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Marzia Ponso, Il Sonderweg tedesco: nazionalismo o federalismo?

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IL SONDERWEG TEDESCO:<br />

NAZIONALISMO O<br />

FEDERALISMO?<br />

<strong>Marzia</strong> <strong>Ponso</strong><br />

1'·""<br />

\ J ••<br />

. .. .<br />

••<br />

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO<br />

DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI


Working Papers n. 11 – Ottobre 2008<br />

DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI<br />

Torino, Italy


© DSP DSP DSP – (Dipartimento (Dipartimento di di Studi Studi Politici)<br />

Politici)<br />

Università di Torino<br />

Via Giolitti, 33<br />

10123 Torino - Italy<br />

Tel. +39 011 6704101/6704102<br />

Fax +39 011 6704114<br />

http://www.dsp.unito.it<br />

2


MARZIA PONSO – IL SONDERWEG TEDESCO: NAZIONALISMO E FEDERALISMO<br />

DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI<br />

Università degli Studi di Torino<br />

Via Giolitti, 33 - 10123 Torino - Italy<br />

Tel. +39 011 6704101 / 6704102 Fax +39 011 6704114<br />

http://www.dsp.unito.it<br />

<strong>Il</strong> Dipartimento di Studi Politici ha carattere interdisciplinare e nasce dal<br />

progetto di studiare in modo integrato il mondo della politica in tutti i suoi<br />

aspetti: dalla riflessione teorica e storica sulla formazione delle idee e delle<br />

dottrine politiche, all'analisi comparata dei sistemi politici e delle forme di<br />

democrazia nelle società contemporanee, sullo sfondo dei processi di<br />

globalizzazione e di trasformazione delle relazioni internazionali.<br />

<strong>Il</strong> Dipartimento si è costituito l'8 novembre del 1982, per iniziativa di un<br />

gruppo di studiosi che intendevano raccogliere e sviluppare la tradizione di<br />

studi e ricerche fondata da maestri come Norberto Bobbio, Luigi Firpo e<br />

Alessandro Passerin d'Entrèves, che dalla metà degli anni cinquanta aveva<br />

trovato sede nell'Istituto di Scienze Politiche "Gioele Solari", nucleo della futura<br />

Facoltà di Scienze Politiche e successivamente disciolto in conseguenza della<br />

legge istitutiva dei dipartimenti universitari. In esso sono confluiti filosofi, storici,<br />

politologi e sociologi, che al di là del proprio ambito specialistico sono<br />

accomunati dall'interesse unitario per l'approfondimento della politica.<br />

All'interno del Dipartimento si possono distinguere varie aree di ricerca. La<br />

prima di esse concerne lo studio del pensiero politico in prospettiva storica,<br />

dai classici del pensiero antico e medioevale alle ideologie e dottrine politiche<br />

contemporanee. Una seconda area, di carattere politologico e sociologico,<br />

riguarda lo studio delle forme di stato e di governo, il funzionamento dei<br />

regimi politici, le trasformazioni della democrazia, la comunicazione politica e<br />

i media. Una terza area è dedicata allo studio delle relazioni internazionali e ai<br />

problemi della pace. Una quarta area si occupa dei problemi connessi<br />

all'integrazione europea e allo studio del pensiero e dei movimenti federalisti.<br />

Una quinta area si occupa dei problemi dello sviluppo e della storia dei paesi<br />

non europei, dall'America Latina all'Asia e all'Africa.<br />

<strong>Il</strong> Dipartimento di Studi politici cura la pubblicazione di una collana di<br />

working papers. Lo scopo della collana è di far conoscere tempestivamente<br />

alla comunità scientifica ipotesi di lavoro, interventi, materiali di ricerca, in<br />

attesa di pubblicazione o giunti ad una fase finale di elaborazione.<br />

DSP<br />

DSP<br />

http://www.dsp.unito.it/wrkpaprs.html<br />

3


DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI – UNIVERSITÀ DI TORINO<br />

4


Sommario<br />

Sommario<br />

MARZIA PONSO – IL SONDERWEG TEDESCO: NAZIONALISMO E FEDERALISMO<br />

IL IL IL SONDERWEG SONDERWEG SONDERWEG TEDESCO:<br />

TEDESCO:<br />

NAZIONALISMO NAZIONALISMO O O FEDERALISMO? FEDERALISMO?<br />

1<br />

Lo scopo del saggio è indagare uno dei temi-chiave della storia della<br />

Germania moderna: la tesi del <strong>Sonderweg</strong>. L’idea di una “via particolare”<br />

implica l’assunzione di carattere teleologico che questa è la strada che la<br />

Germania ha seguito in virtù della sua (più o meno) recente storia. Ma di<br />

questa tesi si danno più versioni. Originariamente, l’idea di una via<br />

particolare fu intesa in senso positivo (per dar conto di numerosi aspetti del<br />

primato <strong>tedesco</strong>). Sulla scia di Marx e di Weber, molti storici del dopoguerra<br />

hanno ripreso la vecchia tesi del <strong>Sonderweg</strong> <strong>tedesco</strong> e l’hanno capovolta. Lo<br />

sviluppo occidentale (anglo-americano o francese) veniva ora assunto a<br />

metro di paragone per giudicare la storia tedesca come una deviazione.<br />

<strong>Il</strong> ritardo nello State-building e le forme aberranti del <strong>nazionalismo</strong> <strong>tedesco</strong><br />

sono state al centro di estesissime ricerche e di accese controversie,<br />

specialmente dopo la fine della seconda guerra mondiale. La ragione della<br />

mancata democratizzazione è stata individuata nel fatto che la Germania non<br />

ha conosciuto una rivoluzione borghese che abbia avuto successo nel<br />

diciottesimo e diciannovesimo secolo. Alla luce di tutti i recenti dibattiti<br />

storiografici sembra si possa dire che Luteranesimo, prussianesimo e<br />

autoritarismo bismarckiano non possano essere ridotti a prologo<br />

dell’ideologia estremista (sciovinista, antisemitica e razzista) della Germania<br />

hitleriana. E la visione della rivoluzione borghese come via occidentale alla<br />

democratizzazione si è rivelata essa stessa un mito. <strong>Il</strong> <strong>federalismo</strong> e non il<br />

<strong>nazionalismo</strong> deve essere considerato, più propriamente, come la via<br />

particolare dello sviluppo politico <strong>tedesco</strong>.<br />

1 Questo lavoro anticipa a grandi linee i risultati di una ricerca che confluirà nella<br />

monografia Una storia particolare. <strong>Sonderweg</strong> <strong>tedesco</strong> e identità europea.<br />

5


Abstract<br />

Abstract<br />

DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI – UNIVERSITÀ DI TORINO<br />

The aim of the paper is to explore a main issue in the political history of<br />

modern Germany: the so-called <strong>Sonderweg</strong>-thesis. The idea of a “special<br />

path” implies the deterministic assumption that given the particular shape of<br />

German (more or less) recent history no other path was available and<br />

possible. But we have many versions of this thesis. Originally, the idea of a<br />

special path was meant in a positive sense (in order to explain several aspects<br />

of German primacy). Following Marx and Weber, many post-war historians<br />

have taken over the old view of a special German development and turned it<br />

on its head. It was western (Anglo-american or French) development that were<br />

taken as a yardstick against which German history was measured and found<br />

deviant.<br />

The delayed State-building and the aberrant forms of German nationalism<br />

have become the focus of many research and generated a vast critical debate,<br />

especially since the end of the Second World War. The reason of failed<br />

democratization has been identified in the fact that Germany didn’t experience<br />

a successful bourgeois revolution in the eighteenth and nineteenth century. But<br />

taking all the recent historical debates in consideration, it seems that Luteranism,<br />

Prussianism, and Authoritarianism under Bismarck cannot serve as a<br />

prologue to the extremist (chauvinist, antisemitic and racist) ideology of Hitler’s<br />

Germany. And the view of the bourgeois revolution as western path to<br />

democratization has revealed itself as a myth. Federalism rather than<br />

nationalism should be regarded as the special path of German political<br />

development.<br />

Autore Autore: Autore <strong>Marzia</strong> <strong>Marzia</strong> <strong>Marzia</strong> <strong>Ponso</strong> <strong>Ponso</strong> ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Storia del<br />

Pensiero Politico e delle Istituzioni Politiche, Dipartimento di Studi Politici<br />

Università di Torino; assegnista Fondazione CRT.<br />

6


MARZIA PONSO – IL SONDERWEG TEDESCO: NAZIONALISMO E FEDERALISMO<br />

INDICE<br />

INDICE<br />

1. Vie normali e vie eccezionali:<br />

il problema della storia comparata .............................................. 9<br />

2. La versione positiva della tesi del <strong>Sonderweg</strong> ............................. 15<br />

3. La versione negativa della tesi del <strong>Sonderweg</strong> ............................ 19<br />

4. <strong>Il</strong> <strong>Sonderweg</strong> luterano ................................................................ 24<br />

5. <strong>Il</strong> <strong>Sonderweg</strong> prussiano .............................................................. 29<br />

6. <strong>Il</strong> <strong>Sonderweg</strong> bismarckiano ........................................................ 33<br />

7. Una nazione normale? .............................................................. 42<br />

8. <strong>Il</strong> modello federale ..................................................................... 49<br />

7


DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI – UNIVERSITÀ DI TORINO<br />

8


MARZIA PONSO – IL SONDERWEG TEDESCO: NAZIONALISMO E FEDERALISMO<br />

<strong>Il</strong> <strong>Il</strong> <strong>Sonderweg</strong> <strong>Sonderweg</strong> <strong>tedesco</strong>: <strong>tedesco</strong>: <strong>tedesco</strong>: <strong>nazionalismo</strong> <strong>nazionalismo</strong> o o <strong>federalismo</strong>?<br />

<strong>federalismo</strong>?<br />

1. 1. Vie Vie normali normali e e vie vie eccezionali: eccezionali: il il problema problema della della storia storia comparata compar<br />

ata<br />

Storiografia e scienze sociali hanno sviluppato nella seconda metà del XX<br />

secolo un programma di ricerca comune incontrandosi sul terreno della<br />

comparazione. Del metodo comparativo l’una e le altre si sono avvalse, da<br />

un lato, per superare i limiti della storia evenemenziale a carattere<br />

prevalentemente politico, dall’altro per porre rimedio all’astrattezza delle<br />

generalizzazioni di una sociologia di scuola struttural-funzionalista. Pur nella<br />

condivisione di alcuni presupposti di fondo e nel convergere di molte<br />

acquisizioni, storia comparata e sociopolitologia storica si sono sviluppate<br />

entro contesti culturali, tradizioni nazionali e quadri interdisciplinari piuttosto<br />

differenti, per cui risulta indubbiamente arduo proporre un profilo unitario del<br />

loro sviluppo 2 . Scopo di questa ricerca è pertanto, più limitatamente,<br />

contribuire alla ricostruzione del dibattito metodologico su un problema,<br />

quello del <strong>Sonderweg</strong> <strong>tedesco</strong>, che ha condizionato in modo significativo la<br />

riflessione su uno dei nuclei teorici della storia sociale e della sociologia<br />

storica, la teoria della modernizzazione.<br />

La storia comparata ha radici lontane. Ma è all’indomani della seconda<br />

guerra mondiale, sollecitata dalla riflessione sulle esperienze totalitarie ed<br />

autoritarie delle società sottoposte alla maggiore spinta modernizzatrice – la<br />

Germania, la Russia, la Cina, il Giappone – che essa ha elaborato, davanti<br />

all’evidente confutazione dell’irresistibilità e dell’irreversibilità del progresso<br />

nelle istituzioni politiche, il costrutto del <strong>Sonderweg</strong>, riconoscendo che le<br />

2 Affrontano la questione M. Kossok, Vergleichende Geschichte der neuzeitlichen Revolutionen.<br />

Methodologische und empirische Forschungsprobleme, Akademie, Berlin 1981; C.<br />

Tilly, Big Structures, Large Processes, Huge Comparisons, Russell Sage Foundation, New<br />

York 1985; H. Schnabel-Schüle (a cura di), Vergleichende Perspektiven - Perspektiven des<br />

Vergleichs. Studien zur europäischen Geschichte von der Spätantike bis ins 20. Jahrhundert,<br />

von Zabern, Mainz 1998; J. Osterhammel, Gesellschaftsgeschichte und Historische<br />

Soziologie, in J. Osterhammel / D. Langewiesche / P. Nolte (a cura di), Wege der<br />

Gesellschaftsgeschichte, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 2006, pp. 81-102. In lingua<br />

italiana: P. Rossi (a cura di), La storia comparata: approcci e prospettive, <strong>Il</strong> Saggiatore,<br />

Milano 1990.<br />

9


DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI – UNIVERSITÀ DI TORINO<br />

differenze nei percorsi di modernizzazione delle società europee rimandano<br />

innanzitutto ad un paradigma unitario, all’interno del quale molte variabili<br />

incidono sui processi di burocratizzazione, industrializzazione e<br />

democratizzazione. Nella contingente combinazione di questi fattori è<br />

possibile identificare peculiarità dei diversi percorsi nazionali 3 .<br />

In generale, ogni discorso intorno alla problematica del <strong>Sonderweg</strong><br />

implica due assunti: che vi siano vie normali e che si diano comparazioni.<br />

Non è difficile rendersi conto che questi assunti sono insieme presupposto e<br />

portato della storia sociale e della sociologia storica: solo dove l’interesse per<br />

la comparazione diventa centrale nella ricerca storica si può sviluppare la tesi<br />

del <strong>Sonderweg</strong>. Ma è bene tener conto anche della specifica dialettica che<br />

attiene alla comparazione: essa prende le mosse dall’ipotesi che vi siano casi<br />

paradigmatici, contribuisce alla loro costruzione in termini di «tipo ideale»,<br />

mette alla prova tali costrutti per poi approdare alla conclusione che non vi<br />

sono vie o modelli normali, bensì solo eccezioni e vie particolari 4 .<br />

Non una ma due sono, notoriamente, le vie europee alla modernità che la<br />

storiografia ha assunto come normali: quella inglese e quella francese.<br />

L’Inghilterra è paradigma di assolutismo monarchico e di precoce formazione<br />

delle istituzioni statali, ma anche culla del costituzionalismo e del<br />

3 Barrington Moore, nel suo lavoro di storia sociale comparata Social Origins of Dictatorship<br />

and Democracy ha distinto nel processo di modernizzazione mondiale tre modelli di<br />

“rivoluzione”: la rivoluzione borghese (avvenuta in Francia, in Inghilterra e negli Stati Uniti)<br />

ha imboccato la strada del capitalismo e della democrazia; la rivoluzione contadina ha dato<br />

origine ai regimi comunisti sovietico e cinese; la «rivoluzione dall’alto», attuata in Germania<br />

e in Giappone, ha tratti tipicamente autoritari e sfocia nel fascismo (B. Moore, Social<br />

Origins of Dictatorship and Democracy. Lord and Peasant in the Making of the Modern<br />

World, Lane, London 1966; trad. it. Le origini sociali della dittatura e della democrazia:<br />

proprietari e contadini nella formazione del mondo moderno, Edizioni di Comunità, Torino<br />

1998, p. 465 e segg).<br />

4 Cfr. B. Weisbrod, Der englische „<strong>Sonderweg</strong>“, in “Geschichte und Gesellschaft”, n. 16<br />

(1990), pp. 233-252; L. Mees, Der spanische <strong>Sonderweg</strong>, in “Archiv für Sozialgeschichte”,<br />

n. 40 (2000), pp. 29-66. Oggi il termine appare piuttosto inflazionato, giacché si è parlato<br />

di «via peculiare» a proposito della Romania (R. Wagner, <strong>Sonderweg</strong> Rumänien: Bericht aus<br />

einem Entwicklungsland, Rotbuch Verlag, Berlin 1991), della Russia (L. Luks, Der russische<br />

„<strong>Sonderweg</strong>“? Aufsätze zur neuesten Geschichte Russlands im europäischen Kontext, Ibidem,<br />

Stuttgart 2005) e non è mancata una «via peculiare italiana», come i tedeschi hanno<br />

riformulato il titolo del volume di P. Ginsborg, Silvio Berlusconi: Television, Power and<br />

Patrimony, Verso, London 2003 (trad. it. Berlusconi: ambizioni patrimoniali in una<br />

democrazia mediatica, Einaudi, Torino 2003) e come attesta la raccolta di saggi a cura di J.<br />

Schmid, Italien - <strong>Sonderweg</strong> oder Modell?, Friedrich, Seelze 2003.<br />

10


MARZIA PONSO – IL SONDERWEG TEDESCO: NAZIONALISMO E FEDERALISMO<br />

parlamentarismo, attraverso il quale, con la legittimazione dell’opposizione<br />

politica, vengono poste le basi per la realizzazione della prima moderna<br />

democrazia parlamentare; ed è infine, e soprattutto, il paese della rivoluzione<br />

industriale. In opposizione a questo sviluppo, la Germania apparirà il paese<br />

della tardiva unificazione politica, della parlamentarizzazione bloccata e dell’industrializzazione<br />

a tappe forzate. L’Inghilterra, prototipo di una costruzione<br />

statale che precede l’unificazione nazionale, diventa, a partire dalla<br />

rivoluzione del 1688, un modello di stabilità del sistema istituzionale,<br />

contrassegnato dalla legittimazione dell’opposizione parlamentare e<br />

contenuta radicalizzazione sociale, caratteri che assai meno riscontrabili<br />

nell’altro caso esemplare della storia costituzionale europea, la Francia postrivoluzionaria<br />

5 .<br />

Per ragioni parzialmente diverse, la Francia è spesso assunta a modello di<br />

State-building e Nation-building europei. Proprio il riferimento alla sua storia è<br />

servito a delineare tante ricostruzioni dicotomiche della vicenda istituzionale<br />

dell’Europa continentale: da un lato la Francia, patria dello Stato sovrano<br />

centralizzato, della Rivoluzione, della Repubblica democratica, delle<br />

codificazioni dei diritti civili e politici, dall’altro la Germania, paese del<br />

policentrismo cetuale, del <strong>federalismo</strong>, della Riforma, del principio<br />

monarchico, del potere autocratico della burocrazia e dell’esercito, in una<br />

parola: dell’autoritarismo politico 6 . Ad ogni buon conto, la differenza rispetto<br />

5 D. Elazar, Idee e forme del <strong>federalismo</strong>, Edizioni di Comunità, Milano 1995, p. 33: «Gli<br />

stati nazionali moderni sono di due tipi: quelli che danno identità politica a nazioni<br />

preesistenti e quelli che hanno sviluppato un senso di identità nazionale in concomitanza<br />

con l’acquisizione dell’identità politica, il che rende necessario che gli abitanti del territorio<br />

dello stato acquisiscano una cittadinanza comune come individui. La Germania è un buon<br />

esempio del primo caso. I tedeschi sentivano di essere una nazione prima di avere un unico<br />

Stato <strong>tedesco</strong> (così come lo sentivano nel periodo della divisione tra Est e Ovest); essi si<br />

sono sforzati di raggiungere l’unità politica in modo da poter esprimere meglio i propri<br />

legami nazionali. La Gran Bretagna, invece, ha raggiunto l’unificazione politica come stato<br />

ben prima che la sua popolazione sviluppasse una identità britannica comune; i suoi<br />

governanti hanno usato il legame politico comune per alimentare questo sentimento». Cfr.<br />

