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La leadership nell'imprenditoria femminile - Paolo Baffi Centre

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<strong>La</strong> <strong>leadership</strong> nell’imprenditoria <strong>femminile</strong>.<br />

Specificità di genere nel contesto locale bresciano.<br />

di Vera Lomazzi 1<br />

“.. Nell’economia dello sviluppo niente ha un’importanza<br />

pari a quella di un riconoscimento adeguato della<br />

partecipazione e della funzione direttiva, politica, economica e<br />

sociale, delle donne. Si tratta di un aspetto cruciale dello<br />

sviluppo come libertà”. (A. Sen)<br />

Nonostante l’evoluzione della condizione <strong>femminile</strong> nella società occidentale, la donna si ritrova a<br />

fronteggiare le medesime sfide di un tempo. <strong>La</strong> disparità salariale, il soffitto di cristallo, l’esigua<br />

rappresentatività, le difficoltà strutturali nella conciliazione dei ruoli professionali e privati assunti, sono<br />

ormai questioni classiche e al contempo attuali.<br />

Si fa sempre più urgente la necessità di riflettere sul ruolo che la donna esercita e sulle potenzialità che il<br />

suo contributo può offrire alla società contemporanea. Una società in cui la crisi economica, il pluralismo<br />

dei valori di riferimento, la frammentarietà e la complessità diffusa (Bauman, 2002), chiamano<br />

necessariamente ad una maggiore apertura verso il pensiero della differenza, una differenza che trascende<br />

tutte le altre: quella di genere.<br />

Esplorare i vincoli culturali e strutturali che ancora limitano la piena espressione e valorizzazione<br />

<strong>femminile</strong> può consentire l’elaborazione di nuove strategie finalizzate non solo alla realizzazione della<br />

donna in quanto persona, ma anche della società in quanto democratica. In Italia, la presenza <strong>femminile</strong> nel<br />

mondo del lavoro è ancora troppo bassa, soprattutto se confrontata con i livelli europei, e lo è ancora di più<br />

se riferita ai livelli più elevati delle posizioni organizzative e di rappresentanza.<br />

Il contributo si propone di indagare alcuni nodi cruciali dello sviluppo della <strong>leadership</strong> <strong>femminile</strong><br />

attraverso lo sguardo sociologico. Dopo aver brevemente illustrato i principali riferimenti teorici, si<br />

descriveranno alcuni tratti caratteristici del percorso di carriera e dello stile di <strong>leadership</strong> concernenti la<br />

differenza di genere con particolare riferimento al contesto bresciano.<br />

Oltre alla dimensione fondamentale del contributo <strong>femminile</strong> alla società, al centro dell’attenzione vi è<br />

una questione delicata: la conciliazione tra i tempi di vita, troppo spesso considerato un “problema da<br />

donne” e che frena lo sviluppo delle carriere femminili.<br />

<strong>La</strong> <strong>leadership</strong> al <strong>femminile</strong> rappresenta un fenomeno particolarmente interessante da questo punto di<br />

vista perché l’analisi delle difficoltà e delle risorse messe in campo, le strategie attuate per conciliare vita<br />

professionale e vita familiare, può offrire importanti spunti per elaborare proposte di intervento in favore<br />

dello sviluppo della cultura lavorativa e della possibilità di esercitare un ruolo fattivo nella vita sociale e<br />

democratica.<br />

Si farà particolare riferimento al contesto locale bresciano, attraverso i dati relativi all’indagine empirica<br />

svolta in provincia di Brescia attraverso una metodologia prevalentemente qualitativa.<br />

1. Donne e lavoro: fattori segreganti<br />

Rispetto al passato, in cui l’attività lavorativa era considerata un’esperienza di natura transitoria (prima<br />

del matrimonio, della nascita del figlio o in situazioni di forte necessità economica), oggi sempre più<br />

rappresenta una parte irrinunciabile e strutturale dell’identità <strong>femminile</strong> e del progetto di vita personale.<br />

1 Dipartimento di Sociologia, Università Cattolica del Sacro Cuore- Sede di Brescia<br />

1


Tuttavia, permangano stereotipi e limiti che contribuiscono al mantenimento dei ruoli di genere<br />

tradizionali che limitano ed ostacolano le possibilità delle donne non solo di crescere nell’esperienza<br />

professionale, ma anche di partecipare alla vita economica della società. Spesso ciò accade sin dal livello<br />

micro, all’interno della famiglia attraverso il mancato riconoscimento del lavoro <strong>femminile</strong>, sia domestico<br />

sia extradomestico, come ‘lavoro vero’: il contributo al reddito famigliare da parte della donna è spesso<br />

inteso come un surplus accessorio, indipendentemente dall’effettiva entità della retribuzione percepita,<br />

mantenendo così il modello del male breadwinner.<br />

I vincoli legati alla differenza di genere che ostacolano la realizzazione professionale della donna si<br />

manifestano attraverso fenomeni come:<br />

- la segregazione orizzontale, che indica la distribuzione, maschile e <strong>femminile</strong>, non omogenea nelle<br />

diverse attività produttive e si manifesta con l’ingresso e la concentrazione delle donne nel mondo del<br />

lavoro in alcuni ambiti lavorativi (sex typing);<br />

- la segregazione verticale, che indica una disomogeneità nella distribuzione gerarchica tra donne e<br />

uomini;<br />

- lo svantaggio retributivo, che vede un trattamento economico differente per eguale mansione svolta<br />

da uomini e donne;<br />

- la segregazione intraoccupazionale, che rappresenta una segregazione informale delle mansioni<br />

effettivamente svolte, per esempio l’assegnazione di compiti più o meno prestigiosi.<br />

Particolare attenzione merita il fenomeno della segregazione verticale, identificato anche con<br />

l’espressione anglosassone glass ceiling, che indica quell’insieme di barriere invisibili contro cui, al pari di<br />

un soffitto di vetro, le donne si scontrano quando intendono sviluppare le proprie prospettive di carriera,<br />

salendo la scala gerarchica all’interno di un’organizzazione, e che quindi blocca la loro mobilità verso l’alto<br />

