CULTURA L’AUDACIA DELLA FEDE tazione della fede non resta senza conseguenze. Essa costituisce ancora una genuina indagine su Dio con gli auspici della ragione, o solamente un programma al quale si dedicano alcuni aderenti? Il liberalismo come forma agente del pluralismo non può tollerare che Dio si sia effettivamente rivelato all’uomo, poiché in tal caso si dovrebbe ammettere che l’uomo non è la misura di tutte le cose, bensì deve se stesso all’amore divino dispensatore di libertà. Il liberalismo, che assolutizza piacere e guadagno, si contrappone all’uomo eucaristico, che deve a Dio la propria esistenza e redenzione, e compartecipa della libertà e gloria dei figli di Dio. L’unica guida verso la conoscenza Può avere buon esito un mondo senza Dio? Questo interrogativo non si pone a livello puramente teorico. Va collegato alla premessa che Dio esiste, e che noi lo rimuoviamo da ciò che è di sua proprietà. Non si tratta quindi della questione se Dio esista o meno, ma del netto rifiuto della sua presenza. Chi riconosce in Dio <strong>il</strong> perno e cardine della propria vita viene sovente deriso, non per <strong>il</strong> fatto che non esista un Dio al quale ci si potrebbe rivolgere, ma perché si vorrebbe coscientemente bandirlo dalla realtà. Una ragione <strong>il</strong>luminista si autodichiara Dio e suggerisce che l’uomo basta a se stesso. Ma la nostra professione di fede contiene già <strong>il</strong> germe di un incontro con Dio orientato secondo la ragione umana. Ragione e razionalità non sono concetti incompatib<strong>il</strong>i con la fede, anche se questo è <strong>il</strong> ricorrente rimprovero mosso dalla modernità pluralistica e relativistica. Noi, in quanto esseri razionali, siamo concepiti in maniera tale che non nascondiamo Dio di fronte alla ragione. Egli l’ha creata, è <strong>il</strong> logos onnicomprensivo, l’unico, insomma, che possa semmai guidarci verso l’esperienza e la cognizione. L’uomo pensa se stesso e <strong>il</strong> mondo, e ne pensa <strong>il</strong> motivo trascendentale che dà origine al tutto. Impiega la propria ragione. Ma come può la ragione pensare se stessa senza far riferimento a Dio? Il pluralismo e <strong>il</strong> secolarismo vengono incontro all’uomo che vorrebbe vivere senza Dio per non dover sottostare a delle regole; regole che tuttavia derivano prorio dal fatto stesso di essere uomo. Una discussione priva di questo punto di riferimento scardina l’uomo. Perché non esiste più una base in grado di mostrargli 42 | 26 settembre 2012 | | «Chi riconosce in Dio <strong>il</strong> cardine della propria vita viene sovente deriso, non per <strong>il</strong> fatto che non esista un Dio al quale ci si potrebbe rivolgere, ma perché si vorrebbe bandirlo dalla realtà» BANDO ALLE “GUERRE GIUSTE” E AL BUONISMO Anche contro l’islam estremista la vittoria passa dalla ragione Gerhard Ludwig Müller, <strong>il</strong> prefetto dell’ortodossia cattolica, approfondisce in queste pagine uno dei due corni della lezione ratisboniana di Ratzinger. Dell’altro corno, quello evocato a partire dalla citazione del dialogo tra l’imperatore bizantino Manuele II Paleologo e un musulmano persiano («Dio non si compiace del sangue; non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio»), parlarono le reazioni di straordinaria violenza che si levarono allora dalle piazze (e dai parlamenti) dei paesi musulmani. E che ricorrono puntualmente quando scatta una qualsiasi denuncia di “blasfemia”. Nel caso di Ratisbona persino <strong>il</strong> tempio laico del New York Times si accodò alla violenta vulgata che scambiò un gigantesco pensiero per una misera aggressione all’islam. E all’unisono, liberal e integralisti, osarono avanzare alla Santa Sede nientemeno che la richiesta di “scuse formali” per quel pronunciamento del Santo Padre. Naturalmente nessuna smentita arrivò e le piazze in ebollizione sbollirono. Periodicamente, però, dopo <strong>il</strong> massacro delle Torri Gemelle (quando certe stesse piazze gioirono per la strage di migliaia di civ<strong>il</strong>i innocenti), <strong>il</strong> rito dello sdegno e delle violenze antioccidentali si ripete. Mentre con <strong>il</strong> cristianesimo <strong>il</strong> motteggio e la denigrazione sono diventati uno sport internazionale, con l’islam c’è poco da scherzare. Dopo di che, quello che <strong>il</strong> mondo musulmano produce nella sua indignazione lo si vede, non c’è bisogno di spiegarlo. Ora <strong>il</strong> punto è questo: siamo proprio sicuri di dover scegliere tra la “guerra giusta” di Bush e <strong>il</strong> “buonismo” di Obama? No. L’alternativa, come ha ribadito <strong>il</strong> viaggio di Benedetto XVI in Libano, al cuore della faglia tra Occidente e Umma, è «aprirsi alla vastità della ragione». Cioé alla ragione sottomessa all’esperienza. Si capisce allora, e solo allora, che convivenza e frequentazione sono le condizioni per la ricerca di quella felicità a cui ogni cuore umano aspira. Qualunque sia la religione e <strong>il</strong> tempo in cui l’uomo vive. Per questo difendere la presenza cristiana nei paesi musulmani non è difendere l’Occidente. È difendere la ricerca della felicità per ciascuno e per tutti. chi, in sostanza, egli sia. Senza <strong>il</strong> dominio liberatorio di Gesù Cristo, ciò che essenzialmente costituisce l’uomo diventa una farsa. Senza consistenza e terrificante per coloro che non sono in grado di difendersi. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti: i m<strong>il</strong>ioni di aborti, la ricerca sulle staminali embrionali e l’eutanasia. Il logos nella nostra natura Proprio per questo, <strong>il</strong> mondo ha bisogno di una ragione che non sia sorda nei confronti del divino. Il logos divino ha assunto la natura umana in Gesù Cristo. Questa è la fede che la ragione insegna a comprendere, e la ragione che perviene alla fede, e la libertà che agisce secondo coscienza. La ragione è autorizzata dalla realtà stessa ad autoattuarsi in maniera trascendentale e sovraoggettuale, in un’attuazione che sola immette nell’esperien- za sensib<strong>il</strong>e l’unità della coscienza. La realtà pone la questione del proprio fondamento incondizionato, del senso dell’esistenza umana come persona. La sofferenza, l’amore e la morte, che segnano la vita, sono momenti essenziali dell’esistenza spirituale dell’uomo nel mondo. L’uomo, attuandosi spiritualmente, si sperimenta come dipendente dall’origine trascendente e orientato al fine di tutto, a Dio, all’orizzonte della sua autoattuazione. L’idea che l’uomo si fa di sé come essere razionale comporta perciò anche la qualifica di uditore di una possib<strong>il</strong>e parola di conforto e di interpellanza da parte di Dio, a lui rivolta nella mediazione di una parola umana. Solo nell’incontro con <strong>il</strong> proprio orizzonte rivelantesi nella storia lo spirito umano attua la sua capacità di autotrascendersi. *prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede Foto: AP/LaPresse
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