H. Berghoff / D. Ziegler (a cura di), Pionier und Nachzügler? Vergleichende Studien zur<br />

Geschichte Großbritanniens und Deutschlands im Zeitalter der Industrialisierung,<br />

Brockmeyer, Bochum 1995.<br />

6 Per un ampio quadro comparativo, diacronico e sincronico, C. Tilly, European Revolutions<br />

1492 – 1992, Blackwell, Oxford 1993 (trad. it. Le rivoluzioni europee 1492-1992, Laterza,<br />

Roma / Bari 1993); Id., Contention and Democracy in Europe, 1650-2000, Cambridge<br />

11


DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI – UNIVERSITÀ DI TORINO<br />

alle nazioni-modello occidentali, Francia e Inghilterra, consiste nel fatto che<br />

fino alla seconda metà del XIX secolo l’idea di «nazione tedesca» non si sia<br />

concretizzata in una forza politica capace di vincere la concorrenza per il<br />

dominio e fare della nazione uno Stato unitario.<br />

Spesso il <strong>Sonderweg</strong> <strong>tedesco</strong> è stato contrapposto sommariamente al<br />

modello occidentale, comprensivo di Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti: qui,<br />

come ha osservato Lutz Niethammer, la comparazione appare però<br />

asimmetrica, perché da un lato si opera con un caso concreto, dall’altra con<br />

un tipo ideale 7 . Anche in questo caso, a sostegno della tesi della peculiarità<br />

della Germania rispetto all’insieme delle «democrazie occidentali», si afferma<br />

che in Francia, Inghilterra e Stati Uniti la cultura politica a difesa dei diritti<br />

individuali si è fondata su una tradizione storica dominante, mentre in<br />

Germania, pur non essendo del tutto assente, sino al 1945 è risultata<br />

soccombente rispetto all’autoritarismo politico 8 . In questa specifica accezione,<br />

la tesi del <strong>Sonderweg</strong> serve a concettualizzare il disagio nei confronti di una<br />

dissociazione interna all’Occidente. Tuttavia, più che di <strong>Sonderweg</strong>e si<br />

dovrebbe parlare di percorsi evolutivi distinti, benché dotati dal punto di vista<br />

tipologico e analitico della stessa legittimità; e più che insistere sulla<br />

particolarità dei <strong>Sonderweg</strong>e si dovrebbe riconoscere il carattere eccezionale<br />

della pretesa via normale britannica 9 .<br />

University Press, Cambridge 2004 (trad. it. Conflitto e democrazia in Europa, 1650-2000,<br />

Mondadori, Milano 2007).<br />

7 L. Niethammer, Geht der deutscher <strong>Sonderweg</strong> weiter?, in Id., Deutschland danach.<br />

Postfaschistische Gesellschaft und nationales Gedächtnis, Dietz, Bonn 1999, pp. 201-224.<br />

8 Cfr. H. A. Winkler, Der lange Weg nach Westen, 2 voll., Beck, München 2000 (trad. it.<br />

Grande storia della Germania: un lungo cammino verso Occidente, 2 voll., Donzelli, Roma<br />

2004).<br />

9 H.-J. Puhle, Das atlantische Syndrom. Europa, Amerika und der „Westen“, in J.<br />

Osterhammel / D. Langewiesche / P. Nolte (a cura di), Wege der Gesellschaftsgeschichte<br />

cit., p. 184. Anche un tipico esponente della tesi del <strong>Sonderweg</strong> come H.-U. Wehler,<br />

Deutsches Bildungsbürgertum in vergleichender Perspektive – Elemente eines<br />

„<strong>Sonderweg</strong>s“?, in J. Kocka (a cura di), Bildungsbürgertum im 19. Jahrhundert, Klett-Cotta,<br />

Stuttgart 1989, vol. IV, p. 235, ha dovuto convenire: «La via inglese e americana nel mondo<br />

moderno non rappresenta il “caso normale” – inteso come “normativo” –, rispetto al quale<br />

la modernizzazione tedesca, in un qualche momento, è deviata. Piuttosto, è proprio la<br />

particolarissima “via peculiare” inglese ad essere un caso unico da lungo tempo non ancora<br />

chiarito in modo sufficiente».<br />

12


MARZIA PONSO – IL SONDERWEG TEDESCO: NAZIONALISMO E FEDERALISMO<br />

Per il suo approdo al totalitarismo nazista, il caso <strong>tedesco</strong> è tuttavia<br />

apparso come l’eclatante anomalia nel corso della civilizzazione occidentale.<br />

La ricerca delle ragioni di quella frattura traumatica del processo di<br />

civilizzazione ha condotto la storiografia a interrogarsi ripetutamente, e in una<br />

certa stagione ossessivamente, sulle peculiarità di tale sviluppo. Si è giunti<br />

così alla conclusione che la via tedesca alla società capitalistica e allo Stato<br />

moderno diverge da quella assunta come «Normalweg» ― il cammino che<br />

conduce alla società di mercato e alla democrazia rappresentativa ― e, in<br />

considerazione del suo esito totalitario, è apparsa non soltanto un<br />

«<strong>Sonderweg</strong>», una via particolare, ma anche un «Irrweg», una via che conduce<br />

all’errore, una «Fehlentwicklung», uno sviluppo deviato 10 .<br />

E’ noto che tale tesi ha rivestito un ruolo centrale nella definizione del<br />

programma di ricerca di quell’indirizzo storiografico che nella Repubblica<br />

Federale di Germania del secondo dopoguerra ha trovato in Hans-Ulrich<br />

Wehler il suo mentore più autorevole 11 , ma che nella storiografia tedesca si<br />

rifaceva ad una tradizione risalente a Weimar (tra i suoi esponenti Hans<br />

Rosenberg, Dietrich Gerhard, Eckart Kehr), che sarebbe proseguita con<br />

Werner Conze, Theodor Schieder, Gerhard A. Ritter e in particolare con<br />

Jürgen Kocka e la cosiddetta “scuola di Bielefeld”. Gli assunti centrali di<br />

questa teoria della modernizzazione deviata, che ha avuto larga fortuna<br />

anche all’estero, riguardano l’assenza o il fallimento di una rivoluzione<br />

borghese; il ritardo nella formazione dello Stato nazionale; la potenza sociopolitica<br />

della burocrazia; la debolezza delle istituzioni parlamentari; lo<br />

strapotere dell’apparato militare; il carattere antipluralistico e illiberale della<br />

cultura politica. Alla luce di questi assunti la Germania si contraddistingue per<br />

10 B. Faulenbach, Ideologie des deutschen Weges. Die deutsche Geschichte in der<br />

Historiographie zwischen Kaiserreich und Nationalsozialismus, Beck, München 1980; Id.,<br />

„Deutscher <strong>Sonderweg</strong>“. Zur Geschichte und Problematik einer zentralen Kategorie des<br />

deutschen geschichtlichen Bewusstseins, in “Aus Politik und Zeitgeschichte”, B 33/81 (1981),<br />

pp. 3-21; H. Grebing, Der «deutsche <strong>Sonderweg</strong>» in Europa 1806-1945. Eine Kritik,<br />

Kohlhammer, Stuttgart 1986.<br />

11 L’opera di riferimento è H.-U. Wehler, Deutsche Gesellschaftsgeschichte, 5 voll., Beck,<br />

München 1987-2008.<br />

13


DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI – UNIVERSITÀ DI TORINO<br />

essere divenuta troppo tardi una nazione e uno Stato nazionale, troppo tardi<br />

una società industriale moderna, troppo tardi una democrazia 12 .<br />

Più che per il suo valore euristico, la teoria del <strong>Sonderweg</strong> va del resto<br />

valutata in virtù della sua funzione di auto- ed eterorappresentazione politica<br />

della nazione tedesca. Vi è così chi ha preferito l’uso del concetto<br />

Sonderbewußtsein a quello di <strong>Sonderweg</strong>, proprio per indicare che dietro il<br />

mito di un’oggettiva peculiarità tedesca vi è la realtà di una coscienza<br />

collettiva segnata dall’idea della propria diversità 13 . Alla fine degli anni<br />

Sessanta, ad esempio, il ricorso al concetto di <strong>Sonderweg</strong> è servito a<br />

denunciare la presunta involuzione autoritaria della Bundesrepublik. La<br />

controversa questione delle motivazioni e delle implicazioni politiche<br />

soggiacenti all’interpretazione storica ha poi toccato il culmine nel corso del<br />

cosiddetto Historikerstreit. Le ragioni per le quali negli anni Ottanta si<br />

riaccendeva e divampava un vecchio dibattito risiedevano inequivocabilmente<br />

nel rapporto che si voleva instaurare con il presente. Una parte degli storici<br />

tedeschi intendeva emanciparsi da quella che ormai era divenuta<br />

un’ossessione della storiografia dalla fine del secondo conflitto mondiale;<br />

dopo più di trent’anni, era giunto il momento di tornare alle tradizioni dello<br />

storicismo <strong>tedesco</strong> e domandare non più come si fosse giunti al dominio<br />

nazista, ma cosa fosse effettivamente accaduto. Un’altra parte, per contro,<br />

teneva ferma la tesi della «via peculiare» al fine di mantenere un<br />

atteggiamento critico nei confronti della Bundesrepublik e della domanda di<br />

normalizzazione nazionale.<br />

12 Cfr. R. Dahrendorf, Demokratie und Sozialstruktur in Deutschland, in Id., Gesellschaft und<br />

Freiheit, Piper, München 1961, pp. 260-299; M. R. Lepsius, Demokratie in Deutschland als<br />

historisch-soziologisches Problem, in T. W. Adorno (a cura di), Spätkapitalismus oder<br />

Industriegesellschaft, Enke, Stuttgart 1968, pp. 197-213; J. Kocka, Sozialgeschichte in<br />

Deutschland seit 1945. Aufstieg – Krise – Perspektive, Bonn 2002; T. Welskopp,<br />

Westbindung auf dem „<strong>Sonderweg</strong>“. Die deutsche Sozialgeschichte vom Appendix der<br />

Wirtschaftsgeschichte zur Historischen Sozialwissenschaft, in W. Küttler (a cura di),<br />

Geschichtsdiskurs, vol. V: Globale Konflikte, Erinnerungsarbeit und Neuorientierungen seit<br />

1945, Fischer, Frankfurt a. M. 1999, pp. 191-237.<br />

13 Cfr. l’intervento di Karl Dietrich Bracher all’incontro seminariale tenutosi presso l’Insitut für<br />

Zeitgeschichte di Monaco e riportato in Deutscher <strong>Sonderweg</strong> — Mythos oder Realität?,<br />

Oldenbourg, München 1982, pp. 47-53.<br />

14


MARZIA PONSO – IL SONDERWEG TEDESCO: NAZIONALISMO E FEDERALISMO<br />

2. 2. 2. La La La versione versione versione positiva positiva positiva della della tesi tesi tesi del del del <strong>Sonderweg</strong> <strong>Sonderweg</strong><br />

<strong>Sonderweg</strong><br />

In virtù della sua caratterizzazione teleologica, la versione positiva della<br />

tesi del <strong>Sonderweg</strong> ha conosciuto particolare fortuna entro la storia delle idee<br />

e delle ideologie. In quest’ambito può essere utile distinguerne analiticamente<br />

tre dimensioni. La prima individua nel nesso tra Riforma luterana e modernità<br />

la fondamentale cesura della storia sociale e culturale tedesca. La seconda<br />

riconosce invece la grande svolta nazionale nelle guerre di liberazione<br />

antifrancesi, quindi nella stagione dell’Idealismo e nel processo di<br />

autonomizzazione e differenziazione della cultura tedesca dal ceppo<br />

dell’<strong>Il</strong>luminismo europeo. La terza individua nella superiore capacità di<br />

organizzazione socio-politica e di razionalizzazione istituzionale che si<br />

dispiega nel corso dell’Ottocento, soprattutto con la fondazione del Secondo<br />

Reich, la ragione del primato della nazione tedesca in Europa.<br />

Ad inaugurare una nuova epoca, attribuendo pertanto alla Germania<br />

protestante un ruolo centrale nel processo di modernizzazione, è Lutero. La<br />

razionalizzazione, formale e materiale, della società imbocca, in virtù della<br />

Riforma, una via che non implica il ricorso alla violenza rivoluzionaria. Risale<br />

in effetti alla prima modernità il primato della Germania nel processo di<br />

razionalizzazione, che riguarda l’ambito religioso (il Protestantesimo<br />

contrapposto alla “superstizione” cattolica), quello economico (l’apporto della<br />

religione riformata alla razionalizzazione dell’agire economico), quello<br />

politico-amministrativo (con lo sviluppo dell’amministrazione burocratica<br />

poggiante sulla differenziazione istituzionale) e quello scientifico (un tratto<br />

specifico dell’Occidente medievale, l’istituzionalizzazione della scienza nella<br />

forma specifica dell’Università tocca in Germania nel XIX secolo il suo<br />

massimo sviluppo). In particolare, la Germania è il paese della<br />

massimizzazione della razionalità dell’agire amministrativo «tramite la<br />

giuridificazione di norme di comportamento e la verifica delle modalità di<br />

comportamento in base all’adeguamento formale delle norme al diritto<br />

vigente» 14 . E’ nella rottura del Protestantesimo che affondano del resto le loro<br />

14 Così, riprendendo la diagnosi weberiana, M. R. Lepsius, Modernisierungspolitik als<br />

institutionelle Differenzierung, in W. Zapf (a cura di), Probleme der Modernisierungspolitik,<br />

Hain, Meisenheim am Glan 1977, pp. 17-28; trad. it. La politica di modernizzazione come<br />

15


DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI – UNIVERSITÀ DI TORINO<br />

radici quelle dicotomie di comunità e società, cultura e civilizzazione,<br />

interiorità ed esteriorità, spirito e politica, che avrebbero profondamente<br />

segnato le Weltanschauungen della nazione tedesca.<br />

<strong>Il</strong> teorema del <strong>Sonderweg</strong> ha poi le sue origini nella storiografia e nella<br />

filosofia del XIX secolo, a partire dalle guerre di liberazione antinapoleoniche,<br />

quando la coscienza nazionale tedesca assume una compatta configurazione,<br />

definendosi in contrapposizione al modello culturale e politico della Francia<br />

postrivoluzionaria. Sulla contrapposizione al modello francese Meinecke<br />

avrebbe fondato la sua ricostruzione dello sviluppo della Kulturnation<br />

tedesca 15 . Nel caso <strong>tedesco</strong> la Kulturnation non è prodotto del Nation-Staat<br />

ma, al contrario, ciò che lo produce. <strong>Il</strong> <strong>Sonderweg</strong> <strong>tedesco</strong> si manifesta nella<br />

genesi dello Stato nazionale non da una storia ed una costituzione comuni,<br />

ma sulla base di un comune patrimonio culturale. E’ opportuno sottolineare<br />

che Meinecke illustra una fondazione “impolitica” della nazione, che, più che<br />

fare riferimento a idioma, religione, costumi ed usi (elementi etnico-culturali),<br />

si basa su progetti e visioni elaborati in circoli letterari o scientifici,<br />

anticipando così una tesi della più recente ricerca sul <strong>nazionalismo</strong>: non tanto<br />

criteri oggettivi come lingua, territorio e provenienza etnica, ma l’«invenzione<br />

di tradizione» da parte delle élites intellettuali costituiscono l’origine delle<br />

nazioni moderne. Si genera qui il topos della nazione di «poeti e pensatori», in<br />

cui la distanza dalla politica ha poco a che fare con il carattere e molto con<br />

la storia tedesca. Allargandosi la forbice tra ristagno politico e vitalità<br />

intellettuale, la cultura sarebbe diventata in Germania, eminentemente, il<br />

«luogo di compensazione per la mancata partecipazione politica» 16 .<br />

All’affermazione del primato della cultura si accompagna l’idealizzazione<br />

della burocrazia come elemento impolitico, sottratto alle bassezze delle fazioni<br />

e del particolarismo. Poiché l’apparato amministrativo si era rivelato la<br />

formazione di istituzioni, in Id., <strong>Il</strong> significato delle istituzioni, il Mulino, Bologna 2006, pp.<br />

59-71, qui p. 63.<br />

15 La contrapposizione, tutt’oggi corrente, tra Kulturnation e Staatsnation risale all’opera di<br />

Friedrich Meinecke Weltbürgertum und Nationalstaat. Studien zur Genesis des deutschen<br />

Nationalstaates (1908), in Id., Werke, vol. V, Oldenbourg, München 1962 (trad. it.<br />

Cosmopolitismo e stato nazionale. Studi sulla genesi dello stato nazionale <strong>tedesco</strong>, La Nuova<br />

Italia, Perugia / Venezia 1930). Cfr. G. Schmidt, Friedrich Meineckes Kulturnation. Zum<br />

historischen Kontext nationaler Ideen in Weimar-Jena um 1800, in “Historische Zeitschrift”,<br />

284 (2007), pp. 597-621.<br />

16 W. Lepenies, Kultur und Politik. Deutsche Geschichten, Hanser, München 2006, p. 46.<br />

16


MARZIA PONSO – IL SONDERWEG TEDESCO: NAZIONALISMO E FEDERALISMO<br />

grande risorsa dello Stato prussiano, la teoria moderna dello Stato<br />

burocratico razionale, da Hegel a Hintze e Weber, ha sempre rivolto<br />

particolare attenzione all’evoluzione dell’amministrazione. Della sintesi di<br />

statalismo, idea nazionale ed etica luterana la filosofia politica hegeliana offre<br />

la più alta espressione. Nei Lineamenti di filosofia del diritto (1821), Hegel<br />

teorizza uno Stato compiutamente razionale nella forma della monarchia<br />

costituzionale e centrato sulla burocrazia, cui si deve accedere per merito. Al<br />

ceto dei funzionari, quale «classe universale» capace di ricondurre gli interessi<br />

particolari della società all’interesse generale dello Stato, spetta non soltanto<br />

il potere governativo, ma anche quello giudiziario e di polizia 17 . Da Hegel a<br />

Treitschke, la convinzione della superiorità del modello della monarchia<br />

costituzionale ha dominato l’Ottocento <strong>tedesco</strong>. Anche un critico<br />

dell’autoritarismo bismarckiano e della monarchia guglielmina come Max<br />

Weber avrebbe fino alla fine affermato la superiorità dell’amministrazione<br />

burocratica rispetto al dilettantismo delle democrazie.<br />

Contro la corruzione parlamentare, contro gli eccessi giacobini, contro la<br />

democrazia dei partiti il modello <strong>tedesco</strong> viene configurandosi come<br />

laboratorio di mediazione dei conflitti sociali centrato sulla statualità. Questa<br />

<strong>Sonderweg</strong>sthese è d’impronta conservatrice, anzi si può dire che faccia<br />

tutt’uno con l’interpretazione conservatrice della storia tedesca e la sua<br />

polemica con il liberalismo anglosassone e la democrazia plebea dei paesi<br />

latini: fra i suoi capisaldi la teoria di uno Stato forte come Stato etico, la<br />

fondazione del Reich “dall’alto”, la subordinazione del Parlamento, la<br />

marginalizzazione dei partiti. Ma anche per gli storici nazional-liberali<br />

«<strong>Sonderweg</strong>» significava la via “alternativa”, ma feconda, percorsa dai<br />

tedeschi verso la modernità: lo sviluppo successivo alla rivoluzione del 1848<br />