(Davidson e Cooper, 1992).<br />

A. Cancedda e L. D’Andrea (1996) identificano cinque categorie di fattori segreganti:<br />

1. Fattori antropologici, derivanti dall’incompatibilità tra carriera professionale e alcuni tratti radicati<br />

nella storia del genere <strong>femminile</strong>, come l’orientamento alla cura familiare e l’attenzione alle relazioni<br />

umane. Si possono distinguere fattori endogeni, come l’estraneità alla concezione culturale maschile di<br />

potere, la riluttanza a rinunciare al tempo dedicato a sé e alla propria famiglia, e fattori esogeni, tra cui<br />

spiccano le limitazioni derivanti dalla difficoltà di conciliazione famiglia-lavoro: orari inadeguati,<br />

mancanza di servizi, elevate responsabilità in entrambi gli ambiti.<br />

2. Fattori socio-culturali, che nascono dalla presenza di stereotipi o pregiudizi sulle donne dirigenti<br />

(come la presentazione della donna manager in chiave caricaturale, sottolineandone nevrosi e<br />

insoddisfazione verso la vita privata) che tendono a scoraggiarle o escluderle dai percorsi di carriera. Si<br />

rileva inoltre la presenza di reti di relazione informali necessarie per accedere a posizioni di alto livello e<br />

dalle quali le donne tendono ad essere escluse. Da sottolineare anche la scarsa solidarietà <strong>femminile</strong><br />

all’interno delle medesime professioni o organizzazioni.<br />

3. Fattori socio-economici, relativi all’accessibilità a risorse e opportunità materiali ed immateriali<br />

necessarie per intraprendere un itinerario sociale ascendente, come l’accesso al credito, alle informazioni, al<br />

capitale sociale e la tendenza ad incanalare le risorse intellettuali delle giovani generazioni in base al<br />

genere: le ragazze vengono maggiormente orientate agli studi umanistici, i ragazzi verso quelli scientificotecnologici.<br />

4. Fattori psicologici, che originano atteggiamenti di auto-limitazione da parte delle donne stesse in<br />

presenza di opportunità di carriera o in seguito a stress psicologico. Tra i fattori rilevanti si registra un<br />

diffuso senso di colpa, nella maggior parte dei casi connesso con la sensazione di delegare le proprie<br />

responsabilità familiari e materne, e una frequente carenza di auto-legittimazione all’esercizio di potere.<br />

5. Fattori fisiologici, circoscrivibili alla maternità, identificata come fattore fortemente vincolante in<br />

virtù dell’allontanamento dal lavoro che esso comporta.<br />

2


<strong>La</strong> maternità si delinea come elemento di criticità, non in quanto tale, ma a fronte dell’insufficienza dei<br />

servizi alla famiglia, della mancanza di efficaci strategie di conciliazione e dall’assenza di strumenti<br />

legislativi adeguati, sintomi di una cultura che implicitamente suggerisce ancora ruoli e modelli<br />

tradizionali.<br />

2. Oltre il glass ceiling. Esiste una <strong>leadership</strong> <strong>femminile</strong>?<br />

Gli studi sulla <strong>leadership</strong> si consolidano nella metà del Novecento (Stogdill, 1948; Lewin, 1939; Likert,<br />

1967; Fiedler, 1967), partendo da concezioni innatiste per giungere a concettualizzazioni relazionali e<br />

situazionali. Negli anni Novanta si assiste ad un vero e proprio salto di paradigma, collegato alle istanze del<br />

nuovo contesto socio-economico, ed in particolare alla nuova parole chiave – cambiamento – che, da<br />

momento eccezionale nella vita organizzativa, diventa costante e necessario. <strong>La</strong> <strong>leadership</strong> dovrà saperlo<br />

fronteggiare in modo efficace, ri-orientando e rinforzando le motivazioni nei collaboratori. Secondo la<br />

definizione di Bass (1990), la <strong>leadership</strong> diventa trasformazionale. Diventano fondamentali elementi come<br />

il comportamento simbolico del leader, la comunicazione verbale e non verbale, il richiamo ai valori, la<br />

motivazione dei collaboratori, l’empowerment, la fiducia e la guida.<br />

Fino a questo momento la <strong>leadership</strong> è considerata neutrale: le differenze di genere non vengono prese<br />

in considerazione e i riferimenti sono studi e ricerche fatte da uomini su uomini:<br />

Fig. 1 – Ricerche sulla <strong>leadership</strong>: confronto tra genere dei ricercatori (knower) e dei soggetti studiati (known)<br />

KNOWER<br />

KNOWN Prima degli anni ’70: non c’è interesse<br />

verso il genere<br />

Uomini Donne<br />

Fine anni ’70: è il periodo della parità,<br />

ma le donne vengono confrontate con<br />

l’esistente modello maschile, normativo<br />

Fonte: S. W. Jacobs e R. Jacques (1990), nostra elaborazione<br />

3<br />

All’inizio degli ’80: Le scrittrici femministe<br />

sfidano i costrutti tradizionali<br />

Dopo gli anni ’90: la categoria delle sognatriciinnovatrici<br />

(prospettive nuove, nuove<br />

metodologie di ricerca, nuovi paradigmi<br />

interpretativi)<br />

Negli anni Novanta la differenza di genere inizia ad attirare l’attenzione di più studiosi. Rosener (1990),<br />

intervistando donne e uomini con ruolo di manager, rilevò che le donne risultavano assumere in misura<br />

maggiore comportamenti trasformazionali. Lo studio condotto da Bass, Avolio e Atwater (1996) confermò<br />

che le donne presentano alcuni aspetti chiave della <strong>leadership</strong> trasformazionale più frequentemente degli<br />

uomini. Anche altri studi (Alimo-Metcalfe, 1998; Eagly, Johannesen-Schmidt e Van Egen, 2003) si<br />

muovono in questa direzione. Una ricerca effettuata in Italia (Rebora, Minelli, Turri, 2003), riguardante i<br />

profili di management e di <strong>leadership</strong> nelle aziende italiane, rileva, stratificando per genere ed età, che i<br />

capi d’azienda più anziani presentano una maggiore propensione ad accentrare il potere: sono infatti leader<br />

unici nel 63% dei casi. I capi giovani e le donne sembrano essere culturalmente vicini ad una <strong>leadership</strong><br />

condivisa.<br />

Pare quindi affermarsi il concetto che la <strong>leadership</strong> non è neutra, ma che esistono caratteristiche ed<br />

inclinazioni più facilmente riscontrabili nelle donne rispetto agli uomini. Queste particolarità sono prossime<br />

agli elementi che descrivono la <strong>leadership</strong> trasformazionale, considerata la più efficace in contesti di rapido<br />

mutamento come quello attuale. Ma da cosa deriva questa diversa “propensione”?<br />

