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Testo sulla città interetnica - Architettura

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Collana “Città e <strong>Architettura</strong>”<br />

diretta da Massimo Clemente


La Fondazione Aldo Della Rocca, Ente Morale per gli Studi di Urbanistica<br />

D.P.R. 5-7-1958 n° 1013, ha voluto promuovere e sostenere questa pubblicazione<br />

di Massimo Clemente e Gabriella Esposito De Vita, per l’affinità culturale<br />

e per il comune sentire scientifico e formativo sul tema della multiculturalità<br />

in urbanistica e in architettura. Il volume, infatti, si collega direttamente alle<br />

attività di ricerca, formazione e sperimentazione sviluppate per la “<strong>città</strong> <strong>interetnica</strong><br />

cablata” dalla Fondazione Della Rocca e, in particolare, al recente Volume 29 della Collana<br />

di Studi di Urbanistica, dal titolo “Città Cablata, Carta di Megaride ’94, Città Europea Interetnica.<br />

Genetica e Destino di un Percorso”.


Massimo Clemente Gabriella Esposito De Vita<br />

01 Città <strong>interetnica</strong><br />

Spazi, forme e funzioni per l’aggregazione e per l’integrazione<br />

Editoriale Scientifica


Progetto promosso e sostenuto dalla Fondazione Aldo Della Rocca all’interno della reta di ricerca<br />

e alta formazione <strong>sulla</strong> «<strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> cablata».<br />

Ricerca sviluppata nell’ambito della Convenzione tra il Consiglio Nazionale delle Ricerche e il<br />

Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali dell’Università degli Studi<br />

Federico II di Napoli.<br />

Pubblicazione finanziata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche nell’ambito della Promozione<br />

della ricerca 2004, Prima stampa 2007 - Pubblicazione opere e periodici - prot. 1262 Resp. Scient.<br />

Massimo Clemente.<br />

Proprietà letteraria riservata<br />

© Copyright 2008 Editoriale Scientifica s.r.l.<br />

Via San Biagio dei Librai, 39<br />

80138 Napoli<br />

ISBN 978-88-6342-000-5


Indice<br />

Note introduttive<br />

CORRADO BEGUINOT 9<br />

Presidente della Fondazione Aldo Della Rocca, Ente Morale di Studi di Urbanistica, Roma<br />

WALTER ESPOSTI 13<br />

Direttore del Dipartimento Sistemi di Produzione del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Roma<br />

FRANCESCO FORTE 15<br />

Direttore del Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali dell’Università<br />

degli Studi Federico II, Napoli<br />

LUIGI FUSCO GIRARD 19<br />

Past Direttore del Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali<br />

dell’Università degli Studi Federico II, Napoli<br />

Capitolo 1<br />

Città multietniche per la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong><br />

Massimo Clemente (1.1, 1.2, 1.4) Gabriella Esposito De Vita (1.1, 1.3, 1.4)<br />

1.1 La metodologia di studio: ricerca, formazione, sperimentazione 23<br />

1.1.1 Gli obiettivi della ricerca: pianificare e progettare multiculturale 23<br />

1.1.2 La base di conoscenza <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica 25<br />

1.1.3 Il percorso di studio per la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> 30<br />

1.1.4 L’approccio multidisciplinare per una semantica multiculturale 31<br />

1.2 Culture globali e identità locali 32<br />

1.2.1 Per quale <strong>città</strong> e quali architetture 32<br />

1.2.2 Ricerca e formazione per la sperimentazione 35<br />

1.2.3 Un futuro arcobaleno per la <strong>città</strong> e l’architettura 38<br />

1.2.4 Dalla teoria alla prassi, dall’analisi al progetto 40<br />

1.3 La etnodiversità: problema o risorsa? 44<br />

1.3.1 Il DNA della <strong>città</strong> contemporanea 44<br />

1.3.2 Dal concetto di integrazione a quello di interazione 47<br />

1.3.3 I luoghi fisici e culturali per l’interazione: i nuovi valori semantici 50<br />

1.4 Riferimenti 54<br />

1.4.1 Bibliografia 54<br />

1.4.2 Internet 55<br />

Capitolo 2<br />

La ricerca <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica: lo stato dell’arte<br />

Massimo Clemente<br />

2.1 L’indagine sui centri di ricerca 57<br />

2.1.1 Le finalità e i contenuti del censimento 57<br />

2.1.2 I criteri di classificazione e gerarchizzazione 58<br />

2.2 Lo stato dell’arte della ricerca 62<br />

2.2.1 La ricerca in urbanistica per la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> 62<br />

2.2.2 La ricerca per l’urbanistica e la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> 74<br />

2.3 Migrazioni, ricerca e documentazione 83<br />

2.3.1 La ricerca <strong>sulla</strong> multietnia e <strong>sulla</strong> multiculturalità 83<br />

2.3.2 Documentazione e statistiche <strong>sulla</strong> multietnia 85<br />

5<br />

INDICE


6<br />

INDICE<br />

2.4 Valutazioni e prospettive di studio 86<br />

2.4.1 La suddivisione geografica della ricerca 86<br />

2.4.2 La gerarchia delle tematiche della ricerca 88<br />

2.5 Riferimenti 91<br />

2.5.1 Bibliografia 91<br />

2.5.2 Internet 92<br />

Capitolo 3<br />

I luoghi della socializzazione per una cultura condivisa<br />

Gabriella Esposito De Vita<br />

3.1 Le premesse di una ricerca: dalla paura alla socializzazione interculturale 97<br />

3.2 L’insicurezza urbana e l’immigrazione: il ruolo degli spazi e dei luoghi 99<br />

3.2.1 Il senso di insicurezza (i luoghi della paura) nella <strong>città</strong> contemporanea 99<br />

3.2.2 Le matrici del conflitto nella <strong>città</strong> multietnica 103<br />

3.2.3 Lineamenti di progettazione orientata alla sicurezza urbana 106<br />

3.2.4 Immigrazione e sicurezza urbana: elementi per l’interpretazione dei nodi progettuali 110<br />

3.3 L’esperienza italiana e il fenomeno migratorio: conflitto vs socializzazione 113<br />

3.3.1 Temi-problema e potenzialità: immigrazione e immaginario collettivo 114<br />

3.3.2 Scenario normativo e prospettive future 122<br />

3.3.3 Le scelte localizzative delle comunità immigrate 124<br />

3.3.4 Le espressioni della conflittualità etnica e dell’insicurezza 127<br />

3.3.5 Un possibile percorso interpretativo 132<br />

3.4 La rete degli spazi d’aggregazione: socializzazione vs conflitto 133<br />

3.4.1 Linee guida per una <strong>città</strong> multiculturale sicura 133<br />

3.4.2 La procedura 138<br />

3.4.3 Criteri progettuali per l’aggregazione <strong>interetnica</strong>: dall’alloggio al sistema integrato<br />

per la residenza 140<br />

3.4.4 L’attuazione selettiva del piano: il modello partecipativo 143<br />

3.5 Riferimenti 146<br />

3.5.1 Bibliografia 146<br />

3.5.2 Carte 148<br />

Capitolo 4<br />

Lo sport per la <strong>città</strong> multiculturale<br />

Massimo Clemente<br />

4.1 Il ruolo dello sport nella società multiculturale 149<br />

4.1.1 Sport, inclusione sociale, integrazione etno-culturale 149<br />

4.1.2 Dalle origini alla modernità dello sport 150<br />

4.1.3 Lo sport oggi per la crescita sociale 151<br />

4.2 Per il superamento delle diversità 152<br />

4.2.1 Le buone pratiche: ricerche, conferenze, documenti, associazioni 152<br />

4.2.2 Schedatura e approfondimento dei casi studio 157<br />

4.3 Gli spazi dell’incontro e del dialogo 162<br />

4.3.1 I luoghi dello sport: sperimentazioni metodologiche e progettuali 162<br />

4.3.2 Schedatura e approfondimento dei casi studio 166<br />

4.4 Riferimenti 168<br />

4.4.1 Bibliografia 168<br />

4.4.2 Internet 168


Capitolo 5<br />

Il progetto urbanistico: spazi e funzioni multiculturali<br />

Bianca Petrella (5.1, 5.4), Claudia de Biase (5.2, 5.4), Ciro Tufano (5.3, 5.4)<br />

5.1 (Ri)progettare spazi e funzioni urbane per la multiculturalità 169<br />

5.1.1 Periferie urbane e periferie umane 169<br />

5.1.2 Una chiave d’interpretazione per la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> 171<br />

5.2 (Ri)progettare le funzioni urbane dell’aggregazione e dell’integrazione 176<br />

5.2.1 Strumenti urbanistici e normative per la riorganizzazione delle attività 176<br />

5.2.2 La problematica dei servizi 178<br />

5.2.3 La riqualificazione dei quartieri residenziali 179<br />

5.3 (Ri)progettare gli spazi urbani dell’aggregazione e dell’integrazione 183<br />

5.3.1 Design urbano e <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> 183<br />

5.3.2 Lo spazio semiotico urbano 184<br />

5.3.3 Il design urbano interetnico 185<br />

5.4 Riferimenti 189<br />

5.4.1 Bibliografia 189<br />

5.4.2 Legislazione 191<br />

Capitolo 6<br />

L’architettura possibile per la <strong>città</strong> multiculturale<br />

Francesco Bruno (6.1, 6.4), Eleonora Giovene di Girasole (6.2, 6.4), Marco Cante (6.3, 6.4)<br />

6.1 La <strong>città</strong> multiculturale e multietnica ed i pregressi multi-errori<br />

6.1.1 Progettare per la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong>: aperta, libera e multiculturale 193<br />

6.1.2 I casi studio a Milano e a Napoli 195<br />

6.2 (Re)interpretazione delle <strong>città</strong>: il ruolo del progetto nella società multiculturale 196<br />

6.2.1 Città multiculturale: nuove identità ed evoluzione dei bisogni 196<br />

6.2.2 Le aree periferiche come luoghi di nuove identità urbane<br />

6.2.3 Verso una <strong>città</strong> multiculturale: l’esperienza del Terzo Settore nel PRU Stadera<br />

198<br />

di Milano 200<br />

6.2.4 Il ruolo del progetto: la riqualificazione urbana e edilizia come (ri)modellazione 206<br />

6.3 La rigenerazione del luogo fra ricerca e progetto: tracce di un futuro possibile<br />

per Scampia<br />

6.3.1 Prefigurare nuove immagini urbane: Scampia come laboratorio di sperimentazione<br />

209<br />

progettuale e multiculturale 209<br />

6.3.2 Integrare parti di <strong>città</strong>: il progetto per la Piazza della Socialità a Scampia<br />

6.3.3 Il riassetto dei quartieri di edilizia residenziale e l’interetnia: una proposta<br />

210<br />

per il recupero del “Lotto M” e delle “Vele” di Scampia 212<br />

6.4 Riferimenti 217<br />

6.4.1 Bibliografia 217<br />

6.4.2 Internet 217<br />

Capitolo 7<br />

L’interpretazione visuale della <strong>città</strong> dell’accoglienza<br />

Gabriella Esposito De Vita (7.1, 7.3, 7.4), Maurizio Cimino (7.2, 7.4)<br />

Fotografie di Maurizio Cimino<br />

7.1 Valori semantici multiculturali per la <strong>città</strong> dell’accoglienza 219<br />

7.2 L’interpretazione visuale della nuova semantica urbana 221<br />

7.3 Le parole chiave e l’interpretazione visuale 223<br />

7.4 Riferimenti bibliografici 243<br />

Note sugli autori 245<br />

7<br />

INDICE


Note introduttive<br />

CORRADO BEGUINOT<br />

Presidente della Fondazione “Aldo Della Rocca”, Ente Morale di Studi di Urbanistica, Roma<br />

Il volume di Massimo Clemente e Gabriella Esposito è un ulteriore tassello del mosaico<br />

<strong>sulla</strong> “<strong>città</strong> europea <strong>interetnica</strong> cablata” che la Fondazione “Aldo Della Rocca” ha realizzato nei suoi<br />

più recenti anni di attività per contribuire alla soluzione dei numerosi problemi urbanistici posti<br />

dalla convivenza multietnica nella <strong>città</strong> contemporanea. In sintesi, si tratta della ricerca delle risposte<br />

alla modificazione profonda della società urbana, sempre più multiculturale e multirazziale,<br />

per il disegno di una <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> cablata, semanticamente e funzionalmente rispondente<br />

ad una nuova realtà qual è l’Europa dei meticci.<br />

La Fondazione Della Rocca è stata istituita nel 1954 per onorare l’urbanista Aldo Della<br />

Rocca, tragicamente e immaturamente scomparso, di cui Ludovico Quaroni così delineò la figura:<br />

“Anziché dai libri o dalle utopie, scritte o disegnate, com’è stato spesso per gli altri urbanisti, nostrani<br />

o forestieri, egli si è avvicinato allo studio dei problemi di relazione fra tecnica ed economia,<br />

fra arte e politica, dalla quotidiana constatazione, sui lavori, delle interferenze e delle convergenze<br />

dell’interesse pubblico e privato, dell’importanza dei regolamenti e della legislazione e,<br />

più ancora, della loro efficacia e precarietà, del valore che il costume, la morale, o la convinzione<br />

razionale possono avere, caso per caso, nella realizzazione dei problemi della vita urbana ed, in<br />

particolare, della sua <strong>città</strong>” 1 .<br />

Attorno alla Fondazione si sono aggregati, per oltre cinquant’anni, studiosi della <strong>città</strong> ed<br />

esperti della pianificazione territoriale, per confrontarsi su temi e argomenti di grande attualità,<br />

attraverso i ventisette concorsi banditi, le numerose pubblicazioni, i convegni, le tante iniziative<br />

culturali, scientifiche e formative.<br />

La riflessione sull’innovazione tecnologica, le infrastrutture telematiche e i conseguenti impatti<br />

in termini di trasformazioni territoriali ha caratterizzato il decennio compreso tra il 1985 e il<br />

1995, e la Fondazione ha contributo all’approfondimento del modello urbanistico della “<strong>città</strong> cablata”.<br />

Negli anni novanta, poi, è emerso, con forza, il tema della <strong>città</strong> multietnica, nella consapevolezza<br />

dei fenomeni in atto a livello continentale e mondiale.<br />

Negli ultimi anni, si è compiuta una sintesi nella concettualizzazione della “<strong>città</strong> <strong>interetnica</strong><br />

cablata” intesa come modello di sviluppo urbano nel quale l’innovazione tecnologica concorre<br />

alla valorizzazione delle diversità culturali derivanti dalle migrazioni transnazionali.<br />

La complessificazione etnica della <strong>città</strong> contemporanea è stata scandagliata nella sua potenzialità<br />

di risorsa su cui fondare il nuovo modello di sviluppo per realizzare gli auspici della<br />

Carta di Megaride. L’obiettivo fondante della nuova Carta dell’urbanistica, sottoscritta nel 1994<br />

da oltre seicento studiosi provenienti da tutto il mondo, è la creazione della <strong>città</strong> della pace e<br />

della scienza del XXI secolo, un’utopia urbana che, oggi, rinnova il proprio portato culturale e<br />

operativo nel riferimento metodologico della <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> cablata. Dai principi della Carta, in<br />

primis “<strong>città</strong> e popoli” e “<strong>città</strong> e cittadini”, ma anche, in una logica sistemica ed integrata,“<strong>città</strong> e sicurezza”<br />

e “<strong>città</strong> e tecnologia” si è sviluppato un percorso di studio, riflessione e proposizione <strong>sulla</strong><br />

<strong>città</strong> europea <strong>interetnica</strong> cablata. Con apporti culturali e sperimentali in ambito internazionale, si<br />

sono sviluppate numerose iniziative scientifiche e formative e si sono approfondite le tendenze<br />

evolutive della <strong>città</strong> contemporanea e, in particolare, delle <strong>città</strong> europee, sull’onda della ricomposizione<br />

etnica delle comunità urbane.<br />

Un percorso, dunque, di ricerca e di sperimentazione didattica, lungo, denso e complesso,<br />

sviluppatosi, negli ultimi tre decenni, intorno ai due grandi temi-problema che la <strong>città</strong> europea<br />

1 Nella rivista Urbanistica n. 13 del 1953 citata in Beguinot C. (a cura di) (2006) La Fondazione Aldo Della Rocca nel<br />

suo primo cinquantennio per una <strong>città</strong> europea <strong>interetnica</strong> cablata, Collana Atti convegni e ricorrenze, Giannini Editore,<br />

Napoli.<br />

9<br />

CORRADO BEGUINOT


10<br />

NOTE INTRODUTTIVE<br />

ha di fronte: gli effetti della rivoluzione tecnologica e la ricerca delle condizioni, possibili e<br />

irrinunciabili, per una convivenza <strong>interetnica</strong>, fondata sul rispetto delle differenze, di una moltitudine<br />

di persone che affluiscono, sempre più, da altri continenti verso la vecchia Europa, territorio<br />

dell’accoglienza.<br />

Massimo Clemente e Gabriella Esposito hanno partecipato agli incontri, ai seminari, ai convegni,<br />

alle ricerche e alle iniziative di formazione, <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica, realizzati dalla<br />

Fondazione Della Rocca ed hanno collaborato anche alla diffusione dei risultati illustrati nei volumi<br />

a stampa della Collana di Studi Urbanistici (volumi XXV, XXVI, XXVII, XXVIII e XXIX), della<br />

Collana Atti Convegni e Ricorrenze (volumi X, XI), della Collana Ricerche e Documentazione (volumi<br />

V, VI) e nei numerosi video presentati in convegni nazionali e internazionali.<br />

Il pluriennale lavoro della comunità scientifica coagulata dalla Fondazione ha favorito l’evoluzione<br />

dell’originale concetto di “<strong>città</strong> multietnica” verso la più complessa idea di “<strong>città</strong> <strong>interetnica</strong><br />

cablata”, luogo della convivenza delle diversità, favorita anche dall’utilizzo delle opportunità<br />

offerte dall’innovazione tecnologica.<br />

La Fondazione, inoltre, ha colto la domanda di formazione di nuove professionalità per la<br />

gestione delle <strong>città</strong> multietniche, ha promosso iniziative didattiche post laurea ed ha sollecitato<br />

l’inserimento delle tematiche nei corsi di laurea di sociologia, architettura, ingegneria, pianificazione<br />

territoriale. Congiuntamente alla Link Campus University of Malta (Roma), si è promossa<br />

l’attivazione del primo corso di Laurea Specialistica in Pianificazione Territoriale Urbanistica<br />

Ambientale – Governo delle Trasformazioni Urbane per la Città Europea Interetnica Cablata, al<br />

quale hanno assicurato la partecipazione Colleghi illustri provenienti da aree culturali diverse, dai<br />

paesi in cui nasce la migrazione e da quelli europei in cui nasce l’esigenza del ridisegno delle<br />

nostre <strong>città</strong>.<br />

Proiettandosi dalla teoria alla prassi, al futuro operare dei giovani professionisti, il tema<br />

della <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> ha animato, altresì, le ultime sessioni degli esami di abilitazione all’esercizio<br />

della professione di architetto tenutesi recentemente a Napoli. I risultati dell’impegno degli esaminati<br />

sono confluiti in una mostra-convegno presso il Complesso di S. Maria la Nova in Napoli il<br />

cui successo conferma l’efficacia del filone aperto dalla Fondazione Della Rocca e suggerisce di<br />

proseguire l’iniziativa a Napoli e altrove.<br />

Ricerca, formazione e sperimentazione <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong>, quanto si illustra in questo<br />

volume, è nato da questa filiera ma il progetto ha saputo individuare ambiti originali che sono<br />

stati approfonditi dagli Autori con rigore metodologico.<br />

Si tratta di un esempio originale, nel panorama della produzione scientifica di taglio urbanistico,<br />

di un percorso nel quale la compresenza di varie tematiche e approcci disciplinari è orientata<br />

a dare risposta alla domanda generata dalla convivenza di diversi nella <strong>città</strong> contemporanea<br />

con proiezione territoriale, proponendo indirizzi metodologici per la pianificazione e la progettazione.<br />

Si sottolinea la base di conoscenza ampia e articolata su cui si fonda la ricerca, avvalendosi<br />

del patrimonio offerto dalla comunità scientifica della Fondazione, dalla letteratura scientifica più<br />

recente sul tema della <strong>città</strong> multietnica, dai testi classici di urbanistica e sociologia urbana che<br />

sono stati riletti dal nuovo punto di vista “multiculturale”, riscoprendone l’attualità.<br />

A partire dal primo capitolo, dove si affronta il delicato rapporto tra culture globali e identità<br />

locali, è stata sviluppata la consapevolezza che l’etnodiversità possa costituire une risorsa<br />

piuttosto che un problema. Il nodo gordiano della globalizzazione intesa quale fattore di appiattimento<br />

culturale contrapposto ai valori dell’identità locale viene affrontato in chiave semantica.<br />

Si cerca, cioè, di identificare quegli elementi che, scaturiti dall’osmosi culturale e dalla stratificazione<br />

fisica di simboli polisemici “pietrificati” nella <strong>città</strong> storica, consentono di identificarsi con il<br />

proprio spazio urbano e di interagire sviluppando un “comune sentire” tra etnie diverse.<br />

Il secondo capitolo offre una panoramica delle attività dei centri di ricerca <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica,<br />

attinti da internet e opportunamente sottoposti a verifiche e riscontri, illustrando esperienze,<br />

verifiche sul campo, statistiche e progetti che si rendono disponibili per gli studiosi.


A partire dal terzo capitolo si sviluppa il percorso metodologico che, con apporti interdisciplinari,<br />

mette in relazione la nuova struttura sociale multietnica con gli spazi ed i luoghi urbani<br />

per l’interazione e la socializzazione. Nella cultura anglosassone del town planning, l’innovazione<br />

nel campo dell’istruzione ha costituito il traino per una profonda innovazione del fare architettura<br />

ed urbanistica, avviando la stagione dell’unità di vicinato quale punto luce di uno sviluppo<br />

sociale ed urbano. Analogamente, i temi affrontati nel volume possono dare vita ad altrettanti<br />

nuovi approcci progettuali: gli approcci e le soluzioni proposte costituiscono “innovazioni tecnologiche”<br />

che confluiscono in una architettura del dialogo orientata a soddisfare il principio della<br />

coesistenza civile e del rispetto delle differenze.<br />

Il filo conduttore del percorso metodologico seguito è la ricerca degli elementi progettuali<br />

che possano costituire quei “punti luce” che, favorendo l’interazione tra diversi (coinvolgendo le<br />

diverse forme di marginalità sociale) possano contribuire al superamento dell’insicurezza, reale o<br />

percepita. Ripensare la rete degli spazi dell’aggregazione, sviluppare idee e progetti per dare risposta<br />

alla modificazione della società urbana globalizzata con un disegno della nuova <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong><br />

e cablata, sono questi i concetti chiave del terzo capitolo, in sintonia con il solco tracciato<br />

dalla Fondazione.<br />

L’indispensabile base di conoscenza derivata da studi sociologici, antropologici, giuridici<br />

deve trovare concretezza nel fare urbanistica per la costruzione di una <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> e ciò significa<br />

sviluppare un disegno territoriale che sappia mettere a sistema i baricentri dell’incontro<br />

multiculturale: una nuova architettura che esprima e realizzi i luoghi del dialogo e che contribuisca<br />

a trasformare i conflitti in interazione.<br />

Nel capitolo quattro i luoghi dello sport vengono proposti, in questa medesima logica,<br />

come possibili “punti luce” del ridisegno urbano consapevole e avente per obiettivo la convivenza<br />

delle diversità, l’inclusione sociale e l’integrazione etnoculturale ma anche il rispetto delle<br />

identità e l’attenzione al senso d’appartenenza, dei cittadini diversi, ad una stessa comunità urbana.<br />

La semantica urbana si collega, nelle pagine del libro, ai temi della multietnia, della multiculturalità<br />

e dell’interetnia. Il tessuto urbano oppone una maggiore inerzia al cambiamento di<br />

quanto non faccia il tessuto sociale esprimendo, così, l’identità e la cultura locali che stanno<br />

diventando quantitativamente minoritarie, con presenze sempre più massicce di popolazione<br />

eteroctona.<br />

La riflessione sui modi nei quali, non solo il costruito ma anche lo spazio pubblico, si sono<br />

modificati, esprimendo una società in mutamento, è alla base delle definizione della nuova architettura<br />

del dialogo e delle sue “tecnologie” quali le nuove configurazioni degli spazi d’aggregazione<br />

e dei luoghi dello sport che possono trasformare i conflitti latenti o manifesti in energie<br />

e sinergie positive.<br />

L’urbanistica e l’architettura non devono limitarsi a rispondere al fabbisogno di alloggi e<br />

servizi ma ad una più ampia domanda di vita associata, di vita urbana. Piano e progetto devono<br />

pensare e disegnare spazi per le funzioni, per l’istruzione, la salute, la formazione, la gestione, il<br />

tempo libero, lo sport, l’incontro, il confronto e il dialogo. L’Urbanistica e l’<strong>Architettura</strong> devono “lavorare<br />

insieme” per la soluzione dei problemi della convivenza multietnica nella <strong>città</strong> europea.<br />

La riflessione sulle periferie urbane e le periferie umane è oggetto del quinto capitolo per<br />

orientare il recupero del costruito al riuso interetnico, valorizzando quanto si è andato realizzando<br />

nelle periferie negli ultimi decenni. Il sesto capitolo apre una finestra progettuale su casi<br />

studio stimolanti ed è foriero di ulteriori sviluppi di ricerca compositiva che sia sensibile alla<br />

multiculturalità.<br />

Infine, nel capitolo sette, le immagini rappresentano la problematicità e la drammaticità<br />

della <strong>città</strong> contemporanea, trasmettendo con immediatezza i nodi irrisolti per poi inquadrarli in<br />

una griglia interpretativa che finalizza il contributo fotografico nella logica complessiva della ricerca.<br />

L’indagine visuale costituisce un passaggio obbligato per raccogliere un’istanza di qualità<br />

urbana che esula dai tradizionali canali dell’analisi urbanistica.<br />

11<br />

CORRADO BEGUINOT


12<br />

NOTE INTRODUTTIVE<br />

Lo sforzo scientifico degli Autori appare congruente e complementare al lavoro della<br />

Fondazione Della Rocca per la promozione e diffusione della cultura urbanistica. Alle tre Collane<br />

storiche Studi Urbanistici, Ricerca e Documentazione, Atti Convegni e Ricorrenze, recentemente,<br />

si è aggiunta la nuova IV Collana Editoriale delle Ristampe Anastatiche della “memoria perduta”<br />

che conta già due volumi, raccoglie curiosità storiche - inedite o non più disponibili nelle librerie<br />

- redatte da studiosi “amici della Fondazione” che documentano particolari esperienze di ricerca<br />

e progettuali o che hanno offerto un contributo all’evoluzione della disciplina urbanistica.<br />

La lettura trasversale dell’impegno scientifico della Fondazione negli ultimi tre decenni, in<br />

particolare, sui tre temi della Città Cablata, della Carta di Megaride ’94 e della Città Interetnica,<br />

nonché sul programma delle attività in corso, formano oggetto del XXIX Volume della Collana<br />

“Studi Urbanistici” dal titolo “Genetica e destino di un percorso” che, partendo dall’excursus su i<br />

tre temi suddetti, formula iniziative e risposte urbanistiche, scientifiche e formative <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> del<br />

XXI secolo sempre più multiculturale e multirazziale e quindi, a breve, <strong>sulla</strong> “<strong>città</strong> dei meticci”.<br />

Questo Volume XXIX, pubblicato in contemporanea con il volume di Clemente e Esposito, pur se<br />

redatto da persone diverse e con taglio diverso, può considerarsi parte integrante di un pensiero<br />

comune costruito in lunghi anni di un percorso condiviso.<br />

Ed ancora, in seno alla Link Campus University of Malta ed in collaborazione con istituzioni<br />

universitarie e centri di ricerca italiani e stranieri, la Fondazione porterà avanti altre iniziative culturali,<br />

scientifiche e formative. Oltre all’istituzione del Corso di Laurea in Governo delle<br />

Trasformazioni per la Città Interetnica e Cablata si segnalano i tre Master di 2° livello su Sicurezza<br />

Urbana, Facility Management e Sistemi Informativi Territoriali, richiesti da aziende private e da<br />

istituzioni pubbliche.<br />

Sulla stessa linea di sviluppo, si collocano la partecipazione a iniziative di rilevanza internazionale<br />

quali il Congresso di Istanbul <strong>sulla</strong> Città Interetnica, la XX Conferenza “Urban diversities,<br />

biosphere and well-being: designing and managing our common environment” (luglio 2008), a<br />

cura dell’International Association for People-environment Studies (IAPS), dell’Università di Roma<br />

Sapienza e dell’Università LUMSA, il Congresso Internazionale di Cuba sui temi che affliggono le<br />

popolazioni dell’intero pianeta, l’uso delle risorse, le migrazioni, la globalizzazione.<br />

Saranno accompagnati, nella fase di start up, i Centri Regionali istituiti dalla Fondazione in<br />

Partnership con Istituzioni nazionali e locali, in Lombardia, Calabria e Sicilia, con i quali si sta costituendo<br />

una rete facente capo al Centro Studi U.r.b.i.s. et O.r.b.i.s. (Roma).<br />

Last but not least, il progetto più ambizioso nella vita recente della Fondazione: l’istituzione<br />

di un archivio, il primo del settore in Italia, di studi, progetti e documenti dei grandi attori<br />

dell’urbanistica moderna e contemporanea. L’Archivio degli Urbanisti del XX Secolo per gli studiosi<br />

della <strong>città</strong> e del territorio del XXI Secolo potrebbe diventare il cuore dell’attività della<br />

Fondazione, sul quale innestare le altre esperienze di ricerca, formazione e promozione della conoscenza<br />

in campo urbanistico.<br />

Questo è l’ambito culturale e scientifico nel quale la Fondazione Della Rocca ha promosso<br />

e sostiene il progetto di ricerca del CNR realizzato da Massimo Clemente e Gabriella Esposito<br />

De Vita, presso il Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali. La prima<br />

fase della ricerca ha dato vita a questa pubblicazione e si è certi delle potenzialità che le conoscenze<br />

e le competenze maturate potranno esprimere nei prossimi anni, realizzando una rete per<br />

l’avanzamento del sapere e del fare. Per questo, si auspica il prosieguo dell’attività di ricerca <strong>sulla</strong><br />

<strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> svolta dal gruppo di lavoro del CNR presso l’Università Federico II di Napoli.<br />

L’esperienza di ricerca ha prodotto un importante contributo per gli studiosi della <strong>città</strong> e<br />

delle tematiche urbanistiche della società multiculturale. Si aprono, quindi, scenari di ricerca e di<br />

formazione da mettere a punto e da sviluppare negli anni a venire, per contribuire, con tenacia,<br />

alla costruzione della <strong>città</strong> europea <strong>interetnica</strong> cablata, <strong>città</strong> della pace e della scienza del XXI secolo,<br />

dando così risposta alle modificazioni prodotte dalla società urbana europea multiculturale.


WALTER ESPOSTI<br />

Direttore del Dipartimento “Sistemi di produzione” del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Roma<br />

La società italiana attraversa in questi anni una nuova fase evolutiva introdotta dall’immigrazione.<br />

È una fase evolutiva che procede in modo irregolare, ma con grande velocità e ci propone<br />

alcune parole chiave sulle quali occorre riflettere con la medesima celerità, se non si vogliono<br />

vedere introdotti squilibri, difficili poi da riassorbire da parte di un contesto come il nostro,<br />

che si connota già per numerose problematiche generate dal riassetto economico legato<br />

alla globalizzazione. Queste parole sono: aggregazione, integrazione, multicultura.<br />

Si tratta di obiettivi che necessitano di azioni complesse, le quali richiedono specifiche<br />

caratteristiche dell’intorno spaziale ove prendere forma e svilupparsi: la <strong>città</strong>.<br />

Su questo si è focalizzata la ricerca di Massimo Clemente e Gabriella Esposito De Vita, i cui<br />

risultati, illustrati in questo volume, sono la testimonianza concreta e tangibile dell’efficacia dell’interazione<br />

scientifica del Consiglio Nazionale delle Ricerche con le altre istituzioni che, nel nostro<br />

Paese, operano nel campo della cultura, della ricerca e dell’alta formazione.<br />

In particolare, il progetto di ricerca è stato promosso dalla Fondazione Aldo Della Rocca ed<br />

è frutto della collaborazione tra il Consiglio Nazionale delle Ricerche e il Dipartimento di<br />

Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali dell’Università “Federico II” di Napoli, <strong>sulla</strong><br />

base di una convenzione di durata biennale.<br />

L’oggetto di studio è stato fissato negli “Spazi e funzioni urbane dell’aggregazione e dell’integrazione<br />

per la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> europea”. Dopo il primo biennio, la ricerca è proseguita sul<br />

tema “Spazi e funzioni urbane dell’aggregazione e dell’integrazione per la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> europea<br />

e mediterranea: dall’interpretazione degli scenari al progetto dei nuovi luoghi e paesaggi urbani”<br />

che è tuttora in corso di svolgimento.<br />

La Fondazione Aldo Della Rocca, ente morale di studi di urbanistica con sede in Roma presieduto<br />

dal Prof. Corrado Beguinot, dagli anni novanta ha avuto quale oggetto delle numerose<br />

iniziative culturali e scientifiche il tema-problema delle trasformazioni della <strong>città</strong> e del territorio<br />

europeo indotte dai flussi migratori che stanno modificando la composizione e l’articolazione<br />

delle società urbane.<br />

Il Consiglio Nazionale delle Ricerche vanta una tradizione pluridecennale nel campo della<br />

ricerca urbanistica che si è consolidata, soprattutto, nei quindici anni di attività dell’Istituto di<br />

Pianificazione e Gestione del Territorio, sotto la guida del Prof. Beguinot nel suo ruolo di<br />

Presidente del Consiglio Scientifico e di membro del Comitato nazionale d’ingegneria e architettura<br />

del CNR.<br />

Il Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali, caratterizzato dalla<br />

varietà disciplinare degli studiosi che vi afferiscono, con la sua disponibilità, ha offerto l’opportunità<br />

d’interagire proficuamente sul piano culturale e scientifico, accogliendo i ricercatori del CNR<br />

in un humus favorevole alla ricerca ed alla formazione sul tema della <strong>città</strong> multietnica.<br />

Il volume si articola in sette capitoli che ripercorrono le tappe della ricerca sviluppata dai<br />

ricercatori del CNR, negli ultimi anni, presso il Dipartimento dell’Università “Federico II” di Napoli<br />

nell’ambito della rete culturale e scientifica promossa dalla Fondazione Della Rocca.<br />

Il primo capitolo, fissa la metodologia dello studio nei tre momenti complementari della ricerca,<br />

della formazione, della sperimentazione e, partendo dai principali riferimenti di base, indica<br />

il percorso di studio seguito e da proseguire.<br />

Il secondo capitolo sviluppa una panoramica dello stato dell’arte della ricerca e della documentazione,<br />

nel mondo, sul fenomeno migratorio ed i conseguenti impatti urbani e territoriali.<br />

La disamina sfrutta le potenzialità del web, attraverso l’utilizzo dei motori di ricerca con parole<br />

chiave che hanno consentito, in tempo reale, di individuare i centri di ricerca, le attività pregresse<br />

e in corso, la produzione scientifica, i progetti futuri.<br />

I luoghi della socializzazione della <strong>città</strong> multiculturale sono approfonditi, nel terzo capitolo,<br />

con particolare attenzione al problema della sicurezza urbana, affrontando temi chiave come<br />

13<br />

WALTER ESPOSTI


14<br />

NOTE INTRODUTTIVE<br />

l’approccio partecipativo al piano urbanistico, l’alloggio, gli spazi d’incontro, le funzioni e i servizi<br />

per le comunità urbane multietniche.<br />

Un contributo al dialogo interetnico ed all’aggregazione tra popoli diversi può venire dallo<br />

sport e, nel capitolo 4, si argomenta il ruolo dei luoghi per lo sport nella <strong>città</strong> contemporanea per<br />

favorire l’inclusione sociale e l’integrazione culturale e si illustrano alcuni casi studio significativi<br />

delle tendenze in atto nelle <strong>città</strong> dell’Unione Europea.<br />

Nei capitoli 5 e 6, si trova il contributo dei gruppi di ricerca coordinati, rispettivamente, da<br />

Bianca Petrella della Seconda Università di Napoli e da Francesco Bruno dell’Università Federico<br />

II di Napoli. In particolare, il quinto capitolo approfondisce l’aspetto progettuale urbanistico degli<br />

spazi e delle funzioni nella <strong>città</strong> multiculturale, con particolare riferimento al tema delle periferie<br />

urbane e umane ed alla necessaria riqualificazione e risemantizzazione. Le stesse periferie sono<br />

oggetto di un approfondimento architettonico, sempre in chiave progettuale, con proposte metodologiche<br />

e d’intervento nelle periferie di Napoli e Milano.<br />

Infine, il capitolo 7 propone un’interpretazione visuale di come la multiculturalità stia trasformando<br />

le <strong>città</strong> europee creando, contemporaneamente, problemi di conflitto e opportunità<br />

di arricchimento culturale.<br />

Una ricerca su processi complessi, quali sono quelli affrontati, è sempre un fatto importante,<br />

perché i suoi risultati costituiscono una base conoscitiva, in cui si assommano le esperienze<br />

pregresse e le considerazioni e le proposte degli studiosi e degli esperti che li hanno analizzati.<br />

Ancora più importante è che di essi prendano coscienza tutti coloro che sono coinvolti in<br />

questi processi per contribuirvi o per prendere decisioni, affinché si metta in moto il circolo virtuoso<br />

che, procedendo attraverso la sperimentazione e la conseguente analisi del feedback,<br />

renda massimo il contributo che questa ricerca può offrire.


FRANCESCO FORTE<br />

Direttore del Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali<br />

dell’Università degli Studi Federico II, Napoli<br />

Interpretando i sentimenti dei colleghi del Dipartimento nel cui ambito operano gli autori,<br />

desidero ringraziare per il denso e significativo impegno che ha condotto al contributo scientifico<br />

che si esplicita nel volume, assunto quale “tappa significativa di verifica del percorso di ricerca<br />

intrapreso”.<br />

Le strutture universitarie dipartimentali, elementi del complesso sistema organizzativo del<br />

sapere, configurano comunità scientifica, che si qualifica attraverso la capacità di promuovere ricerca<br />

esplorando, con creatività e rigore, orizzonti e frontiere che si prospettano all’agire umano,<br />

socializzandone le risultanze attraverso concretezza di esiti comunicabili. La convergenza pluridisciplinare<br />

che si riscontra nel volume interpreta il fondamentale connotato del Dipartimento, che<br />

si caratterizza per il pluralismo dei settori scientifici in esso compresenti, e la conseguente esperienza<br />

dell’interdisciplinarietà. Un percorso esplorativo che perviene a primi concreti esiti <strong>sulla</strong><br />

base di convergenza pluridisciplinare dà motivazione alla struttura, ne afferma la vitalità, indica<br />

processi virtuosi alle nuove generazioni, suscita quindi compiacimento.<br />

La società multietnica si va plasmando quotidianamente in Europa ed in Italia attraverso<br />

l’immigrazione dagli altri continenti ed attraverso la mobilità nell’Unione. Il processo, affermatosi<br />

nel “secolo breve” in talune nazioni dell’Unione, si va consolidando nella nostra Repubblica per<br />

effetto di processi incontrovertibili nei modi di produzione. Come già avvenuto, trattasi di processo<br />

permeato da sofferenza, che potrebbe attenuarsi attraverso il senso e gli strumenti per<br />

l’ ”accoglienza”, nel cui ambito un positivo ruolo può riconoscersi alle nostre discipline.<br />

L’approfondimento dei connotati si fonda su sensibilità soggettiva, su adesione al travaglio che si<br />

manifesta. Questa attitudine si esplicita nell’elaborazione proposta dagli autori, da interpretare<br />

quale atto di “amore” alla vita, ed all’armonia possibile, che vanno ringraziati anche per questo rienfatizzare<br />

il fondamento sociale del sapere scientifico nell’architettura-urbanistica. Il determinismo<br />

ecologico naturalista, motivato dalla crisi ambientale, va necessariamente correlato alle aspirazioni<br />

dell’uomo e delle comunità organizzate, attraverso l’acquisizione di consapevolezza, esito<br />

di educazione e formazione.<br />

La metafora del percorso esplorativo ben si addice al tema di riflessione. Si sono assunte<br />

categorie esplorative consuete alla riflessione degli studi <strong>sulla</strong> <strong>città</strong>, quali l’individuo, la comunità,<br />

e quindi la civitas; il governo attraverso le politiche; e l’artificio antropologico, l’urbs, l’insediamento,<br />

il suo essere ed il suo divenire, e nel divenire la sua possible conformazione e configurazione<br />

predefinita attraverso il programma, il piano, ed il progetto. Ma queste consuete categorie<br />

assumono innovazioni di significato nella ricerca intrapresa. Si esplora infatti la loro riproposizione,<br />

resa necessaria dal pluralismo interetnico già connotato della contemporaneità urbana, la<br />

cui intensificazione di certo conformerà i caratteri della <strong>città</strong> europea del ventunesimo secolo,<br />

esito originale di quell’incontro tra l’identità locale e l’impronta che la globalizzazione già consente<br />

di intravedere.<br />

La civiltà multietnica, la sua possible conformazione comunitaria, e la possibile “<strong>città</strong> dell’incontro<br />

di valori” si annuncia nella ricerca come opportunità prioritaria di una possibile “utopia<br />

del reale”, assunta quale fondamento etico di politiche urbane, e della correlata progettazione,<br />

coerente con diritti di cittadinanza riconosciuti all’innovativa multiculturale composizione demografica<br />

del popolo dell’urbano. Anche questa ispirazione è parte della riflessione del Dipartimento,<br />

esplicitata nelle riflessioni trasmesseci da Roberto Di Stefano, già direttore della struttura,<br />

sul “recupero dei valori”; ed altresì motivo di impegno nell’innovazione formativa intrapresa<br />

attraverso il corso di laurea specialistica “<strong>Architettura</strong>-Città: valutazioni e progetto”, attivo nella<br />

Facoltà di <strong>Architettura</strong> del nostro Ateneo dal corrente anno.<br />

La società multietnica trasmette alla società urbana ed alle nostre istituzioni nuove sfide,<br />

che, qualora comprese e fronteggiate, indirizzeranno la qualità del governo del mutamento.<br />

15<br />

FRANCESCO FORTE


16<br />

NOTE INTRODUTTIVE<br />

Partecipa delle responsabilità del mutamento anche il sapere progettuale operante nelle dimensioni<br />

dell’architettura, dell’urbanistica e del governo del territorio. Sicché le nuove sfide conseguenti<br />

dalla società multietnica investono e coinvolgono la nostra struttura dipartimentale, incidendo<br />

nella formulazione delle consuete domande sul “perché”, “per e con chi “, e sul “come”, e<br />

quindi <strong>sulla</strong> decodificazione di bisogni-obiettivo e sulle modalità dell’azione.<br />

Il percorso di ricerca presta specifica attenzione al ruolo dell’architettura-urbanistica, con<br />

un orizzonte di osservazione aperto a quanto si va elaborando nelle strutture del sapere dei cinque<br />

continenti, ricorrendo ad originale metodologia ricognitiva. Si è offerto in tal maniera alla comunità<br />

scientifica un efficace e inconsueto supporto conoscitivo, di per sè idoneo a evidenziare<br />

la rilevanza delle categorie di riflessione, la loro sedimentazione nel globo, le implicazioni nei processi<br />

decisionali.<br />

La rilevanza attribuita alla forma della struttura urbana ed alla struttura di forma ha consentito<br />

di correlare fenomenologie temporalizzate a regole spazializzate, con riferimento sia a<br />

rapporti funzionali tra luoghi centrali e periferie, che alla semantica della forma sensibile.<br />

L’attenzione alle derivate urbanistiche della <strong>città</strong> multietnica ha condotto gli autori ad attribuire<br />

significato alle modalità di soddisfacimento dei bisogni primari della vita nell’urbano,<br />

quali l’alloggio, il sistema integrato della residenza, il lavoro, l’accesso, i servizi alla persona ed alla<br />

famiglia. La teorica del vicinato e del quartiere ha consentito nella progettazione urbanistica di<br />

interpretare l’identità comunitaria, conducendo ad enunciare la correlazione tra bisogni primari e<br />

forma della struttura insediativa. E questo paradigma scientifico pervade le proposizioni esplorate<br />

nella ricerca, concernenti politiche pubbliche consone al consolidarsi della “comunità aperta”<br />

territorializzata, fondata sull’incontro tra diversi, connotati da culture specifiche, sollecitato dalla<br />

riconosciuta dignità della persona.<br />

Si conferma pertanto, nella ricerca, il ruolo che lo spazio pubblico acquisisce nella struttura<br />

e nella forma dell’insediamento, nelle sue molteplici articolazioni funzionali e nell’organizzazione<br />

dei servizi interpreti di diritti di cittadinanza riconosciuti nella civiltà europea. Ma dalla ricerca si<br />

evincono qualifiche da ritrovare nella rete degli spazi e attrezzature collettive volte a sollecitare<br />

la condizione di “apertura”, fondamento della comunità “aperta” organizzata per l’accoglienza, riconosciute<br />

nella continuità e connettività degli invasi, nella permeabilità tra le unità costitutive<br />

della forma della struttura, nella porosità di sensi e significati, oltre pertanto la diffusa pratica dei<br />

recinti, delle configurazioni a cellule chiuse, che connota la struttura e la forma dell’insediamento<br />

contemporaneo metropolitano.<br />

La vera sfida al progetto contemporaneo, si afferma nel volume, è il progetto del “vuoto”,<br />

dello spazio interposto tra le unità constitutive, il progetto della membrana che connette le<br />

cellule dell’organismo, il progetto quindi degli orli e dei confini reso urgente dalle pratiche<br />

isolazioniste e parcellizzanti. Non sfugge, agli autori, l’origine di queste pratiche, che esplicitano la<br />

modalità prevalente di governo della complessità connaturata all’urbano fondata <strong>sulla</strong> settorialità<br />

delle responsabilità e della correlata azione edilizia. Pratica ottusa, che ha condotto a esiti<br />

nefasti, nell’uso del suolo come nella finanza pubblica, e specificamente nei territori del<br />

Mezzogiorno italiano di cui si ha dimestichezza. Si afferma, di conseguenza, un ulteriore alimento<br />

dell’”utopia del reale” che ispira le proposizioni e che sollecita la trasversalità delle responsabilità<br />

nell’azione, che promuova l’integrazione plurifunzionale, espressione di una preventiva cultura<br />

del processo e prodotto e, quindi, del piano e del progetto urbanistico. Ed in tale senso l’ispirazione<br />

alla <strong>città</strong> multietnica si propone quale messaggio più generale alla cultura del fare progettuale<br />

contemporaneo, che sempre dovrebbe volgersi all’esplorazione delle qualità relazionali dei<br />

singoli prodotti, delle parti o dei sottosistemi, perseguendo unità attraverso l’attenzione riposta<br />

alla semantica ed alla metrica sia del micro che del macro.<br />

La <strong>città</strong> possibile, che l’ispirazione consente di traguardare, per proporsi quale soggetto<br />

storicizzato, necessita la cognizione del “reale”, il confronto con lo stato dell’arte, della forma di<br />

struttura e delle politiche pubbliche. Il richiamo alla “Carta dei valori, della cittadinanza e dell’integrazione:<br />

valori e principi validi per tutti coloro che desiderano vivere stabilmente in Italia” recentemente<br />

assunta nelle politiche di immigrazione intraprese dal governo della Repubblica,


esplicita questa attenzione al “reale”, e consente altresì di evidenziarne il limite, riscontrato nella<br />

constatata “carenza di programmi dedicati alla multiculturalità urbana in ambito istituzionale”.<br />

Valori e principi, per risultare efficaci, devono ritrovarsi in pratiche, ed anche in pratiche urbanistiche.<br />

Un secolo è trascorso dalla realizzazione di Margarethenhohe ad Essen, in Renania<br />

Westfalia, da parte della Fondazione Krupp, vicinato modello tuttora vissuto da lavoratori immigrati,<br />

riferimento di una pratica dell’agire urbanistico tesa a connettere il sociale, e la forma.<br />

Si delinea dagli enunciati cui ha condotto il percorso esplorativo un vasto campo di impegno<br />

dell’azione da svolgere a tutti i livelli di articolazione delle strutture di governo, cittadine,<br />

metropolitane, regionali, statuali, ed altresì dell’azione dell’impegno sociale del non profit privato,<br />

dell’associazionismo civico e religioso. Ma questo impegno va coordinato, onde potersi traguardare<br />

la sostenibilità dello sviluppo urbano e territoriale perseguendosi mete programmate preventivamente,<br />

attraverso convergenza dei tanti percorsi di azione che connotano la società, la<br />

produzione, la finanza.<br />

I saperi che si manifestano attraverso l’architettura e l’urbanistica, eticamente motivati storicamente<br />

dall’ancoraggio a valori comunitari profondi, possono contribuire all’ideazione e definizione<br />

dell’innovazione di processo, conseguente alla trasversalità delle correlazioni, funzionali,<br />

semantiche, territoriali, traendo da questa innovativa condizione motivazione e indirizzi all’azione<br />

volti a arginare il ruolo che l’effimero, l’omologazione ed il conformismo sollecitati dalla società<br />

del consumo hanno acquisito anche nei saperi propri all’architettura ed urbanistica.<br />

Sovviene, in tale prospettiva, la differenziazione degli impegni conseguenti all’articolazione<br />

spaziale ed alla localizzazione della domanda di accoglienza. Si motiva, acquisendo ulteriore<br />

significato, la classificazione delle parti di <strong>città</strong>, ovvero l’insediamento storico, quello recente<br />

di periferia, quello della precarietà assoluta quali il campo rom, o l’adattamento sofferto di unità<br />

edilizie dismesse. Le parti dovrebbero promuovere modalità differenziate di attenzione, avendo<br />

quali soggetti promotori di accoglienza le istituzioni territorializzate conformanti rete di servizi, e<br />

rete non istituzionale che assicuri presenza-prevenzione-assistenza. E nell’attenzione, alle parti<br />

assolve ruolo anche l’innovazione insediativa, quali la <strong>città</strong> nuova ancorata alla portualità, o la<br />

centralità urbana da promuovere nel riequilibrio territoriale regionale.<br />

Nella differenziazione di ruoli assume significato anche la perequazione urbanistica, cui si<br />

è volta la nostra attenzione, quale innovazione condivisa tra pubblico e privato di configurazione<br />

urbana fondata su eplicita correlazione della forma e della norma. Come sperimentato attraverso<br />

l’istituto, si rende praticabile la correlazione spazializzata della produzione abitativa, di mercato e<br />

sociale, promuovendo quell’integrazione civica sollecitata dal pluralismo del contemporaneo.<br />

Il connettere idealità e visione alla difficoltà del reale è il messaggio trasmessoci dalle generazioni<br />

che hanno segnato il secolo breve, volgendo la cultura dell’operare sempre a mete significanti.<br />

Principi, criteri, programma, piano, progetto sono divenuti per il loro apporto categorie<br />

scientifiche, e metodologia dello scegliere e decidere. Nel contemporaneo presenzialismo e protagonismo<br />

ne attenuano il significato, sollecitando l’illusione attraverso l’efficacia antropologica<br />

della mediatica virtuale. Quel che ci propone l’elaborazione <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> europea svolta<br />

dagli autori coltiva idealità e visione nell’indirizzare all’incontro consapevole le tensioni conseguenti<br />

al processo della multietnicità urbana, ricorrendo ad appropriate politiche di governo del<br />

territorio e conseguente concretezza dell’azione. Il messaggio sollecita speranza, attendibile<br />

qualora congiunta al consolidarsi di responsabilità comunitaria, politica e professionale. Nuovi<br />

sentieri di ricerca troveranno sollecitazione dalle tappe raggiunte comunicateci, alimentando<br />

l’ispirazione e la strumentazione cui si volge il corso di laurea “<strong>Architettura</strong>-<strong>città</strong>: valutazioni e<br />

progetto”.<br />

17<br />

FRANCESCO FORTE


LUIGI FUSCO GIRARD<br />

Past Direttore del Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici e<br />

Ambientali dell’Università degli Studi Federico II, Napoli<br />

Il volume di Massimo Clemente e Gabriella Esposito è il risultato di un percorso di ricerca<br />

maturato in seno al Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici ed Ambientali mediante<br />

una collaborazione, tradotta in Convenzione, con la Fondazione di studi urbanistici Aldo<br />

Della Rocca ed il Consiglio Nazionale delle Ricerche. Il fertile humus costituito dalle sinergie interdisciplinari<br />

e dall’interazione ricerca-formazione ha alimentato un’esperienza che trova in questo<br />

prodotto editoriale un primo momento di verifica e diffusione e, nel contempo, traccia gli indirizzi<br />

per i successivi approfondimenti.<br />

L’obiettivo di affrontare il disegno della <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong>, in una dimensione territoriale già<br />

multietnica, rende evidente la necessità di porre in stretta relazione le interpretazioni proposte<br />

dalle discipline della conoscenza, quali la filosofia, la sociologia e l’antropologia, e le idee progettuali<br />

e gestionali proposte dalle discipline della prassi, quali l’urbanistica, l’architettura e l’economia.<br />

È evidente l’opportunità di integrare un approccio top down, per inquadrare il tema nell’ambito<br />

di un più esteso e radicale mutamento culturale, sociale, politico ed economico che va<br />

sotto il nome di globalizzazione, con un altro che procedesse dal basso, raccogliendo l’istanza di<br />

una popolazione in mutamento.<br />

Questo approccio interdisciplinare e multilaterale è lo stesso che anima la nuova esperienza<br />

di formazione messa in campo dalla Facoltà di <strong>Architettura</strong> dell’Università Federico II di<br />

Napoli, con l’attivazione del Corso di Laurea Specialistica in “<strong>Architettura</strong> e Città, Valutazione e<br />

Progetto”, promosso da questo Dipartimento, e che vede impegnati la maggioranza dei docenti<br />

che vi afferiscono. Anche l’esperienza della Scuola di Dottorato in <strong>Architettura</strong>, che mi pregio di<br />

presiedere, è fortemente orientata alla valorizzazione delle sinergie disciplinari e all’ottimizzazione<br />

delle risorse culturali, umane e gestionali.<br />

La ricchezza delle fonti consultate dai ricercatori CNR nel corso della ricerca e lo sforzo di<br />

formulare proposte per favorire la coesistenza civile tra diversi ed il rispetto per le differenze<br />

rendono il volume un utile strumento di riflessione per gli studiosi della <strong>città</strong> in una società<br />

globalizzata.<br />

L’attualità del tema è testimoniata non solo dalla sequela di fatti di cronaca che accendono<br />

gli animi ma anche, e soprattutto, dal mutamento informale, spesso silenzioso, che sta subendo<br />

il tessuto fisico e sociale della <strong>città</strong> europea. Su questa linea appare proficuo il lavoro di<br />

speculazione teorica e metodologica che permea il volume di Clemente ed Esposito. Un flusso<br />

strutturale, inevitabile ed irrefrenabile, di immigrati 1 si sta dipanando dal Sud al Nord, ma anche<br />

dall’Est all’Ovest del pianeta, e subirà incrementi sempre maggiori nei prossimi anni, anche alimentato<br />

dal cambiamento climatico. Lo scenario che si viene a configurare è quello di un Nord,<br />

nel quale la popolazione in età lavorativa si contrae, contrapposto al Sud, nel quale la popolazione<br />

e, in particolare, la forza lavoro aumentano esponenzialmente. Le differenze di reddito tra<br />

Nord e Sud e le sperequazioni tra domanda ed offerta di lavoro alimentano la speranza di conseguire<br />

un maggiore benessere, attraversando le acque del Mediterraneo; il Mare Nostrum diventa<br />

il confine tra le aree del benessere e quelle del malessere. Per intervenire consapevolmente<br />

ed efficacemente su queste dinamiche, prima che si configurino situazioni di emergenza umanitaria<br />

e si estremizzino le conflittualità, è necessario promuovere azioni integrate nei paesi d’origine<br />

e di destinazione dei flussi migratori.<br />

Oggi la <strong>città</strong> ed il territorio europei sono sempre più coinvolti in tali dinamiche sociali: la<br />

consistenza, la composizione ed il dinamismo dei flussi migratori è in relazione non determini-<br />

1 Le rilevazioni “diffuse” dall’ONU tracciano uno scenario di 191 milioni di persone emigrate nel 2007; in realtà si<br />

tratta di stime sottodimensionate a causa della non omogeneità/comparabilità delle rilevazioni statistiche. In Italia, agli<br />

oltre 3 milioni di immigrati ufficiali rilevati al dicembre 2006 vanno aggiunte le oltre 800.000 presenze clandestine stimate<br />

dal Ministero degli Interni (vedi Capitolo 3).<br />

19<br />

LUIGI FUSCO GIRARD


20<br />

NOTE INTRODUTTIVE<br />

stica con gli altri fenomeni che stanno mutando il rapporto tra <strong>città</strong> e territorio di riferimento, tra<br />

<strong>città</strong> e cittadini e tra <strong>città</strong> ed attività umane.<br />

Per innescare un processo di formazione della <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> europea è opportuno, se<br />

non necessario, partire dal riconoscimento di una visione di futuro condivisa anche con coloro<br />

che “vengono da lontano”. Stimolando la costituzione di “reti civili”, intese quali tessuto socio-economico<br />

comune, si può instaurare un sistema di relazioni tra i paesi d’origine e destinazione dei<br />

flussi migratori che garantisca una base comune di dialogo. Il pluralismo dei punti di vista è un<br />

elemento che arricchisce la costruzione della nozione di bene comune, a condizione che vi sia effettivo<br />

dialogo/confronto sugli elementi fondanti di un “comune interesse”, pur nel rispetto delle<br />

differenze di un contesto multiculturale, plurivaloriale, plurireligioso. Da questa “visione comune”,<br />

che può costituire il motore dell’incontro e dell’interazione, discende la capacità di co-ordinare<br />

interventi e con-dividere scelte, pur in un contesto complesso e spesso fortemente conflittuale.<br />

Tali conflitti (di matrice culturale, di genere, religiosa, patrimoniale, e così via), che sono dovuti al<br />

moltiplicarsi dei soggetti coinvolti, con diversi valori/interessi/obiettivi, vanno tempestivamente<br />

ridotti o gestiti se si vuol evitare una loro prossima esplosione, a partire dalle periferie urbane del<br />

degrado.<br />

Se si affrontano e sciolgono i principali nodi della nuova società multietnica, si può procedere<br />

verso la costruzione di una <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong>; in tale direzione è fondamentale il contributo di<br />

un disegno territoriale che sappia mettere a sistema i baricentri dell’incontro multiculturale<br />

espressione di una nuova architettura che disegni i luoghi del dialogo e che contribuisca a trasformare<br />

i conflitti in interazione.<br />

Il tema, ampiamente indagato dal punto di vista dello scenario geopolitico e dei mutamenti<br />

sociali, soprattutto nelle realtà da tempo investite da massicci fenomeni migratori, non è<br />

stato ancora sufficientemente affrontato dal punto di vista spaziale (con riferimento alla pianificazione<br />

ed alla gestione).<br />

Con questo spirito il testo illustra nel primo e nel secondo capitolo lo stato dell’arte della<br />

ricerca <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica, estrapolandone le tematiche più vicine alle specificità disciplinari<br />

degli autori. Il confronto con quanto si sta studiando e realizzando nel mondo nel settore ha consentito<br />

di approfondire non solo il modo nel quale le diverse culture ed etnie si incontrano ma le<br />

trasformazioni fisiche e funzionali che tali incontri determinano.<br />

Il filo conduttore della ricerca, che accompagna il lettore verso l’acquisizione di nuove consapevolezze<br />

e di nuovi strumenti, è la configurazione degli spazi e dei luoghi e delle funzioni<br />

urbane che possono favorire l’interazione culturale, svolgendo un ruolo inclusivo (riferito alle<br />

diverse categorie di marginalità sociale) e riducendo le tensioni e la carica conflittuale.<br />

Il punto di partenza è un tema caro alla tradizione del Dipartimento di Conservazione e<br />

cioè il valore semantico della <strong>città</strong> consolidata ed i valori identitari che ne scaturiscono. Il tessuto<br />

urbano e le quinte architettoniche, anche laddove non vi siano emergenze monumentali, esprimono<br />

una stratificazione culturale e, spesso, un’interazione etnica che rappresentano un insostituibile<br />

valore (non brutalmente monetizzabile) per la società contemporanea disorientata dal<br />

mercato globale. La coesistenza tra etnie ha sovente generato, nel passato, stratificazioni e commistioni<br />

(spontanee o pianificate) che hanno dato vita a specifiche espressioni insediative.<br />

La <strong>città</strong> fisica, naturalmente, oppone una maggiore inerzia al cambiamento di quanto non<br />

faccia il tessuto sociale esprimendo, così, l’identità e la cultura locale che sta diventando quantitativamente<br />

minoritaria con presenze sempre più massicce di popolazione eteroctona.<br />

Perseguendo il rispetto per la memoria storica espressa dai luoghi e dalle tradizioni locali<br />

si sviluppa una sicurezza dei propri valori fondanti che consente l’apertura al dialogo. Dialogo<br />

che deve essere bilaterale e, nel rispetto delle differenze, deve consentire di costruire un “futuro<br />

arcobaleno”.<br />

Il tema dell’identità multiculturale è la grande incognita della <strong>città</strong> futura; come già emerse<br />

nel 2000 in occasione del convegno mondiale “The human being and the city”, organizzato a<br />

Napoli dal Dipartimento, è necessario studiare in parallelo i paesi dell’esodo e quelli dell’accoglienza.<br />

La percezione degli spazi collettivi, l’idea di alloggio, l’esercizio del culto, e così via, mu-


tano nelle diverse culture, invitando ad analizzare le modalità attraverso le quali vengono riconosciuti<br />

e vissuti gli spazi e i luoghi della multietnicità. Ne discende “l’interesse verso i valori semantici,<br />

la memoria collettiva e gli elementi primari dell’architettura della <strong>città</strong> (Rossi, 1966), il genius<br />

loci (Norberg-Schulz, 1980) da opporre ai “non luoghi” di Augé (1992) per favorire l’integrazione<br />

delle culture e la convivenza dei popoli (Kylmicka, 1999)”.<br />

Il dibattito istituzionale e culturale è incentrato <strong>sulla</strong> dialettica tra globalizzazione dei fenomeni<br />

(intesa quale uniformità culturale) e difesa dell’identità che rischia di alimentare le contrapposizioni<br />

piuttosto che generare una pianificazione e programmazione attenta all’idea di<br />

persona, in contrapposizione a quella di individuo. Il problema non si manifesta solo laddove la<br />

complessità sociale della <strong>città</strong> postmoderna è arricchita dalla multietnicità e dalla multiculturalità<br />

ma accomuna tutte le diverse forme di marginalità di una <strong>città</strong> sempre più frammentata socialmente,<br />

economicamente ed etnicamente.<br />

La pressione esercitata dai flussi migratori su un territorio europeo che sta vivendo una<br />

fase di stagnazione o recessione economica aumenta la diffidenza dei ceti meno abbienti della<br />

popolazione autoctona che si vedono contendere le scarse risorse disponibili. “Il problema è più<br />

percepito che reale, perché sovente l’offerta di lavoro intercettata dagli immigrati non interessa<br />

la popolazione locale; è necessario considerare che il fenomeno migratorio ha assunto in poco<br />

tempo una consistenza tale da indurre a spostare l’attenzione dalla sola gestione dei flussi al problema<br />

dell’integrazione delle minoranze etniche che si sono stabilite nelle <strong>città</strong> europee”.<br />

In questa ottica l’approccio metodologico adottato dagli autori è orientato alla definizione,<br />

con particolare attenzione alla <strong>città</strong> europea, dei nuovi valori semantici dei luoghi fisici e<br />

culturali per l’interazione sociale tra soggetti diversi e sovente in conflitto. In tale panorama si riscontrano<br />

scelte localizzative e forme insediative ricorrenti che possono essere interpretate come<br />

tasselli della nuova urbanizzazione multietnica.<br />

Pur nella pluralità degli approcci adottati nei diversi paesi europei, il testo propone una<br />

classificazione in base ai tempi ed alle caratteristiche dei flussi, alle tradizioni istituzionali di<br />

ciascuno Stato ed alla provenienza e destinazione, alla cultura di riferimento, alle politiche dell’accoglienza<br />

ed al modello d’integrazione perseguito (assimilativo, multiculturale, temporaneo,<br />

implicito).<br />

La multietnicità urbana è espressa da un complesso e dinamico sistema di relazioni tra<br />

flussi, luoghi, spazi e funzioni urbane ed è condizionata dalla capacità degli spazi e dei luoghi urbani<br />

di favorire le relazioni primarie, ma anche quelle di carattere transitorio ed instabile.<br />

A questo scopo nel capitolo tre la disamina dell’esperienza italiana nei confronti dell’immigrazione<br />

offre lo spunto per mettere il relazione l’insicurezza urbana (alimentata dalle difficoltà<br />

di dialogo e dall’inadeguatezza degli spazi d’aggregazione) con le conflittualità etniche. Pur<br />

nella consapevolezza dell’impossibilità di mettere in relazione deterministica spazi e funzioni urbane<br />

e comportamenti deviati, l’autrice mette a punto una procedura per individuare i criteri<br />

progettuali per l’aggregazione <strong>interetnica</strong>. Proponendo un “sistema integrato per la residenza”,<br />

realizzato mediante un modello partecipativo, si rivisita in chiave di sicurezza urbana il tema delle<br />

unità di vicinato della tradizione anglosassone.<br />

La realizzazione di “poli per la socializzazione” per il superamento delle diversità è anche al<br />

centro delle riflessioni sul ruolo dello sport presentate nel quarto capitolo ed è oggetto, con particolare<br />

attenzione alle periferie della <strong>città</strong> contemporanea, degli approfondimenti tematici presentati<br />

dai gruppi di ricerca coordinati da Bianca Petrella e Francesco Bruno nelle Facoltà di<br />

<strong>Architettura</strong>, rispettivamente, della Seconda Università di Napoli e dell’Università Federico II. La riqualificazione<br />

può partire dalla riorganizzazione delle attività, degli alloggi e dei servizi, per offrire<br />

risposte concrete alla nuova domanda urbanistica e di qualità architettonica posta dalle comunità<br />

multietniche.<br />

La riflessione sui modi nei quali non solo il costruito ma anche lo spazio pubblico si sono<br />

modificati esprimendo una società in mutamento è alla base delle definizione della nuova architettura<br />

del dialogo e delle sue espressioni quali le nuove configurazioni degli spazi d’aggregazione<br />

e dei luoghi dello sport che possono trasformare i conflitti latenti o manifesti in energie e<br />

sinergie positive.<br />

21<br />

LUIGI FUSCO GIRARD


22<br />

NOTE INTRODUTTIVE<br />

In questa ottica sistemica, un attento processo valutativo dei progetti/programmi alternativi<br />

è assolutamente necessario. Esso implica, a sua volta, la formazione di un’idonea base di conoscenza<br />

dei diversi impatti, la produzione di una casistica delle buone pratiche, l’individuazione<br />

di adeguati indirizzi d’intervento plurisettoriali ed integrati, per evitare errori o sottovalutazioni.<br />

In conclusione, il percorso illustrato nel testo vuole offrire un contributo mirato al dibattito<br />

interdisciplinare intorno alla “convivenza tra diversi”, predisponendo i criteri metodologici per<br />

estendere le riflessioni alla società contemporanea nel suo complesso. L’auspicio è che i molti e<br />

densi temi portati alla ribalta possano essere ulteriormente sviluppati nel prosieguo della ricerca<br />

mediante la collaborazione tra l’unità di ricerca del Consiglio Nazionale delle Ricerche ed il<br />

Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici ed Ambientali dell’Università Federico II<br />

di Napoli.


Capitolo 1<br />

Città multietniche per la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong><br />

“A Cloe, grande <strong>città</strong>, le persone che passano per le vie non si conoscono.<br />

Al vedersi immaginano mille cose uno dell’altro, gli incontri<br />

che potrebbero avvenire tra loro, le conversazioni, le sorprese, le carezze,<br />

i morsi. Ma nessuno saluta nessuno, gli sguardi s’incrociano per un<br />

secondo e poi si sfuggono, cercano altri sguardi, non si fermano”.<br />

Italo Calvino, Le <strong>città</strong> invisibili<br />

L’impostazione metodologica della ricerca è fissata da Massimo Clemente e Gabriella Esposito De Vita<br />

nei tre momenti della ricerca, della formazione e della sperimentazione. Le premesse teorico culturali<br />

e i riferimenti scientifici sono la base di conoscenza e sostanziano il racconto del percorso di studio<br />

multidisciplinare finalizzato alla definizione/riscoperta di una semantica multiculturale della <strong>città</strong> e<br />

dell’architettura. La dialettica tra culture globali e identità locali, con particolare attenzione alla<br />

<strong>città</strong> europea, proietta dalla teoria alla prassi progettuale, urbanistica e architettonica. Impostando le<br />

linee guida di una architettura del dialogo si contribuisce a trasformare la etnodiversità da problema<br />

in risorsa. Il percorso seguito rivisitando i capisaldi disciplinari, ed in particolare il concetto anglosassone<br />

dell’unità di vicinato, ha condotto all’approfondimento dei luoghi dell’interazione, intesi<br />

quali punti luce di una nuova organizzazione urbana interculturale, per rinnovare i significati attraverso<br />

i significanti.<br />

1.1 LA METODOLOGIA DI STUDIO: RICERCA, FORMAZIONE, SPERIMENTAZIONE<br />

1.1.1 Gli obiettivi della ricerca: pianificare e progettare multiculturale<br />

Il progetto di ricerca “Spazi e funzioni dell’aggregazione e dell’integrazione per la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong><br />

europea” 1 del Consiglio Nazionale delle Ricerche è stato promosso per contribuire alla<br />

soluzione del problema della convivenza multietnica nella <strong>città</strong> contemporanea, con particolare<br />

riferimento agli scenari urbani europei.<br />

Le ricerche sono state sviluppate, a partire dal 2004, perseguendo due ordini di obiettivi riconducibili<br />

al dualismo della <strong>città</strong> multietnica: da un lato, i risvolti architettonici e urbanistici della<br />

multietnia in termini funzionali, dall’altro lato, le potenzialità espressive della multiculturalità negli<br />

spazi urbani e nelle architetture.<br />

Il tema, ampio e trasversale a diversi ambiti disciplinari, ha reso opportuno integrare un approccio<br />

top down con un altro che, invece, procedesse dal basso. Il primo è indispensabile per inquadrare<br />

il tema della <strong>città</strong> multietnica nell’ambito di un più esteso e radicale mutamento culturale,<br />

sociale, politico ed economico che va sotto il nome di globalizzazione. Le dinamiche dei flussi<br />

migratori, infatti, sono condizionate dallo scenario geopolitico globale, più che dal contesto territoriale<br />

d’accoglienza (Ambrosini, 2005). Quest’ultimo, però, è l’ambito nel quale opera la disciplina<br />

urbanistica ed è anche la palestra nella quale esercitare, mediante un approccio bottom up, la capacità<br />

di favorire l’integrazione e l’interazione tra culture diverse.<br />

I fenomeni migratori hanno caratterizzato la storia europea influenzando, nei secoli, le trasformazioni<br />

urbane e regionali (Sassen, 1991 e 1996a) come testimoniano, ancora oggi, le permanenze<br />

insediative e culturali. Gli scenari migratori determinati dalle dinamiche geopolitiche che<br />

hanno alterato i pur precari equilibri preesistenti hanno configurato una nuova dialettica tra territori<br />

dell’esodo e dell’accoglienza. Come è noto, la spinta migratoria, quando interessa ampie por-<br />

1 Al termine del primo progetto di ricerca biennale, le attività sono proseguite in continuità scientifica, con un ulteriore<br />

progetto biennale (2006-2008) dal titolo “Spazi e funzioni urbane dell’aggregazione e dell’integrazione per la <strong>città</strong><br />

<strong>interetnica</strong> europea e mediterranea: dall’interpretazione degli scenari al progetto dei nuovi luoghi e paesaggi urbani”.<br />

23<br />

CITTÀ MULTIETNICHE<br />

PER LA CITTÀ INTERETNICA


24<br />

CAPITOLO 1<br />

zioni di una popolazione, è cagionata principalmente dalla fuga da eventi disastrosi, da condizioni<br />

di povertà estreme e da situazioni belliche o parabelliche. Si configurano, poi, altre cause d’esodo,<br />

numericamente meno rilevanti ed etnicamente meno specializzate, che scaturiscono dalle dinamiche<br />

della globalizzazione (Sassen, 1996b).<br />

Dopo un excursus sulle esperienze internazionali significative si è concentrata l’attenzione<br />

<strong>sulla</strong> <strong>città</strong> europea. Pur consapevoli di dover uscire da una logica esclusivamente eurocentrica,<br />

che costituisce un filtro incompleto per la comprensione delle attuali dinamiche, si è scelto di partire<br />

dallo spazio europeo per mettere a punto un protocollo da testare, poi, su altre realtà ed<br />

estenderne l’applicabilità (Faludi, Waterhout, 2002).<br />

Tra le ragioni della scelta “europea” si annoverano la disponibilità di una letteratura ampia,<br />

di casistiche esaustive e di dati e statistiche sul tema, uniti al contributo di Carte (Beguinot, 2006),<br />

di programmi comunitari e dello Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo 2 (SSSD, 1999). Lo studio,<br />

inoltre, si sviluppa in continuità con il filone <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> europea che il gruppo di ricerca sta sviluppando<br />

da tempo (Clemente, 2002). A ciò si aggiunge la forte connotazione degli spazi e dei<br />

luoghi europei, la cui identità diventa il fattore con il quale confrontarsi (Castells, 2004).<br />

Fino al XVIII secolo, i flussi erano sostanzialmente interni al continente europeo ed erano<br />

pochi coloro che si trasferivano nelle colonie d’oltremare di Spagna, Portogallo, Inghilterra,<br />

Francia, ecc. o viceversa. Nel XIX secolo, si sviluppò l’emigrazione di grandi masse di diseredati<br />

dalle regioni europee più povere verso le Americhe e, in misura ridotta, verso gli altri continenti,<br />

nelle colonie più ricche delle nazioni più potenti.<br />

Nel XX secolo, progressivamente, l’immigrazione in Europa degli abitanti delle colonie<br />

crebbe e, nel secondo dopoguerra, alcune aree urbane di Inghilterra, Francia, Belgio, Olanda assunsero<br />

connotati multietnici, con gruppi pienamente integrati nel sistema sociale, economico e<br />

culturale europeo, giunti oggi alla terza generazione. Dagli anni settanta, con la globalizzazione e<br />

l’interdipendenza mondiale dei fenomeni, il bacino di provenienza si è allargato a tutte le aree più<br />

povere del pianeta e un’ulteriore ondata è giunta, negli anni novanta, dai paesi dell’ex blocco socialista<br />

a seguito della caduta dell’egemonia sovietica.<br />

Nella corso della storia, dunque, si sono succedute migrazioni di differente entità e tipologia,<br />

ma ciò che rende eccezionale quanto sta avvenendo nella <strong>città</strong> contemporanea è l’insieme<br />

dei fenomeni riconducibili alla globalizzazione che hanno determinato ed accompagnano le<br />

attuali dinamiche demografiche.<br />

Le trasformazioni che da sempre hanno interessato il tessuto fisico e sociale delle <strong>città</strong> sono<br />

oggi soggette ad enormi accelerazioni, che le rendono sovente incompatibili con la capacità di<br />

carico dei sistemi urbani. Se ci si riferisce in particolar modo alle migrazioni, si rileva che i territori<br />

dell’accoglienza (ma in forma diversa anche quelli dell’esodo) non hanno più il tempo di metabolizzare<br />

i mutamenti delle componenti etniche che pure in passato si sono succeduti.<br />

Questo tema di natura globale assume molteplici sfumature nelle diverse realtà geopolitiche:<br />

variano i paesi di origine e destinazione, le realtà consolidate e le nuove mete, le culture e i<br />

modelli di accoglienza ed integrazione, la consistenza, la composizione dei flussi, le scelte localizzative,<br />

e così via. L’approfondimento degli scenari urbani europei ha consentito di individuare i<br />

problemi, di gerarchizzarli e di porli in relazione allo specifico disciplinare dell’urbanistica e dell’architettura.<br />

I problemi-obiettivo emersi nel Vecchio Continente sono molti e i principali sono il<br />

lavoro, l’alloggio, i servizi, il razzismo, l’esclusione sociale e la segregazione spaziale.<br />

2 Lo Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo (European Spatial Development Perspective) è stato approvato a<br />

Potsdam nel maggio del 1999 ad opera del Consiglio dei Ministri responsabili dell’assetto del territorio dei paesi membri.<br />

Il lungo iter di discussione, in dodici tappe con cadenza annuale (nell’ordine a Nantes, Torino, Den Haag, Lisbona,<br />

Liegi, Corfù, Strasburgo, Madrid e Venezia, Noordwijk, Glasgow e Potsdam), ha condotto alla stesura della prima bozza,<br />

presentata a Noordwijk nel giugno del 1997 (The First Official Draft presented at the informal meeting of Ministers responsible<br />

for spatial planning) e fortemente criticata dalla comunità internazionale per il suo approccio top down che si<br />

è cercato di ribaltare nel documento definitivo. Nonostante le critiche di genericità e di scarsa audacia da parte degli<br />

estensori, il documento comunitario rappresenta un importante tentativo di tracciare una strategia comune allo sviluppo<br />

urbanistico del territorio europeo.


Alla luce di questi fenomeni, il primo obiettivo perseguito è stato comprendere come la<br />

<strong>città</strong> europea si sia trasformata, in questi ultimi decenni, per l’impatto dei flussi migratori aumentati<br />

nella quantità e sempre più variegati per la qualità. Prescindendo dalle molteplici concause<br />

che determinano le dinamiche migratorie, la cui interpretazione e governo esulano dalle competenze<br />

disciplinari di chi scrive, si vuole concentrare l’attenzione sui territori dell’accoglienza e, indirettamente,<br />

su quelli dell’esodo.<br />

Il secondo passo è stato mettere a punto strategie e strumenti che potessero contribuire<br />

alla soluzione dei problemi individuati, sempre attraverso lo specifico disciplinare di architetti, pianificatori<br />

e progettisti, costruttori di spazi e funzioni. Si sono, poi, verificate le potenzialità semantiche<br />

insite nella composizione e ri-composizione etnica delle società urbane dell’Europa contemporanea,<br />

per valorizzare la potenza evocativa della multiculturalità urbana nella <strong>città</strong> e nelle<br />

sue architetture, attraverso approcci progettuali consapevoli e innovativi.<br />

Il percorso si è, inoltre, arricchito di interessanti risultati intermedi sia di conoscenza sia metodologici,<br />

a partire dall’acquisizione dello stato dell’arte della ricerca <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica nel<br />

mondo. Il confronto con quanto si sta studiando e realizzando nel mondo nel settore ha consentito<br />

di approfondire non solo il modo nel quale le diverse culture ed etnie si incontrano, ma le<br />

trasformazioni fisiche e funzionali che tali incontri determinano.<br />

Nel passato lontano e recente sono state molteplici le occasioni nelle quali la coesistenza<br />

tra etnie ha generato specifiche espressioni insediative; talvolta, esse risultano frutto di scelte<br />

spontanee di aggregazione, altre volte sono scaturite da politiche di differente segno, messe a<br />

punto ad hoc. Oggi la <strong>città</strong> ed il territorio sono sempre più coinvolti in tali dinamiche sociali: la<br />

consistenza, la composizione ed il dinamismo dei flussi migratori è in relazione non deterministica<br />

con gli altri fenomeni che stanno mutando il rapporto tra <strong>città</strong> e territorio di riferimento, tra<br />

<strong>città</strong> e cittadini e tra <strong>città</strong> ed attività umane.<br />

Riflettendo <strong>sulla</strong> percezione del fenomeno dell’immigrazione e sulle diverse forme di conflittualità<br />

o di socializzazione che la convivenza multietnica determina, ci si è posti l’obiettivo di<br />

identificare il ruolo degli spazi e dei luoghi urbani nel favorire o ostacolare l’incontro e l’interazione<br />

tra le diverse componenti del sempre più complesso quadro sociale della <strong>città</strong> multietnica.<br />

A tale scopo è stata focalizzata l’attenzione <strong>sulla</strong> configurazione degli spazi di aggregazione: la<br />

dimensione multietnica delle attuali dinamiche sociali costituisce lo spunto per riflettere <strong>sulla</strong><br />

capacità degli strumenti urbanistici dei quali disponiamo per interpretare la domanda di una<br />

società complessa senza arrendersi a filosofie d’intervento sempre più parziali ed asistemiche<br />

(Beguinot, 1992).<br />

Il risultato di tale percorso vuole essere un contributo mirato al dibattito disciplinare e, nel<br />

contempo, vuole tracciare le linee guida progettuali al tema della “convivenza tra diversi”. Questo<br />

approccio, tagliato sul tema della multietnicità, ha consentito di predisporre i criteri metodologici<br />

per estendere le riflessioni alla società contemporanea nel suo complesso e costituisce il punto di<br />

partenza del prosieguo della ricerca.<br />

1.1.2 La base di conoscenza <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica<br />

La verifica della letteratura scientifica <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica ha evidenziato la prevalenza in<br />

tale ambito di studi di carattere sociologico; tematiche relative ai caratteri spazio-funzionali della<br />

multiculturalità urbana emergono soprattutto dall’ambito della sociologia urbana, a partire dagli<br />

scenari sociali caratterizzati da stadi di multietnicità avanzata come il Canada, l’Australia, ecc. che<br />

possono essere interpretati secondo la chiave di lettura offerta dalla <strong>città</strong> (Germain, 2000, 2002;<br />

Ray, 2003; Hutchison, Krase, 2007).<br />

Nell’ultimo decennio, gli studiosi che, nel mondo, si sono confrontati con il tema della <strong>città</strong><br />

multietnica sono numerosi e, tra i tanti, sono state proficue le escursioni nei lavori di Marco<br />

Martiniello che, con Sophie Body-Gendrot, ha aperto il campo alle riflessioni sulle forme di esclusione/inclusione<br />

sociale dei migranti a livello di unità di vicinato; nel volume curato dai due ricercatori<br />

si dà ampio spazio anche ai temi della sicurezza urbana legata alle migrazioni che qui si af-<br />

25<br />

CITTÀ MULTIETNICHE<br />

PER LA CITTÀ INTERETNICA


26<br />

CAPITOLO 1<br />

frontano nel terzo capitolo (Body-Gendrot, Martiniello, 2000). Anche il tema dell’identità e della<br />

sua confluenza in una nuova dimensione della cittadinanza è ampiamente scandagliato (Allam,<br />

Martiniello, Tosolini, 2004; Castles, 2000) e, nell’ambito dell’European Network of Excellence on<br />

Immigration, Integration and Social Cohesion (IMISCOE), si sviluppano i temi legati all’esperienza<br />

europea (Martiniello, Piquard, 2002; Penninx, Kraal, Martiniello, Vertovec, 2004).<br />

Il tema della <strong>città</strong> multietnica è trasversale ed emerge negli studi <strong>sulla</strong> globalizzazione<br />

(Geertz, 1999) sul divario tra il nord e il sud del mondo (UN-Habitat, Earthscan, 2006; Castles, 2000),<br />

<strong>sulla</strong> progressiva urbanizzazione del pianeta (Amendola, 2001), <strong>sulla</strong> povertà urbana e sulle ondate<br />

migratorie che ne derivano (Amselle, 1999). Inoltre, i nuovi scenari urbani multietnici spingono a rivedere<br />

sotto un diversa prospettiva classici della sociologia urbana e dell’urbanistica come Park,<br />

Burgess, McKenkie (1925), ma anche Gottmann (1960), Jacobs (1961) e McLuhan (1968).<br />

Le <strong>città</strong> di pietra, delle relazioni e del vissuto (Beguinot, 1992) devono essere rilette attraverso<br />

il filtro della nuova urbanizzazione: dallo spazio dei luoghi allo spazio dei flussi (Castells, 1996<br />

e 2004). Il primo passo in tale direzione è l’individuazione degli indirizzi di trasformazione dei valori<br />

semantici degli spazi e dei luoghi della <strong>città</strong> coinvolta nei processi di globalizzazione (Hall, 1988).<br />

Qualsiasi riflessione <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> contemporanea – che voglia condurre all’elaborazione di<br />

proposte metodologiche e/o progettuali – richiede un approccio complesso e dinamico 3 ; il territorio<br />

è un sistema aperto, denso di componenti multidimensionali, interconnesse mediante relazioni<br />

dinamiche che non possono essere deterministicamente concatenate (Boulding, 1985;<br />

Lyotard, 2001). È, oggi, più urgente che in passato definire teoriche e metodiche che consentano<br />

di determinare, nel modo più oggettivo possibile, la quantità e la qualità della domanda urbana e<br />

le capacità del territorio d’accoglienza (Forte, 1982). I fenomeni comunemente raccolti nella definizione<br />

di globalizzazione hanno mutato profondamente gli equilibri transnazionali e stanno mutando<br />

l’aspetto ed il funzionamento delle <strong>città</strong> di tutto il mondo. (Mazza, 1988; Sandercock, 1998)<br />

“Mai come in questo momento, la riflessione sul significato di globalizzazione, sulle forme che<br />

essa deve o può assumere e sui mondi possibili che potrà determinare, deve essere operata da<br />

tutti coloro che assumono responsabilità scientifiche o che esercitano ruoli decisionali per i destini<br />

politici ed economici” (Petrella, 2002). Nello stesso tempo ci si rende conto che mai come in<br />

questo momento la dimensione locale dell’esperienza è stata così forte: si parla di quartieri, di democrazia<br />

partecipativa, si parla di identità (Sandercock, 2003).<br />

Affermando che “la globalizzazione tende ad essere meta spaziale e sradica dai luoghi”, l’inerzia<br />

fisica dello spazio conta sempre meno (Amendola, 2001); nello stesso tempo ci si rende<br />

conto che le identità fondate sui luoghi sono sempre più importanti: ci si ancora al luogo e il<br />

luogo diventa un momento costitutivo dell’identità sia individuale che collettiva (Augè, 1986).<br />

Se il concetto di identità si sviluppa per contrasto (solo in presenza di una pluralità si può<br />

distinguere una o più identità) appare utile analizzare le modalità attraverso le quali vengono riconosciuti<br />

e vissuti gli spazi e i luoghi della multietnicità. Il tema dell’identità multiculturale delle<br />

<strong>città</strong> europee rinnova l’interesse verso i valori semantici, la memoria collettiva e gli elementi primari<br />

dell’architettura della <strong>città</strong> (Rossi, 1966), il genius loci (Norberg-Schulz, 1980) da opporre ai<br />

“non luoghi” di Augé (1992) per favorire l’integrazione delle culture e la convivenza dei popoli<br />

(Kylmicka, 1999).<br />

La dialettica tra globalizzazione dei fenomeni e difesa dell’identità è alla base dei movimenti<br />

sociali che fremono in tutto il pianeta e si riverbera anche in una concezione di pianificazione<br />

urbanistica attenta all’idea di persona, in contrapposizione a quella di individuo. La tensione<br />

tra la tendenza consolidata verso una uniformità culturale e la tendenza alla differenziazione delle<br />

identità anima le dinamiche urbane contemporanee, in particolare nel vecchio continente. La<br />

maggioranza delle medie e grandi <strong>città</strong> europee, infatti, è oggi frammentata socialmente, economicamente<br />

ed etnicamente. “Allo stesso tempo, le <strong>città</strong> europee restano luoghi dove si possono<br />

sviluppare incontri tra i gruppi e dove si attua la produzione culturale. Le <strong>città</strong> sono le crossroads<br />

tra locale e globale” (Martiniello, Piquard, 2002).<br />

3 Sono già da tempo in itinere esperienze di ricerca orientate a comprendere tali fenomeni: Ayse Pamuk (2006),<br />

Mapping Global Cities: GIS Methods in Urban Analysis. Redlands, Calif.: Environmental Systems Research Institute (ESRI)<br />

Press.


Fig. 1 - I luoghi per il tempo libero, laddove sono accessibili a tutte le componenti della società urbana, offrono il terreno<br />

ideale per l’incontro ed il confronto tra culture e identità diverse. Ciò può essere favorito dalle nuove generazioni che,<br />

ancora prive di sovrastrutture culturali, sono aperte al dialogo (Foto di G. Esposito).<br />

Ciò consente di accantonare una prassi fondata sull’asettica concatenazione deterministica<br />

di dati e statistiche (solo apparentemente esatta e oggettiva) per tentare e testare nuovi approcci<br />

all’attuale modello urbano. Uno dei primi passi da effettuare è quello di affrontare la <strong>città</strong> quale<br />

luogo dell’interazione sociale tra soggetti diversi, con punti di partenza ed obiettivi divergenti e<br />

sovente in conflitto; tali caratteri sono estremizzati laddove la complessità sociale della <strong>città</strong> postmoderna<br />

e “postglobale” è arricchita dalla multietnicità e dalla multiculturalità (Amendola, 2001).<br />

L’incontro-confronto di identità ha generato infinite combinazioni spontanee o progettate.<br />

Le <strong>città</strong> europee, la cui identità forte è determinata da storiche contaminazioni culturali, rappresentano<br />

oggi un campo di riflessione di grande interesse: da un lato, una forte connotazione degli<br />

spazi e dei luoghi storici (che manca in altre realtà occidentali quali il Nord America), dall’altro<br />

lato, un differenziato campionario di politiche nazionali per l’immigrazione e l’integrazione. In tale<br />

panorama si riscontrano scelte localizzative e forme insediative ricorrenti che possono essere interpretate<br />

come tasselli della nuova urbanizzazione multietnica.<br />

Questi caratteri costituiscono una base <strong>sulla</strong> quale costruire l’incontro e l’interazione culturale,<br />

così come già è accaduto in passato; se identificati e raccordati mediante lo Schema di<br />

Sviluppo dello Spazio Europeo, possono costituire un importante tassello nella costruzione di<br />

un’identità includente; tra le finalità del documento europeo, infatti, emergono la coesione economica<br />

e sociale, la salvaguardia delle risorse naturali e del patrimonio culturale, la competitività<br />

più equilibrata dello spazio europeo. Prendendo atto delle diversità che caratterizzano il continente,<br />

il documento dichiara l’intento di bilanciare la valorizzazione dei caratteri comuni e il rispetto<br />

delle identità locali. Come sovente accade per i documenti ufficiali scaturiti da assise internazionali,<br />

le ambiguità e le incompletezze dello SSSE denunciano l’impegno profuso dai diversi<br />

soggetti in gioco a svuotarlo di ogni significato “scomodo”. Ciò non di meno, lo Schema vuole of-<br />

27<br />

CITTÀ MULTIETNICHE<br />

PER LA CITTÀ INTERETNICA


28<br />

CAPITOLO 1<br />

frire una “visione del futuro spazio europeo”, costituire un “quadro di riferimento comune” e promuovere<br />

“un’ampia partecipazione del pubblico”, il tutto all’insegna dei principi consolidati dello<br />

sviluppo sostenibile. Il documento di Potsdam tende, quindi, a sistematizzare e raccordare politiche<br />

e strategie che, pur con contenuti e finalità differenti, abbiano un impatto sugli equilibri spaziali.<br />

Nel contesto europeo, il caso italiano presenta alcune peculiarità che richiedono l’approfondimento<br />

delle caratteristiche, delle potenzialità e delle patologie del fenomeno migratorio<br />

(Dematteis, 1992).<br />

In Italia, il punto di partenza è stato offerto dalla comunità scientifica della Fondazione<br />

Aldo Della Rocca che ha richiamato l’attenzione di molti studiosi, compresi chi scrive, sul tema<br />

della <strong>città</strong> multietnica. A partire dal 2002, la Fondazione Della Rocca ha promosso numerosi convegni,<br />

ricerche, pubblicazioni e rapporti video finalizzati ad approfondire le tendenze evolutive<br />

della <strong>città</strong> contemporanea e, in particolare, delle <strong>città</strong> europee, a seguito dei fenomeni migratori<br />

in crescita a livello continentale e mondiale. Nei volumi editi dalla Fondazione (Beguinot 2003,<br />

2004, 2005, 2006, 2008) la varietà dei contributi spazia dalla filosofia all’urbanistica, dalla progettazione<br />

architettonica al diritto, dalla sociologia alla teologia. Non è casuale che il primo principio<br />

della “Carta per la Città Interetnica e Cablata”, documento promosso dalla Fondazione, sia la “Città<br />

delle Identità”. Esso recita, infatti, che “la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> e cablata rispetta le diversità. Tutti gli individui<br />

e i gruppi sociali hanno il diritto di conservare la propria identità e il senso di appartenenza<br />

al gruppo etnico e culturale di provenienza e di rappresentarli nella <strong>città</strong> che li accoglie”<br />

(Beguinot, 2006).<br />

Nel percorso di ricerca si affrontano, quindi, le modalità dispiegate in ambito europeo per<br />

accogliere gli immigrati, ponendo particolare attenzione alle politiche che investono in qualche<br />

modo la <strong>città</strong> ed il territorio. È significativo che, dopo una fase di liberismo migratorio che agli inizi<br />

del novecento ha consentito una notevole mobilità interna al vecchio continente, le politiche europee<br />

si siano orientate al protezionismo, a partire dagli anni settanta, in seguito all’incremento<br />

dei flussi provenienti dal Sud del mondo.<br />

La pressione esercitata dalle masse che, sovente in modo illecito, approdano sulle rive europee<br />

coincide con uno scenario economico che oscilla tra stagnazione e recessione, con rari e timidi<br />

segnali di ripresa. Ciò rende meno appetibile per il mercato del lavoro la manodopera straniera<br />

ma, soprattutto, aumenta la diffidenza della popolazione autoctona, che teme di vedere regredire<br />

ulteriormente la propria condizione sociale. Il problema è più percepito che reale, perché<br />

sovente l’offerta di lavoro intercettata dagli immigrati non interessa la popolazione locale; è necessario<br />

considerare che il fenomeno migratorio ha assunto in poco tempo una consistenza tale<br />

da indurre a spostare l’attenzione dalla sola gestione dei flussi al problema dell’integrazione delle<br />

minoranze etniche che si sono stabilite nelle <strong>città</strong> europee 4 .<br />

Ciascun paese europeo, a livello centrale ed a livello locale, ha affrontato in modo diverso i<br />

fenomeni legati all’immigrazione. Ciò non di meno, è stato possibile ravvisare e schematizzare alcuni<br />

approcci privilegiati, influenzati in larga misura dai tempi e dalle caratteristiche dei flussi e<br />

dalle tradizioni istituzionali di ciascuno stato; i molteplici scenari che si riscontrano sono classificabili<br />

in base all’epoca, alla provenienza e destinazione, alla cultura di riferimento, alle politiche<br />

dell’accoglienza ed al modello d’integrazione perseguito. I modelli principali riconoscibili nelle<br />

politiche per l’immigrazione dei paesi europei sono:<br />

– il modello assimilativo che nell’esperienza francese ha estremizzato il concetto di inclusione<br />

culturale fino alla perdita delle singole identità;<br />

– il modello multiculturale che in Gran Bretagna ed Olanda ha consentito la coesistenza<br />

senza osmosi tra gruppi etnici diversi;<br />

– il modello temporaneo che ha reso precario il progetto di vita degli stranieri in Germania;<br />

– il modello implicito che caratterizza i paesi di recente immigrazione quali la Spagna e<br />

l’Italia.<br />

4 Con la firma dell’Atto Unico Europeo si sancisce l’interesse per il tema: allegata all’Atto si trova la “Dichiarazione<br />

politica dei governi degli Stati membri relativa alla libera circolazione delle persone” (Lussemburgo, 1985).


A queste filosofie dell’accoglienza dovrebbero corrispondere politiche top down ed esperienze<br />

bottom up che ne traducano i principi in trasformazioni fisiche del territorio. Sovente le politiche<br />

espressamente dedicate alla gestione dei fenomeni connessi all’immigrazione non investono<br />

direttamente questioni urbane o territoriali. D’altro canto, norme, politiche, strumenti, progetti<br />

che interessano le aree di crisi della <strong>città</strong> contemporanea si riverberano, frequentemente,<br />

sulle condizioni di vita delle comunità immigrate.<br />

La multietnicità urbana appare dilatata nella percezione degli abitanti ed incomincia anche<br />

ad avere un qualche impatto <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> fisica. La presenza di immigrati ha cambiato il volto di<br />

estese porzioni di <strong>città</strong> e, anche se in modo diverso nelle diverse realtà, ha assunto un ruolo rilevante<br />

nel funzionamento del sistema urbano, del quale non è più una componente marginale.Tali<br />

espressioni del fenomeno migratorio sono di difficile generalizzazione, in quanto è complesso e<br />

dinamico il sistema delle relazioni tra flussi, luoghi, spazi e funzioni urbane. La possibilità di orientare<br />

lo sviluppo urbano verso una dimensione <strong>interetnica</strong> è fortemente condizionata dalla capacità<br />

degli spazi e dei luoghi urbani di favorire le relazioni primarie, ma anche quelle di carattere<br />

transitorio ed instabile.<br />

La limitatezza della letteratura scientifica e il dinamismo dei fenomeni studiati ha suggerito<br />

di avvalersi delle potenzialità della rete, attingendo dal world wide web informazioni in tempo<br />

reale sulle attività in itinere dei principali centri di ricerca attraverso le home pages ufficiali. La ricerca<br />

è stata effettuata attraverso parole chiave e i risultati sono stati verificati attraverso riscontri<br />

incrociati dei contenuti dei diversi siti, dei testi ISBN a stampa che è stato possibile scaricare da internet<br />

o reperire, attraverso verifiche sul campo, tramite contatti diretti.<br />

In questo modo, la base di conoscenza si è notevolmente ampliata, aprendo il sipario sulle<br />

attività di ricerca, i progetti in corso, le pubblicazioni sui temi delle migrazioni, della multiculturalità,<br />

delle discriminazioni razziali, della <strong>città</strong> multietnica.<br />

Fig. 2 - La sovrapposizione di segni senza valore semantico, nei centri commerciali, genera “non luoghi” che appaiono<br />

rassicuranti per un’esperienza superficiale degli spazi finalizzata alla vendita ma che non favoriscono l’aggregazione e<br />

l’interazione (Foto di M. Clemente).<br />

29<br />

CITTÀ MULTIETNICHE<br />

PER LA CITTÀ INTERETNICA


30<br />

CAPITOLO 1<br />

Le sei classi d’analisi, definite in base al feedback di una indagine che ha toccato oltre<br />

seicento siti internet nel mondo, sono relative a: centri che hanno ricerche specifiche <strong>sulla</strong> <strong>città</strong><br />

multietnica, centri che affrontano il tema ma non hanno progetti dedicati, centri che l’affrontano<br />

in modo trasversale, centri di ricerca che affrontano in generale migrazioni e multietnia, centri<br />

di statistica e documentazione, siti che analizzano il fenomeno in Italia.<br />

1.1.3 Il percorso di studio per la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong><br />

Il passaggio concettuale dalla “<strong>città</strong> multietnica” alla “<strong>città</strong> <strong>interetnica</strong>” è emblematico del<br />

percorso scientifico compiuto, da chi scrive, nell’approfondimento delle potenzialità dell’urbanistica<br />

e dell’architettura per trasformare le <strong>città</strong> da luogo di conflitto in luogo di convivenza multiculturale.<br />

La Fondazione Della Rocca ha promosso incontri, studi e pubblicazioni sul tema della “<strong>città</strong><br />

multietnica” che è il luogo della coesistenza delle diversità e, progressivamente, è emerso il<br />

concetto di “<strong>città</strong> <strong>interetnica</strong>” intesa come luogo della convivenza civile e colta di genti e popoli<br />

diversi.<br />

Nell’ambito di questa comunità scientifica, è stata promossa l’unità di ricercatori CNR in distacco<br />

presso l’Università Federico II di Napoli, per lo svolgimento del progetto dedicato al tema<br />

“Spazi e funzioni dell’aggregazione e dell’integrazione per la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> europea” 5 .<br />

Gli spazi urbani e architettonici possono essere luoghi di aggregazione e di integrazione,<br />

ma non sempre ciò accade e i fattori che determinano il successo, l’efficacia del progetto, sono<br />

molti ed interrelati. La conoscenza degli scenari globali e locali fa maturare la consapevolezza<br />

della dimensione multietnica delle società urbane contemporanee, nell’occidente ricco e post-industriale,<br />

nelle economie che crescono a ritmi vorticosi, nei paesi poveri e poverissimi.<br />

L’acquisizione dello stato dell’arte ha costituito la base degli approfondimenti sviluppati<br />

nella seconda fase della ricerca. Analogamente, le attività di formazione sono state portate avanti<br />

<strong>sulla</strong> base dell’esperienza maturata e l’ambito universitario di riferimento per la diffusione dei<br />

risultati si è spostato dalla dimensione regionale a quella nazionale.<br />

Sia nella ricerca che nella formazione e nella diffusione dei risultati si è rafforzata e finalizzata<br />

la collaborazione con la Fondazione Aldo Della Rocca attraverso la quale si è altresì sviluppata<br />

la rete delle relazioni scientifiche.<br />

L’avanzamento delle conoscenze e delle competenze è stato incentrato, dal punto di vista<br />

scientifico, <strong>sulla</strong> specificità degli spazi e delle funzioni urbane come luogo critico dei problemi<br />

indotti dalla convivenza e, allo stesso tempo, come luogo, ideale per vocazione, della soluzione dei<br />

problemi medesimi.<br />

L’interpretazione dei caratteri comuni ai diversi insediamenti umani ha aiutato ad estrapolarne<br />

gli elementi identitari che consentono la riconoscibilità e l’appartenenza ai luoghi. Sono<br />

stati individuati ed approfonditi casi studio significativi di luoghi urbani per l’aggregazione, il<br />

tempo libero e lo sport ai fini dell’integrazione urbana <strong>interetnica</strong>.<br />

In questo modo, è stato approfondito il ruolo dell’architetto urbanista negli attuali scenari<br />

di trasformazione multiculturale ed interculturale, partendo dall’analisi dei nuovi scenari e dei<br />

paesaggi urbani, nella prospettiva della multiculturalità e della interculturalità.<br />

L’approccio metodologico ha integrato l’attività scientifica con la formazione specialistica,<br />

attraverso la didattica universitaria e con la sperimentazione attraverso l’approfondimento di casi<br />

studio reali.<br />

Si sono sviluppate interazioni tra e con i diversi ambiti disciplinari dell’urbanistica, della<br />

progettazione architettonica, della sociologia urbana, dell’estimo e della valutazione.<br />

L’approfondimento di alcuni casi studio ha consentito di verificare le ipotesi teoriche e<br />

metodologiche e di inquadrare il possibile ruolo dell’architetto urbanista nel governo delle<br />

trasformazioni multietniche della <strong>città</strong> e del territorio.<br />

5 Il distacco è tuttora in corso presso presso il Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici e<br />

Ambientali, prima con la direzione del Prof. Luigi Fusco Girard e, successivamente, del Prof. Francesco Forte (www.conservazione.unina.it).