17 <strong>Il</strong> pluralismo delle associazioni politiche è considerato da Hegel mero particolarismo a<br />

fronte della legittima funzione unificatrice dello Stato, la sola in grado di garantire<br />

l’integrazione della nazione. «<strong>Il</strong> mantener fermo l’interesse universale dello Stato e della<br />

legalità nei diritti particolari e la riconduzione dei medesimi a quell’interesse universale<br />

richiede una cura da parte di delegati del potere governativo, gli impiegati esecutivi dello<br />

Stato e le superiori autorità deliberanti, in quanto costituite collegialmente, che convergono<br />

nei culmini supremi aventi contatto con il monarca» (G. W. F. Hegel, Grundlinien der<br />

Philosophie des Rechts oder Naturrecht und Staatswissenschaft im Grundrisse (1821), in Id.,<br />

Werke in zwanzig Bände, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1970, vol. VII; trad. it. Lineamenti di<br />

filosofia del diritto. Diritto naturale e scienza dello Stato in compendio, Laterza, Roma / Bari<br />

2000, § 289, p. 233).<br />

17


DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI – UNIVERSITÀ DI TORINO<br />

era inteso come un processo finalizzato alla realizzazione del modello<br />

monarchico-costituzionale ideato da Bismarck, ritenuto migliore del<br />

parlamentarismo inglese; l’ethos prussiano del servizio veniva contrapposto<br />

all’eudemonismo occidentale; anche sul versante economico si riteneva che<br />

la Germania avesse imboccato una strada più proficua dell’Inghilterra,<br />

mettendo il paese al riparo dalle patologie sociali che avevano<br />

accompagnato la prima rivoluzione industriale; la precoce istituzione di uno<br />

Stato sociale scongiurava i rischi del laisser-faire e della plutocrazia di altri<br />

paesi occidentali.<br />

Dopo la fondazione del Secondo Reich, la storiografia elaborò una<br />

teleologia della storia tedesca per la quale i secoli XVIII e XIX rappresentavano<br />

un processo finalizzato alla costruzione del 1871. Soprattutto nell’epoca<br />

guglielmina, in risposta alle tensioni socio-politiche, ciò si accompagnò<br />

all’ideologizzazione della struttura del Reich: il sistema monarchicocostituzionale<br />

venne consacrato come modello costituzionale tipicamente<br />

<strong>tedesco</strong>, superiore al parlamentarismo occidentale inficiato dal particolarismo<br />

egoistico dei partiti. Al tempo stesso si diede una chiara definizione della<br />

cultura tedesca, incentrata sull’esaltazione dell’Idealismo, del Romanticismo e<br />

dello Storicismo. Anche Thomas Mann, il cui giudizio sul passato sarebbe<br />

mutato radicalmente a seguito della tragica esperienza del regime<br />

nazionalsocialista, s’inserisce nella tradizione della Selbstdeutung tedesca,<br />

ossia dell’interpretazione di sé come autorappresentazione nazionale.<br />

Un’idealizzazione del <strong>Sonderweg</strong> <strong>tedesco</strong> in chiave positiva sono le<br />

Considerazioni di un impolitico, che egli scrisse e pubblicò nel corso della<br />

prima guerra mondiale, sostenendo in nome del Kulturpatriotismus la<br />

superiorità dello spirito <strong>tedesco</strong> sullo spirito politico delle democrazie<br />

occidentali 18 . La peculiarità ideologica va inquadrata nell’ambito della<br />

contrapposizione tra Kultur tedesca e Zivilisation occidentale, che troverà,<br />

come è noto, in Spengler la sua codificazione definitiva 19 .<br />

18<br />

T. Mann, Betrachtungen eines Unpolitischen, Fischer, Berlin 1918 (trad. it. Adelphi,<br />

Milano 1997).<br />

19<br />

Sulla contrapposizione Kultur-Zivilisation nella Germania prima e durante la prima guerra<br />

mondiale, B. Beβlich, Wege in den “Kulturkrieg”. Zivilisationskritik in Deutschland 1890-<br />

1914, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 2000.<br />

18


MARZIA PONSO – IL SONDERWEG TEDESCO: NAZIONALISMO E FEDERALISMO<br />

La tesi di un <strong>Sonderweg</strong> positivo persistette anche dopo la «catastrofe<br />

nazionale». Lo storico Rudolf Stadelmann respinse il giudizio espresso dalle<br />

altre nazioni nei confronti della Germania come «il popolo senza rivoluzione»,<br />

individuando la ragione dell’immunità tedesca ai sommovimenti rivoluzionari<br />

non nell’arretratezza politica, bensì, al contrario, nel vantaggio storico<br />

costituito dall’Assolutismo illuminato dei principati tedeschi. Ad essi si doveva<br />

il «più onorevole e irremovibile contributo alla storia costituzionale moderna,<br />

ma al tempo stesso, il marchio incancellabile che escluse i tedeschi dalla<br />

condivisione degli ideali dell’Europa occidentale. Detto in forma paradossale:<br />

non la reazione tedesca, bensì il progresso <strong>tedesco</strong> ha respinto la Germania<br />

dall’Occidente» 20 . Gran parte della storiografia costituzionale dell’ultimo<br />

cinquantennio avrebbe in fondo preso le mosse di qui per ricostruire l’apporto<br />

della storia e della dottrina tedesche alla costruzione dello Stato di diritto<br />

europeo 21 .<br />

3. 3. La La versione versione negativa negativa della della tesi tesi del del <strong>Sonderweg</strong><br />

<strong>Sonderweg</strong><br />

Anche per la definizione della tesi del <strong>Sonderweg</strong> nella sua accezione<br />

negativa si può risalire molto indietro nel tempo, forse alla definizione<br />

pufendorfiana del Reich come «mostro» giuridico. Ma un’elaborazione<br />

sociologicamente articolata della tesi – il nucleo del teorema della storia<br />

sociale della seconda metà del XX secolo – la si ritrova nella sinistra hegeliana<br />

e in particolare negli scritti di Marx ed Engels. Dall’Ideologia tedesca in avanti<br />

ricorre nei loro scritti una diagnosi dei rapporti sociali tedeschi che insiste sui<br />

tratti dell’arretratezza feudale, del filisteismo borghese e dell’idealizzazione del<br />

dominio burocratico (anche se negli anni Cinquanta ad essa si affiancherà,<br />

relativizzandola, l’analisi del bonapartismo non tanto come <strong>Sonderweg</strong><br />

francese, ma come tentativo di ricondurre ad uno schema unitario di<br />

20 R. Stadelmann, Deutschland und Westeuropa, Steiner, Schloß Laupheim 1948, p. 28.<br />

21 W. Reinhard, Geschichte der Staatsgewalt, Beck, München 1999 (trad. it. Storia del potere<br />

politico in Europa, il Mulino, Bologna 2001); H. Fenske, Der moderne Verfassungsstaat. Eine<br />

vergleichende Geschichte von der Entstehung bis zum 20. Jahrhundert, Schöningh,<br />

Paderborn 2001.<br />

19


DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI – UNIVERSITÀ DI TORINO<br />

spiegazione le modalità di evoluzione politica delle società capitalistiche<br />

divergenti dal modello inglese).<br />

Nell’esame della rivoluzione fallita del 1848, Marx ed Engels<br />

richiamarono l’attenzione sul fatto che la classe mercantile e industriale<br />

tedesca era troppo debole per governare in prima persona e pertanto era<br />

rimasta subordinata all’aristocrazia terriera e alla burocrazia regia, in cambio<br />

del diritto di fare denaro. Osservando che la Germania aveva condiviso le<br />

«doglie» dello sviluppo capitalistico europeo senza tuttavia goderne i frutti, il<br />

giovane Marx profetizzò che il suo paese si sarebbe un giorno trovato «al<br />

livello della decadenza europea senza essersi mai trovato al livello dell’emancipazione<br />

europea» 22 . Ed Engels, alla vigilia del ’48, osservava che «l’ordinamento<br />

attuale della Germania non è altro che un compromesso fra la<br />

nobiltà e i piccoli borghesi, il quale finisce per lasciare l’amministrazione nelle<br />

mani di una terza classe: la burocrazia. […] La nobiltà, che rappresenta il<br />

settore più importante della produzione, si riserva i posti più alti, mentre la<br />

piccola borghesia si contenta di quelli più bassi, e solo di rado riesce a<br />

portare i suoi candidati negli alti ranghi dell’amministrazione». Ma gli interessi<br />

della piccola borghesia, che si sentiva tutelata da una burocrazia potente,<br />

erano in contraddizione con quelli della borghesia industriale, impedita nel<br />

suo decollo dalle vessazioni dello schiacciante apparato amministrativo 23 .<br />

La tesi dell’immaturità politica della borghesia tedesca sarebbe stata<br />

ripresa a fine secolo da Max Weber. Nella celebre prolusione Lo Stato<br />

nazionale e la politica economica tedesca, tenuta a Friburgo nella primavera<br />

del 1895, Weber osservava: «in ogni epoca è sempre stato il conseguimento<br />

della potenza economica ciò che ha fatto nascere in una classe l’idea della<br />

sua candidatura alla guida politica. E’ pericoloso e alla lunga inconciliabile<br />

con l’interesse della nazione il fatto che una classe economicamente<br />

declinante conservi il potere politico. Ma ancora più pericoloso è il caso in cui<br />

le classi verso le quali si sposta la potenza economica e con ciò l’aspirazione<br />

al potere politico, non siano ancora politicamente mature per guidare lo<br />

22 K. Marx, Zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie, in Id. / F. Engels, Werke, Dietz,<br />

Berlin 1988, vol. I, pp. 378-391; trad. it. Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico,<br />

Editori Riuniti, Roma 1983, p. 431.<br />

23 F. Engels, Der Status quo in Deutschland (1847), in MEW cit., vol. IV (1990), pp. 44-45;<br />

trad. it. parziale in I. Fetscher (a cura di), <strong>Il</strong> marxismo. Storia documentaria, Feltrinelli, Milano<br />

1970, pp. 39-41.<br />

20


MARZIA PONSO – IL SONDERWEG TEDESCO: NAZIONALISMO E FEDERALISMO<br />

Stato. Al momento, tutte e due le cose minacciano la Germania ed in verità è<br />

questa la chiave per comprendere i pericoli che attualmente corriamo in<br />

questa situazione» 24 . Max Weber criticava la cosiddetta «feudalizzazione» della<br />

borghesia tedesca, secondo cui ampi settori dell’alta borghesia accettavano il<br />

dominio aristocratico nella sfera politica e culturale, anziché avanzare una<br />

domanda di potere contro nobiltà e burocrazia.<br />

A partire da Weber la specificità della condizione tedesca è stata<br />

tematizzata in riferimento al Secondo Reich. Nel corso di pochi decenni il<br />

Secondo Reich divenne una potenza industriale dominante nel continente,<br />

mantenendo, però, un ordinamento sociale in larga misura preindustriale,<br />

egemonizzato dall’aristocrazia prussiana e da una borghesia con tratti ancora<br />

feudali, amministrato da una burocrazia paternalistica e ispirata da una<br />

morale pubblica autoritaria. Integrando la spiegazione marxiana con quella<br />

weberiana, Ralf Dahrendorf ha individuato le ragioni del fallimento <strong>tedesco</strong><br />

nella debolezza delle forze sociali progressiste, borghesia e classe operaia 25 .<br />

Questa tesi di un <strong>Sonderweg</strong> <strong>tedesco</strong> ha quindi una duplice implicazione: il<br />

carattere autoritario del processo di unificazione nazionale e l’incapacità, per<br />

così dire genetica, del “giovane” Stato nazionale di avviare con successo il<br />

processo di democratizzazione, il che lo distinguerebbe dal modello delle<br />

nazioni occidentali.<br />

Una variante di questa linea interpretativa ha tematizzato il rapporto tra<br />

Nation-building e State-building, ovvero l’asincronicità (Ungleichzeitigkeit) tra<br />

la nazione culturalmente intesa (il sentimento di comunanza condiviso dai suoi<br />

membri e radicato in esperienze storiche, nella lingua e nella letteratura, in<br />

tradizioni e usanze) e la costruzione di un’organizzazione politico-statale. <strong>Il</strong><br />

modello interpretativo che ha plasmato l’autorappresentazione dei tedeschi è<br />

qui quello proposto dal filosofo Helmuth Plessner, secondo il quale la<br />

24 M. Weber, Lo Stato nazionale e la politica economica tedesca, in Id., Scritti politici, Roma,<br />

Donzelli 1998, p. 22. Cfr. W. J. Mommsen, Max Weber und die deutsche Politik 1890-<br />

1920, Mohr, Tübingen 1959 (trad. it. Max Weber e la politica tedesca 1890-1920, il<br />

Mulino, Bologna 1993).<br />

25 R. Dahrendorf, Demokratie und Sozialstruktur in Deutschland cit., p. 269: «la borghesia<br />

classica aveva bisogno della democrazia per potenziare e garantire con l’egemonia politica<br />

la posizione economica ottenuta con le proprie forze. Essa si trovava in conflitto con<br />

l’aristocrazia feudale e il suo Stato paternalistico-autoritario. Ma la storia tedesca non<br />

conosce una tale borghesia classica».<br />

21


DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI – UNIVERSITÀ DI TORINO<br />

Germania è una «nazione in ritardo» rispetto agli Stati nazionali occidentali, in<br />

particolare Francia ed Inghilterra, e il cui distacco divenne impossibile da<br />

colmare a partire dalla guerra dei Trent’anni 26 . Tutti i tentativi successivi di<br />

modernizzazione, in particolare durante l’industrializzazione, non riuscirono<br />

mai a sviluppare quella cultura politica che si richiama ad uno Stato<br />

nazionale. <strong>Il</strong> ritardo storico dei tedeschi consisterebbe dunque nell’aver<br />

acquisito un’identità nazionale soltanto nel XIX secolo, mancando così di<br />

edificare lo Stato nazionale sulle fondamenta culturali dell’<strong>Il</strong>luminismo: «La<br />

differenza essenziale tra i tedeschi e i popoli del vecchio Occidente, che<br />

hanno trovato la base del proprio Stato nazionale nel XVI e XVII secolo e<br />

possono guardare (a differenza di noi) ad un’“epoca d’oro”, consiste in<br />

questo slittamento temporale, che ha impedito una connessione interna tra le<br />

forze dell’<strong>Il</strong>luminismo e la formazione dello Stato nazionale in Germania» 27 .<br />

Durante la prima guerra mondiale, quando già appare chiara la<br />

dimensione della sconfitta, prende forma sociologica, in particolare con l’impietosa<br />

diagnosi weberiana del Reich guglielmino, la tesi di una anomalia<br />

patologica della Germania. Questa consapevolezza della propria diversità<br />

acquista particolare rilevanza dopo il crollo dell’Impero nel novembre 1918.<br />

Nell’età weimariana l’idea di uno sviluppo culturale e politico non soltanto<br />

diverso, ma opposto a quello delle nazioni europee occidentali appartiene<br />

ormai all’autointerpretazione della cultura politica tedesca 28 . Negli ambienti<br />

conservatori, la sconfitta viene compensata dall’avversione nei confronti del<br />

sistema di norme e valori affermato dai vincitori e quindi anche della<br />

Repubblica di Weimar, la cui forma costituzionale viene percepita come la<br />

brutta copia dei sistemi politici occidentali. Con l’inasprimento della polemica<br />

contro l’ideologia democratica occidentale sorge una storiografia critica nei<br />

26<br />

<strong>Il</strong> saggio fu scritto nel 1933 per un ciclo di lezioni tenute a Groningen e fu pubblicato nel<br />

1935 con il titolo «Das Schicksal deuschen Geistes im Ausgang seiner bürgerlichen Epoche».<br />

Nella riedizione, attualizzata, del 1959, il filosofo definì la sua opera «un contributo alla<br />

storia culturale del <strong>nazionalismo</strong> <strong>tedesco</strong>» (H. Plessner, Die verspätete Nation. Über die<br />

politische Verführbarkeit bürgerlichen Geistes, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1974).<br />

27<br />

H. Plessner, Die verspätete Nation. Über die politische Verführbarkeit bürgerlichen Geistes<br />

cit., p. 14.<br />

28<br />

Cfr. R. Vierhaus, Die Ideologie eines deutschen Weges der politischen und sozialen Entwicklung,<br />

in R. v. Thadden (a cura di), Die Krise des Liberalismus zwischen den Weltkriegen,<br />

Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1978, pp. 96-114; B. Faulenbach, Ideologie des<br />

deutschen Weges cit.<br />

22


MARZIA PONSO – IL SONDERWEG TEDESCO: NAZIONALISMO E FEDERALISMO<br />

confronti della teoria apologetica del «deutscher <strong>Sonderweg</strong>». Eckart Kehr<br />

vede nella cristallizzazione delle vecchie élites e nella mancata<br />

democratizzazione la causa del militarismo della politica tedesca e il suo<br />

sbocco nella prima guerra mondiale. Non è un caso che alle sue tesi si<br />

sarebbe rifatto Fritz Fischer in quel libro del 1961, Assalto al potere mondiale,<br />

che avrebbe dato vita al primo Historikerstreit del dopoguerra e avrebbe<br />

inaugurato una stagione di ricerche sul militarismo <strong>tedesco</strong> culminata nei<br />

volumi sui crimini della Wehrmacht nella seconda guerra mondiale.<br />

Ma è a partire dal secondo dopoguerra che la variante critica della<br />

<strong>Sonderweg</strong>sthese domina il dibattito storiografico. Se la sconfitta del 1918 era<br />

stata inclusa nel quadro di un complessivo «tramonto dell’Occidente» 29 , la<br />

capitolazione del 1945 pareva annunciare persino la «fine della storia» 30 , o<br />

meglio, di quella storia. Trova qui collocazione la volontà di “riscrivere” la<br />

storia nazionale come parte integrante di un progetto politico-pedagogico che<br />

va sotto il nome di Vergangenheitsbewältigung ossia rielaborazione, intesa<br />

come superamento, del passato. La versione critico-negativa del <strong>Sonderweg</strong><br />

tenta ora di rispondere alla domanda del perché la Germania, a differenza<br />

degli altri paesi europei, fosse degenerata in una dittatura totalitaria. L’esito di<br />

questa riflessione sul tragico destino dello Stato nazionale <strong>tedesco</strong> è il<br />

nocciolo del teorema del <strong>Sonderweg</strong>.<br />

<strong>Il</strong> dibattito degli anni Sessanta e Settanta si è concentrato in particolar<br />

modo sulle condizioni specifiche in cui è avvenuta la modernizzazione in<br />

Germania e sul ruolo svolto in questo sviluppo dalla classe borghese. Ralf<br />

Dahrendorf ha colto le ragioni della debolezza del liberalismo <strong>tedesco</strong><br />

principalmente nelle modalità del processo di industrializzazione, la quale<br />

anziché produrre la trasformazione delle strutture politiche e socio-culturali<br />

tradizionali, vi ha aderito. Storici come Dietrich Rüschemeyer hanno parlato a<br />

questo proposito di «modernizzazione parziale»: ad uno sviluppo economico e<br />

tecnologico non è corrisposto in Germania un analogo sviluppo politico e<br />

29 O. Spengler, Der Untergang des Abendlandes. Umrisse einer Morphologie der<br />

Weltgeschichte (1923), Deutscher Taschenbuch Verlag, München 1999 (trad. it. <strong>Il</strong> tramonto<br />

dell’occidente, Longanesi, Milano 1957).<br />

30 Cfr. L. Niethammer, Posthistoire: ist die Geschichte zu Ende?, Rowohlt, Reinbeck 1989.<br />

23


DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI – UNIVERSITÀ DI TORINO<br />

sociale 31 . Riprendendo questa argomentazione, Hans-Ulrich Wehler ha<br />

dedicato gran parte della sua opera a mostrare come la struttura sociale e<br />

politica della Germania mantenne essenzialmente le sue forme pre-industriali:<br />

la borghesia non soltanto aveva rinunciato alla trasformazione della sua<br />

superiorità economica in dominio politico, ma si era sottomessa al potere<br />

tradizionale di Junker, burocrazia ed esercito; a fronte di una rapida<br />

modernizzazione tecnologico-economica permaneva l’arretratezza sociale e<br />

politica 32 .<br />

4. 4. <strong>Il</strong> <strong>Il</strong> <strong>Il</strong> <strong>Sonderweg</strong> <strong>Sonderweg</strong> luterano<br />

luterano<br />

La storiografia moderna ha a lungo insistito, com’è noto, sulla centralità<br />

della Riforma per spiegare caratteri e fenomeni considerati tipici del mondo<br />