<strong>La</strong> socializzazione al ruolo <strong>femminile</strong> è uno dei fattori più influenti: sin dall’infanzia le donne<br />

apprendono ad assumere atteggiamenti altruistici, cooperativi, di sostegno, ma anche a mostrarsi<br />

vulnerabili, emotive e dipendenti (Rosener, 1995; Piccone Stella, Saraceno, 1996). Nonostante oggi abbiano


conquistato posizioni di potere, le donne tendono a condividerlo e a mettersi al servizio degli altri. In questo<br />

modo vanno incontro alle esigenze più forti della forza lavoro dell’epoca contemporanea: sentirsi<br />

importanti e sentirsi sostenuti nella propria crescita personale.<br />

Le donne nel mondo della <strong>leadership</strong> e del management rappresentano le “nuove arrivate”, caratteristica<br />

che le accomuna ai leader giovani e per questo sono portate più facilmente ad aderire ai nuovi trend<br />

contemporanei del management.<br />

Lo stile trasformazionale non è quindi ontologicamente legato al dato biologico, ma si manifesta come<br />

una caratteristica culturale. <strong>La</strong>sciarsi tentare dall’assumere posizioni legate all’innatismo o al determinismo<br />

sarebbe un grave errore perché non si terrebbero in considerazione le caratteristiche del rapporto tra<br />

individuo e società: il dinamismo comunicativo tra la realtà soggettiva e la cornice di significati, valori e<br />

modelli di riferimento, permette di costruire la propria identità in modo flessibile e unico (Blumer, 1986,<br />

Besozzi, 2006). <strong>La</strong> socializzazione al genere e quella lavorativa rappresentano quindi esperienze cardine, in<br />

cui il soggetto deve interpretare, rielaborare e ricomporre la propria identità alla luce di molteplici stimoli e<br />

opzioni possibili.<br />

3. Un particolare tipo di <strong>leadership</strong>: l’imprenditoria <strong>femminile</strong><br />

L’imprenditoria <strong>femminile</strong> non è storicamente stata oggetto di particolare interesse di studio. Ruggerone<br />

(2000) suggerisce come motivazione principale il fatto che, negli anni Settanta, gli studi si sono concentrati<br />

sugli aspetti negativi delle esperienze lavorative delle donne, tendendo a mettere in luce le situazioni di<br />

discriminazione e di segregazione. Inoltre, la riflessione ha raramente coinvolto le posizioni più alte in<br />

azienda, ma si è focalizzata soprattutto sulle lavoratrici dipendenti.<br />

Con i primi studi sul fenomeno si cerca di indagare le circostanze in cui le donne decidono di avviare<br />

un’impresa, le particolarità dei percorsi di carriera, il sistema di vincoli e opportunità. Lo scenario<br />

tratteggiato dagli studi è complesso ed eterogeneo per la profonda diversità dei casi esaminati. Al fine di<br />

comprendere meglio il mondo dell’imprenditoria <strong>femminile</strong>, diversi autori hanno tentato di individuare<br />

alcune profili di imprenditrici. Di seguito si propone una sintesi di alcuni modelli elaborati in base alle<br />

differenti dimensioni prese in esame:<br />

Fig. 2 – Profili di donne imprenditrici secondo le diverse categorie adottate dagli autori.<br />

Autore Dimensioni analizzate Profili di imprenditrici<br />

Goffee e Scase<br />

(1985)<br />

Cromie e Hayes<br />

(1988)<br />

a) Adesione ai tratti “tipici”<br />

dell’imprenditoria<br />

(competitività, interesse al<br />

guadagno..)<br />

b) Adesione ai ruoli<br />

tradizionali di genere<br />

a) Autonomia e conciliazione<br />

dei ruoli<br />

b) Autorealizzazione<br />

1. Le tradizionali: donne fortemente coinvolte in entrambi i ruoli,<br />

la loro motivazione è legata soprattutto al fattore economico<br />

(arrotondare il reddito familiare);<br />

2. Le casalinghe: vivono fortemente il ruolo familiare, l’impresa è<br />

un aspetto marginale della propria vita;<br />

3. Le innovatrici: sono donne scarsamente legate ai ruoli<br />

tradizionali e sono proiettate soprattutto alla realizzazione degli<br />

obiettivi di impresa;<br />

4. 4. Le radicali: si identificano poco in entrambi i ruoli,<br />

sono mosse da un desiderio di gratificazione personale e da fattori<br />

ideologici (per esempio promuovere gli interessi delle donne nella<br />

società).<br />

1. Le innovative: donne che utilizzano l’impresa per sviluppare la<br />

propria carriera lavorativa. Sono in genere senza figli e l’impresa<br />

rappresenta una possibilità di esprimere la propria autonomia.<br />

2. Le dualiste: imprenditrici con figli che riescono a conciliare i<br />

4


Franchi (1992) a) Ricerca di flessibilità<br />

(autodeterminazione e<br />

gestione del tempo)<br />

b) Desiderio di<br />

autoaffermazione e di<br />

valorizzazione della propria<br />

professionalità<br />

Carrera (2008) a) Rappresentazione dei propri<br />

ruoli lavorativi e personali<br />

b) Strategie di conciliazione<br />

adottate<br />

due ruoli e non vogliono scegliere tra famiglia e carriera.<br />

3. Le imprenditrici di rientro: donne che, dopo aver interrotto il<br />

lavoro a seguito del matrimonio o della nascita dei figli, decidono<br />

di rientrare nel mercato del lavoro attraverso l’impresa. E’molto<br />

forte il desiderio di recuperare la propria autonomia e di trovare<br />

gratificazioni personali. Particolare enfasi viene posta alla<br />

categoria della flessibilità, garantita dal lavoro part-time o dal<br />

impegno imprenditoriale, che permette alla madre lavoratrice di<br />

combinare più facilmente le responsabilità familiari con quelle<br />

lavorative.<br />

1. Le creatrici, in cui la scelta imprenditoriale esprime l’idea di<br />

autoaffermazione e autonomia, sia sul piano professionale sia su<br />

quello personale;<br />

2. Le professioniste, in cui l’imprenditoria è un passaggio<br />

evolutivo di percorso lavorativo dipendente dove sono state<br />

maturate competenze e abilità;<br />

3. Le rientranti, che tornano nel mondo del lavoro dopo essersi<br />

dedicate alla famiglia e l’impresa viene considerata come<br />

possibilità migliore per gestire meglio i tempi;<br />

4. Le tradizionali, che, imprenditrici per tradizione familiare,<br />

percepiscono l’impresa come parte della loro vita.<br />

1. <strong>La</strong> selettiva, che rinuncia ad uno dei due ambiti poiché ritiene<br />

impossibile la conciliazione;<br />

2. <strong>La</strong> conciliante, che si muove tra i diversi ruoli come una<br />

pendolare. Può essere organizzata, nel caso si avvalga di una rete<br />

di supporto, oppure accentratrice, se concentra su di sé la maggior<br />

parte degli impegni relativi ai diversi ruoli.<br />

Fonte: Goffee e Scase (1985), Cromie e Hayes (1988), Franchi (1992), Carrera (2008), nostra elaborazione<br />

