatica. «Sì, generale. Aspetteremo.»<br />
«Bene. Ne parleremo di nuovo più tardi. Adesso lasciatemi<br />
arrivare al punto cruciale di questo incontro: Claudio Seneca. Che<br />
cosa sapete realmente di quell'uomo?»<br />
Caio considerò la domanda e rispose con sincerità. «Abbastanza<br />
per dire <strong>che</strong> non fa onore all'Impero, generale. Devo ammettere <strong>che</strong><br />
ho avuto paura vedendolo in uniforme. Mi sembra <strong>che</strong> Roma abbia<br />
già abbastanza problemi senza assumersi an<strong>che</strong> la responsabilità di<br />
un uomo simile in una posizione di autorità.»<br />
Stilicone sembrava meditare, pensoso. Guardò verso Caio, con<br />
stima. «Flavio Rufino? Cosa sai di lui?»<br />
Caio scosse la testa. «Quasi niente. Solo <strong>che</strong> tu e lui non eravate i<br />
migliori amici e <strong>che</strong> vi dividevate il potere: lui in Oriente e tu in<br />
Occidente.»<br />
Un sorriso balenò negli occhi di Stilicone. «Bene espresso. A<br />
Roma dicono <strong>che</strong> l'ho fatto uccidere. Non è vero. Non è il mio modo<br />
di agire. Comunque è morto, e non mi dispiace. Seneca è, o meglio<br />
era, uno dei suoi uomini, mandato da Rufino per tenermi d'occhio.»<br />
Non potei fare a meno di parlare, malgrado il mio timore
everenziale. Non avrei mai immaginato <strong>che</strong> fosse nel carattere di<br />
quell'uomo tollerare una cosa simile. «Lo sapevi,» dissi, «e l'hai<br />
sopportato? Perché non ti sei liberato di lui, generale?»<br />
Mi sorrise, in uno sfavillio di occhi e di denti. «Politica, Publio<br />
Varro, politica. Qualcosa con cui tu non hai il tempo, né la necessità<br />
di trattare. Non potevo rimuoverlo dalla sua carica finché Rufino era<br />
vivo, per diverse ragioni. Ora posso e intendo farlo, ma è una<br />
questione secondaria, adesso.» Fece una pausa e ci guardò entrambi.<br />
«Voglio <strong>che</strong> capiate bene <strong>che</strong> cosa è successo con Seneca. Non è certo<br />
il tipo di uomo <strong>che</strong> si offre volontario per il servizio attivo. Fu<br />
Teodosio a decidere di fare un soldato del tuo amico Claudio e lo ha<br />
fatto per due ragioni: la prima era dimostrare il suo potere su<br />
Valentiniano <strong>che</strong> era il mentore e protettore di Seneca, ma la seconda<br />
era per dimostrare in modo chiaro a Seneca <strong>che</strong> non era soddisfatto<br />
di come era stata risolta la faccenda della sua lealtà mentre era<br />
procuratore qui in Britannia, fino al momento, e compreso il<br />
momento, della ribellione dell'usurpatore Magno Massimo. I<br />
rapporti <strong>che</strong> riferivano <strong>che</strong> Seneca aveva finanziato il tentativo del<br />
ribelle di usurpare la porpora imperiale erano convincenti e le loro<br />
fonti impressionanti. Non fu mai avanzato un argomento<br />
convincente contro la loro sincerità... all'infuori dell'argomento<br />
determinante, vale a dire il ritorno di Seneca dai morti, con i suoi<br />
conti e i suoi libri in perfetto ordine e tutte le cifre giustificate...» <strong>La</strong><br />
sua voce si spense, lasciando in sospeso quest'ultimo argomento, e<br />
poi riprese.<br />
«Teodosio non ne fu convinto, però, e non tentò in nessun modo<br />
di nascondere il suo scetticismo. Offrì a Seneca una scelta: servizio<br />
attivo nell'esercito per dieci anni o confisca e perdita di tutte le sue<br />
proprietà. In altre parole, nessuna scelta. Seneca aderì alle richieste<br />
imperiali e fu messo a mia disposizione. Ma c'era qualcosa, una<br />
connessione, non so di <strong>che</strong> tipo e non voglio saperlo, tra Seneca e<br />
Rufino. In ogni caso Seneca è un uomo potente, con molti cosiddetti<br />
amici. Uno di questi mi suggerì di assegnare Seneca a Rufino e io fui
en lieto di farlo. Per averlo fuori dai piedi. Rimase con Rufino per<br />
cinque anni, più o meno, fino a <strong>che</strong> Teodosio mi nominò tutore di<br />
suo figlio Onorio, e improvvisamente fui sottoposto a pressioni per<br />
trasferire Seneca al mio comando. Seneca arrivò come una spia pura<br />
e semplice, ma a causa delle ramificazioni politi<strong>che</strong> dietro le quinte,<br />
non c'era niente <strong>che</strong> io potessi fare per liberarmi dal danno della sua<br />
presenza senza causare grave dolore e pena a diversi amici miei.<br />
Consapevole di questo lo tollerai, assicurandomi però <strong>che</strong> non<br />
potesse danneggiare in nessun settore i miei progetti.»<br />
Si interruppe e fissò per un momento dentro la coppa prima di<br />
portarla alle labbra e di vuotarla. Poi si pulì con cura le labbra con<br />
un tovagliolo ripiegato e lo ripose sul tavolo insieme alla coppa<br />
vuota. Alzò di nuovo lo sguardo verso di me e i suoi occhi erano<br />
freddi.<br />
«Adesso Valentiniano è morto, Teodosio è morto e Rufino è<br />
morto. Ho in mano io il potere, almeno per ora.» Fece una nuova<br />
pausa, i suoi occhi nei miei, e mi ritrovai a pensare <strong>che</strong> era un bene<br />
<strong>che</strong> non mi volesse male. Continuò a parlare. «Ho parlato con<br />
Claudio Seneca dopo la tua comparsa in tribunale, mastro Varro. <strong>La</strong><br />
sua condotta è cambiata in modo drammatico da allora. Gli ho<br />
trovato un lavoro da fare per mio conto alla frontiera settentrionale.<br />
Troverà quell'esperienza illuminante. Credimi, se ha un'inclinazione<br />
a proseguire ancora questa diatriba, troverà poco tempo per<br />
occuparsi della sua vendetta personale contro di te.»<br />
Risposi al suo sorriso. «Grazie, generale. Sono sollevato di<br />
saperlo.»<br />
Mi strizzò l'occhio, così in fretta <strong>che</strong> mi chiesi in seguito se mi<br />
fossi sbagliato, e poi diresse la sua attenzione e l'intera forza della<br />
sua personalità verso Caio.<br />
«Proconsole Britannico, Pico mi dice <strong>che</strong> ami questa terra più di<br />
ogni altro posto al mondo. Adesso <strong>che</strong> sono qui e ho visto questa<br />
terra con i miei occhi posso capire perché. Non credo di aver mai
visto una campagna più verde.»<br />
Caio sorrise gentilmente, e ovviamente non sentì il bisogno di<br />
commentare. Stilicone si alzò di nuovo e riempì i nostri bicchieri, e io<br />
ammirai il suo fascino. C'erano servitori ovunque, pronti a ubbidire<br />
a un suo comando, eppure durante il nostro incontro scelse di agire<br />
come nostro servitore. Mentre pensavo a questo cambiò un'altra<br />
volta argomento.<br />
«Tu sei un comandante di fanteria, proconsole. Cosa pensi del<br />
mio cambiamento a favore della cavalleria?»<br />
Caio sorseggiò il vino con apprezzamento, meditando sulla<br />
risposta prima di parlare. Alla fine fece un cenno con la testa. «I<br />
tempi sono maturi, credo. Il nemico è salito a cavallo e ha distrutto<br />
un'armata romana. Cer<strong>che</strong>ranno di farlo ancora.»<br />
«E?» Il volto di Stilicone era teso. Chiaramente questa risposta<br />
era importante per lui.<br />
Caio scrollò le spalle. «Tu sarai pronto per loro. Visibilmente<br />
pronto. Sapendolo sarà improbabile <strong>che</strong> ti provochino.»<br />
Stilicone mi guardò, an<strong>che</strong> se i suoi pensieri erano altrove. «È un<br />
compito enorme, proconsole, cambiare il modo di combattere di un<br />
Impero.»<br />
«Sì, generale Stilicone, alcuni penseranno an<strong>che</strong> <strong>che</strong> sia<br />
impossibile. Ma non è impossibile e io penso <strong>che</strong> tu abbia ragione.»<br />
Caio parlò lentamente e Stilicone rivolse i suoi occhi nuovamente su<br />
di lui, scrutandolo in volto come se volesse scoprirvi una traccia di<br />
adulazione.<br />
«Lo pensi? Questo mi sorprende.»<br />
Caio sorrise. «Perché, generale? Perché ho conosciuto le vecchie<br />
legioni di fanteria? Questo non mi rende cieco sulla necessità di<br />
cambiamenti.»<br />
Stilicone grugnì. «Mmm! Vorrei poter dire lo stesso della
maggioranza dei tuoi colleghi, proconsole! Puoi indovinare perché<br />
sono venuto in Britannia?»<br />
Adesso fu la volta di Caio di ridere apertamente. «Facilmente.<br />
Sei qui per addestrare le tue truppe in azioni contro un nemico <strong>che</strong><br />
non può offrire loro opposizione a terra.» <strong>La</strong> faccia di Stilicone si<br />
allargò in un sorriso. «I Sassoni non hanno mai visto una cavalleria<br />
disciplinata. Né l'hanno mai vista gli invasori da nord. Non possono<br />
offrire una difesa contro le tue forze. Li distruggerai facilmente e in<br />
fretta, darai il battesimo del sangue alle tue truppe e mostrerai al<br />
mondo il valore della tua strategia e della tua tattica.»<br />
«Buon Dio, Caio Britannico, vorrei <strong>che</strong> tu avessi vent'anni di<br />
meno! Ti riarruolerei subito e ti affiderei una divisione! Tu pensi<br />
come me. Se avessi cinquanta generali come te potrei rovesciare il<br />
corso della storia e riparare il danno fatto negli ultimi duecento<br />
anni!»<br />
Sentii il mio stomaco contrarsi quando Caio decise di rischiare.<br />
«Io ho già un esercito, generale Stilicone» disse. «È ancora piccolo,<br />
ma è in gamba. È a tua disposizione, adesso e in futuro.»<br />
Stilicone aggrottò la fronte. «Cosa intendi dire dicendo <strong>che</strong> hai<br />
un esercito? Intendi dire i tuoi coloni?»<br />
«Sì, generale, i nostri coloni.» Il cenno di Caio fu lento e<br />
orgoglioso.<br />
«Quanti sono?»<br />
Caio mi guardò e io mi strinsi nelle spalle. «Circa un migliaio, in<br />
uniforme» dissi.<br />
«In uniforme? Intendi dire un vero esercito?»<br />
Annuii. «Abbiamo an<strong>che</strong> una cavalleria pesante come la tua, di<br />
cento uomini.»<br />
«Cavalleria pesante? E dove avete preso i cavalli?»<br />
«Li abbiamo selezionati nei nostri allevamenti, generale.»
«E i cavalieri?» <strong>La</strong> sua faccia era priva di espressione. «Li<br />
abbiamo addestrati noi.»<br />
«Chi è "noi"?»<br />
Guardai Caio prima di rispondere. «Sono io, suppongo. Le idee<br />
sono mie, tentativi ed errori. Passo le miei istruzioni ad altri<br />
istruttori.»<br />
«E come addestri la tua gente? Che tatti<strong>che</strong> usi?»<br />
Mi strinsi di nuovo nelle spalle, meravigliandomi del modo in<br />
cui questo interrogatorio si svolgeva senza una parola di condanna.<br />
«Come ho detto, è stata una serie di tentativi ed errori, generale.<br />
Comunque abbiamo studiato le campagne di Alessandro il<br />
Macedone e cercato di ricostruire il modo in cui si sono<br />
presumibilmente svolte. È stata un'idea del proconsole.»<br />
«Mio Dio! Anch'io ho cominciato allo stesso modo. E da quanto<br />
tempo vi state impegnando in questo senso?»<br />
«Da circa dieci anni.»<br />
«Non riesco a crederci! Avete un programma per selezionare i<br />
cavalli?»<br />
«Sì, lo abbiamo. Ma i nostri cavalli non sono grandi come i<br />
vostri. Non ancora.»<br />
Si alzò in piedi e cominciò a camminare su e giù, con le mani<br />
intrecciate dietro la schiena, e per un po' di tempo ci fu silenzio.<br />
Poi riprese: «Proconsole, dimmi di questa tua regione<br />
occidentale. Quali problemi ti preoccupano?»<br />
Notai <strong>che</strong> Caio sentiva una ragione dietro quella domanda e<br />
rifletté sulla risposta, pensando bene a cosa dire per esprimere i suoi<br />
pensieri con giudizio. «Pochi problemi, generale Stilicone, se<br />
paragonati al resto della provincia. Le nostre difficoltà principali<br />
sono sorte di recente, a causa della rimozione delle guarnigioni<br />
occidentali per rafforzare le altre parti della provincia: la Costa
sassone e le regioni della frontiera settentrionale.»<br />
Stilicone ascoltò attentamente, mentre Caio continuava<br />
parlando della nostra alleanza con Ullic e i Celti e della crescente<br />
necessità di fornire la nostra protezione ai vicini nell'area circostante<br />
la Colonia. Quando Caio ebbe finito, Stilicone si sedette di nuovo,<br />
immerso nei suoi pensieri. Colsi lo sguardo di Caio, <strong>che</strong> alzò il<br />
sopracciglio alla Britannico. Finalmente Stilicone parlò di nuovo.<br />
«Per quanto riguarda le guarnigioni, la loro riduzione e il<br />
conseguente abbandono delle postazioni, temo di doverti dire <strong>che</strong><br />
posso fare ben poco. Ho bisogno di ogni uomo per contenere<br />
l'invasione da nord e per evitare <strong>che</strong> si ripeta quando me ne sarò<br />
andato.»<br />
Caio batté le palpebre. «Ma sei appena arrivato, generale! Stai<br />
già partendo?»<br />
«No.» Scosse la testa e sbocconcellò un pezzo di pane. «Ma non<br />
posso rimanere a lungo. Il mondo ha bisogno di essere governato.<br />
Assisterò all'esordio di questa campagna e aspetterò <strong>che</strong> sia sulla via<br />
della vittoria e poi la lascerò nelle mani di tuo figlio perché la finisca<br />
per bene. In mia assenza mia moglie si sta occupando<br />
dell'imperatore e dell'Impero, ma è una donna, an<strong>che</strong> se non ho<br />
dubbi sulla sua competenza, con le debolezze e la forza tipi<strong>che</strong> di<br />
una donna.» Sorrise con sincero calore. «Serena è formidabile, ma ha<br />
la tendenza a essere ingenua in alcune cose ed esitante in altre.<br />
Sbatte in prigione chiunque le sembri meritarlo, per esempio, ma<br />
esita a decidere chi deve morire per i crimini <strong>che</strong> ha commesso. Ogni<br />
volta <strong>che</strong> vado a casa scopro <strong>che</strong> le prigioni sono piene da scoppiare<br />
e an<strong>che</strong> di più.» Si girò verso di me con un rapido sorriso. «Questa,<br />
come sono certo <strong>che</strong> capirete, può essere una situazione molto<br />
scomoda <strong>che</strong> richiede di essere immediatamente raddrizzata.»<br />
Sorrisi e non dissi niente e lui si girò verso Caio.<br />
«Allora proconsole, come stavo dicendo, non posso rimanere a<br />
lungo in Britannia, né posso rimettere le guarnigioni nei forti
occidentali. Una cosa la posso fare, però... se vorrai accettare la mia<br />
idea.» Si fermò, aspettando una reazione. Mi chiesi cosa aveva in<br />
mente. Un'occhiata a Caio mi rivelò <strong>che</strong> an<strong>che</strong> lui si chiedeva la<br />
stessa cosa.<br />
Caio si schiarì la voce. «Mettimi pure alla prova, generale. Sarò<br />
onorato di prendere in considerazione qualunque tuo suggerimento<br />
e felice se potrà migliorare la nostra sicurezza.»<br />
Stilicone si alzò e si allontanò dal tavolo, e prese una pergamena<br />
da un mucchio <strong>che</strong> era sul tavolo contro il muro. Lo guardai in<br />
silenzio tornare verso di noi e mettere un piede sulla seggiola.<br />
Immerso nei suoi pensieri appoggiò un gomito al ginocchio e si<br />
batté il rotolo di pergamena sul palmo della mano. Poi si morsicò un<br />
labbro e aspirò, sibilando, l'aria tra i denti.<br />
«Sto pensando a un accordo fra noi, proconsole Britannico, per il<br />
nostro reciproco vantaggio. L'idea mi era già venuta prima, ma<br />
adesso mi piace ancora di più. Io riconoscerò la vostra Colonia,<br />
ufficialmente e legalmente, se tu accetterai il mio incarico di servire<br />
come Legatus Emeritus delle Forze Irregolari nel sud-ovest.»<br />
Vide nei nostri occhi l'entità del trauma subito e continuò: «Ve<br />
l'ho detto, ci sono troppo pochi uomini capaci intorno a me, di cui<br />
mi possa davvero fidare. Ci sono troppi Seneca. Ho bisogno del<br />
sostegno incondizionato e della lealtà di gente come voi. E tu, in<br />
cambio, hai bisogno dell'assoluzione <strong>che</strong> posso offrirti per le vostre<br />
trasgressioni contro la legge imperiale. Signifi<strong>che</strong>rebbe molto per la<br />
vostra Colonia, tanto per cominciare uno stato legale, senza dover<br />
temere ispezioni o indagini in futuro. Signifi<strong>che</strong>rebbe an<strong>che</strong> potere<br />
acquisire in modo legittimo sangue nuovo per le vostre mandrie di<br />
cavalli, tramite i miei funzionari».<br />
Sentii il cuore battermi con forza nel petto. Era molto più di<br />
quanto avremmo mai osato sperare. Doveva esserci un risvolto<br />
negativo da qual<strong>che</strong> parte. Sapevo <strong>che</strong> Caio stava pensando la stessa<br />
cosa quando trasse un grosso respiro.
«Generale Stilicone,» disse, «non ti mentirò. L'idea mi eccita<br />
molto. Però devo considerare <strong>che</strong> ho un dovere nei confronti della<br />
mia gente. Hai detto di un accordo vantaggioso per entrambi e<br />
finora hai parlato di un vantaggio esclusivamente nostro. Che cosa ti<br />
aspetti da noi in cambio?»<br />
Stilicone sorrise, mostrando i denti bianchi. Era un sorriso<br />
gradevole, ma ebbi la sensazione <strong>che</strong> con un piccolo cambiamento<br />
avrebbe potuto diventare un sorriso gelido. «Protezione dei miei<br />
interessi, sostegno, lealtà e devozione totale ai miei piani per la<br />
Britannia.»<br />
Caio fece una pausa, trattenendo il respiro e poi lo buttò fuori.<br />
«Perdonerai la mia domanda, spero, generale Stilicone ma in <strong>che</strong><br />
cosa consistono i tuoi piani per la Britannia?»<br />
Stava ancora sorridendo. «Prosperità, pace e una continua<br />
presenza della legge e dell'ordine in questo paese. Devo occuparmi<br />
di un'invasione nel nord, come sai. Devo an<strong>che</strong> controbattere<br />
incessanti incursioni nell'est, nord-est e sud-est. Nell'estremo nord<br />
abbiamo meno problemi. Il paese sembra troppo inospitale lassù.<br />
Ma nelle altre aree ho bisogno di ogni uomo degli eserciti della<br />
Britannia e questo significa <strong>che</strong> ho ancora più bisogno delle<br />
guarnigioni dell'ovest. Dovrò ridurle a uno s<strong>che</strong>letro. Perciò vorrei<br />
poter contare su di voi. Il tuo esercito, come lo chiami, è forse<br />
piccolo, ma immagino <strong>che</strong> sia superbo. Io ne ho bisogno, e ne ho<br />
bisogno proprio dov'è. <strong>La</strong> vostra parte dell'accordo sarebbe di<br />
continuare le vostre attività come sono sempre state, ma di<br />
ampliarle e di espanderle. Io vi fornirò i cavalli, se voi fornirete gli<br />
uomini. Vi darò an<strong>che</strong> il permesso firmato di mio pugno. Cosa mi<br />
dici?»<br />
Rimanemmo a guardare entrambi attentamente Caio, <strong>che</strong><br />
studiava la proposta. Mi guardò in cerca di aiuto, ma tutto quello<br />
<strong>che</strong> riuscii a fare fu sorridere come uno stupido e annuire. Ritenevo<br />
<strong>che</strong> fosse un'idea meravigliosa. Caio stava morsicandosi il labbro
inferiore. Alla fine si strinse nelle spalle e disse a Stilicone il suo<br />
pensiero.<br />
«Questa è una decisione importante, generale. Avrà ampie<br />
conseguenze per la nostra Colonia. Di diritto dovrebbe essere<br />
discussa nel Consiglio. Ma so <strong>che</strong> non c'è tempo e così la decisione<br />
ricade su di me. Mi piace. Mi dà la sensazione dell'onestà, della<br />
correttezza. Non riesco a pensare <strong>che</strong> un simile accordo possa<br />
compromettere i nostri piani per il futuro, dal momento <strong>che</strong> essi<br />
sono legati solo alla sopravvivenza in caso di abbandono. <strong>La</strong><br />
cooperazione rende solo meno probabile quell'abbandono. Sono<br />
d'accordo. Firmerò questo patto.»<br />
Stilicone picchiò il pugno sul tavolo. «Eccellente! Lo farò<br />
scrivere dai miei impiegati. Ce altro di cui pensate di avere bisogno,<br />
a parte l'incarico e i cavalli? So <strong>che</strong> non usate denaro nella vostra<br />
Colonia. O ne usate?»<br />
Caio scosse la testa. «No, non ne usiamo. Cerchiamo di essere<br />
autosufficienti. Non c'è altro <strong>che</strong> mi venga in mente adesso. Non<br />
potrei chiedere di più, generale.»<br />
Stilicone sorrise, brevemente. «Sì, potresti, ma poiché sei tu, non<br />
lo farai. E così è bene <strong>che</strong> sia. Io devo andare, ma voi potete restare.<br />
Pico vi raggiungerà. È fuori servizio adesso e voi tre avete molte<br />
cose di cui parlare, penso.»<br />
Mi strinse la mano prima di andarsene.
XV.<br />
Pico non ci raggiunse quella sera. Incarichi straordinari<br />
richiedevano la sua presenza altrove. Poco dopo la partenza del<br />
reggente imperiale, però, arrivò un messaggero da parte del figlio di<br />
Caio <strong>che</strong> ci portava le sue scuse e ci chiedeva di incontrarlo alla<br />
basilica, nel foro cittadino, la mattina seguente, dove avrebbe<br />
presieduto una corte civile come delegato di Stilicone. Non appena<br />
le cause fossero finite, ci informò il messaggero, Pico ci avrebbe<br />
portato in un giro di ispezione del suo accampamento di cavalleria,<br />
cinque miglia a sud della città.<br />
Gli mandammo un messaggio, rispondendogli <strong>che</strong> saremmo<br />
stati lì presto - le porte venivano infatti chiuse e sbarrate dopo<br />
l'arrivo dei magistrati - e poi andammo insieme in cerca di cibo. Ma<br />
an<strong>che</strong> quello non ci fu permesso. Un funzionario imperiale ci<br />
intercettò mentre ci avvicinavamo alla mensa e informò Caio <strong>che</strong><br />
avrebbe avuto bisogno di lui per diverse ore, cominciando presto la<br />
mattina seguente, per preparare le carte riguardanti l'incarico di<br />
Stilicone e i suoi codicilli. Caio fece una smorfia, gli pose un paio di<br />
domande e poi si girò verso di me, pregando il funzionario di<br />
aspettare.<br />
«Perdonami, Publio, ma dovrai mangiare da solo la tua prima<br />
sera da uomo libero. Sai come sono queste scioc<strong>che</strong>zze. Parlano di<br />
"diverse ore" ma possono facilmente volerci dei giorni, e ci<br />
tratterrebbero qui mentre dovremmo già essere in cammino verso<br />
casa, quindi è meglio <strong>che</strong> cominci adesso, finché è tutto fresco nella<br />
mia mente.»<br />
Annuii. «E domattina? L'incontro con Pico?»<br />
Sorrise tristemente, scuotendo la testa. «Impossibile per me. Ci<br />
andrai da solo. Pico sarà felice di vederti e di mostrarti il suo<br />
accampamento. Ne è molto fiero.»
«Ne sono certo. Ma tu?»<br />
«Io cosa? Ho già passato molte ore con Pico la settimana scorsa.<br />
Tu e lui non vi vedete da vent'anni.»<br />
Sentendo quelle parole mi venne in mente all'improvviso come<br />
il tempo fosse passato in fretta.<br />
«Che aspetto ha, Cai? È cambiato molto?»<br />
Caio sorrise, e la sua faccia risplendette di orgoglio. «È mio<br />
figlio, <strong>che</strong> aspetto vuoi <strong>che</strong> abbia?» Si fermò e riprese: «No, voglio<br />
risponderti onestamente, Publio. È... magnifico. Non lo avrei<br />
riconosciuto se lo avessi visto per strada, né lo avresti riconosciuto<br />
tu. Ma non ti dirò altro. Meriti la stessa piacevole sorpresa <strong>che</strong> ho<br />
avuto io. Ricorda, ho sempre preso in giro mia moglie Eraclita<br />
dicendo <strong>che</strong> una delle sue nonne era passata troppo vicina a uno<br />
schiavo nordico... <strong>La</strong> prima occhiata a mio figlio dopo vent'anni mi<br />
ha convinto <strong>che</strong> quello s<strong>che</strong>rzo era più vicino alla verità di quanto<br />
sospettassi». Sorrise di nuovo e mi strinse un braccio in segno di<br />
saluto. «Esprimigli tutto il mio affetto e goditi il tempo con lui. Sarò<br />
qui quando tornerai e spero <strong>che</strong> potremo partire presto verso casa.»<br />
Mi fece un cenno col capo, poi lasciò immediatamente la stanza<br />
con il funzionario, per dedicarsi al lavoro preliminare di abbozzare i<br />
dettagli del patto discusso con Stilicone. Andai a cenare da solo e mi<br />
ritirai presto.<br />
<strong>La</strong> mattina successiva rotolai fuori dal letto due ore prima del<br />
sorgere del sole, nel freddo invernale di un'umida oscurità riempita<br />
dal sibilo della pioggia scrosciante. Sentendomi molto triste per<br />
tutto quello <strong>che</strong> avevo passato ultimamente, mi buttai in faccia<br />
dell'acqua gelata e mi avviai verso la mensa dove molti altri stavano<br />
cominciando la loro giornata, e pochi avevano un aspetto molto più<br />
allegro del mio. Mi sedetti vicino alle cucine, e cominciai a sentirmi<br />
meglio. I panettieri avevano lavorato tutta la notte, come sempre, e
le cucine erano calde del calore dei forni e gravide del profumo del<br />
pane appena cotto.<br />
Feci colazione con una pagnotta fresca e croccante, con una<br />
zuppa d'avena calda e cremoso latte fresco, e poi mi diressi ai bagni,<br />
dove trovai ressa già nel sudarium. Ognuno era contento di ignorare<br />
l'altro mentre cercavamo di ottenere un aspetto umano in mezzo al<br />
vapore. <strong>La</strong> pioggia cessò prima dell'alba, e quando lasciai i bagni i<br />
raggi del sole trafiggevano le masse di nuvole.<br />
Meno di un'ora dopo mi presentai alle guardie della<br />
guarnigione di servizio alla basilica del foro e chiesi di parlare<br />
all'ufficiale di servizio. Mi dissero <strong>che</strong> non era ancora arrivato, e mi<br />
mandarono ad aspettare in un'anticamera fuori dalla sala delle<br />
udienze. Benché fossi stato tentato di far valere la mia posizione,<br />
dicendo loro chi ero e chi dovevo incontrare, decisi invece di fare<br />
come mi era stato detto. Non erano guardie imperiali; erano soldati<br />
semplici di fanteria <strong>che</strong> cercavano di essere cortesi nello<br />
svolgimento del loro sgradevole e noioso lavoro. Feci un cenno di<br />
ringraziamento, mi avviai alla porta <strong>che</strong> la guardia aveva indicato e<br />
mi fermai sulla soglia, guardandomi intorno prima di entrare.<br />
<strong>La</strong> stanza era lunga, stretta e buia. Calcolai circa venti passi di<br />
lunghezza per sei di larghezza e la sola fonte di luce era una finestra<br />
a due archi senza vetri nella parete più lontana, opposta all'entrata.<br />
Una doppia porta proprio a sinistra dell'ingresso era chiusa, e a<br />
guardia di essa c'erano due legionari, dritti e rigidi; alla loro destra,<br />
a un tavolo grande e levigato, coperto da pile di documenti scritti,<br />
sedeva un impiegato con l'aria annoiata. Davanti a lui, una<br />
moltitudine di gente affollava l'intera stanza, tutti evidentemente in<br />
attesa di vedere qualcuno e tutti evidentemente arrivati prima di<br />
me.<br />
Mentre mi avvicinavo al tavolo, l'impiegato alzò pigramente gli<br />
occhi, mi chiese il nome, ma non il motivo della mia presenza, e mi<br />
disse di sedermi. Mi morsicai di nuovo la lingua e mi girai per fare
come mi aveva detto, ma le due lunghe pan<strong>che</strong> contro le pareti<br />
laterali erano occupate, e an<strong>che</strong> le due pan<strong>che</strong> più corte, messe<br />
schiena contro schiena al centro della sala, per cui non trovai posto<br />
dove sedermi. Attraversai la sala in tutta la sua lunghezza,<br />
facendomi strada con attenzione tra le file di piedi sporgenti, e mi<br />
appoggiai con la schiena al muro nel piccolo spazio libero di fronte<br />
all'unica finestra, e da quella posizione mi misi a contare le teste e a<br />
osservare gli occupanti della sala.<br />
Non avevano niente di inconsueto, an<strong>che</strong> se mi sembrava <strong>che</strong><br />
avrebbero desiderato tutti quanti essere altrove. Anch'io lo avrei<br />
desiderato, ma sapevo <strong>che</strong> sarei andato altrove non appena Pico<br />
fosse comparso. Se così non fosse stato calcolai pigramente <strong>che</strong> sarei<br />
stato il ventiquattresimo della fila. Rividi quel calcolo, però,<br />
esaminando la folla più attentamente. Identificai diverse persone<br />
evidentemente sole, assorte nelle loro preoccupazioni, ma la<br />
maggioranza, notai, era in coppia, e c'erano an<strong>che</strong> due gruppi di tre<br />
persone. Mi chiesi quali liti e dispute dovessero venire risolte, e <strong>che</strong><br />
tipo di giudice Pico sarebbe parso a coloro <strong>che</strong> gli chiedevano<br />
giustizia come rappresentante del reggente.<br />
I presenti nella maggior parte dei casi stavano in silenzio e non<br />
si accorgevano <strong>che</strong> li stavo osservando. Ognuno sfuggiva gli occhi<br />
degli altri, passando il tempo con stoica pazienza. Alcuni parlavano<br />
tra loro sussurrando, e mi resi conto <strong>che</strong> molti avevano paura e si<br />
sentivano a disagio, cosa <strong>che</strong> non mi stupiva se pensavo dove si<br />
trovavano e qual era la probabile natura dei loro affari con<br />
l'amministrazione militare e le autorità civili di Londinium. Li<br />
classificai come normali cittadini; gli abiti trasandati e scialbi<br />
avevano i toni del marrone e del grigio. Tre uomini raggruppati<br />
all'estremità più lontana della sala erano palesemente dei contadini<br />
e altri due, <strong>che</strong> stavano pigiati su una panca alla mia destra e<br />
litigavano scambiandosi feroci bisbigli, sembravano dei mercanti,<br />
data la qualità superiore delle vesti. Nessuno di loro mi guardò e io<br />
cominciai ben presto ad annoiarmi.
Da un po' di tempo mi ero accorto di avere un'unghia rotta,<br />
quella del mignolo della mano sinistra, <strong>che</strong> si impigliava<br />
fastidiosamente nella lana del mio mantello. Per passare il tempo,<br />
appoggiai la schiena al muro, tirai fuori dal fodero pugnale di pietra<br />
del cielo e cominciai a limare l'unghia rotta. Mi accorsi <strong>che</strong> qualcuno<br />
veniva verso di me e alzai gli occhi. Era uno degli uomini <strong>che</strong><br />
sedevano da soli, proprio in fondo alla stanza, vicino alle due<br />
guardie. Era un tizio alto, corpulento, con gli occhi ravvicinati, un<br />
forte strabismo e un naso <strong>che</strong> gli era stato schiacciato. Ai piedi aveva<br />
pesanti stivali di feltro ed era completamente avvolto in un ampio<br />
mantello, con un'estremità buttata sulla spalla sinistra, in modo <strong>che</strong><br />
le braccia fossero completamente coperte. I suoi occhi fissavano il<br />
mio coltello, probabilmente per via dell'impressionante lucentezza<br />
della lama, ma quando vide <strong>che</strong> lo guardavo distolse gli occhi, e<br />
fissò la finestra dietro di me. Aveva una faccia priva di espressione.<br />
Si fermò a circa un passo dalla finestra, proprio di fronte a me, alla<br />
mia destra, il puzzo <strong>che</strong> emanava mi tolse il respiro. Lo ignorai, ma<br />
aprii la bocca per respirare, nella speranza di non sentire il suo<br />
odore. Passai un polpastrello sul bordo dell'unghia, ora diventato<br />
liscio, e rinfilai il pugnale nel fodero prima di guardarlo di nuovo.<br />
Quell'uomo sembrava tenersi leggermente indietro, come per<br />
mantenere la faccia in ombra dietro la finestra. Pigramente, senza<br />
essere veramente interessato, staccai la schiena dal muro, mi girai e<br />
seguii il suo sguardo nel cortile oltre la finestra per vedere cosa<br />
stesse guardando, sperando <strong>che</strong>, qualunque cosa fosse, fosse noiosa,<br />
così da allontanare lui e il suo fetore da quel lato della stanza.<br />
Quattro prigionieri erano seduti in catene al centro del cortile,<br />
con i polsi legati e le braccia trattenute da grossi bastoni infilati tra la<br />
schiena e i gomiti piegati. Erano ammanettati insieme con una<br />
catena <strong>che</strong> passava attraverso gli anelli di metallo <strong>che</strong> avevano<br />
intorno alle caviglie, ed erano guardati da una squadra di sei soldati.<br />
I dieci uomini erano immobili. Quell'uomo sapeva <strong>che</strong> erano lì e si<br />
era avvicinato alla finestra per guardarli.
«Chi sono?» gli chiesi. Gli occhi strabici guizzarono sulla mia<br />
faccia e poi di nuovo verso il cortile, come se non avessi parlato. A<br />
parte questo ignorò completamente me e la mia domanda. Seccato<br />
gli girai intorno e mi sporsi con le mani sul davanzale dell'altra metà<br />
della finestra, sia per avere un po' d'aria fresca, <strong>che</strong> per vedere<br />
meglio. Quando lo feci lui si irrigidì in modo palese, ma non fece<br />
nessun altro movimento.<br />
Uno dei soldati nel cortile vide il movimento alla finestra e<br />
guardò verso di me. Il mio compagno si tirò un po' indietro nella<br />
stanza, solo di mezzo passo, ma questo mi mise in guardia.<br />
Quell'uomo non voleva essere visto. Feci un saluto distratto al<br />
soldato e mi girai di nuovo verso la stanza, appoggiandomi al bordo<br />
della finestra e guardando attentamente nel nulla, an<strong>che</strong> se non<br />
avevo motivo per una simile cautela, se non un vago rimescolio del<br />
mio istinto di soldato. Sentii una porta aprirsi e chiudersi nel cortile<br />
sottostante, poi il misurato, pesante scalpiccio degli stivali chiodati<br />
sui ciottoli e la voce alta, inconfondibile di un centurione. «Forza,<br />
gente! Fate alzare questi animali e togliete loro le catene. Il tribuno li<br />
vuole. Portateli dentro, forza, muoversi!» Si sentì un passo<br />
strascicato e delle maledizioni e il rumore della catena <strong>che</strong> veniva<br />
fatta scorrere dentro un anello di ferro. L'uomo vicino a me si girò e<br />
ritornò al suo posto, e io vidi quattro paia di occhi <strong>che</strong> lo seguivano,<br />
scrutandogli il volto. Se non lo avessi fissato, avrei an<strong>che</strong> potuto non<br />
notare il lieve cenno della testa. Dietro di me il rumore degli stivali<br />
chiodati ricominciò. Non sapevo <strong>che</strong> cosa stesse succedendo, ma il<br />
mio istinto mi diceva <strong>che</strong> c'erano guai in vista.<br />
Un altro rumore, proveniente dal corridoio fuori dalla stanza,<br />
risvegliò la mia attenzione: passi di stivali chiodati si avvicinavano<br />
rapidamente. Un elegante centurione apparve proprio sotto la<br />
finestra, seguito a distanza dalle sei guardie <strong>che</strong> fian<strong>che</strong>ggiavano i<br />
quattro prigionieri. Erano diretti presumibilmente verso la porta<br />
attraverso cui il centurione era entrato nel cortile. Sentendo<br />
dell'agitazione nella sala alle mie spalle, mi girai. Tre ufficiali,
guidati da un gigante alto tutta una testa più dei suoi compagni,<br />
erano incorniciati nella porta dell'anticamera e guardavano attoniti e<br />
sorpresi la massa di gente <strong>che</strong> li aspettava.<br />
«Che diamine...» <strong>La</strong> voce dell'ufficiale più alto scatenò una<br />
babele di voci tra i presenti fino a quel momento silenziosi, <strong>che</strong> si<br />
mossero tutti insieme verso di lui come un solo corpo.<br />
Cominciarono i due mercanti, alzandosi in piedi e muovendosi<br />
rapidi verso la porta, ma in meno di un attimo tutti gli occupanti<br />
della stanza erano in piedi, e il rumore era indescrivibile mentre<br />
ognuno cercava di catturare l'attenzione dell'ufficiale.<br />
<strong>La</strong> zuffa <strong>che</strong> ne derivò si sviluppò più in fretta di quanto io<br />
possa descrivere. Notai lo zotico massiccio, puzzolente e con gli<br />
occhi storti farsi strada verso l'ufficiale alto e nello stesso istante<br />
capii <strong>che</strong> l'ufficiale era Pico. D'impulso, e chiedendomi mentre lo<br />
facevo se avevo perso la ragione, mi girai e saltai sulla lunga panca<br />
<strong>che</strong> un momento prima era stipata di corpi, cercando furiosamente<br />
con lo sguardo gli altri quattro uomini <strong>che</strong> avevo identificato come<br />
compagni dell'uomo strabico. Uno di loro era molto vicino a Pico,<br />
dalla parte opposta.<br />
«Pico!» urlai sopra il baccano. «Assassini... dietro di te!»<br />
Pico mi sentì e la sua reazione fu immediata. Si buttò in avanti,<br />
irrigidendo le braccia e urtando i suoi due compagni ma, mentre<br />
loro stavano ancora barcollando in avanti, si era già girato con la<br />
spada sguainata. Ebbi la fugace sensazione di un coltello, levato<br />
prima verso l'alto e poi abbassato in un colpo violento, vibrato dove<br />
avrebbe dovuto trovarsi il collo di Pico, e poi fui improvvisamente<br />
cosciente del pericolo <strong>che</strong> minacciava an<strong>che</strong> me. Tre dei quattro<br />
uomini <strong>che</strong> avevo notato stavano facendosi largo tra la folla per<br />
raggiungermi, con una feroce bramosia negli occhi, e spintonavano<br />
gli sfortunati <strong>che</strong> si trovavano in mezzo. <strong>La</strong> gente adesso urlava,<br />
allarmata, senza capire cosa stesse succedendo, ma rendendosi<br />
conto di essere in pericolo mortale.
Mi guardai rapidamente intorno, valutando le possibilità in mio<br />
favore. Non ce n'erano. Le guardie nel vestibolo esterno erano<br />
bloccate, e non potevano entrare nella stanza perché la gente presa<br />
dal panico premeva contro le porte. An<strong>che</strong> le guardie davanti alla<br />
doppia porta <strong>che</strong> portava nella sala delle udienze erano<br />
impossibilitate a muoversi per la massa dei corpi. Solo Pico<br />
sembrava mobile e armato. Non vedevo traccia dei suoi aggressori.<br />
L'assassino più vicino mi diresse una stoccata con un gladio e io<br />
mi maledissi per non essermi portato una spada. <strong>La</strong> sua lama arrivò<br />
quasi a colpirmi; tirai dentro la pancia e lo colpii in faccia con il<br />
pugnale di pietra celeste. Non ebbi tempo di fare altro, e non ricordo<br />
neppure di aver tirato fuori il pugnale dal fodero. <strong>La</strong> punta si infilò<br />
in profondità nel suo occhio destro e lui urlò e si portò le mani alla<br />
faccia, cadendo in ginocchio.<br />
Quando il primo uomo cadde, uno dei suoi compagni, molto<br />
vicino a lui, inciampò nelle gambe di un altro uomo <strong>che</strong> era stato<br />
buttato a terra e cercava di scappare. An<strong>che</strong> il secondo assassino<br />
cadde, imprecando a gran voce e vibrando feroci colpi allo<br />
sventurato <strong>che</strong> lo aveva fatto cadere. Feci forza con la gamba sana<br />
sullo schienale della panca, mi sollevai e vacillai un momento, poi<br />
mi lanciai sul terzo e ultimo dei miei assalitori. Vidi il braccio <strong>che</strong><br />
reggeva la spada girare per colpirmi, ma gli fui addosso prima <strong>che</strong><br />
avesse la possibilità di vibrare un fendente, e cademmo sopra un<br />
mucchio di corpi <strong>che</strong> si contorcevano e dimenavano. Nella<br />
confusione della lotta lo persi completamente di vista. Poi sentii<br />
qualcuno urlare: «Fuori, fuori, via!» e quando riuscii a rialzarmi vidi<br />
tre dei cinque uomini <strong>che</strong> avevo notato all'inizio, compreso quello su<br />
cui mi ero appena scagliato, correre verso la finestra aperta. Li seguii<br />
alla massima velocità possibile saltando nel cortile attraverso la<br />
finestra, atterrai sulla gamba storpia e mi accasciai dolorosamente<br />
sui ciottoli del lastricato.<br />
Prima <strong>che</strong> potessi rimettermi in piedi mi ritrovai disteso sulla
schiena, con la spada del centurione puntata alla gola. <strong>La</strong> porta dalla<br />
quale stava entrando era a meno di tre passi dalla finestra. Vidi con<br />
la coda dell'occhio i quattro prigionieri <strong>che</strong> venivano riportati<br />
indietro dalle guardie e capii <strong>che</strong> gli eventi erano trapelati<br />
all'esterno, poi rivolsi tutta la mia attenzione al centurione <strong>che</strong> si<br />
disponeva ad ammazzarmi.<br />
«Non me! Gli altri!» ruggii. «I tre davanti a me! Ce l'hanno con il<br />
giudice, il delegato del reggente! Chiama le guardie!»<br />
Era uno <strong>che</strong> pensava rapidamente. I suoi occhi corsero<br />
velocemente alla finestra aperta sopra la mia testa e notò il fracasso e<br />
la confusione.<br />
«Merda!» sibilò, trascinandomi lui stesso in salvo da un lato<br />
verso la porta, e lasciandomi subito andare. «Chi sono?»<br />
«Non lo so, li ho notati solo per caso. Ma non è finita.» Lo<br />
zoticone puzzolente atterrò vicino a me mentre dicevo quelle parole.<br />
Doveva avermi visto saltare e ci aveva messo molto per attraversare<br />
la sala affollata e seguirmi attraverso la finestra. Il lungo mantello<br />
era scomparso e reggeva un'ascia in una mano e una spada<br />
nell'altra, ma proprio questa fu la sua rovina. Roteò l'ascia e si prese<br />
in pieno nello sterno la stoccata del centurione. Barcollò all'indietro<br />
con un ringhio, ma la spada non era riuscita a penetrare la camicia di<br />
maglia <strong>che</strong> portava sotto la tunica. Rotolai su un fianco, cercando di<br />
rimettermi in piedi. Poi vidi una guardia correre a tutta velocità<br />
verso il nostro aggressore e poi piegarsi, contorcersi e cadere con<br />
una freccia nel collo. Avevo visto balenare il guizzo della freccia e mi<br />
girai, finalmente in piedi, per vedere chi l'aveva tirata. All'ingresso<br />
del cortile c'erano due arcieri e uno di loro stava prendendomi di<br />
mira. Mi buttai di lato e la freccia mi passò oltre sibilando, colpì il<br />
centurione all'interno del gomito sinistro, scagliandolo a terra con<br />
violenza. Sentii delle urla provenire dalla finestra sopra di me, urla<br />
subito coperte dal rombante frastuono di un carro a quattro ruote<br />
tirato da cavalli, <strong>che</strong> entrava sbandando nel cortile lastricato
attraverso i cancelli ora aperti, mandando a gambe all'aria uno degli<br />
arcieri prima <strong>che</strong> il conducente riprendesse il controllo della<br />
traiettoria e si dirigesse contro di me a tutta velocità. Mi girai e corsi<br />
verso la porta, spalancandola. Gli uomini di guardia ai prigionieri<br />
erano ancora lì, con gli occhi spalancati per l'indecisione.<br />
«Portateli dentro,» gridai, «poi sbarrate la porta e venite ad<br />
aiutare qua fuori!»<br />
Portarono al sicuro gli uomini <strong>che</strong> avevano in affidamento e io<br />
sbattei la porta chiudendola dietro di loro; troppo tardi mi resi conto<br />
<strong>che</strong> avrei potuto andare con loro. Il carro rombava come se fosse già<br />
addosso, e mi girai per affrontarlo. C'erano degli uomini sul retro<br />
del carro, e due uomini sul sedile davanti, uno reggeva le redini e<br />
l'altro impugnava una grande ascia, lottando per mantenere<br />
l'equilibrio sull'ondeggiante veicolo. I cavalli erano a meno di dodici<br />
passi da me ed era ovvio <strong>che</strong> il conducente intendeva schiacciarmi<br />
contro il muro.<br />
Raccolsi con la sinistra la spada del centurione e lanciai il<br />
pugnale di pietra celeste, tenendolo per la punta e indirizzandolo<br />
con forza nella gola del conducente. Sbagliai. L'impugnatura lo colpì<br />
sulla fronte, rovesciandogli violentemente la testa all'indietro; con<br />
una capriola mi allontanai dal muro, buttandomi quasi sotto gli<br />
zoccoli dei cavalli in preda al panico, ed evitando per poco la<br />
massiccia, cigolante ruota del carro.<br />
Sentii uno schianto di s<strong>che</strong>gge frantumate quando il fianco del<br />
carro urtò il muro, e poi fui di nuovo in piedi e mi misi a correre<br />
verso il cancello, e verso l'arciere <strong>che</strong> avevo visto prima travolto dal<br />
carro. Avevo perso la spada quando ero finito a terra per scansare il<br />
carro, e adesso ero disarmato, un bersaglio facile per l'arciere ancora<br />
vivo.<br />
Ma l'arciere non c'era più. Non trovai traccia di lui. Solo il suo<br />
compagno giaceva dov'era caduto, e sette frecce erano sparse<br />
intorno a lui. Le raccolsi e strisciai verso l'arco, a circa dieci passi di
distanza. Nessuno badava a me. Raccolsi l'arco, incoccai una freccia<br />
e mi guardai intorno. I soldati cominciavano a comparire da ogni<br />
parte, saltavano giù dalle finestre aperte, correvano veloci lungo i<br />
fianchi dell'edificio in fondo al cortile e si disperdevano poi in tutte<br />
le direzioni. Vidi il corpo immobile del centurione rannicchiato<br />
contro il muro sotto la finestra dell'anticamera, e an<strong>che</strong> da lontano<br />
vedevo <strong>che</strong> era coperto di sangue. Immaginai <strong>che</strong> fosse stato<br />
travolto dal carro e, proprio mentre stavo pensando al carro lo vidi,<br />
in mezzo al cortile, <strong>che</strong> ricominciava a muoversi. I quattro aspiranti<br />
assassini erano sul carro ora, circondati da una mezza dozzina di<br />
altri <strong>che</strong> dovevano già essere a bordo del carro. L'uomo <strong>che</strong> teneva le<br />
redini adesso, <strong>che</strong> aveva sostituito quello contro cui avevo lanciato il<br />
pugnale, frustava furiosamente i cavalli per far compiere al carro un<br />
ampio cerchio; i cavalli presero velocità, diventando un'arma<br />
poderosa contro i fanti <strong>che</strong> convergevano da ogni lato. I giavellotti<br />
saettavano per il cortile e cadevano inutilmente a terra; completato il<br />
suo giro, il carro si diresse rombando contro di me, verso il cancello<br />
ancora aperto.<br />
«Chiudete le porte» urlai, ma nessuno mi sentì. Un'esile linea di<br />
legionari si era schierata davanti al cancello aperto, ma capivo <strong>che</strong><br />
erano inutili e <strong>che</strong> sarebbero stati travolti dal carro. Allora un altro<br />
pensiero mi attraversò la mente, facendomi gelare il sangue, e subito<br />
seppi <strong>che</strong> cosa dovevo fare.<br />
Tesi la corda dell'arco vicino all'orecchio, era molto più leggero<br />
del mio grande arco e mirai al cavallo di testa più vicino, nel punto<br />
morbido tra il collo e le spalle. Il colpo arrivò diritto e preciso;<br />
l'animale si abbatté sulle ginocchia a metà corsa, facendo perdere<br />
l'equilibrio al compagno e ostacolando il cavallo <strong>che</strong> gli stava dietro.<br />
Il carro sbandò violentemente e molti suoi occupanti furono sbalzati<br />
in aria. <strong>La</strong> seconda freccia colpì subito dopo l'altro cavallo di testa,<br />
<strong>che</strong> nitrì e cercò di indietreggiare.<br />
Il carro si schiantò rovinosamente sul fianco e fu
immediatamente circondato dai soldati, <strong>che</strong> finirono i passeggeri<br />
sopravvissuti. Io ero troppo lontano per poter impedire il massacro.<br />
Aspettai <strong>che</strong> l'agitazione si placasse e poi avanzai verso i resti<br />
del carro. Mentre mi avvicinavo vidi un soldato raccogliere un<br />
coltello dalla lama lucente.<br />
«È mio» dissi. «Grazie.»<br />
Lui mi guardò, con la fronte aggrottata. «Cosa vuol dire <strong>che</strong> è<br />
tuo?» <strong>La</strong> sua voce era rude.<br />
«Guarda sull'impugnatura» dissi. Gli ero vicino ormai. «C'è<br />
incisa una V. Sta per Varro. Sono io.»<br />
Il soldato guardò, ma era ancora sospettoso. «E allora cosa ci fa<br />
qui? E tu chi sei?»<br />
«Sono quello <strong>che</strong> ha dato l'allarme ed è lì perché l'ho lanciato<br />
contro il conducente. Lo ha colpito con l'elsa e poi è caduto nel carro.<br />
Il centurione è morto?»<br />
«Quale centurione?»<br />
Sospirai e tentai di nuovo. «Hai mai sentito parlare di Stilicone,<br />
il reggente dell'imperatore?»<br />
«Certo. Perché? Chi vuole saperlo?»<br />
Sospirai di nuovo. Avevo le gambe molli e sentivo uno strano<br />
rullio di tamburi nelle orecchie. Chiusi gli occhi e li riaprii, cercando<br />
con grande difficoltà di restare calmo.<br />
«Io voglio saperlo. Il mio nome completo è Gaio Publio Varro e<br />
ho certi affari con il delegato di Stilicone, Pico Britannico. Adesso<br />
portami da lui e porta con te il mio coltello.»<br />
Mi guardò ancora per un lungo istante e poi decise <strong>che</strong> forse era<br />
una buona idea credermi sulla parola. Mi porse il pugnale e mi fece<br />
cenno di andare con lui. Infilai il pugnale nel fodero e lo seguii.<br />
Il cortile dietro la basilica era in fermento, i soldati correvano in<br />
ogni direzione. Quando ci avvicinammo alla porta del cortile
quattro uomini stavano sollevando una barella con il corpo del<br />
centurione. Feci cenno alla mia scorta, <strong>che</strong> mi seguì mentre mi<br />
dirigevo verso di loro. Fui sorpreso di scoprire <strong>che</strong> il centurione era<br />
non solamente vivo, ma cosciente e compos mentis. Mi riconobbe<br />
immediatamente e mi parlò con voce forte.<br />
«Chi sei?»<br />
«Il mio nome è Varro. Publio Varro.» Avevo la voce rauca.<br />
«Come stai?»<br />
«Vivrò.» Grugnì e le sue labbra si contrassero in uno spasmo di<br />
dolore, ma proseguì. «Forse non potrò più combattere, però. Il<br />
gomito perforato e una gamba rotta. Nean<strong>che</strong> tu hai un bell'aspetto.<br />
Quel sangue è tutto tuo?»<br />
«Sangue? Quale sangue?» Portai la mano alla testa e la ritirai<br />
rossa e appiccicosa. «Mmm» ricordo di aver detto. «Immagino di sì.»<br />
Poi il rombo nelle orecchie crebbe a dismisura, e le ginocchia<br />
cedettero facendomi crollare di traverso addosso al centurione.<br />
Sentii <strong>che</strong> mi sollevavano e mi trasportavano, e allora persi i sensi<br />
del tutto.<br />
Mi risvegliai su un giaciglio pulito, con la testa fasciata,<br />
guardato a vista da un giovane soldato <strong>che</strong> mi chiese se riuscivo a<br />
sentirlo e poi uscì appena gli risposi.<br />
Rimasi disteso sulla schiena per un po', poi ripresi le forze e mi<br />
alzai in piedi. Sentivo degli strani rumori nella testa e la stanza<br />
vacillò in modo allarmante per alcuni minuti, ma il capogiro passò<br />
in fretta. Attraversai con cautela la stanza, poi mi sedetti a riposare,<br />
pensando di riprovare. Ma prima <strong>che</strong> potessi farlo sentii dei passi<br />
avvicinarsi, la porta si spalancò e vidi Pico abbassare gli occhi su di<br />
me.<br />
Il ragazzo <strong>che</strong> ricordavo era svanito da molto tempo; Pico era<br />
davvero enorme! Dovevamo abituarci ai cambiamenti fisici uno<br />
dell'altro. Lui giganteggiava su di me per più di una testa, e il resto
del corpo era perfettamente proporzionato all'altezza.<br />
Sarei stato due volte nella sua corazza, e la forza delle sue<br />
braccia mentre mi stringeva minacciò di fracassarmi le costole. Fu<br />
un gioioso ritrovarsi. Ora sapevo perché Caio era così fiero di aver<br />
generato quel gigante possente.<br />
«Zio Varro!» ruggì con un vocione profondo. «Grazie, ti devo la<br />
vita. Come ti senti?»<br />
Arricciai il naso, chiedendomi anch'io la stessa cosa. «Non lo so,<br />
Pico. Bene, penso, ma non tanto bene quanto te, direi. Posso uscire<br />
da qui?»<br />
Pico guardò l'uomo al suo fianco, un medico, dall'aspetto.<br />
«Allora? Può?»<br />
Il medico strinse le labbra e scosse la testa. «Non penso <strong>che</strong><br />
dovrebbe, ma sembra determinato a farlo.»<br />
«Sto bene» dissi. «Mi fa male la testa, ma non c'è niente <strong>che</strong> non<br />
funzioni! Guardate!»<br />
Trassi un profondo respiro e mi piegai a toccarmi i piedi, ma la<br />
stanza cominciò a girarmi intorno e ricaddi a sedere sul bordo del<br />
giaciglio. Pico e il medico mi fissavano senza parlare. Dopo un poco<br />
la stanza si fermò e io cominciai a sentirmi meglio. Alzai le mani a<br />
toccare le bende <strong>che</strong> mi avvolgevano la testa e la faccia. «Cosa mi è<br />
successo? Non sono stato ferito. Nessuno mi è venuto vicino.»<br />
«Ferita al cuoio capelluto» disse il medico. «Non so come te la<br />
sei procurata, ma ha sanguinato molto, pur essendo superficiale.<br />
Non ho trovato un vero danno. Hai la testa dura.»<br />
Tastai meglio con un dito e trovai il punto dolente, sul lato<br />
destro del cranio, e una visione subito mi apparve davanti agli occhi:<br />
la ruota del carro, rombante, rivestita di ferro, <strong>che</strong> mi passava vicino.<br />
Doveva essere passata più vicino di quanto pensassi, e il mozzo mi<br />
aveva scorticato la cute.
Il medico uscì per occuparsi del suo lavoro e Pico mi condusse<br />
negli alloggi a sua disposizione, dove versò una coppa di vino per<br />
entrambi.<br />
«Bene,» disse quando avemmo bevuto, «cos'era tutta questa<br />
storia, <strong>che</strong> cosa supponi?»<br />
Posai con cura la mia coppa. «Seneca.»<br />
«Cosa?» Il suo sopracciglio si alzò di scatto, proprio come quello<br />
di suo padre.<br />
«Claudio Seneca. Mi hai chiesto <strong>che</strong> cosa significava tutto<br />
questo. Ti ho risposto.»<br />
«È impossibile.»<br />
Scossi la testa. «No. È un'assoluta certezza, ma non lo potrai mai<br />
provare, a meno <strong>che</strong> con la tortura non si riesca a strappare una<br />
confessione all'uomo <strong>che</strong> ho ferito.»<br />
«No.» Pico scosse la testa. «Quel tizio grande e grosso lo ha<br />
ucciso prima di fuggire.»<br />
Inspirai rumorosamente l'aria dal naso. «Perché questo non mi<br />
stupisce? Nessun testimone... All'inizio pensavo <strong>che</strong> fosse per i<br />
prigionieri nel cortile... Li avevo notati tutti e quattro scambiare un<br />
cenno con il loro capo prima <strong>che</strong> tu arrivassi. Quell'uomo era<br />
rimasto a guardare i prigionieri dalla finestra, così almeno avevo<br />
supposto. Ma adesso penso <strong>che</strong> stesse solo controllando la via di<br />
fuga. Era noi <strong>che</strong> volevano.<br />
Me e te. E ci sarebbero riusciti se quel figlio di puttana non<br />
avesse avuto addosso quella puzza di spazzatura. Ha colpito la mia<br />
attenzione più del dovuto solo perché era disgustosamente sporco.<br />
Sapevo <strong>che</strong> si stavano preparando a qualcosa, ma solo quando ho<br />
visto due di loro accostarsi esitanti a te mi sono allarmato.»<br />
Pico bevve dell'altro vino. «Ringraziamo gli dei <strong>che</strong> te ne sei<br />
accorto, altrimenti mi avrebbero ucciso. Non sospettavo niente.»
«Lo so. Non mi sono reso conto di essere un bersaglio anch'io<br />
finché non mi sono trovato in mezzo alla mischia. Allora ho capito<br />
<strong>che</strong> dietro c'era Seneca. Lui sapeva <strong>che</strong> tu saresti stato qui oggi e <strong>che</strong><br />
io dovevo incontrarmi con te. Era la situazione perfetta, ben lontano<br />
dal praesidium, e sarebbe stata una vendetta perfetta, su di me, su tuo<br />
padre, su di te e su Stilicone. Dov'è Seneca adesso?»<br />
«Se n'è andato. È partito la notte scorsa con Stilicone e non<br />
tornerà. Stilicone lo ha retrocesso, in effetti. Manterrà il suo rango...<br />
continuerà a essere un legato incaricato del comando di una<br />
legione... ma verrà assegnato al servizio di frontiera in una posizione<br />
dipendente, a nord, dietro al Vallo. Questo dovrebbe impedirgli di<br />
ordire perfide trame. Non avrà il tempo di complottare vendette, né<br />
su di te, né su nessun altro. Caval<strong>che</strong>rà con Stilicone fino a Pontes e<br />
poi Seneca continuerà verso nord fino al Vallo, con la nuova unità<br />
appena arrivata dalla Gallia...» Si interruppe, pensando<br />
intensamente. «No, per Dio, non lo farà. Farò richiamare quel figlio<br />
di puttana.»<br />
Alzai la mano per fermarlo. «Non preoccuparti, Pico. <strong>La</strong>scia<br />
perdere. Noi siamo vivi, lui è partito e con l'aiuto della Fortuna un<br />
Pitto del nord infilzerà presto la sua testa su una picca. Se invece<br />
dovesse sopravvivere e fosse tanto pazzo da tornare indietro,<br />
infilzerò io la sua testa su una lancia. Ma per ora, come ho detto, non<br />
c'è veramente niente <strong>che</strong> possiamo fare, tranne muovergli accuse <strong>che</strong><br />
non possiamo provare. Non possiamo provare niente. Almeno lui è<br />
convinto <strong>che</strong> siamo morti.»<br />
Pico mi guardò e rise. «È bello rivederti, zio Varro. Avevo<br />
dimenticato come riesci a mantenere sempre il tuo sangue freddo.»<br />
«Non illuderti, Pico. Se ne avrò an<strong>che</strong> solo una mezza possibilità<br />
farò a pezzi quell'uomo a mani nude.»<br />
Si alzò. «Andiamo, usciamo di qui. Come ti senti?»<br />
«Sto bene, ma le tue udienze?»
«Rimandate. Sono libero.»<br />
«Allora andiamo.»
XVI.<br />
Poco dopo uscivamo da Londinium; dopo appena cinque miglia<br />
calpestavamo la terra battuta del campo marzio, fuori da un grande<br />
accampamento equestre quale non avevo mai visto.<br />
Un accampamento militare per truppe a cavallo! C'erano valli<br />
ovunque, a migliaia! Mi guardai avidamente intorno, senza<br />
nemmeno fare il gesto di smontare e, vedendo come ero<br />
impressionato, Pico mi guidò attraverso le linee fino a un<br />
voluminoso stendardo bianco e nero <strong>che</strong> indicava il suo alloggio,<br />
una grande tenda spaziosa.<br />
Indicai lo stendardo. «Questo è tuo, immagino.»<br />
«Infatti. Che cosa ne pensi?»<br />
Feci un grugnito. «Piuttosto grande, direi.»<br />
«Cosa vorresti dire?» mi chiese ridendo. «Non ti piace?»<br />
Cercai di tergiversare, per nascondere il mio disagio di fronte a<br />
quella <strong>che</strong> mi sembrava un'inutile esagerazione.<br />
«Beh, se me lo chiedi, mi sembra un'ostentazione.»<br />
«Ovviamente. È di una evidente ostentazione. Questa è l'idea<br />
<strong>che</strong> deve dare, zio. È abbastanza grande da essere identificato e visto<br />
da molto lontano. Guarda la base.»<br />
<strong>La</strong> base dell'asta finiva in un'ampia forcella imbottita, Pico<br />
annuiva entusiasta. «Quella forcella si adatta al collo del cavallo, in<br />
modo <strong>che</strong> peso non stanchi il vessillifero. Stilicone è per metà<br />
vandalo. Questi nuovi stendardi sono una sua idea. Sono un<br />
adattamento del tipo <strong>che</strong> usa la sua gente e an<strong>che</strong> i Goti e gli Unni.»<br />
Qualcos'altro catturò il suo sguardo e mi fece cenno perché mi<br />
girassi in quella direzione. «Guarda quello!»<br />
"Quello" era un'esercitazione in formazione praticata da una
falange compatta di cavalieri. Rimanemmo a guardarli per un po' e<br />
poi Pico spronò di nuovo il suo animale e quando parlò né la sua<br />
voce, né le sue parole erano legate alla conversazione <strong>che</strong> avevamo<br />
avuto prima.<br />
«Mio padre sta invecchiando, zio.»<br />
Lo guardai in tralice. «Dici? Faresti meglio a non dirglielo.»<br />
Sentii nella mia voce un tono di sorpresa e di difesa, e mi resi conto<br />
di avere mentito a me stesso per tutto quel tempo. Anch'io avevo<br />
notato un cambiamento in Britannico, ma avevo deciso di ignorare<br />
quello <strong>che</strong> i miei occhi mi dicevano. Caio non era più giovane.<br />
Aveva perso peso, muscoli, scatto e vitalità. Dal lato fisico,<br />
ovviamente. Mentalmente era acuto più di prima. D'un tratto mi<br />
sentii colpevole.<br />
«Beh,» aggiunsi riluttante, «suppongo, adesso <strong>che</strong> ne parli, <strong>che</strong><br />
non sia più giovane come quando lo incontrai per la prima volta. E<br />
nemmeno come quando sei partito. Ma non è vecchio, né senile, né<br />
malato.»<br />
«No, lo so.» Pico scosse la testa con un movimento brusco. «Non<br />
intendevo quello. Dio sa <strong>che</strong> è forte, forse più di quando è tornato<br />
dall'Africa vent'anni fa, ma sembra vecchio, zio. Avevo portato con<br />
me l'immagine di un uomo molto più giovane.» Ci fu silenzio tra noi<br />
per qual<strong>che</strong> istante, finché lui riprese. «È felice, zio Varro? Si gode la<br />
vita?»<br />
Meditai prima di rispondere, fissando le orecchie del mio<br />
cavallo. «Cosa vuoi <strong>che</strong> ti dica, Pico? Sono due domande<br />
impegnative. Può un uomo essere felice in questo mondo? E <strong>che</strong><br />
cos'è poi la felicità? È diversa per ognuno di noi. Un uomo diventa<br />
più vecchio ogni giorno e vede morire i suoi amici. Le sue illusioni<br />
muoiono e volano via nel vento. E ogni giorno sembra sviluppare<br />
più... come dire? Apprezzamento? Una parola vale l'altra... più<br />
apprezzamento per la debolezza e la stupidità dei suoi simili, <strong>che</strong><br />
sono esseri umani come lui.
Non c'è una ricetta per la felicità, Pico. Non posso dirti <strong>che</strong> tuo<br />
padre è felice. È se stesso. È occupato tutto il giorno, la sua vita è<br />
buona e sembra soddisfatto. Ma felice? Non so.»<br />
«Non ha ami<strong>che</strong>? Compagne?»<br />
Scossi la testa. «No. Nessuna. Eccetto sua sorella e le mogli di<br />
alcuni suoi vecchi amici. Ma non sono delle compagne. Non nel<br />
senso cui immagino tu alluda. Mi chiedi se passa del tempo con<br />
delle donne? <strong>La</strong> risposta è no. Mai. Tuo padre è l'uomo più casto <strong>che</strong><br />
abbia mai conosciuto. Non conosce donna. Dubito <strong>che</strong> ci pensi<br />
perfino. Certo non ne parla mai.»<br />
Mentre pronunciavo queste parole mi chiedevo <strong>che</strong> cosa avesse<br />
spinto Pico a porre quella domanda. Sua madre Eraclita, <strong>che</strong> Caio<br />
aveva amato e venerato, era morta con i due figli gemelli e la figlia<br />
per una pestilenza in Africa, quando Pico era un bambino di dodici<br />
anni. Era un figlio geloso. Le parlava? Riteneva <strong>che</strong> Caio dovesse<br />
rimanere fedele alla memoria della moglie? Mi resi conto subito <strong>che</strong><br />
sbagliavo, e <strong>che</strong> Pico era solo preoccupato per il padre. «Allora è<br />
solo?»<br />
«Solo?» In qual<strong>che</strong> modo quella parola mi sorprese e mi ce<br />
bloccare di colpo, e dovetti ripeterla prima di rispondergli con<br />
attenzione. «Solo... Sì, penso <strong>che</strong> lo sia. Ma chi non lo è?» Risi forte.<br />
«Pico, viviamo in un mondo solitario. Alcuni di noi fanno grandi<br />
sforzi per non esserlo, ma non è possibile, perché ogni uomo è solo<br />
nella sua mente o se preferisci nella sua anima. Non lo hai mai<br />
notato? Forse è per questo <strong>che</strong> diciamo "ogni singolo uomo".»<br />
Pico aggrottò la fronte. «Sì, hai ragione! È vero. Non ci avevo<br />
mai pensato prima, ma hai ragione. Perfino in battaglia ogni uomo è<br />
solo.» Piegai di lato la testa, per enfatizzare la mia condivisione quel<br />
sentimento. «Soprattutto in battaglia, figliolo. Non 'lo a me. Sono un<br />
esperto. In mezzo al combattimento più selvaggio sono solo, come<br />
se fossi fuori dal mio corpo e guardassi quello <strong>che</strong> sta succedendo. E<br />
quando tutto è finito e il pericolo è passato il mio mondo riemerge
molto lentamente. E soltanto dopo <strong>che</strong> ho dato di stomaco. Devo<br />
vomitare tutta quella solitudine, quell'isolamento, ogni singola<br />
volta.»<br />
Pico spinse il suo cavallo più vicino al mio e mi guardò, e io lo<br />
vidi preoccupato. «Sei veramente cristiano, zio Varro?»<br />
Lo fissai sbattendo le palpebre, colto di sorpresa dalla domanda<br />
inaspettata e dal rafforzativo. «Che cosa ha a <strong>che</strong> fare con tutto<br />
questo?»<br />
«Molto, zio.» Mi fece un sorriso. «Potrei cominciare a farti una<br />
predica, dicendoti <strong>che</strong> un uomo non è mai solo se Dio è nel suo<br />
cuore. Ma non è quello <strong>che</strong> intendevo dire. Volevo solo sapere se sei<br />
veramente cristiano.»<br />
Scrollai le spalle, sentendomi lievemente imbarazzato per<br />
l'improvvisa intimità dell'argomento. «Suppongo di esserlo.» <strong>La</strong> mia<br />
risposta fu piuttosto cupa, quasi il principio di un rimprovero. «Non<br />
lo siamo tutti? Sono stato battezzato prima di avere il tempo di<br />
pensarci. Sono cresciuto cristiano. Ho prestato giuramento nelle<br />
legioni sulla croce di Cristo. Perché me lo chiedi?»<br />
Pico insistette, la sua voce era quasi prepotente. «Credi in Dio?<br />
Credi <strong>che</strong> Egli esista?»<br />
«Certo <strong>che</strong> ci credo... almeno penso.» Adesso ero davvero<br />
perplesso. «Dove vuoi arrivare? Tu non credi in Dio?»<br />
Si sfregò la faccia: era l'immagine stessa del dubbio, immagine<br />
<strong>che</strong> avrebbe an<strong>che</strong> potuto essere comica, se non fossi stato costretto<br />
ad ammirare la sua grandiosa prestanza e l'impressione <strong>che</strong> dava<br />
nella sua magnifica uniforme, e non vidi niente di strano nel fatto<br />
<strong>che</strong> un simile uomo, così grande e grosso e incredibilmente capace,<br />
si struggesse sul problema dell'esistenza di Dio.<br />
«A volte penso di sì,» disse. «A volte è facile. Ma poi ci sono<br />
momenti in cui penso di non credere. Se Dio fosse quello <strong>che</strong> i preti<br />
ci hanno detto, allora questo mondo sarebbe un posto migliore per
viverci. Ma ho visto e fatto cose come soldato <strong>che</strong> Dio non dovrebbe<br />
permettere. Non se è tanto buono e misericordioso come dicono.»<br />
Aspirai forte. «Questo è quello <strong>che</strong> dicono i preti, Pico. Ma a<br />
volte dicono più delle loro preghiere e non ne ho mai conosciuto<br />
uno, nemmeno il nostro santo vescovo Alarico, <strong>che</strong> possa dimostrare<br />
di aver parlato direttamente e personalmente con Dio, faccia a<br />
faccia. Bada,» proseguii, sentendomi improvvisamente sleale nei<br />
confronti di un vecchio amico, «Alarico non si sognerebbe mai di<br />
sostenere <strong>che</strong> ha accesso a comunicazioni privilegiate con il<br />
Creatore. È un peccato <strong>che</strong> ci siano pochi preti come lui.»<br />
Allentai la stretta delle gambe e mi girai sulla groppa del cavallo<br />
per guardare Pico più da vicino. «Quanti anni hai adesso, Pico?<br />
Trentasei, mi pare, vero?»<br />
«Sì.»<br />
«Allora, in nome di Cristo, santo o no, hai di meglio da fare <strong>che</strong><br />
non preoccuparti di queste cose. Dio è una preoccupazione per i<br />
vecchi, non per i soldati.»<br />
Pico rise forte e poi continuò a parlare con grande affetto del<br />
vecchio Alarico e io mi scopersi a pensare <strong>che</strong> Alarico era ormai<br />
venerabile nel vero senso della parola. E questo, naturalmente, mi<br />
portò a pensare alla mia età, cosa <strong>che</strong> facevo raramente. Ma Pico<br />
parlò ancora. «È proprio un santo, vero?»<br />
«Chi, Alarico?» Mi schiarii la voce e riflettei qual<strong>che</strong> minuto<br />
prima di rispondere. «Sì, Pico, penso proprio <strong>che</strong> lo sia. È<br />
probabilmente il più santo, vero cristiano con i piedi per terra <strong>che</strong><br />
abbia mai conosciuto. Penso <strong>che</strong> il nostro Alarico sia davvero un<br />
uomo di Dio, un sant'uomo, a differenza di molti suoi colleghi <strong>che</strong><br />
assurgono al rango di sacerdote. Alarico è l'unico prete <strong>che</strong> conosco<br />
<strong>che</strong> vive la sua fede secondo gli insegnamenti di Cristo.»<br />
«È questo <strong>che</strong> pensi?» Mi guardava in modo strano. «Dei preti,<br />
voglio dire.»
«Ho espresso un'opinione sui preti?»<br />
«No,» sorrise, «ma la tua stima nei loro confronti è modesta.»<br />
I nostri cavalli si erano fermati, e io sollecitai il mio per farlo<br />
avanzare. «Pico,» dissi, «io non ho tempo per i preti. Non ne ho mai<br />
avuto.» Il suo cavallo seguì automaticamente il mio e cavalcammo<br />
ginocchio contro ginocchio. «Ne ho discusso spesso con Alarico e le<br />
sue opinioni hanno influenzato i miei pensieri, an<strong>che</strong> se<br />
probabilmente morirebbe di mortificazione se pensasse <strong>che</strong><br />
interpreto le sue parole in questo modo.» Sputai, perché avevo<br />
improvvisamente la bocca amara.<br />
«I preti sono uomini, Pico» dissi. «E gli uomini sono esseri<br />
deboli, nonostante la loro magniloquenza. Fino dall'epoca di Cristo<br />
gli uomini hanno preso i suoi insegnamenti e li hanno piegati a<br />
modo loro. <strong>La</strong> Chiesa ha usurpato il potere di Dio. I suoi ufficiali -<br />
perché cos'è un vescovo se non un ufficiale della Chiesa? - hanno<br />
corrotto gli insegnamenti del mite Salvatore e li hanno usati per<br />
procurarsi un potere terreno. Ogni volta <strong>che</strong> sento parlare un prete<br />
<strong>che</strong> non sia Alarico, è un esaltato <strong>che</strong> parla solo di peccato e<br />
dannazione. Non c'è gioia nei preti. E non c'è gioia nei loro<br />
insegnamenti. Predicano sottomissione e penitenza, e ogni volta <strong>che</strong><br />
ne ascolto uno è sempre peggio. Non hai notato? Lo hai notato di<br />
certo.»<br />
Pico si limitò a stringersi nelle spalle, non volendo<br />
interrompermi, e così continuai. «È diventato di moda tra gli<br />
ecclesiastici denigrare apertamente le donne. Tutte le donne! Donne<br />
come tua zia Luceia! Non è sempre stato così, Pico. Non quando ero<br />
bambino. Forse era di moda a Roma, non so, ma non qui in<br />
Britannia. E Alarico mi dice <strong>che</strong> peggiora ogni giorno. Hai mai<br />
sentito parlare dei monaci?» Pico annuì, sempre taciturno, e io<br />
continuai su quell'argomento. «Allora? Cosa hai sentito dire?»<br />
Ma Pico non si lasciò provocare. Scosse la testa in segno di<br />
diniego e mi chiese a sua volta: «Cosa ne pensi tu, zio?».
«Dannazione, Pico, non so cosa pensare! Puzza di anormalità. So<br />
<strong>che</strong> ci sono colonie intere di uomini <strong>che</strong> si chiudono, lontano dalla<br />
vita, dentro luoghi <strong>che</strong> chiamano monasteri, negando a se stessi<br />
an<strong>che</strong> i più piccoli piaceri della vita, pregando per tutto il giorno e<br />
per tutta la notte, mortificandosi, frustandosi con dei flagelli per<br />
purgare le loro menti da ogni pensiero carnale. Credono <strong>che</strong> le<br />
donne siano un abominio. Ebbene, per me, è questo l'abominio! Ne ho<br />
parlato con Alarico diverse volte. Lui non vuole scoprirsi e<br />
condannarli, perché crede <strong>che</strong> ogni uomo abbia il diritto di<br />
percorrere la propria strada, e preferisce pensare <strong>che</strong> ci siano forze<br />
divine e misteriose dietro ogni cosa, ma non gli piace quello <strong>che</strong> sta<br />
succedendo. Mi dice <strong>che</strong> tutto è cominciato in Egitto, circa cento<br />
anni fa, e <strong>che</strong> il nucleo di tutta la vita monastica è contenuto nella<br />
frase di san Paolo secondo cui se un uomo non può abiurare la sua<br />
natura sessuale è meglio per lui sposarsi piuttosto <strong>che</strong> bruciare di<br />
desiderio.»<br />
«E qual è la tua riposta a questo?»<br />
«<strong>La</strong> mia risposta è solo mia e io non sono uno studioso.»<br />
«Ma?»<br />
«Sì, ma! Alla mia illetterata semplicità militare sembra <strong>che</strong> il<br />
benedetto Paolo preferisca gli uomini alle donne.»<br />
«Intendi sessualmente?»<br />
«Puoi dirmi un altro modo?»<br />
«Allora stai insinuando <strong>che</strong> tutti i monaci sono omosessuali?»<br />
Risi, malgrado la collera. «Ovviamente no, Pico! Dico <strong>che</strong> mi<br />
sembrano tutti pervertiti da una forma di odio per le donne! Non ce<br />
traccia di misoginia in Gesù. Ma i preti del giorno d'oggi parlano<br />
sempre più di odio <strong>che</strong> di amore. Parlano di paura. Parlano di<br />
dannazione, di punizione, di colpa e di peccato. Non si parla di<br />
amore, compassione o perdono nella loro dottrina. Sono diventati<br />
dei burocrati con la mente e l'anima da burocrati, piccole e ristrette.