<strong>tedesco</strong> moderno. In primo luogo, al Luteranesimo si deve quella che è stata<br />

chiamata «l’invenzione dell’interiorità» 33 . Diversamente dal Calvinismo e dal<br />

Cattolicesimo, la fede è indipendente dall’agire esteriore, dalla prestazione,<br />

dal mondo delle istituzioni e del diritto. La persuasione che si forma nella<br />

lettura delle Scritture è per il luterano l’istanza decisiva. Al posto dell’eteronomia<br />

ecclesiastica (la Chiesa come «istituzione per la salvezza») interviene<br />

l’autonomia della coscienza individuale, che si orienta sulla parola di Dio. Per<br />

l’autodefinizione cultural-religiosa del Protestantesimo <strong>tedesco</strong> sono<br />

determinanti concetti che riflettono una forte tendenza alla spiritualizzazione,<br />

all’interiorizzazione, all’individualizzazione: «fede del cuore», «coscienza»,<br />

«interiorità» e — dal XVIII secolo — «personalità», «soggettività», «autonomia».<br />

31 D. Rüschemeyer, Partielle Modernisierung, in W. Zapf (a cura di), Theorien des sozialen<br />

Wandels, Kiepenheuer & Witsch, Köln / Berlin 1970, pp. 382-396; Id., Modernisierung und<br />

die Gebildeten im kaiserlichen Deutschland, in P. C. Ludz (a cura di), Soziologie und<br />

Sozialgeschichte: Aspekte und Probleme, Westdeutscher Verlag, Opladen 1973, pp. 515-<br />

529.<br />

32 H.-U. Wehler, Das Deutsche Kaiserreich 1871-1918, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen<br />

1973 (trad. it. L’impero guglielmino 1871-1918, De Donato, Bari 1981); Id., «Deutscher<br />

<strong>Sonderweg</strong>» oder allgemeine Probleme des westlichen Kapitalismus? Zur Kritik an einigen<br />

„Mythen deutscher Geschichtsschreibung“, in “Merkur”, 35 (1981), pp. 478-487; Id., Wie<br />

„bürgerlich“ war das Deutsche Kaiserreich, in: J. Kocka (a cura di), Bürger und Bürgerlichkeit<br />

im 19. Jahrhundert, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1987, pp. 243-280.<br />

33 F. W. Graf, Der Protestantismus. Geschichte und Gegenwart, Beck, München 2006, pp.<br />

71-73.<br />

24


MARZIA PONSO – IL SONDERWEG TEDESCO: NAZIONALISMO E FEDERALISMO<br />

Con il «principio dell’interiorità», quale fondamento della religione<br />

protestante, Hegel indicava una indisponibilità del soggetto credente verso<br />

qualunque approccio che tenti di oggettivarlo 34 .<br />

In secondo luogo, con il suo carattere intellettualistico il Luteranesimo ha<br />

dato un impulso essenziale all’istruzione. Nei paesi riformati la scolarizzazione<br />

è sempre stata molto elevata, promossa dallo Stato con l’introduzione dell’obbligazione<br />

scolastica. A partire dal XVIII secolo il sistema d’istruzione<br />

protestante era all’avanguardia, mentre il mondo cattolico registrava un<br />

deficit formativo. Specificamente luterano era lo stretto legame con<br />

l’Università e la scienza: i pastori erano teologi dalla formazione universitaria;<br />

giuristi e funzionari ricevevano un’educazione dalla spiccata impronta<br />

teologica. Per questo, la connessione tra teologia, Università e Stato<br />

burocratico-amministrativo è un tipico fenomeno <strong>tedesco</strong>. L’assenza di una<br />

Chiesa istituzionale a difesa della tradizione, che impone i limiti<br />

dell’ortodossia e censura il dissenso, come è avvenuto nei paesi cattolici, ha<br />

favorito enormemente lo sviluppo scientifico 35 . Già dal XVII secolo i paesi<br />

protestanti rappresentavano la punta più avanzata della scienza moderna. «<strong>Il</strong><br />

fatto che in Germania i professori universitari abbiano esercitato un ruolo<br />

guida, che appartenga al carattere dei tedeschi avere anzitutto una<br />

34 «L’antica intimità del popolo <strong>tedesco</strong>, serbatasi intatta, deve attuare questo<br />

sconvolgimento a partire dal cuore semplice, schietto. Mentre il resto del mondo partiva alla<br />

volta delle Indie Orientali, dell’America […] ecco un semplice monaco trovare questa cosa<br />

che la cristianità aveva cercato una volta in un sepolcro terreno, di pietra, e trovarla in un<br />

altro sepolcro, nel sepolcro più profondo dell’assoluta idealità di ogni cosa sensibile,<br />

esteriore, trovarla nello spirito e mostrarla nel cuore […]. La semplice dottrina di Lutero è<br />

che questa cosa, la soggettività infinita, ossia l’autentica spiritualità, Cristo, non è in nessun<br />

modo presente e reale in una fattispecie esteriore, bensì è attinta come cosa spirituale» (G.<br />

W. F. Hegel, Vorlesungen über die Philosophie der Geschichte (1837), in: Id., Werke in<br />

zwanzig Bände cit., vol. XII (1970); trad. it. Lezioni sulla filosofia della storia, Nuova Italia,<br />

Firenze 1963, p. 339).<br />

35 Già Benjamin Nelson aveva stabilito una connessione tra la religione protestante e il<br />

moderno ideale di scienza basato sulla certezza logico-empirica (B. Nelson, On the Roads<br />

to Modernity: Conscience, Science, and Civilizations. Selected Writings, Rowman & Littlefield,<br />

Totowa 1981). Lepsius ha ribadito che «nel XIX secolo la Germania cattolica partecipava al<br />

discorso culturale e al processo scientifico in misura assai più ridotta di quella protestante»<br />

(M. R. Lepsius, Bürgertum als Gegenstand der Sozialgeschichte, in Id., Demokratie in<br />

Deutschland, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1993, p. 298).<br />

25


DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI – UNIVERSITÀ DI TORINO<br />

convinzione, un’opinione, una visione del mondo, è una conseguenza della<br />

cultura luterana» 36 .<br />

In terzo luogo, il Luteranesimo ha soppresso l’ascesi monacale e,<br />

diversamente da Calvinismo e Puritanesimo, ha concepito il lavoro quotidiano<br />

come servizio reso a Dio e al prossimo, senza rimanere condizionato dal<br />

raggiungimento del successo. Al contrario che nel Cattolicesimo, la vita<br />

contemplativa non vi ha alcuna preminenza e la povertà non gode di<br />

legittimazione religiosa; anche la riscossione inoperosa di rendite viene<br />

discreditata. <strong>Il</strong> lavoro svolge una funzione sociale e morale, in quanto forma<br />

alla disciplina, al senso del dovere, alla scrupolosità. La concezione del<br />

lavoro come vocazione nella quale l’esistenza trova senso, adempimento,<br />

soddisfazione ha intensificato l’apporto dei luterani al mondo dell’industria e<br />

della tecnica.<br />

Ora, questa connessione tra Riforma e modernizzazione sociale e politica,<br />

affermata sulla base della «libertà protestante», ha faticato a perdere la sua<br />

presunta ovvietà, messa in discussione dalla sociologia della religione e dai<br />

teologi della «Lutherrenaissance». Sarà, fra i primi, Ernst Troeltsch a sostenere<br />

che «una gran parte dei fondamenti del mondo moderno nello Stato, nella<br />

società, nell’economia, nella scienza e nell’arte è sorta in modo<br />

completamente indipendente dal Protestantesimo, in parte semplicemente<br />

come prosecuzione di sviluppi tardomedievali, in parte come conseguenza del<br />

Rinascimento» 37 . A partire da qui la storiografia è venuta evidenziando una<br />

discontinuità tra Lutero e il mondo moderno della razionalità,<br />

dell’individualismo, della democrazia, che sposta il momento di cesura nel<br />

XVIII secolo. La storicizzazione della Riforma e la dissoluzione di un quadro<br />

storico normativo ha così finito per rendere sempre più difficili i richiami ai<br />

grandi fondatori del Protestantesimo in funzione di legittimazione politicoteologica,<br />

sottolineando invece gli aspetti di continuità della storia<br />

ecclesiastica, ponendo in evidenza le analogie strutturali con i movimenti di<br />

riforma nell’alveo del Cattolicesimo.<br />

36 T. Nipperdey, Luther und die moderne Welt, in Id., Nachdenken über die deutsche<br />

Geschichte. Essays, Beck, München 1986, pp. 31-43, qui p. 38.<br />

37 E. Troeltsch, Die Bedeutung des Protestantismus für die Entstehung der modernen Welt<br />

(1906/1911), in Id., Kritische Gesamtausgabe, de Gruyter, Berlin 2001, vol. VIII, pp. 199-<br />

316, qui p. 223.<br />

26


MARZIA PONSO – IL SONDERWEG TEDESCO: NAZIONALISMO E FEDERALISMO<br />

A partire dagli anni Settanta la svolta riformista del XVI secolo non appare<br />

più come specificità della storia tedesca, ma come vicenda che riguarda<br />

l’Europa; non è più solo oggetto della storia della Chiesa, ma della storia<br />

culturale, sociale, politica; non è più un evento cronologicamente circoscritto,<br />

bensì parte di quel mutamento di lungo periodo che ha dato luogo alla<br />

modernità, nel senso di Max Weber o Norbert Elias 38 . <strong>Il</strong> paradigma scientifico<br />

della «confessionalizzazione», introdotto dagli studiosi tedeschi negli anni<br />

1980-90, è inteso come processo sociale all’interno del quale il<br />

consolidamento dogmatico e istituzionale delle Chiese ha agito quale motore<br />

per la trasformazione profonda della vita culturale, politica e sociale. Tale<br />

processo di trasformazione — riconoscibile in tutte le confessioni e a ogni<br />

livello sociale a partire dal XVI secolo — è consistito nel tentativo di imporre<br />

una burocratizzazione e un disciplinamento dei fedeli e dei sudditi nel<br />

processo di formazione e consolidamento dello Stato 39 .<br />

La tesi secondo cui il <strong>Sonderweg</strong> <strong>tedesco</strong> ha la sua radice nell’eccezionalità<br />

del Luteranesimo ne risulta profondamente ridimensionata in due sensi.<br />

Anzitutto, come avevano già sostenuto Nietzsche e Troeltsch, Lutero non può<br />

essere considerato il padre della modernità, perché, pur anticipando le<br />

istanze individualistiche dell’uomo moderno, per molti aspetti del suo pensiero<br />

resta legato al mondo medievale. Se Lutero tuonava contro il Medioevo del<br />

papato e della Scolastica, non meno veementemente combatteva contro<br />

l’Umanesimo, il razionalismo, la secolarizzazione dello Stato e della società.<br />

Inoltre, la Riforma non può essere considerata l’inizio di una nuova era<br />

perché rappresenta il culmine di un processo di trasformazione ecclesiasticoreligiosa<br />

cominciato molto tempo prima. <strong>Il</strong> tardo Medioevo e i primi due<br />

secoli dell’età moderna sono apparsi un’epoca di mutamento per molti aspetti<br />

38 H. Schilling, Am Anfang war Luther, Loyola und Calvin, ein religionssoziologisch-entwicklungsgeschichtlicher<br />

Vergleich, in: Id., Ausgewählte Abhandlungen zur europäischen Reformations-<br />

und Konfessionsgeschichte, Duncker & Humblot, Berlin 2002, pp. 3-10.<br />

39 Amplissima la letteratura a riguardo, tra cui: H. R. Schmidt, Konfessionalisierung im 16.<br />

Jahrhundert, Oldenbourg, München 1992; H.-C. Rublack (a cura di), Die lutherische<br />

Konfessionalisierung in Deutschland, Mohn, Gütersloh 1992; K. v. Greyerz,<br />

Interkonfessionalität - Transkonfessionalität - binnenkonfessionelle Pluralität: neue<br />

Forschungen zur Konfessionalisierungsthese, Mohn, Gütersloh 2003; W. Reinhard, Glaube<br />

und Macht: Kirche und Politik im Zeitalter der Konfessionalisierung, Herder, Freiburg i. Br.<br />

2004; G. Seebass, Spätmittelalter – Reformation – Konfessionalisierung, Kohlhammer,<br />

Stuttgart 2006.<br />

27


DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI – UNIVERSITÀ DI TORINO<br />

unitaria, tanto da venir denominati «fase della modernizzazione veteroeuropea»<br />

40 . Oggi molti storici sono concordi nell’affermare che non soltanto<br />

la Riforma, ma anche i movimenti religiosi tardomedievali e la stessa<br />

confessionalizzazione cattolica abbiano agito in chiave di rinnovamento. L’immagine<br />

del Protestantesimo come rottura rivoluzionaria nei confronti di una<br />

Chiesa romana superata dai tempi, incapace di mutamento, è stata<br />

rovesciata, al punto che la Riforma tedesca viene sempre più spesso intesa<br />

come «reazione ad una crisi di modernizzazione», provocata dai tentativi di<br />

rinnovamento compiuti dal papato a partire dalla metà del XV secolo.<br />

Superato il trauma della Riforma, nella seconda metà del XVI secolo la Chiesa<br />

cattolica poté rifarsi a quella esperienza per stare al passo della confessionalizzazione<br />

protestante, servendosi tanto degli strumenti offerti dalla<br />

riforma tardomedievale degli ordini (si pensi al ruolo dei francescani in<br />

Europa) quanto delle nuove forme di organizzazione e di spiritualità elaborate<br />

dai gesuiti 41 .<br />

In secondo luogo, se dal XVI secolo la storia delle Chiese europee è stata<br />

interpretata come storia della loro reciproca concorrenza e opposizione, oggi<br />

l’attenzione è rivolta non tanto alle differenze tra le singole confessioni,<br />

quanto piuttosto alle loro analogie funzionali e strutturali. Si tratta di definire il<br />

ruolo che ebbe la religione nel dare impulso o frapporre ostacoli al lungo<br />

mutamento al termine del quale è sorta la società borghese del XIX secolo.<br />

Lutero non è una figura atipica, ma simile ad altri riformatori: «all’inizio<br />

dell’Europa moderna […] vi erano Lutero, Loyola e Calvino». Si è dimostrata<br />

errata la contrapposizione, diffusa nella storiografia nazionalistica, tra la forza<br />

40 Tale denominazione è stata utilizzata dal medievista Peter Moraw e, soprattutto, dal<br />

modernista Heinz Schilling. Questa tesi di continuità elaborata in particolare dalla<br />

Sozialgeschichte contrasta con l’idea tradizionale che la Riforma rappresenti la linea di<br />

confine tra il Medioevo e l’epoca moderna: cfr. H. Schilling, Die Reformation – ein<br />

revolutionärer Umbruch oder Hauptetappe eines langfristigen reformierenden Wandels?, in<br />

W. Speitkamp / H. P. Ullmann (a cura di), Konflikt und Reform. Festschrift für Helmuth<br />

Berding, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1995, pp. 26-40.<br />

41 H. Schilling, Am Anfang war Luther, Loyola und Calvin cit., p. 7. Cfr. W. Reinhard,<br />

Gegenreformation als Modernisierung? Prolegomena einer Theorie des konfessionellen<br />

Zeitalters, in: “Archiv für Reformationsgeschichte”, 68 (1977), pp. 226-251; Id. / H.<br />

Schilling (a cura di), Die katholische Konfessionalisierung, Mohn, Gütersloh 1995; A. P.<br />

Luttenberger, Katholische Reform und Konfessionalisierung, Wissenschaftliche<br />

Buchgesellschaft, Darmstadt 2006.<br />

28


MARZIA PONSO – IL SONDERWEG TEDESCO: NAZIONALISMO E FEDERALISMO<br />

religiosa creativa di Lutero quale espressione della profondità dell’anima<br />

germanica, e il mero agire tattico-politico di Ignazio di Loyola (e, in qualche<br />

modo, anche di Calvino), come espressione della superficialità romanooccidentale:<br />

non soltanto il <strong>tedesco</strong>, ma anche lo spagnolo e lo svizzero<br />

erano “homines religiosi” innovatori. L’originalità del genio religioso di Lutero<br />

è stata fortemente relativizzata proprio nel cuore della sua teologia, essendo<br />

state evidenziate le corrispondenze tra le tre formule alla base del suo credo (i<br />

princìpi del solus Christus, della sola scriptura e della sola fide) e analoghi<br />

assiomi della teologia gesuita; pur restando salve innegabili differenze, è<br />

diventato difficile affermare una specificità del solo Protestantesimo.<br />

5. 5. <strong>Il</strong> <strong>Il</strong> <strong>Sonderweg</strong> <strong>Sonderweg</strong> prussiano<br />

prussiano<br />

<strong>Il</strong> topos del “ritardo” rispetto all’Occidente, riferito alla costruzione dello<br />

Stato sovrano nazionale, rimane uno dei più insistiti nella letteratura sul caso<br />

<strong>tedesco</strong>. «A differenza di tutti gli altri paesi d’Europa, in Germania lo Stato<br />

moderno si è realizzato a livello dei singoli territori. Ma le sue basi furono<br />

definitivamente poste solo nel 1648» 42 . Nella formazione degli Stati territoriali<br />

un valido contributo alla coesione fu offerto dai ceti (Stände), promotori dei<br />

primi ordinamenti legislativi e di polizia; un’altra, più importante, spinta fu<br />

impressa dalla Riforma protestante, in quanto l’identità confessionale<br />

rafforzava quella territoriale. Tuttavia, di vera e propria sovranità si può<br />

parlare soltanto nei casi di signori territoriali come i duchi di Brandeburgo-<br />

