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13A Giulietta e Romeo 1 - Biblioteca civica di Rovereto

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GIULIETTA E ROMEO<br />

180<br />

Raffaello de Rensis, Conversando con Zandonai - In attesa <strong>di</strong> “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>”, “Il Messaggero”,<br />

31.1.1922 - p. 3 col. 1-2-3<br />

Il maestro Zandonai un po’ sbuffante, un po’ sudante, ma dall’aria abbastanza sod<strong>di</strong>sfatta se ne <strong>di</strong>scendeva,<br />

nel pomeriggio <strong>di</strong> ieri, per via Nazionale. Io che non sbuffavo, non sudavo, né avevo l’aria sod<strong>di</strong>sfatta non<br />

essendovi alcuna ragione per tutto ciò, me ne salivo per la stessa via. Era dunque inevitabile che<br />

c’incontrassimo, anzi che quasi ci battessimo muso contro muso. Era anche inevitabile che io gli domandassi:<br />

-Maestro, e <strong>Giulietta</strong>?<br />

-<strong>Giulietta</strong>? sta bene in salute, ha mosso or i primi passi e, per quanto mi abbia già fatto molto sbuffare e<br />

sudare, son sod<strong>di</strong>sfatto. Esco in questo momento dal Costanzi, ove s’è iniziata la lettura in orchestra.<br />

-E l’orchestra incontra le solite <strong>di</strong>fficoltà delle sue pensose e nutrite partiture?<br />

-Affatto! Questa mia ultima partitura è semplice, spontanea, rapida, come semplice, spontaneo e rapido è<br />

l’amore <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>. Niente acrobatismi strumentali, come ne ho fatti per il passato e come ne han<br />

fatto e fanno tutti i giovani musicisti italiani timorosi <strong>di</strong> apparire ignoranti. La dottrina armonica e strumentale<br />

della quale ci siamo impossessati, siccome era nostro dovere per non <strong>di</strong>minuire al confronto degli stranieri, ci<br />

era necessaria come il pane, anche a costo <strong>di</strong> soffocare un po’ della nostra natia ispirazione e <strong>di</strong> essere tacciati <strong>di</strong><br />

esotismo e <strong>di</strong> servilismo. Ma ora che tutti i ferri del mestiere sono nelle nostre mani, occorre servirsene per un<br />

unico grande scopo, per un unico luminoso miraggio: quello <strong>di</strong> ricercare noi stessi, esprimere noi stessi,<br />

rievocare la nostra arte gloriosa, esaltare la nostra musica immortale, cantare con la nostra ugola privilegiata,<br />

gridare col nostro cuore pulsante e generoso.<br />

-Sicché <strong>Giulietta</strong> canta? <strong>Romeo</strong> canta?<br />

-Ecco, il carattere della mia opera, s’io non erro, e come il pubblico sentirà e giu<strong>di</strong>cherà, è<br />

predominantemente vocale nel senso che l’eloquio dei personaggi e specie dei due infelicissimi amanti si<br />

sviluppa in un’onda melo<strong>di</strong>ca chiarissima e <strong>di</strong> facile percezione e, m’auguro, <strong>di</strong> facile comunicativa. Io non<br />

sono stato premuto o afflitto da alcuna preoccupazione <strong>di</strong> scienza o <strong>di</strong> sistemi, mi sono abbandonato totalmente,<br />

ciecamente...<br />

-... nelle braccia <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>...<br />

-... no, a me stesso e al mio animo e mi sono immedesimato nella sublime passione dei giovanetti veronesi<br />

sino a gioire, a soffrire... e starei per <strong>di</strong>re, a morire con essi. Ho cercato <strong>di</strong> penetrare la natura del soggetto<br />

essenzialmente lirico, ingenuo, puro, che non ammette complicazioni intellettuali od esibizionismi tecnici, ho<br />

creato intorno ai leggendari amanti un’atmosfera appropriata, assai <strong>di</strong>versa dall’ambiente e dal colore locale e<br />

storico della Francesca, <strong>di</strong> cui l’amore sensuale torbido, fatale, contorto m’induceva alla ricerca psicologica<br />

paziente e minuziosa.<br />

In una parola, quel processo interiore <strong>di</strong> semplificazione a cui tendo, e credo <strong>di</strong>mostrato chiaramente nella<br />

successione delle mie opere, coincide e meglio si adatta e più saldamente si afferma nella <strong>Giulietta</strong>.<br />

-Sicché niente indagini storiche, nessuna riproduzione <strong>di</strong> ambiente, nessun elemento <strong>di</strong> luogo e <strong>di</strong> tempo?<br />

-Precisamente, ed in questo concetto ho tenuto conto <strong>di</strong> uno schietto consiglio <strong>di</strong> Gabriele d’Annunzio a<br />

proposito della Francesca: ho pensato e scritto tutto da me, senza ricorrere a pergamene e ad archivi. L’amore<br />

<strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> è l’amore <strong>di</strong> tutti i tempi, è la glorificazione dell’amore grande, illimitato e ripu<strong>di</strong>a elementi che ne<br />

fissino l’epoca e la terra: è l’amore sublime che può nascere soltanto sul suolo italiano, sotto il nostro sole come<br />

i fiori più belli.<br />

In Conchita sì, ho fatto del vero e proprio ambiente, recandomi in Spagna, frequentando strade, campagne,<br />

osterie, fermandomi lunghe ore nei baile (una specie <strong>di</strong> caffè concerti) e cogliendo impressioni musicali<br />

autentiche e notando canzoni caratteristiche e ritmi speciali; ma in <strong>Giulietta</strong>, tranne alcuni episo<strong>di</strong> in<strong>di</strong>spensabili<br />

allo sfondo, ogni nota è sgorgata dal mio essere. Sono stato preso irresistibilmente da un fervore lirico e<br />

sentimentale che investe e impregna anche i passaggi sinfonici, anche l’intermezzo che descrive la cavalcata<br />

febbrile <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong> tra pioggie e fulmini.<br />

-E <strong>di</strong>ca maestro, il libretto che è la piaga perenne e sanguinante del moderno teatro <strong>di</strong> musica, l’ha favorito<br />

pienamente questo suo concetto?<br />

-Sì, posso <strong>di</strong>rlo con vero compiacimento. Io da moltissimi anni accarezzavo l’idea <strong>di</strong> una <strong>Giulietta</strong>, la quale,<br />

sebbene trasportata in musica da innumerevoli autori sino a Gounod, mi sembrava che reclamasse la sua schietta<br />

voce, il suo schietto cuore; ma le <strong>di</strong>fficoltà del libretto mi fece[ro] rimandare il <strong>di</strong>segno: finché nel Rossato ho<br />

trovato il collaboratore ideale, il collaboratore non librettista <strong>di</strong> professione, che sentisse l’atto subietto nella sua<br />

nuda bellezza e che questa rendesse senza perplessità e senza schiavitù <strong>di</strong> formalismi.<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/1


Arturo Rossato è un nome quasi nuovo al gran pubblico, ma egli oltre a contare al suo attivo alcune<br />

applau<strong>di</strong>te comme<strong>di</strong>e in <strong>di</strong>aletto veneto, vari volumi <strong>di</strong> liriche e <strong>di</strong> prose (il suo più recente volume <strong>di</strong> novelle,<br />

L’amore che ride, va incontrando fortuna) è anche noto nel giornalismo milanese come un polemista<br />

formidabile. Inoltre ha composto un libretto tratto dalla Tempesta <strong>di</strong> Shakespeare per il maestro Lattuada ed ha<br />

condotto a termine la riduzione della Bisbetica domata.<br />

-Anche per <strong>Giulietta</strong>, come i suoi innumerevoli predecessori, ha ricorso al poeta inglese?<br />

-No, vivad<strong>di</strong>o, il Rossato, com’era appunto mio desiderio, ha attinto <strong>di</strong>rettamente alle fresche e abbondanti<br />

fonti della novellistica italiana, e precisamente a Luigi da Porto e a Matteo Bandello, allontanandosi perciò dalla<br />

complessa e non sempre felice ricostruzione dello Shakespeare e avvicinandosi, nei limiti delle necessità<br />

sceniche, alla tra<strong>di</strong>zione, che è tanto gentile e seducente.<br />

-Mi vuol narrare brevemente, maestro, la trama del libretto del Rossato? Ciò <strong>di</strong>cendo, essendomi accorto che<br />

ormai Zandonai, così parco <strong>di</strong> parole, mi aveva offerto, contro la sua e la mia stessa volontà, sufficiente materia<br />

per una intervista, lo trassi lievemente in un caffè, gli porsi elegantemente una se<strong>di</strong>a e cominciai: siamo a<br />

Verona verso il 1300...<br />

-Già, ed anche a Mantova, per poi tornare a Verona.<br />

-Il primo atto è, al solito, un atto <strong>di</strong> preparazione...<br />

-Già, ma ci conduce anche nel centro della trage<strong>di</strong>a con una zuffa tra Capuleti e Montecchi, con uno scontro<br />

tra Tebaldo, il cugino <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>, e un giovine mascherato, che è poi <strong>Romeo</strong>, e con una romantica scena<br />

d’amore sotto gli argentei raggi della luna. I due leggendari innamorati, l’uno nella strada e l’altra sul balcone,<br />

intrecciano il dolce <strong>di</strong>alogo <strong>di</strong> ogni notte...<br />

Il maestro trae <strong>di</strong> tasca una gualcitissima bozza del libretto e legge:<br />

GIULIETTA - Anima mia, che fate solo in quest’ora?<br />

ROMEO - Quel che vuole amore!<br />

GIULIETTA - Pavento...<br />

ROMEO - Deh! Bel fioretto. Non datevi pena per la mia vita! I vostri occhi soavi valgono più <strong>di</strong> cento<br />

spade. E morrei, morrei starne lontano, ch’essi sono il mio dolce sacramento!<br />

Ma il maestro chiude d’un tratto e d’un colpo le stampe, s’alza e <strong>di</strong>ce: Ma dove an<strong>di</strong>amo a finire. Ho fretta,<br />

ho fame e mia moglie mi attende...<br />

-Giustamente. L’accompagnerò e mi <strong>di</strong>rà quel che accade dopo il duetto.<br />

-Accade che <strong>Romeo</strong> dà la scalata al balcone e imprime un ardente bacio sulle labbra <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>.<br />

-E l’atto non potrebbe chiudersi più lietamente.<br />

-Al secondo atto siamo in un giar<strong>di</strong>no <strong>di</strong> casa Capuleti. <strong>Giulietta</strong> con l’amica Isabella ascolta un cantatore<br />

che passa per la via. Poi si fa il gioco bizzarro del Torchio. Entra in iscena il focoso Tebaldo. Duello con<br />

<strong>Romeo</strong> che trovavasi colà nascosto, ed uccisione <strong>di</strong> Tebaldo. Le genti sono in tumulto. <strong>Romeo</strong>, abbracciata<br />

<strong>Giulietta</strong>, fugge.<br />

Il terzo atto s’apre sopra una vivace e pittoresca scena in Mantova, dove è ban<strong>di</strong>to <strong>Romeo</strong>. Un Cantastorie<br />

racconta la morte <strong>di</strong> Madonna <strong>Giulietta</strong> Capuleto, avvenuta poco prima del suo maritaggio col Conte <strong>di</strong><br />

Lodrone. <strong>Romeo</strong> ascolta, getta un urlo, lo afferra per il petto singhiozzando, interrogando, lamentando. In<strong>di</strong><br />

ingroppa il destriero e sotto una bufera infernale (l’intermezzo) corre verso Verona. Giunge al chiostro ove<br />

giace il corpo <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> “con le mani in croce sul petto”; tenta invano <strong>di</strong> forzare la cancellata, finché <strong>di</strong>sperato<br />

ingoia un veleno che porta seco. <strong>Giulietta</strong>, che aveva presa la bevanda “che assopisce come morta”, si desta,<br />

scorge <strong>Romeo</strong> che geme e si getta folle e bianca tra le sue braccia. <strong>Romeo</strong> muore e <strong>Giulietta</strong>, reggendo il capo<br />

<strong>di</strong> lui, affranta ma rasserenata, si spegne anch’essa.<br />

Tutto d’un fiato ha parlato Zandonai, conchiudendo con un sospiro: e pare che basti.<br />

-Sì, maestro, ne ho abbastanza, e la lascio libero.<br />

Eravamo già <strong>di</strong>nanzi al portone dell’albergo e l’ho salutato col rituale romano: in bocca al lupo!<br />

181<br />

Tristano, Le prime in<strong>di</strong>screzioni su “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” <strong>di</strong> Zandonai al Teatro Costanzi - In una sala del<br />

“Costanzi” - Zandonai al piano - “Urla, tempesta!” - Il duetto d’amore - Il lamento del “Cantatore” , “Il<br />

Giornale d’Italia”, 1.2.1922 - p. 3, col. 3-4-5 (con un ritratto fotografico <strong>di</strong> Zandonai in una cornice ovale)<br />

Sabato, alle ore 17, nella gran sala <strong>di</strong> prova al pianoforte al Teatro “Costanzi”, il maestro Zandonai è da oltre<br />

un’ora seduto al pianoforte, circondato dagli interpreti ch’egli ha prescelto per la sua nuova opera <strong>Giulietta</strong> e<br />

<strong>Romeo</strong>, che Roma dovrà, verso il 10 <strong>di</strong> febbraio, tenere a battesimo.<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/2


Ormai il “Costanzi” novera nella sua storia pagine che illustrano simili avvenimenti d’arte. Quante opere dal<br />

1890 – dall’epoca cioè in cui la musica teatrale si ridestò con un palpito <strong>di</strong> rinascente vita all’ombra <strong>di</strong> Ver<strong>di</strong>,<br />

intento nonostante gli ottant’anni a comporre il Falstaff, l’ultimo sorriso <strong>di</strong> una verde vecchiezza – quante opere<br />

dal 1890 a questa <strong>di</strong> Zandonai, che sta sciogliendo i primi vagiti, non si sono avvicendate sotto l’arcoscenico<br />

dello Sfron<strong>di</strong>ni?<br />

Cavalleria Rusticana segnò il primo squillo <strong>di</strong> tromba. E sorse così la cosidetta giovane scuola: Mascagni,<br />

Puccini, Giordano, Franchetti, Leoncavallo, Cilea, Luporini...<br />

E dopo Cavalleria la storia del “Costanzi” nota: Amico Fritz, Tosca, Iris, Le Maschere, La Fanciulla del<br />

West (se <strong>di</strong> questa non si voglia tener conto della première al “Metropolitan” <strong>di</strong> New York), Il Piccolo Marat,<br />

per non accennare che alle opere più insigni.<br />

Adesso è la volta <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>, che giunge dopo quella Francesca da Rimini che ha posto nella<br />

pubblica estimazione Riccardo Zandonai in prima fila.<br />

Nella sala del “Costanzi”, dunque, nessuno tenta parlare. Parla per tutti il pianoforte attraverso le mani<br />

animatrici <strong>di</strong> Zandonai, parlano all’autore gl’interpreti della sua nuova opera con gli accenti delle agili voci.<br />

Perfino Carlo Clausetti – che per la Casa Ricor<strong>di</strong> è già sulla piazza, vigile, autorevole sentinella – si tace,<br />

nonostante la sua facon<strong>di</strong>a e il suo spirito <strong>di</strong> acuto sottile osservatore e <strong>di</strong> aspro critico. Egli gode della nuova<br />

musica come me. Un e<strong>di</strong>tore trasformato per l’occasione in... statua <strong>di</strong> carne. Emma Carelli non resiste alla<br />

consegna del silenzio – e la voce del... cantor è sempre la stessa. Ella va su e giù per la sala, dando qualche<br />

consiglio a questo e a quel comprimario.<br />

Zandonai è instancabile. È da due ore che sta al piano e non se ne allontanerà che fra due ore.<br />

Il 3° atto della <strong>Giulietta</strong> volge alla fine.<br />

“<strong>Romeo</strong>”, pardon, il tenore Fleta, in abiti da passeggio, in ispregio dei costumi del ‘300, ancora in custo<strong>di</strong>a<br />

nei ben chiusi bauli, canta: Urla tempesta - sii tu il mio cuor dannato!<br />

Zandonai ha eseguito con le concitate mani, i capelli in <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne, gli occhi accesi, poco prima del grido <strong>di</strong><br />

schianto del tenore, la “Cavalcata <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong>”, un pezzo orchestrale che fa da intermezzo fra l’un quadro e l’altro<br />

onde è <strong>di</strong>viso l’ultimo atto. È una pagina... Ma non è possibile riprodurre nessuna impressione. Zandonai non<br />

consente in<strong>di</strong>screzioni.<br />

Ma Clausetti, che ha meno responsabilità del musicista, ci svela... il mistero della scena con la quale si<br />

conclude la nuova opera.<br />

“Allo schiudersi del velario – è stato detto – dopo l’intermezzo (testé eseguito) siamo nel piccolo chiostro<br />

del convento veronese. Sul fondo, a traverso le arcate, si vede il giar<strong>di</strong>no. Da un lato, dopo gli archi, si avanza<br />

la cappella dei Capuleti, chiusa dal fitto cancello <strong>di</strong> ferro: è illuminata da una lampada e, nell’interno, sopra<br />

l’arca coperta <strong>di</strong> veli e <strong>di</strong> fiori, si intravvede il corpo <strong>di</strong>steso <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>, con le mani sul petto. Dorme ella<br />

insepolta l’ultima sua notte e all’alba sarà rinchiusa nell’arca.<br />

“Ma prima dell’alba giunge <strong>Romeo</strong>. Tenta invano lo sventurato <strong>di</strong> forzare la cancellata, invano chiama la<br />

triste sposa; <strong>di</strong>sperato del suo destino tracanna il veleno che ha con sé e si appoggia lì presso in attesa della<br />

morte. <strong>Giulietta</strong> apre in quella gli occhi smarriti dal letargo: scorge <strong>Romeo</strong> che geme, apre il cancello e si getta<br />

folle e bianca fra le sue braccia, mentre l’alba già illumina il cielo e fa sentire dall’esterno le sue prime voci. Ma<br />

il veleno compie la sua opera e <strong>Romeo</strong> cade in preda al delirio. <strong>Giulietta</strong>, reggendo nel grembo il capo <strong>di</strong> lui,<br />

invoca <strong>Romeo</strong> e, affranta ma rassegnata in quella mistica aurora, si spegne sul corpo dello sposo”.<br />

E la musica? Ascolterà e giu<strong>di</strong>cherà il pubblico fra poche sere. Roma non si è mai ingannata, ed ha una<br />

buona preparazione in materia. L’errare humanum est è un aforisma che non gli appartiene.<br />

Gilda Dalla Rizza, che creerà la parte <strong>di</strong> “<strong>Giulietta</strong>”, canta al suo “<strong>Romeo</strong>”:<br />

Con te, con te, sempre con te passare<br />

pura e soave nell’eternità<br />

e come le campane, alto, gridare<br />

il tuo bel nome per l’immensità<br />

<strong>Romeo</strong>! <strong>Romeo</strong>! <strong>Romeo</strong>!<br />

E, come un’eco, un canto liturgico, voci dal chiostro:<br />

Luce <strong>di</strong> Dio, sorri<strong>di</strong> ai vivi e ai morti!<br />

E si conforti nostra suora vita...<br />

Un contrasto musicale si <strong>di</strong>segna netto: le voci degli amanti, la voce del chiostro.<br />

Pausa. Zandonai si tace. Gilda Dalla Rizza interloquisce e svela al Maestro la intima impressione prodotta<br />

dalla commossa voce della sua sensibilità, così come ella è riuscita a far sua questa nuova anima canora. E il<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/3


tenore Fleta gesticola, sod<strong>di</strong>sfatto, articolando monosillabi, a gioia repressa degli squillanti acuti che ha<br />

<strong>di</strong>spensato con munifica signorilità in tutto il 3° atto.<br />

Zandonai sorride. Par quasi che, ricordando l’estate trascorsa a Sacco, nella ridente Val <strong>di</strong> Loppio presso<br />

<strong>Rovereto</strong>, egli rinnovi a sé stesso la gioia quando in una giornata <strong>di</strong> sole pose fine alla sua opera.<br />

Questo 3° atto è nato nelle giornate torride dell’agosto. Ed è balzato fuori dalla fantasia dell’artista in un<br />

lampo <strong>di</strong> genialità. Perché... Ma non è lecito <strong>di</strong>r nulla sulla musica.<br />

Zandonai è <strong>di</strong> nuovo <strong>di</strong>nanzi al piano. E inizia il 1° atto.<br />

Il baritono Maugeri – che il pubblico ha ammirato vigoroso “Gianciotto” nella Francesca al “Costanzi”,<br />

canta... È “Tebaldo”, il Capuleto, una figura cupa.<br />

È stato detto qualcosa su questo 1° atto.<br />

Tebaldo Capuleto entra in scena e si unisce ad un gruppo <strong>di</strong> dame mascherate, con cui motteggia, per recarsi<br />

alla festa, non senza aver prima ammonito i suoi dell’osteria <strong>di</strong> far buona guar<strong>di</strong>a perché ha sospetto che un<br />

“falconello” <strong>di</strong> parte avversa si aggiri con segreto fine intorno al palazzo.<br />

La brigata dei Montecchi, avvinazzata, esce ora dall’osteria con la donna, intonando una canzonaccia; alcuni<br />

dei Capuleti se ne risentono, li affrontano. La zuffa si appicca fra le due parti, si dà mano alle spade, già corrono<br />

botte, quando un giovane cavaliere mascherato sbuca dal vicolo del ponte, si getta <strong>di</strong> sorpresa fra i contendenti,<br />

li <strong>di</strong>vide, li rampogna; ma egli si trova subito <strong>di</strong> fronte Tebaldo che un Capuleto è corso a chiamare in palazzo.<br />

Tebaldo raccozza la sua gente ed impone allo sconosciuto <strong>di</strong> levarsi la maschera: questi non si svela ma tenta <strong>di</strong><br />

placare l’avversario; gli animi invece si esasperano e, sotto l’incitamento <strong>di</strong> Tebaldo, il quale, facile all’ira, sfida<br />

il mascherato – che gli resiste calmo ed inerme, solo invocando la pace – si rimette mano dalle due parti alle<br />

spade che più furiosamente s’incrociano. In quella però ecco accorrere un Capuleto gridando che sta per<br />

giungere la scolta; chi vien preso con l’armi in pugno è ban<strong>di</strong>to: fuggite, fuggite! Le due fazioni si sbandano<br />

confusamente, anche Tebaldo è tratto via. Solo il giovane cavaliere mascherato si cela <strong>di</strong>etro le colonne <strong>di</strong> un<br />

portico, mentre la scolta, guidata dal ban<strong>di</strong>tore, traversa la piazza al passo cadenzato del tamburo.<br />

E dopo? Ma non è l’ora <strong>di</strong> riassumere adesso il libretto.<br />

Zandonai prosegue nella “prova”.<br />

Ed eccoci al duetto d’amore. Si scioglie la melo<strong>di</strong>a in bocca a “<strong>Giulietta</strong>”:<br />

Parlate piano...<br />

E “<strong>Romeo</strong>”:<br />

Piano,<br />

che tu sola, tu sola, oda, <strong>Giulietta</strong>:<br />

La notte è piena e il dì tanto lontano.<br />

E “<strong>Giulietta</strong>”:<br />

Tanto lontano! Ma cinguetterà<br />

la lodoletta,<br />

ma la triste aurora<br />

dalla mie braccia ti ritoglierà,<br />

ed io qui rimarrò, tacita e sola,<br />

e invan ti chiamerà l’anima mia.<br />

E “<strong>Romeo</strong>”:<br />

Io ti illuminerò come un’aurora,<br />

e perché viva o mora,<br />

con teco lascerò l’anima mia...<br />

Sono ormai trascorse quattro ore <strong>di</strong> prova. È tempo <strong>di</strong> dare riposo agli artisti e – perché no? – all’autore.<br />

Zandonai parla <strong>di</strong> Shakespeare e s’intrattiene a <strong>di</strong>scorrere con una foga meri<strong>di</strong>onale, egli ch’è un trentino,<br />

della leggenda dei due giovanissimi amanti veronesi. E mostra <strong>di</strong> conoscere e <strong>di</strong> aver me<strong>di</strong>tate tutte le opere <strong>di</strong><br />

poesia e <strong>di</strong> musica inspirate alla trage<strong>di</strong>a shakespeariana.<br />

Nessuno ignora che abbiamo su questo tema circa venti melodrammi e tutti nati nell’800. Felice Romani<br />

scrisse tre libretti su “<strong>Giulietta</strong>”, uno dei quali musicato da Bellini. Ma non uno <strong>di</strong> questi melodrammi resisté<br />

alle ingiurie del tempo. Neppure Bellini riuscì a trarsi dall’oblio che pesò su <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>.<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/4


Forse per questo Zandonai parve invogliarsi con maggior fervore a musicarne le vicende. È un atto <strong>di</strong><br />

audacia, senza dubbio, ma ormai pure per la Francesca, <strong>di</strong>venuta popolare e fra i più bei melodrammi della<br />

nostra epoca, egli ha sfidato il destino e lo ha debellato. Perché egli non ignorava che dell’episo<strong>di</strong>o dantesco<br />

prima <strong>di</strong> lui s’invaghirono e vi si cimentarono con vana fatica parecchi operisti.<br />

Tutti i libretti <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>, fino al più recente, quello del Gounod, presero le mosse dalla trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong><br />

Shakespeare, riducendola, adattandola più o meno alle varie esigenze della scena lirica; ma il librettista <strong>di</strong><br />

Zandonai, Arturo Rossato – il noto valente scrittore – ha preferito attingere <strong>di</strong>rettamente alle fonti novellistiche<br />

italiane, pre<strong>di</strong>ligendo la novella quasi ignorata del vicentino Luigi Da Porto – il poeta più ornato <strong>di</strong> Vicenza<br />

cinquecentesca – che fu il primo cantore della leggenda <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>.<br />

Perciò i tre atti del dramma musicato da Zandonai non si avvicinano all’azione scenica <strong>di</strong> Shakespeare se<br />

non negli episo<strong>di</strong> <strong>di</strong>venuti tra<strong>di</strong>zionali, derivati anch’essi dalla novellistica italiana e senza dei quali il dramma<br />

non sarebbe più quello amato e conosciuto dal nostro popolo.<br />

La nuova opera, dunque, è in tre atti e l’ultimo atto in due quadri. L’azione, che si svolge nel 1300 a Verona<br />

e in uno dei quadri a Mantova, è riassunta da tre personaggi principali: <strong>Giulietta</strong> Capuleto, <strong>Romeo</strong> Montecchio e<br />

il cugino <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>, Tebaldo, l’impetuoso giovane <strong>di</strong> parte capuleta, quale fu tramandato dalla leggenda. Tra<br />

le poche figure secondarie spicca quella <strong>di</strong> un “Cantatore” me<strong>di</strong>evale, che appare nel primo quadro del 3° atto a<br />

Mantova.<br />

V’è, infatti, nell’opera <strong>di</strong> Zandonai un lamento del “Cantatore” che musicalmente...<br />

Ieri, intanto, Zandonai ha iniziato le prove in orchestra. La sala al buio era deserta: nessun in<strong>di</strong>screto.<br />

Fra cinque o sei giorni cominceranno le prove con gli artisti <strong>di</strong> canto. E Gilda Dalla Rizza, il tenore Fleta, il<br />

baritono Maugeri, la Ricci, la Donati, la Rettori [sic], la Bortolasi, La Torelli, il tenore Nar<strong>di</strong>, il tenore Palai<br />

sono in attesa <strong>di</strong> passare dalla sala <strong>di</strong> prova al pianoforte sul palcoscenico.<br />

182<br />

A[driano] Belli, Ad una prova <strong>di</strong> “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” <strong>di</strong> Riccardo Zandonai, “Il Corriere d’Italia”, 11.2.1922 -<br />

p. 3, col. 1-2-3-4 (con la riproduzione <strong>di</strong> due bozzetti: quello dell’Atto I e quello dell’Atto III, scena II a<br />

Sul palcoscenico del Teatro Costanzi. Un’atmosfera <strong>di</strong> penombra rotta solo da brevi zone luminose. Giù<br />

dall’orchestra sale un’onda sonora che avvolge e commenta un <strong>di</strong>alogato drammaticissimo tra il tenore (Fleta) e<br />

il baritono (Maugeri). Mi fermo un istante per domandare. È il duetto tra “Tebaldo” e il “Mascherato” al primo<br />

atto. Affretto il passo, per quanto lo consentano cumoli <strong>di</strong> attrezzi, corde, "pezzati", scene...<br />

Il duetto d’amore<br />

Per la breve scaletta sono in platea. È quasi deserta. Qua e là veggo qualche collega, e poi Nicola D’Atri,<br />

Clausetti, Giacompol, e l’inseparabile amico <strong>di</strong> Zandonai, Pizzini.<br />

... Un rullo <strong>di</strong> tamburri. È la scolta che passa. Poco dopo s’inizia il duetto tra <strong>Romeo</strong> e <strong>Giulietta</strong>. Esso si<br />

<strong>di</strong>vide in due parti. La seconda si svolge su nell’alto balcone, dopo che la fanciulla cedendo alle appassionate<br />

istanze scioglie e getta all’amato la scala <strong>di</strong> seta. Le melo<strong>di</strong>e si svolgono nel pretto stile caratteristico dello<br />

Zandonai, qui più libero e chiaro. La scena d’amore culmina con un lungo bacio dei due innamorati. La chiusa<br />

dell’atto è piena <strong>di</strong> suggestione con le campane del mattutino. L’alba comincia a colorare il cielo, i due si<br />

sciolgono dal dolce lunghissimo bacio, e <strong>Romeo</strong> <strong>di</strong>scende e si allontana mentre in lontananza passa come una<br />

folata <strong>di</strong> vento una canzone:<br />

...e mi voria cambiarme al cor in vento<br />

per vegnir pian pianelo stamatina<br />

la to’ boca a basar!...<br />

I professori d’orchestra applaudono con la caratteristica battuta dell’archetto sui leggii. Non è il caso <strong>di</strong><br />

anticipare giu<strong>di</strong>zi e fare previsioni, ma certo questo finale è <strong>di</strong> una perfetta teatralità, anche musicale.<br />

È il riposo. Tutti si sparpagliano qua e là. Zandonai, piccolo, irrequieto, dagli occhi vivacissimi, non si<br />

concede però tregua. Domanda se i tali effetti risultano bene; dà suggerimenti, fa dei segni a delle parti, e non<br />

bada a sé stesso che, sudato, potrebbe infreddarsi. Ma la sua gentile signora è sempre lì pronta a coprirgli le<br />

spalle con la pelliccia.<br />

Mi avvicino al Maestro.<br />

-È giunto ora?<br />

-No, ho inteso tutto il duetto.<br />

-Le piace? Risulta bene? crede che incontrerà il favore del pubblico?<br />

-Glie l’auguro <strong>di</strong> cuore...<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/5


-Ho scritto come sempre con grande sincerità. In questa opera più ancora che in Francesca ho voluto<br />

scrivere della musica chiara, molto chiara. Non ho voluto perdermi in ricerche <strong>di</strong> colore e <strong>di</strong> dettagli che<br />

allentassero la mia foga. I personaggi cantano sempre. Le parti <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong> e <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> sono tutte un cantare. E<br />

anche nei recitativi ho desiderato seguire la scuola italiana, riportandomi modernizzandole alle gloriose<br />

tra<strong>di</strong>zioni del nostro melodramma. L’orchestra è semplice e chiara, e non deve mai sopraffare le voci, ma<br />

aiutarle a meglio farsi intendere.<br />

Il libretto<br />

-E del libretto è contento?<br />

-Molto. Il Rossato ha fatto un vero e grande libretto da teatro. Da moltissimo tempo carezzavo l’idea <strong>di</strong><br />

musicare questo soggetto, ma volevo qualche cosa <strong>di</strong> nuovo che si allontanasse dalla trage<strong>di</strong>a shakespeariana, e<br />

nulla mi accontentava. Arturo Rossato ha compreso il mio pensiero e, messo da parte Shakespeare, si è rivolto<br />

alla novellistica nostra e specie alla novella cinquecentesca <strong>di</strong> Luigi Da Porto, che pur non avendo un gran<br />

valore letterario è così poeticamente suggestiva e così ricca <strong>di</strong> elementi drammatici. Dalle umili pagine del<br />

piccolo racconto del novelliere vicentino, e da quelle più vive e più calde <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> poesia che Matteo<br />

Bandello scrisse intorno alla pietosa storia degli infelici amanti veronesi, il mio librettista ha tratto la trama per<br />

l’opera.<br />

-Quanti personaggi?<br />

-Pochissimi: “<strong>Giulietta</strong> Capuleto” che sarà un soprano: la Dalla Rizza; “<strong>Romeo</strong> <strong>di</strong> Montecchio”, un tenore: il<br />

Fleta, e il cugino <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>: Tebaldo, un baritono: il Maugeri. Due parti secondarie: “Isabella” ancella <strong>di</strong><br />

<strong>Giulietta</strong>, e il “Cantastorie” e poi il coro: capuleti, montecchi, fanti, maschere.<br />

-L’opera è in tre atti.<br />

-Di cui l’ultimo è <strong>di</strong>viso in due quadri collegati tra loro da un brano sinfonico.<br />

-Un intermezzo?<br />

-Sullo spartito così l’e<strong>di</strong>tore ha voluto chiamarlo, e... chiamiamolo pure così; ma esso non è un brano<br />

staccato: esso s’innesta nell’ultima scena che lo precede e non ha carattere descrittivo. Questo tengo a mettere in<br />

chiaro. Niente “cavalcata”, niente “temporale”: la tempesta è tutta interiore; è la tempesta che s’agita nel cuore<br />

<strong>di</strong> <strong>Romeo</strong>, mentre <strong>di</strong>sperato corre verso Verona a rivedere la donna adorata <strong>di</strong> cui gli è stata annunciata la<br />

morte.<br />

Ora poi lo sentirà.<br />

La sveglia delle ron<strong>di</strong>ne [sic]<br />

-L’opera le è costata molto lavoro?<br />

-L’ho scritta tutta <strong>di</strong> getto, preso dalla bellezza del libretto e dall’alta e commovente poesia. Ebbi il copione a<br />

fine giugno 1920 e scrissi subito in pochi giorni il primo atto. Poi sospesi dovendo <strong>di</strong>rigere Francesca in molte<br />

città, tra le quali Napoli e Palermo. Scrissi il secondo atto nell’aprile 1921 in venticinque giorni. Poi, come sa,<br />

cad<strong>di</strong> malato e tanto gravemente che credevo proprio che il sogno vagheggiato da tanto tempo non si potesse<br />

realizzare. Nell’agosto mi recai, ancora sofferente, a Sacco <strong>di</strong> <strong>Rovereto</strong> e lassù nel mio romitaggio, <strong>di</strong> fronte alle<br />

Alpi, strumentai i due atti, quasi con frenesia.<br />

Sull’alba, alle tre e mezzo, una ron<strong>di</strong>ne – e non è mancata mai – veniva a poggiarsi su <strong>di</strong> uno sporto della<br />

mia finestra e mi svegliava col suo cinguettio. Allora mi sollevavo sui cuscini e cominciavo a scrivere pagine su<br />

pagine <strong>di</strong> partitura senza alcun sentimento. Appena finita la convalescenza ho scritto e istrumentato il terzo atto.<br />

-La sorte le è stata benigna...<br />

-Voglio bene a quest’opera cresciuta per il mio conforto, tra i dolori del male che mi affliggeva. E le voglio<br />

bene perché mi ha portato fortuna e mi ha ridato completa la salute...<br />

-Come le darà nuova gloria artistica...<br />

-Grazie. Creda che nel comporre questa <strong>Giulietta</strong> ho trovato una grande gioia. Ho trovato in questo amore<br />

così bello e sublime un respiro ampio, una freschezza deliziosa e mi sono lasciato trasportare...<br />

-Il lavoro è de<strong>di</strong>cato?...<br />

–A Nicola D’Atri: all’Uomo che quando ero sconosciuto mi ha con grande cuore sorretto e simpaticamente<br />

incoraggiato; ed ha lottato per me e mi ha voluto e mi vuole veramente bene. Era dunque un doveroso atto <strong>di</strong><br />

gratitu<strong>di</strong>ne e <strong>di</strong> ammirazione.<br />

L’intermezzo<br />

È finito il riposo e i professori vanno riprendendo i loro posti.<br />

-La saluto. Che vuole, con tutti i contratti <strong>di</strong> lavoro, e la Federazione, la prova è misurata col... tassametro.<br />

Deve finire alle ore 14.40, non un minuto <strong>di</strong> più, altrimenti, se passa quell’istante, guai! Cinque minuti <strong>di</strong> più <strong>di</strong><br />

conversazione con lei costerebbero... biglietti da mille!<br />

-Mi raccomando! – interrompe la signora Carelli, che sopraggiunge preoccupata con l’orologio alla mano.<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/6


Zandonai corre verso l’orchestra. Un colpo secco sul leggio e il <strong>di</strong>sarmonico stridìo degli istrumenti che<br />

s’accordano cessa d’incanto.<br />

-Dalla fine del terzo atto: il n. 26, <strong>di</strong>ce ad alta voce, richiamando il segno della partitura...<br />

<strong>Romeo</strong> a Mantova, dove era in esilio dopo aver ucciso in un duello Tebaldo, viene a sapere da un<br />

Cantastorie che la sua <strong>Giulietta</strong> è morta. Sconvolto, fa insellare un cavallo e, urlando e piangendo, si precipita<br />

verso Verona, mentre infuria la tempesta.<br />

È il brano <strong>di</strong> cui parlava poco prima il maestro. L’orchestra accompagna <strong>Romeo</strong> che va nella <strong>di</strong>sperazione,<br />

col volto percosso dalle criniere e dal vento e gli occhi ciechi per lo scroscio e per il pianto. Galoppa per vie e<br />

per borghi, per viottole e pei campi, riempiendo della sua anima e del suo grido la bufera: “<strong>Giulietta</strong>” urla il suo<br />

cuore. “<strong>Giulietta</strong>” ulula il vento. “<strong>Giulietta</strong>! <strong>Giulietta</strong>!” romba il tuono. “<strong>Giulietta</strong> mia, morta” gridano<br />

<strong>di</strong>speratamente il cielo e la terra. E l’orchestra prosegue mentre, da lontano, il coro, con una vera trovata, grida<br />

la <strong>di</strong>sperazione <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong> “<strong>Giulietta</strong> mia, morta!”. Poi a poco a poco la furia si placa e il cielo tace.<br />

