8 CONVERSAZIONI IMPOSSIBILI DI FRANCO EUGENI CON MELCHIORRE DELFICO, CIRO ROMUALDI E ALDO BARTOLINI NELLA FOTO CIRO ROMUALDI
Questa rubrica ricalca un vecchio modello culturale atto ad allineare pensieri di persone scomparse e che hanno giocato ruoli importanti nella nostra Società del passato, intervistandoli su questioni attuali. Presentiamo quindi una tavola rotonda con l’Intervistatore Incognito e (1744-1835), Ciro Romualdi (1805-1886), Aldo Bartolini (1936-2008). D: dell’Abruzzo nell’epoca borbonica, poi murattiana e poi ancora borbonica, ed è stato un grande servitore dello Stato ove ha ricoperto varie cariche da membro del Consiglio di Stato a Ministro degli l’Abruzzo, al giorno d’oggi? Vede caro amico mio punto di vista il problema non è l’Abruzzo ma è il mondo moderno che avete… o meglio che abbiamo costruito negli anni. Non si vive bene in un mondo nel quale si sono persi tutti i valori dell’uomo, non va bene una Società nella quale prevale solo il valore del denaro, dove amministratori pubblici e amministratori privati, i manager, pensino esclusivamente all’interesse proprio e non alla collettività. Il problema non è l’Abruzzo, nemmeno l’Italia, nemmeno l’Europa, è il mondo intero che va male. D: Signor Barone, se lei avesse oggi lo stesso potere che aveva allora nel Regno di Napoli cosa farebbe? Una risposta potrete trovarla nel mio libro “Memorie storiche della Repubblica di S.Marino” dove ho riportato il discorso del 1797 pronunciato da Gaspard Monge, Comandante dell’armata napoleonica in Italia, ai capi della allora Repubblica di S.Marino. Bisognerà tornare all’uomo, centralizzarlo, ritrovare i veri principi delle tre parole libertà, eguaglianza e fratellanza in uno spirito laico di alto tolleranza verso l’altro. D: Grazie Signor Barone, se lei permette scambierei due parole con il dottor Ciro Romualdi è abruzzese, nato a Montepagano nel 1805 ed è stato in giro per l’Italia del suo tempo per evitare repressioni sui suoi atteggiamenti patriottici, che le costarono una condanna, nel 1851, dalla Gran Corte educare i giovani contro la tirannide e far Ciro Romualdi: Certo gentile signore, le sono grato perché mi fa parlare di quei tempi, delle vane speranze che avemmo nei moti del ’48, dell’esilio Mazzoni, che tanto onore si fece in Turchia. Noi avevamo dedicato noi stessi a lottare contro la tirannide e a cercare in tutti i modi di conquistare la Libertà. Ma la tirannide allora era chiara, netta, e anche l’opporsi ad essa aveva chiarezza di azioni. Nei vostri tempi le cose si sono confuse! D: Quello che ci dice dottor Romualdi è molto interessante, ce lo può spiegare meglio? Ciro Romualdi: Certo amico, posso provare. Vede, quando nella Marina sottostante Montepagano si svilupparono lottizzazioni e abitazioni, circa nel Le Quote. Io proposi un bel nome l’equivalente di borgo delle rose, da un termine proveniente dalla lingua araba. morto da pochi mesi! Ma nel 1927 quei furbi ignoranti al potere dissero che il nome sembrava inneggiare all’odiata Austria, che insultava i soldati della Guerra Mondiale, quella che chiamate in quello “italianissimo” di <strong>Roseto</strong> degli il Comune. Per fortuna loro io ero morto parecchi anni prima, diversamente avrei fatto una rivoluzione. Il cambiamento lo fecero per accontentare i loro accoliti locali e i loro interessi. Fin da allora gli ideali si cominciarono ad incrinare a favore degli interessi personali. E’ allora che comincia a nascere una nuova e diversa tirannide, mascherata ancora di ideali, che tuttavia erano solo del popolo dei fanatici in camicia nera, e di quanti volenti o nolenti vi furono trascinati, direi per via di una sottile e martellante campagna di acquisizione sociale, che ci condusse ad esasperate forme di delirio collettivo. D: Aldo Bartolini: Io sono meno pessimista dei miei illustri compagni di intervista, forse perché sono più vicino a questi tempi. Sono d’accordo con Ciro Romualdi che la tirannide odierna è sottile e usa i mass-media. Costoro operano in modo decisamente orwelliano, ci costringono a comperare le cose che loro decidono, a vestirci con abiti ed oggetti pagati a ben più del loro valore, perché griffati, e cose simili, tutte inquadrabili nel fenomeno della globalizzazione. Ma forse possiamo avere una speranza, la speranza che il mondo cambi e magari migliori, per movimenti di ritorno all’indietro che la storia ci descrive. Nel mondo antico la cultura ritorno dal mondo romano che essi avevano globalizzato, il mondo romano a sua volta ebbe movimenti di ritorno dal mondo barbaro dei Galli prima e dei Germanici poi. La cultura europea, più continenti, ad esempio gli Stati Uniti, e ne ha subito una conglobalizzazione di ritorno, che ci ha donato la nuova tirannide del consumo. Tuttavia il sistema non è in equilibrio. Se ci dovessimo aprire con i Paesi Islamici e se nei paesi come India e Cina, la cui antica cultura conosciamo poco e male, lo sfruttamento della mano d’opera dovesse attenuarsi, la conglobalizzazione di ritorno condurrebbe a nuovi equilibri. Potrebbe anche nascere una vita più libera, centrata sui valori dell’uomo. E’ una speranza. L’unico dubbio è se siamo preparati a comprendere le differenze e ad esempio comprendere che un atto per noi immorale potrebbe per altre popolazioni rientrare nella moralità, e viceversa. 9