Prussia, forti abbastanza da imporre proprie norme al di fuori del diritto<br />

imperiale.<br />

Così come è intrecciata alla vicenda della Riforma, così la questione del<br />

<strong>Sonderweg</strong> (tanto nella sua versione positiva quanto in quella critico-negativa)<br />

è indissolubilmente legata alla storia della Prussia, sulla base della corrente<br />

(ma impropria) identificazione tra «via tedesca» e «via prussiana» alla<br />

statualità. La tesi dell’identità tra Impero Tedesco e Regno di Prussia appare in<br />

tutta evidenza nelle parole che Thomas Mann scrisse all’inizio della prima<br />

guerra mondiale: «la Germania è oggi Federico il Grande. È la sua battaglia<br />

42 W. Reinhard, Geschichte der Staatsgewalt, trad. it. cit., p. 61.<br />

29


DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI – UNIVERSITÀ DI TORINO<br />

che porteremo a compimento, che dovremo combattere ancora una volta».<br />

L’«accerchiamento» del Kaiserreich alla vigilia della prima guerra mondiale<br />

rievocava il complotto delle potenze europee contro la Prussia federiciana: in<br />

entrambi i casi Mann non intendeva soltanto giustificare la guerra preventiva<br />

come necessità per la difesa, ma attribuire all’aggressore, «predestinato» ad<br />

una missione, una legittimazione superiore alla mera convenzione del diritto<br />

delle genti. Sin dal 1905, del resto, Mann aveva progettato un romanzo (mai<br />

compiuto) che avrebbe dovuto ritrarre Federico II come tragico eroe nazionale<br />

e simbolo della «questione tedesca» 43 .<br />

È indubbio che, a seconda che la storiografia abbia optato per una<br />

concezione positiva o negativa del <strong>Sonderweg</strong> <strong>tedesco</strong>, l’immagine della<br />

Prussia è oscillata tra glorificazione e condanna, tra l’idealizzazione del<br />

«Vernunftstaat» federiciano e la demonizzazione di uno Stato che, con il<br />

potenziamento dei suoi apparati repressivi, avrebbe costituito la pietra d’inciampo<br />

sulla strada della democratizzazione tedesca. Dal momento in cui si<br />

dà una compatta organizzazione statuale al momento della sua soppressione<br />

sul piano del diritto internazionale (25 febbraio 1947), la Prussia ha<br />

contribuito ad imprimere un marchio di unicità sulla storia tedesca. Ciò non<br />

equivale ad affermare che la tradizione vetero-prussiana sia sfociata<br />

necessariamente nella dittatura hitleriana, una tesi sostenuta dagli Alleati in<br />

pieno conflitto e ripresa nella Repubblica Democratica Tedesca (per quanto la<br />

stessa dirigenza di partito, in crisi di legittimità, a partire dagli anni Ottanta<br />

abbia poi abbandonato i toni della damnatio memoriae per riappropriarsi<br />

dell’eredità prussiana e del mito di Federico il Grande) 44 . Anche la<br />

storiografia tedesca occidentale ha ripetutamente puntato il dito contro il<br />

potere incontrastato degli Junker nell’amministrazione, nell’esercito,<br />

nell’economia agraria, adducendo come “patologia” prussiana la cultura<br />

43 T. Mann, Friedrich und die große Koalition, Fischer, Berlin 1915, p. 16. Cfr. Id.,<br />

Gedanken im Krieg, in: Essays, Fischer, Frankfurt a. M. 1993, vol. I, p. 194.<br />

44 Esemplificativo della linea interpretativa di condanna A. Abusch, Irrweg einer Nation: Ein<br />

Beitrag zum Verständnis deutscher Geschichte, Aufbau, Berlin 1946 (trad. it. Storia della<br />

Germania moderna, Einaudi, Torino 1951), in cui si sosteneva una continuità diretta dal<br />

militarismo prussiano, attraverso Bismarck, sino a Hitler. Sulla successiva riabilitazione della<br />

tradizione prussiana nella DDR, W. Schmidt, Das Erbe- und Traditionsverständnis in der<br />

Geschichte der DDR, Akademie, Berlin 1986; E. Kuhrt / H. v. der Löwis, Griff nach der<br />

deutschen Geschichte: Erbeignung und Traditionspflege in der DDR, Schöning, Paderborn<br />

1988.<br />

30


MARZIA PONSO – IL SONDERWEG TEDESCO: NAZIONALISMO E FEDERALISMO<br />

politica radicalmente conservatrice e la tradizione militarista. Con la<br />

fondazione dello Stato nazionale, si è detto, la Prussia aveva messo fuori<br />

gioco la cultura democratico-liberale degli Stati meridionali, spianando la<br />

strada all’estremismo di Destra con il suo autoritarismo e il suo culto<br />

dell’obbedienza.<br />

<strong>Il</strong> militarismo prussiano è stato tradizionalmente descritto come un sistema<br />

sociale integrato. Secondo Karl Mannheim, se in Francia la rivoluzione aveva<br />

prodotto un’alleanza difensiva tra nobiltà, monarchia e Chiesa, l’elemento<br />

caratteristico della Prussia, nel periodo successivo alla rivoluzione francese, fu<br />

«l’antagonismo tra le aspirazioni delle forze feudali e dei vecchi ceti e il<br />

razionalismo burocratico-assolutistico», che ebbe come temporaneo effetto<br />

l’indebolimento dell’alleanza tra monarchia assoluta e nobiltà 45 . Contro i<br />

propositi dell’aristocrazia di consolidare la società organica per ceti, la<br />

burocrazia fece proprio l’elemento dirigistico, meccanicistico e centralistico<br />

della rivoluzione. Ma già sotto Federico Guglielmo I, il “re soldato”, Stato e<br />

società erano stati subordinati alle esigenze dell’esercito. I contadini erano<br />

soggetti al reclutamento forzato e il servizio militare non aveva limiti<br />

temporali, benché venisse interrotto periodicamente per consentire lo<br />

svolgimento delle attività rurali. <strong>Il</strong> corpo degli ufficiali costituiva il più grande<br />

gruppo organizzato socialmente omogeneo della società prussiana,<br />

rimanendo per tutto il Settecento quasi interamente aristocratico nei suoi gradi<br />

più alti. In virtù di un sistema di diritti e doveri speciali, la condizione di<br />

ufficiale fu posta al vertice della scala sociale e separata dal resto dell’esercito<br />

e dalla società, creando una classe che sarebbe sopravvissuta alle riforme del<br />

1808/1814, alla rivoluzione del 1848 e alla fondazione del Deutsches Reich,<br />

e che fu tra le principali responsabili della conservazione delle strutture di uno<br />

Stato militare sino al XX secolo. Gli Junker erano la base sociale della<br />

militarizzazione dello Stato e la conservazione del loro potere determinava<br />

l’organizzazione socio-economica delle province tedesche orientali, dando<br />

con ciò origine ad un problema centrale del passato <strong>tedesco</strong>: la formazione<br />

di un dualismo tra Germania occidentale e orientale nella struttura del<br />

sistema economico, sociale e di dominio.<br />

45 K. Mannheim, Konservatismus. Ein Beitrag zur Soziologie des Wissens, Suhrkamp,<br />

Frankfurt a. M. 1984; trad. it. Conservatorismo. Nascita e sviluppo del pensiero<br />

conservatore, Laterza, Roma / Bari 1989, p. 137 e seg.<br />

31


DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI – UNIVERSITÀ DI TORINO<br />

L’interpretazione della storia prussiana in termini di militarismo ha<br />

notoriamente sollevato un ampio dibattito. La storiografia anglosassone<br />

sosteneva la tesi della continuità: per Gordon A. Craig il deficit democratico<br />

della società tedesca era imputabile al ruolo eminente rivestito dall’esercito<br />

nella storia della Germania 46 . Per un critico della <strong>Sonderweg</strong>sthese come<br />

Gerhard Ritter, invece, la disposizione militarista è stata erroneamente<br />

considerata una caratteristica propria della dinastia prussiana: «lo Stato<br />

autoritario e militare prussiano del XVIII secolo non era nient’altro che una<br />

forma, realizzata in modo particolarmente energico e coerente, dello Stato di<br />

tipo continentale, così come era stato creato per la prima volta sul suolo<br />

francese» nell’età da Richelieu a Colbert. Opposto al modello di Stato<br />

“continentale” era lo Stato “marittimo”, olandese e inglese, con il suo<br />

patriziato aristocratico-borghese, la grande incidenza degli interessi economici<br />

e la conduzione di guerre al di fuori del continente europeo. Dalla rispettiva<br />

condizione geopolitica derivava la contrapposizione tra la «politica<br />

continentale» e la «politica insulare»: la prima più proclive all’uso della forza<br />

(a costo di scatenare guerre preventive), la seconda più incline, per ragioni<br />

economiche, ad alleanze, pressioni diplomatiche, accordi 47 . Questa<br />

opposizione sarebbe apparsa in maniera ancor più netta nel corso del XIX e<br />

XX secolo tra l’Inghilterra e la Germania: e tuttavia, «chi si immagina lo Stato<br />

prussiano in età di pace come un’unica grande caserma, è assai lontano<br />

dalla realtà» 48 . La recente storiografia ha confermato, tuttavia, la specificità<br />

del militarismo prussiano nella forma della Sozialdisziplinierung come<br />

46 G. A. Craig, The Politics of the Prussian Army 1640-1945, Clarendon, Oxford 1955, p.<br />

12 (trad. it. <strong>Il</strong> potere delle armi. Storia e politica dell’esercito prussiano 1640-1945, il<br />

Mulino, Bologna 1984).<br />

47 Questa opposizione «naturale» tra politica continentale e politica insulare costituirebbe<br />

uno dei fattori fondamentali della storia moderna: cfr. G. Ritter, Die Dämonie der Macht.<br />

Betrachtungen über Geschichte und Wesen des Machtsproblems im politischen Denken der<br />

Neuzeit, Hannsmann, Stuttgart 1947; trad. it. <strong>Il</strong> volto demoniaco del potere, il Mulino,<br />

Bologna 1958.<br />

48 G. Ritter, Europa und die deutsche Frage. Betrachtungen über die geschichtliche Eigenart<br />

des deutschen Staatsdenkens, Münchner Verlag, München 1948 (ampliato sotto il titolo Das<br />

deutsche Problem. Grundfrage deutschen Staatslebens gestern und heute, Oldenbourg,<br />

München 1966), p. 28.<br />

32


MARZIA PONSO – IL SONDERWEG TEDESCO: NAZIONALISMO E FEDERALISMO<br />

assimilazione di valori e modelli comportamentali tipicamente militari da parte<br />

della società civile 49 .<br />

Va rilevato infine che un argomento centrale della <strong>Sonderweg</strong>sthese, la<br />

difformità tra lo sviluppo economico e sociale e il deficit nella<br />

modernizzazione politica, si addice particolarmente alla Prussia, mentre è<br />

meno appropriato per gli Stati meridionali, con i loro governi moderatamente<br />

liberali, le riforme costituzionali, un potere aristocratico più limitato, minore<br />

avversione per la socialdemocrazia, un autoritarismo e un militarismo meno<br />

accentuati. Anche nella comparazione europea, l’arretratezza tedesca nel<br />

processo di modernizzazione politica è da ricondurre principalmente alle<br />

strutture politiche e alla classe dirigente prussiana, senza con questo negare<br />

l’incidenza di altri fattori fondamentali, quali la frammentazione politica, la<br />

divisione confessionale, il tardo conseguimento dell’unità nazionale, la forte<br />

tradizione burocratica, l’accumulo delle problematiche nazionali, sociali e<br />

costituzionali.<br />

6. 6. <strong>Il</strong> <strong>Il</strong> <strong>Sonderweg</strong> <strong>Sonderweg</strong> bismarckiano<br />

bismarckiano<br />

Per quanto concerne l’ambito dell’amministrazione e della costituzione, le<br />

strutture portanti del sistema prussiano restarono immutate nel Kaiserreich 50 .<br />

All’indomani dell’unificazione né la Prussia né il Reich presentavano<br />

cambiamenti costituzionali rilevanti: le competenze del Cancelliere, dei<br />

parlamenti e dell’amministrazione restarono giuridicamente invariate. Studi<br />

recenti relativi ai vertici dello Stato prussiano e alla cultura politica elettorale<br />

hanno messo in luce la predominante avversione alle riforme politico-sociali<br />

49 Cfr. M. Messerschmidt, Preußens Militär in seinem gesellschaftlichen Umfeld, in: H.-J.<br />

Puhle / H.-U. Wehler (a cura di), Preußen im Rückblick, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen<br />

1980; O. Büsch, Militärsystem und Sozialleben im alten Preußen 1713-1807. Die Anfänge<br />

der sozialen Militarisierung der preußisch-deutschen Gesellschaft, Ullstein, Frankfurt a. M.<br />

1981. Per un bilancio della questione, M. Salewski, Preuβischer Militarismus. Realität oder<br />

Mythos? Gedanken zu einem Phantom, in: “Zeitschrift für Religions- und Geistesgeschichte”,<br />

n. 53 (2001), pp. 19-34 .<br />

50 È quanto conferma David Blackbourn, pur critico del “deutscher <strong>Sonderweg</strong>”, in The Long<br />

Nineteenth Century. A History of Germany 1780-1918, Oxford University Press, Oxford<br />

1997, p. 418.<br />

33


DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI – UNIVERSITÀ DI TORINO<br />

dei gruppi dirigenti 51 . <strong>Il</strong> governo prussiano si avvalse a lungo di una<br />

coalizione composta dal partito conservatore e da quello liberale-nazionale,<br />

lasciando fuori il Centro cattolico e contrastando il partito socialdemocratico.<br />

Gli Stati tedeschi erano monarchie costituzionali che respingevano l’idea della<br />

sovranità popolare; pertanto si distinguevano dalle monarchie parlamentari<br />

come Inghilterra, Belgio, Italia, Danimarca e Norvegia. Esaminando il<br />

costituzionalismo monarchico <strong>tedesco</strong> in una prospettiva europea, si può<br />

sostenere, contro la tesi della progressiva «parlamentarizzazione», che i<br />

sovrani tedeschi hanno conservato sino al 1914 una posizione di forza, a<br />

malapena inficiata dal diritto costituzionale 52 . Risulta pertanto confermata la<br />

tesi di un «ritardo» del Reich rispetto allo sviluppo politico-costituzionale<br />

europeo, dovuto in special modo all’egemonia “frenante” della Prussia, ma<br />

anche alla peculiare «accumulazione di problemi» (questione nazionale,<br />

questione sociale, questione costituzionale) e al <strong>federalismo</strong> tedeschi.<br />

Per la storiografia dell’età bismarckiana, all’origine del <strong>Sonderweg</strong> prussiano<br />

non vi era tanto l’arretratezza politico-sociale quanto, al contrario, il<br />

fatto che alla Prussia fosse riuscita quell’opera di razionalizzazione degli<br />

apparati statali e di modernizzazione del sistema feudale nella quale la<br />

Francia aveva fallito, imboccando per ciò stesso la strada della rivoluzione. La<br />

questione sociale e lo Stato prussiano è il titolo di un saggio del 1874 di<br />

Gustav Schmoller, nel quale alla crisi e ai pericoli futuri della società si<br />

cercava rimedio in monarchia e burocrazia, «gli unici elementi neutrali nella<br />

lotta di classe» che, amalgamandosi con le istanze liberali e parlamentari<br />

potevano prendere «l’iniziativa per una grande legislazione di riforma<br />

sociale» 53 . Tale fiducia era fondata sulla consapevolezza della superiorità<br />

dell’organizzazione amministrativa di tradizione prussiana: «su terreno feudale<br />

51 Cfr. T. Kühne, Dreiklassenwahlrecht und Wahlkultur in Preußen 1867-1914, Droste,<br />

Düsseldorf 1994; H. Spenkuch, Das Preußische Herrenhaus: Adel und Bürgertum in der<br />

Ersten Kammer des Landtages, Droste, Düsseldorf 1998.<br />

52 M. Kirsch, Monarch und Parlament im 19. Jahrhundert: Der monarchischen<br />

Konstitutionalismus als europäischer Verfassungstyp – Frankreich im Vergleich, Vandenhoeck<br />

& Ruprecht, Göttingen 1999, p. 362.<br />

53 G. Schmoller, Die Soziale Frage und der preuβischer Staat, in “Preuβischer Jahrbücher”,<br />

33 (1874), p. 341. Ma su tutta la questione P. Schiera, <strong>Il</strong> laboratorio borghese. Scienza e<br />

politica nella Germania dell’ottocento, il Mulino, Bologna 1987 e, da ultimo, S. Amato,<br />

Aristocrazia politico-culturale e classe dominante nel pensiero <strong>tedesco</strong> (1871-1918), Olschki,<br />

Firenze 2008.<br />

34


MARZIA PONSO – IL SONDERWEG TEDESCO: NAZIONALISMO E FEDERALISMO<br />

era cresciuto un governo di funzionari antifeudale, la cui buona disposizione<br />

verso borghesi e contadini sarebbe poi stata giustamente celebrata» 54 . In<br />

queste tesi si evidenziava una continuità tra il moderno Stato sociale e<br />

precedenti forme di politica e legislazione sociale, che avevano le loro radici<br />

nella tradizione cameralistica. In Germania le scienze dello Stato e<br />

dell’amministrazione, la burocrazia e la legislazione hanno reagito in anticipo<br />

ai problemi della società industriale e capitalistica moderna. La legislazione<br />

bismarckiana sulla previdenza sociale, introdotta negli anni Ottanta del XIX<br />

secolo, costituì in effetti il primo sistema moderno di assicurazione sociale<br />

pubblica 55 .<br />

Con la crescente polarizzazione ideologica che seguì la sconfitta del<br />

1918, la valutazione del Kaiserreich oscillò tra la condanna (cui era<br />

complementare il sostegno alla Repubblica di Weimar) e la difesa<br />

incondizionata (a detrimento del nuovo governo democratico). Mentre alcuni,<br />

come Friedrich Meinecke e Hermann Oncken, presero a relativizzare la<br />

versione “borussica” del <strong>Sonderweg</strong>, riconoscendo luci ed ombre dello Stato<br />

nazionale <strong>tedesco</strong>, la Sinistra liberale e i socialdemocratici (tra cui Hans<br />

Rosenberg e Eckart Kehr) assunsero un atteggiamento radicalmente critico,<br />

scorgendo nel Reich del 1871 un regime “feudale” a protezione degli interessi<br />

di pochi a danno della classe lavoratrice; la politica inaugurata da Bismarck<br />

era accusata d’aver interrotto il processo di democratizzazione avviato nel<br />

1848, rendendosi responsabile del declino morale e politico del paese.<br />

Alla fine della seconda guerra mondiale, la «catastrofe tedesca» discreditò<br />

definitivamente la tesi del <strong>Sonderweg</strong> positivo. La revisione storiografica<br />

procedette ad una sorta di demonizzazione del Kaiserreich, che divenne l’epoca<br />

in cui i tratti del <strong>Sonderweg</strong>, già manifestatisi in rigidità e ritardi, si erano<br />

consolidati in un modello negativo 56 : qui affondavano le loro radici quei<br />