Lo Zandonai, che è un formidabile concertatore, <strong>di</strong>rige il grande brano in modo magnifico.<br />

L’epilogo<br />

L’epilogo è breve. <strong>Romeo</strong> invoca inutilmente la sua <strong>di</strong>letta che sta immobile con le braccia in croce, e<br />

ignorando che <strong>Giulietta</strong> ha preso un narcotico e giace in letargo, trae il veleno e lo beve. Poco dopo <strong>Giulietta</strong> si<br />

desta, scorge il suo amore, apre il cancello della Cappella e si getta su <strong>Romeo</strong>. Ma troppo tar<strong>di</strong>. Il giovane non<br />

vuol credere che la donna amata sia viva, e il delirio lo prende. <strong>Giulietta</strong> gli <strong>di</strong>ce le più dolci parole, ma egli<br />

quasi più le intende. Allora <strong>di</strong>sperata si trafigge a morte con lo stesso pugnale <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong>. Due soli nomi<br />

risuonano e si ripetono: “<strong>Romeo</strong>”, “<strong>Giulietta</strong>”, mentre dal vicino Chiostro si alza una preghiera<br />

Per ogni creatura affaticata<br />

per frate vento che spegne le stelle<br />

alba <strong>di</strong> Dio, luce <strong>di</strong> Dio... laudata<br />

Sorge il giorno. I due ainnamorati giacciono ora nel sole: le campane e le voci si spandono festose e la vita<br />

sorride sulla morte; con la sua giovinezza sempre uguale ed eterna...<br />

..................................................................................................<br />

La prova con l’orchestra è terminata; ma il lavoro <strong>di</strong> preparazione non ha tregua.<br />

Dei servi <strong>di</strong> palcoscenico spingono un pianoforte verso la ribalta e i maestri Ricci e Santini, veramente<br />

infaticabili, son pronti per le prove <strong>di</strong> scena, a cui, con grande amore e competenza, si de<strong>di</strong>ca il comm. Cauletti<br />

[sic], régisseur magnifico e insuperabile.<br />

E mentre mi allontano, le prove proseguono con grande fervore nella penombra armoniosa del palcoscenico<br />

del Teatro Costanzi, per preparare a <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> la sua ora <strong>di</strong> splendore...<br />

183<br />

F[rancesco] P[aolo] Mulè, Nell’imminenza della “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” <strong>di</strong> Riccardo Zandonai, “Il Mondo”,<br />

12.2.1922 - p. 3, col. 2-3-4-5-6-7 (con la riproduzione <strong>di</strong> sette bozzetti <strong>di</strong> Pietro Stroppa raffiguranti i quattro<br />

quadri scenici e i personaggi <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong>, <strong>Giulietta</strong> e Tebaldo)<br />

Di Riccardo Zandonai nulla oggi <strong>di</strong>remo: il pubblico sa attraverso quale severa preparazione egli è<br />

pervenuto agli ardui cimenti del teatro, dove la Conchita specialmente, e con la Francesca da Rimini, che è<br />

indubbiamente un organismo <strong>di</strong> suoni <strong>di</strong> mirabile unità, egli ha conseguito due significative vittorie<br />

conquistando un posto d’onore ma insieme <strong>di</strong> responsabilità fra i compositori della così detta giovine scuola<br />

italiana. Nessuna reminiscenza né del Mascagni, né del Puccini: Riccardo Zandonai anela ad essere non altri che<br />

se stesso. Se stesso, ma nella tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> casa nostra, e bisogna dargliene lode. Senza essere un ingenuo e tanto<br />

meno un improvvisatore privo d’una coscienza estetica, non si è tormentato né si tormenta intorno al problema<br />

del dramma musicale. Reca nell’anima un suo nativo mondo <strong>di</strong> suoni e ne costruisce, spontaneo, drammi<br />

musicali che non si <strong>di</strong>lungano dai suoi modelli pre<strong>di</strong>letti; modelli, del resto, pre<strong>di</strong>letti anche dal pubblico e che<br />

resteranno con immutabile decoro nella storia del melodramma.<br />

Alla vigilia della nuova battaglia auguriamo a Riccardo Zandonai quella piena vittoria che è anche nei voti<br />

del pubblico, che in lui vede, oggi e per domani, una forza genuina e promettitrice del nostro brancolante teatro<br />

lirico.<br />

Il libretto <strong>di</strong> Arturo Rossato<br />

Del libretto <strong>di</strong> Arturo Rossato non faremo un vero e proprio cenno critico. Qualche impressione soltanto. Un<br />

libretto come tanti altri, che oggi del resto vanno per la maggiore, che offre al musicista “situazioni interessanti”<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/7


e nel quale si notano qua e là tutt’altro che trascurabili intenzioni letterarie. L’argomento, in verità, è tale... Non<br />

sappiamo, anzi, capire la ragione per la quale il Rossato sia uscito dal folto della lirica <strong>di</strong> amore e <strong>di</strong> dolore che<br />

Guglielmo Shakespeare gettò a piene mani nelle scene più belle e possenti della trage<strong>di</strong>a immortale.<br />

Attenendosi alle fonti italiane, svestendo cioè la trage<strong>di</strong>a fino a renderla, pur con le immagini <strong>di</strong> cui l’ha<br />

infiorata, un nudo fatto <strong>di</strong> cronaca, ha creduto <strong>di</strong> rendere un servigio al musicista? Se ciò il librettista ha<br />

pensato, ci <strong>di</strong>spiace dovere da lui <strong>di</strong>ssentire. Ha costretto invece il maestro a spiccare il suo volo giù, dal piano,<br />

mentre questi poteva imme<strong>di</strong>atamente essere trasportato sui vertici eccelsi del lirismo e intonarsi – come il<br />

Zandonai ha mostrato <strong>di</strong> saper fare – a quella, già poeticamente realizzata, atmosfera d’imagini profonde e<br />

sovrane. Ciò non toglie però che Riccardo Zandonai, il quale è anche un appassionato... alpinista, non abbia<br />

potuto compiere per conto suo la salita dell’erta faticosa collocando il dramma dei due sventurati giovani<br />

all’altezza dove lo aveva lanciato per l’eternità l’ala formidabile <strong>di</strong> Guglielmo Shakespeare e dove è necessario<br />

rivederlo perché ci si renda riconoscibile. Il melodramma, il dramma musicale, tutto sommato, è, per la natura<br />

stessa della musica, successione <strong>di</strong> stati d’animo travagliosamente lirici.<br />

Diremo ancora che i personaggi principali – <strong>Romeo</strong>, <strong>Giulietta</strong>, Tebaldo – son troppo generici, non recano<br />

cioè i segni della loro specifica umanità – ciò che rende più ardua la fatica del maestro – e che Tebaldo, del<br />

quale forse il Rossato volle rendere il carattere, è – tra i Capuleti e i Montecchi – una figura psicologicamente<br />

arbitraria, un cugino da... bassifon<strong>di</strong> sociali ad<strong>di</strong>rittura. Arturo Rossato può confortarsi pensando che i tanti<br />

libretti tratti dalla trage<strong>di</strong>a shakespeariana non sono affatto migliori del suo, e in ciò potrebbe magari avere<br />

ragione; a noi premeva <strong>di</strong>re che, anche dopo questo amorevole tentativo, un libretto d’opera sulla <strong>Giulietta</strong> e<br />

<strong>Romeo</strong> è ancora da farsi. A meno – e lo auguriamo <strong>di</strong> cuore – che la musica <strong>di</strong> Riccardo Zandonai non sia tale<br />

da farne passare la voglia a poeti e a musicisti.<br />

[segue una minuziosa analisi del libretto, atto per atto]<br />

184<br />

[senza titolo], “Il Giornale d’Italia”, 14.2.1922 - p. 3, col. 1-2-3-4-5<br />

(il giornale riproduce su 5 colonne le due pagine dello spartito <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> corrispondenti al “Lamento<br />

del Cantatore”)<br />

[...]<br />

Domani sera, dunque, al Costanzi avrà luogo la prima rappresentazione della nuova attesa opera <strong>di</strong> Riccardo<br />

Zandonai, <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>.<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> avrà a interpreti principali, sotto la <strong>di</strong>rezione dell’illustre autore, Gilda Dalla Rizza, il<br />

tenore Fleta, il baritono Maugeri. Le altre parti sono affidate alla Ricci, alla Donati, alla Bertolasi, alla Rettori<br />

[sic], al Nar<strong>di</strong>, al Pellegrino, al Fiore e al Palai.<br />

Ma prima che l’opera <strong>di</strong>scopra i ... veli, il Giornale d’Italia è lieto <strong>di</strong> offrire ai suoi lettori una primizia.<br />

**<br />

Il “lamento del Cantatore” è una limpida gemma del nuovo spartito <strong>di</strong> Riccardo Zandonai. Per cortesia dei<br />

commendatori Clausetti e Valcarenghi, gerenti della Casa e<strong>di</strong>trice Ricor<strong>di</strong>, noi possiamo riprodurlo in questa<br />

pagina e offrirlo come una primizia <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> ai nostri lettori, tra cui gli appassionati <strong>di</strong> musica e gli<br />

ammiratori <strong>di</strong> Zandonai sono una folla. Essi ci saranno grati <strong>di</strong> poter pregustare al pianoforte un brano<br />

dell’opera. E il brano, uno fra i tanti dello spartito, darà loro un’idea delle semplici e commosse melo<strong>di</strong>e che il<br />

casto amore <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> ha inspirate al potente e geniale musicista che seppe esprimere la torbida passione della<br />

Francesca d’annunziana.<br />

Nel libretto – in cui il poeta Arturo Rossato ha, si può <strong>di</strong>rlo, felicemente inquadrata la leggenda dei due<br />

giovanissimi amanti veronesi – il “Cantatore” appare, in principio del terzo atto, durante una sagra festosa in<br />

Mantova, dove si trova <strong>Romeo</strong> Montecchio, ban<strong>di</strong>to per aver ucciso in duello Tebaldo il Capuleto. Secondo<br />

l’uso del tempo, i cantatori erranti recavano <strong>di</strong> luogo in luogo le notizie che raccoglievano lungo la strada. E in<br />

quel giorno <strong>di</strong> sagra a Mantova, un cantatore, incitato a cantare, <strong>di</strong>ce, sotto forma <strong>di</strong> strofa intonata sul liuto,<br />

l’ultima novella da lui appresa sulla strada <strong>di</strong> Verona, ma prima avverte che la novella è triste e il suo canto<br />

sembrerà quasi “un lontano pianto”.<br />

Così <strong>Romeo</strong>, che è confuso tra la folla in piazza, apprende inaspettatamente che <strong>Giulietta</strong> è morta.<br />

Riportiamo qui la strofa del “Cantatore” che è in versi veneti:<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/8<br />

Done, piansì, ché Amor pianse in segreto.<br />

Quela ch’era cantà da ogni canzone<br />

e de Verona era il più bel fioreto,<br />

questa matina i l’à trovada in leto,


con le do mane in crose sora el pèto,<br />

vestia de bianco come le Madone.<br />

Oi me! Piansì! Piansì, putele e done,<br />

che xe morta Giulieta Capuleto...<br />

185<br />

“<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” <strong>di</strong> Zandonai al Costanzi, “Il Tempo”, 14.2.1922 - p. 3, col. 5-6<br />

Questa sera, dunque, va in iscena al Costanzi la nuova opera <strong>di</strong> Riccardo Zandonai <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> su<br />

libretto <strong>di</strong> Arturo Rossato.<br />

L’attesa del mondo musicale – non italiano soltanto – è grande, febbrile.<br />

Al Costanzi si susseguono alacremente le prove <strong>di</strong> questo lavoro che, per la sua complessità scenica e<br />

musicale, richiede cure minuziosissime.<br />

Con <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> Riccardo Zandonai, pur proseguendo la linea ideale <strong>di</strong> Francesca da Rimini, è voluto<br />

tornare, con bella audacia e con inten<strong>di</strong>menti moderni, alla forma del nostro melodramma tra<strong>di</strong>zionale <strong>di</strong><br />

carattere prettamente romantico. Auguriamo che a questo tentativo senza dubbio interessante possa arridere il<br />

più schietto successo.<br />

L’autore del libretto è Arturo Rossato, il giovane scrittore che nello stu<strong>di</strong>o e nel silenzio procede <strong>di</strong>ritto<br />

verso la sua fortuna. Dalle vivaci colonne del Popolo d’Italia che lo fecero noto sotto il nome <strong>di</strong> Arros, il<br />

giovane vicentino è passato all’operoso silenzio dell’arte per incontrare altre battaglie e per tentare altre vie<br />

faticose con la stessa fede e con lo stesso entusiasmo che lo avevano portato al giornalismo e alla guerra. Il suo<br />

primo libro fu precisamente un libro <strong>di</strong> guerra che ribocca <strong>di</strong> poesia pur essendo “atroce e forte” secondo la<br />

definizione <strong>di</strong> Ettore Ianni.<br />

Seguirono dopo un anno il Cuore della strada e L’amore che ride, un volume <strong>di</strong> novelle fresche e liete che<br />

segnano un più vasto respiro e suscitarono il consenso e l’elogio del pubblico e della critica. E tutto ciò mentre<br />

la compagnia <strong>di</strong> Dario Niccodemi ha in prova Pinocchio innamorato, favola grottesca in tre atti scritta in<br />

collaborazione con Cavacchioli.<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> è il primo libretto <strong>di</strong> Arturo Rossato.<br />

Riproduciamo qui <strong>di</strong> seguito, per como<strong>di</strong>tà del lettori, un largo sunto del libretto <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>, che<br />

già pubblicammo alcune settimane orsono.<br />

[...]<br />

186<br />

“<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” <strong>di</strong> Riccardo Zandonai - Un grande avvenimento al “Costanzi”, “Musica” XVI/3,<br />

15.2.1922 - p. 1, col. 1-2-3-4 (con foto <strong>di</strong> Zandonai, Dalla Rizza, Fleta, Maugeri)<br />

La sera del 14 febbraio è andata in scena al “Costanzi” l’attesissima nuova opera che Riccardo Zandonai è<br />

venuto costruendo negli ultimi due anni con indefesso appassionato lavoro. L’avvenimento così importante da<br />

aver richiamato a Roma i critici più in vista d’Italia e dell’Estero, deve essere messo in giusta luce dal nostro<br />

giornale.<br />

Il libretto della nuova opera è stato scritto da Arturo Rossato che ha superato abilmente e felicemente la<br />

grande <strong>di</strong>fficoltà della riduzione della trage<strong>di</strong>a Shakespeariana a trama per la musica. Egli è riuscito a<br />

sgombrare l’azione <strong>di</strong> molti personaggi secondari che, mantenuti, avrebbero resa prolissa e troppo <strong>di</strong>ffusa<br />

l’azione. Lo sfondo d’ambiente lo ha ottenuto coi numerosi cori. Ve<strong>di</strong>amo come si svolge il lavoro.<br />

[segue il racconto dettagliato del libretto]<br />

Tale la trama che il M.o Zandonai ha rivestito della sua bella musica: musica straor<strong>di</strong>nariamente drammatica<br />

ed espressiva: della quale ci riserbiamo <strong>di</strong> trattare più a lungo prossimamente. Per ora basti <strong>di</strong>re per cronaca che<br />

il successo è stato gran<strong>di</strong>oso; il Maestro è stato evocato alla ribalta in complesso una ventina <strong>di</strong> volte oltre le<br />

altre con gl’interpreti principali: Gilda Dalla Rizza (<strong>Giulietta</strong>), Michele Fleta (<strong>Romeo</strong>), il baritono Maugeri<br />

(Tebaldo) e il Nar<strong>di</strong> (il Cantatore), pei quali ogni aggettivo è superfluo. L’orchestra <strong>di</strong>retta dallo stesso Autore.<br />

Le scene dello Stroppa ci parvero non bene intonate.<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/9<br />

187


Alberto Gasco, <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> del m. Zandonai - La prima rappresentazione al “Costanzi”, “La Tribuna”,<br />

16.2.1922 - p. 3, col. 1-2-3<br />

Ancora oggidì, in una chiesa <strong>di</strong> Verona, si mostra ai pellegrini d’arte e d’amore la tomba <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong><br />

Capuleto. È un rozzo sarcofago <strong>di</strong> marmo rosso, privo <strong>di</strong> ceneri ma pieno <strong>di</strong> fiori secchi e <strong>di</strong> biglietti ornati <strong>di</strong><br />

frasi assai sentimentali. Il Padovan, anni or sono, ne lesse alcuni: “Come te mia <strong>Giulietta</strong>, infelicissima anch’io”<br />

- “Hai avuto dei fiori sulla tua tomba: eccoti i miei” - “Come te bionda, come te <strong>di</strong>sperata...”. Ora, dopo che<br />

Arturo Rossato e Riccardo Zandonai hanno riacceso la simpatia della folla intorno all’eroina <strong>di</strong> una leggendaria<br />

passione, nuove coorti <strong>di</strong> amanti dogliosi correranno ad infiorare la tomba della veronese. C’è poi da<br />

scommettere che qualche collega italiano, mescolandosi alle vittime <strong>di</strong> Cupido, andrà furtivamente a mettere<br />

nell’arca funebre la scritta: “A <strong>Giulietta</strong>, ispiratrice <strong>di</strong> operisti, tormentatrice <strong>di</strong> critici musicali...”<br />

Eccoci intanto alla fatica giornalistica che, in questo caso, assume press’a poco la <strong>di</strong>gnità <strong>di</strong> missione<br />

estetica. Stimiamo opportuno dare preliminarmente la cronaca della serata e al tempo stesso qualche ragguaglio<br />

sui brani salienti dell’opera.<br />

Folla enorme, splendore <strong>di</strong> eleganze, attesa vigile. All’apparire del maestro Zandonai sul po<strong>di</strong>o, un applauso<br />

clamoroso, che attesta della fiducia del pubblico. Le prime scene interessano giustamente. Si nota la franchezza<br />

<strong>di</strong> mano del maestro nel tradurre in orchestra ogni dettaglio dell’azione teatrale, si nota la coloritura appropriata.<br />

La canzone Diavolo che ho d’intorno... apparisce, nella sua rudezza popolaresca, genialmente caratteristica.<br />

L’episo<strong>di</strong>o della zuffa tra i Capuleti e i Montecchi, resa con vigore genuino e quello del passaggio della<br />

scolta – su <strong>di</strong> un motivo <strong>di</strong> marcia funebre – piacciono chiaramente. Segue il magno duetto amoroso, il “duetto<br />

del verone”, quello che per le anime semplici costituisce l’unica ragion d’essere della nuova <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>.<br />

La fantasia del musicista, eccitata beneficamente, dà vita a cantabili <strong>di</strong> flui<strong>di</strong>tà piacevolissima. La melo<strong>di</strong>a Ah,<br />

siete bello e mio! è tra le più felici <strong>di</strong> tutta la produzione dello Zandonai: il motivo che si determina alle parole<br />

L’alba che infiora <strong>di</strong> sue rose il dì... ha anch’esso una linea incisiva e ribocca <strong>di</strong> aristocratica affettuosità.<br />

Purtroppo, col procedere del colloquio, il tono lirico non s’eleva ma si sgonfia e <strong>di</strong>venta enfatico. Gli<br />

innamorati <strong>di</strong>menticano <strong>di</strong> trovarsi in un luogo esposto a ogni agguato e, lungi dal bisbigliare – come fanno<br />

Pelléas e Mélisande in una situazione presso che identica – alzano la voce spensieratamente, giungendo a<br />

culmini spasmo<strong>di</strong>ci nell’"acme" Del nostro amor bearei...[?] È un miracolo che la città non si desti a tanto<br />

vociare e che la scolta non intervenga, <strong>di</strong>chiarando <strong>Romeo</strong> e <strong>Giulietta</strong> colpevoli <strong>di</strong> schiamazzi notturni e<br />

passibili <strong>di</strong> contravvenzione pecuniaria...<br />

Comunque, a parte codesto <strong>di</strong>fetto – non lieve – , la scena d’amore risulta attraente sia dal lato artistico che<br />

da quello teatrale. C’è dell’ispirazione vivida e dell’emozione. La chiusa dell’atto, con un effetto blando <strong>di</strong><br />

campane e <strong>di</strong> canti interni, è quanto <strong>di</strong> meglio si possa desiderare. L’orchestra sente i brivi<strong>di</strong> dell’alba e freme<br />

delicatamente. Bella visione <strong>di</strong> quiete mattutina dopo una notte <strong>di</strong> risse e <strong>di</strong> delirii sentimentali. Questo primo<br />

atto, che iersera si è chiuso con otto gioconde chiamate, supera nettamente gli altri: in esso Riccardo Zandonai<br />

ha <strong>di</strong>mostrato non solo bravura grande <strong>di</strong> drammaturgo ma cuore fervido <strong>di</strong> melo<strong>di</strong>sta.<br />

Ben <strong>di</strong>verso deve essere il giu<strong>di</strong>zio sul secondo atto dell’opera. La primavera dà fiori ai mandorli ma non<br />

motivi peregrini all’orchestra. Si procede con sufficiente nobiltà e non mancano, qua e là, le affermazioni <strong>di</strong> un<br />

maschio talento d’operista: però si attende invano quella parola che meriti <strong>di</strong> essere ricordata. L’esor<strong>di</strong>o, con<br />

l’invocazione alla “felice stagione” e il duettino tra <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> sono tuttavia da apprezzarsi. L’u<strong>di</strong>torio,<br />

pur senza <strong>di</strong>chiararsi entusiasta, applaude replicatamente gli interpreti e il maestro al calar della tela. Si contano<br />

sei chiamate. Il successo è confortante.<br />

L’estro del compositore si riaccende alle scene iniziali dell’atto terzo. L’episo<strong>di</strong>o del cantastorie ha un<br />

rilievo singolare. Specialmente la ripresa della tenerissima canzone: Done, piansì, che Amor pianse in segreto...<br />

mentre <strong>Romeo</strong>, appresa la novella della morte <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>, singhiozza <strong>di</strong>sperato e il cielo livido nel lontano<br />

orizzonte è squarciato da folgori, risulta suggestiva a tutta oltranza. Per contro, l’intermezzo sinfonico – la così<br />

detta “cavalcata <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong>” – basato su <strong>di</strong> un motivo plastico, ritmato robustamente, affatica l’ascoltatore per<br />

l’insistenza <strong>di</strong>abolica del fortissimo: converrà che Riccardo Zandonai mo<strong>di</strong>fichi sostanzialmente la<br />

strumentazione <strong>di</strong> questo pezzo. Sembra che il compositore abbia voluto descrivere non la cavalcata <strong>di</strong> una sola<br />

persona ma la galoppata strepitosa <strong>di</strong> tremila ulani!<br />

La scena finale del dramma ci riporta in un’atmosfera <strong>di</strong> pace triste e solenne. La melo<strong>di</strong>a vocale riprende i<br />

suoi <strong>di</strong>ritti. Prima <strong>di</strong> morire, <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> ci <strong>di</strong>cono cose amabili: però la loro verbosità supera ogni limite<br />

ragionevole. L’agonia <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong> si protrae dolorosamente, a causa della pessima qualità del veleno ch’egli ha<br />

bevuto. Il coro claustrale: Alba <strong>di</strong> Dio, luce <strong>di</strong> Dio, <strong>di</strong> per sé interessante, compie l’ingrato ufficio <strong>di</strong> ritardare<br />

ancora il compimento della trage<strong>di</strong>a. Un buon taglio metterà a posto ogni cosa.<br />

Sebbene alquanto stanco, il pubblico iersera non ha lesinato i battimani all’illustre e simpatico Zandonai,<br />

finita l’opera. Abbiamo visto comparire alla ribalta il maestro sette o otto volte. I suoi nemici sono stati ridotti al<br />

silenzio dai molti, moltissimi che andavano a gara nel complimentarlo.<br />

***<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/10


Nei corridoi, durante gli intervalli dello spettacolo, gli uomini in frak sputavano sentenze, rammaricandosi <strong>di</strong><br />

non avere la coda <strong>di</strong> Minosse per potersela ravvolgere intorno al corpo e render la sentenza definitiva.<br />

-È un’altra Francesca da Rimini. Un eadem in idem inutile.<br />

-Finché non avremo do<strong>di</strong>ci Francesche non saremo contenti...<br />

-C’è della stoffa che il tempo non consumerà. Broccato erto un <strong>di</strong>to...<br />

-Un po’ pesante, non vi pare?<br />

-Macché! Quanto basta appena per ripararsi dal freddo che ci viene d’oltralpe...<br />

-Si ritorna al melodramma!<br />

-Meglio un melodramma generoso che cento drammi musicali ari<strong>di</strong> come la sabbia del Sahara!<br />

-Però...<br />

-Vada là. È musica italiana, scritta da un maestro che conosce il proprio mestiere stupendamente.<br />

Discutiamola, ma rispettiamola!<br />

***<br />

Parole saggie, queste ultime. Ci proponiamo ora appunto <strong>di</strong> <strong>di</strong>scutere <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>, con tutta la<br />

deferenza che si deve a Riccardo Zandonai che in un breve giro d’anni ci ha dato sei opere, quale più quale<br />

meno riuscita, ma sempre composte secondo inten<strong>di</strong>menti d’arte buona e tutte ricche <strong>di</strong> eleganze armoniche e<br />

orchestrali. <strong>Giulietta</strong> – non lo si può nascondere – corteggia il melodramma assai più spesso che Conchita e<br />

Francesca. Probabilmente l’ombra del glorioso uomo <strong>di</strong> Busseto si aggirava nei pressi della casa dello<br />

Zandonai mentre egli andava febbrilmente improvvisando la musica della nuova opera. Accenti ver<strong>di</strong>ani – alla<br />

maniera specialmente dell’Otello – echeggiano qua e là, tra l’una e l’altra zuffa dei Capuleti e dei Montecchi.<br />

La cosa non ci <strong>di</strong>spiace affatto. Riprendere la tra<strong>di</strong>zione romantica per poi andare innanzi a modo proprio,<br />

giungendo per gra<strong>di</strong> sino all’originalità perfetta, può essere un saggio <strong>di</strong>visamento. L’epigonismo è o<strong>di</strong>oso; ma<br />

chi, dopo aver ascoltato <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>, volesse classificare lo Zandonai come un musicista prono <strong>di</strong>nanzi<br />

all’ [ ] dell’opera italiana, <strong>di</strong>mostrerebbe leggerezza ed anche stoltezza. E ricor<strong>di</strong>amo l’ammonimento <strong>di</strong><br />

Nietsche [sic]: talvolta un artista fa un passo in<strong>di</strong>etro per prepararsi a spiccare un gran salto in avanti. Del resto,<br />

i ritorni sono fatali nell’arte, su per giù come nella economia e nella politica. Anche il Piccolo Marat <strong>di</strong><br />

Mascagni mostra un ripullulare <strong>di</strong> formule melodrammatiche perente. La pagina più alata dell’ultima<br />

produzione mascagnana è precisamente redatta con i criteri operistici d’un periodo che taluno credeva concluso<br />

e tramontato per sempre.<br />

Dopo il Piccolo Marat, l’avvento <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> ha una significazione anche più precisa: si determina<br />

nell’arte lirica nostra un orientamento imprevisto: per non essere <strong>di</strong>velti dal patrio suolo, i compositori teatrali<br />

vanno abbrancandosi al tronco valido del melodramma ottocentesco. Non c’è da far querele né meraviglie. Del<br />

resto, se ciò può servire ad arrestare la progressiva snazionalizzazione della nostra musica, dobbiamo anzi<br />

<strong>di</strong>chiararci sod<strong>di</strong>sfatti. Restiamo in attesa della prossima messe italica, che ci auguriamo sia tale da far sbiancare<br />

d’invi<strong>di</strong>a i bagarini dei mercati musicali stranieri.<br />

Non vorremmo tuttavia che le nostre parole traessero in inganno il lettore, rappresentandogli <strong>Giulietta</strong> e<br />

<strong>Romeo</strong> come una produzione vecchiotta, senza luci <strong>di</strong> ar<strong>di</strong>mento. Diciamo subito, per <strong>di</strong>ssipare ogni equivoco,<br />

che la nuova partitura <strong>di</strong> Riccardo Zandonai ha bellezze formali <strong>di</strong> modernità incontestabile. Strumentazione<br />

elaborata, armonizzazione saporosa, contrasti vivi<strong>di</strong>, aspri talora. Il maestro signoreggia la compagine<br />

orchestrale e se ne serve a meraviglia. A un suo cenno si fa l’ombra più misteriosa; quando egli vuole i cento<br />

strumenti, trattati con perizia estrema, si fondono in un urlo che scuote sino all’imo chi ascolta; se poi si tratta <strong>di</strong><br />

pingere un’alba lo Zandonai <strong>di</strong>spensa colori argentini freschissimi e sfumature rosee assolutamente<br />

para<strong>di</strong>siache. Padronanza piena <strong>di</strong> tutti i mezzi tecnici; signorilità somma nell’usarne e, magari, nell’abusarne.<br />

L’abuso si rileva nella sovrabbondanza degli episo<strong>di</strong> vocali e orchestrali violenti. La partitura troppo spesso<br />

è parossistica. Non solo l’iracon<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Tebaldo ma anche il lirismo amoroso <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> e <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong> dà luogo a<br />

gri<strong>di</strong> esorbitanti. Si poteva raggiungere un risultato drammatico uguale, se non maggiore, con mezzi più<br />

semplici: il Boris Godunow insegni. Come Pietro Mascagni in Isabeau e Parisina, lo Zandonai in <strong>Giulietta</strong> e<br />

<strong>Romeo</strong> canta l’o<strong>di</strong>o e l’amore con voce intensa, persino stentorea. L’epoca trecentesca, ben lo sappiamo, non<br />

era leggiadra: si badava, allora, più al ferro che ai merletti. Ma una maggiore gentilezza, <strong>di</strong>ciamo piuttosto<br />

<strong>di</strong>screzione, avrebbe giovato in qualche scena del lavoro. Le anime dei veronesi ci si appalesano tutte <strong>di</strong>laniate<br />

da furiosi sentimenti. Il fuoco greco arde, inconsumabile, i cuori degli eroi <strong>di</strong> questa trage<strong>di</strong>a. In qualche<br />

momento si avverte un senso <strong>di</strong> soffocazione e vien la voglia <strong>di</strong> strillare: aria! aria! Troppo scarsi sono i silenzi<br />

riposanti. Pure, la virtù delle pause, nella musica drammatica, è grande: assai sovente anzi indescrivibile!<br />

Noi pensiamo che lo Zandonai possa pur sempre riparare all’accennato inconveniente. <strong>Giulietta</strong> merita cure<br />

ulteriori. Alleggerita, arieggiata, essa acquisterà un reale potere <strong>di</strong> seduzione, sino a trionfare delle riserve <strong>di</strong><br />

ogni critico. Qualche amputazione avverrà prontamente. Più <strong>di</strong>fficile sarà poter incidere le vene ai congestionati<br />

personaggi dell’opera, compiendo un generoso salasso. Ma nessuna impresa, da chirurgo o da flebotoino, deve<br />

sembrare repellente ad un padre che voglia assicurare la vitalità alle proprie creature...<br />

***<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/11


La consanguineità <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> e <strong>di</strong> Francesca è chiara. Cresciute in ambienti somiglianti, capaci <strong>di</strong> passioni<br />

ugualmente forti, nate ambedue per morire nel bacio <strong>di</strong> un uomo prode e fedele, la Capuleto e la sua maggiore<br />

sorella si esprimono presso a poco all’istesso modo, pur usando vocaboli in gran parte <strong>di</strong>versi. Senza dubbio, i<br />

rosai dei Malatesta, trapiantati sulle rive dell’A<strong>di</strong>ge “che macina carne” hanno dato fiori <strong>di</strong> un colore porporino<br />

più cupo: ma il profumo è sempre quello. Altri penserà a rimproverare lo Zandonai per aver scelto un libretto<br />

che può <strong>di</strong>rsi un pendant <strong>di</strong> quello della Francesca: noi non consentiamo nel rimprovero. L’artista deve essere<br />

anzitutto onesto. Orbene lo Zandonai, preso da irruente amore per <strong>Giulietta</strong>, avrebbe commesso una colpa grave<br />

andando a genuflettersi ai pie<strong>di</strong> <strong>di</strong> un’altra dama. Il pericolo <strong>di</strong> cadere in ripetizioni non ha spaventato il<br />

maestro: la gioia <strong>di</strong> esser sincero lo ha reso alacre. In effetto, la sincerità traluce da ogni parte della nuova opera.<br />

E se talora il musicista si abbandona alla voluttà <strong>di</strong> cantare a per<strong>di</strong>fiato, ciò deriva precisamente dal suo<br />

proposito <strong>di</strong> montrer son cœur à nu e <strong>di</strong> esprimersi senza ritegno, senza ambagi, seguendo l’impulso del<br />

momento. Ove la schiettezza rifulge, il giu<strong>di</strong>ce non deve atteggiarsi a severità inflessibile. Quanto al libretto <strong>di</strong><br />

Arturo Rossato, d’una italianità cristallina, d’una grazia verbale insolita, nessuno potrebbe <strong>di</strong>sconoscerne i<br />

pregi. Ci sono manchevolezze ed anche ingenuità: ad esempio, l’atteggiamento dei famigliari dei Capuleti che,<br />

dopo l’uccisione <strong>di</strong> Tebaldo, guardano il morto senza preoccuparsi <strong>di</strong> acciuffare l’omicida che sta lì, a quattro<br />

passi <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza. Tuttavia, nell’insieme, la trage<strong>di</strong>a, innestata <strong>di</strong>rettamente sulla novella del Da Porto, svela una<br />

<strong>di</strong>gnità propria, notevolissima. E poi l’argomento, per quanto sfruttato, riesce sempre squisitamente <strong>di</strong>lettoso.<br />

For never was a story of more woe<br />

than this of Juliet and her <strong>Romeo</strong>.<br />

“Non ci fu mai una storia <strong>di</strong> maggior dolore <strong>di</strong> questa <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>”. Storia – o leggenda – che vivrà<br />

sinché la poesia non avrà esulato per sempre dal cuore degli uomini.<br />

Abbiamo detto del successo che ha arriso al lavoro, al successo che cre<strong>di</strong>amo destinato a crescere qualora la<br />

partitura venga resa più snella. Ci resta soltanto, ora, da parlare brevemente dell’esecuzione, che in complesso è<br />

stata degna <strong>di</strong> alto encomio.<br />

Non si sarebbe potuto pretendere <strong>di</strong> più da Gilda Dalla Rizza, sulla quale gravava il peso <strong>di</strong> una parte<br />

spossante. Come già nelle vesti <strong>di</strong> “Francesca”, in quella <strong>di</strong> “<strong>Giulietta</strong>” l’artista si è mossa con una <strong>di</strong>stinzione<br />

ammirevole insegnando alle sue colleghe in arte il modo <strong>di</strong> contemperare la correttezza con la passionalità più<br />

profonda. Ella sembrava, iersera, una principessa bella e trepidante. Nel duetto d’amore del primo atto e nella<br />

scena conclusiva dell’opera, le malie del suo canto hanno conquiso ogni ascoltatore. La vittoria della<br />

infaticabile cantatrice è stata decisiva.<br />

Traendo sussi<strong>di</strong>o dalla sua voce ampia, resistente e a volte estremamente carezzevole, il tenore Michele Fleta<br />

ha saputo essere un “<strong>Romeo</strong>” degno <strong>di</strong> tanta “<strong>Giulietta</strong>”. Il valore dell’interprete è stato riconosciuto<br />

esplicitamente dall’assemblea elettissima nel brano <strong>di</strong> dolorosa esaltazione al terzo atto: gli acuti squillanti del<br />

Fleta hanno dominato l’urlo della bufera.<br />

Buon terzo il baritono Maugeri, l’insuperabile “Gianciotto” della recente Francesca da Rimini. Lo Zandonai<br />

professa una illimitata stima per questo cantante, non a torto: si tratta <strong>di</strong> un artista intelligente, che sa<br />

caratterizzare a dovere una parte un po’ torva e che eccelle là ove si richiede una rudezza d’accento.<br />

Del tenore Nar<strong>di</strong>, che già altre volte si era vigorosamente imposto nell’estimazione nostra, dobbiamo ora<br />

<strong>di</strong>re un gran bene per la sua originale raffigurazione del Cantastorie <strong>di</strong> questa <strong>Giulietta</strong>. Egli ha cantato ed agito<br />

da signore del canto e della scena.<br />

Me<strong>di</strong>ocri le parti minori; superba la massa corale. Gli scenari, non troppo opulenti, sono parsi tuttavia<br />

<strong>di</strong>gnitosi. Ricchi invece i costumi. Quelli indossati da Gilda Dalla Rizza hanno destato l’ammirazione della<br />

folla.<br />

L’orchestra è stata precisa e piena <strong>di</strong> gagliar<strong>di</strong>a. Lo Zandonai l’ha <strong>di</strong>retta con una sorprendente fermezza.<br />

Nessun generale <strong>di</strong> esercito si è mostrato mai così sereno come l’autore <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> nell’ingaggiare<br />

una delle più grosse battaglie della sua vita d’artista. Riconosciamo però che i suoi gregari hanno combattuto<br />

per lui in guisa da agevolargli la conquista del serto <strong>di</strong> vittoria.<br />

