Fondamenti III - Dipartimento di Filosofia
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Parte <strong>III</strong><br />
Verità<strong>di</strong>finzione<br />
169
La verità nella finzione<br />
D. Lewis<br />
Possiamo <strong>di</strong>re il vero <strong>di</strong>cendo che Sherlock Holmes viveva in Baker Street, e<br />
che amava fare sfoggio dei suoi poteri mentali. Ma non possiamo <strong>di</strong>re il vero<br />
<strong>di</strong>cendo che egli era un devoto padre <strong>di</strong> famiglia o che lavorasse in stretta<br />
cooperazione con lapolizia.<br />
Sarebbe bello se potessimo prendere letteralmente queste descrizioni dei<br />
caratteri <strong>di</strong> finzione, ascrivendo ad esse la stessa forma soggetto-pre<strong>di</strong>cato<br />
delle descrizioni parallele <strong>di</strong> caratteri della vita reale. Allora gli enunciati<br />
“Holmes indossa un cilindro <strong>di</strong> seta” e “Nixon indossa un cilindro <strong>di</strong> seta”<br />
sarebbero ambedue falsi perché ilriferimento del termine <strong>di</strong> soggetto<br />
-l’Holmes della finzione e il Nixon della vita reale- non hanno la proprietà,<br />
espressa dal pre<strong>di</strong>cato, <strong>di</strong> indossare un cilindro <strong>di</strong> seta. La sola <strong>di</strong>fferenza<br />
sarebbe che i termini <strong>di</strong> soggetto “Holmes” e “Nixon” hanno referenti <strong>di</strong><br />
tipi ra<strong>di</strong>calmente <strong>di</strong>versi: uno un carattere <strong>di</strong> finzione, l’altro una persona<br />
in carne ed ossa della vita reale.<br />
Non <strong>di</strong>scuto che si potrebbe far funzionare un’analisi che segue queste<br />
linee meinonghiane. Terence Parsons l’ha fatto. 1 Ma non è una questione<br />
semplice superare le <strong>di</strong>fficoltà chesorgono. Eccone una: non c’è unsenso<br />
perfettamente accettabile in cui Holmes,come Nixon, è una persona in carne<br />
ed ossa della vita reale? Ci sono delle storie che sfruttano super-eroi che<br />
vengono da altri pianeti, hobbit, fuochi e tempeste, intelligenze vaporose, e<br />
altre non-persone. Ma che errore sarebbe classificare le storie <strong>di</strong> Holmes con<br />
queste! A <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> Clark Kent et al., Sherlock Holmes èsemplicemente<br />
Titolo originale: “Truth in Fiction,” pubblicato in American Philosophical Quarterly,<br />
15, 37-46. Ripubblicato in D. Lewis (1983) Philosophical papers, Oxford, 261-275.<br />
Traduzione <strong>di</strong> Sandro Zucchi.<br />
1 In Parsons (1974), e in Parsons (1975).<br />
171
172 D. Lewis<br />
una persona -una persona in carne ed ossa,unessere esattamente nella stessa<br />
categoria <strong>di</strong> Nixon.<br />
Si consideri inoltre il problema del coro. Possiamo <strong>di</strong>re il vero <strong>di</strong>cendo<br />
che Sir Joseph Porter, K.C.B., èaccu<strong>di</strong>to da un coro <strong>di</strong> sorelle, cugini e<br />
zie. Per rendere vero questo, pare che il dominio dei caratteri <strong>di</strong> finzione<br />
debba contenere non solo lo stesso Sir Joseph, ma anche numerose sorelle,<br />
cugini e zie <strong>di</strong> finzione. Ma quanti -cinque dozzine forse? No, perché non<br />
possiamo <strong>di</strong>re il vero <strong>di</strong>cendo che il coro consiste esattamente <strong>di</strong> cinque<br />
dozzine <strong>di</strong> persone. Non possiamo <strong>di</strong>re in verità alcunché <strong>di</strong>esatto sulle sue<br />
<strong>di</strong>mensioni. Allora abbiamo forse un coro <strong>di</strong> finzione, ma non dei membri<br />
<strong>di</strong> finzione <strong>di</strong> questo coro e dunque nessun numero <strong>di</strong> membri? No, perché<br />
possiamo <strong>di</strong>re con verità alcune cose circa le sue <strong>di</strong>mensioni. Ci vien detto<br />
che le sorelle e i cugini, anche senza le zie, sono dozzine.<br />
Il meinonghiano non dovrebbe supporre che i quantificatori nelle descrizioni<br />
dei caratteri <strong>di</strong> finzione abbiano comedominio tutte le cose che egli<br />
pensa che ci siano, sia <strong>di</strong> finzione che non <strong>di</strong> finzione; ma non così facile per<br />
lui <strong>di</strong>recon esattezza come il dominio <strong>di</strong> quantificazione deve essere ristretto.<br />
Si consideri se possiamo <strong>di</strong>re il vero <strong>di</strong>cendo che Holmes era più intelligente<br />
<strong>di</strong> chiunque altro, prima o dopo <strong>di</strong> lui.<br />
È certamente appropriato confron-<br />
tarlo con alcuni caratteri <strong>di</strong> finzione, come Mycroft e Watson, ma non con<br />
altri, come Poirot o “Slipstick” Libby. Può essere appropriato confrontarlo<br />
con altri caratteri non <strong>di</strong> finzione, come Newton e Darwin; ma probabilmente<br />
non con altri, come Conan Doyle o Frank Ramsey. “Più intelligente<br />
<strong>di</strong> chiunque altro” significa qualcosa del tipo““Più intelligente <strong>di</strong> chiunque<br />
altro nel mondo <strong>di</strong> Sherlock Holmes.” Gli abitanti <strong>di</strong> questo “mondo” sono<br />
presi in parte dal lato <strong>di</strong> finzione del dominio meinonghiano e in parte dal<br />
lato non <strong>di</strong> finzione, senza esaurire né l’uno né l’altro.<br />
Infine, il meinonghiano deve <strong>di</strong>rci perché leveritàrelativeaicaratteri <strong>di</strong><br />
finzione sono isolate, a volte ma non sempre, dalle conseguenze che dovrebbero<br />
implicare. Possiamo <strong>di</strong>re il vero <strong>di</strong>cendo che Holmes viveva al 221B <strong>di</strong><br />
Baker Street. Mi èstato detto 2 che l’unico e<strong>di</strong>ficio al 221B <strong>di</strong> Baker Street,<br />
allora come ora, è una banca. Non ne segue, e certamente non èvero,che<br />
Holmes viveva in una banca.<br />
La strada del meinonghiano è<strong>di</strong>fficile, e in questo saggio esplorerò un’alternativa<br />
più semplice. Non pren<strong>di</strong>amo alla lettera le nostre descrizioni dei<br />
caratteri <strong>di</strong> finzione, consideriamole invece come abbreviazioni <strong>di</strong> enunciati<br />
più lunghi che iniziano con un operatore del tipo “nell’opera <strong>di</strong> finzione tal<br />
2<br />
Mi èanche stato detto che non c’è maistato alcun e<strong>di</strong>ficio a questo in<strong>di</strong>rizzo. Non<br />
importa quale affermazione sia corretta.
La verità nella finzione 173<br />
dei tali. . . ” Questa espressione èunoperatore intensionale che può essere<br />
prefissato a un enunciato ϕ per formare un nuovo enunciato. Ma poi l’operatore<br />
prefissato può essere lasciato cadere per abbreviare, lasciandoci con<br />
qualcosa che suona come l’enunciato originale ϕ ma che ha un senso <strong>di</strong>verso.<br />
Dunque, se <strong>di</strong>co che Holmes amava mettersi in mostra, assumerete che ho<br />
emesso una versione abbreviata dell’enunciato vero “Nelle storie <strong>di</strong> Sherlock<br />
Holmes, Holmes amava mettersi in mostra.” Quanto all’enunciato incassato<br />
“Holmes amava mettersi in mostra,” preso da solo, con l’operatore prefissato<br />
che non ènépresenteesplicitamente né intesotacitamente, possiamo<br />
abbandonarlo al destino comune degli enunciati soggetto-pre<strong>di</strong>cato con termini<br />
<strong>di</strong> soggetto privi <strong>di</strong> denotazione: falsità automatica o assenza <strong>di</strong> valore<br />
<strong>di</strong> verità, secondo i gusti.<br />
Molte cose che potremmo <strong>di</strong>re <strong>di</strong> Holmes sono potenzialmente ambigue.<br />
Possono essere considerate omenocome abbreviazioni <strong>di</strong> enunciati con il<br />
prefisso “Nelle storie <strong>di</strong> Sherlock Holmes. . . ” Il contesto, il contenuto e il<br />
buon senso solitamente risolveranno l’ambiguità, in pratica. Considerate<br />
questi enunciati:<br />
Holmes viveva in Baker Street.<br />
Holmes viveva più vicino a Pad<strong>di</strong>ngton Station che a Waterloo<br />
Station.<br />
Holmes era semplicemente una persona -una persona in carne ed<br />
ossa.<br />
Holmes èveramente esistito.<br />
Qualcuno visse per molti anni al 221B <strong>di</strong> Baker Street.<br />
Il più grande detective <strong>di</strong> Londra nel 1900 prendeva la cocaina.<br />
Tutti questi enunciati sono falsi se intesi senza prefisso, semplicemente perché<br />
Holmesnonèesistito nella realtà. (O forse almeno alcuni <strong>di</strong> essi sono<br />
privi <strong>di</strong> valore <strong>di</strong> verità.) Sono tutti veri se intesi come abbreviazioni <strong>di</strong><br />
enunciati prefissati. I primi tre vengono probabilmente intesi in quest’ultimo<br />
modo, quin<strong>di</strong> essi sembrano veri. Gli altri vengono probabilmente intesi<br />
nel primo modo, quin<strong>di</strong> sembrano falsi. L’enunciato:<br />
Nessun detective risolse mai quasi tutti i propri casi<br />
verrebbe probabilmente inteso come non prefissato e quin<strong>di</strong> vero, ma sarebbe<br />
falso se inteso come prefissato. Èchiaroche l’enunciato<br />
Holmes e Watson sono identici<br />
viene inteso come prefissato equin<strong>di</strong> èfalso,maquesta non è una confu-
174 D. Lewis<br />
tazione dei sistemi <strong>di</strong> logica libera 3 che lo considererebbero come falso se<br />
inteso come non prefissato.<br />
(Mi affretto a concedere che alcune verità relativeaHolmes non sono<br />
abbreviazioni <strong>di</strong> enunciati prefissati, e inoltre non sono vere perché“Holmes”<br />
èprivo<strong>di</strong>denotazione. Per esempio, queste:<br />
Holmes èuncarattere <strong>di</strong> finzione.<br />
Holmes venne fatto fuori da Conan Doyle, ma dopo venne risuscitato.<br />
Holmes ha acquisito un seguito <strong>di</strong> culto.<br />
Holmes simbolizza l’incessante lotta del genere umano per la<br />
verità.<br />
Holmes non avrebbe avuto bisogno <strong>di</strong>registrazioni per ottenere<br />
le prove per incriminare Nixon.<br />
Holmes avrebbe risolto gli omici<strong>di</strong> dell’A.B.C. prima <strong>di</strong> Poirot.<br />
Qui non avrò nulla da <strong>di</strong>re sull’analisi appropriata <strong>di</strong> questi enunciati. Se il<br />
meinonghiano ne può render conto senza stratagemmi speciali, questo èun<br />
vantaggio del suo sistema sul mio.)<br />
L’ambiguitàdella prefissazione spiega perchéleveritàrelativeaicaratteri<br />
<strong>di</strong> finzione son a volte isolate dalle loro conseguenze apparenti. Supponiamo<br />
<strong>di</strong> avere un argomento (con zero o più premesse) che èvalido nel senso<br />
modale che èimpossibile che tutte le premesse siano vere e la conclusione<br />
sia falsa.<br />
ψ1,...,ψn<br />
∴ φ<br />
Allora appare chiaro che otteniamo un altro argomento valido se prefissiamo<br />
uniformemente l’operatore “Nell’opera <strong>di</strong> finzione f ...” ad ogni premessa e<br />
alla conclusione dell’argomento originale. La verità inun’opera <strong>di</strong> finzione<br />
data èchiusa rispetto all’implicazione.<br />
In f,ψ1,...,In f,ψn<br />
∴ In f,φ<br />
Ma se noi prefissiamo l’operatore “Nell’opera <strong>di</strong> finzione f ...” adalcune delle<br />
premesse originali e non ad altre, oppure inten<strong>di</strong>amo alcune ma non tutte<br />
le premesse come tacitamente prefissate, allora in generale né laconclusione<br />
originale φ né laconclusione prefissata “Nell’opera <strong>di</strong> finzione f, φ” seguirà.<br />
Nell’inferenza considerata in precedenza c’erano due premesse. La premessa<br />
3 Per esempio il sistema descritto in Scott (1967).
La verità nella finzione 175<br />
che Holmes viveva al 221B <strong>di</strong> Baker Street era vera solo se prefissata. La<br />
premessa che l’unico e<strong>di</strong>ficio al 221B <strong>di</strong> Baker Street era una banca, d’altra<br />
parte, era vera solo se intesa come non prefissata; perché nelle storie non<br />
c’era alcuna banca lì mauna casa spaziosa. Intendendo le premesse, come<br />
faremmo naturalmente, in modo da renderle vere, non segue nulla: né la<br />
conclusione non prefissata che Holmes viveva in una banca né laconclusione<br />
prefissata che nelle storie egli viveva in una banca. Intendendo ambedue<br />
le premesse come non prefissate, la conclusione non prefissata segue ma la<br />
seconda premessa èfalsa. 4<br />
Il compito che rimane èvedere ciòchesi può <strong>di</strong>re relativamente all’analisi<br />
degli operatori “Nell’opera <strong>di</strong> finzione tal dei tali.. . ” Ho già notato che<br />
la verità inuna data opera <strong>di</strong> finzione èchiusa rispetto all’implicazione.<br />
Questa chiusura èiltratto <strong>di</strong>stintivo <strong>di</strong> un operatore <strong>di</strong> necessità relativa,<br />
un operatore intensionale che può essere analizzato come un quantificatore<br />
universale ristretto su mon<strong>di</strong> possibili. Dunque potremmo procedere come<br />
segue: un enunciato prefissato “Nell’opera <strong>di</strong> finzione f, φ” èvero(o, come<br />
<strong>di</strong>remo anche, φ èvero nell’opera <strong>di</strong> finzione f ) sse φ èveroinogni mondo<br />
possibile in un certo insieme, dove questo insieme èdeterminato in qualche<br />
modo dall’opera <strong>di</strong> finzione f.<br />
Come prima approssimazione, potremmo considerare esattamente quei<br />
mon<strong>di</strong> in cui la trama dell’opera <strong>di</strong> finzione èmessa in atto, in cuiha luogo<br />
un corso <strong>di</strong> eventi che riflette la storia. Ciò cheèveronelle storie <strong>di</strong> Sherlock<br />
Holmes sarebbe dunque ciò cheèveroatutti i mon<strong>di</strong> possibili dove ci sono<br />
dei caratteri che hanno gli attributi, stanno nelle relazioni, e compiono gli<br />
atti che sono attribuiti nelle storie ad Holmes, Watson, e agli altri. (Se,<br />
in questo caso, questi caratteri sarebbero Holmes, Watson, e gli altri è una<br />
questione spinosa che dobbiamo considerare tra poco).<br />
Penso che questa proposta non sia del tutto giusta. Per cominciare, c’è<br />
una minaccia <strong>di</strong> circolarità. Perfino le storie <strong>di</strong> Holmes, per non parlare <strong>di</strong><br />
finzioni scritte in stili meno espliciti, non sono scritte affatto in forma <strong>di</strong><br />
semplici cronache. Un lettore informato e intelligente può certamente scoprire<br />
la trama, e potrebbe scriverla nella forma <strong>di</strong> una cronaca interamente<br />
esplicita se volesse. Ma questa estrazione della trama dal testo non èun<br />
compito banale o automatico. Forse il lettore lo esegue solo scoprendo ciò<br />
che èveronelle storie -cioè, esercitando la sua padronanza implicita proprio<br />
del concetto <strong>di</strong> verità nell’opera <strong>di</strong> finzione che stiamo indagando ora.<br />
Se le cose stanno così, allora un’analisi che inizia facendo un uso acritico<br />
4 Fin qui, la spiegazione che ho dato segue da vicino quella <strong>di</strong> Heintz (1979).
176 D. Lewis<br />
del concetto della trama <strong>di</strong> un’opera <strong>di</strong> finzione potrebbe essere assai poco<br />
informativa, anche se corretta fino a questo punto.<br />
Un secondo problema sorge da un osservazione <strong>di</strong> Saul Kripke. 5 Si assuma<br />
che Conan Doyle abbia veramente scritto le storie come pura finzione.<br />
Le abbia semplicemente inventate. Egli non conosceva affatto qualcuno che<br />
aveva compiuto le azioni che aveva attribuito a Holmes, e neppure aveva<br />
raccolto qualche confusa informazione causata da una persona del genere.<br />
Può darsinon<strong>di</strong>meno, per pura coincidenza, che il nostro mondo sia uno dei<br />
mon<strong>di</strong> in cui la trama delle storie viene messa in atto. Forse c’era un uomo <strong>di</strong><br />
cui Conan Doyle non aveva mai sentito parlare le cui avventure reali per caso<br />
corrispondevano alle storie in ogni dettaglio. Forse egli si chiamava anche<br />
“Sherlock Holmes.” Improbabile, incre<strong>di</strong>bile, ma certamente possibile! Ora<br />
si consideri il nome“Sherlock Holmes,” come usato nelle storie. Il nome,<br />
così usato, si riferisce all’uomo <strong>di</strong> cui Conan Doyle non aveva mai sentito<br />
parlare? Certamente no!<br />
Èirrilevante che un nome omonimo sia usato da<br />
alcune persone, che non includono Conan Doyle, per riferirsi a quest’uomo.<br />
Dobbiamo <strong>di</strong>stinguere tra gli omonimi, così come<strong>di</strong>stingueremmo il nome<br />
<strong>di</strong> Londra (Inghilterra) dal nome omonimo <strong>di</strong> Londra (Ontario). Èfalsonel<br />
nostro mondo che il nome, “Sherlock Holmes,” come usato nelle storie, si<br />
riferisce aqualcuno. Eppure èveronelle storie che questo nome, come usato<br />
nelle storie, si riferisce a qualcuno. Così abbiamo trovato qualcosa che èvero<br />
nelle storie ma falso (secondo la nostra improbabile supposizione) in uno dei<br />
mon<strong>di</strong> in cui la trama delle storie viene messa in atto.<br />
Allo scopo <strong>di</strong> evitare questa <strong>di</strong>fficoltà, sarà utile non pensare alle opere<br />
<strong>di</strong> finzione in astratto, come una sequenza <strong>di</strong> enunciati o qualcosa <strong>di</strong> quel<br />
genere. Invece, un’opera <strong>di</strong> finzione è una storia raccontata da un narratore<br />
in una particolare occasione. Egli può raccontare le sue leggende intorno al<br />
fuoco del campo oppure può scrivere a macchina un manoscritto e mandarlo<br />
al suo e<strong>di</strong>tore, ma in ambedue i casi c’èunatto <strong>di</strong> narrazione. Atti <strong>di</strong><br />
narrazione <strong>di</strong>versi, finzioni <strong>di</strong>verse. Quando Pierre Menard ri-racconta il<br />
Don Chisciotte, quella non èlastessa opera <strong>di</strong> finzione del Don Chisciotte<br />
<strong>di</strong> Cervantes -neppure se sono nella stessa lingua e corrispondono parola<br />
per parola. 6 (Ma sarebbe stato <strong>di</strong>verso se Menard avesse copiato l’opera <strong>di</strong><br />
5 Descritto brevemente nella sua addenda a Kripke (1972); e <strong>di</strong>scusso più estesamente<br />
in una lezione non pubblicata tenuta alla University of Western Ontario nel 1973 e in altre<br />
occasioni. Le mie opinioni e quelle <strong>di</strong> Kripke coincidono in qualche misura. Anche lui<br />
sottolinea ciò cheioho chiamato l’ambiguità delprefissare e considera il narratore come<br />
impegnato a fingere. Le conclusioni che egli trae dall’osservazione in questione, tuttavia,<br />
<strong>di</strong>fferiscono ampiamente dalle mie.<br />
6 Borges (1944).
La verità nella finzione 177<br />
finzione <strong>di</strong> Cervantes a memoria; quello non sarebbe stato affatto ciò che<br />
chiamo un atto <strong>di</strong> narrazione.) Un atto <strong>di</strong> narrazione, tuttavia, potrebbe<br />
essere l’esposizione <strong>di</strong> due opere <strong>di</strong> finzione <strong>di</strong>verse: una fantasia innocua<br />
l’una, raccontata ai bambini e ai censori, e un’allegoria sovversiva l’altra<br />
raccontata ai cognoscenti.<br />
Narrare èfarfinta. Ilnarratore fa mostra <strong>di</strong> <strong>di</strong>re la veritàsuquestioni <strong>di</strong><br />
cui èaconoscenza. Fa mostra <strong>di</strong> parlare <strong>di</strong> caratteri che conosce, e ai quali<br />
si riferisce, tipicamente, per mezzo dei loro normali nomi propri. Ma se la<br />
sua storia è una finzione, non sta facendo davvero queste cose. Solitamente<br />
la sua finzione non ha la minima pretesa <strong>di</strong> ingannare qualcuno, né luiha<br />
la minima pretesa <strong>di</strong> ingannare. Non<strong>di</strong>meno egli interpreta una parte falsa,<br />
si comporta come se stesse raccontando un fatto conosciuto mentre non lo<br />
sta facendo. Questo èmassimamente evidente quando la finzione ènarrata<br />
in prima persona. Conan Doyle fece finta <strong>di</strong> essere un dottore chiamato<br />
Watson, impegnato a pubblicare delle memorie veritiere <strong>di</strong> eventi <strong>di</strong> cui egli<br />
stesso era stato testimone. Ma il caso della narrazione in terza persona non<br />
èessenzialmente <strong>di</strong>verso. L’autore fa mostra <strong>di</strong> <strong>di</strong>re la verità suquestioni<br />
che èvenutoasapere, benché comeeglisiariuscitoad esserne informato<br />
rimane non detto. Questa èlaragione per cui c’è unparadosso pragmatico<br />
simile ad una contrad<strong>di</strong>zione inuna narrazione che termina con “...e così<br />
nessuno rimase per raccontare la storia.”<br />
Imon<strong>di</strong> che dobbiamo considerare, suggerisco, sono i mon<strong>di</strong> dove l’opera<br />
<strong>di</strong> finzione ènarrata, ma come un fatto conosciuto piuttosto che come<br />
finzione. L’atto <strong>di</strong> narrazione occorre, proprio come qui nel nostro mondo;<br />
ma lì è ciò chefalsamente fa mostra <strong>di</strong> essere: <strong>di</strong>re la veritàrelativamente a<br />
questioni <strong>di</strong> cui il narratore èinformato. 7 Il nostro mondo non può essere un<br />
mondo del genere: infatti, se èveramente una finzione quella <strong>di</strong> cui stiamo<br />
7 Ci sono delle eccezioni. A volte il narratore fa mostra <strong>di</strong> proferire una mescolanza <strong>di</strong><br />
verità e<strong>di</strong>menzogna relativamente a questioni <strong>di</strong> cui èinformato,o<strong>di</strong>vaneggiare producendo<br />
una riflessione <strong>di</strong>storta degli eventi, o qualcosa del genere. Tolkien esplicitamente fa<br />
mostra <strong>di</strong> essere il traduttore eilcuratore del Libro Rosso della Marcia ad Occidente, un<br />
antico libro che èinqualche modo capitato nelle sue mani e che egli in qualche modo sa<br />
essere un resoconto fedele degli eventi. Egli non fa mostra <strong>di</strong> essere il suo autore, altrimenti<br />
non scriverebbe in inglese. (Infatti, la composizione del Libro Rosso da parte <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi<br />
hobbit èriportatanello stesso Libro Rosso.) Direi la stessa cosa <strong>di</strong> un romanzo storico<br />
in prima persona scritto in inglese in cui il narratore èungrecoantico. L’autore non fa<br />
finta <strong>di</strong> essere il vero narratore, invece fa finta <strong>di</strong> essere qualcuno del nostro tempo che in<br />
qualche modo ha ottenuto la storia del narratore greco, sa che èvera,ecelatrasmette<br />
tradotta. Anche in questi casi eccezionali, la cosa da fare èconsiderare quei mon<strong>di</strong> in cui<br />
l’atto <strong>di</strong> narrare èciòchefamostra<strong>di</strong> essere -vaneggiamenti, traduzione affidabile <strong>di</strong> una<br />
fonte affidabile, quel che sia- qui nel nostro mondo. Ometterò ogni riferimento aquesti<br />
casi eccezionali nella parte rimanente <strong>di</strong> questo saggio.
178 D. Lewis<br />
trattando, allora l’atto <strong>di</strong> narrare nel nostro mondo non era ciò chefaceva<br />
mostra <strong>di</strong> essere. Non importa se, senza che l’autore lo sappia, il nostro<br />
mondo sia uno dei mon<strong>di</strong> in cui la trama viene messa in atto. Il Sherlock<br />
Holmes della vita reale non avrebbe mo<strong>di</strong>ficato il fatto che Conan Doyle<br />
praticava una finzione, se Conan Doyle non ne aveva mai sentito parlare.<br />
(Questo Sherlock Holmes della vita reale potrebbe aver avuto il suo Watson<br />
della vita reale che raccontava delle storie vere riguardo alle avventure <strong>di</strong> cui<br />
era stato testimone. Ma anche se le sue memorie corrispondessero all’opera<br />
<strong>di</strong> finzione <strong>di</strong> Conan Doyle parola per parola non sarebbero le stesse storie,<br />
così comeilDon Chisciotte <strong>di</strong> Cervantes non èlastessa storia <strong>di</strong> Menard.<br />
Dunque il nostro non sarebbe comunque un mondo in cui le storie <strong>di</strong> Holmes<br />
-le stesse storie <strong>di</strong> Holmes che Conan Doyle ha raccontato come finzionesono<br />
state raccontate come un fatto conosciuto.) D’altra parte, ogni mondo<br />
in cui la storia èraccontata come un fatto conosciuto invece che come<br />
finzione deve essere tra i mon<strong>di</strong> in cui la trama della storia viene messa in<br />
atto. Altrimenti la sua realizzazione non potrebbe né essere nota né essere<br />
raccontata con verità.<br />
Mi baso su una nozione <strong>di</strong> identità delle storie attraverso mon<strong>di</strong>; questa<br />
èinparteuna questione <strong>di</strong> corrispondenza parola per parola e in parte una<br />
questione <strong>di</strong> identità attraverso mon<strong>di</strong> (o forse una relazione <strong>di</strong> controparte)<br />
<strong>di</strong> atti <strong>di</strong> narrazione. Qui nel nostro mondo abbiamo un’opera <strong>di</strong> finzione<br />
f, proferita in un atto <strong>di</strong> narrazione a; inqualche altro mondo abbiamo un<br />
atto a’ <strong>di</strong> <strong>di</strong>re la verità riguardoaquestioni fattuali; le storie dette in a ein<br />
a’ corrispondono parola per parola, e le parole hanno lo stesso significato.<br />
Vuol <strong>di</strong>re che nell’altro mondo f viene narrata come fatto conosciuto invece<br />
che come finzione? Non necessariamente, come mostra il caso <strong>di</strong> Menard.<br />
Èrichiestoanche che a e a’ siano lo stesso atto <strong>di</strong> narrazione (o almeno<br />
controparti). Quanto siamo messi male? Sicuramente vorrete sapere <strong>di</strong> più<br />
riguardo ai criteri <strong>di</strong> identità attraverso mon<strong>di</strong> (o alla relazione <strong>di</strong> controparte)<br />
per atti <strong>di</strong> narrazione, e lo stesso per la verità valeperme.Mapenso<br />
che abbiamo un appiglio sufficiente perché valga la pena <strong>di</strong> procedere. Non<br />
vedo nessuna minaccia <strong>di</strong> circolarità qui,inquanto non vedo alcun modo <strong>di</strong><br />
usare il concetto <strong>di</strong> verità nell’opera <strong>di</strong> finzione per aiutare ad analizzare la<br />
nozione <strong>di</strong> identità attraverso mon<strong>di</strong> degli atti <strong>di</strong> narrazione.<br />
Supponiamo che un’opera <strong>di</strong> finzione utilizzi nomi come “Sherlock Holmes.”<br />
In quei mon<strong>di</strong> in cui la stessa storia ènarrata come un fatto conosciuto<br />
invece che come una finzione, quei nomi sono veramente ciòchefanno mostra<br />
<strong>di</strong> essere: semplici nomi propri <strong>di</strong> caratteri esistenti noti al narratore. Qui<br />
nel nostro mondo, il narratore finge soltanto che “Sherlock Holmes” abbia<br />
il carattere semantico <strong>di</strong> un semplice nome proprio. Non abbiamo alcuna
La verità nella finzione 179<br />
ragione <strong>di</strong> supporre che quel nome, come viene usato qui nel nostro mondo,<br />
abbia realmente quel carattere. Dato il modo in cui lo usiamo, può essere<br />
molto <strong>di</strong>verso da un semplice nome proprio. Infatti, può avereunsenso<br />
altamente non rigido, governato in gran parte dalle descrizioni <strong>di</strong> Holmes e<br />
dei suoi atti rinvenuti nelle storie. Questo èciòchesuggerisco: il senso <strong>di</strong><br />
“Sherlock Holmes,” come noi lo usiamo, èche,perogni mondo w in cui le<br />
storie <strong>di</strong> Holmes vengono narrate come un fatto conosciuto invece che come<br />
finzione, il nome denota in w l’abitante <strong>di</strong> w, chiunque esso sia, che lì gioca<br />
il ruolo <strong>di</strong> Holmes. Parte <strong>di</strong> questo ruolo, naturalmente, èilfatto <strong>di</strong> essere il<br />
portatore del semplice nome proprio “Sherlock Holmes.” Ma questo mostra<br />
solo che “Sherlock Holmes” èusatoinw come un semplice nome proprio,<br />
non che èusatocosìqui. 8,9<br />
Suggerisco anche, con meno sicurezza, che ogni volta che un mondo w<br />
non è uno dei mon<strong>di</strong> appena considerati, il senso <strong>di</strong> “Sherlock Holmes,”<br />
come noi lo usiamo, ètaledanonassegnargli alcuna denotazione in w. È<br />
così anche se la trama dell’opera <strong>di</strong> finzione èmessa in atto dagli abitanti<strong>di</strong><br />
w. Seabbiamo ragione quando <strong>di</strong>ciamo che Conan Doyle raccontò lestorie<br />
<strong>di</strong> Holmes come finzione, allora ne segue che “Sherlock Holmes” èsenza<br />
denotazione qui nel nostro mondo. Non denota il Sherlock Holmes della<br />
vita reale <strong>di</strong> cui Conan Doyle non sentì maiparlare, se esiste.<br />
Siamo arrivati ad una proposta che chiamerò Analisi 0: Un enunciato<br />
della forma “Nell’opera <strong>di</strong> finzione f, φ” è vero sse φ è vero in ogni mondo<br />
in cui f ènarratacomeunfatto conosciuto invece che come una finzione.<br />
Ègiusto?Cisono alcuni che non si stancano mai <strong>di</strong> <strong>di</strong>rci <strong>di</strong> non leggere<br />
mai nulla in un’opera finzione che non sia lì esplicitamente, e l’Analisi 0 servirà<br />
acatturare l’uso <strong>di</strong> coloro che sono <strong>di</strong> questa opinione nella sua forma<br />
più estrema.Tuttavia, non credo affatto che quest’uso sia comune. La maggior<br />
parte <strong>di</strong> noi si accontenta <strong>di</strong> leggere un’opera <strong>di</strong> finzione relativamente<br />
8 Un trattamento assai simile dei nomi <strong>di</strong> finzione, <strong>di</strong>verso dal mio in quanto permette<br />
al significato attuale e a quello <strong>di</strong> finzione <strong>di</strong> “Sherlock Holmes” <strong>di</strong> essere lo stesso, èdato<br />
in Stalnaker (1978).<br />
9 Molti <strong>di</strong> noi non hanno mai letto le storie, non potrebbero produrre le descrizioni<br />
che governano in larga parte il senso non rigido <strong>di</strong> “Sherlock Holmes,” tuttavia usano<br />
questo nome proprio nello stesso senso del più espertoirregolare <strong>di</strong> Baker Street. Non c’è<br />
alcun problema qui. La descrizione causale <strong>di</strong> Kripke del propagarsi del significato, Kripke<br />
(1972), funzionerà altrettantobeneper i sensi non rigi<strong>di</strong> come per quelli rigi<strong>di</strong>. L’ignorante<br />
usa “Sherlock Holmes” nel suo senso non rigido standard se ha appreso il nome (nel modo<br />
giusto) da qualcuno che conosceva la descrizione che lo governa, o che lo ha appreso da<br />
qualcun’altro che conosceva ladescrizione che logoverna, o...Le dottrine dellarigi<strong>di</strong>tà<strong>di</strong><br />
Kripke non potevano essere <strong>di</strong>fese senza l’aiuto della sua dottrina della propagazione del<br />
significato; la propagazione senza rigi<strong>di</strong>tà, d’altra parte, appare non problematica.
180 D. Lewis<br />
uno sfondo <strong>di</strong> fatti noti, “leggendo nell’opera <strong>di</strong> finzione” un contenuto che<br />
non èlìesplicitamente, ma che proviene dal contenuto esplicito unito allo<br />
sfondo fattuale. L’Analisi 0 ignora lo sfondo. In questo modo ci porta a<br />
considerare troppi mon<strong>di</strong> possibili, così nell’opera <strong>di</strong> finzione non risultano<br />
vere abbastanza cose.<br />
Per esempio, io sostengo chenelle storie <strong>di</strong> Holmes, Holmes vive più vicino<br />
a Pad<strong>di</strong>ngton Station che a Waterloo Station. Uno sguardo alla cartina<br />
vi mostrerà cheilsuoin<strong>di</strong>rizzo in Baker Street èmoltopiùvicino aPad<strong>di</strong>ngton.<br />
Tuttavia, la cartina non èpartedelle storie, e per quanto ne so non<br />
èmaiasserito o implicato nelle storie stesse che Holmes vive più vicino a<br />
Pad<strong>di</strong>ngton. Ci sono mon<strong>di</strong> possibili in cui le storie <strong>di</strong> Holmes sono narrate<br />
come un fatto conosciuto invece che come finzione che <strong>di</strong>fferiscono in ogni<br />
sorta <strong>di</strong> mo<strong>di</strong> dal nostro. Tra questi ci sono mon<strong>di</strong> in cui Holmes vive in<br />
una Londra <strong>di</strong>sposta molto <strong>di</strong>versamente dalla Londra del nostro mondo,<br />
una Londra dove l’in<strong>di</strong>rizzo <strong>di</strong> Holmes in Baker Street èmoltopiùvicino a<br />
Waterloo StationcheaPad<strong>di</strong>ngton Station.<br />
(Non suppongo che una tale <strong>di</strong>storsione della geografia debba impe<strong>di</strong>re ai<br />
luoghi che negli altri mon<strong>di</strong> vengono chiamati “Londra,” “Pad<strong>di</strong>ngton Station,”<br />
...<strong>di</strong> essere gli stessi, oppure <strong>di</strong> essere controparti, dei loro omonimi<br />
reali. Ma, se mi sbaglio, questo non mette comunque in <strong>di</strong>scussione la mia<br />
affermazione che esistono mon<strong>di</strong> in cui le storie <strong>di</strong> Holmes sono narrate come<br />
un fatto conosciuto ma in cui èverocheHolmes vive più vicino a Waterloo<br />
che a Pad<strong>di</strong>ngton. In quanto èpossibile per noi considerare i nomi <strong>di</strong> luoghi,<br />
come sono usati nelle storie, come nomi <strong>di</strong> finzione con sensi non rigi<strong>di</strong> come<br />
il senso non rigido che ho già attribuito a “Sherlock Holmes.” Questo significherebbe,<br />
incidentalmente, che “Pad<strong>di</strong>ngton Station”, come usato nelle<br />
storie, non denota la stazione reale con quel nome.)<br />
Analogamente, sostengo che èvero,benchénonesplicito, nelle storie<br />
che Holmes non ha una terza narice; che non ha mai avuto un caso in cui<br />
l’assassino èrisultato essere un gnomo purpureo; che egli ha risolto i suoi<br />
casi senza l’aiuto della rivelazione <strong>di</strong>vina; che non ha mai visitato le lune<br />
<strong>di</strong> Saturno; e che indossa le mutande. Ci sono dei mon<strong>di</strong> bizzarri in cui<br />
le storie <strong>di</strong> Holmes sono narrate come un fatto conosciuto ma in cui tutte<br />
queste cose sono false.<br />
In senso stretto, èfallace sostenere delle conclusioni riguardo alla verità<br />
nell’opera <strong>di</strong> finzione sulla base <strong>di</strong> una mescolanza <strong>di</strong> verità neifatti e verità<br />
nell’opera <strong>di</strong> finzione. Da una mescolanza <strong>di</strong> premesse prefissate e non prefissate<br />
non segue nulla. Ma, in pratica, la fallacia spesso non ècosìmale. Le<br />
premesse fattuali in ragionamenti mescolati possono essere parte dello sfondo<br />
rispetto al quale leggiamo l’opera <strong>di</strong> finzione. Esse possono continuare a
La verità nella finzione 181<br />
valere nell’opera <strong>di</strong> finzione, non perché c’èqualcosa <strong>di</strong> esplicito nell’opera<br />
<strong>di</strong> finzione che le rende vere, ma piuttosto perché nonc’ènulla che le rende<br />
false. Non c’è nulla nelle storie <strong>di</strong> Holmes, ad esempio, che ci dà qualche<br />
ragione <strong>di</strong> sospendere la nostra conoscenza <strong>di</strong> sfondo dei tratti principali<br />
della geografia <strong>di</strong> Londra. Solo pochi dettagli debbono essere mo<strong>di</strong>ficati -<br />
principalmente dettagli che hanno a che fare con 221B Baker Street. Non c’è<br />
alcun bisogno <strong>di</strong> spostare le stazioni, o anche <strong>di</strong> considerare le loro posizioni<br />
una questione aperta. Ciò cheèveronella realtà riguardoalle loro posizioni<br />
èveroanche nelle storie. In questo caso non c’è alcunerrore nel sostenere<br />
sulla base <strong>di</strong> questi fatti delle conclusioni circa cos’altro èveronelle storie.<br />
La storia ènota. Il ragionamento relativo alla veritànell’opera <strong>di</strong> finzione<br />
èmoltosimile al ragionamento controfattuale. Facciamo una supposizione<br />
contraria ai fatti -e se questo fiammifero fosse stato sfregato? Nel ragionare<br />
su ciò chesarebbe successo in quella situazione controfattuale, usiamo delle<br />
premesse fattuali. Il fiammifero era secco, c’era dell’ossigeno intorno, e così<br />
via. Ma non usiamo premesse fattuali in modo completamente libero, perché<br />
alcune <strong>di</strong> esse saranno vittima del cambiamento che ci porta dalla realtà<br />
alla situazione controfattuale considerata. Non usiamo la premessa fattuale<br />
che il fiammifero era nella scatola <strong>di</strong> fiammiferi al tempo in questione, o<br />
che era atemperatura d’ambiente un secondo più tar<strong>di</strong>. Ciallontaniamo<br />
dalla realtà tantoquanto ènecessario per raggiungere un mondo possibile<br />
in cui la supposizione controfattuale <strong>di</strong>venta vera (e questo potrebbe essere<br />
assai lontano se la supposizione èfantastica). Ma non introduciamo dei<br />
cambiamenti gratuiti. Manteniamo fissi i tratti della realtà chenon devono<br />
essere mo<strong>di</strong>ficati come parte del modo meno <strong>di</strong>struttivo <strong>di</strong> rendere vera la<br />
supposizione. Possiamo ragionare con sicurezza basandoci sulla parte del<br />
nostro sfondo fattuale che ècosìtenutofisso.<br />
Aquestopunto, numerosi autori hanno trattato i con<strong>di</strong>zionali controfattuali<br />
secondo le in<strong>di</strong>cazioni che abbiamo descritto. Le <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> dettaglio<br />
tra questi trattamenti non sono importanti per i nostri scopi attuali. La mia<br />
versione 10 èlaseguente. Un controfattuale della forma “Se fosse che φ, allora<br />
sarebbe che ψ”èveroinmodononvacuossealcuni mon<strong>di</strong> possibili in cui<br />
sia φ che ψ sono veri <strong>di</strong>fferiscono meno dal mondo reale, tutto considerato,<br />
<strong>di</strong> ogni mondo in cui φ èveromaψ non èvero. Èveroinmodovacuosse<br />
φ non èvero inalcun mondo possibile. (Ometto restrizioni <strong>di</strong> accessibilità<br />
per semplicità.)<br />
Tornando alla verità nell’opera <strong>di</strong> finzione, si rammenti che il problema<br />
per l’Analisi 0 era che ignorava lo sfondo, e dunque ci portava a considerare<br />
10 Data in Lewis (1973).
182 D. Lewis<br />
mon<strong>di</strong> bizzarri che <strong>di</strong>fferivano gratuitamente dal nostro mondo reale. Un’opera<br />
<strong>di</strong> finzione richiederà generalmente un allontanamento dalla realtà, che<br />
sarà maggiore se è un’opera <strong>di</strong> finzione fantastica. Ma dobbiamo tenere<br />
l’allontanamento dalla realtà sotto controllo.<br />
Èsbagliato, o per lo meno<br />
eccentrico, leggere le storie <strong>di</strong> Holmes come se esse potessero, per quel che<br />
ne sappiamo, aver luogo in un mondo in cui degli investigatori trinariciuti<br />
vanno alla ricerca <strong>di</strong> gnomi purpurei. Il rime<strong>di</strong>o è, grosso modo, analizzare<br />
asserzioni <strong>di</strong> verità nella finzione come controfattuali. Ciò cheèveronelle<br />
storie <strong>di</strong> Sherlock Holmes èciòchesarebbe vero se quelle storie venissero<br />
raccontate come un fatto conosciuto invece che come finzione.<br />
Articolando questa proposta secondo il mio trattamento dei controfattuali,<br />
otteniamo l’Analisi 1: Un enunciato della forma “Nell’opera <strong>di</strong> finzione<br />
f, φ” è vero in modo non vacuo sse qualche mondo in cui f ènarrata<br />
come un fatto conosciuto e in cui φ è vero <strong>di</strong>fferisce meno dal mondo reale,<br />
tutto considerato, <strong>di</strong> qualsiasi mondo in cui f ènarratacome un fatto<br />
conosciuto e in cui φ non è vero. È vero in modo vacuo sse non ci sono<br />
mon<strong>di</strong> possibili in cui f ènarratacomeunfatto conosciuto. (Pospongo la<br />
considerazione del caso vacuo.)<br />
Avoltaparliamo del mondo <strong>di</strong> un’opera <strong>di</strong> finzione. Ciò cheèvero<br />
nelle storie <strong>di</strong> Holmes èciòcheèvero,così <strong>di</strong>ciamo, “nel mondo <strong>di</strong> Sherlock<br />
Holmes.” Il fatto che parliamo in questo modo dovrebbe suggerire che è<br />
giusto considerare meno mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> quelli in cui la trama delle storie èmessa<br />
in atto, e meno mon<strong>di</strong> anche <strong>di</strong> quelli in cui le storie sono narrate come un<br />
fatto conosciuto. “Nel mondo <strong>di</strong> Sherlock Holmes,” come nella realtà, Baker<br />
Street èpiùvicina a Pad<strong>di</strong>ngton Station che a Waterloo Station e non ci<br />
sono gnomi purpurei. Ma non funzionerà seguire il linguaggio or<strong>di</strong>nario fino<br />
al punto <strong>di</strong> supporre che possiamo in qualche modo selezionare uno solo dei<br />
mon<strong>di</strong> in cui le storie sono narrate come un fatto conosciuto. Il mondo <strong>di</strong><br />
Sherlock Holmes èunmondo in cui Holmes ha un numero pari o <strong>di</strong>spari<br />
<strong>di</strong> capelli sulla sua testa nel momento in cui incontra Watson per la prima<br />
volta? Qual era il gruppo sanguigno dell’ispettore Lestrade? Èassurdo<br />
supporre che queste domande sul mondo <strong>di</strong> Sherlock Holmes abbiano delle<br />
risposte. La migliore spiegazione ècheimon<strong>di</strong> <strong>di</strong> Sherlock Holmes sono<br />
<strong>di</strong>versi, e le domande hanno risposte <strong>di</strong>verse in mon<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi. Se possiamo<br />
assumere che alcuni dei mon<strong>di</strong> in cui le storie sono narrate come un fatto<br />
conosciuto <strong>di</strong>fferiscono minimamente dal nostro mondo, allora questi sono i<br />
mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> Sherlock Holmes. Ciò cheèverointutti questi mon<strong>di</strong> èveronelle<br />
storie; ciòcheèfalsointutti questi mon<strong>di</strong> èfalsonelle storie; ciò chevero<br />
in alcuni e falso in altri non ènéveronéfalsonelle storie. Qualsiasi risposta<br />
alle sciocche domande appena formulate cadrebbe senza dubbio nell’ultima
La verità nella finzione 183<br />
categoria. Èperlastessa ragione che il coro delle sorelle, dei cugini e delle<br />
zie <strong>di</strong> Sir Joseph Porter non ha una <strong>di</strong>mensione determinata: ha <strong>di</strong>mensioni<br />
<strong>di</strong>verse in mon<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi tra quelli <strong>di</strong> H.M.S Pinafore. 11<br />
Secondo l’Analisi 1,laveritàinun’opera <strong>di</strong> finzione data <strong>di</strong>pende da<br />
questioni <strong>di</strong> fatto contingenti. Non sto pensando alla remota possibilità che<br />
proprietà accidentali dell’opera <strong>di</strong> finzione potrebbero avere un ruolo nel<br />
determinare quali sono i mon<strong>di</strong> in cui l’opera <strong>di</strong> finzione ènarrata come fatto<br />
conosciuto. Piuttosto, è una questione contingente quali <strong>di</strong> questi mon<strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>fferiscono <strong>di</strong> più dalnostroequali meno, e quali (se ci sono) <strong>di</strong>fferiscono<br />
minimamente. La ragione <strong>di</strong> questo ècheèunfatto contingente -infatti, è il<br />
fatto contingente dal quale tutti gli altri <strong>di</strong>pendono- quale mondo possibile<br />
èilnostromondo reale. Nella misura in cui il carattere del nostro mondo<br />
si estende anche ai mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> Sherlock Holmes, ciò cheèveronelle storie<br />
<strong>di</strong>pende da com’è ilnostromondo. Se le stazioni <strong>di</strong> Londra avessero avuto<br />
una posizione <strong>di</strong>fferente, potrebbe essere stato vero nelle storie (e non perché<br />
le storie potrebbero essere state <strong>di</strong>verse) che Holmes viveva più vicino a<br />
Waterloo StationcheaPad<strong>di</strong>ngton Station.<br />
Questa contingenza non èproblematicaquando la verità nell’opera <strong>di</strong><br />
finzione <strong>di</strong>pende da fatti contingenti ben noti relativi al nostro mondo, come<br />
accade negli esempi che ho fatto fino a questo punto per motivare l’Analisi<br />
1. Èpiùproblematicaselaveritànell’opera <strong>di</strong> finzione risulta <strong>di</strong>pendere da<br />
fatti contingenti che non sono ben noti. In un articolo che presenta dei fatti<br />
poco noti sul movimento dei serpenti, Carl Gans ha argomentato così:<br />
Nell’“Avventura della fascia maculata” Sherlock Holmes risolve<br />
un caso <strong>di</strong> omici<strong>di</strong>o mostrando che la vittima èstata uccisa<br />
da una vipera <strong>di</strong> Russell che si èarrampicata sulla corda <strong>di</strong> un<br />
campanello. Ciò<strong>di</strong>cuiHolmes non si era reso conto era che la vipera<br />
<strong>di</strong> Russell non èuncostrittore. Questo serpente èpertanto<br />
incapace <strong>di</strong> movimenti a fisarmonica e non poteva essersi arrampicato<br />
sulla corda. O il serpente ha raggiunto la sua vittima in<br />
qualche altro modo o il caso rimane aperto. 12<br />
Possiamo ben <strong>di</strong>sapprovare questo modo <strong>di</strong> ragionare. Ma, se l’Analisi 1 è<br />
11 Heinz (op. cit.) <strong>di</strong>ssente; egli suppone che per ogni opera <strong>di</strong> finzione ci sia un singolo<br />
mondo da considerare, ma un mondo che èinindeterminato per alcuni aspetti. Non<br />
so come intendere un mondo indeterminato, a meno che non lo consideri come una sovrapposizione<br />
<strong>di</strong> tutti i mo<strong>di</strong> possibili <strong>di</strong> risolvere l’indeterminatezza -o, in un linguaggio<br />
più semplice, come un insieme <strong>di</strong> mon<strong>di</strong> determinati che <strong>di</strong>fferiscono per gli aspetti in<br />
questione.<br />
12 Gans (1970).
184 D. Lewis<br />
corretta, lo èanche l’argomento <strong>di</strong> Gans. La storia non <strong>di</strong>ce mai esplicitamente<br />
che Holmes aveva ragione a sostenere che il serpente si èarrampicato<br />
sulla corda. Dunque ci sono dei mon<strong>di</strong> in cui le storie <strong>di</strong> Holmes sono narrate<br />
come un fatto conosciuto in cui il serpente ha raggiunto la vittima in qualche<br />
altro modo, e in cui quin<strong>di</strong> Holmes ha fatto un pasticcio. Presumibilmente<br />
alcuni <strong>di</strong> questi mon<strong>di</strong> <strong>di</strong>fferiscono meno dal nostro dei loro rivali in cui Holmes<br />
aveva ragione e la vipera <strong>di</strong> Russell ècapace <strong>di</strong> salire su una corda con<br />
un movimento afisarmonica. L’infallibilità <strong>di</strong>Holmes,naturalmente, non<br />
è una somiglianza con la realtà checompensa questa <strong>di</strong>fferenza; il nostro<br />
mondo non contiene alcun Holmes infallibile .<br />
La psicoanalisi dei caratteri <strong>di</strong> finzione fornisce un esempio più importante.<br />
Il critico usa (ciò cheeglicrede che siano) dei fatti poco noti della<br />
psicologia umana come premesse, e arriva ragionando a conclusioni che sono<br />
lungi dall’essere ovvie riguardo all’infanzia o allo stato mentale adulto del<br />
carattere <strong>di</strong> finzione. Secondo l’Analisi 1 la sua procedura ègiustificata.<br />
Amenocheconsiderazioni che spingono in <strong>di</strong>rezione opposta possano essere<br />
scoperte, considerare mon<strong>di</strong> in cui fatti poco noti della psicologia non<br />
valgono sarebbe un allontanamento gratuito dalla realtà.<br />
La psicoanalisi dei caratteri <strong>di</strong> finzione ha sollevato delle forti obiezioni.<br />
Lo stesso varrebbe per l’argomento <strong>di</strong> Gans, se importasse a qualcuno. Mi<br />
manterrò neutraleriguardoaqueste <strong>di</strong>spute, e cercherò <strong>di</strong>provvedere ai<br />
bisogni <strong>di</strong> tutte e due le parti. L’Analisi 1, o qualcosa <strong>di</strong> simile ad essa,<br />
dovrebbe catturare l’uso <strong>di</strong> Gans e degli psicoanalisti letterari. Ve<strong>di</strong>amo <strong>di</strong><br />
trovare un’analisi alternativa che contrasta con questa che catturi l’uso dei<br />
loro oppositori. Non cercherò <strong>di</strong><strong>di</strong>requale uso è<strong>di</strong>maggiore utilità per<br />
apprezzare le opere <strong>di</strong> finzione e la comprensione critica.<br />
Supponiamo <strong>di</strong> decidere, contra Gans e gli psicoanalisti letterari, che<br />
fatti poco noti o sconosciuti relativi al nostro mondo sono irrilevanti per la<br />
verità nell’opera <strong>di</strong> finzione. Ma non ritorniamo all’analisi 0; non èlanostra<br />
sola alternativa. Continuiamo a riconoscere che èperfettamente legittimo<br />
arrivare ragionando alla verità nell’opera <strong>di</strong> finzione partendo da uno sfondo<br />
<strong>di</strong> fatti ben noti.<br />
Devono veramente essere fatti? Sembra che,sefatti poco noti o sconosciuti<br />
sono irrilevanti, lo stesso vale per errori poco noti o sconosciuti nel<br />
corpus <strong>di</strong> opinioni con<strong>di</strong>vise che sono generalmente prese per fatti. Pensiamo<br />
<strong>di</strong> sapere tutti che non ci sono gnomi purpurei, ma e se ce ne sono<br />
realmente alcuni, sconosciuti a tutti tranne che a se stessi, che vivono in<br />
una capanna isolata vicino al Loch Ness? Una volta che mettiamo da parte<br />
l’uso dato dall’Analisi 1, pare chiaro che, per quanto ci possano essere degli<br />
gnomi purpurei nascosti in angoli sperduti del nostro mondo reale, conti-
La verità nella finzione 185<br />
nua a non essercene nessuno nei mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> Sherlock Holmes. Siamo passati<br />
aconsiderare la verità nell’opera <strong>di</strong> finzione come il prodotto comune del<br />
contenuto esplicito e <strong>di</strong> uno sfondo <strong>di</strong> credenze generalmente prevalenti.<br />
Le nostre credenze? Penso <strong>di</strong> no. Questo significherebbe che ciò cheè<br />
vero in un’opera <strong>di</strong> finzione cambia costantemente. Gans potrebbe non ancora<br />
aver ragione, ma alla fine finirebbe per aver ragione riguardo all’errore<br />
<strong>di</strong> Holmes se un numero sufficiente <strong>di</strong> persone leggesse il suo articolo e imparasse<br />
che la vipera <strong>di</strong> Russell non poteva arrampicarsi su una corda. Qualora<br />
la geografia della Londra vittoriana venisse infine <strong>di</strong>menticata, smetterebbe<br />
<strong>di</strong> essere vero che Holmes viveva più vicino aPad<strong>di</strong>ngton che a Waterloo.<br />
Strano a <strong>di</strong>rsi, lo stu<strong>di</strong>oso <strong>di</strong> storia non sarebbe messo meglio <strong>di</strong> un lettore<br />
non specialista ignorante per sapere ciò cheèveronelle opere <strong>di</strong> finzione del<br />
periodo <strong>di</strong> cui si occupa. Questo non può essere giusto. Ciò cheeraveroin<br />
un’opera <strong>di</strong> finzione quando èstata narrata per la prima volta èveroinessa<br />
per sempre.<br />
Èlanostraconoscenza <strong>di</strong> ciò cheèvero nell’opera <strong>di</strong> finzione<br />
che può aumentareo<strong>di</strong>minuire.<br />
Lo sfondo appropriato, dunque, consiste nelle credenze che generalmente<br />
prevalevano nella comunità incuil’opera <strong>di</strong> finzione ha avuto origine: le<br />
credenze dell’autore e del suo pubblico inteso. E infatti le premesse fattuali<br />
che ci parevano accettabili nel ragionare su Sherlock Holmes erano generalmente<br />
credute nella comunità <strong>di</strong>originedelle storie. Ognuno sapeva grosso<br />
modo dov’erano le principali stazioni <strong>di</strong> Londra, ognuno credeva che non<br />
esistessero gnomi purpurei, e via <strong>di</strong>cendo.<br />
Un’ultima complicazione. Supponete che Conan Doyle credesse segretamente<br />
negli gnomi purpurei; pensando che la sua credenza in loro non<br />
fosse con<strong>di</strong>visa da nessuno, egli la tenne accuratamente per sè pertimore<br />
<strong>di</strong> essere ri<strong>di</strong>colizzato. In particolare, egli non lasciò alcuna traccia <strong>di</strong> questa<br />
credenza nelle sue storie. Supponete inoltre che alcuni dei suoi lettori<br />
originali analogamente credessero segretamente negli gnomi purpurei, e che<br />
ciascuno <strong>di</strong> loro pensasse che la propria credenza segreta non fosse con<strong>di</strong>visa<br />
da nessun altro. Allora èchiaro(nella misura in cui qualcosa èchiaroinuna<br />
situazione così strana) che la credenza negli gnomi purpurei non “prevale<br />
generalmente” proprio nel modo corretto, e che continuano a non esserci<br />
gnomi purpurei nei mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> Sherlock Holmes. Diciamo che una credenza<br />
è esplicita in una comunità inuncerto momento sse più omenotutti<br />
la con<strong>di</strong>vidono, più omenotutti pensano chepiù omenotutti gli altri la<br />
con<strong>di</strong>vidono, e via <strong>di</strong>cendo. 13 Lo sfondo appropriato, possiamo concludere,<br />
13 Una definizione migliore <strong>di</strong> credenza esplicita, sotto il nome <strong>di</strong> “conoscenza comune,”<br />
èrinvenibile in Lewis (1969), pagg. 52-60. Il nome era inadatto, perché nonc’ènessuna
186 D. Lewis<br />
comprende le credenze che sono esplicite nella comunità <strong>di</strong>origine dell’opera<br />
<strong>di</strong> finzione.<br />
Si assuma, come idealizzazione, che le credenze esplicite in una comunità<br />
siano ciascuna una credenza possibile e unitamente compossibili. Allora possiamo<br />
assegnare alla comunitàuninsieme <strong>di</strong> mon<strong>di</strong> possibili, detti i mon<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />
credenza collettiva della comunità, che comprende esattamente quei mon<strong>di</strong><br />
in cui le credenze esplicite sono tutte vere. Soltanto se la comunitàè eccezionalmente<br />
fortunata il mondo attuale apparterrà aquestoinsieme. Infatti,<br />
il mondo attuale determina i mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> credenza collettiva della comunità<br />
<strong>di</strong> origine dell’opera <strong>di</strong> finzione e poi viene emarginato dall’analisi. ( Ènaturalmente<br />
una questione contingente qual èlacomunità ecosasi crede<br />
esplicitamente in essa.) Restiamo con due insiemi <strong>di</strong> mon<strong>di</strong>: i mon<strong>di</strong> in cui<br />
l’opera <strong>di</strong> finzione ènarrata come un fatto conosciuto, e i mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> credenza<br />
collettiva della comunità <strong>di</strong>origine. Il primo insieme ci dà ilcontenuto<br />
dell’opera <strong>di</strong> finzione; il secondo ci dà losfondo <strong>di</strong> credenze prevalenti.<br />
Sarebbe un errore considerare semplicemente i mon<strong>di</strong> che appartengono<br />
ad ambedue gli insiemi. Di solito, le opere <strong>di</strong> finzione contravvengono<br />
ad almeno alcune delle credenze esplicite della comunità. Posso certamente<br />
raccontare una storia in cui ci sono gnomi purpurei, benché noncenesiano<br />
nei nostri mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> credenza collettiva. Inoltre, <strong>di</strong> solito sarà esplicitamente<br />
creduto nella comunità <strong>di</strong>origine dell’opera <strong>di</strong> finzione che la storia non è<br />
narrata come un fatto conosciuto -i narratori raramente ingannano- dunque<br />
nessuno dei mon<strong>di</strong> in cui l’opera <strong>di</strong> finzione ènarrata come un fatto conosciuto<br />
può essere un mondo <strong>di</strong> credenza collettiva della comunità. Anche se<br />
i due insiemi si sovrappongono (la finzione èplausibile e l’autore la spaccia<br />
per un fatto) i mon<strong>di</strong> che appartengono ad ambedue gli insiemi sono destinati<br />
ad essere speciali in mo<strong>di</strong> che non hanno niente a che fare con ciò cheè<br />
vero nell’opera <strong>di</strong> finzione. Supponete che la storia racconti una rapina fallita<br />
<strong>di</strong>recente, e supponete che termini nel momento in cui la polizia arriva<br />
sulla scena. Qualsiasi nostro mondo <strong>di</strong> credenza collettiva in cui la storia è<br />
narrata come un fatto conosciuto èunmondo in cui la rapinaèstata tenuta<br />
nascosta con successo; perché è una credenza esplicita tra noi che nessuna<br />
rapina del genere èmaistata riportata dai giornali. Questo non rende vero<br />
nella storia che la rapina èstata tenuta nascosta.<br />
Ciò<strong>di</strong>cuiabbiamo bisogno è un’analisi simile a quella in 1, ma applicata<br />
dal punto <strong>di</strong> vista dei mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> credenza collettiva invece che dal punto <strong>di</strong><br />
vista del mondo attuale. Ciò cheèveronelle storie <strong>di</strong> Sherlock Holmes èciò<br />
garanzia che si tratterà <strong>di</strong>conoscenza, o che sarà vera. Ve<strong>di</strong> anche la <strong>di</strong>scussione della<br />
“conoscenza reciproca ∗ ”inSchiffer (1972).
