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La Spada che canta

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JACK WHYTE<br />

Le crona<strong>che</strong> di Camelot<br />

LA SPADA<br />

CHE CANTA<br />

The Singing Sword<br />

Traduzione di<br />

SUSANNA BINI


L'Impero Romano è ormai avviato verso la sua fine e la<br />

Britannia sta per inabissarsi nella lunga notte dei secoli bui.<br />

Barbari venuti dalle fredde terre del Nord invadono l'isola<br />

con inaudita ferocia. Nel drammatico affresco <strong>che</strong> va<br />

dipingendosi, Publio Varrò e sua moglie Luceia, insieme<br />

all'amico Caio Britannico, si battono per costruire un ultimo<br />

baluardo di legge e civiltà di fronte al buio <strong>che</strong> avanza. Ma il<br />

sacrificio cui si sono votati non sarà stato vano poiché un<br />

giorno, molti anni dopo la loro morte, il rozzo fortino difeso<br />

a costo della loro stessa vita diverrà la leggendaria reggia di<br />

Camelot. E come una spada si forgia nel fuoco, così nel<br />

sangue e nella violenza, nel ferro e nella passione si va<br />

plasmando la Britannia di Artù, di Merlino e dei mitici<br />

Cavalieri della Tavola Rotonda.<br />

www.edizpiemme.it


Jack Whyte è poeta, regista cinematografico e romanziere.<br />

Nato in Scozia, vive da molti anni in Canada. Ha raggiunto<br />

uno straordinario successo con Le Crona<strong>che</strong> di Camelot,<br />

ormai considerate un bestseller in tutto il mondo. A questo<br />

ciclo appartengono an<strong>che</strong> i titoli <strong>La</strong> pietra del cielo, <strong>La</strong> stirpe<br />

dell'aquila, Il sogno di Merlino, Il forte sul fiume, Il segno di<br />

Excalihur, Le porte di Camelot e <strong>La</strong> donna di Avalon.<br />

L'autore sta lavorando a una nuova appassionante serie,<br />

presto in uscita an<strong>che</strong> in Italia.<br />

Della serie Le Crona<strong>che</strong> di Camelot hanno detto:<br />

«Una storia semplicemente straordinaria.»<br />

Rosamunde Pil<strong>che</strong>r<br />

«Uno splendido mix di realtà storica e leggenda.»<br />

<strong>La</strong> Stampa<br />

In sovraccoperta: Illustrazione di Silvia Fusetti


VOLUME 016


Titolo originale dell’opera: The Singing Sword<br />

© 1996, by Jack Whyte<br />

© 2005 – Edizioni Piemme Economica<br />

© 1999 – EDIZIONI PIEMME Spa<br />

15033 Casale Monferrato (AL) – Via del Carmine, 5<br />

Tel. 0142/3361 – Fax 0142/74223<br />

www.edizionipiemme.it<br />

Stampa Mondadori Printing Spa – Stabilimento NSM – Cles (TN)


A Beverley,<br />

la mia Jean Armour.


Nota introduttiva<br />

<strong>La</strong> spada <strong>che</strong> <strong>canta</strong> è un romanzo, ma la cornice storica nella quale<br />

si svolge è assolutamente reale e i principali fatti politici in esso<br />

descritti sono realmente accaduti. Oggi, <strong>che</strong> ci avviciniamo alla<br />

svolta di un nuovo secolo, pochi di noi sono in grado di<br />

comprendere ciò <strong>che</strong> accadde al momento della nascita del nostro<br />

secolo. <strong>La</strong> storia raccontata nella <strong>Spada</strong> <strong>che</strong> <strong>canta</strong> si colloca alla svolta<br />

del V secolo - vale a dire quindici secoli fa - e la maggior parte di noi<br />

non ha idea di come fosse la vita a quei tempi.<br />

Alcune circostanze, fatti, parole ed espressioni nella narrazione<br />

saranno poco familiari ai lettori moderni. Come autore avrei potuto<br />

cambiarle o "modernizzarle" tutte, ma ho preferito conservarle,<br />

nell'interesse dell'autenticità. Le misure, per esempio, non erano<br />

precise come quelle attuali: secondi e minuti, centimetri e metri<br />

erano sconosciuti ai Romani. Essi parlavano in termini di battiti del<br />

cuore e di attimi, di palmi e di passi. Un miglio romano, per<br />

esempio, era formato da mille passi, poco meno di un chilometro di<br />

oggi.<br />

Per comodità del lettore moderno, <strong>che</strong> poco sa della vita agli<br />

inizi del v secolo, ho aggiunto in coda al volume una sezione <strong>che</strong><br />

tratta dell'Impero Romano, del suo esercito e dei primi cristiani. Una<br />

cartina della Britannia romana si trova a pag. 11.<br />

JACK WHYTE


<strong>La</strong> leggenda della pietra caduta<br />

dal cielo<br />

Dal cielo notturno cadrà una pietra<br />

<strong>che</strong> cela una fanciulla nata da profondità tenebrose,<br />

una fanciulla i cui femminili misteri, nutriti dal fuoco,<br />

daranno vita a una spada scintillante, baluginante.<br />

Una spada fiammeggiante e splendente la cui potenza<br />

genera guerrieri. Ma quest'arma conterrà an<strong>che</strong><br />

le astuzie di una donna e traccerà terribili fatti di uomini;<br />

darà il nome a un'epoca; incoronerà un re,<br />

<strong>che</strong> prenderà il nome da un popolo della montagna,<br />

<strong>che</strong> crede di essere stato generato dal seme di un drago;<br />

uomini vigorosi e feroci, eroici, prodi e forti,<br />

e nelle loro anime vi è grandezza.<br />

Questo re, questo monarca, potente oltre l'immaginabile,<br />

forgiato nella gloria, <strong>canta</strong>ndo un canto di spade,<br />

confondendo i mortali con magica follia,<br />

darà vita a una leggenda, e tuttavia non lascerà nessuno<br />

a condurre al trionfo il suo esercito dopo di lui.<br />

Ma la morte non svilirà mai il suo destino <strong>che</strong>,<br />

non morendo, vivrà per sempre, per essere ricordato.


Nomi geografici<br />

<strong>La</strong> terra <strong>che</strong> i Romani chiamavano Britannia era soltanto la terra <strong>che</strong> noi<br />

oggi chiamiamo Inghilterra. <strong>La</strong> Scozia, l'Irlanda e il Galles erano separate e<br />

venivano chiamate rispettivamente Caledonia, Ibernia e Cambria. Esse non<br />

erano considerate parte della provincia della Britannia. Le anti<strong>che</strong> città della<br />

Britannia romana esistono ancora, ma oggi hanno nomi inglesi.<br />

Londinium Londra<br />

Verulamium St. Albans<br />

Al<strong>che</strong>ster<br />

Glevum Gloucester<br />

Aquae Sulis Bath<br />

Lindinis Il<strong>che</strong>ster<br />

Sorviodunum Old Sarum<br />

Venta Belgarum Win<strong>che</strong>ster<br />

Noviomagus Chi<strong>che</strong>ster<br />

Durnovaria Dor<strong>che</strong>ster<br />

Isca Dumnoniorum Exeter<br />

<strong>La</strong> Colonia (Camelot)<br />

Camulodunum Col<strong>che</strong>ster<br />

Lindum Lincoln<br />

Eboracum York<br />

Mamucium Man<strong>che</strong>ster<br />

Dolocauthi Miniere d'oro del Galles<br />

Durovemum Canterbury<br />

Regulbium Reculver<br />

Rutupiae Richborough<br />

Dubris Dover<br />

Lemanis Lympne<br />

Anderita Pevensey


Prologo: 387 d.C<br />

Il tribuno riconobbe i primi segni da più di un miglio di<br />

distanza, dove la strada cominciava a scendere dalla scarpata per<br />

entrare nella foresta: un vorticare spiraleggiante di falchi e di<br />

avvoltoi sopra le cime degli alberi davanti a lui. Dopo aver<br />

bruscamente ordinato al centurione di far accelerare il passo ai suoi<br />

uomini, l'ufficiale spronò il cavallo, senza preoccuparsi di lasciare<br />

indietro la fanteria di scorta. Gli uccelli vorticanti annunciavano<br />

morte, il loro numero indicava l'esistenza di una radura e il loro volo<br />

incessante significava <strong>che</strong> avevano paura di atterrare.<br />

"Probabilmente a causa dei lupi" pensò. Il tribuno abbassò la visiera<br />

dell'elmo per proteggersi dai rami <strong>che</strong> lo sferzavano e si tuffò al<br />

galoppo tra gli alberi, certo <strong>che</strong> il pericolo di un'imboscata o di<br />

qualsiasi resistenza fosse da tempo svanito.<br />

Sentì i lupi azzuffarsi <strong>che</strong> era ancora distante e spronò il cavallo<br />

a un'andatura maggiore, urlando con quanta voce aveva e facendo<br />

più rumore possibile per distrarli dal loro orribile pasto. Non aveva<br />

molti dubbi su cosa stessero divorando.<br />

Quando entrò nella radura i lupi si avvicinarono uno all'altro,<br />

ventre a terra, ringhiando e sbavando per fronteggiare il nuovo<br />

venuto. Li caricò senza esitare, sguainando la corta spada e vibrando<br />

fendenti, e lasciando <strong>che</strong> il cavallo si difendesse con gli zoccoli.<br />

<strong>La</strong> ringhiante furia del branco si trasformò rapidamente in un<br />

crescendo di guaiti di dolore e di paura sotto la carica di cavallo e<br />

cavaliere, e ben presto a uno a uno tutti i mangiatori di carogne,<br />

grigi e smagriti, smisero di lottare e fuggirono a ripararsi tra i<br />

cespugli <strong>che</strong> circondavano la radura.<br />

Quando gli animali furono scomparsi tra i cespugli, fuori vista e<br />

fuori portata, il tribuno si guardò intorno, osservando la scena nella


quale si trovava. <strong>La</strong> radura era dominata da una vecchia quercia<br />

massiccia; legato a uno dei grossi rami c'era un marchingegno di<br />

corde e pulegge. Una corda finiva con un anello assicurato a un<br />

pesante palo conficcato nel terreno. Le condizioni del terreno<br />

intorno al palo - l'erba completamente calpestata e disseminata di<br />

escrementi umani - mostravano <strong>che</strong> qualcuno era stato costretto lì<br />

per diversi giorni. I corpi di tre uomini, uno dei quali<br />

completamente nudo, giacevano al suolo, coperti di polvere e di<br />

sangue. Le mos<strong>che</strong> erano ovunque, attratte come gli uccelli e i lupi<br />

dall'odore del sangue scaldato dal sole. I volti dei due corpi vestiti<br />

erano stati devastati dai lupi, in particolare quello del più giovane,<br />

un uomo biondo quasi decapitato da una spada <strong>che</strong> gli aveva<br />

trapassato il collo e la gola.<br />

L'uomo nudo era a faccia in giù, con il braccio sinistro teso in<br />

avanti e squarciato nella parte inferiore, vicino alla spalla, dove uno<br />

dei lupi lo aveva azzannato. An<strong>che</strong> sul fianco destro del corpo si<br />

vedevano chiaramente i segni dei denti, ma la carne non era stata<br />

strappata. Il solo sangue visibile era in una pozza sotto il corpo.<br />

Senza logica apparente, sotto al braccio teso del corpo nudo era<br />

stata infilata una pergamena arrotolata, e il tribuno si chiese cosa<br />

potesse contenere. Sollevando la gamba sul collo del cavallo,<br />

l'ufficiale scivolò agilmente a terra, e raccolse il rotolo facendo<br />

attenzione a non macchiarlo di sangue. Poi rovesciò il cadavere sulla<br />

schiena e fissò l'ampia ferita mortale in mezzo al petto, proprio sotto<br />

lo sterno. Soffiò aria dalle narici, poi ruppe il sigillo della pergamena<br />

e cominciò a leggere, sussurrando le parole tra sé perché il loro<br />

senso gli fosse più chiaro nel decifrare i caratteri fitti. Dopo le prime<br />

po<strong>che</strong> frasi si irrigidì e alzò gli occhi a guardare il corpo ai suoi<br />

piedi, poi si accovacciò, gli prese il polso tra le mani e ne cercò il<br />

battito. Niente. Lo lasciò ricadere, si risollevò e continuò a leggere.<br />

Il rumore dei suoi uomini <strong>che</strong> si avvicinavano a grande velocità<br />

gli fece alzare la testa. Non appena i soldati sbucarono dal sentiero


alberato e si schierarono in due file davanti a lui, il tribuno ordinò<br />

loro di dividersi per cacciare i lupi nascosti nel sottobosco,<br />

promettendo una moneta d'argento per ogni lupo ucciso. Gli uomini<br />

si sparpagliarono con entusiasmo per dedicarsi a quella caccia<br />

insieme al loro centurione. Il tribuno li guardò fino a <strong>che</strong><br />

scomparvero dalla sua vista, poi riprese la lettura interrotta,<br />

muovendo silenziosamente le labbra nel percorrere l'intero<br />

documento. Giunto alla fine fece uno schiocco con la lingua, guardò<br />

una seconda volta il corpo nudo e poi lesse nuovamente l'intero<br />

documento, decifrando questa volta più in fretta le parole; sul suo<br />

volto non apparve espressione alcuna finché non ebbe finito, e allora<br />

un'ampia ruga gli solcò la fronte. Ripiegò con cura la pergamena,<br />

schiacciando gli angoli con forza in modo da ridurre l'ingombro del<br />

pac<strong>che</strong>tto, e poi se lo infilò al sicuro dentro la corazza. Quando gli<br />

uomini tornarono nella radura era già risalito a cavallo ed era<br />

immerso nei suoi pensieri.<br />

Con la coda dell'occhio vide avvicinarsi il centurione e gli chiese<br />

cosa volesse.<br />

Il centurione indicò con un cenno della testa il cadavere nudo,<br />

con uno sguardo incerto. «Cosa vuoi <strong>che</strong> facciamo dei corpi,<br />

tribuno?» Si schiarì la gola nervosamente. «È lui, signore? Il<br />

procuratore?»<br />

Il tribuno fece una pausa prima di rispondere, ma quando parlò<br />

alzò la voce in modo <strong>che</strong> tutti gli uomini <strong>che</strong> stavano sull'attenti in<br />

silenzio potessero sentirlo.<br />

«Devo qualcosa a qualcuno per quei lupi?»<br />

Molti tra gli uomini scossero la testa insieme al centurione. I lupi<br />

erano scappati tutti. Il tribuno si guardò attorno nella radura,<br />

invitando tacitamente gli uomini a fare altrettanto.<br />

«Per ora non ho idea di cosa sia successo qui» disse alla fine.<br />

«An<strong>che</strong> se ogni persona con un po' di cervello può arrivare da sé alla<br />

conclusione guardandosi intorno. L'uomo senza vestiti si è


palesemente liberato dalle corde sotto al grande albero laggiù.<br />

Potete vedere i segni sui suoi polsi e le corde e i paranchi con cui lo<br />

avevano legato, e l'erba calpestata dove era confinato. Potete an<strong>che</strong><br />

vedere dalla quantità di escrementi <strong>che</strong> chiunque fossero gli altri<br />

non hanno mostrato nessuna umanità. Mi pare evidente <strong>che</strong> il<br />

prigioniero è riuscito a sciogliersi, a liberarsi in qual<strong>che</strong> modo, <strong>che</strong><br />

ha afferrato una spada ed è riuscito a uccidere due dei suoi aguzzini<br />

prima di essere ammazzato a sua volta. Chiunque fossero, i suoi<br />

rapitori si sono permessi una fatale disattenzione.»<br />

«Scusami, tribuno!» Il centurione, il cui sguardo era rivolto al<br />

corpo nudo, aveva corrugato la fronte ed era andato in fretta a<br />

inginocchiarsi vicino al corpo. Stringendo gli occhi, infilò le dita<br />

sotto il mento, e premette leggermente con il pollice e l'indice un<br />

punto nel quale, contro ogni aspettativa, percepì una pulsazione<br />

molto debole, ma tuttavia regolare. L'uomo era ancora vivo.<br />

Spalancando gli occhi, il centurione informò il tribuno, <strong>che</strong> aggrottò<br />

la fronte sentendo quelle parole.<br />

«Vivo? Non è possibile! Sei sicuro?» Si voltò di scatto verso le<br />

truppe e indicò due uomini. «Voi due, usate le vostre lance e le<br />

tende per fare una lettiga, presto!»<br />

Mentre i soldati si precipitavano a eseguire l'ordine, il tribuno si<br />

girò di nuovo verso il centurione.<br />

«Risponderò alla tua domanda impertinente, ma solo per<br />

scoraggiarne altre. Non è per i tuoi pari essere curioso in questioni<br />

diplomati<strong>che</strong>, centurione, ma mi sembra <strong>che</strong>, date le circostanze, sia<br />

abbastanza comprensibile. <strong>La</strong> risposta è no. Siamo stati chiamati per<br />

cercare il procuratore della Britannia meridionale, ma questi<br />

rapitori, a quanto pare, erano tanto stupidi quanto distratti.<br />

Quest'uomo non è il procuratore scomparso. Non è Claudio Seneca,<br />

non gli somiglia nean<strong>che</strong>, a parte il naso rotto. Somiglio più io a<br />

Claudio Seneca di quest'uomo, cosa del resto naturale, suppongo,<br />

visto <strong>che</strong> Claudio Seneca è fratello di mio padre. Un errore di


identità. Degli stupidi, come ho detto. Hanno preso l'uomo<br />

sbagliato.»<br />

Poi si girò di nuovo verso i due soldati <strong>che</strong> stavano<br />

improvvisando la barella. «Non so chi sia quest'uomo, ma voglio<br />

<strong>che</strong> ci si prenda la massima cura di lui. Portatelo con delicatezza, un<br />

uomo a ogni braccio della lettiga; farò frustare chiunque gli farà<br />

prendere un colpo. Ha meritato di vivere, non fosse altro <strong>che</strong> per la<br />

foga con cui ha lottato.» Guardò gli uomini, valutando in silenzio la<br />

loro reazione alle sue parole. A parte l'espressione cupa dovuta alla<br />

minaccia, i loro sguardi erano disinteressati. Avevano accettato le<br />

sue affermazioni senza dubbi e senza curiosità.<br />

«Va bene, allora» tagliò corto. «Portiamo quest'uomo a<br />

un'infermeria militare il più in fretta possibile. Ma voglio an<strong>che</strong><br />

quegli altri due corpi, per l'identificazione. Andiamo!»<br />

Quando la barella fu pronta e la processione si fu messa in moto<br />

per il viaggio di ritorno agli alloggiamenti di Aquae Sulis, la località<br />

termale <strong>che</strong> i Celti locali chiamavano Bath, nessuno più ricordava<br />

<strong>che</strong> il tribuno stava leggendo una pergamena quando erano entrati<br />

nella radura.


LIBRO PRIMO<br />

I coloni


I.<br />

Un'imposta rotta sbatté da qual<strong>che</strong> parte. <strong>La</strong> sentii chiaramente<br />

nonostante l'ululare del vento e il sibilo scrosciante della pioggia.<br />

Era buio e riuscivo a stento a vedere le sagome dei due uomini<br />

appiattiti ai due lati della porta della casupola in pietra, una sola<br />

stanza, dall'altra parte della viuzza. Alla mia sinistra altri due<br />

uomini erano ai lati della porta della casa contro cui ero appoggiato<br />

io, e c'erano altri dodici uomini disposti in modo analogo contro<br />

altre sei costruzioni ai lati della strettoia. <strong>La</strong> mia scorta di trentasei<br />

uomini era divisa in due gruppi, uno a ogni estremità del villaggio.<br />

Avevo quarantotto anni. Ero troppo vecchio per quel genere di<br />

scioc<strong>che</strong>zze.<br />

Stavo in piedi con le spalle contro il muro, la tunica inzuppata<br />

d'acqua gelida appiccicata alla schiena. Alzai una mano nell'inutile<br />

tentativo di proteggere gli occhi dalla pioggia <strong>che</strong> vi scorreva<br />

dentro, ma il mantello inzuppato d'acqua era un peso morto sul mio<br />

braccio. <strong>La</strong>nciai una silenziosa imprecazione.<br />

Qualcuno accese una lampada nella casa di fronte, apparve un<br />

chiarore giallo pallido e un tremulo urlo di dolore si alzò nel vento.<br />

Diedi il segnale - soffiando una volta nel corno - e i miei uomini<br />

entrarono, irrompendo dalle porte, con le spade e i pugnali<br />

sguainati. Fare pulizia può essere un lavoro sporco e brutale.<br />

Guardai l'uomo morto ai miei piedi. <strong>La</strong> pioggia aveva lavato via<br />

la maggior parte del sangue, ma il suo aspetto era ancora orribile.<br />

Probabilmente era stato ucciso da un'ascia. Nella luce morente i suoi<br />

occhi spalancati apparivano vitrei.<br />

Uno dei miei uomini ricomparve, stagliandosi contro la luce nel<br />

vano della porta davanti a me, pulendo la spada con uno straccio.<br />

Uscì nella strada e an<strong>che</strong> se non sentii niente lo vidi irrigidirsi e


aprire la bocca in un urlo. Si mise a correre lungo la strettoia.<br />

Maledissi l'età e la gamba inferma e mi spinsi via dal muro,<br />

buttandomi in una corsa appesantita, solo ora conscio della lotta in<br />

corso a circa trenta passi da me. Il peso del mantello era terribile.<br />

Trafficai intorno al fermaglio e sentii il fardello cadermi di dosso,<br />

poi mi trovai in mezzo alla mischia.<br />

Ricordo poco dello scontro, ma per me non è insolito. Tutto ciò<br />

<strong>che</strong> mi rimane nella memoria sono alcune immagini: un collo nudo<br />

con un pomo d'Adamo sporgente e poi del sangue <strong>che</strong> sgorga<br />

mentre estraggo la spada, ma nessun ricordo del colpo inferto; la<br />

sensazione di un corpo vivo sotto ai piedi e poi il mio braccio<br />

bloccato e io immerso nel fango fino alla vita, perché la gamba<br />

storpia mi è mancata di nuovo e sono caduto; il sesso di un uomo<br />

con le gambe coperte da pelli di pecora strette da legacci di stoffa, e<br />

di nuovo la mia lama, <strong>che</strong> amputa la sua virilità; e una bocca<br />

spalancata e occhi sbarrati e mani senza forza <strong>che</strong> si avvinghiano<br />

alla mia spada cercando di strapparla dal petto dell'uomo al quale<br />

appartengono quelle stesse mani. Tutti questi ricordi sono avvolti<br />

nel silenzio. Non c'è rumore, non ci sono urla, nessun suono.<br />

Quando tutto fu finito ero completamente senza fiato e<br />

ansimavo come un vecchio. Mi piegai in avanti, con le mani sulle<br />

ginocchia, e lasciai penzolare la testa, rantolando per liberarmi i<br />

polmoni.<br />

«Comandante Varro? Stai bene?»<br />

Conoscevo quella voce; era del giovane Cirillo, uno dei miei<br />

luogotenenti. Feci un cenno di assenso con la testa, per quanto<br />

possibile da quella posizione, e lui mi lasciò e andò a controllare gli<br />

altri. A poco a poco presi coscienza delle mie mani, strette sulle<br />

ginocchia: nessuna delle due reggeva un'arma. Non avevo una<br />

spada e non ricordavo di averla lasciata cadere. Sbattei gli occhi per<br />

farne uscire la pioggia, vidi del sangue scuro sul polso e sulla mano<br />

destra e capii <strong>che</strong> ero ferito. Mi raddrizzai. Non sentivo male. Mi


tastai la mano destra con la sinistra. <strong>La</strong> mano reagì, ma in modo<br />

insolito. Il braccio era completamente insensibile. Spostai la mano<br />

sinistra lungo il braccio e sentii il taglio, proprio sopra al gomito, <strong>che</strong><br />

sanguinava molto. Allora mi si rivoltò lo stomaco e vomitai, la mia<br />

consueta reazione dopo una battaglia, una reazione <strong>che</strong> in genere mi<br />

faceva sentire meglio. Ma questa volta, mentre mi rialzavo dopo<br />

aver vomitato, mi sembrò di vedere da qual<strong>che</strong> parte davanti a me<br />

una luce, <strong>che</strong> roteava nel modo più strano e veniva verso di me a<br />

rombante velocità. E fu l'ultima cosa <strong>che</strong> vidi. Venni raccolto dal<br />

fango della strada e trasportato in una delle capanne, dove rimasi<br />

senza conoscenza per più di una settimana.<br />

<strong>La</strong> ferita in sé non era molto grave, an<strong>che</strong> se non esistono ferite<br />

di guerra trascurabili. Un figlio di puttana mi aveva colpito con<br />

un'ascia senza filo. Il peso dell'arma aveva fatto penetrare il poco filo<br />

esistente nella carne e mi aveva rotto il braccio destro, provocando<br />

quella <strong>che</strong> i medici chiamano una frattura composta. Alla mia età era<br />

già un miracolo <strong>che</strong> l'osso non si fosse sfracellato. Almeno questo è<br />

quello <strong>che</strong> pensai; ora so <strong>che</strong> in quei giorni stavo solo raggiungendo<br />

la maturità, il fiore dei miei anni. Comunque persi molto sangue,<br />

così mi fu detto in seguito: un'emorragia improvvisa e violenta <strong>che</strong><br />

spaventò tutti perché non voleva fermarsi. E inoltre mi era venuta<br />

una polmonite per essermi inzuppato sotto la pioggia. I miei uomini<br />

pensavano <strong>che</strong> mi avrebbero perso.<br />

Ricordo ancora il cadavere <strong>che</strong> vidi ai miei piedi quella notte. Se<br />

l'ascia <strong>che</strong> mi aveva colpito fosse stata affilata come quella <strong>che</strong> aveva<br />

colpito lui, oggi non potrei raccontare questa storia. E ovviamente<br />

gran parte di questa storia non sarebbe accaduta.<br />

Il mio nome è Gaio Publio Varro, sono un fabbro ferraio e un<br />

fabbricante di spade.<br />

Sono nato e cresciuto a Camulodunum, nella Britannia orientale,<br />

vicino a Londinium, il centro amministrativo della provincia della<br />

Britannia, e fu a Camulodunum <strong>che</strong> tornai per riaprire la fucina di


mio nonno, dopo essere rimasto storpiato in un'imboscata durante<br />

l'invasione del 367 ed essere quindi divenuto inabile a servire nelle<br />

legioni.<br />

Negli anni trascorsi come soldato avevo conosciuto Caio<br />

Britannico, un ricco nobiluomo, patrizio romano di antico lignaggio.<br />

Era entrato per la prima volta nella mia vita come giovane tribuno,<br />

quando mi aveva salvato la pelle, poi, più tardi, come ufficiale<br />

comandante a cui io avevo salvato la vita, e infine era divenuto<br />

senatore romano, proconsole di Roma e mio cognato, oltre <strong>che</strong> il mio<br />

amico più caro. <strong>La</strong> mia amicizia con Britannico, però, aveva fatto<br />

miei i suoi nemici, in particolare una famiglia, i ricchi e potenti<br />

banchieri imperiali, i Seneca, <strong>che</strong> per generazioni avevano<br />

intrattenuto con la famiglia di Britannico una faida sanguinosa e<br />

feroce.<br />

Questa inimicizia ereditata mi portò a uno scontro personale<br />

violento con Claudio, il più giovane dei sei fratelli Seneca.<br />

Lottammo e io gli lasciai una cicatrice indelebile. Perciò dovetti<br />

allontanare la mia persona e i miei affari per sempre e in fretta dalla<br />

vendetta di Claudio Seneca. Andai a ovest, verso le fertili terre<br />

coltivate a sud della cittadina termale di Aquae Sulis, per vivere<br />

nella villa di Caio. In quel luogo la mia vita cambiò. Incontrai e<br />

sposai Luceia Britannico, <strong>che</strong> mi mostrò dove trovare il sogno di<br />

quasi tutta la mia vita: una pietra composta di un metallo<br />

straordinario, <strong>che</strong> chiamavo "la pietra del cielo". Feci fondere la<br />

pietra, e dal metallo contenuto in essa ricavai una rozza statua di<br />

Coventina, la dea celtica delle acque, in memoria della lotta<br />

sostenuta per estrarre la pietra dal fondo di un lago. <strong>La</strong> chiamai la<br />

"Signora del <strong>La</strong>go". Il mio unico intento era quello di conservare il<br />

metallo in modo dignitoso, invece di lasciarlo arrugginire in un<br />

volgare lingotto fino al momento in cui avessi deciso come<br />

utilizzarlo. Un giorno o l'altro, lo sapevo, avrei fatto una spada con<br />

quel metallo, nr non ero ancora pronto.


Un giorno avremmo avuto bisogno di quella spada, di centinaia<br />

di spade, se l'idea di Caio sul disfacimento dell'Impero si fosse<br />

rivelata giusta. Credeva infatti <strong>che</strong> l'Impero stesse rapidamente<br />

morendo. Era convinto <strong>che</strong> in poco tempo - in un prevedibile futuro<br />

- le legioni sarebbero state richiamate dalla Britannia per difendere<br />

la madrepatria dalle invasioni. Quando questo fosse successo, noi,<br />

popolo di Britannia, saremmo stati lasciati soli e senza difesa, senza<br />

null'altro su cui contare se non le nostre forze.<br />

Ricordo <strong>che</strong> quando sentii per la prima volta Caio accennare a<br />

quest'idea, mi parve troppo assurda per essere espressa. <strong>La</strong> semplice<br />

verità più grande del mondo era <strong>che</strong> Roma era eterna! Non poteva<br />

cadere. Ma con il passare degli anni tutti i segnali nei confronti dei<br />

quali Caio ci aveva messo in guardia divennero più frequenti e più<br />

numerosi, cosicché alla fine cominciai a credere <strong>che</strong> l'Impero, come<br />

la sostanza di quasi tutte le cose anti<strong>che</strong>, diventasse sempre più<br />

fragile e marcio.<br />

Da quel momento, armato dello zelo dei nuovi convertiti, mi<br />

buttai a capofitto nei piani di Caio per fortificare e difendere le belle<br />

proprietà di campagna, le villae, nelle quali vivevano lui e i suoi<br />

amici. <strong>La</strong>voravo duro come tutti, anzi più duramente degli altri, per<br />

affrettare la costruzione in pietra di un forte sulla sommità della<br />

collina dietro a villa Britannico e per fare armi e armature per i<br />

giovani, le reclute dell'esercito della nostra piccola colonia privata.<br />

Sapevamo fin dall'inizio <strong>che</strong> quello <strong>che</strong> stavamo facendo era<br />

illegale. Costruire una fortezza privata e addestrare un esercito<br />

privato erano considerati tradimento, e se qualcuno l'avesse<br />

scoperto sarebbe stata la morte e la rovina di ognuno di noi, donne e<br />

bambini inclusi. In tutte le faccende militari e in tutti gli aspetti della<br />

vita <strong>che</strong> concernevano l'arruolamento di soldati per proteggere e<br />

servire la legge e l'ordine stabilito, ogni uomo e ogni ragazzo abile<br />

dell'Impero doveva la sua fedeltà soprattutto e solo all'imperatore.<br />

<strong>La</strong> volontà e i diritti dell'imperatore erano sovrani. Nessun privato


poteva sottrarsi al servizio nelle legioni, nessun uomo né gruppo -<br />

non importa di quali mezzi o di quale rango - poteva mantenere una<br />

forza armata privata all'interno dei confini dell'Impero. Noi<br />

sapevamo tutto questo e non ne tenevamo conto, perché sapevamo<br />

an<strong>che</strong> <strong>che</strong> l'Impero stava morendo e sapevamo <strong>che</strong> non c'era un<br />

imperatore solo, ma tre e a volte quattro contemporaneamente. E<br />

soprattutto sapevamo <strong>che</strong> le nostre vite, la nostra stessa<br />

sopravvivenza come popolo dipendevano dai nostri preparativi per<br />

affrontare il caos imminente. Perciò lavoravamo per costruire la<br />

nostra fortezza e addestravamo e armavamo i nostri uomini.<br />

Fu la ricerca di ferro per nuove armi a portarci fuori dalla<br />

colonia allo scontro nel quale rimasi ferito.<br />

Finalmente aprii gli occhi in una casupola piccola e puzzolente e<br />

mi resi conto <strong>che</strong> già da un po' di tempo sentivo il canto di<br />

un'allodola, an<strong>che</strong> se non lo stavo ascoltando. Rimasi a giacere<br />

supino per la durata di qual<strong>che</strong> battito del cuore, con occhi velati e<br />

dolenti; mi doleva tutto il corpo, compresa la faccia. Alzai una mano<br />

a grattarmi il mento e svenni per il dolore.<br />

Rimasi incosciente solo per pochi attimi. L'uccello <strong>canta</strong>va<br />

ancora quando riaprii gli occhi, la stanza non era cambiata. Io ero<br />

ancora dolorante e il mio braccio era in fiamme. Dio, come faceva<br />

male!<br />

Cercai di ricordare cosa era successo in quel tetro giorno<br />

invernale.<br />

Camminavamo sotto la pioggia scrosciante da molto prima<br />

dell'alba. Aveva piovuto per tutta la notte e l'alba aveva impiegato<br />

molto tempo a trapassare il cielo grigio ardesia. Avevamo fatto<br />

colazione con carne secca, grano secco e piselli secchi, marciando,<br />

curvi e miserabili, sotto il diluvio sferzante.<br />

Io montavo il mio stallone grigio, Germanico, così chiamato dal


nome di un cugino di Caio Britannico. Avevo scelto apposta quel<br />

nome, facendo notare a Caio <strong>che</strong> se lui poteva sferzarmi senza pietà<br />

e costringermi a eseguire qualunque suo desiderio, io potevo fare la<br />

stessa cosa a suo cugino. An<strong>che</strong> sei dei miei uomini erano a cavallo;<br />

il loro compito era di condurre in branco i cavalli <strong>che</strong> avevamo<br />

radunato durante il viaggio. Gli altri marciavano, da fanti quali<br />

erano, avanzando a fatica nel fango tra pazienti sospiri e<br />

imprecazioni a mezza voce. Avevamo sei carri a quattro ruote nella<br />

nostra carovana, tre carichi di lingotti di ferro del Weald, due di sale<br />

marino compresso in blocchi e uno di viveri. Eravamo lontani da<br />

casa e viaggiavamo da quattro settimane. Avevamo lasciato la<br />

Colonia, vicino alle colline Mendip, e ci eravamo diretti a est fino a<br />

raggiungere la strada <strong>che</strong> volgeva a nord, verso Aquae Sulis. Da<br />

allora, fino al punto in cui ci trovavamo, avevamo viaggiato sulle<br />

solide strade lastricate costruite dalle legioni di Cesare. A dodici<br />

miglia a sud di Aquae Sulis avevamo voltato nuovamente verso<br />

sud-est ed eravamo passati attraverso Sorviodunum e Venta<br />

Belgarum, fermandoci fuori da entrambe le città, senza entrarvi. Da<br />

Venta avevamo svoltato direttamente a sud verso Noviomagus,<br />

impiegando meno di due giorni per fare l'ultimo tratto del viaggio<br />

di andata.<br />

Il nostro passaggio suscitava molto interesse. Era la prima volta<br />

<strong>che</strong> venivamo in questa zona e la gente per strada ci scambiava per<br />

truppe regolari. Una notte di tempo addietro, a Stonehenge, seduti<br />

intorno al fuoco, Caio Britannico aveva detto <strong>che</strong> avrebbe cambiato<br />

il colore delle nostre uniformi. Lo aveva detto per s<strong>che</strong>rzo, ma i Celti<br />

presenti a quell'incontro non lo sapevano; gli avevano creduto e il<br />

loro re Ullic, in particolare, aveva preso questa affermazione molto<br />

sul serio e ci aveva dato niente meno <strong>che</strong> il suo reale permesso di<br />

usare la tintura rossa riservata dal suo popolo esclusivamente al suo<br />

uso personale. Assecondarlo era diventata una questione di<br />

diplomazia e ora i soldati della nostra colonia portavano vesti di un<br />

colore regale, <strong>che</strong> mi turbava per la somiglianza con la porpora delle


truppe personali dell'imperatore. Pochi, tra le persone <strong>che</strong><br />

incontravamo, sapevano la verità e questo mi preoccupava molto.<br />

Lungo il cammino però non avevamo avuto problemi. Chi mai<br />

avrebbe voluto creare dei problemi a un centinaio di soldati<br />

disciplinati e ben armati?<br />

Ci eravamo accordati di incontrare a Noviomagus un mercante<br />

di nome Stazio. Quell'uomo si era fatto la fama di onorare le proprie<br />

vanterie, secondo le quali era in grado di fornire qualsiasi cosa a<br />

chiunque in ogni momento e in ogni luogo, se il prezzo era giusto.<br />

Lo avevamo contattato tramite il vescovo Alarico e avevamo<br />

accettato di pagare in oro tutti i lingotti di ferro <strong>che</strong> ci avesse<br />

procurato entro la metà di novembre: una moneta d'oro ogni cento<br />

libbre di lingotti di ferro, se ce li avesse consegnati a Noviomagus.<br />

Questo significava oltre venti volte il prezzo corrente. Dal suo punto<br />

di vista era l'affare del secolo. Dal nostro stavamo rubando il suo<br />

ferro. L'oro non serviva a niente alla Colonia e il ferro era sempre<br />

più difficile da trovare da quando gli Iberni, troppo ignoranti per<br />

sapere <strong>che</strong> non c'è oro nelle miniere di ferro, avevano distrutto con<br />

le loro incursioni le miniere della Cambria. Poiché l'oro veniva<br />

estratto dalle miniere cambriane di Dolocauthi, agli scoti Iberni<br />

sembrava logico <strong>che</strong> ogni altro buco <strong>che</strong> si trovava nel suolo della<br />

Cambria contenesse oro.<br />

Rimasi deluso <strong>che</strong> Stazio avesse portato solo cinque carichi di<br />

ferro. Li caricammo su tre dei miei grandi carri. Mentre andavamo<br />

all'appuntamento, sognavo di caricare tutti e cinque i carri e di<br />

comprare dell'altro ferro oltre al suo per completare il carico.<br />

Quando ci incontrammo davanti a un boccale di birra in una taverna<br />

di Noviomagus, Stazio mi disse <strong>che</strong> aveva raschiato perfino il fondo<br />

delle fonderie di tutta la zona orientale della regione per racimolare<br />

le tremila libbre di ferro <strong>che</strong> mi aveva portato. Ma quando vide la<br />

borsa d'oro da cui prendevo i soldi per pagarlo, gli occhi gli caddero<br />

quasi fuori dalle orbite e di colpo si disse convinto di poterne<br />

trovare altrettanto, forse an<strong>che</strong> di più, se avesse avuto più tempo.


«Quanto tempo?» gli chiesi. Fece un rapido calcolo e stabilimmo<br />

di ritrovarci in giugno. Per solleticare la sua avidità gli dissi <strong>che</strong> i<br />

miei carri potevano facilmente trasportare mille libbre ciascuno, e<br />

<strong>che</strong> per ogni cento libbre oltre le cinquemila libbre avrei pagato il<br />

doppio se mi avesse dato in aggiunta i carri e i cavalli. Ci<br />

stringemmo la mano per sigillare l'accordo e quando ci separammo<br />

il giorno successivo Stazio era un mercante felice, convinto di aver<br />

trovato i più grandi stupidi dell'Impero.<br />

Scegliemmo per tornare a casa la strada lungo la costa sud per<br />

evitare le città attraversate all'andata. Raddoppiavamo quasi il<br />

tragitto, ma avevo delle buone ragioni: la principale era <strong>che</strong> non<br />

desideravo attirare l'attenzione sulla ric<strong>che</strong>zza della carovana <strong>che</strong><br />

stavamo scortando. Lungo la strada comprammo due carri di sale, e<br />

passammo per Durnovaria nelle ore buie prima dell'alba, cercando<br />

di non far rumore e di non farci notare.<br />

Proprio oltre quella città la strada corre lungo la costa per<br />

diverse miglia. Non ci sono altre città lungo quella strada, tranne<br />

Isca, nell'estremo occidente, e la strada già allora era poco trafficata,<br />

come dimostrava la quantità di erbacce <strong>che</strong> cresceva tra le pietre.<br />

Viaggiavamo adagio: i carri erano a pieno carico ed eravamo<br />

riusciti a procurarci una discreta mandria di cavalli di ogni razza. <strong>La</strong><br />

maggior parte era stata acquistata lungo la strada: l'oro è un buon<br />

persuasore. Altri li avevamo trovati e molti erano selvaggi.<br />

A un certo punto, dove la strada passa molto vicina al mare, i<br />

cavalli decisero di fermarsi a pascolare. Per cercare di farli muovere<br />

uno dei miei uomini li spaventò, disperdendoli. Con difficoltà li<br />

radunammo di nuovo, ma un grande castrato morello, il cavallo più<br />

bello del gruppo, decise di mostrarci le sue capacità e si diresse al<br />

galoppo sfrenato verso ovest. Tre di noi si misero a inseguirlo,<br />

un'impresa pericolosa a causa dell'erba bagnata, ed eravamo molto<br />

lontani dalla strada, <strong>che</strong> aveva svoltato verso nord, quando<br />

finalmente lo catturammo.


Gli legai una cavezza intorno al collo e tesi la corda a Basso, il<br />

giovane soldato <strong>che</strong> aveva concluso l'inseguimento con me. Stavamo<br />

tornando alla strada quando sentii un urlo <strong>che</strong> sembrò interrompersi<br />

all'improvviso. Restammo immobili, in ascolto. Ma c'era solo<br />

silenzio, rotto dal suono delle onde sulla riva sassosa cento passi più<br />

in là e dal picchiettare della pioggia, diminuita di intensità, sulle<br />

foglie vicino a noi. Eravamo in una conca erbosa, circondata da<br />

cespugli di biancospino. Mi girai per guardare il giovane Basso. «Da<br />

<strong>che</strong> parte veniva?»<br />

Scosse la testa, incerto. «Sembrava <strong>che</strong> venisse di là.» Indicò la<br />

spiaggia.<br />

«Dov’è il giovane <strong>che</strong> era venuto con noi?» Mi accorsi solo in<br />

quel momento <strong>che</strong> non c'era. «Come si chiama? Anicio. Che cosa gli<br />

è successo?»<br />

Basso scrollò le spalle. «L'ultima volta <strong>che</strong> l'ho visto era dietro di<br />

me, alla mia sinistra.»<br />

Cercai di convincermi <strong>che</strong> era solamente caduto da cavallo, ma<br />

sembrava una bugia alle mie stesse orecchie. «Lega i cavalli e<br />

seguimi» sussurrai, improvvisamente consapevole della necessità di<br />

rimanere in silenzio. «E non fare rumore.»<br />

Strisciai fuori dalla conca e cominciai a dirigermi con cautela<br />

verso la spiaggia. Il terreno era ruvido e pietroso sotto la torba e io<br />

maledissi la gamba zoppa <strong>che</strong> mi costringeva a muovermi più<br />

lentamente e più goffamente di quanto avrei voluto. Mi sudava il<br />

palmo delle mani; così la mia mente mi fa sapere <strong>che</strong> c'è qualcosa<br />

<strong>che</strong> non va. Guardai indietro e vidi <strong>che</strong> il giovane Basso mi seguiva,<br />

camminando in fretta. Gli feci segno di rallentare.<br />

Alla mia destra scorsi una fugace chiazza marrone. Era il cavallo<br />

di Anicio. Si era messo a pascolare. Mi diressi verso di lui,<br />

muovendomi molto lentamente adesso, e poi sentii dei rumori alla<br />

mia sinistra: un brontolio e un tintinnio metallico.


Si trovavano in un avvallamento simile a quello dal quale<br />

avevamo sentito l'urlo. Il corpo di Anicio giaceva scomposto<br />

nell'erba; la sua testa, ancora nell'elmo, era a cinque passi di<br />

distanza; stampata sul viso aveva un'espressione di stupore. Il figlio<br />

di puttana accovacciato sopra di lui lavorava in fretta, depredando il<br />

cadavere. Tutta l'erba, tra la testa e il corpo del ragazzo, era piena di<br />

sangue rosso vivo.<br />

Misi mano alla cintura per estrarre il pugnale di pietra del cielo,<br />

pensando di lanciarlo nella schiena dell'assassino, ma sentii vicino<br />

all'orecchio un suono sibilante e poi l'inconfondibile rumore sordo<br />

di una freccia <strong>che</strong> colpisce un torso umano. Penne color giallo<br />

lucente baluginarono tra le spalle dell'uomo, <strong>che</strong> inarcò la schiena,<br />

annaspando all'indietro con le mani e riuscendo quasi ad afferrare la<br />

freccia prima di ricadere a faccia in giù sul corpo del giovane Anicio,<br />

emettendo un rantolo di agonia.<br />

«Ben fatto, ragazzo,» dissi, e scesi con circospezione verso il<br />

punto dove si trovavano i due corpi, scivolando sull'erba bagnata.<br />

Quando alla fine li raggiunsi, sentii dietro di me Basso <strong>che</strong> vomitava.<br />

Era probabilmente la prima volta <strong>che</strong> uccideva qualcuno, pensai, e la<br />

prima volta <strong>che</strong> vedeva dei morti di morte violenta. Sapevo cosa<br />

provava.<br />

Mi chinai e spinsi il corpo dell'assassino giù da Anicio,<br />

rigirandolo nel farlo. Era grande e grosso. A poca distanza c'erano<br />

uno scudo rotondo e un'ascia insanguinata. Lo scudo era coperto di<br />

intrecci geometrici. Celtici, ma non britannici. Almeno non di quella<br />

parte della Britannia, perché conoscevo i disegni celtici della zona.<br />

Lo presi con entrambe le mani. Basso mi raggiunse.<br />

«Chi è, comandante Varro?»<br />

«Non so, ma puoi scommettere <strong>che</strong> non è solo. Non è di queste<br />

parti, a giudicare dai vestiti e dallo scudo. Penso <strong>che</strong> sia uno Scoto.»<br />

«Dell'Ibernia? E come è riuscito ad arrivare fin quaggiù?»


«Allo stesso modo in cui arrivano ovunque, figliolo. Con<br />

un'imbarcazione.»<br />

«Una galera?» Basso si guardò intorno come se si aspettasse di<br />

vedere l'imbarcazione legata a un cespuglio.<br />

«Sì, e se ho ragione, non è lontana da qui. Diamo un'occhiata.<br />

Ma stai attento, con gente come questa non ci si può permettere di<br />

sbagliare.» Mi guardai intorno e indicai alla mia destra. «Tu vai da<br />

quella parte, a ovest di quel promontorio. Io vado a sinistra. E stai<br />

attento!»<br />

Poco tempo dopo - avevo perso la nozione del tempo - una<br />

freccia con le penne gialle si piantò nel terreno davanti a me e mi<br />

spaventò a morte. Basso era a circa sessanta passi da me e faceva<br />

segno eccitato di raggiungerlo. Raccolsi la sua freccia e andai da lui.<br />

«È tirata in secco sotto al promontorio, comandante! Ho visto tre<br />

uomini. Uno di loro per poco non mi ha scorto.»<br />

«Sei sicuro <strong>che</strong> non ti abbia visto?» Gli porsi la freccia.<br />

«No.» Scosse rapidamente la testi e prese la freccia. «Grazie,<br />

comandante. Non volevo gridare.»<br />

«Giusto. Andiamo a dare un'occhiata, allora.»<br />

Avevano tirato in secco la galera sulla spiaggia sotto al<br />

promontorio, al riparo della scogliera, dove sarebbe stata al sicuro<br />

da osservatori indiscreti e da'le maree. Alla prima occhiata contai tre<br />

uomini di guardia, e ritirai la testa in fretta dopo averli visti un<br />

secondo e averli fissati nella mia mente. L'occhiata successiva fu più<br />

ardita, e strisciai sul ventre fino ad arrivare il più vicino possibile al<br />

bordo della scogliera, congelato fino all'osso per via dell'erba<br />

bagnata. Questa volta ne vidi sei: tre erano rimasti fuori dalla mia<br />

visuale. Sei uomini sembravano un numero ragionevole per fare la<br />

guardia a un'imbarcazione <strong>che</strong>, al completo, era in grado di ospitare<br />

circa trenta uomini. Quanti altri ce n'erano? Non ci sarebbe voluto<br />

molto tempo, pensai, prima <strong>che</strong> si accorgessero <strong>che</strong> uno mancava.


Tornai indietro strisciando e feci segno con la testa in direzione<br />

dei nostri cavalli.<br />

«Andiamo, ma tieni gli occhi aperti. In quell'imbarcazione c'è<br />

posto per altre due dozzine di uomini. Dio solo sa quanti sono e<br />

potremmo incontrarli in qualunque momento.»<br />

<strong>La</strong> testa mi ronzava mentre tornavamo verso i cavalli, ancora<br />

legati al cespuglio dove Basso li aveva lasciati. Quanti altri uomini<br />

c'erano giù alla spiaggia? Dove erano gli altri? Di quanti uomini<br />

avrei avuto bisogno per essere sicuro di avere la meglio senza<br />

rischiare gravi perdite? Maledizione! <strong>La</strong> perdita di un uomo era già<br />

troppo grave! Saltammo a cavallo e ce ne andammo al galoppo, di<br />

nuovo sulla strada, portando con noi il cavallo di Anicio e il castrato<br />

morello.<br />

<strong>La</strong> carovana si era fermata ad aspettarci dove la strada svoltava<br />

a nord. Severo, il mio luogotenente, aveva evidentemente deciso di<br />

concedere agli uomini una pausa; infatti si erano raccolti in piccoli<br />

gruppi e alcuni di loro si erano accovacciati contro i fianchi dei carri<br />

per trovare un riparo dal vento e dalla pioggia.<br />

Non ci misero molto, comunque, a capire <strong>che</strong> qualcosa era<br />

andato storto; infatti cominciarono a muoversi mentre eravamo<br />

ancora almeno a cento passi di distanza, e quando li raggiungemmo<br />

stavano già rientrando nei ranghi, in silenzio e sulla difensiva.<br />

Cominciai a dare ordini prima ancora <strong>che</strong> il mio cavallo si fermasse.<br />

<strong>La</strong>sciai di guardia ai carri Severo e cinquanta uomini, ora avvertiti<br />

del pericolo improvvisamente scoperto, e tornai a marcia forzata alla<br />

spiaggia, portando con me l'altra metà del distaccamento. Basso<br />

rimase indietro con i carri e i cavalli.<br />

Disposi una dozzina di arcieri lungo la cima della scogliera<br />

sovrastante l'imbarcazione e mandai ventiquattro uomini giù alla<br />

spiaggia a ovest del promontorio, ammonendoli di non far rumore,<br />

di non farsi vedere dagli uomini di guardia e di rimanere nascosti<br />

fino al mio segnale. Poi mandai i rimanenti quattordici sul lato


coperto del promontorio per bloccare ogni via di fuga da quella<br />

parte. Infine, quando ritenni <strong>che</strong> fosse il momento giusto, soffiai una<br />

volta nel mio corno.<br />

<strong>La</strong> sorpresa fu completa. Tre Scoti, i tre sotto la scogliera, corsero<br />

lungo la base della scogliera stessa verso la punta del promontorio.<br />

Una freccia ne colpì uno prima <strong>che</strong> facesse cinque passi, ma gli altri<br />

due riuscirono ad arrivare fino alla punta, dove furono uccisi dagli<br />

uomini <strong>che</strong> avevo mandato là per tagliare loro la strada. I tre<br />

sull'imbarcazione videro <strong>che</strong> la situazione era disperata, ci presero<br />

per Romani e buttarono le armi. Tutto finì molto in fretta.<br />

Nel tempo <strong>che</strong> mi fu necessario per arrivare fino alla spiaggia,<br />

un'avanzata lenta e scivolosa a causa della mia gamba storpia e del<br />

terreno sdrucciolevole, i miei uomini avevano radunato i tre<br />

prigionieri sulla spiaggia e li avevano legati insieme. Li ignorai, mi<br />

diressi direttamente alla loro imbarcazione, e salii la rozza scala <strong>che</strong><br />

uno dei miei uomini aveva appoggiato alla fiancata.<br />

L'imbarcazione era forte e robusta, asciutta all'interno, tranne<br />

<strong>che</strong> per l'umidità dovuta alla pioggia, ma non era una galera<br />

romana. Il bottino <strong>che</strong> la ciurma aveva raccolto giaceva in un<br />

mucchio al centro, intorno all'unico albero. Nel mucchio c'erano<br />

quattro botti e io ordinai di aprirne una. Era piena di olio. E così le<br />

altre. Le facemmo a pezzi e demmo fuoco alla nave. Era di legno<br />

stagionato e bruciò come una torcia, ma nuvole oleose di fumo nero<br />

si alzarono alte nell'aria. Guardandole fluttuare mi resi conto troppo<br />

tardi <strong>che</strong> si sarebbero potute vedere da molto lontano. Se il resto<br />

della ciurma fosse stato vicino sarebbe arrivato di corsa.<br />

«Forza, ragazzi!» urlai. «Tornate su! Più in fretta <strong>che</strong> potete.<br />

Tulio, tu e il tuo compagno rimanete qui con me. Gli altri facciano in<br />

fretta! Formate due ranghi e tenete gli occhi aperti. Forse avremo<br />

visite!»<br />

Si avviarono subito, ormai erano già a metà della scogliera.<br />

Erano bene addestrati. Tulio e il suo compagno rimasero ad


attendere gli ordini, fissando i tre prigionieri. Per la prima volta mi<br />

avvicinai ai tre Scoti. Erano un trio dall'aspetto sgradevole e<br />

sapevano <strong>che</strong> la loro vita era nelle mie mani. Mi chiesi se una volta i<br />

comandanti non cristiani avessero problemi di coscienza quando<br />

trattavano con i prigionieri, ma sapevo <strong>che</strong> era una domanda<br />

stupida.<br />

Se avessi lasciato andare quegli uomini, se mai avessi potuto<br />

lasciarli andare, avrebbero continuato a terrorizzare la costa, Dio sa<br />

per quanto tempo ancora. Non potevano fare altro. Avevo bruciato<br />

la loro nave, quindi dovevano rimanere e se fossero rimasti e fossero<br />

sopravvissuti, avrebbero potuto raggiungere i loro compagni.<br />

Dunque dovevo tenerli prigionieri o ucciderli. Non c'era scelta.<br />

Come cristiano ucciderli sarebbe stato un delitto. Ma se li avessi<br />

risparmiati avrei assunto la responsabilità dei loro omicidi, perché<br />

avrebbero certamente ucciso altre persone, sicuro come era sicuro<br />

<strong>che</strong> respiravano. Erano nemici, invasori, pirati. Guardai la sommità<br />

della scogliera e vidi il decurione a capo degli arcieri <strong>che</strong> mi<br />

guardava diritto negli occhi.<br />

Mi girai verso Tulio e il suo amico.<br />

«Ho cambiato idea. Raggiungete gli altri.»<br />

«Ma...»<br />

«Mi avete sentito?»<br />

Si allontanarono guardando, al di sopra delle spalle, i tre Iberni.<br />

Li vidi raggiungere il sentiero sul lato della scogliera e iniziare ad<br />

arrampicarsi. Mi girai di nuovo verso i prigionieri, guardandoli a<br />

uno a uno negli occhi. Lessero nel mio sguardo le intenzioni <strong>che</strong><br />

avevo e tutti insieme, pur legati com'erano, cercarono di scappare<br />

lungo la spiaggia. Il sibilo delle frecce <strong>che</strong> si infilavano nella carne fu<br />

molto forte. Nessuno di loro emise un suono. Morirono in silenzio.<br />

Due scalciavano ancora quando tagliai loro la gola.<br />

Mentre risalivo la scogliera pensavo a come risolvere il


problema degli altri. Dovevano esserci almeno ventiquattro uomini<br />

da qual<strong>che</strong> parte nelle vicinanze. Se avessero visto il fumo salire<br />

dalla loro imbarcazione in fiamme e fossero arrivati correndo, il<br />

problema si sarebbe risolto da solo. Se avessero visto la carovana<br />

sulla strada, invece, si sarebbero nascosti fino a <strong>che</strong> fossimo andati<br />

via, e poi solo Dio avrebbe potuto aiutare quei poveretti <strong>che</strong><br />

vivevano a pochi giorni di marcia da lì. Cercai di dire a me stesso<br />

<strong>che</strong> non erano fatti miei, ma lo erano. Li avevo fatti diventare tali<br />

bruciando la loro dannatissima imbarcazione. Ormai erano<br />

intrappolati lì. Non potevano più salpare verso la loro patria.<br />

Maledissi la collera <strong>che</strong> mi aveva fatto bruciare quell'imbarcazione<br />

senza pensare. Quando avevo visto l'olio spillare dalla botte rotta,<br />

l'unico mio pensiero era stato di impedire a quegli animali di partire<br />

per andare ad ammazzare un altro ragazzo come Anicio per i suoi<br />

vestiti.<br />

Quando arrivai in cima alla scogliera ansimavo. Il decurione al<br />

comando degli arcieri mi aspettava e mi porse il braccio per gli<br />

ultimi passi. Gliene fui grato.<br />

«Bene, ragazzo,» dissi dopo aver mormorato un grazie,<br />

«abbiamo un problema <strong>che</strong> non si risolverà da solo.»<br />

«Quale, comandante Varro?»<br />

«Gli altri, ragazzo, gli altri.»<br />

«Intendi i nostri uomini sulla strada?»<br />

Lo guardai, stupito <strong>che</strong> non avesse capito. «No, ragazzo. Non i<br />

nostri uomini, gli altri predoni. Non possono essere lontani.»<br />

«No, comandante. Certamente no.»<br />

Andava già meglio, ma lo sguardo stupito lo tradì. Scossi la<br />

testa.<br />

«Non parlare solo per compiacermi, ragazzo. Io lo so, perché ho<br />

visto, e tu non lo sai, perché non puoi saperlo. Il fuoco delle sentinelle<br />

sulla spiaggia non bruciava da molto. Non c'era quasi cenere.


Significa <strong>che</strong> sono sbarcati presto stamattina. Hanno lasciato sette<br />

uomini di guardia all'imbarcazione e sono andati nell'entroterra.<br />

Adesso non è ancora mezzogiorno. Almeno credo. Quindi non<br />

hanno avuto tempo di andare molto lontano. Mi segui? Ti pare<br />

logico?»<br />

«Sì, comandante, capisco.» Capiva davvero, i suoi occhi avevano<br />

perso quello sguardo smarrito.<br />

«Bene. Cammina con me fino al mio cavallo e aiutami. <strong>La</strong> mia<br />

gamba è in fiamme.»<br />

Mentre andavamo verso il cavallo continuavo a pensare. Non<br />

riuscivo a ricordare il suo nome e mi scervellavo per ricordarlo. Non<br />

sapere il nome dei propri uomini è una colpa imperdonabile per un<br />

comandante. Grazie a Dio potevo chiamarlo "ragazzo"!<br />

«Non gli ho lasciato scelta, come vedi,» continuai, «e adesso ho<br />

poca scelta su quello <strong>che</strong> mi resta da fare: anzi, non ne ho. Non<br />

possono andarsene via mare. Quindi dobbiamo trovarli e occuparci<br />

di loro, altrimenti terrorizzeranno tutta questa dannata regione. A<br />

proposito, come facevi a sapere <strong>che</strong> avrei dovuto uccidere quegli<br />

uomini sulla spiaggia?» Lo guardai diritto negli occhi mentre glielo<br />

chiedevo.<br />

Non ebbe esitazioni. «Come hai detto tu, comandante: scelte. Sei<br />

stato obbligato a farlo non appena hai mandato indietro Tulio e suo<br />

fratello. Eri solo. Non potevi liberarli e neppure tentare di portarli<br />

con te. Dovevi ucciderli tu, oppure lasciarli lì vivi o chiamare i miei<br />

uomini. In ogni caso avevi bisogno della nostra copertura e noi te<br />

l'abbiamo data.»<br />

Lo guardai con nuovo rispetto. «Semplice, vero?»<br />

«Sì, comandante.» Mi guardò sorpreso.<br />

Grugnii. Non volevo <strong>che</strong> capisse <strong>che</strong> non mi ero reso conto del<br />

pericolo <strong>che</strong> avevo corso mandando via Tulio e il suo compagno, <strong>che</strong><br />

poi era suo fratello. Mi presi mentalmente a calci per non avere


notato nessuna somiglianza.<br />

«Il fratello di Tulio, quanti anni ha?»<br />

«Ha la stessa età di Tulio, comandante. Sono fratellastri.»<br />

Grugnii di nuovo e poi il nome del decurione si affacciò di colpo<br />

alla mia mente.<br />

«Tuo padre, an<strong>che</strong> lui si è risposato, vero?»<br />

Mi guardò stupito. «Sì, comandante. L'anno scorso.»<br />

«Già. È un brav'uomo e un buon soldato. Sapevi <strong>che</strong> è stato il<br />

mio primo centurione, quando sono entrato nelle legioni?»<br />

«Lo so, comandante. Me lo ha raccontato.» Nella sua voce si<br />

sentiva l'orgoglio.<br />

Avevamo raggiunto il mio cavallo e mi aiutò a salire in groppa.<br />

«Grazie, ragazzo!» Mi accomodai sul cavallo, cercando di<br />

mettere ordine nei miei pensieri. «Dunque, per prima cosa,» dissi<br />

rivolto ai fanti schierati, «ho bisogno di quattro di voi per fare una<br />

barella per il corpo del giovane Anicio. Una delle vostre tende tesa<br />

tra due lance e un uomo all'estremità di ogni lancia. Sapete come si<br />

fa.» Mi voltai verso il giovane decurione a capo degli arcieri. «Ho<br />

bisogno <strong>che</strong> i tuoi uomini rimangano con loro, per scortarli e<br />

assicurarsi <strong>che</strong> tornino indietro salvi. Non perdete tempo, perché i<br />

nemici potrebbero essere ovunque e non sarete al sicuro fino a <strong>che</strong><br />

non sarete di nuovo con la carovana. Voglio gli altri uomini in strada<br />

il più in fretta possibile.»<br />

Mi fece il saluto militare e corse via con i suoi arcieri. Io girai il<br />

cavallo e feci segno al resto dei fanti di marciare a passo veloce, per<br />

tornare sulla strada. <strong>La</strong> pioggia, <strong>che</strong> era quasi cessata, ricominciò a<br />

cadere a scrosci, come una cappa gelata.<br />

Spronai Germanico e guardai i miei uomini avanzare<br />

lentamente a fatica tra i cespugli e l'erba alta. Dio! Stavo diventando<br />

vecchio e disattento. Ero lì con una preziosa carovana di carri e


cavalli, a meno di quattro giorni da casa, dopo essere stato via<br />

quattro settimane, e invece di lasciar perdere avevo agito come uno<br />

stupido irresponsabile, bruciando un'imbarcazione <strong>che</strong> non avevo<br />

bisogno di bruciare e imponendo a me e ai miei uomini, alcuni dei<br />

quali sarebbero certamente morti, il compito di trovare e uccidere<br />

una banda di pazzi scoti Iberni.<br />

Riconoscendo l'inutilità di rammaricarmi a cose fatte, mi chiesi<br />

invece come si sarebbe comportato Caio Britannico nelle stesse<br />

circostanze. Avrebbe potuto agire diversamente, risolvendo il<br />

problema in modo più razionale e ugualmente efficace, senza<br />

mettere in pericolo i suoi uomini? <strong>La</strong> risposta, lo sapevo, era <strong>che</strong><br />

Caio avrebbe fatto proprio come me, ma essendo Caio Cornelio<br />

Britannico avrebbe pensato a ogni dettaglio dell'azione, comprese le<br />

implicazioni del suo gesto, prima di mettere a rischio se stesso e i<br />

suoi uomini. Quella premeditazione, quel suo anticipare lo<br />

svolgimento, in contrasto con le mie riflessioni postume, avrebbero<br />

costituito l'unica differenza tra il mio e il suo comportamento, e<br />

accettai questa verità come un fatto normale.<br />

Gli uomini della famiglia Cornelia, una delle famiglie fondatrici<br />

di Roma, erano stati abituati ad accettare le loro responsabilità<br />

aristocrati<strong>che</strong>, con tutte le implicazioni, da oltre un millennio, e Caio<br />

era stato educato dalla fanciullezza ad apprezzare ed esercitare<br />

responsabilità di comando.<br />

Quell'addestramento prevedeva <strong>che</strong> rivolgesse uno sguardo<br />

analitico a ogni cosa <strong>che</strong> faceva, soppesando con cura ogni decisione<br />

prima di agire di conseguenza.<br />

Sapevo <strong>che</strong> Britannico, legato e generale, stratega e tattico, in<br />

quella situazione avrebbe percepito tutto quello <strong>che</strong> avevo percepito<br />

io attraverso occhi diversi, distaccato in virtù del suo rango dalle<br />

sofferenze personali e individuali del soldato di fanteria. Avrebbe<br />

preso in considerazione il benessere generale del suo comando<br />

prima della necessità di vendicare un ragazzo.


Una volta espletato il suo dovere, però, e considerate e<br />

riconosciute le sue responsabilità, il Britannico uomo, il soldato,<br />

l'amico e compagno d'armi, avrebbe agito come me, riconoscendo il<br />

bisogno di misure draconiane, e prendendo poi le sue decisioni<br />

rapidamente e con la totale accettazione delle conseguenze. Il<br />

conforto di tale constatazione mi riportò in me e alla situazione<br />

presente.<br />

Germanico andava al passo e mi accorsi di essere rimasto<br />

indietro rispetto alla colonna <strong>che</strong> marciava a passo di corsa. Spronai<br />

il cavallo al piccolo galoppo e raggiunsi la testa della colonna<br />

proprio quando arrivammo alla strada, dove Severo e il suo<br />

contingente erano di guardia ai carri e ai cavalli.<br />

«Disponetevi su quattro file!» Quando furono sull'attenti diedi<br />

loro l'ordine di riposo e parlai.<br />

«C'è tra voi qualcuno <strong>che</strong> conosca queste zone?»<br />

«Sì, comandante.» Uno dei soldati più giovani aveva alzato il<br />

pugno chiuso.<br />

«Le conosci bene, ragazzo?»<br />

«Sono nato qui vicino, comandante.»<br />

«Dove, esattamente?» Avrei voluto <strong>che</strong> quella maledetta pioggia<br />

cessasse.<br />

«A circa sei miglia da qui. Mio padre lavorava in una villa sulle<br />

colline, laggiù.» Il giovane, per l'esattezza ancora un ragazzo,<br />

indicò le basse colline ondulate alle mie spalle.<br />

«C'è una cittadina da quelle parti?»<br />

«No, comandante. Solo un villaggio.»<br />

«A <strong>che</strong> distanza?»<br />

Il ragazzo aggrottò la fronte e si strinse nelle spalle sotto il<br />

mantello inzuppato. «Sei miglia, forse sette, comandante.»<br />

«Quante persone?»


Si strinse nuovamente nelle spalle, palesemente incerto.<br />

«Coraggio, ragazzo. Quante possono essere? Fai una stima.<br />

Venti? Trenta? Di più?»<br />

«Non lo so, comandante. Non ci vengo da anni. Forse trenta o<br />

quaranta.»<br />

«Tutti contadini?» Annuì. «Bene» dissi. «Grazie. Ci puoi<br />

guidare?»<br />

«Sì, comandante.» I suoi occhi spalancati esprimevano stupore.<br />

Guardai gli altri. «Bene, ascoltate attentamente, voi tutti.»<br />

Indicai la spiaggia alle nostre spalle. «Abbiamo appena bruciato<br />

un'imbarcazione sulla spiaggia, laggiù. Di guardia c'erano sette<br />

uomini. Uno di loro ha ucciso Anicio, <strong>che</strong> era con noi. Non poteva<br />

sapere <strong>che</strong> eravamo in tre. Il giovane Basso ha ucciso lui e poi<br />

abbiamo trovato la nave alla spiaggia, l'abbiamo bruciata e abbiamo<br />

ucciso le altre sei guardie.» Feci una pausa perché digerissero meglio<br />

il significato delle mie parole, poi ripresi. «Su quell'imbarcazione<br />

c'era posto per trenta uomini, più o meno. Sette di loro sono già<br />

morti. Quindi restano tra venti e venticinque scoti Iberni ostili, <strong>che</strong> si<br />

aggirano qui intorno. Sono arrivati solo stamattina. Non c'era<br />

abbastanza cenere nel fuoco perché siano qui già da ieri.» Feci<br />

un'altra pausa perché riflettessero su questo punto, poi aggiunsi:<br />

«Non sono individui pacifici. Se sono penetrati nell'entroterra ci<br />

sono molte probabilità <strong>che</strong> trovino il villaggio, an<strong>che</strong> se non ci sono<br />

andati direttamente. Visto il tempo è possibile <strong>che</strong> restino lì al<br />

riparo. Capite cosa voglio dire?»<br />

Fecero segno di sì e così continuai.<br />

«Quando troveranno le ceneri della loro imbarcazione saranno<br />

furibondi. E solo Cristo potrà salvare chi incontreranno poi. An<strong>che</strong><br />

se volessero tornare a casa non potrebbero. Rimarranno qui e<br />

bruceranno, violenteranno, uccideranno e quando saranno stanchi si<br />

riposeranno per un po' e poi proseguiranno e ricominceranno.


Devono farlo, non hanno scelta.»<br />

Gli uomini apparivano tutti molto controllati, adesso, e lo<br />

sconforto della pioggia scrosciante era ormai dimenticato. Andai<br />

avanti.<br />

«Se riusciamo a prenderli in questo villaggio potremo spazzarli<br />

via prima <strong>che</strong> capiscano chi li sta attaccando. Non si aspettano di<br />

incontrare dei soldati. Questa gente vive sulle donne, sui bambini,<br />

sui vecchi e di tanto in tanto su un contadino. Sono animali feroci e<br />

hanno abbastanza coraggio, ma non sono abituati a un'opposizione<br />

organizzata e non hanno disciplina. Se li prendiamo di sorpresa<br />

possiamo raccoglierli come un mucchio di foglie sec<strong>che</strong> e seppellirli<br />

o bruciarli.» Feci un'altra pausa prima di continuare. «Ovviamente<br />

c'è an<strong>che</strong> la possibilità <strong>che</strong> non abbiano trovato il villaggio. Oppure<br />

potrebbero essere qui da più tempo di quanto io pensi e gli uomini<br />

sulla spiaggia potrebbero non aver acceso il fuoco. Potrebbero an<strong>che</strong><br />

essere un osso più duro di quello <strong>che</strong> credo. In qualunque caso non<br />

posso rischiare <strong>che</strong> tornino mentre noi siamo in cammino verso il<br />

villaggio, quindi lasceremo qui metà delle nostre forze a guardia dei<br />

nostri averi. Voglio cinquanta volontari <strong>che</strong> vengano con me al<br />

villaggio.»<br />

Cento uomini fecero un passo avanti. Sorrisi.<br />

«Pensavo <strong>che</strong> avrebbe potuto succedere. Bene! Prima e terza fila,<br />

quelli a sinistra non si muovano. Partendo da sinistra un uomo sì e<br />

uno no viene con me. File due e quattro, alternatevi rispetto agli<br />

uomini sulla sinistra. Aspettate.» Si bloccarono e rimasero nei<br />

ranghi, mentre io continuavo. «Severo, resta qui e assumi il<br />

comando della difesa. Abbiamo davanti a noi tre ore di marcia.<br />

Quando arriveremo a destinazione sarà buio. Torneremo alle prime<br />

luci. Seppellite il nostro giovane amico Anicio e preparate un<br />

accampamento con un fossato e un bastione. Scegliete il posto con<br />

cura.»<br />

Un grugnito si levò dagli uomini <strong>che</strong> sarebbero stati lasciati


indietro. Risposi loro con un sorriso.<br />

«Basta! L'esercizio vi distrarrà le menti dal brutto tempo e dal<br />

divertimento <strong>che</strong> ci aspetta dovendo arrancare per la campagna in<br />

mezzo a quest'erba alta e fradicia.» Li guardai un'ultima volta.<br />

«Ogni uomo della forza d'attacco prenda dal carro delle provviste<br />

razioni per due giorni. Partiamo tra mezz'ora. Rompete le righe!»<br />

Arrivammo in vista del gruppo di capanne, perché di questo si<br />

trattava, nel pomeriggio avanzato.<br />

Era ovvio, an<strong>che</strong> a distanza, <strong>che</strong> avevo indovinato. Alcune<br />

costruzioni bruciavano lugubremente sotto la fìtta pioggia e da dove<br />

eravamo, in un bos<strong>che</strong>tto a mezzo miglio di distanza, potevamo<br />

vedere gli uomini muoversi tra le case. I predoni erano ancora lì <strong>che</strong><br />

si riparavano dal maltempo.<br />

Pianificai le nostre mosse con cura e agimmo al calare della<br />

notte.<br />

E così ero sdraiato su un lettino dalla struttura in legno, chissà<br />

da quanto tempo. Se non altro la pioggia era cessata.<br />

Aprii la bocca per gridare, ma ne uscì solo un rauco gracchiare e<br />

improvvisamente mi accorsi <strong>che</strong> la sete mi consumava, mi sentivo<br />

come una foglia secca. Pensai di provare ad alzarmi. Decisi <strong>che</strong> avrei<br />

contato fino a dieci e <strong>che</strong> poi avrei cercato di rotolare sul fianco<br />

sinistro, irrigidendo il braccio, nella speranza di riuscire a mettere i<br />

piedi per terra e a sedermi.<br />

Al dieci scopersi <strong>che</strong> ero legato e <strong>che</strong> non potevo muovermi in<br />

nessuna direzione.<br />

Un'ombra oscurò di colpo la luce del sole <strong>che</strong> entrava dalla<br />

porta, e Severo rimase lì in piedi a guardarmi.<br />

«Comandante, sei sveglio! Come ti senti?»<br />

«Tremendamente. Mi prude dappertutto. Cosa stai facendo qui?


Ti avevo lasciato con i carri.»<br />

Mi rispose con un sorriso. «Bene. Se non altro il tuo cervello<br />

funziona ancora, comandante. I carri sono in salvo. Li ho portati con<br />

me quando sono venuto qui.»<br />

«Li hai portati con te? Quando sei venuto? Capisco. Bene, allora<br />

da quanto tempo siamo qui?»<br />

«Da nove giorni, comandante.»<br />

«Nove giorni?! Mio Dio, ma perché?»<br />

«Avevamo paura di muoverti, comandante.»<br />

«Allora potevate lasciarmi qui con una dozzina di uomini di<br />

scorta e far ritornare gli altri alla Colonia! Non hai proprio<br />

iniziativa?»<br />

«Sì, comandante. Qual<strong>che</strong> volta.»<br />

«Bene, allora cosa, in nome di Dio... bah!» Avevo realizzato<br />

l'inutilità di quello <strong>che</strong> volevo dirgli e cambiai argomento.<br />

«Quanti uomini abbiamo perso?»<br />

«Tre morti e cinque feriti. Un ferito è morto, tre sono di nuovo al<br />

loro posto e tu sei il quinto.»<br />

«Quanti Scoti?»<br />

«Tutti. Ventitré. Abbiamo preso la maggior parte nelle capanne,<br />

al primo rastrellamento. Ma ce n'erano nove insieme nel fienile<br />

grande. Sono loro <strong>che</strong> sono usciti in strada per cercare di radunare<br />

gli altri. Ma era troppo tardi. Gli altri erano già morti.»<br />

«Quindi nessun prigioniero?»<br />

«Nessuno, comandante.»<br />

«Quanti abitanti del villaggio sono sopravvissuti?»<br />

«<strong>La</strong> maggior parte delle donne. Alcuni uomini. Circa ventotto,<br />

nell'insieme, contando le donne e i bambini. Sei uomini erano<br />

lontani da casa e sono tornati in seguito.»


«Come stanno a provviste?»<br />

«Ce la faranno, comandante. Siamo arrivati prima <strong>che</strong> i nemici<br />

avessero il tempo di fare altro <strong>che</strong> maltrattare le donne.»<br />

«E quanti uomini abbiamo qui adesso?»<br />

«Dieci, comandante. Contando an<strong>che</strong> te.»<br />

«Dieci?» Sentii <strong>che</strong> la mia espressione tradiva il grande stupore.<br />

«Ma avevi detto... Dove sono gli altri?»<br />

«Li ho rimandati alla Colonia, comandante. Non volevo<br />

rischiare di muoverti, come ho detto, quindi ho tenuto qui pochi<br />

uomini capaci per assisterti, fino a quando sarai in grado di<br />

muoverti.»<br />

Non disse altro e io sentii un'ondata di rossore affluirmi al collo<br />

e alle guance. Mi schiarii la voce e gli feci le mie scuse.<br />

«Sono uno sciocco, Severo, e presto sarò un vecchio sciocco.<br />

Avrei dovuto sapere <strong>che</strong> avresti fatto la cosa giusta. Perché mi prude<br />

così tanto?»<br />

Sorrideva. «Perché sei sporco e hai bisogno di raderti.»<br />

«Mio Dio, sì! E an<strong>che</strong> di un bagno di vapore e di oli profumati.»<br />

Cercai di nuovo di muovermi. Avevo le braccia strettamente legate<br />

al busto. «Perché ho le braccia legate?»<br />

«Per impedirti di agitarti. Ti faccio slegare.»<br />

«Sì, per favore. E mettimi su un carro e portami alla Colonia, ma<br />

per prima cosa portami dell'acqua. Dell'acqua fredda da bere e<br />

dell'acqua calda per lavarmi!»<br />

Due giorni dopo eravamo a casa. Qualunque cosa mi avesse<br />

indebolito, l'aveva fatto nel modo più totale. Ero senza forze, così<br />

debole <strong>che</strong> non riuscivo neppure a stare seduto sul carro. Il rollio del<br />

suo normale, lento procedere mi metteva la nausea, e i miei muscoli,<br />

<strong>che</strong> sembravano essersi completamente trasformati in gelatina, non<br />

mi permettevano di controllare l'equilibrio; perciò, pur essendo


legato con una corda, oscillavo avanti e indietro come un pesce fuor<br />

d'acqua, completamente alla mercé dei sobbalzi della strada. Ero<br />

consapevole della follia della mia determinazione a stare seduto, ma<br />

rifiutavo di arrendermi e solo controvoglia alla fine accettai di<br />

rimanere supino per tutto il viaggio di ritorno a villa Britannico. In<br />

quella posizione, sdraiato su un mucchio di pelli sistemate sul<br />

pianale del carro, non feci altro per tutto il resto del viaggio <strong>che</strong><br />

guardare le nuvole <strong>che</strong> andavano e venivano nel cielo sopra di me.<br />

Fu una vera benedizione sapere finalmente <strong>che</strong> era questione prima<br />

solo di ore e poi di attimi per arrivare alla villa.<br />

Non incrociammo Britannico e i suoi dottori <strong>che</strong> erano usciti per<br />

venirci incontro. Arrivarono il giorno dopo e mi trovarono sulla via<br />

del ritorno all'umanità unto e profumato e massaggiato, sfregato e<br />

lucente e rilassato sotto le cure della mia cara moglie, <strong>che</strong> aveva<br />

mostrato solo una temporanea costernazione davanti alle mie<br />

condizioni, prima di mettersi immediatamente a risanarle.<br />

Ancora oggi, mentre scrivo queste pagine dopo trent'anni di<br />

matrimonio con Luceia Britannico, non riesco a non sorprendermi<br />

per la facilità con cui riesce ad abbandonare ogni sembiante della<br />

matrona ben educata, pur essendo naturalmente la più solare e<br />

pacifica delle creature, e a mutarsi nella matriarca minacciosa piena<br />

di implacabile furia. Da soldato e fabbro sono diventato nel corso<br />

degli anni uno scrittore e un pensatore e per tutto quel tempo avrei<br />

detto «Attento alla mia collera!» a chiunque avesse minacciato in<br />

qual<strong>che</strong> modo me o i miei. Oggi, però, mi rendo conto di quanto<br />

fosse assurdo. Le parole più forti e minacciose <strong>che</strong> avrei potuto dire<br />

dovevano essere «Attento a mia moglie!».<br />

In quell'occasione, vedendomi entrare nei terreni della villa<br />

trasportato a pancia all'aria, uscì di casa correndo come il vento di<br />

fine autunno, e con la violenza del suo arrivo tolse le parole di bocca<br />

a chi stava per parlare e lasciò senza fiato chi voleva dire qualcosa,<br />

aggredendoli e distribuendo ceffoni sulle orecchie.


In pochi istanti venni tirato giù dal carro e trasportato dentro<br />

casa, dove era già stato preparato un divano nonostante il trambusto<br />

di persone <strong>che</strong> si agitavano, accendevano grandi fuochi nei bracieri e<br />

disponevano rotoli di stoffa lungo i muri e le porte per bloccare le<br />

correnti d'aria. Invano cercai di protestare, dicendo <strong>che</strong> ero già in via<br />

di guarigione. Mi ignorarono e mi deposero dove voleva mia<br />

moglie, vicino al fuoco. Mi spogliarono dei panni sporchi, versarono<br />

acqua fumante in una vasca di metallo apparsa come per incanto<br />

vicino al divano; mentre mi immergevano nella vasca ero<br />

consapevole dello sguardo di disapprovazione di mia moglie e degli<br />

angoli della sua bella bocca piegati all'ingiù vedendo le mie<br />

condizioni. Ma avendo ormai imparato, già allora, <strong>che</strong> in simili casi<br />

protestare era inutile, rinunciai e mi arresi al piacere voluttuoso<br />

dell'acqua calda, profumata e avvolgente.<br />

Più tardi, quando fui di nuovo nel mio Ietto, caldo, pulito e<br />

piacevolmente conscio del sonno <strong>che</strong> stava per sopraffarmi, le bende<br />

logore e zuppe sostituite da nuove, fres<strong>che</strong>, strette e bian<strong>che</strong><br />

promesse di guarigione, mi scopersi così felice di essere di nuovo al<br />

sicuro a casa <strong>che</strong> non mi offesi quando Luceia, guardandomi con<br />

occhi colmi di rinnovata fiducia e di amore, scosse la testa e<br />

mormorò qualcosa a proposito del fatto <strong>che</strong> ero troppo vecchio per<br />

simili avventure. Era tempo, mi disse, <strong>che</strong> altri uomini più giovani si<br />

assumessero i rischi <strong>che</strong> io avevo sempre corso di essere ferito o<br />

ucciso. D'ora in poi il mio posto era a casa, alla Colonia, dove le mie<br />

capacità e il valore <strong>che</strong> esse avevano per la comunità non sarebbero<br />

state in pericolo. <strong>La</strong> giovinezza e la sua impulsiva tendenza al<br />

rischio e al pericolo erano ora alle mie spalle. Nella mia mente ormai<br />

immersa nel torpore ricordai di essermi detto le stesse cose solo<br />

pochi giorni prima, nell'attesa dello scontro, ma sentii <strong>che</strong> dovevo<br />

reagire, sapevo <strong>che</strong> dovevo, ma non ne avevo la forza e, in quel<br />

momento, non ne avevo neppure voglia. Eravamo soli, finalmente.<br />

Tutti gli altri, i servi, gli amici e i conoscenti, erano andati via. Luceia<br />

si abbassò gentilmente sul mio giaciglio e mi baciò teneramente,


premendomi le labbra sulle guance e il naso, sugli occhi e la fronte,<br />

seguendo con le dita il contorno del mio viso. <strong>La</strong> sua dolcezza mi<br />

trascinò nell'oblio.


II.<br />

Quando mi svegliai il giorno successivo cominciavo già a<br />

sentirmi normalmente. A colazione bevvi del brodo ristretto,<br />

speziato, e a mezzogiorno avevo fame. Ora di sera morivo di fame e<br />

per cena ricevetti una grossa fetta di pane e un pezzetto di carne<br />

insieme al brodo, an<strong>che</strong> se Luceia pensava <strong>che</strong> fosse prematuro<br />

assumere cibo solido dopo aver digiunato tanto a lungo durante la<br />

malattia. Riuscii a tenere giù il cibo, comunque, e da quel momento<br />

in poi il mio recupero fu rapido. <strong>La</strong> polmonite <strong>che</strong> mi aveva colpito<br />

aveva fatto il suo corso, ma sentivo, e lo dissi a mia moglie, <strong>che</strong> era<br />

stata messa in fuga dal piacere di essere di nuovo a casa insieme alle<br />

persone <strong>che</strong> amavo.<br />

Il terzo giorno dal mio ritorno a casa ero di nuovo in piedi, fuori<br />

dal letto, e facevo brevi passeggiate. Avevo perso molto peso,<br />

considerata la breve durata della mia malattia, e soprattutto avevo<br />

perso tono muscolare; mi meravigliai di ritrovarmi debole come un<br />

bambino e mi abbandonai al malumore quando il medico osservò<br />

<strong>che</strong> era evidentemente colpa della mezza età. Luceia si affaccendava<br />

intorno a me come una chioccia, an<strong>che</strong> se non avevo mai visto una<br />

chioccia così bella, e mi controllava, insistendo perché trascorressi la<br />

maggior parte del tempo <strong>che</strong> passavo fuori dal letto in una comoda<br />

seggiola, ben avvolto in panni caldi, vicino a un braciere nel quale si<br />

consumava un fuoco fatto con il mio carbone di legna, <strong>che</strong><br />

diffondeva intorno un confortevole calore.<br />

Alcuni giorni dopo ero seduto di fronte a Caio e stavo leggendo<br />

qualcosa di cui non ho nessun ricordo. So <strong>che</strong> si trattava di un libro,<br />

ma questo è tutto quello <strong>che</strong> so, perché non credo di aver più letto<br />

una parola dopo <strong>che</strong> Caio alzò gli occhi e disse: «Mi è venuto in<br />

mente <strong>che</strong> cosa avevo dimenticato di dirti prima <strong>che</strong> partissi per il<br />

tuo ultimo viaggio.»


Cambiai posizione, cercando di mettermi più comodo e<br />

strattonando un lembo della coperta nel tentativo di liberarne una<br />

parte. Ma era fatica inutile e rinunciai seccato; parte di<br />

quell'irritazione doveva essere penetrata nel mio tono di voce<br />

quando, in risposta alla frase di Caio, dissi: «Che cosa?»<br />

Caio colse l'inflessione sgarbata e mi guardò sorpreso,<br />

chiedendosi evidentemente cosa aveva detto per provocare una<br />

reazione così brusca; il sopracciglio patrizio si inarcò talmente <strong>che</strong> la<br />

fronte si riempì di rughe sopra l'occhio destro. Mi sentii molto<br />

stupido.<br />

«Scusa, Caio» dissi. «Non volevo essere scortese. Il tono non era<br />

indirizzato a te, era solo il risultato della mia frustrazione.»<br />

«Frustrazione?» Il sopracciglio non accennò a scendere. «Per <strong>che</strong><br />

cosa?»<br />

Fui costretto a ridere, per la mia collera infantile e per la sua<br />

espressione. «Per questa dannatissima coperta. Ci sto seduto sopra e<br />

vorrei liberarla per mettermela sulle spalle, ma non ci riesco e non<br />

posso alzarmi per come Luceia mi ci ha avvolto.»<br />

Immediatamente scattò in piedi, e si chinò su di me tendendo le<br />

braccia per aiutarmi ad alzarmi. Una volta in piedi fu una cosa<br />

relativamente facile liberare le pieghe della coperta e rimetterla<br />

come volevo. Quando tutto fu a posto ci sedemmo di nuovo.<br />

«Allora» dissi. «Che cos'era?»<br />

«Che cos'era cosa?»<br />

«Quello <strong>che</strong> hai dimenticato di dirmi prima <strong>che</strong> partissi per<br />

andare a prendere il ferro.»<br />

Aveva ormai perso interesse in quello <strong>che</strong> si era accinto a dire<br />

poco prima e stava di nuovo guardando il suo libro, chiaramente<br />

desideroso di riprenderne lo studio. «Ah, quello.» <strong>La</strong> sua voce<br />

rifletteva l'interesse ormai sfumato. «Non era niente di importante,<br />

una faccenda di scarso interesse. Ho ricevuto una lettera di Marcello


Prellone, un mio amico in Gallia. Grazie a Dio arriva ancora qual<strong>che</strong><br />

nave postale imperiale. Comunque mi ha scritto <strong>che</strong> è stato a Roma<br />

qual<strong>che</strong> mese fa e ha visto per strada il tuo vecchio nemico Claudio<br />

Seneca. Tu non lo sai, ma Marcello Prellone è uno degli amici a cui<br />

avevo chiesto informazioni su Seneca poco dopo il tuo arrivo qui...<br />

Quanto tempo fa?» <strong>La</strong> domanda era retorica, perché stava già<br />

facendo il conto. «Santo cielo, Publio, ti rendi conto <strong>che</strong> vivi qui da<br />

oltre dieci anni?»<br />

Annuii. «Sì, lo so. Sono sposato con tua sorella da quasi undici.<br />

Ma il tuo amico si è sbagliato.»<br />

Il sopracciglio di Caio si alzò appena. «Cosa intendi dire?»<br />

Alzai le spalle. «Semplicemente quello <strong>che</strong> ho detto. Il tuo amico<br />

deve essersi sbagliato. Non può aver visto Claudio Seneca.»<br />

Rise. «Non essere sciocco. Certo <strong>che</strong> può averlo visto. Era a<br />

Roma, Publio.»<br />

Scossi di nuovo la testa. «No. Non era lui. Sarà stato un Seneca,<br />

mi hai detto <strong>che</strong> sono prolifici. Ma certo non si trattava di Claudio.»<br />

Rimpiansi quelle parole non appena le ebbi pronunciate. Caio<br />

era stupito per la mia reazione a un'osservazione così banale e mi<br />

resi conto di avere commesso un errore tattico. Avrei dovuto<br />

limitarmi ad accettare la sua osservazione e a non dire niente. Avevo<br />

un solo segreto, su questa sola faccenda. Ma avevo risvegliato la sua<br />

curiosità e si girò verso di me.<br />

«Ne sembri convinto, Publio. Come puoi essere così sicuro?»<br />

Fece una pausa, non abbastanza lunga da permettermi di escogitare<br />

una risposta, e continuò, con un'ombra di sospetto nella voce. «Da<br />

quando sei così informato su dove si trova e cosa fa Claudio<br />

Seneca?»<br />

«Non lo sono» risposi deciso. «Ma so <strong>che</strong> il tuo amico si è<br />

sbagliato. È stato un errore di persona, ecco tutto.»<br />

Una piccola ruga gli comparve tra le sopracciglia. «Ma come fai


a saperlo, Publio? Sai per certo <strong>che</strong> Claudio Seneca non era a Roma<br />

in quel momento?»<br />

Una voce profonda dentro di me mi urlava di stare attento a<br />

quello <strong>che</strong> stavo per dire. Decisi di ignorarla. «Sì» dissi,<br />

rimpiangendo più <strong>che</strong> mai di avere risposto al primo commento di<br />

Caio.<br />

Quasi balzò in piedi alla mia risposta, e fu come se mi<br />

aggredisse. «Capisco. Allora dov'era, Publio? E quando era il<br />

momento in questione? Quando era a Roma Marcello Prellone?»<br />

Arrossii e sentii un'ondata di panico per essere stato colto in<br />

fallo. Guardai altrove, nelle profondità del braciere <strong>che</strong> mi stava<br />

davanti, perché non volevo <strong>che</strong> Caio leggesse i pensieri riflessi nei<br />

miei occhi.<br />

Lui non mollò la presa.<br />

«Publio? Mi hai sentito?»<br />

«Ti ho sentito. Sei davvero deciso ad avere una risposta? Perché?<br />

Perché è così importante, Cai?»<br />

<strong>La</strong> mia domanda lo colse di sorpresa; la sua espressione rivelava<br />

stupore e incredulità <strong>che</strong> gli facessi una simile domanda. Quando<br />

rispose il tono della sua voce era quello del maestro <strong>che</strong> spiega<br />

l'evidenza a uno studente <strong>che</strong> fatica a capire.<br />

«È importante proprio per quello <strong>che</strong> hai detto e perché lo hai<br />

detto. Ti conosco, Publio Varro. Non sei un uomo malvagio. So <strong>che</strong><br />

cosa pensavi di Claudio Seneca e so <strong>che</strong> non hai fatto il suo nome per<br />

anni. Adesso io lo nomino per caso, dicendo <strong>che</strong> qualcuno l'ha visto,<br />

e tu neghi immediatamente e categoricamente la possibilità <strong>che</strong> una<br />

cosa simile sia accaduta. Ho l'impressione <strong>che</strong> ci sia qualcosa <strong>che</strong><br />

non va, e poiché sono un vecchio soldato, ho imparato a fidarmi del<br />

mio istinto.»<br />

Sospirai e capitolai. «Bene, Cai. Ti dirò il mio segreto. Il tuo<br />

amico non può aver visto Claudio Seneca perché Claudio Seneca è


morto.»<br />

Toccò a Caio fissarmi senza parole, prima me e poi il fuoco. Si<br />

prese il mento in una mano, massaggiandosi le guance con la punta<br />

delle dita mentre rifletteva.<br />

Quando parlò la sua voce era quasi inespressiva.<br />

«Morto, hai detto? Posso immaginare <strong>che</strong> tu ne sia sicuro. Ne sei<br />

sicuro, vero?»<br />

Annuii. «Sì, sicurissimo.»<br />

«Quanto sicuro?»<br />

«Completamente, senza ombra di dubbio.»<br />

«Come? Chi te lo ha detto? Come fai a essere sicuro <strong>che</strong> è vero?»<br />

«Nessuno me lo ha detto, Cai. Lo so perché l'ho ucciso io.»<br />

Caio respirò profondamente, si alzò, girò sui tacchi e si<br />

allontanò da me, così <strong>che</strong> la sua voce mi giunse da sopra la sua<br />

spalla.<br />

«Quando?»<br />

«Cinque anni fa, proprio quando facemmo alleanza con Ullic e i<br />

suoi Celti e arrivò la notizia <strong>che</strong> Teodosio aveva sconfitto e fatto<br />

giustiziare Magno Massimo.»<br />

Si girò verso di me e rimase a guardarmi dall'altro lato della<br />

stanza. «Cinque anni fa? E non hai detto niente? Perché? Come lo<br />

hai ammazzato? E quando? Non sei mai stato via dalla Colonia per<br />

periodi lunghi e Seneca non è mai stato vicino alla Colonia. Una<br />

simile uccisione avrebbe richiesto o un'attenta pianificazione e<br />

un'assenza <strong>che</strong> avrebbe richiesto una giustificazione, o l'esatto<br />

opposto, un confronto improvviso e folgorante. Non voglio neppure<br />

pensare <strong>che</strong> tu lo abbia ucciso a tradimento. Sono certo <strong>che</strong> gli hai<br />

concesso una morte decorosa, malgrado ai tuoi occhi avesse perso<br />

ogni diritto all'onore... Ma come hai potuto organizzare la sua morte<br />

senza <strong>che</strong> né io né Luceia ce ne accorgessimo, e perché non hai detto


niente a nessuno in tutto questo tempo?»<br />

Annuii, riconoscendo la verità delle sue parole e tutti i<br />

commenti impliciti. «Dopo averlo fatto, ho deciso di non dirlo a<br />

nessuno» dissi, schiarendomi la voce. «Pensavo <strong>che</strong> sarebbe stato<br />

meglio, per non mettere in pericolo te e Luceia con la conoscenza di<br />

quello <strong>che</strong> avevo fatto, an<strong>che</strong> se,» misi una mano avanti, con il<br />

palmo in fuori, per farlo tacere prima <strong>che</strong> potesse interrompermi,<br />

«an<strong>che</strong> se ero convinto <strong>che</strong> quello <strong>che</strong> avevo fatto era giusto e<br />

onorevole, e non ritenevo di aver fatto niente di disdicevole. Ero<br />

stato solo lo strumento della giustizia, pensavo, ma non avevo<br />

nessun desiderio di vantarmene.»<br />

«Capisco.» Caio tornò indietro e si sedette di nuovo sulla<br />

seggiola di fronte a me. «È meglio <strong>che</strong> mi racconti tutto quello <strong>che</strong> è<br />

successo, Publio. Pensaci bene e non dimenticare nessun dettaglio.<br />

Ricorda <strong>che</strong> io non so assolutamente niente di quello <strong>che</strong> stai per<br />

dirmi. Fai conto <strong>che</strong> non abbia mai sentito parlare di Seneca.<br />

Potrebbe essere estremamente importante.»<br />

Impressionato dalla sua evidente sincerità e dalla sua<br />

preoccupazione, rimasi per un po' in silenzio, raccogliendo i pensieri<br />

prima di iniziare un racconto non certo breve, e gli raccontai tutto<br />

quello <strong>che</strong> ricordavo degli eventi <strong>che</strong> avevano portato alla morte di<br />

Claudio Seneca. Avevo organizzato la morte di Seneca da solo,<br />

affrontandolo e uccidendolo con selvaggia soddisfazione per le sue<br />

azioni passate e per la morte di due dei miei più cari amici.<br />

Iniziai dal primo incontro - e dalla prima lotta - tra me e Seneca,<br />

quasi quindici anni prima, quando mi trovavo in compagnia del mio<br />

buon amico Plauto, allora centurione anziano della guarnigione di<br />

Camulodunum, e finii con lo scontro finale, durante il quale avevo<br />

costretto Seneca a firmare la pergamena nella quale confessava i suoi<br />

crimini e gli avevo dato una spada con la quale avrebbe potuto<br />

uccidermi se ci fosse riuscito.<br />

Ma aveva commesso uno sbaglio. E io gli avevo infetto il colpo


mortale; avevo lasciato la sua confessione dove non avrebbe potuto<br />

non essere vista, e avevo lasciato il luogo della lotta prima<br />

dell'arrivo della pattuglia militare <strong>che</strong> era stata avvertita dai miei<br />

uomini.<br />

Mentre raccontavo la mia lunga e sgradevole storia, Caio rimase<br />

seduto in silenzio, fissando le braci. Non alzò gli occhi neppure una<br />

volta a guardarmi. Quando finii di parlare il silenzio tra noi<br />

aumentò, quasi dilatandosi. Il carbone crepitò e cedette con uno<br />

scricchiolio lieve, uno sbuffo di fumo e di cenere leggera. Finalmente<br />

Caio si mosse e mi guardò, emettendo un grande sospiro attraverso<br />

le labbra serrate.<br />

«E non hai detto una parola in tutto questo tempo.»<br />

Scrollai le spalle. «Come ti ho detto, non serviva a niente <strong>che</strong> tu<br />

lo sapessi. Non ne ero fiero.»<br />

«Ci credo. Ma eri soddisfatto della tua vendetta?»<br />

Di nuovo scrollai le spalle. «Non lo so con certezza. Certo non ne<br />

ho ricavato piacere, questo posso dirlo.»<br />

«Ma sei sicuro di averlo ucciso?»<br />

«È ovvio <strong>che</strong> lo sono! Che domanda è questa? Non uccido molta<br />

gente. Ma se lo faccio in genere so di averlo fatto.»<br />

Scosse la testa, con espressione controllata ma leggermente<br />

infastidita. «Non intendevo questo. Intendevo dire se sei sicuro <strong>che</strong><br />

fosse morto quando te ne sei andato.»<br />

«Ne sono certo come del fatto <strong>che</strong> tu sei vivo. Ho tenuto quel<br />

figlio di puttana infilzato sulla punta della mia spada abbastanza a<br />

lungo, e ho sentito la vita uscire dal suo corpo. Avrei voluto<br />

tagliargli la testa, per giustiziarlo in modo più formale, penso, ma<br />

ero troppo disgustato, perciò l'ho lasciato lì. Ma era morto, Caio.»<br />

«Mmm... E hai lasciato la confessione firmata da lui lì, sul<br />

posto?»


«Proprio lì. Infilata sotto il suo braccio.»<br />

«E non hai mai sentito niente a proposito di quello <strong>che</strong> avevi<br />

fatto?»<br />

«No. Niente.»<br />

«E non ti è sembrato strano?»<br />

«No, perché avrebbe dovuto? Sapevo il fatto mio e sapevo cosa<br />

sarebbe successo quando lo avessero trovato. <strong>La</strong> sua famiglia<br />

sarebbe stata informata della disgrazia e avrebbe preso ogni misura<br />

per assicurarsi <strong>che</strong> la verità non si sapesse. Avrebbero comprato il<br />

silenzio a qualunque costo per proteggere se stessi e il nome della<br />

famiglia.»<br />

«Te lo aspettavi? Quindi non ti interessava disonorarlo<br />

pubblicamente?»<br />

«No, per niente. A cosa sarebbe servito? Lo volevo<br />

semplicemente morto e volevo <strong>che</strong> la sua perfidia fosse dimostrata e<br />

resa nota a coloro <strong>che</strong> conoscevano la situazione.»<br />

«Mmm.» Caio si alzò e scosse le pieghe della veste<br />

drappeggiata, tagliata in modo da ricordare la toga classica, ma<br />

molto più leggera e più pratica, aperta davanti dal collo ai fianchi,<br />

chiusa da una serie di piccoli ganci e stretta in vita da una cintura di<br />

morbida pelle. Rimase in piedi, chino in avanti a guardare verso<br />

terra mentre sistemava con cura la veste e si stringeva di nuovo la<br />

cintura in vita.<br />

Sapevo <strong>che</strong> stava pensando intensamente e compiva quei piccoli<br />

gesti per mas<strong>che</strong>rare le sue riflessioni. Infine, soddisfatto dei suoi<br />

sforzi, si girò verso il braciere, stendendo soprappensiero le mani<br />

verso il calore tremolante dei carboni.<br />

Aspettai <strong>che</strong> parlasse.<br />

Finalmente mi fece una domanda <strong>che</strong> mi stupì.<br />

«Publio, ricordi la conversazione <strong>che</strong> avemmo la prima volta <strong>che</strong>


ci incontrammo, quella notte nel deserto africano?»<br />

«Sì, ricordo. Parlammo di molte cose.»<br />

«Sì, e tra quelle di una faccenda di cui non volevo sapere niente.<br />

Ricordi?»<br />

Gli sorrisi. «Me ne ricordo chiaramente. Il tipo di favore <strong>che</strong><br />

avevo fatto al mio legato in comando, il favore <strong>che</strong> mi aveva<br />

procurato - come lo avevi definito? - quel trasferimento<br />

intercontinentale e interlegionario. All'inizio hai pensato <strong>che</strong> fossi<br />

stato coinvolto in qualcosa di illegale.»<br />

«Ma sbagliavo. Eri stato premiato solo per avere "raddrizzato" il<br />

figliol prodigo del tuo comandante. Il giovane Seneca. Come si<br />

chiamava?»<br />

«Il ragazzo? Giacobbe. Lo chiamavo Giaco.»<br />

«Giacobbe? Era il nome di mio fratello. Cosa gli è successo dopo<br />

<strong>che</strong> sei partito, lo sai?»<br />

Scossi la testa. «Non ne ho idea. Non ho più pensato a lui da<br />

quella notte in cui abbiamo parlato di lui. Era solo l'ultimo dei<br />

Seneca. Immagino <strong>che</strong> sarà cresciuto e <strong>che</strong> sarà diventato tribuno,<br />

aveva il carattere del buon ufficiale, malgrado la sua famiglia.<br />

Rammenta <strong>che</strong> allora non pensavo <strong>che</strong> i Seneca fossero diversi da<br />

chiunque altro.»<br />

«Rammento.» Emise un profondo sospiro. «Si imparano molte<br />

cose nella vita.»<br />

<strong>La</strong> pausa <strong>che</strong> seguì fu così lunga <strong>che</strong> pensai <strong>che</strong> avesse finito di<br />

parlare, ma non appena apersi bocca, riprese: «Cosa diresti se ti<br />

dicessi <strong>che</strong> è in Britannia?»<br />

Adesso era il mio turno di accigliarmi, e mi chiesi dove volesse<br />

arrivare. «Giaco? Ne sarei sorpreso.»<br />

«In <strong>che</strong> senso? Sorpreso <strong>che</strong> io abbia una simile informazione?»<br />

Esitai, studiando attentamente la mia risposta prima di


esprimerla, perché ero sorpreso di sentire la rabbia crescermi dentro.<br />

In realtà sapevo <strong>che</strong> Britannico era attento a tutti i movimenti dei<br />

Seneca - di tutti loro - quanto un uomo a piedi scalzi nel deserto sta<br />

attento ai serpenti e agli scorpioni. <strong>La</strong> sua vigilanza era rivolta in<br />

ogni direzione, e nasceva da lunghi anni di inimicizia personale e da<br />

generazioni di odio e di sanguinose faide tra la sua famiglia e la loro.<br />

«No,» risposi alla fine, «sorpreso <strong>che</strong> tu sappia queste cose e non<br />

me ne abbia parlato.»<br />

Mi rispose con un sorriso. «An<strong>che</strong> se avessi pensato <strong>che</strong> questa<br />

informazione poteva esserti sia sgradita sia inutile?»<br />

«Come potevi presumere <strong>che</strong> sarebbe stata sgradita, Caio? Io e lui<br />

eravamo amici una volta. Ma è davvero tornato?»<br />

«Sì, Publio, è tornato. È arrivato insieme all'esercito mandato da<br />

Teodosio a ristabilire l'ordine dopo la ribellione di Magno<br />

Massimo.» Non c'era traccia di sorriso sul volto di Caio. «Adesso è il<br />

comandante incaricato della guarnigione di Venta Belgarum; come<br />

vedi l'ho tenuto d'occhio. È un Seneca, in fin dei conti. Giacobbe ha<br />

iniziato il suo lavoro in Britannia come comandante di squadrone ad<br />

Aquae Sulis e tra i suoi primi compiti c'è stato quello di rispondere a<br />

una misteriosa chiamata <strong>che</strong> riguardava lo scomparso procuratore<br />

della Britannia meridionale.»<br />

«Cosa?» Sentii il sangue defluirmi dal volto e un rombo<br />

crescermi nelle orecchie. «Giacobbe? Un Seneca ha trovato Seneca?<br />

Come fai a saperlo? E perché non me lo hai detto prima?»<br />

Alzò la mano per farmi tacere. «Te lo avrei detto subito se la<br />

storia <strong>che</strong> avevo sentito avesse avuto qual<strong>che</strong> fondamento. I dettagli<br />

sono arrivati in una lettera da un amico di Glevum, Decio Lepido.<br />

Lo hai mai conosciuto?»<br />

Scossi la testa e continuò: «Comunque ormai è confinato a lavori<br />

amministrativi, come la maggior parte dei vecchi soldati prossimi<br />

alla pensione. Secondo Lepido si era trattato di un falso allarme. Un


messaggio misterioso era giunto al comandante della guarnigione di<br />

Aquae Sulis, per informarlo <strong>che</strong> lo scomparso procuratore, Claudio<br />

Seneca, poteva essere ritrovato in un luogo specifico, indicato in una<br />

cartina disegnata a mano. Una pattuglia era partita immediatamente<br />

per cercarlo, ma avevano trovato solo il luogo e tre corpi, uno dei<br />

quali ancora vivo, e nessuno dei tre era il procuratore scomparso. Il<br />

rapporto ufficiale sull'episodio arrivò sul tavolo di Lepido il mese<br />

successivo. Me ne parlò nella lettera successiva, diversi mesi dopo, e<br />

la sola ragione per cui faceva riferimento all'accaduto era <strong>che</strong> a capo<br />

della pattuglia c'era Giacobbe Seneca, nipote del procuratore<br />

scomparso. Disse <strong>che</strong> questo lo aveva fatto pensare al vecchio<br />

proverbio <strong>che</strong> per prendere un ladro ci vuole un ladro». Fece<br />

un'altra pausa.<br />

«Ricordo <strong>che</strong> allora pensai <strong>che</strong> potesse interessarti la ricomparsa<br />

del giovane <strong>che</strong> ti era stato affidato in Africa, oltre alle notizie su<br />

Seneca, ma eri via in uno dei tuoi viaggi quando la lettera arrivò e<br />

non era una notizia molto importante. Quando ritornasti avevo già<br />

dimenticato la notizia. Quando ci pensai di nuovo, molto tempo<br />

dopo, non mi sembrò più degna di essere menzionata. Sembrava <strong>che</strong><br />

tu avessi dimenticato tutta la tribù dei Seneca e pensavo <strong>che</strong> fosse<br />

meglio non svegliare il cane <strong>che</strong> dormiva. Così non ho detto niente.<br />

Ora vedo <strong>che</strong> ho sbagliato.»<br />

Avevo ascoltato l'ultima parte della spiegazione senza capirla<br />

realmente. <strong>La</strong> mia mente era assorta nel significato delle sue parole<br />

precedenti: «Tre corpi, uno dei quali ancora vivo, e nessuno dei tre era il<br />

procuratore scomparso».<br />

«Ma è impossibile!» <strong>La</strong> mia voce era soffocata dal catarro. Caio<br />

alzò un sopracciglio e mi guardò, senza dire niente. Mi schiarii la<br />

voce e ricominciai. «Hai detto... il tuo amico ha detto, nella sua<br />

versione della storia, <strong>che</strong> nessuno dei tre uomini era Seneca.» Caio<br />

attese <strong>che</strong> continuassi. «Ma non è vero. Deve essersi sbagliato.»<br />

Caio scosse la testa brevemente. «No. Citava il rapporto


ufficiale, Publio Lepido non si sarebbe sbagliato su questo. Un<br />

rapporto ufficiale è ipso facto la verità formale.»<br />

«C'erano tre uomini morti in quella radura, Cai. Nessuno era<br />

vivo.» Mi venne un altro pensiero. «E la confessione? Non ha detto<br />

niente di quella?»<br />

«Quale confessione? Il rapporto ufficiale non menzionava<br />

nessuna confessione.»<br />

«L'ho lasciata sotto il braccio di quel maiale!»<br />

«Ti credo. Ma ufficialmente non esiste nessuna confessione, né è<br />

mai esistita.»<br />

Incapace di rimanere seduto più a lungo, ribollente di collera e<br />

di frustrazione, saltai in piedi e mi misi a camminare a grandi passi<br />

per la stanza, picchiando il pugno destro contro la mano sinistra.<br />

Caio si girò per seguirmi con lo sguardo, senza dire niente,<br />

lasciandomi il tempo di tener dietro all'insorgere caotico dei miei<br />

pensieri. Alla fine smisi di camminare e lo affrontai di nuovo.<br />

«Così, in fin dei conti, crescendo Giaco è diventato un Seneca.»<br />

L'unica reazione di Caio fu quella di alzare un sopracciglio nel<br />

vecchio, sardonico modo <strong>che</strong> gli era abituale e io continuai.<br />

«Pensavo <strong>che</strong> fosse diverso... pensavo <strong>che</strong> avesse i numeri per<br />

diventare una persona per bene... ma è contorto e malvagio come il<br />

resto della famiglia. Ha trovato il corpo, ha eliminato la confessione<br />

e ha coperto l'intera faccenda. Ma in <strong>che</strong> modo? Come può aver<br />

tenuto nascosta l'identità di Seneca? Non ha senso.»<br />

Caio si passò la mano sui capelli corti e grigi, dalla sommità del<br />

capo alla fronte, appiattendoli con le dita aperte; sospirò di nuovo.<br />

«Sì, ce l'ha. Ce l'ha, Publio. Pensaci e ricorda chi è la gente di cui<br />

stiamo parlando. <strong>La</strong> ribellione di Magno era terminata. Ovunque<br />

c'erano truppe nuove, tutte di indubbia lealtà a Teodosio, e tutte<br />

provenienti da oltremare. Probabilmente nean<strong>che</strong> un'anima nella<br />

guarnigione aveva mai visto Claudio Seneca, così quando il nipote


stesso dell'uomo ha negato <strong>che</strong> quello fosse suo zio chi poteva<br />

contraddirlo? Ufficialmente Giaco ha riportato indietro un<br />

sopravvissuto senza nome, <strong>che</strong>...»<br />

«È impossibile! Te l'ho detto, Cai, non c'erano altri sopravvissuti<br />

all'infuori di me.»<br />

Mi fissò in silenzio. «E allora perché prendersi tutta quella pena<br />

di negare l'identità del cadavere?»<br />

«Cosa vuoi dire? Ovviamente per proteggere la reputazione di<br />

quel maiale.»<br />

«Da <strong>che</strong> cosa, Publio? Tutto quello <strong>che</strong> Giaco doveva fare era<br />

distruggere la confessione scritta, e Seneca era senza macchia.<br />

Sarebbe stata una tragica fine per una figura eroica: il nobile<br />

procuratore, assassinato dai suoi rapitori dopo una lotta titanica nel<br />

tentativo di fuggire. Questo avrebbe an<strong>che</strong> messo fine al mistero<br />

sulla sua scomparsa in maniera molto decisa, davanti agli occhi di<br />

chiunque tranne <strong>che</strong> ai tuoi.»<br />

«Dannazione, non basta, Caio.» Stavo mentalmente rigirando il<br />

coltello nella piaga, perché sapevo di avere ragione. «Deve esserci<br />

un'altra spiegazione. Quel figlio di puttana era morto quando me ne<br />

sono andato. Te lo giuro.»<br />

Caio scosse lentamente la testa, non volendo darmi ragione su<br />

quel punto. «Allora quale altra spiegazione è possibile secondo te,<br />

Publio?»<br />

Picchiai il pugno chiuso contro il palmo dell'altra mano. «Non lo<br />

so, non lo so. Ma ci deve essere qualcosa, qualcosa di infido, viscido<br />

e malvagio come un serpente. Qualcosa <strong>che</strong> potrebbe venire in<br />

mente solo a un Seneca e <strong>che</strong> ci sfugge!»<br />

Caio arrivò a una decisione. Lo vidi nei suoi occhi e poi nel<br />

cenno della testa, un cenno breve e deciso.<br />

«D'accordo, ti concedo <strong>che</strong> puoi avere ragione, solo per quanto<br />

riguarda i rettili. Ma noi non siamo del tutto privi di risorse. <strong>La</strong>


verità è verificabile, an<strong>che</strong> se non immediatamente. Stasera scriverò<br />

di nuovo al mio amico Marcello Prellone e lo pregherò di essere più<br />

preciso riguardo alla sua pretesa di aver visto Claudio Seneca a<br />

Roma. Ci vorrà un mese o più per sapere se ha qualcosa da<br />

aggiungere al suo rapporto originario, ma alla fine sapremo, con<br />

discreta certezza, se Prellone nella sua lettera ha detto il vero o se era<br />

solo un pettegolezzo.»<br />

Mi sentivo già meglio. «Bene. Facciamo così. Ma è morto, Cai, e<br />

il tuo amico Prellone ha fatto un errore di identificazione. Ci<br />

scommetterei. Non so cosa abbia spinto Giaco Seneca a nascondere<br />

la morte del suo spregevole zio, ma so <strong>che</strong> lo ha fatto. Claudio<br />

Seneca, <strong>che</strong> possa essere maledetto dal Dio degli antichi Ebrei, è<br />

morto e sta bruciando nell'Ade.»<br />

Non c'era altro da dire per il momento, pensai, ma malgrado la<br />

mia sicurezza, la serenità della mia mente era stata scossa, e finii per<br />

dormire la maggior parte del pomeriggio, cullato da una tisana<br />

preparata per me dal medico di Caio.<br />

Nel giro di pochi giorni, però, sarebbe accaduta una serie di<br />

eventi <strong>che</strong> avrebbe cancellato dalla mia mente tutti i ricordi e i<br />

pensieri riguardanti Claudio Seneca.


III.<br />

In ogni uomo <strong>che</strong> respira è nascosta una bestia, una bestia <strong>che</strong> è<br />

nata insieme a lui e <strong>che</strong> vive con lui per tutta la vita, nella costante<br />

lotta per predominare su quello <strong>che</strong> egli preferisce considerare "il<br />

meglio di sé". Dico questo con grande convinzione perché ho dovuto<br />

fare i conti con la mia bestia personale, <strong>che</strong> ora dorme dentro di me;<br />

dorme, ma non è morta. A volte si agita ancora, ricordandomi la sua<br />

presenza e il suo veleno. Le catene della mia bestia sono forti. Tanto<br />

forti quanto potevo fabbricarle io, <strong>che</strong> fabbrico catene. So a mie<br />

spese, però, <strong>che</strong> sono an<strong>che</strong> paurosamente fragili.<br />

Non ho sempre saputo queste cose, perché non è nella mia<br />

natura perdere molto tempo con questioni <strong>che</strong> non posso prendere<br />

in mano e piegare o raddrizzare con un martello. Ho imparato la<br />

verità sull'animale <strong>che</strong> vive dentro ogni uomo solo quando ero<br />

ormai un uomo nella piena maturità, e l'ho appresa dal mio amico<br />

vescovo Alarico, quando insieme vedemmo la distruzione operata<br />

dalla "bestia" di un pover'uomo, <strong>che</strong> lo aveva spinto a correre<br />

all'impazzata, preso da follia sanguinaria, tra vicini e amici,<br />

storpiando e mutilando prima <strong>che</strong> si riuscisse a immobilizzarlo.<br />

Alarico disse allora <strong>che</strong> quell'uomo, <strong>che</strong> entrambi conoscevamo<br />

bene, «era posseduto dalla bestia». Sentendo queste cose dalla voce<br />

di Alarico, uomo di Dio, immaginai <strong>che</strong> alludesse alla Bestia per<br />

eccellenza, il diavolo, e glielo dissi. Ma Alarico mi fece subito capire<br />

<strong>che</strong> lo avevo frainteso.<br />

Era troppo comodo - mi disse con quella semplicità di<br />

linguaggio <strong>che</strong> tanto ammiravo in lui - dare tutta la colpa dei peccati<br />

e delle afflizioni umane a Lucifero. Così facendo sfuggiamo alla<br />

responsabilità delle nostre azioni, mentre la colpa» in realtà, era da<br />

attribuire a una bestia meno importante e più umana, <strong>che</strong> a volte<br />

dormiva e a volte si agitava selvaggiamente dentro ognuno di noi,


uomini e donne. Quanto ognuno di noi riusciva a soggiogare la sua<br />

bestia personale determinava il bene e la grandezza <strong>che</strong> riusciva a<br />

raggiungere in questa vita.<br />

Era una nozione nuova per me, un'idea molesta e sconfortante<br />

con la quale, devo confessarlo, non mi affrettai a fare i conti. Ma a<br />

quell'epoca non avevo ancora veramente incontrato la mia bestia e,<br />

per quanto mi sforzassi di vederla o di sentire la sua presenza, era<br />

solo nel freddo piacere <strong>che</strong> provavo a uccidere in guerra, il crudele<br />

gioire in battaglia e il malessere e la repulsione <strong>che</strong> seguivano, ma<br />

questa non era la bestia, decisi, era solo il senso di colpa.<br />

Molti anni dopo, sotto la minaccia della pioggia, un tardo<br />

pomeriggio nuvoloso e pieno di mos<strong>che</strong> e di presagi funesti, mi<br />

tornarono alla mente con chiarezza quell'occasione e quella<br />

discussione, mentre guardavo, pietrificato dall'orrore, i segni della<br />

vittoria della bestia su un altro uomo ancora, e vi riconobbi<br />

pienamente il volto orrendo della mia.<br />

Riportare alla mente quell'episodio mi ha messo a dura prova,<br />

una prova nuova e preoccupante, perché adesso devo scrivere della<br />

bestia <strong>che</strong> è nell'uomo e della bestia <strong>che</strong> è in me. Ho paura di questo<br />

compito e lo aborrisco, ma il mio cammino è chiaro: non posso<br />

occuparmi delle colpe degli altri se prima non mi sono pienamente<br />

occupato delle mie gravi colpe, confessandole e riconoscendole. E<br />

così ora devo parlare del mio amico Domizio Titente e dell'inganno<br />

con cui io ho ricambiato la sua amicizia.<br />

Domizio Titente era nostro vicino ed an<strong>che</strong> pro-pronipote, come<br />

Caio Britannico, di uno degli originari costruttori delle ville della<br />

regione, <strong>che</strong> noi avevamo sviluppato facendone la nostra Colonia.<br />

Era an<strong>che</strong> mio amico e avido studioso dell'arte del fabbro ferraio.<br />

Non sarebbe mai diventato un armatolo, ma aveva imparato in<br />

fretta la destrezza artistica necessaria a mutare il ferro battuto in<br />

forme piacevoli, robuste e decorative.


Era nelle legioni nello stesso periodo mio e di Caio e aveva<br />

svolto la maggior parte del servizio militare nelle mar<strong>che</strong> orientali<br />

dell'Impero. Aveva servito per molti anni in Asia Minore e aveva<br />

concluso il servizio a Costantinopoli, presso la corte imperiale, dove<br />

aveva conosciuto e sposato Cilla, la sua consorte rossa di capelli, e<br />

l'aveva portata con sé nella sua grande tenuta in Britannia al termine<br />

del servizio.<br />

Cilla Titente fece per molto tempo parte della mia vita, una parte<br />

<strong>che</strong> non riuscii mai ad affrontare. Al principio pensavo a lei come a<br />

"Scilla" e immaginavo <strong>che</strong> possedesse tutti gli attributi del mostro<br />

mitologico. Rese infelice la mia vita per molti anni, ma non me la<br />

presi mai con lei. <strong>La</strong> colpa era mia. Cilla era soltanto se stessa.<br />

Qualunque fosse il potere, buono o malvagio, <strong>che</strong> esercitava su di<br />

me, ciò avveniva solo perché io glielo permettevo, e questa sua dote<br />

mi rendeva incapace di affrontarla come avrei voluto.<br />

Esercitava un oscuro potere con la determinatezza di un despota<br />

e io non fui mai capace di spezzare la sua presa.<br />

Cilla e io non andammo mai a letto insieme. Mai. Se ci fossi<br />

andato an<strong>che</strong> una sola volta avrei tradito mia moglie e il mio onore<br />

ai miei occhi per sempre. Posso affermare con certezza <strong>che</strong> Luceia mi<br />

avrebbe perdonato se mi fossi smarrito, perché me lo disse e so <strong>che</strong><br />

diceva la verità. Ma io non mi sarei mai perdonato una simile<br />

atrocità.<br />

Cilla Titente incarnava tutto quello <strong>che</strong> disprezzavo e <strong>che</strong> mi<br />

disgustava in una donna, tutto mellifluamente nascosto sotto una<br />

forma <strong>che</strong> qualunque uomo avrebbe ammirato.<br />

Cilla mi affascinava. Era bella e aveva per la propria bellezza<br />

una totale, consacrata devozione <strong>che</strong> non lasciava spazio per niente<br />

e per nessuno.<br />

Il suo corpo era il suo tempio e lavorava faticosamente per<br />

mantenerlo sodo a lungo. <strong>La</strong> bellezza era il sangue della vita per<br />

Cilla, e lei era interamente dedicata a proteggerla. Non sedeva, né


camminava mai al sole, perché pensava <strong>che</strong> il sole seccasse la pelle e<br />

favorisse le rughe. E non si poteva neppure nominare Cilla con i<br />

bambini nella stessa frase. Lei era la sola cosa <strong>che</strong> contava e la sola<br />

cosa a cui si dedicava.<br />

Sapevo quanto Cilla fosse infedele; ne avevo le prove. E lei<br />

sapeva <strong>che</strong> la consideravo una sgualdrina senza pudore. Non tentò<br />

mai di confutare l'accuratezza o la validità della mia opinione. Non<br />

ne sentiva il bisogno. Io la desideravo e lei incoraggiava il mio<br />

desiderio, sfidando di proposito la bestia <strong>che</strong> era in me, portandola<br />

sempre più vicina alla superficie con il mio tacito consenso.<br />

C'era in me una perversità <strong>che</strong> mi faceva godere<br />

quell'esperienza fino in fondo, per quanto essa mi tormentasse. Il<br />

ricordo di alcune situazioni <strong>che</strong> abbiamo condiviso riesce ancora di<br />

tanto in tanto a soffocarmi di desiderio, an<strong>che</strong> se sono passati<br />

almeno venti anni dall'ultima volta <strong>che</strong> l'ho vista. Quella donna era<br />

la tentazione personificata e ogni sua lusinga conteneva una sfida,<br />

pensavo, alla mia suprema forza morale. Questo ero solito dirmi.<br />

Nella mia arroganza mi illudevo di essere in ultima istanza<br />

invulnerabile alla sua attrazione, ma c'era sempre la possibilità <strong>che</strong><br />

soccombessi.<br />

<strong>La</strong> nostra perversa relazione era un segreto tra noi due,<br />

colpevole da parte mia, dichiarato ed eccitante da parte di Cilla. Tra<br />

noi due non c'era simulazione. Le motivazioni di Cilla erano<br />

solamente sue, come lo era l'innegabile soddisfazione <strong>che</strong> ricavava<br />

dall'intera situazione; le mie motivazioni erano altrettanto personali.<br />

Non le discutemmo mai, tranne <strong>che</strong> nei termini più volgari e<br />

grossolani, e solo nelle occasioni consentite da un particolare<br />

insieme di circostanze. Allora ci esprimevamo soprattutto in<br />

sussurri, e solo Cilla agiva, anzi recitava è il termine più indicato. Io<br />

non facevo altro <strong>che</strong> guardare e reagire con un rigido controllo <strong>che</strong> a<br />

volte era un agonia. Mantenemmo il nostro rapporto entro questi<br />

vincoli, perché essi erano il mio controllo e perché io stesso avevo


dettato le regole in apertura di quello <strong>che</strong> doveva diventare un gioco<br />

lungo ed elaborato.<br />

Iniziò quando ci incontrammo la prima volta, la prima notte <strong>che</strong><br />

passai a villa Britannico, quando avevo appena incontrato Luceia e<br />

mi ero innamorato di lei. Cilla era entrata nel mio letto quella notte e<br />

mi aveva risvegliato nel bel mezzo di un sogno erotico. Se Luceia,<br />

conoscendo Cilla e quello <strong>che</strong> era in grado di fare, non fosse giunta<br />

tempestivamente in mio soccorso, avrei preso Cilla lì, in quel<br />

momento, senza nemmeno preoccuparmi di chi fosse. Ma non<br />

accadde nulla. Luceia bloccò quella situazione sul nascere e io non<br />

rividi Cilla per almeno un anno.<br />

Ci incontrammo di nuovo a una riunione di amici, un<br />

festeggiamento per rendere grazie per l'abbondanza del raccolto. Di<br />

nuovo Cilla mi fece capire, senza parole, <strong>che</strong> mi considerava un<br />

potenziale compagno di letto, da avere entro breve tempo. In<br />

quell'occasione e per molto tempo in seguito riuscii a sfuggire alle<br />

sue mire, grazie al semplice espediente di non rimanere mai solo con<br />

lei. E così continuammo per un altro anno o più, riunendoci in<br />

quattro, Luceia, io, Cilla e suo marito Domizio, <strong>che</strong> lei chiamava<br />

Dom, almeno cinque volte in occasione di analoghi incontri.<br />

È bene a questo punto chiarire <strong>che</strong> Cilla Titente era, come ho già<br />

detto, più <strong>che</strong> semplicemente attraente. Già da lontano si vedeva <strong>che</strong><br />

era meravigliosa, e irradiava un'aura di disponibilità sessuale di cui<br />

ogni uomo in qualunque riunione era consapevole e a cui ogni<br />

uomo rispondeva, con la sola eccezione di Domizio, suo marito.<br />

Solo conoscendola più intimamente si scoprivano i suoi tratti<br />

meno attraenti, ed è possibile <strong>che</strong> solo io li avessi notati; molti<br />

uomini sembravano dimentichi dei suoi difetti, e distinguevano solo<br />

il dolce miele distillato tra le sue cosce. Innanzitutto aveva una voce<br />

aspra. Quando parlava con calma non era troppo arduo ascoltarla,<br />

ma quando si animava la sua voce acquistava un tono acuto e<br />

stridente <strong>che</strong> era molto sgradevole. Sgradevole era an<strong>che</strong> il suo


atteggiamento nel trattare o nel discutere su persone, cose e<br />

argomenti <strong>che</strong> non le recavano direttamente nessun vantaggio.<br />

Sapeva essere, e spesso lo era, bisbetica, sprezzante, antipatica e<br />

saccente su ogni cosa di cui parlava, sapesse o no di cosa stava<br />

parlando. Cilla declamava sempre il suo punto di vista, presumendo<br />

di avere in ogni campo una competenza raramente giustificata. In<br />

breve la sua personalità era veramente detestabile e preferivo<br />

mantenermi a distanza da lei.<br />

Da parte sua Domizio era letteralmente plagiato dalla moglie.<br />

Baciava il terreno su cui camminava e la sua venerazione era tale <strong>che</strong><br />

non la considerò mai meno <strong>che</strong> perfetta. Era un cristiano devoto,<br />

assolutamente privo di malizia e di diffidenza e la sua carità era<br />

sconfinata. Era cosciente della vanità di sua moglie, del fatto <strong>che</strong> lei<br />

si preoccupasse solo di se stessa e del suo aspetto, e delle sue<br />

oltraggiose spese per mantenere tutto ciò. Ma questo non lo turbava.<br />

Ne rideva e si considerava fortunato di essere in grado di<br />

provvedere a tutte le sue necessità. Fortunatamente per Cilla<br />

accettava an<strong>che</strong> come parte della vita e della felicità <strong>che</strong> sua moglie<br />

dovesse passare almeno una settimana su tre ad Aquae Sulis, a fare<br />

le cure termali. A volte l'accompagnava, con grande, sia pure<br />

inespresso, fastidio di Cilla.<br />

Più sovente, però, Domizio si accontentava di restare a casa a<br />

mandare avanti le sue tenute e a occuparsi dei suoi passatempi,<br />

lasciando l'amata moglie a piaceri ragionevolmente discreti.<br />

Fu durante la primavera del mio terzo anno a villa Britannico,<br />

quando muovevamo i primi cauti passi per espandere la nostra<br />

Colonia, <strong>che</strong> Domizio Titente un giorno visitò la mia fucina e ne<br />

rimase affascinato.<br />

Era venuto a discutere una questione di famiglia con Caio, e fece<br />

visita alla mia fucina per pura cortesia, e per passare una parte della<br />

sua giornata.<br />

Mi chiese a <strong>che</strong> cosa stessi lavorando e io glielo mostrai, e poi mi


fece sempre nuove domande, mostrando un vero interesse.<br />

Io risposi con entusiasmo, come avrebbe fatto qualunque<br />

artigiano, e il risultato imprevisto fu <strong>che</strong> acquisii nel breve spazio di<br />

un pomeriggio un ricco e appassionato apprendista <strong>che</strong> rideva della<br />

fuliggine sulle sue vesti immacolate.<br />

Mi sono chiesto spesso se le cose sarebbero andate diversamente<br />

per la nostra Colonia se quel giorno mi fossi limitato a rispondere<br />

gentilmente e mi fossi liberato di lui, dicendo <strong>che</strong> avevo troppo<br />

lavoro per evitare le sue domande. Ma, ovviamente, ogni<br />

recriminazione è inutile.<br />

Comunque Dom nel giro di pochi mesi allestì e mise in funzione<br />

la sua fucina. Non è importante il fatto <strong>che</strong> non sia mai diventate un<br />

buon fabbro - per lui era solo un passatempo - è importante <strong>che</strong> per<br />

anni abbia ricavato da quell'attività un grande piacere. Lui e io<br />

diventammo amici e cominciai a passare diverso tempo nella sua<br />

casa, entrando così nel disegno bizzarro e grottesco <strong>che</strong> era il gioco<br />

di Cilla.<br />

Ho sempre pensato <strong>che</strong> fosse il gioco di Cilla, ma io ero un<br />

giocatore attivo come lei da molti punti di vista. Ricordo con<br />

precisione come si svilupparono le mosse palesi del gioco, ma le<br />

manovre preliminari e le valutazioni <strong>che</strong> le accompagnarono furono<br />

solo di Cilla; io ne ero completamente all'oscuro. Fin dall'inizio,<br />

molto prima di sapere <strong>che</strong> esisteva un gioco, ero deciso a far sì <strong>che</strong><br />

Cilla non riuscisse mai a cogliermi da solo; doveva sempre esserci<br />

qualcuno nelle vicinanze, qualcuno a distanza di orecchio. Cilla<br />

accettò in fretta queste regole basilari e ne accettò an<strong>che</strong> il corollario<br />

di cui io non ero ancora consapevole: <strong>che</strong> chiunque ci fosse intorno a<br />

noi ci sarebbero sempre stati degli intervalli, sia pur brevi, durante i<br />

quali lei e io ci saremmo trovati insieme inosservati. Fu<br />

sull'accettazione di queste regole <strong>che</strong> costruì la sua strategia e su<br />

questa premessa mosse le pedine con autorità crescente, imparando<br />

in fretta cosa avrei tollerato da lei e cosa no. Come poi accadde, non


c'era niente, dal punto di vista stretto delle regole del gioco, <strong>che</strong> non<br />

avrei tollerato.<br />

Cilla decise di rendersi attraente ai miei occhi, personalmente,<br />

intimamente e come ospite e, malgrado la mia evidente<br />

disapprovazione, ci riuscì. Non serve descrivere quello <strong>che</strong> fece; fa<br />

parte dell'arsenale di qualunque donna <strong>che</strong> aspiri a un uomo, e ogni<br />

adulto le conosce. Ma Cilla utilizzò queste armi con una sottigliezza<br />

supplementare, affilandole per renderle strumenti di un'incredibile<br />

potenza e alla fine usandole per colpire a fondo, con cura e con<br />

oltraggiosa sfrontatezza, nei momenti più strani. Chiunque<br />

guardando avrebbe detto <strong>che</strong> per la maggior parte del tempo mi<br />

ignorava completamente, ma quando si rivolgeva a me era sempre<br />

gentile, cortese e ospitale. Nemmeno un'occhiata di sbieco per<br />

Publio Varro! Nessuno avrebbe mai potuto sospettare <strong>che</strong> tra noi<br />

esistesse un qualunque legame, una qualunque attrazione.<br />

Senza contraddirmi, devo riconoscere <strong>che</strong> Luceia ebbe qual<strong>che</strong><br />

fugace sospetto, proprio all'inizio, prima <strong>che</strong> la sciarada si<br />

sviluppasse e prima <strong>che</strong> io avessi capito cosa Cilla stava facendo.<br />

Essendo una donna e mia moglie, le sembrava <strong>che</strong> la conversione di<br />

Cilla nei miei confronti, da predatrice sessuale a simpatica amica,<br />

fosse troppo completa e me lo fece notare una sera <strong>che</strong> cenavamo da<br />

soli. Parlò solo perché era perplessa: non voleva in nessun modo<br />

accusarmi e la mia risposta fu cristallina, conclusiva e assolutamente<br />

veritiera: «Sa di non piacermi». Luceia l'accettò e non fece più<br />

menzione della cosa, e di ciò le sono estremamente grato.<br />

E così Cilla mi disarmò quasi al punto <strong>che</strong> stavo prendendo in<br />

considerazione l'idea di abbassare la guardia. Cominciavo a sentirmi<br />

tranquillo con lei. Cominciavo a rilassarmi, ad accettare <strong>che</strong> non<br />

sarebbe stata aggressiva, non mi avrebbe messo in imbarazzo: a<br />

quell'epoca era una delle po<strong>che</strong> persone nella cui compagnia io ero<br />

ancora conscio della mia gamba zoppa. A poco a poco, però, questa<br />

consapevolezza si affievolì, grazie al trattamento coerente e


premuroso <strong>che</strong> mi riservava, e al suo estremo rispetto. Cominciai a<br />

sentirmi a mio agio in sua presenza. Non appena se ne accorse mise<br />

in atto la mossa successiva. Lentamente e con molta gradualità,<br />

nell'arco di alcuni mesi, inserì nel gioco il toccarsi. Non parlo del<br />

toccarsi reciproco: a parte un'unica fugace occasione, Cilla non mi<br />

toccò mai, né io toccai mai lei. Lei si toccava, però, e lo faceva solo<br />

per me, sapendo <strong>che</strong> io la guardavo.<br />

<strong>La</strong> prima volta <strong>che</strong> mi sorprese con un gesto dichiarato, la mia<br />

reazione fu quella di pensare <strong>che</strong> il suo gesto non fosse stato<br />

intenzionale, <strong>che</strong> avevo semplicemente visto qualcosa <strong>che</strong> non avrei<br />

dovuto vedere. Dom mi aveva portato alla villa per mostrarmi a<br />

cosa stava lavorando e si era diretto a un armadio chiuso dalle<br />

tende, sotto la curva della scala principale, alla ricerca del suo<br />

progetto. Cilla attraversava il vestibolo quando noi entrammo.<br />

Sorrise amabilmente, scambiò con noi qual<strong>che</strong> parola senza fermarsi<br />

e poi cominciò a salire le scale. Io rimasi nell'ingresso aspettando<br />

Dom.<br />

Cilla vestiva sempre in modo meraviglioso ed era famosa per<br />

questo. Il suo abito era disegnato in modo <strong>che</strong> i drappeggi<br />

coprissero, ma insieme sottolineassero al massimo le sue forme: i<br />

seni, il ventre piatto, le cosce, i fianchi, le nati<strong>che</strong> e la lunga e nitida<br />

linea delle gambe snelle. Le scale erano illuminate da un lucernario a<br />

vetri; Cilla si fermò circa otto gradini più in su per chiamare Dom e<br />

ricordargli <strong>che</strong> quel pomeriggio avrebbero avuto ospiti. Si era<br />

fermata con il piede destro due gradini più in alto del sinistro sulla<br />

scala, e si era piegata in avanti e a sinistra per chiamare Dom, <strong>che</strong> si<br />

trovava quasi direttamente sotto di lei. Notai le soffici pieghe del<br />

vestito drappeggiate intorno alla coscia alzata, perfettamente<br />

evidenziata dalla stoffa <strong>che</strong> vi aderiva.<br />

Cilla rimase in quella posizione, con il capo inclinato per sentire<br />

la risposta di Dom, senza fare attenzione a me; rimase lì in equilibrio<br />

per un tempo <strong>che</strong> misurai in diversi battiti del cuore, e in questo


tempo la mano destra le cadde sulla coscia e strofinò il morbido<br />

tessuto color ambra, in un modo <strong>che</strong> mi parve quasi inconsapevole;<br />

ma il gesto durò un istante di troppo.<br />

Quel tocco distratto divenne un'inconfondibile carezza, un<br />

invito a guardare e ammirare, un lascivo piccolo segreto da portare<br />

via con me, poiché avevo visto l'incredibile intimità con cui le sue<br />

dita si piegavano a premere il tessuto contro la morbida e piena<br />

curva della coscia sopra il ginocchio, fino alla giuntura delle gambe.<br />

Poi Dom le rispose e lei riprese a salire, senza lanciare neppure uno<br />

sguardo verso di me. Sentii il mio sesso indurirsi e il cuore pulsarmi<br />

nelle orecchie, e mi mossi in fretta per raggiungere Dom, nella<br />

speranza <strong>che</strong> non notasse la mia evidente eccitazione.<br />

Questa fu la prima mossa palese nel gioco di Cilla e da quel<br />

momento fece rapidi progressi. <strong>La</strong> seconda mossa non tardò molto.<br />

In piedi vicino a Dom, con le braccia conserte, mentre entrambi<br />

guardavano sul tavolo dove avevo srotolato la pergamena <strong>che</strong> gli<br />

avevo portato per mostrargliela, Cilla si grattò pigramente il seno<br />

con l'unghia del pollice, facendo ergere in turgida prominenza un<br />

capezzolo incredibilmente grande, mentre io ero a meno di un<br />

braccio da lei. Vidi la pienezza morbida e docile del seno e l'urgenza<br />

dell'eccitazione di quel capezzolo, ma non notai niente <strong>che</strong> indicasse<br />

<strong>che</strong> lei fosse cosciente del mio sguardo. Dom, ovviamente, non vide<br />

nulla.<br />

In un'altra occasione, ci trovavamo a una riunione di una<br />

ventina di persone, compresa Luceia, nella sala principale della casa.<br />

Ormai potevo prevedere <strong>che</strong> Cilla avrebbe trovato il modo, chissà<br />

come, di fare qualcosa, e avevo indossato una lunga sopravveste <strong>che</strong><br />

speravo nascondesse qualunque stato di eccitazione. Stavamo<br />

aspettando <strong>che</strong> i servitori annunciassero la cena. Era una serata<br />

informale e tutti si divertivano.<br />

Luceia era immersa in una conversazione con un gruppo di<br />

anziani parenti di Dom, <strong>che</strong> erano venuti in visita da Sorviodunum e


la cui presenza era l'occasione di quella riunione. Io mi ero<br />

allontanato per prendere dalle mani di un servitore una seconda<br />

coppa dell'eccellente vino germanico di Dom, quando di colpo mi<br />

accorsi <strong>che</strong> Cilla mi guardava. Era seduta su un divano profondo e<br />

con lo schienale alto, dov'era rimasta a conversare con due<br />

giovinette <strong>che</strong> in quel momento stavano attraversando la stanza<br />

dirette verso Dom. Non appena vide <strong>che</strong> la guardavo distolse gli<br />

occhi, poi si guardò intorno per la stanza e capii <strong>che</strong> controllava se<br />

qualcuno ci stava osservando. Contemporaneamente un servitore<br />

batté forte sul gong di rame e annunciò <strong>che</strong> la cena stava per essere<br />

servita. Tutti i presenti, tranne me, girarono la testa verso la fonte di<br />

quella voce e Cilla si alzò.<br />

Vorrei saper descrivere in modo adeguato i suoi movimenti. Il<br />

suo tempismo fu perfetto e i suoi gesti furono così deliberati, e così<br />

rapidi, <strong>che</strong> mi parve di ricevere un colpo all'inguine. In meno tempo<br />

di quello necessario a dirlo afferrò il bordo del divano davanti a sé,<br />

spalancò le gambe in modo <strong>che</strong> le pieghe della veste caddero<br />

immediatamente e artisticamente in mezzo a esse e spinse in avanti<br />

il corpo in una lunga scivolata prima di alzarsi e rimanere per un<br />

breve istante a gambe divaricate, con la veste fluttuante intorno alle<br />

caviglie. Era la mossa di un'atleta, ma il gesto di aprire le gambe e di<br />

sporgersi deliberatamente in avanti mi sconvolse, prendendomi di<br />

sorpresa come facevano sempre le sue manovre. Per un istante non<br />

vi fu nulla nel mio mondo se non l'urgenza di quelle gambe<br />

divaricate e di quel ventre di sgualdrina spinto in avanti e poi la<br />

coscienza ritornò e mi guardai intorno in modo colpevole, per<br />

vedere se qualcuno mi aveva visto vedere. Nessuno faceva attenzione,<br />

tutti si stavano dirigendo all'ingresso del triclinium, la sala da pranzo<br />

principale.<br />

Mi unii al gruppo, con il sangue in ebollizione, nella speranza<br />

<strong>che</strong> il tumulto del mio cuore cessasse, ma mi accorsi <strong>che</strong> Cilla, nella<br />

cui direzione prima non avevo osato guardare, stava proprio di<br />

fronte a me, troppo vicina, tra la folla. Mi fermai di colpo, pronto ad


allontanarmi da lei, ma prima di riuscirci sentii la sua mano<br />

sfiorarmi, trovarmi, sentii il dorso della sua mano premere con<br />

decisione sul mio fallo sporgente. Mi allontanai di scatto, ma Cilla<br />

non mi toccò più e mi ignorò completamente per il resto della serata.<br />

Finalmente mi calmai, ma immagini lascive continuarono a fluttuare<br />

nella mia mente per ore dopo quel fatto.<br />

Ora Cilla sapeva oltre ogni possibile dubbio <strong>che</strong> le sue mosse<br />

avevano successo e sapeva an<strong>che</strong>, con altrettanta sicurezza, <strong>che</strong><br />

poteva contare sul mio silenzio. Inoltre sapeva di poter contare sulla<br />

mia complicità nel gioco <strong>che</strong> adesso cominciava sul serio.<br />

Non ho mai avuto nessun rispetto per Cilla come persona e<br />

adesso questo mi rattrista. L'ho sempre considerata una perfetta<br />

sgualdrina - del resto lo pensavano tutti, tranne Dom - ed ero<br />

onestamente convinto, nella mia superbia, <strong>che</strong> non le importasse la<br />

mia opinione. In realtà sembrava dilettarsi della mia avversione nei<br />

suoi confronti, forse perché sapeva <strong>che</strong> malgrado ciò sarei ritornato.<br />

Piacere o dispiacere, mi sembrava, non avevano niente a <strong>che</strong> fare<br />

con il gioco.<br />

Non dubitai mai del suo godimento; né, del resto, lei dubitò del<br />

mio. Ma Cilla aveva un vantaggio su di me: sapeva <strong>che</strong> mi sentivo<br />

colpevole perché, malgrado la mia arrogante nobiltà d'animo, ero<br />

attratto dal suo comportamento sfrontato e non riuscivo a<br />

padroneggiare il mio desiderio. Lei sapeva di avere i miei occhi,<br />

an<strong>che</strong> se non altre parti di me, sempre fissi tra le sue cosce lascive, e<br />

godeva dell'agonizzante profondità del mio senso di colpa, e<br />

provava piacere nel sapere <strong>che</strong> la sua depravazione mi costringeva a<br />

liberarmi da solo del mio seme frustrato, poiché il mio contorto<br />

senso dell'onore non mi permetteva di sfogare in Luceia il mio<br />

desiderio per Cilla.<br />

Come sono codardi gli uomini! Sono qui a scrivere della<br />

depravazione di Cilla mentre si trattava della mia. Infine, prima <strong>che</strong><br />

le cose finissero in un modo imprevedibile, mi trovai in una


condizione molto vicina all'insanita mentale; ho pensato spesso<br />

negli anni successivi <strong>che</strong> la demenza del mio desiderio mi riduceva<br />

in effetti a un comportamento quale avrei potuto attendermi da<br />

Claudio Seneca, l'uomo <strong>che</strong> più detestavo al mondo.<br />

Per diversi anni, all'inizio del gioco, scambiammo a stento<br />

qual<strong>che</strong> parola. Il gioco consisteva interamente nell'azione: Cilla<br />

prendeva l'iniziativa e io reagivo, entrambi senza parlare.<br />

<strong>La</strong> fine di quello stadio capitò un mattino d'autunno, molto<br />

presto, quando arrivai a casa loro con alcuni attrezzi per Dom e fui<br />

invitato a colazione.<br />

Eravamo seduti tutti e tre a un tavolo nei loro appartamenti<br />

privati. Avevamo mangiato con parsimonia e stavamo parlando del<br />

più e del meno, quando notai in Cilla un indizio <strong>che</strong> avevo imparato<br />

a riconoscere quando preparava qualcosa di temerario e pericoloso.<br />

Quando si eccitava i suoi occhi scintillavano. Non c'è un'altra parola<br />

per descrivere il suo sguardo in quelle occasioni; i suoi occhi<br />

prendevano un'intensità luminosa e si inumidivano, quasi stesse per<br />

piangere, tranne <strong>che</strong> in essi non c'era traccia di dolore, anzi,<br />

luccicavano ed emanavano un'aura di gaiezza a stento trattenuta.<br />

In quella circostanza an<strong>che</strong> Dom se ne accorse. Si chinò in avanti<br />

e le strofinò la guancia in una carezza affettuosa, maritale, e Cilla si<br />

girò e gli sorrise, un sorriso di totale dolcezza, <strong>che</strong> poi concesse<br />

an<strong>che</strong> a me.<br />

«Publio,» disse Dom, «non la trovi radiosa? Ringrazio Iddio<br />

ogni giorno per questo tesoro. Lui me lo ha dato. Ma raramente ha<br />

questo aspetto felice, deve essere la tua presenza <strong>che</strong> le fa così<br />

piacere. Devo farti venire più spesso. Non sei d'accordo, cara?»<br />

Cilla non parlò. Si limitò a sorridermi con quel sorriso radioso e<br />

luminoso e io mi mossi a disagio perché entrambe le sue mani erano<br />

fuori vista, sotto la tavola, e io sapevo <strong>che</strong> si stava accarezzando.<br />

Arrossii per la colpa e per la paura <strong>che</strong> Dom potesse allungare la


mano a prenderne una delle sue e mi alzai in fretta per congedarmi.<br />

«No,» disse lei, rimettendo le mani sul tavolo. «Non puoi andare<br />

adesso, Publio. Dom ha qualcosa da farti vedere.» <strong>La</strong> faccia di Dom<br />

divenne inespressiva. «Non ti ricordi, caro?» Lui batté le palpebre e<br />

lei continuò, come se parlasse a un bambino piccolo. «I tuoi progetti<br />

per il nuovo pavimento intarsiato?»<br />

«Ah! Certo, <strong>che</strong> stupido!» <strong>La</strong> sua faccia divenne nuovamente<br />

inespressiva. «Ma dove sono, cara? Lo sai?»<br />

«Oh, Dom! Sono nel tuo cubiculum o in una delle cassepan<strong>che</strong><br />

nella tua camera da letto. Portali giù, così possiamo distenderli su<br />

quell'altro tavolo.»<br />

«Sì, certo. Scusami, Publio. Non ci metto molto.»<br />

Le mani di Cilla erano di nuovo sotto il tavolo e, quando Dom<br />

lasciò la stanza, fece un movimento <strong>che</strong> mi fece capire <strong>che</strong> aveva<br />

spostato la veste per scoprire le gambe.<br />

«Guarda!»<br />

«No, dannazione!» Mi alzai in piedi e mi allontanai furibondo<br />

dal tavolo, arrabbiato con lei e con me stesso. «Cilla, come puoi far<br />

questo a Dom?»<br />

«A Dom? Non sto facendo niente a Dom! Lo sto facendo a te,<br />

guarda!»<br />

Guardai. Le sue gambe nude erano divaricate sotto il tavolo.<br />

«Per amore del dolce Signore! Uno di questi giorni ti scoprirà!»<br />

«Forse. Ma non oggi. Ho nascosto quei progetti troppo bene.<br />

Abbiamo tempo.»<br />

Le voltai le spalle, lottando per diminuire il gonfiore del mio<br />

fallo traditore. <strong>La</strong> sentii alzarsi e muoversi verso di me fino a <strong>che</strong> mi<br />

si trovò davanti, la perfetta immagine della moglie romana<br />

dignitosa e ligia al dovere. Andò alla porta della stanza, guardò nel<br />

corridoio, poi tornò indietro e si mise tra me e la porta aperta del


giardino, in modo <strong>che</strong> il suo corpo si stagliasse chiaramente<br />

attraverso l'abito leggero contro la luce del sole del primo mattino.<br />

Stava a gambe aperte.<br />

«Guarda, Publio.» Nella mia mente continuo a sentire la sua<br />

voce, i suoi sospiri sibilanti. «Vuoi solo guardare, allora guarda e<br />

godi. Senti <strong>che</strong> ti indurisci e immagina cosa potresti fare dentro di<br />

me, come ti ergeresti spargendo il tuo seme se solo la tua volontà di<br />

ferro te lo permettesse.» Aprì le pieghe della veste, rivelando la<br />

bellezza delle sue carni calde, soffici e sode e mostrandomi<br />

apertamente per la prima volta il fitto cespuglio rosso dorato dei peli<br />

al centro del suo corpo. Guardai e mi eccitai, tendendo l'orecchio per<br />

cogliere i primi rumori del ritorno di Dom. Quel sorriso scintillante<br />

non lasciò mai i suoi occhi.<br />

«Per quanto tu lo desideri non infilerai mai il tuo duro membro<br />

di fabbro dentro di me, vero, Publio? Questo sarebbe peccato nei<br />

confronti di tua moglie. Ma tua moglie è tua moglie da anni, ormai.<br />

È bella, ma è territorio familiare, vero?»<br />

Volevo dirle di non infangare il nome di mia moglie con la sua<br />

bocca, ma, il Signore mi aiuti, potevo solo restare a guardarla,<br />

mentre lei penetrava con un dito nelle sue profondità, lo rigirava e lo<br />

estraeva di nuovo, stendendolo poi per farmi vedere come luccicava<br />

dei suoi umori.<br />

«Questo non è terreno familiare, Publio. È la cosa proibita.<br />

Questo succo a cui aspiri è il frutto proibito <strong>che</strong> mantiene giovani gli<br />

uomini.» Si infilò il dito in bocca, succhiandolo lentamente per<br />

pulirlo, e poi lo tese di nuovo verso di me. «Questo è il motivo per<br />

cui mi guardi, per cui guardi Cilla, perché ti mostro tutte le delizie<br />

della terra, tutti gli eccessi del peccato <strong>che</strong> non si commette con le<br />

mogli.»<br />

«Falli vedere a tuo marito» gracchiai, con la gola<br />

improvvisamente stretta da un groppo.<br />

Inarcò le sopracciglia, ma non per disprezzo, né per derisione.


«A lui non interessa.» Non dissi niente e lei sorrise. «Non mi credi,<br />

vero? Ma perché dovrei mentire? Cosa ci guadagnerei? Forse <strong>che</strong><br />

questo mi farebbe apparire meno sfrontata ai tuoi occhi? Niente lo<br />

potrebbe, non è vero? Ma è la sfrontatezza ciò <strong>che</strong> ti fa venire qui,<br />

perciò accetto la tua disapprovazione. Ti piace questo?» Mosse le<br />

dita nel cespuglio d'oro rosso.<br />

«Fallo ancora» sussurrai, quasi soffocando.<br />

«Cosa? Questo?» Lo fece di nuovo, indugiando a lungo con il<br />

dito infilato nelle sue profondità prima di estrarlo e di offrirmelo.<br />

Quando scossi la testa in segno di rifiuto, sentii <strong>che</strong> Dom ritornava.<br />

<strong>La</strong> guardai succhiarsi di nuovo il dito, e seppi esattamente come<br />

sarebbe stato sentire intorno a me quella calda bocca, e poi Dom<br />

rientrò nella stanza, con la testa già china sul foglio <strong>che</strong> portava<br />

srotolato tra le mani. Cilla si allontanò con disinvoltura dalla luce<br />

rivelatrice e io mi piegai sui disegni <strong>che</strong> Dom stendeva sul tavolo,<br />

senza riuscire a vedere altro <strong>che</strong> la bocca di Cilla <strong>che</strong> si succhiava le<br />

dita.<br />

Quell'immagine e il ricordo del suo pube rosso dorato rimasero<br />

in me per giorni.<br />

L'ultima mossa del gioco, lo stadio finale della sua depravazione<br />

avvenne a primavera inoltrata, l'anno della scorreria nella quale<br />

rimasi ferito, solo po<strong>che</strong> settimane dopo <strong>che</strong> Caio mi aveva parlato<br />

della stupefacente e impossibile lettera secondo la quale Claudio<br />

Seneca era stato visto a Roma.<br />

Cilla arrivò all'ingresso della mia fucina una mattina e mi chiese<br />

se poteva parlarmi da sola. Era un fatto senza precedenti. Non mi<br />

aveva mai avvicinato prima così apertamente.<br />

Tremai di apprensione mentre uscivo alla luce del sole per<br />

parlare con lei, ma lei mi tranquillizzò subito porgendomi un pacco<br />

di disegni, i disegni per un forno da fusione <strong>che</strong> avevo prestato a<br />

Dom poco tempo prima e <strong>che</strong> lui aveva promesso di restituirmi quel<br />

giorno.


«Dom mi ha chiesto di restituirti questi. È andato ad Aquae<br />

Sulis.»<br />

<strong>La</strong> fissai, con gli occhi ancora accecati dalla luce del sole. «Aquae<br />

Sulis? Perché non sei andata con lui? Di solito ci vai, non è vero?»<br />

«Sì, ma non questa volta. Non ne ho bisogno.»<br />

<strong>La</strong> guardai meglio, ma nei suoi occhi non c'erano scintillii. Mi<br />

rilassai, e lei proseguì.<br />

«Publio, ho da farti una proposta. So <strong>che</strong> tu non vuoi fare altro<br />

<strong>che</strong> guardare. Ti piace guardare. Lo sappiamo tutti e due. Adesso mi<br />

piacerebbe <strong>che</strong> tu guardassi in un altro modo. Ti piacerebbe? Io<br />

penso di sì.»<br />

Sentii la mia fronte aggrottarsi e feci un passo avanti sulla soglia<br />

della fucina, guidandola per il gomito dietro l'angolo in uno stretto<br />

passaggio lastricato tra due magazzini.<br />

Quando fui certo <strong>che</strong> eravamo abbastanza lontani dalla porta<br />

per non essere sentiti, le chiesi, tenendo bassa la voce. «Cilla, di cosa<br />

stai parlando? Cosa potrebbe essere differente? Cosa c'è da guardare<br />

ancora? Ti conosco tanto bene quanto lo può fare un uomo usando<br />

solo gli occhi. Cosa può esserci di più?»<br />

«Cilla.»<br />

«Cosa?»<br />

«Cilla. Il mio nome. Lo hai detto. Non lo usi mai.»<br />

«No, non lo uso.»<br />

«Usalo di nuovo, adesso.» Sorrise, ma era un sorriso strano. Se<br />

non l'avessi conosciuta bene avrei detto <strong>che</strong> era un sorriso incerto,<br />

quasi tremulo. Non dissi niente e lei riprese.<br />

«Qui siamo sul tuo terreno, Publio e non stiamo giocando.»<br />

«E allora?» Ero confuso, incapace di capire cosa stesse dicendo.<br />

«Allora, dopo - quanti? - sette anni durante i quali non hai mai


detto il mio nome, vorresti farmi in questo giorno d'estate il piacere<br />

di ripetere il mio nome? Solo un'altra volta?»<br />

Ero sorpreso e, di conseguenza, più crudele di quanto mi piaccia<br />

ricordare. «Mmm!» grugnii, sentendomi a disagio per quella<br />

deviazione dalla norma. «Stavamo parlando di guardare, Cilla...<br />

Bene, Cilla, ti ho guardato fare l'amore da sola in ogni modo, con<br />

ogni cosa, dai vegetali alle candele di cera. Cosa c'è ancora da<br />

vedere?»<br />

Lei mi fissò in silenzio per un lungo istante e io cercai di<br />

indovinare dalla strana espressione sul suo viso a cosa stava<br />

pensando, ma poi lei rise con la sua tipica risata e i suoi occhi<br />

scintillarono.<br />

«Sento un tono di censura nella tua voce, Publio? Di disgusto?<br />

Coraggio, tutto questo ti piace. Cilla, la tua sfrontata Cilla, ti eccita<br />

più di quanto ti disgusti, non è vero? No.» Rispose da sola alla sua<br />

domanda, con la voce velata di ironia. «No, forse non più di quanto<br />

ti disgusti, ma in modo più violento, e molto più piacevole. Ti ho<br />

visto eccitarti malgrado il disgusto e l'avversione per quella <strong>che</strong><br />

consideri la tua debolezza, Publio, e ti ho guardato mentre spargevi<br />

con la mano il seme <strong>che</strong> non avresti mai sparso in altro modo. Ma c'è<br />

di più.»<br />

«Come? Cosa potrebbe esserci di più? Cosa?»<br />

«Vieni a casa mia oggi e guarda.»<br />

«No. Non mentre Dom è via.»<br />

Mi fissò di nuovo. «Mi chiedo sempre se ti rendi conto della<br />

follia di tutto questo, Publio. Non tradiresti un amico in sua assenza.<br />

Preferisci farlo quando è presente.»<br />

«Questo è troppo, Cilla! Troppo.»<br />

Lei fece una pausa e annuì.<br />

«Bene, allora sceglieremo un altro luogo per l'appuntamento.


Fuori di casa. Nei boschi.»<br />

«No. È contro le regole. Non da soli.» Stavo lottando contro la<br />

tentazione.<br />

«Io non sarò sola. Lo sarai tu.»<br />

«Cosa? Cosa vuoi dire?»<br />

«Quello <strong>che</strong> ho detto. Io sarò accompagnata.»<br />

«Mio Dio, tu sei pazza! Accompagnata da chi? E cosa ti rende<br />

così certa <strong>che</strong> prenderò in considerazione una simile proposta?»<br />

«Sarò accompagnata da un uomo, da un adorabile adolescente<br />

<strong>che</strong> non può sentire, né parlare, ma a cui non manca nient'altro.»<br />

«Tu sei pazza!»<br />

Lei rise di nuovo. «Pazza? Perché? Perché ti invito a guardare?<br />

Mi piace averti lì a guardare i miei giochi, Publio! Nessun altro<br />

guarda meglio di te, più attentamente e più avidamente. Ho<br />

davvero pensato <strong>che</strong> ti sarebbe piaciuto guardare qualcuno <strong>che</strong> si<br />

prendeva i piaceri <strong>che</strong> tu neghi a te stesso. Pensaci, Publio. Il ragazzo<br />

è sordo. Non ti sentirà avvicinarti e nasconderti tra i cespugli e non<br />

emetterà nessun suono e io gli benderò gli occhi in modo <strong>che</strong> sia<br />

cieco a tutto tranne <strong>che</strong> ai piaceri di cui lo inonderò per il tuo<br />

piacere.»<br />

Fece una pausa, guardandomi attentamente, e poiché io non<br />

dicevo niente continuò. «È solo un ragazzo, Publio, an<strong>che</strong> se le sue<br />

prestazioni sono quelle di uno stallone. Sarà uno strumento di<br />

piacere, nient'altro, uno strumento silenzioso, <strong>che</strong> non vede e non<br />

sente, manipolabile come tutti quelli <strong>che</strong> ho usato in passato. Tranne<br />

<strong>che</strong> lui mi userà come una giumenta e io lo userò fino a esaurimento.<br />

Pensaci, Publio. Lui non vedrà <strong>che</strong> sei lì, ma io ti vedrò e tu mi<br />

vedrai, finalmente usata come la puttana <strong>che</strong> sono ai tuoi occhi,<br />

sbattuta e montata, stretta e strattonata, mentre sudo e mi contorco,<br />

inginocchiata su un fallo vivente, penetrante, <strong>che</strong> impalo me stessa e<br />

ti guardo al di sopra della sua testa, guardo te <strong>che</strong> guardi me, mentre


entrambi vorremmo <strong>che</strong> tu fossi dentro di me.»<br />

<strong>La</strong> sua voce si addolcì. «Non romperemo le regole, Publio, non<br />

ci scosteremo dal gioco. Saremo sempre solo tu e io. Ma io coprirò i<br />

suoi occhi per bene, quando avrà finito, perché voglio <strong>che</strong> tu, Publio<br />

Varro, guardi il seme di un uomo colare almeno una volta dal corpo<br />

della tua compagna di giochi. Pensaci, Publio. Solo per i tuoi occhi e<br />

per il tuo desiderio, e nessuno lo saprà tranne me.»<br />

«Dolce Signore!»<br />

Lei mi interruppe. «Niente predi<strong>che</strong>, Publio! Io sarò lì con il<br />

ragazzo all'ora terza dopo mezzogiorno. Conosci la pietra eretta<br />

all'angolo sudorientale delle nostre terre. Un sentiero porta da lì nei<br />

boschi. Conta i passi e fai <strong>che</strong> siano coni come i miei. A centoventi<br />

passi dal limitare della foresta troverai un albero cavo a sinistra del<br />

sentiero. Proprio dietro quell'albero, a circa quaranta passi dal<br />

sentiero, c'è una radura con un pendio muschioso adatto al letto di<br />

un dio. Non temere di fare rumore. Ricorda <strong>che</strong> il ragazzo è sordo e<br />

muto. Io starò in ascolto del tuo arrivo, ma non aspetterò a lungo.<br />

Con un ragazzo nudo e un fallo lungo e forte vicino a me mi ecciterò<br />

molto in fretta e dovrò dare sollievo ai miei pruriti.»<br />

Fece una pausa e si piegò verso di me annusando<br />

profondamente. «Sei sudicio e fuligginoso, sudato e puzzolente. Mi<br />

piace. I miei umori sgorgano da me, scendono lungo la mia coscia,<br />

proprio adesso. Voglio appoggiarmi o sedermi da qual<strong>che</strong> parte e<br />

fare dei giochi per noi. C'è un posto qui vicino?»<br />

«No, per amore di Dio!»<br />

«No, per amore del piacere. Cosa ne dici della tua fucina?<br />

Sembra buio lì dentro.»<br />

«Sei pazza? Ci sono Equo e una dozzina di altre persone.»<br />

«Cos'è quel posto?» Indicò una porta.<br />

«Niente. Un magazzino.»


«Fammelo vedere.»<br />

«No! Cilla, per...»<br />

«Allora guarderò da sola.»<br />

Aprì la porta. Il locale era piccolo, c'era appena lo spazio per<br />

entrare e raggiungere gli scaffali <strong>che</strong> ne tappezzavano le pareti. Lei<br />

entrò e si girò verso di me, sollevando l'orlo della bella veste azzurro<br />

pallido sulle lunghe gambe, lisce e ben modellate. Io grugnii di<br />

disperazione e di eccitazione. Questa volta era veramente troppo,<br />

ma io avevo visto all'interno delle sue cosce il luccicore <strong>che</strong><br />

dimostrava la sua eccitazione. Non aveva esagerato. Le sue dita<br />

erano già occupate e le ginocchia le cedevano mentre scivolava con<br />

la schiena contro il muro coperto di scaffali. Nella penombra<br />

dell'interno i suoi occhi splendevano, tanto intensa era la sua<br />

eccitazione. Mi tese la mano, bagnata del fluido del suo corpo. Non<br />

ho mai conosciuto una donna <strong>che</strong> potesse bagnarsi così in fretta. Mi<br />

guardai intorno impaurito, ma non vidi nessuno. E allora Cilla<br />

cominciò a gemere, dalla profondità della gola, una cosa <strong>che</strong> non le<br />

avevo mai sentito fare. «Smettila!» sibilai.<br />

«Non posso» gemette. «È perché sono qui, così vicino a casa tua.<br />

Vieni più vicino. Fammi annusare il fumo <strong>che</strong> hai addosso.»<br />

Terrorizzato all'idea di essere scoperto, ma completamente<br />

incapace di resistere, feci un passo avanti e lei chiuse gli occhi,<br />

inspirando profondamente e poi gemendo nella gola, mentre<br />

veniva. Io caddi su un ginocchio, noncurante di quello <strong>che</strong> poteva<br />

succedere. «Fammi vedere! Fammi vedere come sei bagnata!»<br />

«Quanto bagnata mi vuoi?»<br />

«Tanto quanto puoi esserlo.»<br />

Sporse la lingua tra le labbra e sorrise, poi si accovacciò e<br />

schizzò un lungo getto di orina sul pavimento della baracca. Mentre<br />

io guardavo completamente affascinato, Cilla si raddrizzò<br />

lentamente, sollevando la veste intorno alla vita e lasciando <strong>che</strong> il


fiotto di urina le scorresse lungo le gambe e le inzuppasse i sandali.<br />

«Sono abbastanza bagnata per te? Vedi? Ci sono ancora cose<br />

nuove da guardare. Dammi la mano.» Scossi la testa. «Allora dammi<br />

qualcosa, uno straccio.»<br />

Mi rialzai e le porsi il fazzoletto <strong>che</strong> portavo intorno al collo, e lei<br />

si asciugò le cosce, e si strofinò accuratamente l'inguine prima di<br />

restituirmelo. Lo avvicinai al volto per sentirne l'odore. Cilla uscì<br />

dalla baracca.<br />

«Tocca a te. Hai bisogno di farlo. Io invece guarderò. Se viene<br />

qualcuno ti avvertirò e tu potrai far finta di prendere qualcosa per<br />

me da uno scaffale.» I suoi occhi erano fissi sul mio membro. «Fallo,<br />

Publio. Adesso!»<br />

Lo feci e mi bastarono pochi attimi, con i suoi occhi bramosi fissi<br />

su di me e con in mente le immagini di lei <strong>che</strong> avevo appena visto.<br />

Quando ebbi finito lei annuì.<br />

«<strong>La</strong> terza ora. Ma non prima. Non ti farebbe piacere incontrarci<br />

accidentalmente sul sentiero. Io starò in attesa del tuo arrivo.<br />

Ricorda: quaranta passi dietro l'albero cavo.»<br />

Poi si girò e se ne andò, lasciandomi a cercare di rimettere<br />

insieme la mia giornata, e a lottare contro la tentazione <strong>che</strong> mi aveva<br />

fatto intravedere per quel pomeriggio.