188<br />

M[atteo] Incagliati, “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” <strong>di</strong> Zandonai al primo cimento, “Il Giornale d’Italia”, 16.2.1922 - p. 3<br />

col. 4-5-6<br />

Se sia stato bene inspirato Riccardo Zandonai a scegliere a tema della sua sesta opera teatrale la dolente<br />

trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>, <strong>di</strong>rà il tempo. E il tempo segnalerà ancora se il fato sinistro che pesò sulle due<br />

creature immortalate da Shakespeare, quando queste trasmigrarono nel mondo della musica, sia stato abbattuto,<br />

debellato dal compositore trentino. Certo fu supremo orgoglio quello <strong>di</strong> Zandonai, quando, accingendosi a<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/12


musicare la <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>, egli parve non preoccuparsi <strong>di</strong> ciò che fu il tentativo <strong>di</strong> un genio – e il pensiero<br />

corre ai Capuleti e i Montecchi <strong>di</strong> Vincenzo Bellini – e <strong>di</strong> ciò che rappresentò lo sforzo <strong>di</strong> energie intellettuali<br />

non inferiori quali lo Zingarelli, il Vaccaj, il Marchetti. Ma è destino <strong>di</strong> questo giovane musicista provarsi con i<br />

giganti – e tant’è, si è provato con Bellini.<br />

Quanti non s’erano misurati prima <strong>di</strong> lui con un tema qual è quello <strong>di</strong> Paolo e Francesca – e le terzine<br />

dantesche formavano più <strong>di</strong> un sacro epitaffio percosso dalla fantasia <strong>di</strong> un poeta immortale –; eppure Zandonai<br />

tenta e crea l’opera d’arte che <strong>di</strong> queste sere ha trionfato sulle scene del Costanzi, quasi buon viatico alla sorella<br />

nascente: la <strong>Giulietta</strong>.<br />

L’opera d’arte<br />

Nessuno ormai ignora che <strong>di</strong> tutte le Francesche che precedettero quella ideata da Zandonai non una è<br />

rimasta in pie<strong>di</strong> sulla ribalta. L’ultima in or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> tempo canta e ripete la eterna sua trage<strong>di</strong>a, rivivendo, sana e<br />

rigeneratrice linfa, la musica <strong>di</strong> un artista che pari all’ar<strong>di</strong>mento sembra abbia in sé la consapevolezza della<br />

propria energia.<br />

In forza della quale e fidando su <strong>di</strong> essa non v’ha dubbio che Zandonai sia stato preso dalla vaghezza <strong>di</strong><br />

musicare <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>. Anzi, <strong>di</strong>remo <strong>di</strong> più: che a <strong>di</strong>ssuaderlo non valsero talune affinità sceniche, taluni<br />

aspetti ambientali, talune caratteristiche <strong>di</strong> natura psicologica che ricorrono pure nella trage<strong>di</strong>a da lui<br />

precedente[mente] musicata. La fantasia si leva talvolta <strong>di</strong> sopra ad ogni pur legittima considerazione <strong>di</strong> natura<br />

estetica e <strong>di</strong> incompatibilità intellettualistica.<br />

Che <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> contenga in sé gli elementi <strong>di</strong> vivacità drammatica, rispetto alla funzione della scena<br />

lirica, <strong>di</strong> compiutezza logica, non pare, se è vero che la trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Shakespeare ha mostrato <strong>di</strong> esaurire nella sua<br />

forma e nella sua espressione la turbata ascensione <strong>di</strong> due anime fanciulle verso la morte, attraverso l’amore.<br />

Perché, o noi c’inganniamo, la scena ultima, quella del sepolcro, per così <strong>di</strong>re, <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>, la creatura che<br />

risorge alla vita <strong>di</strong> fronte al suo innamorato in abbandono delle sue facoltà smarrite o sconvolte, non è altro che<br />

una finzione che la musica non pare riesca a tradurre in azione scenica. Ma l’artista non conosce limiti, quando<br />

<strong>di</strong> questi sappia stimare e il grado e la latitu<strong>di</strong>ne.<br />

E sia. Zandonai ha fornito vita musicale, nonostante tutte le pregiu<strong>di</strong>ziali della critica e dell’estetica, alla<br />

<strong>Giulietta</strong>. Nata iersera al mondo e all’arte, essa ormai è se non altro un titolo della probità artistica dell’autore<br />

che se ne innamorò e volle che respirasse la musica <strong>di</strong> un secolo in cui le più opposte favelle si balbettano per<br />

infondere un po’ <strong>di</strong> spirito e un po’ d’anima ai ben <strong>di</strong>sposti e compiacenti pentagrammi. Ma se oltre la probità<br />

egli abbia sentito il palpito dell’ala del genio, è ciò che, con pacato animo, vedremo in questa rapida rassegna.<br />

***<br />

La <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>, su libretto <strong>di</strong> Arturo Rossato, è <strong>di</strong>visa in quattro quadri.<br />

Quadro 1.: a Verona: l’atto del duetto d’amore.<br />

Un bell’accordo <strong>di</strong> natura sonora e <strong>di</strong> spiccata natura plastica cresce, si sviluppa, si snoda, si risolve.<br />

Nell’interno della scena un’orchestrina suona della musica da balletto. Piccoli episo<strong>di</strong> orchestrali. Passano delle<br />

mascherine, e la musica ha il fruscio della seta. L’atmosfera si delinea netta con tocchi deliziosi: voci notturne,<br />

cantilene, stornelli. I Capuleti e i Montecchi si azzuffano, e l’orchestra leva su tutte le sue voci non con effetti <strong>di</strong><br />

vuota sonorità ma con una musicalità incisiva e caratteristica. Passa la scolta. Prima <strong>di</strong> lontano i tamburi con il<br />

passo cadenzato, poi la scolta appare in iscena, mentre si spande lento, pauroso il grido del ban<strong>di</strong>tore. La scena<br />

s’inargenta <strong>di</strong> luce. Appare al balcone <strong>Giulietta</strong>. <strong>Romeo</strong> la raggiunge attraverso la scala <strong>di</strong> seta ch’ella gli<br />

<strong>di</strong>scioglie; le due voci palpitano, sorridono, si baciano e il canto dell’amore si <strong>di</strong>sperde alle prime luci dell’alba.<br />

Quadro 2.: il cortile del palazzo dei Capuleti. Cinguettìo <strong>di</strong> donzelle. Con un ramo fiorito <strong>di</strong> mandorlo appare<br />

<strong>Giulietta</strong>. Si gioca al torchio. Episo<strong>di</strong>etti orchestrali: l’organetto, le ron<strong>di</strong>ni, il tepore della primavera, il<br />

cinguettìo <strong>di</strong> dolci voci. Ma ecco Tebaldo: ha accenti <strong>di</strong> tenerezza musicali prima, cupi e terrificanti dopo, per<br />

<strong>di</strong>ssuadere <strong>Giulietta</strong> dall’amore <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong>. Ma la scena tragica passa e <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>, ricongiunti, cantano<br />

con una tenerezza melica in dolce abbandono, un lirismo a linee pure e quasi ingenue, senza alcuna preziosità<br />

strumentale. Ma ecco ancora Tebaldo. S’incrociano le spade <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong> e Tebaldo. Questi barcolla e stramazza a<br />

terra. La scena si popola. Un grido si leva dall’orchestra e dalla voce <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong>: “Ad<strong>di</strong>o, <strong>Giulietta</strong>!”<br />

Quadro 3.: a Mantova. Canto <strong>di</strong> “sagra”, echi lontani, festosità musicale. Poi un cantastorie che, in una<br />

dolente melopea, racconta la morte <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>. <strong>Romeo</strong> ascolta. La bufera è nell’anima <strong>di</strong> lui e solca<br />

sinistramente il cielo: l’orchestra urla la tempesta... A cavallo, <strong>Romeo</strong> volge verso la sua fanciulla morta. Il<br />

velario si chiude.<br />

Un interlu<strong>di</strong>o: l’orchestra descrive la corsa a cavallo <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong> verso Verona, l’ansia dell’infelice amante,<br />

l’angoscia, il terrore, la bufera.<br />

Quadro ultimo: il sepolcro <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> nel chiostro del convento. <strong>Romeo</strong> è <strong>di</strong>nanzi alla sua fanciulla. Canta e<br />

rimembra. Poi <strong>Giulietta</strong> si ridesta e geme a <strong>Romeo</strong>: “Anima mia”, il grido della ormai spenta passione. <strong>Romeo</strong>,<br />

per aver bevuto il veleno, vaneggia e muore. Voci dal chiostro, il canto liturgico. Voci dalla strada, l’eco dei bei<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/13


dì della gaiezza e dell’amore. L’orchestra raccoglie e spande un’ultima eco dell’ormai morto amore. I due<br />

amanti, stretti per mano, giacciono immobili a terra illuminati dal sole.<br />

Tale, in rapida sintesi, lo sguardo ad un tempo al libretto e alla partitura.<br />

***<br />

Che valore abbia questa musica considerata in sé stessa e rispetto alla produzione delle altre opere <strong>di</strong><br />

Riccardo Zandonai, è esame da compiersi con libertà <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zi, se pure qualche osservazione possa apparire un<br />

po’ aspra. Ma un artista come l’autore <strong>di</strong> Conchita e <strong>di</strong> Francesca non può sottrarsi a quella saggia e onesta<br />

critica, se non a danno della sua personalità che ha ormai assunto forma e tono <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidualità tanto spiccata nel<br />

mondo della musica.<br />

Un fatto in<strong>di</strong>scutibile è questo: che nella <strong>Giulietta</strong> il musicista ha, rispetto alla precedente produzione,<br />

acquistato un più vivace e libero movimento nell’ideare e costruire la forma strumentale. Egli non appare più<br />

impigliato nelle tristaneggianti movenze wagneriane; ha posto alquanto da parte quel <strong>di</strong>visionismo della trama<br />

orchestrale e del contenuto ideologico. Lo strumentale, pure essendo ricco, magniloquente, ornato, prezioso,<br />

con tutte le sue varietà e la sua poliritmia, non è più denso sino a <strong>di</strong>venire rettorico, enfatico. Alla superanalisi<br />

del contenuto sinfonico è succeduta adesso una più saggia e logica concezione: quella <strong>di</strong> far parlare l’orchestra<br />

più che strumentalmente vocalmente. Non più rigido in certe determinate pre<strong>di</strong>lezioni ideologiche, egli si<br />

abbandona in <strong>Giulietta</strong> al canto, con una vocalità tutta italiana, se pur con eccessi <strong>di</strong> sonorità e con arbitrarie<br />

tessiture.<br />

Ma detto ciò non credo che Zandonai, rispetto alla Francesca che è l’espressione più caratteristica della sua<br />

genialità, abbia compiuto un passo innanzi in fatto d’inventiva. L’artista, sovratutto per l’affinità che il libretto<br />

<strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> aveva con quello del d’Annunzio, del quale risente la amplificazione delle imagini e la preziosità<br />

della fraseologia, è parso come imprigionato, quasi stanco <strong>di</strong> uno sforzo già mirabilmente compiuto, se la<br />

inspirazione non gli fu pro<strong>di</strong>ga <strong>di</strong> più ampi respiri e <strong>di</strong> musicalità nuova. Certo, la parte ornamentale dell’opera<br />

come le voci notturne, le cantilene, le stornellate, il canto del ban<strong>di</strong>tore, taluni tocchi strumentali, è quella che<br />

più merita <strong>di</strong> essere pregiata. Anzi, pare che in ciò Riccardo Zandonai abbia fatto suo l’aforisma <strong>di</strong> Hanslick<br />

secondo il quale la musica non può esprimere sentimenti se non nella loro forma più indeterminata e più<br />

astratta, perché essa è un puro giuoco <strong>di</strong> forme sonore; il suo bello è un bello essenzialmente musicale: un<br />

arabesco sonoro.<br />

Ma un’opera <strong>di</strong> teatro non vive unicamente <strong>di</strong> arabesco sonoro. Occorre che a questo si accoppi un pathos<br />

che giochi sulla gamma delle sensazioni, che riproduca il senso della vita, che susciti quel tale brivido per cui<br />

l’amore e la morte <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> esaltino, turbino, commuovano, destino cioè tutto un mondo <strong>di</strong> poesia e <strong>di</strong>ano<br />

tocchi e figurazione a tutte le passioni <strong>di</strong> cui è capace il cuore, quando palpiti e comunque palpiti...<br />

Considerate <strong>Giulietta</strong> nel complesso della sua concezione musicale: le caratteristiche forme poliritmiche,<br />

cioè, l’eloquio puro <strong>di</strong> quelle canore e le originali movenze <strong>di</strong> quelle armoniche, i cui vari timbri, attraverso i<br />

<strong>di</strong>fferenti strumenti, sono sempre genialmente amalgamati – trovano costantemente la loro scaturigine nel più<br />

alto senso estetico. La loro <strong>di</strong>namica è infallibilmente improntata alla più austera aristocraticità. Così in<br />

<strong>Giulietta</strong> egli rispecchia la sua natura <strong>di</strong> imaginoso inesauribile cesellatore <strong>di</strong> forme sonore.<br />

Ora, resta a vedere quale grado <strong>di</strong> espressività lirica e drammatica l’insigne compositore sia riuscito a<br />

raggiungere attraverso questi elementi e conseguentemente che grado <strong>di</strong> intensità emotiva essa possa dettare.<br />

***<br />

La espressività <strong>di</strong> Riccardo Zandonai in <strong>Giulietta</strong> scaturisce da un pathos, per così <strong>di</strong>re, sereno e<br />

indeterminato, senza che la forte passione lo prenda o lo turbi, senza quella facoltà, cioè, che produce la<br />

vampata capace <strong>di</strong> esaltare la fantasia. Il suo è un lirismo sempre terso, casto, castigato: in una parola, <strong>di</strong> natura<br />

classica, tale cioè che si presta più alla contemplazione della pura bellezza in sé che alla voluttà dei sensi e<br />

all’ebrezza del cuore.<br />

Così in <strong>Giulietta</strong> il duetto d’amore al primo atto è un succedersi d’imagini, pur con qualche richiamo alla<br />

melo<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Francesca, le quali risplendono <strong>di</strong> un chiarore che riflette un turbamento dell’animo ma non lo<br />

riscalda. Così il successivo duetto tra <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> al secondo atto è tutto intessuto <strong>di</strong> una melo<strong>di</strong>a quasi<br />

ingenua, <strong>di</strong>lettosa ma non plasticamente concepita, che sappia insinuarsi in fondo al cuore. Sono voci <strong>di</strong><br />

bellezza pura, ma lontana dai colpi della passione umana.<br />

Ma non bisogna <strong>di</strong>menticare che a dare carattere al primo quadro del terzo atto vi è una pagina, quella del<br />

“Lamento del Cantatore”, che è un mesto nostalgico canto in cui la fantasia <strong>di</strong> Zandonai non è rimasta<br />

insensibile a quel melismo per cui rimangono gran<strong>di</strong> nella storia del melodramma e Bellini e Donizetti. Forse<br />

nuoce alla bellezza della scena la parte musicale che precede. Comunque, chi <strong>di</strong> tutta la musica <strong>di</strong> cui risuona<br />

questo nuovo spartito non riporterà nell’anima commossa il desolato canto del “Cantatore”?<br />

Ma Riccardo Zandonai, da quel forte sinfonista qual egli è, non poteva non innamorarsi <strong>di</strong> un pezzo<br />

descrittivo – e balzò dalla sua fantasia l’“Interlu<strong>di</strong>o”. Ma, pure riconoscendo l’abilità dello strumentatore, esso<br />

non ci pare che esprima, se non nella forma fonica, l’angoscia <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong> in corsa verso il sepolcro <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>.<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/14


Plastico è il tema spiccatamente vigoroso ed espressivo; ma la prolissità non concorre ad accrescere vigore<br />

all’“Interlu<strong>di</strong>o”.<br />

Ed eccoci alla scena della tomba <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>. È qui che Riccardo Zandonai ci è parso vittima <strong>di</strong> un errore <strong>di</strong><br />

estetica. Ora è lì appunto che la trage<strong>di</strong>a esce dalla vita ed entra nel campo dell’arbitrario, in una <strong>di</strong> quelle<br />

atmosfere dove non si sa se più valga la parola o il silenzio. La situazione è tale da rendere perplesso pure il<br />

genio – e Bellini era un genio. Ora, che cosa è avvenuto? Dinanzi a <strong>Giulietta</strong> che sorge dal sepolcro, <strong>Romeo</strong><br />

canta, canta, canta. La finzione scenica precipita in una finzione più concreta e più inattesa qual è quella <strong>di</strong> un<br />

uomo, demente qual è, che non sa a chi parla e <strong>di</strong>nanzi a cui non v’è che un’impressione da realizzare, e doveva<br />

essere il compianto, la morte nell’anima e nelle cose.<br />

Riassunti così i pregi ed i <strong>di</strong>fetti <strong>di</strong> quest’opera, noi vorremmo concludere con un voto: che Riccardo<br />

Zandonai si allontani definitivamente da un’epoca a cui il suo spirito e la sua speculazione intellettuale si sono<br />

largamente abbeverate.<br />

La prova <strong>di</strong> iersera al Costanzi è stata comunque vittoriosa. Ne segnano la misura gli applausi, le<br />

acclamazioni imponenti che hanno salutato Zandonai, [alla] fine <strong>di</strong> ogni atto, alla ribalta.<br />

Lo spettacolo - gl’interpreti<br />

Posto alla cronaca. Quante volte fu evocato alla ribalta il Maestro? Sette dopo il primo atto, cinque dopo il<br />

secondo e nove alla fine dell’opera.<br />

Un successo, dunque, nonostante le legittime riserve della critica, pieno caloroso e incontrastato, cui<br />

contribuì la esecuzione che fu <strong>di</strong> quelle destinate a rimaner memorabili.<br />

Gilda Dalla Rizza, la giovane cantatrice che si è ormai provata con così salda preparazione e con così geniale<br />

intuizione a dare i primi tocchi, a delineare gli aspetti, a rendere la in<strong>di</strong>vidualità psicologica <strong>di</strong> tante creature<br />

meliche balzate dalla fantasia dei musicisti contemporanei in questi ultimi anni, conta nella sua sorridente istoria<br />

un’altra bella vittoria.<br />

Bella nei suoi atteggiamenti <strong>di</strong> commossa femminilità, soave nei suoi accenti <strong>di</strong> accorata dolente poesia,<br />

drammatica nei suoi impeti canori – parve che <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> ella rivivesse e comunicasse la sottile e pietosa<br />

trage<strong>di</strong>a. Nel duetto d’amore, là sul balcone, la sua voce si spande con la dolcezza <strong>di</strong> un’arpa eolia e nel<br />

secondo atto il suo canto in quel brano del Sarò piccoletta assume un tono <strong>di</strong> così fresca ingenuità e una<br />

tenerezza così ingenua da rendere mirabilmente la poesia nostalgica che la musica esprime. E nei gri<strong>di</strong> <strong>di</strong> terrore<br />

e <strong>di</strong> sbigottimento la voce trova la concitata vibrazione. E in tutte le fasi dell’ardua parte si insinua quella nota<br />

<strong>di</strong> cui ella conosce il segreto, e che è nota <strong>di</strong> poesia e d’amore, una nota indefinibile tanto essa ha forza <strong>di</strong><br />

suggestione e <strong>di</strong> fascino. Una nota che ritorna e appare sempre inattesa tanto è bella e pervasa da una forza<br />

interiore, da un’anima sensibile e pronta alla voce della commozione.<br />

Il tenore Fleta ha, da parte sua, <strong>di</strong>viso con Gilda Dalla Rizza gli ambiti onori del trionfo. Ed il suo fu un<br />

trionfo autentico, il maggiore e più significativo conseguito dal giovane e già celebre tenore sulle scene del<br />

Costanzi.<br />

Il suo canto assunse ieri sera una personalità così netta che non sarà possibile obliare la nobile fatica<br />

compiuta e realizzata con un saggio intelligente senso <strong>di</strong> arte. Voce maschia, timbrata, larga <strong>di</strong> respiro, bene<br />

accentata, piena <strong>di</strong> animazione. Ad ogni nota egli impresse un accento, alla figura <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong> calcò una ben<br />

determinata in<strong>di</strong>vidualità. E si levarono luci<strong>di</strong> e squillanti gli acuti che una commossa sensibilità animava.<br />

Interprete e cantante si fusero in una linea sobria e aristocratica.<br />

Il baritono Maugeri, per quanto avesse a lottare con una tessitura da porre a duro rischio qualsiasi voce,<br />

cantò con foga e con vibrato accento.<br />

La Ricci fu una Isabella piena <strong>di</strong> espressione melica; la Bertolasi signoreggiò nella scena del torchio con la<br />

sua bella vellutata voce: e cantarono con grazia la Rettore colla sua voce fresca e intonata, e la Donati con le<br />

morbide note da mezzo soprano.<br />

Il tenore Nar<strong>di</strong> cantò il “lamento” del Cantatore con dolente espressività, e il tenore Palai non risparmiò la<br />

sua sicura e bella voce. Bene nelle rispettive parti il Fiore e il Pellegrino.<br />

Diresse lo spettacolo con animoso slancio l’autore.<br />

Non va <strong>di</strong>menticato l’Ansaldo che realizzò la scena della tempesta con un gioco <strong>di</strong> luci indovinatissimo e<br />

presiedé con il consueto prestigio alla messa in scena.<br />

All’inizio del secondo atto il pubblico, per rendere onore al Principe ere<strong>di</strong>tario e alla Principessa Mafalda<br />

ch’erano nel palchetto <strong>di</strong> Corte, a proscenio, fu suonata la Marcia Reale tra un subisso <strong>di</strong> applausi.<br />

189<br />

Raffaello de Rensis, “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” <strong>di</strong> Zandonai, “Il Messaggero”, 15.2.1922 - p. 3, col. 1-2-3-4 (con una<br />

foto <strong>di</strong> scena: Atto terzo, scena della morte)<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/15


Il Costanzi, ieri sera, ha segnato nei suoi annali non ingloriosi un’altra data importante. La prima<br />

rappresentazione della nuovissima opera <strong>di</strong> Riccardo Zandonai, dell’autore cioè su cui si concentrano tutte le<br />

speranze del mondo musicale italiano, resterà nella memoria <strong>di</strong> tutti coloro che ieri sera gremivano la luminosa<br />

e sfolgorante sala del nostro massimo teatro.<br />

La nostra epoca musicale non è certamente delle più liete, ma tende a risolversi nella maniera più giusta, più<br />

logica e più auspicata da quanti dell’arte sentono lo stesso culto e lo stesso amore che per le manifestazioni<br />

nobili e pure della propria razza.<br />

Ci troviamo, nella storia del melodramma, in uno svolto decisivo, al quale lucidamente assistiamo; per<br />

superarlo lottiamo fervorosamente, fiduciosi <strong>di</strong> riaprire al nostro passo la via maestra del trionfo e della gloria.<br />

Sono ancora bal<strong>di</strong> e forti due illustri campioni, Mascagni e Puccini, che ci siano conservati in eterno!, i quali<br />

a traverso tentennamenti e dubbi non son riusciti a soffocare il loro istinto drammatico e hanno conservato,<br />

talora anche contro la loro volontà, tutte le peculiarità della loro arte <strong>di</strong> razza, ed ecco che già sull’orizzonte, a<br />

<strong>di</strong>spetto delle cassandre <strong>di</strong> dentro e <strong>di</strong> fuori, sale e da vario tempo sale <strong>di</strong>radando le nubi e ricercando la luce,<br />

l’astro <strong>di</strong> Zandonai.<br />

Nato costui in un periodo in cui la rinascita della musica strumentale – fenomeno importantissimo e<br />

nobilissimo – con tendenze inevitabilmente moderniste doveva fortemente influire sull’in<strong>di</strong>rizzo dell’opera<br />

teatrale, era anche inevitabile nonché utile che egli, giovine dall’anima aperta ad ogni conquista, risentisse <strong>di</strong><br />

queste nuove ondate provenienti d’oltr'alpe e ne approfittasse largamente. Senonché, mentre i suoi colleghi e<br />

coetanei, abbacinati dall’orpello delle musiche esotiche, hanno spento in queste ogni calore spirituale, ogni<br />

palpito <strong>di</strong> cuore e continuano così a saltellare sopra lo stesso mattone come pupazzi mossi da fili invisibili e<br />

fremono prometei minuscoli attaccati alla rupe del servilismo, Riccardo Zandonai ritrova ogni giorno se stesso,<br />

riallaccia ogni giorno la sua anima all’anima collettiva ed italiana, ed aspira a comporre l’eterno conflitto tra<br />

musica e parola, tra sinfonismo e melo<strong>di</strong>a con un senso sempre più acuto e sano <strong>di</strong> equilibrio.<br />

L’opera d’arte<br />

Con la Francesca, come abbiamo già altra volta notato, il maestro trentino s’è accostato alla folla più che<br />

con le altre opere precedenti che costituiscono tante tappe magnifiche e sicure verso un <strong>di</strong>venire costante e<br />

fortunato; la Francesca delimita il passaggio dalla fase preparatoria tecnica e dottrinaria d’importazione alla<br />

fase estetica, più strettamente personale, sempre più definitiva. La Francesca, inoltre, per il suo carattere<br />

classicheggiante, per le passioni tortuose, torbide, incestuose, richiedeva un’analisi psicologica che<br />

spontaneamente conduceva ad un’elaborazione sonora minuziosa, paziente, penetrante, indagatrice.<br />

Invece l’amore <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>, fulmineo, trascinante, pieno <strong>di</strong> ingenui abbandoni, quasi schivo <strong>di</strong><br />

sensualità, profondamente romantico, altamente lirico, ha chiesto alla musa <strong>di</strong> Zandonai ritmi rapi<strong>di</strong> e vari,<br />

lunghe e calde frasi, soavità <strong>di</strong> poesia, semplicità <strong>di</strong> mezzi, freschezza e facilità <strong>di</strong> movimenti, ecc.: tutto ciò in<br />

buona parte ottenuto.<br />

In buona parte e non in gran parte e tanto meno in ogni parte dell’opera, perché la musicalità del<br />

compositore, la sua forma mentale, le sue attitu<strong>di</strong>ni artistiche, i suoi mezzi tecnici non potevano venir aboliti da<br />

un presupposto o da un preconcetto.<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> cantano più e meglio che Francesca e Paolo, ma il loro canto è pur sempre quello <strong>di</strong><br />

Zandonai, che si <strong>di</strong>fferenzia profondamente dal canto dei nostri melo<strong>di</strong>sti <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione: un canto involuto <strong>di</strong><br />

cromatismi sviluppantesi in tonalità varie e contrastanti, più vicino al nuovo declamato che alla vecchia<br />

melo<strong>di</strong>a; un canto che non prescinde dalle risorse armoniche e strumentali ormai acquisite, che non si lancia mai<br />

con quella pienezza <strong>di</strong> note e <strong>di</strong> ritmi sal<strong>di</strong> e robusti. Ma è pur canto, è pur melo<strong>di</strong>a ed occorre seguirli e<br />

comprenderli, apprenderli e sentirli per riconoscervi la bellezza e ricercarvi l’emozione. Zandonai piega tutto se<br />

stesso per accostarsi all’anima popolare, ma occorre anche che questa, da parte sua, si avanzi per avvicinarsi<br />

all’anima <strong>di</strong> lui. Egli certamente non riproduce l’eco popolaresca del pathos collettivo; egli è artista <strong>di</strong>stinto ed<br />

aristocratico che si rivolge ad un pubblico elevato nel gusto musicale.<br />

Ma tralasciamo queste considerazioni, che ci porterebbero assai lontani, e volgiamo la nostra attenzione al<br />

libretto <strong>di</strong> Arturo Rossato.<br />

Il libretto<br />

Qualcuno ha rimproverato già, e qualche altro rimprovererà certamente, al Rossato <strong>di</strong> non essersi ispirato<br />

alle immortali pagine shakespeariane. Noi invece vogliamo liberamente e vivamente complimentarci con lui che<br />

nella ricostruzione della tragica leggenda abbia creduto attingere alle <strong>di</strong>rette fonti italiane. È una sensibilità natìa<br />

che va riconosciuta e lodata, specie se si converte in un atto <strong>di</strong> audacia. La trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Guglielmo Shakespeare,<br />

com’è risaputo, è <strong>di</strong>sorganica e frammentaria, infarcita <strong>di</strong> episo<strong>di</strong> e personaggi superflui, ricca <strong>di</strong> bellezze<br />

liriche e drammatiche, manco a <strong>di</strong>rlo, ma infiorata assai spesso <strong>di</strong> un linguaggio così banale e <strong>di</strong> dubbio gusto<br />

che, con tutto il rispetto al genio albionico, ripugnano stranamente in una vicenda <strong>di</strong> amore così gentile e<br />

appassionata. D’altra parte, dei libretti d’opera tratti <strong>di</strong>rettamente da Shakespeare nessuno è riuscito un<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/16


capolavoro. Rileggete anche, se ne avete il coraggio, i più recenti, quelli del Foppa [!] per Bellini e dei signori<br />

Carré e Barbier per Gounod e riceverete un’impressione <strong>di</strong>sastrosa: sembra che gli autori siano rimasti<br />

grottescamente <strong>di</strong>sorientati e sperduti nel laberinto delle miria<strong>di</strong> <strong>di</strong> scene e scenette infilate da Shakespeare o dai<br />

suoi postumi collaboratori.<br />

Noi ci guarderemo dal <strong>di</strong>r male <strong>di</strong> Shakespeare; ma nessuno potrà proibirci <strong>di</strong> ritenere che, come egli si è<br />

ispirato alla novella del Bandello (fatto assodato), così un poeta italiano, modesto che sia, abbia lo stesso <strong>di</strong>ritto<br />

<strong>di</strong> ispirarsi alla novella del Da Porto, della quale quella del Bandello è un rifacimento (qualificato da alcuni un<br />

vero e proprio plagio). Leggetela, rileggetela la novella del Da Porto e vedrete quale semplicità <strong>di</strong> stile, quale<br />

vaghezza <strong>di</strong> immagini, quali tesori <strong>di</strong> sentimenti si trovino in essa e ne rendano la lettura interessante e<br />

commovente.<br />

Piuttosto è da domandarsi perché il Rossato non si sia mantenuto, a parte le inderogabili necessità sceniche,<br />

più fedele al racconto italiano. Una volta che egli ha voluto, ed ha fatto bene, ricondurre l’istoria dei nobili<br />

amanti con la loro pietosa morte alla sua scaturigine prima, bisognava che questa fosse rispettata nel miglior<br />

modo possibile. Invece egli, alcune volte, ha troppo condensato (per es. in Tebaldo son crogiolati tutti i Capuleti<br />

e i loro o<strong>di</strong>: perciò Tebaldo è venuto fuori un mostro così feroce), alcune altre ha aggiunto personaggi ed<br />

episo<strong>di</strong> non necessari (per es. il Cantastorie che nel terzo atto apprende a <strong>Romeo</strong> la triste fine <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>). Né<br />

persuade la figura d’Isabella, che si sostituisce alla nutrice e a frate Lorenzo, affidando a lei il compito <strong>di</strong> offrire<br />

il narcotico a <strong>Giulietta</strong>.<br />

Aver soppresso il frate perché, immaginiamo, personaggio troppo melodrammatico è poca cosa quando si è<br />

interpolata una tempesta ed una cavalcata altrettanto melodrammatiche. Ed altre osservazioni sarebbero da farsi,<br />

e ciascun osservatore ne farà per conto suo; però bisogna subito riconoscere che il taglio del libretto è ben<br />

misurato e che il linguaggio usato, lievemente arcaico, è sempre nobile e appropriato. I due celebri amanti si<br />

esprimono sempre con parole e immagini elette e gentili. Né è poco merito riscontrare in un libretto forbitezza<br />

<strong>di</strong> lingua, che non è consueta neppure nei nuovi e più accre<strong>di</strong>tati poeti del nostro teatro lirico. Il Rossato non ha<br />

riformata la struttura del canevaccio per musica; ma, indubbiamente d’accordo col maestro, ha adoperato una<br />

forma che sta fra il vecchio e il nuovo stile, che permette <strong>di</strong> aiutare e <strong>di</strong> sfruttare musicalmente le situazioni.<br />

Ieri sera, nelle conversazioni del pubblico, non erano risparmiate le solite rampogne al librettista, a<br />

cominciare dalla scelta dell’argomento a finire alla incruenta morte dei protagonisti. Ma il Rossato, che è alle<br />

prime armi in questa materia, saprà rifarsi presto.<br />

La trage<strong>di</strong>a d’amore<br />

Atto primo<br />

Passiamo intanto, ch’è già tar<strong>di</strong>, ad un rapi<strong>di</strong>ssimo esame della nuova partitura. Le prime battute<br />

dell’orchestra e l’orchestrina in casa Capuleti in festa, per le loro particolarità armonica e cromatica, ci<br />

immergono subito nell’atmosfera musicale propria <strong>di</strong> Zandonai. Egli possiede il segreto delle sicure e<br />

affascinanti ambientazioni, <strong>di</strong> cui in questa opera si trovano saggi ragguardevolissimi.<br />

Il gruppo e il vocio dei Capuleti da un lato, la canzone lubrica dei Montecchi dall’altra, il viavai delle<br />

maschere, l’episo<strong>di</strong>o della putta, gli alterchi, le provocazioni, le risataccie, la furiosa rissa, l’intervento <strong>di</strong><br />

Tebaldo e <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong>, i capi delle due fazioni, compongono un quadro vigoroso e formano lo sfondo storico<br />

della trage<strong>di</strong>a.<br />

Il lontano rullo dei tamburi e il passo cadenzato della scolta sbanda la folla irrequieta e ristabilisce il silenzio.<br />

Il ritmo grave e lento della scolta, il canto stentoreo e imperioso del ban<strong>di</strong>tore, <strong>di</strong>ffondono nella notte, per la<br />

originalità ed espressività dell’invenzione, un senso <strong>di</strong> paura e <strong>di</strong> mistero.<br />

Quando tutto tace, si leva dall’orchestra, come un susurro, un tema, il tema che accompagnerà sempre la<br />

persona <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> nelle vicende della sua passione mortale. Ecco un quadro soavissimo, armoniosissimo, <strong>di</strong><br />

autentica marca Zandonai. <strong>Giulietta</strong> appare sul balcone (ormai classico) e <strong>Romeo</strong> s’intravede nel buio della<br />

piazzetta. S’intreccia tra i due innamorati, protetti da un tenue chiarore lunare, un colloquio gentile, fresco,<br />

infantile. È il duetto, il vero e proprio duetto che bizzarre teorie <strong>di</strong> cervelli algebrici e <strong>di</strong> animi torpi<strong>di</strong><br />

vorrebbero escluso dal dramma musicale. Oh! perché? Quali leggi <strong>di</strong>vine impongono a questa<br />

convenzionalissima tra le convenzionali forme d’arte, qual è il melodramma, l’ostracismo del duetto? Diamogli<br />

pure una forma più aderente ai nostri gusti, che, <strong>di</strong>cono, si sono evoluti; spogliamolo della rettorica, che quando<br />

la facevano e la fanno i nostri gran<strong>di</strong> non è un <strong>di</strong>fetto ma un eccesso <strong>di</strong> sentimento, gonfio e pletorico;<br />

rivestiamolo <strong>di</strong> armonie squisite, leggiadre, analizziamolo e commentiamolo con brevi intellettualismi e<br />

invenzioni <strong>di</strong>verse, sviluppiamolo in onde strettissime e sottilissime <strong>di</strong> cromatismi (tutto ciò ha fatto Zandonai),<br />

ma conserviamolo in vita, Santi Numi, ché quando è sentito e si fa sentire rimane sempre uno dei più bei trovati<br />

dell’arte musicale.<br />

Questo duetto <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>, ravvolto in onda sonora soavissima, è una delle pagine più commosse<br />

sgorgate dal cuore <strong>di</strong> Zandonai. L’espressione melo<strong>di</strong>ca combacia con quella sentimentale e la segue in ogni più<br />

tenue voluta, passando attraverso ritmi coloriti, pensieri i più contrastanti. Un alito profumato <strong>di</strong> poesia, poesia<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/17


un po’ decadente se volete, investe e persone e cose; non sempre <strong>di</strong>scende nella sala, non sempre penetra<br />

l’anima collettiva, ma l’impressione, anche vaga, che se ne ricava, del lungo colloquio, alla prima au<strong>di</strong>zione, è<br />

<strong>di</strong> cosa schietta e vissuta.<br />

L’atto si chiude con una nuova pennellata poetica ed ambientale: un coretto <strong>di</strong> donne, a flutti, ed un<br />

arpeggiato delizioso <strong>di</strong> celeste.<br />

Atto secondo<br />

Dopo un lungo intervallo, nel quale le <strong>di</strong>scussioni più o meno vivaci, pro e contro, le sottigliezze critiche<br />

degli habitués hanno avuto agio <strong>di</strong> sfogarsi abbondantemente, il velario si alza sul giar<strong>di</strong>no e sul cortile dei<br />

Capuleti. Un altro quadro suggestivo <strong>di</strong> ambiente: è la primavera in fiore: <strong>di</strong> lontano giunge il suono flebile <strong>di</strong><br />

un organetto; uno sciame <strong>di</strong> fanciulle invita <strong>Giulietta</strong> a scendere giù, la circonda, le danza intorno per toglierla<br />

dalla triste malinconia. Si fa il gioco del Torchio (menzionato anche dal novelliere da Porto), che consiste nel<br />

trasmettersi una fiaccola a passo <strong>di</strong> danza, per il quale Zandonai ha inventato un <strong>di</strong>segno felicissimo che<br />

sottolinea e guida le piccole fughe giocose delle fanciulle. È un’altra gemma della partitura. Al termine del<br />

grazioso gioco prorompe nel cortile, preceduto dal suo tema incisivo e scrosciante come una scu<strong>di</strong>sciata,<br />

Tebaldo, il violento cugino <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>. Il suo parlare aspro ed alto, sempre sostenuto con insistenza esasperante<br />

ed efficace dal suo tema, delineano forte, senza contorsioni, la feroce figura.<br />

La scena tra <strong>Giulietta</strong> e Tebaldo è drammatica, è una scena importantissima ma non si ripercuote<br />

adeguatamente nell’animo degli spettatori. Più impressionante l’incontro <strong>di</strong> Tebaldo e <strong>Romeo</strong>, il loro <strong>di</strong>verbio<br />

rapido e serrato, l’uccisione <strong>di</strong> Tebaldo. Il duetto che precede rallenta un po’ le fila dell’azione, appare troppo<br />

lungo, per quanto in alcuni momenti si levi alla più poetica passionalità.<br />

Questo atto, che ci ha portati nel centro della trage<strong>di</strong>a, ha incontrato, come il primo, favore generale.<br />