54 G. Schmoller, Die Behördenorganisation und die allgemeine Staatsverwaltung Preuβens im<br />

18. Jahrhundert, in: Acta Borussica. Denkmäler der Preuβischen Staatsverwaltung im 18.<br />

Jahrhundert, Parey, Berlin 1894, p. 140.<br />

55 Sul processo d’integrazione nazionale dei lavoratori si vedano: H. Mommsen,<br />

Arbeiterbewegung und Nationale Frage, Göttingen 1979 e G. A. Ritter, Staat, Arbeiterschaft<br />

und Arbeiterbewegung in Deutschland. Vom Vormärz bis zum Ende der Weimarer Republik,<br />

Dietz, Berlin 1980.<br />

56 Per un bilancio della storiografia sul Kaiserreich: E. Fehrenbach, Die Reichsgründung in<br />

der deutschen Geschichtsschreibung, in T. Schieder / E. Deuerlein (a cura di),<br />

35


DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI – UNIVERSITÀ DI TORINO<br />

processi di destabilizzazione dell’ordine politico, costituzionale e<br />

internazionale della vecchia Europa, che avrebbero condotto, dopo la guerra<br />

mondiale e il fallito esperimento democratico di Weimar, al<br />

nazionalsocialismo. Nella Germania orientale, la percezione storica fu<br />

inizialmente dominata dall’idea che esistesse una linea diretta di continuità<br />

dal Secondo Reich al nazismo: quella bismarckiana sarebbe stata una<br />

«tradizione di violenza, menzogna e demagogia» sulla quale Hitler avrebbe<br />

edificato le basi del proprio regime. Dopo questa prima perentoria condanna,<br />

seguì tuttavia, in una fase in cui la DDR attraversava una crisi di<br />

legittimazione, la progressiva riabilitazione della figura di Bismarck nel ruolo<br />

di padre della nazione 57 . Nella Germania occidentale, alla fine degli anni<br />

Quaranta, sotto la pressione del programma di «rieducazione» degli Alleati,<br />

alla fondazione del Reich si imputava l’introduzione del germe del militarismo,<br />

della personalizzazione del potere e del culto della leadership. La storiografia<br />

che stigmatizzava l’illiberalità del Secondo Reich quale antefatto del nazismo<br />

denigrava la costituzione imperiale del 1871 come apparente<br />

(«Scheinverfassung») e il cancellierato dell’«autocrate» Bismarck come<br />

«Diktatur» 58 .<br />

L’idea di una «via peculiare tedesca» incentrata sul Kaiserreich fu, tuttavia,<br />

sottoposta a critica da storici angloamericani (David Blackbourn, Geoff Eley,<br />

David Irving), ai quali essa appariva (così come a Thomas Nipperdey, a Horst<br />

Möller, a Reinhart Koselleck) analoga ― già sul piano linguistico ― alla tesi,<br />

Reichsgründung 1870/71 cit., pp. 259-290; E. Frie, Das Deutsche Kaiserreich. Kontroversen<br />

um die Geschichte, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 2004.<br />

57 Sulla riabilitazione del Kaiserreich, che ebbe inizio nel luglio 1952 con un discorso di<br />

Walter Ulbricht durante la seconda conferenza di partito della SED, cfr. E. Kuhrt / H. v. der<br />

Löwis, Griff nach der deutschen Geschichte: Erbaneignung und Traditionspflege in der DDR,<br />

Schöningh, Paderborn 1988. Sulla storiografia tedesca orientale: A. Dorpalen, German<br />

History in Marxist Perspective. The East German Approach, Tauris, London 1985; A. Fischer<br />

/ G. Heydemann (a cura di), Geschichtswissenschaft in der DDR, Duncker & Humblot, Berlin<br />

1988.<br />

58 H.-U. Wehler, Das Deutsche Kaiserreich 1871-1918 cit., p. 60, lo ha definito «un<br />

costituzionalismo apparente, autocratico e mezzo assolutistico», in quanto l’ideologia<br />

federalistica e il suffragio universale dissimulavano il persistente unitarismo egemonico della<br />

Prussia, che, oltre ad assicurare al primo ministro prussiano la carica di Cancelliere,<br />

deteneva anche il potere di veto sulla revisione costituzionale.<br />

36


MARZIA PONSO – IL SONDERWEG TEDESCO: NAZIONALISMO E FEDERALISMO<br />

altrettanto ideologica, dell’“eccezionalismo” americano 59 . Le loro obiezioni<br />

colpivano diversi aspetti della <strong>Sonderweg</strong>sthese: l’impostazione teleologica<br />

focalizzata sul 1933, l’idealizzazione della storia inglese e di altri paesi<br />

occidentali, l’adozione di formule storicamente inappropriate («manipolazione<br />

dall’alto», «feudalizzazione della borghesia», «Obrigkeitsstaat») 60 . Tale<br />

avversione contava tra le sue ragioni anche il fatto che la storiografia<br />

angloamericana aveva visto nel libro di Hans-Ulrich Wehler sul Kaiserreich<br />

l’esemplificazione di quell’interpretazione semplicistica del Reich che sostiene<br />

una continuità da Lutero a Hitler, ad esempio nella presunta “mentalità da<br />

sudditi” dei tedeschi 61 . Inoltre, proprio la storiografia angloamericana poneva<br />

in discussione la definizione di un concetto che era stato centrale, a partire da<br />

Marx, Thorstein Veblen e Max Weber, nell’argomentazione della specificità<br />

tedesca: la tarda «modernizzazione» del sistema politico (accanto ad una<br />

spinta all’industrializzazione e a significative trasformazioni sociali). In<br />

particolare, era contestato il carattere paradigmatico della connessione tra<br />

capitalismo, parlamentarismo e democrazia: in Inghilterra, si obiettava,<br />

l’aristocrazia resta fino alla prima guerra mondiale il gruppo politicamente<br />

egemone e anche lo sviluppo inglese è caratterizzato da forti tensioni. Per<br />

Blackbourn ed Eley la borghesia tedesca non era fallita, si era anzi integrata<br />

così bene nel sistema che non avvertiva la necessità della democratizzazione;<br />

nella Germania del XIX secolo si è verificata, contrariamente a quel che si è<br />

sempre affermato, una rivoluzione borghese, certamente non nella forma di<br />

una lotta tra nobiltà e borghesia al termine della quale quest’ultima assume la<br />

59 Cfr. G. M. Fredrickson, From Exceptionalism to Variability: Recent Developments in Cross-<br />

National Comparative History, in “JAH”, n. 82 (1995), pp. 587-604; G. Steinmetz, German<br />

Exceptionalism and the Origins of Nazism: the Career of a Concept, in I. Kershaw / M. Lewin<br />

(a cura di), Stalinism and Nazism. Dictatorships in Comparison, Cambridge University Press,<br />

Cambridge 1997, pp. 251-284, p. 253 e seg.<br />

60 <strong>Il</strong> dibattito prende avvio con la pubblicazione, nel 1980, di un volume in lingua tedesca<br />

sui Miti della storiografia tedesca, ad opera di due storici britannici: G. Eley / D.<br />

Blackbourn, Mythen deutscher Geschichtsschreibung. Die gescheiterte bürgerliche Revolution<br />

von 1848, Ullstein, Frankfurt a. M. 1980 (ediz. rielaborata inglese The Peculiarities of<br />

German History: Bourgeois Society and Politics in Nineteenth-Century Germany, Oxford<br />

University Press, Oxford 1984).<br />

61 H.-U. Wehler, Das deutsche Kaiserreich 1871-1918 cit. Cfr. T. Nipperdey, Wehlers<br />

«Kaiserreich». Eine kritische Auseinandersetzung (1975), in Id., Gesellschaft, Kultur, Theorie.<br />

Gesammelte Aufsätze zur neueren Geschichte, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1976,<br />

pp. 360-389.<br />

37


DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI – UNIVERSITÀ DI TORINO<br />

direzione dello Stato e sostituisce il governo monarchico con una democrazia<br />

parlamentare: questa concezione di rivoluzione borghese è un mito che non<br />

corrisponde a realtà. Se si intende per rivoluzione borghese, anziché un<br />

particolare processo politico di riforme democratiche, un complesso di<br />

mutamenti i quali, insieme, rappresentano le condizioni di sviluppo di un<br />

capitalismo industriale, allora vi sono fondate ragioni per considerare la<br />

«rivoluzione dall’alto» della seconda metà del XIX secolo come «la variante<br />

tedesca della rivoluzione borghese» 62 . Andava pertanto ridimensionata<br />

l’affermazione che la borghesia fosse politicamente debole nel Kaiserreich e<br />

incapace di salvaguardare i propri interessi di classe.<br />

Per questi autori la struttura particolare dello Stato imperiale ed i suoi<br />

problemi alla vigilia della prima guerra mondiale non derivavano dall’avere<br />

ereditato una certa arretratezza politica, bensì dall’assommarsi di<br />

contraddizioni congiunturali: la rapida espansione e concentrazione di capitali<br />

in una società nella quale l’aristocrazia occupava ancora una posizione<br />

rilevante nell’ambito statale; il fatto che la precoce organizzazione del<br />

movimento operaio in un partito socialdemocratico avesse impedito la<br />

ristrutturazione del blocco di potere a sfavore dei grandi proprietari terrieri;<br />

l’incapacità delle strutture partitiche esistenti di soddisfare tutte le istanze poste<br />

dall’accelerata trasformazione capitalistica e dal mutamento sociale 63 . Furono<br />

le particolari modalità dell’antagonismo tra capitale e lavoro ― dunque la<br />

capacità dei grandi complessi industriali di opporsi alle organizzazioni<br />

sindacali e, al tempo stesso, la loro debolezza politica ― a creare le<br />

condizioni per un’alleanza tra il grande capitale industriale e la grande<br />

proprietà fondiaria; ragioni strategiche, dunque, piuttosto che un particolare<br />

modello comportamentale di «staatsbürgerliche Unmündigkeit». E le ragioni di<br />

tale coercizione andavano ricercate nei tratti specifici della politica di<br />

Bismarck e dei suoi successori, piuttosto che nelle tradizioni autoritarie di<br />

élites preindustriali.<br />

Nondimeno, una certa storiografia liberal-democratica ha persistito nella<br />

tesi di un progressivo allontanamento dal modello di sviluppo delle<br />

62 G. Eley, Deutscher <strong>Sonderweg</strong> und englisches Vorbild, in Id. / D. Blackbourn, Mythen<br />

deutscher Geschichtsschreibung cit., pp. 7-58.<br />

63 Tali punti sono discussi dettagliatamente in G. Eley, Reshaping the German Right, Yale<br />

University Press, London 1980, pp. 1-16 e 349-361.<br />

38


MARZIA PONSO – IL SONDERWEG TEDESCO: NAZIONALISMO E FEDERALISMO<br />

democrazie occidentali. Ciò rispondeva all’esigenza ideologica di integrare la<br />

società tedesca del dopoguerra nel blocco occidentale, attraverso il rifiuto dei<br />

suoi antecedenti antidemocratici e l’attribuzione della responsabilità del<br />

nazionalsocialismo alle sole élites premoderne della nobiltà e dell’esercito. In<br />

un convegno dell’Institut für Zeitgeschichte di Monaco del 1981, autorevoli<br />

storici confrontarono le proprie argomentazioni in merito alla fondatezza<br />

storica e all’opportunità politica della <strong>Sonderweg</strong>sthese. In quell’occasione<br />

Kurt Sontheimer sottolineò che abbandonare o relativizzare la tesi di un<br />

deutscher <strong>Sonderweg</strong> significava incrinare il pilastro della coscienza politica<br />

tedesca dopo il 1945, dominata dall’imperativo di rompere ogni continuità<br />

con tutto ciò che era sospettato di aver contribuito al sorgere del Terzo<br />

Reich 64 . Ernst Nolte, al contrario, argomentò l’infondatezza della presunta<br />

eccezionalità del caso <strong>tedesco</strong>, osservando come tutti i casi nazionali possano<br />

essere considerati <strong>Sonderweg</strong>e. Proprio Inghilterra e Francia costituivano, nel<br />

XIX secolo, casi atipici nel panorama europeo. Per molti contemporanei, il<br />

processo di industrializzazione inglese, con i suoi effetti di incremento del<br />

pauperismo, non costituiva affatto un modello per il futuro del continente.<br />

Neppure i francesi si sarebbero sempre sentiti “à la tête de la civilisation”,<br />

temendo di non reggere la concorrenza con le nazioni “moderne”, inclusa la<br />

Germania. Per Nolte infine il concetto di «rivoluzione borghese» non era che<br />

una leggenda, frutto non di pura invenzione ma dell’assolutizzazione di singoli<br />

dati di fatto. La rivoluzione del 1640, così come la “gloriosa rivoluzione” del<br />

1688/89 miravano alla restaurazione delle libertà contro il potere arbitrario<br />

dell’Assolutismo; neppure la rivoluzione americana sarebbe stata immune da<br />

elementi antidemocratici e reazionari 65 .<br />

In posizione intermedia tra coloro che respingono la tesi della peculiarità<br />

tedesca e coloro che ne sostengono la validità piena o parziale, motivandola<br />

in chiave politico-morale o adducendo argomentazioni di carattere<br />

geopolitico, si può collocare Thomas Nipperdey. Accogliendo le osservazioni<br />

della critica inglese, l’autore della grande sintesi Deutsche Geschichte 1866-<br />

1918 ha proposto di circoscrivere e differenziare il concetto di <strong>Sonderweg</strong>,<br />

allo scopo di liberarlo da sovraccarichi ideologici e chiarirne il legittimo<br />

64 H. Möller, Deutscher <strong>Sonderweg</strong> — Mythos oder Realität? Ein Colloquium im Institut für<br />

Zeitgeschichte, in: “Vierteljahreshefte für Zeitgeschichte”, 30 (1982), pp. 162-165.<br />

65 E. Nolte in: Deutscher <strong>Sonderweg</strong> — Mythos oder Realität? cit., p. 39.<br />

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DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI – UNIVERSITÀ DI TORINO<br />

contenuto di realtà 66 . Anzitutto, sul piano logico-scientifico, la teoria del<br />

<strong>Sonderweg</strong> costruisce una continuità storica a partire da un punto finale — la<br />

Machtergreifung del 1933 — procedendo teleologicamente. Essa tradisce<br />

pertanto una tendenza al determinismo: presuppone l’inevitabilità del corso<br />

storico, trascurando la relativa “apertura” di situazioni, eventi, possibilità,<br />

alternative, disconoscendo l’incisività di eventi casuali o di influssi esterni,<br />

livellando discontinuità e rotture. La seconda debolezza che inficia la teoria<br />

del <strong>Sonderweg</strong> è l’eccessiva moralizzazione implicita in una lettura del corso<br />

storico che fa uso di termini quali «fallimento», «colpa», «deviazione». Oltre ad<br />

adottare come criterio di giudizio una discutibile “norma” — occupandosi,<br />

paradossalmente, di ciò che avrebbe dovuto essere e non è stato — tale<br />

impostazione trascura la forza delle condizioni date, la ristrettezza dei margini<br />

d’intervento, l’insolubilità di alcuni problemi, la finitezza e la fallibilità umana,<br />

la contraddittorietà del reale. In terzo luogo, al più tardi nella seconda metà<br />

del XIX secolo, la Germania era, per struttura socio-economica, per condizioni<br />

di diritto, per cultura, e in parte per istituzioni, assai più comparabile con le<br />

nazioni occidentali (pur tra loro differenti) di quanto non lo fosse con i paesi<br />

dell’Est e del Sud dell’Europa. L’alta complessità dei fenomeni storici ostacola<br />

una chiara attribuzione ad elementi comuni europei o a specifiche<br />

particolarità tedesche, rendendo ardua la distinzione tra ciò che è<br />

condizionato dalla situazione e ciò che è determinato dalla tradizione, sicché<br />

il lavoro dello storico non può che accontentarsi di una certa plausibilità,<br />

mancando di un criterio obiettivo per una netta delimitazione. La ricerca deve<br />

assicurare i propri risultati attraverso la “prova del fuoco” della<br />

comparazione, il solo metodo in grado di evidenziare la peculiarità, valutarne<br />

il peso, demistificare mitologie e luoghi comuni.<br />

Al di là delle questioni logico-metodologiche, Nipperdey ha richiamato<br />

l’attenzione su un altro problema, connesso all’esperienza del presente a<br />

partire dal quale si guarda al passato. In questo senso, due argomenti<br />

cardine della teoria del <strong>Sonderweg</strong> (il grado di democratizzazione e la cultura<br />

tedesca) appaiono assai più discutibili. In primo luogo, la condizione poco<br />

incoraggiante in cui versano le democrazie occidentali ha seriamente<br />

compromesso l’immagine del «Normalweg»: ingovernabilità, fragilità del<br />

66 T. Nipperdey in: Deutscher <strong>Sonderweg</strong> ― Mythos oder Realität? cit., pp. 16-26. Cfr. Id.,<br />

Deutsche Geschichte 1866-1918, Beck, München 1990/1992, 2 voll.<br />

40


MARZIA PONSO – IL SONDERWEG TEDESCO: NAZIONALISMO E FEDERALISMO<br />

sistema partitico, polarizzazione, distanza tra rappresentanti e rappresentati,<br />

crisi di legittimità, riabilitazione dell’impolitico, il sospetto che la lealtà ai<br />

sistemi democratici perduri solo finché siano assicurati e mantenuti certi<br />

standards di vita, tutto ciò pone l’interrogativo se il deficit di<br />

democratizzazione imputato alla Germania non sia dedotto da un’immagine<br />

fittizia del sistema democratico occidentale. In secondo luogo, allo storico<br />

appare discutibile misurare spirito e cultura, filosofia e arte sulla base della<br />

razionalità illuminista, del pluralismo liberale e della democrazia egualitaria,<br />

leggendo così la storia culturale tedesca — dal Romanticismo a Wagner e<br />

Nietzsche, sino all’espressionismo — in chiave di irrazionalismo o distruzione<br />

della ragione. Tali manifestazioni sono da considerarsi, piuttosto, la rivolta<br />

contro i postulati conformistici, tanto della democrazia quanto del liberalismo<br />

borghese.<br />

L’allontanamento dal paradigma marxiano e weberiano negli anni Ottanta<br />

si è accompagnato al ridimensionamento del modello interpretativo proposto<br />

da Plessner. Benché la formula della «verspätete Nation» fosse suggestiva ed<br />

efficace, dal punto di vista metodologico essa è incorsa in serrate critiche.<br />

Anche R. Koselleck ha osservato che la <strong>Sonderweg</strong>sthese suggeriva l’idea di<br />

un’ineluttabile catena causale ex ante, che doveva condurre, senza alternative<br />

o vie di scampo, alla catastrofe nazista. Ma in questo modo si finiva per<br />

indebolire proprio quella pretesa morale che si voleva avanzare con la teoria<br />

genetico-causale del <strong>Sonderweg</strong>, facendo ricadere interamente sulla Storia,<br />

ipostatizzata a Destino, la responsabilità di coloro che avevano compiuto i<br />

crimini 67 . Contro un tale giudizio moralizzante, si poteva in primo luogo<br />

obiettare che la categoria normativa temporale del “ritardo”, inserita nel<br />

complessivo contesto europeo, era destinata a perdere il proprio carattere di<br />

assolutezza: se i tedeschi erano giunti dopo i francesi, i britannici e gli<br />

olandesi ad istituire uno Stato nazionale, avevano condiviso gli stessi tempi di<br />

sviluppo degli italiani, ed anticipato polacchi, cechi ed altri popoli del centroest<br />

europeo. Inoltre, si sarebbe dovuto riflettere sul fatto che la costellazione<br />

tedesca era differente dalle condizioni in cui si trovavano i concorrenti<br />

occidentali. <strong>Il</strong> presupposto dello Stato nazionale, l’esistenza di un solo<br />