Hanno modellato la Chiesa su Roma e l'intera gerarchia sul servizio<br />
civile imperiale romano, nel nome di Cristo! Vivono in palazzi e si<br />
aspettano <strong>che</strong> il loro gregge li rifornisca di tutto! Non parliamo più<br />
di preti, mi fa stare male!»<br />
Pico si schiarì la voce e non disse niente, e per qual<strong>che</strong> istante<br />
cavalcammo in silenzio, guardando lo svolgersi della vita<br />
nell'accampamento. Poi disse: «Hai mai sentito parlare di Pelagio,<br />
zio?» Mi resi conto immediatamente, dal modo in cui veniva posta,<br />
<strong>che</strong> quella casuale domanda era importante per Pico.<br />
«No» dissi, mantenendo la mia voce deliberatamente priva di<br />
espressione. «Chi è?»<br />
«È un avvocato. Della Britannia. Ma vive a Roma da molti anni<br />
ormai. È tenuto in grande considerazione.»<br />
«Nessun avvocato è mai tenuto in grande considerazione da<br />
nessuno <strong>che</strong> abbia un'ombra di cervello nella testa, Pico,» lo derisi,<br />
«tranne <strong>che</strong> da un altro avvocato, e in questo caso si tratta di<br />
invidia.»<br />
Pico non trovò la cosa divertente. Nemmeno l'ombra di un<br />
sorriso sfiorò il suo volto, e proseguì. «Che cosa sai del peccato<br />
originale?»<br />
Tirai le redini e fermai il cavallo, controllandolo con le<br />
ginocchia, e lo feci voltare per seguire con lo sguardo una squadra<br />
<strong>che</strong> passava trasportando un carico di armi, compreso un certo<br />
numero di lance corte a doppio taglio, dall'aspetto minaccioso. Le<br />
guardai finché scomparvero dietro a un angolo e poi rivolsi di<br />
nuovo la mia attenzione a Pico, riprendendo la conversazione dove<br />
era stata interrotta.<br />
«Che cosa so del peccato originale? Quello <strong>che</strong> sanno tutti.<br />
Niente. Che è una cosa troppo profonda per un vecchio soldato,<br />
Pico. L'avevo alla nascita, mi hanno detto, e sono stato battezzato<br />
per toglierlo, perciò non ce l'ho più. Questo è quello <strong>che</strong> ogni uomo
deve sapere.» Spronai il cavallo e Pico si mosse con me, riprendendo<br />
a parlare.<br />
«Pelagio dice <strong>che</strong> è sbagliato. Dice <strong>che</strong> l'intero concetto puzza di<br />
falso. Lui crede <strong>che</strong> la Chiesa abbia inventato il peccato originale e<br />
ne promuova la nozione per tenere gli uomini nella colpa, e far sì<br />
<strong>che</strong> si sentano peccatori da quando nascono.»<br />
Annuii. «Sembra un uomo intelligente. Quello <strong>che</strong> chiamavamo<br />
un avvocato da caserma. Quanti anni ha quel tizio?»<br />
«È giovane, ed è molto intelligente.»<br />
Stavamo ancora cavalcando lungo la strada principale<br />
dell'accampamento, e parlando valutavo la lunghezza e la larghezza<br />
del luogo, memorizzavo ogni dettaglio senza farmene sfuggire<br />
nessuno. «Allora cosa suggerisce il tuo amico? Che aboliamo il<br />
peccato?»<br />
«No, zio Varro. Non è così semplice. Ha a <strong>che</strong> fare con la grazia.»<br />
Lo fissai intensamente, con una grande paura <strong>che</strong> quel giovane<br />
si facesse troppo coinvolgere negli argomenti profondi e spirituali<br />
della religione. «Grazia?» gli chiesi sprezzante. «Intendi dire la<br />
grazia divina? Cristo!» Sollevai le mani in un gesto di frustrazione.<br />
«Perché mai, in nome di Dio, un uomo dovrebbe capire qualcosa<br />
della grazia? Io ho rinunciato a capire la grazia quand'ero bambino.<br />
<strong>La</strong> vedevo come una corrente infinita di grani di riso <strong>che</strong> si<br />
riversavano nel cilindro della mia anima ogni volta <strong>che</strong> un angelo<br />
tirava una corda! Non cercare di parlarmi della grazia, ragazzo, né<br />
di capirla! I preti la chiamano mistero divino. In altre parole, non<br />
sono affari tuoi!»<br />
Pico sembrò non avere problemi ad accettare il mio punto di<br />
vista. «Sono d'accordo con te, zio. Ma, per favore, vuoi ascoltare<br />
quello <strong>che</strong> ho da dirti?»<br />
«Sto ascoltando. Cosa vuoi dirmi?»<br />
«Solo <strong>che</strong>...» Si interruppe, raccogliendo i suoi pensieri, poi
icominciò: «Ho passato alcuni giorni con Pelagio l'anno scorso, e ho<br />
parlato con lui per ore. È un uomo affascinante, ma è un uomo.»<br />
«Allora? Dovrei esserne sorpreso?»<br />
«No. Ma pensa a quello <strong>che</strong> significa. È un uomo e niente più di<br />
un uomo. E la stessa cosa vale per i vescovi e i preti della Santa<br />
Chiesa. E gli uomini possono commettere degli sbagli. Gli uomini<br />
possono fare le cose meno sante per i loro scopi, se sono convinti <strong>che</strong><br />
il loro modo è quello giusto e <strong>che</strong> è l'unico modo.»<br />
Lo guardai attentamente, riconoscendo i motivi <strong>che</strong> portavano a<br />
quell'affermazione e trovandomi d'accordo con lui. «Sì, in questo hai<br />
ragione, Pico, Iddio sa <strong>che</strong> hai ragione.» Sputai oltre le orecchie del<br />
mio cavallo. «Il Cielo mi protegga contro simili uomini santi.»<br />
«Protegga te e tutti noi.»<br />
Stavamo cavalcando in mezzo ai recinti adesso, <strong>che</strong> sembravano<br />
estendersi senza fine in ogni direzione, affollati di splendida carne<br />
equina. Tenni più saldamente le redini del mio cavallo.<br />
«Mi incuriosisci, Pico. Dimmi di più su questo Pelagio. Cosa ti<br />
ha detto per sconvolgerti tanto, e per tanto tempo?»<br />
Scosse la testa. «No, zio, non mi ha sconvolto, non proprio, e non<br />
subito. Ci sono voluti un sacco di tempo e un sacco di riflessioni per<br />
capire quello <strong>che</strong> Pelagio mi aveva detto... Ti è familiare il nome di<br />
Agostino, vescovo di Ippona?»<br />
Di nuovo quella sensazione di cose importanti <strong>che</strong> mi<br />
attraversavano l'orizzonte. Scossi la testa. «No, per niente. Parlami<br />
an<strong>che</strong> di lui.»<br />
«Bene» proseguì, con una sfumatura di esitazione, enfatizzata<br />
dalla sua brevità. «Agostino è uno dei più rispettati studiosi della<br />
Chiesa. Un uomo molto saggio e un famoso interprete della parola<br />
di Dio.»<br />
«Oh! Uno di quelli! Sembra inquietante. Vai avanti.»
«Agostino, <strong>che</strong> la maggioranza degli uomini definisce santo, è<br />
entrato in conflitto con Pelagio, o meglio è stato il contrario. Pelagio<br />
ha incrociato le corna con Agostino.»<br />
«E allora? Qual è il problema con questo sant'Agostino?»<br />
«Pelagio pensa <strong>che</strong> sia un ipocrita e un bugiardo.»<br />
Feci un fischio. «Te lo ha detto lui?»<br />
«Lo ha detto a tutto il mondo!»<br />
«Perché? Per quale ragione?» Mio malgrado, an<strong>che</strong> se non<br />
sapevo niente di questo Pelagio, mi sentii costernato<br />
dall'affermazione di Pico. «Se, come dici, tutti pensano <strong>che</strong> Agostino<br />
sia un sant'uomo, il tuo Pelagio corre realmente il rischio di essere<br />
preso per un matto o per un piantagrane.»<br />
Avevamo ormai quasi completato il circuito dell'accampamento<br />
e vidi il grande stendardo di Pico comparire di nuovo alla nostra<br />
vista. Pico stava ancora parlando molto seriamente. «Proprio così»<br />
disse. «Ma la faccenda è molto più grave. Agostino è un campione<br />
nella teoria della grazia divina. È un uomo di Dio. Un vescovo. Ma<br />
in gioventù era un famoso donnaiolo.»<br />
«Un donnaiolo? Davvero?» Trovavo il fatto strano, ma non<br />
sorprendente. «È sempre stato un prete?»<br />
Pico scosse la testa. «No. Non credo. In ogni caso, usava dire una<br />
preghiera per la quale divenne noto. Pregava <strong>che</strong> Dio gli desse la<br />
grazia di trovare la castità... ma non subito!»<br />
Risi, ma Pico proseguì coprendo la mia risata. «Agostino crede<br />
<strong>che</strong> l'uomo sia incapace di trovare od ottenere redenzione senza<br />
l'aiuto divino. Crede <strong>che</strong> gli uomini siano nati dannati, nel peccato<br />
mortale. Solo il battesimo lava via quel peccato e solo la grazia<br />
divina può rendere l'uomo capace di stare lontano dal peccato.<br />
Crede <strong>che</strong> tutta la vita sia una tentazione e <strong>che</strong> l'uomo dovrebbe<br />
passare la vita in preghiera, abbandonandosi alla pietà di Dio, in<br />
modo <strong>che</strong> Egli gli conceda la sua grazia.»
Annuii. «Questo, mio giovane amico, è il punto di vista <strong>che</strong> si<br />
ricava in genere da una ecclesia. È quello <strong>che</strong> dicono tutti i preti. Non<br />
c'è niente di nuovo, tranne l'esempio dato dal santo vescovo... E<br />
Pelagio trova da ridire?» Annuì. «Come?»<br />
«Totalmente. Pelagio crede <strong>che</strong> l'intero concetto della grazia sia<br />
un espediente inventato dalla Chiesa per assoggettare tutti gli<br />
uomini.»<br />
«Ah! Suvvia, il tuo amico Pelagio comincia a sembrarmi una di<br />
quelle vecchiette <strong>che</strong> vedono un violentatore dietro ogni cespuglio.<br />
Come può l'aiuto divino contribuire a tenere schiavi gli uomini?»<br />
«Facendo dimenticare agli uomini <strong>che</strong> sono fatti a immagine di<br />
Dio stesso, e sono perciò in grado di determinare ciò <strong>che</strong> è giusto e<br />
ciò <strong>che</strong> è sbagliato.»<br />
Vidi immediatamente l'intoppo. «Ma questo non è possibile! Gli<br />
uomini conoscono la differenza tra ciò <strong>che</strong> è giusto e ciò <strong>che</strong> è<br />
sbagliato da quando Eva ha mangiato la mela. <strong>La</strong> conoscenza del<br />
bene e del male. Gli uomini hanno sempre saputo la differenza.»<br />
«Esattamente, zio. È quello <strong>che</strong> dice Pelagio.» Aggrottai la fronte<br />
per la confusione, mentre Pico continuava. «Pelagio sostiene <strong>che</strong><br />
l'uomo, fatto a immagine di Dio, sa la differenza tra il bene e il male,<br />
e ha la capacità di scegliere, come ha sempre fatto, an<strong>che</strong> prima di<br />
Cristo. An<strong>che</strong> i barbari hanno loro leggi morali, sebbene non siano<br />
scritte. Pelagio vede nella grazia divina uno strumento degli uomini,<br />
inventato per tenere altri uomini soggiogati e fiduciosi nella Chiesa<br />
come unica intermediaria tra Dio e l'uomo. Considera il peccato<br />
originale come un'invenzione imposta agli uomini da altri uomini<br />
per rendere tutti colpevoli fin dalla nascita e perciò incapaci di<br />
godere della libertà di scelta. Se fossimo nati colpevoli nel peccato<br />
prima di iniziare a vivere, come potremmo vivere in libertà con<br />
libero arbitrio?»<br />
A questo punto stavo trattenendo il respiro: cominciavo a farmi<br />
un'idea della portata di quel disaccordo.
«Fermati, Pico» gli dissi tendendo una mano per bloccare il<br />
flusso delle sue parole e del suo entusiasmo. «Troppo buon foraggio<br />
spossa un manzo! Faresti meglio a lasciarmi riflettere per un po',<br />
ragazzo.» Stavamo avvicinandoci alla sua tenda. «Il tuo vecchio zio<br />
può avere qualcosa da bere?»<br />
Smontammo ed entrammo al fresco nella sua tenda, e Pico<br />
mandò il suo intendente a prendere una brocca di vino. Quando ci<br />
fummo seduti comodamente, ricominciò dal punto in cui si era<br />
interrotto.<br />
«Capisci quello <strong>che</strong> voglio dire, zio? Perché sono così<br />
preoccupato per l'intera vicenda? <strong>La</strong> questione va molto oltre la<br />
premessa del peccato originale e del battesimo. Va molto più in<br />
profondità. Arriva al concetto di responsabilità personale. Portato<br />
alle estreme conclusioni, il concetto della grazia divina distrugge le<br />
basi della legge. Chi potrebbe punire un criminale, se l'uomo è<br />
caduto dal giusto cammino solo perché Dio non gli ha fornito la<br />
grazia per resistere alla tentazione? Questo è voler ridurre tutto ad<br />
absurdum, ma è esattamente qui <strong>che</strong> si va a finire. Se accettiamo tutti<br />
gli aspetti della grazia divina dipingiamo una bella e pia immagine<br />
della povera umanità e del suo Dio misericordioso e benefico. Ma se<br />
accettiamo questa premessa dobbiamo accettare tutto. E questo<br />
significa accettare il fatto <strong>che</strong> la legge, la legge umana, è una follia,<br />
ed è destinata a fallire, perché in assenza della grazia la colpa dei<br />
crimini potrebbe essere imputata direttamente a Dio.»<br />
Scossi di nuovo la testa, aspirando nervosamente l'aria tra i<br />
denti, sapendo <strong>che</strong> tutta quella discussione andava oltre la mia<br />
portata. «Accidenti!» dissi, «sei molto addentro in questi pensieri.<br />
Sei al di là della mia capacità di comprensione!»<br />
«No, non lo sono, zio.»<br />
Questo gli procurò un brusco rimbrotto. «Per l'amor di Dio,<br />
piantala di chiamarmi zio. Mi fai sentire come un vecchio sdentato.»<br />
«Mi spiace.» Non aveva affatto l'aria contrita. «Ma non è affatto
al di là della tua comprensione. Secondo Pelagio le Scritture dicono<br />
<strong>che</strong> Dio ha fatto l'uomo a sua immagine e somiglianza e se l'uomo ha<br />
gli attributi di Dio, dice, allora deve avere il libero arbitrio. <strong>La</strong><br />
maggior parte degli uomini sa <strong>che</strong> la società esige alcune regole per<br />
governare proprietà, sanità, decenza e dignità. Queste regole<br />
costituiscono le leggi. Pelagio sostiene <strong>che</strong> l'uomo, ogni uomo, nato<br />
con la scintilla divina, è libero di scegliere tra il bene e il male da<br />
solo, e <strong>che</strong> deve essere pronto ad accettare la responsabilità delle sue<br />
scelte davanti a Dio e ai suoi simili.»<br />
Smise di parlare e il silenzio crebbe tra noi, rotto solo dal canto<br />
di un uomo poco lontano. Io rimuginai tutto quello <strong>che</strong> aveva detto.<br />
Aveva detto molte cose. Ma avevano tutte molto senso.<br />
«Hai detto <strong>che</strong> quell'uomo è un avvocato?» Annuì. «Tu gli<br />
credi? O credi ad Agostino e alla Chiesa?»<br />
Si morsicò il labbro inferiore. «Io credo a Pelagio.»<br />
Succhiai un semino di uva incastratosi tra i denti. «Ci vogliono<br />
nervi saldi per andare contro la Chiesa. Non ho mai sentito parlare<br />
di questo Pelagio prima di stamattina, ma mi sembra <strong>che</strong> dica cose<br />
di buon senso. Fino a <strong>che</strong> punto si è spinta questa discussione?»<br />
«Molto lontano. Tutta Roma ne parla.»<br />
«Mi pare <strong>che</strong> potrebbe parlarne tutto il mondo. E tu dici <strong>che</strong> quel<br />
vescovo è potente?»<br />
«Enormemente. Ha amici potenti, una grande influenza. Alcuni<br />
dicono <strong>che</strong> diventerà papa.»<br />
«Si direbbe <strong>che</strong> il tuo amico Pelagio stia sputando nel vento.<br />
Arriveranno a un accordo? A una forma di compromesso?»<br />
«Come potrebbero? Sono come il giorno e la notte!»<br />
«Già! E la notte sta calando rapidamente, sembra. Pelagio ha<br />
qual<strong>che</strong> sostenitore nella Chiesa? O sono tutti convinti <strong>che</strong> sia<br />
posseduto dal demonio?»
«Ha dei sostenitori. Molti. Molti tra i più potenti sposano la sua<br />
causa.»<br />
«Quanti? In termini di possibilità, intendo. È una lotta alla<br />
pari?»<br />
«Forse. Potrebbe esserlo. Se vogliamo calcolare solo le cifre.»<br />
«Cosa intendi dire?»<br />
«Zio..., scusa, Publio, va meglio?»<br />
«Molto meglio.»<br />
«D'accordo. <strong>La</strong> questione è fondamentalmente politica. Un<br />
soldato <strong>che</strong> si ammutina può avere qual<strong>che</strong> ragione, sulle condizioni<br />
<strong>che</strong> lo spingono ad ammutinarsi. Ma deve morire per il suo<br />
ammutinamento, non importa quanto giusta fosse la sua causa, non<br />
importa quanto comprensibili e accettabili fossero i suoi motivi.<br />
L'ammutinamento non può essere condonato, non importa quali ne<br />
siano le giustificazioni. Assolvere un ammutinamento vorrebbe dire<br />
invitare e incitare alla finale e inevitabile distruzione di tutti gli<br />
eserciti. Così è an<strong>che</strong> per Pelagio. Deve perdere, o rovesciare<br />
quattrocento anni di una Chiesa fondata da Cristo stesso, con tutte le<br />
sue regole e i suoi sistemi. Pelagio lo sa, Publio. Non è uno stupido.<br />
Non sta sfidando la Chiesa di Cristo, ma gli uomini corrotti <strong>che</strong> ci<br />
sono in essa, eppure sa <strong>che</strong> è troppo tardi per cambiare ciò <strong>che</strong> altri<br />
uomini, più forti di lui, hanno costruito per secoli allo scopo di<br />
renderlo eterno. Vedi, la dottrina di Pelagio, se vuoi chiamarla così,<br />
elimina la necessità di una Chiesa, così come la dottrina di Agostino<br />
elimina la necessità di una legge. Pelagio dice <strong>che</strong> ogni uomo porta<br />
nel cuore la Chiesa e <strong>che</strong> può comunicare direttamente con Dio<br />
attraverso la semplice meditazione. Agostino dice <strong>che</strong> l'uomo non è<br />
niente senza la Chiesa Cristiana, <strong>che</strong> ha come suo simbolo le chiavi<br />
del Regno dei Cieli. <strong>La</strong> Chiesa parla già in nome di pio. Pelagio parla<br />
in nome dell'uomo. Perciò deve essere sconfitto.»<br />
«E quando sarà sconfitto? Che cosa farai?» Pico si strinse nelle
sue enormi spalle. «Vivrò la mia vita secondo le regole <strong>che</strong> ha<br />
sviluppato. Io credo <strong>che</strong> abbia ragione, non importa quali prove ci<br />
possano essere contro di lui. Mi presenterò davanti a Dio come sono<br />
vissuto e se avrò sbagliato avrò sbagliato onestamente, con buona<br />
volontà. Avrò vissuto la mia vita secondo le regole <strong>che</strong> mi sono state<br />
insegnate nell'infanzia. Non sono un grande peccatore.»<br />
Sorrisi, sollevato <strong>che</strong> quella conversazione si stesse avvicinando<br />
alla conclusione. «A questo ci credo.» Mi alzai e gli battei la mano<br />
sulla spalla. «Adesso basta parlare di Dio e degli uomini. Facciamo<br />
due passi insieme e godiamoci questa giornata <strong>che</strong> Dio ci ha dato da<br />
godere, in qualunque modo voglia <strong>che</strong> crediamo.»<br />
«D'accordo!» Mi sorrise e in quel sorriso radioso sul volto<br />
abbronzato io rividi il ragazzo di un tempo.<br />
Indicai la spada appesa al suo fianco. «Ha un aspetto familiare.»<br />
Tirò fuori la lama dal fodero rivestito di bronzo. «Dovrebbe<br />
averlo» disse. «Non ha mai lasciato il mio fianco dal giorno in cui me<br />
l'hai regalata. Ho trovato un fabbro in Iberia <strong>che</strong> sembrava sapere il<br />
fatto suo e gli ho fatto fare un fodero d'oro per l'uniforme di parata,<br />
per le grandi occasioni. Ma <strong>che</strong> il fodero sia d'oro o di bronzo, la<br />
spada resta con me, sempre.»<br />
Si girò verso l'apertura della tenda, ma io lo fermai, mettendogli<br />
una mano sul braccio. «Un momento, Pico. Mi sembra evidente <strong>che</strong><br />
sei molto preoccupato per la questione di Pelagio. Ma dimmi, perché<br />
ne hai parlato con me? Penso <strong>che</strong> avresti ottenuto risposte più<br />
profonde da tuo padre.» Fece una smorfia. «Non è un argomento di<br />
cui voglio discutere con mio padre adesso. Ho paura di averti usato<br />
come cassa di risonanza. Mi spiace di averti annoiato.»<br />
«Annoiato?» Feci una gran risata. «Pico, sono stato raramente<br />
così lontano dall'annoiarmi. Forse a volte non sono stato all'altezza,<br />
ma non mi sono annoiato nemmeno un istante. Vieni, avviamoci. Ci<br />
sono ancora molte cose <strong>che</strong> non ho visto e voglio vedere tutto prima<br />
di tornare a casa.» Mi guardò con un sorriso.
«A casa? Vuoi dire <strong>che</strong> l'aria del potere qui a Londinium non ti<br />
affascina? Devi tornare a casa, nella tua provincia?»<br />
«Sì,» dissi, «e da tua zia Luceia, e non mi interessa <strong>che</strong> chi mi<br />
sente parlare possa ridere di me.»<br />
«Zio» disse Pico, continuando a sorridere. «Non sentirai né<br />
risate, né criti<strong>che</strong> da parte mia.»
LIBRO TERZO<br />
<strong>La</strong> genesi
XVII.<br />
Malgrado l'allegria <strong>che</strong> avevo simulato con Pico parlando di<br />
Luceia, dentro di me ero ben lungi dal sentirmi a mio agio alla<br />
prospettiva di tornare a casa, ed ero in quello stato d'animo fin<br />
dall'inizio del viaggio. <strong>La</strong> verità pura e semplice era <strong>che</strong> la paura del<br />
ritorno a casa mi stava facendo impazzire. Consapevole del vecchio<br />
detto <strong>che</strong> un uomo non conosce sensazione più piacevole di quella<br />
di arrivare a casa dopo una lunga e faticosa assenza, ero<br />
ossessionato e tormentato dal corollario di tale verità, vale a dire <strong>che</strong><br />
tale piacere e il benvenuto <strong>che</strong> un uomo riceveva all'arrivo<br />
dipendevano da quanto la sua assenza aveva addolorato chi lo<br />
aspettava. <strong>La</strong> apprensione e il terrore <strong>che</strong> mi tormentava mi avevano<br />
certi momenti quasi portato alla disperazione, ricordando il<br />
tradimento e il dolore <strong>che</strong> avevo immeritatamente inflitto a mia<br />
moglie, e la freddezza, l'indifferenza con cui lei in seguito mi aveva<br />
ripagato.<br />
Convinto nel profondo dell'animo di essermi meritato non solo<br />
la sua sfiducia, ma an<strong>che</strong> il suo disprezzo, dopo essere uscito dalla<br />
prigione ero stato assalito dal terrore all'idea di passare del tempo<br />
da solo, perché la solitudine invitava nella mia mente la più nera<br />
disperazione, <strong>che</strong> mi fissava torva e sibilante. Solo con i miei<br />
pensieri non riuscivo a sfuggire al senso di colpa e all'apprensione,<br />
né potevo sottrarmi alla paura di una vita senza l'amore di Luceia.<br />
Sapevo an<strong>che</strong> <strong>che</strong> quello <strong>che</strong> provavo derivava in parte dal senso di<br />
colpa per ciò <strong>che</strong> non era emerso, <strong>che</strong> non era stato né sospettato né<br />
ammesso, il segreto ancora recente del mio rapporto con Cilla<br />
Titente, ed era quella consapevolezza <strong>che</strong> mi impediva di pensare<br />
alla mia punizione come a qualcosa di meno <strong>che</strong> meritato e giusto.<br />
In un piovoso pomeriggio di raffi<strong>che</strong> di vento e tempesta<br />
incombente seppi <strong>che</strong> quella fase di agonia era quasi terminata, e <strong>che</strong>
l'atteggiamento vittorioso e spensierato <strong>che</strong> avevo simulato con<br />
tanta attenzione e diligenza di fronte ai miei compagni era destinata<br />
a rivelarsi entro breve tempo per quello <strong>che</strong> era: il comportamento<br />
di un'anima smarrita. Invece di sentirmi sollevato per la fine<br />
imminente di quella situazione, rendermene conto quasi mi<br />
distrusse. Il giorno dopo saremmo giunti alla Colonia.<br />
Il viaggio di ritorno da Londinium era stato eccellente, poiché<br />
tutti erano giubilanti per la notizia del mandato di Stilicone, e<br />
fiduciosi nel benvenuto trionfale <strong>che</strong> li attendeva alla fine del<br />
viaggio.<br />
Nell'ultimo tratto dovemmo decidere se aumentare l'andatura e<br />
arrivare alla villa nel cuore della notte, o fermarci a dormire sotto gli<br />
alberi della foresta e arrivare a casa insieme al nuovo giorno.<br />
Scegliemmo quest'ultima soluzione, io la sostenni a gran voce, e<br />
ci svegliammo con le allodole, quando il cielo era ancora buio; ci<br />
mettemmo in moto non appena la luce cominciò a penetrare nella<br />
foresta, e giungemmo in vista della fattoria principale della Colonia<br />
proprio mentre il sole si levava alto su di essa, cancellando ogni<br />
traccia della tempesta <strong>che</strong> ci aveva minacciato la sera prima. Mi<br />
guardai intorno, e per la prima volta nella mia vita da adulto, sentii<br />
il bisogno quasi opprimente di scappare e di nascondermi agli occhi<br />
di tutti, scoraggiato dalla minaccia di ciò <strong>che</strong> mi attendeva.<br />
Sulla collina sovrastante la villa e le terre circostanti, a sud-ovest<br />
rispetto a noi, si ergevano alte le mura non ancora ultimate del<br />
nuovo forte, nitide e scure nella luce del giorno. Ogni indizio della<br />
foresta <strong>che</strong> aveva verdeggiato lì per pochi giorni era scomparso, e<br />
perfino io fui felice all'idea <strong>che</strong> non avremmo mai più avuto bisogno<br />
di nascondere le nostre imprese.<br />
Plauto, <strong>che</strong> aveva sentito parlare della mimetizzazione della<br />
collina e del forte, guardò subito quella zona e stabilì<br />
immediatamente <strong>che</strong> lo avevamo preso in giro. Adesso <strong>che</strong> poteva<br />
vederli con i suoi occhi, si rifiutava di credere <strong>che</strong> fossimo stati in
grado di nasconderli; vedendo da quella distanza le dimensioni<br />
della collina e del forte <strong>che</strong> la incoronava, potevo ben capire il suo<br />
scetticismo.<br />
Caio e io ci limitammo a scambiarci un sorriso, e gli lasciammo<br />
credere quello <strong>che</strong> voleva. Caio indicò verso nord, dove altri banchi<br />
di nuvole si stavano radunando. «Sarà piacevole riposarsi tranquilli<br />
e comodi davanti a un bel fuoco stanotte, mentre la pioggia fuori<br />
cade sugli altri» disse e io sorrisi e annuii, fingendomi d'accordo con<br />
lui mentre galoppavamo verso la fine del viaggio. E d'un tratto,<br />
contro ogni logica considerando quello <strong>che</strong> mi aspettavo di trovare,<br />
fui impaziente di essere a casa.<br />
Il benvenuto fu caotico e travolgente, ma si abbatté su di me<br />
come onde silenziose provenienti da lontano: smontai da cavallo in<br />
un'isola di quiete <strong>che</strong> circondava solo me e mi isolava nel frastuono.<br />
Ma con incredulità vidi Luceia arrivare come se volasse, con il viso<br />
radioso, piangendo apertamente di sollievo e d'amore, corrermi<br />
incontro senza preoccuparsi di chi ci vedeva. Sentire il suo corpo<br />
abbandonarsi nel mio abbraccio, sentire le sue braccia attorno al<br />
collo, dissolse istantaneamente tutta la frenesia del mio terrore,<br />
come se non fosse mai esistita, sostituendola con vibranti, impulsive<br />
immagini della gioia conosciuta e condivisa, an<strong>che</strong> dopo brevi<br />
separazioni, nei primi anni del nostro matrimonio.<br />
Il sollievo di vederla e tenerla stretta di nuovo e di sapere <strong>che</strong><br />
era ancora mia, era così totale e prepotente <strong>che</strong>, malgrado il tumulto<br />
e la folla <strong>che</strong> ci circondava, riuscii a trascinarla sul nostro letto, dove<br />
ci rotolammo, con la foga di una coppia di puledri in primavera, ma<br />
an<strong>che</strong> con l'intensità di due amanti esperti. Non dicemmo una<br />
parola sulla separazione o sulla lite <strong>che</strong> l'aveva provocata. Le uni<strong>che</strong><br />
parole erano senza fiato, freneti<strong>che</strong>, concise e urgenti, tese,<br />
incomplete e conosciute, e gli unici rumori erano suoni di piaceri,<br />
profondamente sentiti da entrambi, a lungo negati e ora concessi con<br />
fervore.
Raggiungemmo gli altri più tardi, mano nella mano, rinvigoriti<br />
dalla reciproca, rinnovata conoscenza.<br />
Nel giro di un'ora tutta la gente della Colonia si era radunata sul<br />
terreno della villa e le voci del viaggio e delle nostre avventure<br />
erano sulla bocca di tutti, contraddittorie e diverse nelle infinite<br />
ripetizioni. Erano così numerose e contraddittorie, infatti, <strong>che</strong> Caio<br />
pretese l'attenzione di tutti e fece un discorso improvvisato, dando<br />
la notizia del riconoscimento ufficiale della Colonia e della<br />
designazione delle nostre risorse militari come Truppe Irregolari. Il<br />
giorno seguente ci sarebbe stata una riunione plenaria del Consiglio,<br />
allo scopo di discutere in modo esauriente le differenze <strong>che</strong> il nuovo<br />
incarico avrebbe portato in tutti gli aspetti della nostra vita futura.<br />
Quel giorno si lavorò ben poco alla Colonia. Fu una festa<br />
spontanea e il pranzo di mezzogiorno divenne un grande<br />
festeggiamento <strong>che</strong> si protrasse nel tardo pomeriggio, malgrado la<br />
pioggia intermittente. Quando scese la notte alcuni, ben determinati<br />
a continuare la festa, si spostarono all'interno delle case e accesero,<br />
così ci parve, ogni lampada e candela della Colonia per proseguire le<br />
danze, i giochi e la musica. Quando Luceia e io tornammo a letto,<br />
questa volta legittimamente, eravamo entrambi quasi tanto esausti<br />
da cadere immediatamente addormentati, avvolti nelle braccia uno<br />
dell'altra. Quasi, ma fortunatamente non del tutto esausti.<br />
Arrivai a letto per primo e rimasi disteso supino ad ascoltare<br />
Luceia <strong>che</strong> si spogliava al buio. Nessuno dei due aveva parlato da<br />
quando eravamo entrati in casa dirigendoci verso la camera da letto,<br />
e io mi chiedevo <strong>che</strong> cosa le stesse passando per la mente. Pochi<br />
istanti dopo, sollevò le coperte e si infilò vicino a me, e io distesi un<br />
braccio perché appoggiasse la testa. Mi venne subito vicino,<br />
premendosi contro il mio corpo, posò il capo nell'incavo tra il collo e<br />
la spalla e appoggiò la sua coscia sinistra, morbida come seta, sopra<br />
le mie. Il suo respiro era caldo sul mio collo; piegai il braccio,<br />
lasciando <strong>che</strong> le mie dita riposassero immobili contro i flessuosi
muscoli della sua schiena, mentre dentro di me tremavo ancora di<br />
miserabile sollievo, agitato dal doloroso ricordo del timore di averla<br />
perduta. «Publio... ?»<br />
«Sst! Non parlare. <strong>La</strong>scia solo <strong>che</strong> ti tenga stretta.» Mi girai un<br />
po' verso di lei, appoggiando la guancia alla sua tempia e la mano<br />
destra intorno alla vita, sentendo sotto il braccio il morbido rilievo<br />
dell'anca e della coscia. Mi mise il braccio intorno al collo e mi<br />
strinse forte, respirando profondamente. Cominciai a chiederle <strong>che</strong><br />
cosa ci fosse <strong>che</strong> non andava, ma lei scosse la testa e mi chiuse la<br />
bocca con dita gentili, e giacemmo immobili a lungo, malgrado la<br />
mia evidente eccitazione <strong>che</strong> finalmente riuscii a placare con uno<br />
sforzo di volontà.<br />
«Amore,» sussurrai alla fine, «non conosco le parole adatte per<br />
dirti come mi sento, ma voglio <strong>che</strong> tu sappia <strong>che</strong> credevo <strong>che</strong> non<br />
saremmo più stati insieme come ora.»<br />
Luceia non disse nulla.<br />
«Ci sono stati momenti, perfino a Londinium quando dovevo<br />
affrontare il processo in tribunale e an<strong>che</strong> in seguito, <strong>che</strong> non<br />
riuscivo a pensare ad altro <strong>che</strong> al fatto <strong>che</strong> ti avevo perduta... e in un<br />
modo così stupido! Non riuscivo a tollerarlo... Non potevo<br />
tollerarlo, non volevo vivere con quel pensiero... Quasi non tornavo<br />
a casa, tanto era grande il terrore di vederti guardare verso di me<br />
con occhi vuoti.»<br />
Si scostò da me, allontanandomi, e rimase a giacere supina,<br />
irrigidita in tutto il corpo, e tutte le mie paure mi riassalirono. Una<br />
corrente di aria fredda passò tra noi, riempiendo il vuoto <strong>che</strong> il suo<br />
movimento aveva creato sotto le coperte, e quella sensazione,<br />
improvvisa e sinistra, mi fece venire la pelle d'oca per il terrore.<br />
Sentii an<strong>che</strong> il mio corpo irrigidirsi nella protesta, ma mi mancò il<br />
coraggio di prenderla e di riportarla vicino a me.<br />
Luceia sussurrò qualcosa, ma così sottovoce <strong>che</strong> non compresi.
«Che cosa hai detto? Non ho sentito.»<br />
Girò la testa verso di me, ma la notte era troppo buia perché<br />
potessi vederla in volto. «Ho detto <strong>che</strong> ti ho mandato a morire senza<br />
una parola... Ero troppo arrabbiata e troppo offesa e orgogliosa per<br />
guardarti in faccia, an<strong>che</strong> se sapevo di avere torto. Una voce dentro<br />
di me, nel mio cuore, mi urlava <strong>che</strong> avevo torto, ma ero troppo<br />
orgogliosa, troppo testarda per ascoltarla.»<br />
Allora mi allungai verso di lei, sentendo quel dolore inatteso,<br />
differente, per la prima volta, e cercai di confortarla. «No,» le<br />
sussurrai, «non dire così.»<br />
Ignorò le mie parole, irrigidendosi per sottrarsi al mio abbraccio,<br />
e avendo iniziato a parlare, le parole sgorgarono come un torrente.<br />
«È vero. Ti sono corsa dietro quella mattina dopo <strong>che</strong> sei partito.<br />
Ma eri già andato via, in catene, e qualcosa è morto dentro di me e<br />
qualcos'altro è nato: un freddo, paralizzante terrore, un misto di<br />
colpa, vergogna e disperazione, e la consapevolezza, forte e<br />
impietosa, del mio meschino e ostinato egoismo. Ti ho visto morto<br />
centinaia di volte ogni ora trascorsa da quel momento. Ti ho<br />
immaginato ucciso, torturato, flagellato, picchiato e frustato, fatto a<br />
pezzi e buttato in un fosso. Continuavo a vederti trucidato, ogni<br />
volta in un modo diverso, e ogni volta i tuoi occhi fissavano i miei,<br />
sbalorditi, angosciati e traditi per quello <strong>che</strong> ti avevo fatto.»<br />
Le sue parole e il suo dolore mi tormentavano l'anima e cercai di<br />
tenerla vicina e confortarla. «In nome di Dio, amore! Tu non hai fatto<br />
niente. Sono stato io! Sono io <strong>che</strong> ho causato questa frattura, perché<br />
non ti ho confidato tutto quello <strong>che</strong> sapevo.»<br />
Si sedette sul letto, staccandosi di nuovo da me, con un<br />
movimento brusco, involontario, come provocato da una molla<br />
nascosta, e le parole successive furono pronunciate a voce molto più<br />
alta. «Non avevo il diritto di aspettarmi <strong>che</strong> tu lo facessi. Non ne ho il<br />
diritto!» Turbato rimasi a fissare nel buio mentre lei proseguiva.<br />
«Non appena sei partito mi sono accorta <strong>che</strong> ero stata una stupida. E
ho giurato davanti a Dio, pregandolo con centomila preghiere per la<br />
tua liberazione, <strong>che</strong> non sarei mai più stata così presuntuosa da<br />
aspettarmi, o an<strong>che</strong> pensare, di possedere la tua anima, i tuoi<br />
pensieri più intimi.»<br />
Si interruppe per lasciarmi riflettere, e io mi sforzai di capire, ma<br />
infine emisi un sospiro. «Amore, non capisco di <strong>che</strong> cosa stai<br />
parlando.»<br />
Luceia si girò, appoggiò un ginocchio contro il mio fianco e si<br />
sporse a carezzarmi il viso, e con voce di nuovo gentile, rivolgendosi<br />
a me come se fossi stato un bambino piccolo, disse: «Tu avevi un<br />
segreto, Publio. Questa è stata la causa di tutto. Hai mantenuto il<br />
silenzio su qualcosa <strong>che</strong> ritenevi importante; qualcosa da cui mi<br />
volevi proteggere. E io, nella mia arroganza, nel mio stupido<br />
presuntuoso orgoglio e nella mia stoltezza, ho preferito credere <strong>che</strong><br />
avevi tradito la mia fiducia. Ah!». Il disprezzo di se stessa in<br />
quell'unica sillaba era sarcasticamente eloquente, ma Luceia riprese<br />
a parlare prima <strong>che</strong> potessi rispondere. «Ebbene, ho avuto tutto il<br />
tempo di vedere il mio errore e di pentirmi... Anch'io ho avuto i miei<br />
segreti, per tutta la vita, ma quelli, pensavo, erano diversi; erano<br />
miei e non riguardavano nessun altro. Solo la grazia di Dio ha fatto<br />
sì <strong>che</strong> nessuno avesse a <strong>che</strong> fare con te o con noi. Ma era una<br />
coincidenza, niente di più, né di meno. Ed è stata una follia non<br />
riuscire a capirlo in tempo.»<br />
Fece una pausa e quando riprese a parlare mi chiese: «Ricordi la<br />
prima discussione <strong>che</strong> abbiamo avuto, la nostra prima vera lite? Era<br />
per stabilire se vi avrei accompagnato o no vostro incontro con Ullic<br />
a Stonehenge. Te lo ricordi?».<br />
«Sì. Me lo ricordo.»<br />
«Bene, quel litigio scaturiva da un segreto, un maligno, amaro<br />
piccolo segreto di autocommiserazione <strong>che</strong> nutrivo in seno da<br />
settimane. Ero spaventata all'idea di perderti a causa dei figli,<br />
ricordi? E ho nutrito quelle paure in segreto fino a <strong>che</strong> si sono
liberate come spiriti malvagi. Per <strong>che</strong> cosa? Ero arrabbiata per il mio<br />
amore per te, per la mia gravidanza, e spaventata all'idea di essere<br />
per sempre confinata qui, nella mia casa, <strong>che</strong> Dio mi perdoni.»<br />
«Ti ha perdonato» le dissi, sorridendo e allungandomi verso di<br />
lei, ma lei mi respinse di nuovo; non aveva ancora finito.<br />
«Sì, ma non prima di te. Tu sei stato il primo. Tu hai capito<br />
quello <strong>che</strong> dicevo, quello <strong>che</strong> temevo. Sei stato tu, non Dio, <strong>che</strong> mi ha<br />
preso tra le braccia e mi ha dato conforto in quell'orrendo<br />
pomeriggio! Sei stato tu <strong>che</strong> mi hai fatto sentire <strong>che</strong> mi amavi, <strong>che</strong><br />
ero amata. Tu sei mio marito, la cosa più bella <strong>che</strong> mi sia mai<br />
capitata nella vita, e so <strong>che</strong> riempio il tuo mondo come tu riempi il<br />
mio. Come ho potuto allora, sapendo questo, chiedere di più? Come<br />
ho potuto commettere il peccato <strong>che</strong> ho commesso? Eppure l'ho<br />
fatto. L'ho fatto e Dio mi ha punita portandoti via da me e<br />
lasciandomi nel silenzio.»<br />
«E ti ha perdonato di nuovo, amore mio. Sono tornato.»<br />
<strong>La</strong> sua voce tremò. «Hai detto <strong>che</strong> non volevi tornare.»<br />
«È vero, ma per ragioni diverse. Eppure sono tornato, per<br />
rimanere, e sono tutto intero e in buona salute. Senti.» Guidai la sua<br />
mano e lei reagì con una risata soffocata, fingendosi irritata con se<br />
stessa e an<strong>che</strong> con me, perché ero così irrispettoso. Con un buffetto<br />
rifiutò la mia insolente mascolinità, e riportò la mano a coprire la<br />
mia guancia.<br />
«Per favore, Publio, permettimi di finire, di dire ciò <strong>che</strong> devo<br />
dire.»<br />
Attesi.<br />
«Il segreto <strong>che</strong> mi ha tanto offeso non era importante; non era<br />
niente. Ero così arrabbiata per l'apparente mancanza di fiducia da<br />
parte tua <strong>che</strong> ho perso completamente di vista la mia fiducia in te.<br />
Eppure quella fiducia è assoluta... Capisci quello <strong>che</strong> ti sto dicendo,<br />
Publio? <strong>La</strong> mia fiducia in te è assoluta. Non esiste nella mia mente il
più piccolo dubbio <strong>che</strong> saresti pronto a morire per proteggere me e i<br />
miei figli, e so <strong>che</strong> la tua morte vorrebbe dire la mia morte... Mi<br />
ascolti?» <strong>La</strong> sua voce tremava per le lacrime non versate.<br />
«Ti ascolto. Ti amo. E adesso vieni qui vicino a me. Stai<br />
prendendo freddo lì seduta.» Luceia ubbidì con impeto morbido e<br />
amoroso, e le sue lacrime sgorgarono sulla mia pelle, e ben presto ci<br />
scaldammo di nuovo e ci addormentammo abbracciati.<br />
<strong>La</strong> riunione del Consiglio programmata per il giorno dopo non<br />
cominciò fino alla decima ora della mattina e durò cinque ore. Non<br />
fu una riunione difficile, perché tutti gli argomenti da trattare erano<br />
positivi e favorevoli e lo spirito dei membri del Consiglio era<br />
allegro, ma Caio aveva l'aria stanca quando la aggiornammo. Andai<br />
con lui nella sua stanza di soggiorno, dove si fermò e appoggiò con<br />
affetto le mani sul codice <strong>che</strong> era sul tavolo da lavoro, dove l'aveva<br />
lasciato prima di partire per Londinium con Seneca.<br />
«È bello essere di nuovo a casa, Publio» mi disse. «Credo <strong>che</strong><br />
scriverò per un po', prima <strong>che</strong> la luce se ne vada. I miei occhi stanno<br />
peggiorando, sai. Mi fanno male ogni volta <strong>che</strong> scrivo alla luce della<br />
lampada, eppure c'è stato un tempo, non lontano, in cui potevo<br />
scrivere tutta la notte alla luce di una sola lampada senza nessuna<br />
fatica.»<br />
«Non fa bene agli occhi di nessuno, Caio» gli dissi. «Penso <strong>che</strong><br />
sia una buona idea farlo con la luce del giorno, se ne hai il tempo e<br />
l'opportunità. An<strong>che</strong> se non capisco perché vuoi sempre scrivere<br />
tanto.» Mi guardò e sorrise, ma non disse niente. «E <strong>che</strong> cosa scrivi,<br />
poi?» gli chiesi. «Voglio dire, sono anni <strong>che</strong> passi ore e ore a scrivere,<br />
ogni giorno, e non fai mai vedere a nessuno quello <strong>che</strong> hai scritto.<br />
Almeno credo. O l'hai fatto?»<br />
Il suo sorriso si allargò. «No, Publio, per la verità nessuno ha<br />
mai voluto vedere quello <strong>che</strong> sto scrivendo. Nessuno ha mai<br />
espresso curiosità in proposito, tranne Luceia. Lei sa di <strong>che</strong> cosa si
tratta, an<strong>che</strong> se non l'ha mai letto, e sa <strong>che</strong> quando morirò sarà<br />
affidato alla sua custodia.»<br />
«Beh, ti dispiacerebbe se ti chiedessi di <strong>che</strong> cosa si tratta?»<br />
Mi sorrise. «No, niente affatto, visto <strong>che</strong> me lo hai suggerito tu.»<br />
Lo guardai con stupore. «Io? Che cosa avrei fatto?» Caio rise.<br />
«Come, Publio? Non ti ricordi neppure? Eri irritato con me perché<br />
scrivevo le mie memorie militari! Sicuramente te ne ricorderai?<br />
Dicesti <strong>che</strong> avrei dovuto pensare ai miei discendenti, e scrivere<br />
qualcosa <strong>che</strong> li guidasse negli anni futuri.» Ricordavo vagamente.<br />
«Comunque è quello <strong>che</strong> ho scritto da quel giorno. È una storia<br />
personale della crescita di questa Colonia, scritta per intrattenere e<br />
forse guidare i nostri discendenti, <strong>che</strong> governeranno questa terra.»<br />
«Una storia? Come?»<br />
Caio si strinse nelle spalle e sorrise, malgrado l'evidente<br />
stan<strong>che</strong>zza. «È molto semplice,» disse con calma, «mi sono imposto<br />
di scrivere ogni giorno gli eventi della giornata.»<br />
«Allora è una cronaca? Come il diario di Luscar durante la<br />
campagna successiva all'invasione?»<br />
«Mmm.» Il suono <strong>che</strong> gli uscì dalla gola suggeriva una risposta<br />
negativa. «Non proprio, Publio, non proprio... Più di un diario;<br />
meno di un documento legale. Aggiungo i miei pensieri personali e<br />
le mie osservazioni. Ci sono molti miei pensieri e opinioni mescolati<br />
agli eventi. Come ho detto, è una storia personale e a volte tanto<br />
egocentrica da essere imbarazzante.»<br />
«E per questo <strong>che</strong> non l'hai mai fatta leggere a nessuno? Perché è<br />
così personale?»<br />
«In parte.» Sorrise di nuovo, con un piccolo sorriso di<br />
divertimento per la presunzione di elogiare la propria opera. «E poi<br />
nessuno mi ha mai chiesto di leggerla.»<br />
Annuii lentamente. «Se te lo chiedessi, me la faresti leggere?»
«Certamente. È ovvio. Ne sarei felice.» Sorrideva ancora.<br />
«Allora mi piacerebbe leggerla.» Annuì. «Bene, Publio. Ne sono<br />
felice. Mi fa piacere. Puoi avere il manoscritto quando vuoi.»<br />
«Allora lo leggerò stasera.»<br />
Rise e scosse la testa. «Puoi cominciare stasera, Publio, ma non<br />
finirai stasera. Ho scoperto di essere molto prolisso. Tendo a<br />
compiacermi del suono delle mie parole, se si può dire così di un<br />
esercizio <strong>che</strong> non comporta suoni. Scrivo dieci anni. Ce molto da<br />
leggere.»<br />
«Bene, allora!» Mi alzai, pieno di determinazione e di<br />
entusiasmo. «Comunque comincerò stanotte. Sono ansioso di<br />
iniziare a leggere. Ma prima è meglio <strong>che</strong> io vada alla forgia. Manco<br />
da settimane. Equo deve aver dimenticato <strong>che</strong> aspetto ho con la<br />
faccia imbrattata di fuliggine. Su, ti accendo il fuoco e controllo <strong>che</strong><br />
ci sia abbastanza legna e inchiostro.»<br />
«Non lo farai.» Sembrava oltraggiato all'idea <strong>che</strong> potessi fare<br />
una cosa simile. «Di queste cose si occupa Gallo, sa <strong>che</strong> lo deve fare.<br />
Vai alla tua forgia, Publio.»<br />
Lo ignorai e feci come volevo, e solo quando ebbi acceso il fuoco<br />
parlai di nuovo. «A volte Gallo, come tutti noi, si dimentica. Proprio<br />
come noi, non diventa giovane, sai.»<br />
Spinsi il tavolo sotto la luce pomeridiana del sole e badai <strong>che</strong><br />
Caio fosse comodo.<br />
<strong>La</strong> statua di ferro <strong>che</strong> avevo chiamato Coventina, la Signora del<br />
<strong>La</strong>go, era lì vicino, su un tavolo tutto per lei. L'accarezzai, come<br />
facevo sempre, passando la mano sulle sue curve formose.<br />
Caio mi stava osservando. «È una signora paziente, Publio, <strong>che</strong><br />
ti guarda e aspetta come una sposa vergine, e si chiede cosa vuoi<br />
fare di lei.»<br />
Le posai una mano sul capo, e sentii il metallo freddo contro il<br />
palmo. «Lo so, Caio» gli risposi, con un sussurro. «E non è la sola.
Me lo chiedo anch'io.»<br />
Lo lasciai a scrivere e andai alla fucina, sentendo i martelli<br />
risuonarmi nelle orecchie mentre mi avvicinavo. Mi fermai appena<br />
dentro per abituare gli occhi alla penombra e mi riempii i polmoni<br />
dell'odore del fumo e del ferro, con quel rimescolamento quasi<br />
erotico <strong>che</strong> sentivo sempre dopo una lunga assenza. Equo stava<br />
lavorando alla forgia centrale, e lo raggiunsi passandomi il<br />
grembiule di pelle sopra la testa.<br />
«A cosa stai lavorando?»<br />
Fece un balzo esagerato, come se volesse ritrarsi da qualcosa <strong>che</strong><br />
lo aveva spaventato. «Per le tette di Budicca! Ho visto un fantasma?<br />
Cosa ci fai in una sporca fucina? Mi hanno detto <strong>che</strong> eri morto,<br />
ammazzato mentre copulavi con una giumenta tentando di<br />
migliorare la razza!»<br />
Gli risposi con un ghigno. «No, quello era Vittore. Io preferisco<br />
le pecore.»<br />
«Ah!» Annuì con saggezza. «Pecore. Bene, allora ficca questo in<br />
mezzo ai carboni.» Mi passò un pezzo di ferro sottile come la lama<br />
di una spada, ma lungo il doppio e largo una volta e mezzo una<br />
lama normale.<br />
«Cos'è?»<br />
«È quello a cui sto lavorando.»<br />
Lo ressi con il braccio teso, sentendolo rimbalzare leggero nelle<br />
tenaglie. «Sembra la lama di una spada, ma è troppo lunga e troppo<br />
pesante.»<br />
«È proprio quello <strong>che</strong> è, la lama di una spada troppo lunga e<br />
troppo pesante.»<br />
Scossi la testa con ironica costernazione e infilai il metallo nei<br />
carboni, apprezzando la gradevole sensazione delle tenaglie di ferro<br />
tra le mani.
«Seriamente, Publio» mi disse guardandomi fisso, e<br />
socchiudendo gli occhi per il fumo <strong>che</strong> saliva dal fuoco. « È proprio<br />
quello <strong>che</strong> è. Ho un'idea e voglio provarla.»<br />
Spinsi il metallo più profondamente nei carboni. «Allora?<br />
Dimmi. Da dove ti è venuta?»<br />
«Cosa, l'idea? Dalla mia testa, ovviamente. Da dove altro poteva<br />
venire?»<br />
«No, Equo, volevo dire... oh, non importa. Cos'è questa tua<br />
idea?»<br />
«Vieni qui e guarda. Ho fatto dei disegni.»<br />
«Disegni?» Risi. «Passi troppo tempo con Andros, Equo. Uno di<br />
questi giorni verrò qui e ti troverò a pregare in ginocchio.»<br />
«Ah!» emise una fragorosa risata di s<strong>che</strong>rno. «Non pensarci<br />
nemmeno, Publio Varro! A meno <strong>che</strong> ci sia una donna sdraiata a<br />
terra di fronte a me. Guarda questo!»<br />
Da un bancone da lavoro completamente ingombro prese un<br />
grande mucchio di pergamene, tutte di dimensioni diverse, e le<br />
sparse di fronte a sé. Quando trovò quella <strong>che</strong> cercava, la batté con le<br />
noc<strong>che</strong> e io mi sporsi a guardare. Era un grande pezzo di pergamena<br />
con disegni di punte di lance, giavellotti, asce e spade. Li esaminai<br />
tutti, chiedendomi cosa si aspettava da me. Non vidi niente <strong>che</strong> mi<br />
colpisse. «Allora?» dissi. «Sto guardando. Cosa vuoi <strong>che</strong> veda?»<br />
«Niente per ora. Non c'è niente da vedere lì. Ma lasciami<br />
parlare.» Fece una pausa. «Tu volevi un'arma da usare a cavallo.<br />
Bene, io ci ho lavorato, ma giuro, per le palle di Bacco, <strong>che</strong> sto<br />
cominciando a dubitare <strong>che</strong> si possa fare.» Io tacqui, e lui continuò<br />
indicando verso i disegni. «Ognuna di quelle armi è concepita per<br />
uomini a piedi. <strong>La</strong> migliore è la spada. Buona sia per l'attacco sia per<br />
la difesa. Ci puoi parare un colpo e uccidere con la stessa facilità.»<br />
Fece un'altra pausa e poi aggiunse. «Una lancia è limitata. Dai una<br />
stoccata con quella o scagliala, ed è finita. È meglio <strong>che</strong> tu abbia
an<strong>che</strong> una spada. Un'ascia è ancora peggio. Voltati per rotearla e<br />
sarai un bersaglio scoperto per una spada o una lancia. E quando<br />
l'avrai roteata sarà meglio <strong>che</strong> tu colpisca l'uomo <strong>che</strong> hai preso di<br />
mira, perché se vale il pane <strong>che</strong> mangia, un colpo è l'unica possibilità<br />
<strong>che</strong> avrai.»<br />
Mi venne in mente <strong>che</strong> non avevo mai sentito Equo parlare tanto<br />
in una volta sola su un solo argomento; e non aveva ancora finito.<br />
Adesso i suoi occhi erano ancora più animati di prima, e le sue mani<br />
si muovevano da un disegno all'altro, dando enfasi alle sue parole e<br />
dirigendo i miei pensieri. Lo ascoltavo affascinato.<br />
«Ora, se mettiamo il nostro uomo a cavallo e schieriamo i cavalli<br />
vicini come vuoi tu, siamo davvero nella merda. In una situazione<br />
come questa un'ascia è inutile come le tette su un cinghiale maschio,<br />
perché se la rotei puoi solo colpire l'uomo <strong>che</strong> hai di fianco o<br />
uccidere il tuo cavallo. An<strong>che</strong> una spada è inutile, è dannatamente<br />
troppo corta. An<strong>che</strong> se hai lo spazio per rotearla. Non riusciresti a<br />
raggiungere un uomo a terra vicino a te, se è in ginocchio o disteso.<br />
Ci rimane la lancia. Ma le lance hanno solo una punta. Servono per<br />
trafiggere. Non possono tagliare. E la lama del pilum si piegherebbe.<br />
È eccezionale da affondare nello scudo di un nemico, per impedirne<br />
i movimenti, ma per noi è inutile.»<br />
«Dunque.» Batté la mano sui disegni, coprendoli con la sua<br />
grande zampa. «Ho pensato a un nuovo tipo di lancia. Un'asta corta<br />
e pesante, lunga circa tre piedi, per avere peso, e una lunga lama<br />
piatta come quella di una spada, ma lunga il doppio, a doppio filo e<br />
più tagliente della lingua di una puttana.» <strong>La</strong> disegnò con pochi<br />
tratti e io la vidi prendere forma sotto il movimento del carboncino.<br />
«Un'arma come questa potrebbe dare un certo vantaggio a un uomo<br />
a cavallo» continuò. «Potrebbe toccare terra tra due cavalli, con l'asta<br />
stretta sotto l'ascella, e l'arma sarebbe abbastanza manovrabile per<br />
venire usata di taglio e per essere scagliata.»<br />
Ero impressionato. «Mmm» dissi, e riflettei un istante. «Equo,
potresti avere ragione. Ma sarebbe utilizzabile solo da un lato.»<br />
«Cosa vuoi dire?» Aggrottò la fronte senza capirmi, poi intuì<br />
quello <strong>che</strong> stavo dicendo e dalle sue parole mi resi conto <strong>che</strong> ero io<br />
quello <strong>che</strong> aveva frainteso. «No, no. Niente affatto, Publio.<br />
Dannazione, è fatta per essere usata da entrambe le parti! L'asta<br />
corta dovrebbe permettere a un uomo di rotearla sopra la testa del<br />
cavallo e colpire in entrambe le direzioni.»<br />
«Credo <strong>che</strong> tu abbia scoperto qualcosa. È certo degna di essere<br />
provata. Fammene una e la proveremo.»<br />
«Fammene una e la proveremo! Per la croce di Cristo, amico!<br />
Non è quello <strong>che</strong> sto facendo?»<br />
Guardai la lunga asta di ferro <strong>che</strong> sporgeva dai carboni.<br />
«Quando sarà pronta?»<br />
«Se la pianti di interferire e di distrarmi sarà pronta in<br />
mattinata.»<br />
«Finita? Completa?»<br />
«Finita, completa e affilata. Adesso, vorresti lasciarmi lavorare?»<br />
Passai le due ore successive a gingillarmi, controllando gli<br />
apprendisti e facendo l'inventario del materiale in produzione, dai<br />
chiodi ai cerchi per le botti, andando a vedere ogni tanto come<br />
andava, tormentandolo al punto <strong>che</strong> mi caccio letteralmente,<br />
ridendo, dalla forgia.<br />
Mi sentivo frivolo quel pomeriggio. Non ero dell'umore giusto<br />
per fare qualcosa di utile e stavo pensando seriamente di provare a<br />
portare a letto mia moglie per prima distrazione amorosa fuori<br />
orario. Non mi sentivo così pieno di energia da anni, ma non era<br />
destino <strong>che</strong> potessi godere di un interludio erotico, perché Vittore<br />
già mi chiamava dalle stalle. Cominciò subito a mettermi al corrente<br />
della necessità di ferrare tutti i cavalli più spesso e più regolarmente,<br />
mentre io annuivo educatamente. Mi tappai le orecchie e lo lasciai<br />
vaneggiare fino a quando si arrese e scomparve nel buio delle stalle,
orbottando tra sé e probabilmente dandomi degli epiteti.<br />
Improvvisamente un sibilo letale risuonò vicino al mio orecchio,<br />
e mi fece acquattare proprio mentre sentivo il risonante tac! di una<br />
freccia <strong>che</strong> si conficcava nella porta alle mie spalle. Incurante della<br />
mia dignità, mi voltai carponi, cercando di scoprire chi fosse<br />
l'aggressore, ma non vidi nessuno. Corsi alla porta della stalla per<br />
ripararmi dietro di essa, e un'altra freccia andò a conficcarsi nel<br />
legno della porta, bucando l'asse di quercia massiccia spessa due<br />
pollici.<br />
«Varro! Vieni fuori, romano!» Sussultai riconoscendo la voce<br />
profonda e sonora. «Se fossi un tiratore meno bravo saresti già<br />
morto!»<br />
«Ullic!,» urlai, «demente celta imbecille! Metti giù quella cosa<br />
prima di far del male a qualcuno!» Un'altra freccia venne a infiggersi<br />
nel legno e poi un'altra e un'altra ancora. Vidi Vittore correre verso<br />
di me nella penombra della stalla e gli feci segno di fermarsi e di<br />
rimanere dov'era.<br />
«Ullic! Finiscila! Qualcuno finirà col farsi male!» Una sesta<br />
freccia arrivò nel bersaglio e poi ci fu silenzio.<br />
«Ho finito, romano. Vieni fuori e guarda la disposizione.»<br />
Uscii. Non c'era ancora traccia di lui, perciò feci come mi aveva<br />
detto e guardai la disposizione delle frecce nella porta. Erano sei<br />
frecce, perfettamente spaziate e disposte in cerchio. Ed erano grandi.<br />
Grandi come le mie. Ognuna di loro era penetrata completamente<br />
nel legno durissimo.<br />
Gli gridai senza girarmi: «Ullic, un celta testone come te dove<br />
potrebbe trovare un arco così grande e robusto da tirare frecce di<br />
queste dimensioni con tanta forza?».<br />
«Potrebbe farne uno, romano!»<br />
«Solo se riuscisse a combinare tutti i cervelli della sua tribù in un<br />
artigiano tanto intelligente da chiedere aiuto a un romano.»
«Spostati!» Ubbidii e una settima freccia andò a colpire il centro<br />
esatto del cerchio formato dalle altre sei.<br />
«Adesso, arrogante zotico latino, guarda la mia stupenda arma e<br />
meravigliati!»<br />
Sentii i suoi passi avvicinarsi e mi girai per guardarlo in faccia. I<br />
grandi denti splendevano in un sogghigno malizioso e quando fu<br />
abbastanza vicino mi lanciò il suo arco. Lo afferrai con la mano<br />
destra. Era enorme: sei piedi o più di lunghezza, con una corda di<br />
nervo di bue, ma era stato ricavato da un unico pezzo di legno, non<br />
era fatto a strati, come il mio, <strong>che</strong> era di legno, corno e nervo di bue.<br />
Aveva una sezione circolare; al centro, dove lo impugnavo, mi<br />
riempiva il palmo della mano, e diminuiva gradatamente alle<br />
estremità. Lo sollevai e sentii <strong>che</strong> era solido. Lo passai nella sinistra e<br />
provai la tensione. Era forte, forte come il mio.<br />
Ullic si fermò a guardarmi e non si mosse finché non ebbi teso<br />
l'arco lasciandolo poi andare con garbo. Allora allungò una mano<br />
verso la faretra <strong>che</strong> aveva sulla schiena e mi porse una freccia. <strong>La</strong><br />
incoccai, mirai a un bersaglio e lasciai andare. Era una bella arma.<br />
«Allora?» C'era un leggero sorriso sulla sua faccia.<br />
«Niente male.» Tenni la testa bassa esaminando il grande arco,<br />
cercando di non mostrare troppa ammirazione. «Dove lo hai<br />
rubato?»<br />
«Peuh! Un re celta non ha bisogno di rubare. Il suo popolo fa a<br />
gara per portargli dei doni.»<br />
«Chi ha fatto a gara per portarti questo?» Rialzai il capo e gli<br />
rilanciai l'arco, sorridendogli adesso in segno di benvenuto. «Hai già<br />
mangiato?»<br />
«Come avrei potuto? Sono in cammino da tre giorni. Sono<br />
venuto per impressionarti con il mio nuovo giocattolo. Ma potrei<br />
an<strong>che</strong> mangiare, se mi venisse offerta ospitalità. Perfino ospitalità<br />
romana.»
«Questa è romano-britannica. Hai un bell'aspetto, Ullic, le tue<br />
donne ti fanno lavorare sodo.»<br />
<strong>La</strong> sua risata fu enorme e mi avvolse come le sue braccia in una<br />
potente stretta. Mentre ci incamminavamo verso casa, Vittore ci<br />
osservava al sicuro nella sua stalla. Non riusciva proprio a fidarsi di<br />
Ullic e del suo popolo.<br />
«Allora, amico,» dissi camminando, il mio braccio intorno alla<br />
vita di Ullic e il suo intorno alle mie spalle, «parlami di questo arco.<br />
Da dove viene?»<br />
«Dalle mie terre. Da uno dei miei alberi.» Nella sua voce c'era<br />
una riverenza inaudita.<br />
«Che legno è questo?» gli chiesi, guardandolo attentamente.<br />
«Lo chiamiamo tasso. È un sempreverde, basso e fronzuto, <strong>che</strong><br />
cresce lentamente, ma è forte, elastico e perfetto per fare archi.»<br />
«Chi lo ha fatto?»<br />
«Cimric, ovviamente.» Ullic teneva l'arma tesa in avanti,<br />
ammirandone il profilo. «Sono anni <strong>che</strong> tenta di fare un arco come<br />
questo. Ha cercato di fare un duplicato del tuo grande mostro<br />
africano, ma il corno lo ha sconfitto. Ha rinunciato e ha cercato legni<br />
di ogni tipo e alla fine è riuscito a fare questo. Ci ha messo due<br />
anni.»<br />
«Per un arco?»<br />
«Sì, Varro, per un arco, ma Cimric giura <strong>che</strong> sarà il primo di<br />
migliaia di archi. Cimric è molto fiero del suo arco.»<br />
«Ha ben motivo di esserlo. Perché te lo ha dato?»<br />
Ullic mi guardò sorpreso. «Doveva darmelo. Io sono il re.»<br />
«Balle! Sii serio, Ullic. Nel tuo popolo questo non significa<br />
niente. In particolare se si tratta di beni materiali.»<br />
Rise. «Povero Cimric! Ha dovuto darmelo perché dopo averlo<br />
fatto ha scoperto <strong>che</strong> era troppo duro per lui. Io sono il solo <strong>che</strong>
iesce a tenderlo.»<br />
Sogghignai e glielo tolsi di mano, poi lo tesi fino al mio orecchio.<br />
«Non sei il solo, Ullic.»<br />
«Ah!» Fece con la mano un gesto regale, come per sminuire la<br />
mia pretesa di uguaglianza. «Tu non conti. Tu sei uno straniero. Un<br />
dannato romano.»<br />
«È vero.» Gli sorrisi. «E come tale sono una specie di eccezione<br />
alla regola...» Aggrottò la fronte. «Sono contento <strong>che</strong> almeno tu<br />
ammetta <strong>che</strong> siamo un popolo superiore.»<br />
Si slanciò su di me e mi avrebbe buttato a terra se Luceia non<br />
avesse scelto proprio quel momento per accorgersi di noi e lanciare<br />
un saluto. Ullic era un pecorone di fronte a Luceia, <strong>che</strong> lo affascinava<br />
completamente. In un attimo fui dimenticato, mentre lui si cullava<br />
nella luce ami<strong>che</strong>vole di mia moglie, perfettamente consapevole<br />
dell'effetto <strong>che</strong> aveva su di lui. Mentre ci avvicinavamo a casa, mia<br />
figlia Veronica, affezionatissima a Ullic, arrivò correndo a salutarlo.<br />
Quando Ullic aveva saputo della visita inaspettata, era partito<br />
con il suo esercito, pronto ad aiutarci nella lotta per la nostra<br />
esistenza, se ce ne fosse stata necessità. Poi, quando era a metà<br />
strada, aveva saputo <strong>che</strong> eravamo partiti per Londinium, così era<br />
tornato indietro, lasciando delle sentinelle per avvertirlo del nostro<br />
ritorno. Adesso aveva lasciato i suoi uomini accampati sulle colline,<br />
e Britannico mandò loro un carro con un barile di birra. Quando il<br />
carro arrivò a destinazione sentimmo grida di apprezzamento<br />
levarsi dalla collina, ben presto si accesero i falò a illuminare la<br />
notte, e sentimmo le voci celti<strong>che</strong> alzarsi nei loro canti.<br />
<strong>La</strong> nostra serata fu più tranquilla e finì presto per tutti tranne<br />
<strong>che</strong> per me. Invece di andare a letto come gli altri, presi i primi due<br />
volumi del diario di Caio sulla storia della Colonia e mi misi a<br />
leggere.<br />
<strong>La</strong> lettura di quella sera segnò una svolta nella mia vita, perché
quello <strong>che</strong> lessi mi eccitò tanto <strong>che</strong> cominciai a pensare di scrivere<br />
anch'io i miei pensieri. L'apparente facilità con cui Britannico aveva<br />
riversato i propri sulle pagine di quei libri mi fece impressione e<br />
pensai di poter fare anch'io la stessa cosa. Mi sarei accorto nei mesi<br />
seguenti, però, <strong>che</strong> scrivere non era semplice come sembrava.<br />
Migliaia di volte avrei rinunciato per il disgusto, se non fosse stato<br />
per l'incoraggiamento <strong>che</strong> ricevetti da Caio stesso. Lui non mi lascio<br />
smettere di tentare. Mi fece capire <strong>che</strong> il mio sforzo di<br />
concentrazione era meritevole. Mi parlò delle difficoltà <strong>che</strong> aveva<br />
avuto per cominciare in modo adeguato e mi mostrò i suoi primi<br />
tentativi, <strong>che</strong> non erano migliori dei miei. Mi convinse <strong>che</strong> se avessi<br />
continuato a tentare sarei stato un giorno capace di riportare sulla<br />
pergamena quello <strong>che</strong> sentivo. E il tempo provò <strong>che</strong> aveva ragione.<br />
Ma quei primi mesi di lavoro furono tra i più duri <strong>che</strong> avessi mai<br />
dedicato a imparare qualcosa, gl'inizio mi sembrava <strong>che</strong> non sarei<br />
mai riuscito a fare niente per bene, fino al giorno in cui scrissi un<br />
brano e scoprii, con assoluta sorpresa, <strong>che</strong> avevo detto quasi tutto<br />
quello <strong>che</strong> volevo dire. Quello fu il vero inizio. Tutto ciò <strong>che</strong> l'aveva<br />
preceduto era stato solo esercizio.<br />
Era tardi, quella prima notte di lettura e di scoperte, quando<br />
andai a letto, e la mia mente ribolliva per l'eccitazione. Più tardi<br />
dovetti alzarmi a vuotare la vescica, e fui contento di ritornare a letto<br />
a fianco della serica morbidezza di mia moglie.
XVIII<br />
Il giorno successivo non iniziò sotto buoni auspici. Mi svegliai<br />
prima dell'alba al rumore di una pioggia torrenziale e decisi di<br />
iniziare la giornata con un bagno caldo e un massaggio, solo per<br />
scoprire <strong>che</strong>, per la prima volta a memoria d'uomo, la fornace <strong>che</strong><br />
alimentava gli ipocausti, il sistema di riscaldamento centrale, si era<br />
rotta. Optai per un bagno freddo e un forte massaggio, traendo ben<br />
poco conforto dal sapere <strong>che</strong> un intero esercito di operai era già al<br />
lavoro per scoprire l'origine del guasto.<br />
Avevo intenzione di andare al forte nel corso della mattinata per<br />
controllare lo stato dei lavori, ma attraversare il cortile per andare ai<br />
bagni sotto un incredibile diluvio bastò a convincermi <strong>che</strong> un uomo<br />
saggio avrebbe cercato qualcosa da fare in casa. Ma an<strong>che</strong> la casa era<br />
fredda, a causa della fornace guasta o delle tubature rotte o di<br />
qualunque altra cosa fosse all'origine del problema, perciò mi<br />
avvolsi nel mantello e mi diressi verso la fucina e il suo accogliente<br />
calore.<br />
Quando arrivai pensai <strong>che</strong> Equo fosse lì da più di un'ora, visto<br />
<strong>che</strong> fuori era ormai pieno giorno e, lui aveva ancora le lampade<br />
accese. Mentre appendevo il mantello inzuppato sopra alla forgia<br />
per asciugarlo, alzò la testa dal suo lavoro.<br />
«Piove fuori?»<br />
Dapprima pensai <strong>che</strong> stesse s<strong>che</strong>rzando, ma mi accorsi subito<br />
<strong>che</strong> non era realmente interessato alla risposta, qualunque essa<br />
fosse.<br />
«Piove?! Da quanto tempo sei qui?»<br />
Era concentrato su qualcosa appoggiato sul bancone di fronte a<br />
lui e parlò in tono distratto, volgendomi le spalle e tenendo gli occhi<br />
sul lavoro. «Da tutta la notte, direi. Volevo finire la tua lancia.»
Completò qualcosa, diede un colpo con il martello e si rialzò,<br />
guardando per la prima volta la luce del giorno. «Sembra <strong>che</strong> ci sia<br />
una mattina puttana, là fuori.»<br />
Mi passai le dita tra i capelli, scuotendoli poi per asciugarli.<br />
«Non è un tempo piacevole, Equo, ma perché puttana?»<br />
Guardò di nuovo quello <strong>che</strong> stava facendo. «Umida, e<br />
disponibile per chiunque ci voglia entrare, ma fondamentalmente<br />
fredda, sgradevole e <strong>che</strong> la fa pagare a tutti.»<br />
Gli restituii il sorriso. «Filosofeggi di primo mattino? Deve<br />
essere stata una notte dura. Qual è il problema?»<br />
Si raddrizzò. «Ah, non so.» Aveva un'aria disgustata. «Non sono<br />
contento di come è venuta questa lancia.»<br />
«Perché no? Cos'ha di sbagliato?»<br />
«Che sia dannato se lo so! Ma ha qualcosa <strong>che</strong> non va.»<br />
«Dov'è? Fammi dare un'occhiata.»<br />
«<strong>La</strong>ggiù.» Indicò il retro. «Contro il muro in fondo.»<br />
<strong>La</strong> vidi da dove mi trovavo. «Da qui non sembra male, ha un<br />
aspetto un po' strano, ma è quello <strong>che</strong> mi aspettavo.»<br />
Andai a impugnare la nuova arma. Era pesante e funzionale. <strong>La</strong><br />
lama era lunga tre piedi e aveva il doppio filo, partendo dalla punta<br />
si svasava per la lunghezza di sei pollici fino a raggiungere una<br />
larghezza di due pollici e poi gradualmente fino a circa quattro<br />
pollici e mezzo alla base. Il filo della lama su entrambi i lati era<br />
tremendamente affilato. Lo spessore della spina centrale era più di<br />
mezzo pollice. Equo aveva lasciato il codolo per l'intera lunghezza<br />
dell'asta e ci aveva legato intorno delle strisce di legno con il filo di<br />
ferro, formando un'impugnatura compatta, lunga circa tre piedi e<br />
del diametro di circa due pollici e mezzo. Era un'arma pesante, ma<br />
non goffa.<br />
«Cosa c'è di sbagliato?» gli chiesi voltandogli le spalle. «Cos'ha
<strong>che</strong> non ti piace?»<br />
Equo scosse la testa bruscamente come per troncare<br />
l’argomento. «Te l'ho detto. Non lo so. Mi sono seduto sul cavalletto<br />
là fuori e mi sono esercitato per un po'. C'è qualcosa <strong>che</strong> non va, ma<br />
<strong>che</strong> sia dannato se riesco a capire il difetto.»<br />
«Pensi <strong>che</strong> sia troppo pesante?» L'alzai sulla spalla destra di<br />
scatto, per controllarne il peso.<br />
«No, non per il lavoro <strong>che</strong> deve fare.»<br />
«Bene, allora l'equilibratura? Non ti soddisfa?» Afferrai l'asta<br />
con entrambe le mani, reggendola a braccia tese.<br />
«Credo di sì. Sì, dannazione, mi soddisfa. È ben bilanciata da<br />
lanciare e per trafiggere. E taglia an<strong>che</strong>...» <strong>La</strong> sua voce rifletteva la<br />
frustrazione <strong>che</strong> stava provando. «È solo <strong>che</strong>... non la sento a posto,<br />
Publio. An<strong>che</strong> se fa quello <strong>che</strong> dovrebbe, non la sento a posto. Ha<br />
senso per te quello <strong>che</strong> dico?»<br />
«No, amico.» Grugnì seccato. «Bene, cosa vuoi <strong>che</strong> ti dica? Non<br />
so <strong>che</strong> cosa sembra giusto a te. A me sembra <strong>che</strong> vada bene, ma non<br />
sono stato io a disegnarla e a farla.»<br />
Sospirò e si girò di nuovo verso un pezzo di ferro <strong>che</strong> aveva<br />
lasciato scaldare nei carboni.<br />
Lo guardai appoggiarlo sull'incudine e martellarlo, facendo<br />
volare scintille a ogni colpo. Al quarto colpo si fermò, abbassò le<br />
spalle pensieroso, poi si girò verso di me, con il martello <strong>che</strong> gli<br />
penzolava dall'enorme mano.<br />
«Penso <strong>che</strong> quello <strong>che</strong> mi sta sul gozzo è <strong>che</strong> quella roba non è<br />
né carne, né pesce. È una lancia, ma deve essere usata come una<br />
spada.»<br />
«Ma è una nuova arma, Equo. Avrà delle regole sue. È<br />
differente.»<br />
«Sì, suppongo di sì... Beh, spero <strong>che</strong> ti vada bene. Non devo
usarla io.»<br />
Era molto scoraggiato; misi giù la nuova arma, mi diressi verso<br />
di lui e gli misi una mano sulla spalla.<br />
«Ti ci abituerai, vecchio mio. Una volta <strong>che</strong> avrai visto come<br />
funziona in mano agli altri, ne sarai fiero.»<br />
Fece un grugnito. «Ne dubito.»<br />
«Beh, io no. Britannico mi ha affidato la responsabilità di<br />
produrre una nuova arma per la nuova tattica. Io l'ho passata a te.<br />
Ed ecco l'arma.»<br />
«No, Publio, non lo è.» Era enfatico, veemente. «Io non sono<br />
intelligente come te e il generale e non so usare bene le parole. Ma so<br />
dentro di me <strong>che</strong> quella cosa non è la risposta. Forse andrà bene per<br />
ora, ma non è quella giusta.»<br />
Presi di nuovo l'arma, la soppesai e ne provai il filo con il pollice.<br />
«Bene, Equo, lo vedremo. Oggi è troppo bagnato per fare qual<strong>che</strong><br />
prova. Se il tempo si asciuga domani vedremo come si muove tra le<br />
mani di un uomo a cavallo.»<br />
Equo sottolineò la mia frase con un colpo risonante del martello<br />
sul ferro, lanciò un'imprecazione e buttò di nuovo tra i carboni il<br />
metallo ormai freddo; proprio in quel momento Caio entrò nella<br />
fucina, con il mantello militare drappeggiato intorno al corpo.<br />
«Ah, Publio, Equo! Speravo proprio di trovarvi entrambi! È il<br />
solo posto in cui si può sperare di sfuggire al gelo oggi. Cos'hai lì,<br />
Publio?»<br />
Gliela porsi. «<strong>La</strong> nuova arma per la cavalleria. Equo l'ha finita<br />
stanotte.»<br />
«Eccellente! Bene, fammi dare un'occhiata.» Allungò una mano<br />
per prendere l'arma, ma io la tenni stretta.<br />
«Te la do se prima ti togli quel mantello bagnato. Non hai<br />
bisogno di una polmonite alla tua età, Caio.»
«Mmm» grugnì. «Sei peggio di tua moglie.» Si tolse il mantello<br />
bagnato e io gli porsi la lancia, appendendo poi l'indumento vicino<br />
al fuoco insieme al mio, <strong>che</strong> stava già fumando, aggiungendo agli<br />
odori della forgia l'odore della lana umida. Quando mi rigirai stava<br />
fintando con la cosa, la teneva sulla spalla come se fosse un<br />
giavellotto, ne provava il peso e l'equilibrio. Equo lo fissava e<br />
chiaramente tentava di indovinare i suoi pensieri.<br />
«Buono. Mmm, sì. Questo è buono, Varro. Ben fatto, Equo.<br />
Penso <strong>che</strong> sia quello <strong>che</strong> stavamo cercando.»<br />
«Davvero lo credi, generale? Io no.» Equo dava il meglio di sé<br />
nello sconcertarci.<br />
«Come? Cosa vuoi dire?» Caio era stupefatto.<br />
«Equo non è soddisfatto. È un suo progetto e pensa <strong>che</strong> avrebbe<br />
potuto fare di meglio.»<br />
Caio diede un colpetto col dito contro il filo della lama, come se<br />
avesse scoperto una falla. «Beh,» disse poi, senza guardare nessuno,<br />
«forse avrebbe potuto, se lo crede con tanta fermezza. Forse potresti<br />
davvero fare di meglio, Equo, ma non lo sapremo finché non avrai<br />
provato, non pensi?» Stava guardando attentamente la lama. «Sì,<br />
davvero, questa è proprio eccellente. Darà ai nostri uomini qualcosa<br />
da padroneggiare, qualcosa di cui essere orgogliosi, qualcosa <strong>che</strong> li<br />
renda diversi. No, è molto bella. Posso portarmela via?»<br />
«Sì, se vuoi» disse Equo. «Ma bada di tenerla asciutta, però. Non<br />
voglio <strong>che</strong> si arrugginisca prima di venire usata.»<br />
«Non preoccuparti, ne avrò cura. Nel frattempo ti prego di non<br />
permettere al mio entusiasmo di interferire con i tuoi tentativi di<br />
migliorarla.»<br />
Equo tirò su col naso rumorosamente e tornò al suo lavoro con<br />
aria definitiva.<br />
«Publio,» Caio si girò verso di me, sorridendo del malumore di<br />
Equo, «Ullic ti stava cercando, ti ha trovato?»