La verità nella finzione 187<br />
che sarebbe vero, secondo le credenze esplicite nella comunità <strong>di</strong>origine,se<br />
le storie fossero narrate come un fatto conosciuto invece che come finzione.<br />
Formuliamo esplicitamente questa analisi come Analisi 2: Un enunciato<br />
della forma “Nell’opera <strong>di</strong> finzione f, φ” è vero in modo non vacuo sse, ogni<br />
volta che w èunodeimon<strong>di</strong> <strong>di</strong> credenza collettiva della comunità <strong>di</strong>origine<br />
<strong>di</strong> f, alloraqualche mondo in cui f ènarratacomeunfatto conosciuto e in<br />
cui φ è vero <strong>di</strong>fferisce meno dal mondo reale, tutto considerato, <strong>di</strong> qualsiasi<br />
mondo in cui f ènarratacomeun fatto conosciuto e in cui φ non è vero.<br />
È vero in modo vacuosse non ci sono mon<strong>di</strong> possibili in cui f ènarrata<br />
come un fatto conosciuto.<br />
È l’Analisi 2 , o qualcosa <strong>di</strong> simile, che offro agli<br />
oppositori <strong>di</strong> Gans e degli psicoanalisti letterari.<br />
Considereròbrevementedue aree <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltàrimanentiedescriveròdelle<br />
strategie per trattare questi problemi. Non proporrò una versione migliorata<br />
dell’analisi, tuttavia; in parte perché non so con sicurezza quali cambiamenti<br />
introdurre, in parte perché l’Analisi 2 ègiàcomplicata abbastanza.<br />
Ho detto che la verità nell’opera <strong>di</strong> finzione èilprodotto comune <strong>di</strong><br />
due fonti: il contenuto esplicito dell’opera <strong>di</strong> finzione, e uno sfondo che<br />
consiste o in fatti relativi al nostro mondo (Analisi 1) o in credenze esplicite<br />
nella comunità <strong>di</strong>origine(Analisi 2). Forse c’è una terza fonte che dà un<br />
contributo ulteriore: ere<strong>di</strong>tà <strong>di</strong>altreverità nelle opere <strong>di</strong> finzione. Ci sono<br />
due casi: il caso intra-finzionale e il caso inter-finzionale.<br />
Nell’Opera da tre sol<strong>di</strong>, icaratteri principali sono una cricca infida. Essi<br />
tra<strong>di</strong>scono continuamente l’un l’altro, per guadagno o per sfuggire al pericolo.<br />
C’è anche un cantore <strong>di</strong> strada. Compare, canta la ballata <strong>di</strong> Mackie<br />
Messer, e si fa gli affari suoi senza tra<strong>di</strong>re nessuno.<br />
Èanche lui un in<strong>di</strong>viduo<br />
infido? Il contenuto esplicito non lo rende tale. Le persone reali non sono<br />
così tanto infide, e anche nella Germania <strong>di</strong> Weimar non era esplicitamente<br />
creduto che lo fossero, dunque neppure lo sfondo lo rende tale. Eppure ci<br />
sono delle ragioni abbastanza buone per <strong>di</strong>re che egli èinfido: nell’Opera da<br />
tre sol<strong>di</strong> le persone sono così. Nei mon<strong>di</strong> dell’Opera da tre sol<strong>di</strong>, ogni in<strong>di</strong>viduo<br />
messo alla prova risulta infido, il cantore <strong>di</strong> strada èlìcongli altri,<br />
dunque senza dubbio anche lui risulterebbe infido se lo vedessimo <strong>di</strong> più. La<br />
sua natura infida è un’ere<strong>di</strong>tà intra-finzionale delle nature infide nella storia<br />
<strong>di</strong> Macheath, Polly, Tiger Brown, e del resto.<br />
Supponete che io scriva una storia sul drago Scrulch, una bellissima principessa,<br />
e un prode cavaliere, e via <strong>di</strong>cendo. Èunesempioperfettamente<br />
tipico del suo genere stilistico, eccetto che non <strong>di</strong>co mai che Scrulch vomita<br />
fiamme. Vomita fiamme comunque nella mia storia? Forse sì, dal momento<br />
che i draghi in questo tipo <strong>di</strong> storia vomitano fiamme. Ma il contenuto esplicito<br />
non lo fa vomitare fiamme. E neppure lo sfondo, dal momento che in
188 D. Lewis<br />
realtà esecondo le nostre credenze non esistono animali che vomitano fiamme.<br />
(Potrebbe semplicemente essere analitico che non si èundrago senza<br />
vomitare fiamme. Ma supponete che non abbiamo mai chiamato Scrulch<br />
drago; glihosemplicemente fornito tutti gli attributi standard dei draghi<br />
eccetto per il vomitare fiamme.) Se Scrulch vomita fiamme nella mia storia,<br />
èperun’ere<strong>di</strong>tà inter-finzionale <strong>di</strong> ciò cheèverodei draghi nelle altre storie.<br />
Ho parlato delle storie <strong>di</strong> Holmes <strong>di</strong> Conan Doyle; ma molti altri autori<br />
hanno scritto delle storie <strong>di</strong> Holmes. Queste storie avrebbero poco senso<br />
senza ere<strong>di</strong>tà inter-finzionali. Sicuramente in queste storie satellite molte<br />
cose sono vere non a causa del contenuto esplicito della storia satellite stessa,<br />
enonperchéesse sono parte dello sfondo, ma piuttosto perché esse sono<br />
ere<strong>di</strong>tà dalle storie <strong>di</strong> Holmes originali <strong>di</strong> Conan Doyle. Analogamente, se<br />
invece <strong>di</strong> chiedere ciò cheèvero nell’intero corpus delle storie <strong>di</strong> Holmes<br />
<strong>di</strong> Conan Doyle chie<strong>di</strong>amo ciò cheèvero in“Il Mastino dei Baskerville,”<br />
troveremo senza dubbio molte cose che sono vere nella storia soltanto in<br />
virtù <strong>di</strong>ere<strong>di</strong>tàdalle altre storie <strong>di</strong> Holmes <strong>di</strong> Conan Doyle.<br />
Veniamo infine alle verità vacue nelle opere <strong>di</strong> finzione impossibili. Si<br />
chiami un’opera <strong>di</strong> finzione impossibile se non c’è unmondo in cui ènarrata<br />
come un fatto conosciuto invece che come una finzione. Questo potrebbe<br />
accadere nell’uno o nell’altro <strong>di</strong> due mo<strong>di</strong>. Primo, la trama potrebbe essere<br />
impossibile. Una trama possibile potrebbe implicare che non possa esserci<br />
nessuno in grado <strong>di</strong> conoscere o narrare gli eventi in questione. Se un’opera<br />
<strong>di</strong> finzione èimpossibile nel secondo modo, allora narrarla come un fatto<br />
conosciuto vorrebbe <strong>di</strong>re conoscere la sua veritàenarrare con veritàqualcosa<br />
che implica che la sua verità nonpossa essere conosciuta; che èimpossibile.<br />
Secondo tutte e tre le mie analisi, qualsiasi cosa èvacuamenteverain<br />
un’opera <strong>di</strong> finzione impossibile. Questo sembra del tutto sod<strong>di</strong>sfacente se<br />
l’impossibilitàèmanifesta:sestiamo trattando <strong>di</strong> una fantasia sui guai <strong>di</strong> un<br />
uomo che ha quadrato il cerchio, o con il tipo peggiore <strong>di</strong> storia incoerente<br />
<strong>di</strong> un viaggio nel tempo. Non dovremmo aspettarci <strong>di</strong> avere un concetto<br />
<strong>di</strong> verità non banale nelle opere <strong>di</strong> finzione manifestamente impossibili, o<br />
forse dovremmo aspettarci <strong>di</strong> averne uno suggerendo -cosa da non prendere<br />
troppo seriamente- che ci siano mon<strong>di</strong> possibili impossibili così comecisono<br />
mon<strong>di</strong> possibili possibili.<br />
Ma cosa dovremmo fare quando un’opera <strong>di</strong> finzione non èmanifestamente<br />
impossibile, ma èimpossibile solo perché l’autore èstato sbadato?<br />
Ho parlato <strong>di</strong> verità nelle storie <strong>di</strong> Sherlock Holmes. In senso stretto, queste<br />
(prese tutte insieme) sono un’opera <strong>di</strong> finzione impossibile. Conan Doyle ha<br />
contraddetto se stesso da una storia all’altra circa la posizione della vecchia<br />
ferita <strong>di</strong> guerra <strong>di</strong> Watson. Eppure, non voglio <strong>di</strong>re che qualsiasi cosa sia
La verità nella finzione 189<br />
vera nelle storie <strong>di</strong> Holmes!<br />
Suppongo che potremmo procedere in due passi per <strong>di</strong>re ciò cheèvero<br />
in un’opera <strong>di</strong> finzione venialmente impossibile come le storie <strong>di</strong> Sherlock<br />
Holmes. In primo luogo, passiamo dall’opera <strong>di</strong> finzione impossibile originale<br />
alle numerosi versioni rivedute possibili che sono più vicine all’originale. Poi<br />
<strong>di</strong>ciamo che ciò cheèvero nell’originale èciòcheèvero,secondo una delle<br />
nostre analisi <strong>di</strong> ciò cheèveroinmodononvacuo nelle opere <strong>di</strong> finzione, in<br />
tutte queste versioni rivedute. Allora nulla <strong>di</strong> definito sarà veronelle storie<br />
<strong>di</strong> Holmes circa l’ubicazione della ferita <strong>di</strong> Watson. Dal momento che Conan<br />
Doyle l’ha messa in posti <strong>di</strong>versi, le <strong>di</strong>verse versioni rivedute <strong>di</strong>fferiranno.<br />
Ma almeno sarà veronelle storie che Watson fu ferito in un punto <strong>di</strong>verso<br />
dal suo alluce sinistro. Conan Doyle ha messo la ferita in posti <strong>di</strong>versi,<br />
ma mai lì. Dunque nessuna versione riveduta metterà laferita nell’alluce<br />
sinistro, perché questocambierebbe la storia più <strong>di</strong>quantoèrichiesto dalla<br />
consistenza.<br />
Le versioni rivedute, come l’opera <strong>di</strong> finzione originale, saranno associate<br />
ad atti <strong>di</strong> narrazione. Le versioni rivedute, a <strong>di</strong>fferenza della versione originale,<br />
non saranno narrate nella realtà comefinzioni o come fatti conosciuti.<br />
Ma ci sono mon<strong>di</strong> in cui sono narrate come finzioni, e mon<strong>di</strong> in cui sono<br />
narrate come atti conosciuti.<br />
Anche quando l’opera <strong>di</strong> finzione originale non èdeltutto impossibile,<br />
ci sono dei casi in cui sarebbe meglio considerare non la verità nell’opera <strong>di</strong><br />
finzione originale ma invece la verità intutte le versioni appropriatamente<br />
rivedute. Abbiamo un romanzo in tre volumi ambientato nel 1878. Appren<strong>di</strong>amo<br />
nel primo volume che il nostro eroe ha pranzato a Glasgow un<br />
certo giorno. Nel terzo volume risulta che egli ècomparsoaLondra quello<br />
stesso pomeriggio. Quanto al resto questo romanzo non sembra essere<br />
una fantasia <strong>di</strong> transito veloce. L’autore èstato semplicemente inaccurato.<br />
Potremmo applicare le nostre analisi al romanzo così comeèstato scritto<br />
senza rischio <strong>di</strong> vacuità. Dal momento che i mon<strong>di</strong> in cui ènarrato come un<br />
fatto conosciuto sono mon<strong>di</strong> con mezzi <strong>di</strong> trasporto stupefacenti, il risultato<br />
sorprenderebbe chiunque -come il nostro autore sbadato, per esempio- non<br />
si èpreoccupato <strong>di</strong> calcolare concuragli orari dei movimenti del nostro<br />
eroe. Sarebbe più caritatevole applicare le analisi non alla storia originale<br />
ma invece alle versioni minimamente rivedute che rendono i movimenti<br />
dell’eroe possibili con i mezzi <strong>di</strong> trasporto che erano <strong>di</strong>sponibili nel 1878.<br />
Almeno, questa sarebbe la cosa migliore se ci fossero dei mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> fissare gli<br />
orari nel modo giusto senza fare dei cambiamenti fondamentali nella trama.<br />
Potrebbero non esserci, e in quel caso forse la verità nella versione originale<br />
-per quanto parte <strong>di</strong> essa possa essere sorprendente- èilmeglio che possiamo
avere.<br />
Riferimenti<br />
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Buenos Aires, 1944. Traduzione inglese, New York: Grove, 1964.<br />
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Massachusetts, 1973.<br />
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Philosophy, 71:561–80, 1974.<br />
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Stu<strong>di</strong>en, 1:73–86, 1975.<br />
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e<strong>di</strong>tor, Bertrand Russell: Philosopher of the Century. Allen & Unwin,<br />
London, 1967.<br />
Robert C. Stalnaker. Assertion. In Peter Cole, e<strong>di</strong>tor, Syntax and Semantics,<br />
volume 9. Academic Press, London, 1978.
Imeccanismi della<br />
generazione<br />
K. L. Walton<br />
1 I principi della generazione<br />
Come deci<strong>di</strong>amo cos’è partedella finzione in una data rappresentazione?<br />
Come tutti sappiamo, l’interpretazione, anche a questo livello elementare è<br />
spesso incerta e soggetta a <strong>di</strong>scussione. Èpartedella finzione che Amleto<br />
soffre <strong>di</strong> un senso <strong>di</strong> colpa e<strong>di</strong>pico? Èpartedella finzione che Macbeth vede<br />
veramente unpugnale oppure il pugnale èsemplicemente una sua allucinazione?<br />
Qual è, dal punto <strong>di</strong> vista della finzione, l’espressione <strong>di</strong> Monna<br />
Lisa?<br />
Le rappresentazioni generano delle verità <strong>di</strong>finzione per mezzo dei loro<br />
tratti -i segni sulla superficie <strong>di</strong> un <strong>di</strong>pinto, le parole <strong>di</strong> un romanzo, gli<br />
avvenimenti su un palcoscenico durante l’esecuzione <strong>di</strong> un lavoro teatralesecondo<br />
i principi <strong>di</strong> generazione che si possono applicare. Alcuni <strong>di</strong>ssensi su<br />
ciòcheèpartedella finzione derivano dal fatto che una persona trascura certi<br />
tratti cruciali, e a volte questi <strong>di</strong>ssensi vengono risolti se glieli si fa notare.<br />
Ma molti <strong>di</strong>ssensi persistono. Non èperchéqualcuno ha trascurato alcune<br />
parole nella trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Shakespeare che l’e<strong>di</strong>picità <strong>di</strong>Amletoèoggetto <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>scussione. C’è incertezza e <strong>di</strong>saccordo, in molti casi, su quali principi <strong>di</strong><br />
generazione sono applicabili a una data opera.<br />
In questo capitolo osserveremo, per quanto ci èpossibile, i principi <strong>di</strong><br />
generazione all’opera in <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> rappresentazioni. Il mio scopo non è<br />
<strong>di</strong> risolvere delle questioni interpretative particolari; molte <strong>di</strong> esse non ammettono<br />
in ogni caso una risoluzione definitiva. Ma possiamo sperare <strong>di</strong><br />
Titolo originale: “The Mechanics of Generation,” capitolo 4 <strong>di</strong> K. L. Walton (1990)<br />
Mimesis and Make-Believe, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, 138-<br />
187. Traduzione <strong>di</strong> Sandro Zucchi.<br />
191
192 K. L. Walton<br />
migliorare la nostra comprensione delle <strong>di</strong>scussioni chiarendo i principi su<br />
cui si basano le asserzioni interpretative in conflitto. Oltre a questo, vogliamo<br />
capire come le forme particolari che l’apparato <strong>di</strong> generazione assume si<br />
accordano con la concezione che sto sviluppando della natura complessiva<br />
dell’istituzione della rappresentazione. Questo comporterà nonsoloosservare<br />
quali principi <strong>di</strong> generazione sono all’opera ma anche riflettere sul perché<br />
iprincipi<strong>di</strong>generazionesonoquestienonaltri.<br />
Icritici e il pubblico raramente hanno in mente dei principi definiti ed<br />
espliciti, anche quando sono sicuri <strong>di</strong> quali verità <strong>di</strong>finzione genera un’opera;<br />
e gli artisti non consultano delle formule per plasmare le loro opere<br />
in modo tale da fargli generare le verità <strong>di</strong>finzione che vogliono che siano<br />
generate. Spesso siamo semplicemente colpiti dal fatto che, date le parole<br />
in un romanzo o i colori su un pezzo <strong>di</strong> tela, la cosa tal dei tali èparte<br />
dell’opera <strong>di</strong> finzione. Nella misura in cui abbiamo delle ragioni, ciò dacui<br />
siamo guidati consciamente è una collezione variegata <strong>di</strong> considerazioni particolari<br />
che sembrano in qualche modo ragionevoli in questo o quest’altro<br />
caso specifico.<br />
Ma le regole possono operare sotto la superficie, e la <strong>di</strong>versitàsuperficiale<br />
avoltenasconde un or<strong>di</strong>ne sottostante. C’èunmodorelativamente semplice<br />
esistematico <strong>di</strong> capire come le verità <strong>di</strong>finzione vengono generate? C’è un<br />
numero limitato <strong>di</strong> principi assai generali che governano implicitamente la<br />
pratica <strong>di</strong> artisti e critici? Dubito che un critico esperto considererà questa<br />
una possibilità concreta. Io non penso che sia una possibilità concreta. Ma<br />
alcuni stu<strong>di</strong>osi hanno cercato principi generali <strong>di</strong> questo genere e hanno<br />
tentato <strong>di</strong> suggerire quali potrebbero essere. 1 (Sullo sfondo ci sono delle<br />
preoccupazioni riguardo a come possa esserci perfino l’accordo che c’è. Come<br />
potremmo estrarre delle verità <strong>di</strong>finzione da opere nuove con la confidenza<br />
che abbiamo in molti casi, senza che ci sia a qualche livello una relazione<br />
ragionevolmente semplice tra i tratti dell’opera e le verità <strong>di</strong>finzione?). Il<br />
nostro esame <strong>di</strong> questi suggerimenti rinforzerà ilsospetto che la ricerca è<br />
vana, e genererà unrispetto salutare per la complessità ela sottigliezza dei<br />
mezzi con cui le verità <strong>di</strong>finzione sono generate.<br />
Le osservazioni <strong>di</strong> questo capitolo non devonoessere costruite come contributi<br />
per comprendere la natura dell’essere <strong>di</strong> finzione, per comprendere<br />
ciò cheèrichiesto affinché una proposizione sia <strong>di</strong> finzione. Abbiamo già<br />
trattato questa questione. L’essere <strong>di</strong> finzione <strong>di</strong> una proposizione consiste<br />
1 “Quali stati <strong>di</strong> cose devono essere considerati parte <strong>di</strong> un’opera d’arte data?. . . Nel cercare<br />
<strong>di</strong> trovare una risposta a questa domanda cercherò una regola generale, un principio.”<br />
Wolterstorff (1980).
Imeccanismi della generazione 193<br />
nella prescrizione <strong>di</strong> immaginarla. Il nostro interesse attuale ènei mezzi<br />
con cui una tale prescrizione viene effettuata, l’apparato dei vari generi <strong>di</strong><br />
rappresentazione che ci sono noti per generare verità <strong>di</strong>finzione. Una cosa<br />
èspiegarecosavuol<strong>di</strong>resegnalare una svolta a sinistra, una cosa del tutto<br />
<strong>di</strong>versa èosservarecome,inunparticolare contesto culturale, si giunge a farlo.<br />
Il nostro compito attuale èanalogo a quest’ultimo. Nella nostra società<br />
si può segnalareuna svolta a sinistra sia attivando delle luci intermittenti<br />
opportunamente posizionate che allungando il braccio sinistro. Potrebbero<br />
esserci delle convenzioni per cui i segnali <strong>di</strong> svolta a sinistra -nello stesso<br />
senso- vengono effettuati gettando dei palloncini rossi in strada o abbaiando<br />
come un cane. I mezzi contingenti con cui le verità <strong>di</strong>finzione sono generate<br />
in un contesto sociale o nell’altro non comportano alcuna conseguenza per<br />
ciò chevuol<strong>di</strong>re per una proposizione essere <strong>di</strong> finzione. Sospetto che l’aver<br />
mancato <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere le due cose con chiarezza abbia incoraggiato la futile<br />
speranza che ci sia, cheinqualchemodocidebbaessere,unmodosemplice<br />
esistematico <strong>di</strong> comprendere i meccanismi della generazione.<br />
Benché lanostraattenzione attuale sia concentrata sulla generazione<br />
delle verità <strong>di</strong>finzione, dobbiamo tenere presente che l’interesse e la significatività<br />
delle opere d’arte rappresentazionali non risiede solo in esse. Il<br />
critico e il pubblico devono essere sensibile ai tratti <strong>di</strong> un’opera -all’aspetto<br />
<strong>di</strong> un certo <strong>di</strong>pinto, al suono <strong>di</strong> un poema- in<strong>di</strong>pendentemente dal loro contributo<br />
alla generazione <strong>di</strong> verità<strong>di</strong>finzione. Ci sono anche dei temi generali,<br />
delle morali, degli ammonimenti, dei <strong>di</strong>scernimenti, e delle visioni <strong>di</strong> cui le<br />
verità <strong>di</strong>finzione sono in parte (solo in parte) responsabili. Quanta enfasi<br />
sia concessa a una verità <strong>di</strong>finzione o a un’altra èanche questo rilevante,<br />
come vedremo, e lo stesso vale per il modo in cui le verità<strong>di</strong>finzione sono generate,<br />
inclusi quali principi <strong>di</strong> generazione sono operanti in casi particolari.<br />
L’apparato della generazione non èsemplicemente un mezzo per produrre<br />
meccanicamente delle verità <strong>di</strong>finzione; questo apparato e il suo modo <strong>di</strong><br />
operare sono aperti all’ispezione del pubblico, e non infrequentemente sono<br />
più interessanti delle verità <strong>di</strong>finzione che producono. Gran parte della<br />
maestria dell’opera <strong>di</strong> un pittore o <strong>di</strong> un romanziere consiste nei mezzi che<br />
egli scopre per generare delle verità <strong>di</strong>finzione.<br />
2 Generazione <strong>di</strong>retta e in<strong>di</strong>retta<br />
Le verità <strong>di</strong>finzione possono essere generate <strong>di</strong>rettamente oppure in<strong>di</strong>rettamente.<br />
Chiameròquelle generate <strong>di</strong>rettamente primarie equelle generate<br />
in<strong>di</strong>rettamente implicate. No se puede mirarda I<strong>di</strong>sastridella guerra <strong>di</strong><br />
Goya mostra le vittime <strong>di</strong> una fucilazione legate e le bocche dei fucili pun-
194 K. L. Walton<br />
tate verso <strong>di</strong> loro. Non mostra i soldati che imbracciano i fucili; sono fuori<br />
dall’inquadratura dell’immagine. Eppure non c’è alcun dubbio che ci sono<br />
dei soldati (o comunque delle persone) che imbracciano i fucili. Sarebbe<br />
perverso, una rappresentazione volontariamente errata, sostenere che i fucili<br />
sono appesi a mezz’aria. Il fatto che nella finzione i fucili siano puntati<br />
sui prigionieri èpiù<strong>di</strong>una ragione per credere che sia parte della finzione<br />
che i soldati li imbracciano; questo fatto rende vero che i soldati li imbracciano.<br />
La posizione dei fucili èresponsabile della presenza dei soldati nel<br />
mondo del <strong>di</strong>pinto; èpartedella finzione che ci sono dei soldati perchéèparte<br />
della finzione che ci sono dei fucili nella posizione in cui sono. Dunque,<br />
la prima verità <strong>di</strong>finzione <strong>di</strong>pende, èimplicata, dalla seconda; ègenerata<br />
in<strong>di</strong>rettamente.<br />
Alla fine del romanzo <strong>di</strong> Joseph Conrad L’agente segreto la signora Verloc<br />
si suicida gettandosi da un traghetto che attraversa la Manica. In nessun<br />
punto del romanzo vien detto esplicitamente che fa questo. Ma il suo suici<strong>di</strong>o<br />
èchiaramente in<strong>di</strong>cato dal passaggio seguente, e dal fatto, stabilito in<br />
precedenza, che era in viaggio verso il continente:<br />
Ossipon, come se fosse spinto improvvisamente da una forza misteriosa,<br />
estrasse un giornale dalla tasca più volteripiegato. Il<br />
professore alzò ilcapoalfruscio.<br />
“Cosa <strong>di</strong>ce il giornale? C’è qualcosa?”<br />
Ossipon sobbalzò comeunsonnambulo spaventato.<br />
“Nulla. Assolutamente nulla.<br />
È<strong>di</strong><strong>di</strong>eci giorni fa. Devo<br />
averlo <strong>di</strong>menticato in tasca.<br />
Ma non gettò viail vecchio giornale. Prima <strong>di</strong> rimetterselo<br />
in tasca gettò uno sguardo alle ultime righe <strong>di</strong> un paragrafo.<br />
Dicevano così: “Un mistero impenetrabile sembra destinato ad<br />
avvolgere per sempre quest’atto <strong>di</strong> pazzia o <strong>di</strong>sperazione.”<br />
Queste erano le ultime parole <strong>di</strong> una notizia dal titolo:<br />
“Suici<strong>di</strong>o della passeggera <strong>di</strong> una nave che attraversa la Manica.”<br />
Il compagno Ossipon era abituato al bello stile del giornale. 2<br />
Il fatto che nella finzione questo titolo appaia su un giornale poco dopo che la<br />
signora Verloc si èimbarcataperilcontinente(insieme ad altre circostanze)<br />
rende parte della finzione che la signora Verloc si èsuicidata. Èpartedella<br />
finzione che si ègettata dalla nave perché èpartedella finzione che il titolo<br />
<strong>di</strong>ce quello che <strong>di</strong>ce; 3 la seconda verità <strong>di</strong>finzione implica la prima.<br />
2 L’agente segreto, p. 249.<br />
3 Questo non vuol <strong>di</strong>re che nella finzione lei si getta a causa del titolo. Né che il
Imeccanismi della generazione 195<br />
Le verità <strong>di</strong>finzione su cui altre sono basate possono esse stesse <strong>di</strong>pendere<br />
da verità <strong>di</strong>finzione ancora più basilari. Il fatto che nella finzione<br />
il giornale contenga il titolo rivelatore èprobabilmente implicato dal fatto<br />
che nella finzione il narratore afferma che lo contiene. Che nella finzione<br />
ci siano dei fucili puntati sui prigionieri può essere implicato dal fatto che<br />
nella finzione sembra che ci siano dei fucili così orientati. Può nonessere<br />
facile trovare esempi incontrovertibili <strong>di</strong> verità <strong>di</strong>finzione primarie, quelle<br />
generate <strong>di</strong>rettamente dai tratti sulla tela o dalle parole sulla carta invece<br />
che attraverso la generazione <strong>di</strong> altre verità. Ma sarà convenienteassumere,<br />
temporaneamente (ve<strong>di</strong> §4), che esistono verità delgenere,che ogni rappresentazione<br />
genera un nucleo <strong>di</strong> verità<strong>di</strong>finzione primarie che non <strong>di</strong>pendono<br />
da altre, e che sono responsabili, in<strong>di</strong>rettamente, <strong>di</strong> qualsiasi altra verità <strong>di</strong><br />
finzione che viene generata. 4<br />
Le verità <strong>di</strong>finzione figliano come i conigli. La progenie anche <strong>di</strong> poche<br />
verità <strong>di</strong>finzione può ampiamente arredare un piccolo mondo. Solitamente<br />
siamo autorizzati ad assumere che i personaggi abbiano del sangue nelle<br />
vene, semplicemente perché sonopersone,anche se il loro sangue non viene<br />
mai menzionato o descritto o mostrato o ritratto. Èpartedella finzione<br />
in La Grande Jatte che la coppia che passeggia nel parco mangi e dorma,<br />
lavori e giochi; che essi abbiano degli amici e dei rivali, delle ambizioni, delle<br />
sod<strong>di</strong>sfazioni, e delle delusioni; che essi vivano su un pianeta che ruota<br />
sul proprio asse e gira intorno al sole, con con<strong>di</strong>zioni del tempo e stagioni,<br />
montagne eoceani, pace e guerra, industria e agricoltura, povertà eabbondanza;<br />
eccetera eccetera. Tutto questo èimplicato, in assenza <strong>di</strong> in<strong>di</strong>cazioni<br />
contrarie, dal fatto che nella finzione essi sono esseri umani.<br />
Molte <strong>di</strong> queste verità <strong>di</strong>finzione implicate sono generate più omeno<br />
automaticamente, e molte <strong>di</strong> esse non sono <strong>di</strong> alcun interesse particolare<br />
(benché sefossepartedellafinzione che le persone non hanno del sangue<br />
nelle vene o nascite o ambizioni, questa verità <strong>di</strong>finzione sarebbe rilevante).<br />
Alcune verità<strong>di</strong>finzione generate in<strong>di</strong>rettamente sono necessarie come sfondo,<br />
anche se non ci si deve concentrare su <strong>di</strong> esse. Abbiamo visto come un<br />
romanziere può, con economia e senza enfasi inutile, rendere <strong>di</strong> finzione che<br />
una grande città industriale in una nazione insulare con tra<strong>di</strong>zioni i democratiche<br />
e imperialiste e così viafornisce l’ambientazione per <strong>di</strong>versi eventi<br />
semplicemente facendo sì chenella finzione essi abbiano luogo a Londra.<br />
Quest’ultima verità <strong>di</strong>finzione implica tutte le altre.<br />
mondo dell’incisione <strong>di</strong> Goya èunmondo peculiare in cui l’esistenza dei soldati <strong>di</strong>pende<br />
dall’esistenza e dalla posizione dei fucili.<br />
4 Alcune verità <strong>di</strong>finzione <strong>di</strong>pendono in parte da altre verità <strong>di</strong>finzione e in parte da<br />
tratti dell’opera, in<strong>di</strong>pendentemente dal fatto che esse generino altre verità <strong>di</strong>finzione.
196 K. L. Walton<br />
Le verità <strong>di</strong>finzione implicate, tuttavia, non sonoaffatto invariabilmente<br />
né tipicamente relegate sullo sfondo. Alcune delle verità <strong>di</strong>finzione più<br />
importanti e significative sono generate in<strong>di</strong>rettamente. Poche osservazioni<br />
casuali <strong>di</strong> un personaggio oppure un gesto significativo possono fissare, in<br />
modo elegante e preciso, alcune caratteristiche cruciali della sua personalità<br />
odelle sue motivazioni. Le verità <strong>di</strong>finzione <strong>di</strong> interesse centrale in un ritratto<br />
-quelle che riguardano l’umore, la tensione, il riposo, la rassegnazionepossono<br />
essere implicate da verità <strong>di</strong>finzione relative alla topografia della<br />
faccia <strong>di</strong> colui che posa. Infatti, le verità <strong>di</strong>finzione implicate possono ampiamente<br />
mettere in ombra quelle da cui <strong>di</strong>pendono. Queste ultime a volte<br />
hanno scarsa o nessuna importanza se non per ciò cheimplicano; può accadere<br />
che non prestiamo ad esse alcuna attenzione o che non le notiamo<br />
neppure mentre osserviamo con meraviglia la loro progenie. I lettori <strong>di</strong> un<br />
romanzo possono essere fortemente colpiti dalla determinazione <strong>di</strong> un personaggio<br />
o dalla sua insicurezza o dal suo ottimismo senza essere in grado<br />
<strong>di</strong> <strong>di</strong>re, o senza che gli importi, quali verità <strong>di</strong>finzione che riguardano le<br />
sue azioni o le sue parole o i commenti che gli altri fanno su <strong>di</strong> lui ne sono<br />
responsabili. Anche un esame ravvicinato <strong>di</strong> un <strong>di</strong>pinto può nonrivelare<br />
quali verità <strong>di</strong>finzione che riguardano le fatture del volto <strong>di</strong> una persona<br />
implicano delle verità <strong>di</strong>finzione, queste del tutto ovvie, riguardo alla sua<br />
espressione oalsuoumore -o può perfino non rivelare se queste ultime sono<br />
implicate dalle prime in qualche misura piuttosto che generate in qualche<br />
altro modo. Chiaramente, èfuorviante <strong>di</strong>re che, in generale, il pubblico<br />
inferisce le verità <strong>di</strong>finzione implicate da quelle su cui sono basate. A volte,<br />
proprio il fatto <strong>di</strong> essere generata in<strong>di</strong>rettamente conferisce importanza<br />
ad una verità <strong>di</strong>finzione, specialmente quando sarebbe facile generarla più<br />
<strong>di</strong>rettamente; un po’ <strong>di</strong> ritrosia nel costruire le rappresentazioni, qui come<br />
altrove, stuzzica l’appetito e concentra l’attenzione.<br />
L’implicazione èquasiin<strong>di</strong>spensabile per la generazione <strong>di</strong> certe verità<br />
<strong>di</strong> finzione in certi me<strong>di</strong>a. Comepossono rappresentare il suono i film muti,<br />
oppure come possono rappresentare il movimento i <strong>di</strong>pinti e le fotografie? In<br />
Imoli<strong>di</strong>NewYork<strong>di</strong> Sternberg, l’improvviso alzarsi in volo <strong>di</strong> uno stormo<br />
<strong>di</strong> uccelli in<strong>di</strong>ca che èstato sparato un colpo, senza bisogno della colonna<br />
sonora. 5 Può essere parte della finzione in un’immagine che qualcuno sta<br />
correndo o saltando perché èpartedella finzione che ambedue i pie<strong>di</strong> sono<br />
simultaneamente a mezz’aria, in una configurazione assai improbabile per<br />
qualcuno che non stia correndo o saltando.<br />
Oltre a mettere in guar<strong>di</strong>a dal ritenere che le verità <strong>di</strong>finzione generate<br />
5 Arnheim (1966), pag. 107.
Imeccanismi della generazione 197<br />
<strong>di</strong>rettamente, in generale, siano più importantiopiùovvie <strong>di</strong> quelle generate<br />
in<strong>di</strong>rettamente, o dal supporre che la loro scoperta sia meno inferenziale,<br />
dobbiamo evitare <strong>di</strong> identificare le verità <strong>di</strong>finzione primarie con quelle che<br />
sono rese “esplicite” nell’opera e <strong>di</strong> presumere che quelle implicate siano<br />
presentate “implicitamente.” Come vedremo, il fatto che ciò cheun romanzo<br />
“<strong>di</strong>ce” esplicitamente o ciò cheun’immagine “mostra” esplicitamente sia<br />
parte della finzione, se lo èinqualche misura, può infatti <strong>di</strong>pendere dal fatto<br />
che sono parte della finzione delle proposizioni che l’opera esprime solo<br />
“implicitamente.” (Ve<strong>di</strong> §4). Per verità <strong>di</strong>finzione “generate in<strong>di</strong>rettamente”<br />
intendo semplicemente quelle che <strong>di</strong>pendono da altre verità <strong>di</strong>finzione;<br />
quelle “primarie” o “<strong>di</strong>rettamente generate” non <strong>di</strong>pendono da altre verità<br />
<strong>di</strong> finzione. Non tiriamo conclusioni affrettate su cos’altro si accompagna<br />
all’essere primario o implicato.<br />
La nostra indagine sull’apparato attraverso il quale le verità <strong>di</strong>finzione<br />
sono generate dovrà prendere in considerazione due tipi <strong>di</strong>versi <strong>di</strong> principi:<br />
iprincipi<strong>di</strong>generazione<strong>di</strong>retta, che <strong>di</strong>cono semplicemente che, se un’opera<br />
possiede o contiene certe parole o tratti o altro, le proposizioni così ecosì<br />
saranno parte della finzione, e i principi <strong>di</strong> implicazione, che specificano<br />
quali verità <strong>di</strong>finzione sono implicate dato ilnucleodelle verità primarie.<br />
Consideriamo in primo luogo i principi <strong>di</strong> implicazione.<br />
3 Principi <strong>di</strong> implicazione<br />
Cosa determina qualiverità<strong>di</strong>finzione sono implicate da altre verità <strong>di</strong>finzione?<br />
Dato il nucleo <strong>di</strong> verità <strong>di</strong>finzione primarie <strong>di</strong> una rappresentazione,<br />
come deci<strong>di</strong>amo cos’altro genera? Ci sono dei principi <strong>di</strong> implicazione semplici<br />
e generali a cui attenersi? Due principi <strong>di</strong> questo genere sono stati<br />
proposti (in varie formulazioni) e <strong>di</strong>scussi abbastanza estesamente, specialmente<br />
in relazione alle rappresentazioni letterarie: il Principio <strong>di</strong> Realtà<br />
eilPrincipio <strong>di</strong> Credenza Con<strong>di</strong>visa. 6 Ambedue risulteranno seriamente<br />
inadeguati quando si misureranno con le sottigliezze e la complessità delle<br />
implicazioni reali. Non<strong>di</strong>meno, molte implicazioni si conformano all’uno o<br />
all’altro <strong>di</strong> questi principi, e varianti riconoscibili <strong>di</strong> essi sono all’opera in<br />
altri casi.<br />
6 Beardsley (1980) e Woods (1974). Elaborazioni più precisedeidue principi sono<br />
rinvenibili in Lewis (1978) e in Wolterstorff (1980), benché iloromo<strong>di</strong> <strong>di</strong> formulare il<br />
problema siano assai <strong>di</strong>versi dal mio; in particolare, essi non <strong>di</strong>stinguono tra (ciò che<br />
chiamo) verità <strong>di</strong>finzione primarie e verità <strong>di</strong>finzione secondarie come faccio io. Ryan<br />
(1980) <strong>di</strong>scute un principio simile al principio <strong>di</strong> realtà.
198 K. L. Walton<br />
Il Principio <strong>di</strong> Realtà<br />
Le fiabe. . . sono. . . storie della Terra delle Fate, cioè delFaërie, il<br />
regno o stato in cui esistono le fate. Il Faërie contiene molte cose<br />
oltre agli elfi e alle incantatrici, oltre ai nani, alle streghe, ai troll,<br />
ai giganti, e ai draghi: contiene i mari, il sole, la luna, il cielo; e la<br />
terra e tutte le cose contenute in essa: albero e uccello, acqua e<br />
pietra, vino e pane, e noi stessi, uomini mortali, quando siamo<br />
incantati da qualcosa.<br />
J. R. R. Tolkien, “Sulle Fiabe”<br />
La strategia basilare che il Principio <strong>di</strong> Realtà tenta<strong>di</strong> co<strong>di</strong>ficare èquella<br />
<strong>di</strong> rendere i mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione tanto simili a quello reale quanto èconsentito<br />
dal nucleo <strong>di</strong> verità <strong>di</strong>finzione primarie. Èperchélepersonenel mondo<br />
reale hanno del sangue nelle vene, nascono, e hanno un lato posteriore che<br />
si assume che i personaggi <strong>di</strong> finzione hanno questi attributi. Si suppone<br />
che premere un tasto del pianoforte abbia, nei mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione, lo stesso<br />
effetto che ha nel mondo reale, a con<strong>di</strong>zione che nulla nelle verità <strong>di</strong>finzione<br />
generate <strong>di</strong>rettamente in<strong>di</strong>chi il contrario. Così quando nel film muto <strong>di</strong><br />
Eisenstein La Corazzata Potemkin èpartedella finzione che una persona<br />
cammina sui tasti <strong>di</strong> un pianoforte, èimplicato nella finzione che si producono<br />
dei suoni <strong>di</strong> pianoforte. Un corollario probabile del Principio <strong>di</strong> Realtà<br />
ècheleimplicazioni seguono le linee <strong>di</strong> quelle che sarebbero inferenze legittime<br />
nel mondo reale: se possiamo inferire legittimamente q da p, possiamo<br />
inferire legittimamente che q èpartedella finzione dal fatto che p èparte<br />
della finzione, in quanto quest’ultima verità <strong>di</strong>finzione implica la prima.<br />
Ecco una formulazione operativa del Principio <strong>di</strong> Realtà (PR):<br />
Se p1,..., pn sono le proposizioni generate <strong>di</strong>rettamente da una<br />
rappresentazione come verità <strong>di</strong>finzione, un’altra proposizione,<br />
q, è una verità <strong>di</strong>finzione nella rappresentazione se, e solo se, se<br />
fosse il caso che p1,..., pn, sarebbeilcaso che q.<br />
L’interprete deve chiedersi come sarebbe il mondo reale se le proposizioni<br />
generate <strong>di</strong>rettamente come verità <strong>di</strong>finzione fossero vere: cos’altro sarebbe<br />
vero se esse lo fossero? Le risposte ci danno le proposizioni la cui verità <strong>di</strong><br />
finzione èimplicata dalle verità <strong>di</strong>finzione primarie. Intendo il controfattuale<br />
“Se fosse il caso che p1,..., pn, sarebbeilcaso che q” secondo le linee<br />
<strong>di</strong> Stalnaker-Lewis, con il significato, grosso modo, che un mondo possibile<br />
in cui p1,..., pn sono veri eanche q lo èassomiglia <strong>di</strong> più almondo reale<br />
<strong>di</strong> ogni mondo possibile in cui p1,..., pn sono veri e q èfalso. 7 Da qui<br />
7 Stalnaker (1968); Lewis (1973).
Imeccanismi della generazione 199<br />
il compito del critico <strong>di</strong> minimizzare le <strong>di</strong>fferenze tra i mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione<br />
equello reale. I lettori che preferiscono intendere i controfattuali in altri<br />
mo<strong>di</strong> assumeranno che il Principio <strong>di</strong> Realtà (chiamiamolo PR), come èstato<br />
formulato, renderà valide implicazioni <strong>di</strong>verse e possono voler introdurre<br />
degli aggiustamenti corrispondenti nella sua formulazione. 8 Ma, per inostri<br />
scopi, non sarà necessariospecificare più indettagliocomeil Principio <strong>di</strong><br />
Realtà deveessere inteso esattamente.<br />
Èimportantenotare che ciò cheèimplicato, secondo PR, <strong>di</strong>pende dal<br />
corpus <strong>di</strong> verità <strong>di</strong>finzione primarie nella sua totalità, non semplicemente<br />
da una o da <strong>di</strong>versi membri selezionati <strong>di</strong> questo corpus. 9 Così ècomedovrebbe<br />
andare. Raramente, ammesso che accada, una particolare verità <strong>di</strong><br />
finzione èsufficiente da sola a determinare la verità <strong>di</strong>finzione <strong>di</strong> qualsiasi<br />
altra proposizione; le sue implicazioni attese possono essere cancellate o annullate<br />
da altre verità <strong>di</strong>finzione. Di solito, il fatto che un personaggio ha<br />
dei genitori umani implica, secondo leggi <strong>di</strong> natura note, che nella finzione il<br />
personaggio èumanoenonun ranocchio o un insetto o un rinoceronte o una<br />
zucca. Ma questa implicazione èbloccata in Rinoceronte <strong>di</strong> Ionesco, nella<br />
Metamorfosi <strong>di</strong> Kafka, e in molte fiabe. Il testo della Metamorfosi in<strong>di</strong>ca<br />
specificatamente che Gregor èuninsetto (dopo la sua trasformazione), benchéisuoigenitori<br />
siano umani. Sbaglieremmo se, allo scopo <strong>di</strong> decidere quali<br />
verità <strong>di</strong>finzione sono generate in<strong>di</strong>rettamente, considerassimo delle verità<br />
<strong>di</strong> finzione particolari prese isolatamente e chiedessimo cosa accadrebbe se<br />
fossero vere.<br />
Questo significa che il pubblico o il critico debbono iniziare il compito <strong>di</strong><br />
interpretare compilando un elenco esauriente delle verità primarie dell’opera,<br />
e solo allora procedere a rintracciare le loro implicazioni? Ovviamente<br />
non facciamo questo, e nessuno può aspettarselo. Non c’è alcuna garanzia<br />
che le verità<strong>di</strong>finzione primarie siano in numero finito o specificabili in<br />
modo finito, né cheesse siano tutte accessibili attraverso un normale esame<br />
dell’opera. 10 Inoltre, se una particolare verità <strong>di</strong>finzione appartenga all’elenco<br />
<strong>di</strong> quelle primarie o meno èavolteunaquestioneassai delicata, e può<br />
non avere una risposta definita.<br />
8 Alcuni possono pensare che, se una persona camminasse sui tasti <strong>di</strong> un pianoforte,<br />
sarebbe soltanto plausibile o probabile che vengano emessi dei suoni <strong>di</strong> pianoforte. Essi<br />
potrebbero preservare l’intuizione che è parte della finzione nella Corazzata Potemkin<br />
che tali suoni vengano veramente emessi adottando qualcosa <strong>di</strong> simile al principio <strong>di</strong><br />
“Conferma della Probabilità” <strong>di</strong> Karelis (1985), pag. 112.<br />
9 Ve<strong>di</strong> Wolterstorff (1980).<br />
10 Un’immagine può averedelle verità <strong>di</strong>finzione primarie che solo un’analisi microscopica<br />
rivelerebbe, e può essere che nulla, a parte una in<strong>di</strong>viduazione assolutamente precisa<br />
dei suoi tratti, rivelerebbe le sue verità <strong>di</strong>finzione primarie.
200 K. L. Walton<br />
Solitamente un piccolo sottoinsieme del nucleo primario èparticolarmente<br />
responsabile <strong>di</strong> una data implicazione, anche se non èsufficiente <strong>di</strong> per sè,<br />
equando una verità <strong>di</strong>finzione <strong>di</strong>pende da altre verità <strong>di</strong>finzione generate<br />
in<strong>di</strong>rettamente, <strong>di</strong> solito si basa in modo particolare su una o più <strong>di</strong>queste<br />
verità generate in<strong>di</strong>rettamente (che a loro volta naturalmente <strong>di</strong>pendono da<br />
verità <strong>di</strong>finzione primarie). Si può <strong>di</strong>rechel’essere parte della finzione che<br />
qualcuno cammina sui tasti <strong>di</strong> un pianoforte, sia che questo sia primario sia<br />
che non lo sia, implica, ad un primo esame, che nella finzione vengono emessi<br />
dei suoni <strong>di</strong> pianoforte. L’implicazione sarebbe annullata se, per esempio,<br />
un’inquadratura dell’interno del piano mostrasse che non ci sono le corde,<br />
ma in assenza <strong>di</strong> una tale interferenza, l’implicazione èvalida. Benché il<br />
fatto che sia parte della finzione che qualcuno cammina sui tasti <strong>di</strong> un pianoforte<br />
non garantisca che sia parte della finzione che vengono emessi dei<br />
suoni <strong>di</strong> pianoforte, questo fatto fa sì chel’onere della prova passiacolui<br />
che nega l’implicazione.<br />
Grosso modo, quello che il pubblico e i critici fanno èconcentrare l’attenzione<br />
su un insieme selezionato <strong>di</strong> verità <strong>di</strong>finzione che la rappresentazione<br />
sembra generare senza ombra <strong>di</strong> dubbio, senza preoccuparsi se le genera <strong>di</strong>rettamente<br />
o in<strong>di</strong>rettamente e senza assumere che esse esauriscano il nucleo<br />
primario, e osservare cosa esse implichino ad un primo esame. Spesso, si può<br />
essere ragionevolmente certi che nulla, nel nucleo <strong>di</strong> verità <strong>di</strong>finzione primarie,<br />
le annulli. Questo richiede una sensibilitàall’opera nel suo complesso<br />
ma non un inventario completo delle verità <strong>di</strong>finzione primarie. Ci sono<br />
molti dettagli che riguardano gli abiti indossati dai personaggi della Corazzata<br />
Potemkin che gli spettatori non avranno notato quando concludono<br />
che nella finzione vengono emessi dei suoni <strong>di</strong> pianoforte. Ma essi possono<br />
essere ragionevolmente certi che nessuna <strong>di</strong> queste verità <strong>di</strong>finzione o <strong>di</strong><br />
quelle primarie su cui si basano -né alcuna verità <strong>di</strong>finzione sul colore del<br />
pianoforte o sulla forza esatta (oltre un certo minimo) con cui i tasti sono<br />
premuti- interferirà conquestaimplicazione.<br />
Parrebbe dunque che la pratica critica sia guidata primariamente dalla<br />
seguente regola intuitiva, sanzionata da PR:<br />
L’essere parte della finzione <strong>di</strong> r1,..., rn (sia che siano generate<br />
<strong>di</strong>rettamente o in<strong>di</strong>rettamente) implica ad un primo esame l’essere<br />
parte della finzione <strong>di</strong> q se, e solo se, se fosse il caso che<br />
r1,..., rn, sarebbeilcaso che q.<br />
Isuggerimenti basati sul Principio <strong>di</strong> Realtà sonostatiaccusati <strong>di</strong> autorizzare<br />
una proliferazione immotivata delle verità <strong>di</strong>finzione. 11 Esso pare<br />
11 Per esempio da Parsons (1980), pagg. 177-78, e da Wolterstorff (1980), pagg. 117-18.
Imeccanismi della generazione 201<br />
imporci un numero <strong>di</strong> verità <strong>di</strong>finzione molto più grande <strong>di</strong> quello che i<br />
critici riconoscono o dovrebbero riconoscere.<br />
Si assume <strong>di</strong> solito che una contrad<strong>di</strong>zione implichi qualsiasi cosa, e spesso<br />
che una proposizione implichi controfattualmente ciò cheimplica. Ne<br />
segue che, secondo PR, se c’è una contrad<strong>di</strong>zione tra le proposizioni che<br />
un’opera genera <strong>di</strong>rettamente come parte della finzione, qualsiasi cosa sarà<br />
parte della finzione. È<strong>di</strong>fficile evitare la conclusione che qualsiasi cosa sia<br />
parte della finzione in un’opera in cui proposizioni contrad<strong>di</strong>ttorie sono parte<br />
della finzione, siano esse primarie oppure no. Questo lascia perplessi. Benché,<br />
presumibilmente, sia parte della finzione in Falsa Prospettiva (figura<br />
1) che una donna èenonèvicino all’uomo a cui sta accendendo la pipa,<br />
sembra del tutto irragionevole supporre che nella finzione la donna sta gettando<br />
contemporaneamente dei coriandoli dalla finestra, o che l’acqua sotto<br />
il ponte non èacquamasangue, o che ci sono deigoblin su Giove. Inoltre,<br />
se qualsiasi cosa èpartedella finzione quando lo sono delle contrad<strong>di</strong>zioni,<br />
Falsa Prospettiva eilromanzo <strong>di</strong> H. G. Wells La Macchina del Tempo<br />
conterranno esattamente le stesse verità <strong>di</strong>finzione. Sono possibili <strong>di</strong>verse<br />
risposte. Potremmo trovare un modo <strong>di</strong> intendere i controfattuali secondo<br />
il quale non tutti i controfattuali con antecedenti contrad<strong>di</strong>ttori risultano<br />
veri. (Intuitivamente, non èovvio che “Se una donna èenonèvicino a<br />
un uomo, ci sarebbero dei goblin su Giove” dovrebbe essere ritenuto vero.)<br />
Potremmo riformulare il Principio <strong>di</strong> Realtà per bloccare l’implicazione non<br />
desiderata. 12 Oppure potremmo imparare a convivere con le conseguenze del<br />
principio così com’è. 13 (Dopotutto, non dovremmo aspettarci che i mon<strong>di</strong><br />
<strong>di</strong> finzione siano esotici?)<br />
Il pericolo <strong>di</strong> una proliferazione eccessiva, tuttavia, non è limitato ai<br />
mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione contrad<strong>di</strong>ttori. Il mondo reale èunluogo assai grande. Se<br />
imon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione sono simili ad esso quanto èpermesso dalle loro verità<br />
<strong>di</strong> finzione primarie, la maggior parte <strong>di</strong> questi mon<strong>di</strong> includerà lamaggior<br />
parte del mondo reale. Così perfino -o meglio specialmente!- il mondo della<br />
storia meno dettagliata risulterà essere enormemente più ricco, enormemente<br />
più dettagliato, <strong>di</strong> quanto chiunque avrebbe potuto immaginare. Sarà<br />
parte della finzione in “Boccoli d’Oro e i Tre Orsi” che Tenzing e Hillary<br />
hanno raggiunto per la prima volta la cima dell’Everest e che Neil Arm-<br />
12 Questa èlastrategia <strong>di</strong> Wolterstorff (1980).<br />
13 Come propone Lewis (1978). Questo non è<strong>di</strong>fficile come sembra quando ci si rende<br />
conto che, delle verità <strong>di</strong>finzione generate da un’opera data, alcune possono essere più<br />
enfatizzate <strong>di</strong> altre. Tuttavia, tra le verità <strong>di</strong>finzione dovremo tollerare il fatto che nella<br />
finzione in Falsa Prospettiva la donna non sta reggendo una candela, così comeilfatto<br />
che nella finzione lei la stareggendo.
202 K. L. Walton<br />
Figura 1: William Hogarth, Falsa prospettiva, incisione (1754). Frontespizio <strong>di</strong><br />
John Joshua Kirby Dr. Brook Taylor’s Method of Perspective Made Easy, London<br />
1754. The Trustees of the British Museum.<br />
strong èatterrato per primo sulla luna. Ogni dettaglio delle avventure <strong>di</strong><br />
Marco Polo, del terremoto e dell’incen<strong>di</strong>o <strong>di</strong> San Francisco, dello scandalo<br />
del Watergate, <strong>di</strong> innumerevoli altri drammi della vita reale <strong>di</strong> ogni giorno,<br />
drammi eccitanti, impressionanti, e tragici, apparterrà almondo <strong>di</strong> “Tre<br />
Topi Ciechi”. 14<br />
Invece <strong>di</strong> ban<strong>di</strong>re tutto questo ciarpame dai mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione, propon-<br />
14 Prima <strong>di</strong> celebrare la scoperta <strong>di</strong> nuove ed eccitanti parti della storia, ren<strong>di</strong>amoci<br />
conto che le avventure <strong>di</strong> Marco Polo ricorrerebbero ripetitivamente in quasi ogni opera,<br />
echesarebbero sepolte in una vasta collezione <strong>di</strong> episo<strong>di</strong> intensamente noiosi anche loro<br />
presi a prestito dalla vita reale, come il mio viaggio più recente dal salumiere. Inoltre, non<br />
sarebbe merito dell’artista o dell’opera e dunque non ci sarebbe motivo <strong>di</strong> ammirazione.<br />
Una concezione dei controfattuali più stretta <strong>di</strong> quella <strong>di</strong> Lewis (per cui la loro verità<br />
richiede qualche connessione significativa tra l’antecedente e il conseguente) o una riformulazione<br />
appropriata <strong>di</strong> PR potrebbe bloccare questa immigrazione in massa dalla realtà,<br />
ma non senza abbandonare l’idea che le somiglianze tra i mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione e quello reale<br />
debbano essere massimizzate.
Imeccanismi della generazione 203<br />
go <strong>di</strong> ignorarlo. Dobbiamo riconoscere in ogni caso delle enormi <strong>di</strong>fferenze<br />
nell’importanza delle varie verità <strong>di</strong>finzione <strong>di</strong> un’opera. Alcune sono enfatizzate<br />
e poste al centro dell’attenzione; altre rimangono nell’ombra. Ci sono<br />
dei caratteri principali e dei caratteri minori, eventi centrali e periferici. È<br />
ovvio che ciò cheèprincipaleocentrale in un romanzo (o in immagine, o in<br />
qualcos’altro) non deve necessariamente essere ciò chesarebbe più significativo<br />
storicamente se gli eventi del romanzo avessero luogo realmente. Né ho<br />
in mente ciò cheèritenutopiùomenosignificativonella finzione. Nella storia<br />
<strong>di</strong> una famiglia conta<strong>di</strong>na che vive in un grande reame, può essere parte<br />
della finzione che il re è, bene o male, una figura centrale dal punto <strong>di</strong> vista<br />
storico, che il destino delle nazioni <strong>di</strong>pende da lui; può essere parte della finzione<br />
che i conta<strong>di</strong>ni sono insignificanti in una prospettiva storica. Tuttavia<br />
iconta<strong>di</strong>ni possono essere centrali nella storia e il reperiferico. La storia può<br />
riguardare primariamente la famiglia <strong>di</strong> conta<strong>di</strong>ni, con il re che serve solo<br />
come parte delle circostanze in cui essi si trovano a vivere. Charles Kinbote<br />
èuncarattere centrale, il narratore e il protagonista principale <strong>di</strong> Fuoco pallido<br />
<strong>di</strong> Nabokov, ma èpartedella finzione che èunbuffone insignificante. Le<br />
rappresentazioni non ci presentano semplicemente una collezione <strong>di</strong> verità<strong>di</strong><br />
finzione; le or<strong>di</strong>nano e le organizzano per noi, concentrandosi su alcune più<br />
<strong>di</strong> altre. Prestare un’attenzione eccessiva alle seconde a spesa delle prime<br />
può dar luogo ad una visione <strong>di</strong>storta dell’opera comparabile a determinare<br />
in modo errato le verità <strong>di</strong>finzione. (Parte dell’idea <strong>di</strong> Rosenkrantz e Guilderstern<br />
sono morti <strong>di</strong> Tom Stoppard è<strong>di</strong>capovolgere l’enfasi <strong>di</strong> Amleto,<br />
rendendo dei caratteri minori principali e quelli principali minori.)<br />
Così possiamo ammettere senza pericolo Marco Polo, il terremoto <strong>di</strong><br />
San Francisco, il Watergate, e tutto il resto nel mondo <strong>di</strong> “Tre Topi Ciechi,”<br />
purché ammettiamo che questi fatti sono sepolti nello sfondo della storia.<br />
Non ci daranno guai se li lasciamo stare. Falsa Prospettiva e La Macchina del<br />
Tempo sono enormemente <strong>di</strong>versi anche se generano esattamente le stesse<br />
verità <strong>di</strong>finzione; <strong>di</strong>fferiscono riguardo alle verità chemettono al centro<br />
dell’attenzione.<br />
Alcuni preferiscono inventare un modo <strong>di</strong> escludere interamente le verità<br />
<strong>di</strong> finzione non importanti invece <strong>di</strong> <strong>di</strong>chiararle completamente deenfatizzate.<br />
15 Non ho delle forti obiezioni a questa soluzione, ma preferisco<br />
de-enfatizzare. Secondo il mio suggerimento, non dobbiamo neppure immaginare<br />
che in qualche modo ci sia una netta separazione tra quei tratti del<br />
15 Routley opta per includere solo pezzi assai limitati del mondo reale nei mon<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />
finzione, “abbastanza da comprendere il materiale a cui l’opera allude o su cui si basa. . . ,<br />
abbastanza da permettere <strong>di</strong> comprendere la storia e <strong>di</strong> evitare certe incomprensioni, e<br />
niente <strong>di</strong> più.” Routley (1980), pag. 542.