I modelli presentati evidenziano come il mondo dell’imprenditoria <strong>femminile</strong> sia eterogeneo e<br />

complesso, in virtù dei numerosi fattori intervenienti: diverse motivazioni, diverse strategie di<br />

conciliazione, diversi percorsi di carriera, diverse esperienze personali e professionali incidono<br />

profondamente le traiettorie di vita delle donne. E’ interessante notare come la letteratura registri i<br />

cambiamenti negli approcci all’imprenditoria <strong>femminile</strong>: i primi modelli sembrano leggere il fenomeno<br />

soprattutto come una risposta alle rigidità del mercato, i più recenti colgono invece maggiormente l’aspetto<br />

soggettivo del desiderio di autonomia e di autodeterminazione insito nelle scelte delle imprenditrici.<br />

4. I numeri delle imprese femminili<br />

L’Osservatorio sull’imprenditoria <strong>femminile</strong> di Unioncamere rileva una crescita dell’1% su base annua<br />

dell’ imprenditoria <strong>femminile</strong> del nostro Paese. Le imprese femminili sono (alla fine di marzo 2011)<br />

1.422.605 e rappresentano il 23,4% del totale delle imprese esistenti.<br />

Centro e Mezzogiorno d’Italia restano le aree a maggior diffusione delle imprese “rosa” e le regioni più<br />

dinamiche sono la Toscana (+2%), il <strong>La</strong>zio (+1,9%) e la Puglia (+1,7%). Considerando invece le province,<br />

ai primi posti si trovano Prato (+3,6%), Messina(+3,0%) e Arezzo (+2,7%). <strong>La</strong> provincia di Brescia,<br />

oggetto dello studio empirico, si colloca al 23° posto con un incremento annuo del 1,7%.<br />

5


Sebbene i tassi di femminilizzazione più elevati si registrino ancora in settori tradizionalmente<br />

caratterizzati dalla presenza <strong>femminile</strong> si evidenzia una tendenza delle donne imprenditrici ad ‘invadere’<br />

anche ambiti tradizionalmente appannaggio degli uomini, come il settore scientifico.<br />

Tab.1 – Tasso di femminilizzazione e incidenza delle imprese femminili per settore produttivo,dati nazionali e della<br />

provincia di Brescia, anno 2010<br />

Settore Ateco 2007 Tasso di<br />

femminiliz<br />

zazione del<br />

settore<br />

Dati nazionali Dati provincia di Brescia<br />

Incidenza<br />

imprese<br />

femminili<br />

sul totale<br />

(N=1.422.6<br />

05)<br />

Tasso di<br />

femminiliz<br />

zazione del<br />

settore<br />

Agricoltura, silvicoltura, pesca 29,2% 17,4% 21,1% 6,7%<br />

Estrazione di minerali da cave e miniere 10,5% 0,0% 9,4 % 0,1%<br />

Incidenza<br />

imprese<br />

femminili<br />

sul totale<br />

(N=121.465<br />

)<br />

Attività manifatturiere 18,7% 8,2% 16,1% 15,4%<br />

Fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria<br />

condiz.<br />

7,1% 0,0% 5,5% 0,2%<br />

Fornitura di acqua; reti fognarie, attività di gestione<br />

d...<br />

12,9% 0,1% 11,5% 0,2%<br />

Costruzioni 7,2% 4,6% 4,9% 5,1%<br />

Commercio all'ingrosso e al dettaglio; riparazione<br />

di aut...<br />

26,7% 29,0% 24,6% 22,2%<br />

Trasporto e magazzinaggio 10,8% 1,4% 8,3% 1,3%<br />

Attività dei servizi di alloggio e di ristorazione 32,3% 8,7% 34,4% 12,0%<br />

Servizi di informazione e comunicazione 22,1% 1,9% 23,6% 2,4%<br />

Attività finanziarie e assicurative 22,6% 1,9% 24,0% 2,1%<br />

Attività immobiliari 23,4% 4,6% 22,3% 10,2%<br />

Attività professionali, scientifiche e tecniche 21,7% 2,9% 20,8% 4,0%<br />

Noleggio, agenzie di viaggio, 30,1% 3,2% 27,2% 2,9%<br />

Amministrazione pubblica e difesa; assicurazione<br />

sociale...<br />

13,1% 0,0% 8,3% 0,0%<br />

Istruzione 31,5% 0,6% 24,9% 0,5%<br />

Sanità e assistenza sociale 40,4% 0,9% 32,7% 1,2%<br />

Attività artistiche, sportive, di intrattenimento e<br />

divertimento<br />

25,8% 1,2% 21,6% 1,2%<br />

Altre attività di servizi 47,6% 7,7% 54,4% 7,1%<br />

Imprese non classificate 21,8% 5,7% 20,2% 5,2%<br />

TOTALE 23,4% 100,0% 20,8% 100,0%<br />

Fonte: Unioncamere; CCIAA Brescia, nostra elaborazione<br />

<strong>La</strong> presenza <strong>femminile</strong> bresciana si concentra soprattutto nel terziario, in particolare nei servizi alla<br />

persona (54,4%), nelle attività di alloggio e ristorazione (34,4%), nei servizi sociali e sanitari (32,7%). I dati<br />

risultano essere in generale inferiori ai dati nazionali, superati di qualche punto percentuale solo nel settore<br />

dei servizi, della ristorazione, dell’informazione e delle attività finanziarie. Complessivamente il tasso di<br />

femminilizzazione è inferiore di 2,6 punti percentuale.<br />

Negli ultimi anni si registra un forte aumento dell’imprenditoria <strong>femminile</strong> straniera, sia a livello<br />

nazionale che locale: in Italia si contano circa 100.000 imprese di donne straniere che investono soprattutto<br />

nel settore terziario (70%), nei settori del noleggio e delle agenzie di viaggio(13,5%) e nella ristorazione e<br />

commercio (15%). A Brescia, il 6,8% delle imprenditrici sono di nazionalità estera, con dati abbastanza in<br />

linea con il trend nazionale.<br />

L’età delle imprenditrici caratterizza il contesto bresciano come particolarmente giovane rispetto al dato<br />

nazionale, infatti si rileva una bassa percentuale di oltre settantenni e dati superiori alla media nazionale per<br />

le più giovani:<br />

6


Fig. 3 – Distribuzione per età delle imprenditrici, confronto tra dati nazionali e provinciali. Anno 2010<br />