«No. Non ancora, in ogni caso.»<br />
«Beh, se è importante verrà a cercarti qui, immagino. Ormai sa<br />
bene dove trovarti. Luceia mi ha chiesto di informarti <strong>che</strong> an<strong>che</strong> lei<br />
vorrebbe un po' del tuo tempo oggi. Sta preparando un pranzo<br />
speciale per voi a mezzogiorno, e lo consumerete nella stanza di<br />
famiglia. Se fossi in te, farei in modo di non dimenticarlo.»<br />
«Nella stanza di famiglia? A mezzogiorno? Cosa sta succedendo,<br />
Caio?»<br />
Caio scosse la testa, con un'espressione di sincera innocenza.<br />
«Beh, certamente c'è qualcosa in ballo. Qualcosa sta accadendo e<br />
suppongo <strong>che</strong> lo scoprirò quando sarà il momento <strong>che</strong> lo sappia<br />
anch'io.»<br />
«Puoi scommetterci, amico. <strong>La</strong> stanza di famiglia viene usata<br />
soltanto per la corte marziale domestica e per gli eventi importanti.<br />
Se vedi mia moglie tra adesso e mezzogiorno ti prego di informarla<br />
<strong>che</strong> ci sarò.»<br />
<strong>La</strong> stanza di famiglia di Luceia era il suo sancta sanctorum.<br />
Si trattava di un grande salone arredato con comode seggiole e<br />
divani ed era il solo locale dell'intera casa il cui ingresso era limitato<br />
a pochi privilegiati. Quando ci trovavamo lì in famiglia - e<br />
ovviamente Caio era un membro della famiglia - nessuno, né un<br />
servo, né un visitatore, era autorizzato a entrare o a disturbarci.<br />
Le altre stanze erano più o meno pubbli<strong>che</strong>, con l'eccezione delle<br />
camere da letto, ma solo gli amici stretti, intimi, erano ammessi nella<br />
stanza di famiglia. Luceia faceva lei stessa tutte le pulizie e la<br />
manutenzione del locale, <strong>che</strong> era unicamente suo, in un modo <strong>che</strong> lo<br />
rendeva differente da tutti gli altri locali non solo della casa, ma, ne<br />
ero certo, dell'intera Britannia. Di tutte le persone <strong>che</strong> conoscevamo,<br />
solo Ullic pendragon aveva la prerogativa di essere ogni tanto<br />
ammesso nella stanza di famiglia.<br />
<strong>La</strong> pioggia cessò circa un'ora prima di mezzogiorno, ma le
nuvole non mostravano alcuna intenzione di aprirsi, perciò lavorai<br />
nella forgia fino all'ora di avviarmi al misterioso pranzo speciale.<br />
«Stai attento» borbottò Equo mentre mi avvolgevo nel mantello. «Le<br />
convocazioni da parte delle donne, delle mogli in particolare,<br />
possono essere pericolose. Stai per essere coinvolto in qualcosa.<br />
Spero solo <strong>che</strong> potrai conviverci.»<br />
Gli risposi con una risata e mi diressi verso casa, chiedendomi<br />
pigramente di <strong>che</strong> cosa si trattasse. Non ero davvero preoccupato.<br />
Luceia era di ottimo umore la sera prima, e an<strong>che</strong> al mattino,<br />
benché senza riscaldamento, era allegra. Ero diventato un esperto<br />
nell'avvertire l'insoddisfazione an<strong>che</strong> lieve nei suoi primissimi stadi,<br />
ed ero certo <strong>che</strong> non ci fossero nuvole scure al mio personale<br />
orizzonte.<br />
<strong>La</strong> prima cosa <strong>che</strong> notai entrando in casa fu <strong>che</strong> il riscaldamento<br />
centrale funzionava di nuovo. C'era un notevole miglioramento<br />
rispetto alla temperatura <strong>che</strong> mi ero lasciato alle spalle nella prima<br />
mattinata, quando ero scappato alla forgia. Luceia mi venne<br />
incontro sulla porta con un bacio, un abbraccio e un sorriso, poi mi<br />
prese per il braccio e mi condusse nella stanza di famiglia e io,<br />
malgrado la convinzione <strong>che</strong> niente fosse fuori posto, fui ben felice<br />
di lasciarglielo fare, e sollevato per la cordiale accoglienza.<br />
<strong>La</strong> stanza era luminosa e allegra come sempre. Un fuoco<br />
bruciava nel camino e una calda luce entrava nella stanza dai vetri<br />
trasparenti delle finestre, una delle maggiori stravaganze di Luceia,<br />
fatti apposta e consegnati dalla Gallia per un prezzo oltraggioso. Un<br />
tavolino era stato spostato di fronte al fuoco e c'erano frutta fresca,<br />
pane, formaggio e vino disposti intorno a una pentola di terracotta<br />
con il coperchio.<br />
Nei suoi viaggi di giovane donna ricca Luceia aveva raccolto un<br />
certo numero di ricette esoti<strong>che</strong>. Amava cucinare come io amavo<br />
lavorare il ferro. Aveva fatto per me una volta, prima <strong>che</strong> ci<br />
sposassimo, uno di quei piatti speciali, <strong>che</strong> era diventato un piatto
ituale di gioia, e <strong>che</strong> compariva solo nelle occasioni speciali e<br />
importanti. Sapevo <strong>che</strong> nella pentola c'era quel piatto.<br />
Non avevo idea di <strong>che</strong> cosa rendesse quel pranzo un'occasione<br />
speciale o importante, ma ero pronto ad accettarlo con fiducia,<br />
perché l'aroma del fagiano e dei petti di pollo cotti lentamente nel<br />
vino con erbe, cipolline e funghi mi fece venire l'acquolina in bocca<br />
appena entrai nella stanza. Oltrepassai la soglia, mi fermai e mi<br />
guardai intorno, notando vasi di fiori su ogni tavolo, il leggero<br />
aroma di un incenso orientale proveniente da Costantinopoli e Ullic,<br />
<strong>che</strong> torreggiava in piedi alla mia destra.<br />
«Luceia? Che cosa stai macchinando?» Il mio sguardo passò da<br />
lei a Ullic e poi di nuovo a lei. «Cosa sta succedendo qui?»<br />
I suoi occhi luccicavano quando mi sorrise, piena di amore e<br />
malizia. «Succedendo? Non sta succedendo niente, amore. Ullic ha<br />
fatto tanta strada dalle montagne per darti il bentornato, ed è<br />
passato tanto tempo dall'ultima volta <strong>che</strong> ci siamo visti, <strong>che</strong> mi è<br />
sembrata una vergogna non celebrare in qual<strong>che</strong> modo la sua visita.<br />
Lo vediamo troppo raramente.»<br />
«Raramente?» ringhiai. «Due o tre volte l'anno è fin troppo<br />
spesso perché un ignorante selvaggio sbirci dentro una casa civile.<br />
Diventerà insoddisfatto della sua rozza capanna. E si farà delle idee<br />
sbagliate, e penserà di potersi mescolare alla gente civile quando<br />
vuole.»<br />
Luceia mi diede un pugno s<strong>che</strong>rzoso su una spalla. «Avanti,<br />
comportati per bene e piantala di ringhiare come un orso di cattivo<br />
carattere. Ho visto la pioggia stamattina e sapevo <strong>che</strong> saresti rimasto<br />
vicino a casa, così ho deciso di rallegrare la tua giornata. E an<strong>che</strong> la<br />
nostra.»<br />
<strong>La</strong> baciai, stringendola alla vita. «Era ora. Giuro <strong>che</strong> ormai<br />
vengo nutrito decentemente solo quando questo grosso zoticone<br />
celtico passa di qui.»
Luceia scosse la testa e si diresse verso la tavola, muovendosi<br />
come una ragazzina, malgrado fosse ormai una matrona <strong>che</strong> aveva<br />
messo al mondo cinque figlie.<br />
Ullic non aveva risposto alle mie provocazioni, fatto più <strong>che</strong><br />
inconsueto.<br />
Lo guardai con più attenzione. «Cosa ti succede?» Fece un<br />
sorriso idiota e si strinse nelle ampie spalle, senza dire niente. Un<br />
sorriso idiota era la sua espressione normale quando c'era Luceia<br />
nelle vicinanze, ma quel silenzio era strano. Continuai.<br />
«Ti senti male, re? Non ti ho mai visto così tranquillo e bene<br />
educato». Di nuovo nessuna risposta. Mi girai verso Luceia. «Dove<br />
sono le bambine?»<br />
«Mangiano in cucina, oggi. Ho deciso <strong>che</strong> erano troppo<br />
rumorose questa mattina, così le ho buttate fuori.»<br />
«Bene. Saranno contente.»<br />
«Sì, di sicuro. A volte mi chiedo se vogliono più bene a Gallo e<br />
alla servitù o a noi.»<br />
«Quando si tratta di mangiare, certamente alla servitù, cara.<br />
Quando mangiano in cucina vengono coccolate e viziate e tutti si<br />
occupano di loro. Noi le sgridiamo continuamente quando<br />
mangiano con noi.»<br />
«Venite a sedervi, tutti e due.»<br />
Il cibo era eccellente e il vino, un leggero nettare dorato dei<br />
Burgundi, si sposava perfettamente con le pietanze. Ullic ritrovò la<br />
lingua dopo <strong>che</strong> ci fummo messi a tavola e per tutta la durata del<br />
pasto chiacchierammo piacevolmente. Terminai mangiando l'ultimo<br />
pezzo del formaggio di capra e del pane appena sfornato, poi mi<br />
allontanai dal tavolo.<br />
«Molto bene, amici... Luceia, questo è stato un pranzo ottimo,<br />
magnifico. Tanto più <strong>che</strong> era inaspettato. Sono ben nutrito,
ammansito dal vino e riscaldato dalla luce, dal fuoco e dai fiori e dal<br />
profumo dell'incenso. Allora, <strong>che</strong> cosa avete in serbo per me voi<br />
due?»<br />
Ullic divenne subito apprensivo, come un ladruncolo colto sul<br />
fatto, e lanciò uno sguardo spaurito a Luceia.<br />
«Niente di grave, amore» disse. «Ullic voleva parlarti, ma era<br />
incerto su come avvicinarti. Voi due vi parlate sempre in un modo<br />
così maleducato <strong>che</strong> temeva <strong>che</strong> non lo prendessi abbastanza sul<br />
serio, e così ha chiesto il mio parere.»<br />
«E tu hai ideato questo piano per ammorbidirmi! Deve essere un<br />
grosso favore quello <strong>che</strong> hai da chiedere, Pendragon!»<br />
«Vedi cosa voglio dire?» Il tono di Luceia era tagliente. «Hai già<br />
dimostrato <strong>che</strong> aveva ragione. Ullic non ha da chiederti nessun<br />
favore e non ha bisogno del tuo sarcasmo.»<br />
«Sei ingiusta, moglie. Non c'era nessun sarcasmo!»<br />
«Mi sembrava.»<br />
Alzai le mani, con i palmi in fuori in segno di resa. «Perdonami<br />
allora, Ullic. Ti chiedo perdono. Sono impressionato, davvero, per il<br />
modo in cui avete affrontato la faccenda, an<strong>che</strong> se non ho idea di <strong>che</strong><br />
cosa sia. Ma confesso <strong>che</strong> mi offende sapere <strong>che</strong> dopo tutto questo<br />
tempo pensi <strong>che</strong> sarei stato insensibile a qualunque cosa tu mi avessi<br />
chiesto o detto, visto <strong>che</strong> evidentemente significa tanto per te.»<br />
Ullic si schiarì la voce. «Non devi sentirti offeso, Publio.» Questo<br />
mi sconvolse. Non mi chiamava mai Publio! «Capirai tra un attimo<br />
perché ho dovuto procedere in questo modo, quando sentirai quello<br />
<strong>che</strong> ho da dirti.»<br />
Attesi. Era evidente <strong>che</strong> stava meditando. Luceia aveva uno<br />
strano sorrisetto sulle labbra.<br />
«Riguarda la tua figlia maggiore.»<br />
«Mia figlia? Veronica?» Ero perplesso. «Cosa devi dirmi lei?»
«Desidero <strong>che</strong> vada in sposa a mio figlio Uric.»<br />
«Cosa?» Ero stupefatto.<br />
«Desidero <strong>che</strong> mio figlio Uric sposi tua figlia Veronica.» Ascoltai<br />
quella frase per la seconda volta, ma non riuscivo a credere alle mie<br />
orecchie. «Veronica?» dissi. «Ma è solo una bambina! Una neonata!»<br />
Ci fu un totale silenzio. Ullic rimaneva seduto a disagio, Con gli<br />
occhi abbassati sulle mani, strette sul tavolo davanti a lui. Veronica?<br />
<strong>La</strong> piccola Gazza? Era impensabile!<br />
Mi concentrai su quell'aspetto oltraggioso e lo espressi a parole,<br />
notando il tono aspro della mia voce. «È assolutamente impensabile!<br />
Non se ne parla!» Non appena ebbi detto così, ovviamente, mi resi<br />
conto <strong>che</strong> ero stato troppo impulsivo, perché sapevo <strong>che</strong> un giorno<br />
avrebbe pur dovuto sposarsi. «Ci sarà tempo a sufficienza negli anni<br />
a venire per parlare di matrimonio, quando la bambina sarà<br />
cresciuta.»<br />
Luceia parlò con un tono di leggero rimprovero. «Publio, questo<br />
non è giusto. Non hai occhi? <strong>La</strong> bambina è quasi cresciuta.»<br />
Mi girai a guardarla. «Non interferire, donna. Non sono certo<br />
affari tuoi.»<br />
Luceia trasalì come se l'avessi schiaffeggiata, e in un certo senso<br />
l'avevo fatto. Quando parlò di nuovo c'era nella sua voce un tono<br />
implacabile <strong>che</strong> non avevo mai sentito prima.<br />
«Mi dispiace, marito, ma questi sono affari miei. Veronica è<br />
an<strong>che</strong> mia figlia e l'amo non meno di te. Le tue reazioni nei confronti<br />
miei e di Ullic sono emozionali e sconsiderate.» Tentai di<br />
interromperla, ma me lo impedì. «<strong>La</strong>sciami finire!»<br />
Mi calmai e Luceia continuò. «Veronica ha dodici anni e<br />
fisicamente è già donna. Ullic è il nostro miglior amico fuori dalla<br />
famiglia. Non sta proponendo di mandare via nostra figlia oggi<br />
stesso, prima di cena. <strong>La</strong> sua intenzione è solo quella di combinare<br />
un matrimonio, <strong>che</strong> non avrà luogo fino a quando la bambina non
sarà del tutto cresciuta e pronta a essere una moglie.»<br />
Ero quasi placato, ma non del tutto. Il senso di colpa per la mia<br />
reazione brusca mi faceva sentire scorbutico, an<strong>che</strong> davanti a me<br />
stesso. «E allora perché tutti questi misteri?»<br />
«Quali misteri? Ullic era solo preoccupato <strong>che</strong> tu potessi reagire<br />
esattamente come hai reagito. Sa quanto è grande il tuo amore per<br />
Veronica. Veronica è il tuo sole, la tua luna e le tue stelle.»<br />
Fui costretto a sorridere, e la scontrosità si dileguò. «No, moglie»<br />
dissi. «Tu sei la mia luna e le mie stelle.»<br />
«Beh, comunque il povero Ullic è venuto da me, sperando <strong>che</strong> lo<br />
aiutassi a smussare la tua collera. Guarda quel poveretto. È il nostro<br />
più caro amico, è nostro ospite ed è un re ed è stato umiliato alla tua<br />
tavola.»<br />
Mi girai verso Ullic, mentre il senso di colpa fluiva in me come<br />
sangue, ormai, e si colorava di vergogna.<br />
Mi chinai verso di lui e gli strinsi il polso sinistro. «Ullic, amico,<br />
perdonami. <strong>La</strong> mia reazione è stata eccessiva. Adesso me ne rendo<br />
conto. Ma mi hai colpito in un punto delicato. Una volta abbiamo<br />
quasi perso Veronica... È molto preziosa per me. Ai miei occhi sarà<br />
sempre una bambina piccola... la mia piccola bambina. Il pensiero di<br />
perderla, sia pure per un buon marito, mi ripugna, an<strong>che</strong> se, in<br />
fondo, so di essere sciocco. Sta crescendo. L'ho notato e mi è<br />
dispiaciuto. <strong>La</strong> tua proposta è giunta all'improvviso. Mi ha fatto<br />
male. Ho reagito con violenza. Perdonami.»<br />
Ullic scrollò le spalle, e si aprì in un sorriso. «Publio, siamo<br />
amici. Non c'è nient'altro al mondo <strong>che</strong> avrei esitato a chiederti. Ma<br />
so <strong>che</strong> tesoro sia Veronica per te e sapevo <strong>che</strong> sarebbe stato<br />
importante il modo di chiedertelo, perciò ho avvicinato prima tua<br />
moglie. E ho avuto ragione, vero? E ce l'aveva an<strong>che</strong> lei.»<br />
Presi un pezzo di pane e ne staccai un pezzetto, stringendolo tra<br />
il pollice e l'indice, e vedendo nella mente l'innocente, amorosa e
sorridente faccia di mia figlia. «Allora,» dissi, parlami di questo tuo<br />
figlio <strong>che</strong> vuoi far sposare alla mia Veronica.»<br />
«Lo hai incontrato quando mi hai fatto visita la penultima volta,<br />
due anni fa. Allora aveva l'età <strong>che</strong> ha adesso Veronica.»<br />
«Quindi quanti anni ha? Quindici?»<br />
«Quasi. Non ha ancora compiuto quindici anni.»<br />
«E quando vorresti vederli sposati?»<br />
«Per il suo diciottesimo compleanno.» Andava già meglio.<br />
Veronica sarebbe stata una donna allora. Quindici anni, quasi sedici.<br />
«E perché Veronica?»<br />
«Perché Veronica? Dici sul serio?» II suo sorriso era schietto e<br />
ampio adesso. «Perché è la figlia di sua madre! Ovviamente è an<strong>che</strong><br />
figlia tua, an<strong>che</strong> se questa è una sfortuna con cui dovrà imparare a<br />
convivere. So <strong>che</strong> mio figlio non potrebbe trovare di meglio.»<br />
«Ma è una romana.»<br />
Il suo sorriso era tutto denti, ormai, e strizzate d'occhi. «No, non<br />
lo è. È una britanna, Publio. Non ricordi? I Britanni sono rinati a<br />
Stonehenge la notte in cui ci siamo conosciuti.»<br />
«Dunque tu pensi <strong>che</strong> un'unione celtico-britannica sia una<br />
buona cosa?»<br />
Il suo sorriso svanì all'istante, per essere sostituito da<br />
un'espressione senza più traccia di spensieratezza.<br />
«Sì, amico, lo penso. Farebbe bene ai due giovani e farebbe bene<br />
a noi. Siamo entrambi re, Publio, ognuno a suo modo, perché tu sei<br />
l'erede di Britannico, il suo erede spirituale, se preferisci, malgrado il<br />
ritorno di Pico e malgrado le tue paure romane nei confronti della<br />
monarchia. Perché ti giuro <strong>che</strong> non ho mai visto nessuno più regale<br />
di te e di lui.»<br />
«Mi lusinghi, Ullic.» Ero compiaciuto. «Questo non me lo sarei<br />
aspettato da te.»
«Io non lusingo proprio nessuno, amico. È la verità. Nient'altro<br />
<strong>che</strong> la verità.»<br />
Per un po' restammo in silenzio, assorti ognuno nei propri<br />
pensieri. Fu Luceia a rompere il silenzio, posando gentilmente la sua<br />
mano sulla mia, per chiedermi: «Amore, siamo d'accordo? Sembri<br />
favorevole all'unione, ma non l'hai ancora detto.»<br />
Li guardai entrambi. «C'è ancora del vino?»<br />
«In abbondanza.»<br />
«Allora riempici le coppe per sigillare l'accordo, donna, Se<br />
dobbiamo mescolare il nostro sangue con i Celti, possiamo an<strong>che</strong><br />
ubriacarci.»<br />
Ullic gettò indietro la testa e scoppiò in una gran risata di<br />
sollievo e poi saltò in piedi e ci abbracciò entrambi; infine facemmo<br />
un brindisi alla salute dei nostri figli, i cui figli avrebbero unito i<br />
nostri due popoli molto dopo la nostra scomparsa.
XIX.<br />
Durante i due anni della campagna di Stilicone in Britannia<br />
avemmo la fortuna di vedere spesso Pico, nonostante la frequenza e<br />
la violenza dei combattimenti. Fu lui a dirci <strong>che</strong> il problema<br />
maggiore delle forze di Stilicone era lo spiegamento, poiché i<br />
Sassoni venivano dal mare ed erano indisciplinati, e dietro alle loro<br />
incursioni non c'era un piano generale. Pico sosteneva <strong>che</strong> per quel<br />
motivo era inesatto parlare di invasione: quegli attacchi, per<br />
significativi e consistenti <strong>che</strong> fossero, mancavano di strategia e di un<br />
capo riconosciuto, e consistevano dunque solo di un massiccio<br />
numero di Sassoni, scoti Iberni, Pitti della Caledonia e Franchi della<br />
Gallia meridionale, <strong>che</strong> colpivano senza preavviso ovunque<br />
approdavano, così <strong>che</strong> l'esercito di Stilicone era costretto a<br />
rispondere senza mai poter prendere l'iniziativa. Era una nuova<br />
forma di guerra; non si arrivava mai al confronto militare, allo<br />
scontro diretto e alla disfatta di un nemico statico in una<br />
determinata battaglia.<br />
Nel corso di quei due anni l'arma maggiore di Stilicone, il suo<br />
vantaggio supremo, fu la nuova cavalleria pesante. Fu ben presto<br />
evidente, nel corso della campagna, <strong>che</strong> la velocità e la<br />
manovrabilità di tali truppe esigevano <strong>che</strong> venissero aumentate e<br />
incoraggiate, e Stilicone era un comandante intelligente <strong>che</strong> sapeva<br />
ricavare il massimo da ogni vantaggio disponibile. In pochi mesi<br />
carichi di carne equina di prima scelta, i cavalli più belli <strong>che</strong> l'Europa<br />
potesse fornire cominciarono ad arrivare regolarmente ai forti lungo<br />
la costa sassone meridionale.<br />
Il giovane Quinto Flavio, amico intimo di Pico, fu promosso<br />
generale e gli fu affidata la responsabilità di sovrintendere agli<br />
allevamenti dell'esercito in Britannia. Non era una coincidenza <strong>che</strong><br />
ogni volta <strong>che</strong> uno dei due faceva visita alla Colonia montasse uno
splendido stallone, e il nostro allevamento migliorava a ogni figliata.<br />
Nel tardo autunno del 398, Pico arrivò una notte accompagnato<br />
solo da una piccola scorta armata. Si occupò dell'acquartieramento<br />
dei cavalli e degli uomini, e poi prese in disparte suo padre e me<br />
nello studio di Caio. Era evidente <strong>che</strong> c'era nell'aria qualcosa di<br />
importante, ma non avevamo idea di <strong>che</strong> cosa fosse né di quali<br />
conseguenze avrebbe avuto su di noi.<br />
Pico rispose alle nostre domande non appena Gallo ci ebbe<br />
portato vino e biscotti al miele ed ebbe acceso il fuoco nel grande<br />
braciere, <strong>che</strong> ora fiammeggiava rumorosamente. Quando la porta si<br />
chiuse dietro l'anziano servitore, Pico aprì il suo tascapane e ne<br />
trasse una pergamena arrotolata, <strong>che</strong> porse a suo padre. Il sigillo<br />
imperiale era abbagliante in tutto il suo significato.<br />
«Leggi ad alta voce, padre.»<br />
Caio ruppe il sigillo e scorse rapidamente la pergamena, poi si<br />
schiarì la voce e cominciò a leggere ad alta voce.<br />
«A Caio Britannico, proconsole di Roma, da Flavio Stilicone,<br />
comandante in capo degli eserciti imperiali.<br />
In nome di Sua Maestà Imperiale Onorio, imperatore di Roma, è<br />
venuto il momento <strong>che</strong> ti ricordi i termini dell'incarico affidatoti di<br />
mia mano l'anno del mio arrivo in Britannia.<br />
Ora, nel secondo anno della nostra campagna, le nostre armate<br />
hanno respinto la marea dell'invasione e ristabilito la supremazia<br />
degli eserciti romani nella provincia. Ricevo da Sua Altezza<br />
l'Imperatore l'ordine di ritirare le mie legioni per occuparmi dei suoi<br />
affari altrove nell'Impero; la partenza sarà immediata, non appena<br />
avrò provveduto ai preparativi militari in modo soddisfacente.<br />
Il legato Pico Britannico rimarrà in Britannia, come mio<br />
rappresentante, fino a quando l'Impero non avrà bisogno di lui<br />
altrove o fino a quando non avrà stabilito un comando di cavalleria
in Britannia secondo il suo volere, e si senta fiducioso di poter<br />
delegare la sua autorità a un subordinato, e libero, in coscienza, di<br />
ritornare al mio comando.<br />
Accludo a questa lettera, <strong>che</strong> deve esserti consegnata dal legato<br />
Pico Britannico, un certificato di autorizzazione plenaria <strong>che</strong> ti<br />
conferma nel rango di Legatus Emeritus delle Truppe Irregolari della<br />
Britannia sudoccidentale, in nome di Onorio, imperatore<br />
d'Occidente. In questa posizione userai tutte le forze <strong>che</strong> ti<br />
ubbidiscono per difendere i territori delimitati sulla carta firmata di<br />
mio pugno e sigillata con il sigillo di Onorio.<br />
Stilicone, comandante in capo.<br />
In nome di: Onorio, imperatore.»<br />
Quando Caio ebbe finito di leggere, rimanemmo tutti e due a<br />
fissare Pico.<br />
«Allora,» disse Caio, «cosa significa in realtà? A parte quello <strong>che</strong><br />
risulta ovvio. Stilicone parte e tu rimani, per il prossimo futuro. Per<br />
quanto tempo resterai in Britannia?»<br />
Pico si strinse nelle spalle, sorridendo. «Chi lo sa, padre?<br />
Potrebbe mandarmi a chiamare il mese prossimo, an<strong>che</strong> se ne<br />
dubito. <strong>La</strong> mia ipotesi è <strong>che</strong> rimarrò qui per molto tempo. Stilicone<br />
ha con sé tre comandanti di cavalleria in Britannia, senza contare<br />
Flavio. Io sono quello con maggiore anzianità. Ha scelto di lasciarmi<br />
qui per organizzare la Britannia. Potrebbe essere un grosso<br />
impegno.»<br />
«Potrebbe essere?» Il tono di Caio era aspro. «Potrebbe essere?<br />
Ne dubiti?»<br />
Pico scosse la testa, contrito. «No. <strong>La</strong>scia <strong>che</strong> riformuli la frase<br />
senza falsa modestia. È una grande responsabilità. Stilicone mi fa un<br />
grande onore.»<br />
«Così va meglio.»
Vidi lo sguardo di Pico, e sentii un mezzo sorriso affiorarmi in<br />
volto ascoltando la critica paterna, precisa an<strong>che</strong> se mite, all'adorato<br />
figlio. Pico, comunque, non badava a me. Con espressione tesa e<br />
pensosa fissò a lungo il fuoco del braciere, prima di parlare di<br />
nuovo.<br />
«Non sarà facile organizzare una guarnigione permanente di<br />
cavalleria, o fornirla di un comando autosufficiente da potermi<br />
lasciare alle spalle. C'è troppo risentimento nel comando delle<br />
truppe regolari.»<br />
«Perché?» Caio soppesava la frase del figlio, fissandolo mentre il<br />
giovane ci sottoponeva i problemi <strong>che</strong> doveva affrontare.<br />
«Sono gelosi, suppongo» sbottò Pico alla fine. Questa<br />
affermazione fu accompagnata da un'altra scrollata di spalle.<br />
«Secondo il loro punto di vista, dopo quattrocento anni di<br />
occupazione romana in Britannia, la loro autorità viene ora usurpata<br />
da un corpo elitario, improvvisamente importante, al comando di<br />
un gruppo di ufficiali la maggior parte dei quali non ha ancora<br />
venticinque anni.»<br />
«Dannazione,» intervenni io, «ma è sempre stato così. Tutti i<br />
soldati brillanti della storia sono stati dei lattanti in armi!»<br />
Mi guardò, notando la mia presenza, mi parve, come avrebbe<br />
potuto notare una vespa di passaggio. «Sì, ma combattevano a piedi,<br />
Varro.»<br />
Caio lo interruppe. «Non è un argomento valido, figliolo.<br />
Proprio alla fine di quattrocento anni di occupazione il genio<br />
militare romano ha ideato un nuovo modo per restaurare la<br />
supremazia romana. Sicuramente i comandanti delle armate<br />
saranno in grado di vederlo, non credi?»<br />
Pico girò a metà la mano, un gesto abbozzato per indicare <strong>che</strong> il<br />
suggerimento di suo padre era solo in parte convincente. «Forse<br />
possono, padre, ma questo non significa <strong>che</strong> ne siano contenti.»
«È vero, assolutamente no. Ma per l'autorità imperiale di<br />
Stilicone devono accettarlo.»<br />
«Non si discute.» Pico sollevò l'elmo e strofinò la cresta con la<br />
manica della tunica, lisciando il rigido crine di cavallo finto di rosso.<br />
«Ma ogni accettazione, padre, può dare buoni frutti solo se<br />
accompagnata dalla buona volontà. <strong>La</strong> resistenza al cambiamento è<br />
un difetto intrinseco alla natura umana. Ricordo <strong>che</strong> da bambino ti<br />
ho sentito dire spesso <strong>che</strong> i veri cambiamenti, quelli duraturi,<br />
accadono molto adagio. Il comando militare in Britannia ha dovuto<br />
mandare giù un cambiamento radicale nello spazio di due anni. <strong>La</strong><br />
mia cavalleria non ha tradizione, non ha storia e tu, fra tutti, padre,<br />
sai <strong>che</strong> cosa significano la tradizione e la storia per il corpo ufficiali<br />
dell'esercito romano.»<br />
Tese il braccio per porgere l'elmo al padre. Una mas<strong>che</strong>ra di<br />
metallo pesante era incernierata alla visiera, modellata in modo <strong>che</strong>,<br />
abbassandola, i lati della mas<strong>che</strong>ra si allargavano verso le guance<br />
svasandosi in fuori. Ovviamente lo scopo principale era quello di<br />
deviare le armi da lancio.<br />
«Prendi questa, per esempio. Ho insistito <strong>che</strong> tutti i miei uomini<br />
abbiano mas<strong>che</strong>re come questa fissate all'elmo.» Cai prese l'elmo <strong>che</strong><br />
gli veniva porto e lo esaminò da vicino, alzando e abbassando la<br />
visiera sulle complicate cerniere, mentre suo figlio proseguiva. «<strong>La</strong><br />
nostra velocità ci porta troppo in fretta a portata di arco dei nemici e<br />
la nostra faccia non è protetta. È una novità, ma ho perso troppi<br />
uomini per le ferite al volto. Adesso la faccia dei miei uomini è<br />
protetta, ma il loro orgoglio subisce un attacco per le beffe dei<br />
veterani di fanteria e dei loro ufficiali, <strong>che</strong> non hanno mai avuto<br />
bisogno di mas<strong>che</strong>re.»<br />
Britannico meditò a lungo prima di rispondere. «Sai, figliolo,»<br />
disse alla fine, «hai appena toccato un punto <strong>che</strong> devo riconoscere e<br />
sottolineare. Uno dei vantaggi della vecchiaia è l'aumento della<br />
sorprendente capacità di accettare <strong>che</strong> un uomo può sbagliare, e ha
sbagliato spesso nelle sue più profonde convinzioni. Io mi sono<br />
sbagliato su molte cose nella vita, ma il paradosso è <strong>che</strong> in molti casi,<br />
in quel momento, avevo ragione.» Fece una pausa, poi abbassò lo<br />
sguardo sulla lettera imperiale <strong>che</strong> aveva ancora in mano. «Viviamo<br />
in un'epoca di cambiamenti, cambiamenti <strong>che</strong> sarebbero stati<br />
inconcepibili cinquanta o cento anni fa, quando il mondo era ancora<br />
fatto in un certo modo. Adesso dobbiamo accettare quei<br />
cambiamenti - cambiamenti improvvisi, radicali, adattamenti totali<br />
a nuove e brus<strong>che</strong> circostanze - e accettarne la necessità. E quando<br />
dico "noi" intendo noi coloni, qui, in questo piccolo angolo<br />
dell'Impero. Il resto dell'Impero non può adattarsi e non si adatterà<br />
ai cambiamenti. È per questo <strong>che</strong> i giorni dell'Impero sono contati. È<br />
per questo <strong>che</strong> siamo qui. Il tuo corpo di cavalleria è un adattamento<br />
al cambiare delle circostanze. Se l'inerzia della catena militare al<br />
comando, l'intelligenza militare limitata, non ne accetterà la<br />
necessità, sarà una tragedia.»<br />
Io versavo vino e assaggiavo i biscotti al miele durante questo<br />
scambio di battute, e parlai con la bocca piena. «Sarà una tragedia,<br />
ma non sarà una novità.» Porsi a ognuno di loro una coppa di vino.<br />
Caio ne bevve un sorso prima di rispondermi.<br />
«No, Varro, non è una novità. Noi siamo una novità. Siamo<br />
determinati ad adattarci e perciò sopravviveremo. Il matrimonio di<br />
tua figlia la primavera prossima con il giovane Uric Pendragon<br />
segnerà un legame ufficiale tra i due popoli. Il frutto di questa<br />
alleanza segnerà un nuovo inizio nella storia dell'isola di Britannia. I<br />
tuoi nipoti, Publio, i miei pronipoti, saranno emarginati per il loro<br />
sangue.»<br />
Obiettai. «Non discuto spesso con te, Cai, ma questa volta penso<br />
<strong>che</strong> tu stia esagerando. I Romani hanno sposato le donne di<br />
Britannia da quando sono arrivati in Britannia.»<br />
Caio scosse la testa, negando la fondatezza del mio commento<br />
pur dichiarandosi d'accordo.
«Certo <strong>che</strong> lo hanno sempre fatto, amico. Lo sappiamo tutti. Ma<br />
non è mai successo prima a questo livello. Questo è un passo<br />
enorme, non lo vedi?»<br />
«No, Caio» dissi. «Non lo vedo. Di <strong>che</strong> "livello" stai parlando?»<br />
«Del livello più alto.»<br />
«E cosa c'è di così diverso in nome di Dio? Sono solo due giovani<br />
<strong>che</strong> vengono fatti sposare dai loro genitori. Non c e nessuna<br />
differenza rispetto a tutti gli altri giovani <strong>che</strong> hanno fatto la stessa<br />
cosa, <strong>che</strong> hanno seguito un uguale percorso.»<br />
«Publio Varro!» Scosse la testa con impazienza, con una ruga di<br />
fastidio sulla fronte. «Ma non hai il senso dell'ordine delle cose? Non<br />
c'è sangue celtico nella mia famiglia, <strong>che</strong> io sappia, e nemmeno nella<br />
tua. Oppure sì?»<br />
Scossi la testa, torcendo le labbra in una smorfia di indifferenza.<br />
«No, an<strong>che</strong> se non ho mai avuto la curiosità di verificarlo.»<br />
Mi attaccò proprio su quel punto. «Eccoti, allora. Siamo stati<br />
allevati in Britannia, è vero, ma il nostro sangue è puro sangue<br />
romano. Incontaminato sangue romano, Publio, sangue<br />
repubblicano. Ed è motivo di grande orgoglio per il nostro amico<br />
Ullic <strong>che</strong> il suo sangue non sia macchiato, direbbe lui, da impurità<br />
romane. <strong>La</strong> sua è una razza regale, Varro. È un puro celta. <strong>La</strong> sua<br />
gente regna su questa parte del mondo da secoli, da molto prima <strong>che</strong><br />
i Cesari arrivassero al potere. E tu non capisci <strong>che</strong> cosa significa?<br />
Quando tua figlia sposerà il figlio di Ullic darà inizio a una<br />
nuova stirpe, la stessa cosa <strong>che</strong> eccita Vittore nei suoi allevamenti<br />
equini. E di allevamento stiamo parlando adesso, non perdiamo di<br />
vista l'argomento. Stiamo parlando della creazione di una nuova<br />
razza di uomini mescolando il puro sangue romano di Veronica e il<br />
puro sangue celtico di Uric. Dimentica gli altri <strong>che</strong> ci sono stati<br />
prima. Quello era un incrocio di razze. Era una creazione ibrida<br />
dell'Impero, romanizzata, forse, ma non romana.»
Si girò verso suo figlio, il cui volto rivelava incomprensione<br />
come il mio. «Pico, non dirmi <strong>che</strong> non avevi intuito il significato di<br />
questa unione.»<br />
Pico scosse la testa leggermente smarrito. «No, padre. Temo <strong>che</strong><br />
non mi sia venuto in mente. Non ci avevo pensato molto e<br />
certamente non da questa prospettiva.»<br />
«Allora pensaci adesso! E pensaci da questo momento in poi. I<br />
tuoi cugini, per questa unione, saranno i progenitori di un nobile<br />
casato di una stirpe eccezionale.»<br />
Le labbra di Pico scattarono in un sorriso. «Sì, suppongo <strong>che</strong> lo<br />
saranno, se la metti così.»<br />
«Nessuna supposizione! Lo saranno!» Caio guardò prima Pico e<br />
poi me e alzò la sua coppa. «E ora, unitevi a me in un brindisi ai<br />
nascituri! Ai figli di Veronica e Uric, i futuri capi di questa Colonia e<br />
di tutta questa terra, perché noi li cresceremo in una eredità di forza<br />
e di libertà <strong>che</strong> gli uomini non vedono da secoli. Ai nostri eredi!»<br />
Era un bel brindisi e un pensiero commovente, e bevemmo con<br />
allegria, an<strong>che</strong> se dovetti trattenermi dallo scuotere la testa per la<br />
mia mancanza di percezione. C'erano delle volte in cui Caio<br />
Britannico riusciva a farmi sentire un assoluto sempliciotto. Ma poi<br />
mi venne un altro pensiero e il suo apparire mi raffreddò; girai gli<br />
occhi su Pico, <strong>che</strong> stava guardando suo padre e sorrideva.<br />
Caio vide il mio sguardo e cambiò immediatamente espressione,<br />
preoccupato.<br />
«Cosa c'è <strong>che</strong> non va, Publio?»<br />
Scossi la testa stupefatto, incapace di articolare il pensiero <strong>che</strong><br />
avevo in mente; adesso an<strong>che</strong> Pico mi guardava in modo strano.<br />
«Varro, cosa c'è?»<br />
Sapevo <strong>che</strong> dovevo rispondere, e buttai fuori il respiro con uno<br />
sbuffo di esasperazione. «Beh,» cominciai, «mi sembra <strong>che</strong>,
indando ai figli della futura unione come agli eredi di Camulod e<br />
di tutta questa terra abbiamo gentilmente spodestato il tuo erede<br />
diretto, Pico!»<br />
I due uomini mi stavano guardando e il significato delle mie<br />
parole si fece strada in loro solo lentamente; il silenzio si approfondì<br />
e si allargò mentre afferravano le implicazioni del mio pensiero. Alla<br />
fine Caio parlò.<br />
«Dannazione, Publio, hai un modo draconiano di arrivare al<br />
cuore delle cose! Non ci ho proprio pensato!»<br />
«Né avresti dovuto, padre» disse Pico con calma. «Perché è<br />
sfuggito an<strong>che</strong> a me <strong>che</strong> si parlasse del mio patrimonio. Non ho<br />
sentito parlare di spodestamento.»<br />
Caio si girò per guardare direttamente suo figlio. «Ma Publio<br />
non aveva ancora detto quello <strong>che</strong> ha detto.»<br />
Pico scrollò le spalle, imperturbabile. «No, è vero, ma an<strong>che</strong><br />
adesso niente è cambiato. O avevate pensato di fare una cosa<br />
simile?»<br />
Suo padre gli rispose con una domanda da parte sua. «Tu <strong>che</strong><br />
cosa pensi? Seriamente, per favore.»<br />
Gli occhi di Pico si spostarono dalla faccia di suo padre alla mia,<br />
poi guardò di nuovo il padre e si grattò il naso con la punta di un<br />
dito.<br />
«Che cosa penso? Bene, cominciamo da quello <strong>che</strong> ho pensato<br />
per prima cosa, e poi vediamo <strong>che</strong> cosa è cambiato, d'accordo? Mi<br />
sono lasciato infiammare dal fuoco del vostro entusiasmo. Quei<br />
bambini, se nasceranno, traboc<strong>che</strong>ranno di sangue nobile da<br />
entrambi i lati della loro stirpe. Se la vostra ambizione, se il vostro<br />
sogno si realizzerà, potranno detenere il potere - la forza e il potere -<br />
qui in Britannia da una solida base all'interno della Colonia. Ma<br />
questo accadrà, come minimo, fra trentanni da adesso. Nel<br />
frattempo qualcuno deve governare e nel tempo a venire questa
esponsabilità tocca a voi due. Ma questa Colonia, se questo è ciò di<br />
cui stiamo discutendo, non è il mio patrimonio, e io sono un soldato.<br />
Potrei morire da soldato, oppure potrei sopravvivere e ritirarmi un<br />
giorno, come hai fatto tu padre, e tornare a casa. Se questo accade,<br />
farò come hai fatto tu, e contribuirò con il mio tempo e le mie<br />
capacità al governo della Colonia, come consigliere. Ma il mio<br />
patrimonio è questa villa... villa Britannico. Se mi sposerò, cosa <strong>che</strong><br />
mi sembra molto improbabile adesso, poiché non ne ho il minimo<br />
desiderio, né conosco una donna adatta, allora i miei eredi avranno<br />
quello <strong>che</strong> lascerò loro, villa Britannico. Non la Colonia e certamente<br />
non la Britannia! Perciò non vedo una minaccia nella vostra<br />
proposta, a meno <strong>che</strong> non intendiate comprendere la villa... In tal<br />
caso adeguerò alle circostanze le mie aspettative, e acquisterò<br />
un'altra villa.» Sorrideva, chiaramente sicuro di avere detto cose<br />
giuste. Caio andò da lui e lo abbracciò.<br />
«Il tuo patrimonio è salvo, come sai bene. Hai interpretato il mio<br />
pensiero esattamente. Parlando della Colonia intendevo<br />
precisamente questo: la comunità di tutte le proprietà <strong>che</strong><br />
costituiscono il nostro territorio. Villa Britannico sarà sempre villa<br />
Britannico e non villa Celtica.» Mi sorrise e venne verso di me, mi<br />
abbracciò e poi si guardò intorno. «Ma perché ce no stiamo qui come<br />
dei poveretti all'angolo di una strada?» disse Caio. «Sediamoci e<br />
godiamoci il fuoco. C'è un freschi, no nell'aria stasera <strong>che</strong> mi ricorda<br />
i miei troppi anni.» Si sedette davanti al fuoco e noi ci unimmo a lui,<br />
spingendo le nostre sedie più vicino alle fiamme mentre lui parlava<br />
di nuovo con Pico. «Allora, parliamo di strategia. L'invasione è<br />
davvero respinta?»<br />
Pico annuì. «Sì. Pensiamo di sì. Ci sono tutti gli indizi. Le<br />
incursioni di cui si ha notizia sono molto diminuite negli ultimi<br />
mesi.»<br />
«Quanto è significativo?» gli chiesi.<br />
«Molto significativo. Nessuna incursione nelle ultime due
settimane. Prima di questo solo tre in tre settimane. E nei tre mesi<br />
precedenti solo dodici, e sei sono avvenute nel primo dei tre mesi.»<br />
«Sono ancora molte incursioni» disse suo padre. «Ti senti<br />
davvero giustificato nel definirla una diminuzione significativa?»<br />
Pico si sporse in avanti e si scaldò le mani sui carboni ardenti per<br />
qual<strong>che</strong> momento prima di rispondere. Poi disse: «Sì, padre. Nello<br />
stesso periodo, l'anno scorso, ci sono state più di quaranta<br />
incursioni. Agli occhi di chiunque è una differenza significativa».<br />
«Sì, suppongo di sì.» Per un po' ci fu silenzio e poi Britannico<br />
proseguì. «Questa tua tecnica, qui in Britannia, come si è<br />
sviluppata?»<br />
«Non sono sicuro di quello <strong>che</strong> intendi dire, padre. Da <strong>che</strong> punto<br />
di vista?»<br />
«È migliorata negli ultimi due anni? Cosa hai imparato? Cosa<br />
hai fatto? Cosa hai iniziato?»<br />
Pico sorrise. «Molto. Moltissimo, su tutti e tre i fronti, padre.<br />
Forse la prima cosa <strong>che</strong> abbiamo imparato, con un nemico i cui<br />
attacchi sono imprevedibili, è <strong>che</strong> non possiamo sperare di operare<br />
come in normali condizioni di guerra. No, lascia <strong>che</strong> riformuli la mia<br />
frase.» Il ritmo del discorso rallentò notevolmente, mentre<br />
enunciava i propri pensieri con maggiore precisione. «Non<br />
possiamo sperare di operare come se i metodi e i sistemi<br />
tradizionalmente accettati avessero qual<strong>che</strong> applicazione. Non ce<br />
l'hanno.» Fece una pausa e bevve un lungo sorso prima di<br />
proseguire. «Fin dall'inizio della campagna in Britannia siamo stati<br />
costretti ad accettare <strong>che</strong> non potevamo sperare di prevenire le<br />
incursioni del nemico. Dovevamo evolvere la nostra tattica secondo<br />
le nuove condizioni, e così abbiamo diviso regionalmente le nostre<br />
forze, le forze di cavalleria, in cinque basi centrali: una a Eboracum,<br />
una a Glevum, una a Verulamium, una a Dubris e una a<br />
Noviomagus. Usando ognuna di quelle basi come il mozzo di una<br />
ruota, abbiamo stabilito delle linee di osservazione, degli avamposti
di cavalleria, <strong>che</strong> mantengono segnali di fuoco lungo le linee <strong>che</strong><br />
irradiano dal centro. Quando le linee sono state stabilite, le notizie<br />
delle incursioni arrivavano veloci come la visibilità dei fuochi.<br />
Qual<strong>che</strong> volta i vecchi metodi sono ancora i migliori: abbiamo<br />
semplicemente adattato i segnali di fuoco alle nostre necessità, e ne<br />
abbiamo usati in numero maggiore. E nel disporre questi segnali<br />
abbiamo organizzato stazioni di cambio lungo le linee,<br />
completamente rifornite di uomini e cavalli freschi. Abbiamo diviso<br />
le truppe attive in squadroni auto-sufficienti con un centurione a<br />
capo di ognuna, due decurioni e quaranta soldati. Secondo il nostro<br />
ragionamento un'imbarcazione lunga può contenere da trenta a<br />
cinquanta uomini, due imbarcazioni il doppio e così via. I nostri<br />
calcoli considerano <strong>che</strong> uno squadrone di cavalleria disciplinata vale<br />
almeno quanto due carichi di razziatori, perciò ogni stazione di<br />
cambio è fornita di ottantotto cavalli costantemente pronti.<br />
Ogni avamposto è responsabile dell'accensione e del<br />
mantenimento di gruppi di cinque segnali di fuoco, messi fianco a<br />
fianco lungo una linea retta e abbastanza distanti da evitare<br />
confusione. Un fuoco significa una nave. Quattro fuochi accesi<br />
simultaneamente significano più di tre barconi, un'incursione<br />
pesante. Cinque fuochi accesi significano più di sei barconi, una<br />
grossa flotta di invasione. Funziona molto bene perché la nostra<br />
operazione si basa sul vantaggio di un doppio squadrone di truppe<br />
disciplinate, armate pesantemente montate a cavallo, nei confronti<br />
di un corpo di uomini a piedi con una forza doppia o an<strong>che</strong><br />
superiore. Quando quattro segnali di fuoco vengono accesi<br />
contemporaneamente, per esempio, tre squadroni vengono spediti<br />
in risposta. Due di essi cavalcano a tutta velocità per prendere il<br />
nemico a terra, ancora all'opera, e gli impediscono di ritirarsi verso<br />
le imbarcazioni, mentre il terzo procede più lentamente, come<br />
riserva, sostenuto da una intera coorte di fanteria <strong>che</strong> avanza a<br />
marce forzate.»
«Suona bene,» disse suo padre. «E funziona bene?»<br />
«Tanto quanto avevamo sperato. <strong>La</strong> nostra maggiore debolezza,<br />
all'inizio, era <strong>che</strong> non avevamo abbastanza buoni cavalli. Ci' vuole<br />
una grande quantità di animali per realizzare un piano come questo.<br />
All'inizio eravamo operativi a metà forza in ogni area. Dovevamo.<br />
Non potevamo semplicemente trascurare alcune aree a favore di<br />
altre, visto <strong>che</strong> non sapevamo dove sarebbe avvenuto lo sbarco<br />
successivo. Ma i segnali di fuoco passavano l'informazione in fretta,<br />
e il tempo di risposta era molto veloce. Quando l'esattezza del<br />
nostro metodo cominciò a essere evidente, Stilicone mosse cielo e<br />
terra per appropriarsi del maggior numero dei cavalli migliori. Era<br />
solito dire, s<strong>che</strong>rzando, <strong>che</strong> portava via tutta la carne di cavallo<br />
all'Impero per darla da mangiare alla gente di Britannia, e a volte<br />
sembrava vero. Una galera su due <strong>che</strong> arrivava in Britannia era<br />
carica di carne equina.»<br />
«Impressionante» dissi. «E quanto tempo dopo il vostro arrivo<br />
avete cominciato a organizzare tutto questo?»<br />
«È stata una questione di mesi. Ci siamo stancati subito di fare la<br />
figura degli stupidi ogni volta <strong>che</strong> arrivavamo sulla scena di una<br />
razzia: tutto il danno era stato fatto e il nemico era sparito.»<br />
«Accadeva spesso?»<br />
«Sarebbe più preciso dire <strong>che</strong> accadeva sempre.»<br />
«Capisco. E da quando siete passati alla nuova tattica tutto è<br />
cambiato? Di chi è stata l'idea di fissare le basi regionali?»<br />
Pico scosse la testa. «Di tutti e di nessuno. L'idea è venuta a una<br />
riunione del comando. Io ho accennato alla possibilità di dividere le<br />
nostre forze per renderle più manovrabili, e l'idea si è sviluppata da<br />
lì. Alla fine della riunione i rudimenti del piano erano stati fissati, e<br />
stavamo studiando la logistica, da quel momento in poi è stata solo<br />
una questione di tempo, affinché le nostre unità fossero in posizione<br />
e pronte a muoversi al segnale. Una volta distribuite le truppe è
astato perfezionare le procedure, imparare dagli errori e adattarsi<br />
alle situazioni <strong>che</strong> nascevano di volta in volta.»<br />
Si alzò, stirandosi. «Vi posso fare un esempio. <strong>La</strong> prima cosa <strong>che</strong><br />
abbiamo imparato era <strong>che</strong> invariabilmente, se nell'incursione era<br />
coinvolta solo un'imbarcazione, quando arrivavamo il nemico se<br />
n'era già andato, an<strong>che</strong> se accorrevamo a tutta velocità. Colpivano,<br />
razziavano e se ne andavano alla svelta. Se invece un'incursione<br />
coinvolgeva due o più imbarcazioni, il loro tempo operativo<br />
rallentava in modo considerevole. Non sappiamo esattamente<br />
perché, ma sospettiamo <strong>che</strong> ciò sia dovuto alla loro forza numerica.<br />
Essa dava loro sicurezza sufficiente a muoversi verso l'interno.<br />
Ovviamente però un numero doppio di uomini aveva an<strong>che</strong><br />
bisogno di un bottino doppio per garantire il successo della<br />
scorreria. Comunque la strategia si delineò molto in fretta, e<br />
stabilimmo <strong>che</strong> non valeva la pena mandare truppe contro una sola<br />
imbarcazione.<br />
Qualcuno pensa <strong>che</strong> sia una decisione crudele. Ma era la sola<br />
<strong>che</strong> potevamo prendere, la sola <strong>che</strong> avesse senso. Nel periodo di<br />
massima attività dei razziatori, al principio dell'estate del nostro<br />
primo anno qui, ci furono quattro occasioni in cui ci trovammo ad<br />
avere una quantità di uomini insufficiente a bloccare grossi gruppi<br />
di razziatori; parte delle truppe era stata inviata a respingere<br />
incursioni minori, ma in nessun caso le nostre squadre riuscirono a<br />
incontrare i piccoli gruppi di razziatori. Erano già andati via, in<br />
mare, prima <strong>che</strong> i nostri gli arrivassero addosso. Di conseguenza<br />
furono modificati gli ordini <strong>che</strong> fino ad allora avevano allertato le<br />
truppe contro le razzie di una sola imbarcazione, e furono date<br />
disposizioni di rispondere solo alle incursioni <strong>che</strong> coinvolgevano<br />
due o più imbarcazioni.»<br />
«È logico» dissi. «Se quello <strong>che</strong> dici è vero, e non dubito una sola<br />
parola, le fattorie e i villaggi lungo la linea costiera <strong>che</strong> venivano<br />
colpiti da queste razzie minori si trovavano in ogni caso al di fuori
della possibilità di essere aiutati.»<br />
«Esattamente. Ma in due anni è successa una cosa strana. Sai <strong>che</strong><br />
adesso c'è una fascia quasi disabitata, profonda circa dieci o dodici<br />
miglia, a volte perfino quindici, situata tutt'intorno alla linea costiera<br />
della Britannia meridionale?»<br />
Scossi la testa. «No. Intendi dire <strong>che</strong> la gente se n'è andata?»<br />
«<strong>La</strong> maggior parte. Si sono spostati all'interno. Sono rimasti in<br />
pochi, troppo testardi per abbandonare le loro case e il loro modo di<br />
vivere, soprattutto pescatori <strong>che</strong> vivono proprio sulla costa, ma la<br />
maggior parte, i contadini e gli agricoltori, hanno lasciato tutto e si<br />
sono spostati all'interno, al sicuro.»<br />
«E questo come ha influenzato i razziatori e i loro metodi?»<br />
Dicendo questo, Britannico osservava attentamente suo figlio, con<br />
un piccolo solco tra le sopracciglia.<br />
Pico scosse la testa con decisione. «È troppo presto per dire<br />
qualcosa di certo, ma siamo convinti <strong>che</strong> abbia avuto un effetto - un<br />
effetto positivo - sul numero e sulla natura delle razzie. Le incursioni<br />
di singole imbarcazioni sono quasi inesistenti ormai. Ci vuole fegato<br />
per un gruppo di trenta uomini a spingersi all'interno di dieci o<br />
quindici miglia nella speranza di trovare un villaggio, sac<strong>che</strong>ggiarlo<br />
e andarsene prima <strong>che</strong> arrivino i nostri uomini. Tra loro e la loro<br />
imbarcazione corre parecchia distanza.»<br />
«Ma i tuoi uomini non rispondono alle razzie di un'unica<br />
imbarcazione, hai detto.»<br />
«Adesso risponderebbero, sapendo <strong>che</strong> troveranno il nemico<br />
appiedato quindici miglia all'interno. Ma semplicemente non<br />
succede più.»<br />
«Perciò le squadre di razziatori diventano più numerose?»<br />
«Sì, è esatto. E diminuiscono per frequenza.»<br />
«E avete riflettuto sul futuro sviluppo di questa strategia?»
Pico lanciò un sorriso al padre, il cui volto rimase severo.<br />
«Speriamo <strong>che</strong> si sviluppi al punto <strong>che</strong> sbarchino tutti insieme e<br />
possiamo distruggerli una volta per tutte, ma è solo un sogno. Se<br />
però questa tendenza continua, e per ora è solo una tendenza <strong>che</strong> il<br />
tempo potrà confermare o smentire, se, come dico, continua a<br />
svilupparsi, allora prevediamo <strong>che</strong> squadre numericamente più forti<br />
faranno incursioni più sistemati<strong>che</strong> l'anno prossimo.»<br />
«E questo come cambierebbe l'impiego della cavalleria?»<br />
«Non lo cambierebbe. Non sarebbe in contrasto, comunque.<br />
Siamo preparati. Stiamo lavorando a dei piani per consolidare le<br />
linee di comunicazione. Ci limiteremo a rafforzare le riserve e a<br />
essere pronti a muoverci in forza maggiore.»<br />
«Ovviamente pensi <strong>che</strong> accadrà?» L'inflessione di Caio fece di<br />
questa frase un'affermazione più <strong>che</strong> una domanda.<br />
«No, io spero <strong>che</strong> accada. L'ho accantonato come un sogno, ma è<br />
vero <strong>che</strong> quanti più uomini usano, quanto più grandi sono le flotte<br />
<strong>che</strong> mettono insieme, tanto più grande sarà il nostro vantaggio.<br />
<strong>La</strong>sciami sorprendere un esercito di quelli nello stesso luogo e nello<br />
stesso momento e lo distruggerò senza lasciargli possibilità di<br />
ripresa.»<br />
«Mmm.» Caio sembrava un po' scettico. «Sia o no un sogno,<br />
avresti le forze per farlo?»<br />
«Sì, e an<strong>che</strong> più del necessario, ho an<strong>che</strong> velocità e massa d'urto.<br />
Sai an<strong>che</strong> tu, padre, <strong>che</strong> sono dei selvaggi. Non hanno la concezione<br />
della disciplina d'insieme. Si muovono tutti come unità<br />
indipendenti. L'equipaggio di ogni imbarcazione pensa solo a se<br />
stesso. Fai sbarcare tutti gli uomini di un grosso numero di<br />
imbarcazioni e avrai una banda di selvaggi. Ma restano<br />
un'accozzaglia di selvaggi. Posso distruggerli facilmente, ma nella<br />
loro superbia e ignoranza non vogliono ammetterlo.» Fece scattare<br />
una mano davanti a sé, come per afferrare una mosca, e chiuse il<br />
pugno davanti alla faccia.
«Datemi solo la possibilità di sorprenderli sulla terraferma, in<br />
forze, e non avrò bisogno di un intero esercito. Mi basterà un gruppo<br />
abbastanza numeroso per affrontarli a mio piacere.»<br />
Suo padre aspirò l'aria tra i denti. «E adesso dimmi come vedi il<br />
nostro ruolo qui nella Colonia, adesso <strong>che</strong> io sono Legatus Emeritus<br />
delle forze irregolari della Britannia sudoccidentale. A proposito,<br />
non mi hai ancora consegnato il mandato. È una dimenticanza<br />
voluta?»<br />
«Oh! Perdonami, ce l'ho qui.» Frugò nella bisaccia e ne estrasse<br />
un secondo rotolo, molto più grande del primo. Suo padre glielo<br />
prese dalle mani, ruppe il sigillo e lesse rapidamente il contenuto<br />
prima di passarmelo. Era un documento chiaro, nitido e specifico<br />
<strong>che</strong> portava la firma e il sigillo personale di Stilicone e il sigillo<br />
imperiale di Onorio. Lo lessi con soddisfazione e glielo resi.<br />
«Bene, generale» dissi. «Posso chiamarti ancora generale.»<br />
«Ancora? Non hai mai smesso!» Guardò suo figlio. «Non hai<br />
risposto alla mia domanda, Pico.»<br />
«Che risposta vuoi, padre? Hai letto il mandato. È straordinario.<br />
Godi di piena autonomia sotto il sigillo imperiale. Io non posso dirti<br />
cosa fare, né lo può nessun altro.»<br />
«Puoi dare dei suggerimenti, se te li chiedo.»<br />
Pico annuì, sorridendo. «È vero, posso.»<br />
«Bene, allora. Te l'ho già chiesto. Come vedi lo sviluppo del<br />
nostro ruolo qui?»<br />
«Mi piacerebbe vederlo svilupparsi in modo considerevole,<br />
padre, se sei d'accordo. Quanti cavalli avete adesso?»<br />
«Intendi cavalli addestrati per la cavalleria?» Pico annuì e Caio<br />
scosse la testa. «Non lo so con certezza. Vittore ha la cifra esatta, ma<br />
penso <strong>che</strong> saranno all'incirca centocinquanta, forse centosettanta,<br />
non di più.»
«Mmm. Non abbastanza.» Pico sedeva immerso nei suoi<br />
pensieri, picchiandosi l'unghia del pollice contro i denti. «Posso<br />
farvene avere cento adesso e altrettanti tra sei mesi, un anno.»<br />
«Davvero puoi farlo, per Dio?!» Intervenni nuovamente nella<br />
conversazione. «E come lo giustifi<strong>che</strong>rai ai tuoi superiori?»<br />
Pico mi rispose con un ghigno di infantile divertimento. «Quali<br />
superiori, zio? Non ne avrò in Britannia, quando Stilicone sarà<br />
partito. No, non è esatto, strettamente parlando. Marco Telia, il<br />
comandante militare della provincia della Britannia, è<br />
nominalmente mio superiore, ma è stato istruito bene da Stilicone su<br />
quale sia la reale estensione della sua giurisdizione su di me. Deve<br />
inoltrare regolarmente i miei rapporti a Stilicone, assistermi in tutti i<br />
modi possibili per consolidare il mio comando, preservare la mia<br />
autonomia, cioè non permettere interferenze nell'attuazione dei miei<br />
compiti, e per il resto deve lasciarmi assolutamente in pace. Non<br />
devo giustificare niente a nessuno. Ho deciso di fornirvi gli equini<br />
<strong>che</strong> avete bisogno, in modo <strong>che</strong> voi in cambio mi siate utili nello<br />
svolgimento del mio mandato. Se i vostri uomini saranno ben<br />
montati potranno pattugliare l'intera regione e costituire posti di<br />
guardia e di cambio lungo tutta la linea costiera dei territori<br />
affidativi da Stilicone.»<br />
«A nord o a sud?»<br />
«In tutte e due le direzioni. Per ora a nord, per sorvegliare<br />
l'estuario <strong>che</strong> porta a Glevum e liberare i miei uomini per l'area<br />
sudorientale. E qui c'è an<strong>che</strong> la giustificazione, se me le servisse<br />
una.» Britannico saltò in piedi e batté le mani fragorosamente,<br />
eccellente! Faremo così. <strong>La</strong>voreremo insieme!» <strong>La</strong> porta si aprì in<br />
risposta alla sua chiamata e il vecchio Gallo entrò nella stanza.<br />
«Gallo, la stanza del generale Pico è pronta?»<br />
«Ovviamente, padrone.» C'era solo un'ombra di rimprovero<br />
nella voce del vecchio. «Bene. Benissimo. Quando sarà pronta la<br />
cena?»
«Quando vuoi, padrone. Le signore stanno aspettando.»<br />
«Allora siamo pronti. Venite, Publio, Pico, andiamo a cena. Tua<br />
zia sarà contenta di vederti, ragazzo.»<br />
«Lo spero e io sarò contento di vedere lei. Sono passati mesi<br />
ormai dall'ultima volta <strong>che</strong> sono stato qui.»<br />
Ci avviammo verso la sala da pranzo e Pico mi chiese come<br />
stavamo risolvendo il problema di armare i nostri uomini.<br />
«Oh,» gli dissi, «stiamo facendo un po' di strada, ma niente di<br />
rivoluzionario. Non abbiamo fatto nessuna scoperta fondamentale.<br />
Ti farò vedere domani quello <strong>che</strong> abbiamo, se sarai ancora qui. Sarai<br />
ancora qui?»<br />
Sorrise e con le dita aperte si pettinò all'indietro i capelli<br />
cortissimi. «Sarò qui. Ho avuto un paio di settimane dure e mi farà<br />
bene un giorno di libertà. Ripartirò dopodomani prima dell'alba.»<br />
«Bene.» Gli battei una mano sulla spalla. «Adesso basta parlare<br />
di armi e di guerra. Tua zia e tua cugina sono completamente<br />
assorbite dai preparativi per le nozze della primavera prossima. Da<br />
quando Veronica è "diventata una donna" come ama dire, lei e sua<br />
madre hanno formato una cospirazione per addomesticare gli<br />
uomini di questa casa. Veniamo attivamente scoraggiati dal<br />
discutere di affari a tavola. Tuo padre e io abbiamo deciso di<br />
adeguarci ai loro desideri fino a dopo il matrimonio. Adesso a tavola<br />
parleremo del più e del meno, il <strong>che</strong> significa <strong>che</strong> ascolteremo le<br />
ultime novità sui preparativi delle nozze.»<br />
Rise forte. «Sembra <strong>che</strong> sia un evento primario!»<br />
«Puoi esserne certo! Lo è.» Gli rispose suo padre. «E io non ne<br />
sono scontento. Tieni bene a mente quello <strong>che</strong> ho detto sulla<br />
connotazione sottesa a questa unione. Quanto più le si dà<br />
importanza, tanto più servirà ai nostri propositi.»<br />
«Vuoi dire <strong>che</strong> è davvero un matrimonio politico? Un<br />
matrimonio dinastico?» Stava ancora s<strong>che</strong>rzando.
«Sì, lo è. I due giovani si piacciono, ed è un buon vantaggio. Ma<br />
il matrimonio è nonostante ciò politico sopra e oltre ogni cosa. Se lo<br />
avessi pianificato io stesso non avrei potuto preparare un'unione<br />
migliore. Per come si sono messe le cose, non ne ho avuto bisogno.<br />
Varro e Ullic hanno stipulato il contratto; Varro non si è reso conto<br />
della sua portata, Ullic invece sapeva bene cosa stava facendo.»<br />
Li interruppi. «A proposito, Pico, cosa mi dici di Seneca? È<br />
ancora in Britannia?»<br />
Fece una risata. «Oh, sì, è ancora in Britannia! È il mio<br />
comandante nel nord e lo tengo d'occhio. Lui lo sa e sta bene attento<br />
a comportarsi bene.»<br />
«Cosa succederà quando Stilicone partirà? Ti aspetti forse dei<br />
guai da lui?»<br />
«Da Seneca, intendi? Il solo modo in cui potrebbe causare guai<br />
sarebbe un ammutinamento e se ci prova lo farò crocifiggere, e lui lo<br />
sa. No. Non mi causerà guai. Ha ancora due anni di servizio,<br />
secondo il decreto imperiale. Quando finirà potrà provare a crearmi<br />
dei guai, ma la prospettiva non mi fa vivere nel terrore.»<br />
Arrivammo alle porte della stanza da pranzo proprio mentre<br />
Pico concludeva l'ultima frase, e Britannico si pose un dito sulle<br />
labbra per imporre il silenzio, con il sopracciglio voltato in su nel<br />
modo <strong>che</strong> gli era caratteristico, e guidò Pico e me, <strong>che</strong><br />
ridacchiavamo, a raggiungere le signore.
XX.<br />
Dormii male quella notte e mi alzai molto prima <strong>che</strong> l'alba<br />
apparisse a oriente. Fui sorpreso perciò di trovare Pico, alzatosi<br />
ancora prima di me, <strong>che</strong> cercava qualcosa per fare colazione.<br />
Mangiammo insieme e parlammo un momento, e lui suggerì di fare<br />
una galoppata.<br />
Fui contento di accettare, e s<strong>che</strong>rzai dicendo <strong>che</strong> era meglio<br />
andarcene alla <strong>che</strong>ti<strong>che</strong>lla prima <strong>che</strong> Luceia trovasse qual<strong>che</strong> lavoro<br />
da farmi fare.<br />
Ben presto fummo a cavallo e ci dirigemmo verso i prati aperti<br />
dietro la villa, dove lasciammo liberi i cavalli di galoppare, finché si<br />
stancarono e rallentarono a loro piacimento. Il mio cavallo,<br />
Germanico, era quattro palmi più basso del grande morello <strong>che</strong><br />
cavalcava Pico, eppure era il cavallo più grande <strong>che</strong> avessimo nelle<br />
scuderie. Stavo guardando il suo cavallo con il nuovo interesse <strong>che</strong><br />
avevo per la razza equina quando Pico interruppe i miei pensieri.<br />
«Zia Luceia ci avrebbe veramente impedito di andare, zio?»<br />
Lo guardai stupefatto. «Naturalmente no. Era una battuta! Non<br />
penserebbe mai di fare una cosa simile. Ma perché me lo chiedi...? Ti<br />
pare possibile?»<br />
Aveva la fronte aggrottata, perplesso. «Non lo so. Le donne sono<br />
un mistero per me. Non mi trovo mai a mio agio in loro compagnia,<br />
non so mai cosa pensare né cosa fare... Non riesco proprio a<br />
immaginare di sposarne una.»<br />
Lo guardai sogghignando. «Benvenuto nel mondo in cui abita la<br />
maggior parte degli uomini! Quando sei felicemente sposato, impari<br />
a far finta di pensare e di fare quello <strong>che</strong> ti viene detto di pensare e di<br />
fare, se vuoi vivere in pace... e in cambio ti viene concesso di<br />
lamentarti con aria di sofferenza per quanto è difficile essere così
fortunati... Guarda <strong>che</strong> è un'altra battuta!» Mi lanciò un sorriso<br />
incerto, non molto convinto.<br />
Eravamo a più di tre miglia dalla villa, vicino alla catena di<br />
basse colline <strong>che</strong> celava uno dei miei luoghi favoriti, dove mi<br />
piaceva stare solo, o con Luceia.<br />
«Gira a sinistra, da quella parte.» Feci un cenno col mento e Pico<br />
sollecitò con garbo il suo grande cavallo, spingendolo verso il lato<br />
sinistro della collina, senza far domande. Arrivammo alla vetta e<br />
cavalcammo lungo la cresta fino a trovare una conca alberata <strong>che</strong> dal<br />
basso era invisibile.<br />
«<strong>La</strong>scia <strong>che</strong> ti guidi. Sono già stato qui.» Spinsi Germanico in<br />
mezzo ai cespugli, seguendo un sentiero <strong>che</strong> lui conosceva bene<br />
quanto me. Avanzando, i cespugli diventavano più alti e più folti<br />
intorno a noi, sfiorandoci mentre scendevamo lungo il sentiero <strong>che</strong><br />
serpeggiava verso il punto centrale della sommità della collina. Pico<br />
era dietro di me; Germanico girò a destra e improvvisamente ci<br />
trovammo in una valle <strong>che</strong> era un piccolo gioiello, un anfiteatro<br />
naturale, circondato su tre lati da rocce e sul quarto dalla fitta<br />
vegetazione <strong>che</strong> avevamo attraversato. L'intero luogo era largo<br />
meno di cinquanta passi in ogni direzione. Diritto di fronte al<br />
sentiero dal quale eravamo scesi c'era uno stagno profondo,<br />
alimentato da una silenziosa cascata <strong>che</strong> scivolava dalla rupe<br />
soprastante lungo rocce muschiose, e cadeva libera per gli ultimi tre<br />
piedi, frangendosi infine su una larga sporgenza di roccia. <strong>La</strong> luce<br />
del sole creava degli arcobaleni tra gli spruzzi. Alla nostra destra un<br />
banco di torba muschiosa aveva l'aspetto invitante di un divano<br />
imbottito.<br />
«Come hai fatto a trovare questo posto, zio Varro?»<br />
«Per caso. Ti piace?»<br />
«Mi è sempre piaciuto. Era mio prima.» Sorrise apertamente,<br />
vedendomi restare a bocca aperta, costernato. «Sono cresciuto qui.<br />
Ho avuto qui la mia prima ragazza, proprio su quel banco
muschioso. E molte altre dopo.»<br />
Sentii le sopracciglia inarcarsi per lo stupore. «Davvero? E io<br />
pensavo <strong>che</strong> fosse vergine. Per non parlare di te!»<br />
Esplose in una risata fragorosa. «Avevo sedici anni! E sapevo<br />
tutto da ben sei anni. Volevo diventare un soldato, ricordi? Non un<br />
prete.»<br />
«D'accordo, allora, bentornato a casa. Riposiamoci po'.»<br />
Scendemmo da cavallo e ci buttammo sull'erba. Notai <strong>che</strong> Pico si<br />
guardava intorno cercando qualcosa lungo la spiaggetta dello<br />
stagno.<br />
«Che cosa stai cercando?»<br />
«Cenere. Ma non ne vedo. Sembra <strong>che</strong> nessuno sia più stato qui<br />
da anni.»<br />
«Non c'è stato nessuno, tranne me e la mia famiglia. Ma perché<br />
cerchi della cenere?»<br />
Mi guardò con sorpresa. «Non hai mai pescato qui?»<br />
Toccò a me guardarlo con sorpresa. «Pescare? No, mai. Perché<br />
dovrei pescare? Vengo qui per rifugiarmi, non per mangiare.»<br />
«Oh, zio Varro!» Scosse la testa in segno di ironico rimprovero.<br />
«Ti sei perso uno dei grandi piaceri della vita. Quando ero ragazzo<br />
venivo qui per giornate intere. Piantavo la tenda di pelle da<br />
legionario qui, dove siamo seduti. Avevo l'arco e le frecce, la fionda,<br />
qual<strong>che</strong> amo e una lenza, sale, pane e un acciarino. Ero<br />
completamente autosufficiente. Mi procuravo il cibo e lo cucinavo<br />
sul fuoco.»<br />
«Che tipo di pesce?»<br />
«Trote. Succulente, meravigliose trote.»<br />
«Sono difficili da prendere?»<br />
«A volte. Ma mai impossibili.»
«Davvero? E cosa prendevi d'altro? Il pesce mi sembra una dieta<br />
abbastanza monotona.»<br />
Pico scosse la testa gravemente e con totale convinzione prima<br />
di sdraiarsi sull'erba incrociando le mani dietro la nuca.<br />
«Non le trote, zio Varro! Le trote non stancano mai. Comunque<br />
qual<strong>che</strong> volta prendevo un coniglio e a volte un fagiano e perfino<br />
un'anatra. Ma soprattutto conigli.»<br />
«Gli tiravi? Con le frecce o con la fionda?»<br />
«Dipendeva da quanto erano lontani. Freccia o pietra dipendeva<br />
dalla distanza.»<br />
«Li hai mai mancati?»<br />
«Quasi sempre, all'inizio.» Rise e si sedette, ricordando. «Ma la<br />
fame può fare meraviglie per migliorare la mira.»<br />
Io ero disteso sull'erba, supino. «Ho trovato questo posto un<br />
giorno <strong>che</strong> il cavallo mi ci ha portato. Sembrava sapesse dove stava<br />
andando e allora l'ho lasciato fare. È stata una sorpresa piacevole.»<br />
«Era un cavallo grigio? Vecchio?»<br />
«Sì. Era tuo?»<br />
Annuì, sorridendo. «Venivamo spesso qui, lui e io. Il suo nome<br />
era Cupido. Un nome stupido per un cavallo. Deve essere morto<br />
adesso.»<br />
«Sì. È morto cinque o sei anni fa. Durante l'inverno. Me ne<br />
ricordo perché l'ho trovato morto una mattina nel recinto.»<br />
Gli sfuggì un sospiro di rimpianto. «Era già un cavallo vecchio<br />
quando io ero ragazzo. È una vergogna <strong>che</strong> i cavalli debbano morire.<br />
Sono spesso migliori di molti uomini.»<br />
«Sì, a volte è vero.» Indicai il suo cavallo, <strong>che</strong> pascolava vicino a<br />
noi. «È bello il tuo cavallo. Ho notato <strong>che</strong> tutti i tuoi uomini hanno<br />
ottime cavalcature. Da dove vengono? Sono quattro palmi più alti<br />
del mio, <strong>che</strong> pure è un cavallo grande.»
Guardò Germanico con gli occhi di un esperto, poi guardò il suo<br />
cavallo. «Sì, viene dalla Gallia e ha una buona linea, anzi una bella<br />
linea. I Galli allevano cavalli grandi, cavalli delle foreste<br />
germani<strong>che</strong>. Li usano come animali da fatica nelle loro fattorie. Non<br />
credo <strong>che</strong> ce ne siano di più grandi al mondo. Ovviamente sono<br />
degli ispidi bruti, con lunghi crini ruvidi <strong>che</strong> è quasi impossibile<br />
strigliare, ma sono sorprendentemente forti e sorprendentemente<br />
gentili se si considera <strong>che</strong> vivono selvatici per i boschi. Adesso<br />
stiamo allevando cavalli in tutto l'Impero.» Fece una pausa,<br />
pensando a una domanda <strong>che</strong> gli era appena venuta, prima di<br />
girarsi verso di me. «Quando avete iniziato il vostro programma qui<br />
alla Colonia, esattamente?»<br />
Mi alzai a sedere. «Esattamente? Non ricordo. È stato circa dieci<br />
anni fa. L'idea è stata di tuo padre, ovviamente. Avevamo parlato<br />
del massacro di Adrianopoli e dei "Compagni" di Alessandro e<br />
parlavamo sempre dei pirati sassoni. Tuo padre pensò <strong>che</strong> valesse la<br />
pena addestrare alcuni uomini per combattere come te, come<br />
cavalleria pesante e non soltanto come arcieri a cavallo. Ha<br />
funzionato, come vedi.»<br />
Un piccione selvatico lasciò all'improvviso gli alberi di fronte a<br />
noi, disturbato da un predatore. Guardai il cielo. «Sembra <strong>che</strong> oggi<br />
la pioggia voglia risparmiarci. Sarebbe meglio <strong>che</strong> tornassimo alla<br />
villa. È quasi metà mattina.»<br />
Circa un'ora dopo eravamo tutti riuniti nella forgia a esaminare i<br />
risultati degli ultimi esperimenti miei e di Equo sulle nuove armi.<br />
Pico aveva impugnato il primissimo sforzo di Equo e lo stava<br />
roteando, provandone il peso e l'equilibrio; notò qual<strong>che</strong><br />
macchiolina di ruggine sulla lama e attirò la mia attenzione.<br />
«È scandaloso, zio Varro. Una lama arrugginita qui, nel tempio<br />
della perfezione del metallo!»