Lo studio degli scenari e dei paesaggi urbani multiculturali ed interculturali è stato avviato<br />

con specifico riferimento all’area europea e mediterranea, dove tuttora prosegue l’approfondimento<br />

di casi studio significativi, con il medesimo approccio su descritto.<br />

1.1.4 L’approccio multidisciplinare per una semantica multiculturale<br />

Per interpretare il complesso e dinamico “spirito del tempo” e sviluppare un percorso verso<br />

la costruzione di una <strong>città</strong> culturalmente plurale e socialmente integrata, ci si è avvalsi di contributi<br />

disciplinari diversi ma interrelati. L’indagine sullo stato dell’arte della ricerca <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multiculturale,<br />

prima fase nello sviluppo del progetto di ricerca, ha consentito di individuare le parole<br />

chiave che sono rappresentative dei fenomeni in atto e che costituiscono il filo conduttore del<br />

lavoro svolto, raccordando i vari approfondimenti tematici.<br />

Per poter affrontare i nodi progettuali emersi nello svolgimento della ricerca, ci si è impegnati<br />

a comprendere le caratteristiche della <strong>città</strong> dell’accoglienza rispetto al rapporto tra globalizzazione<br />

e identità locale, per definire i valori semantici della <strong>città</strong> che possono costituire il terreno<br />

di coltura dell’incontro e dell’interazione.<br />

La complessità urbana, negli ultimi decenni, è stata intensificata a dismisura a causa della<br />

quantità e qualità degli afflussi di popoli e culture nelle <strong>città</strong>.<br />

La multiculturalità urbana è la grande risorsa che si rende disponibile all’urbanistica per superare<br />

e risolvere la crisi identitaria delle <strong>città</strong> storiche, ma anche per recuperare e vincere la battaglia<br />

contro l’alienazione nelle periferie.<br />

Un’umanità sempre più variegata e cosmopolita trasforma la <strong>città</strong> storica attraverso la sola<br />

presenza e il vivere urbano nella quotidianità. Le architetture e gli spazi urbani consolidati assumono<br />

nuove valenze funzionali e semantiche, si trasforma la memoria depositata e stratificata<br />

nelle pietre. Nelle periferie, le nuove povertà degli immigrati adattano e trasfigurano, nell’uso, alloggi<br />

e servizi già degradati e degradanti.<br />

Il destino della <strong>città</strong> futura è nella diversità culturale che deve essere rispettata e valorizzata<br />

e l’urbanistica ha un ruolo importante ma, mai come in questo caso, è fondamentale la collaborazione<br />

interdisciplinare. La sfida è nella messa a punto di strategie di programmazione e di strumenti<br />

di pianificazione e progettazione che siano capaci di far evolvere la multietnia e la multiculturalità<br />

da problema in risorsa.<br />

È scontato il contributo della sociologia che, per prima, ha affrontato questi problemi, passando<br />

attraverso la sociologia urbana e giungendo all’urbanistica. Certamente, l’urbanistica deve<br />

essere capace di dialogare con la progettazione architettonica, in un rimando costante tra la scala<br />

urbana e quella architettonica. Bisogna, però, andare oltre e guardare alla <strong>città</strong> multietnica con<br />

uno sguardo diverso che ne mostri i lati nascosti e i risvolti meno evidenti, senza rimanere imbrigliati<br />

nelle discipline tradizionali.<br />

La pochezza semantica della <strong>città</strong> moderna può essere compensata dalla multiculturalità<br />

che si pone come riferimento e fondamento per la riqualificazione urbana. La mancata rappresentazione<br />

della memoria collettiva può essere risolta dall’apporto delle culture dei popoli immigrati<br />

alle <strong>città</strong> ed alle regioni d’Europa.<br />

Queste riflessioni hanno suggerito di allargare gli orizzonti e di ampliare il lavoro svolto<br />

dalla nostra unità di ricerca, attraverso il dialogo con i gruppi di ricerca coordinati da Bianca<br />

Petrella e Francesco Bruno nelle Facoltà di <strong>Architettura</strong>, rispettivamente, della Seconda Università<br />

di Napoli e dell’Università Federico II.<br />

La ricerca del gruppo coordinato da Bianca Petrella 6 , che fa parte della rete della Fondazione<br />

Della Rocca, muove dal difficile rapporto tra progetto politico e progetto urbanistico che,<br />

nel realizzare la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong>, è pregiudiziale alla definizione di nuove strategie e strumenti, ma<br />

anche all’utilizzo ottimale dei percorsi possibili all’interno degli attuali quadri normativi.<br />

Di particolare interesse è il parallelismo proposto tra le periferie urbane e le periferie<br />

umane: da un lato, la segregazione spaziale delle nuove parti urbane ovvero i quartieri residenziali<br />

6 Vedi capitolo 5.<br />

31<br />

CITTÀ MULTIETNICHE<br />

PER LA CITTÀ INTERETNICA


32<br />

CAPITOLO 1<br />

del dopoguerra e, dall’altro lato, l’esclusione economica e culturale delle nuove parti sociali costituite<br />

dagli immigrati che sono emarginati ed esclusi dalla comunità urbana.<br />

Lo scenario della <strong>città</strong> multietnica vede rafforzarsi la frattura tra la <strong>città</strong> storica e le periferie<br />

urbane residenziali, a cui si sono aggiunte nuove periferie fatte di centri commerciali, parcheggi,<br />

autostrade e spazi di risulta dove vanno a collocarsi gli immigrati, anello più debole della catena<br />

sociale che forma la nuova comunità urbana.<br />

La riqualificazione può partire dalla riorganizzazione delle attività, degli alloggi e dei servizi,<br />

per offrire risposte concrete alla nuova domanda urbanistica posta dalle comunità multietniche<br />

rimanendo, peraltro, nell’alveo delle opportunità offerte dall’attuale quadro normativo<br />

dell’urbanistica, sia a livello nazionale sia a livello regionale, e dalle metodologie, sperimentate e<br />

consolidate, di programmazione complessa e concertazione (Claudia de Biase). Il design urbano<br />

può riconfigurare la forma della <strong>città</strong> e ridefinirne l’immagine attraverso segni e linguaggi innovativi<br />

che siano espressione delle diverse istanze multiculturali e valenze semantiche (Ciro<br />

Tufano).<br />

Diversa l’esperienza del gruppo di ricerca coordinato da Francesco Bruno 7 che è stato sollecitato<br />

a rivisitare e re-interpretare i suoi recenti percorsi di studio, dal punto di vista dell’interetnia<br />

e delle trasformazioni in atto nelle periferie italiane sotto l’impulso dei flussi migratori.<br />

La proposta metodologica del gruppo di progettazione architettonica parte dalla convinzione<br />

che la buona architettura e la qualità degli spazi urbani siano importanti per favorire l’integrazione<br />

culturale ed etnica ma, prima ancora, l’inclusione e la coesione sociale.<br />

Piuttosto che proporre improbabili multisale per diversi culti religiosi da professarsi contemporaneamente,<br />

con una condivisibile intelligenza laica, il gruppo di Bruno propone la rivisitazione<br />

di alcune proposte progettuali per la riqualificazione delle periferie urbane di Milano<br />

(Eleonora Giovene di Girasole) e di Napoli (Marco Cante) per trarne elementi metodologici d’intervento<br />

nelle periferie multietniche delle <strong>città</strong> europee. La densificazione spaziale e funzionale è<br />

lo strumento per ricucire tessuti urbani sfrangiati e per riqualificare le periferie degradate, esprimendo<br />

e rappresentando la ricchezza semantica della convivenza di culture urbane e architettoniche<br />

diverse.<br />

Il quadro è stato completato dall’interpretazione fotografica che Maurizio Cimino 8 ha realizzato<br />

in alcune <strong>città</strong> europee che cambiano sotto l’impeto dello tsunami multietnico e multiculturale.<br />

L’esperienza di indagine visuale che si presenta è stata sviluppata senza imporre all’indagine<br />

fotografica un percorso monotematico pre-definito e pre-concetto; si è scelto di lasciar dipanare<br />

il flusso creativo e cognitivo in un percorso autonomo, ma integrato allo sviluppo della<br />

ricerca. Si raccontano, in questo modo, attraverso le immagini di un fotografo proveniente da una<br />

formazione umanistica e sociologica, i caratteri di una società multiculturale che i tradizionali protocolli<br />

della ricerca scientifica non consentono di cogliere.<br />

1.2 CULTURE GLOBALI E IDENTITÀ LOCALI<br />

1.2.1 Per quale <strong>città</strong> e quali architetture<br />

La <strong>città</strong>, dalle sue origini più antiche, è lo scenario dell’unione, ma anche della divisione<br />

delle diversità degli uomini e delle donne, dei gruppi sociali ed economici, dei popoli, nella loro<br />

competizione per realizzare le proprie ambizioni e migliorare il proprio status.<br />

La concentrazione insediativa, in uno spazio più o meno circoscritto, è determinata dalle relazioni<br />

che i gruppi sociali instaurano per soddisfare, innanzitutto, i propri bisogni fondamentali.<br />

Successivamente, la <strong>città</strong> rafforza la sua ragion d’essere, offrendo a chi vi abita l’opportunità di<br />

soddisfare bisogni sempre più complessi ed articolati che, tra l’altro, sono spesso indotti proprio<br />

dall’appartenenza alla comunità urbana e alle sue dinamiche relazionali, sociali ed economiche.<br />

7 Vedi capitolo 6.<br />

8 Vedi capitolo 7.


La competizione favorisce le unioni che, però, si traducono in contrapposizioni di gruppi<br />

che affermano la propria specificità e diversità attraverso l’espressione e la rappresentazione del<br />

sistema culturale di riferimento: lingua, tradizione, religione, ecc. La consapevolezza del carattere<br />

intrinsecamente plurale delle <strong>città</strong> suggerisce, in via preliminare, la riflessione sul significato e sul<br />

valore scientifico della ricerca <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica.<br />

Le <strong>città</strong> sono, da sempre e per definizione, il luogo della convivenza multiculturale, anche se<br />

non sempre pacifica. Nelle metropoli dell’antichità convivevano popoli diversi che hanno lasciato<br />

testimonianza della loro multiculturalità negli insediamenti urbani e nelle architetture, nella stratificazione<br />

delle pietre.<br />

Inoltre, la storia delle <strong>città</strong> e le trasformazioni del territorio sono permeate dalle migrazioni<br />

dei clan o di intere popolazioni. Viaggi e migrazioni sono centrali nella mitologia greca e romana:<br />

Enea, con il figlioletto e il vecchio padre, fuggì da Troia in fiamme e raggiunse l’Italia dove, da<br />

migrante e profugo, originò la stirpe che fonderà Roma. Ulisse, poi, può essere considerato un<br />

antesignano della migrazione di ritorno.<br />

La caduta dell’impero romano fu innescata dalle invasioni barbariche che, in sostanza, si<br />

possono considerare migrazioni temporanee di massa, con conseguenti contaminazioni culturali.<br />

Ne derivarono, nell’alto Medioevo il riassetto del territorio e la nascita dell’archetipo della <strong>città</strong><br />

europea con i suoi simboli: la cattedrale, il castello, le mura, la piazza 9 .<br />

Dopo l’anno Mille, lo sviluppo dei traffici commerciali favorì gli spostamenti e la formazione<br />

di colonie di stranieri nelle maggiori <strong>città</strong> mitteleuropee che conservano questa storia nella toponomastica<br />

delle strade, delle piazze e dei quartieri. Anche le <strong>città</strong> di mare, sul Mediterraneo, esprimono<br />

le millenarie contaminazioni culturali con il mondo arabo, negli impianti urbani e nelle<br />

forme architettoniche.<br />

L’affermazione delle monarchie e degli stati nazionali attutì, ma non interruppe, questi fenomeni<br />

che si rafforzarono quando i principali stati europei conquistarono le colonie d’oltremare<br />

con conseguenti flussi migratori bidirezionali. Oltremare si formarono nuove comunità sociali e<br />

urbane, multirazziali ma razziste, nelle Americhe, in Africa, in Asia e in Australia.<br />

Nelle colonie d’oltremare, prima che in Europa, si è sperimentata la faticosa costruzione<br />

delle moderne società multiculturali e multietniche, dapprima rurali e poi urbane, combattendo il<br />

razzismo e la xenofobia. Gli Stati Uniti d’America, il Canada e l’Australia nacquero come risultante<br />

dei flussi migratori provenienti dai vari paesi europei, anche se a discapito delle comunità autoctone.<br />

Nell’America del Sud, i migranti generarono le nazioni brasiliana, cilena, uruguaiana, venezuelana<br />

e argentina, con il contributo determinante dell’Italia.<br />

In Asia ed Africa, invece, le migrazioni dall’Europa rimasero nell’alveo del colonialismo e<br />

non riuscirono a dar vita a nuove nazioni a causa della maggiore consistenza e resistenza delle civiltà<br />

preesistenti e delle popolazioni autoctone.<br />

La cultura urbana europea si è nutrita costantemente delle istanze multietniche apportate<br />

dalle ondate migratorie attraverso vicende travagliate e a volte cruente. L’urbanistica moderna,<br />

dalle sue origini, studia <strong>città</strong> multiculturali, ne analizza i problemi, propone strategie e strumenti<br />

d’intervento. Quale è, allora, la novità che spinge ad ipotizzare un’urbanistica multietnica per la<br />

<strong>città</strong> europea contemporanea?<br />

Il grande cambiamento quantitativo e qualitativo della multiculturalità urbana si ebbe<br />

nella seconda metà del XX secolo e fu favorito dall’internazionalizzazione dei mercati e dalla semplificazione<br />

degli spostamenti tra i continenti. L’Europa che, fino ad allora, era stata il punto di partenza<br />

delle migrazioni verso gli altri quattro continenti, divenne il polo di attrazione dei flussi migratori<br />

provenienti dalle diverse aree del pianeta (Sassen, 1996).<br />

Un mondo fatto di megalopoli (Gottmann, 1960) diventò il villaggio globale delle telecomunicazioni<br />

(Mcluhan, 1968) che la rete di internet ha provveduto a sincronizzare. Tutti conoscono<br />

tutto o meglio hanno la sensazione di conoscere tutto e, aspirando ad una vita migliore, si<br />

spostano sul globo. Gli hubs (virtuali e materiali) di questi flussi migratori sono le <strong>città</strong> globali<br />

9 L’archetipo della <strong>città</strong> europea affonda le radici nella polis greca e nella civitas romana ma è nel Medioevo che<br />

si definisce con i suoi simboli e le caratteristiche ricorrenti (Clemente, 2002).<br />

33<br />

CITTÀ MULTIETNICHE<br />

PER LA CITTÀ INTERETNICA


34<br />

CAPITOLO 1<br />

(Sassen, 1991) nelle quali si concentrano ricchezza, potere e monopolio delle informazioni la cui<br />

diffusione induce gli spostamenti sul globo.<br />

La crescita e la concentrazione demografica hanno prodotto la metropolizzazione, prima<br />

delle società ricche occidentali e, poi, delle società povere che vengono definite perennemente in<br />

via di sviluppo. Nelle metropoli contemporanee, in tutto il mondo, la frammentazione economica<br />

e sociale produce “<strong>città</strong> nelle <strong>città</strong>” che, molto spesso, hanno connotazione etnica e culturale ma<br />

esprimono esclusione e segregazione (Somma, 1991).<br />

Il fenomeno migratorio esplose con la fine della contrapposizione tra il blocco occidentale<br />

filo americano e il blocco comunista filo sovietico, allorché si aprirono al transito molti crocevia<br />

degli spostamenti transcontinentali fino ad allora interdetti.<br />

La globalizzazione ha incentivato le migrazioni tra i continenti che, a loro volta, hanno inciso<br />

sugli aspetti culturali, sociali ed economici della stessa globalizzazione. In effetti, le culture<br />

vengono omogeneizzate nei paesi d’origine e questo, in teoria, dovrebbe facilitare l’integrazione<br />

etnica e culturale. Senonché il modello occidentale tende a prevaricare le altre culture, ponendo<br />

il problema del conflitto culturale già prima della partenza del migrante verso l’Europa.<br />

A sua volta, l’Europa non ha un atteggiamento unitario verso il fenomeno migratorio, nonostante<br />

una disponibilità dichiarata negli atti ufficiali, a partire dai Trattati dell’Unione Europea,<br />

ma una diffidenza più o meno dichiarata che è stata ben raffigurata dall’espressione “fortezza<br />

Europa” (Sassen, 1996).<br />

Attualmente, il paese europeo con il maggior numero d’immigrati è la Germania (8 milioni),<br />

seguita dal Regno Unito (4 milioni) e dalla Spagna (3 milioni). In Italia gli immigrati sono oltre 3<br />

milioni e 500.000 a cui si aggiungerebbero un milione circa di irregolari, la cui stima non è semplice<br />

(Caritas/Migrantes, 2007; Eurispes, 2007).<br />

La Germania propugna un modello separatista secondo il quale l’immigrato, nel bene e nel<br />

male, rimane straniero, ospite gradito, nel migliore dei casi, o tollerato, fino ai gravi episodi di razzismo<br />

e di violenza xenofoba. La Gran Bretagna sostiene il modello multiculturalista e favorisce la<br />

conservazione della cultura d’origine degli immigrati, nell’aspirazione alla convivenza delle diverse<br />

storie e identità, soprattutto se appartenenti al medesimo ex impero coloniale britannico,<br />

oggi Commonwealth. Il modello assimilazionista è seguito dalla Francia che tende a trasformare<br />

quanto prima possibile, l’immigrato in un cittadino francese a tutti gli effetti, e orgoglioso di<br />

esserlo.<br />

In questo quadro il modello italiano, se di modello si può parlare, è anomalo e offre una<br />

singolare contraddittoria accoglienza che è frutto di un misto di solidarismo e superficialità, di<br />

approssimazione nell’elaborazione delle leggi, nonché nella loro applicazione.<br />

La maggior parte degli immigrati, in Europa, si concentra nelle <strong>città</strong> ed è qui che sono<br />

emersi i problemi di convivenza ed i conflitti che sono stati alimentati da ed hanno alimentato i<br />

terrorismi internazionali.<br />

Dopo il nazi-fascismo, dopo i comunismi, la necessità d’individuare un nuovo nemico da<br />

combattere che unificasse la frammentata società occidentale è stata soddisfatta dall’integralismo<br />

musulmano, in Asia e in Africa e di lì in Occidente, offrendo il nuovo nemico su un piatto d’argento:<br />

attentati alle Twin Towers di New York nel 2001, a Madrid nel 2004 e Londra nel 2005.<br />

Nelle <strong>città</strong> europee, i conflitti etnici sono generati dalla segregazione, dal razzismo e dall’esclusione<br />

sociale, soprattutto nei quartieri periferici ma anche nei centri storici degradati. La segregazione<br />

etnica si soffre nei contesti di disagio economico e sociale, dove l’immigrato subentra<br />

al cittadino europeo agli ultimi posti della catena lavorativa e sociale, certamente non a Porto<br />

Cervo o a Montecarlo dove la ricchezza unisce petrolieri arabi, finanzieri europei e faccendieri di<br />

tutto il mondo.<br />

Nell’Europa d’inizio millennio si può a ben ragione parlare di questione urbana collegata<br />

alla crescita del fenomeno migratorio e, più in generale, alla crisi della <strong>città</strong> nel mondo contemporaneo.<br />

In primo luogo, perché il polo d’attrazione dei flussi migratori transcontinentali è la <strong>città</strong>, sia<br />

essa una metropoli o un piccolo centro, in una sorta di “urbanesimo globalizzato”.


In secondo luogo, perché nelle <strong>città</strong> si manifestano tutti i problemi conseguenti alle migrazioni<br />

e cioè emarginazione, esclusione sociale, conflitto, ecc., ma con una caratterizzazione specificamente<br />

urbana.<br />

Infine, perché dalla <strong>città</strong> possono e devono venire le soluzioni per la convivenza dei diversi,<br />

in risposta ai problemi dell’inclusione sociale, dell’alloggio, del lavoro, ecc.<br />

Nel mondo globalizzato, le <strong>città</strong> offrono maggiori opportunità di vita migliore o, comunque,<br />

di sopravvivenza rispetto alle aree rurali attraendo, così, i flussi migratori.<br />

Il 2007 può considerarsi l’anno del passaggio nel quale la popolazione urbana del mondo<br />

ha raggiunto e superato la popolazione rurale con un trend stimato in crescita. Il continente<br />

meno urbanizzato è l’Africa ma anche lì, per il 2030, la maggior parte della popolazione vivrà in<br />

aree urbane. In pochi decenni, la popolazione del mondo si è quadruplicata e oltre il 90 per cento<br />

della crescita è avvenuta nelle <strong>città</strong>, in particolare, nelle <strong>città</strong> con meno di 500mila abitanti dove,<br />

attualmente, vive oltre il 53 per cento della popolazione urbana globale (UN-Habitat, 2006, p. 4).<br />

Nei prossimi anni la crescita della popolazione urbana avverrà nei paesi in via di sviluppo<br />

dove l’emergenza è costituita dagli slums che, già oggi, ospitano oltre un terzo della popolazione<br />

urbana globale (UN-Habitat, 2006, p. 11). In Europa, oltre due terzi della popolazione vive in ambiente<br />

urbano, di cui circa un terzo in aree metropolitane e un altro terzo in <strong>città</strong> piccole e medie,<br />

il resto in territori che possono definirsi di campagna urbanizzata (SSSE, 1999, p. 71).<br />

L’Europa, a partire dalle grandi esplorazioni, è stata terra d’emigrazione e, nella volontà di<br />

“europeizzare” il mondo, ha allargato progressivamente i suoi confini nelle colonie. Oggi, il flusso<br />

si è invertito e la maggior parte dei migranti verso l’Europa è attratta dalle <strong>città</strong> piccole e medie<br />

cioè, rispettivamente, quelle con meno di 500 mila e fino a 5 milioni di abitanti.<br />

La convergenza e concentrazione degli immigrati nelle <strong>città</strong> si innesta su fenomeni consolidati<br />

di povertà urbana, esclusione sociale e segregazione spaziale, causandone la crescita in<br />

senso etnico e razziale. Cosicché la competizione sociale diventa una guerra tra poveri di razze e<br />

culture diverse.<br />

Conseguenza dello scenario delineato sono stati i conflitti etnici urbani che si sono verificati,<br />

a partire dalla Gran Bretagna, sul finire degli anni cinquanta, nei sobborghi di Londra e,<br />

all’inizio degli anni ottanta, a Manchester e Liverpool.<br />

Nelle <strong>città</strong> della Francia, i primi disordini di matrice etnica si ebbero nella banlieu di Lione<br />

già nel 1979 e, successivamente, si ripeterono a Parigi, Strasburgo e Bordeaux fino ai gravi incidenti<br />

del 2005 nella periferia parigina che hanno avuto un eccezionale risalto mediatico.<br />

In Germania, a partire dagli anni novanta, si sono avuti gravissimi episodi di violenza urbana<br />

contro gli immigrati e i conflitti sono aumentati, dopo la caduta del muro di Berlino, con la<br />

riunificazione post comunista e i problemi economici e sociali conseguenti.<br />

In Italia, il fenomeno è iniziato più tardi ma ha già raggiunto livelli inquietanti, per esempio,<br />

con i disordini del 2007 nella Chinatown milanese di via Sarpi e via Canonica.<br />

L’approfondimento dei conflitti indotti dalla convivenza multietnica nelle <strong>città</strong> testimonia<br />

che l’urbanistica e l’architettura possono svolgere un ruolo importante. Le risposte devono venire<br />

dalla <strong>città</strong>, dai suoi quartieri, dalle sue architetture, dalla capacità di formare e conformare comunità<br />

integrate ed inclusive nei confronti dello straniero.<br />

Città dove il grado di multiculturalità è elevato, sono <strong>città</strong> dove la qualità della vita è elevata<br />

e gli esempi migliori vengono dal Canada: Montreal con le sue buone politiche di gestione multietnica,<br />

Toronto con i suoi 80 gruppi etnici, Vancouver con le sue radici plurali e la cultura pluralista.<br />

Non è un caso che il Canada, come si illustrerà nelle pagine che seguono, sia una punta avanzata<br />

della ricerca <strong>sulla</strong> multiculturalità sociale e urbana.<br />

1.2.2 Ricerca e formazione per la sperimentazione<br />

Progettare è un atto di sintesi della ricerca e della crescita delle competenze che si esprime<br />

nella sperimentazione di nuove forme architettoniche e urbane. Il progetto parte da un’intuizione,<br />

un’idea, ma si definisce attraverso un processo articolato che è ricerca di valenze spaziali,<br />

funzionali e semantiche.<br />

35<br />

CITTÀ MULTIETNICHE<br />

PER LA CITTÀ INTERETNICA


36<br />

CAPITOLO 1<br />

Il progetto pone degli obiettivi e ipotizza un percorso di sistematizzazione e sviluppo dell’intuizione<br />

e dell’idea iniziali, applicando metodologie che, in corso d’opera, possono essere adeguate<br />

e messe a punto. Quindi, il progetto è un’esperienza di ricerca ma, contemporaneamente, è<br />

anche un’esperienza di formazione.<br />

Al termine di ciascun processo ideativo, di elaborazione e di rappresentazione – ancor più<br />

se completato dalla realizzazione – il progettista ha compiuto un percorso (auto) formativo.<br />

Quando il lavoro è svolto da un gruppo, la formazione avviene in forma incrociata, usualmente dal<br />

maestro di bottega verso il più giovane ma anche viceversa.<br />

La multiculturalità è un valore che si oppone alla globalizzazione: l’interazione delle culture<br />

contro l’omologazione e l’appiattimento. Il progetto contemporaneo deve essere capace di esprimere,<br />

nelle architetture e nelle <strong>città</strong>, la ricchezza culturale della nostra epoca. Questo ambizioso<br />

obiettivo si può raggiungere solo attraverso un rigoroso e costante lavoro di assimilazione, rielaborazione<br />

e rappresentazione delle istanze culturali che, giorno dopo giorno, arricchiscono il nostro<br />

vivere urbano.<br />

La complessità dell’obiettivo richiede un adeguato approccio scientifico che parta dalla<br />

consapevolezza dello scenario e della conoscenza del percorso già compiuto dalla comunità del<br />

pensiero urbano e architettonico, dall’introiezione delle esperienze già vissute e storicizzate.<br />

Il tema non è nuovo perché l’architettura e l’urbanistica si sono sempre confrontate con la<br />

ricchezza semantica generata dalla compresenza delle diversità e con la necessità di favorire la<br />

convivenza delle diversità attraverso forme e funzioni adeguate.<br />

I centri storici degradati, le periferie segreganti, le favelas, le gated communities, la gentrification<br />

delle <strong>città</strong> storiche sfuggite al degrado, l’omologazione e l’appiattimento della cultura<br />

urbana, sono questi i grandi temi della <strong>città</strong> contemporanea, ma sono anche i temi della “<strong>città</strong> dei<br />

diversi”.<br />

Nel mondo, la sfida è raccolta quotidianamente da molti uomini di buona volontà, architetti<br />

e urbanisti che si confrontano con i problemi della contemporaneità urbana. La tensione è rafforzata<br />

dall’attenzione degli studiosi nei numerosi centri di ricerca e formazione <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica<br />

in Canada, Francia, Stati Uniti e Olanda, ma anche nel Regno Unito, in Svezia, Australia e<br />

Finlandia, come si specifica nel prosieguo del volume.<br />

In Italia, il tema di ricerca dell’impatto delle migrazioni <strong>sulla</strong> struttura sociale ed economica<br />

si è sviluppato, negli anni ottanta e novanta, di pari passo alla crescita dei flussi di stranieri verso<br />

il nostro paese, quando il fenomeno ha assunto dimensioni paragonabili a quelle di altre nazioni<br />

europee segnate dalla loro storia colonialista e che avevano vissuto e affrontato la problematica<br />

sin dal secondo dopoguerra.<br />

Sul finire degli anni novanta, la quantità e la concentrazione degli immigrati nelle metropoli<br />

italiane e in alcune particolari aree urbane e quartieri etnici hanno favorito il la riflessione e il<br />

dibattito <strong>sulla</strong> “<strong>città</strong> multietnica” seppur in maniera frammentata e disorganica. La Fondazione<br />

Aldo Della Rocca, ente morale per gli studi di urbanistica attivo da oltre cinquant’anni, ha avuto il<br />

merito di richiamare l’attenzione di molti soggetti (attori e utenti) della <strong>città</strong> sulle trasformazioni<br />

indotte, a livello urbano e territoriale, dall’intensificarsi dei flussi migratori verso il nostro Paese.<br />

A partire dal 1996, la Fondazione Della Rocca ha promosso numerose iniziative scientifiche<br />

finalizzate ad approfondire le tendenze evolutive della <strong>città</strong> contemporanea e, in particolare, delle<br />

<strong>città</strong> europee, a seguito dei fenomeni in atto a livello continentale e mondiale. Il Consiglio<br />

Nazionale delle Ricerche, attraverso i suoi ricercatori, ha sempre partecipato attivamente agli incontri,<br />

agli studi ed alle pubblicazioni che sono stati realizzati dalla Fondazione Aldo Della Rocca,<br />

<strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica (www.fondazionedellarocca.it). Nell’ambito di queste collaborazioni, è stata<br />

promossa l’unità di ricercatori in distacco presso l’Università Federico II di Napoli, per lo svolgimento<br />

del progetto dedicato al tema “Spazi e funzioni dell’aggregazione e dell’integrazione per<br />

la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> europea”.<br />

Il percorso di ricerca della rete promossa dalla Fondazione Della Rocca è iniziato con i convegni<br />

di Roma (2002) e di San Leucio (2003) che hanno mobilitato molti studiosi di diverse discipline,<br />

le cui riflessioni sono state diffuse attraverso la pubblicazione di cinque volumi e di nume-


ose video-interviste dedicati al tema (vedi Riferimenti bibliografici). L’originale concetto di “<strong>città</strong><br />

multietnica” si è evoluto verso il più complesso concetto di “<strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> cablata”, luogo della<br />

convivenza delle diversità, favorita anche dall’utilizzo delle opportunità offerte dall’innovazione<br />

tecnologica. La Fondazione, inoltre, ha colto la domanda di formazione di nuove professionalità<br />

per la gestione delle <strong>città</strong> multietniche, ha promosso iniziative didattiche post laurea ed ha sollecitato<br />

l’inserimento delle tematiche nei corsi di laurea di sociologia, architettura, ingegneria, pianificazione<br />

territoriale 10 .<br />

In questo scenario si colloca il progetto del Consiglio Nazionale delle Ricerche che, partendo<br />

da una disamina dello stato dell’arte della ricerca <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica, ha approfondito i<br />

temi degli spazi e delle funzioni urbane, dell’integrazione e dell’aggregazione, della convivenza<br />

dei diversi nelle <strong>città</strong> europee multiculturali contemporanee.<br />

Il ritardo del fenomeno, in Italia, può aiutare a prevenire le degenerazioni urbane del fenomeno<br />

migratorio se saremo capaci di cogliere la lezione di quei paesi che hanno affrontato, prima<br />

di noi, i problemi della convivenza di popoli e culture diversi. Per questo, la ricerca deve partire<br />

dalla conoscenza delle teorie e metodologie, elaborate e messe a punto in società urbane pluriculturali,<br />

dove il contributo degli studiosi è stato recepito dalle politiche sociali ed urbanistiche.<br />

Inoltre, i percorsi formativi di coloro che, negli anni a venire, avranno la responsabilità di concorrere<br />

alla trasformazione del territorio, delle <strong>città</strong>, delle architetture, devono recepire le nuove<br />

istanze della multiculturalità.<br />

Il contributo che la ricerca può offrire è relativo all’inquadramento e messa a fuoco dei problemi<br />

urbanistici indotti dall’afflusso degli immigrati nelle nostre <strong>città</strong>. I fenomeni sociali e urbanistici<br />

collegati all’immigrazione possono essere selezionati e analizzati, generalizzati e parametrizzati.<br />

Il passaggio successivo è nell’individuazione delle strategie da adottare e richiede il dialogo<br />

interdisciplinare con il progetto urbanistico e architettonico.<br />

Il punto di arrivo del percorso di ricerca è la messa a punto di metodologie di progettazione<br />

urbanistica e architettonica che siano capaci di recepire le nuove istanze portate dalle comunità<br />

multiculturali. La formazione universitaria e post universitaria dovrà recepire queste<br />

nuove metodologie e trasmetterle ai formandi architetti e urbanisti, così come sta già avvenendo<br />

in molte università italiane, all’interno dei corsi di urbanistica, di progettazione, di valutazione, ecc.<br />

La sperimentazione didattica di chi scrive è stata realizzata, nei corsi di urbanistica, nella<br />

Facoltà di <strong>Architettura</strong> della Seconda Università di Napoli e nella Facoltà d’Ingegneria<br />

dell’Università Tor Vergata di Roma, ed ha consentito di verificare l’importanza dell’azione alla<br />

scala di quartiere, partendo dalle nuove comunità multiculturali.<br />

L’incrocio tra la ricerca e la formazione ha evidenziato che è necessario completare gli attuali<br />

percorsi formativi e di avvio alla professione di architetto e urbanista, per offrire conoscenze<br />

e competenze adeguate ad affrontare le problematiche indotte dagli scenari urbani multietnici. È<br />

fondamentale che s’impari a ragionare, sul tema della multiculturalità, in termini positivi, creativi<br />

e di opportunità offerte dalla ricchezza di valori semantici e storici che s’intrecciano nelle nuove<br />

comunità urbane.<br />

Il progetto urbano e architettonico è efficace se riesce a rappresentare ed esprimere, nella<br />

materia del costruito e nella stratificazione degli edifici, i valori della memoria collettiva della comunità<br />

urbana (Rossi, 1966). Le comunità multiculturali, nella <strong>città</strong> contemporanea, posseggono<br />

memorie e valori che s’intrecciano e si moltiplicano: all’architetto e urbanista è demandato il compito<br />

di comprendere, esprimere, rappresentare e trasmettere, attraverso la materia del costruito e<br />

gli spazi che essa determina.<br />

10 Primo “Corso sperimentale di Alta Formazione sul Governo delle Trasformazioni Urbane per la definizione di<br />

una nuova figura professionale: il manager della <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong>” (aprile-luglio 2004). Secondo “Corso di Alta Formazione<br />

sul Governo delle Trasformazioni Urbane per la definizione di una nuova figura professionale: il manager della <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong>”<br />

(aprile-luglio 2005). Primo Corso di laurea magistrale in “Pianificazione territoriale urbanistica e ambientale, governo<br />

delle trasformazioni urbane per la <strong>città</strong> europea <strong>interetnica</strong> cablata” in collaborazione con la Link Campus<br />

University of Malta (2007-2008).<br />

37<br />

CITTÀ MULTIETNICHE<br />

PER LA CITTÀ INTERETNICA


38<br />

CAPITOLO 1<br />

1.2.3 Un futuro arcobaleno per la <strong>città</strong> e l’architettura<br />

La sfida che si pone al fare architettonico e urbanistico è complessa: recepire la multiculturalità<br />

dell’età contemporanea e tradurla in forma e funzione, in spazio e materia, in costruito ed<br />

esperienza vissuta. La multiculturalità e l’interculturalità possono costituire una risposta colta all’omologazione<br />

ed all’appiattimento semantico delle archistars e dei loro epigoni.<br />

Stazioni della metropolitana, multisale cinematografiche, centri commerciali, aeroporti, musei,<br />

case, luoghi di culto, scuole, cimiteri, ecc. sono drammaticamente uguali, in ogni parte del<br />

mondo. La memoria collettiva, la stratificazione delle vite vissute, la tettonica dei materiali del<br />

luogo, lo stesso genius loci – contraddizione in termini – tutto finisce per essere triturato e omogeneizzato<br />

nel melting pot architettonico e urbano, quindi, banalizzato.<br />

Brani di <strong>città</strong> raccontano l’omologazione e l’anonimato, rendendo destabilizzante l’esperienza<br />

urbana e architettonica: sono a Hong Kong oppure a Berlino, a Londra oppure a Dubai, a<br />

Napoli o a Shangai?<br />

La <strong>città</strong> e l’architettura comprendono ed esprimono il caleidoscopio delle vite umane e delle<br />

culture urbane, così come l’arcobaleno rivela tutti i colori della luce. Ma il fenomeno dell’arcobaleno<br />

non è ricorrente perché dipende da particolari condizioni di luce e di umidità dell’atmosfera.<br />

Nella <strong>città</strong> storica il caleidoscopio urbano si realizza nella stratificazione delle architetture<br />

che esprimono vite vissute ma, nella <strong>città</strong> nuova, il caleidoscopio si realizza solo se il progetto è<br />

capace di raccogliere la molteplicità delle istanze culturali e di coniugarle negli spazi e nelle funzioni<br />

interculturali.<br />

La costruzione di un metodo per il progetto della <strong>città</strong> interculturale si basa sull’apertura<br />

mentale e <strong>sulla</strong> predisposizione a ricevere l’arricchimento che viene dalla diversità. La cultura urbana<br />

deve essere vissuta nella sua natura mutevole, in continua trasformazione ed evoluzione,<br />

sotto la spinta delle suggestioni multiculturali.<br />

Appare impossibile la cristallizzazione del metodo, perché l’oggetto dell’intervento è la<br />

<strong>città</strong> che vive, le donne e gli uomini che esperiscono gli spazi definiti dalle architetture, essendo<br />

questa umanità in tumultuoso cambiamento e complessificazione.<br />

È possibile, però, individuare delle linee guida per creare ambienti urbani inclusivi (Ray,<br />

2003) attraverso opportuni accorgimenti ed è possibile fissare principi di carattere generale a cui<br />

ispirarsi e da rispettare.<br />

In questa direzione, hanno operato sia la Fondazione Giovanni Michelucci con la “Carta<br />

della progettazione interculturale” sia la Fondazione Aldo Della Rocca con la “Carta dei Principi<br />

per la Città Interetnica Cablata” alla cui stesura ha partecipato chi scrive.<br />

Il contributo di Brian Ray, ricercatore del Migration Policy Institute, individua dieci punti che<br />

ritiene determinanti nella gestione dell’ambiente urbano affinché l’inclusione sociale e l’integrazione<br />

multiculturale vengano favorite: il disegno delle strade, l’accessibilità fisica ed economica<br />

dei mezzi di trasporto, la localizzazione e l’accessibilità del lavoro, la gestione delle scuole, la gestione<br />

dei servizi di polizia, lo sviluppo economico a favore di ampie fasce di gruppi sociali, il rafforzamento<br />

delle regole del lavoro, del commercio e in generale del sistema legislativo, la rimozione<br />

dei rifiuti, le licenze ai venditori ambulanti e gli spazi pubblici per il mercato, i prezzi e i servizi<br />

delle aree industriali.<br />

Inclusive Urban Environments Rely on:<br />

– Street design<br />

– Pricing and availability of public transportation<br />

– Location and accessibility of employment<br />

– Management of schools<br />

– Management of police services<br />

– Economic development that benefits a range of social groups<br />

– Enforcement of employment codes, commercial regulations, and by-laws<br />

– Garbage removal<br />

– Licensing street vendors and public market spaces<br />

– Pricing and servicing industrial land<br />

(Ray, 2003)


La “Carta della progettazione interculturale” è stata prodotta al termine e quale risultato del<br />

corso campus “Le culture dell’abitare” tenutosi, nel 2000, nell’ambito del progetto “Porto franco.<br />

Toscana dei Popoli e delle Culture” promosso dal Dipartimento Istruzione e Cultura della Regione<br />

Toscana.<br />

La “Carta della progettazione interculturale” si articola in un preambolo che definisce<br />

l’obiettivo della <strong>città</strong> plurale e in cinque tematiche dedicate all’accoglienza, all’abitare, alla partecipazione<br />

e comunicazione, alla autonomia e responsabilità, alle politiche integrate di sviluppo<br />

solidale.<br />

Carta della progettazione interculturale<br />

Per una <strong>città</strong> plurale e ospitale – L’accoglienza – L’abitare – Partecipazione e comunicazione –<br />

Autonomia e responsabilità – Politiche integrate di sviluppo solidale<br />

Per una <strong>città</strong> plurale e ospitale<br />

1. Gli immigrati non sono il problema della <strong>città</strong>, ma sono parte importante nella soluzione dei suoi<br />

problemi, nel rinnovo della sua identità. Gli ospiti, gli immigrati, le nuove genti coproducono la <strong>città</strong><br />

plurale.<br />

2. Di fronte allo squilibrio di risorse tra il mondo ricco e il mondo povero, la <strong>città</strong> plurale accoglie chi<br />

fugge la fame e la guerra e lo sostiene nel suo progetto di vita.<br />

3. A nessuna persona e a nessun gruppo può essere destinata una condizione di abitare inferiore o di<br />

relegazione urbana <strong>sulla</strong> base della sua provenienza, della sua cultura, della sua religione, della sua<br />

lingua, della sua condizione sociale.<br />

4. Ogni immigrato ha diritto a partecipare alla vita urbana e sociale come individuo, come comunità,<br />

come minoranza. Individuo, comunità e minoranze hanno diritto alla visibilità e alla dignità urbana<br />

degli spazi destinati alla libera espressione della loro cultura, alla vita associata e all’esercizio del<br />

culto.<br />

5. Gli interventi per promuovere l’inserimento abitativo e urbano degli immigrati devono tener conto<br />

della complessità della società urbana e fondarsi su questi 4 principi:<br />

– l’approccio globale (guardare alla <strong>città</strong> nel suo complesso, migliorare l’habitat generale);<br />

– l’approccio trasversale e integrato (integrare attori specializzati, superare la compartimentazione<br />

dei settori di competenza, rinnovare sistemi e stili di lavoro. Il progetto deve essere frutto di negoziazione<br />

creativa tra i partner e di una capacità di governare contraddizioni e conflitti);<br />

– l’approccio territoriale (collegare le politiche generali a specifici ambiti territoriali, mobilitarne le<br />

energie, le risorse sociali e istituzionali locali, valorizzarne la specificità);<br />

– l’approccio progettuale (partecipazione e partenariati non si costruiscono in astratto: solo l’elaborazione<br />

di progetti e obbiettivi specifici consente una mobilitazione costruttiva degli attori<br />

istituzionali e sociali).<br />

www.michelucci.it<br />

La “Carta dei Principi per la Città Interetnica Cablata” si articola in due parti e mette in relazione<br />

logica le parole chiave che, pur con pesi e priorità variegate, intervengono sempre nei discorsi<br />

<strong>sulla</strong> multiculturalità: identità, integrazione, interazione, partecipazione, mediazione, alloggio,<br />

lavoro, servizi, accessibilità, <strong>città</strong>.<br />

Le prime cinque parole chiave esprimono altrettanti concetti-obiettivi relativi alla sfera del<br />

sociale e le seconde cinque parole chiave esprimono concetti-obiettivi più specificamente relativi<br />

alla sfera urbanistica.<br />

39<br />

CITTÀ MULTIETNICHE<br />

PER LA CITTÀ INTERETNICA


40<br />

CAPITOLO 1<br />

I dieci principi per la Città Interetnica e Cablata<br />

01. La Città delle Identità<br />

La <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> cablata rispetta le diversità. Tutti gli individui e i gruppi sociali hanno il diritto<br />

di conservare la propria identità e il senso di appartenenza al gruppo etnico e culturale di provenienza<br />

e di rappresentarli nella <strong>città</strong> che li accoglie.<br />

02. La Città dell’Integrazione<br />

La <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> cablata persegue l’integrazione. Le diversità, per convivere, devono avere un<br />

comune sistema di valori che realizza l’integrazione, attraverso la mediazione culturale nel rispetto<br />

dell’alterità.<br />

03. La Città dell’Interazione<br />

La <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> cablata favorisce l’interazione. La tutela delle identità e l’integrazione delle diversità<br />

si realizza attraverso l’interazione e cioè attraverso il rapporto tra i tutti i cittadini, in modo<br />

diretto o mediato dalle nuove tecnologie di comunicazione.<br />

04. La Città della Partecipazione<br />

La <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> cablata si fonda <strong>sulla</strong> partecipazione. Solo la partecipazione libera e democratica<br />

di tutti i cittadini può assicurare che la <strong>città</strong> sia rappresentazione delle diverse identità e, contemporaneamente,<br />

dei valori comuni di riferimento.<br />

05. La Città della Mediazione<br />

La <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> cablata suggerisce la mediazione. Per realizzare l’integrazione, attraverso l’interazione<br />

e la partecipazione, si rende necessaria la mediazione delle specificità per valorizzare le diverse<br />

identità etniche e culturali.<br />

06. La Città dell’Abitare<br />

La <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> cablata deve garantire un alloggio adeguato. Le diverse identità si esprimono<br />

nello spazio privato dell’abitazione che deve rispondere ad esigenze funzionali diversificate e garantire<br />

le identità culturali presenti nelle comunità urbane.<br />

07. La Città del Lavoro<br />

La <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> cablata deve offrire lavoro dignitoso. I migranti sono una risorsa necessaria nel<br />

mercato globalizzato del lavoro, si rendono disponibili per la domanda di lavoro disattesa degli<br />

autoctoni e, per questo, devono essere tutelati dallo sfruttamento.<br />

08. La Città dei Servizi<br />

La <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> cablata deve garantire servizi adeguati a tutti i cittadini. L’istruzione, la sanità, la<br />

pubblica amministrazione, il credito, le telecomunicazioni e tutte le altre funzioni urbane devono<br />

essere disponibili alla fruizione degli autoctoni e dei migranti.<br />

09. La Città dell’Accessibilità<br />

La <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> cablata deve essere accessibile a tutti. L’accessibilità, fisica o telematica, agli<br />

spazi ed alle funzioni urbane garantisce la fruizione dei servizi, favorisce le relazioni sociali, sviluppa<br />

le attività economico-produttive.<br />

10. La Città delle Città<br />

La <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> cablata deve esprimere e rappresentare tutte le identità delle nuove comunità<br />

umane multiculturali. La ri-semantizzazione interculturale dei luoghi e la ri-funzionalizzazione<br />

delle funzioni urbane costituiscono la risposta alla rinnovata domanda di <strong>città</strong>, per la convivenza<br />

civile e colta di genti diverse.<br />

(Beguinot, 2006)<br />

1.2.4 Dalla teoria alla prassi, dall’analisi al progetto 11<br />

La Carta per la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> cablata offre una traccia, con i suoi dieci principi, per compiere<br />

il passaggio dalla riflessione teorica alla proposizione metodologica e operativa sui temi<br />

della trasformazione urbana nella <strong>città</strong> multietnica.<br />

Il primo tema fondamentale, da cui partire, è l’identità che ciascun individuo e gruppo sociale<br />

riconosce in sé e che ha bisogno venga espressa negli spazi architettonici ed urbani che<br />

abita ed in cui svolge le proprie attività.<br />

11 Rielaborazione del testo “Qualità e sicurezza urbana nella <strong>città</strong> multietnica europea” già pubblicato da chi<br />

scrive all’interno del volume Patalano V. (a cura di) (2006), Microcriminalità e politica degli enti locali, G. Giappichelli Editore,<br />

Torino.


La consapevolezza di essere, di esprimere una storia personale e collettiva, fatta di vicende,<br />

usi, costumi e tradizioni, di esprimere una cultura, è necessaria ad ogni individuo e gruppo sociale.<br />

Evidentemente, l’identità culturale non può e non deve coincidere né essere confusa con l’identità<br />

religiosa. Così come l’adesione alle tradizioni deve sempre essere frutto di una libera scelta<br />

confortata dalla consapevolezza delle possibili alternative (Sen, 2006).<br />

Identità e libertà sono due facce della stessa medaglia, sia l’una che l’altra devono essere<br />

coniugate nella forma e nelle forme della <strong>città</strong>.<br />

La <strong>città</strong>, con le sue architetture ed i suoi spazi, deve indurre il senso di appartenenza identitaria,<br />

esprimendo le diverse culture, per contrastare i fenomeni di estraniazione individuale e<br />

collettiva che favoriscono comportamenti deviati e criminali. Ma la <strong>città</strong> può esprimere le diverse<br />

identità solo se ciascuna identità, se ciascuna cultura, accetta e rispetta tutte le altre nel rispetto<br />

condiviso dei valori comuni fondamentali relativi alla dignità umana, alla condizione della donna,<br />

alla condanna della violenza.<br />

Compito degli urban thinkers, poi, è quello di pensare <strong>città</strong> dove ciascuno veda espressa<br />

una parte, pur minima, della propria cultura urbana.<br />

L’integrazione è vista, da molti, come chiave di volta per la soluzione dei conflitti sociali e le<br />

devianze criminali collegate all’immigrazione dai paesi poveri verso i paesi ricchi e, in particolare,<br />

nelle <strong>città</strong> e metropoli d’Europa. Certamente, l’integrazione è importante perché sentire di far<br />

parte di un’unica comunità contrasta gli impulsi conflittuali, sempre che l’integrazione non degeneri<br />

in assimilazione generalizzata, con perdita del proprio senso identitario e conseguente profondo<br />

disagio e sentimento di avversione verso tutti gli altri, percepiti come diversi e pericolosi.<br />

L’integrazione deve fondarsi su un sistema di valori condivisi che non può che trarre origine<br />

dal paese dell’accoglienza. L’interculturalità accetterà e farà propri i nuovi apporti ma rigettando<br />

con fermezza ogni nuova istanza lesiva di valori acquisiti, soprattutto se inerenti alla dignità<br />

e alla libertà degli individui.<br />

Le <strong>città</strong> europee, le <strong>città</strong> storiche e stratificate che si rinnovano nel rinnovarsi della composizione<br />

etnica, sociale e culturale dei propri abitanti, possono favorire l’integrazione se i “luoghi”<br />

prevarranno sui “non luoghi” (Augé, 1992). Il pericolo della dis-integrazione è ancor più forte nelle<br />

periferie che sono deboli sul piano semantico e vedono la netta prevalenza dei “non luoghi” e potrà<br />

essere superato solo se gli architetti e gli urbanisti riusciranno a pensare e realizzare spazi realmente<br />

multiculturali e, per questo, non estranianti né alienanti.<br />

Il rischio dell’assimilazione omogeneizzante e destabilizzante può essere superato attraverso<br />

l’interazione tra i diversi, gli immigrati e gli autoctoni. Interagire, relazionarsi per “fare insieme”,<br />

è lo strumento per tutelare le identità pur promovendo l’integrazione.<br />

L’interazione si fonda sul rispetto reciproco e sul riconoscimento condiviso del limite tra libertà<br />

individuali e diritti di tutti gli altri. Per “fare insieme” bisogna prima condividere alcuni valori<br />

fondamentali nonché le regole sociali essenziali di convivenza pacifica.<br />

Le culture si aprono e si sovrappongono, generando degli ambiti comuni da cui parte l’esperienza<br />

del “fare insieme”, con la realizzazione di un grande valore aggiunto. L’intersezione culturale<br />

genera nuovi interessanti campi di sperimentazione artistica, nuove forme di espressione e<br />

di comunicazione.<br />

La <strong>città</strong> e le sue architetture devono offrirsi alla condivisione fisica e materica, da un lato,<br />

alla condivisione culturale e semantica, dall’altro lato. Gli spazi e le funzioni urbane devono essere<br />

ri-adeguati affinché l’interazione si realizzi, nelle strade, nelle piazze, nelle architetture. Obiettivo<br />

della (ri)progettazione architettonica e urbanistica è la realizzazione di luoghi che favoriscano l’incontro<br />

e lo scambio tra culture, dove i diversi possano “fare insieme”.<br />

Un utile contributo può venire anche dalle tecnologie di comunicazione che possono semplificare<br />

e sviluppare l’interazione attraverso le reti cablate o wireless, facilitando ma assolutamente<br />

non sostituendo i rapporti umani diretti.<br />

L’integrazione e l’interazione rendono possibile la partecipazione, equa e democratica, di<br />

tutti i cittadini alla vita della <strong>città</strong>. La partecipazione trasforma un insieme di individui e gruppi di<br />

individui diversi in un’unica comunità urbana interculturale che nella <strong>città</strong> trova la sua espressione<br />

semanticamente più forte.<br />

41<br />

CITTÀ MULTIETNICHE<br />

PER LA CITTÀ INTERETNICA


42<br />

CAPITOLO 1<br />

La potenza evocativa della <strong>città</strong> e delle sue architetture deriva proprio dalla partecipazione<br />

di tutti i cittadini al processo di formazione e rappresentazione della cultura e della memoria collettiva<br />

(Rossi, 1966). Non a caso, la <strong>città</strong> contemporanea è generalmente più debole, sul piano semantico,<br />

della <strong>città</strong> storica. Ad esempio della <strong>città</strong> medievale, in quanto quest’ultima, pur con i<br />

suoi limiti funzionali se vista con gli occhi del modernismo, è espressione di un processo storico<br />

partecipato e condiviso, cosa che non è per le periferie urbane dell’Europa contemporanea.<br />

La partecipazione è la migliore forma di espressione della libertà e si fonda <strong>sulla</strong> consapevolezza<br />

e <strong>sulla</strong> sicurezza. Il contributo dei tecnici sarà fondamentale per garantire l’una e l’altra. Si<br />

tratta, da un lato, di fornire gli strumenti, semplici ed efficaci, per comprendere e valutare i fenomeni<br />

urbani, a livello spaziale, funzionale e semantico. Dall’altro lato, gli spazi e le funzioni della<br />

<strong>città</strong> dovranno essere (ri)pensati per raggiungere quelle condizioni di sicurezza necessarie a garantire<br />

l’inserimento di tutti, nella vita urbana, con pari opportunità.<br />

Per rendere possibile e fluido questo processo di riconoscimento identitario, d’integrazione<br />

delle diversità, d’interconnessione delle attività ed azioni, di partecipazione democratica e propositiva,<br />

la <strong>città</strong> deve realizzare la mediazione tra interessi e posizioni che, a volte, sono molto distanti<br />

tra loro.<br />

Ciascuna cultura concorrente, in questo processo di mediazione, perde qualcosa di sé ma<br />

contribuisce a realizzare un unicum sempre più ricco e stratificato, sempre più interculturale.<br />

Se i “non luoghi” producono l’esclusione e la divisione, i “luoghi urbani” derivano da e favoriscono<br />

la mediazione tra le diversità. I “non luoghi” favoriscono il conflitto che da culturale diventa<br />

fisico e può degenerare in guerriglia urbana. I “luoghi urbani” promuovono la mediazione<br />

per l’integrazione e la partecipazione.<br />

La mediazione riduce i contrasti avvicinando gli estremi, siano essi di tipo sociale, economico,<br />

culturale o religioso e, in questo modo, si attenua il rischio di conflitti e migliorano le condizioni<br />

di sicurezza urbana.<br />

Architetti ed urbanisti plasmano le forme di questa mediazione, di quest’incontro sociale e<br />

culturale. La <strong>città</strong> che ne scaturisce, generata dall’interculturalità, è una <strong>città</strong> plurima che si presta<br />

ad essere vissuta in tanti modi diversi, da parte delle diverse sensibilità ed identità.<br />

L’abitare è la prima affermazione del diritto di cittadinanza nella <strong>città</strong> plurima e l’unità di<br />

base di questa <strong>città</strong> plurima è l’alloggio che, riprendendo le parole dell’Habitat Agenda e della<br />

Dichiarazione di Istanbul (1996), dovrà essere adeguato per tutti 12 .<br />

Peraltro, il grado di adeguatezza della condizione abitativa è funzione delle diverse culture<br />

e tradizioni e, ad esempio, è legato alle diverse consuetudini di formazione dei nuclei familiari, con<br />

riferimento sia alla quantità che alla qualità dei componenti.<br />

Ciascuna famiglia, più o meno tradizionale secondo i canoni della società di accoglienza,<br />

avrebbe diritto ad un luogo privato che risponda alle esigenze pratico-funzionali ma anche cultural-semantiche.<br />

Ma sono compatibili la poligamia e la condizione di pari opportunità della donna?<br />

Le famiglie allargate plurigenerazionali sono assimilabili alle famiglie allargate derivanti da divorzi<br />

e nuovi matrimoni? E le unioni omosessuali sono compatibili con l’intolleranza di alcuni integralismi<br />

religiosi?<br />

La progettazione dell’alloggio, dunque, si arricchisce di istanze nuove e impone la definizione<br />

preliminare dei valori comuni dell’abitare e, ancor prima, dell’essere e del relazionarsi.<br />

Si sottolinea la complessità metodologica del tema progettuale: una casa che sia potenzialmente<br />

interpretazione delle diverse culture dell’abitare richiede flessibilità distributiva e semantica<br />

senza, però, essere a-morfa né inespressiva.<br />

La cultura dell’abitare si collega direttamente alla cultura del fare che, nella maggior parte<br />

dei casi, spinge milioni di persone a spostarsi in paesi lontani alla ricerca di un lavoro per sostenere<br />

se stessi e la propria famiglia. Le <strong>città</strong> interculturali devono offrire lavori dignitosi, che soddisfino<br />

le esigenze economiche attraverso retribuzioni adeguate e gratifichino l’homo faber nelle<br />

12 Il tema della Conferenza delle Nazioni Unite nel 1996 ad Istanbul fu “Lo sviluppo sostenibile degli insediamenti<br />

umani e l’alloggio adeguato per tutti”.


Fig. 3 - La diffidenza verso il diverso ha carattere di reciprocità e si manifesta negli spazi, architettonici e urbani, della<br />

convivenza (Disegno di M. Cicalese).<br />

sue diverse abilità e capacità espressive. La mortificazione economica unitamente all’alienazione<br />

lavorativa alimenta un terreno di coltura formidabile per la conflittualità sociale ed etnica.<br />

Il lavoro è stato, nella storia, il motore delle migrazioni di massa e deve essere, oggi, lo strumento<br />

privilegiato per costruire una società multietnica equa e democratica. I diversi possono<br />

“fare insieme” per fare meglio, sempre che l’accesso al lavoro rispetti regole condivise <strong>sulla</strong> dignità<br />

umana, <strong>sulla</strong> parità tra i generi e <strong>sulla</strong> pari opportunità tra i diversi.<br />

Casa e lavoro sono bisogni primari dell’uomo urbano e sono necessari per realizzare l’armonia<br />

culturale, l’inclusione sociale e la sicurezza delle <strong>città</strong>. Superando la dicotomia funzionalista<br />

residenza-produzione, il progetto urbano penserà i luoghi dove le comunità multiculturali possano<br />

convivere e svolgere le loro attività insieme. I nuovi luoghi urbani dovranno essere poli-valenti<br />

sul piano funzionale e su quello semantico, ancor più che in passato.<br />

Il cittadino interculturale ha diritto a servizi efficaci che siano disponibili, indipendentemente<br />

dalle radici etniche e dalla collocazione sociale, in modo equo. Si pone il tema antropologico<br />

e sociologico della definizione e condivisione di una gerarchia di bisogni, da parte di comunità<br />

urbane culturalmente complesse, a cui la <strong>città</strong> debba dare soddisfazione. L’individuazione dei<br />

bisogni tocca la sfera dell’identità culturale, ma anche dell’integrazione, dell’interazione, della<br />

partecipazione e della mediazione.<br />

Dovremo pensare anche la <strong>città</strong> dei servizi come una <strong>città</strong> plurima, che sia capace di soddisfare<br />

i bisogni dei diversi rispettando l’identità culturale, gli usi, i costumi e le tradizioni di tutti.<br />

L’offerta dei servizi in risposta alla domanda di una popolazione multiculturale richiede la messa<br />

a fuoco dei bisogni, accertati e condivisi su parametri oggettivi di rispetto della dignità umana,<br />

con particolare attenzione alle categorie più deboli ed esposte.<br />

Si sottolinea che il tema dei servizi tocca direttamente la sicurezza urbana in quanto il soddisfacimento<br />

dei bisogni dei cittadini determina scenari d’inclusione sociale che favoriscono la<br />

convivenza multietnica. Sul piano urbanistico, le possibili azioni riguardano principalmente la<br />

43<br />

CITTÀ MULTIETNICHE<br />

PER LA CITTÀ INTERETNICA


44<br />

CAPITOLO 1<br />

sfera funzionale e, quindi, la ri-distribuzione e la ri-organizzazione delle funzioni urbane, anche<br />

con il contributo delle nuove tecnologie di comunicazione.<br />

Affinché l’abitare ed il lavorare siano urbanisticamente armonici con i servizi urbani, è necessario<br />

che la <strong>città</strong> garantisca l’accessibilità equa e diffusa con la possibilità, per tutti, di accedere<br />

a tutti gli spazi e alle funzioni della <strong>città</strong>.<br />

L’accessibilità è necessaria, sul piano delle relazioni sociali e culturali, per tutelare le identità<br />

e realizzare l’integrazione attraverso l’interazione e la partecipazione, promuovendo la mediazione.<br />

Il che non sarebbe possibile in assenza d’incontro e di dialogo, tra i diversi, nei luoghi, negli<br />

spazi e nelle funzioni della <strong>città</strong>. Sul piano fisico, l’accessibilità garantisce la complementarità tra i<br />

luoghi dell’abitare, quelli delle attività lavorative e i luoghi per l’erogazione dei servizi, contrastando<br />

la ghettizzazione funzionale delle diverse parti urbane.<br />

L’accessibilità è un elemento della qualità urbana che garantisce sicurezza e, al contempo,<br />

è uno dei prodotti delle politiche efficaci per la sicurezza urbana. Inoltre, deriva dal corretto disegno<br />

urbano spaziale e funzionale, ma anche dal sistema delle relazioni sociali e culturali tra gli<br />

abitanti: se la comunità urbana è una comunità aperta al mondo esterno ed alla pluralità, la <strong>città</strong><br />

che la ospita, la rappresenta e ne trasmette la memoria collettiva, e sarà una <strong>città</strong> accessibile.<br />

L’urbanistica, per incidere sull’accessibilità deve agire sul sistema dei trasporti, <strong>sulla</strong> localizzazione<br />

delle funzioni urbane e <strong>sulla</strong> permeabilità tra i gruppi sociali ed etnici.<br />

L’applicazione dei principi esposti può consentire la realizzazione di una <strong>città</strong> delle <strong>città</strong><br />

nella quale la diversità sia ricchezza e non generatrice di conflitto, dove i popoli e le culture s’incontrino<br />

e non confliggano. Questa <strong>città</strong> plurima sarà frutto della ri-semantizzazione interculturale<br />

e della ri-funzionalizzazione delle funzioni urbane. Il progetto degli spazi e delle funzioni, pur<br />

non potendosi sostituire alle politiche per l’inclusione sociale e la crescita civile, ne costituisce un<br />

complemento e può offrire un importante contributo attraverso la costruzione di scenari favorevoli.<br />

L’architettura e l’urbanistica dovranno incidere sugli assetti urbani, sulle forme e sui valori<br />

semantici della <strong>città</strong>, aspirando a quella tensione metafisica che i filosofi e i teorici dell’urbanistica<br />

e dell’architettura hanno fissato nelle <strong>città</strong> ideali attraverso modelli irrealizzabili proprio perché<br />

utopici ma che tanto hanno influenzato l’evoluzione della <strong>città</strong> e, in particolare la <strong>città</strong> europea<br />

(Clemente, 2002). La realizzazione di questa <strong>città</strong> delle <strong>città</strong> o <strong>città</strong> plurima, attraverso piani e progetti,<br />

aspira all’armonia ed all’annullamento di ogni possibile fattore di contrasto sociale, culturale,<br />

economico.<br />

Compito degli urban thinkers sarà progettare per rappresentare le diverse identità culturali<br />

e, contemporaneamente, esprimere i valori comuni su cui si fondano l’integrazione, l’interazione,<br />

la partecipazione e la mediazione tra i diversi, costruendo <strong>città</strong> per abitare, lavorare, soddisfare la<br />

domanda di servizi, garantire l’accessibilità.<br />

1.3 LA ETNODIVERSITÀ: PROBLEMA O RISORSA?<br />

Volevamo delle braccia, sono arrivate delle persone.<br />

1.3.1 Il DNA della <strong>città</strong> contemporanea<br />

(Max Frisch)<br />

Il concetto stesso di globalizzazione dei fenomeni socio-economici, ancorché estremamente<br />

evanescente, costituisce la chiave di lettura della società contemporanea ed è un parametro<br />

con il quale ci si deve misurare per comprendere il tema multietnico. I mutamenti del sistema<br />

produttivo (la dismissione industriale, la terziarizzazione, …), del sistema insediativo (la <strong>città</strong> diffusa,<br />

la gentrification, gli slums, …) e del sistema sociale (le nuove dinamiche, la complessità delle<br />

relazioni, la multietnicità, …), che caratterizzano lo scenario della globalizzazione, sono in un rapporto<br />

biunivoco con l’incremento delle migrazioni.


Tra i principali motori dei flussi si possono identificare, infatti, la presenza capillare di network<br />

d’impresa e multinazionali, la maggiore informazione circa le opportunità che si possono<br />

cogliere emigrando, la diffusione di un modello di consumo cui tendere lasciando il proprio<br />

paese, la facilità degli spostamenti (purché non clandestini e gestiti da criminali) e la possibilità di<br />

trasferire denaro presso i propri congiunti rimasti nel paese d’origine. Parimenti, la dinamicità degli<br />

spostamenti incrementa gli effetti della globalizzazione, concorrendo all’omologazione dei<br />

modelli di vita tra paese d’origine e di destinazione 13 , alla diffusione di beni e servizi ascrivibili a<br />

culture diverse, all’indifferenza allocativa della produzione e a tutti quei fattori collegabili alla<br />

formazione di una società multietnica.<br />

Ciò contribuisce a costruire una <strong>città</strong> diversa, nella quale la etnodiversità può rappresentare<br />

una risorsa per l’arricchimento culturale e per il rilancio di una economia stagnante ma, nel contempo,<br />

costituisce un fattore di ulteriore complessificazione del territorio.<br />

Gli studi sulle <strong>città</strong> creative, quelle <strong>città</strong> fiorenti e innovative che sono in grado di rinnovare<br />

il proprio successo nel tempo, evidenziano, quale carattere comune, il ruolo di avanguardia nei<br />

settori economici e dell’innovazione tecnologica; esse attraggono, quindi, flussi di persone con diverse<br />

abilità dagli angoli più remoti (Florida, 2005). Non è casuale che degli outsiders giochino<br />

ruoli fondamentali nei momenti d’oro di queste <strong>città</strong> di successo: i metoikos dell’Atene di Pericle,<br />

gli Ebrei nella Vienna dei primi del novecento, artisti come Picasso nella Parigi degli anni successivi,<br />

sono alcuni degli esempi. Gli immigrati, che si considerano in parte al di fuori della società che<br />

li ospita, possono metterne in luce le tensioni sotterranee e massimizzarne le potenzialità innovative<br />

(Hall, 2006). Applicando la riflessione all’Europa multietnica, si può ipotizzare che una nuova<br />

linfa per lo sviluppo provenga proprio dall’interazione tra identità locali e culture esogene figlie<br />

della globalizzazione.<br />

La dialettica tra la dimensione a-spaziale della globalizzazione e l’importanza attribuita alle<br />

identità fondate sui luoghi – ben sintetizzata dal neologismo “glocale” – è il binomio che riconduce<br />

ad una dimensione progettuale legata alle tradizioni locali, alla scala di quartiere o di vicinato,<br />

alla democrazia partecipativa e così via (Sandercock, 1998b e 2003). Ma come favorire l’interazione<br />

e l’osmosi culturale? La risposta deve essere necessariamente sviluppata lungo diverse direttrici<br />

tra le quali, però, il contributo urbanistico non gioca un ruolo marginale 14 . In particolare,<br />

una pianificazione sensibile alle istanze multietniche può contribuire significativamente alla costruzione<br />

di una <strong>città</strong> equa e sicura, in grado di competere nello scenario internazionale con una<br />

propria identità plurale. Per fare in modo che tali intenti non restino uno sfoggio di retorica e di<br />

demagogia è necessario individuare gli elementi della <strong>città</strong> contemporanea su cui intervenire<br />

prioritariamente e le linee guida progettuali.<br />

Tra i contributi che la disciplina urbanistica può offrire per affrontare in termini propositivi<br />

il tema dell’integrazione etnica, in uno scenario globale di recessione/espansione economica, appare<br />

centrale la capacità di interpretare e offrire risposta quantitativa e qualitativa alla domanda<br />

espressa da una popolazione urbana figlia della globalizzazione. Infatti, è profondamente mutato<br />

il rapporto domanda/offerta di <strong>città</strong> e l’incremento e l’accelerazione della mobilità di cose e persone<br />

sta mutando anche il sistema di valori delle <strong>città</strong>. Queste trasformazioni sono percepibili nei<br />

suoni, negli odori, nei colori di quella massa fluida che si estrinseca nella <strong>città</strong> del vissuto, ma che<br />

si riverbera anche nella configurazione degli spazi e nel mutamento del valore semantico dei luoghi<br />

fisici e culturali dei sistemi urbani.<br />

Parafrasando il celebre studio freudiano, l’urbanistica contemporanea si pone il difficile (se<br />

non impossibile) obiettivo di elaborare un’interpretazione multiculturale e di dare risposte urbanistiche<br />

ai sogni e ai fabbisogni di una società complessa e multietnica. “ … di una <strong>città</strong> tu non<br />

ammiri le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà alla tua domanda …” (Italo<br />

Calvino, Le <strong>città</strong> invisibili).<br />

13 Sia intesa in senso consumistico che, negli auspici, in senso di osmosi culturale proficua.<br />

14 Lo stato dell’arte di ricerca e prassi a livello internazionale non ha evidenziato, fino ad ora, contributi significativi<br />

il tale direzione. Anche in Italia – se si esclude l’impegno delle fondazioni Della Rocca (Roma, Napoli) e Michelucci<br />

(Firenze) e di alcuni gruppi universitari a Roma, Palermo, Milano e Reggio Calabria – si è ancora agli inizi.<br />

45<br />

CITTÀ MULTIETNICHE<br />

PER LA CITTÀ INTERETNICA


46<br />

CAPITOLO 1<br />

Una chiave di lettura di questa complessa network society può essere individuata, con<br />

Castells, nel tema dell’identità; per non disperdersi tra le diverse dinamiche sociali legate all’identità<br />

bisogna affrontarle nella prospettiva degli attori sociali (Castells, 2002). In una recente intervista,<br />

lo studioso spagnolo sottolinea che “sono gli attori sociali che definiscono l’identità come un<br />

processo sociale di costruzione di significati e di attributi culturali ai propri comportamenti cui è<br />

assegnata una priorità maggiore rispetto ad altre fonti di significato” 15 .<br />

Associando questa riflessione alla configurazione dello spazio e al valore simbolico che vi si<br />

attribuisce, si evidenzia l’importanza della componente identitaria, nel senso di riconoscibilità e di<br />

appartenenza ai luoghi. L’identità culturale e la sua trasposizione “fisica” nella <strong>città</strong> di pietra rappresenta<br />

il terreno sul quale si gioca il fragile equilibrio tra conflitto e socializzazione. Ciò non riguarda<br />

solo le diversità etniche ma anche le componenti di un sistema sociale “viscoso” 16 e complesso;<br />

la multietnicità costituisce però un ambito nel quale si estremizzano conflittualità e tensioni,<br />

ma si creano anche sinergie e reciproco arricchimento culturale.<br />

L’oggetto della riflessione è la <strong>città</strong> europea, pur con escursioni in altre realtà geopolitiche<br />

indispensabili alla comprensione dei fenomeni di globalizzazione in atto. Il taglio che si privilegia è<br />

quello illustrato da Pierre Lavedan nella sua Histoire de l’Urbanisme che, anche se per alcuni aspetti<br />

viene considerata datata, risulta illuminante per la comprensione dei caratteri costitutivi dell’identità<br />

urbana europea. Come per l’audace schematizzazione delle tipologie insediative delle <strong>città</strong> medievali<br />

di Piccinato che ha sovvertito le precedenti teorie circa la spontaneità d’impianto.<br />

La forte connotazione urbana, che ha caratterizzato l’organizzazione del territorio nel vecchio<br />

continente dagli albori della civiltà, rende ogni singola <strong>città</strong> un piccolo o grande capolavoro<br />

di senso; è possibile, in ogni modo, individuare alcuni caratteri che accomunano le <strong>città</strong> europee<br />

e che determinano universalmente la riconoscibilità della <strong>città</strong> storica del vecchio continente, indipendentemente<br />

dall’epoca d’impianto e dalle contaminazioni stratificatesi nel tempo.<br />

La secolare o millenaria stratificazione culturale che caratterizza ciascuna delle <strong>città</strong> europee<br />

rappresenta un valore aggiunto nella definizione dei valori identitari dei quali esse sono portatrici.<br />

Ci si trova di fronte a caratteri forti che determinano universalmente la riconoscibilità della <strong>città</strong><br />

storica del vecchio continente, indipendentemente dall’epoca d’impianto e dalle contaminazioni<br />

dipanatesi nel tempo. Tali caratteri, potenziamente, costituiscono l’elemento di raccordo tra le vestigia<br />

del passato e gli effetti di appiattimento culturale determinati dalla globalizzazione socioeconomica.<br />

Alcuni documenti istituzionali e politiche di matrice comunitaria, anche se non specificamente<br />

orientati al tema della multietnicità, contengono suggestioni proficue per la messa punto<br />

di uno schema di proposte. Documenti quali la Carta Urbana Europea (1992), la Carta di Megaride<br />

(1994), la Nuova Carta di Atene (2003) e la Carta per la Città Europea Interetnica e Cablata (2006),<br />

che sono espressioni del dibattito culturale, scientifico ed istituzionale che anima il vecchio continente.<br />

Pur con orientamenti ed obiettivi diversi, tali documenti sono accomunati dalla volontà di<br />

individuare gli strumenti tecnici e culturali per intervenire su una <strong>città</strong> europea sempre più globalizzata.<br />

Accanto a questi, si possono annoverare le politiche comunitarie che veicolano risorse da<br />

un lato verso l’obiettivo della coesione sociale e dall’altro verso il territorio nelle sue diverse<br />

espressioni. Accanto ai programmi istituzionali, è importante il ruolo del già citato Schema di<br />

Sviluppo dello Spazio Europeo 17 che, non essendo direttamente collegato allo stanziamento di risorse,<br />

ha la libertà di perseguire l’intento di bilanciare la valorizzazione dei caratteri comuni e il rispetto<br />

delle identità locali.<br />

Le politiche UE indicate quali potenzialmente incidenti <strong>sulla</strong> struttura fisica del territorio offrono<br />

una visione: lo sviluppo urbano policentrico, infrastrutturalmente supportato, che consenta<br />

15 Da una intervista di Benedetto Vecchi a Manuel Castells;“Il Manifesto”, 9 gennaio 2003.<br />

16 Parafrasando una definizione, quanto mai attuale, di Sàndor Màrai nelle sue “Confessioni di un borghese”, la<br />

fluidità del sistema sociale è in realtà viscosa e, in alcuni momenti storici, si trasforma in un pantano.<br />

17 Lo Schema di sviluppo dello spazio europeo (SSSE) è stato elaborato, a partire dal 1993, dal Comitato per lo<br />

sviluppo spaziale (CSS), composto dai Ministri responsabili dell’assetto territoriale nei diversi paesi europei. Il documento<br />

definitivo è stato approvato a Potsdam nel maggio del 1999.


di rinnovare la relazione <strong>città</strong>-campagna e di valorizzare il patrimonio naturale e culturale che<br />

punteggia il territorio. In tale visione si gioca il rapporto non conflittuale tra la specificità delle<br />

identità locali e gli obiettivi di sempre maggiore coesione. Questo intento appare particolarmente<br />

importante in quanto mette in luce gli elementi che fanno della <strong>città</strong> europea il luogo elettivo di<br />

nuove e proficue convivenze multietniche. Tali caratteri sono le pietre angolari sulle quali poggia<br />

l’organizzazione urbana attuale e hanno condizionato e condizionano il modo nel quale si vive<br />

l’incontro tra le diverse culture.<br />

Questo approccio positivista non vuole essere, però, deterministico; sarebbe una insostenibile<br />

semplificazione uniformare il pluralismo delle <strong>città</strong> europee ed associare, in un rapporto di<br />

causa ed effetto, caratteristiche urbane e successo delle politiche per l’immigrazione. Si ritiene,<br />

piuttosto, che l’interpretazione delle identità locali possa consentire di individuare le risorse endogene<br />

sulle quali fondare un processo equilibrato di sviluppo compatibile con le dinamiche migratorie,<br />

come indicato dal primo principio “Città delle Identità” 18 della Carta per la Città<br />

Interetnica e Cablata promossa dalla Fondazione Aldo Della Rocca (Beguinot, 2006).<br />

1.3.2 Dal concetto di integrazione a quello di interazione<br />

Il primo nodo da sciogliere è il concetto stesso di integrazione; esso è ampiamente sviluppato<br />

in diversi contesti e affonda le proprie radici nella teoria novecentesca nordamericana di<br />

Talcott Parsons, il quale – rivisitando in modo personale le teorie weberiane e durkheimiane –<br />

propone una articolata lettura del sistema sociale 19 .<br />

Della sua lezione si vuole ricordare che, trasferendo agli studi sociali l’approccio sistemico 20 ,<br />

ha consentito di affinare strumenti d’indagine e di focalizzare l’attenzione sui ruoli rivestiti da ciascuna<br />

persona e sulle relazioni che esplicano. La scuola statunitense – ispirandosi a tali premesse<br />

– ha messo a punto una definizione del concetto di integrazione che si estrinseca nell’adeguamento<br />

delle persone ai codici comportamentali dominanti nel costruendo sistema sociale nordamericano.<br />

L’approccio che discende dalle teorie dello studioso statunitense è definito da molti “etnocentrico”<br />

per aver assunto una società, in particolare quella genericamente occidentale, quale modello<br />

cui tutte le altre società devono tendere e conformarsi. Infatti, il concetto di integrazione sociale<br />

così definito presuppone l’esistenza di un sistema relativamente fisso, di valori, comportamenti,<br />

culture, principi, norme, al quale le persone devono adeguarsi, interiorizzandolo.<br />

La metafora più accreditata a rappresentare il processo di integrazione è quella del melting<br />

pot, il crogiuolo nel quale si mescolano ingredienti differenti fino a produrre un unicum che non<br />

reca più alcuna traccia delle caratteristiche originarie dei suoi componenti. Tanto si è scritto su<br />

tale metafora che rappresenta efficacemente lo sviluppo di una società omogenea, nella quale gli<br />

ingredienti sono rappresentati da persone di differente cultura e religione. La cultura statunitense<br />

individua le origini di tale metafora nella descrizione che Hector St. Jean de Crevecoeur fa del<br />

contadino americano, emancipandosi dall’idea che gli Americani fossero coloni di differente provenienza<br />

ed etnia 21 .<br />

18 “La <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> e cablata rispetta le diversità. Tutti gli individui e i gruppi sociali hanno il diritto di conservare<br />

la propria identità e il senso di appartenenza al gruppo etnico e culturale di provenienza e di rappresentarli nella<br />

<strong>città</strong> che li accoglie”.<br />

19 Si fa riferimento alle sue riflessioni contenute in quelle che sono definite le sue opere principali – La struttura<br />

dell’azione sociale (1937), Il sistema sociale (1951) e la Teoria sociologica e società moderna (1967) – che hanno esercitato<br />

una profonda influenza concettuale e metodologica <strong>sulla</strong> scuola nordamericana e non solo.<br />

20 Si ricorda brevemente che Parsons afferma che il funzionamento del sistema sociale avviene attraverso alcune<br />

funzioni sociali codificate: Adattamento all’ambiente; il sottosistema che svolge questa funzione è il sottosistema economico.<br />

Definizione dei propri obiettivi; il sottosistema che svolge questa funzione è il sottosistema politico. Conservazione<br />

della propria organizzazione; i sottosistemi che svolgono questa funzione sono il sottosistema della famiglia e il sottosistema<br />

della scuola. Integrazione delle parti componenti; il sottosistema che svolge questa funzione è il sottosistema giuridico<br />

con il sottosistema religioso.<br />

21 Hector St. Jean de Crevecoeur, Letters from an American Farmer, 1782 (citato in Cox John D. (2005), Traveling<br />

South: Travel Narratives and the Construction of American Identity. Athens, University of Georgia). In particolare si fa riferi-<br />

47<br />

CITTÀ MULTIETNICHE<br />

PER LA CITTÀ INTERETNICA


48<br />

CAPITOLO 1<br />

“…whence came all these people? They are a mixture of English, Scotch, Irish, French, Dutch,<br />

Germans, and Swedes… What, then, is the American, this new man? He is neither an European<br />

nor the descendant of an European; hence that strange mixture of blood, which you will find in<br />

no other country. I could point out to you a family whose grandfather was an Englishman,<br />

whose wife was Dutch, whose son married a French woman, and whose present four sons have<br />

now four wives of different nations. He is an American, who, leaving behind him all his ancient<br />

prejudices and manners, receives new ones from the new mode of life he has embraced, the new<br />

government he obeys, and the new rank he holds. He becomes an American by being received<br />

in the broad lap of our great Alma Mater. Here individuals of all nations are melted into a new<br />

race of men, whose labors and posterity will one day cause great changes in the world… The<br />

Americans were once scattered all over Europe; here they are incorporated into one of the finest<br />

systems of populations which has ever appeared”.<br />

Interpretando appieno il carattere epico e trionfalistico della formazione dell’identità del<br />

“Nuovo Mondo”, espressa in nuce nel testo settecentesco citato, il processo di assimilazione è stato<br />

sistematicamente perseguito mediante un insieme di norme ed attività, e la stessa organizzazione<br />

urbana ha concorso alla formazione di una società di “americani con il trattino”.<br />

I quartieri etnicamente connotati fornivano una rappresentazione dei caratteri identitari,<br />

sovente di natura oleografica, dei paesi d’origine delle diverse comunità 22 . Gli italo-americani, gli<br />

ispano-americani, i sino-americani e così via, erano accomunati, però, dal suffisso “-americans” e<br />

dall’obiettivo comune di realizzare “the american dream”. Il primo passo verso l’integrazione erano<br />

la lingua e le abitudini imparate nei playgrounds, affiancati da centri sociali di quartiere (con corsi<br />

di lingua e di cucina, con tornei di giochi da tavolo, e così via), luoghi per lo sport ed il tempo libero<br />

che favorivano l’incontro e rappresentavano lo stile di vita cui uniformarsi.<br />

Negli Stati Uniti il termine melting pot è ancora comunemente usato, anche se le moderne<br />

scuole di sociologia tendono a definirlo obsoleto; si ritiene che l’idea di assimilazione sia stata sostituita<br />

da quella di pluralismo, alla quale si addicono di più metafore quali la salad bowl o la sinfonia<br />

o il mosaico culturale.<br />

A partire dagli anni novanta è subentrato un approccio multiculturale, all’insegna del quale<br />

un atteggiamento di political correctness ha condotto negli U.S.A. all’affermazione della prerogativa,<br />

da parte di ciascun gruppo etnico, di tutelare la propria identità dall’assimilazione nella cultura<br />

dominante di matrice anglosassone. Questo stesso approccio è alla base dell’organizzazione<br />

di stati bi-multilingue o federali 23 che tutelano, così, le diverse matrici che li compongono, e di<br />

stati che hanno modellato il proprio atteggiamento istituzionale su una posizione intermedia: la<br />

tolleranza e il rispetto delle minoranze 24 . Il concetto di integrazione viene progressivamente sostituito<br />

dal concetto di controllo delle diversità, che è un concetto sistemico.<br />

Nell’ultima Risoluzione del Parlamento europeo <strong>sulla</strong> “politica comune dell’Unione europea<br />

in materia d’immigrazione” 25 si ricorda all’articolo 9 che “una politica europea coerente in materia<br />

d’immigrazione deve essere accompagnata da una politica d’integrazione che preveda, fra l’altro,<br />

un’integrazione regolare nel mercato del lavoro, il diritto all’istruzione e alla formazione, l’accesso ai<br />

servizi sociali e sanitari nonché la partecipazione degli immigrati alla vita sociale, culturale e politica”.<br />

Nello stesso documento, però, si ammette che poco è stato fatto fino ad ora e, quel poco che<br />

è stato fatto scaturisce principalmente dall’impegno “dal basso” di ONG e amministrazioni locali 26 .<br />

mento alla Lettera III:“What is an American?” attempts to answer the query of its title by taking a sweeping survey of the<br />

impact of America on the European immigrant, a survey which sketches the diversity of American life but which concentrates<br />

on the rural culture of the middle colonies.<br />

22 Si pensi alle molte ChinaTown o Little Italy presenti nelle <strong>città</strong> americane più cosmopolite.<br />

23 Le ricerche e le sperimentazioni in tale direzione sono particolarmente fertili in paesi di consolidata tradizione<br />

multietnica quali l’Australia e il Canada ed in paesi federali quali Belgio e Svizzera.<br />

24 Esempio emblematico è rappresentato dalle politiche promosse in Gran Bretagna; per un approfondimento<br />

cfr. le attività dei centri di ricerca censiti nel capitolo 2 da Massimo Clemente.<br />

25 Edizione provvisoria del <strong>Testo</strong> approvato dal Parlamento europeo, 28 settembre 2006 - Strasburgo.<br />

26 Si fa riferimento, tra l’altro, a iniziative quali le consulte di immigrati che partecipano ai Consigli comunali di alcuni<br />

Comuni italiani quali, p.e., Roma e Bologna o i gruppi d’ascolto presenti in quartieri sottoposti a programmi di riqualificazione<br />

urbana e così via.


Lo scenario ideale di tale meccanismo integratore è la <strong>città</strong> che da sempre ha costituito la<br />

propria essenza ed identità mediante un patto tra diversi; essa, con i suoi spazi e luoghi dalla forte<br />

connotazione, rappresenta l’emblema dell’identità accogliente e dominante che assimila le diversità<br />

metabolizzandole. Speculare al concetto di integrazione è quello di marginalità; la <strong>città</strong>, infatti,<br />

esercita la propria attitudine ad emarginare solo su coloro che ne fanno parte, che vi sono<br />

stati integrati, pur con un ruolo marginale (Touraine, 2002).<br />

L’obiettivo urbanistico di perseguire una “democrazia topologica”, equità d’accesso a opportunità<br />

e servizi, indipendentemente dal luogo di residenza e, oggi, dalla propria origine e cultura,<br />

appare fortemente condizionato dal potere di pressione dei gruppi sociali. (Amendola, 2001)<br />

Esperienze come il Piano regolatore sociale di scala comunale 27 attribuiscono agli enti locali il<br />

ruolo di registi del sistema di solidarietà pubbliche e private, traducendo in impegno sociale lo<br />

“sviluppo umano” 28 . Tali strumenti si avvalgono, quali documenti preparatori, di una “mappa dei<br />

bisogni” che pone attenzione alle caratteristiche del bisogno determinate da una società sempre<br />

più complessa 29 .<br />

I fenomeni di complessificazione, e in alcuni casi di disumanizzazione, della <strong>città</strong> contemporanea<br />

globalizzata hanno reso sempre più difficile affrontare diversità e disuguaglianze che<br />

nella <strong>città</strong> storica rientravano in uno schema predefinito nel quale anche gli esclusi erano inclusi<br />

(si pensi, fra tutti, ai metoikos nella Atene del V secolo, tra i quali spicca Aristotele). Nel contesto attuale<br />

si aprono molteplici questioni: da un lato si rilevano atteggiamenti che esprimono la paura<br />

e il rifiuto nei confronti dell’immigrato, che animano politiche protezionistiche di chiusura dei<br />

confini nazionali e di indifferenza per le condizioni di vita delle comunità alloctone, dall’altro si riscontrano<br />

politiche per l’immigrazione che rivelano una serie di vizi e contraddizioni di fondo.<br />

In particolare, alcuni studi etnografici sul tema individuano quattro visioni dell’immigrazione<br />

che ostacolano la naturale evoluzione verso una nuova e <strong>interetnica</strong> definizione del “noi”.Le<br />

prime due, che ricalcano la dualità tra melting pot e salad bowl, sono la tendenza assimilazionista<br />

(lo straniero deve rinunciare alla propria cultura e aderire a quella ospitante) e il differenzialismo<br />

(la identità culturale dell’immigrato deve essere distinta rigidamente dalla identità locale)<br />

(Ambrosini, 2005). Questi approcci hanno animato le politiche istituzionali per l’integrazione nei<br />

paesi europei ed extraeuropei che devono gestire il tema multietnico. Altrettanto pericolose sono<br />

due tendenze apparentemente meno drastiche ma, nel lungo periodo, più pervasive perché<br />

danno la sensazione di accogliere e rispettare l’immigrato che però resta sempre altro da “noi”: il<br />

miserabilismo (la compassione che fa soccorrere materialmente l’immigrato, mantenendo le distanze)<br />

e l’estetismo (la diversità esotica dell’immigrato ci arricchisce e stimola culturalmente in<br />

una sorta di oleografia del buon selvaggio) (Ambrosini, 2005). I “campioni” di tali atteggiamenti<br />

sono da un lato le associazioni caritatevoli di matrice religiosa e i militanti del volontariato e dall’altro<br />

l’intellighentia progressista compiaciuta della propria apertura culturale.<br />

In questa sede si fa riferimento ad un taglio specifico del concetto di integrazione che esula<br />

parzialmente dalle tradizionali definizioni di taglio sociologico ed etnoantropologico. Il concetto<br />

è chiaramente sintetizzato nel secondo principio della già citata Carta per la Città Interetnica e<br />

Cablata: la Città dell’Integrazione. Infatti,“la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> cablata persegue l’integrazione. Le diversità,<br />

per convivere, devono avere un comune sistema di valori che realizza l’integrazione, attraverso<br />

la mediazione culturale nel rispetto dell’alterità” (Beguinot, 2006).<br />

Il percorso per attuare questi obiettivi parte dalla realizzazione di spazi e funzioni urbane<br />

che riportino al centro dell’attenzione l’uomo, essendo configurati in modo tale da favorire “la conoscenza<br />

reciproca, le collaborazioni lavorative, l’amalgama tra genti e culture diverse, nel lavoro<br />

e nel tempo libero” (Beguinot, 2006).<br />

27 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” 8 novembre 2000, n. 328,<br />

pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 265 del 13 novembre 2000 - Supplemento ordinario n. 186.<br />

28 Al premio Nobel per l’economia del 1998, Amartya Kumar Sen, si deve l’acquisizione del concetto fondamentale<br />

che lo sviluppo economico non coincide più con un aumento del reddito ma con un aumento della qualità della<br />

vita; approfondimenti successivi sono stati orientati al rapporto tra identità e violenza.<br />

29 Lorenzo Caselli sul Piano regolatore sociale di Genova (2005).<br />

49<br />

CITTÀ MULTIETNICHE<br />

PER LA CITTÀ INTERETNICA


50<br />

CAPITOLO 1<br />

1.3.3 I luoghi fisici e culturali per l’interazione: i nuovi valori semantici<br />

La <strong>città</strong> di destinazione, temporanea o permanente, di flussi migratori si modifica, spontaneamente<br />

o in base a progetti, per adeguarsi al mutamento della sua compagine demografica. In<br />

particolare, si configurano alcuni mutamenti che tentano e/o riescono a coniugare l’identità dei<br />

luoghi e degli spazi dell’accoglienza con i caratteri salienti dei luoghi di provenienza dei migranti.<br />

Definizioni correnti della <strong>città</strong> attuale sono la <strong>città</strong> bricolage, il patchwork urbano, la <strong>città</strong><br />

frammentata, la <strong>città</strong> diffusa, …; questi contesti fungono da moltiplicatori delle diversità oppure<br />

tentano di annullarle, attraverso le forme architettoniche, la scuola, le abitudini alimentari, i tempi<br />

di lavoro, il moltiplicarsi di luoghi dei diversi culti. Se ogni gruppo (etnico o sociale) porta con sé i<br />

propri modelli e comportamenti, si può generare una osmosi a diversi livelli; la lingua è nel contempo<br />

il primo ostacolo all’interazione ma anche il modello più permeabile alle contaminazioni<br />

(Sandercock, 1998a).<br />

La <strong>città</strong> di pietra, ed in particolare l’oikos, oppongono una maggiore inerzia al cambiamento,<br />

non solo per la loro consistenza materica ma per il carico simbolico che manifestano e che<br />

Fig. 4 - Esempio di stratificazioni degli insediamenti stranieri nella <strong>città</strong> bassa di Napoli. Tra il XIII e XV secolo.<br />

Elaborazione della Tavola II.a “Ipotesi di distribuzione dei luoghi dell’insediamento delle comunità/colonie mercantili<br />

stranieri e forestiere (…)”, del volume di Teresa Colletta, professore di Storia dell’Urbanistica dell’Università Federico II di<br />

Napoli - Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici ed Ambientali. Cfr. Coletta T. (2006), Napoli <strong>città</strong> portuale<br />

e mercantile, Edizioni Kappa, Napoli, p. 208 (Elaborazione di G. Esposito).


Fig. 5 - Vista rielaborata di un tratto del Canal Grande a Venezia. Il waterfront del Canal Grande rappresentato da<br />

Dionisio Moretti nel 1828 è stato elaborato per sottolineare alcuni caratteri peculiari dell’architettura veneziana scaturiti<br />

da contaminazioni culturali. Si pongono in evidenza anche i Fondaci (dei Turchi e dei Tedeschi) che uniscono una<br />

funzione ed una forma alloctone, ma concorrenti a definire l’identità locale (Elaborazione di G. Esposito).<br />

rallenta l’ibridazione culturale. Questo processo osmotico lungo e difficile determina una sorta di<br />

darwiniana lotta per la sopravvivenza dei caratteri urbani che vede vincitrici le identità forti 30 .<br />

Un sofferto, lungo ed eroico processo di ibridazione culturale tra oriente ed occidente ha<br />

condotto alla creazione di modelli urbani unici e fortemente connotati (Zanfrini, 2004); se ne ritrovano<br />

le tracce nelle <strong>città</strong> europee che la Storia ha collocato in posizioni privilegiate. Accanto a<br />

<strong>città</strong> nelle quali le diversità si sono affiancate senza mescolarsi, come nella <strong>città</strong> bassa della Napoli<br />

antica 31 ce ne sono altre che hanno tesaurizzato e tradotto in architetture la propria pluralità,<br />

come la Venezia dei Dogi.<br />

Il primo caso costituisce un esempio dei tanti nei quali si è assistito all’insediamento di nuclei<br />

di differenti provenienze affiancati in prossimità di aree portuali.<br />

La <strong>città</strong> lagunare è riuscita ad attrarre attraverso i secoli risorse umane, culturali, economiche<br />

la cui combinazione ha dato vita ad una composizione architettonica polifonica, nella quale<br />

ogni singola nota concorre a determinare una armonia unica e riconoscibile. Si tratta di un fenomeno<br />

nato dall’interazione e dalla contaminazione tra culture che ha generato una nuova identità<br />

che ha, a sua volta, influenzato le altre sponde con le quali era in contatto.<br />

Nelle fasi evolutive della <strong>città</strong> europea storica, infatti, si riscontra sovente una sorta di isomorfismo<br />

della forma urbana con quella sociale; la connotazione spaziale della <strong>città</strong> condiziona i<br />

caratteri del sistema sociale e viceversa (Amendola, 2001). Questo fenomeno è causa ed effetto<br />

della forte carica simbolica che la <strong>città</strong> riveste e che ne determina la sopravvivenza e la prosperità.<br />

Una lettura diacronica delle trasformazioni urbane occorse nella storia rivela una forte<br />

osmosi tra i caratteri del sistema fisico della <strong>città</strong> e i momenti più significativi del mutamento<br />

sociale.<br />

Riannodando i fili della riflessione con alcuni approcci che costituiscono snodi interpretativi<br />

significativi, si ricordano brevemente alcune teorie che evidenziano le peculiarità del rapporto<br />

tra sistema sociale e forma urbis. Lewis Mumford, per esempio, nell’ampio excursus effettuato ha<br />

associato le trasformazioni urbane alla struttura sociale nelle principali fasi evolutive della <strong>città</strong><br />

nella storia. La sua periodizzazione, in alcuni casi provocatoriamente, pone in risalto il valore simbolico<br />

che i diversi poteri che si sono avvicendati hanno attribuito alla <strong>città</strong>, mediante la forma ur-<br />

30 La <strong>città</strong> occidentale è una <strong>città</strong> che integra le diversità. La <strong>città</strong> asiatica, secondo Max Weber, pone le diversità<br />

una accanto all’altra, cioè la società di casta rimane tale anche nella <strong>città</strong>, invece nella <strong>città</strong> occidentale tende a scomparire.<br />

31 Si fa riferimento ai risultati della ricerca coordinata da Teresa Colletta e pubblicata in Colletta T. (2006), Napoli<br />

<strong>città</strong> portuale e mercantile, Edizioni Kappa, Napoli.<br />

51<br />

CITTÀ MULTIETNICHE<br />

PER LA CITTÀ INTERETNICA


52<br />

CAPITOLO 1<br />

bana ed architettonica. In alcune fasi, al potere forte unilaterale si è aggiunto (o sostituito) il potere<br />

più limitato e diffuso delle diverse categorie sociali dominanti.Tali espressioni hanno reso più<br />

o meno complessa l’organizzazione e la forma della <strong>città</strong> e del territorio sui quali si sono riverberate.<br />

Già Pierre Lavedan – nell’elaborazione di quella poderosa riflessione che costituisce un contributo<br />

insostituibile nella comprensione delle origini della <strong>città</strong> – ravvisava un rapporto lineare<br />

tra scelte insediative, mutamento delle attività produttive, accessibilità/difendibilità dei luoghi e,<br />

in misura non minore, valore simbolico/sacralità del luogo della fondazione. Con una serie di audaci<br />

provocazioni, Jean Gottmann ricorda che il passaggio dalla <strong>città</strong> storica alla <strong>città</strong> moderna,<br />

coincidente con la cosiddetta rivoluzione industriale ed il conseguente massiccio inurbamento,<br />

ha sovvertito i processi di formazione del sistema sociale e, quindi, del sistema urbano. A ciò si associa<br />

un aumento notevole della superficie urbana occupata da luoghi sovraffollati, degradati o di<br />

scarsa qualità edilizia, si pensi alle condizioni di vita del proletariato nell’Inghilterra di Dickens o<br />

nella Francia di Zolà. Paesi nei quali, ci ricorda Leonardo Benevolo, si è diffusa l’esigenza di immaginare<br />

e promuovere nuove utopie urbane a sfondo sociale: nel primo, il sogno egualitario di<br />

Robert Owen e la visione urbana di Ebenezer Howard, nel secondo, i falan-familsteri di Charles<br />

Fourier e Jean Baptiste Godin e la citè industrielle di Tony Garnier.<br />

Ancora, nella <strong>città</strong> contemporanea la forma urbana può essere intesa quale espressione di<br />

un sistema sociale e di poteri che presenta dinamiche convulse; si è innescato un processo di<br />

complessificazione fisico-funzionale della <strong>città</strong>, generatore di diseconomie, disuguaglianze, disagi<br />

che le dinamiche sociali accelerate non consentono di metabolizzare come nella <strong>città</strong> storica delle<br />

diverse civiltà.<br />

Anche circoscrivendo l’attenzione alla <strong>città</strong> occidentale, che ha visto la crescita ed il declino<br />

della <strong>città</strong> industriale, e che sta vivendo la disgregazione sociale e lo sprawl urbano della postmodernità,<br />

è possibile raccogliere molteplici sfumature del rapporto tra modus vivendi e conformazione<br />

fisico-funzionale della <strong>città</strong>. La <strong>città</strong> multietnica è alla ricerca di senso e di una propria etica<br />

ed estetica che sappiano interpretare una cultura plurale e dialogante; ciò in accordo con il principio<br />

“La <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> e cablata favorisce l’interazione. La tutela delle identità e l’integrazione<br />

delle diversità si realizza attraverso l’interazione e cioè attraverso il rapporto tra tutti i cittadini, in<br />

modo diretto o mediato dalle nuove tecnologie di comunicazione” (Beguinot, 2006).<br />

L’osmosi che nella storia è avvenuta spontaneamente, diluita in tempi lunghi di maturazione,<br />

richiede oggi uno sforzo propositivo ed interpretativo; è, infatti, necessario identificare i<br />

contenuti e la sintassi di un dialogo interetnico che possa dar vita ad una <strong>città</strong> portatrice di valori<br />

semantici interculturali. Solo sviluppando una tale sensibilità è possibile tracciare gli indirizzi progettuali<br />

che favoriscano l’incontro mediante spazi riconoscibili ed accoglienti per tutti.<br />

La multietnicità urbana appare dilatata nella percezione degli abitanti ed incomincia anche<br />

ad avere un qualche impatto <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> fisica. La presenza di immigrati ha cambiato il volto di<br />

estese porzioni di <strong>città</strong> e, anche se in modo diverso nelle diverse realtà, ha assunto un ruolo rilevante<br />

nel funzionamento del sistema urbano, del quale non è più una componente marginale.Tali<br />

espressioni del fenomeno migratorio sono di difficile generalizzazione, in quanto è complesso e<br />

dinamico il sistema delle relazioni tra flussi, luoghi, spazi e funzioni urbane.<br />

Sono molteplici i casi di politiche che affrontano tale tema esclusivamente in termini quantitativi,<br />

mediante l’incremento e la concentrazione dell’offerta alloggiativa, generando nuove<br />

forme di segregazione. I fenomeni in atto hanno rilanciato la mobilità ed accelerato la deurbanizzazione<br />

e la deindustrializzazione, cui si associano politiche di riuso delle aree dismesse che<br />

stanno modificando la condizione produttiva e quella abitativa in tutte le <strong>città</strong>.<br />

Già negli anni venti la Scuola di Chicago 32 aveva evidenziato, con il modello darwinista-biologico,<br />

le dinamiche di competizione tra parti di <strong>città</strong> che determinano il ricambio della popola-<br />

32 Alla scuola di Chicago, dalla <strong>città</strong> nella quale operarono i suoi fondatori negli anni venti, si deve la nascita dell’ecologia<br />

sociale urbana; tra i suoi maggiori esponenti si annoverano Robert Park, Ernest W. Burgess e Roderick<br />

D. McKenzie. La scuola, influenzata dagli studi di Georg Simmel, affrontò per la prima volta uno studio sistematico della<br />

<strong>città</strong>, anche se di taglio empirico, e dimostrò che i rapporti sociali sono condizionati dall’ambiente di appartenenza. La<br />

grande importanza che ha rivestito è avvalorata dai molteplici tentativi di superamento che negli anni successivi i diversi<br />

esponenti della disciplina sociologica hanno intrapreso.


zione, la valorizzazione fisica e la rivalutazione economica degli immobili (Park R. E. et al., 1925).<br />

Durante il processo di gentrification saltano gli equilibri consolidati e si generano tensioni e resistenze<br />

al mutamento; ma inesorabilmente le fantomatiche leggi del mercato estremizzano le trasformazioni,<br />

che assumono una connotazione forte nel cambiamento dei servizi erogati. Come<br />

aveva preconizzato Gottmann si sta determinando una sempre maggiore specializzazione e diffusione<br />

dei luoghi dedicati al tempo libero, le nuove cattedrali del culto delle leisure, che sostituiscono<br />

i luoghi della produzione dei beni materiali (Gottmann, 1960).<br />

Mentre le grandi trasformazioni determinate dall’inurbamento prodotto dalla prima rivoluzione<br />

industriale si sono sviluppate, come in una esplosione, per successive addizioni alla forma<br />

urbana preesistente, lambendo solo la <strong>città</strong> storica, sede del potere e del benessere economico, i<br />

grandi mutamenti della società globalizzata si manifestano nel cuore della <strong>città</strong> postindustriale<br />

che sembra implodere su se stessa.<br />

La <strong>città</strong> figlia delle rivoluzioni indotte dalla diffusione delle tecnologie dell’informazione e<br />

della comunicazione vive la contraddizione di opposte tensioni: accanto al fenomeno di uno<br />

sprawl urbano costituito da una marmellata edilizia sfrangiata si registra un recupero a nuova vita<br />

di vaste porzioni del centro urbano (Tosolini, 2006). A ciò si aggiunge la improvvisa disponibilità<br />

di aree dismesse, anche in posizioni strategiche, che costituiscono delle ferite nel tessuto urbano<br />

e, nel contempo, delle potenziali risorse per lo sviluppo.<br />

In questo contesto si inserisce il fenomeno dell’immigrazione che, come vedremo, innesca<br />

un duplice fenomeno: da un lato, innestandosi in contesti sociali il cui equilibrio è precario, acuisce<br />

le tensioni e incide sui valori fondiari, producendo la mobilità degli abitanti preesistenti.<br />

Dall’altro, si assiste a casi nei quali la presenza di comunità immigrate ha innescato fenomeni di<br />

autoriqualificazione in contesti di elevato degrado fisico e sociale. Anche nella metropoli, nella<br />

quale la mobilità degli individui, la permeabilità delle informazioni, le dinamiche del lavoro e gli<br />

altri parametri della complessità urbana mutano e rendono sempre più indirette e mediate le relazioni,<br />

sopravvivono contesti di vicinato nei quali si sviluppano relazioni primarie. In tali ambiti si<br />

sono verificati processi di riqualificazione di slums basati <strong>sulla</strong> autorganizzazione (Jacobs, 1961).<br />

Il riferimento culturale di tale processo è la “Città della Mediazione”, il principio della già citata<br />

Carta della <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> che recita:“la Città <strong>interetnica</strong> e cablata suggerisce la mediazione.<br />

Per realizzare l’integrazione, attraverso l’interazione e la partecipazione, si rende necessaria la mediazione<br />

delle specificità per valorizzare le diverse identità etniche e culturali”.<br />

53<br />

CITTÀ MULTIETNICHE<br />

PER LA CITTÀ INTERETNICA


54<br />

CAPITOLO 1<br />

1.4 RIFERIMENTI<br />

1.4.1 Bibliografia<br />

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55<br />

CITTÀ MULTIETNICHE<br />

PER LA CITTÀ INTERETNICA


Capitolo 2<br />

La ricerca <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica: lo stato dell’arte<br />

“A Ersilia, per stabilire i rapporti che reggono la vita della <strong>città</strong>, gli abitanti<br />

tendono dei fili tra gli spigoli delle case, bianchi o neri o grigi o bianco-e-neri<br />

a seconda se segnano relazioni di parentela, scambio, autorità, rappresentanza.<br />

Quando i fili sono tanti che non ci si può passare in mezzo, gli abitanti<br />

vanno via: le case vengono smontate; restano solo i fili e i sostegni dei fili”.<br />

Italo Calvino, Le <strong>città</strong> invisibili<br />

L’avanzamento delle conoscenze, per l’architetto urbanista, è finalizzato al miglioramento delle<br />

competenze, per fare di più e meglio nel (ri)disegno degli spazi e delle funzioni multiculturali della<br />

<strong>città</strong> contemporanea. La conoscenza dello stato dell’arte della ricerca <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica, nella<br />

panoramica svolta da Massimo Clemente, stabilisce il punto di partenza certo e consapevole del percorso<br />

di studio. Impostato il criterio metodologico ed individuate le parole chiave che fungono da<br />

filtro e criterio aggregativo, si è scelta la rete quale campo d’indagine. Il web è la fonte privilegiata,<br />

perché simultanea e dinamica, per individuare, classificare e gerarchizzare i centri di ricerca,<br />

formazione e sperimentazione. Il riscontro delle fonti consente di inquadrare i progetti, le attività, i<br />

prodotti e di metterli in relazione logica, finalizzata e costruttiva, deducendone gli elementi utili per<br />

la messa a punto di nuove strategie e metodologie d'intervento.<br />

2.1 L’INDAGINE SUI CENTRI DI RICERCA<br />

2.1.1 Le finalità e i contenuti del censimento<br />

La <strong>città</strong> è l’habitat elettivo dell’uomo contemporaneo, nelle aree urbane vive la maggior<br />

parte della popolazione mondiale e l’uomo può, oggi, definirsi un “essere urbano”.<br />

Il tema della convivenza urbana non è nuovo perché la <strong>città</strong> e, da sempre, luogo di coesistenza<br />

delle diversità sociali, economiche e culturali. La globalizzazione ha intensificato i fenomeni<br />

migratori e, in ambito urbano, ha amplificato i contrasti tra le diversità portando all’attenzione<br />

della comunità scientifica i fenomeni conseguenti, dalla discriminazione ai conflitti etnici.<br />

Queste problematiche sono state studiate soprattutto dalle scienze sociali ed economiche, solo<br />

nell’ultimo decennio anche l’urbanistica ha iniziato ad approfondire le trasformazioni urbane e<br />

territoriali indotte dalle migrazioni.<br />

La conoscenza dello stato dell’arte della ricerca <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica è il punto di partenza<br />

obbligato per individuare percorsi di studio nuovi, che contribuiscano teoricamente ed operativamente<br />

alla costruzione di <strong>città</strong> per la convivenza civile e colta delle diversità.<br />

Il dinamismo del fenomeno ha suggerito di verificare lo stato dell’arte tramite internet,<br />

consultando i siti dei centri di ricerca e documentazione che, nel mondo, affrontano i temi delle<br />

migrazioni, della multiculturalità, delle discriminazioni razziali, della <strong>città</strong> multietnica.<br />

Visitando oltre seicento siti, se ne sono selezionati duecentouno e sono state formate sei<br />

classi: centri che hanno ricerche specifiche <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica (17); centri che affrontano il<br />

tema ma non hanno progetti dedicati (16); centri che l’affrontano in modo trasversale (33); altri<br />

centri di ricerca su migrazioni e multietnia (61); centri di statistica e documentazione (50); altri siti<br />

sul fenomeno in Italia (24).<br />

L’approfondimento dello scenario italiano ha rivelato una vivacità culturale e scientifica di<br />

carattere generale <strong>sulla</strong> multietnia e la presenza di centri di ricerca qualificati ma con un approccio<br />

prevalentemente sociologico. Nello specifico disciplinare dell’urbanistica, di particolare rilievo<br />

sono le iniziative di ricerca e formazione della Fondazione Aldo Della Rocca.<br />

Passando ad una visione mondiale, la ricerca è più presente nei paesi con una storia multirazziale<br />

e/o colonialistica ma anche nei paesi con una maggiore sensibilità al rispetto delle diversità:<br />

Regno Unito, USA, Canada, Svezia, Australia, Finlandia, Olanda, Francia.<br />

57<br />

LA RICERCA<br />

SULLA CITTÀ MULTIETNICA:<br />

LO STATO DELL’ARTE


58<br />

CAPITOLO 2<br />

I gruppi di ricerca sono quasi sempre multidisciplinari, ma l’approccio urbanistico è limitato<br />

e si riscontra soprattutto in Canada, Francia, USA e Olanda.<br />

Le prospettive di ricerca per l’urbanistica sono ampie e possono contribuire alla messa a<br />

punto di strategie e strumenti d’intervento per migliorare le <strong>città</strong> contemporanee e renderle il<br />

luogo della convivenza pacifica dei diversi.<br />

2.1.2 I criteri di classificazione e gerarchizzazione<br />

La composizione e ri-composizione multietnica delle grandi <strong>città</strong> del mondo è un fenomeno<br />

che affonda le radici nel passato perché la <strong>città</strong>, per sua natura, amalgama le diversità ed è<br />

luogo di multiculturalità. Nell’età contemporanea questo carattere urbano si è rafforzato, dopo la<br />

seconda guerra mondiale, ed ha raggiunto dimensioni notevolissime, negli ultimi venti anni.<br />

Anche la convivenza multietnica non è un problema nuovo ma la società occidentale ne ha<br />

preso coscienza abbastanza recentemente, quando i conflitti etnici si sono spostati dai paesi poveri<br />

verso le metropoli dei paesi industrializzati. La guerriglia urbana del 2005 nelle banlieues parigine<br />

ha avuto di gran lunga maggiore visibilità mediatica rispetto alla lotte etniche in Africa centrale<br />

che, pure, hanno causato decine di migliaia di morti.<br />

Alcune nazioni moderne, come gli Stati Uniti d’America, il Canada e l’Australia, sono nate<br />

multietniche, accogliendo popoli che venivano da paesi del vecchio continente e che competevano<br />

per affermare ciascuno la propria cultura, distruggendo o quasi le culture indigene preesistenti.<br />

Nel XX secolo, in Europa, le nazioni colonialiste ricevettero ondate crescenti d’immigrati che<br />

raggiungevano il Regno Unito, la Francia, l’Olanda ed il Belgio, dalle rispettive colonie.<br />

All’attualità, la globalizzazione economica, il crescente divario tra i ricchi ed i poveri del<br />

mondo, la contrazione spazio-temporale delle distanze tra i continenti e le nazioni, sono tutti fenomeni<br />

che favoriscono le migrazioni di popoli alla ricerca di migliori condizioni di vita. L’estrema<br />

povertà spinge uomini e donne alla ricerca di una dignità d’esistenza, spezzando famiglie e troncando<br />

affetti. Negli scenari più drammatici, conflitti e carestie costringono milioni di esseri umani<br />

a spostarsi per sfuggire alla guerra ed alla fame e poter, così, sopravvivere.<br />

La mobilità umana produce nuovi compositi gruppi di uomini e donne molto diversi tra<br />

loro che abitano <strong>città</strong> sempre più divise, escludenti a livello sociale e segreganti a livello spaziale.<br />

L’interesse dei ricercatori, come spesso accade o dovrebbe accadere, ha preceduto l’attenzione<br />

del grande pubblico, degli amministratori locali e dei governanti e si è manifestato già dagli<br />

anni Cinquanta dello scorso secolo. Il fenomeno è stato indagato ampiamente sul piano sociologico<br />

ed antropologico, sociale ed economico, producendo un ampia letteratura scientifica grazie<br />

al lavoro di numerosi studiosi e gruppi di ricerca, nei diversi paesi del mondo. Meno attenta è<br />

stata la ricerca urbanistica ed architettonica che, solo da alcuni anni, ha preso coscienza del problema<br />

dallo specifico punto di vista disciplinare, per analizzare il fenomeno sotto una diversa luce<br />

e studiare soluzioni spaziali e funzionali per <strong>città</strong> sempre più multietniche.<br />

La conoscenza di quanto si è fatto in ambito accademico e scientifico, come sempre, è il<br />

punto di partenza anche di questo percorso di conoscenza sugli spazi e sulle funzioni dell’aggregazione<br />

e dell’integrazione per la costruzione, nella <strong>città</strong> multietnica, di convivenze civili e colte.<br />

L’indagine ha avuto, quale obiettivo, l’individuazione e la schedatura dei principali centri<br />

pubblici e privati che, nel mondo, svolgono attività di ricerca e documentazione <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica.<br />

In particolare, si volevano conoscere quelle organizzazioni che studiano i fenomeni migratori,<br />

la multiculturalità e la multietnicità con specifico riferimento agli impatti <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> e sul territorio.<br />

La scelta di delineare lo stato dell’arte attraverso l’individuazione dei centri di ricerca e la<br />

disamina delle loro attività scientifiche, formative e di divulgazione è stata suggerita dal dinamismo<br />

del fenomeno migratorio.<br />

La globalizzazione e l’interdipendenza mondiale dei fenomeni favoriscono ed accelerano gli<br />

spostamenti di uomini e donne, di gruppi etno-culturali, dei popoli. Le <strong>città</strong> vedono trasformarsi,<br />

giorno dopo giorno, le comunità che le abitano e che diventano sempre più articolate e complesse.<br />

Non può esistere una letteratura scientifica consolidata che descriva queste trasformazioni frenetiche<br />

ma è possibile conoscere, quasi in tempo reale, tendenze, ricerche, convegni ed iniziative sul<br />

nascere, all’origine, nelle istituzioni che generano la conoscenza <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica.