204 K. L. Walton<br />
mondo reale che hanno una relazione sufficientemente stretta con l’azione <strong>di</strong><br />
una storia da essere inclusi nel suo mondo <strong>di</strong> finzione e quelli che non lo sono;<br />
e possiamo facilmente riconoscere delle finissime variazioni <strong>di</strong> grado tra<br />
enfasi e de-enfasi. Sarebbe assai più maldestroritirarsi ad un meta-livello<br />
e<strong>di</strong>scuterese sia più omenoplausibile che una verità delmondo reale sia<br />
inclusa omenonelmondo<strong>di</strong> finzione.<br />
Questa soluzione può evitarequalche imbarazzo al Principio <strong>di</strong> Realtà.<br />
Ma essa pone un’altra domanda oltre a quella relativa a quali verità <strong>di</strong><br />
finzione genera un’opera: cosa determina quali verità <strong>di</strong>finzione <strong>di</strong> un’opera<br />
sono importanti e quali no? Senza dubbio si può <strong>di</strong>re molto su questo<br />
punto, ma non mi aspetterei né richiederei una risposta sistematica a questa<br />
domanda, non più che alla domanda su come funzionano i meccanismi della<br />
generazione.<br />
La proroga per il Principio <strong>di</strong> Realtàèsolotemporanea. Vedremo tra poco<br />
che talvolta deve dare la precedenza al Principio <strong>di</strong> Credenza Con<strong>di</strong>visa.<br />
Ma obiezioni più serieperambedue i principi aspettano tra le quinte. Ricor<strong>di</strong>amoci<br />
l’ammonimento satirico <strong>di</strong> James Thurber contro l’applicazione<br />
in<strong>di</strong>scriminata del Principio <strong>di</strong> Realtà:<br />
“Non credo neppure per un attimo che sia stato Macbeth...non<br />
credo neppure per un attimo che abbia ucciso il Re,”<br />
lei <strong>di</strong>sse...“Chisospetti?” chiesiio...”Macduff,”<strong>di</strong>sselei,prontamente.<br />
“Oh, èstato Macduff <strong>di</strong> sicuro...Sai chi ha scoperto il corpo<br />
<strong>di</strong> Duncan?. ..lo ha scoperto Macduff...Poi corre <strong>di</strong> sotto e<br />
grida, ‘La confusione ha scar<strong>di</strong>nato il tempio consacrato del Signore’<br />
e ‘L’assassinio sacrilego ha fatto il proprio capolavoro’ e<br />
via <strong>di</strong>cendo. ..Tutta questa roba era stata preparata...Se avessi<br />
trovato un corpo, tu non <strong>di</strong>resti cose del genere senza averle<br />
preparate, no? Non le <strong>di</strong>resti! A meno che non ti fossi esercitato<br />
prima. ‘Mio <strong>di</strong>o, c’è uncorpolìdentro!’ èquello che <strong>di</strong>rebbe un<br />
innocente.” 16<br />
Il Principio <strong>di</strong> Credenza Con<strong>di</strong>visa<br />
Un narratore, in una cultura in cui tutti sono fermamente d’accordo che<br />
la terra èpiattaecheadavventurarsi troppo lontano in mare si rischia<br />
<strong>di</strong> cadere giù, inventa una storia <strong>di</strong> avventure su dei marinai coraggiosi<br />
che si avventurano proprio troppo lontano in mare. Nella storia non si fa<br />
16 Thurber (1962), pagg. 81-2.
Imeccanismi della generazione 205<br />
menzione della forma della terra o del pericolo. Sarebbe superfluo, pensa il<br />
narratore, perché lui e il suo pubblico assumono che la terra nella storia ha<br />
la stessa forma che essi credono cheabbia nella realtà. Tutti assumono che<br />
sia implicato che nella finzione c’è, in qualche punto del vasto oceano, un<br />
precipizio verso il nulla.<br />
Dobbiamo correggere, in base all’autoritàdelPrincipio <strong>di</strong> Realtà, il modo<br />
in cui essi intendono la storia oltre che la loro geografia? Le proposizioni<br />
<strong>di</strong> finzione generate <strong>di</strong>rettamente sono tali (supporrò) che la loro verità non<br />
mo<strong>di</strong>fica la forma della terra; la terra sarebbe (ancora) più omenosferica,<br />
com’è nella realtà, e non piatta. Dunque, secondo PR, èpartedella finzione<br />
che la terra èsfericaenonc‘èpericolo<strong>di</strong>caderegiù. Ma insistere su questo,<br />
sra<strong>di</strong>care la storia dal suo contesto originale e forzare un’interpretazione che<br />
né l’autore né ilpiùattento dei suoi presunti ascoltatori potrebbero aver in<br />
mente, parrebbe forzato e inutilmente severo. E far questo rovinerebbe una<br />
buona storia <strong>di</strong> avventure; il racconto (supponiamo) <strong>di</strong>pende dal pericolo<br />
per conseguire il suo effetto drammatico. Meglio assecondare l’idea errata<br />
sulla forma della terra al fine <strong>di</strong> capire ed apprezzare la storia, e ammettere<br />
che nella finzione la terra ha un bordo pericoloso.<br />
Facendo <strong>di</strong>pendere le verità <strong>di</strong>finzione implicate dai fatti <strong>di</strong> natura, il<br />
Principio <strong>di</strong> Realtàallenta il controllo dell’artista su <strong>di</strong> essi. Se accade che<br />
egli sia in errore riguardo ai fatti rilevanti, i suoi mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione non saranno<br />
come egli li intende. Questo sarebbe un peccato in molti casi, perché<br />
si suppone che gli artisti <strong>di</strong> cui vale veramente la pena <strong>di</strong> conoscere le opere<br />
sappiano <strong>di</strong>stinguere quali mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione possono essere interessanti o<br />
desiderabili. Perché non dare all’artista mano libera nel costruire i mon<strong>di</strong><br />
<strong>di</strong> finzione, invece <strong>di</strong> permettere al caso, nella forma <strong>di</strong> fatti <strong>di</strong> natura<br />
sconosciuti, <strong>di</strong> contribuire a dare forma a questi mon<strong>di</strong>?<br />
Il fatto che sia poco desiderabile costruire la storia della terra piatta<br />
secondo i dettami del Principio <strong>di</strong> Realtà suggerisce che siano effettivamente<br />
all’opera dei principi che danno all’artista un controllo più affidabile del<br />
Principio <strong>di</strong> realtàsuciòcheè<strong>di</strong>finzione. Lewis e Wolterstorff ambedue<br />
suggeriscono delle alternative al Principio <strong>di</strong> Realtà (alle loro versioni <strong>di</strong><br />
questo principio) con qualcosa del genere in mente. Il secondo principio<br />
<strong>di</strong> Lewis basa le implicazioni su ciò cheè“esplicitamente” creduto nella<br />
comunità <strong>di</strong>origine dell’opera piuttosto che sul mondo reale così com’èin<br />
realtà. 17 L’alternativa <strong>di</strong> Wolterstorff le basa su ciò chel’autore “assume che<br />
la maggior parte del suo pubblico inteso” crede riguardo al mondo reale. 18<br />
17 Lewis (1978), pag. 273.<br />
18 Wolterstorff (1980), pagg. 123-4.
206 K. L. Walton<br />
Ecco un Principio <strong>di</strong> Credenza Con<strong>di</strong>visa (PCC) modellato sulla proposta<br />
<strong>di</strong> Lewis:<br />
Se p1,..., pn sono le proposizioni generate <strong>di</strong>rettamente da una<br />
rappresentazione come verità <strong>di</strong>finzione, un’altra proposizione,<br />
q, è una verità <strong>di</strong>finzione nella rappresentazione se, e solo se,<br />
ècomunemente creduto nella società dell’artista che, se fosse il<br />
caso che p1,..., pn, sarebbeilcaso che q.<br />
Questo principio induce la propria regola pratica:<br />
L’essere parte della finzione <strong>di</strong> r1,..., rn (sia che siano generate<br />
<strong>di</strong>rettamente o in<strong>di</strong>rettamente) implica ad un primo esame<br />
l’essere parte della finzione <strong>di</strong> q se, e solo se, ècomunemente<br />
creduto nella società dell’artista che, se fosse il caso che r1,...,<br />
rn, sarebbeilcaso che q.<br />
(Una cosa ècomunemente creduta in una societàse, grosso modo, la maggior<br />
parte dei membri della società lacrede, la maggior parte <strong>di</strong> loro crede che la<br />
maggior parte <strong>di</strong> loro la crede, la maggior parte crede che la maggior parte<br />
crede che la maggior parte la crede, e così via.) 19<br />
Perché deveessere con<strong>di</strong>visa la credenza? Perché nonrichiedere che il<br />
controfattuale rilevante sia largamente creduto nella società dell’artista sia<br />
che la gente sia consapevolesia che non lo sia che gli altri lo credono, o non<br />
richiedere soltanto che l’artista stesso lo creda? L’uno o l’altra <strong>di</strong> queste<br />
opzioni renderebbe i mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione insufficientemente accessibili al pubblico<br />
e darebbe un vantaggio ingiusto ai critici che sanno leggere nella mente.<br />
La prima sottrarrebbe inoltre i mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione al controllo dell’artista, in<br />
quanto egli deve indovinare quello che gli altri credono. Da qui il bisogno <strong>di</strong><br />
credenze <strong>di</strong> tipo più sociale.<br />
Il PCC ci induce ad estrapolare in modo da massimizzare le somiglianze<br />
tra i mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione e il mondo reale non com’è <strong>di</strong>fatto ma com’è o<br />
era comunemente creduto essere nella società dell’artista. 20 Se nella società<br />
in cui la storia della terra piatta viene narrata e ascoltata ècomunemente<br />
creduto che la terra sia piatta, la storia implica che nella finzione gli eroi<br />
corrono il pericolo <strong>di</strong> cadere dal bordo, nonostante che la terra in realtà sia<br />
sferica. Non ènecessario che la nostra conoscenza geografica superiore ci<br />
rovini il <strong>di</strong>vertimento.<br />
19 Uso l’espressione <strong>di</strong> Schiffer “credenza con<strong>di</strong>visa” invece dell’espressione “credenza<br />
esplicita” <strong>di</strong> Lewis. Ve<strong>di</strong> Lewis (1978), pag. 272; Lewis (1969), pagg. 52-60: Schiffer<br />
(1972), pag. 30-42.<br />
20 Per lo meno, questo èciòchefadata l’analisi dei controfattuali <strong>di</strong> Stalnaker-Lewis.
Imeccanismi della generazione 207<br />
Il PCC ha bisogno <strong>di</strong> essere perfezionato. Nei quadri, le verità <strong>di</strong>finzione<br />
relative alle caratteristiche fisiche dei personaggi implicano delle verità<br />
<strong>di</strong> finzione relative alle loro personalità, ai loro umori, e ad altri stati psicologici.<br />
Ma si potrebbe sostenere che nessuno <strong>di</strong> noi, e quasi nessuno in<br />
qualsiasi società <strong>di</strong>qualsiasi artista, possiede delle credenze molto dettagliate<br />
relative a quello che la personalità <strong>di</strong>unin<strong>di</strong>viduo o il suo umore sarebbe<br />
se avesse una certa espressione facciale. Siamo tuttavia in grado <strong>di</strong> riconoscere<br />
delle personalità edegliumoriquando percepiamo l’espressione <strong>di</strong><br />
una persona (benché può accadere che non notiamo i dettagli rilevanti della<br />
sua espressione). Il PCC potrebbe essere rivisto, per esempio, per basare<br />
alcune implicazioni sulle inclinazioni dei membri della società dell’artista a<br />
riconoscere certi umori da certe espressioni facciali invece che sulle loro credenze<br />
relative alle connessioni tra questi elementi. Comunque, non cercherò<br />
<strong>di</strong> proporre una nuova formulazione. Possiamo considerare il PCC come<br />
qualcosa che sta per una classe <strong>di</strong> principi plausibili secondo i quali le implicazioni<br />
<strong>di</strong>pendono da uno o dall’altro tratto dello stato cognitivo dei membri<br />
della società dell’artista. Èunprimotentativorozzo, ma sarà sufficiente per<br />
mettere a confronto principi <strong>di</strong> questo genere con il Principio <strong>di</strong> Realtà e<br />
con altri.<br />
Il Principio <strong>di</strong> Credenza Con<strong>di</strong>visa èunmiglioramento rispetto al Principio<br />
<strong>di</strong> Realtà? Certamente i suoi risultati sono più accettabili, in non pochi<br />
casi, e la prassi degli interpreti sembra presupporlo in alcuni aspetti significativi.<br />
I critici raramente intraprendono delle estese ricerche relative ai fatti<br />
<strong>di</strong> natura a volte esoterici da cui, secondo il PR, molte verità <strong>di</strong>finzione<br />
<strong>di</strong>pendono, ma essi stu<strong>di</strong>ano effettivamente i contesti sociali in cui le opere<br />
sono state prodotte, incluse le credenze dell’artista e dei suoi compagni.<br />
Ci sono delle buone ragioni per cui dovremmo aspettarci che le implicazioni<br />
siano governate da qualcosa che èpiùsimile al PCC che al PR. Il PCC<br />
non solo dà all’artista un maggiore controllo su ciò cheè<strong>di</strong>finzione; in molti<br />
casi, dà anche al pubblico un accesso più facile a ciò cheè<strong>di</strong>finzione. Il<br />
pubblico può spesso determinare lecredenzecon<strong>di</strong>vise della società dell’artista<br />
meglio <strong>di</strong> ciò cheèvero -specialmente se il pubblico appartiene a quella<br />
società. Il risultato èche il PCC si adatta meglio del PR a una concezione<br />
delle rappresentazioni come veicoli attraverso i quali l’artista guida l’immaginazione<br />
del pubblico, una concezione secondo la quale l’artista fa sì chela<br />
sua opera renda <strong>di</strong> finzione certe proposizioni allo scopo <strong>di</strong> incoraggiare il<br />
pubblico ad immaginarle, e il pubblico cerca <strong>di</strong> immaginare ciò cheè<strong>di</strong>finzione<br />
allo scopo <strong>di</strong> farlo come l’artista voleva che lo facesse. 21 Naturalmente,<br />
21 Non ci può essere alcun dubbio che questo è uno scopo importante delle rappresenta-
208 K. L. Walton<br />
quando ambedue le parti con<strong>di</strong>vidono le stesse idee sbagliate sulla realtà, 22<br />
gli artisti possono riuscire perfettamente ad in<strong>di</strong>rizzare l’immaginazione del<br />
pubblico anche se il PR èoperante. Ciòche il pubblico assume dunque che<br />
sia parte della finzione sarà ciòchel’artista pensava che fosse parte della<br />
finzione, e immaginandolo il pubblico starà immaginando ciò chel’artista<br />
voleva che immaginasse. Ma allora la nozione <strong>di</strong> ciò cheè in realtà parte<br />
della finzione sembrerebbe irrilevante. Quale sarebbe il senso <strong>di</strong> insistere da<br />
parte del teorico che ciò che l’artista riesce ad indurre il pubblico ad immaginare,<br />
ciò cheambedue assumono sia parte della finzione, in realtà non<br />
lo è, non èciòche l’opera richiede al pubblico <strong>di</strong> immaginare -se l’intero<br />
scopo dell’operazione èchel’artista riesca a in<strong>di</strong>rizzare l’immaginazione del<br />
pubblico?<br />
Nonostante questo, non èassolutamente ovvio che il PCC (o qualche<br />
sua variante) abbia sempre o anche solitamente, la precedenza sul PR. Il<br />
PCC non èneppure applicabile a rappresentazioni naturali -nuvole, ceppi,<br />
<strong>di</strong>sposizioni <strong>di</strong> stelle. Nel rintracciare le loro implicazioni, dobbiamo, presumibilmente,<br />
o attenerci alle credenze con<strong>di</strong>vise della società deglispettatori<br />
invece che a quelle della società dell’artista oppure tornare al Principio <strong>di</strong><br />
Realtà. Le rappresentazioni naturali non sono veicoli attraverso i quali gli<br />
artisti cercano <strong>di</strong> in<strong>di</strong>rizzare l’immaginazione del pubblico. 23 Ma anche per<br />
le rappresentazioni che lo sono si può sostenerecheavolte esse sono governate<br />
dal PR piuttosto che dal PCC. Mi pare inoltre che, a prescindere dalla<br />
frequenza con cui dàmigliori risultati, il PR gioca un ruolo piùfondamentale<br />
quando pensiamo alle rappresentazioni.<br />
Trovo particolarmente ragionevole preferire il PR al PCC quando sono<br />
in questione delle verità <strong>di</strong>finzione che hanno a che fare con la moralità.<br />
Il suggerimento non èprivo<strong>di</strong>relazione con la tesi <strong>di</strong> Hume che, benché<br />
nel trattare con un’opera <strong>di</strong> un’età precedente dovremmo essere tolleranti e<br />
ammettere “innocenti peculiarità <strong>di</strong>mo<strong>di</strong>”e“opinioni speculative” con cui<br />
non siamo più d’accordo, e non permettere ad esse svalutare l’opera, non<br />
dovremmo tollerare idee <strong>di</strong> “moralitàedecenza” che consideriamo depravate<br />
zioni, anche se, come abbiamo visto nel Capitolo 2, non si può spiegare in questi termini<br />
cosa sia una rappresentazione, un’opera <strong>di</strong> finzione.<br />
22 Oseilpubblico sa che ciò chel’artista riteneva che fosse parte della finzione, anche<br />
se si rende conto che si sbagliava, e allora cerca <strong>di</strong> immaginare non ciò cheritienechesia<br />
parte della finzione, ma ciò cheritieneche l’artista pensava che fosse parte della finzione.<br />
Anche in questo caso, la nozione <strong>di</strong> ciò cheèrealmente parte della finzione sembrerebbe<br />
irrilevante.<br />
23 Possono esserlo quando un artista richiama l’attenzione su <strong>di</strong> esse e ci chiede <strong>di</strong> guardarle<br />
come rappresentazioni. I teisti potrebbero supporre che una <strong>di</strong>vinità abbia creato<br />
gli oggetti naturali allo scopo <strong>di</strong> guidare l’immaginazione <strong>di</strong> noi mortali.
Imeccanismi della generazione 209<br />
operverse. “Non posso, né sarebbeappropriato per me, immedesimarmi in<br />
tali sentimenti,” egli <strong>di</strong>ce, “e per quanto possa giustificare il poeta. . . non<br />
potrò maigodere della sua composizione.” 24 Forse dobbiamo attenerci a<br />
qualcosa <strong>di</strong> simile alle credenze con<strong>di</strong>vise della società dell’artista nel rintracciare<br />
le implicazioni che riguardano questioni “fattuali” e alla verità per<br />
quanto possiamo attingere ad essa quando sono in gioco questioni <strong>di</strong> moralità.<br />
Dobbiamo essere preparati ad assumere che il salasso cura le malattie,<br />
che il sole gira intorno alla terra, che le persone pensano col cuore, se questo<br />
ècreduto comunemente nella società dell’artista e le verità <strong>di</strong>rettamente generate<br />
non in<strong>di</strong>cano il contrario, ma non che l’unico in<strong>di</strong>ano buono èquello<br />
morto ochelaschiavitù ègiustaechelatorturaalservizio della tirannia<br />
èumana. Certo le cose non sono così semplici, ma mi aspetto che molti <strong>di</strong><br />
noi simpatizzeranno con questa posizione.<br />
Se, in una storia proveniente da una società fascistaincuièfermamente<br />
ecomunemente creduto che il mescolarsi delle razze èmaleechereprimerlo<br />
è una necessità morale, èpartedella finzione che persone <strong>di</strong> razze <strong>di</strong>verse<br />
fanno amicizia e vengono punite dall’autorità perquesto, dobbiamo mettere<br />
da parte le nostre convinzioni morali contrarie seppure per lo scopo<br />
<strong>di</strong> comprendere e apprezzare la storia? Dobbiamo permettere alla storia <strong>di</strong><br />
implicare che nella finzione l’amicizia èimmorale e la sua oppressione giustificata?<br />
Non èpernulla evidente che dobbiamo fare questo. 25 Sicuramente,<br />
rifiutare <strong>di</strong> accettare quest’idea potrebbe rovinarci la storia. 26 Ma possiamo<br />
essere del tutto <strong>di</strong>sposti a rovinarcela; possiamo trovare impossibile in ogni<br />
caso provare piacere ad accettare questi sentimenti <strong>di</strong>s<strong>di</strong>cevoli. Si potrebbe<br />
sostenere che la storia stessa ècosìmoralmente perversa da <strong>di</strong>struggersi<br />
“esteticamente.”<br />
Si tratta semplicemente del fatto che siamo incapaci o poco inclini ad<br />
indurre noi stessi ad immaginare proposizioni che consideriamo moralmente<br />
perverse, anche se riconosciamo che sono parte della finzione? (Facciamo un<br />
confronto con la <strong>di</strong>fficoltà a<strong>di</strong>ndurre se stessi a infilzare degli spilli in una<br />
fotografia o in un <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> una persona che amiamo, nonostante il fatto<br />
24 Hume (1965), pagg. 21-24. Ve<strong>di</strong> anche Mothersill (1984), pagg. 411-412.<br />
25 La plausibilità <strong>di</strong>applicare l’uno o l’altro principio a questa storia può naturalmente<br />
<strong>di</strong>pendere da tratti dell’esempio che non ho specificato. Può fare <strong>di</strong>fferenza se l’idea che<br />
il mescolarsi delle razze èmaleècentrale come “morale della storia,” oppure se èpiùun<br />
veicolo per lo stu<strong>di</strong>o delle personalità edella natura umana, o lo sfondo <strong>di</strong> un’avventura<br />
che comporta il pericolo <strong>di</strong> una punizione <strong>di</strong>vina.<br />
26 Ma potrebbe anche non essere così. Il punto della storia potrebbe <strong>di</strong>pendere dal fatto<br />
che sia parte della finzione che alcuni o tutti i personaggi ritengano che il mescolarsi delle<br />
razze sia un male ma nonchesiapartedella finzione che essi hanno ragione. Non è<br />
necessario esitare ad accettare la prima verità <strong>di</strong>finzione.
210 K. L. Walton<br />
che si comprenda pienamente che fare questo danneggerà sololacarta.) 27 Si<br />
potrebbe tentare <strong>di</strong> salvare il Principio <strong>di</strong> Credenza Con<strong>di</strong>visa sostenendo<br />
che èeffettivamente una verità <strong>di</strong>finzione nella storia che l’amicizia èmale<br />
elapunizione giusta, come decreta il principio, ma che semplicemente non<br />
possiamo sopportare <strong>di</strong> attenerci alla prescrizione <strong>di</strong> immaginare una cosa<br />
simile. (Alcuni potrebbero <strong>di</strong>re che siamo incapaci o non <strong>di</strong>sposti ad assumere<br />
una posizione “puramente estetica” in questo caso.) Ma èaltrettanto<br />
ragionevole, mi pare, concludere che c’è una “convenzione,” ra<strong>di</strong>cata forse<br />
nella <strong>di</strong>fficoltà a<strong>di</strong>mmaginare che siano vere delle dottrine morali che riteniamo<br />
perverse, per cui non siamo obbligati a farlo, una convenzione che<br />
rende il PR operante in casi che riguardano la morale. Le questioni interpretative<br />
sono in<strong>di</strong>pendenti dalle questioni morali ed ènecessario aver cura<br />
<strong>di</strong> non confonderle? Oppure le considerazioni morali talvolta hanno conseguenze<br />
interpretative? Non penso che ci siano buone ragioni per decidere in<br />
un senso onell’altro.<br />
Alcuni hanno citato le interpretazioni psicoanalitiche imposte ad opere <strong>di</strong><br />
ignari artisti prefreu<strong>di</strong>ani come un test perscegliere tra principi come il PR<br />
eilPCC. 28 Ma èassai poco chiaro qualeprincipio scegliere in base a queste<br />
interpretazioni. Supponiamo che la teoria psicoanalitica sia sostanzialmente<br />
corretta e che un comportamento come quello esibito da Amleto giustifichi,<br />
nel mondo reale, una <strong>di</strong>agnosi <strong>di</strong> grave conflitto e<strong>di</strong>pico. Se qualcuno si<br />
comportasse così (esetutte le proposizioni <strong>di</strong> finzione che Amleto genera<br />
<strong>di</strong>rettamente fossero vere), egli avrebbe un complesso e<strong>di</strong>pico. È dunque<br />
parte della finzione che Amleto ha un complesso e<strong>di</strong>pico, nonostante il fatto<br />
che Shakespeare e i suoi contemporanei elisabettiani fossero beatamente<br />
ignari della teoria freu<strong>di</strong>ana? Il PR parrebbe dare una risposta positiva, il<br />
PCC invece una negativa.<br />
Ma il freu<strong>di</strong>ano convinto risponderà sicuramenteche, benché Shakespeare<br />
e i suoi accoliti non sapessero nulla <strong>di</strong> Freud, essi potrebbero o dovrebbero<br />
avere inconsciamente compresolaverità<strong>di</strong>granparte della teoria freu<strong>di</strong>ana.<br />
Amleto stesso può essere citato come evidenza che Shakespeare aveva<br />
compreso questo. Come potrebbe qualcuno aver scritto quella trage<strong>di</strong>a sen-<br />
27 “Ènecessario soltanto cambiare leggermente idea o sentimento per immedesimarsi<br />
nelle opinioni che. . . prevalevano [negli scritti beneducati <strong>di</strong> un’altra epoca o paese] e approvare<br />
i sentimenti e le conclusioni derivati da queste opinioni. Ma ènecessario uno<br />
sforzo assai violento per cambiare le nostre opinioni sulle maniere, ed eccitare sentimenti<br />
<strong>di</strong> approvazione o <strong>di</strong> biasimo, <strong>di</strong> amore o o<strong>di</strong>o, <strong>di</strong>versi da quelli a cui la mente èabituata<br />
da una lunga consuetu<strong>di</strong>ne. E quando un uomo èsicurodella correttezza dello standard<br />
morale attraverso il quale giu<strong>di</strong>ca, ne ègiustamentegeloso, e non mo<strong>di</strong>ficherà isentimenti<br />
del suo cuore per un attimo per compiacere uno scrittore” (Hume (1965), pag. 22).<br />
28 Lewis (1978), pag. 271. Ve<strong>di</strong> anche Wolterstorff (1980), pagg. 120-21.
Imeccanismi della generazione 211<br />
za una consapevolezza intuitiva delle <strong>di</strong>namiche e<strong>di</strong>piche? Il fatto che gli<br />
spettatori reagissero favorevolmente alla trage<strong>di</strong>a può essere ritenuto come<br />
un’in<strong>di</strong>cazione che essi comprendevano intuitivamente i principi fondamentali<br />
della teoria freu<strong>di</strong>ana. Una voltachecispingiamo così avanti,nonpare<br />
improbabile supporre che Shakespeare e i suoi compatrioti avessero compreso,<br />
inmodo implicito naturalmente, che la loro comprensione dell’e<strong>di</strong>picità<br />
fosse con<strong>di</strong>visa da altri. Shakespeare deve essersi aspettato che gli spettatori<br />
avrebbero reagito positivamente; gli spettatori devono aver compreso<br />
che Shakespeare deliberatamente, benché inconsciamente,aveva progettato<br />
l’e<strong>di</strong>picità <strong>di</strong>Amleto.Presto arriviamo alla credenza con<strong>di</strong>visa richiesta.<br />
Così unsostenitore del PCC potrebbe arrivare ad accettare l’interpretazione<br />
freu<strong>di</strong>ana <strong>di</strong> Amleto dopotutto.<br />
La questione interpretativa può ridursi alla questione <strong>di</strong> come intendere<br />
il PCC: se le credenze con<strong>di</strong>vise consce ed esplicite dovrebbero avere la precedenza<br />
su quelle inconsce. Ma sospetto che gran parte della resistenza alle<br />
interpretazioni freu<strong>di</strong>ane sia basata sul fatto che si èpococonvintidella teoria<br />
freu<strong>di</strong>ana -o perché simette in dubbio la premessa che il comportamento<br />
<strong>di</strong> Amleto in<strong>di</strong>cherebbe, nel mondo reale, l’e<strong>di</strong>picità, se si accetta il principio<br />
<strong>di</strong> realtà, o perché simette in dubbio che questa proposizione con<strong>di</strong>zionale<br />
fosse comunemente creduta (in modo inconscio) dagli elisabettiani.<br />
Anche se talvolta siamo <strong>di</strong>sposti ad accettare le implicazioni autorizzate<br />
dal Principio <strong>di</strong> Realtàinvece <strong>di</strong> quelle autorizzate dal Principio <strong>di</strong> Credenza<br />
Con<strong>di</strong>visa, sospetto che èpiùspesso vero il contrario. Eppure, il PR ha un<br />
ruolo più importantenella pratica interpretativa. Come mai?<br />
Spesso non c’è conflitto. Quando le credenze con<strong>di</strong>vise rilevanti sono<br />
vere, i due principi hanno le stesse conseguenze. E i critici che con<strong>di</strong>vidono<br />
queste credenze, vere o no, arriveranno alla stessa conclusione non importa<br />
quale principio utilizzino.<br />
Èprobabile che noi con<strong>di</strong>vi<strong>di</strong>amo le credenze<br />
con<strong>di</strong>vise della società dell’artista, quando èlanostra. Così èprobabile che<br />
le nostre interpretazioni <strong>di</strong> opere della nostra cultura siano le stesse sia che<br />
basiamo le estrapolazioni su fatti <strong>di</strong> natura che sulle credenze con<strong>di</strong>vise.<br />
Di solito in questi casi ci atteniamo aifatti <strong>di</strong> natura. Ten<strong>di</strong>amo ad<br />
assumere il PR come guida, in pratica, quando ce lo possiamo permettere,<br />
anche se siamo pronti ad optare per qualcosa <strong>di</strong> più simile al PCC in casi<br />
<strong>di</strong> conflitto. Perché assumiamo che il principe Mishkin e Moll Flanders<br />
hanno del sangue nelle vene? Perché lagenteècosì-lepersonerealie<br />
dunque (solitamente) quelle <strong>di</strong> finzione. Questa èlanostrarispostapronta,<br />
anche se possiamo essere indotti a ritenere responsabili dell’implicazione le<br />
credenze con<strong>di</strong>vise e non i fatti biologici (in caso ci venisse chiesto se sarebbe<br />
ancora parte della finzione che questi personaggi hanno del sangue nelle vene
212 K. L. Walton<br />
qualora risultasse che ci sbagliamo nel ritenere che questo sia vero della gente<br />
reale). Nel consigliare ai pittori come ritrarre i tratti psicologici attraverso<br />
quelli fisici, Leonardo descriveva ciò cheegliriteneva essere dei fatti relativi<br />
alla connessione tra questi tratti, non delle credenze relative ad essi (o delle<br />
capacità <strong>di</strong>riconoscere gli uni dagli altri):<br />
Èverocheilvolto mostra i segni della natura degli uomini, i<br />
loro vizi e i loro temperamenti. I segni che separano le guance<br />
dalle labbra, le narici dal naso, e le orbite degli occhi dagli<br />
occhi, mostrano chiaramente se gli uomini sono allegri e ridono<br />
spesso. Gli uomini che hanno pochi segni del genere sono uomini<br />
<strong>di</strong> pensiero. Gli uomini i cui volti sono profondamente segnati<br />
sono fieri e irascibili e irragionevoli. Gli uomini che hanno delle<br />
linee orizzontali molto marcate tra le sopracciglia sono anch’essi<br />
irascibili. Gli uomini che hanno delle linee orizzontali molto<br />
marcate sulla fronte hanno molte pene, segrete o <strong>di</strong>chiarate. 29<br />
Èsoloquando applicando i due principi otterremmo probabilmente risultati<br />
<strong>di</strong>versi, tipicamente quando abbiamo achefareconculture<strong>di</strong>verse<br />
dalla nostra, che siamo inclini a sentire ilbisogno <strong>di</strong> sostituire il PR con il<br />
PCC. Solo allora ci rivolgiamo alle credenze della gente riguardo alla realtà<br />
invece che alla realtà stessa nel rintracciare leimplicazioni.<br />
Inoltre, il Principio <strong>di</strong> Realtà rimaneingioco anche in contesti interculturali<br />
quando il Principio <strong>di</strong>Credenza Con<strong>di</strong>visa guida le nostre estrapolazioni.<br />
Il nostro scopo <strong>di</strong>chiarato nell’appellarci al PCC èprobabilmente<br />
quello <strong>di</strong> ricatturare un modo <strong>di</strong> comprendere l’opera che i membri della<br />
società dell’artista potrebbero aver raggiunto usando il PR. Vogliamo comprendere<br />
Shakespeare da una prospettiva elisabettiana e le rappresentazioni<br />
del Wayang Kulit (teatro delle ombre) giavanese da una prospettiva tra<strong>di</strong>zionale<br />
giavanese. Non voglio <strong>di</strong>re che inten<strong>di</strong>amo duplicare esattamente il<br />
(o un) modo in cui delle persone in particolare hanno compreso queste opere.<br />
Possiamo, per esempio, sperare <strong>di</strong> essere più acutiperalcuni aspetti <strong>di</strong><br />
alcuni o <strong>di</strong> tutti gli spettatori originali. Ciò acuiaspiriamo è una qualche<br />
idealizzazione del loro modo <strong>di</strong> intendere l’opera -il modo <strong>di</strong> intendere a cui,<br />
anostroparere, essi miravano. Ma cerchiamo davvero <strong>di</strong> metterci nei panni<br />
degli elisabettiani o dei giavanesi, <strong>di</strong> adottare il loro punto <strong>di</strong> vista in qualche<br />
modo, edaquel punto <strong>di</strong> vista cerchiamo <strong>di</strong> arrivare a comprendere l’opera<br />
il meglio possibile. Gli elisabettiani e i giavanesi, alle prese con opere della<br />
29<br />
Nota del traduttore: questo passaggio traduce dall’inglese la citazione <strong>di</strong> Walton del<br />
Trattato della Pittura <strong>di</strong> Leonardo.
Imeccanismi della generazione 213<br />
loro cultura, avranno basato molte delle loro estrapolazioni sulla realtà, facendo<br />
del loro meglio, date le limitazioni della loro conoscenza. Allo scopo <strong>di</strong><br />
ricatturare le loro interpretazioni o quelle a cui idealmente potrebbero essere<br />
arrivati, dobbiamo appellarci non alla realtà comenoi cre<strong>di</strong>amo che sia, ma<br />
al loro modo <strong>di</strong> concepirla; dobbiamo usare noi stessi qualcosa <strong>di</strong> simile al<br />
PCC. La ragione principale che sta <strong>di</strong>etro all’uso del Principio <strong>di</strong> Credenza<br />
Con<strong>di</strong>visa è<strong>di</strong>riprodurre i risultati che il Principio <strong>di</strong> Realtà potrebbeaver<br />
prodotto, date le credenze con<strong>di</strong>vise nella società dell’artista.<br />
Ma non ci importa solo dei risultati. Anche il processo <strong>di</strong> usare il Principio<br />
<strong>di</strong> Realtà perottenerli èimportante.Nonèche accertiamo freddamente<br />
cosa era creduto comunemente allo scopo <strong>di</strong> scoprire quali proposizioni sono<br />
parte della finzione, e poi proce<strong>di</strong>amo ad immaginarle. Immaginiamo <strong>di</strong><br />
con<strong>di</strong>videre quelle credenze, <strong>di</strong> credere ciò cheeraoècreduto nella società<br />
dell’artista, e <strong>di</strong> applicare il PR da quel punto <strong>di</strong> vista. Poi accettiamo i<br />
risultati <strong>di</strong> questa applicazione immaginata del PR, che coincidono grosso<br />
modo con i risultati del PCC; estrapoliamo sulla base del mondo reale come<br />
immaginiamo <strong>di</strong> concepirlo.<br />
Perché questoattaccamento persistente al Principio <strong>di</strong> Realtà? Basare<br />
le proprie estrapolazioni sul PR piuttosto che sul PCC può averecerti<br />
vantaggi. Non siamo ancora in grado <strong>di</strong> apprezzarli pienamente, ma ecco<br />
l’idea centrale: il pubblico partecipa a dei giochi <strong>di</strong> far finta usando le<br />
rappresentazioni come sostegni. Una forma <strong>di</strong> partecipazione pervasiva e<br />
particolarmente importante consiste far finta che il fruitore dell’opera, nel<br />
suo gioco, indaghi la realtà incerti mo<strong>di</strong>. Questo èpartedella finzione in<br />
virtù del modo in cui egli <strong>di</strong> fatto indaga il mondo dell’opera. Il processo<br />
<strong>di</strong> scoprire ciò cheèparte della finzione nell’opera rende parte della finzione<br />
che lui nel gioco scopre la verità. Il PR èparticolarmente adatto a questa<br />
partecipazione, perché leindagini relative ai mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione secondo<br />
questo principio rispecchiano le indagini relative al mondo reale.<br />
Una rapida illustrazione dovrà bastareperora. Leggendo una storia,<br />
Loretta osserva che èparte della finzione che un personaggio, Andy, si comporta<br />
in modo antisociale. Inferisce che èpartedella finzione che Andy soffre<br />
<strong>di</strong> un <strong>di</strong>sturbo neurologico ere<strong>di</strong>tario, basando le proprie estrapolazioni sul<br />
Principio <strong>di</strong> Realtà, perché pensacheuncomportamento <strong>di</strong> quel genere in<br />
una persona reale in<strong>di</strong>cherebbe la presenza <strong>di</strong> un tale <strong>di</strong>sturbo. Ma altri<br />
suggeriscono che le azioni del tipo in questione, in circostanze simili, devono<br />
piuttosto essere spiegate da esperienze infantili traumatiche, o da uno scompenso<br />
chimico nel cervello indotto dall’ingestione <strong>di</strong> funghi velenosi. Loretta<br />
va in biblioteca per fare una ricerca sulla questione. Se ne viene via convinta<br />
della giustezza della propria opinione iniziale sulla base neurologica innata
214 K. L. Walton<br />
del comportamento antisociale della varietà rilevante, e riba<strong>di</strong>sce la propria<br />
interpretazione iniziale della storia.<br />
Leggendo la storia e riflettendo su <strong>di</strong> essa, Loretta partecipa a un gioco<br />
<strong>di</strong> far finta. Èpartedella finzione nel suo gioco che lei nota il comportamento<br />
antisociale <strong>di</strong> Andy e inferisce che egli soffre <strong>di</strong> un <strong>di</strong>sturbo neurologico<br />
ere<strong>di</strong>tario. Anche le sue ricerche in biblioteca possono essere facilmente integrate<br />
nel gioco, perché ciòcheleifalìèesattamente quello che farebbe per<br />
confermare una <strong>di</strong>agnosi relativa a una persona reale. Nella finzione consulta<br />
le scoperte più recenti pubblicate dai maggiori esperti sui <strong>di</strong>sturbi del<br />
comportamento per vedere se esse possono aiutare a far luce sulla con<strong>di</strong>zione<br />
<strong>di</strong> Andy.<br />
Le cose non vanno così lisce quando il Principio <strong>di</strong> Credenza Con<strong>di</strong>visa è<br />
all’opera. Mabel legge la storia e osserva che èpartedella finzione che Andy<br />
si comporta in modo antisociale. Usando il PCC, inferisce che èpartedella<br />
finzione che èposseduto dal demonio, perché assume che sia comunemente<br />
creduto nella società dell’autore che un tale comportamento èin<strong>di</strong>ce <strong>di</strong><br />
possessione demoniaca. Perconfermare questa inferenza Mabel consulta gli<br />
archivi storici appropriati. Se ne viene via convinta che la società dell’autore<br />
credeva davvero comunemente quello che lei pensava, e riba<strong>di</strong>sce la propria<br />
interpretazione della storia.<br />
Mabel, come Loretta, partecipa ad un gioco <strong>di</strong> far finta. Quando stabilisce<br />
che nella finzione Andy èposseduto, èpartedella finzione nel suo gioco<br />
che lei stabilisce questo, e nella finzione èsulla base del comportamento antisociale<br />
<strong>di</strong> Andy che lei pensa che sia posseduto. Ma la sua ricerca storica non<br />
si integra facilmente nel gioco. I suoi tentativi <strong>di</strong> accertare ciò chesicredeva<br />
nella società dell’artista riguardo alle cause del comportamento antisociale,<br />
senza tener conto <strong>di</strong> quanto a suo parere (quale <strong>di</strong>fensore della scienza moderna<br />
che smaschera le vecchie superstizioni) questo fosse sbagliato, fondato<br />
su dei pregiu<strong>di</strong>zi e sull’autoinganno, ècosì<strong>di</strong>versodalfareuna <strong>di</strong>agnosi ad<br />
una persona reale che sarebbe strano ritenere che la sua indagine sia nella<br />
finzione un’indagine delle cause del comportamento <strong>di</strong> Andy.<br />
Mabel partecipa in modo rilevante al suo gioco, tuttavia. In seguito alla<br />
sua ricerca <strong>di</strong> archivio, essa assume che èpartedella finzione che ci sia un<br />
<strong>di</strong>avolo che a volte possiede la gente e fa chesicomportiinmodo antisociale.<br />
E capisce che èpartedella finzione nel suo gioco che lei crede questo.<br />
Immagina <strong>di</strong> crederlo lei stessa. Quin<strong>di</strong> immagina se stessa nei panni dei<br />
membri della società dell’artista. Gran parte del suo sforzo seguente <strong>di</strong> decidere,<br />
seguendo il PCC, qual è,nella finzione, la causa del comportamento<br />
<strong>di</strong> Andy viene incorporato nel suo gioco. Essa deve decidere qual èilproblema<br />
<strong>di</strong>Andy, data l’idea della natura umana che èoraparte della finzione
Imeccanismi della generazione 215<br />
che abbia. Nella finzione, riflette sulle prove alla luce <strong>di</strong> quell’idea e arriva<br />
alla conclusione cheAndy èposseduto. Ma le sue convinzioni religiose<br />
elesuecredenze scientifiche reali sono state lasciate fuori dal gioco, così<br />
come le sue ragioni per avere queste convinzioni e credenze e il processo con<br />
cui èarrivata ad esse. Le ricerche storiche sononecessarie per determinare<br />
quale visione del mondo deve far finta <strong>di</strong> accettare, l’aspetto dei panni in<br />
cui si deve immaginare. Ma questo processo -la sua indagine sulle credenze,<br />
per quanto pazze siano, della società dell’artista- non conta facilmente esso<br />
stesso come il processo con cui nella finzione lei giunge ad adottare quella<br />
visione del mondo. Loretta può trasferirenel mondo della finzione più verità<br />
che la riguardano (e che sa che la riguardano) <strong>di</strong> quanto possa fare Mabel.<br />
La <strong>di</strong>fferenza tra i due principi, dunque, èqualcosa<strong>di</strong>simile a questo:<br />
il Principio <strong>di</strong> Credenza Con<strong>di</strong>visa, inteso come ciò chedetermina quali<br />
verità <strong>di</strong>finzione sono implicate, dà all’artista un controllo maggiore su ciò<br />
che èparte della finzione e rende questo maggiormente accessibile al suo<br />
pubblico imme<strong>di</strong>ato, e facilita maggiormente l’uso <strong>di</strong> rappresentazioni da<br />
parte dell’artista per in<strong>di</strong>rizzare l’immaginazione del pubblico. Il Principio<br />
<strong>di</strong> Realtà, usato dal pubblico per accertare quali verità <strong>di</strong>finzione sono<br />
implicate, permette una partecipazione più ricca e naturale ai suoi giochi<br />
<strong>di</strong> far finta. Non deve sorprendere che ambedue i principi abbiano un ruolo<br />
rilevante nella pratica <strong>di</strong> critici stimati.<br />
Quando ci si può aspettare che l’uso del PRproduca gli stessi risultati<br />
del PCC, pren<strong>di</strong>amo due piccioni con una fava. Questo accade, <strong>di</strong> solito,<br />
quando i membri <strong>di</strong> una cultura cognitivamente omogenea fruiscono <strong>di</strong><br />
rappresentazioni create da artisti che stanno tra loro.<br />
Alcuni lettori possono essere <strong>di</strong>ventatiimpazienticonlamiapazienza con<br />
il Principio <strong>di</strong> Realtà eilPrincipio <strong>di</strong> Credenza Con<strong>di</strong>visa, avendo notato<br />
dei controesempi adessi -un gran numero <strong>di</strong> controesempi, forse. Dobbiamo<br />
ricordare che il nostro interesse per i meccanismi dell’implicazione va considerevolmente<br />
al <strong>di</strong> là deldeterminarelavali<strong>di</strong>tà <strong>di</strong>questiprincipi. Ma è<br />
tempo <strong>di</strong> considerare i controesempi. Ci concentreremo prima sui casi in<br />
cui appare evidente che certe verità <strong>di</strong>finzione sono implicate da certe altre,<br />
ma l’implicazione non èautorizzata né dalPRnédalPCC. Nella sezione 5,<br />
osserveremo degli esempi <strong>di</strong> tipo opposto: implicazioni che intuitivamente<br />
non valgono, ma che dovrebbero valere secondo il PR o il PCC o secondo<br />
ambedue.
216 K. L. Walton<br />
Altre implicazioni<br />
L’uomo che sa usare una pistola è, per convenzione filmica,<br />
l’uomo senza culo.<br />
Pauline Kael, L’ho persa al cinema<br />
Ecco alcuni esempi <strong>di</strong> implicazioni che non sono autorizzate né dalPrincipio<br />
<strong>di</strong> Realtà nédalPrincipio<strong>di</strong>Credenza Con<strong>di</strong>visa.<br />
(a) Qualsiasi bambino può <strong>di</strong>segnareuna strega. Di solito, basta <strong>di</strong>segnare<br />
una donna con un mantello nero, un cappello a cono, e un lungo naso.<br />
Un manico <strong>di</strong> scopa, un gatto nero, e una luna piena assicurano il risultato.<br />
Il fatto che nella finzione c’è una strega èimplicato dal fatto che nella finzione<br />
c’è una donna con un mantello nero, un cappello a cono, e un lungo naso.<br />
Ma non èche,secifosse (nel mondo reale) una donna nasuta abbigliata<br />
con un mantello nero e un cappello a cono, anche se fosse in compagnia <strong>di</strong><br />
un manico da scopa e <strong>di</strong> un gatto nero sotto la luna piena, ci sarebbe una<br />
strega. Né questoècomunemente creduto nella società delbambino.Èpiù<br />
probabile che una persona del genere sia una casalinga abbigliata per una<br />
festa <strong>di</strong> Halloween, e sappiamo tutti che ècosì. Anche se consideriamo l’intero<br />
corpus <strong>di</strong> proposizioni che il <strong>di</strong>segno genera <strong>di</strong>rettamente come parte<br />
della finzione, probabilmente non ènéveronécreduto comunemente che,<br />
se fossero tutte vere, ci sarebbe una strega. Né ilPrincipio <strong>di</strong> Realtà né<br />
il Principio <strong>di</strong> Credenza Con<strong>di</strong>visa lasciano passare l’implicazione che nella<br />
finzione c’è una strega. Eppure non c’è dubbio che passa. Il <strong>di</strong>segno, senza<br />
possibilità <strong>di</strong>errore, rappresenta una strega.<br />
(b) Uno schizzo che accompagna la storia <strong>di</strong> James Thurber “L’unicorno<br />
in giar<strong>di</strong>no” ritrae un animale simile a un cavallo con un unico corno in<br />
mezzo alla fronte. Èovvio (anche senza l’aiuto della storia o del suo titolo)<br />
che, essendo un unicorno, èbianco. 30 Ma gli unicorni sono animalimitici,<br />
come sappiamo tutti. Se ci fosse nel mondo reale un animale simile al cavallo<br />
con un solo corno, molto probabilmente non sarebbe bianco, e probabilmente<br />
nessuno crede altrimenti. (La maggior parte degli animali simili hanno una<br />
colorazione più scura).<br />
Èsenza dubbio parte della finzione che l’animale è<br />
bianco, ma nessuno dei nostri due principi lascia passare l’implicazione.<br />
(c) Si rammenti il suici<strong>di</strong>o della signora Verloc durante il suo viaggio verso<br />
il continente nell’Agente segreto <strong>di</strong> Conrad. Il titolo <strong>di</strong> giornale, “Suici<strong>di</strong>o<br />
della passeggera <strong>di</strong> una nave che attraversa la Manica,” informa il lettore<br />
della sua morte. Ma come possiamo saltare in modo così irresponsabile alla<br />
30<br />
Il <strong>di</strong>segno non ritrae l’animale come bianco in virtù della bianchezza della carta. Ve<strong>di</strong><br />
Walton (1979).
Imeccanismi della generazione 217<br />
conclusione che era lei la vittima? Abbiamo degli in<strong>di</strong>zi ulteriori, èvero.<br />
Sappiamo che la signora Verloc era sconvolta dopo aver ucciso il marito, e<br />
aveva paura del patibolo. In precedenza aveva contemplato la possibilità<br />
<strong>di</strong> affogarsi nel Tamigi. Ossipon l’aveva abbandonata sul treno e le aveva<br />
rubato i sol<strong>di</strong>. Ma poche o nessuna <strong>di</strong> queste prove ulteriori sono necessarie<br />
per stabilire il fatto che nella finzione èlasignoraVerloc che si getta dal traghetto.<br />
E anche queste prove, nella realtà, avrebbero bisogno <strong>di</strong> conferma;<br />
potrebbe facilmente esserci stata un altra passeggera suicida che attraversava<br />
la Manica quella stessa notte. Nel migliore dei casi, è dubbio che, se<br />
un giornale avesse avuto quel titolo in quelle circostanze, sarebbe stata la<br />
signora Verloc che si era gettata (o anche che sarebbe stato probabile che<br />
fosse lei), ed èaltrettanto dubbio che questo controfattuale sarebbe stato<br />
una credenza con<strong>di</strong>visa. Tuttavia, non c’è alcun dubbio che, nella finzione,<br />
si tratta del suo suici<strong>di</strong>o.<br />
(d)<br />
Il Viscigadare èstrisciatofuori dal mare,<br />
Tutti tranne me può afferrare.<br />
No, non mi puoi afferrare, vecchio Viscigadare,<br />
Tutti tranne me puoi aff– 31<br />
Il Viscigadare ha certamente afferrato il millantatore, e noi go<strong>di</strong>amo della<br />
sua caduta. Sappiamo che lo ha afferrato perché lamillanteria si èfermata<br />
improvvisamente a metà parola. Ma che inferenza pazzamente affrettata! Il<br />
parlante potrebbe improvvisamente aver ricordato un appuntamento importante<br />
oppure versato il caffèospiaccicato una zanzara o potrebbe aver avuto<br />
il singhiozzo; perfino una attacco <strong>di</strong> una tigre scappata dallo zoo sarebbe<br />
più probabile <strong>di</strong> un improvviso annullamento ad opera <strong>di</strong> un mostro marino<br />
chiamato Viscigadare. La spiegazione più probabile dell’interruzione, in un<br />
caso reale, sarebbe che il parlante sta recitando un poema che finisce a metà<br />
<strong>di</strong> una parola!<br />
(e) I lettori <strong>di</strong> letteratura fantastica accettano le assur<strong>di</strong>tà piùsfrenate<br />
in base alla parola dei narratori e <strong>di</strong> altri personaggi. Quando nell’Hobbit<br />
<strong>di</strong>versi personaggi parlano <strong>di</strong> un anello che rende invisibile colui che lo indossa,<br />
senza esitazione, e giustamente, riteniamo che sia parte della finzione<br />
che <strong>di</strong>cono il vero, che c’è untaleanello.<br />
(f) San Sebastiano può essere identificato nell’iconografia me<strong>di</strong>evale e<br />
rinascimentale dalle frecce che sporgono dal corpo. Ma migliaia <strong>di</strong> persone<br />
anonime sono morte in quel modo. Come possiamo assumere che la vittima<br />
raffigurata èSebastiano? Un’aureola, quando èpresente, esclude alcuni<br />
31 “Slithergadee,” Silverstein (1964).
218 K. L. Walton<br />
can<strong>di</strong>dati -il generale Custer, per esempio- e lo stesso vale per i dettagli<br />
che riguardano quello che indossa e l’ambiente circostante. Ma questi suggerimenti<br />
non sono affatto necessari. Il fatto che nella finzione qualcuno è<br />
trafitto dalle frecce è<strong>di</strong>persèquasi sufficiente a stabilire senza ombra <strong>di</strong><br />
dubbio che nella finzione la persona in questione èsanSebastiano.<br />
(g) Oltre ai suoi noti stu<strong>di</strong> dell’iconografia rinascimentale, Panofsky si è<br />
occupato della “iconografia fissa” dei film muti all’inizio del ventesimo secolo<br />
che “informava gli spettatori sui fatti fondamentali e sui personaggi”:<br />
Ebbero origine, identificabili da aspetto, comportamento e attributi<br />
standar<strong>di</strong>zzati, i tipi memorabili della Vamp e della Ragazza<br />
Acqua e Sapone. . . , l’Uomo <strong>di</strong> Famiglia e il Cattivo, quest’ultimo<br />
contrassegnato dai baffi neri e da un bastone da passeggio.<br />
Le scene notturne venivano stampate su una pellicola blu o verde.<br />
Una tovaglia a quadretti significava, una volta per tutte, un<br />
ambiente “povero ma onesto;” un matrimonio felice, che presto<br />
sarebbe stato messo in pericolo dalle ombre del passato, era simbolizzato<br />
dalla giovane moglie che versava il caffè della colazione<br />
al marito; il primo bacio era invariabilmente annunciato dal fatto<br />
che la donna giocava gentilmente con lacravatta del compagno<br />
ed era accompagnato invariabilmente dal suo scalciare col piede<br />
sinistro. 32<br />
Ovviamente, lo scopo <strong>di</strong> tanti esempi non èsemplicemente <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare<br />
l’inadeguatezza del PR e del PCC. Ma èchiaroche questi principi lasciano<br />
inspiegate delle intere porzioni <strong>di</strong> pratica critica accettata. Essi non<br />
si avvicinano neppure, separatamente o insieme, a fornire una spiegazione<br />
sistematica, comprensiva dei meccanismi dell’implicazione. Èimportante<br />
realizzare quanto lontani sono da quel traguardo, e anche come lo sono,<br />
quanto numerose e varie sono le implicazioni che non riescono a sistemare.<br />
Molte delle forme particolari che assumono le implicazioni ci interesseranno<br />
del tutto in<strong>di</strong>pendentemente dalle loro conseguenze per la sorte del PR e del<br />
PCC.<br />
Alcuni degli esempi suggeriscono varianti dell’uno o dell’altro principio.<br />
Molti si basano su leggende o su miti noti. Benché nonsianéveronécomunemente<br />
creduto nella società <strong>di</strong>Thurberchesesiincontrasse un animale<br />
simile a un cavallo con un unico corno sarebbe un unicorno bianco, c’è una<br />
leggenda comunemente riconosciuta in quella società incuisi può sostenere<br />
che questo èpartedella finzione. Un principio secondo il quale le leggende<br />
32 Panofsky (1979).
Imeccanismi della generazione 219<br />
comunemente riconosciute prendono il posto della realtà odelle credenze<br />
con<strong>di</strong>vise può stare alla base dell’implicazione nel <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Thurber.<br />
Ma è dubbio che dei principi modellati <strong>di</strong>rettamente sul PR o sul PCC<br />
cattureranno il ruolo che miti e leggende giocano in molte implicazioni. Benché<br />
siapartedella finzione in una leggenda comunemente riconosciuta che<br />
ci sono delle streghe e che hanno dei lunghi nasi e indossano cappelli a cono,<br />
èmoltomenochiaroche sia parte della finzione in essa che, se ci fosse una<br />
donna che risponde a questa descrizione, sarebbe una strega. Èpartedella<br />
leggenda che non ci sono feste <strong>di</strong> Halloween, o che le non-streghe non si<br />
vestono mai così, oppure che le streghe genuine sono più numerose<strong>di</strong>quelle<br />
false?<br />
Gli esempi (c), (f) e (d) hanno più achefarecon la realtà cosìcom’è<br />
ocomesicredeva che fosse nella società dell’artista che con miti o leggende,<br />
ma essi non si accordano né conilPRnéconilPCC: il titolo <strong>di</strong> un<br />
giornale che annuncia un suici<strong>di</strong>o da un traghetto che attraversa la Manica<br />
più ilfatto che una certa signora Verloc, con un’inclinazione suicida, stava<br />
facendo la traversata in quel momento in<strong>di</strong>cherebbe lei, benché questo<br />
sarebbe assai lontano dall’essere una prova conclusiva. L’informazione che<br />
una certa persona èmorta in una cascata <strong>di</strong> frecce sarebbe nel migliore dei<br />
casi una ragione assai debole a sostegno della supposizione che si tratti <strong>di</strong><br />
san Sebastiano. Fermarsi improvvisamente a metà <strong>di</strong>una parola rende solo<br />
leggermente meno improbabile <strong>di</strong> quanto sarebbe altrimenti cheilparlante<br />
sia stato vittima <strong>di</strong> un mostro venuto dal mare. Queste relazioni <strong>di</strong> evidenza,<br />
o il fatto che si creda comunemente che esse siano tali, chiaramente<br />
hanno qualcosa a che fare con il successo delle implicazioni. Ma la forza<br />
dell’evidenza non pare avere alcuna importanza. Invece, èlasuasalienza, il<br />
fatto ovvio che sia evidenza, per quanto debole, che permette all’implicazione<br />
<strong>di</strong> passare. Se una persona si vanta <strong>di</strong> essere salva dal Viscigadare ed è<br />
interrotta improvvisamente, il pensiero che èstata afferrata da un tale mostro<br />
viene in menteinmodo naturale, benché l’interruzione sia una ragione<br />
assolutamente insignificante per accettare che questo sia accaduto.<br />
Se anche la relazione <strong>di</strong> evidenza più trascurabile può starealla base <strong>di</strong><br />
una implicazione, purché siaragionevolmente in vista, ci si dovrebbe aspettare<br />
che esistano delle implicazioni che non comportano l’esistenza <strong>di</strong> alcuna<br />
relazione <strong>di</strong> evidenza (né attualenécreduta), ma semplicemente una connessione<br />
sufficientemente saliente o un associazione <strong>di</strong> qualche altro tipo.<br />
Ci sono dei casi del genere, naturalmente. A volte l’associazione vale solo<br />
all’interno <strong>di</strong> una data tra<strong>di</strong>zione rappresentativa, e a volte èstabilita<br />
dalle rappresentazioni stesse. L’iconografia dei film muti che Panofsky descrive<br />
consiste (almeno in parte) in convenzioni specifiche del genere per cui
220 K. L. Walton<br />
(grosso modo) quando certe proposizioni sono verità <strong>di</strong>finzione, anche certe<br />
altre lo sono. C’è unelaborato insieme <strong>di</strong> co<strong>di</strong>ci nell’Opera <strong>di</strong> Pechino per<br />
cui icostumi e il trucco in<strong>di</strong>cano dei tipi <strong>di</strong> personaggi; una faccia bianca,<br />
per esempio, in<strong>di</strong>ca inclinazione infida o astuzia. Tali convenzioni non sono<br />
<strong>di</strong> solito specificate o stabilite esplicitamente, eccetto aposteriori da commentatori<br />
come Panofsky; esse si sviluppano con la tra<strong>di</strong>zione e vengono<br />
imparate dal pubblico sperimentandole. Alcune hanno le loro ra<strong>di</strong>ci in con-<br />
nessioni più “naturali.”<br />
È una convenzione del Rinascimento che le frecce<br />
in un corpo lo identifichino come il corpo <strong>di</strong> san Sebastiano. Le implicazioni<br />
valgono non tanto perché sanSebastiano morì inuncascata <strong>di</strong> frecce, o<br />
perché sicredevachefosse morto così, quanto perché questoèilmodoin<br />
cui egli èritratto tra<strong>di</strong>zionalmente. Ma la connessione èsorta senza dubbio<br />
principalmente come risultato dei fatti (o delle credenze con<strong>di</strong>vise) relativi<br />
alle circostanze della sua morte. La fonte dell’assunzione che in certi fumetti<br />
francesi ritrarre una persona che indossa una bombetta e impugna un ombrello<br />
la rende un inglese èprobabilmente un mito o una storiella che associa<br />
gli inglesi con le bombette e gli ombrelli, o magari una credenza con<strong>di</strong>visa<br />
che le due cose vanno solitamente insieme.<br />
Alcune implicazioni èmenofacile considerarle “convenzionali” e <strong>di</strong>pendono<br />
in modo meno ovvio da precedenti, ma comunque esse hanno poco a<br />
che fare conrelazioni <strong>di</strong> evidenza (attuali, credute o leggendarie). Come<br />
per le metafore, finiamo per capire, per una ragione o un’altra, talvolta senza<br />
sapere perché. Mi aspetto che coloro che osservano i ritratti capiscano<br />
facilmente che le persone ritratte con <strong>di</strong>mensioni maggiori <strong>di</strong> altre devono<br />
ritenersi più importanti, anche prima che questo meccanismo sia <strong>di</strong>venuto<br />
convenzionale. 33 Quelli che vanno al cinema riescono a decifrare i meccanismi<br />
usati per in<strong>di</strong>care i sogni, i flashback, leanticipazioni -fumo, sfocamento,<br />
passaggio al bianco e nero, i personaggi che menzionano eventi precedenti o<br />
successivi (come quando in una versione cinematografica <strong>di</strong> Anna Karenina<br />
Vronsky <strong>di</strong>ce, “Devo incontrare Anna alla stazione” imme<strong>di</strong>atamente prima<br />
che siveda la stazione)- senza basarsi su precedenti specifici in altre opere.<br />
Sappiamo ciò cheicreatori <strong>di</strong> rappresentazioni stanno cercando <strong>di</strong> fare, che<br />
una gran parte del loro lavoro consiste nel rendere delle proposizioni parte<br />
della finzione. Quando un artista ha fatto sì cheun’opera generi delle verità<br />
<strong>di</strong> finzione che in un modo o nell’altro richiamano l’attenzione su una pro-<br />
33 Probabilmente le <strong>di</strong>mensioni della porzione <strong>di</strong> tela utilizzata per rappresentare una<br />
persona, così comele<strong>di</strong>mensioni che le attribuisce il ritratto, incidono su quanto èimportante<br />
nella finzione. Inoltre, rappresentando qualcuno con gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni o impiegando<br />
una grande porzione <strong>di</strong> tela per lui, l’artista può voler<strong>di</strong>reche egli èdavveroimportante,<br />
oltre a rendere parte della finzione che lo sia.