Grugnii. «<strong>La</strong> colpa è di Equo. Preferirebbe non vederla neppure,<br />
figuriamoci se la tiene in buone condizioni.»<br />
«Non gli piace? Questa? Ma perché in nome di Dio?»<br />
«Non lo so, ragazzo. L'ha fatta lui. Chiediglielo. Ha concepito un<br />
profondo disprezzo per quell'arma prima ancora di averla finita, e<br />
da allora non ne ha più fatta nessuna su quel modello.»<br />
«Ma è la migliore! Guardala! È versatile: fende e colpisce! <strong>La</strong><br />
lama lunga... non ho mai visto niente di simile prima. Zio Varro,<br />
questa cosa funziona!»<br />
«Dillo a Equo. Lui pensa <strong>che</strong> sia un disastro.»<br />
«Ma perché? È ingombrante, ma ha qualcosa <strong>che</strong> manca a tutte<br />
le altre... Quest'asta è solida. Pesante. Penso solo <strong>che</strong> sia troppo<br />
lunga. Se fosse più corta potrebbe superare il petto e permettere a un<br />
uomo di rotearla intorno al corpo in un giro completo; sarebbe<br />
formidabile. No, mi piace.» Si girò verso Equo. «Equo, penso <strong>che</strong> tu<br />
abbia avuto una buona idea e <strong>che</strong> te la sia lasciata scappare.»<br />
«Non dire scioc<strong>che</strong>zze» ringhiò Equo. «Ho cambiato parere<br />
perché ho visto come quell'idea era stupida. Come può un cavaliere<br />
spostare la lancia da una mano all'altra? Cosa fa nel frattempo dello<br />
scudo? Se lo attacca al labbro inferiore?»<br />
Pico, però, non si lasciava scoraggiare facilmente.<br />
Teneva l'arma in alto e la guardava, muovendola, cosicché la<br />
luce giocava sulla lama.<br />
«Equo, se avessi qualcosa di simile, con lo stesso peso ed<br />
equilibrio, da poter usare con entrambe le mani e in ogni direzione,<br />
sarei tentato di buttare via lo scudo.»<br />
«Ah!» <strong>La</strong> voce di Equo era piena di disgusto. «E <strong>che</strong> fine faresti?<br />
Verresti trafitto come un coniglio allo spiedo dal primo picchiere <strong>che</strong><br />
incontri.»<br />
«No, non credo. Parlo sul serio. Porterei una corazza più
pesante, e il vantaggio di poter roteare questa cosa bilancerebbe il<br />
fatto di non avere lo scudo. Padre? Tu cosa ne pensi?» Fintava,<br />
parlando, tenendo l'arma con il braccio completamente teso, e la<br />
forza dei suoi muscoli faceva sembrare uno s<strong>che</strong>rzo il peso di<br />
quell'oggetto.<br />
Britannico percorse con lo sguardo l'intera lunghezza delle<br />
braccia di Pico e i sette piedi di lunghezza della lancia. «Quanta<br />
lunghezza vorresti togliere all'asta?»<br />
«Circa la metà.»<br />
«Siete matti tutti e due.» Equo borbottava tra sé. «Tagliate via<br />
metà della lunghezza, an<strong>che</strong> tutta la lunghezza, per quel <strong>che</strong> me ne<br />
importa, e rovinate il bilanciamento e il peso. Le armi sono<br />
progettate in proporzione, sapete. <strong>La</strong> lunghezza in più non è solo<br />
per bellezza.»<br />
Io ascoltavo attentamente, an<strong>che</strong> se non prendevo parte alla<br />
conversazione, e qualcosa stava cominciando a stuzzicarmi.<br />
«Quella di cui stiamo parlando è una lancia» proseguì Equo.<br />
«Per le tette di Budicca! Stai roteandola come se fosse un'ascia.»<br />
«Ma è quasi un'ascia, Equo. Penso <strong>che</strong> sia per via della forma e<br />
del peso.»<br />
Equo picchiò il pugno sul bancone, frustrato. «È vero amico.<br />
Non è né una cosa, né l'altra. È una bastarda, nata in un momento di<br />
stoltezza. <strong>La</strong> distribuzione del peso è completamente sbagliata,<br />
perciò non puoi rotearla con forza. Tutto il peso è concentrato in<br />
cima, troppo vicino all'asta. Colpisci con forza e questa cosa si<br />
sbriciolerà come un pezzo di pergamena. Credimi, Pico.»<br />
Pico storse la faccia dispiaciuto. «Bene, se sei così deciso e l'hai<br />
disegnata tu, accetterò la tua parola. Ma mi pare un peccato, perché,<br />
qualunque cosa tu dica, io so <strong>che</strong> qui c'è qualcosa di giusto.» Mi<br />
guardò. «Varro, tu non dici niente. Cosa ne pensi?»<br />
Tesi la mano e mi passò la lancia. Era molto pesante.
«Equo ha ragione» dissi. «È troppo ingombrante. Tu puoi<br />
maneggiarla, ma sei quasi un gigante. Nessun soldato normale<br />
potrebbe usarla in combattimento come la roteavi tu. Per questo il<br />
peso è distribuito in modo sbagliato, e accorciando l'asta<br />
aggraveresti solo lo sbilanciamento.» Gliela restituii, sorridendo del<br />
suo sguardo mortificato. «Però hai ragione, c'è qualcosa di buono.<br />
Vorrei soltanto sapere cosa. Ci lavorerò.»<br />
«Bene. Quando avrai risolto il problema ne comprerò a<br />
centinaia.»<br />
<strong>La</strong> conversazione si spostò su altri argomenti, ma io prestai poca<br />
attenzione a tutto, da quel momento in poi. C'era qualcosa <strong>che</strong> mi<br />
preoccupava, qualcosa, <strong>che</strong> si era formato a metà nella mia mente<br />
durante la conversazione tra Pico ed Equo. Ma ovviamente più mi<br />
sforzavo e più mi sfuggiva.<br />
Ci sono po<strong>che</strong> cose più frustranti di tentare di richiamare alla<br />
memoria un pensiero sfuggente, non ancora ben definito. Mi ritrovai<br />
perfino a dire a me stesso <strong>che</strong> non era importante, ma sapevo <strong>che</strong><br />
doveva esserlo, altrimenti non mi avrebbe preoccupato tanto. Alla<br />
fine, però, quando tutti gli altri se ne furono andati, il ricordo<br />
sfuggente <strong>che</strong> tanto avevo cercato mi venne in mente di colpo, e mi<br />
maledissi per essermi concentrato tanto.<br />
Avevano parlato di peso e di bilanciamento e Pico aveva detto<br />
<strong>che</strong> la lancia era quasi come un'ascia, a causa della forma e del peso<br />
della lama. E allora mi ricordai di aver visto, quando ero un giovane<br />
soldato, in un remoto villaggio africano, un bambino <strong>che</strong> spaccava<br />
legna con un'antica spada dalla lama pesante a forma di foglia.<br />
Quella cosa era veramente molto vecchia e ammaccata, e il filo<br />
<strong>che</strong> doveva avere avuto in passato lo aveva perso. Ma il bambino la<br />
usava per spaccare la legna, e con tutto il mio amore per le armi mi<br />
ero rattristato vedendo l'uso servile di un'arma <strong>che</strong> un tempo<br />
doveva essere stata l'orgogliosa proprietà di qualcuno.<br />
Avevo cercato di comprarla, ma il bambino era scappato via,
portando con sé la spada.<br />
Era questo <strong>che</strong> mi aveva fatto impazzire, e adesso ero irritato<br />
perché non riuscivo a coglierne il significato.<br />
Perché avrei dovuto riportare alla mente quel ricordo dopo più<br />
di trentanni di oblio? Quale possibile connessione potevo aver<br />
trovato tra l'odierna conversazione su una lancia e un'ascia, e<br />
quell'incontro per la sudicia via di un villaggio dell'Africa<br />
settentrionale tanto tempo prima?<br />
Ovviamente la connessione era la forma della spada, ma perché?<br />
Non aveva senso immaginare la lancia di Equo con una lama a<br />
forma di foglia - sarebbe stata meno <strong>che</strong> inutile - e allora cos'era? Mi<br />
stavo arrabbiando, riconoscevo i sintomi, perciò mi sforzai di<br />
vuotare la mente e mi diressi verso casa, salutando chi incontravo<br />
sulla mia strada e cercando di tenere la mente sgombra.<br />
Sapevo <strong>che</strong> la risposta sarebbe arrivata, ma odiavo l'idea di<br />
dover rimanere lì seduto ad attenderla.<br />
Quattro soldati della scorta di Pico erano acquattati in un angolo<br />
del muro <strong>che</strong> circondava la casa. Mi videro arrivare e misero via i<br />
dadi <strong>che</strong> stavano usando come passatempo, alzandosi in piedi<br />
mentre mi avvicinavo. Risposi con un cenno al loro saluto e chiesi<br />
dove fosse il legato. Uno di loro, il più vecchio, fece da portavoce.<br />
«Lo stiamo aspettando, signore. È entrato in casa con il<br />
proconsole e ci ha detto di aspettarlo qui.»<br />
«Bene, Allora lo aspetterò qui con voi, se non avete obiezioni.»<br />
Naturalmente non ne avevano. Ero rimasto con loro per poco<br />
tempo, parlando di cose triviali, quando Pico apparve. Quei soldati<br />
erano come sono sempre ovunque, impertinenti, sfacciati e fieri<br />
della loro superiorità, e leggermente in soggezione per il fatto <strong>che</strong> un<br />
ufficiale anziano, an<strong>che</strong> se in congedo, si fermasse a parlare con loro<br />
alla pari.<br />
«Ecco <strong>che</strong> arriva il legato, signore.»
Alzai gli occhi e vidi Pico dirigersi verso di noi attraversando i<br />
cancelli. Contemporaneamente an<strong>che</strong> lui vide me e sorrise.<br />
«Comandante Varro, hai un naso per i segreti <strong>che</strong> ti porta<br />
sempre nel posto giusto. Pecula, fai vedere la tua spada al<br />
comandante.» Il più giovane dei quattro arrossì, sentendo il generale<br />
chiamarlo con il soprannome, <strong>che</strong> significava ladro o borsaiolo, e<br />
fece un sorriso imbarazzato mentre tirava fuori la spada e me la<br />
porgeva per l'impugnatura. Era un normale gladium romano, o spada<br />
corta, ma con una netta differenza <strong>che</strong> sentii non appena le mie dita<br />
strinsero l'impugnatura. Allentai immediatamente la presa<br />
guardando il giovane negli occhi.<br />
«Cos'è? Dove l'hai presa?»<br />
«Cosa, signore?»<br />
«<strong>La</strong> copertura per l'impugnatura. Cos'è?»<br />
Mi rispose Pico, facendo segno al soldato di non parlare. «Tu<br />
cosa pensi, comandante Varro? Senza guardarla.»<br />
Mi girai verso di lui, stringendo saldamente l'elsa della spada e<br />
flettendo il polso con forza per provare la presa. «Non so <strong>che</strong> cosa<br />
sia,» dissi, «ma lo voglio sapere.»<br />
«Come la senti nella mano? Pensaci bene.»<br />
Mi concentrai su quello <strong>che</strong> sentivo, lottando contro la<br />
tentazione di abbassare lo sguardo e di guardare. «Non assomiglia a<br />
niente di quello <strong>che</strong> conosco. Non è pelle, è troppo ruvida. Non è<br />
metallo, né osso, né legno. Sembra...» Strinsi di nuovo, sentendo la<br />
struttura contro il palmo. «Come pelle coperta di sabbia fine.»<br />
«Non ci sei vicino e non ci andresti vicino nean<strong>che</strong> se provassi<br />
tutto il giorno. Guardala.»<br />
Guardai. L'elsa era coperta con un materiale <strong>che</strong> non era nero, né<br />
grigio, né color argento, ma era un misto di tutti e tre. <strong>La</strong> struttura<br />
era ruvida come una lima. Non sarebbe mai scivolata da un palmo
sudato o insanguinato. Qualunque cosa fosse era avvolta intorno<br />
all'elsa e legata stretta con filo metallico incrociato.<br />
«Rinuncio. Cos'è?»<br />
«È pelle di pesce.»<br />
«È cosa?»<br />
«Pelle di pesce.»<br />
Mi ricordai le sue burle, quello stesso giorno, sulle gioie della<br />
pesca alla trota, e lo guardai attentamente per capire se mi prendeva<br />
in giro, ma era serio. Guardai il giovane Pecula.<br />
«Che tipo di pelle di pesce?»<br />
Il soldato si strinse nelle spalle, con un'espressione di scusa sul<br />
viso schietto. «Non lo so, signore. L'ho vinta ai dadi. L'uomo da cui<br />
l'ho vinta ha detto <strong>che</strong> era pelle di pesce. Ha detto <strong>che</strong> l'aveva fatta<br />
suo padre. Ha detto <strong>che</strong> suo padre era un pescatore.»<br />
«Chi è quell'uomo?»<br />
«Non lo so, signore. Solamente uno dei tanti soldati di<br />
guarnigione a Londinium.»<br />
«Quanto tempo è passato da quando te l'ha data?»<br />
«Circa un mese, signore.»<br />
«Hai più visto quell'uomo? Lo riconosceresti?»<br />
«Sì, signore, ma non l'ho più visto da quella sera.» Guardai più<br />
attentamente l'impugnatura e compresi <strong>che</strong> stavo guardando un<br />
oggetto di grande valore. Era una scoperta fondamentale. Guardai<br />
di nuovo Pico e poi il soldato. «Non ho mai visto niente di simile, e<br />
sono un collezionista di armi. Saresti disposto a separartene? Per un<br />
prezzo vantaggioso e una nuova spada?»<br />
Guardò il suo generale e poi me. «Beh, signore, non so. Non<br />
sapevo <strong>che</strong> fosse di valore.»<br />
«Non lo è, ragazzo, tranne <strong>che</strong> per me. <strong>La</strong> lama è scadente,
niente di straordinario. È la pelle di pesce <strong>che</strong> ha un valore, ma solo<br />
se riusciamo a scoprire di <strong>che</strong> pesce è, e se possiamo trovarla qui in<br />
Britannia. Quanto vale questo per te?»<br />
Sembrava a disagio, sapendo <strong>che</strong> poteva dire qualunque prezzo,<br />
ma non voleva offendere il suo generale, né approfittarsi dell'amico<br />
del generale. Decisi di aiutarlo.<br />
«Ti do due mesi di paga e il permesso di scegliere una delle mie<br />
spade in cambio di questa.»<br />
I suoi occhi si spalancarono per la sorpresa. «Affare fatto,<br />
signore.»<br />
«Bravo. Adesso vai alla casa, laggiù, e chiedi di Gallo. È il<br />
maggiordomo. Digli <strong>che</strong> il comandante gradirebbe <strong>che</strong> ti mostrasse<br />
la sala delle armi. Ne troverai abbastanza per passarci la giornata.<br />
Scegline una. Le ho fatte tutte con le mie mani, quindi troverai certo<br />
qualcosa <strong>che</strong> ti vada bene.»<br />
Intervenne Pico, sfoderando la sua spada. «Il comandante Varro<br />
è uno dei migliori fabbricanti d'armi dell'Impero, Pecula. Ha fatto<br />
questa per me, quando sono entrato nelle legioni. Adesso vai e vedi<br />
se riesci a trovarne una migliore. Ma non voglio vederti brandire<br />
una spada <strong>che</strong> sembra essere stata fatta per l'imperatore. Prendine<br />
una normale.»<br />
«Sì, generale.» Pecula fece un saluto deciso, si girò a metà e poi<br />
esitò. «Comandante Varro? Vuoi an<strong>che</strong> il fodero?»<br />
Gli sorrisi. «Sì, Pecula. È meglio <strong>che</strong> me lo lasci. <strong>La</strong> tua nuova<br />
spada avrà un fodero.»<br />
Annaspò eccitato intorno alla cintura e mi porse il fodero. Era un<br />
fodero semplice, vecchio, ma ben tenuto.<br />
«Grazie» dissi mentre lo prendevo dalle sue mani. «A proposito,<br />
Gallo ti darà an<strong>che</strong> i due mesi di paga, perciò non dimenticare di<br />
chiederglieli.»
Infilai la spada nel fodero. «Generale Pico, vorrei scambiare due<br />
parole con te. Vieni a fare due passi?»<br />
Non appena fummo lontani da orecchie indiscrete, disse:<br />
«Immaginavo <strong>che</strong> ti sarebbe interessata, Varro, ma due mesi di paga<br />
e una tua spada? Non pensi di averlo strapagato?»<br />
«Pico, tu mi conosci. Sono un entusiasta, ma se posso non lascio<br />
mai <strong>che</strong> l'entusiasmo abbia la meglio sul mio giudizio. Se riesco a<br />
scoprire cos'è questa pelle di pesce, non ci sarebbe probabilmente<br />
abbastanza ric<strong>che</strong>zza nella Colonia per pagarne il valore reale. Credi<br />
a me. Voglio sapere <strong>che</strong> pesce è. Da dove viene. Se riesco a scoprirlo<br />
lo importerò an<strong>che</strong> a costo di attraversare tutto l'Impero. Perciò ho<br />
bisogno del tuo aiuto. Trovami l'altro soldato, quello da cui il<br />
giovane Pecula ha vinto questa spada. Interrogalo. Scopri di suo<br />
padre, chi è, dove vive e come è venuto in possesso di questa pelle.<br />
Non appena lo avrai saputo, ammesso <strong>che</strong> lui ne sia al corrente,<br />
comunicamelo. Lo farai?»<br />
«Certamente.»<br />
«Bene, un giorno ti farò una spada con l'elsa di pelle di pesce.»<br />
«Sembra disgustoso, ma non vedo l'ora. A proposito, senti sul<br />
palmo l'odore di quella roba?»<br />
Risi e annusai la mano. «No. Per niente.»<br />
«È un sollievo. Dev'essere una trota.»<br />
Mentre ci avvicinavamo di nuovo a casa, ne uscì Pecula,<br />
portando con orgoglio la nuova spada, le labbra increspate un<br />
sorriso. Ci fermammo ad ammirarla, perché aveva scelto una delle<br />
migliori. Gli augurai ogni bene nell'uso <strong>che</strong> ne avrebbe fatto, e Pico<br />
portò via con sé i quattro uomini in direzione delle scuderie,<br />
lasciandomi solo. Portai in casa la mia nuova spada e le trovai un<br />
posto nella sala delle armi, poi rimasi un'ora a giocare con i miei<br />
tesori lasciandomi assorbire dall'atmosfera delle armi.<br />
Due ore dopo ero ritornato nella forgia e mi gingillavo con
pezzo di carboncino e un frammento della pergamena di Andros.<br />
L'avevo riempito con schizzi di spade, lance, asce e disegni della<br />
nuova lancia di Equo. Alcune spade <strong>che</strong> avevo disegnato avevano<br />
lame a forma di foglia, ma molte avevano i bordi diritti. Equo mi<br />
stava osservando. Sentivo i suoi occhi nella schiena. Alla fine parlò.<br />
«Hai dei problemi?»<br />
«Non più del solito. Non riesco a smettere di pensare a quello<br />
<strong>che</strong> ha detto Pico. Sul fatto di accorciare l'asta di quella lancia. Ha<br />
ragione, dovrebbe funzionare.»<br />
«Per la pancia di Budicca, Varro, mi meraviglio di te. Hai<br />
lavorato con le armi per tutta la vita e sai <strong>che</strong> non si può fare! Fagli<br />
una mazza con il manico lungo come quelle <strong>che</strong> usano i barbari, o<br />
un'ascia, con tutto il peso da una parte, in modo <strong>che</strong> possa rotearla.<br />
Ma non puoi accorciare questa lancia e mantenerla bilanciata, come<br />
non puoi allungare una spada e mantenerla ben bilanciata!»<br />
«Lo so, Equo, lo so! Però, se ci fosse un modo...»<br />
«Merda di cavallo! Se ci fosse un modo per cambiare la merda di<br />
cavallo in mele, nessuno avrebbe più fame! Non si può fare.»<br />
Perciò rimasi lì a gingillarmi, girando alla fine la pergamena per<br />
usarne l'altro lato. Disegnai un gladio, la più bella e più efficiente<br />
arma mai disegnata, e poi presi il carboncino e raddoppiai la<br />
lunghezza della lama. Che peccato <strong>che</strong> non funzionasse! Con una<br />
spada di quella lunghezza, perfino Pico avrebbe potuto raggiungere<br />
un uomo a terra. Ma la forma era completamente sbagliata. <strong>La</strong> lama<br />
diritta del gladio, estesa per il doppio della sua lunghezza, avrebbe<br />
perso la rigidità e avrebbe avuto troppo peso.<br />
E poi, improvvisamente, vidi quello <strong>che</strong> la mia mente aveva<br />
cercato di dirmi ricordandomi la spada con la lama a foglia. Non era<br />
la forma della vecchia spada di quel bambino a essere importante,<br />
ma il principio <strong>che</strong> la governava. Pico aveva parlato di combinare<br />
un'ascia e una lancia, rigidità e impeto. Avrebbe funzionato; erano<br />
merda e mele come diceva Equo con tanta eloquenza, ma come
creare una spada con la lunghezza della nuova lancia di Equo?<br />
Eccitato senza sapere realmente perché, mi alzai in piedi e presi<br />
l'arma, appoggiandola sul bancone davanti a me e focalizzando<br />
l'attenzione sulla lama.<br />
Aveva la forma di una lancia <strong>che</strong> si rastremava dalla punta<br />
acuminata verso la base larga e svasata, prima di restringersi eli<br />
nuovo verso la base dell'asta, come una losanga con due lati tanto<br />
lunghi da essere ridicoli. Quella cosa era lunga tre piedi abbondanti<br />
fino al punto più largo.<br />
Guardai attentamente il punto <strong>che</strong> Equo aveva rinforzato.<br />
An<strong>che</strong> quella sezione era a forma di losanga. Il carboncino cominciò<br />
a lavorare seriamente, schizzando il profilo della lama, le giuste<br />
proporzioni della rastremazione rispetto alla larghezza e infine ecco<br />
quello <strong>che</strong> cercavo. Non avrei saputo spiegare <strong>che</strong> cos'era, ma era<br />
quasi perfetto.<br />
«Equo, vieni un momento, puoi?» Lo sentii mettere giù quello<br />
<strong>che</strong> stava facendo, qualunque cosa fosse, e poi sentii la sua presenza<br />
al mio fianco.<br />
«Sì» disse. «Cos'hai lì?»<br />
Non alzai la testa, perché mi stavo concentrando in un modo<br />
tale <strong>che</strong> potevo sentire la tensione scavarmi un solco tra le<br />
sopracciglia. «Vorrei <strong>che</strong> tu guardassi questa e poi facessi quello <strong>che</strong><br />
ti chiedo, senza commenti o discussioni, hai capito?»<br />
«Ti ascolto.»<br />
«Bene. Adesso pensa agli elementi di una spada: lama, codolo,<br />
elsa, impugnatura e pomolo. L'elsa si inserisce sopra al codolo per<br />
aggiungere peso al fulcro e sostenere l'impugnatura. L'impugnatura<br />
vi aderisce e il pomolo tiene tutto assemblato insieme.»<br />
«Cosa sarebbe? <strong>La</strong> prima lezione sulla fabbricazione delle<br />
armi?»
«Stai zitto e ascolta. Guarda la tua lancia. Ha una lama forte e<br />
pesante, a forma di punta di lancia, ma lunga tre piedi, con un<br />
codolo di tre piedi, l'asta, stretta da strisce di legno, adattate e legate<br />
insieme. Abbiamo discusso dell'equilibrio perché l'abbiamo<br />
considerata una lancia.»<br />
«E allora? È una lancia.»<br />
«Lo so <strong>che</strong> è una lancia, ma ascolta. Voglio <strong>che</strong> tu provi a fare<br />
qualcos'altro per me, qualcosa di diverso, e l'ultima cosa di ho<br />
bisogno è <strong>che</strong> tu mi dica un migliaio di ragioni per cui non si può<br />
fare. Voglio <strong>che</strong> venga fatto, an<strong>che</strong> se non avrò nean<strong>che</strong> la forza di<br />
sollevare dal suolo il risultato finale. Mi ascolti ancora?»<br />
«Sì. Cos'hai in mente?»<br />
«Questo» dissi. «Voglio <strong>che</strong> tu mi faccia una lama <strong>che</strong> sia di un<br />
quarto più lunga di questa. Voglio <strong>che</strong> tu riduca di un altro quarto<br />
l'ampiezza nel punto più largo. Mi segui?»<br />
Annuì, con gli occhi <strong>che</strong> gli luccicavano di interesse per la mia<br />
improvvisazione. «<strong>La</strong> parte più difficile, tecnicamente, sarà la<br />
rastremazione» proseguii. «Voglio <strong>che</strong> tu mantenga questa lama a<br />
doppio filo e tanto diritta quanto ti è possibile, però voglio <strong>che</strong> la<br />
rastremi partendo dal punto di massima larghezza fino a metà di<br />
quella larghezza e fino a circa un palmo dalla punta.» Vedevo <strong>che</strong> si<br />
controllava a fatica, fremeva dalla voglia di parlare. «Puoi farlo?»<br />
Mi sorprese perché non esplose immediatamente in una<br />
risposta. Si morsicò il labbro inferiore tra i denti, e fissando la lama<br />
prese il mozzicone di carboncino e cominciò a disegnare con tocchi<br />
rapidi, sicuri, analizzando i cambiamenti <strong>che</strong> avrebbe dovuto<br />
apportare.<br />
«Sì» disse alla fine. «Posso farlo. Ma quel restringimento mi<br />
spaventa. Potrebbe essere una perdita di tempo.» Almeno non aveva<br />
detto <strong>che</strong> era sicuramente una perdita di tempo!<br />
«Perché?»
«Lo sai quanto me! <strong>La</strong> larghezza combinata con la lunghezza.»<br />
Mise la mano sulla lama della lancia. «Questa cosa è tanto forte<br />
quanto ho potuto farla, ma oltre la metà dall'asta è troppo sottile per<br />
il lavoro <strong>che</strong> deve fare e nel punto più largo, qui in alto, ai bordi non<br />
riceve abbastanza supporto dalla spina centrale. Il metallo diventa<br />
troppo sottile. È come una falce, splendida per tagliare l'erba, ma<br />
dobbiamo tagliare cose più spesse, più dure.»<br />
«Allora? Hai un suggerimento migliore?»<br />
«Forse. Supponiamo, per amore della discussione, di fare quello<br />
<strong>che</strong> suggerisci. Allunghiamo la lama di un quarto, ma la<br />
rastremiamo soltanto di un terzo, invece <strong>che</strong> della metà.<br />
Estendiamo la rastremazione in modo <strong>che</strong> un terzo venga<br />
ristretto dalla base per tutta la lunghezza fino a un pollice dalla<br />
punta, <strong>che</strong> dovrà essere tagliente e ad angoli vivi. In questo modo il<br />
rinforzo sarebbe maggiore lungo tutta la lama, an<strong>che</strong> se si<br />
piegherebbe ancora sotto la leva dell'asta.»<br />
«Quale asta? Non ci voglio un'asta.» Mi guardò come se avessi<br />
perso la ragione. «In ogni caso,» proseguii senza dargli la possibilità<br />
di discutere, «l'asta non è importante adesso. Mettiamo a posto la<br />
lama, per prima cosa. Mi piace la tua idea. Ovviamente aggiunge<br />
forza. Ma dobbiamo rinforzarla di più. Come possiamo fare?»<br />
«Allo stesso modo in cui ho rinforzato la punta della lancia.<br />
Mettiamo come costolatura una sbarra di ferro.»<br />
«No, non sono d'accordo. Hai detto tu stesso <strong>che</strong> non dà<br />
abbastanza sostegno ai bordi. E se facessimo più spessa la lama?»<br />
«In <strong>che</strong> modo? Come cosa?»<br />
Feci rapidamente uno schizzo. «Come questa. Cominciala<br />
oblunga nella sezione e poi arrotondala.»<br />
Guardò il mio disegno. «Per la pancia di Budicca, Varro, ma è<br />
come un gladio!»
Sorrisi. «Lo è, se la disegni così, e lo sarà se la farai in questo<br />
modo. Tranne <strong>che</strong> sarà molto più lunga e totalmente diversa. Parlo<br />
sul serio, Equo. Le proporzioni sono differenti. Per un terzo lungo la<br />
lunghezza a partire dall'asta, questa lama sarà più sottile di un<br />
gladio in sezione. Per due terzi sarà ancora più sottile.»<br />
I suoi occhi si socchiusero. «Intendi parlare di una<br />
rastremazione doppia?»<br />
Annuii. «Sì. Ti ho già detto <strong>che</strong> sarebbe stato molto difficile<br />
tecnicamente.»<br />
«Sì, e avevi ragione. Ma non è impossibile. E cosa mi dici<br />
dell'estremità più spessa della lama? Quale inclinazione le diamo<br />
per unirla all'asta?»<br />
«Verticale. Voglio <strong>che</strong> finisca diritta, proprio come un gladio,<br />
con un codolo lungo due palmi.»<br />
«Un codolo!» <strong>La</strong> sua voce era pesante come il piombo.<br />
«Allora abbiamo disegnato una spada! Adesso mi vuoi dire<br />
come facciamo un fulcro <strong>che</strong> la bilanci?»<br />
«Penso di poterlo fare, Equo, ma non ne sarò sicuro finché non ci<br />
avrò provato. Ho in mente un'idea, però, <strong>che</strong> potrebbe funzionare.<br />
Quando puoi cominciare?»<br />
Ma non ebbe la possibilità di rispondere, perché la porta si<br />
spalancò e un domestico si precipitò dentro la fucina.<br />
«Comandante Varro! Siamo stati attaccati!»
XXI.<br />
Sapevo quanto mi ci voleva di solito per andare dalla forgia alla<br />
casa. Quel giorno, correndo il più velocemente possibile, mi sembrò<br />
di metterci il doppio. C'erano uomini <strong>che</strong> correvano in ogni<br />
direzione, ma non sembravano in preda al panico. Sentivo delle<br />
trombe squillare in lontananza; riconobbi uno dei miei centurioni<br />
mentre mi passava di fianco bell'oscurità incombente. Lo presi per<br />
un braccio prima <strong>che</strong> mi superasse senza notarmi, e gli chiesi cosa<br />
stava succedendo. Mi fissò sorpreso.<br />
«Comandante? Mi dispiace, signore. Non ti avevo visto. È<br />
Vegezio Sulla, signore. <strong>La</strong> sua proprietà è stata attaccata.»<br />
«Attaccata? Da chi?»<br />
«Mi dispiace, signore, non lo so. Credo <strong>che</strong> non lo sappia<br />
nessuno.»<br />
<strong>La</strong> proprietà di Vegezio Sulla! Il fatto mi colse completamente<br />
alla sprovvista. Di tutte le tenute della Colonia, la sua a quella<br />
considerata in genere più al sicuro da un attacco, poiché era più a<br />
sud-ovest, protetta da alte, scabrose colline alle spalle e dal nulla sui<br />
lati sud ed est per trenta miglia, tranne gli altopiani ondulati <strong>che</strong><br />
portavano a Stonehenge. «Chi ha dato l'allarme?»<br />
«Una nostra pattuglia, signore. Hanno visto del fumo, sono<br />
andati a controllare e hanno rivoltato un nido di serpenti, sono stati<br />
annientati, tranne uno <strong>che</strong> è riuscito a scappare e a dare la notizia,<br />
ma non pensiamo <strong>che</strong> sopravviverà.»<br />
«Quanti razziatori? Lo ha detto?»<br />
«Non ha saputo dirlo, comandante. Non sono arrivati<br />
abbastanza vicini per vederli. Sono stati colti in un'imboscata lungo<br />
la strada.»<br />
«Come fai a sapere così tanto e così poco?»
«Ero di servizio al cancello quando è arrivato, signore, L'ho<br />
portato alla villa principale.»<br />
«Va bene. Vai a fare il tuo dovere.» Zoppicai alla massima<br />
velocità, maledicendo per la prima volta da anni la mia gamba<br />
storpia.<br />
Il cortile e la casa risplendevano di luci, mentre ovunque si<br />
agitavano uomini con le fiaccole in mano. Gli stallieri stavano<br />
radunando i cavalli e il cortile lastricato sembrava un manicomio.<br />
I quattro uomini della scorta di Pico erano in piedi vicino<br />
all'entrata principale della casa, un'isola di immobilità in un mare di<br />
caos. Andai diritto verso di loro.<br />
«Il legato Pico è qui?»<br />
«È dentro, comandante.»<br />
Li superai e mi feci strada attraverso la calca dentro casa, dove la<br />
prima persona <strong>che</strong> vidi fu mia moglie, pallida ma calma, con gli<br />
occhi colmi di apprensione. Era la prima volta <strong>che</strong> un pericolo reale<br />
le era giunto così vicino. Le andai incontro attraverso la stanza<br />
mentre lei veniva verso di me, e la presi tra le braccia. Tremava. <strong>La</strong><br />
baciai e la strinsi forte, senza curarmi di chi ci stava guardando.<br />
«Non essere così preoccupata» sussurrai. «Non oseranno mai<br />
arrivare qui. Questo posto non è in pericolo. Dove sono gli altri?»<br />
«Nello studio di Caio. Di <strong>che</strong> cosa avrai bisogno?»<br />
«Dell'armatura e di un po' di cibo. Non ci sarà molto tempo per<br />
mangiare nei prossimi giorni, perciò voglio un po' di pane,<br />
formaggio e vino da portare con me.»<br />
«Gallo ha tutto sotto controllo. Ha messo il personale di cucina<br />
al lavoro appena sono arrivate le notizie. Sta preparando<br />
personalmente la tua armatura proprio adesso.»<br />
«Bene. Vado a metterla finché è ancora lì. Farò più in fretta se mi<br />
aiuta. Poi raggiungerò gli altri. Dove sono le bambine?»
«Con la loro nutrice, Annica. Le terrà al sicuro e fuori dai piedi.»<br />
«Bene. Devo andare.» <strong>La</strong> baciai di nuovo e mi diressi verso la<br />
mia stanza.<br />
«Publio?» Mi girai. «Stai attento. Non farti ferire, d'accordo?»<br />
Le risposi con un cenno. «No. Non mi farò ferire. Porterò il mio<br />
arco e le frecce. In questo modo nessuno mi arriverà vicino.»<br />
Con l'aiuto di Gallo <strong>che</strong> mi allacciava le fibbie riuscii a entrare in<br />
fretta nell'armatura, notando l'ampiezza della vita e dei fianchi<br />
dentro la rigida imbracatura. Poco dopo, con l'elmo sotto il braccio<br />
sinistro, raggiunsi il Consiglio di guerra. Quando entrai nella stanza<br />
di Caio la conversazione cessò di colpo.<br />
«Scusate il ritardo. Sono venuto appena ho sentito la notizia.<br />
Cosa sta succedendo?» Mi guardai intorno nella stanza. C'erano<br />
Caio, Pico, alcuni nostri ufficiali anziani e Vegezio Sulla. Inarcai le<br />
sopracciglia per la sorpresa.<br />
«Varro» rispose lui al mio gesto, con un sorriso forzato. «Mi<br />
sono fermato qui tornando da Aquae Sulis questo pomeriggio. Stavo<br />
preparandomi a partire quando sono arrivate le notizie. Caio<br />
Britannico non mi ha lasciato partire da solo.»<br />
«Ha ragione. Non c'è niente <strong>che</strong> potresti fare da solo e se vieni<br />
con noi arriverai in un solo pezzo, almeno. Tua moglie è con te?»<br />
«No. L'ho lasciata a casa. Con i miei figli.»<br />
«Bene, speriamo di trovarli vivi e in buona salute. Cosa è<br />
successo fino a ora?»<br />
Fu Pico a rispondermi. «Non lo sappiamo con certezza. Una<br />
delle nostre pattuglie è finita in un'imboscata...»<br />
Lo interruppi. «Questo l'ho già saputo. Probabilmente sono stati<br />
imprudenti, non hanno pensato <strong>che</strong> ci fosse pericolo. Quindi non<br />
sappiamo quanti razziatori ci sono?»<br />
«No. Ma dobbiamo presumere <strong>che</strong> siano in forze. Possono
essere venuti solo dalla costa meridionale, via terra per un'altra<br />
strada sarebbero stati visti e ce l'avrebbero riportato. E se si fidano a<br />
venire così all'interno devono essere irritanti.»<br />
«È una lunga marcia, hai ragione. Devono essere un esercito.<br />
Allora <strong>che</strong> misure dobbiamo prendere?»<br />
«È stata indetta un'adunata generale.» Era Plauto a parlare. «Se<br />
la risposta è rapida come nelle esercitazioni, i nostri uomini<br />
dovrebbero essere radunati entro mezz'ora.»<br />
«Entro mezz'ora da adesso?»<br />
«No. Da quando è stata fatta la convocazione.»<br />
«E poi?»<br />
«<strong>La</strong> proprietà di Sulla è a sud-ovest rispetto a noi, a circa tre ore<br />
di distanza a marce forzate, di notte.»<br />
«Pico?»<br />
Quando pronunciai il suo nome si girò verso di me. «Hai tu il<br />
comando, Varro.»<br />
«Scioc<strong>che</strong>zze. Sei tu il legato in servizio attivo. Ho combattuto<br />
abbastanza a lungo al fianco di tuo padre per avere fiducia in suo<br />
figlio. Sei disposto a comandare la nostra cavalleria?»<br />
«Con piacere!» Guardò suo padre <strong>che</strong> gli fece un cenno di<br />
approvazione.<br />
«Generale? Qual<strong>che</strong> suggerimento su come possiamo affrontare<br />
la situazione?»<br />
Scosse la testa. «No, Publio. I nostri uomini si sono addestrati a<br />
questo per anni. Adesso possiamo appurare il valore dei nostri<br />
metodi. Pico, la fanteria seguirà la tua cavalleria a marce forzate.<br />
Non dovrebbero essere molto lontani dietro di voi quando<br />
arriverete. Come vuoi <strong>che</strong> siano schierati gli uomini?»<br />
Pico era immerso nei suoi pensieri, con gli occhi fissi su Vegezio<br />
Sulla <strong>che</strong> si stava strofinando le mani come se le stesse lavando,
completamente fuori di sé per l'ansia di andar via. «Vegezio» disse.<br />
«Non vedo la tua casa da quando ero un ragazzo, ma ricordo un<br />
campo aperto a nord-est rispetto agli edifici principali. C'è ancora?»<br />
Vegezio annuì. «E confida a nord con un bos<strong>che</strong>tto? E con il fiume?»<br />
Vegezio annuì. «Bene.» Pico si girò verso di noi. «Varro e io<br />
prenderemo la cavalleria e gireremo a sud, tagliando la strada da<br />
dove è venuta quella gente. Poi svolteremo e li attac<strong>che</strong>remo all'alba,<br />
spingendo il nemico a nord, lontano dalla fattoria.<br />
Vegezio, tu ci porterai a casa tua per la via più breve. Ti<br />
lasceremo lì ad attendere Plauto e la sua fanteria. Abbi cura <strong>che</strong> si<br />
nascondano tra i boschi e <strong>che</strong> restino lì acquattati, fino a quando<br />
cominceremo a spingere quella gente tra le loro braccia aperte. Poi,<br />
quando verrà il momento, disponi le tue linee in campo aperto e<br />
schiacceremo questi pidocchi tra l'incudine e il martello.»<br />
Malgrado la gravità della situazione mi sorpresi a sorridere per<br />
il paragone. Mi riportava alla mente lontani ricordi. Pico, nel<br />
frattempo, aveva ripreso a parlare.<br />
«Dobbiamo improvvisare con quello <strong>che</strong> abbiamo, signori. Fino<br />
a quando non conosceremo la forza del nemico, non saremo in<br />
grado di disporre efficacemente le nostre truppe, ma abbiamo il<br />
martello della cavalleria e l'incudine della fanteria, e il nemico, per<br />
quanto forte sia, non sa <strong>che</strong> esistono. Perciò andiamo a presentarci.»<br />
Britannico mi fermò mentre uscivo dalla stanza. «Devo dirti una<br />
parola, Varro.»<br />
«Generale?»<br />
Mi sorrise, con un sorriso triste. «Non più, amico mio. Malgrado<br />
il mandato di Stilicone, sono diventato vecchio di colpo, troppo<br />
vecchio per andare in guerra.»<br />
«Ma non per pianificarla.»<br />
«No, mai troppo vecchio per quello. Publio, guarda mio figlio<br />
per me. Credo <strong>che</strong> sia capace come tutti dicono. Tu sarai il mio
giudice.»<br />
«Non preoccuparti, Caio. Hai generato un imperator. Glielo si<br />
legge negli occhi. È proprio come eri tu, trent'anni fa.» Gli feci il<br />
saluto militare e lo lasciai, con il cuore pesante per la separazione. <strong>La</strong><br />
cavalcata verso sud fu infernale. Il terreno era alberato se non ci<br />
fosse stato Vegezio Sulla in persona a guidarci avremmo dovuto<br />
prendere la strada più lunga nel buio della notte. Lui invece ci guidò<br />
per la campagna attraverso sentieri appena praticabili. Era una notte<br />
nuvolosa con un vento forte e caldo e la luna piena. Quando<br />
eravamo in zone aperte la luce della luna, se non era coperta dalle<br />
nuvole, mostrava chiaramente i campi, ma nell'oscurità dei boschi<br />
l'avanzata era un incubo e gli uomini venivano continuamente<br />
sbalzati di sella da rami invisibili. Ci vollero più di due ore per<br />
arrivare alle terre di Sulla. Un tetro, rosso chiarore lampeggiava in<br />
lontananza. Vegezio alzò un braccio per fermarci e si giro verso Pico<br />
e me.<br />
«Siamo a circa due miglia dalla fattoria principale, <strong>che</strong> sta<br />
bruciando. Quel grande chiarore a sinistra.» <strong>La</strong> sua voce risuonava<br />
come morta e io mi trovai ad ammirare il suo disciplinato<br />
autocontrollo nel non pretendere <strong>che</strong> caricassimo subito. Ma le<br />
parole successive mi mostrarono la vera tempra di quell'uomo.<br />
«Penso <strong>che</strong> ormai mia moglie e i miei figli siano morti. Se ho ragione<br />
voglio vendicarmi di quelli <strong>che</strong> li hanno ammazzati. Di tutti, non<br />
solo di quei pochi <strong>che</strong> potremmo prendere se caricassimo adesso. Se<br />
invece la mia famiglia è prigioniera, allora per il momento sono<br />
relativamente al sicuro e stanno dormendo. Ogni danno fatto loro è<br />
già stato fatto da tempo. Avrò la mia vendetta an<strong>che</strong> per questo.»<br />
Fece una pausa, seduto in silenzio sul suo cavallo, prima di<br />
proseguire.<br />
«C'è una strada, proprio qui davanti a noi, un sentiero agricolo<br />
<strong>che</strong> corre da destra a sinistra, da ovest a est. Se portate i vostri<br />
uomini a est, tra circa due miglia arriverete a una biforcazione. Lì
prendete la strada verso sud. Porta al pascolo attraverso le colline.<br />
<strong>La</strong> strada finisce all'ingresso del pascolo, ma se tenete la destra e<br />
seguite la linea degli alberi arriverete ai campi aperti sulla vostra<br />
destra circa tre miglia più avanti. Potete radunarvi lì. Sarete solo a<br />
due miglia dagli edifici e nessun ostacolo bloc<strong>che</strong>rà la vostra<br />
avanzata.<br />
Io porterò la fanteria di Plauto lungo questa strada verso ovest,<br />
quando arriverà. Ci vorrà un'ora perché ci mettiamo in posizione, e<br />
adesso dovrebbero trovarsi a un'ora circa dietro di noi, non di più.<br />
Quindi dovremmo essere schierati un'ora prima dell'alba, e allora<br />
voi dovreste essere pronti, con gli uomini e i cavalli riposati.<br />
Cominciate il vostro attacco quando volete. Noi vi aspetteremo.»<br />
Il cavallo di Pico alzò la testa e si agitò nervosamente, spingendo<br />
il mio, <strong>che</strong> arretrò, disarcionandomi quasi. Io lo costrinsi con furia al<br />
suo posto. Vegezio guardò entrambi i cavalli.<br />
«Un'altra cosa. Io non dormo bene la notte. Spesso esco da solo<br />
quando tutti dormono, e ho notato <strong>che</strong> se una volpe latra o una<br />
civetta grida su quelle colline a est dove state andando, il rumore si<br />
sente come se fossero subito dietro gli edifici. Non so perché, ma il<br />
suono viaggia incredibilmente veloce da lassù, perciò fate<br />
attenzione.»<br />
«Grazie per l'avvertimento» disse Pico. «Faremo attenzione a<br />
non fare rumore.»<br />
«Comunque stanotte non ci sentirà nessuno,» dissi e subito<br />
dopo avrei voluto morsicarmi la lingua.<br />
«No» disse Vegezio, con la faccia priva di espressione. «Il<br />
rumore dell'incendio dovrebbe coprire ogni cosa, ma non è un buon<br />
motivo per correre rischi.»<br />
«No, hai ragione. Non ne correremo.» Mi sentivo male e<br />
maledicevo mentalmente la mia boccaccia. «Vegezio, vorrei poter<br />
dire o fare qualcosa.»
«Cosa potresti dire? Cosa potresti fare, Varro? Cosa potresti fare<br />
per cambiare la situazione?» Sorrise amaramente, il suo volto<br />
sembrava quello di un fantasma alla luce della luna. «Cosa avrei<br />
potuto fare se fossi stato a casa? A quest'ora sarei morto con la mia<br />
famiglia. Almeno così avrò la mia vendetta.»<br />
Mi sporsi verso di lui e gli strinsi una spalla, poi mi girai verso<br />
Pico. «È meglio <strong>che</strong> andiamo.»<br />
«Sì, hai ragione. Sulla, amico, non c'è niente <strong>che</strong> possa dire per<br />
alleviare il tuo dolore, ma possiamo offrirti vendetta, per quello <strong>che</strong><br />
vale, sulla testa dei tuoi nemici. Addio.»<br />
Passai parola attraverso i ranghi e ci allontanammo. Dopo ;<br />
appena un quarto di miglio trovammo il sentiero carreggiabile e lo<br />
seguimmo finché raggiungemmo la diramazione. Lì svoltammo<br />
verso sud, seguendo i solchi delle ruote nel terreno calcareo, finché<br />
cominciammo a salire. Mentre salivamo l'erta, il vento cominciò a<br />
calare. Pico mi fermò e fece segno a uno dei due uomini <strong>che</strong><br />
cavalcavano immediatamente dietro di noi. L'uomo ci raggiunse<br />
dove lo aspettavamo. «Generale?»<br />
«Il vento è calato. Prima soffiava da destra, portando il nostro<br />
rumore lontano dal nemico. Adesso, da un momento all'altro,<br />
cominceremo a sentire l'odore del fumo <strong>che</strong> sale dagli edifici in<br />
fiamme. Non sarà piacevole. Passa parola di coprire le narici dei<br />
cavalli. Non vogliamo svegliare nessuno con il rumore dei nitriti. E<br />
di' agli uomini di andare più adagio. Non voglio rumori, è chiaro?»<br />
«Sì, generale.»<br />
«Bene. Assicurati <strong>che</strong> sia ugualmente chiaro a tutti quelli a cui lo<br />
dici, e vedi di dirlo a ognuno!»<br />
Riprendemmo a muoverci, cavalcando in fila per due,<br />
abbastanza adagio perché i nostri cavalli affrontassero facilmente la<br />
salita. Io avevo legato un fazzoletto sopra il muso di Germanico e<br />
Pico aveva coperto il muso del suo cavallo con un pezzo di stoffa.
Cavalcammo in silenzio finché Pico parlò.<br />
«Il mio cuore piange per il povero Sulla. Deve essere un<br />
purgatorio aspettare, a due miglia da casa, senza sapere se i suoi cari<br />
sono vivi o morti.»<br />
«Sì» risposi. «Io non so se lo sopporterei con tanto stoicismo,<br />
date le circostanze. Mi strazia an<strong>che</strong> solo cercare di immaginarlo e<br />
soltanto Dio sa <strong>che</strong> cosa sta attraversando lui, sapendo <strong>che</strong> tutto<br />
questo è proprio la realtà.»<br />
Cavalcammo in silenzio per un po', e poi fu di nuovo Pico a<br />
parlare.<br />
«Da dove pensi <strong>che</strong> siano venuti, Varro?»<br />
«Mi sto scervellando a pensarci. Devono essere venuti da sud.»<br />
«Sì, ma questo <strong>che</strong> cosa vuol dire? Trenta miglia? Quaranta?»<br />
«Come minimo, forse di più.»<br />
«Nell'entroterra, Varro? Non ha senso. Perché così lontano? In<br />
quasi ogni altro punto della costa avrebbero incontrato una città o<br />
un villaggio nel raggio di venti miglia. Il loro capo deve avere delle<br />
palle di ferro. Quaranta miglia in un territorio ostile è davvero un<br />
grosso rischio.»<br />
«Potrebbero non venire dal mare.» Girò la testa per guardarmi.<br />
«Cosa intendi dire?»<br />
«Potrebbero essere dei fuorilegge.»<br />
«Ribelli? Provenienti da dove, in nome di Dio?» Mi strinsi nelle<br />
spalle. «Non ne ho idea, Pico, ma so <strong>che</strong> ci sono piccoli gruppi di<br />
fuorilegge qui intorno. Mi sono imbattuto in un gruppo la prima<br />
volta <strong>che</strong> sono uscito dalla villa di tuo padre, prima <strong>che</strong> diventasse<br />
la Colonia. Ma è stato molto tempo fa. Forse sono diventati più forti<br />
e si sono organizzati.»<br />
«Ma da dove vengono?»<br />
«Da dove vengono dei disperati? Potrebbero essere disertori.
Potrebbero essere contadini <strong>che</strong> hanno perso le loro fattorie, o<br />
abitanti di villaggi le cui case sono state distrutte, chi può saperlo?»<br />
«Per il Cristo vivente! Se sono dei disertori li crocifiggerò uno<br />
per uno, vivi o morti!»<br />
«Oppure potrebbero essere venuti giù da nord-ovest, attraverso<br />
le colline, dall'estuario, ma è molto improbabile. Quello è il territorio<br />
di Ullic, e i suoi uomini sorvegliano le coste come aquile. Non riesco<br />
a immaginarli attraversare non visti il territorio di Ullic, an<strong>che</strong> se in<br />
gran parte è sottobosco, e zone boscose.»<br />
«Bene, lo sapremo entro po<strong>che</strong> ore.» Avevamo raggiunto il<br />
pascolo in cima alle colline e vedevamo le rovine bruciare nella valle<br />
sotto di noi. In cupo silenzio guardammo la scena avvolta in spire di<br />
fumo.<br />
«Sulla ha detto di tenere la destra e di seguire la linea degli<br />
alberi.» Pico fece girare il cavallo e ci guidò lungo la collina finché la<br />
linea degli alberi sbucò dal buio davanti a noi, coprendo alla vista la<br />
fattoria in fiamme.<br />
Il fumo era pesante adesso, oleoso e acido. Mentre cavalcavamo<br />
lungo la linea degli alberi ogni uomo nelle nostre file cominciò a<br />
prepararsi per quello <strong>che</strong> ci attendeva. Stavamo avvicinandoci alla<br />
battaglia. Meno di un'ora dopo avevamo doppiato la fila degli alberi<br />
e ci trovavamo in campo aperto. Ci eravamo liberati del fumo, e gli<br />
edifici bruciavano ora alla nostra destra. Pico ci condusse all'aperto,<br />
proprio a fianco della villa <strong>che</strong> bruciava, ordinò di fermarci e chiamò<br />
di nuovo il suo uomo.<br />
«Di' agli uomini di smontare e di sgranchirsi le gambe. Che<br />
abbeverino i cavalli. Tra meno di un'ora albeggerà. Allora<br />
attac<strong>che</strong>remo. Non voglio sentire nessun rumore. Che nessuno parli.<br />
Quella gente potrebbe avere delle sentinelle, perciò non dobbiamo<br />
correre rischi. Chiaro? Spargi la voce e poi torna da me.»<br />
Nel saluto l'armilla d'argento dell'uomo picchiò contro la
corazza. «Sì, generale.»<br />
«Bene. <strong>La</strong> prossima volta saluta più silenziosamente.»<br />
«Sì, generale.»<br />
Non appena l'uomo se ne fu andato, Pico passò la gamba sopra<br />
la testa del suo cavallo e scese a terra. Io feci la stessa cosa, ma<br />
all'indietro, passando la gamba buona sopra la groppa di Germanico<br />
e aggrappandomi alla criniera, risparmiando così la gamba inferma<br />
lasciandomi scivolare al suolo invece di saltare. Era bello essere di<br />
nuovo in piedi. Le nati<strong>che</strong> mi dolevano.<br />
«Abbiamo centoquattordici uomini, contando an<strong>che</strong> noi, Varro.<br />
Come possiamo usarli al meglio?»<br />
«In qualunque modo tu voglia.» Mi consolò vedere <strong>che</strong> an<strong>che</strong> lui<br />
si massaggiava le nati<strong>che</strong>. «Ma davanti a noi abbiamo un terreno<br />
aperto e una marcia di due miglia fino alla villa. Penso <strong>che</strong><br />
dovremmo sfruttare al massimo il nostro numero facendo vedere<br />
loro <strong>che</strong> siamo in tanti. Devono spaventarsi a morte prima <strong>che</strong> li<br />
raggiungiamo. L'obiettivo è quello di spingerli contro la fanteria.<br />
Suggerisco di attaccare su due file di sessanta o tre file di quaranta.<br />
Forse tre file sarebbero meglio. Dieci passi tra ogni uomo e la stessa<br />
distanza tra ogni fila. In questo modo chiunque ci veda arrivare<br />
penserà <strong>che</strong> siamo centinaia.»<br />
«Penso <strong>che</strong> tu abbia ragione. È la tattica di cui abbiamo parlato<br />
l'ultima volta <strong>che</strong> ho visitato la Colonia. Ci ho fatto lavorare gli<br />
uomini, ma non l'ho mai provata.»<br />
«Nean<strong>che</strong> noi. Ma dovrebbe funzionare. C'è abbastanza spazio.»<br />
«Dunque, tre linee <strong>che</strong> convergono in tre punte di freccia. Lo<br />
sanno fare i tuoi uomini?»<br />
Gli sorrisi. «I corvi sanno volare?»<br />
«Chi guiderà la terza linea?»<br />
«Basso. È il mio ufficiale migliore.»
«Fallo venire qui.»<br />
Nel giro di un quarto d'ora eravamo pronti e le istruzioni erano<br />
state passate tra gli uomini. Era una tattica assolutamente nuova,<br />
ideata in una fredda notte d'inverno da Pico, Tito Armente e me,<br />
apposta per situazioni come quella: terreno aperto, spazio per<br />
manovrare, sorpresa dalla nostra parte e un nemico <strong>che</strong> non aveva<br />
mai incontrato la cavalleria.<br />
Potevamo iniziare l'attacco in tre linee distese di quaranta<br />
uomini ognuna. Ogni linea sarebbe stata scaglionata, in modo <strong>che</strong> il<br />
nemico potesse vedere le truppe della seconda e della terza linea.<br />
Saremmo avanzati prima al passo, poi al piccolo galoppo, poi al<br />
galoppo, per poi caricare, e la manovra sarebbe cominciata. <strong>La</strong><br />
prima fila avrebbe iniziato a convergere sull'uomo all'estrema<br />
sinistra, in questo caso Basso. Nello stesso momento il secondo<br />
rango avrebbe iniziato a convergere sull'uomo all'estremità destra,<br />
cioè verso di me. Due movimenti laterali, uno da sinistra verso<br />
destra, l'altro da destra verso sinistra, e contemporaneamente<br />
l'ultima fila avrebbe dovuto convergere sull'uomo di centro, Pico.<br />
Quando le truppe fossero state al piccolo galoppo, i capi si sarebbero<br />
mossi lentamente da sinistra a destra, calcolando il tempo dei loro<br />
movimenti in modo <strong>che</strong>, mentre avanzavano, ognuno avesse alle<br />
spalle due uomini, questi tre, quelli quattro e così via; solo l'ultima<br />
fila, guidata da Pico, si sarebbe disposta a cuneo direttamente dietro<br />
al suo capo, avanzando in linea retta.<br />
Un nemico <strong>che</strong> ci avesse osservato avrebbe visto ampie linee di<br />
uomini a cavallo <strong>che</strong> si muovevano le une verso le altre e alla fine si<br />
consolidavano in tre formazioni a cuneo di cavalleria pesante,<br />
ognuna capace di fendere qualunque massa di uomini a piedi.<br />
Avrebbe dovuto funzionare, la nostra sola preoccupazione era<br />
<strong>che</strong> la manovra non era mai stata provata in battaglia. Tutto<br />
dipendeva dal tempismo delle manovre, con l'ultima linea, quella di<br />
Pico, <strong>che</strong> diventava il perno dell'intero attacco. Pico doveva
schierare il suo squadrone entro pochi istanti dal completamento<br />
della formazione, per mostrare al nemico una linea compatta di<br />
cavalieri <strong>che</strong> arrivavano alla carica, con tre punte armate contro di<br />
loro.<br />
Una volta <strong>che</strong> questo fosse stato compiuto, la formazione a<br />
punta di freccia sarebbe stata, pensavamo, infinitamente più<br />
versatile contro la fanteria. Era facile da mantenere. Un uomo<br />
all'esterno di uno squadrone doveva solo sapere <strong>che</strong> l'uomo davanti<br />
era a destra, se lui cavalcava a sinistra della formazione, e viceversa<br />
se il suo posto era a destra della punta. Gli uomini all'interno della<br />
formazione si muovevano avanti e poi a destra o a sinistra per<br />
sostituire i caduti dei ranghi esterni. Ogni uomo aveva abbastanza<br />
spazio per lottare e abbastanza protezione all'interno della<br />
formazione per essere al sicuro. Avevamo semplicemente<br />
quadruplicato il tradizionale spazio romano per ogni uomo, per via<br />
dei cavalli.<br />
Come dicevo, avrebbe dovuto funzionare. Mi chiedevo quanti<br />
tra gli uomini dietro di me sospettavano <strong>che</strong> quella era la prima<br />
volta <strong>che</strong> andavo in battaglia come un vero soldato a cavallo.<br />
Nel successivo quarto d'ora la notte divenne nera come la pece.<br />
Non riuscivamo a vedere niente. Poi sentii Pico dire: «Varro, riesco a<br />
vederti!» e allora aprii bene gli occhi e vidi le pallide forme dei<br />
cavalli e degli uomini. Mentre la luce aumentava, Pico diede l'ordine<br />
di montare a cavallo e di formare tre linee.<br />
Qualcuno mi aiutò a salire su Germanico, e presi il mio posto<br />
all'estremità destra della seconda fila. E poi restammo fermi,<br />
guardando l'arrivo dell'alba, in attesa <strong>che</strong> Pico ci desse il segnale, in<br />
attesa dell'inizio del massacro. Da qual<strong>che</strong> parte alla mia destra un<br />
cavallo nitrì piano, e più avanti un altro cavallo gli rispose.<br />
Germanico era irrequieto; gli accarezzai il collo, per calmarlo.<br />
Un'allodola cominciò a <strong>canta</strong>re nel cielo albeggiante, e un'altra la<br />
imitò, e d'un tratto il cielo fu pieno di canti di uccelli.
XXII.<br />
Mi parve <strong>che</strong> ci volessero ore perché la luce diventasse piena,<br />
ma finalmente riuscimmo a vedere gli edifici della villa stagliarsi<br />
nella luce mattutina a meno di due miglia da noi, oltre i campi<br />
aperti. I nostri uomini erano immobili in sella. Sentii il rumore di un<br />
cavallo <strong>che</strong> si avvicinava, mi girai sulla groppa di Germanico e vidi<br />
Pico avanzare verso di me al passo. Aveva un aspetto magnifico nei<br />
suoi colori nero, bianco e argento, sul suo grande morello, e<br />
improvvisamente notai i colori del nostro gruppo. Gli uomini ai due<br />
lati di Pico erano vestiti dei suoi colori, armature nere e tuni<strong>che</strong><br />
bian<strong>che</strong> e tutti e sei montavano dei morelli. I miei uomini<br />
montavano cavalli diversi per manto, ma avevano un aspetto<br />
superbo nei loro colori, scarlatto, bronzo e pelle marrone.<br />
Pico fermò il cavallo vicino al mio. «I tuoi uomini hanno un<br />
ottimo aspetto, Varro. Non voglio sprecare la prima carica. Voglio<br />
<strong>che</strong> quegli animali laggiù abbiano la grande visione di una carica di<br />
cavalleria romana, perciò aspetteremo un po' più a lungo in modo<br />
<strong>che</strong> non manchino di vederci.»<br />
«Si tratta di una cavalleria romano-britannica, Pico, ma capisco<br />
il tuo scopo.»<br />
«Romano-britannica, ovviamente. In ogni caso, penso <strong>che</strong><br />
adesso sia abbastanza chiaro. Torno al mio posto e faccio suonare<br />
l'avanzata. Dove sono i tuoi trombettieri?»<br />
«Uno è dietro di me alla mia sinistra e uno è con Basso<br />
all'estremità della prima linea.»<br />
«Eccellente. I tuoi uomini raccoglieranno la mia chiamata?»<br />
«Certo, la stanno aspettando.»<br />
Lo guardai riportare il cavallo lentamente in posizione, al centro<br />
dell'ultima linea, salutando i soldati mentre passava, e quando
iprese il suo posto riportai lo sguardo sulla villa, ansioso di vedere<br />
qual<strong>che</strong> movimento.<br />
Quando risuonò il rauco richiamo della tromba d'ottone, subito<br />
ripreso dai nostri trombettieri, vidi l'uomo nella fila di fronte<br />
spronare il cavallo, e attesi finché raggiunse una distanza di circa<br />
cinquanta passi, poi incitai Germanico e lo sentii muoversi sotto di<br />
me; guardai a sinistra per vedere se la mia fila era a posto, e nessun<br />
uomo avanzava in fuori rispetto a me. Lo spazio tra le linee era<br />
cruciale; bastava <strong>che</strong> fossero troppo vicine una all'altra, e i ranghi<br />
avrebbero potuto entrare in collisione, spostandosi per mettersi in<br />
formazione. Ma i miei uomini erano perfetti.<br />
Avanzammo per circa duecento passi e poi spinsi Germanico al<br />
trotto, e vidi l'uomo davanti a me spostarsi a sinistra, dirigendosi<br />
verso il suo punto nella formazione. Il rumore degli zoccoli<br />
diventava più forte con l'aumentare del ritmo dell'andatura.<br />
Guardai al di sopra della spalla e vidi il trombettiere, <strong>che</strong> prima era<br />
alla mia sinistra, cavalcare vicinissimo a me, proprio dove doveva<br />
essere. Per ora andava tutto bene. <strong>La</strong> punta della freccia si formava<br />
secondo il nostro piano, proprio come l'avevamo provata per tante<br />
volte sul campo marzio. Guardai di nuovo in avanti. <strong>La</strong> fila di fronte<br />
a me era avanzata verso sinistra, manovrando bene. Mi guardai alle<br />
spalle, resistendo al desiderio di accelerare. <strong>La</strong> coda della mia fila<br />
stava adesso svuotando il centro della linea di avanzamento,<br />
dirigendosi obliquamente verso di me, e io vidi avanzare il bianco e<br />
nero della punta di Pico. Adesso era il momento di aumentare la<br />
velocità. Allentai leggermente le redini e Germanico aumentò<br />
l'andatura fino a un piccolo galoppo.<br />
<strong>La</strong> villa era a meno di un miglio di distanza e vedevo uomini<br />
correre qua e là, speravo in preda al panico. <strong>La</strong> mia formazione era<br />
completata; un compatto cuneo di uomini e cavalli cresceva dietro di<br />
me. Basso, davanti a me, a sinistra, era ugualmente in formazione. Il<br />
rumore degli zoccoli era molto forte; sentii un fragore a sinistra,
quando Pico al galoppo portò il suo cuneo all'altezza del mio. Strinsi<br />
forte le ginocchia, allentai le reclini e sentii Germanico balzare In<br />
avanti, per eguagliare nell'andatura il grande morello di Pico, finché<br />
fummo a fianco della colonna di Basso all'estrema sinistra, e tutti e<br />
tre i cunei stavano caricando ventre a terra. Strinsi contro il petto la<br />
maniglia dello scudo, prendendo nota mentalmente di cambiarne la<br />
forma per renderlo meno ingombrante. Cavalcavo senza sforzo,<br />
esultavo per la potenza crescente del cavallo tra le mie gambe,<br />
godevo del fragoroso rumore dell'avanzata, sentivo sulla testa la<br />
leggerezza dell'elmo di pelle, e desiderai avere la lancia <strong>che</strong> Equo<br />
odiava tanto mentre sentivo la faretra piena di frecce sbattermi<br />
contro la schiena.<br />
Davanti a noi vedevo uomini correre in ogni direzione, ma<br />
soprattutto lontano da noi. E poi, del tutto inatteso, vidi un gruppo<br />
di cavalieri uscire da una costruzione <strong>che</strong> non era stata incendiata.<br />
Dovevano essere una decina e galoppavano ventre a terra, lontano<br />
da noi, alla mia destra, verso est. Alzai gli occhi per vedere se Pico li<br />
aveva visti. Li aveva visti e mi faceva cenno di inseguirli. Alzai il<br />
braccio libero e diressi il mio cavallo verso destra.<br />
Sentii il rumore del mio squadrone <strong>che</strong> mi seguiva mentre<br />
curvavo verso est per intercettare il nemico in fuga.<br />
Erano un quarto di miglio davanti a noi e i loro cavalli erano<br />
completamente riposati, mentre i nostri si erano agitati per tutta la<br />
notte e avevano già corso per un miglio e mezzo, eppure prima di<br />
aver percorso un altro miglio potevamo dire di averli raggiunti,<br />
avendo ridotto il distacco a meno di cento passi.<br />
Guardai oltre le spalle e scoprii, costernato, <strong>che</strong> il mio squadrone<br />
era rimasto indietro, e quando guardai di nuovo davanti, i<br />
fuggiaschi erano scomparsi dietro la sommità di una collina. Allora<br />
sentii il mio grande Germanico barcollare, e seppi di aver raggiunto<br />
il limite della sua resistenza. Furente smisi di spronarlo, e lo lasciai<br />
rallentare secondo il suo ritmo. Quando giunsi in cima alla collina
stava andando al passo, e il suo respiro saliva in grandi sbuffi<br />
frementi, mentre i fianchi si dilatavano enormemente. Poi, mentre la<br />
cresta della collina spariva sotto il mio avanzare, vidi i razziatori<br />
galoppare in cerca di salvezza nella foresta lontana, e mi venne<br />
quasi da piangere per la rabbia e la frustrazione.<br />
Sentii un rumore provenire dal basso, guardai e vidi un cavallo<br />
senza cavaliere arretrare e dibattersi cercando di liberarsi dalle<br />
redini <strong>che</strong> si erano impigliate tra i rami di un albero caduto. Non<br />
c'era traccia del suo cavaliere. Sentii i miei uomini arrivare dietro di<br />
me e feci loro segno di fermarsi. Si bloccarono. Esplorai con lo<br />
sguardo il fianco della collina. Niente si muoveva eccetto il cavallo<br />
intrappolato. Pensai <strong>che</strong> avesse inciampato disarcionando il suo<br />
cavaliere, ma poi notai qualcosa di strano nel suo aspetto e compresi<br />
<strong>che</strong> doveva essere un cavallo da carico, perché aveva uno strano<br />
basto assicurato alla groppa. Ecco perché non si vedeva un cavaliere,<br />
perché non ce l'aveva.<br />
Feci segno agli uomini di avanzare, e quando si furono<br />
avvicinati ne feci scendere uno a piedi lungo il fianco della collina<br />
per riportare su l'animale intrappolato. Si fermò a una certa distanza<br />
dal cavallo e si chinò su qualcosa nell'erba alta, e la sua voce sali fino<br />
in cima alla collina, dove guardavamo in groppa ai cavalli.<br />
«Qui c'è un uomo morto, comandante.»<br />
Mandai giù immediatamente due uomini a recuperare il corpo.<br />
Lo sollevarono con sorprendente facilità e lo portarono su, mentre il<br />
primo uomo calmava il cavallo spaventato, lo liberava e lo riportava<br />
su per la collina.<br />
Il corpo fu sbattuto a terra senza cerimonie tra le zampe del mio<br />
cavallo, <strong>che</strong> arretrò innervosito.<br />
«È solo un ragazzo.»<br />
«Sì, comandante. Un ragazzo ricco, chiunque fosse. Guarda i<br />
suoi vestiti.»
«Sto guardando. Ecco, prendi questi.» Porsi loro lo scudo e la<br />
lancia e liberai l'arco dalle spalle, porgendo loro an<strong>che</strong> quello. Passai<br />
la gamba sopra la groppa di Germanico e scesi a terra, dove mi<br />
inginocchiai a fianco del ragazzo morto. <strong>La</strong> faccia era graffiata in<br />
malo modo, ma c'era poco sangue e la testa ricadeva di lato in modo<br />
innaturale. «Si è rotto il collo.»<br />
«Sì, comandante. Si è rotto an<strong>che</strong> la schiena, da come è caduto<br />
quando abbiamo cercato di sollevarlo la prima volta È atterrato su<br />
una roccia compatta di grandi dimensioni, laggiù.»<br />
Il ragazzo era biondo e portava una tunica di pregiata stoffa<br />
azzurra. Aveva una collana d'oro e dei robusti stivali di pelle. Sopra<br />
la tunica portava quella <strong>che</strong> sembrava una camicia di metallo<br />
allacciata al collo, composta di migliaia di piccoli anelli di metallo<br />
sormontati. Allungai la mano, disfeci la stringa <strong>che</strong> la legava al collo<br />
e infilai le dita dentro la camicia.<br />
Era foderata di soffice, morbida pelle, sulla quale erano stati<br />
cuciti gli anelli. Era stupefacente, molto più bella di quella lasciatami<br />
da nonno Varro con i suoi tesori molti anni prima. <strong>La</strong> loro arte era<br />
progredita. Mi rialzai.<br />
«Non può avere più di quattordici anni, ma era abbastanza<br />
grande per cavalcare in guerra e abbastanza grande per morire.<br />
Strappategli questa tunica e questa camicia e ributtate il corpo dove<br />
lo avete trovato. Non era cristiano, comunque, e avremo abbastanza<br />
gente da seppellire quando arriveremo a casa di Sulla.» Guardai il<br />
cavallo. «Portatelo qui.» Era un animale con ossatura fine, piccolo e<br />
adatto a un adolescente, ma era l'oggetto sulla groppa ad attirare la<br />
mia attenzione. Mi guardai intorno. Tutti fissavano quella cosa. Feci<br />
un passo avanti e l'afferrai, tirandola verso di me. Era una specie di<br />
sella, come avevo immaginato, perché era fissata saldamente, legata<br />
stretta intorno alla pancia del cavallo. Non si mosse quando la tirai.<br />
«Qualcuno sa a <strong>che</strong> cosa serve?» Nessuna risposta. «Qualcuno di<br />
voi ha mai visto una cosa del genere?» Nessuno l'aveva mai vista.
«Sembra una sella, ma somiglia più a una seggiola messa di<br />
lato» disse qualcuno, riferendosi ovviamente all'alto schienale.<br />
«Allora è una seggiola dannatamente piccola» disse un'altra<br />
voce.<br />
«Sì, Bruto, troppo piccola per il tuo grosso culo!» Ci fu un boato<br />
di risate, <strong>che</strong> io interruppi con un brusco movimento della mano.<br />
«Adesso basta! C'è poco da ridere questa mattina. Qualcuno mi<br />
aiuti a risalire a cavallo. E portatelo con voi.» Indicai il cavallo. «Lo<br />
esaminerò più tardi con attenzione. Avete messo al sicuro gli abiti?<br />
Non perdete quella camicia o vi stacco la testa.» Avevano appena<br />
finito di spogliare il ragazzo, e il suo torace appariva bianco e<br />
patetico sulla terra fredda, ma non avevo comprensione da sprecare<br />
per dei razziatori solo perché erano giovani. Come avevo già detto,<br />
se erano abbastanza grandi per andare in guerra, erano an<strong>che</strong><br />
abbastanza grandi per morire. «Liberatevene» dissi, indicando il<br />
cadavere. «Andiamo.»<br />
Appoggiai un piede sulle due mani unite del soldato <strong>che</strong> stava<br />
aspettando per aiutarmi, e lui mi issò fino a dove potei far passare la<br />
gamba sopra al collo di Germanico. Girai bruscamente il cavallo e<br />
mi avviai in direzione della casa di Vegezio. Poco prima <strong>che</strong> la<br />
raggiungessimo mi guardai alle spalle. I miei uomini erano tutti<br />
dietro di me e cavalcavano in fila per due. «Coraggio, animo! Non<br />
abbiamo preso il nemico, ma questo non significa <strong>che</strong> siamo dei<br />
falliti! In formazione!» Feci schioccare le redini e spinsi Germanico al<br />
trotto, e arrivammo alla villa con l'aspetto di un'unità militare.<br />
Trovammo il luogo deserto, a parte qual<strong>che</strong> cadavere sparso. Il<br />
puzzo di legno carbonizzato era terribile. Poi vidi Vegezio. Lo avevo<br />
guardato ed ero passato oltre, senza riconoscerlo, perché la sua<br />
faccia era una mas<strong>che</strong>ra di sangue, ma riconobbi la sua armatura.<br />
Giaceva su un mucchio di paglia sminuzzata alla base di un muro di<br />
pietra. Mi precipitai giù da cavallo e corsi da lui pensando <strong>che</strong> fosse<br />
morto, ma non appena lo toccai mi accorsi <strong>che</strong> era vivo. Qualcosa gli
aveva inferto un brutto colpo, strappandogli la pelle dalla fronte e<br />
lasciandogli un lembo sanguinante sugli occhi. Sollevai il lembo di<br />
pelle e con precisione lo premetti di nuovo al suo posto, sulla fronte,<br />
e immediatamente il suo aspetto migliorò. Non c'era quasi sangue<br />
dentro e intorno agli occhi, ma era privo di conoscenza.<br />
«Catone!» urlai. «Portami la tunica del ragazzo!» Me la portò di<br />
corsa. «Strappane una striscia e legala intorno alla fronte di Vegezio.<br />
Fai in fretta!» Fece quello <strong>che</strong> gli avevo ordinato. «Così va meglio.<br />
Adesso aiutami a spostarlo su quel mucchio di paglia.» Mentre lo<br />
spostavamo mi chiesi oziosamente perché quella paglia non fosse<br />
bruciata, e solo allora mi guardai veramente intorno. <strong>La</strong> maggior<br />
parte degli edifici era intatta. Solo tre di essi erano bruciati: la villa e<br />
altri due. C'era una logica nel fatto <strong>che</strong> le stalle fossero intatte, visto<br />
<strong>che</strong> i razziatori erano a cavallo. Mentre guardavo, Catone parlò.<br />
«Stanno arrivando gli altri, comandante.»<br />
Mi girai e vidi Pico e Basso emergere con le loro truppe dalla<br />
bordura di alberi <strong>che</strong> circondavano il retro del cortile. Ci videro e<br />
galopparono verso di me precedendo i loro uomini.<br />
«È Vegezio?» Pico indicò il movimento vicino al muro.<br />
«Sì. Non è morto, è privo di sensi.»<br />
«Dov'era? Dove lo hai trovato?»<br />
«Proprio qui, contro il muro, ma non chiedermi come ci è<br />
arrivato.»<br />
«Non ne ho bisogno. È venuto a casa da solo precedendo tutti.<br />
Ha guidato la fanteria alla sua postazione e poi è scomparso. Deve<br />
aver cercato di raggiungere la sua famiglia.»<br />
«Già. Beh, non l'ha trovata.»<br />
«Tu cosa hai fatto? Li hai raggiunti?»<br />
Grugnii furioso. «No. Li abbiamo persi. I loro cavalli erano<br />
freschi. Ci hanno lasciato indietro. E tu? Molti problemi?»
Fece un ghigno, senza allegria. «Ha funzionato come<br />
l'incantesimo di un mago. Correvano come bestie, uscivano,<br />
correvano attraverso gli alberi, per scappare qui dietro, dove<br />
pensavano <strong>che</strong> non potessimo seguirli, e sono finiti tutti nelle mani<br />
della fanteria. È stata una carneficina e non abbiamo perso un uomo.<br />
Qualcuno è stato ferito, ma nessuno gravemente.»<br />
«Prigionieri?»<br />
«Diciassette.»<br />
«Quanti erano in tutto?»<br />
«Circa novanta.»<br />
«Hai idea da dove siano venuti?»<br />
«Sì. Sembrerebbero Franchi.»<br />
«Franchi?» Ero sbigottito.<br />
«Sì. Franchi o Burgundi.»<br />
«E i cavalli?»<br />
«I cavalli cosa? Se li sono portati.»<br />
«Sulle imbarcazioni?»<br />
«Evidentemente, a meno <strong>che</strong> non li abbiano fatti venire a<br />
nuoto.» Pico scese da cavallo e cominciò a massaggiarsi le nati<strong>che</strong>.<br />
«Dio, potrei mangiare tanto cibo quanto il mio peso.»<br />
«Come fai ad avere fame, per Ade, con tutto questo sangue? Mi<br />
chiedo dove sia la famiglia di Vegezio. Non è qui. Hai lasciato ordini<br />
alla fanteria per i cadaveri?»<br />
«I prigionieri stanno scavando una fossa per seppellirli.»<br />
«Ci vorrà una fossa profonda per contenere novanta cadaveri.»<br />
«Fatti loro. Non hanno niente di meglio da fare.» Mi girai verso<br />
Basso. «Voglio <strong>che</strong> tu prenda venti dei tuoi uomini migliori e segua<br />
gli uomini <strong>che</strong> sono scappati. Hanno lasciato una traccia chiara.<br />
Trovali e distruggili e poi ritorna alla villa il più in fretta possibile.»
Fece il saluto e partì, agendo in fretta, e io lasciai Pico, <strong>che</strong> si<br />
massaggiava ancora le nati<strong>che</strong>, per dare ordini ai miei uomini. Era<br />
sempre la stessa cosa dopo ogni battaglia, prima l'azione e poi<br />
l'inattività. Quando ebbi organizzato un pasto e messo gli uomini a<br />
ripulire la confusione della fattoria, Pico era già occupato con i suoi<br />
sei uomini, e allora tornai dove adesso Vegezio Sulla veniva curato<br />
da uno dei nostri medici. Quando mi avvicinai aprì gli occhi e mi<br />
guardò e mi riconobbe, e le sue labbra formarono il mio nome<br />
mentre mi inginocchiavo al suo fianco.<br />
«Vegezio, come ti senti?» Una domanda maledettamente<br />
stupida, ma cos'altro puoi chiedere, an<strong>che</strong> se sai la verità?<br />
Le sue palpebre sbatterono, si chiusero, sbatterono di nuovo e si<br />
aprirono. Guardava verso di me adesso. Vidi i suoi occhi mettermi a<br />
fuoco, schiarirsi e poi diventare vitrei. Era la cosa più strana <strong>che</strong><br />
avessi mai visto. Poi disse il mio nome: le sue labbra formavano le<br />
sillabe a fatica. Mi chinai su di lui.<br />
«Cosa?»<br />
«<strong>La</strong> cantina della stalla... cercato di raggiungerli...» <strong>La</strong> sua voce<br />
divenne incomprensibile e si spense, ma aveva detto dove si trovava<br />
la sua famiglia.<br />
Gli presi una mano tra le mie. «Non temere, Vegezio. Sono al<br />
sicuro. Li tireremo fuori.»<br />
Le sue dita si chiusero improvvisamente e convulsamente sulle<br />
mie, e torcendosi nell'agonia. Mi chinai in avanti per stringergli una<br />
spalla, ma la mia mano non lo raggiunse mai, perché<br />
improvvisamente il sangue gli uscì dalle orecchie e dalla bocca, e la<br />
vita sfuggì da lui in un soffio. Rimasi paralizzato a metà del gesto,<br />
colpito dalla rapidità della morte. Il medico inginocchiato dall'altro<br />
lato gli chiuse gli occhi sbarrati nell'agonia.<br />
«Ma <strong>che</strong> cosa è successo?» gli chiesi. «Non era ferito in modo<br />
così grave.»