IV.<br />

Quel pomeriggio spronai il mio cavallo per tutta la strada verso<br />

l'appuntamento con Cilla, maledicendo me stesso e dubitando della<br />

mia sanità mentale a ogni battito di zoccoli; alla fine del tragitto legai<br />

l'animale a un alberello appena dentro la foresta, a circa cinquanta<br />

passi dall'inizio del sentiero <strong>che</strong> mi avrebbe portato alla radura. Il<br />

sole era entrato nella quarta ora del suo viaggio pomeridiano e<br />

proiettava la mia ombra dritta di fronte a me.<br />

Mi sentivo come paralizzato; sapevo solo <strong>che</strong> mi ero perso in<br />

qualcosa di travolgente, al di là della mia comprensione e<br />

completamente al di là del mio controllo, ma fu quest'ultimo<br />

pusillanime pensiero <strong>che</strong> mi fece reagire e mi diede la forza di<br />

fermarmi e di tornare indietro. Sapevo <strong>che</strong> se fossi entrato nel bosco<br />

e in quella radura, se avessi fatto an<strong>che</strong> un solo passo lungo quel<br />

sentiero avrei perduto ciò <strong>che</strong> restava del mio orgoglio e del mio<br />

onore; se fossi caduto così in basso da guardare Cilla fare l'amore<br />

con un altro avrei tradito non solo la mia famiglia e tutto ciò <strong>che</strong> mi<br />

era caro, ma la mia dignità umana, e avrei abbandonato il possesso<br />

della mia anima immortale alla bestia <strong>che</strong> era in Cilla e alla bestia<br />

<strong>che</strong> era in me.<br />

Il cavallo brucava l'erba rada sotto gli alberi dove lo avevo<br />

legato; mi appoggiai al suo fianco con tutto il mio peso, sentendo il<br />

suo odore equino e pulito.<br />

Sapeva di cavallo, proprio come doveva, sapeva di sudore e di<br />

salute e in lui non c'era niente di falso e niente di equivoco. Era un<br />

cavallo, e aveva la forza di un cavallo; non c'era niente in lui <strong>che</strong> non<br />

fosse giusto per un cavallo. Quando andava in calore, ci andava<br />

semplicemente, senza sotterfugi e solo con una puledra in calore; in<br />

tutto e per tutto si comportava come ogni cavallo.<br />

Per un istante ebbi la visione grottesca del mio cavallo <strong>che</strong>


fissava affascinato un altro stallone impegnato a montare una<br />

giumenta, e mi misi a ridere, prima piano e poi con sempre maggior<br />

abbandono e meno controllo quando mi resi conto della ridicola<br />

follia di quello <strong>che</strong> stavo immaginando, e vidi chiaramente cosa ero<br />

diventato.<br />

Finii seduto a terra tra le zampe dell'animale, a ridere<br />

fragorosamente e poi di colpo a piangere; poiché era un animale<br />

sensibile, il cavallo si allontanò, a disagio, e il modo in cui mi<br />

guardava mi fece ridere e piangere ancora di più.<br />

Alla fine ritornai in me e mi sentii come non mi sentivo da<br />

tempo e seppi an<strong>che</strong>, con assoluta certezza, <strong>che</strong> il gioco di Cilla era<br />

finito. Avevo ritrovato la mia rotta, dopo anni di perdizione, e la via<br />

giusta mi era stata indicata da un cavallo. Quante volte Equo mi<br />

aveva chiamato culo di cavallo? Adesso sapevo <strong>che</strong> Equo aveva<br />

torto, ma c'era voluto proprio un cavallo per mostrarmi chi ero, o<br />

meglio chi avrei dovuto essere: un uomo e un fabbricante di armi,<br />

un fabbro e un soldato. Non avevo niente a <strong>che</strong> fare con cose<br />

meschine e indegne di un uomo, e a partire da quel giorno le avrei<br />

evitate e avrei riconquistato la forza della mia dignità.<br />

Vidi l'albero caduto <strong>che</strong> avevo notato in precedenza, il motivo<br />

per cui avevo legato il mio cavallo proprio in quel punto. Quando si<br />

ha una gamba come la mia si cerca sempre un mezzo facile per<br />

risalire a cavallo. Guidai l'animale lì vicino, salii in groppa e lo<br />

condussi lontano dalla foresta, giù verso il ruscello tra i cespugli in<br />

fondo alla valle. Gli alberi in quel punto erano distanziati e bassi,<br />

poco più <strong>che</strong> arboscelli, e si poteva quasi andare al galoppo.<br />

Lungo le rive del ruscello smontai di nuovo, stavolta vicino a un<br />

vecchio ceppo coperto di muschio, tolsi i sandali e i leggeri gambali<br />

e mi sedetti a dondolare i piedi nudi nell'acqua gorgogliante. Rimasi<br />

a guardare i pesciolini guizzanti nella quiete di un pigro riflusso al<br />

mio fianco, e lasciai <strong>che</strong> il rumore e il tocco rassicurante dell'acqua<br />

mi purificassero. Poi mi rivestii e mi diressi verso casa, senza


impianti per Cilla o per il gioco <strong>che</strong> stava facendo nella radura della<br />

foresta.<br />

Ero acutamente consapevole della bellezza di quella giornata e<br />

dello scenario <strong>che</strong> mi circondava. Le foglie appena germogliate,<br />

ancora informi, non avevano perso la loro fragile fres<strong>che</strong>zza e il<br />

muschio dell'inverno e della primavera era verde, tenero e umido; i<br />

fiori sbocciavano in mezzo all'erba ovunque guardassi e l'aria era<br />

piena di farfalle e di api.<br />

D'un tratto sentii uno schianto tra i cespugli e il cavallo scartò<br />

nervosamente sentendo l'odore di un orso, <strong>che</strong> però aveva già<br />

sentito il nostro e si stava allontanando. Lo calmai e poi lo spronai al<br />

trotto per lasciare quella zona al povero orso. Ero in pace con tutti<br />

gli animali quel giorno, ma così, per arrivare a casa, impiegai molto<br />

più tempo del dovuto.<br />

Mentre mi preparavo a smontare davanti alla fucina, sentii<br />

chiamare il mio nome e vidi un domestico correre verso di me<br />

agitando le braccia.<br />

Rimasi a cavallo e attesi <strong>che</strong> mi arrivasse davanti; ansimando mi<br />

disse <strong>che</strong> Luceia mi cercava "da ore" e <strong>che</strong> lo aveva mandato alla<br />

fucina ad aspettarmi per essere sicuro <strong>che</strong> al mio ritorno andassi<br />

subito da lei.<br />

Mi diressi verso la villa chiedendomi cosa potesse essere<br />

successo; Luceia mi corse incontro, pallida in volto, e io mi preparai<br />

a sentire cattive notizie delle bambine o di Caio.<br />

«Grazie a Dio, sei qui! Hai visto Domizio?»<br />

Mi colse di sorpresa. «Domizio? Dom? No, è ad Aquae Sulis. È<br />

partito stamattina. Perché?»<br />

Luceia si accigliò, perplessa. «Cosa vuol dire ad Aquae Sulis?<br />

Era qui meno di un'ora fa e ti cercava.»<br />

Il mio cuore sobbalzò e sembrò perdere un colpo. «Dom? No,<br />

non può essere stato qui. È via.»


Luceia stava per irritarsi, spazientita dalla mia lentezza e<br />

ottusità. «Publio, mi ascolti? Devi trovarlo. È fuori di sé. È successo<br />

qualcosa di terribile. Non so cosa, ma ho paura per Dom. Era come<br />

impazzito, Publio, e c'era del sangue sui suoi abiti.»<br />

«Sangue?» Facevo fatica ad afferrare le sue parole. «Sangue, cosa<br />

vuoi dire? Quanto sangue? Di chi? Dimmelo, Luceia, per l'amor di<br />

Dio.»<br />

Spalancò le braccia in un gesto di impotenza. «Non lo so, Publio!<br />

Non so niente, tranne <strong>che</strong> c'era qualcosa di strano, di molto strano, e<br />

non ho potuto far niente per lui. Non voleva parlare con me. Voleva<br />

solo te e nessun altro. Era fuori di sé, Publio, completamente<br />

sconvolto. È entrato in casa come una furia e l'ho sentito gridare il<br />

tuo nome. Quando sono uscita a vedere cos'era tutta quella<br />

confusione, lui era di sopra, <strong>che</strong> correva da una stanza all'altra e ti<br />

chiamava urlando.<br />

Sono andata da lui e gli ho detto <strong>che</strong> eri fuori, ma credo <strong>che</strong> non<br />

mi abbia neppure sentito. Aveva un aspetto spaventoso, Publio. I<br />

capelli erano ritti sulla testa e i suoi occhi erano...» Si interruppe e si<br />

portò una mano alla bocca come se volesse fermare le parole <strong>che</strong><br />

stavano per uscirne. «Oh, Publio, non ho mai visto occhi simili, così<br />

pieni di dolore, di rabbia e di lutto.»<br />

Avevo la bocca secca e il cuore batteva allo stesso ritmo delle<br />

terribili ali <strong>che</strong> mi frullavano nello stomaco.<br />

«Poi cosa? Cosa ha detto?»<br />

«Niente. O quasi niente. Ha smesso di urlare e si è guardato<br />

intorno, strizzando gli occhi come se non sapesse dov'era. Poi mi ha<br />

guardato e la sua faccia - non so come descriverlo, Publio - si è<br />

rabbuiata e mi ha chiesto: "Lo sapevi?". Poi si è guardato ancora<br />

intorno, ha guardato verso il lucernario ed è corso giù per le scale, e<br />

se n'è andato urlando il tuo nome.»<br />

«E nessuno lo ha seguito? Lo hai semplicemente lasciato andare


via?»<br />

«All'inizio sì. Eravamo tutti stupefatti e fuori aveva un cavallo.<br />

Poi ho ripreso il controllo e gli ho mandato dietro Paolo, lo stalliere,<br />

ma era troppo tardi; Paolo non è riuscito a trovarlo.»<br />

«Sangue, Luceia. Hai detto <strong>che</strong> c'era del sangue. Quanto e dove?<br />

Era il suo?»<br />

Lei scosse la testa decisa, come per respingere la mia domanda.<br />

«Non lo so. Aveva un mantello, chiuso al collo, <strong>che</strong> lo copriva<br />

completamente. Ho visto per un attimo la sua tunica e mi è sembrata<br />

nera. È stato solo quando ho visto le sue gambe e i piedi, mentre<br />

usciva alla luce del sole, <strong>che</strong> ho capito di cosa si trattava. Publio,<br />

aveva le gambe coperte di sangue!»<br />

«Dov'era Cai durante tutto questo tempo? E dov'è adesso?»<br />

Scosse la testa di nuovo. «Non è qui. È uscito presto con un<br />

uomo, un suo vecchio amico, <strong>che</strong> è arrivato verso mezzogiorno. Non<br />

so chi fosse. Io ero occupata con le bambine e non l'ho visto. In ogni<br />

caso i servitori hanno detto <strong>che</strong> era uno straniero, ma <strong>che</strong> Cai lo<br />

conosceva da tanto tempo. Sono usciti insieme e non sono ancora<br />

tornati.»<br />

«Mio Dio!» Stavo già zoppicando verso la porta e urlai al di<br />

sopra della spalla: «Chiama Equo e riunisci una pattuglia a cavallo e<br />

assicurati <strong>che</strong> portino an<strong>che</strong> dei carri e un medico. Di' loro di venire<br />

a villa Titente il più presto possibile, e tu rimani qui!»<br />

Il mio cavallo era ancora nel cortile dove l'avevo lasciato; gli<br />

saltai in groppa e lo feci partire ancor prima di essermi seduto. Era<br />

un animale forte ed era già pronto per un'altra corsa. Lo spronai al<br />

galoppo e presi la via più breve verso la casa di Dom e della sua<br />

infedele moglie.<br />

Mi ci volle mezz'ora, a tutta velocità, per arrivare, e ormai non<br />

mi curavo più della povera bestia sotto di me, <strong>che</strong> nel mio terrore<br />

sfruttavo crudelmente. Lottavo contro la mia stessa immaginazione,


e mi ripetevo <strong>che</strong> non poteva essere terribile come temevo.<br />

I primi segni della tragedia mi attendevano ai cancelli della villa:<br />

Carlos, il cameriere personale di Dom da molti anni, giaceva morto,<br />

scomposto e sventrato, in mezzo al passaggio. Dietro di lui a pochi<br />

passi di distanza c'era un altro cadavere, <strong>che</strong> non conoscevo.<br />

Guardai più in là e ne vidi altri nel cortile d'ingresso, quattro in<br />

tutto. Sembrava di vedere il risultato di una scorreria e mi dissi <strong>che</strong><br />

Dom doveva essere rimasto sconvolto scoprendo inaspettatamente<br />

quella scena. Ma non appena formulai quel pensiero seppi <strong>che</strong> mi<br />

stavo ingannando deliberatamente.<br />

Era stato Dom, il mio gentile amico, preso nella morsa della<br />

follia.<br />

L'ultimo cadavere, quello di una giovane donna, era scomposto<br />

e irrigidito nel suo stesso sangue raggrumato, sui gradini <strong>che</strong><br />

conducevano al portico della casa. Mi fermai fuori dalla porta, senza<br />

osare entrare, paventando quello <strong>che</strong> avrei trovato. Invece di<br />

guardare la donna morta ai miei piedi, guardai in cielo. <strong>La</strong> notte si<br />

avvicinava e pesanti nuvole erano giunte da occidente, gravide di<br />

pioggia. "Perfetto" pensai. "Avrai bisogno di tutta la tua pioggia per<br />

lavare via il sangue da questa casa". Sguainai la spada, non so per<br />

quale motivo, aprii la porta, e mi ritrovai nell'Ade.<br />

Un soldato si abitua alla vista del sangue, fa parte della sua vita.<br />

Farlo sgorgare è uno dei suoi compiti; e se accetta il sangue e il fatto<br />

di doverlo spargere accetta an<strong>che</strong> le esalazioni e gli escrementi <strong>che</strong><br />

vanno di pari passo con l'improvviso e violento distacco dalla vita.<br />

Impara ad accettare e ignorare il puzzo di viscere e vesci<strong>che</strong><br />

svuotate, vede senza vederlo il luccichio livido, il bianco bluastro<br />

delle interiora, e l'acuto e pungente fetore dei fluidi corporei <strong>che</strong> gli<br />

aggredisce le narici al solo passaggio. Il soldato viene dotato di<br />

questo distacco come il ferro viene temprato: prima viene immerso<br />

nel fuoco e poi viene battuto con pesanti colpi di martello. Il soldato<br />

viene temprato nella furia e nel terrore della battaglia, dove non


esiste altro nella sua mente <strong>che</strong> possa distrarlo dalla più sacra e<br />

consacra a necessità, quella di sopravvivere,<br />

Ma se gli si toglie lo stimolo della lotta selvaggia e frenetica e lo<br />

si trasporta con tutta la caotica carneficina de! campo di battaglia nei<br />

quieti confini familiari di una casa, spaziosa e illuminata, si<br />

amplificano diecimila volte tutti gli orrori accumulati <strong>che</strong> ha<br />

ignorato per tutta la vita, e il risultato e un incubo a occhi aperti:<br />

orrore e disgusto indescrivibili.<br />

Malgrado tutta la mia esperienza non mi ero mai reso conto<br />

veramente di quanto sangue può uscire da un corpo umano, sembrò<br />

<strong>che</strong> ogni muro all'interno di quella casa fosse lordato di sangue: ce<br />

n'era ovunque, sparso e schizzato in macchie dense e scure da cui<br />

sinistri rivoli scorrevano sul pavimento, completamente inondato di<br />

strati vischiosi, neri, e di pozze di sangue rappreso. Sembrava una<br />

scena del Tartaro, mancavano solo i demoni malvagi e farfuglianti.<br />

Non mi sarei stupito di vedere i demoni. Li cercai, ma erano presenti<br />

solo i loro servi, le mos<strong>che</strong>. Belzebù in persona, il Signore delle<br />

Mos<strong>che</strong>, era stato lì, ma ora se n'era andato e rimanevano solo i suoi<br />

servi, il loro ronzio riempiva l'aria come il gemito delle anime<br />

tormentate.<br />

Rimasi in piedi sulla soglia, con i piedi nel sangue, come se fossi<br />

inchiodato al pavimento; la pelle mi formicolava e respiravo a fatica,<br />

mentre la scena sembrava ruotarmi lentamente intorno. Contai sette<br />

cadaveri, tutti domestici, tutti orrendamente straziati. L'ampio<br />

scalone della casa, quello sul quale per la prima volta avevo visto<br />

Cilla <strong>che</strong> si toccava, era un fiume di sangue coagulato. Feci uno<br />

sforzo mostruoso e riuscii ad allentare le dita <strong>che</strong> stringevano la<br />

spada così forte da farmi male, e poi mi diressi verso le scale,<br />

guardando con attenzione dove mettevo i piedi, tentando di<br />

ignorare la carneficina intorno a me.<br />

In cima alle scale giaceva il corpo di un'altra giovane donna. <strong>La</strong><br />

testa le era stata staccata quasi completamente dal collo; il sangue


<strong>che</strong> copriva i gradini era suo. <strong>La</strong> camera da letto di Cilla era lungo il<br />

corridoio alla mia destra, quella di Dom alla mia sinistra. Per prima<br />

cosa mi diressi verso la stanza di Dom, girai la maniglia con cautela<br />

e spinsi la porta con il piede. <strong>La</strong> porta si aprì lentamente, rivelando<br />

una camera vuota, pulita e miracolosamente senza tracce di sangue.<br />

Sembrò <strong>che</strong> mi ci volesse un secolo per ritornare sui miei passi,<br />

al di là della giovane donna morta in cima alle scale, e per andare<br />

verso la stanza di Cilla, dove trovai la porta spalancata. Di fronte<br />

alla porta c'era una finestra aperta; le tende si muovevano<br />

pigramente, troppo appesantite dal sangue per ondeggiare alla<br />

brezza <strong>che</strong> all'esterno stava aumentando. Entrai e vomitai<br />

immediatamente, mentre tutto il mio essere si rivoltava alla vista<br />

<strong>che</strong> mi si parò dinanzi.<br />

Cilla e qualcun altro - immaginai <strong>che</strong> si trattasse del giovane<br />

sordomuto - erano stati massacrati nel letto, tagliati e sfregiati in<br />

modo da rendere quasi impossibile riconoscerli, e i loro corpi<br />

smembrati erano stati ammucchiati uno sull'altro. Al primo sguardo<br />

vidi braccia e gambe, un torso maschile sventrato e la testa di Cilla,<br />

con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata in un urlo, gli splendidi<br />

capelli incollati alla testa dal sangue, le labbra arricciate sui denti<br />

macchiati di sangue in una smorfia di stupore per quello <strong>che</strong> le stava<br />

succedendo. Vidi tutto questo e vomitai, piegandomi con le mani<br />

sulle ginocchia, stringendo la spada fino allo spasimo. Vacillai per la<br />

nausea e temetti di cadere nel sangue, barcollai all'indietro<br />

brancolando alla ricerca di qualcosa <strong>che</strong> mi sostenesse, e trovai<br />

Dom. Con la mano toccai la sua faccia, calda e viva, e la ritrassi con<br />

un urlo di paura, mentre il braccio <strong>che</strong> reggeva la spada roteava in<br />

alto per colpire il supposto assalitore.<br />

Ma non colpii, perché vidi subito i suoi occhi, poi la sua faccia e<br />

le sue condizioni. Era incuneato in posizione quasi eretta, curvo in<br />

avanti, le ginocchia semiflesse, in un angolo dietro la porta e stava<br />

morendo. <strong>La</strong> mano sinistra, praticamente mozzata, gli penzolava dal


polso appesa a un lembo di pelle, ed era ormai dissanguato. I suoi<br />

occhi sembravano quelli di un fantasma nel biancore della faccia, ma<br />

erano chiari e lucidi. Mi riconobbe. Rimanemmo lì, immobili come<br />

statue, per un tempo <strong>che</strong> sembrò lunghissimo, prima <strong>che</strong> io<br />

abbassassi la spada. <strong>La</strong> spada di Dom, una bella spada affilata <strong>che</strong><br />

avevo fatto apposta per lui, giaceva ai suoi piedi. Quando mi mossi,<br />

si mosse an<strong>che</strong> lui, indicando il letto e il suo orrido contenuto con un<br />

gesto della mano <strong>che</strong> ciondolava in modo grottesco. Quel<br />

movimento schizzò un debole getto di sangue nella mia direzione e<br />

mi riportò alla memoria un altro braccio senza mano <strong>che</strong> mi aveva<br />

salvato la vita in battaglia tanto tempo prima, facendo sì <strong>che</strong><br />

rimanessi storpio invece <strong>che</strong> ucciso.<br />

«Cilla...» <strong>La</strong> sua voce era poco più di un sibilo. «Cilla mi<br />

ingannava, Publio...» Rimasi immobile e lui proseguì. «Si prendeva<br />

gioco di me... Rideva... Mi ha colpito... Ha cercato di uccidermi.» I<br />

suoi occhi guardarono il letto e poi di nuovo verso di me. «Ha detto<br />

<strong>che</strong> lo sapevano tutti, Publio... <strong>che</strong> lo sapevano tutti... servitori...<br />

amici... tutti lo sapevano. Tu lo...» Chinò la testa, poi la risollevò con<br />

un ultimo sforzo, fissandomi con occhi <strong>che</strong> rapidamente<br />

diventavano vitrei. «Tu lo...?» Roteò gli occhi e crollò in avanti. Non<br />

mi abbassai a sentirgli il polso. Dom era morto ed era meglio così.<br />

Ricordo di essere uscito da quella casa in uno stato di calma<br />

assoluta, cercando di evitare il sangue. Attraversai il cortile fino al<br />

cancello dove il mio cavallo aspettava, abbastanza lontano da non<br />

sentire l'odore del sangue, ma tuttavia nervoso e facile agli scarti. Le<br />

prime pesanti gocce di pioggia caddero e divennero uno scroscio,<br />

mentre mi accucciavo sui calcagni, appoggiando la schiena contro il<br />

muro, fuori da quel luogo orribile. E nella mia mente non vidi di<br />

quella carneficina nient'altro <strong>che</strong> il mio buon amico Dom <strong>che</strong> mi<br />

guardava con la sua domanda inespressa: «Tu lo...?».<br />

Trovammo in cantina una sopravvissuta <strong>che</strong> balbettava in preda<br />

all'isteria, una donna <strong>che</strong> era riuscita a scappare con una piccola


ferita. Ci raccontò della violenza di Dom, di come gridava: «Lo<br />

sapevate?» prima di ammazzare ogni creatura vivente <strong>che</strong> incontrava,<br />

e quando non aveva trovato più nessuno da ammazzare, era<br />

scappato urlando dalla villa.<br />

Bruciammo villa Titente e tutto quello <strong>che</strong> conteneva, portammo<br />

via le pietre e interrammo le ceneri, affinché sulle nostre terre non<br />

restasse alcun segno della sua esistenza.<br />

Soltanto molto tempo dopo mi venne in mente <strong>che</strong> quel<br />

pomeriggio Cilla non si trovava nella radura della foresta.


V.<br />

Il caso Titente aveva impressionato tutti nella Colonia; era una<br />

nube sulla nostra piccola società, un drappo funebre <strong>che</strong> tinse a<br />

lungo di nero ogni aspetto della nostra vita. Adesso mi pare strano,<br />

però, <strong>che</strong> Caio e io, una volta scemata la violenza del primo<br />

turbamento, affrontassimo appena la questione. Ne parlammo<br />

dettagliatamente nei giorni <strong>che</strong> seguirono quel tremendo<br />

pomeriggio, ma poi, di comune accordo, relegammo quel fatto nel<br />

passato insieme ai suoi protagonisti. C'erano troppe faccende <strong>che</strong><br />

reclamavano la nostra attenzione, ognuna delle quali riguardava lo<br />

svolgersi della vita intorno a noi, vita della quale eravamo<br />

responsabili.<br />

Luceia, invece, continuò a pensare ai Titente e alla situazione<br />

<strong>che</strong> si era verificata in quella casa e, come accadeva per tutte le cose<br />

<strong>che</strong> rimuginava nella mente, considerò il fatto in modo logico,<br />

analitico ed esauriente, arrivando a tempo debito a una conclusione<br />

<strong>che</strong> volle condividere con me.<br />

Questa condivisione si trasformò in una discussione <strong>che</strong> durò<br />

tutta una notte fino alle ore buie prima dell'alba, seduti ai lati di un<br />

braciere nella nostra camera mentre tutti gli altri dormivano. Parlò<br />

quasi sempre Luceia. Io per la maggior parte del tempo mi limitai ad<br />

ascoltare; tentai di dichiarare il mio disaccordo su alcuni punti, ma<br />

lei demolì le mie po<strong>che</strong> obiezioni con argomenti irrefutabili,<br />

implacabili, basati su una solida logica, e infine ebbi il buon senso di<br />

rimanere in silenzio ad ascoltare e assimilare tutto quello <strong>che</strong> aveva<br />

da dire.<br />

Ricordo <strong>che</strong> tutto cominciò in modo piuttosto innocuo, da<br />

diversi giorni ero consapevole <strong>che</strong> qualcosa stava preoccupando<br />

profondamente mia moglie, sempre distratta e insolitamente<br />

taciturna; non <strong>che</strong> fosse di cattivo umore o aggressiva in alcun


modo, ma era decisamente diversa dalla sua natura solare. Me ne<br />

rendevo conto, ma questa consapevolezza era in qual<strong>che</strong> modo<br />

mitigata dal sapere <strong>che</strong> tutti alla Colonia subivano gli effetti della<br />

catastrofe dei Titente.<br />

Quella sera in particolare ci eravamo ritirati un po' più tardi del<br />

solito. L'aria era stata fredda tutto il giorno e Luceia aveva dato<br />

ordine <strong>che</strong> venisse messo un braciere nella nostra camera da letto,<br />

nel focolare lastricato in un angolo della stanza.<br />

Rimanemmo un momento in piedi alla luce del fuoco, senza<br />

toccarci, ma scaldandoci solo accanto al braciere. Poi, mentre ci<br />

preparavamo ad andare a letto, la nostra pace fu brutalmente<br />

disturbata da un coro di ubriachi schiamazzanti, fuori nel buio della<br />

notte.<br />

Quell'interruzione improvvisa e inusuale mi spinse a infilarmi<br />

un mantello e a uscire immediatamente al freddo alla ricerca dei<br />

responsabili, imprecando tra me.<br />

Li trovai senza difficoltà e riversai su di loro tutta la mia<br />

irritazione, spedendoli a casa nonostante l'infinità di stupide scuse e<br />

qual<strong>che</strong> borbottio di malumore.<br />

Quando alla fine rientrai pronto per andare a letto fui molto<br />

sorpreso di trovare Luceia ancora sveglia e completamente vestita,<br />

seduta vicino al braciere.<br />

«Sono andati via. Perché non sei a letto, cara?»<br />

«Non potrei dormire.»<br />

<strong>La</strong> fraintesi. «Perché no? Erano ubriachi e rumorosi, ma, come ti<br />

ho detto, li ho mandati via. Non ci disturberanno più. Vieni,<br />

andiamo a letto.»<br />

«Te l'ho detto, Publio, non riuscirei a dormire. Ho troppe cose in<br />

mente.»<br />

Feci per andare verso di lei e mi fermai, esitai un momento e mi


sedetti sul letto, con il mantello ancora ripiegato sul braccio destro.<br />

«Cosa c'è <strong>che</strong> non va, Luceia?»<br />

Scosse la testa in un breve gesto di esasperazione. «Niente e<br />

tutto. Stavo pensando a Cilla Titente e a tutta quella triste storia.»<br />

Non era quello <strong>che</strong> avrei voluto sentire, né allora, né in un altro<br />

momento. Non avrei mai avuto la coscienza a posto sulla questione<br />

riguardante me e Cilla Titente, e la mia apprensione si risvegliò,<br />

rendendomi conto <strong>che</strong> Luceia aveva identificato la causa della<br />

tragedia in Cilla, la moglie, e non in Dom, l'assassino. Aveva<br />

ragione, ovviamente, ma non avevo sentito nessun'altra donna<br />

parlarne così apertamente, an<strong>che</strong> se tra gli uomini era ormai un<br />

commento abituale. Prima <strong>che</strong> potessi riprendermi però, e tentare di<br />

rispondere, Luceia riprese a parlare.<br />

«Questo è stato semplicemente un altro episodio. E la situazione<br />

sta peggiorando.»<br />

Ero confuso. Non avevo idea di <strong>che</strong> cosa stesse parlando.<br />

«Cosa intendi dire? Un episodio di cosa?»<br />

Luceia mi fulminò con uno sguardo composto in uguale misura<br />

di commiserazione e di disprezzo. «Degenerazione, Publio! Immagino<br />

<strong>che</strong> tu riesca a vedere cosa sta succedendo qui intorno a noi, vero?»<br />

Potei solo alzare la spalle e scuotere la testa, con gli occhi<br />

spalancati di fronte alla sua preoccupazione e alla sua collera.<br />

«Oh!» A questo punto, chiaramente esasperata, si girò dall'altra<br />

parte a fissare i carboni, lasciandomi a decifrare il significato delle<br />

sue parole. Dopo un certo tempo, durante il quale io rimasi seduto<br />

in stupefatto silenzio, si raddrizzò e tirò un lungo sospiro prima di<br />

girarsi nuovamente verso di me.<br />

«Molto bene, allora giochiamo a domanda e risposta. Due giorni<br />

fa, l'altro ieri, sei tornato a casa arrabbiato e scombussolato.<br />

Ricordi?»


«Certamente. E allora?»<br />

«Che cosa ti aveva irritato?»<br />

«Qualcuno aveva rubato degli attrezzi dalla fucina.»<br />

«Perché hai supposto <strong>che</strong> fossero stati rubati? Forse un lavorante<br />

li aveva semplicemente messi altrove.»<br />

«No, non mi è nemmeno passato per la testa. <strong>La</strong> serratura del<br />

capannone dove vengono riposti era stata forzata e la stessa cosa era<br />

successa al deposito del vino. Era stato rubato an<strong>che</strong> del vino e ho<br />

avuto l'impressione <strong>che</strong> gli attrezzi rubati fossero serviti a spezzare<br />

la serratura del deposito del vino.»<br />

«Ah, capisco. E, dimmi, quando è stata l'ultima volta <strong>che</strong> siamo<br />

stati disturbati qui in casa nostra di notte da zotici rumorosi e<br />

ubriachi?»<br />

«Mai. Questa è la prima volta <strong>che</strong> succede...» Cominciavo a<br />

capire, an<strong>che</strong> se ero stupefatto da quello <strong>che</strong> credevo di capire.<br />

«Luceia, vuoi dire <strong>che</strong> quegli uomini, stanotte...»<br />

«Erano gli stessi <strong>che</strong> hanno rubato i tuoi attrezzi e il vino? No,<br />

certamente no. Sarebbe assurdo.»<br />

«E allora cosa... in nome di...»<br />

«Publio, sto dicendo <strong>che</strong> qui, nella nostra Colonia, stanno<br />

accadendo cose <strong>che</strong> non dovrebbero accadere; cose <strong>che</strong> non sono<br />

mai successe prima; cose <strong>che</strong> mi irritano e mi spaventano. Il furto è<br />

sempre stato sconosciuto. Ho vissuto qui tutta la vita e non ho mai<br />

saputo di nessuno <strong>che</strong> rubasse, a meno <strong>che</strong> non si trattasse di furti<br />

compiuti da stranieri, da estranei <strong>che</strong> rubavano solo perché se ne<br />

presentava l'occasione. Ma nessuno di questa villa ha mai rubato<br />

niente a un altro. Non c'è bisogno di rubare, Publio! Ma il furto è<br />

diventato comune. E così gli schiamazzi e le risse: gli uomini si<br />

azzuffano per piccole, stupide discussioni indegne di qualsiasi tipo<br />

di violenza. Sei libero di pensare <strong>che</strong> io sia pazza, e fino a stanotte<br />

non avrei espresso questi commenti, ma mi sembra - e sembra a


molte altre donne qui intorno - <strong>che</strong> gli uomini bevano più del<br />

solito.»<br />

«Questa è una scioc<strong>che</strong>zza, Luceia. Gli uomini hanno sempre<br />

bevuto e berranno sempre.»<br />

Si infuriò. «Questo lo so, Publio Varro, e non trattarmi come una<br />

stupida! Non sminuirmi e non darmi della sciocca, perché questa è<br />

l'ultima cosa <strong>che</strong> potresti dire di me. Sono Luceia Varro per<br />

matrimonio, ma sono sempre stata e sarò sempre una Britannico<br />

nella mente e nel corpo e non siamo Mai stati degli sciocchi!»<br />

Rimasi seduto, sbattendo le palpebre, un po' stupito per la<br />

rivelazione di quel lato di mia moglie, <strong>che</strong> già continuava con voce<br />

più dolce: «Mi riferivo a ubria<strong>che</strong>zza pubblica, non al semplice fatto di<br />

bere. Stiamo assistendo - e lo vedresti an<strong>che</strong> tu, se volessi -<br />

all'insorgere di una licenziosità pubblica senza precedenti». Vide la<br />

protesta nascere nei miei occhi e tagliò corto prima <strong>che</strong> potessi<br />

esprimerla. «Sì, ho detto licenziosità. Domizio Titente non avrebbe<br />

mai ammazzato nessuno se sua moglie non fosse stata una puttana<br />

spudorata, costantemente in calore. Dio sa se ci ha messo del tempo<br />

a notarlo, ma quando l'ha visto, ha reagito nell'unico modo <strong>che</strong> la<br />

sua natura gli consentiva. <strong>La</strong> sua vita, la sua stessa nozione di onore,<br />

di dignità e di valore personale erano stati distrutti, eppure avrebbe<br />

potuto imparare a convivere con tutto ciò, a sopportarlo con una<br />

certa dose di stoicismo, se fosse stato più forte. Ma è stato corrotto e<br />

completamente annientato dal carattere pubblico della sua vergogna.<br />

Se avesse ammazzato la moglie e an<strong>che</strong> il suo amante nessuno<br />

avrebbe pensato male di lui. Ma vedendo il suo atteggiamento<br />

scandaloso deve aver percepito an<strong>che</strong> la propria miopia riguardo a<br />

tutto quello <strong>che</strong> era accaduto in passato. È stato trascinato a forza<br />

fuori di sé, Publio, dalla spudoratezza pubblica <strong>che</strong> lei ostentava e<br />

dalla consapevolezza di quanto pubblica fosse la sua umiliazione.»<br />

Luceia fece una pausa, tirando un lungo respiro simile a un brivido.<br />

«Ma la spudoratezza di Cilla non era altro <strong>che</strong> un sintomo di


quello <strong>che</strong> ci sta davanti. E riflesso e rispecchiato da altri fatti, minori<br />

ma non meno odiosi, <strong>che</strong> stanno tuttora accadendo: le liti, i furti,<br />

l'ubria<strong>che</strong>zza, il male <strong>che</strong> si insinua nelle nostre vite... C'è un uomo<br />

qui, nella nostra Colonia, <strong>che</strong> è una belva feroce, e vive<br />

incestuosamente con le sue stesse figlie.»<br />

«Luceia!» Non potei impedire alla disapprovazione di entrare<br />

nella mia voce. «Non puoi dire cose come queste senza averne le<br />

prove! Sei certa <strong>che</strong> sia vero? Lo puoi provare?»<br />

«Non ho bisogno di provarlo! Lo so! Le donne <strong>che</strong> me lo hanno<br />

detto sono tutte mie ami<strong>che</strong> e nessuna di loro mentirebbe su una<br />

cosa del genere, ma sanno <strong>che</strong> gli uomini non farebbero niente in<br />

proposito.»<br />

Mi mossi a disagio, improvvisamente poco disposto a indagare<br />

la differenza di punti di vista <strong>che</strong> aveva sottolineato, e per<br />

mas<strong>che</strong>rare la mia preoccupazione mi alzai e appesi il mantello a un<br />

gancio. Luceia osservò i miei movimenti e poi parlò di nuovo,<br />

questa volta con un tono molto più gentile. «Porta qui l'altra<br />

seggiola e siediti vicino a me.» Quando ebbi fatto come mi diceva,<br />

mi sorrise e si chinò verso di me, accarezzandomi la mano e<br />

coprendola con la sua.<br />

«Publio Varro, tu sei mio marito e sei un brav'uomo. Ma la tua<br />

stessa bontà ti impedisce di vedere <strong>che</strong> altri uomini sono meno<br />

benintenzionati di te. Tu ritieni <strong>che</strong> tutti gli uomini siano buoni, per<br />

natura, ma questo non è vero. Già da alcune settimane, dopo il<br />

massacro di Titente, pensavo a come richiamare la tua attenzione su<br />

tutte queste cose <strong>che</strong> mi preoccupano e mi terrorizzano. Adesso ho<br />

incominciato.» Sorrise e si sedette più diritta. «Quando avrò finito<br />

potrai andare a letto a pensare a quello <strong>che</strong> ho detto.»<br />

Scossi la testa in segno di perplesso accordo e mi preparai ad<br />

ascoltare quella <strong>che</strong> si rivelò essere la più stupefacente, logica e<br />

inconfutabile analisi <strong>che</strong> avessi mai sentito. <strong>La</strong> mia incredibile<br />

moglie mi turbò con una dissertazione sulla moralità pubblica, sulla


struttura civica e sociale, e sulla responsabilità individuale, <strong>che</strong> mi<br />

lasciò turbato nel profondo e incapace di dormire. Quando alla fine<br />

andammo a letto, quella notte, poco prima dell'alba, ero convinto<br />

<strong>che</strong> la sua analisi fosse precisa e corretta sotto ogni punto di vista,<br />

an<strong>che</strong> se la cosa non mi garbava. <strong>La</strong> mia totale accettazione del suo<br />

punto di vista, però, condusse a uno dei pochi alterchi <strong>che</strong> abbia mai<br />

avuto con il suo nobile fratello.<br />

Accadde improvvisamente due giorni più tardi, dopo due<br />

lunghe giornate di riflessione e una buona notte di sonno, quando<br />

gli stavo riferendo la lunga conversazione avuta con sua sorella. Ero<br />

molto preoccupato per alcune cose <strong>che</strong> aveva detto e per alcune<br />

conclusioni <strong>che</strong> aveva tratto, e suppongo <strong>che</strong> la profondità della mia<br />

desolazione e della mia angoscia fosse evidente. Caio ascoltò quello<br />

<strong>che</strong> avevo da dire, educatamente come sempre, almeno all'inizio.<br />

Mentre proseguivo, però, notai <strong>che</strong> si alterava sempre più, finché,<br />

incapace di ascoltare oltre, alzò una mano per fermarmi. Mi<br />

interruppi a metà di una frase, sorpreso dalla sua reazione. «Vuoi<br />

dire qualcosa?»<br />

Mi fissò. «No, niente. Non ora. Non prima di avere avuto il<br />

tempo di ordinare i miei pensieri e di considerare le tue parole.»<br />

Ero stupito. «Allora cosa c'è <strong>che</strong> non va? Sembra <strong>che</strong> tu voglia<br />

scorticarmi vivo.»<br />

Allora esplose in una collera tremenda, picchiando il pugno sul<br />

tavolo con violenza e alzandosi in modo così repentino <strong>che</strong> la<br />

seggiola su cui era seduto cadde all'indietro.<br />

«Dannazione, Publio, non posso credere alle mie orecchie! Sai<br />

cosa mi stai dicendo? Riesci ad ascoltarti? Hai afferrato le tue<br />

parole?» Girò sui tacchi e attraversò la stanza, aprendo e chiudendo<br />

le mani per l'agitazione, mentre io rimanevo a fissarlo stupefatto.<br />

Le mie preoccupazioni erano profonde, ma avevo riflettuto a<br />

lungo e intensamente prima di parlarne con Caio, e avevo cercato di<br />

esporle nel modo più spassionato possibile. Ora assistevo a una


eazione assolutamente sproporzionata all'entità di quello <strong>che</strong> avevo<br />

detto, soprattutto perché non mi aveva lasciato finire. Si girò di<br />

nuovo per affrontarmi, con la faccia contorta da una collera <strong>che</strong> in<br />

tanti anni non avevo mai visto in lui, e mi chiesi cosa potesse averla<br />

causata. Ma non mi lasciò nell'incertezza per molto tempo, e le<br />

parole <strong>che</strong> pronunciò furono come una doccia gelida.<br />

«Dove è finito il tuo addestramento, per Dio? Hai perso la tua<br />

virilità? Una volta eri un soldato, Varro! Un ufficiale! Un<br />

comandante di uomini presumibilmente intelligente! Non farmi<br />

dubitare di questo, adesso! Le parole, le emozioni e le suppli<strong>che</strong><br />

delle donne non ti si confanno. Hai bisogno di passare più tempo tra<br />

i tuoi pari e meno tra le donne ad ascoltare le favole e le paure delle<br />

vecchie. Stai diventando una donnicciola!»<br />

L'ingiustizia di quelle parole mi fece infuriare; il sangue mi salì<br />

agli occhi per la collera e mi venne voglia di scagliarmi contro di lui,<br />

in preda al folle desiderio di buttarlo a terra. Non feci nemmeno un<br />

passo, però, perché la disciplina di anni mi fermò. Con uno sforzo<br />

trattenni il violento impeto di rabbia, mi chinai lentamente e<br />

raddrizzai la seggiola <strong>che</strong> aveva rovesciato, tenendola stretta con<br />

entrambe le mani e rimettendola a posto con cura; solo allora mi<br />

concessi di rialzare lo sguardo verso di lui. Il suo volto era ancora<br />

stravolto dalla collera, ma sapevo <strong>che</strong> an<strong>che</strong> il mio lo era. Le sue<br />

labbra si mossero per articolare nuove parole, ma lo interruppi con<br />

un gesto della mano, e qualunque cosa stesse per dire rimase non<br />

detta. Sentivo il sangue pulsarmi nella testa e aspettai <strong>che</strong> si placasse<br />

prima di parlare. Ci volle molto tempo e nessuno dei due si mosse.<br />

Finalmente, quando mi parve di poter parlare senza gridare e senza<br />

<strong>che</strong> mi tremasse la voce, deglutii e mi costrinsi a sussurrare: «Queste<br />

non sono parole <strong>che</strong> mi aspettavo da te, amico mio». E dopo aver<br />

detto ciò mi voltai e uscii lentamente dalla stanza, lasciandolo solo<br />

con la sua collera inspiegabile.<br />

Per un'ora camminai da solo per i boschi, ripensando a quello


<strong>che</strong> gli avevo detto e cercando di capire la ragione dello stupefacente<br />

effetto delle mie parole. Cosa avevo detto? Certamente nulla <strong>che</strong><br />

potesse essere considerato sovversivo o avvilente; nulla <strong>che</strong> potessi<br />

definire pusillanime o effemminato, an<strong>che</strong> se gli argomenti <strong>che</strong><br />

avevo presentato avevano avuto origine da mia moglie. E allora,<br />

continuavo a chiedermi, cosa poteva avere sconvolto Caio in quel<br />

modo?<br />

Gli avevo detto <strong>che</strong> Luceia era preoccupata perché i nostri coloni<br />

stavano perdendo la moralità necessaria alla vita di una comunità.<br />

Erano parole <strong>che</strong> suonavano ampollose alle mie stesse orecchie, ora<br />

<strong>che</strong> ci ripensavo, ma poteva essere stata questa la causa della sua<br />

furia? L'ampollosità? O era la presa di posizione sulla moralità? Si<br />

era offeso per questo, perché aveva interpretato le mie parole come<br />

un attacco difetto alla sua moralità? Certamente no, decisi.<br />

Avevo solo descritto le preoccupazioni di Luceia. Lei aveva<br />

parlato in termini generali, ma a sostegno delle sue affermazioni<br />

aveva portato un certo numero di fatti particolari, alcuni dei quali<br />

mi erano già noti, mentre di altri non sapevo niente. Tutti mi<br />

avevano preoccupato, ma molti mi avevano veramente spaventato.<br />

<strong>La</strong> situazione della famiglia Titente, per quanto possa sembrare<br />

strano a causa della parte <strong>che</strong> vi avevo avuto, era per me la più facile<br />

da accettare, perché rappresentava in miniatura la situazione<br />

generale. E Luceia mi aveva assicurato <strong>che</strong> i casi particolari da lei<br />

citati erano solo esempi di una malattia diffusa e pervasiva <strong>che</strong> si<br />

andava estendendo nella nostra Colonia.<br />

Avevo detto a Caio alcune di queste cose e inoltre <strong>che</strong>, secondo<br />

Luceia e adesso an<strong>che</strong> secondo me, noi, i capi della Colonia,<br />

avevamo la responsabilità morale di assicurare non solo la<br />

prosperità e il benessere fisico della nostra gente, ma an<strong>che</strong> il<br />

benessere morale, se non quello spirituale; una responsabilità<br />

scomoda, certo, se accettata, ma una responsabilità indiscutibile.<br />

Gli avevo detto <strong>che</strong> Luceia mi aveva convinto del fatto <strong>che</strong> le


anti<strong>che</strong> leggi e i costumi di Roma non erano abbastanza flessibili e<br />

versatili per i nostri tempi.<br />

Il contesto era cambiato, e stava ancora cambiando, e le regole<br />

della società <strong>che</strong> stavamo creando richiedevano un insieme di leggi<br />

e di regole più semplici, più personali e più individuali.<br />

Era stato a questo punto <strong>che</strong> Caio mi aveva interrotto irritato,<br />

ma per quanto esaminassi la cosa non riuscivo a giustificare la<br />

violenza della sua reazione.<br />

Dopo un'ora mi ero calmato abbastanza per tornare alla villa.<br />

Non vidi traccia di Caio, né provai a cercarlo. Mi scusai con Luceia,<br />

dicendo <strong>che</strong> avevo del lavoro da fare, e me ne andai nella fucina con<br />

un po' di selvaggina arrosto fredda, un pezzo di pane e una<br />

borraccia di vino. Mangiai da solo e lavorai fino al cadere della<br />

notte: solo allora tornai a casa, e trovai Caio <strong>che</strong> mi aspettava nella<br />

stanza destinata alle riunioni familiari. Si alzò al mio ingresso, e io<br />

mi fermai sulla soglia, guardandolo e tentando di indovinare il suo<br />

umore. Alzò le spalle e girò in su il palmo delle mani, con<br />

un'espressione stranamente impacciata e confusa.<br />

«Dobbiamo parlare, Publio. Da amici.»<br />

Misi giù il sacco <strong>che</strong> portavo e mi diressi al divano accanto al<br />

fuoco, e Caio si girò verso di me quando gli passai davanti. <strong>La</strong> mia<br />

collera era svanita da tempo, e la stanza era calda e accogliente con<br />

la luce tremolante e le ombre <strong>che</strong> danzavano sulle pareti.<br />

«Dov'è Luceia?» chiesi.<br />

Si sedette di fronte a me. «Con le bambine. Ci lascerà da soli per<br />

un po'. Le ho raccontato <strong>che</strong> sono stato scortese e offensivo con te<br />

questo pomeriggio, e non ci raggiungerà finché non sarò stato a<br />

macerare nel mio brodo e non ti avrò fatto le mie scuse per la mia...»<br />

«<strong>La</strong>scia perdere, Caio» lo interruppi.<br />

Mi alzai e andai al tavolo dove avevo visto il sac<strong>che</strong>tto di pelle<br />

con ghiaccio e sale e un'anforetta in pietra piena del mio vino


germanico preferito. Ogni primavera gli uomini di Ullic ci<br />

portavano dalle montagne interi carri di ghiaccio tagliato in grandi<br />

blocchi isolati nella paglia <strong>che</strong>, sistemati con cura nella stanza<br />

frigorifera imbiancata a calce della villa, proteggevano le nostre<br />

riserve di carne e pollame dal calore dell'estate, e mantenevano<br />

freschi i nostri vini migliori per le grandi occasioni.<br />

«Tra noi non c'è bisogno di scuse, Caio. Siamo amici da troppo<br />

tempo. Io ti ho irritato e tu hai irritato me. Cose di questo tipo<br />

succedono, a volte.» Sollevai la brocca del vino, controllando <strong>che</strong><br />

fosse ghiacciata, e presi due coppe. «Perché il vino migliore? Questa<br />

è roba da festeggiamenti. Cosa festeggiamo?»<br />

Caio sorrise, un po' ironicamente. «Le mie scuse, credo. <strong>La</strong> mia<br />

cara sorella pensa <strong>che</strong> dovrei ammettere le mie colpe più sovente.<br />

Crede <strong>che</strong> mi renda più umano.»<br />

«Le hai detto per <strong>che</strong> cosa abbiamo litigato?»<br />

«Sì. Mi ha sorpreso <strong>che</strong> non l'avessi già fatto tu.»<br />

«Non ero pronto.» Versai il vino per me e per lui e gli porsi una<br />

coppa. «Glielo avrei detto prima o poi, ma era troppo presto e non<br />

avevo avuto il tempo di pensare bene a tutta la faccenda.» Assaggiai<br />

il vino. Era perfetto. Freddo e delizioso. «Che cosa ha detto?»<br />

«Non molto all'inizio.» Alzò la sua coppa verso di me e<br />

bevemmo. «Buon Dio, è un nettare! No, all'inizio non aveva molto<br />

da dire. Sapevo <strong>che</strong> si vergognava di me perché ti avevo assalito<br />

verbalmente, ma è stata molto paziente e mi ha dimostrato la solita<br />

tolleranza.»<br />

«Già» mormorai. «Tua sorella è una donna notevole. Te l'ho<br />

detto più di una volta. Allora hai discusso le sue opinioni?<br />

Civilmente?»<br />

«Civilmente e a fondo.»<br />

«E...?»


«E ovviamente ha ragione. Abbiamo un problema di una certa<br />

entità, un problema di cui ci si deve occupare.»<br />

«Mmm...» Mi sedetti di nuovo sulla mia seggiola preferita. «Chi<br />

se ne deve occupare?»<br />

«Tutti noi, Publio. Tu e io, suppongo, insieme a Luceia. Poi,<br />

però, sarà necessario l'impegno di tutti i componenti della nostra<br />

piccola società.»<br />

Mi misi più comodo, tenendo la coppa con attenzione per non<br />

versare nean<strong>che</strong> una goccia di vino.<br />

«Perché ti sei arrabbiato tanto con me?»<br />

«Non lo so.» Fece una smorfia, riconoscendo tacitamente <strong>che</strong><br />

mentiva. «Sì, lo so. Suppongo <strong>che</strong> fosse per paura.»<br />

«Paura?» Non potei nascondere la sorpresa.<br />

«Sì, Publio, paura!» Si sedette di nuovo di fronte a me e rimase<br />

in silenzio per un poco fissando il fuoco, poi riprese. «Da tempo mi<br />

sono reso conto <strong>che</strong> stanno avvenendo dei cambiamenti, Publio, <strong>che</strong><br />

non riusciamo a controllare; cambiamenti <strong>che</strong> non mi piacciono, nel<br />

modo di pensare e di agire della gente.» Fece una pausa e sorseggiò<br />

il vino. «Considerati con superficialità molti cambiamenti non<br />

sembrano gravi né profondi, ma lo sono. E i rimedi sono pericolosi.»<br />

«Non ti seguo.»<br />

Mi rivolse un sorriso lieve ed enigmatico. «Oh, mi seguirai<br />

quando comincerai a pensarci.»<br />

«A <strong>che</strong> cosa? A <strong>che</strong> pericolo? Non c'è nessun pericolo in tutto<br />

questo.»<br />

«Davvero, Publio?» Caio si sedette più eretto e si sporse in<br />

avanti, guardandomi dritto negli occhi e puntando il gomito destro<br />

sul ginocchio. «Allora considera le tue riserve da questo punto di<br />

vista: i fatti <strong>che</strong> hai sottoposto alla mia attenzione oggi pomeriggio<br />

riguardavano ciò <strong>che</strong> la gente fa ogni giorno. Luceia ha notato... Che


parola ha usato? <strong>La</strong>ssismo? Ha detto così. Un certo lassismo nella<br />

struttura della vita. E tu sei d'accordo con lei, perché te lo ha fatto<br />

notare. E sono d'accordo anch'io. Ha assolutamente ragione. Ma non<br />

solo qui» Publio. Non solo alla villa. Ovunque. Nelle città <strong>che</strong><br />

visitiamo, nelle cittadine e nei villaggi, e continua a crescere. Gli hai<br />

già dato un nome?»<br />

Scossi la testa. Ero affascinato, perché mi aveva già portato oltre<br />

i confini dei miei pensieri. Proseguì senza aspettare una risposta. «Si<br />

chiama anarchia, Publio.»<br />

Allora gli risposi, ridendo incredulo. «Anarchia. Cai, non puoi<br />

dirlo seriamente!»<br />

Ma Caio non stava ridendo. «Sì, Publio, posso. Oh, a questo<br />

punto è un grado minimo di anarchia, ma si diffonderà come una<br />

pestilenza.»<br />

Risi di nuovo, cercando di distoglierlo da quel pensiero, ma non<br />

si lasciò distrarre e mi fece tacere con un cenno della mano.<br />

«Per favore, Publio, lasciami finire. Non ci trovo nulla da ridere,<br />

adesso <strong>che</strong> tu e mia sorella mi avete obbligato ad affrontare il<br />

problema.»<br />

«Ma insomma, Caio!» Stavo ancora cercando di accantonare<br />

quel pensiero con una risata, di liquidarlo come una banalità. «Non<br />

abbiamo parlato di anarchia. Luceia era turbata a causa di uno dei<br />

carpentieri, un ubriacone <strong>che</strong> terrorizza la moglie e i figli. Sai come<br />

reagisce a cose del genere.»<br />

Caio annuì, addolorato. «Sì, lo so» sussurrò, cambiando umore<br />

di colpo. Scosse la testa dispiaciuto. «Non si è ancora ripresa dalla<br />

morte delle bambine, vero? Quanto tempo è Passato? Quattro anni?»<br />

Dovetti pensare un momento per rispondere alla domanda. «Sì,<br />

sono passati quattro anni, ma non si è ripresa del tutto, Cai. Quel<br />

dolore è profondo dentro di lei. Non penso <strong>che</strong> si riprenderà mai... Si<br />

considera responsabile... si prende tutta la colpa e non riesce a


perdonarsi per non aver visto come si sviluppavano le cose. Crede<br />

veramente <strong>che</strong> sarebbe stato possibile prevenire la disgrazia.»<br />

«Ma è assurdo!»<br />

«Certo <strong>che</strong> è assurdo. Io lo so... Lo sappiamo tutti. Grazie a Dio<br />

lo sa perfino Luceia, di solito. Ma ogni tanto ridiventa com'era<br />

subito dopo la morte delle bambine... qualcosa la riporta indietro, le<br />

fa ricordare... di solito succede quando sente di qual<strong>che</strong> bambino<br />

maltrattato o malato.»<br />

Per un po' restammo in silenzio, immersi ognuno nei propri<br />

ricordi.<br />

Durante il lungo inverno dell'anno nel quale avevo ucciso<br />

Claudio Seneca, una malattia mortale aveva percorso le nostre terre.<br />

Al principio sembrava un normale raffreddamento invernale, ma<br />

era una malattia assassina, e si sviluppava con febbre alta, polmoni<br />

congestionati, spasmi muscolari e paralisi. Molti bambini piccoli e<br />

molti vecchi sembravano non avere la forza di resisterle e nella<br />

nostra regione erano morti in gran numero. <strong>La</strong> nostra casa era stata<br />

una delle prime a essere colpita e Luceia si era convinta di essere<br />

responsabile, per aver portato il contagio di ritorno da un viaggio ad<br />

Aquae Sulis poco prima dello scatenarsi della malattia.<br />

Tre delle nostre quattro figlie si erano ammalate e le due<br />

maggiori, Vittoria e Rebecca, nate a undici mesi di distanza una<br />

dall'altra, erano morte, Vittoria solo pochi giorni dopo il suo nono<br />

compleanno. <strong>La</strong> nostra terza bambina, Veronica, a quell'epoca aveva<br />

solo sei anni, e tememmo di perdere an<strong>che</strong> lei. Ma sopravvisse e<br />

l'anno seguente lei e la sua sorellina minore, Lucilla, si trovarono in<br />

compagnia di una nuova sorellina, Dorotea, il "dono degli dei"<br />

mandatoci quando più ne avevamo bisogno. Veronica, <strong>che</strong> ora era la<br />

nostra figlia maggiore, era stata chiamata come la zia, Veronica<br />

Varo, moglie di Quinto Varo, cognato di Cai, <strong>che</strong> era stata la prima<br />

donna a darmi il benvenuto al mio arrivo, l'anno <strong>che</strong> ero fuggito<br />

dalla vendetta dei Seneca.


«Pare <strong>che</strong> Ligno maltratti i suoi figli» dissi, riprendendo la<br />

conversazione dove era stata interrotta. «È questo <strong>che</strong> l'ha sconvolta.<br />

Lo sospetta di incesto con le figlie. E inoltre è preoccupata per il<br />

recente aumento dei furti. Fino a poco tempo fa non si sentiva<br />

parlare di furti in questa zona, e capisco la sua apprensione. Ora, è<br />

vero <strong>che</strong> tutte queste cose sono preoccupanti, Cai, ma non direi <strong>che</strong><br />

siano segni di anarcoidi»<br />

«Sbagli, Publio. Lo sono. Ognuna di esse e tutte insieme ne sono<br />

i sintomi.» Fece un breve, profondo sospiro di frustrazione. «Non lo<br />

vedi? Fa parte di tutto quello a cui ci dobbiamo preparare, Publio: il<br />

crollo. Gli eserciti hanno abbandonato completamente questa parte<br />

della Britannia. Le guarnigioni sono andate via, a Londinium, Venta<br />

e Lindum, perché era richiesta la loro presenza per tenere a bada il<br />

nemico. Il nemico aumenta ovunque per numero e ferocia e i rinforzi<br />

<strong>che</strong> dovrebbero arrivare da oltremare non arrivano! Ogni soldato<br />

abile è sul chi vive, in servizio attivo senza sosta. L'amministrazione<br />

militare non può permettersi di lasciare gli uomini in località non<br />

prioritarie, perciò ha svuotato le guarnigioni locali e provinciali e li<br />

ha mandati dove possono essere utilizzati meglio. Questo è giusto, è<br />

logico, è inevitabile, ma... Ma, Publio, questo comporta un altro<br />

fatto, senza precedenti: quando le guarnigioni lasciano i centri<br />

provinciali, per qualunque motivo, l'organizzazione <strong>che</strong> applica la<br />

legge parte con loro.»<br />

Sbattei le palpebre e lo fissai, ma non dissi niente e lui continuò.<br />

«I magistrati continuano a governare, nominalmente, ma senza i<br />

militari non hanno la forza. Riesci a capirlo?»<br />

Considerai quel fatto per qual<strong>che</strong> momento e poi alzai le spalle.<br />

Mi sembrava <strong>che</strong> esagerasse un inconveniente temporaneo, così gli<br />

risposi in modo piuttosto reciso.<br />

«No, veramente no. I criminali continuano a essere trasferiti<br />

dove possono essere puniti, esattamente come accadeva nei tempi<br />

passati, non è forse vero?»


<strong>La</strong> sua risposta fu sprezzante. «Criminali! Ma noi non stiamo<br />

parlando di criminali, adesso, Publio, stiamo parlando di gente<br />

comune <strong>che</strong> commette trasgressioni minori. Evasione di tasse,<br />

inosservanza dell'autorità, aggressioni, riunioni turbolente,<br />

ubria<strong>che</strong>zza pubblica, è lì <strong>che</strong> la ruggine lavora. Gli assassini e gli<br />

incendiari continuano a essere scortati alla più vicina base militare<br />

per essere puniti, ma i piccoli, meschini trasgressori rimangono<br />

impuniti e incontrastati, perché è troppo complicato cercarli. Come<br />

diretta conseguenza i confini tra ciò <strong>che</strong> è male e ciò <strong>che</strong> è bene sono<br />

divenuti labili. An<strong>che</strong> tra la gente normale, comune, l'enfasi si è<br />

spostata da "Non farlo, o sarai punito" a "Non farti prendere a farlo".<br />

Questo costituisce un cambiamento importante nell'atteggiamento<br />

della gente, Publio, e va di pari passo con la corruzione. I giudici e i<br />

magistrati cominciano a farsi corrompere. Alcuni di loro sono<br />

sempre stati corrotti, ma si limitavano per la presenza dell'esercito.<br />

Ho ricevuto una lettera in proposito da un vecchio amico di Aquae<br />

Sulis. <strong>La</strong> situazione lì è disastrosa. In diversi luoghi intorno alla città<br />

si organizzano fazioni armate, per sostenere le forze militari nella<br />

guerra contro bande di briganti estremamente efficienti. Questi<br />

briganti sono diventati così audaci e le forze militari di Aquae così<br />

impotenti nei loro confronti, <strong>che</strong> la gente ha paura per la propria<br />

vita. Non c'è certezza di giustizia, non c'è più riparazione per i torti<br />

<strong>che</strong> subiscono.»<br />

«Calma, Caio, calma.» Si interruppe. Mi mordicchiai il labbro,<br />

scegliendo con cura le parole. «Non dubito <strong>che</strong> quello <strong>che</strong> dice il tuo<br />

amico sia vero, ma questo succede ad Aquae Sulis.»<br />

«Sta accadendo an<strong>che</strong> altrove.»<br />

«Ne sono certo, ma cosa ha a <strong>che</strong> fare tutto questo con noi, qui<br />

alla Colonia? Non vedo il rapporto. Non è forse questo il motivo per<br />

cui siamo qui? Per isolarci dal resto del paese e dalla dissoluzione<br />

quando tutto crollerà?»<br />

«Certo <strong>che</strong> è per questo, ma nessun isolamento può mai essere


veramente completo, Publio. <strong>La</strong> nostra gente continua ad avere<br />

contatti con il mondo esterno. E stiamo discutendo un modo<br />

comportamentale. È un'astrazione, ma pervade tutto e sta<br />

cominciando a colpire an<strong>che</strong> noi, nella nostra riserva. Stiamo<br />

affondando nell'illegalità.»<br />

Continuavo a pensare <strong>che</strong> reagisse in modo eccessivo, ma non<br />

avevo nessun dubbio sulla sua sincerità. «Illegalità!» risposi.<br />

«Questa è una parola grossa, Cai, e non credo <strong>che</strong> le cose siano così<br />

serie. Hai detto tu stesso <strong>che</strong> comincia solo ora a interessare an<strong>che</strong><br />

noi.»<br />

«Questo è vero, l'ho detto. E allora?»<br />

«Allora cosa?»<br />

«Allora cosa suggerisci?»<br />

Mi aveva colto di sorpresa. «Io? Non suggerisco niente. L'unico<br />

suggerimento è <strong>che</strong> dobbiamo fare qualcosa in proposito, trovare un<br />

modo di fermarla.»<br />

«Capisco.» Il sorriso enigmatico era ricomparso. «E come si<br />

ferma l'illegalità?»<br />

Sbattei le palpebre, cominciando improvvisamente a capire<br />

dove voleva arrivare e rendendomi conto solo ora della necessità di<br />

valutare bene quello <strong>che</strong> dicevo. «Facendo nuove leggi, suppongo...<br />

per sostituire quelle vecchie.»<br />

«Esattamente. E non pensi <strong>che</strong> sia pericoloso?» Il suo sorriso era<br />

più ampio, adesso, ma privo di allegria.<br />

Ero perplesso, incerto del terreno su cui mi trovavo, conscio<br />

delle acque profonde <strong>che</strong> mi stavano di fronte. «Pericoloso? Non<br />

particolarmente. Che cosa c'è di tanto pericoloso?»<br />

«Dimmi, Publio, <strong>che</strong> differenza c'è tra una regola, un<br />

regolamento e una legge?»<br />

Adesso mi aveva messo in difficoltà, e non potevo rispondergli


perché conoscevo troppo bene la differenza. Scossi le spalle e lui si<br />

impietosì, ma il sorriso cupo rimase immutato mentre proseguiva.<br />

«Saresti d'accordo nell'affermare <strong>che</strong> una regola è una direttiva<br />

relativamente blanda e informale creata, diciamo, da una società o<br />

una corporazione per governare i suoi membri? Niente di<br />

eccessivamente ufficiale o esigente, tranne <strong>che</strong> il rifiuto di accettarla<br />

da parte di un membro potrebbe comportare la sua punizione con<br />

pene miti o perfino, in ultima istanza, la richiesta da parte dei suoi<br />

pari di ritirarsi dalla società?» Annuii.<br />

«Inoltre, essendo un soldato, sai <strong>che</strong> un regolamento è qualcosa<br />

di più costrittivo di una regola, <strong>che</strong> viene deciso dall'esercito, e <strong>che</strong><br />

la disobbedienza al regolamento comporta la punizione fisica del<br />

colpevole sotto legge marziale. E la garanzia della punizione è<br />

fornita dall'autorità delle legioni imperiali. Sei d'accordo?»<br />

Annuii di nuovo.<br />

Continuò. «Una legge, d'altra parte, è una regola assoluta,<br />

imposta dallo stato, e la disobbedienza a essa comporta una<br />

punizione assoluta, amministrata risolutamente e con pieno potere e<br />

sovranità da parte dello stato <strong>che</strong> l'ha originata.»<br />

«D'accordo. Questo riassume i tre casi.» <strong>La</strong> mia voce era calma.<br />

«Bene, allora, Publio. Dicevi di fare nuove leggi per la nostra<br />

Colonia. Atteniamoci alle definizioni <strong>che</strong> abbiamo appena stabilito.<br />

Che cosa intendevi? Regole? Regolamenti? O parlavi veramente di<br />

leggi? Ma qualunque cosa intendessi, hai pensato a come potrebbero<br />

essere redatte? O rese effettive? O fatte rispettare?»<br />

«Mio Dio, Cai» sussurrai. «Capisco cosa intendi dire.»<br />

«Davvero, fratello?» Bevve un lungo sorso dalla sua coppa.<br />

«Spero <strong>che</strong> sia vero.»<br />

Bevvi e di colpo il vino mi sembrò scialbo e senza sapore. «Noi<br />

non abbiamo quel tipo di autorità, vero?»


«No, Publio, non l'abbiamo. E non la vogliamo neppure, credo.<br />

Abbiamo un potere in quanto possediamo questa terra, in comune<br />

con gli altri proprietari. Come proprietari controlliamo la Colonia e<br />

siamo accettati come capi dalla gente <strong>che</strong> vive qui, ma vogliamo<br />

forse <strong>che</strong> questi poteri si estendano fino a comprendere il potere di<br />

vita e di morte? Immagino <strong>che</strong> né tu, né io, né altri vorremmo o<br />

potremmo sentirci a nostro agio con quel tipo di potere.»<br />

«Perché?» Ero nuovamente sorpreso. «Abbiamo avuto tutti quel<br />

potere, nelle legioni.»<br />

«Sì, ma solo come delegati.»<br />

«Questo è vero, hai ragione. Ma dobbiamo fare qualcosa, se<br />

quello <strong>che</strong> sospetti è vero. Allora cosa possiamo fare? Da dove<br />

cominciamo?»<br />

Caio si alzò e andò verso il braciere per alimentare il fuoco.<br />

«Abbiamo già cominciato. Tutto, quello <strong>che</strong> possiamo fare è<br />

parlarne e cercare di trovare un modo per compilare un insieme di<br />

regole secondo le quali tutti noi possiamo vivere. Dobbiamo<br />

assumerci la responsabilità di essere la forza catalizzatrice dietro al<br />

movimento, perché se ho motivo di temere quello <strong>che</strong> ci aspetta,<br />

dentro di me sono sicuro <strong>che</strong> abbiamo ragione. E non riusciremo a<br />

farlo da soli. <strong>La</strong> superbia di una simile pretesa sarebbe distruttiva.»<br />

Si girò a guardarmi. «Le leggi esistono già, non serve dirlo. Non c'è<br />

bisogno di inventarne di nuove, ma ci mancano i mezzi per<br />

applicarle. Dobbiamo trovare i mezzi per far rispettare le leggi,<br />

Publio... e sarà una responsabilità temibile, e un compito improbo e<br />

scoraggiante.»<br />

«Dobbiamo costituire un nuovo corpo dirigente.»<br />

«Certo. Ma deve essere an<strong>che</strong> rappresentativo. Non possiamo<br />

essere solo tu e io. I coloni non lo accetterebbero mai, né io lo vorrei.<br />

Però potremmo estendere i poteri dell'assemblea esistente fino a<br />

comprendere an<strong>che</strong> l'attività legislativa.»


«Intendi dire fondare un vero e proprio Senato, secondo le<br />

tradizioni romane?»<br />

Fece una smorfia. «Forse. Qualcosa del genere. Questo era il<br />

nostro intento originario, quando parlammo per la prima volta di<br />

costituire un'assemblea per governare la Colonia.»<br />

Mi alzai e andai più vicino al braciere, tendendo le mani al<br />

calore del fuoco. «Ricordo, ma avevamo deciso di non raggiungere<br />

un livello così impegnativo. Credi davvero <strong>che</strong> adesso dovremmo<br />

tornare all'idea originaria? Signifi<strong>che</strong>rebbe allontanarsi<br />

notevolmente da tutto quello <strong>che</strong> abbiamo fatto da allora, Cai, un<br />

cambiamento veramente grande. Pensi <strong>che</strong> sia fattibile?»<br />

«È ovvio <strong>che</strong> sia fattibile, ma deve essere fatto nel modo giusto,<br />

con la preparazione e lo spirito adatti.»<br />

«Ma con quale sostegno? Dobbiamo ancora stabilire una forma<br />

di forza adatta a mantenere la disciplina. I nostri soldati?»<br />

«Difficilmente, Publio. Una dittatura militare?»<br />

«E allora cosa?»<br />

«Non ne ho idea. Come ho detto, ci vorranno molte discussioni e<br />

molte gravi riflessioni ma la risposta potrebbe essere un'assemblea<br />

rafforzata, dotata di un'autentica autorità senatoria per punire i<br />

trasgressori... soprattutto se fossimo sostenuti da una sorta di<br />

tribunale...»<br />

Potevo praticamente sentire il lavorio della sua mente <strong>che</strong><br />

analizzava i pro e i contro delle sue parole.<br />

«Sì, potrebbe essere, Publio... un tribunale... un metodo<br />

sistematico per esprimere l'opinione e il giudizio dei coloni, insieme<br />

all'assemblea. Processi pubblici, e responsabilità per le persone<br />

accusate di crimini pubblici, e an<strong>che</strong> privati. Ma nessun potere di<br />

vita e di morte, niente di queste scioc<strong>che</strong>zze. Solo il bando. <strong>La</strong><br />

massima punizione dovrebbe essere il bando.»


Ero dubbioso. «Pensi davvero <strong>che</strong> sarebbe un deterrente<br />

sufficiente per il comportamento criminale?»<br />

Mi sorrise. «Oggi probabilmente no, ma tra cinque o dieci anni a<br />

partire da oggi, quando il mondo sarà finito nell'Ade, chi lo sa?<br />

Facciamo entrare Luceia adesso. Il suo buonsenso potrebbe<br />

servirci.»<br />

Credo <strong>che</strong> nessuno di noi immaginasse veramente <strong>che</strong> quella<br />

discussione, iniziata una sera tra noi tre, sarebbe diventata la base<br />

dell'intero sistema di leggi introdotte nel nostro territorio negli anni<br />

a venire; eppure accadde proprio così.<br />

Luceia si unì a noi e definì premature le nostre preoccupazioni<br />

legiferatone. Cai, sottolineò, era il proprietario della villa e dei suoi<br />

terreni e quindi deteneva ipso facto il diritto assoluto di determinare il<br />

codice di condotta di ogni persona <strong>che</strong> viveva sulle sue terre, e<br />

questo stesso diritto lo avevano an<strong>che</strong> gli altri proprietari terrieri.<br />

L'assemblea era un organismo relativamente nuovo e funzionava<br />

piuttosto bene nella sua forma attuale. Era meglio lasciarla com'era e<br />

lasciare <strong>che</strong> la sua autorità e le sue funzioni si definissero da sole con<br />

il passare del tempo. Mano a mano <strong>che</strong> la popolazione della Colonia<br />

fosse cresciuta, le funzioni dell'assemblea si sarebbero ampliate<br />

naturalmente per adeguarsi a tale crescita. Cai e io ci scambiammo<br />

un'occhiata e fummo d'accordo con lei: aveva di nuovo ragione.<br />

D'un tratto Luceia smise di parlare e rimase a lungo immersa nei<br />

suoi pensieri, lanciando occhiate penetranti a suo fratello e poi a me.<br />

«Siete entrambi preoccupati all'idea di interferire nei diritti degli<br />

altri, vero? Non riuscite a vedere con chiarezza dove la supervisione<br />

morale, in mancanza di un'espressione migliore, finisce e iniziano la<br />

pura intromissione e l'interferenza. Ho ragione?»<br />

Aveva ragione, per quello <strong>che</strong> mi riguardava, ma mentre mi<br />

schiarivo la gola per parlare, Caio rispose.<br />

«Sì, Luceia, hai ragione, come sempre. In particolare sono


preoccupato per il carpentiere <strong>che</strong> Publio ha nominato. È un caso<br />

esemplare di questa problematica. Tu dici <strong>che</strong> è un ubriacone. Lui<br />

probabilmente risponderebbe <strong>che</strong> è un uomo <strong>che</strong> lavora duro e <strong>che</strong><br />

si gode una brocca di birra o di vino o entrambi quando la giornata<br />

di lavoro è finita. Lo faccio anch'io. E an<strong>che</strong> tuo marito. Forse<br />

sappiamo solo reggere quello <strong>che</strong> beviamo meglio del carpentiere.<br />

Dovremmo condannarlo per questo? Possiamo farlo? Tu dici <strong>che</strong><br />

tiranneggia e terrorizza la sua famiglia e <strong>che</strong> commette incesto con le<br />

figlie. È solo una diceria, vero? Non c'è nessuna prova?»<br />

Luceia scosse la testa.<br />

«Proprio come pensavo. Quindi non ci si può fare niente per ora.<br />

Non possiamo fare niente se nessuno si lamenta. Niente. Per quanto<br />

riguarda picchiare e terrorizzare la sua famiglia, potrebbe<br />

rispondere <strong>che</strong> li punisce. Come potrei ribattere a una risposta<br />

simile?» Cai si era accigliato, un profondo solco scavato dai suoi<br />

pensieri gli attraversava la fronte tra le sopracciglia. «Io credo nella<br />

disciplina e credo <strong>che</strong> la disciplina debba essere dura se vuole avere<br />

qual<strong>che</strong> effetto. Chi sono io, <strong>che</strong> diritto ho di dire a chiunque come<br />

governare la propria famiglia? Avrei potuto dire a Domizio Titente<br />

di punire sua moglie? O di badare alla sua castità? Con quale diritto<br />

se non quello di un vicino intrigante e ficcanaso? Avrebbe messo<br />

mano alla spada, e chi avrebbe potuto biasimarlo? <strong>La</strong> sua vita<br />

familiare non era affar mio; non avrebbe mai potuto esserlo, perché<br />

era sua e solo sua. Conosci le leggi <strong>che</strong> regolano l'adulterio. Avrebbe<br />

potuto frustarla fino all'osso, impunemente, e nessun uomo avrebbe<br />

pensato male di lui... Ma la furia cieca lo portò alla pazzia e<br />

massacrò tutti quelli <strong>che</strong> trovò in casa.»<br />

«Qualcuno avrebbe dovuto fermarlo, Cai.»<br />

«Luceia, è assurdo. Qualcuno avrebbe dovuto fermarlo, se<br />

qualcuno avesse immaginato cosa avrebbe fatto. Ma nessuno poteva<br />

saperlo, nemmeno lui stesso, fino al momento del massacro, e a quel<br />

punto ormai aveva perso il senno.»


Luceia scosse la testa con decisione. «Questo è esattamente il<br />

punto a cui volevo arrivare. Ci sarà sempre l'ignoto, <strong>che</strong> trascenderà<br />

le leggi e le regole. Ma ci sono an<strong>che</strong> segnali e indicazioni <strong>che</strong><br />

preannunciano l'ignoto, Caio. Avvertimenti, se li sappiamo leggere.<br />

Dobbiamo essere in sintonia con essi, in qual<strong>che</strong> modo. Dobbiamo,<br />

dovremo guardarci da tutto ciò <strong>che</strong> non è normale, e fermare le cose<br />

prima <strong>che</strong> vadano troppo oltre. Devono esserci regole, Caio, e<br />

devono esserci persone, persone come te e Publio, con il compito di<br />

far rispettare le regole e di prendere decisioni oculate in merito a<br />

quando e come e da parte di chi quelle regole sono state infrante.»<br />

«Questo è...» <strong>La</strong> voce di Cai si affievolì per un attimo e poi<br />

riprese. «Questo non è lavoro per un uomo, Luceia.»<br />

«Scioc<strong>che</strong>zze! Certo <strong>che</strong> lo è.» <strong>La</strong> voce di Luceia era sprezzante.<br />

«Non solo: è lavoro per uomini straordinari, uomini al di sopra della<br />

meschinità, <strong>che</strong> non si lascino influenzare. Ed è un lavoro necessario,<br />

fratello. Ma perché non potrebbe essere an<strong>che</strong> lavoro da donne?<br />

<strong>La</strong>voro per donne straordinarie?»<br />

Entrambi la fissammo, ma fui io a chiederle: «Cosa intendi<br />

dire?»<br />

Luceia mi fissò con gli occhi spalancati. «Cosa pensi <strong>che</strong> intenda<br />

dire? Ammettete le donne nella vostra assemblea e lasciate <strong>che</strong><br />

dividano con gli uomini i doveri dei custodi della legge. Scoprirai<br />

<strong>che</strong> sono più coscienziose e più giudiziose nel riportare le faccende<br />

<strong>che</strong> riguardano tutti noi, e non saranno influenzate dalle tante<br />

preoccupazioni <strong>che</strong> influenzano gli uomini.»<br />

«E quali sarebbero?» Sorridevo, divertito dalla novità <strong>che</strong> Luceia<br />

suggeriva. Mi rivolse uno sguardo sprezzante.<br />

«Suvvia, marito, tu e io ne abbiamo parlato spesso. Le cose <strong>che</strong><br />

contano - <strong>che</strong> contano realmente - per le donne costituiscono un<br />

mondo a parte rispetto a quelle <strong>che</strong> contano per gli uomini. I nostri<br />

sistemi di valori sono completamente differenti. Gli uomini si<br />

preoccupano della conquista e del commercio. Le donne si


preoccupano di altre cose: l'armonia familiare, l'economia, la forza<br />

domestica e l'educazione dei figli, affinché diventino adulti integri,<br />

robusti, sani. Se riconosci <strong>che</strong> questi sono dei valori, devi riconoscere<br />

<strong>che</strong> l'inserimento delle donne nel governo della Colonia potrà avere<br />

solo effetti benefici.»<br />

«Sorella.» <strong>La</strong> voce di Cai era rispettosa. «Penso <strong>che</strong> avremo<br />

qual<strong>che</strong> difficoltà a fare accettare questa idea ai coloni, ma hai<br />

concluso questa discussione con un'idea affascinante. Ora parliamo<br />

d'altro, e meditiamo a lungo e a fondo su quello <strong>che</strong> hai appena<br />

detto. Credo <strong>che</strong> tu ci abbia condotto per un tratto notevole di strada<br />

verso la soluzione del nostro problema. Non conosco molti giudici<br />

di carattere migliori di te e sosterrei il tuo giudizio contro quello di<br />

ogni uomo. Se avessimo tre o quattro donne come te, saremmo in<br />

mani molto capaci.»<br />

«Fratello,» disse Luceia, «te ne posso presentare almeno dieci<br />

domani e sarò lieta di farlo...» Il tono della sua voce, quando si<br />

interruppe, indicava chiaramente <strong>che</strong> c'era un “ma” ancora<br />

inespresso.<br />

«Bene. Voglio <strong>che</strong> tu lo faccia. Non vedo l'ora.» Il solco sulla<br />

fronte di Cai si distese e il suo volto si aprì in un grande sorriso. «Ma<br />

mentre riunisci le tue delegate, potresti darmi qual<strong>che</strong> idea sul<br />

modo di convincere i consiglieri del valore della tua innovazione?»<br />

«Certamente lo farò.» An<strong>che</strong> lei sorrise, del suo sorrisetto deciso.<br />

«<strong>La</strong>scia fare a me. Troverò un modo, forse non domani, ma lo<br />

troverò.» Luceia vuotò la coppa e la girò sotto-sopra perché capissi.<br />

Mi alzai e versai per tutti dell'altro vino dalla brocca, lasciandola<br />

così tristemente vuota. Nel frattempo Luceia continuò.<br />

«Ma non ho ancora finito quello <strong>che</strong> stavo dicendo. Voglio <strong>che</strong><br />

ascoltiate quello <strong>che</strong> ho da dire sul carpentiere.» Il sopracciglio di<br />

Cai si alzò minaccioso, ma lei lo ignorò e continuò, implacabile, a<br />

parlare. «Quello è un uomo malvagio e so <strong>che</strong> voi due preferireste<br />

non pensarci, ma credo <strong>che</strong> dovreste considerarlo un caso speciale.»


Alzò una mano per bloccare la mia interruzione. «Per favore,<br />

lasciami finire. Ha un bambino piccolo <strong>che</strong> a volte gioca con<br />

Veronica e con gli altri bambini.» Ci fissò con intensità, prima uno e<br />

poi l'altro, fermando alla fine il suo sguardo sul fratello, sapendo <strong>che</strong><br />

era lui quello <strong>che</strong> doveva convincere. «Caio, i bambini<br />

continueranno a giocare insieme, an<strong>che</strong> se diremo loro di non farlo.<br />

E siccome giocano insieme, imparano insieme. Questo è il sistema<br />

dell'infanzia e della natura. E imparano tanto il male quanto il<br />

bene.» Si interruppe, pallida per le emozioni trattenute. «Io amo le<br />

mie bambine, Caio, e amo i bambini.» L'accento era chiaro e<br />

inequivocabile. «L'infanzia, lo sa Iddio, è breve. Io voglio <strong>che</strong> le mie<br />

bambine ne godano il più possibile. Avranno tutta la vita per vedere<br />

lo squallore e l'ingiustizia del mondo in cui devono vivere. Ma mi<br />

rende furiosa vedere mia figlia Veronica piangere disperata e<br />

terrorizzata per quello <strong>che</strong> è successo al suo piccolo amico, <strong>che</strong> ha le<br />

gambe contuse e ferite da quel bruto ubriacone <strong>che</strong> lo ha messo al<br />

mondo. Mia figlia non ha bisogno di vedere certe cose, e non ne<br />

hanno bisogno neppure gli alto bambini. Né hanno bisogno di<br />

vedere la madre e le sorelle di un loro amico brutalizzate e picchiate<br />

da una belva feroce» Luceia fece una nuova pausa e guardò Caio e<br />

me, e poi di nuovo suo fratello. «Non ti sto dicendo cosa devi fare,<br />

ma certamente capirai <strong>che</strong> quell'uomo necessariamente costituisce<br />

un esempio. Ci deve pure essere un modo per obbligarlo a<br />

comportarsi diversamente.»<br />

«Quale?» <strong>La</strong> voce di Cai era bassa e severa. «Cosa suggerisci?<br />

Come possiamo agire? Che diritto abbiamo?»<br />

«Che diritto?» <strong>La</strong> voce di Luceia tremava di freddezza. «Di <strong>che</strong><br />

dritti stiamo parlando, Cai? Chi ha ragione in questo caso? Quei<br />

bambini non hanno dei diritti? Non ne ha sua moglie?»<br />

«Questo non c'entra, Luceia» la interruppe suo fratello. «Sto<br />

dicendo <strong>che</strong> Publio e io non possiamo arrogarci l'autorità di punire<br />

un altro uomo per come tratta la sua famiglia. Non ne abbiamo il


diritto.»<br />

«E allora <strong>che</strong> diritti avete? Non è forse un tuo affittuario?»<br />

«No, non lo è. È un colono e contribuisce alla Colonia con il suo<br />

lavoro. È un uomo libero.»<br />

«Allora dimmi. Che cosa faresti se fosse uno dei tuoi legionari e<br />

si comportasse così?»<br />

<strong>La</strong> risposta di Cai fu immediata: «Lo farei frustare».<br />

«E allora fallo frustare adesso, Caio, o rischi di vedere altri<br />

seguire il suo esempio.»<br />

«Scioc<strong>che</strong>zze! Stai dando troppa importanza a questo fatto,<br />

Luceia.»<br />

Allora intervenni, vedendo <strong>che</strong> la collera stava prendendo il<br />

sopravvento in entrambi. Suggerii <strong>che</strong> riflettessimo su quello <strong>che</strong><br />

Luceia aveva appena detto e <strong>che</strong> considerassimo le nostre scelte alla<br />

luce della gravità delle sue accuse. Dissi an<strong>che</strong> <strong>che</strong> avrei fatto visita<br />

al carpentiere in questione e avrei parlato con lui.<br />

Mi sembrarono entrambi soddisfatti, e proseguimmo parlando<br />

di altre cose finché il fuoco si consumò senza <strong>che</strong> nessuno lo<br />

alimentasse, e andammo tutti a letto. L'ultima cosa <strong>che</strong> Luceia mi<br />

disse prima di addormentarsi fu <strong>che</strong> era contenta <strong>che</strong> andassi a<br />

parlare con quell'uomo.


VI.<br />

Avevo veramente l'intenzione di parlare al carpentiere Ligno il<br />

giorno seguente, come avevo promesso a Luceia, ma<br />

nell'entusiasmo della discussione mi ero scordato la precedente<br />

promessa di andare ad Aquae Sulis con Vittore, un colono della villa<br />

di Terra. Doveva visitare il mercato locale, dove sperava di<br />

comprare uno stallone <strong>che</strong> si diceva sarebbe stato in vendita, e mi<br />

ero offerto di accompagnarlo. Era un viaggio lungo e noioso da fare<br />

da solo, e io avevo degli affari nella cittadina <strong>che</strong> rimandavo già da<br />

tempo.<br />

Viaggiammo su un carro leggero e veloce, tirato da due cavalli, e<br />

fu un viaggio piacevole; parlammo per tutto il tempo di cavalli,<br />

poiché Vittore sembrava non avere altri interessi. Quando<br />

arrivammo, però, Vittore scoprì con grande disappunto <strong>che</strong> lo<br />

stallone <strong>che</strong> aveva sperato di comprare era introvabile. Ma non si<br />

rassegnò all'idea di aver fatto quel viaggio inutilmente, si informò e<br />

venne a sapere <strong>che</strong> la vendita era stata rimandata, perché quel<br />

giorno il proprietario non aveva potuto venire in città. Vittore allora<br />

partì alla ricerca della villa del proprietario, deciso a comprare lo<br />

stallone a seguito di una trattativa privata, e mi lasciò da solo a fare<br />

il viaggio di ritorno alla Colonia sul carro, dicendomi <strong>che</strong> sarebbe<br />

tornato indietro a cavallo del suo nuovo stallone. Io passai la notte<br />

ad Aquae Sulis e partii diretto verso casa il mattino successivo, non<br />

appena il sole si alzò all'orizzonte. Il viaggio di ritorno richiese<br />

l'intera giornata. Il tempo era bello e feci un viaggio ottimo, ma ero<br />

ancora a quasi sette miglia dalla Colonia quando scese l'oscurità,<br />

costringendomi a diminuire l'andatura. Normalmente preferisco<br />

accamparmi piuttosto <strong>che</strong> viaggiare di notte, ma era una notte<br />

tiepida, il cielo era limpido e illuminato dalla luce della luna, e io ero<br />

ormai su un terreno familiare, perciò decisi di proseguire, rimasi<br />

sulla strada principale diretta a sud per altre tre miglia, e mantenni


un'andatura sostenuta fino al punto in cui la strada arrivava più<br />

vicina alla Colonia. Lì svoltai per i campi, andando molto più<br />

adagio, ma viaggiando a volo d'uccello invece di prendere il sentiero<br />

più lungo e tortuoso <strong>che</strong> portava dalla strada principale alla villa.<br />

Gli unici rumori <strong>che</strong> sentii nell'ora successiva, passando tra zolle<br />

e roveti alla ricerca di un passaggio inerbito e solido, furono lo<br />

scricchiolio delle molle e dell'assale del carro e i tonfi soffocati degli<br />

zoccoli dei cavalli.<br />

Quando vidi il riflesso della luna luccicare sulle acque dello<br />

Stagno del Drago, seppi <strong>che</strong> ero a casa, e la mia mente si colmò dei<br />

piacevoli pensieri di un bagno caldo e di cibi caldi; all'improvviso<br />

sentii un grido sinistro e lamentoso provenire dai giunchi lungo la<br />

riva. Il sangue mi si gelò nelle vene, come a un bambino <strong>che</strong> ha<br />

ascoltato troppe storie di fantasmi e di apparizioni mostruose, e per<br />

l'orrore i capelli mi si rizzarono sulla testa. Non sono mai stato<br />

superstizioso, ma ci sono state delle occasioni nella mia vita in cui<br />

avrei potuto diventarlo, e una fu quella. <strong>La</strong> notte <strong>che</strong> solo un attimo<br />

prima era così chiara e lucente, illuminata dalla luna, divenne<br />

subitamente oscura e minacciosa.<br />

Perfino questa notte, mentre scrivo queste parole a molte miglia<br />

e a molti anni di distanza dalla sua vista, so <strong>che</strong> lo Stagno del Drago<br />

è profondo e oscuro, circondato da falaschi e canne e salici stentati, e<br />

<strong>che</strong> la sua superficie è probabilmente nascosta da una coltre di<br />

nebbia. Le storie <strong>che</strong> si raccontano intorno al fuoco durante le buie<br />

notti invernali parlano ancora di antichi massacri e di confusione, e<br />

delle anime degli affogati e degli assassinati <strong>che</strong> si sollevano dalle<br />

acque nere e profonde per piangere la loro vita perduta sulla terra.<br />

Il cuore disse alla mente dubbiosa <strong>che</strong> avevo sentito davvero<br />

quel suono. An<strong>che</strong> i cavalli lo avevano avvertito e questo mi atterrì;<br />

si fermarono e nitrirono sommessamente, e drizzarono le orecchie<br />

per localizzare la fonte di quello strano rumore. Io rimasi seduto<br />

immobile, cercando di placare il battito del mio cuore, dicendo a me


stesso <strong>che</strong> ero troppo vecchio per lasciarmi spaventare dai rumori<br />

della notte, per quanto strani fossero.<br />

Ma il rumore si ripetè e questa volta, an<strong>che</strong> se il mio cuore<br />

sussultò per la paura, riconobbi un suono naturale e umano: una<br />

voce di donna o di bambino. <strong>La</strong> paura passò, eppure esitai a<br />

chiamare, non volendo rompere il silenzio, e attesi <strong>che</strong> il suono si<br />

ripetesse ancora.<br />

Si ripetè per la terza volta, spezzando la tensione <strong>che</strong> mi<br />

stringeva. Vedevo solo la nebbia sull'acqua e i falaschi, ma avevo<br />

sentito abbastanza chiaramente il suono per sapere <strong>che</strong> la voce<br />

proveniva da un punto vicino alla riva. Mi alzai e guardai, ma vidi<br />

solo la nebbia, tanto fitta sul lago e sulla riva da impedirmi di<br />

scorgere altro; allora, prima di avviarmi in una qualunque<br />

direzione, andai nel retro del carro e presi l'esca e l'acciarino e il<br />

fondo vaso d'argilla pieno di stracci intrisi d'olio e legati stretti<br />

intorno a bastoni secchi, <strong>che</strong> mi portavo sempre appresso per fare<br />

torce o accendere il fuoco. In pochi istanti accesi del muschio secco,<br />

alimentai la fiamma e vi immersi il lembo di uno straccio oleoso<br />

avvolto intorno a un bastone. Solo a quel punto mi allontanai dal<br />

carro, reggendo la fiaccola sopra la testa per far luce mentre mi<br />

avvicinavo al bordo dell'acqua. Durante il cammino, la luna piena<br />

alle mie spalle mi proiettava davanti un'ombra grottesca. Non c'era<br />

nessun rumore adesso, a parte il sibilo della torcia <strong>che</strong> bruciava.<br />

Gridai: «Chi è là? Dove sei?» ma non udii nulla. Nessun suono.<br />

Mi avvicinai di più all'acqua, con cautela, ricominciando a<br />

pensare di essere impazzito, perché qualunque essere umano in<br />

difficoltà avrebbe risposto a un'offerta di aiuto. Ma non accadde<br />

niente. Sempre più esitante trasferii la torcia nella mano sinistra e<br />

sguainai la spada, ricavando una certa soddisfazione dal suono<br />

strisciante <strong>che</strong> fece scivolando fuori dal fodero.<br />

Chiamai molte altre volte, fermandomi ogni volta ad spettare<br />

una risposta <strong>che</strong> non venne, e alla fine i miei piedi affondarono nel


fango in riva al lago e non potei andare oltre, le canne fitte e alte mi<br />

circondavano come un mare <strong>che</strong> mi arrivava alla vita. Se davanti a<br />

me c'era qualcuno, doveva essere affogato e quindi fuori dalla mia<br />

portata. Mi girai e vidi il carro e i cavalli dove li avevo lasciati, e<br />

ritornai sui miei passi. <strong>La</strong> mia ombra adesso veniva proiettata alle<br />

mie spalle, e non avevo fatto sei passi <strong>che</strong> vidi quello <strong>che</strong> prima mi<br />

era sfuggito. In mezzo alle canne, dove qualcuno o qualcosa si era<br />

trascinato, si vedeva una traccia <strong>che</strong> partiva dalla mia sinistra e<br />

andava verso destra. Al chiarore della luna vedevo perfettamente<br />

dove il sentiero aperto dal mio ingresso incrociava le canne rotte e<br />

piegate. Deglutii, strinsi le dita intorno all'elsa della spada e mossi<br />

pochi passi sul sentiero alla mia destra, poi, terrorizzato, vidi la luce<br />

della torcia riflettersi in un occhio luccicante, e mi acquattai pronto<br />

alla lotta, facendo vibrare la spada in un arco sibilante e abbassando<br />

la torcia con un movimento rapido e roboante. Quello <strong>che</strong> vidi in<br />

quell'istante mi sbalordì, e rimasi lì, paralizzato, a fissare un<br />

bambino piccolo, nudo e incredibilmente sporco e macchiato di<br />

sangue, un maschio, il cui unico occhio mi fissava pieno di terrore<br />

nella certezza della morte imminente.<br />

In un attimo fui in ginocchio accanto a lui, annaspando per<br />

rinfoderare la spada e contemporaneamente piantare la base della<br />

torcia nel fango. Il bambino indietreggiò, allontanandosi da me, e un<br />

lamento di terrore gli uscì dalle labbra lacerate mentre cercava di<br />

scappare, affondando inutilmente il tallone destro nel fango<br />

vischioso, e spingendosi freneticamente all'indietro per nascondersi<br />

di nuovo tra i giunchi. Gli ferrai una gamba per trattenerlo, e<br />

immediatamente avvertii tra le dita l'estremità insanguinata di un<br />

osso rotto. Tutto il suo corpo si inarcò per il dolore, il respiro<br />

divenne un rantolo di agonia, e si accasciò privo di sensi.<br />

Afferrai di nuovo la torcia e l'avvicinai a lui, guardando<br />

attentamente quello <strong>che</strong> la luce ora rivelava. Non aveva più di sette<br />

od otto anni, ed era stato brutalizzato, picchiato selvaggiamente al<br />

punto <strong>che</strong> avrebbe dovuto essere morto. Sconvolto da una simile


constatazione, mi chinai sul corpicino e cercai un palpito di vita, ma<br />

tutto quello <strong>che</strong> sentivo era il rumore della torcia <strong>che</strong> bruciava.<br />

Cercai ancora e sentii un battito, debole ma regolare, sotto la<br />

mascella. Ma il bambino era freddo, intirizzito e nudo. Imprecando<br />

ad alta voce, mi alzai e tornai più in fretta possibile al carro, dove<br />

aprii il pacco del mio mantello nuovo e condussi il cavallo giù fino al<br />

bordo del canneto. Avvolsi il bambino, ancora svenuto, nel<br />

mantello, ripiegandogli la stoffa sotto i piedi in modo <strong>che</strong> fosse<br />

doppia, poi gettai la torcia nelle acque del lago e portai il bambino in<br />

braccio fino al carro; rovesciai a terra il contenuto della lunga<br />

cassetta degli attrezzi e foderai il fondo con tutta la stoffa <strong>che</strong> avevo.<br />

Il bambino era un fagotto piccolissimo e stava perfettamente nella<br />

cassetta. Risalii al posto di guida e ripartii verso casa, alla massima<br />

velocità possibile, cercando di non scuotere la scatola e il suo<br />

occupante più di quanto fosse necessario.<br />

Mi ci volle un'ora per terminare il viaggio. Corsi in casa<br />

portando il bambino e chiamando aiuto a squarciagola. <strong>La</strong> famiglia<br />

aveva appena finito di mangiare e i servi stavano portando via gli<br />

avanzi dalla sala da pranzo, ancora vivacemente illuminata dal<br />

fuoco di legna e da una dozzina di lanterne e candele. Posai il mio<br />

patetico fagotto sul tavolo, <strong>che</strong> sgombrai buttando ogni cosa sul<br />

pavimento, e svolsi le pieghe del mantello nel quale avevo avvolto il<br />

piccolo. Solo allora, nella chiara luce del triclinium, vidi fino a <strong>che</strong><br />

punto il bambino era stato maltrattato. Era coperto dalla testa ai<br />

piedi di uno spesso strato di fango limaccioso e del suo stesso<br />

sangue. <strong>La</strong> gamba sinistra era visibilmente rotta almeno in due<br />

punti, e il braccio destro era slogato in una posizione innaturale. Un<br />

grande lembo di pelle e carne era stato strappato dal fianco sinistro,<br />

e le piccole costole bian<strong>che</strong>ggiavano all'interno dello squarcio. <strong>La</strong><br />

bocca era spaccata; i denti avevano lacerato le labbra e il labbro<br />

inferiore era aperto in due. <strong>La</strong> cute era lacerata in profondità e il<br />

sangue raggrumato incrostava i capelli.<br />

A Luceia era bastata un'occhiata per vedere <strong>che</strong> avevo tra le


accia un essere umano, piccolo e ferito, e poi era immediatamente<br />

scomparsa in direzione degli appartamenti in cui vivevamo,<br />

gridando ordini mentre andava a chiamare i medici e a prendere<br />

acqua calda, panni e asciugamani puliti. I servi si affrettarono a<br />

eseguire i suoi ordini; Caio si avvicinò al tavolo e rimase<br />

ammutolito, scosso come non lo avevo mai visto. Impallidì e si<br />

aggrappò al tavolo per sostenersi mentre guardava il bambino, poi<br />

si girò e uscì dalla stanza e io sapevo <strong>che</strong> andava a vomitare l'orrore<br />

<strong>che</strong> provava. Io non avevo tempo per l'orrore e per la collera. C'era<br />

troppo da fare se volevamo salvare la vita del bambino, precipitato<br />

in un coma profondo. Solo più tardi, quando non ci fu più niente da<br />

fare se non attendere, la furia cominciò a ribollirmi dentro.<br />

Il nostro medico, Cleto, <strong>che</strong> aveva curato per anni uomini feriti<br />

in battaglia, lavò accuratamente il bambino con sapone dolce e<br />

acqua calda, poi cosparse le ferite e gli arti fratturati di erbe curative<br />

e rimise a posto le ossa rotte fissandole con assicelle rigide. Il<br />

bambino, del tutto privo di sensi, durante queste operazioni non<br />

mostrò alcun segno di dolore. Poi Cleto gli rasò la testa con il mio<br />

pugnale forgiato dalla pietra celeste, la lama più affilata della<br />

Colonia, e scoprì le lacerazioni sulla cute per poterle lavare e pulire a<br />

fondo. Ripulì con mano leggera la bocca rotta e fissò il labbro<br />

inferiore spaccato, con due piccoli nodi chirurgici, riunendo i lembi<br />

con la delicatezza di una donna. Solo allora prestò attenzione alla<br />

ferita sul fianco: rimise al suo posto il lembo di pelle strappata e lo<br />

cucì con una gugliata di filo robusto. Quand'ebbe fatto tutto ciò,<br />

Cleto fasciò il piccolo paziente con bende pulite e lo adagiò su un<br />

giaciglio nei suoi appartamenti, dove poteva vegliarlo per il resto<br />

della notte.<br />

Per tutto il tempo Luceia era rimasta in silenzio, reagendo solo<br />

alle richieste di Cleto di passargli questo o quello strumento della<br />

sua arte medica. Io non avevo niente da dire: tutta la mia attenzione<br />

era focalizzata sul bambino e sul medico.


Alla fine, quando il bambino fu a letto, circondato da bottiglie di<br />

acqua calda avvolte nella stoffa, Luceia e io ci ritirammo insieme<br />

nella nostra stanza. Qualcuno, sapendo <strong>che</strong> eravamo ancora alzati,<br />

aveva tenuto il fuoco acceso, e accese erano an<strong>che</strong> le lanterne e le<br />

candele. Caio era andato a letto. Mi avvicinai alla ghiacciaia in<br />

pietra, versai per entrambi un boccale della birra fredda di Equo, e li<br />

portai al divano dove Luceia si era seduta a fissare il fuoco. Prese il<br />

boccale dalle mie mani, ma non accennò a bere.<br />

Mi sedetti al suo fianco e bevvi lunghe sorsate, senza neppure<br />

sentire il sapore della bevanda, ma apprezzandone la fres<strong>che</strong>zza.<br />

<strong>La</strong> mia mente non riusciva ancora ad accettare la gravità di ciò<br />

<strong>che</strong> avevo visto quella notte.<br />

Non mi facevo illusioni sull'infanzia: pochi bambini erano amati<br />

e felici come i nostri. Per la maggior parte delle persone l'infanzia<br />

non era un periodo felice. Era un periodo <strong>che</strong> bisognava passare in<br />

fretta; un periodo di dura disciplina come anticipo della vita ancor<br />

più dura <strong>che</strong> aspettava al varco; un periodo di addestramento alla<br />

maturità. Era un periodo in cui il bambino doveva apprendere<br />

lezioni difficili, in cui doveva imparare bene e in fretta le prati<strong>che</strong><br />

essenziali se voleva sopravvivere e diventare adulto, mettere al<br />

mondo e crescere bambini propri finché era ancora abbastanza<br />

giovane da ricordare e trasmettere loro le lezioni apprese. <strong>La</strong><br />

disciplina e le punizioni nell'infanzia erano severe e dovevano<br />

esserlo; solo i ricchi potevano permettersi di nutrire e proteggere la<br />

loro progenie dalla vita stessa. I bambini <strong>che</strong> non imparavano a<br />

lottare erano rovinati, nel peggior senso della parola, e raramente<br />

sopravvivevano.<br />

Ma ciò <strong>che</strong> aveva subito quel bambino era infame. Se avessi<br />

saputo <strong>che</strong> un adulto aveva trattato così un altro adulto e lo aveva<br />

lasciato in quelle condizioni, senza essere stato provocato nel modo<br />

più grave, lo avrei fatto frustare. Maltrattare un bambino,<br />

qualunque fosse stata la provocazione, era imperdonabile. Avrei


dato non so cosa per trovare il nomade crudele <strong>che</strong> aveva fatto una<br />

cosa simile. Bevvi di nuovo e rimasi a fissare le fiamme, vedendo<br />

davanti a me il povero volto devastato del bambino.<br />

«Mi chiedo chi sia» dissi ad alta voce, e sentii Luceia irrigidirsi al<br />

mio fianco.<br />

«Stai dicendo <strong>che</strong> non lo sai, Publio? Non sai chi è quel<br />

bambino?»<br />

Nella sua voce c'erano meraviglia e incredulità. Mi girai a<br />

guardarla.<br />

«No, certo <strong>che</strong> no. Come potrei? L'ho trovato vicino al lago. Era<br />

stato abbandonato da qualcuno. Vorrei proprio sapere da chi.»<br />

Luceia mi fissò con gli occhi spalancati e la sua espressione<br />

divenne dura come la pietra. Sentii nascere in me un assurdo senso<br />

di colpa e una vergogna indefinita.<br />

«Luceia? Ma cosa c'è, in nome di Dio? Te l'ho detto, non so chi<br />

sia il bambino. Non mi credi?»<br />

Lei continuava a fissarmi, senza vedermi veramente, il viso<br />

pietrificato in quella strana espressione, e io pensai <strong>che</strong> veramente<br />

non mi credesse.<br />

«Luceia? Cosa c'è <strong>che</strong> non va? Ti dico <strong>che</strong> non so chi sia il<br />

bambino. Perché dovrei mentirti?»<br />

Finalmente distolse lo sguardo, e lo rivolse al boccale <strong>che</strong><br />

stringeva e <strong>che</strong> portò alle labbra, ma aveva appena cominciato a bere<br />

<strong>che</strong> lo allontanò con una smorfia di disgusto e me lo porse<br />

scuotendo la testa. Stupito, presi il boccale dalle sue mani, e la<br />

guardai alzarsi e andare distrattamente dal divano al tavolino dove<br />

bruciavano le lanterne più forti. Si chinò e prese una lanterna, poi si<br />

girò verso di me.<br />

«È Simeone» disse. «Ti avevo avvertito <strong>che</strong> sarebbe successo.»<br />

«Cosa?» Ero attonito e confuso.


Non sapevo di <strong>che</strong> cosa stesse parlando.<br />

«Chi è Simeone? Di cosa parli, Luceia? Noi... io non conosco<br />

nessuno <strong>che</strong> si chiami Simeone. Simeone chi? E quale avvertimento?<br />

Mi avevi avvertito? Di <strong>che</strong> cosa?»<br />

«Il carpentiere.» <strong>La</strong> sua voce era un sussurro, privato di ogni<br />

emozione. «Ligno, quel pazzo. L'ubriacone. Ti avevo raccontato<br />

delle mie paure. A te e a Cai. Avevi promesso di andare a trovarlo e<br />

di parlargli. Ti avevo detto <strong>che</strong> avevo paura per la sua famiglia, per<br />

quello <strong>che</strong> avrebbe potuto fare. Il ragazzo è suo figlio, Simeone.<br />

Viene a giocare con i nostri bambini, Publio, e dici di non<br />

conoscerlo?»<br />

«Signore Gesù!» Mi alzai in piedi, tremando in tutto il corpo.<br />

«Tu pensi <strong>che</strong> io lo sapessi? E <strong>che</strong> non avrei fatto niente?» Mi<br />

guardai intorno per la stanza, incerto su come reagire, e mi sembrò<br />

<strong>che</strong> tutti i soprammobili familiari, tutti gli oggetti della casa mi<br />

fossero divenuti estranei; poi ripresi a ragionare con lucidità e la mia<br />

furia si concentrò su nuove, tremende paure. Ricordai di essermi<br />

tolto il cinturone con la spada entrando nell'infermeria, e andai a<br />

prenderlo. Quando ritornai, affibbiandolo, Luceia era ancora in<br />

piedi dove l'avevo lasciata, e teneva in mano la lanterna. Mi guardò<br />

perplessa.<br />

«Dove vai? Esci?»<br />

«Sì. Dove vive esattamente quell'uomo, il carpentiere?»<br />

Scosse la testa, come se volesse schiarirsi le idee. «Dietro l'ultima<br />

delle case di pietra, verso sud, in una capanna di legno in una radura<br />

della foresta.»<br />

«Abbiamo bisogno dei cavalli o possiamo andarci a piedi?<br />

Quanto è lontano?»<br />

Sbatté le palpebre, poi scosse nuovamente la testa. «Non è<br />

lontano. È solo una breve passeggiata attraverso il villaggio, alla sua<br />

estremità, verso il forte sulla collina. Ma è buio, ci vuoi andare


adesso?»<br />

«È ovvio <strong>che</strong> ci voglio andare adesso, e vieni an<strong>che</strong> tu. Dio<br />

solo sa quale scena infernale ci aspetterà quando arriveremo,<br />

ma ho bisogno di te in caso ci sia lavoro per una donna. Ha<br />

moglie e figlie, vero?»<br />

Annuì, con espressione più attenta.<br />

«Bene» proseguii. «Adesso dimmi esattamente come arrivarci e<br />

poi sveglia qualcuno <strong>che</strong> ci aiuti e seguimi lungo la strada. Io non<br />

posso aspettare. Tu hai un po' di tempo per fare i preparativi, ma<br />

non ce n'è troppo da perdere.» Feci una pausa, colpito da un<br />

pensiero improvviso, e continuai non appena mi resi conto della sua<br />

giustezza. «Per prima cosa andrò alle barac<strong>che</strong> a cercare qual<strong>che</strong><br />

soldato <strong>che</strong> venga con me. Voglio <strong>che</strong> tutto questo abbia un carattere<br />

ufficiale, più <strong>che</strong> personale. Il nostro uomo potrebbe essere ancora li<br />

e potrebbe scegliere di combattere. Spero proprio <strong>che</strong> lo faccia.<br />

Sveglia Caio. Vorrà certo sovrintendere. Pregalo di convocare alcuni<br />

membri anziani dell'assemblea e di attendere qui il mio ritorno. Nel<br />

frattempo, quando vieni, porta Gallo e altri due servi, i più forti, e<br />

un carro, uno grande. Potremmo averne bisogno per trasportare i<br />

corpi. Ma fa' in fretta, cara, abbiamo già perso abbastanza tempo e<br />

potrebbe essere troppo tardi.»<br />

Poco tempo dopo mi fermai a circa quindici passi dalla capanna<br />

del carpentiere, proprio al riparo dei cespugli e degli alberelli <strong>che</strong><br />

circondavano la radura nella quale si trovava la costruzione.<br />

Tenendo alta la torcia nella mano destra, feci segno di fermarsi con<br />

la sinistra ai sei giovani soldati <strong>che</strong> avevo fatto venire con me. Li<br />

avevo trovati <strong>che</strong> giocavano a dadi nelle barac<strong>che</strong> della villa. Avevo<br />

già detto loro di cosa si trattava e <strong>che</strong> non ero certo di quello <strong>che</strong><br />

avremmo trovato. A prima vista però non vedevo niente di insolito.<br />

<strong>La</strong> capanna era solida come ci si poteva aspettare <strong>che</strong> fosse la<br />

capanna di un carpentiere. Era buia e tranquilla, e il fumo di un<br />

fuoco quasi spento per la notte si disperdeva adagio dallo sfiato


appositamente aperto sulla sommità del tetto. <strong>La</strong> costruzione aveva<br />

due rudimentali finestre, entrambe chiuse con spessi scuri di legno,<br />

e una pesante porta in legno di larice <strong>che</strong> sembrava sbarrata<br />

dall'interno. Rimasi per qual<strong>che</strong> istante a fissarla chiedendomi <strong>che</strong><br />

cosa nascondesse. Un soldato si schiarì la gola esitante e io lo<br />

interpretai correttamente come un invito a muoversi o a lasciarli<br />

tornare al gioco interrotto. Mi rivolsi al decurione in comando.<br />

«Resta qui con i tuoi uomini e aspetta. Tienili tra i cespugli e<br />

fuori dalla vista della capanna. Vado dentro da solo. Sembra <strong>che</strong> non<br />

ci sia nessun pericolo, ma non si può mai essere veramente sicuri.<br />

Po<strong>che</strong> situazioni sono più fatali di un grave problema domestico.<br />

Aspetta <strong>che</strong> ti chiami e poi sii rapido e pronto ad afferrare<br />

quell'uomo e a prenderlo prigioniero. Mi hai capito? Prendilo<br />

prigioniero. Qualunque cosa accada e per quanto violento diventi, lo<br />

voglio vivo. È chiaro?»<br />

Annuì; uscii dal nascondiglio e avanzai verso la capanna,<br />

fermandomi proprio davanti alla porta.<br />

Ascoltai per sentire se dall'interno provenivano dei rumori, ma<br />

non udii nulla. Trassi un lungo respiro. Spostai la torcia nella mano<br />

sinistra e picchiai alla porta.<br />

Sentii un balbettio immediato di voci all'interno, tutte femminili<br />

e poi una rozza, furiosa voce maschile <strong>che</strong> diceva loro di stare zitte,<br />

dopo di <strong>che</strong> ci fu subito silenzio. Bussai di nuovo, con sollievo<br />

profondo e inatteso, sapendo <strong>che</strong> le donne, almeno, erano vive, e<br />

rendendomi conto solo allora <strong>che</strong> avevo temuto di trovare una<br />

carneficina simile a quella di villa Titente il giorno in cui Dom era<br />

impazzito. Poi sentii del movimento all'interno, uno sferragliare e<br />

una serie di imprecazioni quando qualcuno buttò a terra qualcosa di<br />

pesante. Pochi istanti dopo una luce si accese, tremolando dietro gli<br />

scuri delle finestre, e la stessa rozza voce maschile si levò a gridare<br />

chi ero e cosa volevo, per l'Ade, a quell'ora della notte.<br />

Mantenni un tono di voce moderato, ma abbastanza alto per


essere udito al di là della porta.<br />

«Sono Publio Varro e vengo dalla villa. Voglio parlare a Ligno il<br />

carpentiere.»<br />

Un altro sibilo di conversazione soffocata e un'altra<br />

imprecazione da parte dell'uomo <strong>che</strong> la zittiva. Rimasi ad aspettare.<br />

Finalmente la voce si rivolse di nuovo a me.<br />

«Cosa vuoi da lui?»<br />

«Parlargli. E non voglio gridare attraverso una porta chiusa.<br />

Apri.»<br />

Ci fu una pausa, poi la voce riprese: «Fai un passo indietro,<br />

lontano dalla porta. Come faccio a sapere <strong>che</strong> sei davvero chi dici di<br />

essere? Fai un passo indietro e lascia <strong>che</strong> ti veda dalla finestra».<br />

Feci due passi indietro e rimasi allo scoperto, con un nodo allo<br />

stomaco all'idea della freccia o del pugnale <strong>che</strong> avrebbero potuto<br />

colpirmi. Uno degli scuri a destra della porta si socchiuse e vidi<br />

un'ombra <strong>che</strong> mi scrutava, e sentii il suo grugnito di riconoscimento.<br />

Lo scuro si aprì di più e l'uomo si sporse in avanti, girando la testa a<br />

destra e a sinistra per vedere tutta la radura fino a dove poteva.<br />

«Sei solo?»<br />

«Vedi qualcun altro?»<br />

«Mmm. Cosa vuoi? Dovresti essere a letto come ogni altro uomo<br />

onesto.»<br />

«Ci sarò tra poco, ma voglio parlarti ed è una questione<br />

importante.»<br />

«Allora parla, ti ascolto.»<br />

Sapevo di dovere agire con cautela. Era fondamentale <strong>che</strong> si<br />

allontanasse dalla finestra e <strong>che</strong> aprisse la pesante porta, altrimenti<br />

ogni tentativo di prenderlo prigioniero sarebbe stato sanguinoso e<br />

inutile. Mi raddrizzai e feci in modo <strong>che</strong> le mie parole esprimessero<br />

tutto il mio disgusto.


«Ho urgente necessità di un carpentiere. Una necessità urgente<br />

per la quale sono disposto a pagare bene. Mi è stato detto <strong>che</strong> tu sei il<br />

migliore. Ma <strong>che</strong> io sia dannato se ho intenzione di rimanere qui a<br />

urlare come un venditore ambulante in mezzo alla strada mentre tu<br />

te ne stai al caldo nella tua capanna come un cinghiale pigro.<br />

Tornatene a letto, Ligno, troverò un altro carpentiere.»<br />

Girai sui tacchi e feci per allontanarmi, ma la sua voce mi fermò<br />

prima <strong>che</strong> avessi fatto due passi.<br />

«Aspetta! Aspetta, dannazione! Aprirò la porta.»<br />

Rimise a posto gli scuri e un momento dopo sentii <strong>che</strong> la pesante<br />

sbarra della porta veniva rimossa. Feci un passo avanti mentre la<br />

porta veniva aperta, ma la tenne solo parzialmente socchiusa con il<br />

peso del suo corpo sporgendo la testa attraverso l'apertura. Quando<br />

parlò la sua voce era più calma, quasi un sussurro.<br />

«Allora cosa c'è? Cos'è questa necessità così urgente? Non ti sei<br />

mai rivolto a me prima.»<br />

An<strong>che</strong> da quel poco <strong>che</strong> era visibile vedevo <strong>che</strong> era un enorme<br />

pezzo d'uomo, un orso di mezza testa più alto di me, con una gran<br />

barba folta e cespugliosa e un grosso ventre gonfio. Non mi<br />

sembrava ubriaco, ma gli ero abbastanza vicino per notare la puzza<br />

di sudore acido e di sudiciume, e il fiato fetido di qualcosa <strong>che</strong><br />

sembrava olio di pesce; mi sentii rivoltare lo stomaco, in parte per il<br />

disgusto, ma soprattutto per la rabbia nei suoi confronti. Mi<br />

avvicinai di più. «Posso entrare?»<br />

«Eh?» Evidentemente lo avevo preso alla sprovvista. Non si<br />

aspettava <strong>che</strong> entrassi, né <strong>che</strong> volessi entrare. Si guardò di nuovo<br />

intorno nella radura prima di schiarirsi la voce e dirmi di no. «No!<br />

No! Esco io. Dammi un momento.»<br />

Mi chiuse la porta in faccia e sentii <strong>che</strong> borbottava qualcosa a<br />

qualcuno, un'altra voce e poi un colpo e una voce femminile in un<br />

grido di dolore soffocato. <strong>La</strong> mia rabbia esplose di nuovo. Abbassai


la mano sull'impugnatura della spada e agitai la torcia sopra la testa<br />

per fare aumentare le fiamme. Quando aprì la porta per uscire gli<br />

sbattei in faccia l'estremità accesa della torcia, facendolo rimanere<br />

senza fiato per la sorpresa e costringendolo a indietreggiare e a<br />

coprirsi la faccia con le mani per proteggere gli occhi.<br />

Spalancai la porta con una spallata e lo seguii all'interno,<br />

sguainando la spada.<br />

Il calore all'interno della capanna toglieva il respiro. Notai due<br />

lanterne <strong>che</strong> languivano, un grande fuoco di braci e diversi corpi <strong>che</strong><br />

arretravano per la paura provocata dalla mia intrusione, ma tenni<br />

per tutto il tempo gli occhi fissi sul carpentiere. <strong>La</strong> sorpresa fu di<br />

breve durata; si rabbuiò per la collera e si raccolse per balzarmi<br />

addosso. Gli puntai alla gola la punta della spada.<br />

«Non farlo» lo ammonii, e il veleno nella mia voce lo fermò.<br />

«Non pensare neppure di aggredirmi, o ti sbudello.» Mi avvicinai<br />

ancora, spingendolo contro il muro; vidi la paura nei suoi occhi.<br />

«Stai pensando <strong>che</strong> sono fuori di me?» Lo pungolai con la punta<br />

della spada. «Stai pensando <strong>che</strong> l'uomo <strong>che</strong> hai di fronte ha perso la<br />

ragione? Ebbene, forse è vero. Ho trovato tuo figlio stanotte,<br />

ubriacone figlio di puttana, fuori, vicino al lago.»<br />

Sbatté le palpebre, sulla sua faccia la confusione si alternava alla<br />

paura. «Chi? Simeone?»<br />

«Sì, Simeone. Mi hanno detto <strong>che</strong> questo è il suo nome.»<br />

<strong>La</strong> ferocia apparve nei suoi occhi e gli deformò il volto.<br />

«Simeone? È questo <strong>che</strong> ti porta qui?»<br />

«No, le percosse <strong>che</strong> gli hai infetto mi portano qui.»<br />

«E allora <strong>che</strong> tu sia dannato! È mio figlio e lo tratto come voglio<br />

quando ha bisogno una lezione di buone maniere...» Avrebbe detto<br />

di più, ma lo interruppi puntandogli di nuovo alla gola la punta<br />

della spada.<br />

«Maniere? Ha davvero tanto bisogno una lezione di buone


maniere alla sua età? Quanti anni ha? Otto? Sette? Pezzo di letame<br />

puzzolente! Il ragazzo è alla villa e forse è morto. Nessuno pensa <strong>che</strong><br />

possa sopravvivere dopo le botte <strong>che</strong> gli hai dato. Ha una gamba a<br />

pezzi e an<strong>che</strong> se vivrà non riuscirà più a camminare bene. E an<strong>che</strong><br />

un braccio è rotto e le costole e forse an<strong>che</strong> il cranio. I denti sono rotti<br />

e forse ha perso un occhio e il labbro inferiore è strappato e ha,<br />

quanti anni? sette, otto? Ha lottato molto, brutto maiale? Ha messo<br />

alla prova la tua forza? O ha implorato pietà? Guardami negli occhi,<br />

figlio di una puttana di strada, e domandati se ci vedi un briciolo di<br />

pietà e poi chiediti cosa potrei farti se me ne dai una mezza ragione.»<br />

Mi fermai, con gli occhi sempre fissi nei suoi, e vi lessi ancora<br />

paura e un principio di panico. Senza smettere di guardarlo parlai al<br />

di sopra della spalla alle donne <strong>che</strong> erano nella stanza, una delle<br />

quali piangeva a dirotto. «Voi donne, andate fuori e gridate alle<br />

guardie di entrare. Muovetevi! Svelte!»<br />

Non ebbi risposta e perciò lanciai un'occhiata verso di loro.<br />

Erano in tre, tutte rannicchiate su un enorme letto di legno, in un<br />

immondezzaio di strame maleodorante.<br />

«Mi avete sentito? Uscite, subito!»<br />

«Non possiamo!» Quella <strong>che</strong> aveva parlato mosse una gamba, e<br />

sentii il tintinnio delle catene. Sorpreso da quel suono commisi<br />

l'errore di guardare nella loro direzione; Ligno spettava solo questo.<br />

Era grande e grosso come un orso, ma mi accorsi in quel momento<br />

<strong>che</strong> era an<strong>che</strong> veloce come un gatto. Lo vidi balzare di lato, lontano<br />

da me, lungo il muro verso l'angolo della capanna, ed ebbi appena il<br />

tempo di ruotare goffamente la spada per salvarmi dalla robusta<br />

sbarra di ferro <strong>che</strong> d'un tratto gli era apparsa in mano, e <strong>che</strong> mi<br />

avrebbe spezzato in due se mi avesse colpito. Invece riuscì solo a<br />

farmi saltare via la spada di mano, a intorpidirmi tutto il braccio e a<br />

farmi barcollare attraverso la stanza contro una seggiola di legno, e a<br />

mandarmi poi lungo disteso sul pavimento coperto di paglia.<br />

Toccando il suolo rotolai su me stesso, ma non avevo slancio <strong>che</strong> mi


aiutasse a rialzarmi e il gigante mi fu subito addosso, pronto a<br />

calarmi sulla testa la sua arma terribile. Mi mancò e l'impatto del<br />

colpo sul pavimento gli fece perdere la presa. Riuscii a colpirlo su un<br />

lato della testa, con un rovescio della mano sinistra, <strong>che</strong> chissà come<br />

stringeva ancora la torcia. Persi la torcia, ma il colpo era stato<br />

sufficiente a stordirlo e a farlo crollare a terra; gli stracci unti d'olio<br />

subito appiccarono il fuoco alla barba e ai capelli, propagando le<br />

fiamme a tutta la testa. Si diede a urlare e a lottare contro le fiamme<br />

e io unii le mie grida alle sue per chiamare i soldati.<br />

An<strong>che</strong> le tre donne si misero a strillare, e mentre mi alzavo in<br />

piedi ne compresi il motivo. <strong>La</strong> torcia era atterrata su un mucchio di<br />

paglia e di trucioli in un angolo della stanza e lunghe fiamme<br />

stavano già guizzando sulle pareti di legno. <strong>La</strong> testa di Ligno era un<br />

bozzolo di fiamme ondeggianti. Afferrai un vaso pieno d'acqua<br />

vicino al focolare e glielo rovesciai sulla testa, mentre i primi soldati<br />

facevano irruzione dalla porta. Presi per un braccio i primi due<br />

uomini e li spinsi verso il gigante prostrato al suolo.<br />

«Voi due! Portatelo fuori e tenetelo d'occhio. Legatelo per bene.<br />

Voialtri portate in salvo le donne.» Vidi il decurione al comando<br />

togliersi il mantello per cercare di placare la furia delle fiamme, ma<br />

ormai era troppo tardi. Lo afferrai e lo trascinai lontano dal fuoco.<br />

«Scordatelo, è tardi adesso. Quelle donne sono incatenate al letto.<br />

Portatele fuori di qui o bruceranno vive. Fate a pezzi il letto se è<br />

necessario.»<br />

Andai ad aiutarli e dovemmo davvero fare a pezzi il letto, an<strong>che</strong><br />

se solo due donne erano incatenate. <strong>La</strong> terza donna, <strong>che</strong> supposi<br />

fosse la madre, non era legata, ma ostacolava i nostri movimenti,<br />

aggrappandosi alle due figlie per proteggere la loro nudità. Il letto<br />

era massiccio, solido e incredibilmente pesante, costruito da un<br />

carpentiere <strong>che</strong>, qualsiasi fossero le sue colpe, conosceva la sua arte e<br />

si preoccupava delle proprie comodità materiali. Per terra, sotto a<br />

una finestra, qualcuno trovò un maglio pesante e un'ascia, ma


quando finalmente riuscimmo a sfondare il telaio del letto,<br />

frantumando le giunture d'angolo con il robusto martello, la piccola<br />

stanza era già in fiamme, piena di fumo accecante e soffocante, e<br />

correvamo il rischio di essere sopraffatti. Finalmente le donne<br />

furono portate fuori e ci ritirammo tutti, ma mentre mi voltavo per<br />

essere sicuro <strong>che</strong> fossero usciti tutti, qualcosa esplose, eruttandomi<br />

in faccia fumo e scintille. In quel momento stavo inspirando e mi<br />

parve di inalare una boccata di fuoco puro prima di essere travolto<br />

da un accesso incontrollabile di tosse <strong>che</strong> mi causò un dolore<br />

lacerante, togliendomi completamente il senso dell'orientamento.<br />

Preso dal panico, girai due volte in tondo, cercando la porta, ormai<br />

del tutto incapace di superare i vortici di fumo, poi il ginocchio<br />

cedette e caddi in avanti battendo la testa sul pavimento a un passo<br />

dalla soglia, dalla quale ormai uscivano ruggendo fumo e lunghe<br />

lingue di fuoco. Mani sconosciute mi abbrancarono e mi<br />

trascinarono fuori, nella fredda aria della notte, dove tossii e vomitai<br />

e mi contorsi tra gli spasimi per un tempo <strong>che</strong> mi sembrò eterno.<br />

Quando riacquistai una parvenza di controllo e aprii gli occhi,<br />

scoprii <strong>che</strong> la testa e le spalle erano appoggiate in grembo a mia<br />

moglie, <strong>che</strong> mi stava pulendo il viso con uno straccio umido. <strong>La</strong><br />

guardai sbattendo le palpebre e scossi la testa, sorpreso di non<br />

essermi reso conto <strong>che</strong> venivo cullato e lavato.<br />

Luceia aggrottò la fronte e si chinò per essermi più vicina.<br />

«Publio? Sei svenuto. Senti male?»<br />

Scossi la testa di nuovo e tentai di rassicurarla, ma la voce non<br />

volle uscire. Mi sollevai dal suo grembo, appoggiandomi su un<br />

gomito, e mi guardai intorno. Nella radura c'erano dozzine di<br />

persone, soldati e coloni di ogni età. Dietro di me la capanna del<br />

carpentiere era un inferno, ma nessuno tentava di spegnere il fuoco.<br />

Sentii su di me un'infinità di occhi e mi tirai su a sedere. Tossii di<br />

nuovo, cercando di ritrovare la voce, e Luceia mi offrì una tazza<br />

d'acqua. Inghiottire faceva male, ma valse la pena sopportare tanto


dolore. Svuotai tutto il contenuto della tazza, e mi sentii penetrare<br />

dalla benefica frescura dell'acqua.<br />

«Grazie» dissi con un rantolo. Poi mi alzai e mi guardai intorno<br />

con più attenzione. An<strong>che</strong> Luceia si alzò, reggendomi il gomito, e<br />

sostenendomi perché barcollavo.<br />

«Dov'è Ligno?»<br />

«Lo hanno in custodia i soldati. È malamente ustionato e soffre<br />

molto.»<br />

«An<strong>che</strong> suo figlio. Dove sono le donne?»<br />

«Nel carro. Ho portato qual<strong>che</strong> vestito e delle coperte.»<br />

«Qualcuno si è ustionato? Le donne?»<br />

«No, sono al caldo e qualcuno si occupa di loro, an<strong>che</strong> se sono<br />

sconvolte dal terrore.»<br />

Aggrottai la fronte. «Terrore? Perché? È stato fatto loro del<br />

male?»<br />

«No di certo, Publio. Ma sono spaventate per tutto quello <strong>che</strong> è<br />

successo. Non sono abituate a essere viste e ora sono al centro della<br />

pubblica attenzione. Sono turbate. E hanno il terrore di dover<br />

tornare a vivere con lui domani, dopo <strong>che</strong> tutto questo sarà finito.»<br />

«Di' loro <strong>che</strong> non devono temere niente del genere, moglie.<br />

Assolutamente.»<br />

«Gliel'ho detto. Ma non mi credono. È stato tutto troppo<br />

improvviso e hanno vissuto nel terrore troppo a lungo. Una delle<br />

figlie è incinta.»<br />

<strong>La</strong> guardai, il suo volto era immobile. «Di Ligno?»<br />

«Non puoi esserne sorpreso, Publio. Te l'ho detto molto tempo<br />

fa. Questo conferma solo i miei sospetti.»<br />

Ero inspiegabilmente senza parole, e mi ritrovai a discolpare<br />

quell'uomo, suggerendo <strong>che</strong> forse era incinta di qualcun altro e <strong>che</strong>


lo stavamo accusando ingiustamente, ma Luceia non aveva<br />

pazienza.<br />

«In nome di Dio, Publio, e di chi altri potrebbe esserlo? Le<br />

teneva incatenate al letto, no?»<br />

Sospirai e le concessi <strong>che</strong> aveva ragione. «Sì, è vero. E l'incesto è<br />

piuttosto comune, lo sa Iddio, nonostante sia proibito. Ma tenere le<br />

figlie incatenate in una stalla come animali... credo <strong>che</strong> lo frusterò<br />

personalmente in pubblico.»<br />

«No, marito, non farai niente del genere. Lo affiderai al giudizio<br />

del tribunale della Colonia. Il tribunale <strong>che</strong> abbiamo detto di volere<br />

istituire. Verrà giudicato dai suoi concittadini e bandito dalla<br />

Colonia, sotto pena di morte se ritorna. Il suo processo segnerà la<br />

nascita del nostro nuovo sistema e susciterà nella collettività una<br />

tale dose di risentimento da rendere indiscutibili le sue leggi. Forse<br />

avremo motivo di essere grati a Ligno, l'ubriacone.»<br />

«Ligno è un assassino, se suo figlio non si riprende. Come sta<br />

quel povero bambino?»<br />

Luceia scrollò le spalle e una ruga le attraversò la fronte.<br />

«Non lo so. Le sue condizioni erano immutate quando siamo<br />

andati via da casa.»<br />

«Bene,» dissi, guardandomi di nuovo intorno, «andiamo a<br />

vedere come sta adesso. <strong>La</strong>sceremo qui qual<strong>che</strong> soldato per essere<br />

sicuri <strong>che</strong> il fuoco non si diffonda, ma penso <strong>che</strong> non ci sia pericolo.<br />

Grazie a Dio stanotte non c'è vento, i boschi sono umidi dopo la<br />

pioggia degli ultimi giorni e non ci sono altre case vicine. Dovrebbe<br />

essere sicuro. <strong>La</strong>sciami organizzare le cose e mandare a casa questa<br />

gente.»<br />

Ligno sarebbe stato uno spettacolo pietoso, se avessi avuto<br />

un'oncia di pietà nel mio cuore. Luceia non aveva esagerato, la faccia<br />

e la testa erano malamente ustionate. Lo feci rinchiudere in una<br />

capanna di pietra, guardato a vista, e tornammo alla villa, dove con


la malagrazia dettatami dal risentimento andai a cercare Cleto e lo<br />

indirizzai verso un altro paziente in grande bisogno delle sue cure.<br />

Allora, e solo allora, andai a cercare Caio.<br />

Mi aspettava nel triclinium, seduto di fronte a un fuoco<br />

scoppiettante con dieci dei ventidue consiglieri, più di quanti<br />

immaginavo <strong>che</strong> riuscisse a radunare, raggruppati intorno a lui.<br />

Stavano parlando animatamente, ma cadde il silenzio quando entrai<br />

zoppicando nella stanza.<br />

«Ah, eccoti qua, Publio!» Cai si alzò in piedi immediatamente e<br />

indicò un posto vuoto vicino al suo.<br />

Intuii dal tono della voce <strong>che</strong> nell'attesa aveva già affrontato il<br />

discorso. <strong>La</strong> sua voce risuonava del tono magniloquente, lievemente<br />

esagerato, <strong>che</strong> usava con risultati sublimi quando trattava argomenti<br />

sui quali voleva imporre il proprio pensiero.<br />

«Devi aver sentito il profumo del miscuglio <strong>che</strong> Gallo ci sta<br />

servendo. Il tuo tempismo è eccellente, e probabilmente hai bisogno<br />

di una bevanda calda, per il suo calore, se non per lo stimolo.»<br />

Mentre mi dirigevo al mio posto due dei servi entrarono<br />

portando vassoi carichi di boccali fumanti della speciale ricetta di<br />

Gallo per le lunghe notti buie: latte caldo generosamente insaporito<br />

con idromele forte. Ne scolai subito un boccale e me ne servii un<br />

altro, mentre Caio tornava a sedersi e riprendeva a parlare con tono<br />

ufficiale, governatoriale.<br />

«Stavo riferendo ai nostri amici la discussione <strong>che</strong> tu e io<br />

abbiamo fatto di recente a proposito dell'illegalità <strong>che</strong> sembra<br />

dilagare sempre più intorno a noi.» Notai <strong>che</strong> ignorava di proposito<br />

il ruolo avuto da Luceia. «E mi sono scusato per averli buttati giù dal<br />

letto in un'ora così poco cristiana, an<strong>che</strong> se la gravità degli eventi di<br />

questa notte giustifica certamente un gesto tanto estremo.»<br />

Lo interruppi, qualsiasi cosa avesse in mente di dire. «Giustifica<br />

ben più di questo.» Passai in rassegna i volti degli uomini radunati


nella stanza, ma parlai direttamente a Cai. «Come sta il bambino?»<br />

Cai si schiarì la voce. «Penso <strong>che</strong> le sue condizioni siano stabili.»<br />

«Nessun miglioramento? È ancora in coma?»<br />

«Sì, temo di sì. Non c'è stato nessun miglioramento, <strong>che</strong> io<br />

sappia.»<br />

«Hai detto loro <strong>che</strong> cosa gli è successo?»<br />

«Sì.»<br />

«Lo hanno visto?»<br />

«No, non l'ho ritenuto necessario. Non c'era niente da<br />

guadagnarci, se non vedere un bambino piccolo avvolto nelle<br />

bende.»<br />

«Mmm.» Feci mostra di contare i presenti, an<strong>che</strong> se fin dal<br />

primo istante sapevo benissimo quanti fossero. «Abbiamo qui<br />

dodici consiglieri, su ventidue. Questo ci fornisce il quorum. Penso<br />

<strong>che</strong> dovremmo convocare una riunione straordinaria dell'assemblea<br />

qui e subito. Sono stati invitati an<strong>che</strong> tutti gli altri?»<br />

«Sì, ma per una ragione o per l'altra non sono potuti venire.»<br />

Caio si schiarì la voce, con un certo imbarazzo, mi parve. «Devo<br />

confessare, però, <strong>che</strong> la mia convocazione non è stata comunicata<br />

con forza sufficiente a indicare una riunione dell'assemblea.»<br />

«Come avrebbe potuto? Nessuno ci aveva pensato. L'idea mi è<br />

venuta in questo momento. Ma ritengo necessario <strong>che</strong> ci riuniamo<br />

qui, ufficialmente, adesso. Abbiamo ampie e sufficienti ragioni e ci<br />

sono alcuni imperativi <strong>che</strong> si sono imposti nell'ultima ora. Se li<br />

affrontiamo in modo risoluto finché la situazione è ancora aperta,<br />

possiamo risolverli e risparmiarci un lungo e faticoso compito nel<br />

tempo a venire. Qualcuno ha qualcosa da obiettare?»<br />

I consiglieri si limitarono a stringersi nelle spalle e bisbigliare,<br />

ma erano piuttosto disponibili. Dovevano esserlo, perché non<br />

sapevano ancora realmente quali fossero i punti in discussione.


L'unica obiezione venne da Caio. «È molto tardi, Publio. Potremmo<br />

rimanere qui tutta la notte.»<br />

Mi accorsi <strong>che</strong> si trattava di una pura formalità. Ma non riuscivo<br />

a stabilire il motivo del sorriso divertito <strong>che</strong> gli aveva sollevato gli<br />

angoli della bocca prima <strong>che</strong> iniziasse a parlare, e presi mentalmente<br />

nota di chiedergli più tardi <strong>che</strong> cosa lo avesse provocato.<br />

«Ne dubito. Vorrei tratteggiare qui la situazione <strong>che</strong> abbiamo<br />

davanti, come la vedo io, e dare alcune indicazioni specifi<strong>che</strong> per<br />

una linea di azione. Se i consiglieri presenti approvano queste<br />

indicazioni, saremo tutti a letto entro un'ora Se vengono espresse<br />

serie obiezioni voterò l'aggiornamento affinché domani possiamo<br />

convocare un'assemblea plenaria, nel qual caso saremo a letto entro<br />

un'ora.»<br />

Caio alzò le spalle. «A me sta bene. Qualcuno si oppone?»<br />

Nessuno si oppose, e iniziammo direttamente una seduta<br />

formale sotto la direzione di Caio. Mi diede la parola, e io iniziai<br />

subito il racconto della scoperta di Simeone vicino al lago,<br />

descrivendo in termini molto suggestivi le ferite del bambino,<br />

tentando deliberatamente di risvegliare il loro orrore e risentimento.<br />

Poi, mentre avevano ancora gli occhi spalancati per il disgusto,<br />

proseguii descrivendo gli eventi successivi: la scena nella capanna,<br />

le donne incatenate al letto, la lotta di Ligno per sfuggire all'arresto e<br />

l'incendio <strong>che</strong>, se la capanna di Ligno fosse stata più vicina agli altri<br />

edifici, avrebbe potuto essere disastroso per la Colonia.<br />

Dopo aver fissato saldamente nella mente dei miei ascoltatori<br />

l'immagine delle possibili conseguenze, descrissi ancora una volta il<br />

lieve, ma continuo e avvertibile declino verso l'anarchia ormai<br />

visibile nelle città della regione e perfino nella nostra piccola<br />

Colonia. Parlai del dilemma <strong>che</strong> avremmo dovuto affrontare come<br />

legislatori e applicatoli della legge, nel modo in cui Caio lo aveva<br />

descritto a me, ripetendo la sua distinzione tra regole, regolamento e<br />

leggi, e sottolineai con enfasi la necessità di un atteggiamento


autoritario e di supporto da parte del Consiglio nell'esporre questi<br />

argomenti a tutti i coloni, per ottenere il loro sostegno morale in<br />

quello <strong>che</strong> ci disponevamo a fare.<br />

Dissi loro <strong>che</strong> se, come immaginavo, erano d'accordo con le mie<br />

preoccupazioni e i miei sentimenti, e se accettavano l'analisi mia e di<br />

Caio di quanto non andava, e se riconoscevano con chiarezza le<br />

difficoltà <strong>che</strong> si prospettavano per la nostra Colonia se<br />

quell'atmosfera di lassismo morale avesse continuato a espandersi,<br />

allora nella nostra qualità di consiglieri dovevamo vedere dove tutto<br />

ciò ci avrebbe inevitabilmente condotti. Li esortai a prendere ferma<br />

posizione al riguardo, e a farlo immediatamente, quella stessa notte.<br />

Ligno il carpentiere, sostenni, ci aveva fornito una perfetta<br />

opportunità per agire con decisione nell'intento di garantire una vita<br />

sicura a ogni membro della Colonia. <strong>La</strong> nostra era palesemente una<br />

comunità cristiana. <strong>La</strong> legge cristiana era semplice, osservai: aveva<br />

solo dieci regole fondamentali, i comandamenti, e Ligno li aveva<br />

violati quasi tutti. Se suo figlio fosse morto, sarebbe stato colpevole<br />

dell'assassinio del proprio figlio. <strong>La</strong> sua crudeltà era così orrenda, e<br />

il suo disprezzo per tutte le leggi basilari della società era così<br />

profondo, <strong>che</strong> conia sua condotta danneggiava tutti coloro <strong>che</strong><br />

vivevano vicino a lui, an<strong>che</strong> se fino a quel momento aveva causato<br />

danno solo alla propria famiglia. Ma - e inchiodai questo argomento<br />

nella mente di tutti assestando un pugno sullo schienale di una<br />

seggiola - se un uomo banalizzava la propria famiglia, potevamo<br />

essere tanto sciocchi da sperare <strong>che</strong> il rimorso gli avrebbe impedito<br />

di fare del male alle famiglie altrui? Ligno non aveva solo agito<br />

male, dissi, aveva superato di molto i limiti della decenza umana.<br />

L'intera popolazione si sarebbe sollevata, oltraggiata, contro i suoi<br />

crimini. Noi, il Consiglio, potevamo sfruttare quel risentimento<br />

come un'opportunità, <strong>che</strong> speravamo non si sarebbe più ripetuta,<br />

per favorire i nostri scopi nella protezione dei coloni e dei cittadini.<br />

Parlai per quasi mezz'ora e nessuno mi interruppe, e quando<br />

ebbi finito ci fu un momento di silenzio. Mi ero alzato in piedi spinto


dalla mia stessa eloquenza, la mia lingua si era sciolta e fluidificata<br />

per la potenza dell'idromele, e i miei pensieri erano stati acuiti<br />

dall'insaziabile collera per l'accaduto. E in piedi rimasi, aspettando<br />

una reazione alla mia arringa.<br />

Fu Vegezio Sulla a rompere il silenzio. Era il figlio maggiore del<br />

vecchio Tarpone Sulla, un membro vigoroso e schietto del nostro<br />

primo Consiglio, morto da diversi anni. A differenza del suo<br />

determinato padre, Vegezio parlava raramente, e mai senza avere<br />

prima riflettuto, così <strong>che</strong> la gente ascoltava sempre quello <strong>che</strong> aveva<br />

da dire.<br />

«Le tue argomentazioni sono possenti, Publio, e io sono<br />

d'accordo con te, ma cosa proponi esattamente di dire e di fare? Sii<br />

più preciso. Votiamo. Dubito comunque <strong>che</strong> andremo a letto<br />

stanotte. Se sosteniamo le tue proposte dovremo prepararci a<br />

presentarle domani per una ratifica almeno al Consiglio Plenario, se<br />

non alla Colonia al completo in un'assemblea generale. Credo <strong>che</strong><br />

domani sarà un giorno troppo importante per questa Colonia da<br />

affrontare senza un piano e una strategia adeguati.»<br />

Le parole di Sulla provocarono un mormorio di assenso da parte<br />

di tutti e io guardai Caio, passandogli in silenzio la parola. Caio<br />

scrollò appena le spalle e mi fece cenno di continuare. Ma continuare<br />

era l'ultima cosa <strong>che</strong> volevo fare. Gli avevo preparato la strada e<br />

sapevo <strong>che</strong> lui avrebbe riferito le nostre discussioni e le nostre<br />

intenzioni con molta più precisione, concisione e autorità di quanto<br />

avrei saputo fare io.<br />

«Bene, allora passo la parola a Caio Britannico. Nel frattempo,<br />

chiedo il vostro permesso per allontanarmi un momento. Voglio<br />

controllare le condizioni del prigioniero e vedere se la moglie e le<br />

figlie stanno bene. È malamente ustionato, ma spero <strong>che</strong> le sue ferite<br />

non siano tanto gravi da consentirgli di sfuggire a un processo e a un<br />

pubblico tribunale. Tornerò presto a riferirvi notizie più precise.<br />

Caio?»


<strong>La</strong>sciai la stanza mentre lui si alzava per parlare, e mi diressi<br />

immediatamente alla casupola di pietra nella quale Ligno era<br />

rinchiuso. Era ben guardata e illuminata. Quando arrivai Cleto stava<br />

uscendo; lo presi in disparte, perché le guardie non ci sentissero.<br />

«Allora? Come sta? Vivrà?»<br />

«Sì, vivrà.» Cleto mi guardò in modo strano. «Te ne importa<br />

qualcosa, Publio?»<br />

«Sì, Cleto, mi importa, ma solo perché abbiamo bisogno <strong>che</strong> ci<br />

aiuti nel governare questa Colonia. Voglio <strong>che</strong> stia abbastanza bene<br />

da restare in piedi, diritto e visibile, per essere condannato da un<br />

tribunale pubblico.»<br />

«Ah! Capisco...»<br />

<strong>La</strong> voce di Cleto si spense e poi riprese. «Quando?»<br />

«Domani? È possibile?»<br />

«Mio caro Publio, tutto è possibile secondo il buon vescovo<br />

Alarico. <strong>La</strong> legge delle probabilità, però, è una cosa diversa.<br />

Comunque penso <strong>che</strong> starà abbastanza bene da reggersi in piedi per<br />

un po' di tempo domani. Cosa gli succederà dopo?»<br />

«Probabilmente verrà bandito, esiliato dalla Colonia, e gli sarà<br />

vietato di tornare sotto pena di morte.»<br />

«Niente esecuzione?»<br />

Cercai di cogliere l'espressione sul volto del medico, ma era<br />

troppo buio e così mi limitai a scuotere la testa. «Niente esecuzione.<br />

A meno <strong>che</strong> il bambino muoia. Allora dovrà morire an<strong>che</strong> il padre. Il<br />

bambino morirà?»<br />

«Potrebbe. Non lo so. Solo il tempo ce lo dirà. Ma se Ligno non<br />

morirà domani, sarà in grado di subire il processo. Non sarà<br />

abbastanza forte però da lasciare la Colonia immediatamente,<br />

almeno non per una settimana, più probabilmente due. A meno <strong>che</strong>,<br />

ovviamente, tu non lo porti ai confini del territorio e lo lasci lì, nel


qual caso morirà domani o il giorno dopo.»<br />

Sputai, cercando invano di pulirmi la bocca dal sapore metallico<br />

della collera. «È lui il barbaro, Cleto, non io. Quanto sono gravi le<br />

sue ustioni?»<br />

Cleto sbadigliò e si strofinò gli occhi con il dorso delle mani.<br />

«Non gravi come sembrava quando l'ho visto. I capelli e la barba<br />

sono spariti, ma le fiamme sono state spente prima <strong>che</strong> le bruciature<br />

penetrassero in profondità. Su un lato della faccia gli rimarrà una<br />

cicatrice. Gli è caduto addosso dell'olio?»<br />

Grugnii. «No, però l'ho colpito con una torcia inzuppata d'olio.»<br />

«Ovviamente. È stata questa la causa. Un orecchio è gravemente<br />

ustionato e forse lo perderà.»<br />

«Se un orecchio è tutto quello <strong>che</strong> perderà si può ritenere<br />

fortunato. Dove sono sua moglie e le figlie, lo sai?»<br />

Cleto scosse la testa. «No. Le ho viste con Luceia, ma prima di<br />

venire qui. Devono essere su alla villa.» Sbadigliò di nuovo, più<br />

forte, e mormorò qualcosa a proposito di andare a vedere come<br />

stava il bambino e poi cercare di dormire prima dell'alba.<br />

Lo ringraziai e andai a cercare Luceia, accorgendomi per via di<br />

avere le palpebre pesanti, e gli occhi <strong>che</strong> mi pungevano come se<br />

fossero stati pieni di sabbia.<br />

Per schiarirmi le idee aspirai qual<strong>che</strong> boccata dell'aria pulita<br />

della notte, grato <strong>che</strong> la leggera brezza soffiasse dalla villa verso le<br />

rovine, ancora ardenti, della capanna di Ligno.<br />

Luceia era con il bambino, le cui condizioni erano immutate. Mi<br />

disse <strong>che</strong> aveva fatto lavare le donne e le aveva alloggiate nei<br />

quartieri della servitù, dove ora dormivano profondamente, grazie a<br />

una pozione sonnifera di Cleto, vicino a chi poteva occuparsi di loro.<br />

Le raccontai <strong>che</strong> cosa stava accadendo nell'improvvisata riunione<br />

del Consiglio nel triclinium, la baciai e la mandai a letto, e tornai alla<br />

riunione dove il dibattito si era ormai concluso. Caio aveva fornito le


sue indicazioni, <strong>che</strong> erano state approvate all'unanimità. Ormai<br />

rimanevano solo quattro o cinque ore di buio, e fummo tutti<br />

concordi nel ritrovarci all'ora decima nella sala delle assemblee.<br />

Era già stata sparsa la voce <strong>che</strong> il giorno seguente sarebbe stato<br />

festivo; le squadre di lavoro non sarebbero uscite, e verso metà<br />

pomeriggio si sarebbe riunita un'assemblea generale dei coloni. Il<br />

Consiglio avrebbe proposto nuove leggi per il benessere della<br />

Colonia, e quando si fosse ottenuto l'accordo sulla loro necessità e<br />

sulla necessità di approntarle, e fossero state adottate, un tribunale<br />

pubblico si sarebbe riunito per discutere il caso di Ligno il<br />

carpentiere.<br />

Quando l'ultimo dei nostri ospiti ebbe dato la buona notte ero<br />

stremato per la stan<strong>che</strong>zza, disfatto dall'allentarsi della tensione <strong>che</strong><br />

mi aveva sostenuto fino ad allora. Caio mi venne vicino e mi mise un<br />

braccio intorno alle spalle.<br />

«Bene, fratello,» disse, «questa è stata una buona notte di lavoro.<br />

Siamo andati molto lontano, in una sola breve seduta. Forse<br />

dovremmo essere grati al nostro carpentiere ubriaco.»<br />

«Mmm. Gli mostrerò la mia gratitudine domani, quando voterò<br />

per commutare la sentenza di morte in una di esilio.» Lo interruppi<br />

rammentando una cosa. «Ridevi di me, stasera. O perlomeno<br />

sorridevi. All'inizio, appena sono arrivato, prima <strong>che</strong> cominciassi a<br />

parlare. Perché? Ero in qual<strong>che</strong> modo divertente?»<br />

Rise forte. «Ah, te ne sei accorto! No, non eri divertente, ero solo<br />

sorpreso, piacevolmente sorpreso, per il tuo cambiamento<br />

improvviso, Publio. Tutto qui.»<br />

«Cambiamento? Quale cambiamento? Che tipo di<br />

cambiamento?»<br />

«In meglio. Al tuo ingresso nella riunione consiliare hai preso il<br />

mio posto con assoluta correttezza e sicurezza, e di colpo mi sono<br />

reso conto di quanta strada hai fatto dal tuo arrivo qui tanti anni fa.


Quel Publio Varro non avrebbe mai pensato di togliere la parola al<br />

proconsole Caio Britannico. Avrebbe potuto farlo in qualunque<br />

momento, ma non era pronto; non era ancora abbastanza in pace con<br />

se stesso. Quel Publio Varro non si sarebbe mai neppure sognato di<br />

affrontare o arringare o influenzare o addirittura tiranneggiare gli<br />

augusti membri del Consiglio della Colonia.» Stava ridendo di<br />

nuovo. «Stanotte ho visto <strong>che</strong> ti accetti e <strong>che</strong> accetti il tuo ruolo qui<br />

per la prima volta, Publio. Ti ho visto esercitare il tuo potere in<br />

questa Colonia e sono stato ancora più fiero di te. E questo mi ha<br />

fatto sorridere, ma di piacere e a buon diritto.»<br />

Lo fissavo sbalordito, ma quando sentii le sue parole compresi<br />

<strong>che</strong> aveva ragione. Avevo assunto il mio incarico, completamente,<br />

non come il centurione Varro diventato tribuno, ma come Publio<br />

Varro, consigliere, cittadino e capo. «Sì,» dissi, «ma ero ancora<br />

indignato. Adesso devo andare a letto, Caio.»<br />

«Anch'io, amico mio. Ma spero <strong>che</strong> la tua indignazione duri. Se<br />

non durerà dovrò trovare il modo di risvegliarla regolarmente. Mi<br />

piace quello <strong>che</strong> provoca in te.»<br />

Pensavo <strong>che</strong> Luceia dormisse quando mi infilai nel letto, ma era<br />

sveglia e mi aspettava, an<strong>che</strong> se non fece nessun rumore mentre mi<br />

spogliavo e mi infilavo sotto le coperte adeguando il corpo tremante<br />

al profilo della sua schiena, rannicchiandomi contro la sua calda,<br />

confortevole morbidezza e passandole delicatamente il braccio<br />

sopra alla vita per annidarmi in mezzo al caldo promontorio del suo<br />

seno. Solo un marito soddisfatto può apprezzare il privilegio di tali<br />

momenti. I suoi simili meno fortunati, gli scapoli, non conoscono<br />

pari beatitudine, perché il celibato preclude loro la semplice intimità<br />

familiare e famigliare necessaria a sensazioni come quelle. Uomini<br />

meno fortunati, soli e non sposati, troppo spesso devono dormire<br />

soli, e quando hanno una compagna con cui dividere il letto, la<br />

bramosia e la necessità di dimostrare la loro prodezza congiurano<br />

per derubarli del puro piacere di dividere lungamente il letto e il


calore dei corpi. Il tempo <strong>che</strong> trascorrono a letto con le donne <strong>che</strong><br />

possono avere solo di tanto in tanto è troppo esigente, troppo<br />

atletico, troppo pieno di novità, di imperativi e di richieste. Solo un<br />

uomo felicemente sposato conosce il lusso, semplice eppure<br />

impagabile, di infilarsi in un letto, esausto per la fatica, in una notte<br />

fredda, e di trovarlo occupato dall'accogliente e meraviglioso calore<br />

senza pretese di una sposa addormentata, profumata,<br />

morbidamente docile, <strong>che</strong> gli si avvolge intorno e gli si accoccola<br />

vicina, si stringe a lui, e gli si offre come sollievo e premio alle sue<br />

fati<strong>che</strong>.<br />

Questo pensavo prima di accorgermi <strong>che</strong> Luceia era sveglia. <strong>La</strong><br />

mia stan<strong>che</strong>zza era tale <strong>che</strong> la beatitudine mi sopraffece, ma poi<br />

sentii la sua mano chiudersi sulla mia <strong>che</strong> giaceva inerte sul suo<br />

seno, e stringere le mie dita chiuse.<br />

«Sono andati tutti a casa?»<br />

<strong>La</strong> trassi a me e le parlai premendole il naso tra le spalle,<br />

baciando la sua pelle e odorando il leggero profumo dei suoi capelli.<br />

«Sì. Caio aveva già finito quando sono tornato. Ci incontreremo di<br />

nuovo in mattinata con gli altri consiglieri, in una riunione plenaria.<br />

È tutto predisposto. Domani sarà un giorno festivo. Nessuna<br />

squadra di lavoro. Convocazione generale nel pomeriggio e poi<br />

giudi<strong>che</strong>remo il carpentiere...»<br />

<strong>La</strong> sua voce mi svegliò di nuovo. «Dormi?»<br />

«Mmm? Penso di sì, cara... Stanchissimo...»<br />

Luceia si mosse contro di me, sporgendo i glutei e alzando il<br />

ginocchio destro in modo <strong>che</strong> la mia coscia riempisse l'incavo tra le<br />

sue gambe. «Troppo stanco per questo?» mormorò, spingendosi più<br />

vicina. «Mmm» mormorai, cosciente del suo calore contro la coscia,<br />

della sua mano <strong>che</strong> guidava la mia via dal seno per appoggiarla<br />

nella piega del suo ventre e tra le sue gambe raccolte, prima di<br />

muoversi di nuovo per scivolare nel breve spazio tra di noi, con le<br />

dita aperte contro la mia pelle. E mentre la consapevolezza


aumentava, la sonnolenza diminuiva rapidamente, con languore e<br />

lascivia, e senza apparente urgenza.<br />

Più tardi, nel piccolo spazio di tempo tra quello stato di veglia<br />

vibrante ed estatico e l'abbandono del sonno, Luceia si chinò su di<br />

me e mi baciò il naso, sistemandosi con comoda voluttà tra le mie<br />

gambe e strofinandomi il petto con la punta dei suoi seni.<br />

«Adesso suppongo <strong>che</strong> tu voglia dormire! Bene, prima <strong>che</strong> tu lo<br />

faccia, mastro Varro, voglio <strong>che</strong> tu sappia quanto sono stata fiera di<br />

te stanotte e come sono felice di essere tua moglie... Hai notato <strong>che</strong><br />

mi piace darti piacere?» Mi limitai a sorriderle al chiarore della luna,<br />

perché mi mancava l'energia per risponderle con delle parole. Mi<br />

baciò di nuovo, atteggiando le labbra a cuscinetti morbidi e umidi, e<br />

imprimendo come una benedizione sul mio volto: labbra, naso,<br />

occhi e fronte. «Adesso dormi» sussurrò, sollevandosi per farmi<br />

sentire l'aria fresca della notte contro il corpo umido e caldo; poi<br />

riprese la posizione <strong>che</strong> aveva quando ero arrivato. Ricordo, an<strong>che</strong>,<br />

<strong>che</strong> si sedette di nuovo, per tirare le coperte più su nel letto.<br />

Almeno mi sembra.<br />

VII.


Ligno il carpentiere ebbe il suo momento di pubblica infamia<br />

all'ora terza del pomeriggio seguente, quando fu chiamato in<br />

giudizio e portato davanti al tribunale della Colonia Britannico al<br />

completo, dritto in piedi tra due soldati alti quanto lui.<br />

<strong>La</strong> testa era quasi interamente avvolta nelle bende ed era<br />

evidente per tutti coloro <strong>che</strong> si erano radunati nel cortile principale<br />

della villa - una folla <strong>che</strong> comprendeva ogni uomo, donna e<br />

bambino della Colonia - <strong>che</strong> soffriva molto.<br />

Le sue sofferenze tuttavia gli procurarono po<strong>che</strong> simpatie, dal<br />

momento <strong>che</strong> suo figlio giaceva in coma nell'infermeria della tenuta,<br />

e lo spettacolo della moglie contusa e maltrattata e delle figlie incinte<br />

e battute aveva scandalizzato l'intera comunità.<br />

<strong>La</strong> giustizia venne rapidamente amministrata e riassunta.<br />

Poiché era responsabile di avere maltrattato e picchiato<br />

selvaggiamente suo figlio, storpiandolo e abbandonandolo in uno<br />

stato più prossimo alla morte <strong>che</strong> alla vita, e poiché il figlio tuttora si<br />

trovava in pericolo di morte per gli abusi <strong>che</strong> aveva subito; poiché<br />

aveva messo in catene, violentato e ingravidato incestuosamente<br />

una delle sue figlie e convissuto incestuosamente con l'altra,<br />

contrariamente alle leggi di Dio e degli uomini; e poiché le sue<br />

azioni e le conseguenze di quelle azioni avevano provocato una<br />

conflagrazione <strong>che</strong> aveva messo in pericolo e avrebbe potuto<br />

danneggiare l'intera Colonia, Ligno il carpentiere era proscritto e<br />

bandito dalle terre della Colonia sotto pena di morte immediata, da<br />

eseguire all'istante se in futuro fosse stato scoperto dentro i confini<br />

della Colonia o in una delle terre da essa possedute o a essa<br />

collegate. <strong>La</strong> moglie e le figlie furono assolte da ogni colpa o<br />

complicità volontaria nella sua atroce condotta, e fu loro offerta la<br />

possibilità di rimanere nella Colonia e di vivere del lavoro <strong>che</strong><br />

sarebbe stato loro garantito dopo la sua partenza. Accettarono<br />

l'offerta senza esitare.


A questo verdetto ci fu però un corollario, a riconoscimento del<br />

fatto <strong>che</strong> il condannato non era fisicamente in grado di viaggiare al<br />

momento della sentenza. Doveva quindi essere alloggiato nella<br />

Colonia, sotto custodia, per un massimo di ventuno giorni oppure<br />

fino a quando Cleto, il medico, non avesse dichiarato <strong>che</strong> era in<br />

condizioni di viaggiare; comunque sarebbe stata scelta l'alternativa<br />

più breve. Dopo di <strong>che</strong> sarebbe stato scortato ai confini della Colonia<br />

lungo la strada maestra per Aquae Sulis, e lì esiliato.<br />

<strong>La</strong> seduta del tribunale durò meno di mezz'ora e fu la<br />

conclusione appropriata di una giornata <strong>che</strong> aveva visto progressi<br />

miracolosi nel governo della nostra Colonia.<br />

Il Consiglio Plenario si era radunato all'ora decima, come<br />

programmato. Per quell'ora i membri <strong>che</strong> non erano stati presenti la<br />

notte precedente erano stati avvertiti, e le nuove idee erano cadute<br />

in terra fertile. Erano pochi i consiglieri <strong>che</strong> non avessero già<br />

riflettuto, con diversi gradi di inquietudine, sul peggioramento della<br />

situazione nelle città e nelle cittadine della Britannia sudoccidentale.<br />

In una tempestosa seduta durata due ore i consiglieri avevano<br />

accettato immediatamente e all'unanimità le decisioni raggiunte la<br />

notte precedente durante la riunione improvvisata; c'era voluto più<br />

tempo però perché accettassero di analizzare ed esaminare il<br />

suggerimento di Caio di ampliare e cambiare il Consiglio per<br />

includere la guida e i suggerimenti delle donne in settori specifici,<br />

<strong>che</strong> riguardavano soprattutto la morale, la guida e il benessere dei<br />

coloni, e le loro condizioni domesti<strong>che</strong>. Per i consiglieri era un<br />

boccone <strong>che</strong> richiedeva una masticazione laboriosa, ma la<br />

maggioranza finì per ammettere <strong>che</strong> se i principi ispiratori di un<br />

simile coinvolgimento erano ben pensati, regolamentati e gestiti,<br />

l'idea poteva essere buona.<br />

Luceia e altre tre donne furono elette dai consiglieri per<br />

consultarsi con il Consiglio Plenario sul modo in cui la questione<br />

poteva essere concepita e resa operativa.