Imeccanismi della generazione 221<br />
posizione ulteriore, èspesso evidente che la sua ragione per fare questo era<br />
<strong>di</strong> rendere anche questa proposizione parte della finzione. Èprobabile che<br />
ci sia un’intesa con l’effetto, grosso modo, che quando èchiaroche questo<br />
era loscopo dell’artista, la proposizione saliente <strong>di</strong>venta parte della finzione,<br />
eilsuoessere parte della finzione èimplicato dalle verità <strong>di</strong>finzione che<br />
richiamano l’attenzione su <strong>di</strong> essa.<br />
Abbiamo visto in precedenza che il Principio <strong>di</strong> Credenza Con<strong>di</strong>visa si<br />
accorda meglio del Principio <strong>di</strong> Realtà conilruolo delle rappresentazioni<br />
come veicoli attraverso i quali gli artisti in<strong>di</strong>rizzano l’immaginazione del<br />
pubblico. Il pubblico può riuscire più facilmente ad immaginare ciò cheè<strong>di</strong><br />
finzione, ciò che le rappresentazioni lo inducono ad immaginare, quando il<br />
Principio <strong>di</strong> Credenza Con<strong>di</strong>visa èall’opera, e facendo questo èpiùprobabile<br />
che immagini nel modo in cui intendeva l’artista.<br />
Ma il PCC non èassolutamenteilsolomezzo per raggiungere questo scopo;<br />
esso può essere raggiunto in modo più <strong>di</strong>retto e non meno efficacemente<br />
in altri mo<strong>di</strong>. Tutto ciò cheènecessario è un’intesa chiara tra l’artista e<br />
il pubblico riguardo quali verità <strong>di</strong>finzione siano generate da certi tratti<br />
dell’opera (a con<strong>di</strong>zione che i tratti rilevanti siano controllabili dall’artista e<br />
accertabili dal pubblico). Non c’è alcuna ragione particolare per cui le credenze<br />
<strong>di</strong> qualcuno relative al mondo reale dovrebbero entrare in gioco. Per<br />
quanto riguarda le implicazioni, delle semplici convenzioni per cui ogni volta<br />
che le proposizionital dei tali sono parte della finzione anche la proposizione<br />
così ecosìneèpartesvolgono egregiamente questa funzione -una decisione<br />
riguardante i film degli anni venti, ad esempio, che, se èpartedella finzione<br />
che una famiglia mangia su una tovaglia a quadretti, èpartedella finzione<br />
che vive in un ambiente “povero, ma onesto.” Se queste intese vengono<br />
raggiunte senza deliberazioni esplicite, tanto meglio. Esse possono basarsi<br />
su quasi ogni connessione ben in vista tra le verità <strong>di</strong>finzione implicanti e<br />
quelle implicate. Una credenza con<strong>di</strong>visa saliente per cui, se fosse il caso che<br />
così ecosì, sarebbe anche il caso che questo e quello èsemplicemente una <strong>di</strong><br />
queste connessioni.<br />
Ho menzionato un altro obiettivo significativo che il principio <strong>di</strong> implicazione<br />
può assecondare: quello <strong>di</strong> incoraggiare e arricchire la partecipazione<br />
del pubblico nel suo gioco <strong>di</strong> far finta. Il PR èspecialmente adatto a questo<br />
scopo, come abbiamo visto, benché ilPCCriesca a ritenere gran parte dei<br />
vantaggi del PR a questo riguardo. Questo obiettivo, tuttavia, viene in gran<br />
parte abbandonato nella misura in cui le implicazioni sono basate su principi<br />
<strong>di</strong>versi dal PR o dal PCC.<br />
Loretta ritiene che sia parte della finzione che Andy soffre <strong>di</strong> un <strong>di</strong>sturbo<br />
neurologico innato sulla base <strong>di</strong> verità <strong>di</strong>finzione relative al suo comporta-
222 K. L. Walton<br />
mento antisociale. Quando fa questo, èpartedella finzione nel suo gioco che<br />
essa ritiene che Andy soffra <strong>di</strong> questa con<strong>di</strong>zione sulla base del suo comportamento<br />
antisociale. Nella finzione, il suo comportamento (e le circostanze<br />
concomitanti) costituisce la ragione <strong>di</strong> Loretta per credere che il suo sistema<br />
neurologico funzioni male. Assumendo che Loretta abbia ragione ad usare il<br />
PR per interpretare la storia e abbia ragione riguardo alle implicazioni che<br />
ci trova, èpartedella finzione che la suaragione è buona, che il comportamento<br />
antisociale <strong>di</strong> Andy èdavverouna buona in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> un <strong>di</strong>sturbo<br />
neurologico.<br />
Questo èveroanche <strong>di</strong> Mabel. Quando, usando il PCC, assume che<br />
le verità <strong>di</strong>finzione relative al comportamento <strong>di</strong> Andy e alle circostanze<br />
implicano che egli èposseduto dal demonio, èpartedella finzione nel suo<br />
gioco che lei conclude dal comportamento antisociale <strong>di</strong> Andy che egli sia<br />
posseduto dal demonio (benché essa non trarrebbe mai questa conclusione<br />
nella vita reale); nella finzione, la prima assunzione èlasuaragione per fare<br />
la seconda assunzione. Se Mabel ha ragione ad usare il PCC e ha ragione<br />
riguardo alle implicazioni che trova nella storia, èpartedella finzione che<br />
la sua è una buona ragione -che il comportamento antisociale <strong>di</strong> Andy è<br />
davvero una buona in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> possessione demoniaca.<br />
Ma quando Robert, esaminando un’incisione lignea attribuita a Dürer,<br />
osserva che ritrae delle frecce che trafiggono il corpo <strong>di</strong> un uomo e inferisce<br />
(contrariamente sia al PR che al PCC) che nella finzione il corpo èquello<br />
<strong>di</strong> san Sebastiano, non èparte della finzione nel suo gioco che le frecce sono<br />
una parte significativa delle sue ragioni per identificare la persona come<br />
Sebastiano, né èpartedella finzione che esse siano una buona ragione per<br />
fare questo; nella finzione esse forniscono solo un’in<strong>di</strong>cazione trascurabile<br />
che il corpo è<strong>di</strong>Sebastiano. Non èpartedella finzione che Sebastiano è<br />
stato l’unico nella storia (o l’unico santo nella storia) a morire in seguito<br />
ad una cascata <strong>di</strong> frecce. Sosterrei invece che è parte della finzione nel<br />
gioco <strong>di</strong> Robert che egli sa che èilcorpo<strong>di</strong>Sebastiano. Ma probabilmente<br />
non c’è rispostaalla domanda relativa a come egli, nella finzione, lo abbia<br />
identificato oaqualisianolesueragioni. Ilmondodelgiocoèincompleto<br />
sotto questo aspetto. L’inferenza che egli fa in realtà riguardo aciòcheè<br />
parte della finzione e alle sue ragioni per pensare che sia <strong>di</strong> finzione stanno<br />
fuori dal suo gioco; solo la sua conclusione influisce su ciò cheè<strong>di</strong>finzione<br />
nel gioco.<br />
In modo analogo, non è<strong>di</strong>finzione in “Viscigadare” che l’improvvisa<br />
interruzione del parlante è<strong>di</strong>persè una buona ragione per accettare che<br />
il Viscigadare lo abbia afferrato, né è<strong>di</strong>finzione nel gioco del lettore che<br />
questa èlasuaragione per accettare questa conclusione, anche se èin<strong>di</strong>scu-
Imeccanismi della generazione 223<br />
tibilmente parte della finzione che il mostro lo ha afferrato e che il lettore<br />
sa (in un modo o nell’altro) che lo ha afferrato.<br />
Il caso della tovaglia a quadretti èmenochiaro. Una convenzione che<br />
ogni volta che èpartedella finzione che la gente mangia su una tovaglia a<br />
quadretti èanche parte della finzione che essi vivono in un ambiente povero<br />
ma onesto, può, ma non deve necessariamente, essere accompagnata da<br />
un’intesa che, nella finzione, chiunque usi una tovaglia a quadretti vive in<br />
un tale ambiente. Non ènecessariamente parte della finzione che ci sia qualche<br />
connessione nomologica o evidenziale tra tovaglie a quadretti e onesta<br />
povertà, e può essere parte della finzione che non ci sia alcuna connessione<br />
del genere. Dunque, quando lo spettatore inferisce, del tutto legittimamente,<br />
una verità <strong>di</strong>finzione dall’altra, può benissimo non essere parte della<br />
finzione che egli deriva l’ambiente dalla tovaglia.<br />
Imeccanismi della generazione in<strong>di</strong>retta risultano essere -senza sorpresa<br />
<strong>di</strong> alcuno, penserei- assai <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nati. Le implicazioni non sembrano essere<br />
governate da alcun principio o insieme <strong>di</strong> principi semplice e sistematico,<br />
ma da una schiera complicata e mutevole <strong>di</strong> intese, precedenti, convenzioni<br />
locali, salienze, spesso in competizione fra loro. Principi nettamente <strong>di</strong>vergenti,<br />
che rispondono a bisogni <strong>di</strong>versi, sono all’opera in casi <strong>di</strong>fferenti, e<br />
pare improbabile che ci siano dei meta-principi sistematici e assai generali<br />
per determinare quale sia applicabile e quando. L’esperienza e la conoscenza<br />
delle arti, della società, e del mondo affineranno le abilità delcritico. Ma<br />
infine egli deve seguire la propria intuizione. La descrizione seguente delle<br />
Figura 2: Pablo Picasso, Donne che corrono sulla spiaggia, 13 3<br />
8 × 13 3<br />
4 pollici, olio<br />
su compensato (1922). Musée Picasso. Copyright c○ ARS N.Y. /SPADEM, 1989.<br />
Foto c○ R.M.N.-SPADEM. Usato nel 1924 come sipario per il balletto Il treno blu.<br />
Donne che corrono sulla spiaggia <strong>di</strong> Picasso (figura 2) illustra bene la varietà<br />
dei meccanismi con cui le verità <strong>di</strong>finzione possono essere implicate<br />
-in questo caso una singola verità <strong>di</strong>finzione o un insieme <strong>di</strong> tali verità in<br />
una singola opera. L’obiettivo <strong>di</strong> Picasso, tuttavia, non èsemplicemente <strong>di</strong><br />
rendere parte della finzione la proposizione che le figure si stanno muovendo<br />
(o muovendo rapidamente), ma anche <strong>di</strong> trasmettere un “senso <strong>di</strong> movimen-
224 K. L. Walton<br />
to.” Egli fa questo ribadendo questa verità <strong>di</strong>finzione molte volte in mo<strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>versi.<br />
Ve<strong>di</strong>amo che la spinta in avanti delle due figure <strong>di</strong>venta irresistibile<br />
a causa della combinazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>storsioni calcolate che<br />
agiscono in modo concertato. L’in<strong>di</strong>zio èdatodaunbraccio assai<br />
ingran<strong>di</strong>to che si stende in avanti e che punta nella <strong>di</strong>rezione in<br />
cui le ragazze stanno correndo. Questo si accorda con ogni dettaglio<br />
dai capelli al vento e agli indumenti, alle nuvole allungate<br />
eall’orizzonte vuoto tra spiaggia e cielo contro il quale corrono.<br />
Ma il tratto più significativo èlatensionetangibile tra il puntare<br />
della mano e il piede molto più piccolo che viene quasi lasciato<br />
in<strong>di</strong>etro nella fretta dalla figura principale. Di fatto, siamo <strong>di</strong><br />
fronte ad un far finta potente, rafforzato da una molteplicità <strong>di</strong><br />
meccanismi sia plastici che psicologici, come la sembianza <strong>di</strong> riluttanza<br />
nella compagna ad essere condotta ad un tale passo, che<br />
fa da contrasto. 34<br />
4 I meccanismi della generazione <strong>di</strong>retta<br />
L’apparato della generazione <strong>di</strong>retta èinqualche misura più or<strong>di</strong>nato<strong>di</strong><br />
quello dell’implicazione? In caso qualcuno fosse tentato <strong>di</strong> supporre che lo<br />
sia, che le rappresentazioni stabiliscono le loro verità <strong>di</strong>finzione primarie<br />
in mo<strong>di</strong> relativamente semplici e preve<strong>di</strong>bili e che le cose <strong>di</strong>ventano confuse<br />
solo quando si tratta <strong>di</strong> estrapolare da esse, consideriamo brevemente alcuni<br />
esempi <strong>di</strong> generazione <strong>di</strong>retta. Una veloce rassegna sarà sufficiente a questo<br />
scopo. Ma avremo occasione più avanti<strong>di</strong>esaminarealcuni degli esempi più<br />
da vicino. Di nuovo, i dettagli dei mezzi con cui le verità<strong>di</strong>finzione vengono<br />
generate in <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> casi saranno interessanti <strong>di</strong> per sè.<br />
Èevidenteche i principi della generazione <strong>di</strong>retta per le rappresentazioni<br />
verbali e pittoriche <strong>di</strong>fferiscono molto, ma si potrebbe ricercare la<br />
consistenza in ciascuno <strong>di</strong> questi mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> rappresentazione. Le opere letterarie<br />
<strong>di</strong>cono ciò chedeve essere reso parte della finzione e quelle pittoriche<br />
lo mostrano? Questo suggerimento viene facilmente scalzato, anche senza<br />
approfittare specialmente della vaghezza <strong>di</strong> nozioni come <strong>di</strong>re e mostrare.<br />
Scartandolo vedremo perché in§2 eroriluttante ad identificare le verità <strong>di</strong><br />
finzione <strong>di</strong>rettamente generate con quelle che le opere rendono esplicite.<br />
Qualsiasi inclinazione a supporre che le proposizioni che un’opera letteraria<br />
genera <strong>di</strong>rettamente come parte della finzione sono semplicemente<br />
34 Penrose (1973), pag. 267.
Imeccanismi della generazione 225<br />
quelle che le sue parole esprimono, dato il linguaggio in cui èscritta, si<br />
<strong>di</strong>ssolve rapidamente. 35 Molte <strong>di</strong> queste proposizioni non sono affatto parte<br />
della finzione, questo appare più chiaronelcaso <strong>di</strong> opere con narratori “inaffidabili”<br />
(come Il buon soldato <strong>di</strong> Ford), e quando sono parte della finzione<br />
il loro essere <strong>di</strong> finzione èspesso implicato piuttosto che primario. In molti<br />
casi, èpartedella finzione che qualcuno (il narratore) emette le parole del<br />
testo e, se il narratore è “affidabile,” questo implica che ciò cheesprimono le<br />
sue parole èpartedella finzione.<br />
Èsemprepartedella finzione, almeno, che<br />
qualcuno proferisce le parole in questione: èquestoche costituisce il nucleo<br />
delle verità <strong>di</strong>finzione primarie? No. A volte èpartedella finzione soltanto<br />
che qualcuno pensa quelle parole senza proferirle, o che esse esprimono le<br />
sue fantasie, i suoi sogni o i suoi desideri. A volte, forse, non c’è narratore<br />
eleproposizioni<strong>di</strong>finzione generate <strong>di</strong>rettamente sono semplicemente ciò<br />
che che èpartedeltesto (considerato forse in qualche modo non letterale).<br />
Non èinfrequenteperilettori essere assai incerti riguardo a quale <strong>di</strong> queste<br />
alternative si realizza.<br />
Di solito, non c’è nulla <strong>di</strong> analogo ai narratori nei quadri e in altre illustrazioni,<br />
e per questo <strong>di</strong> solito non dobbiamo preoccuparci che non siano<br />
degne <strong>di</strong> fede. Le immagini generano <strong>di</strong>rettamente l’essere <strong>di</strong> finzione <strong>di</strong><br />
qualsiasi cosa viene mostrata in esse? Possiamo assumere che se viene mostrato<br />
un uomo, è una verità <strong>di</strong>finzione primaria che c’è unuomo, benché<br />
sarà probabilmente soltanto implicato che egli abbia del sangue nelle vene o<br />
un fratello a Vienna? No. Il <strong>di</strong>pinto <strong>di</strong> Rousseau Il sogno mostra un elefante,<br />
un paio <strong>di</strong> tigri, e un incantatore <strong>di</strong> serpenti nella giungla, e la persona che<br />
sogna dorme al centro <strong>di</strong> questa scena. Ma èpartedella finzione non che ci<br />
sia un elefante ecosìvia,masemplicemente che colei che sogna sogna che<br />
ci sia. Enonèpartedella finzione né cheleidormein una giungla né che<br />
essa sogna <strong>di</strong> dormire in una giungla, benché parrebbe che questo stato <strong>di</strong><br />
cose venga “mostrato.” Nella scena della cena in L’ora del lupo <strong>di</strong> Bergman<br />
ve<strong>di</strong>amo una cena con degli ospiti attraverso gli occhi <strong>di</strong> un artista nevrotico,<br />
Borg. Le facce dei commensali vengono mostrate mostruosamente <strong>di</strong>storte,<br />
ma èpartedella finzione solo che essi appaiono così aBorg,non che essi<br />
sono mostruosamente <strong>di</strong>storti. Ciò chevienemostrato in Rashomon, nelle<br />
<strong>di</strong>verse descrizioni conflittuali dell’incidente nella foresta, èciòcheèaccaduto<br />
secondo la testimonianza dei vari testimoni. Le loro testimonianze non<br />
possono essere tutte vere. (ve<strong>di</strong> §7 nelCap.8).<br />
35 Anche se fosse così, la generazione <strong>di</strong>retta non sarebbe più semplice né piùsistematica<br />
delle regole semantiche attraverso le quali queste proposizioni sono determinate.<br />
Inoltre, ovviamente non èsoloilsignificato letterale del testo che deve essere preso in<br />
considerazione ma anche le metafore, l’ironia, e via <strong>di</strong>cendo.
226 K. L. Walton<br />
La nozione <strong>di</strong> ciò che“mostra” l’immagine può essere soggetta a manipolazione.<br />
Il Nudo che scende unascala<strong>di</strong> Duchamp mostra una serie <strong>di</strong><br />
signore che seguono l’un l’altra scendendo le scale oppure mostra degli sta<strong>di</strong><br />
successivi <strong>di</strong> un’unica signora? La Danza <strong>di</strong> Salomè eladecapitazione <strong>di</strong><br />
Giovanni il Battista <strong>di</strong> Benozzo Gozzoli, che ritrae Salomè chedanza, la decapitazione<br />
<strong>di</strong> Giovanni, e Salomèchepresenta la testa ad Erode,tutto nella<br />
stessa inquadratura, mostra che questi eventi occorrono simultaneamente?<br />
Potremmo insistere che la risposta ènegativa sostenendo che l’ipotesi che<br />
quello che viene mostrato èpartedella finzione (e che queste verità <strong>di</strong>finzione<br />
sono primarie) deve essere intesa in modo appropriato. Ma questo sposterebbe<br />
semplicemente le perplessità relative all’accertamento delle verità<br />
<strong>di</strong> finzione primarie dell’illustrazione alla questione <strong>di</strong> cosa essa “mostra.”<br />
Quali sarebbero le ragioni per negare che il Nudo che scende “mostra” una<br />
parata, se non che questononèciòcherappresenta, che èpartedella finzione<br />
solo che c’è un’unica donna sulla scala? E allora appellarsi a ciò che<br />
l’immagine mostra come potrebbe assisterci nel compito <strong>di</strong> determinare cosa<br />
essa rende <strong>di</strong> finzione?<br />
Quando in risposta a queste osservazioni negative osserviamo per vedere<br />
come funziona davvero il meccanismo della generazione <strong>di</strong>retta, assistiamo<br />
ad un vero e proprio spettacolo <strong>di</strong> varietà. Gli artisti usano qualsiasi trucco<br />
<strong>di</strong>sponibile, e altro ancora. Alcune tecniche sono più omenotra<strong>di</strong>zionali;<br />
altre sono straor<strong>di</strong>nariamente ad hoc. (Questo ricorda l’utilizzazione improvvisata<br />
<strong>di</strong> supporti non convenzionali nei giochi infantili.) Alcune, anche<br />
tra quelle ad hoc, non lasciano alcun dubbio riguardo a ciò cheèpartedella<br />
finzione; altre ci tengono costantemente in dubbio. Alcune richiedono che sia<br />
data per scontata una familiaritàcon il genere, o una familiaritàconquesto<br />
oquell’aspetto del mondo circostante. Gli artisti non sono meno inventivi<br />
nell’inventare mezzi per generare le verità <strong>di</strong>finzione <strong>di</strong> quanto essi siano<br />
nello scegliere quali verità <strong>di</strong>finzione generare.<br />
C’è una convenzione nel teatro giavanese centrale per cui (nella finzione)<br />
la strega Rangda sta volando, quando due inservienti incrociano delle<br />
canne <strong>di</strong> bambù <strong>di</strong>frontealei.<br />
Ètra<strong>di</strong>zione, in molti fumetti, mettere i<br />
pensieri non espressi dei personaggi in nuvolette a puntini. L’uso del corsivo<br />
<strong>di</strong> Manuel Puig per in<strong>di</strong>care pensieri non espressi in Tango spezzacuore<br />
non èmeno trasparente, ma per quanto ne so non ha precedenti. Gran<strong>di</strong><br />
lettere, nei fumetti e nei film muti, a volte in<strong>di</strong>cano che un personaggio sta<br />
parlando a voce molto alta. I suoni musicali vengono rappresentati facilmente<br />
attraverso dei pezzetti <strong>di</strong> notazione musicale -emesse, ad esempio,<br />
dalla bocca <strong>di</strong> una tromba. La musica da film e la musica nell’opera e nella<br />
danza contribuiscono sottilmente ma efficacemente a generare verità <strong>di</strong>fin-
Imeccanismi della generazione 227<br />
zione -aiutando a stabilire, per esempio, che nella finzione un personaggio<br />
ènervoso, oppure spavaldo oppure estasiato. 36 Avoltalamusica rende <strong>di</strong><br />
finzione che ci sia della musica, che una banda sta suonando, per esempio.<br />
Come deci<strong>di</strong>amo se fa questo oppure no? Se, in un film, la scena descritta<br />
visivamente include una banda che pare suonare, la colonna sonora renderà<br />
probabilmente parte della finzione che si sente della musica. Se la scena è<br />
quella <strong>di</strong> una squadra <strong>di</strong> uomini armati dello sceriffo che dà lacaccia a dei<br />
ban<strong>di</strong>ti nel deserto, non lo è. 37 Il buon senso èlanostraguida.<br />
Si potrebbe sostenere in modo cre<strong>di</strong>bile che le personalità olevitepersonali<br />
degli attori cinematografici, o la loro immagine pubblica, influiscono<br />
su ciò cheè<strong>di</strong>finzione riguardo ai personaggi che ritraggono; ten<strong>di</strong>amo a<br />
leggere la nostra impressione degli attori nei loro personaggi. Questo può<br />
essere inteso come un caso in cui il PR o il PCC èall’opera. Ma èchiaramente<br />
illegittimo permettere ad essi <strong>di</strong> operare in modo analogo nel teatro<br />
shakespeariano per esempio. Non dobbiamo attribuire ad Amleto ciò che<br />
sappiamo della vita <strong>di</strong> Laurence Olivier <strong>di</strong>etro le quinte.<br />
Nel suo film La Ruota Abel Gance usa un montaggio accelerato, un’aumento<br />
nella percentuale <strong>di</strong> alternanza tra scene, per in<strong>di</strong>care l’aumento <strong>di</strong><br />
velocità della locomotiva. 38 Questo non èunesempiochiaro <strong>di</strong> generazione<br />
<strong>di</strong>retta, tuttavia. L’accelerazione del montaggio consiste nell’aumentare la<br />
frequenza <strong>di</strong> nette <strong>di</strong>scontinuitàinverità<strong>di</strong>finzione generate successivamente.<br />
Così ilfatto che nella finzione la locomotiva accelera <strong>di</strong>pende da altre<br />
verità <strong>di</strong>finzione. Ma non semplicemente da quali altre verità <strong>di</strong>finzione<br />
vengono generate; <strong>di</strong>pende dall’or<strong>di</strong>ne in cui sono generate. L’or<strong>di</strong>ne delle<br />
immagini del film contribuisce dunque alla generazione <strong>di</strong> questa verità <strong>di</strong><br />
finzione <strong>di</strong>rettamente, non in virtù delsuocontributo alla generazione <strong>di</strong> al-<br />
36 Queste verità <strong>di</strong>finzione possono essere generate solo con l’assistenza <strong>di</strong> verità <strong>di</strong><br />
finzione relative alle azioni del personaggio e alle circostanze in cui le compie. Nella<br />
misura in cui questo èvero,leprime verità <strong>di</strong>finzione sono implicate. Ma la generazione è<br />
probabilmente <strong>di</strong>retta per quanto riguarda il contributo della musica; cioè, probabilmente<br />
non ègenerando altre verità <strong>di</strong>finzione che la musica contribuisce alla loro generazione.<br />
Potremmo chiamare questa un’“implicazione parziale.”<br />
Generare delle verità <strong>di</strong> finzione non è l’unica funzione della musica in queste arti,<br />
eprobabilmente non èquella principale. Essa “da il tono” a un’opera o a una scena, e<br />
questa non èsemplicemente una questione <strong>di</strong> generare verità <strong>di</strong>finzione. A volte la musica<br />
sottolinea o rinforza delle verità <strong>di</strong>finzione generate attraverso altri mezzi, e può dareal<br />
pubblico delle premonizioni, che possono risultare giuste oppure no, riguardo a quello che<br />
sarà reso<strong>di</strong>finzione più avanti.<br />
37 In Mezzogiorno e mezzo <strong>di</strong> fuoco,della musica che dapprima sembra essere un semplice<br />
accompagnamento al film èincorporata nel mondo <strong>di</strong> finzione quando improvvisamente<br />
incontriamo una banda nel mezzo del deserto.<br />
38 Ve<strong>di</strong> Bazin (1971), I, 25.
228 K. L. Walton<br />
tre verità<strong>di</strong>finzione. In ogni caso, abbiamo qui un meccanismo per generare<br />
verità <strong>di</strong>finzione che, pur essendo sicuramente sufficientemente ovvie per lo<br />
spettatore, non si accorda bene con alcun schema o principio <strong>di</strong> generazione<br />
generale.<br />
È<strong>di</strong>fficile <strong>di</strong>re, in molti casi più semplici, se una verità <strong>di</strong>finzione èprimaria<br />
o implicata. Si potrebbe assumere che un’aureola nel ritratto <strong>di</strong> un<br />
santo rende <strong>di</strong> finzione che un anello <strong>di</strong> luce si libra sopra la sua testa, e<br />
che questo implica che nella finzione egli èunsanto. Madegli osservatori<br />
con un atteggiamento mentale <strong>di</strong>verso potrebbero non intendere l’aureola<br />
letteralmente, e negare che nella finzione ci sia effettivamente un raggio <strong>di</strong><br />
luce e realizzare che la santità del personaggio èdeterminata più <strong>di</strong>rettamente<br />
dall’ellissi bianca sulla tela. Si noti, tuttavia, che l’ellissi in<strong>di</strong>ca la<br />
santitàsoloperchédegliosservatori inclini a prendere le cose più alla lettera<br />
potrebbero assumere che ritraeunanello <strong>di</strong> luce. 39<br />
Le linee <strong>di</strong> movimento nei fumetti ritraggono l’aria che fluisce intorno e<br />
<strong>di</strong>etro all’oggetto che si muove, implicando così chenella finzione esso si sta<br />
muovendo? Oppure rendono semplicemente <strong>di</strong> finzione che l’oggetto si sta<br />
muovendo? Degli archi concentrici intorno a una campana possono servire a<br />
rendere <strong>di</strong> finzione che la campana suona. Fanno questo rendendo <strong>di</strong> finzione<br />
che ci sono delle onde sonore che emanano da essa, o più <strong>di</strong>rettamente? Alcuni<br />
artisti <strong>di</strong>storcono le figure umane per scopi espressivi (che possono, ma<br />
non devono necessariamente, comportare la generazione <strong>di</strong> verità <strong>di</strong>finzione<br />
ulteriori). Potremmo <strong>di</strong>re o che nella finzione il corpo della persona è<strong>di</strong>storto<br />
nel modo tal dei tali, e che questa verità <strong>di</strong>finzione ha certe conseguenze<br />
espressive, o che lo scopo espressivo èassecondato semplicemente dal fatto<br />
che la figura è<strong>di</strong>pinta come se si dovesse rendere <strong>di</strong> finzione che il corpo è<br />
<strong>di</strong>storto. 40<br />
In generale, quando èchiaroche la ragione principale della presenza <strong>di</strong><br />
ciò chepare essere una certa verità <strong>di</strong>finzione, forse primaria, consiste nella<br />
sua implicazione <strong>di</strong> altre (o, per esempio, nel raggiungere una certa espressività),<br />
e quando la stessa verità<strong>di</strong>finzione implicante èanomalaoirrealistica<br />
39 Questo si potrebbe considerare un esempio <strong>di</strong> ciò cheiochiamerò rappresentazione<br />
ornamentale. Puòessere puramente <strong>di</strong> finzione che nella finzione c’è unraggio <strong>di</strong> luce<br />
sopra la testa del santo, e questa può essere la ragione per cui egli èunsanto. (Ve<strong>di</strong> Cap.<br />
7. §6.)<br />
40 “Miró haprodotto immagini molto potenti <strong>di</strong> violenza selvaggia, delle quali La testa<br />
<strong>di</strong> donna, 1938, èforselapiùestrema. Perottenere questo effetto ha usato dei contrasti <strong>di</strong><br />
colore, una gamma <strong>di</strong> proporzioni assolutamente illogica e delle <strong>di</strong>storsioni arbitrarie della<br />
forma umana. Non c’è niente <strong>di</strong> illusionistico nei suoi meto<strong>di</strong>; tuttavia ci viene presentata<br />
un’immagine <strong>di</strong> terrore e aggressione, un incubo, infantile e grottesco, del quale vorremmo<br />
ridere se la sua forza primitiva non fosse così travolgente.” Penrose (1973), pag. 270.
Imeccanismi della generazione 229<br />
ofuori luogo in un modo o nell’altro, può essere ragionevole pensare ad essa<br />
come qualcosa che scompare dopo aver svolto la sua funzione -pensare alle<br />
verità<strong>di</strong>finzione che <strong>di</strong>pendono da essa come originate semplicemente da ciò<br />
che normalmente le avrebbe generate. 41 Questa non è l’unica opzione <strong>di</strong>sponibile<br />
tuttavia. Potremmo accettare la verità<strong>di</strong>finzione anomala implicante<br />
ma <strong>di</strong>chiararla de-enfatizzata, qualcosa su cui non soffermarsi. Oppure in<br />
alcuni casi potremmo pensare alle verità <strong>di</strong>finzione implicanti ed implicate<br />
come appartenenti a mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione <strong>di</strong>versi. Spesso, senza dubbio, non è<br />
possibile scegliere tra queste alternative.<br />
Parrebbe dalle osservazioni in questa sezione che gettare le fondamenta<br />
dei mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione non èpiùor<strong>di</strong>natocheerigere le loro sovrastrutture; i<br />
meccanismi della generazione sono molli fino al nucleo.<br />
A<strong>di</strong>reilvero,èvenutoorailmomento <strong>di</strong> smascherare la finzione che ci<br />
debba necessariamente essere un nucleo per sostenere le sovrastrutture. Le<br />
<strong>di</strong>verse verità<strong>di</strong>finzione generate da un’opera possono essere reciprocamente<br />
in<strong>di</strong>pendenti, senza che alcuna <strong>di</strong> esse sia generata con l’aiuto <strong>di</strong> altre. È<br />
possibile che non ci siano verità <strong>di</strong>finzione primarie. 42 Come si comincia?<br />
Le parole o i motivi colorati dell’opera suggeriscono certe verità <strong>di</strong>finzione,<br />
alcune delle quali, in questo status provvisorio, si sostengono a vicenda in<br />
modo da rimuovere questa provvisorietà. L’interprete deve andare avanti<br />
ein<strong>di</strong>etro tra queste verità <strong>di</strong>finzione accettabili provvisoriamente finché<br />
trova una combinazione convincente.<br />
5 Domande sciocche<br />
Chiunque fosse capace <strong>di</strong> comporre i versi seguenti si qualificherebbe sicuramente<br />
come un poeta <strong>di</strong> prim’or<strong>di</strong>ne:<br />
Fosse piaciuto al cielo<br />
Di provarmi con la sventura,avesse fatto crescere<br />
Ogni sorta <strong>di</strong> piaghe e <strong>di</strong> vergogne sul mio nudo capo,<br />
41 Il caso delle linee <strong>di</strong> movimento èunpo’<strong>di</strong>verso dagli altri. Non c’è anomalia nell’idea<br />
che nella finzione ci sia dell’aria che fluisce intorno all’oggetto che si muove. Infatti questo<br />
èprobabilmente parte della finzione in ogni caso, essendo implicato dal fatto che l’oggetto<br />
si sta muovendo rapidamente in un ambiente saturo <strong>di</strong> aria. Ma se si assume che le<br />
linee ritraggano <strong>di</strong>rettamente il movimento dell’aria, ci sarebbe una certa pressione per<br />
permettere che sia parte della finzione nel gioco dell’osservatore che egli la vede. Un<br />
modo per evitare questo ènegarechesiainvirtùdelgenerare verità <strong>di</strong>finzione relative al<br />
movimento dell’aria che le linee rendono <strong>di</strong> finzione che l’oggetto èinmovimento. Tuttavia,<br />
èperchépossiamo comprendere come le linee potrebbero ritrarre il movimento dell’aria che<br />
esse servono in modo così naturale a ritrarre il movimento.<br />
42 Qui sono indebito con William Taschek.
230 K. L. Walton<br />
Mi avesse sprofondato nella povertà fino alle labbra,<br />
Mi avesse ridotto in prigionia con le mie ultime speranze;<br />
Avrei trovato in qualche parte della mia anima<br />
Una stilla <strong>di</strong> pazienza. Ma ahimè ... 43<br />
Come riuscì Otello,ungeneralemoro e certamente non un intellettuale, a<br />
trovare dei versi così superbi sul momento, in un’occasione in cui egli era<br />
immensamente sconvolto? A quanto pare, gli deve essere riconosciuta una<br />
pre<strong>di</strong>sposizione letteraria naturale quasi incre<strong>di</strong>bile; per lo meno questa parrebbe<br />
essere una conseguenza sia del Principio <strong>di</strong> Realtà chedel Principio<br />
<strong>di</strong> Credenza Con<strong>di</strong>visa. E non ècuriosamenteinappropriato per Otello fare<br />
un <strong>di</strong>scorso così magniloquente in circostanze così angosciose? Perché ostenta<br />
le sue abilità letterarie così pomposamente? Perché gli altri personaggi<br />
non fanno caso al suo strano modo <strong>di</strong> parlare o al suo stupefacente talento<br />
letterario?<br />
Perché tutti e tre<strong>di</strong>ci i commensali nell’Ultima Cena <strong>di</strong> Leonardo si allineano<br />
in fila sullo stesso lato della tavola? Affinché noi,gliosservatori del<br />
<strong>di</strong>pinto, possiamo vedere tutto delle loro facce, naturalmente. Senza dubbio<br />
questa era la ragione <strong>di</strong> Leonardo per <strong>di</strong>pingerli così, per rendere <strong>di</strong> finzione<br />
che essi sono <strong>di</strong>sposti nel modo in cuisono. Ma quali sono nella finzione<br />
le loro ragioni per <strong>di</strong>sporsi così? Non èpartedella finzione che essi vogliono<br />
assecondare noi o Leonardo, o che essi stanno posando per un ritratto.<br />
Dobbiamo sospettare che temano <strong>di</strong> stare l’uno <strong>di</strong> fronte all’altro -dei calci<br />
sotto la tavola o l’alito cattivo? O èpartedella finzione che non c’è nulla <strong>di</strong><br />
inusuale, nulla <strong>di</strong> eccezionale o notevole nel loro affollarsi ad un lato della<br />
tavola?<br />
Ècostumenella finzione sedersi così adunpastocomune? Come è<br />
sorto questo strano costume? Potrebbe essere parte della finzione che non<br />
èlorocostume, che i commensali normalmente si siedono ad ambedue i lati<br />
della tavola, ma l’essere parte della finzione che il loro deviare dalla norma<br />
in questa occasione nonèdegno<strong>di</strong> nota non richiede anche questo una<br />
spiegazione? Nessuna delle alternative èparticolarmente attraente.<br />
Èparte della finzione nel dramma <strong>di</strong> William Luce La reginetta <strong>di</strong> Amherst<br />
che Emily Dickinson è una persona straor<strong>di</strong>nariamente timida e riservata.<br />
44 Eppure, lei èsulpalcoscenico per tutto il dramma, e parla continuamente.<br />
Il suo è l’unico ruolo richiesto dal copione; l’attrice che lo interpreta<br />
deve attrarre l’attenzione e l’interesse del pubblico per tutta la durata della<br />
rappresentazione mentre impersona un personaggio insolitamente timido<br />
43 Shakespeare, Otello, atto 2, scena 2.<br />
44 Questo èchiaroinbase a quello che, nella finzione, Dickinson <strong>di</strong>ce, ed èrafforzato da<br />
ciò chesappiamo della sua vitareale.
Imeccanismi della generazione 231<br />
eriservato. Come può essere parte della finzione che Dickinson <strong>di</strong>ce tutto<br />
quello che <strong>di</strong>ce, tutto quello che Julie Harris <strong>di</strong>ce realmente quando la<br />
impersona, ed essere anche parte della finzione che lei non èsocievole? È<br />
parte della finzione che tutto quello non è molto?<br />
Èpartedella finzione che<br />
Dickinson èsocievole e che non lo è? Cheètimida e che non lo è?<br />
Queste sono domande sciocche. Sono inutili, inappropriate, fuori luogo.<br />
Discuterle o soffermarsi su <strong>di</strong> esse non solo sarebbe irrilevante per l’apprezzamento<br />
o la critica ma anche fuorviante e <strong>di</strong>struttivo. I paradossi, le anomalie,<br />
le contrad<strong>di</strong>zioni apparenti che esse in<strong>di</strong>cano sembrano artificiali, stu<strong>di</strong>ate,<br />
da non prendere seriamente. Non le pren<strong>di</strong>amo seriamente. Di solito non le<br />
notiamo neppure.<br />
Confrontiamole con mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione contenenti paradossi che pren<strong>di</strong>amo<br />
seriamente. La Falsa prospettiva <strong>di</strong> Hogarth (figura 1), le stampe <strong>di</strong><br />
Escher, Una pinta d’inchiostro irlandese <strong>di</strong> Flann O’Brien (ve<strong>di</strong> §3, Cap. 5,<br />
nota 18) evidenziano tutte le proprie anomalie, e il pubblico ne gode. Non è<br />
sciocco chiedere come una persona che si sporge da una finestra al secondo<br />
piano potrebbe accendere la pipa <strong>di</strong> un amico su una lontana collina; o come<br />
l’acqua nella Cascata <strong>di</strong> Escher può fluire in salita e in <strong>di</strong>scesa simultaneamente,<br />
come pare che sia; o come un personaggio potrebbe partorire il figlio<br />
del suo autore. Queste domande possono non avere delle buone risposte,<br />
ma il punto èproprioquesto. Ignorarle vuol <strong>di</strong>re non capire nulla. Altre<br />
opere contengono dei paradossi che sono dolorosi, legittimamente allarmanti,<br />
e che costituiscono dei <strong>di</strong>fetti estetici. Gli errori <strong>di</strong> prospettiva possono<br />
essere penosi, 45 elostesso vale per un personaggio <strong>di</strong> un romanzo le cui<br />
azioni sono inspiegabilmente in conflitto con la sua personalità (comeessa<br />
viene determinata da un narratore “onnisciente”). Le domande che sorgono<br />
in questi casi possono essere interamente appropriate, non essere affatto<br />
sciocche. Possono far apparire sciocca l’opera.<br />
Otello, L’ultima Cena, eLa reginetta <strong>di</strong> Amherst non sono fantascienza<br />
ofantasiemetafisiche; né sonoimperfette, a causa delle anomalie che si<br />
possono, se si vuole, estrarre da loro. Come Otello potrebbe aver proferito<br />
dei versi degni <strong>di</strong> Shakespeare non è una domanda <strong>di</strong> interesse centrale,<br />
un rompicapo tale da incuriosirci e incantarci, né è un’intrusione irritante<br />
nell’esperienza del pubblico, in<strong>di</strong>cativa <strong>di</strong> un <strong>di</strong>fetto nel dramma. Dal punto<br />
<strong>di</strong> vista del pubblico e della critica, questa èsemplicemente una domanda<br />
sciocca.<br />
45 Gli errori <strong>di</strong> prospettiva devono essere <strong>di</strong>stinti da tipi alternativi <strong>di</strong> prospettive, benché<br />
la <strong>di</strong>stinzione non sia affatto netta. E gli “errori” variano quanto a gravità.
232 K. L. Walton<br />
Ci vengono in mente quei sogni che sono perfettamente normali e or<strong>di</strong>nari<br />
mentre vengono sognati ma <strong>di</strong>ventano dei paradossi manifesti quando<br />
colui che li ha sognati tenta <strong>di</strong> ricostruirli in seguito. Joan sogna fare ripetutamente<br />
delle visite ad un uomo che pareavolteessere suo padre e<br />
avolteilsuocapo(edèchiaroche suo padre non èilsuocapo). Chiè<br />
l’uomo nel sogno? Il padre e il capo compaiono alternativamente in esso?<br />
Ma può essere parte del sogno che le visite vengono tutte fatte alla stessa<br />
persona. Quella persona èqualcuno con proprietà (forse incompatibili) <strong>di</strong><br />
ognuno dei due, senza essere identica a nessuno <strong>di</strong> loro? Ma Joan sogna<br />
proprio <strong>di</strong> visitare suo padre, non semplicemente qualcuno come lui, e anche<br />
<strong>di</strong> visitare il suo capo. La persona che riceve le suevisitecambia identità<br />
perio<strong>di</strong>camente (qualsiasi cosa questo voglia <strong>di</strong>re)? La conversazione a colazione<br />
parrà sconcertante. Ma l’esperienza del sogno non lo era. I paradossi<br />
non si erano messi <strong>di</strong> mezzo durante il sogno, per quanto inevitabili essi<br />
appaiano alla chiara luce del giorno. Soltanto a colazione Joan pensa che ci<br />
fosse qualcosa che non andava. Anche a colazione, inoltre, Joan può percepire<br />
che le anomalie hanno poco a che fare con il vero carattere del sogno o<br />
con ciò cheèimportante<strong>di</strong>esso, che soffermarsi su queste anomalie può solo<br />
interferire con la sua comprensione. 46 Ci si può appropriare del sogno al fine<br />
<strong>di</strong> trafficare in paradossi, ma far questo vuol <strong>di</strong>re rifiutare <strong>di</strong> comprenderlo<br />
nei termini che gli sono propri.<br />
Sogni come questo non sono affatto inusuali, e neppure lo sono le rappresentazioni<br />
in cui èpossibile scoprire degli inutili paradossi facendo delle<br />
domande sciocche. In numerosi romanzi scritti in inglese tutti parlano inglese:<br />
taxisti francesi, conta<strong>di</strong>ni birmani, soldati romani. I <strong>di</strong>pinti del rinascimento<br />
ritraggono personaggi antichi in ambienti ed abiti rinascimentali,<br />
eleproduzioni teatrali contemporanee a volte abbandonano i costumi dell’epoca<br />
in favore dei blue jeans. La gente viaggia sugli autobus nelle storie<br />
del teatro Arja balinese ambientate nel tre<strong>di</strong>cesimo secolo. I personaggi dell’opera<br />
a volta passano i loro ultimi momenti cantando (che idea!), mentre<br />
sono in preda a dolori strazianti e la forza vitale li abbandona -e cantano<br />
squisitamente. I travestimenti più elementari, che non ingannerebbero ilmeno<br />
osservatore tra gli spettatori seduto nel posto più lontano,possono però<br />
trarre in inganno gli altri personaggi. 47 ( Èpartedella finzione che questi<br />
46 Il fatto che Joan associ il suo capo con suo padre puòessere un significato “centrale” del<br />
sogno, che potrebbe essere rivelato da domande relative all’identità dell’uomo che visita.<br />
Ma questo non significa che il paradosso, la<strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong>trovare una lettura logicamente<br />
coerente del mondo del sogno, sia in qualche misura significativa.<br />
47 In La Terribile Verità (Leo MacCarey, 1937), Irene Dunne si camuffa da sorella <strong>di</strong> Cary<br />
Grant:”Le altre persone al party. . . non la riconoscono nel suo inconsistente travestimento
Imeccanismi della generazione 233<br />
personaggi sono ciechi o stupi<strong>di</strong>?) I narratori nelle opere letterarie -e non solo<br />
quelli “onniscienti”- ci raccontano eventi <strong>di</strong> cui non potrebbero mai essere<br />
aconoscenza. (Come sarebbe possibile per qualcuno sapere che “da allora in<br />
poi essi vissero felici e contenti”? E perfino un narratore “onnisciente” come<br />
potrebbe riportare questo usando il tempo verbale passato?) Lo specchio nel<br />
Bagno <strong>di</strong> Venere <strong>di</strong> Rubens (figura 3) mostra a noi ciò chesecondo le leggi<br />
dell’ottica Venere dovrebbe vedere in esso; eppure èpartedella finzione, presumibilmente,<br />
che questo èquello che lei vede nello specchio. (Ve<strong>di</strong> §7, Cap.<br />
8). Poche opere sono al sicuro dal trafficante <strong>di</strong> paradossi determinato. Con<br />
un po’ <strong>di</strong> faccia tosta e sospensione <strong>di</strong> benevolenza il critico maligno può<br />
trovare quelle che sembrano domande imbarazzanti da fare riguardo anche<br />
alle rappresentazioni più posate, comuni, e <strong>di</strong>rettamente “realistiche.” C’è<br />
3 3<br />
8 Figura 3: Peter Paul Rubens Il bagno <strong>di</strong> Venere, 4 4 8 × 3 4 pollici, pannello (circa<br />
1613-1615). Sammlungen des Regierenden Fürsten von Liechtenstein.<br />
molta varietà qui. Alcune domande sciocche sono più sciocche<strong>di</strong>altre. Le<br />
anomalie artificiali variano sia in artificialitàche quanto all’essere paradossali.<br />
In alcuni casi si potrebbe sperare <strong>di</strong> cavarsela osservando semplicemente<br />
che il mondo <strong>di</strong> finzione <strong>di</strong>fferisce sorprendentemente da quello reale. Non<br />
c’è nulla <strong>di</strong> paradossale in questo, né nell’essere <strong>di</strong> finzione <strong>di</strong> proposizioni la<br />
cui verità sarebbeassolutamente improbabile o perfino impossibile. Èparte<br />
della finzione che dei conta<strong>di</strong>ni birmani parlano l’inglese, che E<strong>di</strong>po indossa<br />
acausadelle necessità della trama e della forma comica” (Braudy (1976), pag. 109).
234 K. L. Walton<br />
ibluejeans,chec’erano degli autobus nel tre<strong>di</strong>cesimo secolo; questi mon<strong>di</strong><br />
<strong>di</strong> finzione sono dunque <strong>di</strong>versi da quello reale. E allora? Ma la realtà (o<br />
ciò cheècomunementecreduto riguardo alla realtà) esercita la sua influenza<br />
sui mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione in mo<strong>di</strong> che si scontrano, se glielo permettiamo,<br />
con le verità <strong>di</strong>finzione riconosciute. Èparte della finzione che l’inglese è<br />
l’unica lingua del mondo? Di rado possiamo sostenere senza <strong>di</strong>sagio che lo<br />
sia, specialmente se èpartedella finzione, comepuò bendarsianche in un<br />
romanzo scritto interamente in inglese, chestranieri e in<strong>di</strong>geni non riescono<br />
acapirsi e che mercanti e <strong>di</strong>plomatici viaggiano con dei traduttori al seguito.<br />
Ma se il birmano èlalingua della Birmania, i conta<strong>di</strong>ni birmani privi <strong>di</strong><br />
istruzione come riescono (nella finzione) ad imparare l’inglese? Gli antichi<br />
greci come hanno acquisito la tecnologia perfareiblue jeans? Sicuramente<br />
questi indumenti così identici, con un filato così regolare non potrebbero<br />
essere stati prodotti manualmente (eccetto che attraverso un’abilità euna<br />
concentrazione veramente straor<strong>di</strong>narie -cosa che richiederebbe essa stessa<br />
una spiegazione). Se possedevano questa tecnologia, perché viaggiavano ancora<br />
su carrozze e si tiravano delle lance? Quando insistiamo nel fare le<br />
domande sbagliate, dalle <strong>di</strong>fferenze tra i mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione e il mondo reale<br />
emergono delle tensioni.<br />
Le anomalie consistono in <strong>di</strong>ssonanze tra verità<strong>di</strong>finzione ciascuna delle<br />
quali, considerata separatamente, pare essere generata in modo normale e<br />
comune, in virtù <strong>di</strong>principiche sono in<strong>di</strong>scutibili in altri contesti. Verità <strong>di</strong><br />
finzione in<strong>di</strong>vidualmente innocenti sono spiacevolmente paradossali in combinazione.<br />
La fonte delle <strong>di</strong>ssonanze può spesso essere identificata come<br />
insita nelle <strong>di</strong>verse richieste fatte all’artista; i <strong>di</strong>versi obiettivi che egli può<br />
perseguire e le con<strong>di</strong>zioni nelle quali egli sta lavorando possono interferire<br />
gli uni con le altre.<br />
Avolte il bisogno <strong>di</strong> rendere un mondo <strong>di</strong> finzione accessibile al suo pubblico<br />
inteso èinconflitto con il desiderio <strong>di</strong> renderlo ragionevolmente “realistico,”<br />
ragionevolmente simile al mondo reale. Una Storia <strong>di</strong> Due Città<br />
mette delle parole inglesi in bocca a dei personaggi francesi in modo che i<br />
lettori inglesi possano capire, benché senonfosse stato per quello ci si sarebbe<br />
aspettati che Dickens facesse parlare francese ai suoi personaggi francesi,<br />
come fanno i francesi normalmente. Le con<strong>di</strong>zioni inerenti al mezzo rendono<br />
avolte<strong>di</strong>fficile generare combinazioni <strong>di</strong> verità <strong>di</strong>finzione che potrebbero<br />
essere altrimenti desiderabili. Leonardo voleva determinare delle verità <strong>di</strong><br />
finzione riguardo alle facce <strong>di</strong> tutti e tre<strong>di</strong>ci i commensali dell’Ultima Cena.<br />
Forse avrebbe preferito che fosse parte della finzione che circondassero la<br />
tavola come accade normalmente, ma ha sacrificato quest’ultima esigenza<br />
per amore della prima. Questo esempio, come quello precedente, comporta
Imeccanismi della generazione 235<br />
il considerare la relazione del pubblico con il mondo <strong>di</strong> finzione, benché la<br />
questione non riguar<strong>di</strong> l’accessibilità delle verità <strong>di</strong>finzione. La scelta <strong>di</strong><br />
Leonardo era dettata, senza dubbio, dal suo desiderio <strong>di</strong> rendere <strong>di</strong> finzione<br />
nei giochi degli osservatori che essi vedessero i commensali <strong>di</strong> fronte invece<br />
che <strong>di</strong>spalle. Considerazioni simili sono all’opera nella Reginetta <strong>di</strong> Amherst<br />
enelcaso dello specchio otticamente esotico <strong>di</strong> Rubens.<br />
Èperamore del<br />
pubblico che Emily Dickinson parla tanto; èaffinchédelle verità <strong>di</strong>finzione<br />
su <strong>di</strong> lei possano essere generate, in modo che gli spettatori possano, nella<br />
finzione, sapere queste cose <strong>di</strong> lei. Essenzialmente, lo stesso corpus <strong>di</strong> verità<br />
<strong>di</strong> finzione potrebbe essere generato in altri mo<strong>di</strong>, senza rendere Dickinson<br />
così loquace. Qualcun altro potrebbe occupare il palcoscenico al suo posto e<br />
fare al pubblico un resoconto dettagliato dei suoi pensieri e delle sue azioni,<br />
mentre la stessa Dickinson (nella finzione) rimane immobile sullo sfondo.<br />
Senza dubbio Luce aveva delle ragioni per lasciare che Dickinson raccontasse<br />
la propria storia. Data quella scelta, il conflitto con la sua timidezza è<br />
<strong>di</strong>fficile da evitare. Il linguaggio stranamente elaborato <strong>di</strong> Otello èrichiesto<br />
dallo stile in cui il dramma èscritto e dal desiderio <strong>di</strong> Shakespeare <strong>di</strong> produrre<br />
dei versi superbi per il piacere del suo pubblico, cosa che in questo<br />
caso ha avuto al precedenza su considerazioni <strong>di</strong> “realismo.” 48<br />
Dichiarare sciocca una domanda non è una risposta; è una scusa, per<br />
quanto legittima, per non rispondere. Forse le nostre domande sciocche non<br />
dovrebbero sorgere nel corso dell’interazione or<strong>di</strong>naria con l’opera, ma sono<br />
riserva <strong>di</strong> caccia autorizzata per il teorico, in quanto egli sta in una posizione<br />
alquanto <strong>di</strong>versa dal pubblico e dalla critica e le osserva dall’esterno. In ogni<br />
caso, supponiamo che si insista, ostinatamente, a chiedere ragione del talento<br />
letterario <strong>di</strong> Otello, della strana <strong>di</strong>sposizione dei posti a tavola dei <strong>di</strong>scepoli,<br />
edella verbosità <strong>di</strong>Emily Dickinson. Sciocche o no, quali sono le risposte a<br />
queste domande?<br />
Molte non hanno risposte definite, e risposte <strong>di</strong> tipi <strong>di</strong>versi parranno ragionevoli<br />
ad osservatori <strong>di</strong>versi in casi <strong>di</strong>versi. Se le domande non hanno<br />
grande importanza nell’istituzione della rappresentazione, non saremo sorpresi<br />
sequell’istituzione non riesce a fornire delle risposte che possono essere<br />
scoperte dall’esterno. Eppure, se si insiste a rispondere a queste domande,<br />
come lo si deve fare?<br />
48 Qui c’è unconflitto <strong>di</strong> tipo <strong>di</strong>verso tra gli obiettivi <strong>di</strong> un artista: “Nella Regina<br />
Cristina,nelfamosoprimopianofinale il vento soffia apparentemente in due <strong>di</strong>rezioni nello<br />
stesso tempo, una per far partire la nave e l’altra per <strong>di</strong>sporre i capelli <strong>di</strong> Garbo nel modo<br />
migliore” (Halliwell (1974), alla voce “Boo-Boos,” pag. 97.) Questa anomalia <strong>di</strong>sturba<br />
lo spettatore e dovrebbe <strong>di</strong>sturbarlo, mi pare, benché sarebbeirragionevole soffermarsi<br />
eccessivamente su <strong>di</strong> essa.
236 K. L. Walton<br />
La cosa migliore può essere <strong>di</strong> <strong>di</strong>sinnescare i paradossi proibendo le verità<br />
<strong>di</strong> finzione che ne sono responsabili. La generazione <strong>di</strong> verità <strong>di</strong>finzione in<br />
quello che peraltro pare essere un modo perfettamente normale può essere<br />
bloccata semplicemente dal fatto che esse si scontrano con altre. Quando<br />
E<strong>di</strong>po e altri personaggi antichi sono ritratti in abiti contemporanei, possiamo<br />
negare che quello che gli attori indossano, nella finzione, èquello che i<br />
personaggi indossano, eliminando così alla ra<strong>di</strong>ce le domande riguardo a come<br />
gli antichi sono riusciti a produrre i blue jeans. Possiamo semplicemente<br />
rifiutare <strong>di</strong> considerare l’abbigliamento degli attori come supporto, benché lo<br />
stesso abbigliamento sugli stessi attori certamente servirebbe come supporto<br />
in un dramma sulle bande <strong>di</strong> strada <strong>di</strong> Chicago. Cosa indossa E<strong>di</strong>po, se non<br />
sono i blue jeans? Probabilmente, nessuna verità<strong>di</strong>finzione particolarmente<br />
specifica riguardo al suo abbigliamento viene generata, benché possa essere<br />
ragionevole assumere che nella finzione egli si vesta appropriatamente per la<br />
sua cultura e la sua posizione sociale. Il mondo dell’esecuzione del dramma<br />
èprobabilmente incompleto a questo riguardo, così comei<strong>di</strong>segni in bianco<br />
enerosonoincompleti rispetto al colore.<br />
Se la stupi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong>una domanda ci convince che la generazione <strong>di</strong> verità<br />
<strong>di</strong> finzione altrimenti accettabili dovrebbe essere bloccata, può essere poco<br />
chiaro in quale punto in una catena <strong>di</strong> implicazioni il blocco dovrebbe aver<br />
luogo. Dato che nella finzione Emily Dickinson <strong>di</strong>ce tutte le cose particolari<br />
che essa <strong>di</strong>ce, sembrerebbe essere implicato che nella finzione lei parla<br />
abbondantemente in quelle occasioni, che nella finzione <strong>di</strong> solito o spesso<br />
parla molto, e che nella finzione è una persona piuttosto loquace e per nulla<br />
timida. Il fatto che èpartedella finzione, per altre ragioni, che lei è timida<br />
ci <strong>di</strong>ssuaderà daltrarre quest’ultima conclusione e può suggerire che la serie<br />
<strong>di</strong> estrapolazioni dovrebbe essere stata interrotta prima. Ma èincerto dove<br />
si dovrebbe tracciare la linea. 49<br />
49<br />
Questi blocchi <strong>di</strong>fferiscono in modo significativo da quelli menzionati in §3. Il fatto<br />
che nella finzione, in un film muto, qualcuno cammina su dei tasti <strong>di</strong> pianoforte può<br />
implicare che nella finzione vengono emessi dei suoni <strong>di</strong> pianoforte. Ma il fatto che nella<br />
finzione il piano non ha corde, generato successivamente da un’inquadratura delle interno<br />
del piano, bloccherebbe l’implicazione. Eppure, èpartedella finzione che sembrava che<br />
dei suoni <strong>di</strong> pianoforte fossero prodotti quando qualcuno camminava sui tasti, ed era parte<br />
della finzione che si sarebbe giustificati nel supporre che essi fossero prodotti. Ma non è<br />
neppure parte della finzione che E<strong>di</strong>po sembra indossare dei blue jeans quando l’attore<br />
che lo interpreta li indossa.<br />
Ècome seilconflitto tra iblue jeans dell’attore e il fatto<br />
che nella finzione E<strong>di</strong>po viveva nell’antica Grecia cambiasse le regole del gioco, così che<br />
l’implicazione non prende neppure quota. Nel caso del pianoforte, potremmo <strong>di</strong>re che<br />
la spiegazione dell’implicazione bloccata sta all’interno del mondo <strong>di</strong> finzione; nel caso <strong>di</strong><br />
E<strong>di</strong>po, si deve trovare nei principi attraverso iqualiil mondo <strong>di</strong> finzione viene determinato.