Fonte: Unioncamere; CCIAA Brescia, nostra elaborazione<br />

5. Uno sguardo qualitativo all’imprenditoria <strong>femminile</strong> bresciana<br />

L’esplorazione nel mondo dell’imprenditoria <strong>femminile</strong> bresciana è stata svolta attraverso interviste in<br />

profondità a nove donne leader della provincia di Brescia.<br />

Oltre alla problematizzazione teorica delle questioni presentate attraverso un approfondimento della<br />

letteratura italiana ed internazionale, la ricerca adotta la seguente strategia di indagine:<br />

Tipo di analisi Fonte<br />

1) Analisi secondaria ISTAT, CCIAA Brescia, Osservatorio Imprenditoria Femminile Unioncamere<br />

2)Analisi<br />

profondità<br />

di interviste in 9 donne leader (madri) nel mondo del lavoro in provincia di Brescia.<br />

Le intervistate si differenziano per settore economico, produttivo e culturale, in cui esercitano il proprio<br />

ruolo; per status famigliare, vi sono infatti donne sposate, single, separate. Un’ulteriore differenza è<br />

riscontrabile nel percorso di carriera, questo mette in luce come le esperienze, le motivazioni e vissuti che<br />

soggiacciono alle scelte di queste donne siano profondamente diversi e si combinano con una serie di fattori<br />

esterni (famiglia di origine, educazione ricevuta, possibilità economiche, ambiente circostante più o meno<br />

facilitante) per dare vita a percorsi esistenziali e lavorativi unici.<br />

I nodi tematici affrontati nelle interviste sono:<br />

- il percorso di carriera: esperienza lavorativa pregressa e modalità di accesso;<br />

- lo stile di <strong>leadership</strong>: modo di condurre l’azienda, di relazionarsi, di prendere decisioni;<br />

- la <strong>leadership</strong> e le differenze di genere;<br />

- il possibile ruolo del contesto locale nello sviluppo delle carriere femminili;<br />

- la coppia e la famiglia;<br />

- la conciliazione tra i diversi ruoli esercitati;<br />

- il tempo per sé;<br />

- l’immagine di sé.<br />

E’ stata effettuata un’analisi ermeneutica delle interviste e un’analisi di tipo quantitativo sul corpus del<br />

testo usando il software T-<strong>La</strong>b.<br />

7


Il confronto tra i dati statistici riferiti alla provincia di Brescia e i dati regionali e nazionali, e tra quelli<br />

ottenuti dall’analisi delle interviste e quelli relativi a indagini svolte nella realtà di Cuneo e Carpi, permette<br />

di individuare alcuni elementi di peculiarità della <strong>leadership</strong> <strong>femminile</strong> bresciana.<br />

5.1 Leadership e differenza di genere<br />

Tra i temi affrontati, quello della percezione della differenza di genere nella <strong>leadership</strong> è stato<br />

particolarmente dibattuto. Le intervistate non ravvisano differenze nelle competenze di <strong>leadership</strong> in base al<br />

genere: ritengono piuttosto che si tratti, in primo luogo, di differenze a livello personale; secondariamente,<br />

di una diversa distribuzione e modulazione delle medesime competenze e di un approccio maggiormente<br />

partecipativo alla realtà organizzativa ed alle relazioni.<br />

«.. a livello di competenze, sia gli uomini sia le donne hanno le stesse competenze: le linee guida su<br />

come si fa azienda ci sono. Io credo che la diversità di fare impresa tra un uomo e una donna sta<br />

nell’applicare il proprio lato <strong>femminile</strong> ed il proprio lato maschile, che è un lato psicologico: è la modalità<br />

di approccio che cambia.» [LWBS4]<br />

Per quanto riguarda la strategia, ad esempio, viene sottolineato come proprio la storia di genere abbia<br />

determinato il fatto che nell’uomo prevalga una tendenze impositiva, mentre alla donna appartiene<br />

maggiormente la dimensione persuasiva, che si traduce poi negli stili dirigenziali, gli uni volti ad una<br />

maggior verticalizzazione e autorità, gli altri caratterizzati da una maggior cura dell’ascolto e del dialogo,<br />

del confronto e del rendere consapevoli.<br />

Le peculiarità femminili della <strong>leadership</strong> descritte sono sintetizzabili in due elementi: le competenze<br />

relazionali e il saper essere multitasking.<br />

Componenti basilare delle competenze relazionali sono l’ascolto, la mediazione, la cura. Queste<br />

vengono esplicitate quotidianamente, nel rapporto con i clienti, ma anche con i propri dipendenti e<br />

collaboratori. Una propensione alla cura che dalla predisposizione alla maternità trascende la dimensione<br />

strettamente domestica per divenire una competenza trasversale.<br />

«.. la preoccupazione di dare ascolto, molto ascolto alle persone.. essere attenta.. il bambino piange, tu<br />

non puoi non ignorarlo, allora quando sai che una persona ha un problema (in azienda), tu non puoi<br />

ignorarlo!» [LWBS1]<br />

Con l’espressione ‘essere multitasking’ si intende la capacità di svolgere più azioni<br />

contemporaneamente: la simultaneità operativa. Le intervistate hanno sottolineato il fatto che la donna è<br />

abituata ad avere una visione globale delle situazioni e a dover gestire più cose nello stesso tempo, una<br />

competenza che deriva proprio dalla necessità storica di conciliare più compiti domestici e successivamente<br />

domestici e lavorativi.<br />

«.. questa è una capacità che ha la donna: tenere sotto controllo più cose contemporaneamente. Questa<br />