L'assemblea dei coloni, invece, approvò per acclamazione ogni<br />

proposta avanzata dal Consiglio, e quando Cleto fece un rapporto<br />

sulle condizioni del piccolo Simeone, ancora privo di conoscenza, un<br />

silenzio pieno di simpatia pervase la folla e durò a lungo. Quando<br />

dopo il giudizio la pubblica assemblea finalmente si aggiornò, po<strong>che</strong><br />

persone lasciarono il luogo di riunione. Tutti volevano parlare di<br />

quello <strong>che</strong> era successo e di quello <strong>che</strong> era stato deciso quel giorno, e<br />

ben presto furono accesi i fuochi e venne preparato del cibo, e le<br />

attività della giornata assunsero un'aria di festa <strong>che</strong> durò per tutta la<br />

sera.<br />

Il piccolo Simeone riprese conoscenza appena prima del<br />

tramonto, tra il sollievo e la gioia di tutti, in particolare della madre,<br />

e Cleto si arrischiò a fare una ponderata prognosi di guarigione,<br />

an<strong>che</strong> se la gamba del bambino era così malamente frantumata <strong>che</strong><br />

probabilmente avrebbe zoppicato per tutta la vita peggio di me.<br />

Quella notte, dopo una cena tarda, mentre Luceia badava <strong>che</strong> la<br />

maggiore delle nostre figlie andasse a letto all'ora stabilita, Caio e io<br />

ci sedemmo comodamente in ami<strong>che</strong>vole silenzio ai due lati del<br />

fuoco <strong>che</strong> bruciava nel suo studio. Caio leggeva una lettera arrivata<br />

il giorno prima da parte del nostro amico, il vescovo Alarico, <strong>che</strong> si<br />

trovava a Verulamium. Io meditavo sui pensieri <strong>che</strong> mi erano venuti<br />

dopo aver letto quella stessa missiva. Alarico scriveva del recente<br />

intensificarsi delle scorrerie nemi<strong>che</strong> in tutte le regioni del paese.<br />

Con quella <strong>che</strong> sembrava essere la risposta generale all'improvviso<br />

taglio dei fondi da parte dell'Erario Imperiale - ci informava Alarico<br />

- l'alto comando coloniale della Britannia meridionale era stato<br />

costretto di recente a ridurre drasticamente i suoi presidi. <strong>La</strong> notizia,<br />

an<strong>che</strong> se non mi stupiva, mi irritava. Questa scioc<strong>che</strong>zza di ritirare le<br />

truppe e mandarle in nuove sedi andava avanti da diversi anni<br />

ormai e ne eravamo ben coscienti. Non era un segreto <strong>che</strong> le<br />

guarnigioni erano state evacuate da molti forti minori, e sapevamo<br />

<strong>che</strong>, malgrado le dichiarazioni ufficiali secondo Cui «si trattava solo<br />

di misure temporanee, fino al ritorno delle forze vittoriose sul


continente» questi spostamenti erano in realtà permanenti.<br />

Dal mio punto di vista la cosa peggiore - a parte le conseguenze<br />

giuridi<strong>che</strong> derivanti dalla perdita del braccio punitivo della legge,<br />

cosa <strong>che</strong> ci aveva causato tante preoccupazioni - era <strong>che</strong> molti dei<br />

forti ritenuti piccoli si trovavano in punti strategici ed essenziali per<br />

difendere le zone esterne del paese. Quando i soldati si ritiravano,<br />

non si poteva fare più niente per prevenire le incursioni di pirati e<br />

razziatori.<br />

L'esempio più evidente era stato la chiusura del forte principale<br />

di Cicuzio, nella Cambria centromeridionale, e il ritiro delle truppe<br />

da Dolocauthi, nel nord-est. Dolocauthi era la miniera d'oro più<br />

importante dell'Impero d'Occidente, e quando le truppe si ritirarono<br />

la voce si sparse in fretta. Una linea di forti, collegati da una strada<br />

in ottimo stato lungo il lato meridionale della penisola cambrica,<br />

veniva ancora mantenuta per tenere lontani gli Scoti dalla zona<br />

costiera di Dolocauthi, ma era una soluzione di second'ordine<br />

rispetto a un forte con una grossa guarnigione.<br />

Dolocauthi personalmente non mi interessava, e non mi avrebbe<br />

interessato nemmeno se fosse stata mille volte più grande, ma era<br />

diventata il simbolo di due cose: la stupidità dell'Alto Comando <strong>che</strong><br />

aveva deciso di ritirare la guarnigione senza chiudere le miniere -<br />

senza dubbio nel tentativo di placare i cavillosi funzionari di medio<br />

rango del governo - e la colossale stupidità degli scoti Iberni <strong>che</strong> non<br />

capivano la differenza tra una miniera d'oro e un giacimento di<br />

ferro.<br />

Caio depose la lettera di Alarico e sospirò, spostando di nuovo il<br />

candeliere al centro del tavolo. Io lo guardai per un momento prima<br />

di interrompere i suoi pensieri. «A cosa stai pensando?»<br />

«Oh, non so. <strong>La</strong> lettera di Alarico mi deprime. Stavo pensando<br />

alle guarnigioni e alla loro assenza. Per quello <strong>che</strong> fa in questi giorni,<br />

amico, la guarnigione della Britannia potrebbe an<strong>che</strong> non esserci.<br />

Non ci sono mai abbastanza uomini in nessun luogo e mai


abbastanza tempo per arrivare dove dovrebbero essere prima <strong>che</strong><br />

sia troppo tardi.» Fece una pausa. «Sai, Publio, c'è qualcosa <strong>che</strong><br />

volevo chiederti da molto tempo. Ti ricordi lo stallone <strong>che</strong> hai<br />

riportato da Glevum?»<br />

«Certo.» <strong>La</strong> sua domanda mi sorprese. Ero stupito <strong>che</strong> se ne<br />

ricordasse.<br />

Cinque anni prima avevamo cominciato a mandare i nostri carri<br />

a nord verso Glevum due volte all'anno per comprare lingotti di<br />

ferro e stagno. Da Glevum tornavamo alla Colonia passando per<br />

Corinium e, a sud, per Aquae Sulis, recuperando quegli articoli di<br />

lusso <strong>che</strong> sarebbero altrimenti mancati nella nostra Colonia. Il<br />

ritorno della carovana da Glevum era diventato ben presto un<br />

evento semestrale atteso con impazienza da tutti, fino a quando si<br />

era sparsa la voce, tre anni dopo il primo di quei viaggi, <strong>che</strong> le<br />

guarnigioni erano state ritirate completamente dai forti dell'interno<br />

e ridotte ai soli forti costieri. Già a partire dall'anno seguente gli<br />

Iberni arrivavano a frotte in Cambria sulle loro imbarcazioni, alla<br />

ricerca delle favolose miniere d'oro di Dolocauthi. Per quanto ne<br />

sapevo non avevano mai trovato il luogo, ma terrorizzavano ogni<br />

minatore del paese al punto <strong>che</strong> l'afflusso di ferro sui mercati di<br />

Glevum si era arrestato.<br />

Era stato un duro colpo per noi; particolarmente per me.<br />

Significava <strong>che</strong> dovevo cercare altrove il mio ferro. Era stato durante<br />

uno di quei viaggi a Glevum, circa un anno prima, <strong>che</strong> avevo trovato<br />

il cavallo a cui Caio si riferiva.<br />

Eravamo stati a nord di Glevum, a cercare zone di produzione<br />

del ferro, e un pomeriggio di primavera ci trovavamo a passare sulla<br />

cresta di una collina, quando vedemmo svolgersi una scorreria in<br />

una fattoria nella valle sotto di noi. I razziatori erano ovunque e le<br />

fiamme cominciavano in quel momento a diffondersi tra le<br />

costruzioni. Suonai il corno e condussi gli uomini alla carica giù<br />

dalla collina. I razziatori ci videro arrivare e scapparono. Tre di noi


erano a cavallo quel giorno e li inseguimmo, distanziando<br />

facilmente i nostri soldati, <strong>che</strong> non avevano nessuna speranza di<br />

raggiungerli. In breve tempo fummo a distanza di tiro dai razziatori<br />

in fuga e riuscimmo ad abbatterne una dozzina senza correre rischi,<br />

prima di finire le frecce ed essere costretti a tornare.<br />

Il solo essere vivente rimasto nella fattoria era uno stallone, un<br />

robusto morello dagli occhi ardenti, ed era ancora vivo grazie alla<br />

sua selvati<strong>che</strong>zza. Gli altri cavalli giacevano a terra sventrati. Era<br />

l'unico <strong>che</strong> aveva mantenuto gli uomini a distanza. Lo inseguimmo,<br />

quelli di noi <strong>che</strong> erano a cavallo, e alla fine riuscimmo a mettergli<br />

una corda intorno al collo e a riportarlo con noi.<br />

«Cosa gli è successo? Era uno stallone, vero?»<br />

«Sì, e molto bello. Ce l'ho ancora, ma è troppo selvaggio per<br />

montarlo.»<br />

«Intendi dire <strong>che</strong> è qui, nella stalla?»<br />

«Beh, certo! Dove altro dovrebbe essere?»<br />

«Mmm.» <strong>La</strong> sua faccia aveva assunto una di quelle strane<br />

espressioni britanni<strong>che</strong> <strong>che</strong> avevo imparato a conoscere così bene e<br />

<strong>che</strong> sapevo per esperienza risolversi in un aumento di lavoro per<br />

qualcuno, in genere per me. Le parole successive rivelarono in modo<br />

eloquente tutto un fermentare e un lievitare di pensieri nel suo<br />

cervello. «Uno stallone. Publio, cosa sai dell'allevamento dei<br />

cavalli?»<br />

«Niente. A parte l'ovvio. Hai bisogno di uno stallone e di a<br />

giumenta e loro fanno il resto.»<br />

«Nient'altro?»<br />

«Cos'altro dovrebbe esserci, Caio? È naturale.»<br />

«Publio, se voglio un buffone, posso pagarmene uno,» risi<br />

bruscamente. Alzai le spalle, sogghignando per la sua suscettibilità,<br />

perdonami. Cos'hai in mente?»


«Adrianopoli,» disse con la voce leggermente addolcita e pronte<br />

scuse. «Adrianopoli e Alessandro il Macedone.» Aspettai <strong>che</strong><br />

aggiungesse altro, e poiché taceva, lo incitai: «Mi dispiace, ma non ti<br />

seguo. Che rapporto c'è tra Adrianopoli e Alessandro il<br />

Macedone?».<br />

«Nessuno, Publio, non ce n'è nessuno. Non ancora. A parte<br />

l'ovvio, come hai detto. Ma la mente mi dice <strong>che</strong> dovrebbe essercene<br />

uno. Hai fame? Io vorrei mangiare qualcosa.»<br />

«Ci sono delle pere sul tavolo. Permettimi.» Mi alzai e gli portai<br />

la ciotola, poi lo guardai sceglierne una, estrarre un coltellino<br />

pieghevole e cominciare a sbucciarla. Era palesemente immerso nei<br />

suoi pensieri, come lo ero io, <strong>che</strong> mi chiedevo quali fossero le ovvie<br />

connessioni tra Adrianopoli e Alessandro <strong>che</strong> evidentemente mi<br />

sfuggivano.<br />

«Varro,» mi chiese lui dopo qual<strong>che</strong> momento di silenzio,<br />

usando il vecchio tono militare, «qual è la differenza principale tra la<br />

cavalleria e la fanteria?»<br />

Non avevo bisogno di pensarci. «<strong>La</strong> velocità,» risposi, «la<br />

velocità e la facilità di manovra.»<br />

«E quali sono le truppe migliori?»<br />

«<strong>La</strong> fanteria, naturalmente.»<br />

Guardò verso di me e mi fece uno strano sorriso. «Perché? E<br />

perché "naturalmente"?»<br />

Pensai <strong>che</strong> mi volesse prendere in giro. «Dici seriamente, Cai?<br />

Sono più affidabili, più adattabili, più compatti sotto ogni punto di<br />

vista.»<br />

«Perché?»<br />

Lo fissai sbattendo le palpebre, chiedendomi dove potesse<br />

portarci quella discussione. «Per molte ragioni. Dove vuoi arrivare,<br />

generale?»


«Limitati a rispondere alla domanda, Varro. Perché più<br />

compatti?»<br />

Ci pensai un momento. «Ebbene, da un lato la fanteria è più...<br />

permanente. Rimane sul campo più a lungo e può preparare le<br />

proprie difese. Fortificazioni. È più stabile. Ha meno necessità. Un<br />

soldato a piedi deve guardare solo se stesso. Un cavaliere deve<br />

occuparsi an<strong>che</strong> dell'animale e in ultima analisi la fanteria è una<br />

forza compatta, unitaria. I cavalieri sono individualisti.»<br />

Mi diede appena il tempo di finire. «Ma hai appena finito di<br />

dirmi <strong>che</strong> le truppe a cavallo hanno il vantaggio della velocità e la<br />

possibilità di manovrare più in fretta.»<br />

«Sì... è vero, in certe condizioni. Sui terreni collinosi un fante è<br />

più affidabile.»<br />

«Se riesce a tenere il terreno collinoso.»<br />

«Già.» Annuii.<br />

«Allora cosa mi dici di Adrianopoli? Una forte concentratone di<br />

cavalleria ha spazzato via una intera armata romana.»<br />

Scossi la testa. «No, quello è stato un caso fortuito, un inganno. Il<br />

comandante dell'armata deve avere trascurato qualcosa.»<br />

Caio si andava accigliando, e scuoteva la testa. «Sei sicuro,<br />

Publio? Davvero? Ne dubito. Non ci sono casi fortuiti in guerra.<br />

L'inganno è una strategia legittima in guerra.» i Scrollai le spalle,<br />

cominciando a sentirmi leggermente esasperato. «Non vedo dove<br />

tutto ciò ci può condurre.»<br />

«Lo vedrai. Dimmi quello <strong>che</strong> sai della differenza tra la<br />

cavalleria di Alessandro e la nostra.»<br />

Di nuovo feci una pausa prima di rispondere. «<strong>La</strong> disciplina,<br />

suppongo, soprattutto. È lo spiegamento tattico. Alessandro raffinò<br />

la tattica di suo padre, Filippo, <strong>che</strong> era già superba. Ma la differenza<br />

principale è <strong>che</strong> la cavalleria macedone era una cavalleria pesante,


<strong>che</strong> oggi non usiamo. Grandi cavalli, <strong>che</strong> portavano uomini<br />

pesantemente armati. Tutti addestrati per operare di concerto.»<br />

«Come martelli, Varro?»<br />

Mi aveva sorpreso di nuovo. <strong>La</strong> mia mente fece un balzo<br />

indietro, un balzo di venti lunghi anni, all'unità speciale, i Martelli,<br />

<strong>che</strong> Caio e io avevamo creato per ricacciare i Caledoni dopo<br />

l'invasione del 367. Annuii, lentamente. «Sì, suppongo <strong>che</strong> si possa<br />

dire così. Come martelli. O come un unico grande martello.»<br />

Sulle sue labbra c'era l'ombra di un sorriso. «Adesso capisci a<br />

cosa sto pensando, Varro?»<br />

«Credo di cominciare a capire.»<br />

«Immagina l'effetto, Publio.» <strong>La</strong> sua voce era eccitata.<br />

«Immagina l'effetto di uno squadrone, o an<strong>che</strong> di più, di una coorte<br />

di soldati con armamento pesante, montati su grandi cavalli e<br />

addestrati a cavalcare come un'unità. Niente scaramucce, Publio, né<br />

arcieri a cavallo, ma truppe di linea truppe d'assalto! Immagina una<br />

linea compatta di lancieri a cavallo, <strong>che</strong> cavalcano al galoppo contro<br />

l'intero equipaggi di una nave di sassoni sorpresi a terra. Riesci a<br />

vederlo?»<br />

Ci riuscivo. Lo vedevo chiaramente e qualcosa mi si agitò nelle<br />

viscere, ma dovevo essere certo <strong>che</strong> stavo vedendo la stessa cosa <strong>che</strong><br />

stava vedendo lui. «<strong>La</strong>ncieri? Intendi dire con le sarissae? <strong>La</strong> lunga<br />

lancia di sedici piedi <strong>che</strong> usavano i compagni di Alessandro?»<br />

«Perché no? O an<strong>che</strong> uomini armati di asce. Ma addestrati a<br />

combattere insieme, come una sola forza, come un mani, polo di<br />

fanteria. Si potrebbe fare?»<br />

Stavo visualizzando un muro compatto di uomini <strong>che</strong><br />

caricavano su cavalli enormi. «Perché no? Richiederebbe molto<br />

addestramento, ma si potrebbe fare, se avessimo i cavalli.» Mi<br />

fermai mentre il disappunto mi cresceva nel cuore allo spegnersi<br />

dell'improvviso entusiasmo. «Sfortunatamente, non li abbiamo. Non


il tipo di cavalli di cui avremmo bisogno, bestie grandi, pesanti.<br />

Dovrebbero essere massicci per reggere uomini in armamento<br />

pesante. I nostri non sono abbastanza grandi. E ce ne servirebbero<br />

tanti! Centinaia.»<br />

Caio rise forte e si alzò in piedi. «Li avremo, Publio! Li<br />

alleveremo! Cavalli grandi! A centinaia!»<br />

«Un momento, Caio, fermati!» Sentivo <strong>che</strong> era mio dovere<br />

interromperlo, riportarlo sulla terra. «Ci vorranno anni!»<br />

«Ovviamente. Non c'è dubbio su questo, nessun dubbio!»<br />

<strong>La</strong> sua voce era fiera e giubilante. «Ma noi abbiamo anni a<br />

disposizione, Publio! Cominceremo domani. E la prima cosa <strong>che</strong><br />

faremo sarà trovare qualcuno <strong>che</strong> abbia le opportune conoscenze sui<br />

cavalli, e io conosco la persona adatta. Ricordi il fattore <strong>che</strong> si<br />

occupava della villa di Terra quando lui la comprò? Un tizio di<br />

nome Vittore, o qualcosa di simile? Terra mi ha detto <strong>che</strong> suo padre<br />

gestiva un ippodromo in Gallia. Il figlio ha imparato tutto sui<br />

cavalli, fin da bambino, ed era una specie di veterinario per cavalli.<br />

Dirò a Terra di mandarcelo domani, e gli chiederemo <strong>che</strong> cosa sa<br />

dell'allevamento. In ogni caso si intende di cavalli. Potrebbe essere il<br />

nostro uomo. Tu, nel frattempo, occupati di scoprire tutto quello <strong>che</strong><br />

puoi sui metodi di Alessandro.»<br />

Feci una smorfia. «Come è possibile? Conosco le sue campagne e<br />

le sue battaglie e qualcosa della sua strategia. Ma c'è poco o niente<br />

nei nostri libri sulla sua tattica effettiva, su come spiegava o<br />

addestrava i suoi uomini. Noi Romani non ci siamo mai occupati di<br />

una tattica di cavalleria di quel genere.»<br />

«Non ancora, amico, non ancora.»<br />

«Comunque sia,» proseguii, «non mi piace l'idea della sarissa.<br />

Quelle cose erano troppo grandi, lunghe sei passi e inutilizzabili<br />

dopo la prima carica. Dovevano lasciarle a terra e usare la spada.<br />

Non mi piace affatto.»


Caio annuì. «Nemmeno a me. Trovami una lancia <strong>che</strong> possa<br />

essere usata an<strong>che</strong> dopo il primo attacco. I nostri uomini dovrebbero<br />

poter uccidere ancora e ancora, per tutto il tempo <strong>che</strong> è richiesto<br />

dalla battaglia.»<br />

«Mmm,» dissi. «Sembra <strong>che</strong> tu voglia una lancia corta.»<br />

«Non so cosa voglio. Ma potresti avere ragione. Una lancia corta<br />

a doppio taglio. Qualcosa <strong>che</strong> possa tagliare e infilzare allo stesso<br />

tempo. Qualcosa <strong>che</strong> consenta ai nostri cavalieri di combattere a<br />

cavallo senza dover smontare. Questo è quello di cui abbiamo<br />

bisogno e questo è il tuo campo. Occupatene, e fammi sapere<br />

quando avrai risolto il problema.»<br />

Il ponte tra la fanteria e la cavalleria era già stato costruito nella<br />

mente di Caio Britannico.<br />

«Fammici pensare» gli dissi. «Ne parlerò an<strong>che</strong> con Equo. Forse<br />

insieme riusciremo a trovare qualcosa.»<br />

«Bene». Era in piedi vicino a me, chino su di me, con le mani<br />

giunte sul petto, e produceva piccoli rumori esplosivi battendo<br />

insieme continuamente l'incavo delle mani, senza rendersene conto.<br />

«Eccellente, eccellente. E adesso andiamo a cercare del cibo. <strong>La</strong> pera<br />

era eccellente, ma voglio della carne. Pensare mi mette fame. Nel<br />

frattempo voglio <strong>che</strong> tu pensi a quella lancia.»<br />

Risi e mi alzai, stiracchiandomi. «Lo farò. Non so cosa riuscirò a<br />

fare, ma ci penserò. Mi hai appena fatto venire mente un'altra cosa,<br />

però.»<br />

«Cosa?»<br />

«Devo incontrare di nuovo quel mercante, Stazio, quello <strong>che</strong> mi<br />

procura il ferro nel nord-est. Mi sono accordato con lui di<br />

incontrarlo a Noviomagus il mese prossimo. Me ne ero dimenticato.<br />

Me lo hai fatto venire in mente quando hai parlato dei viaggi <strong>che</strong><br />

eravamo soliti fare a Glevum.»<br />

«È importante?»


«Molto importante.» Ridacchiai, ricordando l'espressione del<br />

mercante quando aveva visto la borsa piena di monete d'oro.<br />

«Avresti dovuto vedere la sua faccia quando ho tirato fuori le<br />

monete per pagarlo! Adesso <strong>che</strong> sa per certo <strong>che</strong> sono così pazzo da<br />

scambiare l'oro con il ferro, probabilmente avrà dieci carri carichi da<br />

scoppiare. Spero <strong>che</strong> li abbia. Sarò ben lieto di toglierglieli dalle<br />

mani.»<br />

Cai aggrottò la fronte. «Così tanto? Ne abbiamo bisogno così<br />

tanto?» Il suo tono mi fece sorridere di nuovo, ma tornai serio<br />

quando gli risposi.<br />

«Tutto quello <strong>che</strong> posso trovare, Cai, e an<strong>che</strong> dieci volte di più.<br />

Sei stato tu a mettermi paura per ciò <strong>che</strong> sarebbe successo in futuro.<br />

Adesso mi sono convinto <strong>che</strong> le tue profezie erano troppo<br />

ottimisti<strong>che</strong>. Se la situazione continua a peggiorare, il ferro varrà<br />

cento volte più del suo peso in oro, e ci sarà poca o nessuna<br />

possibilità di estrarlo e di portarlo qui, ovunque sia. Un deposito<br />

pieno di lingotti d'oro non può procurarti altro <strong>che</strong> mal di stomaco,<br />

se devi coltivare e produrre il cibo perché non ci sarà più nessuno da<br />

cui comprare, Cai. Ma con un deposito pieno di lingotti di ferro<br />

posso fare tutti gli attrezzi di cui abbiamo bisogno per far crescere e<br />

raccogliere il nostro cibo, e per combattere chiunque ce lo voglia<br />

rubare.»<br />

Mentre parlavo Caio annuiva per indicare il suo assenso. «Hai<br />

ragione, come sempre, Publio. A volte posso essere molto ottuso.»<br />

«No, non ottuso, fratello. Semplicemente non sei stato educato<br />

in modo da capire <strong>che</strong> il ferro un giorno potrebbe valere più dell'oro,<br />

ecco tutto.»<br />

«Dio mio! C'è forse qualcuno <strong>che</strong> lo è stato?»<br />

«Certo, io!»<br />

«Oh, <strong>che</strong> stupido. Avrei dovuto saperlo. Allora quando parti?»<br />

«Tra circa tre settimane.»


«Proprio in tempo per portarti appresso Ligno.»<br />

Scossi la testa in segno di disgusto. «Cristo, spero di no! Già,<br />

probabilmente hai ragione e se devo farlo lo farò. Ma sarà meglio<br />

<strong>che</strong> si comporti bene, almeno finché non sarà sparito dalla mia<br />

vista.»<br />

«Lo farà, amico, lo farà.» Caio sbadigliò e si stirò. «Ah! penso <strong>che</strong><br />

rinuncerò a mangiare, dopo tutto. Sono pronto per andare a letto.<br />

Ho dormito solo tre ore la notte scorsa e sono troppo vecchio per<br />

queste cose. Buona notte a te e non dimenticarti di pensare alla mia<br />

lancia a doppio taglio.»


VIII.<br />

Pensai molto a quella lancia. Per parecchio tempo non pensai<br />

quasi ad altro. Ci lavorai e me ne preoccupai giorno e notte per mesi<br />

dopo quella sera, senza sapere <strong>che</strong> ci sarebbero voluti altri dieci anni<br />

prima di fare la scoperta <strong>che</strong> avrebbe rivoluzionato il nostro modo<br />

di combattere, e molti di più prima di riconoscerne il vero valore.<br />

Vittore, il fattore della tenuta di Terra, fece sue le idee di Caio<br />

prima ancora <strong>che</strong> avesse finito di illustrargliele, perché i cavalli<br />

erano la sua vita. Lui stesso sembrava un cavallo. Era alto e calvo,<br />

tranne <strong>che</strong> per una folta corona di capelli grigiastri, ruvidi e dritti,<br />

<strong>che</strong> gli correvano intorno alla testa e sopra le orecchie come una<br />

criniera tosata. Aveva lunghe orecchie appuntite, grandi occhi chiari<br />

un po' troppo vicini e una faccia <strong>che</strong> sembrava occupare tutta la<br />

testa. Il naso era lungo e piatto e i grossi denti oblunghi sembravano<br />

schiacciati insieme sul davanti della bocca. Non aveva mento.<br />

Nell'insieme era un personaggio dallo strano aspetto. <strong>La</strong> prima volta<br />

<strong>che</strong> Equo lo vide esclamò: «Mio Dio! E poi chiamano me Equo!»<br />

Vittore era l'uomo perfetto da mettere a capo del nuovo progetto<br />

di Caio, e non vedeva l'ora di cominciare. <strong>La</strong> prima cosa <strong>che</strong> fece,<br />

dopo aver trasferito i suoi effetti personali dalla tenuta di Terra alla<br />

nostra, fu esaminare ogni capo in nostro possesso. Nel giro di una<br />

settimana li aveva divisi per sesso, peso e colore e aveva cominciato<br />

a ideare complicati piani e prospetti per le sue «linee di sangue»,<br />

come le chiamava lui, e per le sue stalle di riproduzione. In tutto,<br />

compresi i cavalli delle altre proprietà della Colonia, avevamo<br />

ventisette stalloni, una cinquantina di giumente e una quantità di<br />

castrati, muli e cavalli troppo vecchi per servire allo scopo. Vittore<br />

scelse i tre stalloni migliori e le dieci giumente più grosse e forti<br />

come capi da riproduzione da tenere alla villa. Il resto fu<br />

ridistribuito tra le varie fattorie <strong>che</strong> costituivano la Colonia. Caio


aveva informato tutta la nostra gente dei suoi piani, e se ci furono<br />

malumori per questa ridistribuzione, non vennero espressi. Si sparse<br />

la voce <strong>che</strong> ogni spedizione <strong>che</strong> lasciava la Colonia doveva tenere<br />

sempre gli occhi aperti per trovare nuovi capi. Non volevamo vecchi<br />

ronzini, né animali con la schiena insellata, ma solo cavalli giudicati<br />

adatti a scopi riproduttivi, <strong>che</strong> dovevano essere acquistati a un<br />

giusto prezzo e riportati alla Colonia.<br />

<strong>La</strong> prima opportunità fu la mia spedizione a Noviomagus per<br />

l'appuntamento con Stazio, ma nel corso di quel viaggio non<br />

trovammo altri cavalli <strong>che</strong> le nove coppie <strong>che</strong> comprammo da lui,<br />

complete dei carri carichi di lingotti di ferro. Caio aveva avuto<br />

ragione, come sempre, sul tempismo di quel viaggio. I ventuno<br />

giorni di tempo accordati a Ligno il carpentiere scaddero mentre ci<br />

preparavamo a lasciare la Colonia, e gli furono concessi altri due<br />

giorni di prigionia in modo <strong>che</strong> potessimo scortarlo fuori dalle terre<br />

della Colonia. Suo figlio Simeone si riprendeva lentamente, ma non<br />

c'era motivo per cui non dovesse riprendersi completamente, an<strong>che</strong><br />

se la gamba era rotta e storpiata in una tale maniera <strong>che</strong> nemmeno<br />

Cleto avrebbe potuto aggiustarla. Le ustioni di Ligno, invece, erano<br />

per lo più superficiali e stavano guarendo in fretta, a parte la<br />

bruciatura all'orecchio provocata dall'olio, e i capelli avevano<br />

ricominciato a crescere sul resto della testa, conferendogli un aspetto<br />

rognoso e scabbioso <strong>che</strong> mi sembrava gli si adattasse perfettamente.<br />

Puzzava ancora come un caprone e ordinai <strong>che</strong> venisse lavato a viva<br />

forza prima di avvicinarsi alla mia carovana.<br />

Portavamo con noi solo due carri, per caricare il sale e le altre<br />

provviste <strong>che</strong> intendevamo acquistare lungo il tragitto, e Ligno<br />

venne incatenato sul fondo di uno di essi. Nessuno venne a vederlo<br />

partire o ad augurargli buona fortuna. Lo portammo lontano dai<br />

confini della Colonia e lo lasciammo libero, alla fine, dalle catene,<br />

appena fuori dalla piccola città di Sorviodunum, dove si<br />

intersecavano quattro strade principali.


Da lì in poi, finalmente sollevati dalla sua compagnia, il viaggio<br />

per e da Noviomagus proseguì senza complicazioni, e riuscimmo a<br />

passare vicino alle città inosservati. Concludemmo i nostri affari con<br />

Stazio in fretta e con sua enorme soddisfazione, e ci accordammo di<br />

rivederci prima dell'inizio del nuovo anno. Avendo avuto la prova<br />

della nostra pazzia e della nostra ric<strong>che</strong>zza - il secondo esorbitante<br />

pagamento in oro al sicuro tra le sue mani - Stazio sarebbe stato ben<br />

felice di portare il successivo carico di ferro per tutta la strada fino<br />

alla nostra Colonia, ma preferii <strong>che</strong> non sapesse dove trovare noi e il<br />

nostro oro. Gli dissi perciò <strong>che</strong> avrei comunque dovuto tornare a<br />

Noviomagus per altri affari.<br />

Cinque giorni dopo aver lasciato Stazio a Noviomagus eravamo<br />

di ritorno nelle nostre terre, dove fui piacevolmente stupito di<br />

vedere <strong>che</strong> il mio vecchio amico, il vescovo Alarico, si era installato<br />

in casa come ospite durante la mia assenza. Fu la prima persona <strong>che</strong><br />

vidi, nel piccolo gruppo <strong>che</strong> aspettava per darmi il bentornato a<br />

casa; stava lì in piedi, alto, bianco di capelli, vicino a Caio. Aveva<br />

portato con sé notizie gioiose, ma in quel momento non me ne fu<br />

data nessuna. Luceia si perse il mio arrivo, poiché era fuori a<br />

sbrigare alcune questioni connesse all'emergente Consiglio delle<br />

Donne, ma Caio mi assicurò <strong>che</strong> sarebbe tornata presto; sovrintesi<br />

allo scarico dei carri e all'immagazzinamento delle merci, e poi mi<br />

diressi ai bagni per ripulirmi dalla tensione del viaggio.<br />

Quando rientrai in casa, trovai Caio seduto vicino alla finestra<br />

dello studio, assorto nel paziente studio di una pila di pergamene<br />

arrotolate, sigillate con la cera, sul tavolo davanti a lui. Incuriosito<br />

gli chiesi cosa stesse leggendo e lui reagì con l'euforia di un uomo<br />

<strong>che</strong> ha appena scoperto un tesoro nascosto. Le pergamene erano<br />

tutte lettere di suo figlio Pico, scritte nell'arco di vari anni e spedite<br />

da innumerevoli corrieri militari da ogni parte dell'Impero alla<br />

guarnigione di Camulodunum, all'attenzione di Plauto. Ma Plauto<br />

era stato trasferito a Londinium dopo <strong>che</strong> Pico aveva lasciato la<br />

Britannia, e i funzionari delle poste di Camulodunum non si erano


preoccupati di inoltrare le lettere. Finalmente, però, le numerose<br />

lettere erano state recapitate a Plauto tutte insieme, e lui le aveva<br />

debitamente affidate ad Alarico, sapendo <strong>che</strong> a suo tempo sarebbero<br />

arrivate a Caio.<br />

Dopo avere aspettato per anni di riceverle, senza neppure<br />

sapere della loro esistenza, Caio era ora ben determinato - mi disse -<br />

ad aspettare ancora un poco prima di concedersi il piacere di<br />

leggerle, tormentandosi con grande disciplina per resistere<br />

all'impulso di aprirle e crogiolarsi in esse. Adesso, però, aveva<br />

ceduto, e si era permesso di leggerne una. Ridacchiai e lo lasciai alla<br />

sua gioia, sapendo <strong>che</strong> poi me le avrebbe fatte leggere, e<br />

rallegrandomi molto, poiché sapevo quanto significasse per lui<br />

quell'improvvisa abbondanza di notizie.<br />

Pico era l'unico figlio superstite di Caio, il primogenito, e Caio lo<br />

adorava, an<strong>che</strong> se l'aveva nominato di rado negli ultimi anni. Aveva<br />

avuto altri due figli, Marco e Paolo, due gemelli, ma li aveva persi,<br />

insieme all'amata moglie Eraclita, e all'unica figlia, Meleia, a causa di<br />

una pestilenza sconosciuta <strong>che</strong> aveva rischiato di uccidere an<strong>che</strong> lui,<br />

e <strong>che</strong> aveva decimato il suo intero reparto, agli esordi del suo ultimo<br />

incarico di proconsole comandante in capo delle guarnigioni<br />

imperiali in Numidia. Solo Pico era sopravvissuto indenne a quella<br />

strage, risparmiato dalla pestilenza. Dopo il ritorno in Britannia alla<br />

fine di quei cinque terribili anni, Pico, all'età di sedici anni, era<br />

entrato nelle legioni come soldato semplice, rispettando le tradizioni<br />

di famiglia, anti<strong>che</strong> di centinaia di anni.<br />

Il rango del padre e il nome della famiglia non significavano<br />

niente a quello stadio. Qualunque avanzamento nella carcera<br />

militare sarebbe stato dovuto ai suoi soli meriti.<br />

Poco dopo, però, con grande dolore del padre, Pico si era<br />

lasciato affascinare da Magno Massimo, l'imperatore apparso in<br />

Britannia dal nulla, ed era salpato con lui diretto in Gallia, ancora<br />

semplice legionario, per aiutare quell'ambizioso soldato ad


assicurarsi la corona imperiale. Da allora, da parte di Pico non era<br />

più giunta notizia; Magno era morto da tempo, le sue armate erano<br />

state disperse e i suoi seguaci proscritti. Ora si spiegava la ragione di<br />

quel silenzio durato anni, e Caio Britannico era come ringiovanito<br />

per le notizie ricevute da suo figlio.<br />

Dopo la cena di quella sera, quando Luceia e le due donne, <strong>che</strong><br />

sarebbero rimaste alla villa quella notte, si furono ritirate nel nuovo<br />

cubiculum di Luceia per discutere le questioni relative al loro<br />

Consiglio, Caio, Alarico e io ci sedemmo da soli nello studio di Caio<br />

e io venni messo al corrente di tutto quello <strong>che</strong> era accaduto in mia<br />

assenza. Caio non era ancora pronto a parlare delle lettere di Pico.<br />

<strong>La</strong> gioia <strong>che</strong> gli avevano procurato era troppo recente, troppo<br />

personale, troppo preziosa per poter essere condivisa, e Alarico e io<br />

capivamo il suo stato d'animo. Nessuno di noi gli fece pressioni, e di<br />

conseguenza la conversazione fu un po' discontinua.<br />

«Filippo Ascano è stato qui, proprio alla Colonia» disse Caio<br />

improvvisamente, durante una pausa. «È arrivato il giorno dopo la<br />

tua partenza.»<br />

«Chi?» Avevo sentito bene, ma le sue parole erano state così<br />

impreviste <strong>che</strong> dovetti chiedergli di ripetere il nome. «Filippo<br />

Ascano. Ti ricordi di lui?»<br />

«Ricordarlo? Naturalmente. Come potrei dimenticarlo? Cosa<br />

faceva qui?»<br />

«È venuto a reclamare il suo patrimonio.» <strong>La</strong> voce di Caio era<br />

secca come il vento del deserto; io cercavo un punto d'appoggio per i<br />

miei pensieri turbinosi.<br />

«Patrimonio? Quale patrimonio? Hai parlato con lui? Sono<br />

stupito <strong>che</strong> osi avvicinarsi a te, dopo il modo in cui l'hai trattato<br />

l'ultima volta. Quando è stato? Mio Dio, Cai, saranno vent'anni,<br />

forse addirittura trenta!»<br />

Caio grugnì. «Stai diventando vecchio, amico, e come ogni


vecchio esageri. Purtroppo non ti sbagli di molto, ma no, non sono<br />

ancora vent'anni.» Fece una pausa e si schiarì la voce riuscendo a<br />

esprimere perfino così il suo disgusto e la sua avversione.<br />

«Quell'uomo non è migliorato affatto col tempo, né immagino <strong>che</strong><br />

potrebbe, neppure in altri dieci anni. È ancora un ciarlatano e un<br />

fanfarone, ma più audace e più insolente di quanto avrebbe osato<br />

essere vent'anni fa. Ma già allora l'audacia non gli mancava.»<br />

Alarico ci guardava con la curiosità stampata in volto, e gli<br />

spiegai: «Filippo Ascano è stato in servizio con noi per un breve<br />

periodo prima dell'invasione, nel lontano '67. Era un cattivo<br />

ufficiale, del tipo peggiore. Un tiranno brutale e un omosessuale<br />

torturatore. Faceva morire di fame i suoi uomini e spendeva il<br />

denaro destinato alle loro razioni. Caio lo ha raddrizzato nel solo<br />

modo possibile, lo ha sottoposto alla corte marziale, <strong>che</strong> l'ha privato<br />

dei gradi e l'ha espulso dalle legioni.»<br />

«Avrei dovuto farlo impiccare.» Caio strascicò la voce piena di<br />

amarezza.<br />

«Non capisco» dissi, girandomi verso di lui. «Cosa faceva qui, in<br />

nome di tutti gli antichi dei? Cosa cercava?»<br />

Il sopracciglio si alzò per la sorpresa <strong>che</strong> gli facessi una simile<br />

domanda. «Cosa voleva? Ovviamente le sue proprietà. Riteneva di<br />

essere un nostro vicino.»<br />

Ero stupefatto. «Davvero? E in <strong>che</strong> modo?»<br />

Caio si esibì in un grugnito senza parole, aspirò rumorosamente<br />

e poi rispose: «Sembra <strong>che</strong> una delle ville a nord fosse stata comprata<br />

da un suo zio, <strong>che</strong> è morto improvvisamente lasciandola al nipote<br />

favorito.»<br />

«Buon Dio! E adesso Filippo Ascano è qui?»<br />

«Era qui. Non si è fermato.»<br />

«Quale villa? È vicina alla nostra?»


«Abbastanza vicina» disse Cai. «Ho pensato dì contestare le sue<br />

pretese davanti a una corte, quando mi ha detto perché era qui. Ma<br />

poi ci ho riflettuto e ho capito <strong>che</strong> era solamente un puntiglio<br />

meschino. Lo zio non ha mai preso formalmente possesso, ma ha<br />

pagato l'acquisto e quindi la villa e le terre vanno all'unico erede.»<br />

«Filippo Ascano!»<br />

«Filippo Ascano. A quanto pare vive vicino a Glevum. È lì <strong>che</strong><br />

ha ricevuto la notizia della morte di suo zio, dal tuo amico, il tribuno<br />

di quella città.»<br />

«Scala?» Avevo incontrato il tribuno Mario Scala durante uno<br />

dei miei viaggi a Glevum qual<strong>che</strong> anno prima. Era una persona<br />

gradevole e la nostra amicizia, seppur breve, era stata piacevole.<br />

«Proprio lui.»<br />

«Mio Dio.» Mi venne un altro pensiero. «Come l'hai scoperto?<br />

Vuoi dire <strong>che</strong> è venuto qui direttamente, sapendo <strong>che</strong> era casa tua?»<br />

Un freddo sorriso guizzò sulle labbra di Caio, e l'aristocratica<br />

pronuncia strascicata si accentuò. «No, non proprio. Mi sembrò<br />

sinceramente sorpreso di vedermi. Molto sconcertato, in effetti.<br />

Senza parole. Sembrava <strong>che</strong> lo avessi colto di nuovo in flagrante di<br />

sodomia. Ci sarebbe stato da ridere se non fosse per il fatto <strong>che</strong><br />

niente di quello <strong>che</strong> fa quell'uomo mi diverte. Ero l'ultima persona<br />

sulla terra <strong>che</strong> avrebbe immaginato di trovare qui ed era<br />

scombussolato nel ritrovarsi come supplicante alla mia porta.<br />

Pensava <strong>che</strong> avrebbe avuto a <strong>che</strong> fare con te, capisci. Il tuo amico<br />

Scala gli aveva dato l'impressione <strong>che</strong> questa fosse la tua tenuta.»<br />

«Con me? <strong>La</strong> mia tenuta? E perché Scala avrebbe dovuto farlo?»<br />

Mi fermai e pensai un momento. Scala poteva benissimo aver<br />

ricevuto una falsa impressione. Dopo tutto avevo passato meno di<br />

una settimana in sua compagnia ed erano accadute molte cose, tra le<br />

quali alcune sostanziose bevute. Scrollai le spalle a quel pensiero e<br />

continuai. «Comunque sono sorpreso <strong>che</strong> Ascano avesse il fegato di


affrontarmi, sapendo quello <strong>che</strong> so di lui. Perché voleva vedermi?»<br />

Caio scosse la testa, mentre il sorrisetto si allargava. «Non ne ho<br />

idea. Probabilmente voleva informazioni sulla zona e sul distretto. Il<br />

tuo era il solo nome <strong>che</strong> conosceva e lo aveva avuto dal tuo amico<br />

Scala. Ma non si tratta di fegato. Non pensava certo di conoscerti, e<br />

probabilmente non ti avrebbe mai riconosciuto se ti avesse<br />

incontrato. Ricorda quello <strong>che</strong> hai appena detto. Ascano era un<br />

cattivo ufficiale, del tipo peggiore. Uomini come lui non conoscono i<br />

loro sottoposti, né pensano a loro come esseri umani di qual<strong>che</strong><br />

importanza. Gli era stato detto di cercare il proprietario della villa,<br />

Publio Varro. Comunque, se an<strong>che</strong> si fosse ricordato quel nome dai<br />

tempi dell'esercito, trascorsi e dimenticati, sarebbe stato solo il nome<br />

di un modesto centurione. I centurioni non possiedono tenute,<br />

Publio. Dimentichi <strong>che</strong> è stato con la nostra unità prima <strong>che</strong> tu fossi<br />

promosso sul campo, e prima <strong>che</strong> diventassi ricco grazie a tuo<br />

nonno. Filippo Ascano non avrebbe mai associato il nome di un<br />

soldato semplice di vent'anni fa, un subalterno elevatosi dai ranghi,<br />

a un uomo benestante e potente come sei tu oggi.»<br />

«In ogni caso,» continuò sogghignando, «adesso sa chi sei. Gli<br />

ho detto tutto di te e l'ho avvertito <strong>che</strong> non ti avrebbe fatto piacere<br />

vedere di nuovo la sua faccia. Sa di non essere il benvenuto in queste<br />

terre e non tornerà senza invito. Credimi.»<br />

Tentai di distendere le rughe sulla fronte. «Non vorrai dire <strong>che</strong><br />

sei disposto ad accettarlo come colono, vero?»<br />

Caio sorrise di nuovo. «Certamente no. Penso <strong>che</strong><br />

quell'eventualità sia minima. Anzi, non credo proprio <strong>che</strong> esista.<br />

Ritengo <strong>che</strong> il fascino della vita rurale abbia cominciato a svanire nel<br />

momento in cui si è trovato faccia a faccia con me e <strong>che</strong> sia sparito<br />

del tutto quando ha saputo <strong>che</strong> vivevi qui an<strong>che</strong> tu. Il pensiero di<br />

abitare vicino a due persone <strong>che</strong> sanno la verità su di lui - e <strong>che</strong> non<br />

avrebbero scrupoli ad accusarlo - deve essere insopportabile.»<br />

«Così non credi <strong>che</strong> si stabilirà nella Colonia?» Anch'io stavo


sogghignando adesso.<br />

«Non penso, ma credo invece <strong>che</strong> i miei agenti dovrebbero<br />

riuscire a comprare la sua tenuta a un prezzo ragionevole, adesso<br />

<strong>che</strong> non ha più dei progetti al riguardo.»<br />

Scossi la testa. «Non te la venderà mai, Caio.»<br />

«Non saprà mai <strong>che</strong> io sono coinvolto. Prenderà i contanti e se<br />

ne dimenti<strong>che</strong>rà.»<br />

«Mmm.» Rimuginai sulla faccenda, cercando, senza riuscirvi, di<br />

concentrarmi su ricordi vecchi di vent'anni; di Filippo Ascano<br />

ricordavo soltanto un corpo vagamente panciuto e dissoluto e una<br />

faccia debole e molliccia con un principio di doppio mento e la bocca<br />

imbronciata. Non ricordavo i suoi occhi, né un particolare definito,<br />

nemmeno il colore dei capelli. Compresi <strong>che</strong> Caio aveva ragione.<br />

Ascano avrebbe venduto e noi avremmo acquistato nuova terra.<br />

«Com'è quel posto, la sua tenuta?»<br />

«Eccellente. Non grande come tante altre, ma con un'ottima<br />

servitù, e ben gestita. Sono andato a vederla non appena ho saputo<br />

<strong>che</strong> Filippo era tornato a Glevum.» Caio si alzò in piedi. «No, resta<br />

seduto. Voglio solo sgranchirmi le gambe» disse ad Alarico <strong>che</strong> si<br />

era mosso per alzarsi insieme a lui. Alarico si sedette di nuovo e<br />

Caio si diresse verso il grande camino dove buttò un ceppo sul fuoco<br />

prima di guardare verso di me.<br />

Ero ancora accigliato. «E questo è tutto? Non aveva altre ragioni<br />

per venire alla nostra villa?»<br />

«Scala gli aveva dato il tuo nome e lui era venuto a cercare<br />

Publio Varro.»<br />

Caio si allontanò dal fuoco e tornò a sedersi al tavolo, posando<br />

una mano sulla spalla di Alarico mentre passava. Si inumidì la<br />

punta di un dito e la intinse in un vasetto di sale al centro del tavolo,<br />

poi si infilò il dito in bocca leccando il sale soprappensiero. Alzò gli<br />

occhi in direzione di Alarico <strong>che</strong> ascoltava in silenzio.


«Alarico? Cosa pensi di questa conversazione?» Il vescovo batté<br />

le palpebre lentamente e pensò qual<strong>che</strong> istante prima di parlare.<br />

«Ebbene, amici miei,» disse infine nel suo tono moderato e<br />

deciso, «sento parole insolite e inattese e una grande amarezza<br />

provenire da due persone <strong>che</strong> amo e rispetto. Sento <strong>che</strong> considerate<br />

degno dell'eterna dannazione un uomo <strong>che</strong> non vedete, e di cui non<br />

sapete nulla, da più di vent'anni, e riconoscete entrambi tra voi e<br />

davanti a me <strong>che</strong> ne sono testimone, di non avere altro motivo se<br />

non una vecchia avversione.<br />

«Non sento carità in voi, amici, e non sento un briciolo di quel<br />

perdono <strong>che</strong> Gesù Benedetto ci ha pregato di offrire ai nostri<br />

nemici.»<br />

Caio e io ci guardammo incerti.<br />

«Alarico ha ragione, Cai» dissi.<br />

Caio trasse un gran sospiro. «Lo so» rispose. «So <strong>che</strong> ha<br />

ragione.» Scosse la testa, sospirò di nuovo e si alzò in piedi.<br />

«Accetteremo il suo tacito consiglio e parleremo d'altro. Volete<br />

un'altra coppa di vino?» Mentre versava disse, quasi a se stesso:<br />

«Domani avvertirò i miei agenti a Glevum e a Londinium <strong>che</strong> voglio<br />

comprare anonimamente la sua villa, a un prezzo onesto». Posò con<br />

decisione la brocca del vino. «Manderò il nostro corriere più rapido,<br />

come prima cosa domattina.»<br />

E così fu deciso <strong>che</strong> la nostra Colonia si sarebbe ingrandita della<br />

tenuta di Ascano, e passammo il resto della serata a parlare<br />

piacevolmente di altre cose.<br />

Il pomeriggio successivo partii per il mio giro mensile di<br />

ispezione alle tenute della Colonia. <strong>La</strong> giornata trascorse lenta e<br />

priva di eventi significativi, una faticosa giornata rurale<br />

caratterizzata solo da lavori ingrati, duri e meticolosi, e da penosi<br />

sforzi per aggiornare l'inventario delle piantagioni in crescita, delle


iserve di grano a disposizione e di quella moltitudine di dettagli<br />

<strong>che</strong> mantiene viva e ben nutrita una comunità in espansione. Nel<br />

tardo pomeriggio mi diressi verso casa, e quando entrai nei confini<br />

delle terre <strong>che</strong> appartenevano ai Britannico cominciò a piovere a<br />

grosse gocce. Guardando il cielo improvvisamente plumbeo<br />

benedissi la previdenza di Luceia <strong>che</strong> mi aveva convinto a portare il<br />

mantello. <strong>La</strong> giornata era cominciata bene, ma ben presto le sparse<br />

nuvole scure si erano raccolte e spinte avanti da occidente, e io<br />

avevo capito <strong>che</strong> mia moglie la sera prima aveva avuto ragione<br />

prevedendo forte pioggia per il pomeriggio. Adesso gli squarci tra le<br />

nuvole si erano chiusi e non sembrava certo un acquazzone<br />

destinato a finire presto.<br />

Stavo viaggiando su un carro, perché avevo consegnato un<br />

carico di attrezzi nuovi alle fattorie più lontane, ma il giorno prima<br />

Equo aveva tolto la copertura di pelle per riparare uno strappo e non<br />

l'aveva ancora rimessa a posto. Mi ci volle solo un momento per<br />

togliere il pesante mantello dalla cassa sul retro e per avvolgermi<br />

completamente, tirando il cappuccio ben sopra la testa e infilando le<br />

mani negli appositi spacchi, prima di riprendere le reclini. Fredde<br />

raffi<strong>che</strong> di vento cominciarono a percuotermi con rovesci di pioggia,<br />

ma io ero al riparo mentre vento e pioggia picchiavano con forza,<br />

rovesciandosi vanamente contro il tessuto spesso, fitto, a prova di<br />

acqua e di vento, del mio caldo mantello. Ma la pioggia era gelida e<br />

le mani nude <strong>che</strong> reggevano le reclini erano fredde e intirizzite<br />

quando arrivai finalmente ai cancelli della villa e, con un respiro di<br />

sollievo, svoltai nel cortile.<br />

Avevo guidato in fretta, spinto dal cattivo tempo, e il povero<br />

cavallo era coperto di fango e fumava come un sudarium. A un certo<br />

punto del tragitto la pioggia cessò e le nuvole si diradarono<br />

mostrando ampi squarci di cielo azzurro. Buttai le redini a uno<br />

stalliere e il mantello bagnato a Gallo, il maggiordomo di Caio, e<br />

corsi in casa, chiamando Caio ad alta voce. Non c'era. E non c'erano<br />

neppure Alarico e Luceia. <strong>La</strong> casa era vuota, eccezion fatta per la


servitù. Frustrato mi diressi alla fucina, ma an<strong>che</strong> Equo era andato<br />

via, in visita al fabbro di un'altra villa. Depresso tornai alla villa,<br />

dove Gallo mi informò cortesemente, adesso <strong>che</strong> ero disposto ad<br />

ascoltarlo, <strong>che</strong> un carro era venuto a prendere Caio e Alarico per<br />

condurli a una villa di amici, i gemelli Terrice e Fermace, meglio<br />

conosciuti come Terra e Firma. Quella sera sarebbero stati ospiti dei<br />

gemelli e sarebbero ritornati alla villa la mattina dopo. Mia moglie,<br />

mi informò, era andata con altre donne in una missione di aiuto alla<br />

casa di un vicino, la cui moglie aveva difficoltà nel dare alla luce il<br />

quarto figlio. An<strong>che</strong> le mie bambine erano fuori per tutto il giorno,<br />

in visita a certi amici di un'altra villa, accompagnate dalla nutrice<br />

Annica. Chiesi notizie del bambino, Simeone: era stato lasciato solo?<br />

No, mi fu risposto. Il bambino era ormai fuori pericolo, e si era<br />

trasferito a casa della madre, <strong>che</strong> insieme alle figlie si era<br />

confortevolmente sistemata in una nuova casa. Sconfitto, decisi di<br />

fare un bagno e chiesi a Gallo di prepararmi un pasto leggero e di<br />

riempire il braciere nello studio di Cai.<br />

Un'ora più tardi, dopo aver fatto il bagno, essermi nutrito e<br />

rivestito con abiti caldi, più comodi e adatti alla casa, mi sedetti al<br />

tavolo di Cai vicino alla finestra e feci appello a tutta la mia pazienza<br />

nell'attesa <strong>che</strong> qualcuno tornasse a casa.<br />

Era ormai buio quando sentii un rumore <strong>che</strong> mi annunciava <strong>che</strong><br />

le bambine erano finalmente tornate dalla loro gita con la nutrice;<br />

andai a cercarle, insolitamente eccitato all'idea di poter passare un<br />

po' di tempo con loro, senza altri affari urgenti <strong>che</strong> richiedessero la<br />

mia attenzione. Luceia e io eravamo considerati un po' stravaganti<br />

da alcuni nostri amici, perché passavamo molto tempo con le nostre<br />

figlie, cercando di godere il più possibile della loro compagnia. Ma<br />

sembrava <strong>che</strong> altre priorità si imponessero sempre più spesso, e<br />

accadeva troppo raramente di trascorrere del tempo con le bambine.<br />

Come sempre un'ondata di piacere mi sommerse notando la gioia<br />

<strong>che</strong> provavano alla mia vista: Veronica, la maggiore, aveva dieci<br />

anni, e Lucilla a sette era una piccola ammaliatrice; Dorotea, a


quattro anni, era bella da togliere il fiato, ma quella sera era<br />

raffreddata e febbricitante.<br />

Eravamo ancora insieme quando Luceia tornò, dopo avere<br />

assistito al parto, con la notizia <strong>che</strong> Margherita Lupido, una nuova<br />

colona, aveva dato alla luce due bambine gemelle in buona salute,<br />

<strong>che</strong> sembravano proprio identi<strong>che</strong>.<br />

Non era una buona notizia. I gemelli maschi erano sempre stati<br />

apprezzati a Roma, fin dalla nascita di Romolo e Remo, ma due<br />

gemelle erano un peso per qualunque famiglia e non erano accolte<br />

con favore. Quando le bambine furono a letto, Luceia e io ci<br />

dividemmo una coppa di vino, e bevemmo commiserando la<br />

famiglia Lupido, ora composta da cinque femmine, sopravvissute a<br />

sette parti nessuno dei quali aveva prodotto un figlio maschio.<br />

Amavamo molto le nostre bambine, ma po<strong>che</strong> famiglie<br />

potevano permettersi come noi una covata di femmine. C'erano<br />

momenti in cui mi mancava un figlio maschio, ma mi imponevo di<br />

non dirlo mai a Luceia.<br />

Quando la coppa di vino in comune fu vuota, la riempii di<br />

nuovo e raccontai a Luceia la storia della mia giornata in campagna,<br />

divertendola con i commenti e le osservazioni dei contadini, <strong>che</strong><br />

come tutti i contadini tendono a vedere la vita da punti di vista<br />

diversi da quelli degli altri uomini e spesso con risultati di grande<br />

comicità. Alla fine mi chinai su di lei e la baciai.<br />

«È abbastanza presto per commettere atti peccaminosi. Vieni a<br />

letto con me.»<br />

«Perché? Sei stanco?»<br />

Il tono della sua voce mi fece ridere. «No, ma è una notte fredda<br />

e umida e voglio il tuo calore.»<br />

Sospirò sdegnata. «Calore ne ho e in abbondanza, ma è una bella<br />

nottata e non è affatto fredda.»<br />

«<strong>La</strong> pioggia cade a rovesci!»


«Scioc<strong>che</strong>zze, la pioggia è cessata ore fa. Il tempo è bello e il cielo<br />

limpido. Sarà una notte di luna.»<br />

Le strizzai l'occhio. «Da qual<strong>che</strong> parte è sicuramente umido»<br />

dissi.<br />

«Lo sarà. Vieni.»<br />

Ci alzammo insieme; avevo la gola stretta per il desiderio, ma la<br />

decenza mi imponeva un certo controllo.<br />

«Cosa facciamo per la cena?» chiesi.<br />

«Che problema c'è? Siamo soli. Tutti gli altri sono andati via. Ho<br />

detto a Gallo <strong>che</strong> avrei cucinato per noi nelle nostre stanze. Cosa<br />

vorresti per cena?» <strong>La</strong> sua voce era bassa e roca, intima.<br />

«Te.»<br />

«Bene, padrone,» rispose, «la cena è quasi pronta, mancano solo<br />

gli ultimi ritocchi.»<br />

Ben presto ci ritrovammo ansimanti sul letto come una coppia di<br />

sposi novelli, troppo impazienti uno dell'altra per perdere tempo a<br />

spogliarci. Io ero più <strong>che</strong> pronto e quando penetrai nel caldo<br />

amoroso corpo di mia moglie, la mia mente era dominata dalla<br />

necessità di trattenere il mio seme impetuoso. Luceia mi prese con<br />

dolcezza e io giacqui in lei al sicuro, lottando per vuotare la mente<br />

dalla nozione di dove mi trovavo, cercando di rilassarmi e di non<br />

fare nessun movimento. Ma sapevo <strong>che</strong> non sarei riuscito; la mente e<br />

il corpo si erano uniti per sconfiggermi e sentii la pressione salire,<br />

stimolata dalla pura sensazione di quel rifugio caldo e umido. E poi<br />

fui salvato e insieme frustrato dal lamento infantile proveniente da<br />

qual<strong>che</strong> parte all'interno della casa. Luceia restò improvvisamente<br />

immobile, con la testa inclinata, trasformata d'un tratto da amante in<br />

madre.<br />

«È Dora.»<br />

«Lo so» dissi, sperando <strong>che</strong> lei la ignorasse. «Ci penserà


Annica.»<br />

«No, la bambina è malata. Ha la febbre.»<br />

«Ha il raffreddore, ecco tutto. Il mio problema è più urgente.»<br />

Per un momento mi ignorò, allungando il collo per sentire, ma il<br />

pianto non si ripetè; si rilassò e rivolse a me tutta la sua attenzione.<br />

«Problema? Hai un problema? Quale problema?» Si mosse in un<br />

modo delizioso. «Oh, questo problema!»<br />

Percepivo il suo sorriso mentre si muoveva sotto di me.<br />

«Beh, amore, questo è un problema <strong>che</strong> si risolve facilmente.»<br />

Fece scivolare le mani fino alla vita e alzò le gonne più in alto, poi<br />

sembrò flettere l'intero corpo per avvolgermi, mi strinse tra le cosce<br />

e mi afferrò per le orecchie, tirandomi giù e riempiendomi la bocca<br />

con la lingua calda e insinuante. Sentii il suo ventre fremere e<br />

sollevarsi incontro a me, il suo corpo aprirsi e sommergermi come<br />

l'acqua calda di un bagno, e allora esplosi, perdendo la coscienza di<br />

tutto, tranne <strong>che</strong> del rombo fragoroso dell'estasi. Poi, mentre ero<br />

ancora sfatto e ansimante, sentii Luceia muoversi sotto di me per<br />

liberare il suo corpo dal mio.<br />

«Non addormentarti, ne ho ancora voglia» sussurrò. Mi girai su<br />

un fianco. «Dove stai andando?» Ma lo sapevo già, e lei se n'era già<br />

andata. L'amante aveva solo messo provvisoriamente in disparte,<br />

ma non sostituito, la madre.<br />

Rimasi sdraiato a lungo per riprendere il controllo e poi rotolai<br />

giù dal letto, rimettendo a posto gli abiti per potermi alzare<br />

comodamente e andare alla finestra ad aprire gli scuri. Era una calda<br />

e piacevole notte di fine giugno, e non c'era traccia della pioggia<br />

torrenziale del pomeriggio. Sollevai la veste, appoggiai una gamba<br />

oltre il davanzale e rimasi lì a cavalcioni, con la pelle contro il freddo<br />

della pietra, ascoltando i rumori della notte e ripensando ai piaceri<br />

<strong>che</strong> avevo trovato in mia moglie. I miei lombi erano esausti, così<br />

vuoti da farmi quasi male, e mi crogiolavo nella soddisfazione,


tentando oziosamente di ricordare le sensazioni forti <strong>che</strong> poco prima<br />

avevano eccitato il mio desiderio. Ma era inutile, ovviamente,<br />

perché la mente e il corpo non ricordano un piacere fugace più di<br />

quanto ricordino un dolore improvviso, e subito mi lasciai distrarre<br />

dai rumori della notte. Sentivo delle voci vicine, un uomo e una<br />

donna, ma, nonostante mi sforzassi, si allontanarono prima <strong>che</strong><br />

riuscissi a distinguere le parole, e una cacofonia di latrati si alzò a<br />

riempire la notte di confusione e di conforto.<br />

E poi, in lontananza, un usignolo cominciò a <strong>canta</strong>re e io mi<br />

lasciai rapire dalla bellezza di quel suono, perdendomi in un mondo<br />

di fantasia sconclusionata finché la voce di un ubriaco ruppe<br />

l'incantesimo e mi fece trasalire, tant'era stata improvvisa,<br />

mugghiando una canzone stonata <strong>che</strong> si spense farfugliando seguita<br />

dal tonfo di un corpo <strong>che</strong> cadeva e poi ancora dal silenzio.<br />

L'usignolo ricominciò a <strong>canta</strong>re e mi mossi irrequieto, strisciando le<br />

nati<strong>che</strong>, ora gelide, sulla dura pietra del davanzale.<br />

Non avevo sentito Luceia tornare, ma d'un tratto era dietro di<br />

me e mi passava le dita tra i capelli e mi alitava dolcemente sulla<br />

pelle glabra del collo. E improvvisamente la passione <strong>che</strong> avevo<br />

cercato invano di richiamare mi pervase e mi sopraffece nella sua<br />

urgenza. Ritirai la gamba dalla fredda aria della notte e ritornai<br />

verso il letto, con le mani, le labbra, la coscienza pieni di Luceia; e<br />

questa volta indugiammo a spogliarci, prima di donarci la reciproca<br />

nudità. <strong>La</strong> nostra unione era meravigliosa e piena di amore e di<br />

piacere, era la congiunzione di due amanti <strong>che</strong> godevano di perfetta<br />

familiarità nel corpo e nello spirito. Ci fondemmo uno nell'altra,<br />

muovendoci in amorosa consonanza e raggiungendo insieme quella<br />

vetta <strong>che</strong> lascia gli amanti sospesi tra la vita e la morte, consci <strong>che</strong> la<br />

felicità è raggiungibile da entrambi i lati del divisorio.<br />

E di colpo fui io, teso, a sollevarmi su un gomito, con la testa<br />

inclinata per sentire di nuovo un suono estraneo <strong>che</strong> mi aveva<br />

richiamato dal primo sonno.


«Publio? Cosa c'è? Cosa c'è <strong>che</strong> non va?»<br />

«Sst! Ascolta! Cos'è questo rumore?»<br />

«Che rumore?»<br />

Mi sedetti, rivolto alla finestra aperta. «Questo rumore! Senti!»<br />

Il rumore si sentì di nuovo, la voce di un uomo, levata in un urlo<br />

di panico e di terrore, debole e lontana, soffocata dalla distanza, ma<br />

ora ripresa e ripetuta da un'altra, più vicina, e poi da un'altra ancora<br />

e poi da molte. Saltai giù dal letto e corsi alla finestra, sporgendomi<br />

con le orecchie tese, e sentii la parola temibile: «Fuoco!».<br />

«Fuoco» dissi, voltandomi verso Luceia. «Stanno dando<br />

l'allarme. C'è un incendio.» Non riuscivo a vedere niente, non<br />

sentivo odore di fumo, ma le viscere mi ribollivano per l'angoscia.<br />

«Presto! Accendi una lampada.» Corsi a cercare gli abiti al buio, li<br />

infilai in qual<strong>che</strong> modo e mi precipitai fuori dalla stanza prima <strong>che</strong><br />

Luceia riuscisse a trovare l'esca e l'acciarino.<br />

Uscii dalla porta principale e vidi il cortile già pieno di persone<br />

<strong>che</strong> correvano, e un uomo a cavallo arrivare nel cortile come un<br />

fulmine e dirigersi verso di me. Balzò a terra cadendo quasi ai miei<br />

piedi. Lo afferrai e lo aiutai a rialzarsi.<br />

«Che cosa c'è? Cosa succede? Dov'è il fuoco?»<br />

«I granai.» Deglutì e trasse un respiro profondo. «I granai»<br />

comandante, sulla collina! Quattro sono in fiamme.»<br />

«Quattro? Dannazione! Ma dov'erano le guardie? Sono tutti<br />

ciechi lassù?»<br />

Un granaio bruciato era una tragedia; quattro significava una<br />

catastrofe. Sarebbe stata dura mettere da parte abbastanza cibo per<br />

l'inverno. Gli strinsi forte una spalla e afferrai le briglie del suo<br />

cavallo con l'altra mano.<br />

«Prendo il tuo cavallo. Aiutami, svelto.»<br />

Mi sollevò facilmente; lottai qual<strong>che</strong> istante per prendere il


controllo dell'animale, risentito <strong>che</strong> qualcuno gli saltasse in groppa<br />

quando si era appena liberato del cavaliere. Finalmente riuscii a<br />

prendere il controllo e lo voltai nella direzione voluta.<br />

«Chiama a raccolta tutti gli uomini della Colonia» urlai al<br />

cavaliere. «Ogni soldato, ogni colono. Portali sulla collina il più<br />

presto possibile. Chi c'è a combattere l'incendio?»<br />

«Solo i soldati <strong>che</strong> erano di servizio lassù. Non c'è nessun altro<br />

vicino.»<br />

«Dannazione! Vado lassù. Metti tutti in moto appena possibile e<br />

di' loro <strong>che</strong> si preparino a un inverno di fame se sono lenti.» Piantai i<br />

talloni nei fianchi del cavallo, e quando fummo sul sentiero <strong>che</strong><br />

correva intorno al lato sudoccidentale della villa vidi il bagliore<br />

minaccioso e fumoso del fuoco in cima alla collina.<br />

Le ore seguenti sono confuse nella mia memoria, tanto intensa<br />

fu la frenesia con cui lottammo contro l'incendio. Bruciava con furia<br />

orrenda e improvvisa, rifiutava di lasciarsi sconfiggere, affondavano<br />

le radici della combustione nei mucchi di grano essiccato. Ricordo<br />

chiaramente, però, di aver trovato, all'inizio della nostra battaglia<br />

contro il fuoco, le prove <strong>che</strong> il grano era stato inzuppato d'olio prima<br />

di essere acceso; ai margini della conflagrazione c'era del grano<br />

sparpagliato, allontanato dai primi <strong>che</strong> avevano scoperto la<br />

catastrofe, e i grani erano incollati in blocchi, tenuti insieme dal<br />

materiale viscoso e infiammabile versato dal pazzo incendiario <strong>che</strong><br />

aveva commesso quell'abominio.<br />

Sapere <strong>che</strong> in mezzo a noi c'era un pazzo mi spaventò;<br />

probabilmente non erano rimasti uomini alla villa e quel pazzo,<br />

chiunque fosse, non era certamente lì a lottare contro l'incendio.<br />

L'uomo <strong>che</strong> combatteva al mio fianco era Erasmo Sita, un<br />

giovane gigante, decurione nelle nostre forze coloniali. Sita era<br />

enorme e forte, più alto di me di tutta una testa e aveva spalle<br />

straordinariamente ampie. Gli battei sul braccio e gli feci cenno di<br />

camminare con me, lontano dal rombo dell'incendio e dal fumo. Si


chinò per sentire quello <strong>che</strong> gli dovevo dire. Gli ordinai di<br />

selezionare i dieci soldati più giovani e forti <strong>che</strong> poteva trovare e di<br />

ricondurli alla villa a marcia forzata, il più in fretta possibile.<br />

Doveva trovare Luceia e assicurarsi <strong>che</strong> stesse bene, e poi lui e i suoi<br />

uomini dovevano rimanere di guardia alla villa, e tenersi pronti per<br />

qualunque evenienza. Vidi lo stupore e la curiosità nei suoi occhi e<br />

indicai l'incendio.<br />

«È stato intenzionale, Sita. C'erano quattro fuochi separati, <strong>che</strong><br />

adesso minacciano di unirsi in un solo enorme incendio. Qualcuno<br />

gli ha dato fuoco deliberatamente. Non so chi e non so perché, ma<br />

non voglio essere colto di sorpresa se quel figlio di puttana ha altri<br />

piani per stanotte. Perciò vai subito giù alla villa, ma prendi la via<br />

più lunga, non il sentiero principale; in questo modo eviterai la<br />

gente <strong>che</strong> sta salendo. Se vedono <strong>che</strong> tornate giù potreste causare<br />

confusione. Ma vai giù di corsa. Hai capito?» Partì a grandi balzi e lo<br />

vidi scegliere i suoi uomini.<br />

Ricordo <strong>che</strong> lo lasciai al suo incarico e rivolsi tutta la mia<br />

attenzione a organizzare una catena di secchi dalle cisterne ancora<br />

incomplete del forte, e ricordo <strong>che</strong> non c'erano abbastanza uomini<br />

disponibili per coprire tutta la distanza. Rammento an<strong>che</strong> l'arrivo<br />

dei primi soccorsi, un rigagnolo <strong>che</strong> diventava un fiume, mentre le<br />

fiamme si alzavano sempre più alte e il vento si levava a far<br />

turbinare scintille infuocate verso i quattro granai più piccoli <strong>che</strong><br />

non erano ancora stati toccati dal fuoco.<br />

I granai non erano altro <strong>che</strong> robusti cassoni di legno, recipienti<br />

impeciati lungo i bordi, alzati su trampoli per proteggere il<br />

contenuto dall'umidità della terra e coperti di pesanti tetti spioventi.<br />

Bruciavano disgustosamente bene. Non so quando mi resi conto <strong>che</strong><br />

non potevamo vincere, ma credo <strong>che</strong> tale consapevolezza mi abbia<br />

conquistato con estrema lentezza. Il fumo denso e orrendo turbinava<br />

dappertutto, alzandosi in oscene spire. Si insinuava ovunque<br />

distruggendo il nostro cibo, an<strong>che</strong> prima <strong>che</strong> i pannelli laterali


uciassero completamente riversando il grano sul terreno. In breve<br />

tutta la nostra attenzione fu dedicata solo a proteggere i quattro<br />

granai rimasti.<br />

A un certo punto mi allontanai barcollando, lontano dal calore<br />

ustionante, alla ricerca di un po' d'aria pulita per i miei polmoni<br />

scorticati e bruciati <strong>che</strong> avevano inalato l'aria fumosa troppo vicino<br />

al fuoco. Trovai un cavalletto per segare la legna a cui appoggiarmi,<br />

e qualcuno mi porse una brocca d'acqua. Dio! Ricordo ancora il suo<br />

buon sapore. Bevvi avidamente e rimasi un poco lì seduto,<br />

guardando l'attività <strong>che</strong> si svolgeva intorno a me. Ero esausto, come<br />

tutti gli altri.<br />

Troppo stanco per muovermi, rimasi a guardare, chiedendomi<br />

chi potesse avere appiccato il fuoco. Li conoscevo tutti e dovevo<br />

accettare quella possibilità, ma era difficile credere <strong>che</strong> uno di loro<br />

avesse deliberatamente provocato un simile disastro. Eppure<br />

qualcuno era stato. Allora ci fu un fragoroso boato, mischiato a urla<br />

di agonia, quando un granaio crollò tra le fiamme, mandando<br />

scintille in ogni direzione e cogliendo alla sprovvista uno degli<br />

uomini <strong>che</strong> lottavano contro le fiamme. Mi ributtai nel fumo e persi<br />

di nuovo il senso del tempo.<br />

Poi giunse il momento, finalmente, in cui non c'era più niente da<br />

fare. Il fuoco era sotto controllo come più non si poteva. Non c'era<br />

speranza di spegnerlo del tutto; i mucchi sparsi di grano lo<br />

avrebbero alimentato per giorni, a meno <strong>che</strong> non avesse piovuto di<br />

nuovo. Delegai una squadra di soldati a sorvegliare la zona per<br />

controllare eventuali nuove esplosioni, e promisi loro <strong>che</strong> sarebbero<br />

stati sostituiti dopo quattro ore. Nel frattempo stava spuntando<br />

l'alba e tutti cominciarono ad andare a casa per dormire un po'. Salii<br />

su un carro affollato di uomini affaticati, incrostati di fuliggine e<br />

sudiciume, con il bianco degli occhi e dei denti <strong>che</strong> risaltava sul nero<br />

dei volti. Avevo le narici chiuse dalla fuliggine e dal puzzo di<br />

bruciato. Non so chi ci fosse sul carro né di chi fosse la schiena


contro cui ero appoggiato. Prima <strong>che</strong> il carro arrivasse in fondo alla<br />

collina dormivo e penso <strong>che</strong> dormissero tutti.<br />

L'uomo al quale mi ero appoggiato mi svegliò scendendo dal<br />

carro, ma cambiai posizione e mi riaddormentai immediatamente, e<br />

poi sentii qualcuno scuotermi per una spalla e dire il mio nome.<br />

Aprii gli occhi e guardai il mio tormentatore. <strong>La</strong> sua faccia era nera e<br />

ignota, e appena colse il mio sguardo mi fece segno con la testa,<br />

senza dire niente. Brontolando mi sollevai e vidi <strong>che</strong> ero a casa, e<br />

cominciai rigidamente a scendere dal carro. Misi i piedi a terra, alzai<br />

lo sguardo per ringraziare il carrettiere e solo allora mi accorsi <strong>che</strong><br />

tutti stavano fissando al di sopra della mia testa un punto alle mie<br />

spalle. Mi girai e mi si contorsero le budella quando vidi, nella<br />

penombra dell'alba, ai piedi della scalinata d'ingresso, un corpo<br />

disteso a faccia in giù, con braccia e gambe divaricate. <strong>La</strong> porta era<br />

aperta e non si sentiva nessun rumore. <strong>La</strong> stan<strong>che</strong>zza svanì<br />

all'improvviso, ma le gambe non volevano muoversi, mi sentivo<br />

oppresso dalla paura e dal panico.<br />

In qual<strong>che</strong> modo feci il primo passo e la paralisi scomparve.<br />

Camminai in fretta verso il corpo scomposto e prima di aver<br />

percorso metà strada seppi chi aveva appiccato il fuoco. Lo<br />

riconobbi, lo lasciai dov'era e mi diressi in casa. Mentre salivo<br />

l'ultimo gradino, il giovane Sita uscì dalla porta e si fermò, sorpreso<br />

di vedermi così vicino.<br />

«Comandante» disse. «Non ti ho sentito arrivare.»<br />

«Mia moglie, dov'è?»<br />

Alzò un sopracciglio. «Nei suoi appartamenti, comandante.»<br />

Deglutii sollevato. «E le mie figlie?»<br />

«Dormono.» Indicò il cadavere. «Hai visto?»<br />

«Sì.» Tornai indietro verso il corpo e lo girai sulla schiena. Ligno<br />

il carpentiere non avrebbe mai più appiccato un fuoco. Era stato<br />

avvertito <strong>che</strong> sarebbe morto se fosse tornato. Tragicamente era


iuscito a sfuggire alla morte sufficientemente a lungo da riuscire a<br />

fare quello <strong>che</strong> aveva fatto. Indignazione, collera e odio profondo<br />

per quell'uomo e per ciò <strong>che</strong> rappresentava mi sommersero, e<br />

dovetti chiudere gli occhi e respirare a fondo per controllare<br />

l'insopprimibile desiderio di prendere a calci il suo cadavere. E poi<br />

notai <strong>che</strong> il sangue sembrava venire tutto dalla schiena. Non c'erano<br />

ferite sul petto. Guardai Sita. «Lo hai ucciso tu?»<br />

Scosse la testa. «No, comandante, ma ho trascinato qui il corpo.»<br />

«Trascinato qui da dove?»<br />

«Da dove è morto. <strong>La</strong> capanna dove sono alloggiate la moglie e<br />

le figlie. Ha cercato di ammazzarle.» Fece un ghigno, un sorrisetto<br />

nervoso. «Senza riuscirci.»<br />

I miei pensieri stavano galoppando. «Come avete fatto a sapere<br />

dove cercarlo?»<br />

«Non lo sapevamo. Abbiamo sentito il rumore mentre<br />

arrivavamo al villaggio. Donne <strong>che</strong> urlavano e piangevano. Ho<br />

pensato <strong>che</strong> fosse meglio andare a vedere cosa stava succedendo e<br />

lui era lì, morto.»<br />

«Era solo? Senza complici?»<br />

«Era lì da solo, signore, senza complici; abbiamo controllato<br />

tutta la zona e non abbiamo trovato nessuno.»<br />

«Chi lo ha ammazzato?»<br />

Si schiarì la voce. «Tua moglie, comandante. Donna Luceia. Era<br />

tutto finito quando siamo arrivati.»<br />

«Cosa?» Guardai di nuovo il cadavere, incapace di credere alle<br />

mie orecchie. «È stata Luceia?»<br />

Il giovane decurione annuì, senza parole di fronte al mio<br />

stupore. Scrollai il capo per schiarirmi le idee e poi mi ricordai degli<br />

uomini sul carro, <strong>che</strong> stavano lì a guardare.<br />

«Grazie amici» dissi loro. «Adesso potete andare a casa. È tutto


finito.» Indicai il cadavere. «Questo è Ligno, il carpentiere. Ha<br />

appiccato il fuoco ed è morto per questo.» Poi mi girai verso il<br />

giovane Sita, guardai di nuovo il cadavere di Ligno e mi chiesi come<br />

la mia dolce moglie avesse potuto fare una cosa simile. «Devo<br />

andare da mia moglie. Sta bene?»<br />

«Perfettamente, comandante. Assolutamente controllata. Non<br />

ha mostrato segni di crollo nervoso, e nessun rimorso per quello <strong>che</strong><br />

ha dovuto fare.»<br />

«Mmm.» Non c'era altro <strong>che</strong> potessi dire. Feci per andarcene,<br />

poi ricordai. «Un'altra cosa.» Toccai i resti di Ligno con un piede. «È<br />

meglio <strong>che</strong> mandi qualcuno a seppellire questo rifiuto nei campi o<br />

nei boschi; non si può lasciarlo qui a puzzare. E ora buona notte.<br />

Parleremo più a lungo domani, più tardi oggi, voglio dire. Buona<br />

notte, Sita.»<br />

«Buona notte, comandante.» Mi fece un perfetto, meticoloso<br />

saluto militare e andò a svolgere i suoi compiti.<br />

Quando il giovane Sita scomparve dalla vista, entrai in casa e mi<br />

diressi subito in camera da letto, sentendo voci di donne da qual<strong>che</strong><br />

parte sul retro della casa.<br />

Luceia non era nei nostri appartamenti. In quello stato di<br />

emergenza aveva certo molte cose da sbrigare. Dovetti farmi forza<br />

per non andare a cercarla subito, per sapere da lei cosa era successo<br />

e perché e come era riuscita a uccidere Ligno, ma sapevo <strong>che</strong> avrei<br />

interrotto le faccende sicuramente importanti a cui si stava<br />

dedicando a quell'ora poco cristiana. Avrei saputo tutto la mattina.<br />

Di colpo mi accorsi <strong>che</strong> era già abbastanza chiaro per vedermi<br />

riflesso, an<strong>che</strong> se debolmente, nel grande specchio di bronzo<br />

lucidato di Luceia <strong>che</strong> era appoggiato al muro; mi avvicinai allo<br />

specchio e cercai di vedere la mia immagine. Ero sudicio; gli abiti, la<br />

pelle e i capelli erano neri, appesantiti dalla fuliggine e dalla cenere e<br />

le mie narici mi rivelarono <strong>che</strong> puzzavo di fumo in modo<br />

insopportabile. Non ero in condizioni di entrare nel letto di mia


moglie, ma non ero neppure in condizioni di andare a cercare<br />

dell'acqua calda. Tirai fuori una coperta di lana dalla cassapanca ai<br />

piedi del letto e mi disposi a cercare un divano comodo su cui<br />

dormire.<br />

Luceia aprì la porta della camera da letto proprio insieme a me e<br />

fu sorpresa di trovarmi lì.<br />

Mi buttò le braccia al collo, ignorando la mia sporcizia e i miei<br />

deboli tentativi di salvarla dalla contaminazione. Parlò attraverso un<br />

bacio. «Dove stavi andando?»<br />

«A trovare un posto su cui crollare.» Le mostrai la coperta. «Non<br />

sono in condizioni di sdraiarmi in un letto pulito. Dove sei stata?»<br />

Mi disse <strong>che</strong> aveva radunato tutte le donne e le aveva messe a<br />

preparare cibo e bevande per gli uomini <strong>che</strong> sarebbero tornati dopo<br />

aver spento il fuoco. Allora le chiesi di Ligno, e <strong>che</strong> cosa era<br />

successo.<br />

Il suo primo istinto, mi disse, era stato quello di unirsi al gruppo<br />

<strong>che</strong> saliva verso la collina, ma poi si era resa conto <strong>che</strong> era un<br />

incendio di grandi proporzioni e <strong>che</strong> ci sarebbe stato bisogno di cibo,<br />

bende e assistenza medica. Aveva riunito le sue donne e le aveva<br />

incaricate di dividersi in gruppetti e andare a chiamare tutte le<br />

donne dei coloni rimaste nelle case intorno alla villa. An<strong>che</strong> lei<br />

aveva preso parte alla ricerca e una delle sue visite l'aveva portata<br />

alla casa <strong>che</strong> ora ospitava la moglie e le figlie di Ligno. Luceia era<br />

accompagnata da due donne, e da lontano avevano sentito delle urla<br />

e dei rumori di lotta. Senza sapere <strong>che</strong> cosa stava succedendo erano<br />

sbucate nella radura di fronte alla casetta e avevano trovato una<br />

delle figlie di Ligno, quella incinta, sanguinante sulla soglia della<br />

capanna, mentre dall'interno proveniva il rumore di una lotta.<br />

Luceia era entrata nella capanna e in un angolo aveva visto Ligno,<br />

<strong>che</strong> le voltava la schiena. Stava lottando furiosamente con l'altra<br />

sorella, mentre la madre giaceva a terra sanguinante e gemente.<br />

L'uomo aveva buttato a terra la spada per avere le mani libere e


stava sferrando pugni contro il corpo <strong>che</strong> lottava sotto di lui. Luceia<br />

aveva intuito <strong>che</strong> doveva essere stato lui ad appiccare il fuoco sulla<br />

collina, per avere l'opportunità e il tempo di vendicarsi sulle donne.<br />

Senza neppure pensare a quello <strong>che</strong> faceva, tanto grande era la sua<br />

collera, aveva raccolto da terra la spada e, tenendola con due mani<br />

con l'impugnatura contro il petto, si era buttata contro Ligno e<br />

gliel'aveva infilata tra le costole, nel cuore, e Ligno era caduto morto<br />

ai suoi piedi, senza avere il tempo di girarsi a vedere chi l'aveva<br />

ucciso. Poco dopo Sita e i suoi soldati erano arrivati correndo.<br />

Quando ebbe finito, la fissai per qual<strong>che</strong> minuto, pensando a<br />

quanto poco conosciamo le persone <strong>che</strong> amiamo. Quello <strong>che</strong> aveva<br />

fatto era consono al suo carattere e non avrebbe dovuto stupirmi; era<br />

sorella di Caio Britannico, un'imperiosa aristocratica di antico<br />

stampo, abituata ad assumersi responsabilità, a prendere decisioni e<br />

a essere obbedita. Ma era an<strong>che</strong> mia moglie e io l'amavo<br />

profondamente come donna, cosicché raramente mi accorgevo della<br />

tempra d'acciaio <strong>che</strong> si celava sotto il suo aspetto femminile.<br />

Luceia mi guardava, aspettando <strong>che</strong> parlassi. <strong>La</strong> baciai sulla<br />

punta del naso e le sussurrai: «Bene. Come ti senti?»<br />

Toccò con un dito il punto <strong>che</strong> avevo baciato. «Come dovrei<br />

sentirmi? Sono stanca e ho fame, ma mi sento come se potessi<br />

continuare per sempre, o almeno per tutto il tempo necessario a<br />

rimettere a posto i disastri provocati da Ligno.» Fece una pausa e mi<br />

guardò socchiudendo gli occhi. «Ma se vuoi sapere come mi sento<br />

per avere ucciso Ligno, allora posso dirti <strong>che</strong> non mi dispiace. Lo<br />

rifarei senza pensarci, come schiaccerei un animale <strong>che</strong> minaccia la<br />

mia famiglia o questa Colonia. Ligno non era un uomo. Era una<br />

bestia feroce, era pazzo e pericoloso. E tu? Cosa provi?»<br />

«A proposito di Ligno niente. A proposito del fuoco, collera e<br />

preoccupazione, ma non una grande inquietudine ora, an<strong>che</strong> se<br />

avremo un lungo inverno quest'anno, se non facciamo un buon<br />

raccolto. Riguardo a te mi sento meravigliosamente e sono fiero. Per


quel <strong>che</strong> riguarda il sonno, non sono in condizioni di sentire niente.<br />

Stavo andando a cercare un angolo tranquillo dove la fuliggine e il<br />

sudiciume non possano fare molto danno, e poi collasserò e<br />

scivolerò in uno stato comatoso.»<br />

Luceia premette il viso nell'incavo del mio collo e inspirò<br />

profondamente. «In effetti puzzi di fumo.» Mi allontanò e mi sorrise.<br />

«So <strong>che</strong> non vuoi sentirtelo dire, ma dormiresti molto meglio dopo<br />

un buon bagno e un massaggio. So <strong>che</strong> sembra troppo faticoso, ma<br />

la vita ti apparirà migliore con un po' di vapore e di olio profumato e<br />

un vigoroso massaggio. Non credi?»<br />

Annuii, strofinandomi gli occhi con il palmo delle mani. «Bene,<br />

cara» mormorai. «Hai ragione, come sempre. Vado, vado.»<br />

Non ricordo di essere entrato nel bagno, né di essermi svestito,<br />

ma ricordo di avere attraversato il tepidarium, di essermi versato<br />

addosso dell'acqua tiepida per togliere un po' della fuliggine <strong>che</strong> mi<br />

ricopriva, e poi di essere entrato nella stanza del vapore dove, per il<br />

quarto d'ora successivo, rimasi a godere del calore intenso, sentendo<br />

<strong>che</strong> lo sporco e il sudiciume venivano lavati via dai rivoli naturali<br />

del mio sudore. Terminai con una serie di tuffi nella piscina calda e<br />

in quella fredda prima di arrendermi e di sdraiarmi a faccia in giù<br />

sul plinto del massaggiatore, rimpiangendo la sua assenza e<br />

immaginando come si sarebbe messo all'opera senza pietà sul mio<br />

corpo bistrattato.<br />

Ma sapevo <strong>che</strong> era stato a spegnere l'incendio come tutti gli altri<br />

e <strong>che</strong> adesso dormiva.<br />

Avrei potuto farlo chiamare - per un momento ci pensai - ma<br />

alla fine non ebbi il coraggio di disturbare il suo riposo.<br />

Mi appisolai e mi risvegliai afflitto dalla scomodità del plinto.<br />

Mi sentivo più pulito e presentabile, ma ero stanco morto; andai in<br />

camera. Luceia non era ancora a letto, ma la piccola malata, Dora, la<br />

nostra bambina di quattro anni, era nel nostro letto, tranquillamente<br />

addormentata, con il pollice infilato nella boccuccia.


Mi chinai su di lei e le sfiorai la guancia, meravigliandomi come<br />

sempre della straordinaria morbidezza della sua pelle e della sua<br />

totale fiducia, innocente e assolutamente indifesa. <strong>La</strong>sciai scivolare a<br />

terra i miei abiti e salii nel letto vicino a lei, cullando il suo corpicino<br />

prima di cadere addormentato.


LIBRO SECONDO<br />

Il reggente


«Padre,<br />

IX.<br />

saluti da un figlio errante, <strong>che</strong> hai probabilmente da lungo<br />

tempo condannato alla perdizione per mancanza di amor filiale, se<br />

pure non mi credi già morto.<br />

Sono vivo e in buona salute, sto bene e spero, con colpevole<br />

ottimismo, <strong>che</strong> lo stesso valga per te. Con quale follia trattiamo il<br />

precipitoso trascorrere del tempo! Rimpiango profondamente di<br />

aver lasciato <strong>che</strong> passassero tanti anni senza fare un serio tentativo<br />

di scriverti. Ricordo <strong>che</strong> mi dicevi, in molte occasioni, come sia<br />

difficile mettere per iscritto i propri pensieri in modo <strong>che</strong> riflettano,<br />

con accuratezza, i sentimenti su qualunque argomento e in<br />

qualunque momento. Le parole, dicevi, sono solo strumenti<br />

grossolani, inadatti a essere usati da uomini seri e intelligenti.<br />

Ricordo, con amara ironia, lo scetticismo con cui ho trascurato, nella<br />

mia giovanile onniscienza, la portata di quelle parole. Adesso so,<br />

dopo lunghe ore di sforzi, quant'era precisa la tua osservazione.<br />

Questa missiva, <strong>che</strong> spero leggerai un giorno, ti impressionerà<br />

certo per la sua chiarezza e per l'apparente facilità con la quale è<br />

stata scritta. Non farti illusioni, padre, e abbandona ogni erronea<br />

concezione. Sono goffo nei miei tentativi di scrittura oggi come<br />

sempre. <strong>La</strong> lettera <strong>che</strong> leggi non è altro <strong>che</strong> la faticosa copia<br />

dell'ultima delle tante scribacchiate, corrette e sudate su ritagli di<br />

pergamena e carta, elaborate in tante notti al tremolante chiarore di<br />

una fioca lampada.<br />

So <strong>che</strong> non c'è bisogno <strong>che</strong> ti ricordi quanto sia disagevole<br />

scrivere una lettera durante una campagna militare. Sono in<br />

campagna senza interruzione da anni, ormai, da quando ho lasciato<br />

la Britannia con Magno Massimo, e per tutto quel tempo è stato<br />

sempre facile trovare ragioni <strong>che</strong> giustificassero l'eterna mancanza


di tempo per scrivere. Sono passati molti mesi ormai da quando ho<br />

deciso di porre fine a questa situazione e ho dovuto attendere fino a<br />

oggi per produrre qualcosa <strong>che</strong> mi sembrasse adatto e abbastanza<br />

sostanzioso da inviare dopo un silenzio così lungo.<br />

Mi trovo a Costantinopoli, faccio parte dello stato maggiore<br />

personale di Flavio Stilicone, conte degli Interni, comandante delle<br />

Truppe Imperiali. Ti divertirà forse sapere <strong>che</strong> ho incontrato<br />

Teodosio in diverse occasioni e <strong>che</strong> ho accolto nella mia mente il<br />

giudizio di Publio Varro, <strong>che</strong> dichiarava Teodosio, "malgrado tutte<br />

le sue colpe e i suoi limiti personali, un abile amministratore e un<br />

buon soldato". A quei tempi Teodosio era conte di Britannia, ora è<br />

l'imperatore e, per citare ancora le parole di Varro è "un<br />

magniloquente e pomposo rompiballe!", ma soprattutto, è un abile<br />

Imperatore e un notevole giudice di uomini...<br />

Il fatto <strong>che</strong> io possa scrivere parole come queste in una lettera ti<br />

darà un'idea dell'importanza del mio incarico e della sicurezza di<br />

cui godiamo nelle comunicazioni. Tutto ciò è dovuto alla personalità<br />

e all'influenza del mio comandante, Flavio Stilicone. Il privilegio di<br />

cui gode e il suo sigillo personale su questa lettera mi consentono di<br />

scrivere apertamente il mio pensiero; è stato lui a infondermi<br />

finalmente il desiderio di scriverti, per molte ragioni, ma soprattutto<br />

per raccontarti dello stesso Flavio Stilicone e del privilegio e<br />

dell'onore di cui godo nell'essergli accanto.<br />

Padre, stringeresti Stilicone al petto! Egli è tutto quello <strong>che</strong> tu<br />

consideri onorevole nella tradizione romana! È per metà vandalo,<br />

suo padre era un capitano dei mercenari, di umili origini. Eppure,<br />

malgrado ciò, grazie alla forza del suo intelletto e alle straordinarie<br />

capacità <strong>che</strong> ha dimostrato nella sua breve carriera - ha solo<br />

vent'anni, sette meno di me! - ha conquistato completamente<br />

l'affetto e la stima di Teodosio e si è sposato con la nipote favorita<br />

dell'imperatore, Serena. An<strong>che</strong> lei è rimasta vittima del fascino di<br />

Stilicone.


Se, come sospetto, tu e Publio Varro vi siete appena scambiati<br />

sbuffanti commenti quali: "Nepotismo! Privilegiato!", dovete<br />

ritirarli, perché ti giuro <strong>che</strong> Stilicone è un vero uomo, malgrado la<br />

sua gioventù, un genio militare del livello di Alessandro.<br />

L'ho incontrato oltre un anno fa, verso la fine dell'estate, durante<br />

il secondo anno della campagna di Magno nella Gallia meridionale.<br />

Le cose erano andate bene per Magno (come vanno ancora adesso,<br />

mi dicono) e avevamo riportato molte vittorie contro tutti i nostri<br />

avversari. Ma la mia mente non era tranquilla, per come stavano<br />

andando le cose nel nostro esercito; il Magno <strong>che</strong> avevo conosciuto e<br />

ammirato nella Britannia del Nord non era l'uomo, né l'imperatore<br />

<strong>che</strong> seguivo ora in Gallia. Il potere aveva provocato grandi<br />

cambiamenti in lui, e nessuno in meglio.<br />

Un pomeriggio, mentre il resto dell'armata procedeva a un<br />

normale pattugliamento, la mia squadra aveva inaspettatamente<br />

incontrato un nutrito gruppo di nemici, soldati e ufficiali. Per<br />

fortuna fummo i primi a scoprirli e io ebbi la possibilità di prenderli<br />

prigionieri. Nel corso dello scontro mi trovai a lottare contro un<br />

giovane tribuno, appena uscito dall'adolescenza, riccamente<br />

equipaggiato e con una fastosa uniforme, <strong>che</strong> combatteva come un<br />

pazzo; un pazzo molto dotato, a dire il vero. <strong>La</strong> fortuna era con me.<br />

Lui scivolò sull'erba e io avevo la sua vita in pugno e la spada<br />

pronta. Grazie a Dio non riuscii a ucciderlo in quel momento! Dopo<br />

avergli detto <strong>che</strong> poteva vivere un altro giorno lo colpii con l'elsa<br />

della spada e lo lasciai svenuto. Poco dopo fummo circondati e<br />

sopraffatti da un esercito di uomini appena arrivati, come scopersi<br />

poi, per incontrare e scortare la squadra <strong>che</strong> avevamo attaccato. Io<br />

fui preso prigioniero con tutti i miei uomini e fui portato al campo<br />

del proconsole Glauco Mamilia. Come avrai capito il ragazzo a cui<br />

avevo risparmiato la vita era Flavio Stilicone.<br />

In seguito mi mandò a chiamare e mi fece molte domande. Sentii<br />

subito, an<strong>che</strong> se non so spiegarla, un'affinità per quell'uomo, benché


fosse così giovane. Mi disse <strong>che</strong> era appena tornato dalla Persia,<br />

dalla corte di re Shapur III, dove si era recato come ambasciatore<br />

personale di Teodosio. Al suo ritorno a Costantinopoli era stato<br />

immediatamente distaccato in Gallia perché si facesse un'idea del<br />

ribelle Magno e del suo modus operandi e per trovare il modo di<br />

sconfiggerlo.<br />

Puoi immaginarti il mio stupore mentre lo ascoltavo, an<strong>che</strong> se<br />

devo dire <strong>che</strong> non mi passò mai per la mente di dubitare delle sue<br />

parole. Il rispetto <strong>che</strong> gli veniva tributato era fin troppo evidente. Il<br />

proconsole stesso era deferente davanti a quel giovane!<br />

In breve, Flavio Stilicone mi ringraziò per avergli risparmiato la<br />

vita e mi offrì la manumissione - per me e per tutti i miei uomini - se<br />

fossi passato al suo servizio, promettendogli fedeltà. Mi assicurò <strong>che</strong><br />

avrei potuto farlo con onore, perché non avrebbe preteso <strong>che</strong> gli<br />

fornissi informazioni sui piani di Magno, né <strong>che</strong> impugnassi le armi<br />

contro i soldati con i quali avevo combattuto per tutta la Gallia.<br />

Padre, non esitai neppure un istante prima di accettare la sua offerta.<br />

Sapevo, in un angolo della mia anima, <strong>che</strong> ero nato per combattere a<br />

fianco di Flavio Stilicone e già da tempo ero insoddisfatto nei ranghi<br />

di Magno Massimo. Scelsi di essere un uomo di Stilicone e tutti i<br />

miei soldati decisero di seguirmi.<br />

Da quel giorno non ho mai cambiato idea. Quando mi è stata<br />

data la possibilità di andarmene e di aspettare Stilicone altrove,<br />

lontano da Magno, ho scelto di rimanere con lui. Tre mesi dopo<br />

eravamo in Asia Minore e per i successivi nove mesi andammo a<br />

combattere ovunque ci fosse bisogno di Stilicone.<br />

Poi, tre mesi fa, Teodosio lo promosse comandante delle Truppe<br />

Imperiali e da allora siamo a Costantinopoli. Ma sospetto <strong>che</strong> non<br />

staremo qui a lungo. Stilicone vive a cavallo e detesta essere<br />

confinato in una città e inoltre ci sono troppe battaglie da combattere<br />

in tutto l'Impero.<br />

Il mio rango è ora quello di prefetto. Sono un soldato di


cavalleria, per convinzione. Ma questa è un'altra storia e sto<br />

preparando un'altra lettera - questa è già troppo lunga - nella quale<br />

ti dirò degli sviluppi nella mente di Stilicone e nella mia.<br />

Addio, padre.<br />

Il mio affetto a zia Luceia e alla tribù di piccoli Varro <strong>che</strong>, ne<br />

sono certo, comandano tutta la vostra vita. Mando questa mia<br />

all'attenzione di Ponzio Aulo Plauto, l'amico di Publio Varro a<br />

Camulodunum, per corriere militare. Lui farà in modo <strong>che</strong> vi<br />

raggiunga.<br />

Il tuo figlio affezionato, Pico.»<br />

Quando Caio finalmente me la diede, lessi la prima lettera i Pico<br />

quattro volte senza fermarmi, dall'inizio alla fine. Avevo aspettato a<br />

lungo e con impazienza, sforzandomi di restare calmo. Caio aveva<br />

ricevuto non meno di quattordici lettere, nessuna delle quali era<br />

breve e nessuna delle quali mostrava all'esterno un segno<br />

progressivo, di numerazione o di data.<br />

Una volta terminata la loro lettura Pico si rivelava un<br />

corrispondente coscienzioso e abile, ma impulsivo, poiché<br />

raramente dava indicazioni sulla data in cui stava scrivendo. Di<br />

conseguenza suo padre aveva dovuto leggere tutte le lettere in<br />

ordine casuale, come gli capitava, e solo dopo aveva potuto metterle<br />

in un approssimativo ordine temporale.<br />

A quel punto estese an<strong>che</strong> a me il privilegio di leggerle in ordine<br />

cronologico. Ed erano affascinanti. <strong>La</strong> prima fu ovviamente la più<br />

commovente, dal punto di vista emotivo, ma la seconda mi stupì,<br />

richiamandomi istantaneamente alla memoria un commento del<br />

nostro amico Alarico sul fatto <strong>che</strong> Dio ha voluto <strong>che</strong> nessuna grande<br />

idea nascesse da un uomo solo.<br />

Quando nel progresso dell'umanità avvengono sviluppi<br />

davvero importanti, appaiono sempre simultaneamente in molti


paesi, promossi da persone intelligenti e capaci di grandi visioni.<br />

«Padre, salve!<br />

Dopo avere compiuto il primo passo sembra <strong>che</strong> il compi, to di<br />

scrivere diventi più facile. Suppongo <strong>che</strong> questo sia dovuto alle<br />

difficoltà <strong>che</strong> ho avuto nel mio primo tentativo, quando la lista delle<br />

cose da riferire e da trattare sembrava senza fine. Questa lettera, in<br />

confronto, è molto più semplice. Ha solo un argomento principale.<br />

Padre, voglio parlarti di cavalli e di cavalleria, e del modo in cui<br />

l'intuizione di un solo uomo può mutare la storia. L'uomo in<br />

questione è Flavio Stilicone, niente di ciò <strong>che</strong> ti scriverò in futuro<br />

sarà immune dalla sua influenza, an<strong>che</strong> se dovesse morire domani,<br />

<strong>che</strong> Dio non voglia!<br />

So <strong>che</strong> sei a conoscenza della disfatta di Adrianopoli del 378.<br />

Quello fu l'anno in cui entrai nelle legioni. Qualunque sia però il tuo<br />

personale giudizio sull'evento, devo ripetere qui i fatti, perché sono<br />

direttamente collegati all'argomento di questa lettera.<br />

<strong>La</strong> versione ufficiale di quell'insuccesso, come sono certo <strong>che</strong><br />

ricorderai, è <strong>che</strong> l'imperatore Valente, a quell'epoca coimperatore di<br />

Valentiniano, era stato tanto negligente e stupido da far marciare un<br />

esercito consolare di otto legioni - quarantamila uomini! - attraverso<br />

il territorio nemico senza prendere le più elementari precauzioni. <strong>La</strong><br />

sua armata, di conseguenza, in linea estesa di marcia lungo il bordo<br />

di un lago, era stata sorpresa da una tribù di Ostrogoti in<br />

migrazione, i quali, a cavallo per il viaggio, avevano colto<br />

l'occasione per caricare in massa l'esercito di Valente, in un assalto<br />

indisciplinato ma mortale. Il loro attacco, del tutto inaspettato, era<br />

passato sulle legioni di Valente srotolandole come una pergamena,<br />

prima <strong>che</strong> i soldati avessero il tempo an<strong>che</strong> solo di pensare a<br />

schierarsi in linea di combattimento.<br />

Fu una trappola, ci è stato detto, uno di quegli sviluppi


imprevedibili <strong>che</strong>, in guerra, devono essere semplicemente accettati<br />

e subiti.<br />

Flavio Stilicone non accetta questa versione. E nessuno <strong>che</strong> lo<br />

ascolti può discutere le sue tesi e la sua logica, secondo cui è<br />

inconcepibile <strong>che</strong> l'attacco casuale di una moltitudine indisciplinata,<br />

non importa quanto numerosa e quanto compatta, possa<br />

demoralizzare e distruggere un intero esercito consolare romano di<br />

quarantamila uomini e ucciderli tutti, impreso l'imperatore e l'intero<br />

corpo ufficiali. Che una cosa simile sia accaduta è innegabile. Come<br />

sia accaduta, come abbia potuto accadere, è una questione aperta<br />

alle congetture più svariate. Come è probabile <strong>che</strong> sia accaduto,<br />

però, è una congettura <strong>che</strong> si può analizzare in modo pragmatico e<br />

Stilicone ha idee e opinioni chiare e concise al riguardo. Da queste<br />

idee e considerazioni ha tratto delle conclusioni e su queste ha<br />

costruito uno stupefacente calendario di eventi futuri. Essendo a<br />

conoscenza dei suoi pensieri, lealmente e senza paura di essere<br />

censurato ho deciso di metterti al corrente, certo <strong>che</strong> ti<br />

interesseranno sia in generale <strong>che</strong> in particolare, e conscio <strong>che</strong> lo<br />

sforzo di spiegarli a te in dettami aiuterà ad assimilarli meglio<br />

personalmente. Seguono qui categoricamente le sue meditate<br />

riflessioni e le sue scoperte, ma devo informarti, con rincrescimento,<br />

<strong>che</strong> linguaggio e la chiarezza dei pensieri sono solo di Stilicone.<br />

I. Valente e il suo esercito, benché colpevoli di negligenza,<br />

non possono avere collettivamente dimostrato quel grado di<br />

razionale e suicida inettitudine così chiaramente addotta nella<br />

versione ufficiale dell'incidente. Valente aveva generali eccellenti,<br />

legati e ufficiali anziani capaci, assegnati al suo stato maggiore.<br />

An<strong>che</strong> se Valente fosse stato manifestamente insano di mente al<br />

livello di Nerone o di Caligola, i suoi comandanti avrebbero<br />

comunque conservato la loro competenza militare e la<br />

responsabilità dell'esercito.<br />

II. Roma ha conquistato il mondo con l'eccellenza delle


le legioni, la più grande forza militare <strong>che</strong> la storia abbia mai visto.<br />

L'esercito romano - la fanteria di Roma - è stato invincibile fin dai<br />

tempi di Caio Mario e di Giulio Cesare; le sole disfatte subite da un<br />

esercito romano sono state per mano di altri eserciti romani.<br />

III. <strong>La</strong> catastrofe di Adrianopoli, perciò, è epocale: la più<br />

grande disfatta di un esercito romano da parte di una forza non<br />

romana in più di cinquecento anni. Classificarla come qualcosa di<br />

diverso da uno spiacevole colpo di sfortuna equivarrebbe ad<br />

ammettere <strong>che</strong> le forze barbari<strong>che</strong> <strong>che</strong> minacciano l'Impero sono<br />

capaci di ripetere l'impresa di Adrianopoli quando e dove vogliono.<br />

Ovviamente una tale ammissione è inimmaginabile. <strong>La</strong> capacità di<br />

infliggere una simile sconfitta è stata perciò attribuita al caso e alla<br />

sfortuna, al fatto cioè <strong>che</strong> i barbari si siano semplicemente trovati a<br />

cavallo al momento dell'incidente, un'eventualità senza precedenti<br />

negli annali romani dell'arte della guerra.<br />

IV. Roma non si è mai affidata alla cavalleria, se non per<br />

fornire uno s<strong>che</strong>rmo mobile di esploratori e arcieri a cavallo<br />

per proteggere le legioni mentre vengono spiegate in ordine<br />

di battaglia. <strong>La</strong> funzione della cavalleria è sempre rimasta,<br />

più o meno, in mano agli alleati di Roma, sia in Germania<br />

sia in Africa. Per la mente militare romana, infatti, la cavalle<br />

ria è sempre stata una presenza militare inferiore, <strong>che</strong> opera<br />

senza la rigida disciplina e l'addestramento richiesti alle grandi<br />

formazioni di fanteria. Fino a oggi, dalla nascita di Roma,<br />

c'è sempre stato qualcosa di poco "romano" nella cavalleria e<br />

nelle truppe a cavallo.<br />

Queste sono le scoperte di Flavio Stilicone; da esse ha sviluppato<br />

le seguenti affermazioni.<br />

V. Che ogni romano degno di questo nome, dopo un periodo<br />

an<strong>che</strong> breve di riflessione analitica, sarà in grado di capire da solo i<br />

quattro punti sovraesposti e dovrà accettare la verità della<br />

situazione e il pericolo incombente <strong>che</strong> essa implica, vale a dire:


VI. Che nessun romano degno di questo nome <strong>che</strong> abbia<br />

la minima conoscenza delle questioni militari può seriamente<br />

dubitare <strong>che</strong> tra i barbari esistano brillanti generali, capaci di<br />

pensare con chiarezza e capaci di analisi e di azione. Ne consegue<br />

logicamente e inevitabilmente, perciò, <strong>che</strong> l'azione contro l'armata di<br />

Valente ad Adrianopoli deve essere riconosciuta per quello <strong>che</strong> è<br />

stata: una schiacciante vittoria contro una forza ritenuta<br />

invulnerabile, vinta con il semplice espediente di precipitarsi sulle<br />

coorti romane a velocità sufficiente per intrappolarle prima <strong>che</strong><br />

possano spiegarsi su un terreno favorevole nel loro ordine di<br />

battaglia, e poi di sopraffarle con una semplice onda d'urto di<br />

uomini e di cavalli. Una volta capito questo, in qual<strong>che</strong> momento nel<br />

futuro, se non adesso, Adrianopoli verrà emulata e ripetuta, e i<br />

giorni delle legioni romane come esistono ora saranno finiti.<br />

Questa frase, padre, "come esistono ora", contiene un pensiero<br />

fecondo. Flavio Stilicone ha il tipo di mente <strong>che</strong> affronta i possibili<br />

disastri e li previene. Le sue affermazioni continuano così:<br />

VII. Che, accettando l'inevitabilità di un simile sviluppo, è<br />

imperativo per i legati anziani dello stato maggiore imperiale<br />

iniziare immediatamente a cercare i mezzi efficaci per eliminare una<br />

simile eventualità, non limitandosi a guardare a bocca aperta il<br />

futuro, ma cercando diligentemente una risposta nel passato.<br />

VILI. Che il più grande genio militare dei tempi antichi è stato<br />

Alessandro il Macedone, chiamato Magno, <strong>che</strong> ha raffinato le<br />

tecni<strong>che</strong> della cavalleria pesante di suo padre, Filippo di Macedonia,<br />

e ha usato quella cavalleria pesante per conquistare il mondo.<br />

IX. Che, poiché la cavalleria generalmente in uso oggi è<br />

costituita da s<strong>che</strong>rmitori leggeri, montati su cavalli leggeri,<br />

e i grandi, pesanti cavalli montati da Alessandro e dalle sue<br />

truppe sono sconosciuti nella vita militare romana, ogni sforzo deve<br />

essere teso, immediatamente e senza indugi, a raccogliere cavalli di<br />

quella stazza, ovunque si trovino in tutto l'Impero, e a iniziare un


programma di allevamento selettivo contemporaneamente<br />

all'addestramento e all'equipaggiamento di nuove, numerose<br />

truppe <strong>che</strong> costituiranno il nucleo di una nuova forma di strategia<br />

nel mondo romano. E...<br />

X. Che entro dieci anni, o venti al massimo, un buon<br />

venticinque per cento della forza combattente di ogni legione<br />

imperiale sul campo dovrà consistere di una cavalleria pesante di<br />

questo tipo, severamente disciplinata e altamente manovrabile.<br />

Padre, io ho avuto il privilegio di essere presente quando<br />

Stilicone tratteggiava queste sue scoperte, le sue conclusioni e le<br />

indicazioni all'imperatore. Teodosio lo ha guardato, ha aggrottato la<br />

fronte e poi ha chiesto: "Credi davvero a tutto ciò?" Stilicone si è<br />

limitato a chinare il capo. "Così sia," ha detto l'imperatore. "Che sia<br />

fatto." E il mondo come noi lo conosciamo, mille anni di storia<br />

militare e di tradizione, è cambiato.<br />

Questa è una lunga lettera, padre, ma mi ha fatto piacere<br />

scriverla e penso di non avere molto da aggiungere. So di darti<br />

qualcosa di serio su cui riflettere e so <strong>che</strong> ne capirai la portata. Ci<br />

siamo accinti al compito di mutare la cavalleria quella stessa notte,<br />

an<strong>che</strong> se finora si è trattato di un compito svolto soprattutto sulla<br />

carta. Io sono coinvolto e stiamo già facendo dei progressi. <strong>La</strong><br />

maggiore difficoltà consiste nel trovare gli uomini - ufficiali di<br />

sufficiente anzianità e flessibilità (strano come queste due cose si<br />

trovino raramente insieme!) - da capire quello <strong>che</strong> vogliamo fare.<br />

Ti scriverò di nuovo non appena avrò qualcosa di sostanziale da<br />

riferire. Prendi cura di te stesso, padre, e porgi i miei rispetti e i miei<br />

auguri a tutti quelli <strong>che</strong> mi sono cari.<br />

Pico.»<br />

"Strano come queste due cose si trovino raramente insieme..." Mi<br />

fece molto piacere notare <strong>che</strong> Pico era così palesemente figlio di suo


padre. Quell'unica piccola osservazione, bizzarra e pungente allo<br />

stesso tempo, dimostrava, più chiaramente di qualsiasi altra cosa<br />

<strong>che</strong> avevo letto, <strong>che</strong> il nostro ragazzo aveva sulle spalle una testa<br />

prammatica e vagamente cinica. Il pragmatismo è una buona cosa di<br />

per sé, trovo, ma troppo spesso è privo di spirito. Quando è condito<br />

da una moderata e sana dose di cinismo, però, ne risultano spesso<br />

spirito, ingegno e ironia. Coloro <strong>che</strong> possiedono una simile miscela<br />

di spezie nel loro carattere sono raramente noiosi.<br />

Stavo rileggendo questa seconda lettera di Pico mentre mi<br />

recavo a incontrare Vittore, il nostro capo delle scuderie, e sorridevo<br />

dei miei pensieri quando girai nel grande cortile di fronte alle stalle<br />

principali. Lì mi trovai davanti a uno spettacolo <strong>che</strong> rese ancora più<br />

ampio il mio sorriso e più grande il mio piacere e mi appoggiai a un<br />

pilastro del cancello per osservarlo.<br />

Vittore, a causa soprattutto del suo strano aspetto e del quasi<br />

completo disinteresse per le preoccupazioni di uomini e donne<br />

normali (era ossessionato da tutto ciò <strong>che</strong> era "equipe," al punto da<br />

escludere ogni altra cosa) si era fatto pochi veri amici nella nostra<br />

Colonia, e ne sembrava più <strong>che</strong> soddisfatto. Ma a villa Britannico, in<br />

brevissimo tempo dal suo arrivo, si era creato due ami<strong>che</strong> devote<br />

<strong>che</strong> condividevano il suo ardente amore per i cavalli e <strong>che</strong> non<br />

sembravano accorgersi nemmeno lontanamente del suo strano<br />

aspetto.<br />

Una di queste due persone era mia figlia Veronica, e l'altra era<br />

mia moglie. Veronica, <strong>che</strong> ormai era una bella e vivace bambina di<br />

dieci anni, era stata presa dall'amore per i cavalli da quando aveva<br />

scoperto la differenza tra un cavallo e un cagnolino. Sua madre<br />

aveva avuto da bambina la stessa passione, ma l'aveva del tutto<br />

scordata quando si era fatta donna. Negli ultimi anni, però, al calore<br />

dell'entusiasmo di nostra figlia, il suo amore giovanile si era<br />

riacceso, e da quando Vittore si era incaricato del nostro programma<br />

di allevamento trascorrevano entrambe tutto il loro tempo libero con


lui e con i suoi cavalli.<br />

Sotto le loro cure e attenzioni Vittore fioriva. Era ancora burbero<br />

e sgarbato come prima con i comuni mortali, del tutto privo di<br />

pazienza per le loro triviali preoccupazioni, ma pensava<br />

chiaramente <strong>che</strong> mia moglie e mia figlia godessero di quello stato<br />

straordinario condiviso solo da lui e dai suoi amati cavalli. E perciò,<br />

grazie a questo riconoscimento, si sottometteva a loro in un modo<br />

<strong>che</strong> aveva del miracoloso. Il suo contegno e tutto il suo<br />

comportamento erano cambiati in modo impressionante nei pochi<br />

mesi trascorsi dal suo trasferimento alla villa. Adesso si<br />

preoccupava del suo abbigliamento e della sua igiene personale...<br />

cose <strong>che</strong> prima delle visite quotidiane di Veronica e di Luceia erano<br />

totalmente al di sotto dei suoi interessi. Era vero <strong>che</strong> dormiva ancora<br />

nelle stalle, ma non puzzava più in modo così acuto e pungente delle<br />

stalle.<br />

Ora si trovava in mezzo al circuito di addestramento, ruotava<br />

adagio su se stesso, tenendo in mano l'estremità di una lunga<br />

cavezza attaccata alla briglia di un bellissimo pony morello <strong>che</strong><br />

girava al piccolo galoppo, portando sulla groppa mia figlia. Il viso<br />

della piccola risplendeva di piacere e le grandi lastre dei denti di<br />

Vittore erano esposte in un largo sorriso mentre le gridava le sue<br />

istruzioni. Sotto i miei occhi, Veronica piegò le gambe sotto il corpo<br />

e si alzò diritta, restando perfettamente in equilibrio in piedi sulla<br />

groppa del pony, con le reclini allentate nella mano sinistra, la mano<br />

destra leggermente staccata dal corpo. Era bello vederla. I suoi<br />

movimenti, il suo controllo e la sua posa erano così perfettamente<br />

corretti e naturali, <strong>che</strong> il pericolo implicito in quello <strong>che</strong> avevo visto<br />

mi fu chiaro solo in seguito, e a quel punto ormai sapevo <strong>che</strong> se ci<br />

fosse stato un vero pericolo Vittore non glielo avrebbe mai<br />

permesso. Sapendo <strong>che</strong> la stavo guardando, Veronica fece due volte<br />

il giro del circuito, poi ricadde in groppa alla sua cavalcatura e la<br />

condusse fuori dal recinto, dirigendola senza fatica dove mi trovavo.<br />

Si fermò e scivolò leggera al suolo, abbracciò brevemente il collo


dell'animale e corse da me, con gli occhi danzanti per l'eccitazione.<br />

Mentre la stringevo in un abbraccio lei mi parlò all'orecchio.<br />

«Papà, non è meraviglioso? Il suo nome è Bucefalo, come il<br />

cavallo di Alessandro Magno, e Vittore dice <strong>che</strong> vuole darmelo,<br />

perché sia mio. Non è meraviglioso?»<br />

Lo era davvero, ed era an<strong>che</strong> sorprendente. Per quanto amasse i<br />

suoi cavalli Vittore non ne possedeva alcuno. Essi erano proprietà<br />

comune e perciò non ne poteva disporre. Mentre inspiravo<br />

affettuosamente il caldo odore di pulito dei capelli di mia figlia<br />

prima di rimetterla giù, mi accorsi <strong>che</strong> Vittore si avvicinava con la<br />

testa un po' inclinata da un lato come se fosse in ascolto.<br />

Avvicinandosi aveva raccolto la cavezza in lunghi anelli <strong>che</strong> adesso<br />

stringeva nella mano destra. Aveva interpretato correttamente<br />

l'espressione sul mio volto e parlò per anticiparmi.<br />

«Mastro Varro.» Accompagnò il saluto con un cenno del capo.<br />

«Una bella giornata.»<br />

Gli restituii il cenno. «Vittore. È quello <strong>che</strong> pensavo anch'io fino<br />

a quando ho sentito <strong>che</strong> hai fatto a mia figlia un dono comunitario.»<br />

Lui aggrottò la fronte e scosse la testa, cercando di<br />

interrompermi. Veronica fece un passo indietro e guardò me e<br />

Vittore, con il volto turbato.<br />

«Cosa c'è <strong>che</strong> non va, papà? Cos'è un dono comunitario?»<br />

Le rispose Vittore. «È un dono da parte di molte persone, piccola<br />

Gazza.»<br />

Gazza? Questa era una novità, ma poi guardai la mia bambina<br />

con i capelli neri e la pelle immacolata e vidi immediatamente <strong>che</strong><br />

era un soprannome perfetto. Veronica aveva la fronte aggrottata e si<br />

rivolgeva direttamente a Vittore.<br />

«Ma tu hai detto <strong>che</strong> il regalo era tuo, tuo per me.»<br />

«E così è. Adesso porta dentro Bucefalo e striglialo bene. Devo


parlare con tuo padre. E assicurati di non dimenticarne nean<strong>che</strong> un<br />

pezzetto. Si merita il meglio <strong>che</strong> gli puoi dare.»<br />

«Lo so e lo avrà e lui lo sa. Non è vero, bello?» Il pony nitrì e le<br />

diede un colpetto con il muso e lei rise, an<strong>che</strong> se la sua espressione<br />

era ancora incerta. «Sa <strong>che</strong> ho del miele per lui, ma non sa dov'è.<br />

Sarai ancora qui quando avrò finito, papà?»<br />

Le feci un cenno d'assenso. «Fai con comodo. Ho delle cose di<br />

cui parlare con Vittore, ma se finiamo prima ti aspetterò, così<br />

andremo a casa insieme.»<br />

Vittore e io la guardammo condurre via il pony e mi ritrovai ad<br />

ammirare la grazia agile di lei, e a meravigliarmi di come cresceva in<br />

fretta.<br />

«Bucefalo... un bel pony» dissi alla fine, quando lei fu scomparsa<br />

nella stalla.<br />

Vittore aspirò rumorosamente col naso. Evidentemente non<br />

facevo parte della sua ristretta cerchia di amici. «Ricordi lo stallone<br />

<strong>che</strong> ero andato a comprare per Terra quando siamo andati insieme<br />

ad Aquae Sulis?»<br />

Mi girai a guardarlo. «Sì.»<br />

«Bene, l'ho trovato e l'ho comprato, ma ho trovato an<strong>che</strong> un altro<br />

cavallo, nello stesso posto e nello stesso momento.<br />

Una giumenta, bella. Era in vendita e così l'ho comprata, con i<br />

miei soldi. Il primo cavallo <strong>che</strong> abbia mai comprato, Ma mi sono<br />

innamorato di lei.»<br />

Non mi sembrava strano <strong>che</strong> si esprimesse così.<br />

«Dov'è adesso?»<br />

Indicò la stalla. «È lì, con gli altri.» Si schiarì la gola, «Adesso<br />

prendi il piccolo Bucefalo. Quel cavallo è perfetto. Forma perfetta,<br />

colore perfetto, proporzioni perfette, temperamento perfetto. Un bel<br />

cavallino. In effetti quel cavallino è perfetto per tutto quello <strong>che</strong>


vuoi, tranne <strong>che</strong> per lavorare e per far razza. È dannatamente troppo<br />

piccolo. Eppure è perfetto. Ed è perfettamente inutile, an<strong>che</strong>, a meno<br />

<strong>che</strong> tu non conosca una bambina di dieci anni <strong>che</strong> gli si adatti<br />

perfettamente.» Tirò su col naso e io sentii l'imbarazzo crescere<br />

dentro di me. Sapevo cosa stava per dire e mi sentivo piccolo e<br />

meschino mentre proseguiva.<br />

«Adesso la situazione è questa, mi è stato dato un lavoro da fare<br />

e mi è stato detto di essere implacabile. Non c'è spazio in<br />

quest'operazione per passeggeri in sovrappiù. Se un cavallo non<br />

può lavorare e non può far razza devo liberarmene, mi segui?<br />

Questo significa ucciderlo.» Si raschiò la gola e sputò.<br />

«Non mi piace uccidere i cavalli. Della gente non mi importa, di<br />

solito, ma i cavalli sono importanti. <strong>La</strong> maggior parte di loro vale<br />

più della maggior parte della gente. E in particolare sono contrario a<br />

uccidere i bei cavalli. Quel cavallino non era mio, ma la piccola<br />

Gazza si era innamorata di lui. Come potevo ucciderlo? Così ho dato<br />

la mia giumenta in cambio del piccolo e adesso è mio e nessuno mi<br />

può dire cosa devo farne, e io lo regalo alla piccola Gazza.»<br />

Fu il mio turno di schiarirmi la voce. Mi sentivo stupido e<br />

maldestro. «Perdonami, Vittore» dissi. «Ti ho mal giudicato. Avrei<br />

dovuto immaginare.»<br />

Lui rise. «In <strong>che</strong> modo? Tu non mi conosci affatto, mastro Varro.<br />

Al tuo posto avrei pensato la stessa cosa. Solo non volevo <strong>che</strong> tu<br />

mettessi sottosopra la piccola Gazza.»<br />

«<strong>La</strong> piccola Gazza.» Assaporai quel nome, era perfetto, come il<br />

cavallino, perfettamente adatto alla mia amata figlia, da dove viene<br />

quel nome?»<br />

«Non da me. Così la chiamano i suoi amici, non lo sapevi? È…»<br />

«Perfetto.»<br />

Ridemmo entrambi. «Senti,» gli dissi allora, «lascia almeno <strong>che</strong><br />

ti rimborsi per la tua giumenta. Non è giusto <strong>che</strong> tu debba perdere il


prezzo di acquisto.»<br />

Mi guardò con un'espressione di puro piacere e le sue parole gli<br />

procurarono un terzo amico a villa Britannico.<br />

«Perdere il mio prezzo? Sei cieco, mastro Varro? <strong>La</strong> felicità sulla<br />

faccia di quella bambina mi ha ripagato già dieci volte, e non le ho<br />

ancora dato il cavallo! Non voglio denaro e <strong>che</strong> bisogno ho di un<br />

cavallo? Ne ho centinaia e ne sto allevando altri!» Scosse la testa.<br />

«No, mastro Varro. Tu ti tieni i tuoi soldi e mi lasci fare quello <strong>che</strong><br />

voglio, nel modo migliore <strong>che</strong> posso. Tu ami quella bambina, lo so,<br />

ma anch'io la ritengo qualcosa di speciale. E lei non ha paura di me.<br />

E questo ha un grande valore. Non hai idea di quanta gente pensa<br />

<strong>che</strong> io sia matto o pericoloso.»<br />

Gli tesi la mano. «Bene, qui c'è una persona <strong>che</strong> non lo pensa.<br />

Grazie. D'ora in poi tu mandi avanti le tue scuderie come vuoi e io<br />

mi accontenterò delle tue informazioni. Il mio lavoro è addestrare<br />

gli uomini a montare i tuoi cavalli e quindi insieme possiamo creare<br />

qualcosa di nuovo: gli uomini migliori, montati sui cavalli migliori<br />

<strong>che</strong> si siano mai visti. So <strong>che</strong> tu non mi dirai come fare la mia parte e<br />

così io ti prometto di non interferire nella tua. Siamo d'accordo?»<br />

Eravamo d'accordo.<br />

Poco tempo dopo, mentre tornavo alla villa con Veronica, le<br />

chiesi del suo nuovo nome. Mi vergognavo un po' di non avere<br />

saputo <strong>che</strong> ne avesse uno. Per tutti quegli anni avevo pensato a lei<br />

come a mia figlia, troppo accecato dal mio amore paterno per vedere<br />

<strong>che</strong> era an<strong>che</strong> una persona perfettamente formata con una sua<br />

identità.<br />

«Allora, signorina,» le chiesi, «da quando ti chiami Gazza?»<br />

«Oh, da sempre, papà. Prima ero "<strong>La</strong> Gazza", ma poi sono<br />

diventata semplicemente "Gazza", molto tempo fa.»<br />

«E perché la Gazza?»<br />

«Perché sono nera e bianca e perché mi piace vestirmi di verde e


i miei occhi sono verdi e lucenti, ovviamente! E poi perché ero una<br />

ladra terribile quando ero piccola.»<br />

«Una ladra? E cosa rubavi?»<br />

«Oh, di tutto... o meglio, ogni cosa <strong>che</strong> fosse lucente o lucida e<br />

bella, proprio come una vera gazza. Ma restituivo sempre le cose...<br />

in genere perché dovevo.»<br />

«Capisco. Non sapevo <strong>che</strong> avessimo una ladra in famiglia.»<br />

Lei guardò in su sorridendomi e il mio cuore si sciolse. «Beh,<br />

non una vera ladra. Intendo dire non un rapinatore o un brigante.<br />

Non avrei mai rubato del denaro e le cose <strong>che</strong> prendevo erano solo<br />

in prestito. Sai, quando qualcosa di bello scompariva, tutti sapevano<br />

dove era finito. Non ho mai potuto cavarmela.»<br />

«Hai cercato?»<br />

«Cercato cosa? Di tenermi le cose?» Lei fece una pausa,<br />

aggrottando le sopracciglia. «Intendi dire se ho mai veramente<br />

cercato di rubare qualcosa?» Scosse la testa, allontanando quel<br />

pensiero. «Non credo, non realmente. Forse l'ho fatto quando ero<br />

molto piccola, non ricordo. Ma un giorno la mamma è venuta e ha<br />

preso uno dei miei tesori più amati, il mio pettine più bello, con dei<br />

vetri colorati sul manico. Me lo ha semplicemente preso. Ha detto<br />

<strong>che</strong> lo voleva e <strong>che</strong> se lo teneva. Io ero molto arrabbiata e poi molto<br />

triste. Mi mancava davvero...» <strong>La</strong> sua voce si spense e mi prese la<br />

mano. Mi fece fermare, poi mi fece acquattare in modo da potermi<br />

guardare direttamente negli occhi. «E poi, il giorno dopo, la mamma<br />

mi ha restituito il pettine e mi ha detto <strong>che</strong> quando portavo via una<br />

cosa qualunque a un'altra persona, facevo sentire quella persona<br />

come lei aveva fatto sentire me.» <strong>La</strong> sua espressione era molto<br />

solenne e seria. «Non ho mai più rubato niente, da allora, e per<br />

molto tempo non ho nean<strong>che</strong> preso niente a prestito da nessuno dei<br />

miei amici, nemmeno con il loro permesso.»<br />

Gli strinse la mano, facendo segno <strong>che</strong> voleva continuare a


camminare, e concluse: «Hanno smesso di chiamarmi <strong>La</strong> Gazza. Ma<br />

Gazza non è mai scomparso e ne sono felice, perché mi piace.<br />

Ovviamente solo i miei amici speciali mi chiamano così. Gli altri mi<br />

chiamano Veronica.»<br />

Mi sentii quasi geloso, escluso. «Non lo avevo mai sentito prima<br />

di oggi» dissi. «Suppongo <strong>che</strong> questo significhi <strong>che</strong> non sono<br />

davvero un amico speciale...»<br />

«Oh, papà!» Si fermò e mi guardò con quello <strong>che</strong> avrei definito<br />

all'istante uno sguardo di amorosa esasperazione. «Tu sei mio<br />

padre, per l'amor di Dio! Tu sei il mio amico più speciale, perfino<br />

più di Vittore. Puoi chiamarmi Gazza quando vuoi.»<br />

«Grazie, Gazza» le risposi. Mi sentivo assolutamente euforico.<br />

Dopo due anni trascorsi nel suo nuovo incarico, Vittore era a<br />

capo di un'operazione autonoma il cui solo scopo era quello di<br />

allevare cavalli. Aveva cinque stalloni felici e almeno settanta<br />

giumente in vari stadi di gravidanza, oltre a un notevole numero di<br />

puledri, e aveva già cominciato a operare una selezione per il suo<br />

futuro gruppo di capi da riproduzione. Solo due puledri di quel<br />

primo raccolto, uno per sesso, furono giudicati degni di essere<br />

conservati. Gli altri vennero marchiati come animali da lavoro non<br />

appena furono in grado di camminare. Vittore riteneva <strong>che</strong> entro<br />

dieci anni avrebbe cominciato a produrre cavalli grandi e forti. Entro<br />

vent'anni sarebbe stato in grado di produrne in quantità.<br />

Lui sapeva quello <strong>che</strong> faceva. Noi no, perciò lo lasciavamo fare.<br />

Nel frattempo con gli animali <strong>che</strong> Vittore mi lasciava usare<br />

cominciai a lavorare alle nuove tecni<strong>che</strong> di addestramento e<br />

spiegamento degli uomini a cavallo. Sembrava facile quando ne<br />

parlavamo, ma far sì <strong>che</strong> funzionasse era un'altra cosa.<br />

Avevo già messo insieme un corpo di uomini addestrati a<br />

operare a cavallo, il nucleo centrale della mia nuova forza. Ogni


ecluta era esperta nel volteggiare a cavallo, completamente armata.<br />

Questo avrebbe dovuto essere un vantaggio lo era, ma solo entro<br />

limiti ben precisi. Tutto quello <strong>che</strong> dovevo fare ora era addestrare<br />

quegli uomini, a fondo e in ogni: dettaglio. Dovevo far loro<br />

dimenticare tutto quello <strong>che</strong> ave, vano imparato, tranne come stare a<br />

cavallo una volta <strong>che</strong> ci erano saliti... e an<strong>che</strong> quello, pensavo, era<br />

più facile dirlo <strong>che</strong> farlo.<br />

Gli uomini <strong>che</strong> dovevo riaddestrare erano arcieri, truppe leggere<br />

adatte alle scaramucce. Io dovevo cercare di trasformarli in<br />

cavalleria pesante. Questo significava <strong>che</strong> la leggera corazza di pelle<br />

<strong>che</strong> portavano non era più abbastanza resi, stente per il lavoro <strong>che</strong><br />

avrebbero dovuto fare. Quindi bisognava togliere la corazza leggera<br />

e sostituirla con un elmo regolare di ferro o bronzo, una corazza e un<br />

pesante gonnellino di pelle con borchie di ferro. Si sarebbero trovati<br />

in un combattimento ravvicinato con un nemico appiedato; le loro<br />

parti più vulnerabili, dunque, erano le gambe. Bisognava perciò<br />

sostituire le gambe nude e i sandali leggeri con gambali di metallo e<br />

stivali rinforzati, abbastanza robusti da sopportare un colpo di<br />

spada o d'ascia. Complessivamente avevo aumentato il peso di ogni<br />

uomo di circa trenta libbre.<br />

In aggiunta a tutto quel peso dovevo considerare an<strong>che</strong> gli<br />

scudi; tutti i cavalieri portavano oggetti piccoli e poco consistenti di<br />

cuoio indurito, adatti a deviare una freccia lanciata o una pietra<br />

scagliata, ma di nessuna utilità per fermare un'ascia lanciata con<br />

forza o una freccia o una lancia scagliate da vicino. Così cambiai lo<br />

scudo leggero con uno scudo pesante, pratico, adattato<br />

specificamente per un uomo a cavallo piuttosto <strong>che</strong> per un<br />

legionario appiedato.<br />

Inoltre dovevo tenere presente <strong>che</strong> stavamo cercando di ottenere<br />

cavalli più grossi. Non semplicemente cavalli più alti, ma più grossi.<br />

Espresso nei termini più semplici il problema <strong>che</strong> dovevo<br />

affrontare era il seguente: dovevo prendere degli uomini normali,


abituati al normale compito di salire su un cavallo con un volteggio,<br />

appesantirli con quaranta o cinquanta libbre di peso morto e<br />

chiedere loro di portare quel peso su cavalli <strong>che</strong> erano più grandi e<br />

più grossi di qualunque altro avessero mai contato prima.<br />

E questo era solo l'inizio. Chiedevo loro an<strong>che</strong> di dimenticare<br />

tutti i vantaggi tradizionalmente associati con il montare a cavallo di<br />

un animale veloce, nervoso, in grado di rispondere a un'oscillazione<br />

del corpo o alla pressione di un ginocchio, e di portare<br />

immediatamente il cavaliere lontano dal pericolo. Io chiedevo<br />

invece a ognuno di loro di diventare, consapevolmente e<br />

individualmente, un mattone immobile, un'unità non manovrabile<br />

all'interno di un solido muro di carne equina vivente. Chiedevo a<br />

ognuno di loro di avanzare, girare, cambiare direzione e in generale<br />

di agire come una parte inanimata di un unico meccanismo<br />

compatto. Un'unità vivente. Non uomini, bensì un muro di cavalieri.<br />

Questo significava <strong>che</strong> in ultima analisi se Caio Britannico o Publio<br />

Varro fossero stati ammazzati da una freccia ben tirata o fortunata,<br />

essi sarebbero morti, ma il loro cavallo avrebbe continuato ad avere<br />

la sua funzione come parte di una forza d'urto, mantenuto in<br />

posizione dai suoi vicini su entrambi i lati. Molti dei miei uomini<br />

trovavano questo pensiero agghiacciante e innaturale. Ai loro occhi i<br />

cavalieri erano improvvisamente diventati materiale di scarto, e il<br />

cavallo era .diventato la sola cosa importante.<br />

Questo ovviamente era assurdo. Ma almeno all'inizio la<br />

vedevano così, e io dovevo lottare contro questa loro percezione.<br />

Perseverai, comunque, e presto scoprii <strong>che</strong> alcuni uomini<br />

mostravano, durante l'addestramento, chiare capacità di comando<br />

nelle nuove tecni<strong>che</strong>. Quando ne scoprivo uno lo promuovevo sul<br />

posto, istituendo in questo modo, an<strong>che</strong> se dapprima non me ne resi<br />

conto, una nuova gerarchia di capi, ufficiali di cavalleria.<br />

Nulla <strong>che</strong> cambi l'ordine delle cose radicalmente come<br />

volevamo fare noi può realizzarsi di colpo. Il processo <strong>che</strong> descrivo


qui in po<strong>che</strong> parole richiese anni per giungere a compimento. <strong>La</strong> vita<br />

nella nostra piccola Colonia fluì in genere tranquillamente in quegli<br />

anni, e solo occasionalmente le lotte del mondo esterno penetravano<br />

a turbare la nostra pace sotto forma di notizie su quello <strong>che</strong> accadeva<br />

nel resto del mondo, riportate da Alarico o da un prete <strong>che</strong> veniva a<br />

farei visita. In questo modo venimmo a sapere della morte di<br />

Valentiniano e della ribellione di Eugenio, un altro aspirante<br />

imperatore uscito dai ranghi dell'esercito per sfidare Teodosio. Ma<br />

questi aveva dalla sua Stilicone, abilmente assistito dal nostro Pico<br />

Britannico, ed Eugenio fu sconfitto da un potente esercito<br />

radunatosi in Occidente.<br />

Poi, due anni dopo, arrivò la notizia <strong>che</strong> ci stupì tutti e,<br />

logicamente, la ricevemmo da Pico, le cui lettere ora arrivavano<br />

regolarmente.<br />

«Padre, i miei saluti.<br />

Questa lettera ti giungerà spero prima delle notizie <strong>che</strong> contiene.<br />

Sono stato coinvolto in quella <strong>che</strong> da alcuni è stata definita una<br />

guerra civile tra i due più forti e abili uomini dell'Impero e le<br />

informazioni <strong>che</strong> devo darti in questa lettera ti stupiranno e ti<br />

turberanno, non ne dubito. Teodosio è morto. È morto stanotte,<br />

meno di un'ora fa e la sua morte ha gettato l'Impero in uno scisma<br />

<strong>che</strong> farà tremare il mondo.<br />

Non l'ho detto in nessuna mia lettera precedente, ma la<br />

meteorica carriera di Flavio Stilicone è stata influenzata,<br />

condizionata e stranamente accompagnata parallelamente, an<strong>che</strong> se<br />

in dimensioni molto inferiori a mio giudizio, da un altro Flavio, un<br />

certo Flavio Rufino, di cui sono certo <strong>che</strong> non avrai mai sentito<br />

parlare. Flavio Stilicone e Flavio Rufino sono stati rivali da quando il<br />

giovane Stilicone ha fatto i suoi primi passi verso una posizione di<br />

preminenza. Fino ad allora Flavio Rufino aveva goduto dell'intero,<br />

incontrastato favore imperiale. Rufino definì immediatamente


Stilicone un rivale e da allora fece tutto quello <strong>che</strong> era in suo potere,<br />

tranne dichiarare apertamente la sua ostilità, per contrastare il suo<br />

avanzamento. Di recente, però, solo pochi mesi fa, tutto è cambiato.<br />

<strong>La</strong> rivalità tra i due è diventata aperta animosità e diretta inimicizia<br />

e Teodosio, da astuto e abile manipolatore qua! era, ha sfruttato<br />

questa situazione per il suo unico vantaggio. Tutto ciò è giunto al<br />

culmine in un proclama imperiale - sei giorni fa, dal giorno in cui ti<br />

scrivo questa lettera - <strong>che</strong> è esploso nel mondo della corte romana<br />

come un tuono.<br />

Essendo tuo figlio so <strong>che</strong> mi perdonerai, malgrado la tua<br />

impazienza e la tua curiosità, se gioco a fare l'oratore e differisco<br />

l'annuncio del contenuto di questo proclama a più tardi. È più<br />

importante, credimi, <strong>che</strong> tu capisca prima il retroscena dell'antipatia<br />

tra i due Flavi.<br />

Essi sono diametralmente opposti in quasi ogni aspetto della<br />

loro personalità e alcuni sostengono <strong>che</strong> Flavio Rufino è il migliore<br />

dei due. Io non sono d'accordo con questa opinione, né potrei<br />

esserlo, neppure se conoscessi Stilicone solo di fama. Mentre<br />

Stilicone afferra qualunque concetto nuovo o estraneo quasi prima<br />

<strong>che</strong> esso venga espresso ed è subito pronto ad agire di conseguenza,<br />

Rufino deve faticare a lungo e duramente per definirlo e assimilarlo.<br />

Una volta completato questo esercizio, però, Rufino agisce in ogni<br />

cosa altrettanto fermamente e decisamente di Stilicone... solo <strong>che</strong> ha<br />

lasciato passare più tempo. Entrambi sono per natura capi di<br />

immensa abilità e ognuno di loro è idolatrato dalle truppe <strong>che</strong><br />

comanda; ma mentre Stilicone è sagace, ponderato, logico e<br />

coscienzioso nel suo modo di trattare con tutti, indipendentemente<br />

dal rango, Rufino è emozionale, precipitato, illogico e impulsivo.<br />

Tutte le altre differenze sono insignificanti, tranne il fatto <strong>che</strong> Flavio<br />

Stilicone possiede un profondo e costante senso della giustizia e<br />

un'umanità innati, attributi <strong>che</strong> semplicemente non esistono in<br />

Flavio Rufino.


E quest'ultima sostanziale differenza <strong>che</strong> ha causato la rottura<br />

aperta tra i due e an<strong>che</strong> se i dettagli della scintilla <strong>che</strong> ha causato la<br />

conflagrazione variano radicalmente a seconda della fonte, esiste<br />

una sufficiente convergenza tra le due storie da renderne chiaro e<br />

comprensibile lo svolgimento.<br />

Flavio Stilicone, come sai, è vandalo di nascita: suo padre è un<br />

capitano dei mercenari vandali e sua madre una donna romana di<br />

discendenza impeccabile. Flavio Rufino è un gallo, Proveniente<br />

dagli antichi territori noti come Gallia Cisalpina.<br />

Stilicone ha assorbito le prime conoscenze militari da suo padre<br />

e ha cominciato la sua carriera, per un periodo di tempo molto<br />

breve, come tribuno militare. Rufino è entrato da ragazzo nei<br />

Pretoriani, quando Stilicone era ancora bambino e ha percorso<br />

inarrestabile la sua strada fino a diventare il prefetto pretoriano<br />

nell'Illirico, sull'Adriatico settentrionale. Le eccezionali abilità di<br />

entrambi li hanno portati ben presto all'attenzione di Teodosio... nel<br />

caso di Rufino molto prima <strong>che</strong> Teodosio diventasse imperatore.<br />

Si dice <strong>che</strong>, circa un anno fa, Rufino sia venuto a sapere <strong>che</strong> una<br />

guarnigione di mercenari, a quanto pare nella sua giurisdizione<br />

territoriale, si era ammutinata e <strong>che</strong> teneva in mano la città, in aperta<br />

rivolta contro l'Impero. <strong>La</strong> stessa storia arrivò an<strong>che</strong>, più di un mese<br />

dopo, all'attenzione di Flavio Stilicone, ma la versione di Stilicone -<br />

<strong>che</strong> io ho letto - conteneva differenze significative rispetto alla<br />

versione riportata da Rufino. Nel dispaccio mandato personalmente<br />

a Stilicone da parte dell'ufficiale pagatore del distretto (a proposito,<br />

il fatto è avvenuto nelle zone di confine dell'Illirico, infestate da<br />

banditi), lo si informava <strong>che</strong> una guarnigione locale, sostenuta da<br />

una legione dello stesso Stilicone, era in servizio senza paga da oltre<br />

due anni. In tre diverse occasioni i convogli dell'ufficiale pagatore,<br />

ognuno sotto una scorta più numerosa del precedente, erano stati<br />

presi in un agguato e distrutti prima di poter raggiungere la<br />

guarnigione. Alla fine i mercenari avevano annunciato alle autorità


locali <strong>che</strong>, fino a quando non fossero stati interamente pagati, non<br />

avrebbero più prestato servizio e non avrebbero permesso alle merci<br />

di lasciare la regione. Stilicone agì rapidamente, ordinando<br />

all'ufficiale pagatore di risolvere la situazione a qualunque costo e di<br />

pagare la guarnigione. Ma, ahimè, era troppo tardi.<br />

<strong>La</strong> guarnigione, mercenaria come ho detto, era costituita da<br />

vandali e il significato di ciò non sfuggì a Flavio Rufino. Assediò la<br />

città, ne prese possesso e massacrò immediatamente l'intera<br />

guarnigione e la popolazione, dopo di <strong>che</strong> rase al suolo la città, come<br />

esempio, disse, per tutti i potenziali ammutinamenti e per i loro<br />

eventuali sostenitori. Apparentemente incapace di lasciar passare<br />

l'occasione di umiliare il suo rivale, portò egli stesso la notizia a<br />

Costantinopoli diversi mesi dopo.<br />

Io ero presente nella sala delle udienze con Stilicone, quando<br />

Rufino riferì le sue azioni all'imperatore, e nessuno di noi due ne<br />

aveva ancora avuto notizia. Padre, non immagini la furia di<br />

Stilicone. Non lo avrei mai creduto capace di una simile intensità di<br />

sentimenti, irruenti e incontrollati, eppure pensavo di conoscerlo<br />

bene. Fu necessario bloccarlo fisicamente per impedirgli di attaccare<br />

Rufino alla presenza dello stesso imperatore! E an<strong>che</strong> così<br />

trattenuto, affrontando la collera di Teodosio e il suo appoggio a<br />

Flavio Rufino, e pur sapendo di mettere a rischio la propria vita,<br />

Stilicone disse a Rufino <strong>che</strong> era indegno di vivere e di definirsi un<br />

soldato, lo avvertì <strong>che</strong> quando fosse morto, sarebbe stato per mano<br />

sua, qualunque cosa o persona ne fosse lo strumento.<br />

Ovviamente, come puoi immaginare, l'imperatore redarguì<br />

aspramente Stilicone, ma an<strong>che</strong> un cieco avrebbe potuto vedere <strong>che</strong><br />

Teodosio godeva di quello scontro. Li ammonì severamente a<br />

rimanere lontani uno dall'altro, sotto pena del suo dispiacere, e<br />

terminò l'udienza con una moderata critica a Rufino per le atrocità<br />

<strong>che</strong> avevano fatto infuriare Stilicone.<br />

Poi, sei giorni fa, Sua Astuzia Imperiale emise un proclama.


Teodosio non si sentiva bene da mesi, an<strong>che</strong> se questo era stato<br />

tenuto segreto, e non era più un giovanotto, ma era abile e astuto.<br />

Annunciava la sua parziale abdicazione a favore dei suoi due figli<br />

gemelli, Onorio e Arcadie. I ragazzi sono solo dei bambini,<br />

ovviamente, troppo giovani per governare. Perciò, per il bene<br />

supremo dell'Impero, Teodosio decretò <strong>che</strong> ognuno dei gemelli<br />

avrebbe regnato, alla sua morte, su metà dell'Impero, Onorio da<br />

Roma sulla metà occidentale, e Arcadio da Costantinopoli sulla<br />

metà orientale. Durante la loro minore età i due ragazzi e le due<br />

metà dell'Impero sarebbero state governate da due reggenti: Flavio<br />

Stilicone con Onorio a Roma e Flavio Rufino con Arcadio a<br />

Costantinopoli! Nel frattempo, fino a quando Stilicone e Rufino non<br />

fossero diventati esperti negli affari di governo, Teodosio avrebbe<br />

continuato a reggere l'Impero.<br />

Che mente, padre! Con un solo colpo Teodosio aveva preservato<br />

la successione dei suoi figli e raddoppiato le possibilità di<br />

sopravvivenza dell'Impero in caso di un'invasione, an<strong>che</strong> se gli<br />

indovini subito cominciarono a predire lamentosamente la fine<br />

dell'Impero, come se potessero saperlo. Né Stilicone, né Rufino<br />

rimarranno passivi sotto l'usbergo dei loro incarichi, e ognuno di<br />

loro controllerà l'altro con la massima attenzione. L'Impero è in<br />

mani forti, ma nemi<strong>che</strong>. Ovviamente Teodosio non pensava di<br />

morire così in fretta. Ma è morto e ora noi dobbiamo vivere con le<br />

conseguenze della sua trama.<br />

Vorrei poter ricevere delle lettere di risposta, ma devo chiederti<br />

di non scrivermi o pregarti di non dire nelle tue lettere niente <strong>che</strong><br />

possa essere interpretato come tradimento o ribellione. <strong>La</strong> sicurezza<br />

di cui godo nello scrivere è ora garantita in un solo senso.<br />

Qualunque cosa arrivi a me è sottoposta all'esame dei nemici di<br />

Stilicone e dell'Impero d'Occidente.<br />

Addio, scriverò presto di nuovo. Pico.»


X.<br />

Stupefatti per le ultime notizie ricevute da Pico, accelerammo la<br />

nostra preparazione, disponendoci a grandi eventi. Ma niente<br />

accadde. <strong>La</strong> vita nella nostra Colonia isolata proseguì al suo ritmo<br />

tranquillo e io continuai a lavorare pazientemente e<br />

coscienziosamente con il mio novello esercito. Per l’estate seguente,<br />

nel 394, le parole di Pico ci furono chiare in tutta la loro gravità.<br />

Giunse voce dal regno di Ullic <strong>che</strong> i pirati stavano sbardo in forze<br />

lungo la sponda meridionale dell'estuario, a nord rispetto a noi, e<br />

ricevemmo tre separate delegazioni città e villaggi a sud e a ovest<br />

<strong>che</strong> chiedevano il nostro aiuto per difendere le loro terre dai<br />

razziatori sassoni e franchi e scendevano lungo la costa come sciami<br />

di mos<strong>che</strong>. Sapevo an<strong>che</strong> da fonti sicure, il vescovo Alarico e i suoi<br />

preti, e squadre di razziatori sassoni avevano svernato gli ultimi due<br />

anni nelle zone costiere sudorientali, senza nemmeno tornare in<br />

patria e cogliendo così il vantaggio dei mesi primaverili per razziare<br />

e sac<strong>che</strong>ggiare approfittando della scarsità di guarnigioni militari.<br />

<strong>La</strong> situazione si deteriorava rapidamente e noi eravamo la sola oasi<br />

di resistenza organizzata in tutto il sud-ovest della Britannia.<br />

Ironicamente la nostra maggiore difficoltà consisteva ora nel<br />

mantenere un ruolo difensivo. <strong>La</strong> tentazione di andare in guerra era<br />

molto forte; anch'io fremevo, con la mia testa calda. Solo<br />

l'equilibrato ragionare di Caio Britannico ci tenne a freno. Sua era la<br />

voce <strong>che</strong> continuava a ricordarci quali erano i primi scopi della<br />

Colonia: autosufficienza e sopravvivenza.<br />

Malgrado ciò, appena era possibile mandavamo delle forze per<br />

aiutare i nostri vicini e fu questo atteggiamento di buon vicinato <strong>che</strong><br />

ci portò alla fine sotto gli occhi delle autorità militari.<br />

Sapevamo fin dall'inizio <strong>che</strong> mantenendo una forza militare<br />

privata (an<strong>che</strong> se noi la definivamo paramilitare) ci mettevamo fuori


dalla legge. A termine di legge tutti gli uomini abili dell'Impero<br />

erano automaticamente soldati e dovevano la loro lealtà<br />

all'imperatore. Il fatto <strong>che</strong> potessero esserci tre o an<strong>che</strong> quattro<br />

imperatori alla volta era ininfluente e non aveva importanza di<br />

fronte alla legge. Ne conseguiva, perciò, <strong>che</strong> qualunque privato<br />

cittadino equipaggiasse o mantenesse una banda armata di soldati,<br />

an<strong>che</strong> se erano privati dipendenti, stava, ipso facto, usurpando la<br />

lealtà di quegli uomini dovuta solo all'imperatore. Stava privando<br />

l'Impero di truppe.<br />

Il ricco aveva, ovviamente, mantenuto per secoli delle "forze di<br />

sicurezza" private. Questo era un fatto noto e accettato. Nello spazio<br />

di pochi anni, però, nella nostra piccola, tranquilla Colonia avevamo<br />

radunato e addestrato, equipaggiato e rifornito un vero e proprio<br />

esercito di quasi mille uomini. Tre cose ci avevano permesso di farlo<br />

in tutta sicurezza. <strong>La</strong> prima, ovviamente, era <strong>che</strong> i nostri piani<br />

originari erano stati studiati con la piena conoscenza e il supporto di<br />

molti ufficiali anziani dell'esercito in Britannia. <strong>La</strong> seconda era<br />

legata direttamente alla prima ed era perfettamente compresa da<br />

tutti gli interessati: il nostro "esercito" veniva preparato secondo un<br />

piano: non doveva essere mobilitato o diventare reale se non dopo<br />

<strong>che</strong> le legioni regolari fossero state ritirate dalla Britannia, se una<br />

simile catastrofe fosse mai accaduta. <strong>La</strong> terza cosa <strong>che</strong> ci aveva<br />

protetto per anni era stata il nostro isolamento. Eravamo al di fuori<br />

delle strade battute e nei primi anni, soprattutto, ci eravamo dati<br />

molta pena per mantenere il segreto e la sicurezza.<br />

Con il passare degli anni, però, le circostanze erano cambiate.<br />

<strong>La</strong>voravamo sodo con le nostre reclute e il loro addestramento<br />

richiedeva <strong>che</strong> fossero in uniforme, per dare loro il necessario senso<br />

di appartenenza a un'unità militare. Poi, come gesto diplomatico per<br />

far cosa gradita al nostro valido aliato nel nord-ovest, re Ullic<br />

Pendragon, Britannico aveva cambiato il colore delle uniformi da<br />

quello della lana naturale a un rosso militare, rendendo così i nostri<br />

uomini molto più vistosi di prima. <strong>La</strong> loro appariscenza divenne


ancora più pronunciata quando le autorità militari cominciarono a<br />

portare via le guarnigioni dai forti occidentali per concentrarli nella<br />

zona sudorientale della Costa Sassone, nell'area a sud del Vallo nel<br />

nord della Britannia e intorno a Londinium, <strong>che</strong> era stata per anni il<br />

centro amministrativo della regione chiamata Britannia<br />

Meridionale. <strong>La</strong> rimozione di queste guarnigioni portò a un<br />

aumento delle razzie e ci costrinse a una difesa sempre più aperta,<br />

aumentando il rischio di essere notati ufficialmente. Prima o poi<br />

doveva accadere. Accadde nel 396.<br />

Un attento giovane ufficiale di stanza a Londinium aveva sentito<br />

parlare delle nostre imprese, e vide in esse un'opportunità per<br />

impressionare i superiori con la sua efficienza. Preparò un rapporto<br />

su «un gruppo ribelle di banditi e disertori nell'Ovest, <strong>che</strong> opera a<br />

sud di Glevum». Grazie a Plauto, <strong>che</strong> al momento era in servizio e<br />

aveva visto il documento, noi ricevemmo quel rapporto quasi prima<br />

dei suoi superiori. Una piccola spedizione venne distaccata da una<br />

guarnigione della Cambria per investigare su quel rapporto e non<br />

trovò traccia di banditi organizzati a sud di Glevum.<br />

Fu semplice sfortuna <strong>che</strong> il giovane ufficiale al comando di<br />

quella spedizione si trovasse a cenare con un magistrato a Glevum.<br />

Nel corso di quella cena raccolse informazioni precise su di noi e<br />

sulla nostra attività e incluse quelle informazioni nel rapporto ai<br />

suoi superiori di Londinium. Questa volta ricevemmo<br />

l'informazione prima ancora <strong>che</strong> la missiva partisse. Uno dei preti di<br />

Alarico ci avvertì, direttamente per mano dell'impiegato <strong>che</strong> aveva<br />

steso il rapporto. In esso il giovane tribuno diceva <strong>che</strong> aveva «ogni<br />

motivo di credere <strong>che</strong> le dicerie su banditi organizzati <strong>che</strong><br />

operavano a sud olì Glevum fossero in realtà riferimenti a una<br />

comunità di civili <strong>che</strong> vivevano a sud di Aquae Sulis, dove si erano<br />

organizzati secondo direttive quasi militari per difendere se stessi e<br />

le loro famiglie dai razziatori Iberni». Proseguiva dicendo <strong>che</strong><br />

nessuno sosteneva <strong>che</strong> quella gente fosse coinvolta in attività<br />

illegali, se si escludeva l'illegalità connessa al fatto di impugnare


armi in modo quasi organizzato. Diceva <strong>che</strong> non era riuscito a<br />

ottenere chiare indicazioni sulla forza numerica di quelle persone,<br />

ma aveva sentito stime <strong>che</strong> andavano da cento fino a diverse<br />

migliaia di uomini. <strong>La</strong> sua opinione personale era <strong>che</strong> già la cifra di<br />

un centinaio fosse notevolmente esagerata. Raccomandava però di<br />

investigare, nell'interesse del Senato e del popolo romano, sui<br />

cittadini residenti in quella regione, al di fuori della sua immediata<br />

giurisdizione.<br />

Nell'insieme era un rapporto eccellente, presentato da un uomo<br />

di insolite qualità per quell'epoca, perché era un ufficiale<br />

dell'esercito e, contemporaneamente, era preciso, onesto e<br />

coscienzioso nello svolgimento del suo dovere. <strong>La</strong> notizia del suo<br />

rapporto colpì la Colonia come la mia pietra celeste doveva aver<br />

colpito il suolo. Britannico convocò immediatamente una riunione<br />

di emergenza del Consiglio, e fu una riunione tempestosa.<br />

Caio aveva una convinzione molto forte, e stranamente poco<br />

conforme al suo carattere, alla quale si atteneva durante le riunioni<br />

del Consiglio, e sorprendentemente non la tradiva mai. Credeva in<br />

modo assoluto nella necessità di lasciare <strong>che</strong> il Consiglio risolvesse<br />

da solo i suoi problemi. Lui restava seduto e in genere si estraniava<br />

dal dibattito, interferendo solo quando era necessario per amore<br />

dell'ordine. Sosteneva <strong>che</strong>, qualunque fosse il problema in<br />

discussione, i membri del Consiglio avevano la capacità di<br />

risolverlo. <strong>La</strong> decisione finale del Consiglio non partiva mai da lui;<br />

era lui però <strong>che</strong> sceglieva i membri del Consiglio, e provava un<br />

piacere quasi spudorato nel coordinare le loro separate abilità<br />

affinché lavorassero insieme per il bene della Colonia. Una sola<br />

regola governava quelle sessioni, e stabiliva <strong>che</strong> nessuno poteva<br />

lasciare la riunione se il problema in esame non era stato risolto con<br />

soddisfazione di due terzi più uno dei membri presenti.<br />

<strong>La</strong> sessione <strong>che</strong> affrontava il rapporto del tribuno fu la più lunga<br />

a cui presi parte e durò dieci ore.


In quell'occasione le parole di buon senso e risoluzione vennero<br />

da Vegezio Sulla, il figlio maggiore di Tarpone Sulla, <strong>che</strong> era morto<br />

diversi anni prima. Vegezio era un uomo di circa quarantotto anni, e<br />

aveva servito per venticinque anni nelle legioni in Gallia, in Africa e<br />

alla frontiera con la Germania. Era un uomo di po<strong>che</strong> parole e di<br />

grande esperienza <strong>che</strong> parlava raramente al Consiglio, ma quando<br />

lo faceva veniva sempre ascoltato. <strong>La</strong> discussione durava da ore,<br />

degenerando a volte quasi in uno scontro. Gli animi erano molto<br />

eccitati e nella sala conciliare regnava una totale confusione. In più<br />

di sei ore non era stato fatto nessun progresso.<br />

Vegezio si alzò, si diresse verso il posto vuoto in un angolo della<br />

stanza e si mise a frugare nella borsa di pelle <strong>che</strong> teneva appesa al<br />

fianco; lo guardai, incuriosito, e lo vidi estrarne una pietra attaccata<br />

a una corda. Sciolse i nodi formatisi nella corda e poi, tenendo<br />

l'estremità della corda nella destra, cominciò a far ruotare la pietra<br />

sopra la testa. Quando la pietra prese velocità cominciò a produrre<br />

un suono melodioso e sibilante <strong>che</strong> crebbe fino a diventare uno<br />

strido acuto e lamentoso <strong>che</strong> rompeva i timpani.<br />

Ogni rumore nella stanza cessò, e tutti si girarono stupefatti a<br />

guardarlo a bocca aperta; allora abbassò il braccio e con un<br />

rumoroso schiocco fermò la pietra roteante nel palmo della mano<br />

sinistra. Mi scopersi a sogghignare, con un sorriso <strong>che</strong> andava da un<br />

orecchio all'altro, an<strong>che</strong> se non avevo idea di <strong>che</strong> cosa volesse fare. Il<br />

silenzio nella stanza era impressionante.<br />

Vegezio guardò intorno a sé i volti <strong>che</strong> lo fissavano e aprì la<br />

mano sinistra lasciando <strong>che</strong> la pietra cadesse a ciondolare<br />

all'estremità della corda.<br />

«L'ho presa quando ero in servizio in Germania» disse. «Le<br />

fanno i barbari oltre le frontiere. I bambini le usano come giocattoli.<br />

Di notte si sente spesso il rumore incessante di sei o sette di queste, e<br />

mette paura. Ma è inoffensiva.» Ricominciò a farla roteare, sempre<br />

più forte, finché qualcuno si tappò le orecchie con le mani. Poi lasciò


andare la pietra, <strong>che</strong> volò attraverso la stanza e ruppe il vaso <strong>che</strong> si<br />

trovava sul tavolo vicino al muro. Nel silenzio stupefatto i<br />

frammenti del vaso caddero come gocce di pioggia. Vegezio riprese<br />

a parlare.<br />

«Sembra inoffensiva, in realtà uccide. Quando è stata l'ultima<br />

volta <strong>che</strong> avete visto le nostre navi da guerra?» Nessuno gli rispose e<br />

lui continuò. «Sono azzurre, sapete. E azzurre sono an<strong>che</strong> le<br />

uniformi dell'equipaggio. Con una certa luce non si riesce a vederle.<br />

Ma ci sono, credetemi, in piena vista ed estremamente pericolose.»<br />

«Vegezio,» disse gentilmente Britannico, «credo <strong>che</strong> tu abbia<br />

qualcosa da dire. Se ci sediamo tutti ce lo spiegherai?»<br />

Vegezio sorrise. «Ne sarò lieto» disse. Ci sedemmo. Sempre<br />

sorridendo, Vegezio attraversò la stanza e raccolse il suo missile.<br />

Fece una pausa e si guardò intorno prima di parlare.<br />

«Abbiamo un problema. Per la precisione ne abbiamo parecchi.<br />

Abbiamo un esercito <strong>che</strong> non avremmo dovuto radunare né<br />

addestrare; uniformi <strong>che</strong> non dovrebbe portare; fortificazioni <strong>che</strong><br />

non dovrebbero esistere; una cavalleria <strong>che</strong> non dovremmo<br />

possedere; e una spedizione militare in cammino dall'Est per<br />

scoprire chi siamo e <strong>che</strong> cosa abbiamo.» Adesso il silenzio era<br />

assoluto.<br />

«Il mio suggerimento è questo. Le cose non sono sempre quello<br />

<strong>che</strong> sembrano. Dovremmo approfittare del tempo <strong>che</strong> ci rimane<br />

prima dell'arrivo dei nostri visitatori per far vedere loro quello <strong>che</strong><br />

abbiamo e lasciare <strong>che</strong> vedano da soli <strong>che</strong> cosa non abbiamo.»<br />

Questo discorso provocò un vero e proprio tumulto. Alcuni<br />

pensarono <strong>che</strong> avesse perso la ragione, perché non c'era logica<br />

apparente nelle sue affermazioni. Poi qualcuno gli chiese <strong>che</strong> cosa<br />

proponeva di fare.<br />

«Semplice» rispose Vegezio. «Cominciamo con la cosa più<br />

semplice. Congediamo il nostro esercito. Mandiamolo via.»


«Mille uomini?» <strong>La</strong> domanda dell'assemblea fece sembrare<br />

l'idea ridicola, ma Vegezio si lanciò alla sua difesa.<br />

«Perché no? Se li mandiamo via adesso, le tracce della loro<br />

presenza qui saranno sparite quando i nostri visitatori arderanno.»<br />

«Ma dove potremmo mandare un migliaio di uomini?» volle<br />

sapere un altro.<br />

«Ovunque, amico! Ma non in grandi gruppi. Li sparpaglieremo,<br />

li manderemo fuori per esercitazioni. Ullic potrebbe aver bisogno di<br />

un gruppo sulle sue colline contro gli Iberni per un mese. Duecento<br />

o trecento, immagino. Altri duecento potrebbero disperdersi nelle<br />

brughiere verso sud-ovest. Altri cento nelle pianure intorno a<br />

Stonehenge.»<br />

«Sono solo cinquecento o seicento. E gli altri?» Tutti facevano<br />

domande adesso.<br />

Vegezio scosse la testa disgustato. «Quanti di loro vivono<br />

davvero qui? Nelle fattorie e nelle case? Cento? Duecento? Sono<br />

meno di due uomini per miglio quadrato nella Colonia. E con ciò?!<br />

Saremo ben forniti di personale! Se staremo attenti a dissimulare, a<br />

essere invisibili, potremo lasciarne altri quattrocento in piena vista.»<br />

Caio intervenne. «Rimangono ancora cento uomini e una<br />

fortificazione ben visibile sulla collina.»<br />

Vegezio ridacchiò. «Sì, Caio, è così, per ora. Ma non dimenticare<br />

le galere da guerra.»<br />

«Perdonami, Vegezio, ma non so cosa vuoi dire.»<br />

«Voglio dire <strong>che</strong> se lo facciamo bene possiamo nasconderla.»<br />

«Nasconderla?» <strong>La</strong> voce di Britannico era stupefatta.<br />

«Nascondere la fortificazione?»<br />

«Perché no? Se la marina può nascondere una flotta di galere in<br />

piena vista, perché un esercito non potrebbe nascondere un forte?»<br />

«Dio dei cieli!» disse Britannico. «E come si può fare?»


Vegezio guardò Britannico, ma sembrò non vederlo, aveva la<br />

fronte corrugata nella riflessione, gli occhi guardavano lontano da<br />

quella stanza. «Ho un'idea, Caio, <strong>che</strong> funzionerà, so <strong>che</strong> funzionerà,<br />

se solo riesco a trovare la chiave giusta. Non è difficile. Richiede solo<br />

immaginazione, convinzione e fortuna.» <strong>La</strong> voce si affievolì nel<br />

nulla e Vegezio si grattò il mento con un polpastrello. Tutti gli<br />

uomini presenti nella sala osservarono quel gesto, in attesa <strong>che</strong> lui<br />

continuasse. «Una volta abbiamo nascosto un'intera legione in<br />

Gallia, in pieno giorno, e un esercito è passato a un quarto di miglio<br />

da noi e non ci ha visto.» <strong>La</strong> voce si spense di nuovo per alcuni<br />

istanti, prima <strong>che</strong> Vegezio scuotesse la testa bruscamente.<br />

«No. Non funzionerebbe. Abbiamo usato delle reti con rametti e<br />

rami intrecciati nelle maglie. Quelle mura sono troppo alte e sono in<br />

cima a una collina... Caio, si vedono le mura e le fortificazioni da<br />

dietro la collina?»<br />

Caio scosse la testa. «Non ne ho idea. Non credo di essere mai<br />

stato dietro quella collina. Perché? È importante?»<br />

«Potrebbe esserlo. Qualcuno lo sa?»<br />

«Sì, io.» Era Terra <strong>che</strong> parlava. «Firma e io stavamo cacciando da<br />

quelle parti circa un mese fa e lui ha notato <strong>che</strong>, dal fondo della<br />

valle, da quella parte non si vede nessuna traccia di una costruzione<br />

sulla collina. Abbiamo parlato di come sarebbe stato difficile salire o<br />

scendere quel lato della collina. Vero Firma?» Il fratello annuì.<br />

«Bene.» Vegezio era soddisfatto. Aprì la borsa e ci buttò la pietra<br />

sibilante e poi attraversò di nuovo la sala verso il tavolo su cui si<br />

trovava il vaso andato in frantumi. Sul tavolo era appoggiato un<br />

codice, le cui pagine erano coperte di frammenti di ceramica. Li<br />

spazzò via con la mano e rimase a guardare il libro, voltando le<br />

spalle alla sala. Tutto nel suo atteggiamento indicava <strong>che</strong> era<br />

immerso nei suoi pensieri. Alla fine girò la faccia verso il Consiglio<br />

riunito e si appoggiò con le nati<strong>che</strong> al bordo del tavolo.<br />

«Padre Andros è alla villa oggi?»


«C'era, prima» risposi io. «Ho parlato con lui proprio prima di<br />

venire qui, ma è stato diverse ore fa.» Mi chiesi <strong>che</strong> cosa avesse in<br />

mente. Con una pergamena e un bastoncino di carbone Andros<br />

riusciva a fare cose <strong>che</strong> sapevano di magia.<br />

«Bene, comunque non è lontano. Caio Britannico, ho una<br />

proposta da fare a te e al Consiglio. Se l'accettate, creerete un<br />

precedente. Non lo suggerisco alla leggera. Siamo di fronte a una<br />

crisi di importanza particolare. Il fatto <strong>che</strong> questo Consiglio sia in<br />

riunione da... da quanto? da sette ore? senza polvere niente serve<br />

solo a indicare la gravità della situatone.<br />

Io ho un'idea e credo <strong>che</strong> possa funzionare. Ma ho bisogno di un<br />

po' di tempo da solo e dell'aiuto di padre Andros per definirne<br />

alcuni aspetti. Perciò suggerisco <strong>che</strong> si aggiorni il Consiglio per,<br />

diciamo, due ore. Garantisco <strong>che</strong> tra due ore potremo ritrovarci con<br />

una ragionevole possibilità di ratificare i miei piani.»<br />

Si creò un'atmosfera improvvisa di disagio quando gli altri venti<br />

uomini nella sala presero atto della sua proposta, e alla fine gli occhi<br />

di tutti si volsero verso Britannico. Non c'era mai stata tanta quiete<br />

nella sala del Consiglio.<br />

Caio si schiarì la voce e si rivolse a tutti i presenti. «Quello <strong>che</strong><br />

Vegezio dice è vero. Accettare il suo suggerimento creerebbe un<br />

precedente <strong>che</strong> potrebbe diventare pericoloso. Dobbiamo chiedere a<br />

noi stessi di violare la regola <strong>che</strong> governa la partecipazione a questo<br />

Consiglio. Fin dal principio abbiamo stabilito <strong>che</strong> nessuno potesse<br />

lasciare una riunione del Consiglio prima <strong>che</strong> tutte le questioni a<br />

esso sottoposte fossero state affrontate e risolte. Questo ci ha<br />

permesso di evitare con successo il pericolo della procrastinazione.<br />

Con successo e finora in modo efficace. Dobbiamo osare fare<br />

diversamente adesso?<br />

D'altra parte...» fece una pausa, analizzando i suoi pensieri,<br />

«d'altra parte, quello <strong>che</strong> Vegezio propone non è la completa<br />

negazione del principio <strong>che</strong> governa questa regola. Sta solo


chiedendo più tempo e più intimità per alimentare e sviluppare<br />

un'idea <strong>che</strong>, qualunque sia la sua sostanza, è assolutamente<br />

pertinente con il problema <strong>che</strong> affrontiamo oggi. Non sta chiedendo<br />

un aggiornamento a domani, ma solo un momento per pensare.<br />

Tutti noi siamo stati incapaci, in sette ore, di esprimere un'idea. Non<br />

siamo semplicemente privi di idee: prima <strong>che</strong> Vegezio lo formulasse<br />

in modo così sintetico, non eravamo neppure arrivati alla<br />

definizione del problema. Vegezio Sulla è andato più avanti di noi<br />

nel definire, capire e, spero, risolvere questo problema. Quello <strong>che</strong> ci<br />

sta dicendo è <strong>che</strong> tutte le nostre discussioni gli impediscono di<br />

pensare in modo costruttivo. Ci sta dicendo <strong>che</strong> in queste due ore<br />

possiamo rifocillarci e rinfrescarci, e tornare a questo Consiglio<br />

riposati e in grado di valutare la validità del piano <strong>che</strong> ci proporrà.<br />

Allora, come votate?»<br />

<strong>La</strong> riunione fu aggiornata di due ore all'unanimità.