Fig. 1 - La metodologia di selezione, classificazione e schedatura dei centri di ricerca e documentazione <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica<br />

nel mondo.<br />

Tramite internet, sono state individuate le web pages dei centri di ricerca, utilizzando i principali<br />

i motori di ricerca internazionali con una serie di parole chiave in italiano, inglese e francese<br />

relative al tema oggetto d’interesse: multietnia, multiculturalismo, migrazioni, ecc. Ciascuna pagina<br />

individuata, a sua volta, ha reso disponibili ulteriori links consentendo di aprire un’ampissima<br />

panoramica.<br />

Sono state aperte e consultate oltre seicento home page attraverso le quali si sono selezionati<br />

duecentouno centri di ricerca, documentazione, formazione ed informazione, distribuiti nei<br />

cinque continenti.<br />

La classificazione è stata articolata in sei gruppi, in funzione degli obiettivi specifici della<br />

nostra ricerca ma anche pensando ad una base di conoscenza da rendere disponibile alla comunità<br />

scientifica ed agli stakeholders. Si sottolinea che le classi sono determinate dalla pertinenza al<br />

tema della <strong>città</strong> multietnica dal punto di vista urbanistico assolutamente non dalla valutazione<br />

delle attività scientifiche.<br />

La prima classe comprende quei centri di ricerca che hanno progetti dedicati al tema della<br />

<strong>città</strong> multietnica ed un’impostazione anche multidisciplinare ma con una decisa connotazione urbanistica.<br />

Nella seconda classe si sono selezionati quei centri di ricerca che affrontano il tema<br />

della <strong>città</strong> multietnica anche se non hanno progetti mirati e di urbanistica.<br />

La terza classe, raccoglie i centri di ricerca che affrontano le problematiche della <strong>città</strong> multietnica<br />

in modo trasversale, nell’ambito di studi e progetti a carattere multidisciplinare o con prevalenza<br />

delle scienze sociali. Nella quarta classe si collocano i centri di ricerca che, nel mondo, sviluppano<br />

studi e progetti sulle migrazioni e la multietnia, utili per delineare il quadro sociale, economico<br />

e culturale in cui prende forma la <strong>città</strong> multietnica.<br />

La quinta classe comprende i principali istituti di statistica e centri di documentazione che,<br />

a livello nazionale ed internazionale, rendono disponibili dati sulle migrazioni e sugli impatti che<br />

ne risultano. Infine, una particolare attenzione è stata dedicata all’Italia individuando, nella sesta<br />

classe, i principali siti non censiti nei precedenti gruppi e dedicati al fenomeno migratorio nel nostro<br />

paese, alle dimensioni demografica, economica, culturale, religiosa, politica, ecc.<br />

La suddivisione in classi dei centri di ricerca<br />

Classe 1 - Centri di ricerca che hanno progetti dedicati al tema della <strong>città</strong> multietnica<br />

Classe 2 - Centri di ricerca che trattano di <strong>città</strong> multietnica ma non hanno progetti dedicati al tema<br />

Classe 3 - Centri di ricerca che affrontano il tema <strong>città</strong> multietnica in modo trasversale<br />

Classe 4 - Altri centri di ricerca e documentazione su migrazioni e multietnia<br />

Classe 5 - Istituti e centri di documentazione e di statistica internazionali e nazionali<br />

Classe 6 - Altri siti dedicati alle problematiche migratorie e multiculturali in Italia<br />

59<br />

LA RICERCA<br />

SULLA CITTÀ MULTIETNICA:<br />

LO STATO DELL’ARTE


60<br />

CAPITOLO 2<br />

Il passaggio selettivo di censimento e classificazione delle istituzioni che svolgono attività<br />

di ricerca scientifica <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica con l’approccio urbanistico, diretto o indiretto, ha determinato<br />

il gruppo di sessantasei centri di classe 1,2,3, di seguito riportati in ordine alfabetico.<br />

I sessantasei centri di ricerca e formazione <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica individuati,<br />

classificati e schedati<br />

01) Academy for Migration Studies in Denmark - AMID, Aalborg University, Aalborg, Denmark<br />

02) Agence pour le Développement des Relations Interculturelles - ADRI, Paris, France<br />

03) Atlantic Metropolis Centre - AMC, Halifax, Canada<br />

04) Center for Ethnic and Migration Studies - CEDEM, Institute for Human and Social Sciences,<br />

University of Liège, Liège, Belgium<br />

05) Center for Immigration Research - CIR, University of Houston, Houston, Texas<br />

06) Center for Law on Immigration and Asylum - CLIA, University of Konstanz, Konstanz, Germany<br />

07) Center for Migration Law - CML, University of Nijmegen, Nijmegen, The Netherland<br />

08) Center for Migration Studies - CMS, New York, USA<br />

09) Center for Refugees Studies - CRS, York University, Toronto, Canada<br />

10) Center for Research in International Migration and Ethnicity - CEIFO, Stockholm University,<br />

Stockholm, Sweden<br />

11) Center on Migration, Policy and Society - COMPAS, University of Oxford, England UK<br />

12) Centre d’Etudes Ethniques des Universités Montréalaises - CEETUM, Montreal, Canada<br />

13) Centre for Immigration & Multicultural Studies - CIMS, Australian National University, Canberra,<br />

Australia<br />

14) Centre for Intercultural Studies - CIS, University of Vienna and Klagenfurt University, Wien, Austria<br />

15) Centre for Migration Research - CSERPE, Basel, Switzerland<br />

16) Centre for Migration Studies - CIEMI, Paris, France.<br />

17) Centre for Multiethnic Research - CMR, Uppsala University, Uppsala, Sverige<br />

18) Centre for Research in Ethnic Relations - CRER, University of Warwick, Coventry, England UK<br />

19) Centre for Research on Ethnic Relations and Nationalism - CEREN, University of Helsinki, Helsinky,<br />

Finland<br />

20) Centro Ricerche e Servizi per l’Immigrazione - CRSI, Prato, Italia<br />

21) Centro Studi Emigrazione Roma - CSER, Roma, Italia<br />

22) Centro Studi Immigrazione - CESTIM, Verona, Italia<br />

23) Centro Studi Investimenti Sociali - CENSIS, Roma, Italia<br />

24) Commission for Racial Equality - CRE, London, England UK<br />

25) Dipartimento di Studi Geoeconomici, Statistici, Storici per l’Analisi Regionale - DSGSSAR, Università<br />

La Sapienza, Roma, Italia<br />

26) Dossier Statistico Immigrazione Caritas Migrantes - IDOS, Caritas Migrantes, Roma, Italia<br />

27) Electronic Immigration Network - EIN, Manchester, England UK<br />

28) European Centre for Minority Issues - ECMI, Flensburg, Germany<br />

29) European Centre for Social Welfare Policy and Research - ECSWPR, Wien, Austria<br />

30) European Forum for Migration Studies - EFMS, Otto Friedrich University, Bamberg, Germany<br />

31) European Migration Centre - EMC, Berlin, Germany<br />

32) European Monitoring Centre on Racism and Xenophobia - EUMC, Wien, Austria<br />

33) European Research Centre on Migration & Ethnic Relations - ERCOMER, Utrecht University, Utrecht,<br />

The Netherlands<br />

34) Federation of Ethnic Communities’ Councils of Australia - FECCA, Canberra, Australia<br />

35) Fondazione Aldo Della Rocca - FADR, Roma, Italia<br />

36) Fondazione Giovanni Michelucci - FGM, Firenze, Italia<br />

37) Fondazione per le Iniziative e lo Studio <strong>sulla</strong> Multietnicità - ISMU, Milano, Italia<br />

38) Forum Internationale ed Europeo di Richerche sull’Immigrazione - FIERI, Torino, Italia<br />

39) Immigrant-Institutet - IMMI, Borås, Sweden<br />

40) Immigration and Metropolis - IM, Inter-University Research Centre of Montreal on Immigration,<br />

Integration and Urban Dynamics, Montreal, Canada<br />

41) Initiative on Conflict Resolution and Ethnicity - INCORE, United Nations University, University of<br />

Ulster, Londonderry, Northern Ireland UK<br />

42) Institut National d’Etudes Démographiques - INED, Paris, France<br />

43) Institute for Migration and Ethnic Studies - IMES, Universiteit van Amsterdam, Amsterdam, The<br />

Netherlands<br />

44) Institute for Multicultural Development - FORUM, Utrecht, The Netherlands<br />

45) Institute for Research on Race and Public Policy - IRRPP, University of Illinois, Chicago, USA


segue I sessantasei centri di ricerca e formazione <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica individuati,<br />

classificati e schedati<br />

46) Institute of Geographical Research - IGR, Hungarian Academy of Sciences, Budapest, Hungary<br />

47) International Centre for Migration Policy Development - ICMPD, Wien, Austria<br />

48) International Migration and Ethnic Relations - IMER, University of Bergen, Bergen, Norway<br />

49) Joint Centre of Excellence for Research on Immigration and Settlement - CERIS, Toronto, Canada<br />

50) La Città Multietnica - CM, Comune di Bologna, Italia<br />

51) Metropolis Institute - MI, Ottawa, Canada<br />

52) Migration Policy Institute - MPI, Washington DC, USA<br />

53) Migration, Cities and Minorities - MCM, Centro de Estudos Geográficos CEG, University of Lisbon,<br />

Lisbon Portugal<br />

54) Migrations Internationales, Espaces et Sociétés - MIGRINTER, CNRS, Universités de Poitiers et de<br />

Bordeaux 3, Poitiers, France<br />

55) National MultiCultural Institute - NMCI, Washington DC, USA<br />

56) Office of Population Research - OPR, Princeton University, Princeton, USA<br />

57) Organismo Nazionale di Coordinamento per le politiche di integrazione sociale dei cittadini stranieri<br />

a livello locale - ONC, Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, Roma, Italia<br />

58) Prairie Centre of Excellence for Research on Immigration and Integration - PCERII, University of<br />

Alberta, Edmonton, Canada<br />

59) Research on Immigration and Integration in the Metropolis - RIIM, Vancouver, Canada<br />

60) Scalabrini International Migration Institute - SIMI, Roma, Italia<br />

61) Society for the Study of Ethnic Relations and International Migration - ETMU, University of Helsinki,<br />

Helsinki, Finland<br />

62) SociNova/Migration - SNM, University of Lisbon, Lisbon, Portugal.<br />

63) Sussex Centre for Migration Research - SCMR, University of Sussex, Brighton, England UK<br />

64) Swiss Forum for Migration and Population Studies - SFM, University of Neuchâtel, Neuchâtel,<br />

Switzerland<br />

65) Unité de Recherche Migrations et Société - URMIS, Paris, France<br />

66) Urbanisation, Culture et Société - UCS, Institute National de la Recherche Scientifique, Université<br />

du Quebéc, Montreal-Quebéc, Canada<br />

La caratterizzazione dei sessantasei centri di ricerca di classe 1, 2, 3 è stata analizzata e rappresentata<br />

con l’assegnazione di cinque parole chiave scelte fra quaranta. Di ciascun centro si è<br />

memorizzato l’indirizzo web per i successivi accessi e l’e-mail per gli eventuali contatti privilegiando,<br />

nell’ordine, la versione italiana e quella inglese, in assenza si è scelta la lingua del paese<br />

d’appartenenza.<br />

Parole chiave utilizzate per la schedatura dei centri di ricerca di classe 1, 2, 3<br />

01. alloggio;<br />

02. aree metropolitane;<br />

03. asilo e rifugiati;<br />

04. attività produttive;<br />

05. attrezzature collettive;<br />

06. centri storici;<br />

07. <strong>città</strong> diffusa;<br />

08. cittadinanza;<br />

09. clandestini;<br />

10. diritto;<br />

11. documentazione;<br />

12. educazione e istruzione;<br />

13. esclusione/inclusione sociale;<br />

14. formazione;<br />

15. genere;<br />

16. governance;<br />

17. identità culturali;<br />

18. identità urbane;<br />

19. integralismi e conflittualità;<br />

20. lavoro;<br />

21. lingue;<br />

22. nuove tecnologie tlc;<br />

23. partecipazione;<br />

24. periferie;<br />

25. pianificazione territoriale e urbanistica;<br />

26. piccoli centri;<br />

27. politiche per l’immigrazione;<br />

28. politiche urbane;<br />

29. povertà urbana;<br />

30. progettazione architettonica;<br />

31. progettazione urbana;<br />

32. razzismo e discriminazione;<br />

33. religioni;<br />

34. segregazione/integrazione spaziale;<br />

35. servizi urbani;<br />

36. sostenibilità;<br />

37. sport;<br />

38. strumenti d’intervento;<br />

39. strumenti per la conoscenza;<br />

40. unità di vicinato;<br />

61<br />

LA RICERCA<br />

SULLA CITTÀ MULTIETNICA:<br />

LO STATO DELL’ARTE


62<br />

CAPITOLO 2<br />

Il successivo approfondimento è stato realizzato solo per i centri di ricerca classificati nel<br />

primo gruppo, perché potevano vantare progetti di ricerca urbanistica specifici sul tema della<br />

<strong>città</strong> <strong>interetnica</strong>. La schedatura dei centri di classe 1, nel dettaglio, ha rilevato: l’identità (denominazione<br />

ufficiale del centro di ricerca), la specificità (attraverso le cinque parole chiave), la tipologia<br />

(centro di ricerca, organizzazione di studi no profit, istituto di ricerca, ecc.), l’attività (descrizione<br />

delle attività tratta dai documenti ufficiali reperiti <strong>sulla</strong> rete), il focus (rilevanza per il tema<br />

specifico della “<strong>città</strong> <strong>interetnica</strong>”), le attività di ricerca <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica (progetti di ricerca<br />

conclusi e in corso di svolgimento), le attività di formazione <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica (corsi di laurea<br />

e formazione post laurea), le pubblicazioni specifiche (che illustrano i risultati delle ricerche e<br />

delle attività formative sul tema), le pagine internet di riferimento, i contatti.<br />

2.2 LO STATO DELL’ARTE DELLA RICERCA<br />

2.2.1 La ricerca in urbanistica per la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong><br />

La ricerca urbanistica <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica è portata avanti, nei diciassette centri di classe<br />

1 individuati, attraverso studi specialistici e progetti dedicati. Questi principali centri, le attività, le<br />

produzioni scientifiche sono descritti nel dettaglio, di seguito, secondo lo schema messo a punto<br />

nella metodologia di cui al precedente paragrafo.<br />

Identità: Centre d’Etudes Ethniques des Universités Montréalaises - CEETUM, Montreal,<br />

Canada<br />

Classe: 1<br />

Parole chiave: Cittadinanza, esclusione/inclusione sociale, educazione e istruzione, alloggio, unità di vicinato.<br />

Tipologia: Centro interuniversitario di ricerca.<br />

Attività: Centro che svolge attività di ricerca e formazione interdisciplinare e che riunisce ricercatori<br />

di diverse strutture (Université de Montréal, INRS-Urbanisation, Culture et<br />

Société, Université du Québec à Montréal, McGill University, Concordia, Université de<br />

Sherbrooke). Offre assistenza ai visiting professor e ai giovani ricercatori che vogliano<br />

svolgere approfondimenti <strong>sulla</strong> multietnia in Canada. Organizza convegni, seminari, attività<br />

formative e la diffusione dei risultati avviene attraverso pubblicazioni, in francese<br />

e in inglese, e via internet. È articolato in unità di ricerca: Ethnic Relations Chair, Heritage<br />

Language Centre, Research Group on Ethnicity and Society, Research Group on<br />

Ethnicity and Adaptation to Pluralism in Education, Research Program on Racism and<br />

Discrimination, City/Neighbourhood Research Team.<br />

Focus: Il City/Neighbourhood Research Team studia l’integrazione degli immigrati e le trasformazioni<br />

dello spazio urbano nella regione metropolitana di Montreal.<br />

Ricerca: Si segnalano tre progetti di ricerca che riguardano la <strong>città</strong> multietnica: residenza e unità<br />

di vicinato per gli immigrati, dinamiche associative nelle migrazioni internazionali,<br />

gestione delle diversità a livello locale.<br />

Formazione: Corsi di laurea e formazione post laurea con specifico riferimento alla <strong>città</strong> ed alle<br />

problematiche multietniche.<br />

Pubblicazioni: Germain A. (2002),“La culture urbaine au pluriel? Métropole et ethnicité” in Lemieux D.<br />

(dir.) (2002), Traité de la culture. Le Québec. Son patrimoine, ses modes de vie et ses productions<br />

culturelles, Presses de l’Université Laval, Laval.<br />

Internet: http://www.ceetum.umontreal.ca/english/home.htm<br />

Contatti: Annick Germain, Director of The City/Neighbourhood Research Team<br />

annick_germain@inrs-urb.uquebec.ca


Identità: Centre for Intercultural Studies - CIS, University of Vienna and Klagenfurt<br />

University, Wien, Austria<br />

Classe: 1<br />

Parole chiave: Identità culturali, aree metropolitane, esclusione/inclusione sociale, cittadinanza, politiche<br />

urbane.<br />

Tipologia: Centro universitario di ricerca.<br />

Attività: Il centro, che collabora con il Consiglio d’Europa, ha operato come rete dal 1989 al 1999,<br />

quando si è costituito come struttura dell’Università di Klagenfurt.<br />

I ricercatori del CIS privilegiano la dimensione culturale della multietnicità approfondendo<br />

il ruolo dei media, i diritti umani, la pace, l’integrazione.<br />

La promozione di iniziative multiculturali è completata dal monitoraggio e dalla valutazione<br />

dei risultati attraverso l’organizzazione di progetti di ricerca, conferenze e seminari<br />

internazionali. Approfondimenti e sperimentazioni sul campo sono sviluppati, in<br />

particolare, nei paesi dell’Europa sudorientale e orientale.<br />

Focus: Gli aspetti culturali delle multietnia sono approfonditi quali elementi caratterizzanti le<br />

metropoli europee.<br />

Ricerca: Ha partecipato come partner al progetto “Changing City Spaces. New challenges to cultural<br />

policy in Europe”, sviluppato nell’ambito del Quinto Programma Quadro RST<br />

dell’Unione Europea.<br />

Formazione: Nessuna specifica.<br />

Pubblicazioni: Nessuna specifica.<br />

Internet: http://cis.uni-klu.ac.at<br />

Contatti: Brigitta Busch, Head of the Centre<br />

brigitta.busch@uni-klu.ac.at<br />

Identità: Fondazione Aldo Della Rocca - FADR, Roma, Italia<br />

Classe: 1<br />

Parole chiave: Identità culturali, segregazione/integrazione spaziale, strumenti per la conoscenza,<br />

formazione, pianificazione territoriale e urbanistica.<br />

Tipologia: Organizzazione di studi no profit.<br />

Attività: La Fondazione è un ente morale di studi di urbanistica che promuove, dal 1954, la ricerca<br />

e la riflessione culturale attraverso convegni, pubblicazioni e concorsi per sostenere<br />

l’attività di studiosi meritevoli.<br />

Ventitré concorsi, nell’arco di oltre cinquant’anni, hanno consentito di sostenere ricerche<br />

monografiche su temi di grande rilevanza, pubblicati nella collana di “Studi urbanistici”,<br />

a cui si affiancano le collane “Atti convegni e ricorrenze”, “Ricerca e documentazione”<br />

e “Ristampe anastatiche”.<br />

Negli ultimi anni, le attività si sono intensificate e l’attenzione si è concentrata sul tema<br />

della <strong>città</strong> multietnica-<strong>interetnica</strong>, coinvolgendo centinaia di rappresentanti della comunità<br />

scientifica, delle istituzioni, della società civile, delle religioni, le cui riflessioni<br />

sono state raccolte nei volumi e in alcune ore di video interviste.<br />

La Fondazione ha realizzato importanti ed innovative attività di ricerca e formazione<br />

universitaria e post-universitaria sul tema della <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> cablata. È stata promossa<br />

una rete di Centri regionali di ricerca facenti capo al Centro Studi U.r.b.i.s. et<br />

O.r.b.i.s.<br />

Focus: La Fondazione ha stimolato, in Italia, l’attenzione degli studiosi di urbanistica sul tema<br />

della <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> attraverso convegni e pubblicazioni, collaborando con università,<br />

istituti culturali e enti di ricerca e promovendo un corso di laurea dedicato.<br />

Ricerca: L’attività di promozione e collegamento scientifico si è concretizzata attraverso numerose<br />

giornate di studio che, a partire dal 2002, hanno stimolato un’ampia rete di studiosi<br />

all’approfondimento. I risultati progressivamente maturati sono stati diffusi dalla<br />

Fondazione attraverso nuovi incontri, pubblicazioni, video, internet. In tale ambito è<br />

stata attivata l’Unità di ricerca CNR presso l’Università “Federico II” di Napoli.<br />

63<br />

LA RICERCA<br />

SULLA CITTÀ MULTIETNICA:<br />

LO STATO DELL’ARTE


64<br />

CAPITOLO 2<br />

Formazione: Primo corso sperimentale di alta formazione “Pianificazione e governo delle trasformazioni<br />

nella <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> europea” (2004), secondo corso di alta formazione per<br />

“Manager della <strong>città</strong> cablata e <strong>interetnica</strong>” (2005), primo corso di laurea magistrale in<br />

“Pianificazione territoriale ambientale - Governo delle trasformazioni urbane per la <strong>città</strong><br />

europea <strong>interetnica</strong> cablata” (in corso di attivazione)<br />

Pubblicazioni: Beguinot C. (a cura di) (2003), Città di genti e culture, da “Megaride ’94” alla <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong><br />

(Europea), Giannini Editore, Napoli. Beguinot C. (a cura di) (2004), Città di genti e culture,<br />

da “Megaride ’94” alla <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> (Europea), Giannini Editore, Napoli. Beguinot<br />

C. (a cura di) (2005), La formazione dei Manager per la <strong>città</strong> dei diversi. Città di genti e culture:<br />

Da “Megaride 94” alla <strong>città</strong> europea cablata e <strong>interetnica</strong>, Giannini Editore, Napoli.<br />

Beguinot C. (a cura di) (2006), La formazione dei manager governo delle trasformazioni urbane<br />

Città <strong>interetnica</strong> cablata, Giannini Editore, Napoli. Beguinot C. (a cura di) (2008),<br />

Genetica e destino di un percorso. Città cablata Carta di Megaridi, ’94 Città Europea<br />

Interetnica, Giannini Editore, Napoli.<br />

I volumi sono completati da DVD che raccolgono alcune ore di interviste <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica<br />

a numerosi personaggi della cultura italiana ed europea.<br />

Internet: http://www.fondazionedellarocca.it<br />

Contatti: Corrado Beguinot, Presidente della Fondazione<br />

fond.adr@beguinot.it<br />

Identità: Fondazione Giovanni Michelucci - FGM, Firenze, Italia<br />

Classe: 1<br />

Parole chiave: Identità culturali, segregazione/integrazione spaziale, progettazione urbana, pianificazione<br />

territoriale e urbanistica, alloggio.<br />

Tipologia: Organizzazione di studi no profit.<br />

Attività: Istituzione fondata nel 1982 e preceduta dal Centro Studi La Nuova Città a Fiesole e dal<br />

Centro di documentazione Giovanni Michelucci a Pistoia. Ha raccolto l’eredità culturale<br />

dell’architetto e urbanista toscano, divenendo un centro di documentazione e di ricerca<br />

su architettura e urbanistica, con una forte attenzione agli aspetti sociali.<br />

L’attività di documentazione è centrata sull’opera di Michelucci, mentre l’attività editoriale<br />

testimonia la significativa attività di ricerca che è completata da iniziative formative.<br />

I temi privilegiati dalla Fondazione sono: architettura e urbanistica, abitare urbano, convivenza<br />

urbana, <strong>città</strong> e carcere. Lo spazio è la chiave interpretativa e valutativa delle trasformazioni<br />

sociali, l’attenzione è concentrata sull’habitat sociale e sul rapporto fra spazio<br />

e società.<br />

Il tema della <strong>città</strong> multietnica è affrontato in termini di convivenza urbana ed è sviluppato<br />

attraverso l’approfondimento delle diverse culture abitative, dell’emarginazione<br />

degli immigrati e del loro isolamento spaziale.<br />

Focus: Il contributo originale al tema è ben espresso dalla “Carta della progettazione interculturale”<br />

che contiene i principi per una <strong>città</strong> plurale e ospitale, le politiche e le azioni.<br />

Ricerca: Il filone di ricerca “Convivenza urbana” si articola in: Le culture dell’abitare, Carta della<br />

progettazione interculturale, Gli immigrati e l’abitare, Immigrazione e convivenza, I<br />

campi nomadi: l’urbanistica del disprezzo.<br />

Formazione: Il Campus di studio e formazione “Le culture dell’abitare” (2000), in collaborazione con il<br />

Dipartimento Istruzione e Cultura della Regione Toscana, ha prodotto la “Carta della<br />

progettazione interculturale”.<br />

Pubblicazioni: Marcetti C. et al. (1995), Il colore dello spazio. Habitat sociale e immigrazione in Toscana,<br />

Angelo Pontecorboli Editore, Firenze. Marcetti C., Solimano N. (2001), Immigrazione, convivenza<br />

urbana, conflitti locali, Angelo Pontecorboli Editore, Firenze.<br />

Internet: http://www.michelucci.it<br />

Contatti: fondazione.michelucci@michelucci.it


Identità: Immigration and Metropolis - IM, Inter-University Research Centre of Montreal on<br />

Immigration, Integration and Urban Dynamics, Montreal, Canada<br />

Classe: 1<br />

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, unità di vicinato, servizi urbani, cittadinanza.<br />

Tipologia: Centro interuniversitario di ricerca.<br />

Attività: Il Centro di ricerca fa parte dei cinque centri d’eccellenza istituiti dal progetto<br />

Metropolis, a partire dal 1995, in Canada, terra storicamente multietnica. È costituito da:<br />

Université de Montréal (UdeM), Institut national de recherche scientifique-<br />

Urbanisation, Culture et Société (INRS-UCS), McGill University (McGill).<br />

Al centro afferiscono oltre settanta ricercatori di diverse istituzioni del Québec che svolgono<br />

la loro attività interagendo con gli altri centri canadesi e degli altri quindici paesi<br />

in cui si sviluppa la rete di ricerca Metropolis International.<br />

Le metropoli contemporanee, in particolare canadesi, sono studiate per la caratterizzazione<br />

multietnica, ad un tempo, problema e risorsa.<br />

I filoni di ricerca comprendono gli aspetti demografici, economici e linguistici dell’immigrazione;<br />

la vita di quartiere, la mobilità residenziale, le reti sociali a la gestione delle<br />

risorse della comunità; l’educazione e la formazione; la salute e i servizi sociali, la sicurezza<br />

pubblica, la giustizia; la cittadinanza, la cultura e gli scenari sociali; l’osservatorio<br />

statistico sull’immigrazione.<br />

Il centro collabora con le istituzioni locali e governative del Québec e del Canada, con<br />

proficui risultati.<br />

Focus: L’unità di vicinato è studiata come livello ideale, nell’ambito delle metropoli multietniche,<br />

per analizzare i problemi dell’immigrazione e dell’integrazione culturale e per individuare<br />

le possibili soluzioni.<br />

Ricerca: Il filone di ricerca <strong>sulla</strong> vita di quartiere, la mobilità residenziale, le reti sociali e la gestione<br />

delle risorse della comunità, ha i seguenti temi specifici: “Cohabitation of ethnic<br />

groups, their interaction in public space and their participation in local and community<br />

institutions”, “Residential trajectories and residential mobility”, “Social networks and social<br />

integration, from casual neighbourliness to formal associative ties”,“Management of<br />

community resources”.<br />

Formazione: Nessuna specifica.<br />

Pubblicazioni: Apparicio P., Leloup X., Rivet P. (2006), La répartition spatiale des immigrants à Montréal:<br />

apport des indices de ségrégation résidentielle, Centre de recherche interuniversitaire de<br />

Montréal sur l’immigration, l’intégration et la dynamique urbaine, Montreal.<br />

Germain A. (2000) Des parcs au pluriel: penser la diversité dans l’aménagement des espaces<br />

publics. Allocution faite dans le cadre du Colloque “La diversité culturelle à travers la nature”,<br />

Centre de recherche interuniversitaire de Montréal sur l’immigration, l’intégration<br />

et la dynamique urbaine, Montreal.<br />

Germain A., Gagnon J.E. (2000), Civic Life, Neighbourhood Life: The Same Story?, Centre de<br />

recherche interuniversitaire de Montréal sur l’immigration, l’intégration et la dynamique<br />

urbaine, Montreal.<br />

Germain A. (2000) Immigrants and Cities: Does Neighborhood Matters?, Centre de recherche<br />

interuniversitaire de Montréal sur l’immigration, l’intégration et la dynamique urbaine,<br />

Montreal.<br />

Internet: http://im.metropolis.net<br />

Contatti: im-metropolis@umontreal.ca<br />

65<br />

LA RICERCA<br />

SULLA CITTÀ MULTIETNICA:<br />

LO STATO DELL’ARTE


66<br />

CAPITOLO 2<br />

Fig. 2 - Home page della Fondazione Aldo Della Rocca e copertine dei “Passaporti” e immagini dei corsi di alta formazione<br />

per i futuri manager della <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> cablata. Fonte: http://www.fondazionedellarocca.it.


Identità: Institute for Migration and Ethnic Studies - IMES, Universiteit van Amsterdam,<br />

Amsterdam, The Netherlands<br />

Classe: 1<br />

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, segregazione/integrazione spaziale, politiche<br />

per l’immigrazione, politiche urbane.<br />

Tipologia: Istituto universitario di ricerca.<br />

Attività: Istituto di ricerca interdisciplinare attivo sul tema dell’integrazione, dal 1994, con la cooperazione<br />

dei dipartimenti di antropologia, sociologia, scienze della comunicazione,<br />

scienze politiche, geografia economica, economia, diritto amministrativo, storia sociale<br />

ed economica. I progetti analizzano casi studio olandesi con particolare riferimento alla<br />

<strong>città</strong> di Amsterdam, studiata da una prospettiva internazionale.<br />

Si segnala la partecipazione programma UNESCO <strong>sulla</strong> comparazione delle <strong>città</strong> europee<br />

ed alla rete di ricerca Metropolis che ha come obiettivo l’approfondimento degli impatti<br />

dei fenomeni migratori sulle grandi <strong>città</strong>. Coordina l’European Network of Excellence<br />

“International Migration, Integration and Social Cohesion in Europe” (IMISCOE).<br />

Focus: La <strong>città</strong> è centrale nelle ricerche (anche se non sono sviluppate da urbanisti) in quanto<br />

è considerata il luogo dei conflitti ma anche il luogo dove è possibile realizzare l’integrazione<br />

multiculturale.<br />

Ricerca: “Multicultural policies and modes of citizenship in European cities” (1998-2003).“A longterm<br />

analysis of the development of migrant organisations and the ’political opportunity<br />

structure’ in two European cities” (2000-2004).“Immigration in the Netherlands and<br />

the role of the urban opportunity structure 1860-1960” (1998-2003, L. Lucassen).<br />

“Immigration, entrepreneurship and urban cultural diversity. A comparative study of<br />

’ethnic’ restaurants in Amsterdam, Sydney and Vancouver” (2001-2005).“Immigrant selfemployment,<br />

mixed embeddedness, and the multicultural city” (1999-2002).“The struggle<br />

for public space in multicultural cities” (PhD project) (2003-2007).“Youngsters in the<br />

multi ethnic city, contacts, lifestyle and identity” (PhD project) (2004-2008).<br />

Formazione: Master’s Degree Programme Migration and Ethnic Studies Summer Institute on<br />

International Migration, Ethnic Diversity and Cities.<br />

Masters Social Science with track Migration and Ethnic Studies<br />

Masters Social Policy and Social Work in Urban Areas<br />

Pubblicazioni: Alidair Rogers A., Tillie J. (2001), Multicultural Policies and Modes of Citizenship in<br />

European Cities, Ashgate, Aldershot.<br />

Kloosterman R. et al. (1999), “Mixed embeddedness. (In)formal economic activities and<br />

immigrant businesses in the Netherlands” in International Journal of Urban and Regional<br />

Research 23 (2) 253-267.<br />

Tillie J., Fennema M. (2000),“Municipal policies and structure of the Turkish community<br />

in Amsterdam. A network approach” in Proceedings of the International Conference<br />

Vienna, Austria, 1998 Migration and Sustainable Urban Development, 79-87, Vienna<br />

Municipal Department 18 - Urban Development and Planning.<br />

Internet: http://www2.fmg.uva.nl/imes<br />

Contatti: imes@fmg.uva.nl<br />

Fig. 3 - Home page del Institute for Migration and Ethnic<br />

Studies - IMES, Universiteit van Amsterdam, Amsterdam,<br />

The Netherlands. Fonte: http://www2.fmg.uva.nl/imes.A<br />

Fig. 4 - La Home page del Institute for Research on Race<br />

and Public Policy - IRRPP, University of Illinois, Chicago,<br />

USA. Fonte: http://www.uic.edu/cuppa/irrpp.<br />

67<br />

LA RICERCA<br />

SULLA CITTÀ MULTIETNICA:<br />

LO STATO DELL’ARTE


68<br />

CAPITOLO 2<br />

Identità: Institute for Multicultural Development - FORUM, Utrecht, The Netherlands<br />

Classe: 1<br />

Parole chiave: Esclusione/inclusione sociale, politiche per l’immigrazione, unità di vicinato, alloggio,<br />

educazione e istruzione.<br />

Tipologia: Centro governativo di competenza.<br />

Attività: FORUM è un centro di competenza attivo nel campo dello sviluppo multicuturale ed è<br />

sostenuto finanziariamente dal governo olandese, Dipartimento immigrazione e integrazione<br />

del Ministero di giustizia.<br />

L’istituto elabora ed attua, in collaborazione con gli enti locali, strategie per la soluzione<br />

di problemi sociali delle comunità multirazziali affinché a tutti sia garantita una piena<br />

cittadinanza.<br />

I settori d’interesse, legati ai fenomeni migratori, sono la coesione sociale, l’alloggio, la<br />

sicurezza, le politiche giovanili, l’istruzione, l’educazione, l’integrazione, la religione,<br />

l’emancipazione, l’identità, il diritto di cittadinanza.<br />

Presso FORUM è operativo il Centro di servizio per le politiche d’integrazione locale che<br />

collabora con le autorità locali per promuovere l’integrazione multietnica.<br />

Focus: Il quartiere è considerato il livello ideale per mettere a punto e sviluppare strategie di<br />

coesione sociale ed integrazione culturale delle comunità d’immigrati.<br />

Ricerca: “Workshops on Multicultural Neighbourhood Development”, esperienza di progettazione<br />

urbanistica e architettonica partecipata alla scala di quartiere.<br />

Formazione: Nessuna specifica.<br />

Pubblicazioni: Nessuna specifica.<br />

Internet: http://www.forum.nl<br />

Contatti: informatie@forum.nl<br />

Identità: Institute for Research on Race and Public Policy - IRRPP, University of Illinois,<br />

Chicago, USA<br />

Classe: 1<br />

Parole chiave: Razzismo e discriminazione, politiche urbane, pianificazione territoriale e urbanistica,<br />

servizi urbani, formazione.<br />

Tipologia: Istituto universitario di ricerca.<br />

Attività: L’IRRPP promuove e svolge attività di ricerca, insegnamento e di servizio su razza,<br />

etnicità e politiche pubbliche.<br />

Si colloca nel College of Urban Planning and Public Affairs e affronta i problemi urbani<br />

legati al lavoro, ai servizi sanitari, all’istruzione, alla crescita civile, al crimine, alla giustizia<br />

razziale.<br />

La comprensione delle diversità è vista come fondamento per definire strategie che<br />

favoriscano processi democratici multirazziali e multietnici.<br />

Le ricerche hanno privilegiato dapprima le comunità afroamericane di Chicago per poi<br />

allargare gli interessi alle altre minoranze, anche in altre, <strong>città</strong> americane e non.<br />

Il problema delle politiche d’integrazione è affrontato anche con riferimento alla pianificazione<br />

urbana.<br />

Focus: La ricerca e la formazione sono sviluppate anche con riferimento diretto alle politiche<br />

urbane ed ai temi della pianificazione urbanistica.<br />

Ricerca: Tra i dieci progetti di ricerca attivi si segnala “Race, Empowerment and Urban Policy”.<br />

Formazione: Nessun corso dedicato, ma i temi della <strong>città</strong> multietnica sono presenti nelle attività<br />

formative.<br />

Pubblicazioni: Nessuna specifica.<br />

Internet: http://www.uic.edu/cuppa/irrpp<br />

Contatti: msmiller@uic.edu


Identità: International Migration and Ethnic Relations - IMER, University of Bergen, Bergen,<br />

Norway<br />

Classe: 1<br />

Parole chiave: Identità culturali, segregazione/integrazione spaziale, politiche urbane, alloggio, cittadinanza.<br />

Tipologia: Associazione tra università ed ente pubblico di ricerca.<br />

Attività: L’IMER nasce dalla collaborazione tra l’Università di Bergen e il Norwegian Research<br />

Council con l’obiettivo di migliorare la conoscenza scientifica sulle migrazioni internazionali,<br />

in Europa e nel mondo, e sulle conseguenze delle emigrazioni e delle immigrazioni,<br />

nei paesi di provenienza e d’accoglienza.<br />

I settori d’interesse sono le identità culturali, gli studi urbani, le diversità sociali, i fattori<br />

relativi al genere, il diritto di cittadinanza, la mobilità migratoria, i rifugiati.<br />

La ricerca è multidisciplinare con prevalenza sociologica ma con specifica attenzione<br />

alla <strong>città</strong> europea, alla cittadinanza, agli spazi urbani. Gli spazi pubblici delle <strong>città</strong> europee<br />

vengono approfonditi in quanto luoghi dove la cittadinanza di tutti i diversi si realizza<br />

e si concretizza.<br />

Focus: Il centro è attivo negli studi urbani <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> plurale, le minoranze urbane, la vita degli<br />

immigrati, la segregazione residenziale, il rapporto tra globale e locale, la governance di<br />

<strong>città</strong> plurirazziali, la vita multiculturale della gioventù.<br />

Ricerca: “Diversity and the European Public Sphere: Towards a Citizens’ Europe - EUROSPHERE”<br />

(2006). “Diversity, Togetherness, and a Society in Change” (2002-05). “Migrants,<br />

Minorities, Belonging and Citizenship: Glocalization and Participation Dilemmas in the<br />

European Union and Small States”.<br />

Formazione: Attività seminariali.<br />

Pubblicazioni: Andersson M., Lithman Y., Sernhede O. (eds.) (2005), Youth, Otherness, and the Plural City:<br />

Modes of Belonging and Social Life, Daidalos, Gothenburg.<br />

Andersson M. (2005), Urban Multi-Culture in Norway: Identity Formation among<br />

Immigrant Youth, Edwin Mellen Press, New York.<br />

Internet: http://www.svf.uib.no/sfu/imer<br />

Contatti: imer@sfu.uib.no<br />

Identità: Joint Centre of Excellence for Research on Immigration and Settlement - CERIS,<br />

Toronto, Canada<br />

Classe: 1<br />

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, alloggio, unità di vicinato, documentazione.<br />

Tipologia: Associazione tra università ed enti locali.<br />

Attività: Consorzio di ricerca, costituito da università dell’area di Toronto, da partners degli enti<br />

locali e da enti governativi canadesi, che svolge attività di ricerca sui temi dell’immigrazione<br />

e della trasformazione degli insediamenti con specifico riferimento a Toronto ed<br />

al Canada. Il CERIS è uno dei cinque centri d’eccellenza canadesi della rete Metropolis.<br />

Promuove ricerche sull’impatto dell’immigrazione sull’area metropolitana di Toronto e<br />

sull’integrazione degli immigrati nella società canadese, offre opportunità di formazione<br />

e aggiornamento, diffonde risultati delle ricerche inerenti alle politiche ed ai programmi<br />

per gli immigrati.<br />

I filoni di ricerca del centro sono relativi a: cittadinanza, religione e cultura; comunità,<br />

quartiere e alloggio; dinamiche socio-economiche; educazione; sanità; giustizia e<br />

aspetti legali.<br />

Focus: La ricerca su comunità, quartiere e alloggio affronta i problemi degli immigrati negli<br />

insediamenti urbani e delinea concrete strategie e soluzioni.<br />

Ricerca: “Community, Neighbourhoods and Housing”.<br />

Formazione: Attività seminariali.<br />

69<br />

LA RICERCA<br />

SULLA CITTÀ MULTIETNICA:<br />

LO STATO DELL’ARTE


70<br />

CAPITOLO 2<br />

Pubblicazioni: Qadeer Mohammad A. (2003), Ethnic Segregation in a Multicultural City: The case of<br />

Toronto, Canada, CERIS Working Paper Series No. 28 October 2003.<br />

Murdie R.A., Teixeira C. (2000), Toward a Comfortable Neighbourhood and Appropriate<br />

Housing: Immigrant Experience in Toronto, CERIS Working Paper Series No. 10 March<br />

2000.<br />

Murdie R.A. (2005), Housing Affordability: Immigrant and Refugee Experiences, CERIS<br />

Policy Matters No. 17 April 2005.<br />

Omidvar R., Richmond T. (2005), Immigrant Settlement and Social Inclusion in Canada,<br />

CERIS Policy Matters No. 16 March 2005.<br />

Milroy B.M., Wallace M. (2004), Ethnoracial Diversity and Planning Practices in the Greater<br />

Toronto Area: Final Report, CERIS Policy Matters No. 12 November 2004.<br />

Doucet M. (2004), The Anatomy of an Urban Legend: Toronto’s Multicultural Reputation,<br />

CERIS Policy Matters No. 11 October 2004.<br />

Internet: http://ceris.metropolis.net<br />

Contatti: ceris.office@utoronto.ca<br />

Identità: Migration Policy Institute - MPI, Washington DC, USA<br />

Classe: 1<br />

Parole chiave: Politiche per l’immigrazione, asilo e rifugiati, documentazione, politiche urbane, pianificazione<br />

territoriale e urbanistica.<br />

Tipologia: Istituto di ricerca no profit.<br />

Attività: MPI è un’organizzazione indipendente non profit che si occupa dello studio dei fenomeni<br />

migratori nel mondo. I progetti di ricerca riguardano la gestione dei fenomeni migratori,<br />

la protezione dei rifugiati e gli aspetti umanitari, la situazione specifica nordamericana,<br />

gli insediamenti degli immigrati e l’integrazione (in collaborazione con<br />

l’Urban Institute).<br />

Si segnala la partecipazione alla rete di ricerca Metropolis che ha come obiettivo l’approfondimento<br />

degli impatti dei fenomeni migratori sulle grandi <strong>città</strong>. Notevole l’attività<br />

di documentazione attraverso il progetto “Migration Information Source” che rende<br />

disponibili on line informazioni e dati su quantità e qualità delle migrazioni organizzati<br />

per nazioni (http://www.migrationinformation.org).<br />

Focus: La dimensione urbanistica interviene attraverso la collaborazione con l’Urban Institute.<br />

Ricerca: Si segnalano i progetti di ricerca “Building the New American Community” (in collaborazione<br />

con l’Urban Institute) e “Immigrant Settlement, Integration, and Social<br />

Cohesion”.<br />

Formazione: Nessuna attività di formazione specifica.<br />

Pubblicazioni: Ray B. (2003), The Role of Cities in Immigrant Integration, Migration Policy Institute,<br />

Washington D.C. (USA). Ray B. et al. (2004), Immigrants and Homeownership in Urban<br />

America: An Examination of Nativity, Socio-economic Status and Place, Migration Policy<br />

Institute, Washington.<br />

Internet: http://www.migrationpolicy.org<br />

Contatti: Kathleen Newland, Director and Board Member<br />

knewland@migrationpolicy.org


Identità: Migration, Cities and Minorities - MCM, Centro de Estudos Geográficos CEG,<br />

University of Lisbon, Lisbon Portugal.<br />

Classe: 1<br />

Parole chiave: Identità urbane, aree metropolitane, esclusione/inclusione sociale, politiche urbane,<br />

governance.<br />

Tipologia: Centro universitario di ricerca.<br />

Attività: Il centro si occupa di migrazioni, trasformazioni urbane e governance in Europa, con<br />

particolare attenzione al Portogallo. L’attività di ricerca analizza l’impatto delle migrazioni<br />

sullo sviluppo, le diaspore e le comunità transnazionali.<br />

Le ricerche hanno carattere sia teorico sia applicato alla gestione territoriale, soprattutto<br />

nelle aree urbane.<br />

Il centro collabora con le istituzioni locali e nazionali, offrendo quadri di riferimento per<br />

politiche orientate allo sviluppo sostenibile, soprattutto dal punto di vista dell’ambiente<br />

sociale.<br />

I filoni di ricerca sono: processi di migrazione internazionale, interventi e conseguenze;<br />

migrazioni e sviluppo regionale; stati e <strong>città</strong>, politici e politiche, migrazione ed integrazione<br />

in una prospettiva comparata; immigrazione e trasformazioni urbane (spaziali demografiche,<br />

economiche, sociali, culturali).<br />

Focus: Il centro ha una linea di ricerca dedicata alle trasformazioni urbane indotte dai fenomeni<br />

migratori e, anche nelle altre ricerche, i temi urbanistici sono molto presenti.<br />

Ricerca: “European Migration Dialogue”.<br />

“Reinventing Portuguese Metropolises: Immigrants and Urban Governance”.<br />

“The Spatial Effects of Demographic Trends and Migration”.<br />

Formazione: Nessuna specifica.<br />

Pubblicazioni: Fonseca M.L., Malheiros J. (Coord.) (2005), Social Integration & Mobility: Education,<br />

Housing & Health, Imiscoe Cluster B5 State of the Art Report, Estudos para o<br />

Planeamento Regional e Urbano n. 67-2005, Centro de Estudos Geográficos,<br />

Universidade de Lisboa, Lisboa.<br />

Fonseca M.L. (2005), Migrações e Território, Colection: Estudos para o Planeamento<br />

Regional e Urbano n. 64-2005, Centro de Estudos Geográficos, Universidade de Lisboa,<br />

Lisboa.<br />

Fonseca M.L., Malheiros J., Ribas-Mateos N., White P., Esteves A. (2002), Immigration and<br />

Place in Mediterranean Metropolises, Luso-American Foundation (FLAD), Lisbon.<br />

Malheiros J.M. (2002), “Ethni-Cities: Residential Patterns in Northern European and<br />

Mediterranean Metropolises - Implications in Policy Design” International Journal of<br />

Population Geography, vol. 8.<br />

Internet: http://www.ceg.ul.pt/mcm<br />

Contatti: ceg@mail.telepac.pt 3<br />

Identità: Migrations Internationales, Espaces et Sociétés - MIGRINTER, CNRS, Universités de<br />

Poitiers et de Bordeaux 3, Poitiers, France<br />

Classe: 1<br />

Parole chiave: Politiche per l’immigrazione, esclusione/inclusione sociale, segregazione/integrazione<br />

spaziale, formazione, documentazione.<br />

Tipologia: Associazione tra università ed ente pubblico di ricerca.<br />

Attività: La collaborazione tra il Consiglio Nazionale delle Ricerche della Francia e le Università di<br />

Poitiers e Bordeaux ha generato quest’iniziativa di ricerca multidisciplinare sulle problematiche<br />

migratorie con particolare attenzione al rapporto tra spazio e società multietnica.<br />

Le linee di ricerca sono quattro: configurazioni migratorie: circolazione, transnazionalità,<br />

economie etniche; migrazioni, dinamiche e mobilità urbane; migrazioni forzate, diritto<br />

d’asilo, clandestini, irregolari, politiche migratorie; migrazioni e sviluppo, mondializza-<br />

71<br />

LA RICERCA<br />

SULLA CITTÀ MULTIETNICA:<br />

LO STATO DELL’ARTE


72<br />

CAPITOLO 2<br />

zione. Ad esse si aggiungono le due linee trasversali: diaspora e frontiere. Le aree geografiche<br />

di studio sono in Europa, Africa e Sud America.<br />

L’attività di ricerca è completata da attività editoriali, seminariali e di formazione post<br />

uiniversitarie. Si segnala la banca dati e bibliografica on line Migrinternet.<br />

Focus: I ricercatori di MIGRINTER hanno una particolare attenzione verso lo spazio come luogo<br />

delle differenziazioni e delle segregazioni urbane.<br />

Ricerca: “Migrations, dynamiques et mobilités urbaines”.<br />

Formazione: Master recherche “Migrations Internationales et Relations Interethniques” presso<br />

l’Università di Poitiers in collaborazione con l’Università Paris VII Denis Diderot.<br />

Pubblicazioni: Simon G. (2006), “Migrations, la spatialisation du regard” in 62ème de la Revue<br />

Européenne des Migrations Internationales 2 octobre 2006<br />

Simon G. (2006), “Migrations, la spatialisation du regard” in Revue Européenne des<br />

Migrations Internationales, Volume 22, Numéro 2, p. 9-21.<br />

Accessible en ligne à l’URL: (http://remi.revues.org/document2815.html)<br />

Hily M.A., Lefebvre M.L. (1999) (dir.), Identité collective et altérité: diversité des espaces,<br />

spécificité des pratiques, L’Harmattan, Paris.<br />

Internet: http://www.mshs.univ-poitiers.fr/migrinter/<br />

Contatti: emmanuel.mamung@univ-poitiers.fr<br />

Identità: Office of Population Research - OPR, Princeton University, Princeton, USA<br />

Classe: 1<br />

Parole chiave: Strumenti per la conoscenza, esclusione/inclusione sociale, segregazione/integrazione<br />

spaziale, nuove tecnologie tlc, documentazione.<br />

Tipologia: Centro universitario di ricerca.<br />

Attività: Centro di ricerca e di formazione attivo presso la Princeton University avente come settore<br />

d’interesse centrale le scienze demografiche. Le attività sono sviluppate ampliando<br />

gli obiettivi di studio nei seguenti ambiti: infanzia e famiglia; dati statistici e metodologie<br />

di analisi; sanità e prevenzione; migrazioni e urbanizzazione; ingiustizia sociale.<br />

Le aree geografiche d’interesse sono nelle Americhe (Nord, Sud, Centro) ma anche<br />

l’Europa è oggetto di studio.<br />

Gli approfondimenti <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> esaminano le trasformazioni partendo dalle dinamiche<br />

demografiche, dai fenomeni migratori, dalla differente fertilità dei diversi gruppi etnici.<br />

Alcune ricerche sono centrate su tematiche urbane multietniche che sono presenti ma<br />

non centrali anche nei corsi di studio della Princeton University.<br />

Focus: L’ingiustizia sociale verso gli immigrati è analizzata come causa scatenante di problemi<br />

che si manifestano alla scala di quartiere e che, alla stessa scala, devono essere fronteggiati.<br />

Ricerca: “Moving To Opportunity”. “Latin American Migration Project”. “Mexican Migration<br />

Project”.“The Transformation of Social Capital in an Urban Barrio”.<br />

Formazione: Nessuna specifica.<br />

Pubblicazioni: Nessuna specifica.<br />

Internet: http://www.opr.princeton.edu/<br />

Contatti: webmaster@opr.princeton.edu


Identità: Research on Immigration and Integration in the Metropolis - RIIM, Vancouver,<br />

Canada<br />

Classe: 1<br />

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, alloggio, unità di vicinato, cittadinanza.<br />

Tipologia: Centro interuniversitario di ricerca.<br />

Attività: Questo centro di ricerca multidisciplinare è stato realizzato da un gruppo di Università<br />

canadesi nell’ambito del Metropolis Project ed è sostenuto dal governo del Canada.<br />

Obiettivo delle attività è produrre e rendere disponibile materiale di ricerca sui temi<br />

emergenti dell’immigrazione e delle politiche d’integrazione, per contribuire all’avanzamento<br />

delle conoscenze e delle competenze.<br />

Raccolte sistematizzate di dati e analisi mirate vengono sviluppate nella regione di<br />

Vancouver e nel Canada. Attraverso la rete internazionale di Metropolis, le metodologie<br />

così messe a punto vengono trasferite nelle altre realtà del mondo dove le dinamiche<br />

migratorie configurano scenari simili.<br />

Il centro interagisce con i soggetti interessati degli enti locali e governativi (stakeholders)<br />

che influenzano gli indirizzi delle ricerche e utilizzano e diffondono i risultati.<br />

Focus: L’esperienza canadese in tema di multiculturalità è coniugata con i temi delle residenze<br />

e dei servizi nelle unità di vicinato con un originale attenzione al tema delle residenze<br />

condivise dagli immigrati.<br />

Ricerca: “Housing and Neighbourhoods”.<br />

Formazione: Nessuna specifica.<br />

Pubblicazioni: Fiedler R., Hyndman J., Schuurman N. (2006), Locating Spatially Concentrated Risk of<br />

Homelessness amongst Recent Immigrants in Greater Vancouver: A GIS-based approach,<br />

RIIM Working Papers N. 06-10. (http://riim.metropolis.net/frameset_e.html)<br />

Walton-Roberts M. (2004), Regional Immigration and Dispersal: Lessons from Small- and<br />

Medium-sized Urban Centres in British Columbia, RIIM Working Papers N. 04-03.<br />

(http://riim.metropolis.net/Virtual%20Library/2004/wp04-03.pdf)<br />

Internet: http://www.riim.metropolis.net/frameset_e.html<br />

Contatti: riim@sfu.ca<br />

Identità: Unité de Recherche Migrations et Société - URMIS, Paris, France<br />

Classe: 1<br />

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, segregazione/integrazione spaziale,<br />

identità urbane, lavoro.<br />

Tipologia: Centro interuniversitario di ricerca.<br />

Attività: L’Unità di ricerca nasce dall’associazione tra il Consiglio Nazionale delle Ricerche<br />

Francese e le Università di Paris 7, Paris 8 e Nice Sophia Antipolis. L’approccio è multidisciplinare<br />

e le ricerche si concentrano sullo studio delle migrazioni e delle relazioni interetniche.<br />

Le linee di ricerca sono: migrazioni e migranti nell’epoca contemporanea, pratiche di<br />

mobilità e ruolo dei migranti nell’economia mondiale; la costruzione dell’immigrazione<br />

come problema sociale e obiettivo politico, processi di costruzione e rappresentazione<br />

delle identità collettive.<br />

Studi teorici e metodologici affrontano il tema dell’inserimento degli immigrati, il ruolo<br />

della politica e delle istituzioni, la costituzione di spazi migratori transnazionali le dinamiche<br />

culturali nelle società plurietniche.<br />

Focus: Il tema delle identità culturali è approfondito in relazione al tema delle identità urbane.<br />

Ricerca: “Identités des villes, identités dans les villes”.<br />

Formazione: Master sciences de l’homme et de la société, mention Sociologie<br />

Spécialité recherche “Migrations, villes, dynamiques sociales”.<br />

Pubblicazioni: Christian R. (2000), L’ethnicité dans la cité: Jeux et enjeux de la catégorisation ethnique,<br />

L’Harmattan, Logiques sociales, Paris. (http://www.unice.fr/urmis-soliis/EthniciteCite.html).<br />

Simon P. (1999) “Les politiques de l’habitat et les immigrés” in Les Cahiers de l’URMIS,<br />

Numéro 5 (http://www.unice.fr/urmis-soliis/Cahiers5.html).<br />

Internet: http://www.unice.fr/urmis-soliis<br />

Contatti: urmis@paris7.jussieu.fr<br />

73<br />

LA RICERCA<br />

SULLA CITTÀ MULTIETNICA:<br />

LO STATO DELL’ARTE


74<br />

CAPITOLO 2<br />

Identità: Urbanisation, Culture et Société - UCS, Institute National de la Recherche<br />

Scientifique, Université du Quebéc, Montreal-Quebéc, Canada<br />

Classe: 1<br />

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, politiche urbane, governance, pianificazione<br />

territoriale e urbanistica.<br />

Tipologia: Centro universitario di ricerca.<br />

Attività: Il centro di ricerca fa parte dell’Institut National de la Recherche Scientifique e raccoglie<br />

professori e ricercatori di diversa provenienza disciplinare che svolgono attività di ricerca<br />

e di formazione nell’ambito dell’Università del Québec e in collaborazione con altre<br />

istituzioni universitarie.<br />

Le linee di ricerca sono tre: <strong>città</strong> e regioni; popolazione; cultura, scienza e tecnologia.<br />

Nell’ambito della prima linea si collocano le ricerche sulle dinamiche degli spazi urbani<br />

e, in particolare: ricomposizione degli ambienti di vita, coesione e polarizzazione sociale,<br />

gestione della diversità culturale e religiosa legata all’immigrazione, sfide della cittadinanza.<br />

Il centro partecipa alle attività formative a livello di master e dottorati in studi urbani<br />

dell’Università del Québec offrendo l’esperienza dei propri studiosi.<br />

Focus: L’urbanistica è studiata nella sua interazione con società e cultura e l’approfondimento<br />

nella realtà multirazziale del Québec fa emergere il tema della <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong>.<br />

Ricerca: “Restructuring of social space: social cohesion and polarization, new life styles, managing<br />

of cultural and religious diversity due to immigration, citizenship issues”.<br />

Formazione: Maîtrise en études urbaines. Doctorat en études urbaines.<br />

Pubblicazioni: Bernèche F. (2005), L’accueil et l’accompagnement des immigrants récemment installés en<br />

HLM dans des quartiers montréalais: l’expérience du projet Habiter la mixité, INRS-<br />

Urbanisation, Culture et Société, Montréal, Québec. Germain A. et al. (2003), Les pratiques<br />

municipales de gestion de la diversité à Montréal, INRS-Urbanisation, Culture et Société,<br />

Montréal, Québec (http://im.metropolis.net/GESTION_DIVERSIT__MONTR_AL_FINAL-<br />

030616.pdf).<br />

Germain A. (1996), Les quartiers multiethniques montréalais: une lecture urbaine, INRS-<br />

Urbanisation, Culture et Société, Montréal, Québec.<br />

Germain A. (1996), Forme urbaine et cohabitation interethnique: lieux publics et vie de<br />

quartier a Montréal, INRS-Urbanisation, Culture et Société, Montréal, Québec.<br />

Internet: http://www.inrs-ucs.uquebec.ca<br />

Contatti: webmester@inrs-ucs.uquebec.ca<br />

2.2.2 La ricerca per l’urbanistica e la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong><br />

I centri di ricerca che affrontano i temi e i problemi della <strong>città</strong> multietnica, anche se non<br />

hanno progetti dedicati, costituiscono un importante riferimento per l’urbanistica e per gli studi<br />

specialistici di pianificazione.<br />

I centri di classe 2, così come definiti nella metodologia, sono di seguito schedati in forma<br />

semplificata.<br />

Identità: Agence pour le Développement des Relations Interculturelles - ADRI, Paris, France<br />

Classe: 2<br />

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, cittadinanza, educazione e istruzione,<br />

genere.<br />

Tipologia: Centro di ricerca.<br />

Internet: http://www.adri.fr<br />

Contatti: info@histoire-immigration.fr


Identità: Atlantic Metropolis Centre - AMC, Halifax, Canada<br />

Classe: 2<br />

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, cittadinanza, educazione e istruzione,<br />

genere.<br />

Tipologia: Centro di ricerca.<br />

Internet: http://atlantic.metropolis.net<br />

Contatti: atlantic@metropolis.net<br />

Identità: Centre for Multiethnic Research - CMR, Uppsala University, Uppsala, Sverige<br />

Classe: 2<br />

Parole chiave: Identità culturali, lingue, esclusione/inclusione sociale, razzismo e discriminazione, formazione.<br />

Tipologia: Centro universitario di ricerca.<br />

Internet: http://www.multietn.uu.se/index_eng.htm<br />

Contatti: multietn@multietn.uu.se<br />

Identità: Centro Ricerche e Servizi per l’Immigrazione - CRSI, Prato, Italia<br />

Classe: 2<br />

Parole chiave: Documentazione, esclusione/inclusione sociale, politiche per l’immigrazione, lavoro,<br />

educazione e istruzione.<br />

Tipologia: Centro comunale di ricerca.<br />

Internet: http://www.comune.prato.it/immigra/centro<br />

Contatti: immigrazione@comune.prato.it<br />

Identità: Centro Studi Immigrazione - CESTIM, Verona, Italia<br />

Classe: 2<br />

Parole chiave: Documentazione, alloggio, esclusione/inclusione sociale, politiche per l’immigrazione,<br />

razzismo e discriminazione.<br />

Tipologia: Organizzazione di studi no profit.<br />

Internet: http://www.cestim.org/<br />

Contatti: info@cestim.it<br />

Identità: Centro Studi Investimenti Sociali - CENSIS, Roma, Italia<br />

Classe: 2<br />

Parole chiave: Documentazione, strumenti per la conoscenza, esclusione/inclusione sociale, politiche<br />

per l’immigrazione, politiche urbane.<br />

Tipologia: Istituto di ricerca.<br />

Internet: http://www.censis.it<br />

Contatti: Censis@censis.it<br />

Identità: Dossier Statistico Immigrazione - IDOS, Caritas Migrantes, Roma, Italia<br />

Classe: 2<br />

Parole chiave: Documentazione, strumenti per la conoscenza, politiche per l’immigrazione, razzismo e<br />

discriminazione, esclusione/inclusione sociale.<br />

Tipologia: Organizzazione di studi no profit.<br />

Internet: http://www.dossierimmigrazione.it<br />

Contatti: idos@dossierimmigrazione.it<br />

75<br />

LA RICERCA<br />

SULLA CITTÀ MULTIETNICA:<br />

LO STATO DELL’ARTE


76<br />

CAPITOLO 2<br />

Identità: European Research Centre on Migration & Ethnic Relations - ERCOMER, Utrecht<br />

University, Utrecht, The Netherlands<br />

Classe: 2<br />

Parole chiave: Strumenti per la conoscenza, esclusione/inclusione sociale, segregazione/integrazione<br />

spaziale, alloggio, servizi urbani.<br />

Tipologia: Centro universitario di ricerca.<br />

Internet: http://www.uu.nl/uupublish/onderzoek/onderzoekcentra/ercomer/24638main.html<br />

Contatti: ERCOMERsecr@fss.uu.nl<br />

Identità: Fondazione per le Iniziative e lo Studio <strong>sulla</strong> Multietnicità - ISMU, Milano, Italia<br />

Classe: 2<br />

Parole chiave: Documentazione, educazione e istruzione, formazione, esclusione/inclusione sociale,<br />

strumenti per la conoscenza.<br />

Tipologia: Organizzazione di studi no profit.<br />

Internet: http://www.ismu.org<br />

Contatti: ismu@ismu.org<br />

Identità: Forum Internazionale ed Europeo di Ricerche sull’Immigrazione - FIERI, Torino,<br />

Italia<br />

Classe: 2<br />

Parole chiave: Politiche per l’immigrazione, cittadinanza, esclusione/inclusione sociale, lavoro, documentazione.<br />

Tipologia: Organizzazione di studi no profit.<br />

Internet: http://www.fieri.it/index.cfm<br />

Contatti: fieri@fieri.it<br />

Identità: Institut National d’Etudes Démographiques - INED, Paris, France<br />

Classe: 2<br />

Parole chiave: Segregazione/integrazione spaziale, politiche urbane, politiche per l’immigrazione,<br />

esclusione/inclusione sociale, documentazione.<br />

Tipologia: Istituto di ricerca.<br />

Internet: http://www.ined.fr<br />

Contatti: ined@ined.fr<br />

Identità: Institute of Geographical Research - IGR, Hungarian Academy of Sciences,<br />

Budapest, Hungary<br />

Classe: 2<br />

Parole chiave: Identità culturali, politiche per l’immigrazione, strumenti per la conoscenza, unità di vicinato,<br />

servizi urbani.<br />

Tipologia: Istituto di ricerca.<br />

Internet: http://www.mtafki.hu/index1-2en.htm<br />

Contatti: kocsisk@sparc.core.hu<br />

Identità: La Città Multietnica - CM, Comune di Bologna, Italia<br />

Classe: 2<br />

Parole chiave: Identità culturali, politiche per l’immigrazione, documentazione, alloggio, servizi urbani.<br />

Tipologia: Centro comunale di ricerca.<br />

Internet: http://www3.iperbole.bologna.it/immigra<br />

Contatti: servimm@comune.bologna.it


Identità: Metropolis Institute - MI, Ottawa, Canada<br />

Classe: 2<br />

Parole chiave: Formazione, identità culturali, esclusione/inclusione sociale, cittadinanza, governance.<br />

Tipologia: Istituto di ricerca.<br />

Internet: http://institute.metropolis.net/index_e.htm<br />

Contatti: institute@metropolis.net<br />

Identità: Prairie Centre of Excellence for Research on Immigration and Integration - PCERII,<br />

University of Alberta, Edmonton, Canada<br />

Classe: 2<br />

Parole chiave: Identità culturali, politiche per l’immigrazione, cittadinanza, educazione e istruzione, lavoro.<br />

Tipologia: Centro interuniversitario di ricerca.<br />

Internet: http://pcerii.metropolis.net/frameset_e.html<br />

Contatti: pcerii@ualberta.ca<br />

Identità: SociNova/Migration - SNM, University of Lisbon, Lisbon, Portugal<br />

Classe: 2<br />

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, politiche per l’immigrazione, unità di vicinato,<br />

lavoro.<br />

Tipologia: Centro universitario di ricerca.<br />

Internet: http://www.socinovamigration.org<br />

Contatti: socinova_migrations@fcsh.unl.pt<br />

Un ulteriore importante contributo alla ricerca urbanistica <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica è offerto<br />

dai centri classificati nel terzo raggruppamento. Questi centri, che affrontano il tema in modo non<br />

diretto ma significativo, sono di seguito schedati in forma semplificata.<br />

Identità: Academy for Migration Studies in Denmark - AMID, Aalborg University, Aalborg,<br />

Denmark<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Identità culturali, politiche per l’immigrazione, esclusione/inclusione sociale, cittadinanza,<br />

lavoro.<br />

Tipologia: Centro universitario di ricerca.<br />

Internet: http://www.amid.dk<br />

Contatti: amid@amid.dk<br />

Identità: Center for Ethnic and Migration Studies - CEDEM, Institute for Human and Social<br />

Sciences, University of Liège, Liège, Belgium<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, cittadinanza, politiche per l’immigrazione,<br />

formazione.<br />

Tipologia: Centro universitario di ricerca.<br />

Internet: http://www.ulg.ac.be/cedem<br />

Contatti: M.Martiniello@ulg.ac.be<br />

77<br />

LA RICERCA<br />

SULLA CITTÀ MULTIETNICA:<br />

LO STATO DELL’ARTE


78<br />

CAPITOLO 2<br />

Identità: Center for Immigration Research - CIR, University of Houston, Houston, Texas<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Esclusione/inclusione sociale, politiche per l’immigrazione, religioni, diritto, cittadinanza.<br />

Tipologia: Centro universitario di ricerca.<br />

Internet: http://www.uh.edu/cir/index.htm<br />

Contatti: cir@mail.uh.edu<br />

Identità: Center for Law on Immigration and Asylum - CLIA, University of Konstanz,<br />

Germany<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Cittadinanza, diritto, politiche per l’immigrazione, religioni, asilo e rifugiati.<br />

Tipologia: Centro universitario di ricerca.<br />

Internet: http://migration.uni-konstanz.de/index.php?lang=en<br />

Contatti: Migration@uni-konstanz.de<br />

Identità: Center for Migration Law - CML, University of Nijmegen, Nijmegen, The<br />

Netherland<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Cittadinanza, diritto, esclusione/inclusione sociale, lavoro, asilo e rifugiati.<br />

Tipologia: Centro universitario di ricerca.<br />

Internet: http://www.ru.nl/law/cmr<br />

Contatti: c.groenendijk@jur.ru.nl<br />

Identità: Center for Migration Studies - CMS, New York, USA<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Politiche per l’immigrazione, esclusione/inclusione sociale, alloggio, lavoro, documentazione.<br />

Tipologia: Organizzazione no profit.<br />

Internet: http://www.cmsny.org<br />

Contatti: offices@cmsny.org<br />

Identità: Center for Refugees Studies - CRS, York University, Toronto, Canada<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Asilo e rifugiati, esclusione/inclusione sociale, politiche per l’immigrazione, cittadinanza,<br />

formazione.<br />

Tipologia: Centro universitario di ricerca.<br />

Internet: http://www.yorku.ca/crs<br />

Contatti: crs@yorku.ca<br />

Identità: Center for Research in International Migration and Ethnicity - CEIFO, Stockholm<br />

University, Sweden<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Identità culturali, razzismo e discriminazione, esclusione/inclusione sociale, politiche<br />

per l’immigrazione, integralismi e conflittualità.<br />

Tipologia: Centro universitario di ricerca.<br />

Internet: http://www.ceifo.su.se<br />

Contatti: ceifo.editor@ceifo.su.se


Identità: Center on Migration, Policy and Society - COMPAS, University of Oxford,<br />

England UK<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Esclusione/inclusione sociale, politiche per l’immigrazione, lavoro, identità culturali,<br />

formazione.<br />

Tipologia: Centro universitario di ricerca.<br />

Internet: http://www.compas.ox.ac.uk<br />

Contatti: info@compas.ox.ac.uk<br />

Identità: Centre for Immigration & Multicultural Studies - CIMS, Australian National<br />

University, Canberra, Australia<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Politiche per l’immigrazione, identità culturali, attività produttive, lavoro, asilo e rifugiati.<br />

Tipologia: Centro universitario di ricerca.<br />

Internet: http://cims.anu.edu.au<br />

Contatti: jupp@coombs.anu.edu.au<br />

Identità: Centre for Migration Research - CSERPE, Basel, Switzerland<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Identità culturali, religioni, documentazione, esclusione/inclusione sociale, clandestini.<br />

Tipologia: Centro studi.<br />

Internet: http://www.cserpe.org<br />

Contatti: ldeponti@cserpe.org<br />

Identità: Centre for Migration studies - CIEMI, Paris, France.<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Identità culturali, religioni, documentazione, esclusione/inclusione sociale, politiche per<br />

l’immigrazione.<br />

Tipologia: Centro di ricerca.<br />

Internet: http://www.ciemi.org<br />

Contatti: ciemiparis@wanadoo.fr<br />

Identità: Centre for Research in Ethnic Relations - CRER, University of Warwick, Coventry,<br />

England UK<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Razzismo e discriminazione, cittadinanza, partecipazione, identità culturali, formazione.<br />

Tipologia: Centro universitario di ricerca.<br />

Internet: http://www.warwick.ac.uk/CRER<br />

Contatti: d.s.joly@warwick.ac.uk<br />

Identità: Centre for Research on Ethnic Relations and Nationalism - CEREN, University of<br />

Helsinki, Helsinky, Finland<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Razzismo e discriminazione, esclusione/inclusione sociale, lavoro, partecipazione, cittadinanza.<br />

Tipologia: Centro universitario di ricerca.<br />

Internet: http://sockom.helsinki.fi/ceren<br />

Contatti: inquiries@sockom.helsinki.fi<br />

79<br />

LA RICERCA<br />

SULLA CITTÀ MULTIETNICA:<br />

LO STATO DELL’ARTE


80<br />

CAPITOLO 2<br />

Identità: Centro Studi Emigrazione Roma - CSER, Roma, Italia<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Identità culturali, religioni, documentazione, esclusione/inclusione sociale, clandestini.<br />

Tipologia: Centro di ricerca.<br />

Internet: http://www.cser.it<br />

Contatti: cser@cser.it<br />

Identità: Commission for Racial Equality - CRE, London, England UK<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Razzismo e discriminazione, politiche per l’immigrazione, alloggio, servizi urbani, sport.<br />

Tipologia: Centro governativo di ricerca.<br />

Internet: http://www.cre.gov.uk<br />

Contatti: info@cre.gov.uk<br />

Identità: Dipartimento di Studi Geoeconomici, Statistici, Storici per l’Analisi Regionale -<br />

DSGSSAR, Università La Sapienza, Roma, Italia<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Strumenti per la conoscenza, esclusione/inclusione sociale, attività produttive, politiche<br />

per l’immigrazione, formazione.<br />

Tipologia: Centro universitario di ricerca.<br />

Internet: http://geostasto.eco.uniroma1.it<br />

http://3w.eco.uniroma1.it<br />

Contatti: ciro.manca@uniroma1.it<br />

Identità: Electronic Immigration Network - EIN, Manchester, England UK<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Documentazione, asilo e rifugiati, politiche per l’immigrazione, diritto, cittadinanza.<br />

Tipologia: Centro di documentazione.<br />

Internet: http://www.ein.org.uk<br />

Contatti: info@ein.org.uk<br />

Identità: European Centre for Minority Issues - ECMI, Flensburg, Germany<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Identità culturali, integralismi e conflittualità, cittadinanza, governance, documentazione.<br />

Tipologia: Centro di ricerca.<br />

Internet: http://www.ecmi.de<br />

Contatti: info@ecmi.de<br />

Identità: European Centre for Social Welfare Policy and Research - ECSWPR, Wien, Austria<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Esclusione/inclusione sociale, politiche per l’immigrazione, documentazione, politiche<br />

urbane, servizi urbani.<br />

Tipologia: Centro intergovernativo di ricerca.<br />

Internet: http://www.euro.centre.org<br />

Contatti: ec@euro.centre.org<br />

Identità: European Forum for Migration Studies - EFMS, Otto Friedrich University, Bamberg,<br />

Germany<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Identità culturali, integralismi e conflittualità, esclusione/inclusione sociale, politiche<br />

per l’immigrazione, cittadinanza.<br />

Tipologia: Istituto di ricerca.<br />

Internet: http://www.uni-bamberg.de/~ba6ef3/home.html<br />

Contatti: efms@sowi.uni-bamberg.de


Identità: European Migration Centre - EMC, Berlin, Germany<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, politiche per l’immigrazione, integralismi<br />

e conflittualità, documentazione.<br />

Tipologia: Istituto di ricerca.<br />

Internet: http://www.emz-berlin.de<br />

Contatti: info@emz-berlin.de<br />

Identità: European Monitoring Centre on Racism and Xenophobia - EUMC, Wien, Austria<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Razzismo e discriminazione, esclusione/inclusione sociale, politiche per l’immigrazione,<br />

documentazione, strumenti per la conoscenza.<br />

Tipologia: Centro UE di documentazione.<br />

Internet: http://eumc.europa.eu/eumc/index.php<br />

Contatti: information@eumc.eu.int<br />

Identità: Federation of Ethnic Communities’ Councils of Australia - FECCA, Canberra,<br />

Australia<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, razzismo e discriminazione, cittadinanza,<br />

governance.<br />

Tipologia: Centro governativo di studi.<br />

Internet: http://www.fecca.org.au<br />

Contatti: admin@fecca.org.au<br />

Identità: Immigrant-institutet - IMMI, Borås, Sweden<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Identità culturali, politiche per l’immigrazione, razzismo e discriminazione, asilo e rifugiati,<br />

documentazione.<br />

Tipologia: Istituto di ricerca.<br />

Internet: http://www.immi.se/<br />

Contatti: migrant@immi.se<br />

Identità: Initiative on Conflict Resolution and Ethnicity - INCORE, United Nations University,<br />

University of Ulster, Londonderry, Northern Ireland UK<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Integralismi e conflittualità, governance, identità culturali, cittadinanza, formazione.<br />

Tipologia: Centro universitario di ricerca.<br />

Internet: http://www.incore.ulst.ac.uk<br />

Contatti: secretary@incore.ulst.ac.uk<br />

Identità: International Centre for Migration Policy Development - ICMPD, Wien, Austria<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Razzismo e discriminazione, politiche per l’immigrazione, asilo e rifugiati, esclusione/inclusione<br />

sociale, documentazione.<br />

Tipologia: Istituto intergovernativo di ricerca.<br />

Internet: http://www.icmpd.org<br />

Contatti: icmpd@icmpd.org<br />

81<br />

LA RICERCA<br />

SULLA CITTÀ MULTIETNICA:<br />

LO STATO DELL’ARTE


82<br />

CAPITOLO 2<br />

Identità: National MultiCultural Institute - NMCI, Washington DC, USA<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Identità culturali, integralismi e conflittualità, asilo e rifugiati, esclusione/inclusione sociale,<br />

politiche per l’immigrazione.<br />

Tipologia: Istituto di ricerca.<br />

Internet: http://www.nmci.org<br />

Contatti: nmci@nmci.org<br />

Identità: Organismo Nazionale di Coordinamento per le politiche di integrazione sociale<br />

dei cittadini stranieri a livello locale - ONC, Consiglio Nazionale dell’Economia e<br />

del Lavoro, Roma, Italia<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Politiche per l’immigrazione, esclusione/inclusione sociale, lavoro, alloggio, documentazione.<br />

Tipologia: Centro di ricerca.<br />

Internet: http://www.cnel.it/immigrazione<br />

Contatti: immigrazione@cnel.it<br />

Identità: Scalabrini International Migration Institute - SIMI, Roma, Italia<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, religioni, strumenti d’intervento, formazione.<br />

Tipologia: Istituto di ricerca.<br />

Internet: http://www.simi2000.org/<br />

Contatti: segreteria@simi2000.org<br />

Identità: Society for the Study of Ethnic Relations and International Migration - ETMU,<br />

University of Helsinki, Helsinki, Finland<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Esclusione/inclusione sociale, cittadinanza, lavoro, educazione e istruzione, razzismo e<br />

discriminazione.<br />

Tipologia: Associazione di ricercatori.<br />

Internet: http://www.etmu.fi<br />

Contatti: etmu@etmu.fi<br />

Identità: Sussex Centre for Migration Research - SCMR, University of Sussex, Brighton,<br />

England UK<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Identità culturali, esclusione/inclusione sociale, povertà urbana,cittadinanza, formazione.<br />

Tipologia: Centro universitario di ricerca.<br />

Internet: http://www.sussex.ac.uk/migration<br />

Contatti: R.Black@sussex.ac.uk<br />

Identità: Swiss Forum for Migration and Population Studies - SFM, University of Neuchâtel,<br />

Neuchâtel, Switzerland<br />

Classe: 3<br />

Parole chiave: Esclusione/inclusione sociale, politiche per l’immigrazione, asilo e rifugiati, razzismo e<br />

discriminazione, identità culturali.<br />

Tipologia: Istituto di ricerca.<br />

Internet: http://www.migration-population.ch<br />

Contatti: secretariat.fsm@unine.ch


2.3 MIGRAZIONI, RICERCA E DOCUMENTAZIONE<br />

2.3.1 La ricerca <strong>sulla</strong> multietnia e <strong>sulla</strong> multiculturalità<br />

I centri di ricerca sulle migrazioni e <strong>sulla</strong> multietnicità di classe 4, nel mondo, sono numerosi<br />

ma la maggior parte dei settantadue censiti sono concentrati geograficamente in Europa e<br />

America del Nord.<br />

L’urbanistica deve dare risposte a problemi nuovi che sono posti da comunità multietniche<br />

complesse ed articolate. Il contributo “generalista” di tutti questi centri di ricerca si offre sul piano<br />

metodologico ed informativo, con prevalenza dello specifico disciplinare sociologico e dell’approccio<br />

solidaristico.<br />

La suddivisione che segue è stata effettuata per nazioni indicando, per ciascun centro di<br />

classe 4, l’indirizzo internet della home page.<br />

Identità Nazione Web page<br />

Human Rights and Equal Opportunity Commission Australia http://www.hreoc.gov.au/<br />

Monash University - Centre for Intercultural Studies Australia http://www.arts.monash.edu.au/cais<br />

Racial Respect Australia http://www.racialrespect.org.au/links/links.<br />

php<br />

Refugee Council of Australia Australia http://www.refugeecouncil.org.au/<br />

Victorian Multicultural Commission Australia http://www.multicultural.vic.gov.au/<br />

Centro de Estudos Migratórios, São Paulo, Brasil Brasile http://www.cemsp.com.br/<br />

Integration-Net Canada http://integration-net.ca/english/index.cfm<br />

L’Office Québec-Amériques pour la Jeunesse Canada http://www.oqaj.gouv.qc.ca/<br />

Danish Institute for International Studies Danimarca http://diis.dk<br />

Danish Institute of Border Region Studies, Aabenraa Danimarca http://www.ifg.dk/<br />

Institut for grænsregionsforskning Danimarca http://www.ifg.dk<br />

Migrants Rights International - MIGRANTWATCH Egitto http://www.migrantwatch.org/<br />

Institute for Human Rights - OIHR, Åbo Akademi, Turku Åbo Finlandia http://www.abo.fi/instut/imr/<br />

Institute of migration, Turku Finlandia http://www.migrationinstitute.fi/<br />

Joensuu Centre for Ethnic Studies Finlandia http://www.joensuu.fi/etnica/<br />

Centre d’études et de recherches internationales CERI, Paris Francia http://www.ceri-sciencespo.com/<br />

Hamburger Institut für Sozialforschung, Hamburg Germania http://www.his-online.de/<br />

cms.asp?Sprache=en<br />

IMIS - Institut für Migrationsforschung und Interkulturelle<br />

Studien, Osnabrück<br />

Germania http://www.imis.uni-osnabrueck.de/<br />

Mediterranean Migration Observatory, Panteion University Grecia http://www.mmo.gr<br />

MIGRANTE - Mission for Filipino Migrant Workers in Hong<br />

Kong (MFMW)<br />

Hong Kong http://www.migrants.net/<br />

International Association for the Study of Forced Migration Internazionale http://www.iasfm.org/<br />

International Organization for Migration Internazionale http://www.iom.int/jahia/jsp/index.jsp<br />

Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, Torino Italia http://www.asgi.it<br />

Centro di Ricerca sull’Integrazione Europea, Università di<br />

Siena<br />

Italia http://www.gips.unisi.it/crie/news.php<br />

Cespi Italia http://www.cespi.it<br />

Europe Land of Asylum, European Refugee Fund, Roma Italia http://www.europelandofasylum.net<br />

Istituto di Ricerche <strong>sulla</strong> Popolazione e le Politiche Sociali,<br />

CNR<br />

Italia http://www.irpps.cnr.it/sito/siamo.htm<br />

Migration in the Balkan Area Italia http://www.migrbalkan.uniroma1.it/<br />

83<br />

LA RICERCA<br />

SULLA CITTÀ MULTIETNICA:<br />

LO STATO DELL’ARTE


84<br />

CAPITOLO 2<br />

Identità Nazione Web page<br />

Osservatori Associati sulle Immigrazioni Italia http://www.immigra.net<br />

Institute of Migration and Ethnic Studies, University of<br />

Amsterdam<br />

Olanda http://www.pscv.uva.nl<br />

Leiden University: History of International Migration Olanda http://www.let.leidenuniv.nl/history/<br />

migration<br />

WWW Virtual Library of Migration and Ethnic Relations Olanda http://www.ercomer.org/wwwvl<br />

Association for the Study of Ethnicity and Nationalism - Regno Unito http://www.lse.ac.uk/Depts/European<br />

London School of Economics and Political Science, London<br />

/Asen/<br />

Centre for European Migration and Ethnic Studies - CEMES,<br />

University of Sussex<br />

Regno Unito http://www.cemes.org/<br />

Centre for New Ethnicities Research, London Regno Unito http://www.uel.ac.uk/cner/<br />

Institute of Race Relations Regno Unito http://www.irr.org.uk/<br />

MERC - Migration and Ethnicity Research Centre, Regno Unito http://www.shef.ac.uk<br />

Sheffield<br />

http://www.shef.ac.uk/uni/<br />

academic/I-M/merc<br />

Migration Research Unit, University College London Regno Unito http://www.geog.ucl.ac.uk/mru/<br />

The Research Centre for Transcultural Studies in Health Regno Unito http://www.mdx.ac.uk/www/hebes/ce<br />

Middlesex University, London<br />

ntres/rctsh.htm<br />

http://www.mdx.ac.uk<br />

Refugee Studies Centre Queen Elizabeth House, University<br />

of Oxford<br />

Regno Unito http://www.qeh.ox.ac.uk<br />

Social Science Information Gateway Regno Unito http://www.intute.ac.uk/socialsciences/politics/<br />

The EraM, Ethnicity, Racism and the Media Programme, Regno Unito http://www.brad.ac.uk/bradinfo/ re-<br />

University of Bradford<br />

search/eram/eram.html<br />

Transnational Communities. An ESRC Research Programme,<br />

University of Oxford<br />

Regno Unito http://www.transcomm.ox.ac.uk/<br />

Institute for Ethnic Studies, Ljubljana Slovenia http://www.inv.si/s1_vhod_a.HTM<br />

Instituto Universitario de Estudios sobre Migraciones, Spagna http://www.upcomillas.es/pagnew/ie<br />

Universidad Pontificia Madrid<br />

m/index.asp<br />

Centre for Research on Bilingualism, Stockholm Svezia http://www.biling.su.se/<br />

Centrum KIM, Göteborg Svezia http://www.kim.gu.se<br />

IMISCOE Network of Excellence Internazionale http://www.imiscoe.org/<br />

Living History Project, Stockholm Svezia http://www.levandehistoria.org/<br />

Mångkulturellt centrum, Botkyrka Svezia http.//www.mkc.botkyrka.se<br />

Nordiska Afrikainstitutet Svezia http://www.nai.uu.se/<br />

International Center for Immigration and Health, Université<br />

de Genève<br />

Svizzera http://www.icmh.ch/<br />

Center for Immigration Studies USA http://www.cis.org/<br />

Center for Multlingual Multicultural Research, University of<br />

Southern California<br />

USA http://www-bcf.usc.edu/~cmmr/<br />

Center for the Study of Race and Ethnicity, Brown USA http://www.brown.edu/Departments/<br />

University<br />

Race_Ethnicity/<br />

Centre for Basque Studies University of Nevada, Reno USA http://basque.unr.edu/<br />

Ethnologue, Dallas USA http://www.ethnologue.com<br />

Immigration History Research Center,<br />

Minnesota<br />

University of USA http://www.ihrc.umn.edu<br />

Migration News, University of Califonia USA http://migration.ucdavis.edu<br />

Minorities at Risk Group, University of Maryland USA http://www.cidcm.umd.edu/inscr/mar/<br />

Swenson Swedish ImmigrationResearch Center, Illinois USA http://www.augustana.edu/swenson/


2.3.2 Documentazione e statistiche <strong>sulla</strong> multietnia<br />

La documentazione sui fenomeni migratori che incidono sulle trasformazioni urbane e territoriali,<br />

in chiave multietnica, è completata dalle informazioni che si possono attingere on line dai<br />

cinquanta siti internet individuati, dei principali istituti nazionali ed internazionali di statistica.<br />

Identità Nazione Web page<br />

Australian Bureau of Statistics Australia http://www.abs.gov.au<br />

Bundesanstalt Statistik Österreich, Vienna, Austria http://www.statistik.at<br />

Statistics Belgium Belgio http://www.statbel.fgov.be<br />

National Statistical Institue of the Republic of Bulgaria Bulgaria http://www.nsi.bg<br />

Statistics Canada Canada http://www.statcan.ca<br />

Czech Statistical Office Ceca http://www.czso.cz<br />

Statistical Service of the Republic of Cyprus Cipro http://www.mof.gov.cy<br />

National statistical office of Korea Corea http://www.nso.go.kr<br />

Central Bureau of Statistics Croazia http://www.dzs.hr<br />

Statistics Denmark Danimarca http://www.dst.dk<br />

Statistical Office of Estonia Estonia http://www.stat.ee<br />

Statistics Finland Finlandia http://www.stat.fi<br />

Institut National de la Statistique et des Études Économiques Francia http://www.insee.fr<br />

Statistics for Wales Galles http://new.wales.gov.uk/topics/statistics/?lang=en<br />

Federal Statistical Office Germany Germania http://www.destatis.de<br />

Statistics Bureau and Statistics Center Giappone http://www.statgo.jp<br />

The National Statistical Service of Greece Grecia http://www.statistics.gr<br />

Central Statistics Office Irlanda http://www.cso.ie<br />

Statistical Bureau of Iceland Islanda http://www.statice.is<br />

Istituto Nazionale di Statistica Italia http://www.istat.it<br />

Central Statistical Bureau of Latvia Latria http://www.csb.lv<br />

Statistics Lithuania Lituania http://www.std.lt<br />

Service Central de la Statistique et des Études Économiques Lussemburgo http://www.statetec.gouvernement.lu<br />

National Statistics Office Malta Malta http://www.nso.gov.mt<br />

National Statistics Messico http://www.inegi.gob.mx<br />

Central Bureau of Statistics, Norvegia http://www.ssb.no<br />

Statistics New Zealand Nuova Zelanda http://www.stats.govt.nz<br />

Statistics Netherlands Olanda http://www.cbs.nl<br />

Polish Official Statistics Polonia http://www.stat.gov.pl<br />

Instituto Nacional de Estatística Portogallo http://www.ine.pt/<br />

Office of National Statistics Regno Unito http://www.statistics.gov.uk/<br />

State Committee of the Russian Federation on Statistics Russia http://www.gks.ru<br />

Statistical Office of the Slovak Republic Slovacchia http://www.statistics.sk<br />

Statistical Office of the Republic of Slovenia Slovenia http://www.stat.si/eng/index.asp<br />

Instituto Nacional de Estadística Spagna http://www.ine.es/<br />

Statistics Sweden Svezia http://www.scb.se/<br />

Swiss Federal Statistical Office Svizzera http://www.statistik.admin.ch<br />

State Institute of Statistics Turchia http://www.die.gov.tr<br />

Hungarian Central Statistical Office Ungheria http://www.ksh.hu<br />

EUROSTAT Unione Europea http://www.europa.eu.int/comm/eurostat<br />

TES-Institute Unione Europea http://www.restena.bu/tes.institute/<br />

The Labour Economics Gateway Unione Europea http://labour.ceps.lu<br />

U.S. Census Bureau USA http://www.census.gov<br />

Global Statistics Home Internazionale http://www.xist.org/default1.aspx<br />

OECD Statistics Internazionale www.oecd.org/std<br />

The World Bank Group Internazionale http://www.worldbank.org/<br />

Internationaler Monetary found, Washington Internazionale http://dsbb.imf.org/Applications/web/dsbbhome/<br />

United Nations Internazionale http://www.un.org/<br />

UNECE - United Nations Economic Commission for Europe/<br />

Statistical Division<br />

Internazionale http://www.unece.org/stats/<br />

WHO - World Health Organization Internazionale http://www.who.int/en/<br />

85<br />

LA RICERCA<br />

SULLA CITTÀ MULTIETNICA:<br />

LO STATO DELL’ARTE


86<br />

CAPITOLO 2<br />

Infine, per l’Italia, la documentazioni è completata dai riferimenti di altri venticinque centri,<br />

istituzioni ed associazioni che si occupano di immigrazione, discriminazione, multiculturalità ed<br />

integrazione. Evidentemente, non si tratta di un censimento ma di uno spaccato aperto sul<br />

mondo dell’associazionismo che si sta sviluppando attorno al fenomeno delle migrazioni e della<br />

società multiculturale italiana.<br />

Identità Nazione Web page<br />

Africa e Mediterraneo Italia http://www.africaemediterraneo.it<br />

Associazione Lavoratori Emigrati del Friuli Venezia Giulia Italia http://www.alef-fvg.it/<br />

Associazione Nazionale Oltre Le Frontiere Italia http://www.anolf.it/<br />

Associazione per i Popoli Minacciati Italia http://www.gfbv.it/index.html<br />

Archivio Immigrazione Italia http://www.archivioimmigrazione.org/<br />

Associazione Rieti Immigrant - Provincia Italia http://www.ariweb.it/<br />

Armadilla Italia http://www.armadilla.org/<br />

Assadakah Italia http://www.assadakah.it/index.php<br />

Associazione Erranza Italia http://www.erranza.com/<br />

Baobab Comunità immigrate a Roma<br />

a cura dei Missionari Scalabriniani<br />

Italia http://www.baobabroma.org<br />

Caritas Diocesana Italia http://www.caritasitaliana.it<br />

Fondazione Migrantes Italia http://www.migrantes.it<br />

Centro Documentazione / Laboratorio per un’educazione interculturale<br />

Italia http://urp.comune.bologna.it/WebCity/<br />

WebCity.nsf/<br />

CEM Mondialità Italia http://www.saveriani.bs.it/cem/<br />

Centro Informazione e Educazione allo Sviluppo Italia http://www.cies.it<br />

Consiglio Italiano per i Rifugiati Italia http://www.cir-onlus.org/<br />

Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli Italia http://www.cisp-ngo.org/<br />

Clandestinos.it Italia http://www.clandestinos.it/home.asp<br />

La <strong>città</strong> dei diritti umani Italia http://www.sgi-italia.org/mdirumani/<br />

index.asp<br />

Laboratorio di biblioteca interculturale Italia http://www.bibliotecainterculturale.it/<br />

Progetto Atlante Immigrazione Italia http://www.provincia.torino.it/xatlante/<br />

index.htm<br />

Progetto MELTING POT Europa Italia http://www.meltingpot.org/<br />

Immagine Immigrati Italia Italia http://www.immagineimmigratitalia.it/<br />

Archivio delle Comunità Straniere Italia http://www.archiviocomunita.org<br />

2.4 VALUTAZIONI E PROSPETTIVE DI STUDIO<br />

2.4.1 La suddivisione geografica della ricerca<br />

La classificazione e schedatura dei centri di ricerca e delle altre istituzioni e, soprattutto, la disamina<br />

delle relative attività delineano un stato dell’arte, offrendo argomenti di riflessione ed indicazioni<br />

per finalizzare le ricerche a farsi. Anche se non si tratta di un’indagine esaustiva, il grado di<br />

approssimazione è adeguato per stabilire una buona base di partenza in relazione agli obiettivi<br />

che il progetto di ricerca si era posto in termini di avanzamento delle conoscenze e di indirizzo degli<br />

sforzi da compiere per realizzare il contributo dell’urbanistica alla convivenza civile e colta dei<br />

diversi: cosa si è fatto, cosa si fa, cosa si può fare di più e meglio, per costruire la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong>.<br />

Il fenomeno migratorio e la nuova caratterizzazione multietnica delle <strong>città</strong> e metropoli contemporanee<br />

sono temi abbastanza sentiti a livello internazionale e questo è confermato dall’ampia<br />

presenza nel web. La comunità scientifica che si interessa alla <strong>città</strong> multietnica è abbastanza<br />

diffusa geograficamente ed articolata sul piano disciplinare ma la ricerca più propriamente urbanistica<br />

è alquanto limitata.


Tabella riepilogativa dei centri di ricerca <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica suddivisi per classi e nazioni<br />

Nazione/Classe Classe 1 Classe 2 Classe 3 Classe 4 TOTALE<br />

Australia 0 0 2 5 7<br />

Austria 1 0 3 0 4<br />

Belgio 0 0 1 0 1<br />

Brasile 0 0 0 1 1<br />

Canada 5 3 1 2 11<br />

Danimarca 0 0 1 3 4<br />

Egitto 0 0 0 1 1<br />

Finlandia 0 0 2 3 5<br />

Francia 2 2 1 1 6<br />

Germania 0 0 4 2 6<br />

Grecia 0 0 0 1 1<br />

Hong Kong 0 0 0 1 1<br />

Internazionali 0 0 0 3 3<br />

Italia 2 7 4 7 20<br />

Norvegia 1 0 0 0 1<br />

Olanda 2 1 1 3 7<br />

Slovenia 0 0 0 1 1<br />

Spagna 0 0 0 1 1<br />

Portogallo 1 1 0 0 2<br />

Svezia 0 1 2 5 8<br />

Svizzera 0 0 2 1 3<br />

Regno Unito 0 0 6 11 17<br />

Ungheria 0 1 0 0 1<br />

USA 3 0 3 9 15<br />

TOTALE 17 16 33 61 127<br />

La consultazione di oltre seicento siti ha consentito di selezionare duecentouno(201) istituzioni<br />

che sono state classificate nei sei gruppi così come definiti nella metodologia.<br />

La <strong>città</strong> multietnica è oggetto di interesse, più o meno diretto, di ben centoventisette(127)<br />

centri di ricerca attivi in ventitrè nazioni (classi 1, 2, 3, 4) mentre il carattere prevalentemente internazionale<br />

distingue tre centri di ricerca.<br />

In Italia, l’analisi più approfondita ha evidenziato la presenza di ben venti(20) istituzioni di<br />

ricerca interessate al tema anche se, naturalmente, con diverse sfumature, angolature disciplinari<br />

e rilevanza scientifica.<br />

Per tutti gli altri Paesi, il grado di approfondimento è stato il medesimo e consente di effettuare<br />

la comparazione che mostra in prima posizione il Regno Unito (17) a cui seguono gli USA<br />

(15) e il Canada (11).<br />

Il secondo raggruppamento comprende la Svezia (8), l’Australia e Olanda (7), la Francia e la<br />

Germania (6), la Finlandia (5), l’Austria e la Danimarca (4), la Svizzera (3) e il Portogallo (2).<br />

L’ultimo gruppo comprende il Belgio, il Brasile, l’Egitto, la Grecia, Hong Kong, la Norvegia, la<br />

Slovenia, la Spagna e l’Ungheria (1).<br />

I centri di ricerca <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica e, più in generale, su migrazioni e multiculturalità,<br />

sono presenti quasi esclusivamente nei paesi economicamente e tecnologicamente avanzati.<br />

Sono più sensibili ai problemi della convivenza quelle società dove la coesistenza plurisecolare<br />

deriva dall’origine stessa della nazione, come il Canada, l’Australia e gli USA, e quelle<br />

nazioni che, avendo sviluppato politiche colonialiste, hanno ricevuto forti ondate migratorie,<br />

come il Regno Unito, l’Olanda, la Francia. Una significativa attività si riscontra anche in paesi con<br />

una tradizione di tolleranza e di civiltà evoluta come la Svezia e la Finlandia.<br />

Infine, risaltano la Germania che negli ultimi venti anni ha ricevuto fortissimi flussi migratori<br />

dal Medio Oriente e l’Austria dove la presenza di istituzioni internazionali ha creato un humus<br />

favorevole alla ricerca <strong>sulla</strong> multietnicità.<br />

87<br />

LA RICERCA<br />

SULLA CITTÀ MULTIETNICA:<br />

LO STATO DELL’ARTE


88<br />

CAPITOLO 2<br />

2.4.2 La gerarchia delle tematiche della ricerca<br />

La ricorrenza delle parole chiave costituisce una significativa chiave di lettura delle attività<br />

dei centri di classe 1, 2, 3 che, più o meno direttamente, affrontano temi e problemi della <strong>città</strong><br />

multietnica.<br />

Le parole chiave più frequenti, nell’ordine, sono: esclusione/inclusione sociale (50), identità<br />

culturali (37), politiche per l’immigrazione (36), cittadinanza (25). Gli aspetti sociali e culturali,<br />

quindi, sono in prima linea tra gli interessi della comunità scientifica dedita agli studi urbani che<br />

analizza le risposte della politica ai problemi dei nuovi cittadini.<br />

La frequenza della parola chiave documentazione (24), testimonia e pesa l’offerta di dati ed<br />

informazioni ponderati da parte di un significativo numero di centri di ricerca. C’è, poi, un secondo<br />

gruppo di parole chiave abbastanza ricorrenti: formazione (14), razzismo e discriminazione<br />

(14), lavoro (13), alloggio (12), politiche urbane (10), asilo e rifugiati (10).<br />

Si entra nel vivo dei due principali problemi che gli immigrati affrontano nel paese straniero:<br />

l’occupazione lavorativa e la casa. Inoltre, alla riflessione sulle varie forme di discriminazione<br />

razziale si accompagna la sensibilizzazione verso i profughi e gli esuli.<br />

L’ulteriore gruppo di parole chiave ci sposta verso lo specifico disciplinare dell’urbanistica:<br />

segregazione/integrazione spaziale (9), strumenti per la conoscenza (9), educazione e istruzione<br />

(8), unità di vicinato (7), servizi urbani (7), governance (6), integralismi e conflittualità (6), religioni<br />

(6), pianificazione territoriale e urbanistica (5).<br />

Centri di ricerca con interessi specializzati affrontano altre tematiche che emergono attraverso<br />

le parole chiave meno frequenti: diritto (4), aree metropolitane (2), identità urbane (2), attività<br />

produttive (2), clandestini (2), genere (2), partecipazione (2), nuove tecnologie tlc (1), progettazione<br />

urbana (1), strumenti d’intervento (1), lingue (1), povertà urbana (1), sport (1).<br />

Si sottolinea che per un solo centro di ricerca (Commission for Racial Equality, Londra) si è<br />

rilevata l’attenzione allo sport che, invece, può essere un importante strumento per l’inclusione<br />

sociale e l’integrazione culturale degli immigrati, come si illustra nel capitolo quarto.<br />

Infine, è significativo che importanti oggetti del dibattito urbanistico rimangono fuori dalle<br />

attività di ricerca <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica: attrezzature collettive, centri storici, <strong>città</strong> diffusa, progettazione<br />

architettonica, sostenibilità.<br />

Ricorrenza delle parole chiave utilizzate per la schedatura dei centri di ricerca di classe 1, 2, 3 e per i soli<br />

centri di classe 1<br />

Parola chiave Classe<br />

1, 2, 3 1<br />

Esclusione/inclusione sociale 50 12<br />

Identità culturali 37 10<br />

Politiche per l’immigrazione 36 4<br />

Cittadinanza 25 5<br />

Documentazione 24 4<br />

Formazione 14 3<br />

Razzismo e discriminazione 14 1<br />

Lavoro 13 1<br />

Alloggio 12 6<br />

Politiche urbane 10 7<br />

Asilo e rifugiati 10 1<br />

Segregazione/integrazione spaziale 9 7<br />

Strumenti per la conoscenza 9 2<br />

Educazione e istruzione 8 2<br />

Unità di vicinato 7 5<br />

Servizi urbani 7 2<br />

Governance 6 2<br />

Integralismi e conflittualità 6 0<br />

Religioni 6 0<br />

Pianificazione territoriale e urbanistica 5 5<br />

Parola chiave Classe<br />

1, 2, 3 1<br />

Diritto 4 0<br />

Aree metropolitane 2 2<br />

Identità urbane 2 2<br />

Attività produttive 2 0<br />

Clandestini 2 0<br />

Genere 2 0<br />

Partecipazione 2 0<br />

Nuove tecnologie tlc 1 1<br />

Progettazione urbana 1 1<br />

Strumenti d’intervento 1 0<br />

Lingue 1 0<br />

Povertà urbana 1 0<br />

Sport 1 0<br />

Attrezzature collettive 0 0<br />

Centri storici 0 0<br />

Città diffusa 0 0<br />

Periferie 0 0<br />

Piccoli centri 0 0<br />

Progettazione architettonica 0 0<br />

Sostenibilità 0 0


I centri che affrontano attraverso progetti mirati i temi e problemi della <strong>città</strong> multietnica<br />

sono risultati diciassette, hanno un approccio multidisciplinare ma l’urbanistica ha una posizione<br />

preminente o, comunque, importante.<br />

Per quanto riguarda la distribuzione geografica, il maggior numero di presenze si riscontra<br />

in Canada (5) e negli USA (3). Due presenze si rilevano in Francia, Italia e Olanda, una sola presenza<br />

in Austria, Norvegia e Portogallo.<br />

Per quanto riguarda la tipologia, prevalgono i centri universitari, anche in associazione con<br />

enti di ricerca come il CNR il Italia, il CNRS in Francia, il Norwegian Research Center in Norvegia.<br />

La verifica della ricorrenza delle parole chiave limitatamente ai diciassette centri che hanno<br />

progetti di ricerca dedicati alla <strong>città</strong> multietnica (classe 1) conferma l’approccio sociologico ed antropologico:<br />

esclusione/inclusione sociale (12), identità culturali (10).<br />

La specificità dell’urbanistica emerge da parte delle più mirate ricerche sui temi delle politiche<br />

urbane (7), della segregazione/integrazione spaziale (7), dell’alloggio (6), a cui seguono cittadinanza<br />

(5), pianificazione territoriale e urbanistica (5), unità di vicinato (5) e politiche per l’immigrazione<br />

(4).<br />

I centri di ricerca che rendono disponibile documentazione di ambito urbanistico (4), sono<br />

ubicati in Francia, Canada e due negli USA.<br />

Minore ricorrenza, per i centri di ricerca urbanistica schedati, hanno le parole chiave, aree<br />

metropolitane (2), educazione e istruzione (2), formazione (3), governance (2), identità urbane (2),<br />

servizi urbani (2), strumenti per la conoscenza (2). Infine, isolato è l’interesse per asilo e rifugiati, lavoro,<br />

nuove tecnologie tlc, progettazione urbana, razzismo e discriminazione (tutti 1). Non compaiono<br />

le altre diciotto parole chiave (vedi tabella).<br />

Notevole è la bibliografia a cui la schedatura ha dato accesso consentendo d’individuare<br />

molti testi disponibili on line che illustrano i risultati delle ricerche concluse ed corso nei centri.<br />

L’attività di formazione, istituzionalizzata e specifica, sul tema della <strong>città</strong> multietnica è stata<br />

riscontrata, in Italia, ad opera della Fondazione Aldo Della Rocca (Roma). La Fondazione ha realizzato<br />

due corsi specifici di alta formazione post-universitaria (2004 e 2005) ed ha recentemente promosso<br />

il corso di laurea magistrale in “Pianificazione territoriale urbanistica - Governo delle trasformazioni<br />

urbane per la <strong>città</strong> europea <strong>interetnica</strong> cablata” in collaborazione con la Facoltà di<br />

<strong>Architettura</strong> dell’Università degli Studi di Palermo e la Link Campus University of Malta.<br />

Sempre in Italia, la Fondazione Giovanni Michelucci (Firenze) ha realizzato, nel 2000, il campus<br />

“Le culture dell’abitare” che ha prodotto la “Carta della progettazione interculturale”.<br />

In Francia, si segnala l’attività formativa del Migrations internationales, espaces et sociétés<br />

ed in Olanda quella dell’Institute for Migration and Ethnic Studies (Olanda). Meno mirate sono le<br />

attività di formazione svolte dal Centre d’Etudes Ethniques des Universités Montréalaises<br />

(Canada), Joint Centre of Excellence for Research on Immigration and Settlement (Canada),<br />

International Migration and Ethnic Relations (Norvegia), Institute for Research on Race and Public<br />

Policy (USA), Unité de Recherche Migrations et Société (Francia).<br />

In conclusione, la ricerca <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica è abbastanza circoscritta ma esistono centri<br />

di eccellenza che, in alcuni casi, collaborano tra loro, come i centri di ricerca del Progetto<br />

Metropolis, in Canada, che hanno attivato anche una rete internazionale. 89<br />

Fig. 5 - Home page del Immigration and<br />

Metropolis - IM, Inter-University Research Centre<br />

of Montreal on Immigration, Integration and<br />

Urban Dynamics, Montreal, Canada.<br />

LA RICERCA<br />

SULLA CITTÀ MULTIETNICA:<br />

LO STATO DELL’ARTE


90<br />

CAPITOLO 2<br />

Un’altra importante rete è costituita dal International Migration, Integration and Social<br />

Cohesion in Europe - Network of Excellence che è coordinato dall’Institute for Migration and<br />

Ethnic Studies.<br />

In Italia, è significativa l’attività di ricerca e formazione della Fondazione Aldo Della Rocca<br />

che ha creato collegamenti ed interazioni tra numerosi centri di ricerca, università, enti locali ed<br />

altri stakeholders.<br />

Come si è illustrato, è ampia l’attività di ricerca e documentazione che si è definita “generalista”<br />

sulle migrazioni, le trasformazioni sociali ed economiche, le varie forme di discriminazioni<br />

razziale e le strategie per l’integrazione.<br />

La letteratura scientifica “generalista” è vastissima e, in molti casi, è disponibile on line. Più limitata<br />

è la quantità di pubblicazioni che affrontano specificamente il tema della <strong>città</strong> multietnica,<br />

i problemi, le strategie e gli strumenti d’intervento.<br />

Esiste, dunque, un patrimonio importante su cui fondare i nuovi percorsi di ricerca che dovranno<br />

promuovere la reciproca conoscenza e la collaborazione tra tutti i ricercatori che, nel<br />

mondo, lavorano per costruire la convivenza civile e colta dei diversi nella <strong>città</strong> multietnica per<br />

realizzare la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong>.


2.5 RIFERIMENTI<br />

2.5.1 Bibliografia<br />

Alidair Rogers A., Tillie J. (2001), Multicultural Policies and Modes of Citizenship in European Cities, Ashgate,<br />

Aldershot.<br />

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Editore, Napoli.<br />

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“Megaride 94” alla <strong>città</strong> europea cablata e <strong>interetnica</strong>, Giannini Editore, Napoli.<br />

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cablata, Giannini Editore, Napoli.<br />

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Europea Interetnica, Giannini Editore, Napoli.<br />

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2005, Centro de Estudos Geográficos, Universidade de Lisboa, Lisboa.<br />

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Germain A. (2000), Immigrants and Cities: Does Neighborhood Matters?, Centre de recherche interuniversitaire<br />

de Montréal sur l’immigration, l’intégration et la dynamique urbaine, Montreal.<br />

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91<br />

LA RICERCA<br />

SULLA CITTÀ MULTIETNICA:<br />

LO STATO DELL’ARTE


92<br />

CAPITOLO 2<br />

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93<br />

LA RICERCA<br />

SULLA CITTÀ MULTIETNICA:<br />

LO STATO DELL’ARTE


94<br />

CAPITOLO 2<br />

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95<br />

LA RICERCA<br />

SULLA CITTÀ MULTIETNICA:<br />

LO STATO DELL’ARTE


96<br />

CAPITOLO 2<br />

Statistics Bureau and Statistics Centre, Japan, http://www.statgo.jp<br />

Statistics Canada, http://www.statcan.ca<br />

Statistics Denmark, http://www.dst.dk<br />

Statistics Finland, http://www.stat.fi<br />

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The National Statistical Service of Greece, http://www.statistics.gr<br />

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The World Bank Group, http://www.worldbank.org/<br />

Transnational Communities Research Programme, University of Oxford, England UK, http://www.transcomm.ox.ac.uk/<br />

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Unité de Recherche Migrations et Société, Paris, France, http://www.unice.fr/urmis-soliis<br />

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Montreal-Quebéc, Canada, http:/ www.inrs-ucs.uquebec.ca<br />

Victorian Multicultural Commission, Australia, http://www.multicultural.vic.gov.au/<br />

World Health Organization, http://www.who.int/en/<br />

WWW Virtual Library of Migration and Ethnic Relations, The Netherland, http://www.ercomer.org/wwwvl


Capitolo 3<br />

I luoghi della socializzazione per una cultura condivisa<br />

“Preferiamo essere sognatori tra i più umili,<br />

con visioni da realizzare piuttosto che principi<br />

di un popolo senza né sogni né desideri”.<br />

Kahlil Gibran, Spiritual Sayings (1962)<br />

La dialettica irrisolta tra culture globali ed identità locali può condurre alla conflittualità piuttosto<br />

che alla condivisione di valori ed intenti. I conflitti tra i nuovi fondamentalismi e la marginalità sociale<br />

diffusa nelle <strong>città</strong> contemporanee incrementano l’incomunicabilità ed il senso di insicurezza (reale<br />

o percepita), ostacolando l’interazione tra diversi. L’approfondimento effettuato da Gabriella Esposito<br />

De Vita mette in relazione i comportamenti deviati e le conflittualità scaturite dalla diffusione della<br />

etnodiversità con l’incapacità degli spazi e luoghi urbani di favorire la socializzazione. Da un confronto<br />

incrociato tra stato dell’arte della ricerca, principi enunciati in sedi istituzionali e scientifiche<br />

ed esperienze progettuali emerge la necessità di intervenire sul tessuto urbano creando/valorizzando<br />

e mettendo in relazione i luoghi dell’interazione. I punti luce di questa architettura del dialogo<br />

sono costituiti dai sistemi integrati per la residenza, nei quali giocano un ruolo fondamentale le<br />

attrezzature collettive e gli spazi pubblici.<br />

3.1 LE PREMESSE DI UNA RICERCA: DALLA PAURA ALLA SOCIALIZZAZIONE INTERCULTURALE<br />

“Io faccio fatica a pensare di essere solo di Trinidad, là dove sono nato, perché le identità che<br />

si sono intrecciate nella mia vita sono multiple. Tutte le identità sono posticce … e ricercarne<br />

una sola a tutti i costi può portare seri guai”.<br />

Vidiadhar S. Naipaul (2007)<br />

In una società globalizzata – che da un lato moltiplica gli scambi e dall’altro incrementa<br />

forme di segregazione sociale, culturale, etnica sempre più spinte – non si può affrontare lo studio<br />

della <strong>città</strong> senza considerarne la complessità sociale e la composizione etnica (Melotti, 2004).<br />

La <strong>città</strong> contemporanea ha, infatti, assunto in forma più o meno matura la dimensione multietnica<br />

e, in assenza di strategie e politiche appropriate, non ne sta liberando le potenzialità ma, sovente,<br />

solo le tensioni e le conflittualità (Signorelli, 2000). Recenti fatti di cronaca hanno portato alla luce<br />

i problemi connessi alla mancata integrazione etnica in <strong>città</strong> nelle quali le relazioni sono sempre<br />

più mediate e manipolate e gli spazi e le funzioni urbane sempre più inadeguati a raccogliere una<br />

domanda complessa.<br />

La ricerca svolta ha cercato di identificare il sintomo – evidenziato da tensioni, violenze, incomunicabilità<br />

che rendono la <strong>città</strong> insicura – per poter sviluppare una diagnosi del problema –<br />

in chiave urbanistica – e proporre, senza pretese di oggettività deterministica, una possibile cura<br />

– mediante la realizzazione di sistemi di spazi e luoghi per l’interazione e l’aggregazione, al di<br />

fuori delle dilaganti logiche consumistiche.<br />

I temi dell’insicurezza urbana e del rischio sociale costituiscono un’emergenza nella realtà<br />

urbana e nella percezione corrente, soprattutto quando associati al tema dell’immigrazione. La<br />

consapevolezza che, celata dal processo d’interconnessione digitale globale e dall’accelerazione<br />

dei flussi migratori, si sia sviluppata una nuova forma di criminalità organizzata internazionale,<br />

che alcune comunità di immigrati in Europa abbiano riempito le sacche più marginali dell’economia<br />

illegale, che l’immigrazione clandestina arricchisca le schiere dei disperati tra le quali si approvvigionano<br />

le mafie locali e il terrorismo internazionale, in generale, lo sviluppo del nuovo uni-<br />

97<br />

I LUOGHI<br />

DELLA SOCIALIZZAZIONE<br />

PER UNA CULTURA CONDIVISA


98<br />

CAPITOLO 3<br />

verso criminale multietnico 1 concorre ad alimentare chiusure e diffidenze interetniche (Dal Lago,<br />

1999).<br />

Anche escludendo gli estremi della criminalità organizzata, del fondamentalismo religioso<br />

e della xenofobia, la presenza di gruppi alloctoni sempre più nutriti, che sovente si concentrano in<br />

aree già in crisi, incrementa un sentimento diffuso di inquietudine che inibisce lo sviluppo di relazioni<br />

ed interazioni tra culture ed etnie diverse (Huysmans, 2000). Campagne demagogiche da<br />

un lato e interventi repressivi dall’altro completano uno scenario complesso. Per affrontare in<br />

chiave interpretativa ed operativa il tema, si è scelto di concentrare l’attenzione sui luoghi fisici e<br />

culturali per l’aggregazione nella <strong>città</strong> multietnica mediante un duplice approccio:<br />

– attingendo da studi interdisciplinari per inquadrare il tema della <strong>città</strong> multietnica nell’ambito<br />

del radicale mutamento culturale, sociale, politico ed economico che va sotto il<br />

nome di globalizzazione,<br />

– approfondendo in chiave urbanistica la configurazione degli spazi idonei a favorire l’interazione<br />

tra culture diverse.<br />

L’obiettivo di favorire la socializzazione, quale contrappunto alla tendenza alla segregazione<br />

e alla conflittualità, mediante la creazione di luoghi e spazi idonei, viene perseguito con una<br />

riflessione sul modo nel quale le diverse culture ed etnie si incontrano, ma anche sulle trasformazioni<br />

fisiche e funzionali che tali incontri determinano.<br />

Come si è già illustrato nei precedenti capitoli, lo studio ad ampio raggio sullo stato dell’arte<br />

della ricerca ha evidenziato che l’impegno maggiore si riscontra in ambito europeo o in<br />

paesi nei quali storicamente la matrice europea si è innestata, in modo talvolta violento, <strong>sulla</strong><br />

composizione etnica della popolazione preesistente.<br />

Nei paesi con una storia colonialista ed un presente multirazziale, forse anche con un intento<br />

risarcitorio, si moltiplicano studi, sperimentazioni e politiche orientate a favorire la convivenza<br />

multietnica 2 . Pur partendo, quindi, da esperienze diverse, l’ampiezza del tema ha condotto<br />

a concentrare l’attenzione <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> europea, per mettere a punto un protocollo da testare, poi,<br />

su altre realtà. Questo taglio specifico consente, da un lato, di non rischiare un’approssimazione<br />

generalista e, dall’altro, di utilizzare quale guida “progettuale” la forte connotazione identitaria degli<br />

spazi e dei luoghi europei.<br />

Nel panorama multietnico si riscontrano scelte localizzative e forme insediative ricorrenti<br />

che possono essere interpretate come tasselli della nuova urbanizzazione; in particolare, si propone<br />

una possibile interrelazione tra gli spazi e i luoghi urbani e le diverse forme di conflittualità<br />

o di socializzazione che la convivenza multietnica determina (Amselle, 1999).<br />

Tra le diverse componenti insediative, e le relative politiche e i progetti attuati e/o in itinere,<br />

si focalizza l’attenzione sul tema della configurazione degli spazi di aggregazione in generale e,<br />

nel capitolo successivo, dei luoghi per lo sport (Martiniello, Piquard, 2002).<br />

La dimensione multietnica rende particolarmente arduo il tema delle difficoltà relazionali,<br />

delle tensioni e dei conflitti che già albergano nella <strong>città</strong> contemporanea, e offre lo spunto per riflettere<br />

<strong>sulla</strong> capacità degli strumenti urbanistici dei quali disponiamo di interpretare la domanda<br />

di una società complessa e globalizzata senza arrendersi a filosofie d’intervento sempre più parziali<br />

ed asistemiche.<br />

La disciplina urbanistica può contribuire ad interpretare e offrire risposta quantitativa e<br />

qualitativa alla domanda espressa da una popolazione urbana figlia della globalizzazione. Il passaggio<br />

da una geografia dei luoghi ad una geografia dei flussi ha, infatti, modificato profondamente<br />

l’approccio allo studio ed alla pianificazione del territorio (Castells, Hall, 1994).<br />

1 “I flussi d’immigrazione e la diffusione delle TLC non sono solo Variabili Sociologiche significative ma rappresentano<br />

uno stravolgimento del tradizionale concetto di stato nazionale, dissociando l’identità dall’appartenenza geografica;<br />

ciò ha influito sul sistema macro e microcriminale e <strong>sulla</strong> percezione del crimine da parte degli abitanti delle <strong>città</strong><br />

occidentali. Il timore xenofobo nei confronti dell’immigrato – in particolare per quanto concerne i reati appropriativi –<br />

distoglie l’attenzione dagli obiettivi di integrazione”. Cfr. Il capitolo su “Giustizia e Sicurezza” del 19° Rapporto Italia<br />

dell’Eurispes (2007).<br />

2 Come si è evidenziato nel secondo capitolo si rileva una maggiore sensibilità al tema in Australia, USA, e Canada<br />

ed in Europa: Finlandia, Francia, Olanda, Regno Unito e Svezia.