Imeccanismi della generazione 237<br />
EOtello? La maggior parte <strong>di</strong> noi preferirà nonconcedere che nella<br />
finzione Otello èungrande talento letterario, e preferirà perfino affermare<br />
che nella finzione non lo è. Ma questo sposta soltanto il paradosso. Èparte<br />
della finzione che Otello èprivo<strong>di</strong>un talento letterario speciale e tuttavia èin<br />
grado <strong>di</strong> improvvisare dei versisuperbi quando èsconvolto? Dovremo negare<br />
che nella finzione le parole <strong>di</strong> Otello “ Fosse piaciuto al cielo\ Di provarmi<br />
con la sventura. . . ” sono dei versi superbi, anche se èchiaramente vero che<br />
lo sono? O dovremo spingerci così avantidanegare che nella finzione quelle<br />
siano le parole <strong>di</strong> Otello? Forse èparte della finzione, invece, che Otello<br />
emette una parafrasi <strong>di</strong>alettale non specificata delle parole che l’attore <strong>di</strong><br />
Shakespeare emette. Dovremo <strong>di</strong>re che non èsolitamente parte della finzione<br />
nell’Opera che la gente canta, benché gliesecutori interpretino il parlato<br />
cantando? Èpartedella finzione nei romanzi inglesi che i conta<strong>di</strong>ni birmani<br />
proferiscono delle traduzioni in birmano delle parole inglesi che gli vengono<br />
attribuite? C’è qualche ragione per sostenere queste proposte, specialmente<br />
rispetto all’opera e ai romanzi in inglese. Ma si creerà una tensione nel<br />
rifiutare <strong>di</strong> concedere che le parole che glispettatori <strong>di</strong> Otello sentono dalla<br />
bocca dell’attore, con le sue inflessioni particolari e le sue enfasi, si debbano<br />
immaginare come emesse, esattamente in quel modo, da Otello.<br />
Una strategia alternativa è<strong>di</strong><strong>di</strong>chiarareleverità<strong>di</strong>finzione problematiche<br />
de-enfatizzate, piuttosto <strong>di</strong> proibirle. (Abbiamo notato che delle <strong>di</strong>fferenze<br />
<strong>di</strong> enfasi tra le verità <strong>di</strong>finzione devono essere riconosciute in ogni<br />
caso.) Non si può negare facilmente che, nell’Ultima cena, icommensali<br />
sono allineati ad un lato della tavola. Ma questa verità <strong>di</strong>finzione non è<br />
importante, è una verità sucuinon ci si deve soffermare o anche che non si<br />
deve notare particolarmente. Il fatto che sia in ombra può essere considerata<br />
un’in<strong>di</strong>cazione che non ha le implicazioni che potremmo aspettarci altrimenti.<br />
Forse non dobbiamo inferire da essa né chesiaparte della finzione che i<br />
commensali sono <strong>di</strong>sposti in modo strano, né cheèusualenellaloro cultura<br />
sedersi così, né chel’una o l’altra <strong>di</strong> queste spiegazioni ègiusta. Oppure<br />
potremmo ammettere alcune <strong>di</strong> queste verità <strong>di</strong>finzione implicate ma <strong>di</strong>chiararle<br />
anche de-enfatizzate. In ogni caso, delle domande sulle ragioni dei<br />
<strong>di</strong>scepoli per <strong>di</strong>sporsi sullo stesso lato della tavola saranno inappropriate.<br />
Avolte può essere meglio accettare ed anche enfatizzare delle verità<br />
<strong>di</strong> finzione che sono in conflitto l’una con l’altra, ma eliminare il conflitto<br />
proibendo che sia <strong>di</strong> finzione la loro congiunzione. Può essere importante<br />
nel sogno <strong>di</strong> Joan che lunedì leivisitaun uomo che èsuopadre (e che<br />
non èanche il suo capo), e che visita la stessa persona martedì, e che la<br />
persona che visita martedì èilsuocapo. Ciascuna <strong>di</strong> queste tre proposizioni<br />
può essere <strong>di</strong> finzione, e ciascuna può avereun’importanza considerevole
238 K. L. Walton<br />
nel sogno. Ma questo non impone che la loro congiunzione sia parte della<br />
finzione; non ènecessario che accettiamo che nella finzione Joan ha visitato<br />
un uomo martedì cheeraenon era identico a qualcuno che ha visitato<br />
lunedì. (Né dobbiamo negare che sia parte della finzione che la congiunzione<br />
<strong>di</strong> proposizioni vere sia vera.)<br />
Imeccanismi specifici con cui si sceglie <strong>di</strong> trattare questi esempi non<br />
importano. Ho menzionato <strong>di</strong>verse possibilità principalmentepermostrare<br />
che delle opzioni plausibili sono <strong>di</strong>sponibili. Ci sono dei mo<strong>di</strong> ragionevoli<br />
per evitare o ammorbi<strong>di</strong>re anomalie come quelle che abbiamo <strong>di</strong>scusso, se<br />
qualcuno insiste nel farle venire in superficie mettendo in primo piano delle<br />
domande sciocche. Possiamo spiegare perché leanomalie non danno origine,<br />
nédovrebberofarlo,aunsenso <strong>di</strong> paradosso. E possiamo comprendere come<br />
dei mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione apparentemente normali possano sembrare cosìnormali<br />
nonostante gli (apparenti) paradossi che stanno in agguato al loro interno,<br />
perché leoperecheliospitano<strong>di</strong>fferiscanocosìmanifestamente dalla Falsa<br />
Prospettiva <strong>di</strong> Hogarth e da altre rappresentazioni che, intenzionalmente o<br />
no, rendono i paradossi evidenti.<br />
Ho aggiunto alcuni suggerimenti alle mie osservazioni precedenti sui meccanismi<br />
delle generazione. Una èchec’èunprincipio <strong>di</strong> carità all’opera. La<br />
generazione <strong>di</strong> verità <strong>di</strong>finzione èbloccata a volte (se non èsemplicemente<br />
de-enfatizzata) semplicemente, o principalmente, perché esse causano problemi<br />
-perché renderebbero il mondo <strong>di</strong> finzione spiacevolmente paradossale.<br />
Ma <strong>di</strong> solito qualcosa <strong>di</strong> più della carità èingioco. Ilriconoscimento<br />
della stupi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong>una domanda, e dunque <strong>di</strong> una ragione per proibire o<br />
de-enfatizzare le verità <strong>di</strong>finzione che danno origine ad essa, può <strong>di</strong>pendere<br />
dalla consapevolezza <strong>di</strong> varie esigenze <strong>di</strong> cui l’artista deve tenere conto.<br />
La decisione <strong>di</strong> nonpermettere verità <strong>di</strong>finzione anomale èparticolarmente<br />
plausibile quando èevidente che ci sono altre ragioni per la presenza nell’opera<br />
dei tratti che sembrano generarle -quando, per esempio, sono necessarie<br />
per rendere il mondo <strong>di</strong> finzione accessibile al pubblico, o per migliorare i<br />
giochi <strong>di</strong> far finta del pubblico. Dal momento che èallo scopo <strong>di</strong> mantenere<br />
vivo l’interesse del pubblico e <strong>di</strong> generare verità <strong>di</strong>finzione su Emily<br />
Dickinson che Julie Harris parla così incessantemente durante la sua interpretazione<br />
della Reginetta <strong>di</strong> Amherst, nonènecessario assumere che lo fa<br />
per rendere <strong>di</strong> finzione che Dickinson èloquace. Questo può essere visto<br />
come un esempio dell’influenza <strong>di</strong> ciò che l’artista sembra aver l’intenzione<br />
<strong>di</strong> rendere <strong>di</strong> finzione su ciò cheè<strong>di</strong>finzione. (Ve<strong>di</strong> Cap. 4, §3.) Se c’è<br />
un’altra spiegazione pronta per l’inclusione da parte dell’artista <strong>di</strong> un tratto<br />
che sembra generare una data verità <strong>di</strong>finzione, può nonsembrare che egli<br />
intendesse generarla in modo particolare. E questa può essere una ragione
Imeccanismi della generazione 239<br />
per non riconoscere che sia generata.<br />
6 Conseguenze<br />
L’apparato della generazione èfatto con elastici e graffette, ed èmesso in<br />
moto da qualunque cosa, dagli unicorni sotto forma <strong>di</strong> tracce a bicarbonato<br />
mescolato adaceto. A volte il meccanismo funziona sorprendentemente<br />
“bene” -non infrequentemente attraverso i mezzi più inaspettati- producendo<br />
verità <strong>di</strong>finzione facilmente riconoscibili e assolutamente in<strong>di</strong>scutibili.<br />
Quando si rompe, gli artisti improvvisano delle riparazioni rozze o eleganti<br />
osorprendenti o ingegnose, oppure danno il benvenuto alle ambiguitàchene<br />
conseguono elesfruttano in un modo o nell’altro. Al fine <strong>di</strong> indovinare le<br />
verità <strong>di</strong>finzione il buon fiuto èinsostituibile: una combinazione <strong>di</strong> immaginazione<br />
e buon senso, accresciuta entro certi limiti dalla carità eguidata<br />
dalla familiaritàcon il mezzo, il genere, e la tra<strong>di</strong>zione rappresentativa a cui<br />
l’opera in questione appartiene, così comedalla conoscenza del mondo esterno<br />
-tutto questo, naturalmente, combinato ad una sensibilità agli aspetti più<br />
sottili dell’opera.<br />
Questo èilquadro che emerge anche dagli esempi relativamente semplici<br />
trattati in questo capitolo. Un esame accurato delle fatiche dei critici<br />
con le rappresentazioni complesse, dei loro tentativi non solo <strong>di</strong> rispondere<br />
aquestioni particolari <strong>di</strong> interpretazione isolatamente ma <strong>di</strong> costruire una<br />
lettura coerente e convincente <strong>di</strong> un’opera nel suo complesso, ci farebbe solo<br />
apprezzare maggiormente i capricci della generazione. Non intraprenderò<br />
nessun esame del genere. Ma dovremmo prender nota <strong>di</strong> una considerazione<br />
<strong>di</strong>versa da quelle menzionate finora -una considerazione che ha conseguenze<br />
importanti per la generazione delle verità <strong>di</strong>finzione.<br />
Accertare le verità<strong>di</strong>finzione <strong>di</strong> un’opera èsolouna parte del lavoro <strong>di</strong> un<br />
critico, ma èfondamentale. Temi complessivi, “significati,” morali, ciò che<br />
un’opera ci <strong>di</strong>ce delle nostre vite, <strong>di</strong>pendono in misura considerevole dalle<br />
verità<strong>di</strong>finzione che genera (benchénon dobbiamo <strong>di</strong>menticare l’importanza<br />
del grado <strong>di</strong> enfasi assegnato a verità <strong>di</strong>finzione <strong>di</strong>verse, i mezzi con cui esse<br />
sono generate, e gli aspetti <strong>di</strong> stile che non sono riducibili a nessuno degli<br />
aspetti precedenti). Ma a volte èveroanche l’opposto. Le decisioni su ciò<br />
che èparte della finzione devono essere sensibili all’informazione retroattiva<br />
che proviene dallavalutazionecomplessivachesidàdell’opera. Un modo <strong>di</strong><br />
sostenere un giu<strong>di</strong>zio sulle azioni o i motivi <strong>di</strong> un personaggio è<strong>di</strong>mostrare<br />
che questo giu<strong>di</strong>zio si adatta meglio dei giu<strong>di</strong>zi alternativi ad una “lettura”<br />
marxista o psicoanalitica dell’opera nel suo complesso, e che questa lettura è<br />
plausibile anche per ragioni in<strong>di</strong>pendenti. (Si confronti: ciò cheloscienziato
240 K. L. Walton<br />
accetta come dati può <strong>di</strong>pendere da quale teoria egli trovaragionevole per<br />
altri motivi.) Anche questo va nel miscuglio <strong>di</strong> fattori che determinano ciò<br />
che èpartedella finzione.<br />
Ètempo<strong>di</strong>affrontare le conseguenze del comportamento <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nato dell’apparato<br />
della generazione. Non c’ènulla da temere -nulla, almeno, con cui<br />
non dobbiamo convivere comunque, in<strong>di</strong>pendentemente dalle arti rappresentative.<br />
Ma certi lettori hanno probabilmente <strong>di</strong>versi scrupoli, che possono<br />
anche incoraggiare la convinzione che in qualche modo ci debba essere una<br />
maggiore regolarità nelprocesso <strong>di</strong> generazione <strong>di</strong> quella che abbiamo trovato.<br />
Alcuni si possono chiedere come potremmo mai riuscire a imparare<br />
eadapplicare delle “regole” che sono tanto complesse e non sistematiche<br />
come sembrano essere quelle che governano la generazione delle verità <strong>di</strong><br />
finzione, come potremmo mai pronunciarci su ciò cheèpartedella finzione<br />
eciòchenon lo ècon qualche sicurezza. Alcuni possono temere che non ci<br />
sarà alcungiustificazione per ritenere giuste osbagliate delle attribuzioni <strong>di</strong><br />
verità <strong>di</strong>finzione a meno che non si possa mostrare che la loro generazione<br />
si fonda su un insieme relativamente semplice <strong>di</strong> principi. (Coloro che sono<br />
scettici in ogni caso riguardo alla verità oalla falsità delle interpretazioni<br />
considereranno il caos che abbiamo osservato come una conferma.) Infine,<br />
può sembrareche l’essere <strong>di</strong> finzione non èun“genere naturale” e dunque<br />
non èunfondamento appropriato su cui erigere alcuna teoria, ciò chesi<br />
intende chiamando <strong>di</strong> finzione una proposizione varierà dacasoacaso, se le<br />
<strong>di</strong>verse verità <strong>di</strong>finzione sono generate in mo<strong>di</strong> così <strong>di</strong>versi.<br />
Non ènecessario che quest’ultima preoccupazione, in particolare, ci trattenga<br />
alungo. L’essere<strong>di</strong> finzione non è definito dai principi della generazione;<br />
consiste invece in una prescrizione ad immaginare. La varietà sta<br />
nei mezzi con cui tali prescrizioni vengono effettuate. Benché leverità<strong>di</strong><br />
finzione siano generate in molti mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi, il risultato èlostesso in ogni<br />
caso: proposizioni che devono essere immaginate.<br />
Come riusciamo a padroneggiare delle regole cosìcomplesse? Un modo <strong>di</strong><br />
rispondere saràfamiliare ai lettori <strong>di</strong> Wittgenstein. Lo descriverò brevemente<br />
a beneficio degli altri. Èunfatto in<strong>di</strong>scutibile che molti concetti vengono<br />
applicati senza l’aiuto <strong>di</strong> regole o formule; altrimenti il linguaggio sarebbe<br />
impossibile. Come deci<strong>di</strong>amo se qualcosa ha un profumo dolce, oppure è<br />
rosso? Annusiamo o guar<strong>di</strong>amo, e semplicemente pare che lo sia oppure no.<br />
Quando effettivamente abbiamo qualcosa <strong>di</strong> simile a delle regole da seguire<br />
(per decidere se qualcosa è quadrato, ounmammifero, adesempio), queste<br />
mettono semplicemente il concetto in questione in relazione ad altri. Infine,<br />
arriviamo a dei concetti che applichiamo senza regole (“Le mie ragioni ce-
Imeccanismi della generazione 241<br />
deranno presto. E allora agirò, senza ragioni”). 50 Dunque, non dobbiamo<br />
sentirci obbligati a spiegare l’essere <strong>di</strong> finzione supponendo <strong>di</strong> conoscere, <strong>di</strong><br />
avere in qualche modo imparato i principi rilevanti. 51 Semplicemente, ci<br />
pare che un’opera generi certe verità <strong>di</strong>finzione quando la sperimentiamo<br />
nel suo contesto (inteso in senso ampio). 52 Iprincipisonopiùricostruzioni<br />
dei nostri giu<strong>di</strong>zi riguardo a ciò cheè<strong>di</strong>finzione che guide per arrivare a<br />
questi giu<strong>di</strong>zi.<br />
Èverochespesso basiamo i nostri giu<strong>di</strong>zi su considerazioni consce particolari,<br />
su fatti relativi all’opera o a quelle precedenti o al mondo esterno<br />
che sembrano rilevanti in casi particolari; e frequentemente possiamo <strong>di</strong>re<br />
qualcosa sul perché una data verità <strong>di</strong>finzione ègenerata e perché lariteniamo<br />
tale. (Il riconoscimento <strong>di</strong> ciò cheè<strong>di</strong>finzione sembra <strong>di</strong>fferire<br />
dal riconoscimento dei colori e degli odori sotto questo aspetto.) Ma questa<br />
non è una ragione per supporre che dobbiamo aver imparato o appreso<br />
in qualche altro modo delle regole generali per decidere ciò cheèrilevante<br />
ecome,delle regole che ci guidano in casi particolari (a meno che questo<br />
non significhi nient’altro che agiamo in accordo con questo regole). 53 Né<br />
dobbiamo supporre che la nostracapacità <strong>di</strong>riconoscere un particolare meccanismo<br />
attraverso il quale delle verità <strong>di</strong>finzione sono generate <strong>di</strong>pende<br />
dall’aver incontrato lo “stesso” meccanismo, o un meccanismo “simile,” in<br />
precedenza. In base a ciò chesappiamo e alle esperienze che abbiamo avuto,<br />
“proce<strong>di</strong>amo” semplicemente ad identificare le verità<strong>di</strong>finzione in nuovi casi.<br />
(“Se ho esaurito le giustificazioni, sono arrivato ad uno strato <strong>di</strong> roccia,<br />
elamiavangasipiega. Allora, tendo a <strong>di</strong>re: ‘Questo èsemplicemente ciò<br />
che faccio.”’) 54<br />
C’è unsenso dunque in cui le nostre opinioni su ciò cheèpartedella<br />
finzione in ultima analisi non possono essere giustificate. È questa una<br />
ragione per negare che esse possano essere corrette o errate, vere o false?<br />
Solo se siamo pronti a negare che qualsiasi nostro giu<strong>di</strong>zio possa essere vero<br />
ofalso,corretto o errato -e io non lo sono. (Concedo che la verità elafalsità<br />
50 Wittgenstein (1958), parte 1, §211.<br />
51 Anche se in qualche modo, o in qualche senso, effettivamente “conosciamo” i principi<br />
rilevanti, non ènecessario assumere che li abbiamo appresi partendo da zero. Le persone<br />
possono avere delle propensioni naturali o innate ad accettare certi principi <strong>di</strong> generazione,<br />
oafarequestoinbaseadaltreesperienze.<br />
52 Le nostre impressioni su ciò cheèpartedella finzione possono essere errate, tuttavia,<br />
così comelanostra impressione su ciòcheèrosso. Non abbiamo delle formule precostituite<br />
per decidere quando èstato commesso un errore, ma esperienze o informazioni ulteriori<br />
possono metterci in grado <strong>di</strong> riconoscere che questo èaccaduto.<br />
53 Su questo punto, ve<strong>di</strong> Walton (1973).<br />
54 Wittgenstein (1958), parte 1, §217.
242 K. L. Walton<br />
possano essere “relative a” un linguaggio o a uno “schema concettuale” o<br />
quel che sia. Ve<strong>di</strong> Cap. 2, §7.)<br />
Queste sono gran<strong>di</strong> questioni che sono state molto <strong>di</strong>scusse e devono esserlo<br />
ancora. 55 Ma le preoccupazioni presenti riguardo ai giu<strong>di</strong>zi su ciò che<br />
è<strong>di</strong>finzione possono essere alleviate da un paragone più specifico -che è<br />
rivelatore in qualsiasi caso. Dubito che qualcuno supponga seriamente che<br />
ci siano delle “regole” semplici e sistematiche per produrre e interpretare le<br />
metafore. Le metafore si avvalgono opportunisticamente <strong>di</strong> qualsiasi risorsa<br />
sembri essere <strong>di</strong>sponibile, <strong>di</strong> qualsiasi cosa funzioni: tratti contestuali <strong>di</strong> tipi<br />
più <strong>di</strong>sparati,associazioni, miti ed esperienze con<strong>di</strong>vise, inclinazioni naturali,<br />
salienze inspiegate, anche degli attributi non semantici del linguaggio<br />
utilizzato, i suoni delle parole. (dubito che “cazzi” in “non sono cazzi tuoi”<br />
avrebbe assunto il significato “fatti” se non fosse per la somiglianza lessicale).<br />
A volte possiamo <strong>di</strong>re qualcosa su come funzionano delle metafore<br />
particolari, perché noiedaltri le inten<strong>di</strong>amo nel modo in cui le inten<strong>di</strong>amo.<br />
In ogni caso èchiaroche siamo incapaci <strong>di</strong> specificare delle formule generali<br />
per comprenderle, ed è certo che i principi su cui esse si basano sono enormemente<br />
complessi, <strong>di</strong>pendenti dal contesto, e mutevoli. L’apparato della<br />
metafora non èpiùor<strong>di</strong>nato<strong>di</strong>quello della generazione.<br />
Ma le metafore funzionano. Esse possono, naturalmente, essere assai<br />
ambigue, esasperare o deliziare con la loro vaghezza, suggerire <strong>di</strong>rezioni contrastanti.<br />
A volte il loro “significato” èquasiinteramente quello che uno<br />
vuole, e questo può essere intenzionale o desiderabile. Ma in molti casi,<br />
le compren<strong>di</strong>amo (o compren<strong>di</strong>amo ciò chevienedetto attraverso <strong>di</strong> esse)<br />
abbastanza bene. Le metafore, incluse quelle assolutamente nuove, possono<br />
essere strumenti <strong>di</strong> comunicazione efficaci e veramente precisi.<br />
Il comportamento sregolato dell’apparato della generazione rende la vita<br />
dura ai critici. Ma non è una minaccia per il teorico; offre all’artista delle<br />
eccitanti opportunità; ed è una ricca fonte <strong>di</strong> incanto per il pubblico.<br />
Tuttavia, apprezzare le opere d’arte rappresentazionali comporta molto<br />
<strong>di</strong> più cheosservare il modo in cui funziona questo apparato e riflettere sui<br />
suoi risultati.<br />
Riferimenti<br />
Rudolf Arnheim. Film as Art. University of California Press, Berkeley, 1966.<br />
55 Il lettore può voler consultare in particolare Kripke (1982).
Imeccanismi della generazione 243<br />
André Bazin. What is Cinema? University of California Press, Berkeley,<br />
1971. Tradotto e curato da Hugh Gray.<br />
Monroe Beardsley. Aesthetics: Problems in the Philosophy of Criticism.<br />
Harcourt Brace Jovanovich, New York, 2 nd e<strong>di</strong>tion, 1980.<br />
Leo Braudy. The World in a Frame. Anchor, Garden City: N.Y., 1976.<br />
Leslie Halliwell. The Filmgoer’s Companion. Avon, New York, 1974.<br />
David Hume. Of the standard of taste. In John W. Lenz, e<strong>di</strong>tor, Of the<br />
Standard of Taste and Other Essays. Bobbs-Merrill, In<strong>di</strong>anapolis, 1965.<br />
Charles Karelis. The Las Meninas literature-and its lesson. In Raphael Stern,<br />
e<strong>di</strong>tor, Creation and Interpretation. Haven Publications, New York, 1985.<br />
Saul Kripke. Wittgestein on Rules and Private Language: An Elementary<br />
Exposition. Harvard University Press, Cambridge, Mass., 1982.<br />
David K. Lewis. Convention: A Philosophical Study. Harvard University<br />
Press, Cambridge, Massachusetts, 1969.<br />
David K. Lewis. Counterfactuals. Harvard University Press, Cambridge,<br />
Massachusetts, 1973.<br />
David K. Lewis. Truth in fiction. American Philosophical Quarterly, 15:37–<br />
46, 1978. Reprinted in D. K. Lewis, Philosophical Papers, Vol.1,Oxford<br />
University Press, 1983.<br />
Mary Mothersill. Beauty Restored. Oxford University Press, Oxford, 1984.<br />
Erwin Panofsky. Style and me<strong>di</strong>um in the motion pictures. In Gerald Mast<br />
and Marshall Cohen, e<strong>di</strong>tors, Film Theory and Criticism: Introductory<br />
Rea<strong>di</strong>ngs. Oxford Univbersity Press, New York, 1979.<br />
Terence Parsons. Nonexistent Objects. Yale UniversityPress, New Haven<br />
and London, 1980.<br />
Roland Penrose. In praise of illusion. In R. L. Gregory and Gombrich E.<br />
H., e<strong>di</strong>tors, Illusion in Nature and Art. Duckworth, London, 1973.<br />
Richard Routley. Exploring Meinong’s Jungle and Beyond: An Investigation<br />
of Noneism and the Theory of Items. Research School of Social Sciences,<br />
Australian National University, Canberra, 1980.
Marie-Laure Ryan. Fiction, non-factuals, and the principle of minimal<br />
departure. Poetics, 8:403–22, 1980.<br />
Stephen Schiffer. Meaning. Oxford University Press, Oxford, 1972.<br />
Shel Silverstein. Uncle Shelby’s Zoo: Don’t Bump the Glump. Simon and<br />
Schuster, New York, 1964.<br />
Robert C. Stalnaker. A theory of con<strong>di</strong>tionals. In Nicholas Rescher, e<strong>di</strong>tor,<br />
Stu<strong>di</strong>es in Logical Theory, pages 98–112. Basil Blackwell Publishers,<br />
Oxford, 1968.<br />
James Thurber. The Macbeth murder mistery. In The Thurber Carnival.<br />
Dell, New York, 1962.<br />
Kendall L. Walton. Linguistic relativity. In Patrick Glenn Pearce Maynard,<br />
e<strong>di</strong>tor, Conceptual Change. Reidel, Dordrecht, Holland, 1973.<br />
Kendall L. Walton. Categories of art. In William Kennick, e<strong>di</strong>tor, Art and<br />
Philosophy. St. Martin’s, 1979.<br />
Ludwig Wittgenstein. Philosophical Investigations. Macmillan, New York,<br />
3 d e<strong>di</strong>tion, 1958. Translated by G. E. M Anscombe.<br />
Nicholas Wolterstorff. Works and Worlds of Art. On the Foundations of the<br />
Representational Arts. Oxford University Press, New York, 1980.<br />
John Woods. The Logic of Fiction. Mouton, The Hague, 1974.
Entrare nel bosco<br />
U. Eco<br />
Vorrei iniziare ricordando Italo Calvino, che doveva tenere otto anni fa, in<br />
questo stesso luogo, le sue sei Norton Lectures, ma fece in tempo a scriverne<br />
solo cinque, e ci lasciò prima <strong>di</strong> poter iniziare il suo soggiorno alla Harvard<br />
University. Non ricordo Calvino solo per ragioni d’amicizia, ma perché queste<br />
mie conferenze saranno in gran parte de<strong>di</strong>cate alla situazione del lettore<br />
nei testi narrativi, e alla presenza del lettore nella narrazione ède<strong>di</strong>cato uno<br />
dei libri più belli <strong>di</strong> Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore.<br />
Negli stessi mesi in cui usciva il libro <strong>di</strong> Calvino, usciva in Italia un mio<br />
libro intitolato Lector in fabula (solo parzialmente simile alla versione inglese<br />
che si intitola The Role oftheReader). La <strong>di</strong>fferenza tra titolo italiano<br />
e titolo inglese èdovutaalfatto che il titolo italiano (o meglio latino),<br />
tradotto letteralmente in inglese, suonerebbe “The reader in the fairy tale”,<br />
enon significherebbe nulla. Invece in italiano si <strong>di</strong>ce “lupus in fabula” come<br />
equivalente dell’inglese “speak of the devil”, espressione che si usa quando<br />
arriva qualcuno <strong>di</strong> cui si stava parlando. Ma siccome nell’espressione italiana<br />
si evoca la figura popolare del lupo, che per definizione appare in tutte le<br />
favole, ecco che in italiano potevo rievocare quella citazione per mettere<br />
nella favola, ovvero in ogni testo narrativo, il lettore. Infatti, il lupo può<br />
non esserci, e vedremo subito che potrebbe esserci al suo posto un orco, ma<br />
il lettore c’è sempre, enon solo come componente dell’atto <strong>di</strong> raccontare<br />
storie, ma anche come componente delle storie stesse.<br />
Chi confrontasse oggi il mio Lector in fabula con Se una notte d’inverno<br />
<strong>di</strong> Calvino, potrebbe pensare che il mio libro sia un commento teorico al<br />
Da Sei passeggiate nei boschi narrativi, HarvardUniversity,Norton Lectures, Bompiani,<br />
Milano, 1994. Pubblicato in origine con il titolo Six Walks in the Fictional Woods,<br />
1994.<br />
245
246 U. Eco<br />
romanzo <strong>di</strong> Calvino. Ma i due libri sono usciti quasi contemporaneamente e<br />
nessuno <strong>di</strong> noi due sapeva che cosa l’altro stesse facendo, anche se eravamo<br />
evidentemente appassionati entrambi dallo stesso problema. Quando Calvino<br />
mi ha inviato il suo libro doveva certamente aver già ricevutoilmio,<br />
perché lasuade<strong>di</strong>ca <strong>di</strong>ce: “A Umberto, superior stabat lector, longeque<br />
inferior Italo Calvino.” La citazione, evidente, èdalla favola <strong>di</strong> Fedro del<br />
lupo edell’agnello (“Superior stabat lupus, longeque inferior agnus”), e Calvino<br />
si stava riferendo al mio Lector in fabula. Rimane assai ambiguo quel<br />
“longeque inferior” (che può voler<strong>di</strong>resia“avalle”sia “<strong>di</strong> minore importanza”).<br />
Se “Lector” dovesse essere inteso de <strong>di</strong>cto, equin<strong>di</strong> si riferisse al mio<br />
libro, allora dovremmo pensare o a un atto <strong>di</strong> ironica modestia oppure alla<br />
scelta (orgogliosa) <strong>di</strong> appropriarsi del ruolo dell’agnello, lasciando al teorico<br />
quello del Lupo Cattivo. Ma se “Lector” va inteso de re, allora si trattava<br />
<strong>di</strong> un’affermazione <strong>di</strong> poetica e Calvino voleva rendere omaggio al Lettore.<br />
Per rendere omaggio a Calvino, prenderò spunto dalla seconda delle Lezioni<br />
americane che Calvino aveva scritto per leNortonLectures, quella de<strong>di</strong>cata<br />
alla rapi<strong>di</strong>tà, dove egli si riferisce alla 57a delle Fiabe italiane che egli aveva<br />
raccolto:<br />
Un re si ammalò. Vennero i me<strong>di</strong>ci e gli <strong>di</strong>ssero: “Senta, maestà,<br />
se vuole guarire bisogna che lei prenda una penna dell’Orco.<br />
Èunrime<strong>di</strong>o <strong>di</strong>fficile, perché l’Orco tutti i cristiani che vede se<br />
li mangia.”<br />
Il Re lo <strong>di</strong>sse a tutti ma nessuno d voleva andare. Lo chiese<br />
aunsuo sottoposto, molto fedele e coraggioso, e questi <strong>di</strong>sse:<br />
“Andrò.”<br />
Gli insegnarono la strada: “In cima a un monte, ci sono sette<br />
buche: in una delle sette, ci sta l’Orco.” 1<br />
Calvino nota che “nulla èdetto<strong>di</strong>qualemalattia soffra il re, <strong>di</strong> come<br />
mai un orco possa avere delle penne, <strong>di</strong> come siano fatte queste buche.”<br />
Etraedaquesteosservazioni l’occasione per elogiare la caratteristica della<br />
rapi<strong>di</strong>tà anche se ricorda che “questa apologia della rapi<strong>di</strong>tà nonpretende<br />
<strong>di</strong> negare i piaceri dell’indugio”. 2 De<strong>di</strong>cherò all’indugio, <strong>di</strong> cui Calvino non<br />
ha parlato, la mia terza conferenza. Ora però vorrei <strong>di</strong>re che ogni finzione<br />
narrativa ènecessariamente, fatalmente rapida, perché -mentrecostruisce<br />
un mondo, coi suoi eventi e i suoi personaggi- <strong>di</strong> questo mondo non può<br />
<strong>di</strong>re tutto. Accenna, e per il resto chiede al lettore <strong>di</strong> collaborare colmando<br />
1 Eco (1988), pag. 37.<br />
2 Eco (1988), pag. 45.
Entrare nel bosco 247<br />
una serie <strong>di</strong> spazi vuoti. Del resto, come ho già scritto, ogni testo è una<br />
macchina pigra che chiede al lettore <strong>di</strong> fare parte del proprio lavoro. Guai<br />
se un testo <strong>di</strong>cesse tutto quello che il suo destinatario dovrebbe capire: non<br />
finirebbe più. Se io vi telefono “prendo l’autostrada e arrivo tra un’ora”, è<br />
implicito che, insieme all’autostrada, prenderò anche la macchina.<br />
In Agosto, moglie mia non ti conosco, del grande scrittore comico Achille<br />
Campanile, si trova il seguente <strong>di</strong>alogo:<br />
Gedeone fece gran gesti <strong>di</strong> richiamo a una carrozza che stazionava<br />
in fondo alla strada. Il vecchio cocchiere scese <strong>di</strong> serpe<br />
afaticaevenne premurosamente, a pie<strong>di</strong>, verso i nostri amici,<br />
<strong>di</strong>cendo: “In che posso servirli?”<br />
“Ma no,” gridòGedeone impazientito “io voglio la carrozza!”<br />
“Oh,” fece il cocchiere, deluso “credevo che volesse me.”<br />
Tornòin<strong>di</strong>etro, rimontòinserpeechieseaGedeone,cheaveva<br />
preso posto in vettura con Andrea: “Dove an<strong>di</strong>amo?” “Non glielo<br />
posso <strong>di</strong>re” esclamò Gedeone, che voleva mantenere il segreto<br />
sulla spe<strong>di</strong>zione. Il cocchiere, che non eracurioso, non insisté.<br />
Tutti rimasero per qualche minuto a guardare il panorama, senza<br />
muoversi.<br />
Alla fine Gedeone si lasciò sfuggire un: “Al castello <strong>di</strong> Fiorenzina!”,<br />
che fece trasalire il cavallo e indusse il cocchiere a <strong>di</strong>re:<br />
“A quest’ora? S’arriva <strong>di</strong> notte.”<br />
“È vero,”mormorò Gedeone “ci andremo domattina. Vieni<br />
aprenderci alle sette in punto.”<br />
“Con la carrozza?” chiese il cocchiere.<br />
Gedeone rifletté qualche istante. Alla fine <strong>di</strong>sse: “Sì, sarà<br />
meglio.”<br />
Mentre si <strong>di</strong>rigeva alla pensione, si volse <strong>di</strong> nuovo al cocchiere<br />
egligridò: “Ohè, mi raccomando; anche col cavallo!”<br />
“Ah, sì?” fece l’altro, sorpreso. “Come vuole, del resto.” 3<br />
Il brano appare assurdo, perché prima i protagonisti <strong>di</strong>cono meno <strong>di</strong> quel<br />
che si dovrebbe <strong>di</strong>re,ealla fine sentono il bisogno <strong>di</strong> <strong>di</strong>re (e <strong>di</strong> sentirsi <strong>di</strong>re)<br />
quello che non era necessario che il testo <strong>di</strong>cesse.<br />
Talora uno scrittore, per <strong>di</strong>re troppo, <strong>di</strong>venta più comicodeisuoi personaggi.<br />
Era molto popolare in Italia, nel XIX secolo, Carolina Invernizio, che<br />
ha fatto sognare intere generazioni <strong>di</strong> proletari con storie che si intitolavano<br />
Il bacio <strong>di</strong> una morta, La vendetta <strong>di</strong> una pazza o Il cadavere accusatore.<br />
3 Campanile (1989), pag. 830.
248 U. Eco<br />
Carolina Invernizio scriveva malissimo e qualcuno ha osservato che aveva<br />
avuto ilcoraggio, o la debolezza, <strong>di</strong> introdurre nella letteratura il linguaggio<br />
della piccola burocrazia del giovane Stato Italiano (a cui apparteneva suo<br />
marito, <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> una panetteria militare). Ed ecco come Carolina inizia<br />
il suo romanzo L’albergo del delitto:<br />
La sera era splen<strong>di</strong>da, sebbene fred<strong>di</strong>ssima. La luna, alta nel<br />
cielo, illuminava le vie <strong>di</strong> Torino come pieno giorno. L’orologio<br />
della stazione segnava le sette. Sotto l’ampia tettoia si u<strong>di</strong>va un<br />
rumore assordante perché due treni <strong>di</strong>retti s’incrociavano: l’uno<br />
in partenza, e l’altro in arrivo. 4<br />
Non dobbiamo essere molto severi con la signora Invernizio. Essa oscuramente<br />
intuiva che la rapi<strong>di</strong>tà è una grande virtù narrativa, ma non avrebbe<br />
potuto iniziare, come Kafka, con “Destandosi un mattino da sogni inquieti,<br />
Gregor Samsa si trovò tramutato, nel suo letto, in un enorme insetto.” 5<br />
Subito i suoi lettori le avrebbero chiesto perché ecomeGregorio Samsa<br />
era <strong>di</strong>ventato un insetto, e che cosa aveva mangiato il giorno prima. D’altra<br />
parte Alfred Kazin racconta che una volta Thomas Mann aveva prestato un<br />
romanzo <strong>di</strong> Kafka a Einstein, che glielo aveva restituito <strong>di</strong>cendo: “Non m’è<br />
riuscito <strong>di</strong> leggerlo: il cervello umano non ècomplesso fino a questo punto!” 6<br />
Aparte Einstein, che lamentava forse una certa lentezza del racconto<br />
(ma loderemo dopo l’arte dell’indugio), non sempre il lettore sa collaborare<br />
con la rapi<strong>di</strong>tà deltesto. InRea<strong>di</strong>ng and Understan<strong>di</strong>ng Roger Schank ci<br />
racconta un’altra storia:<br />
Gianni amava Maria ma lei non voleva sposarlo. Un giorno, un<br />
drago rapi Maria dal castello. Gianni balzò ingroppa al suo<br />
cavallo, e uccise il drago. Maria acconsentì asposarlo. Vissero<br />
felici e contenti da allora in poi.<br />
Schank che in questo libro si preoccupa <strong>di</strong> quel che i bambini capiscono<br />
quando leggono -ha posto alcune domande sulla storia a una bambina <strong>di</strong> tre<br />
anni:<br />
–Come mai Gianni ha ucciso il drago?<br />
–Perché eracattivo.<br />
–Cos’era cattivo in lui?<br />
–Lo aveva ferito.<br />
4 Invernizio (1954), pag. 5.<br />
5 Kafka (????), pag. 124.<br />
6 Kazin (1965), pag. 651.
Entrare nel bosco 249<br />
–E come lo aveva ferito?<br />
–Forse gli aveva gettato del fuoco.<br />
–Perché Mariaacconsente a sposare Gianni?<br />
–Perché leiloamavamoltoeluivolevamolto sposarla.<br />
–Come mai Maria si decide a sposare Gianni quando all’inizio<br />
non voleva?<br />
–Questa è una domanda <strong>di</strong>fficile.<br />
–Si, ma quale pensi che sia la risposta?<br />
–Perché primaleiproprio non lo voleva e poi lui <strong>di</strong>scute molto<br />
eparlatantoalei<strong>di</strong>sposarla e allora lei <strong>di</strong>venta interessata a<br />
sposare lei, voglio <strong>di</strong>re lui. 7<br />
Evidentemente faceva parte della conoscenza del mondo <strong>di</strong> quella bambina<br />
il fatto che i draghi gettino fuoco dalle narici, ma non che si può cedere<br />
aunamorenoncorrisposto solo per riconoscenza, o per ammirazione. Una<br />
storia può essere più omenorapida, ovvero più omenoellittica, ma la sua<br />
ellitticità deveessere valutata rispetto al tipo <strong>di</strong> lettore a cui si rivolge.<br />
Visto che sto cercando <strong>di</strong> giustificare tutti i titoli che ho la dannata<br />
idea <strong>di</strong> scegliere, permettetemi <strong>di</strong> giustificare il titolo che ho scelto per le<br />
mie Norton Lectures. Il bosco è una metafora per il testo narrativo; non<br />
solo per testi fiabeschi, ma per ogni testo narrativo. Vi sono boschi come<br />
Dublino, dove invece <strong>di</strong> Cappuccetto Rosso si può incontrare Molly Bloom,<br />
ocomeCasablanca, dove si incontrano Ilsa Lund o Rick Blaine.<br />
Un bosco è, per usare una metafora <strong>di</strong> Borges (altro ospite delle Norton<br />
Lectures, il cui spirito sarà presenteinqueste mie conferenze) un giar<strong>di</strong>no<br />
dai sentieri che si biforcano. Anche quando in un bosco non ci sono sentieri<br />
tracciati, ciascuno può tracciare il proprio percorso decidendo <strong>di</strong> procedere<br />
adestraoasinistra <strong>di</strong> un certo albero e così via,facendo una scelta a<br />
ogni albero che si incontra. In un testo narrativo il lettore ècostretto a<br />
ogni momento a compiere una scelta. Anzi, quest’obbligo della scelta si<br />
manifesta persino a livello <strong>di</strong> qualsiasi enunciato, almeno a ogni occorrenza<br />
<strong>di</strong> un verbo transitivo. Mentre il parlante si accinge a terminare la frase<br />
noi, sia pure inconsciamente, facciamo una scommessa, anticipiamo la sua<br />
scelta, ‘o ci chie<strong>di</strong>amo angosciati quale scelta farà(almenoincasi <strong>di</strong> enunciati<br />
drammatici come “ieri notte nel cimitero ho visto...”).<br />
Talora il narratore vuole lasciarci liberi <strong>di</strong> fare anticipazioni sul seguito<br />
della storia. Si veda per esempio il finale <strong>di</strong> Gordon Pym <strong>di</strong> Poe:<br />
7 Schank (1992), pagg. 29-30.
250 U. Eco<br />
Ma ecco sorgere sul nostro cammino una figura umana infinitamente<br />
piùalta<strong>di</strong>ogni altro abitatore terrestre. Era avvolta in un<br />
sudario, e il colore della sua faccia aveva il candore immacolato<br />
della neve. 8<br />
Qui, dove la voce del narratore si arresta, l’autore vuole che noi passiamo<br />
la vita a domandarci che cosa sia accaduto, e per tema che noi non siamo<br />
ancora <strong>di</strong>vorati dalla passione <strong>di</strong> sapere quel che non ci verrà mairivelato,<br />
l’autore, non la voce narrante, inserisce dopo la fine una nota in cui ci avverte<br />
che, dopo lascomparsa<strong>di</strong>MrPym,“v’èdatemere che i pochi capitoli<br />
che avrebbero dovuto concludere il suo racconto... si siano irrime<strong>di</strong>abilmente<br />
perduti nell’incidente che ha causato la sua fine.” 9 Da quel bosco non<br />
usciremo mai più, e non ne sono più uscitiJulesVerne, CharlesRomynDake<br />
e H.P. Lovecraft, che hanno deciso <strong>di</strong> restarci per continuare la storia <strong>di</strong><br />
Pym.<br />
Ma ci sono casi in cui il narratore ci vuole <strong>di</strong>mostrare che noi non siamo<br />
Stanley, bensì Livingstone, e siamo condannati a perderci nei boschi facendo<br />
sempre la scelta sbagliata. Si veda Laurence Sterne, e proprio all’inizio del<br />
Tristram Shandy:<br />
Avrei desiderato che mio padre o mia madre, o meglio tutti e due,<br />
giacché entrambivierano egualmente tenuti, avessero badato a<br />
quello che facevano, quando mi generarono.<br />
Che cosa avranno fatto i coniugi Shandy in quel delicato momento? Per<br />
lasciare al lettore il tempo <strong>di</strong> fare qualche ragionevole previsione (anche le<br />
più sconvenienti), Sterne <strong>di</strong>vaga per un intero paragrafo (dove si vede che<br />
faceva bene Calvino a non <strong>di</strong>sprezzare l’arte dell’indugio), e quin<strong>di</strong> ci rivela<br />
quale fu l’errore <strong>di</strong> quella scena primaria:<br />
Scusa caro -<strong>di</strong>sse mia madre sul più bello- non hai <strong>di</strong>menticato<br />
<strong>di</strong> caricare l’orologio?<br />
Buon Dio! -esclamò miopadre, sbottando, ma sforzandosi<br />
nello stesso tempo <strong>di</strong> moderare il tono della voce:- Ha mai una<br />
donna, da Eva in poi, interrotto un uomo con una domanda così<br />
sciocca? 10<br />
Come vedete, il padrepensadella madre ciò cheillettore sta pensando<br />
<strong>di</strong> Sterne. Ha mai un autore, per quanto maligno, talmente frustrato le<br />
previsioni dei suoi lettori?<br />
8 Poe (1957), pag. 199.<br />
9 Poe (1957), pag. 200.<br />
10 Sterne (1958), pag. 8.
Entrare nel bosco 251<br />
Certamente, dopo Sterne, la narrativa delle avanguar<strong>di</strong>e ha cercato sovente<br />
non solo <strong>di</strong> mettere in crisi le nostre aspettative <strong>di</strong> lettori, ma ad<strong>di</strong>rittura<br />
<strong>di</strong> creare un lettore che si attende, dal libro che staleggendo, una<br />
totale libertà <strong>di</strong>scelta. Maquestalibertàvienegoduta proprio perché -in<br />
forza <strong>di</strong> una millenaria tra<strong>di</strong>zione, dai miti primitivi alla moderna novella<br />
poliziesca- in genere il lettore si <strong>di</strong>spone a fare le proprie scelte nel bosco<br />
narrativo presumendo che alcune siano più ragionevoli <strong>di</strong> altre.<br />
Ho detto ragionevoli, come se si trattasse <strong>di</strong> scelte ispirate al senso comune.<br />
Ma sarebbe banale presumere che per leggere un libro <strong>di</strong> finzione si<br />
debba procedere secondo il senso comune. Certamente non èquello che ci<br />
chiedevano Sterne o Poe e neppure quello che ci chiedeva l’autore, se all’origine<br />
ve ne èstato uno, <strong>di</strong> Cappuccetto Rosso. Infatti il senso comune ci<br />
imporrebbe <strong>di</strong> reagire all’idea che nel bosco ci sia un lupo che parla. Allora,<br />
che cosa intendo, quando <strong>di</strong>co che il lettore deve, nel bosco narrativo, fare<br />
delle scelte ragionevoli?<br />
Aquestopunto debbo richiamarmi a due concetti che ho già <strong>di</strong>scusso<br />
nei miei libri precedenti: si tratta della coppia Lettore Modello e Autore<br />
Modello.” 11<br />
Il Lettore Modello <strong>di</strong> una storia non èilLettore Empirico. Il lettore<br />
empirico siamo noi, io, voi, chiunque altro, quando leggiamo un testo. Il<br />
lettore empirico può leggere in molti mo<strong>di</strong>, e non c’è nessuna legge che gli<br />
imponga come leggere, perché soventeusailtesto come un contenitore per le<br />
proprie passioni, che possono provenire dall’esterno del testo, o che il testo<br />
gli può eccitare in maniera casuale.<br />
Se vi èaccaduto <strong>di</strong> vedere un film comico in un momento <strong>di</strong> profonda<br />
tristezza, saprete che <strong>di</strong>fficilmente si riesce a <strong>di</strong>vertirsi; non solo, ma potrebbe<br />
accadervi <strong>di</strong> rivedere lo stesso film anni dopo, e <strong>di</strong> non riuscire ancora<br />
asorridere, perché ogni immagine vi ricorderà latristezza <strong>di</strong> quella prima<br />
vostra esperienza. Evidentemente come spettatori empirici stareste “leggendo”<br />
il film in un modo sbagliato. Ma sbagliato rispetto a che cosa? Rispetto<br />
al tipo <strong>di</strong> spettatore a cui il regista aveva pensato, uno spettatore <strong>di</strong>sposto<br />
appunto a sorridere, e a seguire una vicenda che non lo coinvolge <strong>di</strong>rettamente.<br />
Questo tipo <strong>di</strong> spettatore (o <strong>di</strong> lettore <strong>di</strong> un libro) lo chiamo Lettore<br />
Modello -un lettore-tipo che il testo non solo prevede come collaboratore,<br />
ma che anche cerca <strong>di</strong> creare. Se un testo inizia con “C’era una volta”, esso<br />
lancia un segnale che imme<strong>di</strong>atamente seleziona il proprio lettore modello,<br />
che dovrebbe essere un bambino, o qualcuno che è<strong>di</strong>spostoadaccettare una<br />
storia che vada al <strong>di</strong> là delsensocomune.<br />
11 Eco (1979).
252 U. Eco<br />
Dopo che avevo pubblicato il mio romanzo Il pendolo <strong>di</strong> Foucault, un<br />
mio vecchio amico d’infanzia, che non vedevo da anni, mi ha scritto: “Caro<br />
Umberto, non mi ricordavo <strong>di</strong> averti raccontato la patetica storia <strong>di</strong> mio zio e<br />
<strong>di</strong> mia zia, ma mi pare scorretto che tu l’abbia utilizzata per il tuo romanzo.”<br />
Ora, nel mio romanzo io racconto alcuni episo<strong>di</strong> che riguardano un certo<br />
zio Carlo e una zia Caterina, che nella storia sono gli zii del protagonista<br />
Jacopo Belbo, e in effetti questi personaggi sono esistiti davvero: sia pure<br />
con qualche variazione io avevo raccontato una storia della mia infanzia, che<br />
riguardava uno zio e uria zia che si chiamavano però inmodo<strong>di</strong>verso. Ho<br />
risposto a quel mio amico che zio Carlo e zia Caterina erano zii miei, su cui<br />
avevo quin<strong>di</strong> un copyright, enonziisuoi,echeignoravo persino che lui avesse<br />
avuto degli zii. L’amico si èscusato: sieratalmente immedesimato nella<br />
storia che aveva creduto <strong>di</strong> riconoscere degliavvenimenticheeranoaccaduti<br />
ai suoi zii -il che non èimpossibile perchéintempo<strong>di</strong>guerra (tale era l’epoca<br />
acuirisalivano i miei ricor<strong>di</strong>) a zii <strong>di</strong>versi accadono cose analoghe.<br />
Che cos’era successo al mio amico? Aveva cercato nel bosco quello che<br />
c’era invece nella sua memoria privata.<br />
Ègiustocheio passeggiando in un<br />
bosco usi ogni esperienza, ogni scoperta per trarre insegnamenti sulla vita,<br />
sul passato e sul futuro. Ma siccome il bosco èstato costruito per tutti,<br />
non debbo cercarvi fatti e sentimenti che riguardano solo me. Altrimenti,<br />
come ho scritto nei miei due libri recenti, Ilimiti dell’interpretazione e Interpretation<br />
and Overinterpretation, 12 non sto interpretando un testo, bensì<br />
usandolo. Nonèproibito usare un testo per sognare a occhi aperti -e talora<br />
lo facciamo tutti. Ma sognare a occhi aperti non è un’attività pubblica.<br />
Ci induce a muoverci nel bosco narrativo come se fosse il nostro giar<strong>di</strong>no<br />
privato.<br />
Ci sono dunque delle regole del gioco, e il lettore modello ècoluichesa<br />
stare al gioco. Il mio amico aveva scordato per un momento le regole del<br />
gioco e aveva sovrapposto le proprie aspettative <strong>di</strong> lettore empirico al tipo<br />
<strong>di</strong> aspettative che l’autore pretendeva dal lettore modello.<br />
Certamente l’autore <strong>di</strong>spone, per dare istruzioni al proprio lettore modello,<br />
<strong>di</strong> particolari segnali <strong>di</strong> genere. Ma molte volte questi segnali possono<br />
essere molto ambigui. Pinocchio inizia con:<br />
C’era una volta... Un Re!, <strong>di</strong>ranno subito i miei piccoli lettori.<br />
No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo <strong>di</strong> legno.<br />
Questo inizio èmoltocomplesso. Al primo colpo Collo<strong>di</strong> sembra avvertire<br />
che sta iniziando una favola. Non appena i lettori si sono convinti che<br />
12 Eco (1990); Eco (1992).
Entrare nel bosco 253<br />
si tratta <strong>di</strong> una storia per bambini, ecco che vengono messi in scena i bambini,<br />
come interlocutori dell’autore, i quali, ragionando da bambini abituati<br />
alle favole, fanno una previsione sbagliata. Dunque la storia non ède<strong>di</strong>cata<br />
ai bambini? Ma Collo<strong>di</strong> si rivolge, per correggere la previsione sbagliata,<br />
proprio ai bambini, e cioè aisuoipiccoli lettori. Per cui i bambini potranno<br />
continuare a leggere la favola come se fosse rivolta a loro, semplicemente<br />
assumendo che non sia la favola <strong>di</strong> un rema<strong>di</strong>unburattino. E arrivati<br />
alla fine non saranno delusi. Eppure quell’inizio è una strizzata d’occhi per<br />
lettori adulti. Possibile che la favola sia anche per loro? E che loro debbano<br />
leggerla in modo <strong>di</strong>verso, ma che per capire i significati allegorici della fiaba<br />
debbano fare finta <strong>di</strong> essere dei bambini? Un inizio <strong>di</strong> tal genere èbastato<br />
a scatenare una serie <strong>di</strong> letture psicoanalitiche, antropologiche, satiriche<br />
<strong>di</strong> Pinocchio, e non tutte inverosimili. Forse Collo<strong>di</strong> voleva fare un doppio<br />
gioco, e su questo sospetto si basa gran parte del fascino <strong>di</strong> questo piccolo<br />
grande libro.<br />
Chi èchec’impone queste regole del gioco, e queste costrizioni? In altre<br />
parole, chi èchecostruisce il lettore modello? L’Autore, <strong>di</strong>ranno subito i<br />
miei piccoli lettori.<br />
Ma dopo che abbiamo fatto tanta fatica a <strong>di</strong>stinguere il lettore empirico<br />
dal lettore modello, dovremmo pensare all’autore come a un personaggio<br />
empirico che scrive la storia e decide, forse per ragioni inconfessabili e note<br />
solo al suo psicoanalista, qualelettore modello occorra costruire? Vi <strong>di</strong>co<br />
subito che a me dell’autore empirico <strong>di</strong> un testo narrativo (in verità, <strong>di</strong><br />
ogni testo possibile) importa assai poco. So benissimo <strong>di</strong> <strong>di</strong>re qualcosa che<br />
offenderà molti dei miei ascoltatori, i quali spendono magari molto tempo a<br />
leggere biografie <strong>di</strong> Jane Austen o <strong>di</strong> Proust, <strong>di</strong> Dostoevskij o <strong>di</strong> Salinger, e<br />
capisco benissimo che sia bello e appassionante penetrare nella vita privata<br />
<strong>di</strong> persone vere che ormai sentiamo <strong>di</strong> amare come intimi amici. Èstato<br />
un grande esempio e un grande conforto per la mia irrequieta gioventù <strong>di</strong><br />
stu<strong>di</strong>oso sapere che Kant aveva scritto il suo capolavoro filosofico solo all’età<br />
venerabile <strong>di</strong> cinquantasette anni -così comesono sempre stato colto da<br />
irrefrenabile invi<strong>di</strong>a a sapere che Ra<strong>di</strong>guet aveva scritto Le <strong>di</strong>able au corps<br />
avent’anni.<br />
Ma questi elementi non ci aiutano a decidere se Kant avesse ragione ad<br />
aumentare da <strong>di</strong>eci a do<strong>di</strong>ci il numerodelle categorie, né seLe <strong>di</strong>able au<br />
corps sia un capolavoro (lo sarebbe anche se Ra<strong>di</strong>guet l’avesse scritto a cinquantasette<br />
anni). Il possibile ermafro<strong>di</strong>tismo della Gioconda rappresenta<br />
un soggetto interessante per una <strong>di</strong>scussione estetica, ma le abitu<strong>di</strong>ni sessuali<br />
<strong>di</strong> Leonardo da Vinci rimangono, per quel che riguarda la mia lettura<br />
del suo quadro, puro pettegolezzo.
254 U. Eco<br />
Anche nelle prossime conferenze io mi riferirò soventeauno dei libri<br />
più belli che siano mai stati scritti, Sylvie <strong>di</strong> Gérard de Nerval. L’ho letto a<br />
vent’anni, e da allora non ho cessato <strong>di</strong> rileggerlo. Vi ho de<strong>di</strong>cato da giovane<br />
un bruttissimo saggio, e dal 1976 in avanti una serie <strong>di</strong> seminari all’Università<br />
<strong>di</strong> Bologna -come risultato ne sono uscite tre tesi <strong>di</strong> laurea e nel 1982 un<br />
numero speciale della rivista VS. 13 Nel 1984 vi ho de<strong>di</strong>cato un Graduate<br />
Course alla Columbia University, e ne sono usciti molti interessanti term<br />
papers. Neconosco ormai ogni virgola, ogni meccanismo segreto. Questa<br />
esperienza <strong>di</strong> rilettura, che mi ha accompagnato per quarant’anni, mi ha<br />
provato quanto siano sciocchi coloro che <strong>di</strong>cono che ad anatomizzare un<br />
testo, e a esagerare con il “close rea<strong>di</strong>ng”, se ne uccide la magia. Ogni volta<br />
che riprendo in mano Sylvie, pur conoscendo a fondo la sua anatomia, e forse<br />
proprio per questo, me ne innamoro come se lo leggessi per laprimavolta.<br />
Sylvie inizia così:<br />
Je sortais d’un théâtre où touslessoirsjeparaissais aux avant<br />
scènes en grande tenue de soupirant...<br />
Uscivo da un teatro nel quale ogni sera mi mostravo al proscenio<br />
in gran tenuta da spasimante. . . 14<br />
La lingua inglese non ha l’imperfetto, e per rendere l’imperfetto francese<br />
può optare per soluzioni <strong>di</strong>verse (per esempio una e<strong>di</strong>zione del 1887 dava “I<br />
quitted a theater where I used to appear every night in the proscenium...”<br />
e una moderna suona “I came out of a theatre where I appeared every<br />
night...”). L’imperfetto èuntempomoltointeressante, perché è durativo<br />
eiterativo. In quanto durativo ci <strong>di</strong>ce che qualcosa stava accadendo nel<br />
passato, ma non in un momento preciso, e non si sa quando l’azione sia<br />
iniziata e quando finisca. In quanto iterativo ci autorizza a pensare che<br />
quella azione si sia ripetuta molte volte. Ma non èmaicerto quando sia<br />
iterativo, quando sia durativo, e quando sia entrambe le cose. Nell’inizio<br />
<strong>di</strong> Sylvie, peresempio, il primo “sortais” è durativo, perché usciredaun<br />
teatro è un’azione che comporta un percorso. Ma il secondo imperfetto,<br />
“paraissais,” oltre che durativo èanche iterativo. Èverocheiltesto chiarisce<br />
che ilpersonaggio a quel teatro andava tutte le sere, ma anche senza questa<br />
precisazione l’uso dell’imperfetto suggerirebbe che lo faceva ripetutamente.<br />
Acausa<strong>di</strong>questasua ambiguità temporale l’imperfetto èiltempoin cui si<br />
13<br />
Eco (1962). Sur Sylvie, numero monografico <strong>di</strong> VS 31/32, 1982, a cura <strong>di</strong> Patrizia<br />
Violi.<br />
14<br />
de Nerval (1853). Le varie traduzioni italiane sono mie. Tra le e<strong>di</strong>zioni italiane<br />
<strong>di</strong>sponibili segnalo Le figlie del fuoco nelle e<strong>di</strong>zioni BUR e Guanda.
Entrare nel bosco 255<br />
raccontano i sogni, o gli incubi. Ed èiltempodelle fiabe. “Once upon a<br />
time” in italiano si <strong>di</strong>ce “c’era una volta”: “una volta” può essere tradotto<br />
con “once”, ma è l’imperfetto “c’era” che suggerisce un tempo impreciso,<br />
forse ciclico, che l’inglese rende con “upon a time”.<br />
L’inglese può esprimere la iteratività del“paraissais” francese o accontentandosi<br />
dell’in<strong>di</strong>cazione testuale “every evening”, o sottolineando 1’iteratività<br />
attraverso “I used to”. Non si tratta <strong>di</strong> incidente da poco perché gran<br />
parte del fascino <strong>di</strong> Sylvie si basa su una calcolata alternanza <strong>di</strong> imperfetti<br />
epassati remoti, e l’uso intenso dell’imperfetto conferisce a tutta la vicenda<br />
un tono onirico, come se stessimo guardando qualcosa con gli occhi semichiusi.<br />
Il lettore modello acuipensava Nerval non era anglofono, perché la<br />
lingua inglese era troppoprecisaper i suoi scopi.<br />
Tornerò agli imperfetti <strong>di</strong> Nerval nel corso della mia prossima conferenza,<br />
ma vedremo subito come il problema sia importante per la <strong>di</strong>scussione<br />
sull’Autore, e sulla sua Voce. Consideriamo quel “Je” con cui inizia la storia.<br />
I libri scritti in prima persona inducono il lettore ingenuo a pensare<br />
che chi <strong>di</strong>ce “io” sia l’autore. Evidentemente no, èilNarratore, ovvero la<br />
Voce-che-Narra, e che la voce narrante non sia necessariamente l’autore ce<br />
lo <strong>di</strong>ce P.G. Wodehouse, che ha scritto in prima persona le memorie <strong>di</strong> un<br />
cane.<br />
Noi in Sylvie abbiamo a che fare con tre entità. La prima èunsignore,<br />
nato nel 1808 e morto (suicida) nel 1855, che tra l’altro non si chiamava<br />
neppure Gérard de Nerval ma Gérard Labrunie -molti, con la Guide Michelin<br />
in mano, vanno ancora a cercare a Parigi il Vicolo della Vieille Lanterne,<br />
dove si èimpiccato; alcuni <strong>di</strong> costoro non hanno mai capito la bellezza <strong>di</strong><br />
Sylvie.<br />
La seconda entitàècolui che <strong>di</strong>ce “io” nel racconto. Questo personaggio<br />
non èGérard Labrunie. Quello che sappiamo <strong>di</strong> lui èquantoci<strong>di</strong>celastoria,<br />
ealla fine della storia non si uccide. Più melanconicamente, riflette: “Le<br />
illusioni cadono l’una dopo l’altra, come le bucce <strong>di</strong> un frutto, e il frutto è<br />
l’esperienza.”<br />
Con i miei studenti avevamo deciso <strong>di</strong> chiamarlo “Je-rard”, ma siccome<br />
il gioco <strong>di</strong> parole èpossibile solo in francese, lo chiameremo il Narratore.<br />
Il narratore non èM.Labrunie, per le stesse ragioni per cui colui che inizia<br />
i Viaggi <strong>di</strong> Gulliver <strong>di</strong>cendo che suo padre era un modesto proprietario<br />
del Nottinghamshire e a quattor<strong>di</strong>ci anni lo aveva mandato all’Emmanuel<br />
College <strong>di</strong> Cambridge, non èJonathan Swift, il qualeavevainvece stu<strong>di</strong>ato<br />
al Trinity College <strong>di</strong> Dublino. Il lettore modello <strong>di</strong> Sylvie èinvitatoa<br />
commuoversi sulle illusioni perdute del narratore, non su quelle <strong>di</strong> Monsieur<br />
Labrunie.
256 U. Eco<br />
Infine c’è una terza entità, che <strong>di</strong> solito è<strong>di</strong>fficile in<strong>di</strong>viduare, ed èquello<br />
che io chiamo, per simmetria con il lettore modello, l’Autore Modello.<br />
Labrunie potrebbe essere stato un plagiario e Sylvie potrebbe essere stata<br />
scritta dal nonno <strong>di</strong> Fer<strong>di</strong>nando Pessoa, ma l’autore modello <strong>di</strong> Sylvie èquella<br />
“voce” anonima che inizia il racconto <strong>di</strong>cendo “Je sortais d’un théâtre”<br />
eterminafacendo <strong>di</strong>re a Sylvie “Pauvre Adrienne! Elle est morte au couvent<br />
de Saint-S..., vers 1832.” Di lui non sappiamo altro, ovvero sappiamo<br />
quanto questa voce <strong>di</strong>ce tra il capitolo Ieilcapitolo XIV della storia, che si<br />
intitola appunto “Dernier feuillet”, ultimo foglio (dopo rimane solo il bosco,<br />
estaanoientrarvi e percorrerlo). Una volta accettata questa regola del<br />
gioco, possiamo persino permetterci <strong>di</strong> dare un nome a questa voce, un nom<br />
de plume. Ne avrei trovato uno molto bello, se permettete: Nerval. Nerval<br />
non èLabrunie, come non èilnarratore. Nerval non èunLui,cosìcome<br />
George Eliot non è una Lei (solo Mary Ann Evans lo era). Nerval sarebbe<br />
in tedesco un Es, eininglese può essere un It (in italiano, purtroppo, si è<br />
obbligati dalla grammatica ad assegnargli un sesso a ogni costo).<br />
Potremmo <strong>di</strong>re che questo Nerval, che all’inizio della lettura non c’è ancora,<br />
se non come un insieme <strong>di</strong> pallide tracce, quando l’avremo identificato<br />
altro non sarà chequello che ogni teoria delle arti e della letteratura chiama<br />
“stile”. Sì, certamente alla fine l’autore modello sarà riconoscibile anche<br />
come uno stile e questo stile sarà talmenteevidente, chiaro, inconfon<strong>di</strong>bile,<br />
che potremo finalmente capire che èsicuramente la stessa Voce <strong>di</strong> Sylvie<br />
quella che, in Aurélia, iniziacon “Le réve est une seconde vie”.<br />
Mala parola “stile” <strong>di</strong>ce troppo e <strong>di</strong>ce troppo poco. Lascia pensare che<br />
l’autore modello, per citare Stephen Dedalus, rimanga nella sua perfezione,<br />
come il Dio della creazione, dentro, o <strong>di</strong>etro, o al <strong>di</strong> là dellasuaopera,<br />
occupato a curarsi le unghie... Invece l’autore modello è una voce che parla<br />
affettuosamente (o imperiosamente, o subdolamente) con noi, che ci vuole<br />
al proprio fianco, e questa voce si manifesta come strategia narrativa, come<br />
insieme <strong>di</strong> istruzioni che ci vengono impartite a ogni passo e a cui dobbiamo<br />
ubbi<strong>di</strong>re quando deci<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> comportarci come lettore modello.<br />
Nella vasta letteratura teorica sulla narrativa, sulla estetica della ricezione<br />
osul reader-oriented criticism, appaiono vari personaggi chiamati Lettore<br />
Ideale, Lettore Implicito, Lettore Virtuale, Metalettore e così via-ciascuno<br />
<strong>di</strong> essi evocando come propria controparte un Autore Ideale o Implicito o<br />
Virtuale. 15 Questi termini non sono sempre sinonimi.<br />
15 Booth (1961); Barthes (1966); Todorov (1966); Hirsch (1967); Foucault (1969); Riffaterre<br />
(1971); Riffaterre (1978); Genette (1972); Iser (1974); Corti (1976); Chatman (1978);<br />
Fillmore (1981); Pugliatti (1985); Scholes (1989).