XI.<br />

Vegezio entrò in ritardo nella sala del Consiglio e il fatto <strong>che</strong> gli<br />

altri ventuno membri parlassero tranquillamente tra 'oro mentre<br />

aspettavano il suo arrivo diede la misura dell'alta considerazione<br />

<strong>che</strong> si era conquistata tra i nostri coloni. Finalmente, con un buon<br />

quarto d'ora di ritardo, irruppe nella stanza e si diresse in fondo alla<br />

sala, seguito da vicino da padre Andros, il nostro artista la cui abilità<br />

nel disegno ci aveva tutti stupiti nel corso degli anni. Andros<br />

stringeva una bracciata di rotoli di pergamena e Vegezio cominciò a<br />

parlare prima ancora di avere raggiunto il capo della stanza.<br />

«Chiedo scusa per il ritardo, amici, ma vedrete <strong>che</strong> non siamo stati<br />

inattivi da quando vi ho lasciato. Padre Andros e io vi mostreremo<br />

alcuni disegni, ma per prima cosa voglio ricordarvi tutto ciò di cui vi<br />

ho parlato prima: la pietra sibilante, un gioco per bambini e un'arma<br />

mortale per gli esperti nell'uso; la galera della flotta, <strong>che</strong> dipinta di<br />

azzurro può scomparire dalla vista an<strong>che</strong> in pieno giorno; la legione<br />

romana in pieno assetto di guerra, rimasta completamente invisibile<br />

agli occhi di un nemico <strong>che</strong> si trovava a meno di un quarto di miglio<br />

di distanza, anch'essa alla luce del giorno.»<br />

Fece una pausa, mentre tutti nell'assemblea pendevano dalle sue<br />

labbra, aspettando <strong>che</strong> continuasse.<br />

«A determinate condizioni - e con questo voglio dire a<br />

condizioni attentamente progettate e preparate - nessuna delle cose<br />

<strong>che</strong> ho descritto sembra quello <strong>che</strong> è realmente.<br />

I loro contorni diventano invisibili. Non solo perché sono fatti<br />

per sembrare meno definiti, ma perché sono stati riarrangiati... travestiti in<br />

modo tale <strong>che</strong> le persone <strong>che</strong> li guardano semplicemente non li vedono.» Si<br />

fermò, aspettando una reazione, ma non ce ne fu alcuna.<br />

«Capite quello <strong>che</strong> sto dicendo?»


Torquilio Lino, <strong>che</strong> era stato un avvocato di gran successo ed era<br />

ancora uno degli uomini più distinti del Consiglio, tossì a disagio e<br />

parlò sommessamente nel suo profondo tono baritonale.<br />

«Io credo di capire, Vegezio. Penso <strong>che</strong> tu ci stia dicendo <strong>che</strong><br />

puoi nascondere un'intera collina, quasi una montagna, dalla vista<br />

umana. Devo aggiungere <strong>che</strong> non credo <strong>che</strong> sia possibile.»<br />

Vegezio batté forte le mani insieme. «Hai assolutamente<br />

ragione, Torquilio. Ma questo non è quello <strong>che</strong> stavo dicendo! Stavo<br />

dicendo <strong>che</strong> con sforzo, determinazione e pianificazione attenta<br />

riusciremo ad alterare l'apparenza della collina per ingannare gli<br />

occhi umani, rompendo e nascondendo alla vista i contorni della<br />

fortezza, almeno da qui, a un miglio di distanza.» Si girò verso<br />

padre Andros. «Posso avere il primo disegno? <strong>La</strong> panoramica<br />

attuale.»<br />

Andros gli porse una grossa pergamena e Vegezio la srotolò e la<br />

resse in modo <strong>che</strong> potessimo vederla tutti. Trattenemmo tutti il<br />

respiro davanti al realismo del paesaggio dipinto sulla pergamena.<br />

Stavamo vedendo una resa perfetta del forte sulla collina visto dal<br />

cortile della villa. Andros aveva un dono <strong>che</strong> sconfinava nella<br />

magia; con pochi tocchi di carboncino aveva colto perfettamente la<br />

scena, in modo <strong>che</strong> le mura delle nuove fortificazioni risaltavano<br />

perfettamente definite sullo sfondo della collina.<br />

Vegezio ce la fece ammirare per pochi istanti prima di lasciare la<br />

base della pergamena arrotolandola nuovamente come un tubo.<br />

Senza parlare Andros gli porse un secondo rotolo, <strong>che</strong> Vegezio<br />

spiegò allo stesso modo. Era una copia quasi esatta del primo<br />

disegno, tranne <strong>che</strong> era attraversata da centinaia di strisce verticali, e<br />

allora capii <strong>che</strong> cosa c'era di sbagliato nel primo disegno.<br />

«Qualcuno riesce a vedere la differenza?» <strong>La</strong> voce di Vegezio era<br />

tagliente.<br />

«Sì» dissi io. «Nel primo disegno non c'erano le impalcature.» Le


impalcature erette da poco intorno alle mura <strong>che</strong> crescevano in fretta<br />

avevano alterato l'aspetto del forte in modo radicale nei mesi<br />

precedenti. Esitai, incerto di me stesso, «Ma an<strong>che</strong> questo non è<br />

proprio esatto. Manca qualcosa, credo.»<br />

«Hai ragione, Varro. Ma <strong>che</strong> cosa?»<br />

«Le orizzontali!» <strong>La</strong> voce di Firma arrivò da dietro la mia testa.<br />

«Mancano le piattaforme delle impalcature.»<br />

«Bravo, Fermace!» Vegezio lasciò andare la base e lasciò <strong>che</strong> il<br />

rotolo si arrotolasse da solo, mentre già allungava la mano a<br />

prenderne un terzo, <strong>che</strong> Andros teneva pronto per lui. «E cosa dite<br />

di questo?»<br />

<strong>La</strong> pergamena <strong>che</strong> reggeva adesso aveva delle righe verticali<br />

disseminate irregolarmente per la collina, molto più in basso di dove<br />

apparivano prima.<br />

<strong>La</strong> perplessità nella stanza era palpabile.<br />

Senza parlare Vegezio lasciò andare an<strong>che</strong> quella pergamena e<br />

ne prese una quarta dalle mani di Andros. Questa volta, mentre la<br />

srotolava e la reggeva in alto, ci fu un mormorio stupefatto di<br />

reazione.<br />

L'intera scena era cambiata. <strong>La</strong> collina c'era ancora, ma a partire<br />

da circa due terzi in su i suoi fianchi erano mas<strong>che</strong>rati da una cortina<br />

verde. Cespugli e alberi coprivano completamente le mura dalla<br />

vista.<br />

«Vedete, amici? Magia. Ma ogni buon romano sa <strong>che</strong> la magia<br />

non esiste.» Riavvolse il rotolo e ne prese un altro. «E adesso,» disse<br />

con voce profonda per aumentare la drammaticità, «guardate<br />

attentamente!»<br />

C'erano sei oggetti - come definirli? Cilindri ? - disposti a caso<br />

sulla pergamena. Nient'altro, solo sei cilindri verticali. Vegezio<br />

piegò la pergamena e aprì il rotolo successivo, <strong>che</strong> mostrava un<br />

cilindro, visto da vicino, con rami e cespugli di cui si vedevano le


estremità tagliate, legati come un fascio intorno al manico di<br />

un'ascia.<br />

«Questa è la nostra magia, amici.» Non c'era da dubitare della<br />

convinzione e della soddisfazione nel tono di voce di Vegezio. <strong>La</strong><br />

sua voce risuonava chiaramente attraverso la sala, convincendo i<br />

suoi ascoltatori con il suo stesso rimbombare. «Prendete abbastanza<br />

uomini e abbastanza corda, tagliate abbastanza rami, legateli<br />

intorno a un numero sufficiente di supporti verticali, mettetevi<br />

abbastanza lontano e vedrete una foresta dove non ce n'era nessuna.<br />

Poiché le verticali discendono il pendio, i rami legati intorno a quelle<br />

inferiori mas<strong>che</strong>rano la nudità di quelle superiori. Mettete dei<br />

cespugli alla base, indietreggiate di un miglio circa e, fino a <strong>che</strong> i<br />

rami non avvizziranno, avrete quella <strong>che</strong> sembrerà una foresta<br />

vivente.»<br />

Tacque, lasciando <strong>che</strong> le sue parole si facessero strada in noi.<br />

Alla fine Britannico ruppe il lungo silenzio.<br />

«Vegezio, dovrebbe funzionare! Per quanto tempo i rami<br />

resteranno verdi?»<br />

Vegezio scrollò le spalle e scosse la testa. «Non lo so di preciso,<br />

Caio Britannico. Due giorni? Tre al massimo, penso. Dopo di <strong>che</strong><br />

forse cominceranno a sembrare molto secchi. Ma an<strong>che</strong> allora si<br />

potrebbe non notarli da lontano. Saranno tutti morti, ma potrebbero<br />

sembrare ancora verdi da quaggiù. Non li lascerei per più di una<br />

settimana, comunque.»<br />

Caio si tormentava il mento, le sopracciglia corrugate mentre<br />

meditava. «E la sommità del muro? Cosa facciamo se non puoi<br />

portare i tuoi "alberi" tanto in alto quanto vorresti?»<br />

«Altereremo la forma della cima del muro con del fango.» Si<br />

guardò intorno per avere informazioni. «Quanto è spessa la cima?<br />

Sei piedi?»<br />

«Quasi nove» disse Tulio, uno dei muratori.


Vegezio annuì con approvazione. «Perfetto, tre passi<br />

abbondanti. C'è tutto lo spazio per costruire dei dossi e<br />

interrompere la linea diritta. A tempo debito potremo an<strong>che</strong><br />

riportare delle zolle erbose e coprire il fango.»<br />

Tutti nella stanza sedevano in attonito silenzio. Poi, esitando, un<br />

membro del Consiglio alzò la mano per chiedere la parola.<br />

Britannico annuì. «Parla, Orazio.»<br />

Orazio si raschiò la gola e quando si rivolse a Vegezio la sua<br />

voce era forte. «Credo <strong>che</strong> l'idea possa funzionare. Ma mi sembra<br />

<strong>che</strong> ci voglia un sacco di organizzazione e <strong>che</strong> molto dipenda dal<br />

tempismo. Sei d'accordo?»<br />

«Sì, sono completamente d'accordo» rispose Vegezio. «Come la<br />

vedo io, l'intera operazione dipende dal tempismo. Qual è il punto,<br />

Orazio?»<br />

«Le fronde e il tempo necessario per raccoglierle. Ci vogliono un<br />

sacco di alberi per fare una foresta. An<strong>che</strong> una foresta finta. E tu hai<br />

detto <strong>che</strong> una volta tagliate non dureranno più di una settimana.»<br />

Guardò in faccia i membri del Consiglio. «Stiamo parlando di<br />

mandare via i nostri uomini, ma ne avremo bisogno per raccogliere<br />

fronde in quantità sufficiente per mas<strong>che</strong>rare la cima della collina.<br />

Specialmente se devono essere raccolte e sistemate in pochi giorni.»<br />

Un brusio di consenso e di riflessione passò tra gli ascoltatori e<br />

Orazio alzò la voce sopra al rumore, facendo tacere tutti. «Non sto<br />

cercando di trovare un difetto! Credo <strong>che</strong> la cosa possa funzionare.<br />

Sto solo dicendo <strong>che</strong> dovremo pianificare tutto con cura. Si può fare!<br />

Dobbiamo soltanto essere certi <strong>che</strong> saremo noi a controllare i tempi<br />

dell'intero piano.»<br />

«Orazio, pensa a quello <strong>che</strong> stai dicendo! È impossibile!» Questo<br />

sfogo era di Varo. «Non abbiamo nessuna possibilità di controllo sui<br />

tempi. O suggerisci <strong>che</strong> chiediamo a quelli di Londinium di dirci<br />

quando ci manderanno i loro ispettori?»


<strong>La</strong> risposta di Orazio fu immediata. «No, affatto! Non lo sto<br />

suggerendo! Ma sto dicendo <strong>che</strong> nessuno, nemmeno Vegezio, ha<br />

pensato <strong>che</strong> abbiamo quasi cento cavalli da nascondere, oltre a mille<br />

uomini. Io dico, nascondiamo i soldati nel forte e usiamo i cavalli<br />

per attuare il nostro piano. Possiamo nasconderli e nello stesso<br />

tempo usarli!» Orazio si volse verso di me. «Varro! Avrebbe senso<br />

mandare la nostra cavalleria lungo le strade <strong>che</strong> portano alla<br />

Colonia e preparare dei fuchi per controllare l'arrivo di chiunque<br />

stia venendo qui?»<br />

Annuii, senza impegnarmi troppo. «Sembra interessante<br />

continua.»<br />

«Bene» adesso il suo tono era entusiasta. «Ci sono solo tre strade<br />

per avvicinarsi a noi. Da nord, via Glevum e Aquae Sulis, da est via<br />

Sorviodunum e da sud per la strada costiera. Se mandiamo la nostra<br />

cavalleria con l'ordine di distribuirsi sulle strade e approntare<br />

segnali di fuoco abbastanza vicini da essere visibili alla postazione<br />

successiva della fila, allora potremmo andare incontro a questi<br />

"investigatori". <strong>La</strong> notizia del loro arrivo ci raggiungerebbe con la<br />

rapidità <strong>che</strong> ci mette un uomo a vedere un fuoco e ad accenderne un<br />

altro.»<br />

«Sì» annuii. «Questo ha senso. Ma perché mandare dei<br />

cavalieri?»<br />

«Perché possono rimanere qui più a lungo a lavorare e poi<br />

andare dove devono più in fretta. E possono an<strong>che</strong> allontanarsi più<br />

in fretta, sparire nella campagna e ritornare qui lentamente e<br />

sicuramente dopo <strong>che</strong> i nostri visitatori se ne saranno andati. In<br />

questo modo non dovremo nascondere i cavalli.»<br />

«Per Efesto, Orazio, hai ragione!» Ero in piedi e zoppicavo per la<br />

stanza. «I segnali di fuoco ci darebbero tre, forse quattro giorni di<br />

preavviso sul loro avvicinarsi, se li avvistiamo con sufficiente<br />

anticipo. E mentre stiamo aspettando il segnale possiamo tenere<br />

ogni uomo della Colonia impegnato in questo lavoro. Possiamo


an<strong>che</strong> tenere qui i soldati, perché se non siamo in grado di<br />

nascondere il forte, è inutile nascondere loro. Dovremmo finire tutto<br />

in due giorni di duro lavoro, sparpagliare i nostri uomini e poi<br />

sembrare innocenti come bambini sotto la nostra collina mas<strong>che</strong>rata<br />

dagli alberi quando arrivano i nostri amici. Vegezio, Orazio, vi<br />

meritate una lode!»<br />

<strong>La</strong> mia personale eccitazione si trasmise agli altri, provocando<br />

un coro di acclamazioni. Fu Vegezio a ristabilire l'ordine tirando<br />

fuori di nuovo la pietra sibilante e costringendo tutti al silenzio per<br />

fargli smettere quel diabolico sibilo.<br />

«D'accordo» disse alla fine, quando tutti furono di nuovo calmi<br />

«Sto pensando <strong>che</strong> abbiamo davanti a noi più lavoro nelle prossime<br />

settimane, se pure avremo tanto tempo, di quanto ne abbiamo mai<br />

avuto in tutta la storia della Colonia, abbiamo un sacco di<br />

preparativi da fare. Quindi muoviamoci. Britannico, a te la parola.»<br />

Britannico si alzò con un sorriso. «Ti ringrazio ancora, Vegezio<br />

Sulla, a nome di tutti.» Si guardò intorno nella sala. «Siamo tutti<br />

d'accordo <strong>che</strong> il piano <strong>che</strong> Vegezio propone è quello <strong>che</strong> vogliamo<br />

adottare?»<br />

«Sì.» All'unanimità.<br />

«E siete an<strong>che</strong> d'accordo <strong>che</strong> l'emendamento di Quinto Orazio è<br />

sensato?»<br />

«Sì.» Di nuovo all'unanimità.<br />

«Così sia. E adesso dobbiamo pianificare i dettagli.»<br />

Verso mezzanotte il piano era finito. Caio convocò per il giorno<br />

successivo una riunione generale dell'intera Colonia alla villa<br />

principale, per spiegare esattamente cosa stava succedendo.<br />

Immediatamente dopo l'assemblea il lavoro cominciò su diversi<br />

fronti. Furono messi al lavoro uomini per costruire rampe di accesso<br />

alla sommità delle mura, e altri furono mandati a scavare fango e


accumularlo sulla sommità delle mura del forte per interrompere il<br />

profilo troppo regolare. Altri portavano zolle erbose per mas<strong>che</strong>rare<br />

il fango appena ammucchiato e altri ancora piantavano alti tronchi<br />

d'albero diritti sul lato della collina. Tutti quelli <strong>che</strong> non erano<br />

coinvolti in questo lavoro sfiancante - donne e bambini e vecchi -<br />

perlustravano la campagna in cerca di boschi cedui e alberi <strong>che</strong><br />

potessero essere sac<strong>che</strong>ggiati, al momento opportuno, in modo tale<br />

<strong>che</strong> il disboscamento non fosse evidente agli occhi di un estraneo.<br />

Britannico ammise <strong>che</strong> avevamo almeno dieci giorni a<br />

disposizione per prepararci prima <strong>che</strong> le autorità di Londinium<br />

avessero il tempo di ricevere il rapporto, digerirlo, consultarsi su di<br />

esso, arrivare a una decisione e alla fine inviare una squadra<br />

investigativa. Significava <strong>che</strong> la cavalleria poteva essere messa al<br />

lavoro per una settimana, prima di venir mandata fuori di guardia.<br />

In pratica, invece, le autorità ci misero tre settimane per definire<br />

il loro parere e la loro linea di azione. Occupammo le due settimane<br />

in più aggiungendo altri supporti verticali alla collina. Alcune<br />

squadre furono messe al lavoro per espiantare interi alberelli e<br />

trapiantarli, così <strong>che</strong> il fianco della collina cominciò realmente a<br />

sembrare una foresta <strong>che</strong> riprendeva a vivere anni dopo un grande<br />

incendio. I cespugli divelti e trascinati fino alla collina dai cavalli,<br />

cominciarono a trasformare il posto. An<strong>che</strong> a meno di un miglio<br />

divenne difficile riconoscere il profilo delle mura.<br />

In meno di tre settimane i nostri coloni riuscirono in un'impresa<br />

quasi magica; furono aiutati dai Celti, <strong>che</strong> vennero a centinaia,<br />

quand'ebbero avuto notizia di quella follia, a vedere con i loro occhi<br />

cosa stava succedendo. Sotto sotto c'era un senso di isterica<br />

anticipazione <strong>che</strong> tutto questo avrebbe an<strong>che</strong> potuto essere inutile.<br />

Se le autorità avessero deciso di non investigare sul rapporto del<br />

giovane ufficiale ci saremmo rotti la schiena per rovinare una collina<br />

perfetta!<br />

Ero a cena con la famiglia, una sera, all'inizio della quarta


settimana dei nostri preparativi, quando l'intendente di Britannico ci<br />

interruppe con la notizia <strong>che</strong> il segnale di fuoco più vicino era<br />

acceso, e <strong>che</strong> i messaggeri erano già stati mandati ad avvertire le<br />

altre ville della Colonia. <strong>La</strong> nostra gente si riunì alla villa principale,<br />

dove rimase per tutta la notte, e all'alba l'ultimo stadio<br />

dell'operazione era varato; ogni persona abile si dispose al compito<br />

finale di tagliare i rami verdi e legarli ai tronchi d'albero<br />

improvvisati.<br />

Britannico era finalmente di nuovo in piedi, dopo essere stato<br />

confinato a letto per oltre una settimana, con un grave strappo<br />

muscolare alla schiena per aver cercato di sollevare un tronco<br />

d'albero troppo pesante. Non appena vidi <strong>che</strong> tutti lavoravano con<br />

ordine, tornai a riferirglielo, ma mentre stavo entrando nel cortile<br />

dal cancello principale sentii lo scalpitio di un cavallo, e vidi uno dei<br />

miei uomini, su un cavallo stremato, arrivare al galoppo. Frenò<br />

quando mi vide e saltò giù dal cavallo ansimante. Ma le ginocchia<br />

gli mancarono mentre toccava terra, e lo dovetti afferrare. Era senza<br />

fiato, come il suo cavallo, e dovetti sostenerlo fino a quando si fu<br />

ripreso.<br />

«Cosa succede, ragazzo? Cosa c'è <strong>che</strong> non va?»<br />

«Cavalleria, comandante! Cavalleria pesante.» Rabbrividì.<br />

Vengono da Londinium. Attraverso i campi. Non sono sulla strada e<br />

stanno per arrivare!»<br />

«A <strong>che</strong> velocità? Quanto tempo ci metteranno?»<br />

«Un giorno, comandante. Forse due. Non di più. Saranno qui la<br />

mattina di dopodomani. Abbiamo acceso i fuochi appena li abbiamo<br />

visti, ma poi abbiamo dovuto passare parola da uomo a uomo.<br />

Abbiamo quasi ammazzato i cavalli.»<br />

«A <strong>che</strong> distanza eravate disposti?»<br />

«Tre, quattro miglia. A seconda del terreno. Dovevamo essere in<br />

grado di vedere il fuoco dell'uomo più vicino.»


<strong>La</strong> mia mente stava correndo. «Quanti uomini c'erano nella tua<br />

catena?»<br />

«Trentanove. Io sono l'ultimo.»<br />

«Quanto ci ha messo la notizia per arrivare fino a te?»<br />

Scosse la testa. «Non lo so, comandante. Gli uomini sono partiti<br />

appena hanno acceso i fuochi, come d'accordo. Uno ha dovuto<br />

correre per tre postazioni prima di trovare un uomo con un cavallo<br />

fresco. Siamo corsi tutti ventre a terra!»<br />

«Dannazione! Hai fatto bene. Qual è il tuo nome?»<br />

«Settimio Severo, comandante.»<br />

«Siamo in debito con te, Settimio. Adesso prenditi un po' di<br />

riposo. Te lo sei meritato. Dove sono gli altri?»<br />

«Tutti dispersi, comandante, come è stato ordinato.»<br />

«E gli uomini sulle altre strade? Ne sai qualcosa?»<br />

«No, comandante. Ma l'ordine era <strong>che</strong> non appena si vedevano i<br />

segnali di fuoco avvicinarsi alla Colonia, gli uomini dovevano<br />

mandare segnali all'esterno, verso le altre strade. Perciò ormai tutti<br />

dovrebbero sapere <strong>che</strong> il gioco è iniziato.»<br />

Annuii. «Bene. Vai a cercare un letto e dormi un po'. Io devo<br />

avvertire gli uomini <strong>che</strong> rimane solo oggi per finire il lavoro.<br />

Ringraziamo Dio per le due settimane <strong>che</strong> ci ha concesso.»<br />

Corsi in casa per avvertire Britannico e poi portai agli uomini<br />

nei campi la notizia <strong>che</strong> i visitatori si stavano avvicinando. Passai<br />

una giornata lunga e faticosa, preoccupato della velocità con cui<br />

arrivavano e dubitando di avere abbastanza uomini per finire il<br />

lavoro in tempo. Non avrei dovuto preoccuparmi. I nostri uomini<br />

superarono se stessi e molto prima del crepuscolo stavano dando gli<br />

ultimi ritocchi a un'incredibile prova di stregoneria umana. <strong>La</strong><br />

collina era diventata una foresta. Il forte era scomparso. Non c'era<br />

traccia di influenza umana sulla collina dietro la villa.


Nessuno dormì quella notte. Il deposito viveri lavorò al<br />

massimo delle sue capacità dal tramonto fino all'alba, e non appena<br />

furono riforniti di provviste, i nostri soldati scomparvero<br />

nell'oscurità per nascondersi nel forte appena occultato. All'alba<br />

tutto il possibile era stato fatto. Il nostro esercito era sparpagliato o<br />

nascosto e le tracce dei nostri frenetici preparativi erano state<br />

coperte e cancellate. Non c'era più niente da fare se non aspettare e<br />

cercare di comportarci normalmente.<br />

<strong>La</strong> mattina passò e il mezzogiorno divenne pomeriggio.<br />

Britannico e io eravamo seduti su una panca nel cortile, godendo<br />

insieme il calore del sole pomeridiano e facendo del nostro meglio<br />

per sembrare indifferenti, tentando di far credere <strong>che</strong> eravamo<br />

entrambi contenti e a perfetto agio.<br />

Non avevamo idea di chi fossero i nostri ospiti, né di quando<br />

sarebbero arrivati. Avevamo deciso, dopo aver ricevuto il primo<br />

segnale, di non spiare la loro avanzata; era sufficiente sapere <strong>che</strong><br />

erano in arrivo. Vittore era venuto nel tardo pomeriggio a chiederci<br />

quando volevamo <strong>che</strong> iniziasse a fare uscire i cavalli dalle stalle:<br />

avevamo acquartierato lì un grande numero di cavalli da lavoro, per<br />

non correre il rischio <strong>che</strong> i recinti vuoti attirassero l'attenzione.<br />

Vittore pensava di liberarli affinché la cavalleria potesse<br />

acquartierare lì i suoi cavalli, ma aveva dimenticato <strong>che</strong> noi non<br />

dovevamo sapere del loro arrivo. Fu molto umiliato quando glielo<br />

feci notare, ma il suo comprensibile errore ci fece capire quanto<br />

sarebbe stato facile tradirsi e tradire la nostra attesa di quella visita.<br />

Sì, in quel lungo pomeriggio occupammo il nostro tempo<br />

vedendo ogni cosa <strong>che</strong> avrebbe potuto andare storta.<br />

Eravamo consapevoli <strong>che</strong> il successo o il fallimento del nostro<br />

programma dipendeva dal calibro dell'uomo incaricato<br />

dell'investigazione. Potevamo supporre <strong>che</strong>, chiunque fosse, sarebbe<br />

stato preciso nella sua inchiesta, ma confidavamo di avere buone


possibilità di smantellare i suoi sospetti, con un'oncia di fortuna e se<br />

lui fosse stato una persona di un certo livello. Confidavamo an<strong>che</strong><br />

<strong>che</strong> sarebbe venuto direttamente da noi. Non c'era un altro posto<br />

lungo la strada dove avrebbe potuto fermarsi. Non si sarebbe<br />

interessato alle città, e comunque non ce n'era nessuna più vicina di<br />

Aquae Sulis. I pochi villaggi della zona erano abitati dalla nostra<br />

gente, <strong>che</strong> avrebbe indirizzato a noi ogni straniero, e tutte le ville<br />

confinanti erano controllate da noi. Il visitatore avrebbe dovuto<br />

venire a trattare con Caio Britannico, proconsole e senatore di Roma.<br />

Nessuno nella regione ci avrebbe tradito, perché nel raggio di<br />

molte miglia tutti dipendevano dalla nostra benevolenza e dal<br />

nostro sostegno. Se la lealtà all'Impero suggeriva a ogni uomo<br />

invidioso della nostra forza di denunciarci, la paura di perdere la<br />

nostra presenza militare e la nostra assistenza avrebbe frenato i suoi<br />

dubbi. Almeno lo speravamo.<br />

A metà pomeriggio, incapace di rimanere seduto più a lungo, mi<br />

diressi verso le stalle di Vittore per controllare di persona <strong>che</strong> tutto<br />

fosse in ordine, e passò quasi un'ora prima <strong>che</strong> tornassi. I nostri<br />

ospiti erano già stati annunciati. Poco prima <strong>che</strong> arrivassi, Caio<br />

aveva sentito in lontananza lo squillo di una tromba e il rumore di<br />

una squadra di uomini a cavallo lungo la strada <strong>che</strong> portava ai<br />

cancelli principali della villa. Mi disse in seguito <strong>che</strong> aveva tirato un<br />

lungo respiro e poi si era diretto a incontrarli.<br />

L'avanguardia era costituita da cinque uomini: un centurione<br />

dalla barba grigia, un trombettiere, un vessillifero e due battistrada.<br />

Arrivarono al galoppo ai cancelli dove Caio li attendeva e si<br />

fermarono. Il centurione non smontò, e guardò giù verso Caio da un<br />

cavallo alto diverse spanne più di quelli <strong>che</strong> avevamo ottenuto nelle<br />

nostre selezioni.<br />

«Proconsole Caio Britannico?» Sembrava insicuro di se.<br />

Caio parlò. «Sono io. È abitudine al giorno d'oggi <strong>che</strong> un<br />

centurione parli dall'alto in basso a un senatore di Roma?»


«Ti chiedo perdono, proconsole!» L'uomo non aveva voluto<br />

mancargli di rispetto. Arrossì e i suoi occhi passarono da Caio alle<br />

sue truppe, poi di nuovo a Caio. «Scorta! Smontare!» Tutti e cinque<br />

scivolarono pesantemente al suolo dalle groppe dei loro cavalli.<br />

Il vessillifero riuscì in quel compito con una certa difficoltà,<br />

secondo Caio, a causa della grandezza e della lunghezza dello<br />

stendardo scarlatto.<br />

Quando l'uomo si irrigidì di nuovo sull'attenti Caio guardò lo<br />

stendardo.<br />

«Che emblema è questo?» chiese. «Mi è nuovo.»<br />

Il centurione fece il saluto. «È nuovo per il mondo intero,<br />

proconsole. <strong>La</strong> nostra è una nuova unità. Cavalleria pesante.<br />

Appena arrivata dall'Armorica attraverso la Gallia.»<br />

«Come vi chiamate? <strong>La</strong> vostra unità, intendo.»<br />

«Prima Coorte Equestre, appoggiata dalla trentaquattresima<br />

legione in servizio speciale, proconsole!»<br />

«Prima Coorte Equestre! Capisco. <strong>La</strong> trentaquattresima legione,<br />

dici? Benvenuto. Cosa possiamo fare per te, centurione?»<br />

L'uomo si schiarì la voce. «Siamo stati mandati a chiedere la tua<br />

ospitalità, proconsole. Veniamo da Londinium e siamo in cammino<br />

da cinque giorni, e il nostro comandante vorrebbe riposare un<br />

momento da te, se puoi ospitarci.»<br />

«In cinque giorni da Londinium?» Caio parve sorpreso. «Avete<br />

tenuto un buon ritmo. Dove siete diretti?»<br />

Il centurione si schiarì la voce di nuovo. «Mi spiace, ma non<br />

sono libero di dirlo, proconsole.»<br />

«No, suppongo di no. Un'unità di cavalleria pesante, dici? E da<br />

quando Roma ha una cavalleria pesante?»<br />

«Da pochissimo, proconsole. Pochi anni.»<br />

«Mmm.» Il grugnito di Britannico suonava poco impressionato.


«Chi è il tuo comandante e in quanti siete? Non una intera coorte,<br />

spero? Quanto vi fermerete?»<br />

«No, proconsole, solo tre squadroni. Marcello Viceré è il nostro<br />

tribuno e abbiamo centotrentotto uomini e cavalli, proconsole.»<br />

«Cento...?» Britannico mi disse dopo <strong>che</strong> si era sentito come un<br />

attore in una commedia. Spalancò gli occhi e fece in modo <strong>che</strong> la sua<br />

voce riflettesse quello <strong>che</strong> lui chiamava un singolare stupore. «Avete<br />

il fieno per i vostri cavalli?»<br />

«Sì, proconsole, nelle salmerie. E cibo per gli uomini.»<br />

«Ah! Capisco.» Caio si permise di apparire placato. «Bene, allora<br />

non è un gran problema, suppongo. Penso di potermi occupare di<br />

voi. Per una notte almeno.» Si girò verso uno dei servi <strong>che</strong><br />

guardavano fisso. «Nestore, trova Gallo e digli di preparare<br />

abbastanza carne da servire centocinquanta uomini in più stanotte.<br />

Digli <strong>che</strong> non mi interessa dove la trova, an<strong>che</strong> se deve prenderla a<br />

prestito dai nostri vicini. Li ripagheremo più tardi. Digli <strong>che</strong><br />

abbiamo compagnia da Londinium, e pregalo di far montare dai<br />

suoi uomini dei tavoli nei campi vicino alla villa di Terrice e<br />

Fermace.» Alzò una mano per trattenere l'uomo e si girò di nuovo<br />

verso il centurione. «Hai detto centotrentotto cavalli?»<br />

L'uomo scrollò le spalle e annuì contemporaneamente.<br />

«Centoquarantaquattro, proconsole, con i cavalli del carro.»<br />

Britannico si girò di nuovo verso Nestore. «Avverti an<strong>che</strong><br />

Vittore <strong>che</strong> avremo bisogno dei suoi pascoli recintati. Se ha dentro<br />

dei cavalli da lavoro, <strong>che</strong> li mandi nelle fattorie per stanotte.»<br />

Nestore si inchinò e partì di corsa.<br />

Caio si girò verso il centurione. «Quanti ufficiali ci sono con te in<br />

tutto?»<br />

«Cinque, proconsole. Quattro regolari e un... ospite.»<br />

«Un ospite? In una pattuglia? E chi è questo gentiluomo?»


Il centurione arrossì e guardò lontano. «Io... non conosco il suo<br />

nome, proconsole.»<br />

Secondo Caio questa era una evidente bugia, ma la ignorò «E tu?<br />

Qual è il tuo rango in queste truppe?»<br />

L'uomo sorrise, palesemente contento <strong>che</strong> si cambiasse<br />

argomento. «Quello <strong>che</strong> è sempre stato, signore. Ufficiale anziano.<br />

Prima <strong>La</strong>ncia della Coorte. Pilus prior.»<br />

«Bene. I miei saluti al tuo comandante. Lui e i suoi ufficiali sono<br />

i benvenuti. Starete sotto il nostro tetto stanotte e cenerete con noi.<br />

Quando arriveranno i tuoi uomini, Rollone qui, vi mostrerà dove<br />

acquartierarvi.» Fece con il capo un cenno di congedo e si girò come<br />

se volesse andarsene, ma si voltò di nuovo verso il centurione.<br />

«Quanto tempo ci vorrà perché arrivino?»<br />

L'uomo alzò le spalle. «Due ore, proconsole, forse più; noi siamo<br />

venuti per avvertirvi, per darvi il tempo di prepararvi. In verità non<br />

ho idea di quanto siano indietro, ma saranno qui prima di notte.»<br />

Caio annuì di nuovo e li lasciò sulla strada, circondati dai<br />

curiosi. Non aveva fatto ancora tre passi, però, <strong>che</strong> il pilus prior lo<br />

chiamò di nuovo.<br />

«Proconsole, chiedo scusa, signore, sono imbarazzato. Potrei<br />

usare le vostre latrine?»<br />

Il sopracciglio di Caio si alzò per quella stupefacente richiesta,<br />

ma era troppo educato per esprimere un rimprovero. «Certamente.<br />

Rollone, fai vedere al centurione dove può andare.»<br />

Caio attraversò i cancelli della villa congratulandosi con se<br />

stesso per aver condotto l'incontro senza far nascere sospetti.<br />

Sentiva, mi disse, di essere riuscito a mostrare il giusto misto di<br />

sorpresa e indignazione, temperato da un tocco di impazienza bene<br />

educata, e credeva <strong>che</strong> se tutti noi avessimo mantenuto il tono <strong>che</strong><br />

lui aveva stabilito, saremmo stati in grado di uscire da quel<br />

frangente controllando la situazione. Sapeva <strong>che</strong> il pilus prior aveva


mentito quando gli era stato chiesto chi era l'ospite, ma sapeva<br />

an<strong>che</strong> la ragione di quella bugia, perché l'ospite era l'ispettore<br />

imperiale. Non era sorpreso <strong>che</strong> l'uomo avesse chiaramente ricevuto<br />

l'ordine di non dire niente sul vero scopo della visita.<br />

Ritornai alla villa più o meno in quel momento, emergendo dai<br />

boschi a est appena in tempo per vedere la sagoma di Caio<br />

scomparire attraverso i cancelli. Notai il gruppetto con lo stendardo,<br />

ma non mi affrettai, e quando fui a cento passi vidi il loro<br />

comandante allontanarsi, saltare sul suo grande cavallo e poi far<br />

girare i suoi uomini e cavalcare via alla loro testa. Non mi notarono<br />

neppure.<br />

Trovai Caio in piedi sui gradini di fronte alla villa, <strong>che</strong> fissava<br />

perplesso qualcosa <strong>che</strong> teneva in mano. Stava per rientrare in casa<br />

quando mi vide, e rimase dov'era fino a quando lo raggiunsi, dopo<br />

aver legato a un palo le redini del mio cavallo. L'oggetto nelle sue<br />

mani era un quadrato di papiro piegato più volte, e lo stava<br />

battendo con irritazione sul dorso del polso sinistro, accigliato e<br />

perplesso. Lo indicai con un cenno del capo.<br />

«Cos'hai lì? L'hanno consegnato loro?»<br />

«Sì» disse. «Ma in modo strano e la cosa non ha senso.»<br />

Risi. «Non ce l'ha nemmeno quello <strong>che</strong> hai detto. Come è<br />

andata?»<br />

«Mmm?» Mi guardò come se parlassi greco.<br />

«Il tuo incontro con loro. Come è andato?»<br />

«Oh, molto bene, penso. Non avevano idea <strong>che</strong> li aspettassimo,<br />

ma questo...» Agitò il papiro ripiegato. «Non capisco. È una cosa<br />

strana.»<br />

Gli misi una mano sulla spalla e lo condussi verso casa. «Vieni.<br />

Ho la gola secca. Andiamo a bere una coppa di vino mentre ne<br />

parliamo.»


Qual<strong>che</strong> istante dopo, avendo saziato almeno in parte la mia<br />

sete, riempii di nuovo la coppa e mi accomodai su un divano.<br />

«Allora, dimmi cosa è successo.»<br />

Mi riferì l'intera conversazione con il pilus prior. Quando mi disse<br />

della richiesta dell'uomo di usare la latrina, risi forte, ma Caio<br />

interruppe la mia risata.<br />

«No, Publio. È stata un'astuzia, per un oscuro proposito.<br />

Guarda.» Mi mostrò di nuovo il papiro. «Rollone lo ha<br />

accompagnato alla latrina e poi è tornato portandomi questo.<br />

L'uomo voleva <strong>che</strong> io lo avessi senza <strong>che</strong> nessun altro lo sapesse.<br />

Il messaggio <strong>che</strong> contiene è senza senso. Rollone mi ha riferito <strong>che</strong> il<br />

pilus prior gli ha detto di aver portato questo di nascosto, solo per me,<br />

come un favore da parte di un amico. Ma chi possa essere questo<br />

amico e per quale scopo mi di questo messaggio, mi sfugge.»<br />

«Cosa dice?» Mi alzai e tesi la mano e Caio mi passò messaggio.<br />

Lo aprii e lessi le parole ad alta voce. «Quando il primus pilus parla di<br />

Dio, ricorda Dio e stai attento. Egli cavalca con il pilus prior.» Era<br />

firmato "PPPP", una firma ben nota ai miei occhi, e la lessi per esteso:<br />

«Ponzio Plauto primus pilus».<br />

Caio era disorientato. «Plauto? Ma cosa significa? Il tuo amico<br />

gioca agli indovinelli, Publio.»<br />

Poi improvvisamente spalancò gli occhi allarmato, e mi afferrò<br />

prontamente mentre barcollavo e rischiavo di cadere. Sentii il<br />

sangue defluirmi dal volto e avvertii un grande rombo nelle<br />

orecchie.<br />

«Publio! In nome di Dio, cosa succede?»<br />

<strong>La</strong> sua voce sembrava giungere da molto lontano; mi fece<br />

sdraiare sul divano. Finalmente, dopo un tempo <strong>che</strong> mi sembrò<br />

un'eternità, la turbinosa e rombante sensazione <strong>che</strong> mi sconvolgeva<br />

il cervello si attenuò; scossi la testa per schiarirmi le idee, ma quando<br />

parlai la mia voce era quasi un gracidio. «In nome di Dio, dici... e hai


agione, an<strong>che</strong> se non lo sai. Questo è quello <strong>che</strong> Plauto ci vuole dire.<br />

Dio cavalca con il pilus prior. Quella creatura del demonio, quel figlio<br />

di puttana è vivo! Il tuo amico a Roma aveva ragione! È Seneca. È<br />

Claudio Seneca! Deus, così lo chiamavano i suoi amici, quel giorno<br />

<strong>che</strong> abbiamo incrociato le nostre spade, e Plauto era lì. Deus! Dio!<br />

Era un diminutivo blasfemo per Claudio. Plauto era con me e lo ha<br />

sentito. Cesario Claudio Seneca cavalca con il pilus priori. È lui<br />

l'ispettore imperiale.»<br />

Caio sembrava colpito dal fulmine. «No. Non è possibile. È<br />

morto. Tu lo hai ammazzato, mi avevi convinto! Non è possibile <strong>che</strong><br />

sia lui. Seneca? Qui? Quell'animale? No, ti sbagli. Non può essere.»<br />

Rabbrividii, riprendendo il controllo. «No. È lui. Deve essere lui,<br />

Cai, Plauto non è smaliziato, ma questo è un messaggio criptato.<br />

Quel figlio di puttana è vivo. Ho rifiutato di accettare l'evidenza <strong>che</strong><br />

era ancora vivo perché non volevo <strong>che</strong> così fosse. Ma deve essere<br />

sopravvissuto, come non lo so, e adesso sta venendo qui. Quel<br />

messaggio non ha altra spiegazione possibile, Cai. Plauto<br />

ovviamente lo ha mandato con il pilus prior perché era l'unico mezzo<br />

per avvertirci. Nessun altro lo avrebbe capito, ma per me è<br />

inequivocabile e Plauto lo sapeva.»<br />

Caio era accigliato e si morsicava un labbro, riflettendo<br />

furiosamente mentre andava a chiudere la porta dello studio per<br />

evitare interruzioni. «Molto bene» disse infine, accettando la mia<br />

interpretazione del messaggio e facendomi segno di stare calmo e di<br />

lasciarlo pensare. «Non ha senso discutere con te, soprattutto di<br />

questo. Avrei dovuto proseguire le indagini, ma non l'ho mai fatto.<br />

Dannazione! Adesso dobbiamo pensare bene a tutto e abbiamo solo<br />

un'ora.»<br />

Quando cominciò a camminare su e giù per la stanza lo seguii<br />

con lo sguardo.<br />

Mi abbattei sul divano, mentre la mia mente tumultuava come<br />

una cascata, senza però riuscire a fermare un pensiero a causa della


mia indignata incredulità. D'un tratto Caio smise di camminare.<br />

«Non ci sono alternative. Devi semplicemente restare nascosto<br />

fino a quando questa gente se ne andrà. È un inconveniente<br />

sgradevole, ma la situazione materialmente non cambia. Niente<br />

deve cambiare, tranne <strong>che</strong> tu devi scomparire. Mi occuperò di tutto<br />

da solo.»<br />

Scossi la testa sconsolato. «Tutto è già cambiato, Caio. Tu non<br />

conosci quell'uomo.»<br />

«Scioc<strong>che</strong>zze. Quell'uomo è un Seneca e io conosco quella gente<br />

molto meglio di te. Può forse essere più pericoloso e meno<br />

prevedibile degli altri della sua progenie, ma non è invulnerabile<br />

alla presenza di un Britannico. Lo avvolgerò nelle spire di una serica<br />

ospitalità, <strong>che</strong> lo confonderà perché non si aspetta un simile<br />

trattamento da parte mia.»<br />

«No, Caio! Tutto il nostro piano era basato sulla presunzione <strong>che</strong><br />

avremmo trattato con un normale soldato, un ufficiale e un uomo<br />

educato, un professionista! Niente di tutto ciò ha più senso, perché<br />

stiamo trattando con un pazzo. Seneca è pazzo. È capace di<br />

qualunque cosa. Potrebbe farti giustiziare solo per soddisfare il suo<br />

istinto malato. Lo vedrai, nessuna regola gli va bene, tranne la sua, e<br />

lui inventa le regole mano a mano <strong>che</strong> procede. Ho imparato molte<br />

cose su di lui nel corso degli anni. È un pazzo, non è umano.»<br />

Caio interruppe il mio balbettio sollevando una mano con<br />

irritazione. «Non importa! Per quel rifiuto umano io sono un<br />

proconsole di Roma e un senatore anziano, non fosse altro <strong>che</strong> per<br />

anzianità. Ti aspetti <strong>che</strong> sia intimorito da lui? Da un Seneca? Adesso<br />

stai calmo per favore e lasciami pensare.»<br />

Ricominciò a camminare e io mi costrinsi a rimanere calmo e<br />

immobile nella mia disordinata paura. Conosco la paura in tutte le<br />

sue varianti, ma quella mi scioglieva le budella. Fissai gli occhi su<br />

Caio, cercando di vuotare la mente, e mentre lo guardavo mi sembrò<br />

<strong>che</strong> i suoi anni diminuissero visibilmente, trasformandolo nel


Britannico <strong>che</strong> avevo conosciuto un tempo.<br />

«Varro,» mi disse alla fine, e l'uso del mio vecchio nome sembrò<br />

confermare la sua trasformazione, «ho un piano e penso <strong>che</strong> sia<br />

buono. Abbi pazienza ancora solo un momento.» I suoi occhi erano<br />

di un giallo ardente e io aspettai, pensando <strong>che</strong> sarebbe stato meglio<br />

<strong>che</strong> il suo piano fosse davvero buono. Smise di camminare e si girò<br />

verso di me, guardandomi con occhi <strong>che</strong> sembravano volermi<br />

trapassare l'anima. «Pensi <strong>che</strong> si ricorderà di te?»<br />

«Ricordarsi? Mi farà crocifiggere appena mi vedrà.»<br />

«Scioc<strong>che</strong>zze!» Il suo immediato cipiglio e la sua espressione<br />

priva di ironia non mi lasciarono dubbi sul fatto <strong>che</strong> Caio Britannico<br />

non era disposto a prendere quella situazione alla leggera. «Sii serio,<br />

Publio! Da quello <strong>che</strong> mi hai detto sul vostro ultimo scontro, era<br />

confuso e quasi cieco per aver passato una settimana bendato. Non è<br />

così?»<br />

Dovetti ripensarci un momento. Sapevo <strong>che</strong> quello <strong>che</strong> diceva<br />

Caio era giusto, ma avevo an<strong>che</strong> la sgradevole sensazione <strong>che</strong> lui<br />

volesse sperimentare una qual<strong>che</strong> arcana teoria nella quale la mia<br />

vita era appesa a un filo. Gli diedi ragione lasciando però <strong>che</strong><br />

l'esitazione riflettesse la mia mancanza dì fiducia.<br />

«Più o meno» dissi, non volendo sembrare troppo entusiasta.<br />

«Ma mi ha visto abbastanza chiaramente mentre lottavamo. Non<br />

dimenticare <strong>che</strong> cercava di uccidermi.»<br />

Caio annuì, mentre il suo volto esprimeva una preoccupazione<br />

determinata da pensieri ovviamente gravissimi. <strong>La</strong> mia apprensione<br />

aumentò. Anch'io stavo immaginando eventi tremendi.<br />

«Mi hai detto an<strong>che</strong> <strong>che</strong> non ha mai saputo il tuo nome. Sostieni<br />

ancora <strong>che</strong> questa è la verità?»<br />

«Sì.»<br />

«Ne sei sicuro?»


Annuii. «Sì, Cai. Sono sicuro, ma ero an<strong>che</strong> sicuro di averlo<br />

ucciso.»<br />

«Mmm. Acqua passata, Varro.» Strinse le labbra, palesemente<br />

considerando e scartando diversi argomenti <strong>che</strong> avrebbe potuto<br />

espormi per attuare il suo proposito. Alla fine annuì bruscamente.<br />

«Ottimo. Funzionerà. Ho un piano <strong>che</strong> funzionerà, purché il tuo<br />

nome non gli dica niente.»<br />

«Qual è?»<br />

«È l'essenza stessa della semplicità. Ti consegneremo a lui.»<br />

Battei le palpebre, sentendo <strong>che</strong> mi sfuggiva qual<strong>che</strong> elemento<br />

essenziale di quella logica. «Ti chiedo scusa, Caio,» dissi nel tono più<br />

indifferente possibile, «ma ti è venuto in mente <strong>che</strong> potrebbe<br />

decidere di farmi giustiziare non appena poserà gli occhi su di me?»<br />

«No, non mi è venuto in mente semplicemente perché l'idea è<br />

grottesca» disse bruscamente. «Tu sarai mio prigioniero e perciò al<br />

di fuori della sua giurisdizione.»<br />

«Tuo prigioniero? Cosa significa?»<br />

Adesso sorrideva. «Pensaci, Publio. E venuto qui in cerca di<br />

banditi, fuorilegge, ribelli armati. Si suppone <strong>che</strong> noi non sappiamo<br />

niente della sua missione. E se...» Fece una pausa e poi continuò,<br />

eccitandosi palesemente all'idea le cui possibilità diventavano più<br />

chiare ai suoi occhi. «E se arrivasse qui e scoprisse <strong>che</strong> i torbidi sono<br />

finiti? E mi trovasse pronto a partire per Londinium, per occuparmi<br />

dei miei affari e per trasportarvi un prigioniero, un prigioniero<br />

importante, il Capo dei banditi le cui scorrerie hanno terrorizzato<br />

l'intera regione? Tu sarai quel prigioniero.»<br />

Non rimasi affatto impressionato. «Cai,» dissi, «non riesco a<br />

condividere il tuo entusiasmo per questo progetto. Ai miei occhi la<br />

prima mossa di Seneca è così ovvia <strong>che</strong> mi sento un cappio al collo<br />

solo a pensarci. Ti porterà immediatamente via il prigioniero, con la<br />

sua autorità, e mi farà giustiziare sul posto per i miei crimini, a


prescindere dal nostro odio personale.»<br />

«Assoluta assurdità, Varro! E quale sarebbe questa autorità di<br />

cui parli? Da dove gli deriva? Lui era il procuratore imperiale, una<br />

volta, e sappiamo entrambi come ha usato quell'incarico. Adesso<br />

non è altro <strong>che</strong> un messaggero esaltato, mandato in missione per<br />

svolgere l'incarico di qualcun altro. Non gli permetterò di usurpare i<br />

miei diritti. Io sono più importante di lui agli occhi di tutti.»<br />

Scossi la testa, scettico. «Ai suoi occhi non lo sarai.»<br />

«Che i suoi occhi siano dannati! Ti voglio ricordare una cosa,<br />

Publio.» <strong>La</strong> voce di Caio scricchiolava come ghiaccio. «I suoi occhi<br />

sono gli occhi di un Seneca, cosa <strong>che</strong> certo non li rende infallibili. Io<br />

sono più anziano di lui agli occhi di chiunque sia sano di mente e<br />

quel pilus prior non è uno sciocco. Ti garantisco <strong>che</strong> Seneca non avrà<br />

scelta. Se devo esercitare la mia influenza sul comandante delle<br />

truppe, su questo Marcello Viceré, per aggirarlo, non esiterò. Seneca<br />

non avrà altra scelta <strong>che</strong> quella di accompagnarmi a Londinium e di<br />

permettermi di fare il viaggio personalmente, con il mio prigioniero.<br />

E mi porterò una squadra dei nostri uomini migliori perché mi<br />

scortino lungo la strada di andata e di ritorno. Naturalmente la loro<br />

unica funzione sarà provvedere al tuo benessere. Non ti sarà fatto<br />

alcun male, amico, te lo prometto.»<br />

Ero ben lungi dal sentirmi rassicurato. «Bene, e cosa accade<br />

quando arriviamo a Londinium? Tieni a mente, se ci riesci, <strong>che</strong> io<br />

sono sempre proscritto per il presunto assassinio Quintilio Nesca, ad<br />

Aquae Sulis, e per il massacro dei suoi bravacci. Mi impic<strong>che</strong>ranno<br />

per quello, come minimo.»<br />

Caio scartò quell'ipotesi con un gesto. «Scioc<strong>che</strong>zze! È proprio<br />

questo il punto di tutta la situazione. Porteremo la nostra<br />

testimonianza per provare <strong>che</strong> non eri vicino a Nesca quella notte, e<br />

io userò ogni prerogativa del mio rango in tua difesa, compreso il<br />

mio personale giuramento e la mia garanzia come senatore di Roma<br />

e proconsole. Tutte le accuse contro di te saranno smantellate, te lo


assicuro. Saranno la mia parola e la mia reputazione contro quella di<br />

Seneca. Dubiti della riuscita?»<br />

Feci una smorfia di disappunto. «Cai,» dissi, «ti conosco da<br />

molto tempo ormai e non ti sei mai sbagliato su niente di<br />

importante. Non ancora.»<br />

«E questo non è il momento di iniziare a dubitare di me, Publio.<br />

Questa opportunità potrebbe essere mandata da Dio. Potrebbe<br />

risolvere tutti i nostri problemi. Aspetta e vedrai. Seneca sarà così<br />

contento di averti sotto custodia <strong>che</strong> accetterà la mia storia<br />

completamente. Non avrà la minima idea delle mie reali intenzioni e<br />

sarà fuori di qui e sulla via del ritorno senza sospettare niente delle<br />

nostre fortificazioni. Poi, quando saremo in salvo a Londinium, farò<br />

un voltafaccia nei suoi confronti <strong>che</strong> lo lascerà sbigottito. Cosa ne<br />

pensi?»<br />

Non potevo dire cosa ne pensavo. Sbuffai rumorosamente,<br />

gonfiando le guance, e scossi la testa,<br />

«Allora?» insistette. «Lo farai? Signifi<strong>che</strong>rà un trattamento rude<br />

per le prossime settimane, ma salverà la Colonia e ripulirà il tuo<br />

nome.»<br />

Mi alzai e mi versai una coppa di vino dalla brocca <strong>che</strong> era sul<br />

tavolo, rimanendo a fissare pensierosamente la mia bevanda,<br />

mentre passavo in rassegna quello <strong>che</strong> aveva detto. «Il mio nome<br />

non è mai stato macchiato, Cai. Non è mai stato noto ai miei nemici.<br />

Tutto quello <strong>che</strong> avevano era la mia descrizione. A dire la verità non<br />

mi sento pieno di gioia alla tua idea.» Vuotai la coppa in un sorso.<br />

«Contemporaneamente, però, guardando il tuo piano da ogni altro<br />

punto di vista tranne <strong>che</strong> dal mio, mi rendo conto <strong>che</strong> la cosa<br />

funziona. È brillante. Vorrei solo <strong>che</strong> qualcun altro potesse recitare<br />

la parte al mio posto. Ma hai ragione, bisogna fare così. Nessun altro<br />

andrebbe bene per Seneca a parte me... Spero <strong>che</strong> tu abbia ragione<br />

an<strong>che</strong> su tutto il resto.»<br />

Mi buttò le braccia al collo. «Ho ragione. Fidati.»


«Mi fido.» Trovai un sorriso per lui da qual<strong>che</strong> parte. «Ma tua<br />

sorella vorrà le tue palle per questo.»<br />

Lui fece un breve sorriso, un po' forzato. «<strong>La</strong>scia a me Luceia. È<br />

mia sorella e sa cosa vuol dire il dovere e cosa a volte comporti. Nel<br />

frattempo dovrai metterti degli altri vestiti. Vestiti vecchi e sporchi.<br />

Dovrai avere l'aspetto sgradevole <strong>che</strong> comporta la tua nuova<br />

professione.»<br />

Lo guardai diritto negli occhi, sorridendo. «Non è molto difficile<br />

per un fabbro. Carbone, fuliggine, fumo e cenere e vecchi vestiti<br />

sudati e puzzolenti. Avrò un aspetto sconveniente perfino per te.»<br />

Improvvisamente il mio sorriso si spense, il mio stomaco si strinse e<br />

la mia voce perse tutta la sua superficiale allegria. «Sarà dura, non è<br />

vero?»<br />

Lui mi afferrò una mano. «Sì, dura, ma temporanea.»<br />

Feci una smorfia, poi cercai di trasformarla in un sorriso, ma<br />

trasalii mentre, a malincuore, riconoscevo la spiacevole circostanza<br />

<strong>che</strong> era rimasta a gingillarsi nella mia coscienza per qual<strong>che</strong> tempo.<br />

«Fratello» dissi. «Adesso ti dirò qualcosa, una cosa <strong>che</strong> non sai. <strong>La</strong><br />

prospettiva <strong>che</strong> hai delineato, per quanto seria, non mi spaventa<br />

tanto quanto il compito <strong>che</strong> mi aspetta ora, perché sbagli in quello<br />

<strong>che</strong> dici, almeno su un punto. Devo essere io a dirlo a Luceia, non tu.<br />

E quando saprà cosa sta succedendo qui, preferirei non assistere alla<br />

sua reazione. Per una volta ti garantisco <strong>che</strong> il senso del dovere e i<br />

suoi obblighi non avranno nessun effetto.»<br />

Quando finii di parlare Caio aveva la fronte aggrottata. «Cosa<br />

intendi dire?»<br />

«Intendo dire <strong>che</strong> mia moglie, <strong>che</strong> in questa situazione è solo<br />

incidentalmente tua sorella, sarà infuriata oltre ogni dire e avrà tutte<br />

le ragioni di esserlo. Sarà offesa, scandalizzata e desiderosa di<br />

vendetta, amareggiata e profondamente ferita da quello <strong>che</strong><br />

considererà un tradimento.»


«Tradimento? Non ti seguo. Tradimento da parte di chi?»<br />

«Da parte mia, Caio, da parte mia! Lei attribuisce una grande<br />

importanza all'onestà e alla sincerità tra lei e me, lo ha sempre fatto,<br />

fin dall'inizio della nostra vita insieme. E adesso ho tradito la sua<br />

fiducia, con il silenzio e con un segreto non necessario. Luceia non è<br />

a conoscenza del mio tentativo di uccidere Seneca, Cai, non sa<br />

niente. Ne abbiamo parlato tu e io, ma lo credevamo morto, come<br />

hai detto poco fa. Non ho mai raccontato quella storia a Luceia,<br />

perché il massacro di Titente e i maltrattamenti di Ligno a suo figlio<br />

sono stati di una violenza indicibile. Ho dimenticato quell'episodio...<br />

volutamente, lo ammetto, e completamente. Ma ci sbagliavamo.<br />

Quel figlio di puttana è vivo e adesso è qui e il nostro unico piano<br />

contro di lui è quello di consegnarmi prigioniero. Tua sorella non lo<br />

accetterà facilmente.»<br />

Caio era impallidito comprendendo il significato delle mie<br />

parole; si coprì gli occhi con le mani e parlò attraverso i pugni. «Non<br />

ci avevo pensato, Publio. Dio mi aiuti, non ci avevo pensato e hai<br />

ragione. Non ci perdonerà mai.»<br />

«Oh, sì, ti perdonerà, Cai, purché il tuo piano riesca, ma<br />

potrebbe non perdonare me, qualunque sia il risultato.» Si tolse le<br />

mani dalla faccia. «Cosa le dirai?» Mi strinsi nelle spalle. «Quello <strong>che</strong><br />

devo. Prega Dio per me <strong>che</strong> mi mandi le parole giuste, an<strong>che</strong> se<br />

dubito <strong>che</strong> an<strong>che</strong> Lui le possa trovare. Adesso è meglio <strong>che</strong> vada.<br />

Ogni attimo <strong>che</strong> passa divento più codardo e apprensivo.»<br />

Trovai Luceia nella stanza di famiglia <strong>che</strong> disponeva fiori secchi<br />

in un cestino.<br />

Mi guardò sorpresa, aggrottò la fronte, poi abbassò rapidamente<br />

le mani da quello <strong>che</strong> stava facendo, e socchiuse leggermente gli<br />

occhi contro il sole del pomeriggio per guardarmi attentamente.<br />

«Cosa c'è <strong>che</strong> non va, Publio? Perché sei qui? Sono arrivati?»


Scossi la testa. «No, non ancora, ma sono per strada.» Mi diressi<br />

verso un divano con tutta la risolutezza di cui disponevo. «Ma ho<br />

qualcosa da dirti e te lo devo dire adesso. Vieni a sederti.»<br />

Mi venne vicino, senza dire niente, limitandosi a scrutarmi con<br />

gli occhi socchiusi. Esitai prima ancora di parlare, gesticolando<br />

inutilmente, poi trassi un profondo respiro e mi buttai, determinato<br />

a farmi largo attraverso quello <strong>che</strong> avevo da dire. Riuscii solo a<br />

essere prolisso, impreciso e pomposo.<br />

«Luceia, è successo qualcosa... una cosa <strong>che</strong> non ti piacerà, uno<br />

sviluppo imprevisto di grande importanza. Un fatto inquietante e<br />

spaventoso e <strong>che</strong> diventa ancora peggiore a causa di una cosa <strong>che</strong><br />

non ti ho detto.»<br />

<strong>La</strong> sua espressione era divenuta molto più intensa, i suoi occhi<br />

acuti. «Dimmi quello <strong>che</strong> vuoi dire, Publio. Qualcuno è stato ferito?<br />

Caio?»<br />

«No, no, niente di simile. Ha a <strong>che</strong> fare con l'ispezione; qualcosa<br />

<strong>che</strong> non avremmo mai sospettato... e con me, e con te...»<br />

«In nome di Dio, marito, dimmi cos'è! <strong>La</strong> tua agitazione e la tua<br />

reticenza mi stanno facendo paura! Che cosa non mi hai detto? Ha a<br />

<strong>che</strong> fare con l'ispezione, e allora dimmi!»<br />

Trattenni il respiro, poi parlai tutto d'un fiato. «L'ispettore è<br />

Claudio Seneca, <strong>che</strong> io credevo morto. Plauto ci ha mandato un<br />

avvertimento del suo arrivo, un messaggio <strong>che</strong> è stato consegnato a<br />

Caio in segreto dal pilus prior <strong>che</strong> faceva parte dell'avanguardia.»<br />

Si premette il dorso della mano contro le labbra, costernata. «Ne<br />

sei certo?»<br />

«Completamente. Assolutamente. Non possono esserci<br />

fraintendimenti, il messaggio era destinato a me. Plauto dice <strong>che</strong> Dio<br />

cavalca con il pilus prior. Gli amici di Seneca lo chiamavano Dio:<br />

Deus, il diminutivo blasfemo per Claudio.<br />

Plauto era con me quando l'ho incontrato la prima volta e li


abbiamo sentiti usare quel nome. Non posso sbagliarmi. Seneca è<br />

l'ispettore mandato a scoprire tracce di tradimento nella nostra<br />

Colonia. Pensi <strong>che</strong> non ne troverà, vizioso e pazzo com'è, appena<br />

sentirà il nome Britannico?»<br />

Rimase seduta a guardarmi in silenzio per lo spazio di pochi<br />

attimi, poi mi chiese cosa intendevamo fare Io mi strinsi nelle spalle<br />

e le dissi <strong>che</strong> Caio aveva ideato un piano per impedirglielo, ma<br />

prima di parlargliene dovevo dirle un'altra cosa. Strinse le labbra<br />

come per mandare un bacio, ma la sua bocca non era né morbida né<br />

invitante.<br />

«Allora hai un segreto, marito!»<br />

Annuii, sentendomi malissimo.<br />

«E lo vuoi condividere con me adesso?» Potei solo annuire di<br />

nuovo. «Questo è... spiacevole,» disse Luceia, con una voce<br />

stranamente gentile e gli occhi pieni di preoccupazione, «perché<br />

devo presumere <strong>che</strong> è solo l'emergenza <strong>che</strong> ti costringe a<br />

liberartene... E questo mi porta a chiedermi, e se ci pensi sarai<br />

d'accordo con me, ne sono sicura, quanti altri segreti puoi<br />

nascondere in petto, in attesa <strong>che</strong> si presentino simili emergenze.<br />

Mmm?»<br />

Mi agitai. «Non ce ne sono altri, nessuno.» Che bugiardo ero, la<br />

faccia di Cilla Titente rideva di me, dentro la mia mente, mentre<br />

proseguivo in fretta prima <strong>che</strong> Luceia potesse scoprire an<strong>che</strong> quel<br />

tradimento. «E non ho mai avuto intenzione di dirtelo<br />

semplicemente perché pensavo <strong>che</strong> avrebbe causato inutile dolore e<br />

litigi...»<br />

«Farai meglio a dirmelo.»<br />

Deglutii. «Seneca. Ho cercato di ucciderlo e lui mi ha visto in<br />

faccia.»<br />

«E allora? Questo lo sapevo, Publio, ma è stato molto tempo fa,<br />

prima <strong>che</strong> tu venissi qui.»


Alzai la mano per interromperla. «No. Intendo un'altra volta,<br />

pochi anni fa, qui, nell'Ovest, vicino ad Aquae Sulis, proprio la<br />

prima volta <strong>che</strong> incontrammo Ullic, quando tu volevi<br />

accompagnarci, ricordi?»<br />

Aggrottò la fronte perplessa.<br />

«Ricordo chiaramente, ma non so di cosa stai parlando, an<strong>che</strong> se<br />

hai detto <strong>che</strong> lo credevi morto.»<br />

Dapprima lentamente, facendo delle pause, poi con sempre<br />

maggiore eloquenza, le raccontai l'intera storia di quella <strong>che</strong> avevo<br />

creduto essere la morte di Seneca, e di come ne avevo denunciato la<br />

colpa: avevo inviato degli uomini per rapirlo dal suo nascondiglio di<br />

Aquae Sulis, lo avevo tenuto prigioniero nella radura nella foresta e<br />

alla fine lo avevo ammazzato, pensavo, e poi ero stato troppo<br />

disgustato per tagliargli la testa. Luceia ascoltò in completo silenzio,<br />

pallida, ma senza tradire i suoi pensieri nemmeno quando le spiegai<br />

le ragioni del mio silenzio allora e in seguito.<br />

Quando ebbi finito rimase a sedere rigida come una pietra,<br />

meditando per quello <strong>che</strong> mi sembrò un tempo senza fine.<br />

«E Caio lo sapeva?»<br />

Mi strinsi nelle spalle, sentendomi ancora peggio. «Lo ha saputo<br />

solo di recente, subito prima <strong>che</strong> l'affare Titente deviasse ogni nostro<br />

pensiero su altre cose... Volevo dirtelo allora, an<strong>che</strong> a te...» <strong>La</strong> mia<br />

voce tremò, quelle rutili, inutili parole mi fecero odiare me stesso.<br />

«Avresti dovuto decapitarlo, marito,» disse Luceia finalmente,<br />

«e avresti dovuto dirmelo subito. Oppure avresti potuto dirmelo<br />

dopo. In qualunque momento, ma non adesso.»<br />

Annuii, pieno di angoscia e di vergogna, sentendomi infantile e<br />

inferiore, ma Luceia non aveva ancora finito, e il quadro della mia<br />

ignominiosa caduta non aveva neppure iniziato a delinearsi.<br />

«Ne siamo stati gravemente danneggiati, tu e io» continuò<br />

lentamente, prima <strong>che</strong> io potessi trovare una sola parola. «E io non


so ancora quanto grande sia il danno.» Trasse un enorme respiro e<br />

raddrizzò le spalle, spingendo in avanti il petto, prima di buttare<br />

fuori il fiato, mentre un profondo solco compariva sulla sua fronte.<br />

Batté un dito tra i seni, contro lo sterno. «Qualcosa si è rotto, qui<br />

dentro, penso... e senza <strong>che</strong> fosse necessario, Publio... Qualcosa <strong>che</strong><br />

era prezioso e fragile... Non ho mai pensato di vederti inferiore al<br />

gigante <strong>che</strong> avevo sposato... Immaturità... insicurezza... erano parole<br />

<strong>che</strong> non avrei mai applicato a te prima d'oggi, e questo triste piccolo<br />

segreto con un migliaio di piccoli uncini... Capisci <strong>che</strong> quello <strong>che</strong> hai<br />

fatto fisicamente a Seneca non è importante, Publio? Capisci dove è<br />

la vera tragedia? Claudio Seneca è a stento un essere umano. <strong>La</strong> sua<br />

morte sarebbe stata una benedizione agli occhi di tutti. Ma <strong>che</strong> lui,<br />

tra tutti quanti, dovesse essere la causa, per aver taciuto, è<br />

incredibile...»<br />

«Luceia...»<br />

«Taci!» Alzò la mano con gesto perentorio, facendomi tacere, e<br />

rimasi a sedere in silenzio, avvilito, mentre lei mi guardava con<br />

occhi assenti e turbati. «Ne parleremo più tardi, Publio, solo tu e io»<br />

sussurrò alla fine. «Devo riflettere se esiste la possibilità <strong>che</strong> le nostre<br />

vite continuino a essere quello <strong>che</strong> erano.»<br />

Nella sua voce c'era un tono spento, stranamente senza vita, <strong>che</strong><br />

improvvisamente mi raggelò e mi terrorizzò. Per la prima volta<br />

valutai veramente, con un certo grado di obiettività e di precisione,<br />

quanto gravemente avessi sbagliato; quanto gravemente avessi<br />

danneggiato la verità centrale della mia vita, la sua chiave di volta:<br />

l'amore <strong>che</strong> dividevo con quella donna. E tutto ciò <strong>che</strong> sentivo era<br />

amplificato dal senso di colpa <strong>che</strong> mi divorava a causa di Cilla<br />

Titente. Che cosa sarebbe successo, mi chiesi, se quello spettro fosse<br />

venuto alla luce un giorno?<br />

Quell'atroce terrore aveva allontanato dalla mia mente ogni<br />

pensiero di Seneca e dell'ispezione. Il cuore mi batteva all'impazzata<br />

nella gabbia toracica, e mi sembrava di avere in bocca un ramo secco


al posto della lingua. E come se non bastasse Luceia si alzò e parlò<br />

come il comandante <strong>che</strong> avrei dovuto essere io.<br />

«Ma adesso ci sono cose più impellenti <strong>che</strong> ci riguardano. Hai<br />

detto <strong>che</strong> Cai ha preparato un piano per affrontare quel rifiuto<br />

umano. Dimmelo.»<br />

Deglutii, mi succhiai la lingua nello sforzo di inumidirla e cercai<br />

di parlare, paventando le parole <strong>che</strong> stavo per dire, ma Luceia mi<br />

interruppe di nuovo prima <strong>che</strong> potessi cominciare.<br />

«No, fermo! Non posso ascoltarti adesso.» Si raddrizzò ancora,<br />

senza guardarmi. «Posso sembrarti molto calma ma dentro voglio<br />

solo urlare, dare in escandescenze e picchiarti. Ho bisogno di<br />

tempo... di rimanere sola. Hai detto <strong>che</strong> il piano è di Caio. Bene,<br />

voglio sentirlo dalle sue labbra. Adesso vai e portalo qui. Mentre<br />

sarai lontano cer<strong>che</strong>rò di controllarmi. Vai!»<br />

Sentendomi in colpa, incapace di far altro, mi inchinai<br />

formalmente e la lasciai in piedi davanti al divano; la mia anima era<br />

invasa dal freddo, impersonale distacco del suo congedo.<br />

Nel quarto d'ora <strong>che</strong> mi ci volle per trovare Caio ripresi una<br />

sufficiente compostezza per nascondere ai suoi occhi la disperazione<br />

della mia miseria. In risposta alle sue domande sulla reazione di<br />

Luceia nei confronti della mia confessione, mormorai qualcosa su un<br />

vulcano <strong>che</strong> non aveva ancora avuto il tempo di caricarsi per<br />

l'eruzione, e Caio accettò le mie parole senza obiezioni né commenti.<br />

Quando però lo informai <strong>che</strong> Luceia non sapeva ancora quale fosse<br />

il suo piano, e <strong>che</strong> lo stava aspettando per sentirselo esporre di<br />

persona, la sua calma si alterò visibilmente e provai un piacere<br />

egoistico e maligno nel vedere <strong>che</strong> nemmeno il proconsole era<br />

insensibile alla collera della sorella.<br />

Entrammo nella stanza e subito Luceia gli si avvicinò. Il suo<br />

comportamento era ancora freddo e distaccato, e non potei dire se il


suo tentativo di padroneggiarsi aveva avuto successo. I suoi<br />

commenti iniziali, però, non furono incoraggianti.<br />

«Publio mi dice <strong>che</strong> Seneca è in arrivo, a po<strong>che</strong> ore da qui, e <strong>che</strong><br />

tu hai ideato un piano per ostacolarlo. Questo piano metterà in<br />

pericolo me o la mia famiglia?»<br />

Caio si schiarì la voce, evidentemente decidendo di procedere<br />

con circospezione. «Questa è un'accoglienza brusca, mia cara, ma<br />

capisco cosa ti preoccupa. Tu e le bambine sarete al sicuro, an<strong>che</strong> se<br />

la presenza di un Seneca comporta sempre un certo pericolo per<br />

tutti.»<br />

«E allora fallo ammazzare appena arriva.»<br />

«Fallo cosa...?» Per la prima volta da quando lo conoscevo Caio<br />

Britannico era senza parole. Si girò verso di me, cercando un<br />

sostegno <strong>che</strong> non trovò. «Ma, Luceia, sorella cara, questo non è né<br />

possibile, né pratico...»<br />

Luceia lo aggredì come una leonessa. «Balle, fratello! È entrambe<br />

le cose. Anzi è molto di più, è la sola cosa ragionevole da fare. In<br />

termini di possibilità mio marito, qui presente, può abbatterlo da<br />

mezzo miglio di distanza con un'unica freccia del suo arco. E dal<br />

punto di vista pratico questo risolverebbe tutti i nostri problemi,<br />

proteggerebbe la nostra gente e libererebbe il mondo da una<br />

pestilenza. Quello di cui stiamo parlando è un animale rabbioso,<br />

non un uomo.»<br />

«Luceia...»<br />

«Non ti appellare a me, Caio. Ordina <strong>che</strong> sia fatto. Dubito e<br />

qualcuno nella sua scorta ti biasimerà.»<br />

«In nome di Dio, Luceia, pensa a quello <strong>che</strong> stai dicendo! Un<br />

inviato imperiale. Fargli del male sarebbe un tradimento, <strong>che</strong><br />

comporterebbe morte e proscrizione.»<br />

«E cos'altro esiste per noi se viene lasciato in vita e libero di<br />

guardarsi intorno, uomo senza senno? Una fortezza! E un esercito


privato con una bella uniforme! Un tradimento, <strong>che</strong> comporta morte<br />

e proscrizione! Tutto il nostro modo di vivere è un tradimento delle<br />

leggi di Roma. Per l'amor di Dio, fratello, non riesci a vedere la<br />

necessità di battere il ferro finché è caldo? Uccidilo da lontano, poi<br />

dai la colpa ai fuorilegge e affronta la situazione! <strong>La</strong> tua influenza è<br />

grande quanto la sua. Più grande, in effetti, perché tu hai il rispetto<br />

della gente. Uccidilo, Caio, sfrutta il tuo titolo di proconsole, prima<br />

<strong>che</strong> possa causare la morte di tutti noi.»<br />

«Questa è una follia. Non ti ho mai sentito parlare in questo<br />

modo, Luceia. Faccio fatica a crederci.»<br />

«Non sono mai stata minacciata in questo modo prima! E trovo<br />

<strong>che</strong> an<strong>che</strong> la tua stupidità sia difficile da credere. Quest'uomo è tuo<br />

nemico e tu lo tratti con maschia nobiltà. Dio ti aiuti, ma se lui porta<br />

la sua verminosa esistenza sulle mie terre, minacciando di<br />

spodestare e rovinare me e la mia famiglia...»<br />

Interruppe la sua invettiva, facendo un palese sforzo per<br />

calmarsi, e poi riprese con un tono di voce più normale «Questo tuo<br />

piano, posso sentirlo?»<br />

«Certamente, se prometti di ascoltarmi e di non interrompermi<br />

come una pescivendola, mentre te ne parlo.»<br />

Luceia strinse le narici inspirando a fondo, ma annuì e Caio<br />

procedette a delineare la sua idea, schiarendosi di nuovo la voce<br />

prima di cominciare e aspettandosi palesemente di essere attaccato<br />

in ogni punto. Luceia invece rimase seduta e ascoltò in silenzio come<br />

aveva promesso, mentre il suo viso diventava più duro a ogni<br />

dettaglio.<br />

«Allora,» disse quando suo fratello ebbe finito di parlare, a voce<br />

bassa ma tremante, «tu salverai la mia vita e quella delle mie figlie,<br />

salverai la vita di tutti, offrendo mio marito a quel mostro, per finta<br />

ovviamente, come un prigioniero inerme, confidando nella tua<br />

probità e nella tua forza per controbilanciare e sconfiggere la sua<br />

pazzia? È questo <strong>che</strong> mi stai dicendo?»


Caio fece una smorfia e annuì. «Lo esprimi in termini crudi, ma,<br />

sì, è quello <strong>che</strong> sto dicendo.»<br />

«E tu <strong>che</strong> cosa ne pensi, marito? Sei pronto a dare la tua fiducia a<br />

questo piano, a offrirti inerme e in catene a Claudio Seneca?»<br />

Annuii, sentendomi più controllato. «Penso <strong>che</strong> funzionerà.»<br />

«Lo pensi? Allora sei uno sciocco, mio caro, ancora più sciocco<br />

del mio nobile fratello, perché è la tua vita <strong>che</strong> sarà a rischio.» I suoi<br />

occhi ritornarono su Caio. «Ci sarà un momento in cui saprai se<br />

questo piano può funzionare o no. Quando sarà?»<br />

«Stasera, pochi istanti dopo l'apparire di Publio.»<br />

«Cosa accadrà allora?»<br />

«Ci sarà uno scontro di volontà, di personalità, tra me e Seneca,<br />

e una scelta di lealtà da parte degli ufficiali della squadra imperiale.<br />

Si schiereranno con me o con lui.»<br />

«Mmm. Cosa accadrà se Seneca assalirà Publio appena lo vedrà?<br />

È abbastanza pazzo da cercare di farlo.»<br />

«Morirà, prima di potersi an<strong>che</strong> solo avvicinare. Questa crebbe<br />

la cosa migliore <strong>che</strong> possa succedere. Perché sarebbe colpevole di<br />

violazione flagrante di tutte le leggi sulla condotta e sull'ospitalità.»<br />

«E cosa ti convincerà <strong>che</strong> il tuo piano può avere successo?»<br />

«<strong>La</strong> scelta degli uomini della scorta di Seneca di essere leali a<br />

me, e la loro accettazione del mio rango e del mio stato.»<br />

«E se restano dalla parte di Seneca?»<br />

«Publio scapperà durante la notte e la squadra imperiale sarà<br />

uccisa il giorno successivo.»<br />

«In <strong>che</strong> modo?»<br />

«Richiamerò stanotte le nostre forze e li attac<strong>che</strong>remo. Saremo<br />

superiori di numero nella proporzione di cinque a uno.»<br />

«E quando non faranno ritorno a Londinium?»


«Allora dovremo assumerci il rischio. Niente sarà cambiato dal<br />

tuo prospetto. Affronteremo la morte e la proscrizione. Ma non<br />

credo <strong>che</strong> succederà.»<br />

«Ah, non credi. Capisco.» Io stesso non riuscivo a credere<br />

quanto la voce di mia moglie fosse stata fredda e scostante durante<br />

quello scambio di opinioni. «Ancora una domanda. Cosa accadrà se<br />

Seneca accetta per salvare le apparenze, e poi uccide Publio lungo la<br />

strada?»<br />

«Non è possibile, no, lascia <strong>che</strong> mi esprima meglio. È possibile,<br />

lo ammetto, ma altamente improbabile. <strong>La</strong> decisione di procedere o<br />

meno nel piano si baserà sulla mia valutazione del livello e della<br />

affidabilità degli ufficiali di scorta. Se non sono convinto non<br />

andremo; e se andremo Publio sarà guardato notte e giorno dai<br />

nostri uomini... I nostri uomini migliori.»<br />

Sua sorella gli aveva voltato le spalle e aveva attraversato la<br />

stanza diretta al braciere, dove rimase a lungo, guardando i carboni<br />

spenti per un lungo momento. Alla fine si girò e ci guardò, prima<br />

uno e poi l'altro.<br />

«Sai <strong>che</strong> c'è stato un momento, Caio, in cui io ho temuto <strong>che</strong> tu<br />

scoprissi <strong>che</strong> ero diventata ricca ereditando la fortuna di zia Liga?<br />

Sapevo <strong>che</strong> la disapprovavi come donna, donna romana <strong>che</strong> non si<br />

era mai sposata e aveva guadagna tutti quei soldi con il commercio.»<br />

Scosse la testa. «Avevo paura <strong>che</strong> tu, un uomo, disapprovassi me,<br />

una donna... Adesso so <strong>che</strong> la differenza tra noi, tra uomini e donne,<br />

non è una differenza di sesso, ma di specie. Siamo animali diversi. E<br />

voi uomini, adesso lo so, siete creature deboli in confronto a noi in<br />

situazioni come questa. Disapprova pure, fratello.» A quel punto<br />

guardò me. «Andate a giocare il vostro stupido, inutile, gioco<br />

d'onore e ballate la danza del destino secondo le vostre regole. Per<br />

quanto tempo starete via?»<br />

Scossi la testa, guardando Caio. Lui si strinse nelle spalle<br />

«Tre settimane, forse quattro.»


Luceia annuì. «Molto bene. Ho bisogno di quel tempo per le mie<br />

decisioni. Ho molto su cui pensare. Ma sappiate questo, voi due.<br />

Non prenderò parte a questa scioc<strong>che</strong>zza. Non voglio essere<br />

coinvolta in nessun modo, oltre <strong>che</strong> a dover sopportare le cose come<br />

sono. Non cercate di farmi partecipare a nessuna fase di questa<br />

follia. Andate con Dio, entrambi, ma senza la mia benedizione. E,<br />

Caio, se fallisci, se perdi mio marito, non tornare.»<br />

Uscì dalla stanza e ci lasciò a fissarla con gli occhi sbarrati.


XII.<br />

Era quasi buio quando Vegezio Sulla aprì la porta della casupola<br />

di pietra <strong>che</strong> era diventata la mia prigione. Giacevo sul pavimento<br />

coperto di paglia, con le braccia e le gambe <strong>che</strong> mi dolevano per le<br />

catene. Avevo l'occhio sinistro gonfio, completamente chiuso e<br />

incrostato di sangue dove Vegezio mi aveva colpito poco prima con<br />

l'elsa della spada. Entrò e si acquattò vicino a me.<br />

«Sono pronti, Publio. Il pubblico è raccolto e il circo è preparato.<br />

Caio ha detto loro di come ti abbiamo catturato e dei suoi progetti.<br />

Adesso stanno aspettando di vederti. Come ti senti?»<br />

Cercai di umettare le labbra sec<strong>che</strong>, spaccate da un manrovescio<br />

quando mi avevano chiuso nella casupola. «Dammi da bere.» Mi<br />

sembrò nettare. Mi sciacquai la bocca e sputai. «Come mi sento? È<br />

una domanda dannatamente stupida. Che aspetto ho?»<br />

Vegezio rabbrividì. «Orribile, e puzzi come un caprone.<br />

Esattamente come uno sporco bandito cattivo <strong>che</strong> è stato<br />

giustamente pestato dopo essere stato catturato.»<br />

«Bene, questo è l'aspetto <strong>che</strong> devo avere.»<br />

«Riesci a stare in piedi?»<br />

Cercai di farlo. «No. Dovrai aiutarmi.»<br />

<strong>La</strong>nciò un comando e un giovane soldato entrò e si fermò con gli<br />

occhi spalancati a fissarmi con orrore.<br />

«Aiuta il prigioniero ad alzarsi.»<br />

Il giovane si chinò per obbedire, trattandomi come se fossi<br />

fragile, con evidente rispetto. Quando fui in piedi Vegezio infilò<br />

l'asta di una lancia nello spazio tra i gomiti piegati la schiena,<br />

immobilizzandomi e tendendo sul ventre la catena <strong>che</strong> mi stringeva<br />

i polsi.


Lo sguardo negli occhi del giovane soldato mi faceva paura.<br />

«Aspettate!» Si fermarono e mi rivolsi al giovane, articolando a<br />

fatica le parole attraverso le labbra riarse. «Senti, ragazzo, questo è<br />

stato fatto con uno scopo. Te lo hanno spiegato?» Annuì. «Bene.<br />

Allora togliti quell'espressione dalla faccia. Se ti vedono ci tradirai<br />

tutti. Questa è solo una mas<strong>che</strong>rata, ma deve sembrare autentica.<br />

Ricorda, io non sono Publio Varro, sono un ribelle catturato, un<br />

assassino e un bandito. Sono un prigioniero e se provi qualcosa nei<br />

miei confronti deve essere indifferenza mista a odio. Hai capito?»<br />

Annuì di nuovo. «Bene, allora cambia quell'espressione e dammi un<br />

gran colpo. Poi tirami su e trascinami dentro da Caio Britannico.»<br />

Guardò Vegezio per avere conferma.<br />

Vegezio annuì. «Colpiscilo, forte, e trattalo come una bestia<br />

d'ora in poi. Se la gente sospetta i nostri propositi è un uomo<br />

morto.»<br />

Il giovane strinse la mascella e mi diede un colpo con la spada,<br />

sbattendomi a terra e facendomi perdere i sensi.<br />

Quando mi ripresi mi stavano trascinando di fronte a Caio e ai<br />

suoi visitatori. Ero in mezzo a due guardie, una per parte, <strong>che</strong> mi<br />

reggevano ognuna per l'estremità dell'asta infilata sotto i gomiti,<br />

portandola sulle spalle in modo <strong>che</strong> i miei piedi ciondolavano sul<br />

pavimento e tutto il peso pendeva dalle torturate giunture delle<br />

spalle. Non facevo fatica a recitare la mia parte e il dolore <strong>che</strong><br />

sentivo era perfettamente reale. Sentii qualcuno dare bruscamente<br />

l'ordine di fermarsi e le due guardie si fermarono di colpo e mi<br />

misero giù. Le ginocchia mi si piegarono e sarei caduto se le guardie<br />

non mi avessero sorretto.<br />

Mi morsicai forte le labbra, cercando di controllarmi, e sentii un<br />

lamento lontano. "Luceia," pensai, "sii forte! Non fare <strong>che</strong> vedano la<br />

tua pena!" Ma il lamento continuava e mi resi conto <strong>che</strong> proveniva<br />

da me. Lo interruppi e rimasi lì appeso, sostenuto dalle guardie.


«E questo sarebbe un generale?» <strong>La</strong> voce era carica di disprezzo.<br />

Era profonda e aveva un timbro piuttosto piacevole, non riuscivo ad<br />

associarla al Seneca <strong>che</strong> ricordavo.<br />

«No,» rispose Caio, «non un generale, Claudio Seneca, soltanto<br />

un capo di ribelli.»<br />

<strong>La</strong> voce di Caio, comodamente seduto sulla sua seggiola,<br />

sembrava rilassata. «Ammetto <strong>che</strong> ha un aspetto un po' logoro e<br />

molto meno marziale di quando lo abbiamo preso. Senza l'armatura,<br />

le armi e i suoi ribelli è sceso a proporzioni umane. Una settimana fa,<br />

però, ti posso assicurare <strong>che</strong> la sua reputazione era temibile e le sue<br />

scorrerie formidabili.»<br />

<strong>La</strong> voce profonda sembrava annoiata. «Formidabile forse qui, in<br />

queste acque stagnanti. Altrove sarebbe stato solo una zanzara da<br />

schiacciare distrattamente. Quest'uomo è palesemente un disertore.<br />

Impiccalo, ti dico, e falla finita.»<br />

«No.» Caio parlò di nuovo. Ero sorpreso dalla facilità con cui li<br />

udivo discutere. Ero molto vicino al loro tavolo. «No. Sarà portato in<br />

una gabbia aperta fino a Londinium, per servire di esempio, come ti<br />

ho detto. È un ribelle. <strong>La</strong> sua umiliazione deve essere pubblica e<br />

spettacolare e deve servire a scoraggiare negli altri l'emulazione.<br />

Impiccarlo subito non sarebbe di nessuna utilità.»<br />

«Non sono d'accordo.» C'era una nota di petulanza adesso in<br />

quella voce profonda. «Dovrebbe essere già morto. I disertori<br />

devono essere giustiziati immediatamente, appena catturati.»<br />

«Questo non è un disertore, senatore. Almeno, non credo. È un<br />

veterano, certo, ma dubito <strong>che</strong> abbia disertato. Quest'uomo è<br />

storpio. Ha una ferita vecchia e grave; deve aver messo fine al suo<br />

servizio.»<br />

«Scioc<strong>che</strong>zze, Caio Britannico! Potrebbe avere ricevuto una<br />

ferita in qualsiasi momento.»<br />

«Non quella ferita, senatore, non se è un disertore. L'avrebbe


ucciso. Non sarebbe guarito da una ferita simile se non fosse stato<br />

ricoverato in un ospedale militare.»<br />

Un lungo silenzio fece seguito a queste parole. Nessuno parlava<br />

e io mi sentivo addosso gli occhi di tutti. Poi la stessa voce parlò di<br />

nuovo, petulante, come quella di un bambino viziato <strong>che</strong> parla con<br />

la bocca di un adulto.<br />

«Per tutti gli antichi dei, Caio Britannico, sei un uomo tedioso! I<br />

miei uomini hanno viaggiato con me attraverso queste terre per far<br />

scorrere un po' di sangue e tu togli loro questa soddisfazione! Come<br />

hai potuto fare quello <strong>che</strong> hai detto, combattere la battaglia <strong>che</strong> hai<br />

descritto e aver preso un solo prigioniero?» Fece una pausa come se<br />

aspettasse una risposta e poiché non ne ricevette alcuna continuò<br />

con quella voce bassa, stranamente piagnucolosa e petulante. «Non<br />

rispondi? Allora lascia <strong>che</strong> ti dica cosa penso. Penso <strong>che</strong> tu ne stia<br />

facendo un caso molto più grande di quello <strong>che</strong> è. Penso <strong>che</strong> vorresti<br />

farci credere di avere ottenuto una vittoria importante, mentre è<br />

stato solo uno scontro minore. Penso <strong>che</strong> domani vorrò venire con te<br />

a prendere visione delle rovine di quell'accampamento di ribelli e<br />

contare i corpi dei suoi compagni massacrati e penso <strong>che</strong><br />

dovremmo...»<br />

«Claudio Seneca!» <strong>La</strong> voce di Caio schioccò come una frusta.<br />

«Penso <strong>che</strong> sarò felice di fare come suggerisci, ma penso an<strong>che</strong> <strong>che</strong><br />

quando lo avrò fatto tu dovrai essere pronto a farmi le tue scuse per<br />

ogni macchia <strong>che</strong> avrai gettato sul mio onore! E penso an<strong>che</strong> <strong>che</strong> tu sia<br />

molto stanco, anzi esausto per il lungo viaggio. Non penso <strong>che</strong> tu<br />

voglia <strong>che</strong> io pensi <strong>che</strong> metti in dubbio la veridicità delle mie<br />

parole.»<br />

Non c'era nessun tentativo di nascondere la sfida nascosta in<br />

tanta enfasi. Seneca rimase in silenzio e Caio continuò. «E già <strong>che</strong><br />

stiamo discutendo così liberamente, rifletti. I miei uomini non sono<br />

soldati di Roma. Sono fattori e artigiani, robusti ma raramente<br />

violenti. Quando sono minacciati, però, reagiscono. Quando sono


offesi, vogliono vendicarsi. E quando sono stati provocati<br />

abbastanza da cercare vendetta non pensano a prendere prigionieri!<br />

Noi non abbiamo prigioni, né carcerieri qui. Io ho preteso solo il<br />

capo dei banditi. L'uomo crie vedi davanti a te è il solo prigioniero, il<br />

loro generale, come l'hai chiamato tu. Il loro dio storpio e<br />

zoppicante, il loro selvaggio Vulcano dai capelli grigi! Sarà<br />

impiccato, ma a Londinium, e ce lo condurrò io stesso. Portatelo<br />

via!» Quest'ultima frase era rivolta alle mie guardie, <strong>che</strong><br />

cominciarono a trascinarmi via.<br />

«Aspetta!» <strong>La</strong> voce risuonò stridula.<br />

L'esca era stata mangiata. Trassi un profondo respiro di dolore.<br />

«Cosa hai detto, Britannico? Come lo hai chiamato?»<br />

«Come l'ho chiamato? L'ho chiamato Vulcano, come il dio<br />

zoppo.»<br />

«È questo il suo nome? Vulcano?» Quel sibilo velenoso adesso<br />

mi ricordava un serpente. «Alzategli la faccia! Fatemi vedere la sua<br />

faccia!»<br />

Sentii delle dita tirarmi per i capelli e forzarmi dolorosamente la<br />

testa all'indietro. Attraverso le lacrime <strong>che</strong> mi sgorgarono<br />

istantaneamente dagli occhi lo vidi avvicinarsi a me, quasi<br />

scivolando di lato, pronto a balzare via, al sicuro, al minimo segnale<br />

di minaccia. Venne più vicino, sempre più vicino, scrutando la mia<br />

faccia incrostata di sporcizia e di sangue, cercando un ricordo.<br />

«Potrebbe essere» sussurrò. «Allontanatevi da lui!» Adesso<br />

stava urlando alle guardie. «<strong>La</strong>sciatelo stare in piedi da solo!» Sentii<br />

il mio sostegno allontanarsi e appoggiai tutto il peso sui piedi.<br />

Seneca si allontanò da me, con le braccia tese, gesticolando. Sbattei le<br />

palpebre per vedere meglio. Caio era in piedi dietro di lui, contratto,<br />

pronto a intervenire. Tutti gli altri nella stanza guardavano la scena<br />

increduli. Fissai gli occhi in quelli lampeggianti di Seneca <strong>che</strong><br />

diceva: «Tu! Sei tu, vero? Vieni, cammina verso di me, figlio di<br />

puttana!».


Barcollai, ma non avanzai verso di lui, ricordando le parole di<br />

Plauto la prima volta <strong>che</strong> lo avevamo incontrato: la faccia di un dio e<br />

la personalità di una vipera cornuta. Oggi era un dio con il naso<br />

malamente rotto. Cominciò a girarmi intorno da sinistra, fuori dal<br />

mio campo visivo; lo ignorai, guardando invece gli sconosciuti<br />

raggruppati intorno al tavolo. Erano quattro, tutti giovani, e tutti<br />

guardavano Seneca come dei bambini avrebbero guardato un nuovo<br />

tipo di lucertola molto brutta. Improvvisamente Seneca afferrò<br />

un'estremità dell'asta, la torse con violenza e mi diede un calcio,<br />

urlando: «Cammina, figlio di puttana!» Io incespicai e caddi a faccia<br />

in giù. Mentre giacevo a terra mi sferrò un calcio in un fianco e sentii<br />

Caio urlare il suo nome. Un'ondata di nausea mi assali e quasi<br />

svenni. Lo sentivo ringhiare sopra di me. Due guardie mi rimisero in<br />

piedi. Seneca mi voltava le spalle, gesticolando in modo sfrenato, e<br />

urlava rivolto al gruppo intorno al tavolo. Deglutii la saliva,<br />

cercando di inghiottire il dolore.<br />

«Seneca!» Non fu necessario dirlo più forte. Rimase paralizzato<br />

a metà di un gesto e si girò lentamente verso di me, con<br />

un'espressione quasi comica di riconoscimento nell'udire la mia<br />

voce. Mi sforzai di sorridere. «Miserabile pederasta. L'ultima volta<br />

<strong>che</strong> ci siamo incontrati ho ceduto al disgusto, e ti ho lasciato ad<br />

attendere la morte, invece di ucciderti come avrei dovuto. <strong>La</strong><br />

prossima volta <strong>che</strong> ti avrò sulla punta della spada stai sicuro <strong>che</strong> ti<br />

taglierò la testa, come si fa con i serpenti.»<br />

I suoi occhi mandarono lampi e lanciò un urlo, poi un coltello<br />

apparve nelle sue mani come per magia. Si scagliò su di me, ma per<br />

quanto rapido fosse, Vegezio Sulla lo fu di più e lo trattenne per un<br />

braccio prima <strong>che</strong> mi si potesse avvicinare. L'intera sala esplose, e<br />

sentii Caio urlare: «Portate quest'uomo fuori di qui! Nella sua cella!<br />

E incatenatelo al pavimento!»<br />

Fui trascinato via.


Ore dopo, sul finire della notte, poco prima dell'alba, Caio venne<br />

da me e si sedette sul pavimento, strofinandomi i capelli e<br />

appoggiandomi una mano sul collo.<br />

«Allora?» gracchiai. «Come siamo andati?»<br />

Scosse la testa. «Non avrebbe potuto andare meglio per noi,<br />

Publio. Il mio solo dispiacere è <strong>che</strong> tu debba sopportare tutto<br />

questo.»<br />

Grugnii. «Se questo può servire a confondere quel rabbioso<br />

figlio di una vacca rognosa, farò an<strong>che</strong> dieci volte di più. Non te<br />

l'avevo detto? Non è impressionante da guardare?»<br />

«È un cane impazzito. I suoi soldati hanno terrore di lui.» Scosse<br />

la testa. «Publio, è molto peggio di come lo avevi descritto e non hai<br />

mai mancato di calore nel condannarlo.»<br />

Raddrizzai la gamba, gemendo per il dolore. «Cosa è successo<br />

dopo <strong>che</strong> mi hanno portato via?»<br />

Caio sospirò. «Alla fine lo abbiamo calmato, ma lui e io ci siamo<br />

scambiati male parole. Per fortuna si era messo così chiaramente<br />

dalla parte del torto <strong>che</strong> perfino i suoi ufficiali hanno dovuto<br />

schierarsi dalla mia parte. Ho agitato il bastone di comando del mio<br />

proconsolato e mi sono imposto su di lui. Adesso mi odia, forse più<br />

di un qualunque Britannico. Mi odia quasi quanto odia te.»<br />

«Già, non gli ci vuole molto per odiare, da quello <strong>che</strong> ho sentito<br />

dire. Stai attento, Cai. È un uomo pericoloso.»<br />

«Lo sono anch'io, Publio, lo sono anch'io. Ma non sono uno<br />

stupido e perciò sarò prudente, per il bene mio e tuo. Era furioso<br />

quando ha lasciato la sala da pranzo, ma poi è andato a letto e<br />

dormirà bene, aiutato dall'ultima coppa di vino <strong>che</strong> ha bevuto.»<br />

«Lo hai drogato?»<br />

Annuì. «Così possiamo essere certi <strong>che</strong> non farà niente di<br />

avventato.» Si interruppe e mi strinse una spalla. «Ma non hai


sentito le buone notizie! Seneca è venuto in Britannia a preparare la<br />

strada per l'arrivo di Stilicone! C'è stata una grande invasione a nord<br />

e il giovane ufficiale mi ha detto <strong>che</strong> Stilicone verrà di persona a<br />

sedarla. Dovrebbe essere a Londinium quando ci arriveremo noi.<br />

Questo significa <strong>che</strong> an<strong>che</strong> Pico dovrebbe essere lì. In qualità di<br />

reggente e di comandante in capo, Stilicone ascolterà il tuo caso<br />

dietro mia insistenza. Abbiamo vinto ancora prima di cominciare,<br />

Publio!»<br />

Cercai di muovermi e sussultai di nuovo. «Non recitare<br />

prematuramente tutte le tue preghiere di ringraziamento, Cai. Devi<br />

ancora riuscire a portarmici vivo. Non perdere di vista neppure per<br />

un momento il fatto <strong>che</strong> quel pazzo figlio di puttana ha un sacco di<br />

vendette da prendersi su di me, per aver rovinato la sua bella faccia,<br />

e poi per averlo rapito, per aver denunciato il suo tradimento e per<br />

averlo costretto a confessare. Tutte queste cose per lui sono più gravi<br />

dell'avere cercato di ucciderlo.»<br />

«Arriverai vivo, amico. Adesso cerca di dormire. Domattina ti<br />

farò portare davanti a me per accusarti formalmente dell'assassinio<br />

di Quintilio Nesca e dei suoi uomini, per l'assalto e la mutilazione di<br />

Seneca nella sua funzione di ambasciatore di Valentiniano, e per<br />

ribellione e banditismo. Ognuna di queste accuse è sufficiente a<br />

garantirti un salvacondotto fino a Londinium per esservi processato<br />

e giustiziato.»<br />

«Grazie, Caio» dissi. «Questo mi fa sentire molto meglio. Adesso<br />

posso dormire tranquillo.»<br />

Il viaggio fino a Londinium fu lungo e brutale, e io lo vidi dal<br />

peggiore punto di vista.<br />

Seneca rifiutò recisamente la proposta di Caio <strong>che</strong> mi fosse<br />

permesso di andarci legato su un cavallo. Insistette <strong>che</strong> ci andassi a<br />

piedi o <strong>che</strong> fossi trascinato dietro a un cavallo.


Caio obiettò <strong>che</strong> questo avrebbe rallentato l'intera colonna in<br />

modo intollerabile e <strong>che</strong> lui aveva degli affari da trattare a<br />

Londinium <strong>che</strong> non permettevano ritardi di nessun tipo. Inoltre,<br />

argomentò, io ero suo prigioniero e voleva <strong>che</strong> fossi in condizione di<br />

essere giudicato e impiccato alla fine del viaggio. Propose <strong>che</strong><br />

venisse costruita una gabbia sul pianale di un carro e <strong>che</strong> io vi fossi<br />

rinchiuso.<br />

Seneca obiettò a quello <strong>che</strong> definì il lusso di un simile trasporto.<br />

Io ero un criminale preso sul fatto e perciò ero già sotto sentenza di<br />

morte. Dovevo costituire un esempio per tutti coloro <strong>che</strong> ci<br />

incontravano lungo la strada - l'argomento iniziale di Caio - per cui<br />

non doveva esserci ombra di mollezza nel mio trattamento. Su<br />

questo punto Caio non poteva ragionevolmente dichiararsi in<br />

disaccordo e così arrivarono a un compromesso.<br />

Avrei viaggiato su un carro, ma in un modo scelto da Seneca.<br />

Caio me lo disse verso la fine della notte prima <strong>che</strong> partissimo.<br />

Soffriva, lo capivo, per il modo nel quale sarei stato costretto a<br />

trascorrere la settimana seguente, ma io mi strinsi nelle spalle e gli<br />

dissi di rilassarsi. Sarei stato trasportato, sia pure su un carro, e<br />

sarebbe stato sempre meglio <strong>che</strong> andare a piedi fino a Londinium.<br />

Dovevo essere pazzo a pensarlo, sapendo <strong>che</strong> Seneca aveva la<br />

gestione del mio trasporto.<br />

Malgrado ciò dormii bene quella notte, perché gli uomini <strong>che</strong> mi<br />

avrebbero fatto la guardia sarebbero stati i miei. Sapevano tutti cosa<br />

stava succedendo e io avrei affidato la mia vita nelle loro mani senza<br />

pensarci due volte. Proprio prima di addormentarmi mi venne in<br />

mente <strong>che</strong> era proprio quello <strong>che</strong> stavo facendo.<br />

Fui portato fuori prima dell'alba e mi fu permesso di lavarmi<br />

con l'acqua fredda prima di avvicinarmi al carro. Lo fissai nella luce<br />

incerta <strong>che</strong> precede l'alba, e vidi solo l'unico palo infisso nelle assi<br />

del fondo e saldamente assicurato con dei tiranti.<br />

Lì intorno c'erano solo i miei uomini, <strong>che</strong> mi aiutarono a salire


sul carro e rimasero con me ad aspettare. Infine Dragone, il capo<br />

delle guardie, parlò a voce bassa.<br />

«Non mi piace tutto questo, comandante. Nean<strong>che</strong> un po' e<br />

nean<strong>che</strong> agli altri. Di' solo una parola e ti tiriamo fuori di qui in un<br />

baleno.»<br />

Gli sorrisi nella luce grigiastra e tesi le braccia in giù, per non<br />

sembrare troppo rilassato nel caso <strong>che</strong> ci osservassero. «Non<br />

preoccuparti, Dragone. È meglio <strong>che</strong> dover camminare. Starò bene.»<br />

«Credi?» <strong>La</strong> sua voce era un ringhio furioso. «Io ne dubito.<br />

Stiamo aspettando le catene. Quel figlio di puttana vuole <strong>che</strong> tu stia<br />

in piedi per tutto il tempo fino a Londinium.»<br />

«E allora? Starò in piedi. Ho passato metà della mia vita in piedi,<br />

davanti a una forgia.»<br />

«Sì, ma non incatenato a quella dannata cosa. Dovrai rimanere<br />

incatenato a quel palo. Non potrai cadere neppure se perderai i<br />

sensi.»<br />

«Allora non morirò. Saremo a Londinium in una settimana.<br />

Dopo di <strong>che</strong> andrà tutto bene.»<br />

«Mmm. Spero <strong>che</strong> tu abbia ragione. Ma una settimana è lunga<br />

da passare in piedi.»<br />

«Ce la farò.»<br />

Lo vedevo chiaramente in faccia adesso. Sui suoi tratti erano<br />

impressi dubbio e preoccupazione. «Lo spero, comandante Varro, lo<br />

spero. Ma ti avverto <strong>che</strong> se perdi i sensi o se uno di quei bastardi<br />

paramenti da sella comincia a maltrattarti sarà la fine. Faremo<br />

scorrere il sangue.»<br />

Mi sporsi e gli appoggiai la mano sul braccio, rapidamente e con<br />

prudenza. «No, non lo farai. Ma ti ringrazio per la tua<br />

preoccupazione, Dragone. Penso <strong>che</strong> il solo momento in cui dovrai<br />

preoccuparti per la mia sicurezza sarà di notte, e an<strong>che</strong> allora


dovrebbe esserci poco pericolo.»<br />

«Già. Ecco <strong>che</strong> arriva il loro armaiolo.»<br />

Sentii un clangore di catene e il rumore di sandali chiodati <strong>che</strong> si<br />

avvicinavano, e un centurione di Seneca venne direttamente verso<br />

di me e saltò sul carro dove io aspettavo.<br />

Guardai incuriosito il congegno <strong>che</strong> teneva nelle mani enormi,<br />

ma non riuscii a farmene un'idea chiara, perché rovesciò le catene<br />

sull'assito e lasciò tutto lontano dalla mia vista.<br />

«Bene. Adesso vediamo se riesci a liberarti di queste, ribelle.»<br />

Il congegno era formato da un paio di spesse e alte cinghie di<br />

cuoio, una molto più lunga dell'altra, unite da due corte catene. Le<br />

catene erano attaccate a ognuna delle cinghie con robusti anelli<br />

infilati nella pelle. Il centurione mi strinse alla vita la cinghia più<br />

lunga, poi attaccò la più corta al palo dietro di me. Rimasi immobile<br />

fino a quando ebbe finito, poi provai la solidità dei miei legami.<br />

Erano solidi. Non potevo muovere il corpo più di due spanne a<br />

destra o a sinistra e non potevo sperare di sedermi. Provai a<br />

rilassarmi e piegai le ginocchia, lasciando <strong>che</strong> tutto il corpo pesasse<br />

sulla cinghia, <strong>che</strong> era spessa e rigida e premeva dolorosamente sotto<br />

la gabbia toracica. Non c'era nessuna speranza di sollievo.<br />

«Bene, toglietegli i ferri dai polsi.»<br />

Alzai le mani e Dragone aprì le manette.<br />

Il centurione fece una risata chioccia e saltò giù di nuovo dal<br />

carro. «Questo ti piacerà, ribelle.»<br />

Lo guardai senza capire mentre alzava un grosso e pesante<br />

anello di ferro, <strong>che</strong> era stato assicurato all'angolo destro del carro, e<br />

ci faceva passare attraverso un'estremità della lunga catena.<br />

Era un anello abbastanza grande perché l'estremità della catena<br />

ci passasse facilmente, eppure all'estremità c'era un grosso ferro,<br />

molto più grosso delle manette <strong>che</strong> Dragone mi aveva appena tolto.


«Ti piacerà questo» disse ancora, parlando più a se stesso <strong>che</strong> a<br />

me, e saltò di nuovo sul carro respirando un po' più pesantemente.<br />

Guardai la catena. Era lunga circa sei passi ed era robusta. Lo sapevo<br />

perché l'avevo forgiata io stesso, an<strong>che</strong> se qualcuno ci aveva<br />

aggiunto le manette. Si accovacciò ai miei piedi e fece passare l'altra<br />

estremità attraverso un anello uguale sul lato opposto del carro,<br />

tirandola forte per tutta la lunghezza, poi si rialzò e mi squadrò.<br />

«A posto» disse, sorridendo in un modo <strong>che</strong> mi faceva venire<br />

voglia di dargli un calcio nelle palle. «Dammi i polsi. Tienili in<br />

avanti.»<br />

Obbedii. Non avevo scelta. Le manette erano strette e mi<br />

penetravano nella carne dei polsi, <strong>che</strong> erano sempre stati piuttosto<br />

grossi.<br />

«Fai una mossa falsa e ti sfascio» grugnì, tastandosi la cintura<br />

con una mano mentre nell'altra teneva i cardini della manetta chiusa<br />

intorno al mio polso destro. Prese un pezzo di fil di ferro, an<strong>che</strong><br />

quello di mia fattura, sospettai, e lo tenne tra i denti mentre sfilava<br />

dalla cintura un paio di pinze a tenaglia. Poi, con il respiro sempre<br />

più affannoso con l'aumentare della concentrazione, fece passare il<br />

fil di ferro attraverso i fori praticati nei cardini della chiusura e ne<br />

torse le estremità con le pinze, avvicinando l'una all'altra le due<br />

metà del bracciale fino a <strong>che</strong> emisi un sibilo per il dolore. Quando fa<br />

soddisfatto di averle strette abbastanza ripetè il procedimento con<br />

l'altro polso. Strinsi i denti in silenzio, ma compresi <strong>che</strong> il viaggio<br />

sarebbe stato molto lungo.<br />

«Bene!» Fece un passo indietro e contemplò il risultato. «E<br />

adesso!» Si inginocchiò ai miei piedi e afferrò le catene facendole<br />

passare in entrambe le direzioni attraverso gli anelli fissati ai lati del<br />

carro, fino a <strong>che</strong> le mie braccia furono tese. Valutò la tensione delle<br />

braccia e poi l'allentò in modo <strong>che</strong> le catene cedessero leggermente.<br />

«Così va meglio! Non vogliamo <strong>che</strong> siano troppo tirate, vero?»<br />

«No?» chiesi, cercando di mantenere un tono di voce


indifferente. «E perché no?»<br />

«Beh, ribelle, vogliamo <strong>che</strong> tu abbia un po' di spazio per<br />

ondeggiare insieme al carro.»<br />

Poi mi ignorò e ritornò al suo lavoro e io lo osservai<br />

meravigliato tirare con cura ogni catena, valutando e regolando,<br />

finché rimase con due anelli <strong>che</strong> si toccavano, ognuno dei due stretto<br />

in un pugno, e il resto della catena, la parte centrale, arrotolato in<br />

mezzo.<br />

«Ehi, tu. Dammi una mano.»<br />

Dragone era rimasto a guardare in silenzio per tutto quel tempo<br />

e io capivo dalla sua espressione <strong>che</strong> stava per esplodere. Aggrottai<br />

la fronte incontrando il suo sguardo, e scossi la testa in segno di<br />

ammonimento, indicandogli di fare come il centurione gli chiedeva.<br />

Si inginocchiò vicino all'uomo, con la faccia piena di disgusto.<br />

«Cosa vuoi?»<br />

«Reggi questi anelli mentre io li lego insieme.» Unì gli anelli con<br />

il filo di ferro, e io non riuscivo a capire lo scopo recondito. <strong>La</strong> catena<br />

era troppo lunga. Sarebbe stato più semplice misurare la lunghezza<br />

necessaria e accorciarla. Dragone pensò la stessa cosa e chiese:<br />

«Perché non accorciamo semplicemente la catena?»<br />

«Ah!» disse il centurione. «Questo è quello <strong>che</strong> avevo pensato<br />

anch'io. Ma poi il mio capo Seneca mi ha spiegato cosa voleva.<br />

Guarda attentamente questa giuntura. Cosa c'è sotto?»<br />

«I suoi piedi.»<br />

«Esattamente! Ben detto, ragazzo! I suoi piedi. Ma non<br />

resteranno lì, vero? Noi gli chiederemo di muoverli, vero?» dicendo<br />

così estrasse un piccolo pesante martello da dietro la cintura e mi<br />

diede un bel colpo sul collo del piede. Il male improvviso mi fece<br />

allontanare i piedi, goffamente perché riuscivo a stento a muovermi,<br />

e poi rimasi a fissare perplesso il centurione <strong>che</strong> infilava due lunghi<br />

chiodi nel piano del carro e li batteva, finché bloccarono saldamente


la catena al suo posto, proprio nel punto in cui si trovavano prima i<br />

miei piedi. Lo scopo divenne mortalmente chiaro quando<br />

ammucchiò la catena avanzata proprio sotto di me, colpendomi di<br />

nuovo un piede con il martello; sarei caduto se non fossi stato legato<br />

in quel modo.<br />

«Vogliamo <strong>che</strong> abbia qualcosa su cui stare in piedi, così non gli<br />

entreranno delle s<strong>che</strong>gge nei piedi per colpa di queste rozze assi.<br />

Eccoti pronto, ribelle. Sei a posto. Goditi il viaggio.»<br />

Dragone guardava con la bocca aperta, afferrando solo allora il<br />

significato di quello <strong>che</strong> il centurione aveva fatto, ma io avevo già<br />

capito. Avrei dovuto stare in piedi su quella catena per tutto il<br />

viaggio fino a Londinium. I piedi mi dolevano solo all'idea.<br />

Tutto il personale della villa uscì per vederci partire, e rimase a<br />

guardare in solenne silenzio lo spettacolo: ero incatenato in piedi,<br />

più sudicio di come mi avessero mai visto. Tenni alto il mento e<br />

cercai di non guardare nessuno direttamente. Luceia non si vedeva<br />

da nessuna parte, né mi aspettavo <strong>che</strong> ci fosse. Malgrado ciò mi<br />

guardai intorno cercandola, sperando contro ogni speranza,<br />

rendendomi conto con dolore di quello <strong>che</strong> le avevo fatto con il mio<br />

segreto detestabile e caparbio, e di come avevo distrutto la sua<br />

fiducia nella mia sincerità. Incapace di tollerare il pensiero del suo<br />

risentimento e della sua collera mi sforzai di rivolgere la mia<br />

attenzione ad altre cose, svuotando la mente per quanto possibile da<br />

ogni pensiero di commiserazione, e guardando col volto teso<br />

l'ordinato trambusto della folla radunata davanti a me. Caio venne e<br />

guardò me e il modo in cui ero legato, e le sue labbra si chiusero<br />

quasi scomparendo in una sola linea. Spaventato <strong>che</strong> potesse<br />

tradirsi, gli sputai addosso, recitando la mia parte e costringendolo a<br />

tacere, e lui scosse la testa in un breve gesto di furioso disgusto<br />

prima di salire sul suo carro.<br />

Quando il guidatore del carro salì al suo posto e il corteo si<br />

formò, mi guardai attorno per un'ultima volta, levando gli occhi


sulla collina coperta di alberi in lontananza. <strong>La</strong> cima, avvolta da<br />

pesanti nuvole basse, aveva un aspetto magnifico e niente indicava<br />

altro <strong>che</strong> una foresta. E a causa dello scalpore provocato dalla mia<br />

cattura non c'era più pericolo <strong>che</strong> venisse scoperta per quello <strong>che</strong><br />

era. Mentre la guardavo mi cadde sulla faccia una pesante goccia di<br />

pioggia, e cominciò a piovere. Qualcuno urlò un ordine dall'inizio<br />

della fila e l'intero corteo cominciò a muoversi. Il mio guidatore fece<br />

schioccare la frusta e prendemmo il nostro posto al centro della<br />

colonna, con le truppe di Seneca davanti a noi e i miei uomini al<br />

seguito. Partimmo tra lo scalpitio degli zoccoli e il cigolio delle ruote<br />

dei carri sui ciottoli. Ma nessuno disse una parola. Nemmeno<br />

Seneca, <strong>che</strong> mi sarei aspettato gioisse.<br />

Non appena fummo partiti scoprii la vera entità della mia<br />

situazione. Finché la strada era piana la posizione era tollerabile,<br />

almeno all'inizio. Su terreno scabroso, però, mi era impossibile<br />

mantenere l'equilibrio. L'irregolarità e la durezza delle catene <strong>che</strong><br />

avevo proprio sotto i piedi erano un'agonia, e io avevo motivo<br />

costante di rimpiangere <strong>che</strong> le mie gambe fossero così diverse per<br />

lunghezza e forza. Cercai di scostare la massa delle catene, ma erano<br />

inchiodate al loro posto così <strong>che</strong> an<strong>che</strong> con tutto il mucchio spostato<br />

in avanti, le due catene diritte provenienti da destra e da sinistra mi<br />

tormentavano crudelmente la pianta dei piedi. Dopo poco tempo il<br />

dolore per non poter abbassare le braccia divenne insopportabile; i<br />

muscoli erano contratti per gli spasimi. Cominciai a cadere, tanto<br />

quanto le catene me lo consentivano, e a risollevarmi. I polsi<br />

sanguinavano e si coprivano di piaghe e ricominciavano a<br />

sanguinare per gli strattoni dei ferri ogni volta <strong>che</strong> il carro<br />

ondeggiava tanto da togliermi l'equilibrio.<br />

Per i primi due giorni e le prime due notti piovve quasi<br />

ininterrottamente, e io dormii attaccato al palo. Urinavo dov'ero,<br />

incapace di dirigere il flusso, ma per due giorni riuscii a controllare<br />

l'intestino. A un certo punto, durante il terzo giorno, sentendomi<br />

morire per il mio stesso tanfo e per il dolore, persi conoscenza.


Il dolore ai polsi mi risvegliò; aprii gli occhi e mi trovai disteso al<br />

lato della strada, a guardare in su verso quel dannato carro con il<br />

suo palo verticale. Non si muoveva, né mi muovevo io. Sentivo <strong>che</strong><br />

qualcuno mi sollevava la testa, e delle voci irose urlare poco lontano.<br />

Lo stomaco mi si contorse in uno spasmo, e vomitai senza avere<br />

nemmeno la forza di girare la testa. Sentii <strong>che</strong> qualcuno mi voltava<br />

in fretta, e il movimento provocò un'improvvisa vertigine <strong>che</strong> mi<br />

fece ripiombare nell'oscurità.<br />

Quando aprii di nuovo gli occhi mi trovavo in una prigione:<br />

un'enorme stanza di pietra con il soffitto a volta, chiusa da porte<br />

munite di pesanti sbarre; solo un filo di luce penetrava da una<br />

finestrella molto alta. Rimasi sdraiato e mi guardai intorno<br />

lentamente, senza fare movimenti improvvisi. Una torcia, infilata in<br />

un braciere di ferro, bruciava sopra la mia testa, e le sue fiamme<br />

danzavano selvaggiamente nella corrente <strong>che</strong> doveva provenire<br />

dalla finestrella. Ero solo in quella grande stanza. Non c'era nessun<br />

altro prigioniero. Mossi un braccio adagio, aspettandomi di sentire il<br />

peso delle catene, ma non le avevo. Non ero legato.<br />

Lentamente, senza nessuna fretta di alzarmi poiché non sapevo<br />

dov'ero, né chi fossero i miei ospiti, esplorai il luogo con gli occhi e le<br />

mani. Giacevo su un pagliericcio sottile, su una panca di pietra.<br />

Proprio sopra la mia testa, ciondolavano come per deridermi delle<br />

manette, all'estremità di catene arrugginite <strong>che</strong> pendevano da un<br />

grande anello conficcato nel muro. Sul pavimento in fondo allo<br />

stanzone, di fianco alla porta sbarrata, era stato buttato un mucchio<br />

di paglia <strong>che</strong> sembrava fresca. Vicino alla paglia c'erano una scodella<br />

di metallo e una brocca <strong>che</strong> forse conteneva dell'acqua. Vidi altre<br />

manette appese alle pareti. <strong>La</strong> fiamma di altre sei torce gocciolanti<br />

proiettava sui muri ombre irregolari. Il crepitio delle loro fiamme<br />

vacillanti era l'unico rumore. Aspirai profondamente, cercando<br />

degli odori, e sentii solo un fetore stagnante e spiacevole, <strong>che</strong><br />

sembrava far parte dei muri un misto di corpi non lavati e degli<br />

odori prodotti da quei corpi.


Mi alzai cautamente su un gomito e un'ondata di nausea mi<br />

avvolse, facendomi rabbrividire e stringere i denti per tenere lo<br />

stomaco al suo posto. Lottai contro l'impulso di vomitare, mentre gli<br />

occhi mi si incrociavano, annebbiandomi la vista. Con<br />

determinazione rimasi dov'ero, obbligando il corpo ribelle a<br />

sottomettersi alla mia volontà. Ovviamente ero stato molto male, se<br />

ero arrivato in quel posto senza ricordare niente dopo l'ultima<br />

vivida immagine del carro torreggiarne sopra di me. Non volevo più<br />

stare male. <strong>La</strong> panca di pietra su cui giacevo correva lungo tutto lo<br />

stanzone, tranne <strong>che</strong> lungo la parete dove c'era la porta. Era un<br />

locale molto grande. Non sapevo dov'ero, ma cominciavo a<br />

sospettare <strong>che</strong> si trattasse di Londinium. Mi sedetti, brontolando per<br />

lo sforzo, e questo mi procurò un'altra ondata di nausea,<br />

accompagnata da un dolore pulsante dentro la testa. Cercai di far<br />

scivolare le gambe giù dalla panca, per potere appoggiare la schiena<br />

al muro, e le gambe caddero giù, sbilanciandomi quasi con il loro peso<br />

improvviso, incontrollabile. <strong>La</strong> paura divampò in me come un fuoco<br />

appena acceso. Ero debole come un bambino!<br />

Rimasi a sedere inerme, emettendo lunghi, rauchi respiri,<br />

timoroso di sottopormi ad altre prove. Sapevo con certezza <strong>che</strong> se<br />

avessi cercato di alzarmi in piedi sarei caduto sul pavimento. <strong>La</strong> mia<br />

mente si agitava inutilmente, cercando di arrivare a un<br />

compromesso con quella debolezza, cercando di spiegarla, cercando<br />

di ricostruire cosa fosse successo. Non c'era speranza e finii con lo<br />

spaventarmi ancora di più. Sapevo solo <strong>che</strong> se ero così debole<br />

dovevo essere stato prossimo alla morte. Mi costrinsi a chiudere gli<br />

occhi e a respirare più profondamente e regolarmente, combattendo<br />

il senso di panico e cercando di raccogliere le forze. Infine cominciai<br />

a tossire, e non riuscii più a smettere. <strong>La</strong> tosse mi sconquassava,<br />

dura e dolorosa, strappandomi i polmoni e i muscoli dello stomaco.<br />

Per poco non caddi dalla panca e riuscii a fermarmi golo afferrando<br />

il bordo di pietra. Grandi masse di catarro mi gorgogliavano nel<br />

petto e mi salivano in gola, e io avevo a stento la forza di sputarle,


così <strong>che</strong> la saliva mi gocciolava lungo il mento. Finalmente gli<br />

spasmi si indebolirono e si spensero e io rimasi a sedere,<br />

indifferente, sollevato per la diminuzione di quel tormento.<br />

«Allora sei sveglio.»<br />

<strong>La</strong> voce veniva dalla porta. Alzai la testa per vedere chi parlava,<br />

sbattendo le palpebre per schiarirmi la vista. Era un soldato,<br />

ovviamente una guardia. Uno sconosciuto. Provai a mettere a fuoco<br />

la sua uniforme, in cerca di un indizio della sua identità, ma non ne<br />

vidi alcuno. Portava la semplice, disadorna uniforme di pelle della<br />

truppa delle guarnigioni. Lo guardai avanzare verso di me, senza<br />

nemmeno accennare a chiudersi la porta alle spalle. Si fermò a due<br />

passi da me, guardandomi da quella <strong>che</strong> sembrava una grande<br />

altezza. Mi leccai le labbra <strong>che</strong> parevano di gomma e tentai di<br />

parlare per chiedergli dove eravamo, ma non emisi nessun suono.<br />

<strong>La</strong> guardia arricciò le labbra e risucchiò rumorosamente un pezzo di<br />

cibo rimasto tra i denti. Io aspettavo.<br />

«Sei un osso duro, per essere un ribelle. Pensavamo tutti <strong>che</strong><br />

saresti morto, ma tu sei troppo dannatamente abietto per morire,<br />

vero?» Non pretendeva una risposta e non ne attese fina. «Tieni.» Si<br />

girò e riattraversò la stanza, prese la brocca e me la portò. «Cerca di<br />

bere questo.»<br />

Presi la brocca e, mezza piena com'era, la portai subito alla<br />

bocca. Conteneva acqua mista a vino e mi sembrò un nettare. Mi<br />

sciacquai la bocca con la lingua e sentii <strong>che</strong> la bevanda mi ripuliva.<br />

«Adesso basta! Non voglio <strong>che</strong> vomiti tutto sul pavimento.» Mi<br />

tolse la brocca, ma la lasciò dove potevo raggiungerla. Adesso<br />

potevo parlare, pensai.<br />

«Dove sono?»<br />

«A Londinium. Nella prigione imperiale, in attesa di processo e<br />

impiccagione.»<br />

Non erano belle notizie. «Dove sono i miei amici?»


«Quali amici? Non ne hai. Alcune delle tue guardie hanno<br />

passato qui un po' di tempo, però. Sei un prigioniero di valore, a<br />

quanto pare. Non vogliono perderti. Non per malattia e non per<br />

mano della gente di Seneca.»<br />

«Seneca è qui? Perché non sono in catene?»<br />

«Perché non sei in catene? Dannazione, non siamo dei barbari!<br />

Noi non incateniamo i cadaveri. Quanto all'altra domanda, no,<br />

Seneca non è qui. Questa è una prigione, non hai sentito? Seneca<br />

vive in una villa. Dormi finché puoi. Le tue guardie saranno presto<br />

di ritorno. Mi hanno detto di avvertirli se davi segni di vita. Hai<br />

fame?» Scossi la testa. «Bene, comunque c'è del cibo nella scodella<br />

laggiù. Te la porto più vicino.» Il tono della sua voce non era<br />

scortese. «Ti aiuterà a riprendere le forze, adesso <strong>che</strong> sei ritornato<br />

alla vita. E non cercare di scappare. Non potresti andare oltre questa<br />

stanza.»<br />

Si girò per andarsene e io lo fermai. «Da quanto tempo sono<br />

qui?» Fece una smorfia, scuotendo la testa. «Non lo so. Eri qui<br />

quando ho preso servizio una settimana fa. Ed eri già qui da almeno<br />

una settimana.»<br />

Due settimane! Dov'era Caio? Cosa stava succedendo? Rimasi<br />

disteso sul pagliericcio e cercai di obbedire al suo suggerimento, ma<br />

non potevo dormire.<br />

<strong>La</strong> cosa successiva di cui mi ricordo, però, fu <strong>che</strong> mi svegliai e<br />

vidi Dragone <strong>che</strong> mi guardava. Prima <strong>che</strong> potessi aprire bocca per<br />

salutarlo, si girò verso i due uomini <strong>che</strong> erano con lui e ringhiò.<br />

«Avevate ragione. Il figlio di puttana è vivo. Non credevo <strong>che</strong> ce<br />

l'avrebbe fatta.» Poi disse all'uomo al suo fianco: «Visitalo. Con cura.<br />

Caio Britannico non ti sarà grato se gli prometti un'esecuzione e poi<br />

lasci morire questo maiale.»<br />

L'uomo a cui si rivolgeva, un medico ovviamente dall'aspetto e<br />

dall'abbigliamento, fece un passo avanti e cominciò a palparmi,<br />

rigirandomi gentilmente per raggiungere la parte posteriore della


cassa toracica. Le sue dita erano fredde sulla pelle e mi palpavano<br />

senza molto garbo. Finì l'esame mettendomi una mano sulla fronte,<br />

rivoltandomi le palpebre e guardandomi negli occhi.<br />

«Ebbene?» <strong>La</strong> voce di Dragone era proprio un ringhio di<br />

malumore. «Allora?»<br />

Il medico si rialzò con un sospiro. «Vivrà, per morire a vostro<br />

piacimento. Ma è estremamente debole. Dovreste cercare di non<br />

muoverlo per almeno due giorni. E da adesso in poi dovrà essere<br />

nutrito bene. Brodo caldo e pozioni di erbe forti. Porterò le erbe.»<br />

«Al diavolo le tue erbe. Non ne avrà bisogno!»<br />

«Ne ha bisogno! Se volete avere il vostro processo, la vostra<br />

esecuzione e il vostro divertimento con quest'uomo, dovete<br />

rimetterlo in forze. Se provate a muoverlo adesso, se lo maltrattate,<br />

non mi assumo responsabilità. Dovrebbe essere già morto e lo sarà<br />

se non fate quello <strong>che</strong> dico. Brodo di carne caldo e tisane di erbe.<br />

Altrimenti la responsabilità è vostra.»<br />

Dragone mi lanciò uno sguardo così pieno di odio <strong>che</strong> non<br />

riuscivo a crederci nemmeno io. Il medico guardò l'altro uomo, un<br />

semplice soldato, e poi guardò di nuovo Dragone. «Perché odi tanto<br />

quest'uomo?» chiese.<br />

«Odiarlo? Questo figlio di puttana ha ucciso mia moglie. Fuori<br />

di qui voi due. Fuori!»<br />

I due se ne andarono immediatamente e Dragone restò con me,<br />

guardandoli finché il cancello della cella non si fu richiuso<br />

pesantemente. Io giacqui lì a guardarlo, senza muovermi, fino a<br />

quando i suoi occhi rimasero fissi sulla schiena dei due uomini.<br />

Quando fu sicuro <strong>che</strong> se n'erano andati, si chinò, raccolse la brocca e<br />

me la portò alle labbra, sorreggendomi la testa con un braccio.<br />

«Il tuo odio è intenso, Dragone!» dissi. «Non sapevo neppure<br />

<strong>che</strong> tu avessi una moglie.» <strong>La</strong> mia voce era normale adesso.<br />

Fece un mezzo sorriso e si strinse nelle spalle. «È colpa di


Britannico. Ci ha fatto diventare tutti dei guitti.»<br />

«Guitti? Perché, cosa sta succedendo?»<br />

Venne a sedersi ai miei piedi sulla sponda <strong>che</strong> sosteneva il<br />

pagliericcio, appoggiandosi al muro e tenendo gli occhi fissi sulla<br />

porta nella parete opposta.<br />

«Stai disteso e tieni gli occhi chiusi, come se ti fossi<br />

addormentato. Ma ascolta attentamente. Non voglio parlare troppo<br />

forte. Quanto ricordi del nostro viaggio?»<br />

«<strong>La</strong> pioggia» dissi. «Ricordo pioggia e dolore. È tutto.»<br />

«È tutto? Non ricordi niente dopo <strong>che</strong> ti abbiamo sciolto dalle<br />

catene?»<br />

«Dragone,» gli dissi, «non ricordo nemmeno quello. L'ultima<br />

cosa <strong>che</strong> ricordo è <strong>che</strong> giacevo sulla strada, <strong>che</strong> guardavo in su verso<br />

il carro e <strong>che</strong> stavo male. Non ricordo più niente fino a quando mi<br />

sono risvegliato qui.»<br />

«Bene, stavamo per scioglierti e abbiamo quasi scatenato una<br />

guerra con gli uomini di Seneca. Quasi gli sono venute le<br />

convulsioni quando abbiamo cominciato a tirarti giù dal carro.<br />

Voleva ammazzarmi. Poi è arrivato Britannico e quei due sono quasi<br />

venuti alle mani. Seneca ha cercato di attaccare Britannico, e ha fatto<br />

per sguainare la spada.»<br />

«Contro Britannico? Cosa è successo? Caio è stato ferito?»<br />

«No!» Scosse la testa, gli occhi fissi sulla porta di fronte a noi.<br />

«Torno subito.»<br />

Si alzò e attraversò in fretta la grande cella.<br />

Mi voltai a guardarlo; raggiunse la porta e si appoggiò alle<br />

sbarre, per controllare <strong>che</strong> nessuno stesse origliando. Poi tornò<br />

indietro e si risedette.<br />

«L'ufficiale. Il comandante regolare. Ha fermato lui Seneca<br />

prima ancora <strong>che</strong> tirasse fuori la spada. Gli ha salvato la vita. Lo ha


afferrato e ha lottato contro di lui. L'ha minacciato di metterlo in<br />

catene al tuo posto se non si comportava come un ufficiale romano e<br />

un patrizio. Lo ha fatto riportare sotto scorta al suo posto nella<br />

carovana e ha fatto le sue scuse a Britannico.»<br />

«Dici <strong>che</strong> gli ha "salvato la vita"? In <strong>che</strong> modo? Britannico lo<br />

avrebbe ammazzato?»<br />

Dragone scosse la testa. «No. Ma lo avrei fatto io. Ero<br />

abbastanza arrabbiato da ammazzarlo. Ti ho detto <strong>che</strong> se l'era presa<br />

con me quando è arrivato Britannico. Ho tirato fuori il pugnale<br />

appena si è girato contro il vecchio. Glielo avrei piantato tra le<br />

costole fino al cuore se l'altro ufficiale, il tribuno Viceré, non si fosse<br />

messo in mezzo.»<br />

«Capisco.» Ripensai a tutto quanto. Ricordavo le voci irose<br />

mentre riprendevo i sensi al lato della strada. «E allora cosa è<br />

successo?»<br />

«È allora <strong>che</strong> abbiamo cominciato a recitare. Vuoi bere ancora?»<br />

Scossi la testa e bevve lui un sorso di acqua e vino, poi mentre<br />

rimanevo disteso ad ascoltarlo attentamente mi raccontò il resto<br />

della storia.<br />

Dragone era stato fedele al suo nome. Mi aveva fatto la guardia<br />

da vicino in quella situazione pazzesca, bloccato com'ero in<br />

posizione eretta, nell'impossibilità di rilassarmi e di difendermi<br />

dalla gelida pioggia sferzante <strong>che</strong> era caduta incessante per due<br />

giorni e una notte. Quando infine avevo rovesciato indietro gli occhi<br />

ed ero collassato sulle cinghie <strong>che</strong> mi legavano, Dragone si trovava a<br />

meno di tre passi da me e aveva correttamente previsto <strong>che</strong> quella<br />

volta non mi sarei ripreso. Era saltato subito sul pianale del carro e<br />

aveva cominciato a segare le cinghie di cuoio <strong>che</strong> mi tenevano<br />

prigioniero senza fare attenzione se qualcuno lo osservava. Il suo<br />

gesto venne notato solo quando l'ultimo pezzo di cuoio aveva<br />

ceduto, lasciandomi crollare come un mucchio di stracci sul pianale<br />

del carro, trattenuto dai ferri e dalle catene ai polsi. Erano stati il


umore e la mia caduta ad attrarre l'attenzione dei soldati regolari e<br />

a indurre Seneca, fumante di rabbia, ad attaccare Dragone.<br />

All'inizio aveva completamente ignorato le imprecazioni di<br />

Seneca. Aveva sollevato una pesante mazza dal fondo del carro e si<br />

era messo a battere l'anello di ferro, piantato nel fianco del carro,<br />

attraverso il quale passavano le catene. Dopo averlo aperto a<br />

martellate aveva lanciato la mazza a uno dei suoi uomini sul lato<br />

opposto, <strong>che</strong> si era messo a battere l'altro anello. Era stato questo<br />

flagrante rifiuto di riconoscere la sua presenza e la sua autorità <strong>che</strong><br />

aveva fatto scattare qualcosa dentro Seneca, e Dragone avrebbe<br />

an<strong>che</strong> potuto rimetterci la pelle se non fosse intervenuto Caio. Ma<br />

Seneca non era disposto a lasciarsi contraddire. <strong>La</strong> sua vendetta su<br />

di me stava correndo dei rischi, e non voleva assolutamente <strong>che</strong> ciò<br />

succedesse. An<strong>che</strong> il secondo anello era saltato, e Dragone mi aveva<br />

trascinato giù dal carro e mi aveva disteso a terra sul bordo della<br />

strada. Seneca gli aveva assestato un calcio e Caio si era intromesso.<br />

Seneca era fuori di sé. Aveva quasi estratto la spada dal fodero,<br />

determinato ad attaccare Caio, e a quel punto era stato scavalcato<br />

dall'ufficiale in comando, Viceré, <strong>che</strong> lo aveva prontamente messo<br />

sotto vigilanza allontanandolo dalla scena sotto scorta armata. Era<br />

stato durante quel furioso confronto <strong>che</strong> avevo brevemente ripreso<br />

conoscenza prima di svenire di nuovo.<br />

Marcello Viceré, a quanto sembrava, era un uomo d'onore,<br />

senza spirito di vendetta fine a se stesso. Dopo avere<br />

temporaneamente messo Seneca agli arresti, aveva considerato<br />

obiettivamente la mia situazione dal punto di vista di Caio, <strong>che</strong> non<br />

smetteva di dire <strong>che</strong> dovevo sopravvivere al viaggio per essere<br />

processato per i miei crimini davanti a un tribunale militare. Aveva<br />

fatto fermare il convoglio e permesso <strong>che</strong> un medico mi visitasse.<br />

Ma era troppo tardi. Il medico non era stato in grado di farmi<br />

riprendere conoscenza e mi era venuta la febbre alta. Tutto quello<br />

<strong>che</strong> potevano fare era tenermi al caldo e abbastanza comodo per il


esto del viaggio, e sperare <strong>che</strong> sarei sopravvissuto.<br />

Due notti dopo, mentre eravamo accampati, un altro dei nostri<br />

uomini, per puro caso al posto giusto al momento giusto, era stato in<br />

grado di bloccare un attentato alla mia vita. Mentre era fuori<br />

servizio si era trovato a passare davanti alla tenda nella quale venivo<br />

tenuto, appena in tempo per vedere una figura mas<strong>che</strong>rata infilarsi<br />

furtiva attraverso l'apertura della tenda. Era entrato a controllare e<br />

aveva scoperto l'intruso nell'atto di soffocarmi. Dopo una breve lotta<br />

l'intruso era riuscito a fuggire. Il soldato <strong>che</strong> avrebbe dovuto essere<br />

di guardia non c'era e non l'avevano più trovato; il mattino<br />

successivo, un'accurata ricerca in tutta la zona non aveva rivelato<br />

sue tracce, così avevano concluso <strong>che</strong> il mio assassino mancato era<br />

lui.<br />

Tutti sapevano chi l'aveva istigato, ma non c'erano indizi a<br />

sostegno di quel sospetto, né una prova.<br />

Da quel momento in poi, erano stati gli uomini di Caio<br />

Britannico a farmi la guardia. Caio aveva detto ai suoi uomini <strong>che</strong><br />

doveva sembrare a tutti e in ogni momento <strong>che</strong> mi odiassero con<br />

una tale violenza <strong>che</strong> solo la lealtà verso Caio impediva loro di<br />

ammazzarmi.<br />

Ero sopravvissuto alla febbre e alla congestione polmonare e mi<br />

avevano portato in quella prigione, dove da due settimane ormai<br />

lottavo contro la malattia. Caio era disperato all'idea <strong>che</strong> morissi e<br />

aveva distaccato i suoi uomini in modo <strong>che</strong> almeno uno di loro fosse<br />

sempre di servizio, di guardia, an<strong>che</strong> se il pericolo da parte di<br />

Seneca sembrava passato, ora <strong>che</strong> eravamo a Londinium ed ero<br />

ufficialmente prigioniero dell'Impero.<br />

Quando Dragone ebbe finito il suo racconto, vi fu qual<strong>che</strong><br />

istante di silenzio e sentii le palpebre chiudersi malgrado gli sforzi<br />

<strong>che</strong> facevo per tenerle aperte. Mi disse di dormire, <strong>che</strong> sarebbe stato<br />

ancora lì quando mi fossi svegliato, e mi addormentai.<br />

Un po' di tempo dopo, non so quanto, mi svegliai sentendolo


litigare con qualcuno, an<strong>che</strong> se non riuscivo a capire cosa dicevano.<br />

Alla fine sentii dei passi <strong>che</strong> si avvicinavano e lo sentii brontolare<br />

sullo spreco di buon cibo e bevande per un maledetto figlio di<br />

puttana. Rimasi disteso con gli occhi chiusi e aspettai pazientemente<br />

<strong>che</strong> lui mi svegliasse. Lo fece. Eravamo di nuovo soli.<br />

«Ecco, comandante. Bevi questo. Ti rimetterà a posto.» Reggeva<br />

una scodella fumante di brodo di carne con erbe e spezie, e al primo<br />

sorso mi venne l'acquolina in bocca. Stavo morendo di fame.<br />

Quand'ebbi finito mi sentivo molto meglio, già più forte.<br />

«Te ne darò dell'altro più tardi. Come ti senti?»<br />

«Meglio» dissi. «Hai avvertito il generale Britannico <strong>che</strong> mi sto<br />

riprendendo?»<br />

Annuì. «Sì, ma non può avere già ricevuto il messaggio. È<br />

andato via a cavallo con il reggente Stilicone questa mattina e non è<br />

ancora ritornato.»<br />

«Stilicone? Stilicone è qui?»<br />

Dragone sorrise. «Sì, comandante. Stilicone è qui. Qui là e in<br />

ogni luogo. Non ha trascorso due giorni di fila a Londinium, mi<br />

dicono, da quando è sbarcato in Britannia un mese fa. Il generale<br />

Britannico ha aspettato una settimana il suo ritorno. Stilicone è<br />

tornato quattro giorni fa e il generale è riuscito ad avere un'udienza<br />

solo stamattina. È andato a fargli visita poco dopo l'alba, è rimasto<br />

chiuso con lui per tre ore e poi è andato via con lui a cavallo, verso<br />

sud. Non so dove sono andati, né quando torneranno.»<br />

Pensai a tutto questo per un po'. «Bene» decisi alla fine. «Quanto<br />

più staranno via, tanto più avrò tempo per guarire.» Mi venne un<br />

altro pensiero e gli feci subito la domanda. «E il mio caso? Ne hai<br />

sentito parlare?»<br />

Sorrise nuovamente e poi scosse la testa. «No, comandante.<br />

Nessuno parla di te. Non sei il più famoso brigante di tutti i tempi.<br />

Po<strong>che</strong> persone sanno <strong>che</strong> sei qui, a parte noi e la gente di Seneca. E


Stilicone adesso, suppongo.»<br />

Mi guardai intorno nella grande cella. «Perché sono qui da solo?<br />

Lo sai?»<br />

«Sì, lo so. Quando Stilicone è arrivato questo posto era pieno. Lo<br />

ha svuotato. Ha processato tutti, ha impiccato la maggior parte e ha<br />

rimesso gli altri in libertà. Nessun altro sembra propenso ad<br />

accettare la sua ospitalità.»<br />

Un'ombra fredda sembrò scendere su di me, raggelandomi per<br />

un momento. «Che aspetto ha, Dragone, questo Stilicone? Lo hai<br />

visto?»<br />

Lui scosse la testa. «No. È il reggente dell'imperatore,<br />

comandante. <strong>La</strong> gente normale come noi non vede mai uomini di<br />

quel livello, nemmeno da lontano; ed è logico. Non voglio an<strong>che</strong><br />

vederlo, né lui né l'imperatore. Mi farebbe solo pensare quanto mi<br />

infastidisce la ric<strong>che</strong>zza altrui.»<br />

Trovai la forza di sorridere a quella innocua battuta «Adesso,»<br />

gli chiesi, «cosa succederà? Caio verrà qui, pensi?»<br />

«Di sicuro, comandante. I suoi ordini sono chiari. Doveva essere<br />

informato sulle tue condizioni non appena avessi ripreso<br />

conoscenza. Da quel momento, almeno due di noi sono in servizio<br />

ogni momento per la tua protezione.»<br />

«Due più due soldati regolari fuori?»<br />

«Sì, da adesso in poi.»<br />

Cercai di mettermi a sedere, ma mi sentivo ancora molto debole.<br />

Sapevo <strong>che</strong> la cosa migliore era riposare fino a <strong>che</strong> non fosse<br />

giunto il successivo pasto caldo, per conservare le energie e<br />

rimettermi in forza. Ringraziai Dragone per la sua gentilezza e lo<br />

pregai di lasciarmi riposare.


XIII.<br />

Dragone si sbagliava. Caio non venne a vedermi. Adesso <strong>che</strong><br />

avevo ripreso conoscenza, tuttavia, il mio miglioramento fu rapido.<br />

Le mie forze aumentavano di ora in ora, aiutate prima dai brodi<br />

nutrienti e poi dal nutriente cibo solido <strong>che</strong> Dragone e gli altri<br />

fingevano di lesinarmi.<br />

Sapevo <strong>che</strong> Caio era ritornato a Londinium con Stilicone tardi<br />

quella prima sera, perché mi aveva mandato un messaggio nel quale<br />

mi informava del suo ritorno e della sua contentezza nel sapere <strong>che</strong><br />

stavo meglio, ma lui non venne.<br />

Il giorno successivo Dragone mi portò una lettera scritta dalla<br />

mano familiare di Caio. <strong>La</strong> lessi immediatamente, stando seduto,<br />

ormai senza sforzo, sulla panca. Era concisa e non firmata.<br />

«Mi rallegro <strong>che</strong> tu stia meglio e migliori rapidamente. Per un<br />

po' ci hai spaventato tutti. Non potrò venire da te. Il pericolo è<br />

troppo grande. Sii certo <strong>che</strong> non sono stato pigro nel lavorare per te.<br />

Molto è stato fatto. Molto rimane da fare. Sarai processato tra breve.<br />

Non ho timori. Ci occuperemo presto di quel sodomita e potremo<br />

dimenticarlo. Rufino è morto. Il tuo nemico non ha amici<br />

nell'Impero adesso. Non lasciarti tentare di tenere questo messaggio.<br />

Ridallo al messaggero in modo <strong>che</strong> me lo riporti.»<br />

Lessi la missiva tre volte prima di arrotolarla e ridarla a<br />

Dragone. «Quale pericolo è troppo grande?» gli chiesi.<br />

Si strinse nelle spalle. «Il pericolo è Seneca. Ha uomini ovunque.<br />

Se Caio Britannico venisse a trovarti, glielo riferirebbero e non<br />

sarebbe opportuno. Pensiamo di essere riusciti a ingannare Seneca<br />

completamente. Non ha idea di quello <strong>che</strong> proviamo per te in realtà.<br />

Crede <strong>che</strong> tu sia davvero il ribelle <strong>che</strong> gli abbiamo detto.»<br />

«E allora? Questo lo capisco, ma chi è Rufino? Conosco quel


nome, ma non riesco a ricordare chi è.»<br />

«Il reggente in Oriente, come Stilicone lo è in Occidente.»<br />

Non appena ebbe detto quelle parole, rammentai. Pico ci aveva<br />

scritto in una lettera <strong>che</strong> Teodosio aveva diviso la tutela dei suoi due<br />

figli tra i suoi migliori comandanti, Flavio Stilicone e Flavio Rufino.<br />

Divide et impera. Fino a <strong>che</strong> i due reggenti fossero vissuti non c'era<br />

rischio <strong>che</strong> uno dei due usurpasse il trono dei ragazzi.<br />

Meditai su questo. «Ma <strong>che</strong> cosa ha a <strong>che</strong> fare con Seneca?»<br />

Dragone sogghignò e si strinse nelle spalle. «Niente e tutto. Pare<br />

<strong>che</strong> Seneca fosse una spia di Rufino, incaricato di controllare<br />

Stilicone. E adesso Rufino è morto.»<br />

Lo fissai sbalordito. «Come fai a saperlo?»<br />

Sorrise. «Me lo ha detto il generale. Glielo ha detto Stilicone.»<br />

Non ero l'unico veterano di Caio <strong>che</strong> continuava a chiamarlo<br />

generale.<br />

«Stilicone lo sapeva? E non ha fatto niente?»<br />

«Non poteva. Motivi complicati, mi dicono. Troppe persone<br />

sarebbero state coinvolte. Così si è adattato a questo, e a Seneca.»<br />

«Britannico ti ha detto questo? Perché tu me lo dicessi?»<br />

«E perché se no? Non sono fatti miei.»<br />

«Come è morto Rufino?»<br />

Dragone fece una smorfia e scosse la testa, per indicare <strong>che</strong> non<br />

lo sapeva e <strong>che</strong> non gli importava. «E Seneca non lo sa?»<br />

«Non sa niente. Lo sa solo Stilicone. E Britannico e io e tu<br />

adesso.»<br />

Ero perplesso. «Perché me lo ha detto? Devo essere processato<br />

presto. Quanto presto? Lo sai?» Scosse la testa.<br />

«Britannico lo sa?» Scosse la testa di nuovo. Frustrato gli chiesi<br />

di allontanarsi e lui mi lasciò solo a esercitarmi a camminare e a


lottare con i miei pensieri, <strong>che</strong> non erano per niente tranquilli.<br />

Due giorni dopo fui svegliato dalle guardie regolari e mi fu<br />

detto <strong>che</strong> era stato convocato un tribunale militare per quella stessa<br />

mattina. Mi obbligarono ad alzarmi, mi misero delle catene alle<br />

caviglie e mi legarono le mani dietro la schiena. Mi sentivo male per<br />

il terrore e fui più <strong>che</strong> cosciente della debolezza delle mie gambe<br />

quando mi fecero uscire dalla cella e salire lungo una ripida scala a<br />

chiocciola, incerto e barcollante davanti alle sue vertiginose<br />

profondità. Un lungo corridoio in cima alla scala conduceva a un<br />

cortile interno, e il chiarore del sole mattutino mi accecò dopo<br />

l'oscurità e la penombra a cui ero abituato. Ma camminando mi<br />

sentivo più forte e ben presto riuscii a camminare quasi<br />

normalmente; a ogni passo <strong>che</strong> facevo sentivo il tonfo delle catene e<br />

il loro tintinnio metallico. L'abbagliamento diminuì e cessò, e<br />

cominciai a vedere di nuovo; la prima cosa <strong>che</strong> vidi fu la mia tunica<br />

insozzata di sporcizia e poi, alla luce e all'aria aperta, sentii il fetore<br />

<strong>che</strong> emanavo, e <strong>che</strong> mi fece quasi vomitare. Il tribunale, pensai<br />

amaramente, sarebbe stato veramente impressionato dal mio<br />

aspetto.<br />

C'era una sorpresa in serbo per me, però, perché le guardie mi<br />

portarono direttamente a un bagno dove mi tolsero le catene, mi<br />

spogliarono e mi fecero lavare con acqua fredda. Quando ebbi finito,<br />

mi buttarono un fagotto di abiti, puliti rispetto a quelli <strong>che</strong> avevo<br />

scartato. Nessuno dei sei uomini di scorta mi tolse gli occhi di dosso<br />

per un momento. Quando fui vestito mi incatenarono di nuovo e<br />

continuammo il nostro viaggio verso il complesso centrale degli<br />

edifici sede del quartiere generale militare. Dopo il bagno e il<br />

cambio degli abiti mi sentivo meglio di come mi ero sentito per<br />

settimane e cercai di dire a me stesso <strong>che</strong> mi fidavo del giudizio di<br />

Caio. Ma non era facile crederci.<br />

Non c'erano dubbi sulla presenza imperiale a Londinium.<br />

An<strong>che</strong> nei passaggi e nei corridoi di servizio, c'erano truppe


Imperiali ovunque. <strong>La</strong> sicurezza era assoluta. <strong>La</strong> mia scorta<br />

attraversò una serie di posti di controllo, uno più accurato dell'altro,<br />

poi entrammo in un edificio, in una specie di anticamera dove le mie<br />

sei guardie mi affidarono formalmente a un centurione e a due<br />

soldati delle truppe imperiali, tutti risplendenti nelle uniformi<br />

cremisi e azzurre delle guardie personali dell'imperatore. I due<br />

soldati mi presero in mezzo e proseguimmo lungo un buio<br />

passaggio <strong>che</strong> terminava bruscamente davanti a una porta<br />

massiccia. Le guardie mi si strinsero più vicine e ognuna di loro mi<br />

afferrò per un braccio, mentre il centurione apriva la porta e ci<br />

faceva entrare.<br />

Eravamo nel tribunale, un locale ampio simile a un anfiteatro,<br />

con una gradinata a ferro di cavallo rivolta verso una pedana in<br />

fondo alla quale c'erano una lunga tavola e tre sedili con lo schienale<br />

alto. Tutti i presenti si girarono a guardarmi quando entrai.<br />

Dovevano esserci almeno cinquanta ufficiali, tutti in alta uniforme, e<br />

ognuno reggeva il proprio elmo come prescritto, nell'incavo del<br />

braccio sinistro. L'assemblea dei tribuni in servizio nella capitale<br />

della provincia della Britannia meridionale. All'inizio le facce mi<br />

sembrarono tutte uguali, impossibili da distinguere le une dalle<br />

altre, ma poi alcune, quelle dei più anziani, cominciarono a<br />

diventarmi familiari. In prima fila, vicino al posto riservato per me,<br />

direttamente di fronte alla tribuna, sedevano Caio Britannico e<br />

Cesario Claudio Seneca. Quando i miei occhi misero a fuoco Seneca,<br />

un'ondata di odio e di disprezzo mi sommerse completamente,<br />

facendomi perdere del tutto la consapevolezza di chi ero e dove mi<br />

trovavo. Stranamente la vista di Caio non ebbe nessun effetto su di<br />

me, nemmeno un effetto di sollievo.<br />

<strong>La</strong> scorta mi spinse innanzi e io avanzai nella stanza, con le<br />

catene <strong>che</strong> tintinnavano nel silenzio assoluto. Ignorai le facce intorno<br />

a me - la loro arroganza, la curiosità, l'ostilità e il disprezzo - e mi<br />

costrinsi a guardare un punto del muro di fronte a me. Cosciente<br />

dell'aspetto <strong>che</strong> dovevo avere con indosso quegli stracci da


prigioniero, incrociai le braccia e rimasi in piedi più eretto <strong>che</strong><br />

potevo.<br />

Evidentemente qualcuno aspettava in osservazione, perché non<br />

appena mi fui fermato davanti alla tribuna, una porta si aprì nel<br />

muro dietro la pedana, e un gruppo di tribuni anziani,<br />

elegantemente vestiti, salirono sulla tribuna. Mi ritrovai faccia a<br />

faccia con Flavio Stilicone, comandante in capo degli eserciti di<br />

Roma imperiale e ora reggente del giovane imperatore Onorio.<br />

Non potevo sbagliare, benché fosse vestito in modo identico ai<br />

suoi compagni. Mi ricordai di colpo l'osservazione fatta da Caio anni<br />

prima, <strong>che</strong> l'abito perdeva significato sotto l'aura di un uomo<br />

veramente grande, di qualunque età, e l'intero comportamento di<br />

quell'uomo appariva unico. Avevamo parlato di grandezza e Caio<br />

aveva detto <strong>che</strong> uomini di grande destino portano in sé le qualità<br />

originarie dei predatori, a cui spesso somigliano. Quella ne era una<br />

prova vivente. Teodosio sembrava una grossa tigre. Giulio Cesare<br />

era sempre stato raffigurato con l'aspetto di un'aquila. Flavio<br />

Stilicone era un falco vandalo. Quell'immagine mi balzò in mente<br />

vedendolo. Era robusto e compatto e dava un'impressione di grande<br />

forza e agilità. Le braccia scoperte erano forti, sode e muscolose. Il<br />

volto era sottile e triste, con grandi occhi scuri, quasi neri. <strong>La</strong> bocca<br />

era piccola e ben disegnata, le labbra ferme e piene sopra a un mento<br />

forte, con una fossetta. Il volto era dominato da un naso piccolo e<br />

incredibilmente aquilino. Quel naso, in effetti, dominava il suo<br />

intero aspetto, con quegli occhi e quella fronte alta, spaziosa e senza<br />

rughe. Malgrado la giovane età - aveva solo ventinove anni - i<br />

capelli avevano già cominciato ad arretrare dalle tempie, lasciando<br />

al centro della fronte una punta sottile; an<strong>che</strong> da dove mi trovavo io,<br />

costretto a guardare la sua eminente figura dal basso in alto con un<br />

certo disagio, potevo notare sotto quelle ciglia l'intelligenza <strong>che</strong><br />

sfolgorava attraverso gli occhi scuri.<br />

Il gruppo dei sette si dispose in modo <strong>che</strong> quattro rimasero in


piedi, con le braccia piegate sul petto, dietro a tre seggi. Stilicone<br />

venne avanti e prese la sedia centrale, affiancato dagli altri due<br />

tribuni. Ma non si sedette. I suoi occhi si rivolsero a me, <strong>che</strong> mi<br />

trovavo in piedi sotto di lui, e vidi qualcosa agitarsi nella loro<br />

profondità, an<strong>che</strong> se non avrei saputo degenere cosa fosse. Mi<br />

guardò a lungo e profondamente, con occhi ora inespressivi, poi<br />

girò lo sguardo lungo tutto il tribunale, riportandolo alla fine su<br />

Seneca e Caio. Non si sentiva un solo rumore nella grande sala.<br />

Quando infine si sedette, fecero altrettanto an<strong>che</strong> tutti gli altri,<br />

tranne me, le guardie e i quattro tribuni in piedi dietro a lui.<br />

Stilicone strinse le labbra, poi si rivolse a tutta la sala.<br />

«Questo è un tribunale militare; siedo a giudizio in qualità di<br />

comandante in capo. Questo è an<strong>che</strong> un tribunale civile e lo presiedo<br />

in qualità di reggente della Sua Imperiale Maestà, Onorio. Le<br />

complesse questioni presentate oggi a questa corte sono sia civili <strong>che</strong><br />

militari. Il prigioniero davanti a noi è accusato di gravi crimini.»<br />

Guardò la pergamena <strong>che</strong> aveva di fronte e la srotolò. «Questo è il<br />

loro elenco.<br />

Primo: È stato dichiarato da Cesario Claudio Seneca <strong>che</strong> il<br />

prigioniero, di cui egli non conosce il nome, quattordici anni fa, in<br />

compagnia di un altro uomo, anch'egli sconosciuto al querelante,<br />

commise un'aggressione non provocata contro Claudio Seneca in<br />

una mansio pubblica, mentre Claudio Seneca era impegnato in affari<br />

privati in nome di Valentiniano, l'imperatore. È stato inoltre<br />

dichiarato <strong>che</strong> nel corso di tale aggressione il prigioniero ruppe il<br />

naso del querelante e gli sfregiò il corpo incidendogli sul petto la<br />

lettera V.<br />

Secondo: È stato dichiarato da Cesario Claudio Seneca <strong>che</strong> il<br />

prigioniero, il cui nome era sempre sconosciuto al querelante, venne<br />

riconosciuto due anni più tardi nella città di Aquae Sulis, e <strong>che</strong><br />

Quintilio Nesca, zio del querelante e magistrato di quella provincia,<br />

gli ordinò di arrendersi. È stato dichiarato inoltre <strong>che</strong> nel tentativo di


evitare la cattura per le accuse sopra citate, il prigioniero provocò la<br />

morte di due dipendenti di Quintilio Nesca e uccise il magistrato<br />

stesso strangolandolo la notte seguente.<br />

Terzo: È stato dichiarato da Cesario Claudio Seneca <strong>che</strong> al<br />

momento del suo arrivo nella casa di Caio Britannico, ex proconsole<br />

di Numidia e senatore di Roma, egli trovò il prigioniero, con il nome<br />

di Vulcano, nelle mani del proconsole, in attesa di essere condotto<br />

qui a Londinium per essere sottoposto a processo con l'accusa di<br />

brigantaggio e ribellione armata.» Si fermò e guardò verso Caio,<br />

annuendo. «Il senatore Caio Britannico è qui presente. Queste sono<br />

le accuse come sono state presentate a questo tribunale. Ci sono<br />

commenti?»<br />

«Sì, reggente!» Seneca si era alzato, con la faccia leggermente<br />

arrossata e un ghigno arrogante. «È un fatto secondario, ma richiede<br />

una precisazione. Hai trascurato di specificare <strong>che</strong> il senatore<br />

Britannico sostiene le accuse.»<br />

Stilicone lo fissò in silenzio per qual<strong>che</strong> istante prima di<br />

rispondere, con volto privo di espressione. «Non ho trascurato<br />

niente, senatore Seneca.» Abbassò brevemente lo sguardo, esitò un<br />

attimo e poi sollevò di nuovo gli occhi. «No, questo non è del tutto<br />

esatto, an<strong>che</strong> se la mia dimenticanza non ha alcun rapporto con la<br />

questione trattata in questa sede. Ho trascurato di menzionare,<br />

prima dell'inizio di questo processo, <strong>che</strong> sono stato informato della<br />

morte improvvisa del reggente dell'Impero d'Oriente, Flavio Rufino.<br />

Lo rimpiangeremo.»<br />

Allora si udì il rumore collettivo dei respiri trattenuti, e io voltai<br />

rapidamente il capo per vedere l'effetto di quell'annuncio su Seneca.<br />

Fui felice di vederlo impallidire e cominciai a sentirmi più sicuro del<br />

risultato di tutta la faccenda, an<strong>che</strong> se ero ancora perplesso.<br />

Stilicone ignorò l'effetto del suo annuncio su Seneca e continuò a<br />

parlare con una voce chiara e cristallina <strong>che</strong> risuonava per tutto il<br />

tribunale.


«Come rappresentante personale e reggente dell'imperatore<br />

Onorio sono qualificato, in caso volessi farlo, a decidere su questa<br />

materia a mia sola discrezione e a decretare il mio giudizio. Ma ho<br />

scelto di non fare così per alcune ragioni. Ho incaricato i legati<br />

<strong>La</strong>rrente e Titanio, qui presenti, di assistermi nel compilare e<br />

valutare le prove e le testimonianze raccolte su queste accuse, alcune<br />

delle quali molto vecchie. Siamo stati occupati in questa ricerca per<br />

le trascorse quarantotto ore. I nostri risultati congiunti sono i<br />

seguenti.»<br />

Rimase in silenzio per un momento, guardando attentamente il<br />

documento <strong>che</strong> teneva ancora aperto davanti a sé, poi alzò la testa e<br />

parlò di nuovo nel silenzio generale. «Per quanto riguarda l'accusa<br />

di aggressione, quattordici anni fa, il legato <strong>La</strong>rrente ha condotto<br />

l'istruttoria. Legato?»<br />

<strong>La</strong>rrente si alzò in piedi e con mia totale meraviglia procedette a<br />

una dettagliata testimonianza, fornita e ufficialmente confermata da<br />

Plauto, <strong>che</strong> riguardava i particolari dell'aggressione e le<br />

provocazioni <strong>che</strong> l'avevano causata. Seneca rimase in piedi per tutto<br />

quel tempo come una statua. Quando <strong>La</strong>rrente ebbe finito la sua<br />

esposizione, Stilicone fissò Seneca con espressione severa.<br />

«Ora,» disse, «c'è un'altra testimonianza di cui questo tribunale<br />

non dispone, ma mi è stato detto <strong>che</strong> può essere prodotta entro<br />

pochi giorni se il senatore Seneca lo desidera.»<br />

Mi scopersi a trattenere il fiato, chiedendomi di <strong>che</strong> cosa potesse<br />

trattarsi.<br />

Proseguì, tenendo gli occhi fissi su Seneca.<br />

«Il proprietario della mansio, la moglie e i due figli vivono ancora<br />

lì. Questo tribunale non ha alcun dubbio <strong>che</strong> essi ricorderanno<br />

l'eccitazione provocata dagli eventi qui in discussione. Senatore<br />

Seneca, è tuo desiderio <strong>che</strong> essi vengano convocati sub poena?»<br />

Il silenzio nella sala era assoluto. Il volto di Seneca era colore


della cenere. Finalmente, dopo un prolungato silenzio, Seneca scosse<br />

la testa. «No!» Deglutì a fatica. «Accetto... accetto il giudizio del<br />

tribunale.»<br />

«E così sia. Il tribunale giudica il prigioniero innocente di ogni<br />

atto criminale in questa faccenda. L'aggressione era giustificata e<br />

provocata. Ora, per l'omicidio del magistrato Quintilio Nesca.<br />

Legato Titanio?»<br />

Quasi mi mancarono le gambe per il sollievo!<br />

Mentre lottavo per respirare normalmente, il legato Titanio si<br />

alzò in piedi e riferì sulla faccenda di Aquae Sulis la meticolosa<br />

testimonianza dei testimoni <strong>che</strong> avevamo portato dalla Colonia.<br />

Quando ebbe finito e si fu seduto, Stilicone si guardò intorno e<br />

poi parlò di nuovo.<br />

«Rammentate, tutti voi presenti, <strong>che</strong> la caccia all'uomo nei<br />

confronti del prigioniero non era giustificata... Non aveva commesso<br />

nessun crimine punibile. Nell'anno <strong>che</strong> seguì all'aggressione<br />

originaria il prigioniero intraprese un viaggio verso Occidente, per<br />

sposarsi. Nel corso di quel viaggio egli sopravvisse a tre attentati<br />

alla sua vita, tutti compiuti da assassini prezzolati. Nell'ultima di<br />

queste occasioni il prigioniero catturò vivo uno di quegli uomini e lo<br />

consegnò alle autorità militari di Al<strong>che</strong>ster. L'assassino, prima di<br />

essere impiccato, rese una piena confessione. Disse di essere stato al<br />

soldo di Quintilio Nesca, <strong>che</strong> aveva offerto una ricca ricompensa in<br />

oro per la testa di un uomo - qualunque uomo - <strong>che</strong> corrispondesse<br />

alla descrizione del prigioniero. L'ufficiale <strong>che</strong> raccolse la<br />

confessione è stazionato ora nel nord della provincia, ad Arboricum.<br />

Senatore Seneca, desideri <strong>che</strong> prima di emettere la sentenza questo<br />

tribunale richiami quell'ufficiale per interrogarlo?»<br />

Di nuovo vi fu quel terribile, tormentato silenzio prima <strong>che</strong><br />

Seneca facesse un cenno negativo col capo e mormorasse: «No».<br />

«Così sia. È giudizio di questo tribunale <strong>che</strong> il prigioniero,


Publio Varro, è innocente di complicità nell'assassinio di Quintilio<br />

Nesca. Questo tribunale ritiene inoltre il prigioniero giustificato per<br />

avere ucciso due uomini di Nesca per proteggere la propria vita.»<br />

Fece una pausa. «Ora, per quanto riguarda la ribellione armata e<br />

il banditismo.» Mi guardò direttamente. «Il senatore Caio Britannico<br />

desidera rivolgersi a questo tribunale.»<br />

Caio si alzò, e le mie guardie non fecero nessun tentativo di<br />

trattenermi quando girai la testa per guardarlo.<br />

«Spiega le circostanze dell'arresto di quest'uomo, di nome<br />

Varro, sotto queste accuse.» <strong>La</strong> voce di Stilicone era priva di enfasi.<br />

Caio si guardò intorno, verso gli ufficiali riuniti, verso di me e<br />

infine verso Seneca, prima di rivolgersi nuovamente a Stilicone e ai<br />

suoi due legati.<br />

«Le accuse sono speciose, reggente» disse. «Sono totalmente<br />

prive di sostanza. Le ho inventate io stesso un'ora prima dell'arrivo<br />

di Claudio Seneca.» Sapevo <strong>che</strong> Caio aveva ignorato di proposito<br />

l'uso del titolo senatorio di Seneca. «Ero stato avvertito del suo<br />

arrivo e conoscevo tutte le circostanze legate al suo odio per<br />

quest'uomo, il mio amico Publio Varro. Perciò ideai il sotterfugio di<br />

portare Varro a Londinium sotto scorta, come l'unico mezzo <strong>che</strong><br />

avevo a disposizione per garantirgli salva la vita.»<br />

Sentivo su di me gli occhi di Seneca, l'odio nel suo sguardo mi<br />

corrodeva la pelle come un acido.<br />

Stilicone parlò di nuovo. «Da quanto tempo conosci il<br />

prigioniero, senatore?»<br />

«Da tre decadi ormai, reggente.»<br />

«E lo hai sempre ritenuto persona d'onore?»<br />

«Completamente.»<br />

«Fino a <strong>che</strong> punto?»<br />

Caio mi guardò prima di continuare e poi si girò verso la


tribuna. «Publio Varro serviva con me come centurione prima del<br />

primo attacco contro il Vallo, reggente. Dopo l'invasione lo elevai al<br />

rango di tribuno per la sua condotta sul campo. Ricevette la ferita<br />

<strong>che</strong> lo ha storpiato alla fine della campagna condotta dall'imperatore<br />

Teodosio contro gli invasori, e in quell'occasione ha avuto il merito<br />

di salvarmi la vita, in un'imboscata tra le montagne. In tutto il tempo<br />

<strong>che</strong> l'ho conosciuto si è sempre comportato con onore, lealtà,<br />

integrità e tutte le migliori qualità <strong>che</strong> siamo fieri di definire<br />

romane.»<br />

«Grazie, proconsole.» Caio si sedette, mentre Stilicone si alzava<br />

in piedi e picchiava il suo bastone di avorio sul rostrum. «Che tutti gli<br />

uomini presenti ascoltino. In nome di Onorio imperatore, questo<br />

tribunale dichiara l'accusato, Publio Varro, innocente di tutte le<br />

accuse e discolpato completamente agli occhi di Dio e degli uomini.<br />

E così sia. Togliete le catene al prigioniero e badate <strong>che</strong> sia nutrito e<br />

vestito come è dovuto al suo rango e come gli è dovuto per le<br />

ingiustizie <strong>che</strong> ha subito. Questo tribunale si aggiorna. Tribuno<br />

Seneca! Nei miei appartamenti, per favore. Immediatamente.»<br />

Mentre le conversazioni si intrecciavano intorno a me, io rimasi<br />

in piedi da solo dove mi trovavo, e pensavo <strong>che</strong> certamente tutti i<br />

nemici <strong>che</strong> Caio si era fatto, riuniti insieme, non potevano covare nei<br />

suoi confronti un decimo dell'odio <strong>che</strong> si era meritato quel giorno da<br />

Cesario Claudio Seneca.<br />

Fino a quel momento l'ossessione di Seneca per me era stata,<br />

sembrava, la forza motrice della sua vita, seconda forse<br />

all'accumulare denaro. Ma ora aveva un altro bersaglio per il suo<br />

odio. Caio Britannico. E sentivo dentro di me <strong>che</strong> Claudio Seneca era<br />

capacissimo di nutrire un duplice odio.


