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icostituito una famiglia. Poco importava che Renato non lavorasse<br />
che un mese all’anno e che, più di qualche volta, fosse lungo di mani.<br />
“Ragazzì”, le diceva sua madre, “quando sarai grande capirai i<br />
sacrifici che deve fare una donna per mantenersi un uomo accanto.”<br />
Ma forse perché ancora non era diventata grande, o forse perché già<br />
da allora la pensava diversamente, ancora non aveva capito quale<br />
fosse il vantaggio, da parte di sua madre, di campare dentro casa sua<br />
un Renato qualsiasi.<br />
Tutto questo fino al diciannove settembre del duemilacinque.<br />
Uscita dagli uffici della ditta di Telecomunicazioni che puliva dalle<br />
sette alle dieci di ogni mattina, temporaneamente, da tre anni, aveva<br />
scroccato un passaggio in moto dal caposquadra che non perdeva<br />
occasione per dimostrarsi gentile, di una gentilezza distorta come<br />
tutti quelli che hanno un secondo fine fin troppo evidente e non<br />
riescono a dissimularlo che parzialmente. Era scesa, dallo scooterone<br />
senza scampare al bacetto e si era incamminato lungo il marciapiede<br />
che costeggiava i casamenti popolari semiarrugginiti, le cui sommità<br />
ricordano la lama di un coltello da pane. Svoltato l’angolo iniziava la<br />
piccola cittadella “dell’edilizia spontanea”, come i politici sempre<br />
attenti a non scartare anche un semplice voto, l’avevano definita<br />
qualche anno prima. Deborah riconosceva la sua casa dal luccichio di<br />
un catino zincato, appartenuto alla nonna, che un tempo era servito<br />
per il suo bagnetto e che ora, per la serie “nulla si crea e nulla di<br />
distrugge”, simulava un’aiuola poveramente fiorita.<br />
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<strong>Maurizio</strong> <strong>Carletti</strong> - Two suitcases