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giro d'onore - Federazione Ciclistica Italiana

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il Mondo del Ciclismo n.52/53<br />

II<br />

<br />

Comunque spicca il primato di Giovanni Visconti nell’Europa Tour<br />

<br />

di Massimo Rodi<br />

foto Sirotti<br />

DOPO TANTO correre (!), il ciclismo italiano si<br />

concede una pausa. Poteva accadere. E’ accaduto.<br />

Per un anno nessun titolo mondiale,<br />

nessuna classica monumento, niente grandi<br />

giri. Del calendario mondiale, solo la Tirreno<br />

Adriatico con Scarponi, la Freccia Vallone con<br />

Rebellin, il Giro di Polonia con Ballan hanno<br />

parlato italiano. Per il resto, siamo rimasti al<br />

palo: dalla Sanremo di Cavendish, (Petacchi<br />

quinto), al Lombardia di Gilbert, passando per<br />

il Fiandre di Devolder (Pozzato quinto), la<br />

Roubaix di Boonen (Pozzato secondo) , la Liegi<br />

di Andy Schleck (Rebellin terzo). E poi il<br />

Giro di Menchov, il Tour di Contador e la<br />

Vuelta di Valverde. E, infine, il mondiale di<br />

Mendrisio di Cadel Evans.<br />

Ci sarebbe, è vero, la vittoria di Rebellin nella<br />

Freccia Vallone, ma solo qualche giorno dopo<br />

il “terremoto di Pechino” ha cambiato completamente<br />

l’orizzonte, consegnandoci una<br />

ben altra realtà. Al pari di un successo era stato<br />

salutato il secondo posto di Danilo di Luca<br />

nel Giro del Centenario. Tre settimane emozionanti,<br />

che esaltarono gli italiani sulle strade,<br />

alla fine orfani prima della maglia rosa e<br />

poi dell’orgoglio.<br />

Questa sorta di black out non accadeva dal<br />

1989, ma forse sono i vent’anni vissuti in prima<br />

fila l’eccezionalità, non l’aver segnato il<br />

CUNEGO ALLA VUELTA<br />

UN MOMENTO DELLA GARA IN LINEA DEL MONDIALE DI MENDRISIO<br />

passo per una stagione.<br />

Basti pensare alla Francia. La sua crisi l’ha<br />

portata alla retrocessione nel rancking mondiale<br />

con conseguente diminuizione dei corridori,<br />

da nove a sei, in lizza per la gara iridata.<br />

Una vera ingiuria se si pensa alla sua storia e ai<br />

suoi leggendari campioni, ma è pur vero che è<br />

dai tempi di Jalabert, neo cittì della nazionale<br />

dei galletti, che il movimento non sforna un<br />

Campione con la C maiuscola. Qua e là solo<br />

imitazioni di alcuni dei suoi grandi campioni.<br />

A Mendrisio, è salito al proscenio l’under 23<br />

Romain Sicard - vincitore anche del Tour de<br />

l’Avenir - e forse i transalpini possono guardare<br />

al futuro con un po’ di ottimismo.<br />

L’Italia in tutti questi anni ha sempre mantenuto<br />

un profilo alto, ma è innegabile che il<br />

contemporaneo ritiro di Bettini, le squalifiche,<br />

il ricambio generazionale - per il quale ci vuole<br />

comunque il tempo necessario - hanno tolto<br />

in qualità ed è anche mancato quel pizzico di<br />

fortuna, senza il quale non puoi pensare di<br />

vincere. Lo sa bene Alessandro Ballan, campione<br />

del mondo di Varese 2008, che ha tenuto<br />

la sua maglia iridata in naftalina per tutta la<br />

prima parte della stagione, quella più adatta a<br />

lui, per colpa del citomegalovirus.<br />

Per cui, il mondiale di Mendrisio da pietra angolare<br />

della stagione si è trasformata in ancòra<br />

di salvezza, con tutti i limiti che una situazione<br />

del genere può determinare. L’ottima prestazione<br />

di Pinotti nella crono aveva fatto da<br />

apripista. Le motivazioni - il record delle quattro<br />

vittorie di fila - non mancavano, la squadra<br />

era all’altezza, esperta come poche. Capitanata<br />

da un Cunego in grande spolvero (la doppietta<br />

nella Vuelta l’aveva messo in chiaro);<br />

Basso, Ballan e Pozzato a sostegno, Garzelli<br />

regista, il quartetto Scarponi, Visconti, Paolini,<br />

Bruseghin a incarnare l’idea del gruppo,

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