XIV.<br />

An<strong>che</strong> dopo <strong>che</strong> i ferri mi erano caduti dai polsi e dalle caviglie,<br />

mi sentivo male e tremavo dentro. Contai <strong>che</strong> avevo vissuto ventuno<br />

giorni incatenato in una gabbia o in una cella e il fatto di sapere <strong>che</strong><br />

tutto questo era per finta non mi aveva dato nessun conforto.<br />

Proprio nessuno. Era stata un'esperienza devastante, e quando, sotto<br />

custodia in quel tribunale, avevo sentito Stilicone leggere le accuse<br />

nei miei confronti, avevo veramente creduto di essere perduto. Le<br />

accuse suonavano molto gravi ed ero convinto <strong>che</strong> Seneca fosse<br />

riuscito alla fine, dopo quattordici anni, a liberarsi di me. Quando<br />

avevo sentito il verdetto di assoluzione da ogni accusa, penso <strong>che</strong><br />

sarei svenuto o avrei vomitato o entrambe le cose; avevo sentito<br />

come un rombo nelle orecchie e poi non avevo più visto una faccia,<br />

né sentito una delle parole <strong>che</strong> mi venivano rivolte.<br />

Mi portarono in una fucina e mi liberarono dalle catene, poi mi<br />

accompagnarono in un bagno, dove venni lavato con acqua e con<br />

vapore e poi strofinato per togliere la sporcizia di tre settimane, e<br />

infine mi condussero alla mensa degli ufficiali e mi diedero da<br />

mangiare, e per tutto il tempo la gente mi parlava. Ma non registrai<br />

niente di tutto ciò. Nella mia mente, nella mia anima, ero stato<br />

privato della dignità di uomo.<br />

Trovai la redenzione ad aspettarmi, però, al risveglio il mattino<br />

seguente. <strong>La</strong> catarsi, l'astratta purgazione dell'anima, viene di solito<br />

raggiunta dall'abilità dei tragici e dei drammaturghi facendo leva<br />

sulle emozioni degli spettatori. Nel mio caso, invece, fu incarnata da<br />

Plauto. Aprii gli occhi e lo scoprii pigramente appoggiato alla porta<br />

della stanza da letto, <strong>che</strong> mi fissava con le braccia conserte. Sbattei le<br />

palpebre incredulo e lui mi disse: «Sei sempre stato un brutto figlio<br />

di puttana, Varro, ma ora stai an<strong>che</strong> diventando pigro! Hai deciso di<br />

rimanere in quel giaciglio pulcioso per tutto il giorno?» Mi sedetti,


gettai le gambe giù dal letto, gli sorrisi con tutto me stesso e mi sentii<br />

di nuovo bene!<br />

Un'ora dopo eravamo seduti alla mensa, uno di fronte all'altro,<br />

indifferenti all'andirivieni degli ufficiali intorno a noi.<br />

«Allora,» gli chiesi, «come va la tua destinazione? Sei in eccelsa<br />

compagnia con tutte queste truppe imperiali.»<br />

Si incupì e parlò con voce bassa e ringhiosa. «Cosa intendi dire,<br />

in buona compagnia? Mi stai prendendo in giro? Quale<br />

destinazione? Guardami per l'amor di Dio! Sono un civile! Sono<br />

fuori!»<br />

«Fuori?» Avevo notato il suo abbigliamento da civile, ma avevo<br />

immaginato <strong>che</strong> fosse semplicemente fuori servizio, e sapevo <strong>che</strong><br />

non si sarebbe mai presentato volontariamente in uniforme nella<br />

zona riservata agli ufficiali. «Cosa intendi dire "fuori"? Non è<br />

possibile! Devi fare altri cinque anni!»<br />

«No.» Scosse la testa. «Trentacinque anni. Questo è il massimo.<br />

Adesso ho cinquantatré anni.»<br />

Lo fissai stupefatto. «Buon Dio, Plauto. Non ne avevo idea.<br />

Perché non me lo hai fatto sapere? Sapevi dove trovarmi. Se non<br />

fosse stato per il tuo avvertimento probabilmente sarei morto. Sarei<br />

andato incontro a quel maiale malnato di Seneca e avrebbe avuto le<br />

mie palle su un vassoio nel giro di un minuto.»<br />

Liquidò le mie parole con un gesto della mano. «<strong>La</strong>scia<br />

perdere.» Era evidente <strong>che</strong> non voleva aggiungere altro.<br />

«Non mi hai risposto. Perché non mi hai fatto sapere <strong>che</strong> eri<br />

fuori?»<br />

Il tono amaro della sua voce mi disse più delle sue parole. «A<br />

<strong>che</strong> scopo? Cosa dovevo dirti? Che ero finito? Fuori gioco? Che<br />

l'esercito non aveva più bisogno di me? Che sono troppo vecchio per<br />

dare il mio contributo? No, me ne sono andato e ho deciso di<br />

rimanere qui per un po'... finché sarà finita.»


«Finché sarà finita cosa? <strong>La</strong> vita?» Lo fissai incredulo, sorpreso<br />

di scoprire un lato di lui <strong>che</strong> non avevo mai sospettato. «Plauto,» gli<br />

dissi, «ho visto opinioni più valide di questa galleggiare nelle<br />

latrine! Cosa fai adesso?»<br />

Tirò su col naso. «Ti ricordi l'oro <strong>che</strong> mi hai dato? Beh, è servito<br />

in fin dei conti. L'ho usato per comprare una taverna, insieme a un<br />

altro <strong>che</strong> aveva finito insieme a me.»<br />

«Una taverna?» Ero sorpreso e felice per lui. «Va bene? Sei<br />

contento?»<br />

«È una fogna, come tutte le altre.» Mi lanciò uno sguardo<br />

disgustato. «Ero solito dire <strong>che</strong> se avessi mai posseduto una taverna<br />

l'avrei vietata ai civili. Beh, ho scoperto <strong>che</strong> non lo puoi fare. Non<br />

puoi stare fuori dall'esercito se non ti appoggi ai civili, perché<br />

quando attraversi uno di questi cancelli per l'ultima volta senza<br />

uniforme sei uno di loro. Puoi an<strong>che</strong> parlare come un soldato e<br />

pensare e agire come un soldato, ma sei un civile. Fine della storia, e<br />

fine della bella vita.»<br />

Quello <strong>che</strong> diceva mi sconcertava. Non sapevo cosa ribattere, a<br />

parte le ovvietà. «E la Colonia, Plauto? Il tuo posto è lì. Eri lì quando<br />

è cominciata, al mio matrimonio.»<br />

«Sì, e se ci fossi venuto cinque anni fa, invece di farmi<br />

riconfermare, sarebbe stato bello. Adesso è troppo tardi.»<br />

Lo aggredii, irritato. «Balle, Plauto! Di cosa stai parlando?»<br />

Mi interruppe con un gesto della mano. «Non ha senso<br />

discutere, Varro. È così, e basta. L'esercito non è stupido, l'esercito sa<br />

quello <strong>che</strong> fa. L'esercito si prende tutto quello <strong>che</strong> vale finché un<br />

uomo ha qualcosa da dare e poi, quando non serve più a niente,<br />

quando gli ha succhiato tutto quello <strong>che</strong> vale, è fuori, finito. Questa è<br />

una realtà della vita militare! Se sei inutile, sei fuori e se sei fuori, sei<br />

inutile.»<br />

«Brutto stupido...» mi fermai esasperato, guardandomi intorno


per essere sicuro <strong>che</strong> fossimo completamente soli e non ci sentisse<br />

nessuno. «Plauto, ti conosco da molti anni e credevo di conoscere<br />

tutti i tuoi difetti. So <strong>che</strong> sei un libertino, <strong>che</strong> hai un cattivo carattere,<br />

<strong>che</strong> sei uno sboccato figlio di puttana <strong>che</strong> preferisce combattere<br />

piuttosto <strong>che</strong> fornicare e a ogni buona occasione dice "bere" invece di<br />

"pensare", ma non ti avevo mai ritenuto lo stupido <strong>che</strong> mi sembri<br />

adesso. "L'esercito non è stupido! L'esercito sa quello <strong>che</strong> fa!" E da<br />

quando in nome di Dio? Che razza di vomito è questo? L'esercito è il<br />

peggiore casino dell'Impero. Lo hai sempre saputo. Non ci sono<br />

abbastanza cervelli in tutto l'alto comando per pianificare un<br />

itinerario di marcia da un capo all'altro di una strada diritta. Se<br />

l'esercito sapesse quello <strong>che</strong> fa, non ne servirebbe nemmeno la metà.<br />

E allora cosa sono tutte quelle balle di cui vai blaterando come una<br />

pecora ammalata? Ti stai piangendo addosso, ecco tutto!»<br />

Plauto mi fissava con gli occhi spalancati, preso in contropiede<br />

dalla mia veemenza. Continuai il mio assalto, senza dargli il tempo<br />

di ritrovare la parola. «Vuoi qualcosa di utile da fare? Ti darò io<br />

qualcosa di utile.» Abbassai la voce per prudenza e continuai in tono<br />

confidenziale. «A casa ho un esercito mio, <strong>che</strong> ha disperatamente<br />

bisogno di un addestramento decente. È un esercito piccolo, ma<br />

cresce ogni giorno. Stiamo inventando nuove tecni<strong>che</strong>, applicando<br />

idee <strong>che</strong> non sono mai state pensate prima e non abbiamo un solo<br />

anello inutile in tutta la catena del comando! Ho delle reclute <strong>che</strong><br />

non hanno mai sentito parlare dei diritti dei soldati. Sono abituati a<br />

costruire accampamenti fortificati e a marciare e a manovrare come<br />

lo facevano le legioni mille anni fa e pensano <strong>che</strong> sia tutto quello <strong>che</strong><br />

un soldato deve fare. Pensi <strong>che</strong> non mi serva la tua esperienza? Pensi<br />

davvero di essere troppo vecchio? Di non essere più utile?»<br />

Mi fermai e lo guardai. Mi fissava senza parole.<br />

«Adesso hai qualcosa a cui pensare, Plauto. Tra un paio di giorni<br />

noi partiamo per tornare a casa. Non usiamo denaro alla Colonia.<br />

Non ne abbiamo bisogno. E nean<strong>che</strong> tu. Non mi sembri troppo


contento di fare il taverniere, perciò pensaci. Perché non lasci la<br />

taverna al tuo socio e non torni con noi? Ti metterò al lavoro così in<br />

fretta <strong>che</strong> non avrai neppure il tempo di pensare se sei vecchio o<br />

inutile.»<br />

Mi fissava sempre, e mentre lo osservavo vidi luccicare nei suoi<br />

occhi la speranza.<br />

«Lo pensi davvero, Varro?»<br />

Scossi la testa con commiserazione. «Se hai bisogno di chiederlo,<br />

allora vuol dire <strong>che</strong> sei andato più in là di quello <strong>che</strong> pensavo. Cosa<br />

ne dici? Abbiamo un primus pilus?»<br />

Annuì, dapprima molto lentamente e poi con un grande sorriso<br />

<strong>che</strong> si estendeva su tutta la faccia e cancellava gli anni. «Puoi<br />

scommetterci le palle, Publio Varro. Hai un primus pilus.» <strong>La</strong> sua<br />

eccitazione cresceva visibilmente a ogni battito del cuore. «Per i<br />

testicoli di Tolomeo! Quando partiamo?»<br />

Sorrisi contento. «Non lo so con precisione. Domani o il giorno<br />

dopo. Comunque presto. Caio dovrebbe saperlo. Ha qualcosa da<br />

fare con la gente di Stilicone. Mi ricordo <strong>che</strong> ha detto qualcosa di<br />

simile la notte scorsa. Appena ha finito partiamo. Sei sicuro adesso<br />

<strong>che</strong> vuoi venire? Nessun rimpianto per la tua taverna?»<br />

Si sporse attraverso il tavolo e mi afferrò un polso e io fui molto<br />

commosso vedendo le lacrime nei suoi occhi. «Nessun rimpianto,<br />

amico, nessun rimpianto. Mai. <strong>La</strong> vita è troppo breve.» Socchiuse gli<br />

occhi. «Dindone, il mio socio, se la farà nelle bra<strong>che</strong> quando glielo<br />

dirò. Non ci crederà. Penserà <strong>che</strong> ho perso la testa. Gli piace il lavoro,<br />

ma i soldi erano i miei. Fa lui tutto il lavoro. Quando gli dirò <strong>che</strong> è<br />

tutto suo, se la farà addosso. Vieni con me adesso. Andiamo a<br />

dirglielo! Non vedo l'ora di vedere la faccia <strong>che</strong> farà.»<br />

Sogghignai e bevvi il mio succo di frutta. «D'accordo. Non ho<br />

altro da fare. Andiamo a dirglielo.»


Più tardi, quello stesso pomeriggio, Caio venne a farmi visita e<br />

parlammo per ore, soprattutto di tutto quello <strong>che</strong> era successo nelle<br />

settimane precedenti e della mia malattia. Logicamente la<br />

conversazione si spostò ben presto su Stilicone, e io volli sapere tutto<br />

di lui.<br />

«Come hai fatto a trovarlo?» chiesi a Caio. «È stato difficile avere<br />

un'udienza?»<br />

Sorrise. «No,» disse, «al contrario. Mi ha mandato a chiamare<br />

appena ha ricevuto la mia comunicazione.»<br />

«E poi?»<br />

«Mi ha dato il benvenuto.»<br />

«È tutto quello <strong>che</strong> hai intenzione di dirmi? Ti ha dato il<br />

benvenuto? In <strong>che</strong> modo? Cosa ti ha detto? E tu cosa gli hai detto?»<br />

Caio finse un atteggiamento annoiato, appoggiando<br />

languidamente il mento al palmo delle mani. «Bene, se davvero vuoi<br />

saperlo, suppongo <strong>che</strong> dovrò cercare di ricordare.» Unì le<br />

sopracciglia. «Ma adesso non c'è tempo. Vuole parlare con te questo<br />

pomeriggio. Adesso ha in corso una riunione con gli ufficiali<br />

anziani, e vuole <strong>che</strong> lo incontriamo subito dopo.»<br />

«Incontrarlo, dove?»<br />

«Nei suoi appartamenti. Dove altro?»<br />

Sentii le sopracciglia inarcarsi sulla mia fronte. «Chi ci sarà?»<br />

«Non so, Pico, forse. Tu e io. Forse pochi altri. Non è<br />

un'occasione formale. Stilicone ti piacerà.»<br />

«Mi piace già. L'ho amato quando ha emesso il suo verdetto<br />

ieri.»<br />

Caio sorrise. «Anch'io, devo ammetterlo.»<br />

Sentii i miei occhi spalancarsi per la sorpresa. «Intendi dire <strong>che</strong> ti<br />

ha sorpreso? Non sapevi quale sarebbe stato il suo verdetto?»


Di nuovo quel sorriso. «No. Confesso <strong>che</strong> non lo sapevo, an<strong>che</strong><br />

se immaginavo quale sarebbe stato e ci avrei, in realtà, scommesso.<br />

Ma non era proprio una certezza.»<br />

Non dissi niente, mentre Caio raccontava del suo primo<br />

incontro con Stilicone, quando aveva accennato alla mia presenza a<br />

Londinium e ai crimini di cui Seneca mi accusava. Ne aveva ricavato<br />

l'impressione inequivocabile, mi disse, <strong>che</strong> Stilicone non<br />

apprezzasse troppo Seneca, an<strong>che</strong> se il reggente non si era espresso<br />

chiaramente. Infine, quando aveva rivelato a Stilicone la mia vera<br />

identità, Caio era rimasto stupefatto di scoprire <strong>che</strong> Stilicone mi<br />

conosceva bene di fama, grazie a Pico, <strong>che</strong> era il più stretto<br />

collaboratore e confidente di Stilicone. Caio aveva subito provato<br />

simpatia per Stilicone e l'attrazione era stata reciproca, preparata<br />

dall'intimità di Pico con il reggente e dal rispetto <strong>che</strong> i due avevano<br />

uno per l'altro pur senza conoscersi. Caio aveva esposto il mio caso<br />

nei dettagli e Stilicone aveva incaricato i suoi due assistenti più<br />

fidati di raccogliere le informazioni e le prove per il processo.<br />

Era stato Stilicone a insistere di mantenere il sotterfugio grazie al<br />

quale Seneca non era consapevole dei veri rapporti tra me e gli altri<br />

accusatori. Caio sospettava <strong>che</strong> Stilicone volesse farlo sudare freddo,<br />

e non aveva ritenuto giusto intervenire. Era stato rassicurato<br />

dall'incontro con Stilicone ed era assolutamente fiducioso, an<strong>che</strong> se<br />

non certo, <strong>che</strong> il mio destino fosse in buone mani.<br />

Quando Caio ebbe finito di raccontarmi tutto questo era ora di<br />

mettersi in moto verso gli appartamenti di Stilicone, e io mi resi<br />

nuovamente conto della potenza e magnificenza della Roma<br />

imperiale, evidente nelle misure di sicurezza e nella pompa magna<br />

<strong>che</strong> circondavano la nostra semplice visita.<br />

Lo avevo notato an<strong>che</strong> in precedenza, quando ero stato<br />

prelevato dalla mia cella per affrontare il processo, ma ora,<br />

camminando da uomo libero tra Romani, l'ironico controsenso di<br />

quello <strong>che</strong> vedevo risaltava ancora di più nella mia coscienza.


Mi trovavo, ci trovavamo lì, a causa della convinzione di Caio,<br />

alla quale io avevo aderito inizialmente con riluttanza ma in seguito<br />

con dedizione totale, <strong>che</strong> tutta quella incredibile ric<strong>che</strong>zza e<br />

organizzazione ed efficienza <strong>che</strong> ci circondavano avrebbero presto<br />

cessato di esistere... <strong>che</strong> la stessa Roma, eterna padrona<br />

dell'universo, sarebbe morta.<br />

Percorrendo quei corridoi, però, sentendo la disciplinata,<br />

regolare cadenza degli stivali chiodati militari battere sui pavimenti<br />

di marmo, osservando la vigilanza discreta, inespressiva,<br />

concentrata delle guardie schierate e sapendo <strong>che</strong> ci avevano<br />

valutato e ci stavano ignorando, e <strong>che</strong> tutta la loro attenzione era<br />

rivolta a identificare e respingere qualsiasi minaccia al reggente<br />

imperiale, mi sembrava incredibile <strong>che</strong> una simile presenza, un così<br />

formidabile e inesorabile potere potessero mai cadere, e tanta<br />

supremazia vacillare.<br />

Mi ritrovai a chiedermi, per un istante, come Britannico avesse<br />

potuto essere così privo di buon senso, così completamente folle da<br />

dubitare di quella realtà. Ma poi il mio discernimento mi ricordò <strong>che</strong><br />

Caio non aveva mai parlato di morte immediata.<br />

Il destino <strong>che</strong> aveva previsto per l'Impero sarebbe iniziato con<br />

l'inevitabile ritiro delle armate imperiali per autodifesa, con una<br />

convulsione, una rimozione determinata dalla paura da luoghi come<br />

quello e dalla pacifica Britannia innanzitutto, lasciando <strong>che</strong> a tale<br />

ritirata seguissero la confusione e il vuoto. Quella era la vera ironia,<br />

il vero paradosso di quello <strong>che</strong> stava accadendo. Quando tutta la<br />

magnificenza fosse stata smantellata per ordine del servizio civile<br />

imperiale, terrorizzato e preoccupato solo di se stesso, tutto quello<br />

<strong>che</strong> stavo vedendo sarebbe divenuto unicamente un sogno e un<br />

ricordo per la gente come noi <strong>che</strong> avrebbe dovuto difendersi da sola,<br />

usando i mezzi a sua disposizione.<br />

Brillanti uniformi, ranghi serrati di guardie e armi lucenti pronte<br />

all'uso, in grado di proteggere e di tenere saldamente in pugno


ampie oasi di sicurezza, sarebbero rimasti in Britannia solo dove la<br />

gente rimasta fosse stata in grado di procurarseli da sé. Per poco<br />

tempo ancora, riflettei, erano qui, visibili e tangibili, e dovevano<br />

essere accettati per quello <strong>che</strong> erano. I loro sostituti li stavamo<br />

addestrando nella nostra Colonia. Spinsi indietro le spalle e<br />

camminai deciso tra gli uomini della nostra scorta.<br />

Il nostro avvicinamento finale al sancta sanctorum del reggente<br />

imperiale, nonché legato comandante della provincia di Britannia, si<br />

svolse lungo un corridoio lastricato di marmo <strong>che</strong> faceva e<strong>che</strong>ggiare<br />

i miei pensieri, insieme al rumore dei nostri passi e al passo chiodato<br />

del terzetto <strong>che</strong> ci scortava, un uomo davanti e uno per parte.<br />

Venticinque guardie erano in piedi sull'attenti su ogni lato del<br />

corridoio, a tre passi di distanza una dall'altra, risplendenti nella<br />

loro uniforme con mantello color porpora imperiale e le piume, la<br />

tunica ceste e l'armatura di bronzo. Le porte massicce in fondo al<br />

corridoio erano protette da un quintetto di sentinelle, spalla contro<br />

spalla. Fummo fatti passare oltre quelle porte, la presenza dell'uomo<br />

più potente <strong>che</strong> avessi mai visto di persona.<br />

Oltre quella porta l'enorme stanza era luminosa e sfarzosa,<br />

addobbata di fiori freschi, cosa <strong>che</strong> mi sorprese molto, dei quali<br />

aspirai con forza i profumi mescolati. Cercai subito la ragione di<br />

tutta quella luce e vidi grandi finestre con vetri dipinti in vari colori<br />

<strong>che</strong> consentivano alla luce del sole un notevole accesso alle stanze.<br />

Quelle furono le mie prime impressioni, immediate e subito<br />

dimenticate quando mi trovai sottoposto all'esame di un gruppo di<br />

ufficiali in splendide uniformi, radunati intorno a un tavolo sotto le<br />

finestre. Ne contai sette al primo sguardo, ma trascurai gli altri sei<br />

quando individuai nel gruppo l'uomo <strong>che</strong> eravamo venuti a vedere:<br />

Flavio Stilicone, comandante in capo degli eserciti imperiali romani,<br />

reggente del giovane imperatore Onorio. Quando Caio e io eravamo<br />

entrati si era fatto silenzio. Il centurione <strong>che</strong> ci aveva guidato salutò<br />

educatamente, girò sui tacchi e ci lasciò lì in piedi. Stilicone fece un<br />

cenno cortese per mostrare <strong>che</strong> aveva notato la nostra presenza, alzò


due dita per chiedere la nostra indulgenza per qual<strong>che</strong> istante<br />

ancora, e poi si rivolse ai suoi ufficiali, chiedendo loro con calma se<br />

era stato chiaro.<br />

Come un solo uomo gli ufficiali si irrigidirono sull'attenti e gli<br />

assicurarono <strong>che</strong> lo era stato e lui fece un altro cenno, cortesemente,<br />

per indicare <strong>che</strong> l'udienza era terminata. Gli ufficiali salutarono, si<br />

girarono e uscirono, e ognuno di loro trovò modo mentre usciva di<br />

guardarmi e valutarmi.<br />

Prima ancora <strong>che</strong> le porte si richiudessero Stilicone attraversò la<br />

stanza e mi venne incontro, fissandomi con i suoi grandi occhi di<br />

falco. Io mi irrigidii, chiedendomi improvvisamente quale sarebbe<br />

stato il modo corretto di rivolgersi a un uomo <strong>che</strong> aveva il potere,<br />

ma non il nome di imperatore.<br />

Non mi era venuto in mente di domandare a Caio come avrei<br />

dovuto chiamarlo se mi fossi trovato faccia a faccia con lui.<br />

Si fermò davanti a me e mi guardò con un'espressione, mi parve,<br />

beffarda. Non disse niente, mi venne solo incontro, e non accennò a<br />

salutarmi. Innervosito, a disagio, mi schiarii la voce e mi inchinai,<br />

cercando freneticamente parole cortesi <strong>che</strong> non mi facessero<br />

sembrare uno stupido.<br />

«Eminenza,» dissi, «ti chiedo perdono, ma non conosco il<br />

protocollo da usare. Non mi aspettavo di essere ricevuto in modo<br />

così personale e così diretto. Speravo di poter imitare gli altri.»<br />

Torse leggermente un angolo della bocca, una piccolissima<br />

contrazione involontaria, poi mi tese lentamente la mano destra. Il<br />

sigillo imperiale sul suo anulare era enorme. Mi chinai per baciarlo.<br />

«No! È da stringere, non da baciare.»<br />

Stupefatto gli strinsi la mano, sentendo sul polso l'agile forza<br />

delle sue dita. Lui portò la mano sinistra al mio gomito, facendo così<br />

il saluto a doppia presa, e io ne fui ancora più stupito. Non mi lasciò<br />

andare, invece si sporse in avanti e mi guardò negli occhi, con lo


stesso sguardo insolito.<br />

«Mi chiedo se sai, Varro, quanto è raro incontrare un uomo per<br />

la prima volta e sapere <strong>che</strong> mi posso fidare di lui e del suo onore in<br />

modo incondizionato. Credimi, è molto raro. E adesso ho avuto<br />

questo piacere due volte in due settimane.»<br />

Lo fissai sbattendo le palpebre. «Eminenza?»<br />

«Eminenza!» Sorrise e il suo volto subì una metamorfosi totale:<br />

vi lessi comprensione, spirito e un'apertura <strong>che</strong>, intuii<br />

immediatamente, riservava a pochi. «An<strong>che</strong> quel termine suona<br />

estraneo alla tua bocca. Eminenza! Chiamami generale. È quello <strong>che</strong><br />

sono, un semplice soldato come te e come il tuo amico qui presente e<br />

come suo figlio.»<br />

«Pico.»<br />

«Sì, Pico Britannico.» Spostò lo sguardo su Caio. «È la luce dei<br />

miei giorni tempestosi.» I suoi occhi scuri tornarono a posarsi su di<br />

me. «Mi ha parlato molto di te.»<br />

Sentii una vampata di orgoglio per Caio, e sapevo <strong>che</strong> era niente<br />

rispetto a quello <strong>che</strong> provava lui per il figlio. «Ti serve bene,<br />

generale?»<br />

«Mi serve bene? Sì, suppongo <strong>che</strong> si possa dire così. Gli affido la<br />

mia vita e quella dell'imperatore. È il mio migliore comandante di<br />

cavalleria e il mio amico più intimo.» Si girò e indicò alla sua sinistra<br />

un grande paravento con incisioni ornamentali. «Venite, possiamo<br />

sederci qui dietro in privato. Vi ho riservato un po' di tempo, perché<br />

ci sono molte cose di cui voglio discutere. Possiamo bere un po' di<br />

vino mentre conversiamo, ma poi devo fare delle convocazioni.<br />

Potete venire con me, se volete, se il momento arriva prima <strong>che</strong><br />

abbiamo finito di parlare.»<br />

Ci spostammo dietro al paravento in un cubiculum arredato, con<br />

il pavimento coperto da tappeti per rendere il locale più accogliente,<br />

e lui stesso ci servì del vino da una brocca d'argento. Mentre lo


versava continuò a parlare. «Senatore Britannico, sono stato franco<br />

con te e non mi aspetto di meno in cambio. Ho avuto anni di sincero<br />

rapporto con tuo figlio e mi sono abituato all'oasi di fres<strong>che</strong>zza e di<br />

buon senso <strong>che</strong> mi offre ogni giorno.» Si sedette e fece con la sua<br />

coppa un silenzioso brindisi prima di bere un sorso. Assaggiai il<br />

vino. Era eccellente, come ci si sarebbe aspettati da una brocca<br />

imperiale. Stilicone inclinò leggermente il capo. «Voglio parlare<br />

della vostra Colonia, ma prima <strong>che</strong> cominciamo vi avverto <strong>che</strong> so<br />

tutto. Lo so da anni. Ovviamente è illegale, ma conosco an<strong>che</strong> la<br />

ragione della sua esistenza e lo scopo della sua nascita. O è<br />

cambiato? Aspettate sempre l'evacuazione della Britannia per<br />

proclamare la vostra indipendenza?»<br />

Vidi <strong>che</strong> Caio deglutiva a fatica. «Sì, generale. Aspetteremo.»<br />

«Bene. Ne parleremo di nuovo più tardi. Adesso lasciatemi<br />

arrivare al punto cruciale di questo incontro: Claudio Seneca. Che<br />

cosa sapete realmente di quell'uomo?»<br />

Caio considerò la domanda e rispose con sincerità. «Abbastanza<br />

per dire <strong>che</strong> non fa onore all'Impero, generale. Devo ammettere <strong>che</strong><br />

ho avuto paura vedendolo in uniforme. Mi sembra <strong>che</strong> Roma abbia<br />

già abbastanza problemi senza assumersi an<strong>che</strong> la responsabilità di<br />

un uomo simile in una posizione di autorità.»<br />

Stilicone sembrava meditare, pensoso. Guardò verso Caio, con<br />

stima. «Flavio Rufino? Cosa sai di lui?»<br />

Caio scosse la testa. «Quasi niente. Solo <strong>che</strong> tu e lui non eravate i<br />

migliori amici e <strong>che</strong> vi dividevate il potere: lui in Oriente e tu in<br />

Occidente.»<br />

Un sorriso balenò negli occhi di Stilicone. «Bene espresso. A<br />

Roma dicono <strong>che</strong> l'ho fatto uccidere. Non è vero. Non è il mio modo<br />

di agire. Comunque è morto, e non mi dispiace. Seneca è, o meglio<br />

era, uno dei suoi uomini, mandato da Rufino per tenermi d'occhio.»<br />

Non potei fare a meno di parlare, malgrado il mio timore


everenziale. Non avrei mai immaginato <strong>che</strong> fosse nel carattere di<br />

quell'uomo tollerare una cosa simile. «Lo sapevi,» dissi, «e l'hai<br />

sopportato? Perché non ti sei liberato di lui, generale?»<br />

Mi sorrise, in uno sfavillio di occhi e di denti. «Politica, Publio<br />

Varro, politica. Qualcosa con cui tu non hai il tempo, né la necessità<br />

di trattare. Non potevo rimuoverlo dalla sua carica finché Rufino era<br />

vivo, per diverse ragioni. Ora posso e intendo farlo, ma è una<br />

questione secondaria, adesso.» Fece una pausa e ci guardò entrambi.<br />

«Voglio <strong>che</strong> capiate bene <strong>che</strong> cosa è successo con Seneca. Non è certo<br />

il tipo di uomo <strong>che</strong> si offre volontario per il servizio attivo. Fu<br />

Teodosio a decidere di fare un soldato del tuo amico Claudio e lo ha<br />

fatto per due ragioni: la prima era dimostrare il suo potere su<br />

Valentiniano <strong>che</strong> era il mentore e protettore di Seneca, ma la seconda<br />

era per dimostrare in modo chiaro a Seneca <strong>che</strong> non era soddisfatto<br />

di come era stata risolta la faccenda della sua lealtà mentre era<br />

procuratore qui in Britannia, fino al momento, e compreso il<br />

momento, della ribellione dell'usurpatore Magno Massimo. I<br />

rapporti <strong>che</strong> riferivano <strong>che</strong> Seneca aveva finanziato il tentativo del<br />

ribelle di usurpare la porpora imperiale erano convincenti e le loro<br />

fonti impressionanti. Non fu mai avanzato un argomento<br />

convincente contro la loro sincerità... all'infuori dell'argomento<br />

determinante, vale a dire il ritorno di Seneca dai morti, con i suoi<br />

conti e i suoi libri in perfetto ordine e tutte le cifre giustificate...» <strong>La</strong><br />

sua voce si spense, lasciando in sospeso quest'ultimo argomento, e<br />

poi riprese.<br />

«Teodosio non ne fu convinto, però, e non tentò in nessun modo<br />

di nascondere il suo scetticismo. Offrì a Seneca una scelta: servizio<br />

attivo nell'esercito per dieci anni o confisca e perdita di tutte le sue<br />

proprietà. In altre parole, nessuna scelta. Seneca aderì alle richieste<br />

imperiali e fu messo a mia disposizione. Ma c'era qualcosa, una<br />

connessione, non so di <strong>che</strong> tipo e non voglio saperlo, tra Seneca e<br />

Rufino. In ogni caso Seneca è un uomo potente, con molti cosiddetti<br />

amici. Uno di questi mi suggerì di assegnare Seneca a Rufino e io fui


en lieto di farlo. Per averlo fuori dai piedi. Rimase con Rufino per<br />

cinque anni, più o meno, fino a <strong>che</strong> Teodosio mi nominò tutore di<br />

suo figlio Onorio, e improvvisamente fui sottoposto a pressioni per<br />

trasferire Seneca al mio comando. Seneca arrivò come una spia pura<br />

e semplice, ma a causa delle ramificazioni politi<strong>che</strong> dietro le quinte,<br />

non c'era niente <strong>che</strong> io potessi fare per liberarmi dal danno della sua<br />

presenza senza causare grave dolore e pena a diversi amici miei.<br />

Consapevole di questo lo tollerai, assicurandomi però <strong>che</strong> non<br />

potesse danneggiare in nessun settore i miei progetti.»<br />

Si interruppe e fissò per un momento dentro la coppa prima di<br />

portarla alle labbra e di vuotarla. Poi si pulì con cura le labbra con<br />

un tovagliolo ripiegato e lo ripose sul tavolo insieme alla coppa<br />

vuota. Alzò di nuovo lo sguardo verso di me e i suoi occhi erano<br />

freddi.<br />

«Adesso Valentiniano è morto, Teodosio è morto e Rufino è<br />

morto. Ho in mano io il potere, almeno per ora.» Fece una nuova<br />

pausa, i suoi occhi nei miei, e mi ritrovai a pensare <strong>che</strong> era un bene<br />

<strong>che</strong> non mi volesse male. Continuò a parlare. «Ho parlato con<br />

Claudio Seneca dopo la tua comparsa in tribunale, mastro Varro. <strong>La</strong><br />

sua condotta è cambiata in modo drammatico da allora. Gli ho<br />

trovato un lavoro da fare per mio conto alla frontiera settentrionale.<br />

Troverà quell'esperienza illuminante. Credimi, se ha un'inclinazione<br />

a proseguire ancora questa diatriba, troverà poco tempo per<br />

occuparsi della sua vendetta personale contro di te.»<br />

Risposi al suo sorriso. «Grazie, generale. Sono sollevato di<br />

saperlo.»<br />

Mi strizzò l'occhio, così in fretta <strong>che</strong> mi chiesi in seguito se mi<br />

fossi sbagliato, e poi diresse la sua attenzione e l'intera forza della<br />

sua personalità verso Caio.<br />

«Proconsole Britannico, Pico mi dice <strong>che</strong> ami questa terra più di<br />

ogni altro posto al mondo. Adesso <strong>che</strong> sono qui e ho visto questa<br />

terra con i miei occhi posso capire perché. Non credo di aver mai


visto una campagna più verde.»<br />

Caio sorrise gentilmente, e ovviamente non sentì il bisogno di<br />

commentare. Stilicone si alzò di nuovo e riempì i nostri bicchieri, e io<br />

ammirai il suo fascino. C'erano servitori ovunque, pronti a ubbidire<br />

a un suo comando, eppure durante il nostro incontro scelse di agire<br />

come nostro servitore. Mentre pensavo a questo cambiò un'altra<br />

volta argomento.<br />

«Tu sei un comandante di fanteria, proconsole. Cosa pensi del<br />

mio cambiamento a favore della cavalleria?»<br />

Caio sorseggiò il vino con apprezzamento, meditando sulla<br />

risposta prima di parlare. Alla fine fece un cenno con la testa. «I<br />

tempi sono maturi, credo. Il nemico è salito a cavallo e ha distrutto<br />

un'armata romana. Cer<strong>che</strong>ranno di farlo ancora.»<br />

«E?» Il volto di Stilicone era teso. Chiaramente questa risposta<br />

era importante per lui.<br />

Caio scrollò le spalle. «Tu sarai pronto per loro. Visibilmente<br />

pronto. Sapendolo sarà improbabile <strong>che</strong> ti provochino.»<br />

Stilicone mi guardò, an<strong>che</strong> se i suoi pensieri erano altrove. «È un<br />

compito enorme, proconsole, cambiare il modo di combattere di un<br />

Impero.»<br />

«Sì, generale Stilicone, alcuni penseranno an<strong>che</strong> <strong>che</strong> sia<br />

impossibile. Ma non è impossibile e io penso <strong>che</strong> tu abbia ragione.»<br />

Caio parlò lentamente e Stilicone rivolse i suoi occhi nuovamente su<br />

di lui, scrutandolo in volto come se volesse scoprirvi una traccia di<br />

adulazione.<br />

«Lo pensi? Questo mi sorprende.»<br />

Caio sorrise. «Perché, generale? Perché ho conosciuto le vecchie<br />

legioni di fanteria? Questo non mi rende cieco sulla necessità di<br />

cambiamenti.»<br />

Stilicone grugnì. «Mmm! Vorrei poter dire lo stesso della


maggioranza dei tuoi colleghi, proconsole! Puoi indovinare perché<br />

sono venuto in Britannia?»<br />

Adesso fu la volta di Caio di ridere apertamente. «Facilmente.<br />

Sei qui per addestrare le tue truppe in azioni contro un nemico <strong>che</strong><br />

non può offrire loro opposizione a terra.» <strong>La</strong> faccia di Stilicone si<br />

allargò in un sorriso. «I Sassoni non hanno mai visto una cavalleria<br />

disciplinata. Né l'hanno mai vista gli invasori da nord. Non possono<br />

offrire una difesa contro le tue forze. Li distruggerai facilmente e in<br />

fretta, darai il battesimo del sangue alle tue truppe e mostrerai al<br />

mondo il valore della tua strategia e della tua tattica.»<br />

«Buon Dio, Caio Britannico, vorrei <strong>che</strong> tu avessi vent'anni di<br />

meno! Ti riarruolerei subito e ti affiderei una divisione! Tu pensi<br />

come me. Se avessi cinquanta generali come te potrei rovesciare il<br />

corso della storia e riparare il danno fatto negli ultimi duecento<br />

anni!»<br />

Sentii il mio stomaco contrarsi quando Caio decise di rischiare.<br />

«Io ho già un esercito, generale Stilicone» disse. «È ancora piccolo,<br />

ma è in gamba. È a tua disposizione, adesso e in futuro.»<br />

Stilicone aggrottò la fronte. «Cosa intendi dire dicendo <strong>che</strong> hai<br />

un esercito? Intendi dire i tuoi coloni?»<br />

«Sì, generale, i nostri coloni.» Il cenno di Caio fu lento e<br />

orgoglioso.<br />

«Quanti sono?»<br />

Caio mi guardò e io mi strinsi nelle spalle. «Circa un migliaio, in<br />

uniforme» dissi.<br />

«In uniforme? Intendi dire un vero esercito?»<br />

Annuii. «Abbiamo an<strong>che</strong> una cavalleria pesante come la tua, di<br />

cento uomini.»<br />

«Cavalleria pesante? E dove avete preso i cavalli?»<br />

«Li abbiamo selezionati nei nostri allevamenti, generale.»


«E i cavalieri?» <strong>La</strong> sua faccia era priva di espressione. «Li<br />

abbiamo addestrati noi.»<br />

«Chi è "noi"?»<br />

Guardai Caio prima di rispondere. «Sono io, suppongo. Le idee<br />

sono mie, tentativi ed errori. Passo le miei istruzioni ad altri<br />

istruttori.»<br />

«E come addestri la tua gente? Che tatti<strong>che</strong> usi?»<br />

Mi strinsi di nuovo nelle spalle, meravigliandomi del modo in<br />

cui questo interrogatorio si svolgeva senza una parola di condanna.<br />

«Come ho detto, è stata una serie di tentativi ed errori, generale.<br />

Comunque abbiamo studiato le campagne di Alessandro il<br />

Macedone e cercato di ricostruire il modo in cui si sono<br />

presumibilmente svolte. È stata un'idea del proconsole.»<br />

«Mio Dio! Anch'io ho cominciato allo stesso modo. E da quanto<br />

tempo vi state impegnando in questo senso?»<br />

«Da circa dieci anni.»<br />

«Non riesco a crederci! Avete un programma per selezionare i<br />

cavalli?»<br />

«Sì, lo abbiamo. Ma i nostri cavalli non sono grandi come i<br />

vostri. Non ancora.»<br />

Si alzò in piedi e cominciò a camminare su e giù, con le mani<br />

intrecciate dietro la schiena, e per un po' di tempo ci fu silenzio.<br />

Poi riprese: «Proconsole, dimmi di questa tua regione<br />

occidentale. Quali problemi ti preoccupano?»<br />

Notai <strong>che</strong> Caio sentiva una ragione dietro quella domanda e<br />

rifletté sulla risposta, pensando bene a cosa dire per esprimere i suoi<br />

pensieri con giudizio. «Pochi problemi, generale Stilicone, se<br />

paragonati al resto della provincia. Le nostre difficoltà principali<br />

sono sorte di recente, a causa della rimozione delle guarnigioni<br />

occidentali per rafforzare le altre parti della provincia: la Costa


sassone e le regioni della frontiera settentrionale.»<br />

Stilicone ascoltò attentamente, mentre Caio continuava<br />

parlando della nostra alleanza con Ullic e i Celti e della crescente<br />

necessità di fornire la nostra protezione ai vicini nell'area circostante<br />

la Colonia. Quando Caio ebbe finito, Stilicone si sedette di nuovo,<br />

immerso nei suoi pensieri. Colsi lo sguardo di Caio, <strong>che</strong> alzò il<br />

sopracciglio alla Britannico. Finalmente Stilicone parlò di nuovo.<br />

«Per quanto riguarda le guarnigioni, la loro riduzione e il<br />

conseguente abbandono delle postazioni, temo di doverti dire <strong>che</strong><br />

posso fare ben poco. Ho bisogno di ogni uomo per contenere<br />

l'invasione da nord e per evitare <strong>che</strong> si ripeta quando me ne sarò<br />

andato.»<br />

Caio batté le palpebre. «Ma sei appena arrivato, generale! Stai<br />

già partendo?»<br />

«No.» Scosse la testa e sbocconcellò un pezzo di pane. «Ma non<br />

posso rimanere a lungo. Il mondo ha bisogno di essere governato.<br />

Assisterò all'esordio di questa campagna e aspetterò <strong>che</strong> sia sulla via<br />

della vittoria e poi la lascerò nelle mani di tuo figlio perché la finisca<br />

per bene. In mia assenza mia moglie si sta occupando<br />

dell'imperatore e dell'Impero, ma è una donna, an<strong>che</strong> se non ho<br />

dubbi sulla sua competenza, con le debolezze e la forza tipi<strong>che</strong> di<br />

una donna.» Sorrise con sincero calore. «Serena è formidabile, ma ha<br />

la tendenza a essere ingenua in alcune cose ed esitante in altre.<br />

Sbatte in prigione chiunque le sembri meritarlo, per esempio, ma<br />

esita a decidere chi deve morire per i crimini <strong>che</strong> ha commesso. Ogni<br />

volta <strong>che</strong> vado a casa scopro <strong>che</strong> le prigioni sono piene da scoppiare<br />

e an<strong>che</strong> di più.» Si girò verso di me con un rapido sorriso. «Questa,<br />

come sono certo <strong>che</strong> capirete, può essere una situazione molto<br />

scomoda <strong>che</strong> richiede di essere immediatamente raddrizzata.»<br />

Sorrisi e non dissi niente e lui si girò verso Caio.<br />

«Allora proconsole, come stavo dicendo, non posso rimanere a<br />

lungo in Britannia, né posso rimettere le guarnigioni nei forti


occidentali. Una cosa la posso fare, però... se vorrai accettare la mia<br />

idea.» Si fermò, aspettando una reazione. Mi chiesi cosa aveva in<br />

mente. Un'occhiata a Caio mi rivelò <strong>che</strong> an<strong>che</strong> lui si chiedeva la<br />

stessa cosa.<br />

Caio si schiarì la voce. «Mettimi pure alla prova, generale. Sarò<br />

onorato di prendere in considerazione qualunque tuo suggerimento<br />

e felice se potrà migliorare la nostra sicurezza.»<br />

Stilicone si alzò e si allontanò dal tavolo, e prese una pergamena<br />

da un mucchio <strong>che</strong> era sul tavolo contro il muro. Lo guardai in<br />

silenzio tornare verso di noi e mettere un piede sulla seggiola.<br />

Immerso nei suoi pensieri appoggiò un gomito al ginocchio e si<br />

batté il rotolo di pergamena sul palmo della mano. Poi si morsicò un<br />

labbro e aspirò, sibilando, l'aria tra i denti.<br />

«Sto pensando a un accordo fra noi, proconsole Britannico, per il<br />

nostro reciproco vantaggio. L'idea mi era già venuta prima, ma<br />

adesso mi piace ancora di più. Io riconoscerò la vostra Colonia,<br />

ufficialmente e legalmente, se tu accetterai il mio incarico di servire<br />

come Legatus Emeritus delle Forze Irregolari nel sud-ovest.»<br />

Vide nei nostri occhi l'entità del trauma subito e continuò: «Ve<br />

l'ho detto, ci sono troppo pochi uomini capaci intorno a me, di cui<br />

mi possa davvero fidare. Ci sono troppi Seneca. Ho bisogno del<br />

sostegno incondizionato e della lealtà di gente come voi. E tu, in<br />

cambio, hai bisogno dell'assoluzione <strong>che</strong> posso offrirti per le vostre<br />

trasgressioni contro la legge imperiale. Signifi<strong>che</strong>rebbe molto per la<br />

vostra Colonia, tanto per cominciare uno stato legale, senza dover<br />

temere ispezioni o indagini in futuro. Signifi<strong>che</strong>rebbe an<strong>che</strong> potere<br />

acquisire in modo legittimo sangue nuovo per le vostre mandrie di<br />

cavalli, tramite i miei funzionari».<br />

Sentii il cuore battermi con forza nel petto. Era molto più di<br />

quanto avremmo mai osato sperare. Doveva esserci un risvolto<br />

negativo da qual<strong>che</strong> parte. Sapevo <strong>che</strong> Caio stava pensando la stessa<br />

cosa quando trasse un grosso respiro.


«Generale Stilicone,» disse, «non ti mentirò. L'idea mi eccita<br />

molto. Però devo considerare <strong>che</strong> ho un dovere nei confronti della<br />

mia gente. Hai detto di un accordo vantaggioso per entrambi e<br />

finora hai parlato di un vantaggio esclusivamente nostro. Che cosa ti<br />

aspetti da noi in cambio?»<br />

Stilicone sorrise, mostrando i denti bianchi. Era un sorriso<br />

gradevole, ma ebbi la sensazione <strong>che</strong> con un piccolo cambiamento<br />

avrebbe potuto diventare un sorriso gelido. «Protezione dei miei<br />

interessi, sostegno, lealtà e devozione totale ai miei piani per la<br />

Britannia.»<br />

Caio fece una pausa, trattenendo il respiro e poi lo buttò fuori.<br />

«Perdonerai la mia domanda, spero, generale Stilicone ma in <strong>che</strong><br />

cosa consistono i tuoi piani per la Britannia?»<br />

Stava ancora sorridendo. «Prosperità, pace e una continua<br />

presenza della legge e dell'ordine in questo paese. Devo occuparmi<br />

di un'invasione nel nord, come sai. Devo an<strong>che</strong> controbattere<br />

incessanti incursioni nell'est, nord-est e sud-est. Nell'estremo nord<br />

abbiamo meno problemi. Il paese sembra troppo inospitale lassù.<br />

Ma nelle altre aree ho bisogno di ogni uomo degli eserciti della<br />

Britannia e questo significa <strong>che</strong> ho ancora più bisogno delle<br />

guarnigioni dell'ovest. Dovrò ridurle a uno s<strong>che</strong>letro. Perciò vorrei<br />

poter contare su di voi. Il tuo esercito, come lo chiami, è forse<br />

piccolo, ma immagino <strong>che</strong> sia superbo. Io ne ho bisogno, e ne ho<br />

bisogno proprio dov'è. <strong>La</strong> vostra parte dell'accordo sarebbe di<br />

continuare le vostre attività come sono sempre state, ma di<br />

ampliarle e di espanderle. Io vi fornirò i cavalli, se voi fornirete gli<br />

uomini. Vi darò an<strong>che</strong> il permesso firmato di mio pugno. Cosa mi<br />

dici?»<br />

Rimanemmo a guardare entrambi attentamente Caio, <strong>che</strong><br />

studiava la proposta. Mi guardò in cerca di aiuto, ma tutto quello<br />

<strong>che</strong> riuscii a fare fu sorridere come uno stupido e annuire. Ritenevo<br />

<strong>che</strong> fosse un'idea meravigliosa. Caio stava morsicandosi il labbro


inferiore. Alla fine si strinse nelle spalle e disse a Stilicone il suo<br />

pensiero.<br />

«Questa è una decisione importante, generale. Avrà ampie<br />

conseguenze per la nostra Colonia. Di diritto dovrebbe essere<br />

discussa nel Consiglio. Ma so <strong>che</strong> non c'è tempo e così la decisione<br />

ricade su di me. Mi piace. Mi dà la sensazione dell'onestà, della<br />

correttezza. Non riesco a pensare <strong>che</strong> un simile accordo possa<br />

compromettere i nostri piani per il futuro, dal momento <strong>che</strong> essi<br />

sono legati solo alla sopravvivenza in caso di abbandono. <strong>La</strong><br />

cooperazione rende solo meno probabile quell'abbandono. Sono<br />

d'accordo. Firmerò questo patto.»<br />

Stilicone picchiò il pugno sul tavolo. «Eccellente! Lo farò<br />

scrivere dai miei impiegati. Ce altro di cui pensate di avere bisogno,<br />

a parte l'incarico e i cavalli? So <strong>che</strong> non usate denaro nella vostra<br />

Colonia. O ne usate?»<br />

Caio scosse la testa. «No, non ne usiamo. Cerchiamo di essere<br />

autosufficienti. Non c'è altro <strong>che</strong> mi venga in mente adesso. Non<br />

potrei chiedere di più, generale.»<br />

Stilicone sorrise, brevemente. «Sì, potresti, ma poiché sei tu, non<br />

lo farai. E così è bene <strong>che</strong> sia. Io devo andare, ma voi potete restare.<br />

Pico vi raggiungerà. È fuori servizio adesso e voi tre avete molte<br />

cose di cui parlare, penso.»<br />

Mi strinse la mano prima di andarsene.


XV.<br />

Pico non ci raggiunse quella sera. Incarichi straordinari<br />

richiedevano la sua presenza altrove. Poco dopo la partenza del<br />

reggente imperiale, però, arrivò un messaggero da parte del figlio di<br />

Caio <strong>che</strong> ci portava le sue scuse e ci chiedeva di incontrarlo alla<br />

basilica, nel foro cittadino, la mattina seguente, dove avrebbe<br />

presieduto una corte civile come delegato di Stilicone. Non appena<br />

le cause fossero finite, ci informò il messaggero, Pico ci avrebbe<br />

portato in un giro di ispezione del suo accampamento di cavalleria,<br />

cinque miglia a sud della città.<br />

Gli mandammo un messaggio, rispondendogli <strong>che</strong> saremmo<br />

stati lì presto - le porte venivano infatti chiuse e sbarrate dopo<br />

l'arrivo dei magistrati - e poi andammo insieme in cerca di cibo. Ma<br />

an<strong>che</strong> quello non ci fu permesso. Un funzionario imperiale ci<br />

intercettò mentre ci avvicinavamo alla mensa e informò Caio <strong>che</strong><br />

avrebbe avuto bisogno di lui per diverse ore, cominciando presto la<br />

mattina seguente, per preparare le carte riguardanti l'incarico di<br />

Stilicone e i suoi codicilli. Caio fece una smorfia, gli pose un paio di<br />

domande e poi si girò verso di me, pregando il funzionario di<br />

aspettare.<br />

«Perdonami, Publio, ma dovrai mangiare da solo la tua prima<br />

sera da uomo libero. Sai come sono queste scioc<strong>che</strong>zze. Parlano di<br />

"diverse ore" ma possono facilmente volerci dei giorni, e ci<br />

tratterrebbero qui mentre dovremmo già essere in cammino verso<br />

casa, quindi è meglio <strong>che</strong> cominci adesso, finché è tutto fresco nella<br />

mia mente.»<br />

Annuii. «E domattina? L'incontro con Pico?»<br />

Sorrise tristemente, scuotendo la testa. «Impossibile per me. Ci<br />

andrai da solo. Pico sarà felice di vederti e di mostrarti il suo<br />

accampamento. Ne è molto fiero.»


«Ne sono certo. Ma tu?»<br />

«Io cosa? Ho già passato molte ore con Pico la settimana scorsa.<br />

Tu e lui non vi vedete da vent'anni.»<br />

Sentendo quelle parole mi venne in mente all'improvviso come<br />

il tempo fosse passato in fretta.<br />

«Che aspetto ha, Cai? È cambiato molto?»<br />

Caio sorrise, e la sua faccia risplendette di orgoglio. «È mio<br />

figlio, <strong>che</strong> aspetto vuoi <strong>che</strong> abbia?» Si fermò e riprese: «No, voglio<br />

risponderti onestamente, Publio. È... magnifico. Non lo avrei<br />

riconosciuto se lo avessi visto per strada, né lo avresti riconosciuto<br />

tu. Ma non ti dirò altro. Meriti la stessa piacevole sorpresa <strong>che</strong> ho<br />

avuto io. Ricorda, ho sempre preso in giro mia moglie Eraclita<br />

dicendo <strong>che</strong> una delle sue nonne era passata troppo vicina a uno<br />

schiavo nordico... <strong>La</strong> prima occhiata a mio figlio dopo vent'anni mi<br />

ha convinto <strong>che</strong> quello s<strong>che</strong>rzo era più vicino alla verità di quanto<br />

sospettassi». Sorrise di nuovo e mi strinse un braccio in segno di<br />

saluto. «Esprimigli tutto il mio affetto e goditi il tempo con lui. Sarò<br />

qui quando tornerai e spero <strong>che</strong> potremo partire presto verso casa.»<br />

Mi fece un cenno col capo, poi lasciò immediatamente la stanza<br />

con il funzionario, per dedicarsi al lavoro preliminare di abbozzare i<br />

dettagli del patto discusso con Stilicone. Andai a cenare da solo e mi<br />

ritirai presto.<br />

<strong>La</strong> mattina successiva rotolai fuori dal letto due ore prima del<br />

sorgere del sole, nel freddo invernale di un'umida oscurità riempita<br />

dal sibilo della pioggia scrosciante. Sentendomi molto triste per<br />

tutto quello <strong>che</strong> avevo passato ultimamente, mi buttai in faccia<br />

dell'acqua gelata e mi avviai verso la mensa dove molti altri stavano<br />

cominciando la loro giornata, e pochi avevano un aspetto molto più<br />

allegro del mio. Mi sedetti vicino alle cucine, e cominciai a sentirmi<br />

meglio. I panettieri avevano lavorato tutta la notte, come sempre, e


le cucine erano calde del calore dei forni e gravide del profumo del<br />

pane appena cotto.<br />

Feci colazione con una pagnotta fresca e croccante, con una<br />

zuppa d'avena calda e cremoso latte fresco, e poi mi diressi ai bagni,<br />

dove trovai ressa già nel sudarium. Ognuno era contento di ignorare<br />

l'altro mentre cercavamo di ottenere un aspetto umano in mezzo al<br />

vapore. <strong>La</strong> pioggia cessò prima dell'alba, e quando lasciai i bagni i<br />

raggi del sole trafiggevano le masse di nuvole.<br />

Meno di un'ora dopo mi presentai alle guardie della<br />

guarnigione di servizio alla basilica del foro e chiesi di parlare<br />

all'ufficiale di servizio. Mi dissero <strong>che</strong> non era ancora arrivato, e mi<br />

mandarono ad aspettare in un'anticamera fuori dalla sala delle<br />

udienze. Benché fossi stato tentato di far valere la mia posizione,<br />

dicendo loro chi ero e chi dovevo incontrare, decisi invece di fare<br />

come mi era stato detto. Non erano guardie imperiali; erano soldati<br />

semplici di fanteria <strong>che</strong> cercavano di essere cortesi nello<br />

svolgimento del loro sgradevole e noioso lavoro. Feci un cenno di<br />

ringraziamento, mi avviai alla porta <strong>che</strong> la guardia aveva indicato e<br />

mi fermai sulla soglia, guardandomi intorno prima di entrare.<br />

<strong>La</strong> stanza era lunga, stretta e buia. Calcolai circa venti passi di<br />

lunghezza per sei di larghezza e la sola fonte di luce era una finestra<br />

a due archi senza vetri nella parete più lontana, opposta all'entrata.<br />

Una doppia porta proprio a sinistra dell'ingresso era chiusa, e a<br />

guardia di essa c'erano due legionari, dritti e rigidi; alla loro destra,<br />

a un tavolo grande e levigato, coperto da pile di documenti scritti,<br />

sedeva un impiegato con l'aria annoiata. Davanti a lui, una<br />

moltitudine di gente affollava l'intera stanza, tutti evidentemente in<br />

attesa di vedere qualcuno e tutti evidentemente arrivati prima di<br />

me.<br />

Mentre mi avvicinavo al tavolo, l'impiegato alzò pigramente gli<br />

occhi, mi chiese il nome, ma non il motivo della mia presenza, e mi<br />

disse di sedermi. Mi morsicai di nuovo la lingua e mi girai per fare


come mi aveva detto, ma le due lunghe pan<strong>che</strong> contro le pareti<br />

laterali erano occupate, e an<strong>che</strong> le due pan<strong>che</strong> più corte, messe<br />

schiena contro schiena al centro della sala, per cui non trovai posto<br />

dove sedermi. Attraversai la sala in tutta la sua lunghezza,<br />

facendomi strada con attenzione tra le file di piedi sporgenti, e mi<br />

appoggiai con la schiena al muro nel piccolo spazio libero di fronte<br />

all'unica finestra, e da quella posizione mi misi a contare le teste e a<br />

osservare gli occupanti della sala.<br />

Non avevano niente di inconsueto, an<strong>che</strong> se mi sembrava <strong>che</strong><br />

avrebbero desiderato tutti quanti essere altrove. Anch'io lo avrei<br />

desiderato, ma sapevo <strong>che</strong> sarei andato altrove non appena Pico<br />

fosse comparso. Se così non fosse stato calcolai pigramente <strong>che</strong> sarei<br />

stato il ventiquattresimo della fila. Rividi quel calcolo, però,<br />

esaminando la folla più attentamente. Identificai diverse persone<br />

evidentemente sole, assorte nelle loro preoccupazioni, ma la<br />

maggioranza, notai, era in coppia, e c'erano an<strong>che</strong> due gruppi di tre<br />

persone. Mi chiesi quali liti e dispute dovessero venire risolte, e <strong>che</strong><br />

tipo di giudice Pico sarebbe parso a coloro <strong>che</strong> gli chiedevano<br />

giustizia come rappresentante del reggente.<br />

I presenti nella maggior parte dei casi stavano in silenzio e non<br />

si accorgevano <strong>che</strong> li stavo osservando. Ognuno sfuggiva gli occhi<br />

degli altri, passando il tempo con stoica pazienza. Alcuni parlavano<br />

tra loro sussurrando, e mi resi conto <strong>che</strong> molti avevano paura e si<br />

sentivano a disagio, cosa <strong>che</strong> non mi stupiva se pensavo dove si<br />

trovavano e qual era la probabile natura dei loro affari con<br />

l'amministrazione militare e le autorità civili di Londinium. Li<br />

classificai come normali cittadini; gli abiti trasandati e scialbi<br />

avevano i toni del marrone e del grigio. Tre uomini raggruppati<br />

all'estremità più lontana della sala erano palesemente dei contadini<br />

e altri due, <strong>che</strong> stavano pigiati su una panca alla mia destra e<br />

litigavano scambiandosi feroci bisbigli, sembravano dei mercanti,<br />

data la qualità superiore delle vesti. Nessuno di loro mi guardò e io<br />

cominciai ben presto ad annoiarmi.


Da un po' di tempo mi ero accorto di avere un'unghia rotta,<br />

quella del mignolo della mano sinistra, <strong>che</strong> si impigliava<br />

fastidiosamente nella lana del mio mantello. Per passare il tempo,<br />

appoggiai la schiena al muro, tirai fuori dal fodero pugnale di pietra<br />

del cielo e cominciai a limare l'unghia rotta. Mi accorsi <strong>che</strong> qualcuno<br />

veniva verso di me e alzai gli occhi. Era uno degli uomini <strong>che</strong><br />

sedevano da soli, proprio in fondo alla stanza, vicino alle due<br />

guardie. Era un tizio alto, corpulento, con gli occhi ravvicinati, un<br />

forte strabismo e un naso <strong>che</strong> gli era stato schiacciato. Ai piedi aveva<br />

pesanti stivali di feltro ed era completamente avvolto in un ampio<br />

mantello, con un'estremità buttata sulla spalla sinistra, in modo <strong>che</strong><br />

le braccia fossero completamente coperte. I suoi occhi fissavano il<br />

mio coltello, probabilmente per via dell'impressionante lucentezza<br />

della lama, ma quando vide <strong>che</strong> lo guardavo distolse gli occhi, e<br />

fissò la finestra dietro di me. Aveva una faccia priva di espressione.<br />

Si fermò a circa un passo dalla finestra, proprio di fronte a me, alla<br />

mia destra, il puzzo <strong>che</strong> emanava mi tolse il respiro. Lo ignorai, ma<br />

aprii la bocca per respirare, nella speranza di non sentire il suo<br />

odore. Passai un polpastrello sul bordo dell'unghia, ora diventato<br />

liscio, e rinfilai il pugnale nel fodero prima di guardarlo di nuovo.<br />

Quell'uomo sembrava tenersi leggermente indietro, come per<br />

mantenere la faccia in ombra dietro la finestra. Pigramente, senza<br />

essere veramente interessato, staccai la schiena dal muro, mi girai e<br />

seguii il suo sguardo nel cortile oltre la finestra per vedere cosa<br />

stesse guardando, sperando <strong>che</strong>, qualunque cosa fosse, fosse noiosa,<br />

così da allontanare lui e il suo fetore da quel lato della stanza.<br />

Quattro prigionieri erano seduti in catene al centro del cortile,<br />

con i polsi legati e le braccia trattenute da grossi bastoni infilati tra la<br />

schiena e i gomiti piegati. Erano ammanettati insieme con una<br />

catena <strong>che</strong> passava attraverso gli anelli di metallo <strong>che</strong> avevano<br />

intorno alle caviglie, ed erano guardati da una squadra di sei soldati.<br />

I dieci uomini erano immobili. Quell'uomo sapeva <strong>che</strong> erano lì e si<br />

era avvicinato alla finestra per guardarli.


«Chi sono?» gli chiesi. Gli occhi strabici guizzarono sulla mia<br />

faccia e poi di nuovo verso il cortile, come se non avessi parlato. A<br />

parte questo ignorò completamente me e la mia domanda. Seccato<br />

gli girai intorno e mi sporsi con le mani sul davanzale dell'altra metà<br />

della finestra, sia per avere un po' d'aria fresca, <strong>che</strong> per vedere<br />

meglio. Quando lo feci lui si irrigidì in modo palese, ma non fece<br />

nessun altro movimento.<br />

Uno dei soldati nel cortile vide il movimento alla finestra e<br />

guardò verso di me. Il mio compagno si tirò un po' indietro nella<br />

stanza, solo di mezzo passo, ma questo mi mise in guardia.<br />

Quell'uomo non voleva essere visto. Feci un saluto distratto al<br />

soldato e mi girai di nuovo verso la stanza, appoggiandomi al bordo<br />

della finestra e guardando attentamente nel nulla, an<strong>che</strong> se non<br />

avevo motivo per una simile cautela, se non un vago rimescolio del<br />

mio istinto di soldato. Sentii una porta aprirsi e chiudersi nel cortile<br />

sottostante, poi il misurato, pesante scalpiccio degli stivali chiodati<br />

sui ciottoli e la voce alta, inconfondibile di un centurione. «Forza,<br />

gente! Fate alzare questi animali e togliete loro le catene. Il tribuno li<br />

vuole. Portateli dentro, forza, muoversi!» Si sentì un passo<br />

strascicato e delle maledizioni e il rumore della catena <strong>che</strong> veniva<br />

fatta scorrere dentro un anello di ferro. L'uomo vicino a me si girò e<br />

ritornò al suo posto, e io vidi quattro paia di occhi <strong>che</strong> lo seguivano,<br />

scrutandogli il volto. Se non lo avessi fissato, avrei an<strong>che</strong> potuto non<br />

notare il lieve cenno della testa. Dietro di me il rumore degli stivali<br />

chiodati ricominciò. Non sapevo <strong>che</strong> cosa stesse succedendo, ma il<br />

mio istinto mi diceva <strong>che</strong> c'erano guai in vista.<br />

Un altro rumore, proveniente dal corridoio fuori dalla stanza,<br />

risvegliò la mia attenzione: passi di stivali chiodati si avvicinavano<br />

rapidamente. Un elegante centurione apparve proprio sotto la<br />

finestra, seguito a distanza dalle sei guardie <strong>che</strong> fian<strong>che</strong>ggiavano i<br />

quattro prigionieri. Erano diretti presumibilmente verso la porta<br />

attraverso cui il centurione era entrato nel cortile. Sentendo<br />

dell'agitazione nella sala alle mie spalle, mi girai. Tre ufficiali,


guidati da un gigante alto tutta una testa più dei suoi compagni,<br />

erano incorniciati nella porta dell'anticamera e guardavano attoniti e<br />

sorpresi la massa di gente <strong>che</strong> li aspettava.<br />

«Che diamine...» <strong>La</strong> voce dell'ufficiale più alto scatenò una<br />

babele di voci tra i presenti fino a quel momento silenziosi, <strong>che</strong> si<br />

mossero tutti insieme verso di lui come un solo corpo.<br />

Cominciarono i due mercanti, alzandosi in piedi e muovendosi<br />

rapidi verso la porta, ma in meno di un attimo tutti gli occupanti<br />

della stanza erano in piedi, e il rumore era indescrivibile mentre<br />

ognuno cercava di catturare l'attenzione dell'ufficiale.<br />

<strong>La</strong> zuffa <strong>che</strong> ne derivò si sviluppò più in fretta di quanto io<br />

possa descrivere. Notai lo zotico massiccio, puzzolente e con gli<br />

occhi storti farsi strada verso l'ufficiale alto e nello stesso istante<br />

capii <strong>che</strong> l'ufficiale era Pico. D'impulso, e chiedendomi mentre lo<br />

facevo se avevo perso la ragione, mi girai e saltai sulla lunga panca<br />

<strong>che</strong> un momento prima era stipata di corpi, cercando furiosamente<br />

con lo sguardo gli altri quattro uomini <strong>che</strong> avevo identificato come<br />

compagni dell'uomo strabico. Uno di loro era molto vicino a Pico,<br />

dalla parte opposta.<br />

«Pico!» urlai sopra il baccano. «Assassini... dietro di te!»<br />

Pico mi sentì e la sua reazione fu immediata. Si buttò in avanti,<br />

irrigidendo le braccia e urtando i suoi due compagni ma, mentre<br />

loro stavano ancora barcollando in avanti, si era già girato con la<br />

spada sguainata. Ebbi la fugace sensazione di un coltello, levato<br />

prima verso l'alto e poi abbassato in un colpo violento, vibrato dove<br />

avrebbe dovuto trovarsi il collo di Pico, e poi fui improvvisamente<br />

cosciente del pericolo <strong>che</strong> minacciava an<strong>che</strong> me. Tre dei quattro<br />

uomini <strong>che</strong> avevo notato stavano facendosi largo tra la folla per<br />

raggiungermi, con una feroce bramosia negli occhi, e spintonavano<br />

gli sfortunati <strong>che</strong> si trovavano in mezzo. <strong>La</strong> gente adesso urlava,<br />

allarmata, senza capire cosa stesse succedendo, ma rendendosi<br />

conto di essere in pericolo mortale.


Mi guardai rapidamente intorno, valutando le possibilità in mio<br />

favore. Non ce n'erano. Le guardie nel vestibolo esterno erano<br />

bloccate, e non potevano entrare nella stanza perché la gente presa<br />

dal panico premeva contro le porte. An<strong>che</strong> le guardie davanti alla<br />

doppia porta <strong>che</strong> portava nella sala delle udienze erano<br />

impossibilitate a muoversi per la massa dei corpi. Solo Pico<br />

sembrava mobile e armato. Non vedevo traccia dei suoi aggressori.<br />

L'assassino più vicino mi diresse una stoccata con un gladio e io<br />

mi maledissi per non essermi portato una spada. <strong>La</strong> sua lama arrivò<br />

quasi a colpirmi; tirai dentro la pancia e lo colpii in faccia con il<br />

pugnale di pietra celeste. Non ebbi tempo di fare altro, e non ricordo<br />

neppure di aver tirato fuori il pugnale dal fodero. <strong>La</strong> punta si infilò<br />

in profondità nel suo occhio destro e lui urlò e si portò le mani alla<br />

faccia, cadendo in ginocchio.<br />

Quando il primo uomo cadde, uno dei suoi compagni, molto<br />

vicino a lui, inciampò nelle gambe di un altro uomo <strong>che</strong> era stato<br />

buttato a terra e cercava di scappare. An<strong>che</strong> il secondo assassino<br />

cadde, imprecando a gran voce e vibrando feroci colpi allo<br />

sventurato <strong>che</strong> lo aveva fatto cadere. Feci forza con la gamba sana<br />

sullo schienale della panca, mi sollevai e vacillai un momento, poi<br />

mi lanciai sul terzo e ultimo dei miei assalitori. Vidi il braccio <strong>che</strong><br />

reggeva la spada girare per colpirmi, ma gli fui addosso prima <strong>che</strong><br />

avesse la possibilità di vibrare un fendente, e cademmo sopra un<br />

mucchio di corpi <strong>che</strong> si contorcevano e dimenavano. Nella<br />

confusione della lotta lo persi completamente di vista. Poi sentii<br />

qualcuno urlare: «Fuori, fuori, via!» e quando riuscii a rialzarmi vidi<br />

tre dei cinque uomini <strong>che</strong> avevo notato all'inizio, compreso quello su<br />

cui mi ero appena scagliato, correre verso la finestra aperta. Li seguii<br />

alla massima velocità possibile saltando nel cortile attraverso la<br />

finestra, atterrai sulla gamba storpia e mi accasciai dolorosamente<br />

sui ciottoli del lastricato.<br />

Prima <strong>che</strong> potessi rimettermi in piedi mi ritrovai disteso sulla


schiena, con la spada del centurione puntata alla gola. <strong>La</strong> porta dalla<br />

quale stava entrando era a meno di tre passi dalla finestra. Vidi con<br />

la coda dell'occhio i quattro prigionieri <strong>che</strong> venivano riportati<br />

indietro dalle guardie e capii <strong>che</strong> gli eventi erano trapelati<br />

all'esterno, poi rivolsi tutta la mia attenzione al centurione <strong>che</strong> si<br />

disponeva ad ammazzarmi.<br />

«Non me! Gli altri!» ruggii. «I tre davanti a me! Ce l'hanno con il<br />

giudice, il delegato del reggente! Chiama le guardie!»<br />

Era uno <strong>che</strong> pensava rapidamente. I suoi occhi corsero<br />

velocemente alla finestra aperta sopra la mia testa e notò il fracasso e<br />

la confusione.<br />

«Merda!» sibilò, trascinandomi lui stesso in salvo da un lato<br />

verso la porta, e lasciandomi subito andare. «Chi sono?»<br />

«Non lo so, li ho notati solo per caso. Ma non è finita.» Lo<br />

zoticone puzzolente atterrò vicino a me mentre dicevo quelle parole.<br />

Doveva avermi visto saltare e ci aveva messo molto per attraversare<br />

la sala affollata e seguirmi attraverso la finestra. Il lungo mantello<br />

era scomparso e reggeva un'ascia in una mano e una spada<br />

nell'altra, ma proprio questa fu la sua rovina. Roteò l'ascia e si prese<br />

in pieno nello sterno la stoccata del centurione. Barcollò all'indietro<br />

con un ringhio, ma la spada non era riuscita a penetrare la camicia di<br />

maglia <strong>che</strong> portava sotto la tunica. Rotolai su un fianco, cercando di<br />

rimettermi in piedi. Poi vidi una guardia correre a tutta velocità<br />

verso il nostro aggressore e poi piegarsi, contorcersi e cadere con<br />

una freccia nel collo. Avevo visto balenare il guizzo della freccia e mi<br />

girai, finalmente in piedi, per vedere chi l'aveva tirata. All'ingresso<br />

del cortile c'erano due arcieri e uno di loro stava prendendomi di<br />

mira. Mi buttai di lato e la freccia mi passò oltre sibilando, colpì il<br />

centurione all'interno del gomito sinistro, scagliandolo a terra con<br />

violenza. Sentii delle urla provenire dalla finestra sopra di me, urla<br />

subito coperte dal rombante frastuono di un carro a quattro ruote<br />

tirato da cavalli, <strong>che</strong> entrava sbandando nel cortile lastricato


attraverso i cancelli ora aperti, mandando a gambe all'aria uno degli<br />

arcieri prima <strong>che</strong> il conducente riprendesse il controllo della<br />

traiettoria e si dirigesse contro di me a tutta velocità. Mi girai e corsi<br />

verso la porta, spalancandola. Gli uomini di guardia ai prigionieri<br />

erano ancora lì, con gli occhi spalancati per l'indecisione.<br />

«Portateli dentro,» gridai, «poi sbarrate la porta e venite ad<br />

aiutare qua fuori!»<br />

Portarono al sicuro gli uomini <strong>che</strong> avevano in affidamento e io<br />

sbattei la porta chiudendola dietro di loro; troppo tardi mi resi conto<br />

<strong>che</strong> avrei potuto andare con loro. Il carro rombava come se fosse già<br />

addosso, e mi girai per affrontarlo. C'erano degli uomini sul retro<br />

del carro, e due uomini sul sedile davanti, uno reggeva le redini e<br />

l'altro impugnava una grande ascia, lottando per mantenere<br />

l'equilibrio sull'ondeggiante veicolo. I cavalli erano a meno di dodici<br />

passi da me ed era ovvio <strong>che</strong> il conducente intendeva schiacciarmi<br />

contro il muro.<br />

Raccolsi con la sinistra la spada del centurione e lanciai il<br />

pugnale di pietra celeste, tenendolo per la punta e indirizzandolo<br />

con forza nella gola del conducente. Sbagliai. L'impugnatura lo colpì<br />

sulla fronte, rovesciandogli violentemente la testa all'indietro; con<br />

una capriola mi allontanai dal muro, buttandomi quasi sotto gli<br />

zoccoli dei cavalli in preda al panico, ed evitando per poco la<br />

massiccia, cigolante ruota del carro.<br />

Sentii uno schianto di s<strong>che</strong>gge frantumate quando il fianco del<br />

carro urtò il muro, e poi fui di nuovo in piedi e mi misi a correre<br />

verso il cancello, e verso l'arciere <strong>che</strong> avevo visto prima travolto dal<br />

carro. Avevo perso la spada quando ero finito a terra per scansare il<br />

carro, e adesso ero disarmato, un bersaglio facile per l'arciere ancora<br />

vivo.<br />

Ma l'arciere non c'era più. Non trovai traccia di lui. Solo il suo<br />

compagno giaceva dov'era caduto, e sette frecce erano sparse<br />

intorno a lui. Le raccolsi e strisciai verso l'arco, a circa dieci passi di


distanza. Nessuno badava a me. Raccolsi l'arco, incoccai una freccia<br />

e mi guardai intorno. I soldati cominciavano a comparire da ogni<br />

parte, saltavano giù dalle finestre aperte, correvano veloci lungo i<br />

fianchi dell'edificio in fondo al cortile e si disperdevano poi in tutte<br />

le direzioni. Vidi il corpo immobile del centurione rannicchiato<br />

contro il muro sotto la finestra dell'anticamera, e an<strong>che</strong> da lontano<br />

vedevo <strong>che</strong> era coperto di sangue. Immaginai <strong>che</strong> fosse stato<br />

travolto dal carro e, proprio mentre stavo pensando al carro lo vidi,<br />

in mezzo al cortile, <strong>che</strong> ricominciava a muoversi. I quattro aspiranti<br />

assassini erano sul carro ora, circondati da una mezza dozzina di<br />

altri <strong>che</strong> dovevano già essere a bordo del carro. L'uomo <strong>che</strong> teneva le<br />

redini adesso, <strong>che</strong> aveva sostituito quello contro cui avevo lanciato il<br />

pugnale, frustava furiosamente i cavalli per far compiere al carro un<br />

ampio cerchio; i cavalli presero velocità, diventando un'arma<br />

poderosa contro i fanti <strong>che</strong> convergevano da ogni lato. I giavellotti<br />

saettavano per il cortile e cadevano inutilmente a terra; completato il<br />

suo giro, il carro si diresse rombando contro di me, verso il cancello<br />

ancora aperto.<br />

«Chiudete le porte» urlai, ma nessuno mi sentì. Un'esile linea di<br />

legionari si era schierata davanti al cancello aperto, ma capivo <strong>che</strong><br />

erano inutili e <strong>che</strong> sarebbero stati travolti dal carro. Allora un altro<br />

pensiero mi attraversò la mente, facendomi gelare il sangue, e subito<br />

seppi <strong>che</strong> cosa dovevo fare.<br />

Tesi la corda dell'arco vicino all'orecchio, era molto più leggero<br />

del mio grande arco e mirai al cavallo di testa più vicino, nel punto<br />

morbido tra il collo e le spalle. Il colpo arrivò diritto e preciso;<br />

l'animale si abbatté sulle ginocchia a metà corsa, facendo perdere<br />

l'equilibrio al compagno e ostacolando il cavallo <strong>che</strong> gli stava dietro.<br />

Il carro sbandò violentemente e molti suoi occupanti furono sbalzati<br />

in aria. <strong>La</strong> seconda freccia colpì subito dopo l'altro cavallo di testa,<br />

<strong>che</strong> nitrì e cercò di indietreggiare.<br />

Il carro si schiantò rovinosamente sul fianco e fu


immediatamente circondato dai soldati, <strong>che</strong> finirono i passeggeri<br />

sopravvissuti. Io ero troppo lontano per poter impedire il massacro.<br />

Aspettai <strong>che</strong> l'agitazione si placasse e poi avanzai verso i resti<br />

del carro. Mentre mi avvicinavo vidi un soldato raccogliere un<br />

coltello dalla lama lucente.<br />

«È mio» dissi. «Grazie.»<br />

Lui mi guardò, con la fronte aggrottata. «Cosa vuol dire <strong>che</strong> è<br />

tuo?» <strong>La</strong> sua voce era rude.<br />

«Guarda sull'impugnatura» dissi. Gli ero vicino ormai. «C'è<br />

incisa una V. Sta per Varro. Sono io.»<br />

Il soldato guardò, ma era ancora sospettoso. «E allora cosa ci fa<br />

qui? E tu chi sei?»<br />

«Sono quello <strong>che</strong> ha dato l'allarme ed è lì perché l'ho lanciato<br />

contro il conducente. Lo ha colpito con l'elsa e poi è caduto nel carro.<br />

Il centurione è morto?»<br />

«Quale centurione?»<br />

Sospirai e tentai di nuovo. «Hai mai sentito parlare di Stilicone,<br />

il reggente dell'imperatore?»<br />

«Certo. Perché? Chi vuole saperlo?»<br />

Sospirai di nuovo. Avevo le gambe molli e sentivo uno strano<br />

rullio di tamburi nelle orecchie. Chiusi gli occhi e li riaprii, cercando<br />

con grande difficoltà di restare calmo.<br />

«Io voglio saperlo. Il mio nome completo è Gaio Publio Varro e<br />

ho certi affari con il delegato di Stilicone, Pico Britannico. Adesso<br />

portami da lui e porta con te il mio coltello.»<br />

Mi guardò ancora per un lungo istante e poi decise <strong>che</strong> forse era<br />

una buona idea credermi sulla parola. Mi porse il pugnale e mi fece<br />

cenno di andare con lui. Infilai il pugnale nel fodero e lo seguii.<br />

Il cortile dietro la basilica era in fermento, i soldati correvano in<br />

ogni direzione. Quando ci avvicinammo alla porta del cortile


quattro uomini stavano sollevando una barella con il corpo del<br />

centurione. Feci cenno alla mia scorta, <strong>che</strong> mi seguì mentre mi<br />

dirigevo verso di loro. Fui sorpreso di scoprire <strong>che</strong> il centurione era<br />

non solamente vivo, ma cosciente e compos mentis. Mi riconobbe<br />

immediatamente e mi parlò con voce forte.<br />

«Chi sei?»<br />

«Il mio nome è Varro. Publio Varro.» Avevo la voce rauca.<br />

«Come stai?»<br />

«Vivrò.» Grugnì e le sue labbra si contrassero in uno spasmo di<br />

dolore, ma proseguì. «Forse non potrò più combattere, però. Il<br />

gomito perforato e una gamba rotta. Nean<strong>che</strong> tu hai un bell'aspetto.<br />

Quel sangue è tutto tuo?»<br />

«Sangue? Quale sangue?» Portai la mano alla testa e la ritirai<br />

rossa e appiccicosa. «Mmm» ricordo di aver detto. «Immagino di sì.»<br />

Poi il rombo nelle orecchie crebbe a dismisura, e le ginocchia<br />

cedettero facendomi crollare di traverso addosso al centurione.<br />

Sentii <strong>che</strong> mi sollevavano e mi trasportavano, e allora persi i sensi<br />

del tutto.<br />

Mi risvegliai su un giaciglio pulito, con la testa fasciata,<br />

guardato a vista da un giovane soldato <strong>che</strong> mi chiese se riuscivo a<br />

sentirlo e poi uscì appena gli risposi.<br />

Rimasi disteso sulla schiena per un po', poi ripresi le forze e mi<br />

alzai in piedi. Sentivo degli strani rumori nella testa e la stanza<br />

vacillò in modo allarmante per alcuni minuti, ma il capogiro passò<br />

in fretta. Attraversai con cautela la stanza, poi mi sedetti a riposare,<br />

pensando di riprovare. Ma prima <strong>che</strong> potessi farlo sentii dei passi<br />

avvicinarsi, la porta si spalancò e vidi Pico abbassare gli occhi su di<br />

me.<br />

Il ragazzo <strong>che</strong> ricordavo era svanito da molto tempo; Pico era<br />

davvero enorme! Dovevamo abituarci ai cambiamenti fisici uno<br />

dell'altro. Lui giganteggiava su di me per più di una testa, e il resto


del corpo era perfettamente proporzionato all'altezza.<br />

Sarei stato due volte nella sua corazza, e la forza delle sue<br />

braccia mentre mi stringeva minacciò di fracassarmi le costole. Fu<br />

un gioioso ritrovarsi. Ora sapevo perché Caio era così fiero di aver<br />

generato quel gigante possente.<br />

«Zio Varro!» ruggì con un vocione profondo. «Grazie, ti devo la<br />

vita. Come ti senti?»<br />

Arricciai il naso, chiedendomi anch'io la stessa cosa. «Non lo so,<br />

Pico. Bene, penso, ma non tanto bene quanto te, direi. Posso uscire<br />

da qui?»<br />

Pico guardò l'uomo al suo fianco, un medico, dall'aspetto.<br />

«Allora? Può?»<br />

Il medico strinse le labbra e scosse la testa. «Non penso <strong>che</strong><br />

dovrebbe, ma sembra determinato a farlo.»<br />

«Sto bene» dissi. «Mi fa male la testa, ma non c'è niente <strong>che</strong> non<br />

funzioni! Guardate!»<br />

Trassi un profondo respiro e mi piegai a toccarmi i piedi, ma la<br />

stanza cominciò a girarmi intorno e ricaddi a sedere sul bordo del<br />

giaciglio. Pico e il medico mi fissavano senza parlare. Dopo un poco<br />

la stanza si fermò e io cominciai a sentirmi meglio. Alzai le mani a<br />

toccare le bende <strong>che</strong> mi avvolgevano la testa e la faccia. «Cosa mi è<br />

successo? Non sono stato ferito. Nessuno mi è venuto vicino.»<br />

«Ferita al cuoio capelluto» disse il medico. «Non so come te la<br />

sei procurata, ma ha sanguinato molto, pur essendo superficiale.<br />

Non ho trovato un vero danno. Hai la testa dura.»<br />

Tastai meglio con un dito e trovai il punto dolente, sul lato<br />

destro del cranio, e una visione subito mi apparve davanti agli occhi:<br />

la ruota del carro, rombante, rivestita di ferro, <strong>che</strong> mi passava vicino.<br />

Doveva essere passata più vicino di quanto pensassi, e il mozzo mi<br />

aveva scorticato la cute.


Il medico uscì per occuparsi del suo lavoro e Pico mi condusse<br />

negli alloggi a sua disposizione, dove versò una coppa di vino per<br />

entrambi.<br />

«Bene,» disse quando avemmo bevuto, «cos'era tutta questa<br />

storia, <strong>che</strong> cosa supponi?»<br />

Posai con cura la mia coppa. «Seneca.»<br />

«Cosa?» Il suo sopracciglio si alzò di scatto, proprio come quello<br />

di suo padre.<br />

«Claudio Seneca. Mi hai chiesto <strong>che</strong> cosa significava tutto<br />

questo. Ti ho risposto.»<br />

«È impossibile.»<br />

Scossi la testa. «No. È un'assoluta certezza, ma non lo potrai mai<br />

provare, a meno <strong>che</strong> con la tortura non si riesca a strappare una<br />

confessione all'uomo <strong>che</strong> ho ferito.»<br />

«No.» Pico scosse la testa. «Quel tizio grande e grosso lo ha<br />

ucciso prima di fuggire.»<br />

Inspirai rumorosamente l'aria dal naso. «Perché questo non mi<br />

stupisce? Nessun testimone... All'inizio pensavo <strong>che</strong> fosse per i<br />

prigionieri nel cortile... Li avevo notati tutti e quattro scambiare un<br />

cenno con il loro capo prima <strong>che</strong> tu arrivassi. Quell'uomo era<br />

rimasto a guardare i prigionieri dalla finestra, così almeno avevo<br />

supposto. Ma adesso penso <strong>che</strong> stesse solo controllando la via di<br />

fuga. Era noi <strong>che</strong> volevano.<br />

Me e te. E ci sarebbero riusciti se quel figlio di puttana non<br />

avesse avuto addosso quella puzza di spazzatura. Ha colpito la mia<br />

attenzione più del dovuto solo perché era disgustosamente sporco.<br />

Sapevo <strong>che</strong> si stavano preparando a qualcosa, ma solo quando ho<br />

visto due di loro accostarsi esitanti a te mi sono allarmato.»<br />

Pico bevve dell'altro vino. «Ringraziamo gli dei <strong>che</strong> te ne sei<br />

accorto, altrimenti mi avrebbero ucciso. Non sospettavo niente.»


«Lo so. Non mi sono reso conto di essere un bersaglio anch'io<br />

finché non mi sono trovato in mezzo alla mischia. Allora ho capito<br />

<strong>che</strong> dietro c'era Seneca. Lui sapeva <strong>che</strong> tu saresti stato qui oggi e <strong>che</strong><br />

io dovevo incontrarmi con te. Era la situazione perfetta, ben lontano<br />

dal praesidium, e sarebbe stata una vendetta perfetta, su di me, su tuo<br />

padre, su di te e su Stilicone. Dov'è Seneca adesso?»<br />

«Se n'è andato. È partito la notte scorsa con Stilicone e non<br />

tornerà. Stilicone lo ha retrocesso, in effetti. Manterrà il suo rango...<br />

continuerà a essere un legato incaricato del comando di una<br />

legione... ma verrà assegnato al servizio di frontiera in una posizione<br />

dipendente, a nord, dietro al Vallo. Questo dovrebbe impedirgli di<br />

ordire perfide trame. Non avrà il tempo di complottare vendette, né<br />

su di te, né su nessun altro. Caval<strong>che</strong>rà con Stilicone fino a Pontes e<br />

poi Seneca continuerà verso nord fino al Vallo, con la nuova unità<br />

appena arrivata dalla Gallia...» Si interruppe, pensando<br />

intensamente. «No, per Dio, non lo farà. Farò richiamare quel figlio<br />

di puttana.»<br />

Alzai la mano per fermarlo. «Non preoccuparti, Pico. <strong>La</strong>scia<br />

perdere. Noi siamo vivi, lui è partito e con l'aiuto della Fortuna un<br />

Pitto del nord infilzerà presto la sua testa su una picca. Se invece<br />

dovesse sopravvivere e fosse tanto pazzo da tornare indietro,<br />

infilzerò io la sua testa su una lancia. Ma per ora, come ho detto, non<br />

c'è veramente niente <strong>che</strong> possiamo fare, tranne muovergli accuse <strong>che</strong><br />

non possiamo provare. Non possiamo provare niente. Almeno lui è<br />

convinto <strong>che</strong> siamo morti.»<br />

Pico mi guardò e rise. «È bello rivederti, zio Varro. Avevo<br />

dimenticato come riesci a mantenere sempre il tuo sangue freddo.»<br />

«Non illuderti, Pico. Se ne avrò an<strong>che</strong> solo una mezza possibilità<br />

farò a pezzi quell'uomo a mani nude.»<br />

Si alzò. «Andiamo, usciamo di qui. Come ti senti?»<br />

«Sto bene, ma le tue udienze?»


«Rimandate. Sono libero.»<br />

«Allora andiamo.»


XVI.<br />

Poco dopo uscivamo da Londinium; dopo appena cinque miglia<br />

calpestavamo la terra battuta del campo marzio, fuori da un grande<br />

accampamento equestre quale non avevo mai visto.<br />

Un accampamento militare per truppe a cavallo! C'erano valli<br />

ovunque, a migliaia! Mi guardai avidamente intorno, senza<br />

nemmeno fare il gesto di smontare e, vedendo come ero<br />

impressionato, Pico mi guidò attraverso le linee fino a un<br />

voluminoso stendardo bianco e nero <strong>che</strong> indicava il suo alloggio,<br />

una grande tenda spaziosa.<br />

Indicai lo stendardo. «Questo è tuo, immagino.»<br />

«Infatti. Che cosa ne pensi?»<br />

Feci un grugnito. «Piuttosto grande, direi.»<br />

«Cosa vorresti dire?» mi chiese ridendo. «Non ti piace?»<br />

Cercai di tergiversare, per nascondere il mio disagio di fronte a<br />

quella <strong>che</strong> mi sembrava un'inutile esagerazione.<br />

«Beh, se me lo chiedi, mi sembra un'ostentazione.»<br />

«Ovviamente. È di una evidente ostentazione. Questa è l'idea<br />

<strong>che</strong> deve dare, zio. È abbastanza grande da essere identificato e visto<br />

da molto lontano. Guarda la base.»<br />

<strong>La</strong> base dell'asta finiva in un'ampia forcella imbottita, Pico<br />

annuiva entusiasta. «Quella forcella si adatta al collo del cavallo, in<br />

modo <strong>che</strong> peso non stanchi il vessillifero. Stilicone è per metà<br />

vandalo. Questi nuovi stendardi sono una sua idea. Sono un<br />

adattamento del tipo <strong>che</strong> usa la sua gente e an<strong>che</strong> i Goti e gli Unni.»<br />

Qualcos'altro catturò il suo sguardo e mi fece cenno perché mi<br />

girassi in quella direzione. «Guarda quello!»<br />

"Quello" era un'esercitazione in formazione praticata da una


falange compatta di cavalieri. Rimanemmo a guardarli per un po' e<br />

poi Pico spronò di nuovo il suo animale e quando parlò né la sua<br />

voce, né le sue parole erano legate alla conversazione <strong>che</strong> avevamo<br />

avuto prima.<br />

«Mio padre sta invecchiando, zio.»<br />

Lo guardai in tralice. «Dici? Faresti meglio a non dirglielo.»<br />

Sentii nella mia voce un tono di sorpresa e di difesa, e mi resi conto<br />

di avere mentito a me stesso per tutto quel tempo. Anch'io avevo<br />

notato un cambiamento in Britannico, ma avevo deciso di ignorare<br />

quello <strong>che</strong> i miei occhi mi dicevano. Caio non era più giovane.<br />

Aveva perso peso, muscoli, scatto e vitalità. Dal lato fisico,<br />

ovviamente. Mentalmente era acuto più di prima. D'un tratto mi<br />

sentii colpevole.<br />

«Beh,» aggiunsi riluttante, «suppongo, adesso <strong>che</strong> ne parli, <strong>che</strong><br />

non sia più giovane come quando lo incontrai per la prima volta. E<br />

nemmeno come quando sei partito. Ma non è vecchio, né senile, né<br />

malato.»<br />

«No, lo so.» Pico scosse la testa con un movimento brusco. «Non<br />

intendevo quello. Dio sa <strong>che</strong> è forte, forse più di quando è tornato<br />

dall'Africa vent'anni fa, ma sembra vecchio, zio. Avevo portato con<br />

me l'immagine di un uomo molto più giovane.» Ci fu silenzio tra noi<br />

per qual<strong>che</strong> istante, finché lui riprese. «È felice, zio Varro? Si gode la<br />

vita?»<br />

Meditai prima di rispondere, fissando le orecchie del mio<br />

cavallo. «Cosa vuoi <strong>che</strong> ti dica, Pico? Sono due domande<br />

impegnative. Può un uomo essere felice in questo mondo? E <strong>che</strong><br />

cos'è poi la felicità? È diversa per ognuno di noi. Un uomo diventa<br />

più vecchio ogni giorno e vede morire i suoi amici. Le sue illusioni<br />

muoiono e volano via nel vento. E ogni giorno sembra sviluppare<br />

più... come dire? Apprezzamento? Una parola vale l'altra... più<br />

apprezzamento per la debolezza e la stupidità dei suoi simili, <strong>che</strong><br />

sono esseri umani come lui.


Non c'è una ricetta per la felicità, Pico. Non posso dirti <strong>che</strong> tuo<br />

padre è felice. È se stesso. È occupato tutto il giorno, la sua vita è<br />

buona e sembra soddisfatto. Ma felice? Non so.»<br />

«Non ha ami<strong>che</strong>? Compagne?»<br />

Scossi la testa. «No. Nessuna. Eccetto sua sorella e le mogli di<br />

alcuni suoi vecchi amici. Ma non sono delle compagne. Non nel<br />

senso cui immagino tu alluda. Mi chiedi se passa del tempo con<br />

delle donne? <strong>La</strong> risposta è no. Mai. Tuo padre è l'uomo più casto <strong>che</strong><br />

abbia mai conosciuto. Non conosce donna. Dubito <strong>che</strong> ci pensi<br />

perfino. Certo non ne parla mai.»<br />

Mentre pronunciavo queste parole mi chiedevo <strong>che</strong> cosa avesse<br />

spinto Pico a porre quella domanda. Sua madre Eraclita, <strong>che</strong> Caio<br />

aveva amato e venerato, era morta con i due figli gemelli e la figlia<br />

per una pestilenza in Africa, quando Pico era un bambino di dodici<br />

anni. Era un figlio geloso. Le parlava? Riteneva <strong>che</strong> Caio dovesse<br />

rimanere fedele alla memoria della moglie? Mi resi conto subito <strong>che</strong><br />

sbagliavo, e <strong>che</strong> Pico era solo preoccupato per il padre. «Allora è<br />

solo?»<br />

«Solo?» In qual<strong>che</strong> modo quella parola mi sorprese e mi ce<br />

bloccare di colpo, e dovetti ripeterla prima di rispondergli con<br />

attenzione. «Solo... Sì, penso <strong>che</strong> lo sia. Ma chi non lo è?» Risi forte.<br />

«Pico, viviamo in un mondo solitario. Alcuni di noi fanno grandi<br />

sforzi per non esserlo, ma non è possibile, perché ogni uomo è solo<br />

nella sua mente o se preferisci nella sua anima. Non lo hai mai<br />

notato? Forse è per questo <strong>che</strong> diciamo "ogni singolo uomo".»<br />

Pico aggrottò la fronte. «Sì, hai ragione! È vero. Non ci avevo<br />

mai pensato prima, ma hai ragione. Perfino in battaglia ogni uomo è<br />

solo.» Piegai di lato la testa, per enfatizzare la mia condivisione quel<br />

sentimento. «Soprattutto in battaglia, figliolo. Non 'lo a me. Sono un<br />

esperto. In mezzo al combattimento più selvaggio sono solo, come<br />

se fossi fuori dal mio corpo e guardassi quello <strong>che</strong> sta succedendo. E<br />

quando tutto è finito e il pericolo è passato il mio mondo riemerge


molto lentamente. E soltanto dopo <strong>che</strong> ho dato di stomaco. Devo<br />

vomitare tutta quella solitudine, quell'isolamento, ogni singola<br />

volta.»<br />

Pico spinse il suo cavallo più vicino al mio e mi guardò, e io lo<br />

vidi preoccupato. «Sei veramente cristiano, zio Varro?»<br />

Lo fissai sbattendo le palpebre, colto di sorpresa dalla domanda<br />

inaspettata e dal rafforzativo. «Che cosa ha a <strong>che</strong> fare con tutto<br />

questo?»<br />

«Molto, zio.» Mi fece un sorriso. «Potrei cominciare a farti una<br />

predica, dicendoti <strong>che</strong> un uomo non è mai solo se Dio è nel suo<br />

cuore. Ma non è quello <strong>che</strong> intendevo dire. Volevo solo sapere se sei<br />

veramente cristiano.»<br />

Scrollai le spalle, sentendomi lievemente imbarazzato per<br />

l'improvvisa intimità dell'argomento. «Suppongo di esserlo.» <strong>La</strong> mia<br />

risposta fu piuttosto cupa, quasi il principio di un rimprovero. «Non<br />

lo siamo tutti? Sono stato battezzato prima di avere il tempo di<br />

pensarci. Sono cresciuto cristiano. Ho prestato giuramento nelle<br />

legioni sulla croce di Cristo. Perché me lo chiedi?»<br />

Pico insistette, la sua voce era quasi prepotente. «Credi in Dio?<br />

Credi <strong>che</strong> Egli esista?»<br />

«Certo <strong>che</strong> ci credo... almeno penso.» Adesso ero davvero<br />

perplesso. «Dove vuoi arrivare? Tu non credi in Dio?»<br />

Si sfregò la faccia: era l'immagine stessa del dubbio, immagine<br />

<strong>che</strong> avrebbe an<strong>che</strong> potuto essere comica, se non fossi stato costretto<br />

ad ammirare la sua grandiosa prestanza e l'impressione <strong>che</strong> dava<br />

nella sua magnifica uniforme, e non vidi niente di strano nel fatto<br />

<strong>che</strong> un simile uomo, così grande e grosso e incredibilmente capace,<br />

si struggesse sul problema dell'esistenza di Dio.<br />

«A volte penso di sì,» disse. «A volte è facile. Ma poi ci sono<br />

momenti in cui penso di non credere. Se Dio fosse quello <strong>che</strong> i preti<br />

ci hanno detto, allora questo mondo sarebbe un posto migliore per


viverci. Ma ho visto e fatto cose come soldato <strong>che</strong> Dio non dovrebbe<br />

permettere. Non se è tanto buono e misericordioso come dicono.»<br />

Aspirai forte. «Questo è quello <strong>che</strong> dicono i preti, Pico. Ma a<br />

volte dicono più delle loro preghiere e non ne ho mai conosciuto<br />

uno, nemmeno il nostro santo vescovo Alarico, <strong>che</strong> possa dimostrare<br />

di aver parlato direttamente e personalmente con Dio, faccia a<br />

faccia. Bada,» proseguii, sentendomi improvvisamente sleale nei<br />

confronti di un vecchio amico, «Alarico non si sognerebbe mai di<br />

sostenere <strong>che</strong> ha accesso a comunicazioni privilegiate con il<br />

Creatore. È un peccato <strong>che</strong> ci siano pochi preti come lui.»<br />

Allentai la stretta delle gambe e mi girai sulla groppa del cavallo<br />

per guardare Pico più da vicino. «Quanti anni hai adesso, Pico?<br />

Trentasei, mi pare, vero?»<br />

«Sì.»<br />

«Allora, in nome di Cristo, santo o no, hai di meglio da fare <strong>che</strong><br />

non preoccuparti di queste cose. Dio è una preoccupazione per i<br />

vecchi, non per i soldati.»<br />

Pico rise forte e poi continuò a parlare con grande affetto del<br />

vecchio Alarico e io mi scopersi a pensare <strong>che</strong> Alarico era ormai<br />

venerabile nel vero senso della parola. E questo, naturalmente, mi<br />

portò a pensare alla mia età, cosa <strong>che</strong> facevo raramente. Ma Pico<br />

parlò ancora. «È proprio un santo, vero?»<br />

«Chi, Alarico?» Mi schiarii la voce e riflettei qual<strong>che</strong> minuto<br />

prima di rispondere. «Sì, Pico, penso proprio <strong>che</strong> lo sia. È<br />

probabilmente il più santo, vero cristiano con i piedi per terra <strong>che</strong><br />

abbia mai conosciuto. Penso <strong>che</strong> il nostro Alarico sia davvero un<br />

uomo di Dio, un sant'uomo, a differenza di molti suoi colleghi <strong>che</strong><br />

assurgono al rango di sacerdote. Alarico è l'unico prete <strong>che</strong> conosco<br />

<strong>che</strong> vive la sua fede secondo gli insegnamenti di Cristo.»<br />

«È questo <strong>che</strong> pensi?» Mi guardava in modo strano. «Dei preti,<br />

voglio dire.»


«Ho espresso un'opinione sui preti?»<br />

«No,» sorrise, «ma la tua stima nei loro confronti è modesta.»<br />

I nostri cavalli si erano fermati, e io sollecitai il mio per farlo<br />

avanzare. «Pico,» dissi, «io non ho tempo per i preti. Non ne ho mai<br />

avuto.» Il suo cavallo seguì automaticamente il mio e cavalcammo<br />

ginocchio contro ginocchio. «Ne ho discusso spesso con Alarico e le<br />

sue opinioni hanno influenzato i miei pensieri, an<strong>che</strong> se<br />

probabilmente morirebbe di mortificazione se pensasse <strong>che</strong><br />

interpreto le sue parole in questo modo.» Sputai, perché avevo<br />

improvvisamente la bocca amara.<br />

«I preti sono uomini, Pico» dissi. «E gli uomini sono esseri<br />

deboli, nonostante la loro magniloquenza. Fino dall'epoca di Cristo<br />

gli uomini hanno preso i suoi insegnamenti e li hanno piegati a<br />

modo loro. <strong>La</strong> Chiesa ha usurpato il potere di Dio. I suoi ufficiali -<br />

perché cos'è un vescovo se non un ufficiale della Chiesa? - hanno<br />

corrotto gli insegnamenti del mite Salvatore e li hanno usati per<br />

procurarsi un potere terreno. Ogni volta <strong>che</strong> sento parlare un prete<br />

<strong>che</strong> non sia Alarico, è un esaltato <strong>che</strong> parla solo di peccato e<br />

dannazione. Non c'è gioia nei preti. E non c'è gioia nei loro<br />

insegnamenti. Predicano sottomissione e penitenza, e ogni volta <strong>che</strong><br />

ne ascolto uno è sempre peggio. Non hai notato? Lo hai notato di<br />

certo.»<br />

Pico si limitò a stringersi nelle spalle, non volendo<br />

interrompermi, e così continuai. «È diventato di moda tra gli<br />

ecclesiastici denigrare apertamente le donne. Tutte le donne! Donne<br />

come tua zia Luceia! Non è sempre stato così, Pico. Non quando ero<br />

bambino. Forse era di moda a Roma, non so, ma non qui in<br />

Britannia. E Alarico mi dice <strong>che</strong> peggiora ogni giorno. Hai mai<br />

sentito parlare dei monaci?» Pico annuì, sempre taciturno, e io<br />

continuai su quell'argomento. «Allora? Cosa hai sentito dire?»<br />

Ma Pico non si lasciò provocare. Scosse la testa in segno di<br />

diniego e mi chiese a sua volta: «Cosa ne pensi tu, zio?».


«Dannazione, Pico, non so cosa pensare! Puzza di anormalità. So<br />

<strong>che</strong> ci sono colonie intere di uomini <strong>che</strong> si chiudono, lontano dalla<br />

vita, dentro luoghi <strong>che</strong> chiamano monasteri, negando a se stessi<br />

an<strong>che</strong> i più piccoli piaceri della vita, pregando per tutto il giorno e<br />

per tutta la notte, mortificandosi, frustandosi con dei flagelli per<br />

purgare le loro menti da ogni pensiero carnale. Credono <strong>che</strong> le<br />

donne siano un abominio. Ebbene, per me, è questo l'abominio! Ne ho<br />

parlato con Alarico diverse volte. Lui non vuole scoprirsi e<br />

condannarli, perché crede <strong>che</strong> ogni uomo abbia il diritto di<br />

percorrere la propria strada, e preferisce pensare <strong>che</strong> ci siano forze<br />

divine e misteriose dietro ogni cosa, ma non gli piace quello <strong>che</strong> sta<br />

succedendo. Mi dice <strong>che</strong> tutto è cominciato in Egitto, circa cento<br />

anni fa, e <strong>che</strong> il nucleo di tutta la vita monastica è contenuto nella<br />

frase di san Paolo secondo cui se un uomo non può abiurare la sua<br />

natura sessuale è meglio per lui sposarsi piuttosto <strong>che</strong> bruciare di<br />

desiderio.»<br />

«E qual è la tua riposta a questo?»<br />

«<strong>La</strong> mia risposta è solo mia e io non sono uno studioso.»<br />

«Ma?»<br />

«Sì, ma! Alla mia illetterata semplicità militare sembra <strong>che</strong> il<br />

benedetto Paolo preferisca gli uomini alle donne.»<br />

«Intendi sessualmente?»<br />

«Puoi dirmi un altro modo?»<br />

«Allora stai insinuando <strong>che</strong> tutti i monaci sono omosessuali?»<br />

Risi, malgrado la collera. «Ovviamente no, Pico! Dico <strong>che</strong> mi<br />

sembrano tutti pervertiti da una forma di odio per le donne! Non ce<br />

traccia di misoginia in Gesù. Ma i preti del giorno d'oggi parlano<br />

sempre più di odio <strong>che</strong> di amore. Parlano di paura. Parlano di<br />

dannazione, di punizione, di colpa e di peccato. Non si parla di<br />

amore, compassione o perdono nella loro dottrina. Sono diventati<br />

dei burocrati con la mente e l'anima da burocrati, piccole e ristrette.


Hanno modellato la Chiesa su Roma e l'intera gerarchia sul servizio<br />

civile imperiale romano, nel nome di Cristo! Vivono in palazzi e si<br />

aspettano <strong>che</strong> il loro gregge li rifornisca di tutto! Non parliamo più<br />

di preti, mi fa stare male!»<br />

Pico si schiarì la voce e non disse niente, e per qual<strong>che</strong> istante<br />

cavalcammo in silenzio, guardando lo svolgersi della vita<br />

nell'accampamento. Poi disse: «Hai mai sentito parlare di Pelagio,<br />

zio?» Mi resi conto immediatamente, dal modo in cui veniva posta,<br />

<strong>che</strong> quella casuale domanda era importante per Pico.<br />

«No» dissi, mantenendo la mia voce deliberatamente priva di<br />

espressione. «Chi è?»<br />

«È un avvocato. Della Britannia. Ma vive a Roma da molti anni<br />

ormai. È tenuto in grande considerazione.»<br />

«Nessun avvocato è mai tenuto in grande considerazione da<br />

nessuno <strong>che</strong> abbia un'ombra di cervello nella testa, Pico,» lo derisi,<br />

«tranne <strong>che</strong> da un altro avvocato, e in questo caso si tratta di<br />

invidia.»<br />

Pico non trovò la cosa divertente. Nemmeno l'ombra di un<br />

sorriso sfiorò il suo volto, e proseguì. «Che cosa sai del peccato<br />

originale?»<br />

Tirai le redini e fermai il cavallo, controllandolo con le<br />

ginocchia, e lo feci voltare per seguire con lo sguardo una squadra<br />

<strong>che</strong> passava trasportando un carico di armi, compreso un certo<br />

numero di lance corte a doppio taglio, dall'aspetto minaccioso. Le<br />

guardai finché scomparvero dietro a un angolo e poi rivolsi di<br />

nuovo la mia attenzione a Pico, riprendendo la conversazione dove<br />

era stata interrotta.<br />

«Che cosa so del peccato originale? Quello <strong>che</strong> sanno tutti.<br />

Niente. Che è una cosa troppo profonda per un vecchio soldato,<br />

Pico. L'avevo alla nascita, mi hanno detto, e sono stato battezzato<br />

per toglierlo, perciò non ce l'ho più. Questo è quello <strong>che</strong> ogni uomo


deve sapere.» Spronai il cavallo e Pico si mosse con me, riprendendo<br />

a parlare.<br />

«Pelagio dice <strong>che</strong> è sbagliato. Dice <strong>che</strong> l'intero concetto puzza di<br />

falso. Lui crede <strong>che</strong> la Chiesa abbia inventato il peccato originale e<br />

ne promuova la nozione per tenere gli uomini nella colpa, e far sì<br />

<strong>che</strong> si sentano peccatori da quando nascono.»<br />

Annuii. «Sembra un uomo intelligente. Quello <strong>che</strong> chiamavamo<br />

un avvocato da caserma. Quanti anni ha quel tizio?»<br />

«È giovane, ed è molto intelligente.»<br />

Stavamo ancora cavalcando lungo la strada principale<br />

dell'accampamento, e parlando valutavo la lunghezza e la larghezza<br />

del luogo, memorizzavo ogni dettaglio senza farmene sfuggire<br />

nessuno. «Allora cosa suggerisce il tuo amico? Che aboliamo il<br />

peccato?»<br />

«No, zio Varro. Non è così semplice. Ha a <strong>che</strong> fare con la grazia.»<br />

Lo fissai intensamente, con una grande paura <strong>che</strong> quel giovane<br />

si facesse troppo coinvolgere negli argomenti profondi e spirituali<br />

della religione. «Grazia?» gli chiesi sprezzante. «Intendi dire la<br />

grazia divina? Cristo!» Sollevai le mani in un gesto di frustrazione.<br />

«Perché mai, in nome di Dio, un uomo dovrebbe capire qualcosa<br />

della grazia? Io ho rinunciato a capire la grazia quand'ero bambino.<br />

<strong>La</strong> vedevo come una corrente infinita di grani di riso <strong>che</strong> si<br />

riversavano nel cilindro della mia anima ogni volta <strong>che</strong> un angelo<br />

tirava una corda! Non cercare di parlarmi della grazia, ragazzo, né<br />

di capirla! I preti la chiamano mistero divino. In altre parole, non<br />

sono affari tuoi!»<br />

Pico sembrò non avere problemi ad accettare il mio punto di<br />

vista. «Sono d'accordo con te, zio. Ma, per favore, vuoi ascoltare<br />

quello <strong>che</strong> ho da dirti?»<br />

«Sto ascoltando. Cosa vuoi dirmi?»<br />

«Solo <strong>che</strong>...» Si interruppe, raccogliendo i suoi pensieri, poi


icominciò: «Ho passato alcuni giorni con Pelagio l'anno scorso, e ho<br />

parlato con lui per ore. È un uomo affascinante, ma è un uomo.»<br />

«Allora? Dovrei esserne sorpreso?»<br />

«No. Ma pensa a quello <strong>che</strong> significa. È un uomo e niente più di<br />

un uomo. E la stessa cosa vale per i vescovi e i preti della Santa<br />

Chiesa. E gli uomini possono commettere degli sbagli. Gli uomini<br />

possono fare le cose meno sante per i loro scopi, se sono convinti <strong>che</strong><br />

il loro modo è quello giusto e <strong>che</strong> è l'unico modo.»<br />

Lo guardai attentamente, riconoscendo i motivi <strong>che</strong> portavano a<br />

quell'affermazione e trovandomi d'accordo con lui. «Sì, in questo hai<br />

ragione, Pico, Iddio sa <strong>che</strong> hai ragione.» Sputai oltre le orecchie del<br />

mio cavallo. «Il Cielo mi protegga contro simili uomini santi.»<br />

«Protegga te e tutti noi.»<br />

Stavamo cavalcando in mezzo ai recinti adesso, <strong>che</strong> sembravano<br />

estendersi senza fine in ogni direzione, affollati di splendida carne<br />

equina. Tenni più saldamente le redini del mio cavallo.<br />

«Mi incuriosisci, Pico. Dimmi di più su questo Pelagio. Cosa ti<br />

ha detto per sconvolgerti tanto, e per tanto tempo?»<br />

Scosse la testa. «No, zio, non mi ha sconvolto, non proprio, e non<br />

subito. Ci sono voluti un sacco di tempo e un sacco di riflessioni per<br />

capire quello <strong>che</strong> Pelagio mi aveva detto... Ti è familiare il nome di<br />

Agostino, vescovo di Ippona?»<br />

Di nuovo quella sensazione di cose importanti <strong>che</strong> mi<br />

attraversavano l'orizzonte. Scossi la testa. «No, per niente. Parlami<br />

an<strong>che</strong> di lui.»<br />

«Bene» proseguì, con una sfumatura di esitazione, enfatizzata<br />

dalla sua brevità. «Agostino è uno dei più rispettati studiosi della<br />

Chiesa. Un uomo molto saggio e un famoso interprete della parola<br />

di Dio.»<br />

«Oh! Uno di quelli! Sembra inquietante. Vai avanti.»


«Agostino, <strong>che</strong> la maggioranza degli uomini definisce santo, è<br />

entrato in conflitto con Pelagio, o meglio è stato il contrario. Pelagio<br />

ha incrociato le corna con Agostino.»<br />

«E allora? Qual è il problema con questo sant'Agostino?»<br />

«Pelagio pensa <strong>che</strong> sia un ipocrita e un bugiardo.»<br />

Feci un fischio. «Te lo ha detto lui?»<br />

«Lo ha detto a tutto il mondo!»<br />

«Perché? Per quale ragione?» Mio malgrado, an<strong>che</strong> se non<br />

sapevo niente di questo Pelagio, mi sentii costernato<br />

dall'affermazione di Pico. «Se, come dici, tutti pensano <strong>che</strong> Agostino<br />

sia un sant'uomo, il tuo Pelagio corre realmente il rischio di essere<br />

preso per un matto o per un piantagrane.»<br />

Avevamo ormai quasi completato il circuito dell'accampamento<br />

e vidi il grande stendardo di Pico comparire di nuovo alla nostra<br />

vista. Pico stava ancora parlando molto seriamente. «Proprio così»<br />

disse. «Ma la faccenda è molto più grave. Agostino è un campione<br />

nella teoria della grazia divina. È un uomo di Dio. Un vescovo. Ma<br />

in gioventù era un famoso donnaiolo.»<br />

«Un donnaiolo? Davvero?» Trovavo il fatto strano, ma non<br />

sorprendente. «È sempre stato un prete?»<br />

Pico scosse la testa. «No. Non credo. In ogni caso, usava dire una<br />

preghiera per la quale divenne noto. Pregava <strong>che</strong> Dio gli desse la<br />

grazia di trovare la castità... ma non subito!»<br />

Risi, ma Pico proseguì coprendo la mia risata. «Agostino crede<br />

<strong>che</strong> l'uomo sia incapace di trovare od ottenere redenzione senza<br />

l'aiuto divino. Crede <strong>che</strong> gli uomini siano nati dannati, nel peccato<br />

mortale. Solo il battesimo lava via quel peccato e solo la grazia<br />

divina può rendere l'uomo capace di stare lontano dal peccato.<br />

Crede <strong>che</strong> tutta la vita sia una tentazione e <strong>che</strong> l'uomo dovrebbe<br />

passare la vita in preghiera, abbandonandosi alla pietà di Dio, in<br />

modo <strong>che</strong> Egli gli conceda la sua grazia.»


Annuii. «Questo, mio giovane amico, è il punto di vista <strong>che</strong> si<br />

ricava in genere da una ecclesia. È quello <strong>che</strong> dicono tutti i preti. Non<br />

c'è niente di nuovo, tranne l'esempio dato dal santo vescovo... E<br />

Pelagio trova da ridire?» Annuì. «Come?»<br />

«Totalmente. Pelagio crede <strong>che</strong> l'intero concetto della grazia sia<br />

un espediente inventato dalla Chiesa per assoggettare tutti gli<br />

uomini.»<br />

«Ah! Suvvia, il tuo amico Pelagio comincia a sembrarmi una di<br />

quelle vecchiette <strong>che</strong> vedono un violentatore dietro ogni cespuglio.<br />

Come può l'aiuto divino contribuire a tenere schiavi gli uomini?»<br />

«Facendo dimenticare agli uomini <strong>che</strong> sono fatti a immagine di<br />

Dio stesso, e sono perciò in grado di determinare ciò <strong>che</strong> è giusto e<br />

ciò <strong>che</strong> è sbagliato.»<br />

Vidi immediatamente l'intoppo. «Ma questo non è possibile! Gli<br />

uomini conoscono la differenza tra ciò <strong>che</strong> è giusto e ciò <strong>che</strong> è<br />

sbagliato da quando Eva ha mangiato la mela. <strong>La</strong> conoscenza del<br />

bene e del male. Gli uomini hanno sempre saputo la differenza.»<br />

«Esattamente, zio. È quello <strong>che</strong> dice Pelagio.» Aggrottai la fronte<br />

per la confusione, mentre Pico continuava. «Pelagio sostiene <strong>che</strong><br />

l'uomo, fatto a immagine di Dio, sa la differenza tra il bene e il male,<br />

e ha la capacità di scegliere, come ha sempre fatto, an<strong>che</strong> prima di<br />

Cristo. An<strong>che</strong> i barbari hanno loro leggi morali, sebbene non siano<br />

scritte. Pelagio vede nella grazia divina uno strumento degli uomini,<br />

inventato per tenere altri uomini soggiogati e fiduciosi nella Chiesa<br />

come unica intermediaria tra Dio e l'uomo. Considera il peccato<br />

originale come un'invenzione imposta agli uomini da altri uomini<br />

per rendere tutti colpevoli fin dalla nascita e perciò incapaci di<br />

godere della libertà di scelta. Se fossimo nati colpevoli nel peccato<br />

prima di iniziare a vivere, come potremmo vivere in libertà con<br />

libero arbitrio?»<br />

A questo punto stavo trattenendo il respiro: cominciavo a farmi<br />

un'idea della portata di quel disaccordo.


«Fermati, Pico» gli dissi tendendo una mano per bloccare il<br />

flusso delle sue parole e del suo entusiasmo. «Troppo buon foraggio<br />

spossa un manzo! Faresti meglio a lasciarmi riflettere per un po',<br />

ragazzo.» Stavamo avvicinandoci alla sua tenda. «Il tuo vecchio zio<br />

può avere qualcosa da bere?»<br />

Smontammo ed entrammo al fresco nella sua tenda, e Pico<br />

mandò il suo intendente a prendere una brocca di vino. Quando ci<br />

fummo seduti comodamente, ricominciò dal punto in cui si era<br />

interrotto.<br />

«Capisci quello <strong>che</strong> voglio dire, zio? Perché sono così<br />

preoccupato per l'intera vicenda? <strong>La</strong> questione va molto oltre la<br />

premessa del peccato originale e del battesimo. Va molto più in<br />

profondità. Arriva al concetto di responsabilità personale. Portato<br />

alle estreme conclusioni, il concetto della grazia divina distrugge le<br />

basi della legge. Chi potrebbe punire un criminale, se l'uomo è<br />

caduto dal giusto cammino solo perché Dio non gli ha fornito la<br />

grazia per resistere alla tentazione? Questo è voler ridurre tutto ad<br />

absurdum, ma è esattamente qui <strong>che</strong> si va a finire. Se accettiamo tutti<br />

gli aspetti della grazia divina dipingiamo una bella e pia immagine<br />

della povera umanità e del suo Dio misericordioso e benefico. Ma se<br />

accettiamo questa premessa dobbiamo accettare tutto. E questo<br />

significa accettare il fatto <strong>che</strong> la legge, la legge umana, è una follia,<br />

ed è destinata a fallire, perché in assenza della grazia la colpa dei<br />

crimini potrebbe essere imputata direttamente a Dio.»<br />

Scossi di nuovo la testa, aspirando nervosamente l'aria tra i<br />

denti, sapendo <strong>che</strong> tutta quella discussione andava oltre la mia<br />

portata. «Accidenti!» dissi, «sei molto addentro in questi pensieri.<br />

Sei al di là della mia capacità di comprensione!»<br />

«No, non lo sono, zio.»<br />

Questo gli procurò un brusco rimbrotto. «Per l'amor di Dio,<br />

piantala di chiamarmi zio. Mi fai sentire come un vecchio sdentato.»<br />

«Mi spiace.» Non aveva affatto l'aria contrita. «Ma non è affatto


al di là della tua comprensione. Secondo Pelagio le Scritture dicono<br />

<strong>che</strong> Dio ha fatto l'uomo a sua immagine e somiglianza e se l'uomo ha<br />

gli attributi di Dio, dice, allora deve avere il libero arbitrio. <strong>La</strong><br />

maggior parte degli uomini sa <strong>che</strong> la società esige alcune regole per<br />

governare proprietà, sanità, decenza e dignità. Queste regole<br />

costituiscono le leggi. Pelagio sostiene <strong>che</strong> l'uomo, ogni uomo, nato<br />

con la scintilla divina, è libero di scegliere tra il bene e il male da<br />

solo, e <strong>che</strong> deve essere pronto ad accettare la responsabilità delle sue<br />

scelte davanti a Dio e ai suoi simili.»<br />

Smise di parlare e il silenzio crebbe tra noi, rotto solo dal canto<br />

di un uomo poco lontano. Io rimuginai tutto quello <strong>che</strong> aveva detto.<br />

Aveva detto molte cose. Ma avevano tutte molto senso.<br />

«Hai detto <strong>che</strong> quell'uomo è un avvocato?» Annuì. «Tu gli<br />

credi? O credi ad Agostino e alla Chiesa?»<br />

Si morsicò il labbro inferiore. «Io credo a Pelagio.»<br />

Succhiai un semino di uva incastratosi tra i denti. «Ci vogliono<br />

nervi saldi per andare contro la Chiesa. Non ho mai sentito parlare<br />

di questo Pelagio prima di stamattina, ma mi sembra <strong>che</strong> dica cose<br />

di buon senso. Fino a <strong>che</strong> punto si è spinta questa discussione?»<br />

«Molto lontano. Tutta Roma ne parla.»<br />

«Mi pare <strong>che</strong> potrebbe parlarne tutto il mondo. E tu dici <strong>che</strong> quel<br />

vescovo è potente?»<br />

«Enormemente. Ha amici potenti, una grande influenza. Alcuni<br />

dicono <strong>che</strong> diventerà papa.»<br />

«Si direbbe <strong>che</strong> il tuo amico Pelagio stia sputando nel vento.<br />

Arriveranno a un accordo? A una forma di compromesso?»<br />

«Come potrebbero? Sono come il giorno e la notte!»<br />

«Già! E la notte sta calando rapidamente, sembra. Pelagio ha<br />

qual<strong>che</strong> sostenitore nella Chiesa? O sono tutti convinti <strong>che</strong> sia<br />

posseduto dal demonio?»


«Ha dei sostenitori. Molti. Molti tra i più potenti sposano la sua<br />

causa.»<br />

«Quanti? In termini di possibilità, intendo. È una lotta alla<br />

pari?»<br />

«Forse. Potrebbe esserlo. Se vogliamo calcolare solo le cifre.»<br />

«Cosa intendi dire?»<br />

«Zio..., scusa, Publio, va meglio?»<br />

«Molto meglio.»<br />

«D'accordo. <strong>La</strong> questione è fondamentalmente politica. Un<br />

soldato <strong>che</strong> si ammutina può avere qual<strong>che</strong> ragione, sulle condizioni<br />

<strong>che</strong> lo spingono ad ammutinarsi. Ma deve morire per il suo<br />

ammutinamento, non importa quanto giusta fosse la sua causa, non<br />

importa quanto comprensibili e accettabili fossero i suoi motivi.<br />

L'ammutinamento non può essere condonato, non importa quali ne<br />

siano le giustificazioni. Assolvere un ammutinamento vorrebbe dire<br />

invitare e incitare alla finale e inevitabile distruzione di tutti gli<br />

eserciti. Così è an<strong>che</strong> per Pelagio. Deve perdere, o rovesciare<br />

quattrocento anni di una Chiesa fondata da Cristo stesso, con tutte le<br />

sue regole e i suoi sistemi. Pelagio lo sa, Publio. Non è uno stupido.<br />

Non sta sfidando la Chiesa di Cristo, ma gli uomini corrotti <strong>che</strong> ci<br />

sono in essa, eppure sa <strong>che</strong> è troppo tardi per cambiare ciò <strong>che</strong> altri<br />

uomini, più forti di lui, hanno costruito per secoli allo scopo di<br />

renderlo eterno. Vedi, la dottrina di Pelagio, se vuoi chiamarla così,<br />

elimina la necessità di una Chiesa, così come la dottrina di Agostino<br />

elimina la necessità di una legge. Pelagio dice <strong>che</strong> ogni uomo porta<br />

nel cuore la Chiesa e <strong>che</strong> può comunicare direttamente con Dio<br />

attraverso la semplice meditazione. Agostino dice <strong>che</strong> l'uomo non è<br />

niente senza la Chiesa Cristiana, <strong>che</strong> ha come suo simbolo le chiavi<br />

del Regno dei Cieli. <strong>La</strong> Chiesa parla già in nome di pio. Pelagio parla<br />

in nome dell'uomo. Perciò deve essere sconfitto.»<br />

«E quando sarà sconfitto? Che cosa farai?» Pico si strinse nelle


sue enormi spalle. «Vivrò la mia vita secondo le regole <strong>che</strong> ha<br />

sviluppato. Io credo <strong>che</strong> abbia ragione, non importa quali prove ci<br />

possano essere contro di lui. Mi presenterò davanti a Dio come sono<br />

vissuto e se avrò sbagliato avrò sbagliato onestamente, con buona<br />

volontà. Avrò vissuto la mia vita secondo le regole <strong>che</strong> mi sono state<br />

insegnate nell'infanzia. Non sono un grande peccatore.»<br />

Sorrisi, sollevato <strong>che</strong> quella conversazione si stesse avvicinando<br />

alla conclusione. «A questo ci credo.» Mi alzai e gli battei la mano<br />

sulla spalla. «Adesso basta parlare di Dio e degli uomini. Facciamo<br />

due passi insieme e godiamoci questa giornata <strong>che</strong> Dio ci ha dato da<br />

godere, in qualunque modo voglia <strong>che</strong> crediamo.»<br />

«D'accordo!» Mi sorrise e in quel sorriso radioso sul volto<br />

abbronzato io rividi il ragazzo di un tempo.<br />

Indicai la spada appesa al suo fianco. «Ha un aspetto familiare.»<br />

Tirò fuori la lama dal fodero rivestito di bronzo. «Dovrebbe<br />

averlo» disse. «Non ha mai lasciato il mio fianco dal giorno in cui me<br />

l'hai regalata. Ho trovato un fabbro in Iberia <strong>che</strong> sembrava sapere il<br />

fatto suo e gli ho fatto fare un fodero d'oro per l'uniforme di parata,<br />

per le grandi occasioni. Ma <strong>che</strong> il fodero sia d'oro o di bronzo, la<br />

spada resta con me, sempre.»<br />

Si girò verso l'apertura della tenda, ma io lo fermai, mettendogli<br />

una mano sul braccio. «Un momento, Pico. Mi sembra evidente <strong>che</strong><br />

sei molto preoccupato per la questione di Pelagio. Ma dimmi, perché<br />

ne hai parlato con me? Penso <strong>che</strong> avresti ottenuto risposte più<br />

profonde da tuo padre.» Fece una smorfia. «Non è un argomento di<br />

cui voglio discutere con mio padre adesso. Ho paura di averti usato<br />

come cassa di risonanza. Mi spiace di averti annoiato.»<br />

«Annoiato?» Feci una gran risata. «Pico, sono stato raramente<br />

così lontano dall'annoiarmi. Forse a volte non sono stato all'altezza,<br />

ma non mi sono annoiato nemmeno un istante. Vieni, avviamoci. Ci<br />

sono ancora molte cose <strong>che</strong> non ho visto e voglio vedere tutto prima<br />

di tornare a casa.» Mi guardò con un sorriso.


«A casa? Vuoi dire <strong>che</strong> l'aria del potere qui a Londinium non ti<br />

affascina? Devi tornare a casa, nella tua provincia?»<br />

«Sì,» dissi, «e da tua zia Luceia, e non mi interessa <strong>che</strong> chi mi<br />

sente parlare possa ridere di me.»<br />

«Zio» disse Pico, continuando a sorridere. «Non sentirai né<br />

risate, né criti<strong>che</strong> da parte mia.»


LIBRO TERZO<br />

<strong>La</strong> genesi


XVII.<br />

Malgrado l'allegria <strong>che</strong> avevo simulato con Pico parlando di<br />

Luceia, dentro di me ero ben lungi dal sentirmi a mio agio alla<br />

prospettiva di tornare a casa, ed ero in quello stato d'animo fin<br />

dall'inizio del viaggio. <strong>La</strong> verità pura e semplice era <strong>che</strong> la paura del<br />

ritorno a casa mi stava facendo impazzire. Consapevole del vecchio<br />

detto <strong>che</strong> un uomo non conosce sensazione più piacevole di quella<br />

di arrivare a casa dopo una lunga e faticosa assenza, ero<br />

ossessionato e tormentato dal corollario di tale verità, vale a dire <strong>che</strong><br />

tale piacere e il benvenuto <strong>che</strong> un uomo riceveva all'arrivo<br />

dipendevano da quanto la sua assenza aveva addolorato chi lo<br />

aspettava. <strong>La</strong> apprensione e il terrore <strong>che</strong> mi tormentava mi avevano<br />

certi momenti quasi portato alla disperazione, ricordando il<br />

tradimento e il dolore <strong>che</strong> avevo immeritatamente inflitto a mia<br />

moglie, e la freddezza, l'indifferenza con cui lei in seguito mi aveva<br />

ripagato.<br />

Convinto nel profondo dell'animo di essermi meritato non solo<br />

la sua sfiducia, ma an<strong>che</strong> il suo disprezzo, dopo essere uscito dalla<br />

prigione ero stato assalito dal terrore all'idea di passare del tempo<br />

da solo, perché la solitudine invitava nella mia mente la più nera<br />

disperazione, <strong>che</strong> mi fissava torva e sibilante. Solo con i miei<br />

pensieri non riuscivo a sfuggire al senso di colpa e all'apprensione,<br />

né potevo sottrarmi alla paura di una vita senza l'amore di Luceia.<br />

Sapevo an<strong>che</strong> <strong>che</strong> quello <strong>che</strong> provavo derivava in parte dal senso di<br />

colpa per ciò <strong>che</strong> non era emerso, <strong>che</strong> non era stato né sospettato né<br />

ammesso, il segreto ancora recente del mio rapporto con Cilla<br />

Titente, ed era quella consapevolezza <strong>che</strong> mi impediva di pensare<br />

alla mia punizione come a qualcosa di meno <strong>che</strong> meritato e giusto.<br />

In un piovoso pomeriggio di raffi<strong>che</strong> di vento e tempesta<br />

incombente seppi <strong>che</strong> quella fase di agonia era quasi terminata, e <strong>che</strong>


l'atteggiamento vittorioso e spensierato <strong>che</strong> avevo simulato con<br />

tanta attenzione e diligenza di fronte ai miei compagni era destinata<br />

a rivelarsi entro breve tempo per quello <strong>che</strong> era: il comportamento<br />

di un'anima smarrita. Invece di sentirmi sollevato per la fine<br />

imminente di quella situazione, rendermene conto quasi mi<br />

distrusse. Il giorno dopo saremmo giunti alla Colonia.<br />

Il viaggio di ritorno da Londinium era stato eccellente, poiché<br />

tutti erano giubilanti per la notizia del mandato di Stilicone, e<br />

fiduciosi nel benvenuto trionfale <strong>che</strong> li attendeva alla fine del<br />

viaggio.<br />

Nell'ultimo tratto dovemmo decidere se aumentare l'andatura e<br />

arrivare alla villa nel cuore della notte, o fermarci a dormire sotto gli<br />

alberi della foresta e arrivare a casa insieme al nuovo giorno.<br />

Scegliemmo quest'ultima soluzione, io la sostenni a gran voce, e<br />

ci svegliammo con le allodole, quando il cielo era ancora buio; ci<br />

mettemmo in moto non appena la luce cominciò a penetrare nella<br />

foresta, e giungemmo in vista della fattoria principale della Colonia<br />

proprio mentre il sole si levava alto su di essa, cancellando ogni<br />

traccia della tempesta <strong>che</strong> ci aveva minacciato la sera prima. Mi<br />

guardai intorno, e per la prima volta nella mia vita da adulto, sentii<br />

il bisogno quasi opprimente di scappare e di nascondermi agli occhi<br />

di tutti, scoraggiato dalla minaccia di ciò <strong>che</strong> mi attendeva.<br />

Sulla collina sovrastante la villa e le terre circostanti, a sud-ovest<br />

rispetto a noi, si ergevano alte le mura non ancora ultimate del<br />

nuovo forte, nitide e scure nella luce del giorno. Ogni indizio della<br />

foresta <strong>che</strong> aveva verdeggiato lì per pochi giorni era scomparso, e<br />

perfino io fui felice all'idea <strong>che</strong> non avremmo mai più avuto bisogno<br />

di nascondere le nostre imprese.<br />

Plauto, <strong>che</strong> aveva sentito parlare della mimetizzazione della<br />

collina e del forte, guardò subito quella zona e stabilì<br />

immediatamente <strong>che</strong> lo avevamo preso in giro. Adesso <strong>che</strong> poteva<br />

vederli con i suoi occhi, si rifiutava di credere <strong>che</strong> fossimo stati in


grado di nasconderli; vedendo da quella distanza le dimensioni<br />

della collina e del forte <strong>che</strong> la incoronava, potevo ben capire il suo<br />

scetticismo.<br />

Caio e io ci limitammo a scambiarci un sorriso, e gli lasciammo<br />

credere quello <strong>che</strong> voleva. Caio indicò verso nord, dove altri banchi<br />

di nuvole si stavano radunando. «Sarà piacevole riposarsi tranquilli<br />

e comodi davanti a un bel fuoco stanotte, mentre la pioggia fuori<br />

cade sugli altri» disse e io sorrisi e annuii, fingendomi d'accordo con<br />

lui mentre galoppavamo verso la fine del viaggio. E d'un tratto,<br />

contro ogni logica considerando quello <strong>che</strong> mi aspettavo di trovare,<br />

fui impaziente di essere a casa.<br />

Il benvenuto fu caotico e travolgente, ma si abbatté su di me<br />

come onde silenziose provenienti da lontano: smontai da cavallo in<br />

un'isola di quiete <strong>che</strong> circondava solo me e mi isolava nel frastuono.<br />

Ma con incredulità vidi Luceia arrivare come se volasse, con il viso<br />

radioso, piangendo apertamente di sollievo e d'amore, corrermi<br />

incontro senza preoccuparsi di chi ci vedeva. Sentire il suo corpo<br />

abbandonarsi nel mio abbraccio, sentire le sue braccia attorno al<br />

collo, dissolse istantaneamente tutta la frenesia del mio terrore,<br />

come se non fosse mai esistita, sostituendola con vibranti, impulsive<br />

immagini della gioia conosciuta e condivisa, an<strong>che</strong> dopo brevi<br />

separazioni, nei primi anni del nostro matrimonio.<br />

Il sollievo di vederla e tenerla stretta di nuovo e di sapere <strong>che</strong><br />

era ancora mia, era così totale e prepotente <strong>che</strong>, malgrado il tumulto<br />

e la folla <strong>che</strong> ci circondava, riuscii a trascinarla sul nostro letto, dove<br />

ci rotolammo, con la foga di una coppia di puledri in primavera, ma<br />

an<strong>che</strong> con l'intensità di due amanti esperti. Non dicemmo una<br />

parola sulla separazione o sulla lite <strong>che</strong> l'aveva provocata. Le uni<strong>che</strong><br />

parole erano senza fiato, freneti<strong>che</strong>, concise e urgenti, tese,<br />

incomplete e conosciute, e gli unici rumori erano suoni di piaceri,<br />

profondamente sentiti da entrambi, a lungo negati e ora concessi con<br />

fervore.


Raggiungemmo gli altri più tardi, mano nella mano, rinvigoriti<br />

dalla reciproca, rinnovata conoscenza.<br />

Nel giro di un'ora tutta la gente della Colonia si era radunata sul<br />

terreno della villa e le voci del viaggio e delle nostre avventure<br />

erano sulla bocca di tutti, contraddittorie e diverse nelle infinite<br />

ripetizioni. Erano così numerose e contraddittorie, infatti, <strong>che</strong> Caio<br />

pretese l'attenzione di tutti e fece un discorso improvvisato, dando<br />

la notizia del riconoscimento ufficiale della Colonia e della<br />

designazione delle nostre risorse militari come Truppe Irregolari. Il<br />

giorno seguente ci sarebbe stata una riunione plenaria del Consiglio,<br />

allo scopo di discutere in modo esauriente le differenze <strong>che</strong> il nuovo<br />

incarico avrebbe portato in tutti gli aspetti della nostra vita futura.<br />

Quel giorno si lavorò ben poco alla Colonia. Fu una festa<br />

spontanea e il pranzo di mezzogiorno divenne un grande<br />

festeggiamento <strong>che</strong> si protrasse nel tardo pomeriggio, malgrado la<br />

pioggia intermittente. Quando scese la notte alcuni, ben determinati<br />

a continuare la festa, si spostarono all'interno delle case e accesero,<br />

così ci parve, ogni lampada e candela della Colonia per proseguire le<br />

danze, i giochi e la musica. Quando Luceia e io tornammo a letto,<br />

questa volta legittimamente, eravamo entrambi quasi tanto esausti<br />

da cadere immediatamente addormentati, avvolti nelle braccia uno<br />

dell'altra. Quasi, ma fortunatamente non del tutto esausti.<br />

Arrivai a letto per primo e rimasi disteso supino ad ascoltare<br />

Luceia <strong>che</strong> si spogliava al buio. Nessuno dei due aveva parlato da<br />

quando eravamo entrati in casa dirigendoci verso la camera da letto,<br />

e io mi chiedevo <strong>che</strong> cosa le stesse passando per la mente. Pochi<br />

istanti dopo, sollevò le coperte e si infilò vicino a me, e io distesi un<br />

braccio perché appoggiasse la testa. Mi venne subito vicino,<br />

premendosi contro il mio corpo, posò il capo nell'incavo tra il collo e<br />

la spalla e appoggiò la sua coscia sinistra, morbida come seta, sopra<br />

le mie. Il suo respiro era caldo sul mio collo; piegai il braccio,<br />

lasciando <strong>che</strong> le mie dita riposassero immobili contro i flessuosi


muscoli della sua schiena, mentre dentro di me tremavo ancora di<br />

miserabile sollievo, agitato dal doloroso ricordo del timore di averla<br />

perduta. «Publio... ?»<br />

«Sst! Non parlare. <strong>La</strong>scia solo <strong>che</strong> ti tenga stretta.» Mi girai un<br />

po' verso di lei, appoggiando la guancia alla sua tempia e la mano<br />

destra intorno alla vita, sentendo sotto il braccio il morbido rilievo<br />

dell'anca e della coscia. Mi mise il braccio intorno al collo e mi<br />

strinse forte, respirando profondamente. Cominciai a chiederle <strong>che</strong><br />

cosa ci fosse <strong>che</strong> non andava, ma lei scosse la testa e mi chiuse la<br />

bocca con dita gentili, e giacemmo immobili a lungo, malgrado la<br />

mia evidente eccitazione <strong>che</strong> finalmente riuscii a placare con uno<br />

sforzo di volontà.<br />

«Amore,» sussurrai alla fine, «non conosco le parole adatte per<br />

dirti come mi sento, ma voglio <strong>che</strong> tu sappia <strong>che</strong> credevo <strong>che</strong> non<br />

saremmo più stati insieme come ora.»<br />

Luceia non disse nulla.<br />

«Ci sono stati momenti, perfino a Londinium quando dovevo<br />

affrontare il processo in tribunale e an<strong>che</strong> in seguito, <strong>che</strong> non<br />

riuscivo a pensare ad altro <strong>che</strong> al fatto <strong>che</strong> ti avevo perduta... e in un<br />

modo così stupido! Non riuscivo a tollerarlo... Non potevo<br />

tollerarlo, non volevo vivere con quel pensiero... Quasi non tornavo<br />

a casa, tanto era grande il terrore di vederti guardare verso di me<br />

con occhi vuoti.»<br />

Si scostò da me, allontanandomi, e rimase a giacere supina,<br />

irrigidita in tutto il corpo, e tutte le mie paure mi riassalirono. Una<br />

corrente di aria fredda passò tra noi, riempiendo il vuoto <strong>che</strong> il suo<br />

movimento aveva creato sotto le coperte, e quella sensazione,<br />

improvvisa e sinistra, mi fece venire la pelle d'oca per il terrore.<br />

Sentii an<strong>che</strong> il mio corpo irrigidirsi nella protesta, ma mi mancò il<br />

coraggio di prenderla e di riportarla vicino a me.<br />

Luceia sussurrò qualcosa, ma così sottovoce <strong>che</strong> non compresi.


«Che cosa hai detto? Non ho sentito.»<br />

Girò la testa verso di me, ma la notte era troppo buia perché<br />

potessi vederla in volto. «Ho detto <strong>che</strong> ti ho mandato a morire senza<br />

una parola... Ero troppo arrabbiata e troppo offesa e orgogliosa per<br />

guardarti in faccia, an<strong>che</strong> se sapevo di avere torto. Una voce dentro<br />

di me, nel mio cuore, mi urlava <strong>che</strong> avevo torto, ma ero troppo<br />

orgogliosa, troppo testarda per ascoltarla.»<br />

Allora mi allungai verso di lei, sentendo quel dolore inatteso,<br />

differente, per la prima volta, e cercai di confortarla. «No,» le<br />

sussurrai, «non dire così.»<br />

Ignorò le mie parole, irrigidendosi per sottrarsi al mio abbraccio,<br />

e avendo iniziato a parlare, le parole sgorgarono come un torrente.<br />

«È vero. Ti sono corsa dietro quella mattina dopo <strong>che</strong> sei partito.<br />

Ma eri già andato via, in catene, e qualcosa è morto dentro di me e<br />

qualcos'altro è nato: un freddo, paralizzante terrore, un misto di<br />

colpa, vergogna e disperazione, e la consapevolezza, forte e<br />

impietosa, del mio meschino e ostinato egoismo. Ti ho visto morto<br />

centinaia di volte ogni ora trascorsa da quel momento. Ti ho<br />

immaginato ucciso, torturato, flagellato, picchiato e frustato, fatto a<br />

pezzi e buttato in un fosso. Continuavo a vederti trucidato, ogni<br />

volta in un modo diverso, e ogni volta i tuoi occhi fissavano i miei,<br />

sbalorditi, angosciati e traditi per quello <strong>che</strong> ti avevo fatto.»<br />

Le sue parole e il suo dolore mi tormentavano l'anima e cercai di<br />

tenerla vicina e confortarla. «In nome di Dio, amore! Tu non hai fatto<br />

niente. Sono stato io! Sono io <strong>che</strong> ho causato questa frattura, perché<br />

non ti ho confidato tutto quello <strong>che</strong> sapevo.»<br />

Si sedette sul letto, staccandosi di nuovo da me, con un<br />

movimento brusco, involontario, come provocato da una molla<br />

nascosta, e le parole successive furono pronunciate a voce molto più<br />

alta. «Non avevo il diritto di aspettarmi <strong>che</strong> tu lo facessi. Non ne ho il<br />

diritto!» Turbato rimasi a fissare nel buio mentre lei proseguiva.<br />

«Non appena sei partito mi sono accorta <strong>che</strong> ero stata una stupida. E


ho giurato davanti a Dio, pregandolo con centomila preghiere per la<br />

tua liberazione, <strong>che</strong> non sarei mai più stata così presuntuosa da<br />

aspettarmi, o an<strong>che</strong> pensare, di possedere la tua anima, i tuoi<br />

pensieri più intimi.»<br />

Si interruppe per lasciarmi riflettere, e io mi sforzai di capire, ma<br />

infine emisi un sospiro. «Amore, non capisco di <strong>che</strong> cosa stai<br />

parlando.»<br />

Luceia si girò, appoggiò un ginocchio contro il mio fianco e si<br />

sporse a carezzarmi il viso, e con voce di nuovo gentile, rivolgendosi<br />

a me come se fossi stato un bambino piccolo, disse: «Tu avevi un<br />

segreto, Publio. Questa è stata la causa di tutto. Hai mantenuto il<br />

silenzio su qualcosa <strong>che</strong> ritenevi importante; qualcosa da cui mi<br />

volevi proteggere. E io, nella mia arroganza, nel mio stupido<br />

presuntuoso orgoglio e nella mia stoltezza, ho preferito credere <strong>che</strong><br />

avevi tradito la mia fiducia. Ah!». Il disprezzo di se stessa in<br />

quell'unica sillaba era sarcasticamente eloquente, ma Luceia riprese<br />

a parlare prima <strong>che</strong> potessi rispondere. «Ebbene, ho avuto tutto il<br />

tempo di vedere il mio errore e di pentirmi... Anch'io ho avuto i miei<br />

segreti, per tutta la vita, ma quelli, pensavo, erano diversi; erano<br />

miei e non riguardavano nessun altro. Solo la grazia di Dio ha fatto<br />

sì <strong>che</strong> nessuno avesse a <strong>che</strong> fare con te o con noi. Ma era una<br />

coincidenza, niente di più, né di meno. Ed è stata una follia non<br />

riuscire a capirlo in tempo.»<br />

Fece una pausa e quando riprese a parlare mi chiese: «Ricordi la<br />

prima discussione <strong>che</strong> abbiamo avuto, la nostra prima vera lite? Era<br />

per stabilire se vi avrei accompagnato o no vostro incontro con Ullic<br />

a Stonehenge. Te lo ricordi?».<br />

«Sì. Me lo ricordo.»<br />

«Bene, quel litigio scaturiva da un segreto, un maligno, amaro<br />

piccolo segreto di autocommiserazione <strong>che</strong> nutrivo in seno da<br />

settimane. Ero spaventata all'idea di perderti a causa dei figli,<br />

ricordi? E ho nutrito quelle paure in segreto fino a <strong>che</strong> si sono


liberate come spiriti malvagi. Per <strong>che</strong> cosa? Ero arrabbiata per il mio<br />

amore per te, per la mia gravidanza, e spaventata all'idea di essere<br />

per sempre confinata qui, nella mia casa, <strong>che</strong> Dio mi perdoni.»<br />

«Ti ha perdonato» le dissi, sorridendo e allungandomi verso di<br />

lei, ma lei mi respinse di nuovo; non aveva ancora finito.<br />

«Sì, ma non prima di te. Tu sei stato il primo. Tu hai capito<br />

quello <strong>che</strong> dicevo, quello <strong>che</strong> temevo. Sei stato tu, non Dio, <strong>che</strong> mi ha<br />

preso tra le braccia e mi ha dato conforto in quell'orrendo<br />

pomeriggio! Sei stato tu <strong>che</strong> mi hai fatto sentire <strong>che</strong> mi amavi, <strong>che</strong><br />

ero amata. Tu sei mio marito, la cosa più bella <strong>che</strong> mi sia mai<br />

capitata nella vita, e so <strong>che</strong> riempio il tuo mondo come tu riempi il<br />

mio. Come ho potuto allora, sapendo questo, chiedere di più? Come<br />

ho potuto commettere il peccato <strong>che</strong> ho commesso? Eppure l'ho<br />

fatto. L'ho fatto e Dio mi ha punita portandoti via da me e<br />

lasciandomi nel silenzio.»<br />

«E ti ha perdonato di nuovo, amore mio. Sono tornato.»<br />

<strong>La</strong> sua voce tremò. «Hai detto <strong>che</strong> non volevi tornare.»<br />

«È vero, ma per ragioni diverse. Eppure sono tornato, per<br />

rimanere, e sono tutto intero e in buona salute. Senti.» Guidai la sua<br />

mano e lei reagì con una risata soffocata, fingendosi irritata con se<br />

stessa e an<strong>che</strong> con me, perché ero così irrispettoso. Con un buffetto<br />

rifiutò la mia insolente mascolinità, e riportò la mano a coprire la<br />

mia guancia.<br />

«Per favore, Publio, permettimi di finire, di dire ciò <strong>che</strong> devo<br />

dire.»<br />

Attesi.<br />

«Il segreto <strong>che</strong> mi ha tanto offeso non era importante; non era<br />

niente. Ero così arrabbiata per l'apparente mancanza di fiducia da<br />

parte tua <strong>che</strong> ho perso completamente di vista la mia fiducia in te.<br />

Eppure quella fiducia è assoluta... Capisci quello <strong>che</strong> ti sto dicendo,<br />

Publio? <strong>La</strong> mia fiducia in te è assoluta. Non esiste nella mia mente il


più piccolo dubbio <strong>che</strong> saresti pronto a morire per proteggere me e i<br />

miei figli, e so <strong>che</strong> la tua morte vorrebbe dire la mia morte... Mi<br />

ascolti?» <strong>La</strong> sua voce tremava per le lacrime non versate.<br />

«Ti ascolto. Ti amo. E adesso vieni qui vicino a me. Stai<br />

prendendo freddo lì seduta.» Luceia ubbidì con impeto morbido e<br />

amoroso, e le sue lacrime sgorgarono sulla mia pelle, e ben presto ci<br />

scaldammo di nuovo e ci addormentammo abbracciati.<br />

<strong>La</strong> riunione del Consiglio programmata per il giorno dopo non<br />

cominciò fino alla decima ora della mattina e durò cinque ore. Non<br />

fu una riunione difficile, perché tutti gli argomenti da trattare erano<br />

positivi e favorevoli e lo spirito dei membri del Consiglio era<br />

allegro, ma Caio aveva l'aria stanca quando la aggiornammo. Andai<br />

con lui nella sua stanza di soggiorno, dove si fermò e appoggiò con<br />

affetto le mani sul codice <strong>che</strong> era sul tavolo da lavoro, dove l'aveva<br />

lasciato prima di partire per Londinium con Seneca.<br />

«È bello essere di nuovo a casa, Publio» mi disse. «Credo <strong>che</strong><br />

scriverò per un po', prima <strong>che</strong> la luce se ne vada. I miei occhi stanno<br />

peggiorando, sai. Mi fanno male ogni volta <strong>che</strong> scrivo alla luce della<br />

lampada, eppure c'è stato un tempo, non lontano, in cui potevo<br />

scrivere tutta la notte alla luce di una sola lampada senza nessuna<br />

fatica.»<br />

«Non fa bene agli occhi di nessuno, Caio» gli dissi. «Penso <strong>che</strong><br />

sia una buona idea farlo con la luce del giorno, se ne hai il tempo e<br />

l'opportunità. An<strong>che</strong> se non capisco perché vuoi sempre scrivere<br />

tanto.» Mi guardò e sorrise, ma non disse niente. «E <strong>che</strong> cosa scrivi,<br />

poi?» gli chiesi. «Voglio dire, sono anni <strong>che</strong> passi ore e ore a scrivere,<br />

ogni giorno, e non fai mai vedere a nessuno quello <strong>che</strong> hai scritto.<br />

Almeno credo. O l'hai fatto?»<br />

Il suo sorriso si allargò. «No, Publio, per la verità nessuno ha<br />

mai voluto vedere quello <strong>che</strong> sto scrivendo. Nessuno ha mai<br />

espresso curiosità in proposito, tranne Luceia. Lei sa di <strong>che</strong> cosa si


tratta, an<strong>che</strong> se non l'ha mai letto, e sa <strong>che</strong> quando morirò sarà<br />

affidato alla sua custodia.»<br />

«Beh, ti dispiacerebbe se ti chiedessi di <strong>che</strong> cosa si tratta?»<br />

Mi sorrise. «No, niente affatto, visto <strong>che</strong> me lo hai suggerito tu.»<br />

Lo guardai con stupore. «Io? Che cosa avrei fatto?» Caio rise.<br />

«Come, Publio? Non ti ricordi neppure? Eri irritato con me perché<br />

scrivevo le mie memorie militari! Sicuramente te ne ricorderai?<br />

Dicesti <strong>che</strong> avrei dovuto pensare ai miei discendenti, e scrivere<br />

qualcosa <strong>che</strong> li guidasse negli anni futuri.» Ricordavo vagamente.<br />

«Comunque è quello <strong>che</strong> ho scritto da quel giorno. È una storia<br />

personale della crescita di questa Colonia, scritta per intrattenere e<br />

forse guidare i nostri discendenti, <strong>che</strong> governeranno questa terra.»<br />

«Una storia? Come?»<br />

Caio si strinse nelle spalle e sorrise, malgrado l'evidente<br />

stan<strong>che</strong>zza. «È molto semplice,» disse con calma, «mi sono imposto<br />

di scrivere ogni giorno gli eventi della giornata.»<br />

«Allora è una cronaca? Come il diario di Luscar durante la<br />

campagna successiva all'invasione?»<br />

«Mmm.» Il suono <strong>che</strong> gli uscì dalla gola suggeriva una risposta<br />

negativa. «Non proprio, Publio, non proprio... Più di un diario;<br />

meno di un documento legale. Aggiungo i miei pensieri personali e<br />

le mie osservazioni. Ci sono molti miei pensieri e opinioni mescolati<br />

agli eventi. Come ho detto, è una storia personale e a volte tanto<br />

egocentrica da essere imbarazzante.»<br />

«E per questo <strong>che</strong> non l'hai mai fatta leggere a nessuno? Perché è<br />

così personale?»<br />

«In parte.» Sorrise di nuovo, con un piccolo sorriso di<br />

divertimento per la presunzione di elogiare la propria opera. «E poi<br />

nessuno mi ha mai chiesto di leggerla.»<br />

Annuii lentamente. «Se te lo chiedessi, me la faresti leggere?»


«Certamente. È ovvio. Ne sarei felice.» Sorrideva ancora.<br />

«Allora mi piacerebbe leggerla.» Annuì. «Bene, Publio. Ne sono<br />

felice. Mi fa piacere. Puoi avere il manoscritto quando vuoi.»<br />

«Allora lo leggerò stasera.»<br />

Rise e scosse la testa. «Puoi cominciare stasera, Publio, ma non<br />

finirai stasera. Ho scoperto di essere molto prolisso. Tendo a<br />

compiacermi del suono delle mie parole, se si può dire così di un<br />

esercizio <strong>che</strong> non comporta suoni. Scrivo dieci anni. Ce molto da<br />

leggere.»<br />

«Bene, allora!» Mi alzai, pieno di determinazione e di<br />

entusiasmo. «Comunque comincerò stanotte. Sono ansioso di<br />

iniziare a leggere. Ma prima è meglio <strong>che</strong> io vada alla forgia. Manco<br />

da settimane. Equo deve aver dimenticato <strong>che</strong> aspetto ho con la<br />

faccia imbrattata di fuliggine. Su, ti accendo il fuoco e controllo <strong>che</strong><br />

ci sia abbastanza legna e inchiostro.»<br />

«Non lo farai.» Sembrava oltraggiato all'idea <strong>che</strong> potessi fare<br />

una cosa simile. «Di queste cose si occupa Gallo, sa <strong>che</strong> lo deve fare.<br />

Vai alla tua forgia, Publio.»<br />

Lo ignorai e feci come volevo, e solo quando ebbi acceso il fuoco<br />

parlai di nuovo. «A volte Gallo, come tutti noi, si dimentica. Proprio<br />

come noi, non diventa giovane, sai.»<br />

Spinsi il tavolo sotto la luce pomeridiana del sole e badai <strong>che</strong><br />

Caio fosse comodo.<br />

<strong>La</strong> statua di ferro <strong>che</strong> avevo chiamato Coventina, la Signora del<br />

<strong>La</strong>go, era lì vicino, su un tavolo tutto per lei. L'accarezzai, come<br />

facevo sempre, passando la mano sulle sue curve formose.<br />

Caio mi stava osservando. «È una signora paziente, Publio, <strong>che</strong><br />

ti guarda e aspetta come una sposa vergine, e si chiede cosa vuoi<br />

fare di lei.»<br />

Le posai una mano sul capo, e sentii il metallo freddo contro il<br />

palmo. «Lo so, Caio» gli risposi, con un sussurro. «E non è la sola.


Me lo chiedo anch'io.»<br />

Lo lasciai a scrivere e andai alla fucina, sentendo i martelli<br />

risuonarmi nelle orecchie mentre mi avvicinavo. Mi fermai appena<br />

dentro per abituare gli occhi alla penombra e mi riempii i polmoni<br />

dell'odore del fumo e del ferro, con quel rimescolamento quasi<br />

erotico <strong>che</strong> sentivo sempre dopo una lunga assenza. Equo stava<br />

lavorando alla forgia centrale, e lo raggiunsi passandomi il<br />

grembiule di pelle sopra la testa.<br />

«A cosa stai lavorando?»<br />

Fece un balzo esagerato, come se volesse ritrarsi da qualcosa <strong>che</strong><br />

lo aveva spaventato. «Per le tette di Budicca! Ho visto un fantasma?<br />

Cosa ci fai in una sporca fucina? Mi hanno detto <strong>che</strong> eri morto,<br />

ammazzato mentre copulavi con una giumenta tentando di<br />

migliorare la razza!»<br />

Gli risposi con un ghigno. «No, quello era Vittore. Io preferisco<br />

le pecore.»<br />

«Ah!» Annuì con saggezza. «Pecore. Bene, allora ficca questo in<br />

mezzo ai carboni.» Mi passò un pezzo di ferro sottile come la lama<br />

di una spada, ma lungo il doppio e largo una volta e mezzo una<br />

lama normale.<br />

«Cos'è?»<br />

«È quello a cui sto lavorando.»<br />

Lo ressi con il braccio teso, sentendolo rimbalzare leggero nelle<br />

tenaglie. «Sembra la lama di una spada, ma è troppo lunga e troppo<br />

pesante.»<br />

«È proprio quello <strong>che</strong> è, la lama di una spada troppo lunga e<br />

troppo pesante.»<br />

Scossi la testa con ironica costernazione e infilai il metallo nei<br />

carboni, apprezzando la gradevole sensazione delle tenaglie di ferro<br />

tra le mani.