Non è realistico pensare che buone pratiche dell’urbanistica e dell’architettura possano<br />

contrastare (eliminare) la ferocia degli opposti fondamentalismi o i comportamenti frutto di incultura.<br />

Però, è possibile pensare che la creazione di spazi adeguati per la vita associata possa favorire<br />

un incontro nel quale la reciproca influenza faccia progredire tutti i soggetti coinvolti, riducendo<br />

il senso d’insicurezza e la conflittualità 3 .<br />

3.2 L’NSICUREZZA URBANA E IMMIGRAZIONE: IL RUOLO DEGLI SPAZI E DEI LUOGHI<br />

I cinesi lavorano come bestie, strisciano come biscie, sono più silenziosi dei sordomuti, non possono<br />

avere forme di resistenza e di volontà. L’assioma nella mente di tutti, o quasi di tutti, è questo.<br />

Zhang invece aveva resistito, aveva tentato di scappare quando il meccanico l’aveva avvicinata,<br />

ma non poteva denunciarlo. Era cinese, ogni gesto di visibilità è negato.<br />

Roverto Saviano, Gomorra (2006)<br />

3.2.1 Il senso d’insicurezza (i luoghi della paura) nella <strong>città</strong> contemporanea<br />

Uno dei temi centrali per coloro che studiano la <strong>città</strong> contemporanea è il crescente senso<br />

d’insicurezza che si riscontra negli ambiti urbani; il rischio reale o percepito e la conflittualità – alimentati<br />

dalla spersonalizzazione delle relazioni tipica della <strong>città</strong> contemporanea globalizzata –<br />

stanno condizionando stili di vita e ambiente urbano.<br />

Nella <strong>città</strong> postmoderna, teatro di scambi immateriali, di accentuato individualismo e di<br />

consumi esasperati, le disparità sociali e la pressione dei flussi migratori generano tensioni e conflittualità.<br />

Ciascun abitante sviluppa molteplici contatti che raramente diventano relazioni e conducono<br />

alla reciproca conoscenza; più spesso esse generano diffidenza e timore, che conducono<br />

a trincerarsi piuttosto che ad interagire.<br />

In tale contesto aumenta il valore dello status, delle convenzioni, dei simboli che consentono<br />

la riconoscibilità e l’appartenenza sociale. Si sviluppa, quindi, una riduzione dell’individuo,<br />

con il suo patrimonio culturale e umano, ad una pedina nella scacchiera, il cui valore è monetizzabile<br />

(Simmel, 1908). La spersonalizzazione delle relazioni interpersonali è, insieme, causa ed effetto<br />

della complessità dello scenario sociale della <strong>città</strong> contemporanea. La sostituzione delle interazioni<br />

reali con stereotipi convenzionali incoraggia ad incasellare le persone in schemi preordinati<br />

ed a instaurare contatti in base alla riconoscibilità dell’appartenenza. Ciò alimenta il senso<br />

d’insicurezza generato dall’incontro con individui e situazioni non immediatamente riconducibili<br />

ad uno schema preordinato: la diffidenza per le diversità (Bonacchi, Groppi 1993).<br />

La società nordamericana è giunta a riflettere su tali temi già negli anni venti, a causa di alcune<br />

peculiarità fondanti quali la genesi legata a massicce immigrazioni, la specificità del rapporto<br />

stato-cittadino, il diffuso sentimento antiurbano, l’assenza di una politica pubblica degli alloggi,<br />

per citare solo le più significative (Petrillo, 2000). Come hanno evidenziato le ricerche della<br />

Scuola ecologica di Chicago 4 , in questa fase si estremizza l’indebolimento delle relazioni primarie<br />

a favore di una comunità fondata sulle relazioni secondarie, nella quale la mediazione ed il controllo<br />

sono affidati all’opinione pubblica. Queste varie forme di interazione che si creano tra gli individui<br />

nella <strong>città</strong> sono state ampiamente scandagliate (Park et al., 1925) a partire dalla forma di<br />

organizzazione sociale elementare costituita dal vicinato, un luogo che conserva parte delle proprie<br />

tradizioni, della propria storia e delle proprie caratteristiche tipiche delle comunità rurali.<br />

3 È ormai opinione condivisa in molteplici filoni di ricerca che la qualità della vita associata dipenda da un sistema<br />

integrato di fattori tra i quali spicca quello educativo (prevenzione precoce), quello sociale (condizionamenti del<br />

contesto) e quello situazionale (Davis, 1998).<br />

4 La Scuola ecologica di sociologia di Chicago è stata animata, a partire dal 1916 e per tutti gli anni quaranta, da<br />

diverse generazioni di ricercatori; tra di essi spiccano i cosiddetti “urbanologi” come R. Park, L. Wirth (Urbanism as a way of<br />

life) E. Burgess, R. McKenzie, E. Zorbaugh e altri studiosi come E. Bogardus, H. Lasswell, G.H. Mead, F. Merrill, W. Ogburn, R.<br />

Redfield, S. Stouffer. La piattaforma comune di studio è l’interpretazione degli effetti sociali dell’urbanizzazione.<br />

99<br />

I LUOGHI<br />

DELLA SOCIALIZZAZIONE<br />

PER UNA CULTURA CONDIVISA


100<br />

CAPITOLO 3<br />

Fig. 1 - Immagini di vita metropolitana: il degrado degli spazi pubblici<br />

L’unico fattore che accomuna la Napoli del centro storico con l’espansione residenziale delle “mani <strong>sulla</strong><br />

<strong>città</strong>” è il degrado degli spazi pubblici e di quelli di mediazione pubblico privato. Qui si manifesta in modo<br />

più marcato e peculiare quanto avviene nelle grandi <strong>città</strong> occidentali (foto dell’autore).<br />

Secondo tale scuola di pensiero, si manifesta un legame stretto tra la disgregazione sociale<br />

tipica delle grandi <strong>città</strong> e metropoli contemporanee ed i comportamenti deviati.“(…) lo sviluppo<br />

delle <strong>città</strong> è stato accompagnato dalla sostituzione di relazioni indirette e secondarie alle relazioni<br />

dirette, immediate e primarie nelle associazioni degli individui nella comunità (…). Sotto le influenze<br />

disgregatrici della vita cittadina, la maggior parte delle nostre istituzioni tradizionali – la<br />

chiesa, la scuola e la famiglia – si sono notevolmente modificate” (Park et al., 1925, p. 24).<br />

Dell’esperienza di Chicago appare utile sottolineare il ruolo attribuito al comportamento<br />

individuale ed all’interazione fra gli individui piuttosto che al solo condizionamento delle strutture<br />

sociali e culturali. Ne consegue che se “l’aria della <strong>città</strong> rende liberi” dal fardello dell’intreccio<br />

di relazioni e condizionamenti che caratterizza la società rurale, nel contempo, innesca un meccanismo<br />

di solitudine ed anonimato che costituisce un fertile humus per la devianza, da un lato, e il<br />

senso d’insicurezza, dall’altro (Martiniello, Piquard, 2002).<br />

Le sperimentazioni sul campo effettuate dalla Scuola Ecologica nella Chicago degli anni<br />

trenta portano all’attenzione della comunità scientifica e delle istituzioni le relazioni tra la conformazione<br />

e l’uso degli spazi e i comportamenti deviati. Un interessante sviluppo di tali determinazioni<br />

è offerto dagli studi di Jane Jacobs che offrono un contributo fondamentale alla costruzione<br />

delle basi scientifiche dell’approccio ambientale alla sicurezza, riportando al centro dell’attenzione<br />

i codici non scritti dell’autorganizzazione e del senso di comunità ascrivibili alla dimensione<br />

dell’unità di vicinato della tradizione anglosassone (Jacobs, 1961). I punti di contatto tra spazi e<br />

funzioni urbane ed attività criminose formano oggetto di studi empirici condotti principalmente<br />

negli Stati Uniti e nell’Europa occidentale; questi approcci, così come gli studi sui luoghi propizi all’esercizio<br />

di attività criminose 5 , sono estremamente utili a tracciare un profilo delle conflittualità.<br />

5 La scuola ecologica continua ad affrontare, con sempre maggiore specializzazione, il tema della localizzazione<br />

del crimine, ovvero del rapporto tra i luoghi e gli ambienti propizi al crimine.


Anche se la società attuale è molto meno pericolosa di quanto non fosse in un passato relativamente<br />

recente, è aumentata la percezione del pericolo e, quindi, la paura (Amendola, 2003).<br />

Per questo scenario di assuefazione all’insicurezza è stato coniato il termine di “criminologie della<br />

vita quotidiana” che rappresentano i fenomeni criminali come fisiologici al modello di consumo<br />

che anima lo stile di vita occidentale e “risultanti da una combinazione di contingenze, di opportunità<br />

e di rischi inseriti nell’ordinario svolgersi della vita di tutti noi” (Selmini, 2004, p. 38).<br />

Il “rischio sociale”, che esprime il senso di insicurezza percepito dalla comunità urbana nei<br />

confronti di fenomeni quali la macro e microcriminalità, gli atti predatori e gli atti vandalici nei<br />

confronti degli spazi collettivi, è speculare al degrado ambientale e alla marginalità ed al disagio<br />

sociale (Body-Gendrot S., 2000).“Le ricadute sociali di un simile sentimento di insicurezza possono<br />

essere molteplici: possono inibire processi di integrazione sociale e disincentivare la partecipazione<br />

ad attività prosociali; possono comportare il ritiro dagli spazi pubblici (che in tal modo diventano<br />

ancora più preda della criminalità), l’aumento dei costi (individuali e collettivi) delle<br />

spese per la sicurezza, fenomeni di fuga e di migrazione” (Patalano, 2006, p. 12).<br />

Fig. 2 - Città recinto di recinti: dalla sorveglianza elettronica alla vita “dietro le sbarre” (foto dell’autore).<br />

La paura governa le scelte in molteplici settori e sta condizionando in modo sempre più significativo<br />

i comportamenti umani e l’organizzazione urbana. La cinta muraria, che nel passato difendeva<br />

dai pericoli esterni, è stata introiettata e trasformata in una sequela di barriere urbanistiche<br />

che frammentano il tessuto fisico e relazionale della <strong>città</strong>. Quando questo processo si associa<br />

a scelte di autosegregazione spaziale, in aree specializzate in base alla classe sociale, il divario e<br />

l’incomunicabilità aumentano. Si sviluppano mondi contigui ma separati in modo più o meno rigido,<br />

fino agli estremi delle gated communities 6 , che separano mediante recinti fisici il benessere<br />

dalla povertà.“E la <strong>città</strong> viene a configurarsi come un recinto di recinti, un compenetrarsi razionale<br />

ed irrazionale di barriere che ostacolano, frenano e interdicono i rapporti sociali, sia fisici che virtuali,<br />

ed il progetto urbanistico assume le sembianze di una partita “giocata in difesa”, senza grinta,<br />

senza stile, senza mordente, che anche in caso di vittoria lascia tutti insoddisfatti perché … brutta<br />

da vedersi” (Coletta, 2003, p. 11).<br />

Mentre proliferano le politiche orientate ad incrementare la protezione delle potenziali vittime<br />

e la repressione (pubblica sicurezza), la prevenzione dei potenziali atti criminosi (precoce, sociale<br />

e situazionale), è ancora in via di definizione il contributo della pianificazione urbanistica alla<br />

sicurezza 7 .“Emerge con forza l’esigenza di ricucire i frammenti fisici di <strong>città</strong> attraverso la progetta-<br />

6 Queste <strong>città</strong> scandite da recinti che racchiudono situazioni omogenee per censo, etnia, classe sociale, …, sono<br />

da tempo diffuse nelle Americhe e cominciano a comparire anche nelle <strong>città</strong> europee, nonostante la resistenza opposta<br />

da una tradizione interclassista delle <strong>città</strong> storiche.<br />

7 A partire dagli anni novanta, in Italia, si registrano esperienze di recupero di aree degradate, raccolte sotto il<br />

nome di programmi complessi, che integrano la dimensione fisica e funzionale con quella dell’equità sociale (Gerundo,<br />

2000 e Esposito, 2002).<br />

101<br />

I LUOGHI<br />

DELLA SOCIALIZZAZIONE<br />

PER UNA CULTURA CONDIVISA


102<br />

CAPITOLO 3<br />

zione di nuovi spazi aperti e l’integrazione dei diversi gruppi della società civile. La frammentazione<br />

sociale e il degrado fisico della spazio urbano costituiscono problemi affrontabili in sede locale<br />

pur se le cause possono riferirsi a processi globali” (Acierno, 2003, p. 27).<br />

Non è casuale che la “Nuova Carta di Atene”, adottata a Lisbona il 20 novembre 2003 dal<br />

Consiglio europeo degli urbanisti, assume la visione della “connected city” quale guida dei processi<br />

di costruzione di una <strong>città</strong> europea espressione di una società multiculturale ed interconnessa:“The<br />

future welfare of humanity requires people to be considered both as individuals, with<br />

specific freedoms of choice to be maintained, but also as communities connected to society as a<br />

whole. This is an important goal for the connected city, which is responsive to the interests of society<br />

as a whole, whilst having regard to the needs, rights and duties of various cultural groups<br />

and of individual citizens”. Nel documento degli urbanisti si evidenzia che, accanto a politiche che<br />

facilitino lo scambio ed il confronto culturale, è necessario affrontare con gli strumenti dell’urbanistica<br />

le declinazioni negative delle principali tematiche sociali.“Thus the city which is connected<br />

socially will be able to provide a high degree of security and sense of ease” 8 .<br />

STATO<br />

DELL’ARTE<br />

DELLA RICERCA<br />

POPOLAZIONE<br />

AUTOCTONA<br />

Fig. 3 - Lo schema del percorso di ricerca<br />

PROGETTAZIONE<br />

SICUREZZA<br />

URBANA<br />

ABACO DI CONFRONTO/<br />

LISTA DI CONTROLLO<br />

GUIDELINES PER LA<br />

CITTÀ INTERETNICA<br />

SICURA<br />

MODELLO<br />

PARTECIPATIVO<br />

IMMIGRATI DI<br />

PRIMA<br />

GENERAZIONE<br />

CARTE PER LA<br />

CITTÀ<br />

INTERETNICA<br />

IMMIGRATI DI<br />

SUCCESSIVE<br />

GENERAZIONE<br />

8 “Facilitating multi-cultural expression and exchanges among different social groups is necessary but not sufficient.<br />

There are large economic disparities to be tackled within the European Union, which are seemingly generated by<br />

the present system of free markets, competition, and globalisation. If these trends continue, they will lead to the rupture<br />

of the social and economic fabric. To avert this, a new approach to governance must emerge, involving all stakeholders,<br />

and tackling social problems, such as unemployment, poverty, exclusion, criminality and violence”.


Nella Risoluzione del Parlamento europeo <strong>sulla</strong> dimensione urbana (Bruxelles, 13/10/2005),<br />

in vista dell’allargamento dell’Unione, dell’impennata del fenomeno migratorio e della crescente<br />

complessità degli insediamenti urbani del continente (dove converge il 78% della popolazione<br />

europea), si definisce la <strong>città</strong> quale luogo “ove si concentrano le difficoltà più complesse e più correnti<br />

(esclusione sociale, segregazione spaziale ed etnica, carenza di alloggi, insicurezza, droga, inquinamento,<br />

aree industriali dismesse contaminate, traffico, disoccupazione, mancanza di competitività,<br />

povertà, modifiche demografiche, ecc…)”, ma anche il luogo ove si costruisce l’avvenire. In<br />

ambito europeo, quindi, si esorta a sviluppare una pianificazione urbana che tenga conto della<br />

specificità degli aspetti demografici e della qualità di vita delle <strong>città</strong> europee con particolare attenzione,<br />

tra l’altro, alle politiche per l’immigrazione, l’integrazione sociale e la sicurezza<br />

(Colombo, 2002).<br />

Laddove il saldo migratorio della popolazione è dinamico e prevalentemente di segno positivo,<br />

infatti, le relazioni diventano sempre più complesse, indebolendo la capacità di controllo<br />

dell’equilibrio sociale del gruppo primario; in questo scenario, il migrante si trova nella posizione<br />

più difficile di foreigner and stranger, schiacciato da una doppia dose di estraneità; ciò assume un<br />

carattere estremo in quelle realtà nelle quali si registra una notevole accelerazione dei fenomeni<br />

in atto, di disagio sociale e di tensioni etniche, e nelle quali tutto sembra concorrere ad accentuare<br />

il confronto-scontro tra civiltà (Martiniello, 2000).<br />

Il senso d’insicurezza costituisce un ostacolo di difficile rimozione ai processi di socializzazione,<br />

innescando un circuito vizioso nel quale la paura, accentuando l’isolamento, si autoalimenta<br />

ed inibisce le relazioni con tutto ciò che non è omogeneo al sistema di riferimento. In questo<br />

contesto la presenza di immigrati portatori di valori e culture diversi accentua i timori, sovente<br />

immotivati, e quindi la chiusura (Alessandria, 2006).<br />

Coniugando la sicurezza urbana, affrontata in chiave urbanistica e non di repressione, con<br />

il tema degli spazi per la socializzazione anche multietnica, si parte dall’emergenza per proporre<br />

indirizzi d’intervento di tipo ordinario.<br />

Le enunciazioni di documenti 9 quali la Carta Urbana Europea (1992), la Carta di Megaride<br />

(1994), l’Habitat Agenda (1996), la Nuova Carta di Atene (2003) e la Carta per la Città Europea<br />

Interetnica e Cablata (2006) individuano gli elementi sui quali concentrare gli sforzi progettuali: la<br />

necessità di evitare forme di ghettizzazione – volontaria o imposta – <strong>sulla</strong> base di appartenenza<br />

sociale, culturale, etnica, religiosa, e così via, che concorrono, accentuando separazione ed incomunicabilità,<br />

a creare spazi della paura e luoghi dell’insicurezza.<br />

Il degrado nel quale versano gli spazi pubblici tradizionalmente dedicati alla socializzazione<br />

è, insieme, un simbolo del degradarsi delle relazioni umane e il punto da cui partire per costruire<br />

una <strong>città</strong> sicura e <strong>interetnica</strong>.<br />

3.2.2 Le matrici del conflitto nella <strong>città</strong> multietnica<br />

Per le ragioni già introdotte, per questioni di carattere antropologico e per inconsapevoli<br />

retaggi culturali, nell’immaginario collettivo la presenza di stranieri accentua il senso d’insicurezza.<br />

Nelle realtà nelle quali è in itinere il processo di formazione di una società multietnica si riscontrano<br />

paure e diffidenze basate su un senso di indeterminatezza e scarsa conoscenza del fenomeno;<br />

nelle società multietniche consolidate il senso di insicurezza è legato a intrecci complessi<br />

che vanno dalla ghettizzazione alla marginalizzazione ed al disagio sociale e, più<br />

recentemente, al fondamentalismo religioso (Sassen, 1999).<br />

9 Il primo di questa serie di documenti internazionali – sia istituzionali che scientifici – è stato varato dal<br />

Consiglio d’Europa e si apre proprio con il tema della sicurezza; la Carta di Megaride, sottoscritta da oltre seicento studiosi<br />

della <strong>città</strong> esprime in dieci principi gli indirizzi di sviluppo per il XXI secolo ed, in particolare, nel II e III principio, rispettivamente<br />

“<strong>città</strong> e popoli” e “<strong>città</strong> e cittadini” e nell’VIII “<strong>città</strong> e sicurezza” emergono i temi del dibattito successivo.<br />

L’equità nel diritto d’accesso all’alloggio e nell’organizzazione degli insediamenti umani costituisce la base di discussione<br />

dell’Habitat Agenda promossa dall’United Nations Conference on Human Settlements e varata ad Istanbul nel<br />

1996. In occasione della redazione della nuova Carta d’Atene (con un iter che si sviluppa tra il 1998 e il 2003) si propugna<br />

la zonizzazione sociale quale strumento per garantire quella mixitè che costituisce la base per una convivenza pacifica<br />

e colta; tale obiettivo è perseguito anche dalla Carta per la Città Europea Interetnica e Cablata che è fortemente<br />

orientata a favorire un’integrazione che consenta di preservare le specificità culturali nel reciproco rispetto.<br />

103<br />

I LUOGHI<br />

DELLA SOCIALIZZAZIONE<br />

PER UNA CULTURA CONDIVISA


104<br />

CAPITOLO 3<br />

Il tema della sicurezza relazionato a quello della costruenda <strong>città</strong> multietnica si può declinare<br />

in tre macrotematiche:<br />

– il regime di paura stimolato dalle azioni terroristiche internazionali perpetrate sotto l’egida<br />

di distorti principi religiosi da persone con precise connotazioni etniche e fedi religiose;<br />

– il rapporto tra alcuni gruppi etnici e il sistema della criminalità organizzata che può sfociare<br />

in una lotta tra mafie;<br />

– l’esplosione di conflitti urbani che veicolano le frustrazioni di giovani apparentemente<br />

integrati verso la violenza, in un tentativo di rivalsa nei confronti di una società che non<br />

offre prospettive.<br />

Per quanto concerne il primo aspetto, teatro delle tensioni sono la <strong>città</strong> consolidata ed i<br />

luoghi simbolici sui quali è difficile intervenire in termini di riorganizzazione fisico-funzionale. Le<br />

istituzioni dei paesi che subiscono la minaccia del terrorismo agiscono a più livelli che esulano<br />

dalle competenze urbanistiche e interessano sostanzialmente l’acquisizione preventiva di informazioni<br />

su potenziali obiettivi (la c.d. intelligence), il potenziamento delle forze impegnate nel<br />

mantenimento dell’ordine pubblico in occasione di eventi o luoghi vulnerabili, la gestione dell’emergenza<br />

e la repressione (Sen, 2006).<br />

La ricaduta più significativa e preoccupante dell’attuale scenario sul tema della <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong><br />

è il clima di paura che si percepisce nei paesi coinvolti – che è, poi, il primo risultato che le<br />

azioni terroristiche si sono prefisse di creare – e che incrementa diffidenze e tensioni. In realtà, la<br />

maggioranza dei conflitti tra individui e comunità che interessano le <strong>città</strong> europee non sono ascrivibili<br />

tout court alla provenienza etnica ed alla confessione religiosa dei contendenti (Huysmans,<br />

2000).<br />

Il secondo aspetto rilevante è la percezione di un fenomeno in atto, fotografato da diversi<br />

studi di settore, di interazione tra alcuni gruppi di immigrati e le mafie locali che sta generando un<br />

nuovo quadro della criminalità organizzata. I sodalizi criminali consolidati – che in Italia assumono<br />

i nomi di cosa nostra, camorra,‘ndrangheta e sacra corona unita – hanno assunto una connotazione<br />

sistemica ed una pervasività internazionale. Le mafie globalizzate stanno sviluppando “collaborazioni<br />

tra le organizzazioni criminali endogene e quelle di matrice straniera (c.d. intermafiosità),<br />

in particolare dell’est europeo, dell’area balcanica, del continente asiatico, del nord-Africa e<br />

del sud-America, particolarmente attive e specializzate nei settori del traffico di stupefacenti, dell’immigrazione<br />

clandestina, della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento della prostituzione”<br />

(Barbagli, 2007).<br />

Sia il terrorismo che la criminalità organizzata hanno ragioni d’esistere intrinseche che non<br />

possono essere affrontate con gli strumenti della pianificazione spaziale e funzionale della <strong>città</strong>.<br />

Non di meno è possibile contribuire ad intervenire sulle condizioni che conducono al reclutamento<br />

di manovalanza in entrambi i settori (offendo alternative credibili e riducendo le cause del<br />

disagio), e a diffondere una maggiore consapevolezza delle potenzialità di una società multietnica<br />

(riconducendo alla realtà la percezione deformata delle insicurezze).<br />

Nel progredire verso la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong>, il nodo gordiano da sciogliere è il rapporto tra i migranti,<br />

con le loro identità e valori simbolici, e la comunità locale portatrice di una identità dominante.<br />

In questo caso, il conflitto può costituire il passaggio catartico verso i nuovi assetti sociali<br />

(Body-Gendrot S., 2000).<br />

Dagli esiti dell’incorporazione delle popolazioni immigrate nella società ricevente dipende<br />

l’equilibrio della costruenda società multietnica. Il grado di socializzazione dei migranti e dei loro<br />

figli condiziona lo sviluppo delle interazioni e, talvolta, dei conflitti tra popolazioni immigrate e società<br />

ospitante:“rappresentano un punto di svolta dei rapporti interetnici, obbligando a prendere<br />

coscienza di una trasformazione irreversibile nella geografia umana e sociale dei paesi in cui avvengono”<br />

(Ambrosini, 2005a).<br />

Se si intende la vita sociale quale interazione, quale tessuto relazionale in cui elementi apparentemente<br />

contradditori si intersecano per fondersi in una dialettica tra conflitto e coopera-


zione (Simmel, 1908), è su questo piano che si gioca l’integrazione etnico-culturale 10 . Ed è, quindi,<br />

necessario identificare gli elementi che concorrono, da un lato, ad inibire il confronto e l’interazione<br />

a vantaggio di un senso di insicurezza e diffidenza, e dall’altro ad innescare platealmente il<br />

conflitto. Questi fattori rappresentano i nodi progettuali sui quali intervenire con gli strumenti<br />

della prevenzione (in termini culturali, sociali ed economici ma anche legati allo spazio fisico) e<br />

non solo della repressione, quando la violenza esplode 11 .<br />

È opportuno dedicare alcune riflessioni ai fermenti che hanno scosso, in tempi più o meno<br />

recenti, alcune <strong>città</strong> nelle quali la composizione multietnica è consolidata, e che sono sfociati in<br />

diverse forme di conflittualità tra popolazione locale ed immigrati; il fenomeno è difficilmente generalizzabile<br />

in quanto tali conflitti sono il frutto di una complessa rete di fattori e relazioni.<br />

Le vere e proprie rivolte che hanno coinvolto, in tempi recenti, le terze generazioni di immigrati<br />

in diversi paesi europei, all’apparenza perfettamente inseriti nel sistema sociale locale,<br />

hanno rimesso in discussione teorie consolidate sui principali modelli d’integrazione applicati nel<br />

continente. Tali eventi devono costituire un monito per quei paesi, tra i quali si annovera l’Italia,<br />

nei quali si sta profilando una complessa composizione multietnica, con l’aggravante degli squilibri<br />

internazionali post 9/11.<br />

I primi mesi del 2007 hanno visto lo scatenarsi di violenze anche nella Penisola che, mostrandosi<br />

al livello istituzionale “inconsapevole” e “accomodante” nei confronti del fenomeno migratorio,<br />

sperava in un adattamento spontaneo dei diversi soggetti coinvolti e in una mediazione<br />

del conflitto. Le spedizioni punitive nei confronti di insediamenti nomadi da un lato e gli scontri<br />

con le forze dell’ordine della comunità cinese di Canonica-Sarpi a Milano hanno reso evidente<br />

una necessità che la comunità scientifica aveva già individuato.<br />

Molteplici ed articolate riflessioni sono state fatte sui disordini che hanno travolto le banlieues<br />

francesi dove, pure, l’assimilazione delle comunità immigrate sembrava compiuta con reciproca<br />

soddisfazione. L’intifada delle banlieues, così è stata chiamata la rivolta che ha infiammato le<br />

periferie parigine nel novembre 2005, ad opera delle seconde e terze generazioni di immigrati di<br />

origine maghrebina, ha portato alla luce i problemi d’integrazione etnica che il modello assimilazionista<br />

praticato per lungo tempo non ha saputo o voluto affrontare 12 . Molto inchiostro è stato<br />

versato per analizzare questo fenomeno, durato oltre un mese, definito ora frutto della propaganda<br />

del fondamentalismo islamico ora conseguenza delle discriminazioni di razza, religione e<br />

cultura, della società dei consumi, della questione urbana, della mancata integrazione, dello spaesamento<br />

tipico dei non-luoghi periferici, e così via.<br />

Ma, al di la delle declinazioni pluridisciplinari delle analisi, tali eventi non sono ascrivibili<br />

esclusivamente al modello d’integrazione perseguito in Francia. Anche nel Regno Unito, dove si è<br />

perseguita una differente politica per l’immigrazione, non sono mancate esplosioni di violenza di<br />

natura multietnica; i riots delle minoranze etniche sono esplosi sin dagli anni cinquanta nei sobborghi<br />

londinesi e successivamente, quasi ad ondate, in altre <strong>città</strong>, accomunate dalla crisi della<br />

produzione industriale tradizionale 13 . Per esempio, la guerriglia urbana che ha infuocato le<br />

10 Il rapporto dialettico tra l’individuo e le istituzioni sociali genera quella forma di conflittualità che si pone alla<br />

base del processo stesso di socializzazione. Simmel, esaminando le peculiarità psicologiche del carattere degli individui<br />

che abitano in un’area urbana e le conseguenti interazioni sociali, codifica i tipi di relazioni abitualmente espresse in ambito<br />

urbano o rurale, che saranno sviluppati empiricamente dalla scuola di Chicago. L’uomo metropolitano sottoposto ad<br />

una sovrastimolazione sensoriale ha sviluppato una intellettualità sofisticata che filtra i rapporti con gli altri individui (relazioni<br />

secondarie), mentre nei piccoli centri le relazioni sono sempre dirette (primarie) tra tutti gli abitanti. A rafforzare<br />

le differenze si aggiunge il fattore economico che conduce il cittadino metropolitano a intendere le relazioni con gli altri<br />

quale simulacro di contrattazioni. La vita cittadina ha trasformato la lotta con la natura per il sostentamento in una<br />

lotta tra uomini per il guadagno, guadagno che non è offerto dalla natura, ma da altri uomini (Fornero, 1993).<br />

11 Come si vedrà in seguito, da oltre trenta anni negli USA si sviluppano interventi di progettazione architettonica<br />

ed urbanistica orientati alla prevenzione di comportamenti deviati nei diversi settori; più recentemente, si è aperto<br />

il campo a tali sperimentazioni anche in Europa.<br />

12 In precedenza, il fenomeno aveva interessato negli anni ottanta e novanta le banlieues di altre <strong>città</strong> francesi:<br />

Lione (1979, 1981, 1990), Sartrouville, Parigi, Mantes-la-jolie (1991) e successivamente Strasburgo, Bordeaux ed altre.<br />

13 Nella riflessione su “immigrazione in Italia e in Europa tra solidarietà e conflitti” sviluppata nel già citato<br />

Rapporto Italia dell’Eurispes si elencano i principali eventi: Manchester (1981, 1982), Liverpool (1981, 1985, 2001),<br />

Birmingham (2005), Bristol (1980), Brixton (1981, 1985, 1991), Bradford (1995, 2001, 2002), Oldham (2001), Leeds (2001),<br />

Burnley (2001).<br />

105<br />

I LUOGHI<br />

DELLA SOCIALIZZAZIONE<br />

PER UNA CULTURA CONDIVISA


106<br />

CAPITOLO 3<br />

Milltowns inglesi, in particolare Bradford, Burnley e Oldham, nella primavera-estate del 2001 è l’espressione<br />

di un conflitto etnico scaturito dal disagio socio-economico prodotto dalla dismissione<br />

industriale ed alimentato da estremisti politici (Beguinot, Clemente, Esposito, 2005).<br />

In Germania il diffuso sentimento xenofobo e un rifiuto generale di ammettere il proprio<br />

ruolo di paese d’immigrazione, riscontrabile anche nelle politiche e nelle normative, ha dato vita<br />

a gravi conflitti la cui dinamica si può ricostruire in veri attacchi da parte degli autoctoni nei confronti<br />

degli immigrati. Non sono mancate violenze e recrudescenze fondamentaliste anche nei<br />

Paesi Bassi, modello di integrazione e qualità della vita 14 .<br />

Con questi episodi l’Europa scopre una nuova forma di conflittualità urbana che ha tra i<br />

propri episodi emblematici quanto accaduto al di la dell’oceano, negli scontri e nella devastazioni<br />

che hanno attraversato Los Angeles nel 1992.Tale conflittualità si configura quale elemento emergente<br />

e non occasionale di una crisi urbana globale che, pur con alcune specificità locali, vede l’intreccio<br />

tra multietnicità, a-topia della <strong>città</strong> contemporanea, alienazione ed individualismo, modelli<br />

di consumo insostenibili e sperequazioni economiche e sociali (Sassen, 1996).<br />

Dagli eventi estremi che costituiscono il sintomo del disagio che investe le comunità di<br />

immigrati ed i loro discendenti, sovente costretti in condizioni di marginalità e disagio economico,<br />

è necessario partire per sviluppare i nodi progettuali.<br />

3.2.3 Lineamenti di progettazione orientata alla sicurezza urbana<br />

Come si è visto, il tema della sicurezza è uno dei nodi significativi da sciogliere nella costruzione<br />

di una società includente e multiculturale. Nelle pagine seguenti si sviluppa un ragionamento<br />

che mette in relazione gli spazi della <strong>città</strong> ed i comportamenti umani, con particolare attenzione<br />

ad alcune categorie di atti criminosi; è evidente il limite del tentativo di razionalizzare un<br />

rapporto complesso e governato da logiche non sempre lineari.<br />

Reinterpretazione del diagramma di Ernest W.<br />

Burgess, realizzato trasponendo le teorie di<br />

Darwin nel campo delle scienze sociali, effettuata<br />

da Mike Davis nel suo libro Ecology of<br />

Fear.<br />

Il territorio di riferimento è una Los Angeles<br />

che vanta oltre 500 quartieri controllati e enclaves<br />

residenziali, 2.000 gang, 20.000 sweatshop<br />

e 100.000 senza tetto.<br />

Ai classici fattori determinanti la sopravvivenza<br />

del più forte all'interno della <strong>città</strong> (reddito,<br />

classe, razza, ecc.) Davis aggiunge la paura.<br />

(Davis, 1999)<br />

Fig. 4 - Ideogramma: i recinti della paura e gli spazi pubblici insicuri<br />

14 Si pensi all’assassinio del regista Theo van Gogh da parte di un giovane musulmano; il regista era entrato nel<br />

mirino dei seguaci di Maometto a causa di un documentario <strong>sulla</strong> condizione della donna musulmana, girato con la collaborazione<br />

della deputata di origine somala Ayaan Hirsi Ali, costretta a riparare negli USA a seguito di analoghe minacce.<br />

Anche la Danimarca, dopo anni di apparente pace sociale è salita agli onori della cronaca con episodi di intolleranza<br />

e violenza nei confronti di soggetti marginali; in questa categoria si accomunano immigrati, gruppi di giovani che<br />

si oppongono al modello di consumo corrente, ecc. Quindi, anche in contesti culturalmente evoluti, con una consolidata<br />

tradizione democratica e un elevato livello di qualità della vita diffuso tra la popolazione si assiste ad eventi di intolleranza<br />

che non possono essere definiti episodici ne circoscritti a frange limitate della popolazione.


Non si può che accogliere pienamente l’invettiva del Circolo Ermeneutico che stigmatizza<br />

la tendenza ad applicare un tecnicismo deterministico ai processi sociali che per loro natura vi<br />

sfuggono. Non di meno, la natura stessa della disciplina urbanistica richiede di affrontare con un<br />

approccio scientifico e con strumenti tecnici la pianificazione e la gestione del sistema territoriale.<br />

La complessità dell’oggetto di studio rende velleitario il tentativo di affrontare le dinamiche del<br />

sistema con un approccio razional-comprensivo. Questo vizio di fondo rinvia agli albori della<br />

disciplina con lo sviluppo, in parallelo, di un approccio culturale improntato all’illuminismo e<br />

di una complessificazione sociale determinata dal consolidarsi della rivoluzione industriale.<br />

All’incremento dell’indeterminatezza del contesto sociale la cultura sette-ottocentesca ha cercato<br />

di opporre una costruzione razionale delle possibili risposte 15 .<br />

Questa contraddizione in nuce si estremizza con l’urbanistica difensiva che, dopo secoli di<br />

costruzione di modelli per la protezione nei confronti di un nemico esterno alla cinta urbana, si è<br />

dovuta orientare alla gestione di un fattore destabilizzante: l’insicurezza al suo interno. Se si ripercorre<br />

la storia dell’urbanistica difensiva dal movimento tellurico della prima rivoluzione industriale<br />

a quello altrettanto pervasivo dell’ultima rivoluzione industriale (quella dell’informazione e<br />

della comunicazione) si riscontra un costante tentativo di controllare le dinamiche sociali accelerate<br />

e di ricondurre il caos urbano a modelli razionali (Ilardi, 1999).<br />

Cercando di non cedere alle lusinghe dell’eccesso di semplificazione e di conservare un approccio<br />

complesso al sistema urbano, si focalizza, quindi, l’attenzione sulle teorie e le prassi consolidate<br />

nel settore della sicurezza che, in estrema sintesi sono riconducibili a due approcci primari.<br />

Il primo mette in relazione le condizioni ambientali e sociali con lo sviluppo di attività criminose,<br />

privilegiando azioni di prevenzione; il secondo, privilegiando una interpretazione della<br />

determinazione criminosa di tipo volontaristico, ha dato vita principalmente a politiche repressive<br />

(Sutherland e Cressey, 1996). Nella prima macrocategoria si riconoscono molteplici linee di ricerca<br />

interdisciplinari orientate all’interpretazione dei fenomeni di devianza ed alla messa a punto di<br />

politiche di lotta alla criminalità legate al tema della prevenzione (Stella, 2001).<br />

Intendendo la prevenzione nella sua accezione più ampia (Luhmann, 1990) si possono delineare<br />

i principali contributi della disciplina urbanistica, in particolare, negli ambiti della prevenzione<br />

precoce e di quella situazionale. Si pensi, p.e., alla società nordamericana, nella quale un coacervo<br />

di cause ha determinato lo sviluppo precoce di queste tematiche (Petrillo, 2000) e, già negli<br />

anni venti, le ricerche sviluppate nell’ambito della c.d. Scuola ecologica di Chicago<br />

evidenziavano un legame stretto tra la disgregazione sociale tipica delle grandi <strong>città</strong> e metropoli<br />

contemporanee ed i comportamenti deviati (Park et al., 1925, p. 24).<br />

La prevenzione precoce, che vanta forti contenuti di carattere sociale (vi si riferiscono comunemente<br />

le attività di formazione di una coscienza civica e di educazione alla legalità sui giovani<br />

e, attraverso di loro, sui contesti famigliari), può ricevere un utile contributo da un approccio<br />

progettuale attento alla qualità degli spazi urbani. Le attività di recupero e di manutenzione<br />

urbana offrono un segnale di impegno da parte delle istituzioni a creare le condizioni per una<br />

convivenza civile. Combattere quel degrado urbano che può favorire comportamenti deviati, applicando<br />

la teoria criminologica delle broken windows 16 in una declinazione “pedagogica”, può rappresentare<br />

il primo passo verso una maggiore vivibilità dei quartieri più a rischio delle grandi<br />

<strong>città</strong>. Sovente, però, tale teoria ha dato vita a politiche repressive rigide piuttosto che ad azioni mirate<br />

a migliorare la qualità degli spazi urbani.<br />

La prevenzione situazionale è, invece, legata alla contingenza dell’uso degli spazi urbani ed<br />

abbina al controllo perpetrato con metodi tradizionali quello che si avvale di tecnologie innovative.<br />

L’organizzazione urbana da sfondo dell’azione repressiva diviene attrice della prevenzione.<br />

15 Si pensi alle utopie urbane di diversa matrice che arricchiscono gli albori della storia dell’urbanistica.<br />

16 La teoria criminologica delle broken windows, presentata in un articolo pubblicato sull’Atlantic Monthly nel<br />

marzo del 1982 da parte di James Q. Wilson e George L. Kelling, collega l’incremento dei comportamenti deviati, in particolare<br />

la microcriminalità predatoria ed il danneggiamento, con l’abbinamento di fenomeni di degrado (per esempio<br />

atti vandalici) e dell’incuria delle istituzioni e dei cittadini nei confronti degli stessi. L’approccio, che ha dato vita alle politiche<br />

“tolleranza 0” della New York di Rudolph Giuliani, enuncia che: if the first broken window in a building is not repaired,<br />

then people who like breaking windows will assume that no one cares about the building and more windows will be broken.<br />

Soon the building will have no windows…<br />

107<br />

I LUOGHI<br />

DELLA SOCIALIZZAZIONE<br />

PER UNA CULTURA CONDIVISA


108<br />

CAPITOLO 3<br />

Le implicazioni tra conformazione degli spazi e sicurezza reale o percepita sono state oggetto<br />

di riflessioni disciplinari dagli albori dell’urbanistica razionalista, che ha offerto soluzioni improntate<br />

al positivismo funzionalista. La revisione di tali approcci, già a partire dagli anni sessanta,<br />

ha dato vita a nuovi sentimenti della <strong>città</strong> che offrono diverse risposte alle nuove insicurezze mediante<br />

diverse forme urbane.<br />

La cosiddetta “retribalizzazione” punta alla riscoperta ed esaltazione dell’identità autoctona<br />

avversa ai diversi caratteri della globalizzazione e si concretizza nella realizzazione di quartieri enclave<br />

socialmente omogenei.<br />

Uno spirito nostalgico anima il recupero della vita comunitaria tipica di una cultura rurale,<br />

perpetrato mediante interventi di recupero urbano finalizzati a ricreare un’atmosfera preindustriale.<br />

Di natura simile ma con un’accentuata tendenza alla fuga dalla realtà sono insediamenti<br />

“murati” (<strong>città</strong> satelliti, quartieri, centri commerciali, parchi a tema) che, rigidamente separati dal<br />

mondo reale, ripropongono un modello socioeconomico omogeneo ed un ambiente fittizio costituito<br />

da stereotipi rassicuranti.<br />

L’approccio mistico e quello tecnologico (<strong>città</strong> cablata) costituiscono ulteriori tendenze a<br />

fuggire dall’insicurezza (Ellin, Blakely, 1997). Si pensi al modello di controllo infotelematico totale<br />

dello spazio urbano messo in atto già da anni nella downtown di Los Angeles e che Mike Davis definisce<br />

“scanorama” (Davis, 1998); esso rinvia concettualmente alla trasposizione urbana, effettuata<br />

da Foucault, dell’idea settecentesca di panopticon progettata da Jeremy Bentham (Foucault, 1975).<br />

Ed è significativo che in questi giorni si discutano (tra USA, Canada e Messico) sistemi difensivi<br />

orientati al controllo capillare dei comportamenti sul territorio piuttosto che alla gestione<br />

di eventi bellici. Una sorta di Grande Fratello orwelliano 17 potrebbe utilizzare le più sofisticate tecnologie<br />

infotelematiche per prevenire atti criminosi, terroristici ma anche per reprimere comportamenti<br />

dissidenti.<br />

Al di là della complessità di tali modelli, degli obiettivi cui vengono applicati e delle lesioni<br />

dei diritti civili perpetrate è evidente la tendenza ad investire per conoscere e razionalizzare i fenomeni<br />

che sfuggono al controllo e generano o incrementano il senso di insicurezza (Body-<br />

Gendrot, 2000).<br />

Questi modelli sviluppatisi negli USA hanno dato vita a progetti per la sicurezza urbana che<br />

hanno sortito l’effetto opposto di incremento dell’insicurezza.“La guerra all’insicurezza, ai rischi e<br />

ai pericoli, è in corso dentro la <strong>città</strong>… Le trincee fortificate e i bunker destinati a separare e tener<br />

lontani gli estranei, sbarrando loro l’accesso, stanno diventando rapidamente uno dei tratti più visibili<br />

delle <strong>città</strong> contemporanee” (Bauman, 2005). La paura diventa materia di pianificazione e<br />

guida le scelte di conformazione dello spazio; come già si è realizzato in forma radicale in<br />

Sudafrica (Somma, 1991) e in alcuni Paesi del Sud America (Caldeira, 2001) le gated communities e<br />

le walled communities (Blakely, Snyder, 1997) esasperano le divisioni e, con esse, le tensioni.<br />

L’inadeguatezza dei modelli adottati ha condotto alla consapevolezza che “lo spazio e il sociale<br />

siano sempre interconnessi… non basta trasformare lo spazio per modificare le relazioni sociali”<br />

(Augè, 2005) 18 . Sembra aprirsi la strada ad un nuovo approccio che metta in relazione causale<br />

ambiente fisico e senso d’insicurezza, senza gli intenti trionfalistici e onnicomprensivi della<br />

tradizione urbanistica. Una sorta di accettazione del caos quale componente della pianificazione<br />

urbanistica e sociale (Sennet, 1970).<br />

I modelli citati trovano occasione di concretizzarsi in insediamenti o singole opere di architettura<br />

anche in Europa e arricchiscono l’acceso dibattito in atto <strong>sulla</strong> sicurezza sociale e sul ruolo<br />

dell’immigrazione nell’incremento dell’insicurezza reale o percepita.<br />

Nel Vecchio Continente la genesi di questi approcci affonda le radici nella grave crisi economica<br />

e sociale che, associata agli effetti della globalizzazione e della nascita di una società multietnica,<br />

ha determinato tensioni, violenze ed un crescente senso di insicurezza nella Gran<br />

17 La definizione è di Naomi Klein in un recente editoriale pubblicato in Italia da l’Espresso.<br />

18 Da un’intervista di Fabio Gambaro a Marc Augè “I luoghi degli esclusi e la modernità fallita”, in Repubblica,<br />

11/11/2005, p. 56.


Fig. 5 - CPTED<br />

Seminario Gruppo DAB Traicon - Fondazione<br />

Astengo “La Governance della Sicurezza nelle<br />

Città e nel Territorio”; Roma, 4 luglio 2007.<br />

Bretagna degli anni ottanta. La dilatazione della percezione del rischio ha generato risposte di natura<br />

diversa che mettono in relazione ambiente fisico e comportamenti sociali deviati 19 . Questo<br />

approccio ha dato vita ad esperienze progettuali che hanno condotto alla sperimentazione di alcune<br />

procedure 20 che sono confluite nella norma UNI ENV 14383 del 2003, ratificata nel 2005 e<br />

che, in ambito europeo, istituzionalizza la Crime Prevention Trough Environmental Design.<br />

Si deve rilevare che la CPTED, così come i programmi che la hanno preceduta, costituiscono<br />

utili riferimenti metodologici ma non possono essere trasferiti tout court alla realtà dell’Europa<br />

continentale e ancor più dell’Italia. Nel nostro paese, infatti, il tema dell’insicurezza non interessa<br />

solo le periferie d’espansione e lo sprawl edilizio ma anche la <strong>città</strong> compatta che deve essere affrontata<br />

con altre logiche. La riorganizzazione delle relazioni tra la <strong>città</strong> della pietra (la dimensione<br />

fisica), la <strong>città</strong> delle relazioni (la dimensione funzionale) e la <strong>città</strong> del vissuto (Beguinot, 1992) deve<br />

essere alla base di interventi che coinvolgano le pieghe più degradate delle <strong>città</strong> contemporanee:<br />

le periferie storicizzate (nelle quali la scarsa qualità edilizia si abbina ad una carenza strutturale di<br />

servizi e luoghi d’aggregazione), le aree interstiziali tra le grandi infrastrutture per la mobilità e le<br />

aree industriali dismesse (scelte quale luogo di insediamento informale da nomadi, immigrati e<br />

tutti coloro che la società dei consumi spinge a margine), e parti dei centri storici che non sono<br />

state recuperate a nuovi usi che ne abbiano innalzato l’appetibilità commerciale e, quindi, il valore<br />

immobiliare 21 . (Flusty, 1997; Body-Gendrot, Martiniello, 2000; Ilardi, 2005) In tali ambiti si sviluppano<br />

le relazioni tra popolazione autoctona e immigrati di differente provenienza, le cui scelte localizzative<br />

sono condizionate dai noti problemi di inserimento socio-economico.<br />

19 Si vedano i documenti ufficiali prodotti in occasione dei diversi appuntamenti del Forum Europeo per la<br />

Sicurezza Urbana, cui partecipano rappresentanti di istituzioni nazionali e locali, del mondo delle professioni e della ricerca<br />

(www.fesu.org).<br />

20 1989 Design Against Crime; 1994 Secured by Design, New Homes Security Scheme; 2000 Environmental<br />

Management Pubblications.<br />

21 Il tema della gentrification in termini di rinnovamento urbano e sostituzione sociale è scandagliato da Steven<br />

Flusty “Building Paranoia” in Ellin N. (1997), op. cit. e da Sophie Body-Gendrot e Marco Martiniello in “The Dynamics of<br />

Social Integration and Social Exclusion at the Neighbourhood Level” in Body-Gendrot S., Martiniello M. (2001), op. cit.; per<br />

quanto concerne la barriera sociale costituita dal valore immobiliare si veda Ilardi M. (2005), Nei territori del consumo totale.<br />

Il disobbediente e l’architetto, DeriveApprodi.<br />

109<br />

I LUOGHI<br />

DELLA SOCIALIZZAZIONE<br />

PER UNA CULTURA CONDIVISA


110<br />

CAPITOLO 3<br />

3.2.4 Immigrazione e sicurezza urbana: elementi per l’interpretazione dei nodi progettuali<br />

Al di là degli intenti, le attuali politiche per l’immigrazione, sia in ambito europeo che italiano,<br />

non offrono molto spazio ad interventi per la gestione dell’inserimento degli immigrati nel<br />

tessuto sociale delle <strong>città</strong>, mentre concentrano gli sforzi nel contenimento degli ingressi.<br />

Speculare a tale tendenza è la percezione della presenza di stranieri che, da parte di ampie<br />

fasce della popolazione locale, è superiore al fenomeno reale ed è sovente accompagnata da una<br />

notevole diffidenza; tra le molteplici sfumature della stessa si ravvisano le ataviche paure nei confronti<br />

di ciò che è diverso e che non si conosce, le declinazioni multietniche del rischio sociale, ma<br />

anche problemi concreti di convivenza in contesti degradati, contendendosi le scarse risorse a<br />

disposizione. Non meno significativa è l’insicurezza generata dalla contiguità tra irregolarità (della<br />

presenza) ed illegalità (del comportamento) che caratterizza parte dell’immigrazione clandestina.<br />

Per individuare gli elementi sui quali basarsi per l’intervento, si può partire dai fattori di crisi<br />

che costituiscono il “picco di carico” del sistema. Da questi eventi eccezionali che si sono sviluppati<br />

in contesti diversi si può trarre insegnamento nella messa a punto di politiche integrate per l’immigrazione<br />

e la sicurezza urbana. Infatti, pur non potendo assimilare tra loro episodi di matrice<br />

differente, è possibile identificare alcuni elementi comuni a focolai del conflitto interetnico:<br />

– le esplosioni di violenza non restano circoscritte nel tempo e nello spazio ma si riverberano<br />

sul contesto andando ad accentuare il senso generale di diffidenza e di insicurezza<br />

che sovente sfocia in xenofobia …<br />

– nei paesi dove l’immigrazione è consolidata i soggetti coinvolti appartengono soprattutto<br />

alle seconde e terze generazioni …<br />

– quando le comunità immigrate si concentrano in aree degradate si sviluppa una lotta tra<br />

poveri per la conquista delle scarse risorse, dei servizi, di lavoro (spesso informale) …<br />

– gli episodi di violenza sono concentrati principalmente in aree che presentano quali caratteristiche<br />

comuni la posizione marginale rispetto alle centralità urbane (periferie dell’espansione<br />

urbana, sprawl, centri storici degradati e soggetti alla gentrification, insediamenti<br />

informali nelle aree interstiziali, …), il degrado sociale e fisico, la mancanza o<br />

l’impraticabilità di spazi per l’incontro e la socializzazione, …<br />

Fig. 6 - La <strong>città</strong> e gli immigrati: segregazione, espulsione<br />

Gli insediamenti informali che punteggiano le periferie e la <strong>città</strong> diffusa ospitano in condizione fisicamente<br />

marginale le componenti marginali dell’attuale sistema sociale: gli immigrati, i nomadi e, in misura minore,<br />

gli autoctoni che sono stati espulsi (o si sono allontanati) dal modello di consumo corrente. In alcuni casi le<br />

immagini rinviano alle suggestioni del cinema neorealista dell’Italia del dopoguerra (foto dell’autore).


Fig. 7 - La <strong>città</strong> e gli immigrati: differenze culturali<br />

Le immagini della diversità che affascinano durante i viaggi nelle località “esotiche” spaventano quando si ritrovano,<br />

stranianti, nella quotidianità della <strong>città</strong> europea (foto dell’autore).<br />

Per quanto concerne i primi due aspetti, di natura prettamente socio-economica, la letteratura<br />

scientifica e la cronaca si intrecciano nell’interpretare le matrici del conflitto e nel raccontare<br />

le suggestioni e la percezione del fenomeno da parte di chi vi è coinvolto.<br />

Anche in Italia, paese ancora ai margini dei processi migratori, si ravvisano i primi segni di<br />

una difficile convivenza: da un lato, diffidenze, preconcetti, scarsa conoscenza, alterano la percezione<br />

delle popolazioni autoctone, dall’altro, il rifiuto di adeguarsi alle norme locali da parte di alcuni<br />

gruppi d’immigrati esaspera le tensioni. Talvolta, anche laddove l’immigrazione non è “stracciona”<br />

ma imprenditoriale, come nel caso della comunità cinese, si configura una condizione per<br />

la quale ciascun gruppo etnico sembra obbedire a norme e codici comportamentali diversi (più limitanti<br />

per la popolazione locale); ciò altera i rapporti interetnici e può sfociare in episodi d’intolleranza<br />

reciproca.<br />

Il secondo comune denominatore è legato alle caratteristiche dei soggetti che scatenano i<br />

conflitti o vi partecipano; le circostanze nelle quali si sono scatenate le violenze hanno visto coinvolte<br />

diverse generazioni di immigrati, cui corrispondono diversi focolai di disagio e diverse potenziali<br />

cause di conflitto. Una schematizzazione consolidata rappresenta l’innesto della popolazione<br />

immigrata nel paese di destinazione secondo uno sviluppo in due fasi.<br />

La prima fase interessa coloro che non sono nati nel paese d’accoglienza (definiti di prima<br />

generazione); in questo caso si registra una tendenza a sviluppare un modello d’inserimento che<br />

varia in base al paese di provenienza ed all’eventuale presenza di una rete logistica costituita da<br />

conterranei, già presenti in loco (Decimo, Sciortino, 2006). Tratto comune a coloro che appartengono<br />

alla prima generazione d’immigrati è la ricerca di soddisfare alcuni bisogni insediativi primari<br />

(alloggio, lavoro, servizi di trasporto collettivo).<br />

Se e quando la permanenza temporanea si trasforma in un progetto di vita (con i ricongiungimenti<br />

familiari e/o la costituzione di nuove famiglie monoetniche o miste) si intraprende la<br />

fase di stabilizzazione; ciò comporta la nascita della seconda e terza generazione ed oltre, nel<br />

paese d’accoglienza. Coloro che appartengono a tali generazioni non rientrano più nella categoria<br />

di immigrato ma sono a tutti gli effetti membri della comunità locale, e cittadini di fatto (anche<br />

111<br />

I LUOGHI<br />

DELLA SOCIALIZZAZIONE<br />

PER UNA CULTURA CONDIVISA


112<br />

CAPITOLO 3<br />

se non sempre possono essere riconosciuti tali giuridicamente) 22 . Consapevoli del proprio ruolo<br />

sociale, questi cittadini vivono le contraddizioni di una duplice appartenenza (le proprie radici etniche<br />

e il clima culturale nel quale sono nati e cresciuti) e sono in grado di esprimere con forza bisogni<br />

articolati, simili a quelli dei coetanei di analoga posizione economica, ma più complessi.<br />

In tale contesto si rileva che “nell’infanzia è più facile la condivisione di momenti, spazi e occasioni<br />

di socialità <strong>interetnica</strong>, grazie alla scuola, alle attività extrascolastiche, agli ambiti sportivi e<br />

religiosi, nel vicinato, negli spazi pubblici (parchi, giardini, spiagge, campi da gioco, …)”<br />

(Ambrosini, 2005b). Al crescere delle seconde generazioni, invece, le reti di socialità tendono a differenziarsi<br />

ed a specializzarsi socialmente (omogeneità di censo, cultura e classe sociale) ed etnicamente<br />

(omogeneità di provenienza geografica).<br />

Il rapporto tra integrazione economica, assimilazione culturale e tendenze conflittuali nelle<br />

seconde generazioni di immigrati è stata schematizzata secondo una matrice a doppia entrata.<br />

Combinando la dimensione economica con quella culturale si possono riassumere i comportamenti<br />

dei giovani immigrati in quattro categorie (Ambrosini, 2007):<br />

– la downward assimilation (livello basso di integrazione economica e culturale),<br />

– l’assimilazione lineare classica (entrambi i livelli alti),<br />

– l’assimilazione selettiva (la prima è alta e la seconda è bassa),<br />

– l’assimilazione anomica o illusoria (la prima è bassa e la seconda è alta).<br />

La prima tipologia classificata è quella che alimenta intorno a se un senso di insicurezza e<br />

discriminazione; anche se non annovera il maggior numero di individui, essa costituisce un fenomeno<br />

rilevante nella percezione collettiva e costituisce il brodo di coltura dei comportamenti devianti,<br />

che vedono i giovani immigrati associati nei comportamenti ai giovani emarginati locali.<br />

All’opposto si trovano le esperienze di integrazione definite di successo perché l’abbandono<br />

dell’identità ancestrale ha condotto all’assimilazione dell’immigrato allo stile di vita del<br />

paese dell’accoglienza, del quale ha colto le opportunità di avanzamento socio-economico.<br />

Quando, nonostante l’abbandono dell’identità originaria, tale avanzamento non avviene, la<br />

mancanza dei mezzi necessari per accedere a beni e servizi tipici dello stile di vita del paese<br />

ospite, cui ci si ispira, genera un corto circuito tra aspirazioni e prospettive concrete. Anche in questo<br />

caso le frustrazioni possono generare atteggiamenti aggressivi e vandalici che, in una logica di<br />

“branco” possono sfociare in tensioni e conflitti. Di contro, si può verificare che il successo individuale<br />

nell’ambito economico e dell’istruzione dipenda dalla volontà di non omologarsi al modello<br />

locale, conservando i caratteri distintivi della propria identità culturale ed il sistema di relazioni<br />

che ne discende.<br />

Per quanto concerne gli ultimi due elementi comuni individuati, ma in parte anche per gli<br />

altri, la componente urbanistica assume una rilevanza significativa: gli strumenti disciplinari possono<br />

essere orientati all’interpretazione dei criteri localizzativi e della domanda multietnica e ad<br />

intervenire progettualmente per innescare una mixitè funzionale, sociale, culturale <strong>sulla</strong> scorta<br />

della quale favorire la socializzazione (Piccinato, 2005).<br />

L’interpretazione della domanda è uno dei nodi di grande rilevanza nella disciplina urbanistica<br />

che, orientata a proporre soluzioni progettuali ai problemi urbani, non può operare <strong>sulla</strong><br />

base dell’idea di persona ma in termini di categorie d’individui. In una logica non deterministica<br />

ma complessa, per interpretare la domanda espressa dalle persone che compongono una società<br />

multietnica significa predisporre strumenti e metodologie per decodificare non solo la domanda<br />

manifesta (assimilabile ai bisogni primari) ma anche la domanda inespressa (sogni e fabbisogni).<br />

Nell’affrontare tale tema si riscontra una tendenza ad attribuire bisogni codificati agli individui<br />

inquadrati in schemi predefiniti 23 ; in questo modo le comunità straniere verrebbero risuc-<br />

22 In Europa il diritto di cittadinanza non è disciplinato in modo omogeneo tra i diversi paesi; in Germania, per<br />

esempio, una recente legge offre il diritto di cittadinanza agli immigrati di prima generazione purché rinuncino alla nazionalità<br />

d’origine (con evidente intento di assimilazione) mentre in Svizzera anche le terze generazioni sono escluse da<br />

tale opportunità.<br />

23 La pianificazione del territorio è storicamente legata in un rapporto causale alla domanda espressa dalla popolazione<br />

che vi è insediata e vi svolge le proprie attività; il complessificarsi di funzioni e relazioni urbane e l’evolversi del


chiate in un meccanismo consumistico, perdendo le proprie specificità culturali, diluite in stereotipi<br />

convenzionali.<br />

I rischi sono notevoli; da un lato, si profila una deriva demagogica che, nel presunto rispetto<br />

delle diversità, si proietti verso la semplice addizione di servizi ad hoc per le comunità straniere.<br />

Ciò comporterebbe, qualora si riuscisse ad attuarla con la scarsità di risorse delle quali si dispone,<br />

il rischio di incentivare la segregazione fisica ed ostacolare l’osmosi culturale tra gruppi etnici.<br />

Inoltre, si potrebbe generare nei gruppi sociali svantaggiati della popolazione autoctona, già fortemente<br />

penalizzati nell’accesso a beni e servizi, una competizione con gli immigrati dei quali<br />

condividono i diversi gradi di marginalità sociale.<br />

Più frequentemente, l’interesse delle istituzioni si concentrerà <strong>sulla</strong> realizzazione di un edificio<br />

simbolico – solitamente un luogo di culto – ritenendo così esaurita la questione multietnica.<br />

La sola enunciazione di tale intento, pur minimale, in molti casi basta per scatenare una ridda di<br />

polemiche spesso poco costruttive.<br />

Il baco del sistema è insito nel concetto stesso di intervento straordinario; sia la storia della<br />

<strong>città</strong> che quella dell’urbanistica sono costellate di esempi nei quali una situazione d’emergenza<br />

più o meno acuta ha generato una domanda straordinaria, cui si è risposto con un intervento<br />

straordinario. La risposta delle istituzioni in questi casi avviene in contesti di forte pressione sociale,<br />

giustificati dall’ampiezza del fenomeno 24 ; si convogliano, quindi, notevoli energie e risorse<br />

verso interventi puntuali che esulano da un approccio sistemico – sovente in contrasto con le<br />

norme e gli indirizzi della pianificazione vigente – e che non favoriscono (e talvolta inficiano) le linee<br />

di sviluppo tracciate.<br />

3.3 L’ESPERIENZA ITALIANA E IL FENOMENO MIGRATORIO: CONFLITTO VS SOCIALIZZAZIONE<br />

“La posizione geografica dell’Italia, la tradizione ebraico-cristiana, le istituzioni libere e democratiche<br />

che la governano, sono alla base del suo atteggiamento di accoglienza verso le altre<br />

popolazioni. Immersa nel Mediterraneo, l’Italia è stata sempre crocevia di popoli e culture<br />

diverse, e la sua popolazione presenta ancora oggi i segni di questa diversità”.<br />

La Carta dei Valori, della Cittadinanza e dell’Integrazione (Ministero dell’Interno, 2007)<br />

La Regione euro-mediterranea è teatro di mutamenti endogeni – che vanno dalla dismissione<br />

produttiva alla terziarizzazione, dalla diffusione insediativa al degrado delle periferie, dall’insicurezza<br />

alla ghettizzazione, e così via – e di mutamenti esogeni dovuti alle dinamiche “viscose”<br />

dei flussi migratori. Le caratteristiche geopolitiche dell’area, inoltre, tendono ad estremizzare<br />

ed esaltare le sinergie e le conflittualità culturali, religiose ed economiche, delineando una<br />

compagine demografica estremamente mutevole. Il Mare Nostrum potrebbe essere rappresentato<br />

con i confini talvolta dilatati, per le chiusure dovute all’incomunicabilità, altre volte contratti,<br />

in base alle relazioni che vi si intrecciano (Beguinot, 2004, 2005, 2006).<br />

In questo contesto l’Italia gioca un ruolo ora baricentrico ora marginale nelle dinamiche<br />

che investono il continente europeo; pur essendo da tempo la porta d’accesso dei flussi migratori<br />

diretti verso l’Europa, solo in tempi recenti ha assunto il ruolo di paese dell’accoglienza, dopo una<br />

lunga stagione di massicce emigrazioni. Per fotografare un fenomeno così dinamico, allo scopo di<br />

trarne elementi per innescare delle buone pratiche d’integrazione, è necessario partire, pur con la<br />

consapevolezza dell’inadeguatezza delle statistiche ufficiali, da alcuni dati quantitativi aggregati<br />

relativi alla tipologia ed alla consistenza dei flussi (presenze, paese di provenienza, sesso, età, …),<br />

ed alla distribuzione dei flussi per aree geografiche (tra le varie regioni italiane). Questi vengono<br />

sistema sociale rende sempre più difficile interpretare la domanda con gli strumenti tradizionali e, nel contempo, il dilagare<br />

di un modello consumistico ha introdotto nuovi bisogni sovvertendo il rapporto tra domanda e offerta.<br />

24 Si può trattare dell’emergenza incalzante di un cataclisma naturale o di un evento disastroso di matrice antropica;<br />

sovente, però, l’emergenza non si configura ex abrupto ma matura lentamente per l’intreccio di fattori socio-economici<br />

e naturali. In questi casi sarebbe possibile predisporre azioni integrate orientate a costruire nel lungo periodo un<br />

sistema efficiente.<br />

113<br />

I LUOGHI<br />

DELLA SOCIALIZZAZIONE<br />

PER UNA CULTURA CONDIVISA


114<br />

CAPITOLO 3<br />

integrati con il richiamo allo scenario normativo italiano ed alle tendenze in atto e, mediante il ricorso<br />

a case studies locali e internazionali, con l’individuazione dei criteri sottesi alle scelte ed alle<br />

modalità localizzative (centri storici, periferie, <strong>città</strong> diffusa, …). Si mette, poi, in relazione la nuova<br />

composizione multietnica in fieri della società italiana con lo scenario di disagio, marginalità ed<br />

insicurezza che caratterizza le <strong>città</strong> sempre più immerse in un processo di complessificazione e<br />

globalizzazione. Si propone, infine, una traduzione dei temi-problema individuati in spunti progettuali<br />

da declinare, approfondendoli, nelle diverse realtà locali.<br />

3.3.1 Temi-problema e potenzialità: immigrazione e immaginario collettivo<br />

Dopo oltre un secolo di emigrazioni, l’Italia ha assunto il nuovo ruolo di paese d’immigrazione<br />

in modo quasi inconsapevole, fungendo, nelle prime fasi, quale meta di seconda scelta da<br />

parte degli immigrati 25 . Con lo sviluppo degli anni ottanta lo stivale è diventato più attraente e i<br />

flussi in ingresso si sono incrementati e differenziati, passando dai circa 300mila del 1980 agli oltre<br />

800mila del 1990 26 . Allo stato attuale, l’Italia è diventata uno dei principali paesi d’immigrazione<br />

d’Europa (dopo Germania, Francia e Gran Bretagna) con circa tre milioni di immigrati, cui si<br />

deve aggiungere la stima di circa 800mila presenze irregolari 27 .<br />

Tab. 1 - Bilancio demografico 2002-2005 della popolazione straniera residente in Italia<br />

Anni 2002 2003 2004 2005 2006<br />

Pop. straniera residente 1.549.373 1.990.159 2.402.157 2.670.514* 3.690.053**<br />

Saldo naturale 31.456 31.132 45.994 48.838* _–**<br />

Saldo migratorio con l’estero 151.932 411.970 380.737 266.829* –**<br />

Acquisizioni cittadinanza 12.267 17.205 19.140 28.659* –**<br />

Pop. straniera minorenne residente (provvisorio) 353.139 412.432 501.792 585.496* –**<br />

* Al 1° gennaio 2006 l’ISTAT stima la presenza straniera regolare pari a 2.767.964 unità; circa 100mila in più rispetto<br />

alla popolazione residente (rilevata presso le anagrafi comunali). Tale stima è stata effettuata aggiungendo al numero<br />

degli adulti con permesso di soggiorno (2.286.024 unità) i minorenni stranieri residenti, che non dispongono<br />

di un documento d’immigrazione individuale.<br />

** Presenza regolare complessiva al 31/12/2006 stimata dal Dossier Immigrazione Caritas/Migrantes 2007 (vedi<br />

Tab. 2).<br />

Fonte: elaborazione da dati ISTAT relativi alla popolazione straniera residente in Italia e rilevati al 31/12 di ciascun anno<br />

considerato (periodo di riferimento 1/1/06, diffuso 17/10/06).<br />

Se si escludono coloro che hanno già ricevuto la cittadinanza, i cittadini stranieri negli Stati<br />

dell’U.E. risultano circa il 5% della popolazione residente (al 2004) 28 ; l’Italia, con un incremento, nel<br />

2005, pari a circa l’11% della popolazione straniera residente 29 , si sta adeguando alla tendenza<br />

dell’Unione 30 .Tale dato appare significativo in quanto rappresenta la dinamica fisiologica, senza le<br />

alterazioni che nei due anni precedenti erano state determinate dai provvedimenti di regolarizza-<br />

25 Due ondate di Cinesi sono giunte nel periodo tra le due guerre e nel secondo dopoguerra; negli anni sessanta<br />

si è registrato l’arrivo degli Africani dal Maghreb e dal Corno d’Africa (dalle ex colonie). Tali ingressi sono imputabili<br />

soprattutto alla chiusura delle frontiere da parte dei paesi scelti quale destinazione primaria.<br />

26 Fonte Ministero dell’Interno.<br />

27 Elaborazione dei dati Istat a cura dell’Eurispes.<br />

28 La popolazione straniera residente in Europa risulta pari a 27.838.754 unità su una popolazione di circa<br />

457.000.000 di abitanti. Fonte Dossier Statistico sull’Immigrazione Caritas/Migrantes 2007. Elaborazioni su dati Eurostat,<br />

OECD, Council of Europe, Istat.<br />

29 Al 1° gennaio 2006 gli stranieri residenti in Italia sono 2.670.514, di cui 1.350.588 maschi e 1.319.926 femmine,<br />

con un incremento degli iscritti all’anagrafe di 268.357 unità rispetto all’anno precedente. Fonte: ISTAT, Statistiche in<br />

Breve, La popolazione straniera residente in Italia (periodo di riferimento: 1 gennaio 2006, diffuso il 17 ottobre 2006). Il<br />

Dossier Caritas/Migrantes 2007 stima, invece una presenza regolare pari a 3.035.144 alla fine dello stesso anno (includendo<br />

i minori).<br />

30 La percentuale di popolazione straniera rispetto al totale della popolazione residente in Italia è, infatti, pari al<br />

6,2%, mentre in Germania arriva all’8,8%, in Spagna (2004) è al 6,6%, in Gran Bretagna (2004) al 4,7% e in Francia aveva<br />

già raggiunto il 5,9% nel 1999. Fonte: Dossier Caritas/Migrantes 2007.


zione 31 che hanno consentito a numerosi immigrati già presenti irregolarmente nel Paese di sanare<br />

la propria posizione.<br />

Nell’arco di un decennio, dal 1996 al 2006, la popolazione straniera è aumentata di circa<br />

due milioni di persone con una media di circa 150mila unità/anno nel primo quinquennio e di oltre<br />

230mila nel secondo quinquennio. Nello stesso decennio si riscontra un incremento significativo<br />

della presenza di giovani di cittadinanza estera; i minorenni che costituivano il 13,1% della<br />

compagine straniera nel 1996 raggiungono il 21,2% al gennaio 2006 32 .<br />

Il fenomeno dell’acquisizione della cittadinanza è in crescita 33 anche se ancora relativamente<br />

limitato, considerando che si raggiunge l’ammontare di circa 180mila cittadini stranieri che<br />

complessivamente hanno ottenuto la cittadinanza italiana 34 . Ancora oggi la maggior parte delle<br />

acquisizioni di cittadinanza italiana avviene per matrimonio, mentre le concessioni di cittadinanza<br />

per naturalizzazione – per le quali l’attuale legislazione (in corso di revisione) pone come requisito<br />

almeno dieci anni di residenza continuativa – sono circa il 15% del totale.<br />

Tab. 2 - Soggiornanti stranieri regolari per aree geografiche dell’accoglienza<br />

Area geografica d’accoglienza<br />

Stima soggiornanti<br />

2006<br />

Popolazione<br />

complessiva<br />

% soggiorn.<br />

su pop. compl.<br />

Nord ovest 1.244.530 15.551.047 6,6<br />

Nord Est 954.008 11.119.276 7,0<br />

Nord 2.198.538 26.670.323 6,8<br />

Centro 983.422 11.321.337 7,2<br />

Sud 376.293 14.087.162 2,1<br />

Isole 131.799 6.672.889 1,7<br />

Italia 3.690.053 58.751.711 6,2<br />

Fonte: Elaborazione da Dossier Statistico sull’Immigrazione Caritas/Migrantes 2007.<br />

Punto di partenza per effettuare una analisi quantitativa del fenomeno <strong>sulla</strong> base della<br />

quale riflettere su proposte e progetti è la stima effettuata nel Dossier Caritas/Migrantes che, incrociando<br />

dati di fonti diverse, incrementa la stima effettuata dall’Istat e porta il numero di soggiornanti<br />

stranieri regolari nel 2006 a 3.690.052, distribuiti principalmente nel Nord Italia (6,8%<br />

della popolazione complessiva) 35 .<br />

Nel Mezzogiorno la percentuale di soggiornanti stranieri regolari scende al 2,1%; questo<br />

dato, però, non fotografa la realtà. In tale ambito, infatti, si riscontra una forte incidenza di presenze<br />

irregolari che è difficile quantificare in quanto sfugge, tra le pieghe della <strong>città</strong> informale, ad<br />

un qualsiasi riscontro. Questa caratteristica strutturale, rilevata sul campo da rappresentati del<br />

terzo settore e del volontariato che operano a stretto contatto con le comunità straniere, è rafforzato<br />

dai dati della distribuzione territoriale della presenza straniera regolare. La regolarizzazione<br />

del 2004 costituisce uno spartiacque tra una prima fase di ingresso irregolare (che privilegia collocazioni<br />

nel mezzogiorno) e, una volta emersi dall’illegalità, la stabilizzazione lavorativa nelle regioni<br />

del nord-est del paese. La diminuzione (-23%) dei permessi di soggiorno per lavoro nel<br />

Mezzogiorno, in particolare in Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, si concentra nelle aree dove si è<br />

registrato il maggior numero di regolarizzazioni rispetto al numero dei presenti registrati.<br />

31 Legge 189 del 30/07/2002, art. 33, e legge 222 del 09/10/2002. Fonte: ISTAT, Statistiche in Breve, La popolazione<br />

straniera residente in Italia (periodo di riferimento: 1 gennaio 2006, diffuso il 17 ottobre 2006).<br />

32 Cfr. Nota informativa Istituto nazionale di statistica (11 aprile 2007), “Popolazione straniera regolarmente presente<br />

in Italia”, dati rilevati al 1/1/06.<br />

33 28.659 nuovi cittadini italiani nel 2005, circa il 50% in più rispetto al 2004.<br />

34 Secondo i dati prodotti dal Ministero dell’Interno fino al 1995 sono state rilasciate circa 33.600 concessioni di<br />

cittadinanza; dal 1996 (anno in cui è iniziata la rilevazione delle acquisizioni di cittadinanza nell’ambito dell’indagine anagrafica<br />

<strong>sulla</strong> popolazione straniera dell’Istat) esse sono complessivamente 146.500.<br />

35 Dossier Statistico sull’Immigrazione Caritas/Migrantes 2007. Stima basata sui dati del Ministero dell’Interno,<br />

del Ministero degli Affari Esteri e dell’Istat.<br />

115<br />

I LUOGHI<br />

DELLA SOCIALIZZAZIONE<br />

PER UNA CULTURA CONDIVISA


116<br />

CAPITOLO 3<br />

Tab. 3 - Permessi di soggiorno al 1° gennaio 2006<br />

Paese di provenienza Permessi di soggiorno da oltre 5 anni da oltre 10 anni % coniugati<br />

Val. ass. %* Val. ass. %*<br />

Romania 271491 64681 23,8 16311 6 56,3<br />

Albania 256916 134809 52,5 49693 19,3 61,4<br />

Marocco 239728 146787 61,2 87094 36,3 54,8<br />

Ucraina 115087 14503 12,6 834 0,7 53,9<br />

Rep. Pop. Cinese 114165 56383 49,4 26880 23,5 55,4<br />

Filippine 74987 55474 74 41735 55,7 58,2<br />

Polonia 73191 23105 31,6 12189 16,7 44,5<br />

Tunisia 61540 39569 64,3 28443 46,2 55,9<br />

Serbia Montenegro 52272 33180 63,5 18704 35,8 59,7<br />

India 51832 24788 47,8 12174 23,5 53,3<br />

Perù 48717 26397 54,2 16573 34 40,4<br />

Senegal 47085 33328 70,8 23365 49,6 62<br />

Egitto 46834 26234 56 15677 33,5 50<br />

Ecuador 45156 12580 27,9 2928 6,5 38,4<br />

Moldova 45006 5227 11,6 90 0,2 55,1<br />

Totale 15 paesi 1544007 697045 45,1 352690 22,8 55,1<br />

Totale P. di Soggiorno 2286024 1076478 47,1 576076 25,2 53,6<br />

* La variazione percentuale è relativa al totale dei permessi di soggiorno rilasciati nell’intervallo di tempo considerato<br />

(1995-2005).<br />

Fonte: elaborazione da dati ISTAT e Ministero dell’Interno, relativi alla “popolazione straniera regolarmente presente in<br />

Italia”, rilevati al 1/1/06 (Nota informativa Istituto nazionale di statistica, 11 aprile 2007).<br />

Questa speciale condizione, come si vedrà, è uno dei nodi interpretativi di più difficile soluzione;<br />

risulta, infatti, difficile chiarire le discrepanze tra la statistica ufficiale, la realtà percepita dal<br />

cittadino e i dati raccolti dalle organizzazioni umanitarie.<br />

Tra le quindici principali compagini straniere al 1° gennaio 2006 si distinguono per numero<br />

di presenze i rumeni (271.491), incalzati dagli albanesi (256.916) e dai marocchini (239.728). La<br />

posizione tra comunità rumena e marocchina si inverte se si considerano le sole donne che caratterizzano,<br />

inoltre, la quasi totalità della compagine ucraina. Il maggiore equilibrio tra presenze<br />

maschili e femminili nella comunità cinese indica una caratterizzazione famigliare del flusso migratorio.<br />

I permessi di soggiorno rilasciati in Italia nel 2006 sono per oltre il 60% motivati dal lavoro<br />

e per circa il 30% da ricongiungimenti famigliari. Motivi di studio, asilo politico, religione e così via,<br />

costituiscono una quota limitata rispetto al totale.<br />

È, altresì, utile sottolineare che, mentre i permessi dovuti a diverse tipologie di ricongiungimento<br />

famigliare sono aumentati di oltre il 25% tra il 2004 e il 2006, non altrettanto si può dire dei<br />

permessi di lavoro che sono in netto calo soprattutto nel Sud del paese (-23%).<br />

Dai permessi di soggiorno si evince per grandi linee il motivo per il quale lo straniero è presente<br />

in Italia. Tali documenti, legati direttamente alla stipula di contratti di lavoro, sono una cartina<br />

di tornasole delle condizioni e delle aspettative dei soggiornanti stranieri, anche se costituiscono<br />

la punta dell’iceberg di un fenomeno migratorio ancora tutto da esplorare.<br />

La permanenza prolungata è legata sostanzialmente alle due categorie del lavoro e della ricostituzione<br />

di nuclei familiari mediante l’ingresso dei congiunti di coloro che sono regolarmente<br />

presenti nel paese. Nonostante l’incremento di quest’ultima categoria (anche se solo al Nord ed al<br />

Centro) è ancora il lavoro il principale motore dei flussi in ingresso; ne deriva una peculiare composizione<br />

della compagine straniera che tende ad essere congruente all’offerta lavorativa (princi-


Tab. 4 - Permessi di soggiorno per motivo della presenza e per distribuzione sul territorio<br />

Regioni<br />

Tot.<br />

permessi<br />

Fonte: elaborazione Istat su dati del Ministero dell’Interno<br />

1/1/2004 1/1/2006 Var. %<br />

di cui<br />

Lavoro<br />

di cui<br />

Famiglia<br />

Tot.<br />

permessi<br />

di cui<br />

Lavoro<br />

di cui<br />

Famiglia<br />

Tot.<br />

Perm.<br />

di cui<br />

Lav.<br />

di cui<br />

Fam.<br />

Piemonte 171.497 116.856 44.120 175.863 107.361 58.651 2,5 –8,1 32,9<br />

V. d’Aosta 3.681 2.244 1.150 3.891 2.594 1.113 5,7 15,6 –3,2<br />

Lombardia 512.632 355.959 124.596 555.226 359.614 165.248 8,3 1,0 32,6<br />

Trentino A.A. 44.006 27.851 12.204 52.634 33.124 15.661 19,6 18,9 28,3<br />

Veneto 225.994 153.983 60.169 270.157 169.656 88.143 19,5 10,2 46,5<br />

Friuli V. Giulia 61,522 34,232 20.623 66.601 39.278 22.108 8,3 14,7 7,2<br />

Liguria 58.336 37.073 14.311 52.665 30.347 16.895 –9,7 –18,1 18,1<br />

Emilia Romagna 218.573 149.419 57.283 251.050 161.116 76.691 14,9 7,8 33,9<br />

Toscana 174.997 113.761 43.154 171.146 101.979 50.362 –2,2 –10,4 16,7<br />

Umbria 44.696 28.528 11.554 46.523 26.785 14.671 4,1 –6,1 27,0<br />

Marche 65.419 39.663 20.354 75.316 43.931 25.989 15,1 10,8 27,7<br />

Lazio 333.533 213.733 57.142 296.943 184.685 65.496 –11,0 –13,6 14,6<br />

Abruzzo 33.037 19.461 11.140 34.564 18.971 13.250 4,6 –2,5 18,9<br />

Molise 3.500 1.811 1.127 3.813 2.100 1.343 8,9 16,0 19,2<br />

Campania 114.360 85.315 23.885 92.276 63.635 22.710 –19,3 –25,4 –4,9<br />

Puglia 42.608 25.685 11.429 36.854 18.766 12.607 –13,5 –26,9 10,3<br />

Basilicata 5.649 3.691 1.440 5.280 3.158 1.611 –6,5 –14,4 11,9<br />

Calabria 33.051 21.431 6.178 25.411 14.584 7.275 –23,1 –31,9 17,8<br />

Sicilia 65.331 41.120 18.660 54.463 30.861 17.490 –16,6 –24,9 –6,3<br />

Sardegna 15.145 7.565 4.781 15.348 6.740 5.051 1,3 –10,9 5,6<br />

Nord-ovest 746.146 512.132 184.177 787.645 499.916 241.907 5,6 –2,4 31,3<br />

Nord-est 550.095 365.485 150.279 640.442 403.174 202.603 16,4 10,3 34,8<br />

Centro 618.645 395.685 132.204 589.928 357.380 156.518 –4,6 –9,7 18,4<br />

Sud e Isole 312.681 206.079 78.640 268.009 158.815 81.307 –14,6 –23,0 6,5<br />

–13,3 –22,8 –3,8<br />

Italia 2.227.567 1.479.381 545.300 2.286.024 1.419.285 682.365 2,6 –4,1 25,1<br />

palmente nei settori non qualificati). Infatti, le statistiche ufficiali relative all’occupazione registrano<br />

un minore tasso di disoccupazione tra la popolazione immigrata che tra la popolazione autoctona<br />

(inferiore di circa otto punti percentuale); a fine 2005 gli occupati stranieri risultano il<br />

5,4% dell’occupazione complessiva e sono distribuiti principalmente nel Nord (circa i due terzi<br />

dell’occupazione straniera totale).<br />

Questo dato “tende a riflettere la struttura per età della popolazione straniera rispetto a<br />

quella italiana” ed anche la maggiore attitudine all’adattamento generata dalle condizioni che<br />

hanno indotto lo straniero ad emigrare. Questo aspetto rimanda con evidenza allo scenario migratorio<br />

che ha visto, tra gli altri, masse di italiani cercare la sopravvivenza oltreoceano.<br />

Per quanto concerne la struttura dell’occupazione si registra una netta preponderanza dell’impiego<br />

in attività del settore terziario; l’altra metà degli occupati si ripartisce tra secondario e<br />

primario con percentuali diverse tra nord e sud 36 . In soli tre comparti (commercio, alberghiero e ri-<br />

36 Il 47% degli immigrati regolari è impegnato in servizi alla famiglia, alberghiero e ristorazione, commercio ed altri<br />

servizi minori; il 26% è inserito nel secondario (edilizia, cave, piccola e media industria) e il 12% nel primario (agricoltura<br />

e pesca). Fonte Eurispes, 2007.<br />

117<br />

I LUOGHI<br />

DELLA SOCIALIZZAZIONE<br />

PER UNA CULTURA CONDIVISA


118<br />

CAPITOLO 3<br />

Tab. 5 a - Occupati stranieri per ripartizione geografica (IV trimestre 2005)<br />

Italia Nord Centro Sud<br />

maschi femmine M F M F M F<br />

Val. ass. (migliaia) 752 472 486 284 176 136 90 52<br />

Incidenza % 61,4 38,6 39,7 23,2 14,4 11,1 7,4 4,2<br />

Tab. 5 b - Caratteristiche dell’occupazione degli stranieri (IV trimestre 2005)<br />

Totale<br />

Tempo<br />

pieno<br />

Tempo<br />

parziale<br />

Dipendenti Indipend.<br />

Settore<br />

1ario<br />

Settore<br />

2ario<br />

Fonte: Istat. La partecipazione al mercato del lavoro della popolazione straniera (I-IV trimestre 2005)<br />

Settore<br />

3ario<br />

Val. ass. (migliaia) 1.224 989 235 1.035 189 59 490 675<br />

Incidenza % 100 80,8 19,2 84,6 15,4 4,8 40,1 55,1<br />

storazione, servizi alla famiglia) si concentra il 38% dell’occupazione straniera del terziario e circa<br />

un quarto degli occupati stranieri in tale settore svolge le proprie attività in servizi domestici<br />

presso le famiglie. Gli occupati stranieri nel settore secondario sono pari a circa il 40% del totale e,<br />

in tendenza inversa rispetto all’occupazione degli italiani, sono concentrati in larga misura nel settore<br />

delle costruzioni ed affini.<br />

Come si è accennato, nonostante un elevato grado d’istruzione della compagine straniera<br />

– oltre la metà degli occupati stranieri è in possesso di laurea (9,9%) o diploma (39,4%) – il loro<br />

impiego si svolge principalmente in professioni non qualificate ed a bassa retribuzione 37 . In tale<br />

ambito gli occupati italiani costituiscono solo il 10% 38 . Anche il livello di disoccupazione non è trascurabile.<br />

Tab. 6 - Popolazione straniera residente per area geografica di provenienza: 2003-2006<br />

Anni<br />

1/1/2003 1/1/2006<br />

M F Tot M F Tot<br />

Var. %<br />

EUROPA 310.709 349.012 659.721 575.135 686.829 1.261.964 91,3<br />

Europa 25 58.064 109.060 167.124 76.910 146.627 223.537 33,8<br />

Europa centro-orientale 247.242 233.256 480.498 492.579 533.295 1.025.874 113,5<br />

Altri paesi europei 5.403 6.696 12.099 5.646 6.907 12.553 3,8<br />

AFRICA 283.989 180.594 464.583 432.575 262.413 694.988 49,6<br />

Africa settentrionale 203.191 119.963 323.154 309.459 175.441 484.900 50,1<br />

Altri paesi africani 80.798 60.631 141.429 123.116 86.972 210.088 48,5<br />

ASIA 145.115 133.634 278.749 249.943 204.850 454.793 63,2<br />

Asia orientale 65.303 82.442 147.745 110.802 124.189 234.991 59,1<br />

Altri paesi asiatici 79.812 51.192 131.004 139.141 80.661 219.802 67,8<br />

AMERICA 47.312 96.279 143.591 91.599 164.062 255.661 78,0<br />

America settentrionale 6.973 8.572 15.545 7.606 9.173 16.779 7,9<br />

America centro-meridionale 40.339 87.707 128.046 83.993 154.889 238.882 86,6<br />

OCEANIA 910 1.385 2.295 1.003 1.483 2.486 8,3<br />

Apolidi 239 195 434 333 289 622 43,3<br />

TOTALE 788.274 761.099 1.549.373 1.350.588 1.319.926 2.670.514 72,4<br />

Fonte: elaborazione da dati ISTAT relativi alla popolazione straniera residente in Italia e rilevati al 31/12 di ciascun anno<br />

considerato (periodo di riferimento 1/1/06, diffuso 17/10/06)<br />

37 Che rappresentano il gruppo VIII della “classificazione delle professioni, 2001”.<br />

38 Circa un terzo degli occupati stranieri svolge le proprie attività in uno dei seguenti impieghi: muratore, addetto<br />

alle pulizie, collaboratore domestico e assistente familiare, bracciante, manovale.


Si riscontra anche una segmentazione etnica del mercato del lavoro con alcune nazionalità<br />

concentrate in alcuni settori produttivi. Anche la differenza di genere varia in funzione dell’etnia e<br />

del settore lavorativo nel quale ci si impegna; se, infatti, all’inizio del 2006, il rapporto tra i sessi appare<br />

equilibrato (102 maschi per 100 femmine) permangono significative differenze tra le comunità:<br />

i cittadini provenienti dall’Ucraina, dall’Ecuador e dal Perù mostrano un rapporto decisamente<br />

favorevole per le donne (22 maschi per 100 femmine ucraine e 62 maschi per 100 femmine<br />

per le altre due comunità), mentre tra residenti africani e asiatici il rapporto volge a favore degli<br />

uomini (rispettivamente 165 e 122 maschi per 100 femmine) 39 .<br />

Le comunità cresciute maggiormente sono quelle provenienti dall’Europa centrorientale,<br />

che, escludendo i paesi neocomunitari, sono più che raddoppiate (+113,5%) rispetto al 1° gennaio<br />

2003 40 ; aumenti consistenti si registrano anche per i cittadini dell’Asia orientale, in particolare per<br />

i cinesi, cresciuti da 70mila a 128mila unità e, anche grazie all’ultima regolarizzazione, per gli stranieri<br />

d’origine africana (con un incremento che supera il 50% complessivo). Per quanto concerne<br />

i cittadini provenienti dall’America centro-meridionale (incremento 87%), si distingue la comunità<br />

ecuadoregna composta da 62mila persone 41 . Per quanto riguarda i cittadini provenienti<br />

dall’Unione europea si osserva un incremento significativo (91,1%) solo dei residenti originari dei<br />

paesi neocomunitari 42 , mentre i cittadini dei paesi dell’Unione a quindici aumentano solamente<br />

del 14,4%.<br />

L’incremento dei flussi di popolazione dall’estero contribuisce significativamente (oltre il<br />

92%) all’incremento complessivo della popolazione in Italia anche se gli stranieri costituiscono<br />

una compagine limitata rispetto alle realtà di altri paesi europei. Allo stato attuale, accanto al<br />

saldo migratorio attivo, si registra anche un aumento dei nati di cittadinanza straniera (figli di genitori<br />

entrambi stranieri residenti in Italia) che si contrappone al saldo naturale negativo della popolazione<br />

residente di cittadinanza italiana 43 . Se si aggiungono a tali dati quelli relativi ai ricongiungimenti<br />

familiari si fotografa un fenomeno estremamente significativo sia per la consistenza<br />

numerica, sia per le implicazioni che determina.<br />

Gli stranieri nati in Italia non possono essere definiti immigrati: si tratta di nati in Italia da<br />

genitori stranieri residenti e ammontano a 51.971 nel 2005, pari al 9,4% del totale dei nati in<br />

Italia 44 . I nati in Italia da genitori stranieri costituiscono una componente rilevante dell’aumento<br />

dei minori di cittadinanza straniera, che rappresentano il 21,9% (585.496 unità) del totale della popolazione<br />

straniera residente al 1° gennaio 2006 45 . L’aumento dei minori va di pari passo con l’aumento<br />

della popolazione straniera, e in particolare della componente più stabile rappresentata da<br />

coloro (la grande maggioranza) che oltre a essere regolarmente presenti, e quindi in possesso di<br />

un permesso di soggiorno valido, sono anche iscritti in anagrafe.<br />

Con l’arrivo di minori nati altrove e con la nascita e la socializzazione di figli nati nel paese<br />

di insediamento “vengono alla ribalta alcuni nodi fondamentali per l’integrazione sociale, che venivano<br />

occultati o posposti finché si trattava di immigrati di prima generazione, di cui si immaginava<br />

un rientro in patria in un futuro non lontano” (Ambrosini, 2007).<br />

39 Cfr. Nota informativa Istituto nazionale di statistica<br />

40 In particolare gli ucraini sono passati da meno di 13mila unità a 107mila, i rumeni da 95mila a 298mila e gli al-<br />

banesi da 217mila a 349mila.<br />

41 Oltre che a causa dei flussi in ingresso, parte consistente di tali incrementi è dovuta all’ultima regolarizzazione<br />

e alle operazioni di aggiustamento effettuate dai comuni dopo il censimento del 2001.<br />

42 La sola Europa centro orientale rappresenta il 39% della popolazione straniera residente in Italia, con oltre 1<br />

milione di presenze.<br />

43 Nel 2005 il saldo naturale della popolazione straniera residente (differenza tra nascite e decessi) è in attivo di<br />

48.838 unità, mentre quello della popolazione italiana residente è in negativo per 62.120 unità. Fonte: Istat, Statistiche in<br />

Breve, La popolazione straniera residente in Italia (periodo di riferimento: 1 gennaio 2006, diffuso il 17 ottobre 2006).<br />

44 Da fonte Istat risulta +6,2% rispetto all’anno precedente, in cui erano 48.925. Anche nel 2005 il saldo naturale<br />

della popolazione straniera è positivo e in aumento rispetto agli anni precedenti. Infatti, la componente dei decessi, seppure<br />

in leggero aumento, è ancora numericamente molto contenuta (solamente 3.133 morti nel 2005) grazie, evidentemente,<br />

alla struttura per età ancora giovane della popolazione straniera.<br />

45 Essi sono circa 84 mila in più rispetto al 1° gennaio 2005: oltre il 60% di tale aumento è dovuto proprio ai nuovi<br />

nati, mentre la parte rimanente è costituita dai minori giunti in Italia per ricongiungimento familiare.<br />

119<br />

I LUOGHI<br />

DELLA SOCIALIZZAZIONE<br />

PER UNA CULTURA CONDIVISA


120<br />

CAPITOLO 3<br />

Nel Nord del paese – dove è può alta la concentrazione di immigrati regolari e, quindi, più<br />

stabili – il contributo degli stranieri alla dinamica naturale è significativo 46 . Anche il numero dei<br />

minorenni conferma una tipologia di immigrazione particolarmente stabile e presumibilmente<br />

ben radicata nel territorio: l’incidenza dei minori, in rapporto alla popolazione straniera residente,<br />

è mediamente più alta nelle regioni settentrionali dove raggiunge il 23%, a fronte del 21,9% rilevabile<br />

a livello nazionale; il Veneto è la regione dove è più elevata la quota di minori stranieri<br />

(24,1%), e sono numerose le province dove supera il 25%.<br />

La quota di minorenni nelle regioni del Centro appare superiore alla media nazionale nelle<br />

Marche e nell’Umbria (rispettivamente 23,8% e 22,6%), anche se la percentuale più elevata si riscontra<br />

nella provincia di Prato (25,3%), mentre nel Lazio il peso dei minorenni <strong>sulla</strong> popolazione<br />

è più contenuto (19,1%). Infine, nel Mezzogiorno, dove la percentuale di minori – in particolare al<br />

Sud – è inferiore alla media, tre regioni evidenziano una percentuale di popolazione giovane superiore<br />

al 20% e vicina alla media nazionale: Sicilia (21,3%), Puglia (21,2%) e Abruzzo (20,8%). Ciò<br />

indica che “al Sud vi è una presenza familiare piuttosto forte, ma che, escluse quelle province già<br />

segnalate dove si evidenzia una significativa presenza di nati, il modello d’insediamento migratorio<br />

non vede la formazione di nuovi nuclei familiari, ma piuttosto famiglie che giungono già con i<br />

figli o che comunque si ricongiungono successivamente”.<br />

L’incremento delle nascite da famiglie straniere e la tendenza a farsi raggiungere dalla famiglia<br />

inizialmente rimasta nel paese d’origine sono dati significativi anche in qualità di indicatori<br />

di una tendenza alla stabilità, alla costruzione di un progetto di vita futura in terra italiana, da<br />

parte di alcune comunità etniche presenti nel Paese. Ricongiungimenti familiari, nascita dei figli,<br />

scolarizzazione, infatti, incrementano i rapporti tra gli immigrati e le istituzioni della società ricevente,<br />

producendo un processo di progressiva “cittadinizzazione” dell’immigrato, ossia un “processo<br />

che lo porta a essere membro e soggetto della <strong>città</strong> intesa nella più larga accezione del termine”<br />

(Bastenier, Dassetto, 1990).<br />

Tab. 7 - Alunni stranieri per continente di provenienza e livello scolastico<br />

Continente<br />

* inclusi gli apolidi<br />

Infanzia Elementare Sec. I° Sec. II° Totale<br />

VA % VA % VA % VA % VA %<br />

UE 3.407 20,06 6.756 39,78 3.487 20,53 3.333 19,63 16.983 100<br />

Non UE 26.389 16,95 64.748 41,58 38.012 24,41 26.568 17,06 155.717 100<br />

Africa 25.340 27,56 37.072 40,32 18.191 19,79 11.333 12,33 91.936 100<br />

America 6.599 15,35 15.268 35,52 10.679 24,84 10.439 24,29 42.985 100<br />

Asia 11.279 21,09 20.499 38,33 13.936 26,06 7.765 14,52 53.479 100<br />

Oceania* 92 19,33 182 38,24 70 14,71 132 27,73 476 100<br />

Totale 73.106 20,22 144.525 39,97 84.375 23,34 59.570 16,48 367.576 100<br />

Il grado di inserimento delle seconde generazioni 47 nel sistema sociale del paese dell’accoglienza<br />

determina la consapevolezza nelle comunità immigrate di aver acquisito una condizione<br />

di minoranza nel proprio nuovo contesto di vita e di aver intrapreso un progetto di vita in un ter-<br />

46 L’incidenza dei nati stranieri sul totale dei nati nelle regioni settentrionali è pari al 14,5%, sensibilmente superiore<br />

a quella del Centro (11,2%). Le province dove i nati stranieri superano il 20% sono soprattutto situate al Nord<br />

(Brescia, Mantova, Treviso, Piacenza, Modena), ma è Prato la provincia che in termini relativi ha il maggior numero di nati<br />

stranieri (quasi un quarto, 24,6%, dei nati in totale). Del resto non mancano segnali di una forte dinamica demografica anche<br />

in altre province del Centro, come ad esempio Macerata, Perugia e Firenze, dove i nati stranieri superano il 15%. Nel<br />

Mezzogiorno l’incidenza dei nati stranieri è bassa, mediamente pari al 2,1%; delle specificità si osservano nelle province<br />

di Teramo, dove i nati stranieri superano il 10%, dell’Aquila e di Ragusa, con quote intorno al 7%.<br />

47 Con questo termine si raggruppa in una sola categoria: i minori nati in Italia da coppie di stranieri, i minori nati<br />

in Italia da coppie miste, i minori ricongiunti, i minori giunti soli (per adozioni, per programmi educativi, i rifugiati per motivi<br />

bellici).


itorio diverso da quello del paese d’origine. Ciò comporta l’esigenza di conoscere il fenomeno,<br />

anche se non è ancora dilagante, e di pianificare una risposta alla nuova domanda urbana prima<br />

che si configuri l’emergenza.<br />

Il livello di scolarizzazione degli alunni stranieri è un importante indicatore della qualità<br />

delle politiche d’integrazione attivate in un paese 48 .<br />

Tra l’anno scolastico 1994-95 e quello 2005-06 l’incidenza degli alunni stranieri <strong>sulla</strong> popolazione<br />

scolastica è passata dallo 0,47% – con 42.816 presenze – al 4,80% – con 424.683 iscritti di<br />

cittadinanza non italiana, ripartiti in modo equo tra cittadini europei ed extraeuropei (Eurispes,<br />

2007, p. 833).<br />

Le cittadinanze più rappresentate nella scuola sono quella albanese che conta oggi 69.374<br />

unità, quella marocchina (59.489) e quella rumena di 52.821 unità (con l’incremento maggiore negli<br />

ultimi tre anni).<br />

Tab. 8 - Province italiane per varietà delle cittadinanze degli alunni<br />

Province<br />

% alunni stranieri<br />

su pop. scolastica<br />

Cittadinanze<br />

rappresentate<br />

Cittadinanza<br />

più rappresentata<br />

Cittadinanza su pop.<br />

scolastica straniera<br />

Roma 5,2 164 Romania 29,9<br />

Milano 7,3 157 Ecuador 11,1<br />

Torino 6,2 132 Romania 35,3<br />

Bologna 8,3 120 Marocco 26,2<br />

Firenze 7,8 124 Albania 24,5<br />

Verona 7,9 116 Marocco 20,1<br />

Bergamo 6,6 124 Marocco 24,4<br />

Vicenza 8,3 119 Jugo. (Ser. Mon.) 19,0<br />

Genova 7,0 122 Ecuador 46,5<br />

Varese 5,1 116 Albania 21,6<br />

Fonte: Sistema Informativo Miur (Eurispes, 2007)<br />

La popolazione scolastica straniera è concentrata principalmente il Lombardia (nell’anno<br />

scolastico 2005/2006 raggiungeva il 24,6% del totale), seguita dal Veneto (12,7%), dall’Emilia<br />

Romagna (12%), Piemonte (10%), Lazio (9,7%) e Toscana (8%), confermando la distribuzione regionale<br />

delle compagini straniere sul suolo italiano.<br />

La concentrazione non avviene solo nella aree metropolitane ma anche in molti medi e piccoli<br />

centri urbani e con una varietà molto ampia di cittadinanze rappresentate nelle scuole. In alcune<br />

realtà urbane si supera di gran lunga le cento diverse nazionalità; questo dato avvalora la<br />

constatazione della notevole differenziazione etnica che distingue l’immigrazione in Italia. Questo<br />

costituisce un elemento importante sul quale modellare le proposte d’integrazione: se, da un lato,<br />

la differenziazione rende più complessa l’interpretazione della domanda e più ardua la conoscenza<br />

approfondita del fenomeno, dall’altro, riduce il margine di arroccamento di ciascun<br />

gruppo in una propria comunità avulsa dal contesto. Se ben gestita, tale attitudine può favorire<br />

processi di dialogo, interazione ed integrazione.<br />

Questo quadro sinteticamente tracciato consente di effettuare una prima lettura quantitativa<br />

del mutamento in atto, anche se non esaustiva; le statistiche ufficiali, infatti, oltre ad essere<br />

48 L’attenzione al multiculturalismo nell’educazione si manifesta a partire dalla Circolare ministeriale 205/1990<br />

orientata a incrementare l’interazione tra studenti stranieri e italiani allo scopo della reciproca crescita. Tale valore formativo<br />

è sottolineato nella legge sull’immigrazione (40/1998) che individua quali strumenti per realizzarlo “progetti interculturali”<br />

finalizzati alla” valorizzazione delle differenze linguistico culturali e alla promozione di iniziative di accoglienza<br />

e di scambio” (art. 36). Inoltre, a partire dal DPR 394/1999, l’obbligo scolastico è esteso ai minori stranieri anche<br />

indipendentemente dalla regolarità della loro presenza sul territorio italiano.<br />

121<br />

I LUOGHI<br />

DELLA SOCIALIZZAZIONE<br />

PER UNA CULTURA CONDIVISA


122<br />

CAPITOLO 3<br />

strutturalmente inadeguate a dare un’interpretazione qualitativa del fenomeno che rappresentano,<br />

non possono fotografare la dimensione sommersa delle dinamiche migratorie. Nonostante<br />

le sanatorie che si sono succedute a partire dal 1987, l’Italia è ancora il paese europeo con il più<br />

alto tasso di immigrazione clandestina. Questo dato, del quale è necessario tener conto nella redazione<br />

delle linee guida progettuali, ha un forte riverbero sui meccanismi di formazione della<br />

domanda urbana e, nel contempo, rende più complessi le relazioni e gli scambi interetnici.<br />

Questo fattore, infatti, unito all’elevata percentuale di disoccupati, sottoccupati o lavoratori<br />

informali che si registra anche tra gli immigrati regolari, determina una situazione di potenziale rischio<br />

sociale. Si pongono, infatti, problemi per l’integrazione sociale degli immigrati non inseriti<br />

con successo nel mercato del lavoro e per la pubblica sicurezza, con l’ingresso di molti di loro tra<br />

le file della criminalità diffusa o di quella organizzata.<br />

3.3.2 Scenario normativo e prospettive future<br />

Per cogliere le tendenze in atto e la percezione del fenomeno migratorio da parte dei cittadini,<br />

così come sono state raccolte dalle rappresentanze istituzionali, si fa riferimento ai principali<br />

caratteri dell’evoluzione dello scenario normativo. La legge vigente, la c.d. Bossi-Fini, ha raccolto<br />

una forte domanda protezionistica espressa da ampie parti del territorio nazionale; vi si contrappone<br />

un disegno di legge attualmente allo studio da parte del Governo che vorrebbe<br />

invertire le tendenze.<br />

Le politiche per l’immigrazione in Italia si sono aperte con la legge 943/1986 che, insieme<br />

alla c.d. legge Martelli (39/1990), ha dovuto affrontare la situazione delle presenze irregolari nel<br />

Paese (mediante sanatoria) e ha introdotto diritti degli immigrati (eguaglianza giuridica con i lavoratori<br />

italiani, ricongiungimento familiare, accesso a servizi socio-sanitari e scolastici, all’alloggio)<br />

e indirizzi d’integrazione (fondi per l’alloggio e l’istruzione, assistenza sanitaria gratuita, possibilità<br />

di associazionismo e consulte presso gli enti locali). I principi che informavano tali leggi<br />

erano orientati all’equiparazione dei diritti degli immigrati a quelli dei cittadini italiani, indipendentemente<br />

dall’acquisizione della cittadinanza. Un quadro, in generale, garantista e rispettoso<br />

delle identità culturali e religiose (a meno della mancanza del diritto di voto) anche se nei fatti i<br />

diritti attribuiti non sono garantiti. In realtà l’esperienza delle leggi sull’immigrazione riflette le<br />

stesse difficoltà che riguardano il sistema normativo nel suo insieme: l’estrema burocratizzazione<br />

delle procedure si associa con l’inefficienza del sistema amministrativo per vanificare tutti gli<br />

sforzi di “normalizzazione” del paese.<br />

La farraginosità del sistema, da molti operatori definito penalizzante per le persone oneste<br />

e garante di impunità per chi delinque, ha condotto al varo del DL 489/1995 che doveva facilitare<br />

le espulsioni e la punibilità dei reati; decaduto tale provvedimento è stata approvata la c.d legge<br />

Turco-Napolitano (40/1998) che introduce alcune novità. La Carta di soggiorno permanente viene<br />

rilasciata a coloro che vantano una presenza regolare di almeno cinque anni; a ciò si aggiungono<br />

i permessi semestrali per il lavoro stagionale, le agevolazioni per introdurre al lavoro autonomo, lo<br />

snellimento delle procedure per i ricongiungimenti familiari, e iniziative sociali e culturali per gli<br />

immigrati.<br />

Tale legge appare restrittiva contro la clandestinità solo <strong>sulla</strong> carta, così come la successiva<br />

legge Bossi-Fini (2002). Quest’ultima, nota soprattutto per il dibattito scatenato dall’obbligo di registrare<br />

le proprie impronte digitali (norma, peraltro, vigente in ambito europeo) reintroduce il<br />

collegamento tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro che si era perso nei precedenti<br />

provvedimenti e riduce i margini della regolamentazione dei ricongiungimenti familiari. Anche in<br />

questo caso le misure, indipendentemente dalla loro severità, risultano poco applicate.<br />

In tal modo appare difficile perseguire un disegno d’integrazione che favorisca il passaggio<br />

da immigrazione temporanea a durevole, con la trasformazione della connotazione dell’immigrazione<br />

da quella per lavoro a quella di popolamento. L’attuale assetto determina le necessità di intervenire<br />

con la redazione di norme e protocolli d’azione che possano realisticamente essere applicate.