«popolo», empiricamente non era dato, in quanto si era sempre trattato di<br />

67 R. Koselleck, Deutschland — eine verspätete Nation?, in Id., Zeitschichten. Studien zur<br />

Historik, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 2000, pp. 359-379.<br />

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DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI – UNIVERSITÀ DI TORINO<br />

una pluralità di popoli, indubbiamente accomunati da lingua e cultura, ma<br />

politicamente divisi in Stati territoriali.<br />

7. 7. Una Una nazione nazione normale?<br />

normale?<br />

Fra gli assunti centrali della storiografia sul <strong>Sonderweg</strong> va annoverata la<br />

tesi che al ritardo nella costruzione dello Stato nazionale abbia fatto da<br />

contraltare lo sviluppo di un <strong>nazionalismo</strong> aggressivo ed estremistico, cui è<br />

toccato il compito di fungere da fattore d’integrazione di una realtà<br />

attraversata da una quantità insostenibile di fratture e divisioni – territoriali,<br />

sociali, confessionali, ideologiche. Questo <strong>nazionalismo</strong> avrebbe aperto la<br />

strada alla politica imperialistica, alla disintegrazione dell’equilibrio tra le<br />

potenze europee e, da ultimo, al delirio nazista. Anche su questo punto la più<br />

recente letteratura storiografica è intervenuta però per differenziare e<br />

ridimensionare la radicalità di una tesi siffatta 68 .<br />

Per valutare la particolarità della via tedesca allo Stato nazionale – si è<br />

detto – la comparazione non può essere limitata al solo modello considerato<br />

normale. Dieter Langewiesche ha riproposto nel dibattito recente una<br />

tipologia già delineata nel 1971 da Theodor Schieder, che distingueva tre<br />

modelli di State-building: 1) Stati antichi divenuti nazionali attraverso un’«integrazione»<br />

(Inghilterra, Francia, Danimarca, Svezia, Portogallo e Castiglia);<br />

68 Per l’impostazione storiografica secondo cui nazioni e Stati sono “artificio”, frutto del<br />

caso, della volontà sovrana e dell’«invenzione» di élites intellettuali, E. Gellner, Nation and<br />

Nationalism, Blackwell, Oxford 1983 (trad. it. Nazioni e <strong>nazionalismo</strong>, Editori Riuniti, Roma<br />

1985); E. Hobsbawm / T. O. Ranger (a cura di), The Invention of Tradition, Cambridge<br />

University Press, Cambridge 1983 (trad. it. L’invenzione della tradizione, Einaudi, Torino<br />

1987); E. J. Hobsbawm, Nations and Nationalism since 1780: Programme, Myth, Reality,<br />

Cambridge University Press, Cambridge 1990 (trad. it. Nazioni e <strong>nazionalismo</strong> dal 1780.<br />

Programma, mito e realtà, Einaudi, Torino 1991); B. Anderson, Imagined Communities.<br />

Reflections on the Origin and Spread of Nationalism, Verso Editions, London 1983 (trad. it.<br />

Comunità immaginate: origini e diffusione dei nazionalismi, Manifestolibri, Roma 1996); M.<br />

Hroch, Das Europa der Nationen. Die moderne Nationsbildung in europäischen Vergleich,<br />

Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 2005; O. Zimmer / L. Scales (a cura di), Power and<br />

the Nation in European History, Cambridge University Press, Cambridge 2005. Sul<br />

<strong>nazionalismo</strong> <strong>tedesco</strong> come movimento intellettuale all’inizio del XIX secolo e sulla sua<br />

successiva trasformazione K. v. Beyme, Deutsche Identität zwischen Nationalismus und<br />

Verfassungspatriotismus, in M. Hettling / P. Nolte, Nation und Gesellschaft in Deutschland.<br />

Historische Essays, Beck, München 1996, pp. 80-99.<br />

42


MARZIA PONSO – IL SONDERWEG TEDESCO: NAZIONALISMO E FEDERALISMO<br />

2) Stati nazionali «da unificare», perché divisi in una molteplicità di Stati<br />

territoriali (Germania e Italia); 3) «Stati nazionali secessionisti», giacché<br />

derivano dalla dissoluzione di «grandi unità statali sovranazionali» (la<br />

monarchia asburgica, l’impero ottomano) 69 . Nel primo caso, lo State-building<br />

precede il Nation-building: i rivoluzionari francesi poterono «trasformare» la<br />

Francia in uno Stato nazionale raccogliendo i frutti dello Stato assolutistico.<br />

Negli altri due casi — lo Stato nazionale per unificazione e quello per<br />

secessione — non si dà il presupposto di uno Stato preesistente che abbia<br />

realizzato l’accentramento dei poteri; il Nation-building precede lo Statebuilding,<br />

perchè lo Stato nazionale sorge dall’accorpamento di Stati diversi,<br />

che si ritiene appartengano ad una nazione comune, oppure dallo<br />

smembramento di un impero composto da nazioni differenti. Entrambe,<br />

unificazione e secessione, sono (a prescindere da rare eccezioni) l’esito di una<br />

guerra; nell’atto di fondazione dello Stato nazionale viene recuperata quella<br />

violenza che aveva preceduto lo Stato nazionale di tipo nord-occidentale. Per<br />

l’Europa sud-orientale la prima guerra mondiale ha rappresentato il culmine e<br />

la conclusione di questa violenza generatrice. La fondazione «tardiva» dello<br />

Stato nazionale ha come conseguenza uno spostamento del fronte di guerra<br />

dalla politica interna alle relazioni internazionali: i conflitti che dall’età<br />

medievale avevano condotto allo State-building in Francia e Inghilterra erano<br />

combattuti tra dinastie competitrici, e non tra nazioni. Per questo secondo<br />

aspetto, Langewiesche adduce l’analogia che accomuna Germania e Italia,<br />

entrambe poste di fronte alla necessità di procedere all’unificazione di una<br />

pluralità di Stati con un atto di forza, compiuto dalle due maggiori potenze<br />

militari, Prussia e Piemonte. In ambedue i casi, il legame di determinati<br />

69 D. Langewiesche, Nationalismus im 19. und 20. Jahrhundert: Zwischen Partizipation und<br />

Aggression, Friedrich Ebert Stiftung, Bonn 1994; Id., Reich, Nation, Föderation. Deutschland<br />

und Europa, Beck, München 2008. Cfr. T. Schieder, Typologie und Erscheinungsformen des<br />

Nationalstaates in Europa, in H. A. Winkler (a cura di), Nationalismus, Athenäum, Königstein<br />

i. Ts. 1985, pp. 119-137. Una tipologia simile si trova in Michael Mann, che distingue<br />

«nation as state-reinforcing» (Francia e Gran Bretagna), «nation as state-creating» (Prussia-<br />

Germania) e «nation as state-subverting» (impero asburgico) ove l’accento cade su<br />

incremento, creazione o crollo del potere (M. Mann, The Sources of Social Power, vol. II:<br />

The rise of classes and nation-states 1780-1914, Cambridge University Press, Cambridge<br />

1993, p. 218).<br />

43


DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI – UNIVERSITÀ DI TORINO<br />

territori alla corona asburgica aveva condotto, tra il 1848 e il 1870, ad una<br />

serie di guerre di unione e parallela secessione 70 .<br />

Argomentando in maniera complementare, Thomas Nipperdey ha<br />

sostenuto che il <strong>nazionalismo</strong> romantico nel XIX secolo non fu estraneo alle tre<br />

grandi tendenze politiche della democrazia, del liberalismo e del<br />

conservatorismo. L’accento posto sul “popolo” aveva valenza democraticarivoluzionaria,<br />

perché implicava la dottrina della sovranità popolare contro lo<br />

Stato dinastico-autoritario ed era un concetto anti-elitario, egualitario contro<br />

una società divisa in ceti e classi. Inoltre, l’esaltazione della cultura nazionale<br />

aveva un carattere liberale: il richiamo alla storia era la memoria delle<br />

«libertà tedesche»; il concetto di Volksgeist era connesso alla richiesta di<br />

istituzioni liberali. Infine, il <strong>nazionalismo</strong>, con il suo orientamento alla<br />

tradizione, assunse progressivamente tratti conservatori: il popolo, come<br />

comunità naturale e organica, veniva contrapposto alla società degli<br />

individui; in assenza di uno Stato unitario, la questione dell’unità nazionale<br />

ebbe la priorità sulle questioni costituzionali di libertà e diritti individuali 71 .<br />

Jürgen Kocka, per parte sua, ha visto operare due forze contrarie nel<br />

<strong>nazionalismo</strong> <strong>tedesco</strong> del XIX secolo: una forza di integrazione, in favore<br />

dell’unità e della coesione nazionale, ed effetti di disgregazione,<br />

polarizzazione ed emarginazione; con il tempo il carattere distruttivo è<br />

prevalso sul primo, riducendo a un cumulo di macerie ciò che si voleva<br />

grande e potente. In una fortunata sintesi Kocka ha proposto un modello<br />

evolutivo per il quale, se è pur vero che la storia di ogni nazione segue un<br />

percorso differente, ciononostante ciascuna attraversa, in tempi diversi, le tre<br />

fasi che contraddistinguono lo sviluppo storico di ogni nazione: il<br />

<strong>nazionalismo</strong> «progressista», guidato da forze rivoluzionarie, emancipatrici,<br />

democratico-liberali; il <strong>nazionalismo</strong> imperialista, sostenuto da forze<br />

conservatrici e antidemocratiche; il <strong>nazionalismo</strong> democratico e aperto<br />

all’integrazione sovranazionale 72 .<br />

70 Cfr. O. Janz / P. Schiera / H. Siegrist, Centralismo e <strong>federalismo</strong> tra Otto e Novecento:<br />

Italia e Germania a confronto, il Mulino, Bologna 1997.<br />

71 T. Nipperdey, Romantischer Nationalismus, in Id., Nachdenken über die deutsche<br />

Geschichte cit., pp. 110- 125, qui p. 123 e segg.<br />

72 J. Kocka, Das Problem der Nation in der deutsche Geschichte 1870-1945, in: Id.,<br />

Geschichte und Aufklärung. Aufsätze, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1989, pp. 82-<br />

100. Kocka ha esposto questa sua tesi al pubblico italiano in occasione di una relazione<br />

44


MARZIA PONSO – IL SONDERWEG TEDESCO: NAZIONALISMO E FEDERALISMO<br />

1. La prima fase, coincidente con la gestazione e la nascita dello Stato<br />

nazionale, è contrassegnata da un <strong>nazionalismo</strong> “progressista”. L’idea di<br />

nazione è proclamata dal ceto medio emergente quale arma di lotta contro i<br />

poteri tradizionali e l’assolutismo, come dimostra esemplarmente il caso<br />

rivoluzionario francese. Anche in Germania, nei primi settant’anni<br />

dell’Ottocento, il progetto di unità nazionale era sostenuto particolarmente<br />

dalle forze liberali e democratiche, che avanzavano istanze di partecipazione<br />

politica e riforme costituzionali. Quando la frammentazione politica tedesca<br />

fu superata per iniziativa prussiana con la fondazione dell’Impero, il<br />

<strong>nazionalismo</strong> continuò a fungere da motore per il progresso, non più in<br />

chiave socio-politica, bensì come motivazione per la modernizzazione<br />

burocratica ed economica del Reich, nel tentativo di riguadagnare terreno in<br />

efficienza amministrativa e produttività industriale.<br />

In questo processo di formazione dello Stato nazionale, Kocka individua<br />

quattro tratti che distinguono la Germania dagli Stati occidentali. a)<br />

Riprendendo la tipologia di Schieder e Langewiesche, osserva che in Francia e<br />

Inghilterra la nazione si è formata in seno ad uno Stato unitario già esistente,<br />

mentre in Germania (e in Italia) la rivendicazione di auto-determinazione<br />

nazionale assume la forma di movimento di unificazione di una molteplicità di<br />

Stati. In ciò egli individua la ragione della diversità nel sentimento di<br />

appartenenza alla comunità nazionale, per i primi fondato sulla cittadinanza,<br />

per i secondi basato sulla comunanza di lingua, cultura e usanze. <strong>Il</strong><br />

movimento nazionale <strong>tedesco</strong>, pur mirando allo Stato-nazione, doveva far<br />

appello ad una unità pre-statale, creando miti d’origine a sostegno dell’idea<br />

di un solo, medesimo popolo. I criteri di appartenenza alla nazione<br />

apparivano dunque più arbitrari e discutibili rispetto a quelli chiaramente<br />

definiti da uno Stato unitario, in cui lingua, cultura e origini erano elementi di<br />

coesione secondari. In questo modo si spiegherebbe anche quel tratto<br />

problematico sin dall’inizio presente nel <strong>nazionalismo</strong> <strong>tedesco</strong>: l’intolleranza<br />

verso le minoranze etniche che venivano percepite come una minaccia per<br />

l’unità culturale interna. «Rispetto al concetto occidentale di Stato-nazione,<br />

l’idea di una nazione pre-statale, fondata su un popolo unito da un’unica<br />

tenuta a Palermo nel marzo 1993 in un ciclo di incontri sul tema «Quale Germania<br />

nell’Europa degli anni ’90?» (J. Kocka, Nazione e <strong>nazionalismo</strong> in Germania nella storia e<br />

oggi, Istituto Gramsci Siciliano, Palermo 1993).<br />

45


DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI – UNIVERSITÀ DI TORINO<br />

lingua e cultura, correva maggiori rischi di essere mitizzata e, in seguito,<br />

distorta nel senso del razzismo» 73 . b) In Germania, a differenza dell’Europa<br />

occidentale e degli Stati Uniti, la nazione non era nata (o non si era<br />

consolidata) da una rivoluzione borghese. Fallito il tentativo «dal basso» del<br />

1848/49, lo Stato nazionale era stato opera dell’autorità governativa<br />

prussiana e, nonostante la costituzione del 1871 avesse accolto non pochi<br />

elementi liberali, i poteri tradizionali della burocrazia, dell’esercito e della<br />

proprietà fondiaria conservavano la loro forza. c) Mentre gli Stati nazionali<br />

occidentali si erano formati prima della rivoluzione industriale, la situazione<br />

tedesca era complicata dalla compresenza di questione nazionale e questione<br />

sociale, che comportava, oltre ad una singolare polarizzazione del sistema<br />

partitico, la tendenza autoritaria-conservatrice del governo e delle<br />

maggioranze parlamentari. d) Infine, la creazione di uno Stato nazionale<br />

<strong>tedesco</strong>, forte e unitario, nel cuore del continente rappresentava un problema<br />

per gli equilibri internazionali. Fu l’abilità diplomatica di Bismarck, tesa ad<br />

assicurare l’estraneità tedesca da volontà di predominio, a permettere che le<br />

altre potenze europee tollerassero il nuovo rapporto di forza creatosi con il<br />

Secondo Reich.<br />

Riprendendo una polemica sollevata già dai contemporanei del<br />

Kaiserreich 74 , Kocka evidenzia un ulteriore aspetto della specificità nazionale<br />

tedesca. La fondazione del Reich nel 1871, oltre ad essere tardiva, manifesta<br />

una serie di rilevanti lacune nel processo d’integrazione nazional-statale. <strong>Il</strong><br />

Kaiserreich sorgeva, anzitutto, come unione di singoli Stati che avevano<br />

percorso la propria strada verso la statalizzazione. La nazione, sotto il profilo<br />

dell’unità amministrativa, esisteva all’inizio degli anni Settanta soltanto come<br />

possibilità da realizzare e non come realtà di fatto. Una larga parte della<br />

popolazione tedesca non percepiva ancora la propria appartenenza allo Stato<br />

nazionale. A prevalere nella quotidianità e nell’autopercezione erano piuttosto<br />

identità pre-politiche, familiari, locali, regionali, confessionali, nonostante la<br />

73 J. Kocka, Nazione e <strong>nazionalismo</strong> in Germania nella storia e oggi cit., p. 19.<br />

74 Un’esposizione delle reazioni che in Germania seguirono la proclamazione del Deutsches<br />

Reich si trova nel volume a cura di H. Böhme, Deutschlands Weg zur Großmacht. Studien<br />

zum Verhältnis von Wirtschaft und Staat während der Reichsgründungszeit 1848-1881,<br />

Kiepenheuer & Witsch, Köln 1966; trad. it. L’ascesa della Germania a grande potenza.<br />

Economia e politica nella formazione del Reich 1848-1881, Ricciardi, Milano / Napoli<br />

1970, pp. 1-39).<br />

46


MARZIA PONSO – IL SONDERWEG TEDESCO: NAZIONALISMO E FEDERALISMO<br />

comune esperienza delle guerre di unificazione. Dalla politica di potenza prenazionale<br />

della Prussia e dall’affermazione della soluzione klein-deutsch<br />

derivava poi un paradosso: popolazioni non-tedesche appartenevano,<br />

secondo la costituzione del 1871, al «popolo <strong>tedesco</strong>», mentre milioni di<br />

tedeschi si trovavano al di fuori dei confini del Reich. Si trattava di<br />

un’incongruenza con il principio della nazione culturale intesa come<br />

omogenea comunità linguistica. <strong>Il</strong> Reich comprendeva infine minoranze di<br />

nazionalità tedesca che manifestavano nei confronti dello Stato nazionale un<br />

atteggiamento di rifiuto: in particolare, la popolazione cattolica, molti<br />

democratici e il nascente movimento operaio. <strong>Il</strong> contrasto con la Germania<br />

cattolica, tenacemente radicata negli Stati meridionali, non derivava soltanto<br />

dall’opposizione fondamentale tra Stato nazionale e Chiesa universale,<br />

sopranazionale, ma dal carattere spiccatamente prussiano-protestante<br />

impresso al nuovo impero; il dissidio fu esacerbato dalla politica<br />

bismarckiana avversa al partito del Centro e alla Chiesa cattolica: il<br />

cosiddetto Kulturkampf era volto a imporre una serie di provvedimenti per<br />

sottoporre tutto il clero nazionale al controllo dello Stato e risolvere la<br />

questione della spaccatura confessionale.<br />

2. Gli Stati nazionali consolidati entrano nella seconda fase della loro<br />

evoluzione alla fine dell’Ottocento per uscirne con la seconda guerra<br />

mondiale. È la stagione del <strong>nazionalismo</strong> aggressivo e imperialista all’esterno,<br />

intollerante all’interno verso democratici e socialisti. Al volgere del secolo, con<br />

l’acuirsi delle tensioni sociali, in molti paesi il <strong>nazionalismo</strong> si va trasformando<br />

da principio progressista a ideologia di Destra, e tale svolta è particolarmente<br />

evidente in Germania, dove il connubio tra <strong>nazionalismo</strong> e liberalismo era<br />

sempre stato incerto, la predominanza della Prussia aveva conferito allo Stato<br />

un carattere spiccatamente autoritario e militarista, il consolidamento dello<br />