«Seriamente, Publio» mi disse guardandomi fisso, e<br />

socchiudendo gli occhi per il fumo <strong>che</strong> saliva dal fuoco. « È proprio<br />

quello <strong>che</strong> è. Ho un'idea e voglio provarla.»<br />

Spinsi il metallo più profondamente nei carboni. «Allora?<br />

Dimmi. Da dove ti è venuta?»<br />

«Cosa, l'idea? Dalla mia testa, ovviamente. Da dove altro poteva<br />

venire?»<br />

«No, Equo, volevo dire... oh, non importa. Cos'è questa tua<br />

idea?»<br />

«Vieni qui e guarda. Ho fatto dei disegni.»<br />

«Disegni?» Risi. «Passi troppo tempo con Andros, Equo. Uno di<br />

questi giorni verrò qui e ti troverò a pregare in ginocchio.»<br />

«Ah!» emise una fragorosa risata di s<strong>che</strong>rno. «Non pensarci<br />

nemmeno, Publio Varro! A meno <strong>che</strong> ci sia una donna sdraiata a<br />

terra di fronte a me. Guarda questo!»<br />

Da un bancone da lavoro completamente ingombro prese un<br />

grande mucchio di pergamene, tutte di dimensioni diverse, e le<br />

sparse di fronte a sé. Quando trovò quella <strong>che</strong> cercava, la batté con le<br />

noc<strong>che</strong> e io mi sporsi a guardare. Era un grande pezzo di pergamena<br />

con disegni di punte di lance, giavellotti, asce e spade. Li esaminai<br />

tutti, chiedendomi cosa si aspettava da me. Non vidi niente <strong>che</strong> mi<br />

colpisse. «Allora?» dissi. «Sto guardando. Cosa vuoi <strong>che</strong> veda?»<br />

«Niente per ora. Non c'è niente da vedere lì. Ma lasciami<br />

parlare.» Fece una pausa. «Tu volevi un'arma da usare a cavallo.<br />

Bene, io ci ho lavorato, ma giuro, per le palle di Bacco, <strong>che</strong> sto<br />

cominciando a dubitare <strong>che</strong> si possa fare.» Io tacqui, e lui continuò<br />

indicando verso i disegni. «Ognuna di quelle armi è concepita per<br />

uomini a piedi. <strong>La</strong> migliore è la spada. Buona sia per l'attacco sia per<br />

la difesa. Ci puoi parare un colpo e uccidere con la stessa facilità.»<br />

Fece un'altra pausa e poi aggiunse. «Una lancia è limitata. Dai una<br />

stoccata con quella o scagliala, ed è finita. È meglio <strong>che</strong> tu abbia


an<strong>che</strong> una spada. Un'ascia è ancora peggio. Voltati per rotearla e<br />

sarai un bersaglio scoperto per una spada o una lancia. E quando<br />

l'avrai roteata sarà meglio <strong>che</strong> tu colpisca l'uomo <strong>che</strong> hai preso di<br />

mira, perché se vale il pane <strong>che</strong> mangia, un colpo è l'unica possibilità<br />

<strong>che</strong> avrai.»<br />

Mi venne in mente <strong>che</strong> non avevo mai sentito Equo parlare tanto<br />

in una volta sola su un solo argomento; e non aveva ancora finito.<br />

Adesso i suoi occhi erano ancora più animati di prima, e le sue mani<br />

si muovevano da un disegno all'altro, dando enfasi alle sue parole e<br />

dirigendo i miei pensieri. Lo ascoltavo affascinato.<br />

«Ora, se mettiamo il nostro uomo a cavallo e schieriamo i cavalli<br />

vicini come vuoi tu, siamo davvero nella merda. In una situazione<br />

come questa un'ascia è inutile come le tette su un cinghiale maschio,<br />

perché se la rotei puoi solo colpire l'uomo <strong>che</strong> hai di fianco o<br />

uccidere il tuo cavallo. An<strong>che</strong> una spada è inutile, è dannatamente<br />

troppo corta. An<strong>che</strong> se hai lo spazio per rotearla. Non riusciresti a<br />

raggiungere un uomo a terra vicino a te, se è in ginocchio o disteso.<br />

Ci rimane la lancia. Ma le lance hanno solo una punta. Servono per<br />

trafiggere. Non possono tagliare. E la lama del pilum si piegherebbe.<br />

È eccezionale da affondare nello scudo di un nemico, per impedirne<br />

i movimenti, ma per noi è inutile.»<br />

«Dunque.» Batté la mano sui disegni, coprendoli con la sua<br />

grande zampa. «Ho pensato a un nuovo tipo di lancia. Un'asta corta<br />

e pesante, lunga circa tre piedi, per avere peso, e una lunga lama<br />

piatta come quella di una spada, ma lunga il doppio, a doppio filo e<br />

più tagliente della lingua di una puttana.» <strong>La</strong> disegnò con pochi<br />

tratti e io la vidi prendere forma sotto il movimento del carboncino.<br />

«Un'arma come questa potrebbe dare un certo vantaggio a un uomo<br />

a cavallo» continuò. «Potrebbe toccare terra tra due cavalli, con l'asta<br />

stretta sotto l'ascella, e l'arma sarebbe abbastanza manovrabile per<br />

venire usata di taglio e per essere scagliata.»<br />

Ero impressionato. «Mmm» dissi, e riflettei un istante. «Equo,


potresti avere ragione. Ma sarebbe utilizzabile solo da un lato.»<br />

«Cosa vuoi dire?» Aggrottò la fronte senza capirmi, poi intuì<br />

quello <strong>che</strong> stavo dicendo e dalle sue parole mi resi conto <strong>che</strong> ero io<br />

quello <strong>che</strong> aveva frainteso. «No, no. Niente affatto, Publio.<br />

Dannazione, è fatta per essere usata da entrambe le parti! L'asta<br />

corta dovrebbe permettere a un uomo di rotearla sopra la testa del<br />

cavallo e colpire in entrambe le direzioni.»<br />

«Credo <strong>che</strong> tu abbia scoperto qualcosa. È certo degna di essere<br />

provata. Fammene una e la proveremo.»<br />

«Fammene una e la proveremo! Per la croce di Cristo, amico!<br />

Non è quello <strong>che</strong> sto facendo?»<br />

Guardai la lunga asta di ferro <strong>che</strong> sporgeva dai carboni.<br />

«Quando sarà pronta?»<br />

«Se la pianti di interferire e di distrarmi sarà pronta in<br />

mattinata.»<br />

«Finita? Completa?»<br />

«Finita, completa e affilata. Adesso, vorresti lasciarmi lavorare?»<br />

Passai le due ore successive a gingillarmi, controllando gli<br />

apprendisti e facendo l'inventario del materiale in produzione, dai<br />

chiodi ai cerchi per le botti, andando a vedere ogni tanto come<br />

andava, tormentandolo al punto <strong>che</strong> mi caccio letteralmente,<br />

ridendo, dalla forgia.<br />

Mi sentivo frivolo quel pomeriggio. Non ero dell'umore giusto<br />

per fare qualcosa di utile e stavo pensando seriamente di provare a<br />

portare a letto mia moglie per prima distrazione amorosa fuori<br />

orario. Non mi sentivo così pieno di energia da anni, ma non era<br />

destino <strong>che</strong> potessi godere di un interludio erotico, perché Vittore<br />

già mi chiamava dalle stalle. Cominciò subito a mettermi al corrente<br />

della necessità di ferrare tutti i cavalli più spesso e più regolarmente,<br />

mentre io annuivo educatamente. Mi tappai le orecchie e lo lasciai<br />

vaneggiare fino a quando si arrese e scomparve nel buio delle stalle,


orbottando tra sé e probabilmente dandomi degli epiteti.<br />

Improvvisamente un sibilo letale risuonò vicino al mio orecchio,<br />

e mi fece acquattare proprio mentre sentivo il risonante tac! di una<br />

freccia <strong>che</strong> si conficcava nella porta alle mie spalle. Incurante della<br />

mia dignità, mi voltai carponi, cercando di scoprire chi fosse<br />

l'aggressore, ma non vidi nessuno. Corsi alla porta della stalla per<br />

ripararmi dietro di essa, e un'altra freccia andò a conficcarsi nel<br />

legno della porta, bucando l'asse di quercia massiccia spessa due<br />

pollici.<br />

«Varro! Vieni fuori, romano!» Sussultai riconoscendo la voce<br />

profonda e sonora. «Se fossi un tiratore meno bravo saresti già<br />

morto!»<br />

«Ullic!,» urlai, «demente celta imbecille! Metti giù quella cosa<br />

prima di far del male a qualcuno!» Un'altra freccia venne a infiggersi<br />

nel legno e poi un'altra e un'altra ancora. Vidi Vittore correre verso<br />

di me nella penombra della stalla e gli feci segno di fermarsi e di<br />

rimanere dov'era.<br />

«Ullic! Finiscila! Qualcuno finirà col farsi male!» Una sesta<br />

freccia arrivò nel bersaglio e poi ci fu silenzio.<br />

«Ho finito, romano. Vieni fuori e guarda la disposizione.»<br />

Uscii. Non c'era ancora traccia di lui, perciò feci come mi aveva<br />

detto e guardai la disposizione delle frecce nella porta. Erano sei<br />

frecce, perfettamente spaziate e disposte in cerchio. Ed erano grandi.<br />

Grandi come le mie. Ognuna di loro era penetrata completamente<br />

nel legno durissimo.<br />

Gli gridai senza girarmi: «Ullic, un celta testone come te dove<br />

potrebbe trovare un arco così grande e robusto da tirare frecce di<br />

queste dimensioni con tanta forza?».<br />

«Potrebbe farne uno, romano!»<br />

«Solo se riuscisse a combinare tutti i cervelli della sua tribù in un<br />

artigiano tanto intelligente da chiedere aiuto a un romano.»


«Spostati!» Ubbidii e una settima freccia andò a colpire il centro<br />

esatto del cerchio formato dalle altre sei.<br />

«Adesso, arrogante zotico latino, guarda la mia stupenda arma e<br />

meravigliati!»<br />

Sentii i suoi passi avvicinarsi e mi girai per guardarlo in faccia. I<br />

grandi denti splendevano in un sogghigno malizioso e quando fu<br />

abbastanza vicino mi lanciò il suo arco. Lo afferrai con la mano<br />

destra. Era enorme: sei piedi o più di lunghezza, con una corda di<br />

nervo di bue, ma era stato ricavato da un unico pezzo di legno, non<br />

era fatto a strati, come il mio, <strong>che</strong> era di legno, corno e nervo di bue.<br />

Aveva una sezione circolare; al centro, dove lo impugnavo, mi<br />

riempiva il palmo della mano, e diminuiva gradatamente alle<br />

estremità. Lo sollevai e sentii <strong>che</strong> era solido. Lo passai nella sinistra e<br />

provai la tensione. Era forte, forte come il mio.<br />

Ullic si fermò a guardarmi e non si mosse finché non ebbi teso<br />

l'arco lasciandolo poi andare con garbo. Allora allungò una mano<br />

verso la faretra <strong>che</strong> aveva sulla schiena e mi porse una freccia. <strong>La</strong><br />

incoccai, mirai a un bersaglio e lasciai andare. Era una bella arma.<br />

«Allora?» C'era un leggero sorriso sulla sua faccia.<br />

«Niente male.» Tenni la testa bassa esaminando il grande arco,<br />

cercando di non mostrare troppa ammirazione. «Dove lo hai<br />

rubato?»<br />

«Peuh! Un re celta non ha bisogno di rubare. Il suo popolo fa a<br />

gara per portargli dei doni.»<br />

«Chi ha fatto a gara per portarti questo?» Rialzai il capo e gli<br />

rilanciai l'arco, sorridendogli adesso in segno di benvenuto. «Hai già<br />

mangiato?»<br />

«Come avrei potuto? Sono in cammino da tre giorni. Sono<br />

venuto per impressionarti con il mio nuovo giocattolo. Ma potrei<br />

an<strong>che</strong> mangiare, se mi venisse offerta ospitalità. Perfino ospitalità<br />

romana.»


«Questa è romano-britannica. Hai un bell'aspetto, Ullic, le tue<br />

donne ti fanno lavorare sodo.»<br />

<strong>La</strong> sua risata fu enorme e mi avvolse come le sue braccia in una<br />

potente stretta. Mentre ci incamminavamo verso casa, Vittore ci<br />

osservava al sicuro nella sua stalla. Non riusciva proprio a fidarsi di<br />

Ullic e del suo popolo.<br />

«Allora, amico,» dissi camminando, il mio braccio intorno alla<br />

vita di Ullic e il suo intorno alle mie spalle, «parlami di questo arco.<br />

Da dove viene?»<br />

«Dalle mie terre. Da uno dei miei alberi.» Nella sua voce c'era<br />

una riverenza inaudita.<br />

«Che legno è questo?» gli chiesi, guardandolo attentamente.<br />

«Lo chiamiamo tasso. È un sempreverde, basso e fronzuto, <strong>che</strong><br />

cresce lentamente, ma è forte, elastico e perfetto per fare archi.»<br />

«Chi lo ha fatto?»<br />

«Cimric, ovviamente.» Ullic teneva l'arma tesa in avanti,<br />

ammirandone il profilo. «Sono anni <strong>che</strong> tenta di fare un arco come<br />

questo. Ha cercato di fare un duplicato del tuo grande mostro<br />

africano, ma il corno lo ha sconfitto. Ha rinunciato e ha cercato legni<br />

di ogni tipo e alla fine è riuscito a fare questo. Ci ha messo due<br />

anni.»<br />

«Per un arco?»<br />

«Sì, Varro, per un arco, ma Cimric giura <strong>che</strong> sarà il primo di<br />

migliaia di archi. Cimric è molto fiero del suo arco.»<br />

«Ha ben motivo di esserlo. Perché te lo ha dato?»<br />

Ullic mi guardò sorpreso. «Doveva darmelo. Io sono il re.»<br />

«Balle! Sii serio, Ullic. Nel tuo popolo questo non significa<br />

niente. In particolare se si tratta di beni materiali.»<br />

Rise. «Povero Cimric! Ha dovuto darmelo perché dopo averlo<br />

fatto ha scoperto <strong>che</strong> era troppo duro per lui. Io sono il solo <strong>che</strong>


iesce a tenderlo.»<br />

Sogghignai e glielo tolsi di mano, poi lo tesi fino al mio orecchio.<br />

«Non sei il solo, Ullic.»<br />

«Ah!» Fece con la mano un gesto regale, come per sminuire la<br />

mia pretesa di uguaglianza. «Tu non conti. Tu sei uno straniero. Un<br />

dannato romano.»<br />

«È vero.» Gli sorrisi. «E come tale sono una specie di eccezione<br />

alla regola...» Aggrottò la fronte. «Sono contento <strong>che</strong> almeno tu<br />

ammetta <strong>che</strong> siamo un popolo superiore.»<br />

Si slanciò su di me e mi avrebbe buttato a terra se Luceia non<br />

avesse scelto proprio quel momento per accorgersi di noi e lanciare<br />

un saluto. Ullic era un pecorone di fronte a Luceia, <strong>che</strong> lo affascinava<br />

completamente. In un attimo fui dimenticato, mentre lui si cullava<br />

nella luce ami<strong>che</strong>vole di mia moglie, perfettamente consapevole<br />

dell'effetto <strong>che</strong> aveva su di lui. Mentre ci avvicinavamo a casa, mia<br />

figlia Veronica, affezionatissima a Ullic, arrivò correndo a salutarlo.<br />

Quando Ullic aveva saputo della visita inaspettata, era partito<br />

con il suo esercito, pronto ad aiutarci nella lotta per la nostra<br />

esistenza, se ce ne fosse stata necessità. Poi, quando era a metà<br />

strada, aveva saputo <strong>che</strong> eravamo partiti per Londinium, così era<br />

tornato indietro, lasciando delle sentinelle per avvertirlo del nostro<br />

ritorno. Adesso aveva lasciato i suoi uomini accampati sulle colline,<br />

e Britannico mandò loro un carro con un barile di birra. Quando il<br />

carro arrivò a destinazione sentimmo grida di apprezzamento<br />

levarsi dalla collina, ben presto si accesero i falò a illuminare la<br />

notte, e sentimmo le voci celti<strong>che</strong> alzarsi nei loro canti.<br />

<strong>La</strong> nostra serata fu più tranquilla e finì presto per tutti tranne<br />

<strong>che</strong> per me. Invece di andare a letto come gli altri, presi i primi due<br />

volumi del diario di Caio sulla storia della Colonia e mi misi a<br />

leggere.<br />

<strong>La</strong> lettura di quella sera segnò una svolta nella mia vita, perché


quello <strong>che</strong> lessi mi eccitò tanto <strong>che</strong> cominciai a pensare di scrivere<br />

anch'io i miei pensieri. L'apparente facilità con cui Britannico aveva<br />

riversato i propri sulle pagine di quei libri mi fece impressione e<br />

pensai di poter fare anch'io la stessa cosa. Mi sarei accorto nei mesi<br />

seguenti, però, <strong>che</strong> scrivere non era semplice come sembrava.<br />

Migliaia di volte avrei rinunciato per il disgusto, se non fosse stato<br />

per l'incoraggiamento <strong>che</strong> ricevetti da Caio stesso. Lui non mi lascio<br />

smettere di tentare. Mi fece capire <strong>che</strong> il mio sforzo di<br />

concentrazione era meritevole. Mi parlò delle difficoltà <strong>che</strong> aveva<br />

avuto per cominciare in modo adeguato e mi mostrò i suoi primi<br />

tentativi, <strong>che</strong> non erano migliori dei miei. Mi convinse <strong>che</strong> se avessi<br />

continuato a tentare sarei stato un giorno capace di riportare sulla<br />

pergamena quello <strong>che</strong> sentivo. E il tempo provò <strong>che</strong> aveva ragione.<br />

Ma quei primi mesi di lavoro furono tra i più duri <strong>che</strong> avessi mai<br />

dedicato a imparare qualcosa, gl'inizio mi sembrava <strong>che</strong> non sarei<br />

mai riuscito a fare niente per bene, fino al giorno in cui scrissi un<br />

brano e scoprii, con assoluta sorpresa, <strong>che</strong> avevo detto quasi tutto<br />

quello <strong>che</strong> volevo dire. Quello fu il vero inizio. Tutto ciò <strong>che</strong> l'aveva<br />

preceduto era stato solo esercizio.<br />

Era tardi, quella prima notte di lettura e di scoperte, quando<br />

andai a letto, e la mia mente ribolliva per l'eccitazione. Più tardi<br />

dovetti alzarmi a vuotare la vescica, e fui contento di ritornare a letto<br />

a fianco della serica morbidezza di mia moglie.


XVIII<br />

Il giorno successivo non iniziò sotto buoni auspici. Mi svegliai<br />

prima dell'alba al rumore di una pioggia torrenziale e decisi di<br />

iniziare la giornata con un bagno caldo e un massaggio, solo per<br />

scoprire <strong>che</strong>, per la prima volta a memoria d'uomo, la fornace <strong>che</strong><br />

alimentava gli ipocausti, il sistema di riscaldamento centrale, si era<br />

rotta. Optai per un bagno freddo e un forte massaggio, traendo ben<br />

poco conforto dal sapere <strong>che</strong> un intero esercito di operai era già al<br />

lavoro per scoprire l'origine del guasto.<br />

Avevo intenzione di andare al forte nel corso della mattinata per<br />

controllare lo stato dei lavori, ma attraversare il cortile per andare ai<br />

bagni sotto un incredibile diluvio bastò a convincermi <strong>che</strong> un uomo<br />

saggio avrebbe cercato qualcosa da fare in casa. Ma an<strong>che</strong> la casa era<br />

fredda, a causa della fornace guasta o delle tubature rotte o di<br />

qualunque altra cosa fosse all'origine del problema, perciò mi<br />

avvolsi nel mantello e mi diressi verso la fucina e il suo accogliente<br />

calore.<br />

Quando arrivai pensai <strong>che</strong> Equo fosse lì da più di un'ora, visto<br />

<strong>che</strong> fuori era ormai pieno giorno e, lui aveva ancora le lampade<br />

accese. Mentre appendevo il mantello inzuppato sopra alla forgia<br />

per asciugarlo, alzò la testa dal suo lavoro.<br />

«Piove fuori?»<br />

Dapprima pensai <strong>che</strong> stesse s<strong>che</strong>rzando, ma mi accorsi subito<br />

<strong>che</strong> non era realmente interessato alla risposta, qualunque essa<br />

fosse.<br />

«Piove?! Da quanto tempo sei qui?»<br />

Era concentrato su qualcosa appoggiato sul bancone di fronte a<br />

lui e parlò in tono distratto, volgendomi le spalle e tenendo gli occhi<br />

sul lavoro. «Da tutta la notte, direi. Volevo finire la tua lancia.»


Completò qualcosa, diede un colpo con il martello e si rialzò,<br />

guardando per la prima volta la luce del giorno. «Sembra <strong>che</strong> ci sia<br />

una mattina puttana, là fuori.»<br />

Mi passai le dita tra i capelli, scuotendoli poi per asciugarli.<br />

«Non è un tempo piacevole, Equo, ma perché puttana?»<br />

Guardò di nuovo quello <strong>che</strong> stava facendo. «Umida, e<br />

disponibile per chiunque ci voglia entrare, ma fondamentalmente<br />

fredda, sgradevole e <strong>che</strong> la fa pagare a tutti.»<br />

Gli restituii il sorriso. «Filosofeggi di primo mattino? Deve<br />

essere stata una notte dura. Qual è il problema?»<br />

Si raddrizzò. «Ah, non so.» Aveva un'aria disgustata. «Non sono<br />

contento di come è venuta questa lancia.»<br />

«Perché no? Cos'ha di sbagliato?»<br />

«Che sia dannato se lo so! Ma ha qualcosa <strong>che</strong> non va.»<br />

«Dov'è? Fammi dare un'occhiata.»<br />

«<strong>La</strong>ggiù.» Indicò il retro. «Contro il muro in fondo.»<br />

<strong>La</strong> vidi da dove mi trovavo. «Da qui non sembra male, ha un<br />

aspetto un po' strano, ma è quello <strong>che</strong> mi aspettavo.»<br />

Andai a impugnare la nuova arma. Era pesante e funzionale. <strong>La</strong><br />

lama era lunga tre piedi e aveva il doppio filo, partendo dalla punta<br />

si svasava per la lunghezza di sei pollici fino a raggiungere una<br />

larghezza di due pollici e poi gradualmente fino a circa quattro<br />

pollici e mezzo alla base. Il filo della lama su entrambi i lati era<br />

tremendamente affilato. Lo spessore della spina centrale era più di<br />

mezzo pollice. Equo aveva lasciato il codolo per l'intera lunghezza<br />

dell'asta e ci aveva legato intorno delle strisce di legno con il filo di<br />

ferro, formando un'impugnatura compatta, lunga circa tre piedi e<br />

del diametro di circa due pollici e mezzo. Era un'arma pesante, ma<br />

non goffa.<br />

«Cosa c'è di sbagliato?» gli chiesi voltandogli le spalle. «Cos'ha


<strong>che</strong> non ti piace?»<br />

Equo scosse la testa bruscamente come per troncare<br />

l’argomento. «Te l'ho detto. Non lo so. Mi sono seduto sul cavalletto<br />

là fuori e mi sono esercitato per un po'. C'è qualcosa <strong>che</strong> non va, ma<br />

<strong>che</strong> sia dannato se riesco a capire il difetto.»<br />

«Pensi <strong>che</strong> sia troppo pesante?» L'alzai sulla spalla destra di<br />

scatto, per controllarne il peso.<br />

«No, non per il lavoro <strong>che</strong> deve fare.»<br />

«Bene, allora l'equilibratura? Non ti soddisfa?» Afferrai l'asta<br />

con entrambe le mani, reggendola a braccia tese.<br />

«Credo di sì. Sì, dannazione, mi soddisfa. È ben bilanciata da<br />

lanciare e per trafiggere. E taglia an<strong>che</strong>...» <strong>La</strong> sua voce rifletteva la<br />

frustrazione <strong>che</strong> stava provando. «È solo <strong>che</strong>... non la sento a posto,<br />

Publio. An<strong>che</strong> se fa quello <strong>che</strong> dovrebbe, non la sento a posto. Ha<br />

senso per te quello <strong>che</strong> dico?»<br />

«No, amico.» Grugnì seccato. «Bene, cosa vuoi <strong>che</strong> ti dica? Non<br />

so <strong>che</strong> cosa sembra giusto a te. A me sembra <strong>che</strong> vada bene, ma non<br />

sono stato io a disegnarla e a farla.»<br />

Sospirò e si girò di nuovo verso un pezzo di ferro <strong>che</strong> aveva<br />

lasciato scaldare nei carboni.<br />

Lo guardai appoggiarlo sull'incudine e martellarlo, facendo<br />

volare scintille a ogni colpo. Al quarto colpo si fermò, abbassò le<br />

spalle pensieroso, poi si girò verso di me, con il martello <strong>che</strong> gli<br />

penzolava dall'enorme mano.<br />

«Penso <strong>che</strong> quello <strong>che</strong> mi sta sul gozzo è <strong>che</strong> quella roba non è<br />

né carne, né pesce. È una lancia, ma deve essere usata come una<br />

spada.»<br />

«Ma è una nuova arma, Equo. Avrà delle regole sue. È<br />

differente.»<br />

«Sì, suppongo di sì... Beh, spero <strong>che</strong> ti vada bene. Non devo


usarla io.»<br />

Era molto scoraggiato; misi giù la nuova arma, mi diressi verso<br />

di lui e gli misi una mano sulla spalla.<br />

«Ti ci abituerai, vecchio mio. Una volta <strong>che</strong> avrai visto come<br />

funziona in mano agli altri, ne sarai fiero.»<br />

Fece un grugnito. «Ne dubito.»<br />

«Beh, io no. Britannico mi ha affidato la responsabilità di<br />

produrre una nuova arma per la nuova tattica. Io l'ho passata a te.<br />

Ed ecco l'arma.»<br />

«No, Publio, non lo è.» Era enfatico, veemente. «Io non sono<br />

intelligente come te e il generale e non so usare bene le parole. Ma so<br />

dentro di me <strong>che</strong> quella cosa non è la risposta. Forse andrà bene per<br />

ora, ma non è quella giusta.»<br />

Presi di nuovo l'arma, la soppesai e ne provai il filo con il pollice.<br />

«Bene, Equo, lo vedremo. Oggi è troppo bagnato per fare qual<strong>che</strong><br />

prova. Se il tempo si asciuga domani vedremo come si muove tra le<br />

mani di un uomo a cavallo.»<br />

Equo sottolineò la mia frase con un colpo risonante del martello<br />

sul ferro, lanciò un'imprecazione e buttò di nuovo tra i carboni il<br />

metallo ormai freddo; proprio in quel momento Caio entrò nella<br />

fucina, con il mantello militare drappeggiato intorno al corpo.<br />

«Ah, Publio, Equo! Speravo proprio di trovarvi entrambi! È il<br />

solo posto in cui si può sperare di sfuggire al gelo oggi. Cos'hai lì,<br />

Publio?»<br />

Gliela porsi. «<strong>La</strong> nuova arma per la cavalleria. Equo l'ha finita<br />

stanotte.»<br />

«Eccellente! Bene, fammi dare un'occhiata.» Allungò una mano<br />

per prendere l'arma, ma io la tenni stretta.<br />

«Te la do se prima ti togli quel mantello bagnato. Non hai<br />

bisogno di una polmonite alla tua età, Caio.»


«Mmm» grugnì. «Sei peggio di tua moglie.» Si tolse il mantello<br />

bagnato e io gli porsi la lancia, appendendo poi l'indumento vicino<br />

al fuoco insieme al mio, <strong>che</strong> stava già fumando, aggiungendo agli<br />

odori della forgia l'odore della lana umida. Quando mi rigirai stava<br />

fintando con la cosa, la teneva sulla spalla come se fosse un<br />

giavellotto, ne provava il peso e l'equilibrio. Equo lo fissava e<br />

chiaramente tentava di indovinare i suoi pensieri.<br />

«Buono. Mmm, sì. Questo è buono, Varro. Ben fatto, Equo.<br />

Penso <strong>che</strong> sia quello <strong>che</strong> stavamo cercando.»<br />

«Davvero lo credi, generale? Io no.» Equo dava il meglio di sé<br />

nello sconcertarci.<br />

«Come? Cosa vuoi dire?» Caio era stupefatto.<br />

«Equo non è soddisfatto. È un suo progetto e pensa <strong>che</strong> avrebbe<br />

potuto fare di meglio.»<br />

Caio diede un colpetto col dito contro il filo della lama, come se<br />

avesse scoperto una falla. «Beh,» disse poi, senza guardare nessuno,<br />

«forse avrebbe potuto, se lo crede con tanta fermezza. Forse potresti<br />

davvero fare di meglio, Equo, ma non lo sapremo finché non avrai<br />

provato, non pensi?» Stava guardando attentamente la lama. «Sì,<br />

davvero, questa è proprio eccellente. Darà ai nostri uomini qualcosa<br />

da padroneggiare, qualcosa di cui essere orgogliosi, qualcosa <strong>che</strong> li<br />

renda diversi. No, è molto bella. Posso portarmela via?»<br />

«Sì, se vuoi» disse Equo. «Ma bada di tenerla asciutta, però. Non<br />

voglio <strong>che</strong> si arrugginisca prima di venire usata.»<br />

«Non preoccuparti, ne avrò cura. Nel frattempo ti prego di non<br />

permettere al mio entusiasmo di interferire con i tuoi tentativi di<br />

migliorarla.»<br />

Equo tirò su col naso rumorosamente e tornò al suo lavoro con<br />

aria definitiva.<br />

«Publio,» Caio si girò verso di me, sorridendo del malumore di<br />

Equo, «Ullic ti stava cercando, ti ha trovato?»


«No. Non ancora, in ogni caso.»<br />

«Beh, se è importante verrà a cercarti qui, immagino. Ormai sa<br />

bene dove trovarti. Luceia mi ha chiesto di informarti <strong>che</strong> an<strong>che</strong> lei<br />

vorrebbe un po' del tuo tempo oggi. Sta preparando un pranzo<br />

speciale per voi a mezzogiorno, e lo consumerete nella stanza di<br />

famiglia. Se fossi in te, farei in modo di non dimenticarlo.»<br />

«Nella stanza di famiglia? A mezzogiorno? Cosa sta succedendo,<br />

Caio?»<br />

Caio scosse la testa, con un'espressione di sincera innocenza.<br />

«Beh, certamente c'è qualcosa in ballo. Qualcosa sta accadendo e<br />

suppongo <strong>che</strong> lo scoprirò quando sarà il momento <strong>che</strong> lo sappia<br />

anch'io.»<br />

«Puoi scommetterci, amico. <strong>La</strong> stanza di famiglia viene usata<br />

soltanto per la corte marziale domestica e per gli eventi importanti.<br />

Se vedi mia moglie tra adesso e mezzogiorno ti prego di informarla<br />

<strong>che</strong> ci sarò.»<br />

<strong>La</strong> stanza di famiglia di Luceia era il suo sancta sanctorum.<br />

Si trattava di un grande salone arredato con comode seggiole e<br />

divani ed era il solo locale dell'intera casa il cui ingresso era limitato<br />

a pochi privilegiati. Quando ci trovavamo lì in famiglia - e<br />

ovviamente Caio era un membro della famiglia - nessuno, né un<br />

servo, né un visitatore, era autorizzato a entrare o a disturbarci.<br />

Le altre stanze erano più o meno pubbli<strong>che</strong>, con l'eccezione delle<br />

camere da letto, ma solo gli amici stretti, intimi, erano ammessi nella<br />

stanza di famiglia. Luceia faceva lei stessa tutte le pulizie e la<br />

manutenzione del locale, <strong>che</strong> era unicamente suo, in un modo <strong>che</strong> lo<br />

rendeva differente da tutti gli altri locali non solo della casa, ma, ne<br />

ero certo, dell'intera Britannia. Di tutte le persone <strong>che</strong> conoscevamo,<br />

solo Ullic pendragon aveva la prerogativa di essere ogni tanto<br />

ammesso nella stanza di famiglia.<br />

<strong>La</strong> pioggia cessò circa un'ora prima di mezzogiorno, ma le


nuvole non mostravano alcuna intenzione di aprirsi, perciò lavorai<br />

nella forgia fino all'ora di avviarmi al misterioso pranzo speciale.<br />

«Stai attento» borbottò Equo mentre mi avvolgevo nel mantello. «Le<br />

convocazioni da parte delle donne, delle mogli in particolare,<br />

possono essere pericolose. Stai per essere coinvolto in qualcosa.<br />

Spero solo <strong>che</strong> potrai conviverci.»<br />

Gli risposi con una risata e mi diressi verso casa, chiedendomi<br />

pigramente di <strong>che</strong> cosa si trattasse. Non ero davvero preoccupato.<br />

Luceia era di ottimo umore la sera prima, e an<strong>che</strong> al mattino,<br />

benché senza riscaldamento, era allegra. Ero diventato un esperto<br />

nell'avvertire l'insoddisfazione an<strong>che</strong> lieve nei suoi primissimi stadi,<br />

ed ero certo <strong>che</strong> non ci fossero nuvole scure al mio personale<br />

orizzonte.<br />

<strong>La</strong> prima cosa <strong>che</strong> notai entrando in casa fu <strong>che</strong> il riscaldamento<br />

centrale funzionava di nuovo. C'era un notevole miglioramento<br />

rispetto alla temperatura <strong>che</strong> mi ero lasciato alle spalle nella prima<br />

mattinata, quando ero scappato alla forgia. Luceia mi venne<br />

incontro sulla porta con un bacio, un abbraccio e un sorriso, poi mi<br />

prese per il braccio e mi condusse nella stanza di famiglia e io,<br />

malgrado la convinzione <strong>che</strong> niente fosse fuori posto, fui ben felice<br />

di lasciarglielo fare, e sollevato per la cordiale accoglienza.<br />

<strong>La</strong> stanza era luminosa e allegra come sempre. Un fuoco<br />

bruciava nel camino e una calda luce entrava nella stanza dai vetri<br />

trasparenti delle finestre, una delle maggiori stravaganze di Luceia,<br />

fatti apposta e consegnati dalla Gallia per un prezzo oltraggioso. Un<br />

tavolino era stato spostato di fronte al fuoco e c'erano frutta fresca,<br />

pane, formaggio e vino disposti intorno a una pentola di terracotta<br />

con il coperchio.<br />

Nei suoi viaggi di giovane donna ricca Luceia aveva raccolto un<br />

certo numero di ricette esoti<strong>che</strong>. Amava cucinare come io amavo<br />

lavorare il ferro. Aveva fatto per me una volta, prima <strong>che</strong> ci<br />

sposassimo, uno di quei piatti speciali, <strong>che</strong> era diventato un piatto


ituale di gioia, e <strong>che</strong> compariva solo nelle occasioni speciali e<br />

importanti. Sapevo <strong>che</strong> nella pentola c'era quel piatto.<br />

Non avevo idea di <strong>che</strong> cosa rendesse quel pranzo un'occasione<br />

speciale o importante, ma ero pronto ad accettarlo con fiducia,<br />

perché l'aroma del fagiano e dei petti di pollo cotti lentamente nel<br />

vino con erbe, cipolline e funghi mi fece venire l'acquolina in bocca<br />

appena entrai nella stanza. Oltrepassai la soglia, mi fermai e mi<br />

guardai intorno, notando vasi di fiori su ogni tavolo, il leggero<br />

aroma di un incenso orientale proveniente da Costantinopoli e Ullic,<br />

<strong>che</strong> torreggiava in piedi alla mia destra.<br />

«Luceia? Che cosa stai macchinando?» Il mio sguardo passò da<br />

lei a Ullic e poi di nuovo a lei. «Cosa sta succedendo qui?»<br />

I suoi occhi luccicavano quando mi sorrise, piena di amore e<br />

malizia. «Succedendo? Non sta succedendo niente, amore. Ullic ha<br />

fatto tanta strada dalle montagne per darti il bentornato, ed è<br />

passato tanto tempo dall'ultima volta <strong>che</strong> ci siamo visti, <strong>che</strong> mi è<br />

sembrata una vergogna non celebrare in qual<strong>che</strong> modo la sua visita.<br />

Lo vediamo troppo raramente.»<br />

«Raramente?» ringhiai. «Due o tre volte l'anno è fin troppo<br />

spesso perché un ignorante selvaggio sbirci dentro una casa civile.<br />

Diventerà insoddisfatto della sua rozza capanna. E si farà delle idee<br />

sbagliate, e penserà di potersi mescolare alla gente civile quando<br />

vuole.»<br />

Luceia mi diede un pugno s<strong>che</strong>rzoso su una spalla. «Avanti,<br />

comportati per bene e piantala di ringhiare come un orso di cattivo<br />

carattere. Ho visto la pioggia stamattina e sapevo <strong>che</strong> saresti rimasto<br />

vicino a casa, così ho deciso di rallegrare la tua giornata. E an<strong>che</strong> la<br />

nostra.»<br />

<strong>La</strong> baciai, stringendola alla vita. «Era ora. Giuro <strong>che</strong> ormai<br />

vengo nutrito decentemente solo quando questo grosso zoticone<br />

celtico passa di qui.»


Luceia scosse la testa e si diresse verso la tavola, muovendosi<br />

come una ragazzina, malgrado fosse ormai una matrona <strong>che</strong> aveva<br />

messo al mondo cinque figlie.<br />

Ullic non aveva risposto alle mie provocazioni, fatto più <strong>che</strong><br />

inconsueto.<br />

Lo guardai con più attenzione. «Cosa ti succede?» Fece un<br />

sorriso idiota e si strinse nelle ampie spalle, senza dire niente. Un<br />

sorriso idiota era la sua espressione normale quando c'era Luceia<br />

nelle vicinanze, ma quel silenzio era strano. Continuai.<br />

«Ti senti male, re? Non ti ho mai visto così tranquillo e bene<br />

educato». Di nuovo nessuna risposta. Mi girai verso Luceia. «Dove<br />

sono le bambine?»<br />

«Mangiano in cucina, oggi. Ho deciso <strong>che</strong> erano troppo<br />

rumorose questa mattina, così le ho buttate fuori.»<br />

«Bene. Saranno contente.»<br />

«Sì, di sicuro. A volte mi chiedo se vogliono più bene a Gallo e<br />

alla servitù o a noi.»<br />

«Quando si tratta di mangiare, certamente alla servitù, cara.<br />

Quando mangiano in cucina vengono coccolate e viziate e tutti si<br />

occupano di loro. Noi le sgridiamo continuamente quando<br />

mangiano con noi.»<br />

«Venite a sedervi, tutti e due.»<br />

Il cibo era eccellente e il vino, un leggero nettare dorato dei<br />

Burgundi, si sposava perfettamente con le pietanze. Ullic ritrovò la<br />

lingua dopo <strong>che</strong> ci fummo messi a tavola e per tutta la durata del<br />

pasto chiacchierammo piacevolmente. Terminai mangiando l'ultimo<br />

pezzo del formaggio di capra e del pane appena sfornato, poi mi<br />

allontanai dal tavolo.<br />

«Molto bene, amici... Luceia, questo è stato un pranzo ottimo,<br />

magnifico. Tanto più <strong>che</strong> era inaspettato. Sono ben nutrito,


ammansito dal vino e riscaldato dalla luce, dal fuoco e dai fiori e dal<br />

profumo dell'incenso. Allora, <strong>che</strong> cosa avete in serbo per me voi<br />

due?»<br />

Ullic divenne subito apprensivo, come un ladruncolo colto sul<br />

fatto, e lanciò uno sguardo spaurito a Luceia.<br />

«Niente di grave, amore» disse. «Ullic voleva parlarti, ma era<br />

incerto su come avvicinarti. Voi due vi parlate sempre in un modo<br />

così maleducato <strong>che</strong> temeva <strong>che</strong> non lo prendessi abbastanza sul<br />

serio, e così ha chiesto il mio parere.»<br />

«E tu hai ideato questo piano per ammorbidirmi! Deve essere un<br />

grosso favore quello <strong>che</strong> hai da chiedere, Pendragon!»<br />

«Vedi cosa voglio dire?» Il tono di Luceia era tagliente. «Hai già<br />

dimostrato <strong>che</strong> aveva ragione. Ullic non ha da chiederti nessun<br />

favore e non ha bisogno del tuo sarcasmo.»<br />

«Sei ingiusta, moglie. Non c'era nessun sarcasmo!»<br />

«Mi sembrava.»<br />

Alzai le mani, con i palmi in fuori in segno di resa. «Perdonami<br />

allora, Ullic. Ti chiedo perdono. Sono impressionato, davvero, per il<br />

modo in cui avete affrontato la faccenda, an<strong>che</strong> se non ho idea di <strong>che</strong><br />

cosa sia. Ma confesso <strong>che</strong> mi offende sapere <strong>che</strong> dopo tutto questo<br />

tempo pensi <strong>che</strong> sarei stato insensibile a qualunque cosa tu mi avessi<br />

chiesto o detto, visto <strong>che</strong> evidentemente significa tanto per te.»<br />

Ullic si schiarì la voce. «Non devi sentirti offeso, Publio.» Questo<br />

mi sconvolse. Non mi chiamava mai Publio! «Capirai tra un attimo<br />

perché ho dovuto procedere in questo modo, quando sentirai quello<br />

<strong>che</strong> ho da dirti.»<br />

Attesi. Era evidente <strong>che</strong> stava meditando. Luceia aveva uno<br />

strano sorrisetto sulle labbra.<br />

«Riguarda la tua figlia maggiore.»<br />

«Mia figlia? Veronica?» Ero perplesso. «Cosa devi dirmi lei?»


«Desidero <strong>che</strong> vada in sposa a mio figlio Uric.»<br />

«Cosa?» Ero stupefatto.<br />

«Desidero <strong>che</strong> mio figlio Uric sposi tua figlia Veronica.» Ascoltai<br />

quella frase per la seconda volta, ma non riuscivo a credere alle mie<br />

orecchie. «Veronica?» dissi. «Ma è solo una bambina! Una neonata!»<br />

Ci fu un totale silenzio. Ullic rimaneva seduto a disagio, Con gli<br />

occhi abbassati sulle mani, strette sul tavolo davanti a lui. Veronica?<br />

<strong>La</strong> piccola Gazza? Era impensabile!<br />

Mi concentrai su quell'aspetto oltraggioso e lo espressi a parole,<br />

notando il tono aspro della mia voce. «È assolutamente impensabile!<br />

Non se ne parla!» Non appena ebbi detto così, ovviamente, mi resi<br />

conto <strong>che</strong> ero stato troppo impulsivo, perché sapevo <strong>che</strong> un giorno<br />

avrebbe pur dovuto sposarsi. «Ci sarà tempo a sufficienza negli anni<br />

a venire per parlare di matrimonio, quando la bambina sarà<br />

cresciuta.»<br />

Luceia parlò con un tono di leggero rimprovero. «Publio, questo<br />

non è giusto. Non hai occhi? <strong>La</strong> bambina è quasi cresciuta.»<br />

Mi girai a guardarla. «Non interferire, donna. Non sono certo<br />

affari tuoi.»<br />

Luceia trasalì come se l'avessi schiaffeggiata, e in un certo senso<br />

l'avevo fatto. Quando parlò di nuovo c'era nella sua voce un tono<br />

implacabile <strong>che</strong> non avevo mai sentito prima.<br />

«Mi dispiace, marito, ma questi sono affari miei. Veronica è<br />

an<strong>che</strong> mia figlia e l'amo non meno di te. Le tue reazioni nei confronti<br />

miei e di Ullic sono emozionali e sconsiderate.» Tentai di<br />

interromperla, ma me lo impedì. «<strong>La</strong>sciami finire!»<br />

Mi calmai e Luceia continuò. «Veronica ha dodici anni e<br />

fisicamente è già donna. Ullic è il nostro miglior amico fuori dalla<br />

famiglia. Non sta proponendo di mandare via nostra figlia oggi<br />

stesso, prima di cena. <strong>La</strong> sua intenzione è solo quella di combinare<br />

un matrimonio, <strong>che</strong> non avrà luogo fino a quando la bambina non


sarà del tutto cresciuta e pronta a essere una moglie.»<br />

Ero quasi placato, ma non del tutto. Il senso di colpa per la mia<br />

reazione brusca mi faceva sentire scorbutico, an<strong>che</strong> davanti a me<br />

stesso. «E allora perché tutti questi misteri?»<br />

«Quali misteri? Ullic era solo preoccupato <strong>che</strong> tu potessi reagire<br />

esattamente come hai reagito. Sa quanto è grande il tuo amore per<br />

Veronica. Veronica è il tuo sole, la tua luna e le tue stelle.»<br />

Fui costretto a sorridere, e la scontrosità si dileguò. «No, moglie»<br />

dissi. «Tu sei la mia luna e le mie stelle.»<br />

«Beh, comunque il povero Ullic è venuto da me, sperando <strong>che</strong> lo<br />

aiutassi a smussare la tua collera. Guarda quel poveretto. È il nostro<br />

più caro amico, è nostro ospite ed è un re ed è stato umiliato alla tua<br />

tavola.»<br />

Mi girai verso Ullic, mentre il senso di colpa fluiva in me come<br />

sangue, ormai, e si colorava di vergogna.<br />

Mi chinai verso di lui e gli strinsi il polso sinistro. «Ullic, amico,<br />

perdonami. <strong>La</strong> mia reazione è stata eccessiva. Adesso me ne rendo<br />

conto. Ma mi hai colpito in un punto delicato. Una volta abbiamo<br />

quasi perso Veronica... È molto preziosa per me. Ai miei occhi sarà<br />

sempre una bambina piccola... la mia piccola bambina. Il pensiero di<br />

perderla, sia pure per un buon marito, mi ripugna, an<strong>che</strong> se, in<br />

fondo, so di essere sciocco. Sta crescendo. L'ho notato e mi è<br />

dispiaciuto. <strong>La</strong> tua proposta è giunta all'improvviso. Mi ha fatto<br />

male. Ho reagito con violenza. Perdonami.»<br />

Ullic scrollò le spalle, e si aprì in un sorriso. «Publio, siamo<br />

amici. Non c'è nient'altro al mondo <strong>che</strong> avrei esitato a chiederti. Ma<br />

so <strong>che</strong> tesoro sia Veronica per te e sapevo <strong>che</strong> sarebbe stato<br />

importante il modo di chiedertelo, perciò ho avvicinato prima tua<br />

moglie. E ho avuto ragione, vero? E ce l'aveva an<strong>che</strong> lei.»<br />

Presi un pezzo di pane e ne staccai un pezzetto, stringendolo tra<br />

il pollice e l'indice, e vedendo nella mente l'innocente, amorosa e


sorridente faccia di mia figlia. «Allora,» dissi, parlami di questo tuo<br />

figlio <strong>che</strong> vuoi far sposare alla mia Veronica.»<br />

«Lo hai incontrato quando mi hai fatto visita la penultima volta,<br />

due anni fa. Allora aveva l'età <strong>che</strong> ha adesso Veronica.»<br />

«Quindi quanti anni ha? Quindici?»<br />

«Quasi. Non ha ancora compiuto quindici anni.»<br />

«E quando vorresti vederli sposati?»<br />

«Per il suo diciottesimo compleanno.» Andava già meglio.<br />

Veronica sarebbe stata una donna allora. Quindici anni, quasi sedici.<br />

«E perché Veronica?»<br />

«Perché Veronica? Dici sul serio?» II suo sorriso era schietto e<br />

ampio adesso. «Perché è la figlia di sua madre! Ovviamente è an<strong>che</strong><br />

figlia tua, an<strong>che</strong> se questa è una sfortuna con cui dovrà imparare a<br />

convivere. So <strong>che</strong> mio figlio non potrebbe trovare di meglio.»<br />

«Ma è una romana.»<br />

Il suo sorriso era tutto denti, ormai, e strizzate d'occhi. «No, non<br />

lo è. È una britanna, Publio. Non ricordi? I Britanni sono rinati a<br />

Stonehenge la notte in cui ci siamo conosciuti.»<br />

«Dunque tu pensi <strong>che</strong> un'unione celtico-britannica sia una<br />

buona cosa?»<br />

Il suo sorriso svanì all'istante, per essere sostituito da<br />

un'espressione senza più traccia di spensieratezza.<br />

«Sì, amico, lo penso. Farebbe bene ai due giovani e farebbe bene<br />

a noi. Siamo entrambi re, Publio, ognuno a suo modo, perché tu sei<br />

l'erede di Britannico, il suo erede spirituale, se preferisci, malgrado il<br />

ritorno di Pico e malgrado le tue paure romane nei confronti della<br />

monarchia. Perché ti giuro <strong>che</strong> non ho mai visto nessuno più regale<br />

di te e di lui.»<br />

«Mi lusinghi, Ullic.» Ero compiaciuto. «Questo non me lo sarei<br />

aspettato da te.»


«Io non lusingo proprio nessuno, amico. È la verità. Nient'altro<br />

<strong>che</strong> la verità.»<br />

Per un po' restammo in silenzio, assorti ognuno nei propri<br />

pensieri. Fu Luceia a rompere il silenzio, posando gentilmente la sua<br />

mano sulla mia, per chiedermi: «Amore, siamo d'accordo? Sembri<br />

favorevole all'unione, ma non l'hai ancora detto.»<br />

Li guardai entrambi. «C'è ancora del vino?»<br />

«In abbondanza.»<br />

«Allora riempici le coppe per sigillare l'accordo, donna, Se<br />

dobbiamo mescolare il nostro sangue con i Celti, possiamo an<strong>che</strong><br />

ubriacarci.»<br />

Ullic gettò indietro la testa e scoppiò in una gran risata di<br />

sollievo e poi saltò in piedi e ci abbracciò entrambi; infine facemmo<br />

un brindisi alla salute dei nostri figli, i cui figli avrebbero unito i<br />

nostri due popoli molto dopo la nostra scomparsa.


XIX.<br />

Durante i due anni della campagna di Stilicone in Britannia<br />

avemmo la fortuna di vedere spesso Pico, nonostante la frequenza e<br />

la violenza dei combattimenti. Fu lui a dirci <strong>che</strong> il problema<br />

maggiore delle forze di Stilicone era lo spiegamento, poiché i<br />

Sassoni venivano dal mare ed erano indisciplinati, e dietro alle loro<br />

incursioni non c'era un piano generale. Pico sosteneva <strong>che</strong> per quel<br />

motivo era inesatto parlare di invasione: quegli attacchi, per<br />

significativi e consistenti <strong>che</strong> fossero, mancavano di strategia e di un<br />

capo riconosciuto, e consistevano dunque solo di un massiccio<br />

numero di Sassoni, scoti Iberni, Pitti della Caledonia e Franchi della<br />

Gallia meridionale, <strong>che</strong> colpivano senza preavviso ovunque<br />

approdavano, così <strong>che</strong> l'esercito di Stilicone era costretto a<br />

rispondere senza mai poter prendere l'iniziativa. Era una nuova<br />

forma di guerra; non si arrivava mai al confronto militare, allo<br />

scontro diretto e alla disfatta di un nemico statico in una<br />

determinata battaglia.<br />

Nel corso di quei due anni l'arma maggiore di Stilicone, il suo<br />

vantaggio supremo, fu la nuova cavalleria pesante. Fu ben presto<br />

evidente, nel corso della campagna, <strong>che</strong> la velocità e la<br />

manovrabilità di tali truppe esigevano <strong>che</strong> venissero aumentate e<br />

incoraggiate, e Stilicone era un comandante intelligente <strong>che</strong> sapeva<br />

ricavare il massimo da ogni vantaggio disponibile. In pochi mesi<br />

carichi di carne equina di prima scelta, i cavalli più belli <strong>che</strong> l'Europa<br />

potesse fornire cominciarono ad arrivare regolarmente ai forti lungo<br />

la costa sassone meridionale.<br />

Il giovane Quinto Flavio, amico intimo di Pico, fu promosso<br />

generale e gli fu affidata la responsabilità di sovrintendere agli<br />

allevamenti dell'esercito in Britannia. Non era una coincidenza <strong>che</strong><br />

ogni volta <strong>che</strong> uno dei due faceva visita alla Colonia montasse uno


splendido stallone, e il nostro allevamento migliorava a ogni figliata.<br />

Nel tardo autunno del 398, Pico arrivò una notte accompagnato<br />

solo da una piccola scorta armata. Si occupò dell'acquartieramento<br />

dei cavalli e degli uomini, e poi prese in disparte suo padre e me<br />

nello studio di Caio. Era evidente <strong>che</strong> c'era nell'aria qualcosa di<br />

importante, ma non avevamo idea di <strong>che</strong> cosa fosse né di quali<br />

conseguenze avrebbe avuto su di noi.<br />

Pico rispose alle nostre domande non appena Gallo ci ebbe<br />

portato vino e biscotti al miele ed ebbe acceso il fuoco nel grande<br />

braciere, <strong>che</strong> ora fiammeggiava rumorosamente. Quando la porta si<br />

chiuse dietro l'anziano servitore, Pico aprì il suo tascapane e ne<br />

trasse una pergamena arrotolata, <strong>che</strong> porse a suo padre. Il sigillo<br />

imperiale era abbagliante in tutto il suo significato.<br />

«Leggi ad alta voce, padre.»<br />

Caio ruppe il sigillo e scorse rapidamente la pergamena, poi si<br />

schiarì la voce e cominciò a leggere ad alta voce.<br />

«A Caio Britannico, proconsole di Roma, da Flavio Stilicone,<br />

comandante in capo degli eserciti imperiali.<br />

In nome di Sua Maestà Imperiale Onorio, imperatore di Roma, è<br />

venuto il momento <strong>che</strong> ti ricordi i termini dell'incarico affidatoti di<br />

mia mano l'anno del mio arrivo in Britannia.<br />

Ora, nel secondo anno della nostra campagna, le nostre armate<br />

hanno respinto la marea dell'invasione e ristabilito la supremazia<br />

degli eserciti romani nella provincia. Ricevo da Sua Altezza<br />

l'Imperatore l'ordine di ritirare le mie legioni per occuparmi dei suoi<br />

affari altrove nell'Impero; la partenza sarà immediata, non appena<br />

avrò provveduto ai preparativi militari in modo soddisfacente.<br />

Il legato Pico Britannico rimarrà in Britannia, come mio<br />

rappresentante, fino a quando l'Impero non avrà bisogno di lui<br />

altrove o fino a quando non avrà stabilito un comando di cavalleria


in Britannia secondo il suo volere, e si senta fiducioso di poter<br />

delegare la sua autorità a un subordinato, e libero, in coscienza, di<br />

ritornare al mio comando.<br />

Accludo a questa lettera, <strong>che</strong> deve esserti consegnata dal legato<br />

Pico Britannico, un certificato di autorizzazione plenaria <strong>che</strong> ti<br />

conferma nel rango di Legatus Emeritus delle Truppe Irregolari della<br />

Britannia sudoccidentale, in nome di Onorio, imperatore<br />

d'Occidente. In questa posizione userai tutte le forze <strong>che</strong> ti<br />

ubbidiscono per difendere i territori delimitati sulla carta firmata di<br />

mio pugno e sigillata con il sigillo di Onorio.<br />

Stilicone, comandante in capo.<br />

In nome di: Onorio, imperatore.»<br />

Quando Caio ebbe finito di leggere, rimanemmo tutti e due a<br />

fissare Pico.<br />

«Allora,» disse Caio, «cosa significa in realtà? A parte quello <strong>che</strong><br />

risulta ovvio. Stilicone parte e tu rimani, per il prossimo futuro. Per<br />

quanto tempo resterai in Britannia?»<br />

Pico si strinse nelle spalle, sorridendo. «Chi lo sa, padre?<br />

Potrebbe mandarmi a chiamare il mese prossimo, an<strong>che</strong> se ne<br />

dubito. <strong>La</strong> mia ipotesi è <strong>che</strong> rimarrò qui per molto tempo. Stilicone<br />

ha con sé tre comandanti di cavalleria in Britannia, senza contare<br />

Flavio. Io sono quello con maggiore anzianità. Ha scelto di lasciarmi<br />

qui per organizzare la Britannia. Potrebbe essere un grosso<br />

impegno.»<br />

«Potrebbe essere?» Il tono di Caio era aspro. «Potrebbe essere?<br />

Ne dubiti?»<br />

Pico scosse la testa, contrito. «No. <strong>La</strong>scia <strong>che</strong> riformuli la frase<br />

senza falsa modestia. È una grande responsabilità. Stilicone mi fa un<br />

grande onore.»<br />

«Così va meglio.»


Vidi lo sguardo di Pico, e sentii un mezzo sorriso affiorarmi in<br />

volto ascoltando la critica paterna, precisa an<strong>che</strong> se mite, all'adorato<br />

figlio. Pico, comunque, non badava a me. Con espressione tesa e<br />

pensosa fissò a lungo il fuoco del braciere, prima di parlare di<br />

nuovo.<br />

«Non sarà facile organizzare una guarnigione permanente di<br />

cavalleria, o fornirla di un comando autosufficiente da potermi<br />

lasciare alle spalle. C'è troppo risentimento nel comando delle<br />

truppe regolari.»<br />

«Perché?» Caio soppesava la frase del figlio, fissandolo mentre il<br />

giovane ci sottoponeva i problemi <strong>che</strong> doveva affrontare.<br />

«Sono gelosi, suppongo» sbottò Pico alla fine. Questa<br />

affermazione fu accompagnata da un'altra scrollata di spalle.<br />

«Secondo il loro punto di vista, dopo quattrocento anni di<br />

occupazione romana in Britannia, la loro autorità viene ora usurpata<br />

da un corpo elitario, improvvisamente importante, al comando di<br />

un gruppo di ufficiali la maggior parte dei quali non ha ancora<br />

venticinque anni.»<br />

«Dannazione,» intervenni io, «ma è sempre stato così. Tutti i<br />

soldati brillanti della storia sono stati dei lattanti in armi!»<br />

Mi guardò, notando la mia presenza, mi parve, come avrebbe<br />

potuto notare una vespa di passaggio. «Sì, ma combattevano a piedi,<br />

Varro.»<br />

Caio lo interruppe. «Non è un argomento valido, figliolo.<br />

Proprio alla fine di quattrocento anni di occupazione il genio<br />

militare romano ha ideato un nuovo modo per restaurare la<br />

supremazia romana. Sicuramente i comandanti delle armate<br />

saranno in grado di vederlo, non credi?»<br />

Pico girò a metà la mano, un gesto abbozzato per indicare <strong>che</strong> il<br />

suggerimento di suo padre era solo in parte convincente. «Forse<br />

possono, padre, ma questo non significa <strong>che</strong> ne siano contenti.»


«È vero, assolutamente no. Ma per l'autorità imperiale di<br />

Stilicone devono accettarlo.»<br />

«Non si discute.» Pico sollevò l'elmo e strofinò la cresta con la<br />

manica della tunica, lisciando il rigido crine di cavallo finto di rosso.<br />

«Ma ogni accettazione, padre, può dare buoni frutti solo se<br />

accompagnata dalla buona volontà. <strong>La</strong> resistenza al cambiamento è<br />

un difetto intrinseco alla natura umana. Ricordo <strong>che</strong> da bambino ti<br />

ho sentito dire spesso <strong>che</strong> i veri cambiamenti, quelli duraturi,<br />

accadono molto adagio. Il comando militare in Britannia ha dovuto<br />

mandare giù un cambiamento radicale nello spazio di due anni. <strong>La</strong><br />

mia cavalleria non ha tradizione, non ha storia e tu, fra tutti, padre,<br />

sai <strong>che</strong> cosa significano la tradizione e la storia per il corpo ufficiali<br />

dell'esercito romano.»<br />

Tese il braccio per porgere l'elmo al padre. Una mas<strong>che</strong>ra di<br />

metallo pesante era incernierata alla visiera, modellata in modo <strong>che</strong>,<br />

abbassandola, i lati della mas<strong>che</strong>ra si allargavano verso le guance<br />

svasandosi in fuori. Ovviamente lo scopo principale era quello di<br />

deviare le armi da lancio.<br />

«Prendi questa, per esempio. Ho insistito <strong>che</strong> tutti i miei uomini<br />

abbiano mas<strong>che</strong>re come questa fissate all'elmo.» Cai prese l'elmo <strong>che</strong><br />

gli veniva porto e lo esaminò da vicino, alzando e abbassando la<br />

visiera sulle complicate cerniere, mentre suo figlio proseguiva. «<strong>La</strong><br />

nostra velocità ci porta troppo in fretta a portata di arco dei nemici e<br />

la nostra faccia non è protetta. È una novità, ma ho perso troppi<br />

uomini per le ferite al volto. Adesso la faccia dei miei uomini è<br />

protetta, ma il loro orgoglio subisce un attacco per le beffe dei<br />

veterani di fanteria e dei loro ufficiali, <strong>che</strong> non hanno mai avuto<br />

bisogno di mas<strong>che</strong>re.»<br />

Britannico meditò a lungo prima di rispondere. «Sai, figliolo,»<br />

disse alla fine, «hai appena toccato un punto <strong>che</strong> devo riconoscere e<br />

sottolineare. Uno dei vantaggi della vecchiaia è l'aumento della<br />

sorprendente capacità di accettare <strong>che</strong> un uomo può sbagliare, e ha


sbagliato spesso nelle sue più profonde convinzioni. Io mi sono<br />

sbagliato su molte cose nella vita, ma il paradosso è <strong>che</strong> in molti casi,<br />

in quel momento, avevo ragione.» Fece una pausa, poi abbassò lo<br />

sguardo sulla lettera imperiale <strong>che</strong> aveva ancora in mano. «Viviamo<br />

in un'epoca di cambiamenti, cambiamenti <strong>che</strong> sarebbero stati<br />

inconcepibili cinquanta o cento anni fa, quando il mondo era ancora<br />

fatto in un certo modo. Adesso dobbiamo accettare quei<br />

cambiamenti - cambiamenti improvvisi, radicali, adattamenti totali<br />

a nuove e brus<strong>che</strong> circostanze - e accettarne la necessità. E quando<br />

dico "noi" intendo noi coloni, qui, in questo piccolo angolo<br />

dell'Impero. Il resto dell'Impero non può adattarsi e non si adatterà<br />

ai cambiamenti. È per questo <strong>che</strong> i giorni dell'Impero sono contati. È<br />

per questo <strong>che</strong> siamo qui. Il tuo corpo di cavalleria è un adattamento<br />

al cambiare delle circostanze. Se l'inerzia della catena militare al<br />

comando, l'intelligenza militare limitata, non ne accetterà la<br />

necessità, sarà una tragedia.»<br />

Io versavo vino e assaggiavo i biscotti al miele durante questo<br />

scambio di battute, e parlai con la bocca piena. «Sarà una tragedia,<br />

ma non sarà una novità.» Porsi a ognuno di loro una coppa di vino.<br />

Caio ne bevve un sorso prima di rispondermi.<br />

«No, Varro, non è una novità. Noi siamo una novità. Siamo<br />

determinati ad adattarci e perciò sopravviveremo. Il matrimonio di<br />

tua figlia la primavera prossima con il giovane Uric Pendragon<br />

segnerà un legame ufficiale tra i due popoli. Il frutto di questa<br />

alleanza segnerà un nuovo inizio nella storia dell'isola di Britannia. I<br />

tuoi nipoti, Publio, i miei pronipoti, saranno emarginati per il loro<br />

sangue.»<br />

Obiettai. «Non discuto spesso con te, Cai, ma questa volta penso<br />

<strong>che</strong> tu stia esagerando. I Romani hanno sposato le donne di<br />

Britannia da quando sono arrivati in Britannia.»<br />

Caio scosse la testa, negando la fondatezza del mio commento<br />

pur dichiarandosi d'accordo.


«Certo <strong>che</strong> lo hanno sempre fatto, amico. Lo sappiamo tutti. Ma<br />

non è mai successo prima a questo livello. Questo è un passo<br />

enorme, non lo vedi?»<br />

«No, Caio» dissi. «Non lo vedo. Di <strong>che</strong> "livello" stai parlando?»<br />

«Del livello più alto.»<br />

«E cosa c'è di così diverso in nome di Dio? Sono solo due giovani<br />

<strong>che</strong> vengono fatti sposare dai loro genitori. Non c e nessuna<br />

differenza rispetto a tutti gli altri giovani <strong>che</strong> hanno fatto la stessa<br />

cosa, <strong>che</strong> hanno seguito un uguale percorso.»<br />

«Publio Varro!» Scosse la testa con impazienza, con una ruga di<br />

fastidio sulla fronte. «Ma non hai il senso dell'ordine delle cose? Non<br />

c'è sangue celtico nella mia famiglia, <strong>che</strong> io sappia, e nemmeno nella<br />

tua. Oppure sì?»<br />

Scossi la testa, torcendo le labbra in una smorfia di indifferenza.<br />

«No, an<strong>che</strong> se non ho mai avuto la curiosità di verificarlo.»<br />

Mi attaccò proprio su quel punto. «Eccoti, allora. Siamo stati<br />

allevati in Britannia, è vero, ma il nostro sangue è puro sangue<br />

romano. Incontaminato sangue romano, Publio, sangue<br />

repubblicano. Ed è motivo di grande orgoglio per il nostro amico<br />

Ullic <strong>che</strong> il suo sangue non sia macchiato, direbbe lui, da impurità<br />

romane. <strong>La</strong> sua è una razza regale, Varro. È un puro celta. <strong>La</strong> sua<br />

gente regna su questa parte del mondo da secoli, da molto prima <strong>che</strong><br />

i Cesari arrivassero al potere. E tu non capisci <strong>che</strong> cosa significa?<br />

Quando tua figlia sposerà il figlio di Ullic darà inizio a una<br />

nuova stirpe, la stessa cosa <strong>che</strong> eccita Vittore nei suoi allevamenti<br />

equini. E di allevamento stiamo parlando adesso, non perdiamo di<br />

vista l'argomento. Stiamo parlando della creazione di una nuova<br />

razza di uomini mescolando il puro sangue romano di Veronica e il<br />

puro sangue celtico di Uric. Dimentica gli altri <strong>che</strong> ci sono stati<br />

prima. Quello era un incrocio di razze. Era una creazione ibrida<br />

dell'Impero, romanizzata, forse, ma non romana.»


Si girò verso suo figlio, il cui volto rivelava incomprensione<br />

come il mio. «Pico, non dirmi <strong>che</strong> non avevi intuito il significato di<br />

questa unione.»<br />

Pico scosse la testa leggermente smarrito. «No, padre. Temo <strong>che</strong><br />

non mi sia venuto in mente. Non ci avevo pensato molto e<br />

certamente non da questa prospettiva.»<br />

«Allora pensaci adesso! E pensaci da questo momento in poi. I<br />

tuoi cugini, per questa unione, saranno i progenitori di un nobile<br />

casato di una stirpe eccezionale.»<br />

Le labbra di Pico scattarono in un sorriso. «Sì, suppongo <strong>che</strong> lo<br />

saranno, se la metti così.»<br />

«Nessuna supposizione! Lo saranno!» Caio guardò prima Pico e<br />

poi me e alzò la sua coppa. «E ora, unitevi a me in un brindisi ai<br />

nascituri! Ai figli di Veronica e Uric, i futuri capi di questa Colonia e<br />

di tutta questa terra, perché noi li cresceremo in una eredità di forza<br />

e di libertà <strong>che</strong> gli uomini non vedono da secoli. Ai nostri eredi!»<br />

Era un bel brindisi e un pensiero commovente, e bevemmo con<br />

allegria, an<strong>che</strong> se dovetti trattenermi dallo scuotere la testa per la<br />

mia mancanza di percezione. C'erano delle volte in cui Caio<br />

Britannico riusciva a farmi sentire un assoluto sempliciotto. Ma poi<br />

mi venne un altro pensiero e il suo apparire mi raffreddò; girai gli<br />

occhi su Pico, <strong>che</strong> stava guardando suo padre e sorrideva.<br />

Caio vide il mio sguardo e cambiò immediatamente espressione,<br />

preoccupato.<br />

«Cosa c'è <strong>che</strong> non va, Publio?»<br />

Scossi la testa stupefatto, incapace di articolare il pensiero <strong>che</strong><br />

avevo in mente; adesso an<strong>che</strong> Pico mi guardava in modo strano.<br />

«Varro, cosa c'è?»<br />

Sapevo <strong>che</strong> dovevo rispondere, e buttai fuori il respiro con uno<br />

sbuffo di esasperazione. «Beh,» cominciai, «mi sembra <strong>che</strong>,


indando ai figli della futura unione come agli eredi di Camulod e<br />

di tutta questa terra abbiamo gentilmente spodestato il tuo erede<br />

diretto, Pico!»<br />

I due uomini mi stavano guardando e il significato delle mie<br />

parole si fece strada in loro solo lentamente; il silenzio si approfondì<br />

e si allargò mentre afferravano le implicazioni del mio pensiero. Alla<br />

fine Caio parlò.<br />

«Dannazione, Publio, hai un modo draconiano di arrivare al<br />

cuore delle cose! Non ci ho proprio pensato!»<br />

«Né avresti dovuto, padre» disse Pico con calma. «Perché è<br />

sfuggito an<strong>che</strong> a me <strong>che</strong> si parlasse del mio patrimonio. Non ho<br />

sentito parlare di spodestamento.»<br />

Caio si girò per guardare direttamente suo figlio. «Ma Publio<br />

non aveva ancora detto quello <strong>che</strong> ha detto.»<br />

Pico scrollò le spalle, imperturbabile. «No, è vero, ma an<strong>che</strong><br />

adesso niente è cambiato. O avevate pensato di fare una cosa<br />

simile?»<br />

Suo padre gli rispose con una domanda da parte sua. «Tu <strong>che</strong><br />

cosa pensi? Seriamente, per favore.»<br />

Gli occhi di Pico si spostarono dalla faccia di suo padre alla mia,<br />

poi guardò di nuovo il padre e si grattò il naso con la punta di un<br />

dito.<br />

«Che cosa penso? Bene, cominciamo da quello <strong>che</strong> ho pensato<br />

per prima cosa, e poi vediamo <strong>che</strong> cosa è cambiato, d'accordo? Mi<br />

sono lasciato infiammare dal fuoco del vostro entusiasmo. Quei<br />

bambini, se nasceranno, traboc<strong>che</strong>ranno di sangue nobile da<br />

entrambi i lati della loro stirpe. Se la vostra ambizione, se il vostro<br />

sogno si realizzerà, potranno detenere il potere - la forza e il potere -<br />

qui in Britannia da una solida base all'interno della Colonia. Ma<br />

questo accadrà, come minimo, fra trentanni da adesso. Nel<br />

frattempo qualcuno deve governare e nel tempo a venire questa


esponsabilità tocca a voi due. Ma questa Colonia, se questo è ciò di<br />

cui stiamo discutendo, non è il mio patrimonio, e io sono un soldato.<br />

Potrei morire da soldato, oppure potrei sopravvivere e ritirarmi un<br />

giorno, come hai fatto tu padre, e tornare a casa. Se questo accade,<br />

farò come hai fatto tu, e contribuirò con il mio tempo e le mie<br />

capacità al governo della Colonia, come consigliere. Ma il mio<br />

patrimonio è questa villa... villa Britannico. Se mi sposerò, cosa <strong>che</strong><br />

mi sembra molto improbabile adesso, poiché non ne ho il minimo<br />

desiderio, né conosco una donna adatta, allora i miei eredi avranno<br />

quello <strong>che</strong> lascerò loro, villa Britannico. Non la Colonia e certamente<br />

non la Britannia! Perciò non vedo una minaccia nella vostra<br />

proposta, a meno <strong>che</strong> non intendiate comprendere la villa... In tal<br />

caso adeguerò alle circostanze le mie aspettative, e acquisterò<br />

un'altra villa.» Sorrideva, chiaramente sicuro di avere detto cose<br />

giuste. Caio andò da lui e lo abbracciò.<br />

«Il tuo patrimonio è salvo, come sai bene. Hai interpretato il mio<br />

pensiero esattamente. Parlando della Colonia intendevo<br />

precisamente questo: la comunità di tutte le proprietà <strong>che</strong><br />

costituiscono il nostro territorio. Villa Britannico sarà sempre villa<br />

Britannico e non villa Celtica.» Mi sorrise e venne verso di me, mi<br />

abbracciò e poi si guardò intorno. «Ma perché ce no stiamo qui come<br />

dei poveretti all'angolo di una strada?» disse Caio. «Sediamoci e<br />

godiamoci il fuoco. C'è un freschi, no nell'aria stasera <strong>che</strong> mi ricorda<br />

i miei troppi anni.» Si sedette davanti al fuoco e noi ci unimmo a lui,<br />

spingendo le nostre sedie più vicino alle fiamme mentre lui parlava<br />

di nuovo con Pico. «Allora, parliamo di strategia. L'invasione è<br />

davvero respinta?»<br />

Pico annuì. «Sì. Pensiamo di sì. Ci sono tutti gli indizi. Le<br />

incursioni di cui si ha notizia sono molto diminuite negli ultimi<br />

mesi.»<br />

«Quanto è significativo?» gli chiesi.<br />

«Molto significativo. Nessuna incursione nelle ultime due


settimane. Prima di questo solo tre in tre settimane. E nei tre mesi<br />

precedenti solo dodici, e sei sono avvenute nel primo dei tre mesi.»<br />

«Sono ancora molte incursioni» disse suo padre. «Ti senti<br />

davvero giustificato nel definirla una diminuzione significativa?»<br />

Pico si sporse in avanti e si scaldò le mani sui carboni ardenti per<br />

qual<strong>che</strong> momento prima di rispondere. Poi disse: «Sì, padre. Nello<br />

stesso periodo, l'anno scorso, ci sono state più di quaranta<br />

incursioni. Agli occhi di chiunque è una differenza significativa».<br />

«Sì, suppongo di sì.» Per un po' ci fu silenzio e poi Britannico<br />

proseguì. «Questa tua tecnica, qui in Britannia, come si è<br />

sviluppata?»<br />

«Non sono sicuro di quello <strong>che</strong> intendi dire, padre. Da <strong>che</strong> punto<br />

di vista?»<br />

«È migliorata negli ultimi due anni? Cosa hai imparato? Cosa<br />

hai fatto? Cosa hai iniziato?»<br />

Pico sorrise. «Molto. Moltissimo, su tutti e tre i fronti, padre.<br />

Forse la prima cosa <strong>che</strong> abbiamo imparato, con un nemico i cui<br />

attacchi sono imprevedibili, è <strong>che</strong> non possiamo sperare di operare<br />

come in normali condizioni di guerra. No, lascia <strong>che</strong> riformuli la mia<br />

frase.» Il ritmo del discorso rallentò notevolmente, mentre<br />

enunciava i propri pensieri con maggiore precisione. «Non<br />

possiamo sperare di operare come se i metodi e i sistemi<br />

tradizionalmente accettati avessero qual<strong>che</strong> applicazione. Non ce<br />

l'hanno.» Fece una pausa e bevve un lungo sorso prima di<br />

proseguire. «Fin dall'inizio della campagna in Britannia siamo stati<br />

costretti ad accettare <strong>che</strong> non potevamo sperare di prevenire le<br />

incursioni del nemico. Dovevamo evolvere la nostra tattica secondo<br />

le nuove condizioni, e così abbiamo diviso regionalmente le nostre<br />

forze, le forze di cavalleria, in cinque basi centrali: una a Eboracum,<br />

una a Glevum, una a Verulamium, una a Dubris e una a<br />

Noviomagus. Usando ognuna di quelle basi come il mozzo di una<br />

ruota, abbiamo stabilito delle linee di osservazione, degli avamposti


di cavalleria, <strong>che</strong> mantengono segnali di fuoco lungo le linee <strong>che</strong><br />

irradiano dal centro. Quando le linee sono state stabilite, le notizie<br />

delle incursioni arrivavano veloci come la visibilità dei fuochi.<br />

Qual<strong>che</strong> volta i vecchi metodi sono ancora i migliori: abbiamo<br />

semplicemente adattato i segnali di fuoco alle nostre necessità, e ne<br />

abbiamo usati in numero maggiore. E nel disporre questi segnali<br />

abbiamo organizzato stazioni di cambio lungo le linee,<br />

completamente rifornite di uomini e cavalli freschi. Abbiamo diviso<br />

le truppe attive in squadroni auto-sufficienti con un centurione a<br />

capo di ognuna, due decurioni e quaranta soldati. Secondo il nostro<br />

ragionamento un'imbarcazione lunga può contenere da trenta a<br />

cinquanta uomini, due imbarcazioni il doppio e così via. I nostri<br />

calcoli considerano <strong>che</strong> uno squadrone di cavalleria disciplinata vale<br />

almeno quanto due carichi di razziatori, perciò ogni stazione di<br />

cambio è fornita di ottantotto cavalli costantemente pronti.<br />

Ogni avamposto è responsabile dell'accensione e del<br />

mantenimento di gruppi di cinque segnali di fuoco, messi fianco a<br />

fianco lungo una linea retta e abbastanza distanti da evitare<br />

confusione. Un fuoco significa una nave. Quattro fuochi accesi<br />

simultaneamente significano più di tre barconi, un'incursione<br />

pesante. Cinque fuochi accesi significano più di sei barconi, una<br />

grossa flotta di invasione. Funziona molto bene perché la nostra<br />

operazione si basa sul vantaggio di un doppio squadrone di truppe<br />

disciplinate, armate pesantemente montate a cavallo, nei confronti<br />

di un corpo di uomini a piedi con una forza doppia o an<strong>che</strong><br />

superiore. Quando quattro segnali di fuoco vengono accesi<br />

contemporaneamente, per esempio, tre squadroni vengono spediti<br />

in risposta. Due di essi cavalcano a tutta velocità per prendere il<br />

nemico a terra, ancora all'opera, e gli impediscono di ritirarsi verso<br />

le imbarcazioni, mentre il terzo procede più lentamente, come<br />

riserva, sostenuto da una intera coorte di fanteria <strong>che</strong> avanza a<br />

marce forzate.»


«Suona bene,» disse suo padre. «E funziona bene?»<br />

«Tanto quanto avevamo sperato. <strong>La</strong> nostra maggiore debolezza,<br />

all'inizio, era <strong>che</strong> non avevamo abbastanza buoni cavalli. Ci' vuole<br />

una grande quantità di animali per realizzare un piano come questo.<br />

All'inizio eravamo operativi a metà forza in ogni area. Dovevamo.<br />

Non potevamo semplicemente trascurare alcune aree a favore di<br />

altre, visto <strong>che</strong> non sapevamo dove sarebbe avvenuto lo sbarco<br />

successivo. Ma i segnali di fuoco passavano l'informazione in fretta,<br />

e il tempo di risposta era molto veloce. Quando l'esattezza del<br />

nostro metodo cominciò a essere evidente, Stilicone mosse cielo e<br />

terra per appropriarsi del maggior numero dei cavalli migliori. Era<br />

solito dire, s<strong>che</strong>rzando, <strong>che</strong> portava via tutta la carne di cavallo<br />

all'Impero per darla da mangiare alla gente di Britannia, e a volte<br />

sembrava vero. Una galera su due <strong>che</strong> arrivava in Britannia era<br />

carica di carne equina.»<br />

«Impressionante» dissi. «E quanto tempo dopo il vostro arrivo<br />

avete cominciato a organizzare tutto questo?»<br />

«È stata una questione di mesi. Ci siamo stancati subito di fare la<br />

figura degli stupidi ogni volta <strong>che</strong> arrivavamo sulla scena di una<br />

razzia: tutto il danno era stato fatto e il nemico era sparito.»<br />

«Accadeva spesso?»<br />

«Sarebbe più preciso dire <strong>che</strong> accadeva sempre.»<br />

«Capisco. E da quando siete passati alla nuova tattica tutto è<br />

cambiato? Di chi è stata l'idea di fissare le basi regionali?»<br />

Pico scosse la testa. «Di tutti e di nessuno. L'idea è venuta a una<br />

riunione del comando. Io ho accennato alla possibilità di dividere le<br />

nostre forze per renderle più manovrabili, e l'idea si è sviluppata da<br />

lì. Alla fine della riunione i rudimenti del piano erano stati fissati, e<br />

stavamo studiando la logistica, da quel momento in poi è stata solo<br />

una questione di tempo, affinché le nostre unità fossero in posizione<br />

e pronte a muoversi al segnale. Una volta distribuite le truppe è


astato perfezionare le procedure, imparare dagli errori e adattarsi<br />

alle situazioni <strong>che</strong> nascevano di volta in volta.»<br />

Si alzò, stirandosi. «Vi posso fare un esempio. <strong>La</strong> prima cosa <strong>che</strong><br />

abbiamo imparato era <strong>che</strong> invariabilmente, se nell'incursione era<br />

coinvolta solo un'imbarcazione, quando arrivavamo il nemico se<br />

n'era già andato, an<strong>che</strong> se accorrevamo a tutta velocità. Colpivano,<br />

razziavano e se ne andavano alla svelta. Se invece un'incursione<br />

coinvolgeva due o più imbarcazioni, il loro tempo operativo<br />

rallentava in modo considerevole. Non sappiamo esattamente<br />

perché, ma sospettiamo <strong>che</strong> ciò sia dovuto alla loro forza numerica.<br />

Essa dava loro sicurezza sufficiente a muoversi verso l'interno.<br />

Ovviamente però un numero doppio di uomini aveva an<strong>che</strong><br />

bisogno di un bottino doppio per garantire il successo della<br />

scorreria. Comunque la strategia si delineò molto in fretta, e<br />

stabilimmo <strong>che</strong> non valeva la pena mandare truppe contro una sola<br />

imbarcazione.<br />

Qualcuno pensa <strong>che</strong> sia una decisione crudele. Ma era la sola<br />

<strong>che</strong> potevamo prendere, la sola <strong>che</strong> avesse senso. Nel periodo di<br />

massima attività dei razziatori, al principio dell'estate del nostro<br />

primo anno qui, ci furono quattro occasioni in cui ci trovammo ad<br />

avere una quantità di uomini insufficiente a bloccare grossi gruppi<br />

di razziatori; parte delle truppe era stata inviata a respingere<br />

incursioni minori, ma in nessun caso le nostre squadre riuscirono a<br />

incontrare i piccoli gruppi di razziatori. Erano già andati via, in<br />

mare, prima <strong>che</strong> i nostri gli arrivassero addosso. Di conseguenza<br />

furono modificati gli ordini <strong>che</strong> fino ad allora avevano allertato le<br />

truppe contro le razzie di una sola imbarcazione, e furono date<br />

disposizioni di rispondere solo alle incursioni <strong>che</strong> coinvolgevano<br />

due o più imbarcazioni.»<br />

«È logico» dissi. «Se quello <strong>che</strong> dici è vero, e non dubito una sola<br />

parola, le fattorie e i villaggi lungo la linea costiera <strong>che</strong> venivano<br />

colpiti da queste razzie minori si trovavano in ogni caso al di fuori


della possibilità di essere aiutati.»<br />

«Esattamente. Ma in due anni è successa una cosa strana. Sai <strong>che</strong><br />

adesso c'è una fascia quasi disabitata, profonda circa dieci o dodici<br />

miglia, a volte perfino quindici, situata tutt'intorno alla linea costiera<br />

della Britannia meridionale?»<br />

Scossi la testa. «No. Intendi dire <strong>che</strong> la gente se n'è andata?»<br />

«<strong>La</strong> maggior parte. Si sono spostati all'interno. Sono rimasti in<br />

pochi, troppo testardi per abbandonare le loro case e il loro modo di<br />

vivere, soprattutto pescatori <strong>che</strong> vivono proprio sulla costa, ma la<br />

maggior parte, i contadini e gli agricoltori, hanno lasciato tutto e si<br />

sono spostati all'interno, al sicuro.»<br />

«E questo come ha influenzato i razziatori e i loro metodi?»<br />

Dicendo questo, Britannico osservava attentamente suo figlio, con<br />

un piccolo solco tra le sopracciglia.<br />

Pico scosse la testa con decisione. «È troppo presto per dire<br />

qualcosa di certo, ma siamo convinti <strong>che</strong> abbia avuto un effetto - un<br />

effetto positivo - sul numero e sulla natura delle razzie. Le incursioni<br />

di singole imbarcazioni sono quasi inesistenti ormai. Ci vuole fegato<br />

per un gruppo di trenta uomini a spingersi all'interno di dieci o<br />

quindici miglia nella speranza di trovare un villaggio, sac<strong>che</strong>ggiarlo<br />

e andarsene prima <strong>che</strong> arrivino i nostri uomini. Tra loro e la loro<br />

imbarcazione corre parecchia distanza.»<br />

«Ma i tuoi uomini non rispondono alle razzie di un'unica<br />

imbarcazione, hai detto.»<br />

«Adesso risponderebbero, sapendo <strong>che</strong> troveranno il nemico<br />

appiedato quindici miglia all'interno. Ma semplicemente non<br />

succede più.»<br />

«Perciò le squadre di razziatori diventano più numerose?»<br />

«Sì, è esatto. E diminuiscono per frequenza.»<br />

«E avete riflettuto sul futuro sviluppo di questa strategia?»


Pico lanciò un sorriso al padre, il cui volto rimase severo.<br />

«Speriamo <strong>che</strong> si sviluppi al punto <strong>che</strong> sbarchino tutti insieme e<br />

possiamo distruggerli una volta per tutte, ma è solo un sogno. Se<br />

però questa tendenza continua, e per ora è solo una tendenza <strong>che</strong> il<br />

tempo potrà confermare o smentire, se, come dico, continua a<br />

svilupparsi, allora prevediamo <strong>che</strong> squadre numericamente più forti<br />

faranno incursioni più sistemati<strong>che</strong> l'anno prossimo.»<br />

«E questo come cambierebbe l'impiego della cavalleria?»<br />

«Non lo cambierebbe. Non sarebbe in contrasto, comunque.<br />

Siamo preparati. Stiamo lavorando a dei piani per consolidare le<br />

linee di comunicazione. Ci limiteremo a rafforzare le riserve e a<br />

essere pronti a muoverci in forza maggiore.»<br />

«Ovviamente pensi <strong>che</strong> accadrà?» L'inflessione di Caio fece di<br />

questa frase un'affermazione più <strong>che</strong> una domanda.<br />

«No, io spero <strong>che</strong> accada. L'ho accantonato come un sogno, ma è<br />

vero <strong>che</strong> quanti più uomini usano, quanto più grandi sono le flotte<br />

<strong>che</strong> mettono insieme, tanto più grande sarà il nostro vantaggio.<br />

<strong>La</strong>sciami sorprendere un esercito di quelli nello stesso luogo e nello<br />

stesso momento e lo distruggerò senza lasciargli possibilità di<br />

ripresa.»<br />

«Mmm.» Caio sembrava un po' scettico. «Sia o no un sogno,<br />

avresti le forze per farlo?»<br />

«Sì, e an<strong>che</strong> più del necessario, ho an<strong>che</strong> velocità e massa d'urto.<br />

Sai an<strong>che</strong> tu, padre, <strong>che</strong> sono dei selvaggi. Non hanno la concezione<br />

della disciplina d'insieme. Si muovono tutti come unità<br />

indipendenti. L'equipaggio di ogni imbarcazione pensa solo a se<br />

stesso. Fai sbarcare tutti gli uomini di un grosso numero di<br />

imbarcazioni e avrai una banda di selvaggi. Ma restano<br />

un'accozzaglia di selvaggi. Posso distruggerli facilmente, ma nella<br />

loro superbia e ignoranza non vogliono ammetterlo.» Fece scattare<br />

una mano davanti a sé, come per afferrare una mosca, e chiuse il<br />

pugno davanti alla faccia.


«Datemi solo la possibilità di sorprenderli sulla terraferma, in<br />

forze, e non avrò bisogno di un intero esercito. Mi basterà un gruppo<br />

abbastanza numeroso per affrontarli a mio piacere.»<br />

Suo padre aspirò l'aria tra i denti. «E adesso dimmi come vedi il<br />

nostro ruolo qui nella Colonia, adesso <strong>che</strong> io sono Legatus Emeritus<br />

delle forze irregolari della Britannia sudoccidentale. A proposito,<br />

non mi hai ancora consegnato il mandato. È una dimenticanza<br />

voluta?»<br />

«Oh! Perdonami, ce l'ho qui.» Frugò nella bisaccia e ne estrasse<br />

un secondo rotolo, molto più grande del primo. Suo padre glielo<br />

prese dalle mani, ruppe il sigillo e lesse rapidamente il contenuto<br />

prima di passarmelo. Era un documento chiaro, nitido e specifico<br />

<strong>che</strong> portava la firma e il sigillo personale di Stilicone e il sigillo<br />

imperiale di Onorio. Lo lessi con soddisfazione e glielo resi.<br />

«Bene, generale» dissi. «Posso chiamarti ancora generale.»<br />

«Ancora? Non hai mai smesso!» Guardò suo figlio. «Non hai<br />

risposto alla mia domanda, Pico.»<br />

«Che risposta vuoi, padre? Hai letto il mandato. È straordinario.<br />

Godi di piena autonomia sotto il sigillo imperiale. Io non posso dirti<br />

cosa fare, né lo può nessun altro.»<br />

«Puoi dare dei suggerimenti, se te li chiedo.»<br />

Pico annuì, sorridendo. «È vero, posso.»<br />

«Bene, allora. Te l'ho già chiesto. Come vedi lo sviluppo del<br />

nostro ruolo qui?»<br />

«Mi piacerebbe vederlo svilupparsi in modo considerevole,<br />

padre, se sei d'accordo. Quanti cavalli avete adesso?»<br />

«Intendi cavalli addestrati per la cavalleria?» Pico annuì e Caio<br />

scosse la testa. «Non lo so con certezza. Vittore ha la cifra esatta, ma<br />

penso <strong>che</strong> saranno all'incirca centocinquanta, forse centosettanta,<br />

non di più.»


«Mmm. Non abbastanza.» Pico sedeva immerso nei suoi<br />

pensieri, picchiandosi l'unghia del pollice contro i denti. «Posso<br />

farvene avere cento adesso e altrettanti tra sei mesi, un anno.»<br />

«Davvero puoi farlo, per Dio?!» Intervenni nuovamente nella<br />

conversazione. «E come lo giustifi<strong>che</strong>rai ai tuoi superiori?»<br />

Pico mi rispose con un ghigno di infantile divertimento. «Quali<br />

superiori, zio? Non ne avrò in Britannia, quando Stilicone sarà<br />

partito. No, non è esatto, strettamente parlando. Marco Telia, il<br />

comandante militare della provincia della Britannia, è<br />

nominalmente mio superiore, ma è stato istruito bene da Stilicone su<br />

quale sia la reale estensione della sua giurisdizione su di me. Deve<br />

inoltrare regolarmente i miei rapporti a Stilicone, assistermi in tutti i<br />

modi possibili per consolidare il mio comando, preservare la mia<br />

autonomia, cioè non permettere interferenze nell'attuazione dei miei<br />

compiti, e per il resto deve lasciarmi assolutamente in pace. Non<br />

devo giustificare niente a nessuno. Ho deciso di fornirvi gli equini<br />

<strong>che</strong> avete bisogno, in modo <strong>che</strong> voi in cambio mi siate utili nello<br />

svolgimento del mio mandato. Se i vostri uomini saranno ben<br />

montati potranno pattugliare l'intera regione e costituire posti di<br />

guardia e di cambio lungo tutta la linea costiera dei territori<br />

affidativi da Stilicone.»<br />

«A nord o a sud?»<br />

«In tutte e due le direzioni. Per ora a nord, per sorvegliare<br />

l'estuario <strong>che</strong> porta a Glevum e liberare i miei uomini per l'area<br />

sudorientale. E qui c'è an<strong>che</strong> la giustificazione, se me le servisse<br />

una.» Britannico saltò in piedi e batté le mani fragorosamente,<br />

eccellente! Faremo così. <strong>La</strong>voreremo insieme!» <strong>La</strong> porta si aprì in<br />

risposta alla sua chiamata e il vecchio Gallo entrò nella stanza.<br />

«Gallo, la stanza del generale Pico è pronta?»<br />

«Ovviamente, padrone.» C'era solo un'ombra di rimprovero<br />

nella voce del vecchio. «Bene. Benissimo. Quando sarà pronta la<br />

cena?»


«Quando vuoi, padrone. Le signore stanno aspettando.»<br />

«Allora siamo pronti. Venite, Publio, Pico, andiamo a cena. Tua<br />

zia sarà contenta di vederti, ragazzo.»<br />

«Lo spero e io sarò contento di vedere lei. Sono passati mesi<br />

ormai dall'ultima volta <strong>che</strong> sono stato qui.»<br />

Ci avviammo verso la sala da pranzo e Pico mi chiese come<br />

stavamo risolvendo il problema di armare i nostri uomini.<br />

«Oh,» gli dissi, «stiamo facendo un po' di strada, ma niente di<br />

rivoluzionario. Non abbiamo fatto nessuna scoperta fondamentale.<br />

Ti farò vedere domani quello <strong>che</strong> abbiamo, se sarai ancora qui. Sarai<br />

ancora qui?»<br />

Sorrise e con le dita aperte si pettinò all'indietro i capelli<br />

cortissimi. «Sarò qui. Ho avuto un paio di settimane dure e mi farà<br />

bene un giorno di libertà. Ripartirò dopodomani prima dell'alba.»<br />

«Bene.» Gli battei una mano sulla spalla. «Adesso basta parlare<br />

di armi e di guerra. Tua zia e tua cugina sono completamente<br />

assorbite dai preparativi per le nozze della primavera prossima. Da<br />

quando Veronica è "diventata una donna" come ama dire, lei e sua<br />

madre hanno formato una cospirazione per addomesticare gli<br />

uomini di questa casa. Veniamo attivamente scoraggiati dal<br />

discutere di affari a tavola. Tuo padre e io abbiamo deciso di<br />

adeguarci ai loro desideri fino a dopo il matrimonio. Adesso a tavola<br />

parleremo del più e del meno, il <strong>che</strong> significa <strong>che</strong> ascolteremo le<br />

ultime novità sui preparativi delle nozze.»<br />

Rise forte. «Sembra <strong>che</strong> sia un evento primario!»<br />

«Puoi esserne certo! Lo è.» Gli rispose suo padre. «E io non ne<br />

sono scontento. Tieni bene a mente quello <strong>che</strong> ho detto sulla<br />

connotazione sottesa a questa unione. Quanto più le si dà<br />

importanza, tanto più servirà ai nostri propositi.»<br />

«Vuoi dire <strong>che</strong> è davvero un matrimonio politico? Un<br />

matrimonio dinastico?» Stava ancora s<strong>che</strong>rzando.


«Sì, lo è. I due giovani si piacciono, ed è un buon vantaggio. Ma<br />

il matrimonio è nonostante ciò politico sopra e oltre ogni cosa. Se lo<br />

avessi pianificato io stesso non avrei potuto preparare un'unione<br />

migliore. Per come si sono messe le cose, non ne ho avuto bisogno.<br />

Varro e Ullic hanno stipulato il contratto; Varro non si è reso conto<br />

della sua portata, Ullic invece sapeva bene cosa stava facendo.»<br />

Li interruppi. «A proposito, Pico, cosa mi dici di Seneca? È<br />

ancora in Britannia?»<br />

Fece una risata. «Oh, sì, è ancora in Britannia! È il mio<br />

comandante nel nord e lo tengo d'occhio. Lui lo sa e sta bene attento<br />

a comportarsi bene.»<br />

«Cosa succederà quando Stilicone partirà? Ti aspetti forse dei<br />

guai da lui?»<br />

«Da Seneca, intendi? Il solo modo in cui potrebbe causare guai<br />

sarebbe un ammutinamento e se ci prova lo farò crocifiggere, e lui lo<br />

sa. No. Non mi causerà guai. Ha ancora due anni di servizio,<br />

secondo il decreto imperiale. Quando finirà potrà provare a crearmi<br />

dei guai, ma la prospettiva non mi fa vivere nel terrore.»<br />

Arrivammo alle porte della stanza da pranzo proprio mentre<br />

Pico concludeva l'ultima frase, e Britannico si pose un dito sulle<br />

labbra per imporre il silenzio, con il sopracciglio voltato in su nel<br />

modo <strong>che</strong> gli era caratteristico, e guidò Pico e me, <strong>che</strong><br />

ridacchiavamo, a raggiungere le signore.


XX.<br />

Dormii male quella notte e mi alzai molto prima <strong>che</strong> l'alba<br />

apparisse a oriente. Fui sorpreso perciò di trovare Pico, alzatosi<br />

ancora prima di me, <strong>che</strong> cercava qualcosa per fare colazione.<br />

Mangiammo insieme e parlammo un momento, e lui suggerì di fare<br />

una galoppata.<br />

Fui contento di accettare, e s<strong>che</strong>rzai dicendo <strong>che</strong> era meglio<br />

andarcene alla <strong>che</strong>ti<strong>che</strong>lla prima <strong>che</strong> Luceia trovasse qual<strong>che</strong> lavoro<br />

da farmi fare.<br />

Ben presto fummo a cavallo e ci dirigemmo verso i prati aperti<br />

dietro la villa, dove lasciammo liberi i cavalli di galoppare, finché si<br />

stancarono e rallentarono a loro piacimento. Il mio cavallo,<br />

Germanico, era quattro palmi più basso del grande morello <strong>che</strong><br />

cavalcava Pico, eppure era il cavallo più grande <strong>che</strong> avessimo nelle<br />

scuderie. Stavo guardando il suo cavallo con il nuovo interesse <strong>che</strong><br />

avevo per la razza equina quando Pico interruppe i miei pensieri.<br />

«Zia Luceia ci avrebbe veramente impedito di andare, zio?»<br />

Lo guardai stupefatto. «Naturalmente no. Era una battuta! Non<br />

penserebbe mai di fare una cosa simile. Ma perché me lo chiedi...? Ti<br />

pare possibile?»<br />

Aveva la fronte aggrottata, perplesso. «Non lo so. Le donne sono<br />

un mistero per me. Non mi trovo mai a mio agio in loro compagnia,<br />

non so mai cosa pensare né cosa fare... Non riesco proprio a<br />

immaginare di sposarne una.»<br />

Lo guardai sogghignando. «Benvenuto nel mondo in cui abita la<br />

maggior parte degli uomini! Quando sei felicemente sposato, impari<br />

a far finta di pensare e di fare quello <strong>che</strong> ti viene detto di pensare e di<br />

fare, se vuoi vivere in pace... e in cambio ti viene concesso di<br />

lamentarti con aria di sofferenza per quanto è difficile essere così


fortunati... Guarda <strong>che</strong> è un'altra battuta!» Mi lanciò un sorriso<br />

incerto, non molto convinto.<br />

Eravamo a più di tre miglia dalla villa, vicino alla catena di<br />

basse colline <strong>che</strong> celava uno dei miei luoghi favoriti, dove mi<br />

piaceva stare solo, o con Luceia.<br />

«Gira a sinistra, da quella parte.» Feci un cenno col mento e Pico<br />

sollecitò con garbo il suo grande cavallo, spingendolo verso il lato<br />

sinistro della collina, senza far domande. Arrivammo alla vetta e<br />

cavalcammo lungo la cresta fino a trovare una conca alberata <strong>che</strong> dal<br />

basso era invisibile.<br />

«<strong>La</strong>scia <strong>che</strong> ti guidi. Sono già stato qui.» Spinsi Germanico in<br />

mezzo ai cespugli, seguendo un sentiero <strong>che</strong> lui conosceva bene<br />

quanto me. Avanzando, i cespugli diventavano più alti e più folti<br />

intorno a noi, sfiorandoci mentre scendevamo lungo il sentiero <strong>che</strong><br />

serpeggiava verso il punto centrale della sommità della collina. Pico<br />

era dietro di me; Germanico girò a destra e improvvisamente ci<br />

trovammo in una valle <strong>che</strong> era un piccolo gioiello, un anfiteatro<br />

naturale, circondato su tre lati da rocce e sul quarto dalla fitta<br />

vegetazione <strong>che</strong> avevamo attraversato. L'intero luogo era largo<br />

meno di cinquanta passi in ogni direzione. Diritto di fronte al<br />

sentiero dal quale eravamo scesi c'era uno stagno profondo,<br />

alimentato da una silenziosa cascata <strong>che</strong> scivolava dalla rupe<br />

soprastante lungo rocce muschiose, e cadeva libera per gli ultimi tre<br />

piedi, frangendosi infine su una larga sporgenza di roccia. <strong>La</strong> luce<br />

del sole creava degli arcobaleni tra gli spruzzi. Alla nostra destra un<br />

banco di torba muschiosa aveva l'aspetto invitante di un divano<br />

imbottito.<br />

«Come hai fatto a trovare questo posto, zio Varro?»<br />

«Per caso. Ti piace?»<br />

«Mi è sempre piaciuto. Era mio prima.» Sorrise apertamente,<br />

vedendomi restare a bocca aperta, costernato. «Sono cresciuto qui.<br />

Ho avuto qui la mia prima ragazza, proprio su quel banco


muschioso. E molte altre dopo.»<br />

Sentii le sopracciglia inarcarsi per lo stupore. «Davvero? E io<br />

pensavo <strong>che</strong> fosse vergine. Per non parlare di te!»<br />

Esplose in una risata fragorosa. «Avevo sedici anni! E sapevo<br />

tutto da ben sei anni. Volevo diventare un soldato, ricordi? Non un<br />

prete.»<br />

«D'accordo, allora, bentornato a casa. Riposiamoci po'.»<br />

Scendemmo da cavallo e ci buttammo sull'erba. Notai <strong>che</strong> Pico si<br />

guardava intorno cercando qualcosa lungo la spiaggetta dello<br />

stagno.<br />

«Che cosa stai cercando?»<br />

«Cenere. Ma non ne vedo. Sembra <strong>che</strong> nessuno sia più stato qui<br />

da anni.»<br />

«Non c'è stato nessuno, tranne me e la mia famiglia. Ma perché<br />

cerchi della cenere?»<br />

Mi guardò con sorpresa. «Non hai mai pescato qui?»<br />

Toccò a me guardarlo con sorpresa. «Pescare? No, mai. Perché<br />

dovrei pescare? Vengo qui per rifugiarmi, non per mangiare.»<br />

«Oh, zio Varro!» Scosse la testa in segno di ironico rimprovero.<br />

«Ti sei perso uno dei grandi piaceri della vita. Quando ero ragazzo<br />

venivo qui per giornate intere. Piantavo la tenda di pelle da<br />

legionario qui, dove siamo seduti. Avevo l'arco e le frecce, la fionda,<br />

qual<strong>che</strong> amo e una lenza, sale, pane e un acciarino. Ero<br />

completamente autosufficiente. Mi procuravo il cibo e lo cucinavo<br />

sul fuoco.»<br />

«Che tipo di pesce?»<br />

«Trote. Succulente, meravigliose trote.»<br />

«Sono difficili da prendere?»<br />

«A volte. Ma mai impossibili.»


«Davvero? E cosa prendevi d'altro? Il pesce mi sembra una dieta<br />

abbastanza monotona.»<br />

Pico scosse la testa gravemente e con totale convinzione prima<br />

di sdraiarsi sull'erba incrociando le mani dietro la nuca.<br />

«Non le trote, zio Varro! Le trote non stancano mai. Comunque<br />

qual<strong>che</strong> volta prendevo un coniglio e a volte un fagiano e perfino<br />

un'anatra. Ma soprattutto conigli.»<br />

«Gli tiravi? Con le frecce o con la fionda?»<br />

«Dipendeva da quanto erano lontani. Freccia o pietra dipendeva<br />

dalla distanza.»<br />

«Li hai mai mancati?»<br />

«Quasi sempre, all'inizio.» Rise e si sedette, ricordando. «Ma la<br />

fame può fare meraviglie per migliorare la mira.»<br />

Io ero disteso sull'erba, supino. «Ho trovato questo posto un<br />

giorno <strong>che</strong> il cavallo mi ci ha portato. Sembrava sapesse dove stava<br />

andando e allora l'ho lasciato fare. È stata una sorpresa piacevole.»<br />

«Era un cavallo grigio? Vecchio?»<br />

«Sì. Era tuo?»<br />

Annuì, sorridendo. «Venivamo spesso qui, lui e io. Il suo nome<br />

era Cupido. Un nome stupido per un cavallo. Deve essere morto<br />

adesso.»<br />

«Sì. È morto cinque o sei anni fa. Durante l'inverno. Me ne<br />

ricordo perché l'ho trovato morto una mattina nel recinto.»<br />

Gli sfuggì un sospiro di rimpianto. «Era già un cavallo vecchio<br />

quando io ero ragazzo. È una vergogna <strong>che</strong> i cavalli debbano morire.<br />

Sono spesso migliori di molti uomini.»<br />

«Sì, a volte è vero.» Indicai il suo cavallo, <strong>che</strong> pascolava vicino a<br />

noi. «È bello il tuo cavallo. Ho notato <strong>che</strong> tutti i tuoi uomini hanno<br />

ottime cavalcature. Da dove vengono? Sono quattro palmi più alti<br />

del mio, <strong>che</strong> pure è un cavallo grande.»


Guardò Germanico con gli occhi di un esperto, poi guardò il suo<br />

cavallo. «Sì, viene dalla Gallia e ha una buona linea, anzi una bella<br />

linea. I Galli allevano cavalli grandi, cavalli delle foreste<br />

germani<strong>che</strong>. Li usano come animali da fatica nelle loro fattorie. Non<br />

credo <strong>che</strong> ce ne siano di più grandi al mondo. Ovviamente sono<br />

degli ispidi bruti, con lunghi crini ruvidi <strong>che</strong> è quasi impossibile<br />

strigliare, ma sono sorprendentemente forti e sorprendentemente<br />

gentili se si considera <strong>che</strong> vivono selvatici per i boschi. Adesso<br />

stiamo allevando cavalli in tutto l'Impero.» Fece una pausa,<br />

pensando a una domanda <strong>che</strong> gli era appena venuta, prima di<br />

girarsi verso di me. «Quando avete iniziato il vostro programma qui<br />

alla Colonia, esattamente?»<br />

Mi alzai a sedere. «Esattamente? Non ricordo. È stato circa dieci<br />

anni fa. L'idea è stata di tuo padre, ovviamente. Avevamo parlato<br />

del massacro di Adrianopoli e dei "Compagni" di Alessandro e<br />

parlavamo sempre dei pirati sassoni. Tuo padre pensò <strong>che</strong> valesse la<br />

pena addestrare alcuni uomini per combattere come te, come<br />

cavalleria pesante e non soltanto come arcieri a cavallo. Ha<br />

funzionato, come vedi.»<br />

Un piccione selvatico lasciò all'improvviso gli alberi di fronte a<br />

noi, disturbato da un predatore. Guardai il cielo. «Sembra <strong>che</strong> oggi<br />

la pioggia voglia risparmiarci. Sarebbe meglio <strong>che</strong> tornassimo alla<br />

villa. È quasi metà mattina.»<br />

Circa un'ora dopo eravamo tutti riuniti nella forgia a esaminare i<br />

risultati degli ultimi esperimenti miei e di Equo sulle nuove armi.<br />

Pico aveva impugnato il primissimo sforzo di Equo e lo stava<br />

roteando, provandone il peso e l'equilibrio; notò qual<strong>che</strong><br />

macchiolina di ruggine sulla lama e attirò la mia attenzione.<br />

«È scandaloso, zio Varro. Una lama arrugginita qui, nel tempio<br />

della perfezione del metallo!»


Grugnii. «<strong>La</strong> colpa è di Equo. Preferirebbe non vederla neppure,<br />

figuriamoci se la tiene in buone condizioni.»<br />

«Non gli piace? Questa? Ma perché in nome di Dio?»<br />

«Non lo so, ragazzo. L'ha fatta lui. Chiediglielo. Ha concepito un<br />

profondo disprezzo per quell'arma prima ancora di averla finita, e<br />

da allora non ne ha più fatta nessuna su quel modello.»<br />

«Ma è la migliore! Guardala! È versatile: fende e colpisce! <strong>La</strong><br />

lama lunga... non ho mai visto niente di simile prima. Zio Varro,<br />

questa cosa funziona!»<br />

«Dillo a Equo. Lui pensa <strong>che</strong> sia un disastro.»<br />

«Ma perché? È ingombrante, ma ha qualcosa <strong>che</strong> manca a tutte<br />

le altre... Quest'asta è solida. Pesante. Penso solo <strong>che</strong> sia troppo<br />

lunga. Se fosse più corta potrebbe superare il petto e permettere a un<br />

uomo di rotearla intorno al corpo in un giro completo; sarebbe<br />

formidabile. No, mi piace.» Si girò verso Equo. «Equo, penso <strong>che</strong> tu<br />

abbia avuto una buona idea e <strong>che</strong> te la sia lasciata scappare.»<br />

«Non dire scioc<strong>che</strong>zze» ringhiò Equo. «Ho cambiato parere<br />

perché ho visto come quell'idea era stupida. Come può un cavaliere<br />

spostare la lancia da una mano all'altra? Cosa fa nel frattempo dello<br />

scudo? Se lo attacca al labbro inferiore?»<br />

Pico, però, non si lasciava scoraggiare facilmente.<br />

Teneva l'arma in alto e la guardava, muovendola, cosicché la<br />

luce giocava sulla lama.<br />

«Equo, se avessi qualcosa di simile, con lo stesso peso ed<br />

equilibrio, da poter usare con entrambe le mani e in ogni direzione,<br />

sarei tentato di buttare via lo scudo.»<br />

«Ah!» <strong>La</strong> voce di Equo era piena di disgusto. «E <strong>che</strong> fine faresti?<br />

Verresti trafitto come un coniglio allo spiedo dal primo picchiere <strong>che</strong><br />

incontri.»<br />

«No, non credo. Parlo sul serio. Porterei una corazza più


pesante, e il vantaggio di poter roteare questa cosa bilancerebbe il<br />

fatto di non avere lo scudo. Padre? Tu cosa ne pensi?» Fintava,<br />

parlando, tenendo l'arma con il braccio completamente teso, e la<br />

forza dei suoi muscoli faceva sembrare uno s<strong>che</strong>rzo il peso di<br />

quell'oggetto.<br />

Britannico percorse con lo sguardo l'intera lunghezza delle<br />

braccia di Pico e i sette piedi di lunghezza della lancia. «Quanta<br />

lunghezza vorresti togliere all'asta?»<br />

«Circa la metà.»<br />

«Siete matti tutti e due.» Equo borbottava tra sé. «Tagliate via<br />

metà della lunghezza, an<strong>che</strong> tutta la lunghezza, per quel <strong>che</strong> me ne<br />

importa, e rovinate il bilanciamento e il peso. Le armi sono<br />

progettate in proporzione, sapete. <strong>La</strong> lunghezza in più non è solo<br />

per bellezza.»<br />

Io ascoltavo attentamente, an<strong>che</strong> se non prendevo parte alla<br />

conversazione, e qualcosa stava cominciando a stuzzicarmi.<br />

«Quella di cui stiamo parlando è una lancia» proseguì Equo.<br />

«Per le tette di Budicca! Stai roteandola come se fosse un'ascia.»<br />

«Ma è quasi un'ascia, Equo. Penso <strong>che</strong> sia per via della forma e<br />

del peso.»<br />

Equo picchiò il pugno sul bancone, frustrato. «È vero amico.<br />

Non è né una cosa, né l'altra. È una bastarda, nata in un momento di<br />

stoltezza. <strong>La</strong> distribuzione del peso è completamente sbagliata,<br />

perciò non puoi rotearla con forza. Tutto il peso è concentrato in<br />

cima, troppo vicino all'asta. Colpisci con forza e questa cosa si<br />

sbriciolerà come un pezzo di pergamena. Credimi, Pico.»<br />

Pico storse la faccia dispiaciuto. «Bene, se sei così deciso e l'hai<br />

disegnata tu, accetterò la tua parola. Ma mi pare un peccato, perché,<br />

qualunque cosa tu dica, io so <strong>che</strong> qui c'è qualcosa di giusto.» Mi<br />

guardò. «Varro, tu non dici niente. Cosa ne pensi?»<br />

Tesi la mano e mi passò la lancia. Era molto pesante.


«Equo ha ragione» dissi. «È troppo ingombrante. Tu puoi<br />

maneggiarla, ma sei quasi un gigante. Nessun soldato normale<br />

potrebbe usarla in combattimento come la roteavi tu. Per questo il<br />

peso è distribuito in modo sbagliato, e accorciando l'asta<br />

aggraveresti solo lo sbilanciamento.» Gliela restituii, sorridendo del<br />

suo sguardo mortificato. «Però hai ragione, c'è qualcosa di buono.<br />

Vorrei soltanto sapere cosa. Ci lavorerò.»<br />

«Bene. Quando avrai risolto il problema ne comprerò a<br />

centinaia.»<br />

<strong>La</strong> conversazione si spostò su altri argomenti, ma io prestai poca<br />

attenzione a tutto, da quel momento in poi. C'era qualcosa <strong>che</strong> mi<br />

preoccupava, qualcosa, <strong>che</strong> si era formato a metà nella mia mente<br />

durante la conversazione tra Pico ed Equo. Ma ovviamente più mi<br />

sforzavo e più mi sfuggiva.<br />

Ci sono po<strong>che</strong> cose più frustranti di tentare di richiamare alla<br />

memoria un pensiero sfuggente, non ancora ben definito. Mi ritrovai<br />

perfino a dire a me stesso <strong>che</strong> non era importante, ma sapevo <strong>che</strong><br />

doveva esserlo, altrimenti non mi avrebbe preoccupato tanto. Alla<br />

fine, però, quando tutti gli altri se ne furono andati, il ricordo<br />

sfuggente <strong>che</strong> tanto avevo cercato mi venne in mente di colpo, e mi<br />

maledissi per essermi concentrato tanto.<br />

Avevano parlato di peso e di bilanciamento e Pico aveva detto<br />

<strong>che</strong> la lancia era quasi come un'ascia, a causa della forma e del peso<br />

della lama. E allora mi ricordai di aver visto, quando ero un giovane<br />

soldato, in un remoto villaggio africano, un bambino <strong>che</strong> spaccava<br />

legna con un'antica spada dalla lama pesante a forma di foglia.<br />

Quella cosa era veramente molto vecchia e ammaccata, e il filo<br />

<strong>che</strong> doveva avere avuto in passato lo aveva perso. Ma il bambino la<br />

usava per spaccare la legna, e con tutto il mio amore per le armi mi<br />

ero rattristato vedendo l'uso servile di un'arma <strong>che</strong> un tempo<br />

doveva essere stata l'orgogliosa proprietà di qualcuno.<br />

Avevo cercato di comprarla, ma il bambino era scappato via,


portando con sé la spada.<br />

Era questo <strong>che</strong> mi aveva fatto impazzire, e adesso ero irritato<br />

perché non riuscivo a coglierne il significato.<br />

Perché avrei dovuto riportare alla mente quel ricordo dopo più<br />

di trentanni di oblio? Quale possibile connessione potevo aver<br />

trovato tra l'odierna conversazione su una lancia e un'ascia, e<br />

quell'incontro per la sudicia via di un villaggio dell'Africa<br />

settentrionale tanto tempo prima?<br />

Ovviamente la connessione era la forma della spada, ma perché?<br />

Non aveva senso immaginare la lancia di Equo con una lama a<br />

forma di foglia - sarebbe stata meno <strong>che</strong> inutile - e allora cos'era? Mi<br />

stavo arrabbiando, riconoscevo i sintomi, perciò mi sforzai di<br />

vuotare la mente e mi diressi verso casa, salutando chi incontravo<br />

sulla mia strada e cercando di tenere la mente sgombra.<br />

Sapevo <strong>che</strong> la risposta sarebbe arrivata, ma odiavo l'idea di<br />

dover rimanere lì seduto ad attenderla.<br />

Quattro soldati della scorta di Pico erano acquattati in un angolo<br />

del muro <strong>che</strong> circondava la casa. Mi videro arrivare e misero via i<br />

dadi <strong>che</strong> stavano usando come passatempo, alzandosi in piedi<br />

mentre mi avvicinavo. Risposi con un cenno al loro saluto e chiesi<br />

dove fosse il legato. Uno di loro, il più vecchio, fece da portavoce.<br />

«Lo stiamo aspettando, signore. È entrato in casa con il<br />

proconsole e ci ha detto di aspettarlo qui.»<br />

«Bene, Allora lo aspetterò qui con voi, se non avete obiezioni.»<br />

Naturalmente non ne avevano. Ero rimasto con loro per poco<br />

tempo, parlando di cose triviali, quando Pico apparve. Quei soldati<br />

erano come sono sempre ovunque, impertinenti, sfacciati e fieri<br />

della loro superiorità, e leggermente in soggezione per il fatto <strong>che</strong> un<br />

ufficiale anziano, an<strong>che</strong> se in congedo, si fermasse a parlare con loro<br />

alla pari.<br />

«Ecco <strong>che</strong> arriva il legato, signore.»


Alzai gli occhi e vidi Pico dirigersi verso di noi attraversando i<br />

cancelli. Contemporaneamente an<strong>che</strong> lui vide me e sorrise.<br />

«Comandante Varro, hai un naso per i segreti <strong>che</strong> ti porta<br />

sempre nel posto giusto. Pecula, fai vedere la tua spada al<br />

comandante.» Il più giovane dei quattro arrossì, sentendo il generale<br />

chiamarlo con il soprannome, <strong>che</strong> significava ladro o borsaiolo, e<br />

fece un sorriso imbarazzato mentre tirava fuori la spada e me la<br />

porgeva per l'impugnatura. Era un normale gladium romano, o spada<br />

corta, ma con una netta differenza <strong>che</strong> sentii non appena le mie dita<br />

strinsero l'impugnatura. Allentai immediatamente la presa<br />

guardando il giovane negli occhi.<br />

«Cos'è? Dove l'hai presa?»<br />

«Cosa, signore?»<br />

«<strong>La</strong> copertura per l'impugnatura. Cos'è?»<br />

Mi rispose Pico, facendo segno al soldato di non parlare. «Tu<br />

cosa pensi, comandante Varro? Senza guardarla.»<br />

Mi girai verso di lui, stringendo saldamente l'elsa della spada e<br />

flettendo il polso con forza per provare la presa. «Non so <strong>che</strong> cosa<br />

sia,» dissi, «ma lo voglio sapere.»<br />

«Come la senti nella mano? Pensaci bene.»<br />

Mi concentrai su quello <strong>che</strong> sentivo, lottando contro la<br />

tentazione di abbassare lo sguardo e di guardare. «Non assomiglia a<br />

niente di quello <strong>che</strong> conosco. Non è pelle, è troppo ruvida. Non è<br />

metallo, né osso, né legno. Sembra...» Strinsi di nuovo, sentendo la<br />

struttura contro il palmo. «Come pelle coperta di sabbia fine.»<br />

«Non ci sei vicino e non ci andresti vicino nean<strong>che</strong> se provassi<br />

tutto il giorno. Guardala.»<br />

Guardai. L'elsa era coperta con un materiale <strong>che</strong> non era nero, né<br />

grigio, né color argento, ma era un misto di tutti e tre. <strong>La</strong> struttura<br />

era ruvida come una lima. Non sarebbe mai scivolata da un palmo


sudato o insanguinato. Qualunque cosa fosse era avvolta intorno<br />

all'elsa e legata stretta con filo metallico incrociato.<br />

«Rinuncio. Cos'è?»<br />

«È pelle di pesce.»<br />

«È cosa?»<br />

«Pelle di pesce.»<br />

Mi ricordai le sue burle, quello stesso giorno, sulle gioie della<br />

pesca alla trota, e lo guardai attentamente per capire se mi prendeva<br />

in giro, ma era serio. Guardai il giovane Pecula.<br />

«Che tipo di pelle di pesce?»<br />

Il soldato si strinse nelle spalle, con un'espressione di scusa sul<br />

viso schietto. «Non lo so, signore. L'ho vinta ai dadi. L'uomo da cui<br />

l'ho vinta ha detto <strong>che</strong> era pelle di pesce. Ha detto <strong>che</strong> l'aveva fatta<br />

suo padre. Ha detto <strong>che</strong> suo padre era un pescatore.»<br />

«Chi è quell'uomo?»<br />

«Non lo so, signore. Solamente uno dei tanti soldati di<br />

guarnigione a Londinium.»<br />

«Quanto tempo è passato da quando te l'ha data?»<br />

«Circa un mese, signore.»<br />

«Hai più visto quell'uomo? Lo riconosceresti?»<br />

«Sì, signore, ma non l'ho più visto da quella sera.» Guardai più<br />

attentamente l'impugnatura e compresi <strong>che</strong> stavo guardando un<br />

oggetto di grande valore. Era una scoperta fondamentale. Guardai<br />

di nuovo Pico e poi il soldato. «Non ho mai visto niente di simile, e<br />

sono un collezionista di armi. Saresti disposto a separartene? Per un<br />

prezzo vantaggioso e una nuova spada?»<br />

Guardò il suo generale e poi me. «Beh, signore, non so. Non<br />

sapevo <strong>che</strong> fosse di valore.»<br />

«Non lo è, ragazzo, tranne <strong>che</strong> per me. <strong>La</strong> lama è scadente,


niente di straordinario. È la pelle di pesce <strong>che</strong> ha un valore, ma solo<br />

se riusciamo a scoprire di <strong>che</strong> pesce è, e se possiamo trovarla qui in<br />

Britannia. Quanto vale questo per te?»<br />

Sembrava a disagio, sapendo <strong>che</strong> poteva dire qualunque prezzo,<br />

ma non voleva offendere il suo generale, né approfittarsi dell'amico<br />

del generale. Decisi di aiutarlo.<br />

«Ti do due mesi di paga e il permesso di scegliere una delle mie<br />

spade in cambio di questa.»<br />

I suoi occhi si spalancarono per la sorpresa. «Affare fatto,<br />

signore.»<br />

«Bravo. Adesso vai alla casa, laggiù, e chiedi di Gallo. È il<br />

maggiordomo. Digli <strong>che</strong> il comandante gradirebbe <strong>che</strong> ti mostrasse<br />

la sala delle armi. Ne troverai abbastanza per passarci la giornata.<br />

Scegline una. Le ho fatte tutte con le mie mani, quindi troverai certo<br />

qualcosa <strong>che</strong> ti vada bene.»<br />

Intervenne Pico, sfoderando la sua spada. «Il comandante Varro<br />

è uno dei migliori fabbricanti d'armi dell'Impero, Pecula. Ha fatto<br />

questa per me, quando sono entrato nelle legioni. Adesso vai e vedi<br />

se riesci a trovarne una migliore. Ma non voglio vederti brandire<br />

una spada <strong>che</strong> sembra essere stata fatta per l'imperatore. Prendine<br />

una normale.»<br />

«Sì, generale.» Pecula fece un saluto deciso, si girò a metà e poi<br />

esitò. «Comandante Varro? Vuoi an<strong>che</strong> il fodero?»<br />

Gli sorrisi. «Sì, Pecula. È meglio <strong>che</strong> me lo lasci. <strong>La</strong> tua nuova<br />

spada avrà un fodero.»<br />

Annaspò eccitato intorno alla cintura e mi porse il fodero. Era un<br />

fodero semplice, vecchio, ma ben tenuto.<br />

«Grazie» dissi mentre lo prendevo dalle sue mani. «A proposito,<br />

Gallo ti darà an<strong>che</strong> i due mesi di paga, perciò non dimenticare di<br />

chiederglieli.»


Infilai la spada nel fodero. «Generale Pico, vorrei scambiare due<br />

parole con te. Vieni a fare due passi?»<br />

Non appena fummo lontani da orecchie indiscrete, disse:<br />

«Immaginavo <strong>che</strong> ti sarebbe interessata, Varro, ma due mesi di paga<br />

e una tua spada? Non pensi di averlo strapagato?»<br />

«Pico, tu mi conosci. Sono un entusiasta, ma se posso non lascio<br />

mai <strong>che</strong> l'entusiasmo abbia la meglio sul mio giudizio. Se riesco a<br />

scoprire cos'è questa pelle di pesce, non ci sarebbe probabilmente<br />

abbastanza ric<strong>che</strong>zza nella Colonia per pagarne il valore reale. Credi<br />

a me. Voglio sapere <strong>che</strong> pesce è. Da dove viene. Se riesco a scoprirlo<br />

lo importerò an<strong>che</strong> a costo di attraversare tutto l'Impero. Perciò ho<br />

bisogno del tuo aiuto. Trovami l'altro soldato, quello da cui il<br />

giovane Pecula ha vinto questa spada. Interrogalo. Scopri di suo<br />

padre, chi è, dove vive e come è venuto in possesso di questa pelle.<br />

Non appena lo avrai saputo, ammesso <strong>che</strong> lui ne sia al corrente,<br />

comunicamelo. Lo farai?»<br />

«Certamente.»<br />

«Bene, un giorno ti farò una spada con l'elsa di pelle di pesce.»<br />

«Sembra disgustoso, ma non vedo l'ora. A proposito, senti sul<br />

palmo l'odore di quella roba?»<br />

Risi e annusai la mano. «No. Per niente.»<br />

«È un sollievo. Dev'essere una trota.»<br />

Mentre ci avvicinavamo di nuovo a casa, ne uscì Pecula,<br />

portando con orgoglio la nuova spada, le labbra increspate un<br />

sorriso. Ci fermammo ad ammirarla, perché aveva scelto una delle<br />

migliori. Gli augurai ogni bene nell'uso <strong>che</strong> ne avrebbe fatto, e Pico<br />

portò via con sé i quattro uomini in direzione delle scuderie,<br />

lasciandomi solo. Portai in casa la mia nuova spada e le trovai un<br />

posto nella sala delle armi, poi rimasi un'ora a giocare con i miei<br />

tesori lasciandomi assorbire dall'atmosfera delle armi.<br />

Due ore dopo ero ritornato nella forgia e mi gingillavo con


pezzo di carboncino e un frammento della pergamena di Andros.<br />

L'avevo riempito con schizzi di spade, lance, asce e disegni della<br />

nuova lancia di Equo. Alcune spade <strong>che</strong> avevo disegnato avevano<br />

lame a forma di foglia, ma molte avevano i bordi diritti. Equo mi<br />

stava osservando. Sentivo i suoi occhi nella schiena. Alla fine parlò.<br />

«Hai dei problemi?»<br />

«Non più del solito. Non riesco a smettere di pensare a quello<br />

<strong>che</strong> ha detto Pico. Sul fatto di accorciare l'asta di quella lancia. Ha<br />

ragione, dovrebbe funzionare.»<br />

«Per la pancia di Budicca, Varro, mi meraviglio di te. Hai<br />

lavorato con le armi per tutta la vita e sai <strong>che</strong> non si può fare! Fagli<br />

una mazza con il manico lungo come quelle <strong>che</strong> usano i barbari, o<br />

un'ascia, con tutto il peso da una parte, in modo <strong>che</strong> possa rotearla.<br />

Ma non puoi accorciare questa lancia e mantenerla bilanciata, come<br />

non puoi allungare una spada e mantenerla ben bilanciata!»<br />

«Lo so, Equo, lo so! Però, se ci fosse un modo...»<br />

«Merda di cavallo! Se ci fosse un modo per cambiare la merda di<br />

cavallo in mele, nessuno avrebbe più fame! Non si può fare.»<br />

Perciò rimasi lì a gingillarmi, girando alla fine la pergamena per<br />

usarne l'altro lato. Disegnai un gladio, la più bella e più efficiente<br />

arma mai disegnata, e poi presi il carboncino e raddoppiai la<br />

lunghezza della lama. Che peccato <strong>che</strong> non funzionasse! Con una<br />

spada di quella lunghezza, perfino Pico avrebbe potuto raggiungere<br />

un uomo a terra. Ma la forma era completamente sbagliata. <strong>La</strong> lama<br />

diritta del gladio, estesa per il doppio della sua lunghezza, avrebbe<br />

perso la rigidità e avrebbe avuto troppo peso.<br />

E poi, improvvisamente, vidi quello <strong>che</strong> la mia mente aveva<br />

cercato di dirmi ricordandomi la spada con la lama a foglia. Non era<br />

la forma della vecchia spada di quel bambino a essere importante,<br />

ma il principio <strong>che</strong> la governava. Pico aveva parlato di combinare<br />

un'ascia e una lancia, rigidità e impeto. Avrebbe funzionato; erano<br />

merda e mele come diceva Equo con tanta eloquenza, ma come


creare una spada con la lunghezza della nuova lancia di Equo?<br />

Eccitato senza sapere realmente perché, mi alzai in piedi e presi<br />

l'arma, appoggiandola sul bancone davanti a me e focalizzando<br />

l'attenzione sulla lama.<br />

Aveva la forma di una lancia <strong>che</strong> si rastremava dalla punta<br />

acuminata verso la base larga e svasata, prima di restringersi eli<br />

nuovo verso la base dell'asta, come una losanga con due lati tanto<br />

lunghi da essere ridicoli. Quella cosa era lunga tre piedi abbondanti<br />

fino al punto più largo.<br />

Guardai attentamente il punto <strong>che</strong> Equo aveva rinforzato.<br />

An<strong>che</strong> quella sezione era a forma di losanga. Il carboncino cominciò<br />

a lavorare seriamente, schizzando il profilo della lama, le giuste<br />

proporzioni della rastremazione rispetto alla larghezza e infine ecco<br />

quello <strong>che</strong> cercavo. Non avrei saputo spiegare <strong>che</strong> cos'era, ma era<br />

quasi perfetto.<br />

«Equo, vieni un momento, puoi?» Lo sentii mettere giù quello<br />

<strong>che</strong> stava facendo, qualunque cosa fosse, e poi sentii la sua presenza<br />

al mio fianco.<br />

«Sì» disse. «Cos'hai lì?»<br />

Non alzai la testa, perché mi stavo concentrando in un modo<br />

tale <strong>che</strong> potevo sentire la tensione scavarmi un solco tra le<br />

sopracciglia. «Vorrei <strong>che</strong> tu guardassi questa e poi facessi quello <strong>che</strong><br />

ti chiedo, senza commenti o discussioni, hai capito?»<br />

«Ti ascolto.»<br />

«Bene. Adesso pensa agli elementi di una spada: lama, codolo,<br />

elsa, impugnatura e pomolo. L'elsa si inserisce sopra al codolo per<br />

aggiungere peso al fulcro e sostenere l'impugnatura. L'impugnatura<br />

vi aderisce e il pomolo tiene tutto assemblato insieme.»<br />

«Cosa sarebbe? <strong>La</strong> prima lezione sulla fabbricazione delle<br />

armi?»


«Stai zitto e ascolta. Guarda la tua lancia. Ha una lama forte e<br />

pesante, a forma di punta di lancia, ma lunga tre piedi, con un<br />

codolo di tre piedi, l'asta, stretta da strisce di legno, adattate e legate<br />

insieme. Abbiamo discusso dell'equilibrio perché l'abbiamo<br />

considerata una lancia.»<br />

«E allora? È una lancia.»<br />

«Lo so <strong>che</strong> è una lancia, ma ascolta. Voglio <strong>che</strong> tu provi a fare<br />

qualcos'altro per me, qualcosa di diverso, e l'ultima cosa di ho<br />

bisogno è <strong>che</strong> tu mi dica un migliaio di ragioni per cui non si può<br />

fare. Voglio <strong>che</strong> venga fatto, an<strong>che</strong> se non avrò nean<strong>che</strong> la forza di<br />

sollevare dal suolo il risultato finale. Mi ascolti ancora?»<br />

«Sì. Cos'hai in mente?»<br />

«Questo» dissi. «Voglio <strong>che</strong> tu mi faccia una lama <strong>che</strong> sia di un<br />

quarto più lunga di questa. Voglio <strong>che</strong> tu riduca di un altro quarto<br />

l'ampiezza nel punto più largo. Mi segui?»<br />

Annuì, con gli occhi <strong>che</strong> gli luccicavano di interesse per la mia<br />

improvvisazione. «<strong>La</strong> parte più difficile, tecnicamente, sarà la<br />

rastremazione» proseguii. «Voglio <strong>che</strong> tu mantenga questa lama a<br />

doppio filo e tanto diritta quanto ti è possibile, però voglio <strong>che</strong> la<br />

rastremi partendo dal punto di massima larghezza fino a metà di<br />

quella larghezza e fino a circa un palmo dalla punta.» Vedevo <strong>che</strong> si<br />

controllava a fatica, fremeva dalla voglia di parlare. «Puoi farlo?»<br />

Mi sorprese perché non esplose immediatamente in una<br />

risposta. Si morsicò il labbro inferiore tra i denti, e fissando la lama<br />

prese il mozzicone di carboncino e cominciò a disegnare con tocchi<br />

rapidi, sicuri, analizzando i cambiamenti <strong>che</strong> avrebbe dovuto<br />

apportare.<br />

«Sì» disse alla fine. «Posso farlo. Ma quel restringimento mi<br />

spaventa. Potrebbe essere una perdita di tempo.» Almeno non aveva<br />

detto <strong>che</strong> era sicuramente una perdita di tempo!<br />

«Perché?»


«Lo sai quanto me! <strong>La</strong> larghezza combinata con la lunghezza.»<br />

Mise la mano sulla lama della lancia. «Questa cosa è tanto forte<br />

quanto ho potuto farla, ma oltre la metà dall'asta è troppo sottile per<br />

il lavoro <strong>che</strong> deve fare e nel punto più largo, qui in alto, ai bordi non<br />

riceve abbastanza supporto dalla spina centrale. Il metallo diventa<br />

troppo sottile. È come una falce, splendida per tagliare l'erba, ma<br />

dobbiamo tagliare cose più spesse, più dure.»<br />

«Allora? Hai un suggerimento migliore?»<br />

«Forse. Supponiamo, per amore della discussione, di fare quello<br />

<strong>che</strong> suggerisci. Allunghiamo la lama di un quarto, ma la<br />

rastremiamo soltanto di un terzo, invece <strong>che</strong> della metà.<br />

Estendiamo la rastremazione in modo <strong>che</strong> un terzo venga<br />

ristretto dalla base per tutta la lunghezza fino a un pollice dalla<br />

punta, <strong>che</strong> dovrà essere tagliente e ad angoli vivi. In questo modo il<br />

rinforzo sarebbe maggiore lungo tutta la lama, an<strong>che</strong> se si<br />

piegherebbe ancora sotto la leva dell'asta.»<br />

«Quale asta? Non ci voglio un'asta.» Mi guardò come se avessi<br />

perso la ragione. «In ogni caso,» proseguii senza dargli la possibilità<br />

di discutere, «l'asta non è importante adesso. Mettiamo a posto la<br />

lama, per prima cosa. Mi piace la tua idea. Ovviamente aggiunge<br />

forza. Ma dobbiamo rinforzarla di più. Come possiamo fare?»<br />

«Allo stesso modo in cui ho rinforzato la punta della lancia.<br />

Mettiamo come costolatura una sbarra di ferro.»<br />

«No, non sono d'accordo. Hai detto tu stesso <strong>che</strong> non dà<br />

abbastanza sostegno ai bordi. E se facessimo più spessa la lama?»<br />

«In <strong>che</strong> modo? Come cosa?»<br />

Feci rapidamente uno schizzo. «Come questa. Cominciala<br />

oblunga nella sezione e poi arrotondala.»<br />

Guardò il mio disegno. «Per la pancia di Budicca, Varro, ma è<br />

come un gladio!»


Sorrisi. «Lo è, se la disegni così, e lo sarà se la farai in questo<br />

modo. Tranne <strong>che</strong> sarà molto più lunga e totalmente diversa. Parlo<br />

sul serio, Equo. Le proporzioni sono differenti. Per un terzo lungo la<br />

lunghezza a partire dall'asta, questa lama sarà più sottile di un<br />

gladio in sezione. Per due terzi sarà ancora più sottile.»<br />

I suoi occhi si socchiusero. «Intendi parlare di una<br />

rastremazione doppia?»<br />

Annuii. «Sì. Ti ho già detto <strong>che</strong> sarebbe stato molto difficile<br />

tecnicamente.»<br />

«Sì, e avevi ragione. Ma non è impossibile. E cosa mi dici<br />

dell'estremità più spessa della lama? Quale inclinazione le diamo<br />

per unirla all'asta?»<br />

«Verticale. Voglio <strong>che</strong> finisca diritta, proprio come un gladio,<br />

con un codolo lungo due palmi.»<br />

«Un codolo!» <strong>La</strong> sua voce era pesante come il piombo.<br />

«Allora abbiamo disegnato una spada! Adesso mi vuoi dire<br />

come facciamo un fulcro <strong>che</strong> la bilanci?»<br />

«Penso di poterlo fare, Equo, ma non ne sarò sicuro finché non ci<br />

avrò provato. Ho in mente un'idea, però, <strong>che</strong> potrebbe funzionare.<br />

Quando puoi cominciare?»<br />

Ma non ebbe la possibilità di rispondere, perché la porta si<br />

spalancò e un domestico si precipitò dentro la fucina.<br />

«Comandante Varro! Siamo stati attaccati!»


XXI.<br />

Sapevo quanto mi ci voleva di solito per andare dalla forgia alla<br />

casa. Quel giorno, correndo il più velocemente possibile, mi sembrò<br />

di metterci il doppio. C'erano uomini <strong>che</strong> correvano in ogni<br />

direzione, ma non sembravano in preda al panico. Sentivo delle<br />

trombe squillare in lontananza; riconobbi uno dei miei centurioni<br />

mentre mi passava di fianco bell'oscurità incombente. Lo presi per<br />

un braccio prima <strong>che</strong> mi superasse senza notarmi, e gli chiesi cosa<br />

stava succedendo. Mi fissò sorpreso.<br />

«Comandante? Mi dispiace, signore. Non ti avevo visto. È<br />

Vegezio Sulla, signore. <strong>La</strong> sua proprietà è stata attaccata.»<br />

«Attaccata? Da chi?»<br />

«Mi dispiace, signore, non lo so. Credo <strong>che</strong> non lo sappia<br />

nessuno.»<br />

<strong>La</strong> proprietà di Vegezio Sulla! Il fatto mi colse completamente<br />

alla sprovvista. Di tutte le tenute della Colonia, la sua a quella<br />

considerata in genere più al sicuro da un attacco, poiché era più a<br />

sud-ovest, protetta da alte, scabrose colline alle spalle e dal nulla sui<br />

lati sud ed est per trenta miglia, tranne gli altopiani ondulati <strong>che</strong><br />

portavano a Stonehenge. «Chi ha dato l'allarme?»<br />

«Una nostra pattuglia, signore. Hanno visto del fumo, sono<br />

andati a controllare e hanno rivoltato un nido di serpenti, sono stati<br />

annientati, tranne uno <strong>che</strong> è riuscito a scappare e a dare la notizia,<br />

ma non pensiamo <strong>che</strong> sopravviverà.»<br />

«Quanti razziatori? Lo ha detto?»<br />

«Non ha saputo dirlo, comandante. Non sono arrivati<br />

abbastanza vicini per vederli. Sono stati colti in un'imboscata lungo<br />

la strada.»<br />

«Come fai a sapere così tanto e così poco?»


«Ero di servizio al cancello quando è arrivato, signore, L'ho<br />

portato alla villa principale.»<br />

«Va bene. Vai a fare il tuo dovere.» Zoppicai alla massima<br />

velocità, maledicendo per la prima volta da anni la mia gamba<br />

storpia.<br />

Il cortile e la casa risplendevano di luci, mentre ovunque si<br />

agitavano uomini con le fiaccole in mano. Gli stallieri stavano<br />

radunando i cavalli e il cortile lastricato sembrava un manicomio.<br />

I quattro uomini della scorta di Pico erano in piedi vicino<br />

all'entrata principale della casa, un'isola di immobilità in un mare di<br />

caos. Andai diritto verso di loro.<br />

«Il legato Pico è qui?»<br />

«È dentro, comandante.»<br />

Li superai e mi feci strada attraverso la calca dentro casa, dove la<br />

prima persona <strong>che</strong> vidi fu mia moglie, pallida ma calma, con gli<br />

occhi colmi di apprensione. Era la prima volta <strong>che</strong> un pericolo reale<br />

le era giunto così vicino. Le andai incontro attraverso la stanza<br />

mentre lei veniva verso di me, e la presi tra le braccia. Tremava. <strong>La</strong><br />

baciai e la strinsi forte, senza curarmi di chi ci stava guardando.<br />

«Non essere così preoccupata» sussurrai. «Non oseranno mai<br />

arrivare qui. Questo posto non è in pericolo. Dove sono gli altri?»<br />

«Nello studio di Caio. Di <strong>che</strong> cosa avrai bisogno?»<br />

«Dell'armatura e di un po' di cibo. Non ci sarà molto tempo per<br />

mangiare nei prossimi giorni, perciò voglio un po' di pane,<br />

formaggio e vino da portare con me.»<br />

«Gallo ha tutto sotto controllo. Ha messo il personale di cucina<br />

al lavoro appena sono arrivate le notizie. Sta preparando<br />

personalmente la tua armatura proprio adesso.»<br />

«Bene. Vado a metterla finché è ancora lì. Farò più in fretta se mi<br />

aiuta. Poi raggiungerò gli altri. Dove sono le bambine?»


«Con la loro nutrice, Annica. Le terrà al sicuro e fuori dai piedi.»<br />

«Bene. Devo andare.» <strong>La</strong> baciai di nuovo e mi diressi verso la<br />

mia stanza.<br />

«Publio?» Mi girai. «Stai attento. Non farti ferire, d'accordo?»<br />

Le risposi con un cenno. «No. Non mi farò ferire. Porterò il mio<br />

arco e le frecce. In questo modo nessuno mi arriverà vicino.»<br />

Con l'aiuto di Gallo <strong>che</strong> mi allacciava le fibbie riuscii a entrare in<br />

fretta nell'armatura, notando l'ampiezza della vita e dei fianchi<br />

dentro la rigida imbracatura. Poco dopo, con l'elmo sotto il braccio<br />

sinistro, raggiunsi il Consiglio di guerra. Quando entrai nella stanza<br />

di Caio la conversazione cessò di colpo.<br />

«Scusate il ritardo. Sono venuto appena ho sentito la notizia.<br />

Cosa sta succedendo?» Mi guardai intorno nella stanza. C'erano<br />

Caio, Pico, alcuni nostri ufficiali anziani e Vegezio Sulla. Inarcai le<br />

sopracciglia per la sorpresa.<br />

«Varro» rispose lui al mio gesto, con un sorriso forzato. «Mi<br />

sono fermato qui tornando da Aquae Sulis questo pomeriggio. Stavo<br />

preparandomi a partire quando sono arrivate le notizie. Caio<br />

Britannico non mi ha lasciato partire da solo.»<br />

«Ha ragione. Non c'è niente <strong>che</strong> potresti fare da solo e se vieni<br />

con noi arriverai in un solo pezzo, almeno. Tua moglie è con te?»<br />

«No. L'ho lasciata a casa. Con i miei figli.»<br />

«Bene, speriamo di trovarli vivi e in buona salute. Cosa è<br />

successo fino a ora?»<br />

Fu Pico a rispondermi. «Non lo sappiamo con certezza. Una<br />

delle nostre pattuglie è finita in un'imboscata...»<br />

Lo interruppi. «Questo l'ho già saputo. Probabilmente sono stati<br />

imprudenti, non hanno pensato <strong>che</strong> ci fosse pericolo. Quindi non<br />

sappiamo quanti razziatori ci sono?»<br />

«No. Ma dobbiamo presumere <strong>che</strong> siano in forze. Possono


essere venuti solo dalla costa meridionale, via terra per un'altra<br />

strada sarebbero stati visti e ce l'avrebbero riportato. E se si fidano a<br />

venire così all'interno devono essere irritanti.»<br />

«È una lunga marcia, hai ragione. Devono essere un esercito.<br />

Allora <strong>che</strong> misure dobbiamo prendere?»<br />

«È stata indetta un'adunata generale.» Era Plauto a parlare. «Se<br />

la risposta è rapida come nelle esercitazioni, i nostri uomini<br />

dovrebbero essere radunati entro mezz'ora.»<br />

«Entro mezz'ora da adesso?»<br />

«No. Da quando è stata fatta la convocazione.»<br />

«E poi?»<br />

«<strong>La</strong> proprietà di Sulla è a sud-ovest rispetto a noi, a circa tre ore<br />

di distanza a marce forzate, di notte.»<br />

«Pico?»<br />

Quando pronunciai il suo nome si girò verso di me. «Hai tu il<br />

comando, Varro.»<br />

«Scioc<strong>che</strong>zze. Sei tu il legato in servizio attivo. Ho combattuto<br />

abbastanza a lungo al fianco di tuo padre per avere fiducia in suo<br />

figlio. Sei disposto a comandare la nostra cavalleria?»<br />

«Con piacere!» Guardò suo padre <strong>che</strong> gli fece un cenno di<br />

approvazione.<br />

«Generale? Qual<strong>che</strong> suggerimento su come possiamo affrontare<br />

la situazione?»<br />

Scosse la testa. «No, Publio. I nostri uomini si sono addestrati a<br />

questo per anni. Adesso possiamo appurare il valore dei nostri<br />

metodi. Pico, la fanteria seguirà la tua cavalleria a marce forzate.<br />

Non dovrebbero essere molto lontani dietro di voi quando<br />

arriverete. Come vuoi <strong>che</strong> siano schierati gli uomini?»<br />

Pico era immerso nei suoi pensieri, con gli occhi fissi su Vegezio<br />

Sulla <strong>che</strong> si stava strofinando le mani come se le stesse lavando,


completamente fuori di sé per l'ansia di andar via. «Vegezio» disse.<br />

«Non vedo la tua casa da quando ero un ragazzo, ma ricordo un<br />

campo aperto a nord-est rispetto agli edifici principali. C'è ancora?»<br />

Vegezio annuì. «E confida a nord con un bos<strong>che</strong>tto? E con il fiume?»<br />

Vegezio annuì. «Bene.» Pico si girò verso di noi. «Varro e io<br />

prenderemo la cavalleria e gireremo a sud, tagliando la strada da<br />

dove è venuta quella gente. Poi svolteremo e li attac<strong>che</strong>remo all'alba,<br />

spingendo il nemico a nord, lontano dalla fattoria.<br />

Vegezio, tu ci porterai a casa tua per la via più breve. Ti<br />

lasceremo lì ad attendere Plauto e la sua fanteria. Abbi cura <strong>che</strong> si<br />

nascondano tra i boschi e <strong>che</strong> restino lì acquattati, fino a quando<br />

cominceremo a spingere quella gente tra le loro braccia aperte. Poi,<br />

quando verrà il momento, disponi le tue linee in campo aperto e<br />

schiacceremo questi pidocchi tra l'incudine e il martello.»<br />

Malgrado la gravità della situazione mi sorpresi a sorridere per<br />

il paragone. Mi riportava alla mente lontani ricordi. Pico, nel<br />

frattempo, aveva ripreso a parlare.<br />

«Dobbiamo improvvisare con quello <strong>che</strong> abbiamo, signori. Fino<br />

a quando non conosceremo la forza del nemico, non saremo in<br />

grado di disporre efficacemente le nostre truppe, ma abbiamo il<br />

martello della cavalleria e l'incudine della fanteria, e il nemico, per<br />

quanto forte sia, non sa <strong>che</strong> esistono. Perciò andiamo a presentarci.»<br />

Britannico mi fermò mentre uscivo dalla stanza. «Devo dirti una<br />

parola, Varro.»<br />

«Generale?»<br />

Mi sorrise, con un sorriso triste. «Non più, amico mio. Malgrado<br />

il mandato di Stilicone, sono diventato vecchio di colpo, troppo<br />

vecchio per andare in guerra.»<br />

«Ma non per pianificarla.»<br />

«No, mai troppo vecchio per quello. Publio, guarda mio figlio<br />

per me. Credo <strong>che</strong> sia capace come tutti dicono. Tu sarai il mio


giudice.»<br />

«Non preoccuparti, Caio. Hai generato un imperator. Glielo si<br />

legge negli occhi. È proprio come eri tu, trent'anni fa.» Gli feci il<br />

saluto militare e lo lasciai, con il cuore pesante per la separazione. <strong>La</strong><br />

cavalcata verso sud fu infernale. Il terreno era alberato se non ci<br />

fosse stato Vegezio Sulla in persona a guidarci avremmo dovuto<br />

prendere la strada più lunga nel buio della notte. Lui invece ci guidò<br />

per la campagna attraverso sentieri appena praticabili. Era una notte<br />

nuvolosa con un vento forte e caldo e la luna piena. Quando<br />

eravamo in zone aperte la luce della luna, se non era coperta dalle<br />

nuvole, mostrava chiaramente i campi, ma nell'oscurità dei boschi<br />

l'avanzata era un incubo e gli uomini venivano continuamente<br />

sbalzati di sella da rami invisibili. Ci vollero più di due ore per<br />

arrivare alle terre di Sulla. Un tetro, rosso chiarore lampeggiava in<br />

lontananza. Vegezio alzò un braccio per fermarci e si giro verso Pico<br />

e me.<br />

«Siamo a circa due miglia dalla fattoria principale, <strong>che</strong> sta<br />

bruciando. Quel grande chiarore a sinistra.» <strong>La</strong> sua voce risuonava<br />

come morta e io mi trovai ad ammirare il suo disciplinato<br />

autocontrollo nel non pretendere <strong>che</strong> caricassimo subito. Ma le<br />

parole successive mi mostrarono la vera tempra di quell'uomo.<br />

«Penso <strong>che</strong> ormai mia moglie e i miei figli siano morti. Se ho ragione<br />

voglio vendicarmi di quelli <strong>che</strong> li hanno ammazzati. Di tutti, non<br />

solo di quei pochi <strong>che</strong> potremmo prendere se caricassimo adesso. Se<br />

invece la mia famiglia è prigioniera, allora per il momento sono<br />

relativamente al sicuro e stanno dormendo. Ogni danno fatto loro è<br />

già stato fatto da tempo. Avrò la mia vendetta an<strong>che</strong> per questo.»<br />

Fece una pausa, seduto in silenzio sul suo cavallo, prima di<br />

proseguire.<br />

«C'è una strada, proprio qui davanti a noi, un sentiero agricolo<br />

<strong>che</strong> corre da destra a sinistra, da ovest a est. Se portate i vostri<br />

uomini a est, tra circa due miglia arriverete a una biforcazione. Lì


prendete la strada verso sud. Porta al pascolo attraverso le colline.<br />

<strong>La</strong> strada finisce all'ingresso del pascolo, ma se tenete la destra e<br />

seguite la linea degli alberi arriverete ai campi aperti sulla vostra<br />

destra circa tre miglia più avanti. Potete radunarvi lì. Sarete solo a<br />

due miglia dagli edifici e nessun ostacolo bloc<strong>che</strong>rà la vostra<br />

avanzata.<br />

Io porterò la fanteria di Plauto lungo questa strada verso ovest,<br />

quando arriverà. Ci vorrà un'ora perché ci mettiamo in posizione, e<br />

adesso dovrebbero trovarsi a un'ora circa dietro di noi, non di più.<br />

Quindi dovremmo essere schierati un'ora prima dell'alba, e allora<br />

voi dovreste essere pronti, con gli uomini e i cavalli riposati.<br />

Cominciate il vostro attacco quando volete. Noi vi aspetteremo.»<br />

Il cavallo di Pico alzò la testa e si agitò nervosamente, spingendo<br />

il mio, <strong>che</strong> arretrò, disarcionandomi quasi. Io lo costrinsi con furia al<br />

suo posto. Vegezio guardò entrambi i cavalli.<br />

«Un'altra cosa. Io non dormo bene la notte. Spesso esco da solo<br />

quando tutti dormono, e ho notato <strong>che</strong> se una volpe latra o una<br />

civetta grida su quelle colline a est dove state andando, il rumore si<br />

sente come se fossero subito dietro gli edifici. Non so perché, ma il<br />

suono viaggia incredibilmente veloce da lassù, perciò fate<br />

attenzione.»<br />

«Grazie per l'avvertimento» disse Pico. «Faremo attenzione a<br />

non fare rumore.»<br />

«Comunque stanotte non ci sentirà nessuno,» dissi e subito<br />

dopo avrei voluto morsicarmi la lingua.<br />

«No» disse Vegezio, con la faccia priva di espressione. «Il<br />

rumore dell'incendio dovrebbe coprire ogni cosa, ma non è un buon<br />

motivo per correre rischi.»<br />

«No, hai ragione. Non ne correremo.» Mi sentivo male e<br />

maledicevo mentalmente la mia boccaccia. «Vegezio, vorrei poter<br />

dire o fare qualcosa.»


«Cosa potresti dire? Cosa potresti fare, Varro? Cosa potresti fare<br />

per cambiare la situazione?» Sorrise amaramente, il suo volto<br />

sembrava quello di un fantasma alla luce della luna. «Cosa avrei<br />

potuto fare se fossi stato a casa? A quest'ora sarei morto con la mia<br />

famiglia. Almeno così avrò la mia vendetta.»<br />

Mi sporsi verso di lui e gli strinsi una spalla, poi mi girai verso<br />

Pico. «È meglio <strong>che</strong> andiamo.»<br />

«Sì, hai ragione. Sulla, amico, non c'è niente <strong>che</strong> possa dire per<br />

alleviare il tuo dolore, ma possiamo offrirti vendetta, per quello <strong>che</strong><br />

vale, sulla testa dei tuoi nemici. Addio.»<br />

Passai parola attraverso i ranghi e ci allontanammo. Dopo ;<br />

appena un quarto di miglio trovammo il sentiero carreggiabile e lo<br />

seguimmo finché raggiungemmo la diramazione. Lì svoltammo<br />

verso sud, seguendo i solchi delle ruote nel terreno calcareo, finché<br />

cominciammo a salire. Mentre salivamo l'erta, il vento cominciò a<br />

calare. Pico mi fermò e fece segno a uno dei due uomini <strong>che</strong><br />

cavalcavano immediatamente dietro di noi. L'uomo ci raggiunse<br />

dove lo aspettavamo. «Generale?»<br />

«Il vento è calato. Prima soffiava da destra, portando il nostro<br />

rumore lontano dal nemico. Adesso, da un momento all'altro,<br />

cominceremo a sentire l'odore del fumo <strong>che</strong> sale dagli edifici in<br />

fiamme. Non sarà piacevole. Passa parola di coprire le narici dei<br />

cavalli. Non vogliamo svegliare nessuno con il rumore dei nitriti. E<br />

di' agli uomini di andare più adagio. Non voglio rumori, è chiaro?»<br />

«Sì, generale.»<br />

«Bene. Assicurati <strong>che</strong> sia ugualmente chiaro a tutti quelli a cui lo<br />

dici, e vedi di dirlo a ognuno!»<br />

Riprendemmo a muoverci, cavalcando in fila per due,<br />

abbastanza adagio perché i nostri cavalli affrontassero facilmente la<br />

salita. Io avevo legato un fazzoletto sopra il muso di Germanico e<br />

Pico aveva coperto il muso del suo cavallo con un pezzo di stoffa.


Cavalcammo in silenzio finché Pico parlò.<br />

«Il mio cuore piange per il povero Sulla. Deve essere un<br />

purgatorio aspettare, a due miglia da casa, senza sapere se i suoi cari<br />

sono vivi o morti.»<br />

«Sì» risposi. «Io non so se lo sopporterei con tanto stoicismo,<br />

date le circostanze. Mi strazia an<strong>che</strong> solo cercare di immaginarlo e<br />

soltanto Dio sa <strong>che</strong> cosa sta attraversando lui, sapendo <strong>che</strong> tutto<br />

questo è proprio la realtà.»<br />

Cavalcammo in silenzio per un po', e poi fu di nuovo Pico a<br />

parlare.<br />

«Da dove pensi <strong>che</strong> siano venuti, Varro?»<br />

«Mi sto scervellando a pensarci. Devono essere venuti da sud.»<br />

«Sì, ma questo <strong>che</strong> cosa vuol dire? Trenta miglia? Quaranta?»<br />

«Come minimo, forse di più.»<br />

«Nell'entroterra, Varro? Non ha senso. Perché così lontano? In<br />

quasi ogni altro punto della costa avrebbero incontrato una città o<br />

un villaggio nel raggio di venti miglia. Il loro capo deve avere delle<br />

palle di ferro. Quaranta miglia in un territorio ostile è davvero un<br />

grosso rischio.»<br />

«Potrebbero non venire dal mare.» Girò la testa per guardarmi.<br />

«Cosa intendi dire?»<br />

«Potrebbero essere dei fuorilegge.»<br />

«Ribelli? Provenienti da dove, in nome di Dio?» Mi strinsi nelle<br />

spalle. «Non ne ho idea, Pico, ma so <strong>che</strong> ci sono piccoli gruppi di<br />

fuorilegge qui intorno. Mi sono imbattuto in un gruppo la prima<br />

volta <strong>che</strong> sono uscito dalla villa di tuo padre, prima <strong>che</strong> diventasse<br />

la Colonia. Ma è stato molto tempo fa. Forse sono diventati più forti<br />

e si sono organizzati.»<br />

«Ma da dove vengono?»<br />

«Da dove vengono dei disperati? Potrebbero essere disertori.


Potrebbero essere contadini <strong>che</strong> hanno perso le loro fattorie, o<br />

abitanti di villaggi le cui case sono state distrutte, chi può saperlo?»<br />

«Per il Cristo vivente! Se sono dei disertori li crocifiggerò uno<br />

per uno, vivi o morti!»<br />

«Oppure potrebbero essere venuti giù da nord-ovest, attraverso<br />

le colline, dall'estuario, ma è molto improbabile. Quello è il territorio<br />

di Ullic, e i suoi uomini sorvegliano le coste come aquile. Non riesco<br />

a immaginarli attraversare non visti il territorio di Ullic, an<strong>che</strong> se in<br />

gran parte è sottobosco, e zone boscose.»<br />

«Bene, lo sapremo entro po<strong>che</strong> ore.» Avevamo raggiunto il<br />

pascolo in cima alle colline e vedevamo le rovine bruciare nella valle<br />

sotto di noi. In cupo silenzio guardammo la scena avvolta in spire di<br />

fumo.<br />

«Sulla ha detto di tenere la destra e di seguire la linea degli<br />

alberi.» Pico fece girare il cavallo e ci guidò lungo la collina finché la<br />

linea degli alberi sbucò dal buio davanti a noi, coprendo alla vista la<br />

fattoria in fiamme.<br />

Il fumo era pesante adesso, oleoso e acido. Mentre cavalcavamo<br />

lungo la linea degli alberi ogni uomo nelle nostre file cominciò a<br />

prepararsi per quello <strong>che</strong> ci attendeva. Stavamo avvicinandoci alla<br />

battaglia. Meno di un'ora dopo avevamo doppiato la fila degli alberi<br />

e ci trovavamo in campo aperto. Ci eravamo liberati del fumo, e gli<br />

edifici bruciavano ora alla nostra destra. Pico ci condusse all'aperto,<br />

proprio a fianco della villa <strong>che</strong> bruciava, ordinò di fermarci e chiamò<br />

di nuovo il suo uomo.<br />

«Di' agli uomini di smontare e di sgranchirsi le gambe. Che<br />

abbeverino i cavalli. Tra meno di un'ora albeggerà. Allora<br />

attac<strong>che</strong>remo. Non voglio sentire nessun rumore. Che nessuno parli.<br />

Quella gente potrebbe avere delle sentinelle, perciò non dobbiamo<br />

correre rischi. Chiaro? Spargi la voce e poi torna da me.»<br />

Nel saluto l'armilla d'argento dell'uomo picchiò contro la


corazza. «Sì, generale.»<br />

«Bene. <strong>La</strong> prossima volta saluta più silenziosamente.»<br />

«Sì, generale.»<br />

Non appena l'uomo se ne fu andato, Pico passò la gamba sopra<br />

la testa del suo cavallo e scese a terra. Io feci la stessa cosa, ma<br />

all'indietro, passando la gamba buona sopra la groppa di Germanico<br />

e aggrappandomi alla criniera, risparmiando così la gamba inferma<br />

lasciandomi scivolare al suolo invece di saltare. Era bello essere di<br />

nuovo in piedi. Le nati<strong>che</strong> mi dolevano.<br />

«Abbiamo centoquattordici uomini, contando an<strong>che</strong> noi, Varro.<br />

Come possiamo usarli al meglio?»<br />

«In qualunque modo tu voglia.» Mi consolò vedere <strong>che</strong> an<strong>che</strong> lui<br />

si massaggiava le nati<strong>che</strong>. «Ma davanti a noi abbiamo un terreno<br />

aperto e una marcia di due miglia fino alla villa. Penso <strong>che</strong><br />

dovremmo sfruttare al massimo il nostro numero facendo vedere<br />

loro <strong>che</strong> siamo in tanti. Devono spaventarsi a morte prima <strong>che</strong> li<br />

raggiungiamo. L'obiettivo è quello di spingerli contro la fanteria.<br />

Suggerisco di attaccare su due file di sessanta o tre file di quaranta.<br />

Forse tre file sarebbero meglio. Dieci passi tra ogni uomo e la stessa<br />

distanza tra ogni fila. In questo modo chiunque ci veda arrivare<br />

penserà <strong>che</strong> siamo centinaia.»<br />

«Penso <strong>che</strong> tu abbia ragione. È la tattica di cui abbiamo parlato<br />

l'ultima volta <strong>che</strong> ho visitato la Colonia. Ci ho fatto lavorare gli<br />

uomini, ma non l'ho mai provata.»<br />

«Nean<strong>che</strong> noi. Ma dovrebbe funzionare. C'è abbastanza spazio.»<br />

«Dunque, tre linee <strong>che</strong> convergono in tre punte di freccia. Lo<br />

sanno fare i tuoi uomini?»<br />

Gli sorrisi. «I corvi sanno volare?»<br />

«Chi guiderà la terza linea?»<br />

«Basso. È il mio ufficiale migliore.»


«Fallo venire qui.»<br />

Nel giro di un quarto d'ora eravamo pronti e le istruzioni erano<br />

state passate tra gli uomini. Era una tattica assolutamente nuova,<br />

ideata in una fredda notte d'inverno da Pico, Tito Armente e me,<br />

apposta per situazioni come quella: terreno aperto, spazio per<br />

manovrare, sorpresa dalla nostra parte e un nemico <strong>che</strong> non aveva<br />

mai incontrato la cavalleria.<br />

Potevamo iniziare l'attacco in tre linee distese di quaranta<br />

uomini ognuna. Ogni linea sarebbe stata scaglionata, in modo <strong>che</strong> il<br />

nemico potesse vedere le truppe della seconda e della terza linea.<br />

Saremmo avanzati prima al passo, poi al piccolo galoppo, poi al<br />

galoppo, per poi caricare, e la manovra sarebbe cominciata. <strong>La</strong><br />

prima fila avrebbe iniziato a convergere sull'uomo all'estrema<br />

sinistra, in questo caso Basso. Nello stesso momento il secondo<br />

rango avrebbe iniziato a convergere sull'uomo all'estremità destra,<br />

cioè verso di me. Due movimenti laterali, uno da sinistra verso<br />

destra, l'altro da destra verso sinistra, e contemporaneamente<br />

l'ultima fila avrebbe dovuto convergere sull'uomo di centro, Pico.<br />

Quando le truppe fossero state al piccolo galoppo, i capi si sarebbero<br />

mossi lentamente da sinistra a destra, calcolando il tempo dei loro<br />

movimenti in modo <strong>che</strong>, mentre avanzavano, ognuno avesse alle<br />

spalle due uomini, questi tre, quelli quattro e così via; solo l'ultima<br />

fila, guidata da Pico, si sarebbe disposta a cuneo direttamente dietro<br />

al suo capo, avanzando in linea retta.<br />

Un nemico <strong>che</strong> ci avesse osservato avrebbe visto ampie linee di<br />

uomini a cavallo <strong>che</strong> si muovevano le une verso le altre e alla fine si<br />

consolidavano in tre formazioni a cuneo di cavalleria pesante,<br />

ognuna capace di fendere qualunque massa di uomini a piedi.<br />

Avrebbe dovuto funzionare, la nostra sola preoccupazione era<br />

<strong>che</strong> la manovra non era mai stata provata in battaglia. Tutto<br />

dipendeva dal tempismo delle manovre, con l'ultima linea, quella di<br />

Pico, <strong>che</strong> diventava il perno dell'intero attacco. Pico doveva


schierare il suo squadrone entro pochi istanti dal completamento<br />

della formazione, per mostrare al nemico una linea compatta di<br />

cavalieri <strong>che</strong> arrivavano alla carica, con tre punte armate contro di<br />

loro.<br />

Una volta <strong>che</strong> questo fosse stato compiuto, la formazione a<br />

punta di freccia sarebbe stata, pensavamo, infinitamente più<br />

versatile contro la fanteria. Era facile da mantenere. Un uomo<br />

all'esterno di uno squadrone doveva solo sapere <strong>che</strong> l'uomo davanti<br />

era a destra, se lui cavalcava a sinistra della formazione, e viceversa<br />

se il suo posto era a destra della punta. Gli uomini all'interno della<br />

formazione si muovevano avanti e poi a destra o a sinistra per<br />

sostituire i caduti dei ranghi esterni. Ogni uomo aveva abbastanza<br />

spazio per lottare e abbastanza protezione all'interno della<br />

formazione per essere al sicuro. Avevamo semplicemente<br />

quadruplicato il tradizionale spazio romano per ogni uomo, per via<br />

dei cavalli.<br />

Come dicevo, avrebbe dovuto funzionare. Mi chiedevo quanti<br />

tra gli uomini dietro di me sospettavano <strong>che</strong> quella era la prima<br />

volta <strong>che</strong> andavo in battaglia come un vero soldato a cavallo.<br />

Nel successivo quarto d'ora la notte divenne nera come la pece.<br />

Non riuscivamo a vedere niente. Poi sentii Pico dire: «Varro, riesco a<br />

vederti!» e allora aprii bene gli occhi e vidi le pallide forme dei<br />

cavalli e degli uomini. Mentre la luce aumentava, Pico diede l'ordine<br />

di montare a cavallo e di formare tre linee.<br />

Qualcuno mi aiutò a salire su Germanico, e presi il mio posto<br />

all'estremità destra della seconda fila. E poi restammo fermi,<br />

guardando l'arrivo dell'alba, in attesa <strong>che</strong> Pico ci desse il segnale, in<br />

attesa dell'inizio del massacro. Da qual<strong>che</strong> parte alla mia destra un<br />

cavallo nitrì piano, e più avanti un altro cavallo gli rispose.<br />

Germanico era irrequieto; gli accarezzai il collo, per calmarlo.<br />

Un'allodola cominciò a <strong>canta</strong>re nel cielo albeggiante, e un'altra la<br />

imitò, e d'un tratto il cielo fu pieno di canti di uccelli.


XXII.<br />

Mi parve <strong>che</strong> ci volessero ore perché la luce diventasse piena,<br />

ma finalmente riuscimmo a vedere gli edifici della villa stagliarsi<br />

nella luce mattutina a meno di due miglia da noi, oltre i campi<br />

aperti. I nostri uomini erano immobili in sella. Sentii il rumore di un<br />

cavallo <strong>che</strong> si avvicinava, mi girai sulla groppa di Germanico e vidi<br />

Pico avanzare verso di me al passo. Aveva un aspetto magnifico nei<br />

suoi colori nero, bianco e argento, sul suo grande morello, e<br />

improvvisamente notai i colori del nostro gruppo. Gli uomini ai due<br />

lati di Pico erano vestiti dei suoi colori, armature nere e tuni<strong>che</strong><br />

bian<strong>che</strong> e tutti e sei montavano dei morelli. I miei uomini<br />

montavano cavalli diversi per manto, ma avevano un aspetto<br />

superbo nei loro colori, scarlatto, bronzo e pelle marrone.<br />

Pico fermò il cavallo vicino al mio. «I tuoi uomini hanno un<br />

ottimo aspetto, Varro. Non voglio sprecare la prima carica. Voglio<br />

<strong>che</strong> quegli animali laggiù abbiano la grande visione di una carica di<br />

cavalleria romana, perciò aspetteremo un po' più a lungo in modo<br />

<strong>che</strong> non manchino di vederci.»<br />

«Si tratta di una cavalleria romano-britannica, Pico, ma capisco<br />

il tuo scopo.»<br />

«Romano-britannica, ovviamente. In ogni caso, penso <strong>che</strong><br />

adesso sia abbastanza chiaro. Torno al mio posto e faccio suonare<br />

l'avanzata. Dove sono i tuoi trombettieri?»<br />

«Uno è dietro di me alla mia sinistra e uno è con Basso<br />

all'estremità della prima linea.»<br />

«Eccellente. I tuoi uomini raccoglieranno la mia chiamata?»<br />

«Certo, la stanno aspettando.»<br />

Lo guardai riportare il cavallo lentamente in posizione, al centro<br />

dell'ultima linea, salutando i soldati mentre passava, e quando


iprese il suo posto riportai lo sguardo sulla villa, ansioso di vedere<br />

qual<strong>che</strong> movimento.<br />

Quando risuonò il rauco richiamo della tromba d'ottone, subito<br />

ripreso dai nostri trombettieri, vidi l'uomo nella fila di fronte<br />

spronare il cavallo, e attesi finché raggiunse una distanza di circa<br />

cinquanta passi, poi incitai Germanico e lo sentii muoversi sotto di<br />

me; guardai a sinistra per vedere se la mia fila era a posto, e nessun<br />

uomo avanzava in fuori rispetto a me. Lo spazio tra le linee era<br />

cruciale; bastava <strong>che</strong> fossero troppo vicine una all'altra, e i ranghi<br />

avrebbero potuto entrare in collisione, spostandosi per mettersi in<br />

formazione. Ma i miei uomini erano perfetti.<br />

Avanzammo per circa duecento passi e poi spinsi Germanico al<br />

trotto, e vidi l'uomo davanti a me spostarsi a sinistra, dirigendosi<br />

verso il suo punto nella formazione. Il rumore degli zoccoli<br />

diventava più forte con l'aumentare del ritmo dell'andatura.<br />

Guardai al di sopra della spalla e vidi il trombettiere, <strong>che</strong> prima era<br />

alla mia sinistra, cavalcare vicinissimo a me, proprio dove doveva<br />

essere. Per ora andava tutto bene. <strong>La</strong> punta della freccia si formava<br />

secondo il nostro piano, proprio come l'avevamo provata per tante<br />

volte sul campo marzio. Guardai di nuovo in avanti. <strong>La</strong> fila di fronte<br />

a me era avanzata verso sinistra, manovrando bene. Mi guardai alle<br />

spalle, resistendo al desiderio di accelerare. <strong>La</strong> coda della mia fila<br />

stava adesso svuotando il centro della linea di avanzamento,<br />

dirigendosi obliquamente verso di me, e io vidi avanzare il bianco e<br />

nero della punta di Pico. Adesso era il momento di aumentare la<br />

velocità. Allentai leggermente le redini e Germanico aumentò<br />

l'andatura fino a un piccolo galoppo.<br />

<strong>La</strong> villa era a meno di un miglio di distanza e vedevo uomini<br />

correre qua e là, speravo in preda al panico. <strong>La</strong> mia formazione era<br />

completata; un compatto cuneo di uomini e cavalli cresceva dietro di<br />

me. Basso, davanti a me, a sinistra, era ugualmente in formazione. Il<br />

rumore degli zoccoli era molto forte; sentii un fragore a sinistra,


quando Pico al galoppo portò il suo cuneo all'altezza del mio. Strinsi<br />

forte le ginocchia, allentai le reclini e sentii Germanico balzare In<br />

avanti, per eguagliare nell'andatura il grande morello di Pico, finché<br />

fummo a fianco della colonna di Basso all'estrema sinistra, e tutti e<br />

tre i cunei stavano caricando ventre a terra. Strinsi contro il petto la<br />

maniglia dello scudo, prendendo nota mentalmente di cambiarne la<br />

forma per renderlo meno ingombrante. Cavalcavo senza sforzo,<br />

esultavo per la potenza crescente del cavallo tra le mie gambe,<br />

godevo del fragoroso rumore dell'avanzata, sentivo sulla testa la<br />

leggerezza dell'elmo di pelle, e desiderai avere la lancia <strong>che</strong> Equo<br />

odiava tanto mentre sentivo la faretra piena di frecce sbattermi<br />

contro la schiena.<br />

Davanti a noi vedevo uomini correre in ogni direzione, ma<br />

soprattutto lontano da noi. E poi, del tutto inatteso, vidi un gruppo<br />

di cavalieri uscire da una costruzione <strong>che</strong> non era stata incendiata.<br />

Dovevano essere una decina e galoppavano ventre a terra, lontano<br />

da noi, alla mia destra, verso est. Alzai gli occhi per vedere se Pico li<br />

aveva visti. Li aveva visti e mi faceva cenno di inseguirli. Alzai il<br />

braccio libero e diressi il mio cavallo verso destra.<br />

Sentii il rumore del mio squadrone <strong>che</strong> mi seguiva mentre<br />

curvavo verso est per intercettare il nemico in fuga.<br />

Erano un quarto di miglio davanti a noi e i loro cavalli erano<br />

completamente riposati, mentre i nostri si erano agitati per tutta la<br />

notte e avevano già corso per un miglio e mezzo, eppure prima di<br />

aver percorso un altro miglio potevamo dire di averli raggiunti,<br />

avendo ridotto il distacco a meno di cento passi.<br />

Guardai oltre le spalle e scoprii, costernato, <strong>che</strong> il mio squadrone<br />

era rimasto indietro, e quando guardai di nuovo davanti, i<br />

fuggiaschi erano scomparsi dietro la sommità di una collina. Allora<br />

sentii il mio grande Germanico barcollare, e seppi di aver raggiunto<br />

il limite della sua resistenza. Furente smisi di spronarlo, e lo lasciai<br />

rallentare secondo il suo ritmo. Quando giunsi in cima alla collina


stava andando al passo, e il suo respiro saliva in grandi sbuffi<br />

frementi, mentre i fianchi si dilatavano enormemente. Poi, mentre la<br />

cresta della collina spariva sotto il mio avanzare, vidi i razziatori<br />

galoppare in cerca di salvezza nella foresta lontana, e mi venne<br />

quasi da piangere per la rabbia e la frustrazione.<br />

Sentii un rumore provenire dal basso, guardai e vidi un cavallo<br />

senza cavaliere arretrare e dibattersi cercando di liberarsi dalle<br />

redini <strong>che</strong> si erano impigliate tra i rami di un albero caduto. Non<br />

c'era traccia del suo cavaliere. Sentii i miei uomini arrivare dietro di<br />

me e feci loro segno di fermarsi. Si bloccarono. Esplorai con lo<br />

sguardo il fianco della collina. Niente si muoveva eccetto il cavallo<br />

intrappolato. Pensai <strong>che</strong> avesse inciampato disarcionando il suo<br />

cavaliere, ma poi notai qualcosa di strano nel suo aspetto e compresi<br />

<strong>che</strong> doveva essere un cavallo da carico, perché aveva uno strano<br />

basto assicurato alla groppa. Ecco perché non si vedeva un cavaliere,<br />

perché non ce l'aveva.<br />

Feci segno agli uomini di avanzare, e quando si furono<br />

avvicinati ne feci scendere uno a piedi lungo il fianco della collina<br />

per riportare su l'animale intrappolato. Si fermò a una certa distanza<br />

dal cavallo e si chinò su qualcosa nell'erba alta, e la sua voce sali fino<br />

in cima alla collina, dove guardavamo in groppa ai cavalli.<br />

«Qui c'è un uomo morto, comandante.»<br />

Mandai giù immediatamente due uomini a recuperare il corpo.<br />

Lo sollevarono con sorprendente facilità e lo portarono su, mentre il<br />

primo uomo calmava il cavallo spaventato, lo liberava e lo riportava<br />

su per la collina.<br />

Il corpo fu sbattuto a terra senza cerimonie tra le zampe del mio<br />

cavallo, <strong>che</strong> arretrò innervosito.<br />

«È solo un ragazzo.»<br />

«Sì, comandante. Un ragazzo ricco, chiunque fosse. Guarda i<br />

suoi vestiti.»