Entrare nel bosco 257<br />
Il mio lettore modello, per esempio, èmoltosimile al Lettore Implicito<br />
<strong>di</strong> Wolfgang Iser. Tuttavia per Iser il lettore<br />
fa sì cheiltestoriveli le sue molteplici connessioni potenziali.<br />
Queste connessioni sono prodotte dalla mente che elabora la materia<br />
prima del testo, ma non sono il testo stesso -perchéesso consiste<br />
solo <strong>di</strong>frasi, affermazioni, informazioni, eccetera. . . Questa<br />
interazione non ha luogo nel testo stesso, ma si sviluppa attraverso<br />
il processo <strong>di</strong> lettura. . . Questo processo formula qualcosa che<br />
non era formulato nel testo, e tuttavia <strong>di</strong> quel testo rappresenta<br />
l’intenzione. 16<br />
Tale processo appare più simile a quello <strong>di</strong> cui parlavo nel 1962 in Opera<br />
aperta. Il lettore modello <strong>di</strong> cui ho parlato in Lector in fabula èinvece un<br />
insieme <strong>di</strong> istruzioni testuali, che si manifestano sulla superficie del testo,<br />
proprio sotto forma <strong>di</strong> affermazioni o altri segnali. Come ha rilevato Paola<br />
Pugliatti,<br />
la prospettiva fenomenologica <strong>di</strong> Iser assegna al lettore un privilegio<br />
che èstato considerato prerogativa dei testi, vale a <strong>di</strong>re<br />
quello <strong>di</strong> stabilire un “punto <strong>di</strong> vista”, in tal modo determinando<br />
il significato del testo. Il lettore Modello <strong>di</strong> Eco (1979) non<br />
figura solo come qualcuno che coopera e interagisce col testo: in<br />
misura maggiore -e in un certo senso minore- nasce col testo,<br />
rappresenta il nerbo della sua strategia interpretativa. Pertanto<br />
la competenza dei Lettori Modello èdeterminata dal tipo <strong>di</strong> imprint<br />
genetico che il testo ha loro trasmesso... Creati col testo,<br />
imprigionati in esso, essi godono tanta libertàquantailtestoloro<br />
concede.” 17<br />
ÈverocheIser in The Act of Rea<strong>di</strong>ng <strong>di</strong>ce che “il concetto <strong>di</strong> lettore implicito<br />
èquin<strong>di</strong> una struttura testuale che anticipa la presenza del ricevente”,<br />
ma subito aggiunge: “senza necessariamente definirlo”. Per Iser “il ruolo<br />
del lettore non èidenticoallettore fittizio ritratto nel testo. Quest’ultimo è<br />
soltanto una componente del ruolo del lettore”. 18<br />
Durante queste mieconferenze, pur riconoscendo l’esistenza <strong>di</strong> quelle<br />
altre componenti cheIserha così brillantemente stu<strong>di</strong>ato, punterò principalmente<br />
la mia attenzione proprio su quel “lettore fittizio ritratto nel testo”,<br />
assumendo che il compito principale dell’interpretazione sia quello <strong>di</strong><br />
16 Iser (1974), pagg. 278-287.<br />
17 Pugliatti (1989), pagg. 5-6.<br />
18 Iser (1974), pagg. 74-75.
258 U. Eco<br />
incarnarlo, malgrado la sua esistenza sia fantomatica. Se volete, sono più<br />
“tedesco” <strong>di</strong> Iser, più astratto, o -come <strong>di</strong>rebbero i filosofi non-continentalipiù<br />
speculativo.<br />
In tal senso parlerò <strong>di</strong>lettore modello non solo per testi aperti a molteplici<br />
punti <strong>di</strong> vista, ma anche per quelli che prevedono un lettore testardo e<br />
obbe<strong>di</strong>ente; in altre parole, non esiste solo un lettore modello per il Finnegans<br />
Wake ma anche per l’orario ferroviario, e il testo si aspetta da ciascuno<br />
<strong>di</strong> costoro un <strong>di</strong>verso tipo <strong>di</strong> cooperazione.<br />
Noi possiamo certamente essere più eccitati dalle istruzioni che Joyce<br />
provvede a un “lettore ideale affetto da una insonnia ideale”, ma dobbiamo<br />
pur prendere in considerazione l’insieme <strong>di</strong> istruzioni <strong>di</strong> lettura provviste da<br />
un orario ferroviario.<br />
In tal senso anche il mio autore modello non ènecessariamente una voce<br />
gloriosa, una strategia sublime: l’autore modello agisce e si mostra anche<br />
nel più squallido romanzo pornografico, in<strong>di</strong>fferente alle ragioni dell’arte, per<br />
<strong>di</strong>rci che le descrizioni che ci provvede debbono essere stimolo per la nostra<br />
immaginazione e per le nostre reazioni fisiche. Eperavere un esempio <strong>di</strong><br />
autore modello che senza pudore si mostra subito, dalla prima pagina, al<br />
lettore, prescrivendogli le emozioni che dovrà provare, anche nel caso che il<br />
libro non riuscisse a comunicargliele, ecco l’inizio <strong>di</strong> My Gun is Quick <strong>di</strong><br />
Mickey Spillane:<br />
Quando sedete a casa vostra, sprofondati confortevolmente in<br />
una poltrona davanti al camino, vi siete mai domandati che cosa<br />
accade fuori? Probabilmente no. Voi prendete un libro, e leggete<br />
<strong>di</strong> questo e <strong>di</strong> quello, e vi fate eccitare per procura da persone<br />
efatti irreali. . . Divertente, vero?. . . Anche gli antichi romani facevano<br />
così, davano sapore alla loro vita attraverso delle azioni,<br />
quando se ne stavano al Colosseo e si guardavano gli animali feroci<br />
che facevano a pezzi degli esseri umani, spassandosela alla<br />
vista del sangue e del terrore. . . Va bene, va bene, èbello fare<br />
lo spettatore. La vita attraverso un buco della serratura. Ma<br />
ricordatevi: fuori <strong>di</strong>quiaccadono davvero delle cose...Non c’è<br />
più ilColosseo, ma la città è una arena assai più grande, e c’è<br />
posto per tanta più gente.Lezanne affilate non sono più quelle<br />
delle belve, ma possono essere ben più affilateemaligne. Dovete<br />
essere svelti, e bravi, o sarete <strong>di</strong>vorati.. . Dovrete essere svelti. E<br />
bravi. O vi faranno fuori. 19<br />
19 Spillane (1950), pag. 5.
Entrare nel bosco 259<br />
Figura 1:<br />
Qui lapresenza dell’autore modello èesplicita e, come si èdetto, spudorata.<br />
Ci sono stati casi in cui, con maggiore spudoratezza, ma con maggior<br />
sottigliezza, autore modello, autore empirico, narratore, e altre più imprecisate<br />
entità vengonoesibite,messe in scena nel testo narrativo, con l’esplicito<br />
proposito <strong>di</strong> confondere il lettore. Torniamo al Gordon Pym <strong>di</strong> Poe.<br />
Due puntate <strong>di</strong> quelle avventure erano state pubblicate nel 1837, sul<br />
Southern Literary Messenger, piùomenonella forma che conosciamo. Il<br />
testo iniziava con “Mi chiamo Arthur Gordon Pym” e metteva quin<strong>di</strong> in<br />
scena un narratore in prima persona, maqueltesto appariva sotto il nome<br />
<strong>di</strong> Poe, come autore empirico (Figura 1).<br />
Nel 1838, l’intera storia appariva in volume, ma senza nome dell’autore.<br />
Invece appariva una Prefazione firmata A.G. Pym che presentava quelle avventure<br />
come storiavera,esiavvertivachesulSouthern Literary Messenger<br />
esse erano state presentate sotto il nome del signor Poe, perché lavicenda<br />
non sarebbe stata creduta da nessuno e dunque tanto valeva presentarla<br />
come se fosse una finzione narrativa. Dunque abbiamo un Mr Pym, autore<br />
empirico, che èilnarratore <strong>di</strong> una storia vera, il quale scrive una Prefazione<br />
che non fa parte del testo narrativo ma del paratesto. 20 Mr Poe scompare<br />
20 Secondo Gérard Genette (Soglie, Torino, Einau<strong>di</strong>,1987), il paratesto è l’insieme dei<br />
messaggi che precedono, accompagnano o seguono un testo, quali gli avvisi pubblicitari,<br />
il titolo e i sottotitoli, il retro <strong>di</strong> copertina, le prefazioni, le recensioni, eccetera.
260 U. Eco<br />
nel fondo, <strong>di</strong>ventando una sorta <strong>di</strong> personaggio del paratesto (Figura 2). Ma<br />
Figura 2:<br />
alla fine della storia, proprio dove essa si interrompe, interviene la nota che<br />
spiega come gli ultimi capitoli siano andati perduti in seguito alla “morte<br />
recente, improvvisa e tragica del signor Ppm”, una morte le cui circostanze<br />
“sono già ben note al pubblico attraverso la stampa quoti<strong>di</strong>ana”. Questa<br />
nota, non firmata (e non certamente scritta da Mr Pym, della cui morte<br />
parla), non può essere attribuita a Poe, perché inessa si parla <strong>di</strong> Mr Poe<br />
come <strong>di</strong> un primo curatore, che peraltro viene accusato <strong>di</strong> non aver saputo<br />
cogliere la natura crittografica delle figure che Pym aveva inserito nel testo.<br />
Aquestopunto il lettore èindotto a ritenere che Pym fosse un personaggio<br />
fittizio, il quale come narratore parla non solo all’inizio del primo<br />
capitolo, ma all’inizio della Prefazione, la quale <strong>di</strong>venta parte della storia e<br />
non mero paratesto, e che il testo sia dovutoaunterzo, e anonimo, autore<br />
empirico (che è l’autore della nota finale -questa, sì, un vero esempio <strong>di</strong> paratesto),<br />
il quale parla <strong>di</strong> Poe negli stessi termini in cui ne parlava Pym nel<br />
suo falso paratesto. E ci si chiede allora se Mr Poe sia una persona reale o<br />
un personaggio <strong>di</strong> due storie <strong>di</strong>verse, una raccontata dal falso paratesto <strong>di</strong><br />
Pym, l’altra detta da un signor X, autore <strong>di</strong> un para. testo autenticamente<br />
tale, ma menzognero (Figura 3).<br />
Come ultimo enigma, questo misterioso Mr Pym inizia la sua storia con<br />
un “Mi chiamo Arthur Gordon Pym”, un incipit che non solo anticipa il<br />
“Chiamatemi Ismaele” <strong>di</strong> Melville (il che sarebbe irrilevante), ma sembra<br />
anche paro<strong>di</strong>are un testo in cuiPoe,prima <strong>di</strong> scrivere il Pym, aveva paro-
Entrare nel bosco 261<br />
Figura 3:<br />
<strong>di</strong>ato un certo Morris Mattson, il quale aveva iniziato un suo romanzo con<br />
“Mi chiamo Paul Ulric”. 21<br />
Dovremmo allora giustificare il lettore che iniziasse a sospettare che l’autore<br />
empirico fosse il signor Poe, che aveva inventato un personaggio romanzescamente<br />
dato come reale, il signor X, che parla <strong>di</strong> una persona falsamente<br />
reale, il signor Pym, che a propria volta agisce come il narratore <strong>di</strong> una storia<br />
romanzesca. L’unico elemento imbarazzante sarebbe che questo personaggio<br />
romanzesco parla del signor Poe (quello reale) come se fosse un abitante del<br />
proprio universo fittizio (Figura 4).<br />
Chi èintutto questo intrico testuale l’autore modello? Chiunque sia, è<br />
la voce, o la strategia, che confonde i vari supposti autori empirici affinché il<br />
lettore modello sia coinvolto in questo teatro catottrico. E ora ripren<strong>di</strong>amo a<br />
rileggere Sylvie. Usando un imperfetto all’inizio, la Voce che abbiamo deciso<br />
<strong>di</strong> chiamare Nerval ci <strong>di</strong>ce che noi dobbiamo apprestarci ad ascoltare una<br />
rievocazione. Dopo quattro pagine la Voce passa subitamente dall’imperfetto<br />
al passato remoto e racconta <strong>di</strong> una notte passata al club dopo il teatro.<br />
Ci fa capire che anche qui ascoltiamo una rievocazione del narratore, ma che<br />
ora egli rievoca un momento preciso, il momento in cui, conversando con un<br />
amico sull’attrice che egli ama da tempo, senza averla mai avvicinata, si<br />
rende conto che ciò cheegliamanonè una donna, ma una immagine. Ma<br />
poiché oraeglisitrovanella realtà fissata puntualmente dal tempo passato,<br />
21 Beaver (1975), pag. 250.
262 U. Eco<br />
Figura 4:<br />
legge su un giornale che, nella realtà, quella sera a Loisy, luogo della sua<br />
infanzia, si sta svolgendo la tra<strong>di</strong>zionale festa dell’arco, a cui partecipava<br />
fanciullo, invaghito della bella Sylvie.<br />
Nel secondo capitolo il racconto riprende all’imperfetto. Il narratore<br />
passa alcune ore in una semi-sonnolenza in cui rievoca una festa della sua<br />
adolescenza. Ricorda la tenera Sylvie, che lo amava, e la bella e superba<br />
Adrienne, che quella sera aveva cantato nel prato, apparizione quasi miracolosa,<br />
epoi era scomparsa per sempre tra lemura <strong>di</strong>unconvento...Tra il<br />
sonno e la veglia il narratore si domanda se egli non stia amando sempre, e<br />
senza speranza, la stessa immagine -se, cioè, per ragioni misteriose Adrienne<br />
eAurélie, l’attrice, non siano la stessa persona.<br />
Nel terzo capitolo il narratore ècolto dal desiderio <strong>di</strong> raggiungere il luogo<br />
delle sue memorie d’infanzia, calcola che potrebbe arrivarvi prima dell’alba,<br />
esce, prende una carrozza e, lungo il viaggio, mentre incomincia a scorgere le<br />
strade, le colline, i villaggi della sua infanzia, inizia una nuova rievocazione,<br />
questa volta <strong>di</strong> un periodo più vicino, che risale a circa tre anni prima. Ma<br />
il lettore viene introdotto a questo nuovo flusso <strong>di</strong> ricor<strong>di</strong> da una frase che<br />
-se la leggiamo con attenzione- appare stupefacente:<br />
Pendant que la voiture monte lescôtes, recomposons les souvenirs<br />
du temps où j’yvenais si souvent.
Entrare nel bosco 263<br />
E mentre la carrozza sale lungo i pen<strong>di</strong>i, ricomponiamo i<br />
ricor<strong>di</strong> del tempo in cui ci venivo tanto spesso.<br />
Chi èchepronunzia (o scrive) questa frase, chi ci comunica questo avvertimento?<br />
Il narratore? Ma il narratore, che sta parlando <strong>di</strong> un viaggio<br />
svoltosi anni prima, quando era salito su quella carrozza, dovrebbe <strong>di</strong>requalcosa<br />
come “Mentre la carrozza saliva lungo le balze, io ricomposi -o iniziai a<br />
ricomporre, o mi <strong>di</strong>ssi ‘Suvvia, ricomponiamo’ -i ricor<strong>di</strong> del tempo in cui ci<br />
venivo tanto spesso.” Chi sono -anzi chi siamo- invece, quei “noi” che, insieme,<br />
dobbiamo ricomporre delle memorie, e quin<strong>di</strong> accingersi a compiere un<br />
nuovo viaggio verso il passato? Noi che dobbiamo farlo ora (mentre la carrozza<br />
sta viaggiando nello stesso momento in cui leggiamo) e non “allora”,<br />
quando la carrozza stava andando, nel momento passato <strong>di</strong> cui il narratore<br />
ci parla? Questa non èlavocedelnarratore, èlavoce<strong>di</strong>Nerval,autore<br />
modello che per un istante parla in prima persona nella storia e <strong>di</strong>ce, a noi<br />
lettori modello: “Mentre lui, il narratore, sta salendo per le colline con la<br />
sua carrozza, ricomponiamo (con lui, certo, ma anche io e voi) le memorie<br />
del tempo in cui lui veniva così soventeinquesti luoghi.” (Figura 5).<br />
Figura 5:<br />
Questo non èunmonologo, èlabattuta <strong>di</strong> un <strong>di</strong>alogo fra tre persone:<br />
Nerval che si inserisce surrettiziamente nel <strong>di</strong>scorso del narratore; noi che<br />
siamo chiamati in causa altrettanto surrettiziamente, mentre credevamo <strong>di</strong>
264 U. Eco<br />
poter assistere alla vicenda dal <strong>di</strong>fuori(noi,checredevamo <strong>di</strong> non essere<br />
mai usciti da un teatro); e il narratore, chenon viene lasciato fuori, perché<br />
èluicheinquei luoghi veniva così spesso (“J’y venais si souvent”).<br />
Si noti inoltre che molte pagine si potrebbero scrivere su quel “j’y”: è<br />
un “là”, là dovestavailnarratore quella sera? Èun“qui”(qui,doveNerval<br />
<strong>di</strong> colpo ci sta trasportando)?<br />
In questo racconto dove i tempi e gli spazi si con fondono in modo inestricabile,<br />
in questo punto sembrano confondersi anche le voci. Ma questa confusione<br />
ècosìmirabilmente orchestrata da risultare impercettibile -o quasi,<br />
visto che noi la stiamo percependo. Non èconfusione, èinvece un momento<br />
<strong>di</strong> limpida visione, <strong>di</strong> epifania della narratività, dove appaiono insieme le tre<br />
persone della trinità narrativa: autore modello, narratore e lettore.<br />
Autore e lettore modello sono due immagini che si definiscono reciprocamente<br />
solo nel corso e alla fine della lettura. Si costruiscono a vicenda.<br />
Credo che questo sia vero non solo per le opere <strong>di</strong> narrativa ma per ogni<br />
tipo <strong>di</strong> testo.<br />
Nel paragrafo 66 delle Philosophical Investigations Wittgenstein scrive:<br />
Considera, ad esempio, i processi che chiamiamo “giochi”. Intendo<br />
giochi <strong>di</strong> scacchiera, giochi <strong>di</strong> carte, giochi <strong>di</strong> palla, gare<br />
sportive e via <strong>di</strong>scorrendo. Che cosa ècomune a tutti questi<br />
giochi? -Non <strong>di</strong>re “deve esserci qualcosa <strong>di</strong> comune a tutti, altrimenti<br />
non si chiamerebbero ‘giochi”’- guarda se ci sia qualcosa<br />
<strong>di</strong> comune a tutti. -Infatti, se li osservi, non vedrai certamente<br />
qualcosa che sia comune a tutti, mavedraisomiglianze, parentele,<br />
eanzinevedraitutta una serie. 22<br />
Tutti i pronomi personali non in<strong>di</strong>cano affatto una persona empirica<br />
chiamata Ludwig o un lettore empirico: essi rappresentano pure strategie<br />
testuali, che si <strong>di</strong>spongono in forma <strong>di</strong> appello, come l’inizio <strong>di</strong> un <strong>di</strong>alogo.<br />
L’intervento <strong>di</strong> un soggetto che parla ècomplementare all’attivazione <strong>di</strong> un<br />
lettore modello che sappia continuare il gioco dell’indagine sui giochi, e il<br />
profilo intellettuale <strong>di</strong> questo lettore, persino la passione che lo spingerà a<br />
giocare questo gioco sui giochi, sono determinati solo dal tipo <strong>di</strong> operazioni<br />
interpretative che quella voce gli chiede <strong>di</strong>compiere: considerare, guardare,<br />
vedere, osservare, trovare parentele e somiglianze.<br />
Nello stesso modo l’autore non èaltrocheuna strategia testuale capace<br />
<strong>di</strong> stabilire correlazioni semantiche, e che chiede <strong>di</strong> essere imitato: quando<br />
questa voce <strong>di</strong>ce “Intendo”, vuole stabilire un patto, per cui con il termine<br />
22 Wittgenstein (1967), pag. 46.
Entrare nel bosco 265<br />
gioco si debbono intendere giochi <strong>di</strong> carte, giochi <strong>di</strong> scacchiera e così via. Ma<br />
questa voce si astiene dal definire il termine gioco, einvitanoiadefinirlo, o a<br />
riconoscere che non può essere sod<strong>di</strong>sfacentemente definito se non in termini<br />
<strong>di</strong> “somiglianze <strong>di</strong> famiglia”. In questo testo Wittgenstein non èaltroche<br />
uno stile filosofico, e il suo lettore modello non èaltrochelacapacità ela<br />
volontà <strong>di</strong>adeguarsi a questo stile, cooperando a renderlo possibile.<br />
Ecosìio,vocesenzacorpo, senza sesso (e senza storia, che non sia<br />
quella che inizia con questa prima conferenza e si concluderà conl’ultima),<br />
vi invito, Gentili Lettori, a collaborare al mio gioco per i prossimi cinque<br />
appuntamenti.<br />
Riferimenti<br />
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8,1966. Traduzione italiana in AAW, L’analisi del racconto,<br />
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Umberto Eco. Lector in fabula. Bompiani, Milano, 1979.<br />
Umberto Eco. Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio.<br />
Garzanti, Milano, 1988.<br />
Umberto Eco. Ilimiti dell’interpretazione. Bompiani, Milano, 1990.
266 U. Eco<br />
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Press, Cambridge, 1992. Di prossima pubblicazione presso Bompiani.<br />
Charles Fillmore. Ideal readers and real readers. Traduzione italiana Lettori<br />
ideali e lettori reali, Parma, Zara, 1984, 1981.<br />
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Milano, Feltrinelli, 1971.<br />
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111, Torino, Einau<strong>di</strong>, 1976.<br />
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1967. Traduzione italiana in Teoria dell’interpretazione e critica letteraria,<br />
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(Baltimore, 1974.<br />
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Traduzione italiana <strong>di</strong> Margherita Santi Farina.<br />
Edgar Allan Poe. Storia <strong>di</strong> Gordon Pym. Rizzoli, Milano, 1957.<br />
Paola Pugliatti. Lo sguardo nel racconto. Zanichelli, (Bologna, 1985.<br />
Paola Pugliatti. Reader’s stories revisited. VS, 52, 1989.<br />
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8, 1966. Traduzione italiana in AAW, L’analisi del racconto, Milano,<br />
Bompiani, 1969.<br />
Ludwig Wittgenstein. Ricerche filosofiche. Einau<strong>di</strong>, Torino, 1967.
La struttura delle storie<br />
G. Currie<br />
Quando Casa desolata apparve come libro Dickens aggiunse una prefazione<br />
in<strong>di</strong>gnata <strong>di</strong>fendendo la realtà<strong>di</strong>due cose rappresentate nel romanzo: l’inefficienza<br />
rovinosa della Corte <strong>di</strong> Giustizia, e il fenomeno della combustione<br />
spontanea. Egli non affermò, naturalmente, la stessa cosa per il caso <strong>di</strong><br />
Jarndyce e Jarndyce, né perlamortepercombustione <strong>di</strong> Krook. Egli era<br />
sod<strong>di</strong>sfatto che queste cose dovessero appartenere alla storia soltanto. Che<br />
Krook avesse preso fuoco spontaneamente è una cosa vera nella storia della<br />
quale tuttavia non viene affermata la verità. Che queste cose accadono <strong>di</strong><br />
tanto in tanto èveronella storia e, così ciassicuraDickens, èvero.<br />
Di fatto, Dickens aveva grosso modo ragione riguardo alla Corte <strong>di</strong> Giustizia;<br />
ma era in errore riguardo alla combustione spontanea. Quest’ultimo<br />
fenomeno, come il caso <strong>di</strong> Jarndyce e dello stesso Krook, esiste nella storia<br />
<strong>di</strong> Dickens ma non nella realtà. Delle proposizioni, sia particolari che generali,<br />
possono essere vere in una storia senza essere vere. Esse possono essere<br />
vere nella storia e vere, come nel caso della natura rovinosa delle cause nella<br />
Corte <strong>di</strong> Giustizia. Esse possono essere non vere nella storia e vere: non è<br />
vero nella storia che Charles Dickens credesse falsamente alla combustione<br />
spontanea, ma questo è, <strong>di</strong> fatto, vero. Essere vero in un’opera <strong>di</strong> finzione<br />
non è dunque una questione <strong>di</strong> essere vero in un certo luogo, o riguardo ad<br />
un certo tema. Le cose che sono vere a Londra o vere dei lon<strong>di</strong>nesi sono per<br />
questo vere, ma le cose che sono vere nelle opere <strong>di</strong> finzione non lo sono. La<br />
verità nelle opere <strong>di</strong> finzione è una cosa, la verità un’altra.<br />
Avoltequando parliamo <strong>di</strong> verità nelle opere <strong>di</strong> finzione inten<strong>di</strong>amo<br />
Titolo originale: “The Structure of Stories,” capitolo 2 <strong>di</strong> G. Currie (1990) The Nature<br />
of Fiction, Cambridge University Press, Cambridge, pagg. 52-98. Traduzione <strong>di</strong> Sandro<br />
Zucchi.<br />
269
270 G. Currie<br />
un tipo <strong>di</strong> verità. Le opere <strong>di</strong> finzione talvolta esprimono o suggeriscono<br />
effettivamente delle verità <strong>di</strong>untipoo<strong>di</strong>unaltro,epossono essere valutate<br />
perché esprimonoosuggeriscono queste verità. Forse ÀlaRecherche du<br />
Temps Perdu esprime delle importanti verità sull’amore, sul tempo, e sulla<br />
memoria. In questo caso, c’è moltaverità neiromanzi<strong>di</strong>Proust,einquesto<br />
caso la verità nelle opere <strong>di</strong> finzione <strong>di</strong> Proust èveritàgenuina. Questo<br />
senso <strong>di</strong> “vero in un’opera <strong>di</strong> finzione,” che appare in modo prominente<br />
nelle valutazioni letterarie, non è l’oggetto <strong>di</strong> questo capitolo. Che sia vero<br />
in Casa desolata che la combustione spontanea occorre e che Krook ne è una<br />
vittima; che sia vero in Otello che Desdemona viene assassinata; che sia vero<br />
nel Giro <strong>di</strong> vite che ci sono dei fantasmi: queste affermazioni esemplificano<br />
il tipo <strong>di</strong> verità nelle opere <strong>di</strong> finzione che ciriguarda qui.<br />
1 La veritànella finzione e i mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione<br />
La verità elaveritànelle opere <strong>di</strong> finzione sono <strong>di</strong>stinte, ma forse c’è un<br />
modo <strong>di</strong> collegarle. Diciamo che qualcosa èveroquando èveronel mondo<br />
reale. Ma se ci sono mon<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi dal mondo reale, presumibilmente ci sono<br />
cose vere in questi mon<strong>di</strong> che non sono vere nel mondo reale. Questi mon<strong>di</strong><br />
possibili non attuali non sono parti <strong>di</strong>stanti del nostro universo; se lo fossero,<br />
ciò cheèveroinessi sarebbe vero nel mondo reale, così comeciòcheèvero<br />
in Alfa Centauri èveronel mondo reale (o, semplicemente, vero). I mon<strong>di</strong><br />
possibili sono possibilità alternative,“mo<strong>di</strong> in cui le cose avrebbero potuto<br />
essere,” e essere vero in un mondo non reale vuol <strong>di</strong>re essere possibilmente,<br />
invece che realmente, vero. Potete trattare i mon<strong>di</strong> possibili come elementi<br />
<strong>di</strong> una struttura utile ma teoricamente non necessaria per pensare a cose<br />
come la necessità ela possibilità, la semantica dei nomi propri e la natura<br />
degli attributi. Potete trattarli come rappresentazioni astratte ma non riducibili,<br />
non dello stesso or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> cose del mondo (reale). Potete trattarli<br />
come reali nel modo in cui il mondo reale èreale;cioè, potete supporre che<br />
sono composti <strong>di</strong> pianeti, gente, e atomi, o degli strani, ma egualmente reali,<br />
tipi <strong>di</strong> cose <strong>di</strong> cui il mondo reale potrebbe essere stato composto. 1 Adottando<br />
una qualsiasi <strong>di</strong> queste tre posizioni (invece <strong>di</strong> <strong>di</strong>chiarare l’intera idea<br />
spazzatura incomprensibile), potete essere tentati <strong>di</strong> pensare che la verità<br />
in un’opera <strong>di</strong> finzione sia la verità inunmondo possibile. Nel mondo delle<br />
opere <strong>di</strong> finzione <strong>di</strong> Doyle èverocheHolmes èunfumatore; semplicemente,<br />
non èveronel mondo reale.<br />
L’idea dei “mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione” o dei “ mon<strong>di</strong> della storia” ha l’attrazione<br />
1<br />
Per una rassegna delle alternative e una <strong>di</strong>fesa del realismo estremo riguardo ai mon<strong>di</strong><br />
possibili, ve<strong>di</strong> Lewis (1986).
La struttura delle storie 271<br />
<strong>di</strong> certe metafore vaghe e confortanti che <strong>di</strong>ssimulano i vuoti nel nostro<br />
teorizzare. La maggior parte <strong>di</strong> noi pensa <strong>di</strong> comprendere espressioni come<br />
“il mondo <strong>di</strong> Dickens” o “il mondo dei Barchester,” ma non potrebbe dare<br />
alcuna spiegazione sod<strong>di</strong>sfacente <strong>di</strong> esse se spinta a farlo. Riguardo ai mon<strong>di</strong><br />
possibili abbiamo almeno alcuni principi chiari. Se la verità <strong>di</strong>finzione èla<br />
verità inunmondo possibile, i mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione avranno acquisito un certa<br />
rispettabilità. Ma i mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione, se ce ne sono, non possono essere<br />
assimilati ai mon<strong>di</strong> possibili. I pochi principi chiari che abbiamo per regolare<br />
il nostro pensiero riguardo ai mon<strong>di</strong> possibili non possono applicarsi ai mon<strong>di</strong><br />
<strong>di</strong> finzione. I mon<strong>di</strong> possibili sono determinati rispetto alla verità; ogni<br />
proposizione èoveraofalsainunmondo possibile. Essi sono consistenti;<br />
niente che sia logicamente impossibile èveroinunmondo possibile. Ma i<br />
mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione sono sempre indeterminati e a volte inconsistenti. I mon<strong>di</strong><br />
<strong>di</strong> finzione sono indeterminati perché cisonodelle domande riguardo alle<br />
opere <strong>di</strong> finzione che non hanno alcuna risposta determinata. Holmes, al<br />
tempo della sua lotta con Moriarty, ha un numero pari <strong>di</strong> capelli in testa? Il<br />
testo non ce lo <strong>di</strong>ce, e dalla conoscenza <strong>di</strong> sfondo (<strong>di</strong> cui <strong>di</strong>rò <strong>di</strong>piùinquesto<br />
capitolo) non èpossibile inferire alcuna risposta. Ma se larisposta non può<br />
essere determinata neppure in linea <strong>di</strong> principio, non c’è risposta. In altre<br />
parole, per le opere <strong>di</strong> finzione vale la regola seguente: se non èpossibile per<br />
un lettore in possesso <strong>di</strong> tutte le informazioni rilevanti decidere se P èvera<br />
nell’opera <strong>di</strong> finzione o se non-P èvera nell’opera <strong>di</strong> finzione, allora né P<br />
né non-P sono vere nell’opera <strong>di</strong> finzione. E lo stesso vale per innumerevoli<br />
proposizioni che riguardano i personaggi <strong>di</strong> finzione. Lestrade èsposato? La<br />
signora Hudson ha la dentiera? Non ci sono risposte a queste domande. 2<br />
Secondo alcune opere <strong>di</strong> finzione accade l’impossibile. L’eroe <strong>di</strong>mostra che<br />
Gödel era in errore e che l’aritmetica ècompleta dopotutto, oppure risulta<br />
essere, a causa <strong>di</strong> un viaggio nel tempo, il proprio padre e la propria madre. 3<br />
Queste cose sono logicamente impossibili. Qualsiasi mondo in cui sono vere<br />
non èunmondo possibile.<br />
C’è un’altra ragione per cui non possiamo identificare i mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione<br />
con imon<strong>di</strong> possibili. Supponete che ci siano due mon<strong>di</strong> possibili e che in<br />
ambedue le cose vadano esattamente come nella storia <strong>di</strong> Holmes. (Tratterò<br />
le <strong>di</strong>verse storie come un un’unica grande storia). Questi mon<strong>di</strong> <strong>di</strong>fferiscono<br />
in altri mo<strong>di</strong>, non connessi al contenuto della storia. Qual’è il mondo della<br />
2 Almeno, il mio esame non molto <strong>di</strong>ligente del testo <strong>di</strong> Holmes non ha rivelato alcuna<br />
risposta. Se sono in errore riguardo a questi controesempi, inventatene alcuni voi. Più<br />
avanti abbandono questo approccio “o c’è una risposta oppure no” in favore <strong>di</strong> qualcosa<br />
<strong>di</strong> più sofisticato. Ve<strong>di</strong> la Sezione 8.<br />
3 Come in “Tutti voi zombie” <strong>di</strong> Robert Heinlein.
272 G. Currie<br />
storia? 4 Ambedue sono can<strong>di</strong>dati ugualmente buoni e non c’è nulla che ci<br />
permetta <strong>di</strong> scegliere tra loro, così nessuno dei due lo è. Ma nessun altro<br />
mondo possibile èuncan<strong>di</strong>dato migliore <strong>di</strong> questi per essere il mondo <strong>di</strong><br />
Holmes. Dunque, nessun mondo possibile lo è.<br />
L’impossibilità<strong>di</strong>assimilare i mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione ai mon<strong>di</strong> possibili spiega<br />
perché nonpossiamo spiegare la verità nella finzione come la verità inun<br />
mondo possibile. Più avantiesamineremo le prospettive <strong>di</strong> una versione<br />
più complessa della stessa idea, una versione secondo la quale la verità in<br />
un’opera <strong>di</strong> finzione è una funzione <strong>di</strong> ciò cheèvero invari mon<strong>di</strong> possibili. 5<br />
Se insisteremo nel parlare <strong>di</strong> mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione, dovremo aggiungerli alla<br />
nostra ontologia. Ma una tale estensione pare indesiderabile per <strong>di</strong>verse<br />
ragioni. I realisti riguardo ai mon<strong>di</strong> possibili obietteranno così: i mon<strong>di</strong> possibili<br />
non accrescono il tipo <strong>di</strong> cose che esistono, infatti un mondo possibile è<br />
semplicemente un’altra cosa dello stesso tipo del mondo reale. 6 Ma i mon<strong>di</strong><br />
<strong>di</strong> finzione sono un nuovo tipo <strong>di</strong> cosa; essi non sono cose in abbiamo motivo<br />
<strong>di</strong> credere prima <strong>di</strong> iniziare la nostra indagine sulle opere <strong>di</strong> finzione. Dovremmo<br />
resistere alla loro introduzione per ragioni <strong>di</strong> economia ontologica.<br />
Naturalmente, delle aggiunte alla nostra ontologia, anche delle aggiunte ra<strong>di</strong>cali<br />
come i mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione, possono essere giustificate se risultano avere<br />
un alto valore esplicativo. Ma non si può attribuire questa virtù aimon<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />
finzione. Si suppone che i mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione spieghino la veritànelle opere <strong>di</strong><br />
finzione, e siamo invitati a <strong>di</strong>re che P èveronella storia <strong>di</strong> Holmes se e solo<br />
se P èveronel mondo <strong>di</strong> Sherlock Holmes. Ma a cosa ci serve questa spiegazione?<br />
Dal momento che ad ogni storia corrisponderebbe esattamente un<br />
mondo <strong>di</strong> finzione, non staremmo spiegando <strong>di</strong> più conmeno.Dal momento<br />
che dobbiamo dedurre le caratteristiche dei mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione dalle caratteristiche<br />
delle storie <strong>di</strong> finzione non c’è alcunsenso in cui stiamo spiegando<br />
ciò chenon èfamiliare in termini <strong>di</strong> ciò cheèfamiliare. E dal momento<br />
che determiniamo quello che èveroinunmondo <strong>di</strong> finzione determinando<br />
quello che èveronella storia corrispondente, e non viceversa, questa analisi<br />
non getta alcuna luce sull’epistemologia della verità <strong>di</strong>finzione. L’appello ai<br />
mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione sembra semplicemente gonfiare la nostra ontologia senza<br />
produrre alcuna crescita della comprensione. 7<br />
4 Possiamo anche chiedere: in quale mondo accade che Holmes stesso faccia queste cose?<br />
Su questo ve<strong>di</strong> la sezione 3 del capitolo 4.<br />
5 Ve<strong>di</strong> la Sezione 3.<br />
6 L’argomento è<strong>di</strong>Lewis. Ve<strong>di</strong> Lewis (1973), Cap. 4, Sezione 1.<br />
7 Ci sono stati <strong>di</strong>versi tentativi <strong>di</strong> dare un senso ai mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione. Pavel (1986) è<br />
un tentativo recente. Ma i mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione <strong>di</strong> Pavel rimangono entità oscure,descritte<br />
in gran parte in termini metaforici. Ve<strong>di</strong> la mia recensione in Currie (1987a).
La struttura delle storie 273<br />
2 Essere <strong>di</strong> finzione<br />
Abbandonerò iltentativo <strong>di</strong> spiegare la verità nelle opere <strong>di</strong> finzione come<br />
un tipo <strong>di</strong> verità eanche la metafora non illuminante dei mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione.<br />
Dire che P èverainun’opera <strong>di</strong> finzione o che è una verità <strong>di</strong>finzione<br />
non vuol <strong>di</strong>re attribuire a quella proposizione un tipo speciale <strong>di</strong> verità, ma<br />
equivale invece a <strong>di</strong>re che è <strong>di</strong> finzione che P, ocheè<strong>di</strong>finzione che P è<br />
vera. Ciò cheèveroinun’opera <strong>di</strong> finzione èciòcheè<strong>di</strong>finzione, ciò cheè<br />
parte della storia. Assumo che “èvero nell’opera <strong>di</strong> finzione che P,” “èparte<br />
della finzione che P,” “è <strong>di</strong>finzione che P” abbiano un significato simile. È<br />
vero nell’opera <strong>di</strong> finzione che Holmes fuma; èparte dell’opera <strong>di</strong> finzione<br />
che egli nonèunparlante nativo dell’Hin<strong>di</strong>; non è<strong>di</strong>finzione né cheegli ha<br />
un numero pari <strong>di</strong> capelli in testa nel momento in cui lotta con Moriarty, né<br />
è<strong>di</strong>finzione che non ècosì.<br />
L’essere <strong>di</strong> finzione non èlastessa cosa dell’essere vero, ma come la<br />
verità l’essere <strong>di</strong> finzione è una proprietà delle proposizioni. Almeno per<br />
certi scopi èutile pensare alle proprietà come funzioni da oggetti a valori<br />
<strong>di</strong> verità. L’essere rosso è una funzione che assegna a tutte le cose rosse<br />
il valore vero, e a tutte le cose non rosse il valore falso. Analogamente,<br />
l’essere <strong>di</strong> finzione può esserepensatocome una funzione (un “operatore<br />
proposizionale”) da proposizioni a valori <strong>di</strong> verità. “Holmes fuma” non<br />
esprime una proposizione vera, ma “È <strong>di</strong>finzione che Holmes fuma” sì,<br />
dal momento che l’operatore essere <strong>di</strong> finzione assegna alla proposizione<br />
Holmes fuma il valore vero. 8 Abbreviamo “ È<strong>di</strong>finzione che P”con“F(P).”<br />
Naturalmente, l’essere <strong>di</strong> finzione èsemprerelativo ad una certa opera <strong>di</strong><br />
finzione. In senso stretto, dunque, dovremmo scrivere “Fw(P),” che vuol<br />
<strong>di</strong>re: è<strong>di</strong>finzione nell’opera W che P. Quando parlo in generale, tralascerò<br />
questo in<strong>di</strong>ce. Per la maggior parte del tempo userò semplicemente la nostra<br />
terminologia originale, familiare e parlerò dell’essere vero nella finzione <strong>di</strong><br />
P, odelsuoesserevero nella storia. Con questo intenderò semplicemente<br />
che F(P).<br />
Niente <strong>di</strong> tutto questo equivale a una teoria della verità <strong>di</strong>finzione; è<br />
semplicemente una proposta riguardo a come questa teoria potrebbe essere<br />
sviluppata. Per arrivare al punto in cui abbiamo <strong>di</strong> fronte un’analisi concreta<br />
dobbiamo esaminare le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> verità <strong>di</strong>affermazioni della forma<br />
“F(P)” -assumendo, per il momento, che questi enunciati sono in grado <strong>di</strong><br />
essere veri o falsi esattamente nel modo in cui un enunciato come “le ti-<br />
8 In questo caso, seguo Lewis (1978). Per un <strong>di</strong>saccordo con Lewis riguardo al modo in<br />
cui questa teoria deve essere implementata, ve<strong>di</strong> la Sezione 3.
274 G. Currie<br />
gri sono carnivore” èveroofalso. LaSezione 1 del Capitolo 3 qualificherà<br />
questa assunzione.<br />
L’operatore F viene spesso tralasciato nel <strong>di</strong>scorso or<strong>di</strong>nario se èconoscenza<br />
comune tra i compagni <strong>di</strong> conversazione che il loro oggetto è ciò che<br />
accade nella storia. L’operatore fa la sua comparsa quando abbiamo bisogno<br />
<strong>di</strong> chiarire <strong>di</strong> quale opera <strong>di</strong> finzione stiamo parlando; “Amleto muore<br />
in Amleto” parepedante, ma “Flamineo muore nel Diavolo bianco no, per<br />
la maggior parte dei lettori. Fa anche la sua comparsa quando la conversazione<br />
si sposta sul confronto tra ciò che accade nell’opera <strong>di</strong> finzione e ciò<br />
che accade nel mondo reale, come in “I romani in realtà nonavevano orologi,<br />
ma in Giulio Cesare se ne sente uno battere.” Non c’è dubbio, quin<strong>di</strong>,<br />
che l’operatore F corrisponde a qualcosa che fa parte del nostro repertorio<br />
linguistico. Ma sono d’accordo con Kendall Walton su una cosa: non tutti<br />
inostri <strong>di</strong>scorsi sui personaggi e gli eventi <strong>di</strong> finzione possono essere intesi<br />
come prefissati dall’operatore F. 9 Considerate, ad esempio, le descrizioni che<br />
<strong>di</strong>amo delle nostre reazioni ai personaggi e agli eventi <strong>di</strong> finzione. Quando<br />
<strong>di</strong>co che temo che Otello ucciderà Desdemona, questo non può essere inteso<br />
come un’ellissi per “Temo che F(Otello ucciderà Desdemona),” e “F(temo<br />
che Otello ucciderà Desdemona)” èanch’esso inadeguato. Esamineremo<br />
asserzioni <strong>di</strong> questo genere nel Capitolo 5.<br />
Eneppure possiamo utilizzare l’operatore F per interpretare le emissioni<br />
con cui l’autore crea una finzione. Dovrebbe essere chiaro dai risultati del<br />
Capitolo 1 che quando l’autore scrive “Holmes èunfumatore” non deve essere<br />
inteso come se <strong>di</strong>cesse che èveronella storia che Holmes èunfumatore. 10<br />
L’autore non sta asserendo che F(P), sta creando la finzione che P.<br />
Il ruolo dell’operatore F in una teoria delle opere <strong>di</strong> finzione è limitato.<br />
Non ci aiuterà aspiegare tutto quello che si <strong>di</strong>ce dei personaggi <strong>di</strong> finzione.<br />
Ma ha un ruolo vitale. L’operatore èusatodanoi implicitamente ogni volta<br />
9<br />
Ve<strong>di</strong> Walton (1978a), e Walton (1990), Cap. 5, Sez. 3. Walton esagera un po’ al<br />
riguardo. Egli sostiene che un’emissione <strong>di</strong> “Tom e Becky si erano perduti nella caverna”<br />
èimprobabile che comporti un uso implicito dell’operatore F, perchéraramente lasciamo<br />
impliciti altri operatori intenzionali come “crede che.” Invece, li omettiamo più spesso <strong>di</strong><br />
quanto ammetta Walton. Ècomune per la <strong>di</strong>scussione <strong>di</strong> un sistema filosofico comportare<br />
affermazioni quali “tutte le azioni avvengono per contatto” o “le proprietà secondarie sono<br />
nella mente” invece <strong>di</strong> affermazioni quali “Secondo Descartes, tutte le azioni avvengono<br />
per contatto” o “Secondo Locke, le proprietà secondarie sono nella mente.” Per lo meno,<br />
ècomune abbreviare in questo modo quando èchiaroaipartecipanti quale sistema èin<br />
<strong>di</strong>scussione e che lo scopo della <strong>di</strong>scussione è<strong>di</strong>decidere com’è ilsistema invece che <strong>di</strong><br />
decidere se èvero. Nel<strong>di</strong>scutere le opere <strong>di</strong> finzione, solo raramente siamo interessati<br />
adecidere se ciò cheviendetto èvero,cosìabbiamo poche ragioni <strong>di</strong> rendere esplicito<br />
l’operatore.<br />
10<br />
Pace Wolterstorff (1979).
La struttura delle storie 275<br />
che leggiamo un’opera <strong>di</strong> finzione cerchiamo <strong>di</strong> estrarre una storia dal testo.<br />
Decidere se P appartiene alla storia èdecidere se F(P) èvero. Mentrela<br />
nostra lettura procede, dobbiamo costantemente prendere delle decisioni su<br />
ciò cheèveronella storia. A volte la decisione èfacile: l’autore scrive che P,<br />
enoideci<strong>di</strong>amo che P èpartedella storia. Ma come abbiamo visto nel Capitolo<br />
1, dobbiamo stare all’erta riguardo alla possibilità cheun enunciato del<br />
testo non sia inteso letteralmente; in questocasodobbiamodecidere ciò che<br />
èinteso eaggiungerlo alla storia. Dobbiamo anche decidere a quale punto<br />
la verità <strong>di</strong>finzione sfuma nell’indeterminatezza, dove i nostri poteri <strong>di</strong> immaginazione<br />
possono assumere il comando. Che aspetto ha il Dott. Watson<br />
esattamente? Presumibilmente èveronelle storie <strong>di</strong> Doyle che Watson ha un<br />
aspetto definito, ma non c‘è alcunaspetto definito per cui èveronelle storie<br />
che Watson ha quell’aspetto. Quando arriviamo ai dettagli dell’aspetto <strong>di</strong><br />
Watson, sta al lettore costruire, se èincline a farlo, un particolare aspetto<br />
per lui, acon<strong>di</strong>zione che la costruzione stia nei limiti tracciati dall’opera. Il<br />
lettore deve anche determinare uno sfondo appropriato che può nonessere<br />
esplicito nella storia. Èsicuramenteveronella storia <strong>di</strong> Holmes che Vittoria<br />
regna, che la Gran Bretagna è una grande potenza industriale e mercantile,<br />
che le persone, incluso Holmes, mangiano, dormono e respirano, che Watson<br />
èaltomeno<strong>di</strong>due metri. Ma èprobabile che non si possano trovare tutte<br />
queste cose asserite esplicitamente in qualche punto delle opere rilevanti.<br />
L’idea che una lettura <strong>di</strong> un’opera <strong>di</strong> finzione possa legittimamente essere<br />
guidata da uno sfondo appropriato èstata a volte negata dai critici. John<br />
Dover Wilson ha sostenuto, notoriamente, che c’è “unequivoco fondamentale”<br />
nel trattare un personaggio <strong>di</strong> finzione “come se fosse una creatura<br />
vivente oun personaggio storico, invece che come una figura singola.. . in<br />
una composizione drammatica.. . In<strong>di</strong>pendentemente dal lavoro teatrale, dalle<br />
sue azioni, da ciò checi<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> sèedaciòche gli altri personaggi ci <strong>di</strong>cono<br />
<strong>di</strong> lui, non c’è alcunAmleto. . . I critici che speculano su com’è Amletoprima<br />
dell’inizio del dramma. . . stanno solo ritagliando la figura dalla tela e<br />
ficcandola in una casa <strong>di</strong> bambole <strong>di</strong> loro invenzione.” 11<br />
Se Wilson fosse stato meno provocato dagli eccessi dello stu<strong>di</strong>o psicoanalitico<br />
<strong>di</strong> Amleto <strong>di</strong> Ernest Jones, potrebbe non essersi spinto così inlà.<br />
C’è moltodella vita <strong>di</strong> Amleto prima che si alzi il sipario che non possiamo<br />
sapere, semplicemente perché nonc’ènulla da sapere. Forse non c’è<br />
nulla da sapere della con<strong>di</strong>zione psicologica <strong>di</strong> Amleto durante l’infanzia, e<br />
forse questo èciòcheèsbagliato nel metodo <strong>di</strong>Jones. 12 Ma c’è pocoda<br />
11 Wilson (1936).<br />
12 Per un’ulteriore <strong>di</strong>scussione <strong>di</strong> questo punto, ve<strong>di</strong> la sezione 3.
276 G. Currie<br />
dubitare che ciò cheèvero nell’opera teatrale si estende oltre i confini, sia<br />
temporali che testuali, del contenuto esplicito dell’opera. Chi dubita che<br />
sia vero nell’opera teatrale che Amleto fosse un essere umano vivente, che<br />
respirava <strong>di</strong>eci minuti prima della scena <strong>di</strong> apertura? Né possiamo evitare<br />
<strong>di</strong> applicare dei concetti psicologici generici, per i quali non troveremo alcun<br />
sostegno esplicito nel testo, ad Amleto e agli altri personaggio. Altrimenti<br />
non potremmo capire il testo. I gran<strong>di</strong> problemi delle analisi <strong>di</strong> Amleto<br />
-perché lareazione apparentemente eccessiva? perché l’indugio?- semplicemente<br />
non possono essere posti e neppure risolti, a meno che non siamo<br />
<strong>di</strong>sposti a trattare Amleto come un essere umano con un universo <strong>di</strong> motivi<br />
ereazioni non ra<strong>di</strong>calmente <strong>di</strong>versi dai nostri. Il comportamento <strong>di</strong> Amleto<br />
èstranoesattamente perché deveessere giu<strong>di</strong>cato, grosso modo, secondo le<br />
norme <strong>di</strong> comportamento che applichiamo agli esseri umani in generale.<br />
Come dobbiamo determinare uno sfondo appropriato per Amleto oper<br />
qualsiasi altra opera è una domanda a cui cercherò <strong>di</strong>rispondere in questo<br />
capitolo. Amleto èuncaso illuminante e mi riferirò ancoraadesso.<br />
Un’ultima osservazione preliminare. In questo capitolo ignorerò iproblemi<br />
posti dall’esistenza dei personaggi <strong>di</strong> finzione, e assumerò cheha perfettamente<br />
senso <strong>di</strong>re cose come “Holmes assume della cocaina,” “Holmes è<br />
più intelligente <strong>di</strong> Watson,” e anche “Holmes non esiste.” Di fatto, questa<br />
assunzione èaltamenteproblematica. Una ragione per cui èproblematica<br />
ècheespressioni come “Holmes” e “Watson” sembrano funzionare come<br />
nomi propri nella storia. Secondo una certa opinione, la caratteristica che<br />
<strong>di</strong>stingue i nomi propri ècheilloro contributo alle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> verità degli<br />
enunciati in cui occorrono èsemplicemente <strong>di</strong> identificare un in<strong>di</strong>viduo <strong>di</strong><br />
cui viene pre<strong>di</strong>cato qualcosa. Il loro ruolo semantico è, per così <strong>di</strong>re,esaurito<br />
dal loro ruolo referenziale. Un nome proprio non referenziale sembrerebbe<br />
dunque non avere alcun ruolo semantico. Ma il significato èilruolosemantico,<br />
e quin<strong>di</strong> un nome proprio non referenziale non ha alcun significato. 13<br />
Dal momento che “Holmes” non identifica alcun in<strong>di</strong>viduo, non ha nessun<br />
ruolo referenziale, e quin<strong>di</strong> non gli può essere associato alcun significato. Un<br />
enunciato che contiene una espressione senza significato deve essere senza<br />
significato, e quin<strong>di</strong> nessun enunciato che contiene “Holmes” può avereun<br />
significato. E se “P” non ha significato, allora neppure “F(P)” può avere<br />
un significato. 14<br />
Senza dubbio, almeno alcuni dei passaggi <strong>di</strong> questo argomento sono <strong>di</strong>-<br />
13 Discuto questo argomento più indettaglionella Sezione 3delCapitolo 4.<br />
14 Un’osservazione fatta in questo contesto da Evans (1983), Cap. 10. Ve<strong>di</strong> anche la<br />
Sezione 10 del Capitolo 4.
La struttura delle storie 277<br />
scutibili, ma esso dovrebbe <strong>di</strong>ssolvere l’assunzione compiaciuta che possiamo<br />
evitare <strong>di</strong> preoccuparci del riferimento introducendo l’operatore F, oqualcosa<br />
<strong>di</strong> simile. Non andrà bene<strong>di</strong>resemplicemente: “‘Sherlock Holmes’ non<br />
ha veramente un riferimento, ma èveronella storia che ce l’ha, perché è<br />
vero nella storia che Holmes esiste.” Perché lareplica sarà: “A meno che<br />
‘Sherlock Holmes’ abbia veramente un riferimento, nessun enunciato in cui<br />
questo nome occorre può essere vero nella storia, perché nessun enunciato<br />
del genere può avereunsignificato.” Se la semantica delle opere <strong>di</strong> finzione<br />
non deve cadere nell’incoerenza, dobbiamo avere una storia convincente sulla<br />
semantica dei nomi <strong>di</strong> finzione. Nel Capitolo 4, affronteremo il problema<br />
<strong>di</strong> petto. Ma per ora assumerò semplicemente che gli enunciati che contengono<br />
nomi <strong>di</strong> finzione hanno un significato. Scelgo quest’or<strong>di</strong>ne perché ciò<br />
che deci<strong>di</strong>amo qui sulle verità <strong>di</strong>finzione ci permetterà <strong>di</strong>comprendere più<br />
chiaramente ciò chevogliamo da una teoria del riferimento per i nomi <strong>di</strong><br />
finzione.<br />
3 La teoria<strong>di</strong>Lewis<br />
David Lewis ha proposto un’analisi delle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> verità perenunciati<br />
della forma F(P). 15 L’analisi <strong>di</strong> Lewis èunpara<strong>di</strong>gma della chiarezza che<br />
la filosofia analitica può portarealla <strong>di</strong>scussione <strong>di</strong> un argomento che altrimenti<br />
potrebbe sembrare prestarsi solo ad una <strong>di</strong>scussione vaga e fondata<br />
su impressioni. Tuttavia, amioparere, ci sonodei<strong>di</strong>fetti nella sua teoria.<br />
In<strong>di</strong>viduare alcuni <strong>di</strong> essi motiverà lamiateoria. Lewis ci offre due analisi<br />
<strong>di</strong>stinte tra cui scegliere. Per essere comprese esse richiedono che si prepari<br />
un po’ la scena.<br />
In primo luogo, abbiamo bisogno dell’idea <strong>di</strong> un mondo della storia (un<br />
“S-mondo,” come lo chiamerò, assumendo <strong>di</strong> avere in mente una storia <strong>di</strong><br />
finzione particolare S). Questo non vuol <strong>di</strong>re ritornare ai <strong>di</strong>sprezzati mon<strong>di</strong><br />
<strong>di</strong> finzione. Un mondo della storia sarà unmondo possibile nel senso della<br />
semantica modale, e ci saranno molti mon<strong>di</strong> per una data storia. Quando un<br />
mondo èunS-mondo? Non possiamo <strong>di</strong>re semplicemente: quando ogni cosa<br />
vera in S èverainquelmondo. Perché questarisposta fa appello proprio<br />
alla nozione che stiamo cercando <strong>di</strong> spiegare: la nozione <strong>di</strong> veritàinun’opera<br />
<strong>di</strong> finzione. Lewis suggerisce invece <strong>di</strong> pensare ad un S-mondo come a un<br />
mondo in cui il testo della storia viene emesso come un fatto conosciuto. 16 I<br />
mon<strong>di</strong> della storia <strong>di</strong> Holmes sono mon<strong>di</strong> in cui qualcuno conosce le attività<br />
<strong>di</strong> un detective chiamato Holmes e in cui questa conoscenza viene impartita<br />
15 Lewis (1978).<br />
16 Ve<strong>di</strong> Lewis (1978), pag. 265. Ve<strong>di</strong> anche Kaplan (1973), specialmente pag. 507.
278 G. Currie<br />
ad altri attraverso un testo lessicalmente identico al testo prodotto da Doyle.<br />
Naturalmente, ci saranno molti mon<strong>di</strong> in cui la stessa storia viene narrata<br />
come un fatto conosciuto, e questi mon<strong>di</strong> possono <strong>di</strong>fferire in modo molto<br />
ra<strong>di</strong>cale l’uno dall’altro su questioni che riguardano la storia, ma riguardo<br />
ai quali il testo non <strong>di</strong>ce nulla o non <strong>di</strong>ce nulla <strong>di</strong> conclusivo. In alcuni <strong>di</strong><br />
questi mon<strong>di</strong> ciò cheassumiamo essere lo sfondo della storia sarà violato.<br />
Supponete che non sia mai reso esplicito nella storia che Holmes èunessere<br />
umano invece <strong>di</strong> un robot travestito o <strong>di</strong> un bambino marziano sostituito<br />
<strong>di</strong> nascosto ad un bambino umano. Tutti questi mon<strong>di</strong> hanno in comune<br />
che ciò cheèesplicito nelle storie viene raccontato, in questi mon<strong>di</strong>, come<br />
un fatto conosciuto. Per questa ragione, non andrà bene<strong>di</strong>recheciòche<br />
èveroinun’opera <strong>di</strong> finzione S èciòcheèverointutti gli S-mon<strong>di</strong>, in<br />
quanto questo ridurrebbe la verità nell’opera <strong>di</strong> finzione a ciò cheèesplicito<br />
nel testo.<br />
Per risolvere il problema, Lewis suggerisce <strong>di</strong> dare un peso <strong>di</strong>verso agli<br />
S-mon<strong>di</strong>, secondo quanto sono simili al mondo reale (attuale). (Pensate ai<br />
mon<strong>di</strong> possibili, con il mondo reale tra loro, come <strong>di</strong>stribuiti nello spazio<br />
logico, con la loro <strong>di</strong>stanza l’uno dall’altro che rappresenta la misura della<br />
loro somiglianza l’uno all’altro). Ora consideriamo la proposizione P echie<strong>di</strong>amoci<br />
se èveranella storia. P potrebbe essere vera in tutti gli S-mon<strong>di</strong>;<br />
in questo caso la giu<strong>di</strong>cheremmo vera nella storia. P potrebbe non essere<br />
vera in alcun mondo; in questo caso la giu<strong>di</strong>cheremmo non vera nella storia.<br />
Icasi<strong>di</strong>fficili sorgono quando P èverainalcuni S-mon<strong>di</strong> e non vera in altri.<br />
L’idea <strong>di</strong> Lewis ècheinquestocaso dovremmo considerare P vera nella<br />
storia se e solo se c’è unS-mondo in cui P èveracheèpiù vicino al mondo<br />
attuale c○ <strong>di</strong> ogni S-mondo in cui P èfalsa. Adottiamo una formulazione un<br />
po’ più concisa. GliS-mon<strong>di</strong> in cui una proposizione P èveralichiamerò<br />
gli SP -mon<strong>di</strong>, e gli S-mon<strong>di</strong> in cui P non èveralichiamerò gliS∼P -mon<strong>di</strong>.<br />
Sia “FS(P)” un’abbreviazione <strong>di</strong> “P èvera nell’opera <strong>di</strong> finzione S.” Allora<br />
(1) “FS(P)” èverosse c’è unSP -mondo più vicino a c○ <strong>di</strong> ogni S∼P -<br />
mondo. (pag. 270)<br />
Lewis non ha inventato questa tecnica allo scopo <strong>di</strong> trattare la verità<br />
<strong>di</strong> finzione. Essa èstata sviluppata per spiegare le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> verità dei<br />
controfattuali. 17 In (1), Lewis assimila il ragionamento su ciò cheèveroin<br />
un’opera <strong>di</strong> finzione a ciò cheèverocontrofattualmente. Assumendo che<br />
l’analisi <strong>di</strong> Lewis dei controfattuali in termini <strong>di</strong> mon<strong>di</strong> e delle loro relazioni<br />
17 Ve<strong>di</strong> Lewis (1973) e Stalnaker (1968).
La struttura delle storie 279<br />
<strong>di</strong> somiglianza sia corretta, (1) può essere riformulata nel linguaggio corrente<br />
come:<br />
(1)’ “FS(P)” èverosse P sarebbe stata vera se S fosse stata narrata<br />
come un fatto conosciuto.<br />
Considerate la proposizione che Holmes èunmarziano travestito -cosa che<br />
intuitivamente riteniamo falsa nella storia, ma che, supporremo, il contenuto<br />
esplicito del testo lascia indeterminata. Un mondo in cui cose che sembrano<br />
essere persone sono, a volte, dei marziani sarebbe molto <strong>di</strong>verso da c○; ci<br />
sarebbero molti mon<strong>di</strong> più vicini a c○ <strong>di</strong> questo. Supponete, per semplificare<br />
l’argomento, che w 1 sia l’S-mondo più vicino a c○ in cui Holmes èun<br />
marziano. 18 Sia w 2 un S-mondo esattamente come w 1 eccetto che non ci<br />
sono marziani simili ad esseri umani in w 2. 19 Sicuramente, w 2 èpiùvicino<br />
(cioè, più simile) a c○ <strong>di</strong> quanto lo sia w 1; w 2 è dunque più vicino a c○ <strong>di</strong><br />
ogni S-mondo in cui ci sonomarziani simili ad esseri umani (in quanto w 1<br />
èilpiùvicino). In w 2 Holmes non èunmarziano, quin<strong>di</strong> èveronella storia<br />
che Holmes nonèunmarziano.<br />
Ora prendete un caso che contrasta con questo. Considerate la proposizione<br />
che Holmes ha in testa, nel momento in cui lotta con Moriarty alle<br />
Cascate Reichenbach, un numero pari <strong>di</strong> capelli -<strong>di</strong> nuovo, una proposizione<br />
riguardo alla quale il testo non ci <strong>di</strong>ce nulla. Come prima, sia w 1 l’S-mondo<br />
più vicino a c○in cui egli ha un numero pari <strong>di</strong> capelli al momento della lotta<br />
con Moriarty. Un mondo che <strong>di</strong>fferisce da w 1 semplicemente per il fatto che<br />
il numero <strong>di</strong> capelli è<strong>di</strong>sparièpiùvicino a c○ <strong>di</strong> w 1? Nonloè. Avere in testa<br />
un numero pari <strong>di</strong> capelli non è una deviazione dalla norma <strong>di</strong> avercene un<br />
numero <strong>di</strong>spari. In questo caso, la proposizione che il numero è<strong>di</strong>spari non<br />
èveranella storia. Lo stesso argomento, con “pari” e “<strong>di</strong>spari” scambiati,<br />
stabilisce che anche la proposizione che il numero èparinon èveranella<br />
storia. Questa è una delle cose lasciate indeterminate nella storia.<br />
L’analisi (1) rende la verità <strong>di</strong>finzione il prodotto congiunto del contenuto<br />
esplicito della storia e <strong>di</strong> ciò cheèveronel mondo reale. Come<br />
osserva Lewis, l’analisi (1) non accontenterà tutti, dal momento che autorizzerà<br />
spiegazioni psicoanalitiche del comportamento <strong>di</strong> un personaggio, se<br />
la psicoanalisi èvera (p. 271). Se la psicoanalisi èvera, può essere che un<br />
mondo in cui Amleto ènarrato come un fatto conosciuto e in cui l’indugiare<br />
18 Non ènecessario che ci sia un unico mondo più vicino <strong>di</strong>questo genere, neppure che<br />
ci sia un mondo tale che nessun’altro mondo èpiùvicino <strong>di</strong> lui a c○. Quitrascuro queste<br />
complicazioni.<br />
19 In senso stretto, w 2 èunmondo in cui non ci sono marziani simili ad esseri umani che<br />
èpiùvicino, nel suo complesso, a c○; w 2 <strong>di</strong>fferirà daw 1 anche in altri mo<strong>di</strong>.