è una cosa molto importante per il lavoro.. qualunque lavoro, non solo per la <strong>leadership</strong>. Tenere la mente<br />

su diversi piani è proprio una caratteristica <strong>femminile</strong>.» [LWBS1]<br />

Questa atavica attitudine si dimostra come una risorsa estremamente funzionale nel gestire i rapporti<br />

interni ed esterni all’azienda, mantenendo sempre vivo l’orientamento alla produttività, ponendo così punti<br />

di congiunzione tra due orientamenti, quello alla relazione e quello al compito, che nella letteratura sono<br />

stati spessi posti in antitesi.<br />

8


«.. anche sotto stress la donna reagisce meglio, ma questo perché per tradizione storica ha l’abitudine<br />

ad affrontare tre problemi insieme.. voglio dire: una arriva a casa, cucina, fa la lavatrice e mette a letto il<br />

bambino e intanto pensa alla lista della spesa!» [LWBS4]<br />

Tuttavia, la capacità di dare così tanta attenzione all’altro può celare alcuni rischi, se manca una piena<br />

padronanza di tali competenze:<br />

«.. mi vivono come una chioccia perché cerco sempre di difenderli e capirli. Non riesco ad essere un<br />

capo troppo direttivo.» [LWBS3]<br />

L’uomo leader, invece, viene descritto come maggiormente finalizzato e vive con maggior naturalezza il<br />

fatto di delegare.<br />

Tornando alla domanda iniziale, ovvero se esista o meno un modo <strong>femminile</strong> di essere leader, urge<br />

sottolineare che molte caratteristiche della <strong>leadership</strong>, le competenze “oggettive” dell’essere leader,<br />

provengono dalla storia maschile della <strong>leadership</strong>. Si tratta di passaggi propri dello stile maschile che sono<br />

emersi perché funzionali alla guida di un’organizzazione.<br />

D’altro canto però, bisogna anche ricordare che il lato <strong>femminile</strong> dell’imprenditoria è storia<br />

relativamente recente. Questo significa che, da un lato, devono ancora affermarsi in modo solido quelle<br />

peculiarità distintive che potranno divenire anch’esse competenze “oggettive” della <strong>leadership</strong>; dall’altro,<br />

che le donne hanno pochi modelli a cui far riferimento: se nella managerialità maschile è, per esempio,<br />

diffuso il mentoring, nel caso delle donne questa pratica è ancora poco adottata.<br />

5.2 Il contesto locale<br />

Nella riflessione sul contesto bresciano, dalle narrazioni delle intervistate emergono due dimensioni<br />

rilevanti: una prima considerazione viene fatta rispetto al contesto produttivo che storicamente caratterizza<br />

l’economia bresciana, in secondo luogo le imprenditrici fanno riferimento alla rete <strong>femminile</strong> che negli<br />

ultimi anni si sta consolidando sul territorio.<br />

Il settore produttivo maggiormente diffuso nella provincia di Brescia è quello manifatturiero. Ciò<br />

implica determinati ritmi di produzione e di conseguenza specifiche richieste ai lavoratori in termini di<br />

orario: spesso le lavorazioni richiedono una continuità, che si traduce nell’organizzazione del lavoro su<br />

turni. Di conseguenza è chiaro che, ad esempio per quanto riguarda la flessibilità d’orario, alcune “buone<br />

pratiche” non possano essere messe in atto indistintamente, senza cioè tenere in considerazione la<br />

compatibilità con le esigenze della produzione.<br />

Negli anni si è così consolidata una manodopera industriale tendenzialmente maschile: un minor accesso<br />

di donne nel mondo del lavoro pone una base più esigua perché ci siano quantitativamente possibilità che<br />

una donna emerga con iniziative imprenditoriali.<br />

Realtà in cui l’attività produttiva è diversa, come per esempio nel caso di una prevalenza del settore<br />

terziario, anche le possibilità per le donne cambiano. Oltre alla situazione milanese, possiamo citare anche<br />

la realtà laziale (Cancedda, 2006), in cui le donne sono ai vertici di molti enti che erogano servizi.<br />

Oltre alla contestualità territoriale, le intervistate fanno anche riferimento alla cultura, ponendo in<br />

evidenza le ritrosie che ancora oggi persistono quando si parla di <strong>leadership</strong> al <strong>femminile</strong>:<br />

«.. quando ho cominciato prendevano indicazioni solo da uomini. Da una donna dà<br />

fastidio» [LWBS3]<br />

«.. (il mondo lavorativo) più che abituato ad averti fuori, non è abituato ad averti<br />

dentro!» [LWBS4]<br />

9


«.. in Germania troviamo una Merkel. In Italia gli italiani sarebbero disposti a farsi<br />

guidare da una donna?.» [LWBS9]<br />

Le intervistate riconoscono il territorio come variabile potenzialmente significativa per lo sviluppo del<br />

lavoro e delle carriere femminili, sebbene venga percepito più come vincolo che come possibilità. Le<br />

imprenditrici, infatti, elencano una serie di elementi di criticità, tra cui:<br />

- la mancanza di servizi adeguati, in particolare si fa riferimento ai servizi per le famiglie e quelli relativi<br />

alla mobilità;<br />

- la permanenza di stereotipi e un diffuso attaccamento ai ruoli di genere tradizionali;<br />

- lo scarso riconoscimento sociale del lavoro <strong>femminile</strong> (retribuito e non);<br />

- una cultura d’impresa ancora ancorata alla tradizione e restia al cambiamento;<br />

- un’attività culturale principalmente accentrata nel capoluogo e più limitata in provincia.<br />

Forse anche per reazione a questa rigidità, la realtà bresciana si distingue per la vivacità di numerosi<br />

gruppi femminili: dall’Associazione DPI-Donne Politica Istituzioni, al gruppo AIB Femminile Plurale, alle<br />

delegazioni di ANDE- Associazione Nazionale Donne Elettrici, EWMD-European Women’s Management<br />

Development, AIDIA-Associazione Italiana Donne Ingegneri e Architetti… fino alla Rete delle<br />