«Sto guardando. Ecco, prendi questi.» Porsi loro lo scudo e la<br />

lancia e liberai l'arco dalle spalle, porgendo loro an<strong>che</strong> quello. Passai<br />

la gamba sopra la groppa di Germanico e scesi a terra, dove mi<br />

inginocchiai a fianco del ragazzo morto. <strong>La</strong> faccia era graffiata in<br />

malo modo, ma c'era poco sangue e la testa ricadeva di lato in modo<br />

innaturale. «Si è rotto il collo.»<br />

«Sì, comandante. Si è rotto an<strong>che</strong> la schiena, da come è caduto<br />

quando abbiamo cercato di sollevarlo la prima volta È atterrato su<br />

una roccia compatta di grandi dimensioni, laggiù.»<br />

Il ragazzo era biondo e portava una tunica di pregiata stoffa<br />

azzurra. Aveva una collana d'oro e dei robusti stivali di pelle. Sopra<br />

la tunica portava quella <strong>che</strong> sembrava una camicia di metallo<br />

allacciata al collo, composta di migliaia di piccoli anelli di metallo<br />

sormontati. Allungai la mano, disfeci la stringa <strong>che</strong> la legava al collo<br />

e infilai le dita dentro la camicia.<br />

Era foderata di soffice, morbida pelle, sulla quale erano stati<br />

cuciti gli anelli. Era stupefacente, molto più bella di quella lasciatami<br />

da nonno Varro con i suoi tesori molti anni prima. <strong>La</strong> loro arte era<br />

progredita. Mi rialzai.<br />

«Non può avere più di quattordici anni, ma era abbastanza<br />

grande per cavalcare in guerra e abbastanza grande per morire.<br />

Strappategli questa tunica e questa camicia e ributtate il corpo dove<br />

lo avete trovato. Non era cristiano, comunque, e avremo abbastanza<br />

gente da seppellire quando arriveremo a casa di Sulla.» Guardai il<br />

cavallo. «Portatelo qui.» Era un animale con ossatura fine, piccolo e<br />

adatto a un adolescente, ma era l'oggetto sulla groppa ad attirare la<br />

mia attenzione. Mi guardai intorno. Tutti fissavano quella cosa. Feci<br />

un passo avanti e l'afferrai, tirandola verso di me. Era una specie di<br />

sella, come avevo immaginato, perché era fissata saldamente, legata<br />

stretta intorno alla pancia del cavallo. Non si mosse quando la tirai.<br />

«Qualcuno sa a <strong>che</strong> cosa serve?» Nessuna risposta. «Qualcuno di<br />

voi ha mai visto una cosa del genere?» Nessuno l'aveva mai vista.


«Sembra una sella, ma somiglia più a una seggiola messa di<br />

lato» disse qualcuno, riferendosi ovviamente all'alto schienale.<br />

«Allora è una seggiola dannatamente piccola» disse un'altra<br />

voce.<br />

«Sì, Bruto, troppo piccola per il tuo grosso culo!» Ci fu un boato<br />

di risate, <strong>che</strong> io interruppi con un brusco movimento della mano.<br />

«Adesso basta! C'è poco da ridere questa mattina. Qualcuno mi<br />

aiuti a risalire a cavallo. E portatelo con voi.» Indicai il cavallo. «Lo<br />

esaminerò più tardi con attenzione. Avete messo al sicuro gli abiti?<br />

Non perdete quella camicia o vi stacco la testa.» Avevano appena<br />

finito di spogliare il ragazzo, e il suo torace appariva bianco e<br />

patetico sulla terra fredda, ma non avevo comprensione da sprecare<br />

per dei razziatori solo perché erano giovani. Come avevo già detto,<br />

se erano abbastanza grandi per andare in guerra, erano an<strong>che</strong><br />

abbastanza grandi per morire. «Liberatevene» dissi, indicando il<br />

cadavere. «Andiamo.»<br />

Appoggiai un piede sulle due mani unite del soldato <strong>che</strong> stava<br />

aspettando per aiutarmi, e lui mi issò fino a dove potei far passare la<br />

gamba sopra al collo di Germanico. Girai bruscamente il cavallo e<br />

mi avviai in direzione della casa di Vegezio. Poco prima <strong>che</strong> la<br />

raggiungessimo mi guardai alle spalle. I miei uomini erano tutti<br />

dietro di me e cavalcavano in fila per due. «Coraggio, animo! Non<br />

abbiamo preso il nemico, ma questo non significa <strong>che</strong> siamo dei<br />

falliti! In formazione!» Feci schioccare le redini e spinsi Germanico al<br />

trotto, e arrivammo alla villa con l'aspetto di un'unità militare.<br />

Trovammo il luogo deserto, a parte qual<strong>che</strong> cadavere sparso. Il<br />

puzzo di legno carbonizzato era terribile. Poi vidi Vegezio. Lo avevo<br />

guardato ed ero passato oltre, senza riconoscerlo, perché la sua<br />

faccia era una mas<strong>che</strong>ra di sangue, ma riconobbi la sua armatura.<br />

Giaceva su un mucchio di paglia sminuzzata alla base di un muro di<br />

pietra. Mi precipitai giù da cavallo e corsi da lui pensando <strong>che</strong> fosse<br />

morto, ma non appena lo toccai mi accorsi <strong>che</strong> era vivo. Qualcosa gli


aveva inferto un brutto colpo, strappandogli la pelle dalla fronte e<br />

lasciandogli un lembo sanguinante sugli occhi. Sollevai il lembo di<br />

pelle e con precisione lo premetti di nuovo al suo posto, sulla fronte,<br />

e immediatamente il suo aspetto migliorò. Non c'era quasi sangue<br />

dentro e intorno agli occhi, ma era privo di conoscenza.<br />

«Catone!» urlai. «Portami la tunica del ragazzo!» Me la portò di<br />

corsa. «Strappane una striscia e legala intorno alla fronte di Vegezio.<br />

Fai in fretta!» Fece quello <strong>che</strong> gli avevo ordinato. «Così va meglio.<br />

Adesso aiutami a spostarlo su quel mucchio di paglia.» Mentre lo<br />

spostavamo mi chiesi oziosamente perché quella paglia non fosse<br />

bruciata, e solo allora mi guardai veramente intorno. <strong>La</strong> maggior<br />

parte degli edifici era intatta. Solo tre di essi erano bruciati: la villa e<br />

altri due. C'era una logica nel fatto <strong>che</strong> le stalle fossero intatte, visto<br />

<strong>che</strong> i razziatori erano a cavallo. Mentre guardavo, Catone parlò.<br />

«Stanno arrivando gli altri, comandante.»<br />

Mi girai e vidi Pico e Basso emergere con le loro truppe dalla<br />

bordura di alberi <strong>che</strong> circondavano il retro del cortile. Ci videro e<br />

galopparono verso di me precedendo i loro uomini.<br />

«È Vegezio?» Pico indicò il movimento vicino al muro.<br />

«Sì. Non è morto, è privo di sensi.»<br />

«Dov'era? Dove lo hai trovato?»<br />

«Proprio qui, contro il muro, ma non chiedermi come ci è<br />

arrivato.»<br />

«Non ne ho bisogno. È venuto a casa da solo precedendo tutti.<br />

Ha guidato la fanteria alla sua postazione e poi è scomparso. Deve<br />

aver cercato di raggiungere la sua famiglia.»<br />

«Già. Beh, non l'ha trovata.»<br />

«Tu cosa hai fatto? Li hai raggiunti?»<br />

Grugnii furioso. «No. Li abbiamo persi. I loro cavalli erano<br />

freschi. Ci hanno lasciato indietro. E tu? Molti problemi?»


Fece un ghigno, senza allegria. «Ha funzionato come<br />

l'incantesimo di un mago. Correvano come bestie, uscivano,<br />

correvano attraverso gli alberi, per scappare qui dietro, dove<br />

pensavano <strong>che</strong> non potessimo seguirli, e sono finiti tutti nelle mani<br />

della fanteria. È stata una carneficina e non abbiamo perso un uomo.<br />

Qualcuno è stato ferito, ma nessuno gravemente.»<br />

«Prigionieri?»<br />

«Diciassette.»<br />

«Quanti erano in tutto?»<br />

«Circa novanta.»<br />

«Hai idea da dove siano venuti?»<br />

«Sì. Sembrerebbero Franchi.»<br />

«Franchi?» Ero sbigottito.<br />

«Sì. Franchi o Burgundi.»<br />

«E i cavalli?»<br />

«I cavalli cosa? Se li sono portati.»<br />

«Sulle imbarcazioni?»<br />

«Evidentemente, a meno <strong>che</strong> non li abbiano fatti venire a<br />

nuoto.» Pico scese da cavallo e cominciò a massaggiarsi le nati<strong>che</strong>.<br />

«Dio, potrei mangiare tanto cibo quanto il mio peso.»<br />

«Come fai ad avere fame, per Ade, con tutto questo sangue? Mi<br />

chiedo dove sia la famiglia di Vegezio. Non è qui. Hai lasciato ordini<br />

alla fanteria per i cadaveri?»<br />

«I prigionieri stanno scavando una fossa per seppellirli.»<br />

«Ci vorrà una fossa profonda per contenere novanta cadaveri.»<br />

«Fatti loro. Non hanno niente di meglio da fare.» Mi girai verso<br />

Basso. «Voglio <strong>che</strong> tu prenda venti dei tuoi uomini migliori e segua<br />

gli uomini <strong>che</strong> sono scappati. Hanno lasciato una traccia chiara.<br />

Trovali e distruggili e poi ritorna alla villa il più in fretta possibile.»


Fece il saluto e partì, agendo in fretta, e io lasciai Pico, <strong>che</strong> si<br />

massaggiava ancora le nati<strong>che</strong>, per dare ordini ai miei uomini. Era<br />

sempre la stessa cosa dopo ogni battaglia, prima l'azione e poi<br />

l'inattività. Quando ebbi organizzato un pasto e messo gli uomini a<br />

ripulire la confusione della fattoria, Pico era già occupato con i suoi<br />

sei uomini, e allora tornai dove adesso Vegezio Sulla veniva curato<br />

da uno dei nostri medici. Quando mi avvicinai aprì gli occhi e mi<br />

guardò e mi riconobbe, e le sue labbra formarono il mio nome<br />

mentre mi inginocchiavo al suo fianco.<br />

«Vegezio, come ti senti?» Una domanda maledettamente<br />

stupida, ma cos'altro puoi chiedere, an<strong>che</strong> se sai la verità?<br />

Le sue palpebre sbatterono, si chiusero, sbatterono di nuovo e si<br />

aprirono. Guardava verso di me adesso. Vidi i suoi occhi mettermi a<br />

fuoco, schiarirsi e poi diventare vitrei. Era la cosa più strana <strong>che</strong><br />

avessi mai visto. Poi disse il mio nome: le sue labbra formavano le<br />

sillabe a fatica. Mi chinai su di lui.<br />

«Cosa?»<br />

«<strong>La</strong> cantina della stalla... cercato di raggiungerli...» <strong>La</strong> sua voce<br />

divenne incomprensibile e si spense, ma aveva detto dove si trovava<br />

la sua famiglia.<br />

Gli presi una mano tra le mie. «Non temere, Vegezio. Sono al<br />

sicuro. Li tireremo fuori.»<br />

Le sue dita si chiusero improvvisamente e convulsamente sulle<br />

mie, e torcendosi nell'agonia. Mi chinai in avanti per stringergli una<br />

spalla, ma la mia mano non lo raggiunse mai, perché<br />

improvvisamente il sangue gli uscì dalle orecchie e dalla bocca, e la<br />

vita sfuggì da lui in un soffio. Rimasi paralizzato a metà del gesto,<br />

colpito dalla rapidità della morte. Il medico inginocchiato dall'altro<br />

lato gli chiuse gli occhi sbarrati nell'agonia.<br />

«Ma <strong>che</strong> cosa è successo?» gli chiesi. «Non era ferito in modo<br />

così grave.»


«Qualcosa deve essergli esploso nella testa, comandante. Ho già<br />

visto cose simili in passato, in conseguenza di brutte ferite alla<br />

testa.»<br />

Abbassai gentilmente la mano di Vegezio Sulla sul suo petto e<br />

cercai una preghiera per lui, ma non la trovai; la mia anima era<br />

vuota. Sentendomi vecchio di colpo mi alzai in piedi con un sospiro<br />

e guardai verso l'ingresso delle stalle. Stella e i suoi bambini<br />

sarebbero emersi dal nero di quella cella in un mondo di luce.<br />

«Catone,» dissi, «prendi due uomini e vieni con me.» Li guidai nella<br />

stalla e cominciai a prendere a calci la paglia sul pavimento.<br />

«Cosa stai cercando, comandante?»<br />

«Una botola nascosta nel pavimento.»<br />

«Da questa parte, signore.» Le mie parole avevano a stento<br />

lasciato le mie labbra quando la risposta arrivò, e tanta velocità mi<br />

fece stringere lo stomaco in un atroce presentimento. Mi girai e vidi<br />

un giovane soldato indicare sul pavimento un'area rettangolare<br />

senza paglia. Mi ci diressi lentamente.<br />

«Aprila.»<br />

Erano tutti morti. Circa venti, tra donne e bambini. Tutte le<br />

donne erano state violentate, indipendentemente dall'età. I bambini<br />

maschi erano nello strato più basso del mucchio. Erano stati uccisi e<br />

buttati dentro la botola, e poi le donne e le ragazze erano state<br />

violentate, ammazzate e buttate sopra di loro. <strong>La</strong> moglie di Sulla,<br />

Stella, giaceva contorta in cima al mucchio, nuda, insanguinata e<br />

contusa, ma ancora riconoscibile. Gli occhi sbarrati, spenti e vitrei mi<br />

fissavano accusatori. Mi tornò in mente la faccia del ragazzo morto<br />

sulla collina, e mi chiesi se aveva preso parte a tutto questo.<br />

Indietreggiai dall'orrore della visione, lottando con il vomito <strong>che</strong><br />

mi saliva in gola, finché il bordo della botola mi impedì la visuale e<br />

non dovetti più guardare nell'Ade. <strong>La</strong> mia mente cercava di<br />

ricostruire quello <strong>che</strong> era successo. Forse non avevano pensato di


lasciare qualcuno fuori per coprire la botola con la paglia. O forse<br />

uno dei bambini aveva fatto rumore e lo avevano sentito. O un<br />

ritardatario era stato visto e seguito? Nessuno lo avrebbe mai<br />

saputo, ma li avevano scoperti e il rifugio era diventato la loro<br />

tomba.<br />

Sentii il rumore liquido di qualcuno <strong>che</strong> vomitava e mi resi<br />

conto <strong>che</strong> durava già da un po', ma invece di spingermi a un analogo<br />

conato quel suono mi indurì dentro. Girai sui tacchi e uscii dal luogo<br />

della carneficina, strizzando gli occhi nel chiarore del mattino.<br />

Chiamai il primo soldato <strong>che</strong> vidi e gli dissi di trovare in fretta il<br />

legato Pico, e poi rimasi lì in piedi a guardarmi intorno nel cortile,<br />

con gli occhi socchiusi, non ancora abituati al chiarore del sole dopo<br />

l'oscurità della stalla. Persi la nozione del tempo, così sprofondato<br />

nei miei pensieri <strong>che</strong> non sentii Pico avvicinarsi, e la sua voce mi fece<br />

trasalire.<br />

«Qual è il problema, Varro?»<br />

Puntai il pollice oltre la spalla, verso l'entrata della stalla. «Dai<br />

un'occhiata tu stesso, ma preparati. Non è piacevole.» Quando tornò<br />

indietro la sua faccia era bianca.<br />

«<strong>La</strong> moglie di Sulla è tra loro?»<br />

«È quella in cima al mucchio. Deve essere stata l'ultima a<br />

morire.»<br />

Era visibilmente scosso, e per un po' di tempo nessuno dei due<br />

parlò. Una squadra di soldati si avvicinò alle porte della stalla,<br />

portando dei secchi. Pico li fermò.<br />

«Dove state andando?»<br />

«Il centurione ci ha mandato a prendere un po' di avena,<br />

generale.»<br />

«Tu!» Pico indicò quello <strong>che</strong> aveva parlato. «Torna indietro e di'<br />

al centurione <strong>che</strong> la tua squadra è stata requisita da me per un<br />

comando speciale. Il resto di voi metta giù quei secchi e si divida in


due gruppi, uno di guardia a questa porta e l'altro di guardia alle<br />

porte sul retro. Nessuno deve entrare in questo edificio senza il<br />

permesso mio o del comandante Varro. Muoversi!» Si girò di nuovo<br />

verso di me. «Camminiamo.»<br />

Attraversammo il cortile fianco a fianco e la nostra presenza<br />

ebbe un chiaro effetto sugli uomini, <strong>che</strong> uno dopo l'altro<br />

diventavano molto più coscienziosi in qualsiasi cosa stessero<br />

facendo. Li ignorammo e camminammo in silenzio, finché Pico<br />

parlò.<br />

«Dobbiamo seppellirli, suppongo. Non possiamo riportarli con<br />

noi.»<br />

«E perché mai dovremmo farlo, Pico? Sono morti.»<br />

Scosse la testa. «Sarà un trauma per la Colonia. È la prima volta<br />

<strong>che</strong> venite attaccati direttamente?»<br />

«No» gli risposi. «<strong>La</strong> seconda. Ma è la prima volta <strong>che</strong> veniamo<br />

colpiti così duramente. E da questa direzione.»<br />

«Cosa dobbiamo fare?» C'era un tono strano nella sua voce <strong>che</strong><br />

mi fece girare a guardarlo. Pico notò la mia espressione e proseguì.<br />

«È la novità della situazione <strong>che</strong> mi turba, zio. Questo non è militare.<br />

Non in senso proprio. Queste persone sono civili. E sono la mia<br />

gente, la gente tua e di mio padre. Sono abituato a trattare le perdite<br />

in modo impersonale, ma questi erano amici di zia Luceia. <strong>La</strong> guerra<br />

è arrivata molto vicina a casa, d'un tratto.»<br />

«Sì, ragazzo, so cosa vuoi dire. Ma non lasciare <strong>che</strong> questo ti<br />

renda cieco sui fatti accaduti, <strong>che</strong> sono militari, <strong>che</strong> tu lo accetti<br />

oppure no. Questa è la più esterna delle nostre proprietà ed è troppo<br />

lontana dalla fattoria principale: un fatto <strong>che</strong> oggi è stato<br />

tragicamente dimostrato. Come fattoria è ormai inutilizzabile, ed è<br />

un altro fatto, conseguente al primo. Dovremo ridefinire i confini,<br />

ridurre le proprietà e riorganizzare le nostre forze per difendere ciò<br />

<strong>che</strong> vogliamo conservare. Questo è un altro fatto.


Gli animali <strong>che</strong> hanno fatto questo avevano la copertura della<br />

cavalleria. An<strong>che</strong> questo è un fatto, e altera l'intero concetto delle<br />

forze <strong>che</strong> ci stanno attaccando. Significa <strong>che</strong> il nemico, almeno in<br />

parte, è mobile quanto noi. Da questo momento in poi dovremo<br />

tenerlo in debito conto. Sono tutti fatti, Pico, tutte realtà militari, e<br />

nessuna di loro positiva. Dobbiamo tornare alla Colonia il più in<br />

fretta possibile e allertare il Consiglio. Dobbiamo definire delle<br />

nuove priorità per la nostra espansione e la nostra difesa.»<br />

«Cosa facciamo per la sepoltura delle vittime?» <strong>La</strong> sua faccia era<br />

priva di espressione.<br />

«Sono già nella loro tomba, ragazzo. Metteremo Vegezio accanto<br />

a sua moglie e ai suoi figli e bruceremo questo posto sopra di loro.<br />

Come martiri della Colonia sarà una sepoltura appropriata.»<br />

«Hai ragione, zio, come sempre. Me ne occuperò.»<br />

«Aspetta. Riunisci tutti gli uomini, fanteria e cavalleria, per fare<br />

la guardia d'onore al funerale. Devono sapere <strong>che</strong> cosa facciamo e<br />

perché. E porta an<strong>che</strong> i prigionieri. Verranno messi a confronto con<br />

le loro atrocità e giustiziati.» Aprì la bocca per parlare, ma lo<br />

interruppi. «Nessuna discussione, Pico. Devono morire.»<br />

Annuì, dopo aver considerato il mio sguardo per qual<strong>che</strong><br />

istante. «Come devono morire?»<br />

«Dovrei crocifiggerli, quei porci, e se avessi il tempo lo farei. Ma<br />

non ce l'ho.»<br />

«Come, allora?»<br />

«Nel fuoco. Bruceranno. Sembra <strong>che</strong> adorino un dio del fuoco.<br />

Adesso lo incontreranno faccia a faccia.» Pico mi fissò per lo spazio<br />

di dieci battiti del cuore, e poi parlò a voce bassa.<br />

«Sei un uomo più duro di quanto credessi, Publio Varro.»<br />

Parlai per la collera <strong>che</strong> provavo. «Vegezio Sulla era mio amico.<br />

Sua moglie era una donna gentile, buona, piena di dignità e di pace.


Hai visto come hanno abusato di lei. Devono bruciare.»<br />

«Così sia. Bruceranno.»<br />

«Sembri ancora incerto. <strong>La</strong> tua coscienza ti disturba?»<br />

«Non lo so, zio. Forse sì. Meritano di bruciare, ma bruciarli vivi<br />

non mi sembra cristiano.»<br />

«Ricorda il tuo amico Pelagio, Pico. Libertà di scelta e<br />

responsabilità personale. Secondo me questa è la sola strada ora<br />

disponibile per uomini veramente di coscienza. Non abbiamo a <strong>che</strong><br />

fare con dei cristiani. Porgi l'altra guancia a gente come questa, come<br />

dicono i preti, e saremo morti entro l'anno. Il vecchio Dio del<br />

testamento ebraico, con il suo occhio per occhio, dente per dente,<br />

adesso va meglio del mite Cristo. Io scelgo il suo sistema, e sono<br />

pronto a prendermi la responsabilità della sopravvivenza del nostro<br />

popolo.»<br />

«Sì. Hai ragione.» Ora c'era convinzione nella sua voce. «Me ne<br />

occuperò. Ma cosa facciamo della fossa <strong>che</strong> stanno scavando per gli<br />

altri?»<br />

«Interrompi il lavoro. <strong>La</strong>scia <strong>che</strong> marciscano all'aperto. Nessuno<br />

dei nostri sarà qui a sentire la puzza. Riunisci gli uomini. Li faremo<br />

marciare a fianco della fossa e mostreremo loro <strong>che</strong> cosa è stato fatto<br />

qui, poi faremo loro vedere l'applicazione della giustizia,<br />

nell'esecuzione dei criminali sulla pira delle loro vittime.»<br />

E così fu fatto.


XXIII.<br />

<strong>La</strong> cavalcata di ritorno alla Colonia fu lunga e silenziosa.<br />

Ognuno aveva molti pensieri <strong>che</strong> agitavano il proprio animo, e il<br />

fumo nero della pira della famiglia di Sulla gravava su di noi, an<strong>che</strong><br />

se ce l'eravamo lasciato alle spalle. Quando arrivammo, Pico e io<br />

andammo subito a incontrare Caio. Ci stava aspettando nello studio<br />

con il vescovo Alarico, <strong>che</strong> era arrivato per una delle sue visite<br />

periodi<strong>che</strong>. Quando entrammo nella stanza i due uomini balzarono<br />

in piedi scrutando i nostri volti. Feci un cenno di saluto e parlai per<br />

primo al vecchio vescovo.<br />

«Avresti dovuto essere con noi, Alarico. Ci sarebbe servito il tuo<br />

aiuto.»<br />

«Per <strong>che</strong> cosa?» <strong>La</strong> voce di Caio era tesa.<br />

«Funerali.»<br />

«È stato brutto?»<br />

«Peggio di quanto tu possa immaginare.» Raccontai loro<br />

l'accaduto e quello <strong>che</strong> avevo trovato nella cantina. Pico non tentò<br />

mai di aggiungere qualcosa, né di interrompermi in alcun modo.<br />

Quando ebbi finito, entrambi i miei ascoltatori erano bianchi in volto<br />

come lo era stato Pico quando era uscito dalle stalle.<br />

«Hai giustiziato i prigionieri?» Questa era la voce di Caio. «Sì.»<br />

Mi guardò negli occhi, e se aveva qual<strong>che</strong> difficoltà ad accettare<br />

le mie azioni non me ne accorsi. Si girò e si allontanò dalla seggiola<br />

di qual<strong>che</strong> passo, con le spalle curve. «Questo cambia ogni cosa»<br />

disse. «Non ci aspettavamo un nemico con la cavalleria. Adesso<br />

dobbiamo pianificare le nostre difese in modo completamente<br />

diverso.»<br />

«Non cavalleria, Caio, solo cavalli.» Si girò e aggrottò la fronte.<br />

«Ho fatto anch'io lo stesso errore, all'inizio, ma quelli <strong>che</strong> abbiamo


incorso non erano cavalieri, erano solo uomini a cavallo. Questo<br />

fatto comunque fa una differenza in termini di mobilità del nemico.<br />

È stato ovviamente l'appoggio di una banda di cavalieri <strong>che</strong> li ha<br />

incoraggiati ad avventurarsi nell'entroterra.»<br />

Il vescovo Alarico non aveva detto niente fino a quel momento.<br />

Si era solo lasciato cadere sulla seggiola, rimanendo a guardare i<br />

nostri tre volti. A questo punto parlò.<br />

«Ma quegli uomini - hai detto <strong>che</strong> erano Franchi? - dove hanno<br />

trovato i cavalli?»<br />

«Non li hanno trovati, Alarico. Li hanno portati con loro.»<br />

«Dalla Gallia? In <strong>che</strong> modo?»<br />

«Sulle imbarcazioni, proprio nello stesso modo in cui Pico ha<br />

portato i suoi.»<br />

«Non puoi fare un paragone del genere» interruppe Caio. «Pico<br />

ha usato delle galere imperiali per il trasporto. Navi grandi. I<br />

Franchi non ne hanno.»<br />

«No, Caio, hai ragione, non ne hanno» dissi. «Ma non ne hanno<br />

bisogno. Noi abbiamo visto solo dieci o dodici uomini a cavallo.<br />

Quella quantità di cavalli poteva facilmente trovare posto in due o<br />

tre imbarcazioni lunghe. Ma non è il numero <strong>che</strong> conta, è il fatto <strong>che</strong><br />

lo facciano. Dobbiamo scoprire dove sono sbarcati e assicurarci <strong>che</strong><br />

nessuno dei loro amici li segua, e se ciò significa il pattugliamento<br />

costante dell'intera linea costiera sudoccidentale, dovremo adattarci<br />

a convivere con questa prospettiva. Pico è d'accordo con me. Ne<br />

abbiamo parlato questa mattina durante il viaggio di ritorno.»<br />

Caio fece una smorfia. «Allora pensi <strong>che</strong> siano venuti dalla costa<br />

meridionale? Per tutto quel tragitto?»<br />

Pico annuì. «Trenta, quaranta, forse cinquanta miglia all'interno,<br />

a seconda della rotta <strong>che</strong> hanno seguito. Sì, lo penso. I cavalli hanno<br />

dato loro la protezione di cui pensavano di aver bisogno, velocità e<br />

mobilità nella ricognizione del territorio. Abbiamo calcolato <strong>che</strong>


fosse una squadra di tre navi, con circa trentatré uomini e tre o<br />

quattro cavalli per imbarcazione.»<br />

«Capisco» disse, e il tono della sua voce lo confermava. «Allora<br />

cosa facciamo adesso?»<br />

Glielo dissi. «Convochiamo il Consiglio per domattina, per<br />

definire alcune nuove priorità.»<br />

«Quali?»<br />

«Decidere quanta terra indifendibile vogliamo abbandonare,<br />

alla luce delle nuove circostanze. Dobbiamo assolutamente<br />

abbandonare alcune ville, an<strong>che</strong> se continueremo a coltivarne i<br />

terreni. Dobbiamo portare qui la gente <strong>che</strong> abita più lontano, per<br />

poterla difendere. E da adesso in poi ogni squadra <strong>che</strong> lavora nei<br />

campi deve essere difesa da una guardia armata.»<br />

Annuì senza parlare, accettando ogni punto <strong>che</strong> citavo. «E poi?»<br />

«Dunque, per tutto il tempo del ritorno ho pensato alle nostre<br />

difese. Penso <strong>che</strong> non appena avremo messo in salvo il raccolto<br />

dovremo concentrarci sul completamento del forte sulla collina.<br />

Dovremo costituire un quartiere generale stabile ed essere pronti a<br />

spostare lassù tutta la nostra gente per poterla mettere al riparo in<br />

poco tempo.»<br />

«Questo è sensato. Pico, sei d'accordo con Publio?»<br />

«Sì, padre, lo sono. Ma ricorda <strong>che</strong> avrete bisogno di una facile<br />

via di entrata e di uscita. Avrete bisogno di una strada, an<strong>che</strong> se solo<br />

dai piedi alla cima della collina.»<br />

«Sì, penso proprio di sì. Dobbiamo poter fare entrare e uscire la<br />

nostra gente in fretta.»<br />

Pico insistette su quel punto. «<strong>La</strong> vostra gente, certo, ma<br />

soprattutto i vostri soldati, a cavallo e a piedi.»<br />

Caio si girò nuovamente verso di me. «Varro, hai ragione,<br />

questa è una faccenda per il Consiglio. Convo<strong>che</strong>rò una seduta di


emergenza stasera.»<br />

«No, Caio» lo interruppi. «Non stasera. Domattina sarà<br />

sufficiente. <strong>La</strong>scia <strong>che</strong> tutti dormano un po'. Anch'io ho qualcosa da<br />

fare, perciò se mi scusate, vado a occuparmene adesso.» Salutai e<br />

lasciai i tre amici, e andai a cercare Luceia per darle la triste notizia.<br />

Mi aspettava nei nostri appartamenti, nella stanza di famiglia, e<br />

la prese meglio di quanto pensassi, an<strong>che</strong> se avrei dovuto avere di<br />

mia moglie un'opinione migliore. Sapendo quanto era vicina a Stella<br />

Sulla e ai suoi bambini mi ero scervellato per trovare il modo più<br />

delicato per darle la brutale notizia, ma non fu necessario dire una<br />

parola. Il semplice fatto di vedermi, benché cercassi di mantenere<br />

un'espressione impassibile, o forse proprio tale impassibilità le<br />

rivelò il peggio, e i suoi occhi si riempirono di lacrime prima ancora<br />

<strong>che</strong> potessi parlare.<br />

«Siete arrivati troppo tardi. È stato atroce?» Annuii, soffrendo<br />

per tale ammissione eppure consapevole <strong>che</strong> mentire sarebbe stato<br />

inutile. Avrebbe comunque saputo la verità dagli altri.<br />

«È stata... Hanno...?»<br />

«Sì. Siamo arrivati troppo tardi. Ho visto il suo corpo. Era stata<br />

violentata, ma non mutilata...» Mi interruppi, rendendomi conto<br />

della vanità delle mie parole. «Comunque,» proseguii, sentendo<br />

l'asprezza di ciò <strong>che</strong> dicevo, «deve essere stata una morte rapida,<br />

perché ho avuto la... l'impressione, molto forte, <strong>che</strong> fosse morta in<br />

fretta.»<br />

«E i bambini?»<br />

«Sono morti tutti, amore, e an<strong>che</strong> Vegezio; ammazzato nel<br />

tentativo di portare soccorso.»<br />

Il respiro le uscì in un soffio, poi si raddrizzò, respirando di<br />

nuovo profondamente. «Povera Stella» mormorò, quasi a se stessa,<br />

ricordando. «Era una donna così gentile e luminosa, come il sole in<br />

primavera.» Luceia girò la faccia dall'altra parte; poi abbassò le


spalle e venne verso di me, appoggiandosi singhiozzante al mio<br />

petto, e io rimpiansi di non essermi tolto l'armatura prima di venire<br />

da lei. Eppure, malgrado tutto il suo dolore, compresi <strong>che</strong> si era<br />

preparata a quella notizia, e <strong>che</strong> era determinata a non lasciarsene<br />

influenzare troppo visibilmente. <strong>La</strong> tenni stretta finché si fu<br />

ricomposta, e poi diventò di nuovo la padrona di casa, raddrizzò le<br />

spalle e mi guardò negli occhi.»<br />

«E gli aggressori? Cosa ne è stato?»<br />

«Li abbiamo presi. Pensiamo <strong>che</strong> fossero Franchi o Galli.<br />

Venivano da sud ed erano stranieri, sconosciuti. Ma da qualunque<br />

luogo venissero non torneranno a casa.»<br />

Corrugò la fronte. «Cosa ne avete fatto?»<br />

<strong>La</strong> guardai, duro come la pietra. «Li abbiamo ammazzati quasi<br />

tutti. Gli altri, li abbiamo bruciati vivi sulla pira funebre di Sulla.»<br />

Spalancò gli occhi, scrutandomi in volto, poi annuì, accettando il<br />

mio giudizio senza fare domande. «Bene» disse, poi si allontanò da<br />

me, abbassando lo sguardo sulla mano <strong>che</strong> frugava in una tasca<br />

della gonna e tirava fuori un fazzoletto.<br />

«Devi essere affamato» disse, asciugandosi il naso. «Quando hai<br />

mangiato l'ultima volta?»<br />

«<strong>La</strong> notte scorsa, prima dell'alba. Ho mangiato un po' del pane e<br />

del formaggio <strong>che</strong> avevo portato con me. E poi non ho avuto più la<br />

forza di mangiare altro. Pico è con Caio e Alarico. An<strong>che</strong> lui deve<br />

essere affamato.»<br />

«Vuoi mangiare adesso?»<br />

«No, amore, non posso. Devo prima occuparmi di Germanico e<br />

parlare con Equo. Se vado subito, in un'ora sarò di ritorno.»<br />

Si sporse e mi baciò. «Vai allora e torna in fretta. Farò avvertire<br />

da Gallo gli inservienti per il bagno, e ci sarà una cena calda ad<br />

aspettarti quando ti sarai lavato e vestito.»


Poco tempo dopo trovai Vittore nelle scuderie, <strong>che</strong> guardava<br />

perplesso l'oggetto tolto dalla groppa del piccolo cavallo franco.<br />

L'oggetto era per terra, e lui ci stava accovacciato vicino e passava il<br />

palmo della mano sulla pelle morbida.<br />

Scivolai giù da Germanico e porsi le redini a uno stalliere, <strong>che</strong> lo<br />

portò alla sua stalla.<br />

«Che cos'è Vittore? Hai mai visto qualcosa di simile?»<br />

Scosse la testa. «No. Che io sia dannato se so cos'è, an<strong>che</strong> se è<br />

una specie di sella.» Fece una pausa, poi fece scorrere di nuovo le<br />

dita sull'oggetto, prendendolo per il bordo più basso e sollevandolo<br />

per valutarne il peso. «Non assomiglia a nessuna sella romana...<br />

come sai, sono fatte di pelle tesa su sottili lastre di bronzo, <strong>che</strong> la<br />

rafforzano. Sono leggere, ma sono oggetti goffi. Ecco perché sono<br />

così pochi gli uomini <strong>che</strong> le usano. Ma questa...» <strong>La</strong> rigirò per<br />

guardarla da sotto. «Guarda qui! Questa cosa è costruita su una<br />

struttura di legno... E guarda qui...» <strong>La</strong> rimise diritta. «Guarda lo<br />

schienale, il modo in cui è sagomato, e lo strano aspetto <strong>che</strong> ha<br />

questa cosa vista dal davanti... Non è stato progettato per portare un<br />

peso! Ha la forma di un sedere! Ma se un uomo ci sale a cavallo, con<br />

il culo schiacciato contro lo schienale, non può più fare nulla. Non<br />

può far girare il cavallo né controllarlo, e attraverso questa cosa non<br />

è possibile neppure stringere i fianchi del cavallo. È troppo spessa.<br />

Troppo pesante e troppo compatta. Un cavaliere schizzerebbe fuori<br />

dall'arcione...» <strong>La</strong> sua voce si spense perplessa e poi riprese. «In ogni<br />

caso questo non è il punto, vero? È troppo piccola per un uomo.»<br />

«Un ragazzo» dissi io. «Il cavaliere era un ragazzo e penso,<br />

malgrado i tuoi dubbi, <strong>che</strong> sia una sella, an<strong>che</strong> se mi chiedo perché<br />

mai qualcuno dovrebbe volere una cosa simile o averne bisogno...»<br />

<strong>La</strong> mia attenzione fu attratta allora da due oggetti pendenti, attaccati<br />

ognuno a un lato della sella. «Che cosa sono quelle cose <strong>che</strong><br />

pendono? Cosa ti sembrano?»<br />

Vittore ne prese una, tirandola verso di sé. Era una larga striscia


di pelle, fissata in alto alla struttura principale, e finiva con un'asola.<br />

Un pezzo di legno piatto, scavato a nicchia a ogni estremità, era<br />

inserito dentro la base dell'asola e la teneva tesa dandole la forma di<br />

un delta.<br />

Vittore la guardò meravigliato per un po', poi disse: «Non ne ho<br />

idea... A meno <strong>che</strong>...» <strong>La</strong> sua voce si affievolì e poi riprese, mentre<br />

l'asola tenuta tesa dal legno ricadeva contro la sella. «Guarda<br />

comandante, se questa cosa è per sedercisi su, se è un tipo di sella -<br />

come la sua forma farebbe pensare, malgrado la logica - allora<br />

nessuno potrebbe salirci con un volteggio. Lo schienale è troppo<br />

alto.» Annuii. «E allora?»<br />

«Allora come fa uno a salire a cavallo? Ti ho visto molte volte<br />

farti aiutare a salire su Germanico, io stesso ti ho fatto da appoggio<br />

qual<strong>che</strong> volta.» Mi fece ondeggiare l'estremità dell'asola sotto il<br />

naso. «Questa cosa potrebbe servire allo stesso scopo: un gradino<br />

per montare a cavallo.»<br />

Lo fissai. «Per Dio, hai ragione, Vittore! Ma perché uno<br />

dovrebbe prendersi tutta questa noia? A meno <strong>che</strong> il ragazzo non<br />

fosse storpio.»<br />

«Lo era?»<br />

Mi strinsi nelle spalle. «Non lo so. Era morto quando lo abbiamo<br />

trovato. Non ho guardato. Aveva il collo rotto e an<strong>che</strong> la schiena.<br />

Nessuno ha fatto attenzione alle sue gambe.»<br />

«Allora potrebbe essere? Perché questa potrebbe essere stata<br />

una bardatura per un ragazzo storpio. Per forza. Probabilmente<br />

aveva poco equilibrio e perciò è caduto.»<br />

Ero stupefatto. Perché qualcuno doveva portare a combattere un<br />

ragazzo zoppo? An<strong>che</strong> se fosse stato il figlio prediletto? Era forse il<br />

figlio del capo, come facevano pensare la collana d'oro e la camicia<br />

di maglia? Ma avevo cose più importanti a cui pensare.<br />

«Non ho tempo per meditare su questi misteri. Fai portare


questa cosa a Gallo e digli di metterla su un cavalletto nell'armeria.<br />

Ci ricorderà un brutale evento.»<br />

<strong>La</strong>sciai Vittore a guardare la bardatura franca, e trovai Equo alla<br />

forgia, <strong>che</strong> lavorava all'aperto sotto il sole del tardo pomeriggio.<br />

Aveva già saputo dei Sulla e voleva chiedermi altre notizie, ma non<br />

ero dell'umore di parlarne.<br />

«Hai concluso qual<strong>che</strong> cosa con il disegno della nuova spada?»<br />

gli chiesi.<br />

Mi portò dentro la fucina e mi mostrò il lungo pezzo di metallo<br />

sul suo tavolo di lavoro. Su un frammento di papiro aveva disegnato<br />

una spada, una spada con una lama lunga il doppio di un gladio e<br />

con un'impugnatura con un forte peso al pomolo per bilanciarla.<br />

«Non ho avuto molto tempo per lavorarci e non ti garantisco <strong>che</strong><br />

funzionerà come vuoi.» Scosse la testa dubbioso. «Sapevo quale<br />

sarebbe stato il problema. Devo inserire abbastanza peso nel pomolo<br />

per controbilanciare quella bastarda lama lunga. Questa cosa sporge<br />

qui davanti come le tette di Rea, ma Rea ha il culo per bilanciarla, e<br />

questa cosa no.»<br />

Risi per quel paragone. Rea era la giovane donna più<br />

generosamente dotata della Colonia, ed Equo le era andato dietro<br />

per un po' di tempo.<br />

Rise scuotendo la testa. «Ah, quella Rea! Quello sì <strong>che</strong> è un<br />

bilanciamento! È così ben bilanciata, gli dei la benedicano, <strong>che</strong> può<br />

cadere sulla schiena leggera come una piuma ogni volta <strong>che</strong> vuole,<br />

cosa <strong>che</strong> avviene sempre, tranne quando ci sono io nei dintorni.»<br />

Rise di nuovo, con una grande risata rauca rivolta a se stesso.<br />

Gli battei una mano sulla spalla. «È un inizio comunque. Vai<br />

avanti, Equo. Dopodomani avrò tempo di lavorare con te.»<br />

«Va bene, ma sarà meglio <strong>che</strong> tu sia pronto a perderci molto<br />

tempo. Questa puttana non si concederà a noi solo perché le<br />

sorridiamo gentilmente.»


«Lo so, amico. E adesso devo andare a fare un bagno e a<br />

mangiare. Il Consiglio si riunisce domani e voglio essere in forma<br />

per la seduta.»<br />

Lo lasciai come lo avevo trovato, intento al suo lavoro, a<br />

rompersi la testa sul peso della nuova arma.


XXIV.<br />

Il giorno dopo, malgrado tutte le mie buone intenzioni, arrivai<br />

in ritardo alla riunione del Consiglio, perciò non so con esattezza<br />

come sia iniziata la discussione. Tutto quello <strong>che</strong> so è <strong>che</strong>, quando<br />

arrivai, la sessione era iniziata da mezz'ora, e una grande tempesta<br />

era scoppiata. Sentii il tumulto mentre mi avvicinavo alle porte della<br />

sala, e tanto fracasso mi stupì. Mi fermai fuori dalla porta<br />

ricordando Vegezio e la sua pietra sibilante, poi, d'impulso, andai a<br />

cercare un trombettiere o una tromba. Ovviamente non c'era un<br />

soldato in vista perciò finii con l'andare a prendere un corno di<br />

ottone nella mia armeria.<br />

Una volta ritornato davanti alle porte della sala del Consiglio,<br />

dove lo schiamazzo proseguiva ininterrotto, infilai il corno sotto il<br />

braccio, spinsi la porta ed entrai. Il rumore nel grande locale era<br />

incredibile, un pandemonio totale, tutti urlavano e gridavano<br />

contemporaneamente. Esplorai la sala con lo sguardo per cercare<br />

Caio e lo localizzai rapidamente sul lato opposto. Era in piedi, e di<br />

fianco a lui c'era il vescovo Alarico. Erano le uni<strong>che</strong> due persone<br />

nella sala, a parte me, <strong>che</strong> non emettevano alcun suono.<br />

Ero stato in servizio sotto Caio Britannico per molto tempo e<br />

credevo di averlo visto di tutti gli umori possibili. Lo avevo visto<br />

arrabbiato, e in una sola memorabile occasione lo avevo visto<br />

furioso. Gli diedi un'altra occhiata e mi accorsi <strong>che</strong> non l'avevo mai<br />

visto così furibondo. Era pallido, la pelle era tesa sulle guance e le<br />

labbra erano così strette <strong>che</strong> sembrava non esserci bocca. Ma furono<br />

i suoi occhi <strong>che</strong> più mi impressionarono. Sembravano di pietra: duri,<br />

freddi, inflessibili e implacabili. Avvicinai il corno alle labbra e<br />

lasciai <strong>che</strong> il suo urlo di ottone costringesse tutti al silenzio.<br />

Si girarono tutti verso di me, un po' perplessi per la brusca<br />

interruzione. Poi qualcuno pronunciò il mio nome e dal tono della


voce capii <strong>che</strong> il suo proprietario voleva sollecitare il mio sostegno.<br />

Lo ridussi al silenzio con un altro squillo, mantenendo il suono fino<br />

a rimanere senza fiato. Finché suonai nessuno si mosse, ma quando<br />

iniziai a camminare, ricominciarono tutti a parlare, e dovetti ridurli<br />

nuovamente al silenzio con un terzo squillo. Questa volta, mentre<br />

toglievo il corno dalle labbra, indicai il fondo della sala dicendo:<br />

«Caio Britannico!».<br />

Gli occhi di tutti si rivolsero a lui. Caio rimase rigido per qual<strong>che</strong><br />

istante e poi disse: «Sediamoci».<br />

Di nuovo una voce si levò, e in un attimo Caio sguainò la spada<br />

e la sbatté fragorosamente di piatto sul tavolo di fronte a sé.<br />

«SILENZIO!» urlò. Il silenzio <strong>che</strong> seguì fu assoluto e pieno di timore<br />

reverenziale.<br />

Un silenzio totale.<br />

«Ho detto, sediamoci.» Fu quasi un sussurro.<br />

Di fronte alla sua collera l'irritazione nella sala si era mutata in<br />

imbarazzo, e tutti si sedettero.<br />

Caio sollevò la spada dal tavolo, la girò e conficcò la punta nel<br />

legno, così <strong>che</strong> la spada rimase eretta davanti a lui. Quando parlò di<br />

nuovo la sua voce era bassa, intensa e sibilante di disgusto.<br />

«Mai nella mia vita, mai, sono stato sottoposto a una simile<br />

vergognosa esibizione di stizza! Come osate far subire a me, e a voi<br />

stessi, un comportamento tanto degradante! Voi siete il Consiglio di<br />

questa Colonia. Gli anziani! Si suppone <strong>che</strong> la vostra sia la voce<br />

collettiva della saggezza!» I suoi occhi passarono in rassegna ogni<br />

uomo nella sala e molti si dimenarono a disagio sulla loro seggiola.<br />

Alla fine, dopo quello <strong>che</strong> sembrò un secolo, Caio riprese a parlare.<br />

«Adesso voglio <strong>che</strong> ascoltiate molto attentamente quello <strong>che</strong> ho<br />

da dirvi. Voglio <strong>che</strong> ognuno di voi faccia uno sforzo supremo per<br />

dimenticare domande personali o richieste o interpretazioni di<br />

quello <strong>che</strong> avete o non avete sentito prima di venire qui.» Si morsicò


il labbro superiore e li guardò sdegnoso, tenendo in pugno la loro<br />

attenzione, prolungando il silenzio <strong>che</strong> aveva ottenuto. «Ascoltate<br />

per il vostro bene. Sono io, Caio Britannico, <strong>che</strong> vi parlo!» I suoi<br />

occhi si mossero da un volto all'altro e di nuovo prolungò la pausa,<br />

lasciandoli ad attendere le sue parole successive.<br />

«Questa è la mia casa. Siete qui su mio invito. Io ho fatto nascere<br />

questo Consiglio!» Un mormorio di attesa avvolse l'uditorio<br />

silenzioso. Alla fine, quando fu convinto <strong>che</strong> nessuno avrebbe rotto<br />

il silenzio per sfidarlo, Caio continuò; e la chiarezza e la decisione<br />

della sua voce risuonarono per la stanza, an<strong>che</strong> se la voce non era<br />

molto alta. Nessuno dubitò a quel punto di avere arrecato grave<br />

offesa al potere <strong>che</strong> Caio Britannico rappresentava, alla sua stessa<br />

presenza; il suo sguardo andò da faccia a faccia, senza fermarsi su<br />

nessuno in particolare, ma badando <strong>che</strong> a nessuno sfuggisse<br />

l'importanza delle sue parole.<br />

«Non tollererò ulteriori oltraggi nella mia casa! È chiaro? Se<br />

volete comportarvi come animali o come venditori ambulanti, allora<br />

andate a litigare nelle stalle o nella piazza del mercato! Non qui.»<br />

Era sovreccitato, fragile e perciò vulnerabile nella sua collera.<br />

Lottando per calmarsi, abbassò la testa, stringendosi la radice<br />

del naso tra il pollice e l'indice della mano destra.<br />

Avanzai nella sala proprio mentre <strong>La</strong>tte Nepote, un abile pellaio<br />

seduto di fronte a me sulla destra, si chinava a commentare con il<br />

vicino.<br />

«Nepote!» ruggii, picchiandolo forte su una spalla. «Stai zitto!<br />

Non vedi <strong>che</strong> non ha ancora finito!»<br />

Tacque di colpo, imbarazzato, e io ripresi a camminare verso il<br />

fondo della sala, fermandomi esattamente dietro a Caio, alla sua<br />

destra, e da lì mi girai ad affrontare il Consiglio, guardando i volti di<br />

tutti, cercando in essi collera, risentimento, tracotanza. Tutto quello<br />

<strong>che</strong> vidi fu vergogna, unita al timore di Caio.


Caio alzò la voce e drizzò le spalle, e quando parlò la sua voce<br />

era tornata al tono normale, ma caratterizzato da una cadenza<br />

oratoria.<br />

«Quando fondammo questa Colonia, la dedicammo alla causa<br />

della sopravvivenza nell'eventualità di Armageddon, e la<br />

dedicammo alla conservazione di tutto quello <strong>che</strong> in origine fu<br />

grande a Roma.<br />

Quando formammo questo Consiglio, per il governo della<br />

Colonia, parlammo con orgoglio di risolvere i nostri problemi<br />

nobilmente, in sessioni regolamentate dedicate al bene comune,<br />

come facevano i nostri antenati repubblicani nel Senato. Questo<br />

Consiglio è il nostro Senato!» Si fermò di nuovo, per permettere al suo<br />

commento di penetrare nella mente degli ascoltatori, e di nuovo il<br />

suo sguardo percorse l'assemblea, senza dimenticare un solo<br />

membro.<br />

«Questo Consiglio è il nostro Senato. Questa è la verità, ma non<br />

è mai stata dichiarata prima, perché suona troppo grandiosa e<br />

intimidatoria, e sa di affettazione e di immeritati e indebiti poteri.»<br />

Si guardò intorno nuovamente, avvolgendo tutti nel suo<br />

sguardo, senza interrompere il ritmo del discorso. «Però è la verità.»<br />

L'auditorio era affascinato.<br />

«Voi uomini siete i senatori della Colonia. Non abbiamo usato<br />

questo termine, come tale, fino a questo momento e fino a questa<br />

incresciosa circostanza, ma questo è quello <strong>che</strong> siete, ed è un<br />

momento perfetto per sottolinearlo e inciderlo nella vostra mente e<br />

nella vostra anima... Voi siete i senatori di questa Colonia.»<br />

Trasse un profondo, fremente respiro.<br />

«Qui, in questa camera di Consiglio, ogni uomo è uguale.<br />

Ognuno ha una parte da svolgere. Ognuno ha il suo valore, <strong>che</strong> è<br />

personale e non è mai utilizzato meglio di quando è dedicato a<br />

risolvere i problemi comuni. Nessuna voce dovrebbe essere più


importante qui di quella di un altro, nemmeno la mia. <strong>La</strong> mia<br />

funzione è solo quella di moderatore, o meglio lo è stata fino a oggi.<br />

Adesso, come Giulio Cesare, sto qui in piedi come un dittatore,<br />

violando la legge, perché voi mi avete costretto a farlo! Non vi sono<br />

grato per questa distinzione.» Si fermò di nuovo, muovendo<br />

intenzionalmente gli occhi da uomo a uomo, senza dimenticare<br />

nessuno nel suo esame.<br />

«Non accetterò il ruolo <strong>che</strong> scaricate su di me.» Ci fu un<br />

completo silenzio nella sala. «Non reciterò il ruolo di padre del<br />

vostro infantilismo.» Trasse un lungo sospiro. «Mio figlio Pico è<br />

molto preoccupato in questi giorni per le sue responsabilità<br />

individuali. Ognuno di voi dovrebbe andarlo a cercare la prossima<br />

volta <strong>che</strong> verrà a trovarci, e passare un po' di tempo parlando con<br />

lui, perché, vi piaccia o no, ognuno di voi ha accettato delle responsabilità<br />

individuali per il benessere di questa Colonia.<br />

Il dibattito odierno mi ha assolto da una responsabilità <strong>che</strong> in<br />

realtà non ho mai avuto... eppure pensavo <strong>che</strong> fosse mio dovere... la<br />

responsabilità individuale della vostra persona, delle vostre azioni,<br />

del vostro comportamento e della Colonia. D'ora in poi, non sarò più<br />

il moderatore di questo Consiglio.» Alzò una mano in fretta,<br />

cercando di anticipare il mormorio spontaneo <strong>che</strong> queste parole<br />

avevano causato, e a cui io stesso avevo contribuito con un<br />

involontario borbottio di sorpresa e di apprensione.<br />

«Ascoltatemi! Non voglio essere drammatico. Sono serio. Sto<br />

diventando troppo vecchio per questo, e già da tempo pensavo <strong>che</strong><br />

il mio compito fosse compiuto. Oggi vedo <strong>che</strong> mi sbagliavo. Il mio<br />

compito è ben lungi dall'essere completato. Ma verrà completato<br />

adesso, definitivamente, per il meglio o per il peggio.<br />

Malgrado il modo in cui vi siete comportati stamattina, siete<br />

tutti adulti. È giunto il momento <strong>che</strong> vi assumiate le vostre<br />

responsabilità. Questa sessione sarà l'ultima per me, in veste di<br />

moderatore. Il Senato della Roma repubblicana non aveva


moderatori permanenti, né li avrà questo Consilio.<br />

Sospetto da diverse sedute ormai l'emergere tra noi di ambizioni<br />

personali. Mi sono spesso accusato di essere cinico e sospettoso, ma<br />

ora vedo <strong>che</strong> non era così. Il fallimento di stamattina ha le sue radici<br />

esattamente nello spirito <strong>che</strong> ho temuto: l'ambizione, l'elitarismo!<br />

Non lo si può lasciare crescere e progredire, perché se accade, questo<br />

Consiglio e questa Colonia sono condannati.» Fece una nuova<br />

pausa, e nessuno cercò di interromperlo.<br />

«Abbiamo appena perso in guerra il nostro primo membro del<br />

Consiglio. Abbiamo avuto il nostro primo martire. Vegezio Sulla ha<br />

mantenuto con onore il suo posto tra di noi. Ora è morto e deve<br />

essere sostituito. È tragico <strong>che</strong> sia la necessità a sostituire un simile<br />

uomo, l'occasione della sua morte, a provocare una scena disgustosa<br />

come quella a cui abbiamo appena assistito.» <strong>La</strong> sua voce si levò di<br />

nuovo in un grido, <strong>che</strong> rimbombò nel silenzio della stanza.<br />

«Come osa un qualunque uomo farsi avanti in simili<br />

circostanze? Come può chiunque tra voi essere così meschino da<br />

azzuffarsi per il posto dove dovrebbe sedere?<br />

Che importanza ha se siete giovani o vecchi? Perché dovrebbe<br />

importare se siete seduti in fondo all'assemblea o davanti? Si<br />

vergogni chiunque lo pensa! C'è qualcuno tra voi <strong>che</strong> pensa di<br />

acquistare importanza sedendosi più vicino a me? Bene, se è così<br />

avrò cura di non sedere mai più in questo posto!<br />

O c'è qualcuno tra voi <strong>che</strong> pensa di non venire ascoltato se la sua<br />

voce viene dal fondo? Pensieri di questo genere mettono in<br />

discussione l'onore di questo Consiglio! Sono indegni! In questa<br />

assemblea tutte le voci sono uguali e ogni uomo tra noi ha il diritto<br />

di parlare e di votare! Questa è una camera di Consiglio!» <strong>La</strong> sua<br />

voce ricadde di nuovo quasi a un sussurro. «E non, come ho già<br />

detto, la piazza del mercato.»<br />

Tacque, ricordando sempre la necessità di concedere abbastanza<br />

tempo perché le sue parole facessero presa nella mente dei suoi


ascoltatori; poi alzò la mano destra, con l'indice teso.<br />

«Per tutti gli anni in cui ci siamo incontrati qui, in questa stanza,<br />

abbiamo avuto un'unica regola <strong>che</strong> governava le nostre sessioni. Ora<br />

io credo <strong>che</strong> sia giunto il momento di dare inizio a nuove regole, non<br />

di governo, ma di semplice e onesta guida, <strong>che</strong> servano a ricordare<br />

chi siamo e quale deve rimanere la nostra vera funzione. Noi siamo i<br />

membri di un Consiglio creato per servire gli interessi della gente<br />

<strong>che</strong> rappresentiamo: i coloni <strong>che</strong> dividono con noi la vita e il destino.<br />

Con due sole eccezioni, me stesso e Publio Varro, ogni uomo tra voi<br />

è qui perché tutti gli altri pensano <strong>che</strong> possa dare un contributo.<br />

Vegezio Sulla è stato un esempio di prim’ordine. Nel momento<br />

dell'estrema necessità è stato il suo intuito a permetterci di compiere<br />

i passi <strong>che</strong> ci avrebbero protetto, passi <strong>che</strong> nessuno tra noi avrebbe<br />

immaginato. E quando parlò, come tutti voi ricorderete, lo fece<br />

dall'angolo estremo di questa stanza, prima di venire avanti!»<br />

Alzò la mano verso l'impugnatura della spada, ancora<br />

conficcata nel piano del tavolo, e fece leva avanti e indietro sulla<br />

lama fino a liberarla. <strong>La</strong> rinfoderò con calma.<br />

«Mi sono adirato con voi. Ho accusato alcuni di voi di voler<br />

portare avanti i loro scopi prendendo posti prominenti in questo<br />

Consiglio. Ora mi accorgo <strong>che</strong> ciò si può evitare semplicemente.» Si<br />

interruppe, ovviamente aspettando una risposta, e qualcuno, non<br />

vidi chi, fece la domanda <strong>che</strong> era nella mente di tutti.<br />

«In <strong>che</strong> modo, Caio?»<br />

«In <strong>che</strong> modo? Adottando qui, in questo momento, la regola <strong>che</strong><br />

in tutti i Consigli futuri i membri saranno seduti in cerchio.<br />

Disponiamo le sedie intorno alla stanza e fissiamo una regola<br />

secondo la quale nessuno si possa sedere di fianco alla stessa<br />

persona per più di due riunioni di seguito.» Questa volta non fece<br />

un gesto per impedire lo scoppio di discussioni originate dalle sue<br />

parole, ma alzò la voce e parlò in mezzo al rumore.


«Pensateci, amici! Pensate <strong>che</strong> cosa signifi<strong>che</strong>rebbe! Ogni volta<br />

<strong>che</strong> questo Consiglio si riunirà avremo un motivo per ricordare la<br />

causa di questa regola!» Le voci si acquietarono di nuovo e quando<br />

la stanza ricadde nel silenzio, proseguì. «Potremmo fare di più.<br />

All'ingresso della sala, dopo la porta, potrebbe esserci un sac<strong>che</strong>tto<br />

di pietre, con venti pietre bian<strong>che</strong> e una pietra nera. Ogni uomo<br />

entrando potrebbe pescare una pietra e chi avrà estratto la pietra<br />

nera sarà il moderatore nelle discussioni della giornata. In questo<br />

modo un uomo potrebbe an<strong>che</strong> estrarre la pietra nera con maggiore<br />

frequenza dei suoi compagni, ma ciò sarebbe ogni volta dovuto solo<br />

al caso e non ad altri motivi.»<br />

Ci fu un mormorio di commento, e questa volta una mano si<br />

alzò e si agitò nell'aria, quella di Quinto Secone.<br />

«Sì, Secone?»<br />

Secone si alzò in piedi e si guardò intorno, rosso in volto. Tossì e<br />

si schiarì la voce e poi parlò.<br />

«Caio Britannico, tu ci hai dato - e ce la meritavamo - una lavata<br />

di capo e più di una buona ragione per provare vergogna. Ho<br />

ascoltato attentamente le tue parole e penso <strong>che</strong> quello <strong>che</strong> hai detto<br />

sia vero.» Si schiarì la voce di nuovo. «Ma penso <strong>che</strong> quello <strong>che</strong> mi è<br />

piaciuto di meno sia la parte più vera. Abbiamo dimenticato perché<br />

siamo qui. Ci sentiamo davvero importanti. Io sono fiero di essere un<br />

membro di questo Consiglio. Ma tu mi hai fatto capire <strong>che</strong> forse ne<br />

sono troppo fiero. Questa idea di un Consiglio "circolare" ha molto<br />

senso secondo me. Così pure quella di un moderatore scelto a caso<br />

per ogni sessione, an<strong>che</strong> se con ciò non voglio insinuare <strong>che</strong> non ti<br />

siamo grati per il tuo passato contributo.»<br />

Caio respinse quella frase con un gesto della mano. «Non mi<br />

offendi, Quinto. Vai avanti.»<br />

«Bene, io penso <strong>che</strong> dovremmo adottare il tuo suggerimento.<br />

Penso <strong>che</strong> dovremmo farlo subito. Penso <strong>che</strong> dovremmo votare<br />

entrambe le proposte, senza dibattito.»


Secone si risedette, ancora rosso in volto, e per un certo tempo<br />

nessuno rispose. Poi Varo, il cognato di Caio, fece sentire la sua<br />

voce.<br />

«Per il sangue di Cristo, Quinto, sono con te! Propongo di votare<br />

immediatamente!»<br />

Ancora una volta Caio prese la parola. «Prima <strong>che</strong> lo mettiate ai<br />

voti, c'è qualcuno <strong>che</strong> vuole esprimersi contro questa idea?»<br />

Tutti si guardarono intorno, e in fondo alla stanza si alzò una<br />

mano solitaria. Caio guardò, inespressivo. «Tozio, desideri<br />

contestarla?»<br />

Tozio si alzò in piedi, rosso in faccia e piuttosto arcigno. «No,<br />

Caio, non voglio, ma mi sembra <strong>che</strong> questa stanza sia troppo piccola<br />

per un cerchio di ventidue seggiole.»<br />

Caio sorrise. «Non credo, Tozio. Quando avremo sgomberato la<br />

sala dovrebbe esserci abbastanza spazio. Ma in un certo senso hai<br />

ragione. <strong>La</strong> stanza potrebbe essere più grande.»<br />

Tozio era il solo <strong>che</strong> avesse un commento da fare, perciò fu fatta<br />

la votazione e i cambiamenti furono approvati all'unanimità, con<br />

l'astensione di Caio, data la sua veste di moderatore.<br />

Immediatamente Varo scattò di nuovo in piedi. «Propongo di<br />

cambiare subito la disposizione delle seggiole!» Ci fu un'ovazione<br />

spontanea e la scena degenerò nuovamente in una confusione di<br />

gente <strong>che</strong> si agitava, ognuno con la propria seggiola in mano, finché<br />

si formò un cerchio al centro della stanza e l'ordine si ristabilì<br />

gradualmente. <strong>La</strong> seggiola di Caio fu collocata a caso lungo la<br />

circonferenza e così pure la mia. Nessuno fece l'atto di sedersi,<br />

perché l'occasione sembrava di speciale importanza.<br />

Caio si guardò intorno e sorrise. «In qualità di moderatore del<br />

Consiglio per l'ultima volta, dichiaro aperta ufficialmente la prima<br />

Sessione del Consiglio Rotondo.»<br />

Allora tutti si sedettero, con un grande boato di approvazione.


Trassi un profondo respiro, poi mi alzai e Caio mi diede subito la<br />

parola. Guardai a destra e a sinistra e poi lungo tutto il cerchio,<br />

sorpreso di vedere com'era facile rivolgersi a tutti con quella nuova<br />

disposizione.<br />

«Amici,» cominciai, «questa è una buona cosa. Quando verrà il<br />

vostro turno di alzarvi a parlare vedrete <strong>che</strong> è una buona cosa. Sono<br />

venuto qui oggi per parlarvi dei fatti <strong>che</strong> sono successi negli ultimi<br />

due giorni, e dell'effetto <strong>che</strong> ritengo essi avranno sulla nostra vita da<br />

ora in poi. Sono arrivato in ritardo ed ero pronto a presentare le mie<br />

scuse, ma nessuno se n'è accorto.» Ci fu uno scoppio di risa. Aspettai<br />

<strong>che</strong> si quietassero e poi continuai. «Sono arrivato tardi per diverse<br />

ragioni, la prima delle quali è <strong>che</strong> stavo aspettando un rapporto<br />

dalla squadra <strong>che</strong> avevamo mandato all'inseguimento degli uomini<br />

a cavallo fuggiti dalla fattoria di Sulla. Non c'è nessun rapporto, non<br />

è ancora arrivato. <strong>La</strong> seconda ragione del mio ritardo è <strong>che</strong> ho avuto<br />

un lungo colloquio con il legato Pico, <strong>che</strong>, come molti di voi sanno, è<br />

tornato ai suoi affari stamattina. Ci eravamo salutati ieri notte, ma<br />

ha deciso <strong>che</strong> aveva altre cose da dirmi prima di partire, in modo<br />

<strong>che</strong> io potessi trasmettere a voi le sue parole.»<br />

Mi fermai e frugai nella mia bisaccia per prendere gli appunti<br />

<strong>che</strong> avevo scribacchiato su un pezzo di papiro, e il Consiglio aspettò<br />

in silenzio <strong>che</strong> continuassi. Guardai quello <strong>che</strong> avevo scritto e, una<br />

volta rinfrescata la memoria, ripresi a parlare. «Il succo delle sue<br />

parole è questo. Il legato ritiene, e anch'io, <strong>che</strong> la nostra Colonia non<br />

sia più sicura come prima pensavamo <strong>che</strong> fosse. <strong>La</strong> villa di Sulla è<br />

caduta a seguito di un attacco a sorpresa da una direzione inattesa.<br />

Ma an<strong>che</strong> da qualunque altra direzione la villa di Sulla sarebbe stata<br />

indifendibile dall'attacco <strong>che</strong> ha subito. E noi sospettiamo <strong>che</strong> la<br />

stessa cosa sarebbe successa a tutte le altre ville <strong>che</strong> possediamo,<br />

compresa quella in cui ci troviamo ora. Queste ville sono solo delle<br />

fattorie. Non sono mai state progettate per essere delle fortezze<br />

resistenti al tipo di attacco a cui siamo sottoposti oggi. Questa è<br />

l'opinione di Pico, ed è an<strong>che</strong> la mia e quella di Caio Britannico.


Siamo tutti soldati, e tutti siamo incaricati, con diversi gradi, della<br />

sicurezza di questa Colonia. I tempi sono cambiati più in fretta di<br />

quello <strong>che</strong> pensavamo. Oggi il nostro sistema è inadeguato.» Feci<br />

una breve pausa per lasciar digerire questa affermazione, poi<br />

continuai.<br />

«Se vogliamo sperare di offrire salvezza a tutta la nostra gente,<br />

dobbiamo fare una di queste due cose: o trasformiamo ogni villa in<br />

un campo armato permanente, cosa impossibile, oppure finiamo le<br />

fortificazioni sulla collina alle nostre spalle in modo <strong>che</strong> ogni<br />

persona della Colonia possa trovarvi rifugio, se si realizzasse la<br />

minaccia di un attacco diretto.» Ci fu un brusio di commenti, e io<br />

parlai sovrastandolo. «Un'altra cosa: i Franchi <strong>che</strong> hanno razziato la<br />

villa di Sulla avevano dei cavalli.»<br />

Questo riportò il silenzio. Gli occhi di tutti erano puntati su di<br />

me. Aspettai tre battiti prima di continuare.<br />

«Avete sentito bene. Avevano dei cavalli e questo ha dato loro<br />

una velocità e una mobilità <strong>che</strong> noi possiamo solo eguagliare, ma<br />

non superare, visto <strong>che</strong> non possiamo sapere da dove verranno la<br />

prossima volta. Avevano solo un piccolo gruppo di uomini a<br />

cavallo, ma questi sono stati in grado di scortare un gruppo<br />

numeroso di razziatori. E noi non sapevamo neppure <strong>che</strong> fossero in<br />

Britannia.<br />

Perciò eccoci qui: di fronte a nemici a cavallo dobbiamo<br />

difenderci in modo più completo, e questo significa terminare il<br />

forte alla massima velocità possibile. Abbiamo gli uomini e il<br />

raccolto è quasi concluso, e se lo facciamo prima <strong>che</strong> inizi l'inverno,<br />

abbiamo tutto il tempo.»<br />

Mi sedetti tra un rumoreggiare di commenti e ascoltai<br />

attentamente quelli <strong>che</strong> riuscii a cogliere. Gli uomini parlavano tra<br />

loro. Non ci fu un solo uomo <strong>che</strong> si alzò per fare un commento<br />

individuale.<br />

Guardai Caio, anch'egli in ascolto dei commenti. Alla fine si girò


verso di me e inarcò il sopracciglio nel solito modo sardonico, e io<br />

mi alzai di nuovo.<br />

«Amici!» Attesi <strong>che</strong> tutti mi guardassero. «Dobbiamo trovare un<br />

accordo adesso. Domani sarà troppo tardi. Ci sono troppi progetti<br />

da fare e troppi dettagli da risolvere per poter correre il rischio di<br />

perdere an<strong>che</strong> un solo giorno. L'elemento più importante è il tempo<br />

e il tempo è la sola cosa di cui abbiamo scarsità.» Aspettai contando<br />

fino a dieci, sforzandomi di non rivelare nessuna impazienza nella<br />

voce e nell'atteggiamento. «<strong>La</strong>sciate <strong>che</strong> vi dia un suggerimento.<br />

Poiché oggi abbiamo posto le basi per un nuovo inizio, propongo di<br />

fare un altro passo nella stessa direzione. Abbiamo le nostre mura,<br />

sulla collina. Non sono ancora finite, ma sono abbastanza alte da<br />

darci riparo, se dovesse sorgere la necessità. Propongo di erigere là<br />

un edificio, all'interno delle mura, per ospitare le sessioni del<br />

Consiglio. Questo ci darebbe un centro per focalizzare i nostri sforzi<br />

e potrebbe avere molte altre funzioni quando non verrà usato come<br />

Sala del Consiglio.»<br />

<strong>La</strong> mia proposta fu accolta bene, si sentiva dal brusio dei<br />

commenti. Allora si alzò in piedi il vescovo Alarico e il brusio cessò<br />

di colpo, mentre i membri del Consiglio si rendevano conto<br />

improvvisamente della sua presenza. Il vescovo era un ospite non<br />

ufficiale; non era membro del Consiglio. Caio, però, mas<strong>che</strong>rò la<br />

sorpresa <strong>che</strong> probabilmente provava e fece un cenno cortese in<br />

direzione del vecchio, <strong>che</strong> si guardò intorno e cominciò a parlare.<br />

«Caio Britannico e voi tutti membri di questo Consiglio, io non<br />

ho il diritto, lo so, di alzare la mia voce in questa sessione, ma da<br />

molti anni ormai sento di appartenere con il cuore a questa Colonia.<br />

Ero qui quando è stata fondata e conoscevo i suoi fondatori prima<br />

<strong>che</strong> fosse concepita. Mi fa un profondo piacere <strong>che</strong> abbiate agito<br />

come avete fatto pochi minuti fa.» Fece una pausa, cercando le<br />

parole giuste. «Questo piacere mi dà ora il coraggio di parlare.»<br />

Indicò me con un cenno del capo. «Publio Varro ha fatto una bella


proposta. L'edificio <strong>che</strong> suggerisce di fare costituirà veramente il<br />

centro del vostro lavoro e delle vostre vite. Se adottate la sua<br />

proposta, e prego perché lo facciate, allora spero <strong>che</strong> adotterete<br />

an<strong>che</strong> la mia: costruite in fretta questo edificio, una sala per il<br />

Consiglio e un centro per le vostre vite. Ma <strong>che</strong> sia an<strong>che</strong> una casa di<br />

Cristo, un centro per i vostri bisogni spirituali. <strong>La</strong>sciate <strong>che</strong> Cristo<br />

stesso viva in mezzo a voi.»<br />

Nel silenzio provocato da questo invito c'era ora una nota<br />

diversa, quasi ostile. Lo sentii nell'atteggiamento degli ascoltatori.<br />

Alarico, però, sembrò non esserne cosciente, poiché continuò con un<br />

dolce sorriso. «So <strong>che</strong> tra voi ci sono persone <strong>che</strong> pensano <strong>che</strong> non<br />

potreste parlare, né agire liberamente nella vostra sala se quella sala<br />

fosse an<strong>che</strong> il tempio di Cristo, ma vi sbagliate, amici. Io non sto<br />

parlando di un tempio e neppure di una ecclesia. Non intendo mutare<br />

la vostra sala in un luogo di culto permanente. Il mio suggerimento<br />

è <strong>che</strong> quel luogo potrebbe essere un luogo di culto solo quando i<br />

tempi sono destinati al culto. Altrimenti sarebbe quello <strong>che</strong> deve<br />

essere: secolare. Vale a dire non consacrato a Dio.» Annuì fra sé,<br />

come approvando un pensiero intimo e segreto.<br />

«Io sono vecchio ormai e morirò presto. Prima di morire mi<br />

piacerebbe consacrare una speciale pietra d'altare per voi e per la<br />

vostra Colonia. Una pietra <strong>che</strong> potrebbe rimanere qui ed essere<br />

usata da ogni vescovo di cui avrete bisogno. Non è l'altare <strong>che</strong> è<br />

consacrato, amici. È la pietra d'altare, la pietra <strong>che</strong> sta sopra la tavola<br />

dell'altare, <strong>che</strong> è santificata con la benedizione di Dio e <strong>che</strong> ospita le<br />

sacre reliquie dei suoi santi e dei suoi martiri. È la pietra d'altare <strong>che</strong>,<br />

portata in una stanza e posta su un tavolo, converte quella stanza<br />

nella casa di Dio. È la pietra d'altare <strong>che</strong> io desidero donarvi, perché<br />

sia conservata in un luogo sicuro e usata, in qualunque momento ce<br />

ne sia la necessità, per dedicare la vostra Sala del Consiglio all'uso<br />

santo di Dio.» <strong>La</strong> tensione nella stanza si era dissipata.<br />

«Se mi farete l'onore, a me, un vecchio, di permettermi di dare


questo contributo alle vostre vite, verrò da ovunque mi trovi per<br />

santificare la vostra nuova casa e celebrare il primo servizio di Cristo<br />

nel vostro nuovo edificio.» Si inchinò, mosse una mano in segno di<br />

benedizione e riprese il suo posto a sedere.<br />

Caio si alzò e lo ringraziò a nome di noi tutti e della Colonia, poi<br />

proseguì, con un sorriso: «Perdonami, vescovo Alarico, ma vorrei<br />

chiarire un punto. Ti ho sentito bene? <strong>La</strong> Sala del Consiglio<br />

diventerà la casa di Dio solo quando questa pietra d'altare di cui<br />

parli verrà portata nella sala? E quando la pietra verrà rimossa,<br />

messa al sicuro, la stanza tornerà a essere quello <strong>che</strong> era prima?»<br />

Alarico si alzò di nuovo, annuendo solennemente per reiterare<br />

quel punto importantissimo. «È esatto, Caio Britannico. Questo è il<br />

modo della Chiesa. Per la grazia dovuta alla presenza della pietra<br />

d'altare, la più misera capanna diventa una ecclesia per il tempo in<br />

cui la pietra rimane lì. Quando la pietra viene rimossa la capanna<br />

torna a essere una capanna.»<br />

«E gli uomini potrebbero urlare lì dentro?»<br />

«Urlare e vociare e perfino essere blasfemi, come fanno gli<br />

uomini di tanto in tanto, poiché sono uomini.»<br />

Caio fece un sospiro alto, drammatico, e poi si rivolse al circolo.<br />

«Allora così sia. Consiglieri, come votate? Dobbiamo accettare<br />

l'offerta del vescovo?»<br />

«Sì.» All'unanimità.<br />

«In questo caso, Publio, hai an<strong>che</strong> la tua risposta.» Inclinò la<br />

testa, sorridendo ancora verso il centro del cerchio. «Non è così?»<br />

«Sì.» Di nuovo all'unanimità.<br />

Scattai in piedi all'istante. «Allora ho bisogno solo di altri due<br />

mandati. Ho bisogno del vostro permesso per obbligare Tigellino<br />

Corace qui presente, il nostro famoso architetto, a iniziare la<br />

pianificazione dell'interno del forte e la costruzione dell'edificio<br />

principale.»


«Sì!» Ci furono an<strong>che</strong> molte risate in quell'urlo, perché Tigellino<br />

era noto per la sua tendenza a non offrirsi mai volontario.<br />

«E ho bisogno del vostro permesso per fare iniziare a Marco<br />

Leone e ai suoi ingegneri la costruzione di una strada <strong>che</strong> porti dalla<br />

pianura ai nostri nuovi cancelli. Non abbiamo bisogno di una strada<br />

maestra costruita secondo tutte le regole, ma avremo tuttavia presto<br />

bisogno di una strada praticabile. Gli uomini di Leone sono in grado<br />

di costruirne una e Leone è un capace ingegnere. Ho la vostra<br />

benedizione?»<br />

«Sì!» L'entusiasmo di quel giorno non doveva essere rotto da<br />

obiezioni.<br />

Ero molto più <strong>che</strong> soddisfatto. Mi girai e feci segno a Caio. «Caio<br />

Britannico, chiedo il permesso di lasciare questo Consiglio e di<br />

iniziare i lavori immediatamente.»<br />

Caio mi sorrise. «Grazie, Publio. Continueremo senza di te.»<br />

Mancava un'ora a mezzogiorno e il cortile era deserto. Stavo per<br />

attraversarlo diretto alle stalle quando sentii un grido e uno scalpitio<br />

di zoccoli provenire dai cancelli principali. Mi fermai e vidi entrare<br />

Basso e i suoi uomini a cavallo. Avevano l'aria scoraggiata.<br />

Basso mi vide immediatamente e guidò il cavallo dove mi<br />

trovavo, fece il saluto e poi smontò faticosamente per potermi<br />

parlare stando in piedi.<br />

«Allora?» gli chiesi.<br />

Scosse leggermente la testa. «Li abbiamo persi, comandante, mi<br />

dispiace.»<br />

Repressi l'impulso di urlargli contro, e tenni invece la voce<br />

bassa. «Spiegati. Come avete potuto perdere dieci uomini a cavallo<br />

<strong>che</strong> andavano al galoppo?»<br />

Basso si strinse nelle spalle. «Terreno duro, comandante. Sono<br />

entrati in un corso d'acqua per coprire le loro tracce e sono rimasti


nell'acqua a lungo. Ho dovuto dividere lo squadrone per controllare<br />

in entrambe le direzioni. Poi hanno attraversato i campi per circa un<br />

miglio e hanno trovato la strada principale <strong>che</strong> va da nord a sud, a<br />

est di qui. Quando abbiamo raggiunto la strada non c'era modo di<br />

dire in <strong>che</strong> direzione fossero andati i razziatori.»<br />

«Avete provato a seguire la strada?»<br />

«Sì, comandante, e abbiamo ritrovato le loro tracce. Si sono<br />

diretti alle colline. Le Mendip. È lì <strong>che</strong> alla fine li abbiamo persi. Non<br />

c'erano tracce da seguire tra le pietre.»<br />

«Dannazione!» Mandai giù la mia frustrazione e accettai<br />

l'inaccettabile. «Molto bene, Basso. Hai fatto tutto quello <strong>che</strong> potevi,<br />

immagino. Porta i cavalli nelle stalle e metti in libertà i tuoi uomini.»<br />

Mi fece il saluto e si allontanò. <strong>La</strong>nciai un'imprecazione.


LIBRO QUARTO<br />

<strong>La</strong> spada


XXV.<br />

Non sentimmo più parlare dei cavalieri franchi, e poiché i mesi<br />

successivi furono pieni di frenetica attività, alla fine li<br />

dimenticammo. Il raccolto fu messo al sicuro prima <strong>che</strong> il tempo<br />

peggiorasse, proteggendo ogni campo con uomini armati. Poi,<br />

mentre l'inverno si avvicinava, Marco Leone finì il progetto per la<br />

strada <strong>che</strong> doveva portare al forte e Plauto mise i suoi uomini al<br />

lavoro per costruirla, traendo vantaggio sia dalla tranquillità <strong>che</strong> da<br />

un inverno insolitamente mite. I soldati lavorarono duramente<br />

nonostante pioggia, vento e neve; all'avvicinarsi della primavera il<br />

loro compito era terminato e una strada nuova di zecca si snodava<br />

lungo i fianchi della collina fino all'ingresso principale del forte. Il<br />

cancello era costruito con pesanti tronchi ed era montato su massicci<br />

cardini di ferro <strong>che</strong> Equo e io avevamo forgiato insieme. I muratori<br />

avevano costruito le mura circolari in modo <strong>che</strong>, invece di<br />

incontrarsi a chiudere il cerchio, le due estremità si<br />

sovrapponessero, creando un corridoio laterale protetto, lungo circa<br />

cinquanta passi e largo quindici, <strong>che</strong> poteva essere difeso facilmente<br />

contro un attacco diretto, poiché il nemico avrebbe dovuto entrare in<br />

quel corridoio, rimanendo esposto ai difensori su entrambi i lati<br />

delle alte mura. Le enormi porte erano fissate all'estremità interna<br />

del corridoio e non sarebbero state prese d'assalto facilmente.<br />

Nel frattempo, all'interno delle mura, la costruzione della nostra<br />

nuova residenza progrediva rapidamente. Ogni carpentiere, ogni<br />

muratore e chiunque avesse due mani libere, era stato messo al<br />

lavoro per costruire la nuova Sala del Consiglio, <strong>che</strong> era già agibile:<br />

si trattava di un enorme edificio rettangolare con robuste mura di<br />

legno e calce, due ingressi e un tetto spesso, an<strong>che</strong> se ancora<br />

incompleto, fatto di carici e giunchi intrecciati. Vi era an<strong>che</strong> un certo<br />

numero di altri edifici a diversi stadi di costruzione. I nuovi granai<br />

erano finiti e colmi di grano e io avevo già una fucina installata


contro il muro occidentale.<br />

Tigellino Corace, il nostro architetto, si era assicurato fama<br />

eterna tra i nostri coloni disegnando un'enorme cisterna per<br />

raccogliere l'acqua piovana alla base della collina, e lui e Marco<br />

Leone avevano ideato un sistema di pompe, basato sulla vite di<br />

Archimede, per riportare in cima alla collina l'acqua così recuperata.<br />

Fummo fortunati perché trovare il piombo per rivestire le tubature<br />

fu facile: la regione direttamente a nord rispetto a noi ne era piena, e<br />

non esiste metallo più facile da estrarre. I nostri ingegneri militari<br />

non ci misero molto a costruire l'intero sistema idraulico.<br />

Il nostro piano di costruzione era basato sul classico<br />

accampamento militare romano, a parte il fatto <strong>che</strong> c'erano solo<br />

un'uscita principale e una secondaria invece delle quattro<br />

tradizionali. Per adeguarsi alla crescente necessità di stalle, ci<br />

limitammo a estendere l'area normalmente dedicata a questo scopo,<br />

ottenendo così spazio per più di quattrocento animali.<br />

Ricordo <strong>che</strong> un uggioso e temporalesco pomeriggio autunnale<br />

mi resi conto improvvisamente di avere compiuto quell'anno<br />

cinquantacinque anni, e quella constatazione mi turbò. Per tutta la<br />

vita avevo considerato vecchio chiunque avesse superato i<br />

cinquantanni, e adesso avevo oltrepassato quel limite di mezzo<br />

decennio ed ero ancora in piena forma, almeno così mi pareva! I<br />

miei muscoli, grazie alla vita <strong>che</strong> conducevo facendo il fabbro e il<br />

soldato, erano duri e forti come quelli di un uomo sano di vent'anni<br />

più giovane, e questa non era un'oziosa vanità. Sapevo <strong>che</strong> era vero<br />

perché lavoravo ogni giorno alla fucina e sul campo marzio con<br />

uomini di quell'età. Nei mesi precedenti mi ero accorto, in genere<br />

quando infilavo l'armatura, di un consistente ingrossamento della<br />

vita e dei fianchi, ma si trattava di un ispessimento compatto, e il<br />

mio ventre era ancora piatto e duro. An<strong>che</strong> dal lato sessuale ero<br />

ancora attivo e interessato. Non ero più uno stallone in fregola,<br />

ovviamente, ma ero lungi dall'essere un vecchio impotente. Eppure


era innegabile: avevo cinquantacinque anni!<br />

Era stata la statua <strong>che</strong> chiamavo "la Signora del <strong>La</strong>go" a<br />

richiamare la mia attenzione sul passare degli anni. Ero rimasto<br />

seduto a guardarla, meditando sull'età e l'origine dei metalli e<br />

pensando al drenaggio del lago e al ritrovamento della pietra caduta<br />

dal cielo, quando mi resi conto improvvisamente <strong>che</strong> quegli eventi<br />

avevano avuto luogo vent'anni prima! Avevo passato più di sette<br />

anni cercando di estrarre il metallo dalle pietre e la Signora era lì,<br />

serena, sul tavolo nello studio di Caio, dodici anni dopo la sua<br />

nascita. Come ho detto, la consapevolezza di questo fatto provocò in<br />

me un turbamento e mi fece capire <strong>che</strong> non potevo lasciar passare<br />

altro tempo. Mi alzai immediatamente e mi diressi alla finestra<br />

aperta, dove vidi due soldati <strong>che</strong> chiacchieravano nel cortile. Li<br />

chiamai e dissi loro di prendere la statua e di seguirmi, poi infilai il<br />

pugnale di pietra celeste nella cintura e andai a cercare Equo.<br />

Lo trovai seduto su un'alta seggiola di fronte al bancone da<br />

lavoro, <strong>che</strong> si stringeva il braccio destro con la mano sinistra e<br />

fissava attentamente le dita della mano destra, aprendole e<br />

chiudendole. C'era del sangue incrostato sopra e tra le dita, e dal<br />

polso al gomito il braccio era avvolto in bende macchiate di sangue.<br />

Indicai ai soldati dove potevano lasciare la statua, poi li mandai via e<br />

mi diressi verso Equo.<br />

«Che cosa ti è successo? Cosa hai fatto al braccio?»<br />

L'occhiata <strong>che</strong> mi lanciò fu una risposta eloquente. «Sei stato tu!<br />

<strong>La</strong> colpa è tua! Tu e le tue idee brillanti!»<br />

Sbattei le palpebre, stupefatto, e guardai di nuovo il braccio<br />

bendato. «Stai dicendo <strong>che</strong> io sono responsabile di questo? Di <strong>che</strong><br />

cosa stai parlando?»<br />

Si girò e urlò al di sopra della sua spalla: «Giuseppe! Porta qui<br />

quelle cose!» Un giovane apprendista si avvicinò portando due<br />

lunghe spade. Equo girò la testa verso il bancone da lavoro. «Mettile<br />

li!» Il ragazzo fece come gli veniva detto e se ne andò.


«Bene» disse Equo. «Ecco la tua nuova spada. Anzi due. Cosa ne<br />

pensi?»<br />

Ne presi una in ogni mano. Erano superbe, le lame erano lunghe<br />

e letali, le else pesanti, allungate e appesantite alle estremità da<br />

larghi pomoli. Erano perfettamente bilanciate.<br />

«Equo, sono superbe» sussurrai. «Come hai fatto a dare peso<br />

all'elsa? Non sembrano affatto dei gladi, adesso <strong>che</strong> sono finite. Non<br />

c'è nessuna somiglianza.»<br />

«I pomoli sono di piombo» borbottò. «E hai ragione. Non c'è<br />

somiglianza. Queste due figlie di puttana sono come cagne ingrate.<br />

Morsicano il loro padrone.»<br />

Spostai lo sguardo dalle spade <strong>che</strong> tenevo in mano al suo braccio<br />

bendato. «Una di queste ti ha ferito? Non sei mai stato imprudente<br />

con le armi.»<br />

Grugnì di nuovo e si alzò in piedi. «Vieni con me» disse. «Ti farò<br />

vedere.»<br />

Lo seguii all'aperto, portando con me le due spade, fino al<br />

fantoccio per le esercitazioni <strong>che</strong> era proprio di fronte alla fucina.<br />

Mentre attraversavamo la soglia, Equo prese un pesante scudo da<br />

fanteria appoggiato al muro. Una volta fuori, si girò verso di me.<br />

«Dammi una spada. Prendi lo scudo. Esercitazione normale con<br />

la spada. Comincia.»<br />

Chiedendomi <strong>che</strong> cosa significasse tutto ciò, presi lo scudo dalle<br />

sue mani e mi misi in posizione davanti al posto di esercitazione nel<br />

modo consueto. Appoggiai la base dello scudo a terra e mi<br />

rannicchiai dietro di esso brandendo la spada, e poi mi rialzai,<br />

guardandolo e sentendomi di colpo stupido. Non tentai nemmeno<br />

un movimento.<br />

Equo mi guardava con un'espressione divertita. «Già, sono<br />

arrivato alla stessa conclusione. Abbiamo appena distrutto mille<br />

anni di tecnica e di addestramento. Non si può usare questa roba


come un gladio. Sono troppo dannatamente lunghe. Se arrivi a<br />

distanza di gladio da un nemico con una di queste in mano, sei un<br />

uomo morto. Ti ritrovi tagliato in due prima di poter tirare indietro<br />

il braccio tanto da difenderti, figuriamoci attaccare.»<br />

Feci per parlare, ma lui proseguì, bloccandomi. «Oh, so cosa stai<br />

per dire. È una spada da cavalleria, non è fatta per un uomo a piedi.<br />

Questo è vero, finché sei a cavallo. Ma cosa succede se cadi? O se il<br />

tuo cavallo viene ammazzato e ti ritrovi appiedato?»<br />

Ammutolii.<br />

«E non è ancora il peggio.» Alzò il braccio bendato. «Questo è il<br />

peggio di tutto. Almeno il peggio <strong>che</strong> ho scoperto finora. Come<br />

pensi <strong>che</strong> me lo sia procurato? Riesci a indovinarlo?» Scossi la testa.<br />

«Bene, non te lo dico, te lo faccio vedere. Aspetta qui.» Tornò nella<br />

forgia e ne uscì portando un grembiule di pelle. «Ecco, reggine un<br />

lato. È un grembiule vecchio.» Lo ressi e lui lo tagliò a metà nel<br />

senso della lunghezza.<br />

«Adesso arrotolatelo intorno al braccio con cui combatti.» Lo<br />

arrotolai quattro volte e lui lo legò con due lacci per tenerlo fermo.<br />

Poi fece segno con la testa verso il fantoccio. «Adesso fammi vedere<br />

le mosse base, parata e fendente. Dovrai stare lontano dal fantoccio.»<br />

Indietreggiai ed eseguii la manovra base. Dovetti estendere il<br />

braccio completamente per portarla a termine, e ne trassi una<br />

sensazione di totale stranezza.<br />

«Capisci quello <strong>che</strong> intendo? Tutto il tuo equilibrio deve essere<br />

diverso. Non puoi menare un fendente con questa cosa, e non puoi<br />

nean<strong>che</strong> tentare la stoccata del corpo a corpo. È impossibile. Devi<br />

brandirla con il braccio teso, e l'arco della lama è quattro volte più<br />

lungo di quello del gladio.»<br />

Guardavo la spada meravigliato. «Equo,» gli dissi, «ma è<br />

splendido! È proprio quello <strong>che</strong> stavamo cercando. <strong>La</strong> forza di<br />

rotazione di quest'arma è incredibile!»


Si raschiò dalla gola un po' di catarro e sputò di lato. «Sì. Su<br />

questo sono d'accordo. E potresti fare a pezzi uno con un gladio da<br />

una distanza di sicurezza. Ma <strong>che</strong> cosa succede quando hai di fronte<br />

qualcuno <strong>che</strong> brandisce un'altra di queste cose? Questo è quello <strong>che</strong><br />

mi è successo.»<br />

Guardai di nuovo il suo braccio. «In <strong>che</strong> modo?» Per tutta<br />

risposta sogghignò e si mise in posizione. «È quello <strong>che</strong> ti farò<br />

vedere. Adesso ti attac<strong>che</strong>rò. Attacco diretto, nessun trucco. Tu ti<br />

difendi e non cerchi di attaccarmi.» Ci mettemmo in posizione e lui<br />

avanzò verso di me vibrando un fendente dall'alto, da sopra la testa.<br />

Io alzai con facilità la mia lama per bloccare la sua, meravigliandomi<br />

ancora una volta per il bilanciamento perfetto. Poi la sua lama batté<br />

fragorosamente contro la mia e la violenza dell'impatto mi rivoltò<br />

indietro il braccio, girandolo in fuori e quasi strappandomi l'elsa di<br />

mano. Equo completò il fendente e planò su di me al massimo<br />

dell'impeto, pronto a sbudellarmi con un fendente di rovescio.<br />

Avrebbe potuto uccidermi facilmente, perché non avevo avuto la<br />

possibilità di riprendermi in tempo per bloccarlo.<br />

«È diverso, non trovi?» Abbassò la spada. «Adesso <strong>che</strong> sei<br />

preparato, riproviamo.» Ripetemmo la mossa e questa volta ero<br />

preparato all'impatto, e meglio piazzato per bloccare il primo<br />

fendente e parare il rovescio verso sinistra tenendo la lama<br />

orizzontale; mi accorsi <strong>che</strong> stringevo la spada con entrambe le mani<br />

per resistere meglio al suo rovescio. <strong>La</strong> lama piombò giù, poi risalì e<br />

girò di nuovo intorno, e io mollai la presa con la sinistra e risposi al<br />

suo fendente, sentii il cozzare delle lame temprate, e persi i sensi,<br />

mentre il mondo eruttava in una cappa infuocata di accecante<br />

dolore. Non sentii la spada volarmi via di mano, ma sentii le<br />

ginocchia colpire le pietre del cortile, il terreno ruvido contro la<br />

faccia e delle mani <strong>che</strong> mi afferravano e mi sollevavano.<br />

Aprii gli occhi, lottando contro l'ondata di nausea e dolore <strong>che</strong><br />

mi turbinava dentro, e infine ripresi i sensi. Il braccio destro era


privo di sensibilità fino alla spalla, <strong>che</strong> sembrava essere stata divelta<br />

dalla sua sede. Ero seduto a terra, con la schiena contro il fantoccio;<br />

Equo, preoccupato, era inginocchiato di fronte a me.<br />

«Cos'è successo?» gli chiesi.<br />

Sputò di nuovo e sembrò assaporare il tempo <strong>che</strong> ci mise a<br />

rispondermi. «<strong>La</strong> stessa cosa <strong>che</strong> è successa a me, tranne <strong>che</strong> io ti ho<br />

colpito più forte. Se Giuseppe mi avesse colpito così forte mi<br />

avrebbe tagliato il braccio.»<br />

«E il mio braccio?» Abbassai lo sguardo. Il grembiule di pelle<br />

intorno al braccio era ancora al suo posto, ma tre strati del cuoio<br />

rigido e ingrassato erano stati trapassati.<br />

Ebbi una visione fugace dell'aspetto <strong>che</strong> avrebbe avuto il mio<br />

braccio se non ci fosse stato il cuoio, e mi si rivoltò lo stomaco. Mi ci<br />

volle un po' per riprendermi. Equo mi guardò vomitare, senza fare<br />

nemmeno il gesto di venirmi in aiuto. Inghiottii un'ultima volta il<br />

sapore della bile e ritrovai il controllo.<br />

«Penso <strong>che</strong> il braccio sia rotto.»<br />

Scosse la testa. «No, non è rotto, ma non ti sarà facile usarlo nei<br />

prossimi giorni. Ti ho preso proprio sotto il gomito. Ho colpito i<br />

muscoli. Avrai una brutta contusione, immagino, ma non c'è<br />

assolutamente niente di rotto.»<br />

«Che cosa lo ha causato, Equo? Cosa hai fatto?»<br />

Scosse di nuovo la testa, bruscamente questa volta. «Niente.<br />

Sono le sponde. Sono differenti. Si comportano in modo strano. Le<br />

lame rimbalzano via una dall'altra in modo incontrollabile.<br />

Rimbalzano subito sopra la sporgenza dell'impugnatura e<br />

colpiscono il braccio o il polso.»<br />

Mi alzai, ma non riuscivo ancora a sentire il braccio destro. Equo<br />

mi aiutò a mettermi in piedi prendendomi per il braccio sinistro, e<br />

continuò a parlare.


«Deve essere la combinazione della tempra del metallo con la<br />

forza e l'angolo di rotazione, Publio. Qualunque cosa sia è<br />

dannatamente pericolosa. Non posso immaginare <strong>che</strong> i nostri<br />

uomini possano usarle. Non prima <strong>che</strong> troviamo un modo per<br />

impedire loro di perdere braccia e mani mentre fanno pratica.»<br />

Presi una delle due spade nella sinistra e la esaminai con nuova<br />

consapevolezza. Era comunque piacevole tenerla in mano. Esaminai<br />

il filo della lama. C'era una tacca. «Equo? Cos'è questo? Sembra una<br />

tacca.»<br />

«È una tacca.» <strong>La</strong> voce di Equo era pensierosa. «Questo è il mio<br />

ferro migliore, ma è troppo morbido. Guarda.» Alzò l'altra lama<br />

verso di me. An<strong>che</strong> quella era scalfita. <strong>La</strong> avvicinò maggiormente<br />

agli occhi. «Non so con quanta violenza si siano scontrate queste<br />

spade, Publio, ma sono contento <strong>che</strong> le mie dita non si trovassero in<br />

mezzo. Non ho mai visto una spada nuova, fatta da noi, rimanere<br />

scalfita.»<br />

«Neanch'io.» Mi girai e rientrai nella fucina, cercando di flettere<br />

le dita. Le dita reagirono, ma il braccio era ancora intorpidito. «Mio<br />

Dio, Equo, la lama è rimbalzata prima di colpire il braccio!<br />

Immagina cosa avrebbe provocato un fendente completo!»<br />

«Sì, e immagina se ti avesse colpito sul collo!» Indicai la statua<br />

<strong>che</strong> era sempre dove i soldati l'avevano lasciata. «Ho portato giù la<br />

Signora. Penso <strong>che</strong> sia tempo <strong>che</strong> venga a lavorare per noi.»<br />

<strong>La</strong> guardò e poi rivolse il suo sguardo verso di me. «Intendi dire<br />

<strong>che</strong> la userai per fare una di queste?»<br />

«Perché no? Se è fatta con il metallo del pugnale di pietra celeste<br />

non si scalfirà.»<br />

Equo si strinse nelle spalle e le diede una pacca sul sedere. «Mi<br />

chiedo se brillerà.»<br />

«Dio, <strong>che</strong> male mi fa il braccio! Andiamo a bere una coppa di<br />

vino e poi andrò a cercare la stanza col vapore più caldo. Non


appena riprenderò l'uso del braccio, se mai ci riuscirò, scopriremo se<br />

brilla o no.»<br />

Afferrò la testa senza faccia e inclinò la statua su un fianco.<br />

«Caio sa <strong>che</strong> intendi fonderla? Ce l'ha da un sacco di tempo.»<br />

«Troppo tempo» dissi. «No, non lo sa ancora, ma allude sempre<br />

al fatto <strong>che</strong> dovrei usarla per farci qualcosa.» Feci una smorfia di<br />

dolore, mentre la sensibilità ricominciava a fluire nella mano. «In<br />

ogni caso potrà riaverla più tardi, almeno una parte. Ne avrò<br />

bisogno solo metà, all'inizio.»<br />

Quella notte, nel momento di maggiore oscurità, spaventai a<br />

morte mia moglie urlando forte e scattando in piedi nel letto,<br />

completamente sveglio. L'urlo era di dolore, perché il braccio<br />

contuso si era chissà come impigliato nelle lenzuola, ma la visione<br />

<strong>che</strong> avevo avuto nel sonno era chiara e luminosa. Avevo sognato<br />

Claudio Seneca, lo avevo visto balzare su di me, con gli occhi vitrei<br />

di furore, avevo visto la sua spada calare su di me con un fendente<br />

per mettere fine alla mia vita, poi era sopraggiunto un colpo<br />

vibrante <strong>che</strong> aveva inviato stilettate di dolore su per il mio braccio,<br />

mentre il taglio della sua spada si piantava nel braccio della croce<br />

d'argento di Alarico.<br />

Quella visione mi tenne sveglio per il resto della notte e quando<br />

Equo arrivò alla forgia la mattina dopo, io ero già lì da ore, <strong>che</strong><br />

scaldavo la statua della Signora e la martellavo in un rozzo lingotto<br />

rettangolare, ignorando le proteste di dolore del mio braccio<br />

contuso.<br />

Da quel momento in poi lavorai alla nuova spada ogni giorno<br />

per quattro mesi, dedicandole ogni momento <strong>che</strong> potevo<br />

risparmiare e molto più tempo di quello <strong>che</strong> avevo realmente. Equo<br />

mi lasciò lavorare da solo per la maggior parte del tempo, ma mi<br />

aiutò considerevolmente nel lavoro delicato, meticoloso e lungo, di<br />

foggiare ed estendere la doppia rastremazione della lama. Quella<br />

spada doveva essere perfetta fin dall'inizio.


Bruciai una foresta di carbone di legna in quei mesi, scaldando e<br />

riscaldando il metallo e cambiando la sua forma di rozzo lingotto in<br />

quella prima di una sbarra allungata e poi di un lungo ferro nero con<br />

le fattezze di una lama. E poi un giorno, quasi impercettibilmente, fu<br />

praticamente finita: le mancava solo la tempra definitiva.<br />

«Equo,» gli dissi un giorno, «esci di qui e trovami una vergine.»<br />

«Una vergine? Qui?» Scosse la testa con ironica costernazione.<br />

«Ci sono le tue figlie, e basta. E quando Veronica si sposa ce ne sarà<br />

una di meno. Le vergini sono scarse negli accampamenti militari.<br />

Andrò a cercarne una, ma non rimanere sveglio ad aspettarmi. Ma<br />

comunque, <strong>che</strong> cosa se ne fa di una vergine un vecchio caprone<br />

come te?»<br />

Io guardavo il filo della nuova lama a occhi socchiusi,<br />

ammirandola. «Sangue, non ricordi? Gli antichi fabbri usavano<br />

temprare le lame nuove con sangue di vergine, per la purezza.»<br />

«Non lo sapevo! Dici sul serio?»<br />

Lo guardai. «Questo è quello <strong>che</strong> dice la leggenda. Pensavano<br />

<strong>che</strong> la tempra nel sangue, sangue di vergine ovviamente, avrebbe<br />

conferito l'essenza segreta del ferro bianco.»<br />

«Balle!» <strong>La</strong> sua voce era piena di s<strong>che</strong>rno. «Chiunque con un po'<br />

di cervello sa <strong>che</strong> è il carbone di legna a fare la differenza.»<br />

Misi giù la lama. «Tu lo sai, Equo, e io lo so, ma gli antichi non lo<br />

sapevano. Non l'hanno saputo per secoli.»<br />

Venne al mio fianco e sollevò la lama, scrutandola con occhio<br />

critico, cercando difetti <strong>che</strong> non c'erano. «Sembra buona, Publio.<br />

Come hai intenzione di montare l'impugnatura?»<br />

Non gli avevo ancora parlato della mia idea di un'elsa a croce.<br />

«Oh, ho qual<strong>che</strong> idea. Ma prima devo temprarla. Chissà se brillerà.»<br />

«Brilla già, guarda! <strong>La</strong> vedi?» Tenne in alto la lama inclinandola<br />

nella luce.


Annuii. «C'è qualcosa, d'accordo, ma non la direi uno splendore,<br />

Equo.»<br />

«Allora non dirlo! Ma ti dico <strong>che</strong> il tuo pugnale aveva lo stesso<br />

aspetto a questo punto, e comunque non ho mai visto un altro pezzo<br />

di metallo con questo aspetto. E tu?»<br />

Scossi la testa. «No, devo ammettere di no.»<br />

<strong>La</strong> mise giù con fragore. «Bene, allora continua ad affilarla. Non<br />

si temprerà da sola.»<br />

Si allontanò e io presi la lama e cominciai a passarla con una<br />

lima, fischiettando piano e sentendomi contento della vita in<br />

generale. Nessuna incursione ci aveva turbato durante l'autunno.<br />

Le mura del forte erano completamente finite in alcuni punti, e<br />

la nuova Sala del Consiglio era quasi completa, ormai mancava solo<br />

una parte del tetto. Il nuovo anno sarebbe stato il 1154 dalla<br />

fondazione di Roma, ma sarebbe stato il 400 dell'era cristiana e l'uso<br />

di quest'ultimo metodo di calcolare il tempo si stava rapidamente<br />

diffondendo. L'anno nuovo, allora, avrebbe segnato sia la fine di un<br />

secolo <strong>che</strong> l'inizio di un altro. Avevo sentito delle discussioni<br />

sull'argomento: l'anno 400 era l'ultimo anno di un secolo o il primo<br />

anno dell'altro? Personalmente non mi interessava: l'anno <strong>che</strong><br />

avevamo di fronte si preannunciava buono per la Colonia.<br />

Di colpo mi ricordai qualcosa - non so <strong>che</strong> cosa mi solleticò la<br />

memoria - e presi la bisaccia per estrarne la conchiglia <strong>che</strong> avevo<br />

preso da tavola la sera prima. Le mie dita la trovarono e la posarono<br />

delicatamente sul bancone da lavoro di fronte a me, chiudendone<br />

con garbo le valve. Era una conchiglia aperta, tolta da un cestino<br />

portato da uno dei giovani preti <strong>che</strong> adesso accompagnavano<br />

ovunque il vescovo Alarico. Erano arrivati il giorno prima e<br />

sarebbero rimasti con noi per diversi giorni ancora prima di<br />

ripartire.<br />

Sorrisi tra me pensando <strong>che</strong> erano mesi ormai <strong>che</strong> Alarico non ci


portava cattive notizie. <strong>La</strong> notte scorsa a cena aveva sottolineato,<br />

parlando, la grande preoccupazione di Dio per i dettagli, nel creare<br />

la perfezione an<strong>che</strong> nelle umili conchiglie. Ne avevo scelta una e<br />

l'avevo esaminata con cura, mentre una voce <strong>che</strong> sembrava venire<br />

dal nulla aveva detto chiaramente: pomolo.<br />

Quella conchiglia era fatta in modo squisito, perfetta nella sua<br />

simmetria, e il disegno delle coste era di una immacolata finezza;<br />

ognuna nasceva dallo spessore alla base della conchiglia e tendeva<br />

verso la dentellatura di un piccolo festone del bordo frastagliato.<br />

Avevo visto con gli occhi della fantasia un duplicato della<br />

conchiglia <strong>che</strong> tenevo in mano, lavorato in oro massiccio,<br />

aggiungere il suo peso per bilanciare la mia nuova spada. Adesso<br />

<strong>che</strong> la riguardavo alla luce del giorno capii <strong>che</strong> la mia intuizione era<br />

stata corretta. Un pomolo d'oro. D'oro massiccio. Sorrisi all'idea. Ma<br />

un'elsa d'oro? Un'elsa a croce d'oro? No, decisi, sarebbe stata troppo<br />

volgare e probabilmente troppo pesante. Inoltre l'oro era troppo<br />

morbido per un'elsa a croce come quella <strong>che</strong> immaginavo. Guardai<br />

di nuovo la conchiglia, avvicinandola agli occhi. Era grande, ampia<br />

alla base come l'intera lunghezza del mio pollice e spessa la metà in<br />

sezione, da davanti a dietro. Sarebbe stato un pomolo bello e<br />

compatto. Ma come lo avrei montato? Era un problema enorme,<br />

perché la lunghezza della nuova lama produceva vibrazioni <strong>che</strong> non<br />

erano mai esistite nel gladio, molto più corto, e queste vibrazioni<br />

minacciavano di spaccare qualsiasi giuntura <strong>che</strong> non fosse<br />

perfettamente compatta. Ero tormentato perché non sapevo come<br />

attaccare saldamente l'elsa a croce alla lama diritta per poi poter<br />

fissare un'impugnatura con una presa comoda tra l'elsa e il pomolo.<br />

Ma quelle vibrazioni distruggevano ogni idea <strong>che</strong> potessi avere.<br />

Rimisi la conchiglia nella bisaccia, lasciai la lama sul bancone, e<br />

tornai alla villa in cerca del vecchio manoscritto di nonno Varro<br />

sull'antica arte di colare i pezzi in uno stampo.<br />

Luceia era nella stanza di famiglia e stava parlando seriamente


con Veronica e le sue sorelle più piccole, Lucilla e Dora, entrambe<br />

intimidite e impressionate dall'imminente transizione della sorella<br />

dall'adolescenza alla maturità. Ai loro occhi Veronica era già passata<br />

alla vita adulta, lasciandole molto indietro. Non <strong>che</strong> fossero gelose<br />

di lei; leggermente invidiose forse, ma in quel modo stupefatto,<br />

pieno di meraviglia e di sospiri <strong>che</strong> è tipico solo delle adolescenti<br />

molto giovani.<br />

Le quattro donne della mia famiglia godevano tra di loro di un<br />

cameratismo spontaneo, di un'affettuosa intimità. Ovviamente<br />

discutevano del matrimonio, <strong>che</strong> avrebbe avuto luogo in primavera,<br />

e sono sicuro <strong>che</strong> non si accorsero affatto <strong>che</strong> passavo e chiedevo<br />

scusa per il disturbo, e passando portai via con me l'immagine degli<br />

occhi lucenti e dei seni orgogliosamente eretti di mia figlia Veronica.<br />

Era una bellezza la mia piccola Gazza. Mentre cercavo la pergamena<br />

fischiettavo ancora piano, e meditavo sul magico processo <strong>che</strong><br />

poteva così bruscamente trasformare una bella e fiduciosa figlia<br />

ancora piccola in un'affascinante giovane donna sicura di sé. Trovai<br />

il manoscritto proprio dove lo avevo lasciato e lo riportai alla fucina<br />

per studiarlo: non mi ci volle molto per arrivare alla conclusione <strong>che</strong><br />

avrei avuto bisogno di padre Andros.


XXVI.<br />

Quando nel mese di marzo di quell'anno il biancospino fiorì,<br />

ogni giorno sulla nuova strada, dall'alba al tramonto, c'era una<br />

continua corrente di traffico in entrambe le direzioni.<br />

Ogni persona nella Colonia era completamente assorbita dal<br />

compito di preparare i nuovi alloggi, con l'eccezione delle donne di<br />

casa mia <strong>che</strong> avevano an<strong>che</strong> un matrimonio di cui preoccuparsi.<br />

C'era un'atmosfera di febbrile attività ovunque e an<strong>che</strong> l'assenza dei<br />

soldati ritirati dal forte per compiere il servizio di pattugliamento,<br />

due terzi circa delle nostre forze, sembrava non causare una gran<br />

differenza nel ritmo di lavoro.<br />

I cavalli in più <strong>che</strong> Pico ci aveva promesso, compresi due<br />

magnifici e inattesi stalloni forniti solo per far razza, arrivarono agli<br />

inizi di marzo e furono messi al lavoro immediatamente,<br />

aumentando notevolmente le nostre forze.<br />

Uno dei coloni, un veterano di molte guerre con la barba bianca,<br />

aveva avvicinato Caio in gennaio con l'idea di iniziare presto<br />

l'addestramento dei nostri giovani. Era pronto, diceva, ad assumersi<br />

lui quella responsabilità, e Caio fu felice di permetterglielo. Ora<br />

comandava un corpo di quarantacinque giovani tra i quattordici e i<br />

sedici anni, <strong>che</strong> passavano le giornate marciando e<br />

contromarciando, imparando l'uso delle armi e studiando le nuove<br />

tatti<strong>che</strong> della cavalleria.<br />

Era una primavera calda, piena di promesse. Stavamo per<br />

spostarci in una casa più sicura; andavamo, secondo il calendario<br />

cristiano, incontro a un nuovo secolo e ci sentivamo certi del nostro<br />

destino. Tutt'intorno a noi, mentre ci eravamo preparati a minacce e<br />

pericoli, c'era solo tranquillità. Eravamo pronti, però, per ogni<br />

evenienza. I contadini aravano i campi sotto lo sguardo vigile dei<br />

soldati, e la carovana <strong>che</strong> mandammo a Glevum quella primavera fu


accompagnata da una nutrita scorta. Eravamo determinati a far sì<br />

<strong>che</strong> nessun razziatore trovasse in noi un punto debole.<br />

Il matrimonio doveva svolgersi in aprile, un tempo sacro sia per<br />

i druidi celtici sia per i cristiani, e verso la fine di marzo la gente di<br />

Ullic cominciò ad arrivare. Stabilirono i loro accampamenti nei<br />

campi intorno alla villa, soprattutto lungo la nuova strada per il<br />

forte, e Ullic e il suo gruppo arrivarono con pompa e sfrenato<br />

splendore celtico il primo giorno del tempo pasquale. Il loro arrivo<br />

coincise con quello, meno ostentato, del vescovo Alarico, <strong>che</strong> era<br />

venuto, come promesso, a celebrare con una messa speciale il<br />

matrimonio e l'inaugurazione della nostra Sala del Consiglio.<br />

Ullic portò doni ed eccitazione barbarica; Alarico portò la nostra<br />

nuova pietra d'altare lavorata a mano. Ullic portò amore, risate e<br />

canti; Alarico portò amore, risate e devozione. Ullic portò nel suo<br />

corteo i druidi; Alarico portò un prete, un gigante gentile di nome<br />

Fono, appena uscito dall'adolescenza. <strong>La</strong> prima volta <strong>che</strong> i druidi e i<br />

preti cristiani si trovarono faccia a faccia quel giorno, la scena era<br />

allestita sia per la guerra sia per la pace. Almeno è quello <strong>che</strong> pensai,<br />

ma divenne subito chiaro <strong>che</strong> non avevo motivo di preoccupazione;<br />

non ci fu alcun segno di ostilità tra i due gruppi né allora, né in<br />

seguito.<br />

<strong>La</strong> cena serale fu una riunione festiva e la conversazione vertè<br />

tutta sul futuro degli sposi e sulla grande caccia <strong>che</strong> io avevo<br />

organizzato per il giorno seguente. Caio era al meglio della sua<br />

vivacità quella sera, e la conversazione a tavola era spumeggiante di<br />

intelligenza e spirito.<br />

Io non sono superstizioso, ma ricordo di aver pensato quella<br />

notte <strong>che</strong> tutto era andato troppo liscio. Improvvisamente,<br />

guardando intorno al tavolo e sentendo il calore e l'amore <strong>che</strong><br />

pervadevano l'atmosfera, mi sembrò <strong>che</strong> la nostra vita, in quegli<br />

ultimi otto mesi, fosse stata troppo facile. Sentivo come se da<br />

qual<strong>che</strong> parte, fuori nella notte, forze malvagie si stessero


accogliendo per rovinare la nostra gaiezza, e durante la cena mi<br />

aspettavo quasi di sentire uno scalpiccio all'esterno, come se<br />

qualcuno arrivasse correndo a portare notizie di catastrofi. Ma non<br />

accadde, e la serata trascorse senza allarmi, come la settimana <strong>che</strong><br />

seguì. Il matrimonio era stato fissato per il giorno di Pasqua, la festa<br />

della primavera e della resurrezione, l'emergere di una nuova vita.<br />

Sembrava un tempo appropriato, giusto e approvato dal Cielo. <strong>La</strong><br />

nostra caccia ebbe successo ogni giorno e godemmo di una quantità<br />

di carni fres<strong>che</strong> di ogni tipo e di pesce fresco, sia di acqua dolce sia di<br />

acqua salata.<br />

Nel gruppo di Ullic c'era an<strong>che</strong> una giovane donna <strong>che</strong> faceva<br />

girare la testa a ogni uomo <strong>che</strong> la vedeva, me compreso. Il suo nome<br />

era Enid ed era la sorella più giovane di Ullic. <strong>La</strong> sua pelle era dorata<br />

e i denti splendidi, bianchi come la neve contro il rosso vivo delle<br />

labbra. Perfino la mia dolce Luceia mostrò gli artigli la prima volta<br />

<strong>che</strong> vide Enid, avvertendomi in tono quasi minaccioso, per gioco ma<br />

non proprio, di mantenere le mie attenzioni a doverosa distanza.<br />

Questo mi sorprese, perché era la prima volta <strong>che</strong> mia moglie faceva<br />

un commento simile. Più tardi, quella prima sera, lo raccontai<br />

s<strong>che</strong>rzando a Caio, ed egli ebbe il buon senso di osservare <strong>che</strong><br />

Luceia probabilmente sentiva di non essere più abbastanza giovane<br />

da potere competere con un animale come Enid.<br />

E un animale lo era, an<strong>che</strong> se lo dico senza la minima cattiveria.<br />

Era selvatica come un cervo: lucido e pulito, apparentemente timido<br />

e facilmente spaventato, e <strong>che</strong> dà l'impressione <strong>che</strong> un movimento<br />

troppo brusco possa provocare la sua immediata fuga. Ma aveva<br />

an<strong>che</strong> un aspetto selvaggio, con tutta la seduzione e la grazia dei<br />

grandi felini africani. I suoi occhi erano verdazzurri e i capelli fulvi<br />

risaltavano tra i Celti, <strong>che</strong> avevano tutti i capelli neri e gli occhi<br />

azzurri. I suoi seni erano alti, grandi e sodi e, pur non avendo alcun<br />

desiderio di lei, quando mi capitò molto vicina fui tentato di<br />

circondare con le mie grandi mani la sua vita, <strong>che</strong> sembrava così<br />

sottile. Ovviamente la sua vita non era davvero così sottile, ma tra i


seni lussureggianti e l'ondeggiante sporgenza dei fianchi, sembrava<br />

così sottile. E io guardavo, come del resto faceva ogni altro uomo<br />

<strong>che</strong> non fosse suo diretto parente. <strong>La</strong> mia ammirazione per la<br />

giovane donna, <strong>che</strong> si esprimeva da lontano ed era limitata dalla<br />

necessità di non offendere mia moglie, era un'ammirazione di tipo<br />

paterno, e mi stimolava pensieri come "Chissà se...", "Come sarebbe<br />

se..." e "C'è stato un tempo in cui...". C'erano altri uomini, però, nelle<br />

nostre riunioni, <strong>che</strong> non erano bloccati dalla doppia costrizione di<br />

età e matrimonio, e tra tutti riuscivano a impedire a Enid di<br />

annoiarsi. Era l'indiscusso centro di attrazione di ogni giovane<br />

maschio scapolo della Colonia, e an<strong>che</strong> di un notevole numero di<br />

uomini <strong>che</strong> non erano né giovani, né scapoli. Il più giovane dei miei<br />

apprendisti, Giuseppe, <strong>che</strong> non aveva ancora sedici anni, la seguiva<br />

ovunque come un cucciolo, e si sedeva più vicino <strong>che</strong> poteva e a<br />

volte dimenticava perfino di mangiare.<br />

Luceia ritenne importante fare la conoscenza della bella arrivata,<br />

e quando l'ebbe conosciuta decise <strong>che</strong> le piaceva. Fu lei a<br />

raccontarmi la storia di Enid. <strong>La</strong> donna era bella, testarda, ostinata,<br />

molto piacevole e decisa a morire nubile. Il suo unico vero amore era<br />

morto salvandole la vita da un orso gigantesco, e lei in tutti quegli<br />

anni non aveva trovato nessuno <strong>che</strong> reggesse il paragone.<br />

Adesso aveva quasi trent'anni; in realtà era sorellastra di Ullic,<br />

generata dal padre di Ullic con la seconda moglie, e Ullic disperava<br />

ormai di sistemarla. Enid, mi disse Luceia, era soddisfatta dello stato<br />

delle cose e non desiderava mutarlo.<br />

Il giorno prima del matrimonio tentai con tutte le mie forze di<br />

fuggire. L'intera casa sembrava un manicomio. Cercai di scappare<br />

nella fucina per passare un po' di tempo con Equo, ma era destino<br />

<strong>che</strong> non andasse così. Luceia mi chiamò mentre stavo per uscire e mi<br />

mandò al forte con una commissione, e da quel momento fui<br />

coinvolto nella follia generale. Fino a quando ci preparammo per<br />

andare a letto non ebbi un solo momento per me.


Il vescovo Alarico doveva consacrare la pietra d'altare alla villa<br />

il mattino successivo, e portarla poi in processione fino alla sommità<br />

della collina. Sarebbe stata una lunga camminata per l'anziano prete,<br />

ma Alarico era irremovibile nella sua determinazione. Il viaggio, mi<br />

disse, sarebbe stato simbolico in molti modi: simbolico del cammino<br />

di Cristo verso il Calvario e del nostro sforzo come Colonia verso<br />

una vita migliore, più cristiana. Non ero sicuro di quello <strong>che</strong><br />

intendeva, ma non volevo discutere con lui.<br />

<strong>La</strong> sposa, la mia piccola Gazza, Veronica... dovevo farmi<br />

violenza per rendermi conto di cosa significasse realmente... sarebbe<br />

stata portata sulla collina su una lettiga, costruita apposta per lei da<br />

uno dei nostri carpentieri.<br />

Una guardia d'onore di sessanta fanti avrebbe fornito<br />

abbondantemente i muscoli necessari per il lungo trasporto. Luceia<br />

e le sue ami<strong>che</strong> sarebbero salite su portantine sorrette da altri fanti.<br />

Io, il padre della sposa, avrei guidato il corteo a cavallo con Caio e<br />

dieci altri amici <strong>che</strong> avrebbero costituito l'avanguardia ufficiale<br />

dell'intero corteo. Il tempo era stato perfetto fino a quel momento. Se<br />

l'indomani fosse piovuto la cerimonia sarebbe stata un insuccesso.<br />

Preferii non pensarci. Sarebbe stata una giornata molto lunga.<br />

<strong>La</strong> voce di Luceia interruppe i miei stanchi pensieri. «Pico non è<br />

venuto.»<br />

«No. Ha detto <strong>che</strong> avrebbe cercato di venire, ma è alla mercé dei<br />

Sassoni, tesoro. Quando loro invadono, lui deve muoversi. Sarei<br />

stato sorpreso di vederlo qui in questo periodo dell'anno.» Mi<br />

abbandonai nel letto, tirando su la pelliccia e arrotolandomici sotto<br />

come un animale nella tana. Luceia spense la lampada e ci fu<br />

silenzio tra noi per un tempo così lungo <strong>che</strong> ero quasi del tutto<br />

addormentato quando lei parlò di nuovo.<br />

«Ti rendi conto, Publio, <strong>che</strong> domani a quest'ora la nostra piccola<br />

Veronica sarà una donna? Apparterrà a suo marito e non a noi.»<br />

«Sì» risposi, girando il volto verso di lei. «Ne sono cosciente.


Sarà una moglie e una donna e se è capace come sua madre compirà<br />

buone cose per sé e per il marito.» Mi allungai e le passai il braccio<br />

intorno alla vita <strong>che</strong> era ancora abbastanza sottile da smentire i suoi<br />

anni.<br />

«Non sembri sconvolto.»<br />

Ero sorpreso. «Perché dovrei esserlo?»<br />

«Meno di tre anni fa hai quasi dichiarato guerra a Ullic quando<br />

ha parlato di questo matrimonio.»<br />

«Ah!» dissi, riflettendo rapidamente sull'impossibilità di<br />

spiegare quel fatto. «Capisco quello <strong>che</strong> ti inquieta...» <strong>La</strong>sciai <strong>che</strong> la<br />

mia voce si spegnesse e poi dissi: «Sst, donna! Questo è stato tre anni<br />

fa e Veronica era una bambina allora. Adesso è giunto il tempo per<br />

lei di essere donna e di godere i piaceri <strong>che</strong> tu come donna hai<br />

goduto.»<br />

«Parli al passato? Li godo ancora, marito.»<br />

«Sì, ma non così spesso.»<br />

«No, non così spesso. Questo è vero... e triste.»<br />

«Perché triste?»<br />

«Perché non voglio <strong>che</strong> mio marito diventi vecchio, lasciandomi<br />

insoddisfatta.»<br />

Mi alzai su un gomito, guardandola nell'oscurità, sapendo <strong>che</strong><br />

avrebbe avvertito il sorriso nella mia voce. «Insoddisfatta? Donna,<br />

mi controllo a causa della tua età avanzata. Sono le tue ossa <strong>che</strong><br />

stanno diventando fragili. Non vorrei romperle in nome<br />

dell'amore.»<br />

<strong>La</strong> sua mano salì a cingermi il collo. «Vieni a rompermele,<br />

vecchio caprone! Ti sfido.»<br />

Il giorno seguente l'alba era dorata e perfetta. Sentii iniziare i<br />

preparativi mentre ero ancora immerso nel vapore nel bagno; misi


una cura particolare nelle mie abluzioni e nel mio abbigliamento,<br />

tanto <strong>che</strong> Luceia fu pronta prima di me.<br />

Per l'occasione indossai la mia uniforme ufficiale, cosa <strong>che</strong><br />

facevo raramente. Avevo passato tanto tempo con l'armatura <strong>che</strong> le<br />

finezze del mio equipaggiamento mi davano poco piacere; ero molto<br />

più comodo e più a mio agio negli abiti di pelle <strong>che</strong> Luceia aveva<br />

cucito apposta per me. Per il matrimonio di mia figlia, però, ero<br />

pronto a soffrire, con tutto il cuore. Portavo elmo, corazza e schinieri<br />

di bronzo massiccio. L'elmo e la corazza erano lavorati finemente, se<br />

posso dirlo, con alcune delle più belle decorazioni celti<strong>che</strong> <strong>che</strong> padre<br />

Andros avesse scoperto nei suoi viaggi lontani. <strong>La</strong> grande cresta<br />

dell'elmo era di crini di cavallo, tinti nello stesso scarlatto del<br />

mantello, <strong>che</strong> aveva le spalle talmente lavorate con fili di bronzo e di<br />

argento, da assomigliare a un pezzo di armatura. <strong>La</strong> tunica era di<br />

lino bianco, bordata di scarlatto, e le strisce del gonnellino corazzato<br />

erano formate da lastrine di bronzo, fissate con filo metallico a una<br />

sola estremità, in modo da essere mobili; e portavo la mia spada più<br />

bella, con elsa e fodero di bronzo. Quando ebbi finalmente stretto e<br />

chiuso tutte le fibbie e mosso qual<strong>che</strong> passo per la stanza,<br />

distribuendo al meglio il peso dell'equipaggiamento, avrei tanto<br />

voluto indossare i miei comodi stivali vecchi invece dei rigidi<br />

sandali nuovi e dei gambali <strong>che</strong> si adattavano a quell'insieme. Alla<br />

fine non potei prolungare oltre quel momento; andai a raggiungere<br />

mia moglie e mia figlia.<br />

Il loro aspetto mi colse alla sprovvista. Non avevo mai visto mia<br />

figlia così bella. Per la mattina del suo matrimonio era radiosa, tutta<br />

vestita di bianco, splendente dalla testa ai piedi. Luceia aveva<br />

comprato la stoffa per quell'abito dieci anni prima, sapendo<br />

esattamente <strong>che</strong> cosa stava comprando e l'uso <strong>che</strong> un giorno ne<br />

avrebbe fatto. Il tessuto, qualunque cosa fosse, veniva dall'Africa e la<br />

sua finezza e la sua purezza erano stupefacenti. Quando vidi l'abito<br />

confezionato con quella stoffa pensai <strong>che</strong> si trattasse di una semplice<br />

stola, l'abito <strong>che</strong> le giovani donne di Roma portavano all'epoca della


epubblica. Ma solo al primo sguardo. Un'occhiata più attenta mi<br />

rivelò <strong>che</strong> quell'abito non era una semplice stola, non era nulla di<br />

semplice. Il tessuto - sapevo <strong>che</strong> Luceia aveva un nome per quella<br />

stoffa, ma mi sfuggiva - era stato sovrapposto strato dopo strato,<br />

cucito insieme con punti piccoli e lavorato con migliaia di piccole<br />

conchiglie opalescenti. Ogni volta <strong>che</strong> Veronica si muoveva, quelle<br />

conchigliette si urtavano e battevano insieme, ma il rumore era<br />

attutito dagli strati della stoffa. Era una creazione meravigliosa.<br />

Mia figlia mi sorrise e venne a prendere il mio braccio, e quando<br />

sentii le sue dita sfiorarmi la pelle trattenni il respiro e mi gonfiai di<br />

orgoglio paterno e di fierezza, giurando a me stesso <strong>che</strong> avrei<br />

frustato quel suo nuovo marito se non avesse deposto ai suoi piedi<br />

la luna e le stelle. Avevo un groppo in gola quando ci muovemmo<br />

insieme verso la soglia di casa, seguiti dalla madre e dalle sorelle.<br />

Quando uscimmo nel sole del mattino un applauso spontaneo<br />

scoppiò tra la folla di più di tremila persone <strong>che</strong> ci aspettavano, già<br />

disposte nel corteo <strong>che</strong> doveva salire verso la collina. Accompagnai<br />

mia figlia alla sua lettiga e la madre e le sorelle alle loro portantine e<br />

poi mi diressi, tentando di zoppicare il meno possibile, alla testa<br />

della colonna, dove il mio cavallo mi stava aspettando. Equo in<br />

persona mi aiutò a salire in groppa a Germanico, e una volta in sella<br />

feci voltare il cavallo per ispezionare attentamente la guardia<br />

d'onore. Infine, certo <strong>che</strong> non avrebbero potuto avere un aspetto<br />

migliore, diedi il segnale di procedere e spronai Germanico.<br />

Era un procedere lento, ma mi sentivo in pace e contento del mio<br />

posto all'avanguardia. Caio cavalcava alla mia destra e altri dieci dei<br />

nostri amici più intimi ci accompagnavano, ma nessuno parlava.<br />

Tutti sembravano capire il mio inespresso desiderio di silenzio in cui<br />

godere di quella occasione.<br />

Avevamo fatto circa un terzo del percorso verso la collina lungo<br />

la nuova strada quando vidi un improvviso lampo di luce in<br />

lontananza, alla mia sinistra, e il mio cuore diede un balzo di


preoccupazione. Nessun altro lo aveva notato, ma io lo avevo visto e<br />

sapevo cos'era. <strong>La</strong> luce del sole del primo mattino si rifletteva sul<br />

metallo, in un punto in cui quel giorno non avrebbe dovuto esserci<br />

metallo.<br />

Alzai immediatamente una mano per fermare la colonna dietro<br />

di me, e riflettei rapidamente cercando di decidere se correre al forte<br />

o scappare verso la villa. Ero ben cosciente del numero di donne nel<br />

corteo, ma poi ricordai <strong>che</strong> i nostri soldati erano spiegati in forze<br />

dietro la fattoria principale, e mi resi conto <strong>che</strong> non c'era pericolo per<br />

la nostra colonna.<br />

Caio mi chiese perché mi ero fermato, e io risposi con un cenno<br />

del capo in direzione del riflesso; allora fummo in grado di<br />

distinguere il movimento rapido di uomini a cavallo, e il grande<br />

stendardo bianco e nero di Pico Britannico.<br />

Arrivò con magnificenza, accolto da un'ovazione della folla alle<br />

mie spalle e dal suono dei corni dalla sommità del forte, da dove la<br />

gente di Ullic si era sporta a guardare. An<strong>che</strong> Pico era vestito per le<br />

grandi occasioni, con la sua armatura dorata più bella, e i suoi<br />

uomini, sebbene fossero reduci da un lungo e faticoso viaggio a<br />

cavallo, ci apparvero agghindati come per una parata imperiale.<br />

Quando la sua colonna si avvicinò alla nostra i suoi alfieri si<br />

radunarono in formazione dietro di lui, e lo stendardo recante la<br />

scritta SPQR, l'insegna del Senato e del Popolo di Roma, prese il<br />

posto d'onore a fianco di quello di Pico, alle spalle dello stesso Pico.<br />

Ogni vessillifero prese posizione a venti passi dietro e quaranta di<br />

fianco a lui. Le tre formazioni minori, gli stendardi dello squadrone,<br />

presero posto dietro a loro, anch'esse a quaranta passi uno dall'altro.<br />

Questi vessilliferi, e con essi Pico <strong>che</strong> era alla testa della formazione,<br />

creavano tutti insieme una piccola punta di freccia di sei uomini a<br />

cavallo, alla testa di tre grandi formazioni a punta di freccia di<br />

quaranta uomini ognuna.<br />

<strong>La</strong> gente nel corteo nuziale applaudì con entusiasmo ancora


maggiore mentre l'orgogliosa sfilata si avvicinava rombando e si<br />

fermava in formazione perfetta, con Pico davanti, a meno di quattro<br />

passi da me. Pico mi fece con il pugno chiuso un perfetto saluto.<br />

«Salve, Publio Varro. Siamo stati trattenuti, ma come vedi siamo<br />

pronti a fare da guardia d'onore per una bella sposa in una bella<br />

giornata.»<br />

Era caduto il silenzio quando lui si era fermato tra il rumore<br />

degli zoccoli, e tutti sentirono il saluto pronunciato ad alta voce.<br />

L'applauso riprese mentre gli rispondevo.<br />

«Bene arrivato, Pico Britannico. Quando avrai dato il saluto a<br />

tuo padre, Caio Britannico, e alla nostra sposa, sarò felice di avere la<br />

tua compagnia.»<br />

Le truppe rimasero immobili mentre Pico avvicinava il cavallo a<br />

suo padre, <strong>che</strong> era al mio fianco, alla lettiga di Veronica e alla<br />

portantina di sua zia Luceia. Quand'ebbe porto i suoi omaggi,<br />

ritornò al mio fianco alla testa della colonna, con un ampio sorriso<br />

sulle labbra.<br />

«Zio Varro, sono impressionato! Questo non è un semplice<br />

matrimonio, è una festa di proporzioni epi<strong>che</strong>!»<br />

«Sì, Pico» gli dissi, rispondendo al suo sorriso. «Lo è. È l'inizio<br />

della realizzazione dei nostri sogni, primi fra tutti quelli di tuo<br />

padre, ed è an<strong>che</strong> la prima grande celebrazione <strong>che</strong> ci concediamo<br />

dalla fondazione della Colonia. Come vuoi disporre i tuoi uomini?»<br />

Passò in rassegna le truppe e poi guardò verso la collina, dove la<br />

nuova strada si apriva come una ferita nella terra fino al forte.<br />

«Ci stavo pensando mentre ci avvicinavamo. Il vostro corteo è<br />

già formato ed è già in cammino; cercare di cambiarlo adesso<br />

creerebbe confusione. Perché non mandare avanti le mie truppe per<br />

formare una spalliera sui due lati della strada? Se lasciamo uno<br />

spazio di dieci passi tra un uomo e l'altro avresti più di un quarto di<br />

miglio di guardie.»


«Splendido» dissi ridendo. «È una bella idea. E quando non<br />

sarai più un soldato puoi diventare ricco organizzando spettacoli al<br />

Circo Massimo.»<br />

Si girò, si avvicinò al suo vessillifero e gli indicò la collina. Tutto<br />

era già stato ovviamente preparato, ma lo spettacolo fu comunque<br />

grandioso. I suoi uomini fecero una partenza perfetta, cambiando<br />

formazione subito dopo aver spronato i cavalli, poi presero la strada<br />

in fila per quattro davanti a noi, lasciandoci ben presto indietro.<br />

Diedi ordine di riprendere il cammino, alzando la mano per<br />

avvertire il corteo alle mie spalle, e seguimmo gli uomini di Pico a<br />

un'andatura più calma e dignitosa..<br />

Non appena mi fui accertato <strong>che</strong> tutti avevano ripreso il<br />

cammino senza incidenti, mi girai verso Pico <strong>che</strong> cavalcava alla mia<br />

sinistra.<br />

«Allora, ragazzo! Cosa succede nel mondo? Devo ammettere<br />

<strong>che</strong> non mi aspettavo di vederti qui oggi.»<br />

«Neanch'io, zio.» <strong>La</strong> sua voce era bassa e inaspettatamente seria,<br />

e io guardai immediatamente Caio, vedendo <strong>che</strong> ci fissava e<br />

spingeva il cavallo più vicino per sentire meglio.<br />

Pico aspettò <strong>che</strong> suo padre fosse vicino prima di riprendere a<br />

parlare. «Nel nord è scoppiato l'inferno. Non riusciremo mai a<br />

tenere il Vallo se le cose continuano come adesso.»<br />

«Perché mai?» <strong>La</strong> voce di Caio era tesa adesso. «Cosa vuoi<br />

dire?»<br />

«Solo quello <strong>che</strong> ho detto, padre. È il caos totale lassù. Siamo<br />

stati sotto un attacco costante e crescente dallo scorso ottobre. Mai<br />

un calo. Siamo stati colpiti in ogni punto lungo le ottantacinque<br />

miglia del Vallo, in genere in tre o quattro punti per volta, a distanza<br />

di miglia. Non c'è modo di difendersi da quegli attacchi. E la nostra<br />

cavalleria è inutile, tranne <strong>che</strong> come sostegno per le guarnigioni<br />

regolari. Se ci fosse un'invasione potremmo spazzare via gli invasori


<strong>che</strong> passano attraverso la breccia, ma solo se fossimo abbastanza<br />

vicini da colpirli direttamente avremmo una possibilità di<br />

respingerli.»<br />

Per qual<strong>che</strong> istante ci fu silenzio e poi, come sempre, fu Caio <strong>che</strong><br />

parlò.<br />

«Non avevo idea <strong>che</strong> le cose fossero così gravi lassù. Avevamo<br />

sentito delle voci, ovviamente, ma pensavamo <strong>che</strong> il nemico venisse<br />

contenuto.»<br />

«Viene contenuto. Per ora.» <strong>La</strong> voce di Pico suonava scettica.<br />

«Ma non durerà a lungo. Sono troppo ben coordinati. Hanno una<br />

mente militare di prima classe a dirigerli.»<br />

Un gridolino femminile risuonò dietro di noi seguito da uno<br />

scroscio di risa. Mi girai a guardare, ma non vidi l'origine di<br />

quell'ilarità, né la sua causa.<br />

«In ogni modo,» continuò Pico, senza prestare attenzione alle<br />

risate, «questi sono discorsi per quando le signore saranno a letto.<br />

Questa mattina deve essere dedicata solo al piacere.»<br />

Cavalcammo in ami<strong>che</strong>vole silenzio per un certo tempo,<br />

godendo della bellezza della giornata e ascoltando il suono<br />

argentino dei musicisti celtici <strong>che</strong> intrattenevano le signore. Il primo<br />

dei soldati di Pico era fermo col suo cavallo sul lato sinistro della<br />

strada a circa mezzo miglio davanti a noi, proprio alla base della<br />

collina.<br />

«Guarda,» osservò Pico, «Giano ha scaglionato gli uomini a<br />

dieci passi di distanza sui due lati della collina. Così va bene. È un<br />

uomo di iniziativa. Adesso hai quasi mezzo miglio di guardie a<br />

cavallo.»<br />

«Sì» commentò Caio di buonumore. «Piacerà alle donne.» Fece<br />

una pausa, come se stesse riflettendo, prima di commentare. «Sai<br />

<strong>che</strong> le tue sono le sole truppe imperiali <strong>che</strong> alcuni dei nostri hanno<br />

mai visto? Specialmente i giovani.»


<strong>La</strong> voce di Pico suonò sorpresa. «Ora <strong>che</strong> me lo fai notare penso<br />

proprio <strong>che</strong> sia così. Siete davvero fuori dalle strade battute.»<br />

«Sì» aggiunsi io. «E piaccia a Dio <strong>che</strong> restiamo fuori... A<br />

proposito, <strong>che</strong> notizie hai del tuo giovane amico con quelle strane<br />

idee? Come si chiamava? Pelidoro?»<br />

«Chi? Pelidoro?» Pico non capiva, poi esclamò: «Ah, vuoi dire<br />

Pelagio!».<br />

«Giusto, Pelagio, era quello il suo nome. Il teologo. Cosa sai di<br />

lui?»<br />

Pico scosse la testa. «Niente. Nessuna notizia. Non sento<br />

pronunciare il suo nome da secoli. Da quel giorno in cui abbiamo<br />

parlato di lui.»<br />

«Pensi <strong>che</strong> sia ancora vivo?»<br />

«Perché no?» Pico rise ad alta voce. «Ha offeso un vescovo, zio,<br />

non l'imperatore. E a proposito di vescovi, quando avete visto per<br />

l'ultima volta il vescovo Alarico?»<br />

«Alarico? Circa un'ora fa. È proprio dietro di te circa a metà<br />

della colonna. Celebrerà il matrimonio e consacrerà la nostra nuova<br />

pietra d'altare.»<br />

«Pietra d'altare? Cos'è?»<br />

«Lo vedrai. Il buon vescovo ha convinto il Consiglio a stabilire<br />

un luogo di incontro per preti e fedeli nella Sala del Consiglio.»<br />

«Per Mitra!» C'era un'ammirazione incondizionata nella voce di<br />

Pico. «E come ci è riuscito?»<br />

«In modo intelligente» gli risposi con un sorriso. «È in un<br />

momento in cui ha avuto il massimo effetto. È riuscito a completare<br />

la Sala del Consiglio.»<br />

Pico strinse le labbra e guardò me, poi suo padre e poi di nuovo<br />

me. «Hai detto <strong>che</strong> la giornata odierna segna l'inizio della<br />

realizzazione di tutti i sogni di mio padre. Il matrimonio, sta bene, lo


capisco, ma cos'altro c'è ancora?»<br />

«Beh, c'è la nuova Sala del Consiglio, come ho detto, e i nostri<br />

nuovi alloggi. Il forte viene usato quasi interamente per la prima<br />

volta oggi. Questa è an<strong>che</strong> la prima processione di tutta la nostra<br />

gente lungo la nuova strada. Ed è la prima primavera di un nuovo<br />

secolo nell'anno del Signore Gesù. Pensa a tutto questo, Pico. Quello<br />

a cui assisterai oggi è, nel suo piccolo, il nascere di una nuova<br />

società, in un luogo nuovo, circondata da nuove mura al principio di<br />

una nuova era. E, soprattutto, questa gente e i loro sogni, questo<br />

luogo, i soldati e le loro armi e tutte le speranze per il futuro, tutto<br />

questo è uscito dalla mente e dai sogni di tuo padre.»<br />

Caio tossì e si schiarì la voce imbarazzato, e avrebbe eccepito se<br />

io non lo avessi immediatamente interrotto.<br />

«No, Caio, non mi metterai a tacere e non ricuserai le mie parole.<br />

Tutto quello <strong>che</strong> dico è vero e non c'è modo <strong>che</strong> tu sfugga al<br />

riconoscimento dei tuoi piani e dei tuoi progetti, quindi non tentare<br />

neppure di farlo.»<br />

Pico parlò per suo padre e per se stesso. «Publio Varro,» disse,<br />

«le tue parole mi rendono insieme fiero e umile di essere figlio di<br />

mio padre.»<br />

«Bene, così è giusto <strong>che</strong> sia. Entrambe le cose. L'orgoglio è la<br />

spada di un uomo forte e un po' di umiltà non fa male.»<br />

Eravamo arrivati di fianco al primo uomo di Pico: era rigido<br />

sull'attenti, teneva strette le redini del cavallo, sguainata la spada<br />

<strong>che</strong> scintillava al sole e guardava dritto davanti a sé, gli occhi<br />

immobili fissi sull'infinito, mentre il suo legato gli passava davanti.<br />

Sia Pico sia io ci mettemmo sull'attenti e in quella posizione<br />

ricambiammo il saluto delle guardie, fino a <strong>che</strong> raggiungemmo i<br />

cancelli in cima alla collina.<br />

Il rumore lassù era indescrivibile, una cacofonia di corni, fischi e<br />

applausi di benvenuto per la sposa e la sua scorta. L'interno del forte


era decorato con allegria appropriata all'atmosfera festosa della<br />

giornata. Lunghe strisce di stoffe a colori vivaci pendevano dai muri<br />

e i Celti di Ullic, normalmente vestiti a colori vivaci, erano paludati<br />

nei loro abiti più sfarzosi. L'intera scena era un turbinio di colori. Le<br />

mie orecchie isolarono fonti di musica diversa e lontano, alla mia<br />

destra, vidi la sagoma gigantesca e impressionante di un orso<br />

ballerino. Poi, mentre il gruppo principale attraversava i cancelli,<br />

incominciò a risuonare la lenta cadenza di benvenuto dei tamburi di<br />

guerra celtici, e altri ripresero il rullo; il ritmo aumentò<br />

gradualmente e costantemente finché tutta l'aria rimbombò di<br />

percussioni. Erano gli stessi tamburi <strong>che</strong> avevano spaventato gli<br />

uomini di Cesare oltre quattrocento anni prima e il loro effetto non<br />

era diminuito nei secoli. Il loro aspetto era ingannevolmente fragile:<br />

erano strumenti leggeri, facilmente trasportabili, nient'altro <strong>che</strong> una<br />

pelle seccata e tesa su un cerchio di legno largo una spanna,<br />

rinforzato da due tiranti incrociati <strong>che</strong> formavano una maniglia<br />

congiungendosi al centro del tamburo. Battuti con le due estremità<br />

di un corto bastone, <strong>che</strong> quegli uomini maneggiavano con<br />

incredibile destrezza, producevano una grandiosa quantità di<br />

rumore violento, marziale, rimbombante e minaccioso.<br />

Ullic, <strong>che</strong> era un grande esibizionista, ci aspettava in piedi,<br />

circondato dalla sua famiglia, dai capi, e dai druidi vestiti<br />

completamente di nero o completamente di bianco, a seconda della<br />

loro funzione.<br />

Ullic era splendido, fiammeggiante di colori e cosparso di<br />

gioielli, e portava in capo il simbolo della sua maestà, il grande elmo<br />

con l'aquila <strong>che</strong> avevo visto l'unica volta in occasione del nostro<br />

primo incontro a Stonehenge.<br />

I suoi uomini avevano costruito per lui e per il suo gruppo una<br />

piattaforma, così <strong>che</strong> sovrastavano con la testa e le spalle la folla <strong>che</strong><br />

li circondava. Uric era in piedi alla destra del padre, un fiero giovane<br />

con indosso una semplice tunica azzurra, legata con una fusciacca


cremisi e orlata con una greca di quadri dorati. Le gambe e i piedi<br />

erano infilati in stivali foderati di pelliccia con borchie d'oro, e in<br />

capo aveva un elmo da cerimonia ornato delle corna di un potente<br />

ariete, <strong>che</strong> si curvavano all'indietro a toccargli le spalle.<br />

Caio, Pico e io dirigemmo i cavalli con una lieve pressione delle<br />

ginocchia verso il corridoio sgomberato per il passaggio del corteo<br />

nuziale, e ci fermammo di fronte alla pedana di Ullic, lasciando<br />

abbastanza spazio tra Caio e me per la lettiga di Veronica e tra Caio<br />

e Pico per la portantina di Luceia. Il resto della nostra gente si divise<br />

ordinatamente su due lati, in modo <strong>che</strong> quando la sposa e il suo<br />

seguito entrarono nel recinto del forte poterono farsi<br />

tranquillamente strada verso il posto previsto.<br />

Ci volle più di un terzo di ora perché tutto il nostro gruppo si<br />

mettesse in posizione, ma finalmente Ullic alzò la mano destra,<br />

ordinando un silenzio <strong>che</strong> giunse immediato; gli occhi di tutti erano<br />

già puntati su di lui. <strong>La</strong>sciò <strong>che</strong> il silenzio arrivasse al limite del<br />

disagio prima di parlare e poi diede il benvenuto a tutti, indicando<br />

in Caio Britannico la ragione prima del fatto <strong>che</strong> il matrimonio<br />

venisse celebrato in quel luogo ed enumerando i successi, i risultati<br />

ottenuti da un uomo <strong>che</strong> tutti i presenti avevano imparato ad<br />

ammirare, se non ad amare. In mezzo a un'ondata di approvazione<br />

Caio alzò la mano in segno di protesta e Ullic si fermò. «Desideri<br />

parlare, amico?»<br />

È impressionante come sia denso il silenzio <strong>che</strong> mille o più<br />

persone possono a volte creare. <strong>La</strong> voce di Caio risuonò chiara nel<br />

silenzio.<br />

«Re Ullic, siamo qui oggi per assistere all'unione in matrimonio<br />

di tuo figlio e mia nipote. Questi due giovani sono i celebranti. Gli<br />

elogi sono appropriati solo per loro, oggi. Non possiamo passare<br />

direttamente alle cerimonie?»<br />

Ullic fece una roboante, brevissima risata. «Ah! Così sia! Hai<br />

ragione, vecchio amico, siamo qui per un matrimonio. E allora, per


tutti gli dei, celebriamone uno. Suonate i corni!»<br />

Tra l'approvazione di tutti i presenti, un gruppo di suonatori<br />

celtici cominciò a suonare i corni, producendo una serie di richiami<br />

palesemente preparati con cura, richiami diversi emessi da corni di<br />

sei o sette differenti formati. Non avevo mai sentito niente di simile;<br />

quei suoni non avevano la chiarezza dell'ottone delle trombe e dei<br />

corni romani, ma l'effetto era commovente. Non appena le ultime<br />

note si furono spente in sequenza, un altro gruppo - questa volta di<br />

suonatori di tamburo - batté un ritmo complesso, seguito dai corni<br />

nella stessa sequenza suonata a tempo doppio, e seguita<br />

nuovamente dai tamburi.<br />

Al culmine del secondo, eccitante rullio di tamburi, il vescovo<br />

Alarico entrò nel cortile dalla nuova Sala del Consiglio, il cui grande<br />

tetto di paglia intrecciata dominava ogni altra cosa nello spiazzo.<br />

Era accompagnato da uno dei suoi accoliti, padre Fono, dal nostro<br />

padre Andros e da un gruppo di druidi di Ullic, uno dei quali era<br />

coperto da capo a piedi da un lungo abito con cappuccio dello stesso<br />

colore rosso riservato al re.<br />

Il corteo si avvicinò alla tribuna e si fermò al centro, tra Ullic e<br />

Uric. Poi Caio, Veronica, Alarico e il druido vestito di rosso salirono<br />

sulla tribuna e si girarono per guardare in faccia i convenuti. Il<br />

silenzio era completo e permeato di grande tensione mista ad attesa.<br />

Regnava l'atmosfera delle grandi occasioni, una sensazione di<br />

portento, poiché, come Caio Britannico aveva fatto notare a<br />

chiunque fosse disposto ad ascoltarlo, quello non era un matrimonio<br />

qualunque.<br />

Alarico si guardò intorno e cominciò a parlare con il tono di un<br />

esperto oratore, cosa <strong>che</strong> mi sorprese, an<strong>che</strong> se non avrebbe dovuto<br />

perché sapevo <strong>che</strong> era romano di nascita e bene educato. Mi venne<br />

in mente <strong>che</strong> in realtà sapevo poco di quell'uomo, an<strong>che</strong> se eravamo<br />

amici da molti anni, al di fuori della sua vita di vescovo. Decisi di<br />

scoprire di più su di lui quando iniziò a parlare con voce


maestosamente retorica, e le sue parole risuonarono forti e chiare<br />

rivelando ben pochi segni della sua età.<br />

«Popolo di Britannia,» iniziò, «Celti e Romani insieme. Siamo<br />

qui riuniti oggi per preparare l'arrivo di una nuova era: un'era di<br />

opportunità, ma in molti luoghi an<strong>che</strong> un'era di paura e di<br />

incertezza.<br />

Oggi siamo qui riuniti in assemblea davanti agli occhi di Dio, e<br />

né Lui, né io ci preoccupiamo del nome <strong>che</strong> ciascuno gli dà nel<br />

proprio cuore, purché ognuno creda di stare qui con noi solo<br />

davanti ai suoi occhi. Egli è il solo Dio, <strong>che</strong> incarna tutti gli dei <strong>che</strong><br />

gli uomini pensavano di dover placare quando non sapevano <strong>che</strong><br />

esistesse un dio potente come Lui. Egli è Mitra, il dio dei soldati; è<br />

Amon-Ra, il dio sole dell'Egitto, perché Egli ha creato il sole. Egli è<br />

tutte le divinità celti<strong>che</strong>, e la sua mistica presenza riempie i sacri<br />

boschi.» Si fermò e guardò il druido al suo fianco, <strong>che</strong><br />

immediatamente cominciò a declamare nella gorgogliante e liquida<br />

lingua dei Celti di Ullic, ripetendo e traducendo le parole di Alarico<br />

a vantaggio di chi parlava solo celtico. Quando ebbe finito, Alarico<br />

riprese.<br />

«Oggi daremo inizio a una nuova era, a un distacco completo<br />

dalle tradizioni della vecchia era, eppure lo faremo conservando il<br />

meglio delle vecchie tradizioni, il meglio delle tradizioni celti<strong>che</strong> e il<br />

meglio delle tradizioni romane.<br />

Questi due giovani rappresentano il meglio del sangue dei<br />

nostri due popoli. Uric è figlio del vostro re e sarà re un giorno<br />

secondo il suo diritto. Il suo sangue è puro, i suoi antenati risalgono<br />

a venti generazioni e più. Gli antenati di Uric hanno regnato sul<br />

popolo delle colline per lunghi anni prima <strong>che</strong> gli occhi di Cesare si<br />

posassero sulle rive della loro terra. Egli è un celta, puro e<br />

incontaminato da sangue straniero.» Alarico si fermò e l'uomo<br />

vestito di rosso tradusse quello <strong>che</strong> aveva detto.<br />

Alarico aspettò pazientemente, e lasciò <strong>che</strong> i commenti dei Celti


si placassero prima di riprendere.<br />

«Veronica, <strong>che</strong> Uric prenderà in moglie qui davanti a voi oggi,<br />

ha non meno nobili antenati. Le sue vene sono ric<strong>che</strong> del sangue<br />

patrizio <strong>che</strong> ha fatto Roma potente nei suoi antichi giorni. E il suo<br />

sangue è puro. Puro sangue romano dalle colline di Roma, <strong>che</strong> non è<br />

stato mischiato a quello di nessuna altra razza...» Fece una pausa e<br />

lasciò <strong>che</strong> l'eco delle sue parole si spegnesse, e <strong>che</strong> la gente ne<br />

assorbisse il significato. Poi, quando il silenzio iniziava appena a<br />

vibrare di tensione, continuò, con perfetto tempismo.<br />

«Fino a oggi. Fino a questa unione... a questo matrimonio.<br />

Questo legame tra due persone è più di un semplice legame, molto,<br />

molto di più. Perché l'unione di queste due persone, l'unione alla<br />

quale noi oggi assisteremo, sarà l'unione di due popoli!» <strong>La</strong> voce di<br />

Alarico risuonava ora vibrante e forte. «Due popoli! I Romani e i<br />

Celti insieme!» Alzò la mano per tacitare i commenti, <strong>che</strong> non<br />

ardirono levarsi, e poi fece cenno al druido <strong>che</strong> ripetè le sue parole,<br />

esattamente fino all'ultimo gesto, dopo di <strong>che</strong> Alarico riprese la sua<br />

cadenza.<br />

«Qui, in questa terra <strong>che</strong> i Romani hanno chiamato Britannia, ci<br />

sono state molte tribù, molti popoli. Prima <strong>che</strong> i Romani arrivassero<br />

vi chiamavate "il popolo". Loro vi chiamavano durotrigi e belgi.<br />

Chiamarono i vostri vicini di occidente dumnoni e chiamarono siluri il<br />

popolo oltre la bocca del fiume, a nord-ovest. E noi tutti sappiamo<br />

<strong>che</strong> questo era follia. Voi eravate e siete il popolo di questa terra, <strong>che</strong><br />

era vostra molto prima <strong>che</strong> i Romani ne scoprissero le coste...<br />

Ora pare <strong>che</strong> i Romani si ritirino. Questa è la voce della ragione,<br />

la conclusione tratta da Caio Britannico <strong>che</strong> ha convinto tutti i suoi<br />

amici. A tale convinzione dobbiamo l'esistenza di questa Colonia.<br />

Oggi Roma, l'Impero, è come una bolla cresciuta in un lago di pece. I<br />

venti del tempo hanno asciugato la superficie della bolla,<br />

togliendole il potere di allargarsi e di crescere e an<strong>che</strong> di scoppiare.<br />

<strong>La</strong> bolla sta collassando, crollando lentamente su se stessa,


perdendo la sua forma, la sua sostanza e la sua vita. E mentre<br />

cade...» <strong>La</strong> sua voce salì in un grido, portando l'immagine <strong>che</strong> aveva<br />

creato dentro la mente di ogni ascoltatore. «Mentre cade, amici miei,<br />

i suoi bordi affondano sotto la superficie del lago, si fondono di<br />

nuovo, riducono la circonferenza della bolla finché, a suo tempo,<br />

rimarrà solo il centro corrugato e rinsecchito, perché gli uomini lo<br />

guardino e stupiscano.» Aveva alzato le mani distanziate nell'aria; le<br />

riavvicinò lentamente sul petto, fino a formare una coppa.<br />

<strong>La</strong> folla seguì unanime il suo gesto.<br />

«Questa bellissima terra di Britannia, <strong>che</strong> noi tutti abbiamo così<br />

cara, si trova all'estremo confine della bolla dell'Impero. Sarà il<br />

primo dei territori imperiali a venire abbandonato. Roma ha gravi<br />

problemi vicino al cuore del suo Impero. Non ha problemi qui. <strong>La</strong><br />

nostra terra è ricca, e benché le nostre guerre ci sembrino grandi,<br />

non sono niente per l'Impero, <strong>che</strong> lotta con orde di barbari molto più<br />

numerose di quelle contro cui possiamo immaginare di combattere<br />

noi. Perciò Roma ci lascerà, forse tra poco, per occuparsi della<br />

propria difesa.»<br />

Mentre il druido riprendeva la sua recita, rotolando le sillabe<br />

celti<strong>che</strong> per il popolo di Ullic, Alarico guardava le facce della folla, e<br />

notava la fascinazione indotta dalle sue parole, uguale sulle facce di<br />

Celti e non Celti, mentre tutti pendevano dalle parole e dai suoni del<br />

druido. Quando la voce del sacerdote vestito di rosso tacque,<br />

Alarico era pronto e alzò la sua voce secondo l'arte eccelsa di un<br />

oratore provetto.<br />

«Abbiamo motivo di grande gioia, amici miei! Perché la nostra<br />

gioia oggi sarà la nostra forza domani! Uniti, i nostri due popoli<br />

sosterranno l'invasione e vinceremo! Sopravviveremo! Perché i figli<br />

di questo matrimonio saranno i nostri figli, il meglio di noi, uniti<br />

nella forza! L'inizio di un nuovo popolo, <strong>che</strong> prenderà nome da noi,<br />

non da stranieri! Non Romani, non Celti, non belgi o dumnoni, ma<br />

BRITANNI!» Si fermò, per la durata di tre battiti, «BRITANNI! Avete già


sentito questa parola. I Romani parlano dei Britanni, e intendono il<br />

popolo <strong>che</strong> vive su quest'isola. Ma i figli di questa unione, i nostri<br />

figli, saranno Britanni di un tipo nuovo e differente! L'orgoglio con<br />

cui si chiameranno Britanni diventerà leggenda!.»<br />

Quando tacque i suoi ascoltatori scoppiarono in applausi<br />

spontanei e in fischi di approvazione, an<strong>che</strong> quelli <strong>che</strong> avrebbero<br />

dovuto aspettare la traduzione del druido.<br />

Il cuore mi batteva con violenza nel petto e i peli sulla nuca e<br />

sulle braccia erano ritti per l'eccitazione. Alla fine, quando il tumulto<br />

cominciò a placarsi, il vecchio vescovo, sempre con perfetto<br />

tempismo, alzò le mani e fece tacere tutti.<br />

«Fate venire avanti la sposa!»<br />

Io scesi da Germanico, quasi agilmente per una volta, mentre i<br />

tamburi ricominciavano a suonare, e avanzai per aiutare mia figlia a<br />

scendere dalla lettiga. Piangeva e sorrideva e una lacrima esitava tra<br />

le ciglia dell'occhio sinistro. Le baciai la mano e lei camminò al mio<br />

fianco, e la condussi sulla pedana davanti a suo marito.<br />

Quando Uric fece un passo avanti per reclamarla, suo padre<br />

avanzò verso di me e mi sussurrò all'orecchio. «Ebbene, romano, ti<br />

pavoneggi più di me, oggi! Non sapevo <strong>che</strong> possedessi abiti tanto<br />

eleganti!» Sorrisi e non dissi niente.<br />

«Forza,» continuò, «adesso tocca a noi.»<br />

Avanzammo fino al bordo della pedana, dove rimanemmo uno<br />

davanti all'altro, con la folla da un lato e il gruppo nuziale dall'altro.<br />

«Publio Varro» Ullic si rivolse a me in tono stentoreo. «Qui, in<br />

questo primo giorno, io ti consegno il prezzo nuziale concordato tra<br />

noi. Nelle tue mani, per l'acquisto di tua figlia, metto le ric<strong>che</strong>zze di<br />

tutta la mia famiglia e la mia terra, conferendo al tuo e mio nipote,<br />

an<strong>che</strong> se non è ancora nato, il diritto e il titolo al nome di re dopo suo<br />

padre.»<br />

<strong>La</strong> folla era folgorata. Non si era mai sentito niente di simile. E se


dall'unione non fosse nato un erede? Questo doveva essere stato il<br />

primo pensiero di ogni persona presente. E mai prima di allora nella<br />

storia, a memoria d'uomo, c'era stato un matrimonio nel quale il<br />

prezzo nuziale non cambiasse di mano in forma fisica: bestiame, oro<br />

o tesori. In fretta, prima <strong>che</strong> passasse lo stupore lasciando agli incerti<br />

la possibilità di esprimere i loro dubbi, io risposi con i termini <strong>che</strong><br />

avevo elaborato insieme a Caio.<br />

«Ullic Pendragon,» risposi, con voce forte e chiara come la sua,<br />

«accetto questo prezzo come giusto pegno della buona volontà tra i<br />

nostri popoli, e in questo primo giorno, di fronte a tutto il popolo,<br />

sottometto ugualmente le ric<strong>che</strong>zze della mia famiglia e le mie terre,<br />

insieme alle ric<strong>che</strong>zze e alle terre di Caio Britannico, al tuo e mio<br />

nipote, non ancora nato, garantendogli an<strong>che</strong> il titolo e il diritto al<br />

rango di Duca, Capo, Comandante e Legislatore di tutti i nostri<br />

possedimenti e, quando i tempi saranno maturi e per giuramento<br />

votato e giurato da tutto il Consiglio di questa Colonia, il titolo e il<br />

diritto al nome di re su queste terre della Britannia Meridionale.»<br />

Ecco! Finalmente era stato detto. <strong>La</strong> notizia del più grande<br />

trionfo di Caio Britannico, l'ammissione della grandezza della sua<br />

visione, la prova della sua capacità di persuasione e il potere della<br />

sua personalità. Che un uomo - qualunque uomo - avesse convinto il<br />

Consiglio della nostra Colonia ad appoggiare un re, era contrario a<br />

tutte le tradizioni e alla storia di Roma. Trattenni il respiro e attesi<br />

l'inevitabile reazione, pronto a tutto. Ma i tempi erano maturi e il<br />

popolo preparato.<br />

«Lunga vita ai Britanni! E al loro re! Hip, hip, hip, hurrah!»<br />

Non so da quale robusta gola fosse uscito il primo urlo, ma esso<br />

provocò una risposta istantanea ed entusiasta da parte dell'enorme<br />

folla, e gli applausi continuarono a lungo. Quattrocento anni prima,<br />

quando Cesare era sbarcato per la prima volta, il suono di quella<br />

strana cantilena, "Hip, hip, hip, hurrah," l'urlo di battaglia dei fieri<br />

uomini dipinti dei clan, aveva raggelato i Romani induriti dai


combattimenti perché, a differenza della maggior parte degli urli di<br />

battaglia <strong>che</strong> avevano sentito, la natura di questo urlo - una sola<br />

voce <strong>che</strong> chiede risposta e la riceve istantaneamente da tutti -<br />

suggeriva una disciplina nativa e selvaggia, e un'unica volontà di<br />

vincere.<br />

Oggi l'entusiasmo di quel grido e di chi gridava era<br />

inequivocabile. Sorrisi a Ullic e ci buttammo le braccia al collo, sotto<br />

lo sguardo di approvazione della folla. Poi indietreggiammo,<br />

lasciando <strong>che</strong> gli sposi venissero uniti.<br />

A parte la mia euforia non ho quasi nessun ricordo della<br />

cerimonia. <strong>La</strong> sposa era deliziosa e lo sposo giovane, forte e bello. A<br />

un certo punto furono avvolti insieme in un unico abito finemente<br />

tessuto, e legati in vita con una corda d'oro. Poi l'abito fu tirato giù<br />

dalle loro teste, ed essi rimasero in piedi, visibili dalla vita in su,<br />

nascosti dalla vita in giù e ancora legati, faccia a faccia, petto contro<br />

petto, uomo contro donna. Era fatto. Ullic fece un passo avanti e<br />

annunciò <strong>che</strong> una festa era pronta sulla collina fuori dalle mura e,<br />

ancora applaudendo, la folla cominciò a disperdersi.