«Qualcosa deve essergli esploso nella testa, comandante. Ho già<br />
visto cose simili in passato, in conseguenza di brutte ferite alla<br />
testa.»<br />
Abbassai gentilmente la mano di Vegezio Sulla sul suo petto e<br />
cercai una preghiera per lui, ma non la trovai; la mia anima era<br />
vuota. Sentendomi vecchio di colpo mi alzai in piedi con un sospiro<br />
e guardai verso l'ingresso delle stalle. Stella e i suoi bambini<br />
sarebbero emersi dal nero di quella cella in un mondo di luce.<br />
«Catone,» dissi, «prendi due uomini e vieni con me.» Li guidai nella<br />
stalla e cominciai a prendere a calci la paglia sul pavimento.<br />
«Cosa stai cercando, comandante?»<br />
«Una botola nascosta nel pavimento.»<br />
«Da questa parte, signore.» Le mie parole avevano a stento<br />
lasciato le mie labbra quando la risposta arrivò, e tanta velocità mi<br />
fece stringere lo stomaco in un atroce presentimento. Mi girai e vidi<br />
un giovane soldato indicare sul pavimento un'area rettangolare<br />
senza paglia. Mi ci diressi lentamente.<br />
«Aprila.»<br />
Erano tutti morti. Circa venti, tra donne e bambini. Tutte le<br />
donne erano state violentate, indipendentemente dall'età. I bambini<br />
maschi erano nello strato più basso del mucchio. Erano stati uccisi e<br />
buttati dentro la botola, e poi le donne e le ragazze erano state<br />
violentate, ammazzate e buttate sopra di loro. <strong>La</strong> moglie di Sulla,<br />
Stella, giaceva contorta in cima al mucchio, nuda, insanguinata e<br />
contusa, ma ancora riconoscibile. Gli occhi sbarrati, spenti e vitrei mi<br />
fissavano accusatori. Mi tornò in mente la faccia del ragazzo morto<br />
sulla collina, e mi chiesi se aveva preso parte a tutto questo.<br />
Indietreggiai dall'orrore della visione, lottando con il vomito <strong>che</strong><br />
mi saliva in gola, finché il bordo della botola mi impedì la visuale e<br />
non dovetti più guardare nell'Ade. <strong>La</strong> mia mente cercava di<br />
ricostruire quello <strong>che</strong> era successo. Forse non avevano pensato di
lasciare qualcuno fuori per coprire la botola con la paglia. O forse<br />
uno dei bambini aveva fatto rumore e lo avevano sentito. O un<br />
ritardatario era stato visto e seguito? Nessuno lo avrebbe mai<br />
saputo, ma li avevano scoperti e il rifugio era diventato la loro<br />
tomba.<br />
Sentii il rumore liquido di qualcuno <strong>che</strong> vomitava e mi resi<br />
conto <strong>che</strong> durava già da un po', ma invece di spingermi a un analogo<br />
conato quel suono mi indurì dentro. Girai sui tacchi e uscii dal luogo<br />
della carneficina, strizzando gli occhi nel chiarore del mattino.<br />
Chiamai il primo soldato <strong>che</strong> vidi e gli dissi di trovare in fretta il<br />
legato Pico, e poi rimasi lì in piedi a guardarmi intorno nel cortile,<br />
con gli occhi socchiusi, non ancora abituati al chiarore del sole dopo<br />
l'oscurità della stalla. Persi la nozione del tempo, così sprofondato<br />
nei miei pensieri <strong>che</strong> non sentii Pico avvicinarsi, e la sua voce mi fece<br />
trasalire.<br />
«Qual è il problema, Varro?»<br />
Puntai il pollice oltre la spalla, verso l'entrata della stalla. «Dai<br />
un'occhiata tu stesso, ma preparati. Non è piacevole.» Quando tornò<br />
indietro la sua faccia era bianca.<br />
«<strong>La</strong> moglie di Sulla è tra loro?»<br />
«È quella in cima al mucchio. Deve essere stata l'ultima a<br />
morire.»<br />
Era visibilmente scosso, e per un po' di tempo nessuno dei due<br />
parlò. Una squadra di soldati si avvicinò alle porte della stalla,<br />
portando dei secchi. Pico li fermò.<br />
«Dove state andando?»<br />
«Il centurione ci ha mandato a prendere un po' di avena,<br />
generale.»<br />
«Tu!» Pico indicò quello <strong>che</strong> aveva parlato. «Torna indietro e di'<br />
al centurione <strong>che</strong> la tua squadra è stata requisita da me per un<br />
comando speciale. Il resto di voi metta giù quei secchi e si divida in
due gruppi, uno di guardia a questa porta e l'altro di guardia alle<br />
porte sul retro. Nessuno deve entrare in questo edificio senza il<br />
permesso mio o del comandante Varro. Muoversi!» Si girò di nuovo<br />
verso di me. «Camminiamo.»<br />
Attraversammo il cortile fianco a fianco e la nostra presenza<br />
ebbe un chiaro effetto sugli uomini, <strong>che</strong> uno dopo l'altro<br />
diventavano molto più coscienziosi in qualsiasi cosa stessero<br />
facendo. Li ignorammo e camminammo in silenzio, finché Pico<br />
parlò.<br />
«Dobbiamo seppellirli, suppongo. Non possiamo riportarli con<br />
noi.»<br />
«E perché mai dovremmo farlo, Pico? Sono morti.»<br />
Scosse la testa. «Sarà un trauma per la Colonia. È la prima volta<br />
<strong>che</strong> venite attaccati direttamente?»<br />
«No» gli risposi. «<strong>La</strong> seconda. Ma è la prima volta <strong>che</strong> veniamo<br />
colpiti così duramente. E da questa direzione.»<br />
«Cosa dobbiamo fare?» C'era un tono strano nella sua voce <strong>che</strong><br />
mi fece girare a guardarlo. Pico notò la mia espressione e proseguì.<br />
«È la novità della situazione <strong>che</strong> mi turba, zio. Questo non è militare.<br />
Non in senso proprio. Queste persone sono civili. E sono la mia<br />
gente, la gente tua e di mio padre. Sono abituato a trattare le perdite<br />
in modo impersonale, ma questi erano amici di zia Luceia. <strong>La</strong> guerra<br />
è arrivata molto vicina a casa, d'un tratto.»<br />
«Sì, ragazzo, so cosa vuoi dire. Ma non lasciare <strong>che</strong> questo ti<br />
renda cieco sui fatti accaduti, <strong>che</strong> sono militari, <strong>che</strong> tu lo accetti<br />
oppure no. Questa è la più esterna delle nostre proprietà ed è troppo<br />
lontana dalla fattoria principale: un fatto <strong>che</strong> oggi è stato<br />
tragicamente dimostrato. Come fattoria è ormai inutilizzabile, ed è<br />
un altro fatto, conseguente al primo. Dovremo ridefinire i confini,<br />
ridurre le proprietà e riorganizzare le nostre forze per difendere ciò<br />
<strong>che</strong> vogliamo conservare. Questo è un altro fatto.
Gli animali <strong>che</strong> hanno fatto questo avevano la copertura della<br />
cavalleria. An<strong>che</strong> questo è un fatto, e altera l'intero concetto delle<br />
forze <strong>che</strong> ci stanno attaccando. Significa <strong>che</strong> il nemico, almeno in<br />
parte, è mobile quanto noi. Da questo momento in poi dovremo<br />
tenerlo in debito conto. Sono tutti fatti, Pico, tutte realtà militari, e<br />
nessuna di loro positiva. Dobbiamo tornare alla Colonia il più in<br />
fretta possibile e allertare il Consiglio. Dobbiamo definire delle<br />
nuove priorità per la nostra espansione e la nostra difesa.»<br />
«Cosa facciamo per la sepoltura delle vittime?» <strong>La</strong> sua faccia era<br />
priva di espressione.<br />
«Sono già nella loro tomba, ragazzo. Metteremo Vegezio accanto<br />
a sua moglie e ai suoi figli e bruceremo questo posto sopra di loro.<br />
Come martiri della Colonia sarà una sepoltura appropriata.»<br />
«Hai ragione, zio, come sempre. Me ne occuperò.»<br />
«Aspetta. Riunisci tutti gli uomini, fanteria e cavalleria, per fare<br />
la guardia d'onore al funerale. Devono sapere <strong>che</strong> cosa facciamo e<br />
perché. E porta an<strong>che</strong> i prigionieri. Verranno messi a confronto con<br />
le loro atrocità e giustiziati.» Aprì la bocca per parlare, ma lo<br />
interruppi. «Nessuna discussione, Pico. Devono morire.»<br />
Annuì, dopo aver considerato il mio sguardo per qual<strong>che</strong><br />
istante. «Come devono morire?»<br />
«Dovrei crocifiggerli, quei porci, e se avessi il tempo lo farei. Ma<br />
non ce l'ho.»<br />
«Come, allora?»<br />
«Nel fuoco. Bruceranno. Sembra <strong>che</strong> adorino un dio del fuoco.<br />
Adesso lo incontreranno faccia a faccia.» Pico mi fissò per lo spazio<br />
di dieci battiti del cuore, e poi parlò a voce bassa.<br />
«Sei un uomo più duro di quanto credessi, Publio Varro.»<br />
Parlai per la collera <strong>che</strong> provavo. «Vegezio Sulla era mio amico.<br />
Sua moglie era una donna gentile, buona, piena di dignità e di pace.
Hai visto come hanno abusato di lei. Devono bruciare.»<br />
«Così sia. Bruceranno.»<br />
«Sembri ancora incerto. <strong>La</strong> tua coscienza ti disturba?»<br />
«Non lo so, zio. Forse sì. Meritano di bruciare, ma bruciarli vivi<br />
non mi sembra cristiano.»<br />
«Ricorda il tuo amico Pelagio, Pico. Libertà di scelta e<br />
responsabilità personale. Secondo me questa è la sola strada ora<br />
disponibile per uomini veramente di coscienza. Non abbiamo a <strong>che</strong><br />
fare con dei cristiani. Porgi l'altra guancia a gente come questa, come<br />
dicono i preti, e saremo morti entro l'anno. Il vecchio Dio del<br />
testamento ebraico, con il suo occhio per occhio, dente per dente,<br />
adesso va meglio del mite Cristo. Io scelgo il suo sistema, e sono<br />
pronto a prendermi la responsabilità della sopravvivenza del nostro<br />
popolo.»<br />
«Sì. Hai ragione.» Ora c'era convinzione nella sua voce. «Me ne<br />
occuperò. Ma cosa facciamo della fossa <strong>che</strong> stanno scavando per gli<br />
altri?»<br />
«Interrompi il lavoro. <strong>La</strong>scia <strong>che</strong> marciscano all'aperto. Nessuno<br />
dei nostri sarà qui a sentire la puzza. Riunisci gli uomini. Li faremo<br />
marciare a fianco della fossa e mostreremo loro <strong>che</strong> cosa è stato fatto<br />
qui, poi faremo loro vedere l'applicazione della giustizia,<br />
nell'esecuzione dei criminali sulla pira delle loro vittime.»<br />
E così fu fatto.
XXIII.<br />
<strong>La</strong> cavalcata di ritorno alla Colonia fu lunga e silenziosa.<br />
Ognuno aveva molti pensieri <strong>che</strong> agitavano il proprio animo, e il<br />
fumo nero della pira della famiglia di Sulla gravava su di noi, an<strong>che</strong><br />
se ce l'eravamo lasciato alle spalle. Quando arrivammo, Pico e io<br />
andammo subito a incontrare Caio. Ci stava aspettando nello studio<br />
con il vescovo Alarico, <strong>che</strong> era arrivato per una delle sue visite<br />
periodi<strong>che</strong>. Quando entrammo nella stanza i due uomini balzarono<br />
in piedi scrutando i nostri volti. Feci un cenno di saluto e parlai per<br />
primo al vecchio vescovo.<br />
«Avresti dovuto essere con noi, Alarico. Ci sarebbe servito il tuo<br />
aiuto.»<br />
«Per <strong>che</strong> cosa?» <strong>La</strong> voce di Caio era tesa.<br />
«Funerali.»<br />
«È stato brutto?»<br />
«Peggio di quanto tu possa immaginare.» Raccontai loro<br />
l'accaduto e quello <strong>che</strong> avevo trovato nella cantina. Pico non tentò<br />
mai di aggiungere qualcosa, né di interrompermi in alcun modo.<br />
Quando ebbi finito, entrambi i miei ascoltatori erano bianchi in volto<br />
come lo era stato Pico quando era uscito dalle stalle.<br />
«Hai giustiziato i prigionieri?» Questa era la voce di Caio. «Sì.»<br />
Mi guardò negli occhi, e se aveva qual<strong>che</strong> difficoltà ad accettare<br />
le mie azioni non me ne accorsi. Si girò e si allontanò dalla seggiola<br />
di qual<strong>che</strong> passo, con le spalle curve. «Questo cambia ogni cosa»<br />
disse. «Non ci aspettavamo un nemico con la cavalleria. Adesso<br />
dobbiamo pianificare le nostre difese in modo completamente<br />
diverso.»<br />
«Non cavalleria, Caio, solo cavalli.» Si girò e aggrottò la fronte.<br />
«Ho fatto anch'io lo stesso errore, all'inizio, ma quelli <strong>che</strong> abbiamo
incorso non erano cavalieri, erano solo uomini a cavallo. Questo<br />
fatto comunque fa una differenza in termini di mobilità del nemico.<br />
È stato ovviamente l'appoggio di una banda di cavalieri <strong>che</strong> li ha<br />
incoraggiati ad avventurarsi nell'entroterra.»<br />
Il vescovo Alarico non aveva detto niente fino a quel momento.<br />
Si era solo lasciato cadere sulla seggiola, rimanendo a guardare i<br />
nostri tre volti. A questo punto parlò.<br />
«Ma quegli uomini - hai detto <strong>che</strong> erano Franchi? - dove hanno<br />
trovato i cavalli?»<br />
«Non li hanno trovati, Alarico. Li hanno portati con loro.»<br />
«Dalla Gallia? In <strong>che</strong> modo?»<br />
«Sulle imbarcazioni, proprio nello stesso modo in cui Pico ha<br />
portato i suoi.»<br />
«Non puoi fare un paragone del genere» interruppe Caio. «Pico<br />
ha usato delle galere imperiali per il trasporto. Navi grandi. I<br />
Franchi non ne hanno.»<br />
«No, Caio, hai ragione, non ne hanno» dissi. «Ma non ne hanno<br />
bisogno. Noi abbiamo visto solo dieci o dodici uomini a cavallo.<br />
Quella quantità di cavalli poteva facilmente trovare posto in due o<br />
tre imbarcazioni lunghe. Ma non è il numero <strong>che</strong> conta, è il fatto <strong>che</strong><br />
lo facciano. Dobbiamo scoprire dove sono sbarcati e assicurarci <strong>che</strong><br />
nessuno dei loro amici li segua, e se ciò significa il pattugliamento<br />
costante dell'intera linea costiera sudoccidentale, dovremo adattarci<br />
a convivere con questa prospettiva. Pico è d'accordo con me. Ne<br />
abbiamo parlato questa mattina durante il viaggio di ritorno.»<br />
Caio fece una smorfia. «Allora pensi <strong>che</strong> siano venuti dalla costa<br />
meridionale? Per tutto quel tragitto?»<br />
Pico annuì. «Trenta, quaranta, forse cinquanta miglia all'interno,<br />
a seconda della rotta <strong>che</strong> hanno seguito. Sì, lo penso. I cavalli hanno<br />
dato loro la protezione di cui pensavano di aver bisogno, velocità e<br />
mobilità nella ricognizione del territorio. Abbiamo calcolato <strong>che</strong>
fosse una squadra di tre navi, con circa trentatré uomini e tre o<br />
quattro cavalli per imbarcazione.»<br />
«Capisco» disse, e il tono della sua voce lo confermava. «Allora<br />
cosa facciamo adesso?»<br />
Glielo dissi. «Convochiamo il Consiglio per domattina, per<br />
definire alcune nuove priorità.»<br />
«Quali?»<br />
«Decidere quanta terra indifendibile vogliamo abbandonare,<br />
alla luce delle nuove circostanze. Dobbiamo assolutamente<br />
abbandonare alcune ville, an<strong>che</strong> se continueremo a coltivarne i<br />
terreni. Dobbiamo portare qui la gente <strong>che</strong> abita più lontano, per<br />
poterla difendere. E da adesso in poi ogni squadra <strong>che</strong> lavora nei<br />
campi deve essere difesa da una guardia armata.»<br />
Annuì senza parlare, accettando ogni punto <strong>che</strong> citavo. «E poi?»<br />
«Dunque, per tutto il tempo del ritorno ho pensato alle nostre<br />
difese. Penso <strong>che</strong> non appena avremo messo in salvo il raccolto<br />
dovremo concentrarci sul completamento del forte sulla collina.<br />
Dovremo costituire un quartiere generale stabile ed essere pronti a<br />
spostare lassù tutta la nostra gente per poterla mettere al riparo in<br />
poco tempo.»<br />
«Questo è sensato. Pico, sei d'accordo con Publio?»<br />
«Sì, padre, lo sono. Ma ricorda <strong>che</strong> avrete bisogno di una facile<br />
via di entrata e di uscita. Avrete bisogno di una strada, an<strong>che</strong> se solo<br />
dai piedi alla cima della collina.»<br />
«Sì, penso proprio di sì. Dobbiamo poter fare entrare e uscire la<br />
nostra gente in fretta.»<br />
Pico insistette su quel punto. «<strong>La</strong> vostra gente, certo, ma<br />
soprattutto i vostri soldati, a cavallo e a piedi.»<br />
Caio si girò nuovamente verso di me. «Varro, hai ragione,<br />
questa è una faccenda per il Consiglio. Convo<strong>che</strong>rò una seduta di
emergenza stasera.»<br />
«No, Caio» lo interruppi. «Non stasera. Domattina sarà<br />
sufficiente. <strong>La</strong>scia <strong>che</strong> tutti dormano un po'. Anch'io ho qualcosa da<br />
fare, perciò se mi scusate, vado a occuparmene adesso.» Salutai e<br />
lasciai i tre amici, e andai a cercare Luceia per darle la triste notizia.<br />
Mi aspettava nei nostri appartamenti, nella stanza di famiglia, e<br />
la prese meglio di quanto pensassi, an<strong>che</strong> se avrei dovuto avere di<br />
mia moglie un'opinione migliore. Sapendo quanto era vicina a Stella<br />
Sulla e ai suoi bambini mi ero scervellato per trovare il modo più<br />
delicato per darle la brutale notizia, ma non fu necessario dire una<br />
parola. Il semplice fatto di vedermi, benché cercassi di mantenere<br />
un'espressione impassibile, o forse proprio tale impassibilità le<br />
rivelò il peggio, e i suoi occhi si riempirono di lacrime prima ancora<br />
<strong>che</strong> potessi parlare.<br />
«Siete arrivati troppo tardi. È stato atroce?» Annuii, soffrendo<br />
per tale ammissione eppure consapevole <strong>che</strong> mentire sarebbe stato<br />
inutile. Avrebbe comunque saputo la verità dagli altri.<br />
«È stata... Hanno...?»<br />
«Sì. Siamo arrivati troppo tardi. Ho visto il suo corpo. Era stata<br />
violentata, ma non mutilata...» Mi interruppi, rendendomi conto<br />
della vanità delle mie parole. «Comunque,» proseguii, sentendo<br />
l'asprezza di ciò <strong>che</strong> dicevo, «deve essere stata una morte rapida,<br />
perché ho avuto la... l'impressione, molto forte, <strong>che</strong> fosse morta in<br />
fretta.»<br />
«E i bambini?»<br />
«Sono morti tutti, amore, e an<strong>che</strong> Vegezio; ammazzato nel<br />
tentativo di portare soccorso.»<br />
Il respiro le uscì in un soffio, poi si raddrizzò, respirando di<br />
nuovo profondamente. «Povera Stella» mormorò, quasi a se stessa,<br />
ricordando. «Era una donna così gentile e luminosa, come il sole in<br />
primavera.» Luceia girò la faccia dall'altra parte; poi abbassò le
spalle e venne verso di me, appoggiandosi singhiozzante al mio<br />
petto, e io rimpiansi di non essermi tolto l'armatura prima di venire<br />
da lei. Eppure, malgrado tutto il suo dolore, compresi <strong>che</strong> si era<br />
preparata a quella notizia, e <strong>che</strong> era determinata a non lasciarsene<br />
influenzare troppo visibilmente. <strong>La</strong> tenni stretta finché si fu<br />
ricomposta, e poi diventò di nuovo la padrona di casa, raddrizzò le<br />
spalle e mi guardò negli occhi.»<br />
«E gli aggressori? Cosa ne è stato?»<br />
«Li abbiamo presi. Pensiamo <strong>che</strong> fossero Franchi o Galli.<br />
Venivano da sud ed erano stranieri, sconosciuti. Ma da qualunque<br />
luogo venissero non torneranno a casa.»<br />
Corrugò la fronte. «Cosa ne avete fatto?»<br />
<strong>La</strong> guardai, duro come la pietra. «Li abbiamo ammazzati quasi<br />
tutti. Gli altri, li abbiamo bruciati vivi sulla pira funebre di Sulla.»<br />
Spalancò gli occhi, scrutandomi in volto, poi annuì, accettando il<br />
mio giudizio senza fare domande. «Bene» disse, poi si allontanò da<br />
me, abbassando lo sguardo sulla mano <strong>che</strong> frugava in una tasca<br />
della gonna e tirava fuori un fazzoletto.<br />
«Devi essere affamato» disse, asciugandosi il naso. «Quando hai<br />
mangiato l'ultima volta?»<br />
«<strong>La</strong> notte scorsa, prima dell'alba. Ho mangiato un po' del pane e<br />
del formaggio <strong>che</strong> avevo portato con me. E poi non ho avuto più la<br />
forza di mangiare altro. Pico è con Caio e Alarico. An<strong>che</strong> lui deve<br />
essere affamato.»<br />
«Vuoi mangiare adesso?»<br />
«No, amore, non posso. Devo prima occuparmi di Germanico e<br />
parlare con Equo. Se vado subito, in un'ora sarò di ritorno.»<br />
Si sporse e mi baciò. «Vai allora e torna in fretta. Farò avvertire<br />
da Gallo gli inservienti per il bagno, e ci sarà una cena calda ad<br />
aspettarti quando ti sarai lavato e vestito.»
Poco tempo dopo trovai Vittore nelle scuderie, <strong>che</strong> guardava<br />
perplesso l'oggetto tolto dalla groppa del piccolo cavallo franco.<br />
L'oggetto era per terra, e lui ci stava accovacciato vicino e passava il<br />
palmo della mano sulla pelle morbida.<br />
Scivolai giù da Germanico e porsi le redini a uno stalliere, <strong>che</strong> lo<br />
portò alla sua stalla.<br />
«Che cos'è Vittore? Hai mai visto qualcosa di simile?»<br />
Scosse la testa. «No. Che io sia dannato se so cos'è, an<strong>che</strong> se è<br />
una specie di sella.» Fece una pausa, poi fece scorrere di nuovo le<br />
dita sull'oggetto, prendendolo per il bordo più basso e sollevandolo<br />
per valutarne il peso. «Non assomiglia a nessuna sella romana...<br />
come sai, sono fatte di pelle tesa su sottili lastre di bronzo, <strong>che</strong> la<br />
rafforzano. Sono leggere, ma sono oggetti goffi. Ecco perché sono<br />
così pochi gli uomini <strong>che</strong> le usano. Ma questa...» <strong>La</strong> rigirò per<br />
guardarla da sotto. «Guarda qui! Questa cosa è costruita su una<br />
struttura di legno... E guarda qui...» <strong>La</strong> rimise diritta. «Guarda lo<br />
schienale, il modo in cui è sagomato, e lo strano aspetto <strong>che</strong> ha<br />
questa cosa vista dal davanti... Non è stato progettato per portare un<br />
peso! Ha la forma di un sedere! Ma se un uomo ci sale a cavallo, con<br />
il culo schiacciato contro lo schienale, non può più fare nulla. Non<br />
può far girare il cavallo né controllarlo, e attraverso questa cosa non<br />
è possibile neppure stringere i fianchi del cavallo. È troppo spessa.<br />
Troppo pesante e troppo compatta. Un cavaliere schizzerebbe fuori<br />
dall'arcione...» <strong>La</strong> sua voce si spense perplessa e poi riprese. «In ogni<br />
caso questo non è il punto, vero? È troppo piccola per un uomo.»<br />
«Un ragazzo» dissi io. «Il cavaliere era un ragazzo e penso,<br />
malgrado i tuoi dubbi, <strong>che</strong> sia una sella, an<strong>che</strong> se mi chiedo perché<br />
mai qualcuno dovrebbe volere una cosa simile o averne bisogno...»<br />
<strong>La</strong> mia attenzione fu attratta allora da due oggetti pendenti, attaccati<br />
ognuno a un lato della sella. «Che cosa sono quelle cose <strong>che</strong><br />
pendono? Cosa ti sembrano?»<br />
Vittore ne prese una, tirandola verso di sé. Era una larga striscia
di pelle, fissata in alto alla struttura principale, e finiva con un'asola.<br />
Un pezzo di legno piatto, scavato a nicchia a ogni estremità, era<br />
inserito dentro la base dell'asola e la teneva tesa dandole la forma di<br />
un delta.<br />
Vittore la guardò meravigliato per un po', poi disse: «Non ne ho<br />
idea... A meno <strong>che</strong>...» <strong>La</strong> sua voce si affievolì e poi riprese, mentre<br />
l'asola tenuta tesa dal legno ricadeva contro la sella. «Guarda<br />
comandante, se questa cosa è per sedercisi su, se è un tipo di sella -<br />
come la sua forma farebbe pensare, malgrado la logica - allora<br />
nessuno potrebbe salirci con un volteggio. Lo schienale è troppo<br />
alto.» Annuii. «E allora?»<br />
«Allora come fa uno a salire a cavallo? Ti ho visto molte volte<br />
farti aiutare a salire su Germanico, io stesso ti ho fatto da appoggio<br />
qual<strong>che</strong> volta.» Mi fece ondeggiare l'estremità dell'asola sotto il<br />
naso. «Questa cosa potrebbe servire allo stesso scopo: un gradino<br />
per montare a cavallo.»<br />
Lo fissai. «Per Dio, hai ragione, Vittore! Ma perché uno<br />
dovrebbe prendersi tutta questa noia? A meno <strong>che</strong> il ragazzo non<br />
fosse storpio.»<br />
«Lo era?»<br />
Mi strinsi nelle spalle. «Non lo so. Era morto quando lo abbiamo<br />
trovato. Non ho guardato. Aveva il collo rotto e an<strong>che</strong> la schiena.<br />
Nessuno ha fatto attenzione alle sue gambe.»<br />
«Allora potrebbe essere? Perché questa potrebbe essere stata<br />
una bardatura per un ragazzo storpio. Per forza. Probabilmente<br />
aveva poco equilibrio e perciò è caduto.»<br />
Ero stupefatto. Perché qualcuno doveva portare a combattere un<br />
ragazzo zoppo? An<strong>che</strong> se fosse stato il figlio prediletto? Era forse il<br />
figlio del capo, come facevano pensare la collana d'oro e la camicia<br />
di maglia? Ma avevo cose più importanti a cui pensare.<br />
«Non ho tempo per meditare su questi misteri. Fai portare
questa cosa a Gallo e digli di metterla su un cavalletto nell'armeria.<br />
Ci ricorderà un brutale evento.»<br />
<strong>La</strong>sciai Vittore a guardare la bardatura franca, e trovai Equo alla<br />
forgia, <strong>che</strong> lavorava all'aperto sotto il sole del tardo pomeriggio.<br />
Aveva già saputo dei Sulla e voleva chiedermi altre notizie, ma non<br />
ero dell'umore di parlarne.<br />
«Hai concluso qual<strong>che</strong> cosa con il disegno della nuova spada?»<br />
gli chiesi.<br />
Mi portò dentro la fucina e mi mostrò il lungo pezzo di metallo<br />
sul suo tavolo di lavoro. Su un frammento di papiro aveva disegnato<br />
una spada, una spada con una lama lunga il doppio di un gladio e<br />
con un'impugnatura con un forte peso al pomolo per bilanciarla.<br />
«Non ho avuto molto tempo per lavorarci e non ti garantisco <strong>che</strong><br />
funzionerà come vuoi.» Scosse la testa dubbioso. «Sapevo quale<br />
sarebbe stato il problema. Devo inserire abbastanza peso nel pomolo<br />
per controbilanciare quella bastarda lama lunga. Questa cosa sporge<br />
qui davanti come le tette di Rea, ma Rea ha il culo per bilanciarla, e<br />
questa cosa no.»<br />
Risi per quel paragone. Rea era la giovane donna più<br />
generosamente dotata della Colonia, ed Equo le era andato dietro<br />
per un po' di tempo.<br />
Rise scuotendo la testa. «Ah, quella Rea! Quello sì <strong>che</strong> è un<br />
bilanciamento! È così ben bilanciata, gli dei la benedicano, <strong>che</strong> può<br />
cadere sulla schiena leggera come una piuma ogni volta <strong>che</strong> vuole,<br />
cosa <strong>che</strong> avviene sempre, tranne quando ci sono io nei dintorni.»<br />
Rise di nuovo, con una grande risata rauca rivolta a se stesso.<br />
Gli battei una mano sulla spalla. «È un inizio comunque. Vai<br />
avanti, Equo. Dopodomani avrò tempo di lavorare con te.»<br />
«Va bene, ma sarà meglio <strong>che</strong> tu sia pronto a perderci molto<br />
tempo. Questa puttana non si concederà a noi solo perché le<br />
sorridiamo gentilmente.»
«Lo so, amico. E adesso devo andare a fare un bagno e a<br />
mangiare. Il Consiglio si riunisce domani e voglio essere in forma<br />
per la seduta.»<br />
Lo lasciai come lo avevo trovato, intento al suo lavoro, a<br />
rompersi la testa sul peso della nuova arma.
XXIV.<br />
Il giorno dopo, malgrado tutte le mie buone intenzioni, arrivai<br />
in ritardo alla riunione del Consiglio, perciò non so con esattezza<br />
come sia iniziata la discussione. Tutto quello <strong>che</strong> so è <strong>che</strong>, quando<br />
arrivai, la sessione era iniziata da mezz'ora, e una grande tempesta<br />
era scoppiata. Sentii il tumulto mentre mi avvicinavo alle porte della<br />
sala, e tanto fracasso mi stupì. Mi fermai fuori dalla porta<br />
ricordando Vegezio e la sua pietra sibilante, poi, d'impulso, andai a<br />
cercare un trombettiere o una tromba. Ovviamente non c'era un<br />
soldato in vista perciò finii con l'andare a prendere un corno di<br />
ottone nella mia armeria.<br />
Una volta ritornato davanti alle porte della sala del Consiglio,<br />
dove lo schiamazzo proseguiva ininterrotto, infilai il corno sotto il<br />
braccio, spinsi la porta ed entrai. Il rumore nel grande locale era<br />
incredibile, un pandemonio totale, tutti urlavano e gridavano<br />
contemporaneamente. Esplorai la sala con lo sguardo per cercare<br />
Caio e lo localizzai rapidamente sul lato opposto. Era in piedi, e di<br />
fianco a lui c'era il vescovo Alarico. Erano le uni<strong>che</strong> due persone<br />
nella sala, a parte me, <strong>che</strong> non emettevano alcun suono.<br />
Ero stato in servizio sotto Caio Britannico per molto tempo e<br />
credevo di averlo visto di tutti gli umori possibili. Lo avevo visto<br />
arrabbiato, e in una sola memorabile occasione lo avevo visto<br />
furioso. Gli diedi un'altra occhiata e mi accorsi <strong>che</strong> non l'avevo mai<br />
visto così furibondo. Era pallido, la pelle era tesa sulle guance e le<br />
labbra erano così strette <strong>che</strong> sembrava non esserci bocca. Ma furono<br />
i suoi occhi <strong>che</strong> più mi impressionarono. Sembravano di pietra: duri,<br />
freddi, inflessibili e implacabili. Avvicinai il corno alle labbra e<br />
lasciai <strong>che</strong> il suo urlo di ottone costringesse tutti al silenzio.<br />
Si girarono tutti verso di me, un po' perplessi per la brusca<br />
interruzione. Poi qualcuno pronunciò il mio nome e dal tono della
voce capii <strong>che</strong> il suo proprietario voleva sollecitare il mio sostegno.<br />
Lo ridussi al silenzio con un altro squillo, mantenendo il suono fino<br />
a rimanere senza fiato. Finché suonai nessuno si mosse, ma quando<br />
iniziai a camminare, ricominciarono tutti a parlare, e dovetti ridurli<br />
nuovamente al silenzio con un terzo squillo. Questa volta, mentre<br />
toglievo il corno dalle labbra, indicai il fondo della sala dicendo:<br />
«Caio Britannico!».<br />
Gli occhi di tutti si rivolsero a lui. Caio rimase rigido per qual<strong>che</strong><br />
istante e poi disse: «Sediamoci».<br />
Di nuovo una voce si levò, e in un attimo Caio sguainò la spada<br />
e la sbatté fragorosamente di piatto sul tavolo di fronte a sé.<br />
«SILENZIO!» urlò. Il silenzio <strong>che</strong> seguì fu assoluto e pieno di timore<br />
reverenziale.<br />
Un silenzio totale.<br />
«Ho detto, sediamoci.» Fu quasi un sussurro.<br />
Di fronte alla sua collera l'irritazione nella sala si era mutata in<br />
imbarazzo, e tutti si sedettero.<br />
Caio sollevò la spada dal tavolo, la girò e conficcò la punta nel<br />
legno, così <strong>che</strong> la spada rimase eretta davanti a lui. Quando parlò di<br />
nuovo la sua voce era bassa, intensa e sibilante di disgusto.<br />
«Mai nella mia vita, mai, sono stato sottoposto a una simile<br />
vergognosa esibizione di stizza! Come osate far subire a me, e a voi<br />
stessi, un comportamento tanto degradante! Voi siete il Consiglio di<br />
questa Colonia. Gli anziani! Si suppone <strong>che</strong> la vostra sia la voce<br />
collettiva della saggezza!» I suoi occhi passarono in rassegna ogni<br />
uomo nella sala e molti si dimenarono a disagio sulla loro seggiola.<br />
Alla fine, dopo quello <strong>che</strong> sembrò un secolo, Caio riprese a parlare.<br />
«Adesso voglio <strong>che</strong> ascoltiate molto attentamente quello <strong>che</strong> ho<br />
da dirvi. Voglio <strong>che</strong> ognuno di voi faccia uno sforzo supremo per<br />
dimenticare domande personali o richieste o interpretazioni di<br />
quello <strong>che</strong> avete o non avete sentito prima di venire qui.» Si morsicò
il labbro superiore e li guardò sdegnoso, tenendo in pugno la loro<br />
attenzione, prolungando il silenzio <strong>che</strong> aveva ottenuto. «Ascoltate<br />
per il vostro bene. Sono io, Caio Britannico, <strong>che</strong> vi parlo!» I suoi<br />
occhi si mossero da un volto all'altro e di nuovo prolungò la pausa,<br />
lasciandoli ad attendere le sue parole successive.<br />
«Questa è la mia casa. Siete qui su mio invito. Io ho fatto nascere<br />
questo Consiglio!» Un mormorio di attesa avvolse l'uditorio<br />
silenzioso. Alla fine, quando fu convinto <strong>che</strong> nessuno avrebbe rotto<br />
il silenzio per sfidarlo, Caio continuò; e la chiarezza e la decisione<br />
della sua voce risuonarono per la stanza, an<strong>che</strong> se la voce non era<br />
molto alta. Nessuno dubitò a quel punto di avere arrecato grave<br />
offesa al potere <strong>che</strong> Caio Britannico rappresentava, alla sua stessa<br />
presenza; il suo sguardo andò da faccia a faccia, senza fermarsi su<br />
nessuno in particolare, ma badando <strong>che</strong> a nessuno sfuggisse<br />
l'importanza delle sue parole.<br />
«Non tollererò ulteriori oltraggi nella mia casa! È chiaro? Se<br />
volete comportarvi come animali o come venditori ambulanti, allora<br />
andate a litigare nelle stalle o nella piazza del mercato! Non qui.»<br />
Era sovreccitato, fragile e perciò vulnerabile nella sua collera.<br />
Lottando per calmarsi, abbassò la testa, stringendosi la radice<br />
del naso tra il pollice e l'indice della mano destra.<br />
Avanzai nella sala proprio mentre <strong>La</strong>tte Nepote, un abile pellaio<br />
seduto di fronte a me sulla destra, si chinava a commentare con il<br />
vicino.<br />
«Nepote!» ruggii, picchiandolo forte su una spalla. «Stai zitto!<br />
Non vedi <strong>che</strong> non ha ancora finito!»<br />
Tacque di colpo, imbarazzato, e io ripresi a camminare verso il<br />
fondo della sala, fermandomi esattamente dietro a Caio, alla sua<br />
destra, e da lì mi girai ad affrontare il Consiglio, guardando i volti di<br />
tutti, cercando in essi collera, risentimento, tracotanza. Tutto quello<br />
<strong>che</strong> vidi fu vergogna, unita al timore di Caio.
Caio alzò la voce e drizzò le spalle, e quando parlò la sua voce<br />
era tornata al tono normale, ma caratterizzato da una cadenza<br />
oratoria.<br />
«Quando fondammo questa Colonia, la dedicammo alla causa<br />
della sopravvivenza nell'eventualità di Armageddon, e la<br />
dedicammo alla conservazione di tutto quello <strong>che</strong> in origine fu<br />
grande a Roma.<br />
Quando formammo questo Consiglio, per il governo della<br />
Colonia, parlammo con orgoglio di risolvere i nostri problemi<br />
nobilmente, in sessioni regolamentate dedicate al bene comune,<br />
come facevano i nostri antenati repubblicani nel Senato. Questo<br />
Consiglio è il nostro Senato!» Si fermò di nuovo, per permettere al suo<br />
commento di penetrare nella mente degli ascoltatori, e di nuovo il<br />
suo sguardo percorse l'assemblea, senza dimenticare un solo<br />
membro.<br />
«Questo Consiglio è il nostro Senato. Questa è la verità, ma non<br />
è mai stata dichiarata prima, perché suona troppo grandiosa e<br />
intimidatoria, e sa di affettazione e di immeritati e indebiti poteri.»<br />
Si guardò intorno nuovamente, avvolgendo tutti nel suo<br />
sguardo, senza interrompere il ritmo del discorso. «Però è la verità.»<br />
L'auditorio era affascinato.<br />
«Voi uomini siete i senatori della Colonia. Non abbiamo usato<br />
questo termine, come tale, fino a questo momento e fino a questa<br />
incresciosa circostanza, ma questo è quello <strong>che</strong> siete, ed è un<br />
momento perfetto per sottolinearlo e inciderlo nella vostra mente e<br />
nella vostra anima... Voi siete i senatori di questa Colonia.»<br />
Trasse un profondo, fremente respiro.<br />
«Qui, in questa camera di Consiglio, ogni uomo è uguale.<br />
Ognuno ha una parte da svolgere. Ognuno ha il suo valore, <strong>che</strong> è<br />
personale e non è mai utilizzato meglio di quando è dedicato a<br />
risolvere i problemi comuni. Nessuna voce dovrebbe essere più
importante qui di quella di un altro, nemmeno la mia. <strong>La</strong> mia<br />
funzione è solo quella di moderatore, o meglio lo è stata fino a oggi.<br />
Adesso, come Giulio Cesare, sto qui in piedi come un dittatore,<br />
violando la legge, perché voi mi avete costretto a farlo! Non vi sono<br />
grato per questa distinzione.» Si fermò di nuovo, muovendo<br />
intenzionalmente gli occhi da uomo a uomo, senza dimenticare<br />
nessuno nel suo esame.<br />
«Non accetterò il ruolo <strong>che</strong> scaricate su di me.» Ci fu un<br />
completo silenzio nella sala. «Non reciterò il ruolo di padre del<br />
vostro infantilismo.» Trasse un lungo sospiro. «Mio figlio Pico è<br />
molto preoccupato in questi giorni per le sue responsabilità<br />
individuali. Ognuno di voi dovrebbe andarlo a cercare la prossima<br />
volta <strong>che</strong> verrà a trovarci, e passare un po' di tempo parlando con<br />
lui, perché, vi piaccia o no, ognuno di voi ha accettato delle responsabilità<br />
individuali per il benessere di questa Colonia.<br />
Il dibattito odierno mi ha assolto da una responsabilità <strong>che</strong> in<br />
realtà non ho mai avuto... eppure pensavo <strong>che</strong> fosse mio dovere... la<br />
responsabilità individuale della vostra persona, delle vostre azioni,<br />
del vostro comportamento e della Colonia. D'ora in poi, non sarò più<br />
il moderatore di questo Consiglio.» Alzò una mano in fretta,<br />
cercando di anticipare il mormorio spontaneo <strong>che</strong> queste parole<br />
avevano causato, e a cui io stesso avevo contribuito con un<br />
involontario borbottio di sorpresa e di apprensione.<br />
«Ascoltatemi! Non voglio essere drammatico. Sono serio. Sto<br />
diventando troppo vecchio per questo, e già da tempo pensavo <strong>che</strong><br />
il mio compito fosse compiuto. Oggi vedo <strong>che</strong> mi sbagliavo. Il mio<br />
compito è ben lungi dall'essere completato. Ma verrà completato<br />
adesso, definitivamente, per il meglio o per il peggio.<br />
Malgrado il modo in cui vi siete comportati stamattina, siete<br />
tutti adulti. È giunto il momento <strong>che</strong> vi assumiate le vostre<br />
responsabilità. Questa sessione sarà l'ultima per me, in veste di<br />
moderatore. Il Senato della Roma repubblicana non aveva
moderatori permanenti, né li avrà questo Consilio.<br />
Sospetto da diverse sedute ormai l'emergere tra noi di ambizioni<br />
personali. Mi sono spesso accusato di essere cinico e sospettoso, ma<br />
ora vedo <strong>che</strong> non era così. Il fallimento di stamattina ha le sue radici<br />
esattamente nello spirito <strong>che</strong> ho temuto: l'ambizione, l'elitarismo!<br />
Non lo si può lasciare crescere e progredire, perché se accade, questo<br />
Consiglio e questa Colonia sono condannati.» Fece una nuova<br />
pausa, e nessuno cercò di interromperlo.<br />
«Abbiamo appena perso in guerra il nostro primo membro del<br />
Consiglio. Abbiamo avuto il nostro primo martire. Vegezio Sulla ha<br />
mantenuto con onore il suo posto tra di noi. Ora è morto e deve<br />
essere sostituito. È tragico <strong>che</strong> sia la necessità a sostituire un simile<br />
uomo, l'occasione della sua morte, a provocare una scena disgustosa<br />
come quella a cui abbiamo appena assistito.» <strong>La</strong> sua voce si levò di<br />
nuovo in un grido, <strong>che</strong> rimbombò nel silenzio della stanza.<br />
«Come osa un qualunque uomo farsi avanti in simili<br />
circostanze? Come può chiunque tra voi essere così meschino da<br />
azzuffarsi per il posto dove dovrebbe sedere?<br />
Che importanza ha se siete giovani o vecchi? Perché dovrebbe<br />
importare se siete seduti in fondo all'assemblea o davanti? Si<br />
vergogni chiunque lo pensa! C'è qualcuno tra voi <strong>che</strong> pensa di<br />
acquistare importanza sedendosi più vicino a me? Bene, se è così<br />
avrò cura di non sedere mai più in questo posto!<br />
O c'è qualcuno tra voi <strong>che</strong> pensa di non venire ascoltato se la sua<br />
voce viene dal fondo? Pensieri di questo genere mettono in<br />
discussione l'onore di questo Consiglio! Sono indegni! In questa<br />
assemblea tutte le voci sono uguali e ogni uomo tra noi ha il diritto<br />
di parlare e di votare! Questa è una camera di Consiglio!» <strong>La</strong> sua<br />
voce ricadde di nuovo quasi a un sussurro. «E non, come ho già<br />
detto, la piazza del mercato.»<br />
Tacque, ricordando sempre la necessità di concedere abbastanza<br />
tempo perché le sue parole facessero presa nella mente dei suoi
ascoltatori; poi alzò la mano destra, con l'indice teso.<br />
«Per tutti gli anni in cui ci siamo incontrati qui, in questa stanza,<br />
abbiamo avuto un'unica regola <strong>che</strong> governava le nostre sessioni. Ora<br />
io credo <strong>che</strong> sia giunto il momento di dare inizio a nuove regole, non<br />
di governo, ma di semplice e onesta guida, <strong>che</strong> servano a ricordare<br />
chi siamo e quale deve rimanere la nostra vera funzione. Noi siamo i<br />
membri di un Consiglio creato per servire gli interessi della gente<br />
<strong>che</strong> rappresentiamo: i coloni <strong>che</strong> dividono con noi la vita e il destino.<br />
Con due sole eccezioni, me stesso e Publio Varro, ogni uomo tra voi<br />
è qui perché tutti gli altri pensano <strong>che</strong> possa dare un contributo.<br />
Vegezio Sulla è stato un esempio di prim’ordine. Nel momento<br />
dell'estrema necessità è stato il suo intuito a permetterci di compiere<br />
i passi <strong>che</strong> ci avrebbero protetto, passi <strong>che</strong> nessuno tra noi avrebbe<br />
immaginato. E quando parlò, come tutti voi ricorderete, lo fece<br />
dall'angolo estremo di questa stanza, prima di venire avanti!»<br />
Alzò la mano verso l'impugnatura della spada, ancora<br />
conficcata nel piano del tavolo, e fece leva avanti e indietro sulla<br />
lama fino a liberarla. <strong>La</strong> rinfoderò con calma.<br />
«Mi sono adirato con voi. Ho accusato alcuni di voi di voler<br />
portare avanti i loro scopi prendendo posti prominenti in questo<br />
Consiglio. Ora mi accorgo <strong>che</strong> ciò si può evitare semplicemente.» Si<br />
interruppe, ovviamente aspettando una risposta, e qualcuno, non<br />
vidi chi, fece la domanda <strong>che</strong> era nella mente di tutti.<br />
«In <strong>che</strong> modo, Caio?»<br />
«In <strong>che</strong> modo? Adottando qui, in questo momento, la regola <strong>che</strong><br />
in tutti i Consigli futuri i membri saranno seduti in cerchio.<br />
Disponiamo le sedie intorno alla stanza e fissiamo una regola<br />
secondo la quale nessuno si possa sedere di fianco alla stessa<br />
persona per più di due riunioni di seguito.» Questa volta non fece<br />
un gesto per impedire lo scoppio di discussioni originate dalle sue<br />
parole, ma alzò la voce e parlò in mezzo al rumore.
«Pensateci, amici! Pensate <strong>che</strong> cosa signifi<strong>che</strong>rebbe! Ogni volta<br />
<strong>che</strong> questo Consiglio si riunirà avremo un motivo per ricordare la<br />
causa di questa regola!» Le voci si acquietarono di nuovo e quando<br />
la stanza ricadde nel silenzio, proseguì. «Potremmo fare di più.<br />
All'ingresso della sala, dopo la porta, potrebbe esserci un sac<strong>che</strong>tto<br />
di pietre, con venti pietre bian<strong>che</strong> e una pietra nera. Ogni uomo<br />
entrando potrebbe pescare una pietra e chi avrà estratto la pietra<br />
nera sarà il moderatore nelle discussioni della giornata. In questo<br />
modo un uomo potrebbe an<strong>che</strong> estrarre la pietra nera con maggiore<br />
frequenza dei suoi compagni, ma ciò sarebbe ogni volta dovuto solo<br />
al caso e non ad altri motivi.»<br />
Ci fu un mormorio di commento, e questa volta una mano si<br />
alzò e si agitò nell'aria, quella di Quinto Secone.<br />
«Sì, Secone?»<br />
Secone si alzò in piedi e si guardò intorno, rosso in volto. Tossì e<br />
si schiarì la voce e poi parlò.<br />
«Caio Britannico, tu ci hai dato - e ce la meritavamo - una lavata<br />
di capo e più di una buona ragione per provare vergogna. Ho<br />
ascoltato attentamente le tue parole e penso <strong>che</strong> quello <strong>che</strong> hai detto<br />
sia vero.» Si schiarì la voce di nuovo. «Ma penso <strong>che</strong> quello <strong>che</strong> mi è<br />
piaciuto di meno sia la parte più vera. Abbiamo dimenticato perché<br />
siamo qui. Ci sentiamo davvero importanti. Io sono fiero di essere un<br />
membro di questo Consiglio. Ma tu mi hai fatto capire <strong>che</strong> forse ne<br />
sono troppo fiero. Questa idea di un Consiglio "circolare" ha molto<br />
senso secondo me. Così pure quella di un moderatore scelto a caso<br />
per ogni sessione, an<strong>che</strong> se con ciò non voglio insinuare <strong>che</strong> non ti<br />
siamo grati per il tuo passato contributo.»<br />
Caio respinse quella frase con un gesto della mano. «Non mi<br />
offendi, Quinto. Vai avanti.»<br />
«Bene, io penso <strong>che</strong> dovremmo adottare il tuo suggerimento.<br />
Penso <strong>che</strong> dovremmo farlo subito. Penso <strong>che</strong> dovremmo votare<br />
entrambe le proposte, senza dibattito.»
Secone si risedette, ancora rosso in volto, e per un certo tempo<br />
nessuno rispose. Poi Varo, il cognato di Caio, fece sentire la sua<br />
voce.<br />
«Per il sangue di Cristo, Quinto, sono con te! Propongo di votare<br />
immediatamente!»<br />
Ancora una volta Caio prese la parola. «Prima <strong>che</strong> lo mettiate ai<br />
voti, c'è qualcuno <strong>che</strong> vuole esprimersi contro questa idea?»<br />
Tutti si guardarono intorno, e in fondo alla stanza si alzò una<br />
mano solitaria. Caio guardò, inespressivo. «Tozio, desideri<br />
contestarla?»<br />
Tozio si alzò in piedi, rosso in faccia e piuttosto arcigno. «No,<br />
Caio, non voglio, ma mi sembra <strong>che</strong> questa stanza sia troppo piccola<br />
per un cerchio di ventidue seggiole.»<br />
Caio sorrise. «Non credo, Tozio. Quando avremo sgomberato la<br />
sala dovrebbe esserci abbastanza spazio. Ma in un certo senso hai<br />
ragione. <strong>La</strong> stanza potrebbe essere più grande.»<br />
Tozio era il solo <strong>che</strong> avesse un commento da fare, perciò fu fatta<br />
la votazione e i cambiamenti furono approvati all'unanimità, con<br />
l'astensione di Caio, data la sua veste di moderatore.<br />
Immediatamente Varo scattò di nuovo in piedi. «Propongo di<br />
cambiare subito la disposizione delle seggiole!» Ci fu un'ovazione<br />
spontanea e la scena degenerò nuovamente in una confusione di<br />
gente <strong>che</strong> si agitava, ognuno con la propria seggiola in mano, finché<br />
si formò un cerchio al centro della stanza e l'ordine si ristabilì<br />
gradualmente. <strong>La</strong> seggiola di Caio fu collocata a caso lungo la<br />
circonferenza e così pure la mia. Nessuno fece l'atto di sedersi,<br />
perché l'occasione sembrava di speciale importanza.<br />
Caio si guardò intorno e sorrise. «In qualità di moderatore del<br />
Consiglio per l'ultima volta, dichiaro aperta ufficialmente la prima<br />
Sessione del Consiglio Rotondo.»<br />
Allora tutti si sedettero, con un grande boato di approvazione.
Trassi un profondo respiro, poi mi alzai e Caio mi diede subito la<br />
parola. Guardai a destra e a sinistra e poi lungo tutto il cerchio,<br />
sorpreso di vedere com'era facile rivolgersi a tutti con quella nuova<br />
disposizione.<br />
«Amici,» cominciai, «questa è una buona cosa. Quando verrà il<br />
vostro turno di alzarvi a parlare vedrete <strong>che</strong> è una buona cosa. Sono<br />
venuto qui oggi per parlarvi dei fatti <strong>che</strong> sono successi negli ultimi<br />
due giorni, e dell'effetto <strong>che</strong> ritengo essi avranno sulla nostra vita da<br />
ora in poi. Sono arrivato in ritardo ed ero pronto a presentare le mie<br />
scuse, ma nessuno se n'è accorto.» Ci fu uno scoppio di risa. Aspettai<br />
<strong>che</strong> si quietassero e poi continuai. «Sono arrivato tardi per diverse<br />
ragioni, la prima delle quali è <strong>che</strong> stavo aspettando un rapporto<br />
dalla squadra <strong>che</strong> avevamo mandato all'inseguimento degli uomini<br />
a cavallo fuggiti dalla fattoria di Sulla. Non c'è nessun rapporto, non<br />
è ancora arrivato. <strong>La</strong> seconda ragione del mio ritardo è <strong>che</strong> ho avuto<br />
un lungo colloquio con il legato Pico, <strong>che</strong>, come molti di voi sanno, è<br />
tornato ai suoi affari stamattina. Ci eravamo salutati ieri notte, ma<br />
ha deciso <strong>che</strong> aveva altre cose da dirmi prima di partire, in modo<br />
<strong>che</strong> io potessi trasmettere a voi le sue parole.»<br />
Mi fermai e frugai nella mia bisaccia per prendere gli appunti<br />
<strong>che</strong> avevo scribacchiato su un pezzo di papiro, e il Consiglio aspettò<br />
in silenzio <strong>che</strong> continuassi. Guardai quello <strong>che</strong> avevo scritto e, una<br />
volta rinfrescata la memoria, ripresi a parlare. «Il succo delle sue<br />
parole è questo. Il legato ritiene, e anch'io, <strong>che</strong> la nostra Colonia non<br />
sia più sicura come prima pensavamo <strong>che</strong> fosse. <strong>La</strong> villa di Sulla è<br />
caduta a seguito di un attacco a sorpresa da una direzione inattesa.<br />
Ma an<strong>che</strong> da qualunque altra direzione la villa di Sulla sarebbe stata<br />
indifendibile dall'attacco <strong>che</strong> ha subito. E noi sospettiamo <strong>che</strong> la<br />
stessa cosa sarebbe successa a tutte le altre ville <strong>che</strong> possediamo,<br />
compresa quella in cui ci troviamo ora. Queste ville sono solo delle<br />
fattorie. Non sono mai state progettate per essere delle fortezze<br />
resistenti al tipo di attacco a cui siamo sottoposti oggi. Questa è<br />
l'opinione di Pico, ed è an<strong>che</strong> la mia e quella di Caio Britannico.
Siamo tutti soldati, e tutti siamo incaricati, con diversi gradi, della<br />
sicurezza di questa Colonia. I tempi sono cambiati più in fretta di<br />
quello <strong>che</strong> pensavamo. Oggi il nostro sistema è inadeguato.» Feci<br />
una breve pausa per lasciar digerire questa affermazione, poi<br />
continuai.<br />
«Se vogliamo sperare di offrire salvezza a tutta la nostra gente,<br />
dobbiamo fare una di queste due cose: o trasformiamo ogni villa in<br />
un campo armato permanente, cosa impossibile, oppure finiamo le<br />
fortificazioni sulla collina alle nostre spalle in modo <strong>che</strong> ogni<br />
persona della Colonia possa trovarvi rifugio, se si realizzasse la<br />
minaccia di un attacco diretto.» Ci fu un brusio di commenti, e io<br />
parlai sovrastandolo. «Un'altra cosa: i Franchi <strong>che</strong> hanno razziato la<br />
villa di Sulla avevano dei cavalli.»<br />
Questo riportò il silenzio. Gli occhi di tutti erano puntati su di<br />
me. Aspettai tre battiti prima di continuare.<br />
«Avete sentito bene. Avevano dei cavalli e questo ha dato loro<br />
una velocità e una mobilità <strong>che</strong> noi possiamo solo eguagliare, ma<br />
non superare, visto <strong>che</strong> non possiamo sapere da dove verranno la<br />
prossima volta. Avevano solo un piccolo gruppo di uomini a<br />
cavallo, ma questi sono stati in grado di scortare un gruppo<br />
numeroso di razziatori. E noi non sapevamo neppure <strong>che</strong> fossero in<br />
Britannia.<br />
Perciò eccoci qui: di fronte a nemici a cavallo dobbiamo<br />
difenderci in modo più completo, e questo significa terminare il<br />
forte alla massima velocità possibile. Abbiamo gli uomini e il<br />
raccolto è quasi concluso, e se lo facciamo prima <strong>che</strong> inizi l'inverno,<br />
abbiamo tutto il tempo.»<br />
Mi sedetti tra un rumoreggiare di commenti e ascoltai<br />
attentamente quelli <strong>che</strong> riuscii a cogliere. Gli uomini parlavano tra<br />
loro. Non ci fu un solo uomo <strong>che</strong> si alzò per fare un commento<br />
individuale.<br />
Guardai Caio, anch'egli in ascolto dei commenti. Alla fine si girò
verso di me e inarcò il sopracciglio nel solito modo sardonico, e io<br />
mi alzai di nuovo.<br />
«Amici!» Attesi <strong>che</strong> tutti mi guardassero. «Dobbiamo trovare un<br />
accordo adesso. Domani sarà troppo tardi. Ci sono troppi progetti<br />
da fare e troppi dettagli da risolvere per poter correre il rischio di<br />
perdere an<strong>che</strong> un solo giorno. L'elemento più importante è il tempo<br />
e il tempo è la sola cosa di cui abbiamo scarsità.» Aspettai contando<br />
fino a dieci, sforzandomi di non rivelare nessuna impazienza nella<br />
voce e nell'atteggiamento. «<strong>La</strong>sciate <strong>che</strong> vi dia un suggerimento.<br />
Poiché oggi abbiamo posto le basi per un nuovo inizio, propongo di<br />
fare un altro passo nella stessa direzione. Abbiamo le nostre mura,<br />
sulla collina. Non sono ancora finite, ma sono abbastanza alte da<br />
darci riparo, se dovesse sorgere la necessità. Propongo di erigere là<br />
un edificio, all'interno delle mura, per ospitare le sessioni del<br />
Consiglio. Questo ci darebbe un centro per focalizzare i nostri sforzi<br />
e potrebbe avere molte altre funzioni quando non verrà usato come<br />
Sala del Consiglio.»<br />
<strong>La</strong> mia proposta fu accolta bene, si sentiva dal brusio dei<br />
commenti. Allora si alzò in piedi il vescovo Alarico e il brusio cessò<br />
di colpo, mentre i membri del Consiglio si rendevano conto<br />
improvvisamente della sua presenza. Il vescovo era un ospite non<br />
ufficiale; non era membro del Consiglio. Caio, però, mas<strong>che</strong>rò la<br />
sorpresa <strong>che</strong> probabilmente provava e fece un cenno cortese in<br />
direzione del vecchio, <strong>che</strong> si guardò intorno e cominciò a parlare.<br />
«Caio Britannico e voi tutti membri di questo Consiglio, io non<br />
ho il diritto, lo so, di alzare la mia voce in questa sessione, ma da<br />
molti anni ormai sento di appartenere con il cuore a questa Colonia.<br />
Ero qui quando è stata fondata e conoscevo i suoi fondatori prima<br />
<strong>che</strong> fosse concepita. Mi fa un profondo piacere <strong>che</strong> abbiate agito<br />
come avete fatto pochi minuti fa.» Fece una pausa, cercando le<br />
parole giuste. «Questo piacere mi dà ora il coraggio di parlare.»<br />
Indicò me con un cenno del capo. «Publio Varro ha fatto una bella
proposta. L'edificio <strong>che</strong> suggerisce di fare costituirà veramente il<br />
centro del vostro lavoro e delle vostre vite. Se adottate la sua<br />
proposta, e prego perché lo facciate, allora spero <strong>che</strong> adotterete<br />
an<strong>che</strong> la mia: costruite in fretta questo edificio, una sala per il<br />
Consiglio e un centro per le vostre vite. Ma <strong>che</strong> sia an<strong>che</strong> una casa di<br />
Cristo, un centro per i vostri bisogni spirituali. <strong>La</strong>sciate <strong>che</strong> Cristo<br />
stesso viva in mezzo a voi.»<br />
Nel silenzio provocato da questo invito c'era ora una nota<br />
diversa, quasi ostile. Lo sentii nell'atteggiamento degli ascoltatori.<br />
Alarico, però, sembrò non esserne cosciente, poiché continuò con un<br />
dolce sorriso. «So <strong>che</strong> tra voi ci sono persone <strong>che</strong> pensano <strong>che</strong> non<br />
potreste parlare, né agire liberamente nella vostra sala se quella sala<br />
fosse an<strong>che</strong> il tempio di Cristo, ma vi sbagliate, amici. Io non sto<br />
parlando di un tempio e neppure di una ecclesia. Non intendo mutare<br />
la vostra sala in un luogo di culto permanente. Il mio suggerimento<br />
è <strong>che</strong> quel luogo potrebbe essere un luogo di culto solo quando i<br />
tempi sono destinati al culto. Altrimenti sarebbe quello <strong>che</strong> deve<br />
essere: secolare. Vale a dire non consacrato a Dio.» Annuì fra sé,<br />
come approvando un pensiero intimo e segreto.<br />
«Io sono vecchio ormai e morirò presto. Prima di morire mi<br />
piacerebbe consacrare una speciale pietra d'altare per voi e per la<br />
vostra Colonia. Una pietra <strong>che</strong> potrebbe rimanere qui ed essere<br />
usata da ogni vescovo di cui avrete bisogno. Non è l'altare <strong>che</strong> è<br />
consacrato, amici. È la pietra d'altare, la pietra <strong>che</strong> sta sopra la tavola<br />
dell'altare, <strong>che</strong> è santificata con la benedizione di Dio e <strong>che</strong> ospita le<br />
sacre reliquie dei suoi santi e dei suoi martiri. È la pietra d'altare <strong>che</strong>,<br />
portata in una stanza e posta su un tavolo, converte quella stanza<br />
nella casa di Dio. È la pietra d'altare <strong>che</strong> io desidero donarvi, perché<br />
sia conservata in un luogo sicuro e usata, in qualunque momento ce<br />
ne sia la necessità, per dedicare la vostra Sala del Consiglio all'uso<br />
santo di Dio.» <strong>La</strong> tensione nella stanza si era dissipata.<br />
«Se mi farete l'onore, a me, un vecchio, di permettermi di dare
questo contributo alle vostre vite, verrò da ovunque mi trovi per<br />
santificare la vostra nuova casa e celebrare il primo servizio di Cristo<br />
nel vostro nuovo edificio.» Si inchinò, mosse una mano in segno di<br />
benedizione e riprese il suo posto a sedere.<br />
Caio si alzò e lo ringraziò a nome di noi tutti e della Colonia, poi<br />
proseguì, con un sorriso: «Perdonami, vescovo Alarico, ma vorrei<br />
chiarire un punto. Ti ho sentito bene? <strong>La</strong> Sala del Consiglio<br />
diventerà la casa di Dio solo quando questa pietra d'altare di cui<br />
parli verrà portata nella sala? E quando la pietra verrà rimossa,<br />
messa al sicuro, la stanza tornerà a essere quello <strong>che</strong> era prima?»<br />
Alarico si alzò di nuovo, annuendo solennemente per reiterare<br />
quel punto importantissimo. «È esatto, Caio Britannico. Questo è il<br />
modo della Chiesa. Per la grazia dovuta alla presenza della pietra<br />
d'altare, la più misera capanna diventa una ecclesia per il tempo in<br />
cui la pietra rimane lì. Quando la pietra viene rimossa la capanna<br />
torna a essere una capanna.»<br />
«E gli uomini potrebbero urlare lì dentro?»<br />
«Urlare e vociare e perfino essere blasfemi, come fanno gli<br />
uomini di tanto in tanto, poiché sono uomini.»<br />
Caio fece un sospiro alto, drammatico, e poi si rivolse al circolo.<br />
«Allora così sia. Consiglieri, come votate? Dobbiamo accettare<br />
l'offerta del vescovo?»<br />
«Sì.» All'unanimità.<br />
«In questo caso, Publio, hai an<strong>che</strong> la tua risposta.» Inclinò la<br />
testa, sorridendo ancora verso il centro del cerchio. «Non è così?»<br />
«Sì.» Di nuovo all'unanimità.<br />
Scattai in piedi all'istante. «Allora ho bisogno solo di altri due<br />
mandati. Ho bisogno del vostro permesso per obbligare Tigellino<br />
Corace qui presente, il nostro famoso architetto, a iniziare la<br />
pianificazione dell'interno del forte e la costruzione dell'edificio<br />
principale.»
«Sì!» Ci furono an<strong>che</strong> molte risate in quell'urlo, perché Tigellino<br />
era noto per la sua tendenza a non offrirsi mai volontario.<br />
«E ho bisogno del vostro permesso per fare iniziare a Marco<br />
Leone e ai suoi ingegneri la costruzione di una strada <strong>che</strong> porti dalla<br />
pianura ai nostri nuovi cancelli. Non abbiamo bisogno di una strada<br />
maestra costruita secondo tutte le regole, ma avremo tuttavia presto<br />
bisogno di una strada praticabile. Gli uomini di Leone sono in grado<br />
di costruirne una e Leone è un capace ingegnere. Ho la vostra<br />
benedizione?»<br />
«Sì!» L'entusiasmo di quel giorno non doveva essere rotto da<br />
obiezioni.<br />
Ero molto più <strong>che</strong> soddisfatto. Mi girai e feci segno a Caio. «Caio<br />
Britannico, chiedo il permesso di lasciare questo Consiglio e di<br />
iniziare i lavori immediatamente.»<br />
Caio mi sorrise. «Grazie, Publio. Continueremo senza di te.»<br />
Mancava un'ora a mezzogiorno e il cortile era deserto. Stavo per<br />
attraversarlo diretto alle stalle quando sentii un grido e uno scalpitio<br />
di zoccoli provenire dai cancelli principali. Mi fermai e vidi entrare<br />
Basso e i suoi uomini a cavallo. Avevano l'aria scoraggiata.<br />
Basso mi vide immediatamente e guidò il cavallo dove mi<br />
trovavo, fece il saluto e poi smontò faticosamente per potermi<br />
parlare stando in piedi.<br />
«Allora?» gli chiesi.<br />
Scosse leggermente la testa. «Li abbiamo persi, comandante, mi<br />
dispiace.»<br />
Repressi l'impulso di urlargli contro, e tenni invece la voce<br />
bassa. «Spiegati. Come avete potuto perdere dieci uomini a cavallo<br />
<strong>che</strong> andavano al galoppo?»<br />
Basso si strinse nelle spalle. «Terreno duro, comandante. Sono<br />
entrati in un corso d'acqua per coprire le loro tracce e sono rimasti
nell'acqua a lungo. Ho dovuto dividere lo squadrone per controllare<br />
in entrambe le direzioni. Poi hanno attraversato i campi per circa un<br />
miglio e hanno trovato la strada principale <strong>che</strong> va da nord a sud, a<br />
est di qui. Quando abbiamo raggiunto la strada non c'era modo di<br />
dire in <strong>che</strong> direzione fossero andati i razziatori.»<br />
«Avete provato a seguire la strada?»<br />
«Sì, comandante, e abbiamo ritrovato le loro tracce. Si sono<br />
diretti alle colline. Le Mendip. È lì <strong>che</strong> alla fine li abbiamo persi. Non<br />
c'erano tracce da seguire tra le pietre.»<br />
«Dannazione!» Mandai giù la mia frustrazione e accettai<br />
l'inaccettabile. «Molto bene, Basso. Hai fatto tutto quello <strong>che</strong> potevi,<br />
immagino. Porta i cavalli nelle stalle e metti in libertà i tuoi uomini.»<br />
Mi fece il saluto e si allontanò. <strong>La</strong>nciai un'imprecazione.
LIBRO QUARTO<br />
<strong>La</strong> spada
XXV.<br />
Non sentimmo più parlare dei cavalieri franchi, e poiché i mesi<br />
successivi furono pieni di frenetica attività, alla fine li<br />
dimenticammo. Il raccolto fu messo al sicuro prima <strong>che</strong> il tempo<br />
peggiorasse, proteggendo ogni campo con uomini armati. Poi,<br />
mentre l'inverno si avvicinava, Marco Leone finì il progetto per la<br />
strada <strong>che</strong> doveva portare al forte e Plauto mise i suoi uomini al<br />
lavoro per costruirla, traendo vantaggio sia dalla tranquillità <strong>che</strong> da<br />
un inverno insolitamente mite. I soldati lavorarono duramente<br />
nonostante pioggia, vento e neve; all'avvicinarsi della primavera il<br />
loro compito era terminato e una strada nuova di zecca si snodava<br />
lungo i fianchi della collina fino all'ingresso principale del forte. Il<br />
cancello era costruito con pesanti tronchi ed era montato su massicci<br />
cardini di ferro <strong>che</strong> Equo e io avevamo forgiato insieme. I muratori<br />
avevano costruito le mura circolari in modo <strong>che</strong>, invece di<br />
incontrarsi a chiudere il cerchio, le due estremità si<br />
sovrapponessero, creando un corridoio laterale protetto, lungo circa<br />
cinquanta passi e largo quindici, <strong>che</strong> poteva essere difeso facilmente<br />
contro un attacco diretto, poiché il nemico avrebbe dovuto entrare in<br />
quel corridoio, rimanendo esposto ai difensori su entrambi i lati<br />
delle alte mura. Le enormi porte erano fissate all'estremità interna<br />
del corridoio e non sarebbero state prese d'assalto facilmente.<br />
Nel frattempo, all'interno delle mura, la costruzione della nostra<br />
nuova residenza progrediva rapidamente. Ogni carpentiere, ogni<br />
muratore e chiunque avesse due mani libere, era stato messo al<br />
lavoro per costruire la nuova Sala del Consiglio, <strong>che</strong> era già agibile:<br />
si trattava di un enorme edificio rettangolare con robuste mura di<br />
legno e calce, due ingressi e un tetto spesso, an<strong>che</strong> se ancora<br />
incompleto, fatto di carici e giunchi intrecciati. Vi era an<strong>che</strong> un certo<br />
numero di altri edifici a diversi stadi di costruzione. I nuovi granai<br />
erano finiti e colmi di grano e io avevo già una fucina installata
contro il muro occidentale.<br />
Tigellino Corace, il nostro architetto, si era assicurato fama<br />
eterna tra i nostri coloni disegnando un'enorme cisterna per<br />
raccogliere l'acqua piovana alla base della collina, e lui e Marco<br />
Leone avevano ideato un sistema di pompe, basato sulla vite di<br />
Archimede, per riportare in cima alla collina l'acqua così recuperata.<br />
Fummo fortunati perché trovare il piombo per rivestire le tubature<br />
fu facile: la regione direttamente a nord rispetto a noi ne era piena, e<br />
non esiste metallo più facile da estrarre. I nostri ingegneri militari<br />
non ci misero molto a costruire l'intero sistema idraulico.<br />
Il nostro piano di costruzione era basato sul classico<br />
accampamento militare romano, a parte il fatto <strong>che</strong> c'erano solo<br />
un'uscita principale e una secondaria invece delle quattro<br />
tradizionali. Per adeguarsi alla crescente necessità di stalle, ci<br />
limitammo a estendere l'area normalmente dedicata a questo scopo,<br />
ottenendo così spazio per più di quattrocento animali.<br />
Ricordo <strong>che</strong> un uggioso e temporalesco pomeriggio autunnale<br />
mi resi conto improvvisamente di avere compiuto quell'anno<br />
cinquantacinque anni, e quella constatazione mi turbò. Per tutta la<br />
vita avevo considerato vecchio chiunque avesse superato i<br />
cinquantanni, e adesso avevo oltrepassato quel limite di mezzo<br />
decennio ed ero ancora in piena forma, almeno così mi pareva! I<br />
miei muscoli, grazie alla vita <strong>che</strong> conducevo facendo il fabbro e il<br />
soldato, erano duri e forti come quelli di un uomo sano di vent'anni<br />
più giovane, e questa non era un'oziosa vanità. Sapevo <strong>che</strong> era vero<br />
perché lavoravo ogni giorno alla fucina e sul campo marzio con<br />
uomini di quell'età. Nei mesi precedenti mi ero accorto, in genere<br />
quando infilavo l'armatura, di un consistente ingrossamento della<br />
vita e dei fianchi, ma si trattava di un ispessimento compatto, e il<br />
mio ventre era ancora piatto e duro. An<strong>che</strong> dal lato sessuale ero<br />
ancora attivo e interessato. Non ero più uno stallone in fregola,<br />
ovviamente, ma ero lungi dall'essere un vecchio impotente. Eppure
era innegabile: avevo cinquantacinque anni!<br />
Era stata la statua <strong>che</strong> chiamavo "la Signora del <strong>La</strong>go" a<br />
richiamare la mia attenzione sul passare degli anni. Ero rimasto<br />
seduto a guardarla, meditando sull'età e l'origine dei metalli e<br />
pensando al drenaggio del lago e al ritrovamento della pietra caduta<br />
dal cielo, quando mi resi conto improvvisamente <strong>che</strong> quegli eventi<br />
avevano avuto luogo vent'anni prima! Avevo passato più di sette<br />
anni cercando di estrarre il metallo dalle pietre e la Signora era lì,<br />
serena, sul tavolo nello studio di Caio, dodici anni dopo la sua<br />
nascita. Come ho detto, la consapevolezza di questo fatto provocò in<br />
me un turbamento e mi fece capire <strong>che</strong> non potevo lasciar passare<br />
altro tempo. Mi alzai immediatamente e mi diressi alla finestra<br />
aperta, dove vidi due soldati <strong>che</strong> chiacchieravano nel cortile. Li<br />
chiamai e dissi loro di prendere la statua e di seguirmi, poi infilai il<br />
pugnale di pietra celeste nella cintura e andai a cercare Equo.<br />
Lo trovai seduto su un'alta seggiola di fronte al bancone da<br />
lavoro, <strong>che</strong> si stringeva il braccio destro con la mano sinistra e<br />
fissava attentamente le dita della mano destra, aprendole e<br />
chiudendole. C'era del sangue incrostato sopra e tra le dita, e dal<br />
polso al gomito il braccio era avvolto in bende macchiate di sangue.<br />
Indicai ai soldati dove potevano lasciare la statua, poi li mandai via e<br />
mi diressi verso Equo.<br />
«Che cosa ti è successo? Cosa hai fatto al braccio?»<br />
L'occhiata <strong>che</strong> mi lanciò fu una risposta eloquente. «Sei stato tu!<br />
<strong>La</strong> colpa è tua! Tu e le tue idee brillanti!»<br />
Sbattei le palpebre, stupefatto, e guardai di nuovo il braccio<br />
bendato. «Stai dicendo <strong>che</strong> io sono responsabile di questo? Di <strong>che</strong><br />
cosa stai parlando?»<br />
Si girò e urlò al di sopra della sua spalla: «Giuseppe! Porta qui<br />
quelle cose!» Un giovane apprendista si avvicinò portando due<br />
lunghe spade. Equo girò la testa verso il bancone da lavoro. «Mettile<br />
li!» Il ragazzo fece come gli veniva detto e se ne andò.
«Bene» disse Equo. «Ecco la tua nuova spada. Anzi due. Cosa ne<br />
pensi?»<br />
Ne presi una in ogni mano. Erano superbe, le lame erano lunghe<br />
e letali, le else pesanti, allungate e appesantite alle estremità da<br />
larghi pomoli. Erano perfettamente bilanciate.<br />
«Equo, sono superbe» sussurrai. «Come hai fatto a dare peso<br />
all'elsa? Non sembrano affatto dei gladi, adesso <strong>che</strong> sono finite. Non<br />
c'è nessuna somiglianza.»<br />
«I pomoli sono di piombo» borbottò. «E hai ragione. Non c'è<br />
somiglianza. Queste due figlie di puttana sono come cagne ingrate.<br />
Morsicano il loro padrone.»<br />
Spostai lo sguardo dalle spade <strong>che</strong> tenevo in mano al suo braccio<br />
bendato. «Una di queste ti ha ferito? Non sei mai stato imprudente<br />
con le armi.»<br />
Grugnì di nuovo e si alzò in piedi. «Vieni con me» disse. «Ti farò<br />
vedere.»<br />
Lo seguii all'aperto, portando con me le due spade, fino al<br />
fantoccio per le esercitazioni <strong>che</strong> era proprio di fronte alla fucina.<br />
Mentre attraversavamo la soglia, Equo prese un pesante scudo da<br />
fanteria appoggiato al muro. Una volta fuori, si girò verso di me.<br />
«Dammi una spada. Prendi lo scudo. Esercitazione normale con<br />
la spada. Comincia.»<br />
Chiedendomi <strong>che</strong> cosa significasse tutto ciò, presi lo scudo dalle<br />
sue mani e mi misi in posizione davanti al posto di esercitazione nel<br />
modo consueto. Appoggiai la base dello scudo a terra e mi<br />
rannicchiai dietro di esso brandendo la spada, e poi mi rialzai,<br />
guardandolo e sentendomi di colpo stupido. Non tentai nemmeno<br />
un movimento.<br />
Equo mi guardava con un'espressione divertita. «Già, sono<br />
arrivato alla stessa conclusione. Abbiamo appena distrutto mille<br />
anni di tecnica e di addestramento. Non si può usare questa roba
come un gladio. Sono troppo dannatamente lunghe. Se arrivi a<br />
distanza di gladio da un nemico con una di queste in mano, sei un<br />
uomo morto. Ti ritrovi tagliato in due prima di poter tirare indietro<br />
il braccio tanto da difenderti, figuriamoci attaccare.»<br />
Feci per parlare, ma lui proseguì, bloccandomi. «Oh, so cosa stai<br />
per dire. È una spada da cavalleria, non è fatta per un uomo a piedi.<br />
Questo è vero, finché sei a cavallo. Ma cosa succede se cadi? O se il<br />
tuo cavallo viene ammazzato e ti ritrovi appiedato?»<br />
Ammutolii.<br />
«E non è ancora il peggio.» Alzò il braccio bendato. «Questo è il<br />
peggio di tutto. Almeno il peggio <strong>che</strong> ho scoperto finora. Come<br />
pensi <strong>che</strong> me lo sia procurato? Riesci a indovinarlo?» Scossi la testa.<br />
«Bene, non te lo dico, te lo faccio vedere. Aspetta qui.» Tornò nella<br />
forgia e ne uscì portando un grembiule di pelle. «Ecco, reggine un<br />
lato. È un grembiule vecchio.» Lo ressi e lui lo tagliò a metà nel<br />
senso della lunghezza.<br />
«Adesso arrotolatelo intorno al braccio con cui combatti.» Lo<br />
arrotolai quattro volte e lui lo legò con due lacci per tenerlo fermo.<br />
Poi fece segno con la testa verso il fantoccio. «Adesso fammi vedere<br />
le mosse base, parata e fendente. Dovrai stare lontano dal fantoccio.»<br />
Indietreggiai ed eseguii la manovra base. Dovetti estendere il<br />
braccio completamente per portarla a termine, e ne trassi una<br />
sensazione di totale stranezza.<br />
«Capisci quello <strong>che</strong> intendo? Tutto il tuo equilibrio deve essere<br />
diverso. Non puoi menare un fendente con questa cosa, e non puoi<br />
nean<strong>che</strong> tentare la stoccata del corpo a corpo. È impossibile. Devi<br />
brandirla con il braccio teso, e l'arco della lama è quattro volte più<br />
lungo di quello del gladio.»<br />
Guardavo la spada meravigliato. «Equo,» gli dissi, «ma è<br />
splendido! È proprio quello <strong>che</strong> stavamo cercando. <strong>La</strong> forza di<br />
rotazione di quest'arma è incredibile!»