Le dichiarazioni e le proposte di legge in itinere sembrano avere un approccio più vicino all’apertura<br />

e all’accoglienza rispetto alla precedente; ciò accade in controtendenza rispetto a<br />

quanto si sta delineando negli altri paesi europei.<br />

Prima di tutto, una proposta del Ministero dell’Interno, modificando il tradizionale criterio<br />

dello ius sanguiniis, prevede l’estensione della cittadinanza anche agli immigrati, indipendentemente<br />

dalla provenienza.<br />

È stato stilato, e successivamente bloccato per gli sviluppi politici e per la caduta del<br />

Governo, a cura dei Ministeri dell’Interno e della Solidarietà Sociale, un disegno di legge delega 49<br />

per la “modifica della disciplina dell’immigrazione e delle norme <strong>sulla</strong> condizione dello straniero”<br />

che abbozza le linee di una riforma orientata a “promuovere l’immigrazione regolare, favorendo<br />

l’incontro tra domanda e offerta di lavoro” 50 .<br />

Al di là delle dichiarazioni d’intento, fortemente orientate a favorire l’integrazione, non è<br />

possibile individuare le reali potenzialità del progetto di riforma; tra gli obiettivi esso annovera<br />

quello di sfoltire la burocrazia che pesa sull’immigrazione e promuovere la concessione di permessi<br />

per motivi umanitari a chi “dimostri spirito di appartenenza alla comunità civile”.<br />

L’inserimento dei cittadini stranieri legalmente soggiornanti è favorito anche con la possibilità per<br />

chi è in Italia da cinque anni di lavorare nella Pubblica Amministrazione come se fosse un cittadino<br />

comunitario o l’accesso all’assistenza sociale per chi è qui da due anni e per i minori iscritti<br />

sul suo permesso, o al riforma della disciplina per il riconoscimento dei titoli di studio 51 .<br />

La proposta definisce anche la figura e le funzioni dei mediatori culturali, competenza che<br />

si è rivelata indispensabile alla prova dei fatti,“con particolare riguardo ai problemi delle seconde<br />

generazioni e delle donne”. Si vuole poi favorire l’inserimento dei minori stranieri e riconoscere ai<br />

soggiornanti di lungo periodo anche la partecipazione all’elettorato attivo e passivo alle elezioni<br />

amministrative 52 .<br />

Il ruolo dei Consigli Territoriali per l’Immigrazione già costituiti viene valorizzato mediante<br />

uno stanziamento consistente di fondi (c.a. 7 mld euro) orientati ad attività che combattano il disagio<br />

sociale delle comunità immigrate e favoriscano l’incontro etnico su basi di maggiore civiltà.<br />

Si attribuisce un ruolo centrale al diritto alla casa, peraltro disatteso anche per la popolazione locale,<br />

mediante l’istituzione di “fondi di protezione” che si costituiscano quale garanzia per rendere<br />

accessibili le locazioni (o i mutui) agli immigrati. Questo dispositivo, innovativo per quanto riguarda<br />

la compagine immigrata, è già consolidato in altri ambiti e costituisce un interessante ammortizzatore<br />

sociale laddove l’innalzamento dei valori immobiliari può generare l’espulsione<br />

delle popolazioni meno abbienti (Giovene di Girasole, 2005).<br />

Questi intenti costituiscono dei passi avanti per il processo di costruzione di una società<br />

multietnica, non consentono, però, di evidenziare la posizione delle istituzioni nei confronti delle<br />

politiche per l’integrazione; non si registrano, infatti, ancora politiche specifiche che evidenzino il<br />

modello d’integrazione delle comunità immigrate cui si tende. È importante in tal senso la “Carta<br />

dei Valori, della Cittadinanza e dell’Integrazione” presentata dal Ministero dell’Interno il<br />

49 Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge delega, un decreto<br />

legislativo per la modifica del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme<br />

<strong>sulla</strong> condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni secondo i<br />

principi e criteri direttivi definiti nel testo della legge delega approvata dal Consiglio dei Ministri il 24 aprile 2007.<br />

50 Tra le proposte per favorire gli ingressi di categorie professionali funzionali al mercato del lavoro: la programmazione<br />

dei flussi triennale (con “adeguamento annuale delle quote alle esigenze del mercato del lavoro”), gli ingressi<br />

fuori-quota (ritoccando “le procedure, le categorie e le tipologie” previste dall’articolo 27 del T.U.), la gestione delle iscrizioni<br />

alle liste di collocamento da parte di rappresentanze diplomatiche italiane all’estero, enti e organismi internazionali<br />

con sedi nei paesi d’origine degli immigrati, autorità locali (i lavoratori stranieri potranno accedervi in base al “grado di<br />

conoscenza della lingua italiana, dei titoli e della qualifica professionale posseduta), l’istituzione di una banca dati interministeriale,<br />

la sponsorizzazione per l’ingresso in Italia di chi è iscritto alle liste o alla banca dati (enti locali, associazioni,<br />

sindacati e patronati, privati cittadini o anche il diretto interessato).<br />

51 Si trasformano i Cpt in strutture aperte, con un “congruo orario di uscita” per chi collabora all’identificazione e<br />

strutture chiuse per chi non si fa identificare, ma all’interno delle quali si potrà comunque rimanere per un periodo<br />

inferiore ai 60 giorni previsti oggi. Fonte: Focus Immigrazione, 13 marzo 2007.<br />

52 Così come previsto dalla convenzione di Strasburgo <strong>sulla</strong> partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a<br />

livello locale.<br />

123<br />

I LUOGHI<br />

DELLA SOCIALIZZAZIONE<br />

PER UNA CULTURA CONDIVISA


124<br />

CAPITOLO 3<br />

23/04/2007 che detta, anche se non in modo vincolante, i principi per l’accoglienza, in una logica<br />

di reciprocità dei diritti fondamentali e dei doveri di una convivenza civile “senza distinzione di<br />

sesso, etnia, religione, condizioni sociali”. Il rapporto tra l’esigenza di garantire agli immigrati una<br />

equa accessibilità a servizi ed opportunità e di non consentire deroghe al rispetto dei doveri di<br />

convivenza e delle norme vigenti è, infatti, un nodo concettuale e pratico rilevante.<br />

Le esperienze dei paesi con una storia multietnica evidenziano che, indipendentemente<br />

dal susseguirsi di leggi che favoriscono o ostacolano l’ingresso di immigrati, il nodo giuridico sul<br />

quale si gioca il successo dei processi d’integrazione è il rispetto delle leggi del paese d’accoglienza.<br />

Solo la certezza del rigore e dell’equità dei diritti, dei doveri e delle sanzioni tra popolazione<br />

autoctona ed alloctona può favorire l’inserimento e ridurre tensioni e conflitti. Nei paesi<br />

dove il processo interetnico è più avanzato si riscontra, infatti, un equilibrio tra apertura al dialogo<br />

interculturale associata ad una necessaria intransigenza riguardo il rispetto delle conquiste del diritto<br />

che costituiscono la piattaforma unificante della società contemporanea 53 . È evidente che<br />

pratiche che contravvengono alle norme in materia di diritto della famiglia (si pensi alla poligamia<br />

o alle violenze familiari, ma anche alle limitazioni dei diritti civili delle donne), di tutela della salute<br />

(si pensi a tutte le attività che possono danneggiare l’ambiente oppure a pratiche mutilanti quali<br />

l’infibulazione), di lavoro (sfruttamento del lavoro minorile e delle donne, accattonaggio di minori<br />

o portatori di handicap, lavoro informale, …) e così via, devono essere stigmatizzate e punite<br />

senza esitazioni demagogiche per il rispetto delle diversità. Solo la certezza del diritto e la conferma<br />

dei diritti acquisiti in un sistema democratico può riequilibrare un rapporto fatto di diffidenze<br />

reciproche, di desideri di rivalsa che sfociano nella violenza e di riscatto vanificati dal<br />

contesto.<br />

Questo tema di estrema attualità presenta profili complessi che variano nei confronti delle<br />

diverse comunità; da un lato, per esempio, si registrano episodi di conflitto tra la comunità cinese<br />

e le forze dell’ordine, in virtù di interessi legati ad attività produttive e commerciali 54 . Anche la<br />

presenza cospicua di cittadini rumeni, che godono, quindi, i vantaggi dei cittadini comunitari, desta<br />

un allarme sociale acuito da gravissimi episodi delittuosi ma anche dall’enorme quantità di<br />

episodi di più basso profilo. La condivisione di un sistema normativo ben definito, comprensibile<br />

ed equo costituisce la base per un confronto proficuo e per la costruzione di un processo di integrazione-interazione.<br />

3.3.3 Le scelte localizzative delle comunità immigrate<br />

Le motivazioni della maggior parte dei gruppi etnici che hanno scelto di spostarsi dal proprio<br />

Paese d’origine per approdare in Europa sono principalmente legate all’obiettivo di migliorare<br />

le proprie condizioni di vita, anche se sovente sono rafforzate dallo scatenarsi di un conflitto,<br />

dal mancato rispetto dei diritti civili e da altre situazioni di rischio.<br />

In generale, le comunità immigrate sono vincolate, nelle proprie scelte localizzative, da molteplici<br />

fattori, tra i quali domina quello economico; ma il tema non è esclusivamente riconducibile<br />

a tali fattori. La scelta, pur considerando un elevato coefficiente di casualità, si può sviluppare su<br />

tre piani:<br />

1. La scelta dell’area geografica; in Italia le statistiche ufficiali sottolineano una preferenza<br />

insediativa nel Nord ed in particolare nel NordEst, dove la domanda di manodopera è<br />

più ampia ed articolata.<br />

2. La scelta tra <strong>città</strong> e aree extraurbane della produzione; la destinazione dei c.d. distretti industriali<br />

è privilegiata da chi intende impegnarsi in attività produttive, mentre la <strong>città</strong> è<br />

la meta ideale per chi progetta un impiego nei servizi alla famiglia e nel settore com-<br />

53 Sulla stampa italiana è ormai di grande attualità la tematica multietnica che offre lo spunto ad intellettuali che<br />

si riconoscono in diverse posizioni culturali e ideologiche per dibattere sull’approccio da adottare nei confronti del tema<br />

dell’integrazione.<br />

54 Si fa riferimento, per esempio, alle recenti tensioni esplose nel quartiere etnicamente connotato di Canonica<br />

Sarpi nella periferia consolidata milanese, dove dai primi accertamenti, emergono reazioni di intolleranza nei confronti di<br />

sanzioni comminate ad alcuni membri della comunità che avevano contravvenuto ai regolamenti vigenti.


merciale.<br />

3. La scelta dell’ambito urbano dove risiedere; l’accessibilità all’alloggio, a reti di mutuo<br />

soccorso e ai mezzi di trasporto collettivo condizionano la scelta così come la prossimità<br />

al luogo di lavoro.<br />

In Italia si sta riducendo la concentrazione degli stranieri, con una ampia diffusione sul territorio,<br />

dopo una prima fase nella quale si sono concentrati in prossimità delle frontiere, dei grandi<br />

nodi infrastrutturali, dei principali centri urbani e della aree agricole (Eurispes, 2007, p. 790).<br />

La maggioranza degli immigrati ricerca la disponibilità di un lavoro a bassa specializzazione<br />

e di un alloggio, ancorché precario, ed il supporto di enti assistenziali di diversa natura. Con<br />

una necessaria semplificazione, quindi, si possono ravvisare le principali cause delle scelte in esigenze<br />

relative alla funzione residenziale ed a quella lavorativa; in particolare i fattori di condizionamento<br />

sono:<br />

– La prossimità dell’offerta di lavoro accessibile a manodopera immigrata.<br />

– La presenza di una comunità di immigrati provenienti dallo stesso paese d’origine e già<br />

insediati stabilmente.<br />

– La possibilità di accedere ad una rete di supporto all’immigrato costituita da associazioni<br />

che operano nel sociale o da struttura religiose.<br />

– La disponibilità di alloggi, anche impropri, a basso costo.<br />

– L’accesso alle altre funzioni residenziali, in particolare ai servizi di quartiere, per coloro<br />

che si sono stabilizzati, anche con i ricongiungimenti familiari.<br />

Sovente le scelte scaturiscono dalla compresenza dei diversi fattori anche se variano le<br />

priorità al variare delle condizioni specifiche. Il primo grande spartiacque è rappresentato dalla<br />

condizione di legalità della propria presenza nel paese; agli immigrati clandestini è, infatti, preclusa<br />

la possibilità di sviluppare un progetto stabile di vita nel nostro paese 55 . In Italia il settore “informale”<br />

del lavoro è particolarmente ampio e fortemente rimpinguato dai lavoratori immigrati<br />

che, quindi, si vedono preclusa la strada della regolarizzazione.<br />

Non è questa la sede per l’approfondimento di un tema così delicato e difficile da quantificare,<br />

che presenta implicazioni nel settore della pubblica sicurezza, alimenta polemiche di diverso<br />

segno e, soprattutto, estremizza il concetto di provvisorietà e precarietà e non costituisce una<br />

base stabile per il calcolo della domanda multietnica. Basti sottolineare quanto denunciato dagli<br />

organismi del terzo settore che operano in questo campo e che evidenziano la tendenza a sviluppare<br />

un percorso che parte dall’ingresso in clandestinità nel Sud del paese, con l’impegno in<br />

un lavoro informale stagionale nel settore agricolo e nell’ambulantato e l’alloggio precario nelle<br />

aree interstiziali della <strong>città</strong> diffusa. In una fase successiva si configura un definitivo ingresso nell’illegalità,<br />

con la cooptazione in attività criminose, o il passaggio dalla clandestinità alla legalità, cui<br />

sovente fa seguito un trasferimento verso le aree industriali del Nord Italia.<br />

Un secondo distinguo va effettuato in funzione della provenienza geografica dell’immigrato;<br />

le diverse comunità hanno, infatti, specifici obiettivi lavorativi o progetti insediativi cui corrispondono<br />

diversi modelli localizzativi. Si registra, per esempio, nel settore dei servizi alla famiglia<br />

e dei lavori domestici una netta predominanza di lavoratori provenienti da Filippine, Sri Lanka,<br />

Eritrea, Repubblica Dominicana, Ecuador, Salvador, Mauritius, Capo Verde, Ucraina, mentre l’ambulantato<br />

e i lavori edili sono appannaggio principalmente di Marocchini e Senegalesi e la ristorazione<br />

di Egiziani e Cinesi.<br />

Alcuni gruppi etnici appaiono integrati con maggiore successo e minore conflittualità – per<br />

esempio Filippini e Cingalesi – anche se la facilità d’accesso ad una precisa tipologia lavorativa inibisce<br />

o preclude la possibilità di crescita. Questo schema consolidato sta generando disagio e frustrazioni<br />

che conducono, da un lato, a perseguire un disegno di rientro nel paese d’origine con<br />

una disponibilità economica tale da attivare una nuova attività, dall’altro a vivere con rassegna-<br />

55 Il disegno di legge sull’immigrazione attualmente in itinere, nella sua prima stesura, modifica in parte tali limitazioni.<br />

125<br />

I LUOGHI<br />

DELLA SOCIALIZZAZIONE<br />

PER UNA CULTURA CONDIVISA


126<br />

CAPITOLO 3<br />

zione e velleitarismo (con cadute nella dipendenza da alcolici) il proprio mancato inserimento sociale<br />

nel paese d’adozione.<br />

Un elemento comune ai diversi scenari tracciati è la difficoltà di innescare la fase dell’integrazione,<br />

partendo da condizioni di sudditanza materiale o psicologica; inoltre, allo stato attuale,<br />

l’attività lavorativa è intesa sovente quale fonte di guadagno da investire nei paesi d’origine mediante<br />

le rimesse 56 e raramente quale opportunità per costruire una propria attività autonoma nel<br />

paese d’accoglienza 57 .<br />

Il percorso d’integrazione individuato dalle ricerche di settore e sottolineato dalle istituzioni<br />

(vedi nuovo disegno di legge) ruota quindi attorno ad alcuni passaggi chiave: il motore è il<br />

lavoro – il piano sul quale si sviluppano le prime interazioni con il paese dell’accoglienza – quindi<br />

la ricerca dell’alloggio – le cui caratteristiche variano al variare delle fasi del processo d’integrazione<br />

– e l’accesso ai servizi base quali trasporti e servizi sanitari. Quando dalla fase della prima<br />

accoglienza si progredisce verso un progetto di soggiorno prolungato si evolve da bisogni primari<br />

della sussistenza (lavoro, tetto, assistenza medica) a dei bisogni più articolati che avviano il<br />

processo di integrazione. La precarietà iniziale tende a trasformarsi in stabilità, si formano e si riuniscono<br />

le famiglie e all’iniziale meccanismo di domanda e offerta si sostituisce un più complesso<br />

e delicato sistema di domande.<br />

In realtà, nella prima fase dell’integrazione (le prime generazioni) si riscontra una tendenza<br />

difensiva da parte degli immigrati che tendono ad autosegregarsi, cercando protezione in enclave<br />

monoetniche già insediate 58 ; superata la fase iniziale si sviluppa, però, una insofferenza nei<br />

confronti di una <strong>città</strong> organizzata per recinti. Le terze generazioni, provenienti da famiglie sovente<br />

assimilate alla cultura ospite dominante, vivono l’insofferenza di essere collocate all’interno di recinti<br />

virtuali che, spesso, si materializzano in quartieri ed isolati dell’esclusione sociale.<br />

Le nuove <strong>città</strong> murate nelle quali si suddivide la <strong>città</strong> metropolitana sono l’emblema dell’insicurezza<br />

sociale e il teatro del conflitto, non solo quello etnicamente connotato. Nel tessuto<br />

delle <strong>città</strong> nord e sudamericane che, prive di una forte identità storica, appaiono fisicamente e socialmente<br />

disgregate si legge una compartimentazione nelle gated communities che separano le<br />

etnie, le culture e, soprattutto, i privilegiati dagli emarginati. Questa condizione esaspera le conflittualità<br />

latenti; l’intento di garantire la sicurezza separando le diverse categorie sociali ed etniche<br />

sortisce sovente l’effetto opposto. Le esperienze, pur diverse tra loro e non generalizzabili di<br />

Stati Uniti e Sud Africa evidenziano che l’intervento di piano ha generato nel passato recente<br />

quasi esclusivamente fenomeni segregativi (Somma, 1991). La zonizzazione di piano può essere<br />

uno strumento estremamente duttile; analizzando a ritroso i casi nei quali si è verificata una segregazione<br />

di fatto si individuano alcuni schemi ricorrenti:<br />

– la zonizzazione razziale: la separazione tra parti di <strong>città</strong> è sviluppata in base all’etnia;<br />

– la zonizzazione d’espulsione: modifica delle destinazioni d’uso delle aree allo scopo di<br />

espellere un gruppo sociale o etnico;<br />

– la zonizzazione per barriere: infrastrutture per la mobilità intese non quali collegamento<br />

ma per isolare parti di <strong>città</strong> e condizionarne le linee di sviluppo;<br />

– il mercato dell’alloggio: politiche abitative pubbliche che agevolano l’accesso all’abitazione<br />

da parte degli immigrati, orientandone la localizzazione o mercato privato che<br />

tende a raggruppare per capacità di spesa (Somma, 1991).<br />

56 Le rimesse inviate dall’Italia ai propri paesi d’origine nel 2004 corrispondono a 2.093.697 euro (47.186 euro pro<br />

capite), a fronte di 228.444 euro ricevuti.<br />

57 Se si escludono i casi delle compagini egiziana e cinese che hanno sviluppato le proprie attività autonome,<br />

principalmente nei campi del commercio e della ristorazione la prima e della produzione tessile la seconda.<br />

58 In Italia si vive in molte <strong>città</strong> questa fase che vede alcune comunità etniche “barricarsi” all’interno di aree industriali<br />

dismesse ed edifici ed infrastrutture abbandonate, vere e proprie cittadelle murate nel cuore delle <strong>città</strong>. A Roma<br />

una ricerca promossa dalla Terza Università ne ha censite molteplici in occasione di una ricerca coordinata da Giorgio<br />

Piccinato; a Napoli, il Collettivo Studentesco della Facoltà di <strong>Architettura</strong> della Università Federico II ha realizzato un filmato<br />

nel cosiddetto Hotel Moldova. Questo fenomeno interessa anche edifici abbandonati di centri storici che ancora<br />

non sono stati coinvolti in processi di riqualificazione e rivalutazione fondiaria: è il caso, tra gli altri, di Palermo, Brescia,<br />

Genova, Bari e Napoli.


Ma anche laddove non si persegua l’intento della separazione, quando l’intervento di piano<br />

innesca un processo di riqualificazione e sviluppo di un’area, l’incremento del valore fondiario<br />

produce l’espulsione delle fasce di popolazione deboli dall’area. In tali categorie rientrano sempre<br />

le comunità immigrate.<br />

La cultura urbana da tempo esorta a superare le suddivisioni funzionali e sociali per<br />

proporre modelli insediativi basati <strong>sulla</strong> mescolanza, sull’integrazione, anche con il contributo<br />

dell’innovazione tecnologica che ha abbattuto i vincoli localizzativi delle varie attività umane. Nella<br />

prassi corrente, però, non si riscontrano best practices che assolvano in pieno tali intenti 59 .<br />

3.3.4 Le espressioni della conflittualità etnica e dell’insicurezza<br />

Gli indicatori a disposizione della comunità scientifica per comprendere il rapporto tra immigrazione<br />

e sicurezza urbana non sono in grado di rappresentare la complessità del fenomeno.<br />

Si fa, infatti, riferimento sostanzialmente a dati rilevati in ambito giudiziario – denunce, procedimenti<br />

giudiziari, presenze nei penitenziari e così via – che fotografano solo uno degli aspetti del<br />

problema, anche se significativo. Si può ricorrere a statistiche che mettano in relazione la presenza<br />

di popolazione immigrata con indicatori di natura giudiziaria o criminologica (Caritas/Migrantes,<br />

2007). È, però, necessario ricordare che il dato grezzo può essere fuorviante e non costituire<br />

un indicatore significativo; il tasso d’incidenza di denunce, popolazione carceraria, illegalità<br />

in genere tra gli immigrati e la popolazione autoctona è significativamente sbilanciato a favore<br />

dei primi 60 .<br />

Inoltre, anche se le recenti statistiche evidenziano una relativa riduzione delle attività criminose,<br />

si riscontra un generalizzato incremento del senso di insicurezza nelle <strong>città</strong> italiane<br />

(Eurispes, 2007), cui si associa l’incremento della domanda di forme di sicurezza privata, di strumenti<br />

di prevenzione e difesa personali 61 .<br />

La riflessione deve necessariamente essere sviluppata su più livelli; se da un lato il fenomeno<br />

“reale” delle relazioni tra compagini straniere e criminalità ha una notevole rilevanza soprattutto<br />

per le politiche di ordine pubblico (vedi statistiche su criminalità organizzata multietnica<br />

e microcriminalità), è importante anche intercettare le dinamiche della percezione dell’insicurezza<br />

che, sovente, è superiore a dati e statistiche.<br />

Per quanto riguarda il primo aspetto, in ambito criminale si registra, infatti, una perfetta integrazione<br />

etnica basata <strong>sulla</strong> contrattazione affaristica degli ambiti di competenza tipica delle<br />

mafie di tutto il mondo. Si stanno profilando due tipi di rapporto tra globalizzazione e criminalità:<br />

da un lato l’immigrazione clandestina rappresenta un bacino di reclutamento per la malavita autoctona<br />

e non, dall’altro si costituiscono e si rafforzano mafie etnicamente connotate con ramificazioni<br />

planetarie (delle vere e proprie multinazionali del crimine).“Ad esempio i grandi flussi migratori<br />

provenienti dall’ex Unione Sovietica, dal Nord-Africa e dal Sud-est asiatico hanno condotto<br />

nell’ultimo decennio in Europa, e quindi in Italia, numerosi personaggi appartenenti al mondo<br />

della criminalità organizzata, celati tra le migliaia di immigrati in cerca di fortuna. I criminali stranieri<br />

professionisti giunti nel nostro Paese hanno indotto una progressiva modifica degli equilibri<br />

nelle organizzazioni criminali “storiche” che, in alcuni casi, sono riuscite ad integrarli, trovando<br />

nuove strade per il traffici di droga, di armi e di esseri umani” (Eurispes, 2007).<br />

59 Le stesse Best Practices promosse annualmente dalle Nazioni Unite (UNCHS Habitat) sono sovente di scala<br />

estremamente ridotta (e quindi incapaci di rappresentare un approccio sistemico) e affrontano solo parzialmente i temi<br />

che investono gli insediamenti umani.<br />

60 La banca dati elaborata dal Cnel in collaborazione con il dossier Caritas/Migrantes articola i dati in funzione di<br />

tre categorie – presenze, inserimento, lavoro – rapportate ai macroindicatori (popolazione, Pil, indice di sviluppo umano)<br />

descrittivi del paese d’accoglienza e dei paesi d’origine dei flussi. È significativo sottolineare che su sedici indici utilizzati<br />

per descrivere il grado di inserimento dei migranti, ben sette sono relativi ad aspetti giudiziari ed in particolare ai rapporti<br />

con le istituzioni delle diverse etnie.<br />

61 Confrontando i reati commessi nel 3° trimestre del 2005 e del 2006 si registra una flessione del 2,71%, e nelle<br />

quattro province più a rischio (Milano, Roma, Napoli e Palermo) le Procure della Repubblica calcolano una riduzione dei<br />

reati in genere e degli omicidi in particolare (tranne che a Napoli) nello stesso lasso di tempo. Fonte Elaborazione<br />

Eurispes su dati delle Procure della Repubblica, 2006.<br />

127<br />

I LUOGHI<br />

DELLA SOCIALIZZAZIONE<br />

PER UNA CULTURA CONDIVISA


128<br />

CAPITOLO 3<br />

Tab. 9 - Percentuale di stranieri sul totale dei denunciati/arrestati<br />

Reati 2004 2005 2006<br />

Lesioni dolose 26 26 27<br />

Violenze sessuali 35 38 39<br />

Furto con strappo 23 26 29<br />

Furto con destrezza 63 64 68<br />

Furti in abitazione 52 52 51<br />

Furti in autovetture 34 37 38<br />

Rapine in abitazione 49 55 51<br />

Rapine in banca 5 6 3<br />

Rapine in uffici postali 2 6 6<br />

Rapine in esercizi commerciali 29 32 33<br />

Rapine in pubblica via 44 44 45<br />

Estorsioni 23 21 19<br />

Truffe e frodi informatiche 22 17 29<br />

Omicidi 28 28 32<br />

Fonte: Barbagli M. (a cura di) (2007), Rapporto <strong>sulla</strong> criminalità in Italia. Analisi, prevenzione, contrasto, Ministero<br />

dell’Interno, Roma<br />

Raffrontando la percentuale di stranieri denunciati o arrestati con la stessa percentuale riferita<br />

ai cittadini italiani si registra una notevole differenza, che si incrementa con l’aumento di<br />

presenze nel Paese; si tratta di un indice significativo anche se, come si è detto in precedenza, i<br />

valori sono sbilanciati dall’inafferrabile dato dell’irregolarità. Nel 1988 si registrava una presenza di<br />

stranieri dello 0,8% (nel 1998 cresce a 1,7% e nel 2006 supera il 5%), mentre il tasso di stranieri denunciati<br />

per omicidio era del 6% (nel 1998 cresce al 18% e nel 2006 supera il 33%). La maggior<br />

parte dei reati consumati da stranieri sono imputabili ad immigrati irregolari mentre tra gli stranieri<br />

presenti regolarmente la percentuale e congruente con quella degli italiani 62 (Barbagli,<br />

2007).<br />

Tab. 10 - Stranieri denunciati per i quali è iniziata l’azione penale<br />

Continenti<br />

di provenienza<br />

Denunce per reati:<br />

Contro<br />

persona<br />

Contro<br />

famiglia<br />

e moralità<br />

pubblica<br />

Contro<br />

patrimon.<br />

Contro<br />

economia<br />

e fede<br />

pubblica<br />

Fonte: elaborazione da dati Istat - Statistiche giudiziarie penali anno 2004<br />

Contro<br />

Stato<br />

e ordine<br />

pubblico<br />

Altri<br />

delitti<br />

Totale<br />

Europa 7.460 965 25.768 8.372 3.868 7.579 54.012<br />

Africa 5.337 656 14.203 14.335 4.197 8.075 46.803<br />

Asia 1.177 119 1.769 2.006 518 1.699 7.288<br />

Nord America 213 29 194 101 122 70 729<br />

Centro-Sud America 1.545 301 3.034 1.527 984 685 8.076<br />

Oceania 68 8 44 40 32 18 210<br />

Totale 15.800 2.078 45.012 26.381 9.721 18.126 117.118<br />

62 Gli immigrati irregolari sono i principali artefici di reati quali il furto con destrezza, il furto di automobile, il<br />

furto in appartamento mentre i reati di omicidio (tentato o consumato), il contrabbando, le estorsioni, le lesioni dolose,<br />

la violenza sessuale e lo sfruttamento della prostituzione sono appannaggio anche di stranieri regolarmente presenti<br />

(Barbagli, 2007).


La compagine straniera maggiormente coinvolta in procedimenti penali in corso proviene<br />

da paesi europei extra comunitari (principalmente Albania) e neo comunitari (Romania) ed ha un<br />

elevato coinvolgimento anche di minorenni; la categoria di reato per la quale sono state effettuate<br />

più denunce è quella relativa ai delitti contro il patrimonio (in particolare il furto). Le regioni<br />

italiane più colpite da reati per i quali è stata avviata l’azione penale sono la Lombardia (21.327<br />

persone straniere denunciate) il Lazio (17.911) e, distanziate, altre quattro regioni centro settentrionali:<br />

Emilia Romagna (11.285), Veneto (10.029), Toscana (10.013) e Piemonte (9.677). I dati sono<br />

coerenti con l’incidenza e la distribuzione delle presenze delle diverse comunità d’immigrati nel<br />

territorio italiano. Non di meno, l’attendibilità del dato relativo ad alcune regioni meridionali risulta<br />

falsata dalle già accennate condizioni di illegalità e marginalità diffuse che incrementano la<br />

viscosità e l’impenetrabilità del sistema sociale.<br />

Tab. 11 - Stranieri presenti negli istituti di prevenzione e di pena (31/12/04)<br />

Presenze negli istituti di prevenzione e di pena<br />

Contro<br />

persona<br />

Contro<br />

famiglia<br />

e moralità<br />

pubblica<br />

Contro<br />

patrimonio<br />

Contro<br />

economia e<br />

fede pubblica<br />

Fonte: elaborazione da dati Istat - Statistiche giudiziarie penali 2004<br />

Contro Stato<br />

e ordine<br />

pubblico<br />

Gli istituti di prevenzione e di pena, nel 2004, accolgono 17.819 detenuti nati all’estero, di<br />

cui 1.143 donne, in minima parte coinvolti in corsi di alfabetizzazione e corsi scolastici.<br />

Tab. 12 - Minori nei Centri di Prima Accoglienza e Istituti Penali per Minori<br />

Fonte: elaborazione Eurispes da Servizio Statistico Dipartimento Giustizia Minorile - 2005<br />

Altri delitti Totale<br />

2.444 178 4.278 9.496 429 994 17.819<br />

C.P.A. I.P.M.<br />

Anni<br />

italiani stranieri italiani stranieri<br />

V.A. % V.A. % V.A. % V.A. %<br />

1995 1936 46 2239 54 405 74 145 26<br />

1996 1952 52 1838 48 373 71 153 29<br />

1997 2007 48 2189 52 331 66 168 34<br />

1998 1917 45 2305 55 267 61 171 39<br />

1999 1973 46 2275 54 246 58 180 42<br />

2000 1744 44 2250 56 251 53 223 47<br />

2001 1711 46 1974 54 256 53 231 47<br />

2002 1561 44 1952 56 238 51 232 49<br />

2003 1532 43 1990 57 241 51 234 49<br />

2004 1587 41 2279 59 226 45 272 55<br />

2005 1540 42 2115 58 218 46 259 54<br />

Dati sui reati e dati penitenziari devono formare oggetto di riflessione specifica per quanto<br />

concerne i minori; come si è sottolineato più volte, è sulle opportunità che si offrono alle seconde<br />

generazioni e <strong>sulla</strong> capacità di creare una <strong>città</strong> includente nei confronti dei giovani in genere che<br />

si gioca la possibilità dell’integrazione. Le statistiche non sono molto confortanti; si registra in<br />

tutto il Paese un incremento di attività microcriminali predatorie perpetrate da parte di giovani di<br />

estrazione e cittadinanza differenti; in questo contesto tipico delle società sviluppate il ruolo dei<br />

minori immigrati o figli di immigrati assume molteplici significati ed implicazioni.<br />

129<br />

I LUOGHI<br />

DELLA SOCIALIZZAZIONE<br />

PER UNA CULTURA CONDIVISA


130<br />

CAPITOLO 3<br />

Tab. 13 a - Segnalazioni e prese in carico di minori negli USSM<br />

Anni<br />

italiani<br />

Soggetti segnalati<br />

stranieri nomadi tot.<br />

Soggetti presi in carico<br />

italiani stranieri nomadi tot.<br />

2000 15873 2773 2695 21341 10059 1157 1278 12494<br />

2001 16514 3521 2235 22270 11050 1606 1297 13953<br />

2002 15489 4036 2326 21851 10811 2011 1222 14044<br />

2003 15274 4282 2435 21991 10820 2131 1145 14096<br />

2004 15314 4514 3145 23000 10501 2216 1175 13892<br />

2005 14461 4208 2973 21642 10429 2412 1060 13901<br />

Tab. 13 b - Collocamenti in comunità di minori<br />

Anni<br />

Collocamenti in comunità<br />

italiani stranieri nomadi tot.<br />

2005 968 807 151 1926<br />

In particolare si registra un aumento di minori stranieri detenuti nei Centri di Prima<br />

Accoglienza e, ancor più negli Istituti di Pena per Minori, a fronte di un decremento delle presenze<br />

italiane; nei confronti degli stranieri viene maggiormente applicata la custodia cautelare (44%),<br />

mentre per gli Italiani – che possono usufruire di un sistema di garanzie maggiore di natura familiare<br />

e istituzionale – sono più diffuse misure non detentive (per esempio gli arresti domiciliari). Il<br />

Servizio sociale per i minorenni (USSM), che ha una valenza più rieducativa che punitiva, è prevalentemente<br />

utilizzato da italiani.<br />

A questi indicatori che rappresentano lo scenario di coloro che, in modo più o meno spontaneo,<br />

intraprendono la strada del delinquere si devono aggiungere quelli che rappresentano i<br />

minori sfruttati per lavoro, per accattonaggio 63 e/o sfruttamento sessuale 64 . Tale fenomeno è rappresentato<br />

solo in minima parte dalle statistiche ufficiali che non riescono a cogliere appieno dinamiche<br />

complesse e in continuo mutamento (Unicef-Caritas, 2006). I molti progetti che enti locali<br />

e soggetti del terzo settore hanno promosso per il recupero di minori migranti hanno ottenuto<br />

buoni risultati, inducendo le istituzioni centrali ad avviare un processo di adeguamento alla<br />

Convenzione europea sui diritti umani.<br />

Tab. 14 - Minori stranieri non accompagnati<br />

Anni 2001 2003 2004 2005<br />

V.A. 7.823 7.040 7.440 6.500<br />

Fonte: Eurispes, 2007<br />

Un elemento significativo della riflessione è la notevole presenza di immigrati clandestini.<br />

Come spesso si riscontra negli studi <strong>sulla</strong> sicurezza ed in quelli <strong>sulla</strong> multietnia la percezione del<br />

fenomeno si discosta notevolmente dalla realtà esperita; l’immagine ricorrente delle “carrette del<br />

mare” con il loro carico di umanità dolente incide non oltre il 15% sul totale delle presenze straniere<br />

irregolari. Nel 2006 accanto ad un 13% di clandestini sbarcati sulle coste e ad un 23% che ha<br />

varcato fraudolentemente le frontiere terrestri, si registra il 64% del totale degli irregolari definiti<br />

overstayer: coloro che sono entrati regolarmente e si sono trattenuti oltre la data di scadenza del<br />

63 La quasi totalità dei circa 15.000 minorenni Rom presenti in Italia è passata per l’esperienza dell’accattonaggio<br />

mentre nelle altre etnie coinvolte si riscontrano percentuali minori (Albania, Marocco, ex Jugoslavia) (Caritas italiana,<br />

2003). 64 Il traffico dei minori migranti a scopo di sfruttamento della prostituzione coinvolge, in Italia, dapprima giovani<br />

donne albanesi e nigeriane, poi russe, ucraine, rumene e moldave. La prostituzione minorile maschile riguarda soprattutto<br />

rumeni di origine Rom e, in misura minore, Maghrebini, Albanesi ed ex Jugoslavi (Unicef-Caritas, 2006).


proprio visto. La composizione dell’immigrazione irregolare in Italia è costante e vede protagoniste<br />

principalmente tre nazionalità: Albania, Marocco, Romania.<br />

“Dall’analisi dei dati emerge anche che la promulgazione di una sanatoria ha l’effetto di produrre<br />

un calo nei rintracciamenti nel periodo immediatamente successivo. Ma questo effetto è solo<br />

di breve periodo. Già due anni dopo una sanatoria, le dimensioni della presenza irregolare tornano<br />

ai livelli precedenti, anzi in genere a livelli superiori” (Barbagli, 2007). I meccanismi normativi ed esecutivi<br />

di lotta alla clandestinità hanno avuto alterne vicende e, secondo le valutazioni dello stesso<br />

Ministero dell’Interno, nel complesso si sono rivelati inadeguati a risolvere il problema.<br />

Per quanto riguarda le procedure concluse, si registra tra i provvedimenti d’espulsione<br />

emanati una netta predominanza di cittadini rumeni e in misura minore albanesi mentre i marocchini<br />

guidano la nutrita compagine dei maghrebini e di coloro che provengono dal Centro<br />

Africa. Come si è accennato il fenomeno della clandestinità comporta una serie di problemi;<br />

accanto all’emergenza umanitaria delle “carrette del mare” e dello sfruttamento ignominioso dei<br />

sans papier nel lavoro sommerso e/o nelle attività criminali si determina una contiguità con il<br />

mondo della malavita e dell’illegalità in genere che incrementa l’insicurezza reale e percepita da<br />

parte delle popolazioni autoctone.<br />

Tab. 15 a - Stranieri sbarcati lungo le coste italiane<br />

1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006<br />

2007<br />

1° trim.<br />

38.134 49.999 26.817 20.143 23.719 14.331 13.635 22.939 22.016 1.652<br />

* inclusi gli apolidi<br />

Tab. 15 b - Stranieri rintracciati, respinti ed espulsi<br />

Anno<br />

Rintracciati al netto<br />

dei respinti alle frontiere<br />

e dal Questore<br />

Fonte: elaborazione su dati del Ministero dell’Interno, 2007<br />

Respinti alle frontiere<br />

e dal Questore<br />

2000 88.570 42.221 27.042<br />

2001 92.561 41.058 36.641<br />

2002 105.988 43.795 44.706<br />

2003 77.583 27.397 37.756<br />

2004 77.517 27.091 32.874<br />

2005 96.045 23.878 30.428<br />

2006 101.704 22.679 22.770<br />

Espulsi esclusi i respinti<br />

Uno dei nodi che ci porta alla seconda faccia del problema – la percezione dell’insicurezza<br />

collegata all’immigrazione – è il rapporto tra la struttura garantista della legislazione in materia<br />

d’immigrazione e l’eccessiva burocratizzazione e inefficienza del rapporto tra istituzioni e territorio<br />

che determina una sorta di impunità diffusa di immigrati che, pur macchiatisi di reati più o<br />

meno gravi, riescono ad occultarsi in un limbo borderline ed a continuare a delinquere.<br />

Come si è visto le leggi varate in materia hanno cambiato poco tali dinamiche, confermando<br />

le contraddizioni e le sottovalutazioni perpetrate dalle istituzioni centrali, che sembrano<br />

contare su di un naturale assestamento delle dinamiche conflittuali (Sciortino, Colombo, 2003).<br />

Recenti esplosioni di intolleranza e violenza sembrano indicare un cambiamento di tendenza rispetto<br />

ad una relativa pace sociale che fino ad ora è stata favorita da:<br />

– una alta percentuale di donne nella compagine degli immigrati;<br />

– la scarsa quantità dei flussi e l’ampia dispersione sul territorio nazionale, che non ha<br />

determinato la costituzione di una massa critica d’immigrati;<br />

– la varietà delle etnie presenti nel paese;<br />

– una cultura locale tendente all’accoglienza e meno emarginante rispetto agli altri paesi<br />

europei.<br />

131<br />

I LUOGHI<br />

DELLA SOCIALIZZAZIONE<br />

PER UNA CULTURA CONDIVISA


132<br />

CAPITOLO 3<br />

Di contro, si sta delineando uno scenario meno rassicurante favorito da:<br />

– una cultura xenofoba di alcune forze politiche e il clima di paura favorito dal terrorismo<br />

internazionale;<br />

– la stagnazione-recessione economica e incremento della disoccupazione e della precarietà;<br />

– l’indeterminatezza delle regole e della loro applicazione con una diffusa pratica dell’illegalità<br />

e ampie sacche di immigrazione clandestina;<br />

– il proliferare delle organizzazioni criminali etnicamente connotate e scarso controllo del<br />

territorio da parte delle Forze dell’Ordine;<br />

– il deficit residenziale e di servizi per la popolazione autoctona, incrementato dalla repentina<br />

crescita dell’immigrazione.<br />

In questo contesto l’incontro tra popolazione autoctona e comunità di immigrati si traduce<br />

più frequentemente in scontro che in confronto; si registra già la costituzione di comitati di cittadini<br />

di aree degradate socialmente e fisicamente che attribuiscono agli immigrati l’insicurezza e il<br />

deterioramento del quartiere 65 . Dello stesso segno i moti di ribellione e le polemiche tra cittadini<br />

e istituzioni in occasione della realizzazione o del potenziamento di luoghi di culto e di cultura<br />

islamici 66 .<br />

Dal punto di vista degli immigrati, invece, si registrano reazioni violente in occasioni di<br />

sgomberi coattivi di stabili indebitamente occupati e scontri tra organizzazioni criminali autoctone<br />

e straniere e tra bande giovanili di immigrati di prima o seconda generazione.<br />

Per cogliere gli umori legati ai profondi mutamenti descritti si riscontrano studi specifici,<br />

sviluppati da enti quali il Censis e l’Eurispes e, con specifico riferimento al tema dell’immigrazione,<br />

dalla Fondazione Ismu e dalla Caritas-Migrantes che, mediante interviste a campioni significativi<br />

della popolazione, cercano di rilevare la percezione del fenomeno in relazione a specifiche<br />

tematiche.<br />

Alle domande: “gli immigrati sono un pericolo per la nostra cultura, la nostra identità e la<br />

nostra religione?”, “costituiscono una minaccia per l’occupazione?” e “sono una minaccia per l’ordine<br />

pubblico e la sicurezza delle persone?” hanno risposto affermativamente quasi quattro italiani<br />

su dieci (Eurispes, 2007)- Al primo posto tra i timori quello della sicurezza nel Nord Italia e<br />

quello dell’occupazione nel Sud mentre, in linea con altre realtà europee, considerazioni di tipo<br />

culturale e religioso incidono poco (Fondazione Nord-Est, 2005 e 2007). Nel 2003 risulta che il<br />

9,1% degli italiani 67 dichiara di aver paura degli immigrati extracomunitari (Censis, 2003).<br />

3.3.5 Un possibile percorso interpretativo<br />

Il sintetico excursus effettuato ha reso evidente la complessità di un fenomeno che si sta<br />

evolvendo a notevole velocità e rischia di cogliere impreparati tecnici ed istituzioni. Quando il<br />

tema dell’immigrazione intercetta quello della sicurezza emergono incertezze, luoghi comuni,<br />

prevenzioni che, unite al disagio sociale, ai limiti culturali, al degrado fisico e funzionale e al generale<br />

quadro di crisi in cui versano la maggioranza delle <strong>città</strong> italiane, genera forti tensioni<br />

(Kylmicka, 1999).<br />

Le azioni del terzo settore e di alcuni enti locali nella sfera del sociale e i Patti per la sicurezza<br />

che si stanno stipulando nelle principali aree metropolitane del Paese sono i primi passi per<br />

inquadrare ed affrontare questo tema. Per uscire dalla contingenza e intraprendere un percorso<br />

65 A Roma nell’area dell’Esquilino (P.za Vittorio), a Torino a Porta Palazzo e San Salvario (dove sono in atto programmi<br />

di riqualificazione), a Genova nel centro antico adiacente al porto, a Milano, tra l’altro, a Canonica-Sarpi e a Corso<br />

Buenos Aires.<br />

66 Tra gli altri si possono enumerare la realizzazione di grandi moschee a Genova e Roma ed il solo progetto di<br />

una moschea a Ponticelli (quartiere a Nord di Napoli), e le attività della scuola coranica di Viale Ienner a Milano.<br />

67 Al primo posto (60,1%) risulta la paura della guerra, poi la criminalità organizzata (60%), gli attacchi terroristici<br />

(58,2%), la microcriminalità (51,2%), eventi incontrollabili (41,9%), gli alimenti manipolati o contaminati (37,2%), la Sars<br />

(36,1%), la disoccupazione (23,5%), l’impoverimento (17,7%).


che, nel lungo periodo, possa condurre ad una <strong>città</strong> multiculturale e sicura è, però, necessario<br />

agire a livello strutturale <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> esistente.<br />

Le cifre ufficiali (di gran lunga inferiori a quelle reali) indicano che oltre il 40% degli stranieri<br />

risiedono nei comuni capoluogo, dove si concentrano opportunità ma anche emergenze e conflittualità,<br />

sovente connesse alla contesa delle scarse risorse a disposizione della popolazione nel<br />

suo complesso (Penninx, Kraal, Martiniello, Vertovec, 2004).<br />

Il deficit di spazi e servizi per la collettività, una considerevole sperequazione nell’accesso<br />

agli stessi e la scarsa sicurezza che si lamenta in molte grandi <strong>città</strong> italiane, in particolare nel<br />

Mezzogiorno, sicuramente non aiuta l’interazione tra i soggetti, locali e stranieri, che subiscono di<br />

più tali carenze. Questa potrebbe essere una delle cause dell’allarme sociale che si sta diffondendo<br />

anche in Italia in relazione al fenomeno migratorio che, pur essendo consistente, non rappresenta<br />

un fenomeno dilagante.<br />

Un altro fattore di specificità differenzia l’Italia da altri paesi europei, caratterizzati da un<br />

passato coloniale che ha condizionato le ondate di flussi in ingresso: non si registra una singola<br />

etnia numericamente predominante ma una presenza suddivisa tra molteplici provenienze<br />

(Chakrabarty, 2000). Ciò rende meno probabile la manifestazione di fenomeni quali le violenze<br />

delle comunità bangladesce nei sobborghi industriali inglesi o dei giovani d’origine magrebina<br />

nelle banlieu parigine ma, nel contempo, rende più complessa l’interpretazione della domanda<br />

espressa da una molteplicità di soggetti diversi.<br />

Come si è visto, i criteri localizzativi delle comunità immigrate determinano, sovente, che<br />

l’incontro tra etnie avvenga in un tessuto sociale in profonda crisi d’identità, esasperandone i problemi<br />

e le emergenze, quali marginalità e disgregazione sociale, macro e microcriminalità, disoccupazione,<br />

sottoccupazione e lavoro “informale”, degrado ambientale e insediativo, evasione scolastica<br />

e povertà diffusa. La diversità culturale non è, quindi, la causa primaria delle difficoltà di interazione<br />

e delle tensioni latenti o manifeste che sono, invece, provocate dalla sommatoria di<br />

fattori di disagio sociale e di carenza di risorse a disposizione della popolazione sia autoctona che<br />

immigrata.<br />

Pur nella consapevolezza che un approccio fortemente orientato al determinismo ambientale<br />

non è adeguato ad interpretare e la complessa domanda espressa da una società globalizzata<br />

e multiculturale, è possibile intraprendere un percorso che conduca, anche in Italia, ad una progettazione<br />

più attenta al tema della sicurezza (Castel, 2004). L’atteggiamento difensivo, lo straniamento,<br />

l’isolamento, la paura contribuiscono alla diffusione di un sentimento di diffidenza nei<br />

confronti dell’estraneo ed in particolare del diverso che allontanano sempre più la società da<br />

quella struttura comunitaria dinamica, anche conflittuale ma vitale, che ha consentito alla <strong>città</strong> di<br />

sopravvivere ed evolvere.<br />

Politiche che perseguano l’integrazione e l’interazione culturale devono, quindi, misurarsi<br />

con quanto di sta sperimentando nel campo della sicurezza a livello spaziale e funzionale<br />

(Beguinot, 2006).<br />

3.4 LA RETE DEGLI SPAZI D’AGGREGAZIONE: SOCIALIZZAZIONE VS CONFLITTO<br />

“… le reti sociali dei migranti costituiscono, oltre che canali di mobilità, vettori di insediamento<br />

e radicamento territoriale capaci di modificare dall’interno contesti e appartenenze, fino a ricreare<br />

veri e propri ambienti di vita locali. Si tratta di processi dal basso, quasi sempre poco visibili<br />

e in molti casi indipendenti dai modelli d’integrazione predicati, anche se raramente perseguiti,<br />

dalle politiche nazionali”.<br />

Stranieri in Italia (Decimo e Sciortino, 2006)<br />

3.4.1 Linee guida per una <strong>città</strong> multiculturale sicura<br />

Le riflessioni che sono state sviluppate nelle pagine precedenti hanno posto in relazione<br />

due temi di estrema attualità, il cui teatro comune è la <strong>città</strong>: il tema dell’integrazione multicultu-<br />

133<br />

I LUOGHI<br />

DELLA SOCIALIZZAZIONE<br />

PER UNA CULTURA CONDIVISA


134<br />

CAPITOLO 3<br />

rale e quello della sicurezza. La formazione di una società multietnica e multiculturale e l’incremento<br />

dell’insicurezza urbana costituiscono oggetto di molteplici studi ma anche di progetti e<br />

programmi interdisciplinari. I due temi, però, si intersecano quasi esclusivamente mediante le statistiche<br />

criminali e i provvedimenti giudiziari legati all’immigrazione e, in un semplicistico rapporto<br />

di causa ed effetto, all’insicurezza acuita dalla presenza della diversità fisica e culturale.<br />

Nonostante entrambi abbiano una notevole rilevanza nelle dinamiche urbane e condizionino<br />

in modo diretto o indiretto le politiche urbanistiche, l’immigrazione e l’insicurezza sono stati<br />

prevalentemente affrontati, assecondando prevenzioni ataviche e paure recenti, in termini di politiche<br />

di pubblica sicurezza. In realtà, è possibile ravvisare una più proficua piattaforma di contatto<br />

proprio nella sfera di competenza dell’urbanistica, definendo criteri spaziali che favoriscano<br />

la prevenzione da un lato e contribuiscano alla riduzione del margine di diffidenza che conduce<br />

ad una aprioristica chiusura nei confronti della complessità e, quindi, di fatto nei confronti della<br />

natura stessa della <strong>città</strong>.<br />

L’impoverimento culturale e materiale della <strong>città</strong> contemporanea è accelerato (se non generato)<br />

dall’imperversare di recinti fisici e mentali che ostacolano la libera fruizione degli spazi –<br />

che così diventano terre di nessuno – e la libera circolazione delle idee che hanno fatto grande la<br />

<strong>città</strong> nella storia. Subendo, piuttosto che governando e tesaurizzando, gli effetti della globalizzazione<br />

si genera una non-<strong>città</strong>, frutto della sommatoria di non-luoghi (Augè, 1992) e di luoghi<br />

densi di valori simbolici il cui isolamento accentua il senso di straniamento e di atopicità.<br />

Senza la pretesa di affrontare in modo esaustivo un tema di tale portata si vuole offrire un<br />

piccolo contributo all’abbattimento di barriere materiali ed immateriali che ostacolano l’interazione<br />

culturale e sociale, contribuendo a svuotare di significato i luoghi simbolici della vita associata,<br />

i topoi dell’identità urbana: gli spazi pubblici. Proporre criteri di pianificazione e gestione degli<br />

spazi pubblici o di mediazione pubblico/privato, che favoriscano l’incontro e l’aggregazione<br />

multiculturale, è un percorso che consente di mettere un primo tassello al puzzle che rappresenta<br />

le relazioni tra la prevenzione di alcune tipologie di atti criminosi, l’insicurezza reale o percepita e<br />

la diffidenza nei confronti del diverso.<br />

Pur non potendo ravvisare una concatenazione deterministica tra la pianificazione degli<br />

spazi d’aggregazione e di mediazione pubblico-privato, le difficoltà d’interazione ed integrazione<br />

culturale e i comportamenti deviati, si possono tracciare indirizzi progettuali da sottoporre al vaglio<br />

della verifica sperimentale.<br />

Le attività di prevenzione devono essere integrate e finalizzate a realizzare una <strong>città</strong> senza<br />

soluzioni di continuità e barriere, nella quale gli spazi pubblici ritrovino la propria funzione<br />

aggregativi, e di dissuasione nei confronti di comportamenti antisociali o criminali.<br />

Uno degli ostacoli al successo di tale integrazione è la necessità di agire, non solo nel breve,<br />

ma, soprattutto, nel medio e nel lungo periodo. Si cominciano, però, a delineare alcuni gruppi di<br />

azioni di matrice urbanistico-architettonica che si possono sintetizzare attraverso tre tappe:<br />

1. interventi a scala architettonica e di arredo urbano che favoriscano il controllo sociale<br />

degli spazi residenziali (abitazioni e spazi comuni);<br />

2. interventi di riorganizzazione funzionale e di completamento nelle enclave dei quartieri<br />

dell’espansione edilizia post bellica che favoriscano la continuità fisica e la mixitè funzionale;<br />

3. interventi di recupero e/o di manutenzione edilizia ed urbanistica orientati alla riqualificazione<br />

di parti della <strong>città</strong> consolidata degradate socialmente e fisicamente (aree dismesse,<br />

centri storici svuotati dalla gentrification, quartieri monofunzionali, …).<br />

Per tradurre un approccio principalmente difensivo e punitivo in uno pro-attivo orientato<br />

alla prevenzione è necessario integrare le tre dimensioni progettuali suelencate, in modo da affrontare<br />

contestualmente cause ed effetti dell’insicurezza.<br />

La strada perseguita è quella che, <strong>sulla</strong> scorta dei risultati delle esperienze di progettazione<br />

orientata alla sicurezza urbana 68 e delle riflessioni <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong>, propone una sorta di pro-<br />

68 Vedi par. 3.2.3.


tocollo d’azioni che assumerà differenti declinazioni nei diversi contesti urbani. È, infatti, indispensabile<br />

ricordare che l’individuazione di criteri generali costituisce il primo passo del percorso<br />

che conduce dalla fase cognitiva a quella operativa; il confronto con le specificità dei contesti urbani<br />

è un indispensabile momento di validazione delle tesi proposte (Forte, 2007).<br />

Per poter mettere in relazione fenomeni disomogenei si è proceduto riconducendo le tematiche<br />

emerse dall’indagine <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multiculturale a tre “contenitori”: le parole chiave ricorrenti<br />

nelle ricerche di settore in corso 69 , i principi della Carta <strong>sulla</strong> Città Interetnica 70 e il risultato<br />

della lettura incrociata delle principali linee progettuali riconducibili alla pianificazione ambientale<br />

per la sicurezza urbana.<br />

Il trait d’union tra i diversi approcci è costituito dal ruolo centrale attribuito al tema del rapporto<br />

tra residenza e spazi pubblici; parallelamente si riconosce unanimemente la necessità di favorire<br />

la partecipazione al processo di trasformazione urbana.<br />

Si procede, quindi, secondo un duplice approccio, incrociando un flusso top down ed uno<br />

bottom up; da un lato si definiscono alcuni criteri base e le loro principali declinazioni alle diverse<br />

scale urbane (top down) e dall’altro si predispone un modello partecipativo rivolto alle tre macrocategorie<br />

della popolazione autoctona, degli immigrati recenti e degli immigrati storicizzati<br />

(bottom up) che contribuisca alla redazione, garantisca la condivisione delle scelte progettuali e<br />

ne favorisca l’attuazione.<br />

Parole<br />

Chiave<br />

STATO<br />

DELL’ARTE<br />

RICERCA<br />

CARTE<br />

INTERETNIA<br />

SICUREZZA<br />

URBANA<br />

Principi<br />

Guida<br />

Linee<br />

Progettuali<br />

Fig. 8 - Schematizzazione del percorso<br />

Si individua l’area di sovrapposizione tra le tre tematiche affrontate mediante il confronto tra i principi guida<br />

delle principali Carte che, in ambito italiano ed europeo, hanno affrontato il tema della multiculturalità urbana,<br />

le parole chiave individuate mediante lo screening delle attività di ricerca svolte da centri di tutto il<br />

mondo e le linee progettuali legate al tema della sicurezza urbana.<br />

Si illustra di seguito il percorso seguito articolato in tre blocchi di parole/concetti chiave riconducibili<br />

rispettivamente alle principali linee di ricerca internazionali sul tema della multiculturalità<br />

(lo screening dello stato dell’arte della ricerca), della progettazione urbanistica ed urbana<br />

orientata alla sicurezza (la sicurezza urbana nella società multietnica) e dei principi e delle espe-<br />

69 Individuate e gerarchizzate nel corso della ricerca e riportate nel cap. 2 (M. Clemente).<br />

70 Ci si riferisce alla più volte citata Carta della Città Interetnica e Cablata promossa dalla Fondazione di Studi<br />

Urbanistici Aldo Della Rocca, i cui principi sono riportati nel cap. 1 (Beguinot, 2006).<br />

135<br />

I LUOGHI<br />

DELLA SOCIALIZZAZIONE<br />

PER UNA CULTURA CONDIVISA


136<br />

CAPITOLO 3<br />

rienze progettuali per l’integrazione culturale nella nuova società globalizzata (le Carte e i documenti<br />

istituzionali). In particolare, partendo dalle quaranta tematiche espresse sinteticamente con<br />

le parole chiave del percorso d’indagine illustrato nel precedente capitolo, si effettua un confronto<br />

incrociato con i principi che guidano la costruzione di una <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> e con i principali<br />

enunciati delle teorie della sicurezza urbana che si sono succedute dagli anni settanta ad<br />

oggi.<br />

Lo screening dello stato dell’arte della ricerca71 Per il primo blocco si prendono in considerazione le priorità emerse dagli studi e dai progetti<br />

in corso <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multietnica.<br />

La complessità e la vastità del tema della multiculturalità in una società figlia della globalizzazione<br />

ha suggerito di intraprendere uno screening completo in ambito internazionale dello<br />

stato dell’arte della ricerca nel settore, affiancando ai tradizionali strumenti d’indagine quello<br />

della diffusione nel world wide web. Questa procedura ha consentito di fotografare le tendenze in<br />

atto e di ridurre i tempi d’obsolescenza delle fonti, in un campo estremamente dinamico, e di<br />

identificare gli ambiti d’interesse privilegiati nelle diverse aree geografiche. Le quaranta parole<br />

chiave che sono state identificate hanno consentito di effettuare una classificazione dei centri di<br />

ricerca in base all’orientamento disciplinare ed ai contenuti; si sono, quindi, rappresentate le tematiche<br />

maggiormente significative e si sono sistematizzati i risultati dell’impegno nella ricerca e<br />

nella sperimentazione <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> nel mondo.<br />

Le parole chiave sono:<br />

alloggio; aree metropolitane; asilo e rifugiati; attività produttive; attrezzature collettive; centri storici; <strong>città</strong><br />

diffusa; cittadinanza; clandestini; diritto; documentazione; educazione e istruzione; esclusione/inclusione<br />

sociale; formazione; genere; governance; identità culturali; identità urbane; integralismi e conflittualità; lavoro;<br />

lingue; nuove tecnologie tlc; partecipazione; periferie; pianificazione territoriale e urbanistica; piccoli centri;<br />

politiche per l’immigrazione; politiche urbane; povertà urbana; progettazione architettonica; progettazione<br />

urbana; razzismo e discriminazione; religioni; segregazione/integrazione spaziale; servizi urbani; sostenibilità;<br />

sport; strumenti d’intervento; strumenti per la conoscenza; unità di vicinato.<br />

La sicurezza urbana nella <strong>città</strong> multietnica 72<br />

Il tema della sicurezza urbana è estremamente sentito da cittadini ed istituzioni e, in misura<br />

sempre maggiore, sta investendo la sfera urbanistica ed architettonica. In particolare, nell’attività<br />

di prevenzione del crimine si stanno individuando dei percorsi che contemperino le diverse esigenze<br />

di tutela di beni e spazi privati e di luoghi pubblici, la cui attuale conformazione fisica e funzionale<br />

non solo non ostacola il perpetrarsi di attività criminose ma crea le condizioni per l’incremento<br />

dei comportamenti deviati.<br />

Le condizioni ambientali che, da un lato, contribuiscono all’esclusione etnica, alla marginalità<br />

sociale, al proliferare di comportamenti deviati e, dall’altro, alterano la percezione dell’insicurezza,<br />

devono essere affrontate con una logica sistemica e non in modo settoriale o contingente.<br />

L’uomo urbano, al di fuori del proprio recinto protetto, ha sviluppato criteri inconsci di valutazione<br />

del rischio (danno per probabilità) nei confronti di persone, luoghi e situazioni contingenti:<br />

le condizioni d’allarme sono determinate dall’estraneità nelle sue diverse declinazioni. Nella<br />

prima categoria il fattore d’inquietudine è la diversità fisica, etnica o sociale delle persone con le<br />

quali si entra in contatto, nella seconda è la non riconoscibilità e la non appartenenza ad un luogo<br />

71 Nel capitolo 2, in particolare nel paragrafo 2.1.2 si individuano le parole chiave utilizzate per la schedatura dei<br />

centri di ricerca impegnati, in ambito internazionale, in ricerche e sperimentazioni <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multiculturale, con particolare<br />

attenzione alla dimensione urbanistica.<br />

72 Confronta par. 3.2.3.


(con il conseguente senso d’abbandono e/o degrado che lo caratterizza) che lo rende inquietante.<br />

Ma anche un luogo familiare può diventare estraneo ed essere generatore di paure in alcune<br />

situazioni e/o fasce orarie: l’assenza di illuminazione e la scarsa frequentazione nelle ore notturne,<br />

la presenza di persone “estranee”, il perpetrarsi di attività o eventi straordinari, e così via<br />

(Holdaway, 2000).<br />

Indipendentemente da quanto sia reale il rischio e motivata la paura restano i meccanismi<br />

di difesa automatici che condizionano la fruizione degli spazi urbani e la costruzione di quelle relazioni<br />

sulle quali si basa la convivenza civile e colta di una società. È, quindi, necessario individuare<br />

ed isolare i motivi dell’insicurezza espressi dalle diverse componenti della società urbana<br />

per poi ricomporle in un sistema integrato di interventi a scala urbana, di quartiere e di unità di<br />

vicinato.<br />

Le parole chiave sono:<br />

alloggio; aree metropolitane; attrezzature collettive; centri storici; clandestini; esclusione/inclusione sociale;<br />

integralismi e conflittualità; partecipazione; periferie; pianificazione urbanistica e architettonica; segregazione/integrazione<br />

spaziale; unità di vicinato; permeabilità; intravisione; vitalità; controllo informale<br />

(sorveglianza naturale); recupero aree degradate; riqualificazione e manutenzione; mixitè funzionale; territorialità;<br />

discontinuità fisica; devianza; broken windows; slums<br />

Carte per una <strong>città</strong> multiculturale<br />

Il documento dal quale si parte per sviluppare la riflessione sui principi guida per la multiculturalità<br />

in chiave urbana ha una matrice improntata alla cultura urbana: la Carta della Città<br />

Europea Cablata e Interetnica (2006), promossa da un gruppo di ricerca internazionale che fa<br />

capo alla Fondazione per gli studi urbanistici Aldo Della Rocca di Roma. I promotori della Carta<br />

vantano un percorso tra le cui tappe fondamentali si annoverano l’Enciclopedia della <strong>città</strong> cablata<br />

(1989 e 1992), la Carta di Megaride (1994 e 1995), la partecipazione alla Conferenza UNCHS<br />

Habitat II di Istanbul (1996) e, al volgere del millennio, gli studi e l’alta formazione <strong>sulla</strong> multietnia<br />

che hanno condotto alla redazione della Carta (Beguinot, 2003, 2004, 2005, 2006, 2008).<br />

L’importanza di questo documento di principi è la dimensione urbanistica che assume,<br />

mettendo in relazione la multiculturalità della nuova struttura sociale con i luoghi e le funzioni urbane.<br />

I primi tentativi in tale direzione erano stati fatti già in occasione del varo, ad opera della<br />

Regione Toscana, della Carta della progettazione interculturale (2000) e dell’Inclusive Urban<br />

Environments Rely (2003a) 73 .<br />

Sul fronte istituzionale si stanno delineando le nuove politiche italiane <strong>sulla</strong> scorta della<br />

Carta dei Valori, della Cittadinanza e dell’Integrazione (Ministero dell’Interno, 2007) con l’obiettivo<br />

di “enucleare i valori e i principi validi per tutti coloro che desiderano risiedere stabilmente in<br />

Italia, di qualsiasi gruppo o comunità facciano parte, di natura culturale, etnica o religiosa” 74 .<br />

A questi documenti direttamente legati al tema della multietnia si è voluto aggiungere la<br />

Nuova Carta di Atene (2003b) che, promossa dall’European Council of Town Planners (ECTP), rappresenta<br />

una visione urbanistica complessiva della <strong>città</strong> del XXI secolo. Il documento assume<br />

quale oggetto e, nel contempo, obiettivo la connected city, articolata nelle tre dimensioni della<br />

sostenibilità sociale, economica ed ambientale. L’integrazione sociale si persegue, a sua volta, mediante<br />

una sempre maggiore equità nell’accesso a beni, servizi e informazioni tra i diversi gruppi<br />

sociali, lo sviluppo di nuovi sistemi di rappresentatività e partecipazione e le interazioni tra culture<br />

e generazioni diverse. Tali interazioni concorrono a delineare nuove e più forti identità urbane<br />

73 Per un approfondimento cfr. cap. 1.<br />

74 Il 13 ottobre 2006 con Decreto del Ministero dell’Interno è stato nominato il Comitato scientifico incaricato di<br />

elaborare la Carta dei valori: Roberta Aluffi Beck Peccoz (Università di Torino), Carlo Cardia (Università Roma Tre), Kalhed<br />

Fouad Allam (Università di Trieste), Adnane Mokrani (Università Gregoriana di Roma), Francesco Zannini (Pontificio<br />

Istituto di studi arabi ed islamistica di Roma). Hanno partecipato ai lavori il Prefetto Franco Testa e il Vice Prefetto Maria<br />

Patrizia Paba e si sono sviluppati incontri e collaborazioni con soggetti sociali, religiosi, sindacali e del volontariato.<br />

137<br />

I LUOGHI<br />

DELLA SOCIALIZZAZIONE<br />

PER UNA CULTURA CONDIVISA


138<br />

CAPITOLO 3<br />

scaturenti dal “dialogo reciproco fra le diverse culture presenti” e dalla loro “fusione graduale”.<br />

L’integrazione si completa mediante l’accesso ad un adeguato sistema della mobilità ed a servizi<br />

ed alloggi che rappresentino una nuova dimensione residenziale adeguata alla domanda.<br />

Le parole chiave sono:<br />

accoglienza; abitare; partecipazione; comunicazione; autonomia e responsabilità; sviluppo solidale; (2000)<br />

street design; pricing and availability of public transportation; location and accessibility of employment;<br />

management of schools; management of police services; economic development that benefits a range of social<br />

groups; enforcement of employment codes, commercial regulations, and by-laws; garbage removal; licensing<br />

street vendors and public market spaces; pricing and servicing industrial land; (2003a)<br />

la <strong>città</strong> integrata; l’integrazione sociale (l’equilibrio sociale, la partecipazione, la ricchezza multiculturale,<br />

l’integrazione tra le generazioni, l’identità sociale, gli spostamenti e la mobilità, le attrezzature, l’alloggio e i<br />

servizi); l’integrazione economica (la globalizzazione e la regionalizzazione, i vantaggi competitivi, la <strong>città</strong> in<br />

rete, la diversità economica); l’integrazione ambientale (la sostenibilità ambientale, le <strong>città</strong> sane, la natura, il<br />

paesaggio e gli spazi aperti, l’energia); (2003b)<br />

identità; integrazione; interazione; partecipazione; mediazione; abitare; lavoro; servizi; accessibilità; <strong>città</strong>;<br />

formazione; (2006)<br />

dignità della persona, diritti e doveri; diritti sociali-lavoro e salute; diritti sociali-scuola, istruzione, informazione;<br />

famiglia, nuove generazioni; laicità e libertà religiosa; impegno internazionale; (2007)<br />

3.4.2 La procedura<br />

È necessario premettere che il percorso scelto corre consapevolmente verso una deriva deterministica<br />

e machiniste; ciò nonostante non si tende a semplificare la complessità ma ad individuare<br />

e a sistematizzare un percorso interpretativo ricco di contenuti diversi e divergenti e di apporti<br />

interdisciplinari.<br />

Il percorso di ricerca, che trova in questo volume occasione per una tappa di verifica, diffusione<br />

e modulazione degli sviluppi futuri, parte da un fenomeno la cui ampiezza di implicazioni<br />

richiede una notevole ed interdisciplinare base di conoscenza. Se si pensa al solo “crogiuolo o insalatiera”<br />

delle etnie (Allam, Martiniello, Tosolini, 2004), alle tematiche identitarie localistiche o globalizzate<br />

(Amendola, 1997), al mertoniano modello di consumo/sviluppo e alle diverse devianze<br />

(Sidoti, 1989) si annovera un coacervo di tematiche tutte infinitamente articolabili. Per concludere<br />

una prima tappa del percorso interpretativo e affacciarsi ad una fase propositiva si è scelto di raggruppare,<br />

secondo criteri omogenei le tematiche fin qui affrontate e coglierne i punti di contatto<br />

piuttosto che le divergenze e le sfumature in contrasto. Pur consapevoli di non poter raggiungere<br />

un adeguato livello di oggettività e terzietà – la scelta delle fonti, dei criteri di selezione, delle priorità<br />

è guidata dal personale taglio dato alla ricerca – si ritiene proficuo sviluppate le interazioni tra<br />

le tematiche della multiculturalità e della sicurezza.<br />

Interdisciplinarietà<br />

Fig. 9 - Un “imbuto” della conoscenza<br />

per la ricerca interdisciplinare<br />

Fonte: rielaborazione da un contributo<br />

di Salvatore F. e Sacchetti L. in “Clinica<br />

Chimica Acta” (1996).


Guardando in filigrana i tre blocchi delle tematiche scelte si è voluto identificare e sostanziare<br />

quegli elementi che costituiscono il trait d’union tra le stesse e che possono costituire le<br />

priorità progettuali.<br />

Per quanto concerne l’individuazione dei criteri (priorità) progettuali, si sono messi in relazione<br />

(mediante un abaco) i concetti chiave su elencati e si è costruita una lista di controllo da<br />

sottoporre al vaglio del modello partecipativo, opportunamente predisposto in funzione delle<br />

specificità dell’ambito di sperimentazione e che costituirà la base per il prosieguo della ricerca.<br />

La lista di controllo è stata costruita <strong>sulla</strong> base di tre condizioni:<br />

– la priorità attribuita al concetto/parola chiave nell’ambito del settore di riferimento<br />

(stato dell’arte, sicurezza o carte);<br />

– l’effettività del singolo concetto/parola chiave rispetto ai temi della disciplina urbanistica;<br />

– la presenza di un tema riconducibile al concetto/parola chiave in almeno due delle tre<br />

tematiche di riferimento.<br />

Si è, quindi, proceduto al riordino delle tematiche in base alla priorità intrinseca, alla possibilità<br />

che venissero affrontate mediante gli strumenti della disciplina urbanistica, ed all’incidenza<br />

mediante un confronto trasversale.<br />

La lettura in filigrana delle tre fonti porta ad individuare quattro raggruppamenti tematici<br />

cui si possono ricondurre i concetti-chiave: il primo raggruppa gli approcci disciplinari e gli stru-<br />

sostenibilità; pianificazione<br />

territoriale e urbanistica;<br />

progettazione urbana;<br />

progettazione<br />

architettonica; politiche<br />

urbane; governance;<br />

strumenti d’intervento;<br />

strumenti per la<br />

conoscenza;<br />

documentazione;nuove<br />

tecnologie tlc;<br />

partecipazione; alloggio;<br />

unità di vicinato;<br />

segregazione/integrazione<br />

spaziale; attrezzature<br />

collettive; servizi urbani;<br />

sport; attività produttive;<br />

lavoro; identità culturali;<br />

formazione; educazione e<br />

istruzione; lingue;<br />

aree metropolitane;<br />

centri storici; <strong>città</strong> diffusa;<br />

periferie; piccoli centri;<br />

identità urbane;<br />

politiche per<br />

l’immigrazione; diritto;<br />

asilo e rifugiati;<br />

cittadinanza; clandestini;<br />

genere;<br />

esclusione/inclusione<br />

sociale; integralismi e<br />

conflittualità; razzismo e<br />

discriminazione; religioni;<br />

povertà urbana;<br />

pianificazione urbanistica<br />

e architettonica; recupero<br />

aree degradate;<br />

riqualificazione e<br />

manutenzione,<br />

partecipazione; alloggio;<br />

unità di vicinato;<br />

segregazione/integrazione<br />

spaziale; attrezzature<br />

collettive; spazi pubblici;<br />

mixitè funzionale, broken<br />

windows; spazi di<br />

mediazione; territorialità;<br />

discontinuità fisica;<br />

vitalità; permeabilità;<br />

intravisione; controllo<br />

informale (sorveglianza<br />

naturale);<br />

aree metropolitane;<br />

slums; centri storici;<br />

periferie; gated<br />

cummunities;<br />

esclusione/inclusione<br />

sociale; clandestini;<br />

integralismi e<br />

conflittualità; devianza;<br />

seconde generazioni;<br />

street design; sviluppo<br />

sostenibile; impegno<br />

internazionale;<br />

partecipazione; alloggio;<br />

accoglienza; abitare; <strong>città</strong><br />

integrata; attrezzature;<br />

servizi; management of<br />

schools; management of<br />

police services; location<br />

and accessibility of<br />

employment; pricing and<br />

servicing industrial land;<br />

enforcement of<br />

employment codes; pricing<br />

and availability of public<br />

transportation;<br />

identità sociale; ricchezza<br />

multiculturale; integrazione<br />

sociale; integrazione tra<br />

generazioni; sviluppo<br />

solidale;comunicazione;<br />

responsabilità; integrazione<br />

economica; interazione;<br />

mediazione; formazione;<br />

informazione; dignità della<br />

persona, diritti e doveri;<br />

famiglia; laicità e libertà<br />

religiosa; nuove<br />

generazioni; economic<br />

development that benefits<br />

a range of social groups;<br />

commercial regulations,<br />

and by-laws; garbage<br />

removal; licensing street<br />

vendors and public market<br />

spaces;<br />

Fig. 10 - La costruzione dell’abaco dei concetti chiave<br />

Nel primo blocco sono stati raggruppati, e articolati in quattro gruppi (strumenti e modelli interpretativi,<br />

elementi della progettazione, ambiti territoriali, aspetti specificamente sociali), i concetti chiave emersi dallo<br />

stato dell’arte della ricerca nel settore della <strong>città</strong> multietnica. Il secondo blocco, articolato in modo analogo,<br />

raccoglie e gerarchizza le tematiche della sicurezza urbana, mentre il terzo blocco (delle carte) è più sbilanciato<br />

verso le questioni sociali e non specifica gli ambiti territoriali di riferimento.<br />

139<br />

I LUOGHI<br />

DELLA SOCIALIZZAZIONE<br />

PER UNA CULTURA CONDIVISA


140<br />

CAPITOLO 3<br />

menti metodologici o operativi che possono essere messi in gioco; il secondo annovera gli elementi<br />

progettuali strettamente legati allo specifico disciplinare dell’urbanistica e del governo del<br />

territorio; nel terzo gruppo si prendono in considerazione gli ambiti fisici dell’intervento e la scala<br />

di riferimento; nell’ultimo blocco trovano spazio le tematiche sociali che, anche se non possono<br />

essere affrontate esclusivamente con strumenti urbanistici, sono strettamente intrecciate alle vicende<br />

urbane.<br />

Nel solo caso delle Carte della multiculturalità, documenti di più ampio respiro e meno<br />

“tecnici”, non si identificano concetti-chiave legati all’ambito territoriale d’interesse.<br />

Il confronto trasversale pone in evidenza le tematiche cui è stato dato maggiore risalto e<br />

quelle più ricorrenti nelle fonti di riferimento. Le categorie dello sviluppo sostenibile, anche se genericamente<br />

richiamate, costituiscono il paradigma di riferimento insieme alle (relativamente)<br />

nuove tecnologie nei settori dell’informazione e della comunicazione che, da strumento, assumono<br />

il ruolo di filosofia interpretativa. La pianificazione e la progettazione di spazi e luoghi, alle<br />

diverse scale, è l’approccio che scaturisce dal taglio dato alla ricerca e si declina principalmente in<br />

una accezione di recupero e riqualificazione piuttosto che di addizione di nuove parti di <strong>città</strong>.<br />

Dalle Carte prese in esame emerge un interesse per la <strong>città</strong>, mentre non viene specificata la scala<br />

d’intervento o gli ambiti specifici dell’azione. Come si è visto, l’attenzione alla scala di area metropolitana<br />

e al binomio centro storico-periferie è, invece, sottolineato nei documenti delle prime<br />

due categorie.<br />

Enfasi maggiore è attribuita a quelli che potrebbero essere definiti i nodi progettuali: un<br />

approccio partecipativo, che garantisca la fattibilità del piano e la condivisione delle scelte progettuali<br />

(con una serie significativa di ricadute sociali); la questione dell’alloggio ed, in generale,<br />

dell’abitare, è intesa quale piattaforma <strong>sulla</strong> quale costruire un incremento della qualità della vita<br />

delle comunità urbane, in particolare dei soggetti marginali. La necessità di costruire un sistema<br />

integrato per la residenza che coniughi spazi privati, spazi di mediazione e spazi pubblici trova<br />

nell’unità di vicinato della cultura anglosassone un terreno di sperimentazione e confronto. In<br />

questa dimensione confluiscono alcuni fondamenti della progettazione ambientale orientata alla<br />

sicurezza (e non solo) quali la mixitè funzionale, la territorialità, la vitalità, il controllo informale e<br />

la sorveglianza naturale, la permeabilità e la continuità fisica.<br />

Alla luce degli obiettivi dello studio, quindi, queste tematiche possono essere ricondotte<br />

alle due macro-categorie della residenza e degli spazi pubblici. Se si intende, infatti, il tema dell’alloggio<br />

nella sua accezione più ampia della costruzione di un sistema integrato per la residenza,<br />

allora, oggetto della riflessione non è solo la tipologia, la pezzatura o le caratteristiche dell’edificio<br />

residenziale ma di tutto ciò che concorre a consentire la fruizione dello spazio a coloro che lo<br />

abitano.<br />

In parallelo, quando si parla di spazi pubblici e di mediazione pubblico/privato non si intende<br />

solo il disegno di suolo degli stessi ma si affronta la loro capacità di favorire l’incontro, l’aggregazione,<br />

l’interazione sociale etnica e culturale (Germain, 2000).<br />

Entrambe queste dimensioni tematiche, pur non essendo esaustive, concorrono a delineare<br />

un approccio più pieno e consapevole alla domanda di qualità urbana che una società figlia della<br />

globalizzazione pone alla ribalta. La difficoltà di quantificare un approccio qualitativo è accentuata<br />

dalla nuova composizione sociale della <strong>città</strong> multiculturale; nel contempo, queste caratteristiche<br />

possono arricchire il percorso progettuale.<br />

3.4.3 Criteri progettuali per l’aggregazione <strong>interetnica</strong>: dall’alloggio al sistema integrato<br />

per la residenza<br />

I temi trattati si possono ricondurre ai due macro-gruppi dello spazio della residenza e di<br />

quello dell’aggregazione. L’abitare e l’incontrarsi, da sempre fondamentali nell’organizzazione urbana,<br />

sono diventati nodi centrali nella <strong>città</strong> odierna e postmoderna. Il massiccio inurbamento,<br />

che con tempi differenti ha interessato ed interessa tutto il pianeta, l’indifferenza allocativa delle<br />

attività lavorative, che dalla prima rivoluzione industriale è cresciuta innescando i fenomeni della


globalizzazione, e la moltiplicazione, fino all’annullamento, dei luoghi simbolici della <strong>città</strong> preindustriale<br />

ha accentuato l’enfasi su questi due nodi progettuali.<br />

Come si è detto, l’individualismo e la paura concorrono a modificare gli spazi dell’abitare e<br />

la mercificazione e l’alienazione sono tra i fattori che hanno modificato e reso sovente artificiose<br />

le modalità ed i luoghi dell’incontro. Questa condizione, che si estremizza in alcune realtà occidentali,<br />

si lega alle caratteristiche della società postmoderna e diventa un problema di classe oltre<br />

che etnico (Campani, 2000). Da un lato, le politiche per la casa si rivelano inadeguate a soddisfare<br />

la domanda di alloggi, anche quella pregressa, e, dall’altro, si diffonde la tendenza a scegliere<br />

i luoghi per l’incontro in funzione del proprio potere d’acquisto. Il concorso di queste due condizioni<br />

contribuisce ad aumentare l’isolamento dei soggetti a diverso titolo definibili diversi.<br />

Si individua, quindi, quale tema trasversale da affrontare in una logica interculturale quello<br />

del sistema integrato per la residenza: il tema dell’alloggio si articola in un sistema complesso che<br />

non separa ma integra mediante la declinazione di spazi di mediazione e spazi pubblici (CNEL,<br />

2004).<br />

Le strategie progettuali che mirano alla messa in sicurezza degli ambienti urbani 75 pongono<br />

in evidenza la necessità di promuovere azioni di recupero e riqualificazione a tutto tondo e<br />

di creare condizioni di vita favorevoli all’incontro; questi fattori sono, infatti, in grado di innescare<br />

meccanismi psicologici di emulazione virtuosa e di appartenenza ai luoghi. Queste strategie,<br />

messe in relazione con le politiche per l’integrazione rivolte alle comunità d’immigrati e con i<br />

principi orientati a favorire la nascita di una <strong>città</strong> interculturale, indicano la via per una nuova stagione<br />

di politiche per l’alloggio.<br />

Così come è avvenuto nelle precedenti stagioni di grandi inurbamenti, la casa è al centro<br />

delle (pur scarse) politiche e progetti posti in essere per l’immigrazione. Come si evince anche dall’excursus<br />

effettuato nel precedente capitolo, il tema è ampiamente dibattuto e, in alcuni paesi,<br />

concretamente affrontato in diverse categorie di intervento 76 .<br />

Senza entrare nel merito del dibattito, è necessario ricordare che la forte carica ideale delle<br />

politiche per l’edilizia residenziale pubblica è stata sovente tradita da risultati che sono uno dei<br />

principali nodi-problema della <strong>città</strong> contemporanea. I principi razionalistici che hanno informato<br />

questi insediamenti sono gli imputati di un processo che, a partire dagli anni settanta, è stato<br />

avviato nei paesi anglosassoni e che oggi riguarda i fondamenti disciplinari dell’urbanistica.<br />

Per quanto concerne l’Italia, la stagione “epica” del Piano Fanfani ha innescato un processo<br />

a valanga che, tra picchi d’eccellenza e baratri di squallore, ha determinato gli attuali assetti urbani<br />

(Istituto Sturzo, 2002). Il passaggio da un criterio quantitativo ad uno qualitativo nell’intendere<br />

la domanda d’alloggio 77 , unito al cambiamento del tessuto produttivo e del tessuto sociale<br />

di fine secolo, ha condotto alla stagione della riqualificazione. I cosiddetti programmi complessi<br />

hanno sancito la volontà, negli anni novanta, di riconnettere parti di <strong>città</strong> disgregate e di recuperare<br />

funzionalmente e fisicamente le aree residenziali dell’espansione urbana.<br />

Anche in Italia si comincia a mettere in relazione il degrado urbano con il degrado sociale<br />

e il dilagare di comportamenti deviati. Come si vedrà negli approfondimenti presentati nei capitoli<br />

cinque e sei, le periferie progettate dell’espansione urbana post bellica, con obiettivi di equità<br />

d’accesso all’alloggio, sono oggi al centro di un vivo dibattito che ne sancisce il fallimento dal<br />

punto di vista sociale 78 . Le risposte al problema delle condizioni in cui versano tali contesti urbani<br />

sono molteplici e vanno dalla demagogica richiesta di demolizione al più complesso recupero<br />

fisico-funzionale e, in casi più rari, al recupero sociale.<br />

Uno dei principali nodi emersi dalla ricerca è la concezione di alloggio inteso quale luogo<br />

dell’isolamento e dell’arroccamento difensivo (favoriti da un’urbanistica che si sviluppa per en-<br />

75 Si fa riferimento a quelle scuole di pianificazione ambientale della sicurezza che non sposano una logica di<br />

espulsione del diverso e di chiusura difensiva degli spazi della residenza, che peraltro si è sovente rivelata fallimentare.<br />

76 Confronta il paragrafo 2.4 e la relativa bibliografia.<br />

77 Si pensi tra l’altro al tema centrale dell’Agenda Habitat dell’UNCHS (Istanbul, 1996) che lega lo sviluppo sostenibile<br />

degli insediamenti umani alla necessità di offrire un alloggio adeguato per tutti.<br />

78 Cfr. il capitolo 5 a cura di Bianca Petrella (Seconda Università di Napoli) ed il capitolo 6 redatto dal gruppo di<br />

Francesco Bruno (Università di Napoli Federico II).<br />

141<br />

I LUOGHI<br />

DELLA SOCIALIZZAZIONE<br />

PER UNA CULTURA CONDIVISA


142<br />

CAPITOLO 3<br />

clave prive di un tessuto connettivo) che si oppone a quello di residenza, intesa quale sistema integrato<br />

e aperto di servizi che diventano luoghi d’incontro e di socializzazione, oltre ad incrementare<br />

la qualità della vita collettiva. È ormai chiaro, più nella teoria che nella prassi, che una accorta<br />

mixitè funzionale consente di preservare il senso di <strong>città</strong> nella sua accezione più alta, garantendo<br />

una migliore qualità della vita diffusa.<br />

Non è casuale che l’aspetto della domanda urbana che ha avuto maggiore attenzione in<br />

seguito all’incremento delle presenze di popolazione immigrata sia quello dell’alloggio. La Carta<br />

per la Città Interetnica e Cablata dedica uno dei propri principi alla Città dell’Abitare:“la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong><br />

cablata deve garantire un alloggio adeguato. Le diverse identità si esprimono nello spazio<br />

privato dell’abitazione che deve rispondere ad esigenze funzionali diversificate e garantire le<br />

identità culturali presenti nelle comunità urbane”.<br />

Nei paesi europei caratterizzati da una storica vocazione coloniale, nei quali il fenomeno<br />

migratorio appare più consolidato, si rileva una discreta casistica di interventi, sovente promossi a<br />

scala locale, mirati a rispondere quantitativamente alla domanda di nuovi alloggi. Anche se in alcuni<br />

casi si è tentato di integrare la realizzazione di nuove cubature residenziali con una azione di<br />

recupero fisico e sociale dell’area interessata 79 , in generale si riscontra la tendenza ad incoraggiare<br />

(se non imporre) varie forme di segregazione etnica (Sandercock, 1998 e 2003).<br />

La maggior parte di tali politiche hanno sortito l’effetto di giustapposizione che ha favorito<br />

la ghettizzazione (Somma, 1991). Tra le principali ragioni di questi risultati negativi si possono individuare<br />

le politiche dedicate agli immigrati che, come già le politiche per l’alloggio che hanno<br />

creato in passato quartieri socialmente omogenei, non favoriscono la mescolanza sociale ed etnica.<br />

Parimenti, anche nei casi migliori, non si trovano esperienze orientate alla creazione di un sistema<br />

integrato di residenze, servizi ed altre funzioni “vitali” che costituiscono l’anima di un insediamento<br />

ben riuscito.<br />

In questo ambito si profila la condizione sofferta di esclusione sociale dei soggetti marginali<br />

per classe sociale ed etnia. La possibilità di orientare lo sviluppo urbano verso una dimensione<br />

<strong>interetnica</strong> è fortemente condizionata dalla capacità degli spazi e dei luoghi urbani di garantire<br />

un equo accesso e favorire le relazioni primarie, ma anche quelle di carattere transitorio ed<br />

instabile (Castles, 2000). Questo impegno appare improbo come lo sforzo di Sisifo ma, come si è<br />

visto nel precedente paragrafo documenti istituzionali e studi interdisciplinari indicano alcuni elementi<br />

ricorrenti che possono costituire la chiave per gli interventi da mettere a punto.<br />

Per favorire le relazioni tra reti migranti e popolazione autoctona il ruolo della mediazione<br />

sociale può coincidere con quello della mediazione spaziale, con la messa a sistema di spazi e luoghi<br />

per la socializzazione, rispettosi delle diversità culturali. Ancora la Carta per la Città Interetnica<br />

e Cablata, nel principio la Città dei Servizi, evidenzia che “La <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> cablata deve garantire<br />

servizi adeguati a tutti i cittadini. L’istruzione, la sanità, la pubblica amministrazione, il credito,<br />

le telecomunicazioni e tutte le altre funzioni urbane devono essere disponibili alla fruizione degli<br />

autoctoni e dei migranti”. Occorrono, quindi, politiche per l’accessibilità ai servizi in quanto “l’accessibilità,<br />

fisica o telematica, agli spazi ed alle funzioni urbane garantisce la fruizione dei servizi,<br />

favorisce le relazioni sociali, sviluppa le attività economico-produttive”.<br />

Nei progetti e nelle politiche in itinere ancora poca attenzione è stata invece tributata agli<br />

spazi collettivi che concorrono ad innalzare la qualità urbana in generale e contribuiscono all’incontro<br />

tra culture diverse, favorendo le interazioni. Così come la teoria classica della sociologia<br />

delle migrazioni evidenzia tre possibili risposte dell’individuo rispetto al nuovo habitat verso il<br />

quale migra (chiusura verso lo stile di vita ospite, rifiuto della propria cultura originaria oppure fusione<br />

tra i due atteggiamenti con la costruzione di una nuova identità) 80 lo stesso si può riverberare<br />

negli spazi e nei luoghi della <strong>città</strong>, in particolare negli spazi pubblici (Castells, 2002).<br />

79 È il caso degli slums nordamericani illustrati da Leonie Sandercock in “Verso Cormopolis: <strong>città</strong> multiculturali e<br />

pianificazione urbana”, Dedalo, 2004 (ed. orig. 1998).<br />

80 Si ricorda Thomas W.I., Znaniecki F. W. The Polish Peasant in Europe and America; e Robert E. Park (1928), Human<br />

Migrations and the Marginal Man.


L’incontro, lo scontro o l’osmosi tra culture diverse ha determinato nella storia contaminazioni<br />

che si sono pietrificate, dando vita al carattere di ciascuna <strong>città</strong>; pur con le inerzie intrinseche<br />

nella materia costruita si possono individuare <strong>città</strong> che hanno privilegiato la conservazione e la<br />

reiterazione dei propri caratteri identitari e <strong>città</strong> che hanno fatto proprie le culture ospiti. Più frequentemente,<br />

con alcuni casi eccelsi, la <strong>città</strong> presenta una identità composita, frutto del confronto<br />

delle diversità.<br />

3.4.4 L’attuazione selettiva del piano: il modello partecipativo<br />

“La <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> cablata si fonda <strong>sulla</strong> partecipazione. Solo la partecipazione libera e democratica<br />

di tutti i cittadini può assicurare che la <strong>città</strong> sia rappresentazione delle diverse identità<br />

e, contemporaneamente, dei valori comuni di riferimento”.<br />

La Carta per la Città Interetnica e Cablata (Fondazione Aldo Della Rocca)<br />

L’interesse pubblico non esiste in natura ma va costruito in modo partecipato e dinamico<br />

con la costruzione sociale del piano 81 .<br />

Queste riflessioni possono condurre a rivedere l’approccio: non occorrono politiche specifiche<br />

per gli immigrati, piuttosto garantire la partecipazione attiva alla formazione della decisione<br />

da parte di tutti i soggetti sociali, anche i più deboli e marginali (Nussbaum, 1999). Facilitare e garantire<br />

l’accesso al dibattito <strong>sulla</strong> propria <strong>città</strong> (d’adozione da parte degli immigrati) consente di<br />

superare la precarietà con la quale sono vissuti gli spazi urbani da una cospicua parte della popolazione<br />

urbana contemporanea.<br />

Se già negli anni ’60 il filosofo e sociologo francese Lefebvre parlava di “diritto alla <strong>città</strong>”,<br />

quale campo della visibilità della società, tale concetto veniva circoscritto nell’empireo degli<br />

slanci etici, senza alcun aggancio con la realtà concreta (Fornero, 1993).<br />

Questo approccio non sorprenda in quanto ancora oggi le istituzioni nazionali e transnazionali<br />

dibattono sui contenuti del più ampio concetto del diritto alla cittadinanza, del quale il<br />

primo è una specificazione. Si ragiona, infatti, di “domanda di <strong>città</strong>”, che probabilmente si ritiene<br />

possa non essere evasa, piuttosto che di diritto alla <strong>città</strong>, articolato e composito, cui corrisponde<br />

una promessa di <strong>città</strong>, politicamente articolata e legittimata (Lyotard, 2001).<br />

Quando si parla di diritto alla <strong>città</strong> bella, alla <strong>città</strong> varia, alla <strong>città</strong> vivibile, alla <strong>città</strong> amichevole<br />

e accessibile, si ritrova una dimensione etica e politica della <strong>città</strong>, divenuta un diritto positivamente<br />

normato (Amendola, 1997).<br />

La creazione di servizi alla funzione residenziale, accessibili anche agli immigrati, può riproporre<br />

lo spirito, aggiornandolo, che ha condotto negli anni sessanta a elaborare l’idea di standard<br />

quale indispensabile integrazione alle politiche per l’alloggio. In quel caso si interpretava l’emergenza,<br />

oggi si deve anticipare l’emergenza, adeguando le politiche prima che i numeri diventino<br />

insostenibili.<br />

La “pianificazione dei servizi per il welfare urbano”, multiculturale ed interetnico è un tema<br />

di profonda attualità, oggetto di studio, tra l’altro, da parte della Fondazione Giovanni Astengo,<br />

struttura promossa dall’Istituto Nazionale di Urbanistica (Forte, 2004). Non si può, infatti, commettere<br />

l’ingenuità di ritenere esaurito il tema dell’interetnia con la realizzazione di luoghi di culto<br />

pluriconfessionali o di alloggi dedicati agli immigrati (anche se va comunque segnalato positivamente<br />

lo sforzo di affrontare il problema da molti ancora negato). I paesi europei che presentano<br />

esperienze datate in tale direzione hanno evidenziato l’inadeguatezza di tale approccio<br />

(Beguinot, Clemente, Esposito, 2006).<br />

Il paradigma della complessità, in particolare per quanto concerne la teoria del caos, consente<br />

di individuare una terza via per l’interazione tra melting pot e salad bowl; in che modo un<br />

urbanista può favorire tale fenomeno? Una delle possibili risposte può essere la costituzione di<br />

81 Da un contributo di Daniela Lepore al Convegno “L’altra metà dell’architettura a Napoli tra didattica, ricerca e<br />

sperimentazione progettuale”, Università degli Studi di Napoli Federico II, 21 settembre 2007.<br />

143<br />

I LUOGHI<br />

DELLA SOCIALIZZAZIONE<br />

PER UNA CULTURA CONDIVISA


144<br />

CAPITOLO 3<br />

una rete di punti di aggregazione che riorganizzano il tessuto urbano rendendolo meno straniante;<br />

un sistema nel quale i poli interconnessi attraverso relazioni forti e deboli costituiscono<br />

punti di irradiazione delle forme di integrazione.<br />

Un riferimento colto è costituito dalle unità di vicinato i cui baricentri funzionali costituiscono<br />

luoghi di formazione e tempo libero per i giovani. La chiave per l’attuazione di tale processo<br />

è il recupero dell’esistente, l’innovazione tecnologica e la partecipazione. Riproporre il mito<br />

del “buon selvaggio” cui creare una “nicchia” di sopravvivenza ed appagare i bisogni materiali potrebbe,<br />

infatti, accentuare le tensioni e le spaccature tra stranieri ed autoctoni.<br />

Come si è visto in progetti come Urban e Contratti di quartiere in tessuti sociali complessi<br />

sortiscono effetti migliori i piccoli interventi costruiti <strong>sulla</strong> partecipazione e che associano trasformazione<br />

fisica e sociale.<br />

Alla luce delle riflessioni fatte <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> sicura, per render fattibile un intervento integrato<br />

si può ribaltare l’approccio e partire da quelli elementi di conflitto e tensione per proporre i criteri<br />

per progredire verso la socializzazione. A ciò si associa la consapevolezza di quanto emerso già<br />

dal Dossier Statistico sull’Immigrazione Caritas/Migrantes 2006: le attuali leggi in materia favoriscono<br />

il passaggio della popolazione immigrata da una condizione di regolarità a quella di irregolarità<br />

piuttosto che il percorso inverso. Questa “immersione” in un limbo giuridico di parte della<br />

popolazione urbana, concentrata in aree che richiedono con urgenza interventi di recupero e riqualificazione,<br />

rende estremamente difficile l’interpretazione della domanda urbana cui dare una<br />

risposta.<br />

Questa questione assume una rilevanza notevole in Italia dove i tempi di attuazione di politiche,<br />

programmi e piani superano di gran lunga i tempi di maturazione delle trasformazioni sociali;<br />

è consolidata la tendenza a ricorrere a politiche d’emergenza piuttosto che ad intervenire<br />

strutturalmente quando si individuano le tendenze in atto.<br />

Per quanto riguarda lo scenario italiano, il primo passo è costituito dal superamento del determinismo<br />

rigido che ha caratterizzato la stagione “epica” dell’urbanistica, nella quale si disegnavano<br />

piani omnicomprensivi, che pretendevano di regolare rigidamente le attività umane mediante<br />

una zonizzazione ed una normativa estremamente dettagliate. Ormai da tempo si è aperto<br />

un dibattito sul fallimento di tale approccio che, imbrigliando il territorio in una scacchiera precostituita,<br />

incoraggia trasformazioni informali e comportamenti illeciti 82 . Al “pennarello magico”<br />

della seconda metà del secolo scorso non si è, però, ancora sostituito un modello alternativo univoco.<br />

Si è proceduto svuotando gradualmente il piano dei propri contenuti e sostituendolo di<br />

fatto – anche se non ancora nella sua forma istituzionale mediante una nuova legge urbanistica<br />

generale – con programmi complessi di snella attuazione in grado di convogliare risorse verso<br />

specifiche trasformazioni urbane 83 .<br />

Non è questa la sede per approfondire un tema sottoposto ad acceso dibattito, basti ricordare<br />

che la stagione dei programmi complessi, pur con i limiti della settorialità e della deregolamentazione<br />

…, ha avuto il merito di rompere i rigidi schemi nei quali si muoveva la disciplina.<br />

Sono state promosse trasformazioni orientate al recupero ed alla rifunzionalizzazione di parti di<br />

<strong>città</strong>, che hanno innescato processi virtuosi di sviluppo locale (Programmi di Recupero Urbano e<br />

Programmi di Riqualificazione Urbanistica), si sono coniugate attività di riqualificazione fisica e di<br />

recupero sociale di quartieri degradati (Contratti di Quartiere), si sono perseguiti obiettivi di sviluppo<br />

compatibile con gli equilibri ambientali e sociali (Programmi di Riqualificazione Urbana e<br />

Sviluppo Sostenibile del Territorio) e così via. A queste esperienze si sono affiancate iniziative sviluppate<br />

sotto l’egida dell’U.E. quali i programmi Urban ed Interreg che, a scale diverse, si propongono<br />

di promuovere la coesione sociale e di valorizzare le risorse locali.<br />

82 L’alternativa a tale rigidità è l’assenza totale di pianificazione che si è verificata, principalmente, nel<br />

Mezzogiorno d’Italia. Il censimento dei piani di livello comunale in Campania, per esempio, ha evidenziato che alle soglie<br />

del XXI secolo circa l’80% dei comuni non era dotato di un PRG aggiornato.<br />

83 Gerundo R. (2000), I programmi urbani complessi, edizioni Graffiti, Napoli; Esposito G. (a cura di) (2002), I programmi<br />

complessi: strumenti urbanistici, giuridici e ed economico-finanziari per la riqualificazione urbana, Di.Pi.S.T. -<br />

Università Federico II, Giannini, Napoli.


È, infatti, necessario sottolineare che non sono stati ancora messi a punto programmi dedicati<br />

al tema della multietnicità in ambito istituzionale; gli interventi realizzati o in atto, sia in ambito<br />

europeo che italiano, prendono spunto e attingono risorse da programmi di altra natura, nei<br />

quali si ritagliano specifiche competenze. Si può, quindi, sinteticamente affermare che, con il supporto<br />

di strumenti tecnici opportunamente tarati per l’interpretazione, la programmazione, la pianificazione<br />

e la gestione, si potrebbe affrontare la mescolanza etnica, quale evoluzione interattiva<br />

del sistema sociale.<br />

La sfida della costruzione di una <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> e sicura parte da una aggregazione sui valori<br />

della cultura, dell’identità condivisa (Touraine, 2002), mentre la chiave per l’attuazione di tale<br />

processo è la costruzione di un approccio che produca sinergie tra il recupero dell’esistente, l’innovazione<br />

tecnologica e un approccio complesso. In questa direzione, offrono un importante<br />

contributo le metodologie finalizzate a favorire esperienze di partecipazione dei diversi soggetti<br />

sociali alle scelte progettuali.<br />

Al contrario di quanto comunemente si crede, la domanda di partecipazione da parte delle<br />

compagini di immigrati che stanno sviluppando un progetto di vita nel nostro paese è elevata<br />

(Glissant, 1998). Consentire l’accesso alle informazioni e supportare la partecipazione ad attività<br />

comunitarie contribuisce a circoscrivere il senso di precarietà nel quale molti stranieri vivono, oltre<br />

ad agevolare la raccolta delle istanze (non solo materiali) che quest’ultimi avanzano (Kylmicka,<br />

1999). È significativo, in tal senso, il successo in termini di partecipazione degli stranieri residenti<br />

nella provincia di Bologna (ha votato oltre il 21% degli elettori) alla elezioni del Consiglio dei cittadini<br />

stranieri e apolidi, che si è tenuta lo scorso 2 dicembre. Tale organo ha un importante ruolo<br />

consultivo e consente la visibilità alle comunità straniere presenti nel territorio, delle quali può<br />

raccogliere le istanze. Di particolare interesse i nomi scelti per la formazione delle liste, tra i quali:<br />

siamo tutti cittadini, per l’interazione civile, per la convivenza, insieme costruiamo un mondo dei<br />

diritti, insieme per il futuro 84 .<br />

La raccolta delle differenti istanze espresse dalla popolazione durante la costruzione dei<br />

processi di piano è il primo passo per ridurre la conflittualità e favorire la realizzabilità degli interventi<br />

finalizzati ad incrementare la qualità della vita, la sicurezza e la percezione della sicurezza in<br />

aree urbane a rischio.<br />

Si vuole chiudere aprendo la riflessione con l’ultimo principio della Carta per la Città<br />

Interetnica e Cablata, la Città delle Città, che recita: “La <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> cablata deve esprimere e<br />

rappresentare tutte le identità delle nuove comunità umane multiculturali. La ri-semantizzazione<br />

interculturale dei luoghi e la ri-funzionalizzazione delle funzioni urbane costituiscono la risposta<br />

alla rinnovata domanda di <strong>città</strong>, per la convivenza civile e colta di genti diverse”.<br />

84 I dati messi on line dall’Osservatorio per l’Immigrazione della Provincia di Bologna sono significativi: 30 eletti<br />

(di cui 4 donne: 2 filippine, 1 marocchina e 1 croata), in maggioranza giovani residenti a Bologna. Oltre un terzo degli<br />

eletti è marocchino, la seconda nazionalità è quella pachistana (6 eletti), mentre si registra un solo cinese.<br />

145<br />

I LUOGHI<br />

DELLA SOCIALIZZAZIONE<br />

PER UNA CULTURA CONDIVISA


146<br />

CAPITOLO 3<br />

3.5 RIFERIMENTI<br />

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147<br />

I LUOGHI<br />

DELLA SOCIALIZZAZIONE<br />

PER UNA CULTURA CONDIVISA


148<br />

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Capitolo 4<br />

Lo sport per la <strong>città</strong> multiculturale<br />

“Sport has the power to unite people in a way little else can. Sport can<br />

create hope where there was once only despair. It breaks down racial<br />

barriers. It laughs in the face of discrimination. Sport speaks to people<br />

in a language they can understand”.<br />

Nelson Mandela<br />

La <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> ha bisogno di luoghi che favoriscano l'incontro e il confronto tra donne ed uomini<br />

di culture diverse. Massimo Clemente argomenta come i punti luce del dialogo, nella <strong>città</strong> dei diversi,<br />

possano venire dallo sport che può contribuire in modo innovativo e determinante, perché capace<br />

di trasformare la conflittualità in interazione, attraverso la competizione. L’excursus attraverso<br />

le esperienze progettuali poste in essere nelle realtà ove la società multietnica è una realtà<br />

consolidata ha consentito di sviluppare la tesi che lo sport può valorizzare la etnodiversità, contribuendo<br />

all’osmosi interculturale. La nuova architettura del dialogo si materializza nelle attrezzature<br />

e negli spazi dedicati alle attività sportive, trasformandoli in luoghi urbani.<br />

4.1 IL RUOLO DELLO SPORT NELLA SOCIETÀ MULTICULTURALE<br />

4.1.1 Sport, inclusione sociale, integrazione etno-culturale<br />

Fin dall’antichità, le pratiche sportive hanno favorito il dissiparsi delle pulsioni aggressive<br />

dell’uomo, proponendosi quale sublimazione della guerra e portando le conflittualità nell’ambito<br />

della non violenza. Nella civiltà ellenica le Olimpiadi imponevano l’interruzione dei conflitti in<br />

corso e questa capacità di pacificare è stata ripresa dalle Olimpiadi moderne e dalle tante competizioni<br />

a carattere internazionale dello sport moderno. Nei Paesi occidentali, lo sport si è notevolmente<br />

diffuso dopo la Seconda Guerra Mondiale e si è affermato come strumento educativo<br />

per gli adolescenti e di crescita civile per la società.<br />

Più recentemente, il possibile ruolo dello sport è stato riconosciuto, con modalità specifiche,<br />

anche in situazioni più svantaggiate nei paesi poveri del pianeta. In particolare, l’attenzione è<br />

rivolta alle strategie d’inclusione etnica ed ai luoghi urbani dove spazio e funzione favoriscono, attraverso<br />

lo sport, l’incontro fra diversi.<br />

La consapevolezza del ruolo sociale dello sport, negli ultimi anni, è progressivamente cresciuta<br />

e si è concretizzata, attraverso centinaia di progetti sviluppati dagli organismi internazionali,<br />

dai governi nazionali e dagli enti locali, in tutte le regioni del mondo.<br />

L’Unione Europea, nel 2004, ha celebrato l’Anno europeo per l’educazione attraverso lo<br />

sport (EYES 2004) nel cui ambito sono stati realizzati significativi progetti ed esperienze. Le<br />

Nazioni Unite, nel 2005, hanno celebrato l’Anno internazionale dello sport e dell’educazione fisica<br />

(SPORT 2005) richiamando l’attenzione mondiale sulle potenzialità dello sport come strumento<br />

d’inclusione e sviluppo sociale.<br />

L’esperienza sul campo ha dimostrato che la pratica sportiva favorisce l’incontro e il dialogo<br />

tra i giovani che appartengono a gruppi sociali e culturali differenti e, per indotto, estende la<br />

sua azione unificatrice alle famiglie ed al mondo degli adulti. Lo sport elimina barriere e disparità<br />

perché pone tutti i competitori sullo stesso blocco di partenza e, in questo modo, favorisce l’inclusione<br />

sociale.<br />

Contemporaneamente, lo sport moderno è un universo complesso che ha molte galassie e<br />

stelle luminose ma anche dei buchi neri: le degenerazioni indotte dagli interessi economici che,<br />

negli ultimi decenni, sono cresciuti a dismisura ed hanno richiamato l’attenzione delle grandi<br />

aziende multinazionali.<br />

149<br />

LO SPORT PER LA CITTÀ<br />

MULTICULTURALE


150<br />

CAPITOLO 4<br />

In ordine di tempo, l’ultimo duro colpo è venuto dallo sfruttamento televisivo che ha ingigantito<br />

la dimensione economica dello sport come spettacolo di massa e che è collegabile, in<br />

modo diretto o indiretto, al razzismo ed alla violenza fuori e dentro gli stadi.<br />

L’incontro delle diversità può avvenire nei luoghi urbani dello sport perché la <strong>città</strong> contemporanea<br />

contempla, al suo interno, spazi aperti ed edifici deputati alla pratica delle varie discipline<br />

sportive dove, potenzialmente, si può realizzare l’incontro, il dialogo, l’integrazione e l’inclusione.<br />

La riflessione <strong>sulla</strong> caratterizzazione di questi spazi e sulle dinamiche che li definiscono<br />

può contribuire a mettere a punto ed esprimere le potenzialità dello sport, in ambito urbano, contro<br />

la segregazione sociale, per la costruzione di società urbane multiculturali che vivano in armonia<br />

le loro diversità.<br />

4.1.2 Dalle origini alla modernità dello sport<br />

Il termine sport è inglese 1 e significa svolgimento di un’attività fisica (e mentale) di svago,<br />

non lavorativa, in forma competitiva e <strong>sulla</strong> base di regole condivise fissate da enti preposti.<br />

Elemento caratterizzante è che non si tratta di un’attività tesa a soddisfare un bisogno primario,<br />

antropologicamente inteso, ma è sostanzialmente finalizzata a dimostrare il proprio valore prevalendo<br />

sugli altri, a migliorare sempre più le proprie prestazioni e le proprie condizioni psico-fisiche.<br />

Lo sport moderno è nato in Inghilterra nel XVIII e nel XIX secolo si è affermato come espressione<br />

di una società economicamente e politicamente matura, allorquando le classi agiate capirono<br />

che l’onore poteva essere ben difeso in una competizione sportiva di pugilato, canottaggio<br />

o vela senza mettere a rischio la propria vita.<br />

L’affermazione e dimostrazione della forza fisica e della bravura, superando gli avversari,<br />

proponevano lo sport, già da allora, come sublimazione del conflitto sostituendo il rischio di<br />

morte con il rischio di una sconfitta onorevole ed accettabile, se subita da un avversario leale e nel<br />

rispetto delle regole condivise.<br />

La ricostruzione della storia dello sport vede una fase preistorica in cui gli uomini primitivi<br />

si esercitavano per migliorare l’abilità nella caccia e le capacità di difesa, in sostanza per aumentare<br />

le possibilità di sopravvivenza.<br />

La fase ellenica è ritenuta la più significativa e, non a caso, ad essa si riferì Pierre de<br />

Coubertin nel fondare l’Olimpiade moderna. I Greci si cimentavano nella corsa, nella lotta, nel lancio<br />

del giavellotto e del disco, nel pugilato e nella lotta. Si allenavano nei ginnasi e nelle palestre<br />

per poi sfidarsi in incontri che vedevano i rappresentanti delle diverse polis opporsi negli stadi.<br />

Le Olimpiadi, dal 776 a.C. con cadenza quadriennale, erano la manifestazione più importante<br />

e si tenevano nella <strong>città</strong> sacra di Olimpia per onorare il re degli dei, Zeus, fissando l’archetipo<br />

dell’ideale sportivo, pervenuto fino ai nostri tempi: vittoria del migliore, lealtà, rispetto delle regole,<br />

accettazione della sconfitta. Si ricorda che per celebrare le Olimpiadi tutte le guerre in corso<br />

venivano sospese, a conferma del valore sacrale dei giochi panellenici, ma anche della capacità<br />

dello sport di sostituirsi al conflitto rappresentandone una forma non violenta né pericolosa per<br />

le vite umane 2 .<br />

Presso i Romani lo spirito sportivo ellenistico si perse e l’esercizio fisico fu relegato nelle palestre,<br />

la ginnastica nelle terme, ritenendo disdicevoli le nudità degli atleti ed inutili le competizioni<br />

nelle discipline di Olimpia. L’esercizio fisico e l’allenamento furono finalizzati a migliorare le<br />

proprie capacità di difendersi e, soprattutto di offendere in guerra e nei giochi gladiatori. Si diffusero<br />

gli spettacoli pubblici nel circo, con scontri tra gladiatori e con belve feroci, caratterizzati da<br />

violenze e brutalità che spesso si concludevano con mutilazioni e morti cruente.<br />

1 Sport deriva dal francese antico desport che significa svago, diporto inteso come trasporto di se stessi a fini ludici.<br />

Molti sono i testi dedicati al significato, alla storia ed alla valenza dello sport nella società contemporanea. Per una<br />

visione sintetica si consiglia di consultare la voce Sport dell’Enciclopedia Rizzoli Larousse.<br />

2 I giochi olimpici dell’antichità furono soppressi nel 393 d.C. dall’imperatore Teodosio perché erano degenerati<br />

con brogli e corruzione. Come spesso accade, corsi e ricorsi storici aiutano a comprendere la contemporaneità.