280 G. Currie<br />
<strong>di</strong> Amleto èilrisultato della sua nevrosi (come ha sostenuto Ernest Jones)<br />
sia più vicino al mondo reale <strong>di</strong> ogni mondo in cui Amleto ènarrato come un<br />
fatto conosciuto e in cui l’indugiare <strong>di</strong> Amleto ècausatodaqualcos’altro. 20<br />
Naturalmente, coloro che accettano simili pratiche interpretative vedranno<br />
questo come un vantaggio della teoria. Ma la teoria legittima delle manovre<br />
interpretative che nessuno prenderebbe seriamente. Sia n il numero dei capelli<br />
sulla testa <strong>di</strong> Giulio Cesare al tempo in cui morì. Niente nella storia <strong>di</strong><br />
Holmes contrad<strong>di</strong>ce questo fatto o lo rende meno probabile del contrario. Se<br />
la storia <strong>di</strong> Holmes fosse narrata come un fatto conosciuto, sarebbe ancora<br />
vero che ci sarebbero n capelli sulla testa <strong>di</strong> Cesare quando morì. Utilizzando<br />
(1), dobbiamo concludere che èveronella storia <strong>di</strong> Sherlock Holmes<br />
che Cesare avevan capelli in testa al tempo della sua morte. Questa pare<br />
essere una conseguenza intuitivamente non desiderabile. Questo fatto, come<br />
innumerevoli fatti simili che saranno veri nella storia <strong>di</strong> Holmes secondo la<br />
teoria <strong>di</strong> Lewis espressa in (1), èdeltutto estraneo alla storia.<br />
Forse tutto ciòchequesto<strong>di</strong>mostra ècheladefinizione (1) <strong>di</strong> Lewis introduce<br />
informazioni irrilevanti nella storia, e informazioni irrilevanti che non<br />
contrastano con la struttura della storia come viene intesa intuitivamente<br />
possono non essere dannose. Ma considerate il caso seguente piùpreoccupante.<br />
Supponete che ci sia un romanzo vittoriano in cui Mr. Gladstone figura<br />
come un personaggio minore, ma in cui si <strong>di</strong>ce poco della sua personalità<br />
odelle sue azioni. Nella società vittoriana, si riteneva che Gladstone fosse<br />
una persona esemplare, nessun’altro era altrettanto unanimemente ritenuto<br />
tale. 21 Tuttavia, la ricerca storica post-vittoriana ha suggerito che “l’opera<br />
<strong>di</strong> riscatto” <strong>di</strong> Gladstone tra le prostitute lon<strong>di</strong>nesi fosse meno nobilmente<br />
motivata <strong>di</strong> quanto i vittoriani fossero <strong>di</strong>sposti a credere. Supponete che,<br />
al contrario <strong>di</strong> quanto si credeva, Gladstone, per gli aspetti rilevanti, fosse<br />
una persona moralmente mostruosa. Ciò chelastoria <strong>di</strong>ce esplicitamente<br />
20<br />
Ve<strong>di</strong> Jones (1949). Dico “può essere che”; se ècosì<strong>di</strong>penderà dafatticomplessiche<br />
riguardano la trama <strong>di</strong> Amleto ela<strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong>spiegazioni alternative del comportamento<br />
<strong>di</strong> Amleto. Èconcepibile che il comportamento <strong>di</strong> Amleto non sia conforme ad un<br />
modello identificabile <strong>di</strong> nevrosi freu<strong>di</strong>ana, o che non si conformi sufficientemente bene ad<br />
esso da rendere questa la spiegazione più probabile del comportamento <strong>di</strong> Amleto, anche<br />
per un credente convinto nella verità della teoria freu<strong>di</strong>ana. Per amore <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussione<br />
assumo qui che la spiegazione migliore del comportamento <strong>di</strong> qualcuno che si comportasse<br />
come Amleto si comporta sarebbe che egli soffre <strong>di</strong>una nevrosi descrivibile e spiegabile in<br />
termini freu<strong>di</strong>ani.<br />
21<br />
C’erano quelli, apparentemente, che davano cre<strong>di</strong>to all’opinione che c’era un lato più<br />
oscuro delle attività <strong>di</strong>Gladstone, ma essi erano chiaramente in minoranza. Assumete,<br />
per amore <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussione, che tutti a quel tempo ritenessero Gladstone un paragone <strong>di</strong><br />
virtù.
La struttura delle storie 281<br />
<strong>di</strong> Gladstone è certamente compatibile con questa possibilità. Quin<strong>di</strong>, se<br />
la storia viene narrata come un fatto conosciuto, questo non richiede alcuna<br />
revisione della storia del mondo reale rispetto al carattere <strong>di</strong> Gladstone.<br />
Quin<strong>di</strong>, secondo (1) èveronella storia che Gladstone èimmorale -assumendo<br />
che lo fosse effettivamente. Ma questo non èintuitivamente vero nel nostro<br />
romanzo vittoriano, che, assumeremo, adotta un atteggiamento compiaciuto<br />
della morale del tempo. Il suo tono generale èdeltutto in <strong>di</strong>saccordo con<br />
un’opinione cinica <strong>di</strong> Gladstone.<br />
Ecco un altro caso <strong>di</strong>fficile per (1) -un caso reale questa volta. Èstato<br />
sostenuto che il racconto <strong>di</strong> Henry James Il giro <strong>di</strong> vite sia ambiguo tra due<br />
interpretazioni assai <strong>di</strong>verse. 22 Ha ragione la governante a pensare che i<br />
fantasmi <strong>di</strong> Quint e della signorina Jessel minacciano i bambini, o i fantasmi<br />
sono semplicemente un parto della sua immaginazione malata? Assumiamo<br />
che il mondo reale non contenga fantasmi ma contenga molte persone <strong>di</strong>sturbate.<br />
Se il testoèambiguotraledue interpretazioni, può essere emesso<br />
come un fatto conosciuto senza richiedere alcuna alterazione del mondo reale<br />
riguardo alla non esistenza degli spiriti e al prevalere del <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne mentale.<br />
Così siamoobbligati a concludere che la governante èpazza e che non ci<br />
sono spiriti nella storia. Ma sembra sbagliato far <strong>di</strong>pendere la nostra interpretazione<br />
della storia <strong>di</strong> James in modo così decisivo da ciò checre<strong>di</strong>amo<br />
riguardo all’esistenza o alla non esistenza degli spiriti. Uno che èscettico<br />
riguardo agli spiriti non per questo deve concludere che Il giro <strong>di</strong> vite non è<br />
un racconto <strong>di</strong> spiriti.<br />
Dunque abbiamo delle ragioni per rifiutare (1). Per coloro ai quali non<br />
piace la critica psicoanalitica, Lewis offre un’altra definizione: una definizione<br />
che eviterà anche le altre <strong>di</strong>fficoltà appenamenzionate. L’idea è<strong>di</strong><br />
rendere la verità nella finzione il prodotto congiunto <strong>di</strong> ciò cheèesplicito<br />
nella storia e <strong>di</strong> ciò cheè creduto apertamente nella società dell’autore. P<br />
ècreduta apertamente se quasi ognuno crede P, sequasiognuno crede che<br />
quasi ogni altro crede P, ecosìvia (pag. 272). 23 Chiamiamo la classe dei<br />
mon<strong>di</strong> in cui ciòcheèapertamentecreduto nella comunità dell’autore èvero<br />
la classe dei mon<strong>di</strong> <strong>di</strong> credenza. Allora abbiamo:<br />
(2) “FS(P)” èverosse per ogni mondo <strong>di</strong> credenza w c’è unSP -mondo<br />
22<br />
L’argomento èstato sviluppato in<strong>di</strong>pendentemente da Harold Goddard e Edmund<br />
Wilson. Si veda Willens (1960).<br />
23<br />
Questo èciòche Lewis altrove chiama “conoscenza comune.” Ve<strong>di</strong> Lewis (1969), Cap.<br />
2. Sez. 1.) Come egli ha osservato più tar<strong>di</strong>,questo termine èunpo’inappropriato<br />
perché ciòcheèconoscenza comune nel suo senso non ha bisogno <strong>di</strong> essere vero (ve<strong>di</strong><br />
Lewis (1969), pag. 272, nota). Ve<strong>di</strong> anche l’analisi della conoscenza reciproca in Schiffer<br />
(1972), Cap. II, Sez. 1.
282 G. Currie<br />
più vicino a w <strong>di</strong> ogni S∼P -mondo. (pag. 273)<br />
Di nuovo, possiamo intendere il lato destro del bicon<strong>di</strong>zionale in (2) come<br />
l’espressione <strong>di</strong> un certo controfattuale: che P sarebbe vero se qualche mondo<br />
<strong>di</strong> credenza fosse reale e S fosse fosse narrato come un fatto conosciuto.<br />
Dunque, possiamo interpretare così laseconda analisi <strong>di</strong> Lewis: qualcosa è<br />
vero in un’opera <strong>di</strong> finzione sse sarebbe stato vero se le credenze esplicite<br />
fossero corrette e l’opera <strong>di</strong> finzione narrata come un fatto conosciuto.<br />
L’analisi (2) va meglio <strong>di</strong> (1). Si sbarazza <strong>di</strong> tutti quei fatti estranei (come<br />
il numero dei capelli sulla testa <strong>di</strong> Cesare) che non sono parte <strong>di</strong> ciò cheè<br />
apertamente creduto. Mantiene l’integrità <strong>di</strong>Gladstone nel caso appena<br />
descritto, in quanto la maggior parte dei vittoriani credeva che Gladstone<br />
fosse moralmente retto. Mantiene l’ambiguità <strong>di</strong>Il giro <strong>di</strong> vite, perchéil<br />
sistema vittoriano <strong>di</strong> credenze esplicite èragionevolmente tollerante riguardo<br />
agli spiriti. 24 Esclude le spiegazioni freu<strong>di</strong>ane del comportamento <strong>di</strong> Amleto,<br />
in quanto la teoria freu<strong>di</strong>ana non era parte del sistema <strong>di</strong> credenze esplicite<br />
della società elisabettiana.<br />
Ma cosa succede alla verità <strong>di</strong>finzione quando l’opera <strong>di</strong> finzione ècontrad<strong>di</strong>ttoria<br />
e, <strong>di</strong> conseguenza, non c’è alcunS-mondo per la storia (dal<br />
momento che non c’è alcunmondo in cui una storia contrad<strong>di</strong>ttoria può<br />
essere narrata come un fatto conosciuto)? Come dobbiamo determinare la<br />
verità inun’opera <strong>di</strong> finzione contrad<strong>di</strong>ttoria? Il suggerimento originale <strong>di</strong><br />
Lewis era questo: se la contrad<strong>di</strong>torietà è una svista minore -per esempio,<br />
riguardo alla posizione della ferita <strong>di</strong> guerra <strong>di</strong> Watson- dobbiamo allora<br />
considerare le varie storie possibili che eliminerebbero la contrad<strong>di</strong>torietà<br />
pur rimanendo vicini all’originale in altri rispetti. Diciamo allora che ciò<br />
che èvero nell’originale non ètutto ma invece ciò cheèverointutte queste<br />
revisioni (pag. 275). E per le storie in cui la contrad<strong>di</strong>zione non èeliminabile<br />
senza <strong>di</strong>struggere la storia completamente? Lewis ha detto che per<br />
storie che riguardano in<strong>di</strong>vidui che quadrano il cerchio e per “la peggior<br />
specie <strong>di</strong> storie incoerenti <strong>di</strong> viaggi nel tempo” dovremmo accettare che la<br />
nozione <strong>di</strong> verità <strong>di</strong>finzione non ha alcuna applicazione interessante (pagg.<br />
274-75). Ma non èfacile accettare questo. Allo scopo <strong>di</strong> determinare se<br />
un’opera <strong>di</strong> finzione èincoerentetalvoltadobbiamo determinare qual è la<br />
24 Questo può essere eccessivamente generoso verso Lewis. Affinché lastoriasiaambigua<br />
secondo i criteri <strong>di</strong> Lewis potrebbe dover essere apertamente creduto nella società vittoriana<br />
che èaltrettanto probabile che glispiriti esistano quanto che non esistano. Questo<br />
probabilmente non èvero,anche se lacredenza esplicita èintesagenerosamente (com’è nel<br />
testo a cui si riferisce la nota 23) in modo tale che qualcosa può essere credenza esplicita<br />
anche quando non ècreduto proprio da tutti. Ve<strong>di</strong> la <strong>di</strong>scussione più avantinella sezione<br />
6.
La struttura delle storie 283<br />
storia dell’opera <strong>di</strong> finzione. Anche se la storia èselvaggiamente ed evidentemente<br />
incoerente -il personaggio principale risulta essere il proprio padre<br />
elapropriamadre- c’è comunque una storia lì. L’incoerenza <strong>di</strong> questo tipo<br />
può essere un <strong>di</strong>fetto dal punto <strong>di</strong> vista letterario, ma non ci impe<strong>di</strong>sce <strong>di</strong><br />
formulare i soliti tipi <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zi su ciò cheèvero nell’opera <strong>di</strong> finzione. E<br />
due storie incoerenti possono essere assai <strong>di</strong>verse rispetto a ciò cheèveroin<br />
esse. L’analisi intuitiva <strong>di</strong> Lewis non èfedele a questi giu<strong>di</strong>zi intuitivi.<br />
Più <strong>di</strong>recente, Lewis ha suggerito <strong>di</strong> adottare la strategia generale seguente<br />
per le opere <strong>di</strong> finzione contrad<strong>di</strong>ttorie: decomporre la storia originale<br />
in segmenti non contrad<strong>di</strong>ttori e poi <strong>di</strong>re che ciò cheèveronella storia è<br />
ciò cheèveroinuno <strong>di</strong> questi segmenti. Così possiamo ottenere il risultato<br />
che P èveroinS, ∼P èveroinS, macheP&∼P non èveroinS (perché<br />
P&∼P non èvero in alcun segmento non contrad<strong>di</strong>ttorio), e neppure che<br />
èveraqualunque cosa che segue da P&∼P, cioè ogni cosa. 25 Posso vedere<br />
tre obiezioni a questa teoria. Primo, non èchiaroche ogni storia contrad<strong>di</strong>ttoria<br />
avrà deisegmenti non contrad<strong>di</strong>ttori da cui potremmo ottenere una<br />
narrazione riconoscibile. Quali sono i segmenti consistenti <strong>di</strong> una storia sulle<br />
fortune <strong>di</strong> una persona che ha confutato Gödel? In nessun segmento non<br />
contrad<strong>di</strong>ttorio l’eroe ha veramente confutato Gödel, dal momento che il<br />
teorema <strong>di</strong> Gödel ènecessariamente vero. Se la storia ha la confutazione come<br />
idea centrale e unificante, non saremo in grado <strong>di</strong> mettere insieme nulla<br />
che corrisponda anche approssimativamente alla storia originale una volta<br />
che cisiamo liberati della confutazione. Secondo, il passaggio dalla teoria<br />
originale <strong>di</strong> Lewis a quella nuova (considerare l’unione dei frammenti non<br />
contrad<strong>di</strong>ttori) è ad hoc. Lanuovateoriaèprogettata per risolvere il problema<br />
posto dalle storie contrad<strong>di</strong>ttorie, ma non chiarisce nessun altro aspetto<br />
della verità <strong>di</strong>finzione. Rappresenta pertanto uno “slittamento degenerativo<br />
del problema” nel programma <strong>di</strong> Lewis. Terzo, la teoria non funziona<br />
bene con opere <strong>di</strong> finzione in cui la contrad<strong>di</strong>ttorietàè una chiara svista da<br />
parte dell’autore. Se Doyle <strong>di</strong>ce che la ferita <strong>di</strong> Watson èalla gamba in tutte<br />
le occasioni eccetto una in cui la mette sulla spalla, sicuramente vogliamo<br />
<strong>di</strong>re che la ferita èallagambae<strong>di</strong>menticare il riferimento alla spalla. Lewis<br />
potrebbe aggirare la terza obiezione <strong>di</strong>cendo che per queste opere <strong>di</strong> finzione<br />
contrad<strong>di</strong>ttorie dobbiamo tornare in parte alla sua teoria originale: considerare<br />
la revisione più vicina alla storia originale e operare con ciò cheè<br />
vero in quella versione. 26 Ma allora la mia seconda obiezione si applica con<br />
forza rinnovata: abbiamo una ulteriore mossa ad hoc per <strong>di</strong>stinguere opere<br />
25 Ve<strong>di</strong> Lewis (1983).<br />
26 Ve<strong>di</strong> Lewis (1983), pag. 277.
284 G. Currie<br />
<strong>di</strong> finzione che sono contrad<strong>di</strong>ttorie in modo superficiale da opere <strong>di</strong> finzione<br />
in cui la contrad<strong>di</strong>ttorietàèprofonda. Una teoria che trattasse tutti questi<br />
casi senza prendere delle misure speciali sarebbe assai raccomandabile. Nelle<br />
due prossime sezioni, offrirò una teoria <strong>di</strong> questo genere. Vedremo anche<br />
che essa ha dei vantaggi ulteriori rispetto alla teoria <strong>di</strong> Lewis.<br />
C’è un’altro problema per l’analisi <strong>di</strong> Lewis che vale la pena <strong>di</strong> menzionare.<br />
Secondo Lewis, i mon<strong>di</strong> della storia sono mon<strong>di</strong> in cui la storia è<br />
narrata come un fatto conosciuto. Ma supponete (e questo è, naturalmente,<br />
completamente <strong>di</strong>verso da come la storia èscritta in realtà) che ci sia un<br />
tono generale <strong>di</strong> minimizzazione e <strong>di</strong> ironia nella scrittura <strong>di</strong> Doyle, che Holmes<br />
venga descritto come se avesse solo un <strong>di</strong>screto successo nei suoi casi. I<br />
mon<strong>di</strong> della storia sarebbero allora mon<strong>di</strong> in cui Holmes ha solo un <strong>di</strong>screto<br />
successo nei suoi casi? Non vorremmo contare questi mon<strong>di</strong> tra quelli della<br />
storia, perché realizzeremmo che queste asserzioni sono minimizzazioni; esse<br />
non descrivono ciò cheèveronella storia -che Holmes ha successo spettacolare.<br />
Ma Lewis come potrebbe evitare questi mon<strong>di</strong>? Essi sono mon<strong>di</strong> in<br />
cui ciò cheèdetto nel testo èvero. Perevitarlidovremmo prendere delle<br />
decisioni in precedenza su ciò cheèveronella storia allo scopo <strong>di</strong> capire<br />
dove il testo non èaffidabile. Ma in questo caso ciò cheèveronella storia<br />
sta già giocando un ruolo nel determinare quali mon<strong>di</strong> sono mon<strong>di</strong> della<br />
storia. Dunque, non possiamo spiegare ciò cheèveronella storia in termini<br />
<strong>di</strong> questi mon<strong>di</strong>.<br />
4 Ancorasulfarfinta<br />
Nel cercare un modo per fornire un’analisi migliore <strong>di</strong> quella <strong>di</strong> Lewis, la<br />
prima cosa sucuimivoglio concentrare è l’idea <strong>di</strong> far finta introdotta nel<br />
capitolo precedente. Inizio con alcune tesi ulteriori sul far finta e sulla sua<br />
relazione con la lettura delle opere <strong>di</strong> finzione.<br />
Le opere <strong>di</strong> finzione, ho sostenuto nel Capitolo 1, sono il prodotto <strong>di</strong><br />
un atto comunicativo; un atto che con<strong>di</strong>vide con altri atti comunicativi<br />
come asserire o richiedere una struttura intenzionale griceana. Nell’eseguire<br />
questo atto comunicativo, l’autore tenta <strong>di</strong> suscitare una certa reazione nel<br />
suo pubblico; la reazione desiderata èche il pubblico faccia finta <strong>di</strong> credere<br />
la storia raccontata dall’autore. Il lettore dell’opera <strong>di</strong> finzione èinvitato<br />
dall’autore a impegnarsi in un gioco <strong>di</strong> far finta, e la struttura del gioco è<br />
in parte dettata dal testo dell’opera dell’autore. Ciò cheèdetto nel testo,<br />
insieme a certe assunzioni <strong>di</strong> sfondo, genera un insieme <strong>di</strong> verità <strong>di</strong>finzione:<br />
quelle cose che sono vere nell’opera <strong>di</strong> finzione. Qualsiasi cosa sia vera<br />
nell’opera <strong>di</strong> finzione è<strong>di</strong>sponibile per il far finta del lettore. Una parte
La struttura delle storie 285<br />
rilevante nel giocare un gioco <strong>di</strong> far finta con un’opera <strong>di</strong> finzione consiste<br />
nel determinare ciò cheèveronella finzione, e quin<strong>di</strong> ciò cheèappropriato<br />
far finta <strong>di</strong> credere. 27<br />
Secondo questa teoria, le opere <strong>di</strong> finzione generano giochi <strong>di</strong> far finta.<br />
Ogni opera <strong>di</strong> finzione genera il proprio gioco, dal momento che opere <strong>di</strong><br />
finzione <strong>di</strong>verse <strong>di</strong>fferiscono riguardo a ciò cheèveronella finzione, e quin<strong>di</strong><br />
riguardo a ciò chebisogna far finta <strong>di</strong> credere. I giochi <strong>di</strong> far finta basati<br />
sulle opere <strong>di</strong> finzione sono una sottoclasse <strong>di</strong> una classe più ampia<strong>di</strong><br />
giochi <strong>di</strong> finzione che includono i giochi giocati molto spesso dai bambini,<br />
ad esempio, torte <strong>di</strong> fango, pirati e cose del genere. I giochi <strong>di</strong> far finta<br />
<strong>di</strong>fferiscono da giochicomegliscacchichenon comportano alcuna simulazione<br />
o atteggiamenti <strong>di</strong> far finta da parte dei partecipanti. E giochi come<br />
gli scacchi hanno regole assai precise riguardo, ad esempio, al numero dei<br />
giocatori e a come il gioco può essere continuato in ogni momento. Inoltre,<br />
questi giochi tipicamente fanno uso <strong>di</strong> principi che specificano una posizione<br />
vincente. Giochi come le torte<strong>di</strong>fango, i cow-boy e gli in<strong>di</strong>ani hanno una<br />
struttura formale assai libera, per la loro continuazione <strong>di</strong>pendono pesantemente<br />
dalle immaginazioni creative dei giocatori, e possono essere giocati<br />
senza intenzione <strong>di</strong> vincere da parte <strong>di</strong> alcuno. I giochi delle opere <strong>di</strong> finzione<br />
sono <strong>di</strong> questo secondo tipo. Considerate come si potrebbe giocare il gioco<br />
Anna Karenina. Il gioco potrebbe essere giocato da un singolo giocatore,<br />
leggendo l’opera o semplicemente rammentando il suo racconto. Può essere<br />
giocato da molte persone, una che legge o racconta la storia agli altri. Come<br />
estensione ulteriore del gioco, i giocatori possono decidere <strong>di</strong> <strong>di</strong>scutere la<br />
storia, sperando che ci sia un accordo tra loro riguardo a come i personaggi<br />
eglieventi devono essere interpretati. In una estensione <strong>di</strong> questo genere,<br />
igiocatorifanno finta <strong>di</strong> <strong>di</strong>battere eventi che sono accaduti e persone che<br />
esistono.<br />
Allo scopo <strong>di</strong> giocare un gioco <strong>di</strong> finzione, i giocatori non devono stabilire<br />
in ogni dettaglio ciò cheèveronella storia. Tipicamente, essi concentrano<br />
la loro attenzione sulle cose che sono vere nella storia in modo più saliente<br />
oovvio. Alcune persone sono più braveafarequesto<strong>di</strong>altre,ehanno una<br />
comprensione più veloceepiùestesa<strong>di</strong>ciòcheèveronella storia. Come gli<br />
altri giochi, i giochi <strong>di</strong> finzione possono essere giocati bene o male, meglio o<br />
peggio.<br />
Dobbiamo ora <strong>di</strong>stinguere due sensi <strong>di</strong> “far finta” che sono rilevanti qui.<br />
Finora ho parlato <strong>di</strong> far finta come qualcosa che facciamo. Il “far finta”<br />
denota un atteggiamento proposizionale: un atteggiamento che assumiamo<br />
27 Sul far finta, ve<strong>di</strong> Walton (1990).
286 G. Currie<br />
verso le proposizioni <strong>di</strong> una storia. Ma parliamo anche <strong>di</strong> qualcosa che è per<br />
finta. Può essereperfintainungioco <strong>di</strong> finzione che Emily èuncapitano<br />
pirata, che la superficie del tappeto èlasuperficie del mare, che James sta<br />
per essere costretto dai pirati a camminare su una tavola che sporge dalle<br />
murate. In modo analogo, può essere per finta in ungioco<strong>di</strong> finzione che c’è<br />
un eroico investigatore e c’èungeniocriminale, e che il lettore sta ottenendo<br />
delle informazioni riguardo a tutto questo dal testo. In questo senso, far finta<br />
èunoperatore proposizionale (M). Scriverò “M(P)” per “è perfintache<br />
P,” ocome<strong>di</strong>ròavolte,“P èveroinungioco<strong>di</strong>farfinta.” (Per essere<br />
precisi, dovremmo scrivere “MGW (P),” per in<strong>di</strong>care che P èperfinta nel<br />
gioco G generato dall’opera <strong>di</strong> finzione W.)<br />
Dobbiamo inoltre <strong>di</strong>stinguere tra ciò cheè<strong>di</strong>finzione in un’opera <strong>di</strong> finzione<br />
e ciò cheèperfintanel gioco corrispondente. La classe delle M-verità<br />
elaclasse delle F-verità (laclasse delle verità della forma M(P) eF(P),<br />
rispettivamente) normalmente si sovrappongono in buona misura; una cosa<br />
che èvera nell’opera <strong>di</strong> finzione può <strong>di</strong>ventareperfintaperchéilgiocatore<br />
oigiocatori fanno finta <strong>di</strong> crederla. Il lettore percepisce che P èveranella<br />
finzione (che F(P)), e giunge a far finta che P. Comerisultato èallora per<br />
finta nel suo gioco che P (M(P)). 28 Ma ci sono cose che sono per finta in<br />
giochi <strong>di</strong> finzione che non sono vere nelle opere <strong>di</strong> finzione corrispondenti.<br />
Può essereperfintainungioco <strong>di</strong> finzione che sto leggendo un resoconto <strong>di</strong><br />
eventi che sono accaduti, ma questo non èparte dell’opera <strong>di</strong> finzione stessa,<br />
in quanto la storia non <strong>di</strong>ce nulla <strong>di</strong> me.<br />
In questo modo ogni lettura <strong>di</strong> un lettore genera un gioco <strong>di</strong> finzione più<br />
ampio dell’opera <strong>di</strong> finzione che viene letta: una finzione in cui il lettore gioca<br />
il ruolo <strong>di</strong> qualcuno in contatto con gli eventi della storia e il cui compito<br />
èdeterminare, in modo approssimato, quali sono questi eventi e su quale<br />
sfondo hanno luogo. Quando facciamo finta <strong>di</strong> credere alla storia facciamo<br />
finta che il testo sia un resoconto <strong>di</strong> eventi che sono realmente accaduti. Ma<br />
perché questosiaciòchefacciamofinta<strong>di</strong>credere dobbiamo vedere il testo<br />
come qualcosa che sta in una certa relazione con questi eventi; dobbiamo<br />
vederlo come il prodotto <strong>di</strong> qualcuno che èaconoscenza <strong>di</strong> questi eventi.<br />
Ciò chefacciamofinta<strong>di</strong>credere non èsemplicemente che gli eventi descritti<br />
nel testo siano accaduti, ma che ci vengano raccontati da qualcuno che ne<br />
èaconoscenza. Quin<strong>di</strong> èpartedelfar finta che il lettore èincontatto,<br />
attraverso canali <strong>di</strong> informazione affidabili, con i personaggi e le loro azioni,<br />
28 Come fa osservare Walton, èpossibile che P sia per finta in un gioco senza che nessuno<br />
faccia finta cheP. Sipuò semplicemente essere in errore riguardo a ciò cheèperfinta.<br />
Ve<strong>di</strong> Walton (1990), Sez. 1.5.
La struttura delle storie 287<br />
che il lettore viene a sapere delle loro attività dauna fonte affidabile. Far<br />
finta <strong>di</strong> credere una storia <strong>di</strong> finzione non èsemplicemente far finta che la<br />
storia sia vera, ma che sia narrata come un fatto conosciuto. 29<br />
5 Veritànella finzione e credenza<br />
Questa analisi dei giochi <strong>di</strong> far finta ha delle importanti conseguenze per il<br />
concetto <strong>di</strong> verità <strong>di</strong>finzione. Sosterrò che le nostre strategie per stabilire<br />
ciò cheèvero nella storia sono strettamente in relazione con l’idea che ci sia<br />
un narratore affidabile che ci permette <strong>di</strong> accedere agli eventi. Sosterrò che<br />
le nostre strategie per stabilire ciò cheèveronella storia sono esattamente<br />
le nostre strategie per stabilire ciò cheilnarratore crede. Naturalmente,<br />
tutto questo avviene nell’ambito, per così <strong>di</strong>re,delnostrofar finta. L’autore<br />
della storia non ha realmente conoscenza <strong>di</strong> questi eventi, e noi sappiamo<br />
questo se sappiamo che stiamo leggendo un’opera <strong>di</strong> finzione. Sappiamo che<br />
l’autore non crede davvero le cose che <strong>di</strong>ce, o per lo meno sappiamo che<br />
non le crede tutte. Nel nostro gioco facciamo finta che ci sia un narratore<br />
che crede queste cose e le cui credenze sono affidabili. (Più avanti,sosterrò<br />
che il narratore non è l’autore reale, ma un personaggio, una costrutto <strong>di</strong><br />
finzione all’interno dell’opera stessa.) D’ora in poi, quando èchiaroche<br />
stiamo parlando <strong>di</strong> mosse in un gioco <strong>di</strong> far finta, <strong>di</strong>rò cheillettore inferisce<br />
ciò che il narratore crede, dando per scontato che l’inferenza èpartedel far<br />
finta del lettore.<br />
L’idea che ci sia una connessione tra le credenze del narratore e ciò cheè<br />
vero nella storia èconfermata da certe somiglianze strutturali tra il sistema<br />
<strong>di</strong> credenze <strong>di</strong> una persona e ciò cheèveronella storia. La struttura logica<br />
della verità <strong>di</strong>finzione èmoltosimile alla struttura logica della credenza.<br />
Consideriamo alcune delle somiglianze.<br />
(A) Le credenze sono “incomplete rispetto alla negazione.” Ci sono delle<br />
proposizioni che una persona né credechesiano vere né credechenon<br />
lo siano. In modo analogo, abbiamo visto che alcune proposizioni non<br />
sono né verenéfalseinun’opera <strong>di</strong> finzione.<br />
(B) Le credenze non sono chiuse sotto deduzione. Le persone non credono<br />
tutte le conseguenze delle loro credenze. In particolare, le persone non<br />
credono solitamente le contrad<strong>di</strong>zioni, se ce ne sono, che seguono dalle<br />
loro credenze. Abbiamo già visto che neppure la verità <strong>di</strong>finzione<br />
29 Questo converge su un’idea <strong>di</strong> Lewis eKaplancheimon<strong>di</strong> della storia siano i mon<strong>di</strong><br />
in cui essa ènarrata come un fatto conosciuto. Ve<strong>di</strong> il testochecorrisponde alla nota 16<br />
in questo capitolo.
288 G. Currie<br />
in senso intuitivo èchiusa sotto deduzione. Se ciò cheèveronella<br />
storia ha delle conseguenze contrad<strong>di</strong>ttorie, può ancoraessere vero<br />
che nulla <strong>di</strong> contrad<strong>di</strong>ttorio èveronella storia.<br />
(C) Una persona può averecredenze contrad<strong>di</strong>ttorie, credere che P ecredere<br />
che non-P (vedremo un esempio <strong>di</strong> questo nella Sezione 7). E in<br />
certe storie sia P che non-P devono essere trattate come parte della<br />
storia. In virtùdella proprietà (B),questo può noncondurre al <strong>di</strong>sastro.<br />
Da una contrad<strong>di</strong>zione segue ogni cosa, ma da una credenza in<br />
proposizioni contrad<strong>di</strong>ttorie non possiamo inferire che viene creduta<br />
ogni cosa.<br />
(D) Se A crede che P o Q, nonsegue che A crede che P ocheAcrede che Q. Lostesso vale per le opere <strong>di</strong> finzione. Potrebbe essere vero<br />
nella storia che l’arma dell’omici<strong>di</strong>o era una pistola o un coltello, ma<br />
non èveronella storia che era una pistola, né èveronella storia che<br />
era un coltello. La storia èindeterminata riguardo a questo punto.<br />
(E) Qualcuno può avereuna credenza che esprimeremmo con una quantificazione<br />
esistenziale, senza che egli creda alcuna istanziazione per<br />
sostituzione della quantificazione. Qualcuno può credere che ci sia<br />
un numero perfetto senza credere che 6 (o qualsiasi altro numero)<br />
sia perfetto. In modo analogo, può essere vero nella finzione che<br />
Holmes ha un certo numero <strong>di</strong> denti, ma non vero nella finzione che<br />
egli ha n denti, per qualche n particolare. Per adottare <strong>di</strong> nuovo<br />
la terminologia del logico, la credenza e la verità <strong>di</strong>finzione sono<br />
“ω-incomplete.”<br />
(F) Almeno in alcune teorie della credenza c’è una <strong>di</strong>stinzione da farsi tra<br />
credenze esplicite e implicite. Alcune credenze possono essere immagazzinate<br />
nel cervello, co<strong>di</strong>ficate in enunciati del mentalese, mentre<br />
altre sono puramente <strong>di</strong>sposizionali. In modo analogo, alcune cose<br />
sono esplicitamente vere nella finzione -perché iltesto<strong>di</strong>ce che lo<br />
sono- mentre ad altre bisogna giungere attraverso dei sottili meto<strong>di</strong><br />
interpretativi.<br />
Ora può essere che l’approccio <strong>di</strong> Lewisalla verità <strong>di</strong>finzione basato<br />
sulla verità inuninsieme <strong>di</strong> mon<strong>di</strong> possa riflettere almeno alcune <strong>di</strong> queste<br />
proprietà. Forse lepuòriflettere tutte (benché iopensichelofaràsoloattraverso<br />
una serie <strong>di</strong> approssimazioni ad hoc). 30 Ma l’approccio basato sulla<br />
30 Lewis e altri tentano <strong>di</strong> spiegare la credenza stessa in termini <strong>di</strong> mon<strong>di</strong> possibili.<br />
Il problema centrale per questo approccio èessenzialmente lo stesso che Lewis incontra
La struttura delle storie 289<br />
verità inuninsieme<strong>di</strong> mon<strong>di</strong> ci da i risultati giusti riguardo alla verità <strong>di</strong><br />
finzione solo nella misura in cui riesce a riflettere le proprietà familiari della<br />
credenza che ho appena descritto. Sarebbe molto meglio, allora, derivare la<br />
verità <strong>di</strong>finzione proprio dalla credenza. Questa èlastrategiache adotterò.<br />
6 Autore <strong>di</strong> finzione e lettore informato<br />
Il suggerimento è, dunque che ciò cheèvero nell’opera <strong>di</strong> finzione èciòche<br />
crede il narratore. Ma èimportanterealizzare che il narratore èluistesso<br />
una costruzione <strong>di</strong> finzione, non il vero autore in carne ed ossa, le cui credenze,<br />
presumibilmente, hanno scarsa relazione con ciò cheèvero nell’opera.<br />
Numerosi teorici della letteratura hanno suggerito che l’idea <strong>di</strong> un autore<br />
“implicato,” “apparente,” “presupposto,” o “ideale” èimportanteperla<br />
comprensione dei meccanismi con cui funzionano le opere <strong>di</strong> finzione, e che il<br />
carattere <strong>di</strong> questa figura, da noi delineata mentre leggiamo, ci permette <strong>di</strong><br />
dare un senso al testo. Jonathan Culler la mette così: “Come oggetto linguistico<br />
il testo èstrano eambiguo. Noi riduciamo la sua stranezza leggendolo<br />
come le emissioni <strong>di</strong> un particolare narratore in modo tale che i modelli <strong>di</strong><br />
atteggiamenti umani plausibili e <strong>di</strong> personalità coerentipossano <strong>di</strong>ventare<br />
operativi.” 31 L’autore <strong>di</strong> finzione (come lo chiamerò) èquel personaggio <strong>di</strong><br />
finzione costruito all’interno del nostro far finta che assumiamo che ci stia<br />
raccontando la storia come un fatto conosciuto. La nostra lettura è dunque<br />
un’esplorazione della struttura delle credenze dell’autore <strong>di</strong> finzione. Via via<br />
che leggiamo appren<strong>di</strong>amo informazioni ulteriori sulle sue credenze, e possiamo<br />
arrivare acambiare le nostre ipotesi precedenti riguardo a quali sono le<br />
sue credenze. Comprendere l’autore <strong>di</strong> finzione è dunque come comprendere<br />
una persona reale; èunaquestione<strong>di</strong>capirecomplessivamentenelmiglior<br />
modo possibile il suo comportamento (e qui ci limitiamo al solo comportamento<br />
verbale). L’insieme <strong>di</strong> credenze dell’autore <strong>di</strong> finzione -l’insieme <strong>di</strong><br />
nell’analizzare la verità <strong>di</strong>finzione: il problema <strong>di</strong> far posto a contrad<strong>di</strong>zioni o a errori <strong>di</strong><br />
deduzione o all’incompletezza da parte della persona che crede. Recentemente, Stalnaker<br />
ha provato aconciliare l’approccio dei mon<strong>di</strong> possibili con questa <strong>di</strong>fficoltà. Ma rimangono<br />
dei problemi. (Ve<strong>di</strong> Stalnaker (1984) e la mia recensione in Currie (1987b).<br />
31 Culler (1975), pag. 146. Alexander Nehamas sostiene una tesi simile: “Si assume che<br />
l’autore sia l’agente le cui azioni spiegano lecaratteristiche del testo; egli èunpersonaggio,<br />
un’ipotesi, che èaccettato provvisoriamente, che guida l’interpretazione e che èasua<br />
volta mo<strong>di</strong>ficato alla luce <strong>di</strong> essa.... Il fine regolativo è <strong>di</strong> costruire, per ogni testo,<br />
un autore completo, storicamente plausibile -un personaggio che può noncoincidere con<br />
come lo scrittore reale intende se stesso, frammentario e incompleto come probabilmente<br />
è” (Nehamas (1981), pagg. 145 e 147). L’analisi classica dell’autore implicato èquella <strong>di</strong><br />
Booth (1961). Il concetto <strong>di</strong> autore <strong>di</strong> finzione <strong>di</strong> cui farò uso<strong>di</strong>fferisce in vari mo<strong>di</strong> da<br />
quello <strong>di</strong> autore implicato o presupposto usato da Booth, Culler, e Nehamas.
290 G. Currie<br />
proposizioni che egli crede- è l’insieme delle proposizioni che vanno a comporre<br />
la storia. Questo insieme <strong>di</strong> proposizioni non èletteralmente vero,<br />
benché sia, come <strong>di</strong>ciamo, vero nell’opera <strong>di</strong> finzione. Interpretare le persone<br />
reali è una questione <strong>di</strong> costruire un quadro del loro insieme <strong>di</strong> credenze.<br />
Lo stesso vale anche per l’autore <strong>di</strong> finzione.<br />
Per rendere plausibile questa tesi dobbiamo fare due cose. Primo, dobbiamo<br />
mostrare come sia possibile costruire un insieme <strong>di</strong> credenze per l’autore<br />
<strong>di</strong> finzione in modo non arbitrario. Secondo, dobbiamo <strong>di</strong>mostrare<br />
che l’insieme <strong>di</strong> credenze così costruito corrisponde a ciò cheintuitivamente<br />
consideriamo vero nell’opera <strong>di</strong> finzione.<br />
Lo strumento primario per costruire questo insieme <strong>di</strong> credenze èiltesto<br />
dell’opera. Questa è l’unica evidenza <strong>di</strong>retta che abbiamo riguardo all’autore<br />
<strong>di</strong> finzione, i tratti del carattere che lo <strong>di</strong>stinguono da altri, e i tratti<br />
particolari della sua vita mentale. Infatti, l’autore <strong>di</strong> finzione non esiste al<br />
<strong>di</strong> fuori dell’opera <strong>di</strong> finzione. Egli non tiene un <strong>di</strong>ario privato in cui annota<br />
le proprie credenze (a meno che non sia parte della storia che lo fa); non ha<br />
conoscenze che ci possono parlare <strong>di</strong> lui; non lascia traccia nel mondo che<br />
possiamo sperare <strong>di</strong> documentare storicamente.<br />
Ma il testo da solononèsufficiente. Quando tentiamo <strong>di</strong> costruire un<br />
quadro dell’insieme <strong>di</strong> credenze <strong>di</strong> qualcuno non proce<strong>di</strong>amo meccanicamente,<br />
elencando tutti gli enunciati in<strong>di</strong>cativi che emette, concludendo che le<br />
sue credenze sono esattamente le proposizioni espresse da questi enunciati.<br />
Questo modo <strong>di</strong> procedere sarebbe fuorviante per due ragioni. Primo, come<br />
abbiamo visto, le persone a volte parlano in modo non letterale. In questo<br />
caso, ilcontenuto delle credenze del parlante e il contenuto dell’enunciato<br />
emesso sono <strong>di</strong>versi. Secondo, non possiamo assumere che una persona<br />
esprimeràtutte le proprie credenze verbalmente, anche se la credenza in questione<br />
è una credenza rilevante per ciò <strong>di</strong>cuistaparlando. I parlanti spesso<br />
assumono semplicemente che, in un contesto dato, alcune delle loro credenze<br />
possono essere dedotte. Quando deduciamo le credenze <strong>di</strong> una persona da<br />
ciò che<strong>di</strong>ce o scrive, lo facciamo relativamente ad uno sfondo <strong>di</strong> assunzioni<br />
che ci aiutano a scegliere tra ipotesi alternative -assunzioni riguardo a ciò<br />
che una persona come quella probabilmente crederebbe. Quando si tratta <strong>di</strong><br />
interpretare le credenze dell’autore <strong>di</strong> finzione, il testo stesso sarà una delle<br />
cose che ci daranno degli in<strong>di</strong>zi su che tipo <strong>di</strong> persona è, e la nostra opinione<br />
dell’autore <strong>di</strong> finzione cambierà esiapprofon<strong>di</strong>rà viaviacheleggiamo. Ma<br />
il testo ci dà questiin<strong>di</strong>zi solo relativamente ad uno sfondo <strong>di</strong> assunzioni che<br />
possono non essere garantite dal testo stesso. Considerate <strong>di</strong> nuovo la storia<br />
<strong>di</strong> Pierre Menard <strong>di</strong> Borges, la cui utilità nonhafine. Quando leggiamo il<br />
Don Chisciotte <strong>di</strong> Çervantes assumiamo che l’autore <strong>di</strong> finzione abbia cre-
La struttura delle storie 291<br />
denze che sono, grosso modo, quelle dell’Europa del <strong>di</strong>ciassettesimo secolo.<br />
Il lettore dell’opera <strong>di</strong> Menard, se èstato opportunamente informato delle<br />
sue origini, assumerebbe che in questo caso l’autore <strong>di</strong> finzione ha un sistema<br />
<strong>di</strong> credenze ra<strong>di</strong>calmente <strong>di</strong>verso che èilprodotto del nostro tempo. Partendo<br />
da queste due assunzioni iniziali assai <strong>di</strong>verse, l’evidenza scritta, che<br />
èlastessa in ambedue i casi, corroborerà ipotesiassai <strong>di</strong>verse sulle credenze<br />
dell’autore <strong>di</strong> finzione, e quin<strong>di</strong> ipotesi assai <strong>di</strong>verse su ciò cheèveronelle<br />
storie. Senza qualche assunzione <strong>di</strong> partenza riguardo all’autore <strong>di</strong> finzione<br />
non possiamo iniziare ad interpretare un testo.<br />
Benché l’autore reale e l’autore <strong>di</strong> finzione siano <strong>di</strong>stinti, èassai probabile<br />
che il tipo <strong>di</strong> persona che è l’autore <strong>di</strong> finzione <strong>di</strong>penda in un modo o nell’altro<br />
dal tipo <strong>di</strong> persona che è l’autore reale. Quin<strong>di</strong> l’autore <strong>di</strong> finzione della<br />
storia <strong>di</strong> Sherlock Holmes non èDoyle,maparealmenoessereunmembro<br />
della stessa comunità <strong>di</strong>Doyle: untardo-vittoriano come visione generale.<br />
Quando leggiamo un’opera prodotta in un certo periodo e in un certo luogo,<br />
assumiamo solitamente <strong>di</strong> avere a che fareconunautore <strong>di</strong> finzione <strong>di</strong> quel<br />
periodo e <strong>di</strong> quel luogo. 32 Sarà <strong>di</strong>aiuto,allora, se illettore può iniziare<br />
la sua esplorazione delle credenze dell’autore <strong>di</strong> finzione sapendo qualcosa<br />
della comunità dacuiiltestoprovieneinrealtà. Ma non abbiamo bisogno<br />
<strong>di</strong> iniziare con alcuna assunzione riguardo all’autore <strong>di</strong> finzione che sia più<br />
potente dell’assunzione che egli appartiene a quella comunità. Via via che<br />
leggiamo, il testo stesso può suggerire delle ipotesi più specifiche riguardo a<br />
dove collocare l’autore <strong>di</strong> finzione in quella comunità; le cose <strong>di</strong> cui parla e<br />
il modo in cui parla possono rivelare un certo tipo <strong>di</strong> visione o un certo tipo<br />
<strong>di</strong> conoscenza, e così uncerto tipo <strong>di</strong> posizione in quella comunità.<br />
Ilettori delle opere <strong>di</strong> finzione leggono con vari gra<strong>di</strong> <strong>di</strong> intuito e <strong>di</strong><br />
comprensione. Un lettore <strong>di</strong> Sherlock Holmes potrebbe sapere poco o nulla<br />
dell’Inghilterra vittoriana, e penso che saremo d’accordo che un simile<br />
lettore avrà alpiù una comprensione frammentaria della storia. (Immaginate<br />
la nostra con<strong>di</strong>zione se dovessimo interpretare un romanzo marziano<br />
senza sapere alcunché della società marziana.) Abbiamo bisogno, quin<strong>di</strong>,<br />
del concetto <strong>di</strong> lettore informato, unlettore che conosce i fatti rilevanti che<br />
riguardano la comunità incuil’opera èstata scritta. Il lettore informato,<br />
a<strong>di</strong>fferenza dell’autore <strong>di</strong> finzione, non è un’entità <strong>di</strong>finzione. Un lettore<br />
32 Un autore moderno che scrive un romanzo ambientato nel me<strong>di</strong>oevo può riuscire a<br />
collocare all’interno del romanzo un autore <strong>di</strong> finzione che ha le credenze che le persone<br />
del me<strong>di</strong>oevo tendevano ad avere. In quel caso, ciò chesaràveronelromanzorifletteràle<br />
credenze me<strong>di</strong>oevali. E assai più probabile che il suo autore <strong>di</strong> finzione esibisca credenze e<br />
atteggiamenti che sono <strong>di</strong>stintamente moderni. In questo caso, ciò cheèveronel romanzo<br />
avrà pocoachefareconlecredenzemanifeste dei tempi me<strong>di</strong>evali.
292 G. Currie<br />
reale può essere un lettore informato, benché nonogni lettore reale lo sia.<br />
Quali sono i fatti rilevanti che il lettore informato conosce?<br />
Ricordate che il compito del lettore è<strong>di</strong>stabilire ciò checrede l’autore<br />
<strong>di</strong> finzione. Quello che èrilevanteperdeterminarequestoè una conoscenza<br />
<strong>di</strong> ciò chelepersoneinquella comunità tendevano a credere. Dal momento<br />
che non identifichiamo l’autore <strong>di</strong> finzione con alcun membro particolare <strong>di</strong><br />
quella comunità, non abbiamo bisogno <strong>di</strong> associare delle credenze a in<strong>di</strong>vidui<br />
particolari; i tipi <strong>di</strong> credenze nella comunità enelle sue sottocomunità saranno<br />
sufficienti. Inoltre, a rigor <strong>di</strong> termini, non abbiamo bisogno <strong>di</strong> sapere<br />
ciò cheèoeravero nella comunità rilevante. Naturalmente, ciò cheèvero<br />
èspesso una buona guida a ciò checrede la gente, ma se la verità ècontroversa<br />
o oscura può nonessere creduta. Nella storia <strong>di</strong> Sherlock Holmes<br />
un certo tipo <strong>di</strong> moralitàèpartedello sfondo appropriato. Ciò chelarende<br />
parte <strong>di</strong> questo sfondo non èilsuoessere vera (ammesso che le proposizioni<br />
morali possano essere vere) ma il suo essere largamente creduta nella società<br />
vittoriana. E nella stessa storia non ècheilpianeta Plutone esiste senza<br />
essere stato scoperto. Non esiste per nulla, in quando nessuno credeva che<br />
esistesse a quel tempo.<br />
Non si dovrebbe concludere da queste osservazioni che il metodo <strong>di</strong> interpretazione<br />
che descrivo condurrà semprealla conclusione che le credenze<br />
dell’autore <strong>di</strong> finzione sono sempre massimamente convenzionali -il metodo<br />
non sarebbe granché utile se facesse questo. Il testo stesso può fornireevidenza<br />
che le credenze dell’autore <strong>di</strong> finzione non sono convenzionali in un<br />
modo onell’altro. La convenzionalità delle credenze èilnostropunto <strong>di</strong><br />
partenza, dal quale ci spostiamo secondo i dettami del testo. L’unica cosa<br />
che ilnostro lettore sa in partenza dell’autore <strong>di</strong> finzione ècheappartiene a<br />
una certa comunità. La strategia migliore da seguire per lui nel tentare <strong>di</strong><br />
dedurre le credenze dell’autore <strong>di</strong> finzione sarà <strong>di</strong>assumere che le suecredenze<br />
sono convenzionali a meno che il testo in<strong>di</strong>chi che non lo sono. I mo<strong>di</strong><br />
in cui le deviazioni dalla convenzionalità devonoessere dedotte possono essere<br />
assai complicati. Se il testo in<strong>di</strong>ca una credenza nei draghi da parte<br />
dell’autore <strong>di</strong> finzione, può essere ragionevole dedurre anche che egli crede<br />
negli unicorni, benché nonsi<strong>di</strong>caalcunché degliunicorni nel testo. Quin<strong>di</strong><br />
non funzionerà adottare la strategia semplicissima: assumere che le credenze<br />
dell’autore <strong>di</strong> finzione siano tanto vicine ad essere convenzionali quanto è<br />
permesso dal contenuto esplicito del testo. Non ho regole da sostituire a questa,<br />
ma assumo che in pratica ci sarebbe un accordo considerevole riguardo a<br />
come deduzioni simili a queste dovrebbero procedere. Esamineremo alcune<br />
<strong>di</strong> queste inferenze nella prossima sezione.<br />
Formuliamo ora una proposta per le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> verità <strong>di</strong>enunciati
La struttura delle storie 293<br />
della forma “FS(P),” dove S èlastoriainquestione:<br />
(3) “FS(P)” èverosse èragionevole per il lettore informato dedurre che<br />
l’autore <strong>di</strong> finzione <strong>di</strong> S crede che P.<br />
Come lettori, il nostro far finta èchestiamoleggendo una narrazione scritta<br />
da un agente affidabile, storicamente collocato (l’autore <strong>di</strong>finzione) che<br />
vuole impartirci certe informazioni. Storicamente collocato com’è, l’autore<br />
<strong>di</strong> finzione parla a un pubblico del proprio tempo e, molto probabilmente,<br />
della propria cultura. Egli non può, naturalmente, <strong>di</strong>rci ogni cosa che sa<br />
essere rilevante per la storia -richiederebbe troppo tempo e farebbe svanire<br />
il nostro interesse. Ma egli sa che non ha bisogno <strong>di</strong> <strong>di</strong>rci ogni cosa. Egli<br />
può fareaffidamento su uno sfondo con<strong>di</strong>viso <strong>di</strong> assunzioni, <strong>di</strong>cendoci solo<br />
quelle cose che si <strong>di</strong>scostano da questo sfondo o lo integrano, o quelle cose<br />
che appartengono allo sfondo e che egli sente il bisogno <strong>di</strong> enfatizzare. Dal<br />
momento che il narratore -l’autore <strong>di</strong> finzione- è una costruzione <strong>di</strong> finzione,<br />
egli non ha credenze private, credenze che non potrebbero essere ragionevolmente<br />
dedotte dal testo più losfondo. Le sue credenze non sono scoperte<br />
attraverso una lettura (una lettura razionale e informata), ma costruite per<br />
mezzo <strong>di</strong> essa.<br />
Questa proposta ha alcune affinità conquella <strong>di</strong> Lewis in (2). Secondo<br />
(2), la verità <strong>di</strong>finzione èilprodotto <strong>di</strong> due fattori: ciò che<strong>di</strong>ce il testo, e<br />
ciò cheècredenza manifesta nella comunità dell’autore. Ma la con<strong>di</strong>zione<br />
<strong>di</strong> credenza manifesta èassai forte. Una cosa è una credenza manifesta se<br />
quasi tutti la credono, quasi tutti credono che quasi tutti la credono, e così<br />
via. Molte credenze che pensiamo siano importanti o caratteristiche della<br />
società vittoriana non conterebbero come credenze manifeste nel senso <strong>di</strong><br />
Lewis, per esempio, la credenza nello spiritualismo. Ma questa credenza<br />
potrebbe benissimo dover essere considerata come parte dello sfondo implicito<br />
<strong>di</strong> una storia vittoriana (benché, naturalmente, non <strong>di</strong> ogni storia<br />
vittoriana). Secondo la mia teoria, il lettore informato deve sapere <strong>di</strong> più<br />
<strong>di</strong> quello che era conoscenza comune nella comunità; deve sapere quali credenze<br />
erano in qualche misura prevalenti, e in qualche misura riconosciute<br />
essere prevalenti. 33<br />
33 Ho detto che una lettura competente <strong>di</strong> un’opera <strong>di</strong> finzione ci richiede <strong>di</strong> assumere<br />
l’esistenza <strong>di</strong> un personaggio <strong>di</strong> finzione (l’autore <strong>di</strong>finzione) che sta raccontando la storia<br />
come un fatto conosciuto. Forse potremmo definire le opere <strong>di</strong> finzione esattamente come<br />
quelle narrazioni che comportano un personaggio del genere. (Un suggerimento proposto<br />
in Stern (1965)). Ma benché sia vero che un’opera è<strong>di</strong>finzione esattamente nel caso<br />
in cui comporti unautore<strong>di</strong>finzione, non possiamo usare questa come definizione <strong>di</strong><br />
opera <strong>di</strong> finzione. Per capire cos’è un’autore <strong>di</strong> finzione dobbiamo prima capire cosa
294 G. Currie<br />
7 Strategie <strong>di</strong> interpretazione<br />
Per dare sostanza a questa <strong>di</strong>scussione fin qui assai astratta sarà utile vedere<br />
come il metodo funziona in pratica. Inizio con un esempio <strong>di</strong> incertezza,<br />
preso dalla vita reale, riguardo al significato <strong>di</strong> un testo. Quin<strong>di</strong> metterò<br />
alla prova la teoria rispetto ad alcuni casi problematici ipotetici che prendo<br />
da David Lewis. 34 Risolvere questi casi problematici ci daràdelle ragioni<br />
ulteriori per credere che la teoria èsulla strada giusta. E assumiamo,<br />
temporaneamente, <strong>di</strong> trattare con un’opera <strong>di</strong> finzione che non contiene<br />
contrad<strong>di</strong>zioni, nascoste o meno.<br />
Un esempio interessante del modo in cui i giu<strong>di</strong>zi su ciò cheeracreduto<br />
nella comunità dell’autore incidono sui nostro giu<strong>di</strong>zi riguardo a ciò cheè<br />
vero nell’opera èil<strong>di</strong>battito sullo status del fantasma in Amleto. Èparte<br />
della storia che il fantasma del padre <strong>di</strong> Amleto appare, oppure potrebbe<br />
darsi che Amleto sia spinto con l’inganno da forze sovrannaturali e maligne<br />
acommettere un grande torto? Quando Amleto <strong>di</strong>ce<br />
Lo spirito che ho visto<br />
può essere un <strong>di</strong>avolo -e un <strong>di</strong>avolo ha il potere<br />
<strong>di</strong> assumere una forma gra<strong>di</strong>ta<br />
(2.2.551-53)<br />
questo èunmodo<strong>di</strong>procrastinare oppure un dubbio genuino? Probabilmente,<br />
non conosceremo mai le intenzioni <strong>di</strong> Shakespeare a questo riguardo, né<br />
scoprirle ci aiuterebbe a risolvere l’ambiguità(sesi tratta <strong>di</strong> ambiguitàpiuttosto<br />
che <strong>di</strong> una genuina indeterminatezza della trama. 35 Invece dovremmo<br />
guardare, come gli stu<strong>di</strong>osi interessati hanno fatto, allo sfondo <strong>di</strong> credenze<br />
della comunità riguardo alla spiegazione dei fenomeni spiritici. Philip Edward,<br />
inun’introduzione recente alla trage<strong>di</strong>a, riassume lo stato presente del<br />
<strong>di</strong>battito. Vale la pena <strong>di</strong> citare il riassunto estesamente per la sua sensibilità<br />
alla relazione tra la struttura della trage<strong>di</strong>a e la forma delle credenze<br />
elisabettiane:<br />
sono i personaggi <strong>di</strong> finzione in generale. Per capire i personaggi <strong>di</strong> finzione dobbiamo<br />
prima capire “opera <strong>di</strong> finzione,” esattamente come dobbiamo capire “causa” prima <strong>di</strong><br />
poter capire “antecedente causale.” Riconoscendo questa priorità, i personaggi <strong>di</strong> finzione<br />
dovranno attendere il loro turno nel Capitolo 4.<br />
34<br />
Di nuovo, i riferimenti del testo in questa sezione sono alla ristampa <strong>di</strong> Lewis (1978)<br />
nei Philosophical papers, vol. 1.<br />
35<br />
Un’ambiguità sorge quando non siamo sicuri se P èveronella storia o se lo è Q.<br />
Un’indeterminatezza sorge quando P o Q èveronella storia ma né P né Q lo sono.