Stato nazionale era avvenuto con una propaganda manipolatrice contro i<br />

«nemici del Reich» (cattolici e socialdemocratici) 75 . L’ideologia nazionale cessa<br />

di funzionare come fattore integrativo e diventa strumento di separazione,<br />

esclusione e ostilità. <strong>Il</strong> governo imperiale utilizza il principio nazionale come<br />

75 Cfr. B. Vogel, Vom linken zum rechten Nationalismus. Bemerkungen zu einer<br />

Forschungsthese, in B. J. Wendt (a cura di), Vom schwierigen Zusammenwachsen der<br />

Deutschen. Nationale Identität und Nationalismus im 19. und 20. Jahrhundert, Lang,<br />

Frankfurt a. M. 1992, pp. 97-110.<br />

47


DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI – UNIVERSITÀ DI TORINO<br />

strumento per bandire quei partiti che chiedono la riforma o l’abbattimento<br />

del sistema politico (liberali di sinistra e socialdemocrazia) e per convogliare i<br />

conflitti d’interesse interni in aggressività verso l’esterno. L’integrazione<br />

nazionale deve essere ottenuta per vie diverse da quelle offerte dalla<br />

partecipazione rappresentativa al sistema politico. <strong>Il</strong> crescente <strong>nazionalismo</strong><br />

delle associazioni di propaganda mira non soltanto a far valere la potenza<br />

dello Stato <strong>tedesco</strong> sullo scenario mondiale, ma anche a disciplinare<br />

all’interno le forze liberali, democratiche, socialiste. Le tensioni sociali<br />

alimentano un <strong>nazionalismo</strong> in vario modo sempre più radicale: come<br />

autoconferma morale per i ceti medi posti in discussione, come risposta alla<br />

minaccia di declassamento, come mezzo per screditare un proletariato<br />

accusato d’essere anti-nazionale. Lo sciovinismo agiva anche tra le minoranze<br />

nazionali: ad esempio, nella Slesia superiore l’autoemarginazione e l’ostilità<br />

della popolazione polacca era la necessaria conseguenza del passaggio da<br />

una concezione dello Stato prussiana pre-nazionale ad una politica del Reich<br />

<strong>tedesco</strong>-nazionale.<br />

3. Per molta parte del mondo occidentale, la terza fase ha inizio con il<br />

secondo dopoguerra. Nonostante la fitta rete di rapporti e interdipendenze<br />

sovra-statali, lo Stato nazionale resta la forma di organizzazione politica su cui<br />

si fonda l’identità collettiva, benché nuovi regionalismi possano allentare il<br />

legame di coesione. Movimenti secessionisti come quello basco, irlandese e<br />

corso hanno temperato la propria violenza e imboccato la strada di trattative<br />

e compromessi. Lo Stato non ha più bisogno di ricorrere al <strong>nazionalismo</strong><br />

estremo come ideologia integrante: tensioni sociali e conflitti d’interesse<br />

vengono mediati e composti da parlamenti, sindacati, politiche di Welfare;<br />

manifestazioni di intolleranza e xenofobia restano episodi isolati. Nell’Europa<br />

orientale, invece, dopo la dissoluzione dell’impero sovietico, il <strong>nazionalismo</strong><br />

ha mantenuto ancora le caratteristiche esplosive della seconda fase, come si<br />

evince dalla recente guerra nei Balcani e dai conflitti nei territori dell’ex-<br />

Unione Sovietica.<br />

E’ particolarmente in questa fase più che nelle precedenti – sostiene ora un<br />

prevalente orientamento revisionistico della storiografia – che la Germania<br />

costituisce un’anomalia, sia rispetto alle nazioni occidentali più “mature”, sia<br />

nei confronti di quelle orientali. La sconfitta del 1945 ha significato la perdita<br />

dell’unità nazionale e la divisione in due blocchi ideologici contrapposti. A<br />

48


MARZIA PONSO – IL SONDERWEG TEDESCO: NAZIONALISMO E FEDERALISMO<br />

molti l’esistenza di due Stati tedeschi è parsa la logica conseguenza del fatto<br />

che nell’Europa centrale non fosse mai stato possibile coniugare uno Stato<br />

nazionale grande e potente, un ordinamento improntato ai principi liberaldemocratici<br />

ed una politica di pace. Quella vicenda nazionale dall’esito<br />

catastrofico suggeriva di percorrere la strada dell’integrazione europea<br />

piuttosto che la restaurazione di una nazione compromessa da un passato<br />

tanto illiberale. Ciò spiega anche la resistenza e le perplessità manifestate da<br />

una parte cospicua dell’opinione pubblica, attenta a mantenere vivo il ricordo<br />

dei crimini commessi, di fronte all’inarrestabile dinamica nazionale che era<br />

seguita al crollo del sistema socialista e che in tempi brevissimi — dal<br />

novembre del 1989 al marzo del 1990 — avrebbe condotto alla<br />

riunificazione. Con lo slogan «Siamo un solo popolo» i tedeschi dell’est non<br />

reclamavano soltanto la loro appartenenza all’unica nazione tedesca, ma<br />

intendevano rivendicare come proprio diritto la cancellazione della disparità<br />

economica, sociale, politica e culturale che li separava dai tedeschi<br />

dell’Ovest. La Repubblica federale, per quanto prevedesse nella propria<br />

costituzione l’obiettivo della riunificazione con la DDR, non salutò con<br />

particolare entusiasmo la riunificazione.<br />

8. 8. 8. <strong>Il</strong> <strong>Il</strong> modello modello federale<br />

federale<br />

In epoche diverse della storia la composizione federale della compagine<br />

politica tedesca (dall’ altes Reich alla Repubblica di Weimar) è stata oggetto<br />

di valutazioni divergenti: ma nel complesso, da Pufendorf al giovane Hegel a<br />

Carl Schmitt, sono prevalsi i giudizi negativi. Con il secondo dopoguerra, vale<br />

a dire con la costituzione della Bundesrepublik da un lato e con l’avvio del<br />

processo d’integrazione europea dall’altro, la tendenza si è invertita e la<br />

storiografia ha progressivamente riconosciuto nel <strong>federalismo</strong> il vero elemento<br />

di continuità nella storia tedesca 76 . In base a questo orientamento, la storia<br />

76 Sul <strong>federalismo</strong> come linea di continuità tedesca, T. Nipperdey, Nachdenken über die<br />

deutsche Geschichte cit.; H.-J. Becker, Der Föderalismus als Konstante der deutschen<br />

Verfassungsgeschichte, in J. Eckert (a cura di), Der praktische Nutzen der Rechtsgeschichte,<br />

Müller, Heidelberg 2003, pp. 23-38; D. Langewiesche / G. Schmidt (a cura di), Föderative<br />

Nation. Deutschlandkonzepte von der Reformation bis zum Ersten Weltkrieg, Oldenbourg,<br />

München 2000; D. Langewiesche, Staatsbildung und Nationsbildung in Deutschland ― ein<br />

49


DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI – UNIVERSITÀ DI TORINO<br />

tedesca si distingue dal resto d’Europa non per le estremizzazioni del suo<br />

<strong>nazionalismo</strong> ma per la permanenza e l’efficacia delle sue strutture federali,<br />

che hanno impedito e rallentato la formazione di uno Stato nazionale.<br />

Per Reinhart Koselleck, la costruzione di una nazione tedesca era stata<br />

impedita per lungo tempo proprio dal fatto che «le strutture durature nella<br />

storia tedesca non erano mai state di tipo nazionale, ma da sempre<br />

federale» 77 . A suo giudizio, non si giunse mai ad una monarchia assoluta,<br />

centralizzata, perché i ceti godevano di una libertà d’unione che<br />

costantemente erodeva la gerarchia feudale culminante nel sovrano; i principi<br />

stessi si erano avvalsi di tale libertà (nel modo più efficace con la Lega dei<br />

principi nel 1785) per resistere alle ambizioni statuali degli Asburgo. Anche<br />

sotto il profilo giuridico, il <strong>federalismo</strong> rappresenta un elemento di forte<br />

continuità che lega tra loro Sacro Romano Impero, Confederazione del Reno<br />

(1806), Confederazione tedesca (1815), Confederazione tedesca del Nord<br />

(1867) e che, unendosi all’idea di Stato nazionale, ha condotto al modello di<br />

Stato federale di tipo liberale. Poiché l’Altes Reich non presentava una<br />

centralizzazione del potere sovrano ed era composto da una pluralità di Stati,<br />

l’unità nazionale tedesca fu concepita dall’Assemblea di Francoforte in forma<br />

federale, alternativa all’unità statale propria di una nazione centralizzata: la<br />

struttura di potere dell’Altes Reich e quella del suo erede, il Deutscher Bund,<br />

coniugavano unità della nazione e pluralità di Stati sotto un comune tetto<br />

istituzionale. Alla vigilia della prima guerra mondiale, ha sostenuto Thomas<br />

Nipperdey, il <strong>federalismo</strong> poteva esibire in Germania un bilancio positivo,<br />

essendo riuscito ad integrare il Reich in un’unità politica, preservando la<br />

pluralità e l’autonomia regionale; esso opponeva resistenza alla domanda di<br />

parlamentarizzazione e democratizzazione, che si sarebbe affermata con la<br />

sconfitta militare e il ridimensionamento dell’egemonia prussiana a Weimar,<br />

ma pur sempre nel quadro di un ordinamento federale 78 . Da più parti infine si<br />

è argomentato che il modello federale era ancorato così profondamente nella<br />

cultura e nella coscienza socio-politica tedesca da poter sopravvivere alla<br />

fondazione e al crollo del primo Stato nazionale ed affermarsi nell’assetto<br />

<strong>Sonderweg</strong>?, in U. v. Hirschhausen / J. Leonhard (a cura di), Nationalismen in Europa: West<br />

und Osteuropa in Vergleich, Wallstein, Göttingen 2001, pp. 49-67.<br />

77 R. Koselleck, Deutschland — eine verspätete Nation? cit., p. 370.<br />

78 T. Nipperdey, Nachdenken über die deutsche Geschichte cit., p. 87 e segg.<br />

50


MARZIA PONSO – IL SONDERWEG TEDESCO: NAZIONALISMO E FEDERALISMO<br />

istituzionale della Germania contemporanea, conservando fino ad oggi la sua<br />

forza. «La sconfitta in due guerre mondiali e la struttura federalista – si è<br />

sostenuto – possono avere per il momento risparmiato la Germania, a<br />

differenza di altri paesi, dalle tendenze disintegratrici del regionalismo<br />

etnico» 79 .<br />

E’ interessante rilevare qui come, sulle ceneri dell’ormai ripudiato teorema<br />

del <strong>Sonderweg</strong> (negativo), faccia la sua comparsa (o ricomparsa, in un<br />

contesto internazionale certo assai mutato) una più sobria versione di<br />

<strong>Sonderweg</strong> in senso positivo. A differenza dell’idea dei diritti fondamentali,<br />

della sovranità popolare, della divisione dei poteri, il <strong>federalismo</strong> è<br />

interpretato non come un principio universale della forma-Stato<br />

dell’Occidente bensì come «radizierte Staatsidee», una forma di<br />

organizzazione politica che, se si prescinde dal caso svizzero (di dimensioni<br />

per altro limitate), in Europa ha conosciuto durevole e stabile realizzazione<br />

soltanto in Germania 80 . A partire da questa sua identità federale la Germania<br />

è venuta discretamente ma progressivamente affermando una vocazione<br />

egemonica in Europa: questo <strong>federalismo</strong> non mira a dissolvere la sovranità<br />

tedesca nel dispositivo integrato delle competenze dell’Unione Europea, ma a<br />

germanizzare sotto il profilo amministrativo l’Europa.<br />

<strong>Il</strong> dualismo della costruzione europea, in tensione tra il principio della<br />

sovranazionalità dell’Unione e il principio della sovranità dei suoi membri 81 , è<br />

chiaramente prefigurato dalla storia del Reich tra XV e XVIII secolo. Quale<br />

alternativa allo Stato centralizzato e monocratico, il <strong>federalismo</strong> di quella<br />

costruzione appare nel dibattito recente come qualcosa di premoderno e, al<br />

79 W. Reinhard, Storia del potere politico in Europa cit., p. 619.<br />

80 J. Isensee, Idee und Gestalt des Föderalismus im Grundgesetz, in Id. / P. Kirchhof (a cura<br />

di), Handbuch des Staatsrechts der Bundesrepublik Deutschland, Müller, Heidelberg 1990,<br />

vol. IV, p. 519: «Lo Stato federale della Legge fondamentale è una forma di Stato di origine<br />

tedesca e impronta tedesca». «La tradizione federale ha in Germania una profondità e una<br />

continuità storica maggiore della tradizione statale. L’organizzazione politica aveva il<br />

carattere di un “Bund” già all’epoca in cui non era ancora organizzata in forma statale. <strong>Il</strong><br />

Sacro Romano Impero di Nazione Tedesca, nel suo raggio d’azione sovranazionale, pur nel<br />

mutamento delle sue posizioni di forza, era sempre stato una federazione dei suoi ceti; ma<br />

non doveva trasformarsi mai in uno Stato in senso moderno» (pp. 523-24).<br />

81 Su questo dualismo M. R. Lepsius, Nationalstaat oder Nationalitätenstaat als Modell für<br />

die Weiterentwicklung der Europäischen Gemeinschaft, in Id., Demokratie in Deutschland<br />

cit., pp. 265-85; trad. it. Stato nazionale o stato delle nazionalità come modello per lo<br />

sviluppo della Comunità europea, in Id., <strong>Il</strong> significato delle istituzioni cit., pp. 363-390.<br />

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DIPARTIMENTO DI STUDI POLITICI – UNIVERSITÀ DI TORINO<br />

tempo stesso, — alla luce delle odierne esperienze comunitarie europee — di<br />

postmoderno, al punto da giustificare la tesi dell’«asincronicità»<br />

(Unzeitgemäßheit) quale carattere peculiarmente <strong>tedesco</strong>. Lo stesso Plessner<br />

aveva già riconosciuto che la storia tedesca esigeva «una soluzione o nel<br />

senso dell’idea ecumenica prenazionale del Reich, o nel senso<br />

dell’organizzazione postnazionale degli Stati Uniti d’Europa, in ogni caso<br />

un’asincronicità perché dell’altro ieri o di dopo domani» 82 . Per questo la<br />

tradizione federalistica del Reich torna oggi ad essere considerata modello<br />

dell’unificazione europea, mentre da qualche parte si avanza il sospetto che i<br />

tedeschi vogliano tornare a dominare con l’organizzazione federalistica<br />

un’Europa modellata sulla propria tradizione 83 .<br />

Indubbiamente, il <strong>federalismo</strong> europeo ha nella Germania un modello<br />

rilevante in quello che è stato definito “<strong>federalismo</strong> asimmetrico”, dove un<br />

nucleo di Stati dominanti è affiancato da una serie di altri Stati di minore<br />

influenza 84 . La Bundesrepublik — a differenza degli altri due paesi membri<br />

con ordinamento federale, Austria e Belgio — è il solo che abbia aderito al<br />

sistema comunitario sin dalla fondazione di esso; in ragione della sua lunga<br />

esperienza, e dei suoi adattamenti ai mutamenti ambientali, più di altri paesi<br />

membri ha proposto soluzioni normative alle difficoltà poste da un’organizzazione<br />

complessa che prevede accentramento comunitario e pluralità di<br />

centri di governo 85 . L’Unione, per parte sua, pur essendo predestinata a<br />

82 H. Plessner, Die verspätete Nation cit., p. 40.<br />

83 Un giudizio per certi versi simile a questo è stato espresso nel maggio 2000 dall’allora<br />

ministro degli Interni francese Jean-Pierre Chevènement, il quale, in risposta alla visione<br />

europea esposta dall’ex ministro degli Esteri Joschka Fischer, affermò che i tedeschi<br />

sognano ancora il loro Sacro Romano Impero di Nazione Tedesca, alludendo con ciò ad<br />

un’ambizione di dominio: la Germania pretenderebbe il superamento degli Stati nazionali<br />

per poter dominare l’Europa come l’Altes Reich — secondo la sua mitizzazione ottocentesca<br />

— avrebbe fatto nel Medioevo e nella prima età moderna (cfr. “Frankfurter Allgemeine<br />

Zeitung”, 31 / 05 / 2000).<br />

84 Sul sistema federale <strong>tedesco</strong>, fondamentale K. Hesse, Der unitarische Bundesstaat, Müller,<br />

Karlsruhe 1962. Sulle asimmetrie, de jure e de facto, nello Stato Federale Tedesco, si<br />

vedano A. Benz, From Unitary to Asimmetric Federalism in Germany: Taking Stock after 50<br />

Years, in: “Publius”, 29/4 (1999), p. 56 e segg. e K. v. Beyme, Föderalismus und regionales<br />

Bewusstsein. Ein internationaler Vergleich, Beck, München 2007.<br />

85 Cfr. C. Baier, Bundesstaat und europäische Integration. Die „Europatauglichkeit“ des deutschen<br />

Föderalismus, Duncker & Humblot, Berlin 2006; D. Merten (a cura di), Die Zukunft<br />

des Föderalismus in Deutschland und Europa, Duncker & Humblot, Berlin 2007; C. B.<br />

Blankart, Föderalismus in Deutschland und in Europa, Nomos, Baden-Baden 2007.<br />

52


MARZIA PONSO – IL SONDERWEG TEDESCO: NAZIONALISMO E FEDERALISMO<br />

diventare uno Stato federale, resta un conglomerato di autorizzazioni da parte<br />

degli Stati membri. <strong>Il</strong> criterio per una chiara ripartizione delle competenze non<br />

è l’efficienza funzionale, bensì la divisione dei poteri, fondata<br />

normativamente. Ciò che è necessario in relazione all’ampliamento delle<br />

competenze è un notevole aumento del sistema, organizzato per Stati<br />

nazionali, delle organizzazioni intermedie e delle istituzioni per la mediazione<br />

del conflitto (partiti, sindacati, strutture di mediazione neocorporativa). Una<br />

politica industriale europea e, soprattutto, un’armonizzazione della politica<br />

sociale non è pensabile senza un sistema europeo di partiti di negoziazione<br />

capaci d’agire. Fintanto che queste strutture di intermediazione non si sono<br />

sufficientemente sviluppate resta necessario rafforzare la partecipazione degli<br />

Stati nazionali alle decisioni dell’Unione. Finché vige la regola della<br />

maggioranza, la partecipazione degli Stati membri è proceduralmente efficace<br />

soltanto in coalizione con gli altri, non indipendentemente da essi 86 . Sono<br />

questi gli aspetti in cui la struttura istituzionale tedesca, oltre a costituire un<br />

modello, presenta un vantaggio competitivo sugli altri paesi europei.<br />

86 M. R. Lepsius, Die Europäische Gemeinschaft und die Zukunft des Nationalstaates, in Id.,<br />

Demokratie in Deutschland cit., pp. 249-264, qui p. 261-263.<br />

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