Nel Medioevo, l’aspirazione al misticismo e la mortificazione della dimensione corporale<br />

dell’uomo indussero a trascurare ogni forma di culto del corpo mentre, nel Rinascimento, si ripropose<br />

l’educazione fisica e morale, nel rinnovato umanesimo, attraverso la pratica della lotta, della<br />

scherma e dell’equitazione, ancora una volta come alternativa al conflitto.<br />

Nel XVIII e XIX secolo si delineò lo sport così come oggi lo intendiamo: competizione in<br />

un’attività prevalentemente fisica (ma anche mentale) disciplinata da regole condivise. Nacquero<br />

e si diffusero gli sport individuali (atletica, nuoto, tennis, …), di squadra (calcio, pallavolo, basket,<br />

baseball, …) di combattimento (boxe, lotta, …), nautici (canottaggio, vela, …), invernali (sci alpino,<br />

sci di fondo, …).<br />

Nella prima metà del XX secolo lo sport fu prevalentemente appannaggio delle classi<br />

agiate che lo praticavano per diletto in cerchie ristrette: gli aristocratici e i ricchi borghesi affermavano<br />

il loro primato sociale anche attraverso lo sport. I giovani di buona famiglia, tramite la<br />

pratica sportiva, erano educati allo spirito di sacrificio, al senso di responsabilità, al rispetto della<br />

disciplina ed all’autodisciplina.<br />

Al Barone Pierre de Coubertin si deve la riscoperta e l’impostazione delle Olimpiadi moderne<br />

la cui prima edizione si tenne ad Atene nel 1896, proprio in omaggio alle Olimpiadi<br />

dell’Antica Grecia 3 . Ispirandosi alla tradizione educativa anglosassone, De Coubertin individuò il<br />

ruolo dello sport come strumento di crescita fisica e morale. Dedicò la vita e buona parte del suo<br />

patrimonio per realizzare e promuovere il suo progetto che riuscì felicemente, soprattutto nelle<br />

prime edizioni, perché fu capace di affermare e diffondere lo spirito sportivo decoubertiniano: l’importante<br />

è partecipare e la lealtà sportiva viene prima della vittoria.<br />

La nascita dello sport moderno: le principali tappe<br />

1743 - Prima regolamentazione del pugilato in Inghilterra<br />

1780 - Prima gara ippica a Epson per volere del conte di Derby<br />

1814 - Istituzione dell’Istituto di ginnastica di Stoccolma<br />

1827 - Organizzazione delle prime competizioni nel Collegio di Rugby<br />

1829 - Prima gara di canottaggio tra le Università di Oxford e di Cambridge<br />

1893 - Nasce il Comitato Olimpico Internazionale a Parigi<br />

1896 - Il Barone Pierre de Coubertin promuove l’organizzazione della prima Olimpiade moderna<br />

Nel 1924, a Chamonix, si disputarono le prime Olimpiadi invernali che, con cadenza quadriennale,<br />

si alternano alle Olimpiadi a distanza di due anni. In quegli stessi anni, però, all’atletismo<br />

propugnato da de Coubertin si contrappose la ginnastica militarista delle dittature che educava<br />

i giovani alla guerra ed all’odio razziale. Le Olimpiadi subirono un duro colpo nel 1936 a<br />

Berlino quando Hitler ed il regime nazista vollero sfruttarle per affermare la presunta superiorità<br />

della razza ariana, anche se furono sconfessati dall’affermazione di campioni come il nero americano<br />

Jesse Owens che vinse quattro medaglie d’oro in un’unica giornata di gare di atletica.<br />

4.1.3 Lo sport oggi per la crescita sociale<br />

Lo scenario attuale si è iniziato a delineare nella seconda metà del ‘900, dopo la Seconda<br />

Guerra Mondiale, quando si è avuta la progressiva diffusione degli sport più popolari, come ad<br />

esempio il calcio in Europa ed America Latina, il rugby ed il cricket nei Paesi del Commonwealth,<br />

il baseball ed il football americano negli USA. La diffusione è avvenuta sia come crescente attenzione<br />

del grande pubblico agli eventi sportivi sia come pratica delle discipline sportive da parte<br />

dei giovani. Si moltiplicano le discipline ed alle Olimpiadi si aggiungono i Campionati del mondo,<br />

continentali e nazionali. Nelle scuole i giovani praticano lo sport insieme alle altre discipline curricolari<br />

e l’associazionismo diffonde la pratica sportiva nel tempo libero.<br />

3 In precedenza, si erano susseguiti diversi tentativi nel 1859, nel 1870 e nel 1875, tutti falliti per carenze organizzative,<br />

inadeguatezza degli impianti, partecipazione limitata, dimensione localistica.<br />

151<br />

LO SPORT PER LA CITTÀ<br />

MULTICULTURALE


152<br />

CAPITOLO 4<br />

Negli anni della guerra fredda lo sport offre l’occasione di fronteggiarsi per affermare la<br />

propria superiorità alle due superpotenze americana e russa, spingendo gli atleti ad andare oltre<br />

la lealtà sportiva pur di vincere. Nasce il fenomeno del doping e cioè l’uso di sostanze che migliorino<br />

le prestazioni degli atleti, anche se dannose per la salute.<br />

La crescita dimensionale di praticanti e spettatori ha fatto lievitare gli interessi e economici<br />

che sono esplosi quando gli eventi sportivi sono stati proposti come spettacoli di massa e mediatici.<br />

Questo ha fornito anche l’occasione di un uso distorto per chi ha voluto sfruttare i grandi<br />

eventi di sport come ribalta per attentati terroristici (Olimpiade di Monaco, 1972) o clamorosi boicottaggi<br />

politici (Olimpiadi di Mosca, 1980 e di Los Angeles, 1984) 4 .<br />

Negli ultimi vent’anni, lo sport è diventato un grande business su scala mondiale e la globalizzazione<br />

dei mercati ha avuto il suo corso anche nello sport. Le grandi aziende multinazionali<br />

hanno compreso che gli eroi dello sport moderno avevano un grandissimo potere d’influenza sui<br />

giovani, ma anche sugli adulti, di tutto il mondo e lo sport è diventato uno straordinario strumento<br />

di controllo ed indirizzo del mercato. Il prevalere degli interessi economici sullo spirito<br />

sportivo ha provocato in molti “sportivi” la voglia di vincere ad ogni costo, tanto da indurli a commettere<br />

atti illeciti e ad assumere sostanze eccitanti vietate (doping).<br />

Questo breve excursus evidenzia le virtù e le potenzialità dello sport moderno, ma anche<br />

l’uso distorto che se ne può fare, da parte di chi si allontani dallo spirito decoubertiniano. Lo sport<br />

può costituire un surrogato della guerra, risolvendo il conflitto in forma non violenta e non pericolosa,<br />

acquisendo un ruolo importante nella costruzione dell’armonia in un gruppo sociale, anche<br />

variamente composito. Se, per interessi politici od economici, si abbandonano i principi di<br />

lealtà e rispetto per l’avversario, il confronto sportivo può degenerare in scontro e proiettare i giovani<br />

verso il militarismo e il conflitto 5 .<br />

Il ruolo dello sport, nell’attuale fase storica, è stato approfondito attraverso la disamina di<br />

programmi, progetti, documenti internazionali e altre iniziative finalizzate al superamento delle<br />

diversità ed all’inclusione sociale e culturale di categorie svantaggiate. Nella <strong>città</strong> contemporanea,<br />

si è cercato di cogliere le potenzialità spaziali e funzionali dei luoghi urbani dove lo sport può diventare<br />

fattore unificante, di crescita civile e di comunione culturale.<br />

4.2 PER IL SUPERAMENTO DELLE DIVERSITÀ<br />

4.2.1 Le buone pratiche: ricerche, conferenze, documenti, associazioni<br />

L’obiettivo della convivenza civile e colta (Beguinot, 2003-2004-2005-2006-2008) nelle metropoli<br />

contemporanee non è raggiungibile in modo semplice ed immediato perché richiede il<br />

superamento di conflittualità indotte da fenomeni endemici. Nelle più grandi <strong>città</strong> del mondo, il<br />

conflitto è direttamente collegato alle ingiustizie sociali e si alimenta degli squilibri economici e<br />

del gap di sviluppo che separa i paesi ricchi ed industrializzati da quelli del Sud del mondo.<br />

I poveri del mondo migrano nelle metropoli dell’Occidente ma non riescono ad integrarsi<br />

nel sistema sociale, economico e culturale, a volte, nemmeno alla terza o quarta generazione dall’abbandono<br />

del paese d’origine.<br />

La società contemporanea è strutturata su un sistema economico che è costruito <strong>sulla</strong> disuguaglianza:<br />

il ricco esiste perché si contrappone al povero. Le democrazie occidentali hanno mitigato<br />

ma non risolto i nodi del capitalismo, il socialismo reale ha fallito la sua missione e le economie<br />

emergenti calpestano la dignità umana. La globalizzazione ha esasperato la situazione<br />

sommando le contraddizioni locali di ciascun popolo con le contraddizioni planetarie tra i popoli.<br />

4 A Monaco di Baviera, nel 1972, i terroristi palestinesi compirono una drammatica azione contro i componenti<br />

della squadra olimpica israeliana. Nel 1980, le Olimpiadi di Mosca furono boicottate dagli USA e dalle nazioni del Patto<br />

atlantico, per protesta contro l’invasione dell’Afghanistan. Per conseguenza, quattro anni dopo, il boicottaggio alle<br />

Olimpiadi americane avvenne da parte dei paesi del blocco sovietico.<br />

5 Come oggi succede tra le tifoserie di squadre di calcio: durante la settimana si sottopongono a vere e propri allenamenti<br />

per poi scontrarsi in violenti combattimenti dentro e fuori gli stadi.


Il problema delle diversità, che possono sfociare in conflittualità, richiede nuove soluzioni<br />

che devono essere progettate, sperimentate e messe a punto. Abbiamo bisogno di strategie innovative,<br />

articolate e modulate sulle diverse realtà che possono scaturire solo da una collaborazione<br />

tra le diverse conoscenze e competenze.<br />

In questo senso, l’urbanistica può concorrere solo se dialoga con le altre discipline, pur rivendicando<br />

il suo specifico ruolo ai fini della conoscenza dei fenomeni e per la proposta di modelli<br />

di trasformazione urbana che rispondano all’evoluzione sociale in senso multietnico.<br />

Un importante contributo può venire dall’approfondimento e dall’interpretazione, in<br />

chiave urbanistica, di esperienze positive, quali best practices dell’integrazione etnica in ambito urbano<br />

e metropolitano, con specifico riferimento allo sport come strumento di socializzazione e<br />

fattore unificante.<br />

Lo sport può superare le differenze sociali, culturali ed etniche e trasformare l’aggressività<br />

in sano spirito di competizione che, nel rispetto di regole condivise, esalti le capacità di ciascuno<br />

e migliori le prestazioni di tutti. L’omogeneità del punto di partenza, in particolare negli sport popolari<br />

che non richiedono costose attrezzature e strumenti, contribuisce a ridurre le diffidenze reciproche<br />

e favorisce, nei più deboli, la fiducia e l’autostima. I giuochi di squadra, inoltre, favoriscono<br />

la collaborazione e il rispetto reciproco, alimentando fiducia nelle opportunità offerte dall’unione<br />

e dalla collaborazione tra diversi.<br />

Lo sport è una competizione sana che aiuta a migliorare chi lo pratica, sia sul piano fisico<br />

sia, soprattutto, sia sul piano psicologico e della crescita personale, che aiuta la maturazione dei<br />

ragazzi nella delicata fase adolescenziale, offrendo valori e punti di riferimento.<br />

Lo sport contrasta l’emarginazione e la devianza, contribuisce all’inclusione sociale, favorisce<br />

l’apertura tra le culture e le tradizioni diverse ponendosi quale fattore unificante.<br />

Naturalmente, lo sport di cui si parla non è quello professionistico, sponsorizzato dalle<br />

grandi multinazionali, che pure offre esempi positivi di affermazione di immigrati, di prima generazione<br />

o successive, provenienti da fasce deboli e da contesti di forte disagio sociale. Non dimentichiamo<br />

che queste multinazionali fondano gran parte del loro guadagno sullo sfruttamento<br />

dei Paesi poveri dove sono localizzati i centri di produzione e che lucrano sui salari bassi,<br />

sui bassi livelli di tutela ambientale, sulle scarse misure di controllo, ecc.<br />

Non è nemmeno lo sport vissuto passivamente, attraverso strumenti di surrogazione come<br />

il media televisivo che spesso rappresentano modelli comportamentali tutt’altro che positivi, non<br />

escluso il razzismo. Lo sport di cui si parla è quello praticato dalle ragazze e dai ragazzi, in prima<br />

persona ed insieme agli altri.<br />

Lo sport a cui pensiamo è quello che si pratica nel quartiere e che offre ai bambini ed agli<br />

adolescenti l’opportunità di socializzare e di crescere insieme favorendo, al contempo, l’incontro<br />

ed il dialogo fra i genitori. Quello sport che completa l’educazione famigliare e l’istruzione scolastica,<br />

insegnando a lavorare per raggiungere un obiettivo ed a rispettare l’avversario che, in maniera<br />

diversa, s’impegna per raggiungere il medesimo obiettivo.<br />

Le strategie per l’inclusione sociale adottano, in modo diffuso, lo sport come strumento di<br />

avvicinamento tra gruppi contrapposti da motivi economici e culturali. Meno diffuso è l’utilizzo<br />

dello sport come strumento specifico di incontro e dialogo tra gruppi etnici e, in particolare, per<br />

l’integrazione delle comunità degli immigrati nelle società di accoglienza.<br />

Se, da un lato, è riconosciuto il ruolo dello sport nelle strategie per l’inclusione sociale, dall’altro<br />

lato, sussistono anche barriere alla partecipazione e il primo fattore di esclusione sociale è<br />

la povertà a cui si affiancano il genere, l’età, le disabilità, l’appartenenza etnica e culturale, la disponibilità<br />

di impianti sportivi e la relativa accessibilità (Collins, Kay, 2003).<br />

Anche per gli immigrati, lo sport può favorire l’inclusione ma solo se si affrontano e si risolvono<br />

i fattori di esclusione etnica. I limiti sono, in primo luogo, economici e penalizzano le famiglie<br />

degli immigrati che ancora non sono inseriti nel mercato del lavoro e della produzione della<br />

ricchezza e che, poi, sono le famiglie più emarginate ed esposte alla segregazione razziale. Le religioni<br />

tradizionaliste ed integraliste, inoltre, condizionano la partecipazione dei ragazzi alla pratica<br />

sportiva, colpendo soprattutto le ragazze che costituiscono la categoria più debole e problematica<br />

per l’inserimento sociale e culturale degli immigrati.<br />

153<br />

LO SPORT PER LA CITTÀ<br />

MULTICULTURALE


154<br />

CAPITOLO 4<br />

L’esempio costruttivo e con forte valore simbolico viene dagli immigrati che sono diventati<br />

atleti di successo nel paese d’accoglienza, offrendo la loro esperienza personale di realizzazione e<br />

di affermazione attraverso l’impegno, il sacrificio e il lavoro di squadra con l’allenatore ed i compagni,<br />

indipendentemente dal colore della pelle.<br />

I ragazzi appartenenti alle minoranze etniche provano lo stesso interesse per lo sport che<br />

provano tutti loro coetanei (Verma, Darby, 1994) e le ragazze, in entrambi i casi incontrano maggiori<br />

difficoltà d’accesso alla pratica ed alle strutture sportive. Il problema è complesso e non bisogna<br />

farsi sedurre dal “falso universalismo” (Fleming, 1994), ma riconoscere la diversità di lingue,<br />

tradizioni e religioni che creano ostacoli, a volte molto difficili da superare, alla pratica dello sport<br />

tutti insieme.<br />

L’esame di alcune esperienze positive sul tema dello sport e della multietnia può contribuire<br />

ad individuare elementi generalizzabili e utili alla costruzione di strategie sociali urbane e<br />

metodologie innovative per la progettazione urbanistica. La metodologia adottata per questa<br />

parte dello studio si è fondata sull’approfondimento dello stato dell’arte della ricerca <strong>sulla</strong> <strong>città</strong><br />

multietnica sviluppata nel capitolo 2 del volume.<br />

L’individuazione dei casi significativi di utilizzo dello sport come strumento d’integrazione<br />

è stata sviluppata sul piano concettuale e metodologico. Partendo dai centri di ricerca classificati<br />

ed illustrati nella prima parte del volume, si sono verificate, tra le attività di ciascun centro, le iniziative<br />

inerenti al tema. Internet, attraverso i link nelle web pages ufficiali, ha consentito di allargare<br />

la ricerca anche a progetti non sviluppati dagli stessi centri ma da enti di governo del territorio di<br />

livello transnazionale, nazionale e locale. Analogamente, sono stati individuati i più significativi<br />

documenti d’indirizzo e d’impegno sottoscritti a livello internazionale.<br />

Si sono individuati progetti, diversi per tipologia ed ambito di riferimento ma accomunati<br />

dal riconoscimento dello sport come mezzo privilegiato di dialogo tra diversi, documenti internazionali<br />

e altre iniziative, selezionando dieci casi studio che sono stati approfonditi attraverso altrettante<br />

schede (nel paragrafo successivo).<br />

Fig. 1 - Le metodologia di approfondimento dello sport come strumento nelle politiche urbane e la definizione dei<br />

“luoghi dello sport” per l’incontro dei diversi nella <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong><br />

Lo sport è sempre stato tra le aree d’interesse dell’Unione Europea anche se solo nel 1999<br />

il termine è stato inserito ufficialmente nella denominazione ufficiale della Commissione. In precedenza,<br />

il Trattato di Amsterdam (1997) comprendeva una Dichiarazione sullo sport e nel<br />

Trattato di Nizza (2003) l’Allegato IV era dedicato allo sport.<br />

Un importante impulso al riconoscimento del ruolo sociale dello sport, nell’ambito<br />

dell’Unione Europea, è venuto dall’Anno Europeo per l’Educazione attraverso lo Sport (Decisione<br />

N. 291/2003/EC del Parlamento Europeo e del Consiglio del 6 febbraio 2003), promosso dall’UE<br />

con il Programma EYES 2004. In particolare, sono stati finanziati 161 progetti, in tre tornate attraverso<br />

altrettante call for proposal, consentendo significative azioni a livello locale, nazionale e


transnazionale in molti paesi dell’Unione Europea 6 . Inoltre, si sono tenute 8 importanti conferenze<br />

internazionali in Finlandia, Germania (3), Grecia, Inghilterra, Francia e Olanda (chiusura).<br />

Tra i progetti realizzati, se ne segnalano due che hanno prestato particolare attenzione al<br />

tema delle migrazioni e della cittadinanza multietnica che caratterizza l’Unione Europea. Nella seconda<br />

CFP (call for proposal), si segnala “The use of sport and education for the social inclusion of<br />

asylum seekers and refugees: An evaluation of policy and practice in the UK” (scheda n. 1) mentre,<br />

nella terza CFP, si segnala il progetto regionale “Children fit for life” (scheda n. 2). Tra le conferenze<br />

si segnala quella su “Sport and Multicultural Dialogue” che si tenuta il 26-27 aprile 2004 presso<br />

l’Institut National du Sport et de l’Education Physique di Parigi (scheda n. 3).<br />

Sempre nell’ambito di EYES, il 19 maggio 2004, i partecipanti al convegno del Comitato<br />

delle regioni <strong>sulla</strong> prevenzione del razzismo e della xenofobia attraverso lo sport sottoscrissero la<br />

“Dichiarazione di Braga” (scheda n. 4). Lo sport può essere strumento per celebrare la diversità etnica<br />

e culturale e, per questo, è necessario combattere ogni forma di razzismo e di discriminazione<br />

proprio partendo dallo sport.<br />

Le Nazioni Unite, a partire dal 2003, hanno riconosciuto e sostenuto il ruolo dello sport nel<br />

raggiungimento degli obiettivi condivisi, a livello internazionale, di sviluppo sostenibile, riduzione<br />

della povertà, educazione, pari opportunità, lotta all’AIDS, attraverso la Inter-Agency Task Force on<br />

Sport for Development and Peace.<br />

Nel 2005 è stato celebrato l’International Year of Sport and Physical Education, anche <strong>sulla</strong><br />

base dell’esperienza europea dell’anno precedente, producendo interessanti risultati che sono<br />

ben esposti nel relativo Final Report (United Nations, 2005a). In settanta Paesi, sono stati attivati<br />

altrettanti focal points che hanno sollecitato e coordinato centinaia di progetti e conferenze di livello<br />

continentale, nazionale e locale, coinvolgendo gli organismi internazionali, i governi centrali<br />

e locali, le organizzazioni non governative, il settore privato.<br />

Il ruolo potenziale dello sport è stato affermato con chiarezza:“On a communication level,<br />

sport can be used as an effective delivery mechanism for education about peace, tolerance and respect<br />

for opponents, regardless of ethnic, cultural, religious or other differences. Its inclusive nature makes<br />

sport a good tool to increase knowledge, understanding and awareness about peaceful co-existence”<br />

(United Nations, 2005b).<br />

La Dichiarazione “Sport and the Millenium Development Goals” (scheda n. 5) ha messo in relazione<br />

le iniziative promosse nei cinque continenti con il raggiungimento degli Obiettivi del<br />

Millennio così come sottoscritti da 189 leaders durante il Millenium Summit delle Nazioni Unite nel<br />

settembre 2000.<br />

In tale ambito, l’UNICEF (United Nations Children’s Fund) in collaborazione con la FIFA<br />

(Federation International of Football Association) ha realizzato una campagna globale di comunicazione<br />

contro il razzismo, per promuovere valori di pace e tolleranza nei più giovani, usando il<br />

linguaggio universale del calcio:“With Children We Win”.<br />

L’UNDPI (United Nations Department of Public Information) ha promosso il “calcio di<br />

strada” (street football) come veicolo di ampia diffusione dei valori dello sport: rispetto per gli altri,<br />

amicizia, tolleranza 7 .<br />

Spostandoci in Europa, Sporting Equals è un’iniziativa nazionale inglese per la lotta al razzismo<br />

ed ad ogni forma di discriminazione nello sport e per l’equa opportunità di accesso alla pratica<br />

sportiva per tutti i cittadini, con particolare riferimento alle categorie deboli tra cui gli immigrati<br />

e le minoranze etniche (vedi scheda n. 6). Non è un caso che Sporting Equals sia nata, già nel<br />

1998, nel Regno Unito dove il problema dell’integrazione razziale è consolidato e, negli ultimi<br />

venti anni, sono state messe a punto interessanti strategie per la convivenza delle diverse identità<br />

e culture.<br />

Tra le numerose iniziative di Sporting Equals, nell’economia di questo studio, si è scelto il<br />

rapporto “Promoting Racial Equality through Sport” e, al suo interno, “The Racial Equality Charter for<br />

Sport” (entrambi scheda n. 7).<br />

6 Ammontare finanziario complessivo circa 6,5 milioni di Euro e 28 paesi partecipanti.<br />

7 Vedi www.streetfootballworld.org.<br />

155<br />

LO SPORT PER LA CITTÀ<br />

MULTICULTURALE


156<br />

CAPITOLO 4<br />

Il documento “Promoting Racial Equality through Sport” è un’agenda programmatica che offre<br />

uno standard per le autorità locali nella gestione dello sport e dei servizi per il tempo libero. In<br />

particolare, delinea le strategie più opportune per conseguire l’eguaglianza razziale e valorizzare<br />

la diversità culturale nello sport, come strumento per favorire l’integrazione etnica, l’inclusione e<br />

la coesione sociale tra le diverse comunità. Il punto di partenza è la consapevolezza che le minoranze<br />

etniche, nelle società occidentali, hanno difficoltà di accesso allo sport sia come praticanti<br />

sia come spettatori.<br />

Il rapporto si conclude con “The Racial Equality Charter for Sport” che sintetizza gli obiettivitraguardi<br />

da sottoscrivere e raggiungere da parte degli enti locali. I sei punti affermano la lotta<br />

alla discriminazione razziale nello sport, l’importanza del coinvolgimento delle diverse comunità<br />

alle attività sportive, nei diversi ruoli, incoraggiando i talenti indipendentemente dall’appartenenza<br />

etnica, la necessità di sviluppare e aggiornare le politiche e le pratiche per l’eguaglianza<br />

razziale e, infine, raccomanda di celebrare la diversità culturale nello sport.<br />

In Europa, è attiva la rete del “FARE Football Against Racism in Europe” (vedi scheda 8) che<br />

opera sia al livello del calcio professionistico sia di quello amatoriale. FARE fu promossa dall’organizzazione<br />

non governativa austriaca FairPlay durante la Conferenza “Networking Against Racism<br />

in European Football - NAREF” nel 1999. La rete si collegava all’Anno Europeo contro il Razzismo<br />

dell’Unione Europea (1997) e si pose l’obiettivo di mettere in relazione tutte le associazioni e iniziative<br />

europee contro il razzismo nel mondo del calcio.<br />

Il calcio è lo sport più diffuso in Europa ed è anche lo spettacolo che muove le più grandi<br />

masse di persone. Il razzismo e la violenza nel calcio, quindi, hanno conseguenze molto gravi e diffuse<br />

su larga scala, hanno un forte impatto mediatico e rappresentano esempi negativi che, purtroppo,<br />

influenzano tantissimi giovani.<br />

La rete del FARE, attraverso le associazioni e le organizzazioni che vi aderiscono secondo<br />

una modalità informale, efficace e interessante (Conti, Verde, 2004), combatte il razzismo e la violenza<br />

sia dentro sia fuori agli stadi di calcio. Inoltre, cerca di tutelare il diritto di tutti e, in particolare,<br />

delle minoranze etniche di giocare al calcio liberamente senza discriminazioni, a tutti i livelli,<br />

di accedere con pari opportunità ai ruoli tecnici e dirigenziali delle istituzioni calcistiche, di assistere<br />

alle manifestazioni sportive senza pericolo o timore per la propria incolumità.<br />

L’associazione britannica “Kick it Out” (vedi scheda 9) fa parte della rete “FARE” con ruolo di<br />

guida e coordinamento. Nata nel 1993 come campagna contro il razzismo “Let’s Kick Racism Out of<br />

Football” si è progressivamente stabilizzata e strutturata. Attualmente costituisce un buon esempio<br />

di strategia contro le discriminazioni razziali ed a favore dell’integrazione delle minoranze etniche<br />

conseguita attraverso lo sport.<br />

Un ulteriore esempio di buona pratica, non a caso, viene dall’Australia dove il problema<br />

della convivenza etnica è molto sentito e dove l’indagine sui centri di ricerca (vedi capitolo 2) ha<br />

messo in risalto l’eccellenza culturale e scientifica sul tema della convivenza delle diversità.<br />

Sul piano sociale, l’Australia è stata capace di definire politiche antirazziste e multiculturaliste<br />

adeguate, a livello centrale e locale, unitamente a strategie efficaci perché promosse e realizzate<br />

da associazioni fortemente radicate sul territorio (community based).<br />

Il “CMYI Center for Multicultural Youth Issues” è un caso esemplare d’attenzione ai problemi<br />

dei giovani provenienti da famiglie di immigrati, rifugiati e minoranze etniche e di strategie per<br />

l’inclusione che si fondano sull’ampia attiva partecipazione delle comunità di base.<br />

Il CMYI ha attivato, nel 1989, il “Multicultural Sport and Recreation Project” che ha individuato<br />

nello sport, da un lato, la presenza di molteplici forme di razzismo e di discriminazione da combattere<br />

e, dall’altro lato, l’opportunità di mettere a punto strategie inclusive e multiculturaliste<br />

proprio attraverso lo sport stesso.<br />

L’esperienza è particolarmente interessante perché si fonda su un approccio scientifico,<br />

partendo dall’analisi dei fenomeni ben sviluppata nei rapporti di ricerca prodotti. Su queste solide<br />

basi sono stati lanciati progetti, iniziative e azioni mirate che hanno prodotto notevoli risultati e<br />

appaiono riproducibili, con gli opportuni adattamenti, in altri contesti anche europei.


4.2.2 Schedatura e approfondimento dei casi studio<br />

Sono state individuate dieci buone pratiche che offrono principi a cui ispirarsi e modelli riproducibili.<br />

La scheda illustra il titolo ufficiale, la tipologia (progetto, documento, conferenza, ecc.),<br />

il livello (internazionale, nazionale, ecc.), la datazione, il soggetto promotore e gli eventuali partners,<br />

la descrizione sintetica e la pagina web utilizzata come fonte e dove è possibile l’ulteriore<br />

approfondimento.<br />

Buone pratiche per il superamento delle diversità attraverso lo sport<br />

01) The Use of Sport and Education for the Social Inclusion of Asylum Seekers and Refugees<br />

02) Children Fit for Life<br />

03) Sport and Multicultural Dialogue<br />

04) Braga Declaration<br />

05) Sport and the Millennium Development Goals<br />

06) Sporting Equals<br />

07) Promoting Racial Equality Through Sport (The Racial Equality Charter for Sport)<br />

08) FARE - Football Against Racisme in Europe<br />

09) Kick it Out (Let’s Kick Racism Out of Football)<br />

10) CMYI Multicultural Sport and Recreation Project<br />

Fig. 2 - Home page dell’Anno Europeo dell’Educazione attraverso lo Sport dell’Unione Europea. Fonte: http://www.eyes-<br />

2004.info<br />

SCHEDA N. 1<br />

Titolo: THE USE OF SPORT AND EDUCATION FOR THE SOCIAL INCLUSION OF ASYLUM SEEKERS AND<br />

REFUGEES: AN EVALUATION OF POLICY AND PRACTICE IN THE UK<br />

Tipo: Progetto di ricerca Livello: Nazionale Anno: 2004<br />

Soggetto promotore: Loughborough University (Regno Unito) nell’ambito dell’EYES 2004<br />

Descrizione: Il progetto cerca di individuare e valutare i modi in cui lo sport è stato usato, attraverso<br />

canali di educazione formali o informali, per promuovere l’inclusione sociale di gruppi svantaggiati,<br />

specificamente richiedenti asilo e rifugiati.<br />

La proposta delinea un piano di lavoro per identificare e valutare le buone (e le cattive) pratiche in tre<br />

località del Regno Unito: East Midlands/Leicester (Inghilterra), Glasgow (Scozia) e Cardiff (Galles).<br />

Fonte: http://www.eyes-2004.info<br />

157<br />

LO SPORT PER LA CITTÀ<br />

MULTICULTURALE


158<br />

CAPITOLO 4<br />

SCHEDA N. 2<br />

Titolo: BEWEGTE KINDHEIT - CHILDREN FIT FOR LIFE<br />

Tipo: Progetto di ricerca Livello: Regionale Anno: 2004<br />

Soggetto promotore: SpielLandschaftStadt e.V. (Germania)<br />

Partners: Bremer Sportjugend (Germania), Verkehrsclub Deutschland e.V. (Germania)<br />

Descrizione: Il principale obiettivo di questo progetto è l’individuazione di strategie per favorire il movimento<br />

e l’attività fisica dei bambini, di età compresa tra tre e dieci anni, negli asili, nei cortili delle<br />

scuole, negli spazi per il gioco così come nello spostamento casa-scuola. Concreti esempi sono stati<br />

sviluppati in workshops e simposi e, successivamente, implementati in quattro quartieri di Brema caratterizzati<br />

dalla spiccata multiculturalità della popolazione.<br />

Fonte: http://www.eyes-2004.info<br />

SCHEDA N. 3<br />

Titolo: SPORT AND MULTICULTURAL DIALOGUE<br />

Tipo: Conferenza Livello: Internazionale Anno: 2004<br />

Soggetto promotore: Institut National du Sport et de l’Éducation Physique (INSEP)<br />

Descrizione: La conferenza (26-27 Aprile 2004, Parigi) si è sviluppata con una sessione introduttiva sulle<br />

funzioni sociali ed educative dello sport a cui sono seguiti quattro workshops in cui si è dibattuto sullo<br />

sport e sul dialogo multiculturale esaminati da differenti prospettive.<br />

Workshop 1: In che cosa lo sport può essere utilizzato per promuovere il multiculturalismo e il dialogo interculturale?<br />

Che cos’è il multiculturalismo e come lo sport può contribuire agli obiettivi multiculturalisti?<br />

L’integrazione delle giovani donne musulmane nello sport norvegese.<br />

Workshop 2: Quali sono i benefici dell’utilizzo dello sport per l’inclusione sociale? Quali sono gli argomenti<br />

a sostegno degli effetti positivi dello sport per l’inclusione sociale? Possono lo sport e le stelle<br />

dello sport essere usati efficacemente, con ruoli promozionali o in campagne pubblicitarie, per combattere<br />

fattori associati all’esclusione sociale?<br />

Workshop 3: Quali sono i bisogni dei rifugiati e dei richiedenti asilo per i quali lo sport può essere<br />

d’aiuto? Perché le organizzazioni di volontariato sono interessate a promuovere le opportunità dello<br />

sport per i gruppi di rifugiati e richiedenti asilo? Quali ruoli può svolgere lo sport per soddisfare i bisogni<br />

dei rifugiati e dei richiedenti asilo?<br />

Workshop 4: In che modi lo sport può essere usato nell’educazione formale e informale per promuovere<br />

l’integrazione? Quali sono i ruoli potenziali dello sport per promuovere i collegamenti e l’integrazione<br />

tra le comunità presenti a Cipro? Sport, educazione e sviluppo dell’identità basca.<br />

Fonte: http://www.eyes-2004.info<br />

SCHEDA N. 4<br />

Titolo: BRAGA DECLARATION<br />

Tipo: Documento Livello: Internazionale Anno: 2004<br />

Soggetto promotore: Nazioni Unite<br />

Descrizione: testo originale<br />

The CoR conference on fighting racism and xenophobia through sport, Braga, 19 May 2004, calls on<br />

local and regional authorities to:<br />

– Celebrate cultural and ethnic diversity in and through sport<br />

– Challenge and remove racial discrimination in sport and to use sport to promote tolerance and<br />

understanding within the context of wider social inclusion<br />

– Encourage people from all communities to become involved in sport<br />

– Welcome participants and spectators from all communities, and to protect them from racial abuse<br />

and harassment.<br />

– Encourage individuals from all communities to become involved at all level of sports administration,<br />

management and coaching<br />

– Learn from the experiences of other authorities across Europe and to promote good practice locally<br />

– Work with civil society, partner associations and sporting organisations to achieve mutual objectives<br />

in this area<br />

– Welcome the organisation of the European Year of Education through Sport 2004 and the many<br />

projects financed through it; and to participate in its promotion and celebration.<br />

– Welcome proposals for a new EU competence in sport in the draft constitutional Treaty and to<br />

undertake to work with the Commission to exploit the opportunities that this presents.<br />

Fonte: http://www.eyes-2004.info


SCHEDA N. 5<br />

Titolo: SPORT AND THE MILLENNIUM DEVELOPMENT GOALS<br />

Tipo: Documento Livello: Internazionale Anno: 2005<br />

Soggetto promotore: Nazioni Unite<br />

Descrizione: testo originale<br />

Goal 1: Eradicate extreme poverty and hunger<br />

Providing development opportunities will help fight poverty. The sports industry, as well as the organisation<br />

of large sports events, create opportunities for employment. Sport provides life skills essential<br />

for a productive life in society.<br />

Goal 2: Achieve universal primary education<br />

Sport and physical education are an essential element of quality education. They promote positive values<br />

and skills which have a quick but lasting impact on young people. Sports activities and physical<br />

education generally make school more attractive and improve attendance.<br />

Goal 3: Promote gender equality and empower women<br />

Increasing access for women and girls to physical education and sport helps them build confidence<br />

and a stronger social integration. Involving girls into sport activities alongside with boys can help overcome<br />

prejudice that often contribute to social vulnerability of women and girls in a given society.<br />

Goals 4 & 5: Reduce child mortality and improve maternal health<br />

Sport can be an effective means to provide women with a healthy lifestyle as well as to convey important<br />

messages as these goals are often related to empowerment of women and access to education.<br />

Goal 6: Combat HIV/Aids, malaria and other diseases<br />

Sport can help reach out to otherwise difficult to reach populations and provide positive role-models<br />

delivering prevention messages. Sport, through its inclusiveness and mostly informal structure, can effectively<br />

assist in overcoming prejudice, stigma and discrimination by favouring improved social integration.<br />

Goal 7: Ensure environmental sustainability<br />

Sport is ideal to raise awareness about the need to preserve the environment. The interdependency<br />

between the regular practice of outdoor sports and the protection of the environment are obvious for<br />

all to realise.<br />

Goal 8: Develop a global partnership for development<br />

Sport offers endless opportunities for innovative partnerships for development and can be used as a<br />

tool to build and foster partnerships between developed and developing nations to work towards<br />

achieving the millennium development goals. Goal 8 acknowledges that in order for poor countries to<br />

achieve the first 7 goals, it is absolutely critical that rich countries deliver on their end of the bargain<br />

with more and more effective aid, sustainable debt relief and fairer trade rules for poor countries – well<br />

in advance of 2015.<br />

Fonte: http://www.un.org/sport2005<br />

Titolo: SPORTING EQUALS<br />

SCHEDA N. 6<br />

Tipo: Associazione Livello: Nazionale Anno: 1998<br />

Soggetto promotore: Sport England, Commission for Racial Equalities (Regno Unito)<br />

Descrizione: Organizzazione non governativa che promuove la partecipazione attiva allo sport di tutti i<br />

diversi gruppi etnici, a tutti i livelli e in tutti i ruoli, come praticanti, allenatori, ufficiali di gara e dirigenti.<br />

Sporting Equals opera nel Regno Unito per diffondere la consapevolezza e comprensione dell’impatto<br />

dello sport sul grande tema dell’eguaglianza razziale.<br />

In particolare, lavora affinché il mondo dello sport riconosca l’importanza che la società multiculturale<br />

sia integrata e inclusiva e, negli ambienti sportivi, la diversità culturale sia riconosciuta e celebrata.<br />

La mission di Sporting Equals è ben espressa dal rapporto “Promoting Racial Equality Through Sport”<br />

e dalla “Racial Equality Charter for Sport” che si trova all’interno del rapporto (vedi scheda n. 7).<br />

Fonte: http://www.cre.gov.uk/sportingequals/index.html<br />

159<br />

LO SPORT PER LA CITTÀ<br />

MULTICULTURALE


160<br />

CAPITOLO 4<br />

Fig. 3 - La Home page dell’Anno Internazionale dello Sport e dell’Educazione Fisica.<br />

Fonte: http://www.un.org/sport2005<br />

SCHEDA N. 7<br />

Titolo: PROMOTING RACIAL EQUALITY THROUGH SPORT<br />

Tipo: Documento Livello: Nazionale Anno: 2004<br />

Soggetti promotori: Sporting Equals, Local Government Association, Commission for Racial Equality,<br />

Sport England (Regno Unito)<br />

Descrizione: Il corposo documento si configura come un’agenda per gli enti locali che intendono combattere<br />

i pregiudizi e le discriminazioni razziali attraverso lo sport. Si apre con la messa in evidenza dei<br />

possibili benefici dello”standard”, l’articolazione del processo d’implementazione in tre livelli, le modalità<br />

del suo utilizzo e dell’autovalutazione dell’efficacia, si chiude con l’illustrazione di alcune buone<br />

pratiche di autorità locali inglesi: Leicester, Kirklees, Nottingham, Bristol, Slough.<br />

Nella parte conclusiva del volume si trova la dichiarazione d’intenti che possono sottoscrivere le autorità<br />

locali “The Racial Equality Charter for Sport” e di cui si riporta il testo originale:<br />

The charter is a public pledge, signed by the leaders of sport, committing them to use their influence<br />

to create a world of sport in which all people can take part without facing racial discrimination of any<br />

kind. Signatories pledge to:<br />

– challenge and remove racial discrimination in sport;<br />

– encourage people from all communities to become involved in sport;<br />

– welcome employees and spectators from all communities, and protect all employees and spectators<br />

from racial abuse and harassment;<br />

– encourage skilled and talented individuals from all communities to become involved in all levels of<br />

sports administration, management and coaching;<br />

– develop the best possible racial equality policies and practices that are subject to regular review and<br />

update;<br />

– celebrate cultural diversity in sport.<br />

Any sports organisation or organisation working in this area can sign the charter.<br />

Fonte: http://www.cre.gov.uk/sportingequals/index.html


SCHEDA N. 8<br />

Titolo: FARE - FOOTBALL AGAINST RACISME IN EUROPE<br />

Tipo: Rete di associazioni Livello: Internazionale Anno: 1999<br />

Soggetti promotori: FairPlay (Austria)<br />

Descrizione: Il “FARE Football Against Racism in Europe” è una rete contro il razzismo nel mondo del calcio,<br />

dal livello amatoriale a quello professionistico, che coinvolge le associazioni sportive, i tifosi e i gruppi<br />

etnici, in tutta Europa.<br />

Gli obiettivi della rete sono la tutela del diritto di giocare, di essere spettatore o di discutere del gioco<br />

senza timore, il miglioramento dei comportamenti fuori e dentro i campi di gioco, la condivisione dei<br />

valori del comportamento corretto, la costituzione di un fronte unito contro il razzismo nel mondo nel<br />

calcio.<br />

L’azione coordinata delle associazioni aderenti alla rete promuove la creazione e organizzazione di<br />

nuovi gruppi e sostiene le minoranze etniche, proteggendole dalle discriminazioni e aiutandole a partecipare<br />

alle attività sportive.<br />

Nel 2006, nell’ambito della Settimana Europea d’azione contro il razzismo e la discriminazione nel calcio<br />

(17-30 ottobre), il “FARE” ha promosso il maggiore coinvolgimento delle minoranze etniche e dei<br />

migranti, l’inclusione di donne e ragazzi, l’impegno contro l’omofobia nel gioco.<br />

La strategia del “FARE” vede nelle minoranze etniche e negli immigrati un alleato importante nella<br />

lotta al razzismo, sia a livello di comunità sia di singoli atleti che ce l’hanno fatta e, con la loro affermazione,<br />

costituiscono un buon esempio.<br />

Fonte: http://www.farenet.org/<br />

SCHEDA N. 9<br />

Titolo: KICK IT OUT (LET’S KICK RACISM OUT OF FOOTBALL)<br />

Tipo: Associazione Livello: Nazionale Anno: 1993<br />

Soggetti promotori: Professional Footballers Association, FA Premier League, Football Foundation,<br />

Football Association (Regno Unito)<br />

Descrizione: “Kick it Out” nacque nel 1993 come campagna antirazzismo: “Let’s Kick Racism Out of<br />

Football”. L’associazione ha un ruolo di guida nella rete di “FARE Football Against Racism in Europe” (vedi<br />

scheda n. 8) e lavora con i calciatori, professionisti e amatoriali, su tutte le tematiche connesse al razzismo<br />

ed alla discriminazione nel calcio.<br />

La diffusione del calcio è utilizzata per sensibilizzare i giovani contro il razzismo ed educarli alla convivenza<br />

nelle scuole, nei college e nelle associazioni giovanili.<br />

“Kick it Out” promuove la pratica del calcio da parte delle minoranze etniche e, in particolare, degli immigrati<br />

dal Sud dell’Asia.<br />

Fonte: http://www.kickitout.org<br />

SCHEDA N. 10<br />

Titolo: CMYI MULTICULTURAL SPORT AND RECREATION PROJECT<br />

Tipo: Organizzazione community based Livello: Nazionale Anno: 1989<br />

Soggetti promotori: Centre for Multicultural Youth Issues (Australia)<br />

Descrizione: Il “Center for Multicultural Youth Issues” (CMYI) è un’organizzazione che sostiene i bisogni di<br />

ragazze e ragazzi provenienti da famiglie di migranti e rifugiati. Nel 1989 il CMYI ha attivato il<br />

“Multicultural Sport and Recreation Program” per sostenere i giovani nello sport riconosciuto come strumento<br />

d’unione multiculturale.<br />

In primo luogo, furono approfonditi attraverso ricerche mirate: la mancanza d’attenzione da parte dei<br />

genitori, la difficoltà d’accesso ai trasporti, l’alto costo delle associazioni sportive (iscrizione, quote di<br />

frequentazione, uniformi, ecc.), la percezione della paura di razzismo e di discriminazione, la mancanza<br />

di conoscenza delle strutture per lo sport in Australia. Su questa base conoscitiva, furono messi a<br />

punto gli obiettivi da perseguire e le strategie.<br />

Il Programma è attivo nello sviluppo e sostegno delle politiche per l’integrazione dei giovani attraverso<br />

lo sport, agendo presso e in collaborazione con le associazioni sportive e le istituzioni dello<br />

sport. Promuove strategie multiculturali con le autorità locali e capacity building di gruppi culturalmente<br />

e linguisticamente differenti. Realizza iniziative per favorire la multiculturalità nei centri per il<br />

tempo libero.<br />

Fonte: http://www.cmyi.net.au<br />

161<br />

LO SPORT PER LA CITTÀ<br />

MULTICULTURALE


162<br />

CAPITOLO 4<br />

4.3 GLI SPAZI DELL’INCONTRO E DEL DIALOGO<br />

4.3.1 I luoghi dello sport: sperimentazioni metodologiche e progettuali<br />

L’incontro dei diversi che praticano lo sport insieme, per essere efficace in termini d’integrazione,<br />

deve avvenire in spazi adatti sia dal punto di vista funzionale sia dal punto di vista della<br />

valenza semantica che possono essere definiti “luoghi urbani dello sport”.<br />

L’urbanistica di matrice razionalista e funzionalista riserva alcune aree urbane alla collocazione<br />

di impianti dove gli abitanti possano praticare lo sport e che hanno dimensione proporzionale<br />

al bacino d’utenza. Le aree per lo sport sono porzioni di territorio disponibile che vengono<br />

utilizzate per collocarvi impianti sportivi di vari tipologie e dimensioni.<br />

La tecnica urbanistica tradizionale colloca le aree per gli impianti sportivi tra gli standard<br />

che vengono dimensionati in riferimento a parametri quali il numero di abitanti, l’edificato e così<br />

via. Anche le normative si esprimono, prevalentemente, in termini di aree destinate all’uso sportivo<br />

misurandone la quantità piuttosto che la qualità.<br />

Nella maggior parte dei casi, in queste aree, si realizzano campetti di calcio, basket, tennis,<br />

ecc. con servizi essenziali come gli spogliatoi, i bagni con le docce, un punto di ristoro e qualche<br />

panchina per assistere alle attività. In alcuni casi, si realizzano impianti polisportivi ben attrezzati,<br />

con aree coperte e scoperte, palestre, piscine e servizi adeguati ma quello che sembra sempre<br />

mancare è la relazione forte con la <strong>città</strong>.<br />

Questa metodologia progettuale ha cosparso le nostre aree urbane di campetti polivalenti<br />

che, spesso, sorgono in aree residuali risultando completamente avulse dal contesto che li circonda,<br />

nell’assenza di relazioni spaziali, architettoniche, urbane. La tesi che si sostiene è che vi sia<br />

una grandissima differenza tra le aree per lo sport e i luoghi dello sport.<br />

I luoghi dello sport, infatti, sono gli spazi per lo sport che diventano luoghi di socializzazione,<br />

aggregazione ed integrazione, dove uomini e donne, adulti, giovani e anziani, popoli diversi, figli e<br />

genitori, si relazionano ed imparano a conoscersi ed a rispettarsi. Le relazioni tra uomini e donne<br />

che si dedicano alle pratiche sportive trasformano uno spazio in un luogo urbano, conferiscono un<br />

forte valore semantico a delle attrezzature sportive trasformandole in “luogo dello sport”.<br />

Un impianto sportivo tecnicamente ed architettonicamente perfetto potrebbe non diventar<br />

mai un luogo dello sport e, allo stesso tempo, uno spazio urbano non ufficialmente dedicato<br />

alla pratica sportiva potrebbe diventare un luogo dello sport carico di valenza semantica e di potenzialità<br />

unificante delle diversità. L’uso degli impianti sportivi è alquanto programmato mentre<br />

i luoghi dello sport si offrono anche ad un uso casuale: un campetto di periferia utilizzato da ragazzi<br />

di strada, magari abusivamente, per giocare a calcio è un luogo dello sport più di quanto<br />

non lo sia un campo ufficiale, magari in un quartiere residenziale di lusso, perfettamente in ordine<br />

e pronto all’uso ma del tutto inutilizzato.<br />

In sostanza, sono luoghi dello sport tutti quegli spazi che spontaneamente vengono utilizzati<br />

da donne ed uomini per praticare attività sportive sempre che tra loro si attivino significative<br />

relazioni interpersonali.<br />

La <strong>città</strong> multietnica, per diventare <strong>interetnica</strong> (Beguinot, 2003), ha bisogno di luoghi dello<br />

sport nei quali la pratica sportiva sia uno strumento per instaurare delle relazioni umane ed amicali<br />

tra ragazze e ragazzi, tra donne ed uomini di popoli diversi, contribuendo ad amalgamare i diversi<br />

gruppi sociali e culturali. Le autorità locali devono offrire opportunità e luoghi per lo sport che attraggano<br />

praticanti e spettatori appartenenti alle minoranze etniche e che favoriscano la partecipazione<br />

e il senso di appartenenza di tutti alla comunità dello sport (Coalter, Allison, Taylor, 2000).<br />

L’associazionismo sportivo può svolgere un ruolo molto importante nella gestione degli<br />

impianti sportivi, combattendo le discriminazioni, superando le diffidenze e favorendo l’integrazione<br />

delle diversità. Il primo problema da affrontare è quello dell’autoghettizzazione nello sport,<br />

per cui allenatori, atleti e dirigenti appartenenti al medesimo gruppo etnico tendono ad unirsi tra<br />

loro e ad isolarsi (Verma, Darby p154).<br />

Una possibile strategia è quella di prevedere sessioni sportive dedicate, inizialmente, riservando<br />

l’uso della struttura sportiva ad un gruppo omogeneo per tradizioni culturale e religiosa e,


in un secondo momento, favorire l’integrazione con tutti gli altri atleti, organizzando sessioni miste.<br />

Quest’approccio si è rivelato indispensabile, a Montréal, nel caso del nuoto per le donne appartenenti<br />

a religioni che prescrivono la copertura quasi integrale del corpo femminile nei luoghi<br />

pubblici (Billette, 2005). Inoltre, la diffidenza di alcuni gruppi etnici verso la pratica sportiva può<br />

essere superata collegando le attività fisiche alle attività tradizionali come la musica e la danza e<br />

l’esempio positivo, in questo caso, viene dalla Gran Bretagna (Coalter, Allison, Taylor, 2000).<br />

Molte esperienze positive affermano l’efficacia unificante dell’organizzazione di eventi<br />

sportivi multietnici, soprattutto se è prevista la partecipazione di atleti di successo appartenenti<br />

alle minoranze. Nel mondo, lo sport che più si presta a questo discorso è il calcio, come testimoniato<br />

i tanti campionati multietnici nei più remoti angoli del pianeta.<br />

La multietnica squadra nazionale francese di calcio esprime, da molti anni e ad elevati livelli<br />

sportivi, la politica assimilazionista della Francia nei confronti degli immigrati e delle generazioni<br />

successive. La conferma dell’efficacia del calcio come strumento d’integrazione e buon esempio<br />

per i giovani, in questo esempio, è paradossalmente confermata dagli attacchi della destra ultranazionalista,<br />

razzista e xenofoba di Jean-Marie Le Pen che accusa la nazionale multietnica di non<br />

essere rappresentativa della “vera” Francia.<br />

Fig. 4 - L’integrazione crea problemi anche di natura pratica come, ad esempio, l’abbigliamento sportivo che sia compatibile<br />

con la propria cultura e senso del pudore.<br />

Fonte: Access All Cultures (AAC) Cultural Awareness Training for Leisure and Recreation Centres, Produced by Centre for<br />

Multicultural Youth Issues, Funded by VicHealth.<br />

http://www.cmyi.net.au/uploads/downloads/cmyi/pdfs/Sports_Website/Leisurecentretrainingoutline07.pdf<br />

Nella Sarajevo distrutta dalla guerra, il Giapponese Taro Morita promosse la squadra di calcio<br />

multietnica “F.K. Krilo” per ricongiungere i ragazzi, divisi dalla guerra civile e dal genocidio etnico,<br />

attraverso lo sport lanciando il “Sarajevo Football Project” 8 . A Nairobi, il missionario Kizito<br />

Sesana, lavorando con i ragazzi di strada delle bidonville, ha costruito la squadra di calcio “Amani<br />

Yasset Sport” che, attualmente, milita nella serie B del campionato ufficiale del Kenya 9 . In Italia, si<br />

segnala il campionato multietnico “Mondi Aperti: il Calcio per la Solidarietà” che si svolge da alcuni<br />

anni su una serie di campi in provincia di Firenze 10 .<br />

Il calcio professionistico è, contemporaneamente, uno sport ed uno spettacolo di massa<br />

che si svolge in stadi che possono ospitare alcune decine di migliaia di spettatori, in alcuni casi oltre<br />

centomila 11 , con enormi ricavi economici. Lo stadio è un moderno monumento delle <strong>città</strong> cresciute<br />

a dismisura durante la seconda metà del Novecento, periodicamente raccoglie migliaia di<br />

appassionati e tifosi che assistono alle partite della squadra del cuore, ma lo stadio di calcio non<br />

è un luogo dello sport secondo la definizione che ne abbiamo dato.<br />

8 “Krilo” è un termine serbo-croato che significa “ala”, vedi www.fpcj.jp.<br />

9 Vedi http://www.amaniforafrica.org/progetti/progetti_kivuli.htm#.<br />

10 Vedi http://mondiaperti.anellimancanti.it/.<br />

11 Tra i più famosi l’Azteca di Città del Messico il e Maracanà di Rio de Janeiro, anche se la capienza di quest’ultimo<br />

è stata progressivamente ridotta per l’adeguamento agli standard di sicurezza.<br />

163<br />

LO SPORT PER LA CITTÀ<br />

MULTICULTURALE


164<br />

CAPITOLO 4<br />

Negli ultimi anni, lo spettacolo del calcio è stato visto e venduto soprattutto per via televisiva<br />

12 e questo, insieme alla violenza, ha allontanato molte persone dagli stadi, in primo luogo le<br />

famiglie. La progettazione dei nuovi stadi ha rimodulato i propri obiettivi, mirando ad impianti<br />

polifunzionali che ospitano meno spettatori, mediamente 40.000, ma che offrono altri servizi all’interno<br />

della medesima struttura: negozi, ristoranti, shopping center, alberghi, ecc. La tendenza<br />

dei nuovi stadi è di assumere un nuovo ruolo nel paesaggio urbano, con una forte caratterizzazione<br />

formale, e nel sistema insediativo, in termini di razionale collocazione rispetto al bacino d’utenza<br />

e di collegamento rispetto alle reti di trasporto e, soprattutto, d’integrazione spaziale e funzionale<br />

alla <strong>città</strong> esistente.<br />

Il nuovo stadio di Ginevra “La Praille” è stato ultimato nell’aprile 2003 in previsione dei<br />

Campionati europei di calcio del 2008 che si terranno in Svizzera e Austria. L’impianto multifunzionale<br />

ha accesso diretto dalla rete metropolitana, è vicino all’autostrada ed all’aereoporto, è dotato<br />

di un ampio parcheggio. Ha una capienza di 30.000 posti a sedere e contiene un centro commerciale,<br />

ristoranti, studi televisivi, centro fitness, bowling e un centro culturale.<br />

La “Allianz Arena” di Monaco di Baviera, progettato dagli svizzeri Herzog & de Meuron per i<br />

Campionati del mondo di calcio 2007 in Germania, segna profondamente il paesaggio urbano,<br />

con le sua forma architettonica morbida e avvolgente, con l’illuminazione notturna multicolore e<br />

cangiante. Si estende su una superficie di 6.500 mq, può ospitare 66.000 spettatori e contiene 3<br />

asili, negozi e ristoranti. Esterno al centro abitato, è ben collegato alla rete su gomma e su ferro ed<br />

ha il parcheggio sotterraneo più grande d’Europa, con capienza di 10.500 posti auto.<br />

Anche gli stadi esistenti sono stati ristrutturati per adeguarli alle nuove esigenze e tendenze<br />

come, ad esempio, lo “Stamford Bridge”, lo stadio storico del Chelsea Football Club ubicato<br />

nel centro urbano di Londra. Lo stadio originale risaliva addirittura al 1877 anche se aveva subito<br />

molte modifiche ed ampliamenti parcheggio. Nel 2001, è stato totalmente ristrutturato riducendo<br />

la capienza a 42.055 posti per gli spettatori ma realizzando 2 hotel, 5 ristoranti, un lussuoso centro<br />

di salute e benessere, il museo e il megastore del Chelsea F.C.<br />

Gli impianti sinteticamente descritti, però, hanno una caratterizzazione prevalentemente<br />

commerciale di “non luoghi” (Augé, 1992) dove poter “spendere” il proprio tempo, in senso figurato<br />

ma anche monetizzabile. Per realizzare negli stadi i “luoghi” urbani di cui la <strong>città</strong> multietnica<br />

ha bisogno, si dovrebbero realizzare, all’interno degli impianti, anche delle strutture dedicate alla<br />

pratica sportiva ed al tempo libero che siano accessibili a tutti.<br />

Inaugurato nel 2001, sempre in previsione degli Europei 2008, il “St. Jacob-Park” di Basilea è<br />

una struttura molto moderna e funzionale che ospita 42.500 posti per gli spettatori delle partite<br />

Fig. 5 - Stamford Bridge, lo stadio del Chelsea<br />

Footbal Club di Londra ristrutturato nel 2001<br />

contiene 42.055 posti per gli spettatori, 2 hotel,<br />

5 ristoranti, il centro di salute e benessere,<br />

il museo e il megastore del Chelsea F.C.<br />

Fonte: http://www.fullflow.com/images/casestudies/Stamford%20Bridge%20Stadium.jpg<br />

12 Le partite di calcio erano trasmesse raramente dalle televisioni di Stato. La diffusione è avvenuta con l’allargamento<br />

alle televisioni commerciali, le reti satellitari, il digitale terrestre.


di calcio, centro commerciale, uffici, ristoranti, caffè, fitness center e, interessante novità, una casa<br />

per anziani con 107 appartamenti. Analogamente, lo stadio di Berna “Suisse Wankdorf”, inaugurato<br />

nel 2005, oltre ai 32.000 posti, contiene uno shopping center, ristoranti e uffici, ma anche appartamenti<br />

e una scuola pubblica 13 .<br />

Si potrebbe sviluppare questa tendenza evolutiva degli impianti sportivi non solo come<br />

strutture multifunzionali ma anche per favorire l’inclusione sociale e l’integrazione etnica, valorizzandoli<br />

come luoghi urbani dello sport, dello spettacolo e del tempo libero. Ma è necessaria una<br />

cultura politica e progettuale che, perlomeno in Italia, è di là da venire.<br />

“Sport Urban Sport and Leisure in the City” è un progetto dell’Unione Europea sviluppato<br />

nell’ambito del Programma Interreg III C 14 da ventiquattro partners. Obiettivo del progetto è capire<br />

come gli impianti ed i servizi per lo sport possano contribuire allo sviluppo economico, alla rigenerazione<br />

urbana, all’inclusione sociale ed all’integrazione degli immigrati nelle <strong>città</strong>.<br />

L’iniziativa ha evidenziato che la pratica dello sport in ambito urbano tende ad assumere<br />

nuove forme che si allontano dalla tradizione e dalle istituzioni ufficiali. Gli spazi pubblici urbani<br />

sono utilizzati per praticare nuovi sport, aprendo nuove prospettive di riconfigurazione urbana e<br />

di riqualificazione degli assetti e dei paesaggi urbani tradizionali. Le autorità locali hanno un ruolo<br />

chiave nella creazione dei nuovi luoghi dello sport e del tempo libero, nell’organizzazione dei<br />

conseguenti flussi di mobilità, nella creazione di nuovi mezzi e reti di trasporto che consentano<br />

l’accessibilità, di strutture e servizi che realizzino la funzione sociale della pratica sportiva.<br />

Lo sport può realizzare interessanti contaminazioni e ibridazioni del paesaggio urbano,<br />

come dimostra il progetto “Sportcity” di IaN+ nell’ambito del concorso internazionale Hiper-<br />

Catalunya.<br />

Nel 2003, la Generalitat de Catalunya ha promosso un progetto di ricerca sul territorio della<br />

regione catalana, per approfondirne le caratteristiche e valorizzarne le potenzialità, attraverso un<br />

concorso internazionale diretto da Metàpolis e gestito dall’Institut d’Arquitectura Avançada de<br />

Catalunya. Sono stati invitati 25 gruppi di architettura di diversi paesi per “interrogare” la regione<br />

catalana, esplorando nuove forme di analisi dei problemi e dei punti di forza del territorio, dei<br />

possibili obiettivi e delle strategie da adottare (Gausa, Guallart, 2004) 15 .<br />

La metodologia adottata da IaN+ analizza le componenti del territorio per delineare scenari<br />

che affrontano il turismo degli anziani, la <strong>città</strong> dello sport, i campus universitari, i parchi industriali,<br />

gli aeroporti e le periferie. La strategia dello studio romano propone lo sport come “fenomeno<br />

relazionale” capace di creare correlazioni tra le diverse parti del territorio catalano, attraverso<br />

5 progetti preliminari di nuovi modelli insediativi per lo sport. Sportcity, infatti, non è una<br />

banale cittadella dello sport, ma è la “terra delle relazioni” risultante dall’interazione tra i luoghi<br />

dello sport progettati e il paesaggio urbano che si rinnova 16 .<br />

Pianificare e progettare luoghi dello sport significa innescare nuove relazioni sul territorio e<br />

tra le sue diverse componenti, in primis, tra le comunità di uomini e donne che della <strong>città</strong> sono la<br />

ragion d’essere. Le nuove comunità multiculturali favoriscono le contaminazioni e le ibridazioni del<br />

linguaggio architettonico, anche nei luoghi dello sport, contribuendo alla trasformazione del paesaggio<br />

urbano: la <strong>città</strong> diventa espressione e rappresentazione della complessità pluriculturale.<br />

La sfida è nel rapporto dialettico tra le identità, che vanno rispettate e tutelate perché portatrici<br />

di valori specifici irrinunciabili, e la pluriculturalità, che rappresenta il nuovo grande valore<br />

positivo, tra i tanti negativi, espresso dalla globalizzazione.<br />

L’architettura e l’urbanistica dovranno conservare il genius loci arricchendolo di nuove valenze<br />

semantiche che si esprimono attraverso segni e forme del disegno urbano e architettonico<br />

13 Il St. Jacob-Park di Basilea e il Suisse Wankdorf di Berna si distinguono anche per il notevole utilizzo di pannelli<br />

solari energetici.<br />

14 Interreg è un’iniziativa comunitaria finalizzata a stimolare la cooperazione interregionale e transnazionale con<br />

finanziamenti provenienti dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale.<br />

15 Tra le archistar invitate a partecipare si segnalano: Eduardo Arroyo, Cloud 9, Roldán+Berengué, Federico<br />

Soriano, Duncan Lewis, Vicente Guallart and Willy Muller, FOA, MVRDV, Roche & DSV, Actar Arquitectura, IaN+ e West8. Gli<br />

esiti del concorso hanno dato vita ad una mostra Museo de Arte Contemporanea di Barcellona e ad un Manifesto curato<br />

dei tre direttori di Metapolis: Manuel Gausa, Vicente Guallart, Willy Müller.<br />

16 Vedi la scheda curata dagli stessi autori del progetto nel sito www.ianplus.it.<br />

165<br />

LO SPORT PER LA CITTÀ<br />

MULTICULTURALE


166<br />

CAPITOLO 4<br />

ma anche,“semplicemente”, attraverso l’uso dello spazio che diventa “plurimo” perché filtrato dalle<br />

diverse sensibilità e culture.<br />

4.3.2 Schedatura e approfondimento dei casi studio<br />

Luoghi dello sport per nuovi paesaggi urbani<br />

1) Sport Urban Sport and Leisure in the City<br />

2) Sportcity<br />

SCHEDA N. 1<br />

Titolo: SPORT URBAN SPORT AND LEISURE IN THE CITY<br />

Tipo: Progetto di ricerca Livello: Internazionale, Unione Europea Anno: 2004<br />

Soggetto promotore: Unione Europea, Programma Interreg IIIC (Europa)<br />

Descrizione: Nell’ambito del programma Interreg III dell’Unione Europea, ventiquattro partners hanno<br />

dato vita al progetto “Sport Urban Sport and Leisure in the City” il cui obiettivo è verificare le potenzialità<br />

dello sport e del tempo libero per favorire lo sviluppo economico, la rigenerazione urbana, l’inclusione<br />

sociale e l’integrazione etnica e culturale.<br />

Il progetto è interessante sia sul piano metodologico sia per i risultati conseguiti. La dimensione internazionale<br />

si è tradotta nel confronto e nella collaborazione tra soggetti di diversi paesi europei, ciascuno<br />

con le proprie esperienze e specificità.<br />

Le iniziative sviluppate hanno posto in evidenza come lo sport stia assumendo nuovi ruoli in ambito<br />

urbano e come le <strong>città</strong> europee vedano sempre più spazi pubblici utilizzati per la pratica sportiva. Lo<br />

sport, in questo modo, favorisce i processi di riconfigurazione delle <strong>città</strong>, di riqualificazione degli assetti<br />

spaziali, di trasformazione dei paesaggi urbani.<br />

La realizzazione di nuovi impianti sportivi e la rinnovata fruizione degli spazi pubblici esistenti per la<br />

pratica degli sport mettono in moto processi di trasformazione del territorio che devono essere gestiti<br />

dalle autorità locali. I nuovi luoghi per lo sport e il tempo libero devono garantire strutture, servizi ed<br />

accessibilità che ne garantiscano la funzione sociale.<br />

I flussi di mobilità devono essere assorbiti da nuove reti e mezzi di trasporto.<br />

Fonte: http://www.sporturban.org<br />

SCHEDA N. 2<br />

Titolo: SPORTCITY HIPER CATALUNYA<br />

Tipo : Sperimentazione progettuale Livello: Locale, Catalogna Anno: 2003<br />

Soggetto promotore: Generalitat de Catalunya, Metàpolis Institut d’Arquitectura Avançada de Catalunya<br />

(Spagna)<br />

Descrizione: Concorso internazionale ad inviti per esplorare nuove forme d’approccio all’analisi territoriale,<br />

a scala regionale, sperimentato <strong>sulla</strong> regione di Barcellona e della Catalogna per individuarne e<br />

valorizzarne le potenzialità. I 25 gruppi hanno lavorato su problemi e punti di forza, hanno individuato<br />

obiettivi ed hanno elaborato strategie.<br />

Lo studio IaN+ propone un Piano di sviluppo della Regione Catalogna che utilizza lo sport come strategia<br />

d’azione sul territorio.“Sportcity” consiste di 5 progetti preliminari di nuovi modelli insediativi per<br />

lo sport.<br />

“L’esposizione Hiper-Catalunya vuole riflettere <strong>sulla</strong> potenzialità del territorio della Catalogna.<br />

HiperCatalunya analizza ogni componente del territorio, usando quest’ area come “case study” ma, le<br />

conclusioni possono essere estese, bene o male, al mondo intero. Una metrica di differenti variabili si<br />

intreccia formando vari scenari possibili. Gli scenari proposti affrontano temi come il turismo degli anziani,<br />

la <strong>città</strong> dello sport, i campus universitari, i parchi industriali, gli aeroporti e le periferie.<br />

Nel paesaggio catalano, lo sport può essere considerato una strategia per uno sviluppo non tradizionale.<br />

Dal punto di vista locale e più in generale dal punto di vista globale, lo sport è considerato un fenomeno<br />

relazionale strettamente legato con il contesto e capace di correlare vari contesti. Attraverso<br />

queste strategie è possibile agire sul territorio e definire la Sportcity. Sportcity non è semplicemente la<br />

“<strong>città</strong> dello sport”, una <strong>città</strong> monotematica che non può esistere nel mondo reale. Sportcity sarà “la terra<br />

delle relazioni”, che viene fuori dall’interazione tra sport e paesaggio.<br />

Fonte: http://www.ianplus.it


Fig. 6 - Il progetto “Sporturban” ha mostrato le potenzialità degli impianti e delle strutture sportive per favorire<br />

lo sviluppo economico, la rigenerazione urbana, l’inclusione sociale e migliorare l’immagine della <strong>città</strong>.<br />

Fonte: http://www.sporturban.org.<br />

Fig. 7 - Schema cartografico dell’intervento territoriale proposto da Ian+ per la regione Catalogna: lo sport come<br />

strategia d’azione sul territorio. Fonte: http://www.ianplus.it.<br />

Fig. 8 - Schema concettuale dell’intervento<br />

progettuale proposto da Ian+ per la regione<br />

Catalogna: i concepts architettonici ridefiniscono<br />

gli elementi del territorio attraverso lo<br />

sport. Fonte: http://www.ianplus.it.<br />

167<br />

LO SPORT PER LA CITTÀ<br />

MULTICULTURALE


168<br />

CAPITOLO 4<br />

4.4 RIFERIMENTI<br />

4.4.1 Bibliografia<br />

Augé M. (1992), Non-lieux, Editions Seuil, Paris. Augé M. (2005), Nonluoghi. Introduzione a un’antropologia<br />

della surmodernità, Elèuthera, Milano.<br />

Beguinot C. (a cura di) (2003), Città di genti e culture, da “Megaride ’94” alla <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> (Europea), Tomo II,<br />

Giannini Editore, Napoli.<br />

Beguinot C. (a cura di) (2004), Città di genti e culture, da “Megaride ’94” alla <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> (Europea), Giannini<br />

Editore, Napoli.<br />

Beguinot C. (a cura di) (2005), La formazione dei Manager per la <strong>città</strong> dei diversi. Città di genti e culture: Da<br />

“Megaride 94” alla <strong>città</strong> europea cablata e <strong>interetnica</strong>, Giannini Editore, Napoli.<br />

Beguinot C. (a cura di) (2006), La formazione dei manager governo delle trasformazioni urbane Città <strong>interetnica</strong><br />

cablata, Giannini Editore, Napoli.<br />

Beguinot C. (a cura di) (2008), Genetica e destino di un percorso. Città cablata Carta di Megaridi ’94 Città<br />

Europea Interetnica, Giannini Editore, Napoli.<br />

Billette A. (2005), Pratiques municipales de gestion de la diversité ethnoreligieuse à Montréal: le cas des piscines<br />

publiques, Rapport de recherché, Étude exploratoire Réalisée par Amélie Billette Étudiante à la maîtrise<br />

en études urbaines Sous la direction d’Annick Germain Institut national de la recherche scientifique<br />

Urbanisation, Culture et Société, Montréal.<br />

Coalter F., Allison M., Taylor J. (2000), The Role of Sport in Regenerating Deprived Areas, The Scottish Executive<br />

Central Research Unit, Edinburgh. (Chapter eight “Sport and Minority Ethnic Group”)<br />

Collins M.F., Kay T. (2003), Sport and Social Exclusion, Routledge, London.<br />

Fleming S. (1994) “Sport and South Asian Youth: the Perils of False Universalism” in Leisure Studies, 13 (3)<br />

pp. 159-178.<br />

Gausa G., Guallart V. (2004), Hiper Catalunya. Research Territories, Actar Editorial.<br />

Hall S. (1991), “The Local and the Global: Globalization and Ethnicity” in King D. (ed) (1991), Culture,<br />

Globalization and the World-System, Dept. of Art and Art History, State University of New York, New<br />

York, Binghamton.<br />

Sassen S. (1996), Migranten, Siedler, Flüchtlinge. Von der Massenauswanderung zur Festung Europa, Fischer<br />

Taschenbuch Verlag, Frankfurt am Main, trad. it. Sassen S. (1999), Migranti, coloni rifugiati.<br />

Dall’emigrazione di massa alla fortezza Europa, Feltrinelli, Milano.<br />

United Nations (2005a), International Year of Sport and Physical Education Final Report, Special Adviser to the<br />

UN Secretary-General on Sport for Development and Peace, United Nations, Geneva.<br />

United Nations (2005b), Concept Brochure International Year of Sport and Physical Education, Special Adviser<br />

to the UN Secretary-General on Sport for Development and Peace, United Nations, Geneva.<br />

Verma G.K., Darby D.S. (1994), Winners and Losers: Ethnic Minorities in Sport and Recreaction, The Falmer Press,<br />

London.<br />

4.4.2 Internet<br />

The Use of Sport and Education for the Social Inclusion of Asylum Seekers and Refugees, http://www.eyes-<br />

2004.info<br />

Access All Cultures (AAC) Cultural Awareness Training for Leisure and Recreation Centres, Produced by<br />

Centre for Multicultural Youth Issues, Funded by VicHealth, http://www.cmyi.net.au/uploads/downloads/cmyi/pdfs/Sports_Website/Leisurecentretrainingoutline07.pdf<br />

Amani Yasset Sport, http://www.amaniforafrica.org/progetti/progetti_kivuli.htm#<br />

Braga Declaration, http://www.eyes-2004.info<br />

Children fit for Life, http://www.eyes-2004.info<br />

CMYI Multicultural Sport and Recreation Project, http://www.cmyi.net.au<br />

FARE - Football against Racisme in Europe, http://www.farenet.org/<br />

Kick it Out (Let's Kick Racism Out of Football), http://www.kickitout.org<br />

Mondi Aperti: il Calcio per la Solidarietà, http://mondiaperti.anellimancanti.it/<br />

Promoting Racial Equality Through Sport (The Racial Equality Charter for Sport), http://www.cre.gov.uk/<br />

sportingequals/index.html<br />

Sarajevo Football Project, www.fpcj.jp<br />

Sport and Multicultural Dialogue, http://www.eyes-2004.info<br />

Sport and the Millennium Development Goals, http://www.un.org/sport2005<br />

Sport Urban Sport and Leisure in the City, http://www.sporturban.org<br />

Sportcity, www.ianplus.it<br />

Sporting Equals, http://www.cre.gov.uk/sportingequals/index.html


Capitolo 5<br />

Il progetto urbanistico: spazi e funzioni multiculturali<br />

Il filo conduttore della nuova architettura del dialogo si declina, nel contributo coordinato da<br />

Bianca Petrella, nella (ri)progettazione degli spazi e delle funzioni urbane per la multiculturalità,<br />

con particolare attenzione alle periferie urbane che, sovente, si tramutano in periferie umane. Le<br />

conflittualità, latenti o manifeste, non sono solo di matrice etno-culturale ma possono essere<br />

ascritte anche alla incapacità del sistema urbano di rispondere ad una domanda sempre più complessa.<br />

In questa ottica, Claudia de Biase ripercorre la strumentazione urbanistica e normativa disponibile<br />

in Italia per affrontare l’erogazione dei servizi, ed i relativi spazi e luoghi urbani, con particolare<br />

attenzione alla dimensione del quartiere. Parallelamente, Ciro Tufano affronta la semiotica interculturale<br />

degli spazi urbani dell’aggregazione e dell’integrazione, secondo l’approccio del<br />

design urbano, per scandagliare nuovi percorsi metodologici di progettazione.<br />

5.1 (RI)PROGETTARE SPAZI E FUNZIONI URBANE PER LA MULTICULTURALITÀ<br />

5.1.1 Periferie urbane e periferie umane<br />

In Italia la società multietnica è oramai un dato di fatto, in quanto la presenza di abitanti<br />

provenienti da altri paesi con tradizioni e culture diverse dalla nostra ha raggiunto quantità significative<br />

che aumentano di anno in anno.<br />

L’assenza di un progetto istituzionale, atto a predisporre le condizioni per una “nuova comunità”,<br />

ha fatto sì che l’inserimento nel corpo sociale locale avvenisse “spontaneamente”, fondandolo<br />

sul grado di resilienza 1 di ogni immigrato, <strong>sulla</strong> capacità di adattamento attivo e con un’autorganizzazione<br />

tutta interna alle singole provenienze e alle specifiche comunità d’accoglienza.<br />

Questo stato di cose ha determinato una società, appunto, multi-etnica, ancora molto lontana dall’affermazione<br />

di postulati inter-etnici.<br />

Se incerto è il progetto sociale, ancora più evanescente è un’ipotesi convincente di “<strong>città</strong>”<br />

multi/inter o intra-etnica e, pertanto, il paesaggio della spazialità sociale e della spazialità formale<br />

rimane ancora tutto da definire.<br />

La trasformazione dello spazio della natura in spazio organizzato comincia quando gli esseri<br />

umani iniziano a disciplinare i rapporti tra individui, ossia quando iniziano a formare società,<br />

dandosi norme di convivenza e predisponendo la costruzione di spazi adeguati a quei determinati<br />

modi di vita. Allora, come ora, la regolazione della spazialità sociale e della spazialità letterale<br />

scaturiva dalla necessità di prevenire e risolvere quelle situazioni di conflitto che si generano<br />

quando più individui interagiscono in uno stesso luogo, limitato e comunitario. Soddisfatti i bisogni<br />

primari, mano a mano che le civiltà evolvono, si rende necessario assolvere a ulteriori bisogni,<br />

cosiddetti secondari, che indotti dai diversi sistemi sociali, richiedono una sempre maggiore varietà<br />

e articolazione degli spazi nei quali devono essere esperiti.<br />

È evidente che, in ogni momento della storia, lo spazio della collettività è conseguenza<br />

della spazialità sociale che lo genera e dei poteri che la governano; da ciò discende che il progetto<br />

urbanistico segue al progetto politico che lo determina e del quale andrà a costituire uno dei<br />

principali e necessari supporti. Anche nella contemporaneità, un piano urbanistico per una <strong>città</strong><br />

<strong>interetnica</strong> non può che essere a servizio del modello sociale che si intende perseguire e quindi è<br />

doveroso chiedersi quale sia il modello sociale della convivenza multietnica che il nostro Paese intende<br />

promuovere. Diversamente da altre nazioni che da tempo hanno attivato politiche precise,<br />

1 “La resilienza, applicata ai comportamenti umani, indica la capacità di un individuo o di un sistema sociale di vivere<br />

bene e di svilupparsi positivamente a prescindere dalle condizioni difficili in cui vive e, soprattutto, di uscire dalle<br />

esperienze dure rinforzato e maturato” (H. Combariza,“Qué es la Resilencia?” citata in P. Mayorga, 2007).<br />

2 Anche se largamente utilizzate, le denominazioni dei modelli politici di integrazione etnica non sono codificate<br />

e, pertanto, spesso ad esse si associano significati differenti.<br />

169<br />

IL PROGETTO URBANISTICO:<br />

SPAZI E FUNZIONI


170<br />

CAPITOLO 5<br />

in Italia non è ancora chiaro lo scenario entro il quale muoversi per implementare il processo di<br />

integrazione multiculturale; non è chiaro se la società italiana si dirige verso modelli di assimilazione,<br />

di inclusione, di cittadinanza, di separatismo o altro ancora 2 (Zanfrini, 1997).<br />

Va ricordato in proposito che la riforma costituzionale del 2001 3 affida allo Stato la competenza<br />

legislativa per “l’immigrazione” e alle Regioni quella per il “governo del territorio” 4 , quindi<br />

l’organo centrale decide le politiche di accoglienza e di ospitalità dei migranti mentre gli organi<br />

periferici stabiliscono come organizzare il territorio per assolvere a queste e ad altre esigenze. Tra<br />

gli altri settori rilevanti per la convivenza sociale (quindi anche per quella tra autoctoni e immigrati)<br />

è assegnato allo Stato il compito di normare “rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose”,<br />

“cittadinanza, stato civile e anagrafi” unitamente alla “determinazione dei livelli essenziali<br />

delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali …” e “previdenza sociale”; invece, le Regioni (in<br />

concorrenza con lo Stato) legiferano in merito a “tutela e sicurezza del lavoro”,“tutela della salute”<br />

e “previdenza complementare e integrativa”. È dall’insieme delle leggi che regolano queste materie<br />

che dovrebbe ricavarsi il progetto sociale della convivenza multietnica, in assenza o in confusione<br />

del quale non vi può essere un’efficiente e coerente azione amministrativa, nella quale va<br />

compreso il piano urbanistico.<br />

Le leggi che si sono occupate di immigrazione 5 (inclusa la recente proposta di riforma della<br />

normativa preannunciata dal Ministro dell’interno G. Amato) 6 si sono sempre più orientate verso<br />

la prevenzione e il contrasto alla presenza di clandestini, trascurando, di converso, le politiche per<br />

l’integrazione sociale che, di fatto, sono state delegate alle autonomie locali.<br />

Passando dalle normative sugli immigrati a quelle sul governo del territorio, va rilevato che<br />

nessuna delle Regioni italiane ha emanato leggi urbanistiche che indicassero come organizzare<br />

gli spazi urbani tenendo in conto anche le esigenze introdotte dal multiculturalismo. È altrettanto<br />

vero che (sia nella legge nazionale che in quelle regionali) non è neanche contemplato il comportamento<br />

che il redattore del piano deve avere nei confronti di tutte quelle altre diversità che<br />

strutturano la popolazione: sesso, età, capacità di spesa e tutte quelle altre caratteristiche con cui<br />

sociologi e antropologi classificano e interpretano la variegata comunità umana e urbana. Fatti<br />

salvi i piani di edilizia economica e popolare e l’obbligo di prevedere aree per l’istruzione e per il<br />

verde attrezzato in relazione alle fasce di età, i nostri legislatori non hanno stabilito che gli spazi<br />

urbani dovessero essere pianificati in modo congruente alla molteplicità dei bisogni. Non va ignorato<br />

che, nella storia italiana, più di una volta, è accaduto che un piano urbanistico “innovasse” i<br />

contenuti e che gli stessi dessero origine a leggi che, facendoli propri, li trasformavano in norme<br />

istituzionali; ciò sta a significare che, nell’attesa di un chiaro progetto politico <strong>sulla</strong> convivenza<br />

multietnica (ma comunque con il placet dell’amministrazione comunale) il progettista può predisporre<br />

gli spazi territoriali in chiave adeguata ai bisogni delle differenti culture e di ogni altra diversità.<br />

Mumford, fin dagli anni trenta, osservando come le <strong>città</strong> fossero organizzate “ … intorno<br />

alla vita degli adulti e per di più intorno a certi aspetti soltanto della vita degli adulti, quali gli affari,<br />

l’industria, l’amministrazione, il traffico, i trasporti. …” (Mumford, 1945 pp. 7-11), teorizzava<br />

un’urbanistica per le diverse fasi della vita, una pianificazione che tenesse in conto le varie esigenze<br />

che ogni età esprime in funzione delle attività che la caratterizzano.Tale concezione non ha<br />

avuto grande seguito e, proprio per questo, oggi richiederebbe di essere ripresa e di essere am-<br />

3 Nelle parti tra virgolette sono riportati i settori di competenza così come denominati nell’art. 117 della<br />

Costituzione.<br />

4 “Il governo del territorio consiste nell’insieme delle attività conoscitive, regolative, di programmazione, di localizzazione<br />

e di attuazione degli interventi nonché di vigilanza e di controllo, volte a perseguire la tutela e la valorizzazione<br />

del territorio, la disciplina degli usi e delle trasformazioni dello stesso e la mobilità. Il governo del territorio comprende<br />

altresì l’urbanistica, la localizzazione delle infrastrutture e delle opere pubbliche, l’edilizia, la difesa del suolo, nonché<br />

la cura degli interessi pubblici funzionalmente collegati con le medesime materie …” (art. 1, c.2, T. unificato in<br />

discussione in Parlamento).<br />

5 La prima legge italiana che utilizza il termine immigrato in vece di straniero è la n. 943 del 1986, ma la prima<br />

legge organica in materia è la cosiddetta legge Martelli (L. 39/1990) cui seguono la Turco-Napolitano (L. 40/1998), il TU<br />

(D.Lgs. 286/1998) e la Bossi/Fini (L. n. 189/2002).<br />

6 Si fa riferimento alle notizie riportate dai maggiori quotidiani italiani tra maggio e giugno 2007.


pliata a ulteriori diversità: ai bisogni “… della prima infanzia, dell’età scolare, …, della fase domestica,<br />

…, della senilità” (Mumford, 1945) vanno affiancati quelli dipendenti da usi, consuetudini, costumi<br />

e fedi religiose. Una tale maculata società richiede l’organizzazione di “spazi adattati” altrettanto<br />

variegati, la cui giustapposizione, integrazione e intersezione dà vita alla <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> e<br />

interclassista.<br />

La condizione urbana dipende sia dalla capacità del piano di regolare la quantità e la qualità<br />

degli elementi e della loro struttura relazionale, sia dalla capacità delle Amministrazioni di realizzare<br />

quanto previsto e di garantirne l’efficienza nel tempo: “mentre nel villaggio si accentuano<br />

le somiglianze e le affinità, la <strong>città</strong> deve accentuare e riconciliare le varietà, le differenze e anche<br />

gli antagonismi. Una buona pianificazione moltiplicherà le occasioni dirette ad amalgamare e fondere<br />

le diverse tendenze. …” (Mumford, 1945).<br />

L’avanzamento, o forse sarebbe più esatto dire, le trasformazioni che nei millenni hanno caratterizzato<br />

le diverse società umane, sono sempre state determinate dall’incontro/scontro tra diversità.<br />

Dallo scontro, se ci si riferisce alle guerre di invasione, di colonizzazione o di religione, tutte<br />

aventi lo scopo del dominio economico, politico e culturale sui territori conquistati; dall’incontro,<br />

quando, nei brevi periodi di pace, esploratori, artisti, intellettuali, si spostavano nei territori con<br />

l’intento di conoscere l’ignoto e di scambiare la propria esperienza e le proprie abilità con quelle<br />

degli altri.<br />

Il progredire (soprattutto negli ultimi due secoli) della velocità, della capacità, dell’affidabilità,<br />

del costo e del comfort dei mezzi di trasporto e di quelli di telecomunicazione, ha consentito<br />

che si incrementassero sia il numero degli spostamenti sia le distanze percorse; ciò ha permesso<br />

che una quantità sempre maggiore di persone potesse accedere all’esperienza altrui, o spostandosi<br />

personalmente o scambiando informazioni a distanza (Beguinot, Cardarelli, 1992). Infine, con<br />

l’avvento di internet, si è giunti a un’intensità senza precedenti di convivenza virtuale e reale, tra<br />

le molteplici diversità: il villaggio globale, ipotizzato da Mc Luhan (Fiore, Mc Luhan, 1968; Mc<br />

Luhan, 1964), si è realizzato, così come sembra avere preso corpo anche il grande fratello preconizzato<br />

da Orwell (Orwell, 1949).<br />

A meno dei rifugiati politici e di trascurabili élite sociali, il fenomeno migratorio dei grandi<br />

numeri è generato dalla differenza che intercorre tra l’economia del paese di partenza e quella<br />

del paese di arrivo. Quando si emigra con un progetto finalizzato a migliorare la propria condizione,<br />

contemporaneamente, si ipotizza il tempo nel quale realizzarlo: le modalità con cui si entra<br />

in relazione con la società di accoglienza, così come la scelta del luogo urbano in cui stabilirsi, variano<br />

al variare del presupposto tempo di permanenza. Se si pensa di soggiornare per un breve<br />

periodo si tenderà a una condizione di maggiore isolamento e a non mutare le proprie abitudini,<br />

viceversa, se si ipotizza una permanenza lunga, l’atteggiamento sarà più aperto e si sarà maggiormente<br />

disponibili a recepire le sollecitazioni esterne. Osservando l’insieme di queste dinamiche<br />

è possibile notare più di un’affinità tra la fenomenologia dell’espansione urbana del dopoguerra<br />

italiano e quella del più recente processo multietnico delle nostre <strong>città</strong>.<br />

5.1.2 Una chiave d’interpretazione per la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong><br />

Gli storici della <strong>città</strong> europea hanno ben spiegato le ragioni e il tempo in cui si determina<br />

la frattura tra la <strong>città</strong> preesistente e la <strong>città</strong> contemporanea, dando vita alla periferia urbana,<br />

un’entità fino ad allora sconosciuta ed estranea alla tradizionale cultura urbana; (Mumford, 1961;<br />

Benevolo, 1963; Aymonino, 1971) gli studiosi della <strong>città</strong> hanno ben spiegato le ragioni e il tempo<br />

in cui la <strong>città</strong>, da organismo maturo, sviluppatosi con una crescita fisiologica durata secoli, inizierà<br />

a dilatarsi velocemente, producendo anomale escrescenze abitative: i “quartieri residenziali” si formano<br />

in un breve lasso di tempo mentre il centro storico inizia una sorta di atrofia alla quale solo<br />

recentemente si cercherà di porre rimedio.<br />

L’aggiunta di edifici di abitazione, e di quasi nient’altro, è il comune denominatore della ancora<br />

limitata crescita urbana delle <strong>città</strong> italiane della prima metà del secolo scorso. L’arretratezza<br />

di sviluppo era principalmente stata determinata dall’autarchico isolamento fascista che non per-<br />

171<br />

IL PROGETTO URBANISTICO:<br />

SPAZI E FUNZIONI


172<br />

CAPITOLO 5<br />

metteva la circolazione delle idee urbanistiche, le quali, intanto, maturavano negli altri paesi europei.<br />

Fin dagli anni trenta, in Olanda, Germania e Inghilterra si era iniziata a sperimentare l’idea di<br />

aree per l’abitazione collettiva, mentre la modesta produzione edilizia italiana si limitava a piccoli<br />

gruppi di edifici, generalmente circoscritti in un recinto che li separava simbolicamente e fisicamente<br />

dalla <strong>città</strong>.<br />

La proliferazione di quartieri residenziali prenderà il via solamente dopo la seconda guerra,<br />

iniziando con l’Ina-casa, poi Gescal, proseguendo con il CEP e infine con la L.167; all’iniziativa pubblica,<br />

rivolta ai ceti popolari, si affianca ovviamente la produzione privata che, pur rivolta ai ceti<br />

abbienti, segue le medesime direttrici di espansione, lucrando sulle rendite fondiarie (Petrella,<br />

1989). Prescindendo dal periodo e dalle diverse ideologie e teorie che guidano l’impostazione dei<br />

quartieri residenziali nel dopoguerra (organici, razionalisti, autosufficienti, ecc.), l’insieme delle<br />

realizzazioni crea, anche nelle <strong>città</strong> italiane, quella entità urbana che assumerà la denominazione<br />

di periferia, cioè di luogo marginale sia nel rapporto geografico con la centralità ma anche per la<br />

subordinazione gerarchica, ovvero per la dipendenza strutturale dal centro cittadino (Christaller,<br />

1933).<br />

Nella prima fase dell’espansione urbana, lo schema territoriale si presenta con un nucleo<br />

compatto, intorno al quale sono collocate isole edificate di piccole dimensioni; esse sono inframmezzate<br />

da aree agricole che le separano una dall’altra e le distanziano dal centro urbano, al<br />

quale sono collegate da un asse stradale e da insufficienti servizi di trasporto.<br />

Negli anni successivi, vengono costruiti nuovi quartieri, di dimensioni maggiori, che si interpongono<br />

ai precedenti; l’arcipelago adesso è composto da un numero maggiore di isole che,<br />

in qualche caso, lambiscono la <strong>città</strong> storica, dalla quale, anche quando spazialmente prossimi, continuano<br />

a essere funzionalmente disgiunti.<br />

Con l’ultima fase di massiccia produzione residenziale, pubblica e privata, si riempiono le<br />

aree libere residue e quello che prima era un arcipelago, le cui isole erano i quartieri d’abitazione,<br />

si trasforma in un edificato senza soluzione di continuità. Nonostante la oramai sopraggiunta contiguità<br />

spaziale di <strong>città</strong> vecchia e edilizia nuova (Pane, 1959), le distanze strutturali restano considerevoli<br />

e l’insieme degli elementi fisici non riesce a divenire sistema, in quanto le relazioni tra<br />

centro e periferia rimangono di modesta entità mentre aumenta la distanza tra le opportunità offerte<br />

da quelle che oramai sono diventate due entità urbane distinte e separate. Nonostante la<br />

presunzione di alcuni di riuscire a progettare e realizzare quella completezza che solo il trascorrere<br />

del tempo può conquistare, la periferia continua a rimanere tale: una “<strong>città</strong>” incompiuta, anonima<br />

e omologata, antagonista alla vera <strong>città</strong>, luogo urbano organico, concluso e identificabile.<br />

Prima di illustrare quali analogie è possibile cogliere tra il modo in cui è avvenuta l’inclusione<br />

spaziale delle nuove “parti urbane” – i quartieri – e il modo in cui sta avvenendo l’inserimento<br />

delle nuove “parti sociali” – gli immigrati – è necessario accennare all’ulteriore e recente<br />

fase di sviluppo della territorialità urbana.<br />

Negli anni più vicini a noi si assiste a due pratiche urbanistiche, concomitanti e in qualche<br />

modo antitetiche. Una prima azione è diretta alla riqualificazione e al recupero di luoghi della<br />

<strong>città</strong> desueti e degradati; gli interventi di recupero urbano, pur se maggiormente concentrati nelle<br />

aree storiche, raggiungono anche i più recenti quartieri periferici.<br />

Un secondo processo, di tutt’altra natura e guidato da interessi esclusivamente mercantili,<br />

produce un’ulteriore e diversa frattura nella già confusa impalcatura territoriale. Le grandi multinazionali<br />

realizzano in proprio una “nuova periferia” che si colloca nella fascia territoriale esterna<br />

alle sfumate e confuse propaggini urbane. Questa seconda periferia si configura, ancora una volta,<br />

con lottizzazioni frammentate che, però, non sono più residenziali ma ospitano concentrazioni di<br />

ipermercati, di multisale cinematografiche o di megadiscoteche, la cui accessibilità è efficacemente<br />

garantita dalla grande viabilità e da parcheggi di adeguata dimensione.<br />

L’antinomia tra le due pratiche urbanistiche è rilevabile nel fatto che l’offerta extraurbana<br />

per il commercio e il tempo libero mette in crisi proprio quelle minute attività economiche le<br />

quali, invece, sono indispensabili alla vitalità urbana a cui gli interventi di riqualificazione vogliono<br />

tendere. L’extraperiferia produce una nuova cesura territoriale e nel contempo impedisce il risa-


narsi della precedente, in quanto, annullando i piccoli esercizi economici, indebolisce anche i rapporti<br />

di interconnessione strutturale tra <strong>città</strong> vecchia e nuova che l’azione di rivitalizzazione tenta<br />

faticosamente di innescare.<br />

La struttura insediativa attuale è quindi schematizzabile mediante tre corone, ognuna delle<br />

quali diversamente caratterizzata per tipologia, per densità, per significato e per significante.<br />

Nel nucleo centrale si pone la <strong>città</strong> storica, comunque ancora fortemente connotata e pertanto<br />

capace di generare identificazione e orientamento. Nel secondo anello è collocata la morfologia<br />

abitativo-residenziale, contraddistinta da scarsa vitalità e conseguente senso di insicurezza;<br />

pur nella continuità dell’edificato determinatasi nel tempo, molte delle sue “parti” continuano<br />

a essere tali in quanto strutturalmente disgiunte e discernibili dalle altre. L’ultima fascia<br />

peri-territoriale è quella costellata di enormi standardizzati volumi e di altrettanti smisurati parcheggi<br />

a servizio del mercato di merci e di tempo libero specializzato; essendo di formazione recente,<br />

la frammentazione spaziale permane visibilmente, nell’alternarsi di lottizzazioni commerciali,<br />

autostrade, residualità industriali, inserti agricoli e aree in abbandono.<br />

Le tre corone sono spazialmente distinte e funzionalmente separate e, fatta eccezione per i<br />

centri storici, lo sono anche al loro interno in quanto, come si è già detto, nella prima periferia rimane<br />

ancora palesemente visibile la concezione additiva (Beguinot, 1989), mentre nell’extraperiferia<br />

emergono cubi edilizi, sulle cui pareti lisce spicca, a caratteri cubitali, il marchio dell’azienda<br />

madre. Spazialità fisicamente e funzionalmente separate, diversità ghettizzate derivate da un organismo<br />

urbano storico che, interrotta la sua naturale evoluzione fisiologica, ha emanato patologiche<br />

ipertrofie di entità isolate.<br />

Così come l’urbanesimo della prima industrializzazione, anche l’ultima delle fasi di trasformazione<br />

territoriale è stata indotta da interessi economici e resa possibile dall’avanzamento tecnico<br />

e tecnologico, in particolare, di trasporti e telecomunicazioni. Gli stessi fattori – mercato, tecnica<br />

e tecnologia – che hanno determinato e reso possibile la struttura della spazialità materiale<br />

del territorio – nel suo senso letterale – hanno anche determinato e reso possibile – ma in senso<br />

metafisico – la struttura della spazialità sociale delle popolazioni mondiali. Senza il grande balzo<br />

tecnologico, la globalizzazione dei mercati e il derivato processo di omologazione di usi e costumi<br />

non avrebbero potuto assumere il significato e gli effetti di interdipendenza che invece hanno<br />

raggiunto 7 .<br />

Come la macchina a vapore ha interrotto la capacità di sviluppo organico della <strong>città</strong> storica,<br />

così internet ha definitivamente interrotto la possibilità di sviluppo organico della comunità locale.<br />

La frattura tra organismo urbano storico e periferia anonima è la stessa che si determina tra<br />

cultura locale e standardizzazione dei comportamenti, imposti da un mercato mondializzato, supportato<br />

e alimentato dalla rete delle reti: l’omologazione delle periferie urbane diviene in questo<br />

modo l’anticipatoria metafora dell’omologazione delle “periferie umane” del mondo.<br />

Pur simili nella dinamica del percorso strutturale delle trasformazioni, periferia urbana e periferia<br />

sociale si differenziano nella configurazione spaziale: mentre il nucleo storico urbano è fisicamente<br />

accosto alla sua periferia, la comunità locale originaria è spazialmente lontana dalla sua<br />

periferia sociale, che è divenuta tale proprio perché, emigrando, si è deterritorializzata.<br />

Lo schema della localizzazione etnica attuale si compone di insiemi separati, che potranno<br />

congiungersi solamente quando sarà dissolto il legame con la comunità di origine e si sarà configurato<br />

quello con la comunità attuale che, in virtù di ciò, sarà definitivamente divenuta una comunità<br />

<strong>interetnica</strong>. Attualmente, un primo cerchio rappresenta il nucleo storico della comunità: il<br />

distacco di molti dei suoi membri ha deviato la fisiologica evoluzione naturale, rallentandone lo<br />

sviluppo nello spazio e nel tempo. I gruppi che emigrano sono la versione metafisica del quartiere<br />

7 Diversi studiosi fanno risalire il concetto di globalizzazione a periodi storici anche molto lontani (dall’impero romano<br />

alla scoperta dell’America) e qualcuno si spinge ad affermare che gli scambi internazionali fossero maggiori prima<br />

della prima guerra mondiale di quanto lo siano attualmente. A prescindere dal significato che si voglia dare ai concetti<br />

di globalizzazione, mondializzazione, internazionalizzazione o colonizzazione, rimane il dato di fatto che la percezione attuale<br />

del fenomeno è sicuramente più intensa e diffusa (Wallerstein, 1982; Hirst, Thompson, 1997; A. Sen 2002).<br />

173<br />

IL PROGETTO URBANISTICO:<br />

SPAZI E FUNZIONI


174<br />

CAPITOLO 5<br />

residenziale del dopoguerra: essi si localizzano in posizione distaccata dalla <strong>città</strong>-madre (in altri<br />

paesi) e formano entità separate e manifestamente distinte dal contesto in cui si collocano. Così<br />

come era avvenuto con la formazione dei quartieri, che mano a mano andavano a occupare le<br />

ampie aree libere che li separavano gli uni dagli altri e dalla <strong>città</strong>, anche l’immigrazione procede<br />

con successive addizioni di parti, formanti un insieme che, nel tempo, conquista la contiguità spaziale<br />

ma rimane disarticolato nella frammentarietà sociale. Analogamente alla fascia urbana periferica<br />

formata da un quartiere organico, accostato a un quartiere razionalista, accostato a un quartiere<br />

autosufficiente e così via, anche la corona sociale periferica si compone di un gruppo senegalese,<br />

a cui si affianca un gruppo cinese, a cui se ne affianca uno autoctono, seguito da uno<br />

proveniente dai balcani e così via. Così come con gli insiemi residenziali non si è riusciti a strutturare<br />

un sistema urbano organico, anche per i gruppi di immigrati non si riesce a operare la fusione<br />

in una comunità armonica: una frattura li ha definitivamente separati dal nucleo originario e<br />

un’ulteriore cesura inibisce le relazioni con il contesto sociale d’arrivo.<br />

Come già accennato, il modello di sviluppo economico e finanziario perseguito dagli interessi<br />

delle grandi lobbies del pianeta non avrebbe potuto procedere così efficacemente senza un<br />

adeguato supporto tecnico e tecnologico. La containerizzazione, le applicazioni telematiche e le<br />

comunicazioni satellitari sono sicuramente tra i principali elementi che hanno consentito alle<br />

multinazionali di attuare i principali obiettivi: localizzare la produzione nei paesi dove il costo del<br />

lavoro è minimo e il sindacato è debole, distribuire i prodotti nei paesi dove i prezzi al consumo<br />

sono alti, fissare la residenza fiscale dove il regime di tassazione è conveniente, ridurre il rischio di<br />

impresa compensando le perdite in un paese con i guadagni in un altro (Perna, 1998; Klein, 2001;<br />

Wallach, Sforza, 2001).<br />

Insieme all’offrire posti di lavoro e al diffondere “modernizzazione”, i grandi marchi influenzano<br />

le economie dei paesi poveri in cui è localizzata la produzione e condizionano anche i comportamenti<br />

dei consumatori mondiali. Nei paesi poveri la standardizzazione inizia nella fabbrica o<br />

nella piantagione per poi diffondersi all’esterno, mentre nei paesi ricchi la pubblicità martellante<br />

incentiva e induce all’acquisto dei prodotti che sono commercializzati in quasi tutti i paesi del<br />

globo.<br />

L’omologazione di usi e costumi non è certamente l’obiettivo principale ne’ quello dichiarato<br />

dalle multinazionali ma quando il fine è la massimizzazione dei profitti a scala mondiale una<br />

“mentalità uniformata” è sicuramente d’aiuto (Maurel, 2001). La globalizzazione e, in modo più<br />

pervicace, la localizzazione (Robertson, 1992; Robertson, White, 2002; Bauman, 2005) conducono<br />

inevitabilmente alla massificazione culturale, all’annullamento di quelle diversità locali che potrebbero<br />

ostacolare l’interesse del mercato, che oramai detiene la centralità di ogni questione e<br />

condiziona ogni scelta.<br />

La globalizzazione economica e la standardizzazione dei comportamenti aveva finora prodotto<br />

solo effetti collaterali sull’organizzazione urbana, anche se l’invadenza di edifici e vetrine dei<br />

grandi marchi (in prima persona o in franchising) è riuscita comunque a uniformare il paesaggio<br />

urbano di molte <strong>città</strong> nel mondo. Da qualche tempo le medesime multinazionali hanno deciso di<br />

agire in proprio e, quindi, di produrre e mettere sul mercato “<strong>città</strong> alternative” che offrono a clienti<br />

disponibili, sia finanziariamente sia intellettualmente.<br />

Il paradosso di questi comportamenti è nel fatto che gli stessi soggetti che (mondializzando<br />

il mercato e diffondendo il pensiero unico) hanno indebolito le identità locali, hanno contribuito<br />

alla crisi dei centri storici e all’uniformità urbana, hanno costruito le extraperiferie, adesso<br />

si propongono come i paladini di “<strong>città</strong> umane”. Con la griffe dell’azienda e con la firma di noti architetti<br />

si costruiscono “<strong>città</strong> storiche” della vecchia Europa, rispondendo, ipocritamente e maldestramente,<br />

a quel senso di comunità e identità che quello stesso marchio ha contribuito a distruggere;<br />

soprattutto in USA, ma anche in Cina, quelle stesse multinazionali investono nella realizzazione<br />

di “nuove <strong>città</strong>” ispirate ad uno zotico new urbanism, male interpretato (Katz, 1994;<br />

Spagnoli, 2000).<br />

Il pot-pourri edilizio di Las Vegas, la sua eccentricità e insensatezza di luogo urbano, la<br />

hanno resa un fenomeno unico e, fortunatamente, non replicabile. La mistificazione della varie


Seaside (Florida), Parkside (Texas), Pujiang new town (Cina), Val d’Europe (Francia), Poundburry<br />

(GB), ecc., proprio perché meno plateale, diventa ancor più dannosa per la cultura, per l’identità e<br />

per la storia delle <strong>città</strong>. Queste nuove realtà urbane, ma anche quelle di sostituzione di vecchi<br />

quartieri 8 , sono destinate ad aggravare ulteriormente la condizione urbana degli immigrati (e<br />

delle altre classi povere e deboli) che, non essendo in grado di accedere all’acquisto di questi ulteriori<br />

beni immessi sul mercato, saranno sempre più relegati nella marginalità urbana, metaforica<br />

e reale. Slums, bidonville, favelas e baraccopoli non scompariranno ma, più probabilmente, si replicheranno<br />

all’interno di quelle parti di <strong>città</strong> abbandonate dagli attuali abitanti che, intanto, si saranno<br />

trasferiti nelle nuove “vecchie <strong>città</strong> tradizionali”.<br />

Anche quando non viene invocato il new urbanism e quando l’operazione non è finanziata<br />

da una multinazionale, la riqualificazione dei centri storici è operata con un preoccupante conformismo;<br />

già oggi accade di confondersi e di non capire se si sta seduti ad un caffè dell’ex angiporto<br />

di Salonicco, di Cape Town o di Genova, in quanto medesime sono le architetture, gli arredi<br />

e le bevande servite.<br />

La bellezza delle <strong>città</strong> storiche, quali oggi ci appaiono, non è una condizione realizzata in<br />

un’unica soluzione, essa è stata raggiunta con il trascorrere del tempo e a noi è giunta la risultante<br />

delle diverse culture urbane, ognuna delle quali ha dialogato e interferito con quella che l’aveva<br />

preceduta: la bellezza dei nostri centri storici è la sintesi del tempo urbano traslato nel sincretismo<br />

dello spazio di cui si compongono. Tali abilità si sono smarrite quando, come già accennato, i bisogni<br />

dell’economia industriale non hanno più concesso il tempo necessario alla crescita organica<br />

e l’imperiosa richiesta di velocizzare l’espansione ha imposto di agire in autonomia dalla <strong>città</strong><br />

precedente e in esplicita contrapposizione a essa.<br />

Il migliore urbanista e il più qualificato degli architetti non possono che essere sterili comparse<br />

di uno spettacolo la cui regia è imposta da modelli economici preponderanti e perentori. Se<br />

per i nostri centri storici siamo in grado di garantire la conservazione delle pietre, assicurando in<br />

questo modo un simulacro di forma e, forse, di senso (a futura emblematica memoria) non sarà<br />

possibile fare lo stesso con culture, usi, costumi, bruscamente interrotti nella propria naturale evoluzione<br />

fisiologica.<br />

Il destino e la qualità della vita urbana offerta all’immigrato non possono che corrispondere<br />

al destino e alla qualità del ruolo sociale per esso predisposto.<br />

Fino a quando le leggi che regolano “ingressi” e “permanenze” dei poveri del pianeta saranno<br />

basate su esclusivi interessi mercenari, fino a quando lo straniero non sarà considerato altro<br />

che una macchina da lavoro da utilizzare e poi rispedire al mittente, fino a quando l’immigrato<br />

non sarà una persona con diritti e doveri pari a quelli tutte le altre, …, non ci sarà integrazione etnica,<br />

non ci sarà società multiculturale e, pertanto, si allontanerà sempre più ogni possibile ipotesi<br />

di <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong>, di una <strong>città</strong> equa per ogni bisogno sia esso dovuto all’età, alla condizione fisica<br />

e sociale, alla razza, agli usi, costumi e religioni.<br />

Concludendo un discorso solo accennato ma che richiederebbe una ben più ampia e articolata<br />

riflessione, ci si limita a indicare che la strada da seguire non può essere quella di riproporre<br />

la forma dell’urbano del tempo che fu (il Rinascimento si riferì alla cultura classica riscoperta, ma<br />

la reinterpretò adeguandola alle mutate istanze sociali del proprio tempo).<br />

Se è vero che gran parte della migrazione di popoli è mossa da ragioni di bisogno economico,<br />

la ricerca di soluzioni non può essere confinata nelle logiche del mercato ma richiede l’intervento<br />

di tutto ciò che concerne la formazione del cittadino.<br />

Ricordando che l’architetto è diverso dall’ape e che, contrariamente dall’insetto, è sempre<br />

stato capace di innovare la costruzione del proprio habitat, la strada da percorrere è quella già indicata<br />

da Mumford: luoghi urbani adeguati a ognuna delle differenze ma progettati con la consapevolezza<br />

della nuova identità, di quella nuova cultura locale che si formerà proprio dall’incontro<br />

delle attuali diversità (Cini, 1976).<br />

8 Gli esempi in tal senso molto diffusi in USA (tra i primi, Lafayette Courts a Baltimora e Britton Street a San<br />

Francisco) iniziano anche in Europa (p.e. Quartier am Tacheles a Berlino o nel comune di Plessis-Robinson in Francia).<br />