Atto terzo<br />

Nella vicina Mantova, in un rustico piazzale, si muove una folla <strong>di</strong> gente. Un nuovo quadro d’ambiente<br />

superfluo ma breve (se si fosse cominciato dalla scena del Cantatore si sarebbe andati più dritto allo scopo),<br />

scena che comincia ad interessare nel momento in cui, lento e pensoso, sopra un commento orchestrale già noto,<br />

e che caratterizza la sua figura musicale, giunge <strong>Romeo</strong>. Il lamento del Cantatore che narra e piange la morte<br />

pietosa <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> Capuleto, brano ispiratissimo <strong>di</strong> imme<strong>di</strong>ata percezione, commuove irresistibilmente. Il grido<br />

terribile che scoppia dal cuore <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong>, i lampi che fendono il cielo, qualche brontolio <strong>di</strong> vento che annunzia<br />

la tempesta imminente, costituiscono un saggio non soltanto <strong>di</strong> magistero tecnico ma <strong>di</strong> genialità operistica<br />

veramente cospicua. <strong>Romeo</strong> non vuol credere e vuol risentire il lamento. Ripetizione non necessaria ma<br />

psicologicamente spiegabilissima: -Dunque è vero? <strong>Giulietta</strong> è morta? Alla tempesta del suo cuore fa eco la<br />

tempesta del cielo, all’urlo del temporale si unisce l’urlo del suo cuore, che è spasimo, tortura senza nome.<br />

L’imprecazione fatta <strong>di</strong> note che sono schianti esplode veemente e leva la voce più alta e più culminante del<br />

dramma.<br />

L’impetuoso intermezzo, sopra un ritmo persistente <strong>di</strong> cavalcata sotto l’infuriare dell’uragano, esalta,<br />

esaspera il dolore dell’amante in clamori inau<strong>di</strong>ti.<br />

Questa cavalcata, questa tempesta insieme, che vengono ad aggiungersi alle altre innumerevoli che registra e<br />

glorifica la letteratura musicale, producono un grande effetto ma peccano <strong>di</strong> prolissità e <strong>di</strong> frastuono eccessivo;<br />

il nome <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> che emerge dalla ridda degli elementi, intenzionalmente bello, non risulta anche per la<br />

troppa vicinanza del coro.<br />

Placata l’ira del cielo e sfinite le forse dell’uomo, ecco <strong>Romeo</strong> <strong>di</strong>nanzi al sepolcro. Egli parla a <strong>Giulietta</strong> le<br />

stesse dolci frasi del loro amore <strong>di</strong>vino: la invoca, la vuol richiamare in vita.<br />

Squarcio commovente ma non tale da conquistare l’anima collettiva. Neppure il ridestarsi della fanciulla, la<br />

tremenda rivelazione del fosco destino, il duetto, chiamiamolo così, della duplice morte, raggiungono le vie del<br />

cuore. Sarà la inverosimiglianza leggendaria del fatto, la imperfetta situazione scenica, la vecchia trovata del<br />

delirio, la mancanza <strong>di</strong> pathos nelle melo<strong>di</strong>e; certo è che questo epilogo, che dovrebbe strappare, per virtù<br />

poetiche e musicali, le lagrime dagli occhi lascia quasi in<strong>di</strong>fferente il pubblico. La cornice poetica fatta dal<br />

canto sereno e lieto dei frati, che vien troppo da vicino e turba, e dalla canzone del Bocoleto de rosa, non<br />

realizzano il sogno del musicista e del poeta.<br />

L’esecuzione e il successo<br />

In ogni modo, nonostante questa manchevolezza che, colpendo le ultime scene, influisce non poco, presso la<br />

massa s’intende, sul giu<strong>di</strong>zio dell’opera, siamo lieti <strong>di</strong> registrare nel complesso un bellissimo e schietto successo<br />

che ha degnamente coronato la nobile fatica del maestro Zandonai. Sempre avanti, sempre <strong>di</strong>ritto, sempre in<br />

alto: ecco ciò che sta scritto sulla ban<strong>di</strong>era artistica <strong>di</strong> Riccardo Zandonai, ed ecco ciò che ha voluto <strong>di</strong>re e<br />

significare l’applauso del foltissimo pubblico del Costanzi.<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/18


L’esecuzione dell’opera è risultata eccellente sotto tutti i riguar<strong>di</strong>. La preparazione orchestrale – ch’è stata<br />

non breve né facile –, quella dei protagonisti, irta <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> tessitura, quella corale e scenica, sotto la vigile,<br />

amorevole, acutissima cura dell’autore, ha pienamente corrisposto ed ha condotto innanzi al pubblico uno<br />

spettacolo <strong>di</strong> primissimo or<strong>di</strong>ne. Tale come si desiderava per un battesimo d’arte della importanza <strong>di</strong> quello<br />

attuale.<br />

I protagonisti, quelli stessi della Francesca e perciò adatti a comprendere e ad assimilare meglio <strong>di</strong> altri gli<br />

elementi particolari dell’arte <strong>di</strong> Zandonai, hanno superato, con fervore ed abbandono, ogni ostacolo. Gilda Dalla<br />

Rizza ha dato anima e moto alla fanciulla veronese <strong>di</strong> cui, per gentilezza <strong>di</strong> caso, ella è concitta<strong>di</strong>na.<br />

Nei vari duetti con <strong>Romeo</strong> ed in quello con Tebaldo ella ha ornata la sua voce <strong>di</strong> tutte le dolcezze, <strong>di</strong> tutte le<br />

passioni, <strong>di</strong> tutti i dolori, suscitando ammirazione e commozioni infinite.<br />

Il tenore Fleta, tempra ardente <strong>di</strong> interprete, cantante ricco <strong>di</strong> ogni risorsa, ha realmente vissuta la triste storia<br />

<strong>di</strong> <strong>Romeo</strong>. Soavissimo nei duetti con <strong>Giulietta</strong>, impetuoso nell’imprecazione alla tempesta, ha vinto, per virtù <strong>di</strong><br />

commozione, anche la imbarazzante situazione della... lunga morte. Violento, brutale, il baritono Maugeri, altro<br />

valente interprete a cui arride un grande avvenire, e provvisto <strong>di</strong> un’ugola resistente come occorre all’aspro<br />

Tebaldo.<br />

I personaggi secondari hanno lodevolmente concorso alla esatta riproduzione della trage<strong>di</strong>a. Primo va<br />

ricordato il tenore Nar<strong>di</strong>, che nella parte del Cantatore ha detto il lamento con espressione commossa e<br />

comunicativa: la chiarezza della sua <strong>di</strong>zione è <strong>di</strong> quelle che raramente posseggono i cantanti, anche <strong>di</strong> cartello.<br />

Bene la Porter e le altre donne, amiche <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>. Disinvolta nella sua scabrosa parte della donna nel primo<br />

atto, Lucia Torelli.<br />

Le masse dei Montecchi, Capuleti, maschere, hanno molto conferito allo sfondo storico e locale con i loro<br />

movimenti agili e armoniosi.<br />

Gli scenari e i costumi sono stati giu<strong>di</strong>cati chiassosi e <strong>di</strong> dubbio gusto.<br />

Riccardo Zandonai, ritto e saldo sulle gambe corte e tozze, ha <strong>di</strong>retto l’orchestra con quel vigore e con<br />

quell’entusiasmo che ha messo nel creare la sua musica. Alla fine del primo atto il pubblico imponentissimo gli<br />

ha <strong>di</strong>retta un’acclamazione formidabile; lo ha evocato alla ribalta con gli artisti e da solo innumerevoli volte.<br />

Non abbiamo contato il numero preciso, ma un numero <strong>di</strong> volte eccezionale, che segna ed assicura il successo <strong>di</strong><br />

un’opera. Ma fortuna e giustizia hanno voluto che anche il secondo atto seguisse le sorti liete del primo e<br />

l’intermezzo, sebbene lungo (per il cambiamento <strong>di</strong> scene), ha continuato a tener viva l’attenzione del pubblico,<br />

la quale s’è un po’ affievolita durante l’episo<strong>di</strong>o della morte. Si tratta <strong>di</strong> praticare qualche taglio e apportare<br />

qualche mo<strong>di</strong>ficazione, dopo <strong>di</strong> che <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> gireranno i teatri del mondo, a maggiore ed imperitura<br />

opera [!] del melodramma italiano.<br />

[...]<br />

190<br />

F[rancesco] P[aolo] Mulè, La prima della “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” <strong>di</strong> Riccardo Zandonai, “Il Mondo”, 16.2.1922 -<br />

p. 3, col. 1-2-3-4-5-6-7 (con una grande caricatura <strong>di</strong> Zandonai, le foto <strong>di</strong> G. Dalla Rizza, C. Maugeri e M. Fleta<br />

e tre foto <strong>di</strong> scena)<br />

Le impressioni della serata<br />

La sala<br />

La sala del teatro Costanzi gramita in ogni or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> posti <strong>di</strong> tutto il fiore della citta<strong>di</strong>nanza romana, la<br />

visibile speranza in tutti d’un trionfo completo dell’opera che per la prima volta affrontava il giu<strong>di</strong>zio del<br />

pubblico; i Sovrani rappresentati dai Principi Augusti: prova più manifesta Riccardo Zandonai non poteva<br />

aspettarsi dell’alta estimazione e della simpatia <strong>di</strong> cui è circondata la sua nobile figura <strong>di</strong> musicista.<br />

Al suo apparire in orchestra scoppia e si propaga rapido per la sala un vivo applauso <strong>di</strong> saluto e d’augurio e<br />

comincia, in un raccoglimento religioso degli spettatori, l’esecuzione della “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>”.<br />

Seguiamola, cercando <strong>di</strong> raccogliere fedelmente le impressioni del pubblico.<br />

Il primo atto<br />

L’opera non ha prelu<strong>di</strong>o; comincia bruscamente, con una forte e breve sonorità orchestrale. È in iscena<br />

Tebaldo, insonne accen<strong>di</strong>tor <strong>di</strong> zuffe fra i Capuleti e i Montecchi. Aspro il suo fraseggiare, aspra l’orchestra, ora<br />

grave ora tetra. Riccardo Zandonai tenta <strong>di</strong> dare fin dalle prime battute un carattere <strong>di</strong> violenza a questa che,<br />

come abbiamo accennato <strong>di</strong>cendo del libretto, è dal lato psicologico la figura più arbitraria della trage<strong>di</strong>a.<br />

È festa nella casa dei Capuleti, ma voci ed orchestra in nessun momento s’illuminano d’un lampo solo <strong>di</strong><br />

gioia. Armonie e impasti orchestrali sono come in preda a un triste presentimento. Nell’anima dello scrittore è<br />

ognor presente – e sarà così fino all’ultima scena dell’opera – la catastrofe pietosa. Neanco l’arrivo delle<br />

maschere riesce a mettere nel lugubre che impera una nota <strong>di</strong> schietta gaiezza. Ma si nota già una grande<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/19


scorrevolezza nel <strong>di</strong>scorso drammatico, che fluisce rapido, caldo e qua e là scultoreo: la mano del maestro s’è<br />

fatta più nervosa e più agile. Nella taverna si canta, e tosto appare il coloritore fresco e sapiente della<br />

“Conchita” e della “Francesca da Rimini”. In queste pennellate tendenti a ritrarre un ambiente e a comporre<br />

un’atmosfera, Riccardo Zandonai riesce sempre mirabilmente: sono frasi <strong>di</strong> schietto sapore popolare, piene <strong>di</strong><br />

vigore e <strong>di</strong> carattere. Seguono clamori vocali e strumentali: una zuffa fra gli uomini delle due parti, che presto<br />

però è sedata da <strong>Romeo</strong>, al quale l’autore ha dato un’anima musicale riboccante <strong>di</strong> malinconia e che acquista<br />

quasi forza <strong>di</strong> carattere allorché non si altera se non per accorarsi maggiormente alle frasi <strong>di</strong> collera e alle<br />

rampogne <strong>di</strong>leggiatrici <strong>di</strong> Tebaldo. Se il libretto fosse stato foggiato in guisa da apprestare costanti al musicista i<br />

segni <strong>di</strong>stintivi, logici, umani, ond’è impresso questo breve <strong>di</strong>alogo, Riccardo Zandonai, cui non fanno <strong>di</strong>fetto le<br />

virtù necessarie, avrebbe indubbiamente creato un bel dramma musicale <strong>di</strong> caratteri.<br />

Invano <strong>Romeo</strong>, con frasi musicali purissime, invoca ed implora pace; la sua umiltà e la sua dolcezza – che<br />

restan tali nel linguaggio canoro – non riescono a piegare il nemico, che urlando frasi d’o<strong>di</strong>o sta per riaccendere<br />

più atroce la zuffa, allorché tutti fuggono, ché si appresta la scolta. È questo uno degli episo<strong>di</strong> musicali più<br />

caratteristici dell’opera. Tristezza nella voce del ban<strong>di</strong>tore che invita gli uomini alle case e minaccia <strong>di</strong> morte i<br />

spargitori <strong>di</strong> sangue; presagi paurosi nelle corde, che gemono desolate. Né vale la squisita introduzione<br />

orchestrale al <strong>di</strong>alogo d’amore fra <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> ad attenuare questa impressione <strong>di</strong> sventura che avanza.<br />

Tanto l’introduzione orchestrale che l’inizio del <strong>di</strong>alogo hanno tono d’elegia. Ma con l’incanzare dei sentimenti<br />

il duetto, nelle voci e nell’orchestra, si vien colorando e accendendo, finché si entra nel sensuale. Né quello<br />

ingenuo ed oserei <strong>di</strong>re can<strong>di</strong>do dei <strong>di</strong>ciotto anni, ma in un sensuale raffinato, languido, quasi stanco. La<br />

giovinetta appena <strong>di</strong>sbocciata <strong>di</strong> Guglielmo Shakespeare se n’è bella e andata: questa qui è una [ ] poesia, tale la<br />

sua veste <strong>di</strong> suoni. Fatta quest’osservazione necessaria a <strong>di</strong>stinguere cosa da cosa e cioè questo libretto dalla<br />

miracolosa trage<strong>di</strong>a del Shakespeare, volentieri riconosceremo la virtù d’eloquenza e <strong>di</strong> suggestione delle<br />

espansioni amorose che lo Zandonai ha messo in bocca ai due amanti. Le frasi melo<strong>di</strong>che si atteggiano sempre<br />

elegantemente, né mancano <strong>di</strong> calore, ed ora son palpitanti <strong>di</strong> tenerezza, ora s’intorbidano <strong>di</strong> desiderio. Il<br />

tumulto delle due anime si propaga nell’orchestra e prorompe in onda <strong>di</strong> passione allorché <strong>Romeo</strong> sale anelante<br />

alla finestra, sparendo tra le braccia anelanti della donna amata. Le due voci <strong>di</strong>vampano in un ardente unisono,<br />

ed ecco nuove pennellate <strong>di</strong> colore: canti lontani e ancora <strong>di</strong> carattere popolare: il contrasto giova alla fine del<br />

<strong>di</strong>alogo e dell’atto, che è coronato da lunghe ovazioni.<br />

Il secondo atto<br />

Un rivolo melo<strong>di</strong>co <strong>di</strong> deliziosa eleganza che vien dalla scena, alcune sospirose frasi <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>, ed ecco,<br />

più triste che allegro, il gioco del torchio. Gioco, ma nessuna <strong>di</strong> quelle fanti giovani e leggiadre sa ridere.<br />

Sembra si muovano e cantino sotto il peso d’un incubo; l’orchestra s’incupisce anch’essa <strong>di</strong> ombre nere. Invano<br />

il ritmo, accentuandosi, spinge le giocatrici a scatti <strong>di</strong> gioia: Riccardo Zandonai vede, anche scrivendo queste<br />

pagine, <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> travolti dal fato nemico, e non è lieto né può dar letizia alle sue creature. Movenze <strong>di</strong><br />

gioco, ma contenuto musicale d’elegia. Nel cortile piomba Tebaldo: una furia. La sua natura violenta, in questa<br />

scena che nulla – è giusto notarlo – ha a che fare con la trage<strong>di</strong>a shakespeariana, qui traligna in villania tanto<br />

più repugnante quanto più arbitraria. Il musicista non poteva che dare rilievo alle frasi sconce e ingiustificate<br />

con le quali il ribaldo si accanisce contro <strong>Giulietta</strong> esterrefatta; ma più parole e musica s’inturgidano <strong>di</strong><br />

minacce, più il pubblico – nonostante le grida e le sonorità – si allontana spiritualmente da un episo<strong>di</strong>o dal quale<br />

non può essere preso, perché istintivamente avverte che quella roba lì è falsa tutta quanta, senza umanità e però<br />

senza vita. Un’altra zuffa, fuori. Tebaldo accorre, ed è fortuna, ché l’atmosfera musicale si rischiara <strong>di</strong> tocchi<br />

delicati annunzianti la presenza <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong>. Un altro breve <strong>di</strong>alogo fra i due amanti, che sbocca in una notevole<br />

espansione lirica <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>, ed ecco la belva ritorna e grida ancora ed insulta, col furore d’un forsennato, a<br />

<strong>Giulietta</strong>, a <strong>Romeo</strong>. È uno strepito <strong>di</strong> voci e <strong>di</strong> strumenti, finché <strong>Romeo</strong>, con un colpo bene assestato, si toglie <strong>di</strong><br />

tra i pie<strong>di</strong> l’idrofobo e lo toglie anche <strong>di</strong> tra i pie<strong>di</strong> del pubblico, che in quel vociare a freddo lo ha tollerato pel<br />

giusto rispetto che si deve a Riccardo Zandonai e pel miracolo – è proprio la parola – <strong>di</strong> colorazione,<br />

d’accentuazione, d’arte drammatica compiuto con la voce magnifica e col gesto irreprensibile del baritono<br />

Carmelo Maugeri, rivelatosi nel corso dell’attuale stagione uno dei più gagliar<strong>di</strong> interpreti della scena lirica.<br />

Ma Riccardo Zandonai è destro uomo <strong>di</strong> teatro e seppe riguadagnasi il pubblico. Ecco la scolta del primo<br />

atto, con lo stesso canto, con lo stesso comento <strong>di</strong> suoni, passare lontana. L’effetto è imme<strong>di</strong>ato e il contatto tra<br />

sala e palcoscenico tosto si ristabilisce. E più ancora, all’ad<strong>di</strong>o <strong>di</strong>sperato che si scambiano i due amanti.<br />

Il terzo atto<br />

Si apre con un simpatico coro <strong>di</strong> folla, e siamo alla scena che vorrei quasi <strong>di</strong>re più musicale dell’opera. Non<br />

importa se essa sia affidata a un cantatore popolare che, col carattere della sua melo<strong>di</strong>a nata dall’intimo, fa<br />

contrasto con tanta parte dell’opera, dove spesso una ricerca troppo "voluta" <strong>di</strong> eleganze esteriori intiepi<strong>di</strong>sce o<br />

spegne affatto l’estro animatore. L’ottava onde il librettista fa annunziare dal cantatore la morte <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> è<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/20


fresca e bella e Riccardo Zandonai l’ha vestita d’una melo<strong>di</strong>a che dà una profonda commozione. È un canto<br />

sgorgato vivo dall’anima e materiato <strong>di</strong> lacrime. Qui c’è, sia pure riflessa, la trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>.<br />

Lo schianto <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong> al tremendo annuncio è meno efficace, perché freddamente letterario. La furia degli<br />

elementi si sovrappone senza aumentare l’intensità al dolore del giovane.<br />

Una pagina <strong>di</strong> molto effetto è la cavalcata <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong> verso Verona. Il ritmo balzante, concitato, affannoso, la<br />

<strong>di</strong>sperazione degli ottoni, il fremito angoscioso <strong>di</strong> tutta l’orchestra, le voci agghiaccianti che si confondono coi<br />

suoni fanno <strong>di</strong> questa pagina una della più caratteristiche intuizioni dello Zandonai. Il pubblico ne è preso, ma la<br />

sua commozione si attenua nel secondo quadro dell’atto, che pure si ingemma <strong>di</strong> frasi melo<strong>di</strong>che che sono<br />

certamente fra le più squisite dell’opera. <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> parlano in verità troppo, non solo, ma la costruzione<br />

<strong>di</strong> tutto il “finale” con quei “voluti”, ingombranti ed eterni contrasti, è oltre ogni credere artificiosa. Siamo, con<br />

una forma poetica decorosa, ai libretti dei nostri bisavoli. Ma il pubblico, vinto dal buono che trova nella lunga<br />

fatica del maestro, corona <strong>di</strong> lunghi applausi la fine dell’opera, che guadagna felicemente la riva.<br />

Sul valore estetico dell’opera<br />

Ed ora qualche nota critica o –più esattamente – qualche impressione sull’opera, ché ad una valutazione<br />

definitiva <strong>di</strong> essa sarebbe necessario un più pacato esame.<br />

Riccardo Zandonai ci si ripresenta quale già lo conosciamo, resta cioè nell’orbita d’intenzioni e <strong>di</strong> attuazioni<br />

nella quale da anni si è posto. Da Riccardo Wagner altro non ha appreso e non ha voluto apprendere se non<br />

l’intenzione d’un recitativo sempre aderente al libretto e, con alquante limitazioni, il valore drammatico<br />

dell’orchestra: cose, l’una e l’altra, che già troviamo, con semplicità e chiarezza italica, nelle maggiori scene<br />

dell’“Otello” e in tutto quanto, quasi, il “Falstaff”. Dall’“Otello” e dal “Falstaff” anzi, più ancora che<br />

<strong>di</strong>rettamente da Wagner, son venuti a Riccardo Zandonai l’insegnamento non solo, ma il modello. E se l’illustre<br />

musicista così sente, se questa è l’espressione più imme<strong>di</strong>ata e idonea del suo particolare mondo fantastico, la<br />

fedeltà devota che egli <strong>di</strong>mostra alle due ultime opere <strong>di</strong> Giuseppe Ver<strong>di</strong> gli fa sicuramente onore. Ma c’è <strong>di</strong><br />

più: chiaro è apparso iersera che il Zandonai della “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” risale in certi episo<strong>di</strong> più lontano nella<br />

produzione <strong>di</strong> Ver<strong>di</strong>: fino alla ricostruzione <strong>di</strong> certe forme che il maestro immortale attuò nel giro <strong>di</strong> tempo in<br />

cui gli uscivan <strong>di</strong> mano opere sullo stampo de “La forza del destino” e che poi abbandonò a poco a poco per<br />

non tornarvi mai più. La morte <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong> e <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> non soltanto s’infiora <strong>di</strong> qualche vena melo<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> pretto<br />

e squisito carattere ver<strong>di</strong>ano: -Salir con teco a Dio...- ma nel suo taglio e nello svolgimento s’illumina della<br />

stessa vita scenica che il Ver<strong>di</strong> pre<strong>di</strong>lesse nel tempo appunto che ho ricordato. Bene o male? Non giu<strong>di</strong>co,<br />

osservo un fatto; né sarò io a muover censura a Riccardo Zandonai per questo suo amore a una geniale<br />

tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> casa nostra. Non debbo però tacere che il Zandonai, nella scena della morte <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong> e <strong>Giulietta</strong>,<br />

ha forse ecceduto in effetti <strong>di</strong> contrasto più forse che allo stesso Ver<strong>di</strong> non sia capitato. Troppi canti dalla via e<br />

dalla chiesa – quand’anco possano riuscir gra<strong>di</strong>ti al grosso del pubblico – <strong>di</strong>straggono l’ispirazione dello<br />

scrittore e l’interesse degli spettatori dallo strazio delle due creature morenti. Il dramma, che in un simile<br />

momento dovrebbe sgorgare dalla più profonda intimità dell’essere, si fa meccanico ed esteriore. Colpa in gran<br />

parte del libretto, che così è concepito. Or io <strong>di</strong>co: se questo Riccardo Zandonai, che è anche dotato d’una salda<br />

coscienza estetica, vuol fare; se questa è la via che egli si è prefisso <strong>di</strong> percorrere, abbia maggior coraggio e<br />

ricorra magari – perché no? – alla melo<strong>di</strong>a chiusa. A questo patto, del resto, i nostri sommi dell’ottocento –<br />

Bellini, Rossini, Donizetti, Ver<strong>di</strong> – trionfavano degli artifizi delle loro costruzioni melodrammatiche.<br />

Astraevano spesso dal libretto, ma volavano, cantando, e il pubblico rapito, estasiato, <strong>di</strong>etro a quei voli canori.<br />

Chi, pure prendendo da loro quel tanto che possa servirgli a raffinare il proprio strumento d’espressione<br />

armonica e strumentale, non sente – come Riccardo Zandonai – il dramma alla maniera <strong>di</strong> Wagner, dello<br />

Strauss, del Debussy, né ha temperamento e voglia da cimentarsi con una forma <strong>di</strong> dramma – sia erronea o<br />

giusta – personalissima come, fra i nostri, Ildebrando Pizzetti, può ben <strong>di</strong>re: “voglio far questo”; lo può, ma<br />

purché affronti tutte le conseguenze del suo atto <strong>di</strong> volontà e <strong>di</strong> fede.<br />

Nella “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” è invece non so che vacillamento, non so che perplessità, che fa ondeggiare lo<br />

scrittore fra due tendenze che – pure essendosi verificate nello stesso musicista, il Ver<strong>di</strong> – sono fra loro quasi<br />

antitetiche: “La forza del destino”, l’“Otello” e il “Falstaff” recano, sì, il segno indelebile dello stesso creatore,<br />

ma la prima opera, in quanto organismo drammatico, fu dalle altre due definitivamente oltrepassata. Di contro<br />

all’ultimo quadro della “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” sta il primo atto – <strong>di</strong> getto, organico, equilibrato, scorrevolissimo –<br />

nel quale lo scrittore non risale così lontano a interrogare la produzione del Ver<strong>di</strong> e getta con mano franca le<br />

basi psicologiche ed estetiche del dramma. Siamo – fin dove glielo ha consentito il libretto – ai criterii<br />

informatori della “Conchita” e, più ancora, della “Francesca da Rimini”, per la quale, modelli sensibili ma<br />

guardati con mirabile in<strong>di</strong>pendenza <strong>di</strong> fantasia, Riccardo Zandonai ebbe l’“Otello” e il “Falstaff”: armonie e<br />

tavolozza orchestrale quali abbiamo già accennato, e <strong>di</strong>scorsi melo<strong>di</strong>ci rampollanti imme<strong>di</strong>ati dal tessuto<br />

mutevole dei sentimenti e delle situazioni: <strong>di</strong>scorsi dalle articolazioni varie, in perenne <strong>di</strong>venire, e rotti sempre,<br />

e sempre mobili d’inflessioni e d’accenti, come vuole, se non proprio il dramma, il succedersi del verso con le<br />

sue immagini, e talvolta della stessa parola, che in verità dovrebbe sempre essere assorbita dal sentimento che la<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/21


produce. Rare – qui come già nella “Conchita” e nella “Francesca da Rimini” – le ampie effusioni liriche,<br />

contro le quali – affrontiamo pure l’argomento – troppo e con troppo <strong>di</strong>stratta <strong>di</strong>sinvoltura da esteti monchi o da<br />

sterili musicisti s’è detto e bestemmiato; e però rari i momenti nei quali i <strong>di</strong>scorsi melo<strong>di</strong>ci si snodano e<br />

fluiscono – la <strong>di</strong>stinzione è del Pizzetti – in onde libere e beate <strong>di</strong> canto, allorché, nel travaglio della creazione,<br />

tutte le facoltà intellettive sembra tacciano e si annullino nell’istinto che, <strong>di</strong>vinamente inconsapevole, riassume<br />

in una strofe lirica intensa, luminosa ed alata il mistero lieto o triste d’un’anima, il roseo o il pauroso d’una<br />

vicenda drammatica. Perché – si ba<strong>di</strong> – è un abisso incolmabile tra questi irresistibili colpi <strong>di</strong> sole e le attillate,<br />

incipriate, <strong>di</strong>noccolate romanzette poste lì, tra l’una e l’altra pigrizia, tra l’uno e l’altro torpore <strong>di</strong> recitativi<br />

incolori, a vellicare la facile epidermide delle folle opache.<br />

Sta in due, insomma: o Riccardo Zandonai concepisce il dramma musicale come nella “Francesca da<br />

Rimini” e nel primo atto della “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” e adotti pure il suo fraseggiare drammatico e i suoi consueti<br />

<strong>di</strong>scorsi melo<strong>di</strong>ci, essendo essi bastevoli a un’efficace trasfigurazione sonora del dramma; o vuole con la<br />

gagliarda freschezza della sua fantasia rianimare schemi ormai logori del vecchio melodramma, come<br />

nell’ultimo quadro della “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>”, e allora, audacia: sgombri la sua mente d’ogni preconcetto e si<br />

abbandoni totalmente al canto, anche – lo ripeto – nella forma, da cui sembra rifugga, della strofe chiusa, non<br />

bastando il suo consueto eloquio musicale a nascondere il falso dell’artifizio scenico. Un <strong>di</strong>lemma – per<br />

intenderci – che si può soltanto porre a un musicista vero e nel cui ingegno si abbia fede assoluta, come quella<br />

che io non da oggi ho nell’ingegno <strong>di</strong> Riccardo Zandonai.<br />

L’esecuzione e il successo<br />

L’esecuzione dell’opera, perfetta. L’orchestra, <strong>di</strong>retta dallo stesso autore, rese con nitida evidenza fin le<br />

minime sfumature dello strumentale. Gilda Dalla Rizza è una <strong>Giulietta</strong> <strong>di</strong> fascino irresistibile. Voce, arte <strong>di</strong><br />

canto, vibrazione drammatica, tutto contribuisce a fare <strong>di</strong> lei una protagonista ideale dell’opera.<br />

Le è degno compagno il tenore Michele Fleta: bella voce, figura prestante, passione: un <strong>Romeo</strong> magnifico.<br />

E magnifico anch’egli il baritono Carmelo Maugeri, al quale ho accennato dove parlo del secondo atto<br />

dell’opera. Questo cantante dai mezzi poderosi e intelligentissimo è un vero signore della scena.<br />

Ottimo il Nar<strong>di</strong>, che modulò con profondo sentimento la bella ottava del terzo atto.<br />

Bene anche la Porter e la Torelli.<br />

Intonatissimi, come sempre, i cori educati da un artista <strong>di</strong> tutto valore, il maestro Consoli.<br />

Una parola d’alto encomio merita il comm. Carlo Clausetti, rappresentante della Casa Ricor<strong>di</strong>, che lungo le<br />

prove faticose pro<strong>di</strong>gò le sue cure sapienti perché i quadri scenici riuscissero impeccabilmente armoniosi. E tali<br />

riuscirono.<br />

L’opera ebbe il più lieto successo, consacrato da una ventina <strong>di</strong> chiamate agli interpreti e all’autore, che<br />

volle accanto a sé, a con<strong>di</strong>videre gli applausi, il poeta Rossato.<br />

[...]<br />

191<br />

FALBO, <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> <strong>di</strong> Zandonai, “L’Epoca”, 16.2.1922 - p. 3, col. 1-2-3 (con piccole foto <strong>di</strong> Zandonai,<br />

Maugeri, Dalla Rizza, Fleta)<br />

La nuova opera <strong>di</strong> Riccardo Zandonai era attesa con le migliori speranze.<br />

Chi ha dato al teatro lirico italiano la “Francesca da Rimini” che segna una data ben lieta nella storia della<br />

nostra produzione melodrammatica, che rappresenta l’affermazione vittoriosa <strong>di</strong> un talento musicale che ha<br />

trovato la sua via, che ha saputo fondere armoniosamente i <strong>di</strong>ritti della tra<strong>di</strong>zione e quelli dell’evoluzione, i<br />

<strong>di</strong>ritti della parola e quelli della musica, che ci ha dati una forma <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso melo<strong>di</strong>co pieno <strong>di</strong> musicali malìe e<br />

<strong>di</strong> drammatica efficacia meritava la più che benevola attesa <strong>di</strong> cui la nuova opera ha beneficiato largamente<br />

iersera.<br />

Ancora un passo avanti, pensavamo, un po’ più <strong>di</strong> fantasia creatrice e un po’ più <strong>di</strong> calore nel <strong>di</strong>scorso<br />

musicale e noi potremo salutare in Riccardo Zandonai l’erede delle migliori virtù dei nostri maggiori<br />

melodrammisti, il più geniale campione della giovane scuola italiana che ha brancolato per molti anni e che<br />

continua a brancolare fra le più tortuose vie, povera <strong>di</strong> idee, povera <strong>di</strong> ar<strong>di</strong>menti e povera <strong>di</strong> fortuna.<br />

Avevamo letto con piacere alcune confessioni del Maestro su l’opera nuova. “Questa mia ultima partita, egli<br />

aveva detto a un collega intervistatore (105) , è semplice, spontanea, rapida, come semplice, spontaneo e rapido [è]<br />

l’amore <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>. Niente acrobatismi strumentali, come ne ho fatto per lo passato e come ne han<br />

fatto e fanno tutti i giovani musicisti italiani timorosi <strong>di</strong> apparire ignoranti. La dottrina armonica e strumentale<br />

della quale ci siamo impossessati, siccome era nostro dovere per non <strong>di</strong>minuire al confronto degli stranieri, ci<br />

era necessaria come il pane, anche a costo <strong>di</strong> soffocare un po’ della nostra natìa ispirazione e <strong>di</strong> essere tacciati <strong>di</strong><br />

esotismo e <strong>di</strong> servilismo. Ma, ora che tutti i ferri del mestiere sono nelle nostre mani, occorre servirsene per un<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/22


unico grande scopo, per un unico luminoso miraggio: quello <strong>di</strong> ricercare noi stessi, esprimere noi stessi,<br />

rievocare la nostra arte gloriosa, esaltare la nostra musica immortale, cantare con la nostra ugola privilegiata,<br />

gridare con nostro cuore pulsante e generoso.<br />

“Il carattere della mia opera, se io non erro, è predominantemente vocale nel senso che l’eloquio dei<br />

personaggi e specie dei due infelicissimi amanti si sviluppa in un’onda melo<strong>di</strong>ca chiarissima e <strong>di</strong> facile<br />

percezione e, m’auguro, <strong>di</strong> facile comunicativa. Io non sono stato premuto o afflitto da alcuna preoccupazione<br />

<strong>di</strong> scienza o <strong>di</strong> sistemi, mi sono abbandonato totalmente, ciecamente al mio animo, mi sono immedesimato nella<br />

sublime passione dei giovanetti veronesi sino a gioire, a soffrire... e starei per <strong>di</strong>re, a morire con essi. Ho cercato<br />

<strong>di</strong> penetrare la natura del soggetto essenzialmente lirico, ingenuo, puro, che non ammette complicazioni<br />

intellettuali od esibizionismi tecnici, ho creato intorno ai leggendari amanti un’atmosfera appropriata, assai<br />

<strong>di</strong>versa dall’ambiente e dal colore locale e storico della “Francesca”, <strong>di</strong> cui l’amore sensuale torbido, fatale,<br />

contorto m’induceva alla ricerca psicologica paziente e minuziosa.<br />

“In una parola, quel processo interiore <strong>di</strong> semplificazione a cui tendo, e credo <strong>di</strong>mostrato chiaramente nella<br />

successione delle mie opere, coincide e meglio si adatta e più saldamente si afferma nella “<strong>Giulietta</strong>”.<br />

Riccardo Zandonai non poteva farci promesse più liete: niente acrobatismi musicali, ma esaltazione della<br />

nostra musica immortale, “ma gridare col nostro cuore pulsante e generoso”.<br />

Ciò che tutti desideriamo, ciò che tutti pre<strong>di</strong>chiamo da anni.<br />

Ma dal <strong>di</strong>re al fare...<br />

Riccardo Zandonai ha compreso ciò che l’opera <strong>di</strong> teatro – che si <strong>di</strong>rige alle gran<strong>di</strong> masse – deve essere; ha<br />

compreso come tutte le risorse della strumentazione non bastino a dar vita a un melodramma in cui si canti poco<br />

o si canti male, cioè senza riuscire a interessare, a esaltare, a commuovere gli ascoltatori. E ha scelto un<br />

soggetto eminentemente lirico e romantico, la leggenda dei due giovinetti veronesi innamorati, che sulla scena<br />

lirica non ha avuto troppa fortuna, poi che i musicisti i quali si sono provati a cantare il purissimo e fatale amore<br />

nulla o troppo poco hanno aggiunto, con la loro arte, all’alto lirismo della poetica e dolente istoria.<br />

Riccardo Zandonai, forte <strong>di</strong> tanti insuccessi o dei me<strong>di</strong>ocri successi <strong>di</strong> quanti all’amor casto e folle <strong>di</strong><br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> si erano rivolti, ha voluto ritentare la prova: la classica, mirabile istoria ben meritava una più<br />

moderna, una più viva, una più toccante interpretazione musicale. E ha messo da parte i fioretti del perfetto<br />

musicista, dell’esperto sinfonista, e si è abbandonato – come egli <strong>di</strong>ce – al suo animo per scrivere<br />

semplicemente, sinceramente, davvero amorosamente ciò che il cuore dettava.<br />

Ma non era l’ora della più felice ispirazione; e il Maestro, pur essendosi riavvicinato alla tra<strong>di</strong>zione, pur<br />

avendo lasciato per via molte delle frangie inutili <strong>di</strong> cui si era servito “ad abundantiam” in precedenti partiture,<br />

non è riuscito a realizzare le ottime intenzioni con le quali si era accinto alla nuova fatica.<br />

Il sinfonismo questa volta non sovrasta e non guasta; l’orchestra crea con efficacia e sobrietà l’atmosfera<br />

musicale entro la quale si muoveranno – e canteranno – <strong>Giulietta</strong>, <strong>Romeo</strong>, Tibaldo, i Capuleti e i Montecchi. E<br />

le voci imperano, e il canto melo<strong>di</strong>oso è in onore; il <strong>di</strong>scorso musicale è enunciato sempre o quasi con una<br />

conoscenza mirabile delle luci e delle ombre; l’onda corale ci avvolge e tenta <strong>di</strong> penetrare nei nostri cuori. Ma<br />

non riesce a commuoverci.<br />

Evidentemente l’invenzione melo<strong>di</strong>ca scarseggia e la melo<strong>di</strong>a che ascoltiamo non si eleva e non ha forza <strong>di</strong><br />

seduzione, <strong>di</strong> penetrazione, <strong>di</strong> esaltazione. Qua e là, nel duetto del bacio al primo atto, nel tentativo <strong>di</strong> seduzione<br />

<strong>di</strong> Tebaldo al secondo, nella prima parte del pianto <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong> al terzo, l’autore par che trovi la via del cuore. E<br />

in noi si acuisce l’attenzione e il desiderio <strong>di</strong> un po’ <strong>di</strong> emozione schietta e travolgente. Ma si tratta <strong>di</strong> spazi<br />

fugaci, ché subito dopo il <strong>di</strong>scorso melo<strong>di</strong>co ri<strong>di</strong>venta arido e incolore, prolisso e vano.<br />