Associazioni Femminili Bresciane, che sostiene e valorizza l’associazionismo <strong>femminile</strong>, favorisce la<br />

circolazione di buone prassi, promuove iniziative e progetti comuni a vari livelli, rappresenta gli interessi e<br />

le istanze comuni delle associate nei confronti delle istituzioni locali.<br />

Accanto alla sfera dell’associazionismo va citato anche il Comitato per l’Imprenditoria <strong>femminile</strong>,<br />

istituito presso la Camera di Commercio di Brescia che organizza puntualmente incontri informativi e<br />

formativi sulle opportunità relative all’imprenditoria <strong>femminile</strong>. E’ opportuno segnalare che le donne<br />

intervistate fanno parte, a diverso titolo e con differente grado di coinvolgimento, di questa fitta rete di<br />

relazioni formali ed informali che alimentano il capitale intellettuale e sociale, stimolano nuove sinergie tra<br />

imprese e territorio e favoriscono una maggiore consapevolezza tra le donne protagoniste di queste reti.<br />

«.. è una cosa nata da me e dalle mie colleghe, abbiamo costituito questo gruppo, primo<br />

nucleo, a cui si sono aggiunte altre imprenditrici.. è una cosa che sentiamo nostra..»<br />

[LWBS1]<br />

«.. noi dobbiamo fare da stimolo alle istituzioni politiche!» [LWBS1]<br />

«.. nessun uomo si è mai preso in carico lo studio della legislazione (sulla maternità). E’<br />

una cosa che con il nostro gruppo stiamo facendo.. faccio parte anche di un network<br />

internazionale che lavora su queste cose, quindi abbiamo uno scambio di materiale con la<br />

Germania e altri paesi che sono molto più avanti di noi. » [LWBS4]<br />

«.. fare rete è importante. Io amo far conoscere le persone perché sono convinta che in<br />

ogni persona c’è la ricchezza di qualche cosa, dall’incontro di potenzialità può sempre<br />

nascere qualcosa di importante.» [LWBS7]<br />

Le imprenditrici bresciane, grazie anche questa laboriosa attività relazionale, riescono a sfuggire all’<br />

‘isolamento’ e all’ ‘improvvisazione’ rilevate invece da altre indagine in diverse realtà produttive come<br />

quella cuneese (Bertolini, Goglio, 2011).<br />

10


5.3 Progetti di vita e percorsi lavorativi<br />

Mentre il percorso lavorativo maschile tende ad essere piuttosto lineare e continuo, quello delle donne è<br />

meno prevedibile e più complesso essendo soggetto ad interruzioni, accelerazioni, rallentamenti, in<br />

corrispondenza degli avvenimenti della vita famigliare, in cui le sub-identità lavorativa e famigliare si<br />

intrecciano saldamente (White, 1995) nella continua sfida della conciliazione.<br />

I percorsi professionali delle intervistate confermano questa discontinuità, ravvisabile anche nelle<br />

esperienze lavorative pregresse. Sono state rilevate quattro diverse istanze motivazionali:<br />

1- Le radici: se l’impresa è di famiglia l’attività imprenditoriale rappresenta l’occasione per portare<br />

avanti la cultura d’impresa e valoriale della famiglia di appartenenza, oltre che per realizzarsi.<br />

2- <strong>La</strong> svolta personale: non esiste un progetto d’impresa a monte e il passaggio all’imprenditoria<br />

rappresenta un forte cambiamento descritto come risultato di una ricerca personale o come risposta ad un<br />

imprevisto.<br />

3- <strong>La</strong> sfida: l’intervistata esplicita la curiosità verso l’esperienza che si prefigurava e il fatto di averla<br />

vissuta come sfida personale.<br />

4- Il progetto professionale in continuità: l’attività attuale risulta essere frutto della continuità nel<br />

progetto professionale.<br />

Nel descrivere le proprie esperienze di ‘doppia presenza’, le intervistate esprimono una naturalezza che<br />

richiama la “normalità” definita da Piazza (1992). Sono madri che, come tutte le madri lavoratrici,<br />

‘corrono’ per non mancare nei momenti importanti per i figli. <strong>La</strong> qualità della presenza materna viene<br />

precisata nella dimensione dialogica e nel dedicare tempo, nell’essere con, nella partecipazione e nei valori<br />

che segnano la quotidianità. <strong>La</strong> sfida della conciliazione viene condotta con creatività per elaborare<br />

strategie adeguate ai propri ritmi di vita. E’ importante segnalare anche il ruolo esercitato dal marito delle<br />

imprenditrici sposate, che non solo offre solidarietà e consigli, sostiene la promozione professionale della<br />

moglie, ma collabora attivamente nella gestione della vita domestica e dell’educazione dei figli.<br />

L’analisi delle interviste condotte da Bassoli e Caldaro nel distretto carpigiano (2003) ha rilevato che,<br />

tanto nelle imprenditrici concilianti (che autogestiscono la conciliazione) quanto nelle deleganti (che si<br />

avvalgono di un supporto per i compiti di cura), è presente una dimensione soggettiva che va oltre<br />

l’esigenza di conciliare tempi lavorativi e tempi privati in cui emerge in modo intenso un senso di<br />

sofferenza dovuto alla rinuncia di parti di sé per poter conciliare i tempi.<br />

Nei racconti delle imprenditrici bresciane incontrate, invece, non si rileva questa amarezza. Le<br />

bresciane appaiono soddisfatte degli esiti dei loro sforzi di conciliazione e sono emersi diversi significati<br />

che le donne attribuiscono alla propria stanza per sé, che viene identificata come un fattore protettivo per<br />

l’identità. Rappresenta un momento di crescita (attività auto formative, sviluppo del pensiero riflessivo,<br />

ecc.), di valvole di sfogo contro lo stress (attività fisiche e rilassanti), di cura degli affetti (dedicare tempo<br />

alle amicizie, ai nipoti). Sono, in definitiva, momenti in cui potersi ritrovare e rigenerare, da cui poter trarre<br />

nuove energie da investire negli altri ambiti di vita.<br />

A questo proposito è particolarmente significativa la restituzione offerta dal programma T-<strong>La</strong>b<br />

nell’analisi delle associazioni alla parola “tempo”.<br />

11


Fig.4 – Analisi delle associazioni alla parola “tempo”. Elaborazione T<strong>La</strong>b.<br />

Alla parola “tempo” vengono associati termini riconducibili alla sfera pubblica, lavorativa e sociale (in<br />

giallo), a quella domestica (in celeste) ed anche ad una dimensione più personale e relativa al proprio tempo<br />

libero (in verde). Significativi anche i verbi utilizzati, che riconoscono la fatica (“stress”, “energia”) che la<br />

sfida conciliativa comporta, ma al contempo esprimono un significato positivo (“riuscire”, “orientare”,<br />