Si raschiò dalla gola un po' di catarro e sputò di lato. «Sì. Su<br />
questo sono d'accordo. E potresti fare a pezzi uno con un gladio da<br />
una distanza di sicurezza. Ma <strong>che</strong> cosa succede quando hai di fronte<br />
qualcuno <strong>che</strong> brandisce un'altra di queste cose? Questo è quello <strong>che</strong><br />
mi è successo.»<br />
Guardai di nuovo il suo braccio. «In <strong>che</strong> modo?» Per tutta<br />
risposta sogghignò e si mise in posizione. «È quello <strong>che</strong> ti farò<br />
vedere. Adesso ti attac<strong>che</strong>rò. Attacco diretto, nessun trucco. Tu ti<br />
difendi e non cerchi di attaccarmi.» Ci mettemmo in posizione e lui<br />
avanzò verso di me vibrando un fendente dall'alto, da sopra la testa.<br />
Io alzai con facilità la mia lama per bloccare la sua, meravigliandomi<br />
ancora una volta per il bilanciamento perfetto. Poi la sua lama batté<br />
fragorosamente contro la mia e la violenza dell'impatto mi rivoltò<br />
indietro il braccio, girandolo in fuori e quasi strappandomi l'elsa di<br />
mano. Equo completò il fendente e planò su di me al massimo<br />
dell'impeto, pronto a sbudellarmi con un fendente di rovescio.<br />
Avrebbe potuto uccidermi facilmente, perché non avevo avuto la<br />
possibilità di riprendermi in tempo per bloccarlo.<br />
«È diverso, non trovi?» Abbassò la spada. «Adesso <strong>che</strong> sei<br />
preparato, riproviamo.» Ripetemmo la mossa e questa volta ero<br />
preparato all'impatto, e meglio piazzato per bloccare il primo<br />
fendente e parare il rovescio verso sinistra tenendo la lama<br />
orizzontale; mi accorsi <strong>che</strong> stringevo la spada con entrambe le mani<br />
per resistere meglio al suo rovescio. <strong>La</strong> lama piombò giù, poi risalì e<br />
girò di nuovo intorno, e io mollai la presa con la sinistra e risposi al<br />
suo fendente, sentii il cozzare delle lame temprate, e persi i sensi,<br />
mentre il mondo eruttava in una cappa infuocata di accecante<br />
dolore. Non sentii la spada volarmi via di mano, ma sentii le<br />
ginocchia colpire le pietre del cortile, il terreno ruvido contro la<br />
faccia e delle mani <strong>che</strong> mi afferravano e mi sollevavano.<br />
Aprii gli occhi, lottando contro l'ondata di nausea e dolore <strong>che</strong><br />
mi turbinava dentro, e infine ripresi i sensi. Il braccio destro era
privo di sensibilità fino alla spalla, <strong>che</strong> sembrava essere stata divelta<br />
dalla sua sede. Ero seduto a terra, con la schiena contro il fantoccio;<br />
Equo, preoccupato, era inginocchiato di fronte a me.<br />
«Cos'è successo?» gli chiesi.<br />
Sputò di nuovo e sembrò assaporare il tempo <strong>che</strong> ci mise a<br />
rispondermi. «<strong>La</strong> stessa cosa <strong>che</strong> è successa a me, tranne <strong>che</strong> io ti ho<br />
colpito più forte. Se Giuseppe mi avesse colpito così forte mi<br />
avrebbe tagliato il braccio.»<br />
«E il mio braccio?» Abbassai lo sguardo. Il grembiule di pelle<br />
intorno al braccio era ancora al suo posto, ma tre strati del cuoio<br />
rigido e ingrassato erano stati trapassati.<br />
Ebbi una visione fugace dell'aspetto <strong>che</strong> avrebbe avuto il mio<br />
braccio se non ci fosse stato il cuoio, e mi si rivoltò lo stomaco. Mi ci<br />
volle un po' per riprendermi. Equo mi guardò vomitare, senza fare<br />
nemmeno il gesto di venirmi in aiuto. Inghiottii un'ultima volta il<br />
sapore della bile e ritrovai il controllo.<br />
«Penso <strong>che</strong> il braccio sia rotto.»<br />
Scosse la testa. «No, non è rotto, ma non ti sarà facile usarlo nei<br />
prossimi giorni. Ti ho preso proprio sotto il gomito. Ho colpito i<br />
muscoli. Avrai una brutta contusione, immagino, ma non c'è<br />
assolutamente niente di rotto.»<br />
«Che cosa lo ha causato, Equo? Cosa hai fatto?»<br />
Scosse di nuovo la testa, bruscamente questa volta. «Niente.<br />
Sono le sponde. Sono differenti. Si comportano in modo strano. Le<br />
lame rimbalzano via una dall'altra in modo incontrollabile.<br />
Rimbalzano subito sopra la sporgenza dell'impugnatura e<br />
colpiscono il braccio o il polso.»<br />
Mi alzai, ma non riuscivo ancora a sentire il braccio destro. Equo<br />
mi aiutò a mettermi in piedi prendendomi per il braccio sinistro, e<br />
continuò a parlare.
«Deve essere la combinazione della tempra del metallo con la<br />
forza e l'angolo di rotazione, Publio. Qualunque cosa sia è<br />
dannatamente pericolosa. Non posso immaginare <strong>che</strong> i nostri<br />
uomini possano usarle. Non prima <strong>che</strong> troviamo un modo per<br />
impedire loro di perdere braccia e mani mentre fanno pratica.»<br />
Presi una delle due spade nella sinistra e la esaminai con nuova<br />
consapevolezza. Era comunque piacevole tenerla in mano. Esaminai<br />
il filo della lama. C'era una tacca. «Equo? Cos'è questo? Sembra una<br />
tacca.»<br />
«È una tacca.» <strong>La</strong> voce di Equo era pensierosa. «Questo è il mio<br />
ferro migliore, ma è troppo morbido. Guarda.» Alzò l'altra lama<br />
verso di me. An<strong>che</strong> quella era scalfita. <strong>La</strong> avvicinò maggiormente<br />
agli occhi. «Non so con quanta violenza si siano scontrate queste<br />
spade, Publio, ma sono contento <strong>che</strong> le mie dita non si trovassero in<br />
mezzo. Non ho mai visto una spada nuova, fatta da noi, rimanere<br />
scalfita.»<br />
«Neanch'io.» Mi girai e rientrai nella fucina, cercando di flettere<br />
le dita. Le dita reagirono, ma il braccio era ancora intorpidito. «Mio<br />
Dio, Equo, la lama è rimbalzata prima di colpire il braccio!<br />
Immagina cosa avrebbe provocato un fendente completo!»<br />
«Sì, e immagina se ti avesse colpito sul collo!» Indicai la statua<br />
<strong>che</strong> era sempre dove i soldati l'avevano lasciata. «Ho portato giù la<br />
Signora. Penso <strong>che</strong> sia tempo <strong>che</strong> venga a lavorare per noi.»<br />
<strong>La</strong> guardò e poi rivolse il suo sguardo verso di me. «Intendi dire<br />
<strong>che</strong> la userai per fare una di queste?»<br />
«Perché no? Se è fatta con il metallo del pugnale di pietra celeste<br />
non si scalfirà.»<br />
Equo si strinse nelle spalle e le diede una pacca sul sedere. «Mi<br />
chiedo se brillerà.»<br />
«Dio, <strong>che</strong> male mi fa il braccio! Andiamo a bere una coppa di<br />
vino e poi andrò a cercare la stanza col vapore più caldo. Non
appena riprenderò l'uso del braccio, se mai ci riuscirò, scopriremo se<br />
brilla o no.»<br />
Afferrò la testa senza faccia e inclinò la statua su un fianco.<br />
«Caio sa <strong>che</strong> intendi fonderla? Ce l'ha da un sacco di tempo.»<br />
«Troppo tempo» dissi. «No, non lo sa ancora, ma allude sempre<br />
al fatto <strong>che</strong> dovrei usarla per farci qualcosa.» Feci una smorfia di<br />
dolore, mentre la sensibilità ricominciava a fluire nella mano. «In<br />
ogni caso potrà riaverla più tardi, almeno una parte. Ne avrò<br />
bisogno solo metà, all'inizio.»<br />
Quella notte, nel momento di maggiore oscurità, spaventai a<br />
morte mia moglie urlando forte e scattando in piedi nel letto,<br />
completamente sveglio. L'urlo era di dolore, perché il braccio<br />
contuso si era chissà come impigliato nelle lenzuola, ma la visione<br />
<strong>che</strong> avevo avuto nel sonno era chiara e luminosa. Avevo sognato<br />
Claudio Seneca, lo avevo visto balzare su di me, con gli occhi vitrei<br />
di furore, avevo visto la sua spada calare su di me con un fendente<br />
per mettere fine alla mia vita, poi era sopraggiunto un colpo<br />
vibrante <strong>che</strong> aveva inviato stilettate di dolore su per il mio braccio,<br />
mentre il taglio della sua spada si piantava nel braccio della croce<br />
d'argento di Alarico.<br />
Quella visione mi tenne sveglio per il resto della notte e quando<br />
Equo arrivò alla forgia la mattina dopo, io ero già lì da ore, <strong>che</strong><br />
scaldavo la statua della Signora e la martellavo in un rozzo lingotto<br />
rettangolare, ignorando le proteste di dolore del mio braccio<br />
contuso.<br />
Da quel momento in poi lavorai alla nuova spada ogni giorno<br />
per quattro mesi, dedicandole ogni momento <strong>che</strong> potevo<br />
risparmiare e molto più tempo di quello <strong>che</strong> avevo realmente. Equo<br />
mi lasciò lavorare da solo per la maggior parte del tempo, ma mi<br />
aiutò considerevolmente nel lavoro delicato, meticoloso e lungo, di<br />
foggiare ed estendere la doppia rastremazione della lama. Quella<br />
spada doveva essere perfetta fin dall'inizio.
Bruciai una foresta di carbone di legna in quei mesi, scaldando e<br />
riscaldando il metallo e cambiando la sua forma di rozzo lingotto in<br />
quella prima di una sbarra allungata e poi di un lungo ferro nero con<br />
le fattezze di una lama. E poi un giorno, quasi impercettibilmente, fu<br />
praticamente finita: le mancava solo la tempra definitiva.<br />
«Equo,» gli dissi un giorno, «esci di qui e trovami una vergine.»<br />
«Una vergine? Qui?» Scosse la testa con ironica costernazione.<br />
«Ci sono le tue figlie, e basta. E quando Veronica si sposa ce ne sarà<br />
una di meno. Le vergini sono scarse negli accampamenti militari.<br />
Andrò a cercarne una, ma non rimanere sveglio ad aspettarmi. Ma<br />
comunque, <strong>che</strong> cosa se ne fa di una vergine un vecchio caprone<br />
come te?»<br />
Io guardavo il filo della nuova lama a occhi socchiusi,<br />
ammirandola. «Sangue, non ricordi? Gli antichi fabbri usavano<br />
temprare le lame nuove con sangue di vergine, per la purezza.»<br />
«Non lo sapevo! Dici sul serio?»<br />
Lo guardai. «Questo è quello <strong>che</strong> dice la leggenda. Pensavano<br />
<strong>che</strong> la tempra nel sangue, sangue di vergine ovviamente, avrebbe<br />
conferito l'essenza segreta del ferro bianco.»<br />
«Balle!» <strong>La</strong> sua voce era piena di s<strong>che</strong>rno. «Chiunque con un po'<br />
di cervello sa <strong>che</strong> è il carbone di legna a fare la differenza.»<br />
Misi giù la lama. «Tu lo sai, Equo, e io lo so, ma gli antichi non lo<br />
sapevano. Non l'hanno saputo per secoli.»<br />
Venne al mio fianco e sollevò la lama, scrutandola con occhio<br />
critico, cercando difetti <strong>che</strong> non c'erano. «Sembra buona, Publio.<br />
Come hai intenzione di montare l'impugnatura?»<br />
Non gli avevo ancora parlato della mia idea di un'elsa a croce.<br />
«Oh, ho qual<strong>che</strong> idea. Ma prima devo temprarla. Chissà se brillerà.»<br />
«Brilla già, guarda! <strong>La</strong> vedi?» Tenne in alto la lama inclinandola<br />
nella luce.
Annuii. «C'è qualcosa, d'accordo, ma non la direi uno splendore,<br />
Equo.»<br />
«Allora non dirlo! Ma ti dico <strong>che</strong> il tuo pugnale aveva lo stesso<br />
aspetto a questo punto, e comunque non ho mai visto un altro pezzo<br />
di metallo con questo aspetto. E tu?»<br />
Scossi la testa. «No, devo ammettere di no.»<br />
<strong>La</strong> mise giù con fragore. «Bene, allora continua ad affilarla. Non<br />
si temprerà da sola.»<br />
Si allontanò e io presi la lama e cominciai a passarla con una<br />
lima, fischiettando piano e sentendomi contento della vita in<br />
generale. Nessuna incursione ci aveva turbato durante l'autunno.<br />
Le mura del forte erano completamente finite in alcuni punti, e<br />
la nuova Sala del Consiglio era quasi completa, ormai mancava solo<br />
una parte del tetto. Il nuovo anno sarebbe stato il 1154 dalla<br />
fondazione di Roma, ma sarebbe stato il 400 dell'era cristiana e l'uso<br />
di quest'ultimo metodo di calcolare il tempo si stava rapidamente<br />
diffondendo. L'anno nuovo, allora, avrebbe segnato sia la fine di un<br />
secolo <strong>che</strong> l'inizio di un altro. Avevo sentito delle discussioni<br />
sull'argomento: l'anno 400 era l'ultimo anno di un secolo o il primo<br />
anno dell'altro? Personalmente non mi interessava: l'anno <strong>che</strong><br />
avevamo di fronte si preannunciava buono per la Colonia.<br />
Di colpo mi ricordai qualcosa - non so <strong>che</strong> cosa mi solleticò la<br />
memoria - e presi la bisaccia per estrarne la conchiglia <strong>che</strong> avevo<br />
preso da tavola la sera prima. Le mie dita la trovarono e la posarono<br />
delicatamente sul bancone da lavoro di fronte a me, chiudendone<br />
con garbo le valve. Era una conchiglia aperta, tolta da un cestino<br />
portato da uno dei giovani preti <strong>che</strong> adesso accompagnavano<br />
ovunque il vescovo Alarico. Erano arrivati il giorno prima e<br />
sarebbero rimasti con noi per diversi giorni ancora prima di<br />
ripartire.<br />
Sorrisi tra me pensando <strong>che</strong> erano mesi ormai <strong>che</strong> Alarico non ci
portava cattive notizie. <strong>La</strong> notte scorsa a cena aveva sottolineato,<br />
parlando, la grande preoccupazione di Dio per i dettagli, nel creare<br />
la perfezione an<strong>che</strong> nelle umili conchiglie. Ne avevo scelta una e<br />
l'avevo esaminata con cura, mentre una voce <strong>che</strong> sembrava venire<br />
dal nulla aveva detto chiaramente: pomolo.<br />
Quella conchiglia era fatta in modo squisito, perfetta nella sua<br />
simmetria, e il disegno delle coste era di una immacolata finezza;<br />
ognuna nasceva dallo spessore alla base della conchiglia e tendeva<br />
verso la dentellatura di un piccolo festone del bordo frastagliato.<br />
Avevo visto con gli occhi della fantasia un duplicato della<br />
conchiglia <strong>che</strong> tenevo in mano, lavorato in oro massiccio,<br />
aggiungere il suo peso per bilanciare la mia nuova spada. Adesso<br />
<strong>che</strong> la riguardavo alla luce del giorno capii <strong>che</strong> la mia intuizione era<br />
stata corretta. Un pomolo d'oro. D'oro massiccio. Sorrisi all'idea. Ma<br />
un'elsa d'oro? Un'elsa a croce d'oro? No, decisi, sarebbe stata troppo<br />
volgare e probabilmente troppo pesante. Inoltre l'oro era troppo<br />
morbido per un'elsa a croce come quella <strong>che</strong> immaginavo. Guardai<br />
di nuovo la conchiglia, avvicinandola agli occhi. Era grande, ampia<br />
alla base come l'intera lunghezza del mio pollice e spessa la metà in<br />
sezione, da davanti a dietro. Sarebbe stato un pomolo bello e<br />
compatto. Ma come lo avrei montato? Era un problema enorme,<br />
perché la lunghezza della nuova lama produceva vibrazioni <strong>che</strong> non<br />
erano mai esistite nel gladio, molto più corto, e queste vibrazioni<br />
minacciavano di spaccare qualsiasi giuntura <strong>che</strong> non fosse<br />
perfettamente compatta. Ero tormentato perché non sapevo come<br />
attaccare saldamente l'elsa a croce alla lama diritta per poi poter<br />
fissare un'impugnatura con una presa comoda tra l'elsa e il pomolo.<br />
Ma quelle vibrazioni distruggevano ogni idea <strong>che</strong> potessi avere.<br />
Rimisi la conchiglia nella bisaccia, lasciai la lama sul bancone, e<br />
tornai alla villa in cerca del vecchio manoscritto di nonno Varro<br />
sull'antica arte di colare i pezzi in uno stampo.<br />
Luceia era nella stanza di famiglia e stava parlando seriamente
con Veronica e le sue sorelle più piccole, Lucilla e Dora, entrambe<br />
intimidite e impressionate dall'imminente transizione della sorella<br />
dall'adolescenza alla maturità. Ai loro occhi Veronica era già passata<br />
alla vita adulta, lasciandole molto indietro. Non <strong>che</strong> fossero gelose<br />
di lei; leggermente invidiose forse, ma in quel modo stupefatto,<br />
pieno di meraviglia e di sospiri <strong>che</strong> è tipico solo delle adolescenti<br />
molto giovani.<br />
Le quattro donne della mia famiglia godevano tra di loro di un<br />
cameratismo spontaneo, di un'affettuosa intimità. Ovviamente<br />
discutevano del matrimonio, <strong>che</strong> avrebbe avuto luogo in primavera,<br />
e sono sicuro <strong>che</strong> non si accorsero affatto <strong>che</strong> passavo e chiedevo<br />
scusa per il disturbo, e passando portai via con me l'immagine degli<br />
occhi lucenti e dei seni orgogliosamente eretti di mia figlia Veronica.<br />
Era una bellezza la mia piccola Gazza. Mentre cercavo la pergamena<br />
fischiettavo ancora piano, e meditavo sul magico processo <strong>che</strong><br />
poteva così bruscamente trasformare una bella e fiduciosa figlia<br />
ancora piccola in un'affascinante giovane donna sicura di sé. Trovai<br />
il manoscritto proprio dove lo avevo lasciato e lo riportai alla fucina<br />
per studiarlo: non mi ci volle molto per arrivare alla conclusione <strong>che</strong><br />
avrei avuto bisogno di padre Andros.
XXVI.<br />
Quando nel mese di marzo di quell'anno il biancospino fiorì,<br />
ogni giorno sulla nuova strada, dall'alba al tramonto, c'era una<br />
continua corrente di traffico in entrambe le direzioni.<br />
Ogni persona nella Colonia era completamente assorbita dal<br />
compito di preparare i nuovi alloggi, con l'eccezione delle donne di<br />
casa mia <strong>che</strong> avevano an<strong>che</strong> un matrimonio di cui preoccuparsi.<br />
C'era un'atmosfera di febbrile attività ovunque e an<strong>che</strong> l'assenza dei<br />
soldati ritirati dal forte per compiere il servizio di pattugliamento,<br />
due terzi circa delle nostre forze, sembrava non causare una gran<br />
differenza nel ritmo di lavoro.<br />
I cavalli in più <strong>che</strong> Pico ci aveva promesso, compresi due<br />
magnifici e inattesi stalloni forniti solo per far razza, arrivarono agli<br />
inizi di marzo e furono messi al lavoro immediatamente,<br />
aumentando notevolmente le nostre forze.<br />
Uno dei coloni, un veterano di molte guerre con la barba bianca,<br />
aveva avvicinato Caio in gennaio con l'idea di iniziare presto<br />
l'addestramento dei nostri giovani. Era pronto, diceva, ad assumersi<br />
lui quella responsabilità, e Caio fu felice di permetterglielo. Ora<br />
comandava un corpo di quarantacinque giovani tra i quattordici e i<br />
sedici anni, <strong>che</strong> passavano le giornate marciando e<br />
contromarciando, imparando l'uso delle armi e studiando le nuove<br />
tatti<strong>che</strong> della cavalleria.<br />
Era una primavera calda, piena di promesse. Stavamo per<br />
spostarci in una casa più sicura; andavamo, secondo il calendario<br />
cristiano, incontro a un nuovo secolo e ci sentivamo certi del nostro<br />
destino. Tutt'intorno a noi, mentre ci eravamo preparati a minacce e<br />
pericoli, c'era solo tranquillità. Eravamo pronti, però, per ogni<br />
evenienza. I contadini aravano i campi sotto lo sguardo vigile dei<br />
soldati, e la carovana <strong>che</strong> mandammo a Glevum quella primavera fu
accompagnata da una nutrita scorta. Eravamo determinati a far sì<br />
<strong>che</strong> nessun razziatore trovasse in noi un punto debole.<br />
Il matrimonio doveva svolgersi in aprile, un tempo sacro sia per<br />
i druidi celtici sia per i cristiani, e verso la fine di marzo la gente di<br />
Ullic cominciò ad arrivare. Stabilirono i loro accampamenti nei<br />
campi intorno alla villa, soprattutto lungo la nuova strada per il<br />
forte, e Ullic e il suo gruppo arrivarono con pompa e sfrenato<br />
splendore celtico il primo giorno del tempo pasquale. Il loro arrivo<br />
coincise con quello, meno ostentato, del vescovo Alarico, <strong>che</strong> era<br />
venuto, come promesso, a celebrare con una messa speciale il<br />
matrimonio e l'inaugurazione della nostra Sala del Consiglio.<br />
Ullic portò doni ed eccitazione barbarica; Alarico portò la nostra<br />
nuova pietra d'altare lavorata a mano. Ullic portò amore, risate e<br />
canti; Alarico portò amore, risate e devozione. Ullic portò nel suo<br />
corteo i druidi; Alarico portò un prete, un gigante gentile di nome<br />
Fono, appena uscito dall'adolescenza. <strong>La</strong> prima volta <strong>che</strong> i druidi e i<br />
preti cristiani si trovarono faccia a faccia quel giorno, la scena era<br />
allestita sia per la guerra sia per la pace. Almeno è quello <strong>che</strong> pensai,<br />
ma divenne subito chiaro <strong>che</strong> non avevo motivo di preoccupazione;<br />
non ci fu alcun segno di ostilità tra i due gruppi né allora, né in<br />
seguito.<br />
<strong>La</strong> cena serale fu una riunione festiva e la conversazione vertè<br />
tutta sul futuro degli sposi e sulla grande caccia <strong>che</strong> io avevo<br />
organizzato per il giorno seguente. Caio era al meglio della sua<br />
vivacità quella sera, e la conversazione a tavola era spumeggiante di<br />
intelligenza e spirito.<br />
Io non sono superstizioso, ma ricordo di aver pensato quella<br />
notte <strong>che</strong> tutto era andato troppo liscio. Improvvisamente,<br />
guardando intorno al tavolo e sentendo il calore e l'amore <strong>che</strong><br />
pervadevano l'atmosfera, mi sembrò <strong>che</strong> la nostra vita, in quegli<br />
ultimi otto mesi, fosse stata troppo facile. Sentivo come se da<br />
qual<strong>che</strong> parte, fuori nella notte, forze malvagie si stessero
accogliendo per rovinare la nostra gaiezza, e durante la cena mi<br />
aspettavo quasi di sentire uno scalpiccio all'esterno, come se<br />
qualcuno arrivasse correndo a portare notizie di catastrofi. Ma non<br />
accadde, e la serata trascorse senza allarmi, come la settimana <strong>che</strong><br />
seguì. Il matrimonio era stato fissato per il giorno di Pasqua, la festa<br />
della primavera e della resurrezione, l'emergere di una nuova vita.<br />
Sembrava un tempo appropriato, giusto e approvato dal Cielo. <strong>La</strong><br />
nostra caccia ebbe successo ogni giorno e godemmo di una quantità<br />
di carni fres<strong>che</strong> di ogni tipo e di pesce fresco, sia di acqua dolce sia di<br />
acqua salata.<br />
Nel gruppo di Ullic c'era an<strong>che</strong> una giovane donna <strong>che</strong> faceva<br />
girare la testa a ogni uomo <strong>che</strong> la vedeva, me compreso. Il suo nome<br />
era Enid ed era la sorella più giovane di Ullic. <strong>La</strong> sua pelle era dorata<br />
e i denti splendidi, bianchi come la neve contro il rosso vivo delle<br />
labbra. Perfino la mia dolce Luceia mostrò gli artigli la prima volta<br />
<strong>che</strong> vide Enid, avvertendomi in tono quasi minaccioso, per gioco ma<br />
non proprio, di mantenere le mie attenzioni a doverosa distanza.<br />
Questo mi sorprese, perché era la prima volta <strong>che</strong> mia moglie faceva<br />
un commento simile. Più tardi, quella prima sera, lo raccontai<br />
s<strong>che</strong>rzando a Caio, ed egli ebbe il buon senso di osservare <strong>che</strong><br />
Luceia probabilmente sentiva di non essere più abbastanza giovane<br />
da potere competere con un animale come Enid.<br />
E un animale lo era, an<strong>che</strong> se lo dico senza la minima cattiveria.<br />
Era selvatica come un cervo: lucido e pulito, apparentemente timido<br />
e facilmente spaventato, e <strong>che</strong> dà l'impressione <strong>che</strong> un movimento<br />
troppo brusco possa provocare la sua immediata fuga. Ma aveva<br />
an<strong>che</strong> un aspetto selvaggio, con tutta la seduzione e la grazia dei<br />
grandi felini africani. I suoi occhi erano verdazzurri e i capelli fulvi<br />
risaltavano tra i Celti, <strong>che</strong> avevano tutti i capelli neri e gli occhi<br />
azzurri. I suoi seni erano alti, grandi e sodi e, pur non avendo alcun<br />
desiderio di lei, quando mi capitò molto vicina fui tentato di<br />
circondare con le mie grandi mani la sua vita, <strong>che</strong> sembrava così<br />
sottile. Ovviamente la sua vita non era davvero così sottile, ma tra i
seni lussureggianti e l'ondeggiante sporgenza dei fianchi, sembrava<br />
così sottile. E io guardavo, come del resto faceva ogni altro uomo<br />
<strong>che</strong> non fosse suo diretto parente. <strong>La</strong> mia ammirazione per la<br />
giovane donna, <strong>che</strong> si esprimeva da lontano ed era limitata dalla<br />
necessità di non offendere mia moglie, era un'ammirazione di tipo<br />
paterno, e mi stimolava pensieri come "Chissà se...", "Come sarebbe<br />
se..." e "C'è stato un tempo in cui...". C'erano altri uomini, però, nelle<br />
nostre riunioni, <strong>che</strong> non erano bloccati dalla doppia costrizione di<br />
età e matrimonio, e tra tutti riuscivano a impedire a Enid di<br />
annoiarsi. Era l'indiscusso centro di attrazione di ogni giovane<br />
maschio scapolo della Colonia, e an<strong>che</strong> di un notevole numero di<br />
uomini <strong>che</strong> non erano né giovani, né scapoli. Il più giovane dei miei<br />
apprendisti, Giuseppe, <strong>che</strong> non aveva ancora sedici anni, la seguiva<br />
ovunque come un cucciolo, e si sedeva più vicino <strong>che</strong> poteva e a<br />
volte dimenticava perfino di mangiare.<br />
Luceia ritenne importante fare la conoscenza della bella arrivata,<br />
e quando l'ebbe conosciuta decise <strong>che</strong> le piaceva. Fu lei a<br />
raccontarmi la storia di Enid. <strong>La</strong> donna era bella, testarda, ostinata,<br />
molto piacevole e decisa a morire nubile. Il suo unico vero amore era<br />
morto salvandole la vita da un orso gigantesco, e lei in tutti quegli<br />
anni non aveva trovato nessuno <strong>che</strong> reggesse il paragone.<br />
Adesso aveva quasi trent'anni; in realtà era sorellastra di Ullic,<br />
generata dal padre di Ullic con la seconda moglie, e Ullic disperava<br />
ormai di sistemarla. Enid, mi disse Luceia, era soddisfatta dello stato<br />
delle cose e non desiderava mutarlo.<br />
Il giorno prima del matrimonio tentai con tutte le mie forze di<br />
fuggire. L'intera casa sembrava un manicomio. Cercai di scappare<br />
nella fucina per passare un po' di tempo con Equo, ma era destino<br />
<strong>che</strong> non andasse così. Luceia mi chiamò mentre stavo per uscire e mi<br />
mandò al forte con una commissione, e da quel momento fui<br />
coinvolto nella follia generale. Fino a quando ci preparammo per<br />
andare a letto non ebbi un solo momento per me.
Il vescovo Alarico doveva consacrare la pietra d'altare alla villa<br />
il mattino successivo, e portarla poi in processione fino alla sommità<br />
della collina. Sarebbe stata una lunga camminata per l'anziano prete,<br />
ma Alarico era irremovibile nella sua determinazione. Il viaggio, mi<br />
disse, sarebbe stato simbolico in molti modi: simbolico del cammino<br />
di Cristo verso il Calvario e del nostro sforzo come Colonia verso<br />
una vita migliore, più cristiana. Non ero sicuro di quello <strong>che</strong><br />
intendeva, ma non volevo discutere con lui.<br />
<strong>La</strong> sposa, la mia piccola Gazza, Veronica... dovevo farmi<br />
violenza per rendermi conto di cosa significasse realmente... sarebbe<br />
stata portata sulla collina su una lettiga, costruita apposta per lei da<br />
uno dei nostri carpentieri.<br />
Una guardia d'onore di sessanta fanti avrebbe fornito<br />
abbondantemente i muscoli necessari per il lungo trasporto. Luceia<br />
e le sue ami<strong>che</strong> sarebbero salite su portantine sorrette da altri fanti.<br />
Io, il padre della sposa, avrei guidato il corteo a cavallo con Caio e<br />
dieci altri amici <strong>che</strong> avrebbero costituito l'avanguardia ufficiale<br />
dell'intero corteo. Il tempo era stato perfetto fino a quel momento. Se<br />
l'indomani fosse piovuto la cerimonia sarebbe stata un insuccesso.<br />
Preferii non pensarci. Sarebbe stata una giornata molto lunga.<br />
<strong>La</strong> voce di Luceia interruppe i miei stanchi pensieri. «Pico non è<br />
venuto.»<br />
«No. Ha detto <strong>che</strong> avrebbe cercato di venire, ma è alla mercé dei<br />
Sassoni, tesoro. Quando loro invadono, lui deve muoversi. Sarei<br />
stato sorpreso di vederlo qui in questo periodo dell'anno.» Mi<br />
abbandonai nel letto, tirando su la pelliccia e arrotolandomici sotto<br />
come un animale nella tana. Luceia spense la lampada e ci fu<br />
silenzio tra noi per un tempo così lungo <strong>che</strong> ero quasi del tutto<br />
addormentato quando lei parlò di nuovo.<br />
«Ti rendi conto, Publio, <strong>che</strong> domani a quest'ora la nostra piccola<br />
Veronica sarà una donna? Apparterrà a suo marito e non a noi.»<br />
«Sì» risposi, girando il volto verso di lei. «Ne sono cosciente.
Sarà una moglie e una donna e se è capace come sua madre compirà<br />
buone cose per sé e per il marito.» Mi allungai e le passai il braccio<br />
intorno alla vita <strong>che</strong> era ancora abbastanza sottile da smentire i suoi<br />
anni.<br />
«Non sembri sconvolto.»<br />
Ero sorpreso. «Perché dovrei esserlo?»<br />
«Meno di tre anni fa hai quasi dichiarato guerra a Ullic quando<br />
ha parlato di questo matrimonio.»<br />
«Ah!» dissi, riflettendo rapidamente sull'impossibilità di<br />
spiegare quel fatto. «Capisco quello <strong>che</strong> ti inquieta...» <strong>La</strong>sciai <strong>che</strong> la<br />
mia voce si spegnesse e poi dissi: «Sst, donna! Questo è stato tre anni<br />
fa e Veronica era una bambina allora. Adesso è giunto il tempo per<br />
lei di essere donna e di godere i piaceri <strong>che</strong> tu come donna hai<br />
goduto.»<br />
«Parli al passato? Li godo ancora, marito.»<br />
«Sì, ma non così spesso.»<br />
«No, non così spesso. Questo è vero... e triste.»<br />
«Perché triste?»<br />
«Perché non voglio <strong>che</strong> mio marito diventi vecchio, lasciandomi<br />
insoddisfatta.»<br />
Mi alzai su un gomito, guardandola nell'oscurità, sapendo <strong>che</strong><br />
avrebbe avvertito il sorriso nella mia voce. «Insoddisfatta? Donna,<br />
mi controllo a causa della tua età avanzata. Sono le tue ossa <strong>che</strong><br />
stanno diventando fragili. Non vorrei romperle in nome<br />
dell'amore.»<br />
<strong>La</strong> sua mano salì a cingermi il collo. «Vieni a rompermele,<br />
vecchio caprone! Ti sfido.»<br />
Il giorno seguente l'alba era dorata e perfetta. Sentii iniziare i<br />
preparativi mentre ero ancora immerso nel vapore nel bagno; misi
una cura particolare nelle mie abluzioni e nel mio abbigliamento,<br />
tanto <strong>che</strong> Luceia fu pronta prima di me.<br />
Per l'occasione indossai la mia uniforme ufficiale, cosa <strong>che</strong><br />
facevo raramente. Avevo passato tanto tempo con l'armatura <strong>che</strong> le<br />
finezze del mio equipaggiamento mi davano poco piacere; ero molto<br />
più comodo e più a mio agio negli abiti di pelle <strong>che</strong> Luceia aveva<br />
cucito apposta per me. Per il matrimonio di mia figlia, però, ero<br />
pronto a soffrire, con tutto il cuore. Portavo elmo, corazza e schinieri<br />
di bronzo massiccio. L'elmo e la corazza erano lavorati finemente, se<br />
posso dirlo, con alcune delle più belle decorazioni celti<strong>che</strong> <strong>che</strong> padre<br />
Andros avesse scoperto nei suoi viaggi lontani. <strong>La</strong> grande cresta<br />
dell'elmo era di crini di cavallo, tinti nello stesso scarlatto del<br />
mantello, <strong>che</strong> aveva le spalle talmente lavorate con fili di bronzo e di<br />
argento, da assomigliare a un pezzo di armatura. <strong>La</strong> tunica era di<br />
lino bianco, bordata di scarlatto, e le strisce del gonnellino corazzato<br />
erano formate da lastrine di bronzo, fissate con filo metallico a una<br />
sola estremità, in modo da essere mobili; e portavo la mia spada più<br />
bella, con elsa e fodero di bronzo. Quando ebbi finalmente stretto e<br />
chiuso tutte le fibbie e mosso qual<strong>che</strong> passo per la stanza,<br />
distribuendo al meglio il peso dell'equipaggiamento, avrei tanto<br />
voluto indossare i miei comodi stivali vecchi invece dei rigidi<br />
sandali nuovi e dei gambali <strong>che</strong> si adattavano a quell'insieme. Alla<br />
fine non potei prolungare oltre quel momento; andai a raggiungere<br />
mia moglie e mia figlia.<br />
Il loro aspetto mi colse alla sprovvista. Non avevo mai visto mia<br />
figlia così bella. Per la mattina del suo matrimonio era radiosa, tutta<br />
vestita di bianco, splendente dalla testa ai piedi. Luceia aveva<br />
comprato la stoffa per quell'abito dieci anni prima, sapendo<br />
esattamente <strong>che</strong> cosa stava comprando e l'uso <strong>che</strong> un giorno ne<br />
avrebbe fatto. Il tessuto, qualunque cosa fosse, veniva dall'Africa e la<br />
sua finezza e la sua purezza erano stupefacenti. Quando vidi l'abito<br />
confezionato con quella stoffa pensai <strong>che</strong> si trattasse di una semplice<br />
stola, l'abito <strong>che</strong> le giovani donne di Roma portavano all'epoca della
epubblica. Ma solo al primo sguardo. Un'occhiata più attenta mi<br />
rivelò <strong>che</strong> quell'abito non era una semplice stola, non era nulla di<br />
semplice. Il tessuto - sapevo <strong>che</strong> Luceia aveva un nome per quella<br />
stoffa, ma mi sfuggiva - era stato sovrapposto strato dopo strato,<br />
cucito insieme con punti piccoli e lavorato con migliaia di piccole<br />
conchiglie opalescenti. Ogni volta <strong>che</strong> Veronica si muoveva, quelle<br />
conchigliette si urtavano e battevano insieme, ma il rumore era<br />
attutito dagli strati della stoffa. Era una creazione meravigliosa.<br />
Mia figlia mi sorrise e venne a prendere il mio braccio, e quando<br />
sentii le sue dita sfiorarmi la pelle trattenni il respiro e mi gonfiai di<br />
orgoglio paterno e di fierezza, giurando a me stesso <strong>che</strong> avrei<br />
frustato quel suo nuovo marito se non avesse deposto ai suoi piedi<br />
la luna e le stelle. Avevo un groppo in gola quando ci muovemmo<br />
insieme verso la soglia di casa, seguiti dalla madre e dalle sorelle.<br />
Quando uscimmo nel sole del mattino un applauso spontaneo<br />
scoppiò tra la folla di più di tremila persone <strong>che</strong> ci aspettavano, già<br />
disposte nel corteo <strong>che</strong> doveva salire verso la collina. Accompagnai<br />
mia figlia alla sua lettiga e la madre e le sorelle alle loro portantine e<br />
poi mi diressi, tentando di zoppicare il meno possibile, alla testa<br />
della colonna, dove il mio cavallo mi stava aspettando. Equo in<br />
persona mi aiutò a salire in groppa a Germanico, e una volta in sella<br />
feci voltare il cavallo per ispezionare attentamente la guardia<br />
d'onore. Infine, certo <strong>che</strong> non avrebbero potuto avere un aspetto<br />
migliore, diedi il segnale di procedere e spronai Germanico.<br />
Era un procedere lento, ma mi sentivo in pace e contento del mio<br />
posto all'avanguardia. Caio cavalcava alla mia destra e altri dieci dei<br />
nostri amici più intimi ci accompagnavano, ma nessuno parlava.<br />
Tutti sembravano capire il mio inespresso desiderio di silenzio in cui<br />
godere di quella occasione.<br />
Avevamo fatto circa un terzo del percorso verso la collina lungo<br />
la nuova strada quando vidi un improvviso lampo di luce in<br />
lontananza, alla mia sinistra, e il mio cuore diede un balzo di
preoccupazione. Nessun altro lo aveva notato, ma io lo avevo visto e<br />
sapevo cos'era. <strong>La</strong> luce del sole del primo mattino si rifletteva sul<br />
metallo, in un punto in cui quel giorno non avrebbe dovuto esserci<br />
metallo.<br />
Alzai immediatamente una mano per fermare la colonna dietro<br />
di me, e riflettei rapidamente cercando di decidere se correre al forte<br />
o scappare verso la villa. Ero ben cosciente del numero di donne nel<br />
corteo, ma poi ricordai <strong>che</strong> i nostri soldati erano spiegati in forze<br />
dietro la fattoria principale, e mi resi conto <strong>che</strong> non c'era pericolo per<br />
la nostra colonna.<br />
Caio mi chiese perché mi ero fermato, e io risposi con un cenno<br />
del capo in direzione del riflesso; allora fummo in grado di<br />
distinguere il movimento rapido di uomini a cavallo, e il grande<br />
stendardo bianco e nero di Pico Britannico.<br />
Arrivò con magnificenza, accolto da un'ovazione della folla alle<br />
mie spalle e dal suono dei corni dalla sommità del forte, da dove la<br />
gente di Ullic si era sporta a guardare. An<strong>che</strong> Pico era vestito per le<br />
grandi occasioni, con la sua armatura dorata più bella, e i suoi<br />
uomini, sebbene fossero reduci da un lungo e faticoso viaggio a<br />
cavallo, ci apparvero agghindati come per una parata imperiale.<br />
Quando la sua colonna si avvicinò alla nostra i suoi alfieri si<br />
radunarono in formazione dietro di lui, e lo stendardo recante la<br />
scritta SPQR, l'insegna del Senato e del Popolo di Roma, prese il<br />
posto d'onore a fianco di quello di Pico, alle spalle dello stesso Pico.<br />
Ogni vessillifero prese posizione a venti passi dietro e quaranta di<br />
fianco a lui. Le tre formazioni minori, gli stendardi dello squadrone,<br />
presero posto dietro a loro, anch'esse a quaranta passi uno dall'altro.<br />
Questi vessilliferi, e con essi Pico <strong>che</strong> era alla testa della formazione,<br />
creavano tutti insieme una piccola punta di freccia di sei uomini a<br />
cavallo, alla testa di tre grandi formazioni a punta di freccia di<br />
quaranta uomini ognuna.<br />
<strong>La</strong> gente nel corteo nuziale applaudì con entusiasmo ancora
maggiore mentre l'orgogliosa sfilata si avvicinava rombando e si<br />
fermava in formazione perfetta, con Pico davanti, a meno di quattro<br />
passi da me. Pico mi fece con il pugno chiuso un perfetto saluto.<br />
«Salve, Publio Varro. Siamo stati trattenuti, ma come vedi siamo<br />
pronti a fare da guardia d'onore per una bella sposa in una bella<br />
giornata.»<br />
Era caduto il silenzio quando lui si era fermato tra il rumore<br />
degli zoccoli, e tutti sentirono il saluto pronunciato ad alta voce.<br />
L'applauso riprese mentre gli rispondevo.<br />
«Bene arrivato, Pico Britannico. Quando avrai dato il saluto a<br />
tuo padre, Caio Britannico, e alla nostra sposa, sarò felice di avere la<br />
tua compagnia.»<br />
Le truppe rimasero immobili mentre Pico avvicinava il cavallo a<br />
suo padre, <strong>che</strong> era al mio fianco, alla lettiga di Veronica e alla<br />
portantina di sua zia Luceia. Quand'ebbe porto i suoi omaggi,<br />
ritornò al mio fianco alla testa della colonna, con un ampio sorriso<br />
sulle labbra.<br />
«Zio Varro, sono impressionato! Questo non è un semplice<br />
matrimonio, è una festa di proporzioni epi<strong>che</strong>!»<br />
«Sì, Pico» gli dissi, rispondendo al suo sorriso. «Lo è. È l'inizio<br />
della realizzazione dei nostri sogni, primi fra tutti quelli di tuo<br />
padre, ed è an<strong>che</strong> la prima grande celebrazione <strong>che</strong> ci concediamo<br />
dalla fondazione della Colonia. Come vuoi disporre i tuoi uomini?»<br />
Passò in rassegna le truppe e poi guardò verso la collina, dove la<br />
nuova strada si apriva come una ferita nella terra fino al forte.<br />
«Ci stavo pensando mentre ci avvicinavamo. Il vostro corteo è<br />
già formato ed è già in cammino; cercare di cambiarlo adesso<br />
creerebbe confusione. Perché non mandare avanti le mie truppe per<br />
formare una spalliera sui due lati della strada? Se lasciamo uno<br />
spazio di dieci passi tra un uomo e l'altro avresti più di un quarto di<br />
miglio di guardie.»
«Splendido» dissi ridendo. «È una bella idea. E quando non<br />
sarai più un soldato puoi diventare ricco organizzando spettacoli al<br />
Circo Massimo.»<br />
Si girò, si avvicinò al suo vessillifero e gli indicò la collina. Tutto<br />
era già stato ovviamente preparato, ma lo spettacolo fu comunque<br />
grandioso. I suoi uomini fecero una partenza perfetta, cambiando<br />
formazione subito dopo aver spronato i cavalli, poi presero la strada<br />
in fila per quattro davanti a noi, lasciandoci ben presto indietro.<br />
Diedi ordine di riprendere il cammino, alzando la mano per<br />
avvertire il corteo alle mie spalle, e seguimmo gli uomini di Pico a<br />
un'andatura più calma e dignitosa..<br />
Non appena mi fui accertato <strong>che</strong> tutti avevano ripreso il<br />
cammino senza incidenti, mi girai verso Pico <strong>che</strong> cavalcava alla mia<br />
sinistra.<br />
«Allora, ragazzo! Cosa succede nel mondo? Devo ammettere<br />
<strong>che</strong> non mi aspettavo di vederti qui oggi.»<br />
«Neanch'io, zio.» <strong>La</strong> sua voce era bassa e inaspettatamente seria,<br />
e io guardai immediatamente Caio, vedendo <strong>che</strong> ci fissava e<br />
spingeva il cavallo più vicino per sentire meglio.<br />
Pico aspettò <strong>che</strong> suo padre fosse vicino prima di riprendere a<br />
parlare. «Nel nord è scoppiato l'inferno. Non riusciremo mai a<br />
tenere il Vallo se le cose continuano come adesso.»<br />
«Perché mai?» <strong>La</strong> voce di Caio era tesa adesso. «Cosa vuoi<br />
dire?»<br />
«Solo quello <strong>che</strong> ho detto, padre. È il caos totale lassù. Siamo<br />
stati sotto un attacco costante e crescente dallo scorso ottobre. Mai<br />
un calo. Siamo stati colpiti in ogni punto lungo le ottantacinque<br />
miglia del Vallo, in genere in tre o quattro punti per volta, a distanza<br />
di miglia. Non c'è modo di difendersi da quegli attacchi. E la nostra<br />
cavalleria è inutile, tranne <strong>che</strong> come sostegno per le guarnigioni<br />
regolari. Se ci fosse un'invasione potremmo spazzare via gli invasori
<strong>che</strong> passano attraverso la breccia, ma solo se fossimo abbastanza<br />
vicini da colpirli direttamente avremmo una possibilità di<br />
respingerli.»<br />
Per qual<strong>che</strong> istante ci fu silenzio e poi, come sempre, fu Caio <strong>che</strong><br />
parlò.<br />
«Non avevo idea <strong>che</strong> le cose fossero così gravi lassù. Avevamo<br />
sentito delle voci, ovviamente, ma pensavamo <strong>che</strong> il nemico venisse<br />
contenuto.»<br />
«Viene contenuto. Per ora.» <strong>La</strong> voce di Pico suonava scettica.<br />
«Ma non durerà a lungo. Sono troppo ben coordinati. Hanno una<br />
mente militare di prima classe a dirigerli.»<br />
Un gridolino femminile risuonò dietro di noi seguito da uno<br />
scroscio di risa. Mi girai a guardare, ma non vidi l'origine di<br />
quell'ilarità, né la sua causa.<br />
«In ogni modo,» continuò Pico, senza prestare attenzione alle<br />
risate, «questi sono discorsi per quando le signore saranno a letto.<br />
Questa mattina deve essere dedicata solo al piacere.»<br />
Cavalcammo in ami<strong>che</strong>vole silenzio per un certo tempo,<br />
godendo della bellezza della giornata e ascoltando il suono<br />
argentino dei musicisti celtici <strong>che</strong> intrattenevano le signore. Il primo<br />
dei soldati di Pico era fermo col suo cavallo sul lato sinistro della<br />
strada a circa mezzo miglio davanti a noi, proprio alla base della<br />
collina.<br />
«Guarda,» osservò Pico, «Giano ha scaglionato gli uomini a<br />
dieci passi di distanza sui due lati della collina. Così va bene. È un<br />
uomo di iniziativa. Adesso hai quasi mezzo miglio di guardie a<br />
cavallo.»<br />
«Sì» commentò Caio di buonumore. «Piacerà alle donne.» Fece<br />
una pausa, come se stesse riflettendo, prima di commentare. «Sai<br />
<strong>che</strong> le tue sono le sole truppe imperiali <strong>che</strong> alcuni dei nostri hanno<br />
mai visto? Specialmente i giovani.»
<strong>La</strong> voce di Pico suonò sorpresa. «Ora <strong>che</strong> me lo fai notare penso<br />
proprio <strong>che</strong> sia così. Siete davvero fuori dalle strade battute.»<br />
«Sì» aggiunsi io. «E piaccia a Dio <strong>che</strong> restiamo fuori... A<br />
proposito, <strong>che</strong> notizie hai del tuo giovane amico con quelle strane<br />
idee? Come si chiamava? Pelidoro?»<br />
«Chi? Pelidoro?» Pico non capiva, poi esclamò: «Ah, vuoi dire<br />
Pelagio!».<br />
«Giusto, Pelagio, era quello il suo nome. Il teologo. Cosa sai di<br />
lui?»<br />
Pico scosse la testa. «Niente. Nessuna notizia. Non sento<br />
pronunciare il suo nome da secoli. Da quel giorno in cui abbiamo<br />
parlato di lui.»<br />
«Pensi <strong>che</strong> sia ancora vivo?»<br />
«Perché no?» Pico rise ad alta voce. «Ha offeso un vescovo, zio,<br />
non l'imperatore. E a proposito di vescovi, quando avete visto per<br />
l'ultima volta il vescovo Alarico?»<br />
«Alarico? Circa un'ora fa. È proprio dietro di te circa a metà<br />
della colonna. Celebrerà il matrimonio e consacrerà la nostra nuova<br />
pietra d'altare.»<br />
«Pietra d'altare? Cos'è?»<br />
«Lo vedrai. Il buon vescovo ha convinto il Consiglio a stabilire<br />
un luogo di incontro per preti e fedeli nella Sala del Consiglio.»<br />
«Per Mitra!» C'era un'ammirazione incondizionata nella voce di<br />
Pico. «E come ci è riuscito?»<br />
«In modo intelligente» gli risposi con un sorriso. «È in un<br />
momento in cui ha avuto il massimo effetto. È riuscito a completare<br />
la Sala del Consiglio.»<br />
Pico strinse le labbra e guardò me, poi suo padre e poi di nuovo<br />
me. «Hai detto <strong>che</strong> la giornata odierna segna l'inizio della<br />
realizzazione di tutti i sogni di mio padre. Il matrimonio, sta bene, lo
capisco, ma cos'altro c'è ancora?»<br />
«Beh, c'è la nuova Sala del Consiglio, come ho detto, e i nostri<br />
nuovi alloggi. Il forte viene usato quasi interamente per la prima<br />
volta oggi. Questa è an<strong>che</strong> la prima processione di tutta la nostra<br />
gente lungo la nuova strada. Ed è la prima primavera di un nuovo<br />
secolo nell'anno del Signore Gesù. Pensa a tutto questo, Pico. Quello<br />
a cui assisterai oggi è, nel suo piccolo, il nascere di una nuova<br />
società, in un luogo nuovo, circondata da nuove mura al principio di<br />
una nuova era. E, soprattutto, questa gente e i loro sogni, questo<br />
luogo, i soldati e le loro armi e tutte le speranze per il futuro, tutto<br />
questo è uscito dalla mente e dai sogni di tuo padre.»<br />
Caio tossì e si schiarì la voce imbarazzato, e avrebbe eccepito se<br />
io non lo avessi immediatamente interrotto.<br />
«No, Caio, non mi metterai a tacere e non ricuserai le mie parole.<br />
Tutto quello <strong>che</strong> dico è vero e non c'è modo <strong>che</strong> tu sfugga al<br />
riconoscimento dei tuoi piani e dei tuoi progetti, quindi non tentare<br />
neppure di farlo.»<br />
Pico parlò per suo padre e per se stesso. «Publio Varro,» disse,<br />
«le tue parole mi rendono insieme fiero e umile di essere figlio di<br />
mio padre.»<br />
«Bene, così è giusto <strong>che</strong> sia. Entrambe le cose. L'orgoglio è la<br />
spada di un uomo forte e un po' di umiltà non fa male.»<br />
Eravamo arrivati di fianco al primo uomo di Pico: era rigido<br />
sull'attenti, teneva strette le redini del cavallo, sguainata la spada<br />
<strong>che</strong> scintillava al sole e guardava dritto davanti a sé, gli occhi<br />
immobili fissi sull'infinito, mentre il suo legato gli passava davanti.<br />
Sia Pico sia io ci mettemmo sull'attenti e in quella posizione<br />
ricambiammo il saluto delle guardie, fino a <strong>che</strong> raggiungemmo i<br />
cancelli in cima alla collina.<br />
Il rumore lassù era indescrivibile, una cacofonia di corni, fischi e<br />
applausi di benvenuto per la sposa e la sua scorta. L'interno del forte
era decorato con allegria appropriata all'atmosfera festosa della<br />
giornata. Lunghe strisce di stoffe a colori vivaci pendevano dai muri<br />
e i Celti di Ullic, normalmente vestiti a colori vivaci, erano paludati<br />
nei loro abiti più sfarzosi. L'intera scena era un turbinio di colori. Le<br />
mie orecchie isolarono fonti di musica diversa e lontano, alla mia<br />
destra, vidi la sagoma gigantesca e impressionante di un orso<br />
ballerino. Poi, mentre il gruppo principale attraversava i cancelli,<br />
incominciò a risuonare la lenta cadenza di benvenuto dei tamburi di<br />
guerra celtici, e altri ripresero il rullo; il ritmo aumentò<br />
gradualmente e costantemente finché tutta l'aria rimbombò di<br />
percussioni. Erano gli stessi tamburi <strong>che</strong> avevano spaventato gli<br />
uomini di Cesare oltre quattrocento anni prima e il loro effetto non<br />
era diminuito nei secoli. Il loro aspetto era ingannevolmente fragile:<br />
erano strumenti leggeri, facilmente trasportabili, nient'altro <strong>che</strong> una<br />
pelle seccata e tesa su un cerchio di legno largo una spanna,<br />
rinforzato da due tiranti incrociati <strong>che</strong> formavano una maniglia<br />
congiungendosi al centro del tamburo. Battuti con le due estremità<br />
di un corto bastone, <strong>che</strong> quegli uomini maneggiavano con<br />
incredibile destrezza, producevano una grandiosa quantità di<br />
rumore violento, marziale, rimbombante e minaccioso.<br />
Ullic, <strong>che</strong> era un grande esibizionista, ci aspettava in piedi,<br />
circondato dalla sua famiglia, dai capi, e dai druidi vestiti<br />
completamente di nero o completamente di bianco, a seconda della<br />
loro funzione.<br />
Ullic era splendido, fiammeggiante di colori e cosparso di<br />
gioielli, e portava in capo il simbolo della sua maestà, il grande elmo<br />
con l'aquila <strong>che</strong> avevo visto l'unica volta in occasione del nostro<br />
primo incontro a Stonehenge.<br />
I suoi uomini avevano costruito per lui e per il suo gruppo una<br />
piattaforma, così <strong>che</strong> sovrastavano con la testa e le spalle la folla <strong>che</strong><br />
li circondava. Uric era in piedi alla destra del padre, un fiero giovane<br />
con indosso una semplice tunica azzurra, legata con una fusciacca
cremisi e orlata con una greca di quadri dorati. Le gambe e i piedi<br />
erano infilati in stivali foderati di pelliccia con borchie d'oro, e in<br />
capo aveva un elmo da cerimonia ornato delle corna di un potente<br />
ariete, <strong>che</strong> si curvavano all'indietro a toccargli le spalle.<br />
Caio, Pico e io dirigemmo i cavalli con una lieve pressione delle<br />
ginocchia verso il corridoio sgomberato per il passaggio del corteo<br />
nuziale, e ci fermammo di fronte alla pedana di Ullic, lasciando<br />
abbastanza spazio tra Caio e me per la lettiga di Veronica e tra Caio<br />
e Pico per la portantina di Luceia. Il resto della nostra gente si divise<br />
ordinatamente su due lati, in modo <strong>che</strong> quando la sposa e il suo<br />
seguito entrarono nel recinto del forte poterono farsi<br />
tranquillamente strada verso il posto previsto.<br />
Ci volle più di un terzo di ora perché tutto il nostro gruppo si<br />
mettesse in posizione, ma finalmente Ullic alzò la mano destra,<br />
ordinando un silenzio <strong>che</strong> giunse immediato; gli occhi di tutti erano<br />
già puntati su di lui. <strong>La</strong>sciò <strong>che</strong> il silenzio arrivasse al limite del<br />
disagio prima di parlare e poi diede il benvenuto a tutti, indicando<br />
in Caio Britannico la ragione prima del fatto <strong>che</strong> il matrimonio<br />
venisse celebrato in quel luogo ed enumerando i successi, i risultati<br />
ottenuti da un uomo <strong>che</strong> tutti i presenti avevano imparato ad<br />
ammirare, se non ad amare. In mezzo a un'ondata di approvazione<br />
Caio alzò la mano in segno di protesta e Ullic si fermò. «Desideri<br />
parlare, amico?»<br />
È impressionante come sia denso il silenzio <strong>che</strong> mille o più<br />
persone possono a volte creare. <strong>La</strong> voce di Caio risuonò chiara nel<br />
silenzio.<br />
«Re Ullic, siamo qui oggi per assistere all'unione in matrimonio<br />
di tuo figlio e mia nipote. Questi due giovani sono i celebranti. Gli<br />
elogi sono appropriati solo per loro, oggi. Non possiamo passare<br />
direttamente alle cerimonie?»<br />
Ullic fece una roboante, brevissima risata. «Ah! Così sia! Hai<br />
ragione, vecchio amico, siamo qui per un matrimonio. E allora, per
tutti gli dei, celebriamone uno. Suonate i corni!»<br />
Tra l'approvazione di tutti i presenti, un gruppo di suonatori<br />
celtici cominciò a suonare i corni, producendo una serie di richiami<br />
palesemente preparati con cura, richiami diversi emessi da corni di<br />
sei o sette differenti formati. Non avevo mai sentito niente di simile;<br />
quei suoni non avevano la chiarezza dell'ottone delle trombe e dei<br />
corni romani, ma l'effetto era commovente. Non appena le ultime<br />
note si furono spente in sequenza, un altro gruppo - questa volta di<br />
suonatori di tamburo - batté un ritmo complesso, seguito dai corni<br />
nella stessa sequenza suonata a tempo doppio, e seguita<br />
nuovamente dai tamburi.<br />
Al culmine del secondo, eccitante rullio di tamburi, il vescovo<br />
Alarico entrò nel cortile dalla nuova Sala del Consiglio, il cui grande<br />
tetto di paglia intrecciata dominava ogni altra cosa nello spiazzo.<br />
Era accompagnato da uno dei suoi accoliti, padre Fono, dal nostro<br />
padre Andros e da un gruppo di druidi di Ullic, uno dei quali era<br />
coperto da capo a piedi da un lungo abito con cappuccio dello stesso<br />
colore rosso riservato al re.<br />
Il corteo si avvicinò alla tribuna e si fermò al centro, tra Ullic e<br />
Uric. Poi Caio, Veronica, Alarico e il druido vestito di rosso salirono<br />
sulla tribuna e si girarono per guardare in faccia i convenuti. Il<br />
silenzio era completo e permeato di grande tensione mista ad attesa.<br />
Regnava l'atmosfera delle grandi occasioni, una sensazione di<br />
portento, poiché, come Caio Britannico aveva fatto notare a<br />
chiunque fosse disposto ad ascoltarlo, quello non era un matrimonio<br />
qualunque.<br />
Alarico si guardò intorno e cominciò a parlare con il tono di un<br />
esperto oratore, cosa <strong>che</strong> mi sorprese, an<strong>che</strong> se non avrebbe dovuto<br />
perché sapevo <strong>che</strong> era romano di nascita e bene educato. Mi venne<br />
in mente <strong>che</strong> in realtà sapevo poco di quell'uomo, an<strong>che</strong> se eravamo<br />
amici da molti anni, al di fuori della sua vita di vescovo. Decisi di<br />
scoprire di più su di lui quando iniziò a parlare con voce
maestosamente retorica, e le sue parole risuonarono forti e chiare<br />
rivelando ben pochi segni della sua età.<br />
«Popolo di Britannia,» iniziò, «Celti e Romani insieme. Siamo<br />
qui riuniti oggi per preparare l'arrivo di una nuova era: un'era di<br />
opportunità, ma in molti luoghi an<strong>che</strong> un'era di paura e di<br />
incertezza.<br />
Oggi siamo qui riuniti in assemblea davanti agli occhi di Dio, e<br />
né Lui, né io ci preoccupiamo del nome <strong>che</strong> ciascuno gli dà nel<br />
proprio cuore, purché ognuno creda di stare qui con noi solo<br />
davanti ai suoi occhi. Egli è il solo Dio, <strong>che</strong> incarna tutti gli dei <strong>che</strong><br />
gli uomini pensavano di dover placare quando non sapevano <strong>che</strong><br />
esistesse un dio potente come Lui. Egli è Mitra, il dio dei soldati; è<br />
Amon-Ra, il dio sole dell'Egitto, perché Egli ha creato il sole. Egli è<br />
tutte le divinità celti<strong>che</strong>, e la sua mistica presenza riempie i sacri<br />
boschi.» Si fermò e guardò il druido al suo fianco, <strong>che</strong><br />
immediatamente cominciò a declamare nella gorgogliante e liquida<br />
lingua dei Celti di Ullic, ripetendo e traducendo le parole di Alarico<br />
a vantaggio di chi parlava solo celtico. Quando ebbe finito, Alarico<br />
riprese.<br />
«Oggi daremo inizio a una nuova era, a un distacco completo<br />
dalle tradizioni della vecchia era, eppure lo faremo conservando il<br />
meglio delle vecchie tradizioni, il meglio delle tradizioni celti<strong>che</strong> e il<br />
meglio delle tradizioni romane.<br />
Questi due giovani rappresentano il meglio del sangue dei<br />
nostri due popoli. Uric è figlio del vostro re e sarà re un giorno<br />
secondo il suo diritto. Il suo sangue è puro, i suoi antenati risalgono<br />
a venti generazioni e più. Gli antenati di Uric hanno regnato sul<br />
popolo delle colline per lunghi anni prima <strong>che</strong> gli occhi di Cesare si<br />
posassero sulle rive della loro terra. Egli è un celta, puro e<br />
incontaminato da sangue straniero.» Alarico si fermò e l'uomo<br />
vestito di rosso tradusse quello <strong>che</strong> aveva detto.<br />
Alarico aspettò pazientemente, e lasciò <strong>che</strong> i commenti dei Celti
si placassero prima di riprendere.<br />
«Veronica, <strong>che</strong> Uric prenderà in moglie qui davanti a voi oggi,<br />
ha non meno nobili antenati. Le sue vene sono ric<strong>che</strong> del sangue<br />
patrizio <strong>che</strong> ha fatto Roma potente nei suoi antichi giorni. E il suo<br />
sangue è puro. Puro sangue romano dalle colline di Roma, <strong>che</strong> non è<br />
stato mischiato a quello di nessuna altra razza...» Fece una pausa e<br />
lasciò <strong>che</strong> l'eco delle sue parole si spegnesse, e <strong>che</strong> la gente ne<br />
assorbisse il significato. Poi, quando il silenzio iniziava appena a<br />
vibrare di tensione, continuò, con perfetto tempismo.<br />
«Fino a oggi. Fino a questa unione... a questo matrimonio.<br />
Questo legame tra due persone è più di un semplice legame, molto,<br />
molto di più. Perché l'unione di queste due persone, l'unione alla<br />
quale noi oggi assisteremo, sarà l'unione di due popoli!» <strong>La</strong> voce di<br />
Alarico risuonava ora vibrante e forte. «Due popoli! I Romani e i<br />
Celti insieme!» Alzò la mano per tacitare i commenti, <strong>che</strong> non<br />
ardirono levarsi, e poi fece cenno al druido <strong>che</strong> ripetè le sue parole,<br />
esattamente fino all'ultimo gesto, dopo di <strong>che</strong> Alarico riprese la sua<br />
cadenza.<br />
«Qui, in questa terra <strong>che</strong> i Romani hanno chiamato Britannia, ci<br />
sono state molte tribù, molti popoli. Prima <strong>che</strong> i Romani arrivassero<br />
vi chiamavate "il popolo". Loro vi chiamavano durotrigi e belgi.<br />
Chiamarono i vostri vicini di occidente dumnoni e chiamarono siluri il<br />
popolo oltre la bocca del fiume, a nord-ovest. E noi tutti sappiamo<br />
<strong>che</strong> questo era follia. Voi eravate e siete il popolo di questa terra, <strong>che</strong><br />
era vostra molto prima <strong>che</strong> i Romani ne scoprissero le coste...<br />
Ora pare <strong>che</strong> i Romani si ritirino. Questa è la voce della ragione,<br />
la conclusione tratta da Caio Britannico <strong>che</strong> ha convinto tutti i suoi<br />
amici. A tale convinzione dobbiamo l'esistenza di questa Colonia.<br />
Oggi Roma, l'Impero, è come una bolla cresciuta in un lago di pece. I<br />
venti del tempo hanno asciugato la superficie della bolla,<br />
togliendole il potere di allargarsi e di crescere e an<strong>che</strong> di scoppiare.<br />
<strong>La</strong> bolla sta collassando, crollando lentamente su se stessa,
perdendo la sua forma, la sua sostanza e la sua vita. E mentre<br />
cade...» <strong>La</strong> sua voce salì in un grido, portando l'immagine <strong>che</strong> aveva<br />
creato dentro la mente di ogni ascoltatore. «Mentre cade, amici miei,<br />
i suoi bordi affondano sotto la superficie del lago, si fondono di<br />
nuovo, riducono la circonferenza della bolla finché, a suo tempo,<br />
rimarrà solo il centro corrugato e rinsecchito, perché gli uomini lo<br />
guardino e stupiscano.» Aveva alzato le mani distanziate nell'aria; le<br />
riavvicinò lentamente sul petto, fino a formare una coppa.<br />
<strong>La</strong> folla seguì unanime il suo gesto.<br />
«Questa bellissima terra di Britannia, <strong>che</strong> noi tutti abbiamo così<br />
cara, si trova all'estremo confine della bolla dell'Impero. Sarà il<br />
primo dei territori imperiali a venire abbandonato. Roma ha gravi<br />
problemi vicino al cuore del suo Impero. Non ha problemi qui. <strong>La</strong><br />
nostra terra è ricca, e benché le nostre guerre ci sembrino grandi,<br />
non sono niente per l'Impero, <strong>che</strong> lotta con orde di barbari molto più<br />
numerose di quelle contro cui possiamo immaginare di combattere<br />
noi. Perciò Roma ci lascerà, forse tra poco, per occuparsi della<br />
propria difesa.»<br />
Mentre il druido riprendeva la sua recita, rotolando le sillabe<br />
celti<strong>che</strong> per il popolo di Ullic, Alarico guardava le facce della folla, e<br />
notava la fascinazione indotta dalle sue parole, uguale sulle facce di<br />
Celti e non Celti, mentre tutti pendevano dalle parole e dai suoni del<br />
druido. Quando la voce del sacerdote vestito di rosso tacque,<br />
Alarico era pronto e alzò la sua voce secondo l'arte eccelsa di un<br />
oratore provetto.<br />
«Abbiamo motivo di grande gioia, amici miei! Perché la nostra<br />
gioia oggi sarà la nostra forza domani! Uniti, i nostri due popoli<br />
sosterranno l'invasione e vinceremo! Sopravviveremo! Perché i figli<br />
di questo matrimonio saranno i nostri figli, il meglio di noi, uniti<br />
nella forza! L'inizio di un nuovo popolo, <strong>che</strong> prenderà nome da noi,<br />
non da stranieri! Non Romani, non Celti, non belgi o dumnoni, ma<br />
BRITANNI!» Si fermò, per la durata di tre battiti, «BRITANNI! Avete già
sentito questa parola. I Romani parlano dei Britanni, e intendono il<br />
popolo <strong>che</strong> vive su quest'isola. Ma i figli di questa unione, i nostri<br />
figli, saranno Britanni di un tipo nuovo e differente! L'orgoglio con<br />
cui si chiameranno Britanni diventerà leggenda!.»<br />
Quando tacque i suoi ascoltatori scoppiarono in applausi<br />
spontanei e in fischi di approvazione, an<strong>che</strong> quelli <strong>che</strong> avrebbero<br />
dovuto aspettare la traduzione del druido.<br />
Il cuore mi batteva con violenza nel petto e i peli sulla nuca e<br />
sulle braccia erano ritti per l'eccitazione. Alla fine, quando il tumulto<br />
cominciò a placarsi, il vecchio vescovo, sempre con perfetto<br />
tempismo, alzò le mani e fece tacere tutti.<br />
«Fate venire avanti la sposa!»<br />
Io scesi da Germanico, quasi agilmente per una volta, mentre i<br />
tamburi ricominciavano a suonare, e avanzai per aiutare mia figlia a<br />
scendere dalla lettiga. Piangeva e sorrideva e una lacrima esitava tra<br />
le ciglia dell'occhio sinistro. Le baciai la mano e lei camminò al mio<br />
fianco, e la condussi sulla pedana davanti a suo marito.<br />
Quando Uric fece un passo avanti per reclamarla, suo padre<br />
avanzò verso di me e mi sussurrò all'orecchio. «Ebbene, romano, ti<br />
pavoneggi più di me, oggi! Non sapevo <strong>che</strong> possedessi abiti tanto<br />
eleganti!» Sorrisi e non dissi niente.<br />
«Forza,» continuò, «adesso tocca a noi.»<br />
Avanzammo fino al bordo della pedana, dove rimanemmo uno<br />
davanti all'altro, con la folla da un lato e il gruppo nuziale dall'altro.<br />
«Publio Varro» Ullic si rivolse a me in tono stentoreo. «Qui, in<br />
questo primo giorno, io ti consegno il prezzo nuziale concordato tra<br />
noi. Nelle tue mani, per l'acquisto di tua figlia, metto le ric<strong>che</strong>zze di<br />
tutta la mia famiglia e la mia terra, conferendo al tuo e mio nipote,<br />
an<strong>che</strong> se non è ancora nato, il diritto e il titolo al nome di re dopo suo<br />
padre.»<br />
<strong>La</strong> folla era folgorata. Non si era mai sentito niente di simile. E se
dall'unione non fosse nato un erede? Questo doveva essere stato il<br />
primo pensiero di ogni persona presente. E mai prima di allora nella<br />
storia, a memoria d'uomo, c'era stato un matrimonio nel quale il<br />
prezzo nuziale non cambiasse di mano in forma fisica: bestiame, oro<br />
o tesori. In fretta, prima <strong>che</strong> passasse lo stupore lasciando agli incerti<br />
la possibilità di esprimere i loro dubbi, io risposi con i termini <strong>che</strong><br />
avevo elaborato insieme a Caio.<br />
«Ullic Pendragon,» risposi, con voce forte e chiara come la sua,<br />
«accetto questo prezzo come giusto pegno della buona volontà tra i<br />
nostri popoli, e in questo primo giorno, di fronte a tutto il popolo,<br />
sottometto ugualmente le ric<strong>che</strong>zze della mia famiglia e le mie terre,<br />
insieme alle ric<strong>che</strong>zze e alle terre di Caio Britannico, al tuo e mio<br />
nipote, non ancora nato, garantendogli an<strong>che</strong> il titolo e il diritto al<br />
rango di Duca, Capo, Comandante e Legislatore di tutti i nostri<br />
possedimenti e, quando i tempi saranno maturi e per giuramento<br />
votato e giurato da tutto il Consiglio di questa Colonia, il titolo e il<br />
diritto al nome di re su queste terre della Britannia Meridionale.»<br />
Ecco! Finalmente era stato detto. <strong>La</strong> notizia del più grande<br />
trionfo di Caio Britannico, l'ammissione della grandezza della sua<br />
visione, la prova della sua capacità di persuasione e il potere della<br />
sua personalità. Che un uomo - qualunque uomo - avesse convinto il<br />
Consiglio della nostra Colonia ad appoggiare un re, era contrario a<br />
tutte le tradizioni e alla storia di Roma. Trattenni il respiro e attesi<br />
l'inevitabile reazione, pronto a tutto. Ma i tempi erano maturi e il<br />
popolo preparato.<br />
«Lunga vita ai Britanni! E al loro re! Hip, hip, hip, hurrah!»<br />
Non so da quale robusta gola fosse uscito il primo urlo, ma esso<br />
provocò una risposta istantanea ed entusiasta da parte dell'enorme<br />
folla, e gli applausi continuarono a lungo. Quattrocento anni prima,<br />
quando Cesare era sbarcato per la prima volta, il suono di quella<br />
strana cantilena, "Hip, hip, hip, hurrah," l'urlo di battaglia dei fieri<br />
uomini dipinti dei clan, aveva raggelato i Romani induriti dai
combattimenti perché, a differenza della maggior parte degli urli di<br />
battaglia <strong>che</strong> avevano sentito, la natura di questo urlo - una sola<br />
voce <strong>che</strong> chiede risposta e la riceve istantaneamente da tutti -<br />
suggeriva una disciplina nativa e selvaggia, e un'unica volontà di<br />
vincere.<br />
Oggi l'entusiasmo di quel grido e di chi gridava era<br />
inequivocabile. Sorrisi a Ullic e ci buttammo le braccia al collo, sotto<br />
lo sguardo di approvazione della folla. Poi indietreggiammo,<br />
lasciando <strong>che</strong> gli sposi venissero uniti.<br />
A parte la mia euforia non ho quasi nessun ricordo della<br />
cerimonia. <strong>La</strong> sposa era deliziosa e lo sposo giovane, forte e bello. A<br />
un certo punto furono avvolti insieme in un unico abito finemente<br />
tessuto, e legati in vita con una corda d'oro. Poi l'abito fu tirato giù<br />
dalle loro teste, ed essi rimasero in piedi, visibili dalla vita in su,<br />
nascosti dalla vita in giù e ancora legati, faccia a faccia, petto contro<br />
petto, uomo contro donna. Era fatto. Ullic fece un passo avanti e<br />
annunciò <strong>che</strong> una festa era pronta sulla collina fuori dalle mura e,<br />
ancora applaudendo, la folla cominciò a disperdersi.
XXVII.<br />
Gli sposi novelli furono scortati verso la Sala del Consiglio, e<br />
an<strong>che</strong> la portantina di Luceia venne portata lì. Io fui circondato da<br />
amici <strong>che</strong> si congratulavano, e così an<strong>che</strong> Ullic e Caio, ma alla fine<br />
Ullic e io riuscimmo a trovarci di nuovo insieme, mentre Caio, a<br />
pochi passi di distanza, parlava con un amico.<br />
«Beh, romano, è stato fatto tutto per bene, penso.»<br />
«Sì, Ullic. È stato fatto tutto per bene.»<br />
«Il tuo amico vescovo ha parlato bene. Sono stato contento <strong>che</strong> ci<br />
fosse.»<br />
«Lo sono stato anch'io. Ha riassunto la situazione meglio di<br />
come avrebbe fatto Caio. E mi ha sorpreso, devo ammetterlo.<br />
Conosco ormai da molti anni Alarico, ma non l'ho mai sentito<br />
parlare in pubblico prima d'ora. Non sapevo <strong>che</strong> fosse un oratore. Si<br />
è trastullato con la folla e an<strong>che</strong> con me allo stesso modo in cui i tuoi<br />
druidi si trastullano con i loro strumenti.»<br />
«Come ti senti ora <strong>che</strong> possiedi le mie terre?» Sul suo volto c'era<br />
un leggero sorriso.<br />
«Responsabile» replicai, sorridendogli a mia volta. «Mi chiedo<br />
cosa nascerà da questo inizio.»<br />
Ullic emise un sospiro acuto. «Chi lo sa, amico? Noi abbiamo<br />
piantato i semi, questo è tutto. Non c'è altro <strong>che</strong> possiamo fare.<br />
Adesso tutto dipende da come soffia il vento e da come il giovane<br />
Uric pianterà i suoi semi.»<br />
Annuii con un ampio cenno della testa, prendendomi gioco di<br />
lui. «Sì, è vero, e l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è di un<br />
abbondante raccolto di figlie.»<br />
«Ah! Non c'è da avere paura! Noi Pendragon siamo dei famosi
procreatori di maschi. Solo gli effemminati Romani producono<br />
sempre femmine.»<br />
«Pagano, ringrazia i tuoi dei <strong>che</strong> lo facciano!»<br />
Mi girai e allungai la mano verso Caio, interrompendolo nella<br />
sua conversazione e parlando con Ullic al di sopra della mia spalla.<br />
«Così daranno ai figli del tuo stallone campi da arare in quantità<br />
negli anni <strong>che</strong> verranno.»<br />
Feci un cenno all'uomo <strong>che</strong> conversava con Caio e trascinai Caio<br />
verso di me. «Perdonaci amico,» gli dissi, poiché non ricordavo il<br />
suo nome, «ma devo privarti del tuo interlocutore, perché è ora <strong>che</strong><br />
andiamo nella sala della festa a raggiungere le signore, e noi tre<br />
dobbiamo brindare agli anni futuri.»<br />
Ullic si guardava intorno nel cortile semivuoto. «Sono già entrati<br />
tutti. Ci staranno aspettando. Siete pronti?»<br />
«No» dissi io. «Io non lo sono. Là dentro ci sarà folla e io sto per<br />
soffocare in questo ridicolo abbigliamento. Credo <strong>che</strong> preferirei<br />
togliermi questo mantello pesante, scaricare questa armatura e<br />
mettermi più comodo. In effetti più ci penso e più sono convinto <strong>che</strong><br />
sia l'unica cosa sensata da fare. Dov'è andato Pico? Vedo il suo<br />
cavallo.»<br />
Caio disse: «Probabilmente è dentro la sala». Mentre diceva<br />
queste parole, uno dei suoi servitori uscì dalla sala dove si svolgeva<br />
la festa, ci vide e venne diritto verso di noi.<br />
«Mastro Varro, donna Luceia mi ha mandato a cercarti. Chiede<br />
<strong>che</strong> tu la raggiunga nella Sala del Consiglio.»<br />
Guardai incupito Ullic e Caio. «Bene, posso rinunciare all'idea di<br />
cambiarmi d'abito.»<br />
Mi voltai di nuovo verso il messaggero. «Informa per favore<br />
donna Luceia <strong>che</strong> re Ullic, Caio Britannico e io ci uniremo al gruppo<br />
tra poco. Nel frattempo, per favore, chiedile di procedere come se<br />
fossimo già lì. Non ci metteremo molto.» L'uomo si girò per
andarsene, ma lo fermai. «Aspetta. È qui il generale Pico?»<br />
L'avevo preso alla sprovvista. «Non lo so, signore. Non l'ho<br />
visto, ma non lo stavo cercando.»<br />
«Non importa. Lo troveremo dopo.» L'uomo proseguì per la sua<br />
strada e io mi girai verso i miei compagni. «Faremo meglio ad<br />
andare alla riunione, suppongo, ma prima penso <strong>che</strong>, finché siamo<br />
qui tutti e tre insieme, quattro se contiamo Pico, dovremmo stabilire<br />
un momento per parlare di piani e di strategia. Abbiamo messo in<br />
moto alcune cose oggi <strong>che</strong> non dovrebbero essere lasciate in sospeso.<br />
An<strong>che</strong> Uric dovrebbe unirsi a noi. Quando sarebbe un momento<br />
adatto?»<br />
«Quando andrebbe bene per voi?» chiese Ullic. «Io non ho<br />
niente altro da fare mentre sono qui.»<br />
Caio alzò il sopracciglio. «Domani?»<br />
Annuii. «Sì, nel pomeriggio. Alarico ha riservato il mattino alle<br />
preghiere.»<br />
Ullic batté le palpebre e poi mi guardò in modo strano.<br />
«Preghiere? È questo <strong>che</strong> hai detto? Perché? Cosa succede?»<br />
«Solo un servizio religioso cristiano, Ullic. Nella Sala del<br />
Consiglio. Alarico ha dedicato una speciale pietra d'altare all'uso<br />
della Colonia. <strong>La</strong> utilizzerà per la prima volta domani. Ti piacerebbe<br />
assistere?»<br />
«Sì, mi piacerebbe. Una pietra sacra, dici? Come le nostre?»<br />
«Quasi» dissi con un sorriso e Caio aggiunse: «Ma non così<br />
grande e non così fallica».<br />
«Cosa vuoi dire?»<br />
Sogghignai al suo indirizzo. «Ha detto fallica. Sai cosa vuol dire,<br />
no? Come un fallo. <strong>La</strong> tua gente nei tempi antichi si appassionava<br />
molto a innalzare ovunque grandi erezioni.»<br />
«Erezioni? Intendi templi? Come Stonehenge?»