175<br />

IL PROGETTO URBANISTICO:<br />

SPAZI E FUNZIONI


176<br />

CAPITOLO 5<br />

5.2 (RI)PROGETTARE LE FUNZIONI URBANE DELL’AGGREGAZIONE E DELL’INTEGRAZIONE<br />

“All’urbanista spetta di ricomporre i momenti della vita economica e sociale in un disegno<br />

unitario, ricercando una connessione organica tra privato e pubblico, tra residenza e luogo di<br />

lavoro, tra centri di produzione e centri di consumo, tra le sedi di istruzione e di formazione<br />

professionale e gli spazi demandati alla fruizione del tempo libero (…)”.<br />

(Berta, 1980, p. 144)<br />

5.2.1 Strumenti urbanistici e normative per la riorganizzazione delle attività<br />

Compito dell’urbanistica è organizzare lo spazio e le regole d’intervento in funzione della<br />

domanda espressa dalla collettività, una collettività in cui tutti gli individui devono esprimere le<br />

proprie esigenze e i propri bisogni e devono avere eque possibilità. Dovere della pianificazione è<br />

tradurre in termini di organizzazione territoriale un progetto di tipo politico, una volontà espressa<br />

dalla società. Se alla società compete definire lo scenario generale dell’integrazione e/o scontro<br />

tra individui di etnie diverse, agli urbanisti spetta il compito di prevedere sul territorio le forme e<br />

gli strumenti per conseguire gli obiettivi che la politica propone.<br />

La cultura occidentale si basa <strong>sulla</strong> libertà e <strong>sulla</strong> tolleranza, valori che, per chi fa urbanistica,<br />

si traducono nell’adattare lo spazio in funzione delle necessità (tutte) espresse e nel garantire<br />

il soddisfacimento di alcuni dei bisogni fondamentali degli uomini (ad esempio di uno spazio<br />

abitabile), in modo da consentire un’equa accessibilità spaziale ai beni (servizi essenziali): beni e<br />

spazi che sono vissuti e, dunque,“entrano” nella <strong>città</strong> solo se sono realmente condivisi.<br />

Comprendere i diversi interessi, per chi fa urbanistica, significa conoscere la domanda e<br />

realizzare un’offerta idonea. Ciò vale sia per la <strong>città</strong> tradizionale, dell’insediamento monoetnico,<br />

sia, ancor più, per la nuova <strong>città</strong>, sede e luogo di incontro di etnie diverse.“[…] Se è vero che la decisione<br />

politica determina le regole della convivenza multietnica, è pur vero che gli spazi e gli edifici<br />

in cui la convivenza si realizza sono responsabilità di tecnici in grado di tradurre la domanda<br />

in forma e intensità d’uso dei luoghi: tecnici […] in grado di capire la domanda delle utenze multietniche<br />

e di tradurla in spazi, edifici, piazze, servizi […]” (Petrella, 2003).<br />

La sfida, dunque, è cercare una risposta equa e solidale, in termini di benefici “pubblici”,per<br />

le diverse domande espresse dalle differenti comunità che vivono fianco a fianco nel territorio:“i<br />

pianificatori servono l’interesse pubblico negoziando una sorta di pluralismo multiculturale”<br />

(Carta, 2001).<br />

E, allora, la domanda è come e con quali strumenti creare spazi plurali e unificanti? Perché<br />

la <strong>città</strong>, come scrive La Cecla, è un dispositivo spazio-relazionale che può contribuire ad includere<br />

come ad escludere gli abitanti (La Cecla, 2000).<br />

Partendo dal presupposto che l’obiettivo è l’integrazione delle differenze nella <strong>città</strong>, luogo<br />

di maggiore concentrazione, e nel territorio e che questa deve essere l’idea guida di ogni piano o<br />

progetto, è possibile prevedere diverse possibilità di riutilizzazione dello spazio, attraverso diversi<br />

strumenti urbanistici e non, tutte in grado di perseguire questo scopo. Certo, l’urbanistica non<br />

può garantire la convivenza pacifica all’interno della società, questo compito compete alla politica,<br />

ma può “certamente” facilitare una più democratica accessibilità spaziale alle diverse opportunità<br />

urbane, procurando, nel concreto degli interventi, le stesse opportunità a ognuno dei<br />

gruppi che si compongono nella <strong>città</strong>.<br />

Il primo strumento che, senza alcun dubbio, può contribuire al miglioramento della qualità<br />

della vita e a rendere la <strong>città</strong> accessibile è il PRG inteso come “…il prodotto di un’azione sociale in<br />

cui si confrontano interessi e ragioni” (Mazza, 1997, p. 20). Se lo scopo di un piano per la <strong>città</strong> multietnica<br />

è mettere in atto azioni che contrastino la precarietà e l’emarginazione, bisogna prevedere<br />

interventi che facilitino l’entrata dei nuovi arrivati nei circuiti di vita sociale e collettiva di una<br />

comunità, che creino insomma luoghi di connessione. A tale scopo bisogna realizzare, contestualmente<br />

e contemporaneamente, case e servizi nella struttura urbana. Per l’alloggio si devono garantire<br />

standard minimi di qualità e una localizzazione diffusa che dissuada la formazione di


ghetti 9 . Per i servizi bisogna prevedere strutture che consentano di vivere degnamente e che, allo<br />

stesso tempo, favoriscano la socializzazione: strutture, cioè, che devono essere aperte ad un uso<br />

congiunto, con una piena fruibilità anche da parte dei residenti autoctoni, in modo da favorire il<br />

processo di integrazione. Visto che sia gli alloggi che i servizi sono dimensionati e proporzionati<br />

dal PRG, è chiaro che le scelte compiute con questo strumento valgono da sole a creare segregazione<br />

sociale o inclusione dei nuovi cittadini.<br />

Una premessa è necessaria: ogni Regione Italiana, in virtù della competenza legislativa in<br />

materia di urbanistica prima (1972) e di governo del territorio poi (2001) può o meno affrontare<br />

la problematica nei propri strumenti urbanistici o, addirittura, creare strumenti appositamente rivolti<br />

alla risoluzione della questione multietnica nelle <strong>città</strong>.<br />

Ancora di più oggi, con il passaggio dall’“urbanistica” 10 , al nuovo concetto di “governo del<br />

territorio” 11 . Il nuovo concetto è esplicitato da un disegno di legge in discussione in Parlamento 12<br />

che definisce il governo del territorio come l’insieme “…delle attività conoscitive, valutative, regolative,<br />

di programmazione, di localizzazione e di attuazione degli interventi, nonché di vigilanza e<br />

di controllo, volte a perseguire la tutela e la valorizzazione del territorio, la disciplina degli usi e<br />

delle trasformazioni dello stesso e la mobilità in relazione a obiettivi di sviluppo del territorio. Il<br />

governo del territorio comprende altresì l’urbanistica, l’edilizia, l’insieme dei programmi infrastrutturali,<br />

la difesa del suolo, la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali, nonché la cura degli<br />

interessi pubblici funzionalmente collegati a tali materie” 13 .<br />

L’organizzazione delle spazio e, soprattutto, l’integrazione tra tutti gli aspetti che incidono<br />

sull’organizzazione del territorio, compresi, naturalmente, quelli legati alle esigenze della nuova<br />

popolazione, devono assumere un ruolo centrale nel governo della <strong>città</strong>.<br />

Ciascun Ente comunale, inoltre, in base al recente TU degli enti locali ha competenza per<br />

“…tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente<br />

nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell’assetto ed utilizzazione<br />

del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri<br />

soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze” 14 .<br />

Lo strumento che il Comune ha per organizzare il proprio territorio è, ancora oggi, almeno<br />

in base ai principi della Legge urbanistica tuttora vigente, la Legge 1150/42, il PRG. Con il PRG-PUC<br />

un’Amministrazione può assegnare un peso più o meno differente alla problematica migratoria,<br />

scegliendo di intervenire sia per quanto riguarda l’inserimento residenziale dei nuovi cittadini, sia<br />

per quanto riguarda la realizzazione di servizi ad essi deputati. Una premessa è, però, doverosa:<br />

nessuna legge urbanistica o di governo del territorio tratta globalmente la problematica né, tanto<br />

meno, cerca di inserire l’aspetto della nuova domanda nella gestione urbanistica.<br />

Fatta questa puntualizzazione, è in ogni caso il PRG “lo strumento con il quale si realizza il<br />

confronto e la sintesi tra esigenze ed obiettivi, politiche e programmi, progetto ed attuazione, nel<br />

processo di governo del territorio” (Sartorio, 2004, p. 9). Al piano regolatore spetta il compito di risolvere,<br />

almeno in linea generale e <strong>sulla</strong> scorta delle scelte politiche dell’amministrazione locale,<br />

le problematiche legate alla qualità della vita della popolazione tutta, senza distinzione di specie<br />

e di razza.<br />

Dall’analisi della situazione delle diverse regioni, emerge, tuttavia, che in ciascuna Regione<br />

i due settori, pianificazione e immigrazione, risultano ancora fortemente separati. In riferimento<br />

9 Si può pensare agli alloggi sociali, come previsto dall’articolo 40 del TU, se, però, per alloggi sociali intendiamo<br />

strutture collettive che permettono la convivenza di famiglie differenti, ciascuno con il proprio spazio di vita, e con gli<br />

spazi di relazione in comune. In tal caso la struttura potrebbe diventare anche una struttura che facilita l’integrazione.<br />

10 La delega alle Regioni della materia è stata attuata con il DPR n. 8 del 15 gennaio 1972, mentre il trasferimento<br />

delle funzioni dallo Stato, cominciato nel 1970, con la L. 281, si è definito nel 1977 con il DPR n. 616.<br />

11 Vedi Titolo V, art. 117 della Costituzione, come modificato nel 2001 e confermato nel 2005.<br />

12 Vedi Disegno di legge n. 3519 “Principi in materia di governo del territorio” VIII Commissione Ambiente e<br />

Lavori pubblici, approvato dalla Camera dei Deputati il 28-06-2005.<br />

13 Vedi art. 1, c.2, <strong>Testo</strong> unificato varato dalla VIII Commissione Territorio, Ambiente, Beni Ambientali del Senato,<br />

Disegno di Legge n. 3519.<br />

14 Vedi art. 13, c. 1, Dlgs. 267/2000.<br />

177<br />

IL PROGETTO URBANISTICO:<br />

SPAZI E FUNZIONI


178<br />

CAPITOLO 5<br />

poi alla problematica dei servizi, da un’attenta lettura dei contenuti dei diversi strumenti comunali,<br />

come definiti nelle specifiche leggi regionali, inoltre, risulta che la gran parte degli interventi<br />

messi in campo dall’urbanistica è orientata a dare una risposta quasi esclusivamente quantitativa<br />

alla problematica.<br />

5.2.2 La problematica dei servizi<br />

Per definire un’offerta di servizi e di spazi che sia in grado di soddisfare le necessità, sia<br />

della popolazione indigena che di quella straniera, non ci si potrà più limitare all’approccio quantitativo<br />

previsto dalla normativa nazionale (D.M. 1444/’68), ma sarà necessario comprendere la<br />

nuova domanda nella sua molteplicità e tradurla nella dimensione fisico-sociale degli spazi di relazione,<br />

includendo tra questi anche quelli della prima accoglienza 15 .<br />

Solo poche Regioni hanno cercato di risolvere la problematica anche dal punto di vista<br />

della qualità dei servizi offerti.<br />

La Regione che, per prima, si è posta il problema di garantire non solo la quantità, ma anche<br />

la qualità dei servizi offerti è la Lombardia che, prima con la LR 1/2001 e poi con la legge<br />

12/2005, affida al piano dei servizi il compito di valutare, in via prioritaria, le attrezzature del territorio<br />

“… anche con riferimento a fattori di qualità, fruibilità e accessibilità e, in caso di accertata insufficienza<br />

o inadeguatezza delle attrezzature stesse – quantificare – i costi per il loro adeguamento<br />

e individua le modalità di intervento” 16 . Il piano dei servizi segna il passaggio dallo standard<br />

quantitativo a quello prestazionali; la legge regionale ripensa, quindi, la nozione di standard<br />

urbanistico “per fornire una soluzione complessiva alle esigenze di qualità dei servizi ed ai fabbisogni<br />

infrastrutturali, e per dare risposte articolate a bisogni differenziati” 17 .<br />

Due regioni, invece, inseriscono esplicitamente il problema degli standard anche dal punto<br />

di vista prestazionale nel piano urbanistico: si tratta dell’Emilia Romagna e dell’Umbria. L’Emilia<br />

Romagna stabilisce che il proprio PS debba definire “le caratteristiche urbanistiche e funzionali<br />

degli ambiti del territorio comunale, stabilendone gli obiettivi sociali, funzionali e… i relativi requisiti<br />

prestazionali” 18 ,l’Umbria inserisce nel contenuto della parte strutturale del PRG anche “la<br />

configurazione del sistema delle principali attività e funzioni urbane e territoriali, definendo i possibili<br />

scenari di sviluppo quali-quantitativi 19 .L’Emilia Romagna (almeno dal punto di vista normativo)<br />

ha fatto un ulteriore passo in avanti anche in merito al problema delle residenze, attraverso<br />

il progetto di legge “Governo e riqualificazione solidale del territorio”, oggi ancora all’esame della<br />

Giunta regionale. In questo disegno si afferma con chiarezza la necessità, resa più forte “… a seguito<br />

dei significativi processi migratori”, di attuare politiche abitative pubbliche per realizzare<br />

abitazioni dirette a soddisfare il fabbisogno abitativo dei nuclei familiari meno abbienti, tra cui si<br />

inseriscono, appunto, anche gli stranieri 20 .<br />

Un passo in avanti, nel senso dell’attenzione posta alla componente sociale è evidente anche<br />

in Piemonte. Innanzitutto il PRG, in base alla legge del ‘77 e le modifiche successive,“delimita i<br />

centri storici garantendo … la loro utilizzazione sociale” (art. 12) e, poi, pone alla base di ogni previsione<br />

dei servizi e delle residenze la condizione lavorativa. Si tratta, dunque, di una visione del<br />

15 L’individuazione dei bisogni espressi dalla popolazione straniera è la nuova operazione centrale di un piano<br />

per la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong>. Una simile filosofia è quella che sta alla base dei nuovi Piani sociali di zona, previsti dalla legge<br />

328/2000 e dei Piani dei servizi, introdotti dalla legge regionale della Lombardia n. 1/2001.<br />

16 Vedi art. 9, c. 3, LR 12/2005.<br />

17 Comune di Milano. Assessorato allo Sviluppo del Territorio, Direzione Progetto Pianificazione Strategica (2003),<br />

Obiettivi e strumenti per le politiche urbanistiche milanesi, Milano, pag. 30 e seg.<br />

18 Vedi art. 28, c. 2, LR 20/2000.<br />

19 Anche in Liguria la struttura del piano, disciplina gli interventi negli ambiti, in base a criteri non più quantitativi,<br />

bensì soprattutto prestazionali-qualitativi. Un caso diverso è quello della Toscana che, pur richiamando integralmente<br />

il DM 1444/68, rinvia al Regolamento urbanistico la possibilità di intervenire sulle quantità e <strong>sulla</strong> qualità degli<br />

standard. Vedi artt. 4 e 5, c. 4, DPGR 3/R del 9/2/2007.<br />

20 Il 9 ottobre è stato avviato dalla Giunta regionale l´esame del progetto di legge “Governo e riqualificazione solidale<br />

del territorio”.


tutto innovativa 21 che, anche se non riferita specificamente alla problematica multietnica, comunque<br />

affronta uno dei principali temi sociali che condiziona la vita della popolazione e immigrata,<br />

la condizione lavorativa.<br />

A parte questi flebili elementi innovativi, la gran parte degli strumenti comunali previsti si<br />

limita a disciplinare, così come previsto dalle leggi, le aree destinate alla realizzazione di servizi<br />

pubblici e le attrezzature di interesse collettivo e sociale. Il risultato è che le minoranze continuano<br />

ad avere un’accessibilità differenziata alle varie attività esistenti sul territorio, per effetto sia<br />

della “scarsa e disomogenea pianificazione” esistente, sia della mancata integrazione con le politiche<br />

di altra natura operanti nello stesso territorio.<br />

Un altro annoso problema riguarda le politiche della casa. Il problema abitativo è un problema<br />

strutturale nell’organizzazione della <strong>città</strong> e nella pianificazione del territorio. “Il territorio<br />

del progetto urbanistico nei prossimi anni sarà quello già urbanizzato. Sarà necessario conoscerlo,<br />

modificarlo, ricostruirlo. Dovremmo ripensarlo a partire, come avviene in altri paesi europei, dai<br />

grandi quartieri di edilizia pubblica” (Caudo, 2005).<br />

È proprio nei grandi quartieri di edilizia pubblica che il PRG, insieme ad altri piani e programmi<br />

specifici dovrebbe intervenire tramite il recupero e riuso del patrimonio, a partire da<br />

quello realizzato della legge ex 167. In questi quartieri bisognerebbe avviare interventi di ristrutturazione<br />

urbanistica che realizzino servizi e attrezzature, spazi pubblici e luoghi di integrazione,<br />

oltre a prevedere un miglioramento globale delle condizioni di vita degli abitanti e un reale collegamento<br />

con il resto del sistema urbano.<br />

5.2.3 La riqualificazione dei quartieri residenziali<br />

Il tema della convivenza pacifica tra etnie diverse è soprattutto legata alle condizioni di vita<br />

e di accessibilità ai servizi nella <strong>città</strong> e, per questo motivo, il tema della riqualificazione urbana può<br />

essere un punto di partenza per la “riqualificazione sociale”, essendo in stretta correlazione con i<br />

due elementi – residenza e servizi – che costituiscono punti fondamentali per la rinascita sociale<br />

e culturale di un territorio.<br />

Il problema residenziale è uno dei principali problemi cui l’urbanistica deve dare risposta.<br />

La casa rimane “la principale condizione urbana dell’insediamento degli immigrati e allo<br />

stesso tempo la più problematica. È il primo elemento di una ritrovata sicurezza e protezione rispetto<br />

a un ambiente non sempre favorevole e accogliente, al contempo la possibilità di disporre<br />

di una propria abitazione è il principale requisito per un percorso di insediamento stabile”<br />

(Granata, Lanzani, Novak, 2003, p. 162). La casa è vista come spazio del radicamento, nella sua valenza<br />

fisica, come luogo di protezione, nella sua valenza simbolica, e come luogo degli affetti.,<br />

nella sua valenza sentimentale.<br />

La casa, quindi, è uno dei parametri principali della qualità della vita delle famiglie immigrate<br />

in Italia ed è, inoltre, uno degli elementi che determina la maggiore o minore integrazione<br />

nel contesto urbano. Certo la realizzazione di nuovi quartieri di ERP specificamente destinati, così<br />

come succede nel nostro Paese, può concorrere a creare nuove sacche di emarginazione, in cui, a<br />

differenza che nel passato, convivono non solo tutti i soggetti bisognosi, ma anche gli immigrati.<br />

È, perciò, indispensabile, anziché puntare alla realizzazione di nuovi alloggi, recuperare l’esistente<br />

Proprio nell’ambito delle politiche per la casa, in particolare all’interno delle linee di programmazione<br />

nazionale e regionale del CER, in Italia sono nati i cosiddetti programmi complessi.<br />

Essi sono strumenti tutti accomunati da alcune caratteristiche:<br />

– integrazione di risorse pubbliche e private;<br />

– pluralità di funzioni e di soggetti;<br />

– forme concertative o di partenariato;<br />

– snellezza o agevolazioni amministrative per la definizione dell’iter procedurale;<br />

– accesso a fondi pubblici non automatico, ma a seguito di procedure concorsuali e di selezione<br />

<strong>sulla</strong> base di avvisi pubblici.<br />

21 Vedi art. 12, LR 56 del 5-12-1977.<br />

179<br />

IL PROGETTO URBANISTICO:<br />

SPAZI E FUNZIONI


180<br />

CAPITOLO 5<br />

Si tratta di programmi che, assumendo come obiettivo la riqualificazione del tessuto urbanistico,<br />

edilizio ed ambientale, mirano ad incidere <strong>sulla</strong> riorganizzazione urbana, elevando la dotazione<br />

di servizi, la qualità insediativa e la funzionalità urbana.<br />

I primi, in ordine temporale, sono i Programmi di recupero urbano22 costituiti da un insieme<br />

sistematico di opere finalizzate alla manutenzione, all’ammodernamento delle urbanizzazioni primarie,<br />

con particolare attenzione ai problemi di accessibilità degli impianti e dei servizi a rete e<br />

delle urbanizzazioni secondarie, all’edificazione di completamento e di integrazione dei complessi<br />

urbanistici esistenti, alla manutenzione ordinaria e straordinaria, al restauro, al risanamento<br />

conservativo e alla ristrutturazione edilizia degli edifici.<br />

I PRU sono finalizzati anche all’edificazione di completamento e di integrazione dei complessi<br />

edilizi esistenti, prevalentemente del patrimonio di edilizia residenziale pubblica; essi comprendono,<br />

però, anche aree esterne per la realizzazione di interventi organici. Con questo strumento<br />

la partecipazione dei capitali privati diventa un fattore essenziale: il programma di recupero<br />

urbano deve essere realizzato in accordo tra la componente pubblica e privata (art. 11) 23 .<br />

Secondo programma “complesso” è il Programma di riqualificazione urbana24 , che si ripropone<br />

di ottenere la riqualificazione urbanistica di zone degradate, cioè la salvaguardia e l’incremento<br />

della dotazione di verde, di attrezzature e di spazi urbani rispetto alle preesistenze e il miglioramento<br />

della qualità degli insediamenti residenziali. L’ambito di intervento del programma<br />

ricade all’interno di zone in tutto o in parte già edificate; infatti, il Comune ne delimita l’ambito<br />

territoriale in base:<br />

– all’ampiezza del degrado edilizio, urbanistico, ambientale, economico e sociale;<br />

– al raggio di influenza delle urbanizzazioni primarie e secondarie;<br />

– al ruolo strategico del programma rispetto al contesto urbano e metropolitano.<br />

I finanziamenti possono essere richiesti da Comuni, con caratteristiche specifiche, e dai soggetti<br />

privati attuatori degli interventi25 .<br />

Nel 1997 vengono banditi i Contratti di quartiere26 , che hanno l’obiettivo di promuovere la<br />

riqualificazione edilizia e sociale di “quartieri segnati da diffuso degrado delle costruzioni e dell’ambiente<br />

urbano e da carenze di servizi in un contesto di scarsa coesione sociale e di marcato<br />

disagio abitativo”. I Contratti di quartiere devono essere compresi nei piani per l’edilizia economica<br />

e popolare27 , aventi o meno valore di piano di recupero28 , nelle zone di recupero29 ,in<br />

comparti di edifici particolarmente degradati30 , nelle aree assoggettate a recupero urbanistico31 ,<br />

o in aree aventi analoghe caratteristiche eventualmente individuate nella legislazione<br />

regionale. Questi nuovi programmi sono finalizzati, per quanto riguarda la componente urbanistico-edilizia,<br />

a:<br />

– rinnovare i caratteri edilizi e incrementare la funzionalità del contesto urbano assicurando,<br />

nel contempo, il risparmio nell’uso delle risorse naturali con particolare riferimento<br />

alle risorse energetiche;<br />

– accrescere la dotazione di servizi di quartiere, del verde pubblico e delle opere infrastrutturali;<br />

– migliorare la qualità abitativa e insediativa attraverso il perseguimento di più elevati<br />

standard anche di tipo ambientale.<br />

22 Vedi art. 11 della legge n. 493 del 1993.<br />

23 I soggetti legittimati a presentare proposte sono gli Istituiti Autonomi Case Popolari (IACP), i Comuni, imprese<br />

di costruzione e cooperative di altri soggetti pubblici e privati in forma consortile o associata.<br />

24 Vedi D.M. LL. PP. 21 dicembre 1994, integrato dal D.M. 29 novembre 1995.<br />

25 I comuni legittimati a richiedere i finanziamenti sono i comuni con popolazione superiore ai 30000 abitanti e<br />

i comuni con essi confinanti, i capoluoghi di provincia, i comuni ricadenti in ambiti urbani sovracomunali interessati da<br />

rilevanti fenomeni di trasformazione economica.<br />

26 Istituiti con D.M. LL. PP ottobre 1997.<br />

27 Vedi legge n. 167/62.<br />

28 Ai sensi dell’art. 34 della legge n. 457/78.<br />

29 Vedi art. 27 della legge n. 457/78.<br />

30 Vedi art. 18 della legge n. 392/78.<br />

31 Vedi art. 29 della legge n. 47/85.


Nel 2003 è stato finanziato un nuovo programma che prevede l’intervento in situazioni caratterizzate<br />

da diffuso degrado delle costruzioni e dell’ambiente urbano, da carenza di servizi e da<br />

un contesto di scarsa coesione sociale e di marcato disagio abitativo. In aggiunta agli obiettivi<br />

della prima serie dei programmi, il Contratto di quartiere II promuove misure ed interventi per favorire<br />

l’occupazione e l’integrazione sociale, con l’obiettivo di dare risposta alla sempre più diffusa<br />

richiesta di qualità abitativa ed urbana e di ricercare al contempo obiettivi di sviluppo economico<br />

e sociale. I temi di sperimentazione da sviluppare riguardano obiettivi generali di qualità e riflettono<br />

scelte strategiche finalizzate all’innalzamento degli standard qualitativi sia a livello di alloggio<br />

che di contesto urbano.<br />

A differenza della prima generazione dei Contratti di Quartiere, questo secondo finanziamento<br />

viene gestito dalle singole regioni, che attraverso propri bandi invitano le amministrazioni<br />

comunali a proporre progetti e a competere per la destinazione dei fondi.<br />

I programmi italiani hanno, quindi, lo specifico obiettivo della riqualificazione del tessuto<br />

urbanistico, edilizio ed ambientale; essi non tengono conto esplicitamente della componente etnica,<br />

ma prevedono genericamente il miglioramento della qualità della vita di tutti cittadini: da<br />

ciò consegue che, se gli immigrati sono considerati cittadini a tutti gli effetti, tali programmi possono<br />

anche indirettamente rispondere alla domanda sociale posta da questi nuovi soggetti.<br />

Va detto, però, che nel panorama dei programmi complessi, il Contratto di quartiere è un<br />

programma all’avanguardia, fortemente influenzato dalle nuove politiche comunitarie e dalla<br />

nuova logica dell’integrazione delle azioni e delle misure; esso prevede la possibilità anche di intervenire<br />

sull’immateriale, al fine del raggiungimento di uno sviluppo globale. La sinergia tra le diverse<br />

componenti dell’assetto urbano, inoltre, è già alla base della politica dei fondi strutturali<br />

dell’UE 32 , tra cui appunto le componenti fisiche e quelle socio-economiche.<br />

A parte il Contratto di quartiere manca nella programmazione italiana qualsiasi riferimento<br />

alla componente sociale e questo è un limite, sia rispetto alla nostra prospettiva, sia soprattutto rispetto<br />

alle innovazioni introdotte, già a partire dal 1994, dalla politica dei fondi strutturali<br />

dell’UE 33 .<br />

Anche in questo campo, a prescindere dalla partecipazione ai bandi ministeriali, ciascuna<br />

Regione ha apportato innovazioni importanti, introducendo nuovi programmi che hanno preso<br />

l’avvio dal Pin nazionale.<br />

L’antesignana è stata anche questa volta la Lombardia che aveva introdotto i PIN già nel<br />

1986 (LR 22) e li ha confermati nel 1999 (LR 9). Nella versione del 1999, in particolare, la norma si<br />

sposta, oltre che <strong>sulla</strong> componente fisica del degrado, anche e soprattutto sulle problematiche sociali:“nel<br />

caso in cui il programma integrato di intervento sia relativo ad aree interessate da fenomeni<br />

di degrado sociale specificatamente individuate dal consiglio comunale, il programma assume<br />

carattere prevalente e le opere in esso previsto devo essere finanziate prioritariamente dalla<br />

giunta regionale” (art. 3, c. 4, LR 9/99). L’innovazione è importante: l’aspetto del “degrado sociale”,<br />

assente nella strumentazione urbanistica, diventa centrale e concorrente nella risoluzione dei problemi<br />

urbani.<br />

La Regione che, però, esplicitamente si pone il problema dell’immigrazione è solo una,<br />

l’Abruzzo. Con la legge 64/99 la Regione ha previsto il Contributo per la realizzazione di Programmi<br />

di riqualificazione urbana. In questo caso gli interventi devono incentivare, oltre alle<br />

azioni di recupero edilizio, soprattutto la messa a disposizione di alloggi a canoni sociali e la creazione<br />

di strutture ricettive a basso costo, di alloggi in affitto a canone agevolato per lavoratori mobili<br />

sul territorio e di alloggi destinati all’immigrazione di ritorno (art. 1, LR 64/99). La casa è, perciò,<br />

letta e affrontata come uno degli elementi che determina la maggiore o minore integrazione<br />

nel contesto urbano. Gli stranieri, infatti, almeno nel periodo iniziale, incontrano grandi difficoltà<br />

nel reperire un alloggio. In linea generale, l’offerta loro destinata è quella residuale e nella mag-<br />

32 Come ci ricorda anche la Costituzione del 2005 che sottolinea che “La potestà legislativa è esercitata – sempre<br />

– nel rispetto … dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario”.<br />

33 Vedi Programma Urban I per il periodo di programmazione 1994-99 e il Programma Urban II per il periodo<br />

2000-2006.<br />

181<br />

IL PROGETTO URBANISTICO:<br />

SPAZI E FUNZIONI


182<br />

CAPITOLO 5<br />

gior parte dei casi gli immigrati occupano le aree e gli alloggi per cui è venuta meno la domanda<br />

da parte degli autoctoni (Sciortino, Colombo, 2003, p. 104). D’altra parte, a livello legislativo, la regolamentazione<br />

della questione abitativa è avvenuta “spesso rispondendo in maniera estemporanea<br />

alle diverse manifestazioni di disagio sociale che di volta in volta emergevano” (Sciortino,<br />

Colombo, 2003, p. 86) 34 . Inserire, direttamente, l’offerta per la popolazione straniera in un programma<br />

di tipo urbanistico, quindi, è un gran passo in avanti, a dimostrazione della necessità di<br />

affrontare globalmente politiche sociali e urbanistiche.<br />

Sull’idea globale del miglioramento delle condizioni sociali delle <strong>città</strong> si pongono due<br />

Regioni: Calabria ed Emilia Romagna. La Calabria ha introdotto i Programma d’area, finalizzati “…<br />

alla valorizzazione di aree territoriali caratterizzate da peculiari situazioni economiche, sociali, culturali<br />

ed ambientali, nonché di aree urbane per le quali appaiono necessari rilevanti interventi di<br />

riqualificazione o di recupero, per la cui realizzazione sia necessaria l’azione coordinata ed integrata<br />

di più soggetti pubblici o privati” (art. 40, LR 19/2002). L’Emilia Romagna, con la legge 19/98,<br />

introduce il Programma di riqualificazione urbana che deve provvedere anche a:“l’arricchimento<br />

della dotazione dei servizi, del verde pubblico e delle opere infrastrutturali occorrenti; la riduzione<br />

della congestione urbana, garantendo l’accessibilità nelle sue varie forme; …la realizzazione di offerta<br />

abitativa, con particolare riferimento a quella in locazione; la qualità sociale e nuova occupazione<br />

qualificata” (art. 4, c. 3, LR 19/98).<br />

Un caso a sé è la Campania che, nonostante sia la Regione che, per prima nel Sud Italia, ha<br />

emanato leggi specifiche in materia di immigrazione (legge n. 10 del 1984) e sia l’unica che oggi,<br />

con grande forza, continua a porre il problema dell’inserimento degli stranieri, nulla ha previsto<br />

da questo punto di vista né nella Legge sul governo del territorio (LR 16/2004), né nelle sue<br />

norme specifiche sui Programmi integrati (LR 3/96, LR 26/2002).<br />

Le altre Regioni, invece, trattano la problematica del degrado, quasi esclusivamente come<br />

degrado edilizio e solo in pochi casi si spostano <strong>sulla</strong> problematica del degrado funzionale. È il<br />

caso della Regione Umbria che ha introdotto il programma urbanistico, uno strumento che può<br />

assumere il valore di uni dei cosiddetti programmi complessi ed è finalizzato alla riqualificazione<br />

urbanistica, da effettuare attraverso “interventi integrati in parti del territorio ove sono presenti<br />

fenomeni di degrado edilizio, di abbandono, di dismissione, ovvero carenza di servizi e infrastrutture”<br />

35 .<br />

Senza dubbio l’attivazione di programmi integrati, finalizzati alla rigenerazione dei quartieri,<br />

che comportino l’intervento sui quartieri di edilizia pubblica, integrando differenti modelli di<br />

intervento, è un risultato di per sé già importante. È chiaro però, che, nonostante questi casi eccezionali,<br />

siamo ancora molto lontano dalla previsione di norme urbanistiche e di programmazione<br />

che tentino di risolvere complessivamente la problematica della convivenza.<br />

L’urbanistica, perciò, deve fare un passo in avanti. I tecnici della <strong>città</strong>, <strong>sulla</strong> scia delle indicazioni<br />

che arrivano anche dall’UE, devono “[…] realizzare un nuovo modello di <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong>,<br />

[…], una <strong>città</strong> in cui sviluppare relazioni sociali improntate alla comprensione ed al rispetto, […]<br />

una <strong>città</strong> in cui, accanto al rispetto dei diritti delle minoranze, deve essere affermato il rispetto dei<br />

doveri collettivi” (Beguinot, 2004, p. 6).<br />

Il sistema di interventi che si deve realizzare è, naturalmente, quello classico della competenza<br />

urbanistica: si interviene <strong>sulla</strong> “<strong>città</strong> della pietra” e <strong>sulla</strong> “<strong>città</strong> delle relazioni”, con la consapevolezza<br />

dell’impatto che ciascun intervento produce <strong>sulla</strong> “<strong>città</strong> del vissuto” (Beguinot, 1992).<br />

Porre l’attenzione <strong>sulla</strong> componente fisica e strutturale non significa, tuttavia, trascurare la<br />

necessaria azione sociale, in quanto si è consapevoli che l’ “oggetto urbano”, da solo, non è in<br />

grado di produrre significativi mutamenti del sistema complessivo. In questo senso, il progetto<br />

presuppone a monte un sistema politico di interventi, teso ad attivare e supportare le nuove “relazioni<br />

sociali” per un’equa e pacifica convivenza <strong>interetnica</strong>.<br />

Perché se è vero che alla pratica urbanistica si può attribuire la responsabilità di aver spesso<br />

agito <strong>sulla</strong> “<strong>città</strong> della pietra”, trascurando l’azione <strong>sulla</strong> “<strong>città</strong> delle relazioni”, è anche vero che la re-<br />

34 Ivi, pag. 86 e sgg.<br />

35 Vedi art. 28, c. 1, LR 11/2005.


sponsabilità più grande dei ritardi che si registrano nel nostro ambito è da imputare alla gestione<br />

della <strong>città</strong>, intendendo per gestione l’atto politico delle scelte ex ante e l’atto politico dell’amministrazione<br />

ex post.<br />

5.3 (RI)PROGETTARE GLI SPAZI URBANI DELL’AGGREGAZIONE E DELL’INTEGRAZIONE<br />

5.3.1 Design urbano e <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong><br />

Considerando la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> un luogo concreto, un ambiente fisico e una forma simbolica<br />

del vivere associato, si prefigurano nuovi modelli di spazio urbano, riconcettualizzando, risemantizzando<br />

quelli tradizionali e ri-progettando gli spazi pubblici della <strong>città</strong> contemporanea.<br />

Gli individui, nello spazio urbano contemporaneo, non hanno più un vocabolario ricco di<br />

immagini di segni e di elementi che permetta un dialogo espressivo, da qui la necessità di dar vita<br />

a nuovi spazi pubblici “polisegnici” che solo la <strong>città</strong> “<strong>interetnica</strong>” può esprimere.<br />

Il de-sign, come disciplina che dice ed opera con i segni, può tentare di “sincronizzare” i fenomeni<br />

urbani attuali in rapporto allo sviluppo “diacronico” dal passato al futuro di una determinata<br />

situazione, interpretando le scelte arbitrarie e forse involontarie, che ciascun individuo compie<br />

nel suo essere nella <strong>città</strong>.<br />

Il design urbano interetnico può essere una possibile fonte di significato spazio-culturale in<br />

una realtà urbana “multiculturale”, in particolare, il design urbano può riconciliare tecnologia e cultura,<br />

creando significati condivisi e riformulando lo spazio pubblico della <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong>.<br />

Lo spazio della <strong>città</strong> contemporanea è una realtà frenetica: “la nostra società in pochi anni<br />

è passata da un modello caratterizzato dalla dinamica dei bisogni, ad un altro plasmato a quello<br />

dell’estetica evolutiva di nuovi significati esistenziali” (Fagioli, 1994). Questa modernità è dominata<br />

dalla velocità e dall’accelerazione, che inducono a processi di produzione e consumo sempre<br />

più veloci. “Spazio tempo e velocità sono componenti fondamentali dell’essere umano…e della<br />

<strong>città</strong>” intesa come “massima concentrazione dell’esperienza umana” (Beguinot, Cardarelli, 1992).<br />

Pertanto, il progetto della <strong>città</strong> futura dovrà sempre più tener conto di questi elementi prioritari<br />

nella vita di relazioni dell’uomo e nella vita urbana. La disattenzione, negli ultimi anni, a queste<br />

componenti ha determinato una crisi culturale (di superficialità e banalità) della società; in tale<br />

contesto il rapporto tra individuo e oggetto urbano è divenuto un problema di comunicazione, in<br />

cui l’arte costituisce un mezzo fondamentale per la comunicazione interpersonale e sociale. Gli<br />

elementi che compongono la <strong>città</strong> vengono esperiti e fruiti in modo distratto, sollecitando il desiderio<br />

verso nuove componenti espressive; in altri termini, gli individui a contatto con l’ambiente<br />

urbano “non hanno più un vocabolario ricco di immagini e di elementi che permetta un dialogo<br />

espressivo, ma hanno a disposizione solamente scarsi riferimenti in grado di arricchire questo<br />

stesso linguaggio” (Beguinot, Cardarelli, 1992), da qui la necessità di dar vita a nuovi spazi pubblici<br />

“polisegnici” che solo la <strong>città</strong> “<strong>interetnica</strong>” 36 può esprimere.<br />

Ci troviamo di fronte a un vero consumo delle immagini che ci sfiorano appena senza lasciare<br />

traccia significativa, è aumentata nell’uomo la capacità percettiva verso le figure che si susseguono<br />

e si sovrappongono, ma è diminuita la capacità di osservare e memorizzare. Le immagini<br />

sono diventate materiale privilegiato su cui lavorare perché in esse “c’è una forma di fatalità che<br />

colpisce, determinando in ognuno di noi la comprensione istintiva del tutto” (Cremonini, 2000). Le<br />

strade, le piazze, gli spazi pubblici collettivi rappresentano dimensioni reali dell’immagine vitale di<br />

una <strong>città</strong>, anche se oggi essi non rappresentano più i luoghi dell’incontro, dove l’individuo può riconoscere<br />

la propria condizione esistenziale quale parte integrante di una società; risulta sempre<br />

più difficile trovare ambiti dove lo scambio di esperienze possa costituire un elemento base per la<br />

creazione di un luogo.<br />

36 La <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> è un luogo concreto, un ambiente fisico e una forma simbolica del vivere associato, regolata<br />

da un sistema di norme ampiamente condivise…la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> è una forma di comunità, un desiderio, uno stile<br />

di vita collettivo; (Tufano, 2006).<br />

183<br />

IL PROGETTO URBANISTICO:<br />

SPAZI E FUNZIONI


184<br />

CAPITOLO 5<br />

La ricerca progettuale ed intellettuale deve formulare nuovi modelli di spazio urbano,<br />

riconcettualizzando quelli tradizionali e ri-progettando gli spazi pubblici della <strong>città</strong> contemporanea.<br />

Alla stratificazione della <strong>città</strong> nel tempo, ai diversi apporti che la storia deposita nel suo palinsesto,<br />

è divenuto necessario affiancare una sorta di stratificazione della <strong>città</strong> in senso spaziale,<br />

ossia i diversi apporti depositati dalla geografia ed in particolare dalla geografia delle migrazioni.<br />

La <strong>città</strong> cristallizza le antiche configurazioni territoriali e, al tempo stesso, perpetua le pratiche<br />

sociali delle generazioni precedenti; essa non dissocia, ma anzi fa convergere in uno stesso<br />

luogo i frammenti di spazio e le abitudini derivanti da diverse epoche passate. Lo spazio urbano<br />

mette in rapporto costante i continui, e apparentemente più insignificanti, adattamenti dei comportamenti<br />

cittadini con i ritmi più discontinui dell’evoluzione delle forme urbane (Olmo, Lepetit,<br />

1995, p. 32).<br />

Si ritiene che l’irrompere delle migrazioni nelle grandi <strong>città</strong> europee legittimi (nell’ambito<br />

del progetto urbano) la convergenza di altri “frammenti di spazi”, di consuetudini insediative e<br />

spaziali derivanti da altri luoghi, oltre che da epoche passate, come già accade nelle <strong>città</strong> storiche<br />

di lunga tradizione. L’idea di métissage è in qualche modo costitutiva del paesaggio di pietra, oltre<br />

che una direzione preferenziale nel movimento della cultura e della società.<br />

Ad una nozione di contesto definita in senso diacronico (relativa alla storia della <strong>città</strong>),<br />

andrebbe affiancata anche una parallela nozione di contesto definita dal punto di vista geografico<br />

(relativa quindi alla trama dei rapporti e degli scambi, delle influenze e delle contaminazioni,<br />

dei transfert di modelli ed esperienze e del loro continuo riadattamento creativo alle condizioni<br />

locali); ogni società capace di adattarsi e assimilare elementi nuovi è estremamente vitale.<br />

F. Dei ritiene che non sia più possibile descrivere oggi i rapporti tra culture in termini di<br />

autonomia, pluralità e relatività, ma piuttosto attraverso termini della giustapposizione e del<br />

sincretismo.<br />

Risulta difficile pensare ancora all’umanità come suddivisa in molteplici isole culturali,<br />

distinte come le specie naturali, tendenzialmente autosufficienti, ci troviamo, al contrario, in una<br />

situazione di comunicazione generalizzata: il mondo contemporaneo vede un enorme aumento<br />

della mobilità, un rimescolamento demografico, una circolazione dei prodotti e delle conoscenze<br />

senza precedenti. La globalità dei processi economici e politici crea reti di interconnessioni<br />

che penetrano fin dentro i contesti locali più periferici. Tutto questo contribuisce a rendere i<br />

confini culturali sempre più confusi e mutevoli; “la sistematica ibridazione, l’aggregazione di<br />

tratti eterogenei in nuove e instabili configurazioni, è adesso la regola, non più soltanto la patologica<br />

distorsione di una presunta originaria purezza delle matrici culturali” (Dei, 1993, p. 68).<br />

5.3.2 Lo spazio semiotico urbano<br />

Il linguaggio è uno dei temi centrali che definiscono gli ambiti culturali di un luogo e di un<br />

tempo, attraverso il processo semiotico l’uomo acquisisce conoscenze determinate, le mette alla<br />

prova nell’azione, le rielabora, le modifica, insieme comunicando, perché il pensiero opera attraverso<br />

i segni.<br />

Le <strong>città</strong> sono costituite da segni, oggetti materiali dotati di funzioni e significati; esse sono<br />

insiemi complessi di entità materiali, il cui valore e significato muta in relazione con i cambiamenti<br />

dell’ordine sociale.<br />

“Gli oggetti artificiali fanno parte della totalità denominata cultura nella loro concretezza e<br />

non soltanto, come siamo indotti a pensare, nella forma ideale. Ogni oggetto concreto è riconoscibile<br />

e significativo, perché consente di risalire alla pratica sociale, dal cui punto di vista è stato<br />

prodotto. A partire da ciascun oggetto, dunque, per il tramite della funzione segnica ad esso associata,<br />

è possibile risalire alla prassi umana nella sua totalità e complessità” (Guarrasi, de Spuches,<br />

Picone, 2002, p. 10).<br />

Per potersi orientare nel mondo e agire in esso, gli esseri umani devono attuare un’operazione<br />

di rappresentazione del mondo in cui vivono, anche attraverso segni.


La tendenza della società contemporanea verso l’organizzazione dello spazio geografico a<br />

scala planetaria rende sempre più esplicita una delle più peculiari funzioni urbane e sempre più<br />

urgente il compito di esplorare l’universo dei segni che rendono possibile l’interazione tra uomini<br />

di culture diverse e l’elaborazione di una mappa cognitiva che orienti l’azione degli esseri umani<br />

in un mondo dotato di un grado così elevato di complessità.“L’esperienza urbana può essere vissuta<br />

dagli esseri umani, può essere espressa attraverso il linguaggio, può essere interpretata <strong>sulla</strong><br />

base di opere d’arte o di scienza, ma rimane comunque irriducibile a tutto questo. Sulla superficie<br />

terrestre vi sono, dunque, luoghi che non si possono pienamente dire, perché non sappiamo compiutamente<br />

pensarli, sono luoghi che i nostri corpi possono soltanto abitare, essi sono le <strong>città</strong>”<br />

(Guarrasi, de Spuches, Picone, 2002). Questi luoghi con la loro crescente complessità sollecitano<br />

gli esseri umani e, in qualche modo, li abilitano a prendere coscienza, a elaborare linguaggi, a<br />

creare nuove teorie e opere.<br />

Giulio Carlo Argan (Zevi, 1994) ritiene che, sono gli uomini ad attribuire valore alle pietre e<br />

valore ai dati visivi della <strong>città</strong>, “la funzione non dà significato, ma semplicemente la ragion d’essere”.<br />

L’autore continua affermando che se, per ipotesi, si potessero rilevare e tradurre graficamente<br />

il “senso” della <strong>città</strong> derivante dall’esperienza inconscia di ogni abitante, per poi sovrapporli<br />

in trasparenza, si otterrebbe un’immagine molto simile ad un quadro di Jackson Pollock:“una specie<br />

di immensa mappa di linee e punti colorati, un groviglio indistricabile di segni”.<br />

Argan individua una similitudine tra la linguistica (strutturalista) e l’urbanistica, ponendo il<br />

fenomeno della formazione, aggregazione e strutturazione dello spazio urbano in analogia con<br />

quello della formazione, aggregazione e strutturazione del linguaggio o, più precisamente, delle<br />

diverse lingue. La configurazione urbana non sarebbe che l’equivalente visivo della lingua:“come<br />

nella lingua anche, la dinamica del sistema urbano si fonda <strong>sulla</strong> relazione di segno significante e<br />

di cosa significata, ma con una possibilità di movimento che può condurre ad un mutamento profondo<br />

sia dell’uno che dell’altra”. L’autore paragona la funzione urbana al discorso ritenendo la<br />

funzione, la direzione di sviluppo, l’espressione dell’intenzionalità, l’accento assiologico che deve<br />

accompagnare la progettazione dello spazio urbano. La funzione non è né arbitraria né è assunta<br />

con finalità esclusiva di altre attività.<br />

“Questo accento assiologico si orienta entro un orizzonte…, un campo molto vasto,… con<br />

i suoi punti di riferimento affettivi o soltanto abituali, il suo insieme di segni e di segnali, i suoi<br />

miti, i suoi riti, …con le sue immagini mnemoniche, percettive, eidetiche, con il suo confuso, pittoresco<br />

contesto. Nel quale sarà sempre possibile ritrovare il ritmo o la struttura dominante, quella<br />

su cui è stata raggiunta una concorde attribuzione di valore”.<br />

“Nessuno sa quel che sarà la <strong>città</strong> di domani. Forse perderà una parte della ricchezza semantica<br />

che ebbe nel passato. Anche se la <strong>città</strong> futura funzionerà perfettamente, adattandosi alle<br />

nuove condizioni di vita come le <strong>città</strong> medioevali rispetto all’esigenze dell’epoca, il suo valore semiologico<br />

non potrà essere conservato che con la convivenza degli abitanti…” (Zevi, 1996).<br />

5.3.3 Il design urbano interetnico<br />

Il design 37 urbano può essere una possibile fonte di significato spazio-culturale in una<br />

realtà urbana multiculturale 38 , che necessita sempre più di protocolli comunicativi e dispositivi di<br />

condivisioni. L’obiettivo principale del design urbano è la qualità, in senso lato, della forma urbana<br />

e del vivere collettivo; il suo ambito operativo è costituito da diverse parti della <strong>città</strong>: piazze,<br />

strade, metropolitane, spazi pubblicitari, spazi ristretti o interstiziali, spazi vitali modificatisi casualmente<br />

che la collettività utilizza o aspira ad utilizzare, spazi relazionali e di comunicazione. Infine,<br />

il design urbano, svincolato da dimensioni limitative, può risolvere problemi di configurazione e<br />

37 Per design si intende quel valore formale che eleva la funzionalità ad esperienza estetica.<br />

38 Il multiculturalismo può essere inteso come una strategia di approccio sociale all’alterità che comporta il rispetto<br />

delle differenze culturali. Il multicultiuralismo, così come definito da Ulrich Bech in un articolo di Repubblica del<br />

19/07/05,“celebra ed enfatizza entusiasticamente l’approccio sociale alla pluralità…, esso implica un’identità e una rivalità<br />

essenzialistiche delle culture”.<br />

185<br />

IL PROGETTO URBANISTICO:<br />

SPAZI E FUNZIONI


186<br />

CAPITOLO 5<br />

interrelazione spaziale, attraverso la gestione di rapporti percettivi tra elementi strutturali. La <strong>città</strong>,<br />

come ambito operativo complessivo, diventa un insieme di ambienti regolati da un sistema relazionale.<br />

Ogni oggetto prodotto dall’uomo, nasce dall’incontro di un’idea con la possibilità della sua<br />

realizzazione concreta, dipende contemporaneamente dallo sviluppo del pensiero (modelli mentali,<br />

strutture culturali, forme della conoscenza) e della tecnica (disponibilità dei materiali, processi<br />

di trasformazione, sistemi di previsione e controllo). L’evoluzione tecnico-scientifica mette a disposizione<br />

enormi possibilità con una velocità superiore alla crescita delle strutture multiculturali<br />

in espansione, imponendo al designer la sperimentazione nel campo del possibile. I cambiamenti<br />

sono repentini e le maggiori resistenze, difficoltà, derivano dalle nostre abitudini consolidate;<br />

occorre lasciare che le flessibilità sociali modifichino le rigidità formali.<br />

Il design urbano interetnico 39 configura l’immagine coordinata della <strong>città</strong> regolando il sistema<br />

relazionale dei prodotti e servizi per la <strong>città</strong> multietnica.<br />

La componente multietnica aumenta il grado di complessità del sistema <strong>città</strong> la cui trasformazione<br />

richiede una metodologia operativa più attenta alle differenze culturali; la domanda di<br />

nuovi bisogni funzionali, psicopercettivi, affettivi, richiede un’attenta analisi e ricognizione di elementi<br />

in fase di ideazione progettuale, attraverso:<br />

a) l’elaborazione di “sensi” derivanti dall’adattamento culturale delle molteplici forme<br />

spaziali;<br />

b) la ricombinazione, il sincretismo delle differenze “etniche”, assumendole come ricchezza<br />

semantica per la progettazione del “nuovo”;<br />

c) la riconciliazione di tecnologia e cultura, producendo significati condivisi;<br />

d) la riformulazione, la riconcettualizzazione dello spazio pubblico della <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong>;<br />

tutto questo mentre si tiene conto dei seguenti aspetti:<br />

1) il dato tecnico;<br />

2) l’elemento estetico;<br />

3) componenti economiche-socio-culturali;<br />

4) sistema relazionale degli elementi strutturanti lo spazio pubblico (edifici, alberi, strade,<br />

piazze, illuminazione pubblica, giardini pubblici, sistemi informativi e pubblicitari):<br />

– la loro distribuzione spaziale,<br />

– i modi con cui essi agevolano le reciproche interrelazioni.<br />

Il design urbano può consentire all’uomo di esperire, vivere lo spazio urbano, rappresentandolo,<br />

attraverso segni linguistici differenti (d’arte o di scienza), che diventano riferimenti,“indicatori”<br />

fondamentali per la conoscenza e l’orientamento nella <strong>città</strong>.<br />

Al fine di riconcettualizzare gli spazi pubblici tradizionali e ri-progettare gli spazi urbani<br />

dell’aggregazione <strong>interetnica</strong>, il design urbano può agire sulle singole componenti e sullo stato<br />

delle relazioni che insieme realizzano subsistemi urbani, lavorando su luoghi-simbolo aperti 40 ,per<br />

evitare formalizzazioni fisico/spaziali etnocentriche.<br />

Nella prassi progettuale, di spazi pubblici interetnici, vi è il rischio di incorrere in stereotipi,<br />

in “prototipi prefabbricati” 41 ; pertanto, quelli che si prefigurano, sono luoghi collettivi (piazze,<br />

strade, metropolitane, mercati, ecc.), dove saranno leggibili i contributi dei cittadini “vecchi” e<br />

“nuovi”. In questi luoghi, mediante il design urbano si favorisce il processo di identificazione, appropriazione<br />

e appaesamento, dando vita a sincretismi urbani 42 , a contaminazioni culturali e a<br />

metissage di culture urbane terze, a spazi attrezzati “elastici”, spazi per la sedentarietà, ma anche<br />

luoghi in cui agevolmente avviene il passaggio e la circolazione di mezzi e persone.<br />

Per la progettazione e realizzazione degli spazi pubblici interetnici, si rende necessario prevedere<br />

e configurare processi di autogestione dello spazio (interno ed esterno) che gli utenti (e gli<br />

immigrati) possono operare per differenziarlo. Tale attenzione eviterà l’acculturazione forzata da<br />

39 Inteso come l’iter progettuale che precede e prevede la realizzazione di un nuovo “prodotto” urbano per e<br />

della <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong>.<br />

40 Con tale termine si indica la propensione, la disponibilità al cambiamento e alla trasformazione.<br />

41 Rappresentazioni collettive, di segni, immagini e figure, riduttive, pronte all’uso.


parte dei progettisti e delle istituzioni, assecondando, in tal modo, sia i bisogni cognitivi di orientamento,<br />

sia i bisogni affettivi di identificazione spaziale, degli utenti. I processi di modellamento<br />

dello spazio della vita sono per la specie umana fondamentali, radicali, proprio nel senso costitutivo<br />

di radici (Signorelli, 1997).<br />

Il design urbano, quindi, inteso come strategia progettuale deve interpretare lo spazio sensibile,<br />

deve costituire una mediazione fra committente (pubblico, privato), prodotti e utenti, promuovendo<br />

una qualità diffusa attraverso un’azione sistemica.<br />

Uno degli obiettivi progettuali è la realizzazione di una qualità estetica comprensibile, per<br />

le persone che aspirano a vivere in spazi confortevoli, funzionali e belli, attraverso la polivalenza,<br />

la polifunzionalità e la polisemia dell’agire umano, superando la tendenza a far coincidere in<br />

modo puntuale e univoco uno spazio e un’azione.<br />

Gli elementi/oggetti di design urbano dovranno, perciò, essere “polisemici” e “polifunzionali”,<br />

capaci di rispondere a esigenze e bisogni delle diverse comunità. La variabilità degli oggetti<br />

di design urbano, l’identità metamorfica ottenuta attraverso configurazioni ibride (smontabile,<br />

semi-chiuso, semi-aperto, mobile, ripetibile, autocostruito, effimero, ecc.), il tentativo del recupero<br />

sensoriale dello spazio, (attraverso l’incremento degli spazi verdi), stimolano, raccontano, suggeriscono<br />

usi e soluzioni, senza mai imporre modalità o comportamenti ed evocano una quotidianità<br />

giocosa, mediatrice tra uno spazio colto e uno popolare.<br />

Come la land art tentò di interpretare “il nuovo paesaggio” così il design urbano interetnico<br />

prova a dare figuratività allo “spazio nuovo”, attraverso oggetti “magici”, transcalari che aiutano a<br />

comporre la conoscenza della <strong>città</strong> e del paesaggio interculturale. Gli oggetti, così progettati, costituiscono<br />

elementi d’affezione in grado di dare identità e sicurezza alle persone che quotidianamente<br />

attraversano i luoghi, diventando importanti anche per il loro significato simbolico, oltre<br />

che per la loro destinazione funzionale.<br />

Facendo riferimento alla particolare lettura del paesaggio urbano di Kevin Lynch (Lynch,<br />

1981; Lynch, 1977), si riportano di seguito alcuni temi progettuali (spazi/funzione) di design urbano<br />

interetnico, esplicati attraverso “sei atteggiamenti progettuali”; su tali temi si potranno approntare<br />

i progetti di trasformazione urbana in chiave policulturale e sostenibile (Tufano, 2006).<br />

– Il margine, inteso come catalizzatore di eventi dove le diverse culture proiettano bisogni<br />

identitari;<br />

– il confine, considerato un limite ridefinibile che determina sempre nuovi spazi, in opposizione<br />

al concetto di barriera;<br />

– la porta, il varco, con il quale s’intende superare il limite concettuale tra interno ed<br />

esterno e, al contempo, segnalare e sottolineare la condizione psicologica ed emozionale<br />

del transitare tra due spazi diversi 43 . A questi temi si associa la recinzione, altro oggetto<br />

urbano da risemantizzare conferendogli sempre un ruolo interattivo tra chi sta “dentro”<br />

e chi è “fuori”.<br />

– il percorso, come metafora della conoscenza, della complessità e delle opportunità di<br />

scelta, reinterpretando lo spazio statico/professionale in spazio dinamico della narrazione,<br />

in cui il vuoto diventa preminente rispetto al pieno.<br />

La metodologia d’intervento individua sei “atteggiamenti” progettuali:<br />

1) multifunzionalità, 2) permeabilità, 3) polisemia, 4) partecipazione, 5) estetica “prestazionale”,<br />

6) progetto del verde, per la trasformazione e la riqualificazione urbana, in chiave <strong>interetnica</strong>.<br />

Il fine di questi “atteggiamenti” è quello di superare le barriere concettuali, fisiche e simboliche<br />

mediante la ricomposizione e la ricombinazione sincretica degli elementi in gioco.<br />

La somma casuale di oggetti, anche se singolarmente ben progettati, non configura automaticamente<br />

un ambiente positivo, in quanto affollamento, sovrapposizioni e povertà di relazioni<br />

possono negare ciò che ogni singolo oggetto afferma. Pertanto, ciascun atteggiamento, singolarmente<br />

e interrelazionato, caratterizza gli interventi di design urbano sincretico, nella loro articolazione<br />

spaziale.<br />

42 Un processo che ricombina le differenze e le assume come ricchezza nel loro inusuale assemblaggio.<br />

43 I passaggi vanno reinterpretati, essi oggi si identificano quasi esclusivamente con la “soglia planetaria” del metal<br />

detector.<br />

187<br />

IL PROGETTO URBANISTICO:<br />

SPAZI E FUNZIONI


188<br />

CAPITOLO 5<br />

cercare la multifunzionalità<br />

del singolo oggetto<br />

cercare la permeabilità<br />

delle barriere<br />

cercare la polisemia<br />

degli oggetti scultorei urbani<br />

cercare la partecipazione creativa<br />

per la progettazione dello spazio<br />

pubblico<br />

cercare il risultato estetico<br />

delle caratteristiche tecniche<br />

e prestazionali degli oggetti<br />

cercare di incrementare il “verde”<br />

con elementi singoli, molteplici<br />

o allusivo/simbolici<br />

La multifunzionalità aumenta sia le interazioni psico/percettive tra<br />

oggetto e persona, che il numero di utenti, facilitando l’incontro; le<br />

risposte degli oggetti non devono essere mai univoche o prescrittive<br />

ma, garantire un uso molteplice e sincretico.<br />

La multifunzionalità, secondo una logica <strong>interetnica</strong>, risponde a differenti<br />

modalità d’uso degli oggetti legati a tradizioni e ritualità differenti.<br />

La permeabilità consente la percezione di uno spazio aperto e totalmente<br />

accessibile.<br />

La permeabilità, secondo una logica <strong>interetnica</strong>, consente l’adattamento<br />

e l’autoappropriazione nello/dello spazio da parte di tutti.<br />

La polisemia favorisce l’arricchimento linguistico/formale dello spazio,<br />

anteponendo l’intensità alla densità (la qualità alla quantità), la<br />

continuità alla permanenza, favorendo, in questo modo, la realizzazione<br />

di oggetti urbani, capaci di disegnare un’idea di interno pur<br />

restando all’esterno, attraverso soglie metaforiche il cui valore sta<br />

nelle relazioni con l’ambiente circostante.<br />

La polisemia, secondo una logica <strong>interetnica</strong>, relativizza le “certezze”<br />

delle singole culture che, giustapposte innescano un processo di autocritica<br />

e autoironia, favorendo il sincretismo urbano/spaziale.<br />

La partecipazione offre possibilità di autoprodurre oggetti per riqualificazione<br />

urbana.<br />

La partecipazione, secondo una logica <strong>interetnica</strong>, consente una<br />

molteplice autorappresentazione dello spazio, l’integrazione, non-<br />

ché lo scambio interculturale.<br />

Il risultato estetico consente di realizzare forme essenziali e innovative,<br />

sfruttando le reali possibilità di interferenza e coesione tra settori<br />

disciplinari contigui (design, architettura, urbanistica, ingegneria)<br />

attraverso un approccio sistemico e transcalare.<br />

Il risultato estetico, secondo una logica <strong>interetnica</strong>, permette la realizzazione<br />

di forme “nuove per tutti”, in quanto prive di strutture linguistiche<br />

preconcette.<br />

Il “verde” risponde a un bisogno psico/fisico individuale e collettivo,<br />

aumentando la qualità degli spazi urbani.<br />

Il verde, secondo una logica <strong>interetnica</strong> favorisce l’appaesamento<br />

dei nuovi cittadini.<br />

D’altra parte la <strong>città</strong> è qualcosa di più della somma dei suoi abitanti, essa si presenta come<br />

sede di molteplici attività economico/politico e culturali che determinano interazioni e confronti<br />

continui tra culture e subculture, con conseguenti elaborazioni di simboli e manifestazioni della<br />

vita socio/culturale. Ciascun “atteggiamento” ha una valenza propria e una relativa alla sua amplificazione<br />

sistemica, quando, cioè, si attivano contemporaneamente più atteggiamenti.<br />

Questa metodologia così strutturata costituisce un brief di design urbano sincretico ed interetnico,<br />

per la definizione di concepts di spazi pubblici collettivi sostenibili e interrelazionali.<br />

La tensione intellettuale e la ricerca progettuale non forniscono risposte univoche, soluzioni<br />

giuste, ma tengono viva la capacità di interrogarsi, di domandare, adeguando i quesiti a una<br />

realtà urbana e sociale che per sua natura è votata al mutamento.


5.4 RIFERIMENTI<br />

5.4.1 Bibliografia<br />

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189<br />

IL PROGETTO URBANISTICO:<br />

SPAZI E FUNZIONI


190<br />

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5.4.2 Legislazione<br />

Legge 18 aprile 1962, n. 167, Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica<br />

e popolare.<br />

Legge 27 luglio 1978, n. 392, Equo Canone. Disciplina delle locazioni di immobili urbani.<br />

Legge 5 agosto 1978, n. 457, Norme per l’edilizia residenziale.<br />

Legge 4 dicembre 1993, n. 493, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398,<br />

recante disposizioni per l’accelerazione degli investimenti a sostegno dell’occupazione e per la semplificazione<br />

dei procedimenti in materia edilizia. Ecologia.<br />

D.M. LL. PP. 21 dicembre 1994, Programmi di riqualificazione urbana a valere sui finanziamenti di cui all’art. 2,<br />

comma 2, della legge 17 febbraio 1992, n. 179, e successive modificazioni ed integrazioni, integrato dal<br />

D.M. 29 novembre 1995.<br />

D.M. LL. PP 22 ottobre 1997, Approvazione del bando di gara relativo al finanziamento di interventi sperimentali<br />

nel settore dell’edilizia residenziale sovvenzionata da realizzare nell’ambito di programmi di recupero<br />

urbano denominati “Contratti di quartiere”.<br />

Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, <strong>Testo</strong> Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali.<br />

Disegno di legge n. 3519 “Principi in materia di governo del territorio” VIII Commissione Ambiente e Lavori<br />

pubblici, approvato dalla Camera dei Deputati il 28-06-2005.<br />

LR Abruzzo 09 agosto 1999, n. 64, Contributo per la realizzazione di programmi di riqualificazione urbana.<br />

LR Calabria 16 aprile 2002, n. 19, Norme per la tutela, governo ed uso del territorio - Legge Urbanistica della<br />

Calabria.<br />

LR Campania 19 febbraio 1996, n. 3, Programmi integrati di riqualificazione urbanistica, edilizia ed ambientale<br />

in attuazione della legge 17 febbraio 1992, n. 179.<br />

LR Campania 18 ottobre 2002, n. 26, Norme ed incentivi per la valorizzazione dei centri storici della Campania e<br />

per la catalogazione dei Beni Ambientali di qualità paesistica. Modifiche alla Legge Regionale 19 febbraio<br />

1996, n. 3.<br />

LR Campania 22 dicembre 2004, n. 16, Norme sul governo del territorio.<br />

LR Emilia Romagna 3 luglio 1998, n. 19, Norme in materia di riqualificazione urbana.<br />

LR Emilia Romagna 24 marzo 2000, n. 20, Disciplina generale <strong>sulla</strong> tutela e l’uso del territorio.<br />

LR Lombardia 4 luglio 1986 n. 22, Promozione dei programmi integrati di recupero del patrimonio edilizio<br />

esistente.<br />

LR Lombardia 12 aprile 1999, n. 9, Disciplina dei programmi integrati di intervento.<br />

LR Lombardia 15 gennaio 2001, n. 1, Disciplina dei mutamenti di destinazione d’uso di immobili e norme per la<br />

dotazione di aree per attrezzature pubbliche e di uso pubblico.<br />

LR Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, Legge per il governo del territorio.<br />

DPGR Toscana 9 febbraio 2007, n. 3/R, Regolamento di attuazione delle disposizioni del Titolo V della legge<br />

regionale 3 gennaio 2005, n. 1 (Norme per il governo del territorio).<br />

LR Piemonte 5 dicembre 1977, n. 56, Tutela ed uso del suolo.<br />

LR Umbria 22 febbraio 2005, n. 11, Norme in materia di governo del territorio: pianificazione urbanistica comunale.<br />

191<br />

IL PROGETTO URBANISTICO:<br />

SPAZI E FUNZIONI


Capitolo 6<br />

L’architettura possibile per la <strong>città</strong> multiculturale<br />

Partendo dall’enunciazione dei pregressi “multi-errori” istituzionali e tecnici nella creazione di una<br />

<strong>città</strong> <strong>interetnica</strong>: aperta, libera e multiculturale, Francesco Bruno manifesta la necessità di agire<br />

alla scala architettonica senza fuorvianti demagogie ma affrontando la progettazione con una rinnovata<br />

multiculturalità, intesa come predisposizione alla ricchezza semantica. Nelle periferie,dove<br />

l’identità urbana appare più debole e le marginalità sociali più marcate, si individua nel recupero degli<br />

spazi pubblici la chiave per la realizzazione di una rete dei luoghi per l’interazione culturale.I<br />

casi studio a Milano, di Eleonora Giovene di Girasole, e a Napoli, di Marco Cante, mettono in evidenza<br />

come si possano costruire nuove identità urbane che favoriscano la socializzazione mediante un’architettura<br />

del dialogo che privilegi il recupero, la ri-modellazione e la ri-semantizzazione piuttosto<br />

che l’addizione.<br />

6.1 LA CITTÀ MULTICULTURALE E MULTIETNICA ED I PREGRESSI MULTI-ERRORI<br />

6.1.1 Progettare per la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong>: aperta, libera e multiculturale<br />

La <strong>città</strong> multiculturale è una realtà. La composizione multietnica della popolazione, già da<br />

tempo carattere peculiare di <strong>città</strong> come Londra, Parigi, Amsterdam, Lisbona, per limitarsi<br />

all’Europa, si riscontra da qualche anno anche nelle <strong>città</strong> italiane. Nelle prime come risultato di un<br />

lento, anche se difficile, processo di integrazione con immigrati dalle colonie asiatiche o africane<br />

nelle nostre <strong>città</strong> per effetto dei grandi processi migratori da paesi poveri o sottosviluppati di<br />

quegli stessi continenti. La differenza non è secondaria per quanto concerne l’accoglienza, la ricettività,<br />

l’integrazione e la stessa politica sociale dell’abitare. Aspetti che, ancorché difficili nel<br />

primo caso, hanno portato a situazioni drammatiche e conflittuali nel secondo.<br />

In <strong>città</strong> come Londra, Parigi, Amsterdam l’integrazione è avvenuta nel tempo, con la formazione<br />

di nuclei operosi e stanziali di diverse etnie che, pur tra mille difficoltà, hanno costituito comunità<br />

con proprie identità culturali e religiose pur integrandosi nelle scuole di formazione e nel<br />

lavoro. Col tempo queste <strong>città</strong>, connotate da robusta tradizione formativa, industriale ed economica,<br />

sono state prescelte come sede di studio e di lavoro da cittadini abbienti – studiosi, professionisti,<br />

artisti, investitori finanziari – di quelle stesse etnie. Nelle migrazioni verso il nostro paese<br />

non si è ancora verificato, se si eccettuano casi sporadici, tale essenziale mescolanza di livelli sociali<br />

che, ed è questo un aspetto ancor più inquietante, resta assente anche per le migrazioni dagli<br />

stati della stessa comunità europea allargata o dai paesi balcanici: gli immigrati per la massima<br />

parte sono ascrivibili solo alla categoria dei diseredati, di culture diverse e di altre etnie. Questo<br />

aspetto complica e rende più difficili i processi di integrazione che vengono ostacolati da fatti di<br />

cronaca negativi esaltati dai media.<br />

La globalizzazione, se inquadrata come fenomeno relazionato ai cambiamenti sociali, alle<br />

inclusioni e mescolanze di popoli diversi per culture e religioni, include la moderna <strong>città</strong> multiculturale<br />

e multietnica e, in tal senso, trova origini lontanissime nella storia del pianeta.<br />

Agli effetti ritenuti negativi della globalizzazione, e mi riferisco soprattutto alla perdita progressiva<br />

d’identità, di tradizioni, di tecniche nell’architettura, si contrappone in positivo il fascino,<br />

la meraviglia, l’edificante arricchimento indotto dal vivere la mescolanza culturale ed etnica, in<br />

una società aperta e sprovincializzata. Il fenomeno non è nuovo e, in forme diverse, aveva interessato<br />

anche il mondo antico e <strong>città</strong> come Tebe, Alessandria, Atene, Roma.<br />

In epoca moderna in <strong>città</strong> come Londra o Parigi un ricordo pregnante di molti anni fa resta<br />

la “scoperta” di indiani, cinesi, africani da Harrods piuttosto che nella Gallerie Lafayette, nel Metro<br />

o nell’UnderGround, nei loro costumi esotici e per noi originali, che riportavano a favole e letture,<br />

a sogni e fantasie di infanzia innocente, in una babele di lingue e di idiomi.<br />

193<br />

L’ARCHITETTURA POSSIBILE<br />

PER LA CITTÀ MULTICULTURALE


194<br />

CAPITOLO 6<br />

Nelle nostre <strong>città</strong> medie e grandi, di contro, il contatto con altre culture e con uomini e<br />

donne dalla pelle di diverso colore lungi dal rinviare alla meraviglia dei racconti di Salgari e Verne<br />

o alle favole di Mille e una notte ha prodotto, per i motivi appena accennati, solo un disagio reciproco<br />

e, in alcuni casi, l’accentuarsi del degrado ambientale delle periferie ha alimentato l’intolleranza<br />

e ha reso ancor più difficile una integrazione sostenibile.<br />

Per la verità viene da chiedersi: che senso ha il gran parlare d’integrazione multiculturale e<br />

multietnica in una <strong>città</strong> come Napoli, e non solo, dove la “politica sociale” ha operato, e continua<br />

in tal senso, un’autentica ghettizzazione dei ceti meno abbienti, concentrati nelle periferie di<br />

Secondigliano, Scampia, Ponticelli, in mega quartieri privi di servizi e di luoghi di aggregazione?<br />

Come spesso accade, l’attenzione accentuata verso problemi di respiro internazionale o<br />

mondiale, come quelli prodotti dalle grandi migrazioni nei paesi più industrializzati, attenzione<br />

esaltata in maniera paradossale dai mass media, esorcizza quelli gravi e irrisolti da tempo, come il<br />

degrado delle nostre periferie o lo storico abbandono dei campi rom: nel primo, come conseguenza<br />

di “progetti” e non di crescita casuale, si è negata qualsiasi integrazione tra ceti sociali diversi,<br />

nel secondo si è ritenuto per secoli che i nomadi non avessero il diritto ad ospitalità ed a servizi<br />

per i loro campi, lasciandoli emarginati, con i bambini che continuano a bruciare nelle baracche.<br />

Errori di portata enorme e colpevolmente attribuibili ad amministrazioni incapaci e ad errate<br />

scelte di politica urbanistica. Basta ricordare che Napoli, nei secoli in cui meno attenta era l’attenzione<br />

ai problemi di integrazione e di assistenza ed inesistente era la “corretta politica sociale”,<br />

aveva trovato un equilibrio straordinario con la mescolanza dei ceti sociali diversi in quartieri per<br />

niente conflittuali, seppur con netta differenza tra abitazioni povere e grandi appartamenti nobiliari,<br />

con mescolanza di nuove costruzioni medio borghesi a preesistenti vecchi edifici occupati<br />

nel tempo dal proletariato operaio.<br />

Ecco quindi che il progetto per la <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> può forse aiutare a risolvere nel contempo<br />

consolidate e pregresse condizioni di isolamento e segregazione di molti quartieri periferici e di<br />

tanti campi nomadi organizzati nel fango, sotto i cavalcavia dei raccordi autostradali, tra i cumuli<br />

di spazzatura, privi di qualsiasi infrastruttura più elementare.<br />

Si pongono allora alcune domande, a mente aperta. Che ruolo può assumere l’architettura<br />

come disciplina in questi problemi? Come affrontare il progetto urbanistico per una <strong>città</strong> da arricchire<br />

per il confluire in essa di culture, religioni etnie diverse? Come intervenire sugli spazi urbani<br />

senza tradirne la storia, le stratificazioni peculiari delle architetture? Come correggere gli errori<br />

perpetrati dall’urbanistica con la realizzazione di quartieri dormitorio nelle periferie, esatto<br />

contrario dei caratteri urbani, prima ancora che aspettativa per convivenza <strong>interetnica</strong> o multiculturale?<br />

Che idea di <strong>città</strong> ci può avvicinare alle innocenti favole sulle diverse popolazioni della nostra<br />

infanzia? Possiamo immaginare una <strong>città</strong> o un quartiere ideale, Ecumene dell’abitare e del vivere?<br />

Ed infine: hanno senso queste domande se riferite al progetto di architettura?<br />

Forse queste domande non hanno molto senso o, forse, per esse vale una semplice risposta.<br />

Una buona architettura e spazi urbani di buona qualità sono le uniche premesse per consentire<br />

l’integrazione funzionale e l’integrazione sociale, anche tra culture diverse, tra più etnie.<br />

Non ha invece senso, ma è solo una mia opinione, progettare una “multi-sala” per diversi<br />

culti religiosi, per consentire a cristiani, ebrei, mussulmani di incontrarsi in un luogo della <strong>città</strong>:<br />

pura demagogia… politica e architettonica che nulla ha a che vedere con i veri problemi per una<br />

<strong>città</strong> aperta, libera, multiculturale. Ha invece senso il progetto di spazi urbani, con funzioni complesse<br />

e integrate, che, per qualità e caratteri agevolino l’aggregazione e gli incontri tra donne e<br />

uomini indipendentemente dal culto professato, dal colore della pelle, dai tratti somatici, che, in<br />

definitiva, consenta il manifestarsi dell’appartenenza senza conflitti.<br />

I contatti via internet sono quelli preferiti dalle nuove generazioni. Che lo condividiamo o<br />

no, per queste nuove forme di socializzazione è necessario progettare nuovi “luoghi” urbani: la generazione<br />

dei nostri padri aveva le “sale corsa” o le “sale biliardo”, progettiamo sale multimediali<br />

per aiutare la crescita della <strong>città</strong> multiculturale. Ed è questo solo un esempio.<br />

Pensiamo a Scampia: un quartiere nato senza piazze e centri di aggregazione, con strade<br />

che lambiscono recinzioni di lotti invece di cortine di edifici, privo di attività commerciali, di uffici,


di luoghi per l’aggregazione ed il tempo libero, in continua crescita per “lotti” di nuove abitazioni,<br />

destinate ad una sola classe sociale: è facile definire un simile luogo una non-<strong>città</strong>. Le “Vele” dopo<br />

quaranta anni di assoluto abbandono, in un quartiere sbagliato per dimensione e per impostazione<br />

progettuale, vengono identificate con il disagio sociale e diventano, per i mass media e,<br />

quindi, per la pubblica opinione, la causa del degrado: i “mostri”, sbattuti in prima pagina, vengono<br />

quindi condannati a morte!<br />

Per fortuna la catarsi per le colpe pregresse, pur nella convinzione del capo dell’Amministrazione<br />

Comunale a continuare l’opera demolitrice, vede significativi programmi e interventi<br />

in atto, con il Piano di Recupero della Periferia Nord, redatto dal Servizio Valorizzazione delle<br />

Periferie Urbane del Comune di Napoli.<br />

Questa area di una <strong>città</strong> “difficile”, esempio campione del disagio nel quale vive l’ampia periferia,<br />

sia quella progettata che quella abusiva, è stata assunta come tema di studio per due ricerche<br />

parallele che vedono l’architettura come protagonista e l’integrazione – per funzioni e fruizione<br />

– rappresentare l’obiettivo da perseguire.<br />

6.1.2 I casi studio a Milano e a Napoli<br />

I casi studio che si espongono in questo capitolo riflettono sul tema del disagio abitativo e<br />

del degrado urbano nelle periferie multietniche, con particolare riferimento all’esperienza milanese,<br />

proponendo il quartiere Stadera come caso studio. Inoltre, si espongono, in forma sintetica,<br />

due proposte progettuali per la periferia nord di Napoli, caratterizzata dal disagio sociale e dal degrado<br />

urbano preesistenti, su cui si sono innestate le dinamiche multietniche. I due progetti d’intervento<br />

<strong>sulla</strong> periferia napoletana vengono rivisitati attraverso la chiave di lettura della <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong><br />

offrendo spunti di riflessione e traendone indicazioni metodologiche per la <strong>città</strong> multiculturale.<br />

Il progetto di riqualificazione del “Lotto M” 1 (quello delle Vele appunto), elaborato con<br />

Marco Cante ed Eleonora Giovene di Girasole sviluppa una proposta alternativa all’abbattimento<br />

delle Vele: sostenendo la non “mostruosità” delle Vele come architettura. Si propone il recupero<br />

per fini che escludono, come per altro deliberato dell’Amministrazione comunale, la destinazione<br />

ad edilizia pubblica. In tale prospettiva, con attenta verifica, i grandi edifici vengono assunti quali<br />

poli che, ad alta concentrazione semantica, valgano a riorganizzare il sistema insediativo generale<br />

secondo gli obiettivi sopra enunciati.<br />

Il progetto di una piazza, risultato di una Gara bandita dall’Amm.ne Comunale 2 , si sviluppa<br />

al confine dello stesso Lotto M e delle Vele ancora supersiti, alla confluenza di via Gobetti con il<br />

Viale della Resistenza che costeggia il Parco di Scampia. Intervento misto, pubblico-privato, che<br />

prevede la realizzazione oltre che della Piazza, di una Galleria Commerciale (includente un supermercato,<br />

uffici professionali e della pubblica amministrazione, negozi). Prospiciente la piazza un<br />

edificio a due livelli prevede un centro sociale destinato a Laboratorio anziani-giovani, luogo d’incontro,<br />

di assistenza e promozione, aperto a mostre e conferenze e, al piano terra, un grande spazio<br />

per attività commerciali di tipo mediatico. La piazza inoltre si proietta sul parco con un Teatro<br />

all’aperto, integrato alla stessa piazza ed alla Galleria Commerciale. Infine il progetto prevede l’integrazione<br />

di tali funzioni con circa 140 alloggi di tipo pubblico e privato.<br />

1 Il contributo espone i risultati di una ricerca condotta nel 2004/2005 da Francesco Bruno, Marco Cante e<br />

Eleonora Giovene di Girasole, nell’ambito della Convenzione tra il Dipartimento di Progettazione Urbana e il Comune di<br />

Napoli per la “Consulenza Tecnico-Scientifica alla redazione del Piano Urbanistico Esecutivo per la trasformazione del<br />

Lotto M in Scampia”. Per il Dipartimento di Progettazione Urbana dell’Università degli Studi Federico II di Napoli, il professore<br />

Antonio Lavaggi ha impostato la propria attività di coordinamento per la consulenza, valutando aspetti di merito<br />

nel fornire un quadro complessivo rispetto alle alternative recupero-demolizione, a cui hanno lavorato due sottogruppi<br />

elaborando rispettive proposte progettuali in termini di abbattimento/ricostruzione o di recupero delle “Vele”, come nel<br />

caso del nostro lavoro.<br />

2 Il gruppo di progettazione è costituito da Francesco Bruno (coordinatore), Giampaolo Lavaggi, Francesca<br />

Lavaggi, Marco Cante. Per l’ingegnerizzazione il gruppo si è avvalso della Società Servizi Integrati s.r.l. (coordinatore ingegnere<br />

Nicola Salzano de Luna), un’Associazione Temporanea d’Imprese, capitanata dalla Brancaccio Costruzioni S.p.a.,<br />

è aggiudicataria per la realizzazione e la gestione.<br />

195<br />

L’ARCHITETTURA POSSIBILE<br />

PER LA CITTÀ MULTICULTURALE


196<br />

CAPITOLO 6<br />

6.2 (RE)INTERPRETAZIONE DELLE CITTÀ: IL RUOLO DEL PROGETTO NELLA SOCIETÀ MULTICULTURALE<br />

Nelle <strong>città</strong> italiane, ed in particolare negli ambiti periferici, sono in atto fenomeni di trasformazione<br />

dovute all’insediamento di nuove etnie con differenti culture e modi di vivere che implicano<br />

un ripensamento della fisionomia delle <strong>città</strong> in chiave multiculturale, indagando i bisogni ed<br />

i desideri dei nuovi arrivati. Contemporaneamente proprio nelle periferie assistiamo a fenomeni<br />

di degrado e disagio abitativo causato dalla pianificazione urbanistica che, negli ultimi cinquanta<br />

anni, è stata lo strumento con il quale spesso si è attuata la segregazione e l’emarginazione sociale<br />

delle fasce più deboli e con cui si è realizzato il tipo di sviluppo urbano che ha prodotto <strong>città</strong><br />

e quartieri sempre più estranei agli abitanti.<br />

Ci si ritrova, quindi, con ampie zone delle nostre <strong>città</strong> che necessitano di importanti interventi<br />

di riqualificazione, ma che, proprio per la loro caratteristica di essere particolarmente flessibili,<br />

ben si prestano all’accoglienza di persone con culture ed esigenze diverse. In questa ottica si<br />

avverte la necessità di procedere ad una revisione qualitativa di questi luoghi iniziando a concepire<br />

lo spazio urbano, abitativo e relazionale, in modo differente, pensando ad una cultura dell’innovazione<br />

che veda la presenza di culture diverse non come deficit, ma come un’opportunità di<br />

riprogettazione sociale e spaziale, trasformando questi ambiti in luoghi con nuove e più complesse<br />

identità, attuando una contaminazione culturale e spaziale. Questo a fronte di anni di politiche<br />

settoriali, che hanno visto la questione dell’immigrazione solo come un fenomeno da gestire<br />

secondo le logiche del contenimento e della riduzione dei possibili conflitti.<br />

In Italia, se ancora non si è sviluppata una adeguata “cultura multiculturale”, di interesse è<br />

l’esperienza del Programma di Riqualificazione Urbana del quartiere Stadera a Milano, in cui si è<br />

realizzata una nuova gestione del patrimonio pubblico da parte del Comune con la collaborazione<br />

del Terzo Settore, in un progetto sperimentale di recupero e ristrutturazione di abitazioni<br />

pubbliche e di successiva assegnazione a famiglie immigrate o italiane con difficoltà di accesso<br />

alle case in fitto del libero mercato.<br />

Il tentativo è di ragionare <strong>sulla</strong> re-interpretazione delle periferie in chiave multiculturale. In<br />

questa congiuntura, il ruolo dell’architetto e del progetto di architettura diventano fondamentali<br />

per la riqualificazione urbana ed edilizia di questi luoghi, interpretando le nuove richieste della<br />

multiculturale società contemporanea, realizzando interventi caratterizzati da una maggiore complessità<br />

spaziale espressione proprio della nuova comunità ed in cui questa si può riconoscere 3 .<br />

6.2.1 Città multiculturale: nuove identità ed evoluzione dei bisogni<br />

I territori sono sempre stati l’esito di un processo, un sistema relazionale fra ambiente fisico,<br />

costruito e antropico, che ha prodotto un insieme di luoghi dotati di “profondità temporale, di<br />

identità, di caratteri tipologici, di individualità [ovvero] sistemi viventi ad alta complessità”<br />

(Magnaghi, 1998, p. 4). Cioè la <strong>città</strong> nel corso dei secoli si è evoluta secondo la logica della “continuità”<br />

e della “sovrapposizione”, in cui la morfologia urbana e la gerarchia dei luoghi si definivano<br />

in base al mutare dei fenomeni sociali ed economici, secondo relazionalità indipendenti con il<br />

luogo e con le sue qualità ambientali, culturali, identitarie.<br />

Proprio nelle nostre <strong>città</strong> sono in atto, negli ultimi decenni, fenomeni di trasformazione dovuti<br />

sia ai cambiamenti che si sono avuti nella società italiana e nelle sue esigenze, sia all’insediamento<br />

di nuovi gruppi etnici con differenti culture e modi di vivere 4 , che lasciano un segno, incidendo<br />

in modo continuo, dinamico e profondo <strong>sulla</strong> struttura e <strong>sulla</strong> forma delle nostre <strong>città</strong>.<br />

3 Il contributo è un approfondimento degli studi e delle ricerche che ho condotto con il prof. Corrado Beguinot<br />

nell’ambito del Corso Sperimentale di Alta Formazione in “Pianificazione e governo delle trasformazioni della <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong><br />

europea”, organizzato nel 2004 dalla Fondazione Aldo della Rocca, e delle sperimentazioni e delle ricerche <strong>sulla</strong> riqualificazione<br />

delle periferie che ho svolto con il prof. Francesco Bruno nel Dipartimento di Conservazione dei Beni<br />

Architettonici ed Ambientali dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”.<br />

4 I processi migratori contemporanei, nonostante la presenza di elementi di continuità con il passato, sono caratterizzati<br />

da significativi elementi di novità rispetto a quelli dell’800 e della prima metà del ‘900. Molto più ampie sono<br />

le dimensioni delle migrazioni ed è diverso il contesto in cui avvengono i processi migratori (non più quello dell’indu-


Questa problematica si sovrappone, spesso, a realtà locali già complesse dal punto di vista<br />

sia sociale che economico e fisico, rendendo ancora più difficile la gestione dei conflitti. La collettività<br />

tende a ricollegare a questa condizione un’immagine negativa dell’immigrato, considerandolo<br />

come un peso o, addirittura, come una minaccia a livello sociale, poiché la sua presenza introduce<br />

degli elementi di squilibrio all’interno degli equilibri più o meno consolidati in ambito locale.<br />

Bisogna, invece, iniziare a considerare l’immigrazione come un fattore di arricchimento per<br />

tutta la società sul piano economico, sociale e culturale; se questo non accade gli immigrati continueranno<br />

ad essere collocati ai margini della società civile, inserendosi proprio in quelle realtà<br />

negative che generano i rilevati atteggiamenti di diffidenza e ostilità e continueranno, altresì, a<br />

concentrarsi proprio nelle periferie urbane e nei quartieri più poveri delle <strong>città</strong>: segno di un’emarginazione<br />

anche fisica, oltre che sociale (Mistretta, 2003).<br />

La stabilizzazione dell’alloggio, insieme all’occupazione, costituisce uno dei fattori di integrazione<br />

sociale per gli immigrati, che si ritrovano nelle società di arrivo con il difficile ma normale<br />

e quotidiano sforzo di integrare se stessi nel mondo del lavoro, nella scuola, nella politica, nella società.<br />

La domanda abitativa, tipica di questa fase dell’immigrazione, è caratterizzata, nella maggioranza<br />

dei casi, dalla richiesta di affitti di tipo economico o molto economico che si scontra, in<br />

molte aree urbane, con la ristrettezza dell’offerta e del relativo mercato degli affitti 5 .Contemporaneamente<br />

il disagio abitativo non emerge (solo) come carenza quantitativa assoluta di<br />

alloggi, ma come inadeguatezza prestazionale del patrimonio abitativo esistente, considerato in<br />

rapporto alla rinnovata struttura multiculturale della popolazione e delle sue esigenze, che si manifestano<br />

con nuovi usi del territorio, nuove reti relazionali e un diverso senso collettivo dell’abitare.<br />

Queste trasformazioni impongono un ripensamento della fisionomia delle <strong>città</strong>, in funzione<br />

di nuove necessità che sono, principalmente, quelle di maggiore qualità dell’ambiente costruito,<br />

di integrazione sociale e di civile coesistenza.<br />

L’arrivo di popolazione straniera ha, quindi, determinato un forte impatto demografico e, di<br />

conseguenza, ulteriori domande, che non sono state finora sufficientemente considerate all’interno<br />

delle politiche sociali; questo ha fatto prevalere le logiche dell’assistenza e dell’emergenza.<br />

Ma la realizzazione di una <strong>città</strong> multicultare non è un processo tecnico-amministrativo che risponde<br />

alle urgenze in modo settoriale (prima accoglienza, integrazione nel mondo del lavoro,<br />

abitazione, ecc.) secondo le logiche della segmentazione e della separazione, ma un processo che<br />

tiene conto della complessità del termine “abitare”, di uomini e donne con culture diverse, partecipi<br />

però del medesimo futuro. Abitare 6 ha, infatti, un significato molto più profondo del verbo risiedere;<br />

significa “mettere radici”, accumulare legami mentali e affettivi, che nel tempo portano<br />

l’individuo ad identificarsi e a sviluppare un senso di appartenenza sia al luogo che alla comunità<br />

che si è creata (Gravagnuolo, 2005). L’appartenenza ad un ambiente sociale ha la sua corrispondenza<br />

nel ritrovarsi in insediamenti densi di significato, espressione della cultura di tutta la comunità,<br />

che oggi è una multiculturalità, in cui legittimare le differenze e rimuovere i pregiudizi reciproci.<br />

Questo significa identificare nell’altro diverso da se (in un reciproco riconoscimento) una<br />

persona o un gruppo portatore di dignità, di senso, di cultura e, quindi, non solo un nemico da colonizzare<br />

o da segregare nei luoghi del “diminuito diritto di cittadinanza”.<br />

Quello che manca è un pensiero <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multiculturale senza il quale non si può realizzare<br />

un progetto per la <strong>città</strong> multiculturale. Le <strong>città</strong> hanno, infatti, una materialità, data dal loro tessuto,<br />

da ciò che è tangibile sia fisicamente che visivamente, ma anche una immaterialità data dal-<br />

strializzazione, bensì quello della globalizzazione e della terziarizzazione), più complesse e diversificate sono le motivazioni<br />

che li attivano e, soprattutto, appaiono nuovi i caratteri sociali e culturali dell’immigrato contemporaneo: alto livello<br />

di qualificazione media, appartenenza alla cultura urbana, capacità di gestione di materiali culturali e di linguaggi difformi<br />

tra loro, ecc. (d’Andrea et al., 2002).<br />

5 Gli immigrati spesso si trovano costretti a vivere, a parità di reddito, in abitazioni di livello qualitativo inferiore<br />

agli utenti italiani o più costose. Secondo il rapporto condotto dall’ARES (2000) il canone medio per gli immigrati è, a seconda<br />

delle <strong>città</strong>, del 60-70% in più rispetto al canone medio concordato, e del 25% in più rispetto al canone medio libero;<br />

inoltre nell’80% dei casi i contratti sono in nero.<br />

6 La distinzione tra (wohnungsfrage e wohnungswesen) la domanda d’alloggio e l’essenza dell’abitare, proposta<br />

da Rudolf Eberstadt.<br />

197<br />

L’ARCHITETTURA POSSIBILE<br />

PER LA CITTÀ MULTICULTURALE


198<br />

CAPITOLO 6<br />

l’energia delle persone che la vivono e dalla loro sinergia; questo comporta necessariamente osservare<br />

e analizzare la <strong>città</strong> con la sue dinamiche entro una dimensione più ampia lavorando sulle<br />

proprietà dello spazio e su quello che questo rappresenta o dovrebbe rappresentare per la sua<br />

comunità. L’intento è quello di costruire luoghi che hanno una propria identità, cultura, che favoriscono<br />

l’equità e l’integrazione, che tramite un equilibrio dinamico sono capaci di riprodursi in un<br />

processo che si perpetua nel tempo producendo capitale sociale.<br />

Per costruire la <strong>città</strong> multiculturale bisogna, quindi, lavorare <strong>sulla</strong> civile coabitazione tra culture<br />

e saperi diversi e <strong>sulla</strong> ri-definizione della sua parte materica, tramite interventi di riqualificazione<br />

sia a livello urbano che edilizio, in risposta alle mutate e plurali esigenze della popolazione<br />

contemporanea, costruendo tramite la partecipazione di tutta la popolazione – che esprime la<br />

sua cultura, i suoi valori, i suoi simboli, i suoi stili di vita – un senso collettivo condiviso e luoghi in<br />

cui si possano identificare. Rimettere, quindi, in discussione l’impianto degli insediamenti intervenendo<br />

sull’esistente e dando forza ai segni delle comunità, ridando qualità agli spazi insediati,<br />

così da realizzare un senso di riconoscimento comune ai luoghi dell’abitare.<br />

Elemento fondamentale è, quindi, la partecipazione attiva degli abitanti alla definizione degli<br />

obiettivi e dei programmi, offrendo loro ascolto e ruolo di protagonisti, in modo che diventino<br />

il vero motore della rigenerazione urbana, recuperando, quindi, le capacità di iniziativa dei residenti,<br />

sostenendo l’integrazione di nuovi gruppi sociali portatori di molteplici valori, aiutandoli,<br />

tramite il confronto e la conoscenza, a trasformarsi in comunità.<br />

Il processo partecipativo porta anche alla crescita delle capacità e degli stimoli progettuali,<br />

in quanto la multiculturalità diventa una risorsa capace di arricchire gli insediamenti dei segni<br />

delle nuove identità e dei modi di concepire l’abitare, tramite usi inediti dello spazio e innovazioni<br />

delle forme esistenti, contrapponendosi all’omologazione degli insediamenti esistenti. Contemporaneamente,<br />

diventa un percorso privilegiato per consolidare l’accettabilità sociale dei processi<br />

di trasformazione innescati dalla riqualificazione.<br />

In questo senso, possiamo considerare il quartiere come lo spazio vitale strategico per la<br />

definizione di politiche di sviluppo urbano sostenibile, in quanto espressione di una comunità e<br />

manifestazione dell’identificazione della popolazione con il proprio spazio. Il quartiere può essere<br />

ritenuto come un sistema sociale in grado, con la sua capacità auto-referenziale, di descrivere e di<br />

riflettere su se stesso a partire da valori condivisi. Infatti,“i valori di una società non si limitano ad<br />

essere un’aggregazione dei valori di ciascun gruppo di stakeholder, ma sono quelli che emergono<br />

dal dialogo costruttivo ed auto-riflessivo che si svolge all’interno della società stessa: si tratta di<br />

valori che consentono l’integrazione dal punto di vista sociale e riflettono l’identità di ciascun<br />

gruppo” (Cerreta et al., 2003, p. 36).<br />

Queste premesse modificano la natura degli interventi che non si configurano più come<br />

mera produzione di quantità residenziali ma diventano progetto di coesione e di solidarietà sociale.<br />

Una comunità, quindi, che nella ricerca di valori condivisi, realizza il suo ambiente in armonia<br />

con se stessa.<br />

6.2.2 Le aree periferiche come luoghi di nuove identità urbane<br />

I quartieri periferici delle <strong>città</strong> contemporanee, se in passato sono stati interpretati solo<br />

come luoghi ad “una dimensione”, oggi appaiono contraddistinti da una nuova immagine, come<br />

aree non sempre marginali, aree di nuove centralità (embrionali o evidenti), aree di nuova identità<br />

(Bellicini, 2003) e relazioni, con comunità locali radicate, con proprie specifiche regole insediative<br />

che presentano segni di un processo di stratificazione storico-sociale arricchito dall’arrivo di<br />

nuove etnie con culture diverse, che sono stati in grado di portare senso a molti luoghi della periferia.<br />

In particolare gli ambiti periferici, caratterizzati da un ampio grado di flessibilità, sia dal<br />

punto di vista morfologico che funzionale, possono, in una realtà attualmente caratterizzata dalla<br />

presenza di culture diverse – e quindi con esigenze diverse – essere individuati come luoghi privilegiati<br />

per l’accoglienza della popolazione immigrata.