“arrivare”, “dedicare”).<br />

Presenza ed appartenenza ad un mondo sono strettamente collegate. In riferimento alle duplici presenze<br />

delle donne, Bassoli e Caldaro parlano di “appartenenze multiple”. Questa definizione deriva dal fatto che<br />

le donne da loro incontrate transitano costantemente da un mondo all’altro, dalla vita domestica a quella<br />

lavorativa, sia fisicamente sia mentalmente. Questa non continuità si traduce nei vissuti delle imprenditrici<br />

carpigiane come una difficoltà nel gestire, in termini di identità, l’appartenenza a mondi simbolici distinti.<br />

Le intervistate dichiarano inoltre un senso di imbarazzo quando devono parlare pubblicamente del proprio<br />

ruolo (Bassoli, Caldaro, 2003: 127).<br />

Nelle narrazioni delle imprenditrici della provincia di Brescia traspare un senso di orgoglio e di forte<br />

auto legittimazione del proprio ruolo. Il pendolarismo tra ambito lavorativo e domestico non viene<br />

raccontato come passaggio tra dimensioni completamente disgiunte: i mondi simbolici delle due sfere<br />

d’esperienza hanno un saldo trade d’union: il nodo identitario della donna stessa che si esprime, in<br />

modulazioni differenti nei diversi ambiti, con continuità. In questo caso, piuttosto che di appartenenze<br />

multiple, pare più opportuno parlare di un’appartenenza unica.<br />

12


6. Considerazioni conclusive<br />

Il confronto tra la realtà bresciana e altri contesti locali come quello carpigiano (Bassoli, Caldaro 2003)<br />

e quello cuneese (Bertolino, Goglio, 2011) e il riferimento ai dati nazionali, permettono di identificare<br />

alcuni elementi di continuità e tratti di specificità dell’imprenditoria <strong>femminile</strong> bresciana.<br />

In continuità con la letteratura si riscontrano:<br />

- <strong>La</strong> scarsa linearità dei percorsi lavorativi e di carriera femminili.<br />

- Il ruolo dell’agency maschile: i partner delle imprenditrici spesso favoriscono l’accesso alle risorse<br />

materiali e immateriali (capitale economico, sostegno, corresponsabilità educativa verso i figli..).<br />

- <strong>La</strong> creatività delle strategie di conciliazione: in molti casi sono le aziende femminili a promuovere le<br />

best practices perché per prime le imprenditrici si sono trovate protagoniste della sfida conciliativa, con un<br />

maggior ricorso al welfare mix.<br />

- <strong>La</strong> comunanza tra i tratti della <strong>leadership</strong> <strong>femminile</strong> e la <strong>leadership</strong> trasformazionale: la tendenza alla<br />

flessibilità, alla qualità totale, l’attenzione alle relazioni e lo stile cooperativo si confermano come<br />

caratteristiche strategiche.<br />

Rispetto ai dati statistici, il contesto bresciano si pone in sintonia con la cornice regionale, collocandosi<br />

con minori presenze femminili rispetto al territorio italiano. Tuttavia l’imprenditoria <strong>femminile</strong> bresciana<br />

appare più giovane e con una variazione positiva 2009-2010 superiore:<br />

Tab.2 – Imprese femminili: intesi dati nazionali, regionali, provinciali. Anno 2010<br />

Italia Lombardia Brescia<br />

Incidenza imprese femminili 23,4% 20,1% 20,8%<br />

Imprenditrici straniere 6,5% 7,1% 6,8%<br />

Imprenditrici < 50 anni 57,3% 55,4% 60,3%<br />

Variazione % 2009-2010 + 1,0% +0,6% + 1,7%<br />

Fonte: Osservatorio sull’Imprenditoria Femminile di Unioncamere 2011; Rapporto imprenditoria <strong>femminile</strong> 2011<br />

CCIAA Brescia, nostra elaborazione<br />

I dati e il “clima poco favorevole” allo sviluppo dell’imprenditoria <strong>femminile</strong> rilevato dalle imprenditrici<br />

bresciane possono sembrare in disaccordo con l’esperienza positiva narrata nelle interviste e con il trend di<br />

crescita. Per spiegare tale situazione è interessante considerare l’apporto delle reti formali e informali che<br />

negli ultimi anni si sono consolidate a Brescia. L’ipotesi emergente, che andrebbe ulteriormente<br />

approfondita da un’indagine con basi empiriche più ampie e confrontata con ulteriori contesti produttivi per<br />

parlare propriamente di specificità bresciana, è che la relazionalità diffusa e il sistema fiduciario instaurate<br />

grazie all’attività delle diverse associazioni femminili (momenti di formazione, informazione, orientamento,<br />

riflessione, studio, momenti conviviali) ed il senso di appartenenza a questa rete, contribuiscano a favorire<br />

la legittimazione del proprio ruolo sociale ed una maggiore consapevolezza di sé e delle proprie<br />

competenze. Permettono, inoltre, l’incontro tra realtà diverse (imprese, università, enti locali, persone) e la<br />

costruzione di inedite sinergie. In questo modo i soggetti appartenenti alla rete aumentano il proprio<br />

capitale sociale e possono accedere e mobilitare maggiori risorse per raggiungere i propri obiettivi<br />

(Bourdieu, 1980), alimentando un circolo virtuoso comune (Coleman,1990; Putnam, 2000).<br />

Se lo sviluppo dell’imprenditoria locale è frutto dei comportamenti aggregati degli attori razionali<br />

(Bagnasco, 2006), allora è possibile supporre che le relazioni di reciprocità e cooperazione che si instaurano<br />

tra le donne facenti parte di questa rete, forte di comuni obiettivi, favoriscano non solo lo sviluppo<br />

economico (aspetto macro), ma anche la consapevolezza della propria <strong>leadership</strong> (aspetto micro).<br />

13


L’approccio del capitale sociale si pone come interessante frame di analisi per lo studio della <strong>leadership</strong><br />

<strong>femminile</strong> nei contesti locali e, al contempo, come prospettiva direzionale di sviluppo, affinché il<br />

potenziale <strong>femminile</strong> trovi piena espressione ed arricchisca con le proprie risorse le imprese,<br />

contribuisca all’economia e favorisca lo sviluppo socio-culturale del nostro Paese.<br />

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