XXVII.<br />

Gli sposi novelli furono scortati verso la Sala del Consiglio, e<br />

an<strong>che</strong> la portantina di Luceia venne portata lì. Io fui circondato da<br />

amici <strong>che</strong> si congratulavano, e così an<strong>che</strong> Ullic e Caio, ma alla fine<br />

Ullic e io riuscimmo a trovarci di nuovo insieme, mentre Caio, a<br />

pochi passi di distanza, parlava con un amico.<br />

«Beh, romano, è stato fatto tutto per bene, penso.»<br />

«Sì, Ullic. È stato fatto tutto per bene.»<br />

«Il tuo amico vescovo ha parlato bene. Sono stato contento <strong>che</strong> ci<br />

fosse.»<br />

«Lo sono stato anch'io. Ha riassunto la situazione meglio di<br />

come avrebbe fatto Caio. E mi ha sorpreso, devo ammetterlo.<br />

Conosco ormai da molti anni Alarico, ma non l'ho mai sentito<br />

parlare in pubblico prima d'ora. Non sapevo <strong>che</strong> fosse un oratore. Si<br />

è trastullato con la folla e an<strong>che</strong> con me allo stesso modo in cui i tuoi<br />

druidi si trastullano con i loro strumenti.»<br />

«Come ti senti ora <strong>che</strong> possiedi le mie terre?» Sul suo volto c'era<br />

un leggero sorriso.<br />

«Responsabile» replicai, sorridendogli a mia volta. «Mi chiedo<br />

cosa nascerà da questo inizio.»<br />

Ullic emise un sospiro acuto. «Chi lo sa, amico? Noi abbiamo<br />

piantato i semi, questo è tutto. Non c'è altro <strong>che</strong> possiamo fare.<br />

Adesso tutto dipende da come soffia il vento e da come il giovane<br />

Uric pianterà i suoi semi.»<br />

Annuii con un ampio cenno della testa, prendendomi gioco di<br />

lui. «Sì, è vero, e l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno è di un<br />

abbondante raccolto di figlie.»<br />

«Ah! Non c'è da avere paura! Noi Pendragon siamo dei famosi


procreatori di maschi. Solo gli effemminati Romani producono<br />

sempre femmine.»<br />

«Pagano, ringrazia i tuoi dei <strong>che</strong> lo facciano!»<br />

Mi girai e allungai la mano verso Caio, interrompendolo nella<br />

sua conversazione e parlando con Ullic al di sopra della mia spalla.<br />

«Così daranno ai figli del tuo stallone campi da arare in quantità<br />

negli anni <strong>che</strong> verranno.»<br />

Feci un cenno all'uomo <strong>che</strong> conversava con Caio e trascinai Caio<br />

verso di me. «Perdonaci amico,» gli dissi, poiché non ricordavo il<br />

suo nome, «ma devo privarti del tuo interlocutore, perché è ora <strong>che</strong><br />

andiamo nella sala della festa a raggiungere le signore, e noi tre<br />

dobbiamo brindare agli anni futuri.»<br />

Ullic si guardava intorno nel cortile semivuoto. «Sono già entrati<br />

tutti. Ci staranno aspettando. Siete pronti?»<br />

«No» dissi io. «Io non lo sono. Là dentro ci sarà folla e io sto per<br />

soffocare in questo ridicolo abbigliamento. Credo <strong>che</strong> preferirei<br />

togliermi questo mantello pesante, scaricare questa armatura e<br />

mettermi più comodo. In effetti più ci penso e più sono convinto <strong>che</strong><br />

sia l'unica cosa sensata da fare. Dov'è andato Pico? Vedo il suo<br />

cavallo.»<br />

Caio disse: «Probabilmente è dentro la sala». Mentre diceva<br />

queste parole, uno dei suoi servitori uscì dalla sala dove si svolgeva<br />

la festa, ci vide e venne diritto verso di noi.<br />

«Mastro Varro, donna Luceia mi ha mandato a cercarti. Chiede<br />

<strong>che</strong> tu la raggiunga nella Sala del Consiglio.»<br />

Guardai incupito Ullic e Caio. «Bene, posso rinunciare all'idea di<br />

cambiarmi d'abito.»<br />

Mi voltai di nuovo verso il messaggero. «Informa per favore<br />

donna Luceia <strong>che</strong> re Ullic, Caio Britannico e io ci uniremo al gruppo<br />

tra poco. Nel frattempo, per favore, chiedile di procedere come se<br />

fossimo già lì. Non ci metteremo molto.» L'uomo si girò per


andarsene, ma lo fermai. «Aspetta. È qui il generale Pico?»<br />

L'avevo preso alla sprovvista. «Non lo so, signore. Non l'ho<br />

visto, ma non lo stavo cercando.»<br />

«Non importa. Lo troveremo dopo.» L'uomo proseguì per la sua<br />

strada e io mi girai verso i miei compagni. «Faremo meglio ad<br />

andare alla riunione, suppongo, ma prima penso <strong>che</strong>, finché siamo<br />

qui tutti e tre insieme, quattro se contiamo Pico, dovremmo stabilire<br />

un momento per parlare di piani e di strategia. Abbiamo messo in<br />

moto alcune cose oggi <strong>che</strong> non dovrebbero essere lasciate in sospeso.<br />

An<strong>che</strong> Uric dovrebbe unirsi a noi. Quando sarebbe un momento<br />

adatto?»<br />

«Quando andrebbe bene per voi?» chiese Ullic. «Io non ho<br />

niente altro da fare mentre sono qui.»<br />

Caio alzò il sopracciglio. «Domani?»<br />

Annuii. «Sì, nel pomeriggio. Alarico ha riservato il mattino alle<br />

preghiere.»<br />

Ullic batté le palpebre e poi mi guardò in modo strano.<br />

«Preghiere? È questo <strong>che</strong> hai detto? Perché? Cosa succede?»<br />

«Solo un servizio religioso cristiano, Ullic. Nella Sala del<br />

Consiglio. Alarico ha dedicato una speciale pietra d'altare all'uso<br />

della Colonia. <strong>La</strong> utilizzerà per la prima volta domani. Ti piacerebbe<br />

assistere?»<br />

«Sì, mi piacerebbe. Una pietra sacra, dici? Come le nostre?»<br />

«Quasi» dissi con un sorriso e Caio aggiunse: «Ma non così<br />

grande e non così fallica».<br />

«Cosa vuoi dire?»<br />

Sogghignai al suo indirizzo. «Ha detto fallica. Sai cosa vuol dire,<br />

no? Come un fallo. <strong>La</strong> tua gente nei tempi antichi si appassionava<br />

molto a innalzare ovunque grandi erezioni.»<br />

«Erezioni? Intendi templi? Come Stonehenge?»


«No, Ullic. Intendo erezioni, come un pene. Stonehenge ha degli<br />

architravi sulle pietre verticali <strong>che</strong> formano il cerchio, ma le altre<br />

pietre <strong>che</strong> ho visto in tutta la Britannia sono come grandi peni di<br />

pietra, eretti verso il cielo.»<br />

Ullic si guardò improvvisamente intorno in modo quasi furtivo.<br />

«Attento a quello <strong>che</strong> dici, Publio» mormorò con voce roca. «I preti<br />

non sono famosi per la loro tolleranza se si sentono derisi.»<br />

Il suo commento mi sorprese e mi mise leggermente in<br />

imbarazzo, come se mi avesse visto fare qualcosa di meno <strong>che</strong><br />

dignitoso. Mi schiarii la gola per nascondere l'improvvisa<br />

confusione e gli feci immediatamente le mie scuse.<br />

«Suvvia, Ullic, non volevo prendere in giro né i tuoi preti, né la<br />

tua fede. Ho solamente detto quello <strong>che</strong> ho pensato spesso, nella<br />

speranza <strong>che</strong> ti divertisse. Adesso capisco <strong>che</strong> sono stato privo di<br />

tatto. Perdonami.»<br />

Caio ci interruppe. «Dove ci incontreremo domani? Deve essere<br />

in privato?»<br />

«No,» replicai, «non necessariamente, an<strong>che</strong> se a questo stadio<br />

preferirei tenere per noi il contenuto della conversazione.»<br />

«Bene, allora perché non cavalchiamo fino alla villa? Potremmo<br />

parlare mentre scendiamo, bere una coppa di vino a casa e poi<br />

ritornare qui.»<br />

«Mi sembra una buona idea» disse Ullic. «Ma perché andare giù<br />

alla villa? Potremmo portarci un piccolo otre di vino e cavalcare<br />

verso la campagna.»<br />

«È vero, potremmo» dissi. «Ma mi fa piacere <strong>che</strong> Caio voglia<br />

andare alla villa. Voglio farvi vedere una cosa. Non chiedetemi cosa,<br />

perché non ve lo dico. Ve la farò vedere domani. Adesso andiamo a<br />

fare il nostro dovere come padri dei futuri genitori.»<br />

«Questo mi esclude.» Caio sembrava risentito.


Risi e gli misi un braccio intorno alle spalle. «Non essere sciocco,<br />

Cai, tu sei il padre onorario di questa giornata.»<br />

Mentre ci avvicinavamo alla porta d'ingresso della Sala del<br />

Consiglio qualcuno chiamò Ullic per nome, Ullic si girò a guardare e<br />

si fermò. Quando Caio e io ci disponemmo ad aspettarlo, ci fece un<br />

cenno.<br />

«Voi due andate avanti, io vi raggiungo subito. Devo parlare<br />

con Cimric.»<br />

Camminando continuavo ad agitarmi nel vano tentativo di<br />

drappeggiare il mantello in modo più confortevole. Per il gran peso<br />

in metallo <strong>che</strong> avevo addosso, mi sembrava di essere un'incudine<br />

ambulante, e non vedevo l'ora di entrare all'ombra della Sala del<br />

Consiglio, lontano dal sole caldo.<br />

Caio e io entrammo dall'ingresso principale e ci fermammo,<br />

socchiudendo gli occhi per abituarli all'oscurità dopo l'intensità<br />

della luce solare. All'ingresso, appena entrati, c'era un falso muro,<br />

un tramezzo <strong>che</strong> creava l'illusione di un vestibolo e serviva per<br />

s<strong>che</strong>rmare l'interno quando le porte principali erano aperte. Pico era<br />

lì, in piedi, con un braccio teso appoggiato alla parete divisoria, e tra<br />

lui e il muro c'era la sorella di Ullic, Enid. Pico indossava ancora<br />

l'elmo e il mantello. Sia lui sia Enid avevano occhi soltanto uno per<br />

l'altra e non notarono neppure il nostro ingresso. <strong>La</strong> tensione tra i<br />

due era quasi tangibile, un'aura di tesa sensualità evidente già nella<br />

posa.<br />

Guardai Caio e mi accorsi <strong>che</strong> an<strong>che</strong> lui mi stava guardando, con<br />

il sopracciglio alzato sulla fronte. Senza parole proseguimmo lungo<br />

l'altro lato della parete per non disturbare la coppia. Mia moglie mi<br />

ha detto spesso <strong>che</strong> non sono molto percettivo nel cogliere tali<br />

sottigliezze, ma perfino io mi ero accorto della situazione tra Pico ed<br />

Enid. Era sottile quanto un calcio all'inguine.<br />

Mentre mi allontanavo da loro, però, pensai con una certa<br />

preoccupazione <strong>che</strong> se Ullic fosse entrato in quel momento da quella


porta, e avesse ricevuto la mia stessa impressione, sarebbe stato<br />

forse spinto a reagire in un modo <strong>che</strong> poi tutti gli interessati<br />

avrebbero rimpianto. <strong>La</strong> carica sessuale <strong>che</strong> emanavano quei due,<br />

solo stando vicini, era incredibilmente forte! Stavo per tornare<br />

indietro, ma mi fermai. In fondo erano adulti, abbastanza cresciuti<br />

per fare quello <strong>che</strong> volevano. Lui era un legato imperiale e un<br />

comandante di cavalleria e lei era una principessa e una donna<br />

matura. Quello <strong>che</strong> facevano non era affar mio. Perciò li lasciai alle<br />

loro faccende.<br />

Caio e io ci unimmo alla festa; Pico ci raggiunse poco dopo,<br />

senza mostrare tracce di un comportamento inusuale, ma ogni tanto<br />

lo vedevo guardare attraverso la sala e sempre, in quei casi, an<strong>che</strong> lei<br />

lo stava cercando con gli occhi. <strong>La</strong> cosa più sorprendente era <strong>che</strong><br />

solo io notavo le scintille <strong>che</strong> scoccavano quei due attraverso la folla.<br />

Feci a Luceia un'osservazione in proposito, ma non riuscii a<br />

suscitare in lei il minimo interesse. Si guardò intorno distrattamente<br />

e vide Enid seduta qual<strong>che</strong> tavolo più in là, per caso in quel<br />

momento immersa in una conversazione con il tizio seduto vicino a<br />

lei. An<strong>che</strong> Pico stava parlando con qualcun altro e non guardava<br />

affatto in direzione di Enid. Luceia aggrottò la fronte guardandomi<br />

un po' perplessa e fece per dirmi qualcosa, poi cambiò idea, mi<br />

strinse leggermente una mano e si lanciò a riferirmi la conversazione<br />

avuta con due membri del Consiglio dopo la cerimonia di nozze. Io<br />

rimasi lì a sedere, sentendomi uno stupido, e lasciai <strong>che</strong> le sue parole<br />

mi scorressero addosso, dentro da un orecchio e fuori dall'altro, e<br />

pensai <strong>che</strong> le donne, an<strong>che</strong> le migliori, possono essere cie<strong>che</strong> nel<br />

momento stesso in cui dicono <strong>che</strong> siamo ciechi noi.<br />

Gli altri ricordi <strong>che</strong> ho dei festeggiamenti della giornata sono<br />

come quelli di un combattimento: immagini frammentarie e<br />

immobili: la sposa, mia figlia, radiante di gioia, al braccio di suo<br />

marito, stretta al suo fianco, ridente, <strong>che</strong> mi guarda negli occhi;<br />

l'orso bruno grande come una montagna <strong>che</strong> avevo visto danzare e<br />

battere un tamburello; un cigno arrosto, con le penne rimesse a


posto, circondato da un corteggio di o<strong>che</strong> e anatre arrosto, <strong>che</strong> mi<br />

passava davanti su un massiccio vassoio portato da molti uomini; e i<br />

miei occhi da gufo <strong>che</strong> mi guardavano dal bicchiere in cui stavo<br />

bevendo. Fu una grande festa, immagino; per la terza volta nella mia<br />

vita, credo, mi portarono a letto privo di sensi. Ma quella volta ero il<br />

padre della sposa.<br />

Mi svegliai nell'oscurità nera come pece senza sapere dove mi<br />

trovavo. Sapevo <strong>che</strong> ero a letto, ma nient'altro. Sentivo gente <strong>canta</strong>re<br />

in lontananza, ubriaca, e lentamente la memoria mi ritornò. Mi<br />

trovavo nella nostra tenda, fuori dalle mura del nuovo forte.<br />

Allungai una mano lentamente per cercare Luceia, ma lei non c'era e<br />

questo mi portò a chiedermi <strong>che</strong> ora fosse. Cercai di alzarmi a sedere<br />

e immediatamente desiderai non averlo mai fatto: mi sentivo come<br />

se tutti i fabbri della fucina di Vulcano stessero sferrando colpi<br />

dentro la mia testa.<br />

<strong>La</strong>mentandomi senza vergogna in preda a una crisi di<br />

autocommiserazione, arrivai all'uscita della tenda e mi fermai,<br />

colpito dalla fredda aria notturna, conscio solo allora di non avere<br />

addosso altro <strong>che</strong> la tunica. Mi chiesi chi mi avesse tolto l'armatura e<br />

gli abiti. E mi chiesi an<strong>che</strong> come avesse fatto.<br />

Ritornai verso il mucchio di pellicce <strong>che</strong> era il letto, cercai a<br />

tentoni al buio e trovai il cassone di legno di cedro <strong>che</strong> conteneva i<br />

miei abiti. Luceia aveva insistito perché portassi la tunica di pelle di<br />

pecora, sapendo <strong>che</strong> le notti sarebbero state ancora fredde in collina.<br />

Dovetti frugare e tastare a lungo e faticosamente nell'oscurità prima<br />

di trovare la pesante pelle di pecora, ma finalmente riuscii a<br />

infilarmela dalla testa; tornai all'ingresso della tenda e sollevai le<br />

strisce di pelle per fare entrare la luce della luna. Il miglioramento fu<br />

notevole e immediato. Trovai subito i sandali e presi un mantello di<br />

lana da un gancio piantato nel palo della tenda, poi uscii a sedermi<br />

per allacciare i sandali, e constatai <strong>che</strong> perfino la luce di quella falce<br />

di luna era dolorosa per i miei occhi. Mi sentivo infelice. Non


icordavo di essermi mai sentito così male per i postumi di attività<br />

presumibilmente piacevoli. Il terreno era freddo, così mi rialzai<br />

borbottando, e rientrai nella tenda per prendere un paio di pelli dal<br />

letto.<br />

A pochi passi dalla tenda c'era un albero. Buttai le pelli alla base<br />

dell'albero e mi ci sedetti sopra con cautela, appoggiando la schiena<br />

al tronco e stringendomi il mantello intorno alle spalle; respiravo<br />

molto profondamente e inghiottivo grandi sorsate dell'aria fredda<br />

della notte, con gli occhi socchiusi.<br />

Un cane si mise a ululare molto vicino, e la mia mente si ribellò a<br />

quel suono. Giurai <strong>che</strong> se quello screanzato fosse venuto più vicino<br />

lo avrei strangolato, immergendolo in un silenzio assoluto e<br />

permanente. Poi sentii dei passi <strong>che</strong> si avvicinavano, e qualcuno<br />

cominciò a <strong>canta</strong>re, con voce roca da ubriaco, subito raggiunto da un<br />

compagno altrettanto ubriaco. Allora scattai in piedi e fuggii nella<br />

notte, stringendomi addosso la pelliccia sulla quale mi ero seduto.<br />

Penso di aver camminato per un buon mezzo miglio lungo la<br />

collina, parallelo alle mura <strong>che</strong> torreggiavano sopra di me,<br />

inclinando il corpo contro la ripida china <strong>che</strong> precipitava alla mia<br />

destra. Di tanto in tanto sentivo gli scoppi di risa di qual<strong>che</strong> tardiva<br />

gozzoviglia dentro le mura, ma ben presto fui lontano dalla zona in<br />

cui erano piantate le tende, abbastanza da lasciarmi completamente<br />

alle spalle tutti i rumori e da garantire alla mia testa un riconoscente<br />

sollievo.<br />

Trovai un altro albero a cui appoggiarmi e mi sedetti,<br />

frenandomi con i calcagni contro il pendio, appoggiai i gomiti sulle<br />

ginocchia raccolte e premetti i palmi delle mani contro le tempie<br />

pulsanti. Mi sentivo male e miserabile come quando, giovane<br />

recluta, avevo bevuto per la prima volta un'eccessiva quantità del<br />

vino acido e leggero dei legionari.<br />

Non so per quanto tempo rimasi lì seduto. Forse passò un'ora,<br />

forse più e forse meno, ma mi addormentai e mi risvegliai di colpo,


spaventato, quando la testa mi scivolò dalle mani. Socchiusi gli<br />

occhi, brontolai e borbottai e mi guardai intorno nel buio. <strong>La</strong> luna<br />

era bassa all'orizzonte, ormai quasi invisibile. Ero gelato fino<br />

all'osso, ma mi sentivo decisamente meglio di prima. <strong>La</strong>nciai<br />

un'imprecazione sapendo <strong>che</strong> il ginocchio malandato mi avrebbe<br />

inferto dolori lancinanti quando avessi cercato di rialzarmi, e mi<br />

strinsi maggiormente nel mantello, cercando un calore <strong>che</strong> non c'era.<br />

Ero rimasto seduto troppo a lungo. Mi alzai di malumore,<br />

stringendo i denti per il forte dolore al ginocchio. Era come se tutte<br />

le ossa dell'articolazione si fossero saldate, ma mi costrinsi a<br />

camminare, zoppicando malamente, barcollando e a un certo punto<br />

quasi strisciando, sostenendomi con una mano contro il pendio della<br />

collina dove la china era particolarmente ripida.<br />

Il movimento riattivò la circolazione del sangue, il dolore iniziò<br />

a diminuire e cominciai a fare dei progressi, an<strong>che</strong> se il ritorno era<br />

molto più difficile dell'andata, perché l'inclinazione del pendio<br />

adesso sfavoriva la gamba zoppa. Non serviva a molto dire <strong>che</strong> avrei<br />

dovuto pensarci prima, perché allora stavo troppo male per pensare<br />

a qualunque cosa o per preoccuparmene. Mi limitai a stringere i<br />

denti più forte e sfruttai ogni albero <strong>che</strong> incontravo per fermarmi e<br />

appoggiarmici contro per far riposare la gamba dolorante.<br />

Ero a forse metà strada dalla tenda quando mi fermai a riposare<br />

contro un grande albero e la vescica mi fece sapere di essere sotto<br />

pressione. Mentre trafficavo intorno alla chiusura delle bra<strong>che</strong>, notai<br />

<strong>che</strong> sulle mura sopra di me regnava ora il silenzio; ma<br />

improvvisamente un lamento disumano sembrò uscire dalla terra,<br />

facendomi rizzare i capelli per l'orrore. Non sono un uomo<br />

superstizioso, ma quel suono, su una collina brulla, scura e deserta<br />

mi mutò il sangue in acqua. Restai immobile, la vescica dimenticata,<br />

con le orecchie tese nel silenzio assoluto <strong>che</strong> seguì<br />

quell'agghiacciante suono. Niente si mosse, da nessuna parte, e poi<br />

il rumore si ripetè, un lungo, sospirante gemito, questa volta meno<br />

forte e molto, molto meno disumano. Proveniva da una gola umana,


e stabilii an<strong>che</strong> il luogo della sua origine. Nel terreno di fronte a me<br />

c'era un avvallamento, in basso, sulla sinistra. Chiunque avesse<br />

emesso quel suono era lì. Mi sentivo molto meglio ora <strong>che</strong> mi ero<br />

calmato e avevo identificato il suono e la sua provenienza. Mi staccai<br />

dall'albero lentamente, mi avvicinai con grande precauzione al<br />

margine della conca e lì mi fermai, con la pelle d'oca.<br />

Non c'era nessuno in quel luogo. Nessuno. Era solo una vuota<br />

conca erbosa, scura come l'inchiostro e vuota. Ma poi vidi un pallido<br />

lampo e capii <strong>che</strong> cosa stavo guardando: due persone <strong>che</strong> giacevano<br />

nascoste, completamente celate da una coperta nera. Il buio della<br />

notte li aveva protetti, rendendoli invisibili, finché una gamba era<br />

comparsa brevemente alla vista prima di ritornare di nuovo sotto la<br />

coperta. Sentii dei sussurri e poi l'uomo rise e il mio cuore diede un<br />

balzo.<br />

<strong>La</strong> coperta nera era un mantello nero, quello di Pico Britannico;<br />

era lui infatti <strong>che</strong> aveva riso e non avevo bisogno di indovinare chi<br />

era l'altra persona sotto il mantello. Mi ritirai con un sentimento<br />

molto vicino al panico. Che cosa avrebbero pensato se mi avessero<br />

trovato lì a spiarli in quel modo? Poi urtai con il calcagno una zolla<br />

d'erba e persi l'equilibrio, non riuscii a reggermi sulla gamba zoppa<br />

e caddi pesantemente su un fianco. Mi sembrò di aver fatto,<br />

cadendo, il rumore di una frana, abbastanza forte da svegliare i<br />

morti, ma quei due sotto di me erano troppo occupati a essere vivi<br />

per sentirmi.<br />

Mi rimisi in piedi lentamente e con cautela e mi allontanai<br />

zoppicando, sentendo i suoni del loro accoppiamento diventare più<br />

forti e più appassionati dietro di me, finché la distanza fu sufficiente<br />

a consentire loro la dovuta intimità. Dolce Signore sulla Croce!<br />

Poteva diventare un bel problema, pensai, se Pico avesse gestito<br />

male la situazione. Non sapevo <strong>che</strong> cosa fare né come procedere per<br />

far capire a Pico la gravità della sua condotta. Enid era la sorella di<br />

Ullic e la sua parente preferita.


Un insulto diretto a lei avrebbe potuto essere imperdonabile; e<br />

questo non mi avrebbe sorpreso. E non era molto importante <strong>che</strong><br />

non fossero affari di Ullic, come non erano i miei. Sospettai <strong>che</strong> Ullic<br />

potesse essere assai più <strong>che</strong> semplicemente arrabbiato.<br />

Eppure non c'era niente di sbagliato o di innaturale<br />

nell'attrazione e nel desiderio reciproco e spontaneo esploso tra Pico<br />

ed Enid, né vi era niente di inusuale nella soddisfazione dei loro<br />

sentimenti. Allora perché ero così apprensivo? Non lo sapevo, ma la<br />

mia mente continuava a presentarmi immagini dei loro corpi<br />

avvinghiati uno all'altro, non più coperti dal mantello. Vidi il volto<br />

di Enid estasiata per il piacere delle sue sensazioni e poi,<br />

improvvisamente, ero io e non Pico a essere sopra di lei. Tale<br />

constatazione mi fece riflettere, e solo in quell'istante compresi la<br />

ragione del mio stato d'animo. Era invidia! Ero geloso!<br />

Mi fermai di nuovo, vicino alla sporgenza di una roccia, e cercai<br />

di digerire quella nuova scoperta. Era un fatto molto nuovo, perché<br />

non ricordavo di aver dedicato un simile pensiero a nessun'altra<br />

donna, a parte Cilla Titente, da quando avevo sposato Luceia.<br />

Almeno non seriamente. Avevo notato ogni tanto un seno<br />

voluttuoso o un fianco tondeggiante, ma solo di sfuggita. E adesso,<br />

di colpo, ero geloso! Da qual<strong>che</strong> parte trovai la forza di ridere di me<br />

stesso e di riconoscere sia la comicità sia la veridicità della<br />

situazione.<br />

Quella bella donna matura mi aveva semplicemente ricordato la<br />

perduta energia giovanile. Ecco il motivo per cui nessun altro si era<br />

accorto della loro mutua attrazione: era così normale, così naturale<br />

<strong>che</strong> non era stata notata. Soltanto io me n'ero accorto, perché, senza<br />

saperlo, l'avevo cercata e me ne ero dispiaciuto.<br />

D'un tratto mi sentii meglio. Il mal di testa era stato dimenticato,<br />

la gamba zoppa aveva smesso di dolere come per magia e la mia<br />

vescica gonfia si rimise a posto. <strong>La</strong> vuotai e mi incamminai verso la<br />

tenda, dove trovai mia moglie addormentata e una lampada accesa


per guidarmi al letto. Spensi la lampada e mi sdraiai vicino a Luceia,<br />

rannicchiandomi nel suo accogliente calore, e mi addormentai senza<br />

un pensiero a Pico e a Enid e alla loro unione.


XXVIII.<br />

Pico era fresco come una rosa il giorno dopo.<br />

Ci alzammo tutti all'alba e gli odori del cibo e del fumo di legna<br />

erano ovunque.<br />

Il vescovo Alarico scopri la pietra d'altare all'ammirazione<br />

pubblica e celebrò la sua messa, invocando la benedizione di Dio e<br />

dei suoi santi celesti sulla nuova casa appena costruita su un antico<br />

luogo.<br />

Ullic, la sua famiglia e i suoi druidi erano tra il pubblico, questi<br />

ultimi guardavano con grave e impassibile interesse e quando la<br />

messa fu finita, Alarico permise a ciascuno di esaminare la pietra<br />

prima di chiuderla, perché vi fosse conservata, nella sua bella<br />

custodia. Non sapevo cosa dovevo aspettarmi, non avendo mai visto<br />

prima una pietra d'altare, e fui sincero nella mia ammirazione per la<br />

cura e l'abilità artigianale <strong>che</strong> vi erano state profuse.<br />

Si trattava di un blocco di marmo compatto, largo come le mie<br />

spalle e lungo circa tre quarti della larghezza. Era spesso una<br />

spanna, poco più di una lama di spada, e i due lati corti erano ornati<br />

da un'incisione <strong>che</strong> ricordava i canapi usati per ormeggiare le navi.<br />

<strong>La</strong> superficie era decorata da una bordura di disegni celtici e al<br />

centro era inciso il monogramma Chi Rho, simbolo dei Cristiani.<br />

Sopra al simbolo era stato scavato nella pietra un buco rettangolare<br />

affinché vi si potesse introdurre una croce, e sotto al monogramma<br />

cristiano c'era un rettangolo, incavato nel marmo levigato.<br />

«Cosa significa?» chiesi ad Alarico, indicando il rettangolo.<br />

«Non significa niente, Publio. È il coperchio di una cavità <strong>che</strong><br />

contiene una preziosa reliquia proveniente dalla terra di Gesù, un<br />

osso di un dito del benedetto Giovanni Evangelista.»<br />

Questo mi ridusse al silenzio.


«È un dono stupendo, Alarico» disse Caio. «Ne faremo certo<br />

buon uso.»<br />

«Lo so, amico mio.» Alarico sollevò la pietra come se fosse stata<br />

leggera e la infilò nel suo scrigno di legno. «Di una cosa vi prego;<br />

questa pietra è portatile, ma la vostra Colonia ora è stabile. Sarebbe<br />

bello, e farebbe piacere a Nostro Signore, il Cristo, se un giorno,<br />

quando ne avrete il tempo e l'opportunità, il vostro popolo<br />

costruisse una sede stabile per ospitare la pietra. Una casa <strong>che</strong> fosse<br />

solo la casa di Dio.»<br />

«Intendi una ecclesia?»<br />

«Sì, una ecclesia. In Germania, in Gallia e an<strong>che</strong> in Italia ci sono<br />

molte ecclesie. Sedi stabili per pregare. Morirei felice se sapessi <strong>che</strong><br />

qui ne verrà costruita una, un giorno.»<br />

«Allora riposa in pace, vecchio amico.» Caio sorrise. «Ti<br />

prometto <strong>che</strong> qui ci sarà una casa di Dio.»<br />

Uno dei druidi, rimasto a guardare dietro di noi, chiese: «Qual è<br />

il significato di questa pietra?»<br />

Il vecchio vescovo lo guardò con un sorriso.<br />

«Ha lo stesso significato di quelle erette dal tuo popolo nei<br />

tempi passati. È dedicata alla gloria di Dio. È santificata, benedetta, e<br />

contiene come ho detto la reliquia di un uomo saggio e santo.<br />

Quando questa pietra viene portata in una stanza per la preghiera,<br />

quella stanza viene benedetta dalla presenza della pietra, e<br />

qualunque tavolo su cui venga posta la pietra diventa un altare,<br />

santificato per commemorare il Corpo e il Sangue del Cristo, offerti<br />

entrambi in sacrificio per liberare l'umanità dal peccato.»<br />

Il druido aggrottò leggermente la fronte, ma non fece ulteriori<br />

commenti e Alarico chiuse la cassetta di legno nascondendo la pietra<br />

agli occhi profani, poi lui e padre Fono la portarono insieme nella<br />

piccola nicchia costruita apposta per contenere la pietra sul lato<br />

opposto della Sala del Consiglio.


Più tardi, dopo il pasto di mezzogiorno, ci incontrammo come<br />

d'accordo e scendemmo insieme a cavallo verso la villa, io, Caio,<br />

Pico, Ullic, Uric ed Equo. Pico e io fummo i primi a essere pronti, e<br />

mentre aspettavamo <strong>che</strong> gli altri ci raggiungessero, Pico mi prese in<br />

giro perché avevo bevuto troppo la sera prima, dicendo <strong>che</strong> mi ero<br />

perso la parte più interessante della giornata. Sorrisi tra me<br />

immaginando la sua espressione se gli avessi detto cosa avevo visto<br />

e sentito sul fianco della collina. Ovviamente non dissi nulla e gli<br />

altri ci raggiunsero presto, interrompendo le sue canzonature.<br />

Quando arrivammo alla villa li condussi oltre la casa,<br />

direttamente alla forgia, un cambiamento <strong>che</strong> provocò alcune<br />

proteste, perché avevamo parlato di aprire un'anforetta di vino<br />

appena arrivati. L'interno della fucina era buio, e i fuochi spenti.<br />

Aprimmo le porte sul davanti e sul retro della forgia e aprimmo<br />

an<strong>che</strong> gli scuri della finestra, per lasciare entrare il chiaro sole<br />

primaverile con tanta abbondanza da inondare di luce an<strong>che</strong> gli<br />

angoli più bui.<br />

Pico si appollaiò sul bordo di un bancone, dopo averlo<br />

spolverato. Ullic si appoggiò a un pilastro, noncurante della<br />

sporcizia, schioccando le labbra e schiarendosi quella <strong>che</strong> avrebbe<br />

dovuto chiaramente sembrare una gola secca, in una dimostrazione<br />

muta e sputacchiarne. Il giovane Uric era in piedi vicino a suo padre,<br />

e non parlava. Aveva detto sì e no sei parole da quando avevamo<br />

lasciato il forte, perché questa era la sua prima uscita da uomo tra gli<br />

uomini. Era stato deriso senza pietà da tutti, me compreso, e non era<br />

sposato da abbastanza tempo per avere acquisito la disinvoltura<br />

necessaria a tenere testa senza imbarazzo a simili canzonature. E<br />

questo, ovviamente, ci forniva altro combustibile per il fuoco su cui<br />

lo facevamo arrostire.<br />

Mi sedetti su uno sgabello a tre gambe e feci cenno a Equo, <strong>che</strong> si<br />

diresse verso un cassone nel retro della forgia e ne tirò fuori un<br />

lungo pacco, avvolto nella stoffa.


«Equo ha qualcosa da farvi vedere.»<br />

Tornò con l'involto, lo lasciò cadere fragorosamente a terra e ne<br />

estrasse quattro lunghe spade, due uguali e due diverse tra loro.<br />

Senza una parola le distribuì, dando a Pico quella con una lunga<br />

lama leggermente ricurva, con l'estremità svasata proprio dietro la<br />

punta. Ullic prese l'altra singola e Caio e Uric ricevettero ognuno un<br />

esemplare della coppia di spade lunghe, rastremate, a lama diritta,<br />

con i pesanti pomoli di piombo e le lunghe impugnature per due<br />

mani.<br />

«Stavamo cercando un nuovo tipo di arma <strong>che</strong> si adattasse alle<br />

necessità dei nostri cavalieri» cominciai. «<strong>La</strong> spada tradizionale è<br />

troppo corta, adesso <strong>che</strong> montiamo cavalli grandi. Questi sono<br />

alcuni dei risultati. Pico, cosa ne pensi?»<br />

Pico reggeva con entrambe le mani la spada <strong>che</strong> aveva ricevuto;<br />

con la destra teneva stretta l'elsa e con la sinistra sosteneva la lama<br />

piatta, mentre percorreva con lo sguardo tutta la lunghezza, <strong>che</strong><br />

brillava debolmente nella luce.<br />

Poi tolse la mano sinistra dalla lama e roteò la spada,<br />

provandola con attenzione e facendo una leggera smorfia di<br />

soddisfazione prima di alzarsi dal bancone e fare un passo avanti,<br />

per avere spazio sufficiente a roteare seriamente la spada,<br />

vibrandola verso terra, con la punta bassa e il gomito ancora<br />

piegato.<br />

«Mi piace, zio!» <strong>La</strong> roteò in aria e la afferrò proprio sotto<br />

l'impugnatura, esaminando l'elsa e il contrappeso del pomolo.<br />

«Come lo avete fatto? Cos'è, piombo?»<br />

«Per ora, sì» gli dissi. «Piombo su ferro.»<br />

«Come avete ottenuto il peso giusto?»<br />

«Disponendo dischi di piombo sopra al codolo di ferro come dei<br />

tondini, e poi riscaldandoli» disse Equo.<br />

«Rimarrà compatto?» Pico afferrò con decisione l'impugnatura,


flettendo e aprendo le dita per avvolgerle strettamente intorno<br />

all'elsa.<br />

«Sì, resterà compatto» continuò Equo. «È compatto.»<br />

Pico si rimise allora a ispezionare la lama, stendendo la mano<br />

sinistra e appoggiando l'estremità appuntita della spada sul palmo.<br />

«Perché questa svasatura sopra la punta?» chiese poi. «Ha un<br />

aspetto familiare, eppure so di non averla mai vista prima.»<br />

«Sì, l'hai vista, Pico» gli dissi. «In Africa e in Asia Minore. <strong>La</strong><br />

gente del deserto usa lame di questo tipo, con una punta<br />

leggermente svasata, per aggiungere impeto alla rotazione.»<br />

«Sì, certamente! Ma questa è ancora diversa, la curva non è così<br />

profonda.»<br />

«No, e neppure così svasata, se è per questo. Ricorda, Pico, <strong>che</strong> i<br />

nostri uomini sono a cavallo. Stiamo cercando di creare qualcosa <strong>che</strong><br />

possa penetrare come una lancia, ma an<strong>che</strong> tagliare come un'ascia,<br />

un'arma <strong>che</strong> possa essere usata con successo senza dover essere<br />

vibrata con troppa forza.»<br />

Indicò la mia spada. «Quella è diversa? Perché?»<br />

Mi strinsi nelle spalle. «Sono tutte diverse. Quella di Ullic ha la<br />

lama molto più larga vicino alla punta. L'abbiamo già scartata<br />

perché troppo pesante, troppo poco maneggevole. Provala.»<br />

Pico scambiò la spada con Ullic e una sola rotazione gli bastò per<br />

capire <strong>che</strong> avevo ragione.<br />

«Sono d'accordo. Troppo pesante. Goffa. <strong>La</strong> prima è molto<br />

superiore.»<br />

«Sì e no. È migliore, ma è troppo leggera nella costruzione. In<br />

combattimento si piegherebbe. È la più bella, quella <strong>che</strong> soddisfa di<br />

più esteticamente, ma è la meno pratica di tutti i prototipi <strong>che</strong><br />

abbiamo provato.» Sollevai la spada <strong>che</strong> tenevo in mano. «Questa è<br />

la vincitrice. Il meglio <strong>che</strong> abbiamo ottenuto finora.» <strong>La</strong> lanciai con


l'impugnatura in avanti e Pico lasciò quella <strong>che</strong> teneva in mano per<br />

prendere al volo quella <strong>che</strong> arrivava. <strong>La</strong> prese con il braccio teso e la<br />

tenne così, sempre a braccio teso, esaminandola dal pomolo in giù<br />

fino alla lontana punta. <strong>La</strong> tenne così per lunghi istanti, senza<br />

muoverla, poi, come se la punta fosse ancorata al centro di un<br />

cerchio, cominciò a muoversi intorno ad essa, guardando la luce<br />

cambiare sulla lama.<br />

Infine piegò il gomito, portandosi l'impugnatura al volto fino a<br />

toccare la guancia, poi rovesciò la testa all'indietro per guardare la<br />

lama verticale.<br />

Avanzò lentamente con il piede sinistro, roteò la spada e ne<br />

provò il peso e l'equilibrio in ogni punto dell'arco.<br />

«Non c'è niente di sbagliato in questa, zio. Molto di giusto e<br />

niente di sbagliato.»<br />

«Fammela provare.» L'espressione di Ullic era rapita; Pico gli<br />

passò l'arma, poi si girò verso di me.<br />

«Penso <strong>che</strong> tu abbia risolto il problema, zio.»<br />

«Lo pensiamo an<strong>che</strong> noi» gli sorrisi. «Piace perfino a Equo.»<br />

«Con l'eccezione di una piccola imperfezione.» <strong>La</strong> voce di Equo<br />

era carica di ironia, e io cercai di zittirlo prima <strong>che</strong> dicesse di più,<br />

agitai un dito minaccioso e corrugai la fronte in segno di<br />

rimprovero, scossi con forza la testa, e sperai <strong>che</strong> Pico non vedesse.<br />

Ovviamente Pico notò subito ogni cosa.<br />

«Cosa c'è <strong>che</strong> non va? Un'imperfezione?»<br />

Grugnii e mi rassegnai all'inevitabile. «Un'imperfezione minore,<br />

Pico, ma non irrimediabile» dissi. «Il ferro delle spade è difficile da<br />

controllare, a causa della tempra e della lunghezza delle lame.<br />

Rimbalzano una contro l'altra e sono pericolose per chi non lo sa. Ma<br />

non è un problema senza soluzione. Ci stiamo lavorando.»<br />

«Allora perché Equo è così disgustato?»


Gli sorrisi. «Per la stessa ragione di sempre. È un perfezionista e<br />

si rifiuta di accettare le imperfezioni. Nel frattempo il problema a cui<br />

sto lavorando con Equo non dovrebbe impedirti di cominciare<br />

immediatamente ad addestrare i tuoi uomini a combattere con la<br />

spada stando a cavallo. Per quando avrai abbastanza spade per<br />

iniziare l'addestramento dovrei aver risolto an<strong>che</strong> il problema<br />

dell'elsa cruciforme.»<br />

«<strong>La</strong> cosa?»<br />

«L'elsa a croce. Te la farò vedere quando sarà finita. È molto più<br />

semplice <strong>che</strong> cercare di spiegarlo con le parole. Ricordati però di non<br />

permettere ai tuoi uomini di addestrarsi gli uni contro gli altri con<br />

questi prototipi.»<br />

«Come desideri, zio.» L'acquiescenza di Pico era incondizionata,<br />

ma rivelava la sua incomprensione. Comunque non si scoprì. Si girò<br />

immediatamente verso Ullic. «Cosa ne pensi di questa spada?»<br />

«Penso <strong>che</strong> sia una buona spada, in quanto tale, Pico, ma io<br />

preferisco il mio arco, la mia spada corta e la mia ascia.»<br />

«Allora non ti piace?»<br />

«Oh, sì, mi piace abbastanza.» L'alzata di spalle mostrò il suo<br />

disprezzo per quella nuova arma, tanto quanto le sue parole. «Ma<br />

<strong>che</strong> bisogno ho di una grande cosa come questa? Io non combatto a<br />

cavallo. Io combatto camminando e a volte correndo. Con una spada<br />

lunga come questa continuerei a inciampare e a cadere e la mia<br />

dignità reale ne soffrirebbe molto.»<br />

«Questo è un buon argomento, zio Varro.» Pico sorrideva<br />

adesso, riconoscendo l'umorismo di Ullic, ma teneva la spada a<br />

punta in giù vicino al petto, dove portavano la spada i Romani.<br />

«Non si può portare una di queste nel modo tradizionale. Tocca per<br />

terra.»<br />

«Sì, è vero» confermai. «E non è proprio possibile portarla al<br />

fianco. I nostri uomini porteranno la spada appesa al collo, di


traverso sulla schiena.»<br />

«In <strong>che</strong> modo? In un fodero?»<br />

«Non lo so ancora, Pico, ma probabilmente attraverso un anello<br />

di metallo attaccato a una cinghia. Abbiamo un sacco di tempo per<br />

lavorarci. Prima dobbiamo fare le spade. Decideremo poi come<br />

portarle.»<br />

«Quanto tempo ti ci vorrà per farne duecento?»<br />

Guardai Equo con un sorriso. «Quanto tempo, Equo? Due<br />

anni?»<br />

«Più o meno.»<br />

«Due anni?» C'erano pena e angoscia nella voce di Pico. «Due<br />

anni? Perché? Perché così tanto?»<br />

«Perché, mio impetuoso amico, abbiamo appena cominciato a<br />

lavorare a questo problema. Il ferro non è nemmeno temprato nel<br />

modo giusto. A questo stadio ci siamo preoccupati più del peso,<br />

della forma e del bilanciamento <strong>che</strong> non della qualità. L'arma ha una<br />

lunga, lunghissima strada da fare prima di essere usata in<br />

combattimenti simulati, figuriamoci usarla in battaglia.»<br />

«In questo caso ti dispiacerebbe se mettessi al lavoro i miei<br />

armaioli su questo disegno?»<br />

<strong>La</strong> domanda mi sorprese e guardai Equo per vedere la sua<br />

reazione.<br />

«Non chiederlo a me» gli dissi poi. «Il progetto è di Equo. Se<br />

lui non ha obiezioni, come potrei averne io?»<br />

«Equo?»<br />

Il mio grosso amico si strinse nelle spalle e scosse la testa. «A me<br />

non importa» rispose. «In fondo è una semplice estensione della<br />

spada corta romana. Sono sorpreso <strong>che</strong> i tuoi armaioli romani non te<br />

l'abbiano già proposta.»<br />

«Non me l'hanno proposta, Equo, perché sono privi di quello


<strong>che</strong> avete tu e Publio Varro: il genio di guardare ciò <strong>che</strong> è stato<br />

immutabile per secoli e vedere come può essere migliorato per<br />

servire a nuove necessità.» Pico si fermò di botto e guardò Equo e<br />

poi me. «E mi sono dato la risposta da solo: non dirò niente a<br />

nessuno di quest'arma.»<br />

«No, Pico.» <strong>La</strong> mia interruzione fu rapida e sincera, perché<br />

sapevo cosa stava per dire e sapevo <strong>che</strong> sbagliava. «Non puoi farlo.<br />

Hai un dovere nei confronti di Stilicone, se non del tuo imperatore, e<br />

soprattutto hai un dovere nei confronti delle tue truppe. Se questa<br />

nuova spada lunga può migliorare la loro forza in battaglia devi<br />

procurargliela il più in fretta possibile.»<br />

Pico annuì e poi guardò Ullic e Uric. «E voi due cosa pensate?<br />

Varro ha ragione?»<br />

Ullic alzò entrambe le mani, con i palmi in fuori, e assunse una<br />

espressione di supplica mista a paura e collera, e an<strong>che</strong> se<br />

evidentemente stava s<strong>che</strong>rzando, di fatto non s<strong>che</strong>rzava del tutto.<br />

«<strong>La</strong>sciamene fuori, non voglio averci niente a <strong>che</strong> fare! Perché<br />

dovrei volere armare i Romani meglio di noi? Potrebbe ritornare<br />

come un fantasma a ossessionarmi.»<br />

Uric guardò suo padre un po' in soggezione, con un sorriso negli<br />

occhi, ma non osò commentare.<br />

Pico si girò di nuovo verso di me. «Non dirò altro, zio, ma penso<br />

<strong>che</strong> tu abbia ragione: è un'arma migliore di qualunque cosa abbiamo<br />

e possiamo avere nel prossimo futuro. Penso <strong>che</strong> sia mio dovere<br />

darla ai miei armaioli perché ci lavorino. I miei uomini hanno<br />

bisogno di quest'arma.»<br />

«Così sia, Pico» gli dissi. «Ti sei risposto nel modo giusto, e hai<br />

chiarito i tuoi dubbi. Adesso andiamo a casa e assaggiamo quel<br />

vino.»<br />

Il vino era eccellente e quando arrivammo a vedere il fondo


dell'anfora avevamo preparato un piano di azione <strong>che</strong> nei mesi<br />

seguenti avrebbe visto le nostre forze: di Ullic, di Pico e dei nostri<br />

coloni operare in stretta collaborazione.<br />

Ullic ci disse <strong>che</strong> Cimric e altri quattro costruttori di archi<br />

lavoravano a tempo pieno alla fabbricazione di un numero<br />

maggiore di grandi archi: una versione più piccola e modificata<br />

della sua originaria e gigantesca arma, ma comunque un arco<br />

potente. Riteneva <strong>che</strong> il tempo sarebbe venuto quando L'Arco<br />

Lungo di Ullic, come lui retoricamente lo chiamava, sarebbe<br />

divenuto comune nel suo popolo.<br />

Nel frattempo, aveva deciso <strong>che</strong> Uric avrebbe passato metà<br />

dell'anno qui alla Colonia con noi, a imparare le nostre tatti<strong>che</strong> e la<br />

nostra strategia militare, e l'altra metà a insegnarle al suo popolo.<br />

Uric fu rapido nel sottolineare <strong>che</strong> dal popolo e dai cavalli della<br />

montagna non si potevano ricavare grandi truppe di cavalleria.<br />

I cavallini dei Celti di montagna erano mirabilmente adatti per il<br />

loro terreno, ma offrivano po<strong>che</strong> possibilità di costituire una massa<br />

d'urto come quella <strong>che</strong> stavamo organizzando noi alla Colonia. E<br />

inoltre sottolineò <strong>che</strong> i nostri grandi cavalli erano troppo grandi e<br />

ingombranti per muoversi in modo soddisfacente sulle montagne.<br />

Ci accordammo, perciò, <strong>che</strong> Uric avrebbe studiato con noi<br />

ricevendo la formazione di un ufficiale di collegamento, <strong>che</strong> avrebbe<br />

combinato i due metodi di guerra, il nostro e il loro, per fare l'uso<br />

migliore di entrambi quando fossero stati necessari. Ma fummo tutti<br />

d'accordo, con uno spirito s<strong>che</strong>rzoso solo a metà, <strong>che</strong> la sua priorità<br />

era quella di generare un figlio, un simbolo vivente del legame tra i<br />

nostri due popoli.<br />

Uric arrossì, ma sorrise e trovò in sé sufficiente disinvoltura per<br />

dire timidamente <strong>che</strong> aveva già iniziato a lavorare alla faccenda.<br />

Pico aveva i problemi maggiori. Era molto frustrato dal ruolo al<br />

quale le sue truppe erano costrette nel nord, lungo il Vallo di<br />

Adriano. Pico sentiva, e a ragione, <strong>che</strong> lui e le sue truppe venivano


sfruttati, usati solo per sostenere il morale delle guarnigioni in<br />

quella zona inospitale. Le sue truppe facevano parte delle forze della<br />

Britannia meridionale, <strong>che</strong> avevano il loro quartiere generale a<br />

Londinium. Era stato sottoposto a una dura prova politica dalla<br />

richiesta del comandante militare di Arboricum, nella Britannia<br />

settentrionale, <strong>che</strong> necessitava dell'aiuto specializzato delle sue<br />

truppe mobili per affrontare le bande di sac<strong>che</strong>ggiatori infiltratesi<br />

oltre il Vallo.<br />

Queste richieste erano state molto pressanti in un momento di<br />

relativa quiete nel sud e, benché contrario, Pico aveva accettato di<br />

fornire un temporaneo servizio al nord. Aveva passato i successivi<br />

tre mesi digrignando i denti per la rabbia, galoppando con i suoi<br />

uomini lungo le distese rocciose e le brughiere settentrionali per<br />

ricacciare piccole bande di sac<strong>che</strong>ggiatori, appoggiate da equipaggi<br />

di pitti giunti con le imbarcazioni, mentre la solida barriera del Vallo<br />

gli impediva di fare la sola cosa <strong>che</strong> avrebbe avuto un impatto<br />

decisivo, cioè attaccare in territorio nemico.<br />

Era poi stato richiamato a sud, quando i Sassoni avevano<br />

ricominciato le annuali incursioni di primavera, ma riteneva <strong>che</strong> il<br />

Vallo a nord avesse esaurito il suo ruolo di frontiera. Non c'erano<br />

abbastanza uomini per reggere alla pressione a cui le guarnigioni<br />

erano sottoposte e il morale era più basso <strong>che</strong> mai. I soldati di stanza<br />

lì sapevano <strong>che</strong> il Vallo non era imprendibile: aveva ceduto nel<br />

lontano '67 e più volte in più punti erano state aperte brecce di<br />

minore estensione.<br />

Le truppe di guarnigione sul Vallo sapevano <strong>che</strong> la sua difesa<br />

era un compito inutile e ingrato, e <strong>che</strong> le incursioni nel sud<br />

provenienti dal mare avrebbero continuato a far sì <strong>che</strong> loro non<br />

ricevessero rinforzi permanenti.<br />

Perfino l'esercito consolare di Stilicone di diecimila uomini non<br />

li poteva aiutare, perché serviva a rinforzare le zone costiere,<br />

soprattutto la costa sassone nel sud-est e nell'est.


Pico sarebbe ritornato in servizio l'indomani, ci disse. Sarebbe<br />

andato a Londinium e da lì si aspettava di essere mandato<br />

direttamente nel sud-est.<br />

«Mandato?» gli chiesi. «Credevo <strong>che</strong> fossi tu il comandante.»<br />

«Lo sono, ma devo andare dove le incursioni diventano più<br />

pesanti, spesso su richiesta dei quartieri generali. È una formalità,<br />

zio Varro. Ci andrei comunque.»<br />

«Non ne dubito, ma non sei preoccupato <strong>che</strong> possano abituarsi a<br />

dirigerti con le loro richieste?»<br />

Mi sorrise, con un sorriso molto gradevole.<br />

«Veramente no. Se mai dovesse sorgere un conflitto, farei quello<br />

<strong>che</strong> il mio cervello e le direttive del mio comandante mi dicono <strong>che</strong> è<br />

giusto fare, basandomi sulle migliori informazioni <strong>che</strong> posso<br />

raccogliere. E poi possono andare a lamentarsi da Stilicone.»<br />

«Capisco» dissi. «E non hai in programma di ritornare a nord?»<br />

«No, a meno <strong>che</strong> il fato non mi giochi un brutto tiro. Sai, zio,<br />

sembra molto strano, ma la sola persona <strong>che</strong> sembrava apprezzare il<br />

servizio al Vallo settentrionale era Claudio Seneca.»<br />

«Seneca?» Sentii io stesso la mia meraviglia. «Stai sicuramente<br />

s<strong>che</strong>rzando?»<br />

Ma Pico scosse la testa. «Lo giuro, zio, Seneca è un altro uomo<br />

lassù. Perfino i suoi soldati se ne sono accorti. Farebbero qualunque<br />

cosa chiedesse loro di fare, e in effetti li chiama a fare cose <strong>che</strong> non<br />

ha mai fatto prima. Cose <strong>che</strong> non avrei mai immaginato.»<br />

«Per esempio? Fammi un esempio.»<br />

«Beh» fece una pausa, ma solo per una frazione di secondo. «Si è<br />

offerto volontario con le sue truppe per servizi di inseguimento<br />

notturno, con un tempo schifoso, in diverse occasioni. Credici se<br />

puoi. Io stesso ho delle difficoltà a crederci ed ero lì.»<br />

Lo guardavo a bocca aperta.


«È vero, zio, te lo giuro. Seneca si comportava da uomo. Da<br />

soldato professionista. Da comandante.»<br />

«Perché, mi domando.»<br />

«Cosa?» Pico sbatté le palpebre, senza capire la domanda.<br />

«Ho chiesto perché. Perché Seneca dovrebbe improvvisamente<br />

agire come una persona responsabile, dopo così tanto tempo?»<br />

Questa, ovviamente, non era una domanda a cui due onesti<br />

soldati senza immaginazione come Pico e me potessero rispondere,<br />

essendo privi delle sottigliezze e dell'intuito degli uomini politici.<br />

Non ci provammo neppure, ma ognuno di noi ripose quella<br />

domanda in un angolo della mente per studiarla in seguito.<br />

Pico ben presto ci salutò per tornare al forte a controllare i suoi<br />

uomini. Suo padre andò con lui a prendere il cavallo, e Ullic li<br />

osservò lasciare la villa insieme con una strana espressione sulla<br />

faccia, un'espressione sulla quale in un'altra occasione lo avrei<br />

interrogato. Ma il ricordo di quello <strong>che</strong> avevo visto il giorno e la sera<br />

prima, però, si era impresso nella mia mente tanto da farmi tenere a<br />

freno la lingua, e così non dissi niente. Ullic, da parte sua, non era<br />

per nulla imbarazzato.<br />

«È un buonuomo, quello.»<br />

«Chi? Caio?»<br />

«No, non Caio, Pico.»<br />

«Ah, Pico! Sì, uno dei migliori. È figlio di suo padre. Te ne sei<br />

accorto solo adesso?»<br />

Ullic mi lanciò uno sguardo disgustato e mi parlò con il tono <strong>che</strong><br />

si riserva a un bambino stupido.<br />

«No, Publio, lo so da molto tempo. Semplicemente non l'ho mai<br />

detto a voce alta.»<br />

«Capisco. E <strong>che</strong> cosa te l'ha fatto dire adesso?»<br />

«Mia sorella. Uric, ci porteresti un altro po' di vino?» Guardò


Uric allontanarsi e poi si girò di nuovo verso di me, facendomi<br />

segno con la testa di alzarmi e di seguirlo in fondo alla grande<br />

stanza, fuori dalla portata delle orecchie altrui.<br />

«Ho una sorella, Enid» proseguì. Non feci commenti, attesi<br />

soltanto. «A volte penso <strong>che</strong> dovrebbe essere sposata da tempo. È<br />

stramatura.» Mi morsicai la lingua per distrarmi dall'immagine <strong>che</strong><br />

mi si presentò alla mente, mentre Ullic proseguiva. «Ma è una<br />

donna testarda il cui unico vero amore è stato ucciso da un orso<br />

predatore otto o nove anni fa, poco prima <strong>che</strong> ci incontrassimo tu e<br />

io. E morto salvandole la vita. Lei l'ha visto fare a pezzi dall'orso e<br />

poi lo ha tenuto tra le braccia finché è morto.» Ullic sospirò. «Era un<br />

brav'uomo. Troppo buono per finire così. Comunque Enid da allora<br />

confronta ogni altro uomo con lui, e hanno tutti perso. Ho pensato<br />

<strong>che</strong> Pico potrebbe essere l'uomo adatto a domarla. Perché non si è<br />

mai sposato?»<br />

«L'esercito. È un soldato, ricordi?»<br />

«An<strong>che</strong> suo padre lo era, ma ha generato un figlio.»<br />

«Non prima di avere l'età di Pico.»<br />

Questa affermazione fece riflettere Ullic. Meditò sulla risposta<br />

per un momento, poi disse: «È vero, suppongo <strong>che</strong> tu abbia ragione.<br />

Caio deve aver avuto almeno l'età di Pico quando il ragazzo è nato».<br />

«È così, infatti. Qual è il tuo problema, Ullic?»<br />

Il giovane Uric si avvicinò e riempì la coppa di suo padre e la<br />

mia. Ullic fissò il suo vino mentre il giovane si allontanava di nuovo.<br />

«Come posso convincere Pico a sposare mia sorella?»<br />

«Parlagliene.» Cercai di mantenere la mia voce inespressiva e<br />

vaga. «Potrebbe non essere contrario all'idea.»<br />

Ullic mi guardò diritto negli occhi. «Lo pensi? An<strong>che</strong> se lei non è<br />

romana?»<br />

«Questo è ingiusto, Ullic, an<strong>che</strong> se è detto per s<strong>che</strong>rzo.


Specialmente ora, <strong>che</strong> è qui per celebrare l'unione del vostro sangue<br />

con il nostro, per suo esplicito desiderio e mentre dovrebbe essere a<br />

combattere.»<br />

Ullic si morsicò le labbra e si appoggiò al muro. «Lo so <strong>che</strong><br />

sembra così, amico, ma il legato Pico Britannico è ancora un ufficiale<br />

romano, malgrado quello <strong>che</strong> sta succedendo qui. Porta la loro<br />

uniforme e combatte le loro guerre. È molto romano.»<br />

«No, Ullic.» <strong>La</strong> mia interruzione fu decisale immediata. «Questa<br />

volta ti sbagli. Pico è figlio di Cai. È uno di noi <strong>La</strong> sua lealtà, finché è<br />

in uniforme, va per prima cosa a Stilicone, il suo migliore amico e il<br />

suo comandante. Ma subito dopo la sua lealtà è per noi e dopo, solo<br />

dopo, per Roma. Ci scommetterei la vita.»<br />

«Lo hai già fatto, Publio Varro. E hai ragione, lo so. <strong>La</strong> questione<br />

di Enid è una questione spinosa <strong>che</strong> mi opprime. Adesso ho visto<br />

mio figlio sposato, e mi sono ricordato <strong>che</strong> ho il dovere di trovare un<br />

marito per la mia sorella più giovane. Non <strong>che</strong> lei faccia niente per<br />

rendermi il compito più facile.»<br />

«È molto bella, Ullic.»<br />

«Sì, ed è an<strong>che</strong> molto testarda, volitiva, ostinata, bizzosa e<br />

intransigente. Mi fa impazzire. E se avvicinassi Pico e lui ridesse di<br />

me, quale potrebbe essere la mia reazione? Davvero non so, Publio,<br />

come potrei reagire.»<br />

«Allora prova e stai a vedere, amico. Ho la sensazione <strong>che</strong> non<br />

rifiuterà.» Sentii un sorrisetto salirmi in faccia.<br />

«Perché?» Ullic mi guardava attentamente. «Perché sorridi? Hai<br />

visto qualcosa? Ti ha detto qualcosa?»<br />

«No, Ullic, niente.» Mi veniva da ridere per la sua serietà. «Ma<br />

ho visto Pico ed Enid ieri, se capisci quello <strong>che</strong> voglio dire... Lui era<br />

molto sensibile al fatto <strong>che</strong> lei fosse nella stessa sala. E an<strong>che</strong> Enid lo<br />

ha notato.»<br />

«Quando? Non me ne sono accorto.»


«Ovviamente! Perché avresti dovuto? Io stesso l'ho notato per<br />

caso.» Questo era quasi vero, mi dissi.<br />

«Per Dio, Publio! È incoraggiante! Li osserverò stasera e<br />

guarderò come si comportano uno con l'altra. Se hanno l'aria<br />

interessata, parlerò dell'argomento a Caio.»<br />

«Perché con Cai? Perché mai dovresti farlo? Perché non<br />

avvicinare direttamente Pico? È un uomo fatto.»<br />

«Sì, certo. Ma Cai è pur sempre suo padre.»<br />

Ullic sembrava deciso, perciò scossi le spalle e lasciai cadere<br />

l'argomento, dicendo a me stesso <strong>che</strong> non toccava a me decidere<br />

qual era il modo migliore di fare le cose.<br />

Ma Pico ci aveva preceduti e aveva parlato direttamente a suo<br />

padre, mentre andavano verso i cavalli, dicendogli senza preavviso<br />

<strong>che</strong> voleva prendere Enid in moglie appena possibile. Fu<br />

probabilmente una delle più rapide negoziazioni di matrimonio,<br />

definite e concordate da tutte le persone interessate in un'ora, e<br />

celebrato quella sera stessa alla luce dei fuochi, perché ogni persona<br />

necessaria era presente e lo sposo doveva andare in guerra il giorno<br />

dopo. E ancora una volta tutti trascorsero una notte in bevute. Uric e<br />

Pico, entrambi a letto piuttosto presto, com'era naturale, furono<br />

probabilmente gli unici a non avere la testa pesante la mattina dopo.<br />

Sapevo <strong>che</strong> Pico era tentato di rubare alla guerra un giorno in<br />

più per l'amore, ma il senso del dovere era radicato in lui, e prima di<br />

mezzogiorno uscì dal forte alla testa dei suoi uomini, e seguì la<br />

strada <strong>che</strong> serpeggiava giù per la collina e fuori dalla vita della sua<br />

nuova sposa.<br />

Dalla sommità della collina Enid li guardò insieme a noi entrare<br />

nella lontana foresta e scomparire alla vista e poi, con gli occhi<br />

asciutti, raggiunse le altre donne. Io la guardai allontanarsi e poi<br />

dissi a Ullic: «Ci stiamo legando più strettamente, amico.»<br />

«Cosa vuoi dire?»


«Tua sorella. Adesso è mia nipote, visto <strong>che</strong> mia moglie è la zia<br />

del suo nuovo marito. Ogni loro figlio sarà un nipotino o una<br />

nipotina per me. E tuo figlio è adesso mio figlio e suo figlio sarà il<br />

nostro nipotino, tuo e mio.»<br />

«È vero, Publio.» Ullic appoggiò la sua grande zampa sulla mia<br />

spalla. «Non sarà colpa del loro sangue se non prospereranno. Spero<br />

solo <strong>che</strong> Pico torni presto per piantare il suo seme.»<br />

«Vuoi s<strong>che</strong>rzare, immagino! È un Britannico, Ullic! Non sono<br />

famosi perché restano oziosi e non danno risultati. L'ha piantato la<br />

notte scorsa.» O la notte prima, pensai.


XXIX.<br />

Padre Andros era seduto di fronte a me e scuoteva tristemente la<br />

testa. «Mi dispiace, Publio,» disse, «ma questo è il mio<br />

suggerimento. Non vedo altro modo per fare quello <strong>che</strong> vuoi.»<br />

Ero stupefatto. Avevamo analizzato quel problema più e più<br />

volte, per mesi ormai, e continuavamo a tornare a quell'unico punto<br />

ineludibile. Sembrava <strong>che</strong> non ci fosse il modo di aggirarlo. Avevo<br />

chiesto ad Andros di aiutarmi a disegnare un'elsa a croce per la<br />

nuova spada. Volevo colare l'impugnatura usando uno stampo, in<br />

modo <strong>che</strong> fosse un unico pezzo compatto, e lui capiva perfettamente<br />

le mie necessità. Ora mi stava chiedendo di accettare e riconoscere le<br />

sue necessità e le mie richieste <strong>che</strong> fino a quel momento non avevo<br />

valutato appieno, affinché tutto funzionasse. Avevo commesso un<br />

errore basilare nella mia nuova spada, un errore veramente basilare,<br />

se consideravo quello <strong>che</strong> volevo fare adesso. Guardai di nuovo i<br />

suoi disegni. Erano molto semplici: tre piccoli schizzi, uno a fianco<br />

dell'altro.<br />

Il primo schizzo mostrava quello <strong>che</strong> io gli avevo dato, il<br />

secondo quello <strong>che</strong> gli avrei dovuto dare; e il terzo mostrava come si


doveva adattare il secondo s<strong>che</strong>ma per servire da struttura per<br />

l'impugnatura fusa con la forma. Mi strinsi le tempie tra le mani.<br />

«Dannazione, Andros! Questo significa <strong>che</strong> devo ricominciare<br />

tutto, dall'inizio, passo dopo passo!»<br />

Annuì, senza traccia di turbamento sul volto sincero. «Sì, se vuoi<br />

farlo correttamente. È così importante? L'elsa a croce, intendo?»<br />

Ripensai ai progetti <strong>che</strong> avevo fatto per quella nuova spada, per<br />

le mani <strong>che</strong> un giorno l'avrebbero retta. Annuii rassegnato. «Sì,<br />

Andros è importante. Ma ci vorranno mesi, per rifare tutto.»<br />

Sorrise. «Beh, adesso li hai. Ora <strong>che</strong> il matrimonio è finito hai<br />

tutto il tempo. Il forte è completato, e così pure la Sala del Consiglio.<br />

<strong>La</strong> strada è costruita e an<strong>che</strong> le tue grandi stalle in cima alla collina,<br />

dentro le mura, sono quasi terminate. Hai un sacco di tempo,<br />

Publio.» Lo fissai, accorato, ma Andros continuò imperturbabile.<br />

«Inoltre lo hai già fatto una volta. Sarà più facile la seconda volta e se<br />

preghi Dio <strong>che</strong> ti aiuti, Egli potrebbe farla venire an<strong>che</strong> meglio.»<br />

«Era già perfetta!»<br />

Andros scosse la testa gentilmente, con un piccolo sorriso di<br />

umana comprensione. «No, non lo era, Publio. Questo è il motivo<br />

per cui devi rifarla.»<br />

Digrignai i denti di fronte alla sua ingenua sincerità. «Grazie,<br />

Andros. Puoi andare.» Non appena se ne fu andato, mi diressi verso<br />

il bancone da lavoro e disfeci il lungo involto. Brillava come argento<br />

liquido nella penombra della fucina. Aveva brillantezza, certamente.<br />

Brillantezza da vendere. Era la più bella lama <strong>che</strong> avessi mai fatto,<br />

ma era sbagliata, aveva un difetto e l'errore era mio; non dipendeva<br />

dalla pietra celeste.<br />

<strong>La</strong> presi tra le mani, la guardai un'ultima volta, diedi una lunga<br />

occhiata alla sua superficie riflettente, e poi la buttai nel fuoco, la<br />

infilai profondamente nelle braci ardenti e afferrai i mantici. Adesso<br />

dovevo toglierle la tempra, fonderla di nuovo in una massa di


metallo informe e ricrearla con un triplo codolo.<br />

A parte me, la fucina era deserta. Equo e gli altri fabbri<br />

lavoravano ormai per la maggior parte del tempo nella nuova forgia<br />

del forte, e la villa era stranamente silenziosa. I servitori si erano a<br />

poco a poco trasferiti per occuparsi dei nuovi alloggi sulla collina. <strong>La</strong><br />

villa sarebbe rimasta aperta, ma solo come abitazione di riserva. I<br />

nuovi alloggi su al forte erano meno spaziosi e meno eleganti, ma<br />

erano abbastanza lussuosi e sarebbero diventati più confortevoli con<br />

l'uso. Erano an<strong>che</strong> più sicuri, adesso <strong>che</strong> il forte era imprendibile,<br />

con le sue mura, alte in alcuni punti venticinque piedi, <strong>che</strong> si<br />

alzavano verticali dal pendio della collina.<br />

Tornai al bancone e trovai un pezzo di papiro e un bastoncino di<br />

carbone. Sapevo <strong>che</strong> avrei avuto po<strong>che</strong> distrazioni durante la mia<br />

seconda lotta con il metallo della pietra celeste, così mi misi a<br />

pensare alla differenza <strong>che</strong> il triplo codolo avrebbe avuto nel peso,<br />

nelle proporzioni e nella tempra della lama.<br />

Non volevo privare Caio di un'altra porzione della sua dea;<br />

avrei fatto bastare il pezzo <strong>che</strong> avevo già fuso, e questo pensiero mi<br />

portò a fare delle considerazioni sulle mie donne, a casa nel forte in<br />

cima alla collina.<br />

<strong>La</strong> partenza di Veronica con il suo nuovo marito non era stata<br />

una privazione crudele come mi ero aspettato, soprattutto perché il<br />

suo posto in casa era stato preso da Enid, <strong>che</strong> sarebbe vissuta con noi<br />

mentre Pico conduceva la sua campagna. Luceia aveva definito la<br />

situazione in modo conciso, come al solito, dicendomi <strong>che</strong> avevo<br />

perso una figlia, ma guadagnato una nipote.<br />

Risi pensando alle due donne insieme. Supponevo <strong>che</strong> la<br />

ragione principale dell'amicizia tra Enid e Luceia fosse dovuta al<br />

fatto <strong>che</strong> le due donne si somigliavano; entrambe erano tagliate nella<br />

stessa stoffa. Erano testarde, volitive, intelligenti, implacabili eppure<br />

quasi paradossalmente serene, autosufficienti e dignitose. E ognuna<br />

era di una bellezza speciale. Mi sorpresi a fischiettare, stonando,


mentre aspettavo <strong>che</strong> la lama della spada diventasse incandescente.<br />

Nelle settimane e nei mesi <strong>che</strong> seguirono lavorai alla forgia con<br />

diligenza, quasi con religiosità, scoprendo con piacere e sorpresa <strong>che</strong><br />

Andros aveva ragione. Il mio compito fu molto più facile la seconda<br />

volta; conoscevo meglio le proprietà del metallo <strong>che</strong> stavo<br />

lavorando. <strong>La</strong> seconda lama emerse dalla sua massa informe più<br />

lunga, più sottile e più fine di quella <strong>che</strong> l'aveva preceduta, e quando<br />

mi disposi a raffinarla e a temprarla e a creare i suoi fili taglienti, ero<br />

in preda a un'eccitazione intensa, quasi mistica, un timore<br />

reverenziale <strong>che</strong> mi spinse a nascondere il mio lavoro agli occhi di<br />

tutti, perfino di Equo, fino a quando non l'avessi completata.<br />

Solo allora, quando fui convinto <strong>che</strong> non potevo migliorare ciò<br />

<strong>che</strong> la mia mente e le mie mani avevano prodotto, lo chiamai alla<br />

forgia e gli mostrai la lunga sagoma avvolta nella stoffa.<br />

Equo guardò da me alla sagoma e poi di nuovo verso di me e la<br />

sua faccia si aprì in un lento, ampio sorriso <strong>che</strong> non recava traccia di<br />

rancore per il lungo tempo in cui avevo tenuto quel lavoro lontano<br />

dalla sua vista.<br />

«Allora, l'hai finalmente finita. Mi è concesso vederla?»<br />

Annuii e lui disfece l'involto. Rimase a guardarla a lungo,<br />

voltandomi la schiena, senza dire una parola. Io aspettai. Portò<br />

distrattamente le mani alle nati<strong>che</strong>, si pulì le dita strofinandole sulle<br />

bra<strong>che</strong>, e frugò nella tasca del grembiule; tirò fuori un pezzo di<br />

stoffa e lo usò per sollevare la lama e proteggerla dalle ditate.<br />

Quando alla fine si girò verso di me, tenendo la lama con reverenza,<br />

i suoi occhi erano pieni di lacrime. Scosse furiosamente la testa,<br />

cercando di schiarirsi la vista, ed emise una mezza risata.<br />

«Varro!» disse «È una lama di Varro!» Scosse di nuovo la testa.<br />

«Piango pensando a tuo nonno. Avrebbe pianto an<strong>che</strong> lui vedendo<br />

questa. Io penso <strong>che</strong>...» <strong>La</strong> voce gli si spezzò. Quando parlò di nuovo


fece uno sforzo deliberato per sembrare forte. «Non c'è mai stato,<br />

mai, niente di simile fatto col ferro da un uomo prima d'ora, Publio.<br />

Questa è la perfezione.»<br />

Dovetti deglutire per superare l'emozione <strong>che</strong> le sue parole<br />

provocavano in me. Cercai di assumere un tono indifferente. «No,<br />

Equo. Non è la perfezione. Non ancora. Devo fare l'impugnatura.»<br />

Scosse la testa, respingendo l'idea di una qualunque difficoltà.<br />

«Oh, gliela farai. Questo è lo scopo del triplo codolo, vero? Vuoi<br />

colarla come l'impugnatura del pugnale?»<br />

Annuii. «Sì, in un'elsa cruciforme. Così nessuna parte della lama<br />

avanzerà oltre la sporgenza. I codoli esterni verranno piegati ad<br />

angolo retto e io colerò la forma intorno a essi.»<br />

Scosse la testa di nuovo, con gli occhi fissi sulla lama. «Dio,<br />

Publio, è superba.» C'era vera reverenza nella sua voce, simile alla<br />

mia nell'aiutare la lama a emergere dal metallo grezzo. «È più lunga<br />

della prima e più stretta, di un buon pollice.» <strong>La</strong> girò di fianco. «Più<br />

spessa in sezione, an<strong>che</strong>. E guarda qui.» Stava toccando la spina di<br />

rinforzo <strong>che</strong> correva centralmente per tutta la lunghezza della lama<br />

tra due canali larghi due pollici. «Dio! Guarda questa cosa!»<br />

Finalmente alzò gli occhi. «Hai già disegnato l'impugnatura?»<br />

«Sì, ho qui i disegni e la forma finita. Non avrei potuto farlo<br />

senza Andros. È un vero artista. Vieni a vedere.»<br />

Lo guidai nel retro della fucina, accesi due lampade e gli feci<br />

vedere le valve aperte dello stampo finito, e come il triplo codolo vi<br />

avrebbe trovato posto. Mi chiese quanto tempo ci sarebbe voluto per<br />

finire l'impugnatura e completare la spada, e io lo guardai e gli dissi<br />

<strong>che</strong> ci avrei messo tutto il tempo necessario. Avevamo appena<br />

spento le lampade e stavamo per uscire dalla fucina quando la<br />

grande sagoma di Ullic bloccò l'entrata della porta.<br />

«Romano» urlò. «Sei lì dentro?» Eravamo a due passi da lui, ma<br />

era accecato dal sole.


«Sono qui, Ullic» gli risposi. «Cosa ti riporta qui così presto?»<br />

«Notizie, vecchio amico!» Entrò dalla porta e mi afferrò per le<br />

spalle. «Diventeremo nonni tu e io! Veronica è incinta!<br />

Non te l'avevo detto <strong>che</strong> noi Pendragon siamo dei potenti<br />

stalloni?»<br />

«Ah!» Gli strinsi le braccia. «E delle fertili giumente an<strong>che</strong>,<br />

mascalzone celtico! Diventeremo an<strong>che</strong> zii! Tua sorella Enid ha la<br />

stessa malattia!»<br />

Lo sentii allontanarsi da me e vidi i suoi occhi illuminarsi.<br />

«Enid? Già? Per il grande dio del sole! E quando nascerà?»<br />

Risi. «Nel nuovo anno. Pico non ha sprecato il suo seme.»<br />

«Nean<strong>che</strong> Uric, per Dio! I due cresceranno insieme. Bisogna<br />

festeggiare, Varro!»<br />

Festeggiammo, e quella settimana Pico venne a casa per una<br />

visita fugace, e festeggiammo di nuovo. Le donne rimasero a<br />

guardare le nostre stramberie da ubriachi, sorridendo tra loro con<br />

tolleranza.<br />

Pico rimase con noi solo un giorno. Non aveva veramente il<br />

diritto di essere lì, ci disse, ma aveva colto la prima opportunità per<br />

venire un'ultima volta prima <strong>che</strong> si scatenasse l'inferno. Le cose<br />

stavano precipitando rapidamente in ogni direzione. Le sue spie<br />

riportavano gravi torbidi in preparazione nel nord, al di là del Vallo,<br />

e lui dubitava <strong>che</strong> le guarnigioni settentrionali potessero sostenere<br />

un attacco di tanta violenza.<br />

Pensava <strong>che</strong> i Pitti avessero radunato un'armata enorme,<br />

rinforzata con Scoti dell'Ibernia e altri selvaggi delle terre<br />

germani<strong>che</strong> al di là del mare, a est. Non erano i Sassoni, ci disse, ma<br />

una razza diversa, uomini più grandi e più selvaggi dei Sassoni.<br />

Avevo già sentito parlare di questi uomini del nord, Normanni,<br />

come si definivano. Ma non dissi nulla, e suo padre gli chiese della<br />

cavalleria. E Seneca?


Pico rifletté per qual<strong>che</strong> istante, e la sua risposta non fu<br />

incoraggiante. <strong>La</strong> cavalleria era virtualmente inutile, disse, a causa<br />

del Vallo stesso. Ma lo sapevamo dai rapporti precedenti. Tutto<br />

quello <strong>che</strong> i suoi uomini potevano fare era cavalcare a ovest e a est di<br />

fronte al Vallo. Teodosio aveva chiuso i cancelli del Vallo dopo<br />

l'invasione del '67, perciò la cavalleria di Pico non poteva usare il<br />

suo vantaggio strategico contro un nemico <strong>che</strong> non poteva essere<br />

raggiunto. Il Vallo, costruito per difendere la Britannia dai Pitti,<br />

stava ora proteggendo i Pitti dalla cavalleria romana.<br />

Ma Seneca, ci disse, stava facendo un nobile lavoro lassù, cosa<br />

<strong>che</strong> sarebbe stata ancora più sorprendente se Pico non avesse<br />

recentemente inviato sul posto alcuni dei suoi migliori ufficiali per<br />

tenere sull'attenti lo scontroso legato. <strong>La</strong> loro presenza e la loro<br />

assoluta lealtà a Pico erano un'efficace e continua salvaguardia<br />

contro indolenza, insidia o tradimento da parte di Claudio Seneca,<br />

salvaguardia <strong>che</strong> Seneca tollerava di mala grazia e meno simpatia,<br />

an<strong>che</strong> se doveva rassegnarsi, in mancanza di un'alternativa. Seneca,<br />

perciò, continuava a fare il soldato e faceva del suo meglio,<br />

mostrando di tanto in tanto dei sorprendenti sprazzi di comando e<br />

genuina abilità militare, <strong>che</strong> venivano spinti in superficie, Pico ne<br />

era certo, dalla durezza e rigidità della vita <strong>che</strong> era obbligato a<br />

condurre. Malgrado ciò, Pico lo osservava con cura e costanza.<br />

L'odio di Seneca per la famiglia Britannico era patologico e la<br />

vigilanza, Pico lo sapeva istintivamente, non avrebbe mai potuto<br />

allentarsi. Ascoltai senza commenti, ringraziando i miei dei privati<br />

<strong>che</strong> Seneca fosse ben lontano dalla mia vita, e pensando <strong>che</strong> an<strong>che</strong><br />

lui ormai doveva mostrare i segni distruttori degli anni <strong>che</strong><br />

passavano.<br />

Il giorno seguente, quando giunse il momento della partenza,<br />

vidi <strong>che</strong> Pico era riluttante a lasciare la sua sposa, e lo compiansi.<br />

Si trastullò con lei, procrastinando la partenza finché il<br />

momento stabilito arrivò e trascorse, e quando venne a dire addio a


Caio, Ullic e me, ci fece promettere di occuparci di lei quando fosse<br />

giunto il momento del parto.<br />

Suo padre lo picchiò forte su una spalla. «Suvvia, legato! Sarà tra<br />

sette mesi! Ti vedremo molto prima.»<br />

Pico era cupo. «Lo spero, padre, ma ne dubito. Ho un cattivo<br />

presentimento. Le incursioni sono pesanti lungo tutte le coste<br />

orientali e meridionali, come se non fossero sufficienti i torbidi nel<br />

nord. Tutti i segni e i presagi sono inquietanti. Scriverò a Enid<br />

spesso.» Sorrise, un sorriso piccolo e imbarazzato. «Me lo ha fatto<br />

promettere. Vi terrò aggiornati sugli sviluppi. Se qualcosa vi<br />

minaccia qui a ovest farò del mio meglio per farvelo sapere.» Ci<br />

salutò e partì.<br />

Mentre si allontanava a cavallo Enid rimase sulle mura tra Caio<br />

e me seguendo ogni suo movimento, finché la foresta lontana lo<br />

inghiottì. Era una bella e sana donna sulla trentina, e tutti i suoi<br />

attributi femminili acquistavano maggiore evidenza mentre il suo<br />

ventre cresceva insieme al bambino <strong>che</strong> portava.<br />

Ma i mesi passarono veloci e Pico non tornò a placare la sua<br />

sposa, an<strong>che</strong> se mantenne un flusso regolare di notizie con lei e di<br />

conseguenza con tutti noi. I suoi dispacci ci informarono della<br />

caduta definitiva del grande Vallo di Adriano. Le guarnigioni <strong>che</strong><br />

l'avevano presidiato furono spostate ad Arboricum e tutte le terre da<br />

lì a nord furono abbandonate. Apprendemmo an<strong>che</strong> di una grande<br />

forza di invasione <strong>che</strong> dalla costa sassone assediava l'interno, e delle<br />

contromisure disperate per respingerla nuovamente in mare. E poi<br />

le notizie cessarono.<br />

Ci eravamo abituati a ricevere dispacci ogni settimana, ma una<br />

settimana non ne arrivò nessuno. Seguì un'altra settimana, e poi una<br />

terza, e ormai eravamo allarmati. Passarono altre tre settimane, e<br />

infine uno dei preti di Alarico ci portò la notizia <strong>che</strong> Pico era vivo,<br />

ma era stato gravemente ferito, colpito in battaglia da una freccia<br />

<strong>che</strong> gli aveva trafitto la faccia, entrando dalla bocca e


attraversandogli il cranio per riemergere da un orecchio.<br />

Nessuno sapeva se sarebbe sopravvissuto, ma era alloggiato in<br />

una villa a nord di Lindum, presso la famiglia di un certo Marco<br />

Aurelio Ambrosiano, un magistrato romano. Riceveva le migliori<br />

cure medi<strong>che</strong> e il suo destino era nelle mani di Dio.<br />

Enid avrebbe voluto andare da lui immediatamente, e ci fu<br />

molto difficile trattenerla. <strong>La</strong> logica aveva poco effetto su di lei, ma<br />

alla fine le facemmo capire <strong>che</strong> il viaggio sarebbe stato inutile e<br />

probabilmente molto pericoloso per il bambino <strong>che</strong> aveva in<br />

grembo. Il prete <strong>che</strong> ci aveva portato le notizie era stato a lungo in<br />

cammino, e nel frattempo poteva essere successo di tutto.<br />

Pico poteva an<strong>che</strong> essere già morto e sepolto, un pensiero<br />

terribile, ma <strong>che</strong> doveva essere preso in considerazione, visto <strong>che</strong><br />

secondo il rapporto la ferita era molto grave. Oppure poteva essere<br />

stato spostato. Poteva an<strong>che</strong> essersi ripreso abbastanza da ritornare<br />

in servizio, almeno a un servizio amministrativo. E inoltre il mondo<br />

al di fuori della nostra piccola Colonia era troppo caotico per<br />

permettere a una donna, soprattutto a una donna incinta, di<br />

viaggiare a cavallo an<strong>che</strong> con una scorta bene armata.<br />

Solo con i miei pensieri cercai di immaginarmi la ferita ricevuta<br />

da Pico, e l'idea non mi piacque. Mi misi an<strong>che</strong> una freccia in bocca e<br />

colpii con essa il fondo della gola. Non era piacevole. Quando cercai<br />

di immaginare l'effetto di una freccia scagliata con forza nello stesso<br />

punto morbido, la mia mente si ribellò. Decisi di trovare un modo<br />

per proteggere la faccia di un cavaliere da un simile colpo, <strong>che</strong><br />

doveva essere stato diretto dal basso verso l'alto.<br />

Qual<strong>che</strong> tempo dopo ricevemmo la notizia <strong>che</strong> Pico era<br />

effettivamente sopravvissuto, ma i particolari della storia erano tali<br />

<strong>che</strong> ci riempirono di meraviglia. An<strong>che</strong> questa volta le notizie ci<br />

furono portate da un prete in visita. Sembrava <strong>che</strong> Marco Aurelio<br />

Ambrosiano, l'ospite di Pico, avesse perso la testa e avesse aggredito<br />

il legato una notte mentre dormiva. Pico, con la faccia avvolta nelle


ende, non aveva riconosciuto il suo aggressore e l'aveva<br />

strangolato prima <strong>che</strong> arrivassero gli aiuti.<br />

Ovviamente non si trattava di omicidio premeditato, ma solo di<br />

una stupida tragedia. <strong>La</strong> spada dell'aggressore era insanguinata<br />

perché aveva trafitto Pico su un fianco, e quando le guardie erano<br />

arrivate avevano trovato Pico, ancora avvolto nelle coperte, con le<br />

mani strette in una presa mortale intorno alla gola dell'uomo. Era<br />

impossibile <strong>che</strong> Pico avesse capito chi era il suo aggressore. <strong>La</strong><br />

camera era al buio e Pico non poteva comunque vedere per via delle<br />

bende <strong>che</strong> gli avvolgevano la testa. C'era sotto un mistero destinato<br />

a rimanere insoluto, almeno finché Pico stesso non fosse venuto a<br />

spiegarcelo. Speravamo <strong>che</strong> sarebbe venuto presto, perché era<br />

chiaro <strong>che</strong> la natura delle sue ferite era abbastanza grave da<br />

impedirgli, almeno temporaneamente, di combattere.<br />

Malgrado tutte le nostre speranze e le nostre preghiere, però,<br />

Pico non era ancora tornato quando Enid partorì, alla quarta ora<br />

della mattina del secondo giorno di gennaio, dando alla luce un<br />

marmocchio sano, schiamazzante e con dei polmoni robusti come il<br />

cuoio.<br />

Solo tre sere prima Caio, Enid, Luceia e io eravamo seduti<br />

intorno al fuoco e discutevamo le imminenti nascite dei nostri<br />

nipotini. Non c'erano notizie di Veronica dal regno di Ullic, ma<br />

niente nuove significava buone nuove.<br />

«Come lo chiamerai se sarà un maschio?» chiese Caio a Enid.<br />

Enid sorrise guardando il fuoco. «Pico e io ne abbiamo parlato.<br />

Si chiamerà Pico Caio Britannico.»<br />

«Un altro Caio Britannico? Perché?»<br />

Si girò per squadrarlo da sotto in su, perché lui era seduto più in<br />

alto di lei, appollaiato sul bracciolo del divano. «Perché? Per onorare<br />

te, ovviamente. Ti dispiace? O ti sorprende?»<br />

Caio sorrise e carezzò i suoi capelli raccolti. «No, mia cara,


ovviamente no. Ma mi farebbe più piacere se lo cambiassi.»<br />

Enid si sollevò dal suo posto per vederlo bene in faccia.<br />

«Cambiarlo? Il nome del bambino? In <strong>che</strong> cosa?»<br />

Caio scosse la testa leggermente. «Non ne ho idea, bambina, ma<br />

pensa a questo luogo e a quello <strong>che</strong> abbiamo fatto qui. Questo posto<br />

è britannico. An<strong>che</strong> il suo popolo è britannico. Noi siamo una razza<br />

nuova. Mi sembra <strong>che</strong> il nome <strong>che</strong> vuoi dare al tuo bambino sia<br />

troppo romano, troppo all'antica per quest'epoca e questo luogo.» Le<br />

accarezzò la guancia con il dorso delle dita. «Tuo figlio avrà nelle<br />

vene il sangue dei re celti, Enid, dei re di Britannia. Perciò dagli un<br />

nome britannico, uno dei vostri.» Fece una risata. «Ma non uno di<br />

quegli scioglilingua celtici. Scegli un nome facile, un nome <strong>che</strong> gli<br />

uomini possano ascoltare e conoscere e ricordare. Un nome per<br />

questa terra. Questo mi farebbe molto piacere.»<br />

Enid lo fissò per un lungo istante, poi allungò una mano e prese<br />

la sua. «Grazie, papà Caio» gli disse. «Questa idea mi piace. Ci<br />

penserò attentamente e cer<strong>che</strong>rò di trovare un nome <strong>che</strong> piaccia a<br />

tutti.»<br />

Lo chiamò Merlino, dal nome dello smeriglio, l'uccello nero il<br />

cui magico canto riempie i lunghi giorni della primavera e<br />

dell'estate in Britannia. Caio Merlino Britannico.


XXX.<br />

<strong>La</strong> notizia della nascita di mio nipote arrivò dalla gente di Ullic<br />

poco tempo dopo. Nessuna scioc<strong>che</strong>zza romana da parte loro; il<br />

bambino, un maschio, era stato chiamato Uther, Uther Pendragon.<br />

Madre e figlio erano in buona salute e sarebbero venuti a visitarci in<br />

primavera, non appena la neve, caduta abbondante quell'anno sulle<br />

colline, si fosse sciolta.<br />

Ero contento delle notizie sui bambini, ma ero ben lungi<br />

dall'essere contento dei miei tentativi di colare un'impugnatura per<br />

la mia nuova spada. Prima dell'inizio del disgelo primaverile avevo<br />

tentato nove volte, e nove volte era stato un fallimento. Andros e io<br />

eravamo convinti <strong>che</strong> quella tecnica avrebbe funzionato, quando<br />

avessimo padroneggiato l'arte di versare il metallo nell'esatto<br />

volume, alla giusta velocità e alla temperatura adatta, ma i nostri<br />

primi sforzi erano stati risibili; avevo spesso ringraziato Dio e tutte<br />

le mie stelle <strong>che</strong> quel metallo fosse così duro, perché ero<br />

continuamente costretto a fondere nove misure di bronzo e oro dagli<br />

inflessibili codoli, ripulendoli completamente dopo ogni tentativo<br />

fallito. L'operazione cominciava an<strong>che</strong> a diventare costosa, perché<br />

non riuscivamo mai a recuperare tutto l'oro dei tentativi abortiti, e<br />

ogni volta dovevo fondere qual<strong>che</strong> altra moneta del tesoro del<br />

nonno.<br />

Forse perché avevo tante cose in testa a quell'epoca, il significato<br />

delle parole di Luceia mi sfuggì quando mi raccontò <strong>che</strong> i due<br />

bambini, Uther e Merlino, erano nati nello stesso momento, alla<br />

quarta ora del mattino del secondo giorno di gennaio. Più tardi,<br />

quando ci ripensai, risi tra me per i racconti delle vecchie donne, <strong>che</strong><br />

dicevano <strong>che</strong> negli anni a venire i due bambini avrebbero avuto<br />

potere uno sulla vita dell'altro, a causa della coincidenza della loro<br />

nascita. Come ho già detto altre volte, non sono mai stato


superstizioso e, pur riconoscendo la stranezza della coincidenza, ne<br />

sapevo bene la causa. Se fossero nati sotto lo stesso tetto forse avrei<br />

dedicato alla faccenda qual<strong>che</strong> pensiero in più, ma queste sono<br />

congetture inutili; i bambini erano nati a sessanta miglia di distanza<br />

ed erano diversi come il giorno e la notte, fin dal giorno della loro<br />

nascita.<br />

Caio Merlino Britannico e Uther Pendragon avrebbero vissuto i<br />

loro diversi destini. I due cugini sarebbero vissuti conoscendosi<br />

bene, ma come due individui separati, con ben poca influenza uno<br />

sull'altro. Allontanai il pensiero dalla mente e mi concentrai sui<br />

problemi immediati.<br />

E così l'alba delle Idi di marzo di quell'anno mi trovò seduto da<br />

solo nella mia fucina, mentre, in attesa <strong>che</strong> la decima forma si<br />

raffreddasse per aprirla, ammiravo la lama argentea della spada <strong>che</strong><br />

sporgeva dalla grande forma cubica come una lingua di luce liquida.<br />

Ricordo di essermi chiesto allora se avrei mai impugnato la spada<br />

finita. Toccai lo stampo per provarlo. Era ancora troppo caldo.<br />

Sbuffai impaziente e indispettito, e mi diressi alla villa alla ricerca di<br />

qualcosa per fare colazione. Non avevo dormito affatto quella notte,<br />

ma non me ne rendevo conto. Ero contratto, come una molla troppo<br />

tesa, per pensare a dormire.<br />

Sentii mio nipote Merlino urlare mentre entravo nella villa. Sua<br />

madre si era stabilita lì da quando era nato, e viveva in un piccolo<br />

quartiere della casa; non voleva <strong>che</strong> i servitori si occupassero di lei.<br />

Era una celta e non si sentiva a suo agio nel vedere altri fare il<br />

lavoro <strong>che</strong> considerava suo. Come amava dire, non apprezzava <strong>che</strong><br />

altri vivessero per lei. Poiché era sincera, la assecondavamo,<br />

lasciandola sola a occuparsi di quel quartiere della grande casa; i<br />

servitori scendevano dalla collina due volte alla settimana per tenere<br />

in ordine il resto dell'edificio.<br />

Ci accertavamo però <strong>che</strong> la notte qualcuno della famiglia<br />

restasse sempre con lei. Caio e io eravamo rimasti entrambi la sera


prima, perciò non mi ero sentito colpevole per essere rimasto tutta la<br />

notte nella fucina.<br />

Seguii il pianto del bambino fino in cucina, dove trovai Enid <strong>che</strong><br />

scaldava del cibo in una padella sopra al fuoco. <strong>La</strong> salutai e presi in<br />

braccio il bambino, calmandolo e facendolo tacere.<br />

«Ha fame, Enid? È per questo <strong>che</strong> piange?»<br />

«No, è un porcello» disse lei sorridendo. «Ecco perché piange.»<br />

Il bambino era tranquillo adesso e mi fissava con i suoi grandi occhi<br />

marroni. Enid si avvicinò e gli strinse con garbo una guanciotta<br />

grassa. «Sei un porcellino avido, vero? Mi ha prosciugato<br />

stamattina, quindi adesso deve aspettare. An<strong>che</strong> le muc<strong>che</strong> restano<br />

senza latte, sai!» Quest'ultima osservazione era rivolta a suo figlio,<br />

<strong>che</strong> la ignorò.<br />

«Cosa stai scaldando? Ce ne abbastanza per me?»<br />

Annuì, mescolando il contenuto della padella. «Ce ne<br />

abbastanza per tutti, ma papà Cai non si è ancora alzato.» Fece una<br />

brevissima pausa, poi mi chiese. «Quanti anni ha Caio, Publio?»<br />

«Cai? Fammi pensare...» Dovetti riflettere un momento.<br />

«Dunque, mi pare <strong>che</strong> abbia circa cinque anni più di me, e questo<br />

farebbe sessantadue o sessantatré, qualcosa del genere. Forse un po'<br />

di più. Perché me lo chiedi?»<br />

Aggrottò leggermente la fronte. «Non lo so. Mi sembra <strong>che</strong> stia<br />

invecchiando rapidamente, ecco tutto.»<br />

«Invecchiando rapidamente? Credi?» Ero sorpreso. «Non l'ho<br />

notato. Non di recente. C'è stato un periodo, qual<strong>che</strong> anno fa, <strong>che</strong><br />

ero davvero preoccupato per lui, ma lo ha superato e da allora è in<br />

ottima forma... Io non ho notato niente <strong>che</strong> indichi il contrario. Tu<br />

però sì, evidentemente. Che cosa?»<br />

Scosse la testa. «Non lo so, Publio. Non è evidente, ma c'è.<br />

Ultimamente sembra <strong>che</strong> si stanchi prima, e <strong>che</strong> dorma di più.»


Risi per quella frase, buttando il bambino in aria e<br />

riprendendolo prima <strong>che</strong> lasciasse completamente le mie mani. «E<br />

perché questo piccolino lo ha reso nonno. Intendo dire, Cai ha più di<br />

sessantanni. I pochi <strong>che</strong> ci arrivano tendono a rallentare il ritmo,<br />

soprattutto se passano la maggior parte del tempo a giocare con i<br />

bambini.»<br />

«Mmm, forse è vero.» Piegò la testa di lato, in un cenno <strong>che</strong><br />

ormai mi era divenuto familiare, e accettò la mia opinione. «Forse mi<br />

sto immaginando tutto. Metti giù il futuro imperatore e vieni a<br />

mangiare. Io sono affamata, an<strong>che</strong> se tu non lo sei.»<br />

Caio ci raggiunse mentre stavamo finendo il nostro pasto, e<br />

chiacchierammo insieme mentre Enid si affaccendava a preparargli<br />

del cibo; poi me ne andai di nuovo a riprendere la mia veglia alla<br />

fucina. Uscendo di casa incontrai Plauto <strong>che</strong> veniva in visita e così<br />

mi fermai a parlare con lui.<br />

Era una di quelle giornate piene di luce <strong>che</strong> preannunciano una<br />

splendida giornata di primavera. Mi chiese dove stessi andando e<br />

gli dissi <strong>che</strong> stavo per rompere lo stampo per la decima volta. Non<br />

appena lo seppe volle venire con me a guardare l'operazione.<br />

«Ne sei certo, Plauto?» <strong>La</strong> mia domanda era solo per metà<br />

s<strong>che</strong>rzosa. «Non sono la persona più gentile del mondo quando lo<br />

stampo viene male.»<br />

«Non è una novità! Sei sempre stato un antipatico figlio di<br />

puttana, da quando ti ho incontrato la prima volta!»<br />

Sogghignai. «Bene, poi non dire <strong>che</strong> non ti avevo avvertito.<br />

Andros dovrebbe essere qui tra poco, ormai, quindi penso <strong>che</strong><br />

dovremmo aspettarlo. Ha lavorato duro quanto me.»<br />

Mezz'ora dopo Andros non si era ancora fatto vivo, e decisi di<br />

non aspettarlo. Plauto aveva messo radici vicino agli scaffali nel<br />

retro della fucina. Lo chiamai, e arrivò stringendo in mano qualcosa.<br />

«Cos'è questo?» mi chiese.


Guardai il rotolo di materiale indurito <strong>che</strong> stringeva in mano e<br />

sorrisi. «Non indovineresti mai, Plauto, ma è lo stesso di questo.»<br />

Raccolsi un quadrato di morbido materiale argenteo, soffice come<br />

finissima pelle e dall'incredibile trama di sabbia finissima, e glielo<br />

porsi. Lo prese dalle mie mani, lo strofinò tra pollice e indice e poi<br />

guardò incredulo il rotolo di duro materiale <strong>che</strong> teneva nell'altra<br />

mano. «Cos'è?»<br />

«È pelle di pescecane. Della pancia.»<br />

Sbatté le palpebre fissandomi: «Della pancia di uno squalo, vuoi<br />

dire? Di quel grande pesce? A cosa serve?».<br />

«Serve a tenere insieme lo squalo, idiota!» gli risposi ridendo, e<br />

indicai la spada <strong>che</strong> sporgeva dalla forma. «È per questa. Avvolgerà<br />

l'impugnatura della mia nuova spada, in modo <strong>che</strong> non scivoli dalla<br />

mano di nessuno.»<br />

«Mmm!» fu tutto il suo commento. «Chissà <strong>che</strong> cosa è successo<br />

ad Andros?» Mi alzai. «Non lo so, ma non aspetterò più a lungo.<br />

Vieni, mi dovrai aiutare. Ti dirò cosa fare.»<br />

Ci volle ancora mezz'ora per liberare la forma da tutti i fili<br />

intrecciati <strong>che</strong> la legavano stretta, e io tremavo per l'eccitazione, con<br />

le mani sui due angoli superiori della forma, pronto ad aprirla.<br />

Plauto teneva i due angoli in basso.<br />

«Bene» sospirai nervosamente. «Non lo sapremo mai se non<br />

guardiamo, Plauto, quindi cominciamo.» Torsi e piegai in su la<br />

forma, <strong>che</strong> si ruppe con un leggero schianto. Lentamente, non<br />

osando quasi più sperare, abbassai lo sguardo in silenzio.<br />

«Allora?» <strong>La</strong> voce di Plauto era piena di ansia. Mi rilassai un<br />

poco.<br />

«Da questa parte sembra a posto. Spero <strong>che</strong> lo sia an<strong>che</strong> l'altra.»<br />

Feci leva sulla lama e staccai l'impugnatura dal suo stampo con un<br />

rumore appena avvertibile; la girai. Era senza difetti. Mi lasciai<br />

cadere sullo sgabello, sopraffatto dal sollievo, soffiando fuori con


forza il respiro <strong>che</strong> avevo trattenuto.<br />

«Qual è il problema?» Plauto era febbricitante per la<br />

preoccupazione. «Cosa c'è di sbagliato?»<br />

Alzai la mano per zittirlo, e parlai a bassa voce. «Non c'è niente<br />

di sbagliato. Va benissimo.»<br />

Plauto lasciò andare il fiato in un lungo sospiro e si abbatté su<br />

una panca. «Grazie a Dio! Per un momento ho pensato <strong>che</strong> avessi<br />

sbagliato ancora!»<br />

Rimanemmo in silenzio, fissando l'impugnatura. Era<br />

impolverata, coperta da una pellicola di cera, e in alcuni punti<br />

sporgevano piccoli noduli, dove il metallo fuso aveva riempito i<br />

vuoti d'aria nella forma. Li avrei limati via, quando avessi ripreso<br />

fiato. Cominciavo a sentire una possente esaltazione. <strong>La</strong> conchiglia<br />

d'oro del pomolo era perfetta, ed era perfetta an<strong>che</strong> la giuntura dove<br />

la seconda colata d'oro aveva aderito al bronzo della prima gettata.<br />

«E adesso, Publio?»<br />

Gli sorrisi di nuovo, stanco ma trionfante. «Adesso la pulisco, la<br />

lucido e aggiungo la pelle di pescecane.»<br />

«Quanto tempo ci vorrà?»<br />

Mi strinsi nelle spalle. «Per pulirla e lucidarla un'ora, forse. Per<br />

aggiungere la pelle, immagino un giorno.»<br />

«Posso prenderla in mano adesso?»<br />

Scossi la testa. «No, non ancora. Non è pronta. Dammi un'ora di<br />

tempo per pulirla e poi la potrai prendere in mano.»<br />

«Posso guardare mentre la pulisci?»<br />

Risi per la sua infantile impazienza, ma ero compiaciuto. «Puoi<br />

guardare.» Allungai la mano verso una piccola lima sul bancone.<br />

Meno di un'ora dopo il lavoro era finito, e l'effetto toglieva il<br />

fiato. <strong>La</strong> conchiglia d'oro del pomolo era superba, ogni linea era<br />

netta e la decorazione celtica sulla spessa guardia era cristallina


nella sua purezza. Avevo evitato per tutto quel tempo di stringere<br />

l'impugnatura, e non avevo usato la lima sulla sua superficie<br />

granulosa. Mentre le davo un'ultima lucidata con il panno, Plauto<br />

giocava con il quadrato di pelle di pescecane.<br />

«Sai,» disse, «non voglio sembrare critico, ma questa roba è<br />

argentea come la lama, e il pomolo è d'oro. <strong>La</strong> guardia sembrerà<br />

opaca in confronto. È semplice bronzo. Ci hai pensato?»<br />

«Ci ho pensato.» Mi alzai e distesi un groppo nella schiena.<br />

«Coprirò la guardia con foglie d'argento.»<br />

«Con cosa?»<br />

Indicai una scatola vicino alla sua mano. «<strong>La</strong>mine d'argento,<br />

assottigliate a martello in modo da renderle quasi senza peso e<br />

trasparenti. Ce ne sono alcune in quella scatola.»<br />

Mentre Plauto guardava le foglie d'argento, io liberai la spada<br />

dai morsetti <strong>che</strong> la tenevano ferma e strinsi forte l'elsa per la prima<br />

volta. «Adesso ci siamo!» <strong>La</strong> roteai nell'aria e il mio cuore si spezzò<br />

quasi per la gioia di sentire in mano tanta bellezza. Tutte le paure,<br />

tutte le preoccupazioni erano svanite. I nostri angosciosi calcoli del<br />

peso e del bilanciamento erano stati precisi. Adesso avevo in mano la<br />

perfezione!<br />

«Excalibur» mormorai.<br />

«Cosa?»<br />

«Excalibur. È il suo nome. È così <strong>che</strong> ho chiamato la spada.»<br />

Plauto strabuzzò gli occhi. «Excalibur? Devo essere stupido.<br />

Non ho mai sentito prima questa parola.»<br />

«No, Plauto» dissi. «Non sei stupido. È una parola <strong>che</strong> non è mai<br />

stata detta prima. Calibur - qalibr - è la parola con cui il popolo del<br />

deserto nell'Africa settentrionale indica una forma. Questa spada è<br />

uscita da una forma... ex qalibr, Excalibur.» Gliela porsi. «Non toccare il<br />

taglio se vuoi conservare le dita.»


Linee minutamente graduate si increspavano come rivoli<br />

d'acqua lungo ogni lato della lunga lama, scorrendo verso l'esterno<br />

della spessa costolatura centrale nei due tagli più affilati <strong>che</strong> avessi<br />

mai visto, riflettendo la luce nei loro disegni e rivelando dove il<br />

metallo era stato ripiegato su se stesso e ribattuto innumerevoli volte<br />

durante il processo di tempra.<br />

Plauto afferrò l'elsa e roteò la spada, e spalancò gli occhi. «Mio<br />

Dio! Che arma! Excalibur!» <strong>La</strong> roteò ancora e diresse la punta verso<br />

la porta proprio mentre Andros appariva sulla soglia.<br />

Andros esitò sulla soglia, stringendo gli occhi abbagliati dal sole<br />

per scrutare nella fucina buia. «Publio? Sei lì dentro? Pico è a casa.»<br />

«Pico?» Mi voltai verso Plauto compiaciuto per la sorpresa. «È<br />

qui? Meraviglioso! Lo hai visto?»<br />

Andros era arrivato alla forgia e guardava la spada impugnata<br />

da Plauto, mentre i suoi occhi si abituavano al buio. «L'hai aperta?<br />

Ha funzionato? È venuta bene?»<br />

Plauto gli mostrò la spada. «È perfetta» dissi io. «Abbiamo fatto<br />

un capolavoro, tu, Equo e io. A proposito, dov'è Equo? E quando è<br />

arrivato Pico?»<br />

Andros stava guardando l'impugnatura da una distanza di circa<br />

una spanna, scrutando attentamente i dettagli della decorazione e la<br />

conchiglia. «Equo è sulla collina, all'altra forgia. Sono stato con lui<br />

un momento, per lavorare a dei disegni di cui aveva bisogno.» <strong>La</strong><br />

sua voce si sentiva a malapena, tanto era intento a osservare l'elsa.<br />

«E Pico? Quando è arrivato?»<br />

«Mmm? Oh, Pico. Adesso» borbottò. «Ho visto il grande<br />

stendardo da sopra la siepe, <strong>che</strong> passava lungo il viale diretto alla<br />

villa.»<br />

«Intendi dire proprio adesso? In questo momento?»<br />

Mi lanciò uno sguardo spazientito, poco cristianamente stizzito


perché lo distraevo dal suo esame. «Sì, è quello <strong>che</strong> ho detto un<br />

istante fa. L'ho visto mentre attraversavo il cancello per venire qui.»<br />

«Che aspetto ha?»<br />

Aggrottò leggermente la fronte, continuando a guardare la<br />

conchiglia d'oro. «Non lo so. Veramente non ho visto Pico, ho visto<br />

solo il suo stendardo sopra la siepe. Te l'ho detto.»<br />

«Sì, me lo hai detto. Scusa. Ti sto distraendo dal tuo trionfo.<br />

Cosa ne pensi?»<br />

«È molto bella. Molto bella. Sono compiaciuto. Funziona bene?»<br />

Rovesciò la presa e brandì la spada nel modo giusto, guardandosi<br />

intorno come se cercasse qualcosa su cui provarla. <strong>La</strong> sua<br />

espressione mi rese apprensivo.<br />

«Andros, hai mai impugnato una spada prima d'ora?»<br />

Mi rivolse uno sguardo preoccupato. «No, mai. Ma <strong>che</strong><br />

differenza fa? Non ho mai nean<strong>che</strong> fatto uno stampo ben riuscito.»<br />

Si diresse con calma verso un'incudine e batté il piatto della spada<br />

contro la sua superficie. Il rumore dell'impatto risuonò chiaro come<br />

il trillo di un uccello. Io guardai Plauto e mi strinsi nelle spalle<br />

stupefatto, mentre Andros si guardava intorno di nuovo e fissava lo<br />

sguardo sul bancone da lavoro. Avanzò con passo deciso verso il<br />

lato del banco, batté la lama della spada contro una delle gambe, poi<br />

alzò la lama in posizione verticale e appoggiò l'estremità del pomolo<br />

sul piano del tavolo. L'effetto fu magico. L'intera stanza risuonò<br />

d'un tratto di un profondo ronzio musicale <strong>che</strong> emanava dalla<br />

spada. Plauto si fece il segno della croce e io portai le mani alle<br />

orecchie, tanto intenso era il suono. Gradatamente, in un arco di<br />

tempo lunghissimo, quel suono diminuì fino a cessare del tutto, e<br />

nella stanza ci fu silenzio.<br />

«Cosa è stato?» chiesi ad Andros.<br />

Andros sorrise con il suo solito sorriso modesto. «Non lo so,<br />

Publio, ma ricordo di aver sentito da qual<strong>che</strong> parte, tanto tempo fa,


<strong>che</strong> i fabbri di una volta usavano provare le loro lame in questo<br />

modo. Quanto migliore era la qualità del metallo, tanto più puro era<br />

il suono <strong>che</strong> producevano.»<br />

«Non l'ho mai sentito» dissi. «Fammi provare.» Feci come aveva<br />

fatto lui e di nuovo la vibrante e chiara nota riempì la fucina. «È<br />

stupefacente. Cosa ne pensi, Plauto?»<br />

Plauto si limitò a scuotere la testa, tenendo gli occhi fissi sulla<br />

spada. «Excalibur,» disse, «la spada <strong>che</strong> <strong>canta</strong>. Non ho mai visto né<br />

sentito niente <strong>che</strong> possa reggere il confronto.»<br />

<strong>La</strong> feci roteare intorno alla testa. «Perché non è mai esistito<br />

niente di simile. Vieni, andiamo a farla vedere a Caio, a Pico e a<br />

Equo. Sarà arrabbiato per essersi perso il momento della sua uscita<br />

dall'alveo.»<br />

Uscimmo, strizzando gli occhi alla luce del sole, e camminando<br />

roteavo Excalibur da un lato all'altro, divertito dalla sua apparente<br />

mancanza di peso. Quando imboccammo il sentiero <strong>che</strong> portava al<br />

cortile principale della villa colpii un alberello <strong>che</strong> cresceva nella<br />

siepe, tranciandolo senza fatica. Stavo pulendo la lama dalla linfa<br />

con il bordo della tunica quando sentii Plauto dire: «Questo è<br />

strano!». Qualcosa nel suo tono di voce mi mise in allarme ancora<br />

prima <strong>che</strong> mi afferrasse per il gomito, costringendomi a fermarmi.<br />

Lo guardai un po' confuso. «Cosa c'è? Cosa è strano?»<br />

Plauto era immobile, e guardava verso la villa in un modo <strong>che</strong><br />

mi fece tendere i nervi. Non vedevo quello sguardo da anni, ma<br />

reagii immediatamente.<br />

«Cosa c'è <strong>che</strong> non va?»<br />

Indicò verso il portico. «Dimmelo tu!»<br />

Era ritornato improvvisamente all'antico atteggiamento ostile,<br />

da militare; seguii la direzione del suo sguardo. Fuori dalla porta<br />

principale della villa c'erano otto cavalli. Otto cavalli senza<br />

cavaliere. Nessuna guardia. Nessuno all'esterno. Nessuno in attesa.


Tutti e otto gli uomini erano entrati in casa. <strong>La</strong> pelle d'oca mi fece<br />

rizzare i capelli sul collo, perché quello <strong>che</strong> vedevo era sbagliato; poi<br />

i miei occhi colsero un altro indizio completamente fuori posto: un<br />

panno bianco e nero al suolo. Era il grande stendardo bianco e nero<br />

di Pico! Quello <strong>che</strong> doveva venire riconosciuto da una grande<br />

distanza. Era stato buttato via con noncuranza, gettato da parte<br />

come se il suo portatore non ne avesse più bisogno. Tutti i miei<br />

istinti di difesa si erano risvegliati, emettendo segnali di allarme.<br />

Sentii Plauto tuonare: «Merda e corruzione! Non ho una spada!»<br />

<strong>La</strong> sua mente correva più avanti della mia, ma quelle parole mi<br />

galvanizzarono. Mi girai verso di lui, mentre un migliaio di pensieri<br />

si affollavano nel mio cervello.<br />

«<strong>La</strong> forgia» gli dissi. «Contro la parete di sinistra, dove c'era la<br />

forma, ci sono due spade lunghe e pugnali e gladi sul tavolo. Ti<br />

aspetto.» Prima <strong>che</strong> finissi di parlare era già sparito. Strinsi il braccio<br />

di Andros. «Andros, sai andare a cavallo?»<br />

«Se devo, posso.»<br />

«Devi! Torna alla fucina e metti il culo sul mio cavallo.» Guardai<br />

il fondo della valle verso l'inizio della nuova strada. C'era qualcosa<br />

<strong>che</strong> non andava, ma non sapevo ancora cosa fosse.<br />

«Senti, Andros» gli dissi freneticamente. «Qualcosa puzza. Non<br />

so cosa sia, ma voglio <strong>che</strong> tu arrivi al forte il più in fretta possibile,<br />

dalla strada secondaria, dietro alla collina, fuori vista dalla pianura,<br />

fino alla porta posteriore. Mi senti?»<br />

Annuì. Non aveva notato gli stessi segni <strong>che</strong> avevamo visto io e<br />

Plauto, ma aveva interpretato esattamente le nostre reazioni. «E<br />

poi?» chiese.<br />

«Trova il tribuno Basso. Digli <strong>che</strong> ti mando io e digli dove siamo.<br />

Digli <strong>che</strong> sento odore di marcio. Se ci sono delle truppe di Pico nella<br />

valle sotto ai cancelli, voglio <strong>che</strong> siano trattenute. Comunque voglio<br />

uno squadrone di cavalleria qui alla villa il più in fretta possibile.


Hai capito?»<br />

Annuì di nuovo. «Cosa sta succedendo, Publio?»<br />

«Non lo so, Andros» dissi. «Ma c'è qualcosa <strong>che</strong> non va. Vai in<br />

fretta e assicurati <strong>che</strong> nessuno ti veda. Non mi interessa se devi<br />

legarti al cavallo, ma vai più in fretta possibile. Lo farai?»<br />

«Sto andando, Publio.» Preciso come le sue parole stava già<br />

scomparendo verso la fucina, proprio mentre Plauto ne riemergeva<br />

con una delle nuove spade lunghe in una mano e un pugnale<br />

dall'aspetto minaccioso nell'altra.<br />

«Pronto» disse. «Qual è il piano?»<br />

Esitai per un battito del cuore, guardando verso il portico<br />

deserto, sperando vanamente di sbagliarmi. «Pensi davvero <strong>che</strong> ci<br />

sia qualcosa <strong>che</strong> non va, Plauto?»<br />

«Merda di cavallo, Varro! <strong>La</strong> merda puzza? Cosa facciamo?»<br />

Fu sufficiente. Respirai a fondo. «Facciamo l'unica cosa da fare.<br />

Entriamo. Ma con prudenza.»<br />

Mi lanciò uno sguardo eloquente di inespresso sdegno. «Pensi<br />

forse <strong>che</strong> voglia ficcare il culo in una macina per divertimento? Alla<br />

mia età?»<br />

Fianco a fianco attraversammo correndo lo spazio deserto <strong>che</strong> ci<br />

separava dal muro della villa, e ci schiacciammo contro la facciata di<br />

pietra. Eravamo a circa dieci passi dall'entrata principale. Mi<br />

guardò.<br />

«E se hanno lasciato una guardia dentro la porta? Siamo morti.<br />

Quei figli di puttana sono in otto!»<br />

Feci una smorfia. «Speriamo <strong>che</strong> non lo abbiano fatto. Se<br />

avessero voluto lasciare una guardia l'avrebbero lasciata fuori a<br />

guardia dei cavalli.»<br />

Annuì, cerimoniosamente. «Sai, mi sono chiesto per anni perché<br />

Britannico ti ha promosso, tanto tempo fa. Ora lo so. Tu pensi.


Suppongo <strong>che</strong> sia questa la differenza tra un ufficiale e un<br />

soldataccio come me.» Parlava a vanvera, cercando di farci entrare<br />

nel giusto stato d'animo, ma mentre parlava Enid urlò, forte e a<br />

lungo, da dentro la casa. Quel suono mi fece raggrumare il sangue.<br />

«Oh, merda!» disse Plauto. «Questa è la prova. Adesso!»<br />

Ci lanciammo insieme verso l'ingresso, tuffandoci attraverso la<br />

porta aperta e separandoci appena dentro, ognuno su un lato<br />

dell'atrio. Era deserto. Risuonò un altro urlo straziante di agonia,<br />

proveniente dal retro della villa, un urlo non più distorto dalla<br />

distanza e dai muri.<br />

Plauto mi fece cenno di avanzare e correndo attraversammo<br />

l'atrio della villa diretti ai quartieri abitabili sul retro, scivolando<br />

silenziosamente coi sandali sul marmo <strong>che</strong> rivestiva il pavimento.<br />

Malgrado la gamba zoppa arrivai poco prima di Plauto alla doppia<br />

porta <strong>che</strong> dava nel cortiletto tessellato di fronte allo studio di Caio.<br />

Sapevo <strong>che</strong> erano lì. Prima <strong>che</strong> Plauto si precipitasse attraverso la<br />

porta tradendo la nostra presenza, gli feci segno freneticamente di<br />

mettersi di lato. Ci fermammo, guardandoci l'un l'altro e trattenendo<br />

il respiro, ognuno su un lato della porta aperta.<br />

Plauto mi fece cenno con un dito di dare un'occhiata. Protesi un<br />

po' la testa, cercando di sentire e vedere senza farmi scorgere, e<br />

sentii un indistinto balbettio provenire dalla stanza. Il cortiletto<br />

sembrava deserto. Strinsi i denti e mi sporsi per guardare. Le porte<br />

del soggiorno di Caio erano semiaperte. Mi morsicai il labbro. Ma<br />

erano an<strong>che</strong> semichiuse, abbastanza, speravo, da coprire la nostra<br />

prossima mossa.<br />

Plauto mi guardava attentamente. Alzai verso di lui la mano con<br />

le dita aperte, e mossi le labbra: «Conto fino a cinque!». Annuì e<br />

cominciai a contare, piegando un dito a ogni secondo. «Cinque,<br />

quattro, tre, due, andiamo!» Insieme ci avvicinammo con<br />

circospezione alle porte davanti a noi, e poi sgusciammo contro il<br />

muro, ognuno dalla propria parte, muovendoci in fretta e in


silenzio, scivolando verso i battenti <strong>che</strong> ci nascondevano alle<br />

persone dentro la stanza. Quando mi appoggiai con la schiena<br />

contro il muro, i miei occhi fissi in quelli di Plauto, una voce arrivò<br />

chiaramente alle mie orecchie. <strong>La</strong> riconobbi con un brivido di orrore.<br />

An<strong>che</strong> Plauto la conosceva. Lo vidi da come alzò le sopracciglia.<br />

Claudio Cesario Seneca stava parlando.<br />

«...avrebbe voluto <strong>che</strong> mi occupassi del suo povero vecchio<br />

padre e del suo unico figlio, sapendo <strong>che</strong> è stato ferito in modo così<br />

grave. Vorrei poterti dire come mi sono disperato quando ho sentito<br />

la notizia. Claudio, mi sono detto, il tuo dovere è chiaro. Devi<br />

occuparti della famiglia, la povera afflitta famiglia del legato<br />

Britannico. È il figlio di un senatore, dopotutto. Date le tragi<strong>che</strong><br />

circostanze bisogna occuparsi della sua famiglia. Come si sentirà il<br />

suo nobile padre, mi sono chiesto? E la sua amata moglie? E, mi sono<br />

detto, se dovesse accadere <strong>che</strong> lo sfortunato legato venisse<br />

richiamato in Cielo da questa valle di lacrime prima di avere avuto<br />

la fortuna di ripagare i suoi debiti, sarebbe tuo diritto, Claudio<br />

Seneca, tuo piacere e tuo onore assicurarti <strong>che</strong> il suo molto lodato figlio<br />

primogenito, e unico erede, sia assolto da tutti i debiti del padre e<br />

riceva dalle tue mani gli onori e la ricompensa dovuti a suo padre.<br />

Perciò sono venuto qui a tutta velocità per ricordarvi <strong>che</strong> le vie del<br />

Signore sono grandi e misteriose.»<br />

Mi si rivoltò lo stomaco per il ribrezzo e la repulsione, ma non<br />

potevo muovermi. Caio gli rispose con voce calma e normale, quasi<br />

rilassata, an<strong>che</strong> se piena di disgusto.<br />

«Una volta ho sentito Publio Varro chiamarti tra le altre<br />

invettive miserabile pederasta, Seneca. Mi disgustavi allora e mi<br />

disgusti adesso, an<strong>che</strong> se penso <strong>che</strong> tu stia degenerando oltre ogni<br />

limite. <strong>La</strong> tua voce mi irrita i nervi. Puzza di quella inequivocabile<br />

femminilità <strong>che</strong> caratterizza il vero degenerato. Mi fa male sapere<br />

<strong>che</strong> sei un senatore di Roma. Risolviamo questa faccenda e<br />

facciamola finita. Io non sono un commediante. Sei venuto qui per


me, per vendicarti della sconfitta <strong>che</strong> hai subito per mano mia<br />

davanti a Flavio Stilicone. Così sia. Ma lascia liberi la donna e il<br />

bambino. Loro non ti hanno fatto del male, non sanno nean<strong>che</strong> chi<br />

sei.»<br />

«Adesso sì!» <strong>La</strong> voce di Seneca era stridula e stava ovviamente<br />

parlando ai suoi scagnozzi. «Ecco <strong>che</strong> parla la voce di Roma! Sentite<br />

quanta chiarezza? Che tono squillante? Questa è la voce <strong>che</strong> ha fatto<br />

grande Roma! <strong>La</strong> voce di Cicerone! Di Marco Antonio! Le colte note<br />

<strong>che</strong> hanno fatto dimenticare alle folle di odiare Cesare! Questa è la<br />

voce della Ragione! Adesso voi tutti dovete scusarmi, mentre io<br />

guardo nel profondo del mio cuore e ritrovo la mia umana bontà. E<br />

quando l'avrò fatto, ci faremo da parte e lasceremo andare questa<br />

povera vedova taciturna con il cuore spezzato e suo figlio, perché<br />

nutrano odio per noi nei loro cuori!» Il tono della sua voce cambiò<br />

di nuovo, bruscamente e radicalmente, e mi resi conto con un<br />

brivido, an<strong>che</strong> se lo sapevo fin dall'inizio, <strong>che</strong> stavo ascoltando i<br />

vaneggiamenti di un pazzo.<br />

«Publio Varro! Dov'è? L'ospite d'onore della nostra piccola<br />

riunione! Publio Varro? Qui? Mai! dici tu. Ma io, <strong>che</strong> so qualcosa<br />

della vostra vita in questa meschina Colonia, sono informato. I miei<br />

uomini me l'hanno riferito. Se il famoso Publio Varro non è alla villa,<br />

mi hanno detto, allora cercalo tra le ceneri della sua forgia, dove lo<br />

troverai <strong>che</strong> lavora, con la fronte maschia irrorata di sudore per le<br />

sue oneste fati<strong>che</strong>!»<br />

Seneca cadde in silenzio, e io fissai Plauto. Aveva un'espressione<br />

torva. Scosse la testa, in segno di diniego. Non ancora. Stavamo<br />

ascoltando i rantoli di un cane rabbioso, ma là dentro c'erano altri<br />

sette uomini <strong>che</strong> erano sani. Lentamente, senza osare quasi<br />

muovermi, misi un occhio alla fessura della porta.<br />

Caio era in piedi alla mia sinistra, la schiena contro il tavolo sul<br />

quale c'erano i suoi libri. Era trattenuto da due uomini, uno dei<br />

quali, quello più vicino a me, gli puntava un gladio alla gola. Enid


era inginocchiata in mezzo al pavimento, con la testa china, e mi<br />

voltava le spalle. An<strong>che</strong> lei era tenuta ferma da due uomini.<br />

All'estrema sinistra della mia ristretta visuale potevo vedere<br />

parzialmente un altro uomo in piedi vicino alla porta. Era in<br />

posizione di riposo, e ne dedussi <strong>che</strong> di fronte a lui, dove non potevo<br />

vedere, ci fosse un altro uomo.<br />

Claudio Seneca era seduto al tavolo di lavoro di Caio, ma poiché<br />

Enid e le sue guardie erano tra lui e me, di lui vedevo solo una<br />

gamba distesa e un sandalo. L'ottavo uomo era l'unico <strong>che</strong> potevo<br />

vedere chiaramente, e lo conoscevo. Non lo vedevo da oltre sedici<br />

anni, da quel primo scontro alla mansio, ma lo riconobbi<br />

immediatamente. Era il bel Ganimede dagli occhi truccati col<br />

carboncino. Era più vecchio e non più bello, e portava l'uniforme da<br />

tribuno militare, ma aveva ancora quel sogghigno petulante,<br />

femmineo. Era appoggiato con la schiena al muro più lontano, di<br />

fronte a me, con le braccia conserte, e i suoi occhi si muovevano<br />

incessantemente da Caio a Enid, a Seneca e di nuovo a Caio.<br />

Seneca taceva e nessun altro si sentiva costretto a parlare. Allora<br />

unì le gambe sotto al tavolo e si alzò, guardando direttamente verso<br />

di me. In un attimo di panico pensai <strong>che</strong> mi potesse vedere, dietro la<br />

porta, ma poi parlò all'uomo <strong>che</strong> avevo immaginato, con ragione,<br />

<strong>che</strong> fosse lì, fuori dalla mia visuale.<br />

<strong>La</strong> sua voce questa volta era normale, caratterizzata dal tono<br />

secco e professionale del soldato.<br />

«Tu, Mario e tu, Dedalo. Da qual<strong>che</strong> parte nella tenuta troverete<br />

una fucina. L'uomo <strong>che</strong> c'è dentro è Publio Varro. Portatemelo qui.»<br />

I due uomini si mossero, ma le sue parole successive li fermarono.<br />

«State a sentire! Non voglio <strong>che</strong> si allarmi né <strong>che</strong> gli sia fatto del<br />

male. Accertatevi <strong>che</strong> non abbia sospetti. Siate cordiali e cortesi.<br />

Salutatelo e ditegli <strong>che</strong> il legato Pico è arrivato a casa e <strong>che</strong> è qui alla<br />

villa con sua moglie e suo padre. Ditegli <strong>che</strong> il legato è ancora<br />

convalescente e vorrebbe vederlo. Non mi importa quello <strong>che</strong> gli


direte dopo, ma portatelo qui senza destare i suoi sospetti. Voglio<br />

vedere la sua faccia quando mi vedrà. Se mi deludete, ne<br />

risponderete. Adesso andate.»<br />

Sentii il rumore di due saluti, e poi i due uomini marciarono al<br />

passo verso le porte semiaperte. Plauto e io ci irrigidimmo, preparati<br />

a essere scoperti, ma i due uomini uscirono marciando senza<br />

guardare né a destra né a sinistra, e continuarono a camminare.<br />

Questo rendeva la situazione un po' migliore, an<strong>che</strong> se sarebbero<br />

tornati presto.<br />

Sentii il rumore di una zuffa e un altro grido, e scattai di nuovo<br />

alla fessura della porta. Seneca era andato verso la culla del bambino<br />

ed Enid doveva essersi mossa per bloccarlo. Adesso giaceva<br />

piangendo con la faccia a terra. Seneca la guardava, con le narici<br />

arricciate per il disgusto.<br />

«Mi sarebbe piaciuto un figlio, sai» disse, rivolto a nessuno in<br />

particolare. «Ma non potevo insozzare me stesso abbassandomi al<br />

sudiciume necessario per averne uno. Puah!» Rabbrividì.<br />

«Allontanate da me questa troia puzzolente. Liberatevi di lei.<br />

Chiudetele la bocca una volta per tutte. Non qui, stupido!»<br />

Quest'ultimo grido era rivolto a uno dei suoi uomini <strong>che</strong> aveva<br />

sollevato la spada. L'uomo esitò, chiedendosi cosa doveva fare,<br />

mentre Seneca, chino sulla culla del bambino, sembrava <strong>che</strong> stesse<br />

facendogli il solletico sotto il mento. Seneca parlò, senza più<br />

guardare né Enid né le sue guardie, usando quel tono di voce un po'<br />

stupido <strong>che</strong> la gente usa quando fa le moine a un bambino. «Non<br />

vogliamo il suo sudicio puzzolente sangue femminile su tutto il<br />

pavimento, non è vero? Portatela da qual<strong>che</strong> altra parte e fate quello<br />

<strong>che</strong> dovete. Ma assicuratevi <strong>che</strong> stia zitta.» Si raddrizzò e si girò per<br />

vederli in faccia, mentre la sua voce riprendeva un piglio<br />

professionale. «Potreste volerla violentare.» Respirò<br />

rumorosamente. «In quel caso, siate rapidi e tornate qui<br />

immediatamente. Ma fatela stare zitta e assicuratevi <strong>che</strong> sia morta.


Tiratela su!»<br />

Fecero alzare Enid, di lato rispetto al mio punto d'osservazione.<br />

Aveva le labbra spaccate e perdeva sangue dal naso. Seneca sguainò<br />

la spada e le tagliò i vestiti con fare schifato, mentre Caio lottava<br />

inutilmente contro i due uomini <strong>che</strong> lo tenevano prigioniero.<br />

Quando fu nuda, Seneca la guardò dalla testa ai piedi, con i<br />

lineamenti contorti per il disgusto. <strong>La</strong> sua bellezza era magnifica, ma<br />

per lui non aveva fascino.<br />

«Guardate!» I seni di Enid, pesanti di latte, stillavano qual<strong>che</strong><br />

goccia intorno ai capezzoli. Le stuzzicò un seno con la punta della<br />

spada, facendone uscire sangue, e si girò verso i suoi amici <strong>che</strong> erano<br />

sempre appoggiati al muro. «Una vacca!» disse. «Una grande, goffa,<br />

sporca vacca! Puah!» Rabbrividì per il ribrezzo, ed Enid gli sputò<br />

addosso. Seneca si girò verso di lei e le diede un pugno nello<br />

stomaco; Enid gridò per il dolore, e sarebbe caduta se non l'avessero<br />

tenuta stretta.<br />

"Figlio di puttana!" pensai. "Per questo solo morirai!"<br />

«Portate questa cagna fuori di qui. Offende la mia vista!»<br />

Quando i due uomini la trascinarono via io mi tirai indietro e<br />

guardai Plauto, <strong>che</strong> annuì, alzando due dita. Ci appiattimmo contro<br />

il muro e aspettammo. Enid era una ragazza alta e robusta e lottò<br />

molto, malgrado il dolore <strong>che</strong> provava. Ci volle parecchio perché gli<br />

uomini riuscissero a trascinarla alla porta. Sentii Seneca dire:<br />

«Chiudete quelle porte dietro di loro!» e sperai <strong>che</strong> an<strong>che</strong> Plauto<br />

avesse sentito e <strong>che</strong> avrebbe aspettato. I due arrivarono alla porta,<br />

entrambi occupati a concentrare forza e attenzione su Enid, <strong>che</strong> si<br />

divincolava come una pazza. Non appena ebbero lasciato la stanza,<br />

qualcuno chiuse la porta. Plauto e io balzammo<br />

contemporaneamente sui due uomini, <strong>che</strong> morirono all'istante,<br />

senza nemmeno rendersene conto. E morirono in silenzio, ma prima<br />

<strong>che</strong> potessimo adagiare a terra i loro corpi Enid cadde<br />

pesantemente, e i due uomini <strong>che</strong> erano andati a cercarmi tornarono


nell'atrio. A quel punto non aveva più senso rimanere in silenzio.<br />

<strong>La</strong>sciammo cadere i due cadaveri con un tonfo e una voce da dentro<br />

la stanza disse: «Che cosa succede?».<br />

«Vai da Caio. Penso io a questi due figli di puttana.» Plauto si<br />

era già messo in posizione e avanzava verso i due uomini. Enid<br />

giaceva immobile dove era caduta. Io mi lanciai verso la porta<br />

proprio nel momento in cui veniva spalancata, e calai Excalibur in<br />

un sibilante fendente sul primo uomo <strong>che</strong> l'attraversò. <strong>La</strong> punta gli<br />

penetrò nel collo senza incontrare resistenza. Spalancò gli occhi e la<br />

bocca per l'incredulità, e lo slancio lo fece precipitare contro di me.<br />

Lo schivai appoggiandomi alla gamba zoppa, seguii la direzione del<br />

fendente, e assestai un colpo di rovescio al secondo uomo <strong>che</strong> si<br />

trovava sulla soglia, <strong>che</strong> non aveva avuto il tempo di riprendersi<br />

dalla sorpresa. Fu di nuovo la punta, gli ultimi sei pollici della lama,<br />

a colpirlo. Era ancora a circa sette piedi da me e aveva appena<br />

estratto il gladio, con il braccio piegato in avanti nella posizione di<br />

attacco. <strong>La</strong> lama lo colpì al polso, tagliandogli la mano di netto<br />

prima di battere contro il suo elmo. Da dietro le mie spalle arrivava<br />

il cozzare di spade di Plauto <strong>che</strong> lottava con gli altri due. Mi lanciai<br />

nello studio, conficcando il pugnale di pietra celeste sotto il braccio<br />

ancora alzato dell'uomo senza mano, e strappandoglielo dalla carne<br />

nello slancio.<br />

<strong>La</strong> scena <strong>che</strong> mi si parò davanti è ancora incastonata nella mia<br />

mente come il ricordo di un mosaico. Seneca era in piedi vicino alla<br />

culla, pietrificato per la costernazione, gli occhi e la bocca spalancati<br />

nella collera e nella sorpresa, le mani levate, e le dita puntate contro<br />

di me. Caio si era lanciato in una corsa incespicante, non so se per<br />

attaccare Seneca o per cercare di salvare il bambino. L'efebo, come lo<br />

chiamavo io, balzò verso Caio per intercettarlo, con un pugnale nella<br />

destra e la sinistra tesa ad afferrare Caio. Mentre coglievo tutti questi<br />

dettagli i due uomini si scontrarono e il peso del più giovane<br />

trascinò Caio all'indietro, facendogli perdere l'equilibrio. L'efebo,<br />

dunque, era più forte di quello <strong>che</strong> pensavo. Chiuse il braccio


sinistro a uncino intorno al collo di Caio, e lo tenne stretto fino a <strong>che</strong><br />

sbatterono insieme contro il muro. Prima <strong>che</strong> potessi reagire, l'efebo<br />

aveva immobilizzato Caio di fronte a sé, e mentre Caio si inarcava<br />

per contrastare la pressione <strong>che</strong> lo strangolava, gli premeva la punta<br />

del pugnale contro il collo, sotto l'orecchio.<br />

Esitai e persi l'iniziativa. Sentii il fruscio della spada di Seneca<br />

uscire sibilando dal fodero. <strong>La</strong> sua voce riempì la stanza: «Uccidi il<br />

vecchio!». Allora Caio mi diede un'altra possibilità. Tirò su le<br />

ginocchia e con tutto il suo peso trascinò l'aguzzino in avanti,<br />

lontano dal muro. Mentre l'efebo incespicava verso di me perdendo<br />

l'equilibrio, io mi buttai su di lui, roteando in alto la mia nuova<br />

spada e abbattendola come un'ascia sulla sua schiena. Lo presi tra le<br />

spalle, tagliando di netto la corazza di pelle, e la spada rimase<br />

impigliata per qual<strong>che</strong> secondo nella corazza.<br />

Vidi un lampo bianco e diedi uno strattone per liberare la spada,<br />

ruotando nello stesso tempo verso il movimento <strong>che</strong> avevo<br />

intravisto. Seneca aveva afferrato il bambino per le fasce ed Enid,<br />

nuda e bellissima, si stava buttando su di lui. I loro corpi si<br />

incontrarono e mi si torsero le viscere quando vidi la lama di Seneca<br />

vibrare un colpo verso l'alto. Enid ebbe un fremito convulso, tutto il<br />

suo corpo parve rannicchiarsi intorno al punto dell'impatto, poi<br />

Seneca la spinse via con violenza e rimase li in piedi, come un<br />

demone salito dall'Ade, con la lama sporca di sangue in una mano e<br />

nell'altra il bambino piangente, bagnato del sangue di sua madre.<br />

Enid cadde pesantemente sulla schiena, stringendosi con le<br />

braccia il ventre insanguinato, e agitò convulsamente le gambe.<br />

Poco distante, senza <strong>che</strong> quasi lo notassi, l'efebo cominciò a<br />

trascinarsi lontano dal corpo raggomitolato di Caio.<br />

«Stai lontano!» Gli occhi di Seneca brillavano di quella intensità<br />

malata e vacua <strong>che</strong> conoscevo bene. «Indietro! Stai indietro o questo<br />

marmocchio muore!»<br />

«Se il bambino muore, tu ci metterai dei mesi a morire, Seneca,


te lo giuro sul sangue di sua madre.»<br />

«Allora salvalo! Salva il piccolo bastardo!» Levò in aria il<br />

bambino, urlante e rosso in volto, e lo fece dondolare. L'altra mano<br />

premeva la spada insanguinata contro la pancia del bambino.<br />

«Salvalo, Varro, figlio di una puttana imbellettata! Butta a terra<br />

quella cosa. Quella spada. Qui, da me. Buttala!» Gridava al massimo<br />

della sua voce e io ero terrorizzato all'idea <strong>che</strong> malgrado tutto<br />

avrebbe ucciso il bambino.<br />

Non avevo scelta. Guardai il corpo di Enid, ora immobile e<br />

assurdo nella stranezza della morte. Guardai Caio e vidi il sangue<br />

uscirgli lentamente dal collo intorno all'impugnatura della lama<br />

dell'efebo. L'efebo era a circa due passi da me, e si trascinava a fatica<br />

sul pavimento piastrellato. Pensai a tutto il sangue e a tutta quella<br />

carneficina, alla miseria e alla pena <strong>che</strong> erano derivati da quel giorno<br />

di tanti anni prima e la collera e il dolore mi sopraffecero. <strong>La</strong> mia<br />

cara amica Febe era morta per questo, e óra Enid e Caio. Tutti<br />

innocenti. Voltai la schiena a Seneca e sollevai alta la mia nuova<br />

spada. Il pugnale di pietra celeste mi cadde ai piedi mentre afferravo<br />

l'elsa con due mani e premevo la sua punta, come una lancia,<br />

attraverso le spalle dell'efebo e dentro il suo cuore malvagio.<br />

«Varro!» <strong>La</strong> voce era un urlo di follia. «Ti ho dato un ordine!<br />

Non mi hai sentito? Ti ho dato un ordine!»<br />

Girai la testa lentamente, incredulo, lo guardai e vedendolo<br />

chiusi gli occhi.<br />

«Quella cosa! Quella spada! <strong>La</strong> voglio qui. Adesso!» Afferrai<br />

saldamente l'elsa e cominciai a muoverla lentamente avanti e<br />

indietro per estrarla dal cadavere e poi gliela tirai, senza più<br />

preoccuparmi. Il bambino doveva vivere. Se gliela consegnavo,<br />

nemmeno un demente come lui avrebbe ucciso un bambino... <strong>La</strong><br />

spada risuonò con forza sul pavimento di marmo e si fermò ai suoi<br />

piedi. Tenendo ancora in alto il bambino, Seneca allungò un piede e<br />

la spinse lontano, dietro di sé.


«E adesso giù. In ginocchio, maiale zoppo!» Sentivo tutti i miei<br />

cinquantasette anni e sentivo il mio spirito arrendersi dentro di me.<br />

Una debole voce, chiara e stupita nella mia mente, mi diceva <strong>che</strong><br />

non c'era mai stato tanto sangue in una stanza. C'era sangue<br />

ovunque, e non era mio, né di Seneca, ma di tutti gli altri. Perfino il<br />

bambino sanguinava, nel punto in cui la lama di Seneca gli aveva<br />

sfiorato la piccola guancia. Vedevo il sangue di Caio e il sangue di<br />

Enid, il sangue dell'efebo e il sangue degli altri uomini <strong>che</strong> avevo<br />

ammazzato. Sapevo <strong>che</strong> ben presto ormai avrei visto an<strong>che</strong> il mio<br />

sangue, perché avevo perso la volontà di lottare. Volevo <strong>che</strong> finisse.<br />

I miei occhi si riempirono di lacrime e singhiozzai ad alta voce,<br />

preoccupandomi non perché ero stato sconfitto, ma perché avrebbe<br />

ammazzato il bambino. Caddi in ginocchio. Avevo perso il senso del<br />

tempo e del luogo, e avevo smarrito la ragione. E poi vidi Seneca<br />

raddrizzarsi ancora di più e fare un passo indietro.<br />

«Via!» urlò. «Indietro, o ammazzo il marmocchio!»<br />

Stupito mi guardai intorno e vidi Plauto nella cornice della<br />

porta, e la ragione mi tornò all'istante. Appoggiai una mano sul<br />

pavimento insanguinato e mi rialzai.<br />

Plauto reggeva ancora la spada lunga nella mano destra. <strong>La</strong><br />

sinistra era stretta intorno all'elsa di un gladio <strong>che</strong> gli usciva dal<br />

petto. Era pallido come la morte e gli occhi sembravano bruciare<br />

nelle orbite infossate. Camminava come un ubriaco, un lento,<br />

esitante passo dopo l'altro. C'era la morte sulla sua faccia, la morte<br />

per Claudio Seneca. Seneca fece un passo di lato, allontanandosi da<br />

lui come un granchio, urlando <strong>che</strong> avrebbe ammazzato il bambino.<br />

Plauto si fermò. «Fai pure» disse con voce fievole, ma distinta.<br />

«Non è mio. Non mi interessa. Tutto quello <strong>che</strong> voglio è ammazzare<br />

te, vomito fetente.»<br />

Vidi ai miei piedi il pugnale di pietra celeste; vidi Plauto fare un<br />

altro passo barcollante; e poi vidi Caio muoversi, proprio mentre<br />

Plauto cadeva sulle ginocchia, sputando sangue dalla bocca.


Seneca, incredibilmente, si mise a ridere, una risata acuta,<br />

inarticolata, <strong>che</strong> mi raggelò. Fece altri due passi lontano da Plauto,<br />

sempre tenendo il bambino e la spada alti sopra la testa, e poi li<br />

scosse entrambi, guardando Plauto <strong>che</strong> cercava di rimettersi in<br />

piedi. Il calcagno destro di Seneca arretrò andando a picchiare<br />

nell'angolo formato dalla guardia di Excalibur. Seneca guardò in<br />

fretta, vide di cosa si trattava e la allontanò di nuovo con un calcio.<br />

<strong>La</strong> spada scivolò sul pavimento di marmo e si fermò davanti agli<br />

occhi spalancati di Caio Britannico.<br />

Barcollando, Plauto incredibilmente si rialzò e mosse un passo<br />

incerto, implacabile, verso Seneca. Io mi chinai e ripresi il mio<br />

pugnale. Seneca, <strong>che</strong> piagnucolava come un bambino, fece un altro<br />

passo indietro e si alzò in punta di piedi, tendendosi verso l'alto, con<br />

gli occhi <strong>che</strong> passavano da uno all'altro di noi.<br />

Caio Britannico, dal pavimento su cui era disteso, chissà come<br />

sferrò un colpo con Excalibur. <strong>La</strong> lama si infilò di taglio dietro le<br />

ginocchia scoperte di Seneca, recidendo i tendini tesi, togliendogli<br />

immediatamente la forza e facendolo cadere all'indietro, con le sue<br />

spalle a terra. Il piccolo Merlino atterrò sul nonno morente. Seneca<br />

urlò come una donna, contorcendosi freneticamente, cercando di<br />

rialzarsi, ma era azzoppato peggio di me. Le urla del bambino erano<br />

flebili rispetto alle sue.<br />

Mi diressi verso di lui e mi sembrò <strong>che</strong> ci volessero ore per<br />

raggiungerlo. Seneca mosse a tentoni verso me le dita a uncino,<br />

urlando e sputando. Afferrai l'impugnatura della spada e la liberai<br />

dalla piega delle sue gambe. Caio giaceva dietro a Seneca, con il<br />

nipotino urlante stretto al petto, protetto dal suo braccio sinistro. Il<br />

sangue aveva cessato di uscire dalla ferita sul collo. Era molto<br />

tranquillo. Lo guardai in volto, così pallido, e il tempo si mise a<br />

scorrere ancora più adagio; flettei le dita intorno all'impugnatura<br />

della grande spada.<br />

Alzai Excalibur sopra la testa e la abbassai con tutta la mia forza,


staccando dal corpo la testa di Cesario Claudio Seneca. Plauto disse:<br />

«Bravo!» con la voce soffocata dal sangue, e sentii un ultimo<br />

schianto alle mie spalle. Non ebbi bisogno di voltarmi per sapere <strong>che</strong><br />

era caduto in avanti, sull'impugnatura della spada <strong>che</strong> gli usciva dal<br />

petto.<br />

Lentamente attraversai la stanza verso il mucchio di indumenti<br />

<strong>che</strong> erano stati di Enid, e li drappeggiai sul suo corpo nudo e<br />

devastato, poi presi il mio nipotino e lo portai via da quella<br />

carneficina.<br />

Il bambino si quietò quando uscimmo nel calore e nella luce del<br />

pomeriggio.<br />

Lo stringevo nell'incavo del braccio sinistro, come lo aveva<br />

stretto suo nonno Caio prima di morire, e nella destra stringevo<br />

Excalibur. In lontananza sentivo i rumori di una battaglia, ma non<br />

me ne preoccupai. Un'allodola <strong>canta</strong>va nel cielo e un merlo trillava<br />

vicino a me. Sentii chiamare il mio nome e sentii gli zoccoli dei<br />

cavalli venire verso di me al galoppo, ma non me ne curai. <strong>La</strong> forgia<br />

sarebbe stata quieta e sicura per il bambino, e sarebbe stata buia e<br />

calda. Era tutto ciò <strong>che</strong> mi importava.<br />

Anch'io dovevo trovare un posto buio, sicuro, abbastanza buio<br />

per nascondermi dagli orrori <strong>che</strong> mi straziavano la mente.


Epilogo: estate, 402 d.C.<br />

Ullic mi batté una mano sulla spalla, poi si alzò dalla seggiola e<br />

uscì nel chiarore della calda giornata, lasciando il pesante elmo da<br />

cerimonia sul bancone. Mi venne in mente di richiamarlo, ma pensai<br />

<strong>che</strong>, pur essendo un elmo con un'aquila, non sarebbe volato via, e<br />

Ullic avrebbe potuto tornare in seguito a riprenderselo. Sorrisi a<br />

quel pensiero e allungai la mano a prendere il vasetto di olio per<br />

lucidare, ma nel movimento le mie dita urtarono il bordo, e il<br />

vasetto si capovolse versando il contenuto sul bancone. <strong>La</strong>nciai<br />

un'imprecazione e mi accinsi frettolosamente a spostare gli oggetti<br />

minacciati dall'olio versato; quando la mia mano si chiuse sul rotolo<br />

di pergamena rimasto lì per mesi sul bancone, una fitta di dolore mi<br />

trapassò come una lancia al ricordo. Rimasi pietrificato per qual<strong>che</strong><br />

istante, stringendo la pergamena, poi mi sedetti lasciando <strong>che</strong> l'olio<br />

versato andasse dove voleva. Srotolai la pergamena per la seconda<br />

volta da quando l'avevo ricevuta.<br />

«Padre, salve.<br />

Ti sei rivelato profetico. Stilicone mi ha richiamato a Roma. Il re<br />

barbaro Alarico - quanto diverso dal nostro caro amico! - e i suoi<br />

Visigoti sono pronti per attaccare la madrepatria! Ho fatto in fretta i<br />

miei preparativi, perché mi devo muovere con tutta la velocità<br />

possibile. L'ordine di Stilicone è perentorio. "Vieni subito" mi dice.<br />

"Porta i tuoi uomini e lasciati indietro tutto il resto." In questo caso<br />

significa i cavalli, visto <strong>che</strong> non ho modo di portare per mare tutti i<br />

miei animali con un così breve preavviso. L'incarico affidatoti da<br />

Stilicone ti autorizza a prendere quello <strong>che</strong> non posso portare via<br />

con me.<br />

Ho inviato ordine ai depositi di Glevum, Durovernum e<br />

Londinium di aspettare i tuoi uomini, <strong>che</strong> verranno a prendere i


cavalli <strong>che</strong> ti ho lasciato. In tutto ci saranno seicentottanta cavalli.<br />

Prendili subito. Io parto di fretta, ma molti altri mi seguiranno. So<br />

<strong>che</strong> farai buon uso dei cavalli. Un giorno tornerò a prenderli.<br />

Mi affido a te affinché tu usi la tua capacità di spiegazione e<br />

persuasione con Enid. Ho cercato di scriverle, ma sono incapace di<br />

dirle le parole <strong>che</strong> dovrei. Le mie ferite sono guarite, ma mi hanno<br />

lasciato sfigurato e senza la parola, così <strong>che</strong> ora ha il peso di un<br />

marito brutto oltre <strong>che</strong> assente. Spiegale, se puoi, <strong>che</strong> queste due<br />

cose si annullano a vicenda. Un giorno tornerò. Il mio affetto a<br />

Publio Varro e alla sua famiglia. Abbi cura di mia moglie e di mio<br />

figlio mentre sono lontano.<br />

Addio<br />

Pico<br />

Postscriptum: Non ho più saputo niente di Seneca da quando<br />

sono stato ferito. Deve essere morto combattendo al nord. Spero <strong>che</strong><br />

sia così. Se è ancora vivo, però, partirà con me agli ordini di<br />

Stilicone.»<br />

Ancora adesso, dopo molti mesi, quelle parole avevano il potere<br />

di ferirmi.<br />

Il soldato <strong>che</strong> aveva portato la missiva mi aveva disturbato sul<br />

lavoro. Luceia lo aveva mandato da me con il messaggio e io lo<br />

avevo letto e avevo indirizzato l'uomo alle cucine del forte,<br />

pensando <strong>che</strong> dovesse ripartire subito. Ma lui si era scusato e mi<br />

aveva detto di chiamarsi Gwynn e <strong>che</strong> era stato capo delle scuderie<br />

di Pico in Britannia. Pico lo aveva lasciato a terra perché lavorasse<br />

con Vittore, <strong>che</strong> ormai era molto vecchio. Sorpreso e ancora<br />

sconvolto per aver ricevuto quella lettera, gli avevo dato il<br />

benvenuto nella nostra Colonia, e non avevo capito il suo sguardo di<br />

incomprensione quando l'avevo chiamata così. Dapprima avevo<br />

pensato di dargli delle spiegazioni, ma in quel momento non ne


avevo la pazienza. Gli dissi <strong>che</strong> avrebbe saputo in seguito tutta la<br />

storia.<br />

Aveva sorriso e mi aveva fatto un rapido saluto, dicendo <strong>che</strong><br />

certamente sarebbe stato così, e io ero rimasto lì e l'avevo guardato<br />

allontanarsi a passo di marcia, pensando <strong>che</strong> sembrava<br />

incredibilmente giovane per essersi già ritirato come Capo delle<br />

Scuderie degli Eserciti Imperiali della Britannia, e pensando an<strong>che</strong><br />

<strong>che</strong> la storia <strong>che</strong> dovevo raccontargli non era poi così lunga.<br />

Caio Britannico, il fondatore della Colonia, era nato nella più<br />

vecchia città romana della Britannia, una città costruita su un<br />

insediamento onorato da secoli come casa di Lod, dio della guerra<br />

dei trinovanti dell'est. Nel corso di quattrocento anni gli uomini<br />

avevano cambiato il nome della città in Col<strong>che</strong>ster, <strong>che</strong> significa il<br />

forte sulla collina, ma Caio l'aveva sempre chiamata con il suo vero<br />

nome, il suo nome antico, Camulodunum, deplorando come sempre<br />

il modo in cui la gente cambiava le cose per il gusto di cambiarle,<br />

senza pensare alla tradizione o al loro valore ancestrale.<br />

Qui, nel suo amato ovest, su un'altra collina, aveva costruito un<br />

altro forte, senza nome. Era il suo mausoleo e si ergeva sopra la sua<br />

tomba. <strong>La</strong> sorella, mia moglie Luceia, gli aveva dato un nome in suo<br />

onore, ricordando le sue parole. «Non uno dei vostri scioglilingua<br />

celtici» aveva detto. «Dategli un nuovo nome, a questo forte sulla<br />

collina, un nome britannico, né romano né celtico. Non<br />

Camulodunum, ma un nome di questa terra. E fate <strong>che</strong> sia un nome<br />

semplice, un nome <strong>che</strong> gli uomini possano ascoltare e conoscere e<br />

ricordare.»<br />

Lo chiamammo Camulod, in onore di Caio Britannico, l'ultimo<br />

delle grandi Aquile Romane della Britannia. Quando saremo morti e<br />

dimenticati la gente potrà fare come vorrà.<br />

<strong>La</strong>sciai andare il rotolo <strong>che</strong> si riavvolse con il fruscio della<br />

pergamena e mi chiesi se avrei mai rivisto Pico Britannico. Poi sentii<br />

la levigatezza del legno sotto il polpastrello del pollice e abbassai lo


sguardo sulla superficie della cassetta <strong>che</strong> avevo perso tanto tempo<br />

a fabbricare. Non ero un artigiano del legno per vocazione, ma non<br />

avevo avuto altra scelta <strong>che</strong> fare io stesso la custodia, usando come<br />

modello quella molto più piccola lasciatami da mio nonno parecchi<br />

anni prima per conservare il pugnale di pietra celeste. Questa<br />

custodia era di quercia levigata e lucidata, e sulla superficie<br />

splendente del coperchio c'era una stella cometa d'argento con la<br />

coda d'oro. <strong>La</strong> sollevai e la portai nel retro della forgia; la aprii e feci<br />

scorrere la mano sulla pelle di daino <strong>che</strong> foderava l'interno. Sarebbe<br />

andata bene.<br />

<strong>La</strong> spada era dove l'avevo lasciata, avvolta in un panno di seta.<br />

Luceia mi avrebbe ammazzato se avesse saputo <strong>che</strong> avevo preso<br />

quel panno. Aprii l'involto e sollevai l'arma <strong>che</strong> la seta aveva<br />

accarezzato. Excalibur! Era il nome giusto per lei. Un lampo tremolò<br />

lungo la lama lucente e scintillò sul filo finemente temprato, <strong>che</strong><br />

recava segni simili a ombreggiature, increspature di acqua chiara.<br />

Era l'opera della mia vita: quell'unica spada, unica dalla punta della<br />

lama al pomolo a conchiglia, una spada adatta a essere portata da un<br />

re, un re i cui giorni sarebbero venuti quando io fossi stato polvere<br />

dimenticata da tempo. Chiunque fosse stato quel re, avrebbe avuto<br />

una spada su cui contare, e finché Excalibur fosse esistita io non<br />

sarei stato veramente dimenticato. <strong>La</strong> sollevai, ammirando il gioco<br />

della luce sull'ampia grande guardia e apprezzando la solida<br />

struttura dell'impugnatura su cui era avvolta la pelle della pancia di<br />

un enorme pescecane. Caio Britannico non aveva avuto<br />

l'opportunità di ammirare la meraviglia nata dalla sua Signora del<br />

<strong>La</strong>go. Una volta l'aveva impugnata, prima <strong>che</strong> l'elsa venisse<br />

ricoperta con la pelle di squalo, eppure non era scivolata dalla sua<br />

mano insanguinata. <strong>La</strong> misi con cura nella custodia, nell'incavo<br />

foderato di pelle di daino così precisamente foggiato per la sua<br />

misura, e chiusi il coperchio.<br />

Il grande elmo da cerimonia di Ullic era sempre sul bancone; lo<br />

sollevai e lo tenni all'altezza degli occhi, guardando negli occhi


dorati e ancora fieri dell'aquila sopra al becco massiccio di uccello da<br />

preda. Il mio interesse professionale si risvegliò brevemente, e mi<br />

chiesi in <strong>che</strong> modo l'artista fosse riuscito a infondere tanta vita in<br />

quel gigantesco uccello; ma quella futile domanda si dissolse, e vidi<br />

Caio <strong>che</strong> mi guardava, quel giorno di quasi cinquantanni prima,<br />

quando mi aveva trovato paralizzato in mezzo a un mucchio di<br />

cadaveri. Un groppo mi chiuse la gola e borbottando mi ficcai l'elmo<br />

in testa. Caricai in spalla la cassetta <strong>che</strong> custodiva Excalibur e mi<br />

diressi verso casa, a cercare mia moglie, la mia amata moglie <strong>che</strong><br />

avrebbe potuto esserci o non esserci, a seconda del programma<br />

sempre più intenso di riunioni del Consiglio delle Donne, e il resto<br />

della mia famiglia e gli eredi del nostro sogno, i nipoti miei e del mio<br />

migliore amico.<br />

Mi chiesi chi dei due bambini avrebbe brandito quella spada<br />

negli anni a venire. Sarebbe stato Uther, già litigioso a sei mesi e<br />

fiero della bellezza da gazza di sua madre o sarebbe stato il suo<br />

gentile cugino Merlino, il Britannico dai capelli d'oro? Quel dibattito<br />

mi procurò piacere e mi ritrovai a fischiettare per la prima volta da<br />

mesi mentre camminavo nel sole estivo.<br />

Equo stava venendo verso di me, immerso in conversazione con<br />

Giuseppe, il giovane apprendista <strong>che</strong> adesso era il nostro artigiano<br />

migliore. E allora vidi ciò <strong>che</strong> non avevo notato prima, <strong>che</strong> Giuseppe<br />

era ormai un uomo adulto, e sorrisi, riconoscendo una volta per<br />

tutte <strong>che</strong> il mondo apparteneva ai giovani <strong>che</strong> stavano crescendo, e<br />

<strong>che</strong> il mio compito ormai era quasi assolto.


Ranghi e titoli<br />

Nota dell'autore<br />

Nella Nota dell'autore in appendice a <strong>La</strong> pietra del cielo, il primo<br />

libro del ciclo di Le crona<strong>che</strong> di Camelot, ho incluso alcune annotazioni<br />

sulla composizione dell'esercito romano, le legioni dell'antica Roma.<br />

Non le ho riportate qui perché, nell'epoca in cui ebbero luogo gli<br />

eventi raccontati in questo secondo libro, l'influenza delle legioni era<br />

in decadenza, ed esse non ebbero più un ruolo significativo nella<br />

storia successiva. Alcuni termini rimangono comunque da quelle<br />

radici e sono facili da spiegare.<br />

<strong>La</strong> coorte era la formazione operativa principale di una legione,<br />

come oggi lo è la compagnia in un reggimento, e l'ufficiale anziano<br />

di ogni coorte era conosciuto come il pilus prior, la lancia di testa. Il<br />

titolo di Prima <strong>La</strong>ncia, primus pilus, era detenuto dall'ufficiale anziano<br />

dell'intera legione, vale a dire del reggimento a cui le coorti<br />

appartenevano. L'ufficiale <strong>che</strong> comandava una legione era il legatus e<br />

io ho usato questo termine in modo intercambiabile con il titolo<br />

generale, perché questo è quello <strong>che</strong> significava. A volte un generale<br />

<strong>che</strong> aveva ottenuto un trionfo ed era molto popolare era acclamato<br />

dalle truppe vittoriose col titolo di imperator. Imperator significa<br />

imperatore e alla fine del IV secolo d.C, quando i giorni di Roma<br />

erano ormai contati, molti imperatori - la maggior parte di breve<br />

durata - furono acclamati in questo modo.<br />

I titoli moderni conte e duca derivano direttamente dai titoli<br />

romani e dagli incarichi di comes e dux, entrambi popolari negli ultimi<br />

tempi dell'Impero romano, ma il rango dell'esercito romano più<br />

conosciuto oggi (grazie an<strong>che</strong> ai film storici di Hollywood) è<br />

probabilmente quello di tribuno. Ogni legione aveva sei tribuni <strong>che</strong><br />

equivalevano agli odierni ufficiali di stato maggiore: colonnelli e<br />

maggiori. <strong>La</strong> corte marziale romana, con la sua giuria di tribuni, ha


dato il nome al nostro tribunale.<br />

<strong>La</strong> cavalleria romana<br />

Alla fine del n secolo d.C. la cavalleria aveva un ruolo<br />

importante nella tattica romana legionaria e in molte azioni militari<br />

rappresentava fino a un quinto delle forze complessive.<br />

Ciononostante, fino alla svolta del V secolo, la cavalleria fu l'anello<br />

più debole dell'armata.<br />

I Romani non furono mai dei grandi cavalieri e la cavalleria<br />

romana era di rado veramente romana. Preferivano lasciare la<br />

gestione della cavalleria alle nazioni alleate e suddite, perciò la<br />

storia racconta della magnifica cavalleria mista dei Germani, <strong>che</strong><br />

Giulio Cesare ammirava e <strong>che</strong> aveva originato le cohortes equitates, le<br />

coorti miste di fanteria e cavalleria in uso nei secoli I, II e in d.C. Gli<br />

scrittori latini menzionano con ammirazione an<strong>che</strong> la meravigliosa<br />

cavalleria leggera nordafricana, <strong>che</strong> cavalcava senza briglie.<br />

Fondamentalmente, con pochissime eccezioni, i cavalieri<br />

venivano utilizzati solo come truppe leggere per scaramucce; in<br />

prevalenza erano arcieri a cavallo i cui compiti erano il<br />

pattugliamento e l'avanscoperta, e la costituzione di uno s<strong>che</strong>rmo<br />

mobile difensivo mentre le legioni si schieravano in ordine di<br />

battaglia.<br />

<strong>La</strong> cavalleria romana del primo e medio periodo imperiale era<br />

organizzata in alae, unità di 500-1000 uomini, divisi in squadroni o<br />

turmae di 30 o 40 cavalieri al comando di decurioni.<br />

Sappiamo <strong>che</strong> i Romani usavano una specie di sella con quattro<br />

corni per appendervi il bagaglio, ma non conoscevano le staffe,<br />

an<strong>che</strong> se usavano gli speroni. Adoperavano an<strong>che</strong> ferri di cavallo e<br />

morsi snodati, e alcuni dei loro cavalli, detti cataphracti, portavano<br />

coperte corazzate di scaglie di bronzo, an<strong>che</strong> se ci sono po<strong>che</strong> prove<br />

<strong>che</strong> questa forma di armatura o di cavalleria armata fosse usata su


ampia scala.<br />

Fino al V secolo e alle conseguenze della battaglia di<br />

Adrianopoli, sembra <strong>che</strong> non fosse stato fatto nessun tentativo di<br />

studiare le tecni<strong>che</strong> della cavalleria pesante usate nel IV secolo a.C.<br />

da Filippo di Macedonia e dal figlio Alessandro Magno. Fu questa<br />

rinascita, legata all'arrivo in Europa delle staffe, nel V secolo d.C, a<br />

cambiare per sempre quella forma di guerra. In termini di impatto<br />

militare il significato dell'aggiunta delle staffe alla sella fu<br />

probabilmente più grande dell'invenzione del carro armato.<br />

I primi cristiani e il loro Cristo<br />

Noi usiamo oggi il nome Gesù Cristo come se le due parole<br />

fossero il nome e il cognome, ma questo è un uso relativamente<br />

recente. Per i cristiani dell'Impero romano del IV e V secolo, Gesù<br />

era Gesù, Cristo, Gesù il Cristo, perché Cristo significa il Salvatore, il<br />

Redentore. L'articolo determinativo era compreso nel nome. Per<br />

questa ragione il simbolo riportato qui sotto, noto come il<br />

monogramma Chi-Rho, era in uso a quell'epoca come il simbolo<br />

dell'appartenenza cristiana<br />

Le lettere gre<strong>che</strong> chi (X) e rho (P) unite in un monogramma<br />

esattamente come si ritrovano oggi sui paramenti liturgici cristiani,<br />

erano le due prime lettere della parola Christus e il Chi-Rho aveva<br />

allora sostituito il simbolo del pesce, la parola d'ordine dei primi<br />

cristiani perseguitati.

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