La struttura delle storie 295<br />
La conclusione <strong>di</strong> [John Dover Wilson] che c’erano tre gra<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />
scetticismo [riguardo ai fantasmi], con i cattolici cheerano meno<br />
scettici dei protestanti, èrisultata essere una semplificazione<br />
eccessiva. . . È impossibile ignorare, nel considerare Amleto, la<br />
cautela e lo scetticismo profon<strong>di</strong> con cui i contemporanei <strong>di</strong> Shakespeare,<br />
sia cattolici che protestanti, consideravano i fantasmi e<br />
ne riferivano. Essi potevano essere allucinazioni, o angeli, o demoni<br />
che cercano <strong>di</strong> intrappolare l’anima delle persone. Che un<br />
fantasma potesse essere l’anima <strong>di</strong> un defunto che ritornava sulla<br />
terra era una possibilità assai remota. L’affermazione iniziale <strong>di</strong><br />
Amleto che il fantasmaera genuino ègiuntaasembrarepiù<strong>di</strong>scutibile<br />
dei suoi dubbi successivi, e la sicurezza <strong>di</strong> generazioni <strong>di</strong><br />
critici. . . che la professione <strong>di</strong> scetticismo <strong>di</strong> Amleto in 2.2, con il<br />
suo piano <strong>di</strong> mettere alla prova ilfantasma, èsemplicemente un<br />
modo <strong>di</strong> procrastinare ora sembra avere fondamenta poco sicure.<br />
Non molti si spingerebbero così inlàcomeEleanor Prosser da<br />
sostenere che il fantasma era un demone. Ma una delle conquiste<br />
importanti della critica moderna è<strong>di</strong>averedatouno scossone al<br />
fantasma e reso impossibile accettare le sue credenziali e la sua<br />
autorità comeunfatto ovvio e in<strong>di</strong>scutibile. 36<br />
La nostra situazione, come la descrive Edwards, ètalepercuilanostraconoscenza<br />
<strong>di</strong> ciò chesicredeva nella società elisabettiana ci mette in grado<br />
<strong>di</strong> attribuire all’autore <strong>di</strong> finzione una credenza <strong>di</strong>sgiuntiva -o il fantasma è<br />
genuino oppure èuntentativo demoniaco <strong>di</strong> fuorviare Amleto riguardo al<br />
proprio dovere- ma non ci consente <strong>di</strong> attribuirgli una credenza in uno o<br />
l’altro dei due <strong>di</strong>sgiunti. Dunque siamo in una posizione tale che la nostra<br />
conoscenza attuale lascia che la trage<strong>di</strong>a sia ambigua su questo punto. E,<br />
come ci suggerisce Edwards, se ne sapessimo <strong>di</strong> più delle credenze elisabettiane,<br />
o sapessimo delle cose <strong>di</strong>verse, potremmo essere in grado <strong>di</strong> attribuirgli<br />
una credenza più fortee<strong>di</strong><strong>di</strong>sambiguare la trage<strong>di</strong>a. Vedere Amleto come<br />
il prodotto <strong>di</strong> una società incline a considerare i fantasmi come false rappresentazioni<br />
invece che come anime dei defunti comporta essere più <strong>di</strong>sponibili<br />
verso l’idea che si voleva che le battute citate fossero espressione <strong>di</strong> un dubbio<br />
genuino, e venissero scritte aspettandosi che questi dubbi trovassero una<br />
pronta reazione nel pubblico. Non ha importanza se in realtà Shakespeare<br />
non aveva alcuna intenzione del genere e non si aspettava alcuna reazione<br />
simile (egli potrebbe non essere stato in sintonia con il pensiero dei suoi<br />
contemporanei). Ciò cheimportaèsesiaragionevole, date le credenze della<br />
36 Introduzione ad Amleto, Cambridge University Press, Cambridge, 1985.
296 G. Currie<br />
comunità, vedere in queste battute la prova <strong>di</strong> questa intenzione. Se ècosì,<br />
esse aggiungono peso all’ipotesi che ci sia per lo meno un’indeterminatezza<br />
nella trama riguardo alla vera natura del fantasma.<br />
Ho detto qui che c’è qualcosa<strong>di</strong>piùinun’opera<strong>di</strong>finzione <strong>di</strong> quanto è<br />
affermato o implicato dal testo. Lewis fa un esempio:<br />
sostengo che nelle storie <strong>di</strong> Holmes, Holmes vive più vicino a<br />
Pad<strong>di</strong>ngton Station che a Waterloo Station. Uno sguardo alla<br />
cartina vi mostrerà cheilsuoin<strong>di</strong>rizzo in Baker Street èmolto<br />
più vicino aPad<strong>di</strong>ngton. Tuttavia, la cartina non èpartedelle<br />
storie, e per quanto ne so nonèmaiasserito o implicato nelle<br />
storie stesse che Holmes vive più vicino a Pad<strong>di</strong>ngton. Ci sono<br />
mon<strong>di</strong> possibili in cui le storie <strong>di</strong> Holmes sono narrate come un<br />
fatto conosciuto invece che come finzione che <strong>di</strong>fferiscono in ogni<br />
sorta <strong>di</strong> mo<strong>di</strong> dal nostro. Tra questi ci sono mon<strong>di</strong> in cui Holmes<br />
vive in una Londra <strong>di</strong>sposta molto <strong>di</strong>versamente dalla Londra<br />
del nostro mondo, una Londra dove . . . Baker Street èmoltopiù<br />
vicina a Waterloo Station che a Pad<strong>di</strong>ngton Station. (“La verità<br />
nella finzione,” pag. 268)<br />
Le analisi (1) e (2) <strong>di</strong> Lewis possono rendere conto <strong>di</strong> questo; lo stesso vale per<br />
la mia teoria. Sostengo che sarebbe ragionevole per il lettore supporre che<br />
l’autore <strong>di</strong> finzione credesse che Baker Street fosse più vicina aPad<strong>di</strong>ngton<br />
che a Waterloo. La deduzione procederebbe così: egli scrive <strong>di</strong> eventi <strong>di</strong><br />
cui èaconoscenza, molti dei quali hanno luogo a Londra e nei quali sono<br />
incorporati molti degli e<strong>di</strong>fici reali <strong>di</strong> Londra e altri punti <strong>di</strong> riferimento. Uno<br />
che saqueste cose saprebbe anche probabilmente le posizioni delle maggiori<br />
stazioni ferroviarie. Dunque èragionevole concludere che egli crede che<br />
Baker Street sia più vicina aPad<strong>di</strong>ngton che a Waterloo. Dunque, èvero<br />
nelle storie che Baker Street èpiùvicina aPad<strong>di</strong>ngton che a Waterloo.<br />
Èistruttivo confrontare questo caso con un altro. Supponete che le<br />
avventure <strong>di</strong> Holmes lo abbiano portato per un breve tempo a Minsk, ma<br />
che Minsk stessa non sia descritta nelle storie. Diremmo che la posizione dei<br />
maggiori e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> Minsk costituisce parte della storia nello stesso modo in<br />
cui laposizione dei maggiori e<strong>di</strong>fici <strong>di</strong> Londra costituisce ovviamente parte<br />
della storia? Penso <strong>di</strong> no. E la ragione èchiara: non avremmo alcuna<br />
sicurezza che l’autore <strong>di</strong> finzione <strong>di</strong> questa storia avesse alcuna conoscenza<br />
<strong>di</strong> come Minsk è<strong>di</strong>sposta.<br />
Lewis <strong>di</strong>scute un altro esempio che lo porta da (1) a (2). In “L’avventura<br />
della fascia maculata,” Holmes risolve il mistero mostrando che la vittima<br />
èstata uccisa da una vipera <strong>di</strong> Russell che era fuggita arrampicandosi sulla
La struttura delle storie 297<br />
corda <strong>di</strong> un campanello. Per come stanno i fatti scientifici, un serpente <strong>di</strong><br />
questo tipo non può arrampicarsi su una corda. La storia non <strong>di</strong>ce esplicitamente<br />
che la soluzione <strong>di</strong> Holmes èquella giusta. Dunque, secondo la<br />
definizione (1) Holmes ha pasticciato con il caso (pag. 273). La definizione<br />
(3) offre una soluzione sod<strong>di</strong>sfacente. Il lettore può ragionevolmente concludere<br />
che l’autore <strong>di</strong> finzione crede che una vipera <strong>di</strong> Russell può arrampicarsi<br />
su una corda (questo è, dopotutto, quello che <strong>di</strong>ce; e non c’è alcuna in<strong>di</strong>cazione<br />
che egli stia parlando in modo non letterale a questo riguardo.) Il<br />
lettore può ragionevolmente supporre che, se l’autore <strong>di</strong> finzione avesse pensato<br />
che Holmes aveva pasticciato con il caso, lo avrebbe detto, e se avesse<br />
pensato che questo particolare serpente era una stupefacente eccezione alla<br />
incapacità generale <strong>di</strong> arrampicarsi sulle corde esibita dai membri <strong>di</strong> questa<br />
specie, avrebbe detto anche questo. Dunque, èragionevole attribuirgli la<br />
credenza (erronea) che la vipera <strong>di</strong> Russell èiltipo<strong>di</strong>serpentechepuò arrampicarsi<br />
su una corda. Dunque, questo èveronella storia, come dovrebbe<br />
essere.<br />
Ora veniamo ad alcuni casi ingegnosi che Lewis presenta come <strong>di</strong>fficoltà<br />
sia per (1) che per (2). Penso che la mia teoria <strong>di</strong>a i risultati giusti in questi<br />
casi.<br />
Nell’Opera da tre sol<strong>di</strong>, icaratteriprincipali sono una cricca infida.<br />
...C’èanche un cantore <strong>di</strong> strada. Compare, canta la<br />
ballata <strong>di</strong> Mackie Messer, e si fa gli affari suoi senza tra<strong>di</strong>re nes-<br />
suno.<br />
Èanche lui un in<strong>di</strong>viduo infido? Il contenuto esplicito<br />
non lo rende tale. Le persone reali non sono così tanto infide, e<br />
anche nella Germania <strong>di</strong> Weimar non era esplicitamente creduto<br />
che lofossero, dunque neppure lo sfondo lo rende tale. Eppure<br />
ci sono delle ragioni abbastanza buone per <strong>di</strong>re che che egli è<br />
infido: nell’Opera da tre sol<strong>di</strong> le persone sono così. . . ogni in<strong>di</strong>viduo<br />
messo alla prova risulta infido, il cantore <strong>di</strong> strada èlìcon<br />
gli altri, dunque senza dubbio anche lui risulterebbe infido se lo<br />
vedessimo <strong>di</strong> più. (pag. 274)<br />
Come dovremmo analizzare il caso nei terminidella mia teoria? Abbiamo<br />
una storia in cui èchiaroche tutti quelli messi alla prova hanno finito<br />
per essere infi<strong>di</strong>. Dunque, secondo la mia teoria è una storia il cui autore <strong>di</strong><br />
finzione crede che tutti quelli messi alla prova hanno finito per essere infi<strong>di</strong>.<br />
Quando qualcuno crede che tutti quelli messi alla prova hanno finito per<br />
essere infi<strong>di</strong>, sappiamo che c’è, come la mette Lewis, “una ragione moderatamente<br />
buona” per supporre che egli crede che probabilmente quelli che<br />
non sono stati ancora messi alla prova siano anche loro infi<strong>di</strong>, a meno che
298 G. Currie<br />
non <strong>di</strong>a qualche in<strong>di</strong>cazione esplicita che non crede questo. In questo caso,<br />
l’autore <strong>di</strong> finzione non dà alcuna in<strong>di</strong>cazione esplicita <strong>di</strong> questo genere.<br />
Possiamo dedurre, dunque, che egli crede che il cantore èinfido. Dunque,<br />
questo èveronella storia.<br />
Ecco l’altro esempio <strong>di</strong> Lewis:<br />
Supponete che io scriva una storia sul drago Scrulch, una bellissima<br />
principessa, eunprode cavaliere, e via <strong>di</strong>cendo. Èunesempio<br />
perfettamente tipico del suo genere stilistico, eccetto che non <strong>di</strong>co<br />
mai che Scrulch vomita fiamme. Vomita fiamme comunque<br />
nella mia storia? Forse sì, dal momento che i draghi in questo<br />
tipo <strong>di</strong> storia vomitano fiamme. Ma il contenuto esplicito non<br />
lo fa vomitare fiamme. E neppure lo sfondo, dal momento che<br />
in realtà esecondo le nostre credenze non esistono animali che<br />
vomitano fiamme. (Potrebbe semplicemente essere analitico che<br />
non si èundrago senza vomitare fiamme. Ma supponete che<br />
non abbiamo mai chiamato Scrulch drago; glihosemplicemente<br />
fornito tutti gli attributi standard dei draghi eccetto per il vomitare<br />
fiamme.) Se Scrulch vomita fuoco nella mia storia, èper<br />
un’ere<strong>di</strong>tà inter-finzionale <strong>di</strong> ciò cheèverodei draghi nelle altre<br />
storie. (pag. 274; corsivo nell’originale)<br />
Il punto dell’ultima osservazione <strong>di</strong> Lewis che abbiamo citato riguardo<br />
alle ere<strong>di</strong>tà inter-finzionali ècheavolteciòcheèveroinun’opera <strong>di</strong> finzione<br />
<strong>di</strong>pende da ciò cheèveroinun’opera <strong>di</strong> finzione assai <strong>di</strong>versa, invece che da<br />
ciòcheèverooeffettivamentecredutovero. Penso che ci sia qualcosa del tipo<br />
<strong>di</strong> un’ere<strong>di</strong>tàinter-finzionale all’opera in questo caso, e senza dubbio anche in<br />
altri, ma penso anche che l’ere<strong>di</strong>tàinter-finzionale operi soloattraverso i tipi<br />
<strong>di</strong> deduzioni che ho descritto riguardo alle credenze degli autori <strong>di</strong> finzione.<br />
Molti <strong>di</strong> noi, suppongo, hanno incontrato persone le cui credenze sembrano<br />
essere influenzate da miti e leggende, e spesso una conoscenza operativa dei<br />
miti e delle leggende implicati permetterebbe <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>re parte <strong>di</strong> quello che<br />
queste persone credono. Se qualcuno mi descrivesse, del tutto seriamente,<br />
il suo incontro con una creatura simile a un drago e se, come la mette<br />
Lewis, la sua storia fosse “un esempio perfettamente tipico del suo genere<br />
stilistico,” sarei poco incline a credergli. Ma sarei incline ad attribuirgli<br />
la credenza che la sua creatura vomitava fiamme. Dunque penso che sia<br />
del tutto ragionevole, nel caso che descrive Lewis, dedurre che l’autore <strong>di</strong><br />
finzione crede che la creatura vomita fiamme, e dunque questo èveronella<br />
storia.
La struttura delle storie 299<br />
La mia teoria come tratta i vari tipi <strong>di</strong> opere <strong>di</strong> finzione impossibili?<br />
Supponete che la contrad<strong>di</strong>torietàsiatrascurabile: la posizione della ferita <strong>di</strong><br />
Watson durante la campagna afgana. Supponete che ci sia un certo numero<br />
<strong>di</strong> casi nel testo in cui si fa riferimento alla ferita; in un caso si <strong>di</strong>ce che è<br />
alla spalla, nell’altro che èalla gamba. Il lettore assumerà ragionevolmente<br />
che l’autore <strong>di</strong> finzione crede che sia alla gamba (una svista èpiùprobabile<br />
<strong>di</strong> molte sviste). Questo sarà ciòcheèveronel romanzo. Se i riferimenti<br />
alla spalla e alla gamba sono circa uguali in numero e importanza e non<br />
c’è nulla nel testo che in<strong>di</strong>chi a quale ipotesi l’autore <strong>di</strong> finzione credeva<br />
effettivamente, non si può trarre alcuna conclusione, ènonsaràveronella<br />
storia né chelaferitaèalla gamba né cheèalla spalla. Sarà veronella<br />
storia, tuttavia, che èinunposto o nell’altro, dal momento che èragionevole<br />
concludere che egli creda che sia in un posto o nell’altro. Questi, mi pare,<br />
sono risultati intuitivamente desiderabili.<br />
Supponete che l’opera <strong>di</strong> finzione riguar<strong>di</strong> qualcuno che quadra il cerchio<br />
ocheconfuta Gödel, e che sia centrale nella storia che il personaggio principale<br />
fa una <strong>di</strong> queste cose impossibili. L’eliminazione della contrad<strong>di</strong>zione<br />
<strong>di</strong>struggerebbe completamente la storia. Dobbiamo <strong>di</strong>stinguere un caso <strong>di</strong><br />
questo tipo da un caso del tipo precedente (in cui supponiamo che l’autore<br />
<strong>di</strong> finzione abbia fatto un errore), sulla base del fatto che qui il testo suggerisce<br />
che egli crede effettivamente una cosa contrad<strong>di</strong>ttoria. Dal momento<br />
che la storia ècostruita intorno all’idea che qualcuno quadra il cerchio, non<br />
èassolutamente plausibile supporre che l’idea èentratanella narrazione a<br />
causa <strong>di</strong>qualche inattenzione momentanea o confusione da parte dell’autore<br />
<strong>di</strong> finzione. Dunque dobbiamo attribuire all’autore <strong>di</strong> finzione una credenza<br />
nella falsità delteorema <strong>di</strong> Gödel, o nella possibilità <strong>di</strong>quadrare il cerchio<br />
(o nei viaggi nel tempo incoerenti, o in quello che è). Èassai comune per noi<br />
attribuire alla gente delle credenze <strong>di</strong> questo tipo, ma quando lo facciamo<br />
non attribuiamo solitamente ad essi una credenza in alcuna delle contrad<strong>di</strong>zioni<br />
specifiche che seguono da queste cose. Quando le persone credono nella<br />
possibilità <strong>di</strong>quadrare il cerchio fanno questo in parte perché nonriescono<br />
avedere le conseguenze contrad<strong>di</strong>ttorie delle loro credenze. Dunque, nulla<br />
che sia evidentemente contrad<strong>di</strong>ttorio -nessuna proposizione della forma<br />
P &∼ P sarà veranella storia. E, certamente, non ogni proposizione sarà<br />
vera nella storia.<br />
Ora, una storia può contenereuna contrad<strong>di</strong>zione esplicita <strong>di</strong> questo tipo<br />
irrime<strong>di</strong>abile. Una storia <strong>di</strong> un viaggio nel tempo può richiedere che un<br />
certo evento sia accaduto in un certo momento e che non sia accaduto in<br />
quel momento, e altri eventi nella storia possono <strong>di</strong>pendere in modo cruciale
300 G. Currie<br />
dal fatto che ambedue queste cose sono vere. 37 Leggendo la storia, dedurremo<br />
che l’autore <strong>di</strong> finzione crede che l’evento abbia avuto luogo e che egli<br />
crede che non abbia avuto luogo. Concluderemo che egli crede cose contrad<strong>di</strong>ttorie.<br />
E può accadere che attribuiamo a qualcuno una credenza in una<br />
proposizione e una credenze nella sua negazione, benché questosiainusuale.<br />
Perché ilsig. Rossi èuscitosenza prendere le sue chiavi <strong>di</strong> casa? Egli èuscito<br />
credendo <strong>di</strong> dover incontrare sua moglie; èuscitosenza chiave credendo<br />
che sua moglie fosse a casa perfarloentrare. (Mi sono trovato io stesso in<br />
situazioni non così <strong>di</strong>versedaquesta.) Pare che dobbiamo attribuire credenze<br />
contrad<strong>di</strong>ttorie al sig. Rossi. Lo stesso vale per le credenze dell’autore<br />
<strong>di</strong> finzione nel caso della nostra storia del viaggio nel tempo, e accadrà che<br />
proposizioni contrad<strong>di</strong>ttorie sono vere nella storia. Ma, come prima, non ne<br />
segue assolutamente che ogni cosa sia vera nella storia, dal momento che le<br />
persone non credono tutte le conseguenze <strong>di</strong> quello che credono.<br />
Supporre che la verità nell’opera <strong>di</strong> finzione <strong>di</strong>penda dalla credenza fa<br />
luce su un fenomeno che sarebbe altrimenti assai <strong>di</strong>fficile da spiegare. In<br />
una storia <strong>di</strong> un viaggio nel tempo del tipo che ho appena descritto, ci<br />
viene detto in un punto che l’evento E èaccaduto èinunaltropunto che<br />
non èaccaduto. Ma supponete che ci venga detto, in un singolo enunciato,<br />
che E èaccaduto e non èaccaduto. Penso che i lettori troveranno molto<br />
più <strong>di</strong>fficile <strong>di</strong>gerire questo. Perché? Perché perintegrarlo nella storia il<br />
lettore dovrà concludere che l’autore <strong>di</strong> finzione crede una contrad<strong>di</strong>zione<br />
evidente, che egli crede qualcosa che egli stesso descrive come P &∼ P .<br />
Questa volta il lettore non potrà spiegare una tale credenza <strong>di</strong>cendo che<br />
l’ignoranza deduttiva o la compartimentazione psicologica protegge l’autore<br />
<strong>di</strong> finzione dalla natura contrad<strong>di</strong>ttoria della sua credenza: credere, come<br />
nel caso del nostro confuso sig. Rossi, che P “in una parte della sua mente”<br />
echenon-P in un’altra. 38 Apparentemente, l’autore <strong>di</strong> finzione ha una<br />
singola credenza che èevidentemente contrad<strong>di</strong>ttoria, ed èmolto<strong>di</strong>fficile<br />
dare un senso a questo. Adotteremmo quasi ogni strategia interpretativa<br />
invece <strong>di</strong> concludere che qualcuno crede una cosa del genere -supporremmo<br />
che sta equivocando, parlando in modo non letterale o fraintendendo le<br />
proprie parole. Che siamo perplessi in modo analogo da un testo che contiene<br />
un’affermazione esplicitamente contrad<strong>di</strong>ttoria, che proviamoinogni modo<br />
areinterpretare l’affermazione, va a sostegno dell’idea che esista una forte<br />
37 “Un rumore <strong>di</strong> tuono” <strong>di</strong> Ray Bradbury è una storia <strong>di</strong> questo tipo. Ècitatain<br />
Heintz (1979). “Progetto Brooklyn” <strong>di</strong> William Tenn prefigurava il tema <strong>di</strong> Bradbury,<br />
come Charles Pigden mi ha fatto osservare.<br />
38 Per un’analisi delle credenze contrad<strong>di</strong>ttorie che fa uso <strong>di</strong> questa idea, ve<strong>di</strong> Stalnaker<br />
(1984), Cap. 5.
La struttura delle storie 301<br />
connessione tra il modo in cui determiniamo le credenze e il modo in cui<br />
determiniamo le nostre verità <strong>di</strong>finzione.<br />
Gli esempi che ho dato sono esempi <strong>di</strong> procedure assai <strong>di</strong>rette per stabilire<br />
ciò cheèveronelle opere <strong>di</strong> finzione. Naturalmente ci saranno casi che<br />
sono molto più <strong>di</strong>fficili da risolvere. Per esempio, non èsemprechiaro se<br />
una certa credenza deve essere considerata come prevalente nella comunità<br />
dell’autore oppure no, o in quale misura. E quin<strong>di</strong> ci saranno casi in cui è<br />
poco chiaro in modo corrispondente quale credenza attribuire all’autore <strong>di</strong><br />
finzione. La nozione <strong>di</strong> prevalenza che sto utilizzando qui èvaga in mo<strong>di</strong><br />
che sarebbero <strong>di</strong>fficili da correggere. Ma la vaghezza nella nostra spiegazione<br />
delle verità <strong>di</strong>finzione può non essere uno svantaggio, infatti èprobabile<br />
che il concetto <strong>di</strong> verità <strong>di</strong>finzione sia esso stesso vago in mo<strong>di</strong> che rispecchiano<br />
la vaghezza inerente in qualsiasi metodo ragionevole <strong>di</strong> attribuzione<br />
<strong>di</strong> credenza. Come <strong>di</strong>ce Lewis, “Due concetti imprecisi possono essere rigidamente<br />
allacciati l’uno all’altro, possono ondeggiare insieme invece che<br />
separatamente, e possiamo sperare <strong>di</strong> essere precisi riguardo alla loro relazione.”<br />
39 Questo descrive molto bene la relazione tra la verità <strong>di</strong>finzione e<br />
le credenze del nostro autore <strong>di</strong> finzione.<br />
8 Gra<strong>di</strong> <strong>di</strong> finzione?<br />
Presumibilmente, la vaghezza della verità nelle opere <strong>di</strong> finzione non la <strong>di</strong>stingue<br />
dalla verità. Se i confini tra i concetti sono vaghi, le verità generate<br />
dall’applicazione <strong>di</strong> questi concetti sfumano in falsità, con un’area grigia nel<br />
mezzo. Ma benché laveritàpossa essere vaga, non ci sono gra<strong>di</strong> <strong>di</strong> verità.<br />
Quello che sta nell’area grigia non èvero(ofalso)aduncerto grado. E la<br />
verosimiglianza non èungrado<strong>di</strong> verità: èla<strong>di</strong>stanza<strong>di</strong>una proposizione<br />
falsa dalla verità. Fino a questo punto ho assunto che la verità nelle opere<br />
<strong>di</strong> finzione, sotto questo aspetto, sia come la verità, non ammetta gra<strong>di</strong>. Ma<br />
c’è motivo<strong>di</strong>pensarecheliammetta. Considerate le proposizioni seguenti<br />
riguardo a Sherlock Holmes:<br />
Holmes era un investigatore.<br />
Holmes aveva tutte le <strong>di</strong>ta delle mani e dei pie<strong>di</strong>.<br />
Una volta nei suoi primi anni Holmes ebbe una grave malattia.<br />
Holmes aveva tutti i denti.<br />
Una volta nei suoi primi anni Holmes ebbe la <strong>di</strong>fterite.<br />
Una volta nella sua carriera Holmes visitò Minsk.<br />
39 Lewis (1973). La citazione èapag. 6 della ristampa.
302 G. Currie<br />
Holmes aveva una seconda occupazione come scassinatore gentiluomo<br />
alla maniera <strong>di</strong> Raffles. 40<br />
L’or<strong>di</strong>ne dato qui corrisponde, penso, all’or<strong>di</strong>ne che la maggior parte delle<br />
persone darebbe se gli venisse chiesto <strong>di</strong> <strong>di</strong>sporre queste proposizioni in<br />
or<strong>di</strong>ne decrescente <strong>di</strong> plausibilità, relativamente alla storia. Se mi venisse<br />
chiesto semplicemente <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere tra quelle che sono vere nella storia e<br />
quelle che non lo sono, non so per certo dove metterei la linea <strong>di</strong> demarcazione.<br />
E, se la tracciassi, sospetterei che la linea èarbitraria. (Assumo<br />
qui, e credo che questosiaragionevole, che la mia indecisione, o parte <strong>di</strong><br />
essa, persisterebbe anche se tutta la vaghezza connessa alle parti rilevanti<br />
del testo e alla conoscenza <strong>di</strong> sfondo rilevante fosse rimossa.) Un or<strong>di</strong>namento<br />
come quello dato sopra certamente pare un modo più naturale <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>sporre queste proposizioni in relazione alla storia <strong>di</strong> quanto farebbe una<br />
biforcazione tra vero-nella-storia e non-vero-nella-storia. E anche se pensate<br />
che c’è unpunto naturale in cui tracciare la linea <strong>di</strong> demarcazione, potete<br />
comunque essere d’accordo che alcune delle proposizioni sopra la linea sono<br />
più vere nell’opera <strong>di</strong> finzione <strong>di</strong> altre; e lo stesso vale per quelle sotto la<br />
linea. Questo suggerisce fortemente che la nostra nozione intuitiva <strong>di</strong> verità<br />
nelle opere <strong>di</strong> finzione èlanozione<strong>di</strong> qualcosa che hadeigra<strong>di</strong>.<br />
Potreste obiettare che, benché l’or<strong>di</strong>ne rifletta una <strong>di</strong>fferenza tra queste<br />
proposizioni in relazione alla storia <strong>di</strong> Holmes, è una mera <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong><br />
evidenza. Ci sono delle ragioni migliori per pensare che alcune <strong>di</strong> queste<br />
proposizioni siano vere nelle storie che per pensare che altre lo siano. Ma<br />
parlare in questo modo vuol <strong>di</strong>re essere sedotti dall’immagine <strong>di</strong> una realtà<strong>di</strong><br />
finzione determinata alla quale abbiamo un maggiore o minore accesso epistemico.<br />
Quando si tratta <strong>di</strong> veritànelle opere <strong>di</strong> finzione non c’è<strong>di</strong>stinzione<br />
tra <strong>di</strong>fferenza epistemica e <strong>di</strong>fferenza ontologica. Non ha alcun senso suggerire<br />
che, benché l’evidenza complessiva possa lasciare la questione indecisa,<br />
una proposizione èvera nella storia oppure non lo è.<br />
Èunvantaggio della mia teoria quello <strong>di</strong> potere facilmente far posto<br />
all’idea che la verità nella finzione ammetta dei gra<strong>di</strong>. Il lato destro del<br />
bicon<strong>di</strong>zionale nella nostra definizione (3) <strong>di</strong> verità nell’opera <strong>di</strong> finzione<br />
parla <strong>di</strong> deduzione ragionevole -una deduzione tratta nell’ambito del far finta<br />
che l’autore <strong>di</strong> finzione <strong>di</strong>ca quello che sa. E quando si tratta <strong>di</strong> deduzioni che<br />
riguardano quello che crede la gente -deduzioni <strong>di</strong> tipo non <strong>di</strong>mostrativo- è<br />
spesso <strong>di</strong>fficile e in qualche misura arbitrario <strong>di</strong>stinguere ciòcheèragionevole<br />
da ciò chenon èragionevole, mentre èpiùfacileepiùnaturale giu<strong>di</strong>care una<br />
40 Per lacarriera <strong>di</strong> A. J. Raffles, ve<strong>di</strong> Hornung (1985).
La struttura delle storie 303<br />
certa deduzione più ragionevole <strong>di</strong> un’altra (alla luce <strong>di</strong> un certo corpus <strong>di</strong><br />
evidenza complessiva). Dal momento che la ragionevolezza nel dedurre è una<br />
questione <strong>di</strong> grado, e la verità nelle opere <strong>di</strong> finzione èdefinita esattamente<br />
in termini <strong>di</strong> deduzione ragionevole, possiamo aspettarci che anche la verità<br />
nelle opere <strong>di</strong> finzione sia una questione <strong>di</strong> grado. E questo è, come ho<br />
sostenuto, il risultato che vogliamo.<br />
Per in<strong>di</strong>care che la verità nella finzione ammette un grado possiamo<br />
integrare il nostro operatore F con un parametro r che prende come valori<br />
numeri reali nell’intervallo unità, e che viene rappresentato con “FSr(P)”<br />
-da leggersi: “P èveroinS al grado r.” Il valore <strong>di</strong> questo parametro è<br />
determinato, in casi particolari, dal valore del parametro corrispondente che<br />
occorre implicitamente sul lato destro <strong>di</strong> (3): il parametro che misura la<br />
ragionevolezza della deduzione. Quin<strong>di</strong> potremmo mo<strong>di</strong>ficare la definizione<br />
(3) nel modo seguente:<br />
(3 ∗ ) “FSr(P)” èverosse èragionevole al grado r per il lettore informato<br />
dedurre che l’autore <strong>di</strong> finzione <strong>di</strong> S crede che P.<br />
Nonsarebbe facile, d’altra parte, riparare la teoria <strong>di</strong> Lewis in modo analogo.<br />
Rammentate la prima definizione <strong>di</strong> Lewis:<br />
(1) “FS(P)” èverosse c’è unSP -mondo più vicino a c○ <strong>di</strong> ogni S∼P -<br />
mondo.<br />
Il lato destro specifica una con<strong>di</strong>zione che semplicemente vale o non vale,<br />
non una con<strong>di</strong>zione che vale ad un grado minore o maggiore. Non c’è quin<strong>di</strong><br />
alcuna variabilità quantitativa sul lato destro che potrebbe essere sfruttata<br />
per spiegare la variabilità chenotiamo in F(P) echeilnostroparametro r<br />
rende esplicita.<br />
L’assegnamento <strong>di</strong> numeri reali come valori a r non deve essere preso<br />
troppo seriamente. Al più essi hanno solo un significato or<strong>di</strong>nale, e anche in<br />
questo caso essi dovranno essere subor<strong>di</strong>nati a considerazioni <strong>di</strong> vaghezza e<br />
indeterminatezza. Ma, <strong>di</strong> nuovo, la vaghezza e l’indeterminatezza non devono<br />
preoccuparci se alla loro occorrenza sul lato sinistro <strong>di</strong> (3 ∗ )corrisponde<br />
la loro occorrenza sul lato destro.<br />
Diciamo che una deduzione èragionevole quando ha un alto grado <strong>di</strong><br />
ragionevolezza, irragionevole quando il suo grado <strong>di</strong> ragionevolezza èmolto<br />
basso. Continuerò aparlare<strong>di</strong>proposizioni come vere nelle opere <strong>di</strong> finzione<br />
efalsenelle opere <strong>di</strong> finzione, intendendo che la loro posizione nella scala<br />
della verità-nell’opera-<strong>di</strong>-finzione è, rispettivamente, molto alta o molto<br />
bassa.
304 G. Currie<br />
9 Le opere <strong>di</strong> finzione visive<br />
C’è unproblemaper la mia teoria delle opere <strong>di</strong> finzione se si vuole, come<br />
io voglio, che sia applicabile alle opere in qualsiasi me<strong>di</strong>um. Il problema<br />
sorge quando consideriamo dei me<strong>di</strong>a in cui la storia èpresentatainforma<br />
visiva piuttosto che, o magari tanto quanto, in forma linguistica. Quando<br />
guar<strong>di</strong>amo un lavoro teatrale, o un film sembra che siamo in contatto <strong>di</strong>retto,<br />
senza me<strong>di</strong>azioni, con i personaggi e gli eventi. Mentre guar<strong>di</strong>amo un film,<br />
non appren<strong>di</strong>amo solo quello che ha fatto In<strong>di</strong>ana Jones, ma lo guar<strong>di</strong>amo<br />
mentre lo fa. Naturalmente, non lo ve<strong>di</strong>amo davvero, perché In<strong>di</strong>ana Jones<br />
non esiste. Ma sicuramente facciamo finta <strong>di</strong> vederlo; non facciamo finta<br />
che ci venga raccontato <strong>di</strong> lui. Nei film e nei lavori teatrali, c’è avolteun<br />
narratore, ma il narratore non può funzionare come l’autore <strong>di</strong> finzione nel<br />
mio senso. Il narratore in un film oinunlavoro teatrale non può faraltro<br />
che integrare le immagini e i suoni con dei commenti e delle informazioni<br />
ulteriori. Il resto delle informazioni visive e u<strong>di</strong>tive che otteniamo non è<br />
derivato da lui.<br />
Penso che questo modello plausibile <strong>di</strong> finzione nei me<strong>di</strong>a visivi -chiamiamolo<br />
la teoria della presentazione <strong>di</strong>retta- sia sbagliato. Parte della ragione<br />
per cui sono incline a rifiutarlo è, naturalmente, che èincompatibile con la<br />
mia teoria delle opere <strong>di</strong> finzione. Ma ho un’altra ragione, in<strong>di</strong>pendente,<br />
per pensare che sia sbagliato. Il modello ha infatti delle conseguenze assai<br />
imbarazzanti.<br />
Èinrealtàassolutamente in contrasto con la maggior parte<br />
delle nostre esperienze con i me<strong>di</strong>a visivi che dovremmo far finta <strong>di</strong> stare<br />
guardando gli eventi e i personaggi rappresentati. Questo èparticolarmente<br />
ovvio nei film, in cui una singola scena può essere sud<strong>di</strong>visa in molte inquadrature<br />
<strong>di</strong>verse da prospettive <strong>di</strong>verse. Mentre le inquadrature si succedono<br />
l’una all’altra, non abbiamo alcun senso <strong>di</strong> cambiare la nostra prospettiva<br />
sull’azione. Coloro che sono familiari con le convenzioni del cinema notano<br />
amalapena il taglio mentre la cinepresa si muove da una faccia a un’altra.<br />
Molte prospettive della cinepresa sarebbero <strong>di</strong>fficili o del tutto impossibili<br />
da ottenere per colui che guarda; guardare la terra dalle profon<strong>di</strong>tà dello<br />
spazio un momento, pendolare dal soffitto <strong>di</strong> un soggiorno il momento successivo.<br />
In certi film, quello che dovremmo far finta <strong>di</strong> fare allo scopo <strong>di</strong><br />
essere osservatori della scena sarebbe irragionevolmente in <strong>di</strong>saccordo con<br />
le convenzioni della storia. Per esempio, in La signora nellago, unfilmbasato<br />
sulla storia gialla <strong>di</strong> Chandler, l’azione èdescritta attraverso gli occhi<br />
<strong>di</strong> Philip Marlowe. Se dobbiamo far finta <strong>di</strong> vedere letteralmente gli eventi<br />
attraverso gli occhi <strong>di</strong> Marlowe, la storia sembrerebbe essere <strong>di</strong>ventata una<br />
storia <strong>di</strong> fantascienza. Questa non è l’impressione creata nella mente <strong>di</strong> colui
La struttura delle storie 305<br />
che guarda mentre vedeilfilm. 41<br />
Si potrebbe suggerire invece che quello che facciamo finta <strong>di</strong> fare è<strong>di</strong><br />
guardare una registrazione filmata <strong>di</strong> eventichesono accaduti, invece <strong>di</strong><br />
guardare gli eventi stessi. Mi pare che Kendall Walton prenda questa posizione<br />
quando <strong>di</strong>ce, “colui che guarda sembra vedere gli eventi [rappresentati]<br />
attraverso il film; quando un’uccisione <strong>di</strong> finzione viene mostrata sullo schermo<br />
sembra “a colui che guarda <strong>di</strong> vedere un’uccisione reale attraverso un<br />
film fotografico <strong>di</strong> essa.” 42 Ma questo non èaffatto un miglioramento. Prima<br />
<strong>di</strong> tutto, èassai poco chiaro come dovremmo guardare un film preso dagli<br />
occhi <strong>di</strong> Marlowe,quin<strong>di</strong> il problema posto da La signora nellago rimane<br />
irrisolto. E in generale dovremmo far finta che ci sia una troupe cinematografica<br />
che va in giro a seguire i personaggi del film. Ma il solo tipo <strong>di</strong> film<br />
per cui questa è un’assunzione plausibile sarebbe un film in cui èpartedella<br />
storia che il film stesso èundocumentario -come in This Is Spinal Tap <strong>di</strong><br />
Bob Reiner.<br />
Èmeno facile trovare delle illustrazioni convincenti <strong>di</strong> questo punto con<br />
il teatro, dove la prospettiva visuale èdeterminata dalla posizione <strong>di</strong> colui<br />
che guarda enonsaltaquaelàinmodo<strong>di</strong>scontinuo. Masarebbestrano<br />
<strong>di</strong>re che facciamo finta che in qualche modo siamo testimoni <strong>di</strong> scene intime<br />
tra personaggi la cui forza drammatica <strong>di</strong>pende dall’assunzione che non ci<br />
sia nessuno lì. E quando mi sposto perché l’uomo <strong>di</strong> fronte mi stacoprendo<br />
la vista, èparte<strong>di</strong>quello che faccio finta <strong>di</strong> fare che cambio la mia posizione<br />
rispetto ad Otello?<br />
Invece <strong>di</strong> cercare <strong>di</strong> convivere con queste conseguenze imbarazzanti della<br />
teoria della presentazione <strong>di</strong>retta, suggerisco <strong>di</strong> rifiutarla e <strong>di</strong> assumere che<br />
i me<strong>di</strong>a visivi presentino delle finzioni che strutturalmente sono dello stesso<br />
tipo dei romanzi e <strong>di</strong> altri tipi <strong>di</strong> narrativa. Leggendo il romanzo, facciamo<br />
finta che l’autore <strong>di</strong> finzione ci stia presentando delle informazioni che sa che<br />
sono vere. Egli sta presentando queste informazioni verbalmente. E in un<br />
lavoro teatrale o in un film si fa finta in modo analogo che l’autore <strong>di</strong> finzione<br />
ci stia presentando delle informazioni che sa che sono vere. La <strong>di</strong>fferenza<br />
ènel modo <strong>di</strong> presentazione dell’informazione. Immaginate i mo<strong>di</strong> in cui<br />
un narratore potrebbe raccontare la propria storia. Potrebbe descrivere<br />
gli eventi a parole. Ma invece (o in aggiunta) potrebbe fare un teatro delle<br />
ombre con le mani. Spingendosi oltre, potrebbe usare dei pupazzi e poi delle<br />
marionette. Estendendo le sue risorse ulteriormente, potrebbe assicurarsi<br />
41<br />
Devo questo esempio a David Lewis. Ma non so se Lewis sarebbe d’accordo con la<br />
mia analisi.<br />
42<br />
Ve<strong>di</strong> Walton (1984). La citazione èdapag. 28.
306 G. Currie<br />
l’aiuto <strong>di</strong> altri, <strong>di</strong>cendogli quali movimenti e suoni fare. Da questo alle<br />
convenzioni del cinema e del teatro il passo èbreve. Attraverso estensioni<br />
successive il narratore racconta la sua storia -semplicemente usa dei mezzi<br />
sempre più elaboratiper raccontarla. Cosa accade quando guar<strong>di</strong>amo La<br />
signora nel lago? Facciamo finta non<strong>di</strong>guardare il mondo attraverso gli<br />
occhi <strong>di</strong> Marlowe, ma <strong>di</strong>venireinformati come le cose appaiono attraverso<br />
gli occhi <strong>di</strong> Marlowe.<br />
Si potrebbe obiettare che questa analisi dell’esperienza teatrale e cinematografica<br />
rende <strong>di</strong>fficile spiegare l’intensità cheesperienze <strong>di</strong> questo tipo<br />
possono avere, e che sembra avere origine dal far finta che il pubblico èin<br />
contatto imme<strong>di</strong>ato con i personaggi. Dunque, èsicuramenteparte del mio<br />
far finta, quando guardo il film, che sto guardando In<strong>di</strong>ana Jones mentre<br />
sta per essere schiacciato da una pietra enorme; non èpartedelmiofar<br />
finta che sto guardando una ricreazione dell’evento. Se questo fosse il contenuto<br />
del mio far finta, sarebbe <strong>di</strong>fficile spiegare le sensazioni, le tensioni,<br />
eleansietàcausatedalle immagini sullo schermo. Ma la risposta a questo<br />
èsemplice. Quando leggo un romanzo posso essere intensamente coinvolto<br />
con i personaggi, con le cose che fanno e con i pericoli che incontrano.<br />
Tuttavia, non adotto come parte del mio far finta l’idea che sono presente<br />
all’azione, che sento e vedo i personaggi descritti. Il mio far finta consiste<br />
invece nel far finta <strong>di</strong> leggere un resoconto vero delle loro azioni e delle loro<br />
sofferenze. Se l’intensità della nostra esperienza a teatro o al cinema fosse<br />
un’obiezione alla mia analisi delle opere <strong>di</strong> finzione nei me<strong>di</strong>a visivi, sarebbe<br />
anche un’obiezione all’analisi più plausibile del far finta nelle opere <strong>di</strong><br />
finzione letterarie.<br />
C’èunfenomeno teatrale che pare più facile da spiegare nella teoria della<br />
presentazione <strong>di</strong>retta che nella mia. A volte gli attori parlano <strong>di</strong>rettamente<br />
al pubblico; nel teatro non convenzionale essi possono interagire fisicamente<br />
con il pubblico. Come può ilpubblico comprendere questa interazione se<br />
non si suppone che sia parte del suo far finta che esso èrealmente presente<br />
per partecipare all’interazione? Nel teatro brechtiano, l’interazione non è<br />
intesa come parte delfarfinta ma èutilizzata per scopi <strong>di</strong>dattici o per inibire<br />
il far finta. In altri casi, tuttavia, si suppone che venga incorporata. In<br />
questi casi penso che i membri del pubblico finiscano per giocare un doppio<br />
ruolo. Essi sono sia spettatori della produzione che attori (o a volte semplicemente<br />
supporti) in essa. Essi interpretano dei personaggi che partecipano<br />
all’azione e <strong>di</strong>venta vero per finta che essi sono quei personaggi. Ma essi<br />
sono ancora membri del pubblico, e in quanto tali essi osservano se stessi<br />
interpretare questi ruoli. Come membri del pubblico essi devono far finta <strong>di</strong><br />
prendere parte alla rappresentazione <strong>di</strong> eventi che accadono realmente, non
La struttura delle storie 307<br />
che essi sono dei partecipanti a questi stessi eventi. Infatti, i casi <strong>di</strong> interazione<br />
attore-pubblico sono piuttosto <strong>di</strong>fficili da spiegare secondo la teoria<br />
della presentazione <strong>di</strong>retta. Perché, se fosse parte del nostro far finta che assistiamo<br />
all’azione <strong>di</strong>rettamente, sarebbe del tutto naturale per i personaggi<br />
sul palcoscenico, nel contesto <strong>di</strong> un tale far finta, rivolgerci delle osservazioni<br />
o chiamarci in aiuto. Ma non troviamo queste cose per nulla naturali; è<br />
perché letroviamosorprendenti e anche scioccanti che gli scrittori e i registi<br />
sono tentati (forse troppo spesso) <strong>di</strong> utilizzarle.<br />
Ho tentato <strong>di</strong> spiegare il carattere <strong>di</strong> finzione dei film, delle fotografie,<br />
e dei <strong>di</strong>pinti in termini <strong>di</strong> far finta. Possiamo spiegare il loro carattere<br />
rappresentazionale nello stesso modo? Possiamo spiegare com’ècheil<strong>di</strong>pinto<br />
<strong>di</strong> Goya rappresenta il duca, o com’è chenel film viene rappresentato un<br />
furfante minaccioso, appellandoci a fatti che riguardano ciò chefacciamo<br />
finta <strong>di</strong> fare o potremmo far finta <strong>di</strong> fare quando osserviamo un <strong>di</strong>pinto o<br />
guar<strong>di</strong>amo un film? Kendall Walton pensa <strong>di</strong> sì. 43<br />
Secondo Walton, i <strong>di</strong>pinti sono dei supporti in giochi <strong>di</strong> far finta, e quello<br />
che rappresentano <strong>di</strong>pende dal loro ruolo nel gioco. Dunque, un <strong>di</strong>pinto<br />
rappresenta il duca <strong>di</strong> Wellington se serve come supporto in un gioco in cui<br />
osservare il <strong>di</strong>pinto conta, nel gioco, come osservare il duca.<br />
Èveroper finta,<br />
<strong>di</strong> una persona che osserva il <strong>di</strong>pinto, che sta osservando il duca.<br />
Potremmo chiederci se questa analisi rende le qualità rappresentative <strong>di</strong><br />
un <strong>di</strong>pinto <strong>di</strong>pendenti dal pubblico in modo non desiderabile. Se il <strong>di</strong>pinto<br />
<strong>di</strong> Goya viene usato, come potrebbeessere usato, in un gioco <strong>di</strong> far finta in<br />
cui osservare il <strong>di</strong>pinto vuol <strong>di</strong>re osservare Napoleone, questo significa che<br />
il <strong>di</strong>pinto allora rappresenta Napoleone? Questa sarebbe una conseguenza<br />
imbarazzante. Potremmo adattare la teoria in modo da renderla <strong>di</strong>pendente<br />
dall’artista invece che dall’osservatore. Potremmo <strong>di</strong>re che il <strong>di</strong>pinto rappresenta<br />
ciò chel’artista vuole che noi facciamo finta che rappresenti, piuttosto<br />
che ciò chesiamoincliniafarfintacherappresenti. Questo sarebbe un<br />
miglioramento, secondo me.<br />
Si può certamente immaginare che il <strong>di</strong>pinto <strong>di</strong> Goya venga usato come<br />
supporto in un gioco <strong>di</strong> far finta, e che si voglia che sia usato così. La questione<br />
èseilsuoruoloinquesto gioco spieghi le sue qualità rappresentative. Mi<br />
pare che sia il contrario. Il <strong>di</strong>pinto si presterebbe molto bene a questo gioco<br />
esattamente perché rappresenta il duca. Un <strong>di</strong>pinto che rappresentasse un<br />
coppa <strong>di</strong> frutta non si presterebbe altrettanto bene a questo gioco. Il fatto<br />
43<br />
Ve<strong>di</strong> Walton (1978b), specialmente la sezione 6, “Analysis of P-depiction,” e Walton<br />
(1990), Cap. 8.
308 G. Currie<br />
che riconosciamo che rappresenta il duca (o per lo meno che rappresenta un<br />
uomo in abiti militari) precede il nostro uso del quadro in un tale gioco.<br />
La tesi <strong>di</strong> Walton ha lo svantaggio che annulla la <strong>di</strong>stinzione tra rappresentazioni<br />
<strong>di</strong> finzione e non <strong>di</strong> finzione. 44 I<strong>di</strong>pinti <strong>di</strong> finzione sono esattamente<br />
quelli che siintende siano usati in giochi <strong>di</strong> far finta, così comesi<br />
intende che facciamo finta che ci siano delle creature ibride strane e allarmanti<br />
quando osserviamo Titania e Bottom <strong>di</strong> Fuseli. 45 Le carte geografiche<br />
(eccetto quelle che accompagnano Il signore degli anelli), la maggior parte<br />
delle fotografie, e il ritratto del duca <strong>di</strong> Goya non devono essere ritenute <strong>di</strong><br />
finzione secondo questo criterio -e questo ègiusto. Setentiamo <strong>di</strong> spiegare la<br />
rappresentazione in termini <strong>di</strong> far finta, non saremo in grado <strong>di</strong> fare questa<br />
<strong>di</strong>stinzione.<br />
Se questo ègiusto,avremobisogno <strong>di</strong> un’analisi della rappresentazione<br />
che non si appella all’idea <strong>di</strong> far finta. Lavori recenti suggeriscono che<br />
possiamo trovare la risposta in termini <strong>di</strong> uncerto tipo <strong>di</strong> somiglianza esperita.<br />
46 Ma non dobbiamo intraprendere qui un lavoro che sia parte <strong>di</strong> questo<br />
programma, dal momento che mi occupo solo <strong>di</strong> problemi che sorgono<br />
nel contesto delle opere <strong>di</strong> finzione. La natura della rappresentazione èun<br />
problema che sorge sia per le opere <strong>di</strong> finzione che per quelle non <strong>di</strong> finzione.<br />
Riassumo ora ciò cheho affermato riguardo al carattere <strong>di</strong> finzione delle<br />
opere neime<strong>di</strong>a visivi. C’è una <strong>di</strong>stinzione, per tutti i tipi <strong>di</strong> me<strong>di</strong>a visivi,<br />
tra opere che sono <strong>di</strong>finzione e opere che non lo sono. E alla domanda<br />
se un’opera che appartiene a un me<strong>di</strong>um visivo sia <strong>di</strong> finzione o no si deve<br />
rispondere esattamente nello stesso modo in cui sideverispondere nel caso<br />
delle opere letterarie. Il tipo <strong>di</strong> far finta che èappropriato per opere nei<br />
me<strong>di</strong>a visivi èesattamentedellostesso tipo <strong>di</strong> quello appropriato per la<br />
letteratura: facciamo finta che la storia sia narrata come un fatto conosciuto.<br />
La <strong>di</strong>fferenza tra opere <strong>di</strong> finzione visive e quelle non visive sta solo nel modo<br />
<strong>di</strong> narrare, in quanto questo modo èdeterminato dal me<strong>di</strong>um stesso. E non<br />
possiamo usare l’idea <strong>di</strong> far finta per spiegare l’idea della rappresentazione<br />
nei me<strong>di</strong>a visivi, in quanto la nozione <strong>di</strong> rappresentazione precede quella <strong>di</strong><br />
far finta, e in quanto ogni tentativo <strong>di</strong> procedere in questo modo <strong>di</strong>strugge<br />
44 Walton riconosce che la sua teoria non ammette la possibilità <strong>di</strong><strong>di</strong>pinti non <strong>di</strong> finzione<br />
(ve<strong>di</strong> Walton (1990), Sez. 8.8).<br />
45 Si intende che facciamo finta non che la rappresentazione stessa èciòchevienerappresentato<br />
(come sosterrebbe Walton), ma che la rappresentazione è una rappresentazione<br />
<strong>di</strong> vere creature ibride.<br />
46 Per una analisi recente della rappresentazione in questa <strong>di</strong>rezione, ve<strong>di</strong> Peacocke<br />
(1987).
La struttura delle storie 309<br />
la <strong>di</strong>stinzione traopere nei me<strong>di</strong>a visivi che sono <strong>di</strong> finzione e opere in quegli<br />
stessi me<strong>di</strong>a che non lo sono.<br />
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Nicholas Wolterstorff. Characters and their names. Poetics, 8:101–27, 1979.
Autore <strong>di</strong> finzione e<br />
narratore<br />
G. Currie<br />
Alcune opere <strong>di</strong> finzione hanno narratori espliciti, come nel caso <strong>di</strong> Watson<br />
che èilnarratore nella storia <strong>di</strong> Holmes. Watson èunpersonaggio nominato<br />
edescritto nel testo e le sue azioni formano parte del contenuto esplicito<br />
della storia. A volte le opere hanno numerosi narratori <strong>di</strong>versi <strong>di</strong> questo<br />
tipo, come in certi romanzi epistolari. A volte il narratore èqualcuno che<br />
èvenuto a sapere la storia ma che non prende parte ad essa eccetto nel<br />
suo raccontarla. A volte il testo non segnala alcun narratore esplicito e<br />
non sembra essere scritto da un particolare punto <strong>di</strong> vista. In questo caso<br />
èsoltantoilfatto che la storia viene raccontata che segnala l’esistenza <strong>di</strong><br />
qualcuno che la racconta. Dobbiamo identificare l’autore <strong>di</strong> finzione con il<br />
narratore esplicito, se ce n’è uno, e assumere l’esistenza <strong>di</strong> un narratore non<br />
invadente se non c’è? Una simile strategia condurrebbe a delle <strong>di</strong>fficoltà. I<br />
narratori espliciti sono notoriamente inaffidabili. Èveronella storia <strong>di</strong> Holmes<br />
che Watson èmeno intelligente <strong>di</strong> quanto egli pensa <strong>di</strong> essere, ma non<br />
potremmo stabilire questo deducendo che Watson crede egli stesso <strong>di</strong> essere<br />
meno intelligente <strong>di</strong> quanto pensa <strong>di</strong> essere. In Fuoco pallido <strong>di</strong> Nabokov il<br />
narratore Kinbote sta mentendo oppure si illude (o ambedue) riguardo alle<br />
sua relazione con il poeta John Shade, della cui vita egli fa la cronaca. Dove<br />
ci sono numerosi narratori, le loro percezioni dei fatti possono essere in conflitto<br />
-un esempio estremo <strong>di</strong> questo èilfilm<strong>di</strong>KurosawaRashomon, incui<br />
ci vengono presentati quattro resoconti ugualmente cre<strong>di</strong>bili <strong>di</strong> un presunto<br />
Titolo originale: “Fictional author and narrator,” sezione 7 del capitolo 3 <strong>di</strong> G. Currie<br />
(1990) The Nature of Fiction,Cambridge University Press, Cambridge, pagg. 123-126.<br />
Traduzione <strong>di</strong> Sandro Zucchi.<br />
311
312 G. Currie<br />
crimine. 1 Alcuni narratori espliciti danno ogni segno <strong>di</strong> essere affidabili, ma<br />
questo non èqualcosasucui possiamo contare. Ciò cheilnarratore esplicito<br />
crede e ciò cheèveronella storia possono sempre <strong>di</strong>vergere. Il lettore deve<br />
decidere, via via che la sua lettura progre<strong>di</strong>sce, se prestare fede al narratore<br />
esplicito. Quando deci<strong>di</strong>amo che non possiamo fidarci del narratore esplicito,<br />
ci spostiamo al livello del narratore non invadente che, mettendo le parole<br />
in bocca al narratore esplicito in un certo modo, segnala il suo scetticismo<br />
riguardo a ciò cheilnarratore esplicito <strong>di</strong>ce.<br />
Dire che assumiamo l’esistenza <strong>di</strong> una narratore quando non c’è alcun<br />
narratore evidente può sembrareuna mossa ad hoc in <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> una teoria<br />
che sostiene che ci deve essere un narratore. Invece, non c’è nulla <strong>di</strong> così<br />
implausibile in questo suggerimento. Supponete che l’emissione <strong>di</strong> Fuoco<br />
pallido da parte <strong>di</strong> Nabokov (la sua emissione per fare-finzione) non fosse<br />
consistita in un atto <strong>di</strong> scrivere ma piuttosto in una emissione verbale del<br />
testo adunconsesso <strong>di</strong> suoi ammiratori. Molto probabilmente, il pubblico<br />
avrebbe capito chel’esecuzione era in un certo senso ironica, chenon doveva<br />
prendere le emissioni come se nascessero da un’intenzione del parlante che<br />
essi facessero finta <strong>di</strong> credere ciò che veniva emesso letteralmente. Il pubblico,<br />
se i suoi membri avessero il tipo giusto <strong>di</strong> sensibilità, riconoscerebbe<br />
l’intenzione che noi facciamo finta che le emissioni sono <strong>di</strong> qualcuno chiamato<br />
“Kinbote” e che queste emissioni non sono sempre conformi a ciò cheèvero<br />
nella storia. Con il suo modo <strong>di</strong> emettere, il parlante ci in<strong>di</strong>ca che le parole<br />
che egli emette sono in realtà quelle <strong>di</strong> qualcuno la cui immagine <strong>di</strong> sèedelle<br />
sue relazioni con il mondo è<strong>di</strong>storta. In questo caso, il pubblico vedrebbe il<br />
parlante ad una certa <strong>di</strong>stanza dal personaggio Kinbote, anche se le parole <strong>di</strong><br />
Kinbote provengono dalla bocca del parlante in forma <strong>di</strong> enunciati in prima<br />
persona. Esso capirebbe che la prospettiva del parlante riguardo alla storia<br />
è<strong>di</strong>versadaquella <strong>di</strong> Kinbote, e capirebbe che la prospettiva del parlante è<br />
la guida affidabile a ciò cheèveronella storia. Questo èquello che accade,<br />
io sostengo, quando leggiamo la storia <strong>di</strong> Nabokov.<br />
Si potrebbe sostenere che qui sono caduto in un errore che ho esortato<br />
ad evitare: l’errore <strong>di</strong> identificare l’autore <strong>di</strong> finzione con l’autore reale, in<br />
questo caso Nabokov. ÈNabokov, dopotutto, che emette la storia. Ma<br />
il narratore della storia, colui che la racconta come fatto conosciuto, non<br />
èNabokov. Il narratore èun personaggio nel gioco <strong>di</strong> far finta giocato<br />
dal pubblico. Nabokov, mentre legge, interpreta la parte del narratore; nel<br />
gioco si assume che egli sia qualcuno che racconta la storia come un fatto<br />
conosciuto. Qualsiasi cosa i membri del pubblico sappiano delle credenze <strong>di</strong><br />
1 Il film <strong>di</strong> Martin Ritt L’oltraggio è una versione in lingua inglese della stessa storia.
Autore <strong>di</strong> finzione 313<br />
Nabokov non entreranno nei loro calcoli riguardo a ciòcheèveronella storia,<br />
in quanto essi sanno che Nabokov non staraccontando la storia come un<br />
fatto conosciuto. Invece, essi immaginano se stessi in presenza <strong>di</strong> qualcuno<br />
che racconta una storia che sa essere vera parlando con la voce <strong>di</strong> uno dei<br />
personaggi (inaffidabili) della storia.<br />
Ho detto che leggere un’opera <strong>di</strong> finzione comporta sempre l’assunzione<br />
che il testo èemesso come un fatto conosciuto da qualcuno che può non<br />
comparire come un personaggio nell’opera, e la cui presenza può nonessere<br />
neppure segnalata dall’uso <strong>di</strong> “io” o da qualche meccanismo simile. Ma<br />
si può orasollevare un’altra obiezione. Alcune opere <strong>di</strong> finzione sembrano<br />
precludere la possibilità<strong>di</strong>essere raccontate come un fatto conosciuto. Supponete<br />
che ci sia un’opera <strong>di</strong> finzione secondo la quale non ci sono esseri<br />
senzienti. (Chiamerò questogenere <strong>di</strong> opere “opere <strong>di</strong> finzione stupide”).<br />
Come può essere ragionevole supporre che la storia viene raccontata come<br />
un fatto conosciuto, quando èpartedella storia che non c’è nessuno lì a<br />
raccontarla?<br />
Secondo la mia teoria, le opere <strong>di</strong> finzione stupide generano un gioco<br />
<strong>di</strong> far finta in cui siamo chiamati a credere cose contrad<strong>di</strong>ttorie: che siano<br />
raccontate come un fatto conosciuto e che non ci sia nessuno a raccontarle.<br />
Questo non significa, naturalmente, che un gioco del genere sia impossibile,<br />
obanale, o in<strong>di</strong>stinguibile da ogni altro gioco in cui c’è unconflitto nel<br />
nostro far finta. Come abbiamo visto, ci sono storie <strong>di</strong> viaggi nel tempo<br />
che generano giochi <strong>di</strong> far finta in cui siamo chiamati a far finta che P e<br />
afarfintache non-P. Chiamiamogiochi <strong>di</strong> far finta con questa proprietà<br />
“giochi <strong>di</strong>fettivi.” Quelli che affermano che leggere opere <strong>di</strong>finzione non<br />
richiede che il lettore invochi un autore <strong>di</strong> finzione sosterranno, senza dubbio,<br />
che le operecheappartengonoalgenere delle opere <strong>di</strong> finzione stupide non<br />
generano giochi <strong>di</strong>fettivi, almeno non sempre. Essi sosterranno che le opere<br />
<strong>di</strong> finzione stupide sono un genere altrettanto facile e naturale quanto ogni<br />
altro -che èsoltantolamiateoria che assegna alle opere <strong>di</strong>finzione stupide<br />
una struttura problematica.<br />
Credo che si sbaglino. C’è evidenza in<strong>di</strong>pendente -evidenza che viene<br />
da considerazioni del tutto in<strong>di</strong>pendenti dall’analisi della verità nelle opere<br />
<strong>di</strong> finzione- per l’idea che leggere opere <strong>di</strong> finzione ci richiede <strong>di</strong> assumere<br />
l’esistenza <strong>di</strong> un autore <strong>di</strong> finzione, anche nel caso delle opere <strong>di</strong> finzione<br />
stupide. L’argomento <strong>di</strong>pende da certi risultati presentati nel prossimo<br />
capitolo. Dunque dobbiamo vedere i risultati prima <strong>di</strong> vedere l’argomento. 2<br />
2 Ve<strong>di</strong> la sezione 7 del Capitolo 4.<br />
FINE