Il nostro interesse si mantiene desto, invece, nei quadretti <strong>di</strong> ambiente – Riccardo Zandonai è un coloritore <strong>di</strong><br />

rare virtù – e là dove l’orchestra <strong>di</strong>scorre e commenta per proprio conto. Le prime scene dell’opera, che<br />

vogliono "ambientarci" nella Verona trecentesca <strong>di</strong>visa tra Capuleti e Montecchi, hanno tocchi magistrali <strong>di</strong><br />

illustrazione musicale. Il giuoco del torchio al secondo atto è un grazioso intermezzo, degno delle pagine più<br />

gentili della “Francesca”. L’arietta del “cantatore” al terzo atto, che ricorda un po’ il lamento dell’innocente <strong>di</strong><br />

“Boris”, è un piccolo gioiello.<br />

Si può anche avvertire che la parte del “cugino” geloso, del fiero Tibaldo è tratteggiata con bella vigorìa, che<br />

fa pensare all’“Otello” ver<strong>di</strong>ano. Né si può negare che l’intermezzo sinfonico della “cavalcata” <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong>, che<br />

<strong>di</strong>vide i due quadri del terzo atto, sia una robusta pagina musicale, solidamente piantata e abilmente svolta:<br />

interessante anche se un po’ prolissa e un po’ enfatica, ricca più <strong>di</strong> rumori – notte <strong>di</strong> tempesta – che <strong>di</strong> dolore,<br />

vigilia <strong>di</strong> morte.<br />

Troviamo, insomma, nella nuova opera molte delle virtù che assicurano ammirazione e rispetto a un<br />

musicista. Pochi scrittori d’Italia posseggono come lo Zandonai il magistero <strong>di</strong> una strumentazione raffinata;<br />

pochi come lui sanno colorire musicalmente un ambiente, sanno dar vita a un quadretto <strong>di</strong> genere, sanno<br />

sfruttare col massimo ren<strong>di</strong>mento la ricca famiglia dei vecchi e nuovi strumenti.<br />

Ma da Zandonai attendevamo questa volta, all’infuori e al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> ogni preziosità stilistica e decorativa, il<br />

canto dell’infinito amore – dell’amor puro, cieco, travolgente – e il canto dell’infinito dolore – che accomuna<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/23


nella morte gli eroi della leggenda trecentesca. E questo canto abbiamo atteso invano, nel primo, nel secondo,<br />

nel terzo atto.<br />

Ché anzi l’interesse è andato decrescendo. Il primo atto che ha un finale scenicamente, pittoricamente<br />

felicissimo – e v’è tuttavia chi non risparmia critiche al librettista per <strong>di</strong>scolpare il compositore: eterna e crudel<br />

sorte dei poeti <strong>di</strong> melodrammi poco fortunati – si era chiuso con applausi cal<strong>di</strong>, sinceri, bene auguranti. Nel<br />

primo duetto d’amore è qualche spunto grazioso, che si sperde ahimè nel seguito del lungo declamato melo<strong>di</strong>co<br />

al quale non dà vigorìa emotiva l’eccessiva enfasi orchestrale e vocale. Anzi!<br />

Il Maestro deve avere ricordato, scrivendo il duetto del bacio al chiaro <strong>di</strong> luna – lei sul balcone tra i fiori, lui<br />

su la via pronto a raggiungerla –, la poetica scena del “Pelléas e Melisanda”: duetto susurrato a fior <strong>di</strong> labbra.<br />

Non volevamo dal Maestro italiano dell’impressionismo debussiano. Ma non ha pensato egli che il misterioso e<br />

pericoloso colloquio d’amore notturno fra <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>, all’angolo <strong>di</strong> una pubblica via, doveva essere<br />

tradotto più e meglio <strong>di</strong> quello tra Pelléas e Melisanda in un sottile susurrìo <strong>di</strong> dolci frasi, anzi che in un canto<br />

spiegato, a gran voce, che è la negazione <strong>di</strong> ogni verosimile precauzione d’innamorati sorvegliatissimi e<br />

insi<strong>di</strong>ati da ogni parte?<br />

Il melodramma è finzione scenica sempre lontana dalla realtà?<br />

E pure tutti i musicisti <strong>di</strong> oggi non tendono che a un fine: avvicinare, fondere più che sia possibile Arte e<br />

Vita, ridurre al minimo necessario l’imperio dell’irrealismo. Il quale in “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” prende il<br />

sopravvento precisamente nell’ultima scena – la morte che rivive, che ricanta, che rimuore –: scena che rompe<br />

la malìa <strong>di</strong> ogni schietta commozione se il musicista non sa dotarla <strong>di</strong> quel “fascino irresistibile”, <strong>di</strong> quel<br />

“pathos” musicale che ogni irrealtà ed ogni eccentricità <strong>di</strong> cattivo gusto può fare obliare. Questa potenza<br />

emotiva manca al duetto dei morenti, prolisso e scialbo, e la tela cade lasciando nel nostro animo un’amarezza<br />

profonda e sincera, poiché profondo e sincero era in noi l’augurio del più lieto, del più grande successo.<br />

***<br />

L’opera, allestita con eccezionale <strong>di</strong>ligenza – delle belle scene, <strong>di</strong>segnate dallo Stroppa, è piaciuta<br />

specialmente la terza – ha avuto un’ottima esecuzione.<br />

Riccardo Zandonai, seguendo l’esempio del suo illustre maestro Pietro Mascagni, ama <strong>di</strong>rigere le sue opere.<br />

E se appariva incerto ai primi passi, ora è <strong>di</strong>venuto un concertatore e <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> rara valentìa. Già nella<br />

“Francesca” avevamo notato i suoi progressi.<br />

Della partitura <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> egli ha messo in rilievo con sottile cura fatta <strong>di</strong> grande amore e <strong>di</strong><br />

squisita sensibilità ogni più delicato particolare. E se un appunto gli si può muovere è questo, che spesso il<br />

musicista anzi il sinfonista ha preso la mano al <strong>di</strong>rettore, il quale nulla ha fatto per attenuare i pieni orchestrali<br />

che nella loro magniloquenza esuberante hanno imposto agli artisti del palcoscenico sforzi eccessivi e talvolta<br />

inutili.<br />

Naturalmente, là ove l’orchestra è padrona del campo, come nell’intermezzo della cavalcata, Riccardo<br />

Zandonai ottiene più brillanti effetti dalle cento voci mirabilmente fuse e intente ad esprimere l’intimo affanno e<br />

la fretta angosciosa del cavaliere galoppante verso la morta in cerca <strong>di</strong> morte.<br />

Gilda Dalla Rizza si è pro<strong>di</strong>gata nei canti d’amore e <strong>di</strong> dolore, mettendo a servigio dell’autore la sua bella<br />

intelligenza, la sua voce calda e suadente, la sua raffinata sensibilità artistica.<br />

Poche cantatrici hanno la efficacia del suo giuoco scenico, che le permette <strong>di</strong> ravvivare deliziosamente la<br />

gustosa scena del giuoco del torchio e <strong>di</strong> prestare subito dopo alle scene tragiche seguenti un’espressione così<br />

viva e impressionante d’intima sofferenza, un canto così ricco <strong>di</strong> umano accoramento.<br />

Magnifica voce quella del tenore Fleta, che abbiamo conosciuto quasi debuttante e che ci appare dopo pochi<br />

anni artista <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> risorse, fra i migliori che conti oggi la scena lirica. La sua voce calda ha spesso dato alle<br />

note la passionalità dolorosa che non avevano. Nel duetto finale del primo atto, in quello più dolce del secondo<br />

atto velato <strong>di</strong> tristezza e nell’ultima scena egli ha raggiunto ogni possibile effetto emotivo e ha meritato, con<br />

Gilda Dalla Rizza, applausi calorosissimi.<br />

Il baritono Maugeri ha modellato un po’ troppo la sua interpretazione su quella, che gli ha fatto onore, dello<br />

sciancato Gianciotto. La voce è possente e sarà artista <strong>di</strong> prim’or<strong>di</strong>ne quando avrà raffinata la sua educazione<br />

musicale e scenica.<br />

Ha avuto la sua parte <strong>di</strong> applausi nel duetto del second’atto.<br />

Delizioso come sempre il Nar<strong>di</strong>, che ha cantato assai bene l’arietta del terzo atto e ce ne ha dato il “bis” per<br />

desiderio <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong>, interprete questa volta del desiderio del pubblico. Meritano una parola <strong>di</strong> lode le altre parti<br />

secondarie, tutte bene a posto: la Porter, la Torelli e le altre “amiche” <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>. Ottimi i cori.<br />

Per la cronaca: sei chiamate dopo il primo atto, altrettante dopo il secondo, quattro dopo il terzo. Con il<br />

maestro e con gli interpreti è stato evocato al proscenio anche il librettista Rossato.<br />

[...]<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/24<br />

192


Edoardo Pompei, “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” del maestro Riccardo Zandonai, “Il Paese”, 16.2.1922 - p. 3, col. 1-2-3-<br />

4-5 (con un grande ritratto a matita <strong>di</strong> Zandonai, una foto <strong>di</strong> scena [Atto II/La scena della fiaccola nel pozzo] e<br />

un bozzetto [Atto III/Verona: scena seconda])<br />

Il libretto <strong>di</strong> Arturo Rossato ha taglio antico negli atti, nella successione delle scene, nella <strong>di</strong>sposizione dei<br />

cori, nel valore delle persone sceniche. Antico e forse antiquato con le osterie, le risse, le canzoni a ballo, i<br />

duetti, le voci lontane, tutti gli accorgimenti scenici e le scaltrezze che un librettista del buon tempo sapeva<br />

<strong>di</strong>sporre nei vari piani per offrire al maestro compositore inspirazione e materia da musica, e allora musica<br />

significava melo<strong>di</strong>a.<br />

Nella trage<strong>di</strong>a in tre atti del Rossato vi sono tre osterie, due nell’atto primo ed una nel terzo; poiché nel<br />

secondo atto si vede un cortile del palazzo dei Capuleti in Verona e in quel cortile non c’era modo <strong>di</strong> collocare<br />

un’altra osteria... C’è invece una canzone a ballo con l’annuncio del ritorno delle ron<strong>di</strong>ni come nella “Francesca<br />

da Rimini”. E reminiscenze della “Francesca” si scorgono qua e là, specialmente nel fraseggiare e in certi<br />

movimenti <strong>di</strong> scena che richiamano le colorazioni d’ambiente care a Gabriele D’Annunzio.<br />

Ma mentre nella “Francesca” la parola ha sapore <strong>di</strong> favella trecentesca e gli sfon<strong>di</strong> hanno colore e <strong>di</strong>segno<br />

giottesco e le persone carattere netto, qui l’arcaismo della parola è superficiale, inutile, privo <strong>di</strong> ogni sincerità:<br />

sono mo<strong>di</strong> voluti per ricordare al lettore e all’ascoltatore che l’azione si svolge in un qualche anno della fine del<br />

mille e trecento <strong>di</strong> Nostro Signore, nella nobile città <strong>di</strong> Verona.<br />

E invece si dovrebbe svolgere in ogni tempo e in ogni luogo, a Verona come a Rimini, come a Ferrara, in<br />

terra d’Italia, nei paesi d’Europa, nelle città d’Oriente o d’oltre mare, dovunque un cuore umano palpiti d’amore<br />

nella <strong>di</strong>vina giovinezza degli spiriti e dei sensi. Che importano le osterie e le torri veronesi, che importano le<br />

case munite <strong>di</strong> bertesche e <strong>di</strong> serragli <strong>di</strong> Rimini malatestiana, o il castello ferrarese adorno <strong>di</strong> freschi e <strong>di</strong> arazzi,<br />

gloria degli Estensi, se sola, se eterna la giovinezza canta su due bocche innamorate, e solo il bacio è la muta<br />

parola che suscita l’infinita melo<strong>di</strong>a che supera gli anni, vince i secoli, trionfa nel tempo con la poesia e la<br />

musica.<br />

Un verso <strong>di</strong> Dante, una melo<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Vincenzo Bellini, un prelu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Giuseppe Ver<strong>di</strong> e tutti i cuori tremano<br />

come alla rivelazione <strong>di</strong> un pro<strong>di</strong>gio nuovo ed antico, e alle pupille brilla l’azzurro del firmamento, appariscono<br />

verzieri fioriti, e una primavera meravigliosa rinnova le anime. Amore intona il verso, amore esprime la musica<br />

e i cuori tornano giovani e per un istante che è miracolo dell’arte evocatrice il tempo è dominato, il passato<br />

<strong>di</strong>viene presente, i venti anni sono evocati nell’incantesimo.<br />

Più che in Francesca e Paolo, più che in Ugo e Parisina, in <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> trionfa l’amore che è<br />

giovinezza eterna. Non i terribili morti <strong>di</strong> Dante che tinsero il mondo <strong>di</strong> sanguigno e che squassa la bufera<br />

infernale che mai non resta, non l’incesto degli Estensi che par rinnovi la cieca arsura <strong>di</strong> Fedra, non il filtro<br />

magico <strong>di</strong> Tristano ed Isotta ma l’onda che muove i due amanti nelle nebbie nor<strong>di</strong>che della leggenda hanno<br />

somiglianza <strong>di</strong> parentela con la passione degli amanti <strong>di</strong> Verona; la loro fiamma è pura; arde e si consuma come<br />

un bel fuoco <strong>di</strong> erbe aromatiche sopra un colle italico nella notte <strong>di</strong> San Giovanni: la prima notte d’estate è la<br />

più bella perché la più breve.<br />

Non il libro <strong>di</strong> Lancillotto e della Reina Ginevra, non il pellegrinaggio alla Santa Casa <strong>di</strong> Loreto, non il sorso<br />

avvelenato d’incanto conduce gli amanti <strong>di</strong> Verona ad una morte, sì bene lo schianto dell’una giovinezza spezza<br />

l’altra, e su <strong>Romeo</strong> morto piega e si abbatte <strong>Giulietta</strong>. Nessun farmaco potrà salvare quella che amore uccide, né<br />

alcun veleno, alcuna arma potrà spegnerla se non la legge <strong>di</strong> amore inesorabile.<br />

Al verso dell’Alighieri: “Amor che a nullo amato amore perdona” [sic] risponde attraverso i secoli il verso <strong>di</strong><br />

Giacomo Leopar<strong>di</strong>:<br />

Fratelli a un tempo stesso Amore e Morte<br />

Ingenerò la sorte!<br />

E Amore e Morte hanno anche nome <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>. La novella <strong>di</strong> Masuccio Salernitano dove Mariotto<br />

Mignanelli e Giannozza Saracini si amano è forse la più <strong>di</strong>retta origine della leggenda veronese che ha tanta<br />

umanità <strong>di</strong> sensi. La novella ha svolgimento a Siena. Mariotto uccide in rissa un avversario ed è costretto a<br />

fuggire e nella lontananza è dannato per omici<strong>di</strong>o alla scure. Giannozza è sforzata dal padre ad altre nozze. Sta<br />

per uccidersi, <strong>di</strong>sperata, ma un buon frate <strong>di</strong> nome Lorenzo, nome <strong>di</strong> cui si sovverrà Guglielmo Shakespeare, le<br />

dona un narcotico tale da rendere il sonno simile alla morte. Quando si desterà tutti la crederanno spenta, ed<br />

essa potrà raggiungere Mariotto e questi parte come forsennato e torna in Siena per rivedere l’amata nel sonno<br />

ultimo. È riconosciuto, afferrato, dato alla giustizia: gli recidono il capo. Giannozza, che si è ridestata dal sonno<br />

e ode il tragico annunzio mentre è per fuggire verso le sue braccia, accorre dove il giustiziato giace e su quel<br />

corpo tronco muore per ambascia.<br />

Novella aspra e rude ma d’ossatura gagliarda e tale, specialmente nella scena della morte, da suscitare<br />

un’ispirazione <strong>di</strong> singolare potenza tragica in una grande artista.<br />

Luigi da Porto, vicentino, che scrisse <strong>di</strong> storia e <strong>di</strong> poesia, per il primo <strong>di</strong>sse <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong> e <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> in una<br />

sua novella stampata circa il 1530 con la <strong>di</strong>citura che precede la narrazione: “Historia novellamente ritrovata <strong>di</strong><br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/25


due nobili amanti con la loro pietosa morte intervenuta già nella città <strong>di</strong> Verona nel tempo del signor<br />

Bartolomeo della Scala”.<br />

Da questa storia più che dalla narrazione larga, ricca, eloquente, adorna <strong>di</strong> fiori retorici e <strong>di</strong> eleganze<br />

grammaticali del vescovo Matteo Bandello proviene il libretto <strong>di</strong> Arturo Rossato. Gli atteggiamenti, i coloriti,<br />

alcune movenze sono tolti dalla novella <strong>di</strong> Luigi da Porto <strong>di</strong>rettamente e recati sulla scena per offrire trama alla<br />

musica <strong>di</strong> Riccardo Zandonai. Lo sforzo per <strong>di</strong>menticare Shakespeare ed attenersi alla novellistica nostra non è<br />

riuscito. Quando amore ispira, la trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Guglielmo ritorna dominatrice. Nella scena del balcone e in quella<br />

della morte il tragico inglese impone le sue maniere e le sue parole, perché egli solo, con la possanza creatrice<br />

del genio, ha saputo esprimere la voce della giovinezza ardente e folle. Giovinezza <strong>di</strong> anime e <strong>di</strong> parole che ogni<br />

cuore ha sentito vagamente, oscuramente a venti anni e che nel verso del poeta ritrova la sua espressione <strong>di</strong>retta,<br />

la sua bellezza esterna.<br />

La parola del poema eterno che canta nel verso <strong>di</strong> Guglielmo Shakespeare ha trovato un’eco <strong>di</strong> grazia latina<br />

nella musica <strong>di</strong> Riccardo Zandonai? Nell’opera del maestro nostro vi è forse un impeto lirico pari all’armonia<br />

<strong>di</strong>vina ed umana che l’inglese concesse a due bocche italiane? Un nostro compositore ha saputo emulare nella<br />

musica, nel linguaggio più universale, il pro<strong>di</strong>gio <strong>di</strong> passione creato dal poeta straniero?<br />

Arte nobilissima è quella che sente ed esprime nei suoi mo<strong>di</strong> musicali Riccardo Zandonai. Severa nella<br />

forma che esclude ogni facilità volgare, elegante nel commento dell’orchestra, ricca e varia nell’impasto dei<br />

colori, questa “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” manifesta lo spirito alto del maestro, la sua squisita sensibilità, la sua dottrina<br />

profonda. Non è mai arido, non è mai fiacco e manierato, non compone mai inutili accademie. Il suo <strong>di</strong>scorso<br />

musicale è sempre elevato, i suoi cori sono pieni, variati, mossi. Tratta con maestria sicura voci ed istrumenti, e<br />

le grazie del <strong>di</strong>segno melo<strong>di</strong>co vocale trovano una corrispondenza imme<strong>di</strong>ata nei ricami preziosi dell’orchestra.<br />

La melo<strong>di</strong>a c’è ma si affloscia, si attenua, si perde in effimeri frastagliamenti dopo poche battute.<br />

Non ha il respiro che trasporta le anime, non il colpo d’ala che solleva e ghermisce e rapisce le moltitu<strong>di</strong>ni<br />

verso l’alto, il grido sicuro <strong>di</strong> passione umana che d’improvviso fa palpitare ogni cuore e vela <strong>di</strong> pianto ogni<br />

pupilla, e rende una <strong>di</strong> pensieri, <strong>di</strong> senso, <strong>di</strong> commozione la folla innumerevole.<br />

Manca qualche cosa alla melo<strong>di</strong>a del canto, alla polifonia dell’orchestra; manca quella tal cosa<br />

imponderabile, quel tal segno inesprimibile, quella energia suprema che nessuno potrà mai definire e che è<br />

come la rivelazione improvvisa <strong>di</strong> una verità che tutti sentono e nessuno può <strong>di</strong>re, <strong>di</strong> una bellezza che tutti<br />

scorgono e nessuno può esprimere, <strong>di</strong> una gioia unica, consolatrice <strong>di</strong> ogni cuore e che una stirpe può<br />

tramandare come l’ere<strong>di</strong>tà più cara.<br />

Tanta eleganza fa desiderare talora maniere più sciatte ma più robuste, un impeto <strong>di</strong> melo<strong>di</strong>a rude ma <strong>di</strong> volo<br />

ar<strong>di</strong>to, uno <strong>di</strong> quei movimenti irresistibili che Giuseppe Ver<strong>di</strong> sapeva creare. Le persone sceniche possono<br />

essere <strong>di</strong>segnate o dal motivo dominante, invenzione della scuola tedesca e più <strong>di</strong> Riccardo Wagner; o da un<br />

colorito melo<strong>di</strong>co come è tra<strong>di</strong>zione della scuola nostra. Ma le persone per trapassare da maschere sceniche in<br />

creature umane devono avere contorni certi ed ossa e polpa, muscoli e sangue, materiati <strong>di</strong> vita verace. Devono<br />

essere caratteri e non ombre.<br />

Tutte le grazie delle forme non valgono un canto pieno; tutti i pregi delle architetture armoniose il rapimento<br />

<strong>di</strong> un pensiero semplice ed alto che dall’orchestra sale trasportando le anime verso la luce.<br />

In questa “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” riappariscono le qualità <strong>di</strong> artefice esperto del Zandonai che già più<br />

compiutamente e più luminosamente si erano palesate nella “Francesca da Rimini” – che resta ancora l’opera<br />

migliore dell’insigne maestro trentino – ma vi riappariscono con più accentuata deficienza <strong>di</strong> quegli elementi<br />

fondamentali che soltanto assicurano vitalità ad un’opera. Anche qui abbiamo colori d’ambiente ma non<br />

melo<strong>di</strong>a d’anime, atmosfera musicale non grido schietto <strong>di</strong> passione, eleganze formali non <strong>di</strong>segno serrato, arte<br />

decorativa non sagoma <strong>di</strong> creature vive.<br />

I cori e specialmente la rissa del primo atto, e il giuoco delle fanti del secondo atto, e tutta la prima parte del<br />

terzo con la deliziosa canzone del cantatore sono pagine vive, delicate, ricche <strong>di</strong> colori, <strong>di</strong> sonorità<br />

caratteristiche. Ma non cori, non pittura d’ambiente, non virtuosità orchestrali noi cerchiamo in una trage<strong>di</strong>a che<br />

porta nome “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>”, ma la voce ineffabile della passione umana e <strong>di</strong>vina, il canto della giovinezza<br />

ardente e schietta che ama e perché ama muore.<br />

La melo<strong>di</strong>a sovrana dell’amore e della morte, della giornata breve e fervida che non avrà domani, <strong>di</strong> un<br />

piacere troppo forte per essere sostenuto da questi nostri sensi mortali noi chie<strong>di</strong>amo alla voce dei due amanti.<br />

Non complicazioni sapienti, non artifici tecnici, non arabeschi istrumentali, ma un grido solo e sincero, come<br />

semplice e sincera è la giovinezza innamorata e folle. E la melo<strong>di</strong>a che ammalia, incanta, rapisce, trascina; la<br />

melo<strong>di</strong>a che ogni cuore sente, che è verità, vita, passione, luce, non sorge certo dalle eleganze squisite dei due<br />

duetti: quello d’amore del primo atto che nella sapienza delle combinazioni armoniche perde il carattere della<br />

ingenua e folle giovinezza immortalata da Shakespeare, e quello <strong>di</strong> morte del terzo atto privo <strong>di</strong> ogni potenza<br />

dominatrice sulle anime, troppo lungo e troppo complicato e troppo riflesso per suscitare un senso <strong>di</strong><br />

commozione.<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/26


E nemmeno il grande intermezzo del terzo atto che vuol essere l’eco della angoscia <strong>di</strong>sperata <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong>, se<br />

impressiona per la irruenza e la insistenza delle voci e degli strumenti sapientemente intrecciati in un unico<br />

motivo tematico, non determina attraverso le combinazioni contrappuntistiche nessuna energia emotiva capace<br />

<strong>di</strong> dare l’illusione e la sensazione dell’aspro dolore.<br />

Riassumento queste rapide note e le impressioni del pubblico intorno alla nuova opera del maestro Zandonai,<br />

si può con piena certezza affermare che questa <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> rimane a notevole <strong>di</strong>stanza dalla sua maggiore<br />

sorella, la Francesca da Rimini. Anche gli applausi che alla fine <strong>di</strong> ogni atto risuonarono nella sala magnifica<br />

del teatro Costanzi, affollata dal miglior pubblico <strong>di</strong> Roma, in<strong>di</strong>carono la misura decrescente del successo che,<br />

delineatosi fervido e pieno <strong>di</strong> promesse alla chiusa del primo atto, venne mano mano sensibilmente attenuandosi<br />

negli atti successivi.<br />

Per la esattezza della cronaca dobbiamo registrare complessivamente otto chiamate agli artisti, al maestro<br />

Zandonai e al librettista Rossato al primo atto, sei al secondo e quattro frettolose al terzo.<br />

L’esecuzione artistica è riuscita degna della importanza dell’avvenimento e delle tra<strong>di</strong>zioni del nostro<br />

massimo teatro.<br />

Il maestro Zandonai alla concertazione e alla <strong>di</strong>rezione dell’opera recò ieri sera tutta la fede della sua anima<br />

e tutta la sapienza comunicativa della sua arte, ottenendo dall’orchestra, dagli artisti e dalle masse corali effetti<br />

magnifici <strong>di</strong> particolari e d’insieme.<br />

193<br />

Adriano Belli, “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” <strong>di</strong> R. Zandonai, “Il Corriere d’Italia”, 16.2.1922 - p. 3, col. 1-2-3 (con una<br />

grande fotografia <strong>di</strong> Zandonai)<br />

Il successo<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> si è chiusa ieri sera tra acclamazioni prolungate e con un vivace pugilato tra i due partiti<br />

contrari su nel loggione. I Capuleti e Montecchi rinnovavano così, dopo tanti secoli, le loro gesta per un’opera<br />

d’arte. Tanto meglio così. Dove c’è <strong>di</strong>scussione c’è interesse, e c’è intrinseco valore.<br />

Sei chiamate al primo atto; cinque al secondo; sette od otto al terzo. Il solito computo banale delle chiamate<br />

questa volta ha importanza significativa. La musica dello Zandonai per la sua forma aristocratica e nobilissima<br />

non si concede ad una prima au<strong>di</strong>zione, e si temeva, tra chi aveva assistito a molte prove ed era potuto penetrare<br />

in questa speciale atmosfera sonora, si temeva che il pubblico non riuscisse ad afferrare le bellezze del<br />

nuovissimo spartito.<br />

Ma il pubblico ha seguito <strong>Giulietta</strong> con un costante interesse, senza mai denotare segni <strong>di</strong> stanchezza; ed ha<br />

applau<strong>di</strong>to con calore alla chiusa <strong>di</strong> ogni atto. E se l’opera avesse avuto pezzi chiusi l’applauso avrebbe più<br />

volte interrotto la esecuzione come alla ronda alla metà del primo atto, al duetto fra <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> al<br />

secondo, alla canzone del giullare, alla scena <strong>di</strong> dolore <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong>, all’intermezzo.<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>, con degli opportuni ritocchi e dei tagli <strong>di</strong> cui parlerò in seguito, è opera destinata a un<br />

grande avvenire, ed infatti la festosa accoglienza della prima esecuzione è in<strong>di</strong>ce sicuro che l’opera conquisterà<br />

sempre più il gusto della massa e farà molta strada, come l’ha fatta e sta facendo la sua sorella Francesca.<br />

Il primo atto<br />

Passiamo intanto alla cronaca della serata e ad un rapido esame del lavoro.<br />

Lo spettacolo si è iniziato alle 20.55 precise. Il maestro Zandonai viene salutato con un grande e prolungato<br />

applauso.<br />

Fin dalle prime pagine con l’orchestrina interna <strong>di</strong> Casa Capuleti ove si svolge la festa da ballo, con il<br />

<strong>di</strong>alogato <strong>di</strong> Tebaldo e con l’entrata delle maschere, lo Zandonai ci trasporta nella sua caratteristica atmosfera.<br />

Si denota subito la squisitezza della forma, la suprema abilità nel trattare l’orchestra. La “canzonaccia” che i<br />

Montecchi cantano nell’interno dell’osteria battendo il ritmo sui bicchieri è resa in modo magnifico ed<br />

accompagnata con sempre maggiore abilità. L’episo<strong>di</strong>o che segue, della zuffa tra Capuleti e Montecchi, dà<br />

modo al maestro <strong>di</strong> scrivere una pagina robusta per concezione e per sviluppo, e si svolge con mirabile<br />

sicurezza. L’entrata <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong> mascherato che implora pace sui rissanti non è che una breve sosta, perché<br />

l’episo<strong>di</strong>o riprende tutta la sua vigorìa sino ad essere bruscamente spezzato all’arrivo della scolta.<br />

Il passaggio del ban<strong>di</strong>tore è una pagina molto caratteristica e d’indovinato colore. Appena si è spenta la eco<br />

del ritmo cadenzato <strong>di</strong> tamburi, s’inalza nell’orchestra una frase tenue piana e calma, riboccante <strong>di</strong> dolcezza. È<br />

il duetto d’amore che s’inizia e che, interrotto appena dalla breve sosta dell’uscita delle maschere, terrà tutto<br />

l’atto.<br />

Questo duetto d’amore, forse un po’ lungo, è una pagina <strong>di</strong> pregevolissima invenzione. La caratteristica<br />

melo<strong>di</strong>a cromatica dello Zandonai dà a chi la sente la prima volta una <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> comprensione; ma <strong>di</strong> mano in<br />

mano che si sente piace sempre <strong>di</strong> più.<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/27


La melo<strong>di</strong>a dello Zandonai non è <strong>di</strong> largo respiro e <strong>di</strong> imme<strong>di</strong>ata emotività, non ha la robustezza e il calore<br />

che vi strappano l’entusiasmo e vi fanno passare i brivi<strong>di</strong> <strong>di</strong> intensa commozione e salire il pianto agli occhi;<br />

questa melo<strong>di</strong>a, anche quando sale a potenti sonorità, è sempre intima; esprime sempre un qualche cosa <strong>di</strong><br />

interiore e <strong>di</strong> quasi nascosto nell’anima del personaggio. In questo duetto – e chi non fosse del mio avviso torni<br />

a sentire più volte queste pagine – sono cose pregevolissime anche come ispirazione: ad esempio la frase – che<br />

ricorda un poco Francesca – Deh, bel fioretto non datevi pena, e la risposta <strong>di</strong>: Siete bello e mio! e poi quella<br />

soavissima: L’alba che infiora <strong>di</strong> sue rose il dì, e l’altra anche bella: Ove tu sia, ove tu vada, pren<strong>di</strong>mi teco.<br />

Il pubblico segue col massimo interesse questo grande duetto e rimane preso dalla chiusa in cui lo Zandonai<br />

presenta uno <strong>di</strong> quei quadri <strong>di</strong> cui è maestro insuperabile. Sugli ad<strong>di</strong>i degli innamorati e sugli ultimi loro baci,<br />

l’orchestra sussurra leggerissima frammenti del duetto d’amore, e mentre da lontano giungono i rintocchi delle<br />

campane che suonano il mattutino, passa l’eco <strong>di</strong> una canzone affidata al coro delle donne.<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> che da lontano si mandano l’ultimo lunghissimo bacio sono avvolti in un velo <strong>di</strong> armonie<br />

semplici, pure, in cui sovrasta la melo<strong>di</strong>a italianissima. E il velario si chiude su questo quadro <strong>di</strong> sogno.<br />

Scrosciano gli applausi e lo Zandonai è chiamato sei volte al proscenio. L’atto ha la durata <strong>di</strong> 40 minuti.<br />

Il secondo atto<br />

Il secondo atto ha principio alle 10.5. Qui ci troviamo a contrasto con l’atto che precede. L’i<strong>di</strong>llio cede il<br />

posto alla sinfonia. La drammaticità dell’azione prende naturalmente il sopravvento. A chi ascolta per la prima<br />

volta è un po’ oscuro, come il secondo atto <strong>di</strong> Francesca, ma contiene pagine superbe trattate con maschia<br />

gagliardìa.<br />

Il giuoco del torchio passa sotto silenzio e poco sod<strong>di</strong>sfa la massa. Nel duetto tra Tebaldo e <strong>Giulietta</strong> si nota<br />

una eccessiva sonorità. Un taglio non sarebbe inopportuno e quello fatto è troppo piccolo. A questo duetto che è<br />

come una grande chiazza <strong>di</strong> colore rosso fa ottimo risalto il duetto soavissimo tra <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>,<br />

incastonato nella sinfonia orchestrale, che sommessa cede il posto alle voci dei due innamorati, i quali sciolgono<br />

dal cuore e dal labbro le melo<strong>di</strong>e più tenere e appassionate. Poi l’orchestra riprende nella scena del duello e<br />

della chiusa il suo alto potere espressivo con tutte le risorse <strong>di</strong> una strumentazione e <strong>di</strong> un’armonizzazione<br />

estremamente ingegnose.<br />

L’atto che è brevissimo – dura soli 35 minuti – è salutato da molti applausi e lo Zandonai ha cinque<br />

chiamate.<br />

Il terzo atto<br />

Il terzo atto si apre con vivaci scene descrittive. Il coro si svolge simpaticamente e la perizia del maestro si<br />

appalesa sempre più grande. L’entrata del Cantastorie è un po’ lunga e da un piccolo taglio si avvantaggierà <strong>di</strong><br />

molto; ma ecco la ballata, una pagina deliziosa che non si può ascoltare senza un brivido <strong>di</strong> commozione. Delle<br />

approvazioni vengono subito represse perché il pezzo non consente soste. Quando le strofe si replicano, uguale<br />

è l’effetto, sebbene scenicamente non si comprende come <strong>Romeo</strong>, <strong>di</strong>sperato fino quasi alla pazzia, perda tempo<br />

a farsi ricantare la canzone del Cantastorie e non fugga subito, come poi fa, verso Verona!<br />

La scena della <strong>di</strong>sperazione <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong> è veramente grande. La tempesta della terra e del cuore<br />

dell’innamorato è resa con forma potentissima e <strong>di</strong> una efficacia teatrale immancabile. Il pubblico è veramente<br />

trascinato ma non può esprimere il suo giu<strong>di</strong>zio perché l’intermezzo s’innesta alla chiusa del quadro. Gli<br />

istrumenti a percussione marcano fortissimo lo scalpitìo del cavallo, <strong>Romeo</strong> che corre <strong>di</strong>sperato verso la donna<br />

amata riempiendo cielo e terra del suo grido <strong>di</strong> dolore è reso magistralmente. Il pezzo, sebbene mantenuto ad<br />

una quasi costante sonorità, è veramente bello. L’orchestra ha pieni effetti realistici e l’autore si afferma<br />

sinfonista potente. Il brano nel costante ritmo del galoppo del cavallo si basa sul tema appena cantato da <strong>Romeo</strong><br />

Sii tu il mio cuor dannato che qui appare più stretto e nel grido: <strong>Giulietta</strong> mia! affidato ora, con una vera<br />

trovata, al coro. Si abbandona a metà, pur mantenendo sempre il “presto”, ad una bella pagina lirica con<br />

richiami a temi del duetto d’amore, riprende poi la sua potenza drammatica per chiudersi pianissimo mentre<br />

sopra una lunga nota dei violoncelli che attaccano una frase riboccante <strong>di</strong> dolore si apre il velario per il secondo<br />

quadro.<br />

La seconda parte del terzo atto contiene il canto bellissimo <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong>: Ma le fredde mani or sui capelli tuoi<br />

voglio posare, ma nell’insieme appare un po’ lungo. La morte si trascina pesantemente. Il successo sarebbe<br />

stato – e sarà certamente – maggiore se questo quadro si ridurrà <strong>di</strong> molto nella proporzione <strong>di</strong> una brevissima<br />

scena.<br />

Alla chiusa si hanno sette, otto chiamate.<br />

L’atto intero dura 50 minuti. Poco prima <strong>di</strong> mezzanotte lo spettacolo è terminato.<br />

L’opera d’arte<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> è opera <strong>di</strong> un raffinatissimo conoscitore della tecnica armonica e istrumentale e <strong>di</strong> un<br />

artista a cui la <strong>di</strong>fficile arte dei suoni non serba più alcun segreto. Il maestro Zandonai è soprattutto un<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/28


sinfonista, oltre che essere un melo<strong>di</strong>sta. Adopera l’orchestra con una mirabile padronanza e con una pittoresca<br />

varietà <strong>di</strong> ritmi e d’impasti, nei quali invano si cercherebbe l’imitazione <strong>di</strong> chicchessia. Egli si è sempre<br />

affermato e specie in questa opera con una personalità spiccatissima. All’orchestra fa <strong>di</strong>re quel che lui vuole, e<br />

sempre con una mirabile signorilità <strong>di</strong> <strong>di</strong>segno e <strong>di</strong> colorito. Poter conoscer come lui conosce la tecnica,<br />

maneggiare gli strumenti con quella finezza impeccabile e con quel costante equilibrio <strong>di</strong> cui si <strong>di</strong>mostra<br />

maestro assoluto, respingere ogni lusinga <strong>di</strong> effetto volgare sono già doti che pongono un musicista tra i<br />

primissimi. Anche là dove la finzione del melodramma porterebbe inevitabilmente ai soliti effetti oleografici<br />

egli sa infondere all’insieme una tale signorilità <strong>di</strong> linee e tale aristocratica delicatezza <strong>di</strong> movimento che<br />

suggestiona.<br />

Sentendo ieri sera <strong>Giulietta</strong> ripensavo ad uno stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> un valoroso e simpatico nostro collega, stu<strong>di</strong>o<br />

apparso parecchi anni orsono, e nel quale si affermava – cosa allora un po’ azzardata ma oggi giustissima – che<br />

il futuro genio dell’opera italiana dovesse essere colui che potesse riunire in sé le qualità <strong>di</strong> melo<strong>di</strong>sta e <strong>di</strong><br />

sinfonista.<br />

L’opera italiana ha portato all’apogeo l’arte del canto con tutta la sua forza espressiva, ma ha <strong>di</strong>fettato <strong>di</strong><br />

quella sinfonia che è il riflesso della mistica vita interiore. Il genio dell’opera ventura dunque – secondo lo<br />

scrittore – avrebbe dovuto essere un cantore per istinto, ma un cantore appassionato; e insieme un sinfonista per<br />

destino, ma un sinfonista alato e incantatore con la malìa dei suoni. E fondendo queste due qualità avrebbe<br />

potuto così creare l’opera <strong>di</strong> bellezza, l’opera d’arte per se stessa armoniosa <strong>di</strong> musica e <strong>di</strong> poesia, esaltandosi<br />

nell’estasi, cantando, sinfonizzando la sua e la nostra anima.<br />

A queste parole profetiche pensavo ieri sera ascoltando la smagliante sinfonia orchestrale <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> e il<br />

suo canto intimo, profondo, non a gran<strong>di</strong> linee ma sempre aristocratico e convincente per chi penetri in questa<br />

speciale atmosfera canora.<br />

Il futuro genio preconizzato dal collega molti anni fa è sorto con Riccardo Zandonai? È forse dunque questa<br />