Non si tratta di realizzare quartieri monoetnici ma incentivare il processo abitativo ed insediativo,<br />

già innescato dalla popolazione immigrata 7 , avviando una coabitazione tra popolazioni<br />

diverse, dando vita ad una contaminazione culturale e spaziale che porti a disegnare una nuova<br />

geografia di spazi pubblici e di relazioni.<br />

Queste contaminazioni sono capaci di assolvere una tripla funzione complessa, in quanto<br />

configurano ambienti di vita particolari, colorati, dove è più semplice inserirsi, ed è possibile “affermare<br />

la propria identità nazionale e/o culturale e/o religiosa, o meglio riscoprirla e ridefinirla,<br />

“inventando” una propria tradizione” (Lanzani, 2003, p. 334), nonché “nodi specializzati etnici” in un<br />

contesto multicentrico e reticolare, dove sono presenti servizi e beni, e, infine, si possono considerare<br />

luoghi di comunicazione e contaminazione tra diverse culture e popolazioni.<br />

Questo significa considerare la presenza di culture diverse come un fattore di arricchimento<br />

(per tutta la società sul piano economico, sociale e culturale) nei necessari processi di ridefinizione<br />

delle periferie. La popolazione immigrata può favorire il processo di “antropizzazione”<br />

di questi luoghi, concorrendo a superare il loro senso di alienazione e quel “peccato di astrazione<br />

e indifferenza”, verso il contesto ambientale e sociale, realizzato nel costruire proprio la maggior<br />

parte delle periferie.<br />

Dal punto di vista fisico le periferie necessitano di una serie di interventi di ristrutturazione<br />

per adeguare gli standard alle modificate e nuove esigenze abitative sia della popolazione italiana,<br />

che immigrata. Si avverte un forte disagio ed una “insoddisfazione” a causa della difficoltà –<br />

con la loro compattezza e uniformità dei blocchi, la mancanza di misura umana e l’estrema uniformità<br />

– di creare appartenenza e riconoscimento. Questo, inevitabilmente, implica la ridefinizione<br />

e la restituzione di identità e qualità a queste parti di <strong>città</strong>.<br />

L’esigenza, quindi, di maggiore qualità dell’ambiente urbano e naturale, e una migliore corrispondenza<br />

ai bisogni della società contemporanea, mettono in moto un processo che vede l’architettura<br />

ai primi posti richiamata a rispondere, tardivamente, a quelle richieste di qualità degli<br />

ambienti di vita che in passato erano state messe in secondo piano rispetto ad esigenze di tipo<br />

quantitativo. Ri-pensare i quartieri periferici come luoghi in cui è possibile ri-costruire qualità,<br />

comporta un capovolgimento del modo di concettualizzare il problema della riqualificazione alla<br />

luce delle esigenze della nuova società multiculturale. “Ai progettisti della <strong>città</strong> del futuro è affidato<br />

il compito di realizzare un nuovo modello di <strong>città</strong> europea <strong>interetnica</strong> in cui possa attuarsi<br />

una convivenza pacifica, civile e colta di razze diverse” (Beguinot, 2007, p. 44).<br />

La prima questione è quella dell’integrazione sociale e del superamento dell’immagine<br />

della periferia come “luogo del diminuito diritto di cittadinanza” (Ingersoll, 2001, p. 46) e di luogo<br />

specifico dove contenere bisogni di folle immigrate (“vecchie” e “nuove”), trasformandole al contrario<br />

in parti essenziali della <strong>città</strong>. Le nostre periferie, infatti, anche se versano in uno stato di profondo<br />

degrado, spesso sono tenute in vita da una debole forza, che è propria delle persone che ci<br />

vivono. Queste possono rappresentare (come i beni culturali nel centro storico degradato), il valore<br />

intorno a cui concentrare i processi di riqualificazione, in un processo che si autoalimenta,<br />

creando ulteriore capitale sociale, aiutando cioè gli abitanti ed i “nuovi arrivati” prima di tutto a divenire<br />

comunità e a credere in loro stessi come motore primario della riqualificazione, capaci cioè<br />

di creare “capitale comunitario”, base per qualunque processo.<br />

La seconda questione è quella della qualità urbana ed architettonica degli interventi, che<br />

non possono essere demandati alle sole concezioni del progettista o a presunti modelli di riferimento<br />

(così come fatto in passato), ma devono necessariamente configurarsi come un costrutto,<br />

che nasce dalla condivisione di premesse e obiettivi, che rispecchiano la nuova e più complessa<br />

società contemporanea.<br />

7 Questi processi di trasformazioni del territorio si connotano come “annidamenti” o “metamorfosi”, e spesso con<br />

il successivo passaggio dal primo al secondo (Lanzani, 2003, p. 334-335). Ovvero nel primo caso la tendenza di alcune popolazioni,<br />

nuove attività, funzioni, usi, ecc., ad annidarsi in alcuni spazi, inserendosi e abitando alcune porzioni di <strong>città</strong>,<br />

non generando però nessun nuovo tessuto o trasformazione. Nel secondo caso assistiamo ad un’estesa modificazione<br />

dei tessuti dove gli immigrati si insediano, con un ambiente di vita che cambia radicalmente a seguito di successive microtrasformazioni<br />

sia “materiali” che “immateriali”, di uso e di senso.<br />

199<br />

L’ARCHITETTURA POSSIBILE<br />

PER LA CITTÀ MULTICULTURALE


200<br />

CAPITOLO 6<br />

Se vogliamo che questi luoghi chiamati periferie non restino “luoghi dell’indistinto”, dobbiamo,<br />

realizzare spazi ricchi e pieni di bellezza. Un’idea di progetto di luoghi e funzioni, non più<br />

come riduzione della complessità secondo i modelli dell’ingegneria dei sistemi e dell’elettronica,<br />

ma piuttosto come intreccio delle vicende, delle storie e delle geografie (Giammarco, Isola, 1993).<br />

Trattare questi ambiti non come territori di risulta, passibili di interventi settoriali e di contenimento<br />

del danno, ma come ecosistemi, in cui i diversi elementi (il territorio, gli edifici, gli abitanti,<br />

ecc.) e, soprattutto, le loro relazioni (sociali, economiche, culturali, ecc.), diventano l’oggetto del<br />

processo di riqualificazione. I quartieri periferici possono, cioè, diventare luoghi di nuove integrazioni<br />

e nuove relazioni in cui favorire lo sviluppo di comunità solidali capaci di ricercare nuovi e<br />

più complessi equilibri al proprio interno.<br />

6.2.3 Verso una <strong>città</strong> multiculturale: l’esperienza del Terzo Settore nel PRU Stadera di<br />

Milano<br />

Per uno sviluppo sostenibile e multiculturale delle <strong>città</strong>, come detto precedentemente, il<br />

quartiere rappresenta il primo nucleo di integrazione di una comunità che individuando valori<br />

condivisi, realizza il suo ambiente in armonia con se stessa. Questo significa orientare i progetti di<br />

recupero verso soluzioni volte ad un miglioramento della qualità di vita urbana da attuarsi tramite<br />

una serie di interventi non solo materiali (ambientali ed economici) ma anche immateriali<br />

(sociali), considerando la diversità culturale una risorsa per lo sviluppo del paesaggio periferico,<br />

inteso come forma e luogo di vita della nuova comunità.<br />

Generalmente in Italia i programmi di riqualificazione (Programmi di recupero urbano,<br />

Programmi di riqualificazione urbana, Contratti di Quartiere, ecc.) si concentrano su un miglioramento<br />

della qualità della vita in generale intervenendo dal punto di vista ambientale, urbanistico,<br />

edilizio, energetico e, in alcuni casi, con la partecipazione attiva della popolazione, non considerano<br />

la questione della presenza di etnie con culture ed esigenze diverse, né tanto meno reputano<br />

la loro integrazione un fattore di arricchimento per l’intera comunità. Questo implica che<br />

forse ancora siamo lontani dalla realizzazione di una <strong>città</strong> multiculturale e, quindi, veramente sostenibile.<br />

In questa congiuntura, importante e, per certi aspetti, all’avanguardia è l’esperienza del<br />

Programma di Riqualificazione Urbana del quartiere Stadera. Il progetto rappresenta un’interessante<br />

esperienza di nuova gestione del patrimonio pubblico da parte del Comune di Milano con<br />

la collaborazione del Terzo Settore, in un progetto sperimentale di recupero e ristrutturazione di<br />

abitazioni e di successiva assegnazione a famiglie immigrate o italiane con difficoltà di accesso<br />

alle case in fitto del libero mercato.<br />

L’intervento a Stadera rappresenta il primo intervento di questo tipo su ampia scala a<br />

Milano. In un’epoca in cui la gestione degli immobili pubblici coincide sempre più con l’alienazione<br />

(vendita diretta, cartolarizzazione, e così via), le Quattro Corti con la loro prospettiva multiculturale<br />

vestono i panni di una sperimentazione orientata al futuro. L’intervento rappresenta il<br />

primo così ampio e complesso a Milano; infatti, l’Ente Pubblico, precedentemente, si era rivolto al<br />

privato sociale solo per la gestione di singoli appartamenti, ma mai per un intero edificio, e senza<br />

che fosse prevista in modo organico anche un’attività di accompagnamento sociale (Giovene di<br />

Girasole, 2005). Si è cercato cioè di tradurre iniziative “random”, in comportamenti ordinari, efficaci<br />

per la riqualificazione del patrimonio e dell’ambiente urbano, risolvendo problemi di disagio abitativo<br />

in una visione <strong>interetnica</strong>.<br />

Scopo del programma è di intervenire in modo complessivo sul quartiere, riqualificando sia<br />

il patrimonio di edilizia residenziale (aumentando la disponibilità di alloggi e la dotazione di servizi)<br />

sia realizzando un circolo virtuoso volto a sostenerne lo sviluppo. Il fine del PRU era anche di<br />

ridurre il livello di tensione sociale, cercando di inserire nel quartiere nuovi abitanti (giovani coppie,<br />

studenti, immigrati) capaci di modificare la concentrazione di problematiche sociali e svolgere<br />

un ruolo positivo e di rinnovamento rispetto alla situazione nel quartiere. Per questo motivo<br />

alcuni alloggi sono stati affidati fuori bando ad operatori del privato sociale, le cooperative “Dar-


Casa” e “La Famiglia”, che operavano nel campo del disagio abitativo, come partners nella gestione<br />

e realizzazione del processo di riqualificazione. Contemporaneamente questo tipo di intervento<br />

permetteva di ridurre i tempi e i costi della ristrutturazione, rimettendo in tempi brevi sul mercato<br />

un buon numero di alloggi popolari (Censis, 2005). Alle famiglie residenti nel quartiere, quindi, si<br />

sono aggiunte quelle degli assegnatari della “Residenza Quattro Corti” e quelli delle Residenze per<br />

Studenti e Anziani 8 .<br />

Il quartiere Stadera è un quartiere di edilizia popolare nel senso stretto del termine dato<br />

che il 90% delle case appartiene all’Aler, situato alla periferia sud di Milano, in cui vivono più di<br />

4000 persone. Il quartiere, realizzato alla fine degli anni Venti, in stile ’900 (Fig. 1), su progetto dell’ufficio<br />

tecnico dell’Istituto Case Popolari di Milano, con 31 edifici di 4/5 piani per un totale di<br />

1866 alloggi e circa 1150 famiglie residenti, si è caratterizzato nel corso degli anni per fenomeni<br />

di degrado ambientale e sociale. Degli alloggi presenti nel quartiere, inoltre, 532 erano monolocali<br />

al di sotto degli attuali standard abitativi.<br />

Dagli anni Cinquanta in poi, il quartiere ha ospitato moltissimi immigrati in cerca di lavoro:<br />

inizialmente meridionali poi, dalla fine degli anni Settanta, nordafricani, seguiti da albanesi, latinoamericani<br />

e più tardi cinesi. Stadera, per anni controllato dal racket della droga e delle occupazioni<br />

abusive, ha vissuto una fase di forte degrado (Fig. 2), pagando il prezzo dei processi di emarginazione<br />

e abbandono, legati alla crescita delle periferie metropolitane. Contemporaneamente il<br />

quartiere presentava risorse importanti legate al suo carattere popolare, con la presenza di diverse<br />

associazioni (comitato di inquilini, comitato di lotta per la casa, giornale del quartiere) impegnate<br />

nella tutela degli abitanti e del territorio di fronte alle istituzioni (Censis, 2005).<br />

Nel dicembre del 1998 l’Aler approva con Delibera le linee di indirizzo e gli obiettivi del<br />

nuovo Programma di Recupero Urbano del Quartiere Stadera (Fig. 3), nel 1999, per far fronte alla<br />

situazione di degrado, parte il programma per il completamento del recupero ambientale e sociale<br />

del quartiere, con quindici iniziative che investono gli immobili di proprietà dell’Aler, del<br />

Comune e dei privati, con un ulteriore investimento di 37.100.000 €.<br />

Fig. 1 - Via Barrili<br />

nel 1930.<br />

Fonte: Aler Milano<br />

8 Il PRU prevede la realizzazione di una “Residenza Urbana Integrata per Studenti e Anziani”, con il contributo a<br />

fondo perduto della Regione Lombardia e di capitali privati.<br />

201<br />

L’ARCHITETTURA POSSIBILE<br />

PER LA CITTÀ MULTICULTURALE


202<br />

CAPITOLO 6<br />

Fig. 2 - Via Barrili alla fine degli anni Novanta. Fonte: Aler Milano<br />

Fig. 3 - Il PRU: quadro<br />

complessivo degli<br />

interventi. Fonte:<br />

Aler Milano


Fig. 4 -<br />

Riqualificazione<br />

della piazza.<br />

Fonte:<br />

Aler Milano<br />

Il progetto di riqualificazione complessiva del quartiere Stadera si articola, nell’ambito del<br />

programma di edilizia residenziale pubblica, in numerose iniziative sia pubbliche che private riguardanti<br />

principalmente le aree e gli immobili interni al quartiere di proprietà dell’Aler di Milano<br />

e le aree contigue in parte di proprietà del Comune di Milano e in parte di proprietà privata.<br />

Le iniziative sono: riqualificazione ambientale (risanamento degli immobili, diversificazione<br />

delle classi sociali e dei tipi di utenza, diversificazione delle destinazioni d’uso), completamento<br />

del disegno urbano (mercato coperto, arsenale d’arte), realizzazione di un’isola residenziale (zona<br />

centrale pedonale, arredo urbano e verde) e un tavolo di concertazione (soggetti pubblici e privati,<br />

sinergie operative). Scopo del programma è, quindi, di intervenire in modo complessivo sul<br />

quartiere, riqualificando il patrimonio di edilizia residenziale (aumentando la disponibilità di alloggi<br />

e la dotazione di servizi) e realizzando un circolo virtuoso volto a sostenerne lo sviluppo.<br />

Gli interventi urbani sono stati: la realizzazione di un centro polifunzionale, il recupero di un<br />

ex Mulino, il riordino della viabilità del quartiere, la riqualificazione del patrimonio edilizio<br />

dell’Aler di Milano e azioni di progettazione partecipata, al fine di sostenere il processo di recupero<br />

edilizio degli alloggi di edilizia residenziale pubblica attraverso un percorso condiviso<br />

(Regione Lombardia, 2006). La riqualificazione dell’area di proprietà comunale sita tra Via<br />

Montegani e Via Neera ha previsto l’abbattimento dell’esistente Mercato Comunale e la realizzazione<br />

di una nuova struttura polifunzionale con un’area mercato su due livelli, nuove residenze<br />

(per una quantità non superiore a 2640 mq s.l.p.), parcheggi nel sottosuolo e formazione di spazi<br />

verdi ad uso pubblico.<br />

Per quanto riguarda l’area degli ex Mulini Certosa, l’obiettivo era la riqualificazione, mediante<br />

l’allontanamento dell’attività produttiva in corso ed il recupero dell’ex Mulino da destinare<br />

a funzioni di tipo culturale-espositivo-aggregativa.<br />

Il riordino della viabilità del quartiere è stato ottenuto con la formazione di un’isola residenziale,<br />

intervenendo nelle strade del quartiere con nuovi elementi di arredo urbano, lastricatura,<br />

piantumazioni e pedonalizzazione della via Barilli, la realizzazione di una nuova piazza (Fig. 4).<br />

203<br />

L’ARCHITETTURA POSSIBILE<br />

PER LA CITTÀ MULTICULTURALE


204<br />

CAPITOLO 6<br />

Fig. 5 - Le Quattro Corti prima degli interventi. Fonte: Aler Milano<br />

Fig. 6 - Gli edifici delle Quattro Corti riqualificati. Fonte: Dar Casa<br />

Complessivamente, saranno recuperati<br />

1423 alloggi, di cui 180 sono<br />

stati esclusi dal patrimonio ERP e, tramite<br />

bando, assegnati alle due Cooperative,<br />

che le hanno affittate a canone<br />

concordato, e 1241 da assegnare<br />

a canone sociale.<br />

La riqualificazione del patrimonio<br />

edilizio dell’Aler di Milano ha previsto<br />

il risanamento di 146 alloggi sfitti da<br />

utilizzare per la mobilità del quartiere;<br />

gli appartamenti, una volta recuperati,<br />

sono proposti alle famiglie in modo<br />

permanente e l’Aler si è assunta le<br />

spese per il trasferimento. Il programma<br />

ha previsto anche il recupero edilizio di<br />

alloggi di edilizia residenziale pubblica<br />

di proprietà, ancora, dell’Aler, con il risanamento<br />

edilizio di 8 alloggi degradati,<br />

con adeguamenti prestazionali conformi<br />

ai nuovi standard abitativi e realizzazione<br />

di nuovi alloggi nei sottotetti<br />

(Regione Lombardia, 2005).<br />

Il progetto di housing sociale<br />

“Quattro Corti” ha affidato, due dei<br />

quattro edifici, in comodato d’uso per<br />

25 anni alle due Cooperative d’abitazione<br />

“Dar-Casa” e “La famiglia”, che


hanno finanziato la ristrutturazione<br />

e gestiscono gli affitti (il 5%<br />

viene girato alla proprietà). La convenzione<br />

voleva aiutare persone in<br />

difficoltà economiche nell’accesso<br />

ad alloggi privati ma con una condizione<br />

di reddito tale da potersi<br />

permettere il pagamento di un canone<br />

superiore a quello previsto<br />

per gli alloggi di edilizia residenziale<br />

pubblica, a cui non avevano i<br />

requisiti economici per accedere.<br />

L’assegnazione finale degli alloggi<br />

vede i 2/3 assegnati a famiglie straniere<br />

e quelli rimanenti a famiglie<br />

italiane. Sono così inseriti 31 nuclei<br />

di famiglie straniere, per un totale di circa 90 persone provenienti da 19 Paesi diversi di Asia, Africa<br />

e America Latina9 .<br />

Il complesso delle “Quattro Corti” comprendeva 4 blocchi abitativi con appartamenti, sotto<br />

gli standard di legge (Fig. 5). Il progetto ha realizzato per gli esterni un recupero conservativo, essendo<br />

gli edifici sottoposti a vincolo dalla Soprintendenza ai Beni Architettonici (Fig. 6), mentre<br />

per gli interni è stata effettuato l’accorpamento degli alloggi più piccoli per ottenere bilocali e trilocali<br />

idonei ad ospitare anche nuclei familiari10 Fig. 7 - Progetto di un appartamento riqualificato. Fonte: Aler Milano<br />

(Fig. 7).<br />

Particolare attenzione è stata data al processo di accompagnamento e alla partecipazione<br />

della popolazione. Infatti nel PRU è stato sviluppato il progetto “Di Corte in Corte, percorso di progettazione<br />

partecipata per il rinnovamento del quartiere Stadera”, per sostenere il processo di recupero<br />

fisico attraverso un percorso condiviso (Regione Lombardia, 2005). Il progetto aveva come<br />

obiettivi “la messa in rete e lo sviluppo delle risorse locali, la promozione di un clima di fiducia tra<br />

gli abitanti del quartiere e di accoglienza nei confronti dei nuovi, la promozione di un atteggiamento<br />

di appartenenza caratterizzato da una maggiore autonomia e responsabilità degli inquilini<br />

nella gestione dell’immobile e nella relazione con la proprietà Aler e i servizi all’intorno” (Regione<br />

Lombardia, 2005, p. 30). Il progetto, è stato cofinanziato dall’Aler, coprendo i costi delle risorse<br />

umane e dei servizi indispensabili per attuare il piano di mobilità (monitoraggio sociale, traslochi,<br />

sgomberi, ecc.). L’articolazione del progetto “ha contribuito a rafforzare negli abitanti la percezione<br />

del proprio quartiere e della sua identità, valorizzando e intrecciando risorse ed energie locali<br />

con uno sguardo positivo verso il futuro. I nuovi inquilini, anche stranieri, da “potenziali nemici”,<br />

sono diventati una “risorsa facilitante” per l’avvio di un processo di convivenza basato sul<br />

confronto e l’autodeterminazione” (Solci, 2005, p. 7).<br />

Successivamente all’assegnazione degli alloggi, Dar Casa ha realizzato un programma di<br />

accompagnamento per le famiglie inserite, sia per garantire assistenza in caso di problemi con la<br />

manutenzione dell’alloggio e per il pagamento puntuale del canone, sia per il rispetto dei rapporti<br />

di buon vicinato.<br />

Precedentemente alla ristrutturazione degli immobili, tra il 2003 ed il 2005, è stato attuato<br />

il progetto “Abitare c/o”, che ha accompagnato l’intero processo di rinnovamento delle “Quattro<br />

Corti”, finanziato dal Comune di Milano e gestito in base al criterio della progettazione partecipata<br />

dalla cooperativa sociale “ABCittà”. L’obiettivo era di facilitare l’inserimento dei nuovi inquilini nella<br />

9 Ognuna delle due cooperative ha individuato i criteri per le assegnazioni: per “Dar-Casa” la scelta (18 famiglie<br />

italiane e 30 straniere) è avvenuta tra i suoi soci in base all’anzianità d’iscrizione; i 46 alloggi gestiti dalla cooperativa “La<br />

Famiglia” sono stati assegnati a nuclei (32 italiani e 14 stranieri) in gran parte già residenti nel quartiere (Marzi, 2006).<br />

10 La superficie degli alloggi varia tra 44 e 72 mq per i bilocali e tra 77 e 96 mq per i trilocali. Gli appartamenti<br />

sono stati dotati di ascensori, impianto centralizzato di riscaldamento e fornitura acqua calda, videocitofoni, antenne satellitari;<br />

inoltre sono dotati di doppi vetri, porta blindata e cucina attrezzata (Basso, 2005).<br />

205<br />

L’ARCHITETTURA POSSIBILE<br />

PER LA CITTÀ MULTICULTURALE


206<br />

CAPITOLO 6<br />

realtà di quartiere, con un’attenzione particolare agli stranieri. Il progetto, partito per la sola componente<br />

immigrata, ha avuto una ricaduta più ampia preparando il quartiere all’accoglienza dei<br />

nuovi inquilini delle Quattro Corti, circa 200 famiglie, con i cambiamenti e le trasformazioni che<br />

questo avrebbe comportato (Dar-Casa, 2006). Il progetto si è articolato in tre fasi successive: conoscenza,<br />

progettazione e accompagnamento, tramite due tavoli di lavoro (Tavolo territoriale e<br />

Tavolo di progetto), colloqui individuali, questionari, workshop, consultazioni, momenti di diffusione<br />

e “celebrazione” dei risultati. Il percorso di accompagnamento si è concluso nella costruzione<br />

del “Patto di Convivenza, deciso e approvato dagli abitanti stessi: non un semplice regolamento<br />

di condominio, ma l’insieme delle regole, dei desideri e delle aspettative di una piccola comunità”<br />

(Patto di convivenza Stadera, 2004).<br />

La metodologia partecipata utilizzata, che ben si presta alle sperimentazioni nell’ambito dell’housing<br />

sociale, ha permesso di valorizzare le risorse presenti sul territorio, negoziare i diversi<br />

punti di vista per arrivare a un obiettivo comune, superare la conflittualità fra i diversi attori in<br />

campo, favorire l’assunzione di responsabilità da parte di ogni soggetto coinvolto, suscitare l’interesse<br />

e rafforzare le motivazioni per l’impegno verso il raggiungimento di obiettivi condivisi. Il percorso<br />

di accompagnamento, inoltre, ha agevolato l’integrazione dei futuri inquilini nel territorio e<br />

ha promosso atteggiamenti autonomi e responsabili nella gestione dell’alloggio (Solci, 2005).<br />

L’inserimento di famiglie immigrate è stato, quindi, considerato come elemento positivo di<br />

riqualificazione del quartiere (anche grazie alla presenza e alla mediazione delle cooperative)<br />

(Censis, 2005), ma il progetto di riqualificazione degli spazi pubblici e privati non ha, invece, considerato,<br />

come sarebbe stato auspicabile, l’arrivo di famiglie con culture diverse, come un ulteriore<br />

arricchimento del progetto. Ovvero l’innovazione multiculturale del PRU, data dall’integrazione di<br />

famiglie immigrate in un quartiere oggetto di un processo di riqualificazione, non è arrivata a realizzare<br />

uno spazio architettonico ed urbano più complesso che sia espressione diretta delle trasformazioni<br />

della nuova comunità. La forma urbana, invece, è data proprio dal giusto e sinergico<br />

rapporto tra costruito e non costruito che deve essere recuperato lavorando alla riqualificazione<br />

degli spazi, la loro trasformazione in luoghi accoglienti e la cui caratterizzazione deve rispecchiare<br />

le diverse culture presenti nel quartiere, così da divenire luogo di aggregazione per l’intera comunità.<br />

La qualità di un tessuto urbano, infatti, si costruisce con un processo continuo di confronto<br />

con tutti gli attori interessati in modo da legare il risultato finale (il quartiere, gli spazi pubblici,<br />

l’edificio) ad una memoria (storica o urbana), ad un valore (sociale o naturalistico), ad una coscienza<br />

(ambientale o urbana).<br />

Il ruolo dell’architetto e del progetto di architettura dovrebbe essere proprio quello di realizzare<br />

questi spazi, identificando percorsi di riqualificazione che reinterpretino le periferie, arricchendole<br />

spazialmente ed architettonicamente con i segni ed i sogni delle nuove etnie.<br />

6.2.4 Il ruolo del progetto: la riqualificazione urbana e edilizia come (ri)modellazione<br />

La questione della realizzazione di una <strong>città</strong> multiculturale è, quindi, un processo strettamente<br />

legato ai necessari interventi di riqualificazione che investiranno le nostre <strong>città</strong> ed in particolar<br />

modo gli ambiti periferici. L’obiettivo dovrebbe essere quello di attivare un processo di riqualificazione<br />

che massimizzi contemporaneamente i tre obiettivi propri dello sviluppo sostenibile<br />

(sociale, economico ed ambientale), tenendo conto dei mutamenti in atto nella nostra<br />

società. Questo come risposta ai processi degli ultimi cinquanta anni, che hanno prodotto <strong>città</strong> e<br />

quartieri sempre più estranei agli abitanti, spezzando la corrispondenza tra la comunità ed il suo<br />

insediamento.<br />

Ridare ruolo all’architetto, quindi, per rispondere alle richieste della complessa società contemporanea,<br />

in modo da rendere la pianificazione delle <strong>città</strong> e del territorio e la progettazione degli<br />

spazi di vita, non solo e non esclusivamente una funzione tecnica e politica – che ha spesso<br />

contribuito a realizzare politiche di segregazione (sociale, culturale, economica, ecc.) – ma un pro-


cesso culturale, con l’obiettivo di ricucire il rapporto sociale ed affettivo tra gli abitanti e i loro ambienti<br />

di vita.<br />

Per una maggiore qualità architettonica e urbana di questi ambiti, lo scenario attuale della<br />

progettazione delle trasformazioni è, anche se con qualche accenno di cambiamento, ancora caratterizzato<br />

dalla mancanza di strumenti e politiche adeguate, che vengono di volta in volta superate<br />

tramite l’adozione di strumenti e azioni estemporanei, senza una reale e chiara visione di<br />

insieme che, partendo dai principi propri della sostenibilità, sviluppi una adeguata “cultura della<br />

riqualificazione”. Ovvero, un approccio sostenibile alla riqualificazione che, nel recepire gli apporti<br />

dagli altri settori (ecologia, sociologia, ecc.), possa realizzare luoghi con nuove e più complesse<br />

identità, ripristinando i legami vitali con il contesto, ripartendo dall’esistente, anche deteriore, per<br />

assicurare la continuità col passato.<br />

La strada da percorrere per la riqualificazione dovrebbe essere quella della démolition-remolition,<br />

ovvero un’attività di demolizione mirata e limitata che ne permette il rimodellamento<br />

(Kroll, 2001), tramite una molteplicità di interventi di media e piccola dimensione che privilegino<br />

le reti tecnologiche, gli spazi pubblici, i servizi, i tessuti edilizi e urbani (Pavia, 2003).<br />

Un recupero dell’esistente, in cui si considereranno i temi nella doppia scala della rimodellazione<br />

urbana e edilizia, promuovendo il rimodellamento fisico ed energetico (ridefinendone,<br />

quindi, i caratteri tipologici, morfologici, tecnico-costruttivi ed energetici), così da ridefinire la<br />

struttura e l’immagine di questi luoghi, rendendoli adeguati alle esigenze della comunità multiculturale.<br />

Il processo di rimodellazione può permettere di scegliere, secondo i casi e le realtà, come<br />

intervenire; il fine è quello di rompere la monotonia e la rigidità di quartieri e edifici, che li hanno<br />

resi fisicamente inospitali e hanno contribuito alla loro stigmatizzazione, tramite la progettazione<br />

di paesaggi complessi. Attivare un processo di demolizione-diradamento-densificazione-sovrapposizione<br />

e di riconnessione (fisica, funzionale, sociale) con l’ambiente circostante può aiutare a<br />

scardinare il senso di non appartenenza e l’inadeguatezza di questi ambiti, permettendo la realizzazioni<br />

di luoghi di qualità.<br />

Soluzioni innovative, quindi, sia a livello edilizio che insediativo con il “superamento della<br />

separazione e specializzazione funzionale tra attività abitative e urbane, graduando e qualificando<br />

gli spazi di transizione tra gli ambiti a destinazione sociale, ad uso esclusivo, interni ed<br />

esterni, pubblici e privati, qualificando gli spazi urbani e i modi di fruizione e d’uso secondo forme<br />

appropriate dell’abitare e della socialità” (Dierna, Orlandi, 2005, p. 15).<br />

Nei quartieri di edilizia residenziale non sono stati prodotti spazi pubblici, bensì una serie<br />

di pieni che poggiano su un “non spazio”. Il vero tema nella progettazione della <strong>città</strong> contemporanea<br />

è proprio il vuoto, gli spazi che separano gli edifici. Lo spazio inteso nella sua qualità e conformazione,<br />

nei modi di abitarlo e di usarlo, è un elemento fondamentale della identificazione culturale<br />

di una etnia. Reinventare gli spazi intermedi o “spazi tra”, sia concettualmente, tramite l’individuazione<br />

di nuove funzioni e/o la conferma di quelle usuali, che rispecchiano quelle delle<br />

diverse comunità presenti nel quartiere, che formalmente, con movimenti di suolo, accorpamenti<br />

di cortili, reti verdi interne, percorsi pedonali, liberazione del suolo, ecc. Il fine dovrebbe essere<br />

quello di definire nuovi rapporti equilibrati tra costruito e ambiente, capaci di realizzare cambiamenti<br />

profondi nei luoghi da attraversare, tramite nuovi elementi di identità e centralità in cui<br />

stare. Il progetto di suolo inteso come “opera infra-strutturale”, che si pone come “struttura riorganizzativa<br />

dello spazio aperto, con un ruolo complementare all’insediamento, che anima il sottosuolo,<br />

restituisce qualità alla superficie, inventa il soprasuolo” (Coccia, 2003, p. 26).<br />

Un’attenta lettura del territorio e della sua storia, diventa un momento fondamentale per capirne<br />

i problemi e proporre soluzioni condivise. “Riprendere in considerazione, per ogni contesto,<br />

l’impianto spaziale tracciato dall’insediamento sul terreno, per ridisegnare l’architettura, interpretando<br />

i possibili segni dell’identità del luogo che rappresentano le peculiarità dei suoi tessuti nella<br />

trama delle geografie e delle geometrie fondamentali della <strong>città</strong>. In particolare, si porterà l’attenzione<br />

sullo spazio in negativo della <strong>città</strong> recente, per articolare il vuoto incerto e indifferente tra gli<br />

edifici nell’intreccio di segni e di eventi che possono comporre l’architettura dei percorsi collettivi e<br />

207<br />

L’ARCHITETTURA POSSIBILE<br />

PER LA CITTÀ MULTICULTURALE


208<br />

CAPITOLO 6<br />

lo specifico paesaggio urbano del luogo […], tentare di ripensare i significati dei differenti ambienti<br />

dell’abitare quotidiano e le specifiche eloquenze dei segni con i quali le architetture degli edifici<br />

entrano nella costruzione dell’immagine del luogo urbano” (Giammarco, Isola, 1993, p. 15).<br />

La periferia può accogliere nelle sue aree inedificate e nei suoi tessuti edilizi innesti di attività<br />

produttive legate non solo al consumo e al terziario, ma all’artigianato e alla cultura delle diverse<br />

etnie presenti, all’industria minore, alla ricerca, ecc.<br />

Una ricerca sul comportamento delle comunità locali porterebbe, molto probabilmente, a<br />

scoprire una geografia di centralità nascoste, di luoghi determinati dagli usi collettivi e occasionali<br />

degli abitanti da consolidare e potenziare. Accanto a questi bisogna identificare quegli spazi in<br />

cui le trasformazioni dovute ai processi spontanei e informali innescati dalle comunità immigrate<br />

(mercatini, aree di ritrovo, ecc.) oggi creano situazioni conflittuali, trasformandoli da “aree esclusive”<br />

in luoghi di integrazione, favorendo questi usi diversi dello spazio.<br />

La diversità culturale, quindi, come risorsa vitale per lo sviluppo del paesaggio periferico.<br />

L’integrazione di luoghi, di culture, di usi, rappresenta proprio il cuore della complessità urbana e<br />

può diventare anche un richiamo per persone esterne al quartiere (anche turistico) trasformandosi<br />

in “distretti etnici” 11 , ovvero un veicolo sia per lo sviluppo socio-economico (shopping, gastronomia,<br />

artigianato, ecc.) e culturale (mostre, associazioni, festival ethno-culturali, ecc.) del<br />

quartiere, sia una possibilità di trasformarlo dal punto di vista urbanistico-archiettonico, a vantaggio,<br />

quindi, sia degli immigranti che di tutti gli abitanti del quartiere. In questo modo lo spazio<br />

pubblico cambia continuamente al variare della diverse etnie e culture presenti nel quartiere che<br />

sono influenzate dall’immigrazione e dallo stanziamento sempre diverso.<br />

Accanto alla valorizzazione dei suoi luoghi centrali latenti, occorrerà promuovere una strategia<br />

specifica in grado di immettere nei tessuti nuove strutture di centralizzazione: dai nodi di scambio,<br />

ai centri commerciali, alle (grandi) attrezzature sportive o sanitarie. Realizzare, quindi, spazi<br />

pubblici significativi per la complessa comunità contemporanea, che è una “comunità di comunità”.<br />

La ridefinizione dell’immagine del quartiere si realizza anche intervenendo <strong>sulla</strong> sua edilizia,<br />

per trasformarla in architettura, attuandone una “tridimensonalizzazione”. In questa logica gli<br />

interventi sugli organismi edilizi nel ricercare nuove tipologie abitative (ampliando, o riducendo,<br />

le superfici degli alloggi), attraverso suddivisioni e accorpamenti (non solo in orizzontale ma anche<br />

in verticale con la realizzazione di duplex), possono arrivare a vere e proprie addizioni in facciata<br />

in modo da rimodellare gli edifici sia nella parti collettive (nuovi ingressi, locali di servizio e<br />

ascensori, ridisegno delle coperture) che in quelle private (aggiunta di balconi e logge), ridefininendo<br />

l’immagine stessa degli edifici, come risposta alle nuove domande poste dalla rinnovata<br />

comunità e come espressione delle diversità che coesistono al suo interno.<br />

La definizione degli ambienti interni ed il loro rapporto, seguendo nuove logiche, dovrebbe<br />

realizzare spazi flessibili, capaci di adattarsi nel tempo e soprattutto personalizzabili dalla molteplicità<br />

di utenti che vi andranno a vivere, secondo la loro cultura, valori e priorità. La realizzazione<br />

di loft o alloggi semi-finiti, può aiutare in questo senso anche da un punto di vista economico. Il<br />

fine dovrebbe essere quello non di portare negli interventi di riqualificazione “una nuova catalogazione<br />

di ben definiti rapporti spaziali tra funzioni e ambienti della casa, ma alla definizione di<br />

criteri di progettazione tesi a rendere quanto più possibile trasformabile l’abitazione in rapporto<br />

ad esigenze e bisogni futuri che oggi non possiamo prevedere” (Malighetti, 2004, p. 254). Il progetto<br />

dovrebbe lasciare agli abitanti il “diritto” di modificare il luogo dove vivono (secondo le proprie<br />

esigenze e/o la propria cultura), in modo da poter incidere con le loro azioni sul territorio, costruendo<br />

la propria storia 12 .<br />

11 Non si vogliono intendere come uno strumento di segregazione etnica o sociale, o un dettato coattivo di organizzazione<br />

dello spazio, o come zone di confinamento etnico, o di controllo dell’uso dello spazio (Somma, 1991). Al<br />

contrario come processo di desegregazione, che vede coinvolte (e non escluse) in prima linea le nuove etnie nei processi<br />

di riqualificazione.<br />

12 “È possibile allora che la società, attraverso l’individuo come sua entità più elementare, e attraverso l’abitazione<br />

come unità più elementare della <strong>città</strong> possa proiettare se stessa direttamente nella forma della <strong>città</strong>. La dinamica<br />

del rapporto fra la popolazione e la <strong>città</strong> è pertanto simile al movimento di una mano che modella la creta […] Una <strong>città</strong><br />

è un fenomeno unico che cresce e si rinnova in un ciclo continuo; in cui la materia assume qualcosa della mobilità della<br />

vita e la vita riceve qualcosa della qualità eterna della materia” (Habraken, 1974, p. 92).


Infatti, il problema dei complessi di edilizia popolare, non è “costituito dalla loro [sola] bruttezza,<br />

ma dal fatto che sono anestetizzati, sterilizzati, senza vita, senza azioni […] Qui l’abitante si<br />

ferma bruscamente all’involucro del suo appartamento, niente fuoriesce dalla facciata. È la negazione<br />

della voglia comunitaria dell’abitante” (Kroll, 2001, p. 41). Anche quando gli abitanti intervengono<br />

sugli edifici autonomamente, generalmente in modo abusivo e con strutture precarie, il<br />

risultato è un ulteriore degrado dei luoghi. La soluzione potrebbe essere lasciare la possibilità di<br />

poter realizzare superfetazioni o cambiamenti “controllati”; ovvero lasciare agli edifici un certo<br />

grado di labilità che permetta agli abitanti di poter effettuare le trasformazioni utili ad un miglioramento<br />

e, quindi, una personalizzazione della propria abitazione (o collettivamente dei propri<br />

spazi), inserita in una griglia a trama larga preordinata.<br />

La partecipazione degli abitanti al processo progettuale, sia in fase di definizione degli<br />

obiettivi che in ogni momento del loro abitare in quel luogo, permetterà di ampliare in essi la sicurezza,<br />

sia della riuscita del progetto e del ruolo che il loro quartiere assumerà all’interno della <strong>città</strong>,<br />

sia dell’importanza che le loro azioni avranno nella ridefinizione degli ambienti in cui vivranno.<br />

Il risultato del progettare dovrebbe essere un’architettura “complessa e contraddittoria, basata<br />

<strong>sulla</strong> ricchezza e sull’ambiguità del movimento moderno […] in quanto è dal paesaggio quotidiano,<br />

volgare e disprezzato che possiamo derivare l’ordine complesso e contraddittorio che è<br />

valido e vitale per un’architettura intesa come totalità urbanistica” (Venturi, 1966, p. 22).<br />

Vi è, quindi, l’obbligo morale di realizzare processi di riqualificazione in modo da far sì che<br />

gli abitanti possano riconoscersi in essi, realizzando sistemi insediativi che soddisfino le esigenze<br />

della popolazione contemporanea, e contemporaneamente li riconoscano come espressione<br />

della collettività, ricucendo lo strappo tra gli abitanti e il luogo dove vivono, ridando dignità a<br />

questa “società senza centro”.<br />

Un’area riprogettata ex-novo riuscirà infine ad essere un “luogo urbano”, quando gli elementi<br />

che la costituiscono (piazze, strade, aree verdi, case, ecc.) non risultano una semplice sommatoria,<br />

ma sono interconnessi tra loro, tramite un sistema di causa-effetto indotto dalla vita sociale<br />

dei cittadini.<br />

6.3 LA RIGENERAZIONE DEL LUOGO FRA RICERCA E PROGETTO: TRACCE DI UN FUTURO POSSIBILE PER<br />

SCAMPIA<br />

6.3.1 Prefigurare nuove immagini urbane: Scampia come laboratorio di sperimentazione<br />

progettuale e multiculturale<br />

Le periferie italiane, un tempo abitate dagli strati più deboli e sovente dagli operai che dal<br />

sud raggiungevano il nord produttivo, assistono da alcuni anni all’avvento di componenti extracomunitarie,<br />

laddove nelle <strong>città</strong> europee esperienze multietniche sono già consolidate e ampiamente<br />

oggetto di sperimentazione e di riqualificazione. La componente gitana e latino-americana<br />

nelle grandi <strong>città</strong> spagnole, quella nordafricana nelle <strong>città</strong> francesi, quella anglo-indiana nelle britanniche<br />

e quella brasiliana nella capitale portoghese, fanno rilevare, ad un primo sguardo, l’interetnia<br />

come derivante soprattutto dal passato coloniale di tali nazioni. Attualmente, a livello planetario,<br />

la questione è l’equilibrio fra paesi detentori di conoscenze e di tecnologie e paesi detentori<br />

di materie prime e manovalanza a basso costo; da questo squilibrio discende la formazione e<br />

proliferazione di culture e nazioni periferiche.<br />

Questa consapevolezza ci ha spinto a rileggere ed approfondire il caso studio nel quartiere<br />

Scampia come proposta di riqualificazione del “Lotto M” e delle “Vele” e, in contiguità, per la<br />

“Piazza della Socialità”. Il progetto per il Lotto M, strutturato come un concept, vuole, suggerire un<br />

possibile indirizzo di ricerca e di attuazione nella definizione del futuro Piano Urbanistico Esecutivo<br />

per questa parte di <strong>città</strong>; la Piazza della Socialità, introducendo valenze insediative mutuate dalla<br />

<strong>città</strong> ottocentesca, vuole costituire un modello di riqualificazione già ampiamente confermato e<br />

condiviso.<br />

Rileggendo in chiave <strong>interetnica</strong> l’esperienza maturata per questi due progetti in altri ambiti<br />

operativi, si rileva che nell’affrontare il tema della rigenerazione dei luoghi marginali e delle<br />

209<br />

L’ARCHITETTURA POSSIBILE<br />

PER LA CITTÀ MULTICULTURALE


210<br />

CAPITOLO 6<br />

periferie metropolitane (Giammarco, Isola, 1993), è necessario ora confrontarsi con una domanda<br />

di multiculturalità e di integrazione, non solo fra i differenti strati sociali che diversificano gli status<br />

degli abitanti, ma anche rispetto ai nuovi impulsi derivanti dall’innesto e sovrapposizione di<br />

culture altre, apportatrici di nuove questioni più o meno problematiche, che spingono ad una riflessione<br />

sulle modalità d’uso degli spazi urbani, sulle dinamiche di esclusione dai luoghi privilegiati,<br />

<strong>sulla</strong> necessità di diffondere modelli abitativi quanto più possibile equilibrati. La risposta a<br />

tale istanza è da ricercare nella giusta definizione di prossimità, equilibrio e correttezza di rapporti<br />

fra gli spazi pubblici e aperti, fra le residenze e le funzioni di alto rango, fra la distribuzione delle<br />

opportunità e il godimento dei diritti di chi vive la <strong>città</strong> (Bauman, 2001).<br />

Lo sviluppo di una proposta per il Lotto M ed il recupero di due delle Vele insistenti sullo<br />

stesso vuole sperimentare, inserendo ed integrando al recupero anche una funzione suggerita<br />

ma non specificata dalla municipalità (un Centro Agro-ambientale, misto fra struttura fieristica e<br />

centro di ricerca), modalità di pianificazione aperte che ammettono la flessibilità d’uso e l’interpretazione<br />

retroattiva (Boeri, 2002) senza sacrificare per questo una precisa resa formale e strutturale<br />

del progetto (Boeri, Branzi, 2000).<br />

La vaghezza della destinazione funzionale ci ha spinto a riflettere sul modo di fruire la <strong>città</strong><br />

che, com’è noto, non sempre è normato o determinato dagli usi previsti o indotti, ma da esigenze<br />

di vita inedite, stimolate da cambiamenti sociali complessi, da flussi migratori, dall’innesto di<br />

nuove culture, dagli implacabili effetti dell’economia planetaria (Bauman, 1998). Un capannone<br />

abbandonato punteggiato di lanterne e festoni di carta diventa il locale mercato cinese ad uso<br />

esclusivo della comunità interna (succede a Via Argine); luoghi come sottoscala, garage o qualsiasi<br />

altro spazio marginale scartato dalla collettività, divengono sovente scuole o moschee islamiche;<br />

altri fenomeni che vanno dall’apparizione di mercati improvvisati alla trasformazione di manifatture<br />

che diventano abitazioni – o di abitazioni che ospitano commercio e produzione – sono oramai<br />

dilaganti. Non si tratta di fenomeni nuovi: il meccanismo di uso delle <strong>città</strong> ci ha storicamente<br />

abituati alla trasformazione di mercati in luoghi di culto, di cittadelle monastiche in luoghi della<br />

manifattura, dell’educazione o della pena, e gli esempi potrebbero essere diversi.<br />

Colpisce di questi fenomeni, recenti e non, soprattutto l’assenza di una volontà pianificatoria<br />

che li regoli, mentre le trasformazioni spontanee si dimostrano molto più rapide, efficaci e implacabili<br />

di qualsiasi decisione istituzionale. Processi pianificatori a maglie larghe, che ammettono<br />

flessibilità interne e retroazioni, prendendo a prestito da alcuni meccanismi strutturali derivati<br />

dalla “teoria dei giochi”, nella visione soprattutto dei geografi urbani più che degli urbanisti, sono<br />

sempre più oggetto di interesse e sperimentazione. Un possibile approccio architettonico, parallelo<br />

a queste ricerche, insiste più sugli aspetti topologici che non tipologici dell’architettura.<br />

Valenze di prossimità, osmosi interno-esterno, protezione e delimitazione, integrazione, appartenenza,<br />

identità, tutti quegli aspetti fenomenologici della cultura dell’abitare centrali nella ricerca<br />

di Norberg-Schulz – che da anni rappresentano un sistema di contenuti e di valori perseguiti dal<br />

gruppo di ricerca – sono considerati determinanti nella previsione di un riassetto del Lotto M di<br />

Scampia (Norberg-Schulz, 1975, 1996).<br />

6.3.2 Integrare parti di <strong>città</strong>: il progetto per la Piazza della Socialità a Scampia<br />

Il progetto per la Piazza della Socialità a Scampia, primo classificato di un appalto-concorso,<br />

sviluppato per fasi a partire dal 2003, si affianca ad altri interventi in atto realizzati, o in fase di progetto,<br />

dal Comune di Napoli (edilizia sostitutiva delle Vele lungo gli assi Via Gobetti - Via Labriola;<br />

nuova sede della Facoltà di Medicina; fasce di rispetto lungo i bordi stradali dei lotti) ed assume le<br />

indicazioni planivolumetriche, stabilite dal Servizio Valorizzazione delle Periferie Urbane. Da tali indicazioni,<br />

si sono sviluppati ulteriormente gli spunti nel riconoscere il ruolo nodale che la Piazza e<br />

il Teatro all’aperto dovranno assumere nel costituire testata dell’asse di Via Gobetti, collegamento<br />

alla stazione della metropolitana collinare.<br />

La Piazza, preceduta da due corpi di residenze di differente lunghezza su Via Gobetti, è delimitata<br />

da due blocchi di residenze porticate, miste a studi professionali, attività pubbliche e<br />

commerciali, e da un corpo connettivo a protezione dello spazio della piazza che si conquista tra-


Fig. 8 - Il progetto per la<br />

Piazza della Socialità,<br />

planimetria<br />

mite un varco operato nello stesso (Fig. 8). Tale corpo, ospitante un laboratorio anziani-giovani<br />

(Fig. 9) costituisce una delle funzioni catalizzatrici che vuole favorire l’incontro, lo scambio di esperienze<br />

e valori fra generazioni e culture diverse, che lo spirito generale di costituzione della piazza,<br />

come luogo urbano dell’inclusione e dell’integrazione sociale e multiculturale, sottende.<br />

La scelta di riconoscibilità e centralità del gruppo piazza-teatro, è resa più complessa dal<br />

team di progetto che ha definito un profilo articolato in sezione, lungo l’asse di impostazione planimetrico,<br />

che si adatta alle scelte dell’ente di costituire una relazione urbana gerarchicamente<br />

collaudata e condivisa: formare cortina, fornire uno zoccolo commerciale, favorire una mixitè di usi<br />

e funzioni, dare riconoscibilità alle parti in gioco (Fig. 10).<br />

La convergenza di differenti culture e modalità dell’abitare, dagli aspetti sociali estremamente<br />

complessi e non affrontabili solo in termini urbanistici, nelle realtà periferiche europee<br />

dove è più presente la componente multietnica, costituisce un notevole campo di sperimentazione<br />

sociale e architettonico sulle modificazioni dell’abitare ed offre spunti di riflessione, piste di<br />

ricerca, risposte progettuali per il recupero e il rilancio delle aree urbane marginali (Franz, Leder,<br />

2003). Su questo terreno la criticità delle periferie va considerata sotto l’aspetto di risorsa ed occasione<br />

di rivalutazione delle conflittualità esistenti, come tensione propositiva al cambiamento<br />

di scenari urbani e sociali.<br />

211<br />

L’ARCHITETTURA POSSIBILE<br />

PER LA CITTÀ MULTICULTURALE


212<br />

CAPITOLO 6<br />

Fig. 9 - Il progetto per la Piazza della Socialità, prospetto del Laboratorio Anziani-Giovani e sezione dei nuovi edifici<br />

6.3.3 Il riassetto dei quartieri di edilizia residenziale e l’iteretnia: una proposta per il recupero<br />

del “Lotto M” e delle “Vele” di Scampia<br />

Il quartiere di Scampia fu realizzato nell’area nord occidentale della periferia di Napoli, in<br />

attuazione della legge 167/62 con cui venne previsto il locale Piano di Zona del 1964. Tali strumenti<br />

nacquero con l’intento di razionalizzare gli insediamenti dell’edilizia economica e popolare<br />

e far sì che l’edilizia pubblica non si conformasse in maniera episodica e frammentaria ma integrata<br />

ad un piano di assetto dell’intero organismo urbano (Rebecchini, 1978). Ben presto l’intero<br />

quartiere “167” e le “Vele” di Scampia vengono conosciuti come uno dei maggiori problemi di natura<br />

sociale (disagio esteso, uniformità di classe, alto tasso di disoccupazione), economica (assenza<br />

di attività commerciali, terziarie e produttive) e funzionale (scarsità di attrezzature). Soprattutto le<br />

Vele vengono identificate tout-court con la situazione di degrado che connota l’intero quartiere.<br />

All’interno del quartiere di Scampia le Vele, progettate con acume e visionarietà dall’architetto<br />

Franz di Salvo – in una fase in cui le megastrutture erano al centro della sua ricerca progettuale –<br />

rappresentano uno dei tanti esempi di creature generate da architetti di straordinario talento ed<br />

impeto progettuale, ma che avendo avuto un lungo iter di realizzazione, si sono rivelate opere che<br />

hanno profondamente tradito il progetto originario (Fusco, 2003; AA. VV., 1994). A questo è seguita,<br />

ancor prima del termine dei lavori, l’occupazione delle case da parte degli abitanti e la mancanza,<br />

nel corso degli anni, di opere di manutenzione. Le Vele furono, inoltre, realizzate con gravi<br />

difformità, sia figurative sia esecutive, rispetto al progetto originario: la strada interna fu decurtata<br />

di un paio di metri nella sua larghezza; il profilo venne realizzato a riseghe anziché ondulato secondo<br />

la prevista, e più slanciata, curva ascendente; la realizzazione dei tagli verticali in facciata,<br />

che avrebbero dovuto dare più luce nel vuoto centrale interno, venne disattesa; l’utilizzo della tecnologia<br />

rigida dei getti a tunnel fu adottata in luogo di una totale industrializzazione per componenti<br />

più minuti dell’opera, tutti aspetti che permettono di verificare una marcata incoerenza fra<br />

la concezione e la realizzazione.<br />

Senza addentrarci troppo nella lunga storia delle Vele (Alberti, 1969; Pagano, 2001) si può<br />

affermare che vengono presto definite invivibili e inadatte a svolgere la funzione abitativa, e che<br />

Fig. 10 - Il progetto per la Piazza della Socialità, sezione-prospetto lungo l’asse di via P. Gobetti


le ipotesi delineatesi nel corso degli anni sono da un lato quella dell’abbattimento, che porterà<br />

l’Amministrazione Comunale a spostare in altri edifici gli abitanti delle Vele avendo demolito<br />

quelle insistenti sul Lotto L, e dall’altro quella, almeno per alcune di esse, del recupero anche se,<br />

con una delibera, il Consiglio comunale ne esclude la destinazione residenziale.<br />

I principi del progetto<br />

La ricerca di principi fu impostata sull’analisi13 di realizzazioni analoghe in Italia –<br />

Gallaratese, Rozzol Melara, ZEN, Forte Quezzi, Corviale – ed operò una prima suddivisione degli insediamenti<br />

costruiti, con cui comparare quello di Scampia, secondo raggruppamenti tipologici<br />

(insediamenti a forte impatto territoriale; insediamenti a tessuto compatto; unità di abitazione<br />

orizzontale; insediamenti megastrutturali) ed inquadrò gli esempi a partire dalle loro connotazioni<br />

e ragioni storiche (Giura Longo, 1973a, 1973b, 1975), riportandone una descrizione del loro<br />

stato e delle ipotesi di riqualificazione allora in atto. Contemporaneamente un’altra parte della ricerca14<br />

esaminò alcuni coevi interventi di riqualificazione, attuati o in corso di realizzazione in<br />

Italia – il Contratto di Quartiere Sant’Eusebio a Cinisello Balsamo e il Contratto di Quartiere II<br />

Corviale a Roma – ed – in Spagna – la riqualificazione dei complessi residenziali de La Mina Nova<br />

a Barcellona. Questi esempi furono ritenuti interessanti, presentando infatti soluzioni integrate ed<br />

innovative in quartieri particolarmente critici, caratterizzati da pronunciato degrado fisico, economico<br />

e sociale.<br />

Le analisi condotte evidenziarono la necessità di definire un percorso metodologico che<br />

permettesse di orientare i progetti di recupero verso soluzioni volte ad un miglioramento della<br />

qualità di vita urbana, da attuarsi tramite una riqualificazione immateriale ed una riqualificazione<br />

materiale, ovvero tramite un approccio integrato capace di ridare identità, realizzando interventi<br />

misurati, condivisi, di spiccata qualità progettuale, dove gli aspetti costruttivi, infrastrutturali, urbanistici,<br />

finanziari, gestionali si relazionino alle azioni e agli incentivi per lo sviluppo sociale ed<br />

economico (Giovene di Girasole, 2005).<br />

Il progetto di riqualificazione<br />

La proposta di recupero – anche se a patto di un certo stravolgimento del manufatto –<br />

cerca di recuperare, in termini spiccatamente concettuali, alcuni degli obiettivi proposti dal progetto<br />

originario: serialità ed industrializzazione degli elementi di complemento; figurazione accattivante<br />

anche con l’utilizzo di scale cromatiche; proposizione dello svuotamento di alcuni<br />

campi di tamponamento per dare luce all’interno; forte legame con il suolo su cui insistono le costruzioni<br />

cercando di fornire un sedime specificamente adatto ad accogliere le Vele.<br />

Nell’ambito dei principi di intervento descritti precedentemente, la ricerca, considerando le<br />

esplicite richieste della Convenzione, si è soffermata <strong>sulla</strong> riqualificazione materiale elaborando<br />

una ipotesi di progetto che, redatto come un concept, è un test per verificare le potenzialità del ridisegno<br />

del Lotto M e l’attitudine all’adattamento ed alla trasformazione di questi grandi edifici.<br />

Nell’ambito della ricerca è emersa la difficoltà, rispetto alle direttive del Comune, di conservare<br />

tutte le Vele ancora presenti nel Lotto M. Di queste due sono a torre e due a tenda, con valenze<br />

tipologiche e potenzialità di riutilizzo differenti. Per questi motivi è stata considerata l’alternativa<br />

di conservare e riqualificare la tipologia a tenda e di demolire quelle a torre. Infatti, nella<br />

smagliatura dei lotti determinati dalle strade a scorrimento veloce, le due Vele a tenda, rispetto a<br />

quelle a torre, sono ritenute essenziali nella definizione di un’immagine urbana vivida e, soprattutto,<br />

in accordo con la scala degli spazi aperti determinati da quella concezione insediativa – di<br />

certo discutibile – legata ai Piani di Zona. Il progetto ha previsto anche la demolizione del mercatino<br />

rionale sostituito da una struttura fieristica.<br />

L’ipotesi del recupero marcato, con procedimenti di alleggerimento, scomposizione e diversificazione<br />

anche materica della compagine figurativa, diventa occasione per la ridefinizione<br />

dell’involucro quale luogo privilegiato di scambio energetico e spazio di transizione fra ambiti e<br />

13 Curata dall’autore.<br />

14 Curata da Eleonora Giovene di Girasole.<br />

213<br />

L’ARCHITETTURA POSSIBILE<br />

PER LA CITTÀ MULTICULTURALE


214<br />

CAPITOLO 6<br />

scale diverse, oltre che occasione di indagine espressiva. La forte caratterizzazione figurativa delle<br />

Vele, nonché le dimensioni “scoraggianti” hanno reso estremamente complessa ma stimolante<br />

questa ipotesi di lavoro.<br />

Assieme alla prevista Piazza della Socialità ed alla nuova sede della Facoltà di Medicina, riadattamento<br />

del progetto redatto sei anni or sono dallo Studio Gregotti Associati per la sede<br />

della Protezione Civile, si assumono così le Vele recuperate quali poli ad alta concentrazione semantica,<br />

capaci di riorganizzare il sistema insediativo generale.<br />

In base all’ipotesi avanzata nel corso della ricerca, di destinare l’area del Lotto M a “Centro<br />

Agroambientale”, è stato progettato per questa funzione un tessuto connettivo tra le Vele B e D e<br />

negli spazi liberati dalla Vela A e dal mercatino rionale. Per le Vele B e D è stato previsto un loro recupero<br />

funzionale e distributivo, riconformando la sezione e le piante, con l’obiettivo di renderle<br />

utilizzabili sia come spazi per il terziario e la ricerca, sia come abitazioni, e lavorando sugli esterni<br />

per esaltarne la valenza simbolica all’interno del quartiere.<br />

Il Lotto M viene modellato (Fig. 11) conformando corti aperte (come piazze interne di pertinenza<br />

al Centro Agro-ambientale, presidiate e gestite in relazione agli usi possibili) e padiglioni<br />

funzionalmente non definiti anche di grande dimensione (spazi a campata libera e servizi localizzati<br />

in punti nodali). Il sistema insediativo si propone di connettere, con un tessuto in parte costruito<br />

e in parte a verde, le due Vele così recuperate con funzione direzionale e residenziale. Le<br />

variazioni di giacitura proposte cercano di assimilare, in una geometria polare più complessa, il rigido<br />

orientamento eliotermico delle megastrutture all’interno del lotto, assorbendole nel generale<br />

riassetto delle geometrie variate e integrandosi alle proposte in attuazione previste dal<br />

Fig. 11 - Suolo attrezzato come ridisegno del “Lotto M” e intervento campione per la definizione delle fasce di rispetto


Fig. 12 - Profili territoriali con ipotesi di suolo attrezzato<br />

Programma di riqualificazione urbana di Scampia 15 , che, tra l’altro, prevede l’edificazione delle aree<br />

di margine (fasce di rispetto) dei singoli lotti, una delle quali, a sud del Lotto M, viene suggerita<br />

come proposta campione.<br />

Per il Lotto M si prevedono quindi nuove reti di attraversamento e nuovi percorsi per un<br />

progetto degli spazi aperti inteso come suolo attrezzato (Fig. 12) atto ad ospitare la nuova destinazione<br />

funzionale. La cubatura complessiva fuori terra di tale nuova edificazione risulterà pari<br />

alla sommatoria delle cubature di demolizione delle Vele A e C e del mercatino rionale.<br />

Il recupero delle Vele (Fig. 13) prevede l’assunzione dello schema strutturale come architettura<br />

di supporto (Habraken, 1973, 1974) per nuove funzioni. I campi modulari previsti da Franz di<br />

Salvo, realizzati tramite tecnologia dei getti con cassaforma a tunnel, sono assimilati come spazi<br />

neutri e versatili forniti di blocchi di servizio concepiti come architetture autonome inserite entro<br />

questi vuoti e rivolte verso la strada interna. La teoria di balconi esterni viene confermata e sottolineata<br />

da uno studio cromatico. Si prevede di liberare tre livelli orizzontali di campi modulari per<br />

dare aria e luce alla zona centrale del manufatto; questo svuotamento permette di realizzare lo<br />

spazio per gli impianti e per i loggiati di pertinenza alle residenze e agli uffici.<br />

La liberazione dalle passerelle centrali e dalle rampe di accesso agli alloggi è la prima<br />

azione di revisione del sistema distributivo generale che prevede l’aggiunta di corpi scala nelle<br />

parti basse e l’alternanza di nuovi ballatoi, alternativamente esterni ed interni allo spessore dei<br />

corpi stessi. La parte centrale delle Vele viene così liberata con vantaggi per l’illuminazione e la<br />

qualità ambientale. I collegamenti orizzontali tra le casse scale/ascensori e gli accessi alle funzioni<br />

previste (uffici, alloggi, laboratori) sono risolti con percorsi a ballatoio interni, operando varchi<br />

nelle pareti trasversali dei tunnel del sistema costruttivo. Tali percorsi, coperti, resteranno aperti<br />

<strong>sulla</strong> strada interna già occupata dalle passerelle demolite, assumendo il ruolo di ballatoi di accesso<br />

alle unità rifunzionalizzate. Il posizionamento attuale delle casse scale/ascensori viene confermato<br />

e incrementato con ulteriori quattro collegamenti verticali dislocati alle estremità bassa<br />

dei corpi, prevalentemente destinati ad uffici o laboratori di ricerca. La distribuzione orizzontale<br />

viene risolta, per questa parte delle Vele, con ballatoi esterni con struttura autonoma in acciaio.<br />

15 28 luglio 1995, con Delibera Consiliare n. 240, è stato approvato il Programma di Riqualificazione Urbanistica<br />

“Vele” - Scampia, finalizzato alla definizione delle soluzioni urbanistiche più idonee per avviare un processo di risanamento<br />

integrato del quartiere di Scampia. Gli obiettivi principali del programma sono di attivare un processo integrato<br />

di riqualificazione urbanistica e di rivitalizzazione socio-economica finalizzata alla rifunzionalizzazione del quartiere e<br />

contemporaneamente risolvere in modo definitivo la sistemazione abitativa degli abitanti delle “Vele” mediante un programma<br />

di edilizia residenziale pubblica sostitutiva in grado di assicurare idonee condizioni di vivibilità. Inoltre è stata<br />

prevista la redazione del Piano Urbanistico Esecutivo per la trasformazione del Lotto M e delle fasce di rispetto del Piano<br />

di zona 167 di Secondigliano il cui progetto di investimento è stato approvato nel 13/11/02 (del. G. C. n. 4204). Il Piano<br />

Urbanistico è stato finanziato assumendo con la Cassa DD.PP. un mutuo con importo pari a € 355.330,00 che ha permesso<br />

l’inizio delle attività.<br />

215<br />

L’ARCHITETTURA POSSIBILE<br />

PER LA CITTÀ MULTICULTURALE


216<br />

CAPITOLO 6<br />

Fig. 13 - Ricomposizione dei fronti delle “Vele” e studio dei valori cromatici<br />

La parte centrale, per ambedue i versanti, delle Vele viene “svuotata” dalle funzioni e liberata<br />

dei tamponamenti esterni per tre livelli (da q. 12,50 a q. 18,50 comprese) e per uno sviluppo<br />

di circa 18/19 campi modulari (metri 3.60 per ciascun campo). Viene così incrementata la penetrazione<br />

della luce e dell’aria nella parte interna, con soluzioni figurative di “trasparenza” attribuibili<br />

alla volumetria complessiva. Detti livelli, ove possibile, resi comunicanti verticalmente (con<br />

parziale demolizione di alcuni campi di solai) saranno interessati dal sistema degli impianti tecnologici<br />

e da attrezzature comuni.<br />

La rifunzionalizzazione completa delle Vele prevede: laboratori speciali, ad integrazione di<br />

quelli progettati per la nuova edificazione, localizzati nelle ali estreme; uffici e studi professionali<br />

nella zona centrale, per i primi 4/5 livelli, sempre per ambedue i versanti; residenza nelle parti alte.<br />

Le residenze sono state proposte nella tipologia simplex ed in quella duplex; questa ultima risolta<br />

nelle riseghe derivanti dall’andamento terrazzato del profilo a vela. La tipologia della residenza<br />

viene comunque studiata come open space: sono unificati, mediante l’apertura di portali nei setti<br />

trasversali, dai 2 ai 4 campi modulari, ottenendo pezzature di alloggi da 50, 75 e 100 mq. Tali tipi<br />

abitativi, concepiti come loft, prevedono che lo spazio interno (sommatoria di più campi) venga<br />

definito dal fruitore, con eventuale attrezzature di arredo, in aggiunta al blocco servizi (bagno e<br />

cucina) organizzato e fornito di impianti, localizzato sul versante dei ballatoi interni.<br />

Particolare cura, nel recupero e rifunzionalizzazione delle Vele B e D, viene affidata alla soluzione<br />

figurativa dei fronti esterni; nell’interpretazione del progetto originario di Franz Di Salvo,<br />

sono esaltate le linee orizzontali dei fronti esterni, con interventi cromatici, e la composizione<br />

seriale, altro aspetto determinante del progetto originario, è giocata soprattutto sul piano dell’impaginazione<br />

dei fronti interni e all’inserimento dei blocchi funzionali nei vuoti del tunnel<br />

strutturale.<br />

Il caso-studio si propone di verificare ulteriori spunti e linee operative, alla luce delle nuove<br />

esigenze multiculturali e interetniche che qualsiasi sistema urbano evoluto deve soddisfare,<br />

convergendo su questa ipotesi di ridisegno del Lotto M, proposta programmaticamente adattabile<br />

ma strutturalmente e architettonicamente fondata sul piano del suo generale principio insediativo.


6.4 RIFERIMENTI<br />

6.4.1 Bibliografia<br />

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Venturi R. (1966), Complexity and Contradiction in Architecture, New York, trad. it. (1980), Complessità e contraddizione<br />

in architettura, Dedalo, Bari.<br />

6.4.2 Internet<br />

Censis (2005), “Attività di monitoraggio delle politiche abitative realizzate o in corso di realizzazione in favore<br />

degli immigrati nelle regioni del centro nord. Rapporto finale”, web site http: //www.censis.it.<br />

217<br />

L’ARCHITETTURA POSSIBILE<br />

PER LA CITTÀ MULTICULTURALE


218<br />

CAPITOLO 6<br />

d’Andrea L., d’Arca R., Mezzana D. (2002),“Manuale sulle pratiche di integrazione sociale ed economica degli<br />

immigrati in Europa”, a cura del CERFE con il sostegno della Commissione Europea DG V<br />

“Occupazione, Relazioni Industriali e Affari Sociali, web site http: // www.forumimmigrati.org.<br />

Marzi A. (2006), “Dateci un tetto popolare”, in Altraeconomia. L’informazione per agire, n. 61, web site http://<br />

www.altraeconomia.it.<br />

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web site http: // www.unica.it.<br />

Regione Lombardia (2005),“Approvazione dell’Accordo di Programma denominato: Programma di Recupero<br />

Urbano Stadera”, in BURL n. 1, web site http: // www.regione.lombardia.it.


Capitolo 7<br />

L’interpretazione visuale della <strong>città</strong> dell’accoglienza<br />

“Ma non voglio parlare di me. Desidero parlare soltanto di fotografia e<br />

di ciò che possiamo realizzare con l’obiettivo. Desidero fotografare ciò<br />

che vedo, sinceramente, direttamente, senza trucchi, e penso che possa<br />

essere questo il mio contributo ad un mondo migliore”.<br />

Tina Modotti<br />

Niente può ricominciare là dove la bellezza ha fallito …<br />

Viaggio in Italia (Guido Ceronetti, 1983)<br />

La complessità e la dinamicità dei fenomeni che devono confluire nella nuova architettura del dialogo<br />

hanno reso opportuno sviluppare un’ulteriore esperienza cognitiva basata sull’approccio visuale<br />

messo a punto da Maurizio Cimino, fotografo proveniente da una formazione umanistica e sociologica.<br />

Le sue immagini sono la base del racconto, sviluppato da Gabriella Esposito De Vita, che si<br />

dipana attraverso le tematiche emerse nel corso della ricerca e raggruppate mediante le parole<br />

chiave introdotte nel capitolo 2, offendo un ulteriore contributo interpretativo alla nuova semantica<br />

multiculturale. Le suggestioni visive indagano efficacemente i chiaroscuri ed i conflitti di una complessa<br />

interazione etnica e culturale e mettono in evidenza la necessità di intervenire sugli spazi<br />

della residenza e su quelli della socializzazione per intercettare una domanda urbana sempre più<br />

articolata e polisemica.<br />

7.1 VALORI SEMANTICI MULTICULTURALI PER LA CITTÀ DELL’ACCOGLIENZA<br />

La complessità dell’oggetto dello studio e la velocità delle trasformazioni in atto hanno<br />

reso opportuno sviluppare un’ulteriore esperienza cognitiva basata sull’approccio visuale.<br />

Il percorso intrapreso verso la costruzione di una <strong>città</strong> culturalmente plurale si è avvalso di<br />

contributi disciplinari diversi, che consentissero di cogliere lo “spirito del tempo” in una società in<br />

profondo mutamento. Per poter sostanziare e rendere efficaci i nodi progettuali emersi nello sviluppo<br />

della ricerca ci si è impegnati a comprendere le caratteristiche della <strong>città</strong> dell’accoglienza rispetto<br />

al rapporto tra globalizzazione e identità locale, per definire i valori semantici della <strong>città</strong><br />

che possono costituire il terreno di coltura dell’incontro e dell’interazione.<br />

L’indagine sullo stato dell’arte della ricerca <strong>sulla</strong> <strong>città</strong> multiculturale, illustrata nelle prime<br />

pagine del volume, ha consentito di individuare le parole chiave che hanno accompagnato gli approfondimenti<br />

tematici sviluppati con taglio urbanistico e progettuale.<br />

Un approccio integrato ha condotto ad affrontare gli spazi per l’aggregazione interculturale<br />

secondo diverse declinazioni e compenze. Tra queste è risultata di grande interesse l’esperienza<br />

di indagine visuale che si presenta nelle prossime pagine; gli scatti, effettuati da un fotografo<br />

proveniente da una formazione umanistica e sociologica, con un approccio innovativo rispetto<br />

alle tematiche affrontate, offrono spunti significativi per il prosieguo della ricerca.<br />

L’impostazione del lavoro non è quella tipica di un reportage monotematico, che avrebbe<br />

potuto imbrigliare il flusso creativo in un percorso pre-definito e pre-concetto, e di semplice commento<br />

visivo a quanto elaborato con le tradizionali metodologie della ricerca scientifica. Si è scelto,<br />

invece, di raccontare per immagini le emergenze (nelle diverse accezioni del termine) di una società<br />

multiculturale, che non si rilevano pienamente con efficacia nelle indagini urbanistiche ed architettoniche,<br />

necessariamente più asettiche ed oggettive, che sono state condotte nelle pagine precedenti<br />

(Piccinato, 2005).<br />

219<br />

L’INTERPRETAZIONE VISUALE<br />

DELLA CITTÀ<br />

DELL’ACCOGLIENZA


220<br />

CAPITOLO 7<br />

L’autore degli scatti, facendo proprio un approccio situazionale all’indagine fotografica, ha<br />

raccontato problematiche e potenzialità della multiculturalità, che offrono suggestioni non<br />

emerse nel corso della ricerca o che non sono state indagate in questi termini. Si sono scelte immagini<br />

che illustrassero i temi affrontati in un’ottica nuova, e che esprimessero suggestioni ed elementi<br />

utili a reindirizzare il percorso di ricerca e la fase di sperimentazione. Le immagini raccolte,<br />

interpretate quali tessere di un puzzle unitario, sono state prese singolarmente o raggruppate in<br />

base al soggetto rappresentato, al tempo dell’azione o alla tecnica fotografica adottata. La sequenza<br />

proposta vuole esprimere la complessità del fenomeno affrontato senza offrirne una ricostruzione<br />

aprioristica.<br />

I temi dell’identità culturale e dell’identità urbana si intrecciano e trovano un’ulteriore occasione<br />

di sviluppo mediante le immagini di una quotidianità multiculturale che consentono di riflettere<br />

<strong>sulla</strong> capacità della <strong>città</strong> contemporanea di assumere una dimensione inclusiva e di esprimerla<br />

attraverso una nuova semantica delle forme. Questa è una vocazione intrinseca nella natura<br />

urbana; la <strong>città</strong>, nella storia, è sempre stata plasmata dall’interazione di culture diverse che hanno<br />

lasciato i segni e ne hanno determinato la peculiarità. Nella <strong>città</strong> contemporanea questo processo<br />

osmotico è ostacolato dall’accelerazione dei mutamenti sociali, che avvengono per effetto dei<br />

molteplici fattori raccolti sotto il nome di globalizzazione. Le molteplici interazioni tra individui e<br />

spazi urbani, colte mediante l’indagine di tipo visuale, contribuiscono ad identificare, per immagini,<br />

i nuovi valori semantici che una società complessa, dinamica e multicolore può esprimere.<br />

Le immagini di vita vissuta illustrano con immediatezza ed efficacia il coacervo di simboli,<br />

idee e culture che concorrono alla formazione di una memoria collettiva multidimensionale. La<br />

<strong>città</strong> rappresenta la trasposizione “fisica” di questo nuovo concetto di identità culturale e costituisce<br />

quel fenomeno sociale ineguagliabile, che è il grande protagonista del percorso d’indagine visuale:<br />

quale sfondo, quale avversario, quale complice, …<br />

Ma il concetto di identità urbana, ricorrente nel dibattito scientifico e istituzionale, così<br />

come nelle riflessioni della società civile sui temi dell’immigrazione, è estremamente evanescente<br />

e tutt’altro che univoco. La <strong>città</strong> contemporanea è, infatti, sottoposta a due forze contrastanti: da<br />

un lato, l’omologazione dei modelli di sviluppo e delle identità culturali per effetto della globalizzazione<br />

e, dall’altro, l’affermazione di tradizioni culturali, vere o presunte, che appartengono alla<br />

storia locale. Si genera una dialettica tra un’idea di sviluppo che annulla le diversità e le distanze<br />

e l’importanza attribuita alle identità fondate sui luoghi – ben sintetizzata dal diffuso neologismo<br />

“glocale”.<br />

Le riflessioni su questo tema sviluppate nei precedenti capitoli trovano un riscontro significativo<br />

attraverso l’indagine per immagini; l’istante cristallizzato nelle fotografie di Maurizio<br />

Cimino consente di cogliere alcuni elementi forti del rapporto tra l’individuo con la propria identità<br />

culturale più o meno marcata e l’identità urbana nella sua espressione spaziale.<br />

È possibile cogliere, nel modo nel quale ci si appropria dello spazio reinventandolo ed adattandolo<br />

alle proprie esigenze (trasformando in risorsa l’assenza di risorse), una nuova declinazione<br />

identitaria. La volontà di esserci, con i propri Lari e Penati, anche se con mezzi di fortuna,<br />

esprime una vitalità che potrebbe essere convogliata in interessanti percorsi progettuali.<br />

È di grande interesse, per esempio, il progetto di ricerca EU-ROMA (European ROma<br />

Mapping) in itinere a Roma sulle condizioni abitative delle comunità Rom nella capitale, sviluppato<br />

con il supporto del Culture Programme dell’E.U. Il progetto si propone di promuovere il confronto<br />

interdisciplinare <strong>sulla</strong> questione dell’abitare Rom e sullo spazio pubblico, avvalendosi dei<br />

contributi disciplinari dell’arte urbana, dell’architettura, degli studi antropologici e sociologici e<br />

delle politiche dei diritti umani 1 .<br />

Ancora, la presenza umana, con il proprio bagaglio culturale ed emotivo, sembra subire uno<br />

spazio urbano impermeabile all’interazione; ciò accade laddove gli effetti della globalizzazione rivelano<br />

lo strapotere del modello di consumo dominante, insieme allo straniamento che le grandi<br />

1 Cultura 2007, Strand 1.2.1 Cooperation measures European Roma Mapping, grant agreement nh.2007-1060; 20months<br />

project. Consortium Partners: LAN Laboratorio di architettura nomade (Naples); ATU Asociatia Pentru Tranzitie<br />

Urbana Bucharest; UAL University of Arts London Higher Education Corporation; Locus Athens.


<strong>città</strong> sovente generano in chi le vive. Esse sono punteggiate da spazi e luoghi impersonali, senza<br />

un carattere proprio ma “confezionati” ad hoc per il “consumo” (come i non-luoghi della grande<br />

distribuzione), oppure per rispondere ad una recente domanda residenziale (in termini più quantitativi<br />

che qualitativi), o ancora sorti per consentire la mobilità (resa necessaria dall’esasperazione<br />

della divisione funzionale e sociale della <strong>città</strong>). Tali non-luoghi, ancorché neutri, non appaiono accoglienti<br />

né includenti nei confronti dei marginali e dei diversi.<br />

Paradossalmente, gli spazi che presentano caratteri identitari sfumati o inesistenti risultano<br />

meno favorevoli all’interazione di quanto non accada laddove la stratificazione culturale ha determinato<br />

una marcata connotazione dei valori identitari. Quest’ultimi costituiscono l’emblema<br />

dell’identità accogliente che metabolizza le diversità producendo un meccanismo integratore: la<br />

<strong>città</strong>, da sempre, ha costituito la propria essenza ed identità mediante un patto tra diversi. Si gioca<br />

<strong>sulla</strong> dualità tra integrazione e marginalità l’attitudine della <strong>città</strong> ad emarginare solo coloro che<br />

ne fanno parte, che vi sono stati integrati, pur con un ruolo marginale.<br />

Come si evince dalle immagini che raccontano la realtà parigina, vissuta dal fotografo proprio<br />

nelle giornate nelle quali le banlieue erano in fiamme, gli spazi ed i luoghi nei quali si è scatenata<br />

la rivolta costituiscono insieme la causa, l’espressione e lo sfondo delle manifestazioni di<br />

disagio espresse da tutti coloro che sono posti al margine fisico e sociale della vita urbana. Lo status<br />

di cittadini – non dal punto di vista giuridico ma come condizione di fatto – esalta il senso di<br />

appartenenza ma, nel contempo, non garantisce un equo accesso a luoghi e servizi della <strong>città</strong>.<br />

Fattori quali l’appartenenza sociale, il potere d’acquisto, il genere, la competenza linguistica condizionano<br />

il diritto alla <strong>città</strong>. Il primo discrimine è proprio legato all’accessibilità fisica (ed emotiva),<br />

da parte di coloro che sono spazialmente ai margini della <strong>città</strong> e che ne fruiscono solo in piccola<br />

parte.<br />

“La <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> e cablata favorisce l’interazione. La tutela delle identità e l’integrazione<br />

delle diversità si realizza attraverso l’interazione e cioè attraverso il rapporto tra i tutti i cittadini, in<br />

modo diretto o mediato dalle nuove tecnologie di comunicazione” (Beguinot, 2006) 2 . Il percorso<br />

per attuare questi obiettivi parte dalla realizzazione di spazi e funzioni urbane che riportino al<br />

centro dell’attenzione l’uomo, essendo configurati in modo tale da favorire “la conoscenza reciproca,<br />

le collaborazioni lavorative, l’amalgama tra genti e culture diverse, nel lavoro e nel tempo libero”.<br />

(Beguinot, 2006) Come si vedrà, le suggestioni visive, per la loro immediatezza ed empatia,<br />

aprono a nuovi orizzonti interpretativi e, nel contempo, consentono di estrapolare elementi utili<br />

all’elaborazione progettuale di spazi e luoghi per l’interazione multiculturale.<br />

7.2 L’INTERPRETAZIONE VISUALE DELLA NUOVA SEMANTICA URBANA<br />

La comunicazione visuale, oggi modalità principale di relazione tra gli attori sociali nel<br />

mondo globalizzato, è qui utilizzata come linguaggio del vissuto soggettivo che scaturisce da un<br />

approccio fenomenologico unito ad una metodologia di lavoro sul campo col mezzo fotografico:<br />

l’etnografia, da studio delle culture minori, diviene racconto dell’impossibilità odierna di separare<br />

il locale dal globale.<br />

Si parla di un approccio d’analisi di tipo qualitativo denominato “sociologia visuale” che<br />

attraverso l’utilizzo del media fotografico o del video individua la percezione visiva (Grady, 2001)<br />

quale fattore chiave per conoscere e svilupparsi; in tale metodologia la fotografia diviene un vero<br />

e proprio strumento d’indagine empirica, sguardo che penetra nella realtà urbana e sociale evidenziandone<br />

spesso le contraddizioni in modo più diretto e coinvolgente di quanto riesca a fare<br />

un testo (Faccioli, 2001).<br />

L’organizzazione sociale e le sue reti di relazione dipendono, esse stesse, dalla comunicazione<br />

visuale, sia quando quest’ultima è di tipo istituzionale (pubblicità, cinema, televisione), sia<br />

quando è di tipo popolare (album di famiglia): ecco che, come ci ricorda Henri Cartier Bresson, la<br />

fotografia diviene “un modo per comprendere” (Cartier-Bresson, 2004). I frames fotografici, soprat-<br />

2 La “Città dell’Interazione” è uno dei principi della Carta per la Città Interetnica e Cablata promossa nel 2006<br />

dalla Fondazione Aldo Della Rocca.<br />

221<br />

L’INTERPRETAZIONE VISUALE<br />

DELLA CITTÀ<br />

DELL’ACCOGLIENZA


222<br />

CAPITOLO 7<br />

tutto se consideriamo la natura olistica della globalizzazione ed il peso del vissuto soggettivo,<br />

sono in grado di ’restituire’ la realtà sociale, come testimonianze figurative di fenomeni complessi<br />

che un testo spiegherebbe in modo assai meno incisivo (Mattioli, 2007).<br />

Fare sociologia con le immagini, usando le fotografie quali mezzo per raccogliere i dati durante<br />

la ricerca sul campo, attiene a quel filone di studi conosciuto come visual sociology nel cui<br />

ambito coesistono almeno due diverse tecniche d’approccio:<br />

– un approccio sociologico classico e rigoroso che si fonda <strong>sulla</strong> conoscenza del fenomeno<br />

che si va ad esplorare; tale approccio è all’origine del lavoro di Bateson e Mead a Bali<br />

(Mead, Bateson, 1942) salvo poi scoprire, durante il lunghissimo periodo di studio sui rituali<br />

di tale popolo, che “Abbiamo provato ad utilizzare le macchine da presa e le macchine<br />

fotografiche per registrare il comportamento balinese: questo è molto diverso dal<br />

preparare un documentario filmato o delle fotografie. Ci siamo sforzati di cogliere tutto<br />

ciò che si svolgeva normalmente o spontaneamente piuttosto che prendere decisioni<br />

<strong>sulla</strong> base di qualche norma stabilita e poi fare in modo che i Balinesi corrispondessero<br />

a questi comportamenti in un contesto ad hoc” 3 .<br />

– un approccio “radical” dove elementi come il vissuto soggettivo, l’empatia e la sospensione<br />

del giudizio portano avanti il ricercatore nel suo studio: egli formula in base ai dati<br />

ottenuti le sue teorie e si pone nuovi quesiti. In termini sociologici si fa riferimento a quel<br />

filone sviluppatosi nel 1967 negli USA noto come “Grounded Theory” nel quale le ipotesi<br />

di chi ricerca vengono ridefinite di volta in volta in base all’osservazione delle fotografie<br />

scattate sul campo (Faccioli, 2001).<br />

A tal proposito, va ricordato che, già negli anni venti, la Scuola di Chicago (Robert Park ed<br />

Ernest W. Burgess) improntò <strong>sulla</strong> ricerca empirica della società e <strong>sulla</strong> categoria dell’area d’appartenenza<br />

il suo studio dei rapporti sociali e della <strong>città</strong>. Questa metodologia è stata presa a prestito<br />

dal fotogiornalismo sociale e documentario dell’epoca ed, infatti, negli Stati Uniti fin dall’inizio<br />

del ’900 sono stati largamente utilizzati (e quasi sempre commissionati) i lavori di fotografi<br />

come Walker Evans, Lewis Hine, Robert Frank e Dorothea Lange per grandi ricerche sociologiche<br />

sui mutamenti della società americana (Dyer, 2007).<br />

È evidente che i metodi d’approccio degli operatori visuali, fotografi e videomakers, mutano<br />

in base al tipo di coinvolgimento che essi hanno nell’attività di ricerca, ed alla propria sensibilità<br />

ed al proprio background culturale.<br />

Lewis Hine e Walker Evans, per esempio, convocati da istituzioni nazionali come la Farmer<br />

Security Administration, utilizzarono un rigore ed una logica assoluti che si sostanziavano in infinite<br />

liste tematiche delle fotografie, argomenti e sottoargomenti, didascalie puntuali. Anche lo<br />

stile scarno, distaccato ed essenziale restituiva una grande dignità ai tantissimi nuovi poveri<br />

– circa 14 milioni di americani – causati dalle spese per la guerra e le nuove tecnologie agricole.<br />

Tutto questo ordine era preceduto dalle minuziose sceneggiature che gli fornivano i committenti<br />

come la FSA attraverso il signor Stryker il quale giungeva a suddividere le stagioni, i luoghi e persino<br />

le ambientazioni per spiegare in ogni dettaglio quanto si voleva fotografare di quella società.<br />

Al contrario, il fotografo svizzero Robert Frank era un vero situazionista e scriveva così al<br />

Museo Guggenheim: “il progetto che ho in mente è di quelli che prendono forma nel procedere<br />

ed è essenzialmente elastico” (Dyer, 2007). Allo stesso modo Dorothea Lange riteneva che “sapere<br />

in anticipo che cosa stai cercando significa che stai solo fotografando i tuoi preconcetti”. Nata<br />

nel 1900 nel New Jersey da immigrati tedeschi, ella soffrì la fame e le malattie fin da piccola,<br />

quando suo padre abbandonò la famiglia: forse é anche per questo che le sue immagini sono<br />

dense di pathos e ritraggono senza alcun filtro la povertà estrema della Grande Depressione americana<br />

che colpì anche la sua famiglia. Pensando proprio alla Lange, e alla sua furia emotiva nel<br />

raccontare senza accusare nessuno ma con elevato grado di partecipazione, si può forse definire<br />

la fotografia sociale come un’inclinazione ed uno stato d’animo dell’autore di fronte alla realtà<br />

della propria epoca. Forse non è un caso che, nel 1940, la Lange lasciò la FSA dopo vari contrasti<br />

3 Margaret Mead, Lettere dal campo 1925-1975, Milano 1979, pp. 170-171.


avuti con Stryker: voleva lavorare senza condizionamenti mostrando la storia “scippata” alla realtà<br />

così com’era.<br />

Le immagini che si raccolgono nelle pagine seguenti scaturiscono dal secondo degli approcci<br />

visuali su elencati e sono il frutto di un’esperienza di ricerca che fonde la formazione umanistica<br />

e filosofica con l’attività di fotoreporter di matrice situazionista (Bertelli, 2004) e, dunque,<br />

eretica di chi scrive. L’approccio adottato è in linea con il percorso d’impegno civile tracciato dai<br />

fotografi documentaristi americani che agivano senza confini né steccati ideologici, ma credevano<br />

in una sola cosa: l’uomo 4 .<br />

Per rimarcare ulteriormente il nesso tra fotografia e sociologia si ricordi che negli anni in cui<br />

operarono Riis e Hine, tra il 1896 ed il 1916, <strong>sulla</strong> rivista “American Journal of Sociology” furono<br />

pubblicati numerosi articoli corredati da fotografie su tematiche sociali poco note al grande pubblico.<br />

Molto spesso oggi, ad un secolo di distanza da queste ricerche, gli studiosi si avvalgono<br />

delle immagini solo quali illustrazioni inserite senza alcun commento oppure usano questo medium<br />

per rimarcare delle conclusioni cui si giunge con altri strumenti, e non per porre nuove ipotesi<br />

o dare risposte.<br />

Ma com’è possibile analizzare una società, studiare le interazioni dei soggetti che in essa<br />

agiscono, senza considerare tutte le forme di comunicazione, e quindi anche quella visuale, che in<br />

essa si sono sviluppate? La risposta è la sociologia visuale, un approccio metodologico aperto a<br />

più paradigmi, contraddistinto dall’empatia, nella consapevolezza che l’identità dell’altro va rispettata,<br />

che l’analisi del mondo deve abbandonare i pregiudizi per tracciare un percorso davvero<br />

libero di studio e di conoscenza.<br />

7.3 LE PAROLE CHIAVE E L’INTERPRETAZIONE VISUALE<br />

Come si vedrà, le immagini parlano da sole trasmettendo empaticamente emozioni, sensazioni,<br />

percezioni tipiche della vita quotidiana nelle grandi <strong>città</strong> multiculturali d’oggi. L’autore ritiene<br />

“la fotografia di strada un atto d’amore volto ad ordinare uno spazio dove l’oggetto di studio<br />

diviene surrealtà disvelata rientrando così in un’iconografia difficile da classificare” (Cimino,<br />

2006).<br />

Accanto al messaggio emotivo trasmesso dalle immagini che vengono proposte, però, si<br />

srotola il filo rosso di un percorso interpretativo rigoroso, riconducibile ad alcune parole chiave individuate<br />

e sviluppate nel corso della ricerca. In particolare, si fa riferimento al gruppo di tematiche<br />

espresse mediante le quaranta parole chiave utilizzate quale guida per lo screening dello<br />

stato dell’arte della ricerca, illustrato in apertura del testo 5 .<br />

Ciascuna fotografia rappresenta un frammento del puzzle multicolore che costituisce, insieme,<br />

una risorsa vitale ed un problema complesso nella società contemporanea. Tutte le forme<br />

di diversità (etnica, culturale, di genere, d’età, di condizione sociale, …) costituiscono la ricchezza<br />

di una <strong>città</strong> creativa e dinamica e la causa di conflitti nelle realtà stagnanti e legate allo status quo<br />

(Florida, 2005). Se non si affronta il mutamento in atto con decisione e capacità progettuale, esso<br />

sarà guidato dagli umori del momento, e non darà vita allo slancio vitale di cui la <strong>città</strong> europea ha<br />

bisogno. Questa tensione tra forze aggreganti e disgreganti è la chiave di lettura della galleria<br />

d’immagini, ciascuna delle quali evoca significati diversi al variare dell’approccio dell’osservatore<br />

e può essere associata a più parole chiave che ne guidino l’interpretazione. Si è scelto, quindi, di<br />

4 Le immagini di Hine sui bambini-operai negli USA fecero abolire il lavoro minorile all’inizio del ’900; il suo lavoro<br />

e quello di Jacob Riis <strong>sulla</strong> povertà a New York hanno insegnato molto alle successive generazioni di fotografi ed ancora<br />

oggi restano un fondamento per qualsiasi indagine fotografica <strong>sulla</strong> società e le sue contraddizioni.<br />

5 Le quaranta parole chiave introdotte nel secondo capitolo da Massimo Clemente sono: alloggio; aree metropolitane;<br />

asilo e rifugiati; attività produttive; attrezzature collettive; centri storici; cittadinanza; clandestini; diritto; documentazione;<br />

educazione e istruzione; esclusione/inclusione sociale; formazione; genere; governance; identità culturali; identità<br />

urbane; integralismi e conflittualità; lavoro; lingue; nuove tecnologie tlc; partecipazione; periferie; pianificazione territoriale<br />

e urbanistica; piccoli centri; politiche per l’immigrazione; politiche urbane; povertà urbana; progettazione<br />

architettonica; progettazione urbana; razzismo e discriminazione; religioni; segregazione/integrazione spaziale; servizi urbani;<br />

sostenibilità; sport; strumenti d’intervento; strumenti per la conoscenza; unità di vicinato.<br />

223<br />

L’INTERPRETAZIONE VISUALE<br />

DELLA CITTÀ<br />

DELL’ACCOGLIENZA


224<br />

CAPITOLO 7<br />

raggruppare le scene ritratte in base al concetto chiave che le illustri nel modo più pregnante e di<br />

evidenziare le sfaccettature interpretative ed i collegamenti mediante le altre parole chiave significative.<br />

Il primo gruppo d’immagini illustra scene di vita vissuta in un contesto marginale riconducibile<br />

al concetto di periferia, nel senso etimologico del termine, ma con le caratteristiche di un<br />

insediamento informale sorto in un interstizio della <strong>città</strong> diffusa (figura 1); l’accampamento nomade<br />

realizzato nell’area di via del Riposo a Poggioreale, nella periferia est di Napoli rinvia al dibattito<br />

sugli slums che alcune comunità, escluse per molteplici ragioni dall’accesso all’alloggio,<br />

sono costrette ad eleggere quale proprio domicilio (figura 2). L’obiettivo prefissato dall’Habitat<br />

Agenda di Istanbul (1996) di offrire un alloggio adeguato per tutti ha aperto un dibattito intenso,<br />

che ha dato vita a specifiche politiche in molti paesi. In particolare, si sono moltiplicati i gruppi di<br />

studio e d’intervento sugli slums che, con diverse caratteristiche, punteggiano le grandi aree metropolitane,<br />

principalmente nei paesi terzi (Garau et al., 2006).<br />

In Italia gli insediamenti spontanei di comunità nomadi o di immigrati (non sempre clandestini)<br />

rappresentano una vexata questio che, in ambito istituzionale, soffre di luoghi comuni e<br />

atteggiamenti demagogici (figure 3 e 4).<br />

Il nuovo assetto comunitario, con la libera circolazione che facilita gli ingressi dai paesi<br />

dell’Est europeo, ed alcuni episodi delittuosi che hanno colpito l’immaginario collettivo hanno accentuato<br />

le tensioni e provocato alcune esplosioni di violenza che, certo, non facilitano il dialogo<br />

e, quindi, la conoscenza.<br />

Le immagini che si propongono, più di molte parole, possono rappresentare una realtà<br />

complessa 6 ed evidenziare alcune peculiarità delle scelte insediative. Anche se è forte il condizionamento<br />

determinato dal soddisfacimento dei bisogni primari, è possibile ravvisare nelle modalità<br />

di appropriazione dello spazio una personale declinazione di Lari e Penati; dopo una prima<br />

reazione emotiva (di partecipazione o di ripulsa), è possibile identificare alcune peculiarità dell’aggregazione<br />

di materiali di recupero che concorrono alla costruzione di una modalità insediativa<br />

che esprime una nuova forma di identità urbana (figure 5, 6).<br />

Oggi il concetto di periferia esula dalla mera componente spaziale per assumere valenze<br />

ed evocare immagini diverse; esiste anche una sorta di periferia umana 7 che rappresenta le marginalità<br />

in qualsiasi contesto si manifestino. Anche nel centro storico, in contesti meno stranianti<br />

rispetto a quelli dello sprawl metropolitano, si staglia con nitidezza la solitudine della marginalità<br />

su uno sfondo urbano che diviene esso stesso attore. Per questa condizione dello spirito, la sequenza<br />

di via Vergini, nel centro storico di Napoli (figura 7), è estremamente evocativa per ciò che<br />

non dice; nell’immediato, infatti, rimanda alla percezione della povertà urbana cui l’abitante della<br />

<strong>città</strong> contemporanea si è assuefatto, considerando le presenze di bisognosi quale sfondo naturale<br />

dei propri percorsi quotidiani.<br />

In questa impermeabilità emotiva sono incluse tutte le diversità e le marginalità, inconsciamente<br />

registrate dall’occhio come rumori di fondo o, in alcuni contesti, come presenze allarmanti.<br />

In una realtà urbana diversa – il IV Arrondissement di Parigi – la questua in prossimità di un luogo<br />

di culto, da parte di un’anziana donna velata, si accomuna alla scena napoletana per la solitudine<br />

e il senso di esclusione manifestati (figura 8).<br />

Entrambe le immagini esprimono un senso di povertà materiale e il concetto forte cui affidarne<br />

l’interpretazione è il binomio esclusione/inclusione sociale. A questo stesso concetto<br />

chiave si possono associare immagini di segno diverso ed in contesti diversi; in Francia, dove la<br />

multiculturalità è una realtà consolidata e le tensioni non sono più latenti ma dichiarate, si assiste<br />

ad episodi di inclusione riuscita (figura 9).<br />

L’approccio assimilazionista perseguito Oltralpe ha generato nel tempo diverse forme di interazione;<br />

come si è visto 8 , sia l’inclusione che l’esclusione si giocano sul duplice binario dell’annullamento<br />

della propria cultura originaria, da un lato, e dell’esaltazione delle peculiarità etniche,<br />

dall’altro.<br />

6 Sul tema delle comunità nomadi Cfr. anche Cimino M. (2005), Il mondo di Vesna, La Città del Sole, Napoli.<br />

7 Cfr. cap. 5, par. 5.1.<br />

8 Vedi capitolo 1.


Fig. 1 - Città diffusa:<br />

accampamento<br />

nomade informale<br />

di via del Riposo<br />

(Napoli)<br />

Fig. 2 - Alloggio: nella precarietà, il degrado e l’abbandono<br />

225<br />

L’INTERPRETAZIONE VISUALE<br />

DELLA CITTÀ<br />

DELL’ACCOGLIENZA


226<br />

CAPITOLO 7<br />

Fig. 4 - Alloggio: periferie umane nella periferia urbana<br />

Fig. 3 - Periferia:<br />

la dispersione<br />

dell’identità nella<br />

globalizzazione


Fig. 5 - Identità<br />

culturale<br />

e alloggio: Lari<br />

e Penati in una<br />

“casa” Rom<br />

Fig. 6 - Identità urbana: una “risposta” alla mancanza di spazi d’aggregazione<br />

227<br />

L’INTERPRETAZIONE VISUALE<br />

DELLA CITTÀ<br />

DELL’ACCOGLIENZA


228<br />

CAPITOLO 7<br />

Fig. 7 - Povertà urbana: divisione sociale ed incomunicabilità (Napoli)<br />

Fig. 9 - Esclusione/<br />

inclusione sociale:<br />

operaio al lavoro<br />

(Parigi)<br />

Fig. 8 - Povertà<br />

urbana: questua<br />

(Parigi)


Fig. 10 - Esclusione/<br />

inclusione sociale:<br />

manifestazione<br />

studentesca (Parigi)<br />

Fig. 11 - Esclusione/inclusione sociale: manifestazione della comunità cingalese<br />

229<br />

L’INTERPRETAZIONE VISUALE<br />

DELLA CITTÀ<br />

DELL’ACCOGLIENZA


230<br />

CAPITOLO 7<br />

Fig. 13 - Esclusione/inclusione sociale: manifestazione di sans papiers (Parigi)<br />

Fig. 12 - Esclusione/<br />

inclusione sociale:<br />

comunità chiuse<br />

(Parigi)


Figg. 14, 15 e 16 - Identità culturali: spettacoli worldmusic (Napoli)<br />

231<br />

L’INTERPRETAZIONE VISUALE<br />

DELLA CITTÀ<br />

DELL’ACCOGLIENZA


232<br />

CAPITOLO 7<br />

Figg. 17, 18 e 19 - Attrezzature collettive:<br />

tempo libero nella provincia francese


Fig. 20 - Sport: Integrazione allo stadio (Napoli)<br />

233<br />

L’INTERPRETAZIONE VISUALE<br />

DELLA CITTÀ<br />

DELL’ACCOGLIENZA


234<br />

CAPITOLO 7<br />

Fig. 22 - Sport: attività sportive in spazi impropri<br />

(insediamento Rom)<br />

Fig. 21 - Sport: un recinto per lo sport (Napoli)


Figg. 23 e 24 - Esclusione/inclusione sociale: la repressione delle diversità<br />

235<br />

L’INTERPRETAZIONE VISUALE<br />

DELLA CITTÀ<br />

DELL’ACCOGLIENZA


236<br />

CAPITOLO 7<br />

Figg. 25 e 26 - Cittadinanza: scene di vita quotidiana (Parigi)


Fig. 27 - Servizi urbani: nella metropolitana (Parigi)<br />

237<br />

L’INTERPRETAZIONE VISUALE<br />

DELLA CITTÀ<br />

DELL’ACCOGLIENZA


238<br />

CAPITOLO 7<br />

Fig. 28 - Aree metropolitane: l’impatto urbano della pubblicità (Parigi)


Fig. 29 - Aree metropolitane: lo straniamento del fast food (Parigi)<br />

239<br />

L’INTERPRETAZIONE VISUALE<br />

DELLA CITTÀ<br />

DELL’ACCOGLIENZA


240<br />

CAPITOLO 7<br />

Figg. 30, 31 e 32 -<br />

Progettazione<br />

architettonica e urbana:<br />

spazi, forme e funzioni<br />

in sovrapposizione<br />

(Parigi)


Su entrambi i fronti si registrano episodi di conflittualità interni o esterni ai canali istituzionali<br />

della lotta politica. È interessante mettere a confronto immagini colte nelle giornate calde di<br />

Parigi, nelle quali si sono sovrapposte diverse manifestazioni di dissenso, ma anche di “inclusione<br />

combattiva”, cioè di lotta per l’affermazione di una propria identità che non è più, però, quella<br />

d’origini ormai remote (figura 10) ma una scaturigine del mescolarsi di simboli ed idee diverse (figura<br />

12).<br />

Alcune comunità, invece, coltivano l’esclusione volontaria, ripiegandosi su se stesse e rifiutando<br />

a priori l’identità culturale del paese che le ha accolte (figure 12 e 13).<br />

La parola chiave che esprime le identità culturali è centrale e potrebbe essere associata alla<br />

gran parte della raccolta fotografica presentata in queste pagine. In particolare, la vitalità del confronto<br />

culturale emerge con forza nelle immagini che raccontano l’esperienza degli spettacoli di<br />

matrice multiculturale raggruppati nei due cicli “Ethnos” e “Lo Sguardo di Ulisse” promossi a<br />

Napoli da una sinergia tra enti locali e terzo settore (figure 14,15 e 16).<br />

In un simile contesto le differenze tra le performances di Boban Marcovic o di Chico Cesar,<br />

piuttosto che il Baobab Circus, diventano una risorsa creativa e costituiscono un ponte comunicativo<br />

con la cultura locale.<br />

La forza espressiva che scaturisce dalle contaminazioni culturali ha uno slancio propulsivo<br />

in grado di innescare meccanismi di contatto e di interazione che divengano terreno di confronto<br />

e crescita comune.<br />

Accanto alle occasioni artistiche, anche le altre attività del tempo libero, che hanno assunto<br />

un ruolo rilevante nell’organizzazione della società contemporanea, offrono terreno fertile per<br />

l’interazione. Lo sport e le iniziative di leisure favoriscono il contatto e creano le condizioni per<br />

l’interazione laddove dispongono di spazi adeguati, gestiti con appropriate politiche.<br />

Le attrezzature collettive, quindi, costituiscono l’ambito elettivo dell’incontro tra culture;<br />

esse possono garantire l’equo accesso a servizi ed attività che, altrimenti, sarebbero appannaggio<br />

di pochi. In una società che esclude in base alla possibilità di aderire o meno al modello di consumo<br />

dominante e preferisce chiudersi in recinti che tutelino l’appartenenza di classe, gli spazi<br />

pubblici devono essere recuperati all’uso di una nuova comunità aperta. Creando le condizioni di<br />

una diffusa qualità ambientale e costruendo un habitat favorevole al contatto umano – senza le<br />

sovrastrutture e le chiusure generate dalla lotta per la sopravvivenza in molte grandi <strong>città</strong> – si assiste<br />

ad una nuova concezione di comunità (figure da 17 a 19).<br />

Le immagini che illustrano momenti legati allo sport rappresentano efficacemente il contributo<br />

che l’attività sportiva offre quale occasione di incontro e socializzazione. Non si può dimenticare<br />

il ruolo giocato dai playground disseminati nei quartieri delle <strong>città</strong> nordamericane<br />

nella costruzione del melting pot statunitense; come si è evidenziato nel capitolo quattro, il gioco<br />

di squadra è il primo passo per l’interazione a livello paritario. Gli eventi sportivi di massa, inoltre,<br />

consentono di sviluppare un senso di partecipazione e condivisione (figura 20) che favorisce il<br />

dialogo, in particolare negli sport di massa (quando non degenera). Mentre in alcuni contesti territoriali<br />

si è acquisita la consapevolezza dell’importanza di creare, intorno al fulcro di un centro<br />

sportivo, le condizioni per la socializzazione, in Italia ancora mancano esperienze in tal senso.<br />

Le attrezzatura collettive in generale e quelle sportive in particolare, se multifunzionali, integrate<br />

ed aperte al dialogo con la <strong>città</strong>, offrono occasioni proficue di crescita del senso di comunità<br />

9 . Sovente la mancanza di attrezzature, la scarsa accessibilità di quelle esistenti e il disinteresse<br />

delle istituzioni nel creare occasioni di riqualificazione mediante l’integrazione di servizi urbani diversi<br />

(istruzione, cura dell’infanzia e delle terza età, sanità, sport, tempo libero, …) genera un<br />

vuoto. Laddove rimane inevasa la domanda di socialità e di sana competizione che gli sport di<br />

squadra veicolano e che accompagna lo sviluppo della personalità nelle giovani leve, si sviluppano<br />

risposte spontanee. Si elegge a luogo per lo sport uno spazio inidoneo oppure ci si trincera<br />

in recinti che vanificano la carica dell’attività sportiva nel favorire l’interazione e la cooperazione<br />

(figure 21 e 22).<br />

9 Vedi esempi illustrati nel capitolo 4.<br />

241<br />

L’INTERPRETAZIONE VISUALE<br />

DELLA CITTÀ<br />

DELL’ACCOGLIENZA


242<br />

CAPITOLO 7<br />

Gli episodi di repressione (figure 23 e 24), oltre a colpire l’immaginario per la loro crudezza,<br />

evidenziano le difficoltà di gestire il tema complesso delle diversità in assenza, o quasi, di politiche<br />

per l’inclusione sociale dell’emarginazione costruttive.<br />

I recenti fatti di cronaca – che spaziano dai disagi quotidiani di microcriminalità, accattonaggio<br />

e vandalismo a vere e proprie tragedie immotivate – accentuano la diffidenza nei confronti<br />

del diverso e rischiano di generare un processo che conduce a reazioni violente. Ma, se è<br />

necessario conservare equilibrio nel valutare i fatti, è altresì indispensabile non cedere a derive<br />

demagogiche e garantire, a tutti i componenti della società multietnica, equità di giudizio e<br />

certezza della pena 10 .<br />

Al di là del problema culturale, che comunque richiede impegno, è necessario mettere in<br />

gioco il riconoscimento dei diritti civili. Per quanto concerne l’immigrazione il nodo centrale da<br />

sciogliere è quello della cittadinanza che, pur nelle diverse declinazioni, sancisce le modalità<br />

nelle quali si consolida la mescolanza etnico-culturale. Le immagini raccolte all’insegna di questa<br />

tematica rappresentano la testimonianza di uno stato di fatto: la mescolanza è avvenuta in modo<br />

spontaneo ed individuale (figure 25 e 26) ed ha dato vita a nuove realtà includenti o allo spaesamento<br />

e alla solitudine del diverso.<br />

Nelle grandi aree metropolitane, in particolare, dove già sussistono le condizioni dell’alienazione,<br />

della spersonalizzazione, della marginalità di ampie fasce di popolazione si moltiplicano<br />

i luoghi della solitudine (figura 27).<br />

Nella grande <strong>città</strong> l’anonimato permea la maggior parte dei contatti e, sovente, ad una contaminazione<br />

culturale foriera di reciproco arricchimento si sostituisce uno stile di vita asettico figlio<br />

della globalizzazione; si perdono le connotazioni identitarie per soggiacere ai modelli più<br />

esteriori della cultura ospitante globalizzata (figure 28 e 29).<br />

Il percorso per immagini si conclude con la sequenza delle “sovrapposizioni” che aprono la<br />

riflessione al ruolo della progettazione architettonica e urbana, quale risulta dalla percezione di<br />

chi vive la <strong>città</strong> e non dall’idea originaria del progettista. Il gioco dei riflessi ben rappresenta la<br />

complessità di una <strong>città</strong> contemporanea che si rifiuta di fare da sfondo agli eventi umani ma sale<br />

alla ribalta come attrice e si impone all’attenzione di chi la vive con sempre maggiore disagio<br />

(figure 30, 31 e 32).<br />

10 Cfr. Cap 3, par. 3.2.


7.4 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI<br />

Amaturo E. (a cura di) (2004), Profili di povertà e politiche sociali a Napoli, Liguori, Napoli.<br />

Amendola G. (2001), La <strong>città</strong> postmoderna, Laterza, Bari.<br />

Bateson G., Mead M. (1942), Balinese Character: a photographic analysis, New York Academy of Science,<br />

New York.<br />

Beguinot C. (a cura di) (2006), Città europea <strong>interetnica</strong> cablata. La formazione dei Manager. Governo delle<br />

trasformazioni urbane. Tomo Quarto, vol. 28 Collana Studi Urbanistici, Fondazione Aldo Della Rocca,<br />

ed. Giannini, Napoli.<br />

Bertelli P. (2004), Della fotografia situazionista, La <strong>città</strong> del sole, Napoli.<br />

Cartier - Bresson H. (2004), Henrì Cartier Bresson, Contrasto DUE.<br />

Castells M. (2002), La nascita della società in rete, Egea, Milano.<br />

Castells M. (2002), Galassia Internet, Feltrinelli, Milano.<br />

Cox J. D. (2005), Traveling South: Travel Narratives and the Construction of American Identity. Athens, University<br />

of Georgia.<br />

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& Aspel editore, Ministero degli Esteri, Roma.<br />

Gottmann J. (1960), Megalopolis. The Urbanized Northeastern Seabord of the United States, The Twentieth<br />

Century Found, New York. Trad. it. Gottmann J. (1970), Megalopoli. Funzioni e relazioni di una pluri-<strong>città</strong>,<br />

Einaudi, Torino.<br />

Grady J. (2001), “Come si diventa sociologi visuali” in Faccioli P. (2001) In altre parole. Idee per una sociologia<br />

della comunicazione visuale, Franco Angeli, Milano.<br />

Jacobs J. (1961, tr. it. Vita e morte delle grandi <strong>città</strong> nordamericane, 1969), Death and Life of Great American<br />

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Piccinato G. (a cura di) (2005), La <strong>città</strong> eventuale. Pratiche sociali e spazio urbano dell’immigrazione a Roma,<br />

Università degli Studi Roma Tre, Dipartimento di Studi Urbani, Quodlibet, Roma.<br />

243<br />

L’INTERPRETAZIONE VISUALE<br />

DELLA CITTÀ<br />

DELL’ACCOGLIENZA


Note sugli autori<br />

Gli architetti urbanisti autori della ricerca e curatori del volume<br />

Massimo Clemente è nato nel 1962 a Napoli dove<br />

vive con la moglie Antonella e i tre figli Fabrizia,<br />

Guido e Flaminia. È architetto dal 1987, specializzato<br />

in restauro dei monumenti dal 1990, nel Consiglio<br />

Nazionale delle Ricerche dal 1989, dirigente di ricerca<br />

dal 2001, afferisce, dal 2004, al Dipartimento di Conservazione<br />

di Beni Architettonici e Ambientali dell’Università<br />

Federico II di Napoli. Ha insegnato nella<br />

Facoltà di <strong>Architettura</strong> della Seconda Università di<br />

Napoli (1998-2005) e, dal 2005, è docente di Tecnica<br />

urbanistica nella Facoltà di Ingegneria dell’Università<br />

Tor Vergata di Roma. Gli interessi di studio partono<br />

dall’architettura intesa come scienza che realizza il<br />

migliore habitat possibile per l’uomo, spaziando dal<br />

progetto architettonico al piano urbanistico. Particolare<br />

attenzione è rivolta alla memoria come elemento<br />

fondativo del fare architettura e urbanistica, all’utopia come tensione metafisica del progetto,<br />

alle opportunità offerte dall’innovazione tecnologica, alla dimensione internazionale della ricerca,<br />

della formazione, della sperimentazione progettuale. Ha ricevuto riconoscimenti scientifici dalla<br />

Fondazione Pasquale Corsicato e dalla Fondazione Aldo Della Rocca. È autore di numerosi saggi scientifici<br />

tra cui “Spazio, tempo e velocità nel costruito: verso una nuova architettura?” (1998), “La <strong>città</strong> europea<br />

urbanistica e cooperazione” (2002),“Il progetto della <strong>città</strong> dei migranti: ricerca, formazione, sperimentazione”<br />

(2005), “Qualità e sicurezza urbana nella <strong>città</strong> multietnica europea” (2006). Nel 2008 ha<br />

promosso “Città e <strong>Architettura</strong>”, rete di ricerca e collana dell’Editoriale Scientifica, per diffondere i risultati<br />

delle attività di studio e formative.<br />

Gabriella Esposito, laureata in architettura nel 1994 e ricercatore CNR dal 2001, dal 2004 svolge la<br />

propria attività presso il Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici ed Ambientali<br />

dell’Università Federico II, attraverso esperienze di ricerca (nel CNR e nell’Università), di formazione (in<br />

diversi atenei italiani) e di sperimentazione (con il coordinamento o la partecipazione a ricerche applicate).<br />

La specializzazione in Progettazione urbanistica (Università La Sapienza, Roma) e il dottorato<br />

in Pianificazione e scienza del territorio (Università Federico II, Napoli), uniti ad altre borse di studio, le<br />

hanno consentito di affrontare con continuità il proprio percorso di studio, sviluppando tematiche legate<br />

al concetto di sostenibilità, con particolare attenzione al recupero ed alla riqualificazione urbana<br />

orientati all’inclusione sociale. Riceve riconoscimenti per la tesi di<br />

laurea (premio IRI-Consorzio Napoli Ricerche) e per l’attività di ricerca,<br />

dalla Fondazione Aldo Della Rocca (nel 1996 e nel 2002) e in<br />

occasione del Premio Roberto Marrama Sezione Ricerca (2001). Tra<br />

le numerose pubblicazioni si segnalano i contributi alle collane<br />

della Fondazione Aldo Della Rocca e del CNR, ai Quaderni del<br />

Dipartimento di Pianificazione e Scienza del Territorio e, in tempi<br />

recenti, del Dipartimento di Conservazione dei Beni Architettonici<br />

ed Ambientali dell’Università Federico II. Nel 2002 è la curatrice<br />

del testo “Recuperare Innovando” che raccoglie i risultati di una ricerca<br />

interdisciplinare da lei diretta. La diffusione prosegue con la<br />

collaborazione alla cura del volume “La formazione dei Manager<br />

della <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong>. Le ricerche dei corsisti” (2005) e con saggi<br />

sui temi del rapporto tra società multietnica e sicurezza urbana. La<br />

sostengono nei suoi studi e nelle sue attività il marito Alberto e le<br />

figlie Gaia e Diana.<br />

245<br />

NOTE SUGLI AUTORI


246<br />

NOTE SUGLI AUTORI<br />

Gli autori dei contributi per la progettazione urbanistica<br />

Bianca Petrella, nata nel 1954, è professore ordinario di Tecnica e<br />

Pianificazione Urbanistica alla SUN, precedentemente è stata professore<br />

associato all’Università di Pavia e ricercatore del CNR. Per molti anni ha<br />

lavorato con il gruppo di ricerca “Innovazione tecnologica e trasformazioni<br />

territoriali”, coordinato dal prof. Corrado Beguinot, sviluppando ricerche<br />

<strong>sulla</strong> “<strong>città</strong> cablata”, quindi studiando come l’allora innovativa introduzione<br />

di prodotti, strumenti e sistemi tecnologici, modificando i<br />

comportamenti delle persone andava a modificare i comportamenti dei<br />

sistemi urbani e territoriali. Ha anche collaborato alla stesura e alla diffusione<br />

della “Carta di Megaride 94” e, recentemente, partecipa alle attività<br />

di ricerca promosse dalla Fondazione Della Rocca, esplorando i processi<br />

per il governo della <strong>città</strong> multietnica e della conflittualità generata<br />

dalla molteplicità di soggetti e strumenti che operano sulle trasformazioni<br />

territoriali. È autrice di oltre sessanta pubblicazioni scientifiche.<br />

Claudia de Biase, architetto, si è laureata presso la Seconda Università<br />

degli Studi di Napoli il 4 novembre 2000, riportando la votazione di<br />

110/110 con lode, con una tesi di laurea in “Progettazione urbana e pianificazione<br />

territoriale”. Nel 2005 ha conseguito il titolo di dottore di ricerca<br />

in Pianificazione e Scienza del Territorio presso l’Università degli Studi di<br />

Napoli. A partire dalla tesi di laurea (2000), si è occupata delle tematiche<br />

della programmazione complessa ed europea e delle problematiche relative<br />

alla pianificazione della <strong>città</strong> contemporanea, con particolare attenzione<br />

a quelle inerenti alla convivenza di culture diverse in uno stesso<br />

contesto urbano. Ha pubblicato saggi sugli argomenti descritti e una monografia<br />

dal titolo “Un toolkit per le piccole e grandi trasformazioni urbane”<br />

che individua e sistematizza tutte quelle azioni che devono essere<br />

messe in campo per “governare” il territorio comunale, presentando un<br />

quadro completo delle possibilità offerte ai diversi attori interessati. È attualmente<br />

professore a contratto di Strumenti di Pianificazione urbanistica<br />

presso la Facoltà di <strong>Architettura</strong> della SUN.<br />

Ciro Tufano si è laureato in architettura presso l’Università di Napoli<br />

“Federico II” e si è perfezionato presso la stessa Università in <strong>Architettura</strong><br />

del Verde e Assetto del Paesaggio. Attento alla riflessione <strong>sulla</strong> prefigurazione<br />

spaziale della <strong>città</strong> <strong>interetnica</strong> attraverso il design urbano, ha frequentato<br />

il master in Progetto e Gestione della <strong>città</strong> cablata e <strong>interetnica</strong>,<br />

presso la fondazione Aldo Della Rocca di Roma e discusso la tesi di dottorato<br />

in Design Industriale Ambientale Urbano, dal titolo Design urbano e<br />

<strong>città</strong> <strong>interetnica</strong>, presso la facoltà di <strong>Architettura</strong> della Seconda Università<br />

di Napoli. Attualmente è docente a contratto in Design dei Servizi presso la<br />

facoltà di <strong>Architettura</strong> della SUN e svolge attività didattica, come cultore<br />

della materia, nel Laboratorio di progettazione architettonica della Facoltà<br />

di <strong>Architettura</strong> dell’Università Federico II di Napoli. Tra i suoi lavori figurano:<br />

“Design urbano e nuove tecnologie: una piazza telematica ad Ottaviano”<br />

(2007), “Spazio pubblico e interazione sociale …” (2006), “Wooden stool for<br />

children, age 3-5, Support for lamp in pressare-fusion aluminium” (1997).<br />

Gli autori dei contributi per la progettazione architettonica<br />

Francesco Bruno è nato a Napoli nel 1940, dove, nel 1967, si è laureato in architettura con Carlo<br />

Cocchia ed ha collaborato ai corsi universitari di Nicola Pagliara. Dal 1980 è professore di progettazione<br />

architettonica nella Facoltà di <strong>Architettura</strong> dell’Università “Federico II” di Napoli e svolge ricerca<br />

nel Dipartimento di Conservazione dei beni architettonici ed ambientali. È stato docente della Oikos<br />

University, è componente del collegio dei docenti del Dottorato di Ricerca in “Metodi di valutazione<br />

per la Conservazione integrata del patrimonio architettonico, urbano e ambientale”, è docente di nu-


merosi Corsi di Perfezionamento. In qualità di<br />

responsabile dell’area progettuale, ha partecipato<br />

a numerose ricerche dipartimentali, inter-dipartimentali<br />

e con Enti locali sui problemi<br />

legati all’attività estrattiva, all’abitare ed alle<br />

periferie. Come progettista, ha partecipato a<br />

molti concorsi ed ha realizzato, tra l’altro, il<br />

Dipartimento di Petrolchimica di Riyadh e l’impianto<br />

Polisportivo di base a Barra. È in realizzazione<br />

la “Piazza della Socialità” a Scampia,<br />

progetto integrato a molteplici funzioni, del<br />

quale è stato coordinatore della progettazione.<br />

Tra i suoi recenti scritti: “Il malessere urbano.<br />

Strategie progettuali, rinnovamenti e mutazioni” per la giornata di studi “Il malessere urbano e la ricerca<br />

dipartimentale. Le responsabilità dell’architettura e dell’urbanistica”.<br />

Marco Cante è nato a Napoli nel 1969 dove vive con la moglie Patrizia e il figlio Bruno. Laureato nel<br />

1997 in architettura è dottore di ricerca e docente a contratto in “Caratteri tipologici e morfologici dell’architettura”,<br />

presso la Facoltà di <strong>Architettura</strong> di Napoli “Federico II” e, dal 2005, è docente in<br />

“Composizione Interior Design” all’ISD (Istituto Superiore di Design) di Napoli. Ha partecipato a progetti<br />

di ricerca indagando i temi del montaggio e dell’assemblaggio, come categoria della composizione<br />

e come pratiche esecutive, e degli esiti linguistici connessi. È autore di diversi saggi e di un recente<br />

volume:“<strong>Architettura</strong>: composizione come montaggio” (Giannini). Ha curato la voce “montaggio”<br />

per l’Enciclopedia dell’architettura (a cura di A. De Poli, Motta Editore). Integra alla ricerca universitaria<br />

la pratica nel campo della progettazione, partecipando alla elaborazione di numerosi progetti, tra cui<br />

il recente “Progetto per la Piazza della Socialità a Scampia” e il Concorso per il “Tribunale di Grande<br />

Istanza” di Parigi.<br />

Eleonora Giovene di Girasole, è nata nel 1976 a Napoli dove vive e lavora. Laureata nel 2002 in<br />

architettura, è dottore di ricerca e docente a contratto per attività didattiche integrative in “Teorie e<br />

tecniche della progettazione architettonica” presso la Facoltà di <strong>Architettura</strong> di Napoli “Federico II”.<br />

Ha partecipato a progetti di ricerca ed è autore di diversi saggi <strong>sulla</strong> riqualificazione sostenibile dei<br />

quartieri periferici, l’interetnia, la riqualificazione ambientale e il turismo sostenibile, ed è coautore di<br />

un recente volume Mutamenti del Paesaggio, Idee, proposte e progetti per la Penisola Sorrentina<br />

(Graffiti). Ha ricevuto riconoscimenti scientifici dall’A.I.S.Re. e dall’Accademia Nazionale dei Lincei.<br />

Integra alla ricerca universitaria la pratica nel campo della progettazione. Nel 2006 è cofondatrice<br />

dello studio di architettura e urbanistica “ALCUBO”, con cui ha vinto il Primo premio del Concorso di<br />

Progettazione “Premio di <strong>Architettura</strong> Portus”, bandito dalla Biennale di architettura di Venezia, e il<br />

Primo premio del “Concorso di idee per la riqualificazione di un rione IACP a Castellammare di Stabia<br />

secondo i criteri dell’architettura sostenibile”.<br />

Il fotografo sociologo autore dell’indagine visuale<br />

Maurizio Cimino, nato nel 1969 a Washington d.c. Ho vissuto in Italia e mi sono laureato presso<br />

l’Università Federico II di Napoli in scienze politiche. Sono fotografo e assistente di ricerca del Centro<br />

di Ricerca Audiovisuale (Facoltà di Sociologia). Ho iniziato a fotografare 12 anni fa collaborando con<br />

diverse testate editoriali, dal 1998 sono membro della Cooperativa Reporter con la quale insegno fotogiornalismo<br />

nelle scuole medie e superiori. Ciò che tento di produrre con le immagini è una drammaturgia<br />

in cui elementi della vita e dello spazio quotidiano riescono ad invadere e ingombrare<br />

grandi episodi, dilatando l’obiettivo alla realtà sociale, alla miseria umana prima ancora che materiale,<br />

non facendone racconto e cronaca, bensì espressione visiva in cui tutto è coinvolto: dal fotografo allo<br />

spettatore, una simultaneità di piani che scaturiscono da un approccio<br />

fenomenologico basato sull’empatia. I miei principali soggetti<br />

di ricerca e produzione fotografica sono l’identità dei Rom,<br />

urban life e street photography, corpo e movimento nelle performances<br />

teatrali e musicali. Ultime esposizioni e pubblicazioni: Tutto<br />

un altro ritmo (Paris 3°), Il mondo di Vesna (Museo di Santa Chiara,<br />

Istituto Italiano per gli Studi Filosofici), Paris debout (Università<br />

Federico II, Institut Culturel Francais Grenoble), Scatti di rabbia<br />

(GIU* Box Gallery), Via del riposo slideshow per N. Est (Museo<br />

Madre).<br />

247<br />

NOTE SUGLI AUTORI

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