«No, Ullic. Intendo erezioni, come un pene. Stonehenge ha degli<br />
architravi sulle pietre verticali <strong>che</strong> formano il cerchio, ma le altre<br />
pietre <strong>che</strong> ho visto in tutta la Britannia sono come grandi peni di<br />
pietra, eretti verso il cielo.»<br />
Ullic si guardò improvvisamente intorno in modo quasi furtivo.<br />
«Attento a quello <strong>che</strong> dici, Publio» mormorò con voce roca. «I preti<br />
non sono famosi per la loro tolleranza se si sentono derisi.»<br />
Il suo commento mi sorprese e mi mise leggermente in<br />
imbarazzo, come se mi avesse visto fare qualcosa di meno <strong>che</strong><br />
dignitoso. Mi schiarii la gola per nascondere l'improvvisa<br />
confusione e gli feci immediatamente le mie scuse.<br />
«Suvvia, Ullic, non volevo prendere in giro né i tuoi preti, né la<br />
tua fede. Ho solamente detto quello <strong>che</strong> ho pensato spesso, nella<br />
speranza <strong>che</strong> ti divertisse. Adesso capisco <strong>che</strong> sono stato privo di<br />
tatto. Perdonami.»<br />
Caio ci interruppe. «Dove ci incontreremo domani? Deve essere<br />
in privato?»<br />
«No,» replicai, «non necessariamente, an<strong>che</strong> se a questo stadio<br />
preferirei tenere per noi il contenuto della conversazione.»<br />
«Bene, allora perché non cavalchiamo fino alla villa? Potremmo<br />
parlare mentre scendiamo, bere una coppa di vino a casa e poi<br />
ritornare qui.»<br />
«Mi sembra una buona idea» disse Ullic. «Ma perché andare giù<br />
alla villa? Potremmo portarci un piccolo otre di vino e cavalcare<br />
verso la campagna.»<br />
«È vero, potremmo» dissi. «Ma mi fa piacere <strong>che</strong> Caio voglia<br />
andare alla villa. Voglio farvi vedere una cosa. Non chiedetemi cosa,<br />
perché non ve lo dico. Ve la farò vedere domani. Adesso andiamo a<br />
fare il nostro dovere come padri dei futuri genitori.»<br />
«Questo mi esclude.» Caio sembrava risentito.
Risi e gli misi un braccio intorno alle spalle. «Non essere sciocco,<br />
Cai, tu sei il padre onorario di questa giornata.»<br />
Mentre ci avvicinavamo alla porta d'ingresso della Sala del<br />
Consiglio qualcuno chiamò Ullic per nome, Ullic si girò a guardare e<br />
si fermò. Quando Caio e io ci disponemmo ad aspettarlo, ci fece un<br />
cenno.<br />
«Voi due andate avanti, io vi raggiungo subito. Devo parlare<br />
con Cimric.»<br />
Camminando continuavo ad agitarmi nel vano tentativo di<br />
drappeggiare il mantello in modo più confortevole. Per il gran peso<br />
in metallo <strong>che</strong> avevo addosso, mi sembrava di essere un'incudine<br />
ambulante, e non vedevo l'ora di entrare all'ombra della Sala del<br />
Consiglio, lontano dal sole caldo.<br />
Caio e io entrammo dall'ingresso principale e ci fermammo,<br />
socchiudendo gli occhi per abituarli all'oscurità dopo l'intensità<br />
della luce solare. All'ingresso, appena entrati, c'era un falso muro,<br />
un tramezzo <strong>che</strong> creava l'illusione di un vestibolo e serviva per<br />
s<strong>che</strong>rmare l'interno quando le porte principali erano aperte. Pico era<br />
lì, in piedi, con un braccio teso appoggiato alla parete divisoria, e tra<br />
lui e il muro c'era la sorella di Ullic, Enid. Pico indossava ancora<br />
l'elmo e il mantello. Sia lui sia Enid avevano occhi soltanto uno per<br />
l'altra e non notarono neppure il nostro ingresso. <strong>La</strong> tensione tra i<br />
due era quasi tangibile, un'aura di tesa sensualità evidente già nella<br />
posa.<br />
Guardai Caio e mi accorsi <strong>che</strong> an<strong>che</strong> lui mi stava guardando, con<br />
il sopracciglio alzato sulla fronte. Senza parole proseguimmo lungo<br />
l'altro lato della parete per non disturbare la coppia. Mia moglie mi<br />
ha detto spesso <strong>che</strong> non sono molto percettivo nel cogliere tali<br />
sottigliezze, ma perfino io mi ero accorto della situazione tra Pico ed<br />
Enid. Era sottile quanto un calcio all'inguine.<br />
Mentre mi allontanavo da loro, però, pensai con una certa<br />
preoccupazione <strong>che</strong> se Ullic fosse entrato in quel momento da quella
porta, e avesse ricevuto la mia stessa impressione, sarebbe stato<br />
forse spinto a reagire in un modo <strong>che</strong> poi tutti gli interessati<br />
avrebbero rimpianto. <strong>La</strong> carica sessuale <strong>che</strong> emanavano quei due,<br />
solo stando vicini, era incredibilmente forte! Stavo per tornare<br />
indietro, ma mi fermai. In fondo erano adulti, abbastanza cresciuti<br />
per fare quello <strong>che</strong> volevano. Lui era un legato imperiale e un<br />
comandante di cavalleria e lei era una principessa e una donna<br />
matura. Quello <strong>che</strong> facevano non era affar mio. Perciò li lasciai alle<br />
loro faccende.<br />
Caio e io ci unimmo alla festa; Pico ci raggiunse poco dopo,<br />
senza mostrare tracce di un comportamento inusuale, ma ogni tanto<br />
lo vedevo guardare attraverso la sala e sempre, in quei casi, an<strong>che</strong> lei<br />
lo stava cercando con gli occhi. <strong>La</strong> cosa più sorprendente era <strong>che</strong><br />
solo io notavo le scintille <strong>che</strong> scoccavano quei due attraverso la folla.<br />
Feci a Luceia un'osservazione in proposito, ma non riuscii a<br />
suscitare in lei il minimo interesse. Si guardò intorno distrattamente<br />
e vide Enid seduta qual<strong>che</strong> tavolo più in là, per caso in quel<br />
momento immersa in una conversazione con il tizio seduto vicino a<br />
lei. An<strong>che</strong> Pico stava parlando con qualcun altro e non guardava<br />
affatto in direzione di Enid. Luceia aggrottò la fronte guardandomi<br />
un po' perplessa e fece per dirmi qualcosa, poi cambiò idea, mi<br />
strinse leggermente una mano e si lanciò a riferirmi la conversazione<br />
avuta con due membri del Consiglio dopo la cerimonia di nozze. Io<br />
rimasi lì a sedere, sentendomi uno stupido, e lasciai <strong>che</strong> le sue parole<br />
mi scorressero addosso, dentro da un orecchio e fuori dall'altro, e<br />
pensai <strong>che</strong> le donne, an<strong>che</strong> le migliori, possono essere cie<strong>che</strong> nel<br />
momento stesso in cui dicono <strong>che</strong> siamo ciechi noi.<br />
Gli altri ricordi <strong>che</strong> ho dei festeggiamenti della giornata sono<br />
come quelli di un combattimento: immagini frammentarie e<br />
immobili: la sposa, mia figlia, radiante di gioia, al braccio di suo<br />
marito, stretta al suo fianco, ridente, <strong>che</strong> mi guarda negli occhi;<br />
l'orso bruno grande come una montagna <strong>che</strong> avevo visto danzare e<br />
battere un tamburello; un cigno arrosto, con le penne rimesse a
posto, circondato da un corteggio di o<strong>che</strong> e anatre arrosto, <strong>che</strong> mi<br />
passava davanti su un massiccio vassoio portato da molti uomini; e i<br />
miei occhi da gufo <strong>che</strong> mi guardavano dal bicchiere in cui stavo<br />
bevendo. Fu una grande festa, immagino; per la terza volta nella mia<br />
vita, credo, mi portarono a letto privo di sensi. Ma quella volta ero il<br />
padre della sposa.<br />
Mi svegliai nell'oscurità nera come pece senza sapere dove mi<br />
trovavo. Sapevo <strong>che</strong> ero a letto, ma nient'altro. Sentivo gente <strong>canta</strong>re<br />
in lontananza, ubriaca, e lentamente la memoria mi ritornò. Mi<br />
trovavo nella nostra tenda, fuori dalle mura del nuovo forte.<br />
Allungai una mano lentamente per cercare Luceia, ma lei non c'era e<br />
questo mi portò a chiedermi <strong>che</strong> ora fosse. Cercai di alzarmi a sedere<br />
e immediatamente desiderai non averlo mai fatto: mi sentivo come<br />
se tutti i fabbri della fucina di Vulcano stessero sferrando colpi<br />
dentro la mia testa.<br />
<strong>La</strong>mentandomi senza vergogna in preda a una crisi di<br />
autocommiserazione, arrivai all'uscita della tenda e mi fermai,<br />
colpito dalla fredda aria notturna, conscio solo allora di non avere<br />
addosso altro <strong>che</strong> la tunica. Mi chiesi chi mi avesse tolto l'armatura e<br />
gli abiti. E mi chiesi an<strong>che</strong> come avesse fatto.<br />
Ritornai verso il mucchio di pellicce <strong>che</strong> era il letto, cercai a<br />
tentoni al buio e trovai il cassone di legno di cedro <strong>che</strong> conteneva i<br />
miei abiti. Luceia aveva insistito perché portassi la tunica di pelle di<br />
pecora, sapendo <strong>che</strong> le notti sarebbero state ancora fredde in collina.<br />
Dovetti frugare e tastare a lungo e faticosamente nell'oscurità prima<br />
di trovare la pesante pelle di pecora, ma finalmente riuscii a<br />
infilarmela dalla testa; tornai all'ingresso della tenda e sollevai le<br />
strisce di pelle per fare entrare la luce della luna. Il miglioramento fu<br />
notevole e immediato. Trovai subito i sandali e presi un mantello di<br />
lana da un gancio piantato nel palo della tenda, poi uscii a sedermi<br />
per allacciare i sandali, e constatai <strong>che</strong> perfino la luce di quella falce<br />
di luna era dolorosa per i miei occhi. Mi sentivo infelice. Non
icordavo di essermi mai sentito così male per i postumi di attività<br />
presumibilmente piacevoli. Il terreno era freddo, così mi rialzai<br />
borbottando, e rientrai nella tenda per prendere un paio di pelli dal<br />
letto.<br />
A pochi passi dalla tenda c'era un albero. Buttai le pelli alla base<br />
dell'albero e mi ci sedetti sopra con cautela, appoggiando la schiena<br />
al tronco e stringendomi il mantello intorno alle spalle; respiravo<br />
molto profondamente e inghiottivo grandi sorsate dell'aria fredda<br />
della notte, con gli occhi socchiusi.<br />
Un cane si mise a ululare molto vicino, e la mia mente si ribellò a<br />
quel suono. Giurai <strong>che</strong> se quello screanzato fosse venuto più vicino<br />
lo avrei strangolato, immergendolo in un silenzio assoluto e<br />
permanente. Poi sentii dei passi <strong>che</strong> si avvicinavano, e qualcuno<br />
cominciò a <strong>canta</strong>re, con voce roca da ubriaco, subito raggiunto da un<br />
compagno altrettanto ubriaco. Allora scattai in piedi e fuggii nella<br />
notte, stringendomi addosso la pelliccia sulla quale mi ero seduto.<br />
Penso di aver camminato per un buon mezzo miglio lungo la<br />
collina, parallelo alle mura <strong>che</strong> torreggiavano sopra di me,<br />
inclinando il corpo contro la ripida china <strong>che</strong> precipitava alla mia<br />
destra. Di tanto in tanto sentivo gli scoppi di risa di qual<strong>che</strong> tardiva<br />
gozzoviglia dentro le mura, ma ben presto fui lontano dalla zona in<br />
cui erano piantate le tende, abbastanza da lasciarmi completamente<br />
alle spalle tutti i rumori e da garantire alla mia testa un riconoscente<br />
sollievo.<br />
Trovai un altro albero a cui appoggiarmi e mi sedetti,<br />
frenandomi con i calcagni contro il pendio, appoggiai i gomiti sulle<br />
ginocchia raccolte e premetti i palmi delle mani contro le tempie<br />
pulsanti. Mi sentivo male e miserabile come quando, giovane<br />
recluta, avevo bevuto per la prima volta un'eccessiva quantità del<br />
vino acido e leggero dei legionari.<br />
Non so per quanto tempo rimasi lì seduto. Forse passò un'ora,<br />
forse più e forse meno, ma mi addormentai e mi risvegliai di colpo,
spaventato, quando la testa mi scivolò dalle mani. Socchiusi gli<br />
occhi, brontolai e borbottai e mi guardai intorno nel buio. <strong>La</strong> luna<br />
era bassa all'orizzonte, ormai quasi invisibile. Ero gelato fino<br />
all'osso, ma mi sentivo decisamente meglio di prima. <strong>La</strong>nciai<br />
un'imprecazione sapendo <strong>che</strong> il ginocchio malandato mi avrebbe<br />
inferto dolori lancinanti quando avessi cercato di rialzarmi, e mi<br />
strinsi maggiormente nel mantello, cercando un calore <strong>che</strong> non c'era.<br />
Ero rimasto seduto troppo a lungo. Mi alzai di malumore,<br />
stringendo i denti per il forte dolore al ginocchio. Era come se tutte<br />
le ossa dell'articolazione si fossero saldate, ma mi costrinsi a<br />
camminare, zoppicando malamente, barcollando e a un certo punto<br />
quasi strisciando, sostenendomi con una mano contro il pendio della<br />
collina dove la china era particolarmente ripida.<br />
Il movimento riattivò la circolazione del sangue, il dolore iniziò<br />
a diminuire e cominciai a fare dei progressi, an<strong>che</strong> se il ritorno era<br />
molto più difficile dell'andata, perché l'inclinazione del pendio<br />
adesso sfavoriva la gamba zoppa. Non serviva a molto dire <strong>che</strong> avrei<br />
dovuto pensarci prima, perché allora stavo troppo male per pensare<br />
a qualunque cosa o per preoccuparmene. Mi limitai a stringere i<br />
denti più forte e sfruttai ogni albero <strong>che</strong> incontravo per fermarmi e<br />
appoggiarmici contro per far riposare la gamba dolorante.<br />
Ero a forse metà strada dalla tenda quando mi fermai a riposare<br />
contro un grande albero e la vescica mi fece sapere di essere sotto<br />
pressione. Mentre trafficavo intorno alla chiusura delle bra<strong>che</strong>, notai<br />
<strong>che</strong> sulle mura sopra di me regnava ora il silenzio; ma<br />
improvvisamente un lamento disumano sembrò uscire dalla terra,<br />
facendomi rizzare i capelli per l'orrore. Non sono un uomo<br />
superstizioso, ma quel suono, su una collina brulla, scura e deserta<br />
mi mutò il sangue in acqua. Restai immobile, la vescica dimenticata,<br />
con le orecchie tese nel silenzio assoluto <strong>che</strong> seguì<br />
quell'agghiacciante suono. Niente si mosse, da nessuna parte, e poi<br />
il rumore si ripetè, un lungo, sospirante gemito, questa volta meno<br />
forte e molto, molto meno disumano. Proveniva da una gola umana,
e stabilii an<strong>che</strong> il luogo della sua origine. Nel terreno di fronte a me<br />
c'era un avvallamento, in basso, sulla sinistra. Chiunque avesse<br />
emesso quel suono era lì. Mi sentivo molto meglio ora <strong>che</strong> mi ero<br />
calmato e avevo identificato il suono e la sua provenienza. Mi staccai<br />
dall'albero lentamente, mi avvicinai con grande precauzione al<br />
margine della conca e lì mi fermai, con la pelle d'oca.<br />
Non c'era nessuno in quel luogo. Nessuno. Era solo una vuota<br />
conca erbosa, scura come l'inchiostro e vuota. Ma poi vidi un pallido<br />
lampo e capii <strong>che</strong> cosa stavo guardando: due persone <strong>che</strong> giacevano<br />
nascoste, completamente celate da una coperta nera. Il buio della<br />
notte li aveva protetti, rendendoli invisibili, finché una gamba era<br />
comparsa brevemente alla vista prima di ritornare di nuovo sotto la<br />
coperta. Sentii dei sussurri e poi l'uomo rise e il mio cuore diede un<br />
balzo.<br />
<strong>La</strong> coperta nera era un mantello nero, quello di Pico Britannico;<br />
era lui infatti <strong>che</strong> aveva riso e non avevo bisogno di indovinare chi<br />
era l'altra persona sotto il mantello. Mi ritirai con un sentimento<br />
molto vicino al panico. Che cosa avrebbero pensato se mi avessero<br />
trovato lì a spiarli in quel modo? Poi urtai con il calcagno una zolla<br />
d'erba e persi l'equilibrio, non riuscii a reggermi sulla gamba zoppa<br />
e caddi pesantemente su un fianco. Mi sembrò di aver fatto,<br />
cadendo, il rumore di una frana, abbastanza forte da svegliare i<br />
morti, ma quei due sotto di me erano troppo occupati a essere vivi<br />
per sentirmi.<br />
Mi rimisi in piedi lentamente e con cautela e mi allontanai<br />
zoppicando, sentendo i suoni del loro accoppiamento diventare più<br />
forti e più appassionati dietro di me, finché la distanza fu sufficiente<br />
a consentire loro la dovuta intimità. Dolce Signore sulla Croce!<br />
Poteva diventare un bel problema, pensai, se Pico avesse gestito<br />
male la situazione. Non sapevo <strong>che</strong> cosa fare né come procedere per<br />
far capire a Pico la gravità della sua condotta. Enid era la sorella di<br />
Ullic e la sua parente preferita.
Un insulto diretto a lei avrebbe potuto essere imperdonabile; e<br />
questo non mi avrebbe sorpreso. E non era molto importante <strong>che</strong><br />
non fossero affari di Ullic, come non erano i miei. Sospettai <strong>che</strong> Ullic<br />
potesse essere assai più <strong>che</strong> semplicemente arrabbiato.<br />
Eppure non c'era niente di sbagliato o di innaturale<br />
nell'attrazione e nel desiderio reciproco e spontaneo esploso tra Pico<br />
ed Enid, né vi era niente di inusuale nella soddisfazione dei loro<br />
sentimenti. Allora perché ero così apprensivo? Non lo sapevo, ma la<br />
mia mente continuava a presentarmi immagini dei loro corpi<br />
avvinghiati uno all'altro, non più coperti dal mantello. Vidi il volto<br />
di Enid estasiata per il piacere delle sue sensazioni e poi,<br />
improvvisamente, ero io e non Pico a essere sopra di lei. Tale<br />
constatazione mi fece riflettere, e solo in quell'istante compresi la<br />
ragione del mio stato d'animo. Era invidia! Ero geloso!<br />
Mi fermai di nuovo, vicino alla sporgenza di una roccia, e cercai<br />
di digerire quella nuova scoperta. Era un fatto molto nuovo, perché<br />
non ricordavo di aver dedicato un simile pensiero a nessun'altra<br />
donna, a parte Cilla Titente, da quando avevo sposato Luceia.<br />
Almeno non seriamente. Avevo notato ogni tanto un seno<br />
voluttuoso o un fianco tondeggiante, ma solo di sfuggita. E adesso,<br />
di colpo, ero geloso! Da qual<strong>che</strong> parte trovai la forza di ridere di me<br />
stesso e di riconoscere sia la comicità sia la veridicità della<br />
situazione.<br />
Quella bella donna matura mi aveva semplicemente ricordato la<br />
perduta energia giovanile. Ecco il motivo per cui nessun altro si era<br />
accorto della loro mutua attrazione: era così normale, così naturale<br />
<strong>che</strong> non era stata notata. Soltanto io me n'ero accorto, perché, senza<br />
saperlo, l'avevo cercata e me ne ero dispiaciuto.<br />
D'un tratto mi sentii meglio. Il mal di testa era stato dimenticato,<br />
la gamba zoppa aveva smesso di dolere come per magia e la mia<br />
vescica gonfia si rimise a posto. <strong>La</strong> vuotai e mi incamminai verso la<br />
tenda, dove trovai mia moglie addormentata e una lampada accesa
per guidarmi al letto. Spensi la lampada e mi sdraiai vicino a Luceia,<br />
rannicchiandomi nel suo accogliente calore, e mi addormentai senza<br />
un pensiero a Pico e a Enid e alla loro unione.
XXVIII.<br />
Pico era fresco come una rosa il giorno dopo.<br />
Ci alzammo tutti all'alba e gli odori del cibo e del fumo di legna<br />
erano ovunque.<br />
Il vescovo Alarico scopri la pietra d'altare all'ammirazione<br />
pubblica e celebrò la sua messa, invocando la benedizione di Dio e<br />
dei suoi santi celesti sulla nuova casa appena costruita su un antico<br />
luogo.<br />
Ullic, la sua famiglia e i suoi druidi erano tra il pubblico, questi<br />
ultimi guardavano con grave e impassibile interesse e quando la<br />
messa fu finita, Alarico permise a ciascuno di esaminare la pietra<br />
prima di chiuderla, perché vi fosse conservata, nella sua bella<br />
custodia. Non sapevo cosa dovevo aspettarmi, non avendo mai visto<br />
prima una pietra d'altare, e fui sincero nella mia ammirazione per la<br />
cura e l'abilità artigianale <strong>che</strong> vi erano state profuse.<br />
Si trattava di un blocco di marmo compatto, largo come le mie<br />
spalle e lungo circa tre quarti della larghezza. Era spesso una<br />
spanna, poco più di una lama di spada, e i due lati corti erano ornati<br />
da un'incisione <strong>che</strong> ricordava i canapi usati per ormeggiare le navi.<br />
<strong>La</strong> superficie era decorata da una bordura di disegni celtici e al<br />
centro era inciso il monogramma Chi Rho, simbolo dei Cristiani.<br />
Sopra al simbolo era stato scavato nella pietra un buco rettangolare<br />
affinché vi si potesse introdurre una croce, e sotto al monogramma<br />
cristiano c'era un rettangolo, incavato nel marmo levigato.<br />
«Cosa significa?» chiesi ad Alarico, indicando il rettangolo.<br />
«Non significa niente, Publio. È il coperchio di una cavità <strong>che</strong><br />
contiene una preziosa reliquia proveniente dalla terra di Gesù, un<br />
osso di un dito del benedetto Giovanni Evangelista.»<br />
Questo mi ridusse al silenzio.
«È un dono stupendo, Alarico» disse Caio. «Ne faremo certo<br />
buon uso.»<br />
«Lo so, amico mio.» Alarico sollevò la pietra come se fosse stata<br />
leggera e la infilò nel suo scrigno di legno. «Di una cosa vi prego;<br />
questa pietra è portatile, ma la vostra Colonia ora è stabile. Sarebbe<br />
bello, e farebbe piacere a Nostro Signore, il Cristo, se un giorno,<br />
quando ne avrete il tempo e l'opportunità, il vostro popolo<br />
costruisse una sede stabile per ospitare la pietra. Una casa <strong>che</strong> fosse<br />
solo la casa di Dio.»<br />
«Intendi una ecclesia?»<br />
«Sì, una ecclesia. In Germania, in Gallia e an<strong>che</strong> in Italia ci sono<br />
molte ecclesie. Sedi stabili per pregare. Morirei felice se sapessi <strong>che</strong><br />
qui ne verrà costruita una, un giorno.»<br />
«Allora riposa in pace, vecchio amico.» Caio sorrise. «Ti<br />
prometto <strong>che</strong> qui ci sarà una casa di Dio.»<br />
Uno dei druidi, rimasto a guardare dietro di noi, chiese: «Qual è<br />
il significato di questa pietra?»<br />
Il vecchio vescovo lo guardò con un sorriso.<br />
«Ha lo stesso significato di quelle erette dal tuo popolo nei<br />
tempi passati. È dedicata alla gloria di Dio. È santificata, benedetta, e<br />
contiene come ho detto la reliquia di un uomo saggio e santo.<br />
Quando questa pietra viene portata in una stanza per la preghiera,<br />
quella stanza viene benedetta dalla presenza della pietra, e<br />
qualunque tavolo su cui venga posta la pietra diventa un altare,<br />
santificato per commemorare il Corpo e il Sangue del Cristo, offerti<br />
entrambi in sacrificio per liberare l'umanità dal peccato.»<br />
Il druido aggrottò leggermente la fronte, ma non fece ulteriori<br />
commenti e Alarico chiuse la cassetta di legno nascondendo la pietra<br />
agli occhi profani, poi lui e padre Fono la portarono insieme nella<br />
piccola nicchia costruita apposta per contenere la pietra sul lato<br />
opposto della Sala del Consiglio.
Più tardi, dopo il pasto di mezzogiorno, ci incontrammo come<br />
d'accordo e scendemmo insieme a cavallo verso la villa, io, Caio,<br />
Pico, Ullic, Uric ed Equo. Pico e io fummo i primi a essere pronti, e<br />
mentre aspettavamo <strong>che</strong> gli altri ci raggiungessero, Pico mi prese in<br />
giro perché avevo bevuto troppo la sera prima, dicendo <strong>che</strong> mi ero<br />
perso la parte più interessante della giornata. Sorrisi tra me<br />
immaginando la sua espressione se gli avessi detto cosa avevo visto<br />
e sentito sul fianco della collina. Ovviamente non dissi nulla e gli<br />
altri ci raggiunsero presto, interrompendo le sue canzonature.<br />
Quando arrivammo alla villa li condussi oltre la casa,<br />
direttamente alla forgia, un cambiamento <strong>che</strong> provocò alcune<br />
proteste, perché avevamo parlato di aprire un'anforetta di vino<br />
appena arrivati. L'interno della fucina era buio, e i fuochi spenti.<br />
Aprimmo le porte sul davanti e sul retro della forgia e aprimmo<br />
an<strong>che</strong> gli scuri della finestra, per lasciare entrare il chiaro sole<br />
primaverile con tanta abbondanza da inondare di luce an<strong>che</strong> gli<br />
angoli più bui.<br />
Pico si appollaiò sul bordo di un bancone, dopo averlo<br />
spolverato. Ullic si appoggiò a un pilastro, noncurante della<br />
sporcizia, schioccando le labbra e schiarendosi quella <strong>che</strong> avrebbe<br />
dovuto chiaramente sembrare una gola secca, in una dimostrazione<br />
muta e sputacchiarne. Il giovane Uric era in piedi vicino a suo padre,<br />
e non parlava. Aveva detto sì e no sei parole da quando avevamo<br />
lasciato il forte, perché questa era la sua prima uscita da uomo tra gli<br />
uomini. Era stato deriso senza pietà da tutti, me compreso, e non era<br />
sposato da abbastanza tempo per avere acquisito la disinvoltura<br />
necessaria a tenere testa senza imbarazzo a simili canzonature. E<br />
questo, ovviamente, ci forniva altro combustibile per il fuoco su cui<br />
lo facevamo arrostire.<br />
Mi sedetti su uno sgabello a tre gambe e feci cenno a Equo, <strong>che</strong> si<br />
diresse verso un cassone nel retro della forgia e ne tirò fuori un<br />
lungo pacco, avvolto nella stoffa.
«Equo ha qualcosa da farvi vedere.»<br />
Tornò con l'involto, lo lasciò cadere fragorosamente a terra e ne<br />
estrasse quattro lunghe spade, due uguali e due diverse tra loro.<br />
Senza una parola le distribuì, dando a Pico quella con una lunga<br />
lama leggermente ricurva, con l'estremità svasata proprio dietro la<br />
punta. Ullic prese l'altra singola e Caio e Uric ricevettero ognuno un<br />
esemplare della coppia di spade lunghe, rastremate, a lama diritta,<br />
con i pesanti pomoli di piombo e le lunghe impugnature per due<br />
mani.<br />
«Stavamo cercando un nuovo tipo di arma <strong>che</strong> si adattasse alle<br />
necessità dei nostri cavalieri» cominciai. «<strong>La</strong> spada tradizionale è<br />
troppo corta, adesso <strong>che</strong> montiamo cavalli grandi. Questi sono<br />
alcuni dei risultati. Pico, cosa ne pensi?»<br />
Pico reggeva con entrambe le mani la spada <strong>che</strong> aveva ricevuto;<br />
con la destra teneva stretta l'elsa e con la sinistra sosteneva la lama<br />
piatta, mentre percorreva con lo sguardo tutta la lunghezza, <strong>che</strong><br />
brillava debolmente nella luce.<br />
Poi tolse la mano sinistra dalla lama e roteò la spada,<br />
provandola con attenzione e facendo una leggera smorfia di<br />
soddisfazione prima di alzarsi dal bancone e fare un passo avanti,<br />
per avere spazio sufficiente a roteare seriamente la spada,<br />
vibrandola verso terra, con la punta bassa e il gomito ancora<br />
piegato.<br />
«Mi piace, zio!» <strong>La</strong> roteò in aria e la afferrò proprio sotto<br />
l'impugnatura, esaminando l'elsa e il contrappeso del pomolo.<br />
«Come lo avete fatto? Cos'è, piombo?»<br />
«Per ora, sì» gli dissi. «Piombo su ferro.»<br />
«Come avete ottenuto il peso giusto?»<br />
«Disponendo dischi di piombo sopra al codolo di ferro come dei<br />
tondini, e poi riscaldandoli» disse Equo.<br />
«Rimarrà compatto?» Pico afferrò con decisione l'impugnatura,
flettendo e aprendo le dita per avvolgerle strettamente intorno<br />
all'elsa.<br />
«Sì, resterà compatto» continuò Equo. «È compatto.»<br />
Pico si rimise allora a ispezionare la lama, stendendo la mano<br />
sinistra e appoggiando l'estremità appuntita della spada sul palmo.<br />
«Perché questa svasatura sopra la punta?» chiese poi. «Ha un<br />
aspetto familiare, eppure so di non averla mai vista prima.»<br />
«Sì, l'hai vista, Pico» gli dissi. «In Africa e in Asia Minore. <strong>La</strong><br />
gente del deserto usa lame di questo tipo, con una punta<br />
leggermente svasata, per aggiungere impeto alla rotazione.»<br />
«Sì, certamente! Ma questa è ancora diversa, la curva non è così<br />
profonda.»<br />
«No, e neppure così svasata, se è per questo. Ricorda, Pico, <strong>che</strong> i<br />
nostri uomini sono a cavallo. Stiamo cercando di creare qualcosa <strong>che</strong><br />
possa penetrare come una lancia, ma an<strong>che</strong> tagliare come un'ascia,<br />
un'arma <strong>che</strong> possa essere usata con successo senza dover essere<br />
vibrata con troppa forza.»<br />
Indicò la mia spada. «Quella è diversa? Perché?»<br />
Mi strinsi nelle spalle. «Sono tutte diverse. Quella di Ullic ha la<br />
lama molto più larga vicino alla punta. L'abbiamo già scartata<br />
perché troppo pesante, troppo poco maneggevole. Provala.»<br />
Pico scambiò la spada con Ullic e una sola rotazione gli bastò per<br />
capire <strong>che</strong> avevo ragione.<br />
«Sono d'accordo. Troppo pesante. Goffa. <strong>La</strong> prima è molto<br />
superiore.»<br />
«Sì e no. È migliore, ma è troppo leggera nella costruzione. In<br />
combattimento si piegherebbe. È la più bella, quella <strong>che</strong> soddisfa di<br />
più esteticamente, ma è la meno pratica di tutti i prototipi <strong>che</strong><br />
abbiamo provato.» Sollevai la spada <strong>che</strong> tenevo in mano. «Questa è<br />
la vincitrice. Il meglio <strong>che</strong> abbiamo ottenuto finora.» <strong>La</strong> lanciai con
l'impugnatura in avanti e Pico lasciò quella <strong>che</strong> teneva in mano per<br />
prendere al volo quella <strong>che</strong> arrivava. <strong>La</strong> prese con il braccio teso e la<br />
tenne così, sempre a braccio teso, esaminandola dal pomolo in giù<br />
fino alla lontana punta. <strong>La</strong> tenne così per lunghi istanti, senza<br />
muoverla, poi, come se la punta fosse ancorata al centro di un<br />
cerchio, cominciò a muoversi intorno ad essa, guardando la luce<br />
cambiare sulla lama.<br />
Infine piegò il gomito, portandosi l'impugnatura al volto fino a<br />
toccare la guancia, poi rovesciò la testa all'indietro per guardare la<br />
lama verticale.<br />
Avanzò lentamente con il piede sinistro, roteò la spada e ne<br />
provò il peso e l'equilibrio in ogni punto dell'arco.<br />
«Non c'è niente di sbagliato in questa, zio. Molto di giusto e<br />
niente di sbagliato.»<br />
«Fammela provare.» L'espressione di Ullic era rapita; Pico gli<br />
passò l'arma, poi si girò verso di me.<br />
«Penso <strong>che</strong> tu abbia risolto il problema, zio.»<br />
«Lo pensiamo an<strong>che</strong> noi» gli sorrisi. «Piace perfino a Equo.»<br />
«Con l'eccezione di una piccola imperfezione.» <strong>La</strong> voce di Equo<br />
era carica di ironia, e io cercai di zittirlo prima <strong>che</strong> dicesse di più,<br />
agitai un dito minaccioso e corrugai la fronte in segno di<br />
rimprovero, scossi con forza la testa, e sperai <strong>che</strong> Pico non vedesse.<br />
Ovviamente Pico notò subito ogni cosa.<br />
«Cosa c'è <strong>che</strong> non va? Un'imperfezione?»<br />
Grugnii e mi rassegnai all'inevitabile. «Un'imperfezione minore,<br />
Pico, ma non irrimediabile» dissi. «Il ferro delle spade è difficile da<br />
controllare, a causa della tempra e della lunghezza delle lame.<br />
Rimbalzano una contro l'altra e sono pericolose per chi non lo sa. Ma<br />
non è un problema senza soluzione. Ci stiamo lavorando.»<br />
«Allora perché Equo è così disgustato?»
Gli sorrisi. «Per la stessa ragione di sempre. È un perfezionista e<br />
si rifiuta di accettare le imperfezioni. Nel frattempo il problema a cui<br />
sto lavorando con Equo non dovrebbe impedirti di cominciare<br />
immediatamente ad addestrare i tuoi uomini a combattere con la<br />
spada stando a cavallo. Per quando avrai abbastanza spade per<br />
iniziare l'addestramento dovrei aver risolto an<strong>che</strong> il problema<br />
dell'elsa cruciforme.»<br />
«<strong>La</strong> cosa?»<br />
«L'elsa a croce. Te la farò vedere quando sarà finita. È molto più<br />
semplice <strong>che</strong> cercare di spiegarlo con le parole. Ricordati però di non<br />
permettere ai tuoi uomini di addestrarsi gli uni contro gli altri con<br />
questi prototipi.»<br />
«Come desideri, zio.» L'acquiescenza di Pico era incondizionata,<br />
ma rivelava la sua incomprensione. Comunque non si scoprì. Si girò<br />
immediatamente verso Ullic. «Cosa ne pensi di questa spada?»<br />
«Penso <strong>che</strong> sia una buona spada, in quanto tale, Pico, ma io<br />
preferisco il mio arco, la mia spada corta e la mia ascia.»<br />
«Allora non ti piace?»<br />
«Oh, sì, mi piace abbastanza.» L'alzata di spalle mostrò il suo<br />
disprezzo per quella nuova arma, tanto quanto le sue parole. «Ma<br />
<strong>che</strong> bisogno ho di una grande cosa come questa? Io non combatto a<br />
cavallo. Io combatto camminando e a volte correndo. Con una spada<br />
lunga come questa continuerei a inciampare e a cadere e la mia<br />
dignità reale ne soffrirebbe molto.»<br />
«Questo è un buon argomento, zio Varro.» Pico sorrideva<br />
adesso, riconoscendo l'umorismo di Ullic, ma teneva la spada a<br />
punta in giù vicino al petto, dove portavano la spada i Romani.<br />
«Non si può portare una di queste nel modo tradizionale. Tocca per<br />
terra.»<br />
«Sì, è vero» confermai. «E non è proprio possibile portarla al<br />
fianco. I nostri uomini porteranno la spada appesa al collo, di
traverso sulla schiena.»<br />
«In <strong>che</strong> modo? In un fodero?»<br />
«Non lo so ancora, Pico, ma probabilmente attraverso un anello<br />
di metallo attaccato a una cinghia. Abbiamo un sacco di tempo per<br />
lavorarci. Prima dobbiamo fare le spade. Decideremo poi come<br />
portarle.»<br />
«Quanto tempo ti ci vorrà per farne duecento?»<br />
Guardai Equo con un sorriso. «Quanto tempo, Equo? Due<br />
anni?»<br />
«Più o meno.»<br />
«Due anni?» C'erano pena e angoscia nella voce di Pico. «Due<br />
anni? Perché? Perché così tanto?»<br />
«Perché, mio impetuoso amico, abbiamo appena cominciato a<br />
lavorare a questo problema. Il ferro non è nemmeno temprato nel<br />
modo giusto. A questo stadio ci siamo preoccupati più del peso,<br />
della forma e del bilanciamento <strong>che</strong> non della qualità. L'arma ha una<br />
lunga, lunghissima strada da fare prima di essere usata in<br />
combattimenti simulati, figuriamoci usarla in battaglia.»<br />
«In questo caso ti dispiacerebbe se mettessi al lavoro i miei<br />
armaioli su questo disegno?»<br />
<strong>La</strong> domanda mi sorprese e guardai Equo per vedere la sua<br />
reazione.<br />
«Non chiederlo a me» gli dissi poi. «Il progetto è di Equo. Se<br />
lui non ha obiezioni, come potrei averne io?»<br />
«Equo?»<br />
Il mio grosso amico si strinse nelle spalle e scosse la testa. «A me<br />
non importa» rispose. «In fondo è una semplice estensione della<br />
spada corta romana. Sono sorpreso <strong>che</strong> i tuoi armaioli romani non te<br />
l'abbiano già proposta.»<br />
«Non me l'hanno proposta, Equo, perché sono privi di quello
<strong>che</strong> avete tu e Publio Varro: il genio di guardare ciò <strong>che</strong> è stato<br />
immutabile per secoli e vedere come può essere migliorato per<br />
servire a nuove necessità.» Pico si fermò di botto e guardò Equo e<br />
poi me. «E mi sono dato la risposta da solo: non dirò niente a<br />
nessuno di quest'arma.»<br />
«No, Pico.» <strong>La</strong> mia interruzione fu rapida e sincera, perché<br />
sapevo cosa stava per dire e sapevo <strong>che</strong> sbagliava. «Non puoi farlo.<br />
Hai un dovere nei confronti di Stilicone, se non del tuo imperatore, e<br />
soprattutto hai un dovere nei confronti delle tue truppe. Se questa<br />
nuova spada lunga può migliorare la loro forza in battaglia devi<br />
procurargliela il più in fretta possibile.»<br />
Pico annuì e poi guardò Ullic e Uric. «E voi due cosa pensate?<br />
Varro ha ragione?»<br />
Ullic alzò entrambe le mani, con i palmi in fuori, e assunse una<br />
espressione di supplica mista a paura e collera, e an<strong>che</strong> se<br />
evidentemente stava s<strong>che</strong>rzando, di fatto non s<strong>che</strong>rzava del tutto.<br />
«<strong>La</strong>sciamene fuori, non voglio averci niente a <strong>che</strong> fare! Perché<br />
dovrei volere armare i Romani meglio di noi? Potrebbe ritornare<br />
come un fantasma a ossessionarmi.»<br />
Uric guardò suo padre un po' in soggezione, con un sorriso negli<br />
occhi, ma non osò commentare.<br />
Pico si girò di nuovo verso di me. «Non dirò altro, zio, ma penso<br />
<strong>che</strong> tu abbia ragione: è un'arma migliore di qualunque cosa abbiamo<br />
e possiamo avere nel prossimo futuro. Penso <strong>che</strong> sia mio dovere<br />
darla ai miei armaioli perché ci lavorino. I miei uomini hanno<br />
bisogno di quest'arma.»<br />
«Così sia, Pico» gli dissi. «Ti sei risposto nel modo giusto, e hai<br />
chiarito i tuoi dubbi. Adesso andiamo a casa e assaggiamo quel<br />
vino.»<br />
Il vino era eccellente e quando arrivammo a vedere il fondo
dell'anfora avevamo preparato un piano di azione <strong>che</strong> nei mesi<br />
seguenti avrebbe visto le nostre forze: di Ullic, di Pico e dei nostri<br />
coloni operare in stretta collaborazione.<br />
Ullic ci disse <strong>che</strong> Cimric e altri quattro costruttori di archi<br />
lavoravano a tempo pieno alla fabbricazione di un numero<br />
maggiore di grandi archi: una versione più piccola e modificata<br />
della sua originaria e gigantesca arma, ma comunque un arco<br />
potente. Riteneva <strong>che</strong> il tempo sarebbe venuto quando L'Arco<br />
Lungo di Ullic, come lui retoricamente lo chiamava, sarebbe<br />
divenuto comune nel suo popolo.<br />
Nel frattempo, aveva deciso <strong>che</strong> Uric avrebbe passato metà<br />
dell'anno qui alla Colonia con noi, a imparare le nostre tatti<strong>che</strong> e la<br />
nostra strategia militare, e l'altra metà a insegnarle al suo popolo.<br />
Uric fu rapido nel sottolineare <strong>che</strong> dal popolo e dai cavalli della<br />
montagna non si potevano ricavare grandi truppe di cavalleria.<br />
I cavallini dei Celti di montagna erano mirabilmente adatti per il<br />
loro terreno, ma offrivano po<strong>che</strong> possibilità di costituire una massa<br />
d'urto come quella <strong>che</strong> stavamo organizzando noi alla Colonia. E<br />
inoltre sottolineò <strong>che</strong> i nostri grandi cavalli erano troppo grandi e<br />
ingombranti per muoversi in modo soddisfacente sulle montagne.<br />
Ci accordammo, perciò, <strong>che</strong> Uric avrebbe studiato con noi<br />
ricevendo la formazione di un ufficiale di collegamento, <strong>che</strong> avrebbe<br />
combinato i due metodi di guerra, il nostro e il loro, per fare l'uso<br />
migliore di entrambi quando fossero stati necessari. Ma fummo tutti<br />
d'accordo, con uno spirito s<strong>che</strong>rzoso solo a metà, <strong>che</strong> la sua priorità<br />
era quella di generare un figlio, un simbolo vivente del legame tra i<br />
nostri due popoli.<br />
Uric arrossì, ma sorrise e trovò in sé sufficiente disinvoltura per<br />
dire timidamente <strong>che</strong> aveva già iniziato a lavorare alla faccenda.<br />
Pico aveva i problemi maggiori. Era molto frustrato dal ruolo al<br />
quale le sue truppe erano costrette nel nord, lungo il Vallo di<br />
Adriano. Pico sentiva, e a ragione, <strong>che</strong> lui e le sue truppe venivano
sfruttati, usati solo per sostenere il morale delle guarnigioni in<br />
quella zona inospitale. Le sue truppe facevano parte delle forze della<br />
Britannia meridionale, <strong>che</strong> avevano il loro quartiere generale a<br />
Londinium. Era stato sottoposto a una dura prova politica dalla<br />
richiesta del comandante militare di Arboricum, nella Britannia<br />
settentrionale, <strong>che</strong> necessitava dell'aiuto specializzato delle sue<br />
truppe mobili per affrontare le bande di sac<strong>che</strong>ggiatori infiltratesi<br />
oltre il Vallo.<br />
Queste richieste erano state molto pressanti in un momento di<br />
relativa quiete nel sud e, benché contrario, Pico aveva accettato di<br />
fornire un temporaneo servizio al nord. Aveva passato i successivi<br />
tre mesi digrignando i denti per la rabbia, galoppando con i suoi<br />
uomini lungo le distese rocciose e le brughiere settentrionali per<br />
ricacciare piccole bande di sac<strong>che</strong>ggiatori, appoggiate da equipaggi<br />
di pitti giunti con le imbarcazioni, mentre la solida barriera del Vallo<br />
gli impediva di fare la sola cosa <strong>che</strong> avrebbe avuto un impatto<br />
decisivo, cioè attaccare in territorio nemico.<br />
Era poi stato richiamato a sud, quando i Sassoni avevano<br />
ricominciato le annuali incursioni di primavera, ma riteneva <strong>che</strong> il<br />
Vallo a nord avesse esaurito il suo ruolo di frontiera. Non c'erano<br />
abbastanza uomini per reggere alla pressione a cui le guarnigioni<br />
erano sottoposte e il morale era più basso <strong>che</strong> mai. I soldati di stanza<br />
lì sapevano <strong>che</strong> il Vallo non era imprendibile: aveva ceduto nel<br />
lontano '67 e più volte in più punti erano state aperte brecce di<br />
minore estensione.<br />
Le truppe di guarnigione sul Vallo sapevano <strong>che</strong> la sua difesa<br />
era un compito inutile e ingrato, e <strong>che</strong> le incursioni nel sud<br />
provenienti dal mare avrebbero continuato a far sì <strong>che</strong> loro non<br />
ricevessero rinforzi permanenti.<br />
Perfino l'esercito consolare di Stilicone di diecimila uomini non<br />
li poteva aiutare, perché serviva a rinforzare le zone costiere,<br />
soprattutto la costa sassone nel sud-est e nell'est.
Pico sarebbe ritornato in servizio l'indomani, ci disse. Sarebbe<br />
andato a Londinium e da lì si aspettava di essere mandato<br />
direttamente nel sud-est.<br />
«Mandato?» gli chiesi. «Credevo <strong>che</strong> fossi tu il comandante.»<br />
«Lo sono, ma devo andare dove le incursioni diventano più<br />
pesanti, spesso su richiesta dei quartieri generali. È una formalità,<br />
zio Varro. Ci andrei comunque.»<br />
«Non ne dubito, ma non sei preoccupato <strong>che</strong> possano abituarsi a<br />
dirigerti con le loro richieste?»<br />
Mi sorrise, con un sorriso molto gradevole.<br />
«Veramente no. Se mai dovesse sorgere un conflitto, farei quello<br />
<strong>che</strong> il mio cervello e le direttive del mio comandante mi dicono <strong>che</strong> è<br />
giusto fare, basandomi sulle migliori informazioni <strong>che</strong> posso<br />
raccogliere. E poi possono andare a lamentarsi da Stilicone.»<br />
«Capisco» dissi. «E non hai in programma di ritornare a nord?»<br />
«No, a meno <strong>che</strong> il fato non mi giochi un brutto tiro. Sai, zio,<br />
sembra molto strano, ma la sola persona <strong>che</strong> sembrava apprezzare il<br />
servizio al Vallo settentrionale era Claudio Seneca.»<br />
«Seneca?» Sentii io stesso la mia meraviglia. «Stai sicuramente<br />
s<strong>che</strong>rzando?»<br />
Ma Pico scosse la testa. «Lo giuro, zio, Seneca è un altro uomo<br />
lassù. Perfino i suoi soldati se ne sono accorti. Farebbero qualunque<br />
cosa chiedesse loro di fare, e in effetti li chiama a fare cose <strong>che</strong> non<br />
ha mai fatto prima. Cose <strong>che</strong> non avrei mai immaginato.»<br />
«Per esempio? Fammi un esempio.»<br />
«Beh» fece una pausa, ma solo per una frazione di secondo. «Si è<br />
offerto volontario con le sue truppe per servizi di inseguimento<br />
notturno, con un tempo schifoso, in diverse occasioni. Credici se<br />
puoi. Io stesso ho delle difficoltà a crederci ed ero lì.»<br />
Lo guardavo a bocca aperta.
«È vero, zio, te lo giuro. Seneca si comportava da uomo. Da<br />
soldato professionista. Da comandante.»<br />
«Perché, mi domando.»<br />
«Cosa?» Pico sbatté le palpebre, senza capire la domanda.<br />
«Ho chiesto perché. Perché Seneca dovrebbe improvvisamente<br />
agire come una persona responsabile, dopo così tanto tempo?»<br />
Questa, ovviamente, non era una domanda a cui due onesti<br />
soldati senza immaginazione come Pico e me potessero rispondere,<br />
essendo privi delle sottigliezze e dell'intuito degli uomini politici.<br />
Non ci provammo neppure, ma ognuno di noi ripose quella<br />
domanda in un angolo della mente per studiarla in seguito.<br />
Pico ben presto ci salutò per tornare al forte a controllare i suoi<br />
uomini. Suo padre andò con lui a prendere il cavallo, e Ullic li<br />
osservò lasciare la villa insieme con una strana espressione sulla<br />
faccia, un'espressione sulla quale in un'altra occasione lo avrei<br />
interrogato. Ma il ricordo di quello <strong>che</strong> avevo visto il giorno e la sera<br />
prima, però, si era impresso nella mia mente tanto da farmi tenere a<br />
freno la lingua, e così non dissi niente. Ullic, da parte sua, non era<br />
per nulla imbarazzato.<br />
«È un buonuomo, quello.»<br />
«Chi? Caio?»<br />
«No, non Caio, Pico.»<br />
«Ah, Pico! Sì, uno dei migliori. È figlio di suo padre. Te ne sei<br />
accorto solo adesso?»<br />
Ullic mi lanciò uno sguardo disgustato e mi parlò con il tono <strong>che</strong><br />
si riserva a un bambino stupido.<br />
«No, Publio, lo so da molto tempo. Semplicemente non l'ho mai<br />
detto a voce alta.»<br />
«Capisco. E <strong>che</strong> cosa te l'ha fatto dire adesso?»<br />
«Mia sorella. Uric, ci porteresti un altro po' di vino?» Guardò
Uric allontanarsi e poi si girò di nuovo verso di me, facendomi<br />
segno con la testa di alzarmi e di seguirlo in fondo alla grande<br />
stanza, fuori dalla portata delle orecchie altrui.<br />
«Ho una sorella, Enid» proseguì. Non feci commenti, attesi<br />
soltanto. «A volte penso <strong>che</strong> dovrebbe essere sposata da tempo. È<br />
stramatura.» Mi morsicai la lingua per distrarmi dall'immagine <strong>che</strong><br />
mi si presentò alla mente, mentre Ullic proseguiva. «Ma è una<br />
donna testarda il cui unico vero amore è stato ucciso da un orso<br />
predatore otto o nove anni fa, poco prima <strong>che</strong> ci incontrassimo tu e<br />
io. E morto salvandole la vita. Lei l'ha visto fare a pezzi dall'orso e<br />
poi lo ha tenuto tra le braccia finché è morto.» Ullic sospirò. «Era un<br />
brav'uomo. Troppo buono per finire così. Comunque Enid da allora<br />
confronta ogni altro uomo con lui, e hanno tutti perso. Ho pensato<br />
<strong>che</strong> Pico potrebbe essere l'uomo adatto a domarla. Perché non si è<br />
mai sposato?»<br />
«L'esercito. È un soldato, ricordi?»<br />
«An<strong>che</strong> suo padre lo era, ma ha generato un figlio.»<br />
«Non prima di avere l'età di Pico.»<br />
Questa affermazione fece riflettere Ullic. Meditò sulla risposta<br />
per un momento, poi disse: «È vero, suppongo <strong>che</strong> tu abbia ragione.<br />
Caio deve aver avuto almeno l'età di Pico quando il ragazzo è nato».<br />
«È così, infatti. Qual è il tuo problema, Ullic?»<br />
Il giovane Uric si avvicinò e riempì la coppa di suo padre e la<br />
mia. Ullic fissò il suo vino mentre il giovane si allontanava di nuovo.<br />
«Come posso convincere Pico a sposare mia sorella?»<br />
«Parlagliene.» Cercai di mantenere la mia voce inespressiva e<br />
vaga. «Potrebbe non essere contrario all'idea.»<br />
Ullic mi guardò diritto negli occhi. «Lo pensi? An<strong>che</strong> se lei non è<br />
romana?»<br />
«Questo è ingiusto, Ullic, an<strong>che</strong> se è detto per s<strong>che</strong>rzo.
Specialmente ora, <strong>che</strong> è qui per celebrare l'unione del vostro sangue<br />
con il nostro, per suo esplicito desiderio e mentre dovrebbe essere a<br />
combattere.»<br />
Ullic si morsicò le labbra e si appoggiò al muro. «Lo so <strong>che</strong><br />
sembra così, amico, ma il legato Pico Britannico è ancora un ufficiale<br />
romano, malgrado quello <strong>che</strong> sta succedendo qui. Porta la loro<br />
uniforme e combatte le loro guerre. È molto romano.»<br />
«No, Ullic.» <strong>La</strong> mia interruzione fu decisale immediata. «Questa<br />
volta ti sbagli. Pico è figlio di Cai. È uno di noi <strong>La</strong> sua lealtà, finché è<br />
in uniforme, va per prima cosa a Stilicone, il suo migliore amico e il<br />
suo comandante. Ma subito dopo la sua lealtà è per noi e dopo, solo<br />
dopo, per Roma. Ci scommetterei la vita.»<br />
«Lo hai già fatto, Publio Varro. E hai ragione, lo so. <strong>La</strong> questione<br />
di Enid è una questione spinosa <strong>che</strong> mi opprime. Adesso ho visto<br />
mio figlio sposato, e mi sono ricordato <strong>che</strong> ho il dovere di trovare un<br />
marito per la mia sorella più giovane. Non <strong>che</strong> lei faccia niente per<br />
rendermi il compito più facile.»<br />
«È molto bella, Ullic.»<br />
«Sì, ed è an<strong>che</strong> molto testarda, volitiva, ostinata, bizzosa e<br />
intransigente. Mi fa impazzire. E se avvicinassi Pico e lui ridesse di<br />
me, quale potrebbe essere la mia reazione? Davvero non so, Publio,<br />
come potrei reagire.»<br />
«Allora prova e stai a vedere, amico. Ho la sensazione <strong>che</strong> non<br />
rifiuterà.» Sentii un sorrisetto salirmi in faccia.<br />
«Perché?» Ullic mi guardava attentamente. «Perché sorridi? Hai<br />
visto qualcosa? Ti ha detto qualcosa?»<br />
«No, Ullic, niente.» Mi veniva da ridere per la sua serietà. «Ma<br />
ho visto Pico ed Enid ieri, se capisci quello <strong>che</strong> voglio dire... Lui era<br />
molto sensibile al fatto <strong>che</strong> lei fosse nella stessa sala. E an<strong>che</strong> Enid lo<br />
ha notato.»<br />
«Quando? Non me ne sono accorto.»
«Ovviamente! Perché avresti dovuto? Io stesso l'ho notato per<br />
caso.» Questo era quasi vero, mi dissi.<br />
«Per Dio, Publio! È incoraggiante! Li osserverò stasera e<br />
guarderò come si comportano uno con l'altra. Se hanno l'aria<br />
interessata, parlerò dell'argomento a Caio.»<br />
«Perché con Cai? Perché mai dovresti farlo? Perché non<br />
avvicinare direttamente Pico? È un uomo fatto.»<br />
«Sì, certo. Ma Cai è pur sempre suo padre.»<br />
Ullic sembrava deciso, perciò scossi le spalle e lasciai cadere<br />
l'argomento, dicendo a me stesso <strong>che</strong> non toccava a me decidere<br />
qual era il modo migliore di fare le cose.<br />
Ma Pico ci aveva preceduti e aveva parlato direttamente a suo<br />
padre, mentre andavano verso i cavalli, dicendogli senza preavviso<br />
<strong>che</strong> voleva prendere Enid in moglie appena possibile. Fu<br />
probabilmente una delle più rapide negoziazioni di matrimonio,<br />
definite e concordate da tutte le persone interessate in un'ora, e<br />
celebrato quella sera stessa alla luce dei fuochi, perché ogni persona<br />
necessaria era presente e lo sposo doveva andare in guerra il giorno<br />
dopo. E ancora una volta tutti trascorsero una notte in bevute. Uric e<br />
Pico, entrambi a letto piuttosto presto, com'era naturale, furono<br />
probabilmente gli unici a non avere la testa pesante la mattina dopo.<br />
Sapevo <strong>che</strong> Pico era tentato di rubare alla guerra un giorno in<br />
più per l'amore, ma il senso del dovere era radicato in lui, e prima di<br />
mezzogiorno uscì dal forte alla testa dei suoi uomini, e seguì la<br />
strada <strong>che</strong> serpeggiava giù per la collina e fuori dalla vita della sua<br />
nuova sposa.<br />
Dalla sommità della collina Enid li guardò insieme a noi entrare<br />
nella lontana foresta e scomparire alla vista e poi, con gli occhi<br />
asciutti, raggiunse le altre donne. Io la guardai allontanarsi e poi<br />
dissi a Ullic: «Ci stiamo legando più strettamente, amico.»<br />
«Cosa vuoi dire?»
«Tua sorella. Adesso è mia nipote, visto <strong>che</strong> mia moglie è la zia<br />
del suo nuovo marito. Ogni loro figlio sarà un nipotino o una<br />
nipotina per me. E tuo figlio è adesso mio figlio e suo figlio sarà il<br />
nostro nipotino, tuo e mio.»<br />
«È vero, Publio.» Ullic appoggiò la sua grande zampa sulla mia<br />
spalla. «Non sarà colpa del loro sangue se non prospereranno. Spero<br />
solo <strong>che</strong> Pico torni presto per piantare il suo seme.»<br />
«Vuoi s<strong>che</strong>rzare, immagino! È un Britannico, Ullic! Non sono<br />
famosi perché restano oziosi e non danno risultati. L'ha piantato la<br />
notte scorsa.» O la notte prima, pensai.
XXIX.<br />
Padre Andros era seduto di fronte a me e scuoteva tristemente la<br />
testa. «Mi dispiace, Publio,» disse, «ma questo è il mio<br />
suggerimento. Non vedo altro modo per fare quello <strong>che</strong> vuoi.»<br />
Ero stupefatto. Avevamo analizzato quel problema più e più<br />
volte, per mesi ormai, e continuavamo a tornare a quell'unico punto<br />
ineludibile. Sembrava <strong>che</strong> non ci fosse il modo di aggirarlo. Avevo<br />
chiesto ad Andros di aiutarmi a disegnare un'elsa a croce per la<br />
nuova spada. Volevo colare l'impugnatura usando uno stampo, in<br />
modo <strong>che</strong> fosse un unico pezzo compatto, e lui capiva perfettamente<br />
le mie necessità. Ora mi stava chiedendo di accettare e riconoscere le<br />
sue necessità e le mie richieste <strong>che</strong> fino a quel momento non avevo<br />
valutato appieno, affinché tutto funzionasse. Avevo commesso un<br />
errore basilare nella mia nuova spada, un errore veramente basilare,<br />
se consideravo quello <strong>che</strong> volevo fare adesso. Guardai di nuovo i<br />
suoi disegni. Erano molto semplici: tre piccoli schizzi, uno a fianco<br />
dell'altro.<br />
Il primo schizzo mostrava quello <strong>che</strong> io gli avevo dato, il<br />
secondo quello <strong>che</strong> gli avrei dovuto dare; e il terzo mostrava come si
doveva adattare il secondo s<strong>che</strong>ma per servire da struttura per<br />
l'impugnatura fusa con la forma. Mi strinsi le tempie tra le mani.<br />
«Dannazione, Andros! Questo significa <strong>che</strong> devo ricominciare<br />
tutto, dall'inizio, passo dopo passo!»<br />
Annuì, senza traccia di turbamento sul volto sincero. «Sì, se vuoi<br />
farlo correttamente. È così importante? L'elsa a croce, intendo?»<br />
Ripensai ai progetti <strong>che</strong> avevo fatto per quella nuova spada, per<br />
le mani <strong>che</strong> un giorno l'avrebbero retta. Annuii rassegnato. «Sì,<br />
Andros è importante. Ma ci vorranno mesi, per rifare tutto.»<br />
Sorrise. «Beh, adesso li hai. Ora <strong>che</strong> il matrimonio è finito hai<br />
tutto il tempo. Il forte è completato, e così pure la Sala del Consiglio.<br />
<strong>La</strong> strada è costruita e an<strong>che</strong> le tue grandi stalle in cima alla collina,<br />
dentro le mura, sono quasi terminate. Hai un sacco di tempo,<br />
Publio.» Lo fissai, accorato, ma Andros continuò imperturbabile.<br />
«Inoltre lo hai già fatto una volta. Sarà più facile la seconda volta e se<br />
preghi Dio <strong>che</strong> ti aiuti, Egli potrebbe farla venire an<strong>che</strong> meglio.»<br />
«Era già perfetta!»<br />
Andros scosse la testa gentilmente, con un piccolo sorriso di<br />
umana comprensione. «No, non lo era, Publio. Questo è il motivo<br />
per cui devi rifarla.»<br />
Digrignai i denti di fronte alla sua ingenua sincerità. «Grazie,<br />
Andros. Puoi andare.» Non appena se ne fu andato, mi diressi verso<br />
il bancone da lavoro e disfeci il lungo involto. Brillava come argento<br />
liquido nella penombra della fucina. Aveva brillantezza, certamente.<br />
Brillantezza da vendere. Era la più bella lama <strong>che</strong> avessi mai fatto,<br />
ma era sbagliata, aveva un difetto e l'errore era mio; non dipendeva<br />
dalla pietra celeste.<br />
<strong>La</strong> presi tra le mani, la guardai un'ultima volta, diedi una lunga<br />
occhiata alla sua superficie riflettente, e poi la buttai nel fuoco, la<br />
infilai profondamente nelle braci ardenti e afferrai i mantici. Adesso<br />
dovevo toglierle la tempra, fonderla di nuovo in una massa di
metallo informe e ricrearla con un triplo codolo.<br />
A parte me, la fucina era deserta. Equo e gli altri fabbri<br />
lavoravano ormai per la maggior parte del tempo nella nuova forgia<br />
del forte, e la villa era stranamente silenziosa. I servitori si erano a<br />
poco a poco trasferiti per occuparsi dei nuovi alloggi sulla collina. <strong>La</strong><br />
villa sarebbe rimasta aperta, ma solo come abitazione di riserva. I<br />
nuovi alloggi su al forte erano meno spaziosi e meno eleganti, ma<br />
erano abbastanza lussuosi e sarebbero diventati più confortevoli con<br />
l'uso. Erano an<strong>che</strong> più sicuri, adesso <strong>che</strong> il forte era imprendibile,<br />
con le sue mura, alte in alcuni punti venticinque piedi, <strong>che</strong> si<br />
alzavano verticali dal pendio della collina.<br />
Tornai al bancone e trovai un pezzo di papiro e un bastoncino di<br />
carbone. Sapevo <strong>che</strong> avrei avuto po<strong>che</strong> distrazioni durante la mia<br />
seconda lotta con il metallo della pietra celeste, così mi misi a<br />
pensare alla differenza <strong>che</strong> il triplo codolo avrebbe avuto nel peso,<br />
nelle proporzioni e nella tempra della lama.<br />
Non volevo privare Caio di un'altra porzione della sua dea;<br />
avrei fatto bastare il pezzo <strong>che</strong> avevo già fuso, e questo pensiero mi<br />
portò a fare delle considerazioni sulle mie donne, a casa nel forte in<br />
cima alla collina.<br />
<strong>La</strong> partenza di Veronica con il suo nuovo marito non era stata<br />
una privazione crudele come mi ero aspettato, soprattutto perché il<br />
suo posto in casa era stato preso da Enid, <strong>che</strong> sarebbe vissuta con noi<br />
mentre Pico conduceva la sua campagna. Luceia aveva definito la<br />
situazione in modo conciso, come al solito, dicendomi <strong>che</strong> avevo<br />
perso una figlia, ma guadagnato una nipote.<br />
Risi pensando alle due donne insieme. Supponevo <strong>che</strong> la<br />
ragione principale dell'amicizia tra Enid e Luceia fosse dovuta al<br />
fatto <strong>che</strong> le due donne si somigliavano; entrambe erano tagliate nella<br />
stessa stoffa. Erano testarde, volitive, intelligenti, implacabili eppure<br />
quasi paradossalmente serene, autosufficienti e dignitose. E ognuna<br />
era di una bellezza speciale. Mi sorpresi a fischiettare, stonando,
mentre aspettavo <strong>che</strong> la lama della spada diventasse incandescente.<br />
Nelle settimane e nei mesi <strong>che</strong> seguirono lavorai alla forgia con<br />
diligenza, quasi con religiosità, scoprendo con piacere e sorpresa <strong>che</strong><br />
Andros aveva ragione. Il mio compito fu molto più facile la seconda<br />
volta; conoscevo meglio le proprietà del metallo <strong>che</strong> stavo<br />
lavorando. <strong>La</strong> seconda lama emerse dalla sua massa informe più<br />
lunga, più sottile e più fine di quella <strong>che</strong> l'aveva preceduta, e quando<br />
mi disposi a raffinarla e a temprarla e a creare i suoi fili taglienti, ero<br />
in preda a un'eccitazione intensa, quasi mistica, un timore<br />
reverenziale <strong>che</strong> mi spinse a nascondere il mio lavoro agli occhi di<br />
tutti, perfino di Equo, fino a quando non l'avessi completata.<br />
Solo allora, quando fui convinto <strong>che</strong> non potevo migliorare ciò<br />
<strong>che</strong> la mia mente e le mie mani avevano prodotto, lo chiamai alla<br />
forgia e gli mostrai la lunga sagoma avvolta nella stoffa.<br />
Equo guardò da me alla sagoma e poi di nuovo verso di me e la<br />
sua faccia si aprì in un lento, ampio sorriso <strong>che</strong> non recava traccia di<br />
rancore per il lungo tempo in cui avevo tenuto quel lavoro lontano<br />
dalla sua vista.<br />
«Allora, l'hai finalmente finita. Mi è concesso vederla?»<br />
Annuii e lui disfece l'involto. Rimase a guardarla a lungo,<br />
voltandomi la schiena, senza dire una parola. Io aspettai. Portò<br />
distrattamente le mani alle nati<strong>che</strong>, si pulì le dita strofinandole sulle<br />
bra<strong>che</strong>, e frugò nella tasca del grembiule; tirò fuori un pezzo di<br />
stoffa e lo usò per sollevare la lama e proteggerla dalle ditate.<br />
Quando alla fine si girò verso di me, tenendo la lama con reverenza,<br />
i suoi occhi erano pieni di lacrime. Scosse furiosamente la testa,<br />
cercando di schiarirsi la vista, ed emise una mezza risata.<br />
«Varro!» disse «È una lama di Varro!» Scosse di nuovo la testa.<br />
«Piango pensando a tuo nonno. Avrebbe pianto an<strong>che</strong> lui vedendo<br />
questa. Io penso <strong>che</strong>...» <strong>La</strong> voce gli si spezzò. Quando parlò di nuovo
fece uno sforzo deliberato per sembrare forte. «Non c'è mai stato,<br />
mai, niente di simile fatto col ferro da un uomo prima d'ora, Publio.<br />
Questa è la perfezione.»<br />
Dovetti deglutire per superare l'emozione <strong>che</strong> le sue parole<br />
provocavano in me. Cercai di assumere un tono indifferente. «No,<br />
Equo. Non è la perfezione. Non ancora. Devo fare l'impugnatura.»<br />
Scosse la testa, respingendo l'idea di una qualunque difficoltà.<br />
«Oh, gliela farai. Questo è lo scopo del triplo codolo, vero? Vuoi<br />
colarla come l'impugnatura del pugnale?»<br />
Annuii. «Sì, in un'elsa cruciforme. Così nessuna parte della lama<br />
avanzerà oltre la sporgenza. I codoli esterni verranno piegati ad<br />
angolo retto e io colerò la forma intorno a essi.»<br />
Scosse la testa di nuovo, con gli occhi fissi sulla lama. «Dio,<br />
Publio, è superba.» C'era vera reverenza nella sua voce, simile alla<br />
mia nell'aiutare la lama a emergere dal metallo grezzo. «È più lunga<br />
della prima e più stretta, di un buon pollice.» <strong>La</strong> girò di fianco. «Più<br />
spessa in sezione, an<strong>che</strong>. E guarda qui.» Stava toccando la spina di<br />
rinforzo <strong>che</strong> correva centralmente per tutta la lunghezza della lama<br />
tra due canali larghi due pollici. «Dio! Guarda questa cosa!»<br />
Finalmente alzò gli occhi. «Hai già disegnato l'impugnatura?»<br />
«Sì, ho qui i disegni e la forma finita. Non avrei potuto farlo<br />
senza Andros. È un vero artista. Vieni a vedere.»<br />
Lo guidai nel retro della fucina, accesi due lampade e gli feci<br />
vedere le valve aperte dello stampo finito, e come il triplo codolo vi<br />
avrebbe trovato posto. Mi chiese quanto tempo ci sarebbe voluto per<br />
finire l'impugnatura e completare la spada, e io lo guardai e gli dissi<br />
<strong>che</strong> ci avrei messo tutto il tempo necessario. Avevamo appena<br />
spento le lampade e stavamo per uscire dalla fucina quando la<br />
grande sagoma di Ullic bloccò l'entrata della porta.<br />
«Romano» urlò. «Sei lì dentro?» Eravamo a due passi da lui, ma<br />
era accecato dal sole.
«Sono qui, Ullic» gli risposi. «Cosa ti riporta qui così presto?»<br />
«Notizie, vecchio amico!» Entrò dalla porta e mi afferrò per le<br />
spalle. «Diventeremo nonni tu e io! Veronica è incinta!<br />
Non te l'avevo detto <strong>che</strong> noi Pendragon siamo dei potenti<br />
stalloni?»<br />
«Ah!» Gli strinsi le braccia. «E delle fertili giumente an<strong>che</strong>,<br />
mascalzone celtico! Diventeremo an<strong>che</strong> zii! Tua sorella Enid ha la<br />
stessa malattia!»<br />
Lo sentii allontanarsi da me e vidi i suoi occhi illuminarsi.<br />
«Enid? Già? Per il grande dio del sole! E quando nascerà?»<br />
Risi. «Nel nuovo anno. Pico non ha sprecato il suo seme.»<br />
«Nean<strong>che</strong> Uric, per Dio! I due cresceranno insieme. Bisogna<br />
festeggiare, Varro!»<br />
Festeggiammo, e quella settimana Pico venne a casa per una<br />
visita fugace, e festeggiammo di nuovo. Le donne rimasero a<br />
guardare le nostre stramberie da ubriachi, sorridendo tra loro con<br />
tolleranza.<br />
Pico rimase con noi solo un giorno. Non aveva veramente il<br />
diritto di essere lì, ci disse, ma aveva colto la prima opportunità per<br />
venire un'ultima volta prima <strong>che</strong> si scatenasse l'inferno. Le cose<br />
stavano precipitando rapidamente in ogni direzione. Le sue spie<br />
riportavano gravi torbidi in preparazione nel nord, al di là del Vallo,<br />
e lui dubitava <strong>che</strong> le guarnigioni settentrionali potessero sostenere<br />
un attacco di tanta violenza.<br />
Pensava <strong>che</strong> i Pitti avessero radunato un'armata enorme,<br />
rinforzata con Scoti dell'Ibernia e altri selvaggi delle terre<br />
germani<strong>che</strong> al di là del mare, a est. Non erano i Sassoni, ci disse, ma<br />
una razza diversa, uomini più grandi e più selvaggi dei Sassoni.<br />
Avevo già sentito parlare di questi uomini del nord, Normanni,<br />
come si definivano. Ma non dissi nulla, e suo padre gli chiese della<br />
cavalleria. E Seneca?
Pico rifletté per qual<strong>che</strong> istante, e la sua risposta non fu<br />
incoraggiante. <strong>La</strong> cavalleria era virtualmente inutile, disse, a causa<br />
del Vallo stesso. Ma lo sapevamo dai rapporti precedenti. Tutto<br />
quello <strong>che</strong> i suoi uomini potevano fare era cavalcare a ovest e a est di<br />
fronte al Vallo. Teodosio aveva chiuso i cancelli del Vallo dopo<br />
l'invasione del '67, perciò la cavalleria di Pico non poteva usare il<br />
suo vantaggio strategico contro un nemico <strong>che</strong> non poteva essere<br />
raggiunto. Il Vallo, costruito per difendere la Britannia dai Pitti,<br />
stava ora proteggendo i Pitti dalla cavalleria romana.<br />
Ma Seneca, ci disse, stava facendo un nobile lavoro lassù, cosa<br />
<strong>che</strong> sarebbe stata ancora più sorprendente se Pico non avesse<br />
recentemente inviato sul posto alcuni dei suoi migliori ufficiali per<br />
tenere sull'attenti lo scontroso legato. <strong>La</strong> loro presenza e la loro<br />
assoluta lealtà a Pico erano un'efficace e continua salvaguardia<br />
contro indolenza, insidia o tradimento da parte di Claudio Seneca,<br />
salvaguardia <strong>che</strong> Seneca tollerava di mala grazia e meno simpatia,<br />
an<strong>che</strong> se doveva rassegnarsi, in mancanza di un'alternativa. Seneca,<br />
perciò, continuava a fare il soldato e faceva del suo meglio,<br />
mostrando di tanto in tanto dei sorprendenti sprazzi di comando e<br />
genuina abilità militare, <strong>che</strong> venivano spinti in superficie, Pico ne<br />
era certo, dalla durezza e rigidità della vita <strong>che</strong> era obbligato a<br />
condurre. Malgrado ciò, Pico lo osservava con cura e costanza.<br />
L'odio di Seneca per la famiglia Britannico era patologico e la<br />
vigilanza, Pico lo sapeva istintivamente, non avrebbe mai potuto<br />
allentarsi. Ascoltai senza commenti, ringraziando i miei dei privati<br />
<strong>che</strong> Seneca fosse ben lontano dalla mia vita, e pensando <strong>che</strong> an<strong>che</strong><br />
lui ormai doveva mostrare i segni distruttori degli anni <strong>che</strong><br />
passavano.<br />
Il giorno seguente, quando giunse il momento della partenza,<br />
vidi <strong>che</strong> Pico era riluttante a lasciare la sua sposa, e lo compiansi.<br />
Si trastullò con lei, procrastinando la partenza finché il<br />
momento stabilito arrivò e trascorse, e quando venne a dire addio a
Caio, Ullic e me, ci fece promettere di occuparci di lei quando fosse<br />
giunto il momento del parto.<br />
Suo padre lo picchiò forte su una spalla. «Suvvia, legato! Sarà tra<br />
sette mesi! Ti vedremo molto prima.»<br />
Pico era cupo. «Lo spero, padre, ma ne dubito. Ho un cattivo<br />
presentimento. Le incursioni sono pesanti lungo tutte le coste<br />
orientali e meridionali, come se non fossero sufficienti i torbidi nel<br />
nord. Tutti i segni e i presagi sono inquietanti. Scriverò a Enid<br />
spesso.» Sorrise, un sorriso piccolo e imbarazzato. «Me lo ha fatto<br />
promettere. Vi terrò aggiornati sugli sviluppi. Se qualcosa vi<br />
minaccia qui a ovest farò del mio meglio per farvelo sapere.» Ci<br />
salutò e partì.<br />
Mentre si allontanava a cavallo Enid rimase sulle mura tra Caio<br />
e me seguendo ogni suo movimento, finché la foresta lontana lo<br />
inghiottì. Era una bella e sana donna sulla trentina, e tutti i suoi<br />
attributi femminili acquistavano maggiore evidenza mentre il suo<br />
ventre cresceva insieme al bambino <strong>che</strong> portava.<br />
Ma i mesi passarono veloci e Pico non tornò a placare la sua<br />
sposa, an<strong>che</strong> se mantenne un flusso regolare di notizie con lei e di<br />
conseguenza con tutti noi. I suoi dispacci ci informarono della<br />
caduta definitiva del grande Vallo di Adriano. Le guarnigioni <strong>che</strong><br />
l'avevano presidiato furono spostate ad Arboricum e tutte le terre da<br />
lì a nord furono abbandonate. Apprendemmo an<strong>che</strong> di una grande<br />
forza di invasione <strong>che</strong> dalla costa sassone assediava l'interno, e delle<br />
contromisure disperate per respingerla nuovamente in mare. E poi<br />
le notizie cessarono.<br />
Ci eravamo abituati a ricevere dispacci ogni settimana, ma una<br />
settimana non ne arrivò nessuno. Seguì un'altra settimana, e poi una<br />
terza, e ormai eravamo allarmati. Passarono altre tre settimane, e<br />
infine uno dei preti di Alarico ci portò la notizia <strong>che</strong> Pico era vivo,<br />
ma era stato gravemente ferito, colpito in battaglia da una freccia<br />
<strong>che</strong> gli aveva trafitto la faccia, entrando dalla bocca e
attraversandogli il cranio per riemergere da un orecchio.<br />
Nessuno sapeva se sarebbe sopravvissuto, ma era alloggiato in<br />
una villa a nord di Lindum, presso la famiglia di un certo Marco<br />
Aurelio Ambrosiano, un magistrato romano. Riceveva le migliori<br />
cure medi<strong>che</strong> e il suo destino era nelle mani di Dio.<br />
Enid avrebbe voluto andare da lui immediatamente, e ci fu<br />
molto difficile trattenerla. <strong>La</strong> logica aveva poco effetto su di lei, ma<br />
alla fine le facemmo capire <strong>che</strong> il viaggio sarebbe stato inutile e<br />
probabilmente molto pericoloso per il bambino <strong>che</strong> aveva in<br />
grembo. Il prete <strong>che</strong> ci aveva portato le notizie era stato a lungo in<br />
cammino, e nel frattempo poteva essere successo di tutto.<br />
Pico poteva an<strong>che</strong> essere già morto e sepolto, un pensiero<br />
terribile, ma <strong>che</strong> doveva essere preso in considerazione, visto <strong>che</strong><br />
secondo il rapporto la ferita era molto grave. Oppure poteva essere<br />
stato spostato. Poteva an<strong>che</strong> essersi ripreso abbastanza da ritornare<br />
in servizio, almeno a un servizio amministrativo. E inoltre il mondo<br />
al di fuori della nostra piccola Colonia era troppo caotico per<br />
permettere a una donna, soprattutto a una donna incinta, di<br />
viaggiare a cavallo an<strong>che</strong> con una scorta bene armata.<br />
Solo con i miei pensieri cercai di immaginarmi la ferita ricevuta<br />
da Pico, e l'idea non mi piacque. Mi misi an<strong>che</strong> una freccia in bocca e<br />
colpii con essa il fondo della gola. Non era piacevole. Quando cercai<br />
di immaginare l'effetto di una freccia scagliata con forza nello stesso<br />
punto morbido, la mia mente si ribellò. Decisi di trovare un modo<br />
per proteggere la faccia di un cavaliere da un simile colpo, <strong>che</strong><br />
doveva essere stato diretto dal basso verso l'alto.<br />
Qual<strong>che</strong> tempo dopo ricevemmo la notizia <strong>che</strong> Pico era<br />
effettivamente sopravvissuto, ma i particolari della storia erano tali<br />
<strong>che</strong> ci riempirono di meraviglia. An<strong>che</strong> questa volta le notizie ci<br />
furono portate da un prete in visita. Sembrava <strong>che</strong> Marco Aurelio<br />
Ambrosiano, l'ospite di Pico, avesse perso la testa e avesse aggredito<br />
il legato una notte mentre dormiva. Pico, con la faccia avvolta nelle
ende, non aveva riconosciuto il suo aggressore e l'aveva<br />
strangolato prima <strong>che</strong> arrivassero gli aiuti.<br />
Ovviamente non si trattava di omicidio premeditato, ma solo di<br />
una stupida tragedia. <strong>La</strong> spada dell'aggressore era insanguinata<br />
perché aveva trafitto Pico su un fianco, e quando le guardie erano<br />
arrivate avevano trovato Pico, ancora avvolto nelle coperte, con le<br />
mani strette in una presa mortale intorno alla gola dell'uomo. Era<br />
impossibile <strong>che</strong> Pico avesse capito chi era il suo aggressore. <strong>La</strong><br />
camera era al buio e Pico non poteva comunque vedere per via delle<br />
bende <strong>che</strong> gli avvolgevano la testa. C'era sotto un mistero destinato<br />
a rimanere insoluto, almeno finché Pico stesso non fosse venuto a<br />
spiegarcelo. Speravamo <strong>che</strong> sarebbe venuto presto, perché era<br />
chiaro <strong>che</strong> la natura delle sue ferite era abbastanza grave da<br />
impedirgli, almeno temporaneamente, di combattere.<br />
Malgrado tutte le nostre speranze e le nostre preghiere, però,<br />
Pico non era ancora tornato quando Enid partorì, alla quarta ora<br />
della mattina del secondo giorno di gennaio, dando alla luce un<br />
marmocchio sano, schiamazzante e con dei polmoni robusti come il<br />
cuoio.<br />
Solo tre sere prima Caio, Enid, Luceia e io eravamo seduti<br />
intorno al fuoco e discutevamo le imminenti nascite dei nostri<br />
nipotini. Non c'erano notizie di Veronica dal regno di Ullic, ma<br />
niente nuove significava buone nuove.<br />
«Come lo chiamerai se sarà un maschio?» chiese Caio a Enid.<br />
Enid sorrise guardando il fuoco. «Pico e io ne abbiamo parlato.<br />
Si chiamerà Pico Caio Britannico.»<br />
«Un altro Caio Britannico? Perché?»<br />
Si girò per squadrarlo da sotto in su, perché lui era seduto più in<br />
alto di lei, appollaiato sul bracciolo del divano. «Perché? Per onorare<br />
te, ovviamente. Ti dispiace? O ti sorprende?»<br />
Caio sorrise e carezzò i suoi capelli raccolti. «No, mia cara,
ovviamente no. Ma mi farebbe più piacere se lo cambiassi.»<br />
Enid si sollevò dal suo posto per vederlo bene in faccia.<br />
«Cambiarlo? Il nome del bambino? In <strong>che</strong> cosa?»<br />
Caio scosse la testa leggermente. «Non ne ho idea, bambina, ma<br />
pensa a questo luogo e a quello <strong>che</strong> abbiamo fatto qui. Questo posto<br />
è britannico. An<strong>che</strong> il suo popolo è britannico. Noi siamo una razza<br />
nuova. Mi sembra <strong>che</strong> il nome <strong>che</strong> vuoi dare al tuo bambino sia<br />
troppo romano, troppo all'antica per quest'epoca e questo luogo.» Le<br />
accarezzò la guancia con il dorso delle dita. «Tuo figlio avrà nelle<br />
vene il sangue dei re celti, Enid, dei re di Britannia. Perciò dagli un<br />
nome britannico, uno dei vostri.» Fece una risata. «Ma non uno di<br />
quegli scioglilingua celtici. Scegli un nome facile, un nome <strong>che</strong> gli<br />
uomini possano ascoltare e conoscere e ricordare. Un nome per<br />
questa terra. Questo mi farebbe molto piacere.»<br />
Enid lo fissò per un lungo istante, poi allungò una mano e prese<br />
la sua. «Grazie, papà Caio» gli disse. «Questa idea mi piace. Ci<br />
penserò attentamente e cer<strong>che</strong>rò di trovare un nome <strong>che</strong> piaccia a<br />
tutti.»<br />
Lo chiamò Merlino, dal nome dello smeriglio, l'uccello nero il<br />
cui magico canto riempie i lunghi giorni della primavera e<br />
dell'estate in Britannia. Caio Merlino Britannico.