<strong>Giulietta</strong> un capolavoro?<br />

Non ancora: ma certo soltanto da siffatte tempre <strong>di</strong> artisti possono sorgere i capolavori.<br />

Non un capolavoro perché il capolavoro è così vicino alla perfezione che non deve avere <strong>di</strong>fetti.<br />

In <strong>Giulietta</strong> v’è un eccesso <strong>di</strong> sonorità. Il duetto d’amore al primo atto, specie la seconda parte che avviene<br />

nel balcone quasi nell’interno della casa <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> ad un passo dalla sala ove ha luogo il ballo, raggiunge una<br />

vera frenesia del forte. E si noti che esso si inizia con la raccomandazione della fanciulla: Parlate piano, a cui<br />

risponde <strong>Romeo</strong>: Piano, che tu sola, tu sola oda <strong>Giulietta</strong>, ma poi il musicista a poco a poco si lascia andare<br />

dalla foga melo<strong>di</strong>ca e non conosce più freni, fino a giungere ad una strapotente sonorità vocale ed orchestrale. È<br />

vero che il melodramma è tutto una finzione, ma vi sono pur cose che occorre guardare, che il pubblico nota.<br />

Eccesso <strong>di</strong> sonorità ritroviamo nell’intermezzo. Dopo le prime battute fortissime dell’attacco, lo Zandonai<br />

avrebbe potuto portare al “piano” la sua orchestra e poi aumentare a poco a poco d’intensità con grande e sicuro<br />

effetto. Così al contrario si è trovato a dover sostenere un fortissimo con grave pericolo, e dal quale si è salvato<br />

solo per la sua enorme perizia sinfonistica.<br />

All’ultimo atto la scena della morte è troppo lunga. Il lungo canto <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>, dopo la catastrofe, rallenta<br />

l’azione – pur essendo bello ed ispirato – e <strong>di</strong>strae l’attenzione. Oramai tutto è compiuto e la fine deve<br />

precipitare. Il canto interno perde <strong>di</strong> efficacia se ripetuto, come è ora, due volte. Un buon taglio rime<strong>di</strong>erà ogni<br />

cosa. Altro taglio occorre al duetto troppo lungo ed enfatico tra Tebaldo e <strong>Giulietta</strong> al secondo. Ed un altro al<br />

terzo all’entrata del Cantastorie.<br />

Riccardo Zandonai ha fatto un’opera pregevolissima, che pur attraverso i <strong>di</strong>fetti che abbiamo esposti con la<br />

consueta sincerità si fa ascoltare con vero go<strong>di</strong>mento estetico e che non stanca mai. Constatiamo con piacere e<br />

sod<strong>di</strong>sfazione che oggi vicino a Francesca esiste per l’arte un altro melodramma nobilmente scritto ed ispirato,<br />

e per il pubblico un’altra opera italiana bella e convincente.<br />

La esecuzione<br />

Poche parole per la esecuzione che è stata come meglio l’autore non avrebbe potuto immaginare e sperare<br />

per l’opera sua.<br />

Gilda dalla Rizza ha dato al personaggio <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> il contributo della sua intelligenza e della sua voce bella<br />

e dolcissima e fu festeggiatissima col tenore Fleta, artista sicuro, preciso, dotato <strong>di</strong> voce bella, facile negli acuti<br />

e calda nelle note centrali. Nella sua parte faticosa e lunga ha mostrato una invi<strong>di</strong>abile resistenza.<br />

Carmelo Maugeri ha dato alla rude parte <strong>di</strong> Tebaldo tutta la voluta linea d’arte. È cantante sicuro, <strong>di</strong> buona<br />

voce e <strong>di</strong> efficace <strong>di</strong>zione.<br />

Intorno alle parti principali voglio ricordare quelle delle parti secondarie, e prima fra tutte quella del<br />

Cantastorie che Luigi Nar<strong>di</strong> ha reso da vero e grande artista. Il Nar<strong>di</strong> è eccellente sempre, e <strong>di</strong> lui <strong>di</strong>remo che lo<br />

Zandonai l’ha <strong>di</strong>chiarato insuperabile.<br />

E poi voglio notare la Porter, che ha cantato e agito molto bene nella parte <strong>di</strong> Isabella, e la Torelli (una<br />

donna), il Calai [sic], il Piccheiro [sic], il Besanzoni, il Fiore.<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/29


L’orchestra ha suonato magnificamente sotto la <strong>di</strong>rezione dello Zandonai, concertatore eccezionalissimo.<br />

Bene i cori istruiti dal maestro Consoli.<br />

Le scene e gli effetti luce e i vestiari bellissimi.<br />

L’opera avrà certamente molte repliche a cominciare da domani giovedì.<br />

194<br />

Bruno Barilli, “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” <strong>di</strong> Zandonai al Costanzi, “Il Tempo”, 15.2.1922 - p. 3, col. 2-3<br />

Anche questa volta, e per un’abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong>sperata, ci siamo ridotti a scrivere là sul posto queste note <strong>di</strong><br />

cronaca a zig-zag sulla première <strong>di</strong> ieri sera. Assumiamo frettolosamente e con molta paura, al cospetto dei<br />

carabinieri <strong>di</strong> servizio in alta tenuta, le funzioni <strong>di</strong> un esaminatore e <strong>di</strong> un giu<strong>di</strong>ce patentato. Ormai non c’è più<br />

tempo a riflettere, dobbiamo rinunciare ai consigli della notte, della coscienza e della prudenza; non ci si <strong>di</strong>ca <strong>di</strong><br />

or<strong>di</strong>nare queste nostre impressioni, <strong>di</strong> ripulire e <strong>di</strong> rassettare tutto il materiale confuso ed irto delle nostre<br />

reazioni, <strong>di</strong> pesare le parole e <strong>di</strong> risolvere i dubbi; senza por tempo in mezzo s’ha da portare al giornale qualche<br />

cosa su quest’opera nuova <strong>di</strong> Zandonai, e dobbiamo correre con tutto quel che <strong>di</strong> crudo e <strong>di</strong> aspro abbiamo<br />

potuto strappare alla recita per rovesciarlo, con tutto il risentimento, nel pentolone dove già bolle, si gonfia e<br />

stagna minacciosamente il piombo della tipografia.<br />

Abbiamo la <strong>di</strong>sgrazia <strong>di</strong> sedere, al Costanzi, in una poltrona che rientra nella giuris<strong>di</strong>zione territoriale degli<br />

ottoni, dei timpani e della gran cassa; ma finora la cosa poteva andare e non avevamo fatto gran caso <strong>di</strong> tale<br />

prossimità e <strong>di</strong> tale sud<strong>di</strong>tanza: non si poteva <strong>di</strong>re che il loro fosse un regime <strong>di</strong> oppressione e <strong>di</strong> violenza.<br />

Questi istrumenti che, vigilati e ammoniti dai compositori contemporanei, s’erano fatti nell’ultimo secolo tetri e<br />

silenziosi, così che li si poteva considerare da vicino come degli originali misantropi e innocui, scatenarono<br />

improvvisamente ieri sera un tale baccano pieno <strong>di</strong> rancori da rendere quasi impossibile il nostro lavoro <strong>di</strong><br />

segnalazione. I tromboni si azzuffarono, per una nota, come cani intorno a un osso, le trombe si inerpicarono<br />

leste sugli acuti strillando a per<strong>di</strong>fiato e i timpani si gettarono rotoloni fra i litiganti percuotendo alla cieca con<br />

una tempesta <strong>di</strong> botte tutto e tutti. Noi stringevamo con angoscia i bracciuoli della nostra poltrona senza sapere<br />

veramente più se dall’altra parte dell’orchestra si sparassero fucilate, pistolettate o se la legione degli archi fosse<br />

stata lanciata anch’essa all’attacco: una nebbia ardente sembrava invadere il teatro e fra gli spari confusamente<br />

ci pareva <strong>di</strong> scorgere dei violini e dei clarinetti proiettati contro le pareti e contro il soffitto come da un ciclone<br />

<strong>di</strong>struttore. A volte, nel frastuono, il quadro si allargava e ci pareva <strong>di</strong> vedere anche Riccardo Zandonai<br />

trascinato e sospinto dalla routine, rovinato dal mestiere, scrivere e scrivere correndo pagine su pagine, note su<br />

note a castelli, a città, che nella fuga forsennata crollando dallo spartito si spargessero gran<strong>di</strong>nando intorno,<br />

come chicchi <strong>di</strong> grano turco, mentre l’orchestra intera e parecchi amatori con l’urgenza comica dei tacchini<br />

affamati lo inseguivano beccando a destra e a manca ingordamente tutto quel ben <strong>di</strong> Dio istrumentale.<br />

Anche noi malcapitati, indotti dal nostro dovere <strong>di</strong> cronisti, ci siamo precipitati sulle sue tracce<br />

perdutamente. Sentivamo via via, attraverso un garbuglio elaborato approssimativamente al <strong>di</strong> fuori e dentro<br />

tutto pieno <strong>di</strong> vecchi arnesi dell’ortope<strong>di</strong>a musicale, <strong>di</strong> grossi trappoloni, <strong>di</strong> tagliuole arrugginite e <strong>di</strong> reti luride<br />

e marce entro le quali avrebbe dovuto incappare in massa la gente poco informata e senza in<strong>di</strong>rizzo, sentivamo<br />

un lezzo intollerabile venir su dalle rimasticature infraci<strong>di</strong>te che coprivano a mucchi tutto il fondo del lavoro.<br />

Gli artisti, costretti a muoversi sopra una intavolatura <strong>di</strong> armonie fraintese, malsicure, rabberciate e sbilenche, si<br />

spingevano verso il pubblico urlando <strong>di</strong>speratissimamente come se noi spettatori si stesse in ascolto dall’altra<br />

parte del canale della Manica; l’orchestra, simile a un battello caricato male, strapiombava tutta dalla parte degli<br />

istrumenti <strong>di</strong> banda e qualche volta affondava <strong>di</strong> peso scomparendo: allora in quella pausa <strong>di</strong>sastrosa e gravida<br />

d’incertezza era possibile <strong>di</strong> veder apparire, tristi e incappucciati come misteriosi men<strong>di</strong>canti sulle cantonate, gli<br />

espe<strong>di</strong>enti scaduti e venerabili del basso melodramma, quelli che nel linguaggio abulico degli impresari si<br />

chiamano gli effetti teatrali.<br />

A buon conto noi abbiamo fatto tutte le ricerche possibili, frugando con gli sguar<strong>di</strong> e con la punta del<br />

bastone in ogni angolo <strong>di</strong> quest’opera nella speranza <strong>di</strong> scoprire un documento <strong>di</strong> identificazione, un’impronta<br />

riconoscibile, ma purtroppo non ci è stato dato <strong>di</strong> trovare un solo in<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> autenticità, nemmeno quella zampa<br />

del leone affumicata che ogni <strong>di</strong>screto compositore tira fuori nei momenti oscuri e <strong>di</strong>fficili.<br />

Ragionevole, energico e bonario, senza fisime e senza fantasia, Zandonai ha il colpo d’occhio e la serietà<br />

positiva d’uno chaffeur meccanico; pro<strong>di</strong>gioso <strong>di</strong> attività e largo d’amore verso coloro che gli somigliano, egli<br />

costituisce oggi la più spiccata impersonalità del mondo lirico; capo fila e guiderdone sicuro <strong>di</strong> tutti i me<strong>di</strong>ocri,<br />

egli esce volentieri dalle sue schiere per contribuire con tutta la sua praticaccia al già avanzato deca<strong>di</strong>mento<br />

dell’opera italiana. Naturalmente a questo suo tipico e fortunato programma non è mancato e non mancherà mai<br />

anche l’adesione ufficiale e l’appoggio autorevole del nostro Governo. I suoi più sfegatati sostenitori lo<br />

proclamano già immortale, mentre egli <strong>di</strong>mostra chiaramente anche in questa <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> <strong>di</strong> non volerne<br />

sapere: ogni volta si promettono <strong>di</strong> lui cose straor<strong>di</strong>narie che egli tranquillamente non mantiene; gli cacciano la<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/30


celebrità su per le scale <strong>di</strong> casa e gliela spingono fino dentro al suo stu<strong>di</strong>o: egli allora, invece <strong>di</strong> abbracciarla e <strong>di</strong><br />

tenerla stratta, apre la finestra e la licenzia, come uno che non ha tempo da buttare.<br />

Si <strong>di</strong>ce un gran bene delle sue qualità <strong>di</strong> colorista, ma, a parer nostro, questi suoi pregi speciali sono del tutto<br />

esteriori e quin<strong>di</strong> or<strong>di</strong>narii e banali, del resto fin qui niente <strong>di</strong> male; in quanto all’amore tra <strong>Romeo</strong> e <strong>Giulietta</strong>,<br />

l’amore Zandonai non lo può certo inventare. Il primo quadro dell’ultimo atto si apre molto bene e si svolge<br />

cando e naturale fin che non lo guasta l’intervento <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong>. Il brano istrumentale più rilevante e più organico<br />

è quello cosiddetto della cavalcata, brano molto rumoroso, poco originale, probabilmente bolso, ma purtuttavia<br />

plausibile e costruito su una intavolatura solida, ma in fatto <strong>di</strong> brani istrumentali suoi conosciamo <strong>di</strong> meglio, <strong>di</strong><br />

molto meglio, come la Primavera in val <strong>di</strong> Sole, e anche sotto certi riguar<strong>di</strong> la suite “Patria lontana”; ci vien<br />

fatto allora <strong>di</strong> pensare che questo autore abbia più attitu<strong>di</strong>ni per il genere sinfonico che per quello teatrale e<br />

vocale in genere.<br />

A noi sembra che il taglio <strong>di</strong>screto e minuscolo <strong>di</strong> qualche atto e la soppressione <strong>di</strong> alcuni elementi troppo<br />

decorativi e superflui come i due personaggi <strong>Romeo</strong> e <strong>Giulietta</strong> a vantaggio <strong>di</strong> una maggiore attività scenica e<br />

musicale aggiungerebbero snellezza e interesse a quest’opera tanto desiderata e punto ottenuta.<br />

Il teatro era affollato in ogni or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> posti dal pubblico imponente delle gran<strong>di</strong> occasioni.<br />

L’opera, concertata e <strong>di</strong>retta con grande sicurezza dall’autore stesso e inscenata egregiamente dal comm.<br />

Clausetti della Casa Ricor<strong>di</strong>, ottenne un’esecuzione eccellente e un successo assai lusinghiero. Il maestro<br />

Zandonai venne evocato entusiasticamente e fu costretto a presentarsi insieme a tutti gli artisti e poi solo sei<br />

volte dopo il primo atto, tre dopo il secondo e otto alla fine del terzo ed ultimo atto.<br />

Anche per il librettista, Arturo Rossato, le accoglienze furono calorosissime.<br />

Non possiamo, per la ristrettezza del tempo, parlare dei meriti eminenti <strong>di</strong> ogni artista: tutti sostennero la loro<br />

parte con gran<strong>di</strong>ssimo valore. Gilda Dalla Rizza, <strong>Giulietta</strong>, Michele Fleta, <strong>Romeo</strong>, il baritono Maugeri, Tebaldo,<br />

il grande e impagabile Nar<strong>di</strong>, il tenore Palai e tutti gli altri che ora non ricor<strong>di</strong>amo vorranno perdonarci se per<br />

brevità omettiamo quasi la cronaca ddll’esecuzione. Anche i cori e l’orchestra assolsero benissimo, presto e con<br />

grande slancio il loro arduo compito. Le scene brutte ma appariscenti e l’insieme sfarzoso dello spettacolo<br />

vennero molto ammirati.<br />

195<br />

a.d.d., “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” <strong>di</strong> R. Zandonai, “La Voce repubblicana”, 16.2.1922 - p. 3, col. 1-2<br />

La trage<strong>di</strong>a<br />

Arturo Rossato deve avere avuto la preoccupazione, nell’accingersi a sceneggiare un libretto sulla leggenda<br />

tragica degli amori <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> Capuleti e <strong>Romeo</strong> Montecchi, <strong>di</strong> fare del teatro. Quin<strong>di</strong> movimentare scene,<br />

preparare con alcuni episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> ambiente i duetti dei protagonisti, ed essere alquanto vario. Con questi intenti,<br />

quali a noi appaiono, il poeta è riuscito a fare il suo libretto, non brutto e non bello, non volgare e non nobile,<br />

sufficiente a servire da guida al musicista che cercava cimentarsi con un altro famoso soggetto, dopo la<br />

Francesca.<br />

Ma proprio per questo il poeta ha stemperato e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>minuito il pathos <strong>di</strong> una leggenda d’amore,<br />

consacrata dalla fresca fantasia dei novellieri italiani e dalla poesia oceanica <strong>di</strong> Guglielmo Shakespeare. Rifare<br />

per il teatro lirico <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> doveva significare per un poeta che abbia squisita sensibilità moderna fare<br />

opera <strong>di</strong> sintesi e <strong>di</strong> interpretazione insieme. E quin<strong>di</strong> fare un’opera un po’ soggettiva, anzi il più soggettiva<br />

possibile, circoscritta dalla cornice del tempo quanto basti per la rievocazione ambientale.<br />

Una trage<strong>di</strong>a del genere perciò non può essere che un’opera <strong>di</strong> stile, assolutamente, perché è puerile la<br />

ricostruzione meccanica della cronaca del tempo narrata dai novellieri, ed è paradossale la pretesa <strong>di</strong> accostarsi<br />

o <strong>di</strong> superare Shakespeare, il volgare e il sublime <strong>di</strong> Shakespeare.<br />

Arturo Rossato è rimasto dunque nei limiti della esteriorità e non si è curato <strong>di</strong> scavare nel vasto palpitare del<br />

desiderio, della fedeltà tenace, del dolore, della <strong>di</strong>sperazione degli innamorati. E <strong>di</strong> conseguenza non sono<br />

balzate dalla cornice dei quadri le persone della trage<strong>di</strong>a, la loro decisa in<strong>di</strong>vidualità, la loro carnale e spirituale<br />

vita inconfon<strong>di</strong>bile con le figure secondarie.<br />

Una specie <strong>di</strong> piatto livellamento costringe tutti ad obbe<strong>di</strong>re alla rotazione meccanica delle scene, e non<br />

basta, per il necessario rilievo, [in modo] che una scena duri più dell’altra, che un duetto d’amore sia più<br />

prolisso <strong>di</strong> una mischia fra Capuleti e Montecchi: del grande fatto che superi e sovrasti alle piccole cose banali<br />

della rissosa esistenza delle fazioni me<strong>di</strong>oevali. Grandezza in profon<strong>di</strong>tà, insomma, non in estensione.<br />

La vastità della trage<strong>di</strong>a shakespeariana è tutta qui. Episo<strong>di</strong>ca, frammentaria, <strong>di</strong>sparata nelle proporzioni ma<br />

vertiginosa nel volo lirico, quando <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>, quasi transumanati, sono rapiti dall’estasi del loro amore.<br />

Viceversa il libretto <strong>di</strong> Arturo Rossato, pur rispettando un certo ritmo architettonico, ci ha riprodotto la storia <strong>di</strong><br />

due innamorati qualunque, che invece <strong>di</strong> appartenere alle due famiglie rivali <strong>di</strong> Verona potrebbero essere i<br />

modesti e capricciosi figlioli <strong>di</strong> due famiglie dei nostri giorni <strong>di</strong> un contado <strong>di</strong> Sicilia o <strong>di</strong> Sardegna tra le quali<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/31


non corre buon sangue per un prosaico contrasto <strong>di</strong> interessi. E <strong>di</strong> fatti, dov’è l’o<strong>di</strong>o fra Capuleti e Montecchi? è<br />

tutto in Tebaldo, legnoso, piatto, opaco personaggio, che non giustifica il motivo della sua accigliata e rigorosa<br />

tutela su <strong>Giulietta</strong>, nemmeno con la umana gelosia. Ma il musicista, scegliendo il suo poeta, ha messo in pace le<br />

sue aspirazioni e si è accinto <strong>di</strong> buona lena al lavoro.<br />

La musica<br />

Riccardo Zandonai al folto pubblico del Costanzi, che lo ha accompagnato finora con molta simpatia nei<br />

suoi passi circospetti e volonterosi lungo il <strong>di</strong>fficile cammino dell’arte, è apparso ieri sera uguale a sé stesso. E<br />

non esitiamo, quin<strong>di</strong>, a definirlo inferiore: perché questa volta il musicista della Francesca d’annunziana<br />

doveva veramente <strong>di</strong>rci una parola nuova, doveva rivelarci il tesoro della sua lirica, che finora sembrava<br />

gelosamente custo<strong>di</strong>to e soffocato nel cofano prezioso della ingegnosa tessitura sinfonica; doveva scoprirci la<br />

sua anima canora, attutita dalle sonorità, spesso assordanti.<br />

Si era detto infatti che Riccardo Zandonai, stu<strong>di</strong>oso e assimilatore intelligente della tecnica moderna,<br />

paziente raccoglitore d’impressioni ritmiche, agile strumentatore e robusto costruttore <strong>di</strong> impasti orchestrali, con<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> si sarebbe un po’ abbandonato all’estro, all’ispirazione. La scelta stessa del soggetto doveva<br />

significare il bisogno <strong>di</strong> sprigionare il canto che da tempo gorgogliava nella compressione della tecnica. Ma<br />

purtroppo anche questa volta il canto libero, avvincente, è rimasto rinchiuso ostinatamente nel petto <strong>di</strong> Riccardo<br />

Zandonai.<br />

Il primo atto possiamo <strong>di</strong>viderlo in due parti: quella corale, con la mischia fra Capuleti e Montecchi, e quella<br />

duettistica, fra <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>. La musica descrive con una certa freschezza <strong>di</strong> tocco ed una bella efficacia <strong>di</strong><br />

colorito il passaggio delle comitive mascherate e si empie <strong>di</strong> festose sonorità nella rissa fra le fazioni. Il<br />

movimento delle masse è però senza impeto <strong>di</strong> collera popolana e senza una virile asprezza. Quando compare la<br />

ronda, ve<strong>di</strong>amo le fazioni confuse insieme <strong>di</strong>leguarsi sotto lo stimolo della paura che sembra placarle. A nostro<br />

giu<strong>di</strong>zio, l’aver voluto affidare all’orchestra il compito <strong>di</strong> esprimere l’urto delle fazioni piuttosto che alle stesse<br />

voci della folla costituisce un errore <strong>di</strong> prospettiva che doveva essere evitato dopo il monumentale esempio<br />

offerto da Riccardo Wagner con la baruffa del secondo atto dei Maestri Cantori. Il grande sinfonista ha saputo<br />

far cantare i varii gruppi del coro, con una spiccata in<strong>di</strong>vidualità <strong>di</strong> ciascuno, affidando all’orchestra un sobrio<br />

comento complementare. Il primo duetto <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>, che culmina nella scena del bacio, ha un certo<br />

sapore <strong>di</strong> sana poesia che lascia sperare un ulteriore sviluppo melo<strong>di</strong>co. Siamo ancora agli spunti, al caldo<br />

fraseggio che ha timidezze e incertezze <strong>di</strong> volo. La linea del duetto è limpida, sicura; le modulazioni riescono<br />

gradevoli, e per quanto il pubblico si aspetti il sospiroso cinguettio <strong>di</strong> due anime ingenue e rapite, la voce <strong>di</strong><br />

<strong>Giulietta</strong> prorompe invece con accenti virili. L’atto nel complesso è accolto con un certo favore, e l’aspettazione<br />

vivissima del pubblico non è delusa. Autore e interpreti vengono chiamati quattro o cinque volte al proscenio.<br />

Nell’intervallo i commenti sono <strong>di</strong>sparati, ma i favorevoli superano i contrari. Il musicista già noto ed<br />

apprezzato è apparso più <strong>di</strong>sinvolto, più sicuro negli abbozzi descrittivi e più amico del bel canto che sembra<br />

sicuramente annunziato.<br />

Il secondo atto si inizia con una gioiosa scena, ma le allegre comari <strong>di</strong> Verona che circondano la malinconia<br />

<strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> non si <strong>di</strong>vertono sul serio e non <strong>di</strong>vertono il pubblico. L’entrata <strong>di</strong> Tebaldo non suscita alcuna<br />

impressione, il seguente duetto con <strong>Giulietta</strong> è piuttosto grigio. Il duetto fra <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> fa declinare le<br />

speranze riposte ascoltando quello del primo atto. Siamo <strong>di</strong>nanzi ad un <strong>di</strong>alogo musicale; il canto ancora non si<br />

snoda, la melo<strong>di</strong>a non fiorisce, la passione non <strong>di</strong>venta musica che prorompe, e il pubblico resta freddo <strong>di</strong>nanzi<br />

all’artificioso calore degli innamorati. Il duello fra Tebaldo e <strong>Romeo</strong> che ripete una situazione del primo atto,<br />

con lo sfondo esterno <strong>di</strong> un’altra zuffa fra Capuleti e Montecchi, non suscita alcuna emozione.<br />

Il finale si appesantisce nel ritmo funebre del coretto che accompagna la salma <strong>di</strong> Tebaldo, e l’atto si chiude<br />

senza suscitare sincere e nutrite approvazioni. Altre quattro o cinque chiamate all’autore e agli interpreti,<br />

lievemente contestate.<br />

Il terzo atto si <strong>di</strong>vide in due parti. La prima, chiassosa e movimentata, è piuttosto ingombrante ed estranea<br />

all’economia della trage<strong>di</strong>a. La notizia della morte <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>, che <strong>Romeo</strong> apprende da un cantastorie girovago,<br />

non persuade nessuno, per quanto la nenia cantata con bella espressione dal tenore Nar<strong>di</strong> sia accolta<br />

favorevolmente.<br />

La cavalcata è fragorosa e ridondante nella tessitura sinfonica; produce un certo effetto ma non costituisce<br />

una bella pagina, presa a sé.<br />

Le ultime speranze sono ormai affidate alla scena finale. <strong>Romeo</strong> <strong>di</strong>nanzi alla cappella funebre che racchiude<br />

il corpo <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> addormentata si abbandona ad un declamato senza alcun particolare rilievo. Il risveglio <strong>di</strong><br />

<strong>Giulietta</strong>, il duetto, la lunga morte <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong>, l’alba che bacia i corpi degli innamorati adagiati nella pace senza<br />

fine formano una successione <strong>di</strong> ritmi, <strong>di</strong> spunti melo<strong>di</strong>ci, <strong>di</strong> frasi non sviluppate. L’attesa melo<strong>di</strong>a non è più<br />

venuta, la promessa del canto più volte annunziata durante gli episo<strong>di</strong> della trage<strong>di</strong>a non è stata mantenuta.<br />

La nuova opera <strong>di</strong> Riccardo Zandonai è dunque povera <strong>di</strong> idee, ossia <strong>di</strong> melo<strong>di</strong>a. L’amore <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> e<br />

<strong>Romeo</strong> si esprime col più irresistibile lirismo, non con i quadretti <strong>di</strong> genere. Il musicista ha indugiato intorno ai<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/32


particolari, ha impiegato molto del suo tempo prezioso nelle rifiniture marginali, ma ha <strong>di</strong>menticato l’essenziale:<br />

il volto e l’anima dei protagonisti.<br />

L’esecuzione è stata pregevole. L’orchestra, <strong>di</strong>retta con paterno amore da Riccardo Zandonai, ha suonato<br />

splen<strong>di</strong>damente. Gilda Dalla Rizza ha confermato la sua fama <strong>di</strong> poderosa cantante e <strong>di</strong> interprete efficace. Il<br />

tenore Fleta ha impiegato la ricchezza della sua voce e le sue risorse sceniche ad animare la figura <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong>. Il<br />

baritono Maugeri, un po’ impacciato e legnoso nei panni <strong>di</strong> Tebaldo, ha reso con brutale efficacia la sua parte<br />

vocale. Bene i cori. Di dubbio gusto gli scenari, specialmente nel secondo atto.<br />

Quando lo spettacolo è finito il pubblico si è maggiormente <strong>di</strong>viso negli apprezzamenti e gli ottimisti sono<br />

stati sopraffatti. Forse è necessario tornare ancora sulle nostre osservazioni.<br />

196<br />

L. T., “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” <strong>di</strong> Zandonai al Costanzi, “Il Popolo romano”, 16.2.1922 - p. 4, col. 2-3<br />

Emma Carelli era raggiante.<br />

Perché?<br />

Per il rumoroso, strabiliante, sesquipedale successo <strong>di</strong> Zandonai? No. Per il suo. Che retata d’oro ieri sera!<br />

Come ha fruttato la paziente reiterata insistente battuta <strong>di</strong> gran cassa <strong>di</strong> questi giorni nella compiacentissima<br />

stampa citta<strong>di</strong>na e come ha portato il suo frutto.<br />

“Lo Tesoro comenza dal dì che la réclame fiorio e fece frutto”, <strong>di</strong>rebbe anche Brunetto Latini.<br />

Noi non ci siamo prestati al giuoco e a qualcuno che ce lo ha rimproverato abbiamo risposto che la critica si<br />

deve farla dopo lo spettacolo e non prima.<br />

Il pubblico ha dunque, <strong>di</strong>cevamo, decretato a “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” tale un subisso <strong>di</strong> applausi tra<br />

ammaestrati e sinceri che il Costanzi ne ha tremato dalle basi ai fastigi.<br />

Da molto tempo non eravamo abituati a tali manifestazioni assordanti <strong>di</strong> giubilo e <strong>di</strong> ammirazione. Tal che<br />

sembrarono tepi<strong>di</strong> perfino gli applausi che salutarono l’apparire del Principe Ere<strong>di</strong>tario (come abbiamo sentito,<br />

o Bellezza (106) , la nostalgia <strong>di</strong> te che solo sai con così invitta fede <strong>di</strong>rigere la Marcia Reale!). Non per nulla<br />

abbiamo insistito su questa fragorosità <strong>di</strong> consenso della folla alla nuova opera <strong>di</strong> Zandonai perché mai il<br />

<strong>di</strong>ssi<strong>di</strong>o tra il così detto “successo <strong>di</strong> pubblico” e il valore intrinseco del lavoro rappresentato ci è parso così<br />

aspro e stridente: perché se il pubblico (claque a parte) ha voluto significare al maestro Zandonai che egli ha<br />

compiuto opera vitale e nuova d’arte, noi dobbiamo recisamente affermare che opera d’arte non è ma <strong>di</strong><br />

mestiere, e che nuova non è ma decrepita, e vitale non è ma così bene e definitivamente morta, invece, che non<br />

rimane che cantarle il “de profun<strong>di</strong>s” doloroso, “de profun<strong>di</strong>s” più forte per noi che per Zandonai stesso poiché<br />

egli è, beato lui, uno <strong>di</strong> quegli uomini che credono nella propria infallibilità artistica malgrado tutto e malgrado<br />

tutti.<br />

Non per lui dunque ma per questa nostra povera arte melodrammatica travagliata scriviamo queste frettolose<br />

note <strong>di</strong> critica, come il tempo e lo spazio ci consentono: schematicamente.<br />

Le ragioni che hanno fatto <strong>di</strong> questa “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” una infelice creatura inadatta alla vita sono<br />

essenzialmente due: la prima è che Zandonai non vede il melodramma. Egli, uomo d’analisi, non sa concepire<br />

che episo<strong>di</strong>i musicali; cieco per la virtù sintetica (virtù superiore, comune a pochi ingegni, riservata per lo più ai<br />

genii) egli non sa concepire altrimenti un’opera che come una sequela <strong>di</strong> episo<strong>di</strong>i uniti in or<strong>di</strong>ne cronologico e<br />

separati l’un dall’altro da piccoli asterischi armonici puramente decorativi.<br />

Il “pahtos” [sic] sentimentale o tragico del tutto non lo riscalda e non lo travolge.<br />

Capace <strong>di</strong> miniare con meticolosa cura un volto nei suoi più piccoli particolari <strong>di</strong> armoniosa estetica, egli<br />

non sa invece determinare i rapporti <strong>di</strong> ombra e <strong>di</strong> luce e cioè <strong>di</strong> verità e <strong>di</strong> vita che questo volto deve assumere<br />

nello sfondo del quadro per appartenergli, per essere parte del tutto, per non apparire una decalcomania piatta ed<br />

insipida appiccicata da un fanciullo che ignori anche ogni legge <strong>di</strong> prospettiva su una veritiera immagine <strong>di</strong><br />

paesaggio ritrovata sul cassetto del babbo. Per Zandonai il babbo è ancora e sempre Mascagni.<br />

Ed ecco venuto così senz’altro il momento <strong>di</strong> parlare della seconda ragione per cui l’ultima (ultima?) opera<br />

<strong>di</strong> Zandonai è nata senza ragioni <strong>di</strong> vivere in sé e per sé.<br />

Imitazione contorta, imitazione incompleta e faticosa dell’estetica Mascagnana ormai sorpassata, essa ha tutti<br />

i <strong>di</strong>fetti <strong>di</strong> questa mentre ne ha contraffatte le virtù innegabili <strong>di</strong> sincerità e <strong>di</strong> buona fede per servire a scopi<br />

perfettamente antitetici alle intenzioni del Maestro. Così quello che era in lui esuberanza romantica ma musica<br />

non artificiosa <strong>di</strong>viene qui blaterazione vacua e pretenziosa, pleonastica e vana <strong>di</strong> sviolinate cui la prudenza <strong>di</strong><br />

sapienti cesure non riesce a togliere il carattere pedestremente retorico che a loro ha dato vita.<br />

Vita effimera, buona soltanto a far vibrare <strong>di</strong> consentimento quella inferiore coscienza emotiva del pubblico<br />

grosso che il Phluger [sic] chiama giustamente coscienza spinale.<br />

Ricapitolando dunque:<br />

Episo<strong>di</strong> lirici ricamati senza gusto e senza scopo su un vecchio canovaccio tecnico ed inspirativo.<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/33


Con tutto ciò non si deve né si può negare allo Zandonai la qualità <strong>di</strong> ottimo strumentatore, inteso nel senso<br />

accademico della parola e <strong>di</strong> esperto armonizzatore del periodo melo<strong>di</strong>co.<br />

Anche questo inteso nel senso professionale della parola. A riprova <strong>di</strong> questo in<strong>di</strong>chiamo quella famosa<br />

cavalcata che permette – a sipario calato – il lavoro dei macchinisti per il mutamento della scena e che è nei<br />

riguar<strong>di</strong> sopraddetti una eccellente pagina musicale in cui l’onomatopeia del galoppo riesce quasi ad eguagliare<br />

tecnicamente quella del meraviglioso verso latino:<br />

“Quadrupedante putrem quatit sonitu ungula campum...”<br />

Ma a quale capolavoro <strong>di</strong> tragicità è mancata la forza in Zandonai <strong>di</strong>nnanzi a questo spunto – l’unico buono<br />

del libretto – che il poeta Rossato aveva porto al musicista.<br />

Ebbene in questo Zandonai non ha saputo che sorprendere il ritmo <strong>di</strong> uno zoccolo ferrato che batte la terra.<br />

Non ha sentito il galoppo della trage<strong>di</strong>a incalzante. Non ha sentito che Shakespeare era presente: ha visto<br />

semplicemente lo starter del Campo dell’Ippodromo dei Parioli. E gli ha de<strong>di</strong>cato senz’altro la sua onomatopeia<br />

musicale.<br />

“Non sic – Zandonai – sic itur ad astra”.<br />

197<br />

m[atteo] i[ncagliati], “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” <strong>di</strong> Zandonai al Teatro Costanzi, “Il Piccolo”, 15.2.1922 - p. 4, col. 2-<br />

3<br />

Un teatro magnifico per la prima della <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> <strong>di</strong> Riccardo Zandonai. Tornammo iersera al tempo<br />

in cui un’opera nuova destava così intensa curiosità e così vivo interesse da rendere possibile giustificare in<br />

teatro "partiti" pro o contro l’autore. Ma le vicende <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> per la sua stessa natura fatta <strong>di</strong><br />

ingenuità e <strong>di</strong> poesia si svolsero in una pace serena, salvo alla fine un tentativo <strong>di</strong> pugilato in loggione.<br />

Quali siano i pregi e quali i <strong>di</strong>fetti e come l’ultima scena, quella del sepolcro <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>, non sia stata colta e<br />

realizzata dalla fantasia del musicista e che fu dal librettista Arturo Rossato svolta in un vano e prolisso<br />

avvicendarsi <strong>di</strong> parole e <strong>di</strong> imagini – <strong>di</strong>remo stasera (107) .<br />

Poche note <strong>di</strong> cronaca varranno a segnalare l’ambita vittoria conseguita dal musicista illustre. Dei tre atti il<br />

primo fu coronato da una entusiastica acclamazione che si rinnovò ripetutamente ad ogni evocazione alla ribalta<br />

dell’autore. Il primo atto è quello nel quale signoreggia il duetto d’amore che ha potenza <strong>di</strong> suggestione, così<br />

come nella prima parte è da segnalare la zuffa tra i Capuleti e i Montecchi caratteristicamente <strong>di</strong>segnata<br />

vocalmente e strumentalmente con una sonorità che non è vuota né enfatica ma piena <strong>di</strong> musicalità – e son da<br />

tenere in pregio tocchi <strong>di</strong> colori bene appropriati all’ambiente; la Mascherata, musichetta da ballo, voci<br />

notturne, cantilene, stornellate.<br />

Zandonai appare cinque volte al proscenio prima con gl’interpreti, poi da solo.<br />

Il secondo atto si <strong>di</strong>stingue per un duetto tra <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> in cui la vena limpida del musicista scorre<br />

con grazia quasi fanciullesca e per il grido angoscioso <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong>, dopo l’uccisione <strong>di</strong> Tebaldo. Il velario si<br />

chiude e la sala prorompe in un caloroso applauso. Il Maestro ha tre chiamate.<br />

