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Foto: AP/LaPresse<br />

ANP E HAMAS UNITI CONTRO IL “JEWISH STATE”<br />

Se neanche Abu Mazen riconosce<br />

a Israele <strong>il</strong> diritto di esistere<br />

di Yasha Reibman<br />

riconosceremo Israele».<br />

Questo an-<br />

«Non<br />

nuncio farebbe ridere<br />

se riferito a qualunque<br />

altro paese, ma è un terrib<strong>il</strong>e leitmotiv che accompagna<br />

l’esistenza dello Stato ebraico. Fin<br />

dalla decisione delle Nazioni Unite nel 1947 di<br />

far nascere uno Stato anche per gli ebrei, un<br />

“jewish state”, la risposta del mondo arabo è stata<br />

un secco rifiuto e la guerra per cercare di distruggerlo.<br />

Ci sono voluti più di trent’anni per<br />

ottenere un primo accordo, a Gerusalemme <strong>il</strong><br />

presidente egiziano di allora pronunciò un discorso<br />

davanti al Parlamento israeliano ed entrò<br />

Il leader dell’Anp<br />

Abu Mazen<br />

ha detto in tv<br />

che «lo Stato<br />

ebraico, o quello<br />

che è, non è<br />

mai stata una<br />

questione»<br />

SE TI<br />

DIMENTICO<br />

GERUSALEMME<br />

subito nelle canzoni popolari e<br />

nei cuori degli israeliani che sognavano<br />

la pace.<br />

Oggi <strong>il</strong> presidente dell’Autorità<br />

nazionale palestinese, Abu<br />

Mazen, e i responsab<strong>il</strong>i di Hamas<br />

– che pur si odiano tra loro<br />

– si ritrovano d’accordo su un punto: non riconoscere<br />

Israele. Pochi giorni fa alla tv dell’Anp,<br />

Abu Mazen ha detto: «Per quanto riguarda lo Stato<br />

ebraico, o quello che è, questa non è mai stata<br />

una questione. Durante tutti i negoziati fra gli<br />

israeliani e noi, dal 1993 fino a un anno fa, non<br />

abbiamo mai udito le parole “Stato ebraico”. Ora<br />

hanno iniziato a parlarne, e la nostra risposta è<br />

stata: “Noi ci rifiutiamo di riconoscere uno Stato<br />

ebraico. Cercate di strapparlo all’Onu o a qualcun<br />

altro”». Un lungo giro di parole per spiegare<br />

proprio <strong>il</strong> rifiuto del “jewish state” della risoluzione<br />

Onu del 1947 e dunque del diritto all’esistenza<br />

di Israele e per ribadire implicitamente<br />

che qualunque “accordo” deve passare attraverso<br />

l’accettazione israeliana dei “profughi del<br />

1948” e dei loro discendenti. Significa che Abu<br />

Mazen in nome della “pace” chiede che 2 m<strong>il</strong>ioni<br />

di arabi vadano a vivere in mezzo a Israele,<br />

un paese con soli 7 m<strong>il</strong>ioni di abitanti. Se questo<br />

accadesse Israele diventerebbe immediatamente<br />

un paese a maggioranza musulmana con una<br />

minoranza ebraica. Per sapere come la Anp o la<br />

Siria o le altre dittature arabe trattano le proprie<br />

minoranze chiedere pure informazioni ai cristiani<br />

massacrati e decimati in questi anni.<br />

UN PREMIO INTITOLATO AL PAPA<br />

Anche i migliori teologi<br />

hanno bisogno della gioia<br />

di Angela Ambrogetti<br />

saputo<br />

«Ho<br />

della nascita della Fondazione<br />

Ratzinger. Sono contenta perché è nato<br />

qualcosa di nuovo, carico di futuro». È <strong>il</strong><br />

PLAUSI<br />

E BOTTE<br />

IL PORTONE<br />

testo di una signora francese che accompagna un as- DI BRONZO<br />

segno di 500 euro per sostenere gli studi teologici. È<br />

anche un po’ merito suo se tre teologi ricevono dal Papa, nella Sala<br />

Clementina, <strong>il</strong> primo “Premio Ratzinger” assegnato dalla fondazione<br />

che porta <strong>il</strong> suo nome. Perché la teologia non è morta finché non<br />

muoiono la gioia e la fede. È l’insegnamento di Benedetto XVI. «Il Papa<br />

quando parla ci invita non soltanto a seguire, ma anche a sentire<br />

e non soltanto con <strong>il</strong> cervello, ma anche con <strong>il</strong> cuore». Lo dice monsignor<br />

Georg Gänswein, segretario particolare del Santo Padre. E se alla<br />

fede manca <strong>il</strong> cuore, se alla ragione manca <strong>il</strong> cuore, anche la teologia<br />

resta senza cuore e muore. L’uomo, ha detto <strong>il</strong> Papa ai giovani<br />

che lo ascoltavano a Pennab<strong>il</strong>li, «rimane un essere aperto alla verità<br />

intera della sua esistenza, che non può fermarsi alle cose materiali,<br />

ma si apre a un orizzonte molto più ampio». Un orizzonte che spesso<br />

si cerca di far sparire con «risposte parziali, immediate, certamente<br />

più fac<strong>il</strong>i al momento e più comode, che possono dare qualche<br />

momento di felicità, di esaltazione, di ebbrezza, ma che non vi portano<br />

alla vera gioia di vivere». Gioia appunto. Perché la parola chiave<br />

tra la ragione e la fede, <strong>il</strong> punto di riferimento nella teologia di<br />

Ratzinger, è la gioia. Quella che ti fa rischiare di investire sul futuro<br />

dell’uomo, anche sostenendo un premio per i teologi.<br />

| | 6 luglio 2011 | 41

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