XXX.<br />
<strong>La</strong> notizia della nascita di mio nipote arrivò dalla gente di Ullic<br />
poco tempo dopo. Nessuna scioc<strong>che</strong>zza romana da parte loro; il<br />
bambino, un maschio, era stato chiamato Uther, Uther Pendragon.<br />
Madre e figlio erano in buona salute e sarebbero venuti a visitarci in<br />
primavera, non appena la neve, caduta abbondante quell'anno sulle<br />
colline, si fosse sciolta.<br />
Ero contento delle notizie sui bambini, ma ero ben lungi<br />
dall'essere contento dei miei tentativi di colare un'impugnatura per<br />
la mia nuova spada. Prima dell'inizio del disgelo primaverile avevo<br />
tentato nove volte, e nove volte era stato un fallimento. Andros e io<br />
eravamo convinti <strong>che</strong> quella tecnica avrebbe funzionato, quando<br />
avessimo padroneggiato l'arte di versare il metallo nell'esatto<br />
volume, alla giusta velocità e alla temperatura adatta, ma i nostri<br />
primi sforzi erano stati risibili; avevo spesso ringraziato Dio e tutte<br />
le mie stelle <strong>che</strong> quel metallo fosse così duro, perché ero<br />
continuamente costretto a fondere nove misure di bronzo e oro dagli<br />
inflessibili codoli, ripulendoli completamente dopo ogni tentativo<br />
fallito. L'operazione cominciava an<strong>che</strong> a diventare costosa, perché<br />
non riuscivamo mai a recuperare tutto l'oro dei tentativi abortiti, e<br />
ogni volta dovevo fondere qual<strong>che</strong> altra moneta del tesoro del<br />
nonno.<br />
Forse perché avevo tante cose in testa a quell'epoca, il significato<br />
delle parole di Luceia mi sfuggì quando mi raccontò <strong>che</strong> i due<br />
bambini, Uther e Merlino, erano nati nello stesso momento, alla<br />
quarta ora del mattino del secondo giorno di gennaio. Più tardi,<br />
quando ci ripensai, risi tra me per i racconti delle vecchie donne, <strong>che</strong><br />
dicevano <strong>che</strong> negli anni a venire i due bambini avrebbero avuto<br />
potere uno sulla vita dell'altro, a causa della coincidenza della loro<br />
nascita. Come ho già detto altre volte, non sono mai stato
superstizioso e, pur riconoscendo la stranezza della coincidenza, ne<br />
sapevo bene la causa. Se fossero nati sotto lo stesso tetto forse avrei<br />
dedicato alla faccenda qual<strong>che</strong> pensiero in più, ma queste sono<br />
congetture inutili; i bambini erano nati a sessanta miglia di distanza<br />
ed erano diversi come il giorno e la notte, fin dal giorno della loro<br />
nascita.<br />
Caio Merlino Britannico e Uther Pendragon avrebbero vissuto i<br />
loro diversi destini. I due cugini sarebbero vissuti conoscendosi<br />
bene, ma come due individui separati, con ben poca influenza uno<br />
sull'altro. Allontanai il pensiero dalla mente e mi concentrai sui<br />
problemi immediati.<br />
E così l'alba delle Idi di marzo di quell'anno mi trovò seduto da<br />
solo nella mia fucina, mentre, in attesa <strong>che</strong> la decima forma si<br />
raffreddasse per aprirla, ammiravo la lama argentea della spada <strong>che</strong><br />
sporgeva dalla grande forma cubica come una lingua di luce liquida.<br />
Ricordo di essermi chiesto allora se avrei mai impugnato la spada<br />
finita. Toccai lo stampo per provarlo. Era ancora troppo caldo.<br />
Sbuffai impaziente e indispettito, e mi diressi alla villa alla ricerca di<br />
qualcosa per fare colazione. Non avevo dormito affatto quella notte,<br />
ma non me ne rendevo conto. Ero contratto, come una molla troppo<br />
tesa, per pensare a dormire.<br />
Sentii mio nipote Merlino urlare mentre entravo nella villa. Sua<br />
madre si era stabilita lì da quando era nato, e viveva in un piccolo<br />
quartiere della casa; non voleva <strong>che</strong> i servitori si occupassero di lei.<br />
Era una celta e non si sentiva a suo agio nel vedere altri fare il<br />
lavoro <strong>che</strong> considerava suo. Come amava dire, non apprezzava <strong>che</strong><br />
altri vivessero per lei. Poiché era sincera, la assecondavamo,<br />
lasciandola sola a occuparsi di quel quartiere della grande casa; i<br />
servitori scendevano dalla collina due volte alla settimana per tenere<br />
in ordine il resto dell'edificio.<br />
Ci accertavamo però <strong>che</strong> la notte qualcuno della famiglia<br />
restasse sempre con lei. Caio e io eravamo rimasti entrambi la sera
prima, perciò non mi ero sentito colpevole per essere rimasto tutta la<br />
notte nella fucina.<br />
Seguii il pianto del bambino fino in cucina, dove trovai Enid <strong>che</strong><br />
scaldava del cibo in una padella sopra al fuoco. <strong>La</strong> salutai e presi in<br />
braccio il bambino, calmandolo e facendolo tacere.<br />
«Ha fame, Enid? È per questo <strong>che</strong> piange?»<br />
«No, è un porcello» disse lei sorridendo. «Ecco perché piange.»<br />
Il bambino era tranquillo adesso e mi fissava con i suoi grandi occhi<br />
marroni. Enid si avvicinò e gli strinse con garbo una guanciotta<br />
grassa. «Sei un porcellino avido, vero? Mi ha prosciugato<br />
stamattina, quindi adesso deve aspettare. An<strong>che</strong> le muc<strong>che</strong> restano<br />
senza latte, sai!» Quest'ultima osservazione era rivolta a suo figlio,<br />
<strong>che</strong> la ignorò.<br />
«Cosa stai scaldando? Ce ne abbastanza per me?»<br />
Annuì, mescolando il contenuto della padella. «Ce ne<br />
abbastanza per tutti, ma papà Cai non si è ancora alzato.» Fece una<br />
brevissima pausa, poi mi chiese. «Quanti anni ha Caio, Publio?»<br />
«Cai? Fammi pensare...» Dovetti riflettere un momento.<br />
«Dunque, mi pare <strong>che</strong> abbia circa cinque anni più di me, e questo<br />
farebbe sessantadue o sessantatré, qualcosa del genere. Forse un po'<br />
di più. Perché me lo chiedi?»<br />
Aggrottò leggermente la fronte. «Non lo so. Mi sembra <strong>che</strong> stia<br />
invecchiando rapidamente, ecco tutto.»<br />
«Invecchiando rapidamente? Credi?» Ero sorpreso. «Non l'ho<br />
notato. Non di recente. C'è stato un periodo, qual<strong>che</strong> anno fa, <strong>che</strong><br />
ero davvero preoccupato per lui, ma lo ha superato e da allora è in<br />
ottima forma... Io non ho notato niente <strong>che</strong> indichi il contrario. Tu<br />
però sì, evidentemente. Che cosa?»<br />
Scosse la testa. «Non lo so, Publio. Non è evidente, ma c'è.<br />
Ultimamente sembra <strong>che</strong> si stanchi prima, e <strong>che</strong> dorma di più.»
Risi per quella frase, buttando il bambino in aria e<br />
riprendendolo prima <strong>che</strong> lasciasse completamente le mie mani. «E<br />
perché questo piccolino lo ha reso nonno. Intendo dire, Cai ha più di<br />
sessantanni. I pochi <strong>che</strong> ci arrivano tendono a rallentare il ritmo,<br />
soprattutto se passano la maggior parte del tempo a giocare con i<br />
bambini.»<br />
«Mmm, forse è vero.» Piegò la testa di lato, in un cenno <strong>che</strong><br />
ormai mi era divenuto familiare, e accettò la mia opinione. «Forse mi<br />
sto immaginando tutto. Metti giù il futuro imperatore e vieni a<br />
mangiare. Io sono affamata, an<strong>che</strong> se tu non lo sei.»<br />
Caio ci raggiunse mentre stavamo finendo il nostro pasto, e<br />
chiacchierammo insieme mentre Enid si affaccendava a preparargli<br />
del cibo; poi me ne andai di nuovo a riprendere la mia veglia alla<br />
fucina. Uscendo di casa incontrai Plauto <strong>che</strong> veniva in visita e così<br />
mi fermai a parlare con lui.<br />
Era una di quelle giornate piene di luce <strong>che</strong> preannunciano una<br />
splendida giornata di primavera. Mi chiese dove stessi andando e<br />
gli dissi <strong>che</strong> stavo per rompere lo stampo per la decima volta. Non<br />
appena lo seppe volle venire con me a guardare l'operazione.<br />
«Ne sei certo, Plauto?» <strong>La</strong> mia domanda era solo per metà<br />
s<strong>che</strong>rzosa. «Non sono la persona più gentile del mondo quando lo<br />
stampo viene male.»<br />
«Non è una novità! Sei sempre stato un antipatico figlio di<br />
puttana, da quando ti ho incontrato la prima volta!»<br />
Sogghignai. «Bene, poi non dire <strong>che</strong> non ti avevo avvertito.<br />
Andros dovrebbe essere qui tra poco, ormai, quindi penso <strong>che</strong><br />
dovremmo aspettarlo. Ha lavorato duro quanto me.»<br />
Mezz'ora dopo Andros non si era ancora fatto vivo, e decisi di<br />
non aspettarlo. Plauto aveva messo radici vicino agli scaffali nel<br />
retro della fucina. Lo chiamai, e arrivò stringendo in mano qualcosa.<br />
«Cos'è questo?» mi chiese.
Guardai il rotolo di materiale indurito <strong>che</strong> stringeva in mano e<br />
sorrisi. «Non indovineresti mai, Plauto, ma è lo stesso di questo.»<br />
Raccolsi un quadrato di morbido materiale argenteo, soffice come<br />
finissima pelle e dall'incredibile trama di sabbia finissima, e glielo<br />
porsi. Lo prese dalle mie mani, lo strofinò tra pollice e indice e poi<br />
guardò incredulo il rotolo di duro materiale <strong>che</strong> teneva nell'altra<br />
mano. «Cos'è?»<br />
«È pelle di pescecane. Della pancia.»<br />
Sbatté le palpebre fissandomi: «Della pancia di uno squalo, vuoi<br />
dire? Di quel grande pesce? A cosa serve?».<br />
«Serve a tenere insieme lo squalo, idiota!» gli risposi ridendo, e<br />
indicai la spada <strong>che</strong> sporgeva dalla forma. «È per questa. Avvolgerà<br />
l'impugnatura della mia nuova spada, in modo <strong>che</strong> non scivoli dalla<br />
mano di nessuno.»<br />
«Mmm!» fu tutto il suo commento. «Chissà <strong>che</strong> cosa è successo<br />
ad Andros?» Mi alzai. «Non lo so, ma non aspetterò più a lungo.<br />
Vieni, mi dovrai aiutare. Ti dirò cosa fare.»<br />
Ci volle ancora mezz'ora per liberare la forma da tutti i fili<br />
intrecciati <strong>che</strong> la legavano stretta, e io tremavo per l'eccitazione, con<br />
le mani sui due angoli superiori della forma, pronto ad aprirla.<br />
Plauto teneva i due angoli in basso.<br />
«Bene» sospirai nervosamente. «Non lo sapremo mai se non<br />
guardiamo, Plauto, quindi cominciamo.» Torsi e piegai in su la<br />
forma, <strong>che</strong> si ruppe con un leggero schianto. Lentamente, non<br />
osando quasi più sperare, abbassai lo sguardo in silenzio.<br />
«Allora?» <strong>La</strong> voce di Plauto era piena di ansia. Mi rilassai un<br />
poco.<br />
«Da questa parte sembra a posto. Spero <strong>che</strong> lo sia an<strong>che</strong> l'altra.»<br />
Feci leva sulla lama e staccai l'impugnatura dal suo stampo con un<br />
rumore appena avvertibile; la girai. Era senza difetti. Mi lasciai<br />
cadere sullo sgabello, sopraffatto dal sollievo, soffiando fuori con
forza il respiro <strong>che</strong> avevo trattenuto.<br />
«Qual è il problema?» Plauto era febbricitante per la<br />
preoccupazione. «Cosa c'è di sbagliato?»<br />
Alzai la mano per zittirlo, e parlai a bassa voce. «Non c'è niente<br />
di sbagliato. Va benissimo.»<br />
Plauto lasciò andare il fiato in un lungo sospiro e si abbatté su<br />
una panca. «Grazie a Dio! Per un momento ho pensato <strong>che</strong> avessi<br />
sbagliato ancora!»<br />
Rimanemmo in silenzio, fissando l'impugnatura. Era<br />
impolverata, coperta da una pellicola di cera, e in alcuni punti<br />
sporgevano piccoli noduli, dove il metallo fuso aveva riempito i<br />
vuoti d'aria nella forma. Li avrei limati via, quando avessi ripreso<br />
fiato. Cominciavo a sentire una possente esaltazione. <strong>La</strong> conchiglia<br />
d'oro del pomolo era perfetta, ed era perfetta an<strong>che</strong> la giuntura dove<br />
la seconda colata d'oro aveva aderito al bronzo della prima gettata.<br />
«E adesso, Publio?»<br />
Gli sorrisi di nuovo, stanco ma trionfante. «Adesso la pulisco, la<br />
lucido e aggiungo la pelle di pescecane.»<br />
«Quanto tempo ci vorrà?»<br />
Mi strinsi nelle spalle. «Per pulirla e lucidarla un'ora, forse. Per<br />
aggiungere la pelle, immagino un giorno.»<br />
«Posso prenderla in mano adesso?»<br />
Scossi la testa. «No, non ancora. Non è pronta. Dammi un'ora di<br />
tempo per pulirla e poi la potrai prendere in mano.»<br />
«Posso guardare mentre la pulisci?»<br />
Risi per la sua infantile impazienza, ma ero compiaciuto. «Puoi<br />
guardare.» Allungai la mano verso una piccola lima sul bancone.<br />
Meno di un'ora dopo il lavoro era finito, e l'effetto toglieva il<br />
fiato. <strong>La</strong> conchiglia d'oro del pomolo era superba, ogni linea era<br />
netta e la decorazione celtica sulla spessa guardia era cristallina
nella sua purezza. Avevo evitato per tutto quel tempo di stringere<br />
l'impugnatura, e non avevo usato la lima sulla sua superficie<br />
granulosa. Mentre le davo un'ultima lucidata con il panno, Plauto<br />
giocava con il quadrato di pelle di pescecane.<br />
«Sai,» disse, «non voglio sembrare critico, ma questa roba è<br />
argentea come la lama, e il pomolo è d'oro. <strong>La</strong> guardia sembrerà<br />
opaca in confronto. È semplice bronzo. Ci hai pensato?»<br />
«Ci ho pensato.» Mi alzai e distesi un groppo nella schiena.<br />
«Coprirò la guardia con foglie d'argento.»<br />
«Con cosa?»<br />
Indicai una scatola vicino alla sua mano. «<strong>La</strong>mine d'argento,<br />
assottigliate a martello in modo da renderle quasi senza peso e<br />
trasparenti. Ce ne sono alcune in quella scatola.»<br />
Mentre Plauto guardava le foglie d'argento, io liberai la spada<br />
dai morsetti <strong>che</strong> la tenevano ferma e strinsi forte l'elsa per la prima<br />
volta. «Adesso ci siamo!» <strong>La</strong> roteai nell'aria e il mio cuore si spezzò<br />
quasi per la gioia di sentire in mano tanta bellezza. Tutte le paure,<br />
tutte le preoccupazioni erano svanite. I nostri angosciosi calcoli del<br />
peso e del bilanciamento erano stati precisi. Adesso avevo in mano la<br />
perfezione!<br />
«Excalibur» mormorai.<br />
«Cosa?»<br />
«Excalibur. È il suo nome. È così <strong>che</strong> ho chiamato la spada.»<br />
Plauto strabuzzò gli occhi. «Excalibur? Devo essere stupido.<br />
Non ho mai sentito prima questa parola.»<br />
«No, Plauto» dissi. «Non sei stupido. È una parola <strong>che</strong> non è mai<br />
stata detta prima. Calibur - qalibr - è la parola con cui il popolo del<br />
deserto nell'Africa settentrionale indica una forma. Questa spada è<br />
uscita da una forma... ex qalibr, Excalibur.» Gliela porsi. «Non toccare il<br />
taglio se vuoi conservare le dita.»
Linee minutamente graduate si increspavano come rivoli<br />
d'acqua lungo ogni lato della lunga lama, scorrendo verso l'esterno<br />
della spessa costolatura centrale nei due tagli più affilati <strong>che</strong> avessi<br />
mai visto, riflettendo la luce nei loro disegni e rivelando dove il<br />
metallo era stato ripiegato su se stesso e ribattuto innumerevoli volte<br />
durante il processo di tempra.<br />
Plauto afferrò l'elsa e roteò la spada, e spalancò gli occhi. «Mio<br />
Dio! Che arma! Excalibur!» <strong>La</strong> roteò ancora e diresse la punta verso<br />
la porta proprio mentre Andros appariva sulla soglia.<br />
Andros esitò sulla soglia, stringendo gli occhi abbagliati dal sole<br />
per scrutare nella fucina buia. «Publio? Sei lì dentro? Pico è a casa.»<br />
«Pico?» Mi voltai verso Plauto compiaciuto per la sorpresa. «È<br />
qui? Meraviglioso! Lo hai visto?»<br />
Andros era arrivato alla forgia e guardava la spada impugnata<br />
da Plauto, mentre i suoi occhi si abituavano al buio. «L'hai aperta?<br />
Ha funzionato? È venuta bene?»<br />
Plauto gli mostrò la spada. «È perfetta» dissi io. «Abbiamo fatto<br />
un capolavoro, tu, Equo e io. A proposito, dov'è Equo? E quando è<br />
arrivato Pico?»<br />
Andros stava guardando l'impugnatura da una distanza di circa<br />
una spanna, scrutando attentamente i dettagli della decorazione e la<br />
conchiglia. «Equo è sulla collina, all'altra forgia. Sono stato con lui<br />
un momento, per lavorare a dei disegni di cui aveva bisogno.» <strong>La</strong><br />
sua voce si sentiva a malapena, tanto era intento a osservare l'elsa.<br />
«E Pico? Quando è arrivato?»<br />
«Mmm? Oh, Pico. Adesso» borbottò. «Ho visto il grande<br />
stendardo da sopra la siepe, <strong>che</strong> passava lungo il viale diretto alla<br />
villa.»<br />
«Intendi dire proprio adesso? In questo momento?»<br />
Mi lanciò uno sguardo spazientito, poco cristianamente stizzito
perché lo distraevo dal suo esame. «Sì, è quello <strong>che</strong> ho detto un<br />
istante fa. L'ho visto mentre attraversavo il cancello per venire qui.»<br />
«Che aspetto ha?»<br />
Aggrottò leggermente la fronte, continuando a guardare la<br />
conchiglia d'oro. «Non lo so. Veramente non ho visto Pico, ho visto<br />
solo il suo stendardo sopra la siepe. Te l'ho detto.»<br />
«Sì, me lo hai detto. Scusa. Ti sto distraendo dal tuo trionfo.<br />
Cosa ne pensi?»<br />
«È molto bella. Molto bella. Sono compiaciuto. Funziona bene?»<br />
Rovesciò la presa e brandì la spada nel modo giusto, guardandosi<br />
intorno come se cercasse qualcosa su cui provarla. <strong>La</strong> sua<br />
espressione mi rese apprensivo.<br />
«Andros, hai mai impugnato una spada prima d'ora?»<br />
Mi rivolse uno sguardo preoccupato. «No, mai. Ma <strong>che</strong><br />
differenza fa? Non ho mai nean<strong>che</strong> fatto uno stampo ben riuscito.»<br />
Si diresse con calma verso un'incudine e batté il piatto della spada<br />
contro la sua superficie. Il rumore dell'impatto risuonò chiaro come<br />
il trillo di un uccello. Io guardai Plauto e mi strinsi nelle spalle<br />
stupefatto, mentre Andros si guardava intorno di nuovo e fissava lo<br />
sguardo sul bancone da lavoro. Avanzò con passo deciso verso il<br />
lato del banco, batté la lama della spada contro una delle gambe, poi<br />
alzò la lama in posizione verticale e appoggiò l'estremità del pomolo<br />
sul piano del tavolo. L'effetto fu magico. L'intera stanza risuonò<br />
d'un tratto di un profondo ronzio musicale <strong>che</strong> emanava dalla<br />
spada. Plauto si fece il segno della croce e io portai le mani alle<br />
orecchie, tanto intenso era il suono. Gradatamente, in un arco di<br />
tempo lunghissimo, quel suono diminuì fino a cessare del tutto, e<br />
nella stanza ci fu silenzio.<br />
«Cosa è stato?» chiesi ad Andros.<br />
Andros sorrise con il suo solito sorriso modesto. «Non lo so,<br />
Publio, ma ricordo di aver sentito da qual<strong>che</strong> parte, tanto tempo fa,
<strong>che</strong> i fabbri di una volta usavano provare le loro lame in questo<br />
modo. Quanto migliore era la qualità del metallo, tanto più puro era<br />
il suono <strong>che</strong> producevano.»<br />
«Non l'ho mai sentito» dissi. «Fammi provare.» Feci come aveva<br />
fatto lui e di nuovo la vibrante e chiara nota riempì la fucina. «È<br />
stupefacente. Cosa ne pensi, Plauto?»<br />
Plauto si limitò a scuotere la testa, tenendo gli occhi fissi sulla<br />
spada. «Excalibur,» disse, «la spada <strong>che</strong> <strong>canta</strong>. Non ho mai visto né<br />
sentito niente <strong>che</strong> possa reggere il confronto.»<br />
<strong>La</strong> feci roteare intorno alla testa. «Perché non è mai esistito<br />
niente di simile. Vieni, andiamo a farla vedere a Caio, a Pico e a<br />
Equo. Sarà arrabbiato per essersi perso il momento della sua uscita<br />
dall'alveo.»<br />
Uscimmo, strizzando gli occhi alla luce del sole, e camminando<br />
roteavo Excalibur da un lato all'altro, divertito dalla sua apparente<br />
mancanza di peso. Quando imboccammo il sentiero <strong>che</strong> portava al<br />
cortile principale della villa colpii un alberello <strong>che</strong> cresceva nella<br />
siepe, tranciandolo senza fatica. Stavo pulendo la lama dalla linfa<br />
con il bordo della tunica quando sentii Plauto dire: «Questo è<br />
strano!». Qualcosa nel suo tono di voce mi mise in allarme ancora<br />
prima <strong>che</strong> mi afferrasse per il gomito, costringendomi a fermarmi.<br />
Lo guardai un po' confuso. «Cosa c'è? Cosa è strano?»<br />
Plauto era immobile, e guardava verso la villa in un modo <strong>che</strong><br />
mi fece tendere i nervi. Non vedevo quello sguardo da anni, ma<br />
reagii immediatamente.<br />
«Cosa c'è <strong>che</strong> non va?»<br />
Indicò verso il portico. «Dimmelo tu!»<br />
Era ritornato improvvisamente all'antico atteggiamento ostile,<br />
da militare; seguii la direzione del suo sguardo. Fuori dalla porta<br />
principale della villa c'erano otto cavalli. Otto cavalli senza<br />
cavaliere. Nessuna guardia. Nessuno all'esterno. Nessuno in attesa.
Tutti e otto gli uomini erano entrati in casa. <strong>La</strong> pelle d'oca mi fece<br />
rizzare i capelli sul collo, perché quello <strong>che</strong> vedevo era sbagliato; poi<br />
i miei occhi colsero un altro indizio completamente fuori posto: un<br />
panno bianco e nero al suolo. Era il grande stendardo bianco e nero<br />
di Pico! Quello <strong>che</strong> doveva venire riconosciuto da una grande<br />
distanza. Era stato buttato via con noncuranza, gettato da parte<br />
come se il suo portatore non ne avesse più bisogno. Tutti i miei<br />
istinti di difesa si erano risvegliati, emettendo segnali di allarme.<br />
Sentii Plauto tuonare: «Merda e corruzione! Non ho una spada!»<br />
<strong>La</strong> sua mente correva più avanti della mia, ma quelle parole mi<br />
galvanizzarono. Mi girai verso di lui, mentre un migliaio di pensieri<br />
si affollavano nel mio cervello.<br />
«<strong>La</strong> forgia» gli dissi. «Contro la parete di sinistra, dove c'era la<br />
forma, ci sono due spade lunghe e pugnali e gladi sul tavolo. Ti<br />
aspetto.» Prima <strong>che</strong> finissi di parlare era già sparito. Strinsi il braccio<br />
di Andros. «Andros, sai andare a cavallo?»<br />
«Se devo, posso.»<br />
«Devi! Torna alla fucina e metti il culo sul mio cavallo.» Guardai<br />
il fondo della valle verso l'inizio della nuova strada. C'era qualcosa<br />
<strong>che</strong> non andava, ma non sapevo ancora cosa fosse.<br />
«Senti, Andros» gli dissi freneticamente. «Qualcosa puzza. Non<br />
so cosa sia, ma voglio <strong>che</strong> tu arrivi al forte il più in fretta possibile,<br />
dalla strada secondaria, dietro alla collina, fuori vista dalla pianura,<br />
fino alla porta posteriore. Mi senti?»<br />
Annuì. Non aveva notato gli stessi segni <strong>che</strong> avevamo visto io e<br />
Plauto, ma aveva interpretato esattamente le nostre reazioni. «E<br />
poi?» chiese.<br />
«Trova il tribuno Basso. Digli <strong>che</strong> ti mando io e digli dove siamo.<br />
Digli <strong>che</strong> sento odore di marcio. Se ci sono delle truppe di Pico nella<br />
valle sotto ai cancelli, voglio <strong>che</strong> siano trattenute. Comunque voglio<br />
uno squadrone di cavalleria qui alla villa il più in fretta possibile.
Hai capito?»<br />
Annuì di nuovo. «Cosa sta succedendo, Publio?»<br />
«Non lo so, Andros» dissi. «Ma c'è qualcosa <strong>che</strong> non va. Vai in<br />
fretta e assicurati <strong>che</strong> nessuno ti veda. Non mi interessa se devi<br />
legarti al cavallo, ma vai più in fretta possibile. Lo farai?»<br />
«Sto andando, Publio.» Preciso come le sue parole stava già<br />
scomparendo verso la fucina, proprio mentre Plauto ne riemergeva<br />
con una delle nuove spade lunghe in una mano e un pugnale<br />
dall'aspetto minaccioso nell'altra.<br />
«Pronto» disse. «Qual è il piano?»<br />
Esitai per un battito del cuore, guardando verso il portico<br />
deserto, sperando vanamente di sbagliarmi. «Pensi davvero <strong>che</strong> ci<br />
sia qualcosa <strong>che</strong> non va, Plauto?»<br />
«Merda di cavallo, Varro! <strong>La</strong> merda puzza? Cosa facciamo?»<br />
Fu sufficiente. Respirai a fondo. «Facciamo l'unica cosa da fare.<br />
Entriamo. Ma con prudenza.»<br />
Mi lanciò uno sguardo eloquente di inespresso sdegno. «Pensi<br />
forse <strong>che</strong> voglia ficcare il culo in una macina per divertimento? Alla<br />
mia età?»<br />
Fianco a fianco attraversammo correndo lo spazio deserto <strong>che</strong> ci<br />
separava dal muro della villa, e ci schiacciammo contro la facciata di<br />
pietra. Eravamo a circa dieci passi dall'entrata principale. Mi<br />
guardò.<br />
«E se hanno lasciato una guardia dentro la porta? Siamo morti.<br />
Quei figli di puttana sono in otto!»<br />
Feci una smorfia. «Speriamo <strong>che</strong> non lo abbiano fatto. Se<br />
avessero voluto lasciare una guardia l'avrebbero lasciata fuori a<br />
guardia dei cavalli.»<br />
Annuì, cerimoniosamente. «Sai, mi sono chiesto per anni perché<br />
Britannico ti ha promosso, tanto tempo fa. Ora lo so. Tu pensi.
Suppongo <strong>che</strong> sia questa la differenza tra un ufficiale e un<br />
soldataccio come me.» Parlava a vanvera, cercando di farci entrare<br />
nel giusto stato d'animo, ma mentre parlava Enid urlò, forte e a<br />
lungo, da dentro la casa. Quel suono mi fece raggrumare il sangue.<br />
«Oh, merda!» disse Plauto. «Questa è la prova. Adesso!»<br />
Ci lanciammo insieme verso l'ingresso, tuffandoci attraverso la<br />
porta aperta e separandoci appena dentro, ognuno su un lato<br />
dell'atrio. Era deserto. Risuonò un altro urlo straziante di agonia,<br />
proveniente dal retro della villa, un urlo non più distorto dalla<br />
distanza e dai muri.<br />
Plauto mi fece cenno di avanzare e correndo attraversammo<br />
l'atrio della villa diretti ai quartieri abitabili sul retro, scivolando<br />
silenziosamente coi sandali sul marmo <strong>che</strong> rivestiva il pavimento.<br />
Malgrado la gamba zoppa arrivai poco prima di Plauto alla doppia<br />
porta <strong>che</strong> dava nel cortiletto tessellato di fronte allo studio di Caio.<br />
Sapevo <strong>che</strong> erano lì. Prima <strong>che</strong> Plauto si precipitasse attraverso la<br />
porta tradendo la nostra presenza, gli feci segno freneticamente di<br />
mettersi di lato. Ci fermammo, guardandoci l'un l'altro e trattenendo<br />
il respiro, ognuno su un lato della porta aperta.<br />
Plauto mi fece cenno con un dito di dare un'occhiata. Protesi un<br />
po' la testa, cercando di sentire e vedere senza farmi scorgere, e<br />
sentii un indistinto balbettio provenire dalla stanza. Il cortiletto<br />
sembrava deserto. Strinsi i denti e mi sporsi per guardare. Le porte<br />
del soggiorno di Caio erano semiaperte. Mi morsicai il labbro. Ma<br />
erano an<strong>che</strong> semichiuse, abbastanza, speravo, da coprire la nostra<br />
prossima mossa.<br />
Plauto mi guardava attentamente. Alzai verso di lui la mano con<br />
le dita aperte, e mossi le labbra: «Conto fino a cinque!». Annuì e<br />
cominciai a contare, piegando un dito a ogni secondo. «Cinque,<br />
quattro, tre, due, andiamo!» Insieme ci avvicinammo con<br />
circospezione alle porte davanti a noi, e poi sgusciammo contro il<br />
muro, ognuno dalla propria parte, muovendoci in fretta e in
silenzio, scivolando verso i battenti <strong>che</strong> ci nascondevano alle<br />
persone dentro la stanza. Quando mi appoggiai con la schiena<br />
contro il muro, i miei occhi fissi in quelli di Plauto, una voce arrivò<br />
chiaramente alle mie orecchie. <strong>La</strong> riconobbi con un brivido di orrore.<br />
An<strong>che</strong> Plauto la conosceva. Lo vidi da come alzò le sopracciglia.<br />
Claudio Cesario Seneca stava parlando.<br />
«...avrebbe voluto <strong>che</strong> mi occupassi del suo povero vecchio<br />
padre e del suo unico figlio, sapendo <strong>che</strong> è stato ferito in modo così<br />
grave. Vorrei poterti dire come mi sono disperato quando ho sentito<br />
la notizia. Claudio, mi sono detto, il tuo dovere è chiaro. Devi<br />
occuparti della famiglia, la povera afflitta famiglia del legato<br />
Britannico. È il figlio di un senatore, dopotutto. Date le tragi<strong>che</strong><br />
circostanze bisogna occuparsi della sua famiglia. Come si sentirà il<br />
suo nobile padre, mi sono chiesto? E la sua amata moglie? E, mi sono<br />
detto, se dovesse accadere <strong>che</strong> lo sfortunato legato venisse<br />
richiamato in Cielo da questa valle di lacrime prima di avere avuto<br />
la fortuna di ripagare i suoi debiti, sarebbe tuo diritto, Claudio<br />
Seneca, tuo piacere e tuo onore assicurarti <strong>che</strong> il suo molto lodato figlio<br />
primogenito, e unico erede, sia assolto da tutti i debiti del padre e<br />
riceva dalle tue mani gli onori e la ricompensa dovuti a suo padre.<br />
Perciò sono venuto qui a tutta velocità per ricordarvi <strong>che</strong> le vie del<br />
Signore sono grandi e misteriose.»<br />
Mi si rivoltò lo stomaco per il ribrezzo e la repulsione, ma non<br />
potevo muovermi. Caio gli rispose con voce calma e normale, quasi<br />
rilassata, an<strong>che</strong> se piena di disgusto.<br />
«Una volta ho sentito Publio Varro chiamarti tra le altre<br />
invettive miserabile pederasta, Seneca. Mi disgustavi allora e mi<br />
disgusti adesso, an<strong>che</strong> se penso <strong>che</strong> tu stia degenerando oltre ogni<br />
limite. <strong>La</strong> tua voce mi irrita i nervi. Puzza di quella inequivocabile<br />
femminilità <strong>che</strong> caratterizza il vero degenerato. Mi fa male sapere<br />
<strong>che</strong> sei un senatore di Roma. Risolviamo questa faccenda e<br />
facciamola finita. Io non sono un commediante. Sei venuto qui per
me, per vendicarti della sconfitta <strong>che</strong> hai subito per mano mia<br />
davanti a Flavio Stilicone. Così sia. Ma lascia liberi la donna e il<br />
bambino. Loro non ti hanno fatto del male, non sanno nean<strong>che</strong> chi<br />
sei.»<br />
«Adesso sì!» <strong>La</strong> voce di Seneca era stridula e stava ovviamente<br />
parlando ai suoi scagnozzi. «Ecco <strong>che</strong> parla la voce di Roma! Sentite<br />
quanta chiarezza? Che tono squillante? Questa è la voce <strong>che</strong> ha fatto<br />
grande Roma! <strong>La</strong> voce di Cicerone! Di Marco Antonio! Le colte note<br />
<strong>che</strong> hanno fatto dimenticare alle folle di odiare Cesare! Questa è la<br />
voce della Ragione! Adesso voi tutti dovete scusarmi, mentre io<br />
guardo nel profondo del mio cuore e ritrovo la mia umana bontà. E<br />
quando l'avrò fatto, ci faremo da parte e lasceremo andare questa<br />
povera vedova taciturna con il cuore spezzato e suo figlio, perché<br />
nutrano odio per noi nei loro cuori!» Il tono della sua voce cambiò<br />
di nuovo, bruscamente e radicalmente, e mi resi conto con un<br />
brivido, an<strong>che</strong> se lo sapevo fin dall'inizio, <strong>che</strong> stavo ascoltando i<br />
vaneggiamenti di un pazzo.<br />
«Publio Varro! Dov'è? L'ospite d'onore della nostra piccola<br />
riunione! Publio Varro? Qui? Mai! dici tu. Ma io, <strong>che</strong> so qualcosa<br />
della vostra vita in questa meschina Colonia, sono informato. I miei<br />
uomini me l'hanno riferito. Se il famoso Publio Varro non è alla villa,<br />
mi hanno detto, allora cercalo tra le ceneri della sua forgia, dove lo<br />
troverai <strong>che</strong> lavora, con la fronte maschia irrorata di sudore per le<br />
sue oneste fati<strong>che</strong>!»<br />
Seneca cadde in silenzio, e io fissai Plauto. Aveva un'espressione<br />
torva. Scosse la testa, in segno di diniego. Non ancora. Stavamo<br />
ascoltando i rantoli di un cane rabbioso, ma là dentro c'erano altri<br />
sette uomini <strong>che</strong> erano sani. Lentamente, senza osare quasi<br />
muovermi, misi un occhio alla fessura della porta.<br />
Caio era in piedi alla mia sinistra, la schiena contro il tavolo sul<br />
quale c'erano i suoi libri. Era trattenuto da due uomini, uno dei<br />
quali, quello più vicino a me, gli puntava un gladio alla gola. Enid
era inginocchiata in mezzo al pavimento, con la testa china, e mi<br />
voltava le spalle. An<strong>che</strong> lei era tenuta ferma da due uomini.<br />
All'estrema sinistra della mia ristretta visuale potevo vedere<br />
parzialmente un altro uomo in piedi vicino alla porta. Era in<br />
posizione di riposo, e ne dedussi <strong>che</strong> di fronte a lui, dove non potevo<br />
vedere, ci fosse un altro uomo.<br />
Claudio Seneca era seduto al tavolo di lavoro di Caio, ma poiché<br />
Enid e le sue guardie erano tra lui e me, di lui vedevo solo una<br />
gamba distesa e un sandalo. L'ottavo uomo era l'unico <strong>che</strong> potevo<br />
vedere chiaramente, e lo conoscevo. Non lo vedevo da oltre sedici<br />
anni, da quel primo scontro alla mansio, ma lo riconobbi<br />
immediatamente. Era il bel Ganimede dagli occhi truccati col<br />
carboncino. Era più vecchio e non più bello, e portava l'uniforme da<br />
tribuno militare, ma aveva ancora quel sogghigno petulante,<br />
femmineo. Era appoggiato con la schiena al muro più lontano, di<br />
fronte a me, con le braccia conserte, e i suoi occhi si muovevano<br />
incessantemente da Caio a Enid, a Seneca e di nuovo a Caio.<br />
Seneca taceva e nessun altro si sentiva costretto a parlare. Allora<br />
unì le gambe sotto al tavolo e si alzò, guardando direttamente verso<br />
di me. In un attimo di panico pensai <strong>che</strong> mi potesse vedere, dietro la<br />
porta, ma poi parlò all'uomo <strong>che</strong> avevo immaginato, con ragione,<br />
<strong>che</strong> fosse lì, fuori dalla mia visuale.<br />
<strong>La</strong> sua voce questa volta era normale, caratterizzata dal tono<br />
secco e professionale del soldato.<br />
«Tu, Mario e tu, Dedalo. Da qual<strong>che</strong> parte nella tenuta troverete<br />
una fucina. L'uomo <strong>che</strong> c'è dentro è Publio Varro. Portatemelo qui.»<br />
I due uomini si mossero, ma le sue parole successive li fermarono.<br />
«State a sentire! Non voglio <strong>che</strong> si allarmi né <strong>che</strong> gli sia fatto del<br />
male. Accertatevi <strong>che</strong> non abbia sospetti. Siate cordiali e cortesi.<br />
Salutatelo e ditegli <strong>che</strong> il legato Pico è arrivato a casa e <strong>che</strong> è qui alla<br />
villa con sua moglie e suo padre. Ditegli <strong>che</strong> il legato è ancora<br />
convalescente e vorrebbe vederlo. Non mi importa quello <strong>che</strong> gli
direte dopo, ma portatelo qui senza destare i suoi sospetti. Voglio<br />
vedere la sua faccia quando mi vedrà. Se mi deludete, ne<br />
risponderete. Adesso andate.»<br />
Sentii il rumore di due saluti, e poi i due uomini marciarono al<br />
passo verso le porte semiaperte. Plauto e io ci irrigidimmo, preparati<br />
a essere scoperti, ma i due uomini uscirono marciando senza<br />
guardare né a destra né a sinistra, e continuarono a camminare.<br />
Questo rendeva la situazione un po' migliore, an<strong>che</strong> se sarebbero<br />
tornati presto.<br />
Sentii il rumore di una zuffa e un altro grido, e scattai di nuovo<br />
alla fessura della porta. Seneca era andato verso la culla del bambino<br />
ed Enid doveva essersi mossa per bloccarlo. Adesso giaceva<br />
piangendo con la faccia a terra. Seneca la guardava, con le narici<br />
arricciate per il disgusto.<br />
«Mi sarebbe piaciuto un figlio, sai» disse, rivolto a nessuno in<br />
particolare. «Ma non potevo insozzare me stesso abbassandomi al<br />
sudiciume necessario per averne uno. Puah!» Rabbrividì.<br />
«Allontanate da me questa troia puzzolente. Liberatevi di lei.<br />
Chiudetele la bocca una volta per tutte. Non qui, stupido!»<br />
Quest'ultimo grido era rivolto a uno dei suoi uomini <strong>che</strong> aveva<br />
sollevato la spada. L'uomo esitò, chiedendosi cosa doveva fare,<br />
mentre Seneca, chino sulla culla del bambino, sembrava <strong>che</strong> stesse<br />
facendogli il solletico sotto il mento. Seneca parlò, senza più<br />
guardare né Enid né le sue guardie, usando quel tono di voce un po'<br />
stupido <strong>che</strong> la gente usa quando fa le moine a un bambino. «Non<br />
vogliamo il suo sudicio puzzolente sangue femminile su tutto il<br />
pavimento, non è vero? Portatela da qual<strong>che</strong> altra parte e fate quello<br />
<strong>che</strong> dovete. Ma assicuratevi <strong>che</strong> stia zitta.» Si raddrizzò e si girò per<br />
vederli in faccia, mentre la sua voce riprendeva un piglio<br />
professionale. «Potreste volerla violentare.» Respirò<br />
rumorosamente. «In quel caso, siate rapidi e tornate qui<br />
immediatamente. Ma fatela stare zitta e assicuratevi <strong>che</strong> sia morta.
Tiratela su!»<br />
Fecero alzare Enid, di lato rispetto al mio punto d'osservazione.<br />
Aveva le labbra spaccate e perdeva sangue dal naso. Seneca sguainò<br />
la spada e le tagliò i vestiti con fare schifato, mentre Caio lottava<br />
inutilmente contro i due uomini <strong>che</strong> lo tenevano prigioniero.<br />
Quando fu nuda, Seneca la guardò dalla testa ai piedi, con i<br />
lineamenti contorti per il disgusto. <strong>La</strong> sua bellezza era magnifica, ma<br />
per lui non aveva fascino.<br />
«Guardate!» I seni di Enid, pesanti di latte, stillavano qual<strong>che</strong><br />
goccia intorno ai capezzoli. Le stuzzicò un seno con la punta della<br />
spada, facendone uscire sangue, e si girò verso i suoi amici <strong>che</strong> erano<br />
sempre appoggiati al muro. «Una vacca!» disse. «Una grande, goffa,<br />
sporca vacca! Puah!» Rabbrividì per il ribrezzo, ed Enid gli sputò<br />
addosso. Seneca si girò verso di lei e le diede un pugno nello<br />
stomaco; Enid gridò per il dolore, e sarebbe caduta se non l'avessero<br />
tenuta stretta.<br />
"Figlio di puttana!" pensai. "Per questo solo morirai!"<br />
«Portate questa cagna fuori di qui. Offende la mia vista!»<br />
Quando i due uomini la trascinarono via io mi tirai indietro e<br />
guardai Plauto, <strong>che</strong> annuì, alzando due dita. Ci appiattimmo contro<br />
il muro e aspettammo. Enid era una ragazza alta e robusta e lottò<br />
molto, malgrado il dolore <strong>che</strong> provava. Ci volle parecchio perché gli<br />
uomini riuscissero a trascinarla alla porta. Sentii Seneca dire:<br />
«Chiudete quelle porte dietro di loro!» e sperai <strong>che</strong> an<strong>che</strong> Plauto<br />
avesse sentito e <strong>che</strong> avrebbe aspettato. I due arrivarono alla porta,<br />
entrambi occupati a concentrare forza e attenzione su Enid, <strong>che</strong> si<br />
divincolava come una pazza. Non appena ebbero lasciato la stanza,<br />
qualcuno chiuse la porta. Plauto e io balzammo<br />
contemporaneamente sui due uomini, <strong>che</strong> morirono all'istante,<br />
senza nemmeno rendersene conto. E morirono in silenzio, ma prima<br />
<strong>che</strong> potessimo adagiare a terra i loro corpi Enid cadde<br />
pesantemente, e i due uomini <strong>che</strong> erano andati a cercarmi tornarono
nell'atrio. A quel punto non aveva più senso rimanere in silenzio.<br />
<strong>La</strong>sciammo cadere i due cadaveri con un tonfo e una voce da dentro<br />
la stanza disse: «Che cosa succede?».<br />
«Vai da Caio. Penso io a questi due figli di puttana.» Plauto si<br />
era già messo in posizione e avanzava verso i due uomini. Enid<br />
giaceva immobile dove era caduta. Io mi lanciai verso la porta<br />
proprio nel momento in cui veniva spalancata, e calai Excalibur in<br />
un sibilante fendente sul primo uomo <strong>che</strong> l'attraversò. <strong>La</strong> punta gli<br />
penetrò nel collo senza incontrare resistenza. Spalancò gli occhi e la<br />
bocca per l'incredulità, e lo slancio lo fece precipitare contro di me.<br />
Lo schivai appoggiandomi alla gamba zoppa, seguii la direzione del<br />
fendente, e assestai un colpo di rovescio al secondo uomo <strong>che</strong> si<br />
trovava sulla soglia, <strong>che</strong> non aveva avuto il tempo di riprendersi<br />
dalla sorpresa. Fu di nuovo la punta, gli ultimi sei pollici della lama,<br />
a colpirlo. Era ancora a circa sette piedi da me e aveva appena<br />
estratto il gladio, con il braccio piegato in avanti nella posizione di<br />
attacco. <strong>La</strong> lama lo colpì al polso, tagliandogli la mano di netto<br />
prima di battere contro il suo elmo. Da dietro le mie spalle arrivava<br />
il cozzare di spade di Plauto <strong>che</strong> lottava con gli altri due. Mi lanciai<br />
nello studio, conficcando il pugnale di pietra celeste sotto il braccio<br />
ancora alzato dell'uomo senza mano, e strappandoglielo dalla carne<br />
nello slancio.<br />
<strong>La</strong> scena <strong>che</strong> mi si parò davanti è ancora incastonata nella mia<br />
mente come il ricordo di un mosaico. Seneca era in piedi vicino alla<br />
culla, pietrificato per la costernazione, gli occhi e la bocca spalancati<br />
nella collera e nella sorpresa, le mani levate, e le dita puntate contro<br />
di me. Caio si era lanciato in una corsa incespicante, non so se per<br />
attaccare Seneca o per cercare di salvare il bambino. L'efebo, come lo<br />
chiamavo io, balzò verso Caio per intercettarlo, con un pugnale nella<br />
destra e la sinistra tesa ad afferrare Caio. Mentre coglievo tutti questi<br />
dettagli i due uomini si scontrarono e il peso del più giovane<br />
trascinò Caio all'indietro, facendogli perdere l'equilibrio. L'efebo,<br />
dunque, era più forte di quello <strong>che</strong> pensavo. Chiuse il braccio
sinistro a uncino intorno al collo di Caio, e lo tenne stretto fino a <strong>che</strong><br />
sbatterono insieme contro il muro. Prima <strong>che</strong> potessi reagire, l'efebo<br />
aveva immobilizzato Caio di fronte a sé, e mentre Caio si inarcava<br />
per contrastare la pressione <strong>che</strong> lo strangolava, gli premeva la punta<br />
del pugnale contro il collo, sotto l'orecchio.<br />
Esitai e persi l'iniziativa. Sentii il fruscio della spada di Seneca<br />
uscire sibilando dal fodero. <strong>La</strong> sua voce riempì la stanza: «Uccidi il<br />
vecchio!». Allora Caio mi diede un'altra possibilità. Tirò su le<br />
ginocchia e con tutto il suo peso trascinò l'aguzzino in avanti,<br />
lontano dal muro. Mentre l'efebo incespicava verso di me perdendo<br />
l'equilibrio, io mi buttai su di lui, roteando in alto la mia nuova<br />
spada e abbattendola come un'ascia sulla sua schiena. Lo presi tra le<br />
spalle, tagliando di netto la corazza di pelle, e la spada rimase<br />
impigliata per qual<strong>che</strong> secondo nella corazza.<br />
Vidi un lampo bianco e diedi uno strattone per liberare la spada,<br />
ruotando nello stesso tempo verso il movimento <strong>che</strong> avevo<br />
intravisto. Seneca aveva afferrato il bambino per le fasce ed Enid,<br />
nuda e bellissima, si stava buttando su di lui. I loro corpi si<br />
incontrarono e mi si torsero le viscere quando vidi la lama di Seneca<br />
vibrare un colpo verso l'alto. Enid ebbe un fremito convulso, tutto il<br />
suo corpo parve rannicchiarsi intorno al punto dell'impatto, poi<br />
Seneca la spinse via con violenza e rimase li in piedi, come un<br />
demone salito dall'Ade, con la lama sporca di sangue in una mano e<br />
nell'altra il bambino piangente, bagnato del sangue di sua madre.<br />
Enid cadde pesantemente sulla schiena, stringendosi con le<br />
braccia il ventre insanguinato, e agitò convulsamente le gambe.<br />
Poco distante, senza <strong>che</strong> quasi lo notassi, l'efebo cominciò a<br />
trascinarsi lontano dal corpo raggomitolato di Caio.<br />
«Stai lontano!» Gli occhi di Seneca brillavano di quella intensità<br />
malata e vacua <strong>che</strong> conoscevo bene. «Indietro! Stai indietro o questo<br />
marmocchio muore!»<br />
«Se il bambino muore, tu ci metterai dei mesi a morire, Seneca,
te lo giuro sul sangue di sua madre.»<br />
«Allora salvalo! Salva il piccolo bastardo!» Levò in aria il<br />
bambino, urlante e rosso in volto, e lo fece dondolare. L'altra mano<br />
premeva la spada insanguinata contro la pancia del bambino.<br />
«Salvalo, Varro, figlio di una puttana imbellettata! Butta a terra<br />
quella cosa. Quella spada. Qui, da me. Buttala!» Gridava al massimo<br />
della sua voce e io ero terrorizzato all'idea <strong>che</strong> malgrado tutto<br />
avrebbe ucciso il bambino.<br />
Non avevo scelta. Guardai il corpo di Enid, ora immobile e<br />
assurdo nella stranezza della morte. Guardai Caio e vidi il sangue<br />
uscirgli lentamente dal collo intorno all'impugnatura della lama<br />
dell'efebo. L'efebo era a circa due passi da me, e si trascinava a fatica<br />
sul pavimento piastrellato. Pensai a tutto il sangue e a tutta quella<br />
carneficina, alla miseria e alla pena <strong>che</strong> erano derivati da quel giorno<br />
di tanti anni prima e la collera e il dolore mi sopraffecero. <strong>La</strong> mia<br />
cara amica Febe era morta per questo, e óra Enid e Caio. Tutti<br />
innocenti. Voltai la schiena a Seneca e sollevai alta la mia nuova<br />
spada. Il pugnale di pietra celeste mi cadde ai piedi mentre afferravo<br />
l'elsa con due mani e premevo la sua punta, come una lancia,<br />
attraverso le spalle dell'efebo e dentro il suo cuore malvagio.<br />
«Varro!» <strong>La</strong> voce era un urlo di follia. «Ti ho dato un ordine!<br />
Non mi hai sentito? Ti ho dato un ordine!»<br />
Girai la testa lentamente, incredulo, lo guardai e vedendolo<br />
chiusi gli occhi.<br />
«Quella cosa! Quella spada! <strong>La</strong> voglio qui. Adesso!» Afferrai<br />
saldamente l'elsa e cominciai a muoverla lentamente avanti e<br />
indietro per estrarla dal cadavere e poi gliela tirai, senza più<br />
preoccuparmi. Il bambino doveva vivere. Se gliela consegnavo,<br />
nemmeno un demente come lui avrebbe ucciso un bambino... <strong>La</strong><br />
spada risuonò con forza sul pavimento di marmo e si fermò ai suoi<br />
piedi. Tenendo ancora in alto il bambino, Seneca allungò un piede e<br />
la spinse lontano, dietro di sé.
«E adesso giù. In ginocchio, maiale zoppo!» Sentivo tutti i miei<br />
cinquantasette anni e sentivo il mio spirito arrendersi dentro di me.<br />
Una debole voce, chiara e stupita nella mia mente, mi diceva <strong>che</strong><br />
non c'era mai stato tanto sangue in una stanza. C'era sangue<br />
ovunque, e non era mio, né di Seneca, ma di tutti gli altri. Perfino il<br />
bambino sanguinava, nel punto in cui la lama di Seneca gli aveva<br />
sfiorato la piccola guancia. Vedevo il sangue di Caio e il sangue di<br />
Enid, il sangue dell'efebo e il sangue degli altri uomini <strong>che</strong> avevo<br />
ammazzato. Sapevo <strong>che</strong> ben presto ormai avrei visto an<strong>che</strong> il mio<br />
sangue, perché avevo perso la volontà di lottare. Volevo <strong>che</strong> finisse.<br />
I miei occhi si riempirono di lacrime e singhiozzai ad alta voce,<br />
preoccupandomi non perché ero stato sconfitto, ma perché avrebbe<br />
ammazzato il bambino. Caddi in ginocchio. Avevo perso il senso del<br />
tempo e del luogo, e avevo smarrito la ragione. E poi vidi Seneca<br />
raddrizzarsi ancora di più e fare un passo indietro.<br />
«Via!» urlò. «Indietro, o ammazzo il marmocchio!»<br />
Stupito mi guardai intorno e vidi Plauto nella cornice della<br />
porta, e la ragione mi tornò all'istante. Appoggiai una mano sul<br />
pavimento insanguinato e mi rialzai.<br />
Plauto reggeva ancora la spada lunga nella mano destra. <strong>La</strong><br />
sinistra era stretta intorno all'elsa di un gladio <strong>che</strong> gli usciva dal<br />
petto. Era pallido come la morte e gli occhi sembravano bruciare<br />
nelle orbite infossate. Camminava come un ubriaco, un lento,<br />
esitante passo dopo l'altro. C'era la morte sulla sua faccia, la morte<br />
per Claudio Seneca. Seneca fece un passo di lato, allontanandosi da<br />
lui come un granchio, urlando <strong>che</strong> avrebbe ammazzato il bambino.<br />
Plauto si fermò. «Fai pure» disse con voce fievole, ma distinta.<br />
«Non è mio. Non mi interessa. Tutto quello <strong>che</strong> voglio è ammazzare<br />
te, vomito fetente.»<br />
Vidi ai miei piedi il pugnale di pietra celeste; vidi Plauto fare un<br />
altro passo barcollante; e poi vidi Caio muoversi, proprio mentre<br />
Plauto cadeva sulle ginocchia, sputando sangue dalla bocca.
Seneca, incredibilmente, si mise a ridere, una risata acuta,<br />
inarticolata, <strong>che</strong> mi raggelò. Fece altri due passi lontano da Plauto,<br />
sempre tenendo il bambino e la spada alti sopra la testa, e poi li<br />
scosse entrambi, guardando Plauto <strong>che</strong> cercava di rimettersi in<br />
piedi. Il calcagno destro di Seneca arretrò andando a picchiare<br />
nell'angolo formato dalla guardia di Excalibur. Seneca guardò in<br />
fretta, vide di cosa si trattava e la allontanò di nuovo con un calcio.<br />
<strong>La</strong> spada scivolò sul pavimento di marmo e si fermò davanti agli<br />
occhi spalancati di Caio Britannico.<br />
Barcollando, Plauto incredibilmente si rialzò e mosse un passo<br />
incerto, implacabile, verso Seneca. Io mi chinai e ripresi il mio<br />
pugnale. Seneca, <strong>che</strong> piagnucolava come un bambino, fece un altro<br />
passo indietro e si alzò in punta di piedi, tendendosi verso l'alto, con<br />
gli occhi <strong>che</strong> passavano da uno all'altro di noi.<br />
Caio Britannico, dal pavimento su cui era disteso, chissà come<br />
sferrò un colpo con Excalibur. <strong>La</strong> lama si infilò di taglio dietro le<br />
ginocchia scoperte di Seneca, recidendo i tendini tesi, togliendogli<br />
immediatamente la forza e facendolo cadere all'indietro, con le sue<br />
spalle a terra. Il piccolo Merlino atterrò sul nonno morente. Seneca<br />
urlò come una donna, contorcendosi freneticamente, cercando di<br />
rialzarsi, ma era azzoppato peggio di me. Le urla del bambino erano<br />
flebili rispetto alle sue.<br />
Mi diressi verso di lui e mi sembrò <strong>che</strong> ci volessero ore per<br />
raggiungerlo. Seneca mosse a tentoni verso me le dita a uncino,<br />
urlando e sputando. Afferrai l'impugnatura della spada e la liberai<br />
dalla piega delle sue gambe. Caio giaceva dietro a Seneca, con il<br />
nipotino urlante stretto al petto, protetto dal suo braccio sinistro. Il<br />
sangue aveva cessato di uscire dalla ferita sul collo. Era molto<br />
tranquillo. Lo guardai in volto, così pallido, e il tempo si mise a<br />
scorrere ancora più adagio; flettei le dita intorno all'impugnatura<br />
della grande spada.<br />
Alzai Excalibur sopra la testa e la abbassai con tutta la mia forza,
staccando dal corpo la testa di Cesario Claudio Seneca. Plauto disse:<br />
«Bravo!» con la voce soffocata dal sangue, e sentii un ultimo<br />
schianto alle mie spalle. Non ebbi bisogno di voltarmi per sapere <strong>che</strong><br />
era caduto in avanti, sull'impugnatura della spada <strong>che</strong> gli usciva dal<br />
petto.<br />
Lentamente attraversai la stanza verso il mucchio di indumenti<br />
<strong>che</strong> erano stati di Enid, e li drappeggiai sul suo corpo nudo e<br />
devastato, poi presi il mio nipotino e lo portai via da quella<br />
carneficina.<br />
Il bambino si quietò quando uscimmo nel calore e nella luce del<br />
pomeriggio.<br />
Lo stringevo nell'incavo del braccio sinistro, come lo aveva<br />
stretto suo nonno Caio prima di morire, e nella destra stringevo<br />
Excalibur. In lontananza sentivo i rumori di una battaglia, ma non<br />
me ne preoccupai. Un'allodola <strong>canta</strong>va nel cielo e un merlo trillava<br />
vicino a me. Sentii chiamare il mio nome e sentii gli zoccoli dei<br />
cavalli venire verso di me al galoppo, ma non me ne curai. <strong>La</strong> forgia<br />
sarebbe stata quieta e sicura per il bambino, e sarebbe stata buia e<br />
calda. Era tutto ciò <strong>che</strong> mi importava.<br />
Anch'io dovevo trovare un posto buio, sicuro, abbastanza buio<br />
per nascondermi dagli orrori <strong>che</strong> mi straziavano la mente.
Epilogo: estate, 402 d.C.<br />
Ullic mi batté una mano sulla spalla, poi si alzò dalla seggiola e<br />
uscì nel chiarore della calda giornata, lasciando il pesante elmo da<br />
cerimonia sul bancone. Mi venne in mente di richiamarlo, ma pensai<br />
<strong>che</strong>, pur essendo un elmo con un'aquila, non sarebbe volato via, e<br />
Ullic avrebbe potuto tornare in seguito a riprenderselo. Sorrisi a<br />
quel pensiero e allungai la mano a prendere il vasetto di olio per<br />
lucidare, ma nel movimento le mie dita urtarono il bordo, e il<br />
vasetto si capovolse versando il contenuto sul bancone. <strong>La</strong>nciai<br />
un'imprecazione e mi accinsi frettolosamente a spostare gli oggetti<br />
minacciati dall'olio versato; quando la mia mano si chiuse sul rotolo<br />
di pergamena rimasto lì per mesi sul bancone, una fitta di dolore mi<br />
trapassò come una lancia al ricordo. Rimasi pietrificato per qual<strong>che</strong><br />
istante, stringendo la pergamena, poi mi sedetti lasciando <strong>che</strong> l'olio<br />
versato andasse dove voleva. Srotolai la pergamena per la seconda<br />
volta da quando l'avevo ricevuta.<br />
«Padre, salve.<br />
Ti sei rivelato profetico. Stilicone mi ha richiamato a Roma. Il re<br />
barbaro Alarico - quanto diverso dal nostro caro amico! - e i suoi<br />
Visigoti sono pronti per attaccare la madrepatria! Ho fatto in fretta i<br />
miei preparativi, perché mi devo muovere con tutta la velocità<br />
possibile. L'ordine di Stilicone è perentorio. "Vieni subito" mi dice.<br />
"Porta i tuoi uomini e lasciati indietro tutto il resto." In questo caso<br />
significa i cavalli, visto <strong>che</strong> non ho modo di portare per mare tutti i<br />
miei animali con un così breve preavviso. L'incarico affidatoti da<br />
Stilicone ti autorizza a prendere quello <strong>che</strong> non posso portare via<br />
con me.<br />
Ho inviato ordine ai depositi di Glevum, Durovernum e<br />
Londinium di aspettare i tuoi uomini, <strong>che</strong> verranno a prendere i
cavalli <strong>che</strong> ti ho lasciato. In tutto ci saranno seicentottanta cavalli.<br />
Prendili subito. Io parto di fretta, ma molti altri mi seguiranno. So<br />
<strong>che</strong> farai buon uso dei cavalli. Un giorno tornerò a prenderli.<br />
Mi affido a te affinché tu usi la tua capacità di spiegazione e<br />
persuasione con Enid. Ho cercato di scriverle, ma sono incapace di<br />
dirle le parole <strong>che</strong> dovrei. Le mie ferite sono guarite, ma mi hanno<br />
lasciato sfigurato e senza la parola, così <strong>che</strong> ora ha il peso di un<br />
marito brutto oltre <strong>che</strong> assente. Spiegale, se puoi, <strong>che</strong> queste due<br />
cose si annullano a vicenda. Un giorno tornerò. Il mio affetto a<br />
Publio Varro e alla sua famiglia. Abbi cura di mia moglie e di mio<br />
figlio mentre sono lontano.<br />
Addio<br />
Pico<br />
Postscriptum: Non ho più saputo niente di Seneca da quando<br />
sono stato ferito. Deve essere morto combattendo al nord. Spero <strong>che</strong><br />
sia così. Se è ancora vivo, però, partirà con me agli ordini di<br />
Stilicone.»<br />
Ancora adesso, dopo molti mesi, quelle parole avevano il potere<br />
di ferirmi.<br />
Il soldato <strong>che</strong> aveva portato la missiva mi aveva disturbato sul<br />
lavoro. Luceia lo aveva mandato da me con il messaggio e io lo<br />
avevo letto e avevo indirizzato l'uomo alle cucine del forte,<br />
pensando <strong>che</strong> dovesse ripartire subito. Ma lui si era scusato e mi<br />
aveva detto di chiamarsi Gwynn e <strong>che</strong> era stato capo delle scuderie<br />
di Pico in Britannia. Pico lo aveva lasciato a terra perché lavorasse<br />
con Vittore, <strong>che</strong> ormai era molto vecchio. Sorpreso e ancora<br />
sconvolto per aver ricevuto quella lettera, gli avevo dato il<br />
benvenuto nella nostra Colonia, e non avevo capito il suo sguardo di<br />
incomprensione quando l'avevo chiamata così. Dapprima avevo<br />
pensato di dargli delle spiegazioni, ma in quel momento non ne
avevo la pazienza. Gli dissi <strong>che</strong> avrebbe saputo in seguito tutta la<br />
storia.<br />
Aveva sorriso e mi aveva fatto un rapido saluto, dicendo <strong>che</strong><br />
certamente sarebbe stato così, e io ero rimasto lì e l'avevo guardato<br />
allontanarsi a passo di marcia, pensando <strong>che</strong> sembrava<br />
incredibilmente giovane per essersi già ritirato come Capo delle<br />
Scuderie degli Eserciti Imperiali della Britannia, e pensando an<strong>che</strong><br />
<strong>che</strong> la storia <strong>che</strong> dovevo raccontargli non era poi così lunga.<br />
Caio Britannico, il fondatore della Colonia, era nato nella più<br />
vecchia città romana della Britannia, una città costruita su un<br />
insediamento onorato da secoli come casa di Lod, dio della guerra<br />
dei trinovanti dell'est. Nel corso di quattrocento anni gli uomini<br />
avevano cambiato il nome della città in Col<strong>che</strong>ster, <strong>che</strong> significa il<br />
forte sulla collina, ma Caio l'aveva sempre chiamata con il suo vero<br />
nome, il suo nome antico, Camulodunum, deplorando come sempre<br />
il modo in cui la gente cambiava le cose per il gusto di cambiarle,<br />
senza pensare alla tradizione o al loro valore ancestrale.<br />
Qui, nel suo amato ovest, su un'altra collina, aveva costruito un<br />
altro forte, senza nome. Era il suo mausoleo e si ergeva sopra la sua<br />
tomba. <strong>La</strong> sorella, mia moglie Luceia, gli aveva dato un nome in suo<br />
onore, ricordando le sue parole. «Non uno dei vostri scioglilingua<br />
celtici» aveva detto. «Dategli un nuovo nome, a questo forte sulla<br />
collina, un nome britannico, né romano né celtico. Non<br />
Camulodunum, ma un nome di questa terra. E fate <strong>che</strong> sia un nome<br />
semplice, un nome <strong>che</strong> gli uomini possano ascoltare e conoscere e<br />
ricordare.»<br />
Lo chiamammo Camulod, in onore di Caio Britannico, l'ultimo<br />
delle grandi Aquile Romane della Britannia. Quando saremo morti e<br />
dimenticati la gente potrà fare come vorrà.<br />
<strong>La</strong>sciai andare il rotolo <strong>che</strong> si riavvolse con il fruscio della<br />
pergamena e mi chiesi se avrei mai rivisto Pico Britannico. Poi sentii<br />
la levigatezza del legno sotto il polpastrello del pollice e abbassai lo
sguardo sulla superficie della cassetta <strong>che</strong> avevo perso tanto tempo<br />
a fabbricare. Non ero un artigiano del legno per vocazione, ma non<br />
avevo avuto altra scelta <strong>che</strong> fare io stesso la custodia, usando come<br />
modello quella molto più piccola lasciatami da mio nonno parecchi<br />
anni prima per conservare il pugnale di pietra celeste. Questa<br />
custodia era di quercia levigata e lucidata, e sulla superficie<br />
splendente del coperchio c'era una stella cometa d'argento con la<br />
coda d'oro. <strong>La</strong> sollevai e la portai nel retro della forgia; la aprii e feci<br />
scorrere la mano sulla pelle di daino <strong>che</strong> foderava l'interno. Sarebbe<br />
andata bene.<br />
<strong>La</strong> spada era dove l'avevo lasciata, avvolta in un panno di seta.<br />
Luceia mi avrebbe ammazzato se avesse saputo <strong>che</strong> avevo preso<br />
quel panno. Aprii l'involto e sollevai l'arma <strong>che</strong> la seta aveva<br />
accarezzato. Excalibur! Era il nome giusto per lei. Un lampo tremolò<br />
lungo la lama lucente e scintillò sul filo finemente temprato, <strong>che</strong><br />
recava segni simili a ombreggiature, increspature di acqua chiara.<br />
Era l'opera della mia vita: quell'unica spada, unica dalla punta della<br />
lama al pomolo a conchiglia, una spada adatta a essere portata da un<br />
re, un re i cui giorni sarebbero venuti quando io fossi stato polvere<br />
dimenticata da tempo. Chiunque fosse stato quel re, avrebbe avuto<br />
una spada su cui contare, e finché Excalibur fosse esistita io non<br />
sarei stato veramente dimenticato. <strong>La</strong> sollevai, ammirando il gioco<br />
della luce sull'ampia grande guardia e apprezzando la solida<br />
struttura dell'impugnatura su cui era avvolta la pelle della pancia di<br />
un enorme pescecane. Caio Britannico non aveva avuto<br />
l'opportunità di ammirare la meraviglia nata dalla sua Signora del<br />
<strong>La</strong>go. Una volta l'aveva impugnata, prima <strong>che</strong> l'elsa venisse<br />
ricoperta con la pelle di squalo, eppure non era scivolata dalla sua<br />
mano insanguinata. <strong>La</strong> misi con cura nella custodia, nell'incavo<br />
foderato di pelle di daino così precisamente foggiato per la sua<br />
misura, e chiusi il coperchio.<br />
Il grande elmo da cerimonia di Ullic era sempre sul bancone; lo<br />
sollevai e lo tenni all'altezza degli occhi, guardando negli occhi
dorati e ancora fieri dell'aquila sopra al becco massiccio di uccello da<br />
preda. Il mio interesse professionale si risvegliò brevemente, e mi<br />
chiesi in <strong>che</strong> modo l'artista fosse riuscito a infondere tanta vita in<br />
quel gigantesco uccello; ma quella futile domanda si dissolse, e vidi<br />
Caio <strong>che</strong> mi guardava, quel giorno di quasi cinquantanni prima,<br />
quando mi aveva trovato paralizzato in mezzo a un mucchio di<br />
cadaveri. Un groppo mi chiuse la gola e borbottando mi ficcai l'elmo<br />
in testa. Caricai in spalla la cassetta <strong>che</strong> custodiva Excalibur e mi<br />
diressi verso casa, a cercare mia moglie, la mia amata moglie <strong>che</strong><br />
avrebbe potuto esserci o non esserci, a seconda del programma<br />
sempre più intenso di riunioni del Consiglio delle Donne, e il resto<br />
della mia famiglia e gli eredi del nostro sogno, i nipoti miei e del mio<br />
migliore amico.<br />
Mi chiesi chi dei due bambini avrebbe brandito quella spada<br />
negli anni a venire. Sarebbe stato Uther, già litigioso a sei mesi e<br />
fiero della bellezza da gazza di sua madre o sarebbe stato il suo<br />
gentile cugino Merlino, il Britannico dai capelli d'oro? Quel dibattito<br />
mi procurò piacere e mi ritrovai a fischiettare per la prima volta da<br />
mesi mentre camminavo nel sole estivo.<br />
Equo stava venendo verso di me, immerso in conversazione con<br />
Giuseppe, il giovane apprendista <strong>che</strong> adesso era il nostro artigiano<br />
migliore. E allora vidi ciò <strong>che</strong> non avevo notato prima, <strong>che</strong> Giuseppe<br />
era ormai un uomo adulto, e sorrisi, riconoscendo una volta per<br />
tutte <strong>che</strong> il mondo apparteneva ai giovani <strong>che</strong> stavano crescendo, e<br />
<strong>che</strong> il mio compito ormai era quasi assolto.
Ranghi e titoli<br />
Nota dell'autore<br />
Nella Nota dell'autore in appendice a <strong>La</strong> pietra del cielo, il primo<br />
libro del ciclo di Le crona<strong>che</strong> di Camelot, ho incluso alcune annotazioni<br />
sulla composizione dell'esercito romano, le legioni dell'antica Roma.<br />
Non le ho riportate qui perché, nell'epoca in cui ebbero luogo gli<br />
eventi raccontati in questo secondo libro, l'influenza delle legioni era<br />
in decadenza, ed esse non ebbero più un ruolo significativo nella<br />
storia successiva. Alcuni termini rimangono comunque da quelle<br />
radici e sono facili da spiegare.<br />
<strong>La</strong> coorte era la formazione operativa principale di una legione,<br />
come oggi lo è la compagnia in un reggimento, e l'ufficiale anziano<br />
di ogni coorte era conosciuto come il pilus prior, la lancia di testa. Il<br />
titolo di Prima <strong>La</strong>ncia, primus pilus, era detenuto dall'ufficiale anziano<br />
dell'intera legione, vale a dire del reggimento a cui le coorti<br />
appartenevano. L'ufficiale <strong>che</strong> comandava una legione era il legatus e<br />
io ho usato questo termine in modo intercambiabile con il titolo<br />
generale, perché questo è quello <strong>che</strong> significava. A volte un generale<br />
<strong>che</strong> aveva ottenuto un trionfo ed era molto popolare era acclamato<br />
dalle truppe vittoriose col titolo di imperator. Imperator significa<br />
imperatore e alla fine del IV secolo d.C, quando i giorni di Roma<br />
erano ormai contati, molti imperatori - la maggior parte di breve<br />
durata - furono acclamati in questo modo.<br />
I titoli moderni conte e duca derivano direttamente dai titoli<br />
romani e dagli incarichi di comes e dux, entrambi popolari negli ultimi<br />
tempi dell'Impero romano, ma il rango dell'esercito romano più<br />
conosciuto oggi (grazie an<strong>che</strong> ai film storici di Hollywood) è<br />
probabilmente quello di tribuno. Ogni legione aveva sei tribuni <strong>che</strong><br />
equivalevano agli odierni ufficiali di stato maggiore: colonnelli e<br />
maggiori. <strong>La</strong> corte marziale romana, con la sua giuria di tribuni, ha
dato il nome al nostro tribunale.<br />
<strong>La</strong> cavalleria romana<br />
Alla fine del n secolo d.C. la cavalleria aveva un ruolo<br />
importante nella tattica romana legionaria e in molte azioni militari<br />
rappresentava fino a un quinto delle forze complessive.<br />
Ciononostante, fino alla svolta del V secolo, la cavalleria fu l'anello<br />
più debole dell'armata.<br />
I Romani non furono mai dei grandi cavalieri e la cavalleria<br />
romana era di rado veramente romana. Preferivano lasciare la<br />
gestione della cavalleria alle nazioni alleate e suddite, perciò la<br />
storia racconta della magnifica cavalleria mista dei Germani, <strong>che</strong><br />
Giulio Cesare ammirava e <strong>che</strong> aveva originato le cohortes equitates, le<br />
coorti miste di fanteria e cavalleria in uso nei secoli I, II e in d.C. Gli<br />
scrittori latini menzionano con ammirazione an<strong>che</strong> la meravigliosa<br />
cavalleria leggera nordafricana, <strong>che</strong> cavalcava senza briglie.<br />
Fondamentalmente, con pochissime eccezioni, i cavalieri<br />
venivano utilizzati solo come truppe leggere per scaramucce; in<br />
prevalenza erano arcieri a cavallo i cui compiti erano il<br />
pattugliamento e l'avanscoperta, e la costituzione di uno s<strong>che</strong>rmo<br />
mobile difensivo mentre le legioni si schieravano in ordine di<br />
battaglia.<br />
<strong>La</strong> cavalleria romana del primo e medio periodo imperiale era<br />
organizzata in alae, unità di 500-1000 uomini, divisi in squadroni o<br />
turmae di 30 o 40 cavalieri al comando di decurioni.<br />
Sappiamo <strong>che</strong> i Romani usavano una specie di sella con quattro<br />
corni per appendervi il bagaglio, ma non conoscevano le staffe,<br />
an<strong>che</strong> se usavano gli speroni. Adoperavano an<strong>che</strong> ferri di cavallo e<br />
morsi snodati, e alcuni dei loro cavalli, detti cataphracti, portavano<br />
coperte corazzate di scaglie di bronzo, an<strong>che</strong> se ci sono po<strong>che</strong> prove<br />
<strong>che</strong> questa forma di armatura o di cavalleria armata fosse usata su
ampia scala.<br />
Fino al V secolo e alle conseguenze della battaglia di<br />
Adrianopoli, sembra <strong>che</strong> non fosse stato fatto nessun tentativo di<br />
studiare le tecni<strong>che</strong> della cavalleria pesante usate nel IV secolo a.C.<br />
da Filippo di Macedonia e dal figlio Alessandro Magno. Fu questa<br />
rinascita, legata all'arrivo in Europa delle staffe, nel V secolo d.C, a<br />
cambiare per sempre quella forma di guerra. In termini di impatto<br />
militare il significato dell'aggiunta delle staffe alla sella fu<br />
probabilmente più grande dell'invenzione del carro armato.<br />
I primi cristiani e il loro Cristo<br />
Noi usiamo oggi il nome Gesù Cristo come se le due parole<br />
fossero il nome e il cognome, ma questo è un uso relativamente<br />
recente. Per i cristiani dell'Impero romano del IV e V secolo, Gesù<br />
era Gesù, Cristo, Gesù il Cristo, perché Cristo significa il Salvatore, il<br />
Redentore. L'articolo determinativo era compreso nel nome. Per<br />
questa ragione il simbolo riportato qui sotto, noto come il<br />
monogramma Chi-Rho, era in uso a quell'epoca come il simbolo<br />
dell'appartenenza cristiana<br />
Le lettere gre<strong>che</strong> chi (X) e rho (P) unite in un monogramma<br />
esattamente come si ritrovano oggi sui paramenti liturgici cristiani,<br />
erano le due prime lettere della parola Christus e il Chi-Rho aveva<br />
allora sostituito il simbolo del pesce, la parola d'ordine dei primi<br />
cristiani perseguitati.