Il primo quadro del terzo atto risuona tutto della melopea del Cantatore – la pagina ispirata che pubblicammo<br />

l’altra sera sul Giornale d’Italia. E poiché l’interlu<strong>di</strong>o non consente pausa la trage<strong>di</strong>a va oltre. E siamo al<br />

quadro ultimo, del quale parleremo a lungo stasera. Alla fine Zandonai è evocato alla ribalta otto volte.<br />

[NOTA: l’articolo da qui in avanti è uguale – con solo qualche piccola mo<strong>di</strong>fica e soppressione – a quello,<br />

dello stesso Incagliati, sul “Giornale d’Italia” del 16.2.1922 - paragrafo “Lo spettacolo - gl’interpreti” (cfr.<br />

<strong>di</strong>etro, n. 188]<br />

198<br />

R[oberto] Forges Davanzati, “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” al Costanzi, “L’Idea nazionale”, 16.2.1922 - p. 3, col. 1-2-3-<br />

4<br />

Riccardo Zandonai ha portato egli stesso a battesimo la sua nuova opera, ma la paterna passione d’autore<br />

non ha fatto dubitare o tremare la bacchetta del <strong>di</strong>rettore, che è stata sicura e incitatrice sino alla fine dello<br />

spettacolo. Questo voluto <strong>di</strong>retto cimento non era in verità audacia verso un pubblico <strong>di</strong>mentico o arcigno <strong>di</strong><br />

volontà sentenziatrice. Ché anzi il primo applauso all’apparire del maestro è stato <strong>di</strong> buon augurio, è stato il<br />

meritato saluto amichevole all’autore e <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> Francesca da Rimini che aveva italianamente e festosamente<br />

schiusi i battenti della stagione.<br />

Né Zandonai sollecitava ieri sera altro paragone che con se stesso; proprio con Francesca, cui <strong>Giulietta</strong><br />

doveva congiungersi, venendo da un’affine leggenda <strong>di</strong> amore e morte. I melodrammi che hanno già avuto per<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/34


soggetto l’istoria degli amanti <strong>di</strong> Verona non sono vivi nella conoscenza del pubblico; appartengono agli archivi<br />

musicali. L’infortunata parentesi comica de La via della finestra che Zandonai ha aperta nel melodramma<br />

tragico, cui si è volto con nobile ardore, era già fuggita dalla memoria <strong>di</strong> quanti l’avevano ascoltata due anni fa<br />

sulle scene del Costanzi. Viva e presente nel pubblico, come antecedente <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>, era Francesca.<br />

Gli applausi fervi<strong>di</strong> che hanno salutato la fine del primo atto; quelli particolari che hanno ripetutamente<br />

chiamato l’autore alla ribalta; il consenso plaudente mantenuto dopo il secondo e il terzo atto, persuadono a<br />

ritenere che il pubblico, piuttosto che fermarsi ad un insistente e severo paragone, si sia volto in favore <strong>di</strong> questa<br />

<strong>Giulietta</strong> quasi sospinto e accompagnato dal grato imminente ricordo <strong>di</strong> Francesca. E quando un autore s’aiuta<br />

per se stesso per affinità <strong>di</strong> sue creature d’arte, per affetto e rispetto <strong>di</strong> pubblico conquistati con un proprio<br />

modo <strong>di</strong> sentire e <strong>di</strong> esprimersi, e raccoglie intorno alla sua nuova opera un plauso cor<strong>di</strong>ale anche se non<br />

entusiastico com’è stato ieri sera, vuol <strong>di</strong>re che, fra tanta incertezza e fugacità clamorose <strong>di</strong> musica<br />

contemporanea e cosmopolita, c’è un segno d’intesa, un comune desiderio fra pubblico e autore <strong>di</strong> volgersi<br />

senza <strong>di</strong>ffidenze ma con un patto d’amistà ad un’emozione d’arte particolare, significativa come quella cercata<br />

dal maestro Zandonai e per la quale egli ha già ottenuto una schietta simpatia del pubblico.<br />

Questa simpatia non è stata, ieri sera, nella sala colma del Costanzi, raffreddata dalle immancabili<br />

preoccupazioni <strong>di</strong> un primo giu<strong>di</strong>zio, che oramai, per gli sforzi tenaci dell’impresa assicurante al massimo teatro<br />

della capitale le primizie più importanti, ha assunto una minacciosa solennità nazionale e, pel teatro lirico,<br />

mon<strong>di</strong>ale. S’è mantenuta viva anzi, anche quando l’azione mancava o illangui<strong>di</strong>va come nel secondo atto o<br />

nell’ultimo quadro. Il pubblico non ha abbandonato mai l’autore, anche quando l’autore sembrava<br />

abbandonasse lui, e non era, ché Zandonai cerca tenacemente, con ostinatezza montanara, il senso teatrale; ma<br />

l’ispirazione abbandonava l’autore, lasciandolo alle prese con una passione semplice e vasta come quella <strong>di</strong><br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>, e che può essere riempita e agitata soltanto da colme ondate <strong>di</strong> melo<strong>di</strong>a. Il pubblico è stato<br />

fedele, grato quando alcuni episo<strong>di</strong> come l’irrompere dei famigli e delle fanti dopo l’uccisione <strong>di</strong> Tebaldo<br />

giungono opportuni a liberarlo dalla stanchezza; o come il quadro animato del piazzale <strong>di</strong> Mantova e l’arrivo<br />

del Cantastorie gli dànno riposo e conforto e, nel grido <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong>, gli dànno quella commozione sia pure fugace<br />

che invano ha atteso dalla passione dei due amanti.<br />

Questa simpatia, questa fedeltà degli ascoltatori, che potevano essere stravolti da qualche insistenza<br />

inopportuna degli applau<strong>di</strong>tori <strong>di</strong> professione, sono senza dubbio il segno più caratteristico del successo <strong>di</strong> ieri<br />

sera, conquistato anche da un’esecuzione veramente eccellente, che ha dato la misura dell’opera.<br />

Da quando <strong>Romeo</strong> appare, mascherato, a far tacere la rissa dei Capuleti e Montecchi e risponde con<br />

un’accoratezza wagneriana alle aspre provocazioni <strong>di</strong> Tebaldo, fino alla morte attraverso gli accenti <strong>di</strong> dolcezza<br />

e <strong>di</strong> <strong>di</strong>sperazione, il canto del tenore Fleta è stato fluido, appassionato, melo<strong>di</strong>co anche là dove l’espressione<br />

cedeva all’enfasi d’un’alta tessitura. E tutta la poesia dell’improvviso, fremebondo affacciarsi <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> al<br />

verone, subito dopo che la scolta ha fugato i rissanti e messa una nota <strong>di</strong> pace nella quiete antelucana, è stata<br />

espressa dalla voce rotonda <strong>di</strong> Gilda dalla Rizza, che riesce a serbarle note d’innocenza e <strong>di</strong> grazia pure nel<br />

travaglio cui è costretta dalla esasperazione canora, cara purtroppo ai musicisti contemporanei.<br />

E se i due cantanti nulla hanno potuto aggiungere <strong>di</strong> virtù, nei loro incontri del secondo atto e dell’ultimo<br />

quadro, ai felici accenti del primo colloquio, il colloquio del verone, non è stata certo colpa loro. Poiché, per<br />

complicità del librettista e del musicista, questo primo colloquio, il migliore dell’opera, segna già il climax della<br />

passione dei due amanti. È già una vetta, da cui si <strong>di</strong>scende irrime<strong>di</strong>abilmente.<br />

Sebbene, per la naturalezza della scena, per semplice accorgimento teatrale, fosse stato consigliabile in<br />

questo primo colloquio, infantile e ingenuo <strong>di</strong> contro a tanta violenza <strong>di</strong> o<strong>di</strong>i, una dolcezza furtiva, una<br />

tenerezza intima e paurosa, il musicista non ha saputo frenarsi. Dopo i primi accenti <strong>di</strong> una soavità raccolta, i<br />

due amanti perdono ogni cautela. Smemorati del luogo e dell’ora, si abbandonano alla declamazione del loro<br />

amore, e le loro voci sono obbligate a superare possenti quanto anacronistiche sonorità orchestrali. Tutto quello<br />

che <strong>di</strong> eroico è nella volontà dei due giovanissimi <strong>di</strong> amarsi contro l’o<strong>di</strong>o delle famiglie, e si sovrappone<br />

all’inconsapevole, all’amabile, al piacevole <strong>di</strong> questo effetto che s’inerpica su per la scala e si fa beffa <strong>di</strong> tanta<br />

avversità, è subito esibito in questo primo colloquio, che contiene già quel tanto <strong>di</strong> tragico <strong>di</strong> cui è capace la non<br />

ricca vena del musicista. In questo duetto, che è in sé il migliore, che <strong>di</strong>ce tutto ma è il primo, che <strong>di</strong>ce meglio<br />

ma è il primo, è l’errore estetico dell’opera. L’amore <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> comincia e si esaurisce in questo<br />

primo colloquio. Il dramma è concluso, per non <strong>di</strong>re annullato, in questa prima espansione lirica, che raggiunge<br />

la solita estensione spasmo<strong>di</strong>ca dell’espressione musicale contemporanea. Nella passione dei due amanti non<br />

c’è più ascensione, c’è sca<strong>di</strong>mento. E la subita ascensione del primo colloquio è tutta a danno dell’emozione<br />

che dovrebbe suscitare la trage<strong>di</strong>a dei due giovanissimi. E la bellezza musicale del primo duetto è decorativa,<br />

esteriore, con appena qualche ritorno <strong>di</strong> intimità nel canto <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>: “Che mai sarà, che mai sarà <strong>di</strong> noi -<br />

dolce <strong>Romeo</strong> - se l’o<strong>di</strong>o e il sangue della nostra gente - così ci struggon nel furore antico...” Non appena è<br />

placata nella cadenza melanconica della scolta la rissa degli o<strong>di</strong>atori, si accende subito con uguali bagliori <strong>di</strong><br />

sonorità croscianti questa fiamma <strong>di</strong> amore, in una espressione che, volendo sollevarsi d’impeto ad altezze<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/35


liriche, annulla il carattere dei personaggi, due giovanetti che s’amano <strong>di</strong> nascosto, e si perde in una retorica<br />

canora.<br />

Ma questa retorica è propria <strong>di</strong> Zandonai? O piuttosto essa non tiene il campo della nostra scena lirica<br />

contemporanea, da quando la musa dell’ispirazione è imprigionata come per un triste incantesimo e aspetta<br />

ancora il principe che la liberi e le tolga il cilicio della castità e la fecon<strong>di</strong> con trasporto?<br />

È stato, questo che abbiamo detto, soltanto un errore estetico o non lo ha provocato la siccità fantastica della<br />

nostra arte e questa sua tragica necessità <strong>di</strong> mascherare l’ari<strong>di</strong>tà melo<strong>di</strong>ca e la piattezza inventiva con<br />

l’apparenza decoratiaca [?], in un fraseggiare ondeggiante e indefinito che fatalmente domanda soccorso<br />

all’enfasi e allo strepito? Non abbiamo sentito come, pur con le sue non <strong>di</strong>strutte ricchezze inventive, Pietro<br />

Mascagni non ha saputo, non ha potuto quasi serbare il carattere infantile e tenero e ingenuo dei protagonisti del<br />

Piccolo Marat contro la cupa cattiveria dell’Orco e si è abbandonato anch’egli all’enfasi, illuminata qua e là<br />

dalle luci d’una non morta ispirazione?<br />

Non risolviamo i dubbi degli interrogativi. Li poniamo. Li poniamo in quanto sono, secondo la nostra<br />

impressione, nel giu<strong>di</strong>zio dato dal pubblico iersera. Non preten<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> sentenziare per la posterità. Vogliamo<br />

tenerci a una fedeltà <strong>di</strong> cronisti. E appunto la fedeltà <strong>di</strong> cronisti ci <strong>di</strong>ce che l’amore <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> è tutto<br />

nel primo colloquio e che l’emozione della trage<strong>di</strong>a non è però al secondo atto, dove la vicenda ripete in un<br />

identico contrasto il primo; non è nemmeno nella morte, raggiunta affannosamente, dopo una elegiaca<br />

successione <strong>di</strong> canti, senza un solo accento profondamente drammatico, ma è sentita nell’episo<strong>di</strong>o migliore<br />

dell’opera, il lamento del Cantastorie che, nel piazzale <strong>di</strong> Mantova, su un cielo fosco <strong>di</strong> bufera, apprende<br />

improvvisamente all’esiliato <strong>Romeo</strong> per la morte <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>.<br />

L’emozione è cioè raggiunta con elementi lirici e drammatici che sono fuori del contrasto fondamentale<br />

dell’opera: l’amore dei due e l’o<strong>di</strong>o delle famiglie. Occorre l’episo<strong>di</strong>o per darla. Occorre l’aiuto <strong>di</strong> un corale<br />

facile e colorito, della canzone del Cantastorie, perfettamente cantata dal bravissimo Nar<strong>di</strong>, e obbligata a una<br />

definizione melo<strong>di</strong>ca popolaresca e però intima e caratterizzata, perché finalmente sui lampi della imminente<br />

bufera il grido <strong>di</strong>sperato <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong>, pallido e tristamente presago, abbia finalmente una virtù tragica. E appena<br />

l’episo<strong>di</strong>o cessa, questa virtù scompare, poiché l’intermezzo che racconta il galoppo furioso <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong> è un<br />

brano <strong>di</strong> in<strong>di</strong>scutibile bravura ma atrocemente esteriore nella sua estenuante sonorità, senza alcun pathos <strong>di</strong><br />

ispirazione.<br />

Da quanto abbiamo detto in questa fugace quanto fedele rassegna delle sensazioni <strong>di</strong> iersera, è ben chiaro<br />

che noi non abbiamo da muovere alcun rimprovero al maestro Zandonai e al suo poeta Rossato, perché essi<br />

hanno osato rivolgersi alla istoria, resa celebre dalla trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Shakespeare. Nessuno ha rimproverato, e bene a<br />

ragione, il maestro trentino <strong>di</strong> aver domandato ispirazioni musicali a Francesca, alla Francesca <strong>di</strong> Dante e <strong>di</strong><br />

Gabriele d’Annunzio.<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>, storia o leggenda o storia e leggenda, appartiene alla rapso<strong>di</strong>a popolare, e può e deve<br />

inspirare, anche dopo la trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Shakespeare. La quale è tutt’altro che perfetta. Cre<strong>di</strong>amo anzi che Rossato e<br />

Zandonai abbiano lasciato una strada pericolosa abbandonando decisamente la rappresentazione del poeta<br />

inglese, irriducibile per una scena moderna, irriducibile musicalmente con la sua varietà episo<strong>di</strong>ca, con la sua<br />

ingenuità fantastica mescolata alla più artifiziosa preziosità lirica.<br />

Ma l’aver lasciato la strada pericolosa, l’esser tornati alle fonti della prima novella che racconti l’istoria dei<br />

due amanti non era tutto. Ci voleva altro. E questo altro, che doveva essere una felice ripresentazione della<br />

favola, è a parer nostro mancato perché manca la favola. Il dramma è tutto nel primo contrasto del primo atto, e<br />

Tebaldo, a malgrado della viva recitazione del baritono Maugeri, è personaggio troppo uniforme per poter<br />

interessare quando dovrebbe, e cioè al secondo atto. Il suo colloquio con <strong>Giulietta</strong> è nullo. Egli è soltanto una<br />

spada, una spada furiosa, impe<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> battersi al primo atto dal sopravvenire della scolta e che finalmente si batte<br />

al secondo. Tebaldo è troppo poco per essere l’o<strong>di</strong>o, ed è tutto l’o<strong>di</strong>o <strong>di</strong> quest’opera. In contrasto d’un amore<br />

che si ferma dove comincia, al colloquio del verone, perché in realtà non comincia ma scroscia già pieno e<br />

smisurato al suo apparire.<br />

Venuto meno il contrasto drammatico, l’opera è monca nel suo centro e si regge per episo<strong>di</strong>i. I quali hanno<br />

bisogno <strong>di</strong> movimento esterno o <strong>di</strong> suggerimenti melo<strong>di</strong>ci popolareschi, come nel terzo atto, quando <strong>di</strong>fettano <strong>di</strong><br />

inventiva come quello del torchio al secondo.<br />

Il successo <strong>di</strong> ieri sera potrà essere aiutato da qualche opportuno taglio, e l’opera potrà correre sul nostro<br />

teatro lirico, per il quale le speranze e le aspirazioni continuano ad essere assai più delle gioie e delle conquiste.<br />

Certo la trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> ha un altro cantore che si aggiunge ai passati, ma non ha ancora il suo<br />

cantore. Forse non può averlo che nel popolo, in qualche rapsodo <strong>di</strong> strada...<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/36<br />

199<br />

La sala


L’ammirazione della Sala del Costanzi, nelle serate delle gran<strong>di</strong>ssime occasioni, è una gioia riservata a quei<br />

pochi che sentono <strong>di</strong> star lì in quella poltrona come una quantità trascurabile, priva <strong>di</strong> qualsiasi funzione critica<br />

o decorativa, che non deve far niente altro che ammirare.<br />

I critici, si sa, poveretti, vivono quelle tre o quattro ore sotto l’assillo spaventoso d’una spada <strong>di</strong> Damocle<br />

pendente sul loro capo: l’articolo da scrivere, tanto più <strong>di</strong>fficile a scrivere quando non c’è nulla <strong>di</strong> bene e nulla<br />

<strong>di</strong> male da <strong>di</strong>re. Gli uomini, per una sera tanto, si sentono tutti un po’ membri <strong>di</strong> un tribunale che deve giu<strong>di</strong>care<br />

così su due pie<strong>di</strong>, ed hanno una gran fretta, ad ogni calar <strong>di</strong> telone, <strong>di</strong> scappare nel “foyer” per scambiarsi le loro<br />

impressioni. Le signore sono preoccupate più del solito <strong>di</strong> concedere un sapiente abbandono alla loro pelliccia,<br />

che lasci vedere e non vedere il candore delle spalle e del seno. Non troppo, per carità! Non per un malinteso<br />

senso <strong>di</strong> pudore: ma è <strong>di</strong>ventato così in<strong>di</strong>screto e maleducato, quel loggione!<br />

Noi invece eravamo ieri sera nella fortunata con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> chi non ha niente da fare. Neppure la curiosità <strong>di</strong><br />

conoscere la nuova opera <strong>di</strong> Zandonai. L’avevamo ascoltata alla prova generale e, per conto nostro, ci avevamo<br />

già messo una pietra sopra. Quante pietre in questi ultimi anni! Ne abbiamo sullo stomaco una massiccia<br />

collezione, che si sopporta solo perché <strong>di</strong> quando in quando si riapre qualche avello che si poteva pensare<br />

definitivamente chiuso e ne vien fuori un alito così fresco e inebriante delle musiche del passato che quelle <strong>di</strong><br />

oggi ci si affondano come un masso terroso in un lago sereno e cristallino. Neppure l’ansietà <strong>di</strong> far vedere un<br />

bel "frack", essendo il nostro troppo consumato dalle cerimonie pontificali <strong>di</strong> questi giorni per metterlo in<br />

mostra in un così autorevole consesso <strong>di</strong> abiti da sera usciti allora allora dalle mani perfette del più perfetto<br />

tagliatore. E neppure, infine, l’obbligo <strong>di</strong> dover riconoscere i nomi tra tante eminenti personalità dell’arte e della<br />

politica e dell’aristocrazia, tra tante fulgenti signore. Per questo ci sono i giornali del mattino.<br />

Quelli che c’erano<br />

Non c’era dunque che guardare così, cogli occhi appena velati dalla mano leggera <strong>di</strong> una dolcissima<br />

sonnolenza, e da ammirare come in sogno. Questa mattina, riaprendo gli occhi dopo il sonno più pesante e<br />

ristoratore, abbiamo letto che ieri sera al Costanzi c’erano tra gli altri: il conte Cito Filomarino, ammiraglio<br />

Bonal<strong>di</strong>, donna Maria Ruspoli, principessa Giovanelli, marchesa <strong>di</strong> Bagno, contessa Ciriani, contessa Giannotti,<br />

contessa Bruschi Falgari e figlia, duchessa <strong>di</strong> Castoria, donna Giacinta Del Drago, contessa Antonelli, marchesa<br />

Spinola, contessa Lovatelli, duchessa <strong>di</strong> Terranova, contessa Serristori, Carmen Mella, donna Franca Florio,<br />

madama Lyda Borelli Cini, contessa Dorsey, signora e signorina Incagliati, duchessa Lante, baronessa Scialoia,<br />

madama Finocchiaro Aprile, contessa <strong>di</strong> San Martino, baronessa Grazioli, principessa Boncompagni,, contessa<br />

Teodoli, donna Osnella [sic] Fieschi Roveschieri, marchesa Capranica del Grillo, signora Gayda, signora<br />

Minunni e signorina Ester Lombardo, contessa Vannicelli, madama Chiovet e figlia, S.E. Bonomi, S.E. Rosa<strong>di</strong>,<br />

S.E. Corbino, on. Ciraolo, on. duca <strong>di</strong> Terranova, on. Finocchiaro Aprile, on. Sar<strong>di</strong>, on. barone Compagna, on.<br />

conte Fieschi Ravaschieri, principe Odescalchi, conte Macchi <strong>di</strong> Cellere, marchese Capranica del Grillo, duca<br />

Sforza Cesarini, principe Lancellotti, conte Ruggiero Suar<strong>di</strong>, ecc.<br />

I Principini<br />

Ma anche S.A. il Principe ere<strong>di</strong>tario e la Principessina Mafalda avevano voluto onorare della loro presenza<br />

la importantissima serata. Il Principe Umberto era nel palchetto <strong>di</strong> proscenio, nella uniforme grigioverde <strong>di</strong><br />

granatiere. La Principessina Mafalda, in un semplicissimo ed elegante abito fragola, aveva preso posto nel palco<br />

attiguo, tra alcune dame <strong>di</strong> Corte.<br />

Il pubblico si accorse della loro augusta presenza quando lo spettacolo era già cominciato, e nell’intervallo<br />

tra il primo ed il secondo atto tutti i binocoli si fissarono sulla figura aitante del Principe Umberto e su quella<br />

gentilissima della bionda Principessina. Ma, prima che si iniziasse il secondo atto, volle testimoniar loro tutta la<br />

sua devota simpatia, e chiese a gran voce l’inno reale. Il maestro Zandonai, non appena salito sul po<strong>di</strong>o<br />

<strong>di</strong>rettoriale, attaccò con slancio la Marcia reale, che fu ascoltata tra applausi scroscianti dal pubblico tutto in<br />

pie<strong>di</strong>.<br />

La messa in scena<br />

Che cosa dobbiamo <strong>di</strong>re degli scenari violenti e realistici d’una Verona e <strong>di</strong> una Mantova che volevano darsi<br />

ad ogni costo l’aria <strong>di</strong> essere fatte <strong>di</strong> pietre vere, <strong>di</strong> veri mattoni? Dei costumi stonati e chiassosi che parevano<br />

fatti apposta per tenere spasmo<strong>di</strong>camente aperti gli occhi più assonnati, per perpetuare nell’urto dei rossi, dei<br />

ver<strong>di</strong>, dei gialli le risse dei Montecchi e dei Capuleti, già così esacerbate nel tumulto dell’orchestra fragorosa?<br />

Diremo solo che abbiamo de<strong>di</strong>cato una commossa lagrima ed un rimpianto agli scenari fantasiosi e<br />

melodrammatici delle vecchie opere ver<strong>di</strong>ane, che non si vergognavano <strong>di</strong> apparir tela <strong>di</strong>pinta e cartone, perché<br />

c’era la musica a dar loro una vita particolare. Adesso, si sa, le messe in scena sono così curate e precise che<br />

non c’è più un soldo <strong>di</strong> spazio per l’immaginazione. Ma allora si <strong>di</strong>venta terribilmente esigenti. E non si capisce<br />

più come <strong>Romeo</strong> possa ascendere una ripida parete su <strong>di</strong> una scala che non è riuscita a <strong>di</strong>stricare il suo groviglio<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/37


<strong>di</strong> finta seta per calare giù dal balcone; e perché delle fanciulle che giuocano debbano sfuggire correndo la<br />

fiamma d’una torcia che non si è accesa.<br />

Ma son piccole mende, queste, che non contano e che son state portate ora dal vento impetuoso del successo<br />

sgorgato, come quasi sempre accade, dalle due regioni più elevate e laterali della sala, per guadagnare poi a<br />

sbalzi e a scrolloni tutto quanto il teatro. Eccettuato, beninteso, lo scettico e maligno “foyer” dove gli uomini si<br />

affollano per confondere il fumo delle loro sigarette e quello delle loro impressioni. Le quali, ieri sera, erano in<br />

genere alquanto <strong>di</strong>scordanti cogli applausi risuonati nella sala a ogni fine d’atto.<br />

Ma anche queste son cose che non contano, perché le chiacchiere del “foyer” sono fatte <strong>di</strong> fumo. Quello che<br />

conta è l’arrosto degli applausi, che non poteva essere meglio cucinato e più copioso.<br />

a. f.<br />

200<br />

“<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” in recita <strong>di</strong>urna al Costanzi, “Il Piccolo”, 18.2.1922 - p. 4, col. 3<br />

È stato saggio consiglio quello della Direzione del “Costanzi” <strong>di</strong> porre la <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> <strong>di</strong> Riccardo<br />

Zandonai a contatto col gran pubblico domenicale, che ha in sommo grado sviluppata la facoltà dell’intuizione<br />

artistica e la sensibilità musicale, col fissare per domani, domenica, una recita <strong>di</strong>urna della nuova opera.<br />

Perché il pubblico affollatissimo della seconda rappresentazione in abbonamento ha tributato a <strong>Giulietta</strong> e<br />

<strong>Romeo</strong> tali cor<strong>di</strong>ali accoglienze e tale fervore <strong>di</strong> consensi da rendere giustamente pago l’illustre autore, il<br />

musicista geniale che con la Francesca da Rimini ha ormai conquistato un posto d’onore nella storia<br />

contemporanea del melodramma italiano. Successo, dunque, <strong>di</strong> pubblico che occorre segnalare onestamente e<br />

che pone ormai la nuova opera <strong>di</strong> fronte a questa constatazione: che, tenuto presente il libretto e nonostante le<br />

osservazioni estetiche e <strong>di</strong> natura teatrale che giustamente la critica non ha taciute, la <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> ha<br />

compiutamente conquistato l’elegante folla adunata nella vasta sala del “Costanzi” durante le prime due<br />

rappresentazioni. E ciò che è nuda cronaca non è possibile non riconoscere e non segnalare.<br />

Domani, nella recita <strong>di</strong>urna, la <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> affronterà un nuovo pubblico, quel pubblico che giu<strong>di</strong>ca<br />

intuitivamente, scevro da ogni preoccupazione. E sarà un avvenimento che potrà dare prova della vitalità<br />

dell’opera, nonostante qualche <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong> struttura che fu rilevato in alcuni punti del libretto.<br />

Perché è bene affermare che in tutta l’opera si succedono le pagine ispirate come il gran duetto d’amore al<br />

verone nel primo atto, il canto pieno <strong>di</strong> tenerezza <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> al secondo, la melopea del cantatore e l’“Urla,<br />

tempesta” al terzo, e il canto <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong> <strong>di</strong>nanzi all’arca <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>.<br />

All’ancor giovane maestro trentino, del quale nessuno <strong>di</strong>sconosce la genialità e la probità dei propositi, pur<br />

nelle nobili <strong>di</strong>scussioni cui ha dato luogo la sua nuova e interessante opere d’arte, noi speriamo arrida domani<br />

anche il favore del gran pubblico popolare.<br />

[...]<br />

201<br />

g.m.f., “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” al Costanzi, “Il Popolo”, 18.1.1924 - p. 3, col. 5<br />

Riccardo Zandonai occupa il primo posto tra gli scrittori d’opera italiani del nostro tempo. Si <strong>di</strong>scute da<br />

qualcuno se la sua “Francesca da Rimini” sia più bella <strong>di</strong> “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>”, ma il raffronto anzitutto non ci<br />

sembra ragionevole. La prima è opera a contenuto drammatico e tutta pervasa <strong>di</strong> sensualità, “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>”<br />

è invece un’opera lirica, <strong>di</strong> concezione affatto <strong>di</strong>versa. Per nobiltà <strong>di</strong> fattura, originalità ed organicità, ci sembra<br />

ch’essa rappresenti in ogni modo un concepimento <strong>di</strong> arte più elevata e perfetta. E non solo la giu<strong>di</strong>chiamo la<br />

migliore creazione del nostro teatro al giorno d’oggi, ma aggiungiamo che tale primato non è relativo poiché<br />

costituisce, almeno pel momento in cui viviamo, la forma del dramma lirico la più completa e la [più]<br />

corrispondente al nostro gusto estetico.<br />

Le pagine splen<strong>di</strong>de racchiuse in “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” sono tante che non si sa veramente quali preferire: il<br />

duetto d’amore al primo atto ch’è tutto un incanto <strong>di</strong> chiarori, dal lunare a quello dell’alba, contiene non solo un<br />

tema affascinante ma è ricco <strong>di</strong> altre frasi non meno incantevoli.<br />

Nel secondo atto, il tragico giuoco della Torcia fra le donzelle, in cui echeggia il presentimento <strong>di</strong> morte, è <strong>di</strong><br />

una "personalità" impressionante. Ricco <strong>di</strong> forti contrasti e potente il duetto fra <strong>Giulietta</strong> e Tebaldo, e se il<br />

seguente breve duettino fra soprano e tenore ricorda sagome melo<strong>di</strong>che già conosciute, esso è reso nuovo<br />

dall’efficace comento orchestrale.<br />

Finalmente, al terzo atto, la scena fra il Cantastorie che racconta la morte <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> allo sbigottito <strong>Romeo</strong>,<br />

l’intermezzo orchestrale della cavalcata furibonda e <strong>di</strong>sperata <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong> nella tempesta mentre la sua angoscia è<br />

resa all’interno da scoppi <strong>di</strong> voci dolorose è <strong>di</strong> una tale forza che sembra schiacciare la commovente e soave<br />

ultima scena della morte.<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/38


Novissimo in Zandonai il modo <strong>di</strong> concepire gli sfon<strong>di</strong> corali, a macchie <strong>di</strong> colore; abilissima la sua maniera<br />

<strong>di</strong> trattare l’orchestra ove nulla è tralasciato per raggiungere la pienezza dell’espressione, con impiego<br />

felicissimo <strong>di</strong> ogni specie <strong>di</strong> strumenti anche secondari, senza che questa cura sorprendente dei particolari<br />

nuoccia alle gran<strong>di</strong> linee d’insieme.<br />

Ma quel che più ammiriamo in “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” è, come accennammo, la sua nobiltà: quest’opera non<br />

contiene una battuta che possa chiamarsi volgare.<br />

Il pubblico del “Costanzi” ha avuto ieri sera la fortuna d’ascoltarne una esecuzione magnifica. La Dandolo<br />

(<strong>Giulietta</strong>), il tenore Cingolani (<strong>Romeo</strong>) ed il baritono Gherar<strong>di</strong>ni (Tebaldo) costituivano non solo una triade <strong>di</strong><br />

primissimo or<strong>di</strong>ne, ma il carattere dei mezzi lirici <strong>di</strong> questi artisti era in corrispondenza meravigliosa col<br />

carattere dell’opera. Essi mostrarono inoltre una bravura non comune come interpreti drammatici. A completare<br />

il fascino <strong>di</strong> questa eccezionale rappresentazione s’aggiunse poi tutto il resto: i personaggi secondari, la Porter,<br />

il Nar<strong>di</strong>, che <strong>di</strong>sse alla perfezione la parte del Cantastorie, l’Uxa, il De Petris e gli altri tutti furono impeccabili,<br />

come del resto i cori, la cui parte è irta <strong>di</strong> molte e continue <strong>di</strong>fficoltà. L’orchestra, <strong>di</strong>retta dal maestro Vitale che<br />

aveva concertato tutta l’opera con amore, infine gli scenari, particolarmente quelli del verone al primo atto e<br />

della Tomba <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>, che Augusto Carelli seppe fare assurgere alla <strong>di</strong>gnità dello spettacolo.<br />

Dopo quanto abbiamo riferito ci sembra superfluo fare la cronaca degli applausi: il successo <strong>di</strong> “<strong>Giulietta</strong> e<br />

<strong>Romeo</strong>” fu completo. Quest’opera è destinata a costituire una della maggiori attrazioni dell’o<strong>di</strong>erna stagione<br />

lirica.<br />

202<br />

Domenico Alaleona, “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” al Teatro Costanzi, “Il Mondo”, 18.1.1924 - p. 3<br />

È tuttora vivo il ricordo delle affettuose <strong>di</strong>mostrazioni che furono rivolte due anni or sono a Riccardo<br />

Zandonai nella serie <strong>di</strong> rappresentazioni da lui <strong>di</strong>rette al Costanzi; e del caloroso successo riportato dalla<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> nella sua prima presentazione, che l’autore volle de<strong>di</strong>care al pubblico romano sotto la sua<br />

personale guida. Da allora ad oggi la trage<strong>di</strong>a lirica, felicemente semplificata e inquadrata per la musica da<br />

Arturo Rossato e animata dall’arte dell’autore <strong>di</strong> Francesca da Rimini, ha compiuto con successo il giro dei<br />

principali teatri. Cosicché ritorna fra noi rafforzata dal prolungato contatto col pubblico e da ripetuti e<br />

molteplici consensi.<br />

Sarebbe perciò affatto inopportuno riprendere i giu<strong>di</strong>zi e le <strong>di</strong>scussioni che il lavoro suscitò al suo primo<br />

apparire, e che ne lumeggiano pienamente i pregi e le manchevolezze.<br />

Limitandomi a qualche mia impressione, <strong>di</strong>rò che quest’opera mi interessa e mi avvince più per gli elementi<br />

<strong>di</strong> ambiente che <strong>di</strong> figura: essa mi fa pensare ad un antico quadro <strong>di</strong> cui rimanessero in perfetta conservazione<br />

alcune parti e alcuni particolari bellissimi dello sfondo, ma <strong>di</strong> cui il tempo edace avesse oscurato, se non<br />

cancellato, le figure o meglio i volti e gli sguar<strong>di</strong> delle figure. O – se volete – pensate ad un quadro in cui<br />

l’artista (come accadde a Leonardo per il volto <strong>di</strong> Cristo nel Cenacolo) si fosse arrestato <strong>di</strong> fronte ai volti e agli<br />

sguar<strong>di</strong> delle sue creature viventi.<br />

Il che non toglie che la <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>, nel suo insieme, possegga elementi delicatissimi <strong>di</strong> fascino.<br />

Ricordo – accennando fugacemente ai punti secondo me più sensibili del lavoro – nel primo atto alcuni<br />

momenti energici e corruschi del coro; l’episo<strong>di</strong>o felicissimo che precede l’entrata <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong> con la ronda<br />

notturna, e con quella melo<strong>di</strong>a affettuosa in orchestra al clarinetto che introduce così delicatamente del “cielo<br />

sentimentale” della scena che segue; l’uscita delle maschere poco più innanzi; nel second’atto tutta la “scena del<br />

torchio”, <strong>di</strong> indovinatissima, elegante vivacità, venata <strong>di</strong> tristezza, esempio <strong>di</strong> fusione perfetta dei gesti musicali<br />

e scenici; un momento <strong>di</strong> alta bellezza – il più bello dell’opera – quando <strong>Giulietta</strong>, dopo il concitato, violento<br />

<strong>di</strong>alogo con Tebaldo, rimane sola in scena e si appressa ed appoggia stanca al pozzo mentre su un sommesso<br />

mormorare dell’orchestra s’ode il suono dolcissimo <strong>di</strong> un organino lontano; alcune parti del duetto fra <strong>Giulietta</strong><br />

e <strong>Romeo</strong> (questo del secondo atto è, a mio parere, il più bello dei tre); specialmente qualche accento melo<strong>di</strong>co,<br />

un po’ arca<strong>di</strong>co ma perfettamente intonato al personaggio e alla situazione, del canto <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>; il momento<br />

della morte <strong>di</strong> Tebaldo, con quei brivi<strong>di</strong> <strong>di</strong> armonici acuti su armonie gravi e religiose; nell’ultim’atto alcuni<br />

tratti delle apostrofi dolorose <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong> e del duetto finale che chiude l’opera in una atmosfera <strong>di</strong> soave poesia.<br />

Questi ed altri elementi che potrei esemplificare, unitamente a molte risorse sceniche <strong>di</strong> cui più avanti<br />

faremo cenno, rendono la <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> <strong>di</strong> Riccardo Zandonai un’opera degna <strong>di</strong> tutto il rispetto, che si<br />

ascolta con interesse e go<strong>di</strong>mento; e spiegano le calorose accoglienze da cui essa è stata ed è accolta nella sua<br />

fortunata peregrinazione.<br />

Ammirabile sotto ogni aspetto è la realizzazione musicale e scenica con cui il lavoro si presenta in questa<br />

riproduzione al Costanzi. Il che attesta della infinita, lodevolissima cura che la Casa e<strong>di</strong>trice Ricor<strong>di</strong> pone alle<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/39


opere che le stanno – giustamente – a cuore. Cura che è stata assecondata con ogni mezzo dalla impresa del<br />

teatro e dal <strong>di</strong>rettore maestro Vitale, con la sua valida esperienza <strong>di</strong> animatore e <strong>di</strong> interprete.<br />

Vorremmo parlare insieme della realizzazione musicale e scenica, tanto i due elementi – curati e armonizzati<br />

in ogni parte, così nelle linee e nei colori generali dei quadri come nei particolari – si fondono in una unica<br />

visione integrale <strong>di</strong> bellezza. Chi vuole ricreare lo spirito nella rievocazione <strong>di</strong> una vita d’altri tempi in un<br />

quadro d’arte armonioso si rechi al Costanzi e troverà l’appagamento del suo desiderio in alcune scene ed<br />

episo<strong>di</strong> della <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>.<br />

Necessità pratiche ci costringono a spezzare, nella cronaca, i magici elementi inscin<strong>di</strong>bili del quadro. E,<br />

cominciando dalla parte musicale, <strong>di</strong>remo che gli artisti chiamati ad interpretare le parti principali sono stati<br />

scelti molto felicemente.<br />

Stefania Dandolo possiede voce chiara, timbrata, ben modulata: specialmente negli episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> dolcezza come<br />

nel duetto dell’atto secondo ella raggiunge notevoli effetti <strong>di</strong> commozione. La sua elegante figura, la grazia e<br />

sobrietà della azione scenica contribuiscono a renderla una interprete assai pregevole del personaggio <strong>di</strong><br />

<strong>Giulietta</strong>.<br />

Il giovane tenore Augusto Cingolani (<strong>Romeo</strong>) ha superato vittoriosamente una <strong>di</strong>fficile prova in questo che<br />

era il suo “debutto” al Costanzi. Voce bella e vibrante, passionalità <strong>di</strong> accento, figura adatta per la scena sono le<br />

qualità <strong>di</strong> questo giovane artista marchigiano, destinato certamente ad un brillante avvenire. Di tali sue qualità<br />

egli ha offerto larga prova nella sua parte, ricca sia <strong>di</strong> accenti patetici che <strong>di</strong> apostrofi angosciose e violente.<br />

Un baritono perfettamente tagliato per la parte <strong>di</strong> Tebaldo è Emilio Gherar<strong>di</strong>ni: voce facile, timbrata, che<br />

giuoca baldamente in modo speciale con gli acuti ai quali volentieri Zandonai spinge queste sue parti (notiamo<br />

la grande analogia del Tebaldo col Gianciotto della Francesca da Rimini, e ripensiamo al duetto con<br />

Malatestino che si chiude con quel magnifico “Voglio” sul sol acuto); sicuro, <strong>di</strong>gnitoso incedere scenico<br />

improntato ad una certa nervosità e <strong>di</strong>rei quasi “<strong>di</strong>spitto” dantesco che infonde un carattere tipico al personaggio<br />

per se stesso <strong>di</strong> scarso rilievo; e soprattutto chiarezza e incisività <strong>di</strong> <strong>di</strong>zione e <strong>di</strong> accento, perfettamente<br />

rispondenti al declamato zandonaiano, sempre secco e poco musicale, ma non privo talvolta <strong>di</strong> angolosa ed<br />

austera energia).<br />

Il Nar<strong>di</strong>, come sempre, insuperabile nella breve parte del Cantastorie. La Porter, la Zotti, l’Uxa, il De Petris,<br />

il Mellini hanno contribuito lodevolmente, nelle loro parti, all’armonia e al successo dell’insieme.<br />

Uno speciale elogio al coro, accuratamente addestrato dal maestro Consoli: eseguiti con ogni precisione i<br />

molti non facili episo<strong>di</strong> interni e ben regolati in particolare i gri<strong>di</strong> tumultuosi in lontananza che si aggiungono<br />

allo "sfondo" nell’ultima parte del concitato <strong>di</strong>alogo fra Tebaldo e <strong>Giulietta</strong> all’atto secondo.<br />

Già abbiamo fatto cenno del merito gran<strong>di</strong>ssimo che, nella felice integrazione <strong>di</strong> tutti questi elementi, spetta<br />

ad Edoardo Vitale: dalla partitura non facile, spesso frastagliata e ricca <strong>di</strong> ritmi tormentati e <strong>di</strong>segni e intrecci<br />

delicatissimi egli ha tratto il massimo delle risorse. È stato un fraterno collaboratore dell’autore, che gli deve<br />

essere riconoscente.<br />

Della realizzazione scenica abbiamo già parlato con elogio. Le scene <strong>di</strong> Augusto Carelli sono fra le più belle<br />

e riuscite <strong>di</strong> questo artista: specialmente quella del primo atto e del secondo quadro dell’ultimo sono state molto<br />

ammirate, anche per l’indovinato e ben regolato giuoco <strong>di</strong> luci. Nella prima metà del primo atto il chiarore<br />

notturno, ottenuto con sapienti <strong>di</strong>stribuzioni, nei vari piani, <strong>di</strong> luci bleu, bleu-rosse e bleu-bianche, era realizzato<br />

in modo da conferire al quadro un fascino delizioso, perfetto: e tali luci erano intonate anche armoniosamente<br />

coi colori dei costumi, specialmente con quello <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong> (rosso con manto bleu). Molto indovinato anche il<br />

tono verde-bleu dell’ultima scena (La tomba <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>) realizzata dal Carelli in maniera felicissima, e assai<br />

<strong>di</strong>versa <strong>di</strong> quella che fu adottata alla prima esecuzione dell’opera.<br />

Di tutto ciò – e della felice composizione e movimentazione dei quadri scenici viventi: bellissimi<br />

specialmente quelli cui partecipano gli aggruppamenti <strong>di</strong> ancelle, coi loro "gaietti" costumi: in<strong>di</strong>menticabile, a<br />

tal riguardo, la scena del “torchio” – spetta molta parte <strong>di</strong> merito al comm. Carlo Clausetti, l’intelligente<br />

<strong>di</strong>rettore artistico della Casa Ricor<strong>di</strong>, che alla realizzazione <strong>di</strong> queste visioni sceniche ha partecipato con grande<br />

amore, con la sua competenza e il suo buon gusto.<br />

Il successo è stato vivissimo: un primo applauso è scoppiato al duetto del primo atto. Alla fine <strong>di</strong> ogni atto le<br />

imponenti ovazioni hanno costretto il maestro Vitale e gli artisti a comparire infinite volte alla ribalta.<br />

Dell’intermezzo è stato chiesto insistentemente il bis, non concesso.<br />

Allo spettacolo ha assistito il Principe <strong>di</strong> Piemonte, salutato dalla Marcia Reale e da ferventi applausi.<br />

[...]<br />

203<br />

G. De V., “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” <strong>di</strong> Zandonai al Teatro Costanzi, “Il Nuovo Paese”, 17.1.1924 - p. 3, col. 2-3-4<br />

(con un medaglione che ritrae Edoardo Vitale)<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/40


Mentre ieri sera si svolgeva nell’ampia cornice scenica del Costanzi la tragica vicenda degli amanti <strong>di</strong><br />

Verona, noi pensavamo a quel teatro del “Globe”, a quella sor<strong>di</strong>da baracca <strong>di</strong> legno sorgente sulle nebbiose rive<br />

del Tamigi ove, nell’assenza assoluta <strong>di</strong> ogni apparato scenico, alla luce <strong>di</strong> lampade fumose, Guglielmo<br />

Shakespeare dava vita alle sue immortali creature. Quella sor<strong>di</strong>da baracca – nota Edouard Schure – non era da<br />

meno del luminoso anfiteatro scavato nel fianco dell’Acropoli se Guglielmo Shakespeare – fissando nel cuore<br />

umano il fulcro della vita universale – dava alla Poesia un elemento che la Grecia non poteva darle, quello<br />

dell’in<strong>di</strong>vidualità vivente e cosciente che porta in se stessa il suo destino. In quella baracca il Titano riversava<br />

nel cuore intirizzito della Poesia, emigrata oltre le porte misteriose dell’al <strong>di</strong> là, la linfa feconda della vita,<br />

ridonava al suo scheletro una carne rorida <strong>di</strong> sangue ed in essa infondeva i germi delle passioni più <strong>di</strong>voranti.<br />

Con lieve alzata <strong>di</strong> spalle, si scaricava del dogma; poneva faccia a faccia il bene ed il male, per sbranarsi, per<br />

<strong>di</strong>vorarsi a vicenda; plasmava con pollice ferreo il delitto, la frode, l’irresistibile istinto; agitava l’anima umana<br />

con le scosse più violente e dopo averla così annientata la risuscitava d’un tratto con l’aroma inebriante dei fiori<br />

più can<strong>di</strong><strong>di</strong>: Cordelia, Ofelia, Miranda, <strong>Giulietta</strong>.<br />

<strong>Giulietta</strong>! Da quattro secoli l’umanità piangeva sul suo fato, vedendola sorgere dal sepolcro per ritrovarsi<br />

accanto, freddo ed inanimato, l’amato amante: da quattro secoli, con la voce dei suoi poeti, con la voce <strong>di</strong><br />

Vittore Hugo, <strong>di</strong> Arrigo Heine, <strong>di</strong> Alfredo De Musset proclamava la invulnerabile bellezza della tragica scena,<br />

<strong>di</strong>venuta patrimonio poetico universale. Tutto ciò è durato fino al 1921, anno in cui Arturo Rossato, dovendo<br />

comporre in libretto per Riccardo Zandonai la storia degli amanti infelici, si è accorto che all’uopo era innanzi<br />

tutto in<strong>di</strong>spensabile riformare Shakespeare.<br />

Quando Arrigo Boito compose per Giuseppe Ver<strong>di</strong> il libretto dell’“Otello” qualcuno osservò che egli, per il<br />

suo eclettismo un po’ facilone, era l’uomo meno adatto a rimaneggiare l’opera shakespeariana, selva selvaggia a<br />

<strong>di</strong>stricare la quale si richiede volta a volta polso <strong>di</strong> ferro e mano lieve: polso <strong>di</strong> ferro per scerpere il rovaio,<br />

mano lieve per cogliere il fiore nascosto. Ma qualunque sia il giu<strong>di</strong>zio che si possa formulare sull’opera poetica<br />

del Boito, si deve riconoscere che egli dette esempio <strong>di</strong> alta <strong>di</strong>gnità artistica, accostandosi con trepida<br />

venerazione allo Shakespeare e ponendo ogni cura nel non alterare l’opera nello spirito e nella forma.<br />

Il Rossato non ha avuto queste preoccupazioni. Pare anzi che egli abbia posto ogni stu<strong>di</strong>o nell’allontanarsi<br />

dalla grande orma shakespeariana. E noi non gli contesteremmo questo <strong>di</strong>ritto se la sua personale concezione<br />

poetica avesse agevolata l’espressione musicale del poema. Glielo contestiamo perché abbiamo l’impressione<br />

che l’opera dello Zandonai abbia subito in ogni sua parte l’influenza mortificante della falsa impostazione del<br />

dramma.<br />

Il dramma <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong> e <strong>Giulietta</strong> è tutto nel contrasto fra la sovrumana passione degli amanti e la torva<br />

atmosfera <strong>di</strong> violenza e <strong>di</strong> o<strong>di</strong>o da cui essa fiorisce. È un sottile fiore <strong>di</strong> poesia che tremola su <strong>di</strong> un abisso<br />

spaventoso. E il profumo <strong>di</strong> quel fiore non può essere colto se non da chi abbia prima scandagliato quell’abisso.<br />

Il Rossato ha completamente trascurata quest’antitesi fondamentale ed imprescin<strong>di</strong>bile. L’o<strong>di</strong>o dei Montecchi e<br />

dei Capuleti, “che si <strong>di</strong>vorano <strong>di</strong> rabbia nel flutto purpureo che geme dalle loro vene”, quest’o<strong>di</strong>o – che satura <strong>di</strong><br />

sé tutto il dramma shakespeariano – è quasi completamente fuori della visione scenica. E pazienza se il Rossato<br />

si fosse limitato a fissare nella sua trama soltanto i punti che – a suo modo <strong>di</strong> vedere – si prestavano ad una pura<br />

espressione lirica. Riccardo Wagner, nel poema <strong>di</strong> “Tristano e Isotta”, sceverò pensatamente la leggenda da<br />

ogni elemento che avesse potuto turbare la purità lineare del suo contenuto lirico. Il guaio è che il Rossato,<br />

volendo riempire i vuoti risultanti dalle spietate amputazioni operate sulla trage<strong>di</strong>a shakespeariana, è ricorso a<br />

ripieghi <strong>di</strong> ogni genere, come in quella scena della fiaccola, la cui derivazione d’annunziana contrasta nel modo<br />

più evidente con l’intonazione generale dell’opera.<br />

Altro errore è l’aver posto al primo atto quella “scena del balcone” che è il punto culminante del dramma,<br />

sublime vetta <strong>di</strong> poesia alla quale non si può giungere <strong>di</strong> colpo. Shakespeare pensò che il bacio degli amanti,<br />

quel bacio che scocca fra cielo e terra, non potesse avere a testimoni che l’allodola e l’usignolo. A Rossato ciò<br />

non basta: ed eccolo a intermezzare il duetto con canzoni <strong>di</strong> gente avvinazzata. Neppure la scena della morte –<br />

<strong>di</strong>cevamo – è stata risparmiata. Quando <strong>Giulietta</strong> si desta, <strong>Romeo</strong> è ancora vivo. E anche qui – pare impossibile<br />

– il Rossato ha ritenuto necessario far giungere dalla strada stornelli <strong>di</strong>alettali, a menomare la tragica solennità<br />

del momento.<br />

Tutto ciò doveva necessariamente mortificare l’ispirazione del musicista. Il quale deve avere le spalle ben<br />

resistenti se non ha ceduto al peso <strong>di</strong> questo cumulo <strong>di</strong> errori.<br />

***<br />

Nella esigua schiera dei nostri compositori, Riccardo Zandonai occupa uno dei posti più in vista. Nella sua<br />

produzione si possono <strong>di</strong>stinguere nettamente tre momenti: quello del dramma intimo (“Grillo del focolare”,<br />

“Conchita”), quello operistico-coreografico (“Melenis”), quello veramente e propriamente melodrammatico<br />

(“Francesca da Rimini”, “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>”). Egli ha oramai conseguito la padronanza dei suoi mezzi, la<br />

libertà, l’affrancamento della sua ispirazione da ogni presupposto teorico, da ogni strettoia scolastica. Ha<br />

compiuto, o è in via <strong>di</strong> compiere, lo sforzo più arduo che ogni artista deve superare: quello <strong>di</strong> ritrovare se stesso.<br />

Pare che in Italia questo sforzo sia più <strong>di</strong>fficile che altrove. Pare che i nostri artisti – i musicisti, specialmente –<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/41


compiano una fatica enorme per restar fedeli alla loro natura, per persuadersi che il loro tecnicismo fine a se<br />

stesso, che le loro fiacche imitazioni, che il loro intellettualismo non si risolvono che in una faticosa e vana<br />

<strong>di</strong>stillazione <strong>di</strong> profumi artificiali, per ritornare al desiderio <strong>di</strong> un’arte ferma e chiara nei contorni, totalmente<br />

realizzata, decisamente ed italianamente emotiva. In Zandonai questa crisi si è risolta o è in via <strong>di</strong> risolversi<br />

felicemente. Questa impressione suscitata in noi due anni or sono dopo la prima esecuzione <strong>di</strong> “<strong>Giulietta</strong> e<br />

<strong>Romeo</strong>” è stata pienamente confermata ieri sera, dopo un più riposato esame dei pregi e dei <strong>di</strong>fetti <strong>di</strong><br />

quest’opera, che ci ha fatto presentire prossima la manifestazione compiuta dalla genialità del maestro trentino,<br />

manifestazione che in “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” non è ancora effettuata. È evidente in quest’opera lo sforzo del<br />

compositore per far scaturire dal suo temperamento drammatico la vena lirica necessaria a dare degna<br />

espressione musicale a quella che Benjamin Laroche, illustre traduttore <strong>di</strong> Shakespeare, definisce la più<br />

commovente storia d’amore che sia mai stata scritta. Questo sforzo non poteva produrre che quella<br />

esasperazione <strong>di</strong> cui sono traccie evidenti nelle pagine culminanti <strong>di</strong> quest’opera. Le gran<strong>di</strong> ascese liriche non<br />

possono essere che spontanee. Ove il temperamento dello Zandonai ha potuto esplodere liberamente come nella<br />

fragorosissima baruffa del primo atto, nelle concitate scene del secondo, nella travolgente “cavalcata” del terzo,<br />

il successo, che da due anni accompagna quest’opera, si è rinnovato calorosissimo, preannuncio sicuro <strong>di</strong><br />

quell’immancabile, decisivo trionfo cui questo nostro musicista ha incontestabilmente <strong>di</strong>ritto per la nobiltà degli<br />

inten<strong>di</strong>menti coi quali tenta da tempo la conquista del nostro teatro lirico.<br />

***<br />

L’esecuzione fu lodevolissima per merito specialmente <strong>di</strong> Edoardo Vitale, sapiente armonizzatore e geniale<br />

animatore dello spettacolo. Dopo la famosa “cavalcata”, condotta con felice slancio, il pubblico tributò<br />

all’illustre Maestro una grande ovazione.<br />

Stefania Dandolo (<strong>Giulietta</strong>) si rivelò cantante fornita <strong>di</strong> magnifici mezzi vocali e <strong>di</strong> non comune talento<br />

interpretativo. Il tenore Cingolani dette alla parte <strong>di</strong> “<strong>Romeo</strong>”, che è il suo cavallo <strong>di</strong> battaglia, quel rilievo<br />

vocale e scenico che gli ha fruttato magnifici successi in tutti i teatri nei quali egli ha interpretata quest’opera. Il<br />

baritono Gherar<strong>di</strong>ni (Tebaldo) fu ammirato per il caldo timbro della sua voce. Nelle parti secondarie, la Porter,<br />

la Zotti, il Nar<strong>di</strong>, l’Uxa, il De Petris, il Mellini assolsero egregiamente il loro compito.<br />

Intonati e suggestivi i quadri scenici ideati da Augusto Carelli. Bellissimo quello del terzo atto.<br />

Moltissime furono le chiamate. Ci parve però che il calore degli applausi, altissimo dopo il primo atto,<br />

<strong>di</strong>minuisse gradatamente negli atti successivi.<br />

La sala era sfolgorante. S.A. il Principe <strong>di</strong> Piemonte assisté all’intero spettacolo.<br />

204<br />

r[affaello] d[e] r[ensis], “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” <strong>di</strong> Zandonai al “Costanzi”, “Il Messaggero”, 17.1.1924 - p. 4, col.<br />

2-3<br />

Riu<strong>di</strong>ta l’opera <strong>di</strong> Zandonai a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> due anni dal suo battesimo nel nostro massimo teatro, all’infuori da<br />

quell’ambiente inevitabilmente febbrile ed agitato, con addosso un carico <strong>di</strong> allori colti in moltissime città<br />

dell’Italia e dell’estero, non poteva non apparire quella che realmente è: un’opera, cioè, <strong>di</strong> sentimento, <strong>di</strong><br />

passione, d’impeto e <strong>di</strong> teatro. Piuttosto che negare ancora, come si fa più per inerzia che per convinzione,<br />

queste evidenti qualità, io <strong>di</strong>rei che Zandonai ha invece troppo concesso al romantico episo<strong>di</strong>o d’amore e morte<br />

e troppo al pubblico stesso. È dovere del pubblico intelligente <strong>di</strong> avvicinarsi allo spirito, all’animo e allo stile <strong>di</strong><br />

Zandonai, comprenderlo e rendergli quella giustizia meritatissima che non si deve oltre fare attendere.<br />

Per l’amore <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>, trascinante, romantico, altamente lirico, pieno d’ingenui abbandoni, quasi<br />

schivo <strong>di</strong> sensualità, il maestro trentino ha chiesto alla sua musa ritmi rapi<strong>di</strong> e mutevoli, frasi calde e larghe,<br />

soavità <strong>di</strong> poesia, gri<strong>di</strong> altissimi <strong>di</strong> dolore, <strong>di</strong> più facile ripercussione sull’animo popolare, ma egli non poteva<br />

forzare la sua forma mentale, non abolire le sue attitu<strong>di</strong>ni e i suoi mezzi <strong>di</strong> espressione.<br />

Il canto <strong>di</strong> Zandonai si <strong>di</strong>fferenzia e deve <strong>di</strong>fferenziarsi dal canto dei nostri melo<strong>di</strong>sti <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione sino a<br />

Mascagni e a Puccini; e se esso procede involuto <strong>di</strong> cromatismi, in tonalità varie e contrastanti, più vicino al<br />

nuovo declamato, non è perciò meno bello, sentito e schietto.<br />

Ieri sera il pubblico, pur nella sua consueta rigi<strong>di</strong>tà, stavo per <strong>di</strong>re frigi<strong>di</strong>tà, ha mostrato <strong>di</strong> gustare le pagine<br />

melo<strong>di</strong>che, gli episo<strong>di</strong> d’insieme e il complesso della geniale partitura.<br />

Il quadro iniziale e vigoroso del primo atto, il ritmo grave e lento della scolta, il duetto d’amore ravvolto in<br />

un’atmosfera sonora d’infinita squisitezza, hanno profondamente solcato l’animo degli ascoltatori.<br />

L’altro quadro, d’intimità e <strong>di</strong> suggestione, del secondo atto con l’originale gioco del Torchio, la drammatica<br />

scena tra il violento Tebaldo e la dolce <strong>Giulietta</strong>, il duello rapido e serrato, lanciano la trage<strong>di</strong>a alle altezze<br />

dell’interesse e della emozione.<br />

Che <strong>di</strong>re del lamento del cantastorie e dell’impetuoso intermezzo, che ha strappato l’irrefrenabile applauso<br />

del pubblico che ne voleva la replica?<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/42


Siamo <strong>di</strong> fronte ad un’opera ricca <strong>di</strong> gemme musicali, alla quale giustamente arride il continuo e crescente<br />

successo <strong>di</strong>nanzi agli spettatori dei gran<strong>di</strong> e piccoli centri; né dubitiamo che questa nuova ed opportuna e<strong>di</strong>zione<br />

romana sia destinata a raccogliere un suffragio sempre maggiore ed entusiastico.<br />

Anche perché quest’e<strong>di</strong>zione, accuratamente preparata, ha concorso al successo <strong>di</strong> ieri sera e concorrerà<br />

meglio al successo delle repliche. I protagonisti, giovani e volonterosi, sono forniti tutti <strong>di</strong> ottime qualità vocali<br />

e sceniche e, superata la spiegabile preoccupazione della prima rappresentazione, si <strong>di</strong>mostreranno degni delle<br />

parti <strong>di</strong>fficoltose e delle responsabilità numerose.<br />

Stefania Dandolo, con la dolcezza della voce e con la delicatezza quasi ingenua degli atteggiamenti, ha<br />

composto con proprietà la figura <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong>; il tenore Cingolani, nel duetto, nel duello, nello scoppio dolorante<br />

del terzo atto si è mostrato artista <strong>di</strong> ugola resistente ed attore <strong>di</strong>sinvolto e schietto; il baritono Emilio<br />

Gherar<strong>di</strong>ni ha delineato con linee decise il torvo personaggio <strong>di</strong> Tebaldo. Impagabile, come sempre, nelle vesti<br />

nel cantastorie, il Nar<strong>di</strong>; bene le altre innumerevoli parti e i cori.<br />

All’orchestra è affidato un compito arduo e preponderante poiché la partitura <strong>di</strong> Zandonai, anche quando si<br />

semplifica, rimane sempre così densa d’idee, <strong>di</strong> ritmi, <strong>di</strong> colori e sempre così logicamente serrata nei suoi<br />

elementi da richiedere una bacchetta che sappia indagarla, sviscerarla, chiarificarla ed esporla. Questa bacchetta<br />

era ieri nella mano <strong>di</strong> Edoardo Vitale che per la sapienza e l’esperienza ha reso il più segnalato servizio<br />

all’opera d’arte. Riccardo Zandonai non poteva desiderare un interprete più sagace ed amorevole.<br />

Al maestro Vitale, ammiratissimo durante lo svolgimento dello spettacolo, applau<strong>di</strong>to ad ogni fine <strong>di</strong> atto ed<br />

evocato con gli artisti ripetutamente al proscenio, è stata in<strong>di</strong>rizzata una particolare e prorompente ovazione<br />

dopo la focosa galoppata dell’intermezzo.<br />

Serata magnifica, dunque, per elevatezza artistica e per concorso <strong>di</strong> elettissimo pubblico. Ha assistito allo<br />

spettacolo anche il Principe Umberto, al quale è stato reso l’omaggio dell’inno reale e <strong>di</strong> calorosi applausi.<br />

[...]<br />

205<br />

M[atteo] Incagliati, “<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>” <strong>di</strong> Zandonai al Costanzi, “Il Giornale d’Italia”, 18.1.1924 - p. 3, col.<br />

5-6<br />

Il “Costanzi”, che la tenne a battesimo or sono due anni, ha iersera <strong>di</strong> nuovo ospitato sulle sue scene la<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> <strong>di</strong> Riccardo Zandonai. Per ogni opera nuova che ritorna nel giro <strong>di</strong> un tempo breve sulla<br />

stessa scena, è legittimo arguire che la fortuna non manca mai.<br />

A suffragare la bontà <strong>di</strong> questa fortuna valse il successo che si delineò sin dalle prime scene e che, come le<br />

vicende della trage<strong>di</strong>a shakespeariana procedevano con la suggestione e il fascino della musica <strong>di</strong> Zandonai, si<br />

intensificò, <strong>di</strong>venne clamoroso dopo l’intermezzo; e significativo per l’unanime consenso – non una sola nota<br />

<strong>di</strong>scordante – della folla che gremiva la vasta sala. Nella quale era tutta Roma intellettuale e artistica. Non era<br />

assente il Principe ere<strong>di</strong>tario, del quale è nota la passione e la inclinazione per gli studî musicali, e a cui il<br />

pubblico rivolse applausi cor<strong>di</strong>ali prima che s’iniziasse il secondo atto, mentre l’orchestra suonava la Marcia<br />

Reale.<br />

Non era assente l’on. Acerbo, sempre primo ad ogni alta manifestazione d’arte, e quella <strong>di</strong> iersera è stata tale<br />

che non si può negare non accresca prestigio e onore al patrimonio musicale nazionale.<br />

Roma ormai, checché si pensi e si <strong>di</strong>ca, ha conquistato il primato per la celebrazione del genio italico<br />

musicale, ed è dalla ribalta del “Costanzi” che tutte le nuove manifestazioni d’arte acquistano <strong>di</strong>ritto alla vita o<br />

alla... morte. Dalla Cavalleria rusticana alla <strong>Giulietta</strong> quante opere nuove non mossero libere e agili, consacrate<br />

da un giu<strong>di</strong>zio sereno e autorevole, da questa ribalta che non ebbe mai a spegnersi <strong>di</strong>nanzi a chi aveva <strong>di</strong>ritto a<br />

<strong>di</strong>re qualcosa?<br />

E non è dalla ribalta del “Costanzi” che Riccardo Zandonai vide illuminare il suo genio <strong>di</strong> così fulgido<br />

splendore per cui ormai le sue opere – e in particolar modo la Francesca e la <strong>Giulietta</strong> – sono <strong>di</strong>venute<br />

messaggere, ovunque si rappresentino, <strong>di</strong> <strong>di</strong>lettazione estetica e <strong>di</strong> commossa gioia?<br />

Il musicista trentino è il solo che dopo la così detta giovane scuola, nata intorno al 1890, abbia mostrato <strong>di</strong><br />

isolarsi, <strong>di</strong> andare per una via <strong>di</strong>versa e <strong>di</strong> imprimere alla sua produzione teatrale una fisionomia propria. La<br />

personalità <strong>di</strong> lui è ormai ben delineata e potremo dunque parlare <strong>di</strong> una musica tipo Zandonai.<br />

Possono i suoi ideali, le sue pre<strong>di</strong>lezioni estetiche e artistiche suscitare <strong>di</strong>scussioni, <strong>di</strong>ssensi; ma <strong>di</strong>nanzi alla<br />

genialità del suo temperamento teatrale, <strong>di</strong>nanzi alla fedeltà ch’egli mostra, pur possedendo una tavolozza<br />

orchestrale ch’è e costituisce una novità nel melodramma inteso italianamente, <strong>di</strong> non <strong>di</strong>scostarsi dalla<br />

tra<strong>di</strong>zione ver<strong>di</strong>ana – che conta procedere in una critica spigolista?<br />

***<br />

In questa <strong>Giulietta</strong>, venuta quinta dopo quelle <strong>di</strong> Zingarelli, <strong>di</strong> Bellini, <strong>di</strong> Vaccai e <strong>di</strong> Gounod e riuscita la<br />

sola a sopravvivere nella storia teatrale, lo spirito ver<strong>di</strong>ano si rivela nel taglio delle scene, nell’urto dei contrasti,<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/43


nell’abbandono al canto melo<strong>di</strong>co, senza preoccupazioni <strong>di</strong> criterî formalistici, senza la paura che il canto abbia<br />

compiuto il suo ciclo.<br />

Zandonai ha una sua singolare espressione musicale e opina a buon conto che laddove è dramma, la vita,<br />

quivi è possibile <strong>di</strong> cantare come detta in fondo all’anima. In questa epoca scettica e stanca in cui l’opera parla<br />

per i nuovi e un po’ afoni compositori con spezzettature, a monosillabi, a respiro che tronca il periodo, la frase,<br />

e deturpa ogni imagine, Riccardo Zandonai è <strong>di</strong> parere che il lirismo non abbia fatto bancarotta. Ma il lirismo <strong>di</strong><br />

questo illustre e ormai popolare musicista non vive in virtù <strong>di</strong> una pura bellezza formale; esso ha un soffio <strong>di</strong><br />

vitalità che avvince e si insinua simpaticamente nell’anima <strong>di</strong> chi ascolta. È la forza, la fiamma della<br />

passionalità che arde infatti nella <strong>Giulietta</strong>.<br />

Nella quale l’ardore drammatico si plasma sopra i rilievi psichici d’ogni personaggio. E il canto risuona e si<br />

spande... Ma <strong>Giulietta</strong>, <strong>Romeo</strong>, Tebaldo, Isabella, il Cantatore, la folla non sciolgono le loro voci senza<br />

un’anima orchestrale. Ed ecco una delle qualità <strong>di</strong>stintive del genio <strong>di</strong> Zandonai. Nella orchestra si riflette la<br />

sensibilità <strong>di</strong> un artista originale, ed è la sua una sensibilità sottile, raffinata, aristocratica alla quale soccorre una<br />

fantasia agile non insensibile alle più iridescenti combinazioni sonore. Ed è per ciò che il <strong>di</strong>scorso musicale ha<br />

una sua incisività tematica, un <strong>di</strong>segno strumentale e una vibrazione. In <strong>Giulietta</strong> il compositore è <strong>di</strong>venuto<br />

l’artista spoglio, denudato d’ogni servitù, d’ogni schiavitù <strong>di</strong> eru<strong>di</strong>zione.<br />

Sovratutto è caratteristico nella musica <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> il senso nostalgico che tutta invade e pervade la trage<strong>di</strong>a<br />

shakespeariana. È una nota ch’è <strong>di</strong> Zandonai, non <strong>di</strong> altri, <strong>di</strong> lui che scruta e penetra l’anima dei due amanti<br />

infelici. È il musicista <strong>di</strong>venuto, che non <strong>di</strong>mentica <strong>di</strong> esser poeta. Ha la sua atmosfera ogni quadro, e in<br />

rispondenza delle vicende drammatiche, spiritualmente e musicalmente. E basti pensare a tutto il primo atto, al<br />

duetto d’amore al secondo atto, alla romanza del Cantatore, all’intermezzo e a tutto l’ultimo quadro per<br />

riconoscere in Riccardo Zandonai la felice <strong>di</strong>sposizione a intendere e a dar forma all’opera teatrale, secondo lo<br />

spirito ver<strong>di</strong>ano. E che importa se talvolta la musica ha una foga eccessiva? Beato colui che può largire da gran<br />

signore e con eccesso <strong>di</strong> pro<strong>di</strong>galità la passione sonora che tormenta ed esalta la fantasia... E quale anima non<br />

hanno certe pause psicologiche attraverso le quali si preannuncia o si determina un dramma psicologico –<br />

l’attesa, la promessa, la paura – e in cui il valore espressivo è frutto <strong>di</strong> genialità? E quale vulcanica potenza<br />

descrittiva non ha quell’intermezzo – la Cavalcata <strong>di</strong> <strong>Romeo</strong> – in cui l’orchestra risuona come un rombo<br />

intramezzato da schianti furiosi e dall’urlo <strong>di</strong> <strong>di</strong>sperazione: – <strong>Giulietta</strong>! <strong>Giulietta</strong> mia! – con una melo<strong>di</strong>a che è<br />

piena <strong>di</strong> varietà e <strong>di</strong> ar<strong>di</strong>tezza?<br />

Ma, come Margherita nel Faust, la <strong>Giulietta</strong> è giu<strong>di</strong>cata ormai dal pubblico <strong>di</strong> Roma e <strong>di</strong> quelli <strong>di</strong> tante altre<br />

città; e non vale <strong>di</strong>lungarsi oltre.<br />

***<br />

Conta piuttosto accennare allo spettacolo, che può star <strong>di</strong> paro a quello dei Rusteghi per insuperabile<br />

interpretazione orchestrale, per valentìa <strong>di</strong> cantanti, per fasto <strong>di</strong> messa in scena. Era un coro iersera, tra un atto e<br />

l’altro, quello che rilevava così in<strong>di</strong>scussa constatazione.<br />

Edoardo Vitale è alla sua quinta battaglia in questa stagione, e il suo trionfo si rinnova, si ripete. Com’egli<br />

abbia fatto vibrare la musica della <strong>Giulietta</strong>, come ne abbia reso lo spirito, come ne abbia intesa la poesia e<br />

come sia riuscito a tradurre in una linea sobria ma sempre fedelmente rappresentativa la trage<strong>di</strong>a, <strong>di</strong>ssero meglio<br />

<strong>di</strong> ogni parola le manifestazioni degli ascoltatori che all’illustre maestro <strong>di</strong>rettore rivolsero con un consenso<br />

unanime, con legittimo compiacimento.<br />

Edoardo Vitale subor<strong>di</strong>nò alla sua volontà, alla sua energia, alla sua bacchetta tutti gli interpreti. La<br />

magnifica orchestra lo secondò mirabilmente. Rimarrà memorabile negli annali del “Costanzi” l’impeto, il<br />

calore, l’anima con cui l’illustre <strong>di</strong>rettore rese l’intermezzo, il cui inizio ebbe un attacco così inatteso e<br />

magniloquente che il pubblico parve come preso da terrore; e appena l’ultima nota si spense, dopo quella pagina<br />

sinfonica superba e tutta pervasa da un cupo terrore e da un tumulto <strong>di</strong> mille anime in pena come ad esprimere<br />

la sciagura <strong>di</strong> un’anima sola, gli applausi, le acclamazioni, <strong>di</strong>vennero clamorose, imponenti. Per più minuti la<br />

sala echeggiò <strong>di</strong> battimani e con tale impeto e con tale consenso che Edoardo Vitale fu indotto ad associare a sé<br />

l’orchestra che, in pie<strong>di</strong>, partecipò alla ovazione <strong>di</strong> cui era fatto segno il suo illustre duce.<br />

In quella <strong>di</strong>mostrazione fu la consacrazione della nobile fatica compiuta dal maestro Vitale. Alle richieste<br />

insistenti <strong>di</strong> bis, per la <strong>di</strong>sposizione che li vieta, non fu possibile rispondere che dando inizio al poetico ultimo<br />

quadro, concluso con una definitiva <strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> plausi.<br />

Dei quali furono ben degni gl’interpreti sulla scena, scelti fra giovani artisti all’alba ra<strong>di</strong>osa della loro<br />

fortuna teatrale e ai quali senza dubbio questa prova vittoriosa conseguita in <strong>Giulietta</strong> porterà fortuna.<br />

Stefania Dandolo, che ha una voce <strong>di</strong> bel timbro, <strong>di</strong> sicura intonazione, rese le pene <strong>di</strong> <strong>Giulietta</strong> con una tal<br />

quale ingenuità che accrebbe fascino al suo canto, che si sciolse sempre con pro<strong>di</strong>galità. Nell’ultima scena la<br />

sua voce risuonò con ardore e poesia.<br />

Il tenore Cingolani, dalla elegante figura, un <strong>Romeo</strong> agile e sottile, cantò con voce maschia, <strong>di</strong> bel timbro, e<br />

che sale al registro acuto con facilità e padronanza. Di ogni ar<strong>di</strong>tezza canora egli trionfò, e fu pieno <strong>di</strong> ardore<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/44


nel duetto con Tebaldo e soffuse <strong>di</strong> leggiadra poesia la scena d’amore dei due primi atti, così come rese tutto lo<br />

schianto della sua anima nei quadri successivi.<br />

Il baritono Gherar<strong>di</strong>ni compiva onorevolmente questo trittico canoro: voce ampia, robusta, vibrante. Egli si<br />

rivelò artista intelligente, interprete e cantante <strong>di</strong> rara sensibilità. Nella turbinosa scena con <strong>Giulietta</strong> prima e<br />

con <strong>Romeo</strong> poi, il suo accento – ed egli sillaba con arte – trovò vivacità e vigore d’espressione.<br />

E degli altri che <strong>di</strong>re? Il tenore Nar<strong>di</strong>, questo grande artista nell’umiltà del suo ruolo, cantò con arte e con<br />

quella voce in cui pare vibri la passione umana, e con quella sillabazione che dovrebbe essere ad<strong>di</strong>tata ad<br />

esempio a chi aspiri a chiamarsi artista. Ecco in lui un tipico esempio del recitar cantando. E ottimo l’altro<br />

tenore Uxa, che ha voce ben timbrata e <strong>di</strong> bel colore, un prezioso acquisto <strong>di</strong> questa stagione al “Costanzi”. La<br />

signorina Clelia Zotti, esor<strong>di</strong>ente, rivelò una così simpatica e armoniosa voce <strong>di</strong> mezzo soprano, educata a<br />

buona scuola e non insensibile ai moti dell’anima, che <strong>di</strong> lei si può ben presagire per l’avvenire. Piena <strong>di</strong> vita,<br />

vivacemente espressiva la Porter. E anche efficacissimi il Melnikoff e il De Petris.<br />

La cronaca lieta continua. Il coro cantò con vigoroso accento, con bella fusione, con spirito musicale, istruito<br />

dal maestro Consoli, ormai riconosciuto come il prezioso collaboratore del Vitale.<br />

Costumi degni dell’avvenimento per fedeltà storica, per vivacità <strong>di</strong> colori e per buon gusto. Le scene che il<br />

pittore Augusto Carelli ha ideato furono molto ammirate. Il cielo con le nuvole vaganti al 1. atto è tra le più<br />

riuscite concezioni scenografiche; pieno d’intimità il cortile al 2. atto e suggestivo, tutto intonato a un senso <strong>di</strong><br />

patetica poesia, il chiostro all’ultimo quadro.<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong> ha avuto così tributo d’onore, <strong>di</strong> ammirazione e <strong>di</strong> fedeltà da quello stesso pubblico che<br />

nello stesso teatro <strong>di</strong>sse all’opera <strong>di</strong> Riccardo Zandonai:<br />

-Va, per la tua via!...<br />

<strong>Giulietta</strong> e <strong>Romeo</strong>/45

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